The hope of a broken heart

di Elisa Stewart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Le stelle non si staccano dal cielo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Un venerdì mattina come tanti. ***



Capitolo 1
*** Prologo - Le stelle non si staccano dal cielo. ***


Prima di iniziare, ci tenevo a puntualizzare un paio di cose: il motivo per cui ho preferito escludere le HeartCatch non è in nessun modo legato a una questione di simpatia; fosse stato quello il caso, vi assicuro che avrei trovato un modo per sbarazzarmene nel corso della storia.
Semplicemente non ho ancora avuto tempo di familiarizzare con le Cure della serie sopracitata e, non conoscendo bene personaggi e trama, non sono riuscita a trovare un giusto ruolo in cui collocarle. Perciò chiedo scusa a chi è fan delle HeartCatch ma non saranno presenti nel corso della fanfiction.
Inoltre le Suite saranno presenti, ma solo in due (Hibiki e Kanade) per lo stesso motivo sopracitato: lo so, sono molto indietro con la visione delle serie, possiate voi perdonarmi!
Buona lettura!

 

 

 

Prologo:
Le stelle non si staccano dal cielo.

 

 

L

a sala del trono non era mai stata così prima d'ora: era uno spettacolo raccapricciante agli occhi della Regina. Aveva regnato per più di mille anni, osservando quel luogo reggere sotto attacco più e più volte. Ma mai, mai avrebbe immaginato di assistere a tale scena. Nei suoi ricordi il Giardino della Luce era una cascata di colori così accesi da rallegrare persino gli animi più cupi; la luce illuminava tutto e riscaldava i cuori degli abitanti ogni giorno, senza eccezione.
Ora però, tutto ciò che vedeva erano caos e distruzione. Il soffitto minacciava di crollare da un momento all'altro, le pareti erano piene di buchi e crepe, così come il pavimento -un tempo di un bianco abbagliante- ora era ricoperto di chiazze di sangue e crateri. Non sembrava nemmeno più una sala del trono.
A pochi passi da lei, sulle fredde mattonelle rovinate, vi erano i corpi esanimi delle Pretty Cure, le protettrici della luce, le sue ragazze. La trasformazione si era dissolta ormai, lasciando posto alle loro vesti da mortali, sporche di sangue e bruciate in alcuni punti. Nagisa e Honoka giacevano immobili mano nella mano -come a voler dimostrare anche da sconfitte che il loro legame era indistruttibile-, la pelle pallida come un cencio.
Alle sue spalle, Shiny Luminous stava su un cumulo di macerie: era svenuta in seguito a una forte collisione contro la parete. Erano rimasti solo il piccolo Pollun e la sua adorata Lulun.
"Non temete regina! La proteggeremo a ogni costo!" esclamò il primo. Alla Regina pianse il cuore nel vedere un esserino così piccolo e tutto tremante, tenere forte la zampa della sua compagna, entrambi determinati a non cedere. Ma non poteva permettere che anche loro incontrassero lo stesso triste destino delle Pretty Cure: non aveva speranze contro di lui, ne era più che cosciente. Almeno non in quello stato.
Alzò lo sguardo sul suo nemico, un uomo particolarmente alto e imponente. I suoi occhi brillavano di una luce sinistra, inquietante. Specie se accoppiata all’espressione glaciale che aveva mantenuto per tutta la durata dello scontro. Da come faceva ondeggiare la lancia che stringeva tra le dita della mano destra, la Sovrana poté intendere che si stava cullando sugli allori: era già convinto di avere la vittoria in pugno.
Stolto.
La Regina poteva ancora sperare in un’ultima mossa: le restava quel po' di energia che le serviva per lanciare l'incantesimo. Fece un sospiro, già pentendosi della decisione presa: avrebbe dovuto lasciare qualcuno indietro.
Chiuse gli occhi, tentando di raccogliere le ultime energie rimaste. L'uomo davanti a lei inarcò un sopracciglio e chinò impercettibilmente la testa in avanti.
"Reciti le ultime preghiere, Regina della Luce?" domandò, un tono di pura curiosità nella sua voce. Pollun e Lulun ai suoi piedi, le lanciarono degli sguardi confusi: possibile che la Regina si fosse arresa? Era davvero la fine del Giardino della Luce?
“Sua maestà?” mormorò incerta Lulun.
La Regina aprì finalmente gli occhi e il suo intero corpo prese a brillare di una luce calda e abbagliante. I due esserini ai suoi piedi furono costretti a coprirsi gli occhi con le zampe. La luce prese a espandersi, investendo tutto ciò che la circondava. E quando il suo avversario, ora stordito e confuso, avrebbe capito cosa stava per accadere, sarebbe stato ormai troppo tardi.
Era fatta.

***

Chiunque avesse avuto il piacere di conoscere Touko Shimizu, aveva affermato che era una ragazza con la testa tra le nuvole, che se non si fosse data una smossa al più presto si sarebbe ritrovata per strada a domandare elemosina nel giro di pochi anni. Del resto, cosa avrebbe potuto mai fare nella vita una che durante le lezioni se ne stava con i gomiti poggiati sul banco, la matita già tutta mordicchiata in bocca, a fissare il cielo ogni singolo giorno? Una che quando interpellata dai professori balzava in piedi come una molla, il viso rosso di imbarazzo, solo per dichiarare che -per l’ennesima volta nell’arco della giornata- era stata distratta dalle nuvole.
Si diceva che i docenti l’avessero spostata di banco diverse volte durante le lezioni ma che la giovane non pareva dare segni di miglioramento: anzi trovava ben altri modi con cui distrarsi. Avrebbero persino provato a metterla vicino all’alunna più brava della classe, Honoka Yukishiro, nella speranza che la bravura della giovane stella del club di scienze avesse potuto ispirarla a fare qualcosa in classe, che non fosse masticare quella dannata matita e perdersi nel colore azzurro del cielo. Nel giro di poche lezioni, la giovane sarebbe però tornata ad occupare il suo banchetto vicino alla finestra.
Insomma, secondo le voci di corridoio, Touko Shimizu era una fannullona irrecuperabile. La verità, era che per quanto la sua fama poco piacevole potesse precederla ovunque andasse, a lei non importava un fico secco di ciò che pensava la gente. Anzi trovava particolarmente divertente il modo in cui il gossip viaggiava di bocca in bocca: cosa ancora più interessante era che le assurde voci che giravano sul suo conto la proteggevano in qualche modo dalle false amicizie. Quindi a lei stava bene così.
E poi, ai professori non importava nulla se stava distratta in classe, perché in fin dei conti i risultati dei test parlavano chiaro! Shimizu era seconda solo alla brillante Honoka Yukishiro. Se non fosse stato per il comportamento, magari anche lei sarebbe stata una studentessa modello.
Quanto meno, però, lei evitava di assentarsi spesso.
Erano già un paio di giorni che la capitana del club di scienze non si faceva vedere. Per non parlare di Misumi. Le due erano sparite nel nulla e nessuno sapeva come mai non stessero venendo a scuola. Alcuni pensavano fosse la nuova influenza che stava girando: “ti tiene a letto con la febbre a 40 per un paio di giorni e poi te ne esci con un raffreddore da record dei primati!” aveva esclamato Shiho Kubota durante l’intervallo.
Fatto sta che ora, mentre Touko spremeva un limone dentro un piccolo contenitore di vetro, attenta a non macchiarsi il camice, il resto del club di scienze aveva gli occhi puntati sulla giovane Yuriko. In qualità di vice, avrebbe dovuto fare le veci di Honoka. Il problema era che l’inaspettata assenza della presidentessa l’aveva lasciata di stucco e non aveva preparato nulla a casa per occupare le ore che avrebbe dovuto passare insieme alle sue colleghe.
Ebbene, a quello ci stava già pensando la giovane Shimizu, che aveva pensato a un paio di piccoli e semplici esperimenti che suo fratello le mostrò quando era più piccola. In quel caso li avrebbe impiegati per dare man forte alla povera Yuriko.
“Allora…” mormorò quest’ultima in preda all’imbarazzo. “Dato che Honoka è assente anche oggi... Dunque...” balbettò. Le altre giovani scienziate presero a guardarla con fare scettico, forse domandandosi come mai avessero deciso di eleggere la ragazza come vice.
Fu allora che intervenne Touko, che nel frattempo aveva preparato tutto il necessario.
“Yuriko-san, ho fatto tutto ciò che mi avevi chiesto per l’esperimento di oggi.”
Quando la vice si voltò a fissarla interrogativa, probabilmente domandandosi da dove spuntasse, la ragazza le fece cenno di raggiungerla e le mostrò ciò che aveva posizionato sulla scrivania: un contenitore di vetro con del succo di limone, uno stuzzicadenti, un foglio di carta e una lampadina collegata alla presa della corrente. Che razza di esperimento fosse, Yuriko non se lo chiese nemmeno. Aveva bisogno di idee e a quanto aveva capito, Touko voleva aiutarla. Quindi la affiancò, sorridendo alle sue colleghe.
“Benissimo... Uhm...”
“Touko.”
“Touko-san!” esclamò, forse con troppa enfasi. Le altre giovani scienziate le fissarono confuse, mentre le due ridevano con palese imbarazzo. Se quello fosse stato un club di recitazione, Yuriko probabilmente sarebbe stata scartata alla prima prova.
“Perché non ci mostri in cosa consiste questo esperimento?” concluse Yuriko, pregando mentalmente tutti gli dei che le passavano per la testa. Stava affidando la sua reputazione di vice presidentessa del Club di Scienze a una perfetta sconosciuta, di cui ignorava tutto tranne che il cognome e della quale aveva sentito parlare in maniera alquanto negativa dagli altri studenti. Era fregata insomma. Sperò vivamente che Honoka si fosse assentata per un motivo più che valido, stavolta, altrimenti gliene avrebbe cantate quattro.
“Con piacere! Dunque tutto quello che dovete fare,” cominciò la giovane afferrando lo stuzzicadenti. “è immergere la punta nel succo di limone. A questo punto vi basterà utilizzare questo stuzzicadenti come se fosse una penna. Ecco.” mormorò, scribacchiando sul foglio di carta il suo nome, dovendo immergere però più volte la punta del bastoncino nel limone. Di per sé, la scritta era quasi invisibile ma lo diventò completamente quando la giovane ci soffiò sopra, per farlo asciugare.
“Yuriko-san, potresti tenere quella lampadina, per favore?” domandò quindi la giovane, indicando con lo sguardo l’oggetto, ancora poggiato sul tavolo. La vice non se lo fece ripetere due volte e afferrò prontamente la lampadina. Touko la accese, tramite l’interruttore sul lato e si sporse verso la collega.
“E’ a incandescenza, occhio a non bruciarti.” le sussurrò a denti stretti, nel tentativo di non farsi sgamare. Dunque tenne la mano sopra la lampadina, come a volerne sentire la temperatura. Quando le parve di avvertire abbastanza calore, posizionò il foglio di carta al di sopra di essa, in modo tale che il calore potesse riscaldare il punto in cui la giovane aveva utilizzato lo stuzzicadenti. E in pochi istanti il suo nome apparve scritto in corsivo sul foglio.
“Voilà!” esclamò soddisfatta. Le colleghe scienziate, Yuriko compresa, parvero rimanere piacevolmente sorprese e Touko poté ritenere il compito di para fondoschiena, da lei stessa attribuito, terminato. Per il resto delle attività, la giovane Shimizu continuò a tirar fuori una serie di piccoli semplici esperimenti, che in realtà non erano altro che giochini, per divertirsi un po’.

***

Alla fine delle attività, se la svignò prima che Yuriko avesse potuto fermarla per ringraziarla. Sapeva bene che quella gratitudine sarebbe durata solo fino al giorno dopo e che poi sarebbe tornata a essere Touko la scansafatiche, quella che sta sempre distratta in classe, che è stata spostata più volte dai professori e bla bla bla...
Ma di nuovo, non che le importasse qualcosa dell’opinione altrui. Non aveva bisogno di amicizie false e opportuniste, quindi meglio così.
Erano appena le quattro del pomeriggio quando raggiunse l’ingresso di casa sua. Le caddero le chiavi di mano a causa delle dita congelate: aveva scordato i guanti a casa quella mattina e la temperatura non sembrava volesse aumentare in quel periodo.
Una volta al riparo dal freddo tipico invernale, la giovane si sfilò le scarpe, le mollò accanto a quelle del più grande dei fratelli Shimizu e si avviò verso la cucina.
Suo fratello era un tipo parecchio carismatico. La minore ricordava come le ragazzine della sua classe gli sbavavano dietro, quando lui andava ancora ai superiori e lei alle medie. Era la stella della squadra di baseball e una preda ambita da praticamente metà della popolazione femminile della Verone Academy. La cosa divertente era che nessuno aveva mai pensato che i due potessero essere parenti, sebbene avessero lo stesso cognome: ne aveva sentite di moine sul suo bell’aspetto!
Touko non li biasimava mica: lei e Masashi erano completamente diversi. Lui capelli biondi e ricci, lei castani e mossi, lui occhi scuri e gentili, lei chiari e vispi. Insomma, l’uno l’opposto dell’altra, anche sul piano comportamentale.
“Ciao, onii-chan.” esclamò la giovane facendo il suo ingresso in cucina. Non si era neanche tolta il cappotto che già si era fiondata sul divano, abbandonando la cartella a terra, accanto ai suoi piedi.
“Touko, non lasciare la tua roba in giro, o la zia si arrabbierà.” mormorò il ragazzo, con gli occhi fissi sul televisore. Quando Masashi guardava il telegiornale, era risaputo, non voleva essere disturbato. Ma ahimè, l’orario coincideva sempre con il rientro a casa della sua sorellina pestifera. A un certo punto, il giovane aveva smesso di pretendere silenzio: non avrebbe comunque avuto speranze contro di lei.
Quest’ultima, infatti, lo guardò con un ghignò beffardo stampato in viso e si alzò dal divano, sfilandosi la pesante sciarpa di lana. Fece il giro del tavolo e lanciò l’indumento sulla testa del fratello, beccandosi in risposta un’occhiataccia. Touko ridacchiò e si diresse al frigorifero per rubare un budino. Si accomodò accanto al fratello e si tolse anche il cappotto, appendendolo allo schienale della sedia.
“Touko!” la rimproverò ancora il giovane. Non aveva voglia di scherzare, questo era chiaro. La piccola Shimizu sbuffò e si abbandonò sul tavolo, con la guancia premuta contro il legno.
“E dai, Masaa! È stata una giornata pesantemente noiosa, un po’ di compassione fraterna!” si lamentò.
“Se stessi attenta in classe non sarebbe così noioso andare a scuola.” rispose il più grande, scompigliandole i capelli.
Brutta mossa.
“Baka!” gridò in risposta Touko, afferrando i polsi del fratello. Quello ridacchiò, liberandosi della presa della sorella e tornando a concentrarsi sul telegiornale. Passavano proprio in quell’istante un servizio sul maltempo: a quanto dicevano, presto sarebbe arrivata la neve a rallentare o ostacolare le attività giornaliere dei cittadini. Touko congiunse i palmi delle mani, col cucchiaio pieno di budino in bocca.
“Ti prego, fa che chiudano la scuola.” cantilenò, ripetendo la frase più volte a bassa voce.
“Proprio non ti piace, eh?” domandò Masashi: non aveva mai capito l’avversione della sorella verso l’ambito scolastico. Ricordava che alcuni dei giorni più belli della sua vita li aveva passati proprio tra i banchi, con i suoi più cari amici e compagni di classe. “Eppure vai anche abbastanza bene...” commentò pensieroso, accarezzandosi la barba che aveva sul mento.
L’aveva lasciata crescere su consiglio della minore: “ti dà un aspetto più maturo, Masa!” aveva detto un giorno. E siccome per lui l’opinione della castana contava veramente tanto- ma non l’avrebbe mai ammesso! -, aveva deciso di fare una prova... E finora si trovava molto bene!
“Per favore, risparmiami la solfa su quanto eri felice di alzarti la mattina e andare a scuola!” mormorò Touko, ingurgitando l’ultima cucchiaiata di budino. Si alzò per andare a gettare il contenitore di plastica mentre suo fratello ridacchiava furbescamente.
“E perché mai?” fece alzandosi e seguendo la sorella. “In fondo ero solo il giocatore di baseball più bravo dell’istituto.”
Touko roteò gli occhi: sapeva già come sarebbe andata a finire. Spostò il biondo con una spallata e prese a radunare le sue cose.
“Ero molto popolare.” Ora, ne era certa, non si sarebbe fermato fino a quando non le avrebbe fatto saltare tutti i nervi: forse era un po’ gelosa. Ma solo un po’.
Gli lanciò un’occhiataccia, nella speranza di intimidirlo. Ma, ahimè, ottenne solo di far allargare il suo sorriso sornione.
“Tutte le ragazze mi facevano il filo!” Touko attraversò a grandi falcate il corridoio, con l’intento di raggiungere al più presto la sua camera e mettere un punto a quelle moine. Masashi la seguì, fermandosi sulla soglia della stanza.
“Specialmente le tue compagne di classe!” si affrettò ad aggiungere prima che la minore gli chiudesse la porta in faccia.
“Sparisci!”

***

C’è chi dice che le stelle siano la luce emessa da altri mondi, che coesistono sotto lo stesso cielo. Per altri, esse non sono altro che i nostri antenati, che ci guardano dall’alto e ci consigliano quando più ne abbiamo bisogno. Gli scienziati sostengono che quei piccoli puntini bianchi visibili nel cielo notturno, siano corpi celesti che brillano di luce propria.
Mai nessuno, però, è mai stato in grado di provare al cento per cento la correttezza della propria tesi; né tanto meno di confutare quella altrui. Col passare degli anni gli uomini hanno costruito miti e credenze sulle stelle, una più romanzata dell’altra. C’è solo una certezza, che le accomuna tutte: le stelle non si staccano dal cielo, restano perennemente sopra le nostre teste, al di là di ogni nostra possibilità. Osservano silenti, giudicano e ogni tanto qualcuna arriva alla fine dei suoi giorni e si spegne.
Dunque come poteva un piccolo globo di luce dorata, che fluttuava nell’aria come mosso da una mano invisibile, essere una stella?
Eppure era apparso tale agli occhi di un bambino ancora sveglio, che l’aveva visto di sfuggita mentre passava davanti alla finestra della sua camera, ai piani alti di un grosso palazzo condominiale. Era saltato giù dal letto, ed era corso a spalancare le tapparelle. Ma, ahimè, l’aveva persa di vista! Perché questa era improvvisamente scesa in picchiata verso terra, fermandosi a pochi metri dall’asfalto, e aveva continuato il suo cammino seguendo le strade illuminate solo dai lampioni. Non aveva una destinazione precisa, si muoveva come se fosse in procinto di schiantarsi al suolo da un momento all’altro. Superò diversi palazzi, giardini e parchi, fino ad arrivare alla zona residenziale della città, lontano dal centro. Fluttuò zigzagando per diversi chilometri, fino ad arrestare la sua marcia -o per meglio dire, il suo volo- davanti a un’abitazione tutta buia. Pareva attratta da qualcosa perché si infilò tra le sbarre del cancelletto in ferro abbattuto e arrancò verso una finestra in particolare. Attraversò il vetro e si blocco, sospesa a mezz’aria. La sua luce era fioca e illuminava a malapena il volto della giovane che sonnecchiava nel letto, un braccio sul volto, come a volere parare gli occhi dalla spiacevole luce mattutina. Con l’eccezione che era ancora notte fonda.
Con un ultimo sforzo, la piccola palla di luce prese ad abbassarsi, disegnando una spirale sulla ragazza, fino a scomparire all’interno del suo petto.
Sì, sarebbe rimasta lì per un po’ di tempo.

***

Con un balzo fuori sovrannaturale, raggiunse senza un minimo sforzo il tetto del palazzo successivo, più alto del precedente di almeno cinque piani. Atterrò con una capriola e prese a correre verso il bordo, mettendo forza nelle gambe per raggiungere l’edificio successivo.
Mentre era a mezz’aria, girò la testa quel tanto che bastava per scorgere con la coda dell’occhio la silhouette della sua partner, pochi centimetri più dietro di lei. Sì, era decisamente più elegante nei movimenti.
Le lasciò qualche metro di vantaggio, al tetto successivo, per poterla osservare mentre atterrava sulle mani ed eseguiva una ruota per rimettersi dritta.
“Te lo ricordi che non siamo qui per divertirci?” le domandò una volta raggiunta.
“Sì ma è comunque bello saltellare qua e là a quest’ora della notte. Dovremmo farlo più spesso.” rispose ridacchiando. Si avvicinarono al ciglio del palazzo: da lì avevano una buona visione della città. Restarono a contemplare il panorama per qualche istante.
Poi se ne accorse: qualcosa era cambiato.
“Tu la senti?” domandò, improvvisamente inquieta.
“No.”
“Diamine, abbiamo perso troppo tempo.” Mormorò. L’altra fece spallucce e le poggiò una mano sulla spalla.
“Sta tranquilla. La troveremo.”

   

***

 

 

N.D.A
Vorrei cominciare presentandomi!
Mi chiamo Gloria ed è la prima volta che scrivo qualcosina sulle Pretty Cure (Bugia… Anche se preferirei fosse così: ancora tengo quell’aborto di “Magico Amore” solo perché è stata la prima ff che ho mai scritto nella mia vita.)
Ero moooolto, ma moooooooolto più piccola quando bazzicavo in questa sezione! (Rispondevo ancora al nickname di Glory97, pensate un po’!)
Che dire, di recente mi sono ritrovata a leggere delle vecchie ff che ho amato in passato, che amo tutt’ora e che non hanno mai veramente abbandonato la mia memoria. Sono state queste storie a ispirarmi a scrivere nuovamente su questo fandom e a intraprendere un progetto che, sinceramente, non so se porterò a termine, visti i miei precedenti disastrosi con le fanfiction a più capitoli.
Spero vi sia piaciuto questo prologo forse un po’ troppo lungo (giuro, ho tagliato così tante parti, che probabilmente se ne esce un nuovo capitolo pulito pulito!) e spero che continuiate a seguirmi, qualora riuscissi ad andare avanti!
Lasciatemi una piccola recensione per farmi sapere che ne pensate: se funziona, se lo dovrei cancellare dal sito e dal mio computer… Non esitate a farmi notare errori, specie nelle espressioni giapponesi che mi sono ostinata a utilizzare, sebbene io non sia un’esperta in materia!
A presto,
Elisa!
Ps. Piccolo Gloria-fact: per il titolo ho voluto riciclarne uno che ho utilizzato per una long cominciata ma mai finita, sempre in questa sezione.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Un venerdì mattina come tanti. ***


Capitolo 1:
Un venerdì mattina come tanti.

 

 

L

’odore di bacon e uova aveva già pervaso la casa quando Touko si presentò in cucina, un venerdì mattina come tanti. Al suo solito, si era alzata troppo tardi, trovando Masashi e la zia già seduti in tavola. Proprio non riusciva a essere puntuale per tutta la settimana, specie quando il giorno dopo sarebbe potuta rimanere a casa a dormire: sosteneva che il suo corpo, impaziente per il sabato libero, entrava in modalità vacanza troppo presto. E cosa ci poteva fare sua zia se non chiamarla dieci volte nel giro di due minuti, senza ottenere alcun risultato? Ormai ci aveva perso le speranze pure lei.
Natsumi Shimizu era colei che si era presa cura dei due fratelli, fin da quando la suocera se n’era andata. Li aveva visti cambiare radicalmente da allora, diventare grandi, con in volto l’ombra di come sarebbero stati in futuro. Erano cresciuti troppo in fretta e lei non aveva potuto fare nulla a riguardo se non prenderli con sé come fossero suoi figli.
Il padre dei ragazzi, Daichi, suo fratello gemello, era un noto archeologo sempre in giro per il mondo. Si faceva vedere a casa solo per le festività, ma si manteneva partecipe nella vita dei figli mandando delle cartoline e dei regalini come ricordo dei suoi viaggi. Touko e Masashi rispondevano sempre alla sua corrispondenza, aggiornando l’amato papà di tutto ciò che accadeva nella loro quotidianità e aspettando con ansia una replica. Una volta a settimana i loro volti si illuminavano di una luce del tutto nuova e Natsumi non poteva fare a meno di guardarli in estasi, mentre leggevano le poche righe che suo fratello mandava loro. L’ultima era arrivata dalla Grecia.
“Sei in ritardo.” constatò guardando l’orologio che portava al polso. Gliel’avevano regalato i suoi ragazzi per il suo compleanno. Touko le si avvicinò e piazzò un piccolo bacio sulla sua guancia: lei era così, dimostrava ciò che provava attraverso tanti piccoli gesti casuali che, per chi non la conosceva, sarebbero potuti passare facilmente inosservati. Ma per Natsumi, quei momenti di affetto significavano il mondo. Per questo non riusciva mai ad essere pienamente arrabbiata con loro: come poteva infuriarsi con le due persone che rappresentavano la sua intera vita?
“Buongiorno anche a te, Touko! Felice di vedere che ti sei accorta che esisto.” commentò divertito Masashi, ricevendo in risposta un pigro sorriso e un cenno della mano. “Vedi di sbrigarti o farai tardi.” concluse il giovane alzandosi dal tavolo. Prese il suo piatto e quello della zia, entrambi vuoti, e li portò al lavello per pulirli. Touko finì la sua colazione in fretta, solo per poter scaricare le sue posate sporche al fratello. Gli circondò il torace con le braccia, stringendolo a sé e mormorando un piccolo grazie giocoso. Dopo di che scappò nella sua stanza a prepararsi. Masashi alzò gli occhi al cielo: era davvero incorreggibile.

***

La giornata stava procedendo lentamente. Le prime ore, Touko le aveva passate a scribacchiare il suo quaderno con la fedele matita mordicchiata. Il professore di matematica stava spiegando qualche tipo di calcolo che, ne era sicura, non avrebbe utilizzato una volta nella sua vita. Alternava lo sguardo dal cielo -plumbeo e minaccioso-, alla lavagna, ai volti perplessi dei compagni di classe, alla schiena di Nagisa Misumi, seduta proprio di fronte a lei.
A quanto pareva la regina del lacrosse aveva deciso di ricominciare a frequentare la scuola, senza voler dichiarare il perché della sua assenza. Touko aveva accidentalmente origliato le sue amiche, Shiho Kubota e Rina Takashimizu -la prima volta che l’aveva sentita nominare, si era quasi sentita derubata dell’originalità della sua persona, in quanto la giocatrice di lacrosse avesse un cognome simile al suo- farle il terzo grado prima delle lezioni. Lei si era limitata a sorridere e scuotere la testa e con fare criptico si era voltata a guardare Honoka Yukishiro, che aveva ricambiato. Inutile dire che questo non aveva placato gli animi delle sue due migliori amiche, che di tanto in tanto le lanciavano occhiate supplichevoli, ma Misumi sembrava voler rimanere sulle sue.
Inoltre stava per addormentarsi sul banco: si vedeva chiaramente da come piano piano la sua testa si abbassava, avvicinandosi sempre più alla superficie piana.
E sarei io quella distratta?
Non poteva biasimarla, però: cominciava anche lei ad avvertire la necessità di gettarsi dalla finestra, per sfuggire a quello strazio -il professore non aiutava mica! Spiegava a bassa voce e ogni tanto di perdeva pure in numerose parentesi inutili-; ed era quasi sul punto di farlo quando il delizioso suono della campanella interruppe la monotonia della lezione, annunciando l’inizio della pausa pranzo. Touko alzò gli occhi con un sospiro di sollievo. Si stiracchiò sula sedia, allungando la schiena all’indietro. Mezza giornata ancora e sarebbe stata libera per due giorni interi.
Ripose quaderni, astuccio e la sua fedele matita mangiucchiata nella cartella e, dopo aver recuperato il delizioso pranzo preparatole dalla zia, sgattaiolò via dalla classe: voleva trovare un angolo tranquillo in cui rifocillarsi senza esser costretta a socializzare. In passato si era rifugiata più volte nel terrazzo dell’istituto. Purtroppo però, la pungente temperatura invernale non le avrebbe permesso di rimanere fuori a lungo senza beccarsi un malanno; da escludere anche il campo di baseball, per la stessa ragione.
Optò per l’aula di scienze: non ci sarebbe dovuto essere nessuno, non fino all’inizio delle attività pomeridiane.
In corridoio, cercò di non incrociare lo sguardo di nessuno: la sua voglia di socializzare era praticamente inesistente e voleva evitare di apparire più scontrosa di quanto non fosse in verità.
Mentre sfilava davanti ai gruppi di studentesse, radunatesi per passare insieme l’intervallo, avvenne qualcosa la costrinse ad arrestare la sua marcia.
Per qualche istante, la vista le si annebbiò e la testa prese a girarle vorticosamente. Dovette appoggiarsi al muro per non crollare a terra. Si portò la mano libera al viso, strizzando gli occhi e sentendo di essere sul punto di vomitare da un momento all’altro. Poi qualcosa sovrastò il ronzio che le aveva riempito le orecchie: qualcosa di simile a una voce, ma sembrava che venisse da molto lontano, come se qualcuno urlasse dall’altra parte di un tunnel.
Strizzò le palpebre, combattendo i conati di vomito. Poteva vedere delle immagini, sfocate e confuse: avvertì un freddo agghiacciante propagarsi dal petto, attutito ma fastidioso, come se il suo corpo stesse ricordando una sensazione provata in passato. Poi, così come era arrivato, quell’improvviso malessere se ne andò e la piccola Shimizu si ritrovò seduta per terra, con la schiena contro il muro. Schiuse le palpebre, trovando una Yuriko preoccupata, spuntata da chissà dove, che la teneva per un braccio.
“Ehi, fatele spazio, ha bisogno di aria!” protestò voltandosi verso tutte quelle ragazze che, curiose, si erano radunate attorno a loro.
“Tutto bene?” le chiese, abbassandosi per poterla guardare in viso. Touko, che si sentiva come se avesse appena corso una maratona, si passò una mano sul viso.
Che è stato?
Non riusciva a parlare, la gola bloccata da un fastidioso nodo. Prima che se ne rendesse conto e riuscisse a controllarsi, alcune lacrime avevano già cominciato a solcare le sue guance, spinte dalla tristezza che aveva di colpo stretto il suo cuore.  
“Touko-chan?” la voce di Yuriko la spinse a sollevare lo sguardo, portandola a incrociare gli occhi preoccupati della compagna. Questo la spinse a riprendersi: si asciugò il viso con la manica della divisa, liberandosi poi dalla presa della ragazza, cercando di dissimulare al meglio le sue emozioni. Si tirò su, sorreggendosi al muro e stringendo tra le dita il suo pranzo. Barcollò: i giramenti di testo non le erano passati del tutto, ma non voleva aiuto da nessuno.
“Sì, io... Sto bene, grazie.” Disse, chinando il capo in direzione di Yuriko come ringraziamento. Si fece strada tra le ragazze che l’avevano circondata, tutto ciò che desiderava era allontanarsi il più possibile da loro. Aveva ancora un po’ di difficoltà a camminare dritto.
“Ehi! Aspetta un attimo, devo dirti una cosa!” esclamò la vice presidentessa del club di scienze inseguendola. Le sbarrò la strada, continuando a guardarla con fare pensieroso.
“Sicura di stare bene?” chiese ancora, come intimorita della reazione della collega. Touko sentiva ancora addosso gli occhi delle altre studentesse: poteva udire benissimo i loro mormorii e sussurri. Tentò di contenere l’irritazione che pian piano cresceva in lei: che doveva fare per avere dieci minuti di pace?
“Cosa posso fare per te, Yuriko-chan?” domandò quindi, mantenendo un tono gentile.
“Volevo ringraziarti per quello che hai fatto per me ieri!” esclamò Yuriko, ancora poco convinta della condizione di salute dell’altra. Touko dovette concentrarsi e costringere i pensieri che le affollavano la testa in un angolo dimenticato, per riuscire a ricollegare ciò di cui stava parlando la compagna.
“Uhm… Prego…” mormorò, incerta su quello che dovesse dire: in quel momento quell’argomento appariva privo di interesse ai suoi occhi. Salutò la giovane scienziata con un piccolo inchino e la superò a testa bassa. La sua mente era impegnata con le immagini offuscate che aveva visto, cercando di dar loro un senso. Aveva la netta sensazione che fossero ricollegate alla tristezza che le appesantiva il petto: che si trattassero di ricordi?
Una mano si posò sulla sua spalla, tirandola gentilmente indietro. Yuriko le sorrise e sollevò il suo pranzo all’altezza del viso.
“Mangiamo insieme?”

***

“Quanto tempo hai intenzione di perdere ancora?” domandò la donna, incapace di aspettare ulteriormente. Si era stancata di fare avanti e indietro su quello stupido terrazzo. Era risaputo che la pazienza non fosse il suo forte, inoltre la compagnia non era delle migliori: lanciò uno sguardo all’altra ragazza, che se ne stava seduta in un angolino a disegnare con un dito ghirigori invisibili per aria. Sbuffò impaziente, giocherellando con la corda delle sue bolas.
“Rilassati o ti verranno le rughe.” Rispose l’uomo che se ne stava in piedi sul bordo del parapetto. Sotto di lui, gli studenti e le studentesse di quella stupida scuola passeggiavano, sghignazzavano e parlavano, ignari della sua presenza e di ciò che stava per accadere. Quasi gli facevano pena, tutti così spensierati e docili: sarebbe bastato un soffio di vento un po’ più forte per spezzarli in due. Gli esseri umani erano estremamente fragili. Dalle sue spalle provenne una risata di scherno, che lo distolse dai suoi pensieri.
“Senti chi parla.” Fece la donna con un ghigno stampato sulle labbra carnose. Lui cercò di non alterarsi, strinse i pugni per scaricare la tensione. Preferiva molto di più lavorare da solo, lo aveva ripetuto parecchie volte al suo padrone e puntualmente lui gli affibbiava qualcuno dei suoi fratelli e sorelle, che lo seguivano con l’unico scopo di fargli perdere le staffe. Era il più grande di tutti, aveva più esperienza e sapeva bene come muoversi; eppure loro continuavano a mancargli di rispetto. Avrebbe potuto benissimo farli fuori uno dopo l’altro, solo con un gesto della mano.
“Perché non vai a giocare con le tue cordicelle, anziché parlare a vanvera, Alter?” prima che la donna potesse rispondere, la ragazza dei ghirigori scoppiò in una forte risata isterica. Prese a dondolare avanti e indietro, tenendosi lo stomaco. Le vennero persino le lacrime agli occhi, che si asciugò con le dita scheletriche e bianche.
“Cordicelle...” ripeté, come se quella fosse la battuta più divertente che aveva mai sentito in vita sua. Poi, dopo pochi attimi di silenzio e dopo aver sostenuto con espressione seria gli sguardi confusi dei compagni, la ragazza parve tornare nella sua bolla e prese a mordicchiarsi un braccio, ringhiando come avrebbe fatto un cane.
“Andata.” Bofonchiò la donna, incredula.
“Completamente.” Aggiunse l’uomo, scuotendo la testa. Come avrebbe voluto essere solo in quell’istante.
Passarono pochi minuti di silenzio quando decise che ne aveva avuto abbastanza.
“Basta così, tenetevi pronte.” Ordinò, voltandosi e scendendo dal parapetto. Si posizionò al centro del terrazzo e sollevò un poco le braccia, tenendo le mani parallele al terreno. Era ora di scatenare l’inferno.

***

Touko.
Voltò la testa a destra di scatto, attratta da una voce lontana. Sotto i suoi occhi studenti e studentesse sfilavano di fronte al loro tavolo, chiacchierando e ridacchiando. Cercò con lo sguardo tra i volti dei suoi coetanei, ma nessuno di loro sembrava averla chiamata: erano tutti troppo impegnati a farsi i propri affari. Eppure era certa di aver sentito qualcuno pronunciare il suo nome, proprio in quell’istante. Corrugò la fronte, domandandosi se non stesse veramente impazzendo.
Quando Yuriko le aveva chiesto di pranzare insieme, meno di venti minuti prima, era rimasta spiazzata. Normalmente avrebbe rifiutato e se ne sarebbe andata via congedando il mal capitato di turno con gentilezza. Ma in quel caso, in parte a causa dello stato di confusione in cui si trovava, si limitò ad arrendersi e a farsi trascinare senza obiettare.
Aveva quindi seguito la compagna fino alla sala mensa: era un’aggiunta recente della scuola, il quale comitato degli studenti aveva pensato che sarebbe stato carino creare un luogo in cui radunarsi per l’intervallo durante le stagioni fredde. Era stata scelta una sala in comune tra le due sezioni -maschile e femminile-.
“Ehi, Touko-chan!” si destò, sobbalzando, tornando a prestare attenzione a Yuriko, che ora la fissava preoccupata. “Sei sicura di stare bene? Sembri distratta.” proseguì la vice presidentessa del club di scienze, scrutandola come a cercare una qualche conferma alla sua constatazione.
Touko scosse velocemente la testa, boccheggiando un paio di volte mentre cercava una scusa abbastanza credibile.
“Si, scusa. Io...” tentò, sforzandosi di mettere a tacere i pensieri che la perseguitavano. “Stavo pensando ai compiti di matematica.” concluse e abbassò lo sguardo sul suo pranzo. La zia Natsumi le aveva preparato un’abbondante porzione di riso, accompagnata dallo spezzatino di pollo della sera prima: sapeva quanto Touko adorasse quel piatto; per questo, ogni volta che lo cucinava, faceva in modo di lasciargliene una porzione da portare a scuola.
Eppure lo stomaco di Touko era chiuso. Giocherellava con il pollo, ingoiando di tanto in tanto piccoli bocconi di riso.
“Ah...” fece Yuriko ancora incerta. “Il professore ve ne ha dati tanti?”
“No, sono pochi ma...” la sua testa andò ancora una volta a poco prima, quando si era sentita male, e lei si scordò completamente ciò che stava per dire. Si massaggiò le tempie e strizzò gli occhi, chiedendosi come mai il suo cervello, che in genere si rifiutava di sforzarsi troppo, ora era così concentrato a farla apparire una pazza da manicomio. “Lascia perdere... Che stavi dicendo prima?” fece, scocciata con sé stessa. Yuriko le sorrise, evidentemente scegliendo di ignorare lo strano atteggiamento della brunetta.
“Ti stavo ringraziando per ieri, perché mi hai evitato una gran brutta figura!” disse tutta contenta. La piccola della famiglia Shimizu sollevò un sopracciglio.
È stata una sciocchezza.” rispose un po’ imbarazzata: alla fine si era solo limitata a mostrare ai membri del club di scienze i piccoli trucchetti che le aveva insegnato Masashi!
“Non essere così modesta!” esclamò Yuriko. Touko sorrise e lasciò cadere il discorso: tanto sarebbe passato poco prima che tornasse ad essere la scansafatiche della scuola. La vice presidentessa le stava facendo compagnia solo perché si sentiva in debito con lei, d’altronde.
“Ho un’idea! Perché non mi parli un po’ di te? Magari potremmo essere amiche!” Touko quasi si strozzò con il poco riso che aveva appena messo in bocca. Perché mai avrebbe voluto essere sua amica?
“Dimmi un po’, qual è la tua materia preferita? Hai mai fatto sport? Cosa ti piace fare nel tempo libero?” la piccola della famiglia Shimizu rimase basita.
“Non credo ti piacerebbe conoscermi.” fece sorridendo nervosa.
“Certo che sì!” affermò la vice presidentessa con ferma convinzione. “Hai un non so che di curioso, Touko-chan! Sento di potermi fidare di te!” concluse. La piccola Shimizu non comprendeva come quell’improvvisa cordialità nei suoi confronti potesse essere sincera: non si erano nemmeno mai presentate direttamente! Era anche vero che aveva voluto darle man forte in assenza della Yukishiro, ma questo non sarebbe bastato a spiegare il suo disarmante comportamento.
“Senti, credo che tu sia un po’ confusa.” Cominciò. “Io non sono così tanto affid...” prima che potesse terminare la frase, qualcuno piombò a sedersi a fianco di Yuriko. Si trattava di un giovane ragazzo che Touko aveva visto mille volte: era impossibile scordare un ammasso di capelli così, scuri e ricci, molto voluminosi e scombinati.
“Ciao, Yuriko-chan!” esclamò il nuovo arrivato forse con troppo entusiasmo. La vice presidentessa, presa alla sprovvista dal suo improvviso arrivo, sembrò dover elaborare per qualche istante, prima di sorridere calorosamente e rispondere al saluto.
“Yoshi-san! Come va?” i due cominciarono a parlare del più e del meno, davanti allo sguardo confuso di Touko. Cominciò a pensare a una via di fuga: magari sarebbe riuscita a svignarsela senza che i due se ne accorgessero. Prese a richiudere il suo pranzo. Stava per alzarsi e darsela a gambe quando Yuriko tornò a rivolgerle la parola, dandosi un piccolo schiaffetto sulla fronte.
“Oh, che maleducata! Ho dimenticato di presentarvi!” Touko osservò le sue speranze di fuga andare in frantumi, mentre gli sguardi dei due ragazzi seduti davanti a lei le si posavano addosso.
“Touko-chan, lui è Yoshi Nekomura! Frequenta l’ultimo anno di liceo e fa parte della squadra di baseball!” Oh diamine. Il ragazzo allungò la mano nella sua direzione con un piccolo sorriso. E forse un po’ di rossore sulle guance?
“Lei invece è Touko Shimizu. Anche lei fa parte del club di scienze!” una volta concluse le presentazioni, Yuriko si infilò un’altra manciata di riso in bocca.
“Shimizu? Come Masashi Shimizu? Siete parenti per caso?” chiese Yoshi, stringendo le dita della povera Touko con un vigore tale che la ragazza temette di potersele spezzare. Cercò di liberarsi dalla sua presa, senza alcun risultato, non aveva via di scampo.
“Beh, sì… Siamo fratelli...” mormorò imbarazzata.
“Ah! Certo, certo... Aspetta, che?!” esclamò Yuriko, così forte che metà dei presenti si voltò nella loro direzione. Touko si portò una mano al viso, tentando di nascondere l’imbarazzo che diventava più visibile via via che incrociava gli sguardi degli altri ragazzi. Yuriko, palesemente sorpresa dalla scoperta, non riusciva a mettere insieme una frase di senso compiuto. Yoshi invece, alternava lo sguardo curioso dalla vice presidentessa del club di scienze, alla ragazza appena conosciuta.
“Quel Masashi Shimizu?” domandò Yuriko a quel punto, piantando i palmi sul tavolo e protendendosi in avanti. “Ma perché non l’hai detto prima?!”
“Semplicemente perché nessuno me l’ha mai chiesto.”
“Effettivamente non vi somigliate neanche un po’!” esclamò Yoshi. “Ho conosciuto tuo fratello l’anno che sono entrato nella squadra di baseball. Era un gran giocatore!” concluse, sorridendo alla piccola della famiglia Shimizu con fare amichevole. Questa si trattenne dal rispondere male: non aveva bisogno che qualcuno le elencasse le fantastiche doti di Masashi, ne era già a conoscenza. Lui aveva preso più da loro madre, in fondo. Yuriko scattò in piedi, seguita dagli sguardi confusi degli altri due presenti, fece il giro del tavolo e si sedette proprio accanto a Touko. Le prese le mani- l’espressione estremamente seria che aveva in viso faceva quasi paura- e si avvicinò così tanto, che la giovane Shimizu fu costretta a indietreggiare per evitare di far scontrare i loro nasi.
“Touko-chan!” esclamò con una strana luce negli occhi. “Voglio che tu sappia che non avevo idea che tu fossi la sorella di Masashi Shimizu!”
“Abbassa la voce, per favore.” Mormorò in risposta la castana, un po’ infastidita. Se l’avesse sentito la persona sbagliata la sua privacy sarebbe andata in fumo nel giro di dieci minuti.
“Non ti ho chiesto di pranzare insieme per quello, sia chiaro!” concluse la giovane scienziata. Touko annuì imbarazzata e liberò le sue mani da quelle dell’altra, per poi poggiarle sulle sue spalle e allontanarla gentilmente.
“Mai pensata una cosa simile.” la rassicurò, tentando di apparire il più sincera possibile. Non che non lo fosse, semplicemente non aveva voglia di continuare quel discorso, quindi era fondamentale che sembrasse convinta dall’affermazione di Yuriko.
“Ah, menomale.” fece quest’ultima, portandosi una mano sul petto e tirando un piccolo sospiro di sollievo. Touko da parte sua ne aveva avuto abbastanza; decise che l’avrebbe chiusa lì. Quindi prese a radunare le sue cose.
“Io torno in classe, devo finire... Uhm... di fare un esercizio di matematica, prima che inizino le attività pomeridiane.” annunciò alzandosi. Rivolse ai due un piccolo inchino di rispetto e sorrise loro. “Vi ringrazio per la compagnia.”
“Ciao, Touko-chan! Ci vediamo più tardi!” esclamò Yuriko tutta contenta.
“Arrivederci!” la salutò Yoshi, rivolgendole un piccolo cenno della mano. Touko si voltò, cominciando ad allontanarsi dai due e concedendosi un sospiro di sollievo. Valutò l’idea di non presentarsi al club di scienze quel giorno, per evitare altre discussioni imbarazzanti su suo fratello. Le era quasi sembrato di essere tornata alle medie, quando le sue compagne di classe di allora si radunavano alla finestra per poter guardare Masashi scherzare con gli amici in cortile. Irritante. Per non parlare delle partite di baseball, che sembravano delle apoteosi del talento di suo fratello. Ricordava ancora qualche coro, ideato dalle cheerleader. Vomitevole.

***

Nozomi Yumehara era in ritardo: doveva incontrare le sue amiche per l’intervallo e se ne era completamente dimenticata. Dopo la lezione si era fermata a parlare con delle compagne, attardandosi in classe. Solo dopo qualche minuto passato a chiacchierare, proprio mentre stava per aprire il suo pranzo, si era ricordata dell’appuntamento e come un fulmine era sfrecciata via dall’aula e fuori dall’istituto. Ora correva all’impazzata, superando i gruppi di studentesse che passeggiavano nel parco e scansando qualche povera malcapitata che si ritrovava per caso sul suo tragitto. Di tanto in tanto andava vicina a placcare malamente una di queste ma, avendo poco tempo a disposizione, continuava a correre e urlava una scusa. Se l’avesse beccata uno dei professori sarebbe stata in guai seri.
Quel giorno, avevano deciso di incontrarsi alla scalinata dove aveva confidato a Rin il segreto delle Pretty Cure, per il semplice motivo che avevano qualcosa di importante di cui discutere e avevano bisogno di privacy. A quanto pareva, Nattsu e Kokoda avevano indetto una riunione urgente: Rin aveva borbottato qualcosa a proposito di altri guai in vista. Sicuramente niente che loro cinque non avrebbero potuto risolvere, pensò la leader, come avevano sempre fatto.
Col fiatone, la fronte sudata e le gambe che le facevano male, la giovane si piegò in avanti proprio sul primo gradino della suddetta scalinata e cercò di recuperare fiato.
“Eccomi!” urlò, attirando l’attenzione delle compagne, che si voltarono tutte verso di lei. Karen e Komachi sorrisero divertite mentre Rin si prodigava nella solita lavata di capo, riservata esclusivamente alla sua migliore amica ogni volta che lei ne combinava un’altra delle sue. Kurumi scuoteva la testa rassegnata e Urara, invece, osservava la scena ridendo silenziosamente, accanto a Shiro, che sembrava particolarmente irritato.
“Lo so, lo so... Scusa!” fece Nozomi, le mani alzate davanti al viso a mo’ di protezione.
“Non si ci può fidare proprio di te!” concluse Rin, incrociando le braccia. Le aveva ripetuto diverse volte di non scordare la riunione ed evidentemente non erano bastate!
“Eddai, Rin! Sono qui, no? Ce l’ho fatta!”
“Si ma ora abbiamo ancora meno tempo per poter parlare.”
“Vuol dire che Nattsu e Kokoda faranno un riassunto veloce, vero ragazzi?”
“Se continui a blaterare non riusciranno a fare nemmeno quello!”
“Bene allora, ora chiudo la bocca e la riapro solo quando...”
“Volete stare zitte?!” irruppe Shiro urlando, incapace di contenere ulteriormente il suo nervosismo. Rin e Nozomi, spaventate dall’improvvisa reazione del giovane, si tapparono la bocca a vicenda, guardandolo con occhi sgranati. A quel punto, Kokoda -che fino a quel momento era stato qualche gradino più giù insieme a Nattsu- richiamò l’attenzione delle Cure con un paio di battiti di mani.
“Come già sapete o immaginate “cominciò con espressione seria in viso. “ci sono altri problemi in arrivo.”
“Stamattina abbiamo avvertito una presenza oscura provenire da sud. Credevamo si trattasse di Eternal, che si preparava ad attaccare, quindi abbiamo pensato di aspettare che facessero la loro mossa e avvisarvi di tenervi pronte.” Spiegò Nattsu con tono grave. Si vedeva chiaramente dalla sua espressione che c’era qualcosa che lo turbava e, in parte, era per quel motivo che Komachi aveva sentito crescere una strana stretta al petto: una sensazione simile alla paura, forse?
“Tutto qui? Semplice allora, ci basterà stare all’erta e quando quei brutti ceffi attaccheranno li rispediremo da dove sono venuti!” fece Nozomi, con la tipica allegria e ingenuità che caratterizzava la sua persona; aspetti ai quali il gruppo aveva fatto ormai il callo, imparando a classificarli come qualità, piuttosto che come difetti.  Kokoda non riuscì a fare a meno di sorridere, scuotendo la testa amareggiato: magari fosse stato così semplice. Aveva davvero un brutto presentimento.
“Mi dispiace, ma credo che questa volta non basterà.” disse, egli stesso deluso da tale constatazione. “Poco fa la presenza di cui vi parlavamo ha sprigionato una forte aura oscura, così potente che siamo anche stati in grado di percepirne la provenienza.”
“Dovete intervenire immediatamente.” Disse Nattsu, preoccupato. Le ragazze rimasero a bocca aperta. Urara fu la prima a riprendersi.
“Ora?” chiese, insicura di aver capito bene.
“E come facciamo con le lezioni?” chiese Karen, facendo viaggiare lo sguardo dai ragazzi a Kurumi, seduta accanto a lei. Sembrava parecchio scossa: che l’avesse percepita anche lei?
“Vi coprirò io.” Disse Kokoda, tentando di rassicurare la giovane Cure dell’intelligenza. Calò un silenzio carico di tensione tra i presenti: ognuno con un’immagine differente di ciò di cui si trattasse l’aura oscura; ognuno a trarre le proprie conclusioni. C’era ancora una volta bisogno delle Pretty Cure, come avrebbero potuto mancare ai loro doveri?
“Non ci resta che metterci in marcia, ragazze.” Disse Nozomi, interrompendo i pensieri di tutte le sue amiche. La determinazione brillava ardente nei suoi occhi, infondendo forza negli animi delle altre Cures.
“Andiamo a svolgere il nostro compito e torniamo a scuola prima che qualcuno cominci a sospettare qualcosa!” annunciò. Poi sollevò un braccio, per indicare il cielo con un dito.
“E’ deciso, sì!”

***

Era quasi arrivata all’uscita quando un repentino cambiò di atmosfera la fece sobbalzare e le fece scivolare di mano il contenitore del pranzo. Questo fece un gran fracasso quando impattò con il pavimento e il rumore risuonò particolarmente forte nella sala, che si era improvvisamente svuotata di qualsiasi tipo di suono. Tutto taceva e nulla si muoveva. Touko riusciva a sentire persino il battito violento del suo cuore, che sembrava volerle sfondare la cassa toracica. Si sentì come se avesse già conosciuto una sensazione del genere. Non riusciva a muovere un muscolo, le tremavano le mani e aveva il fiato corto. La sua mente richiamò alcuni sprazzi delle immagini che aveva visto prima. Era letteralmente paralizzata dalla paura. Ma di cosa?
Poi un tonfo interruppe quel tremendo silenzio carico di tensione, seguito immediatamente da un altro. E poi un altro e un altro ancora.
Touko si voltò e ciò che vide la lasciò senza fiato: tutti gli studenti presenti, nessuno escluso, stavano crollando a terra svenuti, uno dopo l’altro. Rimase solo lei ad osservare quell’agghiacciante scena. Boccheggiò un paio di volte, incapace di formulare una spiegazione valida a tale fenomeno. Che stava succedendo?
La prima cosa che le venne di fare fu correre da Yuriko, accasciata sul tavolo al quale era seduta pochi istanti prima. Anche lei era svenuta. Touko posò due dita sul suo collo e trattenne il fiato. Il battito cardiaco c’era, ma era davvero debole. La ragazza respirava ancora ma era pallida come un cencio. Yoshi, accanto a lei, presentava le stesse condizioni, così come il resto degli studenti. Scosse Yuriko per le spalle, nel tentativo di farla rinvenire.
“Ehi! Mi senti?” disse alzando la voce. Non ottenne risposta; non una reazione o un movimento. Se non avesse sentito la pulsazione del cuore sul suo collo, avrebbe pensato fosse morta. Provò a scuotere anche Yoshi e un altro ragazzo, raggomitolato a terra lì vicino. Non rispose nessuno: le sembrava tutto un brutto scherzo. Le mani cominciarono a sudarle, mentre cercava di pensare velocemente a cosa avrebbe dovuto fare.
I professori! Loro sapranno sicuramente cosa fare.
Scavalcò la massa di studenti per terra, facendo attenzione a non calpestare nessuno, e corse fuori dalla sala mensa, verso le scale. Salì i gradini, saltandoli a due a due e quando arrivò a primo piano si rese conto che non si trattava di un caso isolato: nel corridoio, altre ragazze, svenute, apparentemente nelle stesse condizioni di Yuriko. Le si gelò il sangue nelle vene, avvertendo improvvisamente la temperatura calare. Ora a ogni suo respiro, la giovane vedeva apparire davanti ai suoi occhi piccole nuvolette di condensa.
Che sta succedendo?
Corse in fondo al corridoio, per affrontare la seconda rampa di scale. Stavolta fece più fatica a salire in fretta: pareva che la gravità fosse stata incrementata all’interno della scuola. Ogni suo movimento sembrava lento e particolarmente faticoso. Nonostante il freddo, Touko cominciò a sudare: aveva il fiato corto e di certo non a causa delle scale. Cominciava a temere di poter svenire anche lei. Si sfilò la giacca della divisa, gettandola a casaccio dietro di sé e si affrettò a raggiungere la sala professori. Quando arrivò alla porta non esitò prima di spalancarla.
“Permesso!” disse precipitandosi dentro, solo per notare che anche i professori erano svenuti. Corse alla cattedra più vicina, sulla quale era accasciato il vice preside, con la fronte schiacciata contro alcuni documenti e la bava alla bocca.
“Signor vice preside, apra gli occhi, la prego!” supplicò la giovane, scuotendo le spalle dell’uomo. Se prima era stata in grado di mantenere una certa lucidità, ora stava decisamente entrando nel panico. Era rimasta sola. Sentiva il forte impulso di scappare via, lasciare tutto così e correre a casa ma era consapevole che non poteva andarsene e lasciare tutti in quello stato. Doveva chiamare aiuto.
I suoi occhi si posarono quasi in automatico sul telefono fisso poggiato a pochi centimetri dalla testa del vice preside. Touko non esitò ad afferrare la cornetta. Compose il numero per le emergenze e attese che qualcuno rispondesse.
“Pronto? Chiamo dalla Verone Accademy, io...” prima che riuscisse a finire la frase, un forte fischio proveniente dal ricevitore le risuonò nell’orecchio, costringendola ad allontanarla. Perse l’equilibrio e cadde all’indietro, atterrando sul fondo schiena. Si portò una mano al lato del viso, strizzando gli occhi. Le faceva malissimo il timpano e per qualche istante temette di esserselo sfondato.
Passarono pochi interminabili istanti prima che le vertigini si placassero. Ci sentiva ovattato e aveva le lacrime agli occhi.
Si prese qualche istante per calmarsi e permettere alla sua testa di riguadagnare lucidità. Le parve di essere rimasta per ore nella stessa posizione, timorosa che se si fosse mossa avrebbe vomitato il poco cibo che aveva ingerito a pranzo.
Oh, come avrebbe voluto essere a casa, sotto le coperte, insieme alla zia Natsumi. Le sembrava di star vivendo un incubo, uno di quelli inquietanti e inspiegabili, nel quale senti di essere perennemente in pericolo. Solo che in genere le bastava pensare che si trattava solo di un sogno per svegliarsi: in quel caso non aveva idea di come uscire da quella situazione.
Si fece forza, tirandosi su con il supporto del muro, e si asciugò le lacrime con la manica della camicia. Avanzò verso la porta e stese una mano per afferrare la maniglia ma la ritirò d’istinto quando le parve di sentire dei rumori. Trattenne il fiato, realizzando si trattasse di qualcuno che stava camminando.
Si sarebbe dovuta sentire sollevata nello scoprire che c’era qualcun altro ancora sveglio a parte lei, eppure non ci riuscì: aveva una strana sensazione. Le faceva male qualcosa in fondo al petto: era come se ci fosse una voce dentro di lei che urlava a squarciagola per farsi sentire.
Pericolo!
Un forte rumore la fece sobbalzare.
“Niente qui.” Fece una voce femminile.
“Controlla quella.” Rispose un’altra. Touko trattenne il fiato, il cuore che le batteva prepotentemente contro la cassa toracica.
Dopo qualche istante sentì un altro rumore, stavolta più lieve: una porta che si apriva.
“Neanche qua.” Vi fu qualche attimo di silenzio prima che i passi delle sconosciute rimbombassero per i corridoi e nelle sue orecchie. Per qualche strano motivo, l’istinto le disse di nascondersi: a passo veloce ma leggero, la giovane raggiunse la scrivania più vicina, quella del vice preside, e spostando lievemente le gambe dell’uomo si rannicchiò nella rientranza al di sotto del piano di appoggio. Strinse le ginocchia al petto, il fiato corto, lo stomaco attorcigliato. I passi si stavano avvicinando, così come le voci.
“Vorrei poter avvertire meglio la sua presenza.”
“Anche io. Ciò significherebbe, però, che sta recuperando le forze e non ci conviene.”
Ora il ritmo lento e regolare dei passi si era fermato e Touko ebbe l’impressione si trovassero proprio di fronte alla porta della sala professori. Fissò un punto indefinito, cercando di concentrare tutta la sua attenzione su ciò che udiva.
“E’ vero, non ci avevo pensato.” Fece la prima, con una leggerezza nella voce che a Touko parve estremamente inquietante. Si chiese se non fossero state proprio quelle due ad addormentare tutta la scuola: l’unica incognita era come, due ragazze apparentemente giovani, fossero riuscite a mettere al tappeto un intero istituto. “Beh, non per niente sei tu la mente tra noi due.” Concluse la voce allegramente.
La risata dell’altra fu sovrastata dal rumore della porta che scorreva sul binario: stavano entrando nella sala professori.

***

Zelua sollevò in su il mento, lasciando scorrere lo sguardo sul lavoro di suo fratello: una cupola di energia oscura, rigorosamente invisibile a occhio umano, circondava tutto il perimetro della scuola. Si trattava di una sorta di spazio separato, che Alter creava dal nulla, sfruttandolo per raccogliere la forza vitale di chi si trovava al suo interno. Un tecnica interessante e utile ma che serviva essenzialmente da supporto: in uno spazio come quello, loro erano più forti.
Inoltre non permetteva a chi vi si ritrovava intrappolato di uscirne, il che la rendeva perfetta per il compito che era stato affidato loro quella volta. Fece un paio di passi in avanti, fissando gli occhi sul fratello, immobile come una statua, le mani tese davanti a lui e gli occhi chiusi, profondamente concentrato a mantenere la cupola attiva.
Passeggiò per il perimetro del tetto, sporgendosi a guardare giù. C’erano studenti addormentati praticamente ovunque e se prima in quel posto era difficile sentire altro oltre al loro chiacchiericcio, ora c’era un silenzio mortale. Alter aveva fatto proprio un ottimo lavoro, ma non gliel’avrebbe mai detto.
“Folie si sta scocciando, vuole giocare con qualcuno.” Zelua sobbalzò, presa alla sprovvista da quella vocina flebile. Si voltò per trovarsi di fronte due occhioni scuri, contornati da un alone nero. Alzò un sopracciglio, facendo un passo indietro.
“Quante volte ti ho detto di starmi lontana? Questo è il mio spazio personale e tu non hai alcun diritto di invaderlo.” Disse furibonda, allungando un braccio per disegnare un cerchio invisibile tutto attorno a lei. Si piantò le mani sui fianchi, osservando disgustata la silhouette della sorella: era magrissima, pallida e piena di tagli incrostati su gambe e braccia. Si era chiesta diverse volte come facesse ad andarsene in giro con addosso solo un lenzuolo tutto sgualcito. Si sentiva quasi offesa a dover condividere la sua aria con una essere così immondo.
“Perché non torni a giocare con le tue catene?” fece Zelua, indietreggiando ancora quando la più piccola mosse un passo verso di lei. Quasi le faceva paura: non era mai chiaro cosa le passasse per la testa.
“Perché non chiudete tutte e due il becco e lasciate che mi concentri?” intervenne Alter, risvegliatosi tutto d’un tratto dalla sua trance.
“Se avessi il becco lo farei.” Rispose Folie, trattenendo a stento le risate. Si tenne lo stomaco con entrambe le mani e scoppiò in una sonora risata. Si asciugò le lacrime con l’orlo del suo lenzuolo, sotto lo sguardo disgustato di Zelua. Ma perché era così?
“Fa un po’ meno lo spiritoso Alter.” Concluse poi, trascinandosi di nuovo nel suo angolo, sbuffando annoiata e sedendosi ancora una volta per terra. Ogni volta che apriva bocca, il che non avveniva molto spesso, i suoi fratelli non riuscivano a trovare un senso a ciò che ne usciva fuori. Era come parlare a un muro: tutto ciò che le veniva detto, tutti pensieri e pareri che esprimeva, tutto inutile e insensato.  
Alter sospirò rassegnato, purtroppo ci avrebbe dovuto convivere per sempre.
“Zelua, perché non vai a controllare come procede sotto?” chiese il giovane gentilmente, tornando a concentrarsi su ciò che stava facendo. La donna si ravvivò i lunghi capelli biondi.
“Sempre meglio che stare qua.” Mormorò più a sé stessa che al fratello. Prese a camminare verso le scale d’emergenza, giocherellando con la corda delle bolas, assicurate al suo fianco. Si bloccò, però, quando avvertì qualcosa di nuovo. Folie, che aveva preso a borbottare un motivetto sconnesso, smise immediatamente, alzando il naso verso il cielo e odorando l’aria. Anche Alter, l’aveva sentito, si capiva da come le sue spalle si fossero improvvisamente irrigidite.
“Qualcuno sta cercando di entrare.” Mormorò l’uomo a denti stretti. Chi era tanto sfacciato da disturbare la sua missione? Folie ghignò trionfante quando comprese che sarebbe toccato a lei e Zelua prendersi cura degli ospiti. Si alzò in piedi, sulle gambine scheletriche e si scostò i lunghi capelli neri da davanti gli occhi, sentendo un moto di eccitazione crescere dentro di sé. Era ora di giocare.

***

Cure Dream chinò la testa all’indietro, scrutando sconcertata ciò che si ergeva proprio di fronte a lei, a qualche centimetro dal suo naso. Un grosso muro violaceo bloccava il loro cammino, così grande che era difficile capire dove finisse.
Dopo che Kokoda le aveva avvertite, le sei Pretty Cure si erano messe in viaggio, guidate dall’istinto di Natts e Syrup. Non era passato molto prima che arrivassero a destinazione: una città nella quale erano già state in passato, che fece riaffiorare ricordi piacevoli nelle loro menti. Questa volta, però, qualcosa non quadrava: da quando erano arrivate, Nozomi non aveva ancora percepito le presenze di Cure Black e Cure White, né tantomeno quella di Shiny Luminous. Cure Aqua aveva supposto fosse colpa di quell’imponente muraglia ed era per questo che ora Natts e Syrup stavano facendo un giro ricognitore, per trovare vie di accesso sicure. Nel frattempo, le giovani avevano tentato di colpire la barriera con i loro attacchi più potenti, non ottenendo alcun risultato. Non rimaneva altro da fare, dunque, se non aspettare il ritorno delle due mascotte. Se Nagisa e Honoka si fossero trovate lì dentro, pensò Dream, allora avrebbero sicuramente apprezzato una mano d’aiuto: sembrava una situazione abbastanza gravosa.
“Quanto ci mettono?” borbottò Cure Rouge, incrociando le braccia al petto.
“Doveva trattarsi solo di dare un’occhiata dall’alto, no?” aggiunse Cure Lemonade, con tono preoccupato. Cure Mint guardò il cielo, cercando con lo sguardo l’arancione delle piume di Syrup. Che fosse successo qualcosa?
“State calme, ragazze.” Fece Dream, voltandosi verso di loro con il pugno chiuso davanti a sé. “Torneranno presto, con un piano per entrare.” Concluse, un’espressione determinata stampata in viso, per infondere forza alle amiche. La verità, però, era che il suo atteggiamento serviva a celare la preoccupazione crescente che le opprimeva il petto. Da quando avevano messo piede in quella città, un forte brutto presentimento le aveva attanagliato le viscere. C’era qualcosa di profondamente malvagio al di là di quella muraglia e scoprire di cosa si trattasse un po’ la spaventava. Ma se le sue compagne l’avessero vista in quello stato si sarebbero scoraggiate anche più di lei: essendo la leader, aveva il compito di mantenere il morale del gruppo alto.
“Hai ragione!” confermò Mint, sorridendo all’amica di rimando. Le altre osservarono lo scambio e annuirono convinte.
Passarono pochi secondi e il gruppo poté osservare i due abitanti del regno di Palmier fare ritorno, con una dolce picchiata controllata. Natts saltò giù dalla schiena di Syrup, che riprese le sue sembianze da pinguino. Il piccolo scoiattolo incrociò le zampe al petto e liberò un sospiro rassegnato.
“Si tratta di una cupola.” Comunicò diretto, senza troppi giri di parole. Cure Aqua spostò lo sguardo dal piccolo tanuki alla barriera violacea.
“Una cupola?” ripeté, alzando la testa, come a voler verificare in prima persona.
“Esatto. Circonda completamente questo posto e non c’è via d’accesso.” Spiegò Natts, rivolgendo uno sguardo pensieroso al terreno. Nessuno parlò dopo di lui, tutte troppo perse nei propri pensieri. Persino Nozomi ora non sapeva cosa dire, né tantomeno come risolvere quel problema. Non era mai stata brava con gli indovinelli.
“Abbiamo anche cercato di colpirla con i nostri attacchi, ma non l’abbiamo nemmeno scalfita.” Osservò Rouge con una nota di rassegnazione e delusione nella voce.
“Chi l’ha eretta dev’essere molto potente.” Aggiunse Milky Rose, che fino a quel momento si era limitata ad osservare. Ma ora anche lei cominciava a perdere le speranze.
“Troveremo un modo.” Mormorò Dream, i pugni stretti, il petto stretto in una morsa di disagio. L’istinto le diceva che non potevano lasciar perdere quella volta: voleva indagare e, se fosse servito, intervenire. Il fatto che ora si ritrovavano chiuse fuori da una strana bolla di oscurità, le confermava che qualcosa era diverso, sbagliato e molto pericoloso. Era certa che anche Natts la pensava allo stesso modo, così come Syrup e Coco.
“Riproviamo!” esclamò, voltandosi verso il gruppo di amici. “Riproviamo finché non riusciremo a creare una breccia che ci permetta di entrare.” Ripeté, con più foga. Rin guardò la sua migliore amica e un sorriso si fece strada spontaneo sulle sue labbra. Non falliva mai nel darle sicurezza, fin da quando erano bambine. Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma Nozomi era un punto di riferimento per lei. Così come lo era per il resto delle ragazze.
Per questo motivo, ad una ad una, le giovani studentesse della Cinq Lumiére affiancarono la loro leader, con gli occhi brillanti di determinazione.
“Diamoci da fare.” Esclamò Rouge, posando una mano sulla spalla di Dream. Quest’ultima ricambiò con un sorriso.
Syrup indietreggiò insieme a Natts, così da lasciare spazio di azione alle giovani. Le Pretty Cure si posizionarono una accanto all’altra, pronte a sferrare il loro colpo più potente. E proprio mentre sollevavano i loro Cure Flare, ecco che avvenne qualcosa che nessuna di loro si sarebbe aspettata: con uno scossone, che per poco non fece cadere per terra Cure Dream, la barriera si mosse, separandosi in due metà. Sotto gli occhi stupefatti delle Cure, si aprì uno spiraglio quadrangolare, grande abbastanza da farle passare a due alla volta. Incapace di dare una spiegazione logica a quanto appena successo, Dream -che era stata afferrata appena in tempo dalla migliore amica- raddrizzò la schiena, voltandosi a guardare Natts in cerca di risposte. Quest’ultimo, però, sembrava tanto confuso quanto il resto delle sue compagne, tutte impalate ad osservare la nuova entrata a bocca aperta. A quel punto, la leader non sapeva più cosa fare: se fino a poco tempo prima era più che convinta di voler entrare, ora non lo era più così tanto. Chi aveva innalzato la cupola sapeva che erano lì e le stava invitando ad entrare. Solo costui sapeva cosa avrebbero dovuto affrontare e aveva lasciato loro la scelta.
“E adesso?” chiese Milky Rose preoccupata. Evidentemente era arrivata alla sua stessa conclusione, così come il resto delle ragazze; si leggeva sui loro visi.
Nozomi si voltò verso Natts, sorridendogli rassicurante. Non potevano andar via, non ora.
“Fate attenzione...” mormorò il piccolo scoiattolo in risposta. La giovane combattente annuì energicamente e si allontanò.
“Facciamogli vedere con chi hanno a che fare.” Annunciò alzando un pugno verso l’alto. Le altre la imitarono.
“YES!”

 

 

N.d.A

Salve a tutti e bentornati in questo nuovo episodio di “Gloria pubblica il capitolo nuovo in super ritardo!”
*sigh* Lo so, lo so. Sono una ragazza cattiva, che promette a sé stessa che cercherà di essere puntuale e che è perennemente in ritardo. Ahimè, sono proprio pessima.
Ebbene, dopo tante peripezie ecco il nuovo capitolo. Qui abbiamo occasione di dare un’occhiatina a quelli che saranno i cattivoni della storia. Mi scuso se il capitolo risulta essere troppo lungo (potrebbe anche non essere che sono io che mi faccio condizionare dalle 12 pagine che mi segna l’amico Word) o troppo noioso. Purtroppo non ho saputo fare di meglio. Non ne vado fierissima e spero veramente di poter migliorare a lungo andare.
Ho trovato un titolo nuovo, che ritengo un po’ meno a casaccio: spero che vi piaccia.
Ci tenevo a ringraziare _Alcor per la sua recensione tanto obbiettiva quanto piacevole: mi ha fatto davvero piacere leggere il tuo parere sul prologo!
Che dire? Spero di pubblicare il prossimo capitolo in meno tempo e spero che lo leggiate in tanti.
Arrivederci!
Elisa.
Ps. Gloria-Fact: il computer mi ha cancellato metà capitolo per due volte di seguito! Le cose sono due: o sono io a essere negata con la tecnologia o è la tecnologia a volermi sabotare a tutti i costi.

 

 

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