At Cupid's Queue

di Demetria_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sei bellissima ***
Capitolo 2: *** Strane idee ***
Capitolo 3: *** Strane idee pt. 2 ***
Capitolo 4: *** The book and writer both were love's purveyors ***
Capitolo 5: *** Getting Slippery ***
Capitolo 6: *** Me too. ***
Capitolo 7: *** Il Matrimonio ***



Capitolo 1
*** Sei bellissima ***



#1 Sei bellissima
 
Un’altra mattina, un’altra sveglia che suona alle sei e mezza e si ripete ogni volta che Harry la colpisce malamente. Quando esce di casa, fa appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle, che il solito Jack Russell gli si presenta ai piedi, coda dritta e zampettando lo sorpassa, seguito dalla signora che ogni mattina lo porta fuori, con lo stesso sguardo spento di chi non avrebbe alcuna intenzione di alzarsi, ma deve.
Neanche quel giorno il clima sembra essere dei migliori: un grigiore assopito sembra circondare i palazzi alti di Londra come una coperta, una lanosa e consunta coperta di lana, una di quelle pruriginose solo a guardarle e pare che nessuno sia disposto ad alzarsi e uscire, ma in realtà la città già scalpita, nonostante l’ora.

Harry, avvolto nel suo cappotto marrone, attraversa la strada sotto il suo palazzo e si dirige, spedito, alla fermata della metropolitana, distante solo qualche minuto. Non appena arriva alle scale del sotterraneo, la fila di persone che lo precede, smania e scalpita per aggiudicarsi un posto vantaggioso davanti e già sa che a lui non capiterà. Harry, come ogni mattina, aspetta il treno più vuoto, perché non ama essere circondato da tutti quei lavoratori in giacca e cravatta, che stanno lì a ricordargli di quanto miserabile e fallito sia. A 25 anni avrebbe preferito lavorare in un ufficio, progredire nella sua carriera con uno stipendio fisso e non prendere la metro e dirigersi verso l’ennesimo lavoro precario e a basso salario della sua vita. Così, aspetta e prende la corsa che lo farà arrivare tardi, ma che non lo fa sentire stupido e solo.

Quando arriva a Piccadilly, ormai è già in ritardo e non ha scuse: entrando da Cupid’s, la caffetteria, neanche guarda Susie, che, come sempre, picchietta con quelle sue dita ossute sulla cassa in modo frenetico; si dirige a passo svelto verso la porta che cita ‘privato’, dove si cambia e indossa la maglietta verde lime con la targhetta col suo nome e ha giusto il tempo di posare la sua roba nell’armadietto, prima di uscire e iniziare il suo turno.
L’orario di punta è il più faticoso, ma è anche il suo preferito, perché può immaginarsi la vita delle persone attraverso il loro atteggiamento. Per esempio, la donna dietro i due quattordicenni che sta servendo in quel momento: dal battito incessante del piede, Harry pensa che sia una dirigente o qualcosa del genere; la sua borsa è fin troppo costosa perché sia una semplice impiegata e il viso poco truccato grida autorità. In un certo senso, gli ricorda la sua professoressa di matematica, terribile.
Mentre serve un uomo grasso, vestito con quello che poteva benissimo essere un tappeto da soggiorno, il campanellino della porta d’ingresso lo distrae dal cappuccino con latte scremato richiestogli. Una ragazza dai capelli castani si mette in fila, giusto due persone dietro l’uomo grasso e attende il suo turno.
“Hey, stai buttando il mio latte per terra!” lo rimprovera l’orco, lasciando le impronte della sua mano callosa per tutta la superficie, non più brillante, della vetrina dei dolci.
“Mi scusi” bofonchia Harry, non più così sicuro delle sue qualità. Per un motivo assai ignoto, l’entrata in scena, del tutto normale, di quella ragazza lo aveva destabilizzato mentalmente e non poteva fare a meno di lanciarle occhiate veloci, mentre le mani ripulivano il latte e si adoperavano a rifare la bevanda. “A lei, dica alla mia collega che glielo offro io” dice, porgendogli il cappuccino più complicato della sua vita.
“Sarebbe il minimo” commenta sprezzante il cliente, che poco ma sicuro, non sarebbe tornato tanto presto, per fortuna.
Non lo guarda nemmeno, non può proprio, deve assolutamente servire le due persone davanti alla ragazza, non vuole farla aspettare più del dovuto. Le occhiate fugaci che le manda, gli dicono che la giovane non ha fretta, essendosi persino tolta i guanti viola, ma non vuole che resti in attesa.
“Ci puoi scrivere Madison sopra?” gli domanda la teenager, zaino in spalla e occhiali rossi sul naso a punta.
“Certo” le risponde lui, ansioso. Anche la misteriosa -non troppo in realtà- ragazza gli avrebbe chiesto di metterci il suo nome? Tutti lo facevano, ma la cosa lo turbava. Sicuro, avrebbe saputo il suo nome, ma poi? La cosa avrebbe stimolato il suo interesse e, soprattutto, avrebbe alimentato la speranza di rivederla, in qualche modo.
Doveva impressionarla, fare colpo.
“Ciao” la voce lo risveglia: è lei e lo sta guardando, il sorriso appena accennato. Harry, in risposta, le sorride, nervoso, mostrandole i denti bianchi e le fossette al lato della bocca. “Vorrei un muffin, per favore” lei indica quello al centro, al cioccolato.
Con l’automatismo più assoluto, Harry glielo impacchetta, senza neanche chiedere se davvero lo volesse portare via o mangiare lì: cretino.
“E vorrei anche un caffè macchiato, grazie” le porge il sacchettino bianco e quasi le tocca la mano, giusto il tempo di vedere che la ragazza porta le unghie corte e poi si gira, dandole le spalle, adoperandosi per prepararle la bevanda calda.
Si accorge solo quando unisce il caffè al latte, che la ragazza non ha detto il suo nome e una scintilla di panico lo attraversa. Forse dovrebbe chiederglielo o forse dovrebbe semplicemente darle il bicchiere vuoto, bianco e spoglio. Non gli pare giusto però, così, le sue dita afferrano il pennarello nero e scrivono di getto le parole che gli frullano in testa da almeno cinque minuti.
Intanto, la ragazza si è spostata verso la cassa, il borsellino nero borchiato stretto tra le mani, pronta a pagare la sua colazione. Harry non vuole porgere il bicchiere a Susie, che sta battendo il prezzo sul dispositivo, ma la sconosciuta non lo sta guardando e non si accorge che lui sta lì, immobile, aspettando lei.
“Mi scusi” lo richiama un anziano, che aspetta il suo turno. Harry sbatte gli occhi e scuote appena la testa, gesto che gli fa smuovere i ricci da un lato all’altro della fronte; si sposta, lontano dal suo luogo sicuro e affianca Susie, che ha appena strappato lo scontrino della ragazza e glielo da, sorridendogli, salutandola e augurandole buona giornata. Questa si volta appena prende il pezzo di carta e Harry non sa che fare.
Deciso, scavalca Susie e ferma la cliente, battendogli sulla spalla con la mano destra e le porge il bicchiere con la mano sinistra.
“Oh, grazie, me ne stavo scordando” ride lei, imbarazzata e con un gesto si sposta la frangia che le ricadeva sugli occhi. Harry le annuisce, non dice niente e torna al suo posto, trattenendo il respiro.
Le sue orecchie ascoltano l’ordinazione dell’anziano, ma i suoi occhi seguono la figura snella della giovane che, adesso, apre la porta e se ne esce, indaffarata nel rimettersi i guanti senza far cadere la colazione. Si trova ancora in apnea, se ne rende conto, sentendosi le guance avvampare, ma non può fare a meno di guardarla, ferma appena fuori dalla caffetteria che ripone il muffin nella borsa e, finalmente, osserva il bicchiere del caffè macchiato.

Respira di nuovo e torna al lavoro, ma due occhi castani sono ora puntati su di lui, leggermente interdetti e per lo più sorpresi della scritta nera che recita ‘sei bellissima’, sul bicchiere bianco.
Ha fatto colpo, Harry.

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Capitolo 2
*** Strane idee ***





#2 Strane idee

 
“Quindi, come si chiama il tuo nuovo amico?” Le chiede l’amica, rigirandosi il telefono tra le dita, che ingrandiscono e rimpiccioliscono la foto del ragazzo riccio.
“Harry” sospira lei, guardando il frappé alla fragola e girando la cannuccia che sporge quanto basta dal bordo di plastica trasparente.
“Ed è quello che ha tentato di abbordarti? In quel bar?” la riprende l’amica, con un po’ troppa enfasi secondo i suoi gusti.
“Si, ma ci siamo chiariti. Lui sa di Cory e non c’è niente di male nel farsi un nuovo amico” Julia sente la necessità di spiegarsi meglio.

Quel pomeriggio aveva deciso di uscire e godersi l’aria gelida invernale, senza una meta precisa o uno scopo prefissato; voleva stare in pace qualche ora, ma quella che doveva essere la sua migliore amica non sembra condividere il suo stesso pensiero.
Nell’ultimo periodo lei, Julia, ed il suo storico ragazzo avevano avuto delle incertezze di coppia, paranoie sul futuro e piccole incomprensioni che, per poco, le avevano dato da ricredere sull’uomo che aveva accanto. E, come se non fosse abbastanza, Harry era saltato fuori dal nulla, insidiandole una pulce nell’orecchio ben evidente a chi le stava intorno.
“Ti ha scritto” le rende il cellulare e per poco il suo cuore non perde un battito. Ovviamente era Cory che le chiedeva cosa preferisse per cena e nessun altro. Soprattutto, chi altro poi?
“Vuoi venire a cena da noi?” Le propone fin troppo speranzosa che, per chissà quale motivo, la voglia di rimanere sola col suo ragazzo era ai minimi storici.
“No, grazie, mi vedo con uno” le ammicca in risposta.
“Con chi? Raccontami, ti prego” la incalza, sperando che davvero le sue chiacchiere la trattengano il più possibile lontana da casa.
“È carino. È alto, ha dei bei occhi e un sorriso meraviglioso” inizia, lasciando appositamente il discorso a metà, curiosa di assistere alla reazione della ragazza.
“Si” le risponde con tono sognante Julia, rendendosi conto solo in un secondo momento, quando l’amica scoppia a riderle in faccia, del modo in cui la sua mente aveva vagato in una direzione precisa.
“Io non ho fatto alcun nome, ma lui ti è saltato in mente, vero?” Le fa presente, senza smettere di ridere. E lei non può che rimanere in silenzio, svergognata in quel modo.
In effetti, colui che le era balzato in mente era stato proprio Harry: carino, lo è, anche di più; alto, occhi belli, smeraldini e un sorriso mozzafiato, che l’aveva colpita fin dal primo incontro, in caffetteria da Cupid’s. Ogni tanto si trovava a pensare a come dovesse essere bello infilare un dito in una delle fossette che gli comparivano al lato della bocca, per non parlare di quanto morbide dovevano essere le sue labbra, rosse e vagamente screpolate dal freddo stagionale.
Ma poi scuoteva la testa e tornava al presente, ad Harry, suo amico e Cory, suo ragazzo.

“Credo tu stia divagando” le fa presente, spostando l’attenzione da sé all’amica.
“Deve essere proprio questo il punto. Comunque, devo davvero andarmene adesso, altrimenti farò tardi” e si alza, sgranchendosi le gambe, atrofizzate per il troppo tempo che avevano passato sedute a quel misero tavolino solitario. “Vuoi un passaggio a casa? Possiamo condividere Uber, se vuoi” le propone, ma tornare velocemente non risultava nei piani di Julia.
“Non importa, posso camminare” si affretta a risponderle sicura e le due, una volta fuori dal piccolo locale, si separano, consce che l’argomento Harry andava approfondito.

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Capitolo 3
*** Strane idee pt. 2 ***




#3 Strane idee pt. 2


Harry è di corsa, come al solito. Lo sciopero alla metro non ha fatto altro che alimentare il suo odio per le mattine e gli uomini in giacca e cravatta. Troppo intelligenti per spostarsi dall’ingresso del sotterraneo, bloccandogli così il passaggio?
Decide che una camminata non può che fargli bene, ma sa benissimo di mentire a se stesso; non gli piace camminare, preferirebbe tornare indietro e accalcarsi nel buco con quegli uomini, ma deve arrivare al lavoro o sarà la fine.
L’ora nel suo cellulare gli ricorda che Susie gli aprirà la faccia a morsi, se continua a perdere tempo.

Piccadilly è già fin troppo affollata, ogni tanto annaspa per farsi spazio tra i marciapiedi colmi di turisti; in qualche modo raggiunge l’entrata della caffetteria, oltrepassando la fila e riuscendo nell’impresa epica che era stata arrivare fin lì, quella mattina.
A passo svelto e a testa bassa, entra nell’area privata, deciso a cambiarsi e iniziare quella giornata, ma Susie lo aspetta dentro, seduta su una di quelle sedie pieghevoli, con occhi fermi. Harry sa cosa significa, però resta fermo, le mani alzate in un patetico segno di resa.
Poco dopo è nuovamente fuori, sotto l’insegna della caffetteria, nella nebbia mattutina londinese, una crepa nel cuore che grida ‘fallito’.

“Hey” qualcuno lo richiama, prima che la depressione gli faccia piangere anche l’espresso.
Julia gli sorride, tranquilla, ancora assonnata, completamente ignara del fallimento umano che ha davanti.
“Ciao” la risaluta Harry, afflitto.
“Non entri a lavoro?” Ed eccola, la domanda fatidica. Cosa dovrebbe risponderle? Che ha libero? Non lo crederebbe nessuno.
“No, sono-“ pensa veloce, ma nulla. “No, mi hanno licenziato.” ammette, abbattendo quel muro di incredulità che lo avvolgeva da una decina di minuti.
“Oh mio Dio, mi dispiace!” Dice lei sincera, gli occhi ora tristi lo guardano con pietà. Harry distoglie lo sguardo, non sopporta quando la gente lo vede in quel modo, in quello stato, tantomeno lei. Julia allora, sentendosi quasi colpevole, lo abbraccia, tenendolo a sé ed Harry respira, calmo, come mai ha fatto prima.

Si lasciano, sciogliendo l’abbraccio.

“Beh, facciamo qualcosa allora” propone lei, speranzosa. Harry non sa che rispondere: sa che lei lavora per una rivista di moda e che i suoi orari lavorativi sono flessibili, ma non vuole rovinare anche la sua giornata. “Non lo so, andiamo da qualche parte, andiamo al mare!” Suggerisce, gesticolando per l’intensità delle sue emozioni.
In un altro momento Harry non avrebbe esitato a prenderle la mano, a correre tra la folla e a portarla ovunque, ma il pensiero della sua tragica condizione lo affligge come una morsa. Eppure, qualcosa gli dice di accettare e di fottersene, solo per il momento, del suo ennesimo fallimento.
“Sei mai stata a Brighton?” Le chiede, sentendo la vita attraversargli il petto in un impeto di coraggio.
“No, mai” ammette lei, un sorrisetto furbo che fa capolino dalle sue labbra colorate.
Harry sbuffa, ancora visibilmente combattuto sul da farsi e guarda l’insegna sopra la sua testa.
“La tua è un’idea terribile, orribile, incredibilmente stupida.” Comincia, guardando la ragazza diventare paonazza. “Ma si, andiamo e vediamo cosa succede” conclude e Julia non può fare a meno di lasciare andare un gridolino di eccitazione e felicità, che lo fa ridere di gusto, contento, di aver fatto le scelta giusta, forse.

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Capitolo 4
*** The book and writer both were love's purveyors ***





#4 «The Book and writer both
Were love's purveyors»*

 
La soleggiata ma fredda Brighton, accoglie i due come un rigenerante risveglio. Lasciati i problemi a Londra, Harry sente quasi di potersi buttare da un grattacielo e sopravvivere alla caduta. Julia, invece, sente finalmente di poter respirare a pieni polmoni e concedersi quella distanza tanto agognata.
 
Passeggiano per il Pier, il vento decisamente più intenso che a Londra a scompigliare i capelli di entrambi. Si gustano due ciambelle, quelle con la glassa colorata e gli zuccherini sopra; buttano dei semi ai gabbiani, che li divorano senza pietà e, insieme, girano i vari negozi della città, senza comprare niente. Passano il pomeriggio a parlare sui muretti del lungomare, con le onde a fargli da sottofondo e, di tanto in tanto, qualche schizzo li raggiunge, pizzicandogli il viso e le mani, scoperti e vulnerabili al freddo della stagione.
“Cory organizza una cena, per la sua nuova promozione a lavoro” dice lei, soprappensiero, intenta a staccarsi una pellicina dal pollice. “Vorresti venire?” Gli domanda, prima ancora che si possa rendere conto di averlo fatto.
Harry la guarda, stranamente non irritato dall’argomento solitamente sensibile e annuisce, asserendo all’offerta. Poi distoglie la sua attenzione dalla ragazza, forse per la prima volta da ore e nota che il sole sta tramontando.
“A che ora avevamo il treno di ritorno?” Le chiede, già leggermente malinconico. La ragazza si riscuote da chissà quale pensiero e, in fretta, sblocca il cellulare per controllare gli orari. Harry la osserva, concentrata nelle sue azioni e si trova a fantasticare sul poterle scostare i capelli dal viso.
Julia, ignara dei pensieri dell’altro, scatta in piedi, rovinando la pace del momento.
“Lo abbiamo perso!” pronuncia, gli occhi spalancati a realizzare il misfatto. “Che facciamo adesso?” Quasi piagnucola: Cory starà aspettando il suo messaggio, che avrebbe dovuto inviargli per comunicargli l’orario di ritorno e Veronica, la sua amica, starà sicuramente aspettando notizie, pronta a spettegolare della gita fuori porta con Harry.
“Hey, tranquilla” le si avvicina il ragazzo, posando le due grandi mani sulle sue spalle minute. “Adesso andiamo a mangiare qualcosa e poi decidiamo il da farsi” le risponde, strofinandole le braccia, rassicurandola e scaldandola al tempo stesso.
In qualche modo, Harry la convince che non c’era niente di male a prendersi dell’altro tempo, che non è sbagliato godersi un giorno libero senza le preoccupazioni e la solita quotidianità. La convince anche a mangiare del fish and chips in un piccolo ristorante vista mare, intimo e dall’atmosfera privata, calda. E Julia si lascia andare, ride e scherza con Harry e capisce che, veramente, qualcosa in lei è scattato, quella mattina in caffetteria. Così, mentre il ragazzo si offre di pagare il conto, lei scrive un veloce messaggio al suo ragazzo, dicendogli che non c’erano treni per il ritorno e che avrebbero passato la notte in un bed and breakfast, solo per tornare il mattino dopo.
Passeggiano per le vie buie, illuminate dai lampioni gotici che fremono sotto le sferzate del vento, che si è fatto più acuto e freddo di qualche ora prima. Entrano in una pensione e al bancone trovano una signora, sulla cinquantina, con un paio di occhiali allungati a forma di occhio di gatto, che li fissa, quasi incredula.
“Vorremmo due stanze” chiede Harry, con una punta di risentimento nella voce, per le parole dette. Anche Julia, da parte sua, preferirebbe cancellare la richiesta e riformularla.
“Mi spiace, ho solo una camera disponibile. La cameriera ha deciso di non presentarsi e non posso proprio farvi dormire in una camera sporca” ci pensa la signora a dire il non detto tra i due ragazzi, che si guardano, spaesati e insicuri.
“Va bene lo stesso” ammette Julia, più a se stessa che ad altri.

Salgono le scale, ansiosi, percorrono il corridoio colmo di quadri ottocenteschi e fotografie vecchio stampo. Giungono a quella che è la loro stanza, in silenzio, stranamente in tensione. Questa è piccola, ma vivibile, ogni mobile studiato a puntino e collocato nella giusta posizione, rende l’ambiente confortevole. Il letto doppio richiama l’attenzione di Harry, che si lascia scappare uno sbadiglio rumoroso, solo per coprirsi la bocca imbarazzato dalla risata di Julia.
“Scusa” sorride lui, affiancando l’amica seduta sul materasso.
La ragazza si tormenta le mani, la mente coinvolta in pensieri vertiginosi e voglie irrefrenabili. Harry la osserva di sottecchi, come la prima volta: ha la frangia scomposta e qualche capello ha assunto una posizione strana. Gli occhi sono rivolti verso il basso, il naso comincia a perdere il colore rosso e la bocca è semiaperta e lo chiama, come mai prima. Harry lo fa: le scosta una ciocca di capelli dal viso e gliela ripone dietro l’orecchio.
Julia non osa guardarlo, sa che non riuscirebbe a resistergli, non più e anche Harry ne è cosciente e la sua proiezione si trova davanti a un bivio con due percorsi possibili, entrambi dolorosi. Le sue dita carezzano la guancia di lei e si posano delicatamente sotto il mento, per stringerlo leggermente e girarlo nella sua direzione. Julia ancora non lo guarda, non ne ha il coraggio e Harry ne approfitta per avvicinarsi, per farle sentire il suo odore da vicino e, poco a poco, la sua bocca è premuta contro quella di lei, in un bacio casto.
Le labbra più soffici mai conosciute, riconosce Harry, che sa di aver oltrepassato il confine di non ritorno. A occhi chiusi, Julia si lascia trasportare indietro, assaporando la lingua di Harry, che la sovrasta ma non le pesa sopra, vicino quanto basta per mandarla in tilt e farle girare la testa. Lui le bacia il mento, il collo; le mani grandi seguono un percorso preciso, impegnate a privarla tanto dei suoi vestiti quanto delle sue difese. Julia combatte con se stessa: vorrebbe aprire gli occhi, guardarlo mentre la tocca, lasciarsi andare al piacere assoluto, vedere i ricci che stringe tra le sue mani, ma qualcosa o meglio qualcuno la frena.

A Harry invece, non importa essere guardato, gli importa solo che lei sia lì, con lui, sebbene sappia quanto tutto quello che stanno facendo è maledettamente sbagliato. Sa di comportarsi da egoista, ma lui vuole questo, vuole lei, più di ogni altra cosa e non si tirerà indietro, a meno che non sia lei a chiederglielo. Improbabile, visto il modo in cui le sue mani lo cercano e stringono. E quando Harry si stacca, Julia smette di respirare, avvertendo la sua mancanza come quella dell’ossigeno; è costretta ad aprire gli occhi, piano, intimorita e li sbatte un paio di volte, prima di concentrare la propria attenzione sui gesti dell’altro, che, ora sa essere in ginocchio tra la sue gambe, fermo ad aspettarla.
Lo guarda spogliarsi lentamente, a cominciare dal maglioncino grigio che si sfila dalla testa, portandosi dietro la t-shirt bianca che indossava al di sotto. Guarda il suo petto, la sua pelle candida ricoperta da vari tatuaggi di cui vuole sapere ogni storia e i muscoli in tensione, lievemente accennati, la portano verso il basso della sua figura. Gli occhi di Julia raggiungono le mani di Harry, i cui pollici si inseriscono sotto la superficie dei suoi jeans neri, slavati, a sbottonarne con una lentezza soffocante la chiusura. Ormai Julia non ne può più: lo vuole, giusto o sbagliato che sia e, finalmente, lo guarda negli occhi, verdi, bellissimi e micidiali, mentre si avvicinano a lei ardenti del suo stesso desiderio.
Con quell’unico sguardo, la verità la colpisce severa e schietta. Farà male, quando sarà finita, pensa fra sé e sé, abbandonandosi a Harry.



*Traduzione titolo: «Galeotto fu il libro e chi lo scrisse.»

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Capitolo 5
*** Getting Slippery ***




#5 Getting Slippery

In cuor suo, Harry sa di essere caduto in basso: uno come lui, che entra in uno di quei grattacieli a specchio, vestito in quel modo; mai e poi mai ci avrebbe scommesso. Alto, nella sua figura resa ancor più slanciata dal completo grigio opaco che gli aderiva e fasciava il corpo, spiccava tra gli altri uomini in giacca e cravatta, stretto nel gruppo chiuso nell’ascensore.
“Permesso” chiede, accorgendosi di dover scendere proprio a quel piano e si fa spazio, scusandosi con chiunque entri in contatto. Si dirige, cercando di mantenere l’equilibrio con le scarpe lisce che scivolano sul pavimento lucido, a passi svelti, verso il bancone posto al centro della spaziosa sala d’attesa.
“Ho un appuntamento con, uhm” dice, sentendosi d’un tratto la gola secca, prosciugata dall’ansia.
“Langhorne, sì, la terza stanza sulla destra” Gli risponde la signorina dall’altra parte del bancone, rifilandogli un sorriso asettico. Segue le indicazioni e, passando per un corridoio illuminato a led, giunge alla stanza del suddetto Langhorne.
Non sa bene se entrare o aspettare; decide di bussare, almeno per farsi riconoscere, ma nessuno, dall’altra parte risponde. Con la nocca ancora appoggiata alla superficie della porta, preme quanto basta per aprirla e rendersi conto che, come previsto, non c’era nessuno ad aspettarlo. L’ufficio di colui che avrebbe dovuto fargli un colloquio di lavoro non gli sembra niente di speciale: una scrivania posta al centro, oggetti moderni e visibilmente inutili a decorare lo spazio. Solo il computer di marca lo affascina al punto di entrare e dare un’occhiata ravvicinata.
I tacchi delle scarpe schioccano al contatto con il parquet e quasi si spaventa da solo. Non che stia facendo qualcosa di illegale, ma forse poteva aspettare fuori. Però, ormai si trova dentro e, pensa, sarebbe stupido tornare fuori.
Sulla scrivania, ora che vede meglio i dettagli, nota un paio di cornici in argento lucido e anche qualche Parker, dall’aspetto importante e costoso. Si siede al posto che gli spetta e si stira le maniche, che gli stanno progressivamente salendo, a testimoniare la misura sbagliata dei vestiti indosso.
Passati dieci minuti dal suo arrivo, Harry comincia a temere nell’ennesimo rifiuto a prescindere e la sua mente inizia a divagare, proiettando immagini di qualche settimana prima, quando lui e Julia avevano fatto l’amore, in quella camera a Brighton.
Non ne avevano più parlato, era tornato tutto come prima. In realtà no, per Harry qualcosa era cambiato, ed era innegabile, ma non voleva e non vuole costringere nessuno a fare niente, neanche se stesso. Di lì a poco, inoltre, avrebbe partecipato come suo amico alla cena del ragazzo e l’ultima cosa che desidera è quella di sconvolgerle la vita. Sebbene lo avesse già fatto.

Non vuole dirle addio, pensa, fissando la vetrata dietro il computer.

“Salve” all’improvviso la voce di un uomo si intromette. “mi scuso per il ritardo, vengo da una riunione ai piani alti” Harry si gira, per trovare un giovane che doveva avere più o meno la sua età, forse qualche anno in più, intento a chiudersi la porta alle spalle.
“Harry Styles” Si presenta dunque, alzandosi e stringendo la mano dello sconosciuto, solo per risedersi immediatamente. Un bell’uomo, si trova a pensare, mentre questo digita la password del computer e gli riproduce il solito copione trito e ritrito di come funziona la propria azienda.
“Vorrei tu rispondessi sinceramente a un questionario che proponiamo a tutti i nostri candidati. Ovviamente resta privato” specifica l’uomo, girandogli lo schermo ed il mouse di modo che possa usarlo appropriatamente. Harry risponde col suo solito metodo: verità, ma non troppa, un motto che lo accompagna sin dai tempi delle medie e lo ha portato avanti per tutto quel tempo, tutelandolo il giusto.
Quando finisce, gli viene automatico chiudere la pagina del browser e, per questo e per lo sfondo del desktop, sbianca.
“Non ti preoccupare, i dati si salvano per 24 ore” gli sorride Langhorne, ma Harry ha ancora il volto cereo e le mani gli cominciano a sudare.
“Lei è..” accenna il riccio, che non può fare a meno di sperare in una risposta diversa da quel che si immagina.
“Lei è la mia ragazza” risponde invece colui che ora sa essere, per certo, Cory, il ragazzo di Julia.
Un imbarazzante silenzio ripiomba sui due uomini e li avvolge nel suo gelido abbraccio, accompagnato da una cupa presa di coscienza.
“Sono suo amico” deglutisce, annuendo poco convinto.
“Oh si, Harry, ho sentito parlare di te” lo fulmina l’altro. Che possa sapere? Si chiede Harry, solo per sbarazzarsi di quel pensiero ridicolo un attimo dopo averlo formulato.

Impossibile che sappia.

Il colloquio prosegue, col suo ritmo normale, senza altri intoppi e nessuno dei due uomini, al suo termine, sembra voler rimanere in compagnia dell’altro più del dovuto. Perciò, entrambi scivolano sul parquet fuori dall’ufficio.
“Grazie per avermi dedicato del tempo” saluta Harry, porgendo la mano all’altro, con la coscienza sporca.
“Non c’è di che” gliela stringe Langhorne, forse troppo, dato che in seguito la sua mano riporta il segno della presa.
In silenzio, percorrono il corridoio sul pavimento scivoloso ed entrano nell’ascensore che la segretaria si era premurata di chiamare, appena un attimo prima del loro arrivo. Questo, scende tra i piani del grattacielo, fino a raggiungere il piano terra, in poco meno di due minuti. Le porte però si bloccano e una luce rossa lampeggia sopra i riccioli di Harry, confuso dall’accaduto.
“Sfiorala e conoscerai esattamente cos’è peggio della morte” lo minaccia Langhorne, che, senza scomporsi, allunga una mano e pigia nuovamente il tasto con la campanella, riavviando l’ascensore e facendone aprire le porte.

Harry, sudando freddo, varca l’uscita del grattacielo e si sofferma a guardarlo per un attimo, riflettendo su ciò che era appena successo.
 

Sicuramente, non lo richiameranno.

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Capitolo 6
*** Me too. ***





#6 Me too.

 
“Tesoro, questo è Cristian” la introduce Cory a uno dei suoi tanti colleghi di lavoro. Julia sorride, cortese e tende la mano al nuovo invitato. Sarà stato il settimo o forse l’ottavo che gli presenta, questa sera. Sono tutti riuniti all’ultimo piano di un hotel a 5 stelle, nella sala privata dei convegni, allestita a regola d’arte per l’occasione e Cory ha tutte le intenzioni di presentargli ogni singola persona con cui abbia scambiato almeno due parole prima della sua promozione a un rango più alto. Julia ne è felice, assolutamente, le piace quando la rende partecipe anche in quelle cose, ma le scarpe a punta con tacco alto che indossa hanno già iniziato a martoriarle i piedi; si troverà delle belle vesciche il giorno dopo, ne è sicura. Inoltre, indossa un bel vestito rosso, con i volant, anche troppo leggero per la stagione, ma è il suo preferito, per adesso.

“Julia!” si sente richiamare da lontano, al di fuori del cerchio di uomini che, allegri, stavano sorseggiando dello champagne dai flute in cristallo. La ragazza punta lo sguardo verso le due figure che stanno camminando nella sua direzione: è decisamente Veronica a braccetto di un uomo alto, snello, ma con spalle larghe; entrambi sono vestiti bene, per la serata. Lei indossa un abitino nero aderente, che le arriva giusto sotto il ginocchio e lui porta un completo, giacca e pantaloni, nero opaco, forse di velluto, che gli mette in risalto la carnagione chiara e gli occhi celesti.
“Ciao!” li saluta entrambi, felice di potersi momentaneamente staccare da Cory. Lascia un bacio veloce sulla guancia dell’amica e poi stringe la mano del suo accompagnatore.
“Piacere, Tom” la saluta questo, gentile.
“Allora, come sta andando?” la incalza subito l’amica, invece e poco ci manca che Julia si lasci andare a un sospiro scocciato; si trattiene solo perché non vuole sfigurare agli occhi del nuovo arrivato, Tom. “Vuoi parlarne?” insiste lei e, prima ancora che le possa rispondere, Veronica congeda il suo accompagnatore, spedendolo a prendere qualcosa da bere. “Parla” la sprona ancora.
“È solo che-” inizia incerta, ma in verità non sa proprio che dire. Neanche lei sa spiegarsi perché si sente così, così inspiegabilmente sola e annoiata da tutto e tutti.
“Non è ancora arrivato?” chiede l’amica, abbassando leggermente il tono della voce e accostandosi a lei. Julia scuote la testa.
“Non credo arrivi” confessa, riflettendoci bene, forse è proprio quello il motivo del suo turbamento: Harry.

Poche ora prima aveva quasi sperato non si facesse vivo, ma adesso non voleva altri, se non lui. Chiamarlo sarebbe stata una buona idea, sentire dove o che fa, ma il solito non detto che sembra sempre mettersi in mezzo a loro due, le impedisce, come al solito, di compiere qualsiasi azione. Lei e Harry non avevano più parlato di quello che era successo; Julia ha preferito nasconderlo sotto un tappeto del subconscio, piuttosto che ammettere persino a se stessa quello che avevano fatto. Dopotutto, aveva spontaneamente e intenzionalmente tradito il suo ragazzo e illuso spropositatamente Harry. Gran mossa, insomma.
Non puoi di certo aspettarti di passarla liscia in tutti e due i casi, giusto?

“Siamo tutti, tesoro? Dovremo metterci a tavola” Cory le affianca, lesto, posando una mano alla base della sua schiena; mossa che non passa inosservata agli occhi di Veronica, la quale rotea teatralmente le pupille all’indietro e provoca una risatina nervosa in Julia. Raggiunti anche da Tom, che non tarda a presentarsi cordialmente a Cory, i quattro, guidati da quest’ultimo, si dirigono alla grande tavolata rettangolare vicino alle finestre, in fondo alla sala e vi si accomodano. Julia è posta tra la sua amica ed il suo ragazzo, con un posto vuoto giusto dinnanzi, a ricordarle quella assenza, resa anche più pesante dalle attenzioni maniacali che Cory le sta riservando quella sera. Sarebbe uscita di testa.
I camerieri, vestiti di bianco e nero, fanno il loro ingresso, portando grossi vassoi colmi di stuzzichini, o meglio, appetizers, come le dice sempre Cory e cominciano a servire ogni ospite, a partire dalle signore presenti in sala. Julia neanche si accorge della figura maschile, alta e ben piazzata, che entra, in regolare ritardo, vestito adeguatamente.
“Pss” la richiama Veronica, battendole leggermente sulla gamba e facendole alzare lo sguardo dal piatto per vedere, finalmente, Harry sedersi in quel posto vuoto.
Bellissimo, pensa Julia, arrossendo vistosamente sotto lo sguardo dei suoi occhi verdi, che le sembrano più vividi del solito, mentre percorrono la sua siluette, nel suo abito rosso preferito.
Harry non dice niente, non sa nemmeno perché, alla fine, si è convinto a presentarsi a quella ridicola cena; neanche l’avevano richiamato per quell’offerta di lavoro, non che si aspettasse il contrario, ma eccolo lì, solo per lei, che gli sorride in quel modo che gli fa impazzire e rivoltare le interiora.
“Giusto in tempo per gli antipasti” lo punzecchia Cory, l’odio nelle vene che gli ribolle ancora dal loro primo ed ultimo incontro. Ma Harry neanche lo guarda, non potrebbe importargli meno di lui e delle sue ridicole minacce; ha occhi solo per la sua ragazza, che adesso, lo guarda di sottecchi, a disagio.
La cena è di buon gusto, lo dicono tutti, ma nell’aria, soprattutto al centro del tavolo, si respira un clima tutt’altro che disteso; un clima denso di parole mute e occhiatacce. Quando Cory è costretto a unirsi al brindisi di gruppo con i suoi colleghi, Harry ne approfitta per richiamare l’attenzione dell’amica, facendole pollice in su per il cibo. Julia gli sorride veramente contenta di vederlo lì, non se lo aspettava e non può fare a meno di arrossire un’altra volta quando le labbra del ragazzo le mimano un ‘sei bellissima’. I piatti vengono portati via dopo ogni portata e, prima del dolce, i commensali preferiscono alzarsi a sgranchirsi le gambe.

Harry coglie l’occasione per avvicinarsi a Julia e parlarle, ma di cosa? Si chiede, ma non riesce a rispondersi che le sue gambe lo hanno già condotto verso la sua meta.
“Tutto squisito” parla, dondolandosi sulle scarpe eleganti, che gli regalavano un paio di centimetri totalmente inutili. “Come stai?” le domanda allora, con l’intento di spezzare quello strano imbarazzo.
“Sto bene” sospira lei, in risposta, mentendo spudoratamente. È ovvio che non sta bene, come potrebbe, più passa il tempo e più si rende conto dei sentimenti che le stanno consumando il cuore, gli stessi sentimenti -che lei non sa- consumano anche il cuore di Harry. E proprio per quei sentimenti sepolti, Harry decide che non può farcela, che forse è meglio rischiare di perderla per sempre piuttosto che continuare a soffrire entrambi -lui lo sa- per lo stesso motivo.
“Dovremmo parlare, io ti devo parlare” le si fa più vicino, terribilmente vicino, talmente tanto che Julia crede di poter sentire il suo cuore battergli nel petto.
“Ti prego” tenta di respingerlo lei; non ora, non in quel momento, pensa, non sopporterebbe le conseguenze in tali circostanze. Ma Harry le sfiora una mano fredda e con le sue dita calde le scotta la pelle.

Fuori dal loro campo visivo, Cory li osserva, cupo e arcigno, intrattenuto dalla compagnia di Veronica, pronta a buttarlo dal balcone se le cose dovessero degenerare.
“Forse sarebbe il caso di chiamare i dolci” le sorride il giovane uomo, il ghigno di chi sta per commettere un grosso errore stampato sul volto.
“Di già?” prova a fermarlo lei, ma è troppo tardi: Cory si avvicina al caposala e ordina un altro giro di champagne per tutti, poi si dirige verso i due amici, palesemente voglioso di porre fine alla loro intensa chiacchierata.
Harry tiene la mano di Julia stretta nella sua, non vuole lasciarla ora che sta per dirglielo, ma vede Cory avvicinarsi e Veronica incespicare sui tacchi dietro di lui. Quando questo si trova a un passo da loro, il riccio si avvicina al viso di Julia, che per un attimo teme nel gesto più sconveniente, ma Harry le affianca l’orecchio e con parole ferme e basse dice: “Ti amo”. Cory le agguanta un braccio, prepotente e la trascina via da Harry, ancora incredula.
“Un momento di silenzio, per favore!” tuona sicuro l’uomo lasciandole il braccio e porgendole un flute colmo di bollicine. “Non credevate vi avessi invitati solo per festeggiare la mia promozione, vero?” fa ridere tutti, o quasi. Harry, dietro la folla di invitati, regge il suo bicchiere più facilmente, libero da quel peso sul petto. “Vi ringrazio, anzitutto, per essere qui, ma soprattutto vorrei un applauso a questa incredibile donna, che mi è stata accanto, sempre.” Cory dice, voltandosi verso la propria ragazza, che gli sorride stralunata. Un cameriere si avvicina alla coppia e prende dalle mani il flute dell’uomo, sostituendolo con una scatolina ocra. “Julia” continua, posando un ginocchio a terra, tra i sussurri generali. “Vuoi sposarmi?” domanda, dunque.
Harry neanche assiste alla scena, non vuole nemmeno sentire la risposta; scola il suo bicchiere e lo poggia alla base di una colonna, poi da le spalle agli invitati e esce dalla sala, con le orecchie ovattate dal dolore. Come poteva credere che qualcosa sarebbe successo, che stupido.
L’eco delle voci dei presenti lo accompagna nel suo solitario tragitto verso l’ascensore, ad attenderlo solo un dipendente dell’hotel.
Non aveva mai avuto una chance, un fallito come lui, uno che non era riuscito a tenersi il lavoro neanche da Cupid’s.
Due passi ed entra nell’ascensore con il dipendente, che si affretta a premere il tasto 0, cosicché le porte possano chiudersi al comando. Julia arriva giusto in tempo per vedere il meccanismo di chiusura. Ha gli occhi lucidi e la bocca semiaperta e, semplicemente, lo guarda, triste come lei.

“Anche io!” urla arrabbiata e si accascia a terra, scossa da singhiozzi, mentre l’amore della sua vita scende i piani dell’hotel, ferito più che mai.



/La storia ha il tag crossover perchè è presente anche Tom Hiddleston, sebbene nel capitolo sia citato solo come 'Tom'.

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Capitolo 7
*** Il Matrimonio ***





#7 Il Matrimonio


 
Julia esce dalla doccia con estrema attenzione: ci deve aver passato fin troppo tempo, dato che le superfici del bagno sono coperte di vapore, così come tutta l’aria ne è impregnata e l’ultimo suo desiderio è quello di scivolare e farsi male. Si avvolge corpo e capelli con gli asciugamani verdi bosco dell’albergo, poi, con una mano pulisce lo specchio annebbiato e rabbrividisce alla vista del suo riflesso. Due forti colpi alla porta la fanno trasalire per la sorpresa.
“Che facciamo, ci anneghiamo lì dentro?” la richiama la voce di Veronica dall’altra parte.
“Un attimo!” risponde lei, sbuffando. Sa che l’amica non ha tutti i torti e che ci sta impiegando più del dovuto a prepararsi, ma lo stress dei giorni precedenti l’ha improvvisamente resa più lenta e pigra che mai. Esce dal bagno con indosso la vestaglia che riporta le sue iniziali ricamate sopra per l’occasione ed il turbante in testa, a raccoglierle i capelli bagnati.
“Michelle!” Veronica grida, anche lei indossa la sua vestaglia e sta mangiando delle patatine seduta su un grosso pouf. “Julia è finalmente pronta” ammicca all’amica, che si siede per farsi acconciare i capelli e per farsi anche truccare.
“Sarai una gnocca pazzesca” ride Jonnie, il fratello di Veronica, a contrario loro, già vestito nel suo abito da cerimonia scuro e con i capelli laccati appena fatti.
“Ricordami il perché dei crisantemi?” le richiede l’amica, pulendosi le mani oliose sulla vestaglia.
“Perché-” tenta Julia, ma Michelle le lancia uno sguardo torvo e minaccioso e deve aspettare che finisca di applicarle l’eye-liner sulle palpebre prima di rispondere. “Perché sono dei fiori altamente sottovalutati e solo un fioraio se ne accorgerebbe, così presentati.”
“E ti rispecchiano.” Jonnie aggiunge, facendo ridere entrambe le ragazze.
“È uno spettacolo” Julia ringrazia Michelle, guardandosi l’acconciatura ed il trucco mozzafiato che la ragazza era riuscita a farle in così poco tempo; a stento crede che quella sia la sua faccia, dove sono finite le sue occhiaie perenni?
“Tempo di vestirsi e poi foto!” fa presente l’unico uomo all’interno della stanza, chiamando tutte nuovamente all’ordine. Julia corre al suo armadio, dove è appeso il vestito che indosserà per la cerimonia ed il ricevimento: le è piaciuto fin da subito, alla prima prova, con quel colore chiaro grigiastro particolare e la gonna leggera, fatta di veli; ma soprattutto ama alla follia la parte superiore, in pizzo, che le lascia la schiena scoperta, un tocco che ricorda i vestiti di tutte le altre ragazze. Quando esce dalla camera, stanno tutte aspettando lei, Veronica per prima, al centro tra le altre, che le sorride raggiante.

“Sei pronta?” le chiede, allungandole le mani.
“Sì.” sorride convinta, avvicinandosi all’amica e prendendole le mani.
“Benissimo, andiamo!” si impone ancora la voce di Jonnie, che le conduce tutte al piano inferiore in cui la cerimonia avrà luogo, facendo da guida per i corridoi dell’albergo, dove lo stormo di ragazze fluttua leggero con i vestiti leggiadri abbinati, attirando sguardi di invitati che non hanno ancora preso posto in giardino e di ignari ospiti curiosi. Insieme passano la hall principale e muovono qualche passo prima della porta d’ingresso, per fermarvisi davanti. Tutte si allineano in una fila indiana compatta, ognuna nella posizione prestabilita, emozionate e scalpitanti. Julia si sistema l’abito, controllando che niente sia fuori posto, poi si volta a guardare l’amica e le sorride, felice. Fuori gli invitati sono seduti in uno schema preciso, ai lati della navata creata apposta ed il sole splende nel cielo azzurro, nella bellissima giornata di primavera.

La musica parte e la prima ragazza del gruppo muove il primo passo all’esterno della struttura, lasciando che tutti la guardino, in trepida attesa; le altre, una a una, la seguono in un cammino lento, fino in fondo, dove due uomini attendono impazienti.
La fila scorre e in men che non si dica, Julia è la prossima. Il cuore le batte all’impazzata e sente il sudore raffreddarsi a contatto con l’aria frizzante. Sorpassa l’uscita e tutti posano lo sguardo su di lei, sul suo bellissimo abito confezionato appositamente; nota le facce degli invitati, alcuni sorridono, altri hanno il cellulare in mano e sono pronti a scattare foto e immortalare il momento. Qualcuno le punta il flash contro e mentre si muove a ritmo della melodia, la vista le si offusca, ma si costringe a guardare davanti a lei, fiera e dritta verso i due uomini, in piedi sul palchetto rialzato.
Gli invitati attorno si animano di gioia proprio mentre Julia affonda la scarpa nell’erba fresca sotto l’altare; quasi perde l’equilibrio, ma per fortuna lo sposo l’afferra per un gomito prima che si verifichi il disastro. Sfila il tacco dalla terra e ringrazia mentalmente Tom, che torna composto al suo posto, in attesa di Veronica.

Julia non può che pensare a quanto siano belli, tutti e due, uno affianco all’altra: lui indossa una giacca nera, lunga, sopra un completo elegante dai toni chiari; lei indossa un abito bianco, leggero, con le maniche lunghe in pizzo e lo scollo a ‘v’ sulla schiena, più profondo del suo.
La cerimonia è intima, romantica e finisce prima del previsto, così tutti camminano allegri verso i tavoli allestiti per la cena sul patio, con il tramonto a fare da testimone a quella splendida giornata. Gli sposi si riservano qualche momento in privato, per modo di dire, visto che più o meno tutti non fanno altro che scattare foto di ogni loro mossa. Julia li ucciderebbe tutti, pensa, strano che l’amica non l’abbia ancora fatto, in effetti.
“Hey” le si avvicina proprio questa, raggiante. “Come sta andando?” le chiede, sedendosi di fronte.
“Dovrei essere io a chiedertelo” le sorride, imbarazzata. “È tutto perfetto” prova a sviare.
“È anche merito tuo” le fa notare l’altra, conscia dei pensieri tristi che circondano l’amica da molto tempo. “Potrebbe essere tutto perfetto” aggiunge, rialzandosi a fatica e storcendo il naso per i piedi ormai affaticati. “Se solo tu mi concedessi questo ballo..” e le fa cenno verso l’area esterna del patio, dove, durante la cena, alcuni camerieri hanno organizzato una piccola pista da ballo, al di sotto di un gazebo bianco ornato da lucine gialle.
“Oh dio” non fa in tempo a dire Julia, che vi ci viene trascinata, tra una risata e l’altra della sua amica. Le due danno il via alle danze, sotto le note di una canzone delle Spice Girls, attirando l’attenzione degli altri invitati, che le raggiungono prontamente. Subito dopo qualcuno cambia canzone e sembra smorzare i toni allegri della precedente, mettendo un lento. Julia vede le coppie formarsi e sta per abbandonare la pista, ma l’amica la trattiene e le fa segno di ‘no’ con la testa.
“Tu non vai da nessuna parte” le sussurra e Tom le raggiunge, con un sorriso complice stampato in faccia.
“E con chi dovrei ballare, scusa?” Julia non capisce e sente montare il disagio e la malinconia. Non vuole certo fare il terzo in comodo, soprattutto con loro e quasi si arrabbia con la coppia per la spiacevole situazione in cui la stanno costringendo, se non fosse che Veronica le indica un punto dietro di lei e la forza a girarsi. Non appena i suoi occhi mettono a fuoco chi le sta davanti, indietreggia, quasi pestando i piedi alla sposa.
“Harry” dice, incredula di vederlo lì, ma prima di tutto di vederlo, e basta.

Il ragazzo avanza la prima mossa e le porta le mani sulle sue spalle, che sono coperte da una giacca elegante, scura e dall’effetto setoso e le circonda la vita con le sue grandi mani. Julia lo guarda ed è piacevolmente sorpresa nel constatare che si è tagliato i capelli, cosa che gli rende il viso più pulito e ne mette in mostra i lineamenti. I suoi occhi verdi puntano dritti nei suoi e, per questo, sente lo stomaco ribaltarsi.
È incredibilmente bello e non sa che dire. L’ultima volta che si sono visti, lei gli ha chiesto dello spazio, doveva capire se lasciare Cory era stata la mossa giusta e non voleva buttarsi in una relazione con lui, se non era sicura di volerlo davvero. Era finita col prendersi troppo spazio e i giorni erano passati irrimediabilmente e, quel solito non detto, le ha impedito di cercarlo. Però adesso è lì, con lei, forse proprio per lei, come non fosse cambiato niente.
“Sei bellissima” le sussurra con quella sua voce roca, bassa, che le fa vibrare le punte delle orecchie.
“Mi dispiace” dicono insieme, all’unisono, gli occhi incastrati gli uni in quelli degli altri. Harry si avvicina, senza smettere di guardarla, perché davvero è bellissima e, se potesse scattare una foto ora, in quel momento, la porterebbe sempre con sé, nel portafogli o nel taschino della giacca. Julia, come la loro prima volta, chiude gli occhi, ma non per vergogna, bensì perché tutto quello le pare un sogno, uno impossibile.

E i due si baciano, finalmente, dopo mesi di attesa e fremono al contatto delle loro labbra, perché ora sanno che nessuno li fermerà se decideranno di correre, mano nella mano, in una stanza al piano di sopra, per spogliarsi di ogni cosa e fare l’amore, per davvero, senza freni, al massimo della passione e senza risentimenti, ma solo sentimenti. Non come la loro prima volta a Brighton, bella ma così lontana e quasi imbarazzante; meglio, ad occhi aperti e con nessuna paura addosso.

Infatti, nessuno lo fa.





/Questa storia assai breve è il risultato di un paio di giorni di pensieri e vena creativa. Spero sia risultata nello stesso modo in cui me la sono immaginata e spero di essere riuscita a trasmettere qualcosa, attraverso i vari personaggi. Detto questo,
a presto, Demetria.

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