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di T612
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***
Capitolo 28: *** 28 ***
Capitolo 29: *** 29 ***
Capitolo 30: *** 30 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


03 aprile 2014, Washington Hospital Center, Washington DC
 
Sharon non sapeva quantizzare quanto tempo aveva sprecato a fissare inutilmente la porta di quella stanza, ma era ormai convinta di aver messo radici nel corridoio. Gli infermieri le sfilano accanto correndo da un reparto all’altro, solo qualche temerario distratto trovava il coraggio di chiederle che paziente stesse cercando e lei si era ritrovata a puntare lo sguardo contro la porta concedendo una tacita risposta.
Era lì da talmente tanto tempo che attirava solo lo sguardo di qualche curioso di passaggio, ma preferiva sorvolare, combattuta sul da farsi.
Continuava imperterrita a fissare la porta, in piedi e appoggiata contro il muro, la spalla indolenzita dal peso della borsa e la giacca di pelle ancora sottobraccio… aspetta non sa bene cosa, forse un ordine o un intervento divino, la sicurezza con cui aveva raggiunto l’ospedale era evaporata nel momento esatto in cui era giunto il momento di aprire quella porta.
Una volta staccato il turno alla CIA, aveva trovato una chiamata persa e un messaggio da parte di Tony, nell’SMS la avvisava che Rogers era fuori pericolo e che Sam gli stava facendo da balia fino a quando non si fosse risvegliato dall’anestesia, aggiungendo il nome dell’ospedale e il numero della camera. Si era sentito in dovere di specificare in un post-scriptum che aveva giocato d’anticipo, conscio che lei non gli avrebbe mai chiesto certe informazioni.
Aveva sorvolato sulla frecciatina andata a segno, aveva gettato il cellulare nella borsa afferrando le chiavi dell’auto, più che intenzionata a guidare fino all’ospedale assecondando quella decisione presa d’impulso, per poi ritrovarsi impalata davanti alla porta della camera in attesa.
Arrivata a quel punto cosa avrebbe dovuto fare?
Si era finta la sua vicina di casa per più di un anno e mezzo, era in pieno diritto di fargli visita all’ospedale… ma come ci si comporta di preciso se tale vicina di casa si era rivelata un agente sotto copertura? Come ci si comporta se, in meno di due giorni dalla scoperta, si erano ritrovati entrambi senza lavoro ed uno dei due era costretto su un letto d’ospedale, dopo aver sventato l’annegamento, con le ossa rotte e quattro proiettili in corpo? Come avrebbe dovuto comportarsi Sharon Carter, che di Steve Rogers sapeva praticamente tutto, nei confronti di quest’ultimo che di lei sapeva a malapena il nome, qualche generalità e tante notizie false?
Si stava arrovellando il cervello da ore, ma non trovando soluzione aveva mandato al diavolo l’etica, la morale e tutti i buoni propositi, si era fatta coraggio ed aveva aperto la porta.
Il Capitano Rogers, che fino a quel momento stava puntando lo sguardo annoiato verso il televisore, aveva abbandonato la sua intensa attività di zapping rivolgendole lo sguardo.
Sharon era riuscita a scorgere il cambiamento nelle iridi azzurre, il passaggio dalla sorpresa di vederla, al risentimento mal celato quando il suo cervello aveva associato la sua persona alla marea di bugie che rappresentava.
-Ehi. -si ritrova a dire, accennando un mezzo saluto con la mano e un microscopico sorriso. -Vengo in pace.
-Fury teme che mi alzi dal letto e mi butti dalla finestra? - la nota d’astio nella voce rende fallimentare il tentativo di porle la domanda con tono ironico.
Sharon non lo biasima, è conscia di meritarsi quel trattamento, ben consapevole che l’unico motivo per cui Steve non le ha già chiesto di andarsene è per via della sua indole di ascoltare tutte le versioni dei fatti prima di giudicare… un mezzo saluto tra i corridoi del Triskelion non poteva considerarsi un chiarimento.
-Non sono qui per ordine di Fury. - Lo sguardo di Steve la esorta a continuare. -Sono qui per scusarmi… credo.
-Per avermi spiato?
-Tra le altre cose.
Sharon non sa spiegarsi il motivo, ma quella microscopica ammissione di colpa dà ufficialmente il via al fiume di parole che non aveva potuto dirgli e serbava da un anno e mezzo. La discussione si era protratta oltre ai convenevoli e alle domande formali, circa i tempi di guarigione accelerati e il prurito alle garze che coprivano i fori di proiettile, ritrovandosi a sgranocchiare insieme le merendine prese alle macchinette automatiche nel corridoio, seduta sulla poltroncina di fianco al letto con i piedi puntati all’angolo del materasso.
Aveva aggiornato Steve sull’udienza a Washington, sulle informazioni segrete dello SHIELD diventate virali su internet, sull’approccio poco ortodosso di Natasha nell’affrontare il processo e sul come, proprio a causa di quel polverone innalzato sotto giuramento, erano riusciti a trascinare Tony in tribunale per placare il dibattito, ridendo all’idea di Tony Stark intento ad affrontare una discussione diplomatica senza dare spettacolo e ricadere nell’egocentrismo.
-Parli di Tony come se lo conoscessi di persona.
Era stata una considerazione casuale ed innocente, ma Sharon era stata punta sul vivo, ritrovandosi a pensare alla cortina di fumo su cui si aggiravano ancora le informazioni che Steve aveva sul suo conto.
-Si può considerare come una sorta di cugino adottivo, siamo cresciuti insieme… - lo sguardo confuso di Steve le fa sorgere il dubbio che raccontare proprio tutta la verità non sia una grandiosa idea, ma ormai non può più tirarsi indietro, decisa ad arrivare fino alla fine del racconto. -... allo SHIELD non lo sa quasi nessuno, è già abbastanza complicato gestire la situazione senza che si sappia in giro che zia Peggy è la sua madrina di battesimo1
Conclude la frase con nonchalance, cercando inutilmente di mascherare la tensione che ha nascosto dietro quelle parole, lo sguardo basito di Steve che la inchioda sul posto impedendole di fuggire.
-Zia Peggy?
-Da parte di papà. -Ignora il perché abbia ritenuto necessario specificare il grado di parentela, l’assenza di una qualsiasi reazione la impensierisce, rimanendo spiazzata nel vedere Steve soffocare una mezza risata.
-Scusami… non posso fare a meno di immaginare te e Tony da piccoli sotto lo stesso tetto, deve averti reso l’infanzia un inferno.
Sharon si scopre a ridere, confessando che le tirate di trecce e i dispetti fossero all’ordine del giorno, insieme alle strigliate della zia e occasionalmente quelle di Howard.
-Peggy lo sa che mi hai tenuto d’occhio tutti questi mesi?
Si aspettava quella domanda.
Mentre cerca di elaborare una risposta coerente, tenta inutilmente di eclissare il ricordo dell’ultima visita a zia Peg, della sua difficoltà nel riconoscere entrambi i nipoti. Tenta di non riportare alla mente le conversazioni al telefono con Tony, nelle quali quest’ultimo le riferiva con tono spento che negli ultimi tempi la zia lo scambiava troppo spesso per Howard… sul come a volte non li riconosceva proprio e sorrideva scusandosi, dicendo loro che certe informazioni erano confidenziali.
-Ha già abbastanza segreti Steve, non volevo che tu ne diventassi un altro.
Non è esattamente la verità, ma la accetta come tale… le fa uno strano effetto quando, al momento di salutarsi, Steve la chiama per nome.
Sharon non ricorda quand'è stata l’ultima volta che qualcuno l’ha chiamata semplicemente per nome, senza quell’ “agente” e quel cognome ingombrante a seguito.
È una sensazione piacevole… crede di poterci fare l’abitudine.
 
***
 
14 aprile 2014, Cimitero Nazionale di Arlington, Washington DC
 

Natasha osserva Steve discutere con Fury ai piedi della tomba ricoperta di fiori, in un angolo e in attesa, mentre continua a lanciare occhiate nervose verso il quadrante dell’orologio… l’aereo per Mosca parte tra meno di tre ore e non può permettersi di aspettare il volo successivo.
Questa volta non ci sono missioni, non ci sono piste da seguire… vuole semplicemente sparire per un po’ di tempo, l’unico desiderio di tornare a casa per assaporare l’illusione che tutto si risolverà per il meglio.
Cerca di ignorare la morsa che le attanaglia le viscere, la sensazione opprimente data dalla calma prima della tempesta, prima che il cataclisma si abbatta su di lei cogliendola impreparata.
Scocca l’ennesimo sguardo verso l’orologio, mentre inizia ad avvertire il fascicolo che nasconde dentro la borsa diventare ogni secondo più pesante… realizzando che l’agitazione che avverte non è data dal cataclisma in arrivo, ma dalla fame di risposte a quelle domande che negli ultimi giorni le stanno rubando il sonno.
Nota lo sguardo che le rivolge Fury, l’occhio severo che le intima di non causare altri problemi, mentre la saluta con un cenno del capo e le dà il via libera.
-Dovresti essere onorato, questo è il suo massimo per dire grazie.
Raggiunge Steve entrando nel suo campo visivo, registrando la sua espressione pensierosa mentre osserva la tomba vuota, sostituita immediatamente con l’accenno di un sorriso quando punta le iridi azzurre su di lei.
-Non vai con lui?
-No. -scuote la testa mentre pensa al biglietto aereo sul vano porta oggetti e la valigia pronta dentro il bagagliaio della macchina.
-Resti qui?
La nota speranzosa nel tono di Steve le provoca una stretta allo stomaco non gradita… vorrebbe rimanere, ma ha bisogno di risposte tanto quanto ha bisogno di respirare.
-No, ho bruciato le mie coperture, me ne serve una nuova.
Si nasconde dietro l’ennesima bugia ripetendosi che questa volta è a fin di bene, che la verità nuda e cruda è troppo spaventosa da riferire ad alta voce… forse con il tempo la situazione potrebbe cambiare, ma al momento è ancora troppo presto per essere completamente sinceri.
Preferisce non pensare al numero di condivisioni che hanno avuto i documenti secretati che ha rilasciato in rete, come le informazioni che la riguardano siano state ritorte contro di lei durante l’udienza, tremando al pensiero che i suoi agganci nel mercato nero ora siano a conoscenza della verità sul suo conto. Tutte le sue coperture, i suoi referenti e i suoi segreti sono crollati come un castello di carte… non importa se sia stata lei a dare l’avvio alla valanga, gettando i presupposti per la prossima catastrofe.
Con il senno di poi Natasha aveva compreso che quella non fosse stata un’idea grandiosa… non che ci fossero altre alternative per stanare l’HYDRA, ma ora tutto veniva messo in discussione, soprattutto il suo operato.
Ora la nota rossa era di dominio pubblico… questo la spaventava più del futuro incerto e delle coperture tramutate in cenere, a distanza di anni non è ancora pronta ad essere giudicata.
-Potrebbe volerci tempo.
-Lo spero. -tenta di non far trasparire la nota di sollievo nella voce, ma si tradisce con lo sguardo, lo vede dall’ombra negli occhi di Steve.
Natasha si trova a ripensare ad una conversazione avvenuta mesi prima nel cuore del Gran Canyon2, dei discorsi fatti in merito al non perdersi nel passato tentando di inseguirlo, sul fatto che non se ne ricava mai nulla di buono… ed eccoli entrambi intenti a venir meno a quel monito, mentre lei fruga nella borsa recuperando il fascicolo sul Soldato d’Inverno, tutti e due pronti a darsi alla caccia di notizie anche se in due modi leggermente diversi.
Fatica ancora a credere che i suoi sospetti, iniziati con quella conversazione ancora mesi fa, erano stati confermati negli ultimi giorni… trovava paradossale e surreale scoprire che il suo James3 era il Bucky di Steve, non che a quest’ultimo avesse accennato mezza parola in merito.
-Il favore che mi avevi chiesto, mi hanno contraccambiato un favore a Kiev. Ora me lo fai tu un favore? Chiami l’infermiera?
Lo chiede in tono leggero, fingendo di non essere a conoscenza di certe visite in ospedale, sinceramente interessata a trovare qualcuno che la sostituisca durante quella pausa momentanea… la solitudine di Steve la preoccupa, lui ha un urgente bisogno di amici, lei può cavarsela da sola ancora per un po’.
-Non è un’infermiera.
-E tu non sei un agente dello SHIELD.
Le viene automatico ribattere, l'obiezione del Capitano era abbastanza fiacca senza che lei ribadisse il concetto.
-Un caffè non ha mai ucciso nessuno, Steve.
Lo vede annuire impercettibilmente, per poi sporgersi e posargli un bacio sulla guancia… un augurio di buona fortuna, ne avranno entrambi bisogno data l’impresa su cui vogliono imbarcarsi.
-Sii prudente Steve, forse faresti meglio a fermarti qua.
Ci crede sul serio in quelle parole, per una frazione di secondo prende in considerazione l’idea di seguire il suo stesso consiglio, per poi far cadere l’occhio sul quadrante dell’orologio notando di essere in ritardo sulla tabella di marcia.
Natasha gira i tacchi avviandosi spedita verso l’auto, deve assolutamente prendere quell’aereo per Mosca, se aspetta il volo successivo potrebbe cambiare idea.
 
***
 
14 aprile 2014, residenza sicura di Steve Rogers, Washington DC
 

Steve sta fissando il fascicolo su Bucky, le mani intrecciate sotto il mento, mentre tenta di non sprofondare sul divano e lasciarsi andare.
Non chiude occhio dal giorno in cui ha riconosciuto il volto di Bucky sotto la maschera del Soldato d’Inverno, la stanchezza si fa sentire anche se cerca di resisterle, complici gli incubi ricolmi di sensi di colpa, mentre il principio dell’attacco di panico è tornato a nascondersi dietro l’angolo.
Sperava che quel capitolo della sua vita restasse sepolto nell’Artico insieme alla guerra e i suoi traumi, era venuto a patti da tempo con quel mostro formato dai suoi fantasmi e dai suoi rimpianti, ma ora gli sembrava di essere tornato a un paio di anni prima quando, dopo la battaglia di New York, aveva disturbato la bestia per la prima volta dinanzi alla vastità del Gran Canyon2.
Stavolta ha Sam, Tony, Natasha e gli Avengers… ma osservando il fascicolo tra quelle mura crivellate di proiettili, con la pozza del sangue di Fury che macchia ancora il pavimento, realizza che ora è ufficialmente disoccupato: niente missioni, niente inseguimenti, niente ricerche.
Restano solo i fantasmi e troppo tempo libero, ora la mente è ufficialmente libera di vagare indisturbata senza la tensione e gli obblighi derivanti dal ruolo di Capitan America, poteva respirare per la prima volta dopo un’infinità di tempo... in quel momento si rese conto che, se fosse rimasto un secondo di più su quel divano, il panico avrebbe sicuramente preso il sopravvento.
Si alza di scatto con il respiro pesante, raggiungendo la finestra con l’intento di aprirla per far entrare aria fresca, scoprendo che l’intelaiatura era stata divelta dai colpi dello scudo quando aveva rincorso Bucky un paio di settimane prima… e nel giro di pochi secondi si ritrova a guardarsi intorno freneticamente alla ricerca di una via di fuga immediata.
Non ha idea di come sia riuscito a raggiungere il pianerottolo, ma è ben consapevole che riesce a stare in piedi solo grazie al muro su cui è addossato, il respiro ancora pesante mentre il suo cervello avanza e rifiuta l’ipotesi che si tratti dei primi sintomi dello stress post-traumatico, pentendosi di non aver dato retta ai medici dello SHIELD quando avevano tentato di diagnosticarglielo.
Rifiuta nuovamente l’idea, dopotutto non gli capita di avere un attacco di panico da un paio di anni, l’ha superato, ora sta bene… continua a ripeterselo mentre la solitudine opprimente si fa sentire, nonostante non sia più circondato dai muri segnati del proprio appartamento.
Si ritrova a pensare alla richiesta di Natasha, al suggerimento velato di offrire un caffè a Sharon, ora che la russa è fuggita da qualche parte lasciandolo solo… Natasha sapeva meglio di tutti che effetto avesse la solitudine su di lui2, soprattutto ora che tutto il suo mondo è crollato in mille pezzi.
Appena il respiro si regolarizza e il suo sistema nervoso non minaccia il collasso da un momento all’altro, attraversa veloce il pianerottolo puntando al campanello dell’appartamento dell’Agente 13… il campanello dell’appartamento di Sharon Carter.
Steve si blocca interdetto, arresta la sua fuga precipitosa fermandosi a un passo dalla porta sfiorando il campanello con le dita… sopisce l’impulso ponderando la decisione, tornando sui propri passi, chiudendosi la porta di casa alle spalle.
Serra gli occhi sforzandosi di fare respiri profondi per evitare un’altra crisi, la tentazione di afferrare il cellulare e chiamare qualcuno, per poi imporsi di doversela cavare da solo… può farcela, deve solo convincersene.
Riapre lentamente gli occhi sui muri spogli con l’intonaco crepato, sulla finestra rotta e sul pavimento ancora sporco di sangue… di fronte a quella vista, il desiderio impellente di traslocare e gettarsi alle spalle le ultime settimane infernali trascorse lì a Washington diventa lampante, ma ciò non cambia la realtà dei fatti.
Non cambia che ora è disoccupato, che ha troppo tempo libero… tempo che potrebbe impiegare nelle sue ricerche, perché Bucky è vivo e si nasconde da qualche parte.
Il suo sguardo viene calamitato in automatico sul fascicolo ancora chiuso sopra il tavolino, mentre un vago sentore di nausea lo colpisce allo stomaco e la bestia minaccia di inglobarlo di nuovo.
L’ultima volta che aveva rischiato di essere sopraffatto dal panico, Natasha era intervenuta prontamente salvandolo da sé stesso… gli aveva offerto una spalla su cui piangere se lo desiderava, una mano per rialzarsi e gli aveva dato una spinta nella giusta direzione2. Anche prima di partire, verso una meta ignota al Capitano, gli aveva gettato un'ancora di salvezza con una frecciatina ben celata.
Steve aveva mandato al diavolo tutte le decisioni ponderate prese fino a quel momento, aveva riaperto la porta di casa attraversando il pianerottolo quasi di corsa, suonando il campanello prima di poter cambiare di nuovo idea.
Quando il volto di Sharon fa capolino dalla porta, Steve Rogers si scopre impreparato all’effettiva eventualità di ritrovarsela davanti, ripiegando in un timido sorriso volto a mascherare l’imbarazzo.
Steve aveva sprecato tutto il tempo a convincersi ad arrivare fino a lì, senza nemmeno ragionare trenta secondi sul cosa dirle, ritrovandosi a fare la figura dell’idiota rassegnandosi a porle quella domanda nel modo più semplice e veloce possibile, senza troppi giri di parole inutili.
-Ti va un caffè? Offro io.
Sharon aveva sorriso, lasciandolo sulle spine giusto il tempo necessario per vedere quel mezzo sorriso tentennante iniziare a smorzarsi, per poi afferrare la giacca e chiudersi la porta alle spalle.
-Starbucks? -il sorriso raggiante di Sharon spazza via definitivamente le nubi temporalesche che si nascondono alle sue spalle.
-Vada per Starbucks.

 
 
 
Note:
 
1 Secondo il mio headcanon Peggy è la madrina di battesimo di Tony, non ho idea se la cosa sia confermata da qualche parte o meno.
2 La serata al Grand Canyon è documentata in Where the fossils come from, presente nella serie, racconto in una one-shot le vicissitudini antecedenti a questa storia di come nasca l’improbabile amicizia tra Steve e Natasha, non è fondamentale averla letta.
3 Tutti i riferimenti a Bucky, Natasha, la Siberia e la Stanza Rossa sono largamente documentate in 1956, nei prossimi capitoli specificherò i dettagli rilevanti nelle note, la storia fa parte sempre della serie, ma è appunto ambientata nel 1956.
 
Commento dalla regia:
Signori e signore, sono lieta di presentarvi l’ennesimo progetto mastodontico.
L’intenzione è quella di riprendere il MovieVerse a partire da TWS e modificarlo man mano con il ComicVerse riprendendo la serie a fumetti “Captain America Collection” di Ed Brubaker. Il lavoro di taglia-e-cuci non vuole riportare fedelmente l’una e l’altra versione ma integrare a vicenda i due filoni narrativi, mi impegnerò a specificare tutte le modifiche nelle note, ma se volete saperne di più rispondo volentieri a qualunque vostro dubbio/speculazione ;)
Detto questo, un grazie speciale va a _Lightning_ che si è sorbita tutti gli sviluppi del progetto in anteprima e mi ha aiutata nella raccolta informazioni tramite i fumetti mancanti. (<3)
Ovviamente, ogni commento/recensione è ben gradito, spero che la storia vi piaccia.
_T

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Capitolo 2
*** 2 ***


27 settembre 2014, Central Park, New York
 

Steve adorava passeggiare a Central Park in autunno, l’atmosfera e i colori delle foglie ingiallite gli provocavano quel formicolio piacevole alle dita, quel desiderio di impugnare una matita e riportare su carta tutto ciò che vedeva.
Le gradazioni calde, la luce che filtrava dai rami e la fragilità delle foglie secche erano una gioia per gli occhi… ogni volta che attraversava il parco si prometteva di ricavare un paio d’ore di tempo per andare lì a disegnare, ma prontamente veniva risucchiato da mille impegni e non riusciva a trovare il tempo nemmeno per tracciare mezza riga sul taccuino che si portava sempre appresso.
Ogni tanto abbozzava qualcosa mentre appuntava qualche informazione rilevante proveniente dal fascicolo su Bucky, scarabocchiava i profili dei palazzi invece di appuntare i luoghi degli appuntamenti, mentre apparivano qua e là delle mini caricature degli Avengers realizzate nei momenti di noia alla Torre… il taccuino si era tramutato in un'accozzaglia di disegni, indirizzi e annotazioni, andando a costituire una sorta di diario di viaggio. Disegnare era diventato un buon stratagemma per imprimere su carta quei pensieri che minacciavano di sovrastarlo, motivo per cui lo custodiva gelosamente e si era ritrovato spesso e volentieri a rincorrere Tony e Natasha quando tentavano di sfogliarne le pagine.
La convivenza alla Torre si stava rivelando più complicata del previsto, l’unico momento di vera privacy che riusciva a guadagnarsi era quando si chiudeva a chiave nella propria stanza, in caso contrario c’era sempre qualcuno che lo cercava o lo importunava per i più disparati motivi… non che gli dispiacesse avere compagnia, anzi, ma se desiderava seriamente staccare la spina per un paio d’ore doveva tassativamente rifugiarsi da qualche parte al di fuori della Torre.
Steve aveva il forte sospetto che una volta terminate definitivamente le missioni per stanare le basi HYDRA rimaste, Tony avrebbe fatto in modo di togliersi dai piedi ognuno di loro solo per lo sfizio di ritornare un uomo completamente libero in casa propria, dovevano ancora farne di strada prima di riuscire a convivere pacificamente sotto lo stesso tetto.
La suoneria del cellulare lo ridesta dai suoi pensieri, trattenendosi dallo sbuffare quando legge il nome del contatto sullo schermo… lei non è decisamente una seccatura.
Riattacca dopo qualche minuto alzandosi dalla panchina, dirigendosi verso l’uscita del parco, per poi avviarsi in direzione dell’appartamento di Sharon. La ragazza aveva appena staccato il turno, aveva avuto un piccolo assaggio della baraonda che imperversava alla Torre attraverso una chiamata veloce al cugino e, immaginando dove lui si fosse nascosto, gli aveva proposto una cena tranquilla. Era diventata una consuetudine quella di cenare insieme, dopo la visita all’ospedale si erano tenuti in contatto, ma un po’ per il lavoro di Sharon e un po’ per le missioni di Steve, era già tanto se riuscivano a vedersi una volta ogni tre o quattro settimane.
Sharon gli aveva inviato il nuovo indirizzo di casa una volta trasferitasi a New York mesi prima, Steve ricordava ancora lo sguardo pieno di sottintesi che le aveva rivolto Natasha quando l’aveva accidentalmente scoperto sbirciando nel suo cellulare lasciato incustodito… certe volte gli sembrava di avere a che fare con una sorella minore particolarmente irritante.
Mezz’ora dopo Steve Rogers era intento a gustarsi la propria pizza, Natasha e gli Avengers erano stati relegati in un angolino della sua mente, soppiantati dalla risata cristallina e dalle chiacchiere di Sharon.
-Come procede la convivenza? -chiede la ragazza curiosa, addentando un altro pezzo di pizza.
-Procede. Sto cercando una casa a Brooklyn, ma non posso permettermi più della metà degli annunci che trovo. -deglutisce e si guarda distrattamente intorno bevendo un sorso di birra. -Anche tu non ti sei sistemata male vedo.
-Io godo dei diritti di parentela, potresti beneficiarne sai? Tony ha case un po’ ovunque.
-Non vorrei approfittarne, già ho il sospetto che ci voglia tutti fuori dai piedi…
Sharon distoglie lo sguardo e ne approfitta per bere un sorso di Coca-Cola, confermando inconsapevolmente i suoi sospetti, anche senza riferire ad alta voce le lamentele di Tony sull’argomento.
-Okay cambiamo discorso, che mi dici sul fascicolo?
-Bucky?
-Si.
-Un film dell’orrore è più allegro. -Steve era riuscito a ricavarsi il tempo di proseguire la lettura tra una missione e l’altra, era fermo da una settimana sulla voluminosa cartella clinica, Google Translate era giunto in soccorso al suo russo arrugginito, infliggendosi dei resoconti abbastanza dettagliati sulle varie operazioni che Bucky aveva subito negli anni… i suoi sogni non apprezzavano particolarmente le recenti letture serali, gli incubi lo tenevano ancora sveglio la notte, mentre il senso di colpa lo spingeva a colpevolizzarsi per ogni tortura che era stata inflitta al fratello.
-È scomparso nel nulla. Sam ha promesso di avvisarmi se trova qualcosa, ma sa il fatto suo nel come nascondersi. Dalle tue parti che si dice?
Cambia discorso, la gola improvvisamente secca mentre lo stomaco si chiude facendogli passare la fame.
-Si dice che, ora che lavoro per la CIA, non posso più raccontarti niente sul serio.
-Almeno puoi dirmi se stai lavorando a qualcosa di interessante?
-Decisamente… ma possiamo evitare di parlare di lavoro? Quand’è stata l’ultima volta che sei andato al cinema?
Sharon cambia le carte in tavola, raccoglie i cartoni delle pizze, intuendo lo stato d’animo del Capitano e la sua improvvisa carenza di appetito.
-La maratona di Star Wars con Tony conta?
-No, anche se alla Torre ha costruito una sala proiezioni.
-Allora è stato troppo tempo fa. -recupera la giacca intuendo quali siano i nuovi piani per la serata.
-Allora bisogna rimediare.
 
***
 
25 novembre 2014, Camp Leigh, New Jersey
 

James se ne sta al centro del campo, esposto e ben visibile dall’unica telecamera ancora in funzione, mentre contempla le macerie1 che nessuno si è ancora preso la briga di spostare.
È in fuga da mesi, si sposta di continuo da un rifugio improvvisato all’altro, presta attenzione alle telecamere e agli sguardi dei passanti, ma puntualmente se lo ritrova sempre alle costole.
Non si capacita che, nonostante il suo impegno nel depistarlo, riesca sempre a rintracciarlo ovunque… a quel punto si era rotto le scatole di fuggire, se era così testardo dal volerlo rintracciare doveva, per forza di cose, avere qualcosa di vitale importanza da dirgli.
Lo aspetta, sa che arriverà, ma nel mentre lascia vagare lo sguardo addentrandosi tra le macerie sollevando sbuffi di polvere ad ogni passo… aveva visitato lo Smithsonian tempo prima, aveva letto di Camp Leigh1 e con il tempo aveva recuperato qualche fotogramma della sua vita precedente.
Aveva aggiunto i nuovi ricordi alla lista confusionaria riportata nelle sue agende, ma gli erano serviti mesi prima che da quelle pagine iniziasse a dipanarsi un filo logico sensato… James era abbastanza sicuro che mancasse qualche tassello, qualche mese della sua esistenza fuori dal ghiaccio brancola ancora nel buio, ma non è sicuro di voler recuperare tutto ciò che manca o è andato perduto. È consapevole di aver grattato solo la punta dell’iceberg, ma più prosegue nelle ricerche, più aumentano i ricordi e i sensi di colpa, più la rabbia e la vendetta fanno capolino tra i suoi pensieri.
Aveva una bella vita prima della guerra, con i suoi sacrifici e i suoi momenti difficili conseguenti alle sue scelte, ma era una vita degna di essere vissuta… non aveva chiesto di ritornare in vita, non aveva chiesto gli esperimenti, non aveva chiesto di indossare la maschera del Soldato d’Inverno, non aveva richiesto di camminare al di fuori del tempo in mezzo a quell’inferno fatto di polvere da sparo e sangue. Era stata una brutta sorpresa realizzare che, nonostante fosse fuggito dal controllo dei suoi padroni, tutto ciò che restava di lui era un aguzzino ricolmo di sensi di colpa, costretto a camminare ancora in mezzo al suo inferno personale senza via d’uscita.
Ormai conosceva e si riconosceva solo nella violenza e nel sangue… ma Steve aveva riconosciuto Bucky sotto la maschera, non il Soldato e nemmeno l’omicida, se c’era riuscito suo fratello poteva riuscirci anche lui. Gli serviva solo tempo per accettare l’idea e autoconvincersene, tentando di racimolare tempo e alimentare quella flebile scintilla che lo spinge a sperare di essere meritevole di essere salvato.
-Sergente Barnes.
Non l’aveva sentito arrivare, troppo preso dai propri ragionamenti, girandosi in direzione dell’uomo che lo stava scansionando con l’occhio buono, standosene a qualche metro da lui a braccia conserte.
-Mi chiamo Bucky.
La nota d’astio nella voce ben udibile, non è sicuro che le intenzioni dell’uomo siano del tutto pacifiche.
-Come vuoi, ragazzo.
Avverte una punta di fastidio sentendosi chiamare in quel modo, rassegnandosi in principio all’idea che da quel momento in poi resterà ribattezzato “ragazzo” fino alla fine dei suoi giorni.
-Lasciami in pace.
-No. Sei difficile da rintracciare, sai?
Resta in silenzio e lo osserva paziente, accennando un mezzo sorriso sulle labbra quando finalmente il suo interlocutore comprende il suo piano e tenta di soffocare una risata.
-Ovvio che lo sai, mi hai teso una trappola.
-Arriva al punto Fury, dove sta la fregatura? Ho provato ad ucciderti, non puoi avere intenzioni amichevoli.
-Sappiamo entrambi che non era intenzionale, il Capitano Rogers ha messo una buona parola in proposito.
Tenta inutilmente di non pensare allo stato pietoso in cui l’ha ridotto, al suo pugno alzato sopra il volto tumefatto del fratello, mentre la struttura dell'Helicarrier cede lasciandolo precipitare nel fiume Potomac.
-Come sta?
-Non sta a me dirti che i proiettili e qualche osso rotto non l’hanno fermato, ti sta cercando.
-Lo so.
Sta dirottando le piste di Falcon da mesi con un discreto successo, pentendosi di non poter fare lo stesso per le risorse di Fury e i contatti di Natalia… si chiedeva chi dei due lo raggiungesse per primo, segretamente grato che le sue preghiere fossero state ascoltate, paradossalmente Fury era l’unica persona sulle sue tracce che riuscisse ad affrontare senza rischiare il collasso mentale.
-Non vuoi tornare?
-No, voglio risolvere il puzzle prima, mi serve tempo e voglio… -l’immagine delle sue dita metalliche strette intorno al collo dei suoi ex padroni gli solletica la mente, scuotendo con forza la testa reprimendo l'impulso. -...non importa cosa voglio.
-Vuoi vendicarti, ma sei stanco di accatastare cadaveri.
-Non conosco un altro modo. -si sente costretto ad ammettere, cercando di nascondere lo stupore…Fury era riuscito a centrare il nocciolo della questione al primo colpo.
-Lavora per me, te ne fornisco uno… una via di fuga.
-Se accetto te ne vai e mi lasci in pace? -non gli piace stare sotto giudizio, men che meno esporsi in quel modo.
-Certo.
-Forza, dà qua il GPS… so come funzionano queste cose. -afferma rassegnato, tendendo la mano sana in direzione dell’ex direttore dello SHIELD, lasciandolo interdetto.
-Non ti facevo così collaborativo.
-Sei il tipo di persona che mi prenderebbe per sfinimento, o peggio… presumo che tu abbia letto il mio fascicolo per intero.
-Perspicace, ragazzo. -la vaga nota di stupore conferma i suoi timori, aveva letto il fascicolo su Fury mentre militava nell’HYDRA, doveva immaginare che il suo piano B si basasse principalmente sulle informazioni trafugate sul suo conto.
-Allora tu ricambia il favore.
È l’ultima carta che può giocarsi, l’unica opzione per guadagnare il tempo che gli serve per recuperare gli ultimi pezzi.
-Avresti anche delle pretese?
-Io ti servo Fury, non posso dire lo stesso di te.
Il fastidio è palese nei lineamenti dell’ex direttore, evidentemente non si aspettava che James fosse capace di metterlo alle strette, se proprio deve eseguire degli ordini vuole delle garanzie.
-Quali sono le condizioni?
-Depista Natalia.
-Perché?
Il ricordo della sua piccola ballerina gli invade la mente, sente ancora le urla disperate di Natalia perforargli i timpani a distanza di anni, la sua espressione spaventata quando l’avevano trascinato via da lei. Il suo periodo al Cremlino non era dei più felici, ma Natalia… lei era l’unico puntino luminoso in mezzo agli orrori delle tenebre. Ciò che restava di loro due era una vaga annotazione in cirillico sui referti medici delle loro rispettive cartelle cliniche2.
Erano tempi e situazioni diverse, si erano scelti, l’unico contatto umano in anni di orrore e ghiaccio… ma Natalia, dopo Mosca, si era rifatta una vita e dubitava che lei, dopo tutto quello che le era successo a causa sua, volesse sceglierlo di nuovo. Si obbliga a ricordare che le ultime due volte che l’ha vista le ha sparato, che nessuna persona sana di mente vorrebbe rintracciare l’uomo che le ha causato solo dolore nella vita, che probabilmente lo odia e lo vuole morto… per una frazione di secondo si permette di prendere in considerazione l’idea che Natalia lo voglia rintracciare per motivi diversi da quelli che pensa, per poi scacciare quel pensiero folle… Natalia era andata avanti mentre lui se ne stava rinchiuso in una cella criogenica mettendo i propri sentimenti in standby.
-Ho i miei buoni motivi… e non negare che li useresti contro di me.
Fury tace in una silenziosa conferma, mentre James afferra il GPS e lo infila in tasca.
-Appunto.
 
***
 
24 marzo 2015, Kronas Corporation, New York
 

-Sono circondato da una banda di idioti incompetenti.
Sbatte il pugno sul tavolo tirato a lucido, i subalterni sobbalzano reprimendo lo spavento, mentre la faccia sfigurata del suo sicario gli sorride dall’altro lato della scrivania.
-Perché dice capo?
Si lascia andare contro lo schienale della poltrona girevole mentre le immagini del TG scorrono veloci sugli schermi, il volto compiaciuto di Tony Stark afferma che hanno eliminato un’altra base HYDRA, la stessa notizia riportata dai giornalisti in qualsiasi canale di informazione, elencando tutti i successi degli Avengers.
-Perché non è possibile che si siano svegliati tutti dopo anni. Prima Sin, poi Pierce, dopo la STRIKE… -indica Rumlow con un gesto esasperato, quest’ultimo accasciato contro la poltrona mentre si rigira il tagliacarte tra le dita.
-Rumlow.
-Si, capo?
-Hanno fatto fuori John Garret3 e hanno preso Daniel Whitehall3… potresti gentilmente smetterla di giocare con il mio tagliacarte e prestare attenzione sul da farsi?
Tenta di controllare il tono della voce, si stampa sul viso il più falso dei sorrisi, mentre picchietta con le dita sul tavolo di legno maledicendo Rumlow e la sua testa calda.
-Pensavo che l’acquisto della Roxxon Oil4 fosse un bel passo avanti. -lo sfida allargando le braccia indicando l’attico su cui si trovano, puntando lo sguardo sull’insegna a neon che si riflette sulle finestre del palazzo adiacente, il logo della Roxxon rimpiazzato dal marchio della Kronas Corporation. -Come pensavo che fosse già stato deciso che il prossimo passo da fare era di entrare in trattativa per l’acquisizione dell’AIM5, quindi mi perdoni se non capisco il perché abbia voluto convocarmi.
Sorride mostrando la sua miglior faccia da schiaffi, mentre Lukin2 tenta di sopprimere l’istinto di cancellare quel sorriso a suon di pugni, per poi imporsi di controllare l'impulso.
Non è colpa di Crossbone se tutto è andato a rotoli… la colpa è di Pierce se non ha saputo tenere Rumlow al guinzaglio, se ha perso gli agganci allo SHIELD e se la sua arma migliore si è data alla macchia.
Lukin ha pagato dei bei soldi per salvare la vita all’ingrato che si trova davanti, ucciderlo si rivelerebbe un investimento fallito, si ricorda che un sicario gli serve, mentre gli sfila il tagliacarte dalle mani con un gesto rabbioso.
-Sei stato convocato perché i piani sono cambiati. Siamo rimasti solo io e il Barone von Strucker, per quanto riguarda i gerarchi… mi servono uomini per riequilibrare le fila.
-Quindi cosa pensa di fare, capo? -abbandona lo schienale della poltrona raddrizzandosi, improvvisamente collaborativo e animato da una scintilla di curiosità negli occhi.
-Resettare Zola, i backup dei nastri non sono andati distrutti in New Jersey e ho un aggancio in Russia, possono procurarmi un LMD.
-E poi? -la nota di delusione malcelata nella voce, evidentemente sperava di recuperare qualcun altro prima di occuparsi del settaggio di Zola.
-Se tutto procede secondo i nuovi piani avrai il permesso di recuperare Sin, Romeo.
-Quando?
Il tono impaziente di Rumlow rischia di fargli tornare il sangue al cervello.
-Quando i tempi saranno maturi, lei è l’ultima tessera del puzzle.
Rumlow sbuffa sonoramente, l’odio negli occhi mentre si alza dalla poltrona e chiede il permesso di congedarsi.
-Ti chiedo solo di essere paziente, so che non è il tuo forte, ma pensi di farcela?
-Farò del mio meglio, capo.
-È una partita a scacchi, Crossbone. Tu sei una torre, sei utile, ma Sin è la regina che può aiutarmi a vincere la partita, credo tu possa capirlo.
-Sfortunatamente lo capisco.

 
 
 
Note:
1 Bucky è stato addestrato a Camp Cox, per motivi di trama faremo tutti finta che nel ’43 anche lui si trovasse in New Jersey, ne approfitto per ricordare a tutti che Camp Leigh è stato raso al suolo in TWS nel tentativo di eliminare Steve, Natasha e i nastri di Armin Zola.
2 Tutta la storia relativa a James e Natalia, i capi del KGB/HYDRA e in particolar modo Lukin, è largamente documentata in 1956.
3 Garret e Whitehall sono due personaggi che figurano su Agents of SH.I.E.L.D., lavoravano entrambi per Pierce e sono stati entrambi catturati dai Secret Warriors di Coulson. Il primo era il capo di una squadra d’assalto HYDRA simile alla STRIKE, mentre Whitehall era il genetista che ha sviluppato “l’elisir di lunga vita” per i gerarchi dell’HYDRA, motivo per cui sono ancora tutti vivi.
4 Citiamo Wikipedia per non fare un torto a nessuno: la Roxxon è una massiva corporazione petrolifera ed energetica nota principalmente per la spietatezza con cui porta avanti i suoi affari, trascurando i danni all'ecosistema ed assumendo o collaborando di frequente con supercriminali.
Nei fumetti e in “Agent Carter” ha un ruolo decisamente più importante che nell’MCU.
5 Citiamo Wikipedia per non far torto a nessuno: l’AIM è un'organizzazione criminale strutturata come un'azienda operante in parte sotto la copertura di una serie di industrie e laboratori di ricerca.
 
Commento dalla regia:
In via del tutto straordinaria (vacanze natalizie), il secondo capitolo è già pronto, spero che vi piaccia. Credo di aver specificato tutto ciò che non era abbastanza chiaro, in caso di dubbi chiedete pure (spiegherò chi è Sin nei prossimi capitoli, motivo per cui non ho inserito una annotazione sul suo conto).
Ovviamente qualunque commento/recensione/etc. è ben gradito.
_T

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Capitolo 3
*** 3 ***


26 aprile 2015, Stark Tower, New York
 

Steve non riusciva a capacitarsi del fatto che meno di 12 ore prima erano tutti intenti a festeggiare, trascorrendo la serata a ridere e prendersi in giro tentando di sollevare Mjolnir... e poi, di punto in bianco, un robot della Iron Legion aveva fatto irruzione dalle porte dell’ascensore attaccandoli.
Era stato impossibile concludere la serata in modo pacifico, automaticamente tutti avevano puntato il dito contro Stark e la situazione era precipitata, ma ormai il danno era stato fatto ed ognuno aveva ripiegato in una qualche attività per sbollire la rabbia senza causare altri danni.
Steve si era ritrovato improvvisamente solo, circondato da micce pronte ad esplodere alla prima parola sbagliata, ritrovandosi a scaricare la tensione sul sacco da boxe… ma dopo aver distrutto il terzo sacco di fila aveva deciso di darci un taglio, si era fatto una doccia ed aveva iniziato a girovagare senza meta in giro per la Torre, controllando in che condizioni stessero gli altri componenti della squadra… aveva beccato Clint e Thor concentrati in una partita di videogiochi, Natasha era intenta a sfondare le punte a ritmo di musica in palestra, mentre Bruce era passato dai tentativi falliti di praticare yoga, allo studio dei dati registrati per capire cosa fosse andato storto con Ultron. Quando Steve aveva bussato alla sua porta, Banner aveva voluto precisare che negli ultimi tre giorni lui e Tony avevano lavorato per prevenire le catastrofi, non per crearne una.
Steve non aveva obiettato, si era chiuso la porta alle spalle dirigendosi verso il laboratorio, intenzionato ad ascoltare la versione dei fatti dell’altra mente dietro ad Ultron… ma si era bloccato sulla cima del ballatoio puntando lo sguardo verso le vetrate sottostanti, ritrovandosi ad osservare Tony che si aggirava senza sosta da una finestra olografica all’altra, studiando di nascosto quante volte si riempisse la tazza di caffè, spaccandosi la testa tentando senza successo di riportare in vita J.A.R.V.I.S.
Steve aveva arrestato la sua marcia, ritrovandosi a pensare all’ultima litigata avvenuta mesi prima. Avevano avuto una delle loro solite divergenze di routine, non ricordava nemmeno qual era stato il motivo scatenante, ma le parole che Stark aveva usato in risposta gli erano entrate in testa come un tarlo fastidioso… Tony aveva superato una tacita soglia invalicabile, era sbottato dicendogli senza mezzi termini che necessitava di un amico, non di un rimpiazzo del padre, che i tempi delle paternali erano finiti da un pezzo. La scelta delle parole l’aveva lasciato interdetto a tal punto da chiedere a Sharon se ci fosse un problema di fondo di cui lui ignorava l’esistenza, così la donna aveva confessato che la sua “vacanza” nell’Artico era stato il più grande tormento di zio Howard, a tal punto da diventare il tormento di Tony stesso. Steve non aveva colpe se Howard si era rivelato una pessima figura paterna, ma si era ritrovato ad affrontare l’odio di quel bambino cresciuto troppo in fretta, che una volta diventato adulto aveva istituito quella soglia invalicabile per rapportarsi con lui, tentando di nascondere il fatto che Steve gli ricordava il padre già per diecimila motivi diversi senza l’aggiunta delle strigliate interminabili.
Steve aveva promesso a Sharon di non farne parola con il diretto interessato, da quel momento in poi le discussioni erano diminuite notevolmente, ma a volte Steve non poteva fare a meno di sentirsi responsabile per Tony e certe volte era davvero difficile astenersi dal fargli la predica… era stato in quel momento che gli era mancato il coraggio, era rimasto sopra il ballatoio cercando quelle parole che continuavano a sfuggirgli, immobile e in attesa, principalmente perché temeva che ogni suo tentativo di discussione civile sfociasse in una predica inevitabile.
Tony aveva tentato di proteggerli a modo suo, ma rimaneva il fatto che prima di iniziare a lavorare sul progetto Ultron avrebbe dovuto parlarne con loro. Avrebbe continuato a lavorarci di nascosto in ogni caso, perché non avrebbe accettato un no come risposta, ma Steve si sarebbe sentito in pace con sé stesso nel sapere di aver almeno tentato di fargli cambiare idea.
Era rimasto lì ad osservarlo fino all’alba, quando Maria Hill si era messa all’opera per arginare la catastrofe, raggiungendolo a passo spedito consegnandogli un tablet.
Osserva la fotografia del cadavere di Strucker, prendendosi qualche secondo per elaborare la notizia, per poi chiamare a raccolta tutti per aggiornarli sul da farsi.
-Cos’è?
La voce di Tony lo raggiunge appena varca la porta del laboratorio, distoglie l’attenzione dagli schermi mentre posa sul bancone la quinta tazza di caffè e allunga una mano in direzione del tablet.
-Un messaggio, Ultron ha ucciso Strucker.
-E ha fatto un Banksy sulla scena del crimine… per noi. -Tony quasi mormora le ultime due parole ed una parte di Steve vorrebbe dirgli di non incolparsi, ma tace perché è un dato di fatto che ci sia la mente di Stark dietro all’ultima catastrofe.
-É una cortina di fumo, perché un messaggio quando ci ha appena minacciati? -interviene Natasha afferrando il tablet scorrendo le immagini, rannicchiandosi contro la poltrona davanti al PC.
-Strucker sapeva qualcosa che Ultron non voleva che noi scoprissimo.
Steve la osserva per la prima volta da quando è entrata nella stanza, notando con disappunto che gli ha rubato nuovamente la felpa che aveva abbandonato in palestra un paio di giorni prima.
-Scommetto che…- Natasha digita velocemente qualcosa sulla tastiera, la fronte aggrottata mentre cerca le stringhe di dati volatilizzati nel nulla. -...sì, ha cancellato le informazioni su Strucker.
-Non tutte. -afferma Tony recuperando la tazza di caffè abbandonata, notando con disappunto il fatto che fosse vuota, per poi riporla di nuovo sul bancone. -Signori, si va di cartaceo.
Steve sospetta che sia mosso dai sensi di colpa, altrimenti non sa spiegarsi il perché Tony si sia diretto spedito verso l’uscita del laboratorio in direzione dell’ascensore senza delegare qualcun altro, lasciandoli tutti spiazzati dal suo spirito di iniziativa.
-Ragazzi, gli scatoloni sono tanti, mi serve una mano per portarli qui dal magazzino.
Bruce è l’unico che non leva una lamentela in proposito ai quintali di polvere che regnano in quell’ala della Torre, resta in silenzio mentre si muove per raggiungerlo, assumendosi agli occhi di tutti la sua dose di colpa.
-Forza ragazzi, non abbiamo tempo da perdere. -interviene Natasha, l’unica che non si è mossa di un millimetro dalla sua postazione, mentre si allunga verso il bancone afferrando la tazza vuota.
-Tu non hai intenzione di darci una mano, vero? - chiede Tony.
-Penso possiate cavarvela anche senza il mio aiuto, nel mentre preparo il caffè per tutti.
Steve lo vede annuire per poi sparire oltre la soglia del laboratorio, mentre lui si avvicina a Natasha, indicando la tazza vuota di Tony.
-Decaffeinato.
-Quanti ne ha già bevuti? -la rossa osserva il fondo della tazza con fare critico, cercando entrambi di mantenere invariata la routine quotidiana, compreso il conteggio dei caffè trangugiati dal padrone di casa. Pepper aveva chiesto loro di tenere sotto controllo le quantità di caffè ingurgitate da Tony mentre lei era fuori città, autorizzandoli a rifilargli il decaffeinato a sua insaputa ogni volta che lo ritenevano necessario.
-Siamo a quota cinque.
Natasha annuisce alzandosi dalla sedia girevole, la felpa di Steve che le copre le dita della mano libera quando se la porta alla bocca per coprire lo sbadiglio.
-Smetterai mai di rubarmi le felpe?
-Quando tu smetterai di lasciarle in giro. -il ding dell’ascensore la interrompe.
-Decaffeinato. -ribadisce indicando la tazza.
-Signorsì, Capitano. -accenna a un microscopio sorriso mentre lo spinge in direzione della porta. -Muoviti, ti stanno aspettando.
 
***
 
28 aprile 2015, Fattoria Barton, ubicazione ignota
 

Nevica. Natasha ne è così convinta che rimane delusa quando punta lo sguardo fuori dalla finestra e vede il sole, il prato verde e Tony e Steve intenti a spaccare legna… la neve è dentro la sua testa, vorrebbe cancellarne il ricordo, ma l’unica reazione che riesce a manifestare è quella di rannicchiarsi ancora di più sotto le coperte della sua camera da letto, cercando di proteggersi dagli spifferi congelati della Siberia.
-Hei, Nat… -la coperta scivola da sopra la sua testa rivelando il soffitto bianco e la figura di Clint che si staglia sopra di lei.
Non ha la forza di parlare, non ha nemmeno la forza di alzarsi dal materasso, ma lo sguardo spaurito del biondo la getta in agitazione, non è abituata all’idea che qualcuno si preoccupi per lei.
-È la Russia, vero?
Annuisce lievemente, trascinandosi nuovamente la coperta sopra la testa, ha freddo… ricordandosi per l’ennesima volta che il gelo è dentro la sua testa.
Clint le prepara un bagno caldo, la solleva quasi di peso dal letto, prendendosi cura di lei in quella rara occasione in cui glielo concede.
Si immerge nell’acqua calda tentando di scacciare i ricordi che le affollano il cervello, scompare completamente sotto la schiuma, urlando a pieni polmoni esaurendo l’ossigeno. Nessuno l’ha sentita, il grido liberatorio attutito dall’acqua, mentre riemerge con la testa e regolarizza il ritmo dei suoi polmoni in fiamme.
Non si accorge nemmeno delle lacrime che iniziano a solcare le sue guance, le lascia scorrere libere mentre si sfrega la cicatrice sul polso1 tentando di cancellare il primo marchio che le ha inflitto la Stanza Rossa, cercando di non pensare alla cerimonia di laurea e a tutto ciò che ne è conseguito… la sterilizzazione, la nota rossa grondante di sangue e il suo cuore in frantumi.
Si costringe a richiamare alla mente il suo viaggio a Mosca, agli stanzoni del Cremlino vuoti e in disuso da decenni, alle tombe di Alian Romanoff e consorte ricoperte di sterpaglie.
La Stanza Rossa è solo un brutto ricordo e la sua vita precedente non può più ferirla.
Continua a ripeterselo, ma smette di crederci quando arriva il momento di rivestirsi, quando incappa nella cicatrice sulla scapola2 e quando sfiora lo sfregio sul fianco2.
Nella Stanza Rossa le avevano strappato via tutto, ma era stato in mezzo a quegli orrori che aveva ricucito la sua anima e scoperto di avere ancora un cuore… e l’artefice di quel miracolo rispondeva allo stesso nome del fantasma che continuava a sfuggirle tra le dita da più di un anno.
Quando fa ritorno nella propria stanza trova Lila spaparanzata sul suo letto, le sorride portando l’indice a coprire le labbra, fermando sul nascere qualsiasi sua obiezione.
-Shh, ho preparato i biscotti con mamma, te ne ho portati un po’ prima che gli amici di papà se li mangiassero tutti… ho fatto bene, zia Nat?
Si avvicina sfiorandole la fronte con le labbra, ritrovando il sorriso mentre il profumo dei biscotti le invade le narici.
-Ottimo lavoro, malen'kiy vreditel'.3
Ne addenta uno, sedendosi di fianco alla bimba, offrendo il bottino anche alla piccola Barton. Riesce a farsi corrompere lasciandosi sfuggire qualche informazione in risposta alle domande curiose di Lila, raccontandole aneddoti divertenti sui super-amici del suo papà… evitando accuratamente di dirle che nelle ultime ore nessuno di loro si sentiva molto super.
Era giunta sera in un batter d’occhio, aveva aiutato Laura a sparecchiare e lavare i piatti, per poi afferrare i pennarelli e mettersi a disegnare insieme ai bambini, ascoltando gli aggiornamenti di Fury a proposito di Ultron.
-Cerca ancora i codici di lancio?
-Cerca, ma non sta facendo molti progressi. -Fury si versa da bere, schivando Lila per un pelo, mentre la bambina corre nella sua direzione consegnandole un disegno.
Era furba, aveva costretto Steve a disegnare con lei contagiando anche Cooper, che aveva abbandonato i lego e Bruce in favore di tempere e pennelli, mentre Tony e Clint continuavano a sfidarsi a freccette.
-Al liceo, per scommessa, ho superato il firewall del Pentagono. -commenta Stark lanciando una freccetta contro il bersaglio.
-Ho inviato un agente alla NEXUS per quello.
-Allora che hanno detto? -interviene Clint centrando il bersaglio e mancando Tony per un soffio.
-Ha un pallino per i missili, ma i codici vengono cambiati in continuazione.
-Da chi?
-Persone sconosciute.
-Abbiamo un alleato? -chiede drizzando le orecchie, chiedendosi il perché Fury abbia inviato un agente alla NEXUS, quando poteva fare una semplice telefonata ad Oslo.
-Ultron ha un nemico, non è la stessa cosa. Pagherei dei bei soldi per sapere chi è, la mia fonte non ha saputo riferirmi altro.
-Fonte anonima, Nick? -Natasha mima la domanda con le labbra fingendo disinvoltura, mettendo a punto un’ipotesi abbastanza precisa su cosa abbia combinato Fury nell’ultimo anno.
-Forse dovrò fare un salto ad Oslo, a cercare gli sconosciuti. -afferma Tony nello stesso momento, calamitando l’attenzione di tutti tranne quella di Fury.
L’ex direttore rimane impassibile e risponde alla proposta di Stark con un paio di secondi di ritardo, dando un’implicita conferma alle supposizioni di Natasha, ma aspetta che finiscano di stabilire il piano d’azione prima di passare all’attacco.
-Nick, permetti una parola?
Vede le sue spalle irrigidirsi impercettibilmente, annuisce facendole cenno verso la porta d'entrata, quella conversazione va affrontata lontano da orecchie indiscrete.
-Era solo questione di tempo, vero? -chiede immediatamente appena si chiude la porta alle spalle, scegliendo fin da subito un approccio diretto.
-Mi stai depistando.
-Su sua richiesta. -la rimbecca immediatamente correndo ai ripari, alzando le mani in segno di resa mentre lei abbassa lo sguardo.
-Non posso fargliene una colpa.
Per una frazione di secondo vede il prato imbiancato, avvertendo un brivido gelido che le percorre la schiena, sfiorando inavvertitamente la cicatrice sul fianco… capisce perché l’ha chiesto, il perché James voglia evitarla.
-Perché lo stai cercando ora, Natasha?
-In realtà cerco una pista dai tempi di Odessa, abbiamo dei conti in sospeso… qualche punto da chiarire.
-Conti in sospeso che c’entrano con il fatto che hai fatto prendere un aereo a Murdock4 per l’Ucraina, perché ti stavi dissanguando su un letto d’ospedale, per poi lasciarlo fuori dalla porta?
-Anche. -Ha un vago ricordo del suo ricovero ad Odessa, aveva permesso solo a Clint e Fury di farle visita, aveva saputo da loro che Matt dormiva nella sala d’aspetto.
-L’hai lasciato appena ti hanno dimessa, eravate andati a convivere… pensavo fosse quello giusto Romanoff.
-Perché? Ci tenevi ad accompagnarmi all’altare? -sbotta piccata fulminandolo con lo sguardo, di cosa ne faceva della sua vita privata non era affar suo. -Mi dispiace deluderti Nick, ma i problemi con Matt erano iniziati molto prima di Odessa… divergenze professionali, hai sempre saputo che io ho il grilletto facile a differenza sua.
Si sente esposta, capita così di rado che Fury mostri il suo lato umano che la trova sempre impreparata… vorrebbe una sigaretta, non ne fuma una da anni.
-Fai prima a dirmi cosa vuoi sentirti dire, Nick.
-Sei un livello 8, Romanoff. Tu lo sai cosa voglio sentirmi dire, ho tre scatoloni pieni di informazioni sul tuo conto, ma certi dettagli non sono scritti da nessuna parte.
Inspira chiudendo gli occhi, posando le mani sulla balaustra del portico, pentendosi in principio di ciò che sta per dire.
-È lui il motivo per cui non ho ucciso Clint a Budapest… aspettavi questa conferma dall’interrogatorio del ‘91?
-Può essere, va avanti.
-Pensavo fosse morto, Nick. Sa nascondersi, dubito che tu l’abbia rintracciato per bravura, era lui che voleva farsi trovare, sbaglio forse?
Fury distoglie lo sguardo punto sul vivo, facendole cenno di proseguire senza infierire.
-Lo sai da te come sono andate le cose dopo Budapest. -afferma indicando la porta alle sue spalle per avvalorare la sua tesi, da fuori si sentono le risate dei bambini, ritrovandosi a sorridere al ricordo di Clint che le chiede se sarebbe mai riuscito a cavarsela come papà. -Ho voltato pagina, Matt è stata una lunga parentesi felice che stava diventando decisamente troppo seria… non avrei accettato la proposta se fosse arrivato a farmela, non dopo Odessa almeno.
-Quando hai scoperto che era ancora vivo.
-E ho ricordato cosa fosse successo a Mosca.
Natasha non sapeva ancora con certezza cosa le avessero fatto, in che modo i suoi capi fossero riusciti a cancellare tutti i suoi ricordi su James, ma aveva capito che qualcosa non andava solo dopo la morte di Alexei5… quel qualcosa di strano che non era riuscita a spiegarsi con Clint e non aveva fatto funzionare le cose con Matt, aveva avuto una spiegazione solo nell’ultimo anno quando tutti i tasselli erano tornati al loro posto.
-Mi spiegherai mai cosa è successo a Mosca?
-No, troveresti il modo di usarlo contro di me e non negarlo, tu vivi di vantaggi e segreti. -punta lo sguardo lontano, passandosi una mano sul volto nascondendo gli occhi lucidi, ne ha abbastanza di sentirsi debole.
-Di cosa avete paura?
Natasha si rende conto che con ogni probabilità Fury aveva condotto un interrogatorio molto simile anche con James, ritrovandosi a sorridere all’idea che l’avevano lasciato entrambi a bocca asciutta, ma l’ultima domanda non rientra nei parametri… era puro interesse personale, una rara manifestazione del lato umano di Nick Fury.
-Di cosa abbiamo paura? -ripete la domanda con tono ironico, si stupisce che Fury non ci sia ancora arrivato, probabilmente aspetta solo che sia lei a dirlo. -Di svegliarci e riaprire gli occhi sulle celle del Cremlino.
Non sa bene che cosa dirle, non che ci sia molto da dire dopo una rivelazione del genere, per la prima volta da quando lo conosce sembra che Fury abbia perso tutte le parole.
-È tutto okay, Nick. -interviene in suo soccorso posandogli una mano sul braccio, riacquistando la solita sicurezza che la caratterizza. -Fammi un favore, digli che non lo voglio morto.
Fury annuisce, si ricompone puntando lo sguardo sul cielo stellato.
-Se ci riesci va dormire, Nat. Il Quinjet parte all’alba.
 
***
 
5 settembre 2015, residenza sicura di Sharon Carter, Manhattan, New York
 

Sharon spegne il televisore lanciando lontano il telecomando, gettando il capo all’indietro rilassandosi contro il divano, non ha voglia di ascoltare di nuovo le solite notizie su Sokovia.
Era una notizia ormai obsoleta, l’udienza si era conclusa settimane prima, lo S.H.I.E.L.D. era stato ripristinato con a capo Maria Hill e lei era stata reintegrata con effetto immediato nelle ultime 24 ore… aveva tentato di contrattare Steve per festeggiare, ma non aveva avuto molto successo, rimanendo piacevolmente sorpresa quando il Capitano si era palesato alla sua porta verso l’ora di cena con i cartoni delle pizze.
-Pensavo ti fossi trasferito in pianta stabile al Complesso, l’appartamento a Brooklyn avrà tre dita di polvere ormai.
-Sei andata a controllare di persona? -Steve pone la domanda in tono ironico, ignaro di quanto si sia avvicinato alla realtà.
Tony gli aveva trovato un appartamento a Brooklyn qualche settimana dopo gli eventi in Sokovia, aveva fatto sostituire il ring e gli aveva procurato qualche sacco da boxe per la palestra al piano terreno, ma Steve ci aveva dormito solo un paio di volte prima di trasferirsi in pianta semi-stabile al Complesso. Le aveva lasciato comunque una copia delle chiavi, in caso di emergenza, quindi Sharon poteva affermarlo con assoluta certezza visto che era andata effettivamente a controllare di persona nella speranza di trovarlo in casa.
-Può essere… come mai le pizze?
-Avevo fame e non mi andava di cenare da solo.
Sharon non se la sente di obbiettare specificando quanto fosse improbabile che potesse cenare da solo, considerato che vivevano in sei persone sotto lo stesso tetto senza contare gli eventuali ospiti, liquidando l’informazione con un'alzata di spalle.
Cenano chiacchierando del più e del meno e Steve l’aiuta a rimettere a posto la cucina, nonostante lei avesse ripetuto più di qualche volta di potercela fare da sola.
-Come procede l’allenamento reclute?
-È più un servizio babysitter.
-Natasha? -chiede, mentre stappa un paio di birre e raggiunge Steve sul divano.
-Mi ha abbandonato, ha preso il primo volo per Mosca e si è lanciata in una caccia ai fantasmi. -afferma il biondo con tono leggero, afferrando la bottiglia e bevendo il primo sorso.
-Ti ha detto di chi?
-Pretendi troppo, se ti chiedo come va il lavoro pensi di darmi una risposta?
-Tecnicamente mi sono licenziata dalla CIA, sono stata reintegrata allo S.H.I.E.L.D. - comunica Sharon con nonchalance, posando la bottiglia sul tavolino voltandosi curiosa nella sua direzione.
-Cosa ti mancava? Maria che ti impartiva gli ordini, le missioni adrenaliniche o il vedermi ogni giorno sul posto di lavoro? -posa anche lui la birra e sorride, mandandola completamente in tilt.
Sharon si ritrova a pensare in rapida successione che Steve deve avere il sorriso più bello del mondo, che deve essere ubriaca per pensare una cosa del genere e che l’ultimo punto non è possibile visto che ha bevuto a malapena due sorsi di birra.
-Non farti strane idee, ci vediamo poco, ma non al punto da spingermi a cambiare lavoro… diciamo che alla CIA iniziavo ad annoiarmi.
-Quindi sei tornata per l’adrenalina.
-Tra le altre cose…
Non ha idea del come si siano ritrovati così vicini, o chi dei due sia stato il primo ad avvicinarsi così pericolosamente all’altro, ma Sharon non è l’unica ad accorgersene.
Steve sembra avere un ripensamento, tossicchia e si allontana di qualche centimetro, lasciandola interdetta con il suo respiro a fior di labbra.
-Hai già qualche missione?
Steve tenta inutilmente di cambiare discorso, la gola secca e lo sguardo ancora ancorato su di lei, aspettando un tacito permesso come un soldato in attesa degli ordini.
-Non dovremmo parlare di lavoro, godiamoci la pace finché dura.
Recupera i centimetri persi superando il distacco, gettandogli le braccia al collo perdendosi in quel bacio.
-Era ora. Ce ne hai messo di tempo, Capitano.
Ride, afferrandola per i fianchi, zittendola definitivamente con un altro bacio.
 
***
 
21 ottobre 2015, Kronas Corporation, New York
 

-Aleksander, non ti stai rilassando troppo? -la voce del medico lo distoglie dai propri pensieri.
-Tu guardi i telegiornali, Faustus?
-Cosa c’entra? -il tono di voce del sospetto, mentre si pone sulla difensiva.
-Tu rispondi alla domanda.
-Non di recente.
Lukin posa giù i piedi dalla scrivania, indicando i televisori spenti con un gesto volto ad introdurre il discorso.
-Sono un paio di settimane che nessuno parla di Sokovia, le persone hanno accantonato il problema…gli Avengers sono stati ripristinati, Maria Hill è la nuova direttrice dello S.H.I.E.L.D. e tutto procede per il meglio.
-Non è negativo per la nostra causa? -lo stato confusionale del psichiatra gli fa affiorare il sorriso sulle labbra.
-No Faustus. È quando si rilassano che capisci che i tempi sono maturi, dopotutto quando tagli una testa ne spuntano due.
-Come intendi procedere?
-Accontenterò Crossbone, sono mesi che scalpita e, ora come ora, Sin è il tassello mancante per attuare il mio piano.
-Ci vorranno mesi prima che Rumlow capisca in che modo aggirare i sistemi di sicurezza. -obietta il medico con tono ovvio, ancora insicuro sul dove voglia arrivare il suo capo.
-Non ho fretta… nel mentre entri in gioco tu, sto giocando una partita a scacchi.
-A cosa punti Alexander?
-Lo scoprirai… la vendetta è un piatto che va servito freddo.

 
 
 
Note:
1 Tutte le bambine allenate nella Stanza Rossa venivano ammanettate alla testiera del letto per impedire loro di scappare nella notte, è un’abitudine così radicata che viene abbandonata di rado dalle allieve.
2 Secondo la mia versione dei fatti la cicatrice sulla scapola le è stata inflitta da James in una delle torture ai tempi della Stanza Rossa, mentre la cicatrice di sul fianco è la ferita d’arma da fuoco che Natasha mostra a Steve in TWS.
3 Traduzione dal russo: piccola peste.
4 Matt Murdock AKA Daredevil, uno dei tre amori della Vedova.
Piccola breve spiegazione stringata in merito:
Natasha conosce Clint a Budapest, lavora come agente sotto copertura per gli americani per poi essere integrata nello SHIELD nel ’91, si frequenta con Clint per qualche anno avendo una cattiva influenza su di lui, ma si lasciano in buoni rapporti. Frequenta per qualche anno Matt Murdock, ma la relazione naufraga in un binario morto a causa del codice morale diametralmente opposto.
5 Alexei Shostakov, il marito di Natasha ai tempi del KGB, a causa di un lavaggio del cervello lo sposa convinta di provare per lui i sentimenti che prova per James. Alexei muore in un incidente missilistico finito male, una copertura per distogliere l’attenzione di Natasha nell’aver riconosciuto in James l’assassino di JFK. (1956)
 
Commento dalla regia:
Per necessità di trama ho apportato qualche modifica a AoU, oltre al fatto che ritengo infondata la relazione tra Natasha e Bruce, soprattutto considerato che ci sono tre candidati canonici che non hanno mai voluto prendere in considerazione nell’MCU.
Gusti personali a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto, qualunque recensione/commento/etc. è ben gradito.
_T

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Capitolo 4
*** 4 ***


4 marzo 2016, Complesso degli Avengers, Upstate New York
 

-Durante lo scorso weekend, un uomo non identificato si è schiantato con l’auto contro il Brinker Building scatenando un’esplosione contenuta.
-Ed è rilevante perché…? -Tony ne ha abbastanza di essere convocato al Complesso per ogni minima variazione dell’ordine naturale delle cose, non ne può più di ascoltare la voce di Maria Hill che lo sovraccarica di informazioni, dando per scontato che lui sia a conoscenza di tutti i dettagli. Quella mattina si era svegliato di buon umore, Pepper tornava da L.A. per affari e le aveva promesso di portarla a cena fuori, si stava godendo la sua colazione in santa pace nel suo attico sulla 5th Avenue quando Maria l’aveva chiamato convocandolo al Complesso, rovinandogli irrimediabilmente la mattinata.
-È rilevante perché è successo a distanza di qualche ora dell’evasione di Cynthia Schmidt da un istituto di massima sicurezza per opera di Crossbone, non è da escludere che le due cose siano collegate. -risponde Hill piccata, irritata dal suo atteggiamento verso il problema.
-Il Raft non dovrebbe essere inespugnabile? -interviene Sharon con tono innocente, sfogliando il fascicolo leggendo distrattamente le varie informazioni. Tony non era stato poi così sorpreso di ritrovarsela nell’ufficio di Maria, negli ultimi tempi non era l’unico a venire importunato a qualsiasi ora del giorno e della notte dal nuovo direttore dello S.H.I.E.L.D.
-Attenta cugina, hai chiamato in causa l’innominabile.
Maria gli rivolge uno sguardo leggermente adirato mentre Sharon solleva gli occhi al cielo, ma Tony non se ne cura più di tanto, non è dell’umore giusto per accollarsi l’ennesimo problema, prendendo già in considerazione la possibilità di dover cancellare la prenotazione al ristorante.
-Credo capiate l’entità del danno rappresentata dall’evasione del nome in codice Sin.
-Maria falla semplice, c’è stata una falla del sistema ed ora la figlia illegittima di Teschio Rosso è a piede libero ammazzando gente, mano nella mano con Crossbone per giunta. -riassume scocciato Tony, controllando di nuovo lo smartphone, calcolando mentalmente quanto tempo impiegherebbe per compiere la tratta New York-Raft e ritorno.
-Ti sembra un problema trascurabile?
In quel momento il tono di Maria verte verso l’esasperazione, Tony ha una vaga ipotesi che il motivo sia lui, supposizione confermata dagli occhi spalancati di Sharon che gli intimano di mettere via il cellulare e tacere, per poi intervenire in suo soccorso, complice come quando lo proteggeva dalle sgridate della zia coprendo i suoi tentativi di dar fuoco alla casa.
-Tony non voleva dire questo. -liquida la faccenda con un gesto distratto della mano. -Rinchiudere Sin al Raft è stata una delle mie ultime missioni concluse con successo su ordine di Fury, ma nel frattempo lo S.H.I.E.L.D. è caduto e con quel polverone la cattura di Sin non è mai trapelata ai media.
-Scommetto di dover migliorare il sistema di sicurezza, mentre immagino che Sharon sia quella incaricata per rispedirli dentro. -interviene Tony con fare pratico, mentre sente il cellulare vibrare nella tasca interna della giacca.
-Esattamente. - conferma Maria porgendo il fascicolo alla cugina.
-Se hai una pista su Rumlow, perché hai convocato me e non Steve?
Il tono curioso di Sharon lo distoglie dai suoi calcoli mentali, si impone di non controllare il telefono, concentrandosi sul battibecco tra le due donne, ragionando in default sul come sdebitarsi con Sharon per averlo difeso.
-Ho convocato te, Agente 13, perché dopo Washington credo che il Capitano Rogers non sia la persona più indicata per dare la caccia a Crossbone.
-... e perché Ross ti sta con il fiato sul collo e non vuole un altro episodio del genere. Steve è troppo coinvolto per agire lucidamente, immagino che la soluzione sia stata di estrometterlo dalla missione. -commenta Tony con tono distratto, è dell’umore giusto per gettare benzina sul fuoco, mentre Maria Hill sembra volerlo incenerire con lo sguardo.
-Tony certe informazioni dovrebbero rimanere confidenziali.
-Che Ross ci abbia messo tutti alle strette non è un segreto per nessuno, come il fatto che Steve stia cercando Barnes da più di un anno senza ottenere risultati. Con permesso. -afferra gli occhiali da sole alzandosi dalla sedia girevole, Maria sembra voglia ucciderlo con lo sguardo, mentre pareggia i conti con Sharon dandole un pretesto per farsi assegnare Steve in missione. -Faccio un salto al Raft a controllare i danni, prega che sia una questione breve, se non mi presento in tempo per cena è la volta buona che Pepper mi ammazza.
Vede di sfuggita Sharon posare i gomiti sulla scrivania, puntando lo sguardo da cerbiatta su Maria con la stessa temerarietà di quando doveva corrompere zia Peggy.
-Non per contraddire gli ordini capo...
Si chiude la porta alle spalle, afferrando il cellulare dalla tasca per controllare la notifica. Pepper lo avvisa che l’aereo da L.A. sta per decollare, assicurandogli di arrivare in tempo per cena… Tony spera vivamente di poter fare lo stesso.
 
***
 
-Non per contraddire gli ordini capo, ma con ogni probabilità Fury ha già informato Steve, se questa pista su Rumlow può portarci a Bucky lui merita di saperlo.
Maria Hill porta dietro l’orecchio una ciocca di capelli inesistente, chiude gli occhi e respira profondamente, accasciandosi sulla poltrona dietro la scrivania. Con ogni probabilità stava maledicendo il giorno in cui Tony Stark era venuto al mondo e la sua incapacità di tenere la lingua tra i denti, ma l’assenza di un commento in merito alla frecciatina di Tony o alla sua richiesta la impensierisce.
-L’esplosione al Brinker Building è opera del Soldato d’Inverno, vero?
-Ho i miei sospetti, anche se Fury non si è espresso a riguardo, ha già insabbiato l’intera storia… -recupera la sua solita compostezza, porgendole nuovamente il fascicolo con rinnovata determinazione. -Queste sono le informazioni raccolte dalla sua fonte, sembra che l’edificio esploso fosse una proprietà della Kronas Corporation.
-Indagherò, ti tengo aggiornata, ma riguardo a Steve...
-Okay. -la mette a tacere subito, puntandole l’indice contro. -Non farmene pentire, se succede qualcosa Steve dovrà risponderne direttamente a Ross, intesi?
Sharon nasconde a fatica il sorriso, mentre annuisce afferrando il fascicolo, girando i tacchi in direzione della porta.
-Dal sorriso direi che sei riuscita a spuntarla. -la voce di Tony la sorprende alle spalle mentre chiude la porta dell’ufficio di Maria.
-Tu non dovresti essere già su un aereo diretto al Raft?
-Stanno preparando l’elicottero, decollo tra qualche minuto. -liquida l’informazione con un'alzata di spalle, puntando lo sguardo verso la porta dell’ufficio del Direttore. -Se trami il licenziamento ti appoggio, non ridurti ai miei livelli.
-I tuoi livelli? Lavoro allo S.H.I.E.L.D. da più tempo di te, Tony.
Sharon rinuncia in principio alla ramanzina sulla sua attitudine ad eseguire gli ordini, nonostante in cuor suo sia costretta ad ammettere che a causa di quegli orari folli l’unico momento in cui riusciva a vedere Steve era quando rientrava tardi alla sera trovandolo addormentato sul divano… forse non aveva tutti i torti sul come si erano ridotti.
-Quindi rifiuti l’offerta? Invio il tuo curriculum a Pepper, sarà il nostro piccolo segreto.
-Non ti voglio come capo.
-Tecnicamente ora è lei il capo.
-Okay riformulo: ti sopporto da tutta la vita, perdonami se voglio evitare di vederti ogni sacrosanto giorno. -sorride colpendolo con un pugno leggero sul braccio, mentre Tony annuisce ridendo sotto i baffi al ricordo delle loro marachelle combinate da bambini, a zia Peggy che li sgridava definendoli un’associazione a delinquere.
-Non mi vedresti ogni giorno, ormai passo più tempo qui che a casa.
-Pep non dice nulla?
Per una frazione di secondo Sharon vede scomparire il sorriso dal suo volto, mentre Tony ignora la domanda sfilandole il fascicolo da sotto il braccio, sfogliandolo mentre si incammina verso l’ascensore.
-Come fai a reggere le scartoffie? -lo chiude con uno scatto secco della mano, nascondendolo dietro alla schiena mentre cammina all’indietro, continuando a tenere il fascicolo al di fuori della sua portata, divertendosi nel vederla rincorrerlo tentando di recuperarlo. -Ammettilo che ti divertiresti di più alle Industries al posto di stare alla mercé di Hill e Fury, se vieni ti prometto di non farti i dispetti o tirarti le trecce come da bambini.
Sharon riesce a rientrare in possesso del plico di documenti, arrotolandoli e colpendolo alla nuca come faceva zia Peg con il giornale quando rientrava sbronzo alle sei del mattino.
-Dai Tony sii serio, siamo cresciuti, troveresti modi molto più ingegnosi per darmi il tormento.
-Beccato…
Si erano visti di rado negli ultimi mesi, sapeva che negli ultimi tempi, quando non era in giro a risolvere le seccature dello S.H.I.E.L.D., andava spesso a trovare zia Peggy, mentre le chiamate al telefono erano aumentate insieme ai pretesti per importunarla… era il suo metodo collaudato negli anni, il suo segnale per farle capire che qualcosa non andava, anche se si ostinava a non parlarne ancora… ma ora che se lo ritrova davanti non può fare a meno di notare le occhiaie, il sorriso finto e l’aria sfinita.
-Ogni tanto ti fermi a respirare? -lo chiede in modo disinvolto, percorrendo la strada più lunga per arrivare al nocciolo della questione, stando attenta a non innescare il sarcasmo come arma di difesa.
-Shar, se non respirassi sarei già morto. -il tono ironico la informa che avrebbe dovuto percorrere la strada ancora più lunga, ma non ha la pazienza per stare al suo gioco.
-Tony seriamente, da quanto non torni a casa?
-Torno ogni volta che posso, il problema è che non mi fermo mai e… e quando rientro la casa è vuota... in teoria stasera dovrei riuscire a portare Pepper fuori a cena… -la bolla di finta indifferenza e sarcasmo esplode, riversandole contro tutte le sue preoccupazioni e Sharon inizia a sospettare che quella situazione vada avanti da mesi, che il motivo per cui Tony continuava a controllare lo smartphone era per assicurarsi che Pepper non cambiasse idea decidendo di fermarsi a L.A. per qualche giorno in più annullando la cena.
-L’ho detto, contenta? -lo chiede puntando lo sguardo verso le punte delle scarpe, usando lo stesso tono di chi esala l’ultimo respiro.
-Lo sai che ti voglio bene e ci tengo a te, anche se facciamo finta di no.
Tony la fissa spaesato e a secco di parole, cala definitivamente la maschera permettendole di vedere quanto sia terrorizzato all’idea di rimanere da solo e quanto non sia pronto ad affrontare quella eventualità, dando il compito a Sharon di sdrammatizzare e di infondergli una scintilla di speranza.
-Dovresti darti una mossa Stark, hai un elicottero da prendere. -Sharon lo spinge in direzione dell’ascensore, la situazione è ancora recuperabile, non c’è motivo di piangersi addosso prima del tempo. -Salutami Pepper quando la vedi stasera.
Il momento di debolezza sparisce in un battito di ciglia, lo capisce quando Tony sfodera un sorriso a trentadue denti, pentendosi di aver marcato così tanto il tono sul suo cognome.
-E tu salutami Rogers, Carter.
-Ti odio.
Lo fulmina con lo sguardo, mentre Tony riacquista la sua risata entrando nell'ascensore, premendo il pulsante per raggiungere l’elicottero sul tetto.
-Lo sai che non è vero… ti voglio bene Shar, anche se facciamo finta di no.
Le porte automatiche si chiudono, lasciandola lì impalata davanti all'ascensore con l’accenno di un sorriso sulle labbra… come al solito doveva avere sempre lui l’ultima parola.
 
***
 
14 marzo 2016, residenza sicura di Steve Rogers, Brooklyn
 

-Hai comprato la cena. -afferma Steve appena Sharon varca la soglia, afferrando le buste del cibo da asporto, mentre la donna chiude la porta di casa. -Ad essere sincero non ti aspettavo.
-Ti avevo lasciato un messaggio in segreteria.
-Lo so, ma ultimamente non credo molto ai messaggi che lasci in segreteria.
Sharon si sporge per baciarlo, per poi gettare la giacca di pelle sullo schienale del divano, togliendosi le scarpe facendo leva con le punte dei piedi sui talloni.
-Devo aggiornarti ed è meglio farlo a stomaco pieno. -afferma mentre inizia ad apparecchiare il tavolo per la cena, dubitava fortemente che Sharon rientrasse per cena come promesso, ritrovandosi ad osservarla incredulo.
-Cosa hai comprato? -chiede una volta posate le buste sull’isola della cucina.
-Cinese.
-Il cibo cinese non è mai un buon segno. -afferma mentre porta le confezioni del takeaway sul tavolo apparecchiato, aveva imparato a sue spese che gli involtini primavera erano portatori di novità, non gli era dato sapere se erano notizie buone o cattive fino a pasto concluso.
Cenano insieme dopo settimane, negli ultimi tempi era difficile per entrambi trovare il tempo per mangiare qualcosa insieme, il più delle volte finivano con l’aspettarsi alla sera tentando di stare svegli, ma ogni volta uno dei due rientrava giusto in tempo per trascinare l’altro dal divano al letto e dormire qualche ora prima di tornare in missione o al Complesso.
Erano andati a convivere da qualche mese e Steve si riteneva abbastanza soddisfatto del modo in cui stavano procedendo le cose. Non avevano propriamente deciso di dividere lo stesso tetto, semplicemente dopo qualche mese si erano resi conto che il più delle volte le serate si concludevano a Brooklyn, ritrovandosi a fare colazione insieme il mattino dopo. Sharon aveva riconsegnato a Tony le chiavi dell’appartamento a Manhattan e Steve le aveva liberato metà del suo armadio, per poi ufficializzare la convivenza stipulando tre regole fondamentali per ridurre i battibecchi al minimo. Avevano giurato di non avere più segreti tra di loro, Sharon aveva promesso di non sfogliare il suo blocco da disegno senza permesso e Steve aveva accettato di buon grado le telefonate occasionali alle tre di notte da parte di Stark, anche se sulla terza regola ci stava ancora lavorando.
-Notizie buone o notizie cattive? -chiede una volta finito di sparecchiare, mentre Sharon recupera dalla borsa il fascicolo relativo alla missione, posandolo aperto al centro del tavolo.
-Il nome Aleksander Lukin ti dice qualcosa?
-Dovrebbe?
-È una delle mele marce di Maria, probabilmente colui che finanzia Crossbone… -Sharon afferra il plico di documenti, alla ricerca dei prestanome di Rumlow sul libro paga. - È un disastro, la Kronas Corporation possiede così tante società fittizie che sto facendo fatica a non perdermi.
-Kronas?
-Si. -Sharon interrompe le sue ricerche sollevando lo sguardo su di lui, guardandolo sparire in camera da letto, per poi fare ritorno con il fascicolo di Bucky sottobraccio. -Ti si è accesa una lampadina?
-Non una lampadina, un albero di Natale.
Steve sfoglia i documenti cercando i dati relativi ai capi progetto, mentre Sharon segue con lo sguardo il suo indice che si muove tra le righe di testo in cirillico.
-Kronas era una cittadina in Siberia, è stata rasa al suolo durante la guerra. Ho letto questo fascicolo talmente tante volte… non può essermi sfuggito un dettaglio del genere.
-Che dettaglio?
-1943, ultima missione sul fronte russo prima della retata sulle Alpi… Philips aveva inviato me e i Commandos a Kronas per evacuare l'ultima città sotto assedio… ci hanno attaccato appena abbiamo messo piede nell’accampamento, ci aspettavano, è stata una carneficina in tutti i sensi.
Steve interrompe le sue ricerche, sfilando un certificato di testamento dal plico di documenti sotto lo sguardo confuso di Sharon.
-Amore, non ti seguo...
-Ora ci arrivo. Una volta finita la battaglia, prima di andarcene, abbiamo controllato se ci fosse ancora qualcuno di vivo tra le macerie... l’unico sopravvissuto era un bambino, è stato preso in custodia dal generale a capo dell’armata russa, un fatto irrilevante se non fosse che il generale si chiamava Karpov.
Afferma Steve picchiettando il nome a capo del progetto, lo stesso nome del proprietario del testamento.
-È morto in condizioni poco chiare diversi anni fa, ma è certificato che tutte le sue proprietà siano state ereditate dal figlio adottivo, presumibilmente Lukin. -prosegue spostando il dito in fondo alla pagina indicando la sigla A.L. -Il Soldato d’Inverno compreso.
Sharon gli sfila i documenti di mano incredula, confrontando i dati di entrambi i fascicoli.
-Abbiamo una pista concreta allora… Ross non ne sarà contento, ho fatto richiesta specifica al Direttore perché mi assegnassero te in missione.
-Perché? -chiede Steve sorpreso, aspettando di scoprire quali fossero le novità preannunciate dai biscotti della fortuna. -Non sei il tipo che alza un polverone solo per avere un supporto in missione.
-Crossbone ha fatto evadere Sin dal Raft.
-Il Raft non dovrebbe essere inespugnabile?
-Dovrebbe, se ne sta occupando Tony. -Sharon lo osserva interdetta, probabilmente si aspettava una reazione più partecipativa. -Cosa c’è?
-Mi hanno estromesso da qualunque missione che riguardi Rumlow… Ross pensa che io possa essere troppo impulsivo e vendicativo nei suoi confronti, non vuole un altro episodio come Washington.
-Ero l’unica a non saperlo? -chiede la donna infastidita. -Pensavo non dovessero più esserci segreti.
-Era una conversazione a porte chiuse tra me, Tony, Ross e Hill… e poi quando avrei avuto tempo di parlartene? -il tono di scuse viene soppiantato dal tono accusatorio, per poi fare un respiro profondo e liquidare il principio di discussione con una scrollata di spalle. -Non importa, come sei riuscita a far cambiare idea a tutti?
-A distanza di qualche ora a Pittsburgh c’è stata una esplosione con un sospetto che si è dileguato.
-Bucky?
-Non lo so, tanto vale dare un’occhiata… Tony non ha tenuto a freno la lingua e mi ha dato il pretesto per puntare i piedi. Se Maria te lo chiede, Fury ti aveva già contattato.
Annuisce sorridendo, annotando mentalmente di dover ringraziare Stark.
-Ti sei messa contro Maria per questo? -si avvicina afferrandola per i fianchi intenzionato a baciarla.
-Aspetta a ringraziarmi, probabilmente sto per trascinarti dentro a un girone infernale.

 
 
 
Commento dalla regia:
 
Ringrazio chiunque sia arrivato fino a qui. Da questo capitolo in poi introdurrò a pieno regime il filone narrativo dei fumetti, con qualche punto di raccordo ai film, ma lo svilupparsi della storia proseguirà sempre di più verso il ComicVerse.
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate di Sin, se la rivelazione vi ha sconvolto oppure no, in ogni caso ogni commento/recensione è assai gradito,
_T

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Capitolo 5
*** 5 ***


10 marzo 2016, Ritten’s Diner, Pittsburgh
 
James restituisce il listino delle ordinazioni alla cameriera, rilassandosi contro i divanetti in pelle, puntando lo sguardo oltre la vetrina, sul palazzo illuminato a giorno che si staglia dall’altro lato della strada.
Era a Pittsburgh da un mese per monitorare i movimenti del Brinker Building per conto di Fury, ma aveva deciso che per una volta poteva concedersi una serata libera… soprattutto se la sera in questione era quella.
-La tua ordinazione. Festeggi qualcosa o ti andava soltanto? -chiede la cameriera curiosa depositando il tortino al cioccolato sul tavolo.
James deve averle rifilato un’espressione stranita perché la ragazza sorride imbarazzata, portandosi dietro l’orecchio una ciocca sfuggita dallo chignon.
-Scusami, non volevo farmi gli affari tuoi.
-Nessun problema… -deve fare ancora molta pratica nell’interagire con le persone, ma sta migliorando negli ultimi tempi. -Comunque festeggio, oggi è il mio compleanno.
-Quanti anni sono?
-Quanti me ne dai? -chiede in risposta, riferire la cifra effettiva potrebbe spaventarla e non deve farsi notare.
-Una trentina?
-Trentacinque. -imita un brindisi immaginario sorridendole appena, cercando di non pensare ai 64 restanti che ha trascorso nel ghiaccio. -Bisogna festeggiare, prima che diventi decisamente troppo tardi.
Non voleva risultare scortese, ma la ragazza si scusa e scompare sentendosi di troppo… il Bucky di una volta avrebbe tentato di guadagnare il suo numero di telefono, invece quello di adesso se ne sta tranquillamente seduto su un tavolino per una persona, felice della propria solitudine.
L’ultimo compleanno che aveva festeggiato era stato quello dei 27 anni, aveva offerto un giro di bourbon a tutto il pub, mentre gli Howlings ubriachi stonavano ogni parola della canzoncina cantata per fargli gli auguri… a differenza del compleanno dei 98, che era passato senza che se ne rendesse conto, un giorno qualunque trascorso ad inseguire frammenti di ricordi sconclusionati.
Per quel motivo si era auto-concesso la serata libera.
Recupera la scatola di fiammiferi dalla tasca interna della giacca, accendendosene uno utilizzandolo come breve candelina improvvisata, per poi gustarsi in santa pace il suo dolce.
Si concede quella piccola parentesi di tranquillità, tirando le somme sui propri progressi, riflettendo su quanto avesse recuperato del vecchio Bucky e di quel James disperso nel freddo della Siberia, realizzando che con il tempo aveva trovato il modo per riadattarsi alla propria pelle. Preferisce gioire di quel piccolo traguardo, eclissando momentaneamente il ricordo di tutte le sue vittime e la necessità di risolvere i conti in sospeso, imponendosi di non fantasticare sull’immagine dolorosa di essere con Steve e Natalia a dividere una vera e propria torta.
Lo squillo del telefono lo salva dal momento di depressione, pentendosi di aver accettato la chiamata subito dopo la prima frase espressa dal suo interlocutore.
-Hanno fatto evadere Sin.
-Fury sono a Pittsburgh, cosa vuoi che faccia? Il Raft è in mezzo all’oceano. -respira profondamente placando la rabbia, tracannando un sorso di birra, cancellando definitivamente il sapore dell’ultimo pezzetto di dolce.
-L’evasione serviva a coprire l’acquisizione dell’AIM e non posso avvisare Maria. -risponde spiccio Fury dall’altro capo del telefono.
-Fammi indovinare, le serve un precedente per mobilitare tutti senza che Ross faccia domande… -reprime la tentazione di riattaccare il telefono in faccia a Fury, rassegnato ad eseguire gli ordini, dopotutto glielo aveva promesso. -Cosa vuoi che faccia?
-Attirare l’attenzione nella giusta direzione, potresti occupartene?
-Avevo altri programmi per stasera, perdona il poco entusiasmo.
-Qualcosa di importante?
-No… niente di importante.
Beve l’ultimo sorso di birra, puntando lo sguardo sul palazzo all’altro lato della strada, mentre l’idea per un diversivo folle gli solletica la mente.
-Il Brinker Building è sacrificabile?
-Se proprio devi.
-Ti aggiorno una volta finito.
Riattacca il telefono, sfilando le banconote dal portafoglio lasciandole sul tavolo, recuperando nel parcheggio l’auto fornitagli da Fury. Stacca la targa con la mano di metallo, per poi mettersi al volante, lanciandosi a tutta velocità contro le vetrate della hall del Brinker Building.
Il palazzo era una copertura per nascondere le armi stipate nei magazzini sotterranei, ignora l’allarme dell’antifurto mentre si introduce nel sotterraneo, innescando gli esplosivi.
Quando richiama Fury, sta osservando dal tetto del Diner i vigili del fuoco che corrono sulla strada tentando di spegnere l’incendio.
-Bel lavoro, ragazzo… anche se speravo in qualcosa di più facile da insabbiare.
-Non volevi che lo S.H.I.E.L.D. lo notasse? -rimette i fiammiferi in tasca dopo essersi acceso una sigaretta, lasciandola pendere dalle labbra mentre attende una risposta da Fury che tarda troppo ad arrivare. -Abbiamo bisogno d’aiuto Nick, vuoi uccidere un mostro con troppe teste.
-Quindi hai pensato bene di disegnarti un bersaglio sulla schiena.
-Come se non ce l’avessi già per un altro paio di motivi… ormai non posso più rimandare l’inevitabile.
-Semplicemente non credevo volessi esporti, indagheranno su chi era al volante… lo sai, vero?
-A questo proposito, mi serve un’auto nuova. -evita di rispondere alla domanda, relegando in un angolino della sua mente l’idea che qualcuno si metterà sulle sue tracce, pentendosi di aver assecondato l’impulso folle di trovare un modo per richiamare l’attenzione di quel paio di nomi presenti nella sua lista dei conti in sospeso… quella era la serata sbagliata per sentirsi solo, avrebbe dovuto riflettere meglio su quella eventualità.
-Non ti serve un’auto, ho già inviato qualcuno a prelevarti.
-Okay, è tutto?
-Un’ultima cosa. Buon compleanno, ragazzo.
Fury non gli concede il tempo di replicare, la comunicazione si interrompe, lasciando James completamente spaesato mentre fissa lo schermo che dichiara la telefonata terminata.
Non ha idea del come Fury l’abbia scoperto, ma sposta lo sguardo sull'incendio che continua a divampare sotto di lui… sorride, al contrario di ciò che pensava, forse ha ancora qualcosa da perdere.
 
***
 
15 marzo 2016, Ritten’s Diner, Pittsburgh
 

-Dovremmo uscire fuori a cena più spesso, non trovi?
-Dovresti smetterla di fregarmi il cibo dal piatto, non credi? -commenta Steve in risposta, fingendosi infastidito dalla sua mano che continua a spiluccargli le patatine fritte dal piatto. -Ordinarle anche per te ti sembrava una brutta idea?
-Quelle rubate di nascosto sono più buone. -afferma la donna sottolineando la sentenza fregandogli l’ennesimo boccone.
-Come contraddirti. -Steve ride mentre fa segno alla cameriera di portare al tavolo un altro paio di birre.
Appena arrivati a Pittsburgh avevano abbandonato i bagagli in hotel, per poi perdere l’intero pomeriggio alla centrale di polizia tentando di reclutare qualcuno disposto a mostrare loro i nastri delle telecamere di sicurezza del Brinker Building, scoprendo che il loro indiziato numero uno aveva cenato al Diner sull’altro lato della strada prima di mettersi alla guida. Barnes non era mai stato ripreso in volto, ma Steve le aveva assicurato con assoluta certezza che fosse lui, per poi proporle un’uscita a cena con interrogatorio, qualcuno doveva per forza aver notato qualcosa di strano.
-La vostra ordinazione.
La cameriera deposita i due boccali sul tavolo, facendo quasi cadere il vassoio quando Sharon le chiede il permesso di farle qualche domanda mostrando il tesserino dello S.H.I.E.L.D.
-Domande di che genere?
-Sull’incidente dell’altro giorno, il proprietario ha detto che potevamo chiedere a te.
-Perché lo S.H.I.E.L.D. dovrebbe essere interessato ad un incidente automobilistico? -chiede titubante mentre sposta il peso da un piede all’altro, il vassoio in equilibrio precario, decisa a non posarlo sul tavolo tentando di nascondere il leggero tremolio delle mani.
-Perché sappiamo entrambe che non è stato un incidente.
La ragazza sospira, guardandosi intorno allarmata, per poi raccogliere i boccali vuoti parlando sottovoce.
-Stacco il turno tra mezz’ora, nel mentre desiderate qualcos’altro?
-Un’altra porzione di patatine. -interviene Steve prima che lei possa dissentire, minacciandola bonariamente di staccarle le dita se la becca di nuovo a fregargli il cibo da sotto il naso.
La ragazza li raggiunge a fine turno, trascinando una sedia al loro tavolo, tamburellando le dita cercando di placare il nervosismo.
-Io non vi ho mai detto nulla, siamo d’accordo?
-Considera questa conversazione coperta dal segreto professionale. -afferma Steve con il tono più rassicurante che possiede.
-Il Brinker Building era una proprietà della Kronas Corporation, ma gli uffici erano una copertura per i stabilimenti sotterranei… non credo di aver mai sentito i tecnici e i contabili discutere di fatture, ma solo di progetti e fascicoli criptati. -liquida le facce basite di Steve e Sharon con un'alzata di spalle. -Che c’è? Dopo un paio di birre straparlano tutti… non siete i primi che sono venuti ad indagare sul Brinker Building, anche il tizio che si è schiantato contro il palazzo l’altra sera ne parlava al telefono con qualcuno.
Sharon ha come l’impressione che Steve venga investito da una scossa elettrica, reclamando la foto di Bucky custodita nel fascicolo dentro la sua borsa.
-Per caso era quest’uomo?
-Si è tagliato i capelli, ma è lui. È una persona pericolosa? -chiede la ragazza improvvisamente preoccupata, posando la foto sul tavolo iniziando a torturarsi le dita.
-No, è un nostro agente... si è preso un congedo a tempo indeterminato. -la rassicura Steve immediatamente, suonando così convinto che Sharon quasi gli crede. -Per caso ha detto qualcosa di rilevante?
-Non credo… festeggiava il compleanno, stava bene da solo e non sono rimasta ad importunarlo... ha risposto ad una chiamata, ha chiesto se il palazzo era sacrificabile, mi ha lasciato una bella mancia e se ne è andato.
-Festeggiava il compleanno? -chiede Steve esaltato, con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto.
-Si, si è acceso un fiammifero come candelina… -la ragazza osserva stranita l’espressione radiosa di Steve, incapace di capire in che modo sia così importante il fatto che quel qualcuno abbia spento un fiammifero per augurarsi buon compleanno. -Ha anche detto di dover festeggiare prima che sia troppo tardi.
Sharon tira un calcio sotto al tavolo al compagno, notando soddisfatta di essere riuscita a smorzare un po’ quel sorriso poco adatto ad un interrogatorio, ringraziando la ragazza per l’aiuto, per poi dirigersi al bancone per pagare il conto.
Quando varcano la soglia del Diner la donna sente mancare la terra sotto i piedi, ritrovandosi stretta in un abbraccio mentre Steve entusiasta la fa girare su sé stessa, baciandola con trasporto appena le fa posare nuovamente i piedi per terra.
-Stai calmo, tigre. -ride contagiata dal suo sorriso, ancora incastrata tra le braccia di Steve che non è per nulla propenso a mollare la presa.
-L’abbiamo trovato Shar! È Bucky, abbiamo trovato Bucky… -afferma esaltato tornando a baciarla.
Sharon si lascia andare, accantonando tutte le conseguenze derivanti dalla scoperta… per una notte può concedersi di non pensare a niente.
 
***
 
16 marzo 2016, Quinjet, in volo verso New York
 
-Sei silenziosa, a cosa pensi?
Steve abbandona i comandi della cloche, inserendo il pilota automatico, voltandosi verso Sharon che distoglie lo sguardo dal parabrezza, smettendo di mangiucchiarsi le unghie, liquidando la domanda con un gesto della mano.
-Ad alcune parole della cameriera… nulla di importante.
Evita di rivolgergli lo sguardo, in un goffo tentativo di dare poca importanza a ciò che la assilla, in un probabile tentativo di proteggerlo dai peggior scenari che si dipanano nella sua mente.
-Quali di preciso? -insiste Steve afferrandole le mani, distogliendola dal vizio di rovinarsi le unghie a forza di torturarle.
-Cosa credi volesse dire con prima che sia troppo tardi? -chiede la donna virgolettando per aria le parole citate, mentre lo sguardo pensieroso lo scannerizza alla ricerca di un appiglio per capire cosa gli passa per la testa.
Steve ci aveva ragionato tutta la notte mentre Sharon dormiva, aveva tentato inutilmente di seguire il respiro profondo della donna addormentata al suo fianco, ma il suo cervello si era ribellato ai suoi migliori intenti, torturandolo con visioni poco rassicuranti… le conclusioni che ne aveva tratto non gli piacevano particolarmente.
-Troppo tardi per un regolamento di conti. -afferma Steve senza ombra di dubbio, ripensando al fascicolo su Bucky che decantava le torture inflittagli nel corso degli anni… non poteva biasimarlo se voleva ripagare i suoi aguzzini con la stessa moneta. -Credo voglia dare la caccia a Lukin e non pensa di poter sopravvivere all’attacco.
-Perché non attaccare la Kronas direttamente allora? In questo modo si è assicurato che lo S.H.I.E.L.D. punti lo sguardo su Lukin, ma non è abbastanza perché Maria rilasci un mandato di cattura. Se lo vuole morto perché non puntare direttamente alla fonte?
-Perché non è un omicida, Sharon.
Steve aveva avuto modo di ragionare l’intera notte su quei dettagli sospetti, realizzando che James voleva solamente fargli puntare lo sguardo nella giusta direzione, lasciando che fosse lo S.H.I.E.L.D. ad occuparsene… voleva un processo, non un’esecuzione.
Era stato quel dettaglio a fargli perdere definitivamente il sonno, il fatto che non volesse più versare sangue… era la conferma definitiva e valeva molto di più del ricordo recuperato della data di compleanno o di un pacchetto di fiammiferi.
-Ci sta mettendo nelle sue tracce. -realizza improvvisamente Sharon, sintonizzandosi sulla sua stessa lunghezza d’onda, raggiungendo velocemente il punto del discorso. -... ci sta facendo da apripista e non passa di sicuro inosservato.
-Vedo che inizi a capire…
-Crede di non avere più nulla da perdere… sarà il suo suicidio.
-Ed è per questo che dobbiamo trovarlo Sharon, trovarlo sul serio, prima che sia davvero troppo tardi.
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Capitolo 6
*** 6 ***


12 maggio 2016, appartamento di Tony Stark, 5th Avenue, Manhattan, New York
 
Tony trova incredibile come, a discapito di tutti i suoi sforzi, tutto sia comunque precipitato nel giro di poco più di una settimana. Era da quattro giorni che si era abbandonato sul divano, accumulando scatole di takeaway sul pavimento… si era lasciato andare, rifiutandosi di vedere chiunque, abbandonandosi a uno stato pietoso.
-Capo, Sharon Carter chiede di entrare. -la voce di F.R.I.D.A.Y. interrompe bruscamente la quiete.
-Ho detto di non voler vedere nessuno.
-Lo so capo, ma è la seconda volta nel giro di tre gior… -la voce robotica non completa la frase, interrotta dallo scatto della porta, mentre sente i circuiti di F.R.I.D.A.Y. sfrigolare.
-Certi giocattolini che ti regalo servono per il tuo lavoro da spia, non per entrarmi in casa quando tento di chiuderti fuori. -commenta appena vede la cugina varcare la soglia.
-L'hai voluto tu, non è colpa mia se ho dovuto ricorrere ai metodi drastici.
-Vattene, non voglio vedere nessuno. -dichiara Tony lanciandole un cuscino contro, per poi seppellire il volto contro la fodera del divano.
Sharon lo ignora mentre scavalca le scatole del takeaway, abbassandosi all’altezza del suo volto.
-No, non me ne vado. Ti serve un’aspirina? -chiede trattenendo un sospiro spazientito, raccogliendo la bottiglia di vetro tenuta a portata di braccio dal pavimento, costringendolo a levare lo sguardo sul liquore che tiene sospeso all’altezza dei suoi occhi.
-L’ho solo comprata… non l’ho bevuta, anche se la tentazione è molto forte. -afferma seppellendo di nuovo la testa sotto i cuscini.
-Ti stai impegnando sul serio per evitare la ricaduta, io al posto tuo un bicchierino me lo sarei fatta. -commenta la cugina appoggiando la bottiglia di whisky sul tavolino.
-Puoi, è tutta tua. -riferisce atono, chiedendosi quale sia il segreto di Sharon per riuscire ad affrontare così positivamente la sua medesima situazione.
-Non sarò di certo io a condurti in tentazione. -afferma convinta alzandosi dal pavimento, scrollandolo per la spalla costringendolo ad alzarsi, inchiodandolo con lo sguardo. -Mentre io svuoto il whisky nel lavandino e dò una pulita, tu vai a farti una doccia. È un ordine.
Quando torna in salotto la trova sul divano che lo aspetta, offrendogli un cucchiaio e il barattolo di gelato, come quando da piccoli lei aveva una brutta giornata a scuola e lui le proponeva una serata TV, gelato e divano per tirarla su di morale.
-Perché sei qui?
-Perché mi preoccupo per te, anche se facciamo finta di no. -afferma decisa, lasciando trasparire un sorriso quando lui afferra il cucchiaio, lasciandosi cadere di fianco a lei sul divano. -Sei uno straccio, da quanto tempo non dormi?
-Un po’. -si abbandona contro la carezza di Sharon, cercando una qualche sorta di contatto dopo giorni.
-Troveremo una soluzione…
Vorrebbe crederle, ma non ci riesce, non dopo che il mondo gli è crollato addosso. La settimana prima era stato convocato da Ross al Complesso, aveva proposto a tutti loro gli Accordi di Sokovia… una sorta di garanzia per evitare altre catastrofi come quella avvenuta a Lagos1.
Si era schierato a favore, in un vano tentativo di sistemare le cose con Pepper e incollare con lo scotch le fratture che la squadra si trascinava da più di un anno… e poi era arrivata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
L’aveva intuito quando aveva visto Steve posare il plico di documenti sul tavolo, alzandosi di scatto guadagnando l’uscita, tenendo stretto il cellulare tra le mani… aveva avuto la conferma quando anche il suo palmare si era illuminato, segnalando la notifica da parte di Sharon.
“Se n'è andata nel sonno.” ... e il mondo gli era crollato addosso.
-... da qualche parte c’è un lieto fine anche per te, Tony. -conclude Sharon, mentre l’uomo realizza di non aver ascoltato nemmeno una parola del suo discorso.
-Il lieto fine è una cosa inventata da Steven Spielberg per vendere biglietti… -commenta sprezzante, affondando il cucchiaio nel gelato per tenersi occupato.
Non riesce a capacitarsi di come la cugina stia affrontando la situazione, chiedendosi dove vedesse il lato positivo a quello scenario da incubo… dove la trovasse la voglia di alzarsi al mattino, con il vuoto lasciato da zia Peggy e l’idea di Steve latitante e rintanato chissà dove.
-Il tuo lieto fine dov’è Shar? In un rifugio disperso in qualche angolo del mondo? … Io so dov’è il mio, ma ci siamo presi una pausa di riflessione. -marca il tono della voce su quelle tre parole maledette che gli annodano la gola, affondando di nuovo il cucchiaio nel barattolo di gelato. -Ne ho combinate troppe per essere perdonato…
Nella sua mente rivede Pepper fasciata in un vestito nero che lo raggiunge in fondo alla chiesa, risente la sua mano stretta nella sua per l’intera cerimonia, mentre la domanda che lo assilla da quel giorno si ripropone ingombrante, chiedendosi perché non ha trovato il coraggio di chiederle di restare… forse perché è ben consapevole che nell’ultimo periodo l’unica cosa che può offrile è una casa vuota e un tavolo vacante in un qualche ristorante, accettando l’idea che forse la cosiddetta pausa di riflessione è utile a qualcosa.
-Almeno tu puoi sempre decidere di smetterla di piangerti addosso e deciderti a chiamarla… hai un numero di telefono e un indirizzo per rintracciarla. -commenta atona Sharon, reclamando il barattolo di gelato. -Io non ho nemmeno quello...
L’ultima volta che Tony l’aveva visto, Steve stava stringendo la mano della cugina sul banco in prima fila, dopo aver trasportato il feretro lungo la navata… a qualche ora di distanza aveva incontrato Natasha a Vienna2, gli aveva riferito che il Capitano non si sarebbe presentato per la firma degli Accordi e da quel momento in poi era scomparso dai radar.
A distanza di nemmeno ventiquattr’ore Maria Hill aveva tentato di richiamarlo al Complesso, mentre i messaggi in segreteria da parte di Ross avevano iniziato ad accumularsi, restando rinchiuso indisturbato nel suo attico fino a quel momento.
-Mi manca da morire…
Non ha bisogno di specificare a chi si stia riferendo, Sharon l’ha già stretto in un abbraccio e per un paio di secondi il mondo sembra meno spaventoso.
-Manca anche a me, Tony… ma credo di aver accettato questa eventualità ancora anni fa, la zia ha vissuto una bella vita, ma non è mai stata immortale.
-Shar… come fai ad affrontarlo? -lo chiede tentando di nascondere il tono disperato della voce, mentre si rassegna ad accettare la situazione che aveva rifiutato fino a quel momento.
-Mi alzo per trovare una soluzione a tutto questo… e accetto i compromessi dove posso.
Tony riascolta l’eco delle parole di Sharon disperse tra i banchi della chiesa a Londra, comprendendo il vero significato di quelle parole a distanza di giorni… i compromessi non sono mai stati il suo forte, ma teme di non poterne più fare a meno se vuole affrontare la guerra che si è deciso di scatenare dopo la firma di Vienna.
-Sharon, non avrei mai voluto che si arrivasse a tanto. -sospira, abbandonando il capo contro la spalla della cugina, concedendosi un'ultima coccola prima di gettarsi a capofitto nella fossa dei leoni.
-Credimi, lo so. -sorride, tentando di sdrammatizzare sporcandogli la punta del naso con il gelato.
-Sono felice che tu sia qui. -afferma scegliendo accuratamente delle parole al retrogusto di “ti voglio bene”.
-Tieni, finisci il gelato.
Sharon sorride consegnandoli il barattolo… quello è miglior “ti voglio bene” che potesse ricevere in risposta.
 
***
 
28 settembre 2016, Sede amministrativa S.H.I.E.L.D, Manhattan, New York
 
-La prego Agente, si sieda...
-Sto bene in piedi… preferirei togliermi il pensiero alla svelta, dottore. -commenta Sharon a braccia conserte al centro dello studio.
-Preferirei comunque che si sedesse. -insiste il Dottor Broussard, indicandole il divano di fronte alla sua poltrona, accontentandolo esclusivamente per sbrigarsi dall’impiccio il prima possibile.
-Le dispiacerebbe dirmi perchè è qui, Agente?
-Per un giudizio psichiatrico, per quanto è successo.
-E cosa è successo, esattamente? -chiede lo psichiatra con tono gentile, afferrando la penna stilografica iniziando a scrivere.
-È un po’... complicato diciamo. Non è solo una cosa… sta montando da tempo.
-Precisamente da quando?
-Da quando Hill si è abbassata ai livelli di Fury presumo… -mormora seccata rilassandosi impercettibilmente contro lo schienale del divano.
-Potrebbe essere più specifica?
-Ha sfruttato la mia relazione con il Capitano Rogers per agevolare gli interessi dello S.H.I.E.L.D.
-Il fatto che il Direttore Hill usasse la sua vita privata contro di lei l’ha irritata?
-Diamine, si! -esclama esasperata ad una domanda così ovvia, maledicendo Maria e il fermo che le aveva imposto, desistendo dalla tentazione di mangiucchiarsi le unghie per placare il nervosismo.
-Anche se lei sapeva che una relazione tra un agente S.H.I.E.L.D. e un non registrato è attualmente contro il regolamento?
-So cosa dice il regolamento. -afferma spazientita levando gli occhi al cielo.
-Allora avrebbe dovuto aspettarsi la richiesta del Direttore Hill, sa bene come funzionano i servizi di informazione.
-Certo che lo so, quando Steve si è rifiutato di firmare sapevo che la mia vita allo S.H.I.E.L.D. si sarebbe trasformata in un inferno… che la mia relazione con lui mi si sarebbe ritorta contro. -sapeva a cosa andava incontro quando Steve aveva affermato di non poter firmare gli Accordi, troncando momentaneamente tutti i contatti per non coinvolgerla più del dovuto. -Sono mesi che vedo in atto le conseguenze del suo comportamento sulla squadra, sullo S.H.I.E.L.D.… su Tony in particolare.
Ripensa alle discussioni interminabili con Steve tra i muri di un qualche rifugio, a come Fury li avesse messi in contatto dopo un paio di mesi dal funerale di zia Peg, agli incontri clandestini che si concludevano troppo presto, terminando con discussioni inevitabili dalle rispettive posizioni irremovibili a proposito degli Accordi, della loro relazione e dei rischi che correvano entrambi.
-Quindi come giustifica il suo comportamento? -chiede il Dottor Broussard annotando le varie informazioni sul suo taccuino.
-Un tentativo di proteggere coloro che amo vale come risposta? -chiede afferrandosi la testa tra le mani, stanca di tutta quella situazione senza capo né coda.
-Vale. È per questo che ha disubbidito agli ordini dati? Perché era combattuta?
-Lei non lo sarebbe? Dal mio punto di vista è tradimento in entrambi i casi.
-Non lo metto in dubbio, ma come ha ovviato al problema? -chiede lo psichiatra curioso, mentre la donna cede, rivelando il vero motivo per cui Maria le aveva imposto un consulto psichiatrico prima di reintegrarla in servizio.
-Ho dato appuntamento a Steve in un rifugio sicuro, ho tentato di convincerlo a cambiare idea.
-Il tentativo ha funzionato?
-È fallito miseramente, siamo entrambi due testardi… accettiamo i compromessi dove possiamo.
-Quindi il suo comportamento è da definire un compromesso tra la sua vita privata e il suo lavoro da agente? -chiede il dottore dubbioso portandola all’esasperazione, Sharon trovava incredibile che lo psichiatra non avesse già dedotto un errore così lampante, realizzando che probabilmente voleva solo indurla a confessare.
-Non è un compromesso dottore, semplicemente ho dato a Maria la collocazione del rifugio sbagliato e ho lasciato Steve proseguire per la sua strada… non ho fatto nulla, assolutamente nulla.
-Perchè non ha preso posizione?
-Perché la questione non è bianca o nera, anche se la legge vede solo quei due colori. Non ho preso posizione perché sono in mezzo alla scala di grigi come tutti quanti. -afferma perdendo le staffe, sbuffando sonoramente quando si accascia contro il divano esausta… la innervosisce il fatto che tutti si aspettino un passo falso da parte sua, restando palesemente delusi quando non accade o non rispetta le aspettative.
-È pericoloso che il cuore prevalga sulla testa, Agente. Lo sa questo, vero?
-Lo so… a quanto pare non so perchè faccio certe cose ultimamente. Sono ancora in stato di fermo, vero?
-Non lo so, che dice se ci rivediamo tra un paio di giorni e continuiamo la discussione?
-Il dottore è lei, temo di non avere alternative. -afferma la donna alzandosi, raccogliendo la borsa da terra, dirigendosi verso la porta dell’ufficio.
-Già, non ne ha. Si faccia fissare un appuntamento Agente 13, chieda alla mia segretaria di trovarle un posto libero, lei è una priorità.
 
***
 
18 novembre 2016, Kronas Corporation, New York
 
-Come procede con i pazienti? -chiede Lukin senza troppi preamboli.
-Tutto secondo i piani, l’identità del Dottor Broussard si sta rivelando utile. -afferma Faustus pulendo le lenti degli occhiali. -La maschera che altera i connotati trafugata allo S.H.I.E.L.D. si è rivelata fondamentale.
-I pazienti sospettano qualcosa?
-No, decisamente no.
-Non avevo dubbi sul tuo operato Faustus, tu sei un maestro nel instillare il dubbio e nel manipolare le menti.
-L’unica che rimane un osso duro è Sharon Carter. -riferisce lo psichiatra, fallendo miseramente nel tentativo di far trasparire l’informazione come un piccolo dettaglio di poco conto.
-Lei è la pedina fondamentale, se non riesci a manipolarla non posso vincere la partita. -lo rimprovera Lukin con tono deciso, tamburellando con le dita sul bordo della scrivania.
-È poco collaborativa, non cade mai nella trappola… ama seriamente Rogers.
-È irrilevante se lo ama o meno, l’importante è che tu riesca a piegarla e fare in modo che rispetti il mio piano. Ne ho già abbastanza di questi idioti americani che si combattono tra loro...
-Concordo… anche se deve ammettere che le circostanze non potrebbero essere più favorevoli, Sharon Carter è stata una variabile non considerata arrivata al momento giusto. Avanti di questo passo, quando scoccherà l’ora, la nostra cara Agente 13 sarà proprio nel posto in cui la vogliamo noi. -afferma Faustus convinto, sorridendo a Lukin, mettendo a tacere tutti i dubbi del datore di lavoro.
-Fa in modo che lo sia, Faustus… o ti giocherai la reputazione.

 
 
 
Note:
1 Collegamento alla pista su Rumlow visibile all’inizio di CW
2 Nella mia versione dei fatti non c’è mai stata nessuna bomba o attentato.
 
Commento dalla regia:
Come anticipato nei capitoli precedenti, ho introdotto a pieno regime la versione fumettistica della Guerra Civile, che si discosta nettamente dall’MCU, la guerra non implode in Siberia e avrete modo di scoprirlo come si sviluppa nei prossimi capitoli (assecondando i miei headcanon). Questo per dire che nel film hanno voluto racchiudere troppi passaggi di trama saltando tutti i nessi logici intermedi e la mia intenzione sarebbe quella di “dare respiro” e colmare le lacune tra una scena e l’altra.
A questo punto mi sento in dovere di rivelarvi che nella versione fumettistica Lukin condivide il corpo con Teschio Rosso, ma ai fini della storia non ho ritenuto fondamentale inserire il suo personaggio… in parte perché non ho idea di come si siano ritrovati in quella situazione (dato che si tratta di una informazione data a priori) e in parte perché non avrei saputo spiegare la sua presenza avendo come base i film dell’MCU.
Detto questo, spero che i nuovi elementi vi abbiano incuriosito, sarei curiosa di sentire la vostra opinione in merito, ogni commento è assai gradito ;)
_T

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Capitolo 7
*** 7 ***


24 dicembre 2016, Metropolitana, 45 St Station
 
L’ultima vera Vigilia di Natale che James ricordava era quella del 1943, l’aveva trascorsa a Londra sotto il cielo che minacciava di far piovere bombe, correndo in mezzo alle strade disastrate, ma ugualmente addobbate a festa… all’epoca non aveva idea di ciò che sarebbe successo da lì a cinque mesi, della retata sulle Alpi e il suo salto nel vuoto. Il Natale in guerra era diverso, probabilmente perché ciò che lo rendeva importante e speciale era la consapevolezza di essere riusciti a sopravvivere per un altro anno.
Ricordava di aver trascorso l’intera serata in pista a consumare le suole delle scarpe a ritmo di jazz, mentre nel frattempo complottava di nascosto con Howard, tentando di spingere Steve e Peggy sotto il vischio. Era stata una serata divertente, il giorno dopo aveva dovuto rimediare un paio di scarponi nuovi e aveva spedito una lettera a Rebecca3… a distanza di così tanti anni si riteneva fortunato ad essere riuscito a recuperare il ricordo di quella serata.
Quando riemerge dalla metropolitana osserva le luminarie appese sopra la sua testa, scorrendo lo sguardo sulle vetrine dei negozi allestiti a tema, sfilando accanto agli ultimi ritardatari che corrono sui marciapiedi carichi di pacchetti regalo, mentre lui continua a camminare a testa bassa e a passo spedito nella direzione opposta alla loro... possono tentare di convincerlo del contrario, ma ciò che vede non è Natale, lo spirito natalizio era andato perso ancora decenni fa.
Il cellulare squilla distogliendolo dai suoi pensieri, accettando la chiamata in automatico.
-Pronto?
-Ragazzo, dovrei chiederti un...
-No. -lo interrompe bruscamente, pentendosi di non aver rifiutato la chiamata per principio. -Ti avevo detto che questa notte era mia, Fury.
-Lo so… non te lo chiederei se non fosse importante.
-Fury, è la Vigilia di Natale, non ti riposi mai? L’universo non ti prenderà di mira se stacchi la spina per un paio di giorni.
-L’ultima volta che mi sono permesso di staccare la spina, l’universo mi ha ripagato con una settimana infernale.
-Tipo? -chiede ironico, dubitando fortemente che Fury abbia sul serio la risposta pronta anche in quel caso.
-Banner investito dai raggi gamma, un cratere in New Messico, Stark con una intossicazione da metalli pesanti e il disastro alla Expo. Tutto questo nella stessa settimana. -sciorina in fretta lasciandolo interdetto, forse doveva smetterla di dubitare e farsi aspettative.
-Okay ho afferrato il concetto, cosa devo fare?
-Dei bambini1 stanno per mandare all’aria il lavoro che porto avanti da un paio di mesi, devi impedire loro di distruggere il magazzino che stanno per colpire, non è quello che pensano.
-Sarebbe a dire? -chiede curioso, sapendo già a priori che non è per niente una buona idea.
-Pensano sia uno dei depositi di Stark, quando in realtà è una base HYDRA.
-Ti prego non dirmi che sto per passare la mia Vigilia di Natale a proteggere l’HYDRA… perché non gliela lasci distruggere? -sbuffa, ponendo la domanda con un tono che sfuma dallo scocciato alla supplica.
-Non sta a me dirti che conoscere l’ubicazione di una base HYDRA significa poter monitorare il via vai di gente. -risponde Fury con tono ovvio.
-È una risorsa… -si auto-convince di poter fare uno strappo alla regola, dopotutto non gli ha chiesto di uccidere qualcuno, solo di rifilare una predica a dei bambini. -Okay, mandami le coordinate.
-Poi torna a fare rapporto.
 
***
 
24 dicembre 2016, Rifugio temporaneo di Nick Fury, New York
 

-Fury. -si annuncia entrando dalla finestra.
-Non porti buone notizie. -azzarda l’uomo andandogli incontro, distogliendo l’attenzione dal TG che stava guardando.
-No, decisamente no. Sono arrivato tardi, l’HYDRA aveva già attaccato… ho ripulito tutto. -riferisce con tono spento, sorvolando sui dettagli in merito al come avesse ripulito, facendogli perdere il vantaggio di una base conosciuta.
-Sopravvivrò… i ragazzini?
-Tutti salvi, ma sono evaporati... Questi Accordi sono davvero stupidi. -commenta sprezzante, le ultime leggi stavano solamente complicando la situazione al posto di risolverla.
-Non dal punto di vista di chi li ha sanciti, non era previsto che ne scaturisse questo disastro, siamo ad un passo dal collasso... -concorda Fury accennando un gesto della mano in direzione del televisore. -Fortunatamente i civili credono ancora che tu sia morto, altrimenti si scatenerebbe seriamente il putiferio…
-Credevo che dopo Washington lo S.H.I.E.L.D. fosse a conoscenza della mia esistenza.
-Steve ha insabbiato tutto una volta uscito dall’ospedale, qualcuno sa, ma poche persone. -lo informa atono Fury.
-In ogni caso non sarei andato a firmare a Vienna… avrei messo in pericolo troppe persone, sarei finito sicuramente a processo e per quello che ho fatto mi meriterei la sedia elettrica. -mormora in risposta, cercando di non soffermarsi troppo a pensare a quel scenario più che plausibile.
-Non sei stato tu, non avevi il controllo della tua mente… è considerabile come infermità mentale.
-E come pensi di spiegarlo in tribunale? La mia cartella clinica non regge da sola… -puntualizza, scuotendo il capo riprendendo il filo del discorso. -Voglio solo dire che il più delle volte c’è un buon motivo se qualcuno vuole mantenere segreta la propria identità… non siamo tutti come Stark che l’ha sbandierato ai quattro venti ad una conferenza stampa, o come Steve che sta letteralmente nei libri di storia.
-Ci sei anche tu nei libri di storia.
-Ti riferisci alle due righe messe in croce dove scrivono che sono morto? -ride ironico indicandosi, smorzando il sorriso quando punta di nuovo lo sguardo sul televisore.
Stavano trasmettendo di nuovo le foto segnaletiche dei non registrati, ripetendo nuovamente quanto fosse importante rintracciare i latitanti per il bene della comunità… James non riusciva ad accettare l’idea che le trasmettessero anche il giorno della Vigilia di Natale, anche se capiva il perchè continuassero a mostrarle fino alla nausea.
Si ritrova a pensare ai passanti che aveva incontrato prima… fingevano di fare qualcosa perché non sapevano cosa fare in alternativa, ma aveva visto dai loro occhi che erano impauriti, la consapevolezza che ci fosse un’altra guerra in corso attorno a loro li spaventava, ma non ne erano coinvolti e le foto segnaletiche servivano unicamente a farli sentire utili e meno impotenti agli eventi.
-Steve vuole solo evitare che succeda, ma per come la vedo io, gli Accordi sono solo un modo come un altro per controllarli… è una situazione destinata ad implodere, sono schemi già visti. -commenta per esperienza personale, in Siberia era stato istruito a dovere a tal proposito.
-Brutti ricordi? -chiede Fury con nonchalance, intuendo a cosa si stesse riferendo.
-Quelli sempre, ma ho avuto qualche momento di gloria.
Fury non fa domande quando un microscopico sorriso torna ad increspargli le labbra, mentre richiama alla mente l’immagine soddisfacente del corpo di Karpov che si dibatteva alla ricerca di ossigeno, quando nell’88 l’aveva soffocato con il cuscino. Non andava fiero delle vittime innocenti che aveva sulla coscienza, ma la morte del suo padrone era un vanto indelebile… soprattutto perché ne era uscito indenne, credevano fosse morto nel sonno, non erano riusciti a risalire a lui e Lukin non aveva avuto motivo di dubitarne quando lui aveva incolpato la vecchiaia per aver arrestato il cuore malandato di Karpov2.
-Rimane che tutta questa situazione è stata architettata da Lukin, Lagos è stata solo la prima tessera del domino... -realizza quando vede il servizio del TG mostrare per l’ennesima volta le percentuali dei consensi dell’opinione pubblica cresciuti a favore dell’atto di registrazione.
-Non pensarci, di Lukin me ne occupo io. -afferma Fury spegnendo il televisore. -Tu non avevi altri programmi per la serata?
 
***
 
25 dicembre 2016, Cimitero di Green-Wood, Brooklyn, New York
 
James ha appena varcato i cancelli del cimitero quando scocca la mezzanotte, il suono delle campane in lontananza gli causa uno strano effetto, come a sottolineare ciò che stava per fare.
Si scopre a redigere una lista delle buone e cattive azioni compiute durante l’anno trascorso, come quando lui e Rebecca stilavano la medesima lista per dimostrare a Babbo Natale di essere meritevoli di ricevere dei regali.
James non sa descrivere la sensazione di pace mista a rimpianto quando legge i nomi di George e Winifred Barnes incisi sulla pietra, con il vaso vuoto posato ai piedi delle lapidi3.
Avrebbe voluto portare dei fiori, ma si presumeva che lui fosse morto da un pezzo e avrebbe destato più di qualche sospetto ad uno sguardo attento… se proprio voleva redigere una lista dei desideri, voleva anche andare a far visita a Rebecca alla casa di riposo, ma sapeva che l’avrebbe esposta al pericolo, dato il numero di mirini che puntano alla sua schiena in quel momento.
James aveva scoperto a suo discapito quanto fosse difficile affrontare i vivi e fare i conti con il suo passato, ammettendo con sé stesso che trovarsi al cimitero davanti alla tomba dei suoi genitori poteva considerarsi comunque un bel traguardo.
Si ritrova a pensare alla lista delle azioni buone, ricordando che anche quando aveva smesso di credere in Babbo Natale, in quel periodo dell’anno stilava comunque una lista dove riportava alla mente i tempi belli, quelli brutti e le cose che aveva perso.
A distanza di così tanti anni, il Natale gli ricorda solo i tempi brutti, tante cose perse e un gran senso di colpa… e darebbe qualunque cosa pur di tornare indietro alla spensieratezza e all'incoscienza di quella notte a Londra nel ‘43.

 
 
 
Note:
  1. Young Avengers: Occhio di falco (Kate Bishop), Patriot, Stature (Cassie Lang), Visione (2.0), Wiccan, Iron Lad, Hulkling e Speed (uno dei figli di Wanda e Visione). Personalmente, spero che inizino ad introdurli nell’MCU dopo Avengers-Endgame.
  2. Nei fumetti si scopre che Karpov, negli ultimi anni di vita, aveva tenuto James fuori dal ghiaccio per diverso tempo per fargli da guardia del corpo. I fascicoli illustrati non spiegano con chiarezza come sia morto, l’omicidio è solo un mio headcanon molto plausibile. (Ricordo che tutti i riferimenti a Karpov e Lukin sono ampiamente documentati in 1956)
  3. La famiglia Barnes: George, Winifred e la sorella minore Rebecca. Spiegherò tutte le dinamiche familiari in modo più approfondito nei prossimi capitoli.




Aggiornamento 02.02.2019: la vigilia di Natale del '43 a cui faccio riferimento ha avuto uno sviluppo.
Per i curiosi: "Christmas Miracles"

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Capitolo 8
*** 8 ***


27 dicembre 2016, deposito Kronas Corporation, periferia di New York

Steve si precipita lungo i corridoi della base, maledicendo Fury e la pista che aveva rintracciato, correndo a perdifiato per scampare alla detonazione.
L’ex Direttore l’aveva contattato per una soffiata chiedendogli di andare a controllare, l’aveva spedito in missione per una pista sui movimenti di Sin, ma ciò che aveva trovato era almeno dieci volte peggio.
Era profondamente convinto di aver distrutto irrimediabilmente i nastri di memoria di Zola in New Jersey, era stato un duro colpo vedere un LMD1 che si aggirava per la base con l’aspetto dello scienziato svizzero, avrebbe preferito affrontare la figlia psicopatica di Teschio al posto di un fantasma fatto di microchip e circuiti.
Fa in tempo a chiudersi la porta di ferro alle spalle per placare i proiettili degli agenti A.I.M., quando si innesca la detonazione facendolo sbalzare in avanti… tipico di Zola e della sua mania di cancellare i dati facendo esplodere gli edifici.
Quando si riprende dallo stordimento si ritrova circondato da agenti S.H.I.E.L.D. da tutte la parti, accerchiato con i fucili spianati e senza via d’uscita, realizzando che la pista c’era, ma non era stata intercettata solo da Fury.
Non ha il tempo di ragionare sul da farsi, sgancia lo scudo dalle cinghie sulla schiena preparandosi a lanciarlo, quando la ventina di agenti che lo circonda crolla a terra tramortita da una scossa elettrica.
-Ma che diavolo…?
-Steve!
L’uomo alza lo sguardo verso l’alto, giusto in tempo per vedere l’auto a propulsori targata S.H.I.E.L.D. sorvolare la sua testa, atterrando sulla strada asfaltata.2
-Sharon?
-Muoviti, non resteranno svenuti a lungo, ce ne sono altri in arrivo. -esclama la donna aprendo la portiera della decappottabile.
-Cosa diavolo gli hai fatto? -chiede salendo a bordo, ancora sgomento dagli ultimi sviluppi, ma felicissimo di vederla.
-L’ultimo giocattolino di Tony, sono solo storditi, tranquillo. -lo rassicura la donna decollando.
-Come hai fatto a volare fino a qui e salvarmi?
-Nick. -riassume spiccia la donna, stabilizzando il volo.
-Non finirai nei guai per avermi aiutato a fuggire? -chiede preoccupato, un conto erano le fughe romantiche, un altro i salvataggi che prevedevano il tradimento del proprio schieramento.
-Sono già nei guai da un pezzo Steve, ci sono voluti una trentina di consulti psichiatrici prima che Maria si decidesse a reintegrarmi ed ora ho bruciato completamente le mie carte… sono ufficialmente ricercata, siamo nella stessa barca. -ammette con finta indifferenza, mentre Steve intuisce come debba sentirsi… ci deve essere più di un buon motivo se si è spinta a tal punto da rischiare così tanto.
-Come mai hai cambiato idea?
-Abbiamo avuto l’ordine di sparare a vista… mi servi vivo se vogliamo farla finita con questa storia, gli Accordi stanno scatenando situazioni assurde. -afferma Sharon continuando a tenere lo sguardo puntato sul cielo sgombro.
-La situazione deve peggiorare per poter migliorare.
-Lo so… ma quando migliorerà Steve? Dopo che tu e Tony vi sarete ammazzati a vicenda? Dovresti parlarne con lui, cercare una via diplomatica… -si volta nella sua direzione con un’espressione apprensiva sul volto, spaventata all’idea che uno dei due possa effettivamente morire.
-Tony ha le mani legate e abbiamo problemi più urgenti ora come ora. -obietta impostando le coordinate del rifugio sicuro.
-Hai trovato qualcosa?
-Si… e non è nulla di buono.

***

15 gennaio 2017, Rifugio sicuro, ubicazione ignota

Sharon osserva i marciapiedi sottostanti, piove da giorni e la neve sta scomparendo gradualmente dalle strade.
Sono rinchiusi nel rifugio da un paio di settimane, in attesa di un segnale dall’esterno o una pista da seguire, ma la situazione riguardante Lukin sembrava essersi cristallizzata, a differenza delle notizie che giungevano da parte dello schieramento opposto.
C’era stata una conferenza stampa tenuta al Complesso, Tony aveva presentato al pubblico i nuovi membri aggiunti di recente agli eroi registrati, compreso il ragazzino del Queens che negli ultimi mesi spopolava su YouTube.3
Sharon si discosta dalla finestra, frustrata dall’attesa inconcludente, torturandosi le unghie ragionando sul prossimo passo da fare.
-Sam hai visto Steve? -chiede quando lo incrocia nei corridoi.
-L’ultima volta che ho controllato stava architettando qualcosa, è in camera vostra sommerso dai dossier. -la informa l’uomo indicando la porta della loro camera da letto.
Fury aveva messo a disposizione uno dei suoi rifugi, si erano organizzati per dividersi i posti letto e chi dovesse reperire il cibo, offrendo asilo a tutti i non registrati schedati dallo S.H.I.E.L.D.
Bussa e socchiude la porta, trovando Steve intento a sfogliare fascicoli su fascicoli, usando il materasso come scrivania improvvisata.
-Che fai?
-Pianifico. -risponde concentrato, recuperando un dossier dall’altro capo del letto.
-Abbiamo una pista? -chiede Sharon sbirciando i documenti da sopra la sua spalla.
-No, sto solo valutando quale sia la mossa più giusta da fare… -la informa senza staccare gli occhi dai fogli che tiene tra le mani, rilassandosi sotto il suo tocco quando lei inizia a massaggiargli le spalle.
-Cosa vuoi fare? -chiede concentrata, continuando a sciogliere le contratture.
-Qualcosa di incredibilmente stupido o di incredibilmente geniale. -mormora, voltandosi nella sua direzione quando smette di sentire la lieve pressione delle sue dita.
-Ti prego, non fare nulla di cui potresti pentirtene. -lo supplica quando scorge una luce poco rassicurante nei suoi occhi, il primo segnale visibile delle decisioni prese d’impulso.
-È una decisione ponderata. -tenta di rassicurarla inutilmente. -Se mi consegno sarà evidente a tutti che il problema non è l’atto di registrazione, ma Lukin.
-Se tu non fossi così ostinato nel non voler coinvolgere Tony…
-Non iniziare, Sharon. Sai bene quanto me quale sia la situazione, se siamo arrivati al punto da coinvolgere nello scontro anche i ragazzini minorenni è mio dovere metterci un freno, qualcuno rischia di morire sul serio… e sai che non cambio idea su questo. -afferma interrompendo ogni sua protesta sul nascere, rischiando un contatto afferrandola per le spalle, nonostante lei lo stesse fulminando con lo sguardo. -Se mi consegno, nel peggiore dei casi mi rinchiudono al Raft… mi serve qualcuno che gestisca tutta la situazione con la diplomazia, non con una rivolta.
-Diplomazia? -chiede stupita, dubitando seriamente che, data la situazione, a Tony sia permesso raggiungere un compromesso a tal proposito.
-Ne è capace, deve avere solo il giusto incentivo.
-Non è quello che mi preoccupa. -confessa avvicinandosi, abbracciandolo in cerca di rassicurazione, mentre Steve le posa un leggero bacio sulla fronte.
-Andrà tutto bene, promesso.
 
***

25 gennaio 2017, TG in diretta nazionale


... se vi siete appena sintonizzati, avete sentito bene. Steve Rogers, Capitan America, si è arreso alle autorità. Il brutale conflitto per l’atto di registrazione dei superumani è finito, la disputa iniziata a seguito della proclamazione degli Accordi di Sokovia pare sia giunta alla sua conclusione. Se l’arresto di Rogers porterà pace e distensione nella comunità dei supereroi… o alla nazione… è una domanda a cui solo il tempo potrà rispondere. Ora ci colleghiamo con la nostra corrispondente Julie Traylor all’esterno del palazzo di giustizia di Manhattan.
Gli occhi del mondo sono puntati sugli schermi, mentre tutti attendono con il fiato sospeso di ascoltare quelle parole che proclamino il cessato allarme.
Grazie, Vichy. Mi trovo all’entrata del tribunale dove, da un momento all’altro, arriverà Steve Rogers. Con una decisione insolita il governo ha deciso di processare Rogers qui a New York, invece di affidarlo a un tribunale militare. Fonti interne all’amministrazione affermano che, in virtù di ciò che rappresenta Cap per il Paese, è necessaria la massima trasparenza. L’udienza sarà trasmessa in diretta da tutti i network. Come potete vedere, sebbene la sua posizione sia stata impopolare tra l’opinione pubblica, non appena la notizia del suo trasferimento si è diffusa, si è radunata una folla in continua crescita. Eccolo che arriva.”
I cameraman trasmettono in diretta, spostando l’inquadratura dalla folla ai furgoni blindati, che aprono le portiere permettendo a Steve Rogers di scendere in strada, mentre la scorta respinge i giornalisti che si slanciano contro le transenne.
“Cap! Cap! Ti sei arreso?”
“Ti sei dimesso da Capitan America?”
“Aveva ragione Tony Stark?”

La polizia cerca di respingere la folla di giornalisti… e poi il tempo sembra bloccarsi. Steve Rogers si accascia a terra, la folla urla e si divide tra quelli che gridano al cecchino e quelli che chiedono disperati di chiamare il 911.
Devono aver urtato i cameramen perché viene perso il segnale, quando i televisori si risintonizzano segue un chiacchiericcio confuso che si placa con la notizia che nessuno voleva sentire… e i televisori esplodono, non si parla d’altro.
“...la diretta proseguirà per tutta la notte, man mano che giungeranno altre notizie. A tuttora, le nostre fonti ci confermano che pochi minuti fa, all’arrivo al Mercy Hospital, Capitan America è stato dichiarato morto.”4




 Note:
  1. Fonte Wikipedia: Androidi dello S.H.I.E.L.D. progettati per duplicare tutti gli aspetti esteriori di una persona vivente, i Life Model Decoy (LMD) possono essere controllati direttamente dal proprietario, che può vedere e parlare attraverso di loro. Ideati come perfette controfigure di VIP o bersagli ad alto rischio, i LMD replicano alla perfezione qualsiasi indicatore biologico della persona che sostituiscono.

  2. Tipologia di auto usata di frequente in alternativa al Quinjet, nell’MCU l’unico possessore di un veicolo del genere è Coulson ed è visibile solo in “Agents of S.H.I.E.L.D.” (Per chi segue la serie, si mi riferisco a Lola. Per chi non ha la più pallida idea di cosa io stia parlando: immagine)

  3. Nei fumetti il fatto che Peter Parker cali la maschera è un evento epocale, in quanto secondo la datazione fumettistica ha già una trentina d’anni ed è già sposato con MJ, quindi ha già la lista chilometrica di villain che puntano ad annientargli amici e famiglia. Ho raggiunto un buon compromesso tenendo per buono l’incontro tra Tony e Peter visibile in CW, andando irrimediabilmente a modificare il discorso anonimato... non che l’MCU si sia impegnata troppo a riguardo.

  4. L’intero paragrafo è stato riportato circa fedelmente da: “Captain America Collection - La morte del sogno”. (Volume 6 - Ed Brubaker)

 


 

Commento dalla regia:

In realtà Steve si consegna alle autorità nel bel mezzo di uno scontro tra tutti i supereroi dei due schieramenti, si blocca e afferma che stavano solo combattendo, gli ideali che avevano dato inizio alla disputa non erano più il punto focale già da un pezzo. Lo spiego così perché a livello di scrittura è ingestibile, l’epilogo è quello descritto, anche se ho voluto far passare il “cessate il fuoco” come un qualcosa di premeditato, più in linea con l’MCU senza andare in contrasto con i rapporti che si sono sviluppati e intercorrono nel filone narrativo degli ultimi dieci anni.
In ogni caso, spero che il capitolo vi piaccia, ogni commento/recensione/critica è ben accetto.
_T

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Capitolo 9
*** 9 ***


25 gennaio 2017, Palazzo di Giustizia, Manhattan, New York

-Barnes, hai la visuale libera? Riesci a vedere Sharon?
-L’Agente 13? Certo che la vedo. -risponde all'auricolare in automatico, stando attento a non farsi notare dalle persone che lo circondano.
-Okay ragazzo, occhi aperti e tieniti pronto a seguire le sue indicazioni. La situazione potrebbe diventare rischiosa e, se necessario, dovrai prestarle aiuto.
-Nessun problema, Fury.
Si scopre nervoso all’idea di avere finalmente l’occasione per esporsi, Steve e Sharon avevano smesso di cercarlo quando era scoppiata la Guerra Civile e Fury aveva fatto perdere di nuovo le sue tracce per evitare di scatenare un’altra catastrofe.
James nasconde le mani in tasca, reprimendo l'impulso di correre incontro a Steve appena lo vede scendere dai mezzi blindati, frenando la rabbia quando vede i giornalisti slanciarsi contro le transenne alla ricerca di qualcuno da crocifiggere per calmare la gente.
La folla non si calma, anzi, James riesce a percepire il proiettile prima di vedere suo fratello crollare a terra… corre come un disperato nella speranza di aver visto male, ma arresta la sua corsa quando si scontra con la fidanzata di Steve, la pistola in mano pronta ad entrare in azione, ma pietrificata sul posto con lo sguardo puntato su suo fratello in fin di vita.
-Sharon, l’ambulanza, vai! -la afferra per le spalle scuotendola, notando la sorpresa che si sostituisce momentaneamente al panico quando lo riconosce, scavalcandolo subito dopo lanciandosi in direzione di Steve.
-Fa parte del piano, Fury? -cerca di urlare all’auricolare nonostante la paura gli blocchi la voce, i polmoni in fiamme mentre corre verso l’edificio da dove ha visto partire il proiettile.
-No, dannazione… corri! Muoviti, ragazzo! -la voce concitata di Fury gli fa da accompagnamento quando raggiunge il palazzo, trovando il lucernario sfondato a segnalare la via di fuga del cecchino.
-Aggiornami, ragazzo.
-Chiunque sia stato ha sparato ed è fuggito. C’è un lucernario sfondato, inizio da lì.
Fa appena in tempo a raggiungere la via d’uscita quando Sam lo spinge giù dai resti del lucernario, afferrandolo per il bavero della giacca facendogli sbattere la testa contro il muro.
-Tu?! Figlio di puttana, bastardo che non sei altro...
-Toglimi le mani di dosso finché sei in tempo. Non sono… -tenta di spiegare provando a sovrastare inutilmente le urla di Sam, afferrandogli un polso con la mano metallica tentando di fargli perdere la presa.
-Non ti è bastato tormentarlo fino all’esasperazione?! Prega solo che non sia morto!
-Lo sto facendo! -urla a pieni polmoni, alzando le braccia sopra la testa in segno di resa, mentre Sam ripiega le ali dell’armatura con espressione confusa.
-Allora non sei stato…? -chiede spaesato lasciandolo andare.
-No. Mi ucciderei prima… credimi. -afferma ripensando con orrore a quanto ci sia andato vicino a Washington, mentre un forte sentore di nausea si presenta solo all’idea di compiere un’azione simile, portandosi ad un passo dal tracollo mentale che in quel momento non può assolutamente permettersi.
-Ragazzo, l’ho individuato. -lo richiama indietro la voce di Fury perforandogli un timpano.
-Da che parte?
-Con chi stai parlando? -chiede Sam con espressione sempre più confusa.
-Nick Fury. Sei in grado di trasportarmi in volo?
Non riceve risposta, Sam lo afferra spiccando il volo, seguendo le sue indicazioni senza battere ciglio.
-Quale? -chiede Falcon riferendosi agli elicotteri stracolmi di cameraman e reporter che si stagliano davanti a loro.
-Fury dice che è l’elicottero della WNYC, si è abbassato a recuperare il nostro cecchino. -grida sovrastando il vento, estraendo le pistole dalle fondine puntando alla fusoliera.
-Ma che diavolo fai amico?! -esclama Sam quando lo vede far fuoco.
-Lo abbatto. -riferisce con tono ovvio osservando l’elicottero schiantarsi. -Riportami a terra!
Non ha tempo di sentirsi sollevato all’idea che l’elicottero sia precipitato su una strada miracolosamente deserta, focalizzandosi solo sul cecchino che sta tentando di uscire indenne dai rottami in fiamme, sparandogli immediatamente alle gambe per impedirgli di scappare.
Lo raggiunge di corsa sollevandogli la testa per vederlo in faccia, ritrovandosi a fissare il volto sfigurato di Crossbones.
-Ma non mi dire… pensi di essere uno dei buoni ora? -lo sfotte con il sorriso sulle labbra.
-Non proprio. Dov’è? Dov’è Lukin?
-Crepa… ma no, tu sei già morto... -ride rischiando di soffocarsi da solo con il suo stesso sangue, mentre il primo istinto di James è quello di spezzargli l’osso del collo, bloccandosi quando Sam lo afferra per il braccio sano costringendolo a puntare lo sguardo su di lui.
-Bucky devi andartene da qui, non metterti in mezzo a questo casino, è già abbastanza complicato così...
-Ci pensi tu a lui? -chiede mentre si concede di respirare dopo non sa quanto tempo, abbandonando la presa su Rumlow.
-Non andrà da nessuna parte, fidati.
-Okay, ma poi va subito da Steve. - proclama in risposta rinfoderando le armi, preparandosi a scappare di nuovo mentre sente le sirene della polizia in avvicinamento. -Ha bisogno di qualcuno che gli guardi le spalle e non posso essere io.

***

-Sharon, l’ambulanza, vai!
Sharon si sente afferrare per le spalle, abbandonando lo stato di shock quando riconosce il viso di Bucky, superandolo di corsa quando elabora ciò che sta succedendo, mentre il panico torna a farsi sentire in modo preponderante eclissando qualunque altro pensiero.
-Steve… oh mio Dio, Steve! -getta la pistola a terra consapevole di tremare troppo per centrare un bersaglio, gettandosi a terra di fianco al compagno, cercando di placare istintivamente la fuoriuscita di sangue dall’addome.
Gli agenti della scorta continuano a guardarsi intorno cercando di capire da dove sia partito il colpo, informando la centrale che il Capitano Rogers è ferito, ma senza fare nulla a riguardo.
-Qualcuno chiami il 911! Oh mio Dio… Qualcuno mi aiuti, dannazione! -urla sovrastando la folla, continuando a tamponare la ferita, impiastricciandosi le mani e i vestiti di sangue.
-Madame, devo chiederle di…
-Ho un permesso S.H.I.E.L.D. di primo grado. -risponde a tono quando la polizia e i paramedici tentano di allontanarla, impuntandosi per salire sull’ambulanza. -Nick, dove sei?
-Sono qui, che diavolo è successo laggiù? -risponde immediatamente Fury attraverso l’auricolare.
-Non lo so, la folla è impazzita, ci sono stati degli spari… Steve è ferito, perde molto sangue e ha perso conoscenza… Nick, io… -la donna cerca di controllare il respiro per non cedere al panico, mentre segue i gesti frenetici dei paramedici che stanno caricando Steve sull’ambulanza.
-Sharon, ascoltami. C’è un ospedale a cinque isolati di distanza, è… È Steve Rogers, non è la prima volta che viene ferito. Non morirà, okay? -il tentativo di rassicurarla sembra fare effetto, Fury interrompe la comunicazione mentre il veicolo parte a sirene spiegate.
-Ci siamo quasi amore, tieni duro… -combatte inutilmente contro le lacrime che le solcano le guance, stringendo convulsamente la mano di Steve, che ha ripreso conoscenza dopo l’intervento dei paramedici e la osserva con il respiro pesante e gli occhi socchiusi.
-Sharon… sei così bella che mi togli il respiro… -lo sente mormorare a fatica tentando di tranquillizzarla, prima di soccombere ad un’altra crisi chiudendo gli occhi.
-No… no Steve. Guardami! Guardami, devi restare sveglio. Resta qui…
Quando arrivano all’ospedale lo portano immediatamente in sala operatoria, avverte l’ansia attanagliarle le viscere, rischiando di aggredire Sam quando la raggiunge alle spalle. Aspetta in sala d’attesa l’arrivo dei medici, accogliendo la notizia in totale stato di shock, mentre i medici la informano che l’autopsia conferma la morte provocata da due ferite d’arma da fuoco… ma non ha assolutamente senso perché il sicario ha sparato solo un colpo.
-Shar… -Sam le sfiora un braccio, preoccupato dalla mancanza di una sua qualsiasi reazione.
-Devo vomitare. - mormora abbandonando il fianco di Sam per raggiungere il bagno, svuotando completamente lo stomaco, mentre il sapore della bile le invade la bocca. Sharon si abbandona alle lacrime, rialzandosi dal pavimento solo una volta placato il pianto dopo un tempo indefinito, sciacquandosi il viso sul lavandino, mentre vede entrare in bagno un'infermiera con la coda dell’occhio.
-Mi scusi, Madame... il suo amico in sala d’attesa è preoccupato per le sue condizioni…
-Gli dica che lo raggiungo subito… mi serve solo un momento. -si abbassa di nuovo contro il lavandino per bere un sorso d’acqua, tentando inutilmente di cancellare il saporaccio che avverte in bocca.
-Va bene, un’altra cosa. Il dottore vuole che riporti un messaggio...
-Cosa? Che dottore?
-Il dottor Faustus.
Sharon alza lo sguardo sullo specchio spaesata, riconoscendo il volto di Sin nel riflesso, la divisa da infermiera trafugata e una parrucca a nascondere la chioma rosso fuoco, portando istintivamente la mano alla fondina vuota… in mezzo alla confusione non aveva rinfoderato la pistola…
-Il dottore dice ricorda.
Sharon perde l’equilibrio colta dalle vertigini che le appannano la vista, mentre l’immagine di Sin sparisce, sostituita dal ricordo nitido della canna fumante della sua pistola d’ordinanza, crollando a terra spaventata mentre osserva le sue mani tremanti attraverso gli occhi offuscati dalle lacrime.
-No… no… che cosa ho fatto? Non posso averlo fatto, non posso…
Non riesce a placare i singulti, riducendosi a secco di lacrime, rivivendo la stessa scena in loop nella sua testa… non ha senso, ma l’ha fatto, sa di averlo fatto.
Quando Sam la trova accasciata sul pavimento la abbraccia d’istinto, Sharon vorrebbe dirglielo, ma una sorta di blocco mentale glielo impedisce e le parole le si bloccano in gola… le sembra di urlare sott’acqua, ottenendo come unico risultato l’ennesima crisi di pianto irrefrenabile.
-Shh… Shar, è tutto okay… È tutto okay.
Sharon vorrebbe urlare che non è per niente tutto okay, vorrebbe dire a Sam che ha le mani ricoperte del sangue di Steve, che il secondo colpo è partito da lei… che il proiettile fatale è partito da lei.
Vorrebbe, lo vorrebbe sul serio, ma non ci riesce.

***

 

30 gennaio 2017, Brooklyn Pub, Brooklyn, New York

James si ordina un bourbon al bancone del pub, consapevole che quello sia il primo di una lunga serie, fregandosene di quello che può pensare la gente intorno a lui… si è rifugiato in un pub perché è l’unico posto dove può guardare il funerale di Steve in diretta televisiva, dubitando di poter affrontarne la visione senza toccare alcol.
Vorrebbe annegare i sensi di colpa nel liquore, il potersi illudere che può affrontare meglio l’intera situazione rischiando il coma etilico, ma gli esperimenti che ha subito gli impediscono di ubriacarsi, accontentandosi del bruciore che gli infiamma la gola ogni volta che deglutisce un sorso di liquore.
-Che tragedia assurda, no? -commenta il barista quando chiede il terzo bicchiere nel giro di mezz’ora.
-Un insabbiamento assurdo, vorrai dire… -risponde il suo vicino di bevute senza essere stato interpellato direttamente, mentre James si scola l’ennesimo bicchiere imponendosi di non fare o dire niente.
-Oh, ma per favore, non venirmi a parlare di complotto. -risponde il barista mentre serve un altro cliente.
-Per me l’unica vera tragedia è il dove lo stanno seppellendo. -interviene una voce alle sue spalle.-Arlington è per gli eroi, non per i traditori.
James non riesce a controllare lo spasmo alla mano, frantuma il bicchiere, mordendosi la lingua per evitare di causare altri danni.
-Ehi amico, stai bene?
-Dillo ancora. -lo sfida incapace di passarci sopra e lasciar correre, relegando in un angolo il buon senso che gli intima di starsene zitto.
-Cosa?! Lo ripeterò tutto il giorno, idiota… Cap ha tradito il suo popolo. Ha combattuto contro la volontà del popolo americano… ha disonorato l’uniforme che indossava.
James sa bene cosa avrebbe fatto Steve, avrebbe discusso, avrebbe sostenuto che il pensiero della maggioranza non era necessariamente giusto… si sarebbe dato al patriottismo come al solito, avrebbe ricordato a tutti che un tempo la maggior parte del popolo tollerava la schiavitù… Ma lui non è Steve e si ritrova a sollevare quell’idiota per la gola, in quel gesto inquietantemente familiare, dando inizio alla rissa.
James è ben consapevole che se colpisce qualcuno in una notte come quella rischia di scatenare un pandemonio, ma si perde nell’esplosione di violenza… lo chiama a sé, si perde in essa fino a macchiare le nocche di sangue, trascinato in un vortice oscuro perchè forse la violenza non l’ha mai abbandonato… come una bomba pronta ad esplodere, attendeva solo l’innesco.
Ascolta il barista chiamare freneticamente la polizia, mentre sente il rumore dei denti che si frantumano sotto i suoi pugni, e non può fare a meno di pensare che Steve si sarebbe vergognato di lui.
Quando si blocca, quando riesce finalmente a calmarsi quel tanto per tornare a ragionare lucidamente, si rende conto che è l’unica persona in piedi in mezzo al bar… è circondato da persone tramortite, il barista impaurito nascosto sotto il bancone e Sam, appena entrato dalla porta, che osserva orripilato il caos che lo circonda.
-Quando Fury mi ha detto che eri nella merda, non pensavo… ti prego dimmi che erano agenti HYDRA o AIM...
-No, solo idioti.
-Dobbiamo andarcene, sta arrivando la polizia. -commenta atono Sam aprendo la porta.
-Un secondo, fammi pagare la consumazione.
Poi la vede, è la terza volta che lo trasmettono da quella mattina e non riesce ancora a crederci.
Tony Stark, in vece di nuovo capo dello S.H.I.E.L.D., crolla a piangere e dichiara che non avrebbe mai voluto che l’intera faccenda finisse in quel modo.
James la avverte di nuovo, la rabbia cieca che cresce alla ricerca di qualcuno da incolpare… il peso del mondo gli cade addosso e precipita... e l’unico sentimento che riesce a distinguere è il desiderio di trascinare Tony Stark giù nell’abisso con lui.

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Capitolo 10
*** 10 ***


2 febbraio 2017, Smithsonian Istitution, Washington DC

A nemmeno ventiquattro ore di distanza dal funerale, Tony Stark aveva indetto una conferenza, diceva di aver istituito un tributo a Steve nel padiglione centrale dello Smithsonian, esponendo in una teca in bella mostra lo scudo in vibranio, affermando che in futuro nessun altro avrebbe imbracciato lo scudo.
James sopprime il miscuglio di rabbia e dolore, sforzandosi di affrontare la situazione lucidamente concedendogli il beneficio del dubbio, aspettando pazientemente in fila di acquistare il biglietto d’entrata al museo, dirigendosi spedito verso il padiglione centrale, senza soffermarsi più del dovuto sui filmati di guerra e il suo memoriale, per evitarsi la sottile stilettata al cuore che lo pervade ogni volta che gli cade l’occhio sull’immagine sorridente del fratello.
Arresta la sua corsa una volta raggiunta la teca, studiando l’ambiente circostante, valutando a mente fredda lo spazio di manovra. Vede cinque modi diversi per entrare ed uscire senza essere visti, con la necessità di neutralizzare solo tre guardie, concludendo che lo scudo è troppo importante per starsene così in bella mostra.
Ad un esame più attento nota che chi si è occupato dell’allestimento ha tirato a lucido e rimosso i segni dei proiettili lasciati da Peggy, decretando che nessun idiota l’avrebbe mai fatto e che deve trattarsi per forza di una riproduzione.
Stark dice che nessun altro imbraccerà lo scudo e indosserà la maschera, ma non è credibile. James è abbastanza sicuro che aspetteranno un paio di anni, poi diranno che la gente vuole un nuovo Capitan America e, visto che hanno lo scudo, non lo lasceranno a lungo sullo scaffale.
Porta alla mente le raccomandazioni di Sam in merito al non fare azioni stupide e avventate, avvisandolo di non poterlo più tirare fuori dai guai in quanto vincolato dagli Accordi firmati per presenziare al funerale di Steve, lasciandolo a briglia sciolta confidando nel suo buon senso, ma James si ritrova ad ammettere che in tutta la sua vita non è mai riuscito a prendere una decisione ponderata… per quel genere di situazioni c’era sempre stato Steve, il suo modus operandi si era sempre basato sull’istinto, sul fare più rumore possibile e agire basandosi sulle conseguenze.
L’omicidio non era più considerabile come un’opzione... il furto invece offriva declinazioni interessanti, se puntava ad ottenere una qualche reazione da parte di Stark. Manda al diavolo tutte le raccomandazioni di Sam, ragionando che tutto sommato, considerato tutto ciò che potenzialmente poteva fare, riprendersi lo scudo non è poi un’azione così avventata e stupida.

***

3 febbraio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

James si apposta di vedetta al di fuori del Complesso degli Avengers, sorpreso di vedere attuare il piano per lo spostamento secondo i criteri che lui stesso aveva ipotizzato.
Vede uscire contemporaneamente dal garage quattro furgoni blindati, ognuno con una direzione diversa, per non far capire quale sia quello che trasporta effettivamente lo scudo e quali siano i tre diversivi.
James rischia, aspettando che si perdano in lontananza, restio a credere che sia così facile, confermando i suoi sospetti quando dal garage fuoriesce un'Audi dai finestrini oscurati.
Spara alle ruote, facendo finire l’auto fuori dalla carreggiata, chiedendosi di chi si possa essere fidato Stark per un compito del genere. La risposta non tarda molto ad arrivare, un calcio ben assestato lo sbalza lontano dalla portiera che stava tentando di aprire, mentre il suo avversario scende dall’auto con lo scudo sulle spalle.
-No… non tu Natalia. -mormora facendosi un esame di coscienza, valutando quanto voglia lo scudo in realtà e se ne vale la pena al punto da colpire Natasha.
-Perché vuoi lo scudo, James? -tentenna la donna, restia quanto lui a colpirlo.
-Non costringermi a combatterti. -chiede con una supplica velata, rinunciando in partenza a tentare di darle una spiegazione in merito alle sue azioni, è consapevole che in realtà nessuno dei due vuole ascoltare sul serio le ragioni dell’altro.
-Vai via… non voglio farti del male. -tenta di offrirgli una possibilità per la fuga, tuttavia estraendo la pistola dalla fondina, come a sottolineare che se non avesse ascoltato il suo consiglio, avrebbe dovuto sentire ragioni dal piombo. -Ti prego, James.
-Stavo per dire la stessa cosa. -afferma puntando il mirino contro di lei.
-Rinuncia.
-Rinuncia tu.
-Testardo che non sei altro. -sospira Natasha premendo il grilletto.
James manca il proiettile per un soffio, passando immediatamente al contrattacco… gli sembra di essere tornato ai tempi della Stanza Rossa e non deve essere l’unico a pensarlo, perché dopo non molto abbandonano entrambi le armi in favore dei pugni, mentre James evita di colpirla con il lato sinistro del corpo e lei risponde poco convinta ai colpi inflitti.
Ai tempi della Stanza Rossa aveva recuperato la sua umanità grazie a Natasha, li avevano puniti entrambi, anche se in modi diversi… combatterla ora era come punirsi un’altra volta ed era quello il momento che James cercava di evitare da più di due anni, affrontare lei lo spaventava molto di più dell’idea di dover affrontare Steve.
Preparandosi a colpire, vorrebbe che quella fosse una delle tante missioni per conto di Karpov, di Lukin o di Pierce… vorrebbe far finta che sia come Odessa, che alla fine del combattimento le macchine gli cancellino nuovamente i ricordi.
La colpisce a tradimento, Natasha perde l’equilibrio e cede allo stremo delle forze, impattando contro il suolo priva di sensi… negli anni si era migliorata nel combattimento per dargli del filo da torcere, ma non abbastanza per mandarlo al tappeto.
Si inginocchia a terra, sganciandole lo scudo dalle spalle, controllando velocemente di non averle inflitto più danni di quelli voluti... probabilmente le aveva causato una commozione cerebrale. Somma le ultime azioni alla già lunga lista di sensi di colpa, ragionando sul come chiamare i soccorsi senza farsi raggiungere in due minuti da un’intera unità S.H.I.E.L.D., ammettendo a sé stesso che forse la sua completa mancanza nel valutare gli imprevisti era sicuramente ciò a cui si riferiva Sam con “azioni stupide e avventate”.
Recupera il cellulare della donna dal cruscotto dell’auto, inviando una richiesta d’aiuto a Stark, lasciando un messaggio tra le note del telefono per lei. Tempo prima Fury gli aveva recapitato un messaggio da parte di Natasha dicendogli che non lo voleva morto, dopo gli ultimi sviluppi non crede che la donna sia dello stesso avviso, dubitando seriamente che un messaggio di scuse basti per tutto quello che le ha fatto… ma non vede alternative.
In realtà, con lei, di alternative non ne ha mai avute.

***

3 febbraio 2017, Ala medica, Complesso degli Avengers, Upstate New York

Mi dispiace, Natalia… non avrei mai voluto cacciarti nei guai. Ma sembra che io non sia in grado di fare altro.
Natasha rilegge per l’ennesima volta le poche righe di testo lasciatole da James, decidendosi a cancellarle per il bene di entrambi. Aveva ripreso conoscenza da circa mezz’ora, svegliandosi accerchiata dai medici dello S.H.I.E.L.D. che l’avevano informata velocemente sulle sue condizioni.  A distanza di qualche minuto Rhodes era giunto a riconsegnarle il cellulare e la sua borsa recuperati dall’auto, spiegandole che la richiesta di soccorso era giunta da Stark, avvisandola che quest’ultimo era in arrivo dall’Helicarrier1 di pessimo umore, lasciandola agli ultimi controlli dei medici una volta concluso il suo dovere di messaggero.
Natasha aveva sbloccato il telefono, scoprendo di essere in un mare di guai per colpa di James, dandole il tempo di prepararsi ad affrontare Stark, ma gettandola nella confusione più totale perché incapace di interpretare il suo comportamento.
-Come stai? -chiede Tony entrando trafelato nell’ala medica, mentre la donna capta una nota diffidente ben celata nella voce, attivando il blocco schermo gettando il cellulare da una parte in automatico.
-Sto bene.
-Non stai bene, mi hanno detto che hai una commozione cerebrale Nat. -la contesta l’uomo posizionandosi a braccia conserte ai piedi del lettino, mentre la donna intuisce che oltre la preoccupazione e il pessimo umore ci sia dell’altro.
Quel qualcosa di indefinito la spaventa, sa di poterlo scoprire giocandosi bene le sue carte da spia, ma dallo sguardo di Tony intuisce già le risposte alle sue domande… James l’aveva posta davvero in una situazione rischiosa, se le telecamere esterne avevano ripreso il loro scontro, ciò che veniva mostrato era alquanto discutibile.
-Nulla che non si possa risolvere in venti minuti…te l’avevo detto che non era una buona idea quella di spostare lo scudo.
-Credo che a questo punto non importi a nessuno cos’era una buona idea o meno, la notizia non è ancora trapelata… e al momento ho già i miei problemi con un altro sicario. -afferma l’uomo tastando il terreno guardingo, puntellandosi sul bordo del letto, dandole la conferma che qualcosa doveva aver visto e la stava valutando mantenendosi sul vago.
-Niente sviluppi da Rumlow?
-Zero, ha affermato che preferirebbe morire pur di darci una mezza informazione… vorrei solo capire, tutto qui.
-C'è un mandante, per quanto Rumlow volesse morto Steve non l’avrebbe mai fatto senza compenso e lo sai. -cerca di sviare il discorso, tentando di sottrarsi al rischio di esporsi più del dovuto… ma sa che è inutile, soprattutto se Tony ha visto le registrazioni.
-Lo so, Nat. Lo so, ma ora come ora mi chiedo per chi lavori Barnes, o cosa voglia farsene dello scudo…
-Non lavora per nessuno. -mente spudoratamente, lasciando Nick fuori dall’intera storia, confermando la versione di Sam proferita all’interrogatorio, tenutosi il giorno prima del funerale di Steve prima di porre ufficialmente la sua firma sugli Accordi.
-Come fai ad esserne così sicura, Nat?
-So come ragiona e...
-Lo conosci? -chiede sospettoso Tony a bruciapelo, bloccando sul nascere ogni suo tentativo di inventarsi qualsiasi altra cosa per portarlo fuori strada.
-Sono stata addestrata da lui in Russia. -soffia presa in contropiede, ma cercando di comunicare la notizia con nonchalance, omettendo tutte le implicazioni tirate in ballo con quella informazione. -Probabilmente vuole lo scudo perché non si fida dell’uso che vuoi farne tu… è una questione personale.
Il suo tentativo di svicolare dall’argomento non va in porto, Tony respira profondamente ad occhi chiusi, mentre Natasha intuisce che forse non deve aver tratto delle conclusioni poi così sbagliate… forse non avrebbe dovuto tirare in ballo le questioni personali.
-Non puoi fare a meno di fare il doppio gioco, vero? -inizia l’uomo con tono ironico, facendo trasparire la rabbia, nascondendo la paura all’idea che anche lei gli si ritorca contro. -Quando dici di conoscerlo
-Non girarci intorno, avanti, dillo. -infierisce Natasha stanca di giocare, innescando la miccia intenzionalmente, facendogli sfogare tutte le preoccupazioni represse che si arrovellavano nel cervello di Tony rendendolo autodistruttivo.
-Ho visto i filmati delle telecamere di sicurezza, avete esitato entrambi… tu non fallisci mai Nat, non posso fare a meno di chiedermi se hai perso lo scontro di proposito perché non volevi colpire un vecchio amico...
-Solo perché tutti ti stanno col fiato sul collo e la tua vita sta andando a rotoli, non significa che devi per forza cercare nemici ovunque e trovare un colpevole a tutto questo… gli Accordi, tutta questa storia, l’abbiamo gestita male Tony. -obietta la donna piccata, cercando di sviarlo e farlo ragionare in quella che sa essere una battaglia persa in partenza… ormai è inutile negare l’evidenza.
-Il Soldato d’Inverno ha rubato lo scudo, Nat! E tu glielo hai lasciato fare... in memoria di cosa? Di una scopata ai tempi del Cremlino? -sbotta Tony oltrepassando il limite, mentre Natasha scatta in piedi punta sul vivo, reagendo all’accusa tradendosi definitivamente.
-Ma per favore, da che pulpito. -commenta con tono sprezzante, puntandogli il dito contro. -È sempre stato più forte di me, è sempre stato più bravo di me! E ringrazia quella scopata, perché se avessimo seriamente contro il Soldato d’Inverno, ora ti ritroveresti un’alleata in meno!
Natasha si interrompe placando lo scatto d’ira, mettendosi l’anima in pace per essersi tradita, mentre inchioda Tony con lo sguardo sfidandolo a ribattere. L’uomo la osserva ammutolito, l’insinuazione era un’accusa infondata, evidentemente non pensava di fare centro… tace di fronte agli occhi lucidi di Natasha, che non ne può più dell’alone di sospetto con cui la trattano tutti e dell’irritabilità di Tony, causata dalla sua scarsa attitudine nel gestire le situazioni critiche, mentre la donna maledice chiunque abbia avuto la geniale idea di proporgli il posto vacante di Direttore.
-Non volevo… -mormora spaesato a corto di parole, dando l’impressione di sgonfiarsi come un palloncino, osservandola con sguardo di scuse.
-Sì certo, non volevi. -Natasha lo supera assecondando l’istinto di fuggire, si blocca sulla porta voltandosi verso Tony, decidendo che per una volta può imitare il suo esempio e dire ciò che pensa fuori dai denti. -Ti consiglio di guardarti le spalle, Tony. Non ti sei messo contro il Soldato d’Inverno, ti sei messo contro James… e sotto certi aspetti è anche peggio.
-Che vorresti dire? -chiede titubante l’uomo, insospettito dall’improvvisa collaborazione a discapito delle aspettative.
-Steve era suo fratello, dal suo punto di vista sono state le tue azioni ad ucciderlo…
-Non è l’unico a pensarlo.
-Si... ma se io, gli Avengers e l’opinione pubblica sappiamo che eri mosso dalle giuste intenzioni, lui questo non lo sa. -conclude Natasha, abbassando la maniglia per uscire dall’infermeria.
-Tu mi guarderai le spalle? -interviene Tony prima che possa chiudersi definitivamente la porta alle spalle.

-Sono ancora tua amica, Tony… anche se a volte sei veramente uno stronzo.



Note:

1 Chiariamo le sedi dello S.H.I.E.L.D. una volta per tutte:

  • Complesso (Upstate New York): ospita gli alloggi degli Avengers (per chi è sprovvisto di una casa propria) e, secondo la mia versione dei fatti, diventa la base operativa per eccellenza da quando diventa la casa temporanea di Tony, dove istituisce al suo interno il laboratorio e il suo ufficio.

  • Sede Amministrativa (Manhattan): uffici amministrativi, base di appoggio del Complesso e regno di Maria Hill.

  • Helicarrier (quello che Nick spolvera in ogni Avengers, collocato in un posto non meglio specificato nel cielo): base aerea di supporto alle missioni sul campo, regno di Nick Fury quando decide di fermarsi nello stesso posto per più di un paio di giorni, prigione temporanea per gli interrogatori prima di internare il criminale di turno dentro al Raft.

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Capitolo 11
*** 11 ***


6 febbraio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

Tony riattacca il telefono sospirando spazientito, erano tre giorni che tentava di contattare Sharon senza ottenere risultati ed iniziava a preoccuparsi del non avere sue notizie.
Si rilassa contro lo schienale della sedia girevole chiudendo gli occhi, pentendosi amaramente di aver accettato l’incarico di Direttore dello S.H.I.E.L.D. quando glielo avevano proposto… non ricordava più quand’era stata l’ultima volta che aveva provato un sentimento riposante come la noia. Dopo la Guerra Civile la sua vita si era tramutata in un inferno, tutti i tentativi di riconciliazione con Pepper e i buoni propositi con cui si era convinto a firmare gli Accordi erano andati in fumo, aveva allontanato chiunque compiendo molte scelte discutibili1, accollandosi problemi ingestibili ai quali non aveva tempo materiale da dedicare per risolverli… mentre un costante, opprimente e soffocante macigno lo dilaniava dall’interno, in un groviglio di parole non dette e scuse non proferite che gli impedivano di dormire la notte. Avrebbe voluto avere meno orgoglio per chiarire a tempo debito la situazione con Steve, per ascoltare le sue ragioni e cercare di trovare un compromesso, ma ormai era decisamente troppo tardi… il fatto che gli avesse fatto recapitare una lettera non gli alleggeriva minimamente la coscienza, probabilmente perché la lettera in questione giaceva intonsa da due giorni sopra la sua scrivania.
Serra gli occhi con ancora più forza, non riuscendo a scacciare la sensazione di vedere comunque la busta bianca nonostante le palpebre calate, riducendo in silenzio la vocina dentro la sua testa che gli faceva presente che il suo era un comportamento estremamente infantile, che non poteva aver paura di un foglio e qualche macchia d’inchiostro… il fatto che la sua disgraziata voce della ragione avesse lo stesso tono del Capitano Rogers non lo aiutava per niente, anzi, lo rendeva soggetto ad un emicrania che negli ultimi tempi si ripresentava sempre con più frequenza.
Era stato surreale vedere Matt Murdock presentarsi nel suo ufficio depositando sicuro la lettera sul tavolo2, dichiarandone la completa autenticità, insieme ad un’altro paio di cose che Tony avrebbe preferito non sapere… ad esempio che Steve aveva portato la lettera ad Hell’s Kitchen invece di raggiungerlo a Vienna, che per via di qualche clausola legale era considerabile un testamento a tutti gli effetti e che, nonostante l’epilogo dell’intera vicenda, Tony era l’unico in grado di fare qualcosa… qualsiasi cosa, Murdock non aveva saputo dirgli altro sull’argomento, suggerendogli di leggere la lettera.
Tony non l’aveva ancora aperta, abbandonata sul tavolo e spiata con sospetto, temendo di non essere in grado di far fronte ad altre responsabilità non volute.
-Capo, dovrebbe vedere una cosa. -la voce dell’intelligenza artificiale lo salva dal suo circolo di pensieri contrastanti, proiettando le immagini sui teleschermi in automatico.
-Cosa sto vedendo, F.R.I.D.A.Y.?
-C’è stata una soffiata anonima, la polizia ha ritrovato il cadavere del Dottor Broussard, la scientifica ha dichiarato che il dottore è morto da mesi… nell’appartamento sono stati ritrovati i fascicoli dei pazienti in cura, hanno provato a rintracciare gli agenti nella lista ma non sono reperibili… nella lista figura anche Sharon Carter. -elenca in fretta la voce robotica dell’intelligenza artificiale, facendo scorrere le immagini e i fascicoli sugli schermi, mentre il cervello di Tony si inceppa sul nome della cugina.
-F.R.I.D.A.Y. riusciresti a localizzare il GPS di Sharon? -chiede con tono teso, riscuotendosi dallo stato di shock, iniziando a memorizzare motivato i vari dati destreggiandosi tra le directory.
-Negativo capo.
-Chiama Natasha, mettiti in collegamento con i satelliti, avvisa Maria… mia cugina non può essermi sparita da sotto il naso. -afferma muovendo frenetico le dita tra le stringhe di dati.
-C’è una chiamata urgente in arrivo dal Generale Ross. -lo informa F.R.I.D.A.Y. tempestiva, accedendo all’interfono prima che lui potesse chiederglielo.
-Tony, abbiamo un problema. -irrompe con prepotenza la voce del Generale, riecheggiando tra le mura dell’ufficio, mentre Tony si prepara psicologicamente all’ennesima grana da affrontare, rimpiangendo i tempi in cui il suo problema più rilevante era l’intossicazione da palladio. -Hanno prelevato Crossbone dall’ Helicarrier, ho già girato a F.R.I.D.A.Y. le immagini delle telecamere di sicurezza.
Tony osserva sgomento i filmati, gli uomini tramortiti a terra, mentre assiste furioso all’affronto dato dallo spettacolo di Sin e Rumlow che si abbandonano alle effusioni amorose in favore delle telecamere.
-Com’è potuto accadere!? -proferisce Tony con la voce che ribolle di rabbia, la custodia di Crossbone era l’unico compito che aveva affidato a Ross, si rifiutava di credere ai filmati che gli scorrevano davanti agli occhi.
-Gli agenti di scorta che erano venuti a prelevarlo per il trasferimento al Raft ci si sono ritorti contro, hanno fatto entrare Sin e questo è il risultato. -si giustifica il Generale con astio, mentre Tony degluttisce a vuoto tentando di placare la rabbia.
-Hai una lista degli agenti della scorta?
-Te la giro.
La lista appare sullo schermo nel giro di mezzo minuto, confrontandola con quella dei pazienti del Dottor Broussard.
-Non c’è Sharon...
-Cosa centra l’Agente 13?
-Sono i pazienti del Dottor Broussard, Ross… avevamo una talpa e non ce ne siamo nemmeno accorti.
-Vedi di rintracciare gli agenti, io tento di risolvere il problema qui all’Helicarrier. -Ross chiude la chiamata senza aspettare una replica da parte sua, correndo ai ripari tentando di risolvere i problemi che aveva causato.
-Vorrei solo un giorno in cui non ci siano venti crisi al giorno…-mormora tra sé e sé, versandosi una tazza di caffè dall’ex carrello degli alcolici.
Se la situazione fosse diversa quello sarebbe stato il momento perfetto per un consiglio inopportuno da parte di Steve, quel genere di intervento che lui avrebbe fatto finta di non considerare con il suo solito fare saccente, per poi ritrovarsi inconsciamente ad eseguire gli ordini, seguendo il piano proposto dal Capitano fin dall’inizio… ne sente la mancanza sconfinata ora che sa di averne perso l’opportunità, aveva bisogno di sentirsi dire che cosa fare, ritrovandosi a farsi coraggio afferrando la busta, sfilando la lettera con le mani tremanti.
“Tony, se stai leggendo questa lettera le cose sono precipitate più di quanto noi avessimo previsto, ma il peggio deve ancora venire.
Vorrei che facessi due cose per me:
Prima cosa, non lasciare che Bucky risprofondi nella rabbia e nella confusione, ha la possibilità di rifarsi una vita, aiutalo a trovare la sua strada… salvalo per me.
In quanto a Capitan America, è sempre stata la parte migliore di me, per ciò che rappresenta… non lasciarla morire, Tony.
Con affetto, Steve Rogers.”3
Impreca, puntando lo sguardo sull’ex carrello degli alcolici, placando il desiderio di un bicchiere di scotch con un sorso di caffè bollente, abbassando lo sguardo sulla calligrafia sbilenca del Capitano.
-Mi stai facendo tornare la voglia di bere, Steve… e so che la cosa non ti renderebbe felice... Sta precipitando tutto senza di te.

***

6 febbraio 2017, Fourth Avenue Pub, Brooklyn

James sorseggia una birra a tempo perso al bancone del pub, assecondando l’attesa di una qualche reazione dall’esterno, è solo questione di tempo prima che qualcuno faccia la prima mossa o il primo passo falso… negli ultimi giorni aveva pestato i piedi a diversa gente.
-Hei, alza il volume!
Il barista spegne la musica alzando il volume della TV, mentre l’attenzione dell’intero pub viene calamitata dal televisore che sta trasmettendo un servizio speciale del TG.
”La notizia di apertura… l’uomo che ha sparato a Capitan America è dunque evaso? Si è sparsa la voce che Brock Rumlow, alias Crossbone, l’uomo che secondo le autorità è coinvolto nell’omicidio di Capitan America, è stato liberato durante un clamoroso assalto a una struttura di detenzione S.H.I.E.L.D. L’organizzazione deve ancora diramare un comunicato, ma fonti anonime confermano che questa scioccante notizia è, a tutti gli effetti, vera.”
James abbandona la birra a metà, correndo all’esterno, sfilando le chiavi della moto dalla tasca… tra tutti i piedi che aveva pestato sperava di tenersi alla larga dal suo passato, ma evidentemente tutti i suoi sforzi per mettere lo S.H.I.E.L.D. nella giusta direzione erano stati vani, considerato il pessimo lavoro con cui avevano gestito Rumlow.
Ormai Crossbone doveva essere già tornato da Lukin, era troppo tardi per tergiversare, l’ultima opzione che gli rimaneva era quella di gettarsi a capofitto nel nido di vespe.
James sapeva che un giorno avrebbe dovuto farlo… in parte per rimediare a ciò che aveva fatto, in parte perchè sangue chiama sangue e la voglia di vendicarsi di tutte le torture al Cremlino era rimasta.
Trova spaventosamente facile raggiungere l’attico sopra il palazzo della Kronas Corporation, nascondendosi tra le ombre fino a quando Lukin rincasa, afferrandolo per il bavero della giacca sbattendolo al muro.
-Sorpreso di vedermi? -chiede con tono di sfida, nonostante Lukin stia palesemente sorridendo per qualcosa che a lui sfugge.
-Non del tutto… No. Sono sorpreso che non fosse un colpo mortale, hai perso il tuo tocco Soldato.
-Scordatelo, non sono qui per questo.
-Non vuoi vendicarti? Se cerchi lavoro ti accolgo a braccia aperte. -afferma con tono fintamente sorpreso, istigandolo.
-Non scherzare, perché hai dato l’ordine di uccidere Capitan America?
-La morte di Rogers ti turba, Soldato? Oh, dimenticavo… stiamo parlando di tuo fratello, giusto?
-Dammi un buon motivo per cui non dovrei spezzarti l’osso del collo seduta stante. -afferma ribollendo di rabbia, trattenendosi dal afferrarlo per il collo e stringere… arrivato fino a quel punto pretendeva una motivazione.
-Te la ricordi la missione a Kronas nel ‘43? Io si… sei sempre stato un sicario, anche quando combattevi per la tua bandiera. Uno scherzo della vita, non trovi? Quante probabilità c’erano che recuperassimo proprio il tuo cadavere dalle Alpi? Almeno in quegli anni hai servito la giusta causa, hai plasmato il secolo, non che tu ci abbia reso il compito facile… sai, mi chiedevo chi dei due arrivasse prima… tu o Natalia.
-Non osare… -non completa la frase, il ghigno di Lukin lo disorienta.
James non capisce cosa ci sia da sorridere fino a quando sente armare i grilletti di Sin e Rumlow alle sue spalle, realizzando che Lukin aveva solo temporeggiato… è caduto nella trappola, lo stavano aspettando, erano loro la fonte anonima che aveva avvisato i telegiornali.
-Vai al diavolo! -esclama, arrabbiato più con se stesso che con Lukin… non voleva credere di essere stato così stupido, stava perdendo colpi.
-Mandamici. Stringi le dita, uccidimi... dimostrami che sei ancora in grado di ammazzare qualcuno a sangue freddo.
James lo desidera con tutto se stesso, vorrebbe ripagare Lukin per l’inferno che gli ha fatto passare in tutti i suoi anni di servizio come Soldato d’Inverno, vorrebbe stringere le dita e farla finita con quel determinato capitolo della sua vita… ma è esattamente ciò a cui punta Lukin.
James non è più un burattino, è una persona… ma esitare si rivela un errore enorme, perché Lukin ha ancora voce per ribattere.
-Sputnik.4
James perde la presa, vede bianco e si sente cadere, ma è già incosciente quando impatta con il pavimento.

***

10 febbraio 2017, Kronas Corporation, New York

-Ti chiami James Buchanan Barnes, sei nato a Shelbyville in Indiana, ma hai sempre vissuto a Brooklyn da quando hai memoria. Il caso ha voluto che ti ritrovassi come vicino di casa Steve Rogers, ma è stata una tua scelta quella di rincorrere quel ragazzino in mezzo ai vicoli per salvarlo dalle risse. Le vostre madri erano diventate amiche, entrambe mogli di due soldati, entrambe con figli a carico… Sarah è diventata la tua seconda mamma, sia per te che per Rebecca, hai pianto al funerale quando la tubercolosi se l’è portata via, lasciando Steve solo al mondo portandolo in casa vostra. È stata questione di mesi prima che la malattia portasse via anche la tua, di madre… non hai avuto il tempo di riprenderti che arriva una lettera dall’esercito, ricordi l’espressione sconvolta di tua sorella mentre tenti di dirle che vostro padre è morto camminando sopra una mina antiuomo… ed eccoti a vent’anni a spaccarti la schiena in fabbrica, a portare a casa lo stipendio per impedire che gli assistenti sociali ti portino via Rebecca, a sperare che Steve non si cacci nell’ennesima rissa perchè non hai davvero il tempo per stare dietro a tutto. I soldi sono pochi e nel giro di qualche mese perdi la custodia e spediscono tua sorella in collegio, vedi quella ragazzina di dodici anni salire sull’auto che ti saluta triste dal finestrino… da una parte ti senti morire e ti riprometti di andarla a trovare, ma dall’altra ti vergogni di te stesso e tiri un sospiro di sollievo perchè, sotto sotto, è una preoccupazione in meno a cui pensare. La quiete non è destinata a durare, hai venticinque anni quando ti arruoli e parti con la prima nave che salpa per l’Europa… te lo ricordi, il tuo ultimo giorno da civile, Rebecca ti aveva inzuppato la camicia di lacrime terrorizzata… le avevi promesso che saresti tornato prima che lei potesse avvertire la tua mancanza. Abbandoni anche Steve, che desidera seguirti con tutto sé stesso, nonostante tu gli ripeta fino allo sfinimento che partire per l’Europa significa morire. È deciso a darti torto e fai fatica a crederci, ma è lui a salvarti dall’HYDRA, ritrovandoti a seguirlo a ruota quando ti chiede di affiancarlo in battaglia con gli Howlings. Non ti sembra vero di poter seguire tuo fratello sul campo, guardargli le spalle, nonostante adesso le sue spalle siano più grosse delle tue e l’unica protezione di cui ha realmente bisogno è che non arrivi un proiettile a tradimento… nonostante tutto è ancora tuo fratello, il che rende la cosa ancora più tragica quando scopri che è un traditore5
-NO!
James urla a pieni polmoni, dibattendosi legato al tavolo operatorio, con le cinghie di cuoio che gli segnano il polso e le caviglie mentre rischia di strapparsi il braccio bionico dalle carni ad ogni movimento troppo energico, bloccato da una pressa e reso inattivo da dei microcircuiti collegati alle placche di metallo.
-Interessante… pensavo ti spezzassi molto più facilmente, dopo quanto mi hanno detto su di te e sul lavoro di Rodchenko6… devo ammettere che mi stai dando del filo da torcere. -commenta Faustus entrando nel suo campo visivo, controllando i suoi parametri vitali, incurante dello sguardo omicida che James gli rivolge.
-Esci… dalla mia… testa. -arranca a corto di fiato, mentre il suo corpo finisce di smaltire il siero allucinogeno.
-Non mi piace lavorare a scadenza, ma sono fiducioso che insieme potremmo trovare il modo di accelerare questo processo James, anche se mi stai rendendo il compito impossibile. -commenta sprezzante Faustus, controllandogli la dilatazione delle pupille, per poi pungolarlo allo stomaco con la torcia unicamente per dargli fastidio.
Lukin voleva che il suo Soldato tornasse operativo, riscontrando che il metodo dello psichiatra funzionava meglio delle sedute di elettroshock e della stasi criogenica proposte da Zola.
-Stiamo perdendo entrambi tempo, sono giorni che ci provi… tanto vale che mi uccidi.
-No, ormai è diventata una sfida personale... e sappiamo entrambi che l’alternativa non piace a nessuno dei due. -spiega lo psichiatra, registrando i nuovi parametri sulla cartella clinica.
James è ben consapevole che se Faustus non fosse riuscito nell’intento, allo scadere dell’ultimatum sarebbe intervenuto Zola, con effetti nefasti sia per la psiche di James, che per la reputazione rovinata e l’orgoglio ferito dello psichiatra… era da un paio di giorni che l’idea della morte definitiva non lo terrorizzava più, ma anzi, si era trasformata in una previsione rassicurante ed allettante.
-Infermiera, doppio dosaggio.
Percepisce le mani di una donna sfiorargli il braccio alla ricerca di una vena, avvertendo l’ago che rilascia il siero mandando a fuoco il suo intero sistema nervoso, chiudendo gli occhi per non ferire con la luce le pupille dilatate.
-Fatto, dottore.
-Ricominciamo. Te la ricordi la tua ultima missione con gli Howlings? Dovevate catturare Zola, eravate riusciti ad intercettare il treno che sfrecciava tra le Alpi. I soldati dell’HYDRA vi avevano attaccati, c’è stato uno scontro e tu, stupidamente, hai raccolto lo scudo di Steve dal pavimento per schermarti dai proiettili. Un colpo più forte degli altri ti sbalza fuori dal treno, riesci ad appenderti al metallo divelto e Steve ti tende una mano, la afferri e perdi il tuo appoggio… ed è in quel momento che Steve molla la presa facendoti precipitare nel vuoto.
-Non è andata così… -tenta di ribattere fiaccamente, mentre il siero allucinogeno gli fa rivivere mentalmente lo scontro e Faustus inizia a parlare più forte insinuandosi tra i suoi ricordi.
-Sei stato recuperato e ti hanno costretto a combattere contro i tuoi stessi connazionali, è un destino peggiore della morte, non puoi negarlo. Se solo Steve avesse mantenuto la presa… no, lui è sopravvissuto e ti ha lasciato morire. Eri indegno, incompreso, indesiderato… non capisci? L’unica volta in cui sei stato veramente apprezzato era quando ti chiamavano Soldato d’Inverno.
Basta… James è stanco, non ne può più di rivedere i volti di tutte quelle persone che popolano le sue allucinazioni e i suoi incubi ininterrottamente negli ultimi giorni, divorato dai sensi di colpa sempre più opprimenti… così tante scelte sbagliate, così tanti rimpianti. Quando lo chiamavano Soldato d’Inverno non provava colpa… non provava nulla e quando riapre gli occhi sa esattamente cosa fare.
-Che ci faccio legato? E perché diavolo mi stai guardando in quel modo? -chiede irritato cercando di liberarsi dalle cinghie.
-Sai chi sono?
-Dottor Faustus, lavori per il mio capo, Lukin. Ora che ne dici di liberarmi?
Faustus acconsente, aprendo le cinghie e liberando il braccio metallico dalla pressa, permettendogli di alzarsi dal tavolo operatorio.
-Così va meglio. Ora, dove sono i miei...
-Un momento, Soldato. Io non do nulla per scontato, voglio sottoporti ad un piccolo test. Eseguirai i miei ordini così come faresti per Lukin?
-Certamente.
-Allora prendi la pistola e uccidi la tua infermiera, vorrei che le facessi saltare le cervella. -afferma allungandogli un’arma indicando la donna che l’aveva aiutato a torturarlo. -Ti ricordi dell’Agente 13, vero? Sharon Carter?
-Nessun problema. -afferma convinto togliendo la sicura.
-Un momento… Faustus annulla l’ordine, ti prego. È una follia, dannazione!
Il panico nella voce della donna passa in secondo piano, mentre punta la pistola e spara in un gesto fluido e preciso.
-Già… a salve, avrei dovuto immaginarlo. -commenta James osservando il volto imperturbabile di Faustus oltre la pistola, mentre i microcircuiti diramano una scossa elettrica sull’intero braccio di metallo.
-Davvero pensavi che ti mettessi in mano una pistola carica? -chiede lo psichiatra sorridendo sotto ai baffi.
-Ci speravo. -commenta sprezzante James, rimanendo sdraiato sul pavimento, gli occhi puntati ostinatamente in direzione di Sharon che, ripresasi dallo spavento, ricambia lo sguardo riconoscendolo per la prima volta dopo giorni.
-Almeno avresti potuto fingere di spararle, per salvare le apparenze, visto che eri così certo che la pistola fosse a salve.
-Vai al diavolo...
-È un peccato Barnes, sei tu quello che ci rimette di più tra i due. -afferma Faustus infastidito, voltandosi in direzione delle guardie che stazionano sulla porta della sala operatoria. -Caricatelo sul jet e informate Zola, ce ne andiamo.




Note:

  1. Dal punto di vista fumettistico, durante la Guerra Civile Tony si è ritrovato a compiere moltissime scelte discutibili, come la carcerazione dei compagni dello schieramento opposto nella zona negativa e l’alleanza con vari criminali per aiutare a catturarli. Secondo la mia versione dei fatti, il coinvolgimento di Peter rientra nella lista di azioni discutibili, in quanto dato l’incarico di Direttore non ha il tempo e la possibilità di seguirlo come mentore, lasciandolo a briglia sciolta come si vede in Homecoming, pur tenendo un occhio di riguardo su di lui.

  2. Daredevil possiede un’ottima percezione dello spazio che lo circonda, il bastone per ciechi è una mera formalità. Durante la Guerra Civile prende le parti di Steve, motivo per cui Tony sia all’oscuro della sua identità segreta.

  3. Lettera ripresa dai fumetti, è quella canonica a cui si rifà la lettera recapitata da Stan Lee alla fine di CW.

  4. Comando per “disattivare” il Soldato d’Inverno, in accompagnamento alla lista di “attivazione” costituita dalle dieci parole che si sentono all’inizio di CW.

  5. Approfondimento preannunciato sulla famiglia Barnes: la storia che ho ricostruito è un mio personale tentativo di raggiungere un buon compromesso tra la versione cinematografica e quella fumettistica.

  6. Rodchenko: scienziato del KGB specializzato nel sostituire e modificare i ricordi delle Vedove Nere, si è occupato anche di James durante la sua permanenza al Cremlino nel 1956.

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Capitolo 12
*** 12 ***


10 febbraio 2017, sistema fognario di Manhattan, New York

Quattro giorni di ricerche senza sosta, quattro giorni di vicoli ciechi e buchi nell’acqua, precisamente da quando Natasha aveva ricevuto una chiamata nel cuore della notte da parte di Tony. Era stata convocata al Complesso per essere aggiornata sulla crisi in corso, ma in realtà aveva dovuto placare il litigio tra il suo attuale capo e Falcon, il primo che sosteneva malvolentieri che la cugina avesse ucciso il Capitano, il secondo che si rifiutava di credere a quella assurda versione dei fatti. Lei e Sam si erano fatti carico dell’onere di ottenere una pista per rintracciare Sharon, mentre Tony si era dovuto assumere i suoi doveri di Direttore tentando di rassicurare l’opinione pubblica senza ritrovarsi una seconda guerra tra le mani, ma dopo quattro giorni di ricerche infruttuose non sapevano ancora per chi lavorasse Faustus.
Non erano riusciti a rintracciare il GPS di Sharon, ripiegando sulle telecamere di sicurezza, ricostruendo i movimenti dell’Agente 13 fino a quando l’avevano vista sparire dentro un tombino, seguendo la flebile traccia attraverso il sistema fognario, fino a ritrovarsi nella hall della Kronas Corporation.
Quando lei e Sam riemergono dal sottosuolo si ritrovano nel bel mezzo di un fuggi fuggi generale, rendendosi conto di essere arrivati troppo tardi... stavano già evacuando la base, in quel momento un jet stava decollando dal tetto del palazzo.
Sam si era lanciato all’inseguimento mentre Natasha raggiungeva i server per fare una copia dei file, ma dalle vetrate degli uffici riesce a scorgere il portellone aprirsi… vede la figura di James precipitare nel vuoto con le mani legate dietro la schiena, trattenendo un sospiro di sollievo quando Sam lo afferra al volo tentando di rallentare la caduta, schiantandosi inevitabilmente sul tetto del magazzino adiacente e, mentre li raggiunge, Natasha non può fare a meno di pregare che si siano salvati entrambi.
-Piano, Sam. Ce la fai ad alzarti? -chiede aiutando l’uomo a rimettersi in posizione eretta, mentre quest’ultimo si porta una mano alla tempia colto da un forte giramento di testa.
-Si… wow, che bel volo. Come sta Bucky?
-Sto bene. -li avvisa la voce soffocata dell’uomo, ancora steso a terra con le mani legate dietro alla schiena.
-Questo lo decido io… -afferma la donna inginocchiandosi al suo fianco per controllare se ci fossero delle ferite. -Okay, così a vedersi niente sangue... -gli tasta il torace e le costole, ottenendo un lamento soffocato da parte dell’uomo. -... congratulazioni, costole incrinate.
-Sto bene Na...ah! -si morde la lingua per impedirsi di urlare, mentre Natasha ritrae la mano dalle sue costole soddisfatta.
-Non stai bene, smettila di fare l’eroe.
-Okay… -James si gira su un fianco, trattenendo una smorfia di dolore quando tenta di alzarsi da terra, sbuffando spazientito quando non ci riesce da solo. -...Pensi di darmi una mano a rimettermi in piedi o di togliermi le manette di dosso?
-Va piano, deve girarti la testa… -commenta Natasha aiutandolo ad alzarsi da terra, togliendogli le manette contenitive che gli laceravano il polso di carne, sostituendole con delle manette normali evitando di stringerle più del dovuto. -Comunque, giusto perchè tu lo sappia, sei in arresto.
-Fantastico, da una cella all’altra.
-Fammi un favore, le manette sono una formalità, sta calmo ed evita di spezzarle subito, intesi? -gli sussurra la donna all’orecchio, stando attenta a non farsi sentire da Sam, ma senza riuscire a ricavare una risposta dall’espressione indecifrabile di James.
-Come hai fatto a liberarti? -chiede Falcon sorpreso, avvicinandosi a loro portandosi a portata d’orecchio.
-Sharon ha abbassato la leva… -afferma James, rilassando i muscoli, assecondando la richiesta di Natasha. -...Mi ha guardato prima di farmi precipitare, sapeva quello che faceva.

***

11 febbraio 2017, Ufficio di Tony Stark, Complesso degli Avengers, Upstate New York

-Notizie di Sharon? -chiede Sam appena varca la soglia dell’ufficio, mentre Tony chiude le schermate olografiche dai risultati inconcludenti.
-Niente, i radar non hanno rilevato nulla ed hanno attivato la schermatura… le immagini satellitari sono diventate inutili, li abbiamo persi. -afferma Tony irritato indicando gli schermi spazientito, reclamando la poltrona imbottita della scrivania.
-Bucky?
-Non l’ho ancora visto, Natasha crede sia meglio se ci parla prima lei… visti i loro trascorsi. -commenta stropicciandosi gli occhi, negli ultimi giorni non aveva dormito un granchè.
-Perchè? Hanno avuto dei trascorsi? -chiede stupito Sam, versandogli una tazza di caffè in risposta alla sua palese stanchezza.
-È una lunga storia, Sam. Se vuoi sapere chiedi a Natasha, ma è a tuo rischio e pericolo, io ti ho avvisato. -commenta Tony portandosi la tazza alle labbra, bevendo un lungo e generoso sorso di caffè caldo.
-Non sono sicuro di volerla conoscere allora… bene, ho fatto rapporto e il mio dovere l’ho fatto, ci vediamo Stark.
Tony congeda Sam con un cenno della mano, reclinando la testa contro lo schienale della poltrona riposando gli occhi.
Non ha idea di quanto tempo sia passato, ma il pulsare della lucina intermittente dell’interfono lo riscuote dallo stato di torpore, consapevole che si tratti di notizie nefaste ancora prima di premere il tasto per ascoltare il messaggio in arrivo.
-Tony abbiamo un problema, si è liberato… probabilmente è in giro per la base a cercarti. -annuncia tesa Natasha senza dover specificare a chi si stia riferendo.
Tony non ha il tempo di replicare o di chiederle spiegazioni, la comunicazione si interrompe, le lampadine dell’intero piano sfarfallano e si spengono, mentre Tony picchietta istintivamente sul reattore attivando le nanoparticelle dell’armatura1, accedendo automaticamente all’interfono d’emergenza.
-A tutte le stazioni, qui è il Direttore Stark, abbiamo un allarme rosso di codice 227. Avvicinarsi al soggetto con cautela o desistere, l’uso della forza letale non è consentito… ripeto, non è consentito. Mi serve vivo.
Si inoltra nel corridoio buio, illuminato malamente dalle luci d’emergenza e dal reattore, orientandosi facendo appello alla sua memoria fotografica e le tracce di calore segnatategli da F.R.I.D.A.Y., ma ciò non gli impedisce di venire ugualmente colpito.
-Sei stato tu a dare l’ordine di portarmi qui? Sei davvero così stupido? -prorompe la voce del Soldato d’Inverno da un punto imprecisato di fronte a lui, riuscendo a percepire solo la sagoma e il luccichio del braccio di metallo.
-Non sono stupido, Barnes. -afferma offeso colpendolo con un calcio alla caviglia, facendolo rovinare a terra, stagliandosi sopra di lui.
-Dobbiamo continuare a sprecare il nostro tempo così, o vogliamo comportarci da adulti?
Bucky si rialza immediatamente colpendolo senza sortire alcun effetto decisivo, iniziando a sparargli contro per ripiego, intenzionato a scaricargli addosso l’intero caricatore, nonostante sia ben consapevole che i proiettili rimbalzino sull’armatura di metallo.
-Ne hai ancora per molto? -lo provoca Tony spazientito, lasciandogli sfogare la rabbia che sa di meritarsi.
Il suo tono di voce lo innervosisce, James scatta e lo colpisce di nuovo riuscendo a farlo arretrare, strappandogli l’elmetto dalla testa prima di farlo finire a terra, inginocchiandosi sopra di lui puntandogli la pistola alla fronte, mentre Tony reagisce d’istinto posizionandogli i propulsori sulle tempie.
-Avanti, spara. Fallo e ti fondo il cervello. -afferma deciso, osservando l’espressione interdetta di Bucky che esita e non risponde, bloccandosi in attesa, valutando se Tony stia parlando seriamente o meno. -Bene. Ora che siamo arrivati a uno stallo, possiamo discuterne civilmente?
-Servirebbe seriamente a qualcosa discuterne? -chiede ironico senza muoversi di un millimetro, i muscoli in tensione, ma ancora in attesa.
-Si, perchè si da il caso che mi sia toccato l’onere di salvarti da te stesso… è l’ultimo desiderio di Steve.
-Cosa? -domanda con espressione basita e confusa, ancora sopra di lui, ma concedendogli il beneficio del dubbio abbassando l’arma.
-So che mi odi per via della sua morte, ti capisco, ma ho una lettera che devi assolutamente leggere. E onestamente… Steve non ci perdonerebbe mai se ci uccidessimo a vicenda. Tregua?
-Tregua. -concede James, dandogli il permesso di fidarsi e togliergli i propulsori dalle tempie.
-Perfetto… ora, gentilmente, ti toglieresti di dosso?

***

Natasha corre trafelata lungo i corridoi con la scorta a seguito, mentre la centralina elettrica torna in funzione illuminando di nuovo l’ambiente… una sola cosa gli aveva chiesto di fare, una, l’aveva pregato di stare calmo ed ovviamente non l’aveva ascoltata, maledicendo la sua testardaggine per la trentesima volta nel giro degli ultimi cinque minuti.
-Andiamo gente, il computer dice che sono nell’ufficio del Direttore! Solo colpi non letali, tenetelo a mente! Fermi!
Natasha irrompe nell’ufficio di Tony con gli agenti dello S.H.I.E.L.D. a seguito, arrestandosi interdetta di fronte all’ultimo degli scenari che aveva ipotizzato, trovando Tony e James a discutere civilmente al tavolo delle trattative.
-Che sta succedendo?
-È tutto okay, Nat. Stiamo bene. -afferma Tony con ancora l’armatura addosso, mentre James continua ad ignorarla, seduto alla scrivania intento a leggere qualcosa.
-Così pare.
-Tu puoi restare… voialtri tornate alle vostre postazioni. -afferma perentorio rivolto agli agenti S.H.I.E.L.D., facendo cenno a lei di avvicinarsi.
-Cosa diavolo succede qui?
-È una lettera di Steve. -la informa James accennando al foglio di carta che tiene tra le mani.
-Oh… da quanto tempo ce l’hai? -chiede Natasha fulminando Tony con lo sguardo, bruciando le tappe sospettando di conoscere già la risposta.
-L’ho ricevuta circa... si, una settimana fa.
-Avresti potuto dirmelo.
-Non era compito mio.
-È vera? -chiede James interrompendo il battibecco sul nascere, puntando uno sguardo diffidente in direzione di Tony.
-Sono capace di tante cose, ma non potrei mai falsificare una cosa del genere… è autentica, me l’ha consegnata un avvocato di persona.
-Che avvocato? -interviene Natasha curiosa, valutando se credergli o meno.
-Murdock. -afferma Tony con tono di sfida, un mezzo sorriso soddisfatto nel notare le sue labbra contratte in una tacita rinuncia a ribattere, tornando a puntare lo sguardo su James. -Ora che hai deposto l'ascia di guerra, vuoi spiegarci cosa diavolo avevi intenzione di fare?
-Uccidere Lukin, c’è lui e la Kronas dietro a tutto questo. -commenta James distogliendo lo sguardo da Tony, puntandolo in automatico su Natasha.
-Mi prendi in giro...
-Vorrei fosse così.
-E voi come fate a conoscere Lukin? No, non lo voglio sapere.2 -afferma Tony portandosi le mani alla testa esasperato, concedendosi un breve respiro profondo prima di replicare. -Se c’è davvero lui dietro a tutto questo c’è un problema… la notizia è arrivata qualche ora dopo averti recuperato. F.R.I.D.A.Y. apri i canali di notizie, ricerca soggetto...Lukin.
Gli schermi si accendono trasmettendo un servizio TG, mostrando le immagini in diretta del ripescaggio dei rottami di un aereo dall’oceano.
...una tragedia per il colosso energetico internazionale, la Kronas Corporation, quando l’aereo aziendale è precipitato nell’Antartico. Tra i corpi recuperati nel relitto, quello del riservato presidente Aleksander Lukin, che ha fondato la compagnia dopo un esilio volontario dalla natia Russia dopo il 1991…”
-Non è morto, è un trucco… -afferma James a braccia conserte, lo sguardo che sembra voler dar fuoco allo schermo.
-Lo so... ora che sei con noi doveva coprire le sue tracce. Ciò significa che qualunque cosa stia progettando di fare, comincerà presto. Allora, vuoi fermarti qui?
-Hanno la fidanzata di Steve… il vostro Agente 13, è riuscita a troncare il controllo mentale di Faustus, mi ha liberato… dobbiamo trovarla, non se la starà passando bene ora come ora. -li informa ignorando palesemente la proposta di Tony, che storce appena la bocca nel sentirsi ribadire l’urgenza di rintracciare la cugina.
-Barnes, rispondi alla domanda. -Tony interrompe bruscamente i suoi ragionamenti, pretendendo una risposta a questioni più urgenti.
-Ascolta, Steve non ha scritto che dovrei...
-So cosa ha scritto, ma detto francamente, non vorrai certo lasciare quel ruolo a qualcun altro. Che dici, accetti?
James prende seriamente in considerazione l’idea, ha l’aria sfinita di chi non aspettava altro che qualcuno gli chiedesse di fermarsi, mista all’espressione determinata di chi è consapevole che senza il suo aiuto tutte le sue fatiche fatte fino a quel momento verranno gettate al vento.
Natasha conosce già la risposta prima di sentirgliela proferire ad alta voce, conscia che non sia per niente una buona idea.
-Okay ma a due condizioni: primo, trovi qualcuno che mi tolga questo schifo dalla testa, secondo, io non prendo ordini da te. Non li ha presi Steve e di certo non lo farò io, intesi?
-È accettabile, me ne farò una ragione. Allora iniziamo dal punto uno… F.R.I.D.A.Y. manda l’ordine di preparare un jet per il Wakanda e avvisa Shuri.1
Nel giro di mezz’ora James sale sul jet diretto in Africa, dopo una chiacchierata telefonica tra Stark e la principessa, garantendogli di trovare una cura in tempi brevi ai vari condizionamenti mentali subiti e la rimozione sicura dei microcircuiti che gli impediscono ancora di usare a pieno la protesi.
-Non so quanto sia una buona idea. -dichiara Natasha, dando voce ai suoi pensieri al riguardo, mentre osserva il profilo di Tony che rivolge uno sguardo pensieroso alla piattaforma di decollo.
-Gli serve uno scopo, uno che non sia tramare e uccidere… la rabbia è una brutta bestia, se questo non funziona non so che fare... -ammette l’uomo, infilando le mani in tasca, facendo spallucce rivolgendole lo sguardo. -...e poi ha già lo scudo, dubito fortemente che ci rinunci.
-Come contraddirti.




Note
1. Mark 50, visibile in Infinity War. Tutti i riferimenti all’alloggio per nanoparticelle, il Wakanda e la collaborazione tra Shuri e Stark trovano spiegazione in “Upgrade” (spin-off per tappare i buchi della mia trama)

2. Lukin (Karpov e Petrovich) sono i responsabili della separazione di Bucky e Natasha, tutta la storia è largamente documentata in "1956".

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Capitolo 13
*** 13 ***


15 febbraio 2017, Quinjet, in volo verso Washington DC

Natasha è stanca del silenzio che la circonda, si sta arrovellando il cervello per trovare un argomento di discussione da quando sono partiti, ma sono quasi arrivati a Washington e per l’intero viaggio lei e James non hanno proferito nemmeno mezza parola.
Shuri aveva dato prerogativa allo stato mentale trascurando il braccio di metallo, in compenso aveva trovato un modo per stabilizzare i suoi ricordi in tempi record, ma nel frattempo la caccia a Lukin si era trasformata in una corsa ad ostacoli e il tempo era diventato un fattore determinante… Natasha aveva intercettato una pista e qualcuno era stato inviato a prelevare James in Wakanda e, mentre loro due erano stati inviati in missione, al Complesso la principessa e Stark stavano lavorando ad una nuova protesi mentre ultimavano gli studi per la cura definitiva al disastro mentale costituito dal cervello di James.
A Washington si era radunata una folla davanti al Campidoglio, la gente protestava per il crollo delle quotazioni di mercato della Kronas Corporation, lamentandosi della crisi apparentemente irreversibile in cui erano precipitati dopo la presunta morte di Lukin… secondo la pista che aveva rintracciato, i sottoposti dell’ex generale del KGB avrebbero approfittato del caos per attaccare le riserve auree per alimentare la crisi, era previsto che si sarebbero dovuti scontrare sia con Sin che con Rumlow e Tony aveva pensato fosse un ottimo pretesto per riportare Capitan America alla ribalta, ritenendola una perfetta mossa strategica per portare dalla loro parte l’opinione pubblica che di quei quei tempi scarseggiava.
Per l’intera tratta Natasha si era concentrata sulla cloche e sui comandi, mentre James se ne stava seduto irrequieto alle sue spalle, studiando con lo sguardo ogni angolo del mezzo, in silenzio, scandendo il tempo trascorso con il piede in un tic nervoso malcelato e fastidioso.
-Nervoso…?
-Natalia…
Si interrompono entrambi, in attesa che uno dei due riprenda e concluda quel principio di discorso abbozzato, mentre Natasha si morde la lingua in attesa di sentire James proferire parola di nuovo.
-Sei pronto, Bucky? -si rassegna a parlare per prima, cercando di mettere una sorta di distacco chiamandolo con il suo soprannome.
-Credo sia la prima volta che mi chiami così. -puntualizza immancabilmente lasciandosi sfuggire la considerazione tra i denti, raggiungendola ai comandi, lasciandosi cadere sul sedile del copilota.
-C’è una prima volta per tutto.
-Certe abitudini non dovrebbero cadere in disuso, sai? -afferma convinto e disinteressato, mentre Natasha sorvola su cosa implichi una concessione del genere… stanno per scendere sul campo di battaglia, non può permettersi certe distrazioni.
-Sei pronto, James? -riformula la domanda senza staccare gli occhi dai comandi, mentre ascolta il piede di James che ritorna a scandire il tempo regolare.
-Come sempre, credo… come dovrei interpretare il fatto che alla mia prima missione spunti tu, Natalia? -ribatte deciso andando dritto al punto, mentre Natasha si concentra sul non far affluire il sangue alle guance, mordendosi di nuovo la lingua per omettere che non aveva minimamente opposto resistenza quando Stark le aveva assegnato James in missione.
-Non sono qui per darti ordini… solo per un passaggio e, nel caso, un aiuto via satellite.
-Quindi non per tenermi d’occhio per conto dello S.H.I.E.L.D.? -chiede l’uomo curioso, omettendo quell'altra possibile motivazione per cui lei si trovi lì, lasciandola aleggiare tra loro senza esprimerla ad alta voce.
-Sei fuori dai radar dello S.H.I.E.L.D., non hanno più nessuna traccia sul tuo conto, l’accordo con Tony era personale… sei un non registrato, non può sostenerti pubblicamente. -devia il discorso in un terreno più sicuro, informandolo della sua posizione precaria, sottolineando il fatto che non possono più tirarlo fuori dai guai se agisce in modo troppo impulsivo.
-Ma tu sei un Avenger Natalia, Stark come pensa di giustificare la tua presenza se la notizia trapela?
-James, prima di tutto io sono la Vedova Nera… non li sorprenderebbe. Ti sei convinto o hai dei ripensamenti?
-Niente ripensamenti, ormai non si torna più indietro.
Il tono con cui pronuncia la frase la disorienta, ma non se la sente di chiedere delucidazioni in merito, restando con il dubbio se la frase sia relativa solo a quell’argomento o si riferisca a un discorso molto più ampio.
-Sai, mi ha sorpreso vederti disegnare il nuovo costume con Tony… -cambia discorso correndo ai ripari, osservando con la coda dell’occhio la nuova tenuta e lo scudo di vibranio appoggiato contro la fiancata del sedile.
-Non potrei mai indossare l‘uniforme di Steve, ma non avrei mai lasciato lo scudo a nessun altro. -afferma mentre Natasha attiva la schermatura scendendo di quota, inserendo il pilota automatico.
-Ti sei allenato ad usarlo? Perchè la pistola sul fianco mi fa sollevare qualche dubbio a riguardo. -chiede ironica, abbandonando la cloche alzandosi dal posto di guida, puntando l’indice sull’arma mentre James si fissa lo scudo sulle spalle.
-So usarlo, ma ho sempre portato delle armi ed ora che mi sono dipinto un bersaglio bianco, blu e rosso addosso credo di averne estremo bisogno.
-Non hai tutti i torti. -ribatte Natasha porgendogli l’elmetto di Capitan America… una volta indossato, a primo impatto la somiglianza con Steve è destabilizzante, costringendo Natasha a sforzarsi di trovare tutte le caratteristiche che rendono James diverso, unicamente per togliersi di dosso la sensazione di avere davanti un fantasma.
-Augurami buona fortuna.
Natasha non ha tempo di ribattere, James salta senza paracadute dal portellone aperto e la sensazione di deja-vu si ripresenta ingombrante, mentre corre di nuovo alla cloche seguendo i movimenti di James dall’alto.
L’elemento sorpresa funziona e gli agenti AIM si voltano confusi convinti di vedere un fantasma, permettendo a James di sbaragliare diversi avversari già nei primi minuti di combattimento. Natasha si ritrova ad ammettere che l’uomo sa effettivamente usare lo scudo bene quasi quanto Steve… ma lo scontro sta procedendo troppo bene, la donna assottiglia lo sguardo cercando Crossbone e Sin tra i soldati, realizzando preoccupata che il combattimento si sta spostando verso la folla.
-James c’è qualcosa che non va. -lo avvisa alla ricetrasmittente, mentre nota con orrore gli ex agenti S.H.I.E.L.D. che si posizionano davanti ai cancelli del Campidoglio.
-Me ne sto occupando. -lo sente rispondere all’auricolare, lanciando lo scudo contro i soldati superstiti, eliminando definitivamente tutti gli avversari iniziali, ma dando ancora le spalle al problema più recente e rilevante.
-Non l’AIM, guarda i cancelli, James!
Lo vede girarsi realizzando l’inevitabile, manca la presa sullo scudo, reagendo d’istinto estraendo la pistola… ma si blocca sul posto quando gli agenti S.H.I.E.L.D. fanno fuoco sulla folla… se ne sono accorti troppo tardi, ormai non possono più fare nulla.
-Torna qui, dobbiamo andarcene James…
-Non possiamo andarcene ‘Tasha. -obietta fremendo per entrare in azione, sconvolto al punto da scivolare nel diminutivo che le aveva affibbiato una vita fa. -Non possiamo…
-Dobbiamo… rischiamo di fare ancora più danni.
Lo vede raccogliere lo scudo da terra, iniziando a correre raggiungendo il punto di randevu.
-È stato un pessimo inizio.
-Nessuno ha detto che fosse facile.
-Steve lo faceva sembrare facile. -afferma lasciandola a corto di parole, interpretando il suo silenzio come una conferma alle sue parole successive. -Non sono come Steve.
-Non è per forza un fattore negativo. -commenta in risposta all’auricolare, lanciandogli la scaletta per ritornare a bordo, tenendogli aperto il portellone.
-Grazie per la fiducia Natasha. -commenta con un mezzo sorriso triste sul volto, mentre la donna gli offre la mano per aiutarlo a risalire nel Quinjet.
-Natasha?
-Ormai ti fai chiamare così, no?
-Certe abitudini non dovrebbero cadere in disuso, sai? -afferma riprendendo le stesse parole usate in precedenza dall’uomo, sentendosi in dovere di ricambiare e concedergli un tacito permesso… ma si scosta da lui quando James accenna un passo nella sua direzione, sottraendosi dal tentativo di contatto e fugge, tornando a prendere il controllo della cloche.
-Torniamo a casa.
James non risponde, sgancia lo scudo dalle spalle, tornando a sedersi sul sedile del copilota chiudendo gli occhi.
-Svegliami quando atterriamo Natalia.

***

18 febbraio 2017, Campidoglio, Washington DC

-Secondo te come si garantisce una rivolta?
-Si fornisce un capro espiatorio. -risponde immediatamente Natasha dall’auricolare.
-In questo caso qual è?
-È un’interrogazione, James? Poi mi metti il voto?
-Vedila come vuoi. -afferma l’uomo che si aggira tra i manifestanti, mani in tasca e giubbotto di pelle a nascondere il braccio di metallo.
-Noi, James. -Natasha gli concede una risposta e l’uomo non ha nessuna difficoltà ad immaginare la sua espressione spazientita mentre leva gli occhi al cielo. -Dopo la sparatoria hanno tutti puntato il dito contro lo S.H.I.E.L.D., il fatto che Tony non abbia pubblicamente espresso una parola a riguardo non gioca a nostro favore… senza contare le accuse mosse dal Senatore Wright.
-Ed è per questo che io sono qui sotto e tu la sopra. -commenta l’uomo levando gli occhi al cielo, puntando lo sguardo sul Quinjet che sorvola il Campidoglio con la schermatura in funzione, una minuscola discrepanza nascosta dalle nuvole.
Dopo la sparatoria di tre giorni prima, il Senatore Wright era sceso in piazza tenendo un comizio tra la folla accampata davanti al Campidoglio, aveva presentato la sua candidatura come Presidente affermando che dopo i recenti sviluppi il servizio di intelligence non era più affidabile, garantendo cambiamenti decisivi a partire dal servizio di  protezione privata fornita dalla società della Kane-Mayer Security… era inutile dire che la folla ne era stata entusiasta, avevano acclamato Wright come il salvatore e i toni delle proteste per la crisi economica si erano smorzati in favore delle acclamazioni al Senatore.
Era risultato lampante che ci fosse una qualche manovra in atto, la folla aveva bisogno di credere nella bontà d’animo di Wright, ma Tony non era stato dello stesso avviso, soprattutto considerata la posizione precaria in cui si reggeva lo S.H.I.E.L.D. in quel momento. Si era rifiutato di rilasciare qualunque dichiarazione, Maria aveva scoperto che la Kane-Meyer era l’ennesima società fittizia che celava la Kronas, mentre Natasha e James avevano fatto ritorno a Washington DC per risolvere il problema.
-Qual è il piano, Natalia?
-Ad essere sinceri… tu sei il nostro piano, James.
-Scherzi?
-No. -il tono schietto e deciso con cui giunge la risposta non ammette repliche.
-Sono l’agnello sacrificale. -conferma rassegnato guardandosi alle spalle, la sensazione fastidiosa di avere un bersaglio attaccato dietro alla schiena, nonostante sia in borghese con l’uniforme ben celata sotto i vestiti.
-Non descriverei la situazione con questi termini, ma… si, sei l’unico che può mostrarsi in pubblico senza che la folla ti si scagli contro.
-Meraviglioso. -commenta atono, guardandosi di nuovo intorno alla ricerca di sicari o agenti infiltrati, continuando a muoversi tra la folla che aspetta pazientemente il comizio del Senatore che deve iniziare da lì a poco.
In poco tempo il cielo si riempie di elicotteri delle TV locali, i giornalisti vengono sguinzagliati tra il pubblico appena Wright raggiunge i microfoni, mentre James continua a guardarsi intorno inquieto… gli si attiva una sorta di sesto senso, mentre la consapevolezza che sta per succedere qualcosa fa breccia tra i suoi pensieri, precedendo di poco la voce di Natasha che lo avvisa che un elicottero è appena atterrato sul tetto del Senato.
Non fa in tempo a concludere la frase che James sta già correndo in mezzo ai vicoli, perdendo il giubbotto di pelle per strada, recuperando l’elmetto e lo scudo di vibranio.
-Dove sono?
-Si sono divisi, Rumlow è a un isolato di distanza da te, occupati di lui… io fermo Sin.
-Attenta ai coltelli. -la avvisa assecondando un automatismo disinteressato, mentre irrompe nel palazzo dove si nasconde Crossbone, salendo al settimo piano di corsa, seguendo il riflesso del mirino del fucile da precisione che ha visto brillare dal marciapiede.
-Sin usa le armi da fuoco. -obietta Natasha.
-Anche tu, ma sei più brava nel corpo a corpo.
-Suggerisci delle doti nascoste?
-Confermo le doti nascoste, ti ricordo che l’ha addestrata Rumlow. -interrompe la comunicazione, raggiungendo il settimo piano, attaccando Crossbone alle spalle prima che possa premere il grilletto e trasformare il Senatore Wright in un martire.
-Ma tu non ti arrendi mai? -urla Rumlow ribollendo di rabbia, cercando di contrattaccare ai colpi inflittagli da James, appena quest’ultimo gli si scaglia addosso portandolo lontano dalla postazione da cecchino.
-No, mai.
Rumlow gli fa perdere l’equilibrio, sbatte la testa sul pavimento, mentre l’avversario punta a bloccargli il braccio di metallo mandandolo fuori fase, rendendolo una massa di ferraglia inerte… durante il suo soggiorno nella sala operatoria di Faustus dovevano aver fatto qualche modifica di cui lui era all’oscuro.
James sente il rumore della lama sfilata dal fodero prima di vederla, ma quando se ne rende conto è troppo tardi, non ha il tempo di bloccarla prendendosi una pugnalata sul fianco, mentre Rumlow estrae un secondo coltello puntando alla cassa toracica. Reagisce d’istinto, stringe i denti estraendo la lama dal fianco, bloccando la seconda pugnalata in arrivo con il coltello sporco di sangue, mentre fa leva con le gambe scaraventando Crossbone oltre di lui… oltre la finestra dove era appostato, fracassando i vetri e precipitando nel vuoto.
-James?! -la voce di Natasha giunge forte e chiara dall’auricolare nel giro di qualche secondo, una nota di panico ben celata, mentre James realizza che deve aver visto Rumlow precipitare di sotto ed averlo scambiato per lui.
-Io sto bene Natalia... -tenta di risponderle a corto di fiato, premendo sul taglio tentando di tamponare la ferita, incapace di alzarsi senza vedere le stelle, abbastanza sicuro che ci sia un cadavere sul marciapiede del palazzo.
-James che succede? -replica la donna trafelata.
-Sin? -svicola alla domanda ponendone un’altra dalla risposta più urgente.
-L’ho ridotta a un colapasta, ma è fuggita con la scorta AIM… cosa ti è successo?
-Credo di aver ucciso Rumlow. -sentenzia mentre i bordi del suo campo visivo iniziano a sfumare, rendendosi conto che la pugnalata è andata più in alto e più a fondo del previsto.
-Credi?
-Si è fatto un volo verso il marciapiede dal settimo piano, dubito che sia ancora vivo. -replica con la voce ridotta ad un sussurro, mentre avverte lo scalpiccio dei passi di Natasha in sottofondo.
-Ti raggiungo, non morire dissanguato.

***

19 febbraio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

Tony lancia un ultimo sguardo ai vetri della sala operatoria, osservando Shuri aggirarsi tra fiale e neurotrasmettitori, mentre lui si avvia verso il laboratorio trasportando tra le braccia i rottami del braccio meccanico del Soldato d’Inverno.
Natasha aveva arrestato l'emorragia appena erano saliti sul Quinjet, i medici l’avevano rattoppato in tempi record una volta atterrati al Complesso, mentre Shuri aveva pensato bene di approfittare del fatto che fosse sedato per sostituire la protesi.
Tony era stato cacciato dalla sala operatoria una volta finito di completare la parte meccanica, ricollegando i nervi ai neurotrasmettitori contenuti nella placca elettromagnetica di metallo nera, sistemando il moncherino disastrato superstite, correggendo il lavoro dei macellai dell’HYDRA.
Si era chiuso la porta a vetri alle spalle trasportando i rottami di ferro come un trofeo, mentre la ragazzina si era data da fare con gli elettrodi e le onde cerebrali.
-Carenza di sonno? -chiede quando raggiunto il salotto si imbatte in Natasha, la tenuta da combattimento ancora indosso nonostante fosse scesa dal Quinjet ore prima.
-Rumlow non è sopravvissuto. -riferisce puntando il telecomando contro il televisore cambiando canale, tentativo inutile dato che avevano sospeso l’intera programmazione in favore dei servizi speciali del telegiornale.
-Va bene… altro?
-James è stato ripreso dalle telecamere, i telegiornali non smettono di parlarne, ma i più hanno accolto positivamente il ritorno di Cap dal mondo dei morti… al momento nessuno di loro interessa sul serio chi si nasconda dietro alla maschera. -lo informa atona, fornendo un’implicita spiegazione al perché si trovasse ancora in piedi.
Tony è stanco e non è in vena di infierire o lanciare frecciatine, si limita ad annuire, puntando lo sguardo sul suo palmare abbandonato sul divano.
-Il mio telefono? -si informa scrutando preoccupato la lucina intermittente che segnala dei messaggi in segreteria.
-Non ha mai smesso di squillare da quando sono iniziati i telegiornali.
-Okay. È notte fonda, va a dormire Nat, ci penso io ora... lui sta bene. -afferma sfilandole il telecomando dalle mani ordinandole di coricarsi, raggiungendo il laboratorio per gettare la protesi mal messa insieme ai pezzi di metallo da rottamare.
Tony torna al suo ufficio afferrando la cornetta del telefono fisso, componendo in automatico il numero che aveva lasciato quella cifra esorbitante di messaggi in segreteria.
-Alla buon ora. Tony tu ne sapevi qualcosa?! -inveisce immediatamente la voce di Ross dall’altra parte della cornetta, evidentemente riteneva superfluo specificare il soggetto.
-Signor Segretario, le giuro che non sapevo assolutamente niente di questo nuovo Capitan America. -inizia a difendersi, reclinando lo schienale della poltrona annoiato, ha come l’impressione che ci sarà da divertirsi.

***

18 febbraio 2017, base segreta della Kronas Corporation, ubicazione ignota

Sharon continua ad osservare i televisori in un angolo, composta e con finta espressione assente, lo sguardo puntato sulle schiene di Lukin e Faustus valutando quale sia la prima mossa da fare per attuare la sua fuga.
La tenevano sotto stretta sorveglianza da quando aveva liberato il Soldato d’Inverno, era riuscita ad ingannare tutti ribattendo ingenuamente che era il modo più veloce per togliersi di torno lo S.H.I.E.L.D. alle loro calcagna, affermando di dubitare che il Soldato sopravvivesse dopo un volo da quella altezza.
Non aveva avuto ripercussioni, le avevano creduto, ma Sharon non poteva cancellare dalla mente lo sguardo consapevole di James quando aveva aperto il portellone e l’aveva spinto di sotto, trattenendo un sospiro di sollievo quando aveva visto effettivamente Sam afferrarlo in volo come aveva previsto.
-Non credevo funzionasse sul serio. -commenta Lukin sovrappensiero distogliendo Sharon dai suoi ragionamenti, le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo soddisfatto puntato sui televisori.
-Sto aspettando un ringraziamento per essere riuscito a manipolare il Senatore Wright. -ribatte Faustus con finto disinteresse.
-Ti ringrazierò se riuscirai a piegare al mio volere il prossimo pedone, senza tramutarlo in un fallimento come il mio Soldato.
Faustus accoglie la stoccata in silenzio, mentre Lukin sorride all’accusa andata a segno... sorriso che si spegne quando le telecamere inquadrano un uomo con indosso l’uniforme di Capitan America.
-Vedi dove portano i tuoi fallimenti, Faustus?! -afferma Lukin ribollendo di rabbia, indicando il televisore mentre ordina ai sottoposti di contattare i suoi pezzi da novanta.
-Crossbone non risponde, capo.
-Sin nemmeno.
La conferma dei subalterni fa esplodere il caos, mentre Lukin placa a stento lo scoppio d’ira sotto lo sguardo preoccupato dello psichiatra.
-Capo, un messaggio dalla scorta di Sin, dicono che dobbiamo preparare una sala operatoria… sembra che la Vedova Nera ci sia andata pesante con il piombo. -riferisce un agente digitando freneticamente sulla tastiera, mentre Lukin inizia a sbraitare ordinando di avvisare Zola, calamitando l’attenzione di tutti tranne quella di Sharon, che gira i tacchi e scappa dalla sala di controllo approfittando di quella occasione d’oro.
Corre lungo i corridoi in cerca di una via d’uscita, ma non ci impiega molto a perdersi, ritrovandosi in un'area sconosciuta della base.
Si ferma a riprendere fiato, dando la colpa ad un insensato calo di zuccheri e al fatto che fosse fuori allenamento… anche se da quando si era risvegliata dal controllo mentale non riusciva a far a meno di pensare all’altra alternativa inconcepibile e spaventosa, rifutandosi di accettarla come possibile ipotesi perchè se lei per prima iniziava a farci caso, era questione di tempo prima che qualcuno all’interno della base drizzasse le orecchie pretendendo delle analisi.
Lo scalpiccio degli scarponi in lontananza la distoglie dai suoi pensieri, fa affidamento al suo sesto senso con rinnovata determinazione, puntando ad oltrepassare la porta blindata in fondo al corridoio il più velocemente e silenziosamente possibile.
Sharon si blocca interdetta davanti alla vista della capsula criogenica… si aspettava cielo e asfalto, non cavi e computer. Si avvicina circospetta, vinta dalla curiosità inopportuna che mette in secondo piano il desiderio di fuga, ripulendo la condensa dal vetro per capire chi sia la prossima pedina da muovere nella scacchiera di Lukin.
Non era previsto che urlasse perdendo il controllo, richiamando l’attenzione delle guardie che la trascinano di peso al cospetto di Faustus, legandola ad uno dei tavoli della sala operatoria su ordine dello psichiatra.
-Mi deludi Agente 13, tentare la fuga in un momento così delicato…
-Non può trovarsi qui, è sepolto ad Arlington! -ribatte furiosa e alla disperata ricerca di risposte, tentando di arrestare le lacrime che fanno capolino agli angoli degli occhi, rifiutandosi di credere a ciò che ha visto oltre il vetro della capsula criogenica.
-Si asciughi le lacrime Agente 13, per quanto ne so la salma del Capitano Rogers è ancora tre metri sotto terra… è rivoltante anche per me andare a disturbare i morti. -afferma Faustus raggiungendo la soglia, una mano ancora sulla maniglia mentre le rivolge uno sguardo compassionevole, decidendosi a concederle una microscopica spiegazione. -L’uomo che ha visto è una delle cavie da laboratorio dello S.H.I.E.L.D., di quelle che quando terminano il loro compito e non sono più utili allo scopo, vengono rinchiuse in un ospedale psichiatrico.
Faustus attende pazientemente di fronte all’espressione sconcertata di Sharon, lasciando trasparire un sorriso quando la consapevolezza la raggiunge.
-In che modo infangare la memoria dei morti è diverso dal disturbarli? -sbotta la donna piccata, rifiutandosi di accettare le implicazioni chiamate in causa dalle parole di Faustus.
-Non molta, ma la differenza che mi preme che lei capisca è che non siamo sempre noi i cattivi della storia, avete anche voi la vostra buona dose di colpe se l’epilogo della vicenda è stato così catastrofico. -afferma lo psichiatra prima di chiudersi la porta alle spalle. -È confinata a letto fino a data da destinarsi, ha molto tempo da impegnare ora, le consiglio di riflettere su questo Agente 13.





Comunicazione di servizio: ho terminato la sessione d'esami, motivo per cui riprenderanno le pubblicazioni regolari ogni martedì ed ogni venerdì ;)
_T612

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Capitolo 14
*** 14 ***


23 febbraio 2017, ex-residenza sicura di Steve Rogers, Brooklyn

-Shuri non ti ha messo un fermo per almeno altri tre giorni? -sbotta Natasha appena varca la soglia della palestra, chiavi ancora in mano ed espressione sconcertata in volto.
-Sto bene. -afferma spazientito James, colto in flagrante mentre prendeva a pugni il sacco da boxe. -Perché sei qui, Natalia?
-Per dirti che l’emergenza S.H.I.E.L.D. è rientrata e sei ufficialmente un non-registrato… aspettiamo una pista, poi si deciderà cosa fare.
-Potevi fare una telefonata per questo. -obietta l’uomo srotolando lo scotch che serviva a riparare le nocche. -Riformulo: perché sei qui, Natalia?
-Ero curiosa. -ammette abbassando lo sguardo sulla punta delle scarpe per una frazione di secondo, per poi tornare a puntarlo sull’uomo, ignorando quel vuoto allo stomaco che si ripresentava fastidioso da una settimana a quella parte ogni volta che posava lo sguardo sugli occhi color ghiaccio di James.
-Ero restia a credere che ti fossi trasferito qui.
-Perché no? Non mi andava che andasse venduto a una persona qualsiasi, oltre al fatto che mi serve un tetto sopra la testa. -le spiega indicando la palestra con un vago gesto della mano, soffermandosi sulla branda istituita a letto di fortuna e il suo zaino per la fuga abbandonato in un angolo. -Sono qui da un paio di giorni, ma devo ancora decidermi a salire di sopra...
James indica distrattamente le scale che portano all’appartamento al piano superiore, cercando inutilmente qualcosa da fare per tenere le mani impegnate, non del tutto a suo agio sotto allo sguardo indagatore di Natasha. La donna cede di fronte a quella mezza confessione, decidendosi a mostrare le carte senza temere un bluff dall’altra parte.
-Ti ho portato degli scatoloni, sono in macchina, facciamo pulizia e poi deciderà Sharon cosa farne delle cose di Steve… che dici?
James la inchioda con lo sguardo, non sa bene cosa dire, ma Natasha intravede la gratitudine dietro alla sorpresa generata dalla proposta… al posto suo lei non vorrebbe affrontare i ricordi da sola, è ben consapevole che al piano superiore non ci sono solo i vestiti e i libri di Steve, ma ci sono anche i suoi fascicoli, le sue agende e i suoi disegni... ed è semplicemente troppo per una persona sola.
-Non sei tenuta a farlo.
-Voglio farlo, per accettare definitivamente l’idea... credo. -afferma la donna decisa, lasciando aleggiare tra loro quella consapevolezza inaccettabile e dolorosa da riferire ad alta voce… Steve è morto da quasi un mese, devono iniziare ad affrontarne l’idea.
-Va a prendere gli scatoloni prima che cambi idea.
James aspetta che recuperi il necessario dall’auto prima di salire al piano superiore, concedendosi un respiro profondo prima di girare la chiave ed aprire la porta in cima alle scale, varcando la soglia per la prima volta da quando si è accampato al piano inferiore. Natasha deposita i cartoni contro l’isola della cucina aprendo le finestre per far circolare l’aria… si aspettava di trovare più confusione data la scomparsa improvvisa dei proprietari, notando con la coda dell’occhio che James è rimasto fermo immobile in mezzo al salotto con uno dei blocchi da disegno di Steve tra le mani.
-Non c’è molto da fare, sono letteralmente quattro stanze… io penso ai quaderni, va bene? -propone in suo soccorso, mentre James sembra risvegliarsi dal momentaneo stato di trance, scuotendo la testa consegnandole il blocco.
-Va bene, io non sono ancora pronto a sfogliare i disegni… -afferma mentre afferra uno scatolone dirigendosi in camera da letto. -Io mi occupo dei vestiti.
Natasha lo osserva sparire nell’altra stanza, abbassando lo sguardo sul disegno incriminato… le si palesa davanti il profilo di James accennato a sanguigna, mentre uno schizzo di Peggy ai tempi d’oro accennato a carboncino la osserva dall’altra metà del foglio, sotto era riportata la data del funerale della donna… era l’ultimo disegno prima di Vienna, l’ultima persona persa e la prima da trovare. Natasha chiude il blocco di scatto, forse non è pronta nemmeno lei a sfogliare i disegni... nel caso di Steve anche gli scarabocchi raccontavano sempre più delle parole.
Impila i quaderni e i blocchi in modo ordinato all’interno degli scatoloni, sforzandosi di non sfogliare le pagine più del necessario, giusto per capire se i libri erano segnati dalla scrittura sbilenca del Capitano o firmati da quella più aggraziata di Sharon.
A distanza di un paio d’ore gli scatoloni erano stati impilati e chiusi nello sgabuzzino al piano inferiore, c’erano un paio di lenzuola nuove sul materasso della camera da letto e il contenuto dello zaino di James era stato accatastato sul tavolino del salotto insieme al voluminoso fascicolo in cirillico con il suo nome scritto sopra.
-Cosa vuoi farne di quello? Bruciarlo? -chiede Natasha indicando il plico di documenti sopravvissuto alla sua missione di inscatolamento.
-No… può tornare utile, considerato che allo S.H.I.E.L.D. ne hanno eliminato la copia digitale. Sai, se mai dovessi dare risposte… fammi un favore, consegnalo a Stark.
-Metterlo a conoscenza di tutti i tuoi dettagli scabrosi ti aiuterebbe a porti in una luce diversa? -chiede con finto sarcasmo, consapevole che tra le righe dei referti medici apparivano anche stralci dei rapporti delle varie missioni.
-Non credo proprio… ma dovrebbe conoscere sul serio di chi ha deciso di fidarsi.
-Certe cose non vanno riferite a voce?
-Certe sono troppo difficili da dire. -sentenzia abbassando lo sguardo facendo cadere il discorso, allungandole il fascicolo che lei deposita all’interno della borsa.
-Sei sicuro di voler rimanere qui?
-Sono solo quattro muri Natalia, è il mio modo di venire a patti con i fantasmi…
-Stai bene? -chiede senza giri di parole per la prima volta da quando ha messo piede lì dentro, posando nuovamente la borsa sul divano, infilando le mani in tasca guardandosi intorno in attesa di una risposta.
-Hai fatto più del dovuto, sto bene Natalia, sul serio…
-Chiedevo conferma...
-Allora chiedimi ciò che ti interessa sul serio e facciamola finita, ci giri intorno da quando la ragazzina mi ha dimesso dal post operatorio. -afferma prendendola in contropiede, incrociando le braccia al petto, studiandola in attesa che lei sputi il rospo, mentre Natasha avverte di nuovo quella sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco che si ripresenta inopportuna.
-Ti ricordi tutto? -chiede fuori dai denti arrendendosi, smettendo di girare intorno alla questione in quella impresa logorante intrapresa negli ultimi giorni.
-La maggior parte delle cose, si.
-Ti ricordi di me? -chiede avvicinandosi, ponendo la domanda titubante, timorosa di ricevere una risposta che non è sicura di voler sentire.
-Tu eri l’unica cosa positiva di quegli anni, moja malen'kaja tancovščica. 1
Agisce d’impulso, cogliendolo di sorpresa quando gli afferra la nuca tuffandosi sulle sue labbra, lasciandosi andare per un paio di secondi prima di riprendere il controllo di se stessa e lasciarlo respirare, tentando inutilmente di frapporre una sorta di distanza, azzerata immediatamente da James che la afferra per i fianchi baciandola in risposta impedendole di fuggire di nuovo.
-Dovrei dedurre che non hai dimenticato nemmeno tu. -mormora James a fior di labbra, fronte contro fronte a corto di fiato. -Che significa Natalia?
-Non lo so.
Natasha si divincola dalla presa di James, la lascia andare senza opporre resistenza, mentre la osserva immobile afferrare la borsa e assecondare l’istinto che le suggerisce di fuggire per salvare la pelle, lo stesso istinto che le sussurra all’orecchio che la loro relazione è un rischio suicida.
-Tornerai? -si limita a chiedere l’uomo, frenando l’istinto di raggiungerla e baciarla di nuovo.
James le concede i suoi spazi e il tempo per accettare l’idea, dandole una tacita conferma che la aspetterà a discapito dei pronostici di una vita fa, che questa volta nessuno li controlla, che non devono più nascondere nulla o fuggire.
-Se sei fortunato. -concede con un mezzo sorriso che le increspa le labbra, voltandosi in direzione della porta.
-Lo sono? -la richiama speranzoso James un’ultima volta, mentre lei abbassa la maniglia, sorridendogli prima di chiudersi la porta alle spalle.
-Penso proprio di si.

***

24 febbraio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

-Sparisco per una settimana e questo è il risultato?
-Non usare quel tono con me, Sam. -afferma Tony puntandogli il dito contro, intimando silenzio e pretendendo un rispetto che dubita di meritarsi.
-Che tono dovrei usare, sentiamo. -lo schernisce Sam puntando i palmi delle mani contro la scrivania ostinandosi a restare in piedi.
-Magari uno senza un sottotono che mi accusa di tutti i mali del mondo. -replica Tony irritato, raddrizzando la schiena contro la poltrona poggiando i gomiti sul tavolo.
Sam fa un passo indietro coprendosi il volto con le mani, prendendo un respiro profondo prima di spostare lo schienale della poltrona, lasciandosi cadere contro l’imbottitura, sedendosi di fronte al suo capo.
-Va bene. Ho solo una domanda.
-Spara.
-Ti è andato di volta il cervello? Secondo quale logica ti è sembrata una buona idea quella di consegnare lo scudo a Barnes?
-Sono due domande.
-Tony. -lo mette in guardia incenerendolo con lo sguardo, mentre quest’ultimo deglutisce a vuoto e smette di tamburellare con le dita sopra al vetrino del sostituito al reattore.
-Va bene… non mi serve una seconda paternale, ci ha già pensato Natasha per questo.
-Quindi lo sai che è stata una follia… consegnargli lo scudo, dargli un uniforme, spedirlo in missione, farlo finire sotto i riflettori... -inizia ad elencare Sam contando i recenti sviluppi sulle dita.
-Giusto per essere chiari, lo scudo se l’è preso e se volevo che restasse dovevo dargli delle garanzie. -obietta gesticolando con le mani.
-Garanzie per salvargli la pelle, non per farlo finire sotto i riflettori! -esclama Sam esasperato.
Tony sente scoppiare la testa, stavano discutendo da una infinità di tempo e Sam non voleva saperne di starsene zitto smettendo di criticare ogni sua più piccola scelta.
-Non hai pensato al riscontro psicologico della cosa? A come potrebbe reagire a lungo andare?
-No, okay!? Non ci ho pensato, va bene? -sbotta mettendolo a tacere per la prima volta da quando l’uomo ha varcato la porta dell’ufficio. -Non ho pensato se fosse giusto o sbagliato, se è la scelta più sana per Barnes o altro… ho solo pensato che quello era l’ultimo desiderio di Steve, gli ho lasciato lo scudo che si è preso e gli ho dato uno scopo, tutto qui.
-Non è tutto qui, Tony. L’hai gettato nella fossa dei leoni… quando tutto questo sarà finito, quando Lukin non sarà più un problema e metterà da parte lo scudo, quando non ci sarà più nessuna missione e avrà intere giornate da impegnare… crollerà, devi dargli un buon motivo per restare in piedi.
-Non posso pensarci a tempo debito? Dopo tutto ciò che è successo non sono degno di un minimo di fiducia?
-Semplicemente, non è la prima volta che prendi una decisione che ci riguarda tutti senza sentire l’opinione degli altri, non puoi fare sempre di testa tua. -afferma Sam con un'alzata di spalle riducendolo a silenzio definitivamente.
Tony distoglie lo sguardo senza sapere come o con cosa ribattere, patendo in silenzio per la stoccata inflitta, sorseggiando il caffè ormai freddo che aveva abbandonato sul tavolo quando Sam aveva varcato la soglia partendo in quarta con la ramanzina.
-Sei qui solo per criticare oppure hai novità su Sharon? Dopo che ho messo Barnes su un aereo per il Wakanda ti sei messo subito a cercare una pista, o sbaglio anche su questo? -tenta di celare il risentimento con risultati infruttuosi, osservando l’uomo da sopra il bordo della tazza.
-Si, ho trovato qualcosa.
-Iniziare subito dalle notizie buone invece che dalla critica alle cattive non ti sembrava una buona idea, vero?
-Non ricominciare. -lo avverte Sam con le mani intrecciate sul tavolo, intimandogli con lo sguardo di concedersi un respiro per deporre l'ascia di guerra prima di ribattere.
-Va bene… ma visto che ci tieni tanto a dare a Barnes un pretesto per restare in piedi, te lo porti dietro in missione, chiaro?
-Okay. -accetta Sam incassando il colpo.
-Ora aggiornami, ho bisogno di trovare mia cugina.

***

25 febbraio 2017, residenza sicura di James Buchanan Barnes, Brooklyn

James urla a pieni polmoni quando il vagone delle montagne russe compie una virata stretta, facendogli finire lo stomaco in gola mentre precipita a strapiombo contro il marciapiede, alternando le risa alle grida divertite nel vedere il viso di Steve tinto di un colorito verdognolo dopo il terzo giro della morte.
-Dio, quanto amo le montagne russe! -urla sovrastando le raffiche di vento, mentre Steve lo fulmina con lo sguardo e tace, coprendosi la bocca reprimendo l’esigenza di vomitare.
Altra curva stretta, altro scossone, ma questa volta salta una vite e precipita sul serio… Steve lo afferra, il viso di un colorito normale e i fiocchi di neve cristallizzati tra i capelli, ma gli sfugge la presa e cade irrimediabilmente giù dallo strapiombo, le montagne innevate sostituire al sole cocente di Coney Island.
Reagisce al panico dato dalla caduta, alzandosi di scatto dal materasso urlando, scosso dai brividi.
-Brutti sogni? -gli sussurra Natalia all’orecchio, posandogli la mano calda tra le scapole placando i tremori. -È tutto okay…
Si volta a guardarla, la nuvola di capelli rossi in controluce che le incornicia il volto, le torri del Cremlino che si stagliano oltre il vetro della finestra. Le afferra una mano portandosela alla guancia, ma le dita della donna sfuggono dalla sua presa, viene trascinata lontano da lui… sente il rumore prima di vedere la luce dello sparo, corre tentando di raggiungerla sotto la pioggia di proiettili, scalciando i bossoli caduti sul selciato, tendendo la mano di metallo verso di lei… ma è inutile, tutto inutile.
Inciampa e cade a terra, respira polvere da sparo e sangue, rialzandosi a fatica con le dita di metallo macchiate di rosso… l’unico in piedi in mezzo ai cadaveri.
Aspetta il colpo a tradimento, sa che qualcuno lo sta puntando, che è questione di secondi prima che arrivi il proiettile alle spalle che serve a stroncarlo… aspetta, ma non accade.
Si volta, fronteggia il cecchino con il proiettile in canna, mettendo a fuoco il mirino… vede se stesso, l’uniforme da Sergente indosso, che punta l’arma contro la sua fronte… e spara prima che lui possa prendere il grilletto con la mano di metallo.

James si sveglia di soprassalto, il mal di testa martellante e fastidioso come se il proiettile gli avesse trapassato la testa sul serio, la gola secca come se avesse urlato tutta la notte… conoscendosi non era un’ipotesi da escludere.
Si districa dalle lenzuola posando i piedi sul parquet, la scossa gelata che gli riattiva la circolazione sanguigna ha quasi un effetto benefico, mentre si trascina in cucina per procurarsi un bicchiere d’acqua… gli incubi erano ritornati in modo così vivido dopo le torture di Faustus, si consolava che almeno negli ultimi giorni non si risvegliava più ritrovandosi a strangolare i cuscini.
Aveva aperto il frigo in cerca della bottiglia d’acqua, sbadigliando ancora intontito dal sonno, quando aveva sentito la chiave girare nella serratura, reagendo d'istinto afferrando un coltello da cucina per difendersi puntandolo contro il malcapitato di turno.
-Sono io, vengo in pace! -esclama Sam con le mani alzate sopra la testa, osservando guardingo la lama d’acciaio che gli viene puntata contro.
-Devo cambiare la serratura. -commenta James rimettendo la lama al suo posto, voltandogli le spalle afferrando un bicchiere, tornando alla sua esigenza di placare la sete, incurante della recente invasione. -Ti offro qualcosa?
-Sono apposto così, grazie…
-A cosa devo la visita alle cinque del mattino? -chiede appoggiandosi all’isola della cucina.
-Ho una pista su Sharon, Stark mi ha assegnato a te come unità di supporto.
-Che pensiero gentile… prima Natalia come balia, adesso tu come babysitter. -commenta posando il bicchiere sul lavello, ignorando le proteste di Sam per essere ricaduto in quella definizione. -Non ho bisogno del servizio babysitter, Sam.
-Nemmeno di un uomo che ti copra le spalle? Non sei invincibile, Capitan America.
-Non mi abituerò mai a quel titolo.
-Nessuno si abituerà mai a quel titolo associato a te, ma si da il caso che lo scudo ora sia una tua proprietà, quindi... -obietta Sam rigirando volutamente il dito nella ferita ancora troppo fresca, riuscendo tuttavia a spingerlo ad un atteggiamento un po’ più cordiale. -Che dici, soci?
-Vada per il socio. -accenna un sorriso mentre alza gli occhi al cielo divertito. -Quindi abbiamo una pista su Sharon?
-Si, se ti vai a mettere qualcosa sopra le mutande partiamo anche subito.
James recupera la divisa e lo segue a ruota lungo la pista intercettata, ritrovandosi ad osservare di vedetta il magazzino fatiscente che sta scaricando le merci partite da uno degli stabilimenti Kronas.
-Sei sicuro che la ragazza di Steve sia lì dentro?
-Io non sono sicuro di nulla.
-Se non ne sei sicuro, mi spieghi perché diavolo mi hai fatto fare colazione alla velocità della luce e mi hai trascinato fino a qui? -chiede James basito, distogliendo lo sguardo dal mirino d’ingrandimento appositamente per fulminare Sam.
-Non guardarmi così, la pista che ho intercettato ci portava fino a qui, non posso avere la certezza matematica che Sharon sia ancora in questa base. -obietta Sam indifferente all’occhiata di fuoco, mentre continua a monitorare i filmati inviategli da redwing.
-Abbiamo il via libera.
James parte in quarta, scudo sulle spalle e scarponi che battono il selciato, introducendosi nello stabile mentre Falcon lo monitora dall’alto. Sbaraglia gli agenti AIM man mano che li incontra, tramortendoli a suon di pugni e difendendosi con lo scudo.
-Sei migliorato sulla presa, forse mi rimangio ciò che ho detto prima. -commenta Sam volando sopra la sua testa, mentre James rinuncia a ribattere impegnato a schivare i colpi. -Dalla scansione a raggi X di redwing, ci sono movimenti nel laboratorio sopra la tua testa, anche se non rileva tracce di calore.
James si lancia alla ricerca delle scale, analizzando in sordina quella sensazione piacevole che avverte… non è la gioia violenta a cui è abituato, assomiglia di più al desiderio di non voler deludere le aspettative, come se la consapevolezza del ruolo che ricopre e dell’uniforme che indossa lo spingano a combattere meglio. Non lo ammetterà mai ad alta voce, ma l’idea che Sam gli copra le spalle lo rassicura, deve essere la stessa sensazione che provava Steve nel saperlo appostato nelle retrovie a proteggerlo armato di fucile durante la guerra… quella che percepisce deve essere fiducia.
Combatte fino allo strenuo delle forze, ma l’epilogo della battaglia non è quello che si aspettava… quando raggiunge il laboratorio fa in tempo a vedere l’androide con le sembianze di Armin Zola attivare la sequenza di autodistruzione dello stabile per cancellare le prove, finendo di trasferire la sua coscienza su un LMD comandato da remoto, lasciandogli tra le mani solo lo scheletro di un robot vuoto.
Scampa alla detonazione con il guscio vuoto di Zola sulle spalle, ordinando a Sam di tornare al Complesso giusto il tempo per consegnare a Stark l’ammasso di circuiti nella speranza che riesca a ricavarne qualcosa di utile, per poi fare ritorno a Brooklyn.
-Per essere la nostra prima missione insieme, devo ammettere che non è stata così pessima. -commenta Sam accettando la birra offertagli da James, brindando all’esito non così catastrofico, venendo interrotto dallo squillo del cellulare di Sam che accetta la chiamata in automatico.
-È Natasha, dice di accende la TV. -riferisce l’uomo impensierito mentre James afferra il telecomando eseguendo gli ordini.
-Oh merda…
-Quello non sei tu, non sei decisamente tu... -mormora Sam con gli occhi incollati sullo schermo, mentre James rischia di ridurre la bottiglia di vetro in frantumi a causa di uno spasmo della mano di metallo.
La barra in sovrimpressione comunica che c’è stato un tentativo di compiere un attentato ai danni del Senatore Wright, prontamente e miracolosamente sventato da Capitan America… quello vero, di ritorno dai morti, zazzera di capelli biondi e sguardo azzurro che punta all’obiettivo della telecamera.
-Non è nemmeno Steve, Sam. -afferma James convinto. -Gli assomiglia in modo spaventoso, ma non è lui.




Note:
1.”mia piccola ballerina” tradotto dal russo.

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Capitolo 15
*** 15 ***


28 febbraio 2017, comizio elettorale del Senatore Wright, Minneapolis, Minnesota

Recuperare i rottami di Zola non era stata un’idea così inutile e priva di senso come James pensava, Stark era riuscito a risalire ai backup dai circuiti di memoria dell’LMD distrutto, scoprendo diversi dettagli fondamentali e abbastanza rilevanti.
Tony si era parzialmente rilassato nell’apprendere che Sharon aveva eluso il condizionamento mentale, nonostante fosse stata reclusa e sedata per insubordinazione. Natasha invece si aggirava per la base con il sorriso sulle labbra, dopo aver avuto la conferma di aver ridotto Sin in condizioni talmente pietose da impedirle di rientrare in servizio, mettendosi alla ricerca di una pista per localizzare l’uomo che si spacciava per Steve Rogers.
Avevano appreso tutti con orrore che Lukin si stava servendo di William Burnside per spingere la folla alla rivolta, manipolando l’immagine pubblica del Capitano per trascinare tutti loro alla gogna… Will aveva vestito i panni di Cap durante gli anni ‘50, una cavia da laboratorio guidata dal governo americano per vincere la lotta al comunismo, sottoponendo il povero malcapitato ad interventi di chirurgia plastica per renderlo il più somigliante possibile a Steve Rogers.
L’SSR all’epoca non era stata informata del progetto, nonostante avessero fatto pressioni ad Howard per rendere le fiale restanti del sangue di Steve, ricavandone un sostituto al siero di Erskine che aveva avuto la schizofrenia come effetto collaterale.
Burnside era stato catturato dall’FBI quando il governo si era reso conto di aver dato vita e lasciato a piede libero un completo squilibrato, rinchiudendolo in un ospedale psichiatrico in animazione sospesa.
Nonostante l’idea del progetto fosse partita dal governo, l’indice dell’opinione pubblica era stato puntato contro l’SSR, in quella che veniva ricordata negli annali come la pagina più scabrosa dell’agenzia, nonostante fosse risaputo che Peggy e Howard non avevano mai avuto voce in capitolo nell’intera faccenda1.
Il fatto che il sosia di Steve si aggirasse a piede libero per le strade militando per la fazione opposta, aveva scatenato tutta una serie di maldicenze riguardo al comportamento dello S.H.I.E.L.D. e il ruolo discutibile dell’altro Capitan America. L’opinione pubblica era finita per puntare il dito contro James chiamandolo impostore, così quando tre giorni dopo avevano intercettato una pista riguardo alla possibile presenza di Will al comizio di Wright a Minneapolis, James aveva prelevato Sam facendo irruzione nell’ufficio di Stark –interrompendo bruscamente le speculazioni su quello che i due avevano scherzosamente definito il “fronte Mosca-Brooklyn”, limitandosi a fulminarli con sguardo omicida, instillando il desiderio ad entrambi di scavarsi una fossa da soli– caricando Falcon sul Quinjet, lanciandosi all’inseguimento con lo scudo sulle spalle e l’approvazione di Stark.
Era escluso che Lukin volesse rigiocare la carta del martire, il ruolo di Will al comizio era da intendersi come una guardia del corpo posta in vetrina, assecondando la trovata mediatica e scatenando l’ira di James che disapprovava completamente l’uso strumentalizzato di tutto ciò che di puro e giusto rappresentava Steve con lo scudo di vibranio sulle spalle.
-Sei in posizione? -chiede Sam dall’auricolare.
-Si Sam, se anche tu segui il piano andrà tutto bene.
-È un piano folle, sappi che non smetterò di ripeterlo.
-Ripetilo quanto vuoi, ma so che funzionerà.
James aveva progettato nei minimi dettagli il piano A prima di approdare nell’ufficio di Stark, ma Sam aveva largamente avuto da ridire sul fatto che l’intero piano si basasse principalmente sul fatto che lui dovesse fare da esca, così mentre raggiungevano Minneapolis aveva pianificato un piano B e un piano C pur di tranquillizzare il suo socio, nonostante tutte le varianti puntassero comunque a soddisfare il bisogno primario di fermare l'intera follia prima che degenerasse completamente.
-Piano A. -comunica a Sam sorridendo soddisfatto quando Will lo nota tra la folla e scappa senza lasciare un vero e proprio distacco decisivo come da copione.
Lo raggiunge sul tetto di un palazzo abbastanza alto da precludere qualunque via di fuga, se non con un volo suicida dal cornicione, sbuffando quando Sam ribatte con un “piano B” all’auricolare una volta appresa la nuova situazione, monitorando l’intero combattimento dall’alto con l’aiuto di redwing.
James sospettava fin dall’inizio che la pista trapelata fosse un’esca per portarlo allo scoperto, aveva rigirato l’intera situazione a suo favore, ritrovandosi a schivare i colpi ed i pugni scagliati in rapida successione. Lukin aveva studiato la trappola a tavolino, James aveva previsto che l’intento finale era di eliminarlo definitivamente dai giochi… non aveva alternative se non fingere di seguire la partita a scacchi giocata da Lukin, lasciandosi colpire come da copione.
-Come non detto, si ritorna al piano A. -James esulta internamente quando sente la voce mesta di Sam dargli ragione, distraendosi quei due secondi fatali che permettono a Will di colpirlo facendolo rovinare a terra.
-Non mi piace il piano A. -Sam rincara la dose con tono quasi fatalista quando Will inizia a colpirlo massacrandolo.
Non solo Will aveva l’aspetto di Steve, ma la brutta copia del siero di Erskine gli aveva donato la super-forza, agilità e riflessi pronti. Nel piano che aveva strutturato era previsto che provasse a difendersi almeno un po’, ma non aveva considerato il fattore psicologico… ogni volta che scagliava un colpo gli sembrava di colpire il vero Steve, facendolo desistere dal difendersi e dal colpirlo, lasciandosi massacrare riducendosi in condizioni pietose, rendendo accettabile e necessaria l’ultima eventualità che aveva previsto.
-Piano C! -comunica a Sam con il sapore del sangue che gli invade la bocca, mentre Will lo solleva scaraventandolo giù dal tetto del palazzo.
James si sente precipitare, svuota la mente chiudendo gli occhi per placare le vertigini, alzando le braccia come da copione.
Urla di dolore quando Sam gli afferra i polsi salvandolo dallo schianto, rischiando seriamente di lussargli la spalla sana… ma quando lo riporta sul tetto, di Will non c’è più nemmeno l’ombra.

***

28 febbraio 2017, base segreta della Kronas Corporation, ubicazione ignota

Sharon riesce ad immaginare tranquillamente cosa stiano facendo Lukin e i suoi due malvagi compari in quel momento, se chiude gli occhi riesce quasi a vederli mentre brindano per la riuscita del loro piano, commentando compiaciuti i titoli in sovrimpressione dei telegiornali che stanno riprendendo in diretta il comizio del Senatore Wright a Minneapolis, osservando fieri il loro soldatino comandato a bacchetta che di Steve conserva solo l’aspetto.
Era legata a letto da una decina di giorni, aveva avuto tutto il tempo per sentirli discutere animatamente sulla portata mediatica dell’evento mentre Zola rattoppava Sin nella stanza accanto, ricevendo aggiornamenti ogni qualvolta Faustus tornava per sedarla ad intervalli di tempo regolari… non la drogavano mai troppo, avevano ripescato un briciolo di umanità sepolta chissà dove decidendo di non sedarla più del dovuto, soprattutto dopo che Zola aveva avuto lo scrupolo di farle delle analisi scoprendo che era incinta all’ottava settimana.
Sharon avrebbe preferito di gran lunga non ricevere una conferma certa a quelle che considerava ipotesi spaventose, non le era piaciuto lo sguardo che si erano scambiati Lukin e Zola quando avevano alzato gli occhi dai valori delle sue analisi, tornando a torturarsi con pensieri poco rassicuranti ed insultandosi per non aver dato importanza alle prime avvisaglie… riporta di nuovo alla mente la nausea che aveva ignorato nelle mattine subito dopo il funerale, pentendosi di non averne fatto parola con Sam o Tony quando si erano insediati in casa sua di ritorno da Arlington, ricordando il modo in cui lei li aveva cacciati di casa dopo due giorni che si davano il cambio per dormire sul divano dichiarando di voler essere lasciata in pace per un po’, pentendosi di aver assecondato la voglia di pizza che l’aveva assalita il giorno dopo, facendo salire il fattorino che si era rivelato essere Rumlow.
Non ricordava bene cosa fosse successo dopo, era abbastanza sicura di non aver più pensato a nulla per circa una settimana, il suo cervello aveva mantenuto un ferreo silenzio-radio fino a quando non aveva visto Bucky puntarle la pistola contro prima di dirigere il colpo verso Faustus.
Da qual momento in poi le sue sinapsi erano esplose, il suo cervello si era dato da fare per colmare le lacune e tutti i sintomi latenti avevano iniziato a manifestarsi in sordina, nonostante lei avesse palesemente ignorato di nuovo le avvisaglie per un’intera settimana, fino a quando non l’avevano legata al letto sedandola la prima volta2.
Da quando era confinata su quel letto non aveva potuto fare altro che torturarsi rimuginando sulla sua situazione. Era arrivata alla conclusione che il dover affrontare l’incombenza di diventare madre, tenuta come ostaggio a tempo indefinito, poteva considerarsi una tortura infinitamente peggiore del dover convivere con la consapevolezza di essere stata manipolata e costretta ad uccidere il padre di suo figlio… aveva un disperato bisogno di fare qualcosa, era ben consapevole che aspettare un aiuto dall’esterno era completamente improbabile ed inutile, soprattutto se si considerava il riserbo con cui la spostavano da una base all’altra e l’attenzione con cui registravano i vari dati sui server.
-I tuoi amici hanno ucciso il mio ragazzo, la pagherai per questo! Mi hai sentito?! Se mi rimettono in piedi ti uccideró, non importa cosa dice Lukin, e sarà una morte lenta!
Sharon si consola che almeno la compagnia è divertente, ammesso che gli animali rabbiosi lo siano… il dover sopportare le minacce ininterrotte di Sin era solo un altro stadio del suo inferno personale. Aveva letto il suo fascicolo ormai una vita fa, ma ricordava di aver provato un sentimento molto vicino alla pena quando aveva scoperto che Teschio Rosso aveva provato ad annegarla appena aveva aperto gli occhi sul mondo nel ‘43, macchiata dall’unica colpa di essere nata femmina. Non era importato a nessuno se a un paio d’anni di distanza Teschio era scomparso nell’Artico insieme a Steve, i gerarchi rimasti avevano cresciuto la bambina istruendola secondo i principi del padre, facendole subire un’infanzia di privazioni e orrori… i gerarchi si erano vantati di aver instillato in lei l’odio cieco e la perfidia pura, eleggendola degna erede del padre, al punto da concederle l’elisir di giovinezza di Whitehall ed un posto al tavolo dei grandi.
-Le ferite stanno guarendo bene, signorina Sin. -la informa il medico ai piedi del letto della rossa all’altro lato della stanza, mentre prepara le due siringhe di sedativo.
Le voci di corridoio dicevano che per quella sera Lukin e compari erano impegnati nel garantire la riuscita del comizio a Minneapolis, diverse guardie erano state inviate in Minnesota per tendere un’imboscata a chiunque fosse partito dal Complesso per catturare Will, così Sharon aveva dedotto che quella fosse la serata perfetta per attuare la sua fuga.
-Sarei già guarita da un pezzo se Zola mi avesse iniettato i farmaci giusti… ma no, meglio tenermi confinata a letto, così non posso ucciderla!
Sin grida con odio agitandosi, trasudando veleno al retrogusto di vendetta in ogni sillaba proferita, mentre la voce si affievolisce inevitabilmente quando il medico preme lo stantuffo iniettandole il sedativo, avvicinandosi a Sharon tenendo tra le mani la sua dose.
La donna agisce d’istinto, dubita che le ricapiti nuovamente un’occasione del genere, sfila la mano dalla fascetta che si era impegnata ad allentare nell’ultima ora, rifilando una testata al medico, afferrando la sua siringa iniettandogli il sedativo in vena.
Si alza a fatica, non del tutto certa che le gambe la reggano, armandosi di bisturi, trascinando in piedi una Sin intontita dalla droga in circolo.
-Se sei furba mi lasceresti andare, Sharon.
-No, adesso facciamo a modo mio. Tu ora mi porti fuori da qui, se ti rifiuti o provi a giocarmi un brutto scherzo ti taglio la giugulare, intesi?
La rossa solleva le mani sopra la testa in segno di resa, incentivata a collaborare dalla lama che preme contro la sua gola, avviandosi strascicando i piedi in direzione dell’uscita.
-Lo sai da te che non uscirai viva da qui, con o senza il mio aiuto… data la situazione potresti uccidermi.
-Non tentarmi. -le sibila Sharon all’orecchio inoltrandosi nei corridoi deserti.
-Ma brava… hai capito che ti servono le mie impronte digitali e la mia voce per aggirare l’identificazione vocale e i blocchi sulle porte. Mi dispiace deluderti, ma non riesco ad aprirle tutte. -commenta Sin con tono di sufficienza, posando la mano sullo scanner aprendo la quinta porta di fila.
-Non dire cazzate, sei la quarta persona con il grado più alto qui dentro… è abbastanza perché tu possa aprire le porte d’uscita.
Sharon arranca nei corridoi della base, non aveva ricevuto una seconda dose, ma doveva ancora smaltire del tutto quella vecchia e il fatto di dover sobbarcarsi quasi tutto il peso dell’altra ragazza per l’intero tragitto non era per niente d’aiuto.
La determinazione purtroppo non va di pari passo con le sue forze decimate, cade a terra perdendo la presa sul bisturi quando Sin le rifila una testata a tradimento… si trascinano entrambe sul pavimento ognuna tentando di raggiungere il bisturi per prima, i movimenti limitati e rallentati dal sedativo che circola ancora nelle vene di entrambe.
-Sei una donna morta…
-Questo è tutto da vedere...
Sharon osserva con orrore la mano di Sin che artiglia la lama per prima, sollevando il bisturi sopra di lei… venendo salvata dall’intervento tempestivo delle guardie che stazionavano all’uscita, anticipate dai passi veloci di Lukin e i due dottori, richiamati dalla confusione che avevano causato.
-Sin, l’Agente 13 ci serve viva. -la rimprovera Zola con tono perentorio.
La ragazza tentenna, si blocca con la lama che incombe ancora sopra la sua testa… mentre un sorriso inquietante fa capolino sulle sue labbra.
-Ci serve viva solo lei
Nessuno ha la prontezza di fermarla, osservano impotenti il bisturi che viene conficcato nell’addome di Sharon, mentre la pozza di sangue inizia a dilagare inesorabile sul pavimento.
-No! Stupida, stupida ragazzina! Cos’hai fatto?! -lo schiaffo sonoro che Lukin rifila a Sin la coglie di sorpresa, mentre le palpebre calano davanti allo sguardo spaventato dei due medici che si precipitano su di lei per salvare il salvabile… ma ormai il danno è fatto, è troppo tardi.




Note:

  1. Anche in questo caso, la mia è un'analisi approssimativa di cosa viene raccontato nei fumetti, raggiungendo (a mio avviso) un buon compromesso con ciò che viene dato per canonico nel MCU. Per chi non avesse visto “Agent Carter”, negli anni ‘50 l’SSR viene chiamata in causa per far fronte al problema comunismo (Stanza Rossa e allieve), il “Cap degli anni ‘50” non compare mai, ma c’è qualche riferimento e discussione tra Peg e Howard riguardo al cosa farsene dell’ultima fiala rimasta in possesso di Stark contenente il sangue di Steve (ceduta infine a Peggy, che la getta nell’East River dal ponte di Brooklyn).

  2. Chiariamo le date, che tra un salto da un capitolo e l’altro credo vi siate persi un pochino: Steve muore il 25 gennaio, il funerale si tiene il 1 febbraio, Sharon caccia di casa Sam e Tony il 3, viene rapita (e di conseguenza non risponde al telefono) il 4, tronca il controllo mentale il 10, riesce a mantenere la copertura fino al 18 e dieci giorni dopo è ancora confinata a letto.



    NB: In luce agli ultimi eventi narrati, ho deciso di cambiare il reating da giallo ad arancione.

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Capitolo 16
*** 16 ***


1 marzo 2017, residenza sicura di James Buchanan Barnes, Brooklyn

James era esausto, una volta tornato dal Minnesota Shuri aveva passato l’intera giornata a medicargli le ferite, sottoponendolo ad ogni sorta di esame e analisi per controllare che fosse effettivamente tutto apposto dopo essere stato massacrato, ma grazie alla sua variante del siero e le diavolerie di Shuri era riuscito a fuggire dall’infermeria solo con un labbro spaccato e qualche ematoma. Aveva ottenuto il via libera dopo ventiquattr’ore di osservazione, accettando il passaggio in auto fino a Brooklyn impostogli da Stark, assecondando l’ordine di non guidare la moto per un paio di giorni, desiderando solo una doccia calda in casa propria e una lunga dormita di minimo dieci ore.
Raggiunge il pianerottolo in cima alle scale del piano superiore, trascinando i piedi sul pavimento mentre il silenzio regna sovrano, donandogli un senso di tranquillità e pace che gli concilia il sonno... è una sensazione che non avverte da un’infinità di tempo.
Trova le chiavi e le infila nella toppa, aprendola dopo nemmeno mezzo scatto... il suo cervello gli lancia un campanello d’allarme, era sicuro di aver fatto tre giri di chiave l’ultima volta che si era chiuso la porta di casa alle spalle.
Sfila la pistola dalla fondina entrando guardingo e rasente muro, alla fine non aveva avuto il tempo per far cambiare la serratura... rendendosi conto che nessuna serratura l’avrebbe tenuta lontana, trovando l’intrusa addormentata nella sua camera da letto. Natasha riposava ignara, la nuvola di capelli rossi che le copriva il volto, il braccio alzato sopra la testa con le manette al polso e una delle sue magliette trafugate dall’armadio usata come pigiama. Abbassa l’arma, un mezzo sorriso triste sulle labbra mentre le scosta le ciocche rosse dal volto, per poi afferrare la chiave sul comodino e liberarla, maledicendo le vecchie abitudini della Stanza Rossa mentre le sfiora la fronte con le labbra.
Ripone lo scudo di Steve contro l’armadio, spogliandosi e gettandosi sotto il getto dell’acqua calda incurante del fatto che fossero le due di notte, assecondando il bisogno di scrostarsi di dosso la polvere e il sangue residui che si porta dietro da due giorni.
Ha modo di riflettere sotto la doccia, il suo meraviglioso piano che comprendeva quella agognata dormita sfuma, mentre si convince che il divano sgangherato del salotto è lontanante comodo quanto il materasso del suo letto... nulla batte il potere dell’auto-convincimento.
Si illude di poter chiudere occhio sapendo che Natasha dorme tranquilla nella stanza accanto, dandosi dello stupido perché sapeva di doversi aspettare un’incursione con annessa invasione da parte dalla rossa, mentre il ricordo di quel bacio sfuggevole gli torna alla mente... per poi imporsi di non fantasticare troppo, non gli era dato sapere se quel bacio significava effettivamente qualcosa.
Quando torna nella camera da letto la trova sveglia, gli occhi verdi che lo trafiggono mentre continua a sfregarsi il polso segnato dalle manette.
-Dove le hai nascoste?
-Torna a dormire Natalia. -ignora la domanda mentre afferra il suo cuscino e una coperta, più che intenzionato a voler dormire sul divano pur di lasciarle i suoi spazi, tremendamente consapevole di quanti anni siano passati dall’ultima volta che hanno condiviso un letto.
-James. -basta il suo nome per bloccarlo sulla porta, ha tutto un altro suono se viene pronunciato da lei.
-Non ti dirò dove ho nascosto le manette, ti muovi nel sonno e ti laceri il polso.
-Non riesco a dormire senza.
Non ha voglia di chiederle quando i capi della Stanza Rossa le avevano insegnato nuovamente a dormire ammanettata alla testiera del letto, ma si rifiuta di cedere… anni prima l’avevano trovato il modo.
-Se proprio non riesci a dormire senza c’è sempre il piano B... se per te non è un problema.
-Non è mai stato un problema, dovresti saperlo.
Non commenta, rimette giù il cuscino al suo posto mentre Natasha gli fa spazio sul materasso, addossandosi contro di lui usandolo come cuscino, mentre se ne sta semi-sdraiato contro la testiera del letto, circondandole il polso con le dita di metallo.
-Stai comodo?
Ignora il buon senso che lo avvisa che, se dorme seriamente in quella posizione, la mattina dopo si ritroverà la schiena dolorante e la spalla indolenzita.
-Comodissimo.
-James, seriamente...
-Natalia dormi, sono esausto.
Le stringe lievemente il polso, un po’ per darle l’impressione di avere ancora le manette addosso, un po’ perché non sa quanto durerà quella situazione indefinita ed è terrorizzato che Natasha possa sparire da un momento all’altro.
Lei non si era pronunciata sull’argomento e lui non aveva voluto chiedere, preferisce non interrogarsi sul perché lei si sia fatta trovare nel suo letto o il come si siano ritrovati in quella situazione paradossale. Non si stanno evitando attivamente, anzi, ma era ben consapevole che se non si muove con i piedi di piombo Natasha potrebbe scappare come un cervo spaventato dai fanali dell’auto... è passato troppo tempo, non ha la più pallida idea di come comportarsi.
Realizza, con la mente annebbiata dal sonno, che l’unica cosa che lo blocca dal prendersi certe libertà è la paura concreta che si possa svegliare di punto in bianco e capire di essersi sognato tutto quanto... semplicemente l’avere di nuovo Natasha tra le braccia, il poterla stringere durante la notte senza temere ripercussioni, è troppo bello per essere vero.
Scaccia i pensieri funesti, se ne frega altamente mentre collassa cullato dal profumo di Natasha, precipitando in un sonno senza sogni... non ricorda quando era stata l’ultima volta che ha dormito così bene.

***

I sensi di Natasha impazziscono strappandola dal dormiveglia, aprendo gli occhi spaventata e in allerta, tranquillizzandosi quando percepisce le braccia di James che la stringono nel sonno.
Riconosce il profilo dell’uomo in controluce, il respiro profondo che gli solleva appena il petto, tornando a rilassarsi cullata dall’odore del ferro, mentre la mano di metallo continua a stringerle delicatamente il polso.
Negli ultimi giorni la sua testa aveva registrato un costante rumore di fondo dato dal chiacchiericcio dei suoi pensieri, Natasha non aveva idea di quale delle tante riflessioni illogiche su James era riuscita a fare breccia nella sua mente, ma probabilmente si era resa conto che a restare con quel dubbio infelice, immaginando solamente cosa sarebbe potuto accadere se le cose fossero andate diversamente, non le avrebbe fatto guadagnare nulla.
Si era convinta che era completamente insensato privarsi di ciò che desiderava sul serio solo perché i fantasmi del suo passato a volte le facevano ancora paura, la situazione era cambiata, l’unico permesso che doveva attendere era il proprio.
Aveva afferrato la sua copia delle chiavi ed aveva guidato fino a Brooklyn, affrontando la questione in modo istintivo e celato dall’ombra della notte come avevano sempre fatto... saltando a piè pari la presa di coraggio razionale data dal presentarsi a Brooklyn alla luce del giorno.
Anni prima si erano concessi di fantasticare su un’ipotetica vita insieme, date le circostanze potevano far finta di riprendere da quel punto lasciato in sospeso, relegando le decisioni coraggiose e scomode al mattino dopo.
Era stato stranamente piacevole svegliarsi da dei sogni innocui e tranquilli… Natasha credeva di poterla accettare come nuova abitudine, insieme al russare sommesso ed ininterrotto di James.
Ricordava di aver sempre trovato inconciliabile la presenza silenziosa, calcolatrice ed ubbidiente del Soldato d’Inverno, in perfetta contrapposizione con la personalità caotica, impulsiva e rumorosa di James… se chiudeva gli occhi riusciva a percepire ancora il vento freddo che ululava fuori dalle finestre del motel a Mosca, sospirando rilassata di fronte al ponte di Brooklyn illuminato dall’alba che si stagliava fuori dalle imposte della camera, mentre un microscopico sorriso faceva capolino dalle sue labbra realizzando che i pronostici all’epoca improbabili di James avevano finito per realizzarsi.
In una delle tante notti trascorse al motel, Natasha ricordava di essersi lasciata sfuggire il desiderio di vivere insieme lontani dalla Russia… all’epoca era un’idea inconcepibile che quei momenti potessero protrarsi in eterno, non solo le mezze confessioni e le notti trascorse tra le lenzuola, ma loro due insieme, a Brooklyn, con un piatto di pancake per colazione… aveva promesso di prepararglieli ogni mattina ed inconsciamente era stata una delle prime ricette che aveva imparato a cucinare una volta trasferitasi in America.
Si districa dall’abbraccio di James, facendo attenzione a non svegliarlo o a gravare sui lividi ancora freschi, raggiungendo la cucina per mettersi all’opera.
Era ancora indaffarata ai fornelli quando la mano di metallo di James le aveva scostato i capelli dal volto per baciarla sulla guancia, versando il caffè per entrambi, per poi afferrare il piatto di pancake già pronti.
-Pensavo di averti sognata. -commenta in tono leggero, iniziando a far colazione appena lei si siede di fianco a lui al tavolo della cucina. -Dio se sono buoni, di solito i miei riescono mezzi bruciacchiati e a malapena commestibili.
Natasha ridacchia di fronte a quella confessione, lasciando sfumare il tentativo di conversazione addentando la propria porzione di pancake per tenere la bocca impegnata… non sapeva come iniziare il discorso alla luce del sole, lasciando aleggiare tra loro un silenzio imbarazzato che entrambi non sapevano come colmare.
-Allora…? -inizia James a distanza di qualche minuto schiarendosi la voce, interrompendo la frase sul nascere non trovando le parole adatte, limitandosi ad indicare loro due, i pancake ed accennando infine alla camera da letto.
-Non lo so. -risponde d'istinto la donna fissando la forchetta, diventata improvvisamente interessante.
James resta in attesa di una risposta, mentre Natasha comprende di non poter evitare il discorso all’infinito… forse era meglio iniziare a discutere dell’intera storia dall’inizio, soprattutto se voleva fare chiarezza e capire quale dei tanti pensieri illogici aveva seguito per raggiungere Brooklyn senza apparente motivo.
-Quando hai iniziato a ricollegare le cose?
-Dopo Washington, anche se negli anni ho avuto qualche momento di lucidità… ho ucciso Karpov. -confessa spinto dal suo sguardo che richiedeva un esempio, comunicandolo come un traguardo di cui andava fiero a metà, mentre abbassa lo sguardo tagliandosi un altro pezzo di pancake per sfuggire al suo giudizio.
-Lo sospettavo, qualcosa non quadrava e dopo la caduta dello S.H.I.E.L.D. sono tornata a Mosca.
-Lo so.
-Immaginavo.
Il silenzio ritorna, condito dal traffico appena udibile e dalle posate che sfregano contro il piatto, venendo interrotto bruscamente da James dopo qualche breve secondo di pausa.
-Ho provato a cercarti dopo Odessa, mi dis…
-Non ti azzardare. -lo interrompe la donna puntandogli contro la forchetta che teneva tra le mani. -Non scusarti, ti nego il permesso di farlo, non c’è nulla da perdonare.
James chiude la bocca di scatto abbassando lo sguardo, annegando la colpa inespressa nel caffè.
-Ciò non nega che sia successo. -mormora posando nuovamente la tazza sul tavolo.
-Certo, ma smettila di torturarti per delle colpe che non hai. -afferma convinta, ma desistendo dal sfiorarlo, lasciando cadere la mano a qualche centimetro dalle sue dita.
-Cosa ti è successo dopo Mosca? -chiede improvvisamente tre bocconi dopo, rischiando di farle andare il caffè di traverso.
-Rodchenko… alla fine ho sposato Alexei. -ammette mentre osserva James distogliere lo sguardo stringendo con forza il manico del coltello. -...ma ti ho visto a Dallas nel ‘63.
-Ho scatenato qualche reazione degna di nota? -pone la domanda immediatamente spezzando il ritmo, permettendo a Natasha di cogliere l’inflessione ironica che abbatte definitivamente il muro di silenzio, trovando respiro per la prima volta dall’inizio di quella conversazione.
-Hanno ucciso Alexei il giorno dopo, fa i tuoi calcoli. -commenta seguendo il tono di voce di James, che aveva abbassando le sue difese, spingendola a far demolire le proprie.
-Mi cerchi dal ‘63? -si stupisce sollevando di nuovo lo sguardo su di lei.
-No… Petrovich mi ha internata di nuovo nella Stanza Rossa dopo il primo tentativo di fuga. Ti cerco attivamente da Odessa, anche se qualche ricordo era tornato già nel ‘91 quando Clint mi ha recuperata a Budapest.
-Clint? -chiede con tono vagamente geloso, preferendo non soffermarsi sulla seconda reclusione al Cremlino, nascondendo l’espressione del volto dietro alla tazza di caffè.
-Sposato con tre figli, risparmia la gelosia, so che hai trovato il tempo di leggere i fascicoli di tutti.
-Non ti si può nascondere nulla… apprezza il tentativo, ho riscoperto la gelosia da poco. -afferma lanciandole un’occhiata dilagante di sottintesi, riuscendo a farle riaffiorare un microscopio sorriso sulle labbra.
-Quindi ora che facciamo? -chiede James raccogliendo i piatti e le tazze da sopra il tavolo portandoli sul lavello.
-Ci sono altre cose che dovrei sapere?
-Pensavo avessimo messo in chiaro che abbiamo entrambi trafugato la cartella clinica dell’altro.
-Sai bene che mi riferisco a tutto ciò che non c’è scritto dentro le cartelle… taglie sulla testa e sentimenti, cose così...
-Non posso più mettere piede in suolo cinese e preferirei non rivedere mai più la Siberia… oltre al fatto che se si scoprisse quanta gente ho ammazzato sul serio, credo proprio che ci sia una sedia elettrica con il mio nome scritto sopra qui in America.
-Buono a sapersi, anche se non era questa la parte che mi interessava di più, moya dorogaya1.
-Pensavo non avessi più dubbi sui miei sentimenti ormai, sei tu che rimani un'incognita, moja malen'kaja tancovščica2.
-Credevo sapessi da tempo che chiunque al di fuori di te è sempre stato una perdita di tempo. -afferma decisa richiamando indietro quelle stesse parole andate perse nei vicoli di Mosca troppi anni prima, notando soddisfatta la brusca interruzione del respiro di James, che la venera con lo sguardo perché si aspettava di tutto, tranne che una confessione di quella portata. -Una conferma è sempre gradita, tutto qui.
-Vuoi una conferma? I love you, je t’aime, te amo, szeretle, ti amo, ich liebe dich, wǒ ài nǐ, ya tebya lyublyu3. Non so più letteralmente in che lingua dirtelo, Natalia…
-Inye Mélat, Anha zhilak yera, shek ma shurs anney. -Lo interrompe sorridendo, rispondendogli a tono lasciandolo confuso, intuendo il significato di quelle stesse parole, ma proferite in lingue a lui sconosciute. -Quenya, Dothraki e Valyriano3.
-Con quelle tre avrei una speranza in più?
-Sai di cosa sto parlando? Davvero?
-Negli ultimi tre anni non ho vissuto sotto una roccia, Natalia… e non puoi evitare l’argomento parlando di film e serie tv.
-Okay… è strano. -concede dopo un sospiro, indicando loro due e la stanza che li circonda, imitandolo nei gesti compiuti poco prima. -Mi spaventa, non so come gestirlo.
-Alla fine sta tutto nel capire se tu lo vuoi tanto quanto lo voglio io. Ci proviamo? E poi vediamo come va?
-Si potrebbe fare un tentativo. -concede Natasha, sorpresa dal suo inaspettato pragmatismo, rivolgendogli un sorriso carico di sottintesi. -Il sesso è sempre stato fantastico, ma non so se sarei in grado di sopportarti tutto il giorno.
-Sai che potrei dire la stessa cosa di te, vero? Da quanto ricordo sei molto più paranoica e gelosa di me. -ribatte stando allo scherzo, sporgendosi verso di lei.
-In realtà avrei da ridire su questo punto.
-Tu mi davi motivo di essere geloso, Natalia.
-Dettagli. -liquida la faccenda con una veloce alzata di spalle, rendendosi conto che si erano avvicinati sempre di più parola dopo parola.
-Resti? -chiede infine la conferma definitiva, portandole la mano sana alla guancia, tracciandole il contorno delle labbra con il pollice chiedendo un tacito permesso, mentre Natasha intuisce la supplica velata dietro a quella domanda in attesa di conferma.
Gli getta la braccia al collo azzerando le distanze, mentre James soffoca sulle sue labbra le imprecazioni per l’improvviso cambio di postura e le relative fitte causate dai lividi ancora freschi, accettando di buon grado quella risposta implicita afferrandola per i fianchi facendola sedere sul tavolo, iniziando a baciarla con trasporto.
Natasha spalanca gli occhi allarmata mordendogli il labbro quando, in procinto di eliminare gradualmente tutti gli strati di vestiti, sente il chiavistello della porta girare.
-Potevi evitare di mordere? -soffia James in risposta a quella reazione improvvisa, mentre lecca via il sangue dalla spaccatura riaperta alzando lo sguardo al cielo esasperato.
-Devi assolutamente cambiare la serratura.
-Decisamente. Perché avete tutti una copia delle chiavi? Steve aveva ancora il vizio di perderle in giro? -si informa velocemente, considerato il drastico cambio di situazione poteva permettersi di chiederlo.
-Già. -conferma atona voltandosi in direzione dell’entrata, mentre fulminano entrambi l’ignaro malcapitato che sta aprendo la porta.
Sam, dopo il paio di secondi necessari per comprendere la situazione, aveva tentato inutilmente di girare i tacchi imbarazzato, ma era stato richiamato indietro da entrambi.
-Ti preparo un caffè? -chiede Natasha con nonchalance scendendo dal tavolo della cucina.
-Non vorrei…
-Disturbare? -chiede James ironico fulminandolo con lo sguardo, indicandogli una sedia facendogli segno di sedersi, sottolineando in modo implicito che ormai il momento era stato rovinato. -Mi auguro per te che sia per un buon motivo.
-Redwing ha ripreso la direzione in cui è fuggito Will e l’ha seguito, riusciamo a rintracciarlo. -lo aggiorna spiccio imbarazzato, accettando la tazza di caffè fumante da parte di Natasha, prima di vederla scomparire in camera da letto.
-Da quanto va avanti questa storia? -filtra la voce di Sam dalla porta dopo momenti di silenzio studiati, mentre Natasha finisce di rivestirsi raccattando lo stretto necessario per andarsene lasciando lì tutto il superfluo.
-Nemmeno dieci ore, grazie per l’interessamento. -ribatte la voce di James in risposta con tono palesemente scocciato. -Magari la prossima volta bussa.
-Stavate per…?
-Taci.
Natasha riesce a prefigurarsi l’espressione seccata di James prima di vederla, aprendo la porta che dà sulla cucina puntando lo sguardo su Sam, che contempla il caffè come se contenesse il segreto per far aprire una botola sotto ai suoi piedi per così togliersi dall’imbarazzo.
-Me ne vado a lavoro. -afferma sporgendosi per baciare James prima di uscire.
-Quando torno ti ritrovo?
-Si, riprendiamo da dove eravamo rimasti. -ribatte ricambiando il sorriso malizioso di James, mentre Sam tenta inutilmente di soffocare in silenzio quando il caffè gli va di traverso, per poi girarsi in direzione di quest’ultimo. -Ovviamente tu non mi hai mai visto qui.
-Ovviamente no.

***

5 marzo 2017, base segreta della Kronas Corporation, ubicazione ignota

Sharon sente la testa pesare come un macigno, apre gli occhi a fatica ancora intontita dai farmaci, richiudendoli subito dopo quando vengono feriti dalla luce.
-Sei sveglia? -distingue chiaramente la voce di Faustus, registrando un vago tono di premura e preoccupazione che mal sposano con il suo comportamento abituale.
-Vorrei ucciderti, ringrazia che al momento non ne sono in grado. -sibila velenosa, ancora ad occhi chiusi, trattenendo una smorfia di dolore quando avverte i punti tirare sotto la fasciatura che le copre il ventre.
-Non puoi aver creduto sul serio che Lukin ti avrebbe permesso di tenere il bambino.
-L’intenzione era di fuggire infatti. -afferma rivolgendo uno sguardo di fuoco allo psichiatra, mentre gli occhi pizzicano in modo fastidioso.
-Non avevi preso in considerazione il suicidio?
-È un suggerimento? Cosa volete ancora da me? -chiede con una vaga traccia di rabbia nella voce, mentre le lacrime trattenute iniziano a sgorgare silenziose… è stanca, desidera solamente che l’intera storia finisca al più presto.
-In realtà ora non hai più nessuna utilità, i miei colleghi stanno progettando il modo adeguato per eliminarti dai giochi. -riferisce atono il medico.
-Vorresti anticiparli? -chiede con tono pratico imponendosi di non far trasparire i singulti, asciugandosi le lacrime con un gesto rabbioso. -Aria in vena? Veleno? Overdose?
-Sei un soggetto fenomenale Agente 13, sono l’unico qui dentro che pensa tu non sia né uno spreco né un fallimento. -afferma di punto in bianco, reclinando la schiena contro la poltrona, pulendosi le lenti degli occhiali. -I miei colleghi stanno progettando anche il modo per togliere di mezzo me, a detta loro sono state le mie azioni a causare i recenti fallimenti… la fuga del Soldato d’Inverno, la morte di Brock, il tuo aborto, il fatto che Will non abbia ancora fatto ritorno da Minneapolis.
-Vorresti cambiare schieramento? -chiede con il dubbio che le colora la voce, mentre lo osserva infilarsi nuovamente gli occhiali da vista.
-A loro non devo più nulla e tengo cara la pelle, ho due regali per te, quindi ascolta attentamente. -afferma Faustus mentre le schiocca le dita davanti al volto catturando la sua attenzione. -Tra circa sette ore il tuo corpo avrà finito di smaltire completamente tutti i farmaci, ti hanno operata perché Sin ha provato ad ucciderti… non c’è mai stato nessun bambino, non hai mai avuto un aborto, è stato solamente un incubo molto vivido e spaventoso.
Sharon annuisce con il cuore già più leggero, allungano una mano in direzione del dispositivo GPS che Faustus sfila dalla tasca.
-Credo di doverti rendere il tuo GPS a questo punto, fanne buon uso. Quando uscirò dalla porta seguirai questa versione dei fatti. Mi ritiro dalle scene per un po’, sei pregata di chiarire agli Avengers il mio ruolo nella vicenda. Sei libera di andare, Sharon Carter.
Faustus si alza in piedi sistemandosi la giacca del completo, dirigendosi verso l’uscita mentre lei attiva il dispositivo nascondendolo sotto il cuscino, rivolgendole di nuovo lo sguardo prima di chiudersi definitivamente la porta alle spalle.
-Buona fortuna Agente 13, ne avrai estremo bisogno.




Note:

1. “Mio tesoro” in russo.
2. “Mia piccola ballerina” in russo
3. “Ti amo” rispettivamente in inglese, francese, spagnolo, ungherese, italiano, tedesco, cinese e russo. Ovviamente la fonte è Google Translate, (più siti appositi per Quenya (elfico di LOTR), Dothraki e Valyriano, quest’ultimo tradotto inteso come detto da una donna ad un uomo, per chi segue GoT sa che c’è una distinzione di genere su chi proferisce tale dichiarazione), quindi in caso di errore correggetemi se conoscete le lingue chiamate in causa. Per chiarezza: è certificato nei fumetti che entrambi sanno parlare le prime otto, le ultime tre sono un mio headcanon sviluppato dopo aver dedotto da TWS che Natasha guarda tanti film/serie tv ed è predisposta ad imparare le lingue. (Mi immagino gli Avengers intenti a farsi le maratone di LOTR, GoT e Harry Potter quando non devono salvare il mondo… sono scene alquanto divertenti, ci tenevo a condividere con voi i miei deliri mentali)

Commento dalla regia:

Finalmente, dopo settimane, questo capitolo vede la luce, sono sinceramente curiosa di cosa ne pensiate!
Un chiarmento tra James e Natasha era d'obbligo, tutta la discussione si rifà agli eventi narrati in "1956", se il dialogo dovesse risultare poco chiaro ditemelo che specifico nelle note (vi assicuro che non mordo, ci tengo molto allo scampio di opinioni), mentre per quanto riguarda l'ultimo paragrafo, penso sia abbastanza chiaro che siamo giunti al punto di svolta.
Purtroppo per problemi "academici" non ce la faccio a stare dietro alle pubblicazioni regolari, motivo per cui questa storia vedrà un aggiornamento regolare solo di venerdì, mentre continuerò a pubblicare "Death and all his friends" ogni lunedì... mi dispiace di rimangiarmi la parola data, ma non riesco a fare altrimenti :')
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto tanto quanto a me è piaciuto scriverlo, qualunque commento è ben accetto!
Baci,
_T <3

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Capitolo 17
*** 17 ***


4 marzo 2017, Chelsea Pines Inn, 14th Street, New York

-Mi devi 150 dollari. -afferma James convinto posando le carte sul tavolo.
-Ma dai non è possibile... Stai barando, non c’è un’altra spiegazione.
-No Sam, semplicemente tu non sai giocare a Poker e non avresti dovuto proporre di giocare a soldi. Altra partita? -chiede mentre mischia il mazzo tenendo le mani occupate.
-Nossignore. -risponde l’interpellato alzandosi dal tavolo, avvicinandosi alla finestra scostando appena le tende.
-È ancora lì? -chiede disponendo le carte sul tavolo impostando una partita a solitario.
-Si, non si è ancora mosso… sembra stia aspettando qualcuno. -commenta Sam allontanandosi dalla finestra, per poi prelevare un paio di birre dal minibar della camera d’albergo.
Negli ultimi quattro giorni avevano seguito Will in lungo e in largo, era ritornato a New York, ma non si era dato pace fino a quando non si era convinto di essere al sicuro, affittando per la notte l’appartamento sopra il bar all’altro lato della strada, per poi trascorrere tutta la mattinata a tracannare caffè e mangiucchiare brioches seduto al bancone, mentre James e Sam lo spiavano dalla stanza dell’albergo di fronte.
-Aspetta che vengano a prelevarlo, deve essere il punto di estrazione…
-La situazione non ti piace, vero? -chiede Sam porgendogli una birra stappata.
-Ciò che ha subito non è poi così diverso da ciò che è capitato a me Sam, vorrei aiutarlo, non usarlo. -commenta girando le carte senza distogliere lo sguardo da esse, bevendo distrattamente un sorso di birra facendo tintinnare le dita di metallo contro la bottiglia di vetro.
-Credo che per lui non ci sia più molto da fare Bucky, il suo non è solamente controllo mentale, c’è anche la schizofrenia di mezzo e per quella non possiamo fare assolutamente nulla.
-Forse è meglio così… senza dei momenti di lucidità è più facile eseguire gli ordini.
-Sensi di colpa? -chiede l’uomo con finta nonchalance, intraprendendo la strada più lunga per arrivare a chiedergli ciò che gli interessava sapere.
-A volte, va un po’ meglio negli ultimi tempi. -ammette James, stanco di deviare tutti i suoi tentativi di fare conversazione… sa dove vuole andare a parare, sono quattro giorni che Sam tenta di puntare all’argomento venendo costantemente stroncato sul nascere.
-Gli incubi invece?
-Gestibili... smettila di girarci intorno, se chiedi di Natalia prometto che stavolta ti rispondo.
-Come l’hai conosciuta? -chiede Sam immediatamente dopo una leggera battuta d’arresto, sorridendo all’idea di essere riuscito a guadagnarsi il permesso di fare domande.
Quando erano partiti da Brooklyn, James gli aveva imposto il silenzio assoluto sull’intera vicenda e doveva ammettere che Sam aveva diligentemente tentato di rispettare i patti, nonostante si fosse ritrovato a girare intorno alla questione più di un paio di volte.
-Mi avevano inviato al Cremlino per addestrarla, senza controllo mentale la sfera emozionale è riemersa e...
-E lei ti ha sedotto. -tenta di anticiparlo interrompendolo.
-No… molto peggio, ci siamo innamorati. Se mi lasci finire le frasi ti racconto qualcosa, altrimenti ti lascio a secco di informazioni e dovrai chiedere a Natalia… e sinceramente il rischio di farti staccare la testa non è uno scambio equo per avere del materiale su cui spettegolare con Stark. -afferma sorridendo sarcastico di fronte all’espressione interdetta di Sam. -A proposito, di chi è stato il pessimo gusto nel scegliere il nome “Fronte Mosca-Brooklyn”?
-Noi non spettegoliamo. -si difende l’uomo in automatico ignorando la domanda, consapevole che sia inutile negare l’evidenza. -Semplicemente ci chiedevamo cosa devi aver fatto per conquistarla, tenendo conto il suo cinismo e la lista infinita di due di picche che ha rifilato negli anni. Era uno scambio di opinioni, non puoi definirlo spettegolare.
-Giustamente… uno scambio di opinioni, certo. -ribatte rivolgendogli uno sguardo che dilaga sarcasmo, abbandonando definitivamente il mazzo di carte sul tavolo. -So che ‘Tasha non vi dirà mezza parola e fingerà che non le interessi cosa dite alle sue spalle, ma io vorrei evitare la rottura di scatole delle vostre continue frecciatine e l’inconveniente di dover occultare i vostri cadaveri. Finalmente non devo più rendere conto a nessuno di cosa faccio e con chi lo faccio, quindi se lasci che ti racconti l’intera storia, poi pretendo che vi cuciate entrambi la bocca e la facciate finita una volta per tutte, sono stato chiaro?
-Scherzi sulla parte dell’occultamento dei cadaveri, vero?
-Può darsi. -risponde mantenendosi sul vago portandosi la birra alle labbra, ridendo sotto i baffi di fronte all’espressione improvvisamente seria di Sam, concedendosi un paio di secondi per fare mente locale e riassumere i punti salienti dell’intera storia. -Non è iniziata in modo del tutto consapevole, l’ho risparmiata e non l’ho consegnata per insubordinazione… ho capito solo nei giorni a seguire di averlo fatto perché stavano riemergendo la sfera emozionale e le mie facoltà mentali.
-Con insubordinazione intendi...?
-Omicidio. Si è messa in mezzo, non ho concluso il lavoro… nel mese seguente mi ha risparmiato la stasi un paio di volte, inizialmente era gratitudine… poi mi ha sedotto e gliel’ho lasciato fare, abbiamo definito la cosa “amore” solo in un secondo momento. Mi ha scelto lei… da questo punto di vista posso vantarmi di non essere stato uno dei tanti, ma semplicemente il primo che abbia desiderato sul serio.
-Quindi non c’è nessun segreto? Tu non hai fatto nulla… nessun evento epocale, nessun gesto eroico…? Hai solo subìto gli eventi? Davvero?
-No Sam, nessun gesto eclatante. Mi ricordo di essermi scusato per averle rotto le costole e che all’inizio chiacchieravamo un sacco… credo di averla conquistata “a parole”, forse è successo perché lei è riuscita a far riaffiorare il mio lato umano, o forse perché le ho mostrato cosa significhi essere umana… ricordo che ci nascondevamo e che progettavano di scappare, poi…
-Poi? -Sam pende dalle sue labbra, mentre James serra gli occhi tentando di cancellare dalla sua mente il fotogramma di Natalia che urla mentre la trascinano via da lui.
-Poi ci hanno separati e ci hanno rimessi in riga per questo. -riferisce con tono monocorde. -… ma considerati gli ultimi sviluppi il loro è stato un tentativo inutile.
-E dopo così tanti anni non è cambiato assolutamente nulla?
-Non per me, per Natalia è stato diverso, lei ha avuto l’opportunità di rifarsi una vita nel frattempo.
-Ma è tornata da te. -obietta Sam con tono ovvio. -Avrà messo in chiaro che ti ama, no? Considerata la situazione in cui vi ho trovati l’altra mattina a Brooklyn...
-A questo proposito, quando torniamo mi devi riconsegnare le chiavi di casa.
-Bucky… se non avevi voglia di parlarne potevi evitare l’argomento, sai?
-Ed averti sulla coscienza? Mi piace averti come socio. -ribatte con il sorriso sulle labbra, tornando serio subito dopo grattandosi la nuca con fare pensieroso. -Sai qual è il vero problema con Natalia? Conto sulle dita di una mano le volte in cui ha ammesso di amarmi ad alta voce, anche se lo dimostra sempre con i gesti... a modo suo.
Sam inarca un sopracciglio chiedendo un’implicita spiegazione, posando la bottiglia di birra ormai vuota sul tavolo, spingendo James a trovare una spiegazione alle ultime affermazioni.
-Hai mai preso in considerazione l’idea dell’omicidio come una forma d’amore? Dopotutto è quello che stiamo facendo… trovare Lukin per spedirlo all’altro mondo.
-Non credo che lo S.H.I.E.L.D. sia d’accordo su questo punto. -obietta Sam con tono fintamente leggero, non deve piacergli la luce che intravede negli occhi di James. -Credo vogliano processarlo e, nel caso, rinchiuderlo al Raft o nella Zona Negativa.
-Appunto… ma chiunque cerchi me e Natalia ci vuole morti e le inferriate alle finestre non li hanno mai fermati, ucciderei per salvarci e so che lei farebbe lo stesso. Ho già le mani sporche di sangue, cadavere più, cadavere meno, per me non cambia ormai… se i capi dell’HYDRA rimangono in vita ci saranno sempre altri Soldati ed altre Vedove, Sam.
-Per questo motivo non mi permetti di richiedere il supporto S.H.I.E.L.D. da tre giorni?  -chiede conferma l’uomo, mentre James annuisce appena con il capo mettendolo a conoscenza dei suoi piani. -Mi stai chiedendo di essere complice di omicidio?
-Puoi sempre girarti dall’altra parte mentre premo il grilletto. Sai che è la cosa giusta da fare, come sai che sono l’unico che può permettersi di farlo perchè non ho firmato quel dannato pezzo di carta.
Sam stringe le labbra accettando l’accordo in silenzio, non che James gli conceda delle alternative… non ce ne sono, lo sa bene.
-Quindi siamo noi due contro un esercito.
-Tu puoi ancora andartene, ma se lo fai non avvisare lo S.H.I.E.L.D… con ogni probabilità Natalia ci sta coprendo le spalle, sta tentando di ripulire la sua nota rossa e non voglio metterla di nuovo nei guai.
-Credo che se mai Natasha dovesse ritrovarsi nei guai sarà perché ci è voluta finire… non dovresti preoccuparti di questo, sa cavarsela benissimo da sola.
-Lo so, ma per esperienza personale… di solito nei guai in cui la caccio io non riesce mai a cavarsela in modo indolore. -commenta James atono, scrollando la testa come a scacciare dei brutti ricordi, puntando lo sguardo su Sam quando quest’ultimo si alza di scatto raggiungendo la finestra. -Che succede?
-Sono arrivati i furgoni, dobbiamo muoverci.
-Dobbiamo?
-Non ti lascio fronteggiare un intero esercito da solo, socio.

***

5 marzo 2017, Presidenziali Americane, Albany

James si concede una sigaretta sotto lo sguardo curioso di Stark, dovevano aspettare l’inizio del dibattito prima che le cose si facessero movimentate e lui aveva un estremo bisogno di calmare i nervi, sfilando il pacchetto da una delle tasche della cintura inizialmente pensate per le munizioni di riserva.
Lui e Sam si erano lanciati all’inseguimento dei furgoni appena avevano lasciato il parcheggio, la sua moto aveva percorso chilometri ma non aveva mai raggiunto la destinazione, erano stati raggiunti dal Quinjet guidato da Natasha, che aveva approfittato della tratta di ritorno al Complesso per aggiornarli sugli ultimi sviluppi.
Aveva confermato che i furgoni che stavano seguendo erano diretti ad Albany, ma che durante la notte il GPS di Sharon si era acceso e, mentre loro discutevano, una unità S.H.I.E.L.D. stava già monitorando l’intera situazione. La donna aveva aggiunto che, a distanza di qualche ora dell’attivazione del segnale GPS, era giunta una soffiata da Faustus che, senza spiegare il motivo dietro la sua improvvisa collaborazione, aveva rivelato loro i piani di Lukin per la serata, dando loro un notevole vantaggio.
Appena avevano rimesso piede nell’hangar Tony aveva preso in mano le redini della situazione, inviando Natasha e Sam alla base per recuperare Sharon pianificando la prima parte dell'attacco nei minimi dettagli, per poi indossare l’armatura e porsi in prima linea trascinandosi dietro James per la seconda parte.
-Sai che esistono gli accendini, vero? -chiede Stark quando lo vede sfilare il pacchetto di fiammiferi da una delle tasche della tenuta, incendiando lo zolfo accendendosi la sigaretta che gli pendeva dalle labbra.
-Vizi e abitudini sono duri a morire. -ribatte serafico dopo il primo tiro, allungando il pacchetto di sigarette in direzione dell’uomo in un’implicita domanda.
-Non tentarmi, sto cercando di smettere con tutte le brutte abitudini. -ribatte con un leggero cenno della mano, picchiettando sul reattore riassorbendo l’armatura, raggiungendolo sul cornicione del palazzo lasciando penzolare i piedi nel vuoto. -Se sto qui tu non mi spingerai di sotto, vero?
-Non ti voglio morto Tony, l’ho superata. -lo rassicura con un’alzata di spalle, realizzando che quella è la prima volta a distanza di giorni che parlano liberamente dell’argomento “Steve” senza degenerare in una lite. -Non fraintendermi, hai anche tu le tue dosi di colpe, ma sarebbe ipocrita da parte mia condannarti per questo… eri in buona fede, ora lo so.
-Avrei voluto che le cose fossero andate in modo diverso. -dichiara riferendosi implicitamente all’intera carrellata di eventi conseguenti alla firma di Vienna, lasciando trasparire nel tono della voce un muto ringraziamento per averlo perdonato.
-Anch’io… lo capisco, io avrei voluto un epilogo diverso per molte più cose. -afferma aspirando l’ennesima boccata, lasciando cadere la cenere nel vuoto distrattamente. -Hai letto il mio fascicolo?
-La cartella clinica che mi ha lasciato Natasha in ufficio? -chiede con tono neutro, sorvolando su qualunque incipit per frecciatine di vario genere, lasciandolo sorpreso. -Sam ha già riferito, basta battutine, promesso.
-Non ha perso tempo vedo… -commenta distogliendo lo sguardo, soffiando appena sul mozzicone che rischiava di spegnersi. -Comunque si, quello.
-Lo sto leggendo, sono arrivato agli anni ‘70. -afferma Stark con un'alzata di spalle forzatamente leggera. -È una lettura... impegnativa, va affrontata per gradi. Capisco perché tu non voglia parlarne, ma almeno si sta rivelando utile per capire cosa dovrò fare con Sharon.
-Mi dispiace… davvero. -asserisce James dopo un paio di secondi di silenzio. -La mia nota rossa gronda sangue.
-Tanto quanto quella di Natasha. -ribatte pacifico Tony. -Non ne hai colpa e lo sai, tutti quei morti… le mani sporche di sangue non sono davvero le tue.
-Ne sei convinto? -chiede l’ennesima conferma trattenendo appena il fiato.
-Assolutamente. -ribatte Tony cercando inutilmente il suo sguardo, liquidando l’argomento con un’alzata di spalle quando non ci riesce, alzandosi dal cornicione.
-Spero che la penserai così anche dopo l’ultima pagina… mi dispiace, davvero. -rimarca James osservando il mozzicone consumato fino al filtro, per poi gettarlo nel vuoto, ricomponendo la solita facciata indifferente che cela i suoi demoni. -Quanto manca?
-Una decina di minuti. -afferma Tony lanciando un’occhiata veloce al quadrante dell’orologio, attivando l’armatura con un leggero tap-tap contro il vetrino dell’alloggio per nano-particelle. -Sei pronto, Barnes?
-Come sempre, Stark.

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Capitolo 18
*** 18 ***


5 marzo 2017, base Kronas Corporation, Albany

La detonazione fa tremare le fondamenta dell’intera base, le guardie abbandonano le loro posizioni da stoccafissi guardandosi intorno confusi, mentre gli allarmi iniziano a suonare a sirene spiegate facendo trasparire un sorriso sulle labbra di Sharon.
-Era ora. -esclama rivolta a nessuno in particolare, continuando a sorridere nonostante attiri l’attenzione di qualche guardia.
Si alza dal lettino afferrando il bisturi posato sul tavolino lì affianco, tramortendo le guardie sorprese dalla sua inaspettata energia, mentre ignora i punti sul ventre che tirano appena recandole un leggero fastidio.
Recupera una divisa AIM da una delle guardie tramortite, raccogliendo tutte le armi che trova, riempiendo le fondine e caricando le munizioni. Fugge dall’ala medica, nascondendosi tra le fila delle guardie che marciano nei corridoi in direzione della torre di controllo, mentre le ricetrasmittenti gracchiano avvisando l’irruzione della Vedova Nera e di Falcon all’interno della base… Sharon non crede di aver udito parole più belle di quelle dal giorno in cui l’hanno rinchiusa, ma non vuole ancora raggiungerli, ha una missione alquanto personale da compiere prima.
Si aggrega alla scorta assegnata a Lukin, distaccandosi dalla fila, seguita da altre tre persone dirigendosi verso l’ufficio dell’uomo, rifilando una pallottola a testa ai soldati che la seguono prima di raggiungere la porta, spalancandola con un calcio ben assestato contro la maniglia.
Aleksander Lukin congela sul posto, il suo sguardo rifugge verso le vie di fuga negate, realizzando di essere indifeso ed impossibilitato a chiedere aiuto.
-Non uscirò vivo da quella porta, vero? -chiede composto mentre Sharon gli punta la pistola contro in risposta. -Ti ho sottovalutata, 13.
-Le tue ultime parole? Hail Hydra?
-Già sentito troppe volte. -commenta con una scrollata di spalle, un respiro profondo prima di chiudere definitivamente gli occhi sul mondo. -Do svidaniya.
Lo sparo risuona forte e chiaro nella stanza, mentre la pallottola stronca il fiato a Lukin e il cadavere freddato impatta contro il pavimento.
Sharon osserva impassibile il corpo riverso a terra abbassando l’arma, si è vendicata, ma l’esperienza l’ha lasciata… vuota, ma quello non è il momento di pensarci.
Gira i tacchi e scappa, cercando Sam e Natasha, imbattendosi in Will puntandogli la pistola contro, ma l’indice freme sul grilletto… il deja vu le smorza il respiro, il braccio trema, consapevole di non potercela fare.
Will le corre incontro mentre la donna chiude gli occhi, rilasciando il fiato che non si era accorta di trattenere quando la scavalca, spalancando gli occhi voltandosi allarmata, ritrovandosi a corrergli dietro in direzione del laboratorio di Zola seguendo il rumore delle lamiere divelte. Trova il corpo robotico dello scienziato smembrato, i circuiti che sfrigolano scoperti, mentre lo schermo del computer segnala la cancellazione dei chip di memoria, ma di Will nemmeno l’ombra.
Sharon si ferma e si concede di riprendere fiato, scosta la maglietta constatando che la fasciatura sul ventre è zuppa di sangue, ma l’adrenalina in circolo non le fa percepire il dolore… si inginocchia a terra posando la fronte contro il pavimento freddo, mentre si tasta la fasciatura sporcandosi le punta delle dita di rosso… i polmoni vanno in fiamme ribellandosi improvvisamente, lasciandosi cedere al panico quando prova a rialzarsi da terra e non ci riesce.
Urla a pieni polmoni una richiesta d’aiuto, mentre lo scalpiccio degli scarponi lungo i corridoi si fa sempre più vicino, fino a quando la porta del laboratorio sbatte lasciando entrare Sam e Natasha.
-Oh mio… Sharon, stai bene? -la raggiunge subito Sam alzandola dal pavimento.
-Quella… -Natasha non conclude la frase, fissa impassibile la fasciatura sul ventre indicandola con l’indice che trema appena. -Ti prego dimmi che…
-Sin ha provato ad uccidermi, credeva che sbudellarmi le avrebbe dato soddisfazione. -risponde seguendo un automatismo inconscio, la voce fioca mentre Sam la solleva da terra e Natasha si rilassa impercettibilmente dopo quella conferma relativamente innocua.
-Ho ucciso Steve… -rivela spaventata a distanza di qualche secondo, osservando con gli occhi lucidi la mancanza di una qualsiasi reazione eclatante da parte dei due.
-Lo sappiamo, non eri in te… va tutto bene, Shar. -replica Sam tranquillo dirigendosi in direzione della porta.
-Non va tutto bene. -replica ostinata con le lacrime che le rigano il volto, mentre i contorni del suo campo visivo si dissolvono a causa della perdita esosa di sangue. -Non va bene.
-Sopravvivrai Shar, in qualche modo. Tu non hai colpe, risolveremo tutto.
Sharon vorrebbe replicare che non esiste un modo per risolvere una cosa del genere, ma sviene prima di avere voce in capitolo sulla questione.

***

5 marzo 2017, Presidenziali Americane, Albany

Il clangore del proiettile che rimbalza contro il vibranio risuona nello spazio circostante, lo scudo assorbe il colpo mentre James arretra di mezzo passo a causa del contraccolpo, placando le urla della folla scatenando le acclamazioni. Lukin aveva predisposto l’omicidio del primo partecipante in gara alle presidenziali, allo S.H.I.E.L.D. stentavano ancora a credere che dovessero tutti ringraziare Faustus per la soffiata, ma in quel momento Tony non poteva fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel vedere Bucky sollevare il capo mostrando il volto alle telecamere, mentre le guardie del corpo portano i candidati alla presidenza lontani dalla sparatoria.
-È scappata, Bucky. -afferma Stark davanti alla finestra vuota, contemplando il fucile abbandonato, abbassando lo sguardo verso la calca che si muove esagitata sotto ai suoi piedi.
-Hai visto la direzione? -chiede James all’auricolare ricevendo risposta affermativa. -Bisogna sgomberare Tony, qui rischiamo di fare danni. Mi serve un diversivo, riesci a procurarmelo?
Tony non aspettava altro, lo raggiunge sul palco con il suo miglior atterraggio da supereroe, mandando la folla va in visibilio quando si toglie il casco e sorride… quella era una sensazione che gli era mancata da morire.
-Okay gente, ho bisogno che manteniate la calma! -urla rivolto alla ressa, mentre percepisce la figura di Bucky che si allontana dagli angoli del suo campo visivo lanciandosi all’inseguimento. -Se ne occupa lo S.H.I.E.L.D. ora! Ho bisogno che seguiate le indicazioni della polizia, bisogna sgomberare!
I civili seguono le sue direttive, ma i giornalisti continuano a scagliarsi contro il palco pretendendo risposte in merito all’uomo con indosso l’uniforme di Capitan America, mentre Tony respira per placare il nervosismo.
-Dopo rilascerò una dichiarazione, ma dopo! Circolare gente, circolare! -esclama accompagnando le parole ad ampi gesti delle braccia, notando che finalmente i giornalisti si decidono a dargli retta.
Decolla di nuovo una volta sgomberata l’intera zona, stringendo lo sguardo individuando James che corre nella direzione indicatagli qualche minuto prima, lasciando correre lo sguardo sui palazzi circostanti… a qualche centinaio di metri di distanza la scorta dei candidati sta facendo fermare le auto per l’estrazione in un parcheggio vuoto, ma Tony è consapevole che sia già troppo tardi quando nota allarmato la figura di Sin appostata sul tetto adiacente, armata di fucile-granata puntando sulle berline nere nel parcheggio, conscio che sarà una carneficina ancora prima di vederla avvicinare la mano al grilletto.
-Bucky, granata in arrivo! -urla mentre si lancia in direzione di Sin tentando di anticiparla, nonostante sia ben consapevole che anche con i propulsori al massimo non potrà mai essere veloce quanto un proiettile.
-Prega che lo scudo regga… -lo avvisa James all’auricolare con un paio di secondi d’anticipo, lo osserva impotente quando salta coprendo l’intero corpo dietro allo scudo, mentre Tony viene allontanato di un paio di metri quando la punta della granata entra in collisione con il metallo esplodendo a mezz’aria… l’onda d’urto frantuma i vetri delle auto nel parcheggio attivando gli antifurti, mentre il corpo di James viene scagliato alla velocità della luce contro il tettuccio di una delle auto.
-Tu sei un pazzo furioso! -strepita Tony quando atterra di fianco all’auto con il tettuccio sfondato, appurando sollevato che James ha ancora il fiato per concedersi una risata isterica quando si rende conto di non essere morto. -E non ridere, ho quasi fatto un infarto!
-Parla piano, mi esplode la testa. -comunica cercando di riprendere fiato, tastandosi la cassa toracica con la mano libera dallo scudo. -Credo di essermi rotto qualcosa.
-Credi?!
-Non fare storie e aiutami. -ordina liquidando il principio della sfuriata allungandogli una mano.
Tony cerca di rimetterlo in piedi il più delicatamente possibile, ma la gamba cede e gli crolla addosso, mentre i federali si mobilitano delimitando un perimetro per tenere lontana la calca di giornalisti in arrivo, prendendo in custodia il cadavere sfigurato di Sin.
-Stark… i giornalisti. -mormora James ancora addossato contro la sua spalla, palesemente sofferente, ma intenzionato a volersi tenere in piedi da solo spostando il peso sull’altra gamba. -Che facciamo?
-Sei sicuro di star bene? Sembri ad un passo dal collasso.
-Sono stato peggio… che facciamo, Stark?
-Muto, sorridi e non toglierti l’elmetto… al resto ci penso io. -ordina sbrigativo una volta assicuratosi che James riesca a reggersi in posizione eretta senza accusare un malore immediato. -Dimostriamo alla nazione che Capitan America e Iron Man hanno fatto pace, pensi di farcela?
-Okay… ma una cosa sbrigativa, non voglio morire tra le tue di braccia.
-Giusto, meglio se muori tra quelle di Natasha. -commenta riuscendo a strappargli una risata soffocata, interrotta dalla fitta alle costole, mentre un sorriso a trentadue denti incornicia il volto di Tony quando si volta a fronteggiare i giornalisti assillanti, ottenendo un immediato silenzio appena apre bocca.
-Stanotte, io e il mio collega qui presente, abbiamo sventato un attentato orchestrato dalle teste restanti dell’organizzazione nota a tutti come HYDRA ai danni del futuro Presidente degli Stati Uniti. Dovete ringraziare quest’uomo e la sua sana dose di incoscienza se ciò non è accaduto… -afferma posando una mano sulla spalla di James, che traballa e maschera una fitta dietro a un sorriso tirato, notando con la coda dell’occhio il Quinjet che nel frattempo si è posizionato esattamente sopra le loro teste. -... Capitan America è un’istituzione, non importa chi sia l’uomo che si cela dietro lo scudo. Mi prendo la responsabilità di affermare che la Guerra Civile tra i super-umani è conclusa, il caso verrà discusso nei prossimi giorni, ma mi duole farvi notare che, se avessimo seguito gli Accordi non condividendo le informazioni, avreste eletto un uomo manovrato dalle peggiori menti criminali della storia. Rifletteteci. Ora, con permesso, anche gli eroi hanno bisogno di meritato riposo. -conclude afferrando James per la vita spiccando il volo, dando inizio alla sequela di imprecazioni di quest’ultimo quando accusa un dolore lancinante causato delle ossa rotte, interrompendo la sequela una volta attraversando il portellone aperto, per poi venire adagiato sul pavimento in lamiera.
-Come sono andato?
-Brutale. -commenta James conciso e dolorante, evidentemente non riteneva opportuno specificare se si stesse riferendo al discorso proferito o all’ultima manovra attuata, limitandosi a sdraiarsi sul pavimento chiudendo gli occhi.
-Ti sei assicurato il giro del mondo in due secondi netti e hai causato un probabile aneurisma a Ross. -replica Natasha ai comandi del Quinjet. -Almeno è per qualcosa di positivo.
-Sharon? -si informa cercando di non far trasparire la preoccupazione nella voce mentre chiude il portellone.
-In volo verso il Complesso sana e salva. -afferma la donna rassicurandolo, mentre Tony riassorbe l’armatura avvicinandosi ai comandi. -Dammi il cambio Romanoff, è in condizioni pietose e vuole morire tra le tue braccia.
-Tramortito ma ancora cosciente, Stark. -lo riprende James da un punto imprecisato sul pavimento alle sue spalle. -Sto bene, non dargli retta Natalia.
Lo ignorano entrambi mentre Natasha si lascia sfuggire un sorriso quando si alza dai comandi cedendogli il posto, sedendosi sul pavimento togliendogli l’elmetto, facendogli posare il capo contro il suo ventre passandogli le dita tra i capelli, mentre James si lascia sfuggire un microscopico sorriso da ebete. Tony si morde la lingua per non farsi scappare frecciatine inopportune, mentre accusa una vaga fitta di gelosia alla bocca dello stomaco, imponendosi di relegare il ricordo delle coccole sul divano con Pepper in un angolino della sua mente.
-Taci, ingrato. -ribatte scherzoso afferrando i comandi della cloche. -Fammi un favore e lasciati morire in silenzio fino a quando non torniamo a casa.

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Capitolo 19
*** 19 ***


7 marzo 2017, residenza sicura di James Buchanan Barnes, Brooklyn, New York

Natasha finisce di disporre gli abiti all’interno delle cabine armadio, chiudendo le ante e calciando il suo borsone ormai vuoto sotto al letto, decidendo che ci avrebbe trovato una seconda sistemazione in seguito. La donna stenta a credere di aver appena riversato tutti i suoi averi negli stessi cassetti ed armadi di James… ma l’aveva fatto, avevano ufficializzato la cosa ed ora convivevano sotto lo stesso tetto, non che la cosa le dispiacesse, anzi.
Torna in salotto, avvistando la figura di James appostata in terrazza, le stampelle posate in un angolo e la nuvola di fumo che si sprigiona dalle sue labbra ad ogni tiro di sigaretta, lo sguardo perso sullo skyline di Brooklyn mentre un vago odore di tabacco filtra nella stanza attraverso la porta-finestra socchiusa.
Si lascia cadere sdraiata sul divano accendendo il televisore, cercando inutilmente di trovare un qualche canale che trasmettesse qualcosa di diverso dai TG, ma sembrava che l’intero palinsesto televisivo ritenesse più appropriato ribadire per l’ennesima volta che il senatore Wright aveva tenuto una conferenza a Washington DC, dichiarando di dimettersi dalla corsa alla carica presidenziale… Natasha non aveva bisogno di esserne informata, se ne era occupata personalmente quella mattina stessa.
L’avevano inviata ad occuparsi delle trattative su ordine dello SHIELD, era stata una scaramuccia di massimo cinque minuti, risolta con un sorriso accattivante che non si sforzava particolarmente di celare tutta una serie di minacce ed implicazioni abbastanza scomode.
-Toglimi una curiosità, per caso gli hai fatto anche l’occhiolino? -chiede James rientrando portandosi dietro l’odore del tabacco, lo sguardo puntato sul televisore che inquadrava un senatore Wright alquanto preso dal suo discorso, mentre arranca verso di lei con le stampelle sottobraccio.
-No, gli ho solo spiegato cosa comportino le conseguenze delle sue azioni. -afferma mettendosi seduta, facendo spazio a James tra i cuscini del divano. -Potrei aver causalmente accennato alle celle del Raft.
-Casualmente. -ribadisce James con il sorriso sulle labbra, allungando un braccio contro lo schienale del divano circondandole le spalle, mentre Natasha si incastra alla perfezione nel suo abbraccio appoggiandosi contro di lui.
-La gamba?
-Sopportabile, domani dovrei riuscire a reggermi in piedi da solo. -la informa sbrigativo indicando distrattamente la steccatura improvvisata.
Quando Natasha l’aveva trascinato giù dal Quinjet fino al laboratorio del Complesso due giorni prima, James si era opposto con forza all’ingessatura definendola una rottura di scatole e uno spreco di materia prima, le sue analisi avevano garantito un perfetto recupero motorio entro un paio di giorni, ne Stark ne Shuri avevano provato seriamente ad opporsi all’idea confidando nel siero del super-soldato, limitandosi a steccargli la gamba per far calcificare l’osso nel modo corretto.
-Guarda lo trasmettono di nuovo. -commenta Natasha cambiando discorso, mentre l’immagine di James in uniforme invade lo schermo e la scritta in sovrimpressione ricorda a tutti che un paio di giorni prima Capitan America aveva salvato le presidenziali.
-Cambia canale ‘Tasha, è finita, non voglio più saperne nulla fino a quando non spunta la prossima testa. -ribadisce l’uomo accarezzandole appena la spalla, mentre la donna istintivamente gli sfiora i bendaggi sul torace nascosti dalla maglietta… l’impatto causato dall’onda d’urto della granata l’aveva conciato per le feste, ma tutto sommato poteva andargli decisamente peggio.
-Ipotesi su chi possa essere la prossima testa da eliminare? -chiede sollevando lo sguardo contro il profilo di James.
-Will non è morto ad Albany, quindi lui e chiunque con cui lavori ora. -James snocciola in fretta. -E non provare a dire che sono paranoico, tu stai cercando il cadavere di Petrovich solo per assicurarti che sia effettivamente morto.
-Va bene, come non detto… -liquida la faccenda con un'alzata di spalle, presa in contropiede dalla giocata in anticipo, non era un segreto che nelle ultime settimane si fosse intestardita nelle ricerche del cadavere del patrigno, nonostante tutti i suoi tentativi si fossero rivelati un buco nell’acqua dopo l’altro. -Voglio solo dire che gente ti ama James, goditela finché dura.
-L’approvazione della gente o la pace?
-Tutte e due. -ribatte decisa, alludendo all’opinione estremamente volubile della folla e alla pace transitoria che per loro non era mai destinata a durare troppo a lungo. -Devi staccare la spina per un paio di giorni, amore… al momento puoi permetterti di farlo.
-E se non volessi?
Natasha aveva risposto all'obiezione pungolandolo alle costole, ottenendo un sibilo sofferto da parte dell’uomo.
-Se non stacchi la spina non guariranno mai, il siero non fa miracoli. -afferma la donna con tono ovvio, spostando la mano sul fianco allontanandosi dalla fasciatura, sporgendosi per baciarlo. -Quarantotto ore di calma, pensi di farcela?
-Sarei molto più collaborativo se avessi un incentivo. -afferma l’uomo sorridendo malizioso, spostandole una ciocca lontano dal volto, portando la mano sana dalla guancia alla nuca.
Natasha l’aveva preso alla sprovvista bloccando il suo tentativo di baciarla, tappandogli la bocca con la mano spingendolo contro lo schienale del divano, ritraendosi ridendo divertita.
-Crudele… sono solo un paio di costole.
-James, è un miracolo che tu stia in piedi. Quando ti ho trascinato giù dal Quinjet ti hanno diagnosticato un trauma cranico, un’intera gamba fratturata e le costole incrinate… solo perché il trauma cranico si è riassorbito ieri sera e stamattina le ossa della gamba si sono riassemblate permettendoti di trascinarti fino in cucina, non significa che tu stia bene. -ribatte esasperata mentre James sbuffa sonoramente, il capo gettato indietro contro lo schienale del divano tenendo gli occhi chiusi. -Per una volta che ti è stato concesso del tempo senza l’allerta minaccia che incombe, goditelo.
-Sai come me lo godrei meglio? -chiede retorico in risposta. -Con le coccole e qualunque cosa che non sia un telegiornale per TV.
-Coccole? -chiede sarcastica rivolgendogli uno sguardo abbastanza scettico.
-Voglio le coccole, ti sei trasferita qui, voglio festeggiare la cosa nel modo più schifosamente romantico che ti viene in mente. -afferma deciso circondandole la vita con il braccio stringendosela contro, per poi indicare il televisore con l’indice di metallo. -Il telegiornale è la cosa più lontana che esista dal concetto di romanticismo.
-Vuoi un film romantico visto che ci siamo? Tipo “Romeo e Giulietta”? -ribatte scherzando, ridendo all’espressione fintamente inorridita di James. -Dici che è troppo?
-Decisamente… che poi la loro non si può definire una storia romantica, è una stupida infatuazione di qualche giorno tra due ragazzini precipitosi che casualmente ha portato a sei morti. -riassume l'uomo distruggendo velocemente Shakespeare sotto lo sguardo sconcertato di Natasha. -Che c’è? Ho rubato il libro in biblioteca secoli fa per Rebecca… il miglior regalo di compleanno di sempre senza spendere nemmeno un dollaro.
-Quanti anni aveva all’epoca? -chiede Natasha curiosa cercando inutilmente di nascondere l’ilarità.
-Troppi pochi per comprendere sul serio Shakespeare. Mi leggeva qualunque cosa le piacesse quando non ero a lavoro… e poi pretendeva che le facessi il riassunto per vedere se l’avevo ascoltata ed avevo capito la vicenda, considerato che il più delle volte mi addormentavo sfinito mentre leggeva.
-Ed il libro l’hai riassunto e basta, oppure hai avuto la brillante idea di distruggerle tutto il romanticismo commentandolo come hai fatto con me ora?
-Non l’ho mai distrutto… forse saltavo un bel po’ di passaggi nel mezzo mentre lo riassumevo, ma questi sono dettagli. -sorride giustificandosi, grattandosi il retro della nuca mentre Natasha scuote la testa ridendo. -Perché ridi?
-Perché amo il tuo lato schifosamente romantico praticamente inesistente. -ribatte la donna afferrandogli il volto tra le mani d’impulso, lasciandogli un bacio a stampo impresso sulle labbra. -Tu non hai la più pallida idea di cosa sia il romanticismo.
-Potrei sorprenderti, è solo che non mi hai mai visto impegnarmici sul serio finora. -ribatte con una scrollata di spalle. -Tornando a noi, cosa guardiamo al posto del telegiornale?
-Scegli tu, sei tu quello che vuole festeggiare con le coccole e qualcosa di schifosamente romantico per TV. -lo prende in giro con una leggera pacca sulla spalla.
-Iniziamo il “Trono di Spade”? -chiede facendole riaffiorare il sorriso sulle labbra.
-Quindi festeggiamo con coccole e massacri? -ribatte ironica armeggiando con il telecomando del televisore.
-C’è qualcosa di meglio?
-No, è tutto semplicemente perfetto. -afferma Natasha posando la testa contro la sua spalla premendo play.

***

7 marzo 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

-Chiudi la porta. -afferma Tony saltando i convenevoli appena Sam varca la soglia del laboratorio.
-Ciao anche a te, Tony. -ribatte l’uomo scocciato dal freddo benvenuto, astenendosi dal commentare oltre, preoccupato dall’espressione del miliardario, chiudendosi immediatamente la porta alle spalle. -Perché mi hai mandato a chiamare? Notizie buone o cattive?
-Metà e metà. -comunica atono allungandogli un foglio da sopra la scrivania. -Sono arrivate le analisi di Shar che avevo richiesto. Dovresti vedere una cosa.
Sam afferra il foglio leggendo i caratteri stampati da cima a fondo, concludendo la prima lettura un commento atono e monosillabico, prima di far scorrere gli occhi sui valori e su quelle parole per una seconda volta.
-Ha avuto un aborto? E non lo ricorda minimamente?
-Sembrerebbe che Faustus qualcosa di buono l’ha fatto davvero. -ribadisce Tony intrecciando le dita sopra la scrivania, espirando profondamente per sedimentare la consapevolezza nel suo cervello. -Che facciamo ora?
-La teniamo d’occhio… e glielo dirai tu quando credi sarà pronta. -ribatte Sam scoccando uno sguardo impensierito attraverso le pareti di vetro, puntandolo oltre il ballatoio sulla figura di Sharon rannicchiata sul divano al piano inferiore.
-Sei della stessa idea di Rhodey insomma… -commenta riferendosi all’opinione del suo migliore amico esternata nemmeno mezz’ora prima, probabilmente aveva incrociato Sam sulle scale mentre quest’ultimo lo raggiungeva al laboratorio.
-Sai che è la cosa giusta da fare, come sai bene che non puoi delegare nessun altro per dirle una cosa del genere.
-Mi domando se sarà mai pronta ad una notizia del genere… -riferisce debolmente Tony seguendo la direzione dello sguardo dell’uomo.
-Credo che nessuno lo sarà mai, ma ora dalle tempo… merita di saperlo, ma puoi confidare sul fatto che prima o poi se lo ricorderà da sola, sempre se la cosa può farti sentire meglio o meno responsabile della notizia.
-Le ho dato una camera di sopra, starà qui al Complesso per un po’, faccio liberare una stanza anche per te? -chiede cambiando marginalmente discorso, scrollando le spalle come a scacciare tutte quelle responsabilità non volute.
-Te ne sarei grato. -ribatte Sam con l’accenno di un sorriso sulle labbra. -Tu che farai adesso? Ho sentito che hai riconsegnato il testimone a Maria.
-Si, Fury non ne è molto contento, ma ho degli affari in sospeso nel Queens e tra qualche ora decolla un aereo per L.A… -riferisce con finta noncuranza, guardando distrattamente il quadrante dell’orologio al polso, per poi aggiustarsi i bottoni della giacca.
-L.A.? -chiede conferma Sam con uno sguardo significativo, scannerizzandolo dalla punta delle scarpe lucidate al nodo alla cravatta.
-Si, come sto? -chiede con tono scherzoso, compiendo un giro su sé stesso mostrando il completo firmato.
-Una favola. Pepper lo sa?
-Non ancora, la porto fuori a cena se non mi sbatte la porta dell’ufficio in faccia.

***

10 marzo 2017, residenza sicura di James Buchanan Barnes, Brooklyn, New York

James si era rigirato tra le lenzuola cercando il calore del corpo di Natasha a tentoni, aprendo gli occhi sul soffitto bianco della camera da letto quando la sua mano non si era scontrata con il corpo della donna, trovando l’altra metà del materasso vuota.
Si era alzato sui gomiti cercando con lo sguardo un qualche biglietto disperso tra le pieghe delle lenzuola, interrompendo le sue ricerche quando la porta della camera si era socchiusa e Natasha era apparsa in pigiama con la loro colazione in bilico su un vassoio, accompagnata dal profumo del caffè e dei pancake.
Le aveva rivolto uno sguardo confuso quando la donna aveva depositato il vassoio sul comodino, allungandogli la sua tazza di caffè mentre gli posava un leggero bacio sulle labbra, riordinando le sinapsi dopo il primo sorso di liquido nero. James aveva gettato uno sguardo veloce alla sveglia che segnalava a cifre lampeggianti la data del 10 marzo, confermando le sue ipotesi quando l’aveva vista raggiungere la cassettiera prelevando un pacchetto regalo.
-Ah. -si lascia sfuggire la constatazione dalle labbra, posando la tazza di caffè sul vassoio mentre Natasha lo raggiunge gattonando sul materasso, mettendogli sotto il naso la scatolina colorata.
-Te ne eri dimenticato? In effetti hai raggiunto i cent’anni, è abbastanza normale che la tua memoria inizi a perdere colpi amo… -ride interrompendo la frase, mentre James la afferra per i fianchi facendole il solletico in risposta all’ironia della donna.
-Dovrei ricordarti che tra un paio di mesi tu ne compi 89?
-Non è buona educazione rinfacciare l’età di una signora. -ribatte con il sorriso sulle labbra, sfuggendo dalla presa dell’uomo, recuperando il pacchetto regalo andato perso durante la guerra del solletico. -Avanti, aprilo.
James aveva sollevato il coperchio sotto lo sguardo divertito della compagna, sfilando dal pacchetto una chiave.
-Carino il portachiavi. -commenta rigirandosi il mini-scudo di Capitan America tra le dita. -Cosa dovrebbe aprire?
-La nostra porta di casa. -afferma decisa lanciando un'occhiata veloce alla sveglia sul comodino. -Tra una quarantina di minuti arriva qualcuno a sostituire la serratura, quindi tentiamo di fare colazione e renderci presentabili in tempi utili.
-Ci stai regalando la privacy? -ribatte ridendo rigirandosi la chiave tra le dita. -Davvero?
-In realtà ho pagato con una delle carte di credito di Tony, non che lui ne sia informato ovviamente… Questa era la parte necessaria, soprattutto visti i precedenti. -ribatte serafica sfilandosi la maglietta del pigiama, circondandogli la vita con le cosce, mentre James porta d’istinto le mani sulla schiena nuda della donna. -La seconda parte è fuori dalla porta di casa, ma a quella ci pensiamo dopo.
James si era perso in Natasha, fregandosene della colazione ormai fredda e del fatto che si era rivestito alla velocità della luce, appena in tempo per accogliere gli addetti ai lavori che avevano bussato alla porta di casa. Non credeva che la giornata potesse migliorare, ma aveva dovuto ricredersi quando Natasha gli aveva fatto guidare la moto fino a Coney Island, parcheggiandola davanti al luna park.
Erano tornati a riprenderla quando il sole era calato sull’orizzonte tingendo il cielo di rosso, mentre James fremeva eccitato come un bambino di cinque anni dopo aver ingurgitato una vagonata di zucchero filato, passando l’intera giornata sulle montagne russe, beandosi del sorriso sorpreso di Natasha quando si erano concessi una sigaretta prima di tornare a casa, porgendole il fiammifero acceso in un gesto automatico perso nel tempo.
Quando erano approdati in casa loro a fine giornata, la donna aveva scherzato improvvisando una sorta di cerimonia delle chiavi, concedendogli l’onore di girare il chiavistello per primo… aprendo la porta sull’intera squadra degli Avengers e consorti che intonavano un “sorpresa” da spaccare i timpani.
-Ho pensato fosse un’idea carina. -aveva commentato Natasha in risposta alla mancanza di una sua qualsiasi reazione.
-Mi accontentavo di molto meno ‘Tasha, davvero…
-Ingrato, ti ho comprato anche la torta. -l’aveva interrotto Stark emergendo dalla folla con una donna dai capelli biondi-rossicci a seguito, indicandogli un mostro di torta completamente ricoperto di glassa e candeline di cera, mentre Natasha lo afferrava per il braccio e lo trascinava fino al tavolo dove era deposto il dolce.
-Sono un centinaio esatto, puoi contarle se vuoi. -era intervenuto Sam sbucando alle sue spalle. -Ma conta in fretta, prima che la cera si sciolga del tutto.
-Siete due idioti. -afferma James spostando lo sguardo da Sam a Tony e viceversa, gli occhi brillanti che celavano un muto ringraziamento, abbassando lo sguardo sulle fiammelle che danzavano sopra il dolce. -Ma siamo sicuri che ci sia della torta sotto tutte queste candeline?
-In realtà ti piace da morire, ammettilo. -ribatte Natasha, stringendogli la mano mentre lui si chinava per spegnerle.
-Aspetta. Non esprimi un desiderio? -lo interrompe Sharon indicando le fiammelle ancora accese.
-Nah, sto bene così. -risponde lasciando scorrere lo sguardo sui presenti, avvertendo uno dei tanti tasselli della sua vita che tornava finalmente al suo posto… anche se il pensiero del vuoto lasciato da Steve gli aveva attraversato la mente un paio di secondi prima di rilasciare il fiato, lasciandolo sfuggire insieme alle centinaia di fiammelle che si erano dissolte nel vento, concedendo spazio alle risa quando Natasha gli aveva sporcato la punta del naso con un ricciolo di glassa.
James non ricordava quando era stata l’ultima volta che si era sentito così bene.

***

7 aprile 2017, residenza sicura di Tony Stark, 5th Avenue, Manhattan, New York

Tony rabbrividisce sotto il tocco inaspettato di Pepper, impedendosi di portare le mani al volto per nascondere le guance rigate di lacrime silenziose, ma continuando a mostrarle la schiena in un debole tentativo di difesa. Non voleva che lo vedesse piangere, mostrandosi per l’uomo imperfetto che era, nonostante fosse consapevole che lei amasse tutte le sue sfaccettature, compreso il suo lato fragile… ma aveva finto per troppi mesi di non averne uno, trovava stranamente innaturale far cedere le difese di colpo, anche con lei.
-Tony che ci fai ancora in piedi? Vieni a dormire, ci pensi domani alla mente di Shar… -le mani delicate di Pepper erano scese dalle spalle al suo petto, interrompendo il contatto quando gli aveva sfiorato la guancia bagnata con la propria. -Amore, stai bene?
Tony si era passato una mano sul volto reprimendo un singhiozzo silenzioso, distogliendo lo sguardo dal fascicolo abbandonato sul tavolino, puntandolo sulla compagna che lo scrutava preoccupata.
-Abbracciami. -quell’unica parola aveva grattato contro la sua gola secca, facendone uscire un verso strozzato.
Era una richiesta semplice che aveva avuto soluzione immediata, i piedi nudi di Pepper avevano aggirato il divano alla velocità della luce, stringendolo in una presa spacca-ossa, mentre Tony posava il capo contro l’incavo del suo collo abbandonandosi ai singhiozzi.
Stava studiando il fascicolo di Bucky per estrapolare dei tempi di recupero indicativi per capire cosa fare con Sharon… poi era incappato nel dicembre del ‘91, il suo cervello si era spento e il suo corpo si era congelato sul posto.
-Che succede? -chiede Pepper con voce sottile, timorosa di conoscere la risposta così spaventosa al punto da ridurlo in quello stato, affondando una mano tra le ciocche nere della nuca.
-Non si erano rotti i freni… papà non si era addormentato e non era nemmeno ubriaco… -aveva tentato di formulare, tradito dalla voce che si era rotta prima di terminare la frase, mentre un singhiozzo trattenuto gli blocca il respiro e tace cullato nell’abbraccio di Pepper, che non ha bisogno di altre parole per capire di cosa stia parlando, stringendo ancora di più la presa in un gesto automatico.
Bucky gli aveva consegnato il fascicolo chiedendogli di leggerlo, ma solo dopo aver letto l’ultima annotazione Tony ne aveva compreso la richiesta, trovando spiegazione a quell’ombra di pena infinita che vedeva ogni volta che incrociava il suo sguardo… Bucky non sapeva come dirglielo, per questo gli aveva consegnato i documenti, lasciando che fossero i fogli stampati a parlare per lui. Nel fascicolo era riportato che aveva riconosciuto il cadavere di Howard dopo avergli fracassato il cranio, che avevano dovuto sedarlo dopo avergli fuso il cervello quando aveva fatto ritorno alla base, specificando che aveva attaccato i capi con l’intento di punirli per le azioni che lo avevano costretto a compiere… da bravo masochista che era, Tony aveva letto fino all’ultima riga che riguardava i suoi genitori, prima di discostarsi dai documenti e concedersi di versare qualche lacrima.
-Non so cosa dire, amore… -la voce di Pepper era ridotta ad un sussurro appena udibile, si era rotta in un paio di punti, affondando le dita nella sua pelle per compensare.
Tony aveva bloccato ogni impulso deleterio, stringendosi di più nell’abbraccio… non poteva far altro che piangere, lasciando scivolare via il dolore che gli opprimeva il petto insieme alle lacrime.
-Pep... -aveva mormorato contro la sua pelle ancora scosso dai singhiozzi, non riusciva ad articolare a parole una frase sensata per esprimere quanto la amasse e quanto fosse grato che lei fosse tornata, nonostante continuasse a trascinarla in mezzo al disastro della sua vita, schiarendosi appena la voce tentando di fare uno sforzo. -Grazie per essere qui, nonostante io sia un completo disastro…
-Amo anche il tuo essere un disastro. -l’aveva interrotto facendogli sollevare il capo per guardarlo negli occhi. -E sei sconvolto, sfogati… è tutto okay, non scappo da nessuna parte.
-Davvero..? -avrebbe voluto mordersi la lingua prima che la richiesta di conferma sfuggisse dalle sue labbra, registrando appena l’ombra cupa che aveva scurito le iridi della donna.
-L’amore non è perfetto… mi accontento di aspirare all’imperfezione e sperare di vivercela insieme. -aveva affermato decisa senza sortire nessuna battuta d’arresto, imprimendogli un leggero bacio sulla tempia, per poi tornare a stringerlo come se volesse fonderlo dentro di lei, facendosi carico di un po’ del suo dolore.
Pepper aveva scacciato i fantasmi a forza di carezze, fino a quando i singulti si erano calmati smettendo di fargli tremare le spalle, collassando in un sonno senza sogni.




Commento dalla regia:
Questo capitolo è diverso dai precedenti, più introspettivo e meno adrenalinico, ma volevo mostrare uno dei pochissimi momenti di respiro prima della seconda carrellata di eventi che si abbatterà sui nostri beniamini… e perché il centesimo compleanno di Bucky meritava di essere narrato, soprattutto se i fumetti forniscono materiale in questo senso (link alla vignetta per i curiosi).
Ci tengo a precisare che da questo momento in poi le informazioni dal punto di vista fumettistico saranno inesatte, a partire dalla leadership di Hill allo S.H.I.E.L.D., ma arrivata a questo punto i fumetti divergono in una direzione estremamente opposta a quella conosciuta ai più ed estremamente complessa da descrivere se non si conosce la versione degli eventi “originale”. Manterrò comunque lo svolgersi degli elementi cardine cruciali per il proseguire della vicenda, ma permettendomi di giocare con la linea temporale modificabile, puntando a rientrare marginalmente nella comfort-zone dell’MCU e mettere un punto all’intera faccenda, spero che la continuazione sia comunque di vostro gradimento.
Un grazie speciale va a chi mi ha seguito finora, a chiunque ha inserito la storia nelle seguite/ricordate/preferite e chi le ha recensite. <3
Alla prossima,
_T

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Capitolo 20
*** 20 ***


24 aprile 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

-Devo ricalibrarla un secondo… fatto. Come te la senti?
James aveva mosso l’articolazione della spalla sotto lo sguardo impassibile di Tony, mentre quest’ultimo riponeva i fusibili e rimetteva gli attrezzi da lavoro al loro posto.
Tony si era concesso un mezzo sorriso nel vedere l’espressione di pura gioia che traspariva dai lineamenti di James, mentre muoveva il braccio sinistro rimirandolo da vicino… dopo lo scontro ad Albany, appena si erano calmate le acque, James aveva proposto qualche idea per una nuova protesi, Tony non aveva voluto indagare sul perchè della richiesta, mettendosi al lavoro portandosi dietro Sharon in laboratorio come assistente per tenerla impegnata, rinchiudendosi al Complesso per evitare Ross e la pressione mediatica che gli aveva scaricato addosso annunciando la cessazione degli Accordi, nonostante Maria si stesse impegnando a tenere il Segretario a distanza di sicurezza dalle questioni più spinose.
Aveva ultimato la nuova protesi ancora tre settimane prima, ma aveva preferito dissociarsi momentaneamente da tutto ciò che riguardava James dopo aver finito di leggere il fascicolo, desistendo all’impulso di strangolarlo portando i documenti a Hell’s Kitchen da Murdock, preparando le valigie alla volta di Malibu con Pepper a seguito… il sole della California e una gita al cimitero di Santa Monica l’avevano aiutato a distendere i nervi placando i suoi peggiori istinti, scendendo a patti con la consapevolezza che non era davvero colpa di Bucky ciò che era successo ai suoi genitori, tornando a New York convocandolo al Complesso seguendo l’automatismo di fingere che non fosse mai successo nulla.
La flebile vocina di Steve che abitava nel suo cervello ricoprendo il ruolo del buonsenso stava tentando di fargli cambiare idea da quella mattina, suggerendogli di cercare un confronto con il diretto interessato, nonostante Tony si stesse beando della falsa sicurezza data dall’espressione estatica di James davanti alla nuova protesi… non ci teneva particolarmente a portare a galla certi discorsi, anche se una piccola parte di sé aveva bisogno di sentirsi dire a chiare lettere da Barnes cosa fosse successo davvero, desistendo di nuovo mordendosi la lingua, stringendo appena i pugni in tasca riportandosi alla mente i referti medici che testimoniavano l'elettroshock e le torture inflitte nella notte tra il 16 ed il 17 dicembre 1991, imponendosi di farsela bastare come risposta e dissimulando il tumulto dei suoi pensieri con una scrollata di spalle forzata.
-Sembra pelle vera… incredibile. È addirittura calda… -commenta James con la mano sinistra premuta contro la guancia, riscuotendo Tony dai propri pensieri mentre un sorriso sarcastico auto-imposto fa capolino dalle sue labbra.
-Così Natasha non si lamenterà più della tua mano congelata. -ribatte scherzando, nascondendo lo sguardo in tumulto afferrando il tablet tra le mani, fingendo di controllare la casella della posta elettronica con dei tap-tap distratti sullo schermo.
-Credimi, di cose di cui lamentarsi del sottoscritto ne trova sempre. La protesi è opera solo tua o anche della ragazzina? -chiede afferrando la maglietta iniziando a rivestirsi, mentre Tony fugge dal suo sguardo rileggendo mail già aperte per non ricambiare l’occhiata smascherandosi.
-Anche la ragazzina… più qualche consulto con Reed Richards e un paio di tecnici alle dipendenze di Fury. -sciorina in fretta gesticolando distrattamente con la mano libera. -E Sharon mi ha fatto da assistente.
-Lei come sta?
Il tono di voce di James lo spinge a ricambiare lo sguardo, l’espressione sinceramente preoccupata che gli si staglia davanti lo disorienta, ponendosi inconsciamente sulla difensiva… perché quello è lo sguardo che gli descriveva suo padre quando parlava del Sergente caduto in battaglia, era lo sguardo che Steve disegnava nei blocchi da disegno, lo sguardo che mal si sposava all’uomo con le mani imbrattate di sangue fino ai gomiti di cui aveva letto negli ultimi mesi.
-Meglio… credo. È rientrata in servizio un paio di settimane fa, si tiene impegnata.
-E quel paio di piste che ti avevo chiesto di controllare? -ribatte Barnes ignaro dei pensieri che gli stanno attraversando la mente, inarcando un sopracciglio quando non riceve una risposta immediata spronandolo a riprendersi.
-Ancora fredde, non si è mosso nulla, ma continuo a controllarle… dici che mancano un paio di nomi? -si informa deponendo l'ascia di guerra, rinunciando al bisogno di avere una conferma, passando sopra a quel discorso che non sapevano entrambi come affrontare.
-Natalia sta tentando di rintracciare il cadavere di Petrovich, girano voci che dicono sia morto, ma è meglio assicurarsene… e manca il figlio del Barone all’appello, Zemo è l’unico gerarca ad avere figli ancora in vita e mi piacerebbe sapere se l’erede è da considerarsi una minaccia, o se invece è una persona innocua che non farebbe male ad una mosca.
-Ci credi davvero che possa essere innocuo? L’eredità di famiglia è un fardello quasi impossibile da evitare, parlo per esperienza. -commenta sforzandosi di dissimulare la menzione indiretta ad Howard con uno sguardo di profondo scetticismo. -Sin non era migliore di suo padre, e nemmeno il figlio di von Strucker se per questo.
-È un’ipotesi alquanto irrealistica. -ammette James distogliendo lo sguardo, evitando l’argomento “Howard” con discreta nonchalance, continuando imperterrito con il discorso iniziale. -Ma ragionando sempre per ipotesi, sembrerebbe che Lukin ha investito sulla seconda generazione, quindi...
-...Zemo è l’ultima testa e Will si è rifugiato da lui. -conclude Tony riprendendo il ragionamento di Barnes, mentre quest’ultimo afferra la giacca di pelle dallo schienale della sedia.
-Sto cercando un collegamento mentre Natalia è presa dalla caccia ai fantasmi, ma gli Accordi non mi lasciano moltissimo spazio di manovra.
-Lo so, ho un esercito di avvocati capitanati da Murdock che stanno cercando un cavillo legale per annullarli. -lo informa Tony incrociando le braccia al petto puntellandosi al bordo della scrivania, richiamando l’attenzione di James che smette di giocherellare con le chiavi della moto sfilate dalla tasca.
-È il tuo modo per dirmi che Ross punta ancora a processarmi?
-Sei sempre stato così bravo a leggere tra le righe? -ribatte stupito, non era un segreto che Ross importunasse Maria a qualunque ora del giorno e della notte, come il fatto che Murdock continuasse a far da spola tra l’ufficio ad Hell’s Kitchen e il Complesso con plichi di documenti per abolire gli Accordi sottobraccio, ma nessuno aveva mai esplicitamente menzionato la richiesta della testa di Barnes su un piatto d’argento, anche se Murdock lavorava di nascosto ad una possibile difesa in tribunale da tre settimane a quella parte.
-Tony se si arriva a processo io dovrei… -James si interrompe alla ricerca delle parole più adatte, mentre l’ombra dello sguardo che Tony aveva intravisto ad Albany si ripresenta puntuale, consapevole che da certi discorsi non si può fuggire nonostante tutto l’impegno del mondo. -Non so dove sei arrivato a leggere ma...
-L’ho letta la tua cartella, Barnes. Tutta. -soffia tra i denti immediatamente, prima che le parole possano incepparsi nella sua gola, ma le frasi sensate e civili si sono già perse e Tony si ritrova a non sapere come continuare il discorso, reagendo al panico iniziando a straparlare nervosamente. -Lo so, non sapevi come dirmelo... sinceramente non sono sicuro di volerne parlare… con te, intendo. Parlarne in generale… in realtà.
-E se parlo solo io? -lo interrompe prima di fargli raggiungere un punto di non ritorno, portando le mani avanti in un gesto quasi conciliante. -Ti devo una spiegazione, dopo puoi anche picchiarmi se la cosa può farti sentire meglio, non proverò a fermarti.
Tony annuisce appena trovandolo un giusto compromesso, osservandolo mentre si concede un respiro per farsi coraggio, puntellandosi al tavolo per darsi un sostegno.
-Tuo padre era riuscito a sintetizzare un sostituto al siero del super-soldato, i miei capi lo volevano, io avevo iniziato a dare problemi e a loro servivano nuovi burattini da comandare a bacchetta… ho sparato alle ruote dell’auto, si sono schiantati… non dovevo lasciare testimoni, non era previsto che nell’auto ci fosse anche tua madre… ho sfondato il cranio di Howard contro il volante ed ho strangolato Maria, sapevano chi ero, hanno provato a farmi rinsavire chiamandomi per nome, ma quando ci sono riusciti era tardi… troppo tardi. Sono tornato alla base, ricordo di aver ucciso parecchie guardie, ma non abbastanza per avvicinarmi al mio capo… io e Howard eravamo amici, credo tu lo sappia, e non c’è giorno che non mi tormenti per questo, tra tutte le altre cose che ho fatto come Soldato d’Inverno. Non ricordo cosa sia successo dopo, mi hanno legato al macchinario della stasi… sul fascicolo c’è scritto che mi hanno fatto l'elettroshock con un voltaggio più alto del solito, credo di essere svenuto alla prima scossa… ma in definitiva le mani erano le mie, e questo non posso cambiarlo. Le mani sporche di sangue sono sempre le mie. -si interrompe sollevando lo sguardo nella sua direzione quasi a corto di fiato, doveva rimuginarci sopra da molto visto che si era preparato una sorta di discorso, aspettando una qualsiasi reazione da parte sua che non arriva.
Tony resta congelato sul posto tentando di metabolizzare lo scenario che ha appena assemblato nella sua testa, soppiantando le teorie di vent’anni prima con cui si era spaccato la testa annegando il dolore nello scotch nei giorni subito dopo i funerali, costringendo James a spezzare il silenzio di nuovo con voce mesta. -Mi dispiace Tony, davvero. Mi dispiace tantissimo.
Quelle ultime tre parole sono come un balsamo che va a lenire tutte le ferite che Tony si era auto-inflitto da tre settimane a quella parte, ferite che erano state cauterizzate davanti alle lapidi a Santa Monica, ma che fino a quel momento si erano rifiutate di rimarginarsi, mettendo finalmente a tacere la vocina di Steve che aleggiava nella sua testa dandogli il tormento da quella mattina.
-Le mani sporche di sangue non sono davvero le tue. -afferma deciso, più per ricordarlo a sé stesso che per rassicurarlo. -Non è stata una tua decisione, come non è stata una decisione di Sharon quella di uccidere Steve… sarebbe un po’ ipocrita da parte mia biasimarti per questo. -si sbilancia trovando il coraggio di ammetterlo ad alta voce, le parole che raschiano contro la gola in modo quasi fastidioso.
-Alla fine ho ucciso chi ha ordinato l’assassinio se ti fa stare meglio.
-Soluzione poco ortodossa, ma si, mi fa stare un pochino meglio… grazie. -Tony distoglie lo sguardo, mentre James annuisce tornando a giocherellare con le chiavi avviandosi verso la porta del laboratorio.
-Quindi restano due teste e forse un processo? - prorompe il genio mentre lo osserva battere in ritirata, guadagnando un occhiata parzialmente stupita da parte di James, probabilmente pensava fosse meglio lasciarlo in pace, voltandosi con le spalle leggermente meno tese per la confessione… forse Tony non arriverà mai a perdonarlo del tutto per ciò che era stato costretto a fare, ma la persona che ha imparato a conoscere negli ultimi mesi non merita tutto quell’odio che vent’anni prima gli avrebbe attribuito senza battere ciglio.
-A quanto pare, Stark. -ribatte James con un cenno di congedo soffermandosi sulla soglia.
-Pensavo peggio.
-Può sempre andare peggio, trovami un buon avvocato.
-Consideralo già fatto.

***

30 aprile 2017, St. Francis Hospital, Hartford, Connecticut

-Jimmy!
James si arresta davanti alla soglia della camera, pietrificato con la mano sulla maniglia, mentre la mano rassicurante di Natasha si posa in mezzo alle sue scapole spingendolo in avanti.
-Ciao sorellina. -si sforza di sorridere rassicurante, sedendosi sul bordo del letto afferrando la mano tesa della sorella.
James aveva sognato così a lungo quel momento che ora che lo stava vivendo gli sembrava irreale, concentrandosi sullo sguardo luccicante di Rebecca, ignorando i capelli candidi che gli incorniciano il volto sfiorandole il mento.
-Sei davvero qui… -sussurra appena sporgendosi alla ricerca di un abbraccio con un'agilità invidiabile per un fisico da ultranovantenne, artigliandogli le spalle in una presa estremamente fragile, scostandosi appena con il sorriso sulle labbra sfiorandogli il volto.
-Sei così giovane, non sei cambiato neanche un po’... sei un fantasma? Mi porti da mamma e papà?
-No, Becca… sono successe un po’ di cose. -afferma deglutendo a vuoto, mentre sul viso della sorella compare un cipiglio confuso quando, spostando le mano, gli tasta la consistenza inusuale del braccio sinistro.
-Ma la guerra è finita, no? Sei solo in ritardo… ritardo clamoroso.
-Ma sono qui, sono tornato, te l’avevo promesso. -insiste stringendo la mano sinistra il più delicatamente possibile sulle dita della sorella, che continuava ad arpionargli la mano di metallo cercando di capire perché sembra pelle vera.
-Perché non sei qui con Steve? Ti stava cercando, me l’ha detto l’ultima volta che è stato qui… Dov’è Steve? -chiede innocentemente trafiggendolo con lo sguardo color ghiaccio così simile al suo, mentre James cerca inutilmente di trovare una spiegazione che tarda sempre più ad arrivare.
-Oggi non poteva, è stato trattenuto a Washington. Ha detto che passa nei prossimi giorni. -prorompe Natasha staccandosi dalla porta, intervenendo in suo soccorso entrando nel campo visivo di Rebecca, posandogli una mano sulla spalla di riflesso in un muto cenno di sostegno.
-Lei è Natasha, sorellina. -afferma dopo aver rilasciato il fiato che aveva trattenuto bruscamente, sollevando lo sguardo in direzione della compagna accennando un sorriso.
-Sei la fidanzata di Jimmy? -chiede Rebecca scannerizzandola con sguardo critico, con il tono di voce da terzo grado che riservava ad ogni ragazza che James gli aveva presentato prima della guerra. -Sei quella definitiva?
-Sembrerebbe di sì. Ho una lunga lista che mi precede? -scherza la donna mentre James le cede il posto sul bordo del letto, dichiarandosi fuori dall’argomento avvicinandosi alle cornici posate sulla cassettiera.
-Una lista lunghissima.
-Non così tanto. -tenta di spezzare una lancia in proprio favore continuando a dare le spalle alle due donne, lasciando scorrere uno sguardo veloce sulle fotografie dei nipoti e pronipoti che non conoscerà mai… l’infermiera che li aveva scortati fino a lì gli aveva spiegato la situazione clinica della sorella, da lì a qualche ora Rebecca non si sarebbe ricordata che lui era andato a farle visita, anche se un qualche frammento della loro conversazione avrebbe potuto impigliarsi nei resti della sua memoria riaffiorando di tanto in tanto, donandole pace nel saperlo vivo e felice da qualche parte.
-Dovremmo andare, James. -lo richiama indietro Natasha dopo momenti indefiniti, una vaga traccia di preoccupazione nella voce nel vederlo taciturno.
-Aspetta. -la ferma Rebecca stringendole il polso richiamando l’attenzione di entrambi, avvicinandosi all’orecchio di Natasha con fare cospiratorio, pur mantenendo il tono di voce ben udibile come quando da ragazzina usava la stessa tecnica servendosi di Steve per rifilargli una ramanzina indiretta. -Mi sembri una brava persona Natasha, sei tutto ciò che Jimmy merita, qualcuno che si prenda cura di lui.
-Faccio del mio meglio Rebecca, non ti preoccupare. -sorride la rossa in risposta scoccandogli un’occhiata divertita nella sua direzione.
-Sai, Jimmy è troppo preso dal preoccuparsi per chiunque altro, al punto da dimenticarsi di preoccuparsi per sé stesso.
-Oh, lo so, credimi. -ribatte Natasha mentre entrambe le donne lo trafiggono con lo sguardo in un rimprovero bonario, spingendolo ad intervenire alla discussione.
-Perché dovrei preoccuparmi per me stesso quando ho sempre avuto voi due a tenermi d'occhio? -risponde ironico avvicinandosi a Rebecca, posandole un leggero bacio sulla fronte come quando erano piccoli. -Ora dormi Becca, ricordati che ti voglio bene.
-Me la caverò, Jimmy… non devi più preoccuparti per me. -afferma in risposta stringendogli la mano destra, accennando appena con il capo in direzione di Natasha. -Io ti lascio in buone mani.
James si chiude la porta della stanza alle spalle, addossandosi contro la parete adiacente concedendosi un lungo respiro, mentre Natasha gli afferra la mano destra in una presa salda strattonandolo verso l’uscita della casa di cura.
-Stai bene? -si arrischia a chiedere la donna una volta arrivati davanti alla motocicletta parcheggiata, attendendo una risposta in silenzio accettando il casco che James recupera dalla sella.
-Sto bene.
-Non mentire.
-Starò bene. -concede senza guardarla, mentre Natasha sale sulla sella circondandogli la vita con le braccia, per poi infilare la chiave nel quadrante avviando il motore. -Grazie ‘Tasha… non so quanto le resta, volevo vederla almeno una volta… farle sapere che sono vivo senza spaventarla troppo.
-Qualunque cosa per te, James. -ribatte Natasha stringendo appena la presa sui suoi fianchi. -Avanti, torniamo a casa.

***

5 maggio 2017, Central Park, New York

-Cammina piano, mi fanno male i piedi. -si lamenta scherzosamente Natasha trattenendo appena James per il braccio destro, costringendolo a rallentare il passo.
-Ti prendo in braccio?
-Dove l’abbiamo lasciata la moto? -si informa pentendosi di aver indossato i tacchi vertiginosi che si era auto-regalata per il compleanno usando la carta di credito di Stark.
-A circa un chilometro da qui. -ribatte James sollevandola da terra quando lei tende le mani nella sua direzione, una mano dietro la schiena e un braccio sotto le ginocchia, mentre Natasha gli allaccia una mano dietro la nuca per reggersi. -Approfittatrice.
-Vorrei ricordarti che è il mio compleanno e tu sei il mio fidanzato.
-Quindi fa parte di un contratto non scritto?
-Esattamente. -sorride abbassando lo sguardo sulla sua mano libera stretta intorno agli steli del mazzo di fiori. -Comunque le rose potevi risparmiartele.
-Schifosamente romantico?
-Decisamente. Mi accontentavo della cena al ristorante, sai? Io ti ho solamente portato alle giostre e organizzato una festa a sorpresa. -ci tiene a sottolineare mentre un sorriso minuscolo fa capolino dalle sue labbra, dopo mesi deve ancora abituarsi a quella nuova normalità… ignorando volutamente gli ultimi sviluppi poco rassicuranti sulle sue ricerche, convivendo con la stilettata d’ansia che minacciava di stroncare la sua felicità nel peggiore dei modi da un momento all’altro.
-Se la metti così l’anno prossimo, per i 90, ci scoliamo una bottiglia, balliamo lo swing in salotto fino a quando non ci fanno male i piedi e concludiamo in bellezza con le acrobazie tra le lenzuola. -ribatte James con il sorriso sulle labbra scoccandole uno sguardo carico di sottintesi.
-Ci conto… dici che tra un anno staremo ancora insieme? -chiede con finta nonchalance, registrando appena i passi di James che si inceppano per una frazione di secondo, sforzandosi di non far trasparire dalla voce la preoccupazione per il bigliettino minatorio e la rosa rossa essiccata che aveva trovato al ristorante sul pavimento del bagno. Non aveva idea di chi gliel’avesse lasciata, era sola quando era uscita dall’abitacolo, aveva infilato il tutto nella pochette tornando al tavolo senza farne parola con James e di certo non voleva discuterne in quel momento… poteva essere un falso allarme, non voleva agitarlo inutilmente prima del tempo.
-Vuoi lasciarmi? -chiede scoccandole un’occhiata indagatrice, mentre lo sguardo color ghiaccio le rimescola i pensieri, ma senza riuscire a strapparle mezza parola in merito.
-No, mai. -lo rassicura stringendo la presa sulla nuca, evitando strenuamente l’argomento per non rovinarsi il compleanno… può sempre pensarci domani, non è nemmeno sicura che il messaggio provenga da Ivan, nonostante rimangano in pochissimi a sapere cosa sia successo al Bol’šoj nel ‘56.
-Allora è finchè morte non ci separi.
-Sei solo melodrammatico o devo considerarla una proposta? -chiede ironicamente, vagamente spaventata dal tono di voce improvvisamente serio di James.
-Non correre troppo Natalia, di certo non te lo chiederei così… per curiosità, mi diresti di si?
-C’è da chiederlo? -si rilassa di fronte allo sguardo divertito di James.
-Conoscendoti? Si, decisamente.
-Idiota. -sbotta rifilandogli uno scappellotto mentre la risata di James risuona in mezzo al parco, spazzando via tutte le paranoie che la assillano.
-Il tuo idiota. -afferma fermandosi in mezzo al marciapiede, voltando appena il capo sporgendosi per baciarla. -E si da il caso che questo idiota sia follemente innamorato di te. Me lo diresti se c’è qualcosa che non va, vero?
Natasha stringe la presa sulla sua nuca, fiondandosi di nuovo sulle sue labbra in risposta… non è una bugia, ma nemmeno la verità, è solo il primo bacio infuocato di una lunga serie… i problemi che minacciando di sbranarli vivi possono aspettare il sorgere del giorno.



Commento dalla regia:
Vi informo che la parentesi di “calma” giunge definitivamente a termine, dal prossimo capitolo i nostri eroi inizieranno a muoversi sul piede di guerra, con risvolti interessanti su diversi fronti.
Ne approfitto per chiarire una cosa: nei fumetti l’omicidio degli Stark non è propriamente attribuito a Bucky, ma è uno degli elementi che vuole ricollegarsi all’MCU. Considerato che la scoperta per Tony non avviene come una “doccia fredda”, ma anzi ha tutto il tempo per metabolizzare la cosa e conoscere Bucky oltre al Soldato, ho preferito gestire la vicenda nel modo che avete appena letto, rendendo necessaria una spiegazione in quanto non ci sono filmati di alcun genere come base… spero che questa versione dei fatti alternativa sia stata di vostro gradimento, se volete condividere la vostra opinione ogni commento è ben accetto.
Alla prossima settimana,
_T

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Capitolo 21
*** 21 ***


20 maggio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

-Visto che siete tutti qui possiamo iniziare.
La voce perentoria di Maria li riporta tutti all’ordine, spingendo Tony a sollevare il capo prestando attenzione, nonostante la schiena completamente reclinata contro la poltrona ed i piedi sopra il tavolo.
Sharon si sporge afferrandogli le scarpe riportando i suoi piedi a terra con un gesto secco della mano scoccandogli uno sguardo perentorio, approfittando dell’avvio della presentazione per lasciar scorrere lo sguardo sui presenti.
Hill aveva richiamato la cerchia ristretta, dall’altro capo del tavolo Sam passeggiava da un capo all’altro della stanza mentre James osservava il soffitto girandosi i pollici, tutti in attesa che Maria spiegasse il motivo della convocazione.
-Ieri pomeriggio la CIA ha inoltrato una serie di filmati di sicurezza ai piani alti dell’ufficio amministrativo, sembra che il sosia del Capitano stia raccogliendo uomini affiliandosi con i “Cani da Guardia”1.
-I Secret Warriors non avevano eliminato il problema? -interviene Sharon puntando i gomiti sul tavolo, concentrata e determinata come Tony non la vedeva da tempo.
-Parzialmente, dopo la morte di Ivanov i superstiti si erano sciolti, ma credo stessero solo aspettando un capo sotto cui riunirsi. -la rimbecca Maria mandando avanti le diapositive olografiche con gesti precisi della mano. -Si sono spostati, stanno riformando la squadra in Idaho, con tanto di campo di addestramento e tutto il resto.
-Cosa proponi Direttrice? -interviene James per la prima volta dall’inizio della riunione, era più taciturno del solito e Tony non sapeva decidere quanto influisse il fatto che Natasha fosse in missione da più di una settimana nei territori dell’ex blocco sovietico.
-Innanzitutto dobbiamo capire perché a Will serve un esercito e chi lo finanzia, quindi qualcuno deve infiltrarsi… siete qui per decidere, in democrazia, chi spedire sul campo. Avete rifiutato tutti quanti di sottoporvi ad un giudizio psichiatrico dopo ciò che è successo ad Albany, quindi ho bisogno di capire quanto siete coinvolti, se riuscirete a rispettare gli ordini e… dimmi, Tony. -si interrompe trattenendosi dal levare gli occhi al cielo, concedendogli la parola con un cenno del capo, dopo aver visto la sua mano alzata come un bambino delle elementari.
-Posso far notare una cosa? -chiede retorico, ma attendendo comunque un cenno affermativo di Maria prima di proseguire. -Se i filmati della CIA sono arrivati ieri pomeriggio, circa sedici ore fa, spiegami l’urgenza di buttarci giù dal letto a questo orario indecente con un codice rosso. -spiega in fretta alzando la manica della giacca indicando il quadrante dell’orologio che indicava le otto del mattino. -Cosa non ci stai dicendo Maria?
Hill si concede un respiro profondo ad occhi chiusi, lasciando correre lo sguardo su James prima di tornare a puntarlo su Tony, fulminandolo per aver dissolto in fumo i suoi tentativi di compartimentare le informazioni.
-Natasha sta tornando da Mosca, ci sono novità. -riferisce con tono incolore mentre James alza il capo allarmato in direzione della donna. -Sta bene Barnes, te lo direi in caso contrario.
-Non penso proprio, ma ti concedo il beneficio del dubbio. -commenta in risposta tornando ad addossarsi contro la poltrona, le spalle in tensione, attendendo le nuove informazioni per procedere.
-Nel rapporto che ha stilato dichiara che il corpo nella bara del Generale Ivan Petrovich era un LMD con il suo aspetto, i chip utilizzati sono molto simili alla tecnologia ideata da Anton Ivanov1… apro le scommesse per chi indovina chi ha finanziato il progetto.
-Lukin? -interviene Sharon azzardando un’ipotesi.
-Lukin lo voleva morto, non avrebbe speso un centesimo per tenerlo in vita. -ribatte Barnes sorprendendosi della quantità di sguardi che era riuscito a calamitarsi addosso, scrollando le spalle prima di lanciarsi in una spiegazione. -Petrovich è l’uomo che ha messo in piedi la Stanza Rossa dal nulla, dopo il mio piccolo incidente con Natalia, Lukin e Karpov hanno giurato di ucciderlo.
-Ha voluto giocare d’anticipo. -interviene Sharon accedendo al database olografico, portando in rilievo il rapporto redatto dai Secret Warriors di Coulson su Ivanov. -Se ha usato la sua stessa tecnologia si è fatto decapitare inscenando la sua morte, per poi caricare il suo cervello su corpi LMD… ma ciò significa corpi infiniti e volti infiniti, può essere letteralmente chiunque.
-L’unico con abbastanza soldi in grado di finanziare un progetto del genere è Zemo. -deduce James ottenendo un cenno di conferma da Maria.
-Zemo? Ma non ha senso… non è un conflitto di interessi? -interviene Tony ricollegando le nuove informazioni con la discussione avvenuta circa un mese prima.
-Da quanto ricordo il Barone ha sempre badato ai propri guadagni. -ribatte James voltandosi nella sua direzione. -Non credo che il figlio si sia fatto molti scrupoli nell'omettere a Lukin che Petrovich fosse ancora in vita sotto forma di circuiti, credo si sia limitato solamente a consegnargli i rottami per riportare indietro Zola… nell’HYDRA comanda chi ha più soldi, ed ora Zemo è un intoccabile a cui tutti fanno capo, resti di Petrovich e Will compresi.
-Un giorno o l’altro impazzirò con questa storia del “tagli una testa ne spuntano due”. -commenta Tony, prima di voltarsi di nuovo in direzione di Maria. -Capo, una domanda… nasconderci che il signor Burnside è manovrato da Zemo Jr ci avrebbe aiutato in che modo?
-Semplicissimo. -interviene nuovamente James fulminando Maria con lo sguardo. -Non sapevo dove fosse Natalia fino a cinque minuti fa, saperla alle calcagna di Petrovich non mi piace e di conseguenza teme che faccia qualche cazzata in proposito, sbaglio Hill?
Maria non risponde, limitandosi ad evitare di abbassare lo sguardo, mantenendo la sua maschera imperturbabile.
-Per missioni del genere è meglio se restiamo separati, tendiamo ad essere impulsivi… scommetto che te l’ha chiesto lei di non dirmi niente, vero? -continua James senza tradire alcuna emozione, raddrizzando la schiena sulla poltrona dopo aver ricevuto un lieve cenno di conferma da parte di Maria. -C’era da aspettarselo… okay, ho un piano.
-No. -interviene Sam per la prima volta dall’inizio della riunione. -Non succede mai nulla di buono dopo che tu pronunci la frase “ho un piano”, Buck.
-Esagerato.
-Per niente.
-Ascolta... Io mi infiltro, tu mi copri. Funzionerà. -interrompe il battibecco esponendo la versione stringata del piano ideato. -Semplice e liscio come l’olio, i Cani non sanno che faccia ho.
-Ma Will si, ti sparerà appena ti riconoscerà. -interviene Tony spezzando una lancia in favore di Sam.
-Grazie, almeno ce n'è uno che ragiona.
-Ma d’altro canto Tony è fin troppo riconoscibile, i Cani non arruolano donne e finché Murdock non risolve la rogna degli Accordi non puoi muovere un dito nemmeno tu, Sam. -snocciola in fretta Sharon anticipando il cugino con la medesima obiezione, sotto lo sguardo compiaciuto di Maria che stava prendendo appunti sul tablet.
-Stai stilando un giudizio psichiatrico basandoti su questa discussione? Davvero? -interviene Tony a metà tra il basito e il sarcastico.
-Mali estremi, estremi rimedi. -commenta con sufficienza Hill. -Quindi abbiamo deciso. Barnes e Wilson sul campo, Carter sulle retrovie per l’estrazione e tu Stark in panchina.
-In panchina? Non voglio stare in panchina.
-Tranquillo, ti lascio l’onore di contenere Ross, andrà su tutte le furie quando vedrà che Cap ha sventato l’ennesimo complotto senza poter prendersene il merito. -ribatte contraccambiando il sorriso complice che le rivolge. -Bene signori, al lavoro, non abbiamo tempo da perdere.

***

26 maggio 2017, campo di addestramento dei “Cani da Guardia”, Idaho

Addestramento militare.
L’unica cosa che James era riuscito a guadagnare in quei cinque giorni era una rinfrescata alla memoria riguardo il suo addestramento a Camp Leigh. I suoi compagni di sventura non conoscevano il perché li stessero addestrando, eseguivano gli ordini senza fare domande, speculando in segreto su quale fosse il grande piano ideato dal nuovo capo.
I secondi in comando rassicuravano le reclute dicendo loro che il Capitano sarebbe ritornato a giorni, che stava preparando gli ultimi dettagli del piano d’azione, che doveva incontrare il finanziatore… parlavano a sussurri, ma non traspariva mai nessun dettaglio fondamentale, nessun nuovo tassello, nessuna nuova informazione e di quel passo, James prevedeva di impazzire da un momento all’altro a forza di giri di corsa intorno al campo, flessioni e pallottole contro un bersaglio.
James ricarica la pistola, distendendo di nuovo le braccia pronto a far fuoco, concentrandosi sul bersaglio per non pensare troppo, per mettere a tacere la voce di Hill che gli intima di non fare cazzate mentre è sotto copertura.
Il primo colpo si conficca sul  tabellone a dieci centimetri dal bersaglio, esattamente dove lo voleva, sbuffando frustrato come da copione… l’idiota addetto al poligono lo raggiunge, lo consiglia per centrare meglio il bersaglio, mentre James si morde la lingua per non ribattere.
Odia fingersi un incapace, odia mancare i bersagli… odia non poter insegnare alle reclute il modo più corretto per impugnare qualsiasi tipo di arma, reprimendo l’impulso di afferrare il fucile e centrare così tante volte il bersaglio da forarlo.
Sorride gentile al pessimo consiglio che gli è stato offerto, piazzando una pallottola a quattro centimetri di distanza dal centro per illudere l’allenatore di un miglioramento, consolandosi che per ciò che ha visto potrebbe sbaragliare da solo l’intero esercito con un coltellino svizzero.
Continua a premere il grilletto mentre tenta di distrarsi ripassando mentalmente tutti i modi che conosce per uccidere qualcuno con un coltellino multiuso, bloccandosi sull’ottavo metodo impedendosi di pensare a chi glielo aveva insegnato… la tortura e la morte in Russia erano considerate un’arte, da quel lato aveva avuto la migliore insegnante in materia.
La voce di Hill gli ricorda di non dare di matto, placando la rabbia e la frustrazione nel non sapere dove sia la compagna, scacciando l’immagine di Natasha dalla sua testa scuotendo il capo, trovando altro a cui pensare... chiedendosi se alla fine aveva inavvertitamente rifilato un occhio nero a Sam o se aveva rotto una delle nano-mask che Stark aveva preso in prestito da Fury.
Giorni prima Sharon aveva localizzato uno dei pub dove i Cani reclutavano i nuovi adepti, Sam aveva accettato malvolentieri di inscenare una rissa in piena regola, lasciandosi colpire allo zigomo con un gancio destro ben piazzato, venendo lanciato fuori dalla porta da un paio di Cani… James doveva ammettere che forse Sam non aveva tutti i torti nel lamentarsi dei suoi piani d’azione.
Ripone la pistola quando l’addestratore li richiama per cena, sollevando lo sguardo verso il cielo constatando che si fosse tinto di viola… Sam gli aveva concesso un ultimatum di cinque giorni per scoprire qualcosa, durante la notte avrebbero fatto irruzione con un’intera squadra SHIELD arrestando chiunque si fosse messo in mezzo, ormai era questione di un paio d’ore prima che si scatenasse l’inferno.
Preleva il cibo, mangiando svogliato guardandosi intorno, ignorando le guardie che entrano in mensa armate, continuando a mangiare incurante nonostante una di esse si piazzi esattamente alle sue spalle… poi, seguendo un qualche segnale invisibile, succedono troppe cose troppo in fretta perché lui possa reagire in qualche modo.
Vede Will varcare la porta della mensa, lo osserva sorridendo mentre la guardia alle sue spalle lo afferra per la nuca facendogli sbattere la testa contro il tavolo, raggiunta velocemente da un’altra che gli fa scattare le manette ai polsi bloccandogleli dietro la schiena. Lo scortando all’esterno sotto lo sguardo inebetito delle reclute, ma contrariamente a ciò che James sospettava, invece di giustiziarlo su due piedi, lo scortano fino all’ufficio di Will, che non perde tempo a deriderlo appena varca la soglia.
-Ci speravo ti facessi vivo, sai? Ti ho riconosciuto appena ho messo piede nel campo addestramento. -lo informa Will serafico, seduto composto all’altro lato della scrivania sfogliando un fascicolo, la somiglianza con Steve inquietantemente marcata da renderlo raccapricciante.
-Ha funzionato per qualche giorno, le tue reclute non sono molto sveglie. -ribatte risparmiandosi qualunque commento sulla mancata efficienza, ringraziando la loro beneamata ignoranza nel non essersi mai accorti della protesi.
-Non ha molta importanza, non dopo domani almeno. -commenta sprezzante gettando i documenti sopra il tavolo, permettendo a James di leggere spudoratamente le righe di testo.
-Far saltare in aria la diga di Hoover cosa ti farà guadagnare di preciso? -si informa James sarcastico, cercando di guadagnare più tempo possibile. -Ti serve una bella quantità di esplosivo per riuscirci, chi è il pazzo che ti paga per lasciartelo fare?
-Zemo… ma questo lo sapevi già, no? Ci guadagno una rivelazione, te l’ho detto che speravo ti facessi vivo, anche tu fai parte del nostro piano. -sorride recuperando e posando l’elmetto di Capitan America sopra la scrivania, mentre James sbianca, realizzando di essere caduto in una trappola. -I simboli sono importanti, sai? Soprattutto se i simboli si trovano nel posto sbagliato nel momento sbagliato, senza considerare che dopo che tu avrai fatto saltare in aria la diga a volto scoperto, il mondo intero vorrà la tua testa su un piatto d’argento, Bucky.
-Era questo il piano di Lukin fin dall’inizio, oppure anche lui era un tassello del puzzle di Zemo? -chiede James con la voce tesa, cercando di ottenere delle risposte in tempi utili, ormai è solo questione di tempo prima che lo SHIELD faccia irruzione nella base.
-Dopo ciò che è successo a Washington DC, dopo che tu hai contribuito a demolire l’impero dell’HYDRA, chi è rimasto era molto arrabbiato con te, Rogers e gli Avengers… ci hanno provato in molti a danneggiarvi, ma Lukin è stato l’unico che ci è andato veramente vicino, Zemo ha semplicemente ampliato la sua visione… la vendetta su te e Rogers era solo l’inizio, ma il Barone punta molto più in alto, lui desidera vedere il vostro impero cadere dall’interno e tu sei il tassello che farà crollare l’intera torre… non trovi ironico che la causa di tutto sia sempre tu, James?
Stringe i pugni imponendosi di non spezzare le manette, di non reagire alla provocazione come si aspetta Will, di far buon viso a cattivo gioco per qualche altro minuto cercando di trovare le risposte ad un altro paio di domande.
-L’unione fa la forza, no? Se è così perché hai resettato Zola? Perché non hai ucciso Sharon quando sei fuggito da Albany? -cerca di provocarlo, tentando di trovarlo in fallo, spingendolo a rivelare di quanto lo spirito di iniziativa sovrasti il controllo mentale.
-Zola mi torturava, non mi piace essere usato… e la ragazza non aveva fatto nulla di male, non era una minaccia da eliminare.
-Se non ti piace essere usato perché lavori per Zemo allora?
-Sono in debito… ha trovato una cura per le voci nella mia testa, mi ha dato un esercito ed una giusta causa. -confessa alzandosi dalla poltrona, puntando i palmi contro la scrivania, rivolgendosi ad una delle guardie. -Andate a prendere i sedativi, mi serve collaborativo fino a domani mattina.
James sorride quando percepisce il rumore di spari in lontananza, rendendosi conto di essere l’unico con l’udito potenziato al punto da riuscire a sentirli.
-Perché sorridi? -chiede Will con fare sospettoso, scannerizzandolo alla ricerca del motivo del ghigno che gli incornicia il volto.
-Non deve essere stato piacevole per voi vedere Capitan America e Iron Man fare pace in diretta nazionale, o sbaglio?
-Piccoli incidenti di percorso, nulla di più. In un modo o nell’altro voi tutti, uno alla volta, porterete alla rovina degli Avengers… ormai è un processo inarrestabile. -commenta bloccandosi sgomento quando i suoni della battaglia filtrano attraverso la porta, realizzando cosa stia succedendo al campo. -Sono solo piccoli incidenti di percorso, nulla di più. Portatelo via, muovetevi!
James reagisce prima che chiunque altro possa muovere un muscolo, lasciando a briglia sciolta la rabbia che aveva tentato di contenere negli ultimi minuti. Spezza le manette con un gesto secco del braccio bionico, afferrando sicuro la pistola dalla fondina della guardia al suo fianco, sfiorando istintivamente tre volte il grilletto.
Will spalanca gli occhi sbigottito, mentre tre fiori color carminio gli spuntando dal petto impiastricciandogli l’uniforme… cade seduto sulla poltrona, muore grondando sangue mentre lo SHIELD vince la battaglia al di là del muro.
James ha il respiro pesante, la pistola ancora in pugno con la canna fumante, mentre le guardie fuggono venendo messe con le spalle al muro appena varcano la soglia… non ha idea di quante volte Sam abbia dovuto scuoterlo per la spalla sana prima che lui distolga lo sguardo da Will, ma lo rivede ogni volta che chiude gli occhi anche a distanza di ore, l’immagine marchiata a fuoco nel cervello di quel cadavere ricoperto di sangue così simile a Steve.

***

27 maggio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

Natasha intuisce cosa abbia fatto James appena lo vede mettere piede nell’hangar, lo sguardo vacuo mentre segue Sam per automatismo, senza rendersi conto di dove si trovi davvero e senza sollevare lo sguardo sull’alba che colora il pavimento che sta calpestando.
Lo intuisce molto prima di leggere il labiale di Sam, bloccandogli la strada, costringendolo a sollevare lo sguardo su di lei quando i suoi piedi entrano nel suo campo visivo. James sembra riscuotersi da un incubo ad occhi aperti, afferrandola per i fianchi stringendosela addosso in un abbraccio quasi soffocante, le spalle ancora in tensione nonostante le sue carezze.
-Stiamo per morire da un momento all’altro? -rompe il ghiaccio scostandosi appena, mentre James scuote la testa in segno di dissenso, ascoltandola quando dichiara a Sam che il briefing può aspettare un paio d’ore, mentre l’uomo si lascia trascinare fino al suo ex alloggio al piano superiore.
James sparisce immediatamente in bagno appena varcano la soglia, concedendosi una lunga doccia calda, mentre lei si acciambella sul divanetto armata di tablet redigendo il rapporto sulle scoperte di Mosca.
Natasha lo rilegge un'ultima volta prima di inviarlo, avvertendo un tonfo nell’altra stanza quando James si lascia cadere contro il materasso seppellendo il volto contro i cuscini una volta rivestito, raggiungendolo sdraiandosi al suo fianco a pancia in giù con il capo girato nella sua direzione.
-Parliamo? -propone con voce sottile, affondando una mano tra i suoi capelli ancora umidi, ottenendo un ghigno che ricorda vagamente un sorriso quando ricambia il suo sguardo.
-Dobbiamo proprio?
-Sì, James. -afferma continuando con i grattini sulla nuca, mentre l’uomo si gira su un fianco baciandole il palmo della mano, intrecciando le dita con le proprie trascinandosela contro.
-Ho ucciso Will, tre pallottole in pieno petto. -mormora a metà di un sospiro trattenuto.
-Will, non Steve. -precisa stringendo la presa sulla sua mano. -Non hai ucciso tuo fratello.
-Lo so, ma…
-Gli somiglia, sono quasi due gocce d’acqua.
-Già. -conferma mesto, chiudendo gli occhi sotto lo sguardo preoccupato di Natasha, dando voce ai suoi pensieri dopo attimi eterni di silenzio. -Sotto certi aspetti è tutta colpa mia…
-No, non esiste. -afferma perentoria salendo a cavalcioni sopra di lui, puntandogli il dito contro posizionandosi a qualche centimetro dalla sua faccia, incatenando il suo cipiglio severo allo sguardo dell’uomo. -Non ci provare nemmeno.
-Non provare a far cosa?
-Lo sai.
-No, non lo so.
-Non è colpa tua, James. -scandisce chiaramente il concetto per demolire il muro che sta tentando di erigere, trattenendosi dal sollevare lo sguardo al cielo di fronte alla sua cocciutaggine. -Non è colpa tua se non sei morto precipitando dalle Alpi, non è colpa tua se ti hanno trasformato in un'arma, non è colpa tua ciò che è successo a Washington e non è colpa tua se tuo fratello è sepolto ad Arlington. Non hai ucciso Steve, James. Sono stata chiara?
-Ma…
-Non prenderti colpe che non hai. Sono stata chiara? -ripete con fermezza ottenendo un borbottio di consenso in risposta, leggendo uno sguardo di gratitudine nelle iridi color ghiaccio di James, che si alza sui gomiti azzerando le distanze tra di loro facendo scontrare la bocca con la sua stampandole un bacio sulle labbra.
-No, fermati. -esordisce qualche secondo dopo, interrompendola quando il bacio inizia a farsi più intenso. -Noi due non abbiamo ancora finito di parlare.
-Di cos’altro dobbiamo discutere? -chiede innocentemente nel tentativo di deviare il discorso, provando ad avvicinare di nuovo le labbra verso quelle di James, fallendo nell'intento quando avverte le mani dell’uomo allontanarla.
-Del fatto che io sono ancora arrabbiato con te. -la informa, accantonando i sensi di colpa,  inchiodandola con lo sguardo. -Perché non mi hai detto di Petrovich?
-Perché era solo un’ipotesi, non volevo farti preoccupare inutilmente. -ribatte sulla difensiva tentando di sorridere conciliante.
-Perché secondo te non mi sono preoccupato nel svegliarmi e non trovarti da nessuna parte? -commenta sarcastico alzandosi a sedere costringendola a scendere dalle sue gambe, sfumando nel pragmatismo senza attendere una risposta da parte sua. -Mi hai lasciato un post-it sul tavolo della cucina, Natalia. Un post-it.
-Ti ho scritto che ero stata convocata in missione, cos’altro avrei dovuto specificare?
-‘Tasha sei scomparsa per quasi due settimane, diamine. Due settimane senza sapere dov’eri, se eri viva o morta, l’ho scoperto per sbaglio da Stark che eri a Mosca alla ricerca di tuo padre… e non dovrei preoccuparmi? -risponde furente di rabbia mista ad apprensione... sotto sotto Natasha non poteva dargli tutti i torti.
-No, non avresti dovuto. Ho dato ordini precisi a Maria nel caso dovesse succedermi qualcosa, ho già pensato a tutto.
-Cosa ti assicura che Hill venga a dirmelo? Se saperti su un letto d'ospedale può compromettere la mia missione in qualche modo, sta pur certa che Maria non mi dirà mai e poi mai mezza parola in proposito. Lo sai, ‘Tasha.
Tace di fronte a quel dato di fatto, lasciando che la rabbia illogica prenda il sopravvento nel sentirsi porre un limite alla sua libertà di movimento, nel sapersi controllata nonostante quel qualcuno sia James, che vuole essere informato di certe cose solo perché la ama e vuole saperla per quanto possibile al sicuro.
-Non puoi controllare ogni mio singolo passo, James. Non sei il mio padrone… -si interrompe prima di concludere la frase, a corto di fiato nel realizzare il significato ed il peso delle parole che ha appena proferito, pentendosene immediatamente, afferrando James per un braccio trattenendolo quando si alza dal materasso dirigendosi verso la porta. -Non volevo dire questo… mi dispiace.
-Lo so. -concede dopo un sospiro, ma mantenendosi a distanza. -Ti conosco, so come sei fatta… so quanto sia complicato per te far quadrare tutto, so quanto ti risulti difficile abituarti alle novità che intaccano la tua routine, ma ormai siamo arrivati ad un punto che non puoi non considerarmi Natalia.
-Non posso sempre dirti dove vado in missio...
-Chissene frega del dove vai! -la interrompe con prepotenza, le spalle che tremano in un sintomo di rabbia esasperata contenuta a fatica. -Puoi andare in missione dove ti pare... in solitaria, con me o puoi portarti dietro chi vuoi. Mi fido, ti ho allenata io, so di cosa sei capace… ma non puoi avvisarmi con un maledettissimo post-it. Cristo, tu sei l’unico motivo per cui non mi sparo un colpo in testa per zittire i fantasmi quando mi sveglio in preda agli incubi, non puoi sparire per giorni senza nemmeno dirmelo a voce… basta segreti con me, Romanova.
Natasha si rende conto lucidamente per la prima volta, dopo quelle ultime parole che pesano come un macigno sullo stomaco, che a parti inverse lei reagirebbe molto peggio… non era abituata a dover rendere conto a qualcuno di ciò che faceva, a conti fatti era sorpresa che James si fosse solo arrabbiato e non avesse preso il primo aereo per Mosca.
-Dammi il cellulare. -afferma allungando la mano in direzione dell’uomo, che le consegna lo smartphone con sguardo confuso.
-Che fai?
-Sistemo le cose. -afferma digitando i comandi, inserendo il suo numero tra le chiamate d’emergenza, impostando le sue coordinate GPS allacciando il segnale al transponder di James. -Se mai avrò bisogno d’aiuto sarai il primo ad esserne informato.
-Grazie… immagino tu non abbia bisogno del mio GPS. -scherza con una scrollata di spalle, soddisfatto dell'epilogo della discussione, mentre un sorriso microscopico gli increspa le labbra.
-Tu non hai più missioni in solitaria, so sempre dove sei e con chi sei. In ogni caso, il collegamento è a doppio senso… sono perdonata?
-‘Tasha, so come sei fatta… è tutto okay, davvero. -dichiara sereno, a tratti rassegnato, afferrandole una mano trascinandola in piedi, catturando le sue labbra in un bacio veloce. -Andiamo, ci aspettano tutti al briefing… ma se proprio ci tieni a farti perdonare, potrei sempre inventarmi qualcosa quando torniamo a casa.
-Idiota. -ribatte allontanandolo scherzosamente con una spinta, contraccambiando il sorriso malizioso, seguendolo fino alla sala riunioni ordinando a FRIDAY di convocare gli altri.
Natasha si ritrova a spiegare ai presenti le scoperte fatte sul patrigno, dichiarando di essere giunta ad un binario morto e di essere in attesa del prossimo segnale di Petrovich.
Tony li aggiorna sulla riuscita della diatriba con Ross sul consegnare o meno James alla giustizia, informandoli che Murdock era riuscito a far approvare l’istanza per la cessazione ufficiale degli Accordi di Sokovia. La nuova legge prevedeva la completa trasparenza tra SHIELD e le agenzie governative, consegnando loro i distintivi di riconoscimento con il marchio degli Avengers impresso sul retro, dichiarando che con quelli tutti gli agenti delle varie agenzie spionistiche e governative erano costretti a riconoscere ed eseguire i loro ordini, specificando che senza esporre il documento erano in pieno diritto di arrestarli fino a nuovo ordine… l’aveva definito un buon compromesso, tutelandoli e legittimandoli, fornendo allo stesso tempo un aiuto per scovare i ragazzini che sviluppavano i poteri per poi decidere in un secondo momento se accoglierli al Complesso o alla X-Mansion2.
La notizia era stata accolta da tutti i presenti con sincero entusiasmo, subito smorzato dalle informazioni di Sharon in merito all’irintracciabilità di Zemo e il racconto poco rassicurante di James sull’esito della missione in Idaho, deducendo di comune accordo di essere in balia degli eventi e in attesa della prossima mossa.
La riunione era stata sciolta con la richiesta di Tony di stilare un rapporto sui singoli casi, il tono autorevole da capo nascosto dal pretesto di far contenta Maria, dando l’illusione di aver ancora il controllo della situazione nonostante stessero tutti procedendo per tentativi allo sbaraglio.
-Io torno a casa a Brooklyn. -lo informa Natasha intercettando James prima che sparisca nella sala comune alla ricerca di un PC. -Io ho già fatto rapporto mentre eri sotto la doccia.
-Okay, ti raggiungo tra meno di un’ora, mi faccio dare un passaggio da qualcuno. -ribatte sfilando dalla tasca le chiavi della sua moto, consegnandogliele.
-Sicuro che sia tutto okay? -chiede di nuovo conferma afferrando le chiavi, sporgendosi per depositare un bacio a stampo sulle labbra di James.
-Tutto okay, vai.
Natasha recupera la motocicletta avviando il motore, immettendosi nel traffico di New York, raggiungendo la strada semideserta dell’appartamento a Brooklyn… cercava le chiavi di casa nella borsa quando viene colpita da un dardo, il bruciore della ferita sostituito immediatamente dalle vertigini, crollando a terra semi-cosciente, tentando inutilmente di contrastare l’effetto della droga che stava velocemente entrando in circolo.
-Natalia. -avverte il saluto proferito con la voce di Ivan prima di vedere i lineamenti di uno sconosciuto entrare nel suo campo visivo offuscato, lottando contro il sedativo in circolo senza ottenere nessun risultato. -Inutile che ti dibatti, è una mistura chimica speciale, la stessa che usavamo per calmare il tuo Soldato.
Lo vede sfilare un coltello dalla tasca interna della giacca, avvertendo la mano di Ivan che le accarezza la guancia percependo il tocco gelato come una miriade di punture di spilli, osservandolo impotente abbassarsi su di lei.
-Tranquilla… prendo solo ciò che è mio. -la rassicura calando il coltello sul suo ventre, mentre ogni singola cellula del corpo di Natasha urla di dolore e collassa.
L’LMD scompare dal suo campo visivo lasciandola a dissanguarsi sulla porta di casa, Natasha perde il conto dei secondi che scorrono, avvertendo le voci ovattate dei passanti che urlano di chiamare un’ambulanza… concedendosi di chiudere gli occhi quando sente le sirene in lontananza, pregando che James capisca subito cosa le hanno tolto prima che i veri problemi inizino a sbranarli vivi uno ad uno.




Note:

  1. Anton Ivanov è il “simpatico” fondatore del Cani da Guardia, visibili in “Agents of SHIELD”. Per chi non segue la serie, spiegandola in breve, i Cani sono un gruppo di mercenari capitanati da Ivanov. Tale signore, di origini russe e con affiliazioni poco chiare a HYDRA e KGB, si intestardisce nel trovare uno stratagemma per l’immortalità, optando per farsi decapitare e collegare il suo cervello (conservato in un barattolo di formaldeide “stile Futurama”) ai corpi LMD (che possono prendere le sembianze di chiunque in infinite combinazioni). La stessa sorte capita al cervello di Ivan, non esattamente per suo volere diretto, per i curiosi tutte le specifiche del caso sono contenute nella serie a fumetti “In the name of the Rose”.

  2. La cessazione degli Accordi non è di certo così semplice, non viene mai affrontata in modo esplicito nei fumetti, quindi la mia è un’interpretazione basata sui vari elementi che traspariscono nel “prima” e nel “dopo”, tipo il tesserino degli Avengers che viene sbandierato come momentanea soluzione al tutto… prendetela come una misura in fase di sviluppo che su carta (e per gli Avengers) funziona, evito di dilungarmi sul discorso Xmen perché rischierei di annoiarvi per le prossime 72 ore circa. Ribadisco che questa è una mia interpretazione, se qualcuno fosse più informato della sottoscritta si faccia sentire ;)

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Capitolo 22
*** 22 ***


27 maggio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

James tamburella sul bordo della tastiera rileggendo il rapporto stilato, valutando se inserire o meno la nota a piè di pagina specificando cosa avesse provato nell’aver ucciso Will a sangue freddo… aveva ufficiosamente scoperto da Tony che Sharon era tornata in servizio, uno strappo alle regole che l’avevano costretta a sottostare alle sedute settimanali dallo psicoterapeuta per aver freddato Lukin senza battere ciglio. Alla luce di certi fattori, di certo James non desiderava ritrovarsi costretto sul lettino dello strizzacervelli, con l’ennesimo dottore che gli rimescolava la mente per comprendere i suoi ragionamenti… decidendo che poteva evitare di specificare tutto l'accaduto nei minimi dettagli, che aver ammesso con Natasha quali pensieri gli stessero attraversando la mente era da considerarsi già mezza terapia eseguita con successo, decretando autonomamente che per l’altra metà poteva lavorarci da solo eliminando Zemo dai giochi.
Salva il file inviandolo a Maria, riponendo il PC dove l’aveva trovato, aggirandosi per la sala comune alla ricerca di Stark, intenzionato a chiedere il permesso per prendere in prestito una delle sue auto per tornare a Brooklyn.
-Mi auguro per te che sia decaffeinato. -esordisce trovando l’uomo in cucina armato di tazza fumante, intento a digitare qualcosa sul tablet appoggiato al bancone.
-Si può sapere perché congiurate tutti contro di me e il mio bisogno primario di caffeina? -ribatte Tony a mo’ di saluto.
-Abbiamo solo il dovere di fartelo presente, il divieto vero e proprio è da parte di Pepper… ti disturbo? -chiede il più gentilmente possibile, la reticenza nel chiedere un qualunque favore a Tony timoroso di rompere quell’equilibrio precario instaurato nelle ultime settimane, nonostante quest’ultimo continuasse volutamente a comportarsi come se nulla fosse suggerendogli implicitamente di fare lo stesso.
-No, ammazzavo i tempi morti, tranquillo. -risponde Tony sollevando lo sguardo su di lui. -A titolo informativo, non giocare mai a Candy Crush, crea dipendenza.
-Dovrei sapere cosa sia?
-Questo. -afferma Tony indicando la partita in pausa e le caramelline digitali che ricoprivano lo schermo. -In ogni caso, cosa posso fare per te?
James rinuncia a rispondere alla domanda, avvertendo il cellulare vibrare nella tasca, facendo segno a Stark di aspettare un secondo accettando la chiamata da parte di Natasha. Ascolta impassibile la voce dell’infermiere all’altro capo del telefono, mandando in allerta Tony quando si sente sbiancare stringendo il palmare con più forza, chiudendo la chiamata inebetito mentre un ronzio sordo gli invade la testa.
-Che succede, Barnes?
-Devi portarmi all’ospedale, subito.
James si ritrova a spiegare sbrigativo cosa gli sia stato riferito al telefono, dichiarando che Petrovich aveva fatto la sua mossa, seguendo Stark in volata fino al parcheggio sotterraneo, salendo a bordo dell’Audi mentre Tony ordina a FRIDAY di tracciare il percorso più veloce per raggiungere l’ospedale.
James non ha idea di che strada abbiano percorso, i cartelli segnaletici sfrecciavano troppo veloci per decifrarli, deducendo che Tony avesse superato tutti i limiti di velocità consentiti di diversi chilometri orari, precipitandosi al banco informazioni chiedendo notizie di Natasha sbandierando il distintivo degli Avengers per evitare le domande scomode e strattonando Tony per un braccio, ringraziando mentalmente che il suo sia un volto tremendamente noto, pretendendo di parlare con un medico mentre Stark lo segue come un'ombra lungo i corridoi.
-Non sapevamo fosse una dei vostri. -esordisce il chirurgo appena uscito dalla sala operatoria, venendo immediatamente bersagliato da milioni di domande sull’accaduto da entrambi gli uomini. -Qualcuno le ha aperto la pancia in due… quasi come se volesse vedere com’è fatta dentro. Non le è stato tolto nulla, l’abbiamo ricucita e sedata.
-Che dose di sedativo e quanta anestesia le avete dato? -lo rimbecca Tony immediatamente, mentre James ribatte allo stesso tempo chiedendo se in mezzo all’intestino le avessero trovato un affarino di metallo dalle dimensioni di una pillola, guadagnandosi un’espressione stralunata da entrambi gli uomini.
-No, nulla del genere. -afferma il medico confuso, leggendo dal suo sguardo l’implicita domanda sul perché qualcuno dovrebbe avere una cosa del genere nascosta tra gli organi interni.
-Merda. -sbotta afferrando il cellulare allontanandosi di qualche passo, avviando la chiamata mentre ascolta Tony alle sue spalle discutere di dosaggi e farmaci con il chirurgo, spiegando che con ogni probabilità Natasha aveva bruciato l’anestesia in tempi record subendo l’intera operazione a vivo.
-Dimmi, ragazzo. -risponde Fury dall’altro capo del telefono, il tono palesemente teso per aver ricevuto una chiamata sul canale d’emergenza.
-Codice 041156. -ribatte laconico senza riprendere fiato. -Dimmi che non è troppo tardi, Nick.
Fury inizia ad insultare Petrovich in risposta senza tante cerimonie, mentre James avverte il rumore delle dita della spia che digitano velocemente sulla tastiera sotto la sequela di imprecazioni.
-Non è così grave, ma dovrai rispondere a parecchie domande scomode. -lo informa Nick dall’altro capo del telefono, il tono di voce che si colora di una sfumatura tra il preoccupato e il bonario. -Tu pensa a Natasha ora, mi occupo io del resto.

***

29 maggio 2017, New York-Presbyterian, New York

Natasha riapre gli occhi a fatica sul soffitto della sua stanza d’ospedale, strappandosi istintivamente la cannula dell’ossigeno per tornare a respirare autonomamente, avvertendo una fitta al ventre quando compie il movimento.
-Ferma, Nat. Tranquilla. -interviene la voce di Sam afferrandola per le spalle, costringendola delicatamente a sdraiarsi nuovamente contro il materasso.
-Nick… -gracchia in risposta lottando debolmente contro la presa di Sam. -Devo chiamare Nick.
-L’ha già chiamato Bucky. -interviene l’uomo nel tentativo di calmarla. -Ha detto che sta già limitando i danni.
-James? -chiede spaventata nel non sapere dove si trovi di preciso o quanto è rimasta incosciente, preoccupata nel non vederlo da nessuna parte. -Dov’è?
-Al Complesso, i federali sono venuti a prelevarlo a forza un paio d’ore fa, si è rifiutato di muoversi da qui finché non sono arrivato a dargli il cambio… mi ha ordinato di riferirti che ti copre le spalle mentre tu fai quello che devi fare, qualunque cosa significhi, non so se per te la cosa ha senso.
-Da quanto sono incosciente? -chiede in risposta informandosi pragmatica dopo aver avuto le conferme sperate, smettendo di ribellarsi.
-Qualcosa più di 48 ore, Stark ha fatto in modo di rifilarti una dose di anestetico sufficiente per metterti fuori gioco e lasciare che il tuo corpo si rigeneri autonomamente. -ribatte l’uomo staccandole le mani di dosso dopo aver avuto la conferma che si fosse calmata. -Diceva che probabilmente eri cosciente durante l’operazione…
-Ho subìto di peggio, sono stata cosciente solo qualche secondo, sono svenuta subito dopo. -liquida la faccenda con noncuranza, imponendosi di non riportare alla mente il picco di dolore provato quando aveva avvertito le mani del chirurgo dentro il suo intestino, decretando di avere preoccupazioni molto più importanti in quel preciso momento. -Cosa sanno i federali?
-Abbastanza da riempire l’intero piano di guardie armate per impedirti di darti alla fuga. -riferisce atono lasciando intendere di sapere più del dovuto. -E sinceramente non dovresti muoverti da qui, lo dico per il tuo bene.
-Per il vostro bene, io dico che devi lasciarmi andare. -ribatte alzandosi a fatica dal materasso mettendosi in piedi, osservando compiaciuta Sam che non si scomoda dalla poltrona per fermarla, accettando l’accordo con un cenno della testa. -Papà ha deciso di voler giocare sul piano personale, quindi dovete togliervi tutti dai piedi prima che vi facciate male.
-Bucky diceva che avresti dato un ordine del genere, mi ha fatto portare quello quando sono arrivato a dargli il cambio. -commenta l’uomo indicandole un borsone nero ai piedi del letto, mentre la donna ringrazia mentalmente qualunque divinità esistente nell’avere la certezza che James sia sempre consapevole di cosa le serva prima ancora che lei possa farne richiesta.
Natasha si china ad aprirlo prelevando un cambio di vestiti e una fiala di morfina, iniettandosi la dose in vena prima di sparire in bagno per cambiarsi, tornando vestita di tutto punto gettando il camice sul cestino più vicino. Torna a chinarsi sulla borsa sfilando il doppio fondo, afferrando lo zainetto appallottolato in un angolo, prelevando i documenti falsi e riempiendolo con le munizioni trovate. Continua la sua opera di vestizione sotto lo sguardo basito di Sam, caricando la pistola e nascondendo l’arma sotto i vestiti fermandola sul bordo dei jeans, infilando un coltello da lancio per stivale, raccogliendo i capelli in una crocchia tenendola ferma con un una lama sottile come un fuso scambiabile per un fermaglio elaborato.
-Ringrazia James. -asserisce caricandosi lo zaino in spalla tentando di non far trasparire nessuna smorfia di dolore, calciando il borsone sotto il letto ormai svuotato di qualunque oggetto mortale o contundente, sporgendosi per scoccare un bacio sulla guancia di un Sam ancora senza parole.
-Questo è l’ennesimo dei vostri piani d’azione se le cose si mettono male? -chiede accennando con lo sguardo allo zaino appeso alla sua spalla.
-Quando sei una spia, impari a non abbassare mai la guardia… puoi chiamaci paranoici. -ribadisce Natasha cercando di smorzare la tensione con l’accenno di un sorriso, mentre indossa con nonchalance gli orecchini con i pendenti contenenti le fiale di veleno paralizzante.
-Voi due non siete paranoici, siete un’associazione a delinquere. -ribatte Sam incrociando le braccia al petto in una sorta di rimprovero, osservandola mentre scrolla le spalle lasciandosi scivolare di dosso le parole appena proferite.
Natasha si lascia sfuggire un sorriso enigmatico, accostandosi alla porta calcolando il proprio raggio d’azione, individuando le scale di servizio.
-Se esci da quella porta sarai considerata una ricercata, lo sai vero? -tenta di dissuaderla Sam un’ultima volta.
-Solo fino a quando Petrovich rimane in vita, non abbastanza a lungo perché diventi un vero problema. -ribatte senza battere ciglio, accendendo il transponder scorrendo le notifiche da parte di James, aggiornandosi sulle misure e i piani preposti. -Ti voglio evitare un po’ di guai, Sam…
-Vado a prendermi un caffè, faccio finta di non averti vista. -deduce raccogliendo la giacca dallo schienale della sedia. -Fammi un favore, stai attenta e non uccidere nessuno.
-Non insultarmi, so fare il mio lavoro. -lo congeda con un finto rimprovero, osservandolo mentre si trascina dietro la guardia che stazionava alla sua porta usando la scusa di offrirle un caffè, permettendole di sgattaiolare fuori dalla camera d'ospedale senza richiamare l’attenzione di qualcuno. Tramortisce le due guardie appostate nelle scale di servizio, avvertendo i punti sul ventre minacciare di strapparsi, decidendo volutamente di ignorare la cosa trascinandosi verso il parcheggio.
Natasha controlla di nuovo il numero del parcheggio dal transponder, raggiungendo la motocicletta di James, sfilando le chiavi che le ha lasciato in una delle tasche dello zaino, avviando il motore, immettendosi nel traffico.
Procede tutto secondo i piani.

***

29 maggio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

Tony passeggia avanti e indietro davanti alla stanza degli interrogatori, controllando di sfuggita lo schermo che mostra l’agente dell’FBI intento a scucire a James qualche informazione in più sul presunto tradimento di Natasha.
Due giorni prima, mentre lui e James aspettavano che la donna uscisse dalla sala operatoria, era stato messo a conoscenza del chip-dati. Era uno dei tanti piani d’emergenza ideati da Fury, sfruttando la pillola di metallo che i russi avevano inserito chirurgicamente nel corpo di Natasha a metà degli anni ‘80, riattivandola dopo Washington per salvaguardarli dalla fuga di informazioni causata dall’HYDRA… Tony non si era sorpreso più di tanto dell’essere stato spiato, seguendo il consiglio di informare il resto della squadra attraverso i canali di emergenza interni. James gli aveva assicurato che Fury aveva già circoscritto il segnale, avviando il codice virus, mettendoli in guardia in anticipo sul probabile assedio dell’FBI e la necessità di far fronte comune. La conversazione si era interrotta quando avevano portato Natasha fuori dalla sala operatoria, James si era volatilizzato a suo seguito e Tony si era assunto l’onere di avvisare gli altri, a partire dal recupero di Clint che nei due giorni successivi aveva trascorso il tempo libero a litigarsi con James i turni di guardia all’ospedale, intervallando le veglie ai preparativi per un piano di emergenza di cui Tony non voleva e non era dato sapere.
Come preannunciato, dopo circa 48 ore si erano mobilitati i federali capitanati dall’agente O’Connor1, avevano invaso la hall del Complesso scortando un James scontroso ed ammanettato, impedendo a tutti loro di intervenire durante l’interrogatorio, che si era rivelato una costante omissione di sentenze incriminanti da parte dell’ex Soldato d’Inverno ed ammissioni di minacce e moniti da parte dell’agente federale.
Quel teatrino andava avanti da un paio d’ore e non si muoveva dal punto di stallo iniziale: James reputava Natasha innocente e richiedeva una riunione con la squadra al completo, O’Connor voleva incriminare la temibile Vedova Nera ed era palesemente irritato dalla poca collaborazione del suo interlocutore.
Tony non sapeva dare tutti i torti a James, l’avevano prelevato a forza dal capezzale di Natasha, accusandola con basi infondate che si arrampicavano sugli specchi, riflettendo le accuse mosse al suo passato come agente KGB… c’erano volute ore, ma alla fine James era riuscito a farsi rilasciare, ottenendo quella agognata riunione sotto la supervisione di quell’avvoltoio di O’Connor.
-Natasha Romanoff ha condiviso in rete le vostre informazioni personali, questa è una falla nel vostro sistema di sicurezza che non può essere ignorata, signori. La Vedova Nera ha venduto al mercato nero il chip-dati…
-Il chip-dati le è stato preso. -interviene brutalmente James interrompendo l’arringa dell’agente federale senza battere ciglio. -Ve lo ripeto da ore, senza considerare che al momento Natasha è su un letto d’ospedale con uno sfregio sull’addome che avvalora la mia tesi.
-Informazioni di che genere? -ribatte Hill impassibile, rigida come un fuso e con lo sguardo di chi sta già pianificando un assalto per muoversi sul piede di guerra.
-Cartelle cliniche, punti deboli, conti in banca, coordinate di depositi armi, indirizzi di casa, cosa mangiate a colazione, di che colore indossate le mutande… -elenca O’Connor con rinnovato slancio, una volta richiamata l’attenzione di Maria, che tuttavia lo guarda con cipiglio imperturbabile. -La Vedova vi ha spiati, come fate a stare così tranquilli? È violazione della privacy…
-Sarebbe strano se in tutto questo tempo non ci avesse spiati. -asserisce Tony inserendosi nella conversazione per la prima volta dall’inizio della riunione.
-E dubito fortemente che Natasha venda di sua spontanea volontà informazioni di questo calibro. -rimarca Clint seccato, appostato dall’altro capo del tavolo, di ritorno dalla latitanza2 con il tesserino nuovo di zecca in tasca. -C’era un motivo sensato se Nat era in possesso del chip-dati.
-Signori siate obiettivi, è una fuga di dati in piena regola, non potete continuare a difenderla. -ripete l’agente scandendo le parole nel tentativo di imprimere il concetto nelle loro menti, scatenando solamente l’irritazione generale.
-La difendiamo perché è un nostro agente, un livello 8 per la precisione, seconda solo al Capo qui presente e il defunto Nick Fury. -ribatte Tony con forza, indicando Maria e accennando al burattinaio che continuava a muovere i fili per salvarli da loro stessi prevedendo infiniti complotti.
-Signori, c’è da ammettere che voi tre siete di parte, stando ai vostri file personali la signorina Romanova vi ha approcciati tutti e tre seducendovi. -ribatte O’Connor giudicandoli con lo sguardo, rivolgendosi a Maria alla ricerca della sua approvazione razionale, tradendosi senza rendersene conto, esasperato dal continuare a sbattere contro il loro fronte unito.
Tony contava su due dita in quanti si ostinano ancora a chiamare Natasha in russo, uno ce l’aveva davanti con lo sguardo furente che minacciava vendetta, l’altro era rintanato chissà dove ed evidentemente non aveva nessun riguardo nel ferire la figlia adottiva.
-Ho contribuito ad addestrare personalmente l’agente Romanoff, le assicuro che questa fuga di notizie è una copertura per problematiche più urgenti, Agente. -ribatte Hill precisa e diretta come un fendente di spada, fingendo di non aver notato l’errore in assenza di prove certe, dominandosi magistralmente per non insospettire l’Agente e rompere prima del tempo la tregua sancita dai nuovi Accordi stipulati. -Ma posso predisporre un fermo a Natasha se può aiutare le indagini, senza il coinvolgimento di scorte di guardie inutili, potete impegnare meglio i vostri agenti invece di controllare una persona confinata a letto ed innocente fino a prova contraria.
La riunione viene sciolta accontentando O’Connor nell’imporre un fermo a Natasha che Tony dubita rispetterà, intuendo i tramacci che intercorrono nello sguardo scambiato tra Hill e Barnes, ma ottenendo la rimozione della scorta a loro favore.
La crisi in corso non gli compete direttamente, se ne stanno già occupando altri e dallo sguardo di Maria, Tony comprende di essere stato messo di nuovo in panchina, che è meglio per tutti se lui si crea un alibi nel caso le cose non vadano come sperato, nell’eventualità di dare risposte esasperanti a Ross e il Consiglio. Sfila il cellulare dalla tasca componendo il numero in automatico, ignorando volutamente il battibeccare improvviso tra l’agente federale e Maria.
-Pronto?
-Pep, sei in città? -chiede senza tanti preamboli appena sente la voce della donna dall’altro capo del telefono.
-Sono a L.A., lo sai, torno domani. È successo qualcosa?
-Giornata da incubo, se metto l’armatura, ti raggiungo ed andiamo a cena fuori? -propone con parole studiate, un tacito codice che la donna conosce terribilmente bene.
-Ristorante italiano… -ribatte acconsentendo come da copione, ma non termina la frase, Tony avverte un verso strozzato ed un tonfo dall’altro capo del telefono.
-Pep?! -esclama preoccupato, avvertendo rumori indistinti provenienti dal cellulare, controllando lo schermo per assicurarsi che non sia caduta la linea. Avverte una voce femminile sconosciuta intervenire dall’altro capo del telefono, chiedendole agitato dove sia finita Pepper, sentendo le sirene di un'ambulanza in avvicinamento, sbraitando contro il cellulare quando la chiamata si interrompe.
-Che succede, Stark? -chiede James con il tono più gentile che conosce, lo sguardo che manifesta un intuizione poco rassicurante e probabilmente veritiera.
-Pepper… non lo so, devo andare a Los Angeles… -ribatte concitato in preda alla confusione caotica, dirigendosi a passo spedito verso l’uscita intenzionato a raggiungere la rampa di decollo.
-Signor Stark, Romanoff è scappata dall’ospedale. -lo richiama indietro O’Connor con voce lapidaria, il telefono in mano con la causa dell’alterco inscenato con Maria che lampeggia ancora sullo schermo. -Nel suo file la signorina Potts è segnalata come il modo migliore per arrivare a lei.

***

29 maggio 2017, Ragnatela, Queens, New York

Fin dai suoi primi giorni in America Natasha aveva fatto in modo di istituire una ragnatela, una rete di rifugi ed appartamenti seminati in tutto il mondo intestati ad uno dei suoi tanti nomi fittizi, finanziati da Fury o in possesso di proprietari in debito nei suoi confronti, memore dei tempi andati quando un tetto sopra la testa o un piano B erano un lusso che non poteva permettersi.
Natasha si discosta dalla finestra, assicurandosi per l’ennesima ed ultima volta che nessuno l’abbia seguita, constatando che la moto di James è ancora parcheggiata dove l’ha lasciata, tranquillizzandosi nel non vedere nessun agente in borghese camminare sui marciapiedi sottostanti.
Recupera la cassetta del pronto soccorso dal mobiletto in bagno, spogliandosi e medicandosi la ferita sul ventre… probabilmente le rimarrà la cicatrice, la traditrice della patria non si meritava più un trattamento di riguardo, ora se Ivan la feriva puntava a mutilarla o ucciderla.
Termina l’operazione, notando con la coda dell’occhio il transponder illuminarsi segnalando una chiamata in entrata, inserendo il codice indirizzando la comunicazione su una linea criptata prima di rispondere, preoccupata perchè erano d’accordo di chiamarsi solo in caso di emergenza.
-Dove sei? -prorompe la voce di James subito dopo aver sfiorato l’icona verde sullo schermo, saltando i preamboli inutili sul come sta, conoscendo già la risposta.
-Queens, ragnatela. -risponde schematica dando l’indicazione richiesta, hanno poco tempo prima che il codice criptato termini il suo lavoro. -Abbiamo già un danno collaterale?
-Potts, L.A., fucile ad aria compressa. Ha perso i sensi, ma sta bene… Tony è sul piede di guerra.
-FBI?
-Agente O’Connor, troppo determinato ad accusare Natalia Romanova per non essere finanziato da terzi.
-Meraviglioso. -sospira sarcastica la donna.
-Sei una ricercata ‘Tasha, non costringermi a venirti ad arrestare.
-Non credo tu abbia altra scelta, James.
L’uomo riattacca la chiamata in risposta, lasciando intuire un “sta attenta” nel paio di secondi di silenzio sofferto prima di far cadere la linea.
Natasha scrolla le spalle sforzandosi di non dare peso alla situazione in cui si ritrova, preoccupandosi marginalmente per la reazione a catena preannunciata da Will, concentrandosi sul nuovo piano da attuare.
Recupera il portatile collegandosi alla rete avviando una frequenza fantasma, inviando richieste di informazioni ai suoi contatti al mercato nero per scovare il cecchino di Los Angeles.
Le coordinate sul suo sicario giungono a distanza di qualche ora, quando la ferita auto-inflitta sulla mano si è quasi rimarginata. Maki Matsumoto3 si era imbarcata mezz’ora prima in un volo diretto a Londra, una piccola tappa per una udienza in tribunale prima di dirigersi a Parigi per incassare il compenso per il lavoro svolto.
Natasha prenota il primo volo per l’Inghilterra, preparando il bagaglio a mano rinunciando alle armi per imbarcarsi, ripiegando nei documenti falsi, una parrucca e le fiale di veleno.
Lascia la moto al deposito inviando le coordinate a James per recuperarla, chiamando un taxi per farsi portare in aeroporto.
L’aereo decolla dando il via alla caccia, avviando impaziente il countdown sulle ore contate di Ivan Petrovich, desiderando solamente che l’intera follia finisca il più presto possibile senza troppi danni collaterali.




Note:

  1. Agente O’Connor: questo fantomatico personaggio esiste esclusivamente nella serie “In the name of the Rose”, su cui mi rifaccio per narrare gli eventi di questa sezione, ma non viene mai detto come si chiami, né ha caratteristiche peculiari per ricondurlo a un personaggio noto. Semplicemente, ho scelto alla cieca uno dei cognomi degli agenti “di contorno” dell’FBI che lavorano per Kingpin nella terza stagione di Daredevil.

  2. Considerato che secondo la mia versione dei fatti non c’è mai stato l’attentato a Vienna (e di conseguenza Bucarest e Lipsia) i non-registrati conosciuti alle intelligence si sono dati alla macchia fino all’istituzione dei nuovi Accordi.

  3. Maki Matsumoto, donna asiatica addestrata dalla Mano e da Bullseye, conosciuta nel mondo del crimine come Lady Bullseye. Avvocato nella sua vita da civile, accetta vari incarichi come mercenaria per hobby/noia/divertimento, la sua identità segreta è conosciuta a pochissimi eletti.

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Capitolo 23
*** 23 ***


30 maggio 2017, vagone Eurostar in partenza, Londra

Natasha si specchia un'ultima volta sui finestrini del treno, il caschetto nero che copre la cascata di boccoli rosso fuoco e il rossetto opaco che le incornicia il sorriso.
Marcia a passo spedito lungo il corridoio del vagone, due bicchieri di caffè sigillati in mano, mentre punta al suo posto di fianco al finestrino e di fronte a Maki Matsumoto.
-Caffè macchiato? -propone allungando un bicchiere in direzione della donna, per nulla sorpresa di vederla, accettando l’offerta ma soffermandosi sul suo sguardo.
-Perché sei qui?
-Sono una ricercata, mi serve un legale. -afferma decisa portandosi il bordo del bicchiere alle labbra, prendendone una lunga sorsata.
-Chiedere all’ex fidanzato? Troppo codarda o conflitto di interessi? -ribatte piccata la donna, imitandola di riflesso sorseggiando il caffè.
-Codardia. -mente innocentemente, accompagnando il gesto con una scrollata di capo ed un movimento ipnotico del caschetto nero. -Ci siamo lasciati male. Come stai, Maki?
-Benissimo. -sorride l’asiatica accennando ad un sorriso. -Costo caro Natasha, sicura di volerti indebitare?
-Credo possiamo raggiungere un accordo, discuterne da persone civili. -allude enigmatica portandosi di nuovo il caffè alle labbra.
-Civili… sono una persona di parola, hai prove del contrario? -ripete pensierosa, prendendo un altro lungo sorso per dilatare il silenzio. -Ammetto che pensavo mi cercassi per altro, non per un consulto legale… sono sorpresa, credevo di conoscerti.
-Non bene quanto pensavi. -replica guardando distrattamente il quadrante dell’orologio. -L’hai detto tu, sei una persona di parola, porti sempre a termine gli incarichi.
-L’ultima volta che hai chiesto il mio aiuto non avevi le tutele che hai ora… qual è il vero motivo per cui sei qui Natasha?
-Come stai, Maki? -ignora la domanda ponendone un'altra, osservando l’ombra del sospetto nello sguardo della donna.
-Te l’ho già detto, sto benissimo. -replica confusa, mentre il sorriso di Natasha fa capolino dalle sue labbra. -Dimmi perché sei qui e facciamola finita.
-Sai… di recente mi sono messa sulle tracce di mio padre, persona scorbutica e manipolatrice, non andiamo molto d’accordo. Tu ce li hai avuti dei genitori, Maki?
-Non esattamente.
-Peccato… avrebbero dovuto insegnarti che non si accettano mai le caramelle dagli sconosciuti. -rivela trasformando il sorriso in un ghigno inquietante. -Avrebbe dovuto avvertirti dei rischi… che a giocare con il fuoco ci si scotta, che sono vendicativa.
-Non capisco a chi ti riferisca. -asserisce nascondendosi dietro una bugia, lasciando fuggire lo sguardo ad una via di fuga negata, constatando che mentre parlavano il treno aveva già iniziato a correre silenziosamente sulle rotaie.
-Mio padre, stai andando ad incassare la ricompensa per i tuoi servigi. Se non ti dispiace, vorrei presentarmi io all’incontro, abbiamo dei conti in sospeso.
-Non conosco tuo padre, Natasha. Sto andando a Parigi per affari, le ricompense che incasso non sono affar tuo. -ribatte nascondendosi dietro all’ultima debole difesa, finendo il caffè ed appoggiando il contenitore sul ripiano sotto il finestrino.
-È qui che ti sbagli, Maki. Hai ferito intenzionalmente la mia famiglia e per farlo hai preso ordini da Ivan Petrovich. Il gran bastardo di mio padre. -rivela sorridendo, i denti bianchissimi e letali come quelli di un cobra, messi in risalto dal rossetto color sangue. -Sei una donna intelligente, sai quali sono le tue opzioni ora. Parli o ti arresto, a te la scelta.
-Devi essere viva per arrestarmi. -afferma determinata la donna portando la mano al coltello nella tasca interna della giacca, ma bloccandosi nel movimento terrorizzata, incapace di muoversi e sfoderare la lama.
-Non si accettano mai le caramelle dagli sconosciuti. -commenta Natasha lapidaria brindando con il bicchiere di caffè, posandolo di fianco a quello vuoto dell’altra donna, spostandosi una ciocca dietro l’orecchio sfiorando il pendente dell’orecchio. -Veleno paralizzante. Parte dagli arti, passa ai muscoli… i tuoi polmoni rallenteranno il respiro a tal punto che ti crederanno morta, il tuo cuore si fermerà solo una volta che ti avranno seppellita sotto una lapide senza nome. Me ne assicurerò personalmente. Oppure puoi parlare guadagnandoti l’antidoto, mi dici dove trovare Petrovich e chi sia la sua talpa all’FBI.
-Non sono solo il cecchino, sono anche il corriere. -sbotta la donna nel panico, lo sguardo terrorizzato e la voce che si sta riducendo pian piano a un sussurro. -La talpa ha tolto le informazioni dal mercato nero, l’unico download riuscito prima che si attivasse il virus è dentro la pendrive, anche quella fa parte del pagamento.
La voce di Maki si esaurisce, pregandola con lo sguardo di ricevere l’antidoto, mentre Natasha si allunga sulla sua borsa rubando la chiavetta e il cellulare.
-Se ciò che dici è ero, sarai riesumata e salvata. -le sussurra all’orecchio. -Che ti sia da lezione, non giocare con la mia famiglia.
Natasha si alza dirigendosi nella toilette, la carenza di passeggeri l’aiuta a passare inosservata, sostituendo il caschetto nero con una parrucca biondo cenere. Quando esce dall’abitacolo si accaparra un posto vuoto, godendosi il viaggio restante osservando il paesaggio sfilare dal finestrino, scendendo dal treno quando le porte automatiche si aprono sulla stazione di Gare de Paris. Si accoda agli altri passeggeri abbassando lo sguardo davanti alle telecamere, fermandosi ad osservare lo scompiglio causato dal ritrovamento del presunto cadavere di Maki Matsumoto, mentre l’orda di persone si blocca curiosa all’arrivo dei paramedici.
-Non le hai dato l’antidoto. -constata l’uomo alle sue spalle sfiorandole il braccio.
-Non ancora, prima deve imparare la lezione. -ribatte voltandosi in direzione della voce appena udita. -Non dovresti essere qui, James. È tutto sotto controllo.
-Lo vedo, c’è solo l'ambulanza e la polizia è in arrivo. -commenta sarcastico, ma stringendole una mano con la destra, felice di vederla viva e sul passo di guerra. -Mi aspettavo un saluto un po’ più caloroso, sai?
-Ti ho inviato le coordinate per avvisarti, non per raggiungermi. -obietta afferrandolo sottobraccio avviandosi verso l’uscita, ignorando la domanda.
-Non sono qui in visita di piacere, al momento Sharon mi copre, ma è questione di un paio d’ore prima che qualche telecamera ti riprenda e l’FBI si mobiliti costringendomi ad arrestarti. -la informa spiccio costringendola a rallentare il passo. -Se hai delle novità ti conviene parlare ora.
Natasha sfila il cellulare di Maki e la pendrive dalla borsa consegnandoglieli, scomparendo velocemente nelle tasche interne della giacca di James.
-È l’unica copia del download, rintracciami la posizione di Ivan ed al resto ci penso io. Ho un piano… ti procuro una confessione, ma mi dovrai arrestare, okay?
-Okay. -ribatte senza esitare, smettendo di trattenersi, tirandola per la mano ancorata alla sua, facendo entrare in collisione le loro labbra.
-James…
-Ti preferisco rossa, sai? -scherza staccandosi, eclissando la supplica contenuta nel suo nome tentando di alleggerire la situazione scompigliandole i boccoli chiari. -Presto sarà tutto finito, ‘Tasha.
-Lo so, attieniti al piano. -commenta decisa, evitando volutamente di chiedere quale sia la sua posizione attuale all’interno dei muri del Complesso. -Fidati di me.
-Sempre. -ribatte con uno sguardo così limpido da causarle le vertigini. -Quando tutto questo sarà finito, dobbiamo tornare a Parigi.
-Ci torneremo. -acconsente lasciandosi sfuggire un altro bacio sulle labbra.
-Stai attenta.
-Togliti lo stampo del rossetto prima di tornare dai federali, ho inavvertitamente marchiato il territorio. -tenta di sdrammatizzare sfiorandogli le labbra striate di rosso, cedendo di fronte a quello sguardo color ghiaccio indefinito. -Stai attento anche tu.
-Non insultarmi, so fare il mio lavoro.
-Vai. -lo respinge sorridendo, perdendolo nel via vai di gente qualche secondo dopo.
Sfila lo specchietto dalla borsa sistemandosi il rossetto, ripristinando la sua facciata inattaccabile, fingendo che quella piccola parentesi di normalità non si sia mai verificata.

***

30 maggio 2017, Centrale operativa FBI, Parigi

-Shar, stiamo bene, smettila di chiamare. -la rimbecca Tony dall’altro capo del telefono appena accetta la chiamata.
-So che hanno dimesso Pepper dall’ospedale stamattina, ti chiamo per farmi dare l’accesso ai server del Complesso da remoto.
-Perché? Dove sei?
-Parigi, leggi i messaggi che ti invio invece di ignorarmi. -ribatte piccata in risposta, fulminando James con lo sguardo quando lo vede ridere sotto i baffi, facendogli segno di chiudere la porta dell’ufficio dove li hanno confinati.
-Resta in linea. -commenta il cugino, aspettando che si metta in pari con le informazioni sui progressi fatti sottobanco da Natasha, trascinando il PC verso di lei avviando l’accensione.
Erano a Parigi da quella mattina, non c’era stato nessun avvistamento o sviluppo, ma li avevano caricati su un Quinjet diretto in Europa senza troppe cerimonie, sicuri che Natasha fosse lì da qualche parte, aspettando un passo falso da parte di uno dei due… era stata una ripicca terribilmente soddisfacente coprire l’incursione di James alla stazione sotto il loro naso senza che se ne accorgessero, riuscendo ad ottenere un buon punto di partenza per scovare Petrovich e far cadere l’intero teatrino.
-Tony, sei ancora lì?
-Hai l’accesso, la password è il compleanno della zia. -la informa qualche secondo dopo avvisandola. -Vedi di farne buon uso e di non pestare troppi piedi, risparmia la sfrontatezza per quando ti servirà davvero.
Sharon incassa la frecciatina, non era un segreto per nessuno quanto odiasse avere a che fare con le altre organizzazioni di intelligence, il suo spirito competitivo e il suo pensare fuori dagli schemi non era visto di buon occhio, in particolar modo dopo Washington… senza aggiungere che l’essere stata surclassata all’“ex fidanzatina” del Capitano non la metteva propriamente sotto una luce positiva, considerata l’opinione pubblica che ancora parteggiava per una fazione o l’altra nonostante la Guerra Civile si fosse conclusa ormai da mesi… almeno i colleghi la rispettavano, contribuendo personalmente alla propria causa combattendo la diffidenza con la caparbietà e la sfrontatezza, anche se Sharon preferiva non indagare se il rispetto guadagnato fosse dovuto al suo cognome o al timore di ciò che aveva combinato ad Albany.
-Pesto solo quelli che servono. -tenta di scherzare, tornando quasi subito seria. -Ti aggiorno quando abbiamo finito, salutami Pep.
Riattacca la chiamata senza aspettare un saluto dall’altra parte, a volte il cugino si mostrava troppo apprensivo in modo immotivato, riuscendo solo ad irritarla… stava bene, nessuno voleva ammetterlo ma Lukin si meritava di morire e di certo qualcuno l’avrebbe comunque ucciso al posto suo, era solamente sana vendetta per ciò che era stata costretta a fare e non aveva assolutamente bisogno che Tony, Sam o gli psicoterapeuti continuassero a rimuginarci sopra trattandola con i guanti. Per Steve provava colpa infinita, per Lukin nemmeno un po’… era tornata in missione per redimersi, non per distrarsi, nonostante tutti pensassero il contrario continuando a metterle i bastoni tra le ruote.
-Allora, abbiamo i codici? -chiede James impaziente rigirandosi il cellulare di Maki Matsumoto tra le dita. -Non ci resta moltissimo tempo, Sharon.
-Non mettermi fretta. -lo rimprovera sfilandogli lo smartphone dalle mani, collegandolo al PC portatile, accedendo a FRIDAY avviando la scansione dei tabulati telefonici.
-Scusami… aspettare mi fa saltare i nervi. -sospira l’uomo lasciandosi cadere sulla sedia più vicina, ma sorridendo suscitando un’occhiata curiosa da parte della donna, spingendolo a concederle una spiegazione. -Sei una che tiene testa Carter, è un vizio di famiglia.
-Non impazzisco all’idea di essere associata alla zia, lo sai vero? -si lascia sfuggire la considerazione tra le labbra, fissando la barra progresso per impedirsi di ricambiare il suo sguardo in tempesta.
-Non mi riferivo a Peg. -ribatte James sorvolando sulla risposta scontrosa. -Tu sei completamente diversa da lei.
-Quindi a chi ti riferisci? -chiede curiosa alzando lo sguardo, ma continuando a picchiettare sulla tastiera indirizzando le directory di FRIDAY in default.
-A Tony.
-Non siamo parenti.
-Certo, come no. -ribatte sporgendosi nella sua direzione con la miglior faccia da schiaffi che possiede. -Nemmeno io e Steve siamo davvero fratelli, se è per questo… siete cresciuti insieme, è come se lo foste.
-Chi te l’ha detto? -chiede curiosa, dando l'ok a FRIDAY per la scansione dei documenti, abbandonando la tastiera prestandogli attenzione… James era l’unico che la trattava come se Albany non si fosse mai verificata, si meritava la sua sincerità come ricompensa. -Nat o Fury?
-Nessuno dei due, l’ho capito da solo, non ci vuole un genio. - afferma ottenendo in risposta un’occhiata interrogativa da parte della donna che lo spinge a spiegarsi. -Tu hai lo stesso senso dell’umorismo di Howard, mentre Tony ha ereditato l’istinto da mamma orsa e lo spirito di sacrificio da Peg… ed a nessuno dei due piace sentirsi dire che cosa fare, come vostra zia.
-Non parli molto ma capisci sempre tutto, dico bene Sergente? -ribatte nascondendosi dietro il sarcasmo, facendo solo aumentare il sorriso di Bucky… sì, lei e il cugino erano più simili di quanto volessero entrambi ammettere.
-Non sono un Sergente da un bel pezzo, Shar.
-Giusto… sei salito di grado ora. -commenta con tono forzatamente leggero, alludendo allo scudo di vibranio addossato alla parete alle sue spalle.
-La mia carica è meritata però, inizialmente Steve si è guadagnato il titolo di Capitano solo perché suonava bene nei giornali. Niente leva militare… si è solamente fatto irradiare come popcorn da tuo zio ad essere sinceri. -ribatte tentando di scherzare, fallendo miseramente ricadendo nel tono monocorde, virando nel risentito nell’ultima sillaba.
-Non gliel'hai mai perdonata, vero?
-No, non del tutto… ma con lui è sempre stata una battaglia persa in partenza, testardo come un mulo fino alla fine. -spiega James con lo sguardo rivolto ostinatamente alle proprie mani.
Sharon realizza con un pizzico di rimorso misto a stupore che loro due non hanno mai parlato apertamente di Steve… non ce n'era mai stata occasione o pretesto, rinviando sempre l’argomento, finendo per gettare un’ombra infelice sulla conversazione in corso. Forse nessuno dei due ne aveva mai parlato perché non c’era nulla da dire, o forse perché entrambi non volevano ancora accettare l’idea della sua morte, nonostante la tomba ad Arlington avesse il suo nome inciso sulla lapide e fosse sempre ricoperta di fiori.
-Sai, credo proprio che sarebbe stato felice della tua nuova vita… Natasha, lo scudo e tutto il resto. -si ritrova ad affermare sporgendosi sul tavolo per stringergli la mano sana. -Voleva solo il meglio per te, Bucky.
-Lo so… mentre io sono felice cha abbia avuto te, Sharon. -ribatte ricambiando con uno sguardo così limpido da farle provare una stretta allo stomaco dolce-amara. -Gli serviva davvero una famiglia e qualcuno che gli tenesse testa, che lo facesse sentire di nuovo a casa.
Sharon non sa come ribattere ad una esternazione del genere, si ritrova ad abbassare lo sguardo, salvandosi con il bip acuto del PC che segnala il termine della scansione, fornendole la scusa per porre delle distanze di sicurezza e ricomporsi.
-Abbiamo un riscontro… a Budapest. -lo informa assottigliando lo sguardo sulle coordinate, girando il portatile nella direzione dell’uomo.
-Fantastico… tutto questo caos per scoprire che Petrovich non si è mai mosso da lì. -commenta ironicamente segnandosi le coordinate nelle note del telefono. -Ora dobbiamo solo aspettare che Natalia decida di farsi arrestare, poi possiamo procedere.
-È il piano più folle a cui abbia mai preso parte, lo sai vero? -afferma cancellando la cronologia del computer e consegnando il cellulare a James.
-Non è folle, sarà divertente… ‘Tasha non offre certi spettacoli tutti i giorni.
Sharon non ha modo di chiedergli che cosa intenda con quelle ultime parole, le viene mostrato lo spettacolo in questione a distanza di qualche ora, quando i federali li convocano in servizio dopo aver avvistato la temibile Vedova Nera in una caffetteria di Montmartre.
Natasha viene accerchiata dagli agenti che la tengono sotto tiro, mentre Sharon tallona O’Connor per supervisionare le procedure d’arresto, ascoltando l’uomo che rivela a James quanto sia sollevato che almeno Capitan America sia rinsavito ed abbia visto Natasha per quella che è veramente… una scena quasi comica, considerato che l’agente federale era completamente all’oscuro della relazione che intercorre tra i due.
Sharon osserva James far scattare le manette ai polsi della donna dopo un tentativo di colluttazione coreografato ad arte, ascoltando la freddezza glaciale con cui annuncia alla compagna di essere in arresto… dando il via allo spettacolo, con una Natasha incollerita che spara sentenze velenose dibattendosi teatralmente, inscenando una lite in piena regola così credibile da far dubitare Sharon della sua falsità di fondo, contemplando ammirata l’indifferenza studiata di James nell'incassare gli insulti e le maledizioni sotto lo sguardo compiaciuto di O’Connor.
Riescono a scortare Natasha in centrale, mentre i due mantengono la farsa senza battere ciglio, scatenando in Sharon un'invidia professionale non indifferente… non può fare a meno di spiare l’espressione ignara di O’Connor, trattenendo a stento l’ombra di un sorriso soddisfatto, smorzato alla velocità della luce da un leggero colpetto sul piede da parte del stivale di James.
Potrà avere anche i colori della bandiera e la stella trapuntata sul petto, ma l’indole da stratega e la mente diabolica gli conferiscono un valore aggiunto che lo distanzia di molto dalla somiglianza con Steve… Sharon è convinta che non si abituerà mai a vederlo con l’armatura bianco, rosso e blu indosso, ma almeno è grata che James le faciliti enormemente il compito per non confonderlo con il fratello.
Scuote la testa, scacciando dalla mente l’immagine dell’uniforme di Steve macchiata di sangue, salvandosi dall'emicrania che ultimamente si fa sentire sempre più frequentemente… come se mancassero diversi tasselli in mezzo a quei risvolti macabri e il suo cervello si rifiutasse ostinatamente di ricollegarli.
Sharon si impone di non pensarci, concentrandosi sulla missione in corso… dando inizio alla fase due inviando un messaggio cifrato al transponder di Sam.
Procede tutto secondo i piani.

***

-Si può sapere cosa sta succedendo? -chiede Sam quando lo raggiunge, fermandosi ad un paio di metri da lui a braccia conserte. -Ho incrociato Sharon nei corridoi ma non ha voluto dirmi assolutamente niente, si è volatilizzata ordinandomi di cercarti ed ho dovuto girare a vuoto l’intero stabile prima di trovarti.
-Stanno interrogando Natalia, Sharon sta eseguendo i miei ordini ed ora tu ti siedi qui e aspetti con me. -afferma James in risposta, picchiettando il palmo contro il pavimento, seduto a terra con la schiena contro il muro senza scomporsi minimamente.
-Cosa aspettiamo? -chiede Sam rinunciando a raggiungerlo per terra.
-Che Natalia mi procuri una confessione. -afferma l’uomo convinto indicando lo schermo appeso sopra la porta dell’ufficio, che mostrava la discussione muta in corso tra Natasha, con i polsi ammanettati, e O’Connor.
-Da quanto sono là dentro?
-Una decina di minuti, inutile che guardi, le telecamere sono in loop.
-Opera di Shar? Sono questi i tuoi ordini? -chiede distogliendo lo sguardo dallo schermo.
-Già, scommetto 50 dollari che ‘Tasha si libera tra un paio di minuti.
-Nessuno riesce a liberarsi in un quarto d’ora scarso, nemmeno Natasha. -obietta Sam con tono ovvio, mordendosi la lingua e sfilando la banconota dal portafoglio quando la donna esce dalla porta facendo scattare la serratura della sala interrogatori.
-Uomo di poca fede. -ribatte James trattenendo a stento un sorriso mentre accetta il contante, allungando una mano in direzione di Natasha, che si era già sfilata il fermaglio dai capelli incidendosi il palmo, consegnandogli un dispositivo poco più grande di un chicco di riso. -Quanto ne hai lasciato?
-Abbastanza perché Maria si diverta ad interrogarlo… avevate scommesso? -chiede la donna accettando il fazzoletto che l’uomo le sta porgendo in cambio, tamponando il taglio come soluzione momentanea, seguendo il compagno e Sam lungo i corridoi della centrale.
-Sam dubitava delle tue doti di persuasione. -scherza l’uomo intercettando Sharon sull’uscita, consegnandole la cimice insanguinata. -Shar occupatene tu, diffondi la confessione ai media e fa in modo che le accuse contro Natalia vengano ritirate, al resto ci pensiamo noi.
Sharon annuisce prelevando il dispositivo ricoperto di sangue senza battere ciglio, facendo marcia indietro scavalcando a passo deciso gli agenti dell’FBI che fanno capolino dalle porte degli uffici con espressioni confuse sul volto, mentre Sam fa strada verso il parcheggio mettendosi al volante dell’auto per portarli all’aeroporto.
-Hai preso tutto ciò che ti avevo chiesto? -chiede James a Sam aprendo la portiera a Natasha, aggirando l’auto salendo dal lato del passeggero.
-Si, ma sono stanco di farti da fattorino portaborse, sai? -ribatte l’uomo trattenendo un sospiro frustrato, immettendosi nel traffico. -Porta questo, prendi quello, vai là, vieni qua…
-Si, lo so, non serve che continui a rinfacciarmelo ogni volta che ti chiedo un favore. -commenta James liquidando la discussione con un gesto della mano, scrutando Natasha dallo specchietto retrovisore. -Sotto il mio sedile c’è la cassetta del pronto soccorso per medicarti la mano, poi là dietro da qualche parte ci dovrebbe essere una borsa con un cambio di vestiti e un po’ di armi, serviti pure.
Natasha si tuffa sotto il sedile recuperando il necessario per la medicazione, chiudendo il taglio, fasciandosi il palmo con una garza sterile, per poi afferrare la borsa ai suoi piedi.
-Hai localizzato il segnale? -chiede la donna a James saltando drasticamente i convenevoli, rivoltando la sacca prelevando ed accatastando le armi scelte sul sedile a fianco.
-Petrovich è ancora a Budapest dove l’hai lasciato nel ‘91, ti ho appena inviato le coordinate. -ribatte digitando i comandi sul transponder, consegnando il cellulare della donna alla legittima proprietaria quando la mano fasciata sbuca da sopra la sua spalla. -Ti abbiamo procurato un Quinjet con tutto il necessario a bordo, ti portiamo direttamente sulla pista di decollo.
-Organizzazione impeccabile vedo. -commenta in risposta con un paio di secondi di ritardo, scalciando via le scarpe e sfilandosi i vestiti restando in biancheria intima, allungandosi sul sedile per recuperare il cambio d’abiti ancora sul fondo della borsa. -Puoi guardare se vuoi, James.
-Sì, James. Guarda pure, fa finta che io non ci sia. -scherza Sam in risposta alla provocazione lanciata dalla donna, che sta trafficando con il gancetto del reggiseno sui sedili posteriori.
-Occhi sulla strada, socio. -ribatte l’uomo lanciando un’occhiata di fuoco in risposta e lasciando trasparire una minaccia di morte velata nel tono della voce, per poi ricambiare lo sguardo di Natasha dallo specchietto retrovisore, che gli rivolge una linguaccia in risposta mentre è intenta a rivestirsi. -E tu non devi provocarmi, ‘Tasha.
-Giusto, scusa, niente distrazioni finchè non siamo fuori dai guai. -sospira la donna rassegnata, chiudendo la zip della tenuta da combattimento, scrutando il paesaggio fuori dal finestrino fino all’ingresso della pista di decollo dell’aeroporto. -Grazie per il passaggio, ragazzi.
James non ha tempo di ribattere, la donna è già scesa dall’auto dirigendosi a passo spedito verso il Quinjet, reagendo d’istinto aprendo la portiera dell’auto correndole dietro senza prestare attenzione alle domande di Sam in merito alle sue intenzioni, senza trovarne spiegazioni per primo, seguendo la paura atavica che lo afferra per la bocca dello stomaco smorzandogli il respiro.
-Ferma lì, Romanova. -urla sovrastando il rombo dei motori degli aerei in fase di decollo, inseguendola lungo la pista afferrandola per un gomito.
-Cosa vorresti fare, sentiamo. -ribatte a tono spostando lo sguardo dalla presa sul suo braccio al suo volto, chiedendo una spiegazione implicita al gesto improvviso, ma senza scrollarsi la sua mano di dosso.
-Lasciami venire con te. -annuncia senza battere ciglio ma con la gola secca, rendendosi conto solo in quel momento dell’azione impulsiva appena compiuta che andava contro tutti i piani prestabiliti… doveva solo accompagnarla, non mettersi in mezzo alla caccia.
-Petrovich è la mia resa dei conti, James. -obietta puntuale la donna, ma con sguardo conciliante intuendo i suoi pensieri. -Mi hai addestrata tu, ricordi? Tu ti fidi di me ed io so cavarmela… non sarà un altro Bol’šoj.
Le parole di Natasha calmano la sua l’agitazione improvvisa e innata, sciogliendo di colpo la morsa allo stomaco, permettendogli di allentare la presa sul suo gomito.
-Okay… ma chiamami subito quando hai finito, ti vengo a prendere.
-Non vedo l’ora. -sorride in risposta depositandogli un leggero bacio sulle labbra. -Andrà tutto bene, promesso.

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Capitolo 24
*** 24 ***


30 maggio 2017, aeroporto Charles de Gaulle, Parigi

Le avevano fornito un pilota SHIELD.
Era silenzioso e non aveva fatto domande quando Natasha aveva impostato le coordinate del nascondiglio di Petrovich, probabilmente Stark l’aveva finanziato a dovere perché la portasse ovunque lei desiderasse andare, senza disturbarla mentre studiava gli appunti che le aveva lasciato con istruzioni precise per disattivare gli LMD… aveva fatto scorrere lo sguardo sui fogli, leggendo le annotazioni dell’ingegnere che le suggeriva di sparare un colpo al cervello del patrigno per mettere fine all’incubo. Facile.
Mentre decollavano, Natasha si era imposta di non cercare con lo sguardo il puntino nero costituito dal compagno, che si stagliava ancora contro l’asfalto sottostante osservandola mentre se ne andava via… era grata a James per averle coordinato la fuga, per il tracciamento di Sharon, per le istruzioni di Tony e i mezzi di Sam, ma quella era la sua resa dei conti e nessun altro poteva portargliela via.
Voleva risposte, voleva mettere a tacere con le sue mani l’ultimo dei suoi demoni, desiderando di chiudere per sempre quel determinato capitolo della sua vita… ed era impossibilitata a farlo se Ivan era ancora vivo per minare la sua felicità.
Il Quinjet la abbandona a Budapest in mattinata, non ci mette molto a localizzare l’edificio, osservando a distanza l’androide con le sembianze di suo padre mentre si siede al tavolo della cucina dopo aver corretto il caffè con la vodka, aspettando il momento perfetto per annunciare la sua presenza.
-Ciao Papà. -esordisce Natasha una volta introdotasi nell'edificio, palesandosi nella stanza sorprendendolo alle spalle.
-Natalia.
Il Generale Petrovich non si scompone, continuando a bere il suo caffè come se nulla fosse, calciando le gambe della sedia di fronte alla propria spostandola, in un tacito invito a sedersi.
-Ti va un caffè? Ti cederei il mio, dopotutto non ne ho realmente bisogno, ma sono un abitudinario1.-rivela accennando alla tazza che regge tra le mani, indicando con lo sguardo la macchinetta posata sul bancone, abbandonata tra il lavello della cucina e la bottiglia di vodka appena stappata. -Il mio è corretto, se vuoi seguire l’esempio.
-Non ho tempo da perdere. -ignora l’invito puntando la canna della pistola alla nuca del padre, costringendolo ad alzarsi facendosi indicare il laboratorio, bloccandosi di fronte al macchinario e ai server a cui è collegato il cervello del patrigno.
-Incredibile cosa tu ti sia ridotto a fare per sopravvivere. -commenta atona abbassando leggermente l’arma in un gesto calcolato, illudendo Petrovich di un cedimento, offrendogli su un piatto d’argento l’occasione per attaccarla.
Spara un dardo elettrico per rotula al patrigno quando lo vede avanzare verso la sua direzione, facendo sfrigolare i circuiti, sorridendo soddisfatta quando il corpo robotico cade a terra impossibilitato a camminare.
-Un deja vu, non trovi? -sorride sarcastica alludendo a come l’aveva placata nel loro ultimo scontro al Cremlino. -So che le pallottole non ti fanno niente1, ho ripiegato sui nuovi giocattoli… sei prevedibile, ti distrai facilmente papà.
Ivan Petrovich impreca dal pavimento insultando la figlia, osservandola impotente mentre accede ai server cancellando i dati memorizzati, mandando in corto gli LMD rendendoli inutilizzabili con il virus rilasciato da Fury nei giorni prima.
-...Natalia, ascoltami, stai facendo un enorme errore di valutazione. -tenta il patrigno giocandosi la carta del dubbio, dopo aver constatato che gli insulti e le minacce di morte non sortivano nessun effetto. -Se mi uccidi le informazioni si diffonderanno automaticamente in rete.
-Non è vero, ho io l’unica copia del download.
-Ne sei sicura? Sei davvero disposta a rischiare e mettere in pericolo la tua famiglia?
-Tu non hai il diritto di nominare la mia famiglia. -ribatte glaciale, la morte negli occhi abbassandosi alla sua altezza, mentre le domande che serba da una vita si scontrano contro i suoi denti pretendendo di essere proferite. -Perché l’hai fatto? Attaccarli, ferirli… cosa vuoi dimostrare dopo tutto questo tempo?
-Come puoi difendere la tua nuova famiglia quando hai tradito tuo padre. -ribatte laconico ignorando la domanda, sputando contro le sue scarpe in segno di sdegno.
-Tu non sei mio padre.
-Ti ho cresciuta.
-Ciò non fa di te mio padre, fa di te il mio padrone. -scandisce perentoria, ergendosi in tutta la sua altezza sovrastandolo, furente di rabbia. -Per te sono sempre stata merce di scambio, ho imparato da sola cosa sia l’amore.
-Te l’ha insegnato il tuo amato Soldato, non è vero? Te l’ha insegnato quello stupido arciere con cui mi hai tradito? Oppure sono stati Stark e il Capitano a raccontarti la favola di un mondo migliore? -inveisce sollevandosi sui gomiti, sputando sentenze velenose. -Tu appartieni alla Madre Russia, Natalia.
-Io appartengo a me stessa. -afferma furiosa, puntando la pistola contro il padre con l’indice che freme sul grilletto. -Io sono in grado di amare, ho una famiglia e la proteggo dai mostri come te.
Spara il primo colpo, la pallottola colpisce l’addome scoprendo i circuiti, mandando in allarme i ricetrasmettitori del dolore1.
-Questo è per Pepper, da parte di Tony.
Altro sparo, altra pallottola, questa volta all’altezza del cuore.
-Questo è per il Bol’šoj, da parte di James.
-Puoi proteggere la tua famiglia dagli uomini, ma non dai segreti… non da quelli che contano almeno. -asserisce con tono fatalista interrompendo la sua esecuzione. -L’amore ti ha reso cieca, figlia.
-E questo è per me. -riprende incollerita, puntando la canna della pistola alle sue spalle, facendo fuoco contro la teca di vetro contenente il cervello del padre. -Per tutto ciò che mi hai costretta a diventare.
I circuiti del cervello dell’androide sfrigolano lasciandolo cadere inerte, mentre Natasha si concede di respirare per la prima volta da quando ha messo piede nell’edificio… stroncando brutalmente il respiro di sollievo quando il monitor sfarfalla avviando una barra progresso.
Quando raggiunge lo schermo è già troppo tardi per bloccare il processo, le informazioni vengono condivise in rete, ma non sono quelle del download prelevate dal suo dispositivo… sono quelle degli stati di servizio del Soldato d’Inverno datate fino al 2014 e su ogni singolo file c’è scritto a chiare lettere il nome dell’esecutore: “James Buchanan Barnes AKA Capitan America”.
Natasha Romanoff può proteggere la sua famiglia fermando gli uomini, ma non i segreti… non quelli che contano almeno.

***

31 maggio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

-Cosa pensi di fare? -tenta di bloccarlo Sharon, piazzandosi a braccia tese in mezzo al corridoio.
-Contrattare per evitare che Ross mandi Barnes all’ergastolo, prendendo la decisione così su due piedi. -ribatte spigliato Tony. -Lui dov'è?
-In volo verso Budapest, da solo… momentaneamente, sta andando a recuperare Nat come prestabilito. L’ho messo sul primo Quinjet disponibile appena si è scatenato il putiferio, ci farà guadagnare un po’ di tempo.
-Cosa di cui noi abbiamo bisogno… brava, buona idea Shar. -afferma stringendole appena una spalla in segno di riconoscenza, per poi scavalcarla puntando nuovamente alla porta dell’ufficio di Maria.
-Mi hai appena fatto un complimento? Davvero? -tenta debolmente di trattenerlo, lasciandosi sfuggire un sorriso ricambiato, mentre lui apre la porta calandosi nella fossa dei leoni.
Appena varca la soglia Tony viene investito dalle urla di Ross, che tenta di contrastare la freddezza di Maria gridandole contro con il volto paonazzo, ottenendo uno sguardo adirato dal primo per l’interruzione indesiderata ed un occhiata riconoscente dalla seconda per l’intervento divino.
-Signor Segretario le suggerisco di abbassare i toni, le sue urla si sentono a venti metri di distanza con la porta chiusa, quando si presuppone che questa sia una conversazione privata. -lo informa pacifico prendendo posto al tavolo delle trattative, ottenendo in cambio uno sguardo inceneritore.
-Non è desiderato, Stark.
-Mi caccia senza sentire cosa ho da dire? Non vuole sapere dove si trovi Barnes ora? -chiede con il sorriso sulle labbra, mentre Ross deglutisce a vuoto e Maria lo scannerizza picchiettando con l'unghia sul tavolo in un tacito segnale, dandogli il permesso di entrare in scena.
-La ascolto. -concede il Segretario dandosi un contegno, placando le urla per la prima volta da quando era entrato nell’ufficio di Maria un paio di minuti prima assalendola.
-Barnes è attualmente impegnato in una delicata missione di recupero in Ungheria.
-Ma tu guarda… un’ora fa la rete è stata invasa da fascicoli decriptati che lo vedono protagonista nei più disparati casi di omicidio, vengo qui appositamente per ottenere una qualche risposta e la signorina Hill qui presente non sa fornirmene alcuna… e prontamente arriva lei Stark, annunciando che Capitan America è oltreoceano in missione… Capitano che cerco di inchiodare al muro da mesi, un pluriomicida che indossa i colori della bandiera! -sbotta Ross sbattendo un pugno sul tavolo perdendo il controllo.
-Prima di tutto, James Buchanan Barnes è un Sergente pluridecorato. -riferisce con calma senza fare una piega, notando il guizzo negli occhi di Ross quando lo sente pronunciare il nome di James al completo seguito dalla carica militare. -Sí Ross, stiamo parlando di quel Bucky Barnes di cui parlano i libri di storia, il braccio destro di Rogers.
-Per quanto altro tempo pensavate di tenerlo nascosto? -chiede sarcastico il Segretario facendo rimbalzare lo sguardo tra lui e Maria, l’espressione di chi si sente tradito nel profondo dalle proprie convinzioni.
-Nelle leggi attualmente in corso non c’è scritto da nessuna parte che l’identità dei supereroi debba essere resa pubblica. -lo informa pragmatica Maria, posando i gomiti sul tavolo con fare arrogante. -E da quello che mi sembra di ricordare, nessuno si è lamentato dell’intervento di Cap ad Albany, anzi.
-È un pluriomicida.
-È una vittima. -lo rimbecca Tony con la medesima forza nella voce.
-Una vittima che ha ammazzato Kennedy. -ribatte Ross laconico. -Lo difendete ancora?
-Per essere precisi, Kennedy era uno skrull… non che la popolazione ne sia informata ovviamente. -ci tiene a precisare Maria, stringendosi la radice del naso tra due dita nel tentativo di placare il nervosismo.
-E va bene! -esclama il Segretario dopo il paio di secondi di silenzio verificatesi dopo le parole della donna. -Nessuna condanna a priori, Barnes avrà un processo regolamentare… ma appena rimette piede in suolo americano verrà prelevato e trattenuto in custodia al RAFT fino all’inizio del processo.
-Quello è un posto per i criminali della peggior specie, oltre ad essere estremamente scomodo per l’andirivieni dal penitenziario al tribunale. -obietta Maria con tono ovvio, seguendo un tacito copione che Tony si era preso la premura di memorizzare.
-Propongo il Seagate2. È un penitenziario, è su suolo americano e Barnes sarà controllato giorno e notte da Luke Cage in persona… può andarle bene come compromesso, Ross?
Thunderbolt Ross aveva visibilmente ingoiato il rospo, mordendosi la lingua annuendo gravemente, maledicendo il giorno in cui Tony Stark era venuto al mondo e quel suo carisma che gli permetteva di portare dalla sua parte anche un osso duro come Maria Hill.
-Può andare. -concede alzandosi dalla poltrona abbottonandosi la giacca, il desiderio inespresso di prendere a pugni qualcuno ben visibile dalla tensione sulle spalle. -Fisserò l’udienza, gli trovi un buon avvocato Stark.
-Il migliore che c’è sulla piazza, Segretario. -sorride in risposta, consapevole di star tirando troppo la corda.
Tony si concede un sospiro di sollievo appena Ross si chiude la porta alle spalle, mentre lo sguardo di Maria lo trafigge da parte a parte celando un’ombra di sorpresa.
-Te la sei giocata bene, Stark.
-Ho imparato dalla migliore. -si lascia scivolare un adulazione dalle labbra scatenando un sorriso fiero sui lineamenti della donna. -Avvisa Cage, Maria.
-E tu informa Murdock. -ribatte efficiente, omettendo un ringraziamento per il complimento appena ricevuto. -Mi auguro che abbia trovato il modo per dimostrare l’infermità mentale in aula.
-Me lo auguro anch’io, credimi.

***

31 maggio 2017, Budapest, Ungheria

Quando James era atterrato sul punto di incontro, Natasha lo aspettava già con una bottiglia di vodka in mano, limitandosi a parcheggiare il mezzo affacciandosi dal portellone aperto.
-Natalia.
-James.
-Ti sei presa avanti?
-No, aspettavo te. -afferma la donna sedendosi a terra, le gambe a penzoloni seduta sul bordo del pavimento in lamiera, prendendo un sorso per poi allungargli la bottiglia. -Possiamo evitare di tornare a casa subito? Voglio ancora qualche ora di pace prima che tutto precipiti.
-Tutto il tempo che vuoi. -concede lasciandosi cadere al suo fianco, le gambe sospese nel vuoto, lo sguardo perso all’orizzonte… James aveva smesso da tempo di chiedersi perché loro due finivano sempre in situazioni di quel genere.
-È roba buona questa… -afferma James leggendo l’etichetta della bottiglia di vodka, bevendone il primo sorso bruciandosi la gola. -... anche se avrei preferito il bourbon. Dove l’hai trovata?
-Riserva speciale di Ivan Petrovich, consideralo un regalo post-mortem, accontentati della vodka. -ribatte Natasha spiccia accaparrandosi di nuovo la bottiglia imitandolo nel gesto, buttandone giù un sorso a stomaco vuoto. -Tony ha già informato Matt, sembra che stesse lavorando sul tuo fascicolo già da qualche mese… è positivo, no?
-Non mi piace Murdock.
-Non ti piace per un motivo stupidissimo James. Non hai motivo di fidarti, lo so, ma è l’unico in grado di trovare il modo per scagionarti. -ribatte pragmatica con il tono dell’ovvio, sorvolando sulla sua espressione scettica. -Ma adesso cerchiamo di vedere il lato positivo, amore.
-Quale sarebbe?
-Fury ha già inviato una squadra SHIELD per ripulire e catalogare i rottami, quindi noi possiamo ubriacarci in santa pace senza avere rimorsi… adesso beviamo, ci piangiamo un po’ addosso e ci disperiamo, il lato positivo lo cerchiamo più tardi.
-Come piano può andarmi bene. -concede James lasciandosi sfuggire un sorriso microscopico, reclamando la bottiglia.
Quando le informazioni erano state condivise in rete, Sharon aveva fatto irruzione nella sala comune del Complesso come una furia, ordinandogli di partire immediatamente e raggiungere Natasha. Aveva eseguito gli ordini d’istinto senza porsi domande, concedendosi di ragionare sull’accaduto solamente una volta in volo, realizzando che quelle che si prospettavano davanti a lui erano le sue ultime ore di libertà prima di… preferiva non pensarci troppo, le ipotesi non erano delle migliori.
Era stato tentato di sparire, ritornare a fondersi nelle ombre abbandonando l’uniforme, per poi dare ascolto ai propri sensi di colpa che lo spingevano ad accettare ed affrontare quelle responsabilità parziali… così aveva chiamato Natasha, non sapeva nemmeno lui per dirle cosa di preciso, forse solamente per sentirsi dire di non fare stupidaggini.
La donna aveva risposto al primo squillo, affermando di aver combinato un disastro, sottolineando che fosse tutta colpa sua e che lo aspettava per ubriacarsi… James non se l’era sentita di darle ragione o di negare, non aveva avuto nemmeno le forze per chiederle se esisteva davvero un qualche tipo di alcolico in grado di sballarli sul serio, limitandosi a raggiungerla ed accettare la bottiglia senza battere ciglio appena gliela aveva offerta.
-Ti senti ubriaco? -chiede Natasha circa mezz’ora dopo, contemplando il fondo vuoto della bottiglia.
-Nemmeno un po’. -la informa sdraiandosi contro il pavimento in lamiera, osservando il profilo della donna che si staglia contro il cielo. -Tu invece, ti senti ubriaca?
-Mai stata meglio… il nostro metabolismo fa davvero schifo, io volevo ubriacarmi… -commenta la donna mettendo il broncio, un’espressione che James avrebbe definito adorabile se non fosse per il timore concreto che la bottiglia di vetro, ormai vuota, potesse trasformarsi in un’arma.
-Sono io quello che finisce in manette, lo sai vero?
-Ed io ne sono la causa. -replica con tono spento, per poi nascondergli lo sguardo portandosi le gambe al busto, incassando il mento tra le ginocchia.
-Era solo questione di tempo ‘Tasha. -tenta di consolarla allungando una mano sfiorandole la base della schiena. -Non è colpa tua, prima o poi qualcuno l’avrebbe scoperto in ogni caso.
-Questo non puoi saperlo. -mormora restando ostinatamente voltata verso l’esterno, erigendo un debole muro di difesa che sperava tacitamente che lui non superasse.
-Ti senti più spaventata che in colpa, Natalia. -afferma deciso demolendo volutamente il muro, contraddicendo l’ordine di mantenere il silenzio, ottenendo un’occhiata di fuoco in risposta. -Non biasimarti per colpe che non hai, hai detto che sono mesi che Murdock si studia il mio fascicolo, in tutto questo tempo vuoi che non abbia trovato una soluzione?
-Si, può avere un buon piano d’azione… ma è tutto abbastanza inutile se non troviamo il modo inconfutabile di dimostrare il controllo mentale… -si blocca a metà frase, lo sguardo che si illumina mentre l’accenno di un sorriso fa capolino dalle sue labbra. -Mi è appena venuta un’idea.
-Di quelle innocue, oppure devo prepararmi ad una pazzia? -chiede sollevandosi sui gomiti istintivamente.
-Non ti piacerà…
-Okay, è una pazzia.
-... devi fidarti di me.
-Quando non mi fido di te, ‘Tasha? -ribatte scannerizzandola, arrischiandosi ad allungare una mano per spostarle una ciocca di capelli che le copriva il volto, ottenendo in risposta un bacio leggero sul palmo della mano.
-Idiota.
-Ti amo anch’io… vieni qui. -asserisce trascinandosela contro, inglobandola in un abbraccio, facendo entrare in collisione le loro labbra percependo il suo sorriso.
-Torniamo a casa? -chiede la donna qualche secondo dopo, accoccolandosi contro il suo petto.
-Qualche altro minuto… ci stanno aspettando, ma non ci corre ancora dietro nessuno.



 

Note:

  1. Specifichiamo un po’ di cose in merito agli LMD: sono fisicamente in tutto e per tutto robot, quindi non hanno dei reali bisogni fisiologici da soddisfare come mangiare, dormire, andare in bagno. Tuttavia, visto che il più delle volte chi ha un corpo LMD non sa di essere un LMD, segue una programmazione interna che lo spinge a fingere di avere tali bisogni dando una parvenza di normalità al tutto con uno strato superficiale di muscoli e vene sintetiche, ricetrasmettitori del dolore e tutto ciò che ne consegue. Appunto perché robot, si scollegano solo con un canale tranciato dalla fonte o con un sovraccarico elettrico, indi per cui le pallottole non sortiscono nessun effetto se non per il picco di dolore percepito.

  2. Penitenziario Federale Seagate: prigione di massima sicurezza in Georgia, la versione fumettistica di Alcatraz, gestita dal gruppo di Luke Cage dopo la sua scarcerazione dalla stessa. È l’alternativa al RAFT e all'helicarrier, di solito vengono incarcerati dei soggetti collaborativi, innocui o gestibili dalle forze speciali.

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Capitolo 25
*** 25 ***


4 giugno 2017, Hong Kong

 

Natasha scandisce il tempo picchiettando sul bancone con le unghie laccate di nero, percorrendo il bordo del bicchiere del suo martini con fare annoiato. In mattinata aveva contattato una unità SHIELD inviandola a Parigi, mantenendo fede alla promessa fatta a Maki fornendo a Maria una dose di antidoto ed ordinandole di riesumare la donna come prestabilito… dopotutto era merito suo se aveva rintracciato il patrigno.

Successivamente Natasha aveva illustrato i suoi piani ad un Tony Stark alquanto entusiasta della sua idea, ottenendo l’approvazione forzata di Matt per procedere, prelevando il vestito più provocante che aveva nell’armadio appena il suo vecchio informatore del KGB le aveva confermato il punto di incontro.

Aveva preso il primo volo per Hong Kong disponibile, raggiungendo il piano bar dell’hotel dove Sims soggiornava, lasciandosi scivolare in un’attesa esasperata da più di un'ora, spingendo forzatamente lo sguardo verso l’ingresso sperando di vedere la sagoma del suo contatto far capolino dalla porta, ma le sue speranze erano andate in fumo nel giro di qualche secondo, sospirando e facendo cenno al barista di fare un secondo giro.

Sims l’aveva sorpresa alle spalle a distanza di una decina di minuti, prendendo posto al suo fianco lungo il bancone, sedendosi sullo sgabello facendo pieno sfoggio della propria spacconeria.

-Romanoff.

-Sims, quanto tempo. -sorride affabile inclinando appena la testa, sbattendo le ciglia con fare malizioso… lo conosce da abbastanza tempo per sapere che quella era una tecnica infallibile.

-Perché mi hai contattato? -ribatte il suo informatore andando dritto al sodo, cercando di restare indifferente al suo modo di porsi.

-Perché sei il più bravo sulla piazza, hai occhi ed orecchie ovunque.

-Adulatrice. -commenta lasciandosi sfuggire uno sguardo lusinghiero che lascia ben poco all’immaginazione.

-È solo la verità. -lo asseconda con un sorriso ammaliante, spostando i boccoli rossi con un gesto distrattamente calcolato della mano, mettendo in mostra il profondo scollo del vestito.

-Sono passati anni dall’ultima volta che tu hai avuto bisogno del mio aiuto, perché cercarmi se hai a disposizione le risorse dello SHIELD?

-Perché lavoro anche come freelance, non ho sempre a disposizione tutte le risorse che desidero. -risponde pragmatica, mascherando l’informazione concessa con l’ennesimo sorriso affabile. -Ma prima lascia che ti offra qualcosa… un bourbon?

-Uno scotch.

Natasha fa cenno al barista di portare le ordinazioni, afferrando i bicchieri depositando il liquore davanti a Sims, sporgendosi con un gesto calcolato permettendogli di far cadere lo sguardo nella scollatura, distogliendo l’attenzione dalle sue mani come previsto.

-Un brindisi. -propone richiamando la sua attenzione, accavallando le gambe in un gesto provocatorio, scostando appena il vestito striminzito che le fasciava il corpo mettendo in evidenza i punti giusti. -Agli affari.

-Agli affari. -replica l’uomo deglutendo a vuoto distogliendo lo sguardo dalle sue gambe, sollevando appena il bicchiere e tracannando le due dita di liquore tutto d’un fiato.

-A proposito d’affari. -esordisce Natasha facendo trasparire un sorriso enigmatico dalle sue labbra, nascondendo il moto di repulsione di fronte allo sguardo lascivo che le viene rivolto, raddrizzando la schiena ricordandosi che si stava comportando in quel modo per una giusta causa. -Sto cercando uno psichiatra, uno di quelli con particolarità specifiche.

-Ne esistono tanti di dottori pazzi, mi serve un nome. -la informa Sims con fare pratico, destreggiandosi nella trattativa percorrendo distrattamente il bordo del bicchiere con un dito.

-Il dottor Faustus, so che sai dov’è, non negarlo.

-Non è sotto la protezione dello SHIELD?

-Ha avuto la grazia, non la protezione. È scomparso dai radar e sta mantenendo un profilo troppo basso per essere rintracciato… per questo mi servi tu.

-Questo è il tipo di informazione che costa caro, Natasha. -sorride in risposta soppesando il suo sguardo.

-I soldi non sono un problema, dimmi una cifra.

-Chi ha parlato di soldi? Se facessimo alla vecchia maniera? -afferma rivolgendole uno sguardo dilagante di sottintesi, posando una mano sul suo ginocchio in attesa di una risposta affermativa alla provocazione.

-Sims, vedi, c’è solo un piccolissimo problema… -Natasha sorride candidamente posando la mano sulla sua, stringendogli le dita con fare fintamente affettuoso, per poi arpionargli il palmo con le unghie il secondo dopo. -... devi sapere che sono mortalmente impegnata.

-Non mi risulta che la cosa sia mai stata un problema per te. -afferma l’uomo con sguardo risentito, tentando inutilmente di sfuggire dalla sua presa, portandosi istintivamente una mano alla gola quando il respiro inizia a mancargli.

-Oh, il problema c’è eccome. Che dici se invece la tua ricompensa è l’antidoto per il veleno? -sorride candidamente davanti allo sguardo di puro panico di Sims. -Dove si trova Faustus?

-Chicago… Faustus si trova a Chicago… -rantola aggiungendo l’indirizzo per completezza, per poi pregarla con lo sguardo di fornirgli l’antidoto.

Natasha si lascia scivolare giù dallo sgabello, togliendosi un orecchino prelevando il pendente, posandogli la fiala sulle labbra permettendogli di bere, per poi rimetterla al suo posto indossando nuovamente il gioiello.

-È sempre un piacere fare affari con te, Sims.

-Tu sei una…

-Risparmia i complimenti. -sorride spolverandogli le spalline della giacca. -La merce va sempre esposta durante una trattativa, non prenderla sul personale.

Natasha afferra la pochette defilandosi, un sorriso soddisfatto sulle labbra mentre piovono imprecazioni alle sue spalle… cosa non si fa per amore.

 

***

 

5 giugno 2017, Penitenziario Federale Seagate, Atlanta, Georgia

 

Tony era riuscito a strappare un permesso a Hill per accompagnare Murdock al Seagate, non che l’avvocato ne avesse realmente bisogno, ma perché Natasha gli aveva chiesto di supervisionare la situazione mentre lei reperiva le informazioni e rintracciava Faustus. Tony si era proposto come garante dopo aver appurato l’astio latente che intercorreva tra Barnes e Murdock quando la donna aveva spiegato loro cosa si era offerta di fare per ottenere informazioni, scatenando il disappunto di Matt e facendoli giurare entrambi di non informare James sul coinvolgimento dei suoi vecchi contatti con gli informatori del KGB.

-L’arancione non è il tuo colore, lo sai vero? -esordisce Stark quando le guardie scortano James all’interno della stanza per i colloqui, le maniche della tenuta da carcerato che non si sforzavano troppo a coprire la protesi, resa un ammasso di ferraglia inutile dall’ultimo dispositivo che era stato costretto ad innestargli per avviare le pratiche di incarcerazione.

-Il colore della tenuta è l’ultimo dei miei problemi, fidati. -ribatte laconico mentre porge i polsi alla guardia per farsi togliere le manette, lasciandosi cadere stancamente sulla sedia di plastica quando li lasciano soli. -Mi trattano bene Stark, prima che tu me lo chieda. Qual è il piano per domani?

Matt prende la parola esponendo il caso, spiegando il piano d’azione ed elencando i capi d’accusa, concludendo affermando di non volerlo far salire alla sbarra per testimoniare.

-Perché no?

-Perché sarebbe sconveniente dare loro un pretesto per farti rinvangare ogni singolo omicidio che hai compiuto. -risponde efficiente Matt. -Tentiamo di evitare i possibili danni.

-Io, Shar, Maria e Nat testimonieremo a tuo favore, Buck. Funzionerà. -interviene prontamente Tony per completezza, ottenendo un cenno affermativo da parte dell’uomo, che sospira coprendosi il volto e posando i gomiti sul tavolo con stanchezza evidente, mandando in allarme il sesto senso di Tony spingendolo a dire qualcosa. -Sono mesi che Matt si studia il tuo caso… basta dimostrare il controllo mentale. E poi ti sei già sdebitato largamente spedendo all’altro mondo quasi tutte le teste dell’HYDRA.

Il suo tentativo di rassicurazione non va in porto, mentre una risata spenta e sommessa rimbomba contro la cassa toracica di James.

-Sto bene, è solo la carenza di sonno… stanotte proverò a dormire, tranquilli. -specifica immediatamente liquidando la sua espressione preoccupata con un gesto della mano, stroncando sul nascere un qualsiasi intervento da parte di Matt. -Rassicurante che tutta la nostra difesa si basi sulla mia infermità mentale, sempre se riusciamo a dimostrarla in aula, in quel caso sarebbe un vero miracolo…

-Barnes, così il cinismo è troppo anche per me. -puntualizza Tony cercando di fare una battuta, ottenendo un'occhiataccia da parte del suo interlocutore.

-Non è cinismo. Ogni volta che le cose finalmente si stabilizzano e vanno per il verso giusto, succede sempre qualcosa che manda in frantumi l’equilibrio… ho imparato a conviverci, dopo un po’ il peggio diventa la normalità Tony.

-È una tempesta momentanea, le cose si risolveranno. -interviene conciliante, cercando lo sguardo di James per sincerarsi se ciò che dice lo pensa veramente o meno.

-Non credo che una tale eventualità si possa applicare anche su di me. -ribatte prontamente James laconico, addossandosi allo schienale con fare rassegnato, lasciando scorrere lo sguardo sulle pareti spoglie di cemento senza vederne la via d'uscita.

-Tu non mi piaci, Barnes. -esordisce Murdock di punto in bianco sorprendendo Tony, posando le mani sulla ventiquattr’ore e puntando lo sguardo su James come se riuscisse a vederlo sul serio.

-La cosa è reciproca Matt, ma dato che mi serve il tuo aiuto non sono così stronzo da lamentarmene. -ribatte James serafico, rianimandosi seguendo l’istinto di rispondere alla provocazione.

-Se sai che ti serve il mio aiuto, vuol dire che sai che sono un bravo avvocato, astio a parte so come tirarti fuori da qui… va bene se non ti fidi di me, ma almeno fidati di Natasha.

James sembra riscuotersi dal momento di debolezza, raddrizzando la schiena assottigliando lo sguardo, improvvisamente attento e intento a ragionare sul cosa diavolo si fosse messa in testa la compagna per tirarlo fuori dai guai.

-Accennava ad una pazzia… da una scala da uno a dieci, dove uno è lanciarsi dal quinto piano senza rampino e dieci è affrontare un esercito a mani nude, quanto devo preoccuparmi? -chiede con tono forzatamente leggero, lasciando correre lo sguardo tra Stark e Murdock in attesa di leggere una risposta dalle loro espressioni, tutti e tre consapevoli che la donna aveva chiesto di non informarlo… Tony non aveva potuto fare a meno di notare che James gli aveva chiesto un termine di paragone e non una conferma.

-Quattro. -si sente rispondere con tono rassicurante, notando le sue spalle in tensione rilassarsi leggermente… Tony non voleva nemmeno provare ad immaginare che genere di incubi lo tenessero sveglio la notte, riconoscendo quelle occhiaie inconfondibili che negli anni aveva visto troppo spesso su se stesso.

-È escluso che mi diciate dov’è, vero?

-Se te lo dico mi prometti che non evaderai per lanciarti in suo soccorso?

-Se la metti così preferisco non saperlo. -cede alzandosi dalla sedia, porgendo i polsi alle guardie quando rientrano per scortarlo alla sua cella.

-Grazie per essere passato Stark… -lo sente mormorare verso la sua direzione, prima di voltarsi verso Matt accennando ad un sorriso. -... e grazie Murdock, so che non sei tenuto a farlo.

-Ho un debole per i casi complessi. -ribatte l’avvocato dispiegando il bastone per ciechi, ma lasciandosi sfuggire l’accenno di un sorriso. -Fammi un favore e tenta di dormire, mi servi riposato per l’udienza di domani.

-Ci provo, ma non garantisco. -commenta James prima di sparire oltre la porta con un ultimo cenno di saluto.

-Matt… permetti una domanda? -chiede Tony tenendo la porta aperta all’avvocato, ottenendo un cenno di assenso in risposta. -Cosa ti fa pensare che fare l’avvocato del diavolo…

-Non condivido la loro filosofia di vita, il proteggere coloro che si amano mentendo spudoratamente. -lo interrompe aprendosi la portiera della macchina con un gesto preciso e deciso. -Sapere dove lei sia e cosa sta facendo gli evita gli incubi, se dorme domani sarà meno nervoso e gli serviva un movente per fidarsi di me in vista di ciò che faremo domani, un movente un po’ più tollerabile di “ti do una mano in memoria dei vecchi tempi con la mia ex”… non è fare l’avvocato del diavolo, è strategia.

-Strategia brillante. -si ritrova ad ammettere Stark mettendosi alla guida, avviando il motore. -Inizio a pensare che domani avremo seriamente una possibilità di vincere la causa.

-Non cantare vittoria troppo presto, Tony. Ringraziami dopo aver sentito proferire un “non colpevole” dal giudice… e finché Natasha non rintraccia Faustus noi continuiamo a brancolare nel buio.

 

***

 

5 giugno 2017, rifugio segreto del Dottor Faustus, Chicago

 

-È stato troppo facile. -commenta Natasha guardandosi intorno, la schiena appoggiata contro il muro del corridoio mentre aspetta che Sam finisca di scassinare la serratura dell’appartamento.

-Facile? -ribatte sarcastico l’uomo abbandonando momentaneamente la serratura, riferendosi implicitamente alla ventina di guardie tramortite ed abbandonate sulla tromba delle scale di servizio.

-Erano solo venti e nemmeno troppo brave… è stato facile.

-Per te forse, ma tu combatti su tutt’altro livello Nat. -sottolinea Sam tornando ad affaccendarsi con le forcine per capelli e il chiavistello.

-Sicuro che non posso buttarla giù con un calcio? Tanto con il trambusto combinato fin qui il Dottore ci ha sentiti sicuramente.

-Le pareti sono insonorizzate ed hai eliminato l’ultimo uomo un paio di piani più sotto di questo. -puntualizza concentrato. -E smettila con tutto questo nervosismo altrimenti mandi in paranoia anche me, ho bisogno di saperti convinta di quello che fai… altrimenti ci do per spacciati e non andrà a finire bene.

-Non sono nervosa.

-Buck è in gattabuia a malapena da cinque giorni e tu ti stai già mangiucchiando le unghie. -le fa notare Sam con logica tempestiva, mentre Natasha smette di torturarsi le pellicine d’istinto cercando di negare l’evidenza. -Il tuo nervosismo è normale Nat, non ti giudico… se Faustus non è qui siamo al punto di partenza e il processo è domani.

-Non ricordarmelo… ho perso tempo ad Hong Kong, se Faustus non è qui ci torno solo per impalare Sims sul bancone del piano bar, alla faccia dei vecchi metodi.

-Nat con vecchi metodi…? -tenta Sam con tono indagatore, intuendo la proposta indecente che le era stata rivolta dal suo contatto.

-No Sam, non faccio più certe cose. -ribatte dopo mezzo secondo, irritata dal sentirsi in dovere di dare una spiegazione al suo operato. -Spostati, dammi le forcine.

-No, ce la faccio. -risponde convinto nonostante fosse già al terzo tentativo di scassinare la porta.

-Sam, sono già nervosa di mio, tu non vuoi vedermi arrabbiata. -asserisce incenerendolo con lo sguardo, facendosi consegnare istantaneamente le forcine inginocchiandosi davanti alla serratura, sbloccandola con leggera difficoltà al primo tentativo. -Fatto.

-Esibizionista.

Natasha lo ignora aprendosi la porta con una leggera spallata, varcando la soglia ad armi spianate, sorprendendo Faustus mentre compilava le parole crociate sul retro del giornale seduto comodamente a tavola facendo colazione.

-Romanoff, Wilson… vorrei poter dire che sia un piacere ma non è così, ma voi non avete fame? Non fate colazione al mattino come i comuni mortali?

-Espresso con due zollette di zucchero ogni mattino, grazie per averlo chiesto -ribatte Natasha dilagando sarcasmo.

-Fammi indovinare… -commenta senza battere ciglio, voltando il giornale mostrandole la foto di James in prima pagina con un sorriso saccente sul volto.

-No. -ribadisce perentoria lanciandosi sull’uomo, premendo il dispositivo sulla bocca del dottore rilasciando una sottospecie di museruola. -Tu taci e non mi convinci a fare nulla per liberarti, puoi rispondere solo sì o no muovendo la testa, sono stata chiara?

Faustus stringe gli occhi a fessura, ma acconsente con un cenno affermativo del capo.

-Bene. Ci servi in tribunale, dimostrerai al giudice che il controllo mentale esiste ed è possibile, sarai arrestato ma otterrai una riduzione della pena. Ti è chiaro?

Lo psichiatra annuisce di nuovo sollevando gli occhi al cielo, per poi scrutarli entrambi con fare tra l’esasperato e il rassegnato.

-Visto che l’unica lingua che comprendi è la sopravvivenza sarò breve e concisa. -riprende Natasha perentoria. -Se trasgredisci alle direttive, muori. Se ordini a qualcuno di uccidere o suicidarsi, muori. Se usi i tuoi poteri quando non dovresti usarli, muori. Se fai qualunque cosa che non dovresti fare, muori. Me ne occuperò personalmente... e tu non vuoi che io me ne occupi, vero?

Faustus nega energicamente con il capo, un’espressione vagamente spaventata sul volto nel vedere il suo sguardo in tempesta, afferrando la penna abbandonata sul tavolo scribacchiando in un angolo del giornale, per poi voltarlo nuovamente nella sua direzione permettendole di leggere un “sei stata cristallina” a caratteri cubitali e sottolineato ben due volte.

Lo psichiatra aveva sollevato le braccia permettendo a Sam di mettergli le manette ai polsi, lasciandosi scortare fino all’entrata del palazzo dove una unità SHIELD li aspettava per prendere il dottore in consegna.

-Ragazzi, venite? -chiede l’Agente Piper issandosi sul furgone, offrendo l’ultimo passaggio prima di partire alla volta del Seagate.

-Devo avvisare Tony… e poi ho fame. Tu non hai fame? -chiede Natasha voltandosi verso Sam, sfilando il cercapersone dalla tasca della tenuta e digitando il messaggio nel mentre.

-Starbucks? -propone l’uomo in risposta, cercando un insegna lungo la strada, realizzando di trovarsi nella zona residenziale e di non conoscere le indicazioni stradali del posto. -Cerchiamo un taxi che ci porti da Starbucks.

-Andata. -conferma Natasha mentre Sam si ferma sul ciglio della strada chiamandone uno. -Ci vediamo in tribunale domani Piper, mi raccomando non togliergli la museruola.

-Agli ordini, Romanoff. -conferma la donna chiudendo la portiera e dando l’ordine di partire.

Natasha raggiunge Sam, che nel frattempo era riuscito a fermarne uno informando l’autista della destinazione, ma aveva realizzato che qualcosa non andava solo quando il taxi supera il primo Starbucks visibile dalla strada facendo scattare la chiusura automatica delle porte, riconoscendo solo in quel momento l’odore del gas narcotico che fuoriusciva dalle prese dell’aria condizionata… lo stimolo della fame indotta si annulla di fronte alla consapevolezza del tranello, ma erano già svenuti entrambi prima che uno dei due potesse raggiungere il pulsante del finestrino.

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Capitolo 26
*** 26 ***


6 giugno 2017, Penitenziario Federale Seagate, Atlanta, Georgia

 

James si era sorpreso nell’essere riuscito a chiudere occhio e riposare per cinque ore, nei giorni precedenti aveva dormito sempre poco e male a causa degli incubi, ma evidentemente sapere che Natasha non rischiava l’osso del collo l’aveva aiutato a mettersi l’anima in pace riguardo alla pazzia che aveva decantato la compagna.

Le guardie gli avevano recapitato la colazione ed un cambio di vestiti intorno alle sei del mattino, l’avevano trovato sveglio e non avevano risposto ai suoi tentativi di conversazione… da una parte era stato felice di essere stato messo in isolamento, di gente al Seagate che desiderava sgozzarlo ce n’era parecchia, ma dall’altro lato la solitudine aveva reso i pochi giorni di reclusione pressoché eterni.

Si era sforzato di mangiare nonostante la carenza di appetito, si era tagliato l’accenno di barba rendendosi presentabile e si era cambiato… gli avevano ripetuto fino allo sfinimento che doveva dare una bella impressione, di mostrare alle guardie il Bucky Barnes gentile e simpatico, non la versione arrabbiata o scontrosa del Soldato.

Luke Cage1 l’aveva portato personalmente fino in tribunale rinunciando alla scorta, nessuna delle guardie aveva avuto il coraggio di contraddire un super-umano, lasciando James senza manette durante il tragitto fino al Palazzo di Giustizia affermando che avendo subito l’esperienza e sapendolo innocente voleva concedergli un trattamento umano, per poi salutare Matt e lasciarlo nelle mani dell’avvocato.

Il processo era iniziato intorno alle dieci e James si era sentito morire nel vedersi elencare tutti e 23 gli omicidi confermati ed effettivi, avvertendo il sospiro trattenuto di tutti i presenti quando l’accusa aveva pronunciato il nome di JFK e quello dei due senatori fatti fuori tra gli anni ‘60 e i ‘70, osservando di sfuggita l’espressione di Murdock per sincerarsi sul doversi preoccupare o meno, imbattendosi nella sua calma imperturbabile avendo la tacita conferma che erano in possesso di un asso nella manica a lui sconosciuto.

Si era sforzato di mantenere la calma quando aveva visto Tony salire alla sbarra e spiegare tutti i dettagli scabrosi del 16 dicembre 1991, notando con velato stupore la reazione positiva della giuria nel vedere l’orfano di casa Stark difenderlo in modo così accorato.

Aveva ascoltato Maria mentre parlava del suo lavoro impeccabile allo SHIELD svolto nell’ultimo anno e mezzo, chiudendo la testimonianza ricordando a tutti che il suo era il primo nome che figurava sul Muro degli Eroi, sottolineando la sua presenza nei libri di storia dopo la dicitura “eroe di guerra” e la sua parentela con il Capitano Rogers.

Sharon aveva messo a conoscenza la Corte del suo periodo di prigionia dopo la pausa pranzo, spiegando come il suo intervento era stato fondamentale, ricordando a tutti il salvataggio tempestivo delle presidenziali ad Albany.

James si era voltato verso gli uditori un paio di volte cercando i capelli rossi di Natasha in mezzo ai presenti non trovandoli, scoccando uno sguardo preoccupato a Tony quando Matt l’aveva chiamata a testimoniare e non si era presentata… ma non aveva avuto tempo di captare il cenno di una qualche risposta che l’accusa ne aveva approfittato per affondare il coltello nella piaga, rispolverando il suo contributo nel programma “Stanza Rossa”, spezzando la striscia positiva addentrandosi nell’ambito del presunto controllo mentale, rendendo inutile l’intervento di Murdock che si era appellato al precedente di Killgrave2, esempio distrutto dall’accusa in quanto anche in quel caso il controllo mentale non era mai stato dimostrato in aula.

In quel preciso momento James era stato tentato di abbandonare le speranze, mormorando un “siamo fottuti” tra i denti, ma voltandosi confuso in direzione dell’avvocato quando gli aveva rivolto un sorriso accennato.

-Tranquillo, va tutto secondo i piani.

-Cosa? Quali piani?

-I piani di Natasha. -gli sussurra per poi fare richiesta al giudice di chiamare alla sbarra un ultimo testimone, ottenendo il permesso di procedere. -Chiamo a testimoniare Johann Fennhoff, il Dottor Faustus.

James si volta in direzione della porta incontrando lo sguardo dello psichiatra, che viene portato alla sbarra da un’intera scorta, con una sottospecie di museruola a chiudergli la bocca.

-Dio, quanto amo la mia ragazza… -afferma sorridendo mentre il Dottore prende posto dando inizio al vero spettacolo.

 

***

 

6 giugno 2017, Liberty Island, Manhattan, New York

 

Quando Natasha riapre gli occhi la luce accecante le toglie la vista, concentrandosi sugli altri quattro sensi per orientarsi fintanto che la vista si riadatta.

Le narici bruciano ancora, probabilmente avevano usato una fiala di sali per farla rinsavire, mentre il saporaccio del ferro le invade la bocca, realizzando di essere stata imbavagliata. Prova a muoversi fallendo miseramente nel tentativo, le mani legate dietro alla schiena e le caviglie segnate dalla corda che la ancora alla sedia su cui è seduta, percependo le spalle di Sam contro le proprie ed udendo un vago lamento di quest’ultimo a segnalarle che anche l’uomo aveva ripreso conoscenza.

Sbatte di nuovo le palpebre riadattando la vista, riconoscendo la torcia di Lady Libertà ad una distanza decisamente troppo ravvicinata, comprendendo di trovarsi all’interno della corona… ed una volta realizzata la cosa, Natasha preferiva non pensare a quanti metri la separavano dal suolo, concentrandosi sulla figura di Zemo che sorrideva stagliandosi contro i finestroni aperti.

-Finalmente siete svegli… giusto in tempo per il gran finale. -commenta sollevando la manica della giacca osservando il quadrante dell’orologio. -Stando alle mie fonti interne al tribunale, la difesa ha appena chiesto la tua testimonianza piccola Natalia… sono rimasti delusi che tu non ti sia presentata.

La donna aveva incontrato il Barone Zemo Sr. solo un paio di volte, era uno dei tanti finanziatori del padre e ricordava di averlo tallonato tra i corridoi del Cremlino in quelle rare occasioni, dimostrandosi la figlia diligente che credeva di essere… incontro che risaliva a molto prima di conoscere James e del loro tentativo di fuga. Aveva sentito dire dai suoi contatti che il figlio fosse a tratti peggiore del padre, che era subdolo e calcolatore… dopotutto negli ultimi mesi avevano avuto la prova che il Barone Jr non si facesse troppi problemi a tradire gli alleati per raggiungere i propri interessi: aveva manipolato Lukin senza battere ciglio sfruttando il suo odio personale verso il Capitano, aveva illuso Will fornendogli una causa in cui credere al retrogusto di corruzione ed aveva abbandonato Petrovich alle sue grinfie voltandosi dall’altra parte mentre lei metteva ufficialmente fine alla sua vita. Tutti loro erano solo mere pedine che si muovevano all’interno di una scacchiera premeditata, Zemo proseguiva inarrestabile verso l’esito della partita puntando a far cadere il loro impero dall’interno come pegno per aver demolito l’HYDRA dalle fondamenta, sfruttando quella stessa arma su cui aveva investito troppi soldi perché ora lo lasciasse libero di rifarsi una vita.

Natasha non poteva fare nulla per contrastare quella logica ineccepibile, consapevole che una volta, quando aveva meno scrupoli ed una coscienza decisamente più sporca, lei avrebbe eseguito le medesime gesta per raggiungere l’obiettivo nel caso gli fosse stato ordinato di farlo.

Se il piano di Zemo era far affondare gli Avengers usando il Soldato d’Inverno come iceberg, lei era conscia che il modo migliore per attuare quel folle piano era privarlo dell’unica famiglia che gli era rimasta al mondo, costringendolo a salire su un piedistallo per poi togliergli la terra sotto i piedi, concludendo la partita con una disfatta eclatante di rapida diffusione mediatica… e purtroppo Zemo conosceva abbastanza bene le sue armi al punto da sapere esattamente quali erano i tasti giusti da toccare, perché come le falene sono attratte dalla luce suicida, se fosse stato necessario James si sarebbe cosparso di benzina e si sarebbe dato fuoco senza battere ciglio pur di portarla in salvo.

Forse loro due erano troppo prevedibili, sicuramente gli era stato detto cosa fosse successo al Cremlino e Zemo scommetteva vincente su quello che sarebbe successo da lì a qualche ora… Natasha ne era consapevole ben prima che il Barone Jr se ne vantasse teatralmente, schernendo entrambi per essere impossibilitati a farmare il suicidio consapevole di James, deridendo soprattutto lei puntando tutto su quell’unico punto debole corrisposto che non era mai cambiato negli anni.

Zemo parlava, invogliato dal fatto che lei e Sam erano impossibilitati a fornirgli una qualsiasi risposta, vantandosi di aver riempito la corona di esplosivo mentre finiva pazientemente di collegare i cavi, spiegando loro come la minaccia mortale e la richiesta del riscatto andrà in onda in diretta televisiva in tutta la Nazione… non importava se gli eroi più forti della Terra erano tutti rinchiusi dentro un'aula di tribunale, la notizia li avrebbe raggiunti lo stesso.

-Sono curioso di vedere chi sarà il primo a raggiungerci per il gran finale… -commenta Zemo alle spalle di Natasha rivolgendosi a Sam, che continuava a forzare le corde nel vano tentativo di liberarsi. -... se questo onore spetterà allo SHIELD, a Stark oppure al mio Soldato.

Natasha tenta di parlare nuovamente, riuscendo ad esprimere solo un mormorio incollerito ed incomprensibile, attirando l’attenzione di Zemo.

-Come dici? Se il Soldato evade firma da solo la propria condanna a morte? -la schernisce esponendo con brutale freddezza la realtà dei fatti, abbassandosi al suo livello ponendosi ad un palmo dal suo naso. -Voglio proprio vedere se Barnes resterà buono al Seagate o se evaderà per salvarti… dopotutto come potrebbe mai fidarsi degli altri se tu sei in pericolo piccola Natalia?

Zemo urla ritraendosi, afferrandosi il naso sanguinante mentre Natasha lo incenerisce con un’occhiata assassina dopo avergli rifilato una testata, continuando a sfidarlo con lo sguardo nonostante lo schiaffo giunga prevedibilmente tempestivo in risposta.

-Questo avvalora solo la mia tesi. -commenta allontanandosi, raggiungendo la videocamera avviando la diretta. -Buongiorno gente…

 

***

 

6 giugno 2017, Palazzo di Giustizia, Atlanta, Georgia

 

Tony osserva la scena impassibile mentre tolgono la museruola al Dottor Faustus, tradendo la calma imperturbabile scandendo il tempo con il piede, mentre la cugina seduta al suo fianco gli posa una mano sul ginocchio intimandogli di fare silenzio, comunicando in uno tacito sguardo che tutto andrà per il meglio.

Faustus presenta le proprie generalità ed annuncia il giuramento alla Corte, per poi essere messo sotto giudizio dall’accusa con Blake Tower3 eletto a portavoce del popolo.

-Quindi lei sarebbe l’esperto che dovrebbe comprovare il controllo mentale in quest’aula, è corretto?

-Corretto, ai fini dell’indagine ci tengo a precisare che non ho mai avuto contatti con nessuno di voi a parte i testimoni presentati dal Signor Murdock e l’imputato.

-Specificazione inutile.

-Delucidazione fondamentale… perché vede Signor Tower, io ho collaborato davvero con le peggiori menti criminali di questo mondo, ci sono state le mie parole dietro all’assassinio del Capitano Rogers… oltre ad essere l’ovvio motivo per cui mi sono aizzato contro l’intera difesa del Signor Barnes, poco importa cosa ho fatto in seguito per salvarmi la pelle.

Chiunque all’interno dell’aula trattiene il fiato nel realizzare chi ha davanti, accogliendo la notizia con lo stesso mormorio soffuso che aveva accompagnato la lista di omicidi con cui si era aperto il processo.

-Ciò non dimostra il controllo mentale, cosa mi assicura che le persone che hanno premuto il grilletto non hanno agito di testa propria? -rimarca Tower con logica inconfutabile, mentre lo psichiatra volge lo sguardo a Matt attendendo una conferma che non tarda troppo ad arrivare.

-Signor Tower, lei prova dell’astio verso il Giudice?

-No, solo rispetto… ma non capisco la domanda.

-Lei ucciderebbe il Giudice se io le ordinassi di farlo?

-Ovvio che no!

-Ma provi. Afferri la pistola della guardia al suo fianco e la punti contro il Giudice.

L’aula tace mentre Blake Tower ammutolisce ed esegue gli ordini come un automa, opponendo una leggera resistenza visibile unicamente da quanto stia tremando la canna dell’arma, mentre Tony si alza in piedi pronto ad intervenire nel caso il proiettile dovesse partire sul serio.

-Basta così Signor Tower, abbiamo dato abbastanza spettacolo per oggi. -conclude Faustus con il sorriso sulle labbra, mentre l’uomo getta la pistola a terra terrorizzato e scosso dai tremori. -La leggera reticenza dimostrata qui in aula era stata logicamente eliminata dal soggetto con droghe, elettrochoc e sessioni di stasi criogenica… verso gli anni ‘70 pensavamo di avergli definitivamente fuso il cervello rendendolo innocuo, è stato un errore di valutazione dati gli sviluppi nell’ultimo paio d’anni, togliere la libertà genera resistenza, Barnes aveva un buon motivo per combattere e ci ha eliminati uno ad uno. Ma credo sia tutto largamente documentato nel fascicolo dell'imputato e l’argomento sia già stato ampiamente discusso stamattina.

-Non ho altre domande Vostro Onore. -biascica Tower ancora sconvolto, tornando a sedersi al banco dell'accusa, mentre il Giudice concede a tutti una pausa ordinando alle guardie di portare Faustus fuori dall’aula.

Tony non ha il tempo di pensare di potersi rilassare contro la panca che avverte il proprio cellulare vibrare nella tasca, accorgendosi che tutti i presenti avevano sfoderato il proprio osservando orripilati lo schermo, sbloccando il dispositivo sentendosi sprofondare lo stomaco fino al centro della Terra quando FRIDAY lo mette al corrente delle notizie. Non aveva prestato attenzione a chi fosse stata la persona geniale a collegare al satellite il televisore usato per esporre le prove, ma l’attenzione di tutti i presenti era stata istantaneamente calamitata dallo schermo acceso che mostrava la figura di Zemo che salutava sorridente, consapevole di essere trasmesso in ogni notiziario nazionale.

-Buongiorno gente… so che siete un po’ impegnati con il processo, ma ci tenevo ad informarvi sugli ultimi sviluppi della partita a scacchi in corso. Ricapitoliamo un po’ le mosse: voi Avengers siete in vantaggio, avete eliminato tutte le mie pedine in tempi record… ma davvero pensavate fosse così facile catturare il Dottore? Vi è servito alla vostra causa, ovviamente Faustus tiene cara la pelle, ma ora ha ufficialmente estinto il suo debito con me.

Tony sbianca quando il Barone afferra la telecamera e la volta riprendendo la torcia di Lady Libertà, per poi spostare l’inquadratura verso Sam e Natasha, legati ed imbavagliati schiena contro schiena all’interno della corona, mentre Tony nota con la coda dell’occhio la figura di James alzarsi di scatto appena riconosce la donna.

-La corona è piena di esplosivo, avete sei ore a partire da adesso per evitare che il monumento a quella Libertà che difendete tanto crolli in un cumulo di ferraglia… -Zemo ritorna ad inquadrare se stesso, sorridendo candidamente ai posteri. -Siamo a fine partita ora… зимний солдат quanto vale la tua libertà? Di più o di meno della vita del tuo braccio destro? Più o meno della vita della piccola Natalia? Il tempo scorre… tik tok, tik tok…

La registrazione si interrompe lasciando spazio agli opinionisti e i giornalisti in TV che iniziano a discutere sul cosa loro dovrebbero fare o meno, mentre Maria Hill prende il controllo dell’aula del tribunale chiedendo al Giudice di discuterne in privato, proposta che viene accolta con positiva tempestività.

-Dov’è lo scudo? -chiede James appena la porta chiude fuori l’opinione pubblica, la Giuria e il Giudice, richiamando l’attenzione dei presenti.

-Stoccato al Seagate insieme all’uniforme, ma tu non ti lanci in soccorso di nessuno Barnes. -ribatte Maria glaciale. -Tu torni in cella fino a nuovo ordine, ce ne occupiamo noi… non ho ottenuto una temporanea sospensione del processo solo perché tu possa mandare tutto al diavolo unicamente per salvare Natasha.

-Maria…

-No Buck, è esattamente quello che Zemo vuole… far saltare in aria la Statua della Libertà appena Capitan America ci mette piede sopra, tu non farai collassare di nuovo lo SHIELD e gli Avengers sotto le maldicenze dell’opinione pubblica. -sottolinea con cattiveria sottile, timorosa di veder cadere a pezzi tutto ciò che lei e Fury avevano faticosamente ricostruito negli ultimi tre anni, per poi iniziare a snocciolare ordini e direttive a tutti i presenti. -Murdock studia un modo per rendere inattaccabile questo imprevisto in aula, Sharon prepara la scorta per riportare Barnes e Faustus al Seagate, mentre io e Tony partiamo subito per New York.

-Fidati Barnes, te li riportiamo a casa tutti e due interi. -commenta Tony senza sfumature fraintendibili nella voce, ottenendo in cambio un cenno con il capo rassegnato da parte dell’uomo.

-Ti conviene Stark, altrimenti non garantisco di rispondere delle mie prossime azioni.



 

Note:

  1. Luke Cage: incarcerato per essere stato incastrato per un crimine non commesso, in seguito ad esperimenti illegali all’interno del Seagate che lo rendono un super-umano con la super-forza e la pelle indistruttibile, si unisce ai Defenders (motivo per cui conosce Murdock), mentre la sua controparte fumettistica si mette a capo dei Thunderbolt e dirige il penitenziario in Georgia imponendo delle leggi più “umane” rispetto a quelle precedenti.

  2. Killgrave: principale antagonista di Jessica Jones nella prima stagione, ha poteri molto simili a quelli di Faustus, aggiungete solo una pericolosa fissazione nei confronti di Jessica e il colore viola.

  3. Blake Tower: avvocato (e successivamente procuratore) che contrasta spesso e volentieri Murdock dentro e fuori dal tribunale.

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Capitolo 27
*** 27 ***


6 giugno 2017, in viaggio verso il Seagate

 

James non aveva idea di chi fosse la guardia sbadata che aveva tolto la museruola a Faustus, ma sapeva con assoluta certezza che se mai l’avesse scoperto avrebbe fatto in modo che si pentisse amaramente di tale mancanza.

-Taci… ti prego taci. -lo scongiura esasperato, erano solamente a metà del tragitto verso il penitenziario e lo psichiatra non aveva mai chiuso bocca da quando il motore del furgone si era avviato partendo dal Palazzo di Giustizia. -Non sei riuscito a soggiogarmi nemmeno con l’aiuto del siero, di certo non ci riuscirai ora.

-Se non posso soggiogarti tanto vale darti il tormento, è una pratica che regala moltissime soddisfazioni.

James si sforza di ignorarlo, frustrato già dalla situazione in sé per dare credito anche alle frecciatine dello psichiatra, rimuginando sopra agli ordini impartiti da Hill immaginando almeno dieci scenari diversi in cui Natasha poteva essere ferita o uccisa, imponendosi di rispettare le direttive per non complicare ulteriormente le cose.

-Mi aspettavo che disubbidissi agli ordini, sai?

-Non posso farlo… e mi fido della parola data. - James si ritrova a rispondere in automatico, non aveva senso ostinarsi ad ignorarlo ancora a lungo.

-Sembri quasi convincente. Quasi. -Faustus sghignazza strattonando le manette di riflesso. -Se faccio in modo che le guardie ti liberino? Estinguo il mio debito con te e poi sarò libero di andare…

-Arrivi tardi per una proposta del genere, Doc. -sorride avvertendo i pneumatici del furgone frenare sul parcheggio del Seagate. -Occasione sfumata… se ti consola, non avrei accettato in ogni caso.

James resta fermo ed impassibile mentre gli agenti SHIELD prelevano lo psichiatra dal mezzo conducendolo alle celle di isolamento, mentre Sharon sale a bordo togliendogli le manette ai polsi conducendolo verso lo stabile… sorprendendosi quando alla fine del corridoio svoltano a sinistra verso l’uscita di sicurezza invece che a destra in direzione delle celle carcerarie.

-Dove…?

-Dopo, sali in macchina e taci. -lo interrompe la donna aprendogli la portiera della vettura targata SHIELD, aggirando il cofano e mettendosi alla guida decollando. -Siamo in ritardo di mezz’ora sulla tabella di marcia e questo affare non è esattamente veloce quanto un Quinjet o una Mark… ma credo basti, no?

-Mi stai portando a New York…

-Ovvio che ti porto a New York, mi sto sdebitando per i salvataggi durante il mio periodo sotto la tutela di Lukin… e poi ammettilo, avresti trovato il modo di evadere dopo la prima mezz’ora rinchiuso dentro la cella di isolamento.

-Non hai tutti i torti… -ammette James facendo spallucce, voltandosi verso i sedili posteriori appurando la presenza della divisa e dello scudo in vibranio. -Ma come lo spieghiamo a Hill e Stark?

-Con mio cugino me la vedo io, mentre per quanto riguarda Maria... al massimo può licenziarmi, non ne farei di certo un dramma.

-Ai tuoi ordini, Sharon… speriamo di arrivare prima che Liberty Island si trasformi in un cumulo di macerie.

-Tu pensa ad un piano un po’ più articolato di “vado, li ammazzo e torno” come fai di solito… intanto io mi preoccupo di arrivare in tempo. -afferma la donna prima di azionare i propulsori al massimo della potenza. -Allacciati la cintura Buck, non ti ho fatto evadere di prigione solo per vederti sfracellato al suolo in un luogo imprecisato tra Atlanta e New York… è la buona volta che Maria mi ammazza sul serio se dopo tutto questo disastro devo anche raccoglierti dall'asfalto con il cucchiaino.

 

***

 

6 giugno 2017, Liberty Island, Manhattan, New York

 

Passano quattro ore prima che qualcuno si faccia vivo, Natasha aveva quasi perso le speranze a forza di ascoltare Zemo decantare le proprie gesta con tono pieno di sé, mentre terminava di collegare le cariche e finiva di assemblare il mitragliatore sul ciglio delle vetrate, ma tira un sospiro di sollievo quando i proiettili iniziando a srotolarsi dalla cartucciera perforando il cielo.

Vede il Quinjet in lontananza fermo e pronto per l’estrazione, realizzando che l’unica cosa che lei poteva fare era sperare che la cartucciera si inceppasse, bloccati in una situazione di stallo in cui lo SHIELD poteva solo aspettare mentre Tony compiva acrobazie in volo per schivare i proiettili, evitando di contraccambiare il fuoco per non rischiare di colpire loro o una delle cariche lasciate scoperte innescando l’esplosione.

Natasha iniziava a non sperarci più quando intravede una vettura SHIELD svoltare l’angolo cieco della vetrata arrestando la sua corsa, mentre l’elmetto di Capitan America sbuca dal tetto della decappottabile e vede James fare segno a Sharon di portarlo all’entrata degli ascensori per raggiungere la corona. La donna afferra il polso di Sam richiamando la sua attenzione, indicandogli con un cenno del capo l’auto che si libra nel vuoto, aspettando che James raggiunga la porta di servizio a qualche metro di distanza da loro per inscenare un agguato alle spalle del Barone Jr.

Natasha sente le corde dei polsi tirare e segnarle la pelle quando lei e Sam si piegano in avanti, percependo con la coda dell’occhio la parabola perfetta che compie lo scudo centrando il groviglio di corde recidendo il nodo, gettandosi a terra per slegarsi le caviglie e togliersi il bavaglio.

Si arrampica alle spalle di Zemo distogliendo la sua attenzione dal diversivo costituito da Iron Man, concedendo una breve finestra di tempo a Tony per gettarsi contro la vetrata frantumandola per scollegare le cariche, permettendo a James di raggiungerla in mezzo allo scontro.

-Tu non dovresti essere qui! -urla la donna schivando i colpi di Zemo, usando le spalle di James come appoggio dandosi lo slancio per il contrattacco, mentre quest’ultimo brandisce lo scudo ed impedisce al Barone di raggiungere Stark o la centralina dell’innesco.

-Ti sono mancato? -chiede James in risposta ignorando volutamente la ramanzina, lanciando lo scudo a Stark che lo conficca sulla centralina tranciando i collegamenti, mentre James, momentaneamente sprovvisto di un’arma, si presta istintivamente ad una coreografia efficientemente mortale collaudata negli anni insieme alla compagna.

-Mi sei mancato da morire… la settimana più lunga della mia vita. -Natasha si volta per rispondere, rallentando scioccamente i movimenti per scoccargli uno sguardo d’intesa, permettendo così a Zemo di colpirla facendole mancare l’appoggio ai piedi, inciampando sui frammenti di vetro rischiando di scivolare oltre il bordo della corona precipitando incontro a morte certa, venendo prontamente afferrata al volo da James che arresta la sua caduta afferrandola per un polso, ma concedendo il tempo necessario per fuggire al Barone. Fa in tempo a rimettersi in equilibrio che Zemo si lancia nel vuoto attraverso una delle vetrate infrante con un jetpack sulle spalle, ed il tentativo di James di mandare in corto la fusoliera dei propulsori con un colpo ben assestato dello scudo non va in porto.

Il Barone si muove troppo velocemente perché Sharon possa fare retromarcia e lanciarsi all’inseguimento con la decappottabile SHIELD… e Natasha sa già cosa farà il compagno prima ancora di vederlo prendere la rincorsa, sfoderando il pugnale lanciandosi nel vuoto.

-NO! James no-…! -il suo futile tentativo di trattenerlo viene reso inutile dalla forza fisica nettamente superiore dell’uomo… la sua mano stringe il vuoto, osservando impotente e terrorizzata il compagno mentre precipita incontro a morte certa.

Natasha grida, ma ormai è tutto inutile... e l’urlo le si blocca in gola soffocandola.

 

***

 

-NO! James, no-...!

Tony distoglie lo sguardo dallo scudo che è precipitato di sotto, conficcandosi nel basamento decine di metri più in basso, sollevando lo sguardo verso Natasha giusto in tempo per vedere James lanciarsi nel vuoto provando a raggiungere Zemo, con il rischio concreto di raggiungere lo scudo abbandonato a terra procurandosi una frattura alla cervicale nel tentativo di compiere l’impresa.

Zemo si era voltato verso di loro per capire la fonte del trambusto, nella frazione di tempo esatta in cui James aveva lanciato il coltello prima di essere vittima della forza di gravità, mentre la lama si era conficcata nel petto del Barone con una precisione millimetrica prima di precipitare anch’esso incontro alla morte.

Succede tutto troppo velocemente perché Tony se ne possa rendere conto lucidamente, ritrovandosi sul momento a puntare il mirino del missile contro il jetpack, abbattendo il mezzo di fuga mentre Sam spicca il volo afferrando James per il braccio destro prima che quest’ultimo impatti fatalmente contro il basamento della statua.

A battaglia conclusa il risultato era un solo cadavere a terra… si erano ritrovati tutti a fissare il corpo senza vita di Zemo circondandolo tenendosi ad un metro di distanza, indecisi se la pugnalata l’aveva già ucciso prima che il cranio si fracassase contro il cemento spargendo una pozza di sangue sul selciato. Avere la certezza inconfutabile che anche l’ultima testa dell’HYDRA era stata eliminata, era uno spettacolo rassicurante quanto raccapricciante, suscitando un innato conato di bile represso a fatica da più o meno tutti i presenti.

-Barnes!

Il Quinjet era atterrato alle loro spalle nel mentre, lasciando scendere una Maria Hill alquanto alterata che si dirigeva a passo di carica verso di loro, placcata prontamente da Sharon che, una volta riportata a terra Natasha con la decappottabile, si era eletta paladina e protettrice dell’ex Soldato d’Inverno.

-É stata una mia idea Maria, l’ho trascinato io qui.

-Credevo di essere stata chiara! Poteva concludersi nel peggiore dei modi… -ribatte Maria scavalcando la donna puntando direttamente a James, che si reggeva il braccio destro come fosse un peso morto particolarmente doloroso. -Ma cosa diavolo ti è saltato in mente?! Rischiare di sfracellarti al suolo non era un’opzione contemplata Barnes!

-Ma non è successo, no? -interviene Tony con fare conciliante richiamando l’attenzione di Hill, già stanco delle grida in corso, ma incapace ad evitare di scoccare uno sguardo di accusa alla cugina. -Per fortuna, vero Shar?

-Si, non è stata una delle mie idee migliori, lo ammetto. -commenta Sharon con tono di scuse, immettendosi nuovamente nella discussione. -Ma se io e Bucky non vi avessimo raggiunti? Che sarebbe succes-...

L’urlo soffocato di James interrompe ogni battibecco in corso, mentre Tony ed i presenti si girano nella sua direzione tentando di comprenderne la motivazione, osservando confusi l’espressione sofferente e vagamente omicida dell’uomo rivolto in direzione dello sguardo sadicamente soddisfatto di Natasha.

-Scusate l’interruzione, spalla lussata, l’ho sistemata… abbiamo un tutore nel Quinjet, vero? -ribatte la donna sorridendo candidamente come se inconvenienti di quel genere fossero ormai all’ordine del giorno, per poi rifilare al compagno uno sguardo omicida che preannunciava un inevitabile discussione tempestosa.

-Si… chiamo una squadra SHIELD per Zemo, poi ripartiamo e torniamo ad Atlanta. -interviene Maria annunciando la nuova tabella di marcia con efficiente pragmatismo. -Sharon parcheggia l’auto nel portellone d’uscita del Quinjet.

-Agli ordini capo. -ribatte la donna afferrando le chiavi della macchina tempestiva. -Non sono licenziata, vero?

-Non ancora, ma tranquilla signorina, ne discutiamo una volta finito il processo e dopo la conferenza stampa. -la rimbecca Hill con finto sguardo risentito, afferrando il palmare richiamando una unità operativa sul posto.

La discussione tra le due donne proseguiva, ma Tony si era momentaneamente distratto prestando attenzione a James, che si teneva stretto Natasha con il braccio di metallo incurante della predica proferita tra i denti da parte della donna, intervallata da sporadici pugnetti al petto vagamente minacciosi volti a liberarsi dalla presa dell’uomo ponendo una sorta di distanza… Tony non sapeva ancora decidersi se il tentativo di Natasha di divincolarsi servisse più per evitare di finire per baciare James perdonandolo su due piedi o per auto-dissuadersi dall’istinto di azzannarlo alla gola.

-Bambini, avete finito? -li richiama Maria con tono accondiscendente, piazzandosi con le mani ai fianchi e un cipiglio minaccioso sul volto. -Dobbiamo tornare in tribunale. Non ho la più pallida idea di come riuscirai a cavartela Barnes, non dopo quest’ultima bravata… restare al Seagate evidentemente costava fatica.

-Mettiti nei miei panni Hill, tu avresti fatto lo stesso. -ribatte James con sfrontata sicurezza. -In qualche modo me la cavo… ci riesco sempre.

-Hai eliminato l’ultima testa, Buck. -interviene Tony ostentando un forzato ottimismo. -Dovrà pur contare qualcosa, no?

-Speriamo di si. -commenta con reticente speranza, mentre stringe la mano di Natasha cercando un appiglio per non lasciarsi andare al baratro della disperazione, tentando di far passare quell’ultimo gesto come un riflesso inconsapevole. -Partiamo subito? Oppure ho il tempo per fumarmi una sigaretta?

-Una. -concede Maria conciliante. -Solo una.

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Capitolo 28
*** 28 ***


4 luglio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

Tony osservava i fuochi d’artificio con rilassata meraviglia, lo sguardo puntato verso l’alto mentre stringe Pepper tra le braccia, ignorando forzatamente la nota dolce amara che gli pungola la base dello stomaco.

Le pratiche del processo erano state ultimate in tempo per le feste, siglando il rilascio di Barnes con una sentenza di non colpevolezza, chiudendo quel capitolo della storia del mondo che finalmente attribuiva un nome alle mani che manovravano il burattino che aveva sfiorato innumerevoli grilletti nel corso del tempo.

Tony sospettava che Matt si fosse parzialmente pentito di aver accettato il caso pro bono, ma la fila di clienti ad Hell’s Kitchen era aumentata esponenzialmente nel giro di un mese, permettendogli finalmente di pagare gli straordinari arretrati a Karen e di riaprire ufficialmente la “Page - Nelson - Murdock”1. Stentava ancora a credere che il processo fosse terminato nel migliore dei modi, Tony non sapeva determinare con certezza quanto l’ammissione di colpevolezza di James avesse contribuito a convincere la Giuria, ma evidentemente l’accettare pubblicamente le conseguenze di tutte le azioni compiute –compresa la bravata dell’evasione alla volta di Liberty Island– aveva reso evidente a tutti che il servizio reso al Paese da James Buchanan Barnes superava di gran lunga il peso conferito alla nota rossa del famigerato Soldato d’Inverno… era stato assolto da tutte le accuse dopo giorni di discussioni interminabili, accettando di buon grado le condizioni imposte dal Governo, venendo inserito ufficialmente tra le fila dello SHIELD come agente operativo e rinunciando al peso dello scudo sulle spalle. Dall’espressione che Tony aveva intravisto sui suoi lineamenti una volta udita la sentenza, non sapeva ancora decidersi a distanza di giorni se James aveva accettato l’obbligo imposto come una punizione o una benedizione… aveva fatto ritorno a Brooklyn con Natasha, facendo richiesta a Maria della sua vecchia tenuta in kevlar e nessuno aveva avuto il coraggio di obiettare o fare domande.

L’uniforme ed il simbolo di Capitan America erano stati stoccati al Complesso, mentre l’opinione pubblica attendeva in fermento che il prossimo candidato uscisse allo scoperto per reggere il peso dello scudo sulle spalle, ma nessuno si era ancora proposto e Fury aveva incassato il rifiuto da parte di Sam senza crucciarsi troppo, scommettendo sottobanco con Hill in quanto tempo Wilson avrebbe cambiato idea.

Tony aveva fatto in modo di illuminare Manhattan a giorno con con una quantità esorbitante di fuochi d’artificio, un modo esagerato come un altro per spazzare completamente via le ultime settimane da incubo dalla memoria di tutti, desiderando che il nome di Tony Stark tornasse sui giornali per un motivo innocuamente goliardico come un coloratissimo disturbo della quiete pubblica e non per una dicitura a tratti negativa in coda all'aggiornamento del processo dell’anno, stampando un bacio sulle labbra di Pepper mentre le faville colorate illuminano il cielo spazzando via il buio in sintonia con il suo stato d’animo.

Aveva tentato di ignorare il più al lungo possibile la consapevolezza che il 4 luglio non fosse semplicemente una festa nazionale, ma la morsa allo stomaco si era fatta sentire forte e chiara quando si era concesso di lasciar vagare lo sguardo sui presenti incappando sulle espressioni malinconiche di James, Sam e Natasha che scrutavano il cielo con solamente un accenno di sorriso sulle labbra, probabilmente pensando tutti e quattro che a Steve lo spettacolo pirotecnico sarebbe piaciuto da impazzire ed avrebbe voluto disegnarlo con i colori più sfavillanti che possedeva… ma Steve era ritornato nella sua tomba di ghiaccio da dove gli era stato concesso di sfuggire solamente una volta, i suoi colori e i suoi blocchi da disegno erano ancora inscatolati a Brooklyn sotto due dita di polvere e per quella sera non c’era nessuna torta con più candeline di cera che glassa con cui festeggiare.

Tony aveva sciolto l’abbraccio di Pepper quando il suo sguardo aveva raggiunto la cugina, in quel preciso momento la morsa allo stomaco oltre che a fastidiosa era diventata anche gelida, indeciso se attribuire la colpa di tale sensazione alla mancanza che provavano entrambi per Steve o se invece doveva biasimare unicamente sè stesso per tutto ciò che non aveva ancora trovato il coraggio di dirle.

-Ti piace lo spettacolo, cugina? -chiede avvicinandosi ostentando spavalderia, per poi appoggiarsi con i gomiti alla balaustra del terrazzo con fare disinvolto.

-Se puntavi a finire sui giornali di domani ci sei riuscito. -commenta la donna sforzandosi di sorridere, scrollando le spalle come a scacciare un ricordo vagamente doloroso. -Sono i fuochi d’artificio più belli che abbia mai visto… gli sarebbero piaciuti. Molto.

-Vuoi un abbraccio? -chiede con tono gentile e leggero affiancandola.

-No, sto bene Tones… è tutto okay, davvero.

Sharon Carter trattiene le lacrime con caparbia testardaggine senza fare una piega, dopotutto non aveva pianto nemmeno quando si era fratturata il braccio a cinque anni, con l’osso biancastro che sbucava dalla pelle lacerata… quella volta era stato Tony a reprimere un conato di vomito, per poi correre quasi in lacrime dalla zia annunciando che la cugina era precipitata giù dalla casetta sull'albero in giardino facendosi un volo di tre metri. A volte si sentiva ancora come quel bambino di otto anni che si era divertito a decorarle il gesso con i pennarelli colorati… crescendo le cadute rocambolesche erano state sostituite da problemi un po’ più grossi, ma quell’istinto di protezione atavico era rimasto invariato negli anni.

Sharon continua orgogliosamente a non volere un abbraccio, ma Tony si era concesso di posare il capo contro il suo quando la donna gli aveva afferrato un braccio appoggiando la testa contro la sua spalla, restando fermi in quella posizione con lo sguardo puntato verso l’alto fino a quando erano rimaste solamente le stelle ad illuminare il cielo.

 

***

 

6 luglio 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

Sharon ha in mano la pistola d’ordinanza quando avverte il primo sparo, l’istinto prevale scaricando l’intero caricatore mezzo vuoto verso l’alto, da dove ha visto partire il primo proiettile. Controlla la quantità di colpi rimasti in canna, sostituendo il caricatore vuoto per poi puntare di nuovo l’arma… ma quando il click della sicura scatta il suo cervello inserisce il pilota automatico senza che lei riesca a rendersene conto.

Si volta verso Steve, notando che è riverso a terra con un proiettile conficcato nella schiena, osservandolo mentre tenta di rialzarsi, correndogli incontro per aiutarlo… ma invece di allungare una mano per rimetterlo in piedi, gli punta la pistola contro e fa fuoco puntando al suo addome.

-Sharon, l’ambulanza, vai!

Riconosce Bucky quando la afferra per le spalle richiamandola indietro, precipitandosi a terra da Steve tamponando la ferita sull’addome pretendendo a gran voce un’ambulanza, in una mescolanza di grida e panico che la disorientano.

-Sharon… sei così bella che mi togli il respiro…

Le ultime parole di Steve che le rivolge rimbalzano contro le pareti della sua scatola cranica, ascoltandole in ripetizione anche dopo che il chirurgo le conferma la morte per duplice ferita da arma da fuoco… sente il sapore della bile in gola, precipitandosi in bagno, eclissando il pensiero che tale reazione sia dovuta ad un altro motivo che non sia lo shock.

-Sharon… sei così bella che mi togli il respiro…

Non le resta che gridare.

 

Sharon si alza di scatto dal materasso urlando, la schiena sudata e il corpo scosso dai tremori… Steve sapeva cosa aveva fatto e la consapevolezza le smorza il respiro.

Ma quella non è la parte peggiore… si precipita nel bagno privato con il volto rigato dalle lacrime, sollevando la maglietta del pigiama per fugare ogni dubbio, percorrendo con le dita lo sfregio in rilievo sul ventre.

I singhiozzi risuonano contro la cassa toracica sconquassandole l’anima, restando in piedi per forza di inerzia puntellata al lavandino, fino a quando un singulto più forte degli altri le fa perdere la presa cadendo vittima della forza di gravità in un tonfo sonoro che risuona forte e nitido nel silenzio della notte.

Il tempo si dilata in secondi eterni, avvertendo lo scalpiccio di piedi che corrono in corridoio, percependo la porta del suo alloggio che sbatte contro il muro e la figura di Sam che la raccoglie da terra stringendola in un abbraccio spacca-ossa… non le chiede cosa sia successo, dall’espressione che ha dipinto sul volto lo sa già, si limita a tentare di contenere i singulti all’interno delle sue costole, unico testimone silenzioso del suo collasso emotivo tradotto in una valle di lacrime.

 

***

 

6 luglio 2017, appartamento di Tony Stark, 5th Avenue, Manhattan, New York

 

La suoneria del telefono squarcia il silenzio della notte scatenando un vago lamento da parte di Pepper, che si gira dall’altro lato del materasso rifilandogli un calcio per spronarlo a rispondere, mentre Tony si districa dalle lenzuola cercando a tentoni il palmare abbandonato sopra al comodino lì affianco.

Accetta la chiamata senza guardare chi sia il mittente, la mente ancora annebbiata dal sonno che diventa reattiva nel giro di quel paio di secondi necessari al suo cervello per elaborare le parole “Sharon” e “vieni subito qui” proferite da Sam con voce tesa dall’altro capo del telefono.

-Amore, che succede? -la voce di Pepper lo sorprende mentre era intento a ripescare qualche indumento dalla cabina armadio, infilando i pantaloni della tuta da ginnastica saltellando su un piede solo ed afferrando la prima maglietta che gli capita sotto tiro.

-Sharon. -riassume sporgendosi sopra il materasso scoccando un bacio sulla tempia della donna a mo’ di scuse. -Devo andare…

-Tony è tutto okay, vai. -lo interrompe con voce apprensiva ma ancora assonnata, allungando una mano tra i suoi capelli tentando di far scomparire la piega del cuscino. -Chiama o scrivi appena puoi per dirmi come sta, d’accordo?

-Okay. -conferma concitato, aprendo la porta-finestra che dava sul terrazzo scavalcando la ringhiera mentre l’armatura finisce di assemblarsi in volo, ordinando a FRIDAY di portarlo il più velocemente possibile al Complesso.

Sam lo aspetta all’ingresso aggiornandolo velocemente sugli ultimi sviluppi, spiegandogli in che condizioni l’aveva trovata ed affermando che Sharon era collassata scossa dai singhiozzi senza dire nulla, ma consapevole dell’accaduto… l’aveva chiamato subito come d’accordo, offrendosi di preparare il caffè, consapevoli entrambi che non sarebbero mai riusciti a tornare a dormire, trascinandosi nella camera della cugina attendendo il sorgere del giorno.

-Tu lo sapevi. -afferma Sharon assonnata riconoscendolo appena apre gli occhi, saltando drasticamente i convenevoli con la voce rauca e gli occhi ancora gonfi dal pianto. -Lo sapevi da un bel po’... altrimenti non saresti qui.

-Aspirina, bevi… sicuramente hai mal di testa. -ordina sporgendosi dalla sedia di fianco al letto, mettendone sotto il naso il bicchiere con la compressa effervescente sciolta al suo interno, il tono di voce venato dai sensi di colpa che non si sforza troppo di nasconderle. -Non sapevo come dirtelo Shar…

-Da quando... ? Dalle analisi di quattro mesi fa? -chiede ancora troppo stanca per fingersi arrabbiata, mentre Tony annuisce semplicemente con il capo in risposta. -Se non me ne fossi ricordata da sola… tu me l’avresti mai detto?

-Sì, prima o poi… più poi che prima. Puoi biasimarmi? Non so davvero come si fanno a dire questo genere di cose…

Sharon scrolla le spalle liquidando le scuse con un cenno della mano, per poi bere il contenuto del bicchiere tutto d’un fiato… Tony non sa decidersi se l’atteggiamento manifestato dalla donna sia un sintomo di accettazione dell’accaduto o un flebile tentativo di negazione dei fatti.

-Voglio farmi una doccia.

-Poi scendi, ti preparo la colazione.

Sharon aveva annuito ed era scomparsa oltre la porta del bagno, raggiungendolo nella sala comune strascicando i piedi scalzi sul pavimento mezz’ora dopo, sedendosi a tavola contemplando l’omelette mezza bruciacchiata che il cugino le aveva messo sul piatto… aveva apprezzato il tentativo, ammettendo che il sapore non era così pessimo come pensava, nonostante avesse ingurgitato un’intera tazza di caffè per mandare giù i bocconi di cibo, fingendo entrambi che quella fosse una comune mattinata scandita da una routine risalente a quando avevano entrambi trent’anni di meno e vivevano ancora sotto lo stesso tetto a Londra. Non era uno sforzo mentale poi così impossibile da fare, dopotutto le doti culinarie di Tony non erano migliorate più di tanto negli anni e Sharon era tuttora incapace di cucinarsi un'omelette da sola.

-Vuoi raccontarmi cosa hai ricordato? -chiede Tony dopo un tempo che reputa ragionevole.

-Al momento preferisco di no… distraimi.

Tony si ritrova a scherzare sforzandosi di farla ridere raccontandole dei reclami e dei giornali che avevano effettivamente pubblicizzato il suo pirotecnico disturbo della quiete pubblica, mettendola al corrente dei progressi fatti dal ragazzino nel Queens che aveva accolto sotto la sua ala, coinvolgendola nella progettazione della nuova tenuta che voleva regalare a Peter per compleanno2 come aveva fatto mesi addietro con la protesi high-tech per James, sorridendo quando Sharon aveva commentato il suo cattivo gusto nella denominazione del “Protocollo Triciclo”, dissuadendolo dall’inserire di nuovo il tracciatore GPS nel nuovo upgrade per il Bimbo Ragno. Si era sorpreso nel sentirla menzionare di sua spontanea volontà i termini vincolanti redatti dal tribunale per James, suggerendo a Sam di imbracciare lo scudo quando quest’ultimo era apparso nella sala comune verso l’ora di pranzo con gli altri Avengers a seguito, aggregandosi alla conversazione porgendo loro un piatto di pasta a testa.

Sharon aveva menzionato gli scatoloni contenenti le cose di Steve ancora rinchiusi nello sgabuzzino della palestra a Brooklyn solo una volta che la sala comune si era svuotata di nuovo, confessando di essere ancora indecisa sul cosa farne a distanza di quattro mesi, annuendo pensierosa quando Tony aveva affermato senza ombra di dubbio che sia a Natasha che a James lo sgabuzzino non serviva e che sicuramente a loro non dispiaceva conservare le cose di Steve sotto il loro tetto ancora per un altro po’.

-Lo sapeva, sai?

-Chi sapeva cosa? -chiede Tony confuso, di ritorno dalla cucina dopo aver depositato i loro piatti sporchi nella lavastoviglie.

-Steve… mi ha guardato dritto in faccia quando gli ho sparato, sapeva che sono stata io ad ucciderlo. -lo mette a conoscenza del fatto, bloccandosi ad un passo dal divano sotto lo sguardo lucido della cugina, incapace di proferire parola dopo quel fulmine a ciel sereno. -Non volevi sapere che cosa ho sognato?

-Non mi aspettavo una rivelazione così… così. -afferma sedendosi al suo fianco, mentre Sharon raccoglie le gambe sotto il busto ed incassa la testa tra le ginocchia abbracciando un cuscino. -Non devi parlarne per forza, Shar…  

-Voglio parlarne con te. -afferma perentoria bloccando il suo tentativo di consolarla, iniziando a snocciolare ordini sul da farsi con la voce che trema appena in un paio di punti. -Ora tu mi ascolti, non farai commenti e non inizierai a compatirmi se inizio a piangere senza ritegno e pudore… poi mi abbraccerai, mi andrai a prendere il gelato in freezer e ci strafogheremo di zuccheri mentre guardiamo la cosa più ignorante che riesci a trovare in TV.

-Come da piccoli? Compreso il gelato ed i cartoni animati?

-Esattamente… magari evitiamo di raggiungere dei livelli irrecuperabili con “Masha e Orso”, ma sì, l’idea è quella.

-Andata.

Tony la ascolta silenziosamente mentre Sharon lo mette a conoscenza di tutta quella serie di cose che lui voleva chiederle da mesi, ma non aveva mai avuto il coraggio o trovato il modo più giusto per farle certe domande, stringendola in un abbraccio quando la cugina aveva iniziato a singhiozzare, gettando il cuscino a terra e tendendo le braccia nella sua direzione.

Si era alzato dal divano solamente per reperire un barattolo di “Follia Stark al cioccolato” dal freezer, strappandole una risata rauca quando le aveva consegnato il gelato ed un cucchiaio, mentre accedeva alla copia digitale di tutti i DVD della Disney che aveva inserito nei dischi di memoria di FRIDAY.

Il sole era scomparso all’orizzonte mentre si strafogavano di zuccheri con un cartone animato dopo l’altro, partendo da “Atlantis” per riprendersi dalle confessioni cuore a cuore, per poi passare al karaoke improvvisato con un innocuo “Re Leone 3” –reputando il primo un attentato alla psiche e trovando infondato guardare il sequel senza l’opportuna dose di trauma dato dal film precedente– finendo per ordinare la pizza da asporto mangiandola davanti alla TV direttamente dal cartone, mentre Sharon aveva riscoperto la sua reattività infantile facendogli andare il boccone di pizza di traverso quando gli aveva urlato nell’orecchio che “novantanove scimmie saltavano sul letto”, commentando in risposta con velata cattiveria che se provava a giocargli un altro scherzo del genere quella a cadere dal divano rompendosi il cervelletto sarebbe stata lei.

-Mi fermo a dormire qui. -annuncia dopo aver raccolto i cartoni delle pizze, inviando l’ennesimo aggiornamento a Pepper informandola della decisione appena presa.

-No davvero non devi, torna pure da Pep. Ci sono Sam e tutti gli altri… -ribatte Sharon sollevando il capo dal cuscino all’altro capo del divano rispetto a Tony, cercando di celargli inutilmente lo sguardo venato dai sensi di colpa per ciò che lui si era volenterosamente proposto di fare, manifestando una leggera traccia di una tacita paura nel rifare certi incubi anche quella notte.

-Per stanotte resto io. -afferma Tony convinto strattonando la coperta che condividevano nella sua direzione. -So che sei troppo orgogliosa per ammettere che hai paura degli incubi.

Sharon in tutta risposta gli rifila un calcio sugli stinchi riguadagnando il pezzo di coperta persa, intimandogli di procurarsene una per sé.

-Grazie Tones… ti voglio bene, anche se facciamo finta di no. -la sente sussurrare da lì a qualche minuto, quando lui torna a sdraiarsi all’altro capo del divano armato di una nuova coperta.

-Ti voglio bene anch’io. -ribatte sistemandosi il cuscino dietro la testa, decretando che se proprio dovevano finire per addormentarsi sul divano almeno voleva dormire comodo, mentre lui lascia cadere nel silenzio la continuazione mancata a quella sincera ammissione di affetto, senza ricevere un commento da parte della cugina in merito.

A distanza di qualche ora Sharon ronfava tranquilla con i capelli biondi sparsi sul cuscino del divano, la figura illuminata debolmente dal riflesso colorato del televisore che fendeva il buio, mentre le note di “Hercules” gli facevano calare le palpebre conciliandogli il sonno sotto il cielo stellato di inizio luglio.

 

Note:

  1. Karen Page è l’attuale fidanzata di Matt Murdock, lo studio legale non ha mai avuto moltissimo successo fino alla vittoria del maxi processo contro Fisk (terza stagione di Daredevil), riaprendo lo studio rinominandolo “Page - Nelson - Murdock”.

  2. Secondo l’MCU Peter Parker compie gli anni il 10 agosto.

 

Commento dalla regia:

Ci tengo ad informarvi che la conclusione del processo al Soldato d’Inverno non si risolve esattamente in questi termini, ma ho trovato più semplice spiegare i risultati del processo narrando la vicenda a distanza di tempo, riportando le conseguenze effettive ed invariate rispetto ai plot-twist che divergono dalla mia interpretazione (il passaggio dello scudo a Sam in primis, che è leggermente più complicato di così).

In ogni caso vi riassumo cosa vi siete persi: Bucky riceve la grazia dal Governo americano, ma viene puntualmente reclamato dal Governo russo che lo vuole incastrare per i presunti crimini commessi in Madre Russia, ovviamente negandogli un processo equo ed internandolo così su due piedi in un gulag in Siberia. Un po’ mi dispiace non scrivere del colossale incidente internazionale che scatena Natasha per salvargli la pelle, ma descrivere tale vicenda mi sarebbe risultato estremamente difficile, soprattutto visto che vengono citati mezzi personaggi che non conosco bene nemmeno io e mi sembrava di andare troppo “fuori trama” rispetto al punto focale della mia versione pensata in origine. Per i curiosi, tutta la parte di fumetti inerenti a tutti quei determinati passaggi eliminati dalla mia trama sono contenuti in “The trial of Captain America” e “Captain America - Prisoner of war”, su per giù l’edizione americana che corrisponde ai numeri #602-618).

Per quanto riguarda Sharon… beh, ho cercato di fare del mio meglio, spero abbiate apprezzato sia la caratterizzazione di Tony (questa volta non sono sicurissima di essere riuscita a rendergli giustizia, attendo le vostre opinioni in merito nel caso riteniate abbia scritto strafalcioni) che la scelta della carrellata Disneyana (sono dell’avviso che se Tony si dovrà mai sorbire le principesse lo farà solo ed esclusivamente per amore di Morgan, che poi io abbia chiamato in causa alcuni dei miei cartoni animati preferiti –malcelando un’avversione personale per il principe azzurro, in quanto lo reputo un personaggio completamente inutile– è tutto un altro discorso).

Come sempre spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, qualunque commento/opinione è ben accetto!

_T :*

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Capitolo 29
*** 29 ***


25 dicembre 2017, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

Tony era intento a scartabellare file olografici e porre firme su documenti cartacei quando Sharon Carter aveva avuto la brillante idea di tendergli un agguato, scavalcando lo schienale del divano in corsa atterrando al suo fianco, allungando un braccio afferrandola per una spalla impedendole di rovinare a terra seguendo un istinto automatico.

-Certe volte mi sembra di aver a che fare con una bambina di dieci anni, ne sei consapevole vero? -esordisce scoccandole un’occhiata giudicante, trattenendo a fatica un sorriso sulle labbra. -Mi spieghi dove la trovi tutta questa energia?

-Tony è Natale. -commenta con logica ineccepibile.

-Appunto. -ribatte lapidario, tornando a posare gli occhi sui file olografici e i fogli inchiostrati.

-Giusto, dimenticavo che tu sei il Grinch.

-Non odio il Natale. -commenta sentendosi chiamato in causa, abbandonando nuovamente i documenti tornando a rivolgerle lo sguardo. -Odio la neve e il mese di dicembre in generale, non il Natale… ma ho di meglio da fare al momento.

-Tony, tu non hai mai perso due minuti del tuo tempo dietro alla burocrazia in vita tua, vorresti dirmi che dovevi metterti a firmare documenti proprio il giorno di Natale?! -esclama la donna esasperata sbuffando sonoramente. -Almeno si può sapere che stai combinando di così importante?

-Organizzo una veglia… manca un mese all’anniversario, mi servono i permessi prima di richiamare la folla a Central Park e vorrei inoltrare le pratiche il prima possibile. -la informa spiccio con tono di voce teso, spiando la reazione della cugina mettendola a conoscenza dei suoi piani.

-Oh… -commenta sorpresa, mentre uno scoppio di risa proveniente dalla sala comune riempie il silenzio creatosi salvandola, spingendo Sharon a ricacciare forzatamente indietro gli occhi lucidi schiarendosi la voce. -... è un’idea fantastica, ma credo che i documenti possano aspettare per un altro giorno, Tones. Siamo tutti di là a festeggiare, non commetti un peccato capitale se ti unisci a noi, sai?

-Non…

-Ascolta… l’abbiamo notata tutti la sedia vuota a capotavola, okay? Capisco perché tu sia fuggito a metà cena, ma sei ancora in tempo per il dolce… ti prego, vieni a lamentarti di quanto odi i canditi nel panettone, ti prego.

Tony ascolta le risa nella stanza accanto sorridendo appena, apprezzando infinitamente i tentativi di Sharon di renderlo partecipe ai festeggiamenti, sentendosi allo stesso tempo terribilmente tentato di mentire alla cugina pronunciandosi favorevole ai canditi unicamente per darle del filo da torcere, ma finendo per scrollare le spalle in segno di resa.

-Se volevi corrompermi dovevi chiamare in causa i regali, non la mia voglia di lamentarmi dei canditi… ti manda Pepper, vero? -indaga siglando le ultime pratiche ed iniziando a chiudere le finestre olografiche, interrogandosi se la sua dolce metà si fosse intestardita nuovamente a far rientrare le festività natalizie tra le sue grazie o se magari l’interruzione era dovuta esclusivamente alla intenzionale volontà di Sharon di rompergli le scatole.

-Io sono un semplice messaggero… e tu potresti sforzarti almeno un po’, solo per l’impegno che ci ha messo Pep nell’organizzare il tutto.

Tony sbuffa teatralmente, consapevole in cuor suo che Sharon aveva ragione… l’adorabile Virginia Potts sapeva quanto lui odiasse le feste natalizie dal primo giorno in cui l’aveva assunta –non che ci volesse un genio per comprenderne il motivo– ma da quando era riuscita ad accaparrarsi il titolo ufficiale come sua fidanzata, si era scelta come missione di vita quella di rendergli le festività natalizie quantomeno accettabili. Di solito lo trascinava in mezzo ai mercatini natalizi di qualche città europea, oppure proponeva una settimana bianca durante la quale poteva distrarsi e sfinirsi sulle piste da sci, e fin tanto che erano solo loro due riusciva anche ad accettare il Natale e i vuoti che comportava… ma quell’anno, per un motivo o per un altro, Pepper aveva esteso l’invito a tutti gli Avengers organizzando un cenone in piena regola al Complesso, peccando di ingenuità finendo per sottolineare il posto libero a capotavola e l’ennesimo vuoto ingombrante che il mese di dicembre si portava dietro come un marchio di fabbrica: il risultato era il suo stomaco che si era chiuso dopo la seconda portata, assecondando l’istinto che lo spingeva al darsi alla fuga.

-Avanti Iron Man, sotto l’albero ci sono i regali da scartare. Quest’anno che hai preso a Pepper? -lo riprende Sharon scuotendolo per un braccio spronandolo a darsi una mossa, fornendogli un incentivo iniziando ad impilare la documentazione varia abbandonata sul tavolo facendo cadere sul tappeto la scatolina di velluto che si nascondeva in mezzo alle cartelle, fissandola esterrefatta indicandogliela cercando il suo sguardo di conferma. -Non è quello che penso, non può esserlo… era nella tasca di Happy fino all’altro giorno!

-Non urlare. -la ammonisce tempestivo, raggiungendola con le ginocchia sul tappeto, tappandole la bocca con una mano. -Non lo so nemmeno io se le faccio la proposta stasera o entro Capodanno… ma l’intenzione c’è.

Sharon in tutta risposta gli morde l’interno del palmo, bloccando la sua lamentela di protesta gettandogli le braccia al collo.

-Sono felice per te, Tones… devo far finta di non sapere nulla, vero? So mantenerli i segreti, lo sai che so mant-...

-Shar, se escludiamo Happy, sei stata la prima a sapere dell’anello ancora nove anni fa, lo so che sai mantenere i segreti, fidati. -ridacchia districandosi dall’abbraccio soffocante, non completamente a suo agio nel ricevere certe dimostrazioni di affetto. -Volevo lasciare almeno un ricordo positivo a dicembre… ti viene in mente qualcosa di meglio?

-No, assolutamente no. -conferma restituendogli la scatolina in velluto rialzandosi da terra, porgendogli una mano per raccoglierlo dal tappeto. -Andiamo Grinch, gli altri ci aspettano.

-Non sono il Grinch… -tenta di ribattere, ma Sharon ride interrompendo a metà la sua obiezione, afferrandolo per un polso trascinandolo lungo il corridoio.

In fin dei conti il come lo chiami è davvero l’ultimo dei suoi problemi, Sharon ha recuperato il sorriso dopo un’infinità di tempo e, per essere dicembre, Tony si concede di pensare che il Natale non sia una festa poi così irrecuperabile.

 

***

 

25 gennaio 2018, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

Sharon ha in mano la pistola d’ordinanza quando avverte il primo sparo, scaricando il caricatore mezzo vuoto verso l’alto, esaurendo velocemente i colpi. Non le sono rimasti altri caricatori se non quelli alimentati ad I.C.E.R.1, ma poco importa perché la funzione è la stessa, sostituendolo nascondendo la luminescenza blu dei proiettili all’interno del calcio della pistola, per poi puntare di nuovo l’arma… ma quando il click della sicura scatta il suo cervello inserisce il pilota automatico senza che lei riesca a rendersene conto.

Si volta verso Steve, correndogli incontro per aiutarlo… ma invece di allungare una mano per rimetterlo in piedi, gli punta la pistola contro e fa fuoco.

-Sharon, l’ambulanza, vai!

Riconosce Bucky quando la afferra per le spalle richiamandola indietro, precipitandosi a terra da Steve tamponando la ferita sull’addome pretendendo a gran voce un’ambulanza, in una mescolanza di grida e panico che la disorientano.

-Sharon… sei così bella che mi togli il respiro…

 

Sharon sobbalza spalancando gli occhi sulla camera vuota, strofinandosi gli occhi scacciando i residui di quell’incubo che ogni tanto tornava a darle il tormento accorciando drasticamente le sue ore di sonno.

Cerca le lancette dell’orologio appurando che sia ancora notte fonda, realizzando che è ufficialmente un anno che l’altra metà del suo letto è vuota, scuotendo energicamente la testa cancellando i nuovi fotogrammi che vanno a sommarsi alle immagini vecchie, viste e rivissute troppe volte da risultarle ormai tutte uguali.

Si rigira tra le lenzuola calmando il respiro, addormentandosi nel giro di mezz’ora, precipitando in un confortevole sonno senza sogni.

Quando riapre gli occhi sul soffitto illuminato dal sole si trascina lenta in quella routine consolidata negli ultimi mesi, vestendosi e scendendo nella sala comune preparandosi il caffè con una zolletta di zucchero ed un goccio di latte, scomparendo in palestra massacrandosi con l’allenamento.

Salta il pranzo, non che sia la prima volta, nessuno va a cercarla e lei continua diligente a picchiare il sacco da boxe concentrandosi sull’attività fisica eclissando quella mentale… si sorprende che Sam o gli altri rispettino effettivamente le sue direttive impartite per quel giorno, sollevando i pugni e sfasciandosi le mani solo quando il promemoria nel cellulare risuona nitido nel silenzio della palestra, informandola che se vuole farsi una doccia e rendersi presentabile per raggiungere gli altri alla veglia deve darsi una mossa… si rassegna al fatto che raggiungerà Central Park in ritardo, ma Tony le ha assicurato che dopotutto lei può permetterselo, che se vuole può anche starsene a casa ed ignorare la cosa.

Avere carta bianca senza temere un giudizio dall’estero la rassicura, spendendo più tempo del necessario sotto il getto dell’acqua calda, rassegnata al ritardo ma ancora motivata a raggiungere il parco, scegliendo con cura i vestiti, svuotando la borsa per portarsi dietro lo stretto necessario.

Sfila la pistola d’ordinanza dalla borsa controllando la quantità di colpi in canna per automatismo… non le serve di certo un’arma carica alla veglia commemorativa, lasciando scomparire la luminescenza blu del proiettili I.C.E.R. all’interno del calcio della pistola con uno scatto deciso.

Si blocca interdetta, sfilando il caricatore osservandolo meglio, mentre i fotogrammi della notte appena trascorsa si sommano alle immagini reali… ha sparato a Steve con un proiettile I.C.E.R., era un dettaglio fondamentale che il suo cervello aveva eliminato insieme a tutto il resto.

La rivelazione la sconvolge spiazzandola e Sharon ora è in ritardo catastrofico, sentendo l’urgente bisogno di raggiungere Central Park come se ne andasse della sua vita.

Infila le scarpe alla velocità della luce agguantando la borsa al volo, correndo nel garage con le chiavi dell’auto in mano, raggiungendo Manhattan con il piede premuto di cattiveria sull'acceleratore, mentre la morsa speranzosa allo stomaco aumenta esponenzialmente mentre macina chilometri su chilometri raggiungendo la destinazione. Sgomita tra la folla con fare agitato, notando in sordina la quantità esorbitante di gente che si è radunata alla veglia, ignorando la voce di Maria Hill che spende qualche parola gentile in memoria di Steve dall’alto del palchetto al centro del parco, intercettando la nuca del cugino a qualche fila di distanza da lei.

-Tony! -urla richiamando la sua attenzione sbracciandosi, mentre gli Avengers le aprono la strada per raggiungere velocemente il cugino, attirando lo sguardo curioso di Pepper, Sam, James e Natasha quando finalmente li raggiunge concedendosi di riprendere fiato per la prima volta da quando ha lasciato il Complesso.

-Calma Shar, che succede? -chiede Tony apprensivo afferrandola per le spalle, cercando di infonderle un po’ di calma attraverso quel semplice contatto.

-Ti prego dimmi che l’hai sepolto nell’Artico.

-Cosa?

-Steve, Tony. Ti prego dimmi che mi hai dato retta… che alla fine l’hai davvero sepolto nell’Artico e che la bara ad Arlington è vuota… dimmi che ho ragione… perché non mi sbaglio, vero? -chiede con agitazione crescente, mentre gli occhi lucidi le annebbiano la vista, timorosa di credere a quell’ultima flebile speranza che le è rimasta.

-Aspetta, cosa?! -esclama James attirando l’attenzione dei presenti, mentre Natasha lo blocca per un braccio impedendogli di assalire Stark puntando alla sua gola. -Tu hai portato la salma di Steve dove?!

-Nell’Artico. -conferma Tony con un filo di voce, ricambiando timoroso lo sguardo fulminante che i compagni d’armi gli stanno rivolgendo uno dopo l’altro con astio crescente.

-Possibile che tu decida sempre a nome di tutti? -interviene Sam con tono di voce stranamente pacato, virando nell’adirato nel giro di qualche secondo. -Vorresti illuminarci sul perché diavolo ce l’hai tenuto nascosto?!

-Se dovete incolpare qualcuno biasimate me, è stata una mia idea. -interviene Sharon richiamandoli tutti all’ordine, ottenendo un silenzio immediato perché se c’era una persona che poteva effettivamente decidere di cosa farne del presunto cadavere di Steve Rogers era lei. -Comunque non ha nessunissima importanza, anzi… è sepolto nell’Artico!

-Shar... io continuo a non capire… -la blocca Tony per le spalle, incapace di elaborare le sue lacrime di gioia e preso in contropiede dal suo inaspettato ottimismo euforico.

-Gli ho sparato con un I.C.E.R., Tones! Un I.C.E.R.1! -esclama attirando lo sguardo offeso o indignato di qualche sconosciuto nelle loro vicinanze ma non se ne cura, concentrata unicamente nel diffondere ed alimentare anche nei compagni quella fiammella che aveva fortunatamente ancora motivo di esistere. -Ho usato i proiettili dell’ultima miscela speciale, la stessa che ha utilizzato Fury a Washington quasi quattro anni fa… non avevo altri proiettili, ho improvvisato…

-L’ultima miscela speciale? -chiede conferma Tony iniziando a collegare i dettagli, mentre il cervello ingrana le ultime informazione portandolo ad un passo dal comprendere il suo stesso filo di pensieri. -Rallenta il battito del cuore ad una pulsazione minima al minuto… l’effetto svanisce nel giro di 72 ore…

-Ma se non ho fatto male i conti, hai messo Steve in criostasi dopo le prime 36. -lo interrompe Sharon confermando fiduciosa, mentre Tony si lascia andare all’impeto della rivelazione, stritolandola in un abbraccio sotto lo sguardo confuso dei presenti.

-Oh mio Dio… -Tony si lascia sfuggire le parole dalle labbra insieme ad un sospiro di sollievo, mentre Sharon gli stringe le braccia al collo inzuppandogli il cappotto di lacrime liberatorie.

-Pensate di fornire una spiegazione anche a noi comuni mortali? -interviene Natasha confusa, l’unica che fino a quel momento non si era lasciata andare a nessuna esternazione emotiva, attendendo una chiara conferma dei fatti per poi muoversi di conseguenza.

-L’aldilà ha le porte girevoli, Nat2. -commenta Tony con un sorriso sulle labbra che mal si sposa con il contesto in cui si trovano. -Steve ha semplicemente continuato a dormire per tutto questo tempo.

Anche a distanza di ore, “Oh mio Dio” sembrano le uniche tre parole che tutti loro sono in grado di proferire.

 

***

 

18 febbraio 2018, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

Ad una settimana dalla rivelazione di Sharon, lo SHIELD aveva fornito una intera equipe a Stark per recuperare Steve dalla sua tomba fatta di ghiaccio e l'ingegnere aveva velocemente battuto in ritirata per fuggire dai loro sguardi giudicanti.

Se da una parte erano felici che Tony e Sharon avevano avuto la brillante idea di seppellire la salma di Steve nell’Artico, dall’altra Sam li guardava ancora entrambi in cagnesco lamentandosi per non essere stato informato dello spostamento, mentre Natasha si limitava a fulminarli da giorni ogni volta che le capitavano a tiro, a differenza di James che aveva accolto la notizia con reticente fiducia… aspettava un elettrocardiogramma prima di abbandonarsi in balia della speranza, nonostante il responso praticamente assicurato decantato da Tony ogni volta che gli fornivano un occasione per vantarsene.

James non vuole crederci nemmeno quando lo informano che dopo una settimana e mezzo di ricerche hanno ritrovato la capsula criogenica, quando una volta scoperchiata la teca i medici erano riusciti a percepire il lievissimo battito cardiaco del Capitano sotto le loro dita.

Continua a rifiutarsi di alimentare la speranza nonostante abbiano scongelato il corpo, collegando Steve ad una infinità di flebo, cannule e macchinari per rimetterlo in sesto, restio a dar credito anche a quell’agognato elettrocardiogramma che attendeva come conferma, che rompe il silenzio con bip sempre più regolari con il trascorrere dei giorni.

James vuole salvare il poco di mente che gli è rimasta rifiutandosi di credere al colorito roseo e sano del volto di Steve, ai suoi polmoni che funzionano senza cannula dell’ossigeno, all’assenza del tanfo pestilenziale dei cadaveri in putrefazione ripescati dall’acqua… perché se inizia a crederci, che suo fratello ha semplicemente dormito e di conseguenza lui può far finta che l’ultimo anno non si sia mai verificato, la speranza mal riposta potrebbe seriamente ucciderlo.

James inizia a pensare che ci sia qualcosa di sbagliato in lui, che non è normale porre tutta quella resistenza fagocitando paranoie malsane con infinito cinismo, che ormai potrebbe anche concedersi di alimentare quella flebile speranza come fanno tutti gli altri… sforzandosi di restare indifferente al fatto che Sam sta ringraziando il cielo, l’universo, la medicina e la testardaggine incoerente di Tony Stark a gran voce con il sorriso sulle labbra, a Sharon che aveva ormai messo radici al capezzale del letto del fratello lenendo le proprie colpe aspettando che Steve riaprisse gli occhi sul mondo, tormentando Stark e Banner ogni qualvolta che trafficavano con le flebo e i dosaggi dei farmaci una volta trasferito Steve dall’ospedale all’ala medica del Complesso. Perfino Natasha, che era la persona più scettica che lui conoscesse, si era rassegnata ad accettare il miracolo istituendo dei turni di veglia con Sharon.

James aveva deposto le armi di fronte alla realtà dei fatti quando Natasha aveva guidato la sua mano a forza verso la giugulare di Steve, percependo il rombo del battito cardiaco sotto le sue dita che andava a tempo con i bip dei monitor… era stato in quel momento che la reticenza si era tramutata in foga apprensiva, perdonando tutte le omissioni, lasciando spazio all’unica domanda che valeva davvero la pena porre: se Steve era vivo, perché non si svegliava?

Tony gli aveva spiegato che il siero rilasciato dalle pallottole era stato pensato per mettere a K.O. Hulk, che di conseguenza l’organismo di Steve, per quanto potenziato, impiegava comunque il triplo del tempo necessario a smaltirlo, senza contare che il congelamento era entrato in contrasto rendendo imprecisi i calcoli per valutare in quanto tempo si sarebbe dovuto risvegliare… erano arrivati al punto che non potevano far altro che aspettare, mentre James ormai pretendeva un posto in prima fila per quando il fratello avrebbe riaperto gli occhi sul mondo, perché dopo essersi concesso di rischiare e sperare in quella possibilità inconcepibile pretendeva nel modo più assoluto che Steve si risvegliasse.

Avevano fissato dei nuovi turni, in un costante via vai di gente dall’ala medica agli alloggi al piano di sopra, trascinandosi in una attesa esasperante che pregavano tutti si interrompesse presto.

James aspetta l’alba con lo sguardo puntato verso la vetrata, seduto sul materasso con la schiena appoggiata alla pediera del letto, le gambe di sbieco di fianco al corpo di Steve e i piedi scalzi che penzolano nel vuoto mentre esegue diligente il proprio turno di guardia. Si era preso le notti, non avrebbe dormito comunque, tanto valeva impegnare le ore di sonno perse in qualcosa di utile, concedendo a Sharon un meritato riposo su una superficie un po’ più comoda di una poltrona di pelle sformata, ascoltando i rumori amplificati dal silenzio scandito dai ronzii dei macchinari. Di solito dava il cambio a Natasha verso mezzanotte inoltrata, intercettando un bacio prima di vederla sparire oltre le porte a vetri quelle volte che non tentava di fargli compagnia appisolandosi sulla poltrona di pelle di fianco al letto, distraendosi nelle notti solitarie drizzando le orecchie percependo il frusciare del vento tra le foglie fuori dalla finestra, i passi felpati in cucina dei compagni insonni, il rumore lieve del fischio del bollitore e il borbottio della moka del caffè che smorzava la monotonia alle prime luci dell’alba.

Le notti si trascinavano sempre lente, illudendolo che gli anni andati persi in quella caccia al topo che Steve aveva intrapreso nel suoi confronti, potessero azzerarsi comparando i suoi giorni trascorsi a vegliare il fratello con pazienza esasperata… quando Steve aveva dato i primi veri segnali di vita, James aveva fatto finta di niente, scambiandoli per gli ennesimi spasmi muscolari che lo illudevano ogni volta di un risveglio mancato, ricredendosi quando l’aveva sentito articolare un suono rauco e sommesso che assomigliava terribilmente a “Buck”.

Steve aveva aperto gli occhi ricambiando il suo sguardo, mentre James lo fissava paralizzato con lo sguardo coperto da un velo liquido sospettando di avere le allucinazioni, mentre il fratello si rischiara la voce con un rumore inequivocabile ed un sorriso radioso dipinto sulle labbra.

-Sei davvero qui? -lo sente chiedere annuendo in risposta, mentre una parte del suo cervello gli suggerisce che la conversazione dovrebbe svolgersi al contrario, come se si fossero scambiati le battute di un tacito copione già scritto, ma scoprendosi incapace di articolare nessun suono trattenendo a stento le lacrime che minacciano pericolosamente di sgorgare.

-Quante stupidaggini hai fatto mentre non c’ero? -chiede Steve con vena canzonaria, dandogli un leggero colpetto al ginocchio con la mano più vicina alla sua gamba.

-Troppe per un anno solo. -ride stando allo scherzo con voce inframmezzata, dominando l’impulso di abbracciarlo gettandogli le braccia al collo, ripiegando nel stringergli la caviglia più vicina con la mano destra. -Bentornato nel mondo dei vivi, fratello… ci sei mancato da morire.





 

Note:

  1. I.C.E.R. = Incapacitating Cartridge Emitting Railguns. Progetto d’ingegneria e biochimica sviluppato dallo SHIELD derivato dal siero Extremis. È un fucile tranquillante personalizzato che permette di fermare qualcuno senza ucciderlo. I proiettili, con forte potere di arresto, si rompono sotto il tessuto sottocutaneo e rilasciano una piccola quantità di dendrotossina concentrata, inabilitando il bersaglio abbastanza a lungo da essere protetti e senza effetti collaterali dannosi. Ovviamente dal 2013 (quando sono stati creati) i proiettili hanno avuto infinite evoluzioni, non escludo una sperimentazione con il siero usato da Fury in TWS per fingere la sua morte.

  2. “L’aldilà, nell’universo Marvel, ha le porte girevoli.” -cit. Stan Lee



 

Commento dalla regia:

E con questa nota speranzosa vi annuncio che siamo in dirittura d’arrivo, a settimana prossima con l’ultimo capitolo!

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Capitolo 30
*** 30 ***


20 marzo 2018, Salone conferenze, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

Era già passato un mese da quando si era risvegliato, ma Steve faticava ancora a credere di essere tornato di nuovo indietro dalla sua tomba fatta di ghiaccio, sforzandosi di stare al passo con le varie novità, trovando incredibile quanti cambiamenti potevano verificarsi in un solo anno.

Aveva istituito una vera e propria divisione mentale tra il prima e il dopo, come se la pallottola che gli aveva stroncato il respiro portandolo ad un passo dalla morte avesse ribaltato le carte in tavola, rivoluzionando completamente tutto ciò che lo circondava, facendolo sentire un estraneo nella sua stessa pelle… in realtà per colpa di quella pallottola l’avevano creduto effettivamente morto, anche se quello era un dettaglio su cui non gli piaceva soffermarsi a pensare particolarmente.

L’ultima cosa che ricordava del prima era Sharon in lacrime, terrorizzata per ciò che non sapeva ancora di aver fatto, mentre la sua voce acuta e singhiozzante si mescolava alle sirene dell'ambulanza, perforandogli un timpano intimandogli di restare sveglio… aveva perso conoscenza, quando aveva riaperto gli occhi era notte fonda e suo fratello, al quale aveva dato la caccia per mesi senza successo ancora un anno prima, aveva interrotto il suo turno di guardia cercando di darsi un contegno per trattenere al suo controllo le lacrime di gioia.

James gli aveva spiegato che fino ad una ventina di giorni prima del suo risveglio lo davano per morto, che la sua tomba nell’Artico era stata la sua salvezza e che, se voleva scusarlo, doveva immediatamente informare gli altri. Sospettava che nel tragitto tra l’ala medica e gli alloggi suo fratello si fosse concesso di versare quelle lacrime che aveva trattenuto a stento di fronte a lui, ma Steve non aveva fatto domande in merito e James non aveva avuto motivo di fornire risposte… d’altro canto non aveva avuto tempo di curarsene, nel giro di un quarto d’ora Sharon Carter aveva tentato di ammazzarsi scendendo i gradini saltandoli a due a due, precipitandosi al suo cospetto gettandogli le braccia al collo, arpionandogli le spalle con le unghie e depositandogli un bacio sotto la mandibola. Steve in tutta risposta l’aveva stretta a sé come meglio poteva, con un braccio ancora bloccato da cannule ed aghi di vario genere, mentre i singhiozzi sommessi della sua fidanzata si scontravano contro la sua cassa toracica. Aveva perso il conto di quante volte aveva sentito la voce di Sharon scusarsi per ciò che era stata costretta a fare, ripetendole altrettante volte che ormai non aveva nessunissima importanza, rafforzando la presa sui fianchi della donna e sussurrandole all’orecchio quanto la amasse.

Steve aveva dovuto aspettare le prime luci dell’alba prima di vedere qualche altra anima farsi viva nell'ala medica, silenziosamente grato che gli altri abitanti del Complesso gli avessero concesso qualche altra ora di privacy con Sharon prima di assediarlo per i più disparati motivi, sorridendo a Tony quando aveva varcato la soglia con il vassoio della colazione in mano per lui e la cugina, che dormiva pacifica addossata alla sua metà del corpo libera da elettrodi ed aghi, somministrandogli i farmaci da assimilare a stomaco vuoto per poi scomparire nel suo laboratorio in fondo al corridoio.

Steve ricordava di essersi addormentato mentre imperversava una Guerra Civile alla quale aveva chiesto una tregua prima di vederla effettiva, in un periodo in cui non parlava con metà dei suoi amici e compagni d’armi, destreggiandosi tra le missioni come latitante e ricerche a volte inconcludenti per stanare il Soldato d’Inverno. Al suo risveglio la faida era giunta ad una conclusione da un bel pezzo, Tony e gli altri erano troppo felici di saperlo vivo per non rivolgergli la parola e suo fratello, che nel frattempo ne aveva combinate di tutti i colori portando anche il peso del suo scudo sulle spalle per un bel periodo, si aggirava per il Complesso indisturbato con una copia delle chiavi del suo appartamento a Brooklyn in tasca.

Non sapeva decidersi quale sentimento predominasse di più sulle informazioni ricevute, se era rimasto più interdetto nell’essere stato informato dello svolgersi e degli esiti del processo contro il Soldato d’Inverno o se l’aveva lasciato più basito il fatto che ora James e Tony andavano più o meno d’amore e d’accordo… mentre i due erano finiti per contendersi indubbiamente il pari merito delle notizie spiazzanti, rivelandogli che da lì ad un paio di mesi era invitato al matrimonio di Tony e che suo fratello faceva coppia fissa con Natasha Romanoff ormai da diverso tempo.

La sua migliore amica aveva riso di gusto di fronte alla sua espressione incredula quando era scesa a trovarlo il mattino dopo il suo risveglio, accettando il suo caffellatte con un bacio quando James li aveva raggiunti per la colazione, con un paio di tazze in mano e i segni dei morsi sul collo che non scomparivano completamente sotto la maglietta, dicendola lunga su cosa avessero combinato quei due durante la notte appena trascorsa per festeggiare il suo risveglio.

Il paio di settimane seguenti le aveva trascorse forzatamente confinato a letto, approfittando della situazione per mettersi in pari con le varie novità, facendosi procurare i fascicoli e i rapporti missioni dell’ultimo anno e mezzo per essere sicuro di non tralasciare o lasciarsi sfuggire nulla, mentre sbuffava sottostando pazientemente al ricovero lasciando che Tony gli facesse le analisi con cadenza periodica per evitare spiacevoli inconvenienti per via dei residui delle varie sostanze chimiche che gli circolavano ancora nel sangue, alternandosi alle dosi massicce di antibiotici che gli rifilava Bruce ogni volta che passava da quelle parti di ritorno da una qualche conferenza universitaria.

Non lo lasciavano mai solo troppo a lungo, come se fossero terrorizzati di vederlo scomparire da un momento all’altro, tornando tutti sotto lo stesso tetto come i vecchi tempi ed accettando di buon grado tutto ciò che comportava la convivenza.

La giornata si apriva all’alba con una cacofonia di tazze, fischi di bollitori e borbottii di caffettiere, con qualcuno a turno che gli portava il caffè per fare colazione insieme e lo aggiornava sui programmi della giornata. Steve aveva quasi dimenticato quanto potesse rivelarsi rumorosa una mattinata al Complesso, con il suono degli spari e dei pugni provenienti dalla palestra e dal poligono, con la musica rock sparata a tutto volume che filtrava dalla porta del laboratorio di Tony ed il chiacchiericcio che lo vedeva partecipe quando gli veniva concesso di trascinare la flebo fino alla sala comune all'ora dei pasti, concludendo la giornata con Sharon che interrompeva i suoi resoconti giornalieri con uno sbadiglio, appisolandosi sulla poltrona di fianco al letto o con la testa appoggiata alla sua spalla dividendo il materasso.

Quando Steve aveva finalmente guadagnato il via libera per essere dimesso dal ricovero forzato, non si era poi così sorpreso nel vedere Fury scomodarsi dal suo Helicarrier e palesarsi alla porta d’ingresso del Complesso, chiedendosi piuttosto perché gli avesse concesso così tanti giorni di pace e riposo. Non gli erano mancate le discussioni sui suoi doveri e le sue missioni, spiazzando il Colonnello quando aveva dichiarato di non voler più lo scudo di vibranio sulle spalle, decantando le implicazioni etiche che si trascinavano ancora dietro dalla Guerra Civile, esprimendo il desiderio di rinunciare ai panni del supereroe per un po’ di tempo proponendo Sam come successore. La sua esternazione si era tradotta con una diatriba accesa ed una conferenza stampa, l’opinione pubblica aveva esultato nel saperlo vivo e per una volta avevano tutti diligentemente seguito il copione scritto dallo SHIELD per toglierli dall’impiccio di chiarire ai media quell’intera situazione che di chiaro e giustificabile a terzi aveva ben poco.

Di ritorno dalla conferenza al piano terra, risalendo le scale raggiungendo l’alloggio che divideva con Sharon, si era finalmente concesso di riconoscere e definire quella contrazione mancante allo stomaco… per la prima volta dopo anni non c’erano problemi seri all’orizzonte, se non le scaramucce di ordinaria amministrazione tra i corridoi dello SHIELD, realizzando che l’essere stato subclassato a Consulente lo rendeva automaticamente esente da parecchi intrighi e problematiche di vario genere.

Aveva scrollato le spalle scacciando quel cruccio trascurabile, raggiungendo il materasso collassando stringendo Sharon in un abbraccio con nessun pensiero minaccioso per la testa, tenendo a bada l’insonnia per la prima volta dopo una infinità di tempo… sorprendendosi nel riscoprire quanto potesse essere piacevole dormire fino a tardi perdendosi l’alba.

 

***

 

12 aprile 2018, ex-resistenza sicura di James Buchanan Barnes, Brooklyn

 

Steve aveva rimesso piede in casa propria solamente due mesi dopo il suo risveglio, realizzando la consapevolezza tardiva che se per lui i giorni si erano trascinati con calma rilassata, per tutti gli altri la vita continuava ad andare avanti  con ritmo sostenuto e con rari momenti di pausa.

Steve aveva raggiunto la porta dell’appartamento girando la chiave nella toppa, imbattendosi nella pila preannunciata di scatoloni impilati in soggiorno, ignorando l’arredamento spoglio guardandosi intorno alla ricerca di James, che lo aspettava prevedibilmente appostato in terrazza con il posacenere a portata di braccio ed una sigaretta tra le labbra.

-Lo sai che fumare può portarti alla morte, vero? -esordisce oltrepassando la porta-finestra, raccogliendo uno sguardo scettico in risposta.

-Con tutto ciò che potenzialmente può uccidermi tu pensi al fumo? Davvero?1 -ribatte James sollevando gli occhi al cielo, concedendosi l’ultimo tiro prima di spegnere la sigaretta sul posacenere, accontentandolo. -Ti aspettavo ancora un quarto d’ora fa.

-C’era traffico. -si giustifica Steve facendo tintinnare le chiavi della Harley sottolineando il concetto, mentre il fratello si alza dalla sedia sfilando il mazzo di chiavi dalla tasca dei jeans. -Carino il portachiavi.

-Un regalo di Natalia. -commenta James sovrappensiero sfiorando il mini-scudo in acciaio, per poi sfilare la chiave di casa dall'anello di metallo porgendogliela. -Questo giro evita di perderla, ho dovuto far sostituire la serratura l’anno scorso.

-Natalia? -ribatte ripiegando in un sorriso malizioso celato a fatica, ignorando volutamente la frecciatina in merito alla sua sbadataggine.

Erano passati ormai un paio di mesi dalla scoperta, ma Steve dubitava di poter mai farci realmente l’abitudine al fatto che suo fratello e la sua migliore amica avevano una vera e propria relazione seria… era ovviamente felice per James, pensandoci bene non riusciva a venirgli in mente una persona più perfetta per entrambi, ma d’altro canto si divertiva troppo a dargli il tormento ogni volta che gli veniva concesso il pretesto per farlo, ripagando il fratello per tutte quelle volte in cui l’aveva bersagliato di frecciatine ed orchestrato agguati oltreoceano con Peggy ancora una vita fa2.

-Sí, Steve. Natalia, Natasha, Nat, come diavolo vuoi chiamarla. -sbuffa spazientito ma reprimendo un sorriso, pungolandolo con la chiave che lui non aveva ancora accettato, replicando con enfasi eccessiva assecondando la provocazione. -Per tua informazione, la mia signora mi sta aspettando con un Quinjet in partenza, tu sei in ritardo di un quarto d’ora e si dà il caso che non le piaccia aspettare troppo, quindi adesso sarà sicuramente arrabbiata con me per colpa tua, amico.

-Quindi è ufficiale? -ribatte Steve lasciando da parte gli scherzi in favore di un tono di voce un po’ più serio, aggiungendo velocemente la chiave dell’appartamento al mazzo per poi intascarlo. -Niente ripensamenti?

-Non vado in guerra Steve, mi trasferisco solo a Parigi… e sì, è ufficiale, ‘Tasha mi ha fatto firmare il contratto immobiliare la settimana scorsa.

-Non era necessario, Buck.

-Questa non è casa mia, è la tua. Ci sono venuto ad abitare solo perché non volevo che andasse venduta ad una persona qualunque, vale lo stesso per lo scudo. -replica James con quel genere di scrollata di spalle che Steve riconosce immediatamente decifrandone il significato, seguendolo rientrando nell’appartamento mentre gli indica gli scatoloni accatastati in soggiorno con un gesto distratto della mano. -Lí ci sono le tue cose, erano nello sgabuzzin-...

-Buck. - richiama la sua attenzione interrompendolo prima che costruisca un muro di parole vuote in mezzo a loro, mentre Steve cerca il suo sguardo nonostante il fratello continui a sfuggirgli, consapevole che lui abbia capito esattamente cosa gli passi per la testa, reagendo d’istinto ignorandolo e puntando le iridi ghiacciate sugli scatoloni scarabocchiati con l’indelebile. -Non è un addio, parli come se lo fosse… Fury ti ha assegnato in servizio in Europa con Natasha, è okay, vai solo dall’altra parte del mondo. Esiste Skype per questo genere di cose.

-Non ce l’hai con me perché non resto a New York? -chiede James titubante preso in contropiede dalla sua esternazione così diretta. -Da quando sei sveglio noi due non abbiamo mai parlato dei perché, ma solo delle conseguenze… ho come l’impressione che evitiamo l’argomento perchè non voglio sentirmi dire da te che sto per fare una cazzata.

-Lo so perché te ne vai, non c’è bisogno che ti giustifichi… New York ha smesso di essere casa tua ancora settant’anni fa. -ribatte Steve pacifico, raggiungendo il frigorifero per automatismo prelevando e stappando un paio di birre in una prima riappropriazione dei propri spazi, allungando una bottiglia al fratello in un tacito segno di pace superfluo. -Non hai fatto davvero tutte le stupidaggini che credi.

-Ah no? -chiede James con tono ironico accettando l'offerta, puntellandosi all’isola della cucina ostentando sfrontatezza.

-No, Buck. -sorride conciliante scuotendo leggermente la testa, realizzando che suo fratello necessitava di sentirsi dire certe cose, prima di crederle effettive e sentirsi in pace con sé stesso. -L’aver fatto del tuo meglio con lo scudo non significa che tu abbia fatto un lavoro da cani, anzi… so che hai combinato Sergente, ho letto i rapporti, sei ancora il mio braccio destro nonostante tu non voglia ammetterlo.

-Non ho dubbi sul braccio destro, ma sulle responsabilità del sinistro. -ammette James concedendosi un sorso di birra portandosi la bottiglia alle labbra con la destra, sfarfallando con le dita di metallo sottolineando il concetto appena espresso.

-Quello è opera di Tony? -chiede Steve deviando il discorso indicandogli la protesi, incapace di trovare le parole adatte con cui ribattere dopo la sentenza proferita dal fratello.

-Anche, ma per una volta che voglio parlarne, tu non cambiare discorso. -lo rimbecca James immancabilmente levando gli occhi al cielo. -Non sono te Steve, non lo sono mai stato, la mia bussola morale è parecchio sballata e lo sai. Ero la scelta più ovvia per ereditare lo scudo? Può darsi. La persona più indicata per farlo? Non credo proprio. L’ho fatto perché non volevo che andasse ad una persona qualunque, te l’ho detto… Sam non è una persona qualunque, ma quello che mi chiedo è perché non l’hai rivoluto indietro tu.

Steve distoglie lo sguardo cadendo in fallo davanti a quel drastico cambio di prospettiva vedendo riaffiorare l’indole da “fratello maggiore” nella voce di James, ricordandosi che prima del siero era suo fratello quello incaricato di badare a lui e non viceversa, sorprendendosi di essersi disabituato all’idea di avere qualcuno che vedesse sempre tre passi avanti rispetto alle sue reali intenzioni.

-Sei tu che psicanalizzi me ora? -cerca di scherzare fallendo nell’interno, ottenendo in risposta uno sguardo famelico di una risposta veritiera. -Okay… non lo so, forse la Guerra Civile mi ha aperto gli occhi, l’aver scoperto che il mondo non è esattamente in bianco e nero come lo pensavo ha sballato la mia di bussola morale.

-Niente ripensamenti? -lo prende in giro James con le sue stesse parole proferite poco prima, abbandonando il tono scherzoso ritornando ad un registro più serio quando lui scuote la testa in risposta. -E se il mondo avesse di nuovo bisogno del Capitan America originale? Rispondi all’appello disarmato?

-In quel caso Tony ha dei contatti in Wakanda, una soluzione c’è di sicuro3.

-Quindi… Consulente? -ribatte abbandonando il fondo vuoto della bottiglia di vetro sul tavolo, ponendo la domanda facendo trasparire una nota di congedo.

-Quindi io Consulente e tu Parigi. -conferma aggirando il bancone, stringendolo in un abbraccio in segno di saluto, mentre il fratello ricambia la stretta d’istinto. -Chiamami su Skype ogni tanto, okay?

-Va bene. -afferma James sciogliendo la presa, puntando lo sguardo sull’orologio appeso alla parete della cucina. -A parte gli scherzi… io vado, ora sono davvero in ritardo catastrofico.

-Dí pure a Natasha che è colpa mia. -ridacchia Steve in risposta, offrendogli prontamente un salvataggio. -Se devi farti perdonare pago io la cena per quattro, una vacanza in Francia non dispiace né a me né a Sharon.

-Proponi una Fondue? -si vendica il fratello con un sorriso malizioso sulle labbra, richiamando alla mente di entrambi le battutine proferite in un bunker londinese ancora troppi anni prima.

-Okay, me la sono cercata. -ammette Steve percependo le guance imporporarsi di rosso, liquidando la frecciatina con una scrollata di spalle, mentre James ride di gusto in risposta recuperando le chiavi della moto dalla tasca.

Lo vede avviarsi verso la porta salutandolo con un cenno della mano, ma si blocca sulla soglia con la mancina sospesa sopra la maniglia, sollevando lo sguardo dalla mano di metallo colto da un ultimo ripensamento.

-Steve… me lo assicuri che non sto facendo una cazzata colossale, vero? -chiede lasciando trasparire nella domanda tutte quelle tacite conseguenze un po’ più serie di una semplice convivenza con Natasha in suolo francese, riferendosi alle implicazioni dettate dal ritorno della tenuta in kevlar del Soldato d’Inverno e di tutti quei mostri che si annidavano ancora nella sua ombra.

-No Buck, tranquillo, ti guardo le spalle a distanza. -lo rassicura con il sorriso sulle labbra, mentre il fratello annuisce con il capo con un’espressione convinta dipinta sul volto. -Se hai bisogno di me ci sarò sempre.

-Fino alla fine?

-Fino alla fine.



 

Note:

  1. Riferimento all’universo “Ultimate” nel quale Bucky non diventa mai il Soldato d’Inverno, si vive la sua vita tranquilla e muore di enfisema polmonare a causa del suo smodato tabagismo.

  2. Riferimenti ai capitoli precedenti e agli esempi specifici narrati in Christmas Miracles e Miss Union Jack.

  3. I contatti di Tony in Wakanda sono documentati in Upgrade. I miei blandi riferimenti sono indirizzati a Nomad e il nuovo scudo fornitogli da T’Challa, ciò che si vede in “Infinity War” per capirci.



 

Commento dalla regia:

Signori e signore, vi annuncio che il secondo progetto mastodontico si conclude qui, con un bellissimo finale aperto che lascia le porte aperte alle prossime grane.

Non ho idea se questo era il finale che vi aspettavate, ma il progetto puntava fin dall’inizio a quest’ultimo scambio di battute redatte in questi specifici termini, ma se la vostra opinione dovesse differire dalla mia e vogliate comunicarmela nei commenti qui sotto sono aperta al dialogo ;)

Vi avviso già che il “terzo progetto mastodontico” è in fase di lavorazione, se siete interessati a seguire le disavventure parigine di James e Natalia avrete pane per i vostri denti… impegni accademici/lavorativi/estivi permettendo ^^’  [*]

In ogni caso, ringrazio chi ha seguito la storia “fino alla fine”, chi l’ha aggiunta alle preferite/ricordate ed un grazie speciale va a _Lightning_, che tra le discussioni in privato e le recensioni a pié di pagina, è quella che ha letteralmente visto nascere e crescere questa “creatura” <3

Un bacio,

_T



[*] Aggiornamento 12.07.2019: "Indelible Marks"

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