Sex Education

di _Bri_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Caso clinico 1: Parvati Patil (e l’intruso) ***
Capitolo 3: *** Caso clinico 2: L'Insospettabile ***
Capitolo 4: *** Caso clinico 3: La menzognera prova del nove ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Giù la maschera! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sex Education
Prologo
 
Elliott Johansson non ne sapeva niente d’amore, figuriamoci di sesso. Se qualcuno gli avesse detto, magari con una premonizione un po’ raffazzonata, che si sarebbe ritrovato chiuso nel bagno delle ragazze del terzo piano –praticamente in disuso, vista la costante fastidiosa presenza di Mirtilla Malcontenta- a dare consigli ai suoi compagni di scuola sul come migliorare la propria vita sessuale, Elliott avrebbe singhiozzato risate a rotta di collo.
Invece eccolo lì, con le gambe lunghe rannicchiate a sé sul water rigorosamente chiuso e deterso, a torturarsi il septum argentato mentre, dal bagno accanto, proveniva la voce lamentosa di Zacharias Smith che, a quanto pareva, era appena stato mollato da una grifondorina del quinto anno.
 
“Colpa del Quidditch!” lamentò lui, con tono sempre più provato “Era così assurdamente…sexy, con il fango sui capelli, sul naso, sulla divisa e…”
 
“E tu hai pensato che chiederle dove fosse arrivato, il fango, fosse una cosa intelligente da fare, se ho capito bene.”
 
Elliott si sentiva incredibilmente a disagio, eppure non aveva proprio saputo rifiutarsi quando Roger Davies, il suo migliore amico (nonché praticamente unico), lo aveva spronato a mettere su le assurde sessioni di pronto soccorso psicologico. Colpa dell’atavica pigrizia che lo animava forse, o dell’assoluta incapacità di discutere per sciocchezzuole, Elliott aveva prestato ascolto all’assillo costante di Roger durato per ben tre giorni, scatenatosi dopo quella festicciola nella Sala Comune, a seguito della schiacciante vittoria di Corvonero nei confronti di Serpeverde.
 
“Bevi! Bevi! Bevi!”
 
Roger Davies, capitano della squadra, era circondato da maschietti e femminucce corvonero, che lo osannavano come fosse una divinità. Defilato in uno dei divani di confortevole velluto blu, Elliott se ne stava sulle sue, bevendo l’ennesimo cocktail preparato dalle incapaci mani di Marcus Belby, mentre i suoi grandi occhi color acquamarina saltellavano sulla scena dei festeggiamenti. Aveva deciso che avrebbe bevuto tutta notte: non giocava a Quidditch e lo sport destava in lui lo stesso interesse delle lezioni di Sibilla Cooman (che materia da sempliciotti, la Divinazione), ma lontano dai libri –anche se questa non era di certo una regola- il corvonero nerovestito sentiva spesso l’esigenza di ‘sballarsi’ e mai e poi mai, in un’occasione come quella, avrebbe detto di no, nemmeno se gli avessero rifilato cacca di Erumpent liofilizzata, probabilmente.
Insomma: tutti si divertivano ed il livello di sconcerie aumentava proporzionalmente al tasso alcolemico. Elliott avrebbe passato ore stravaccato su quel divano in cui stava facendo la fossa, fra una bevuta ed una risata; non fosse che l’arrivo di Roger al suo fianco, avesse portato con sé una scia di streghe in lizza per il ruolo di ape regina, obbligando Elliott a farsi stretto stretto per lasciare il posto a quante più donzelle possibili.
 
“Ells! Gran bella festa! Non trovi?”
 
Assurdamente lucido –neanche troppo assurdamente, visto che Roger non beveva quasi mai- il capitano cominciò a regalare allo sfortunato amico energiche pacche sulla spalla ossuta. Elliott lanciò uno sguardo alla graziosa biondina strizzata al suo fianco, che indirizzava occhiate fameliche a Roger, seduto al fianco opposto. Il mago si sentì improvvisamente di troppo e avrebbe anche deciso di compiere l’eroico gesto di alzarsi, per far crollare la sua compagna di casa fra le braccia del mezzo Uruguayano, se non fosse che, un’animata discussione, attirò l’attenzione di tutti i presenti. Elliott grattò la scarmigliata nuca corvina dal taglio asimmetrico, mentre lo sguardo fluttuò sulla rossa Marietta Edgecombe che lanciava improperi al povero pallidissimo Stephen Cornfoot; il ragazzo tratteneva due bicchieri fra quelle mani che, Elliott soppesò, sembravano davvero troppo piccole in confronto al resto del corpo.
 
“Ma…Mary! Non era ciò che intendevo…”
 
Marietta fece mulinare i crespi capelli rossi, prima di puntare l’anulare verso il mago con minaccia.
 
“Io lo so cosa intendevi dire! Ma ti assicuro, mezzo merluzzo di un Cornfoot, che non è colpa dell’acne se non vengo a letto con te!”
 
“Wow!” Esclamò Roger, finalmente interessato a qualcosa non fossero le tipe che lo tocchicciavano in maniera ingorda e, secondo Elliott, decisamente fuori luogo. Va da sé che tenere quei pensieri sigillati nella testolina brillante fu automatico, visto che il corvonero non aveva intenzione alcuna di attirare il malumore delle sue colleghe.
 
“Non ho mai pensato questo…” balbettò, esitante, Stephen mentre lanciava occhiate intorno a sé, diventando così di una vago colore roseo nel rendersi conto che tutti, ma proprio tutti, avevano sentito le grida funeste di Marietta la rossa. “…non credi che d-dovremmo parlarne…noi due soli?”
 
Era evidente che Stephen non avrebbe potuto dire nulla di più sbagliato. Non solo aveva sottolineato l’improvviso accumulo di acne sul suo viso, che l’aveva resa insicura al punto di rifuggire ogni tipo di contatto fisico: aveva appena fatto notare a Marietta di star facendo una scenata, cosa che costò alla giovane un’esplosione incontrollata. Il party per festeggiare la vittoria Corvonero si era appena tramutato in una carneficina di tartine di verza viola e laghi di gin-tonic con tanto gin e poca tonica. Cho Chang, deliziosa strega dall’aria est-asiatica, nonché migliore-amica-del-cuore della rossa pazzerella ed esagitata, s’avvicinò con cautela alla furia nel vano tentativo di farla calmare, meritandosi così una tramezzino alla pasta d’acciughe dritto sul naso.
Chi rideva, chi sussultava, chi giurava di aver visto spuntare delle corna dalla testa di Marietta e chi, come Luna Lovegood, vaneggiava dando la colpa ai gorgosprizzi di cui doveva aver piena la testa la compagna, fatto sta che Elliott –chissà mosso da quale arzigogolato pensiero inconcepibile ai più- s’alzò di scatto, per rivolgersi con tono piatto e profondo alla strega impazzita:
 
“Il tuo astio è comprensibile. Del resto chiunque se la sarebbe presa al posto tuo. Ciò nonostante sono convinto che tu abbia sfortunatamente frainteso le parole di Stephen, che altro non voleva che farti un complimento. Pensaci bene: chi mai avrebbe mosso delle offese alla ragazza che le piace da quasi tre anni?”
 
Marietta, pronta a lanciare l’ultimo vassoio ancora integro contro il neo-ragazzo, che frequentava da soli due mesi, si immobilizzò nel sentire la voce pacata di Elliott Johansson. Verso di lui piroettò, assottigliando gli occhi chiari.
 
“Continua”, fece minacciosa. Elliott non s’era nemmeno reso conto di aver fatto quello che aveva fatto e, interdetto (ed ubriaco un bel po’), si guardò intorno grattandosi un braccio, fino ad incontrare la faccia implorante di Stephen, il quale mimò un ‘tiprego’ con la bocca, incitandolo silenziosamente a proseguire. Elliott non era tipo da attirare attenzioni su di sé; eppure ad una simile richiesta d’aiuto non seppe resistere. Schiarì la voce, torturò per breve tempo l’anellino posto fra le narici e, dopo un sospiro, proseguì:
 
“Quello che voglio dire è che qualunque ragazzo sognerebbe avere intimi e piacevoli incontri con la ragazza che ama. Non credi che collimare il proprio corpo con quello del proprio oggetto del desiderio, possa essere ritenuto l’atto più estatico al mondo? Non giudicare il tuo Stephen per questo, ma tenta di leggere fra le righe del suo approccio forse un po’ inadeguato, ma sincero, molto sincero.”
A Marietta bastarono quelle poche parole frutto dell’alterazione alcolica, per smollare sul tavolo il vassoio di tartine e rivolgere lo sguardo, ora docile e sognante, a Stephen che sembrava ancora molto dubbioso e anche un po’ impaurito.
 
“Quindi è vero che mi ami?”
 
Stephen boccheggiò; poi, come percorso da una scossa, si raddrizzò ed esclamò: “Io?! Ma c-certo che ti amo!”
 
“Da tre anni? Davvero?”
 
Con fiducia ritrovata il mago s’avvicino a Marietta, che attirò a sé tirandola per un fianco.
 
 “Davvero”, concluse, prima di baciarla con passione davanti a tutti, fregandosene dell’odore d’acciuga emanato dalla sua ragazza, che nel lancio forsennato s’era schizzata tutta. Uno spesso silenzio calò fra i presenti, poi una ola da stadio partì dalla prima fila dei curiosi spettatori: Elliott Johansson aveva appena compiuto un miracolo.
 
“Amigo! Sei stato eccezionale!” Elliott barcollò sotto il peso delle braccia di Roger, che gli avevano stretto il collo con forza.
 
“Io veramente…beh…”
 
“Dammi retta Ells, il tuo è un dono: salverai moltissimi adolescenti impacciati dalle inevitabili figuracce sessuali, nonché li libererai dai loro blocchi!”
 
Elliott si paralizzò “Che?! Van…non scherziamo!”
 
“Sai quanti ragazzi fanno finta di non avere problemi, ma sotto sotto nascondono animi catastrofici come il signor Cornfoot? Tu, amico mio, potrai aiutarli a non percepire il sesso come una sfida da affrontare, bensì come un piacere da godere!”
 
“Davvero Rog, non c’è storia.”
 
“Ed io mi occuperò di trovarti i clienti! Potremo chiedere quattro o cinque galeoni a seduta, mi sembra onesto per una vita di gioie, senza inutili paturnie a girare per la testa.”
 
“Io me ne vado.”
 
“Faremo strada, vedrai, fidati del tuo amico Roger!”
 
In tutta la sua vita, Elliott aveva dato si e no una decina di baci, ma non si era mai sbilanciato oltre ciò. Non che non fosse un ragazzo piacente, per carità; certo, bisognava avere gusti un po’ particolari, ma il mezzo svedese era tutto fuorché da buttare via. Eppure non c’era stata nessuna ragazza che lo avesse spinto a voler ‘andare oltre’ e di questo, il brillante mago, non se ne faceva di certo un cruccio. Per questo non si capacitava di come si fosse trovato in quella situazione, a dispensar consigli ai suoi coetanei che, al contrario, tentavano di ispezionare l’argomento chi con foga, chi con entusiasmo, chi con rassegnazione.
Smith continuava a straparlare, mentre Elliott s’era distratto a pensare che sua madre avrebbe riso, all’idea che quel suo figlio tanto atipico dispensasse lezioni di educazione sessuale a mezza Hogwarts.
 

 
Che dire? Sí, questa sarà una mini-long decisamente sciocchina, ma è arrivata alla testa come un fulmine e mi sono trovata costretta ad assecondare l’ispirazione. Come accennato nell’anteprima, in parte la storia è ispirata a “Sex Education”, nuova serie di Netflix. Ma ora le presentazioni:
Per chi ha letto “Di Ghiaccio e Tempesta”, o ancor meglio segue la mia interattiva “Di Necessità…Virtù!”, avrà riconosciuto Elliott Johansson, corvonero un po’ stralunato ma geniale, che io amo davvero tanto e proprio per questo mi ero riproposta di dedicargli il giusto spazio, prima o poi. Beh, quel poi è arrivato, anche se non so quanto sia contento Eli di questo.
 
Un paio di delucidazioni:
 
Elliott è mezzo svedese, figlio di babbani.
 
Roger Davies nel mio head-canon è mezzo Uruguayano (idem, per chi segue l’interattiva questo già lo sa) ed è un fico senza senso. Questa caratterizzazione a cui mi sono ispirata viene dritta dritta da AdhoMu, che tratta di Roger Davies nella os “Profumo di Nebbia” (in cui appare anche Elliott) e nella mini long “50 first Davies”.
 
Bri

 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Caso clinico 1: Parvati Patil (e l’intruso) ***


Capitolo I
Caso clinico 1: Parvati Patil (e l’intruso)
 
Era stato dannatamente sciocco a pensare che, nel Confesional (così l’aveva definito Roger, più che orgoglioso di aver trovato un simile nomignolo), si sarebbe presentata solamente la categoria maschile di Hogwarts. In realtà Elliott si sentì in parte sollevato, dato che l’abbondanza di ormoni adolescenziali e le vaghe spruzzate di testosterone, spesso e volentieri erano accompagnate da olezzi decisamente fastidiosi, che riuscivano a valicare il divisorio tra il bagno in cui s’accomodava lui e quello dell’interlocutore. Per questo motivo il corvonero si era visto costretto a mescolare oli essenziali trafugati alla scorta di Piton, che aveva poi infilato in una boccettina sulla quale, ad intervalli regolari, poggiava le narici del naso dritto per aspirarne l’aroma.
Ma quella volta Elliott poté risparmiarsi di estrarre l’ampollina in quanto, con l’arrivo della sua paziente -lui si sarebbe rifiutato di definirla così, ma non voleva discutere di certo col suo migliore amico che esigeva professionalità- era giunto anche un delizioso profumo, forse un tantino esagerato, di autentico patchouli. Con Roger si erano accordati in una certa maniera, per mantenere l’obbligo di riservatezza: il capitano si sarebbe occupato di reclutare i poveri disperati, si sarebbe fatto pagare la parcella e poi avrebbe spedito il malcapitato di turno al bagno, di modo che il soggetto non avrebbe dovuto incontrare il viso scavato di Elliott Johansson per tutelare la propria privacy. Ciò nonostante, Elliott capì immediatamente a chi potesse appartenere il profumo che ben conosceva; i casi erano due: doveva trattarsi di Padma Patil, sua compagna di casa, oppure di sua sorella gemella Parvati, smistata invece in Grifondoro. Elliott attese un po’ dopo aver sentito chiudere la porta del bagno. Silenzio. Tossicchiò. Altro silenzio. A quel punto Elliott raccolse il coraggio e, cercando di esibire un tono professionale, si rivolse alla strega mentre apriva il quaderno d’appunti.
 
“Come…come posso esserti utile?”
 
Dal silenzio, ad un fiume di parole. Il magiterapista improvvisato saltò sul posto non appena la voce squillante, ansiolitica e serrata di quella che doveva essere a tutti gli effetti Parvati, invase il bagno.
 
“O-ok…se ho capito bene il problema è che ti senti privata della tua personalità.” Suggerì Elliott. In realtà Parvati Patil aveva dato lustro ad una situazione ben più incresciosa, che il corvonero si era sentito in dovere di ridimensionare; di fatto era successo non una, ma ben due volte che qualcuno uscisse con Parvati, convinto inizialmente fosse Padma e questo, ovviamente, aveva scatenato nella grifondoro un complesso di inferiorità nei confronti della sorella, che sarebbe stato difficile da sdoganare.
 
“Hai idea di come possa essermi sentita, quando Gregor mi ha chiamata Padma?” Ecco: Parvati stessa aveva mandato all’aria la privacy, “Ho pregato Shiva affinché aprisse il suo terzo occhio per individuare quel peccatore, ma dopo tre notti di preghiere senza risposta ho capito che, probabilmente, il problema sono io!”
 
Un profondo sospiro pose fine alla confessione. L’idea che quella strega avesse passato notti intere a pregare una divinità, affinché questa si occupasse di qualcuno solo perché l’aveva chiamata con un altro nome, lo inquietò non poco; con Parvati ci sarebbe dovuto andare molto, molto cauto, altrimenti non aveva idea delle ripercussioni che avrebbe messo in campo contro di lui. Prudente, come se si trovasse all’interno di una gabbia con una tigre a digiuno da giorni, Elliott parlò:
 
“Immagino che non ti sia confidata con tua sorella…”
 
“Giammai!” stridulò Parvati, al punto che Elliott fece volare il quaderno d’appunti, “Non hai capito che il mio problema è proprio lei?!”
 
“Ma a quanto ho potuto constatare da ciò che mi dici, avete un bel rapporto voi due, non credi che…”
 
Il secondo salto del quaderno arrivò in concomitanza di un pugno che Parvati assestò sulla parete del bagno: “Senti, razza di secchione depravato, qui la questione è più che seria! Vedi di trovare una soluzione al mio problema, ci siamo capiti?!”
 
Ciò detto Parvati si alzò e, con voce soave, gli augurò una buona giornata, affermando che si sarebbero visti la settimana a venire. Elliott, con le braccia spianate contro la parete, attese con il fiato sospeso di sentire i passi di quella grifondoro allontanarsi ed infine abbandonare il bagno, in cui rimase finalmente solo. A quel punto il povero corvonero rilasciò il fiato: ancora una volta si chiese perché diavolo avesse deciso di assecondare Roger in quella folle impresa che, per il momento, lo stava solo facendo sudare freddo. Valutò l’idea di cominciare ad assumere tranquillanti, visto il senso di inadeguatezza provato nel far fronte a casi del genere: non si parlava solo di sesso purtroppo, qui si trattava di indagare nel profondo l’animo umano e lui, che di sensazioni forti sentiva di non provarne quasi mai, era sempre più convinto di non potercela fare. Inoltre c’era da aggiungere che il vero e proprio regime instauratosi ad Hogwarts, tramite la mano guantata di rosa confetto della professoressa Umbridge, aveva fatto salire l’ansia, sensazione che non era solito provare, a livelli inenarrabili. Era difatti terrorizzato dall’idea di essere beccato e l’ultima cosa che avrebbe voluto, l’apatico e studiosissimo Elliott, era una sospensione ad interim o, peggio, ad aeternum.
Affranto, raccolse il quaderno da terra e sarebbe stato anche pronto a defilarsi, non fosse che sentì la porta del bagno spalancarsi e, quella più piccina al suo fianco aprirsi e richiudersi con un colpo secco. Evidentemente Roger si era dimenticato di dirgli che aveva in programma un secondo appuntamento per la giornata; eppure Elliott era stato abbastanza chiaro sul suo serrato orario delle lezioni, a cui non avrebbe mai anteposto quell’occupazione, Priscilla gli era testimone. Ma ormai il paziente era entrato ed Elliott proprio non se la sentiva di abbandonarlo lì.
 
“Emh…salve, cosa posso fare per te?”
 
Nessuna risposta. Se fosse stata di nuovo Parvati se ne sarebbe accorto perché, probabilmente, le quattro mura del bagno non sarebbero sopravvissute una seconda volta alla sua ira. Forse era una ragazza che voleva usare davvero il bagno.
Andò in panico.
Fosse stato davvero così, quella povera studentessa l’avrebbe preso per un maniaco, per un voyeurista magari.
Il panico aumentò.
Immobile, Elliott attese un qualsiasi tipo di segnale, che fortunatamente per il suo cuore, che batteva in petto in maniera compulsiva, si concretizzò con un rumore di carta stropicciata. Gli occhi verdi calarono al suolo, raggiungendo lo spazietto d’aria al di sotto del divisorio: un serpentello di carta scura, incredibilmente simile ad un’anguilla, sguisciò nello spazio fino a risalire sulle gambe lunghe del mezzo svedese e schiudendosi infine sulle ginocchia. Elliott osservò a lungo quel pezzo di carta prima di avere il coraggio di afferrarlo con le dita lunghe, come se quello fosse portatore della peggiore spruzzolosi di tutti i tempi. Rilesse più volte quell’unica riga, costituita da una grafia nervosa e disordinata, nel tentativo di capire se il biglietto fosse realmente indirizzato a lui o se ci fosse stato un equivoco. Effettivamente che fosse un malinteso era da escludere visto che il messaggio era inequivocabile
 
Smettila con queste sedute, è meglio per te.
 
Ovviamente nessuna firma era posta in calce al biglietto, figuriamoci. Elliott si riebbe non appena sentì la porta adiacente aprirsi di nuovo e così, con gesto di grande coraggio, si alzò di scatto e s’affrettò ad uscire di lì:
 
“Ehi, aspetta!” gridò moderatamente, ma l’unica cosa che vide fu l’anta dell’ingresso ai bagni richiudersi. Fu totalmente inutile correre fuori e tentare di individuare qualcuno: il corridoio sembrava isolato.
 
*
 
Il caso Parvati lo aveva totalmente assorbito. Doveva trovare il modo di darle dei consigli validi che non fossero cose tipo ‘tagliati i capelli così non vi confonderanno più’, o altre simili frasi scontate che avrebbero scatenato l’ira della Patil grifondorina. Così Elliott, che non solo non ci capiva nulla di sentimenti, ma che era anche figlio unico e quindi non in grado di sperimentare il conflitto del legame fraterno, passava il suo tempo libero in biblioteca, tentando di approfondire l’argomento sui libri, unico mezzo a sua disposizione che, fino a quel momento, non l’aveva mai tradito. Inoltre quel biglietto minatorio lo aveva frastornato e, non fosse stato per Roger Davies, che fra allenamenti e rincorse di gonnelle lo affiancava e lo supportava, avrebbe mollato tutto.
Rifugiatosi in un angolo isolato della biblioteca, Elliott infilò la testa in un voluminoso tomo scritto dal famoso psicoanalista Arthur Goodhead che, nel quinto paragrafo di ‘La magia della psiche’, affrontava appunto il complesso di inferiorità. Egli enunciava con chiare parole, nascita, squilibri e soluzioni alla problematica:
 
‘Il superamento del complesso di inferiorità può avvenire solo e soltanto a seguito dell’inevitabile comprensione del fenomeno. Il soggetto in cui si riscontra tale complesso è fermamente convinto di possedere difetti evidenti a tutti…’
 
Grazie al diadema di Priscilla, signor Goodhead…da solo non ci sarei mai arrivato” sussurrò con ironia Elliott, che proseguì rapido nella lettura.
 
‘…Il complesso di inferiorità primario trova origine nell’infanzia, durante la quale l’educazione od il rapporto con i fratelli incidono nella predominanza di inadeguatezza e impotenza…’
 
Elliott chiuse il tomo di botto; un’illuminazione era arrivata alla testa come un’epifania e finalmente dopo tre giorni recluso a leggere stronzate psicanalitiche, il mago aveva capito cosa doveva fare. Se era vero che lui non possedeva metri di paragone, era altrettanto vero che poteva farsi una chiacchierata con una coppia di gemelli molto conosciuti ad Hogwarts: parlare con Fred e George Weasley gli avrebbe chiarito qualche dubbio ed era certo che quello fosse quantomeno un buon punto di partenza.
Riposto il libro con tutta fretta, Elliott recuperò le sue cose e corse fuori dalla biblioteca, alla ricerca di quei due grifondoro che avrebbero potuto aiutarlo. Recuperati mantello, sciarpa e cappello, s’apprestò ad avviarsi verso il campo da Quidditch, dopo aver recuperato l’utile informazione che la squadra grifondoro si stesse allenando proprio in quel momento. L’aria gelida gli sferzava il viso che, stranamente, assunse un tono decisamente più sano, sebbene le occhiaie rimasero, al solito, a cerchiare gli occhi che presero a lacrimare in risposta al vento. Arrivato finalmente in prossimità del campo, Elliott si domandò, mentre gli occhi indugiavano su una ragazza che stava planando a terra mentre tratteneva una palla sottobraccio, come diavolo facessero ad allenarsi con quel clima tanto ostile; non avrebbe mai compreso la passione per quello sport che, in ogni sua sfaccettatura, trovava faticoso, pericoloso e sinceramente stupido.
 
“Ehi, chi diavolo saresti?”
 
Quella voce squillante richiamò la sua attenzione; il corvonero abbassò di molto lo sguardo, fino ad incontrare la piccola figura di una strega dall’aria decisamente infuriata: mani sui fianchi, bocca imbronciata, occhi chiari e inquisitori, capelli rossi dal taglio corto, piuttosto disordinati, come la sua divisa del resto. Era evidente che la ragazzina avesse appena concluso gli allenamenti.
 
“Emh, ciao.” borbottò il ricurvo Elliott, grattandosi la nuca nascosta dal berretto di lana.
 
“Ti ho fatto una domanda: chi sei e che cosa ci fai qui? Non sei uno di noi, altrimenti t’avrei conosciuto.” rimbeccò quella, con cipiglio.
 
“I-io ecco…mi chiamo Elliott. Elliott Johansson ed effettivamente sarebbe quanto mai scorretto affermare che sia uno di voi per più di un motivo: numero uno…- prese ad enunciare lui, alzando l’indice –non gioco a Quidditch e non credo di saper distinguere un bolide da una pluffa, se non tramite la pura teoria; numero due: effettivamente appartengo alla casa di Priscilla Corvonero, quindi…”
 
L’ennesimo urlo, arrivato alle sue orecchie in quelle dure giornate, lo fece sussultare; quella strega che sembrava tanto graziosa nascondeva la voce di un’aquila:
 
“E se non sei uno di noi perché cazzo sei qui?! Ti ha mandato per caso quel coglione di Roger Davies a spiarci, eh?! Beh, di pure al tuo amico che può andarsene al diavolo, lui ed i suoi stupidi giochetti! Abbiamo già una marea di guai senza che ci si metta quel cascamorto di mezzo!”
 
Ciò detto, la ragazza gli dette le spalle pronta a marciare lontano. Elliott boccheggiò per qualche istante, prima di recuperarla con un paio di lunghe falcate.
 
“Ehi…aspetta, aspetta! Non sono qui per riferire nessuna strategia…ti assicuro che se mi conoscessi sapresti che il mio interesse per questo sport è praticamente nullo…di solito vengo sul campo solo quando sono obbligato dai miei amici e…”
 
La strega inchiodò, sbuffò e piroettò di nuovo verso di lui, facendolo arrestare di botto per evitare di caderle addosso.
 
“Ma quanto parli? Te lo hanno mai detto che sei logorroico, Elliott Johansson?”
 
“Veramente questo mi capita quando non mi si da la possibilità di…”
 
“Allora? Che cosa vuoi?” la strega incrociò le braccia “Non ho tutto il pomeriggio, sai? Devo andarmi a cambiare, quindi vedi di sbrigarti.”
 
Elliott poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui si era innervosito tanto, davanti ad una persona. Solitamente perdeva il controllo delle proprie emozioni solo e soltanto quando si trovava in stati d’alterazione da alcool od eccitanti d’altra natura, ma era davvero difficile che un essere umano riuscisse ad irritarlo in quel modo. Chiuse i pugni nel tentativo di trattenersi davanti tanta maleducazione.
 
“Cercavo George e Fred Weasley, avrei sincero bisogno di parlare con loro ed ho immaginato si trovassero sul campo per gli allenamenti…”
 
“Ma allora sei davvero fuori dal mondo, damerino! Non lo sai che quella testa di zucca della Umbridge ha espulso loro ed Harry Potter durante la partita con i serpeverde? È successo tipo tre settimane fa, motivo per il quale, pensa un po’, sono passata da riserva a titolare e, notizia dell’ultima ora, se te lo stessi chiedendo: no, non ne sono affatto contenta, stiamo facendo schifo! Ora scusami tanto, Elliott Johansson, ma devo andare.”
 
Bene. Senza assolutamente capirne il motivo, comunque Elliott aveva compreso che quella grifondoro lo odiasse. Era sicuro di non averla mai conosciuta e per quanto si stesse arrovellando il cervello, non aveva idea di cosa avesse potuto farle per meritarsi di essere trattato in quel modo scorbutico. Eppure la seconda lampadina della giornata s’accese: rapido, estrasse dalla borsa una penna ed un pezzo di pergamena sgualcita, quindi corse di nuovo incontro alla furia, che aveva quasi raggiunto gli spogliatoi femminili:
 
“Scusami, giuro che non ti disturberò più se mi farai questo favore…” Elliott giurò di vedere il corpicino acerbo vibrare di rabbia, così s’affrettò a proseguire, ponendosi davanti a lei ed allungandole il pezzo di carta –Potresti scrivermi qui il tuo nome e…non so, magari aggiungere che voglio solo parlare con loro di una questione importante?”
 
La strega puntò gli occhi glaciali in quelli di Elliott “Giura che ti toglierai dalle palle, se lo faccio.”
 
“Croce sul cuore.”
 
*
 
“Ancora con quel biglietto? Vamos, hombre, por favor!” Roger teneva un braccio poggiato intorno alle spalle della sua amica Lisa che, assieme al mezzo Uruguayano, spiava incuriosita l’anguilla di carta, spiegata nelle mani di Elliott. Quest’ultimo s’era rannicchiato su una delle poltrone della sala comune e stava mettendo a confronto il biglietto minatorio con quello scritto dalla grifondoro imbufalita.
 
“Non è lei,” borbottò fra sé, ignorando i due compagni di casa, che si scambiarono occhiate incerte “questa è una scrittura distintamente maschile, dovevo pensarci prima. Beh, almeno ho fatto un tentativo…ehi!”
 
Elliott allunò la mano tentando di recuperare il pezzetto di pergamena, ma Lisa Turpin fu decisamente più rapida di lui e, sogghignando, lesse ad alta voce il biglietto:
 
“Parlate con questo bradipo catalettico o non mi darà pace…” la strega inarcò un sopracciglio con aria divertita, prima di proseguire “Demelza Robins? Perché mai dovresti avere un biglietto di Demelza Robins?”
 
Roger, il re dei pettegoli, subito allungò l’occhio su quella grafia tonda e ingombrante:
 
Ohoh! Non mi avevi mai detto di intrattenere rapporti con quella tipetta! Non so se ritenermi offeso in seguito a questa omissione, oppure contento per te: una niña muy bonita!”
 
Elliott sospirò. Ovviamente avevano ridotto l’inizio di un’importante indagine investigativa a banali apprezzamenti fisici.
 
“Stavo solo cercando di capire chi mi avesse mandato quel biglietto, van…”
 
“Ti devi rilassare, Ells, goderti un po’ la vita! Sarà stato qualcuno invidioso della tua brillante testolina.” Roger sedette sul bracciolo e riconsegnò all’amico il biglietto sottratto a Lisa “Piuttosto: stai lavorando sul caso doppiapi?”
 
Lisa attivò nell’immediato le sue antenne “caso doppiapi? Che vuol dire? Di che si tratta?”
 
“Di questioni d’affari non si parla a tutti, carina.” Concluse Roger, con uno dei suoi sorrisi più splendenti mentre Elliott, rassegnato, affondò ancor più nella poltrona: doveva parlare con quei due gemelli il prima possibile.
 
*
 
“Quindi fammi capire Johansson: stai scrivendo un articolo sul giornalino scolastico e vorresti indagare il rapporto fra gemelli…” George Weasley era seduto su una comoda poltrona ai Tre Manici di Scopa e teneva le mani congiunte davanti al viso.
 
“E hai giustamente pensato di rivolgerti ai grandiosi gemelli Weasley per l’occasione. Ottima scelta amico.” Fred, seduto accanto al fratello, ammiccò compiaciuto. Prendere appuntamento con quei due era stata un’impresa ardua, ma fortunatamente l’uscita ad Hogsmeade di quel sabato era capitata a fagiuolo.
 
“Di questi tempi, sai…bisogna essere cauti: non si sa mai cosa o chi ti aspetta dietro l’angolo. Per tua fortuna ci hai consegnato il biglietto di Elzuccia, altrimenti ci saremmo visti costretti a declinare.” Proseguì George, mentre si guardava le unghie dandosi un tono.
 
“Vi ringrazio per avere accolto con positività questo incontro.” Elliott sfilò il cappello di lana facendo schizzare i capelli neri, così sedette ricurvo davanti a loro e, tirando fuori il suo taccuino, iniziò a porre domande ben calcolate. Quei due non dovevano capire cosa ci fosse sotto, altrimenti avrebbe tradito la fiducia posta alle basi del rapporto che sussisteva tra paziente e magiterapista. Gli sarebbe bastato, più avanti, dichiarare che l’articolo era stato tagliato per fare posto alla classifica delle sette streghe più talentuose di Hogwarts e sarebbe andato tutto liscio.
Certo, il corvonero non si sarebbe aspettato tanta difficoltà nel mantenere alta la concentrazione di quei due che, ogni due minuti, salutavano qualcuno o scoppiavano a ridere per qualche battuta di cui, ovviamente, Elliott non capiva il senso. Fortunatamente dopo più di un’ora, il mago riuscì a tirare fuori qualcosa di sensato:
 
“Insicuri e gelosi dell’altro? Il punto è un altro amico: bisogna saper sfruttare le occasioni! Sai quante volte Georgie ed io abbiamo sfruttato a nostro vantaggio l’essere come due gocce d’acqua?”
 
“Esatto,” si introdusse George “una bella ragazza crede sia Fred? E chissenefrega? Siamo identici! Fin quando la cosa non si fa seria, tanto meglio per noi.”
 
“Ben detto fratello!” I gemelli si dettero il cinque, seguito da una serie di pugnetti e schiaffetti che, evidentemente, sancivano un’intima complicità. Nonostante l’assoluta frivolezza con cui avevano trattato l’argomento, Elliott aveva estrapolato ciò che reputò più utile: avrebbe dovuto semplicemente dire a Parvati di vedere il ‘ bicchiere mezzo pieno ’, tanto per dirla alla babbana; nessun sotterfugio o necessità di distinguersi, che avrebbe comportato un accrescimento dell’ansia da prestazione, bensì un atteggiamento più sano e menefreghista.
Elliott lasciò i due gemelli alle loro battute e, dopo aver ringraziato, si defilò, decidendo che era giunto il momento di tornarsene ad Hogwarts.
 
*
 
“…Per questo ti dico che, la prossima volta, potresti cercare di ignorare la cosa. Tu sai chi sei e devi essere fiera di te; vedrai che lo capirà anche quel Gregor o chi per lui, l’importante è tenersi ben distante dalla competizione con tua sorella e rammenta che siete due persone ben distinte. Ricordati chi sei e cosa vuoi, Parvati.”
 
Il glorioso discorso venne accolto con singhiozzi e ringraziamenti, dalla grifondoro. In realtà Elliott era convinto di aver detto un sacco di assurdità eppure, con ogni evidenza, le sue parole avevano fatto centro. Parvati spalancò la porta del bagno di Elliott e letteralmente si gettò ad abbracciarlo; lui, che era uno che si destabilizzava con facilità disarmante in presenza del contatto fisico, s’era fatto rigido come la statua di Boris il Basito e pallido come la Dama Grigia in una giornata di pioggia. Ciò nonostante regalò alla strega un paio di pacche sulla spalla, convinto che quella non l’avrebbe smollato, se non avesse ottenuto una qualche reazione da parte sua.
Quando Parvati se ne andò (ma non prima di aver detto “e comunque Padma ha un neo sotto il capezzolo sinistro alquanto bruttino”, informazione che Elliott non aveva alcuna premura di apprendere), il mago s’alzò dalla sua seduta e prima d’andarsene lanciò, come di consueto, uno sguardo all’altro bagno per controllare che fosse tutto in ordine.
Ma i suoi grandi occhi verdi s’allargarono ancor più, alla vista di una piccola scritta in rosso posta sul divisorio, che era più che certo non fosse mai stata lì prima d’ora:
 
Secondo avvertimento: chiudi qui questa buffonata!
 
Era più che ovvio che Roger avrebbe dovuto dargli ascolto, ne valeva della sua incolumità; o quantomeno della sua più che brillante carriera scolastica, valutò Elliott mentre estraeva la sua bacchetta di faggio, con la quale cancello quel messaggio minaccioso.

 

Chiedo venia per il mio spagnolo terribile. Dovessero esserci degli errori, per piacere fatemelo notare.
 
Influenza più solitudine per qualche giorno, uguale capitolo delirante. Insomma, qui il mistero si infittisce. Questo poveraccio di Elliott ha ricevuto serie minacce ed ha avuto a che fare con un caso particolarmente ostico. A proposito di Parvati: sussiste la solita ambiguità del nome; chi la nomina Calì, chi Parvati; io semplicemente ho scelto il nome che preferisco.
 
Per quanto riguarda invece quella piccola furia di Demelza Robins: non ho trovato notizie certe sulla sua data di nascita e sinceramente non ricordo se sui libri viene specificato quando avviene il suo smistamento; per questo ho scelto di inserirla nello stesso anno del golden trio. Inoltre so che Demelza entrerà ufficialmente come titolare nella squadra di Quidditch solo durante il sesto anno di Harry e Ron, ma ho deciso di approfittare della squalifica dei gemelli ed Harry dalla squadra e l’ho introdotta in anticipo.
 
A proposito di età: Elliott, nato il 7 Ottobre 1978, frequenta il sesto anno nel momento in cui è ambientata la storia, mentre il suo amico Roger, sebbene sia nato presumibilmente nello stesso anno ma prima del primo di Settembre, frequenta l’ultimo anno.
 
Mi preme infine accontentare la richiesta di Francy, quindi vi inserisco l’illuminante immagine di Elliott, sfinito dopo una sessione di terapia.
 

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Capitolo 3
*** Caso clinico 2: L'Insospettabile ***


Capitolo II
Caso clinico 2: L’insospettabile
 
A seguito dell’ennesima notte passata praticamente in bianco, causa la sua insonnia che si premurava di non allontanarsi mai da lui, Elliott si recò di buon mattino nella Sala Grande, nella speranza che la colazione risollevasse le sorti di quella giornata. Beh, forse sarebbe meglio dire che il corvonero si trascinò lungo la scalinata fino ad approdare, spettinato più del solito e con la divisa fuori posto, al tavolo riservato alla sua casa. La faccia spiaccicata sui palmi delle mani, gli occhi abbottonati, la bocca socchiusa. Elliott era l’esempio di quanto il famoso detto ‘il mattino ha l’oro in bocca’ fosse quanto di più lontano dalla realtà, in quanto nella sua, di bocca, non c’erano che gorgoglii, a dimostrazione di tutto il suo disappunto nei confronti della vita.
Afferrò con svogliatezza patologica un pasticciotto alla crema, a cui dette un fugace morso. Le lezioni, lo studio ed ora il nuovo lavoro avevano ridotto drasticamente i momenti ricreativi di Elliott, che si vide costretto a riproporzionare, per buona misura, il suo tempo ludico.
La solitudine cominciò a mancargli; lui, le cuffie del suo walkman scassato che si ostinava a riparare con solerzia e una sacrosanta canna serale. Si ritrovò a fantasticare con la mente semi addormentata su quanto quelli lì fossero fra i momenti più magici passati ad Hogwarts anche se, letteralmente parlando, di magico non avevano un bel niente.  Il tavolo cominciava ad affollarsi, eppure Elliott non sembrò curarsene, non fosse per una voce squillante, accompagnata da un dolce aroma di patchouli.
 
“Tesoro! Buongiorno!”
 
Sicuro Parvati non stava parlando con lui, si sbrigò a pensare Elliott, se non fosse che due piccole braccia olivastre gli stritolarono il collo, rischiando di farlo strozzare con il boccone del pasticciotto appena attaccato.
 
Coff coff! B-buongiorno a te P-Parvati…coff coff!”
 
La solitudine, purtroppo, non rimase che una malinconica figura da non poter più sfiorare neanche col pensiero. Terrorizzato da quel moto di gioia rivolta nei suoi confronti, a cui non era nient’affatto abituato (e neppure voleva abituarsi, in realtà), Elliott si liberò con garbo dalla presa octopussiana della Patil, la quale con versetti al mago incomprensibili, lo riagganciò nell’imminente con la volontà di farlo alzare. Pallido ed impaurito, Elliott puntò infine l’attenzione sul gruppetto di grifondoro che lo guardava con ammirazione; già, perché Parvati s’era premurata di portare al seguito la sua amica Lavanda Brown e tale Romilda Vane, entrambe apparentemente ammaliate dalla figura di Elliott Johansson.
 
“Vieni al nostro tavolo, si?”
 
Non stava capendo. Raramente Elliott comprendeva l’ironia, ma in quel caso qualcosa gli stava dicendo che Parvati fosse sinceramente entusiasta di trascinarlo via dal tavolo Corvonero e catapultarlo in quello che, di fatto, non era che un incubo. Non poté controbattere perché la grifondoro non gli dette il tempo di ribellarsi a quell’invito tirando su una qualsiasi scusa poco credibile; qualcosa di diverso da ‘lasciami stare, voglio liquefarmi e perire nell’oblio’, o altre scomode verità.
 
“Ehi! Andate senza di me?! E poi come fai a conoscere Johansson? E cos’è tutta questa confidenza?! Parvati!”
 
Padma fissava sgomenta la scena e mentre Lavanda e Romilda lo strattonavano chi da un braccio chi dall’altro, Elliott lanciò uno sguardo ricco di rammarico alla compagna di casa, a differenza di Parvati che si limitò ad abbaiare alla gemella che non sempre dovevano condividere ogni cosa, loro due.
Mentre lo costringevano a sedersi al loro tavolo, Elliott tentò anche di muovere rimostranze compite, asserendo che la Umbridge non avrebbe affatto approvato, ma Lavanda Brown lo zittì con rapidità; secondo lei c’era talmente tanta confusione in Sala Grande e lui era così anonimo, che quella faccia da rospo non si sarebbe mai accorta di nulla. Qualsiasi altro tentativo di ribellione fu presto sedato ed Elliott si ritrovò circondato da cinguettii frivoli ed allegri.
 
“Abbiamo saputo quello che hai fatto per Parvati; devi essere davvero una persona speciale!” attaccò, Romilda.
 
“Ma veramente io…”
 
“Gli amici di Vati sono anche nostri amici. Toh, mangia, su!” Lavanda gli infilò in bocca un gran pezzo di crostata di mele, nonostante Elliott avesse espresso ritrosia nei confronti del frutto.
A quanto aveva capito, il giovane Johansson, era appena stato ufficialmente ammesso nel gruppo delle grifondoro e defilarsi non era preventivato, non da quelle che in un batter d’occhio lo avevano coinvolto nelle loro chiacchiere mattutine. Avrebbe senza ombra di dubbio preferito rimanere nell’ombra; sarebbe stato meglio che Parvati continuasse ad appellarlo con parole scortesi, piuttosto che prendesse a tocchicciarlo per sistemargli la camicia o i capelli, cosa che sua madre stessa si era sempre ben guardata dal fare, visto che suo figlio aveva cominciato ad occuparsi da sé delle sue cose a soli 5 anni. Nel frattempo l’intero tavolo dei grifondoro lo osservava con curiosità, chi ammiccando, chi mandando in giro pettegolezzi tipo ‘Non sapevo che quello strano fosse gay’; ebbene si, essere accolto in un gruppo di sole femmine che non facevano altro che ricamare pettegolezzi doveva infatti essere sinonimo di omosessualità, per le semplici menti adolescenti dei suoi compagni.
Elliott sentì l’impellente bisogno di scavarsi una fossa molto profonda, gettarcisi dentro e non riemergere mai più.
 
Porco Salazar, sei anche qui, ora?!”
 
Elliott portò pollice ed indice a stringere l’incipit del naso mentre, rassegnato, chiudeva gli occhi. Ebbe il coraggio di riaprirli solo nel momento in cui sentì un gran sbatacchiare di piatti e posate proprio di fronte a lui. Gli occhi chiari di Demelza Robins lo ispezionavano furibondi, mentre il suo labbro superiore tremolava in maniera inquietante. Elliott era convinto che di lì a poco quella bocca tornita si sarebbe spalancata e, come il più fragile vaso di Pandora, avrebbe dato il via libera ad una lunga serie di temibili mostruosità. E la cosa peggiore fu che il suo intelletto aveva avuto ragione ancora una volta, ahi lui. La ragazza cominciò ad attaccarlo verbalmente, con quella sua vocina acuta e melodiosa, che mai e poi mai nessuno al mondo avrebbe accostato a tali amenità.
In sequenza Demelza lo appellò:
 
Pasticcio di sterco.
Granatina di caccole di emù.
Palla di lumache seccate (come dovrebbero mai essere poi, delle lumache seccate, Elliott non riusciva proprio ad arrivarci).
Omuncolo orticante.
Fagiolo al cianuro.
 
Ed una lunga serie di altri appellativi che il corvonero si sforzò di rimuovere dalla mente. Allibite davanti all’eruzione della loro compagna di casa, nonché amica, Parvati e le altre due rimasero ammutolite per un po’ mentre il ragazzo, sconfitto dalla furia Robins che stava dando il peggio di sé (a quell’ora del mattino, poi), si grattava quando la nuca, quando la guancia scavata.
Calmatasi quasi di botto, Demelza raccattò la sua borsa, augurò ad Elliott un feroce mal di pancia e se ne andò, solo dopo avergli mostrato il suo gracile e pallido dito medio dall’unghia mangiucchiata.
 
“Non chiedetemelo,” le anticipò il mago, mentre affondava nuovamente il naso nella tazza di caffè “non ho idea del motivo per il quale la vostra amica mi abbia definito granatina di caccole di emù.”
 
“Scusala, dolcezza, ultimamente Elza è un po’ suscettibile. Colpa del Quidditch…” disse Parvati, mentre tentava di imboccarlo.
 
“dei G.U.F.O. …” aggiunse Romilda, pulendogli l’angolo della bocca.
 
“Di quel troglodita di Smith.” Si insinuò Lavanda, sistemandogli il colletto della camicia.
Gli occhi stanchi di Elliott fluttuarono sulla figura di Roger che, passando davanti alla scena, prima spalancò la bocca ed allargò le braccia, poi espose le due candide file di denti perfetti in un sorriso ed alzò entrambi i pollici all’amico.
Ma per Elliott, quello, non era che l’inferno in terra.
 
*
 
Fortunatamente il clan delle grifondoro non frequentava le sue stesse lezioni, essendo tutte del quinto anno. Elliott era stato quindi in grado di rinchiudersi nella sua agognata bolla di solitudine; purtroppo per colpa delle tre non aveva avuto tempo per comunicare con Roger, che si era limitato a sussurrargli un flebile perdóname, prima di schizzare via dalla sala comune. Il corvonero pensò che si riferisse alle mancate informazioni relative al paziente dall’identità sconosciuta che, di lì ad un paio d’ore, avrebbe dovuto incontrare. Difatti dopo il caso Parvati, Elliott aveva scongiurato Roger di metterlo al corrente almeno del nome di chi avrebbe dovuto incontrare, per non ricevere brutte sorprese inaspettate.
Chiuso nel bagno e munito di blocco d’appunti, Elliott attendeva con pazienza l’arrivo dello sconosciuto, sperando con tutto se stesso di risolvere la questione nel giro di un unico incontro. Quando sentì la porta del bagno al suo fianco cigolare si schiarì la voce, ma sudore gelido imperlò la sua fronte pallida, appena alle sue orecchie arrivò un miagolio conosciuto.
 
Oh no. Non era possibile. Quella doveva essere Mrs Purr.
 
“Buona, piccola mia: vieni qui, da brava.”
 
Elliott si trovava già altrove con la mente. Il ragazzo stava organizzando i suoi bagagli, convinto che quella volta si sarebbe guadagnato l’espulsione. Difatti se al bagno accanto si trovava Messer Gazza in compagnia di quell’odioso felino dagli occhi di brace, Elliott non aveva il coraggio di immaginare cosa sarebbe accaduto appena il suo paziente avesse tentato di mettere piede nel bagno per iniziare la seduta. Cosa avrebbe dovuto dire, per scagionarsi? Che era stato costretto? Che lo faceva solo per beneficienza? E se lo studente avesse vuotato il sacco, dichiarando di aver pagato ben cinque galeoni, per quella buffonata?
 
“C’è nessuno? Forza ragazzo, non ho tutto il giorno libero, io!”
 
Panico. L’autore dei numerosi biglietti minatori doveva avergli teso un’imboscata, avvisando Gazza di quanto stesse succedendo, da settimane, nel bagno del terzo piano. Maledisse la sua impotenza, in quanto sapeva bene che smaterializzarsi nei confini di Hogwarts era pressoché impossibile, sempre che ne fosse stato in grado. Elliott era in un vicolo cieco e l’unica cosa che fu in grado di fare, fu deglutire.
 
“Allora?! Ho pagato con il silenzio questo incontro! Se non vuoi che trascini la tua pustolosa faccia da ragazzino dalla Signora preside, ti conviene darti da fare!”
 
Fu così che Elliott capì cosa fosse successo. Pare infatti che Roger fosse stato messo alle strette dal custode, che era stato avvertito da Draco Malfoy, membro della squadra d’inquisizione di Hogwarts, su quanto accadesse all’interno delle mura del bagno. Gazza ridacchiò malvagio mentre si spendeva nei dettagli di quel racconto, che Elliott ascoltava senza il coraggio di dire una sola parola.
 
“Ho quindi informato il tuo amico che c’era solo un modo per risparmiarvi di essere buttati fuori a calci.”
 
“E qui entro in gioco io, immagino.”
 
Fu così che ebbe inizio la tragicomica seduta con quel magonò. Inutile dire che non avrebbero visto un solo zellino, da Argus Gazza e che a rimetterci sarebbe stato solo Elliott.
Tentando di mantenere la concentrazione e di decelerare il battito del suo povero cuore che, ultimamente, veniva spesso messo alla prova, Elliott si sforzò di non ridere nell’ascoltare quelle confessioni. Pare infatti che il custode avesse preso una bella sbandata per una prosperosa strega che tutti, dentro e fuori la scuola, conoscevano assai bene. Già, perché madama Rosmerta era oggetto di desiderio di moltissimi maghi e trascinava dietro di sé anche lo sguardo di qualche strega. Ella, padrona dei Tre Manici di Scopa, emanava un profumo irresistibile e famosi erano i suoi sorrisi raggianti, che illuminavano il viso maturo ma mai demodé. Vecchi e ragazzi avevano sognato, almeno una volta nella vita, le curve giunoniche della strega e molti letti erano state culle di ricami scabrosi, con la di lei immagine impressa nella mente.
Era dunque ovvio, il motivo per cui sarebbe stato cacciato dalla scuola, il povero Elliott: come poteva, lo sfortunato mago, fare in modo che quel magonò imbevuto di naftalina avesse anche solo una misera possibilità, con Rosmerta? Ma Gazza fu chiaro e le sue minacce giunsero assieme alle ipnotiche fusa di Mrs Purr:
 
“Attento a te, Johansson! O mi aiuterai a conquistare Rosmerta, oppure di pure addio alla Torre Corvonero: te ne tornerai nella pulciosa Londra babbana in quattro e quattr’otto!”
 
Alla fine la diplomazia e l’arguzia di Elliott erano riusciti a giungere ad un compromesso: Argus Gazza avrebbe ottenuto un solo appuntamento, con madama Rosmerta, ma di quello che ne sarebbe stato poi, erano affari del custode.
Quando Gazza abbandonò il bagno, Elliott sprofondò la testa fra le ginocchia ossute. Improvvisamente le minacce della Patil erano diventate come note di una dolce canzone, messe a confronto con quelle mosse da Gazza. Nemmeno fece caso all’ennesima biscia di carta che si insinuò sotto l’orlo dei pantaloni, tanto era lo sconforto che lo attanagliava.
L’impresa era impossibile. Quella volta non ce l’avrebbe fatta.
 
*
 
Te lo aseguro, amigo! Non potevo fare altrimenti…ci avrebbe fatti cacciare subito se non avessi accettato!”
 
Roger Davies agitava le braccia mentre Elliott sbofonchiava rammaricato, tra una boccata di fumo e l’altra.
 
Förbannelse (1)…sono fottuto. Lo sapevo che sarebbe stata una pessima idea, non avrei dovuto darti ascolto!”
 
Roger si accigliò, cosa che fece subito sentire in colpa Elliott. Sapeva che non fosse giusto addossare tutta la colpa a Roger, in quanto il problema non era che il suo e del suo essere assolutamente incapace di imporre la propria idea. Aveva accettato di mettere in piedi quella follia ed ora ne pagava le conseguenze. Espirò una grande boccata di quella salvifica canna, prima di dare una discreta pacca sulla spalla al capitano:
 
“Scusami, Van…sono solo sotto pressione.”
 
“Sai che ci sono per te.” Rispose Roger, prima di rifilare un abbraccio a tradimento all’amico, “Insieme ne usciremo, tranquillo.”
 
Capitaaaanooo…”
 
Una cantilena sinuosa fece staccare subito il capitano corvonero da quell’abbraccio: “Arrivo dolcezza!” e così come era arrivato, Roger Davies scomparse dietro l’angolo della Torre, presumibilmente per infilarsi sotto la gonna di qualche compagna di casa. Insieme ne usciremo…seee, come no. Doveva aspettarselo, Elliott, che il richiamo di una sirena sarebbe stato più potente dell’ombra dell’espulsione, per Roger.
Poggiato alla balaustra della torre e con lo sguardo perso sulle sponde del lago nero, Elliott realizzò che se la sarebbe dovuta cavare da solo anche in quell’occasione. Tanto per aggiungere ansia all’ansia, come se non ne avesse abbastanza di motivi per palpitare, trattenne la canna in bocca ed estrasse dalla tasca l’ultima anguilla di carta, ricevuta proprio quel pomeriggio.
 
L’inserviente non è il tuo vero nemico: io lo sono!
 
Gli occhi rotearono fino al cielo: non aveva intenzione di finire ridotto in cenere, ma la speranza di un futuro longevo si assottigliava ogni giorno di più.
 
*
 
Perché?
Perché era ad una partita di Quidditch che, tra l’altro, non vedeva schierata in campo la squadra Corvonero?
Perché era stato trascinato fra gli spalti Grifondoro?
Perché, stretta nel guanto di lana –maledizione, si congelava quel giorno- teneva una bandierina rosso e oro?
 
“Devi tifare per noi, cucciolotto! Dobbiamo asfaltare quei bastardi serpeverde e abbiamo bisogno di tutto l’appoggio possibile!”
 
Che non fosse minimamente interessato allo sport, Elliott decise di tenerselo per sé in quanto aveva intravisto, in quella paradossale situazione, uno spiraglio di luce. Se la Patil e le altre grifondorine si erano tanto fissate con lui e pretendevano la sua presenza costante, doveva pur approfittarne in qualche modo.
 
“Emh, senti Parvati…mi trovo in una situazione alquanto ostica con un certo paziente…”
 
Parvati mandò a benedire il Quidditch all’istante; bastò infatti che la strega sentisse odor di pettegolezzi, perché si trovasse totalmente rapita dal mago al suo fianco.
 
“Sono tutt’orecchie!”
 
“Ecco vedi…questa persona ha difficoltà a guadagnarsi l’attenzione del proprio oggetto del desiderio. Non ti nego che trovo il suo caso parzialmente irrecuperabile e non ho la minima idea di cosa potrei consigliare…”
 
“A che casa appartiene? Quanti anni ha? Le sue materie preferite?!”
 
“Temo di non poterti dare queste informazioni: l’etica professionale, sai…”
 
Parvati sbuffò, vedendosi sfumare sotto il naso la possibilità di ampliare le sue già incommensurabili conoscenze, in fatto di dicerie.
 
“La tua integrità morale è molto noiosa…comunque sentiamo, qual è il problema?”
 
“Ecco vedi…temo che il soggetto in questione non possieda nemmeno una qualità.” Affranto e sconfitto da quell’evidenza, Elliott si incurvò nelle spalle ed affondò la bocca nella sciarpa.
 
“Sei troppo eccessivo, caro mio! Ci deve pur essere qualcosa di buono in questa persona.”
 
“Niente, nemmeno un unghia del mignolo.”
 
Non poteva di certo spiegare alla ragazza che si trattava di Argus Gazza, l’irritante, acido, pietoso, dall’aspetto di uno straccio consumato, magonò a controllo dei corridoi di Hogwarts. Tutto di lui era sbagliato, agli occhi di Elliott e contrariamente al solito, faticava moltissimo a scovarne il lato positivo.
 
“Beh…io punterei su due fattori: il primo,” disse Parvati, alzando il pollice “i punti in comune: ci sarà pur qualcosa che accomuna questi due. Il secondo è l’effetto sorpresa: se il bell’aspetto non può essere una spinta in più e a quanto ho capito non è così, bisognerà puntare sullo stupore…deve mostrare qualcosa che sa che può rivelarsi utile all’altra persona. Da lì ad almeno un appuntamento dovrebbe essere un passaggio rapido. Ma adesso vuoi dirmi chi…ehi!”
 
“Grazie! Permesso…scusate, permesso…”
 
Santa Parvati. Appuntò nella mente di accendere dell’incenso in favore della lunga serie di divinità venerate dalla grifondoro, per aver dipanato i suoi dubbi a tal proposito. Cos’avevano in comune il custode e la proprietaria dei Tre Manici di Scopa? E come poteva, un magonò, rivelarsi utile alla strega? Elliott, questo, lo sapeva. In realtà un qualsiasi attento osservatore ci sarebbe arrivato, ma il corvonero valutò che nessuno si era mai interessato a scoprire possibili affinità fra i due.
Se c’era una cosa, quindi, che accumunava quelle due persone diametralmente opposte, era una: gatti.
 
*
 
“Lei deve rimanere qui, dovrà sembrare casuale, gliel’ho spiegato.”
 
Argus Gazza sbuffò, facendo ondulare appena una ciocca di capelli cosparsa da una dose decisamente eccessiva di brillantina.
 
“Va bene, ma fa in fretta! Non è stato facile procurarti il permesso per venire ad Hogsmeade…per fortuna che quella donna mi adora!”
 
Elliott tentò di reprimere i brividi al pensiero di Dolores Umbridge e ciò detto varcò la soglia dei Tre Manici di Scopa.
 
“E tu che ci fai qui? Non sei mica uno studente, eh? Comunque il locale è ancora chiuso!”
 
Splendida come la dea dell’abbondanza, madama Rosmerta fissava Elliott da dietro il bancone con le mani a strizzare i fianchi.
 
“Mi perdoni, ma sono stato mandato qui per…recuperare…recuperare il mantello di…”
 
“Qui di mantelli non ce ne sono. Ora scusami caro, ma sono molto impegnata.”
 
Rosmerta voltò le spalle e si defilò sul retro del locale, lasciando una scia di delizioso aroma al gelsomino vagheggiare nell’aria. Il ragazzo rimase in attesa, fin quando non sentì la voce lacrimosa della donna.
 
“Forza Fuli…perché non mangi? La mamma è tanto preoccupata!”
 
Bene. Il suo piano stava andando a gonfie vele. Il ragazzo s’accostò alla porta basculante e dopo essersi schiarito la voce, si rivolse a Rosmerta, china su un grazioso gatto dal pelo lucido come l’inchiostro che, ad ogni sua carezza, scansava il musetto.
 
“Tutto bene?” osò lui.
 
“Fuliggine non vuole mangiare…sono due giorni che si rifiuta e non capisco proprio cos’abbia!”
 
“Oh, che guaio…ci vorrebbe proprio un interprete!” Elliott quasi urlò quell’ultima parola ed in un attimo, Argus Gazza con alle calcagna Mrs Purr, fecero il loro ingresso. Elliott indirizzò muti e disarticolati gesti in sua direzione, incitandolo a recitare la parte.
 
“Eh…ah, si…Allora ragazzo! Muoviti, hai trovato il mantello? Non possiamo dare fastidio a madama Rosmerta tutto il giorno!”
 
Nel sentire la voce del custode, la donna emerse dal retro e su di lui puntò i verdi occhi commossi:
 
“Argus! Grazie a Tosca sei qui…non so che pesci prendere; il mio tesoro non vuole saperne di mangiare, mi sta spezzando il cuore!”
 
“Mia signora, lei sa che sono sempre pronto a supportarla…” Gazza strizzò l’occhio ad Elliott che, di tutta risposta, si mise la mano sulla faccia. “Mrs Purr…perché non chiedi al tuo amico cos’ha che non va?”
 
La gatta, inizialmente ritrosa, scosse il muso e s’avviò sul retro del locale con il fare da ‘ho capito, ci devo pensare io’. Rosmerta attendeva sospirante che l’animale tornasse e nell’attesa offrì succo di zucca ad entrambi. Elliott tirò, di nascosto, un paio di gomitate al magonò, imbambolato davanti a cotanta abbondanza e beltà. Così i minuti trascorsero fra il boccheggiare di Gazza ed i bislacchi tentativi di conversazione del corvonero. Quando la porta di legno cigolò e da quella apparse Mrs Purr che, lesta, zampettò elegante verso il padrone, Rosmerta congiunse le mani ed attese che il felino si confidasse.
 
“Quindi? Cosa ha detto?”
 
Miagolio dopo miagolio, il sorriso di Gazza s’allargò sul viso.
 
“Mia signora, pare che il suo Fuli non abbia nulla di grave, se non la voglia di variare la propria alimentazione!”
 
“Per tutte le streghe di Salem! Solo questo?! Gliela farò vedere io a quel malandrino, ho passato due notti in bianco per la preoccupazione!”
 
Era fatta, Elliott era riuscito nell’ardua impresa. Già, perché seppur Gazza non nascondesse nemmeno l’ombra di una misera qualità, pare che quel patologico amore che Mrs Purr provava per l’uomo lo avesse salvato. Ella difatti acconsentì ad aiutare il padrone non sopportando l’idea di vederlo così giù. Pare che Fuliggine avesse una bella cotta per quella malefica micia e quest’ultima gli aveva promesso un appuntamento, se lui avesse finto l’inappetenza. Ovviamente si era strafogato di nascosto da Madama Rosmerta con i resti del cibo servito agli avventori del locale, ma questo la strega non l’avrebbe mai saputo.
Così Elliott, tolto questo macigno dalle spalle, aveva lasciato Argus Gazza e Madama Rosmerta in fitte chiacchiere; il magonò si fece lustro della sua capacità di saper comunicare con Mrs Purr che, controvoglia, concesse l’appuntamento galante a Fuli.
 
Insomma, tutto è bene quel che finisce bene.
 
*
 
“Si può sapere quindi chi era questo paziente?”
 
“Non posso dirtelo…ma ti ringrazio; sei riuscita a fornirmi un valido aiuto.”
 
“Per te questo ed altro, gioia!”
 
Ormai Elliott cominciava ad abituarsi alla presenza invadente di Parvati, che non perdeva l’occasione di strizzargli le guance, abbracciarlo, prenderlo sotto braccio e via dicendo. Roger aveva provato a spingerlo fra le braccia della ragazza, asserendo che avrebbe avuto bisogno di qualche lezione a proposito di amore tantrico, allusioni di pessimo gusto che sapevano di razzista; da un mezzo Uruguayano, poi! Comunque il corvonero era ben consapevole che Parvati avesse solo trovato l’amichetto di sesso maschile in lui, da accudire ed educare e, di contro, Elliott era smosso dalla ragazza come un monolite all’alitare di un bimbo di tre anni.
Insomma, Elliott era irrecuperabile. Nessuna al mondo riusciva a smuoverlo di un millimetro e si trovò a pensare che, con ogni probabilità, sarebbe morto solo, nella culla dell’apatia.
 
“Senti Parvati…devo chiederti un altro piccolo favore.” Infilò la mano nella tasca e tirò fuori uno dei tanti chartanimus ricevuti nell’ultimo mese, che si scartò sotto gli occhi curiosi della Patil “Mi sapresti dire se riconosci questa scrittura?”
 
Dissolvititotano congelato? Dovrebbe essere un insulto? Chi mai ti lusinga così?”
 
“È proprio quello che sto cercando di scoprire.”
 
“Dai qua…fammi vedere meglio.”
 
Parvati assottigliò lo sguardo, per poi sgranarlo di botto: “Ma certo che la riconosco! Ho visto decine di lettere d’amore, scritte da lui: è senza ombra di dubbio la scrittura di quell’imbranato di Zacharias Smith.”
 
“Zacharias Smith…? Dimmi, ne sei assolutamente sicura?”
 
“Sicurissima. Elza ha ricevuto valanghe di sue lettere…patetico!”
 
Elliott stentò a crederci. Perché mai Zacharias Smith lo stava minacciando, quando continuava a recarsi da lui con regolarità? Qualcosa bolliva nel calderone ed Elliott era deciso a vederci chiaro. Del resto gli enigmi erano irresistibili, per la sua infinita sete di conoscenza.
Avrebbe fatto in modo di mettere all’angolo quel tassorosso, in un modo o nell’altro.
 
 


(1) Förbannelse. In svedese “maledizione”. (Grazie come sempre, google.)
 
Ecco qui il nostro cupido, immancabilmente presente nel giorno di San Valentino. L’impresa è stata delle più ardue: Argus Gazza che attira la prosperosa madama Rosmerta? In quale libro si legge di questa follia? Voglio tranquillizzarvi: in nessuno, la Rowling non è mai arrivata a tanto. Semplicemente ho approfittato di una delle drabble che fanno parte della mia raccolta natalizia “La conta dell’agrifoglio” che li ha visti protagonisti; il resto è venuto da sé. Povero Elliott, sono proprio una pessima madre…gli sto facendo passare le pene dell’inferno. Comunque spezziamo una lancia in favore di Gazza: chi ama i gatti non può essere davvero una pessima persona, giusto?
E poi…zan zan zan! Pare proprio che i biglietti siano stati scritti dall’odioso Zacharias Smith, che io ribadisco di odiare fortissimo. Cosa sarà accaduto? Perché mai il tassorosso desidera che il suo terapista smetta di esercitare?
Lo scopriremo solo vivendo.
Grazie di essere con me in questa follia.
 
Bri

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Capitolo 4
*** Caso clinico 3: La menzognera prova del nove ***


Capitolo III
Caso clinico 3: La menzognera prova del nove
 
 
La notorietà di Elliott Johansson cresceva a dismisura, cosa di cui il ragazzo faticava a comprenderne la natura. Possibile mai che da un perfetto Signor Nessuno, snobbato dai più ed evitato da molti, si fosse improvvisamente trasformato in un gioiello ricercato? Non più solo il gruppo delle grifondorine: il corvonero era assediato da un manipolo di studenti pronti a coprirlo d’oro, pur di ricevere da lui qualche consiglio. Così che Elliott si vide costretto a frenare Roger, il quale stava riempiendo la sua agenda senza lasciarlo con un solo momento libero. Insomma: le sedute con il dottor Johansson stavano diventando esclusive e solo chi s’era mosso in anticipo, poteva sperare di ricevere dei consulti.
Elliott non era lasciato mai solo, nemmeno un secondo; appena provava ad avvicinarsi ad un qualsiasi bagno, solo ed esclusivamente per adempiere allo svolgimento delle proprie funzioni vitali, veniva assaltato senza alcuna pietà, obbligandolo a scappare via con la vescica ancora piena, cosa che gli recava gran frustrazione. Mentre le tasche si gonfiavano di galeoni, la sua sanità mentale andava via via distruggendosi e questo non andava affatto bene.
Inoltre Elliott capì che la famosa prova del nove del caso Gazza, fosse stata solo un’ulteriore conferma di quanto questa fosse poco attendibile. Durante la frequenza delle scuole primarie, il piccolissimo nato babbano, al tempo ignaro di essere munito di sangue magico, dette prova della sua genialità non particolarmente apprezzata: il suo maestro si ostinava ad insegnare quella tecnica fallace durante l’apprendimento delle tabelline. Fu del tutto inutile, da parte del piccolo Elliott, provare a confutare la famosa prova, asserendo che quella non provasse un bel niente, non risultando infallibile. Al tempo questa affermazione non fece che meritare l’ammonimento da parte dell’insegnante, che lo redarguì a gran voce davanti a tutta la classe e facendolo vergognare come un ladruncolo, visto che così facendo stava mettendo in difficoltà i suoi compagni e che la presunzione l’avrebbe fatto isolare. Anni dopo, davanti alla sua nuova paziente, Elliott si ritrovò amaramente a ricordare quel triste episodio, che aveva da un lato acceso la miccia delle problematiche legate alla sua evidente diversità, dall’altra però lo aveva aiutato a mostrare diffidenza verso l’incertezza, motivo per il quale si era gettato nello studio di qualsiasi argomento a lui congeniale.
Argus Gazza era dunque stato la sua prova del nove: difatti mentre ascoltava la voce cacofonica di Millicent Bulstrode, Elliott razionalizzò che la certezza di aver passato il peggio non sarebbe mai esistita.
La purosangue serpeverde era la sfida delle sfide, quella che non avrebbe mai superato e che l’avrebbe posto davanti al suo primo fallimento, da quando aveva iniziato ad offrire i propri consigli a mezza Hogwarts. Il caso Bulstrode presentava, infatti, una lunga serie di problemi:
La giovane strega era un tripudio di difetti adolescenziali che passavano per l’eccessiva acne lasciata all’incuria, la voce incrinata da una sinusite cronicizzata, la carenza nella cura dell’aspetto ed un quoziente intellettivo pari a quello di un mollusco in letargo.  Ma su tutte queste cose Elliott poteva, con tanta fatica, lavorarci sopra; il problema più grande era un altro: l’oggetto del suo desiderio.
 
“Da quanto tempo pensi di esserne innamorata?”
 
Uno sbuffo porcino risuonò nel bagno:
 
“Da quando ho messo piede ad Hogwarts.” Confessò, affranta.
 
“E suppongo che lei non ne sia a conoscenza.”
 
“Mi brucerei i capelli, piuttosto che dirglielo! Ma certe volte penso che lo abbia capito…mi è capitato qualche volta di…guardarla dormire; la sua bella chioma di pece profuma di zucchero filato…”
 
Elliott fu grato che il divisorio fra i due bagni non permettesse a Millicent di vedere lo sgomento e il raccapriccio sul suo viso.
 
“Hai…hai annusato i capelli di Pansy Parkinson mentre…dormiva?”
 
“Tu non capisci! È irresistibile! Ma penso…sai forse una volta mi ha sorpresa, ma le ho fatto credere che stesse sognando.” Bofonchiò la serpeverde.
Elliott sperò con tutto se stesso che quello fosse solo un incubo. Va bene, le ore che dedicava al sonno erano talmente poche e spesso e volentieri di tutt’altro tipo erano le immagini oniriche che lo accompagnavano in quella funzione, ma come soleva dire suo padre, Hopp är den sista att dö (1), ovvero la speranza è l’ultima a morire.
Morire. Che soave uso del verbo all’infinito. Il corvonero non avrebbe chiesto nulla di più, in quel momento, che essere cullato  dalle braccia della signora in nero, piuttosto che affrontare Millicent Bulstrode. Tutti infatti sapevano, ad Hogwarts, che l’erede Parkinson soleva passare il proprio tempo in compagnia di un mago dal sangue altrettanto puro, che ad Elliott faceva una discreta paura; Draco Malfoy ed i suoi scagnozzi erano infatti fra i suoi peggiori incubi, visto l’odio che il capetto dai capelli anemici mostrava nei confronti dei nati babbani. L’esaltazione con cui quel Draco parlava di robe come purezza di sangue e selezione NON naturale della specie magica (quest’ultima una vera e propria minaccia che veniva riservata ai nati babbani che incontravano la sua bacchetta), gli mettevano i brividi. Una volta, mentre quel tubero grosso come il platano picchiatore di Vincent Tiger tentava di infilargli la testa nel water, Elliott aveva sfoderato il legno dichiarando che era quanto mai obsoleto parlare di sangue puro. Era finita che Tiger si era ritrovato coi mutandoni tirati fin sopra la testa e Draco Malfoy gonfio come una pignatta; quest’ultimo urlò mio padre lo verrà a sapere (2) prima di scappare in infermeria e quella fu l’ultima occasione in cui Elliott scambiò qualche parola con quei serpeverde. Era dunque ovvio il motivo per il quale il corvonero avesse timore di infilarsi in quel triangolo, sempre se di triangolo si potesse parlare; difatti poteva mettere la mano sul fuoco che Pansy Parkinson non solo fosse cento per cento eterosessuale, ma che anche provasse la curiosità della sperimentazione omosessuale, mai e poi mai si sarebbe fatta mettere le mani addosso dalla sua compagna di casa, visti gli standard fisici alla quale aspirava. Ma se non avesse in qualche modo (e ancora non aveva idea di come fare) aiutato Millicent, Elliott sapeva che sarebbe finita molto male, perché per una come la Bulstrode mettere ko uno come Johansson, munito d’uno terzo della forza della donzella, sarebbe stato un giochetto da poppanti.
Alla fine Elliott temporeggiò, congedò Millicent rimandando il prossimo incontro a due settimane a seguire (santa uscita per Hogsmeade che gli aveva salvato le secche natiche) ed era scappato via.
 
*
 
Il fastidioso rumore del gorgoglio proveniente dalla cannuccia, succhiata dalle labbra perfette di Roger Davies, lo stava mandando ai matti.
 
“Ti avevo chiesto la cortesia di fare selezione, Roger…se-le-zio-ne. Cos’è, di preciso, che ti sfugge di questa parola?”
 
“Amico, non sai quanti poveri studenti ho dovuto respingere. Ma non ho proprio potuto dire di no a la giganta,” Roger puntò il succo di frutta verso Elliott “ha minacciato di baciarmi, Ells! Tu sai che non mi tiro mai indietro, se si parla di intrattenimento femminile, ma Millicent Bulstrode non rientra fra le mie possibili compagne d’avventura, se è chiaro ciò che intendo.”
 
Elliott sgranò gli occhi acquamarina, indicandosi il petto “E a me? Non pensi a me, van?!”
 
“A te non minaccerebbe mai con un bacio!”
 
“E perché mai?!”
 
“Beh…perché sei…tu.” Rispose pratico Roger. Davanti al tremolio delle sopracciglia di Elliott, segno di un vago accenno di moto d’ira (e per Elliott Johansson quello equiparava ad un’eruzione vulcanica), Roger si sbrigò a spiegarsi meglio: “Ne abbiamo parlato un milione di volte amigo: tu hai le potenzialità, ma non ti applichi! Ma guardati…sei un fiore di ragazzo, alto come un rascacielos (3) se non te ne stessi sempre tanto gobbo; hai la tipica bellezza meticcia, proprio come me! Ma non ti valorizzi; nessuna ragazza ti guarda mai perché la mattina sembri uscito da una centrifuga e perché dimostri la vitalità di una pianta secca!”
 
“Ma…ma…io non sono una pianta secca…semplicemente non ho la mimica facciale di un clown nel clou del suo spettacolo. Anche io provo delle emozioni!”
 
Roger si alzò di scatto dalla comoda poltrona e cinse le spalle dell’amico, prendendo a scuoterlo con vigore: “E allora dimostralo, por dios! Elliott…ti devi svegliare, altrimenti la parte migliore della tua vita passerà senza che te ne renda conto!”
 
*
 
Anche se a molti quella coppia potesse apparire male assortita, ad Elliott era ben chiaro per quale motivo potesse ritenere Roger il suo migliore amico. Il capitano corvonero sapeva sempre cosa dirgli e come farlo; era in grado di usare il polso fermo quando ce n’era bisogno e di tirarlo su nei peggiori momenti di sconforto.
A tredici anni, Elliott si era trovato a fare i conti con la sua prima sbronza, durante una festicciola nella loro sala comune. Probabilmente sarebbe soffocato nel suo stesso vomito, se quel Davies non gli avesse prestato soccorso tenendogli la testa e facendogli ingollare una centrifuga post sbronza. Da quel momento i due erano diventati inseparabili e anche Elliott si era ritrovato a supportare Roger in più di un’occasione, mettendo in campo il suo raziocinio quando l’amico mostrava l’incapacità di riordinare le idee. Erano in perfetto equilibrio, loro due, sempre. Chiunque altro se la sarebbe presa per il modo in cui Roger lo aveva trattato, ma non Elliott, comprensivo che quella non fosse che la pura e semplice verità e che, detta da chiunque altro in tutt’altro modo sarebbe passata in sordina.
Per quanto tentasse di mentire anche a se stesso, la semplicità di Roger aveva fatto centro ancora una volta. Elliott si sentiva molto spesso una pianta secca, incapace di provare emozioni forti. Prima dell’esperienza del confesional, non aveva nemmeno mai provato tutta quell’ansia; l’apatia la faceva da padrone, quasi sempre, per questo quando ne aveva l’occasione si gettava a sfumacchiare erbe, ingollare funghi magici e chi più ne ha più ne metta, perché almeno in quei casi sentiva qualcosa smuoversi dentro di lui.
Elliott aveva solo diciassette anni, eppure si sentiva triste e patetico.
Particolarmente affranto, il mago uscì dall’aula di pozioni convinto di avviarsi in biblioteca, il confortevole nido in cui si rinchiudeva quando il mondo sembrava volerlo prendere a cazzotti; quella meravigliosa strega quale era Irma Pince faceva per lui il lavoro sporco, mettendo a tacere di continuo l’insolente vociare dei suoi colleghi e regalando a lui la pace agognata. Seppure Roger avrebbe disapprovato l’ennesima reclusione in quel luogo angusto in cui, testuali parole, c’erano solo noiosi libri, Elliott sentì non ci fosse luogo più appropriato a lui in quel momento.
Eppure il destino si era messo in mezzo un’altra volta mandandolo ad impattare –maledetta distrazione- contro il tassorosso che aveva rimandato ad affrontare. Zacharias Smith sputò un paio di parolacce dai denti accavallati, prima di rendersi conto che l’alto e dinoccolato studente che gli aveva fatto cadere i libri a terra, fosse il suo terapista. Un sorriso raggiante sorprese Elliott:
 
“Amico! Tutto confermato per oggi pomeriggio, si? Ho davvero bisogno dei tuoi consigli!”
 
Fu a quel punto che Elliott capì di non poter rimandare; preso un grande respiro, il mezzo svedese dichiarò con solennità:
 
“Smith, ti devo parlare e credo sia meglio farlo subito.”
 
 
 
Zacharias osservava quella assurda collezione di anguille di carta scartarsi e rincartarsi in stropiccii sommessi. Ad ogni parola letta dai suoi occhietti vacui, il viso si faceva sempre più pallido.
 
“Q-questa è la mia scrittura, ma ti g-giuro che non ti ho mandato io questi biglietti! Tu sei il mio salvatore, Johansson!”
 
Il Tassorosso afferrò i lembi della camicia sgualcita di Elliott e cominciò a scuoterlo con disperazione: “Ti prego! Promettimi che non interromperai le sedute! Io ne ho bisogno! Ne ho bisogno!”
 
Il livello di afflizione di Smith era talmente tanto alto, che Elliott non faticò a credere alle sue parole. Ma se non era lui ad inviargli i messaggi minatori, chi lo stava incastrando?
Gli ingranaggi del fine cervello presero a vorticare con frenesia, portando il corvonero ad un’ipotesi che, per quanto bislacca fosse, poteva rivelarsi sensata.
 
*
 
Elliott aveva passato buona parte dell’uscita ad Hogsmeade ad evitare Parvati, Lavanda e Romilda, a costo di vagare sotto la neve abbondante. Doveva concentrarsi sul suo caso e solo una volta spiata la situazione Pansy, avrebbe potuto cedere alla volontà delle tre di ingozzarlo con la cioccolata calda di Madame Piè di Burro. Entrò ai Tre Manici di Scopa come un povero diavolo, col cappellino di lana calato fino agli occhi e la sciarpa a coprire il septum del naso. Una volta individuata Pansy Parkinson che si strusciava su Draco Malfoy come una gattina in calore, Elliott recuperò una copia della Gazzetta del Profeta e, quatto quatto, s’appostò in un piccolo tavolino accanto a quello occupato dai serpeverde. Fingere l’intensa lettura di un noiosissimo articolo che raccoglieva le ultime dieci premonizioni del mese, evitò al corvonero di roteare gli occhi ad ogni stronzata sparata dal rampollo di casa Malfoy, che si pavoneggiava del suo distintivo da squadrista dell’inquisizione come se avesse vinto il nobel per la pace. Fu del tutto inutile passare quell’ora a spiare i due, in quanto era evidente che la moretta non avesse occhi che per Malfoy. Non che avesse sperato nella fusione delle sinapsi di Pansy, per carità. Era consapevole che la Parkinson non avrebbe mai e poi mai guardato Millicent Bulstrode con gli occhi dell’amore, tanto che non capì perché diavolo si stesse sforzando tanto.
 
“Sentivo un odore insopportabile…stavo per lamentarmi con Madama Rosmerta, ma poi mi sono accorto che era il tuo sangue marcio, a tormentare le mie narici!”
 
Elliott chiuse con calma il giornale e roteò lo sguardo verso l’alto, scontrandosi col muso presuntuoso di Draco, che evidentemente si era alzato per provocarlo e meritarsi ulteriori attenzioni da parte dell’amichetta.
 
“Non vorrei correggerti, ma l’odore ematico non perviene, se il sangue si trova ancora – e fortunatamente nel mio caso- all’interno del corpo. Credo tu abbia preso un abbaglio dei tuoi, Malfoy.”
 
Il tono apatico di Elliott non fece che mandare Draco su tutte le furie.
 
“Ancora ti permetti di rispondermi, Johansson? Perché non fai un favore a tutti noi e lasci questo posto, tipo per sempre? Tornatene a fare a palle di neve in quel tugurio di paese in cui sei nato!”
 
Rispondere a quella pseudo offesa non avrebbe che portato ad un bisticcio che non aveva assolutamente voglia di affrontare.
 
“Ehi Malfoy, invece perché non fai tu un favore a noi e non te ne vai affanculo? La strada la dovresti conoscere bene, con tutte le volte che ti ci ho mandato!”
 
Con i rossi capelli scombinati, il cappello di lana in mano e le guance arrossate, Demelza Robins sorrideva impudente a Draco Malfoy; Elliott non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi per quale motivo la grifondoro lo stesse difendendo, in quanto fra i due, con l’aggiunta della fastidiosa Pansy, scoppiò il putiferio: urlarono parole grosse e con quelle un paio di schiantesimi. Nella confusione più totale, Demelza afferrò la mano di Elliott e lo trascinò fuori dai Tre Manici di Scopa, ridendo come il corvonero non l’aveva mai sentita ridere. Si chiese se quella ci stesse davvero tutta con la testa, visto che sembrava non preoccuparsi affatto del caos che avevano generato nel locale di madama Rosmerta; corsero sotto la neve abbondante, perdendo in continuazione il senso dell’orientamento vista la scarsa visibilità, ma fortunatamente arrivarono sani e salvi da Madama Piè di Burro dove, immancabilmente, si trovavano le grifondoro che, nel vederli entrare, trasalirono.
 
“Per la fluente chioma di Godric! Che cosa ci fate voi due insieme?!”
 
Parvati e Lavanda non persero tempo, così cominciarono a ripulire Elliott dalla neve.
 
“Grazie tante,” Sbuffò Demelza, che dovette occuparsi da sé a sistemarsi “ho salvato il merluzzo al ragù da quell’imbecille di Malfoy.”
 
“Veramente io non avevo chiesto…”
 
“Ti ha fatto male, cucciolotto? Quel serpeverde se la dovrà vedere con me, se oserà torcerti un solo capello!” Parvati sapeva essere tanto spaventosa (Elliott questo lo sapeva bene), che avrebbe fatto tremare chiunque. Ripuliti e asciugati, i due presero posto al tavolo delle grifondoro.
 
“Potresti anche ringraziare, sai? Mamma e papà non ti hanno insegnato l’educazione?” A braccia incrociate, Demelza fissava Elliott con un sopracciglio notevolmente inarcato. Ed eccolo di nuovo, quel senso di fastidio che non era solito provare, ma che spuntava immancabilmente, in presenza di quella strega. Ci provò, a dire che aveva fatto tutto da sola e, sebbene la situazione fosse scomoda, se la sarebbe cavata senza tirare fuori la bacchetta; eppure la Robins per tutto il tempo in cui Elliott tentò di spiegarsi, non aveva fatto altro che rispondere con smorfie e versetti, scimmiottandolo in maniera ridicola.
 
Me la cavo da solo…non ho bisogno di nessuno…non ci fossi stata io ti avrebbe cotto in salmì, quello lì! Ma voi corvonero siete troppo pieni di voi, per rendervi conto quando è il momento di mostrare un po’ di umiltà, vero?”
 
“Elza non esagerare come tuo solito!” Romilda tentò di intromettersi, ma accadde qualcosa a cui nessuno al mondo aveva mai avuto l’occasione di assistere. Le affusolate mani di Elliott impattarono sul tavolino di larice con violenza, facendo tintinnare persino le porcellane del tavolo affianco, mentre dalla bocca cacciò un urlo che fece voltare tutti:
 
“Ora basta! Non ne posso più delle tue puttanate!” Gridò lui, con i verdi occhi sgranati e i tremori alle braccia, mentre Demelza lo guardava allibita, “E ti dirò di più: hai fatto una scena inutile lì dentro e non hai fatto che peggiorare la situazione! Ora per colpa tua sarò perseguitato da quegli imbecilli tirapiedi della Umbridge per il resto dei miei giorni e pretendi anche che io ti ringrazi?! Knulla dig(4)! Vattene al diavolo, Robins!”
 
Dopo aver piroettato le braccia in movimenti più che scoordinati, Elliott infilò il cappello e corse fuori, sotto lo sguardo allibito dell’intero locale. Le tre amiche spostarono in sincrono gli occhi su Demelza che, con la bocca aperta dallo stupore, provò a balbettare qualcosa. Parvati recuperò la sua tazza di fumante tè come nulla fosse e prese a sorseggiarla.
 
“Ma lo avete visto? E io che l’ho anche aiutato, a quell’imbranato patologico!”
 
La tazza di fine porcellana orientale risuono sul piattino, su cui Parvati la poggiò con estrema eleganza, prima di spostare i caldi occhi scuri sull’amica:
 
“Elza, sai che ti voglio bene ed apprezzo il tuo spirito indomito…ma se mi farai sfuggire dalle mani la più grande fonte di scoop dell’intera Hogwarts, giuro che rimpiangerai di dormire nel letto a fianco al mio.”
 
Un limpido sorriso chiuse lì’ la conversazione, facendo deglutire Demelza che, rossa in volto, abbassò lo sguardo carico di imbarazzo. Forse aveva un tantino esagerato.
 
*
 
Roger stentò a riconoscere l’amico: quando Elliott si era catapultato nella Sala Comune, Roger era intento a contare i delicati nei che costellavano il collo di una corvonero del sesto anno, ma si vide costretto ad interrompere la piacevole pratica, visto l’anomalo stato di euforia che riscontrò nel compagno. Per questo congedò a malincuore la fanciulla e prese ad occuparsi di Elliott che non faceva che ridacchiare.
 
“Non dirmi che ti sei fumato quella roba che gira fra i Tassorosso, amigo, lo sai che di quelli non c’è da fidarsi!”(5)
 
“Non sono una pianta secca! Hai capito van?! Non sono una pianta secca!”
 
Roger passò una mano fra i capelli con fare disperato; era più che evidente che Elliott avesse bruciato tutti i suoi neuroni in un colpo solo.
 
“Emh…lo vedo sai: respiri, parli, ti muovi troppo…a proposito di questo ultimo punto, perché non vieni a sederti vicino al tuo amico Roger e cerchi di calmarti un pochino?”
 
Ma Elliott non s’arrestava: strinse le spalle di Roger e cominciò a scuoterlo, mentre il più luminoso dei suoi sorrisi mostrava i denti candidi: “Ho capito come risolvere il caso Bulstrode…capisci? E secondo poi…mi sono arrabbiato! Van: ho dato di testa!”
 
“E…questo è un bene?”
 
“Certo che lo è!” Elliott mollò la presa e allargò le braccia in preda all’estasi: “Non mi era mai successo ed è stato fantastico! Sentivo il sangue pulsare nelle vene e…e poi il cuore battere neanche stessi affrontando una maratona! Mi sono dovuto trattenere per non picchiare la Robins!”
 
“La Robins?! Ma cosa stai…ehi! Ells! Ma dove vai?!”
 
Prima di scappare di nuovo via, Elliott frugò nelle tasche e tirò fuori un’ampollina che racchiudeva qualche capello scuro; la mostrò a Roger con un furbo sorriso: “A risolvere il caso!”
 
*
 
“Non abbiamo parlato dei motivi per il quale senti di essere innamorata di Pansy.”
 
Elliott, seduto su uno dei banchi dell’aula di trasfigurazione, ciondolava le gambe mentre teneva lo sguardo su Millicent, seduta goffamente accanto a lui.
 
“Beh…lei è…bellissima.” Sospirò.
 
“E cos’altro?”
 
“Ha la pelle che profuma di frutta candita…e poi ha quel vitino di vespa, per non parlare delle sue mani, sempre così curate…”
 
“Ok, Pansy Parkinson è molto graziosa,” si introdusse lui con delicatezza “ma caratterialmente cos’è che ti piace?”
 
“Caratterialmente?” Fece eco la strega, stupita: “Cosa intendi?”
 
“Beh, avrà delle qualità che ti piacciono…che so…la trovi dolce, simpatica, affettuosa, intelligente…” Elliott proseguì a fare un elenco di doti e qualità che, personalmente, non riteneva si incastrassero con la Parkinson. Gli occhietti di Millicent si strinsero, sintomo del fatto che la strega si stesse sforzando moltissimo per afferrare il concetto del magiterapista.
 
“Veramente con me è sempre sgarbata…e spettegola spesso, non mi piace chi spettegola. E poi prende le mie cose senza chiedermi il permesso e sembra sempre di cattivo umore, tranne quando c’è Draco nei paraggi…”
 
“Quindi non sarebbe scorretto affermare che, in realtà, è solo l’aspetto di Pansy che ti attrae di lei…”
 
“Ma cosa dici!” Trasalì Millicent, “Anche la sua popolarità! Lei è sempre così seguita e ammirata…”
 
“Senti…ti piacerebbe provare ad essere nei suoi panni per qualche ora?”
 
Elliott condusse Milly al bagno dei prefetti. Se c’era un vantaggio nell’essere prefetto ed accompagnarsi con una dei più temibili membri della squadra d’inquisizione, era che nonostante il regime totalitario instauratosi ad Hogwarts a seguito dell’avvento di Dolores Umbridge, potevano permettersi di girare per i corridoi senza essere importunati. Millicent Bulstrode acconsentì a bere la pozione polisucco senza indugiare nemmeno un secondo, entusiasta dal poter assumere le sembianze del suo oggetto del desiderio. Fortunatamente Elliott riscontrò i risultati sperati: dopo un primo momento di esaltazione vera e propria, durante la quale Millicent esagerò nel tastare il proprio corpo –o meglio quello preso in prestito dalla Parkinson-, fino al punto che più che imbarazzato, Elliott dovette redarguirla, poco dopo la ragazza cominciò a storcere il naso.
Già, perché Millly scoprì su Pansy cose che non si sarebbe mai aspettata: prima di tutto una sudorazione incontrollabile, che evidentemente la collega serpeverde si premurava di mascherare con qualche costosissima pozione; in secondo luogo possedeva una spiacevole peluria sugli alluci dei piedi, così come una riga nera le attraversava l’addome. I capelli al naturale erano decisamente diversi da quelli tanto sognati da Millicent: crespi e spenti, sembrava impossibile gestirli. Infine la voce che risultava insopportabile, se non si sforzava di modularla.
Ben presto Millicent Bulstrode si rese conto che Pansy Parkinson non era poi così distante da lei, semplicemente passava molto più tempo a limare e mascherare i propri difetti. Certo era più magra, molto più magra, ma se proprio ci teneva Millicent avrebbe sempre potuto mettersi a dieta per perdere i chili desiderati; per altro i suoi lineamenti erano senz’altro più dolci e graziosi di quella che ormai, ne era più che certa, non era altro che una vera e propria fissazione, più che l’amore della sua vita.
Insomma, Millicent Bulstrode non volle rimanere nei panni di Pansy nemmeno un minuto di più. Aveva imparato, grazie allo stratagemma di Elliott, che non necessariamente la bellezza esteriore andava a braccetto con quella interiore e soprattutto, mentre sulla prima si poteva porre rimedio, se si era delle “brutte persone” c’era ben poco da fare. L’unica cosa che fece prima di riprendere le proprie sembianze (cosa che nauseò il corvonero che per pudore e rispetto si voltò dall’altra parte), fu manipolarsi il seno per un po’, visto che tante notti aveva sognato di farlo.
 
“Non è così bello come immaginavo.” Bofonchiò la di nuovo Milly , mentre s’avviavano verso i rispettivi dormitori.
 
“L’amore è una questione molto profonda.” Elliott parlò con sapienza, nonostante lui, di amore, non ne capisse un fico secco. “Prima di tutto bisogna imparare ad amare noi stessi, non trovi?”
La serpeverde annuì e prima di congedarsi, smollò una pacca sulla spalla di Elliott che faticò per non volare via.
 
“Dimmi una cosa, Johansson: come hai fatto ad avere i capelli di Pansy per la polisucco?”
 
Elliott pensò che, nonostante il comportamento di Demelza Robins ai Tre manici di Scopa fosse stato eccessivo, immaturo, irresponsabile e inutilmente facinoroso, gli aveva quantomeno dato modo di recuperare ciò che gli serviva, ovvero una bella ciocca corvina che Demelza aveva portato via dalla testa di Pansy
Alla fine dunque Millicent Bulstrode non era affatto innamorata di Pansy Parkinson, bensì dell’idea perfetta che si era costruita nella testa. Per una volta Elliott dovette ammettere che la prova del nove aveva funzionato, visto che dopo avere assunto le sembianze di Pansy, Millicent aveva deciso che avrebbe pensato a stare a posto con se stessa: a seguito di quell’esperienza la serpeverde, che tanto stupida non era, aveva messo su un corso di mutuo aiuto ad Hogwarts, per tutti coloro che lottavano ogni giorno con le brutture dell’adolescenza. Inoltre si era tirata fuori dalla squadra dell’inquisizione, si era imposta di diventare la sua segretaria personale in quanto riteneva che più studenti possibili dovevano usufruire dei benefici della psicanalisi (era risultato inutile tentare di spiegarle che lui teoricamente trattava di sesso e che, oltretutto, non era un vero magiterapista) ma su tutto, la cosa che dette maggiori soddisfazioni ad Elliott, fu che appena ne aveva l’occasione, Milly faceva in modo di screditare la Parkinson, che crollò celermente dalle stelle alle stalle della scuola.
In definitiva, quello era stato il suo successo più grande, fino a quel momento.
 
*
 
La lezione di Storia della Magia era stata più rocambolesca del solito: Cormac McLaggen, grifondoro del suo stesso anno, aveva letteralmente oltrepassato il corpo lattiginoso del professor Ruf con il testo scolastico; in seguito al disappunto del professore, si era giustificato asserendo che voleva constatare se fosse vero che i fantasmi portarono reale contributo durante la caccia alle streghe nei Secoli Bui. Dopo un crollo di nervi del povero professore, l’aula era stata liberata ed Elliott si era trascinato fuori da essa pronto ad essere accolto dalla sua nuova guardia del corpo, che era certo lo stesse aspettando. Lo stupore lo colse all’improvviso, quando capì che ad attenderlo a fine lezione, al fianco di Milly, c’era una matassa di corti e scombinati capelli rossi, un paio di occhi limpidi e rammaricati e un’espressione contrita.
 
“Possiamo parlare?” Pigolò Demelza, stranamente docile. Da quel brutto episodio capitato durante l’uscita ad Hogsmeade, non era più successo che i due si incontrassero. Elliott prese a torturarsi il septum e guardò Millicent, come se quella fosse in grado di decidere al posto suo sul da farsi. Di tutta risposta la serpeverde incrociò le braccia ed annuì con vigore.
 
“Vi copro io, capo.” Disse laconica lei. Pur volendo, Elliott non avrebbe avuto il coraggio di contraddire Millicent Bulstrode. Con un ampio sospiro, il corvonero fece cenno a Demelza di seguirlo in direzione della torre di astronomia; del resto con la serpeverde ad ostacolare chiunque tentasse di dire qualcosa, Elliott poteva stare tranquillo.
 
Rannicchiato di fianco alla balaustra, il mago ingannò l’attesa delle parole di Demelza girando una canna che, in men che non si dica, passò nelle mani della strega, la quale ovviamente non chiese il permesso di usufruire dei benefici delle magiche erbe.
 
“E io che pensavo che voi corvonero foste tutti dei gran noiosoni, specialmente tu.” La strega si morse la lingua “Scusami, l’ho fatto di nuovo.”
 
Con lo sguardo basso in attesa che la canna gli fosse restituita, Elliott giocherellava con un filo di cotone fuoriuscito dalla cucitura della sua divisa. “Fatto cosa?”
 
“Ti ho offeso senza motivo.” Demelza sputò il fumo, si acquattò al suo fianco e gli ripassò la canna: “Il motivo per cui sono qui…ecco mi volevo scusare con te, so di avere esagerato l’altra volta. Non penso davvero che tu sia un merluzzo al ragù.”
 
Sul viso di Elliott spuntò un accenno di sorriso: “Credo che quella sia la cosa più carina che tu mi abbia mai detto, Demelza.”
 
“Certe volte non mi rendo conto di calcare un po’ troppo la mano. Il problema è che i tipi come te mi danno sui nervi.”
 
“Lo stai facendo di nuovo.”
 
“Cosa?”
 
“Offendermi.”
 
Demelza sgranò gli occhi: “Sono solo sincera! Ma a quanto pare è diventata un difetto, la sincerità; per questo Parvati mi ha caldamente invitata a venirti a parlare.”
 
Di nuovo quella sensazione di fastidio che si attorcigliò nel suo stomaco come una viscida biscia. In realtà aveva sperato che Demelza Robins volesse sinceramente scusarsi con lui; ma a quanto pareva la strega era lì solo perché pressata dalla Patil. Tentò di reprimere la stizza, ricacciandola nell’angolo più buio del suo cervello; se era vero che provare sensazioni forti era stato adrenalinico, era altrettanto vero che i sentimenti sapevano ferire. Forse era meglio tornare ad essere l’apatico Elliott Johansson, sedato dall’assenza delle forte emozioni. E mentre valutava attentamente questa opzione, Demelza afferrò nuovamente la canna e lo sorprese ancora una volta:
 
“Mi dai sui nervi, perché sembra che nulla ti tocchi. Per questo ti invidio, capito?” Una boccata di fumo, prima di continuare a parlare, “Io sento di essere come un vulcano! Non ho mai vie di mezzo: sono sempre o molto felice o molto arrabbiata…sono irritabile, scontrosa, eccitata, esuberante! E ti assicuro che tutto questo è stancante!”
 
Elliott si trovò a boccheggiare un po’, prima di intervenire: “Tu…tu mi invidi?”
 
“Eccome se ti invidio!” Gridò lei. Fortunatamente l’appostamento di Millicent aveva fatto in modo che i due rimanessero soli, visto che Demelza Robins sembrava non conoscere il significato della parola discrezione.
 
“Sei sulla bocca di tutti, Johansson: tutti a dire quanto sei brillante, lodano la tua calma e la tua pazienza, il fatto che mantieni il controllo sempre e comunque. Per questo ti va tanto bene, quel tuo dannato confesional.” Sbuffò infine.
Il corvonero non credeva alle sue orecchie e, specialmente, non capiva perché un’altra volta il suo cuore avesse preso a battere più forte e velocemente della norma. Possibile che qualcuno avesse davvero dei motivi per invidiarlo? Aveva creduto per tutta una vita di essere più che trasparente; eppure Demelza Robins gli stava facendo un altro grande regalo e la cosa più assurda era che la strega non se ne rendesse conto.
Con quanta rapidità il tempo passò, Elliott non seppe definirlo. Fumarono e parlarono molto, ascoltarono la strana musica passata dal walkman del ragazzo, persino si liberarono risate più di una volta grazie a Demelza che, fumata come una pigna, aveva preso a fare l’imitazione di Dolores Umbridge, che Elliott trovò esilarante.
 
“Cazzo, è meglio che vada, o non finirò il tema per mocio vileda.”
 
“Chi diavolo è mocio vileda?” Chiese Elliott, alterato tanto quanto Demelza ma comunque ben conscio di cosa fosse l’oggetto menzionato, visto le origini babbane.
 
“Chi vuoi che assomigli ad un mocio vileda? Piton, ovvio!”
 
Risero ancora, mentre si alzavano con la volontà di recarsi nelle proprie sale comuni.
 
“Allora tutto ok?” chiese Demelza che si stropicciava la faccia con una mano. Se fosse tutto ok? Elliott sentiva di aver passato una delle più belle serate della sua vita, in compagnia di quella pazza grifondorina, sboccata e sgraziata. Per questo gli pesò costringersi a farle quella domanda che, da giorni, gli ronzava nella testa. Si grattò la nuca e con coraggio pose una mano sulla spalla di quella ragazzina tanto più bassa di lui, che gli aveva già dato le spalle pronta a schizzare via.
 
“Senti, devo chiederti una cosa, Dem.” L’uso dei nomignoli era stato frutto della ganja.
 
“Spara, ma sbrigati!” rispose con impazienza.
 
Elliott affondò una mano nella tasca, tirando fuori una manciata di anguille di carta, che le mostrò, prima di chiederle con tenero imbarazzo: “Mi spieghi perché non vuoi che continui con il confesional?”

 

(1) Se qualche svedese leggesse queste traduzioni mi fucilerebbe. Comunque grazie ancora una volta a google tanslate.
 
(2)Dai, è stato irresistibile mettere questa frase nella bocca di Draco Malfoy ancora una volta.

(3)Anche se facilmente intuibile, rascacielos vuol dire “grattacielo”.

 
(4)Parolaccia inutilmente traducibile.
 
(5)Se qualcuno di voi segue Caleel, un famoso youtuber che tratta in maniera approfondita il mondo di Harry Potter, si sarà fatto quattro risate seguendo il video in cui raccoglie le più strambe teorie dell’internet. Una di queste riguarda i tassorosso e nello specifico spiega per quale motivo gli studenti della casa di Tosca siano sempre così tranquilli e sereni: ovvio, sono sempre strafumati! Mi ha fatto molto ridere, non potevo non inserirne un riferimento.
 
 
Prima di tutto è un dovere scusarmi con voi, vista la lunghissima assenza. Purtroppo la vita si è appropriata di me e tra spostamenti in giro per l’Italia, lavoro e tante altre cose non ho avuto tempo di mettere le mani al pc. Mi spiace moltissimo e spero di avere più tempo in futuro per scrivere, anche perché mi è mancato molto. Nello specifico questo capitolo è stato scritto a mozzichi e bocconi nell’arco di un mese, mezza paginetta alla volta :( spero sia comunque di vostro gradimento, nonostante sia più introspettivo e di conseguenza meno divertente dei precedenti.
Molti di voi hanno ipotizzato che dietro le minacciose anguille di carta ci fosse Demelza; ovviamente il finto giallo si è quasi risolto, indicando proprio lei come l’artefice delle minacce. Chissà come mai la Robins vuole che Elliott si ritiri dall’arduo compito di magiterapista per adolescenti disturbati? Lo scopriremo nel prossimo capitolo che, se non l’ultimo, sarà il penultimo.
Mi scuso per non avere risposto alle recensioni passate, cercherò di provvedere, ma intanto non posso che ringraziarvi qui in nota!
Spero a presto, buona domenica :)
 
Bri

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

Caso clinico 4: la consapevolezza di Sé

 

 

L’aveva colta nel segno, era evidente. Presa totalmente in contropiede, Demelza si pietrificò: gli occhi incastrati in quelli di Elliott, la bocca mezza schiusa e il volto in ardente condizione epidermica.

“Capo! Non voglio mica disturbarti, ma dobbiamo proprio andare via.”

“N-non ora Millicent. “ Stranamente risoluto, Elliott non avrebbe permesso ancora una volta a Demelza di tacere; la strega gli doveva una spiegazione e lui avrebbe fatto in modo di ottenerla. Per una volta, Elliott si sentì fortemente deciso a non lasciarsi distrarre da nessuno. Ma la mano di Millicent che gli afferrava il collo della giacca con veemenza, lo costrinse a ritardare ancora una volta la sua evoluzione da ragazzo remissivo a deciso e irremovibile.

“Non ci siamo capiti, dobbiamo andare, subito!”

La voce di Milly esprimeva un’urgenza che, unita al placcaggio fisico, era difficile da ignorare.

Fu così che i tre corsero lungo le scale della torre di astronomia senza avere una meta ben precisa; in realtà Elliott tentava di stare al passo delle due streghe le quali, innegabilmente, possedevano una prestanza fisica esponenzialmente maggiore alla sua. Sentiva, il giovane mezzo svedese, i polmoni implodere e se non si fosse fermato subito per riprendere fiato, era certo sarebbe stramazzato al suolo molto presto. Aveva tentato di chiedere, fra un boccheggiare e l’altro, per quale motivo Millicent era stata così categorica, ma la serpeverde non aveva fornito una risposta ben delineata; aveva invece farfugliato parole come squadra dell’ inquisizione, faccia da rospo e siamofottutamenteneiguaicapo!

La corsa forsennata ebbe fine una volta girato l’angolo del corridoio del primo piano che stavano percorrendo; difatti uno squittio fuoriuscì dalla bocca di Demelza, che successivamente imprecò nel planare con il sedere a terra. Millicent si lasciò invece sfuggire un colorito merda appena si rese conto che il motivo del capitombolo della grifondorina, altro non fosse che il corpo piegato dai reumatismi di Argus Gazza.

Erano-definitivamente-fottuti.

Il magonò si espose in uno dei suoi sorrisi più maligni non appena si rese conto di aver appena infilato nel sacco da portare all’inquisitrice suprema ben due studentesse; si sfregò dunque le mani e rivolse la sua attenzione a Mrs Purr, che s’era avvicinata al corpo spiaggiato di Demelza e aveva preso a colpirle la punta del naso con una zampetta artigliata.

“Bene bene, credo proprio che voi due verrete con me, preparatevi a una bella punizione serale!”

“Non sono ancora le nove!” Gridò Millicent risentita, “Il Decreto dice chiaramente che ci è permesso stare fuori i dormitori fino a quest’ora!”

“Oh, ma il decreto non dice che vi è permesso riunirvi in associazioni segrete!”

“Ma che cazzo dici, vecchiaccio rincitrullito!” Pigolò dal basso Demelza, dopo aver spostato con una mano quella gatta maledetta che le stava torturando la faccia. Nel sentire tale colorito appellativo, Argus Gazza allargò ancor più il sorriso: nella sua testa paradisiache immagini di torture andavano formandosi, mentre un’epica colonna sonora da regime totalitario ne accompagnava la creazione. Avrebbe continuato a fantasticare, non fosse stato interrotto dall’ansimare di Elliott Johansson, che finalmente era riuscito a raggiungere le altre due.

“Ti p-pre-gooo!” Disse con quel poco di fiato che gli era rimasto incastrato in gola e con la mano sinistra tesa verso di lui, mentre la destra era intenta a stringere la camicia all’altezza del cuore che, ne era certo, di lì a poco avrebbe dato vita a un’esplosione peggiore di una bombarda maxima.

“Sono… con me, so-no… accipicchia non respiro… sono pazienti!”

Nel riconoscere la figura di Elliott, Gazza fu costretto a interrompere i suoi sogni di tortura per dare ascolto al ragazzo. Lo guardò con estremo sospetto, quindi incrociò le braccia e berciò: “E allora dimmi per quale motivo stavate correndo via.”

Elliott gettò prima un’occhiata a Millicent in piena deglutizione da attacco d’ansia, poi Demelza ancora spalmata a terra che ricambiò lo sguardo come a voler dire sei tu il cervellone, spremi le meningi stupido totano in salmì! Così, ritrovato un minimo di fiato, tornò a guardare Gazza, tirando fuori la prima cosa gli fosse venuta in mente in quel momento, ovvero che quella che aveva appena tenuto era una seduta di coppia non programmata; le due streghe lo avevano infatti messo alle strette, implorandolo di ascoltare le loro disavventure d’amore, convinte che Elliott fosse l’unica speranza per salvare il loro rapporto ultimamente messo a dura prova dal rinnovato conflitto intercorso fra le loro case di appartenenza. Demelza si apprestò a gridare un ‘ma sei scemo?!’ Zittita da un calcetto inferto da Milly, evidentemente molto più sveglia di lei nel cogliere quella non sperata via di fuga. Grugnì, la povera Demelza, prima di alzarsi a fatica e bofonchiare parole d’assenso. Per un lungo momento che alle due streghe sembrò interminabile, Argus Gazza ed Elliott si guardarono fissi; probabilmente il primo stava tentando di capire se quella del corvonero non fosse che una frottola tirata in ballo per uscire da quel guaio, ma alla fine il magonò, con quello che assomigliava più a un rantolo animalesco che a una voce umana, si decise a parlare:

“Filate nei vostri dormitori, subito. Evitate l’ingresso all’ufficio del preside, così non avrete problemi. Se dovessero fermarvi, dite che avete appena concluso una punizione che sono stato io stesso ad assegnarvi.” Infine Gazza lanciò un’occhiata prima a Millicent, poi a Demelza che a quel punto stava tentando di rassettare la sua divisa mentre imprecava contro tutti i fondatori di Hogwarts, Godric Grifondoro compreso. “Fate abbastanza schifo come coppia, ma date ascolto a quel ragazzo, lui ne sa, eccome se ne sa.”

I tre non se lo fecero ripetere due volte e così come erano arrivati, corsero via cogliendo il consiglio del custode di Hogwarts.

“Quindi vuoi dirmi che quel boccalone in salsa aggrumata è a conoscenza del tuo lavoretto qui a Hogwarts? E non ti ha spedito lui stesso fuori dal cancello a calci?”

Elliott non aveva nessuna intenzione di infrangere il segreto professionale, per giunta con la persona che, ne era assolutamente convinto, gli inviava messaggi minatori fin dall’inizio di quella faccenda.

“Qui se c’è qualcuno che deve rispondere a una domanda sei… ehi! Dove stai andando?”

Il corvonero e la serpeverde rimasero a fissare la minuta figura di Demelza Robins correre via, mentre dichiarava che la direzione della torre di Grifondoro fosse esattamente all’opposto rispetto alla loro. Elliott sospirò sconfitto: gli mancava un soffio per far confessare Demelza, ma il destino si era messo in mezzo. Pazienza, avrebbe tentato l’indomani.
Una volta giunto al suo dormitorio, Elliott si rese immediatamente conto che qualcosa non andasse: fra i suoi compagni e compagne vi era infatti un gran cianciare e la frenesia era ad un livello talmente alto tale da confondere l’improvvisato magiterapista peggio di un incantesimo confundus. Subito adocchiò un botta e risposta fra Michael Corner e Anthony Goldstein, circondati da grandi e piccini della casa di Corvonero. S’affrettò ad avvicinarsi a Roger e a chiedergli come mai avesse un’espressione tanto meravigliata e di cosa stessero parlando i loro compagni.

“Ma dove eri finito?! Non sai che è scoppiato il caos questa sera!” Poi Roger scostò lo sguardo da Cho Chang, la quale era intervenuta nella discussione con gli occhi resi lucidi dai lacrimoni e lo puntò su di lui “Non dirmi che anche tu eri alla riunione di quell’ Esercito di Silente!”

Basito, Elliott scosse il capo smuovendo la zazzera di capelli neri e lasciò che il suo migliore amico gli raccontasse di quanto accaduto. Fu così che venne a conoscenza di questo gruppo segreto capitanato da Harry Potter, che si riuniva da mesi per apprendere gli incantesimi di Difesa contro le Arti Oscure che il Ministero aveva reso illegali. Pare che, a farne parte, ci fossero anche molti dei suoi compagni di casa, come ad esempio Anthony e Michael, Luna Lovegood, Cho e Marietta e che fosse stata proprio quest’ultima a fare la spia con la professoressa Umbridge.
Ecco spiegato il perché delle parole del custode di Hogwarts e dell’allarme che aveva lanciato Millicent.

“E io che pensavo che fossimo noi i più trasgressivi con il confesional!” Disse Roger tirando pacche sulla spalla del suo amico.

“Già… senti van, devo parlarti, forse ho scoperto chi è che ha mandato tutti quei chartanimus nei mesi scorsi.”

“Ne parliamo dopo amigo, ora voglio capirci qualcosa di tutta questa faccenda. Padma ha detto che durante gli ultimi incontri hanno imparato a sviluppare un patronus, ci crederesti?! Quella si che è magia avanzata. Io l’ho sempre detto che Harry Potter è uno in gamba, del resto un cercatore come lui non si era mai visto prima a Hogwarts!”

Elliott si chiese quale e specialmente se sussistesse un nesso fra la capacità nel generare incantesimi avanzati e la bravura nell’afferrare i boccini. Lasciò quel quesito per sé e si accostò a Roger, immerso nel racconto di Michael Corner, che aveva totalizzato l’attenzione dell’intera sala comune di Corvonero.

*

Durante i giorni a seguire Hogwarts era caduta nel caos più totale; pare infatti che a costituire l’Esercito di Silente fosse stato, per l’appunto, proprio Silente in persona, il quale dopo aver mandato a zampe per aria -letteralmente parlando- la professoressa Umbridge, il Ministro della magia Caramel e un paio di auror, era scomparso nel nulla con la sua fenice. A seguito della fuga di Silente, fu la Umbridge a prendere il suo posto come preside della scuola, ma risultò lampante che la strega rosa vestita non fosse stata accolta niente affatto bene; molti furono i tiri mancini tirati alla professoressa, ad esempio fuochi d’artificio molesti avevano preso a infestare la scuola -e nessuno, ma proprio nessun professore parve riuscire a cavarsela senza l’aiuto della neo preside, che ci stava rimettendo il senno-, così come paludi maleodoranti spuntavano nel bel mezzo dei corridoi. Proprio durante una delle lezioni del professor Vitious, per poco Elliott non era stato investito da una girandola pirotecnica totalmente fuori controllo. Fortunatamente questa aveva circumnavigato l’esile figura del mago, in quel momento in piedi a dare dimostrazione di un nuovo incantesimo, per poi uscire dalla stanza alla rincorsa della Umbridge, venuta in soccorso dopo la richiesta di un annoiatissimo Vitious. In poche parole il regime della preside era costantemente messo a repentaglio, non importava quanti e quali decreti il Ministero emettesse per sedare la rivolta in atto.
Elliott, di suo, era abbastanza in tensione; si può affermare che il ragazzo vivesse in un costante stato di ansia dato dal terrore di essere scoperto da uno dei membri della squadra d’inquisizione. Era consapevole quanto Draco Malfoy ad esempio, che aveva mostrato nei suoi confronti livelli nuovi di odio, avrebbe goduto nel coglierlo in flagranza di reato; poco importava di avere la copertura di Argus Gazza.
Inoltre dalla sera della fuga del professor Silente, Elliott non era più riuscito a parlare con Demelza riguardo alla sua presunta colpevolezza in merito all’emissione di bisce straripanti messaggi minatori. Oltretutto il corvonero era sempre più convinto di avere ragione in merito alla battitrice grifondoro, in quanto dal giorno del loro ultimo colloquio, mai più un solo piccolo chartanimus era pervenuto a lui per minacciarlo di chiudere la questione confesional.
Non che Elliott fosse intenzionato a continuare ancora, era troppo annichilito dalla codardia per mandare avanti quel gioco.

“Non se ne parla proprio, togliti dalla testa l’idea di lasciar perdere!”

Durante l’ora di cena, Elliott aveva avuto la bella idea di riferire a Parvati che aveva intenzione di chiudere bottega. La reazione della fanciulla era stata, come da previsioni, decisamente sconsiderata: aveva alzato la forchetta con la quale stava infilzando una porzione di rapa rossa e aveva preso a puntarla nella sua direzione. Era molto, molto minacciosa.

“Ma non posso continuare, sono sicuro che mi scoprirebbero presto…” Elliott lanciò uno sguardo al tavolo di Serpeverde, l’unico tavolo dal quale provenivano schiamazzi a profusione, senza che per questo i membri della casa verde e argento venissero redarguiti.

“Tu non puoi…” Parvati riprese fiato e tentò di calmarsi, specialmente dopo che Lavanda Brown le aveva afferrato le spalle sussurrandole che forse stava esagerando con quella reazione, “…tesoro, gioia mia, pensaci bene, non vorrai mica lasciare noi studenti in balia di noi stessi, ormai sei un servizio necessario alla comunità, lo capisci?”

La sola cosa che capiva realmente, Elliott, era che l’unico interesse di Parvati fosse quello di riuscire a sfilare qualche succoso pettegolezzo dalla sua bocca. Il mago prese a torturarsi il septum con eccessivo nervosismo, sempre più provato dalla situazione in cui verteva; ci mancava Parvati Patil per farlo uscire totalmente fuori dai gangheri.

“Senti cocco, pensaci solo ancora un po’ su, che ne dici? Non prendere decisioni affrettate che potrebbero mandare all’aria l’unica salvezza di noi poveri studenti.

“Per altro non capisci che se dovessi smettere con le tue sedute, torneresti a sparire nell’ombra da cui sei stato miracolosamente tirato fuori? Ora via, mangia questa che ti vedo troppo sciupato ultimamente.”

Prima che Elliott avesse la possibilità di replicare -invero l’idea di sparire nell’anonimato era un sogno che agognava ormai da molto tempo-, Parvati, delicata come un fiammagranchio in amore, gli infilò un pezzo di rapa in bocca e chiuse lì la questione, facendogli capire che non sussisteva alcuna possibilità di replica, non quel giorno quantomeno.
Fra un boccone e l’altro ingollati controvoglia, Elliott si guardava intorno nella speranza di scorgere Demelza, quand’ecco che vide arrivare quest’ultima con ancora la divisa addosso e piena di fango fin sopra la punta dei suoi scarmigliati capelli rossi. Quando la ragazza notò la sua presenza, però, inchiodò subito il passo e fece dietrofront, rinunciando così alla cena. All’attento sguardo di Parvati non sfuggì di certo lo strano comportamento della sua amica e i suoi occhi scuri, d’improvviso, si illuminarono a giorno: accostò la spalla a quella ossuta di Elliott e prese a fissarlo con uno strano sorriso vagamente inquietante.

“Dimmi un po’, come mai Elza è scappata via non appena ti ha visto?”

Il mago si strinse nelle spalle, “Non ne ho idea.” Disse poi, con scarsa convinzione. Aveva compiuto un grosso errore, lo sapeva; Parvati non era di certo una che si poteva abbindolare con facilità, non di certo quando si trattava di possibili gossip, quantomeno. Quest’ultima infatti lanciò un’occhiata a Lavanda e Romilda, che contraccambiarono per poi dar vita a un bisbiglio pieno di risolini. A seguito di quello che Elliott reputò un teatrino patetico e svilente, il corvonero puntò nuovamente l’attenzione su Parvati, la quale aveva stretto le braccia in una morsa e aveva contraccambiato con lo sguardo di chi la sa molto più lunga di te.

“Davvero non ne sai niente? Non è che c’è mica qualcosa fra di voi?”

Se avesse avuto qualcosa da masticare, quella gli sarebbe di certo andata di traverso. “Qualcosa… cosa? Credo di non comprenderti, Parvati.”

“Oh, piantala di fare il santarellino! Da uno che tiene in piedi uno sportello per dare consigli sessuali questa faccia da finto tonto è poco credibile! Sai bene di che parlo! Allora? Vi siete baciati? Avete già fatto sesso?” Parvati strinse la coda di cavallo in cui aveva chiuso i suoi lucidi capelli neri, mentre Elliott avrebbe voluto scavarsi una fossa molto profonda, “se lo avete fatto e non mi avete detto nulla… oh! Quante ve ne dirò!”

A quel punto Elliott scosse le mani esprimendo agitazione crescente: “Non… non è assolutamente così! Non c’è nulla fra Demelza Robins e me, nulla!”

Parvati lo studiò a lungo, prima di annuire rassegnata, affranta per colpa dell’ infranta speranza di avere qualche scoop fra le mani: “Ti credo, nessuno è più ferrato della sottoscritta su questo argomento, è ovvio dalla tua reazione che fra di voi non c’è stato nulla.”

Improvvisamente più rilassato, Elliott annuì, per poi pietrificarsi di nuovo nel sentire Parvati aggiungere: “Ma questo non vuol dire che a te dispiacerebbe la cosa. È chiaro, lo vedo dal tremolio del tuo sguardo, tesoro. La nostra Elza ti piace. Eccome, se ti piace.”

Elliott era fuggito via da quella conversazione alla velocità della luce. Come poteva essere saltato in mente a quella squinternata della Patil che a lui potesse piacere Demelza Robins? Mentre si avviava con passo spedito al campo da Quidditch -se la squadra di Grifondoro aveva concluso il proprio allenamento, voleva dire che in quel momento toccava a Corvonero occupare il campo- al giovane mezzo svedese venne da sorridere; a lui non era mai piaciuto nessuno, non in quel senso, almeno. Credeva fosse possibile che ciò accadesse? Questa era una delle poche domande a cui Elliott non era in grado di dare una risposta certa e purtroppo sapeva bene che nessun libro avrebbe potuto illuminarlo in tal senso. La consapevolezza di sé, del proprio stato emotivo, era qualcosa che sembrava totalmente assente nella sua persona.

“No, non è possibile, certo che non è possibile. Devi smettere di pensare a quanto detto da Parvati, sono solo sciocchezze. Sciocchezze, sì.”

Elliott continuava a parlare fra sé e sé, intanto che allungava il passo verso gli spalti del campo da Quidditch, effettivamente occupato dalla squadra Corvonero in pieno allenamento. Gettò uno sguardo al suo orologio da polso; le lancette segnavano le sette e trenta, per questo realizzò che avrebbe dovuto attendere un’altra ora prima della fine degli allenamenti. Quantomeno poteva stare tranquillo, in quanto la squadra dell’inquisizione era particolarmente accanita con gli studenti grifondoro e se questi ultimi avevano appena liberato il campo, voleva dire che i suoi membri li avevano seguiti.
I sottili occhi verdi rimbalzavano distrattamente da un passaggio all’altro di pluffa, per poi finire sul boccino d’oro, che il cercatore della loro squadra, con ogni evidenza, non era stato in grado di individuare. Se solo fosse stato capace di volare decentemente, Elliott sarebbe stato un ottimo cercatore, ma lo sport non faceva proprio per lui.
Mentre seguiva il boccino si ritrovò nuovamente a pensare a quanto detto da Parvati, e quelle parole lo distrassero fin quando la voce di Roger, a cavallo della sua Nimbus 2000 fluttuante davanti a lui, non lo riportò alla realtà.

“Che ci fai qui? Non dirmi che hai scoperto di preferire il Quidditch ai compiti di Storia della Magia!”

“No, ecco… volevo parlarti, van. Forse ho bisogno di un tuo consiglio.”

“Elliott Johansson che chiede consiglio a qualcuno?” Esclamò Roger planando sugli spalti e issando la scopa sulla spalla destra “Questo sì che è un evento storico, dobbiamo brindare con del whisky incendiario quanto prima! Accennami qualcosa mentre torniamo al dormitorio, non voglio che qualche cabrón della squadra d’inquisizione colga l’occasione per toglierci qualche punto. Quale sarebbe l’argomento?”

Elliott fece spallucce e poi infilò le mani nelle tasche dell’ampio mantello.

“Ragazze.”

Fu inevitabile, per Roger Davies, strabuzzare gli affilati occhi scuri nel sentire uscire quella parola dalla bocca del suo migliore amico. Da che ne avesse memoria, Elliott non aveva mai mostrato interesse per nessuno che non fosse se stesso e i suoi soggetti di studio. Il venticello piacevole di quella serata d’aprile scompigliò i capelli neri del mezzo svedese, che con gesto automatico tentò di sistemarli mentre, con passo cadenzato, si avviava fuori dal campo da Quidditch.

“Beh…” si riprese Roger, tentando di mascherare l’eccessivo stupore che aveva donato colore al suo viso olivastro, “…sai bene che sono il massimo esperto in materia, hai fatto bene a venire dal sottoscritto. Allora chi è la niña che ti occupa i pensieri?”

*

Demelza raggiunse il proprio dormitorio sbuffando con la stessa frequenza dell’’Hogwarts Express, già pentita di non essersi fermata a mangiare; il suo stomaco brontolava a più non posso e a ogni brontolio la rimbrottava, facendola sentire stupida e codarda. Possibile che avesse così timore di un confronto con Elliott Johansson? Fra tutti i difetti che possedeva, Demelza non si riteneva di certo una pavida -perché cavolo sarebbe finita nella casa del coraggioso Godric Grifondoro, altrimenti?-, eppure quel ragazzo corvonero dall’aria stralunata era in grado di stravolgere la sua personalità, ormai era un dato di fatto.
Con meccanicità, senza farci più caso, dopo aver riposto la sua scopa la giovane grifondoro aveva afferrato l’ennesima lettera che Zacharias Smith aveva fatto in modo di infilarle sotto la porta del dormitorio e la gettò sulla pila di quelle già ricevute. A seguito di una lunga doccia con annesso gratta e netta si era poi gettata sul suo letto e aveva perso lo sguardo chiaro sul telo che ornava il consumato baldacchino. Come era possibile fosse già arrivato aprile? All’ennesimo brontolio, la strega sbuffò e rotolò su se stessa, per affondare la faccia spruzzata di lentiggini nel morbido cuscino. Non si sentiva minimamente preparata per gli esami che avrebbe dovuto affrontare di lì a qualche mese e il poco tempo che si trovava a disposizione doveva impiegarlo negli allenamenti di Quidditch, perché la sua squadra era ridotta in condizioni pietose. A tutto questo si aggiungeva la costante e molesta presenza di Zacharias Smith il quale, era chiaro, non era stato educato a chiedere il consenso dell’altra persona e non faceva che tartassarla di regali sgraditi e lettere melense.
Lo odiava.
E come se tutto questo non bastasse, doveva anche star dietro a quel cretino corvonero che le riempiva i pensieri, oltre che i momenti morti delle sue giornate a Hogwarts. Non sapeva bene se odiare anche Elliott per partito preso e buttarlo nella sua cantina emotiva insieme a Zacharias Smith e tutta una serie di altre persone che, fosse per lei, non avrebbero diritto di respirare il suo stesso ossigeno, o se accettare l’idea che, in realtà, la sua presenza non era poi così tanto sgradita.
Con ancora la faccia immersa nelle pieghe del cuscino, Demelza si ritrovò a ripensare alla serata trascorsa in compagnia del mezzo svedese con un certo… solletichino allo stomaco. Sorrise con spontaneità nel rivivere nella mente le battute del mago, poi sentì avvampare le guance rosee, quando i suoi ricordi si soffermarono nell’incastro con i suoi occhi tinti di quel colore di limpido mare, come la sua bocca che sbuffava fumo e si piegava nel sorriso più morbido che…

Eh-ehm… hanno lasciato questo per te.”

La voce di Hermione Granger, che assieme a Parvati e Lavanda condivideva con lei il dormitorio, la riportò bruscamente alla realtà(1). Hermione osservò la strana reazione della compagna e si affrettò a scusarsi per averla svegliata: fortunatamente aveva scambiato il rossore delle sue guance per la pressione del viso a contatto con il cuscino. Dopo aver rassicurato Hermione, l’attenzione di Demelza fu catalizzata dal gigantesco orso di peluche che la strega teneva fra le braccia; lanciò così l’ennesimo colorito impropero della giornata -che fosse sera e che lei si trovasse già a letto non erano garanzia del fatto che sarebbe stato l’ultimo-, così afferrò la bacchetta e tentò di far evanescere l’ennesimo regalo del tassorosso.

“Mi spiace averlo dovuto portare qui” pigolò Hermione con un certo imbarazzo, “ma, ecco… era stato lasciato davanti al quadro della Signora Grassa e beh, sai quanto non sopporti l’essere oscurata da chicchessia. Ha un ego molto sviluppato, quella lì!” Esclamò poi, prima di aiutare la sfinita Demelza nell’ardua impresa di far sparire in maniera definitiva il mastodontico orso con dei fluorescenti cuori rosa al posto degli occhi.

*

Elliott aveva deciso di attivare nuovamente il confesional, non tanto mosso da chissà quale spirito altruistico, o per l’esigenza di infilare in tasca qualche altro galeone; banalmente, non aveva intenzione di mettersi a discutere con Parvati per ritrovarsi poi fra le sue mire, specialmente una volta che era venuto a conoscenza che l’esotica grifondoro aveva preso parte a quel fantomatico Esercito di Silente. Elliott rabbrividì nel pensare a quale fattura sarebbe stata in grado di scagliargli contro se avesse osato contravvenire a un suo ordine. Così, sebbene a malincuore, aveva preso la decisione di accogliere di nuovo i suoi pazienti.
Di nuovi se ne erano aggiunti nell’ultimo mese, ma alcuni continuavano a recarsi da lui con cadenza regolare. In quel momento, rannicchiato sul water sempre accuratamente coperto e deterso con un potente incantesimo disinfettante brevettato da lui stesso, Elliott ascoltava il lamentoso Zacharias Smith.

“Ho tentato di fare quello che mi hai detto, ma è stato totalmente inutile… anzi, è stato un totale disastro!”

La voce lamentosa del tassorosso rimbalzava da una parete all’altra, tanto che anche Mirtilla Malcontenta, solitamente molto interessata ai pettegolezzi che trapelavano dalle sedute che teneva Elliott nel bagno, si era vista costretta a sparire nelle tubature. Da lì alla fine dell’ora, non aveva mai fatto ritorno. Il corvonero, di contro, stava tentando di non seguire la fantasmina o di non cercare anche lui un definitivo incontro con la Morte, ma l’impresa si presentava sempre più ardua. Mentre all’inizio dell’anno era riuscito a mantenersi in qualche modo distaccato, ultimamente ogni qualvolta che incrociava Zacharias Smith anche solo per sbaglio, sentiva montare dentro di sé una rabbia scalpitante e la pazienza, che era sempre stata sua amica fedele, lo stava  abbandonando.

“Perdonami, ma non credo di averti mai consigliato nemmeno velatamente di mostrare il tuo ossessivo interesse morboso con regali inappropriati.” Ad ascoltarsi da fuori, Elliott Johansson non sarebbe stato in grado di riconoscere il tono della propria voce, inclinato in una spazientita quanto irritata risposta al vetriolo. E la cosa peggiore è che non riuscì a trattenersi dall’offenderlo ancora, affibbiandogli appellativi quali inquietante e tossico.

“Ma… ma come ti permetti?!” Aveva squittito il tassorosso dalla sua posizione  per poi, con un gran trambusto, catapultarsi fuori di lì per spalancare la porta del bagno in cui si trovava Elliott. Quest’ultimo osservò la faccia paonazza di Zacharias, piegata in un’espressione di difficile interpretazione: era chiaro che da un lato era stato mosso dall’istintiva voglia di afferrare il corvonero per il colletto della camicia, d’altro canto, probabilmente, non si sentiva in grado di dar via a una baruffa alla babbana. Ed Elliott, che era davvero l’ultima persona al mondo in grado di venire alle mani, era ormai talmente fuori di sé che per reazione era saltato in piedi come un grillo e lo aveva provocato di nuovo:

“Solo uno stolto del tuo livello avrebbe potuto pensare che a una strega come Demelza Robins potesse piacere un orso di peluche in scala uno a uno! Mi piace pensare che tu non la conosca affatto, perché se fosse altrimenti dovrei registrarti come caso irrecuperabile di demenza precoce!”

Perché se la stesse prendendo tanto, Elliott proprio non riusciva a capirlo. Per lui ogni reazione eccessiva in conseguenza a una forte carica emotiva, era da considerarsi totalmente inedita. Ma ancora una volta -mentre il tassorosso, dopo aver strabuzzato gli occhi dallo stupore, aveva deciso di lanciare un gancio molto scoordinato nella sua direzione-, ragionò sul fatto che tutte le emozioni più forti provate nella sua vita erano in qualche modo legate a Demelza Robins. Curioso, valuto fra sé intanto che si premurava di evitare il pugno del tassorosso.
Fortunatamente Zacharias Smith andò a vuoto, ma finì per cadergli addosso. Elliott lo spinse lontano in maniera istintiva, facendolo barcollare fino la parete opposta: da quel momento fu il caos.
Zacharias tornò alla carica sfoderando un urlo disumano e calò su Elliott con un altro gancio, questa volta colpendolo di striscio sullo zigomo. Con i lacrimoni agli occhi, il corvonero tentò di contrattaccare (oh, se solo fosse riuscito a tirar fuori la sua bacchetta riposta purtroppo nella borsa), ma riuscì solo a colpire, benché con non troppa potenza, la spalla destra di Zacharias Smith.
I due finirono a terra e cominciarono a rotolare, fin quando non fu il tassorosso, scontatamente, a sovrastare Elliott; quest’ultimo se la stava vedendo proprio brutta e difficilmente sarebbe stato in grado di evitare il gancio che stava caricando Zacharias. Così Elliott serrò gli occhi e attese l’inevitabile, eppure stranamente non sentì nessun impatto con il pugno del compagno. Tutt’altro, Elliott si sentì alleggerito del peso di Zacharias.

“Non ti permettere di toccarlo!” Gridò Millicent che sentito il gran trambusto era entrata nel bagno di cui si trovava a guardia e aveva fatto giusto in tempo ad afferrare per le spalle il tassorosso; Zacharias venne catapultato fuori in men che non si dica. Infine Milly si avvicinò al malconcio corvonero, allungò la mano per aiutarlo ad alzarsi e lo tirò su con neanche troppo sforzo. Elliott la ringraziò, aveva l’aria confusa e lo zigomo si era gonfiato parecchio.

“Tutto bene capo? Vuoi andare da madama Chips?”

Con il fiato corto, Elliott puntò lo sguardo in quello di Millicent e per un po’ rimase immobile, tanto che la strega si allarmò, intimorita che al suo amico fosse venuto un ictus.

“Temo mi piaccia Demelza Robins.” Disse infine, con il suo solito tono grigio.

“Capo, non prendertela ma questo lo hanno capito anche i muri; vuoi dirmi qualcosa che non so?”

Elliott aggrottò le sopracciglia scure ma non aggiunse altro. Si sentiva molto frastornato, anche se era difficile dire se il motivo fosse la zuffa appena avvenuta con Zacharias Smith -che intanto se l’era data a gambe levate, non avendo intenzione di vedersela anche con Millicent Bulstrode- o se la colpa fosse l’avere appena realizzato che, per la prima volta in tutta la sua vita, si fosse preso una bella cotta.

Allora era un essere umano funzionale anche lui?

E quindi Roger aveva ragione, alla fine pare proprio che l’unico a non essere consapevole dei sentimenti provati verso quella grifondoro dai capelli rossi fosse proprio lui. La sera in cui Elliott aveva raggiunto il suo migliore amico che si stava allenando, quest’ultimo aveva ascoltato con attenzione ogni parola che Elliott aveva faticosamente fatto uscire dalla bocca. Gli aveva spiegato che credeva che fosse proprio Demelza Robins la persona che mostrava così tanto odio nei confronti della sua attività di psicoterapeuta sessuale, anche se non aveva ancora ben chiaro quale fosse il motivo. Proseguì nel raccontargli della serata che avevano passato insieme e di come lei si fosse scusata per averlo sempre trattato così tanto male. In quel momento Elliott, totalmente inconsapevole della sua cotta, si era mostrato particolarmente felice di sentir dire a Demelza che in realtà lo invidiava.

“Non ci vuole un genio per capirlo, tio, ti sei preso una cotta per Demelza Robins!”

Nel sentire quell’affermazione buttata lì da Roger con tono ovvio, Elliott aveva strabuzzato gli occhi, poi aveva negato. A lui non piaceva affatto Demelza Robins, era solo molto curioso di sapere per quale motivo la ragazza si fosse accanita così tanto contro di lui.
Allora Roger aveva risposto di non averlo mai visto così tanto scosso, non emotivamente almeno. Da quando lo aveva conosciuto, non c’era stata persona o evento che avessero spinto Elliott Johansson a indispettirsi e incaponirsi così tanto. “Dai retta a me, io queste cose le capisco, è il mio campo!”

E poi anche Parvati gli aveva detto la stessa cosa, ma Elliott aveva liquidato anche le sue parole. Alla fine persino Millicent se ne era accorta.
Tutti, tranne lui.

“E ora che faccio?”

La domanda retorica venne rivolta a Millicent, che stava procedendo con lui verso la Sala grande. Era così tanto soprappensiero, che la serpeverde dovette spostarlo di peso per evitare che finisse dritto dritto in una delle paludi create dai gemelli Weasley (2), che per altro emanavano un odore nauseabondo, difatti Millicent non si capacitava di come la persona più suscettibile agli odori sgradevoli che conoscesse, non se ne fosse resa conto. Doveva stare proprio fuori di testa, ragionò lei.

“Beh, potresti invitarla a uscire”, rispose con semplicità Millicent.

Un verso di difficile definizione -forse un accenno di risata, forse un singulto- uscì dalla bocca di Elliott, prima di rispondere: “Non credo esista in questa dimensione conosciuta una sola eventualità in cui questo possa accadere.”

“Che cazzo vai dicendo, capo?”

Elliott non rispose. In cuor suo, il brillante quanto disastroso corvonero era convinto che se Demelza Robins fosse venuta a conoscenza della sua assurda cotta per lei, probabilmente lo avrebbe preso a bastonate con la sua scopa. Quelli come lui non piacevano a nessuno, nonostante sua madre gli avesse sempre detto quanto fosse unico e speciale.
No, avrebbe tenuto la sua cotta per sé e prima o poi quella sarebbe passata, ne era certo. Non c’era nulla di importante in quel sentimento, assolutamente nulla. Inoltre, anche se non voleva ammetterlo, Elliott non voleva dover affrontare una catastrofica delusione, vedendosi sbattere la porta in faccia dalla strega.
Avrebbe persino messo da parte la propria curiosità e avrebbe rinunciato a capire per quale motivo Demelza lo avesse minacciato per mesi.
Certo, Elliott Johansson non poteva sapere che la battitrice grifondoro aveva sviluppato anch’ella una cotta.
Così, entrato nella Sala grande per consumare la cena, Elliott incrociò lo sguardo di Demelza, seduta al tavolo della sua casa. Quest’ultima abbassò lo sguardo sul suo polpettone e Elliott capì di avere appena preso la miglior decisione possibile.
Era meglio dimenticare in fretta Demelza Robins e tornare ad essere il solito, apatico, Elliott Johansson.


(1) Nella saga originale pare che Hermione condividesse davvero il dormitorio con Parvati Patil e Lavanda Brown, così ho voluto mantenere questo dettaglio, aggiungendo all’appello anche Demelza Robins.

(2) I gemelli Weasley hanno davvero creato varie situazioni di disagio l’anno in cui la Umbridge è diventata preside; fra le varie malefatte, hanno brevettato e utilizzato una vera e propria palude maleodorante, piazzata nel bel mezzo di uno dei corridoi di Hogwarts. Come non amarli?

 

Come si dice, chi non muore si rivede, giusto?
Cari lettori, sono contenta di essere tornata. Quest’ultimo anno e mezzo è stato molto intenso e travagliato per la sottoscritta; la vita si è totalmente stravolta (in buona parte in positivo, grazie all’arrivo di G) e non sono più stata in grado di scrivere nulla, un po’ per mancanza di tempo, ma per buona parte a causa di una improvvisa e totale incapacità di scrivere. Ora che la concentrazione ha fatto di nuovo capolino, ho deciso di riprendere pian piano a scrivere e ho voluto iniziare proprio da questa storia, alla quale mancavano solo due capitoli per essere conclusa e che ho abbandonato all’improvviso, presa dall’emotività di un momento particolarmente delicato che ho vissuto.
Insomma, quale modo migliore per riprendere in mano questa mia grande passione, se non portando a termine un progetto sospeso?
Scrivere Sex Education mi ha sempre fatta ridere di gusto e anche se, quantomeno per il momento, mi sento molto arrugginita, ho bisogno di concludere la storia di Elliott Johansson e la squinternata Demelza, per potermi poi dedicare ad altre storie. Un passetto alla volta, conto di farcela.
Spero che qualcuno di voi sia rimasto all’ascolto e, ai nuovi arrivati, do il benvenuto in questa follia, alla cui conclusione manca un solo capitolo.
Insomma, sono proprio contenta di essere di nuovo qui, mi è mancato tutto questo.
Un grande abbraccio a tutti, vi aspetto nel gran finale.

Bri

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Giù la maschera! ***


Capitolo V

Giù la maschera!

 

Roger stava approfittando dell’avere appena finito gli allenamenti in vista dell’ultima partita del campionato di Quidditch, per bagnarsi dei caldi raggi di quel sole di maggio, che mal si accompagnava al regime sempre più pressante della preside della scuola. Oramai era impossibile fare qualsiasi cosa senza per questo vedersi decurtare svariati punti dalla clessidra, va da sé che i momenti di svago erano centellinati col contagocce, perché poteva sempre spuntare fuori qualche membro della squadra d’inquisizione pronto a rovinarti la giornata.
Stranamente felice di non essere in compagnia di qualche strega, il bel corvonero si stiracchiò per bene, beandosi poi del tocco gentile della tenera erba del campo. Sarebbe volentieri rimasto così per l’ora a seguire, non fosse che un tossicchiare secco, accompagnato da un colpetto di punta sul suo stinco destro, lo portarono prima a lamentarsi e poi a spalancare gli occhi: questi passarono dalle scarpe della divisa, fino a salire oltre le gambe, per poi scontrarsi con un paio di braccia incrociate e un’espressione particolarmente spazientita.

“Oh cara Padma, potevi essere un po’ più gentile con il tuo capitano!”

Gli occhi della ragazza rotearono vistosamente e la voce uscì velenosa dalla sua bocca: “Ma voi Corvonero non dovreste essere quelli intelligenti? Non vedi che indosso la divisa di Grifondoro?”

A seguito di un lungo silenzio da parte di Roger — quest’ultimo era munito di uno sguardo pieno di incertezze —, la strega berciò “Sono Parvati, razza di idiota!”

Finalmente chiarito il fraintendimento, Roger si alzò da terra e, una volta spolverata la sua divisa di capitano, si espose nel suo più bel sorriso, mentre con la mente tentava di ricordare se avesse mai conosciuto la Patil rosso e oro vestita, in altri contesti avulsi da fugaci incontri in corridoio. Insomma, Roger si chiedeva se avesse o meno scambiato con Parvati qualche effusione finita magari non troppo bene, visto il tono particolarmente acido con il quale la strega lo stava approcciando.

“E come posso esserti d’aiuto, señorita?”

“Puoi iniziare chiamandomi per nome, ad esempio.” Gelida come le acque del polo nord, Parvati mise subito in chiaro che con lei non era possibile adottare l’atteggiamento cascamortoso che, di default, Roger Davies era solito utilizzare in presenza di tutte le ragazze che non rientravano nella sua cerchia di amicizie.

Oh Priscilla vergine, me lo aveva detto, Elliott, che sei una tipetta… tosta, diciamo.”

“E proprio di Elliott ti voglio parlare. Forza sbrigati e seguimi, non ho tutto il tempo a disposizione, devo studiare per i G.U.F.O., io!”

Se per questo, Roger avrebbe dovuto mettersi sotto in quanto i M.A.G.O. erano alle porte, ma si sarebbe ben guardato dal dire alla strega che non aveva tempo da dedicarle. Da quel che aveva sentito sul suo conto, sapeva che quella sarebbe stata in grado di affatturarlo senza nemmeno tirar fuori la bacchetta.
Messo piede nell’aula di storia della magia, in quel momento fortunatamente vuota, Roger sussultò nel ritrovarsi sbatacchiato da un paio di streghe che lo misero a sedere con tocco lascivo.

“Roger Davies, loro sono Lavanda Brown e Romilda Vane.”

Fu Romilda a guardarlo con un sorrisetto curioso: “Sei famoso Roger Davies, un giorno dovrai spiegarci come sei riuscito a portare al ballo del ceppo Fleur Delacroix(1). Qualche filtro d’amore per caso?” Romilda regalò un pizzicotto gentile allo zigomo del ragazzo “Amortentia… magari?(2)

“Secondo me è tutto merito di questo bel faccino, uno come Roger Davies non ha di certo bisogno di certi giochetti per conquistare una ragazza, non è vero?” Cinguettò melodiosa Lavanda Brown, che scostò dal viso una riccia ciocca color miele, prima di strizzare le spalle di Roger, il quale si ritrovò a deglutire per l’agitazione. In una situazione normale sarebbe stato ben felice di condividere il tempo con quelle tre ragazze così graziose, eppure qualcosa di inquietante e pericoloso si celava dietro ai musetti d’angelo che lo stavano coprendo di attenzioni, se lo sentiva.
Così Roger si ritrovò da un lato Romilda, dall’altro Lavanda e in piedi davanti a lui, con le braccia nuovamente incrociate e l’espressione di chi non ha affatto voglia di divertirsi, vi era Parvati.

“Non… non capisco perché mi trovo qui. Per quanto io sia davvero felice di aver fatto la vostra conoscenza, ora credo sia meglio andare… signore con il vostro permesso…”

Roger tentò di alzarsi di nuovo, ma le mani di Romilda e Lavanda lo spinsero nuovamente a sedere.

“Non così in fretta, Davies. Vogliamo parlare di Elliott.” Le parole di Parvati suonarono alle orecchie del capitano di Corvonero come una vera e propria sentenza, sebbene Roger non capisse per quale motivo parlare del suo migliore amico gli facesse quell’effetto. Arrivò a decretare, dopo un lungo ragionare, che dovesse essere la stessa Parvati Patil a risultare minacciosa e che probabilmente, anche se questa si fosse messa a cantargli una ninnananna, l’effetto non sarebbe cambiato. Dunque rassegnato, Roger decise di fare il gioco delle grifondorine e stette a sentire quel che avevano da dire a proposito di Elliott.

“Ti sei accorto che il tuo amico è crollato nella depressione, o sei troppo concentrato su te stesso per averci fatto caso?”

Ribattere, al povero Roger, non fu possibile: Parvati Patil era un fiume in piena e dalla bocca volavano parole con serrato ritmo da rapper navigata.

“È da oltre un mese che ha quella faccia lì.” Alluse la grifondorina, come fosse chiaro a quale espressione stesse facendo riferimento “E non accenna a migliorare in nessun modo. Evita qualsiasi tipo di essere umano che non sia un suo paziente e, tolte lezioni e sedute, passa il resto del suo tempo rinchiuso dentro la biblioteca.”

Roger lasciò quindi che Parvati finisse di parlare e, premuratosi che quella avesse finalmente consumato ogni parola del proprio vocabolario, si azzardò a chiedere. “E quindi… come mai mi trovo qui?”

Per la proboscide di Ganesha…perché siamo preoccupate per Elliott, cretino!” Parvati fece un paio di passi nella direzione di Roger, ancora seduto sulla sedia come un condannato alla pena capitale, quindi inclinò la schiena e puntò gli occhi affilati nei suoi: “Dì un po’… ci tieni al tuo amico?”

Claro che sì!” Esclamò con sicurezza il mago.

“Bene, allora sarai disposto a darci una mano.”

Forse Roger avrebbe dovuto trovare il modo di tirarsi indietro; quel senso di inquietudine che lo aveva assalito non appena aveva messo piede nell’aula, stava aumentando sempre più e lui non riusciva a svicolarsi dalla situazione. Erano in attesa di qualcosa, ovviamente lui non aveva idea di cosa, quand’ecco che la porta si spalancò e Millicent Bulstrode, un’altra che da mesi era sempre alle calcagna di Elliott, si era catapultata dentro a suon di sbuffi.

“Ce l’ho… uff… fatta!”

“Brava ragazza.” Cinguettò soave Parvati dopo averle carezzato la testa e aver afferrato l’ampolla che la serpeverde teneva in mano.

“Come hai fatto?” Chiese curiosa e quasi ammirata Lavanda.

“Gazza, mi ha aiutata lui.”

“Aiutata a fare cosa? Qualcuno vuole spiegarmi che cosa sta succedendo?”

Ma le quattro ragazze sembrarono non percepire la presenza di Roger Davies nell’aula. Cominciarono a parlottare fra di loro, facendo gran movimenti di braccia e guardandosi intorno con circospezione. Spazientito, Roger a un certo punto richiamò la loro attenzione.

“Se non avete intenzione di coinvolgermi ho il permesso di andare? È l’ora della merenda, ho una certa fame.”

Solo a quel punto il gruppetto rivolse la propria attenzione al corvonero, che ancora una volta pensò che forse avrebbe fatto bene a starsene zitto. Parvati si avvicinò di nuovo a lui, agitando l’ampollina davanti al suo viso.

“Non scherzare Davies, sei tu il nostro protagonista.”

*

Avrebbe preferito fare qualunque altra cosa, Demelza Robins, piuttosto che riordinare l’aula della professoressa McGonagall, punizione conquistata dopo aver combinato un disastro durante la lezione di quella mattina. Non faceva che sbuffare, la streghetta, lamentandosi ogni tanto a gran voce con la professoressa di quanto non avesse colpe di ciò che era accaduto.

“Signorina Robins, continuare a dichiarare che non era sua intenzione trasformare una teiera in una pignatta piena di melma viola non risolverà la situazione, al contrario di un buon incantesimo gratta e netta. Se avesse prestato maggiore ascolto durante le mie lezioni, sono certa che ora non ci troveremmo in questa situazione.”

Demelza tentò di fare leva sulla passione della professoressa per il Quidditch: “Ma dovrei allenarmi… siamo già in pessime condizioni senza Potter e con i Weasley che hanno anche lasciato la scuola!”

Minerva McGonagall dovette trattenere un sorriso, al ricordo di come Fred e George Weasley si erano dati alla fuga lasciando la Umbridge a rodersi il fegato, così sistemò gli occhiali sulla punta del naso e disse: “Oh, tanto peggio di così non può andare, quest’anno possiamo dire addio alla vittoria. Coraggio, restando in silenzio impiegherà molto meno tempo a finire.”

Un altro sbuffo fuoriuscì dalle labbra di Demelza, che riprese, con il suo incantesimo, a scrostare dalle pareti quella viscida sostanza che pare volesse prendere vita propria. Poi un bussare alla porta interruppe finalmente l’arduo compito. Ma a quale prezzo?

“Professoressa, avrei bisogno della señor… cioè di Demelza Robins per dieci minuti.”

Demelza, improvvisamente pallida in viso, osservò il ragazzo con gli occhi sgranati, mentre la professoressa McGonagall, con rassegnazione, compì un vago gesto con la mano.

“E va bene, segua pure il signor Johansson.

Fosse stato chiunque altro, probabilmente la professoressa non avrebbe acconsentito, ma Elliott Johansson era uno dei suoi studenti preferiti, nonché uno dei prefetti di Corvonero e si era sempre mostrato particolarmente ligio al dovere.
La grifondoro lanciò un’occhiata di sguincio a Elliott; valutò che forse sarebbe stato meglio rimanere a pulire l’aula —anche se quello avrebbe voluto dire rimanere per sempre lì dentro con la McGonagall—, piuttosto che seguire il ragazzo con cui non parlava da oltre un mese. Chissà che voleva da lei, poi. Aveva fatto di tutto per evitarla, in realtà si erano tenuti alla larga l’uno dall’altra, anche se Demelza un  paio di deboli tentativi per avvicinarlo li aveva anche fatti.
Elliott ringraziò fugacemente e anticipò Demelza nell’uscita dall’aula. La McGonagall osservò i due studenti uscire, poi sospirò e scosse la testa, infine estrasse la propria bacchetta e, con movimenti abili e rapidi, riprese il lavoro lasciato a metà dalla sua studentessa.
Una volta fuori dall’aula, Demelza strinse le braccia sotto il seno e bofonchiò qualche parola. Un ringraziamento per averla tirata fuori di là. “Ora però devo scappare, ho gli allenamenti…”
Rimase di sasso quando Elliott, particolarmente espressivo, dichiarò che non le avrebbe permesso di andarsene senza prima sentire quel che aveva da dire, così Demelza comprese che non aveva alcuna possibilità di fuggire dalla situazione. Consentì infine di seguirne i passi, senza rendersi conto che, alle loro spalle, quattro streghe particolarmente curiose li stavano seguendo.
Roger aveva a disposizione altri cinquanta minuti prima che la pozione polisucco, che era stato costretto a ingerire, smettesse di fare effetto. E proprio non ci volevano Vincent Tiger e Gregory Goyle in perlustrazione del corridoio che stavano per attraversare. Incarogniti com’erano, avrebbero finito per fermarli e trovare il modo di detrarre loro dei punti. Dovettero, per questo, cambiare percorso, aumentando il tempo per arrivare al bagno dei prefetti; prima di entrare Roger lanciò uno sguardo all’orologio da polso sempre indossato da Elliott: gli erano rimasti trentacinque minuti a disposizione, doveva sbrigarsi.

“Allora dimmi, come mai tanta urgenza?”

Demelza, dapprima meravigliata dal bagno dei prefetti in cui non aveva mai messo piede, stava tentando di darsi un contegno. Sentiva una miriade di emozioni contrastanti prenderle a calci lo stomaco e non era assolutamente a conoscenza di cosa fare per sedare quella rivolta emotiva. La presenza del corvonero da un lato la intimoriva, dall’altro le era mancata, c’era poco da fare a riguardo.
Davanti a lei Elliott, atteggiato con le mani nelle tasche e un sorriso rilassato, la stava destabilizzando sempre più. Possibile che fosse tanto cambiato in così poco tempo?

“Quanta fretta, non vuoi parlarmi un po’ di te prima? Come sta andando lo studio, il Quidditch… pronta per l’ultima partita di campionato contro di noi?”

“Ma ti sei fumato roba pesante? Quando mai ti è fregato qualcosa di Quidditch?!”

Roger, nei panni del suo migliore amico, poté sentire con distinzione le urla che Parvati Patil gli avrebbe lanciato contro nell’ascoltarlo parlare; la grifondorina si era raccomandata con lui di essere quanto più naturale possibile: non bastava somigliare a Elliott nell’aspetto fisico, bensì doveva rispecchiarne anche gli atteggiamenti, altrimenti Demelza si sarebbe resa conto di qualcosa di strano. Tentò dunque di correre ai ripari: fece sparire il suo sorriso smagliante, così strano sul viso del mezzo svedese, poi incurvò le spalle, facendo in modo di risultare un po’ più basso del suo reale metro e novanta. Peccato, era molto piacevole ritrovarsi nei panni di un ragazzo tanto alto.

“Era solo un modo per rompere il ghiaccio, non ci parliamo da tanto e… e so che ti piace il Quidditch, tutto qui.”

L’espressione dubbiosa sul viso roseo di Demelza scomparve pian piano così che, nel suo intimo, Roger poté tirare un sospiro di sollievo.

“E va bene. Comunque è un periodo molto stressante, fra i G.U.F.O, il Quidditch… e poi hai visto la McGonagall, ci manca lei che mi mette in punizione; ho dovuto fare quel dannato orientamento sulla carriera(3), che vuoi che ne sappia di quello che vorrò fare uscita di qui, l’unica cosa che mi riesce mezzo decente è volare(4)! Per non parlare di quella mezza trincia al vapore della Umbridge che proprio non ci da tregua a noi grifondoro!” Demelza si fermò un istante, in cui inchiodò i grandi occhi grigi in quelli di Elliott, o meglio in quelli di Roger nei panni di Elliott: “E poi ci sei tu, ecco.”

Perfetto, il piano stava avendo successo. Come da previsioni di Parvati, lungimirante quanto  dispotica streghetta, Demelza non sarebbe riuscita a trattenersi dall’esternare i propri sentimenti; a quel punto Roger, una volta fatto il primo passo, aveva la possibilità di fare sì che la ragazza rivelasse cosa realmente provasse nei confronti del corvonero spilungone e il gioco era fatto. Sarebbe bastato parlare con Elliott e spiegargli la situazione, così quello sarebbe finalmente uscito dal suo guscio fatto di repressione e apatia e sarebbe tornato a far palpitare il suo cuoricino attualmente incastrato nel ghiaccio. Era assodato infatti che Elliott fosse assolutamente certo che Demelza non provasse nei suoi confronti che sentimenti di astio e non avrebbe dato retta nemmeno a Priscilla in persona, se quella fosse resuscitata solo per dirgli che era uno stupido, pavido, zuccone.
Roger decise dunque di intervenire, prima che Demelza potesse inibirsi e fuggire via.

“Senti, io penso che siamo stati entrambi molto sciocchi…” Roger tentò di parlare come il suo stravagante amico “Personalmente non avevo intenzione di recarti alcun tipo di disagio e con la mia richiesta di confronto, spero che il disguido sia chiarito.”

Beh, a giudicare dall’espressione della Robins, Roger non doveva essere stato molto in grado di imitare Elliott; a quel punto sospirò, prima di parlare ancora, cercando di sfruttare ciò che sapeva del suo migliore amico: “Senti, io sono quel che sono. Sono una persona… complicata. La mia non è una mente neurotipica, ragion per cui quello che appare chiaro e lineare a me non è detto appaia allo stesso modo al mio interlocutore, ad esempio a te, ecco. Sto cercando di dirti che mi dispiace di essermi comportato in maniera strana, ma sappi che non era mia intenzione infastidirti o, peggio ancora… allontanarti.” Roger prese una pausa, durante la quale fissò con tutta l’intensità di cui era capace i begli occhi di Demelza Robins: “Io ci tengo a te e mi sei mancata. Tutto qui.”

Probabilmente aveva esagerato. Pensò, il capitano di Corvonero, che se Elliott avesse avuto modo di ascoltare il suo discorso, lo avrebbe strozzato con le sue stesse, lunghe e ossute mani, o almeno ci avrebbe provato. E Demelza Robins avrebbe potuto reagire male, visto quanto era stato sfacciatamente diretto nel dire quello che, in cuor suo comunque ne era certo, era ciò che realmente provava Elliott ma che, mai e poi mai, avrebbe avuto la capacità di dire allo stesso modo.
Ma Demelza non sgranò gli occhi e non alzò la voce, non cercò di fuggire, né gli ordinò di andarsene lasciandola sola. Non fece niente di tutto questo. Invece rimase in silenzio, presa dai lineamenti spigolosi di Elliott, dalla sua bocca morbida e stranamente gentile e dal suo sguardo vivido.

“Non mi stai prendendo in giro?” Gli chiese poi, delicata, nonostante il suo corpo si mantenesse in posizione di difesa, con le sottili braccia annodate fra di loro a volersi proteggere. Roger scosse il capo.

“Non scherzo.”

“E non vuoi sapere perché ti ho mandato tutti quei brutti messaggi per chiederti di chiudere il confesional? È strano che tu non voglia più saperlo.”

È vero, avrebbe dovuto pensarci. D‘altronde Elliott sembrava ossessionato dalla questione e se ci fosse stato davvero lui al suo posto, magari avrebbe tergiversato su altro, ma non si sarebbe risparmiato di chiedere a Demelza di confessare. Tentò allora di riprendersi, era talmente tanto agitato che compì una serie di movimenti sconclusionati tali da aiutarlo ad assomigliare veramente a Elliott.

“Certo che voglio saperlo! Non ho pensato ad altro in tutto questo tempo…” un risata nervosa spezzò la frase, “ma era più importante dirti… dirti quel che ti ho detto.”

I due sedettero sul bordo della grande vasca del bagno dei prefetti e le parole di Demelza si fecero coccolare dai vapori docili.

“Non volevo dirtelo, per questo mi sono allontanata. Mi sono sentita messa alle strette, poi stupida, tanto stupida, più di un paguro senza guscio. La verità è che da quando quello squilibrato di Zacharias Smith ha iniziato a venire da te come paziente” parola che Demelza virgolettò metaforicamente con le dita, “è diventato sempre più pesante nei miei confronti. Non ha mai accettato un no come risposta, anzi credo abbia preso i miei rifiuti come voglia di farsi desiderare, non so se mi spiego. E allora ho scoperto che avevi attivato quello sportello e che lui aveva cominciato a farsi seguire da te. Ho pensato che se tu avessi chiuso i battenti del confesional, Zacharias non si sarebbe più sentito incentivato a insistere. Magari mi avrebbe lasciata stare, capito?”

Roger percepì una fitta allo stomaco. Pensò che se Elliott fosse venuto a conoscenza delle motivazioni di Demelza, si sarebbe sentito uno schifo, benché fosse chiaro che la colpa non era la sua, bensì di quell’idiota di Smith che a quel punto avrebbe voluto personalmente infilare con la testa nella serra delle mandragole della professoressa Sprout.

“Allora sono andata da George, George Weasley.” Disse abbacchiata “Mi sono fatta dare quel loro inchiostro mimico(5), con tutte quelle lettere che mi ha mandato Zacharias Smith è stato un gioco da ragazzi emularne la scrittura.”

“Ma… perché non mi hai detto nulla? Avresti potuto venire a parlarmi, sono certo che se mi avessi spiegato la situazione…”

“Mi avresti presa per pazza!” Squittì Demelza “Con quale coraggio sarei potuta venire da te a chiederti di non seguire più Zacharias Smith? E con quale motivazione, poi? Non voglio che quel mezzo ciuco mi corteggi? Mi avresti riso in faccia! E poi te l’ho detto, sono stata stupida, stupida!”

Demelza passò le dita fra i corti capelli rossi con fare melodrammatico e Roger la osservò in silenzio. No, era certo che Elliott non le avrebbe mai riso in faccia —anche perché il ragazzo si esponeva ben di rado in risate sguaiate—, al contrario avrebbe fatto in modo di aiutarla, d’altro canto solo qualche settimana prima, da non capacitarsi, Elliott e Zacharias erano venuti alle mani. Roger si ripromise che quella sera stessa avrebbe parlato col suo amico e gli avrebbe raccontato come era andato il piano che aveva architettato assieme a Parvati, Millicent, Romilda e Lavanda.
Per quanto ne fosse in grado e sempre bene attento a non farsi scoprire, Roger tentò di consolare Demelza, poi d’improvviso sussultò e guardò l’orologio: l’ora era quasi passata.

“Dannazione si è fatto tardi! Quindi ci siamo chiariti, giusto? Ora è meglio che tu vada agli allenamenti…”

Demelza si alzò a sua volta e trattenne per il polso il ragazzo pronto a schizzare via.

“Non così in fretta!” Dichiarò la strega con quella sua vocina acuta, prima di attirare verso il basso il compagno.
Stava accadendo quel che non sarebbe mai e poi mai dovuto accadere, quantomeno non a Roger nei panni di Elliott: Demelza aveva appena stampato la bocca sulla sua.(6)
E Roger cosa avrebbe dovuto fare? Non sapeva se Elliott avrebbe voluto acconsentire a quel bacio; sospettava di sì, ma non poteva averne la certezza. E se l’avesse rifiutata, come ci sarebbe rimasta Demelza Robins? Avrebbe finito per peggiorare le cose, però quella non doveva e poteva essere una decisione che spettava a Roger.
Era immerso nella melma fino al collo, per usare un eufemismo.
Ma Roger rimase ancor più di sasso quando vide gli occhi di Demelza sgranarsi d’improvviso e il suo viso allontanarsi di scatto, come se avesse avuto la capacità di ustionarla. Aveva un’espressione incredula, allibita. E poi l’incredulità divenne collera mentre Roger realizzò, percependo i lineamenti del proprio corpo mutare, cosa stava accadendo.
Il dramma era compiuto.
Demelza era furiosa come mai lo era stata prima d’ora: “Tu, viscido insetto stercorario!” Gridò contro Roger, che stava rapidamente riassumendo il suo aspetto, “Tu, razza di lombrico multicolore, cosa diavolo vi siete messi in testa tu e il tuo amico?!”

La strega mulinò su se stessa e corse verso la porta del bagno, aprendola poi di scatto. Roger non pensava che le cose sarebbero potute andare peggio di così, eppure vedere Parvati, Millicent, Romilda e Lavanda capitombolare in avanti come le tessere del domino, lo fece ben ricredere. Demelza osservò il gruppetto ancora più incredula. “Non-posso-crederci” affermò infine, il tono della voce drammaticamente sconsolato.
Fu inutile tentare di spiegare la situazione a Demelza. Fu Parvati a prendere a cuore la questione, ma Demelza non volle sentire ragioni; si sentiva umiliata e presa in giro da quelle che erano le sue migliori amiche che, per quanto potessero essere pettegole e frivole, avevano sempre dimostrato un grande cuore. L’unica cosa che riuscì a ottenere Parvati, fu scagionare Elliott da ogni tipo di accusa; la ragazza dalla chioma fulva non dubitò del corvonero, ma a quale prezzo?
Invece Roger, dopo aver passato un paio di giorni a rotolarsi nell’indecisione, riuscì a confessare quanto successo a Elliott, pensando per altro fosse la cosa migliore da fare. Addirittura, forse, il sapere che Demelza era arrivata a baciarlo, avrebbe smosso in lui qualche tipo di emozione sopita; ma a dirla proprio tutta anche quell’ultimo, disperato tentativo risultò inutile: l’allampanato corvetto non mostrò alcun tipo di reazione, se non un lieve sospiro e qualche parola di sconforto nei confronti di Demelza. Roger credette di notare lo sguardo verde adombrarsi per qualche istante, ma si convinse essere solo una sua impressione.
Elliott Johansson era irrecuperabile.

*

Perché?
Quest’unico fonema risuonava nella mente agitata di Elliott Johansson. Già, il ragazzo continuava a chiedersi come mai continuasse a fare quel che stava facendo. La sua agenda era piena come un tortino alla zucca e lui non ne capiva il motivo. Non sentiva di avere le capacità per continuare con la magiterapia ai suoi compagni di scuola, a dirla tutta si sentiva totalmente inadeguato; eppure gli appuntamenti aumentavano e in molti facevano carte false pur di guadagnarsi una mezz’ora con Elliott Johansson all’ascolto. Probabilmente ormai aveva raggiunto così tanta popolarità, che avrebbe potuto tranquillamente mettere un gerbillo a rispondere al posto suo, tanto i suoi pazienti sarebbero rimasti ugualmente soddisfatti.
Elliott si sentiva, invece, immerso in uno stato vegetativo da cui uscire fuori era praticamente impossibile; non solo era regredito allo stato antecedente la conoscenza di Demelza Robins, bensì era addirittura peggiorato, o almeno così è come si sentiva il corvonero, che oramai non era più stuzzicato nemmeno dall’uso di erbette magiche.
Sentiva, Elliott, di non essere più in grado di provare nulla.
Era indubbiamente una tecnica di autodifesa della sua mente, su questo non c’era dubbio e, a livello razionale, il giovane mago ne era perfettamente conscio; il problema sussisteva nel momento in cui tentava di mettersi alla prova, per poi accorgersi che niente fosse più in grado di far sobbalzare il petto, emozioni positive o negative che fossero. Si ripeteva che forse l’unica cosa da fare fosse tenere duro almeno fino all’inizio delle vacanze estive, sapendo che avrebbe trascorso, come ogni anno, l’estate in Svezia, madre di quei luoghi che erano sempre stati capaci di confortarlo.
Mancava davvero poco al suo processo di guarigione, se lo ripeteva come un mantra.
Nel frattempo Elliott si divideva fra studio e sedute ai suoi compagni di scuola: stop.
Proprio in quel momento era all’ascolto dell’ennesimo personaggio —un grifondoro particolarmente depresso, afflitto da mutismo selettivo che si ammutoliva ogni qualvolta incrociava il ragazzo che gli piaceva(7)—; Elliott gli prestava ascolto, ma solo in parte: il suo emisfero destro era concentrato a scarabocchiare sul suo quaderno di uno scontro fra un gigante e una brutta strega incredibilmente simile alla preside Umbridge, in fuga dalla creatura che tentava di afferrarla (8).
Era un momento perfetto per effettuare la seduta; proprio quel pomeriggio, infatti, si stava tenendo l’ultima partita di campionato che vedeva in campo Corvonero contro Grifondoro. A lui del Quidditch non fregava nulla, a Robert Hopper men che meno, dunque tanto meglio sfruttare quel momento.
La verità, purtroppo, è che non si può prevedere tutto; ad esempio  Elliott Johansson non poté prevedere l’incursione nel bagno di un paio di serpeverde facenti parte della squadra d’inquisizione, che spalancarono le ante dei bagni dei due studenti, fecero svenire per lo spavento il grifondoro e si trascinarono via Elliott.

“La preside Umbridge sarà così felice.” sghignazzò Adrian Pucey mentre l’altro, tale Rupert Derrick, annuiva compiaciuto. Attraversarono il corridoio e uscirono all’aperto, scrollando di tanto in tanto le spalle di Elliott il quale li seguiva con apatica rassegnazione. In realtà i due serpeverde avrebbero sperato in un qualche tipo di reazione da parte del corvonero, questo avrebbe reso il tutto più divertente.
Durante il tragitto, i tre si scontrarono con una fiumana di persone, segno che la partita era giunta al termine. Era chiaro, dall’eccitazione di chi vestiva i panni rossi e oro, che era stata Grifondoro ad aggiudicarsi la coppa del campionato; Elliott sentì una lieve morsa allo stomaco, dovuta al dispiacere per il suo amico Roger. D’altro canto questo voleva dire che Demelza aveva vinto. Il viso di Elliott fu sporcato da un flebile sorriso, che scomparve all’istante non appena i tre incrociarono Zacharias Smith, appoggiato a un delle colonne d’ingresso alla scuola e con indosso un sorrisetto compiaciuto. Fu subito chiaro come avevano fatto a scoprirlo, pensò Elliott ricambiando l’occhiata del tassorosso.
E di nuovo, sommesso —quasi un soffio—, un movimento allo stomaco lo scosse: era rabbia?

 

Demelza Robins, circondata come gli altri giocatori della squadra da tutta la casa Grifondoro, si sentiva al settimo cielo; erano settimane che non provava nulla di così positivo. Ancora non si capacitava di come fosse possibile che avessero battuto Corvonero nonostante l’assenza di Harry Potter e dei gemelli Weasley. Ginny Weasley era riuscita ad afferrare il boccino come per magia e suo fratello Ron aveva parato i colpi pazzeschi di Roger Davies e i suoi compagni; Demelza aveva gioito quando per sbaglio aveva scagliato un bolide dritto nella sua direzione calcando un po’ troppo la mano, colpendolo in pieno stomaco e facendogli così sbagliare il colpo di pluffa. Era stato tutto pazzesco ed emozionante.
Con la scopa ancora in mano, Demelza si unì al coro dei suoi compagni.

Weasley è il nostro salvatore,

col suo gioco pien d’ardore,

Grifondor canta con me:

Perché Weasley è il nostro re.

Quand’ecco che con la coda dell’occhio finì per impattare con uno strano trio, formato da due energumeni di Serpeverde e un bistrattato…

“Per tutti i merluzzi in salmì… Elliott!” Esclamò fra sé. Il resto dei compagni non le dette di certo retta, troppo presi a festeggiare i loro campioni. Così Demelza non perse tempo e rintracciò subito Parvati, in compagnia delle altre due grifondorine.

“Se sei qui per farti fare le congratulazioni lascia stare, Elza, hai tutti gli altri a festeggiarti, non ti servono le amiche che hai ripudiato.” Sputò velenosa Parvati, con Lavanda e Romilda che annuivano con convinzione. Ma Demelza scosse il capo, scrollando i ribelli capelli che al sole brillavano come fuoco vivo: “Non sono qui per niente del genere, guardate lì, ora!”

Le tre, che stavano seguendo il flusso dei compagni intenti a incamminarsi verso la torre di Grifondoro, si fermarono e puntarono lo sguardo verso il punto indicato dall’indice di Demelza.

“Oh no! Che ci fa Johansson con quei due?!” Esclamò preoccupata Lavanda, mentre Romilda sussurrò non essere per niente un buon segno.

“Lo avranno scoperto e lo staranno portando dagli altri della squadra d’inquisizione, o peggio ancora dalla Umbridge. Dobbiamo agire in fretta.” Decretò lapidaria Parvati, prima di iniziare a dare compiti alle altre con notevole frettolosità. A quel punto le quattro grifondorine si guardarono e annuirono, e proprio come D’Artagnan e i tre moschettieri, Parvati si mosse rapida con le altre tre al seguito, in direzione dell’anomalo trio.

“Ehi, voi due, avete perso l’orientamento?” Cantilenò Romilda Vane, giocherellando con la sua bacchetta in attesa di una reazione da parte dei serpeverde. I tre si voltarono verso la strega —Elliott era particolarmente stupito nello scorgere il gruppetto delle ragazze— e fu Adrian Pucey, il più grosso fra i due, a rivolgersi con disprezzo a Romilda: “Fatti gli affari tuoi, sporca sangue marcio, non vorrai mica farti togliere punti!”

“Come hai osato chiamarla?” Sibilò Parvati, che si guadagnò anch’ella una brutta battuta xenofoba da parte di Derrick. Quel poveretto non aveva idea di chi si fosse trovato davanti: in quello che a Elliott parve un batter di ciglia, Derrick si ritrovò disarmato e con i pantaloni calati —merito di un incantesimo, figurarsi se a Lavanda Brown fosse mai venuto in mente anche solo di sfiorare quel viscidone—, mentre Pucey, che aveva tentato di disarmare fisicamente Romilda, in un baleno divenne vittima di un incantesimo della pastoia perfettamente eseguito. Nell’assistere alla scena Zacharias Smith era trasalito, così era corso in soccorso dei due serpeverde.

“Questa è la volta buona che ti faccio sparire nelle acque del lago nero.” La voce di Parvati Patil, usignolo melodioso, rese quell’affermazione ancora più inquietante di quanto già non fosse. Agitò la bacchetta, la giovane strega, per poi lanciare un incantesimo che andò a colpire la faccia del tassorosso, ricoprendolo di gigantesche pustole maleodoranti.

“Stai alla larga dai miei amici, putrido scarto dell’umanità.”

Demelza, come da ordini ricevuti, approfittò del trambusto per afferrare Elliott per la sua maglietta dei Joy Division, farlo issare sulla sua scopa e volare via dalla situazione.
Il ragazzo era totalmente stordito. Per quanto intelligente fosse, non aveva afferrato la situazione nella sua complessità; sapeva solo che in quel momento si trovava a cavallo di un scopa —ed Elliott detestava con tutto se stesso volare— tremante come una foglia, avvinghiato alla vita di Demelza Robins, che volava a bassa quota per evitare di farsi vedere dalla Umbridge o da qualcuno della squadra d’inquisizione.

“Dove stiamo andando?!” Gridò terrorizzato. A Demelza venne da ridere. “Sei proprio un fifone, lo sai?”

“Non ho mai detto di possedere coraggio!” Squittì Elliott il quale, a una virata particolarmente precipitosa di Demelza, si avvinghiò a lei ancor più, guadagnandosi una gomitata.

“Guarda che così ci fai cadere!”

“Scusami!” Gridò lui, ma non per questo evitò di stringersi di nuovo alla vita della strega.

Dopo un lungo giro, alla fine i due planarono sulla torre d’astronomia; non appena Elliott ne ebbe la possibilità, si lanciò oltre la balaustra per poi spiaccicarsi sul pavimento della balconata della torre. “Sono vivo…” concluse sospirando. Demelza balzò accanto a lui e gli offrì una mano per farlo alzare: “Volare è l’unica cosa che mi riesce davvero bene, non ti avrei mai fatto cadere!”

“Cadere magari no, ma vista la durata del volo a un certo punto ho temuto volessi arrivare fino in Melanesia.”(9)

“Ma se non so nemmeno dove sia, la Melanesia!”

Elliott sorrise di cuore; poi il sorriso si allargò, non appena si rese conto che stava sorridendo. A quel punto accadde l’inaspettato: il mezzo svedese scoprì i denti e si dedicò a una risata, quella che per molti poteva essere una cosa di tutti i giorni, ma che per lui altro non era che il segnale della sua guarigione.
Demelza, empatica quanto un sasso, lo guardò con le sopracciglia molto inarcate. Pensò, però, che Elliott ancora le piaceva. Aveva tentato di cancellarlo dalla memoria dopo il disastroso incontro avvenuto con Roger Davies, che l’aveva imbarazzata al punto da farle evitare in ogni modo possibile la presenza di Elliott; era evidente, ragionò mentre lo osservava ridere, che non ci fosse minimamente riuscita.

“Ti stai prendendo gioco della mia ignoranza, razza di calamaro al vapore?”

“No…” tentò di trattenersi “Giuro di no.” Elliott asciugò le lacrime sgorgate per il tanto ridere. Demelza non poteva capire quanto quella risata fosse importante per lui; durante il corso di quella giornata era tornato a provare tutte quelle emozioni che credeva si fossero dissolte nella sua nebbia emotiva, invece quelle erano ancora lì, incastrate tra la gola e il cuore.
Era felice. Felice da perdere la testa.
Ancora con la bocca storta dal ridere, Elliott fissò Demelza che, davanti a lui, aveva annodato le braccia e lo fissava con estremo disappunto. Allora il corvonero, per la prima volta in tutta la sua vita, fece qualcosa di totalmente non convenzionale, ovvero si comportò come un qualsiasi adolescente —la cui corteccia prefrontale deve ancora finire di svilupparsi— si sarebbe comportato al posto suo: decise di seguire l’istinto e accantonare la razionalità.
Dovette piegarsi molto per raggiungere l’altezza di Demelza, poi le afferrò il viso ricamato di efelidi e posò le labbra sulle sue.
Il sole si stava lentamente ritirando oltre la luminosa linea dell’orizzonte e un attento osservatore avrebbe notato un piccolo stormo smuoversi sopra un punto indefinito della foresta proibita.
E mentre un coro lontano ricordava la vittoria di Grifondoro, Elliott Johansson, con la bocca incastrata in quella di Demelza Robins, sentì il torace scoppiare di felicità.
Sentirsi vivo era proprio una gran ficata.

Sette giugno

Demelza posò la piuma appena in tempo per poter vedere il proprio compito volare nelle mani della professoressa Marchbanks, dopodiché prese a esultare come tutti i suoi compagni di classe, tranne Harry Potter che era stato portato via nel bel mezzo del compito. Era caduto a terra e si era messo a urlare e Ron e Hermione erano visibilmente preoccupati per lui; Demelza si chiese come stesse, per poi tornare subito raggiante, al settimo cielo per la fine dei G.U.F.O. .
Una volta fuori dalla sala Grande, scorse la figura di Elliott poggiata a una parete, talmente rapito dalla lettura che non sembrò fare caso agli studenti euforici che riempivano l’ampio corridoio. Demelza saltellò allegra nella sua direzione.

“Che leggi?” Chiese poi, infilandosi fra Elliott e il libro e ficcando il naso fra le pagine. Il mago scosse la testa e tirò via il libro, che chiuse e ripose nella borsa a tracolla: “Nulla che possa destare il tuo interesse.”

I due si incamminarono, fianco a fianco, verso il chiostro, dove ad attenderli trovarono Roger Davies; quest’ultimo si schiantò su Elliott e lo stritolò con un abbraccio.

“Ho finito tio, hasta la vista, Hogwarts!

“Grande!” Esclamò Demelza “Che farai questa estate?”

“Vado a trovare la mia famiglia in Uruguay, non vedo l’ora di rivedere mia nonna.”

“E devi anche pensare al tuo futuro, van.” Si introdusse Elliott, il maestrino. Nel sentirlo Demelza e Roger rotearono gli occhi al cielo, benché non c’era affatto da stupirsi delle parole del corvonero. Nel mentre i tre furono raggiunti prima dalle tre grifondorine e Padma, poi da Millicent, tutte particolarmente allegre per aver concluso gli esami. Elliott osservò, in lontananza, Pucey e Derrick guardare storto Parvati, o almeno fino a quando quest’ultima non incrociò il loro sguardo che riuscì a metterli in fuga. Da quando li aveva minacciati di spifferare a tutti che erano stati battuti in duello da tre streghe Grifondoro se avessero provato a dire qualcosa alla Umbridge riguardo Elliott, i due membri della squadra d’inquisizione avevano mantenuto un profilo notevolmente basso.

“Di che si parla qui?”

“Di cosa faremo quest’estate. Voi che farete?”

Fu Parvati a rispondere per prima: “I nostri genitori hanno una magione a Kovalam, andremo lì.”

“Perché non venite da noi a luglio?” Chiese Padma entusiasta.

“Oppure potete venire da me in Uruguay, anche noi abbiamo un mare eccezionale!”

“Davies, le tue manie di protagonismo ti gonfiano così tanto l’ego che rischi di spiccare il volo!” Rispose acida Parvati.

“Io credo andrò in Svezia, non vedo…”

“Scusa capo, ma l’idea di congelarsi in piena estate non è per niente allettante.”

“Veramente il mio non era un invito, solo una const…”

Lavanda zittì il povero Elliott: “Beh, potremmo fare due settimane da Roger e due da voi!”

“Mi sembra un piano perfetto.” Romilda ammiccò in direzione di Parvati: “Senza che ti offendi, casa vostra è pazzesca, ma vuoi mettere con quei figaccioni dal fascino latino che girano mezzi nudi  per le spiagge?”

“Allora fate buon viaggio…”

“Non farti venire strane idee, tu! Devi ancora raccontarmi tutti i gossip dell’ultimo mese, sei in debito con me, ricordatelo!”

“E poi devi prendere un po’ di sole.” Demelza allungò una mano per pizzicare la guancia scarna di Elliott. Quest’ultimo la scacciò infastidito, poi sospirò con rassegnazione. Comprese che avere degli amici doveva comportare anche dei sacrifici; se poi per passare un po’ di tempo con Demelza avrebbe dovuto friggere al sole, se ne sarebbe fatto una ragione. Voleva dire che sarebbe andato in Svezia in agosto, ovviamente stando bene attento a far disperdere le proprie tracce al gruppetto.
Per il momento Elliott Johansson si limitò a godersi la fine della scuola, lontano da peculiari pazienti smaniosi delle sue attenzioni.

Era tutto perfetto.


 

1. Al ballo del Ceppo, Fleur è stata realmente accompagnata da Roger Davies.

2. Non potevo non inserire un’allusione riguardo all’amortentia da parte di Romilda, visto quello che tenterà di combinare al povero Harry.

3. Nel quinto libro viene inserito questo orientamento alla carriera e ogni studente deve effettuarle un colloquio con il direttore o la direttrice della propria casa.

4. Nel mio headcanon, Demelza diventerà insegnante di volo, diciamo quindi che sfrutterà al meglio questa sua capacità.

5. Fra tutti i loro prodotti, sono certa che i gemelli Weasley abbiano inventato anche un inchiostro per copiare la scrittura di qualcuno (magari pensato per scriversi delle giustificazioni imitando la scrittura dei genitori!)

6. Se Demelza si fosse trovata a vivere in questi anni, avrebbe senza ombra di dubbio chiesto il consenso a Elliott per poterlo baciare; ho pensato fosse più realistico, vivendo negli anni novanta, farla agire in questa maniera, ciò non toglie che non approvi l’avventatezza del gesto.

7. Di mutismo selettivo è affetto Rajesh Koothrappali di the Big Bang Theory; ovviamente mi sono ispirata a lui.

8. La scena vi ricorda qualcosa? Forse forse Elliott possiede la vista? Anche fosse, sono certa rifiuterà la cosa.

9. Sempre nel mio headcanon, Elliott e Demelza avranno un figlio che chiameranno Malai (personaggio presente nella deliziosa interattiva Phoenix Feather Camp di Signorina Granger), che chiameranno in questo modo a seguito del loro viaggio di nozze, durante il quale fra gli altri luoghi andranno a visitare le paradisiache isole della Melanesia. Malai dovrebbe essere una divinità positiva, una sorta di Dio della pace; ah, non sanno che loro figlio uscirà fuori un piccolo tassorosso demoniaco! 💛

 

Care lettrici e cari lettori,

finalmente ho chiuso questa piccola storia che era rimasta in sospeso per troppo tempo. Sono contenta di averla ripresa in mano e di essere stata in grado di dare una conclusione a questi personaggi a cui, col tempo, mi sono molto affezionata.
Non ho molto da aggiungere, se non ringraziare tutte le persone che hanno seguito le vicende di Elliott e si sono fatte quattro risate con me; ho apprezzato ogni vostro commento e spero che abbiate gradito anche questo capitolo.

Ringrazio ancora AdhoMu per avermi concesso, al tempo, di utilizzare la sua caratterizzazione di Roger Davies.
Vi abbraccio.

Bri

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