Sweet Disposition

di CinderNella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** 1. White Blank Page ***
Capitolo 3: *** 2. Little Talks ***
Capitolo 4: *** 3. Get Home ***
Capitolo 5: *** 4. Blindsided ***
Capitolo 6: *** 5. Winter Winds ***
Capitolo 7: *** 6. Whispers in the Dark ***
Capitolo 8: *** 7. Creature Fear ***
Capitolo 9: *** 8. Golden Leaves ***
Capitolo 10: *** 9. Little Lion Man ***
Capitolo 11: *** 10. I Gave You All ***
Capitolo 12: *** 11. Needle in the Dark ***
Capitolo 13: *** 12. Shake It Out ***
Capitolo 14: *** 13. Heart's On Fire ***
Capitolo 15: *** 14. Lover to Lover (Pt. 1) ***
Capitolo 16: *** 15. Cosmic Love ***
Capitolo 17: *** 16. The Cave ***
Capitolo 18: *** 17. Nothing's Changed ***
Capitolo 19: *** 18. Sigh No More ***
Capitolo 20: *** 19. Never Let Me Go ***
Capitolo 21: *** 20. Lovers' Eyes ***
Capitolo 22: *** 21. Monster ***
Capitolo 23: *** 22. Bedroom Hymns ***
Capitolo 24: *** 23. Dog Days Are Over ***
Capitolo 25: *** 24. Starlings ***
Capitolo 26: *** 25. Spectrum ***
Capitolo 27: *** 26. All This And Heaven Too ***
Capitolo 28: *** 27. Seven Devils ***
Capitolo 29: *** 28. Strangeness&Charm ***
Capitolo 30: *** 29. Roll Away Your Stone ***
Capitolo 31: *** 30. The Enemy ***
Capitolo 32: *** 31. Ship To Wreck ***
Capitolo 33: *** 32. Where Does The Good Go? ***
Capitolo 34: *** 33. Heartlines (Pt. 1) ***
Capitolo 35: *** 34. Heartlines (Pt. 2) ***
Capitolo 36: *** 35. How Big, How Blue, How Beautiful ***
Capitolo 37: *** 36. Wide Eyes ***
Capitolo 38: *** 37. I'll Be Your Man ***
Capitolo 39: *** 38. Are You Hurting The Ones You Love? ***
Capitolo 40: *** 39. Monster ***
Capitolo 41: *** 40. Coins In A Fountain ***
Capitolo 42: *** 41. No Light, No Light ***
Capitolo 43: *** 42. Lover To Lover (Pt. 2) ***
Capitolo 44: *** 43. Hardest of Hearts ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***


Allora, chi già avrà letto qualcosa di mio (che sia Dramione o meno) sa già che per me è molto difficile iniziare a postare qualcosa che non ho ancora terminato di scrivere... per questa storia voglio provarci comunque, nonostante sia qualcosa di completamente inusuale per me. L'ultima che ho iniziato non completa mi ero imposta di arrivare a scrivere almeno il 15esimo capitolo prima di postarla! Allora, questa non è una vera e propria "what if", visto che il fatto scatenante è successo dopo la fine della guerra: non posso essere più precisa, dato che i dettagli si scopriranno pian piano nella lettura. Spero la consideriate originale e che vi piaccia! Buona lettura!
PS: ho cercato di rendere tutto il più realistico possibile, dai discorsi "economici" documentandomi alla caratterizzazione dei personaggi. Spero di esserci riuscita. Il titolo potrebbe cambiare (di solito lo scelgo a FF terminata), ma considerato che è una storia a cui penso da tanto tempo e l'ho sempre immaginata con questo nome, non penso che questo accadrà. I titoli dei capitoli - e in questo caso, proprio della storia - contengono dei collegamenti ipertestuali alla canzone di riferimento.


Prologue
 


Lo osservava da lontano, a debita distanza. Si sentiva un po’ stalker a guardarlo e ad annotare ogni suo comportamento da dietro un muro delle rovine di Christ Church Greyfriars – se si fosse trovata dietro a un cespuglio avrebbe potuto trovarci dell’ironia nella situazione che stava vivendo da qualche tempo – ma era parte del suo lavoro anche quella. Sarebbe rimasta lì per qualche altro minuto, poi sarebbe passata a fare la spesa da Tesco Express e sarebbe arrivata a Chelsea in metro per appostarsi sul marciapiede di fronte a casa sua per un po’, prima di tornare a casa.
Ma, diversamente dal solito, e non perché fosse venerdì, lui si era separato dal suo gruppo di colleghi per dirigersi all’interno del giardino che portava dritto alle rovine dov’era casualmente lei: si stava proprio dirigendo verso di lei.
Resasene conto, si catapultò alla panchina più vicina per dare l’idea di essere davvero impegnata a fare qualcosa che non fosse spiarlo da lontano, ma dalla sua espressione non doveva esserci riuscita: «Mi scusi, ma lei mi sta spiando?»
Era davvero come a scuola. Stesso portamento arrogante, stesse fattezze e modo di presentarsi elegante e capelli impossibilmente biondi: eppure era completamente diverso.
«Ehm...» non sapeva che scusa formulare.
«È la quarta volta che la vedo in una settimana e in zone diverse della città. Perché mi segue?»
Era sempre odioso. Anche se, per quello che ne sapeva lui, avrebbe potuto avere ragione: «Sto semplicemente rivedendo alcuni appunti su questa panchina, signore.»
Lui le rubò repentinamente il quadernetto di mano: «Ah sì? E perché qui ci sono scritti gli orari di quando esco di casa? O quando esco in pausa pranzo, o quando mi ritiro dal pub con i miei colleghi? Devo chiamare la polizia?»
«D’accordo! La sto pedinando.» ammise sinceramente, ma non avrebbe ammesso tutto fino in fondo «Voglio farle un’intervista.»
L’uomo assunse un cipiglio perplesso, dando l’idea di non essersi bevuto la sua bugia: «Mi sta davvero dicendo che mi pedina da settimane per farmi un’intervista
«Credo che i prezzi delle case non continueranno a salire. E credo che una bolla è prossima a scoppiare. I derivati americani cosa comprendono? Secondo me i media ci nascondono la verità. E volevo sapere il suo parere in merito.»
L’uomo alzò un sopracciglio, ancora perplesso, ma meno preoccupato: «E non poteva chiedere un appuntamento alla mia segretaria?»
«Al suo posto di lavoro? E secondo lei ci saremmo potuti vedere a parlare di cose del genere presso una delle principali filiali di Merrill Lynch in Europa?»
Si era davvero salvata in calcio d’angolo: sembrava essere meno sul piede di guerra rispetto a quando l’aveva affrontata poco prima, quindi ringraziò mentalmente la sua dedizione nel seguire tutte le mattine il telegiornale della BBC.
«Facciamo finta che le credo. La smetterà di pedinarmi se ci vediamo... domani pomeriggio per un tè?»
Hermione strabuzzò gli occhi: doveva approfittarne? Sicuramente stabilire un certo tipo di rapporto l’avrebbe aiutata nella sua analisi, ma si sarebbe così giocata anche la sua copertura: ma dopotutto quella era già saltata quando si era fatta scoprire a pedinarlo.
«D’accordo. Dove e quando?»
«Lei è davvero una giornalista con tante domande. Alle cinque al Claridge’s?»
Era un pomposo riccone anche nella vita babbana: «D’accordo.» si rimise nervosamente a posto una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro «Comunque, in onore di un nuovo inizio diverso, dovrei presentarmi. Hermione Granger.»
Gli porse la mano, che lui non prese immediatamente: vide un minimo lampo di disgusto – ingiustificabile – nei suoi occhi, come se per qualche millesimo di secondo si fosse ricordato di lei, ma subito dopo tutto era svanito; così afferrò la sua mano e la strinse «Draco Malfoy. Ma penso che questo lei lo sapesse già, visti i suoi appunti.»
Hermione gli rivolse uno sguardo di scuse prima di congedarsi e dirigersi alla stazione della metro di St. Paul’s.

 

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Capitolo 2
*** 1. White Blank Page ***


Ed eccomi nuovamente! Questo primo aggiornamento arriva prima di una settimana esatta, ma perché in questi giorni sono stata molto prolifica e ho scritto circa tre capitoli. Spero questo vi piaccia, buona lettura!
Ps. se doveste aver bisogno di chiarimenti su alcune cose (tipo tutta la cosa sui subprime, che dopotutto non è troppo chiara, non almeno come la tratto qui), non esitate a chiedermelo nei commenti!






 
A white blank page and a swelling rage, rage
You did not think when you sent me to the brink, to the brink

Era il giorno che meno aspettava della settimana: tutta l’umanità, babbana e non, non vedeva l’ora che arrivasse il Sabato; lei, invece, da qualche mese a quella parte si svegliava a malavoglia: ed era tutto dovuto all’incontro che ogni settimana avveniva quel giorno alle undici di mattina.
«Devi davvero andarci? Che può cambiare ogni settimana nella testa di quel furetto demente?» perlomeno adesso Ron le aveva dato un motivo per farla alzare dal letto: pur non avendo molta stima per Malfoy, aveva almeno la decenza di non trattarlo da menomato. Quello che aveva subito era stato devastante e sconvolgente, e quell’insensibile del suo fidanzato non aveva neanche la capacità di ammettere che forse, forse, i suoi genitori avevano più che il diritto di sapere che cosa stesse succedendo e a che punto lei fosse.
Non amava incontrarsi con Lucius e Narcissa, ne avrebbe volentieri fatto a meno, ma era inevitabile: perlomeno se avesse voluto fare in modo che ci fosse qualche miglioramento nella sua condizione.
«Sì, sì Ron. Hanno diritto di sapere cosa sta succedendo.»
«Sembri un investigatore privato ingaggiato da loro per pedinarlo.»
«No, sono stata ingaggiata dal San Mungo e dal Ministero, non c’è bisogno che me lo chiedano loro.»
«Sì, certo, lo so... ma non potete sentirvi per lettera?»
«Si meritano almeno un aggiornamento di persona.»
«Ma che avranno mai fatto per meritarlo?»
«Sono i genitori di un mio paziente!»
«Non sei un medimago, non è il tuo paziente.»
«Preferisci che lo chiami cavia da laboratorio? È un paziente, per quanto possa non andarti giù!»
«Beh, di tutti i menomati di guerra dovevano affibbiarti proprio quello che ti ha sempre tormentato...»
«Non è menomato.» ripeté per l’ennesima volta, ormai innervosita «E si dà il caso che secondo il Ministero e il San Mungo contemporaneamente sia un caso così difficile che solo io, secondo loro, posso risolvere.»
«Potevi rifiutare...»
«Non voglio rifiutare e non voglio arrendermi! Non pedino Draco Malfoy da cinque mesi per arrendermi ora!»
«Perché smettere di lavorare su questo caso proprio quando il menomato ti chiede di uscire, giustamente...»
«Non continuerò a parlare di quest’argomento. E vado a farmi una doccia.» cercò di passarsi una mano tra i capelli – che si incastrò irrimediabilmente, considerando la loro ulteriore indomabilità mattiniera – e andò a chiudersi in bagno.
Ron sbuffò pesantemente: non riusciva a capire perché diavolo lei si ostinasse a dedicare tutta se stessa per un caso irrisolvibile.


Si materializzò davanti all’ormai conosciuto cancello nero alle undici in punto: preferiva la materializzazione alle due ore – minimo – che avrebbe dovuto trascorrere in auto per raggiungere il Wiltshire da Londra; non capiva come Draco riuscisse a farlo tranquillamente ogni Domenica senza impazzire nel traffico che si trovava ogni volta per uscire dalla città.
Oltrepassò il cancello e attraversò il giardino leggermente grande per i suoi gusti: quando raggiungeva la porta di casa era sempre un po’ stanca dalla camminata. Fece per bussare ma qualcuno aveva già aperto: una donna sulla cinquantina, dal viso pallido e stanco e dai capelli chiari come quelli del figlio le aveva aperto la porta.
«Buongiorno, signora Malfoy.»
«Hermione, quante volte devo dirti di chiamarmi Narcissa?» era particolarmente stranita dal fatto che fosse atipicamente simpatica alla signora Malfoy: quello che era successo al figlio doveva averla completamente allontanata dalle vecchie credenze e avvicinata a una quasi santificazione della donna che avrebbe potuto aiutarlo, ecco spiegata l’incredibile posizione che Hermione possedeva nell’immaginario della padrona di Malfoy Manor.
«D’accordo, hm... Narcissa.»
La donna fece strada nel corridoio principale per poi svoltare a sinistra in un piccolo salottino: sulla poltrona padronale sedeva l’altro padrone di casa, che era completamente assorto nella lettura del Times. Quando si rese conto della presenza della loro puntuale ospite del Sabato, sollevò gli occhi dal giornale.
«Buongiorno, signorina Granger.»
«Buongiorno, signor Malfoy.»
«Cara, avevo pensato di avvicinarmi alle usanze della capitale oggi, così ho fatto preparare un brunch... lo faccio servire qui, o possiamo trasferirci in sala da pranzo?»
«Grazie!» avrebbe voluto aggiungere che non ce n’era bisogno, ma era più che certa che questo avvicinarsi alle usanze babbane fosse dovuto alla condizione del figlio: voleva avere quanto più in comune con lui ed era più che comprensibile «Sarebbe meglio mostrare le scartoffie subito, così possiamo trasferirci altrove per il... brunch.»
Non sapeva davvero cosa aspettarsi da un brunch improvvisato a Malfoy Manor: sicuramente qualche elfo ultra-sfruttato che li avrebbe serviti non sarebbe mancato.
Iniziò a tirare fuori dalla borsa la cartella contenente tutto il materiale in riferimento a Draco: prese il quadernetto contenente i suoi movimenti e lo porse a Narcissa, indicandole l’inizio della settimana appena passata, mentre passò a Lucius Malfoy tutti i documenti che erano stati prodotti quella settimana tra il San Mungo e il Ministero in merito alla peculiare condizione del figlio.
Solo dopo un’ora e mezza riuscirono a mettere via tutte le carte per spostarsi in sala da pranzo, dove un silenzioso Lucius Malfoy era pronto a far parte a malavoglia di una tradizione babbana, mentre Narcissa Malfoy era in attesa di un giudizio di qualsiasi tipo da parte di Hermione, che sicuramente sapeva molto più di loro in merito a faccende babbane.
«Dovrei riferirvi qualcosa prima, però.»
Lucius la guardò accigliato, mentre Narcissa bloccò tutte le sue faccende in quel momento: «Mi ha scoperta mentre lo spiavo, ieri sera. A quanto pare se n’era accorto anche altre volte.»
Narcissa aveva un’espressione preoccupata in viso: non potevano permettersi di perdere la strega più brillante del mondo magico, quel caso aveva bisogno di lei. Lucius, invece, aveva uno sguardo lievemente accusatorio: perché quella ragazzina – così sembrava, dai comportamenti poco astuti che aveva avuto in quella situazione – non aveva usato protezioni magiche per non farsi scoprire?
«Ho inventato una scusa, dicendogli che sono interessata a fargli un’intervista per sapere il suo parere sui mutui subprime e oggi pomeriggio ci vediamo per un tè al Claridge’s.»
Narcissa, che sembrava aver trattenuto fino a quel momento tutta l’aria nei polmoni, finalmente la fece uscire in un sospiro sollevato: Lucius invece si limitò a prendere un’altra fetta di bacon.
«Quindi avverrà il primo contatto?»
«Sì, anche se non era previsto. Ovviamente non è necessariamente controproducente: potrei osservarlo più da vicino se potessi instaurare un tipo di rapporto con lui.»
«Certamente. Quindi, anche se non intenzionalmente, si potrebbero fare dei passi in avanti...»
«Quella è la speranza.» rispose Hermione, portando alla bocca l’ultimo pezzo di pancake «Il pancake era davvero buono, comunque.»
«Dirò alla domestica di insegnarmi a cucinarli, allora!» esclamò sollevata Narcissa: era davvero strano vedere i coniugi Malfoy sempre più naturali e inseriti nelle loro routine babbane; era qualcosa di immensamente paradossale, ma terribilmente tenero, perché dimostrava quanto fossero disposti a fare per il figlio.


Sarebbe dovuta essere in mezz’ora al Claridge’s e ancora non era uscita di casa: la scelta del posto l’aveva lievemente destabilizzata, dato che era fuori dalla sua comfort zone, e ora non sapeva bene come presentarsi. Sicuramente doveva essere più elegante della sua media, ma non sapeva se avesse fatto la scelta migliore nell’indossare quel tubino verde: non si sentiva molto a suo agio e non capiva se fosse eccessivo o troppo scialbo. Non era mai stata al Claridge’s e non sapeva davvero cosa aspettarsi.
Infilò le ballerine, senza permettere al suo cervello di iniziare anche solo a meditare sull’ipotesi di portare dei tacchi, prese la borsetta – con un taccuino e un registratore dentro, ma senza il suo solito quadernetto-prendi-appunti – afferrò al volo il telefono e il cappotto e uscì dalla camera.
«Stai indossando quello?!»
Hermione sussultò non appena udì la voce di Ron: non era a casa sua? Che ci faceva là?
«Sì, non penso di poter andare in jeans e maglione al Claridge’s.»
«È un appuntamento.» borbottò contrariato il rosso, non spostando gli occhi dallo schermo della televisione.
«No, pensa che io sia una giornalista stalker. Semplicemente è abituato ad alti standard, considerato il suo lavoro.»
«Ora lo giustifichi anche?»
«Sto semplicemente spiegando i fatti.» era esasperante discutere per ogni piccolo particolare del suo lavoro, dissezionato davanti ai loro occhi solo perché ne faceva parte Draco Malfoy.
Si avvicinò alla porta di casa e prese le chiavi, ma Ron aveva qualcos’altro da aggiungere: «Perché non ti vesti mai così quando usciamo noi?»
«Perché il massimo che facciamo è scendere al pub sotto casa, Ron, ecco perché.» si chiuse dietro la porta e si diresse alle scale: non aveva tempo da perdere, era già in ritardo.


Riuscì ad arrivare con soli dieci minuti di ritardo unicamente grazie alla sua camminata veloce, che l’aveva condotta in meno tempo del previsto a Liverpool Street Station: non era proprio fresca come una rosa, ma sarebbe potuta entrare al Claridge’s senza destare scalpore e senza far svenire qualcuno.
«Mi sarei aspettato che una giornalista affamata di notizie come lei sarebbe perlomeno arrivata in orario.»
Non si era accorta della sua presenza all’ingresso, si aspettava di incontrarlo all’interno: le venne un terribile pensiero in mente «Non abbiamo perso il tavolo, vero?»
Draco non riuscì a trattenersi dal sorridere: «No, non abbiamo perso nessun tavolo, signorina Granger. Nonostante il suo imperdonabile ritardo.» ma non sembrava che lo pensasse sul serio.
«E non ho mai detto di essere una giornalista.» ci tenne a precisare Hermione non appena oltrepassarono la porta d’entrata, guadagnandosi un’occhiata perplessa dal suo accompagnatore.
«E allora a cosa le serve l’intervista?»
«Per il mio blog, ovviamente.»
«E si è scomodata così tanto solo per un blog e per amore della verità?» inquisì Draco, facendo strada nell’hotel.
«Beh... sì.» rispose semi-sinceramente lei: aveva davvero un blog, ma era personale. Non faceva interviste a businessman per indagare sui mutui subprime: ma era la migliore balla che le fosse venuta in mente il giorno prima, quindi avrebbe dovuto continuare a reggerla.
«...D’accordo.» terminò l’uomo, ancora perplesso dall’intera faccenda ma meno propenso a farci caso proprio in quel momento: erano appena entrati nell’atrio e, mentre lui sembrava particolarmente interessato allo champagne che aveva appena individuato su quello che credeva sarebbe stato il loro tavolo, Hermione era più presa dalla sala stessa; era luminosa, piena di tavoli ma non affollata, e un violinista produceva una melodia rilassante da un angolo dell’enorme stanza.
«Non frequenta spesso il Claridge’s, vero?»
Hermione scosse la testa, leggermente imbarazzata dall’affettata condotta del suo accompagnatore, che aveva appena spostato la sedia per farla accomodare, prima di occupare il suo posto dall’altra parte del tavolino.
«Dunque, cosa vuole sapere?» le rivolse la parola solo dopo aver approfonditamente consultato il suo BlackBerry: stentava a riconoscere il borioso mago purosangue che l’aveva tormentata per tutti quegli anni a Hogwarts.
«Oh, già ora?» non era pronta a parlare di un argomento che non padroneggiava bene come tanti altri: ma era sicuramente più informata a riguardo rispetto a chiunque altro che facesse parte del mondo magico «Bene: quando pensa inizieranno a manifestarsi le conseguenze della facilità con cui i mutui subprime sono stati concessi?»
Draco roteò gli occhi, come se quella domanda gli venisse fatta spesso durante la giornata: «Innanzitutto, il rischio effettivo qui dall’altra parte dello stagno non è come negli Stati Uniti: non mi pare che il mercato immobiliare si sia espanso in maniera eccessiva come in America, e neanche che qui siano stati così sconsiderati nel concedere prestiti a persone che non possono permettersi di ripagarli...»
«Davvero? Vogliamo parlare della Northern Rock? Hanno concesso mutui superiori del 25 per cento rispetto al valore della casa per un bel po’ di tempo...»
Malfoy sembrava esser stato preso in contropiede: «Pensa davvero che esploderà qualcosa?»
«Il mercato immobiliare non può crescere all’infinito. E dall’altra parte dello stagno hanno già iniziato i pignoramenti dei beni dei titolari dei mutui subprime incapaci di ripagarli...»
La conversazione – perché nessuno avrebbe potuto chiamarla intervista – animata proseguì per un bel po’, fino a quando i due disputanti non ammisero di esser d’accordo nel dissentire: il resto dell’appuntamento trascorse più tranquillamente, senza dibattiti accesi.
Quando finalmente uscirono dall’hotel il buio si era prepotentemente impossessato del cielo londinese, assieme a una fitta pioggia insidiosa che contrastava in pieno la tipologia di argomenti ora affrontati dai due dibattenti.
«Dove vivi?» chiese Draco, fermando un taxi nero con una semplice e veloce alzata dell’avambraccio. Doveva essere vantaggioso esser sempre vestito come un pinguino, tutti erano soliti prenderti con più serietà: anche i taxi.
«Oh, ehm... Arnold Circus.»
«Shoreditch. Non male, è una zona la cui gentrificazione ancora non si è fermata.»
Non sapeva davvero cosa rispondere a quell’affermazione, così si limitò ad entrare nel taxi.
«Oh, onde a evitare ulteriori episodi di stalking, ecco il mio biglietto da visita. Posso avere il tuo?»
Come erano arrivati al darsi del tu?
Hermione si limitò a prendere un foglietto cartonato che aveva nel portafogli proprio per quell’evenienza e a scriverci dietro il suo numero personale di telefono, porgendoglielo subito dopo: Draco diede un’occhiata veloce al nome e al numero scritti con una calligrafia modesta ma ordinata e si limitò a salutare con un cenno «Buona serata, stalker.»
«Arrivederci, businessman.»
Poi pagò in anticipo il tassista – se Hermione avesse avuto voce in capitolo avrebbe scelto di prendere la metro o comunque pagarlo lei, ma non sembrava avere molta scelta – e si limitò a osservare l’auto nera così simile a tante altre presenti nella capitale che si allontanava lentamente, nel traffico e nella pioggia.


Dopo una mezz’oretta scese di fronte a Marlow House e cercò le chiavi nella borsa: sperava davvero che Ron non fosse a casa o sarebbe stato capace di misurarle il tasso alcolemico se solo avesse saputo di che cosa si trattasse. E poi avrebbe dovuto lavorare: aveva scoperto diverse cose in più sul suo soggetto rispetto ai mesi precedenti nei quali si era semplicemente limitata a osservarlo, e avrebbe voluto annotare tutto su quadernetto e PC, quindi avrebbe preferito non avere nessuno tra i piedi. Magari, finite le annotazioni e l’analisi settimanale, avrebbe potuto chiamare Ginny per vedere come stesse gestendo la rottura con il più famoso aspirante auror di quei tempi: molto probabilmente si sarebbe ritrovata a casa la sua amica rossa e Luna in qualche ora, pronte a bere un bicchiere di vino insieme – o più probabilmente firewhiskey, per Ginny– e a raccontarsi gli avvenimenti della settimana.

 

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Capitolo 3
*** 2. Little Talks ***


Ed eccomi con il secondo capitolo! Spero vi stia piacendo. Al momento ci sono un po' di capitoli semi-comici: diciamo "riempitivi", sebbene non sia proprio il termine esatto. Conosceremo i personaggi, ecco. Come al solito, se passate il cursore sul titolo della storia e del capitolo e ci premete sopra, si apre il collegamento ipertestuale per la canzone di riferimento: i titoli dei capitoli è come se portassero avanti una storia a sé, che riguarda i personaggi ma è più labile, leggera. Vediamo cosa vi dicono!
Buona lettura!







 
 
Some days I don't know if I am wrong or right
Your mind is playing tricks on you, my dear

Vivere nella Londra babbana era stata una scelta mai dovuta alle sue ricerche su Malfoy: da quando aveva finito gli studi si era trasferita lì, per pura volontà personale; aveva perso i suoi genitori – beh, ancora non si ricordavano di lei... sperava che riuscire a guarire Malfoy potesse anche indirettamente farle venire qualche idea per loro, ma erano due cose completamente diverse – ma voleva conservare qualcosa di sé che non appartenesse solo al mondo magico e agli otto anni semi-distruttivi, felici e tristi che aveva passato in quello strano mondo che era diventata la sua nuova casa. Ma non rinnegava il suo essere cresciuta babbana e l’appartenere a quell’altro mondo, socialmente parlando: vivendo lì si era anche abituata a certi standard che il mondo magico non avrebbe mai potuto fornirle, ed era anche per quello che la maggior parte dei suoi studi erano sul suo PC – li stampava ogniqualvolta volesse portarli al Ministero per mostrare loro qualcosa – e conseguentemente era per colpa dell’uso prolungato di quel marchingegno a tratti infernale e a tratti celestiale che si era ritrovata più e più volte a dover indossare un paio di occhiali durante il lavoro, o più precisamente, ogniqualvolta dovesse leggere qualcosa. Era diventata quasi peggio di Harry, anzi, forse lui li usava molto meno spesso rispetto a lei, considerando tutto il tempo che lei passava a leggere, a lavorare o a fare entrambe le cose contemporaneamente.
Ginny l’aveva avvisata – con il cellulare: aveva contagiato anche lei con qualche oggetto babbano –  che lei e Luna sarebbero arrivate in dieci minuti, così tirò fuori dal frigo la bottiglia di vino e dalle credenze tre calici; poi cercò i volantini di alcune pizzerie d’asporto lì vicino – era certa di averli lasciati da qualche parte in cucina – e chiuse il file di Word: ne aveva abbastanza di lavoro per la giornata, erano le nove e mezzo di Sabato sera e avrebbe fatto qualcosa di divertente. Come guardare video di gatti che disobbediscono ai loro umani su internet.
Quando suonò il citofono aveva appena finito di vedere per la terza volta un ilare video di un gatto un po’ bastardo che aveva fatto cadere un bicchiere a terra, infischiandosene dei ripetuti “No!” che il suo umano gli stava indirizzando: stava ancora ridacchiando ripensando a quel gatto mentre infilava un cardigan di lana e apriva la porta di casa, aspettando lì davanti che le due amiche arrivassero, chiedendosi se avessero finalmente superato la loro paura per gli ascensori moderni e babbani o se fossero ancora certissime di voler sempre utilizzare le scale.
«Perché la tua porta di casa è spalancata?» la testa rossa familiare di Ginny Weasley comparve da dietro la porta, e la prima cosa che vide fu una mano di Hermione in possesso di due calici di vino «Oh, ti adoro.» dichiarò con sincerità la rossa, afferrando il suo calice.
«Luna, cosa hai trovato su ogni pianerottolo fino al mio?»
«Oh, ciao, Hermione. Credevo di aver visto un lepricano, ma non ho potuto dare un’occhiata migliore dato che Ginny mi stava trascinando su per le scale.» anche Luna si impossessò del suo calice non appena chiuse la porta di casa.
«Vi ho già ordinato le pizze, le solite.»
«Grazie Herm!» rispose con sincera beatitudine Luna, sedendosi sul divano e iniziando a leggere una rivista presa a caso dal tavolino lì accanto, mentre Ginny mimava a Hermione un altro “ti adoro”.
«Gin, tesoro caro, perché sei conciata come se dovessimo fare un giro dei locali? Per curiosità.» chiese Hermione, prendendo il telecomando e accendendo la tv.
«Essere lasciata dal salvatore del mondo magico dopo tanto tempo che ci stai insieme ti fa sforzare particolarmente di esser sempre ordinata e carina: sono fuori dalla giungla degli appuntamenti e non so più tanto come fare.»
«È così per chiunque, non solo per chi frequenta il salvatore del mondo magico, non preoccuparti!»
«E poi non penso che quello che abbiamo avuto noi all’inizio si possa chiamare “frequentarsi”, no? Ci siamo sempre conosciuti e a quell’età dopo un bacio sulle labbra semplicemente assumevi di stare insieme...»
«Effettivamente...»
«Quindi non ho mai “frequentato” nessuno. E devo imparare. E devo essere a maggior ragione sempre ordinata.» dichiarò infine lei, con le labbra rosso scuro tirate in un sorriso «A proposito, dov’è quel bradipo di mio fratello?»
«Non ne ho sinceramente la più pallida idea.» ammise Hermione, guardandosi intorno «Quando sono tornata dal tè con Malfoy non era a casa.»
«Oooh, è vero, l’appuntamento col Malfoy imbabbanito!» esclamò Ginny battendo le mani.
«È ancora confuso?» chiese Luna, alzando gli occhi dal giornale.
«Non ha assolutamente alcuna idea di esser stato e di essere un mago. Anzi, se la sta cavando parecchio bene come businessman della City: è un manager di livello medio-alto in una banca statunitense qui a Londra.»
«E nessuno dei suoi colleghi lo odia per il cognome che porta: ha avuto un inizio completamente nuovo, che altri non hanno avuto la possibilità di avere.»
«Sì, ma i suoi genitori non sanno chi sia questa nuova persona, non sanno quasi mai di che cosa stia parlando quando si occupa di lavoro e lui stesso è completamente all’oscuro delle sue capacità nel mondo magico...»
«Almeno sono tutti vivi.» commentò con tono leggermente funereo Ginny, e Hermione non seppe cosa rispondere: nonostante gli anni passati, la ferita lasciata dalla morte di Fred era ancora aperta.
«Hermione, cos’è Essie?» chiese dopo qualche minuto Luna, raccogliendo un catalogo da sotto al divano.
«Una marca di smalti, perché?»
«Mi stavo chiedendo cosa pubblicizzasse questa foto.» Luna indicò tante mani intrecciate su una pagina del catalogo, mentre qualcuno suonava al citofono «Vado io!» si prenotò Ginny, scalciando via le scarpe e aprendo il portone. Poi si fermò davanti alla porta di casa ancora chiusa e continuò a sorseggiare il suo vino.
Il campanello suonò e lei era lì davanti, pronta ad aprire la porta: «Sono davvero contenta che le pizze siano arrivate così presto...»
Ma davanti a lei non c’era il fattorino della pizza: «Mi dispiace davvero di non aver portato alcuna pizza. L’avrei fatto, se avessi saputo che mi sarei trovato davanti una cacciatrice delle Holyhead Harpies.»
Ginny inarcò entrambe le sopracciglia e buttò giù un altro sorso di vino: «Hermione, che ci fa Blaise Zabini sulla porta di casa tua?»
«Zabini?!» l’esclamazione di un’ottava più alta di Hermione era una chiara dimostrazione del fatto che quella visita era pressoché inattesa, ma Ginny non se ne curò e continuò a osservare l’uomo “con ogni cosa al posto giusto” – come l’avrebbe definito lei – senza togliergli gli occhi di dosso.
«Herm, Ginny ha assunto la posizione che ha quando deve flirtare con qualcuno, ti conviene correre alla porta...» la diretta interessata si voltò immediatamente verso Luna, pronta a incenerirla con lo sguardo, e Hermione nel frattempo si piazzò davanti alla porta, mantenendone con una mano la maniglia per tenerla leggermente più chiusa «Zabini?»
«Cosa devi fare con Draco?»
«Come scusa?!» ribatté lei, con un tono forse un po’ troppo oltraggiato.
«Mi ha detto che ieri vi siete visti e avete parlato di derivati e di crisi immobiliare. Ma so che Hermione Granger non lo fermerebbe e pedinerebbe mai per una cosa del genere, quindi chi ti ha mandato? So che lavori per il ministero.»
«Zabini, Malfoy è un paziente del San Mungo, anche se non lo sa. E il suo... problema, è dovuto a delle conseguenze della guerra, quindi il Ministero se ne sta occupando almeno con i fondi...»
«Non mi interessa, lui sta bene ora! È contento e stressato come un manager di quest’età e di questo mondo dovrebbe essere...»
«Lucius e Narcissa Malfoy sono d’accordo e supportano il fatto che lo stia studiando.»
«Loro non capiscono come lui si possa trovare bene qui!»
«Senti, non voglio mica allontanarlo dal mondo babbano...»
«Cosa pensi che accadrà se gli ritorna la memoria? Mi manca il Draco libero, sinceramente non lo vedevo spensierato da quando aveva quattordici anni, almeno nel mondo magico.»
«Non puoi vietarmi di vederlo. Ho il consenso della famiglia e lavoro al Ministero, continuerò a vedere Malfoy.» dichiarò fermamente Hermione, che non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa in ambito lavorativo o simil-tale «E poi che ci fai in giacca e cravatta alla porta di casa mia?!»
«Siamo appena tornati da una riunione di lavoro nel Devon e ora stiamo per uscire, ma questo cosa c’entra—
«Oh. Oh, oh. Oooh. Lavori con lui?»
«Certo! Io sono un operatore di borsa e Theo è un analista. Abbiamo frequentato il King’s College e la London Business School insieme!»
Hermione strabuzzò gli occhi: questo non lo sapeva «Che cosa? L’avete accompagnato? Vivete nella Londra babbana da... otto anni?»
«Pensavi forse che l’avremmo lasciato da solo ad affrontare una vita nuova e diversa, soprattutto considerando come i suoi genitori non si sarebbero potuti adattare come noi?»
La loro fedeltà la sconvolse: non credeva potessero essere così uniti da scegliere di trasferirsi nel mondo babbano per accompagnare lui.
«Mi manca qualcos’altro del quadro completo?»
«Oh, Daphne è responsabile marketing.» ammise lui, senza avere più il tono accusatorio con cui aveva iniziato quella chiacchierata.
Hermione non poteva credere che i purosangue Serpeverde più famosi del suo anno si fossero tutti trasferiti nella Londra babbana per seguire Draco. Ma soprattutto non credeva che dei purosangue potessero scegliere di voler vivere tra i babbani, svolgendo vite babbane e facendo lavori babbani: doveva evidentemente aver avuto dei pregiudizi ben radicati anche lei nei loro confronti.
«Okay, d’accordo, posso tentare di alleviare la tua preoccupazione promettendoti una cosa: se dovessi trovare una cura ve lo dirò. Però ora è ancora un progetto teoricamente logico e funzionale, ma non ho ancora avuto nessun risultato pratico. Se ne avrà, sarete i primi a saperlo, e deciderete di conseguenza. Non posso andare contro la sua volontà nel somministrargli una cura, se non è ciò che vuole. Non sono mica come il Mangiamorte che ha creato tutto questo casino in primis.»
Blaise Zabini sembrava soddisfatto: aveva riacquistato la compostezza e il contegno per il quale era sempre stato ovunque riconosciuto e le aveva addirittura sorriso «Grazie, Granger. Penso ci rincontreremo, allora. Buona serata e buona cena, per quando arriveranno le pizze!»
Hermione salutò, chiuse la porta e scosse subito dopo la testa, ancora incredula per le nuove scoperte che aveva fatto: poi si voltò verso le sue amiche e si rese conto dello sguardo malizioso che aveva assunto Ginny.
«Sì, Gin?»
«È cresciuto anche meglio di quello che mi sarei aspettata, è un “Oltre Ogni Previsione”.»
«Ginny!» ribatté Hermione scuotendo la testa, contrariata.
«Che c’è?! Dico solo la verità!» esclamò innocentemente la rossa, incrociando le gambe e finendo il calice di vino «Lo monterei volentieri. Come una scopa. Sì insomma.»
«Non posso avere questa conversazione da sobria.» dichiarò Hermione, e si versò un altro bicchiere di vino.


Non appena uscì dal portone di Marlow House, Blaise identificò la Jaguar di Daphne Greengrass parcheggiata qualche metro più in là: attraversò la strada ed entrò, pronto ad occupare il sedile del passeggero.
«Allora, hai messo in chiaro le cose?»
«Ha detto che se dovesse trovare utopicamente la cura ci informerà per primi e non gliela somministrerà a forza.»
«Dopotutto la mezzosangue è sempre stata intelligente.» convenne Daphne, facendo partire il motore e ingranando la prima.
«E penso che Ginny Weasley ci stesse provando con me.» Daphne fermò immediatamente l’auto dopo essersi appena immessa nel traffico: «Cooosa?!»
«Ho colto gli indizi. E poi Luna ha detto che aveva la stessa posizione che adotta quando flirta con qualcuno.»
«Oh, se questo non è interessante!» l’uomo nell’auto dietro la loro iniziò a suonare il clacson e lei ricominciò a muoversi «Sì, sì, non c’è bisogno di fare rumore!» stizzita, svoltò a sinistra «Adesso perlomeno possiamo andare al pub in santa pace.»

 

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Capitolo 4
*** 3. Get Home ***


Ed eccomi con un altro capitolo! Voglio informarvi che ho fatto delle piccole aggiunte ai capitoli precedenti, aggiungendo una citazione per ogni capitolo dalla canzone che dà il nome al capitolo. L'ho deciso solo ora perché ieri scrivendo il capitolo 15 dovevo mettere una citazione e allora ho deciso di farlo anche per gli altri che non l'avevano. Spero che i precedenti vi siano piaciuti. Buona lettura!
3. Get Home
 
We are the last people standing
At the end of the night

 
Arrivarono al World’s End in venti minuti, grazie alla guida spericolata di Daphne: ed essendo il meno famoso dei pub con quel nome – chiunque conoscesse almeno un po’ Londra sarebbe al corrente prima di tutto dell’esistenza del World’s End Camden, uno dei pub più conosciuti della città ma fortunatamente non quello di cui erano fidati clienti loro – era anche più vivibile e meno affollato del suo omonimo a Camden Town. Si erano pian piano affezionati a quell’edificio dai mattoni neri e gli infissi celesti, accanto al quale c’erano un negozio di Oxfam da una parte e un altro edificio dai mattoni rossi e gli infissi azzurri dall’altra.
«Come giustifichiamo la nostra assenza di più di mezz’ora?» chiese Blaise, uscendo dall’auto che Daphne aveva appena parcheggiato in una traversa di King’s Road e aprendo l’ombrello.
«Dovevo passare da casa per cambiarmi.» spiegò la ragazza.
«Daphne, tesoro caro, hai gli stessi vestiti del meeting...» il sorriso condiscendente di Blaise la infastidì: «Allora, Draco non lo sa visto che non era al meeting, e poi avrà qualcosa di meglio a cui pensare, visto che dovrà raccontarci dell’incontro con la mezzosangue... e sai che sono ancora una strega e non ci metto nulla a trasfigurare questi vestiti in qualcosa di meglio!»
«Okay, allora andiamo.»
«Dove?» chiese Daphne, dirigendosi su King’s Road.
«A trasfigurarti i vestiti...»
«Ma la bacchetta l’ho lasciata nella ventiquattr’ore...» ribatté quella, sbuffando.
«Perché non hai pensato di trasfigurarli in auto?»
«Perché secondo me è inutile. Vabbè, vai nel pub, io vado in auto e vedo come fare per risolvere i tuoi inesistenti problemi paranoici.» concluse la ragazza, tirando fuori dalla borsa le chiavi dell’auto e riattraversando King’s Road dalla parte opposta rispetto alla sua.
Blaise inspirò profondamente: era di fronte al familiare orologio del World’s End e già quello era bastato per farlo sentire più in pace con se stesso.
Spinse la porta azzurra e si lasciò travolgere dalla calda aria del pub. Tutto suggeriva calore: dal legno predominante su quasi ogni superficie della stanza, alla stessa temperatura, molto più calda dell’esterno.
Blaise gettò un’occhiata al loro solito tavolo, rendendosi conto che era già stato occupato: ma riconobbe i tre occupanti e si diresse nella loro direzione.
«Le sue risposte erano detestabili. Cercava sempre di ribattere con qualcosa di odiosamente intelligente e non è stata per nulla una conversazione civile.»
Al sentire quella dichiarazione del suo più vecchio amico d’infanzia, per poco non scoppiò a ridere: poteva non riconoscere Hermione, ma la sua presenza suscitava in lui delle sensazioni molto simili a quelle che aveva provato in passato, a Hogwarts.
«Draco, Theo, Rad.» salutò Blaise, prendendo il posto accanto al principale interlocutore al loro tavolo.
«Oh, buonasera. Daphne?» chiese Draco, distogliendo l’attenzione dalla discussione che lui stesso stava portando avanti.
«Ha dimenticato una cosa in auto.» spiegò il moro accanto a lui, scuotendo irrimediabilmente il capo.
«Blaise, dovresti smetterla col chiamarmi Rad. Tutti assumono che invece di chiamarmi stai esclamando qualcosa.»
«Dovrei chiamarti Angie?» ribatté quello alla ragazza seduta accanto a Theo, che gli rivolse un’occhiataccia: «Magari Angharad? Sai, è pur sempre il mio nome...»
«Nah. Come lo pronunci tu sembra che ti stia schiarendo la voce, e poi è troppo lungo.» Blaise terminò così lo scambio, facendo scuotere irrimediabilmente il capo all’unica biondina presente – almeno fino a quel momento – al loro tavolo, per poi tornare a rivolgere l’attenzione a Draco, che stava digitando qualcosa sul BlackBerry «Allora, com’è andato l’incontro con la tua stalker?»
«È insopportabile. Ehi, ma com’è andato il meeting nel Devon?»
«Ugh. Stanno diventando insopportabilmente consapevoli riguardo al casino dei subprime. Insomma, non è come se fossimo stati noi a concedere mutui a destra e a manca...»
«E quello è ciò che Draco ha risposto alla sua stalker.» dichiarò Theo, con un sorriso sornione «Anche se tecnicamente vi sbagliate entrambi: ne abbiamo concessi, anche se non direttamente, negli USA. E poi c’è la faccenda della Northern Rock...»
«Umpf... » esalò Draco, seccato: talvolta anche il suo amico lo infastidiva con la sua precisione. Proprio come la sua nuova conoscenza, quella Granger.
«Non appena qualcuno decide di iniziare a responsabilizzarsi, Blaise inizia a definire le cose “pallose”.» dichiarò nuovamente Theo «E comunque questa Hermione non ha tutti i torti. Insomma, è esploso qualcosa. Non ne parlano tanto, ma la Lehmann sta accumulando debiti su debiti che non può pagare, e non è che non abbiamo venduto titoli spazzatura... insomma, basta vedere l’andamento del mercato per capire che non andrà a finire bene. Ed è vero, non stanno ripagando i mutui. Insomma, come potrebbero?»
«Ora mi stai infastidendo anche tu.» scherzò Draco, scuotendo poi la testa «E io che pensavo che lavorando insieme nella stessa azienda saremmo stati tutti fedeli a loro...»
«Ma io sono fedelissimo, Dra’. Difatti ne sto parlando con te, mica con la Granger.»
«Pensi che uscirà davvero l’intervista sul suo blog? Inoltre, ti sei fatto dire come si chiama?» chiese Angharad, curiosa.
«Non penso proprio. Per poco non ci stavano cacciando dal Claridge’s quando abbiamo leggermente alzato la voce.»
Blaise incrociò lo sguardo di Theo e sorrise: probabilmente anche lui stava pensando che solo quei due si sarebbero potuti infervorare così tanto da quasi arrabbiarsi davanti a un tè al Claridge’s.
«Quiiiindi, vi vedrete ancora?» chiese nuovamente Angharad, dando voce al pensiero di tutti i presenti «Sai, con quel nome strano sarebbe una perfetta aggiunta al nostro gruppo.»
Theo ridacchiò e coprì la risatina con un colpo di tosse, Blaise invece fu molto contento dell’arrivo di Daphne che distolse tutti dalla domanda della loro amica: «Allora, che mi sono persa?»
«Oh, ciao Daphne.» salutò Draco, voltandosi a guardarla «Dove devi andare vestita così? Lo sai che la serata finisce al pub, no?»
«Vorrei davvero passare dal Ministry of Sound dopo.» dichiarò la ragazza, con un sorriso a trentadue denti «Sono apposta andata a casa a cambiarmi!»
«Oh, no, ti prego! Sette chilometri e stiamo tutti vicino casa qui...» ribatté Draco, con un tono leggermente lamentoso.
«Non è proprio vero... Tu ti trovi vicino casa.» ribatté Blaise, assecondando Daphne, che prese posto accanto a Theo e salutò Angharad con un abbraccio «Sì, certo, come se Holland Park non fosse qua dietro...»
«Sì, okay, è sicuramente più vicino del Ministry of Sound, ma quello che ha davvero il pub dietro casa sei tu...»
«Blaise, Oakwood Court. Oakwood Court. E non dico altro.»
«Ripetendo a voce alta la via di casa mia non è che mi fai cambiare idea, eh...»
«Angh, andiamo a ordinare le birre.» dichiarò Daphne, trascinando Angharad per un polso – che dovette scavalcare malamente Theo per evitare di finirgli completamente addosso – verso il bancone.
«Vi ricordate che anche io vivo lì, vero?» chiese Theo, facendo i risvolti alle maniche della camicia.
«Oh, Theo caro, non stiamo rimarcando chi vive nel quartiere più figo...»
«Vivo nel palazzo di fronte al tuo, quindi ho voce in capitolo. E posso condividere quello che ha detto Draco, ossia che abitiamo qui vicino.» dichiarò Theo, con una punta di saccenza nella voce.
«Sì!» esclamò Draco, manifestando la sua contentezza con un movimento della mano stretta a pugno.
«Pff, secondo me tre chilometri non sono una distanza che si può considerare “vicina”. Dobbiamo chiedere alla tua dirimpettaia Daphne?»
«Lo sai che a lei non interessa minimamente questo discorso, ed è per questo che si è portata Angharad al bancone, no?» ribatté Theo, con un sorriso malefico.
«Ah, io credevo fosse perché è più facile per due ragazze ordinare a un bancone piuttosto che per dei ragazzi» controbatté Blaise, non molto sicuro del perché stesse continuando a battibeccare con Theo, nonostante l’argomento del momento non fosse qualcosa di cui si potesse davvero battibeccare per qualche determinato motivo.
«Oh, caro, ingenuo Blaise. Se Angharad avesse sentito questa frase sessista ti avrebbe decisamente disintegrato.» commentò con un’espressione sognante Draco, muovendo le dita delle mani in modo malefico.
«Oh, ma dai, sto solo affermando il vero! Le ragazze ordinano qualsiasi cosa più velocemente di noi! Specialmente per come è vestita oggi Daphne...»
«E come sarei vestita oggi io?» il tono dell’ex-Serpeverde fece rizzare i peli sulla nuca di Blaise, mentre Draco e Theo ridacchiavano irrefrenabilmente.
«Quello che intendevo era—
«No, ti prego Blaise, dimmi come sono vestita...» ribatté quella, passando i bicchieri a Theo e Draco e lasciando al centro del tavolo il loro solito secchio di birra.
Angharad si versò della birra nel boccale e fece lo stesso per gli altri due amici, mentre Daphne continuava ad avere lo sguardo di qualcuno che avrebbe volentieri torturato a lungo Blaise, che non sapeva dove posare gli occhi.
«Posso avere la birra?» chiese il moro, titubante.
«No.» rispose fulminandolo Daphne, versandosi la birra nel boccale e nascondendo sotto il tavolo quello che sarebbe andato a Blaise.
Draco, Theo e Angharad si limitarono a sorseggiare le loro birre e a non pronunciare parola, mentre si gustavano il teatrino che accadeva spesso tra i due amici: puntualmente Blaise diceva qualcosa di leggermente sessista nei confronti di Daphne senza farci attenzione, e quella gliela faceva pagare molto cara.
«Intendevo soltanto che il vestito è un po’ corto...» si giustificò lui «E così è sicuramente più facile ordinare qualcosa...»
«No, intendevi che il mio vestito è leggermente da sgualdrina, perché conosco il tuo tono, Zabini. E comunque, deficiente, al massimo si ottiene qualcosa più velocemente al bancone con una scollatura, il barman mica vede la mia gonna!»
«Beh, effettivamente...»
«E inoltre, cosa dovevamo ottenere? Hai notato che Angharad è in pigiama, vero?»
Il moro si voltò verso l’altra ragazza della combriccola, che si limitò ad annuire un paio di volte, dando manforte all’amica: «Lascio sempre due pigiami da Draco, così posso tranquillamente usarne uno per venire al pub.»
«Perché diavolo vorresti venire al pub in pigiama?!» ribatté l’altro, sconvolto.
«Uhm, perché sto comoda, e non sembra un vero pigiama. Ho dei leggings addosso e mi serve una maglia larga... e quella del pigiama è perfetta!» dichiarò Angharad sorridente, indicando il disegno dei Peanuts sulla sua maglia oversize.
«Oh, diamine. Non c’avevo mai fatto caso.» Blaise sbatté le palpebre, ritornando a guardare Daphne «E comunque volevo soltanto affermare la verità...»
«Beh, è statisticamente vero che i baristi tendono a rispondere prima alle ragazze e poi agli uomini... anche se siamo in pigiama.» ammise Angharad, sorseggiando altra birra.
«Ecco, appunto!» esclamò Blaise, contento che qualcuno fosse d’accordo con lui.
«Ciononostante, il tuo commento rimane sessista e fuori luogo, soprattutto nei confronti di Daphne.» continuò Angharad, senza distogliere lo sguardo dal suo boccale «E non c’è birra per gli imbecilli sessisti!» terminò quella, sorridendogli sorniona.
«Ecco!» esclamò contenta Daphne, versandosi la birra rimanente e facendo lo stesso coi boccali degli altri amici.
«Oh, dovrei conoscere nuova gente...» disse Blaise più a se stesso che agli altri.
«Ma parlando d’altro: Draco, com’è andata con la stalker oggi? Non siete andati a prendere il tè da Claridge’s?» cambiò repentinamente discorso Daphne, sinceramente interessata. Era davvero strano far finta di non conoscerla per lei, Theo e Blaise, ma non avrebbero potuto fare altrimenti, considerata la condizione di Draco.
«A parte il fatto che discutendo dei subprime ci saremmo staccati la testa a morsi lì davanti a tutti, stranamente bene.»
«O magari proprio perché continuando a parlare di quello vi sareste staccati la testa a morsi è andata bene.» convenne Daphne, annuendo certa e facendo ridere tutti gli altri meno Draco.
«Cosa intendi?»
«Ti ha tenuto testa dimostrando tenacia e arguzia, visto che determinate cose della faccenda non sono neanche ancora trapelate...»
«Beh, sì... Ma è stata anche una fastidiosissima spina nel fianco!»
«E noi sappiamo quanto ti piacciono le spine nel fianco...» continuò Daphne, annuendo sorniona.
Draco arrossì impercettibilmente, ma tentò di mantenere un’espressione seria: «In che senso?»
«Nel senso che non le avresti mai proposto un incontro se non vi foste scornati così amabilmente riguardo alcuni argomenti che ti tangono da vicino, no, avresti chiamato la polizia piuttosto. E ribattendo argutamente a tutte le tue risposte, oggi s’è guadagnata la tua ammirazione. La pensate sicuramente diversamente, ma ha la tua ammirazione.» Daphne annuì, come a confermare la sua tesi, e poi ritornò a rivolgersi a Draco: «Allora, a quando il prossimo appuntamento? Quando ce la presenti?»
«Cosa?» ribatté il biondo, sbattendo le palpebre.
«Ti piace! Non staremmo parlando di lei sennò.» chiarificò Angharad, e Daphne annuì, contenta che qualcuno con un po’ di cervello là dentro avesse capito che cosa stava suggerendo lei stessa.
«Oh, no, non sono alla ricerca di spine nel fianco al momento, men che meno lei.»
«Sì, certo.» annuì Daphne, lasciando cadere la discussione: prese il cellulare dalla borsetta e si rese conto del messaggio di Blaise: “Cosa stai facendo?!”
Daphne prese a digitare: “Abbiamo appurato che lei è okay, perché non dovrebbero vedersi? Così almeno può continuare a studiarlo da vicino...” Il telefono di Blaise emise un bip e lui si catapultò a leggere il messaggio appena arrivato.
“E vogliamo che lo faccia?”
“Senti, mi piace vivere così... ma penso che Draco debba avere la possibilità di sapere chi sia. Non dico che debba tornare a essere come prima, ma almeno avere la possibilità remota di avere tutto più chiaro...”
«Era strano però.» continuò Draco, pensieroso «Era come se la conoscessi.»
Blaise e Daphne alzarono contemporaneamente gli occhi dai loro rispettivi cellulari e lo osservarono attentamente, ma fu l’amica a prendere parola: «In che senso?»
«Qualcosa mi diceva che l’avevo già incontrata. Insomma, non sono così mal predisposto nei confronti di qualcuno normalmente, no? Soprattutto di qualcuno intelligente con argomentazioni ben studiate e ragionate...»
«No, solitamente no.» rispose Theo, lanciando un’occhiata interrogativa a Blaise e indicando il telefono di Daphne con lo sguardo.
«Non vi ricordate se magari abbiamo frequentato il King’s College insieme? Magari l’abbiamo intravista lì.» continuò Draco, e la tensione nell’aria si sciolse: come se Daphne, Theo e Blaise avessero contemporaneamente tirato un sospiro di sollievo.
«Non lo so» rispose Angharad, giocherellando con il boccale, e lanciando di sottecchi un’occhiataccia agli altri tre amici «Dovrei conoscerla per dirtelo. Magari sì, veniva con noi all’università.»
«Sa decisamente più di qualcosa sull’economia, questo lo giustificherebbe.» annuì Draco, come a rassicurare se stesso.
«Ma quindi, il Ministry of Sound tra due orette?» propose nuovamente Daphne, con un sorriso a trentadue denti.
«Ohh, ancora...»
Non era sicuramente stato il loro Sabato convenzionale quello.

 

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Capitolo 5
*** 4. Blindsided ***


Buon pomeriggio! Eccomi per un nuovo capitolo: spero che vi stiano piacendo i personaggi e tutti i loro casini, se avete qualche precisazione da fare non esitate a commentare/recensire/scrivermi... quello che preferite! Buona lettura!
Ps, non so se "Cocomaya" a Londra esisteva davvero nel 2008, però ora c'è ed è davvero fantastico!








 
Would you really rush out for me now?
Would you really rush out
For me now?

 
Luna e Ginny erano ancora sul suo letto, coperte dal suo plaid preferito a ronfare beatamente: la sua sveglia biologica purtroppo non le permetteva di svegliarsi dopo le sette e mezza, nemmeno di domenica mattina. Allora decise di farsi un tè e continuare il lavoro della sera precedente, visto che aveva ancora dei dati da analizzare che le aveva mandato un collega il venerdì precedente: mise il bollitore sul gas, preparò la tazza e andò ad accendere il PC. Fortunatamente aveva già passato i dati – che dal Ministero arrivavano ovviamente in forma cartacea, era troppo chiedere per una e-mail... – sul PC ed era pronta a dedicarsi alle sue analisi, quando il telefono suonò.
Chi le telefonava alle nove di domenica mattina?
Corse a prendere il telefono prima che la suoneria svegliasse le sue amiche, ma non riconobbe il numero sullo schermo: credeva fosse Ron in preda a un’inusuale dimostrazione d’affetto telefonica, e invece no. Ma chi era?
«Pronto?» rispose lei, dopo essersi portata il cellulare all’orecchio.
«Herm–Signorina Granger?» come sottofondo si sentiva un’altra voce maschile che faceva “Shhh” a qualcun altro.
«Draco Malfoy?» o almeno, così credeva. Insomma, non aveva mai parlato al telefono con lui.
«Buongiorno.»
«Buongiorno anche a te!» quella conversazione era imbarazzante: soprattutto perché davanti a lei c’erano dei grafici riguardanti altri pazienti colpiti da Obliviate molto potenti, ma erano comunque dei casi molto diversi dal suo. Il bollitore iniziò a produrre il familiare rumore e lei agguantò la bacchetta, mormorando “Wingardium Leviosa” nella sua direzione.
«Cosa?»
«No, nulla!» ribatté lei, mordendosi la guancia dall’interno «Va tutto bene?»
«Sì. A lei?»
«Anche a me, grazie.» ma lo era davvero? Con chi diavolo era? Non stava parlando al telefono con un Draco Malfoy imbabbanito e ubriaco, vero?
«Mi scusi, non sono ancora del tutto sobrio.» scoppiarono delle risate di sottofondo e poté ben identificare quella di Blaise Zabini.
«Ah... non c’è problema.»
«Volevo chiederle se per caso lei fosse interessata a...» la sua domanda venne interrotta dalla voce di una ragazza – era forse Daphne? – che esclamava a voce abbastanza alta “Ma sembri un pinguino! E rilassati!”
«Ti va di andare a vedere una mostra alla galleria Moretti?»
«Quando?» chiese Hermione, indecisa se essere felice per via della possibilità di osservarlo da vicino o sconvolta dal fatto che Draco Malfoy le stesse chiedendo di uscire. Era sicuramente qualcosa di paradossale, considerato il loro passato: ma non sarebbe andata lì per quel motivo; insomma, ogni momento libero dal lavoro in laboratorio l’avrebbe passato volentieri col suo soggetto.
Sentì nuovamente la voce ancora troppo alta di Daphne che diceva “Mercoledì, dille Mercoledì! Abbiamo quella riunione di pomeriggio e finiamo alle quattro!”
«Mercoledì alle sei?»
«Perfetto. Dove ci vediamo?»
«Trafalgar Square. Facciamo per le sei meno un quarto sotto il quarto piedistallo? Quello...»
«La cui statua cambia ogni anno. Okay, sì. A Mercoledì!»
«Cia–Buona giornata!» prima di chiudere la telefonata Hermione sentì nuovamente Daphne che prendeva in giro Draco facendo qualche strano verso.
Sbatté le palpebre, ancora perplessa, e con un movimento della bacchetta posò il bollitore sul piano cucina.
«Accio tazza!» afferrò la tazza di Earl Grey al volo e si sedette al tavolo, di fronte al computer: infilò gli occhiali e tirò un sospiro di... sollievo?
«Con chi ti vedi Mercoledì alle sei meno un quarto?» per poco non sobbalzò riversandosi tutto il tè addosso sentendo la voce di Ginny, stranamente già in piedi.
«Cosa ci fai sveglia?»
«Mi hai svegliata parlando al telefono. Allora?» si diresse verso la cucina e versò l’acqua bollente in un’altra tazza, prendendo una bustina di tè e mettendola nell’acqua. Poi si sedette sulla sedia accanto alla sua e incrociò le gambe.
«Malfoy, a quanto pare. Ma la cosa più strabiliante è che era probabilmente ubriaco.»
Ginny scoppiò a ridere e Hermione ringraziò il fatto che non avesse ancora iniziato a bere il tè, sennò l’avrebbe riversato tutto sul suo PC portatile: «Scusami, cosa?»
«Non sembrava in sé. E c’era Daphne che urlava che era un pinguino e Blaise che rideva. E forse anche qualcun altro.»
«Blaise?»
«Ginny, è l’unica cosa che hai colto?»
«Beh no...» la rossa roteò gli occhi «Però il pensiero di quei quattro in giro per locali è davvero ilare. Insomma, quattro purosangue brilli in giro per la Londra babbana. Sembra una di quelle commedie ridicole, ma per maghi.»
Anche Hermione rise, scuotendo la testa: «Ora che mi ci fai pensare effettivamente è assurdo...»
«Che stai facendo?»
« Venerdì Wilkins m’ha mandato dei file su altri pazienti colpiti da Obliviate, ovviamente diversi dal suo caso, ma volevo analizzarli...»
«Come fai a lavorare di domenica mattina?»
«Anche tu lavori ogni tanto...»
«Sì, perché le partite sono nel weekend. Ma sennò non ci penserei nemmeno due volte.» rispose quella, iniziando a bere il suo tè.
Sentirono la porta di casa che si apriva e poco dopo emerse da essa una testa rossa: «Ciao fratello!»
«Ginny? Che ci fai qui?»
«Sono a rimasta a dormire qui con Luna ieri sera.»
«Ciao Herm.» Ron si avvicinò al tavolo e baciò la sua fidanzata, mentre Ginny riprese la parola: «Senti, ci vediamo mercoledì sera dopo il mio allenamento?»
«Dovrei tornare qui dopo lavoro...»
«Tanto Hermione non c’è a casa. Dai? Una birra al Paiolo Magico?»
«Che devi fare mercoledì?» chiese Ron, rivolgendosi a Hermione.
«Devo vedermi con Malfoy.» la risposta era più un mormorio, nella speranza che Ron non sentisse il nome del soggetto in questione: sapeva che principalmente si stava occupando di lui, ma comunque non gli andava giù. Soprattutto da quando Draco l’aveva scoperta e non si trattava più di seguirlo soltanto.
«Che cosa? Di nuovo?»
Ginny roteò gli occhi, sorridendo: «Sì, insomma, ormai dovrà pur vederlo no? Non può più seguirlo.»
«Come fai a non ricordare come si comportava con te?»
«È un mio paziente inconsapevole e lo sto studiando. E poi non mi pare che lui fosse l’unico a essere particolarmente insensibile, e con altri insensibili di mia conoscenza ci esco.»
«Scusa, fratello!» aggiunse dopo Ginny, alzando la mano destra e aspettando che Hermione le battesse cinque, cosa che fece poco dopo.
«Non è comunque minimamente simile a quello che ti faceva passare lui.»
«E lui è ancora mio paziente inconsapevole.»
«Mpf.»
«Ottima risposta, Ron.» commentò Ginny, sorseggiando il tè.
«Dove andate?»
«A una mostra, vicino Trafalgar Square da quello che ho capito.» rispose Hermione, continuando a scrivere al PC.
Da un certo punto di vista, Ron si sentì più sollevato: almeno non avrebbe dovuto portarla lui quel mese in qualche museo. Lei amava visitarne regolarmente, e... almeno quella volta non sarebbe toccato a lui fare qualcosa di così... seccante.
«Oh, okay.» Ron puntò il telecomando alla tv e la accese, liberandosi delle scarpe e stendendo le gambe sul divano.
Hermione roteò gli occhi e Ginny colse quel movimento: con un cenno del capo le chiese a cosa si riferisse quel gesto «Amo andare nei musei e lui lo sa. Siamo arrivati alla soluzione che mi ci porta una volta ogni due o tre settimane. Ma se mi ci porta Malfoy non ha bisogno di farlo lui.»
«Tipico.» rispose Ginny, roteando gli occhi anch’ella e riprendendo a bere il tè.


«Sembravi un maître pronto a prendere un ordine. Come diavolo ti trasformi e sei così formale anche da ubriaco?!» rise Daphne, scuotendo la testa.
Erano usciti dal Ministry of Sound alle sette e avevano deciso di passeggiare fino a Vauxall: poi, visto che Daphne, Draco e Blaise erano ancora un po’ alticci, decisero di salire verso Hyde Park e arrivare a Marble Arch; lì si resero conto della fame – dopotutto non mangiavano dalla sera prima – e decisero di provare Cocomaya, una bakery che aveva consigliato Blaise e che aveva amato così tanto che ne aveva parlato per due giorni.
Daphne era almeno due chilometri e mezzo che camminava senza scarpe e tirò un sospiro di sollievo quando vide i tavolini fuori dalla bakery: si lasciò cadere su una sedia insieme a Draco e Blaise, mentre Theo e Angharad entrarono dentro per scegliere i dolci – non erano brilli, e nemmeno distrutti come i loro amici.
«Oh mio dio, questo posto è stupendo.» dichiarò Angharad, sopprimendo uno sbadiglio.
«Sembra notevole, sì.» Iniziarono a camminare tra i tavoli, notandone ben tre dai quali poter scegliere dolci: sembrava il paradiso degli affamati.
Quando anche Draco, Blaise e Daphne si resero conto di dover entrare per ordinare li seguirono: «Questo posto è fantastico, Blaise. Almeno sai scegliere i posti da frequentare.» commentò Daphne, dirigendosi verso il fondo della sala.
Dopo dieci minuti scelsero tutti qualcosa e ritornarono fuori, in attesa che le cameriere glieli servissero: era nell’attesa che decisero di convincere Draco a telefonare a Hermione e subito dopo – e anche durante – erano stati tutti pronti a commentare quella telefonata.
La cameriera arrivò con i loro ordini, ma sembrava preoccupata: «Non vorreste stare dentro? Potreste levarvi i cappotti e stare al caldo...»
«Oh mio dio, è vero. Siamo a Gennaio. Sì, d’accordo!» esclamò Daphne, alzandosi in piedi e seguendo la cameriera, che faceva loro strada.
«Come c’è venuto in mente di sederci fuori con questo freddo?» chiese Blaise, stralunato.
«Chiedilo al tuo subconscio, Zabini. Tu, Daphne e Draco vi siete seduti lì.» rispose Angharad, scuotendo la testa e prendendo posto accanto all’unica altra persona sobria.
«Ma ho davvero chiamato la stalker Granger prima?»
«Draco, ma quanto hai bevuto stanotte?» chiese Daphne, dandogli delle pacche sulla spalla.
«Che vergogna, devo scusarmi...» fece per prendere il telefono, ma Blaise glielo sfilò di mano «Se ti scusi ancora da mezzo ubriaco che figura ci fai?»
«...Hai ragione.»
«Mangiate, per favore, prima che ci facciamo cacciare da questo paradiso.» dichiarò Angharad, togliendo dalle mani dei due litiganti il bottino – ossia il telefono di Draco – e piazzando sotto i loro nasi i cappuccini che la cameriera aveva appena portato.
«Sei proprio una brava mamma chioccia con gli amici ubriachi, Angie.» commentò Daphne, sorridendo come un’ebete.
«È quello che diventi quando ti ritrovi a tirare seduta la tua coinquilina che è caduta da sopra al water e a portarla in camera per metterla a letto.» spiegò pragmaticamente la ragazza, mentre i poco sobri amici si esprimevano nel loro migliore “Ewww” schifato.
«Pensi che dobbiamo accompagnarli tutti a casa singolarmente?» chiese Theo, rivolgendosi solo ad Angharad.
«Io mi porto Daphne a casa, tu ti occupi degli altri?»
«Non devi prendere la tua borsa grande da casa di Draco?»
«Ah già è vero. Pfff. Prendiamo un taxi per tornare però?»
«Si potrebbe usare un modo più veloce, ma sono tutti obnubilati dall’alcol e un di loro non lo è abbastanza per portarlo così.»
«Quindi taxi.» convenne Angharad, buttando giù l’ultimo pezzo di cinnamon roll e iniziando il suo cappuccino.
«Dove andiamo dopo?» chiese Daphne, sorridendo disinibitamente.
«A lasciare Draco a casa.»
«Sì, grazie. Il mal di testa inizia a palesarsi...» sbuffò quello, finendo il suo hot cross bun e terminando anche il cappuccino «Possiamo andare?»
«Ora che ci penso... sì effettivamente. Theo, riporti tu Blaise a casa, no?» chiese Angharad, scambiandosi uno sguardo d’intesa con lui.
«Sì, non preoccupatevi. Siamo vicini noi. Buona notte!»
«Mh, mh, troppo forte... ‘Notte.» rispose Draco, pagando alla cassa con la carta di credito e dirigendosi fuori: Angharad prese con un braccio Daphne e con l’altro Draco e si diressero verso Bayswater Road, nella speranza di trovare un taxi in una strada più trafficata.

 

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Capitolo 6
*** 5. Winter Winds ***


Scusate per l'imperdonabile ritardo, ho saltato una settimana senza neanche avvisarvi: ma lunedì scorso avevo un esame e poi ho iniziato subito uno stage e sto lavorando sempre fino a tardi... oggi è il mio primo giorno libero, e allora sto pubblicando il capitolo che sarebbe dovuto andare la settimana scorsa! Che dire... buona lettura!
PS. Quel "gaze" della citazione della canzone dei Mumford&Sons: in realtà era "kiss" nella canzone originale, ma l'ho cambiato per adattarlo meglio alla situazione... e poi suona comunque bene anche così. Per l'articolo di cui parlano Draco e Hermione, è questo.









 
 
As the winter winds litter London with lonely hearts
Oh the warmth in your eyes swept me into your arms
Was it love or fear of the cold that led us through the night?
For every gaze* your beauty trumped my doubt.

 
L’analisi che le aveva mandato Wilkins le era stata completamente inutile. I sintomi dei pazienti che erano stati raccolti e analizzati da lui erano completamente diversi da quelli di Draco, e sembravano molto più definitivi: si trattava di Obliviate potenti e irreversibili, ma realizzati con dedizione e correttezza.
Draco, invece, era un caso completamente diverso: non era un Obliviate, da un certo punto di vista era meno potente, visto che ricordava le persone importanti della sua vita e sapeva di aver vissuto con loro; ma non ricordava nulla del mondo magico. Era totalizzante, non ricordava neanche la sua stessa magia, eppure quella era sicuramente ancora presente in lui. Inoltre, nei comportamenti nei suoi confronti notava una certa resistenza, come se istintivamente qualcosa dentro di lui gli dicesse che non avrebbe dovuto fidarsi di lei: come se il suo corpo la riconoscesse ma la sua testa no. Ed era in costante battaglia con se stesso: la parte naturalizzata babbana voleva essere cordiale ed educata, mentre l’istinto sembrava portarlo a relazionarsi con lei sempre scontrosamente, come se fosse sempre sul piede di guerra.
Sbuffò rumorosamente, analizzando un fascicolo che aveva appena preso da una montagna di documenti stanziati sulla sua scrivania: era tutta la documentazione che riguardava coloro la cui psiche era stata danneggiata dal ’98 in poi. Avrebbe consultato anche gli anni precedenti nella speranza di trovare qualcosa.
Venne distratta da un colpo alla porta: «Avanti.»
Alzò lo sguardo verso il nuovo arrivato, scoprendo subito dopo che era Harry: «Adesso mandano anche gli Auror per Malfoy?»
Harry roteò gli occhi: «Son venuto solo a trovare te, non sono qui per Malfoy. Anche se sai molto bene che è un caso irrisolto, visto che il Mangiamorte che ha incasinato tutto non è ancora stato ritrovato.»
«Lo so, lo so» gli sorrise, indicandogli la sedia di fronte a lei, dall’altra parte della scrivania «Come mai da queste parti?»
«Volevo chiederti come sta andando... sia col caso ma soprattutto con Ron?»
«In che senso?» chiese lei, alzando un sopracciglio.
«Adesso non ti limiti più a osservare Malfoy, ma lo incontri pure...»
«È il mio lavoro.»
Harry sbuffò: «Lo so, Herm. Non metterti subito sulla difensiva: so che essendo il tuo lavoro è fondamentale, ma sai che Ron… insomma, per farla breve, non ci ragiona quando si tratta di Malfoy. Anche se è un Malfoy businessman completamente babbano.»
Hermione ridacchiò: «Scusami, è il mio lavoro, però il solo pensiero di un Malfoy babbano... insomma, è completamente diverso da quello che conoscevamo noi. Sono anche più che certa che quello che ci mostrava di lui era sicuramente una maschera bella e buona, quindi non sono il miglior giudice della situazione...»
«Non avevi detto che è venuto a trovarti Blaise sabato? Magari, essendo sempre stato un suo fidato amico, lo conosceva bene e potrebbe dirti se alcuni aspetti del suo carattere sono ancora gli stessi.»
«Sì, penso lo farò. Magari domani sera se capita di raggiungerli...»
Harry le rivolse uno sguardo interrogativo: «Mi porta a una mostra.» spiegò Hermione, alzando entrambe le sopracciglia con fare ancora perplesso «Ma la cosa che mi lascia ancora confusa è che me l’abbia chiesto da ubriaco. Secondo Ginny avevano appena finito di fare il giro dei locali... di domenica mattina alle nove.» emise una risata, ma notò il sorriso tirato dell’amico «Non riesci ancora a parlarne?»
«È tua amica, e siamo stati tanto tempo insieme...»
«Harry, va bene, non ce l’ho con te. Insomma, le persone cambiano... capita di cambiare e non trovarsi più bene. Soprattutto per chi ha iniziato una relazione a un’età così giovane come la vostra...»
«Tu e Ron state ancora insieme.» ribatté lui, nervoso.
«Magari io e Ron non siamo cresciuti abbastanza, e non facendolo non abbiamo avuto l’opportunità di cambiare così tanto da non trovarci più bene.»
«Ed è un bene, no?»
«Harry, ricorda: le cose mutano sempre. Non potranno mai rimanere uguali, è innaturale che le cose rimangano sempre le stesse.» commentò lei, pensierosa.
«Come sta Ginny?»
«Mah, bene. Il risentimento nei tuoi confronti non manca, ma vuole andare avanti.»
«Questa è una cosa buona...»
«Sabato sera ha puntato Zabini.»
«Cheee?» Harry strabuzzò gli occhi, sbalordito.
«Non penso stia cercando in realtà una relazione, però sembrava interessata al Blaise pseudo-babbano in carriera...»
«Forse non avevo bisogno di sentire qualcosa del genere...» rispose Harry, leggermente disgustato.
«Ehi, sei stato tu a lasciarla e volevi la verità, lo sai che non ti mento...»
«Ma sono contento. Insomma, è... inusuale. È ancora strana l’idea di non stare insieme, insomma, ogni tanto senza pensarci le racconto qualcosa che è successo a lavoro... e in realtà sto parlando da solo. Ma mi sto abituando...»
«Harry, hai già ripetuto “insomma” due volte. Facciamo tre?»
«Volevo solo dire che non è la quotidianità, nonostante sia passato un mese. Però era la cosa giusta da fare.»
«Lo so.» rispose Hermione, sorridendogli poi dolcemente «Allora, hai bisogno di qualcos’altro?»
«Devi tornare a lavoro, eh?»
«Devo, sì. Purtroppo essere focalizzata solo su una sola persona è qualcosa di precisissimo ma contemporaneamente anche di terribilmente vasto...»
«Intendi per il dover ricercare una situazione simile in un altro paziente, vero?»
«Non solo, anche le ricerche per capire se si tratta di una magia, di una pozione, di un mix di entrambe... è tutto molto poco conciso. Sto anche portando avanti una ricerca sulle famiglie purosangue con noti Mangiamorte o simpatizzanti di Voldemort al loro interno, per capire se sono state tramandate determinate maledizioni...»
«Come si suol dire, hai tanta carne sul fuoco.»
«Davvero tanta.» sospirò lei, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«È strano vederti con un paio di occhiali sul naso.»
«Ehi, almeno i miei sono rettangolari e al passo coi tempi, tu li usi ancora così tondi...»
«È il marchio di fabbrica del Salvatore del Mondo Magico!» scherzò lui, ma Hermione gli lanciò una gomma da cancellare addosso con un incantesimo non verbale.
«Ahio!»
«Così impari a darti delle arie» rispose lei, alzando un sopracciglio ma sorridendo ciononostante «Buon lavoro, Herm.»
«Anche a te, Harry.» terminò quella, sorridendo nella sua direzione fin quando quegli non si chiuse dietro la porta: allora lei tornò a leggere il fascicolo che aveva sottomano, dopo aver emesso un pesante sospiro stanco.


Aspettare sotto al quarto pilastro non era l’ideale in pieno inverno: non avrebbe potuto farne una colpa a Malfoy, visto che era lei stessa a essere in anticipo, ma comunque non provava piacere a morire di freddo in una Trafalgar Square nonostante tutto piena di turisti.
Perlomeno l’opera esposta sul quarto pilastro dava una parvenza di luminosità a una giornata inesorabilmente grigia: le lastre di vetro blu, rosse e gialle lasciavano passare la luce, mutandola e rendendola in qualche modo più accogliente.
L’unica parte del suo corpo che aveva effettivamente freddo era il naso: il cappotto e i guanti stavano facendo un buon lavoro e il cappello e la sciarpa che non lasciava mai a casa in quei mesi freddi erano suoi fedeli compagni, riscaldandola decentemente. Certo, stare ferma nello stesso posto da dieci minuti non le era d’aiuto, ma come al solito avrebbe evitato di aiutarsi con qualche incantesimo in una delle piazze più affollate della città.
Era in procinto di mandargli un messaggio per dirgli che l’avrebbe aspettato all’interno della National Gallery, quando una chioma esageratamente chiara e inequivocabilmente appartenente a Malfoy apparve da Duncannon Street: il suo possessore sembrò riconoscerla a metà strada e le corse incontro per gli ultimi cinquanta metri, realizzando solo a due metri dall’arrivo che non c’era effettivamente alcun motivo per il quale avrebbe avuto senso correre; sul suo viso apparve un’espressione che era a metà tra l’imbarazzato e il terrorizzato, ma subito dopo virò verso la prima delle due opzioni «Mi dispiace tanto.»
Hermione lo guardò confusa: «Buon pomeriggio... ma per cosa?»
Vide Malfoy arrossire leggermente e distogliere lo sguardo: «In minima parte per il ritardo, principalmente per le circostanze che ci hanno portati qui oggi.»
«Ah... oh. Intendi la tua chiamata da ubriaco alle nove di domenica mattina?» Hermione non aveva intenzione di ridergli apertamente in faccia, ma il suo naso iniziò ad arricciarsi e non poté trattenere la risata.
«Oh, davvero maturo da parte tua reagire così.» commentò lui, alzando gli occhi al cielo.
«Lo sta dicendo quello che ha telefonato a qualcuno ubriaco di prima mattina!» ribatté lei, non riuscendo in quel momento a dire qualcosa di diverso: stava ancora ridacchiando, non solo perché la situazione sarebbe stata assurda anche se non si fosse trattato di Draco Malfoy, ma proprio perché, appunto, era lui il diretto interessato.
«Ero giusto un po’ alticcio.» si difese lui, evitando ancora il suo sguardo: quando però si voltò a guardarla parve sciogliersi ed emettere subito dopo una risatina sommessa.
Si ricomposero entrambi, nonostante Hermione fosse l’ultima tra i due: «Sì, d’accordo. Scusami.»
«Vogliamo andare, ora?» chiese allora Draco, e si poteva notare una nota d’impazienza nella voce, ma era in forte contrasto con la sua espressione, che non era propriamente maldisposta nei suoi confronti, anzi: un sorriso timido ma non timoroso si faceva spazio sul suo viso – e lui cercava in tutti i modi di mascherarlo.
S’incamminarono su Pall Mall e la strega non si fece problemi a intavolare una discussione scomoda: «Dunque... immagino che tu abbia sentito la notizia del report che la Merrill Lynch ha fatto uscire sulla recessione che ha colpito gli USA, vero?»
Con la visione periferica notò Malfoy irrigidirsi prima di risponderle: «Dalla sicurezza della tua voce e dal fatto che sia stata proprio la Merrill a emetterlo direi che tu lo sappia già: sì. Perché?»
«Oh, non volevo mal-predisporti nei confronti della discussione...»
«...No, solo ribadire che avevi effettivamente ragione.»
«Allora lo ammetti?» saltò su lei, non credendo di aver effettivamente sentito Malfoy ammettere la sconfitta.
«Beh, immagino che l’articolo a cui tu ti stia precisamente riferendo sia quello in cui un portavoce ha detto che, cito testualmente, “dire che lo scenario è tipico di quello di una recessione è come se un’ostetrica dicesse a una donna che è quasi-incinta”. Quindi sarebbe ipocrita da parte mia non ammetterlo.»
Hermione era sinceramente sconvolta: come aveva fatto a cambiare parere in così pochi giorni? La sua mandibola non sembrava voler tornare su.
«Granger, se non chiudi la bocca entrano le mosche.» commentò semplicemente Draco, e lei si ricompose: «E quindi sei d’accordo con la tua cara azienda.»
«Probabilmente è più consono definirla banca d’investimento e, per puro amore della precisione, ci terrei a dire che non è mia...»
«Hai capito cosa intendo!» avevano svoltato su St. James’s Square, ma lei era troppo presa dalla discussione per accorgersene.
«Sono particolarmente d’accordo con la risposta sarcastica, se mi chiedi questo...»
Hermione sembrava molto propensa a incenerirlo con lo sguardo, ma lui continuò: «Quello che dice il report non è sbagliato, analizzando la situazione, il tasso di disoccupazione che si potrebbe raggiungere e altri elementi, sarebbe da stupidi o da illusi non ammettere che siamo in una piccola fase di recessione.»
«Definisci piccola.» non sapeva se essere sbalordita dalla sua maturità o innervosita dal fatto che nonostante tutto stesse comunque cercando di sminuire quello che la sua stessa azienda stava dichiarando.
«Gli Stati Uniti sono in recessione, d’accordo: ma non sappiamo quanto durerà. Dopotutto la Lehmann e persino la NBER non sono certi che si tratta di una recessione nel senso proprio del termine: potrebbe essere una situazione momentanea, magari durerà solo quattro o cinque mesi... non lo sappiamo.»
«Ma ora...» iniziò Hermione, non demordendo.
«Hai vinto tu: ora sono in recessione. Gli USA, sia chiaro.» specificò Draco, lievemente spazientito: più che da lei, dal fatto che fosse stato messo nell’angolo.
«Beh, ma siamo in un mondo globalizzato...» ribatté Hermione, ma lui si bloccò nel bel mezzo di King Street: «Granger, non ammetterò oltre. Siamo d’accordo su questo, ma penso che la Merrill stessa sia eccessivamente pessimista a riguardo. Inoltre, stiamo andando in una galleria d’arte e vorrei davvero evitare di farmi cacciare da un posto in cui potrei considerare l’ipotesi di diventare acquirente.»
«D’accordo.» ammise lei, facendo spallucce. Era davvero soddisfatta, in realtà «La tua ammissione è sempre un successo per me, comunque. Ma non preoccuparti, non scriverò sul blog che uno dei manager di spicco dell’azienda non concorda con loro...»
«Banca d’investimento.» la corresse nuovamente lui, riprendendo a camminare.
«Non è pur sempre un’azienda?»
«Sì, ma è un termine troppo generale per definirla.» rispose lui, svoltando per una traversa e fermandosi davanti a un edificio.
«Sì?» chiese lei, non comprendendo.
«Siamo arrivati.» disse semplicemente Draco, indicando con un cenno del capo la placca su cui c’era scritto “Moretti” e subito sotto “N°6 – Ryder St”.
Hermione non aveva più bisogno di stuzzicarlo in merito alla faccenda: aveva dopotutto avuto una reazione più matura da parte sua che non da parte di altre persone a lei vicine; allora si limitò a informarsi sulla mostra «Cosa stiamo andando a vedere?»
«Espongono alcune opere di un artista italiano, Nicola Villa.» spiegò lui, mantenendole la porta aperta per lasciarla passare: era come se l’avessero programmato per fare in modo che si comportasse da tipico gentiluomo inglese. Ma era parte della maledizione o semplicemente era qualcosa che si era man mano radicato in lui per via della completa immersione nel mondo babbano?
«Scusami, ero distratta. Puoi ripetere?»
«Si chiama “Walking in the city”. Il tema principale è appunto la vita in città, e i protagonisti sono le persone, ma anche i profili dei palazzi, i segnali stradali… Sono tutti personaggi di storie che sembrano non avere né un inizio né una fine, come se fossero impresse lì nel suo acquerello per sempre immobili, immateriali e irraggiungibili.»
«Sembri molto preso da questa mostra. L’hai già vista?» chiese Hermione, incuriosita. Per lei era anche lui una sorta di visione immateriale e irraggiungibile, almeno quella versione di Draco Malfoy: appassionato d’arte, paradossalmente gentiluomo ma nonostante tutto sempre un po’ in guardia quando si trattava di starle nei paraggi.
«In realtà no, ma conosco l’artista.» sorrise riservato lui.
«Conosci...?»
«Sono un po’ di mesi che seguo il suo lavoro. Mi piace il suo punto di vista, è insolito.»
«Okay, vediamo.» si lasciò convincere Hermione: in parte ciò era dovuto al fatto che non aveva solitamente pregiudizi nei confronti di alcun tipo di arte, ma era soprattutto ben disposta per via della descrizione inaspettatamente appassionata che aveva fatto il suo ex-compagno di scuola.


Dopo circa un’ora e mezza passata nella galleria doveva ammettere che effettivamente Malfoy aveva ragione: era un punto di vista inusuale, e in particolar modo l’aveva colpita come l’artista quasi beffeggiasse la stessa categoria alla quale Malfoy, in quel mondo, apparteneva. Inoltre, nonostante l’analisi che faceva fosse prevalentemente orientata al pessimismo, essa veniva alleviata dalla presenza dei colori forti, che davano quasi un tocco di giubilo al tutto.
Avevano visitato la galleria in silenzio, assorti: solo ogni tanto Malfoy mormorava qualcosa, più a se stesso che a lei in realtà. Alla fine era scomparso per riprendere i cappotti, ma lei era più che certa che ci fosse sotto qualcos’altro: lo seguì nell’altra sala e notò che aveva iniziato a parlare col curatore. Dopo qualche minuto l’uomo gli diede quello che doveva essere un catalogo e Draco fece per ritornare da Hermione, ritrovandosela però molto più vicina di quanto si sarebbe aspettato: «Sempre ficcanaso, eh?» le lanciò la frecciatina, ma la aiutò comunque col cappotto.
«Ero solo incuriosita dal fatto che fossi andato a parlare col curatore...»
«Sono interessato a “Pressure”.» spiegò semplicemente lui, conducendola fuori.
Draco Malfoy comprava opere d’arte? Aveva forse sottovalutato la sua posizione presso Merrill Lynch?
La sua espressione doveva aver lasciato intendere molto bene i pensieri che stavano passando per la sua testa, al che Draco prese parola, sorridendo: «Sai, ci sono i bonus di fine anno. Non sono uno dei grandi capi, ma i bonus sono sostanziosi. E inoltre, non costano eccessivamente.»
«Più o meno di cinquemila?»
«Meno, solo alcuni pezzi di più. Ma sono pochi.»
«Ah.» sembrava avesse tirato un sospiro di sollievo, e quella strana reazione incuriosì Draco:  «Sei sollevata? Saresti scappata immediatamente se la risposta fosse stata diversa?»
Era sinceramente incuriosito da quella atipica ragazza. Ciò era dovuto non solo alle circostanze che avevano portato alla loro presentazione – era stata, senz’ombra di dubbio, sua stalker per un bel po’ di tempo – ma soprattutto a qualcosa che c’entrava con il suo istinto: qualcosa di primordiale gli diceva di non fidarsi assolutamente di lei; ma era così senza senso, considerato come si era sempre comportata lei dopo il loro primo incontro/scontro, che aveva deciso di ignorare quella sensazione e andare avanti nel conoscerla, perché tutto il resto gli interessava inevitabilmente.
«No.» calibrò bene la risposta l’altra, evidentemente in difficoltà «Ero semplicemente molto stupita. Insomma, non si incontrano tutti i giorni ricconi che vanno a vedere una mostra e decidono di comprarne un pezzo...»
«Noto un tono leggermente canzonatorio?» ribatté lui, scuotendo la testa.
«Oh, no, no, è solo il tono di una che si appena affogata col suo caviale...» continuò Hermione, prendendolo spudoratamente in giro e non nascondendolo dietro il largo sorriso che era appena comparso sul suo volto.
«Ah-ah-ah, come sei simpatica.» rispose Draco, alzando gli occhi al cielo ma non riuscendo a nascondere il principio di un sorriso «Visto che siamo qua davanti e che non vorrei assolutamente abbassare i tuoi elevati standard di vita, ti va di cenare qui?»
Doveva averla presa in contropiede, perché lei non si era nemmeno resa conto di essere sulla Piccadilly, e iniziò a guardarsi intorno: alla fine il suo sguardo incontrò l’enorme portone nero e dorato di fronte a loro e i suoi occhi seguirono le lettere sulle placche che lo affiancavano da entrambi i lati.
«Il Wolseley?»
«O preferisci qualcosa di più sopraffino?»
Doveva esser finito il momento delle prese in giro, perché lei sembrava spaesata e confusa: «Cosa c’è?»
Poi scosse la testa, come se qualcosa l’avesse improvvisamente rassicurata: «Sì, va benissimo qui.»
Entrarono nell’enorme sala, già parzialmente visibile dall’esterno, le cui superfici erano prettamente nere con particolari dorati: personalmente, quel posto le ricordava il Ministero della Magia nei suoi periodi peggiori, ma doveva ammettere che per un occhio non traviato come il suo non doveva essere poi così male.
Draco disse qualcosa al maître che subito dopo li condusse al piano superiore, in un angolo un po’ più appartato rispetto al caos che regnava nella vasta sala al piano di sotto, ma comunque in una posizione favorevole all’osservazione dello strabiliante spazio circostante.
Era ancora istintivamente sconvolta dalle sue impeccabili buone maniere, anche se aveva imparato a nasconderlo, quasi ad accettarlo pian piano: Draco prese posto di fronte a lei, dopo averla galantemente sospinta più vicina al tavolo.
«Allora, ti va bene?» non aveva ancora lasciato perdere il tono canzonatorio, e nemmeno il ghigno che lo accompagnava. Ma non era cattivo, solo... divertito. Era un Malfoy davvero strano per lei.
«Posso accontentarmi.» rispose Hermione, alzando un sopracciglio e rimanendo al gioco.
Subito dopo iniziò a sfogliare il menù, dato che il suo stomaco aveva avuto la faccia tosta di farsi sentire: non credeva di poter avere fame a quell’ora. Erano appena le sette, il locale era lontano dall’esser eccessivamente gremito eppure aveva davvero fame, o almeno, così pareva.
Un telefono suonò e doveva essere quello di Draco: che lo indicò brevemente prima di chiedere “Posso?” e di rispondere successivamente all’assenso della sua accompagnatrice.
«Pronto? Sì, ancora. No...» Hermione aveva troppa fame per tener conto della sua telefonata, ma dovette farlo quando lui le rivolse direttamente una domanda: «Ti va di raggiungere alcuni miei amici a un pub dopo cena?»
Lei sbatté le palpebre per qualche istante e poi annuì: «D’accordo.»
Lui terminò la telefonata e la cena proseguì tranquillamente e senza intoppi, qualcosa di davvero strano considerata la sua compagnia.

 

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Capitolo 7
*** 6. Whispers in the Dark ***


Buon sabato e buon Halloween! Come va? Spero che la storia vi stia piacendo. Come molte di voi hanno indovinato, Hermione conoscerà i vecchi compagni di scuola Serpeverde... spero vi piacerà! Come al solito, se premete sul titolo della storia e del capitolo, potete andare ai link dei video delle canzoni che danno titolo (nel caso del capitolo, anche quella a cui fa riferimento la citazione). Buona lettura!








 
Whispers in the dark
Steal a kiss and you’ll break your heart
Pick up your clothes and curl your toes
Learn your lesson, lead me home

 
Avevano raggiunto il pub a Chelsea in un quarto d’ora con il taxi: lei era ancora un po’ stordita da quanto Malfoy potesse essere interessante in quella realtà. Si erano ritrovati a parlare di più cose in quelle quattro ore che non in anni che avevano passato a scuola insieme – questo, ovviamente, Draco non lo sapeva.
E lei aveva ceduto immediatamente alla richiesta di incontrare i suoi amici al pub: aveva bisogno di chiedere qualcosa a Zabini, inoltre avrebbe voluto osservare come lui si ponesse nei confronti delle dinamiche di gruppo.
Quando vide la facciata del pub sorrise: ispirava accoglienza. Seguì Draco oltre la porta d’ingresso e si lasciò invadere dal tepore della sala. Notò che Malfoy stava cercando con lo sguardo qualcosa in particolare e, quando lo trovò, Hermione capì di che cosa si trattava: tre teste conosciute e una sconosciuta erano quattro tavoli più in là, in un posto che, a giudicare dall’espressione del suo accompagnatore, doveva essere sempre lo stesso.
Pronta a fingere di non conoscere le persone delle quali avrebbe di lì a pochi secondi stretto le mani, si fermò accanto al tavolo, dando una veloce occhiata ai presenti: riconosceva Blaise, Daphne e Theo. E poi una tipa dai capelli biondo topo che sembrava conoscerla, mentre lei non aveva la più pallida idea di chi fosse.
«Allora, questa è la stalker, Hermione Granger. Siate gentili.» presentò Malfoy, indicando Hermione «E questi sono Blaise, Daphne e dall’altra parte Angharad e Theo.»
Hermione strinse le mani di tutti, notando un lampo di comprensione negli occhi dei tre che già conosceva, mentre in quelli della tale Angharad notava solo curiosità. Perché diavolo la conosceva quando lei non la ricordava minimamente?
«Io direi che è il caso di ordinare da bere. Angh?»
«E va bene, ‘Dra.» rispose quella, superando Theo e lasciando Hermione con i suoi vecchi compagni di scuola.
«Granger, ci si rivede!» la salutò con un cenno Zabini, mentre Daphne la osservava accuratamente e Theo le faceva posto alla sua sinistra: «Buonasera Hermione.» aveva sempre considerato Nott il meno problematico del loro trio, ed era anche quello con cui si era ritrovata più spesso a parlare con naturalezza, principalmente di materie scolastiche.
«Granger.» si limitò a riconoscere la sua presenza Daphne, come se stesse ancora soppesando qualcosa.
Ma Hermione aveva qualcosa da chiedere, e non avrebbe potuto farlo quando i due assenti in quel momento sarebbero tornati: «Chi è l’altra ragazza?» la curiosità era facilmente percepibile dal tono della sua voce.
«Una nostra amica, perché?» Daphne non era tranquilla e cercava di non perdere mai di vista nessun suo movimento.
«Pura curiosità, non mi pare di averla mai vista a scuola...» non doveva darle l’idea che stesse giudicando il loro piccolo gruppo, del quale Daphne sembrava essere molto protettiva. Frequentandone così tanti da pochi giorni, effettivamente, doveva ammettere che i Serpeverde erano molto protettivi con i propri cari.
«Non ha frequentato Hogwarts.» si limitò a risponderle Daphne, con uno sguardo di sfida: cercava in tutti i modi di cogliere un passo falso della donna di fronte a lei.
«Come l’avete conosciuta?»
«Non penso siano proprio affari tuoi...» rimbeccò la Serpeverde, e Blaise iniziò ripetere: “cat-fight, cat-fight, cat-fight!”.
«Oh, piantala, Blaise.» lo riprese Theo, scuotendo la testa «Daphne, non aggredirla. Draco capirà sicuramente che ci sono dei precedenti se ti trova pronta ad attaccarla in qualsiasi modo.»
Daphne gli rivolse uno sguardo oltraggiato, quasi come se fosse stata tradita dalla sua osservazione, ma Theo rivolse l’attenzione a Hermione: «Granger, Angharad è babbana. Immagino che la tua domanda implicita fosse quella.»
La strega accanto a lui annuì, pronta a fare un’altra domanda: «E... sa?»
«Sia del mondo magico che della condizione di Draco.» rispose sinceramente Nott, e per quello Hermione lo ringraziò mentalmente. Nonostante tutto, però, era comunque stranita: tre Serpeverde si erano fidati di una non strega così tanto da dirle tutto «Ci si può fidare di lei.»
«Non ne dubito.» si ritrovò a rispondere la sua vicina, ancora pensierosa «Come l’avete conosciuta?» cercò di rilassare l’aria già troppo tesa a quel tavolo, facendo domande innocue: pur avendo bisogno di domandare diverse cose un po’ scomode riguardanti il suo soggetto, nonché suo accompagnatore della serata.
«All’università.» fu Daphne a rispondere, lasciando stupita Hermione: sembrava aver sotterrato l’ascia di guerra ed esser pronta a rispondere mostrandosi neutra alla faccenda «Era nostra compagna di corso quando eravamo al King’s College. Poi lei ha continuato lì, mentre noi siamo andati alla London Business School.»
«Oh.» non era una risposta molto intelligente, ma faceva ancora fatica a non stupirsi della loro cieca fedeltà nei confronti dell’ex-principe delle serpi.
«Temevo che Daphne ti avrebbe staccato la testa a morsi prima del mio ritorno, e volevo proprio conoscere la Salvatrice del Mondo Magico... e non, probabilmente.» la protagonista della discussione si palesò accanto al tavolo, facendo saltare su Hermione e rilassare Daphne «Ciao. Immagino ti abbiano detto cosa non sono.»
Hermione annuì e le fece posto accanto a sé, osservandola ancora per un po’: «Sono sbalordita.»
«Lo so, erano degli stronzetti nel passato.»
«Ehi!» la riprese Daphne, tirando un leggero calcio agli stinchi dell’amica, mentre Hermione ridacchiava in risposta alla frase della nuova conoscenza.
«Si tratta comunque di uno stupore... positivo.»
«Sì, sono migliorati. Ho faticato un po’ per raddrizzare questi due» indicò con un cenno del capo Daphne e Blaise «Ma hanno fatto decisamente un gran passo in avanti, almeno da quando li ho conosciuti io.»
Angharad, nonostante fosse quella che conosceva di meno, aveva il merito di averla fatta rilassare con poche frasi: poteva capire perché i tre purosangue si sentissero a loro agio con lei.
«Tu venivi al King’s College?»
«Come?» chiese Hermione, sovrappensiero fino a qualche momento prima. Poi comprese e annuì «All’inizio psicologia di base, poi ho preso una specialistica in ricerca della sanità mentale e della popolazione e poi il SGDP.»
«Due master* e un dottorato?!» Angharad era notevolmente sorpresa «Conosci davvero la mente.»
«Non quanto vorrei.» rispose sinceramente l’altra, contenta di venir riconosciuta per meriti che normalmente nel mondo magico venivano completamente snobbati «Tu?»
«Economia e management e poi un master in management artistico e culturale.»
«E ora di cosa ti occupi?»
«Mi sono resa conto che mi seccavo in un’azienda e sono tornata a studiare. Master in giornalismo.»
Hermione provò un moto di inesplicabile e profonda affezione nei confronti di quella ragazza, che sorrise orgogliosa.
Blaise e Daphne, dal canto loro, si sentivano ignorati, ma il moro trovò subito l’occasione di attirare l’attenzione: «Granger, ma non è la Weasley quella?»
Hermione sbarrò gli occhi quando incontrò una chioma fulva di sua conoscenza: sbatté le palpebre cinque volte e poi si alzò.
«Ooooh, la ammazzerà.» commentò Blaise, strofinandosi le mani.
«Ma che ci fa qui con Lunatica Lovegood?» chiese Daphne, perplessa: l’intero tavolo guardava in quella direzione, e non si accorsero dell’arrivo di Draco con quattro birre «Cosa sta facendo Hermione?»
Daphne e Blaise sbarrarono gli occhi, non sapendo come rispondere: ma Theo salvò la situazione «Ha incontrato casualmente delle sue amiche e ci sta parlando ora.»
«Beh, possono aggiungersi, no? O è un problema per voi?»
«Nessun problema!» rispose Angharad, il cui sorriso aveva l’aria di essere più simile a un ghigno divertito; Theo le diede manforte, mentre Daphne e Blaise, troppo terrorizzati da quello che Draco aveva appena rischiato di scoprire, si limitarono ad annuire e a guardarlo allontanarsi in direzione delle tre ragazze vicine al bancone.


«Cosa ci fate qui?» lo sguardo di Hermione era in procinto di incenerire Ginny, che faceva spallucce «Siamo capitate per caso qui...»
«Weasley, non mi prendere per i fondelli...»
« Gin ha magihackerato il tuo telefono. E ti abbiamo seguita fin qui.» dichiarò con naturalezza Luna, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della migliore amica e un muto ringraziamento da parte dall’altra amica.
«Ginny, sai che sto lavorando...»
«Ma io volevo trovare il modo di incontrare...»
«Buonasera» la voce di Malfoy zittì tutte: tranne Luna, che rispose educatamente al saluto «Buonasera!»
Lievemente stupito dal modo di porsi della sconosciuta che gli aveva risposto, decise di rivolgersi direttamente a Hermione: «Theo mi ha detto che hai incontrato queste tue due amiche. Magari vogliono unirsi al nostro tavolo?»
L’annuire di Ginny gli rispose prima di una qualsiasi possibile scusa di Hermione, e allora quella si arrese: non avrebbe potuto fare altrimenti, visto che la rossa si era già presentata a Malfoy e aveva fatto lo stesso per Luna.
Hermione scosse la testa, borbottò tra sé e sé qualcosa di leggermente sgarbato nei confronti della sua amica fulva e li seguì a ruota.


Mezz’ora dopo erano tutti seduti allo stesso tavolo, stretti e gioviali sulle due panche: Hermione non sapeva come avessero raggiunto quell’equilibrio precario, ma era più che certa che avesse giocato un ruolo fondamentale la birra che aveva placato e rilassato gli animi.
Evitava di lasciar cadere lo sguardo sull’angolo destro della sua visuale: non sapeva come, ma si era ritrovata da un lato Luna e dall’altro Draco, di fronte Angharad e Daphne e, alla sinistra di quest’ultima, Blaise e Ginny. Non sapeva come l’amica fosse arrivata là, ma poteva affermare con certezza che era molto più tranquilla della vicinanza di Luna e Theo – che avevano trovato quasi subito un argomento comune, che però lei non riusciva a carpire – che non di quella tra il moro e la rossa.
Draco si sporse leggermente in direzione del suo orecchio, come se volesse dirle qualcosa che avrebbe dovuto sentire solo lei: «Possiamo già darci l’appellativo di cupido.»
Hermione roteò gli occhi al cielo: «Preferirei non averlo.» gli rispose, incrociando lo sguardo con il biondo, che aveva uno strano sorriso complice: probabilmente ne era rimasta stupita perché non l’aveva mai visto così. Non da vicino almeno, e sicuramente non ne era mai stata lei la destinataria.
«Non ti fidi di Blaise?»
«Dovrei?» chiese perplessa lei, alzando un sopracciglio.
«Assolutamente no.» rispose allora lui, ridacchiando e coinvolgendola nella risata: «Non ci si dovrebbe fidare neanche di lei, però, a onor del vero.»
«Allora potrebbero essere una coppia esplosiva.»
«Credimi, in tutti i sensi potrebbero esserlo.» gli assicurò Hermione, incontrando nuovamente il suo sguardo divertito e sorridendogli automaticamente. Rimasero per qualche secondo così, immobili, come se avessero percepito la strana elettricità nell’aria, fin quando Draco non riprese parola, interrompendo il momento «Tutto sommato, però, Blaise è un bravo ragazzo. Molto nel profondo ovviamente.»
«Anche Gin. Non sembra, ma sotto sotto è dolce e premurosa. Anche un po’ una banshee, a tratti, ma è brava.»
E aveva inteso quel termine tipicamente magico con l’accezione babbana, senza darci troppo peso e senza nemmeno rendersene conto.





*master: l'ho lasciato nel nome originale, ossia quello di "Master's Degree": sarebbe quello che noi intendiamo con specialistica/magistrale.

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Capitolo 8
*** 7. Creature Fear ***


Buongiorno! Scusate il ritardo di un giorno, ma ieri ero a lavoro (ho fatto un casino, credevo di dover andare alla solita ora e mi sono mossa prima, quando poi si iniziava con calma alle 12 e io me l'ero dimenticato... diamine!) e quindi alla fine non ce l'ho fatta a postare il capitolo... ma compenso oggi! Spero che vi piaccia e che... rimaniate sconvolte! Vi raccomando nuovamente di ascoltare la canzone che dà il titolo al capitolo e... Buona lettura!
Ps. "double decker" è il nome dei tipici bus rossi a due piani londinesi. Non mi andava di tradurre qualcosa di così iconico.









 
So did he foil his own?
Is he ready to reform?
 
Aveva lasciato che Daphne la riaccompagnasse a casa con Angharad: dopo quel momento di complicità era rimasto lievemente turbato e aveva un po’ paura a rimanere solo con lei, anche solo il tempo di chiamarle un taxi. Tutte quelle accortezze che normalmente aveva nei suoi confronti in realtà erano di default, le aveva per qualsiasi esponente del genere femminile: forse solo Angharad e Daphne erano l’eccezione, essendo sue intime amiche e avendolo visto praticamente in qualsiasi situazione. Insomma, si trovava a comportarsi così principalmente con estranee o conoscenti, e Hermione faceva parte dell’ultima categoria, fino a prova contraria. Però quel momento – nonostante fosse stato lui stesso a darvi inizio – l’aveva un po’ traumatizzato, e non ne comprendeva nemmeno il perché: era una ragazza brillante, arguta e anche molto bella. Non convenzionalmente bella, ma non per questo meno bella. Ma c’era qualcosa, il suo istinto, che gli diceva di non continuare con quel filone di pensiero: e non c’era alcun motivo razionale per seguire i consigli del suo stupidissimo istinto.
«Dra’?» come svegliatosi da quello stato di trance, si voltò verso l’amico che l’aveva chiamato: Theo indicava con un cenno del capo qualcosa oltre la sua spalla, e si voltò a guardare; poi comprese, doveva alzarsi «A che stavi pensando?»
«Ero sovrappensiero.» rispose quasi immediatamente lui, ma notò un sorrisetto farsi spazio sul viso dell’amica bionda di Hermione, Luna. Non riusciva a spiegarlo, ma era come se quella sapesse quali erano stati i suoi pensieri fino a un secondo prima. Arrossì al pensiero di quell’ipotesi, completamente irrazionale ma nondimeno spaventosa, e si alzò per lasciar passare Theo e Luna oltre la panca.
«Dai, ti accompagniamo a casa.» dichiarò Theo, dandogli una pacca sulla spalla.
Draco si guardò intorno, spaesato: «Blaise?»
«Lui e Ginevra sono scomparsi dieci minuti fa. Sono stati molto subdoli, ma me ne sono accorto.» spiegò, con una punta d’orgoglio nella voce, dirigendosi al bancone per pagare.
Draco scosse la testa, sorridendo: stava pensando al suo scambio con la Granger, e Luna parve intercettarlo – e leggergli nuovamente nel pensiero «A Hermione non piacerà.»
Rimase interdetto, pronto a rimarcare qualcosa in modo forse troppo perfido per i suoi gusti, ma per fortuna Theo ritornò: quella Luna lo faceva stare in tensione. Era come se lo comprendesse in un modo che nemmeno lui riusciva ad avere ben chiaro, e questo lo spaventava. Inoltre, come sapeva del loro scambio? Li aveva ascoltati? Era un’osservatrice così brava – e molto ficcanaso – o loro avevano parlato a voce più alta di quello che ricordava?
«Dai, andiamo.» lo risvegliò nuovamente la voce di Theo, che era alcuni passi avanti a lui insieme a Luna, alla quale si rivolse subito dopo «Tu dove devi tornare?»
«Mi piacerebbe tornare a casa a piedi.» rispose lei, e Theo annuì: sperò solo che “casa” fosse qualcosa di vicino. Londra era davvero grande e non avrebbe neanche lontanamente tentato di materializzarsi in un posto sconosciuto.
Draco era ancora immerso nei suoi pensieri nel tragitto verso casa, non essendo per nulla di compagnia: Luna non ne sembrava turbata, quasi come se lo capisse; e anche se lo fosse stata, lei e Theo riuscivano benissimo a non considerare il suo mutismo un problema, tanto si trovavano bene a chiacchierare del più e del meno.
Quando arrivarono a metà di Netherton Grove, di fronte a casa sua, si voltò a guardarli: Theo colse il movimento nella loro direzione e interruppe la conversazione «Tutto bene?»
Draco annuì nella sua direzione, sbattendo le palpebre: «Sono solo stanco.»
Il sorrisetto sfoggiato da Luna sembrava dirgli che in realtà lei sapeva la verità, ma doveva smettere di essere così paranoico: non esisteva la lettura del pensiero. «Buona serata e buonanotte, Luna. Ci vediamo domattina, Theo!»
Luna rimase sorridente, rispondendogli subito dopo: «Buonanotte, Draco!»
«A domani, Dra’!»
Trovò le chiavi nella tasca sinistra del giaccone e aprì prima il cancelletto e poi la porta di casa, salutando per l’ultima volta l’amico e quella Luna con la mano. Entrò in casa, si chiuse dietro la porta e tirò un sospiro di sollievo: era finalmente libero di essere pensieroso e brontolone nella misura che preferiva.


«Preferisco questo Draco.» aveva dichiarato Luna non appena il protagonista della sua frase si chiuse dietro la porta: Theo sorrise, comprensivo «Anche io. Ma in realtà, sotto le mille maschere che era costretto a indossare, lui è sempre stato così. O almeno, da che ho memoria l’ho sempre notato così. Da fuori poteva non notarsi, ma la sua... essenza, è sempre stata questa.»
«Lo conosci da molto tempo?»
Theo annuì, incamminandosi nuovamente verso il pub «Da quando siamo bambini. Penso sia la persona che conosco da più tempo, a parte ovviamente mio padre. Ma come si può facilmente intendere non ho più una relazione con mio padre, quindi... insomma, è la persona che conosco in assoluto da più tempo, l’unica che sia rimasta nella mia vita almeno.»
«Tuo papà ti ha disconosciuto quando hai deciso di seguire Draco nel mondo babbano?» il modo innocente che Luna aveva avuto nel definire “papà” quel mostro che era stato suo padre lo fece sorridere, sebbene quel sorriso fosse più simile a un ghigno che ad altro.
«Diciamo che l’ho disconosciuto quando ha cercato di farmi diventare Mangiamorte. Ovviamente la cosa è stata reciproca, e ho vissuto da Blaise dall’estate del quarto anno. Avevo iniziato a stare giusto qualche tempo per l’estate, ma poi... beh, mi ha proposto di stare con lui e sua madre. C’era abbastanza spazio e sapeva che non avrei avuto problemi di quel genere con loro.»
Luna annuì, comprensiva: «Del genere di arti oscure?»
«Esattamente. Insomma, la madre di Blaise ha sempre suscitato timore in tutti, ma non ha mai fatto parte della cerchia intima di Voldemort... purtroppo non molti altri di noi hanno avuto questa fortuna.» fece spallucce lui camminando lungo Limerston Road con tranquillità.
«Beh, però hai avuto la fortuna di avere un amico come Blaise. E anche come Draco: nonostante il breve passaggio al lato oscuro, non ha mai... fatto nulla di così radicale di cui dover pentirsi seriamente.»
«A parte ricevere il Marchio e far entrare i Mangiamorte a Hogwarts, dici?» era sarcastico, e gli dispiaceva rivolgersi così a Luna, che sembrava comprendere meglio Malfoy di lui, da questo punto di vista.
«Non ha mai ucciso nessuno. E so da Hermione che non l’ha identificata quando erano stati catturati. Non sarà stato dal lato giusto, ma nemmeno completamente in quello sbagliato.» dichiarò saggiamente la ragazza, per nulla turbata dal tono sarcastico che aveva assunto Theo poco prima.
«Sì, lo so. Però... mi ha dato fastidio comunque. Non solo per quello che ha fatto... Durante il sesto anno ha completamente allontanato me e Blaise. Avremmo potuto capirlo, sapeva che io l’avrei capito! Ho abbandonato la mia famiglia quando avevo quindici anni per questo motivo, sapeva che avrei capito se lui non avesse voluto seguire la strada di suo padre...»
«Ma magari non era sicuro di non volerlo. Magari era confuso, e troppo orgoglioso per chiedere aiuto come hai fatto tu...» controbatté pacatamente la biondina, svoltando dalla parte opposta al bar su King’s Road.
«Ehi, dove stiamo andando?»
«Verso casa mia. Nine Elms.»
«Non ti facevo tipa da vista sulla centrale di Battersea!»
«Ho trovato un appartamento carino in un bell’edificio dai mattoni rossi e gli infissi azzurri. Mi sembrava semplicemente affine a me. E poi volevo stare vicina al Ministero, non mi andava di materializzarmi due volte al giorno tutti i giorni.»
«Sembra un ragionamento abbastanza logico...» commentò Theo, dandole ragione «Comunque, mi sono riavvicinato a Draco dopo l’attacco. Da quando aveva preso il Marchio si era chiuso in se stesso e ha continuato a comportarsi così fin dopo la battaglia di Hogwarts... poi ci fu l’attacco, e Blaise mi avvisò. E appena svegliatosi sembrava un’altra persona completamente diversa: ignorava la magia, ma era aperto nella sua amicizia con noi. Era il passo naturale seguirlo qui.»
«Capisco.» e probabilmente lo faceva davvero: era davvero facile parlare di un argomento così spinoso con lei, che non lo giudicava in alcun modo «Uh, guarda, non sembra una ramora?» indicò qualcosa oltre il ponte, giù nel fiume.
Theo seguì con lo sguardo il punto da lei indicato, notando soltanto una macchia argentata che nuotava via, allontanandosi da loro: «È un pesce dell’Oceano Indiano, ma in effetti, con tutte le navi che hanno collegato l’India e il Regno Unito negli anni, è perfettamente possibile che si sia insediato anche qui... Il riscaldamento globale ha anche fatto la sua parte, probabilmente.»
Luna si voltò a guardarlo, soddisfatta: era bello non sentirsi rispondere per una volta che “era una cosa impossibile” e che “avrebbe dovuto fare più attenzione alla realtà che davvero la circondava, o prima o poi sarebbe finita sotto a un double decker”.


Per arrivare dal pub a Arnold Circus ci misero mezz’ora, nella quale temette di morire almeno cinque volte: Daphne guidava in modo spericolato. Era così sicura di sé che dava per scontato di riuscire sempre ad avere la meglio, e questo la terrorizzava. Angharad era seduta sul sedile del passeggero, e ogni tanto le rivolgeva uno sguardo colmo di comprensione: poi le sorrideva, e lei si sentiva un pochino più tranquilla. Se Angharad era ancora viva e viaggiava spesso in auto con Daphne, avrebbe potuto farcela anche lei.
Quando si fermarono di fronte a Marlow House con una frenata davvero brusca – con il freno a mano. Non avrebbe mai più accettato un passaggio da Daphne – ringraziò Godric di essere ancora viva. Fece quasi per alzarsi, ringraziarla del passaggio e correre dentro al portone, ma Daphne fu più veloce: le chiuse tutte dentro l’auto e si voltò verso Hermione.
«Di che stavate confabulando come due piccioncini tu e Draco prima?»
Hermione sbatté le palpebre, confusa: quando si rese davvero conto della frase dell’ex-Serpeverde – o meglio, del “piccioncini” – arrossì immediatamente.
«Non siamo piccioncini.» ribatté, con quel poco di dignità che le rimaneva dopo esser vivamente diventata bordeaux davanti a entrambe le ragazze «E stavamo parlando di Blaise e Ginny.»
«Devo dire che l’argomento, almeno da fuori, sembrava più intimo...» commentò Angharad, senza fare inquisitorio: diamine, doveva dare manforte a lei, non a Daphne!
«Stavamo davvero parlando solo di quello...» rispose nuovamente Hermione, più sicura. Erano state così attente che avevano notato anche loro quell’elettricità? Perché poi?
«Tu stai con la Donnola, no? Quindi non dovresti arrossire alle nostre osservazioni...» commentò nuovamente Daphne, sorridendo. Quella ragazza riusciva a essere aggressiva, a scherzare e a terrorizzarla contemporaneamente: era più che certa che non l’avrebbe uccisa, né in quel momento né a breve, ma le faceva paura la sua brusca schiettezza.
«Sto con Ron Weasley, sì.»
«Mh.» commentò Daphne, sbloccando infine le porte dell’auto «Non far soffrire Draco, o te la vedrai con noi.» dichiarò la sua ex-compagna di scuola, lasciandola uscire dall’auto.
«No. Ehm, grazie del passaggio. Buonanotte.» rispose l’ex-Grifondoro, attraversando la strada e cercando le chiavi di casa nella borsa.
«Chi è la Donnola?» chiese Angharad, guardando Daphne.
«Un deficiente. Faceva parte del Trio dei Miracoli. Sì, insomma, il terzo salvatore del mondo magico dopo lei e Harry Potter.» spiegò la Greengrass, mettendo in moto l’auto solo dopo che Hermione fu entrata nel portone.
«Aaah, ora mi spiego perché non l’avete mai nominato.»
«Cosa?»
«Lo reputate un cretino.»
«Lo è. È il fratello di Ginny. Il più cretino, a mio parere. Forse lo supera solo Percy, se ci penso. No, almeno Percy è ambizioso. La Donnola è decisamente più cretina.»
Angharad sorrise, tra sé e sé: era abituata ai commenti schietti e blandamente offensivi – beh, in questo caso offensivi e basta – dei suoi amici, sebbene Daphne fosse quella che ne faceva di più. Ma era anche quella che mostrava di più l’affetto che provava nei confronti di tutti loro.


Hermione entrò nell’ascensore e tirò un sospiro di sollievo: aveva già ricevuto due terzi gradi da Daphne quella sera. Inoltre era stata una serata davvero paradossale; era stata sorprendentemente piacevole, dal tardo pomeriggio fino all’uscita con le sue amiche e le serpi che non aveva mai conosciuto in quel modo.
A essere sinceri, non era mai stata interessata a conoscerli: probabilmente, come loro avevano avuto pregiudizi nei suoi confronti, anche lei non era stata da meno. E questo la colpì in pieno, perché aveva sempre ritenuto di essere la persona migliore, sebbene non esplicitamente, credeva di essere quella più aperta mentalmente tra loro. E invece l’avevano sorpresa: accogliendola nonostante tutto quella sera, le avevano dimostrato che non nutrivano rancore. E ne avrebbero dovuto nutrire, perché lei e buona parte della sua casa davano per scontato che fossero tutti cattivi e “neri”.
C’era un bel grigio in tutta quella faccenda, e dalle cose che aveva scoperto negli ultimi giorni c’erano anche molti comportamenti completamente disinteressati compiuti proprio dalle suddette serpi, che fino a qualche tempo prima avrebbe saputo erroneamente descrivere solo come “opportunisti approfittatori senza cuore”, o qualcosa di molto simile a quella descrizione.
Scosse la testa, evitando di pensare al momento a cui si era riferita Daphne qualche minuto prima: appena entrata in casa, andò davanti al piano cottura e mise su il bollitore, accendendo il fuoco con la bacchetta. Aprì lo sportello della credenza accanto alla cappa alla ricerca delle foglie da tè di Darjeeling, e solo in quel momento si rese conto della presenza di qualcun altro nella casa: mise giù la scatola dei tè e afferrò la bacchetta.
Si diresse nuovamente in salotto, da dove era appena venuta, passando oltre il quadrato tavolo da pranzo e accendendo la luce: puntò la bacchetta contro l’intruso, rendendosi conto solo dopo che era Ron. Seduto sul divano, con le mani tra i capelli. Letteralmente.
«Ronald! Per Godric, mi hai fatto prendere un accidente! Ero pronta a schiantarti...» abbassò la bacchetta e gli si avvicinò, per salutarlo con un bacio: ma quando lui alzò lo sguardo e lo intrecciò con il suo, si rese conto che c’era qualcosa che non andava. L’espressione del suo ragazzo era contrita e pensierosa, come se avesse passato le ultime ore a pensare a fondo a qualcosa: cosa alquanto inusuale. E non lo diceva con cattiveria, ma era vero: Ron non pensava alle cose approfonditamente. Il fatto che quel giorno l’avesse fatto la preoccupò non poco.
«Ron? Va tutto bene?»
«Dov’eri?»
«Ti avevo detto che ero andata a una mostra con Malfoy...»
Ron guardò l’orologio sul muro di fronte a loro «Fino a mezzanotte?»
«Oh, no. Poi ho incontrato Luna e Ginny. E siamo rimaste al pub con Malfoy e altre serpi...» spiegò tranquillamente Hermione: si sentì in colpa a sorvolare la cena, ma non avrebbe voluto renderlo ulteriormente geloso, visto che dietro quella cena non c’era stato nulla di lontanamente romantico.
«Sono stato fuori anche io...» iniziò il rosso, tormentato.
«Sì, mi avevi detto che ti vedevi con Ginny in realtà. Siccome lei era con me, immagino che tu ti sia visto con Harry...» sollevata che il ragazzo avesse reagito bene, senza scatti gelosi com’era solito fare da una settimana a quella parte, tornò in cucina e posò la bacchetta accanto al forno a microonde.
«‘Mione, ho conosciuto qualcuno.» dichiarò Ron, con l’espressione di qualcuno che si era finalmente tolto un peso enorme di dosso.
La ragazza raggiunse la porta scorrevole che collegava la cucina al salottino e lo scrutò, cercando di capire che cosa intendesse. Quando incrociò il suo sguardo colpevole lievemente sollevato, comprese.
«Aspetta, cosa?!»


La stanza era cupa: anche l’esterno, da quello che poteva notare dalle finestre, lo era. Ma ciò che gli aveva fatto venire i brividi fino alla fine della spina dorsale erano state quelle urla quasi disumane, femminili, che provenivano dal centro della stanza.
Aveva paura di guardare lì, al centro della sala, aveva paura di scoprire a chi appartenessero quelle urla. Ma in un angolo della stanza riconobbe i suoi genitori, suo padre che guardava nel vuoto e sua madre che cercava di distogliere lo sguardo, come se lo spettacolo fosse troppo orribile per digerirlo. E dalle urla sembrava proprio così, a dire il vero. Ma la presenza dei suoi genitori lo spronò a maggior ragione a conoscere l’individuo che emetteva quelle urla stridule, quell’esemplificazione di dolore lancinante.
Si avvicinò pian piano al centro, notando una donna completamente vestita di nero col volto deformato da un ghigno divertito: i capelli erano ricci e neri, e tutto di lei dava l’impressione di essere viscido. Lei stessa doveva esserlo. Aveva una bacchetta in mano – una bacchetta? Era una strega? – indirizzata verso l’origine di quei suoni strazianti: seguì con lo sguardo la luce che fuoriusciva da quella bacchetta fino ad arrivare alla... creatura che si contorceva disumanamente. Era una ragazza? Non si capiva, il fisico era tutto scomposto...
Il fascio di luce s’interruppe, e il corpo della ragazza cadde a terra all’improvviso. Lui si avvicinò: doveva smetterla. Basta. Erano orrende quelle urla.
«Allora? Come siete entrati? Parla, sudicia sanguesporco!»
«È falsa! È falsa! Per favore...»
Quella voce la conosceva. Perché conosceva quella voce?
Fece un altro passo in avanti e si accovacciò: doveva scoprire chi fosse.
Ma quando riconobbe in quel viso sofferente Hermione Granger urlò: e si svegliò urlando.
Era stato un terribile, vivissimo incubo surreale che l’aveva fatto svegliare urlando. Sbuffò pesantemente, sedendosi sul letto: che senso aveva quel sogno? Perché aveva sognato la Granger in quella situazione? Perché c’erano i suoi genitori in quel sogno?
E perché stava sudando freddo?
Si passò una mano tra i capelli biondi e si alzò: sarebbe andato in cucina a farsi un tè. Non si sarebbe riaddormentato presto, anche a occhi aperti riusciva a vedere il dolore dipinto sul volto di Hermione e non poteva assolutamente addormentarsi guardandola soffrire, nonostante quello fosse stato solo un terribile, assurdo e inusuale incubo.

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Capitolo 9
*** 8. Golden Leaves ***


Ed eccomi! (In ritardo di un giorno, ma) ci sono. Purtroppo con gli attentati a Parigi ieri ho dovuto lavorare e ho fatto una cosa come 12 ore in redazione. E oggi, come si può ben comprendere, sono stanca. Cooomunque. Il rating cambia e vedrete a breve il perché. Sentite bene la canzone del capitolo che è importante. Buona lettura e alla prossima!











 

What’s left to say when every word’s been spoken?
What’s left to see when our eyes won’t open?
What’s left to do when we’ve lost all hope and
What’s left to break when our hearts are broken?

Ron aveva smesso di parlare, così lei era tornata in cucina a fare il tè. Avrebbe affrontato la faccenda con un approccio razionale: tutti conoscevano persone. Lei stessa quel giorno aveva conosciuto meglio Blaise, Daphne, Theo, lo stesso Draco, e aveva trovato una nuova conoscenza in Angharad. Versò l’acqua bollente nella teiera, la mise su un vassoio di legno, sul quale posò anche due tazzoni, e lo fece levitare fino al tavolino del soggiorno di fronte al divano.
«Allora, parliamo.» dichiarò, sicura. L’approccio razionale sarebbe stata la scelta migliore «Desideri un po’ di tè?»
Il tè migliorava tutte le cose. Ma avrebbe migliorato una discussione come quella?
Ron sembrava nuovamente tormentato: scosse la testa, passandosi la mano destra sul lato destro del viso, come se stesse cercando di ravvivarlo.
«Mi stavi dicendo?»
«Hermione, ho conosciuto una persona.» ripeté lui, e la frase, nonostante fosse stata pronunciata nuovamente dalle sue labbra, per la testa della ragazza non aveva senso «Non ti sto ovviamente dicendo che ti ho tradito, non potrei mai fare una cosa simile...»
«Hai conosciuto una persona, come?»
«È un ragazza. Una riserva della squadra di Quidditch di Ginny.»
«Okay. È tua amica?» cosa stava cercando di dirle? Il suo cervello lo immaginava, ma non riusciva nemmeno a comprenderlo completamente. E l’incapacità di Ron di produrre frasi di senso compiuto non è che la stesse proprio aiutando. Sorseggiò nuovamente il tè bollente. Troppo bollente.
«No... sì. Insomma...»
«Cosa stai cercando di dirmi, Ron?»
«A lei interessa il mio parere. E ride alle mie battute. Ed è simpatica. E non passa tutto il suo tempo a lavorare...»
«Cosa stai cercando di dirmi, Ronald?» lo sapeva che non avrebbe dovuto sbottare, ma lui sapeva quanto fosse per lei importante il lavoro, il suo lavoro. La sua ricerca. Avrebbe voluto pubblicarla, se avesse risolto il problema di Malfoy.
«Lei mi interessa!» ribatté lui, alzando lievemente la voce e guardandola finalmente negli occhi. I suoi occhi blu sembravano molto più profondi, tant’erano corrucciati.
«È completamente normale.» sorseggiò Hermione, mantenendo la calma «Stiamo insieme da tanti anni, capita di essere attratti da qualcun altro nel processo. Insomma, non significa che sia cambiato...»
«Non sono nemmeno sicuro che i nostri sentimenti siano abbastanza.»
«Come prego?» chiese lei, sinceramente incuriosita. Era un puzzle da risolvere, quella discussione.
«Non mi va più di essere messo da parte. Non mi va di provare questo risentimento di fondo e non mi va più di essere la ruota di scorta di qualcuno quando potrei essere quella motrice per qualcun altro.»
Hermione sorvolò il paragone automobilistico – principalmente perché cosa ne poteva sapere un purosangue di auto? Non era mica come suo padre Ron, non si interessava agli oggetti babbani – «Ron, è completamente normale non essere frizzanti e con gli occhi perennemente a cuoricino come potevamo essere anni e anni fa: siamo maturi e non siamo più dei giovani appena innamorati. Abbiamo altre responsabilità e non è tutto rose e fiori...»
«Non sono neanche sicuro di amarti come prima.»
Hermione posò la tazza sul tavolino. Cosa?
«Scusami, non ho capito. Cosa intendi? Cosa c’entra il fatto che tu hai trovato una persona interessante con il fatto che dovresti presumibilmente amarmi di meno?»
«Non lo so... sono confuso... Non capisco...» continuò lui, passandosi entrambe le mani tra i capelli: le dispiaceva vederlo così tormentato. Poi si ricordò del fatto che probabilmente aveva iniziato quella discussione per lasciarla e rimise la faccenda in prospettiva.
«Confuso di cosa? Per cosa? Ron, questo discorso non ha senso...»
«Sì, sì che ha senso! Basta essere la seconda scelta!»
«Eh?» chiese Hermione, guardandolo come se lui fosse uno strano rompicapo incomprensibile.
«Sono stufo di essere messo in secondo piano! Scegli, o me o il lavoro.»
Hermione strabuzzò gli occhi, guardandolo attentamente: poi scoppiò a ridere. L’occhiata incredula che le rivolse il suo fidanzato era in realtà anche molto ferita.
«Non sto scherzando.»
«Ma Ron, ma non ha senso! Il mio lavoro è il mio lavoro, e tu sei una persona... Non si possono fare paragoni...»
«E allora dovrei essere io al primo posto! Dovremmo sposarci! E dovremmo pensare più alla famiglia!»
Hermione scosse la testa, passandosi le mani tra i ricci ingarbugliati: si fermarono dopo un tragitto di quattro centimetri, e si fece pure male. E il suo tè era finito, e quel suo maledettissimo fidanzato stava facendo un discorso che non aveva senso. Afferrò la tazza che aveva preparato per Ron e iniziò a bervi.
«Cosa dici? Mi sposi?»
«Ronald Bilius Weasley, ma ti rendi conto che il tuo discorso è senza senso? Prima mi dici che sei interessato a un’altra, poi che sei confuso, poi che i tuoi sentimenti per me sono diminuiti, poi sei nuovamente confuso, e ora vuoi sposarmi? Ma che cazzo ti passa per la testa?!» non era solita dire parolacce. Davvero, non era qualcosa che amava fare, anzi, normalmente lo considerava parecchio ineducato. Ma che diavolo voleva da lei, all’una e mezza del mattino, uscendosene con discorsi così folli?
Lui parve quasi inorridito dal fatto che lei si fosse rivolta a lui così: «Io... sono confuso... mi sento in gabbia.»
«Gabbia? Gabbia? Ti ci ho forse messo io, in gabbia? Ti impedisco io di vivere il tuo grande amore pieno di cuoricini e passione e senza problemi con la tua nuova fiamma?» avrebbe dovuto usare la razionalità, ma le due tazze di tè che aveva buttato giù in così poco tempo le avevano fatto cambiare idea. In realtà anche il discorso senza senso di Ron aveva fatto la sua parte «Va bene. Sei confuso, i sentimenti son cambiati, sono la tua carceriera e mi vuoi sposare: perfetto! Sei libero! Vai a vivere la tua emozionante vita con la riserva delle Holyhead e fate così tanti figli da bloccarle la carriera ancor prima che cominci!» gli urlò contro, incapace di mantenere ulteriormente la calma.
«Sì, forse hai ragione tu. È la scelta migliore...»
Ma che faccia tosta aveva a venire lì a riversare tutti i suoi supposti problemi e poi a farsi lasciare! Farsi lasciare, lui da lei! Lei che non aveva tutti questi fantomatici problemi di cui parlava lui! Che codardo. Che codardo.
Ron si era alzato dal divano e lei aveva versato il tè rimanente dalla teiera nella sua tazza, e aveva ripreso a bere, apparentemente calma: «Lascia le tue chiavi sul cassettone accanto alla porta di casa. E buonanotte.»
Il rosso fece un cenno distratto del capo, obbedì e scappò prima che poté da quella casa. Lei, invece, terminò con calma il suo tè. Poi prese la sua bacchetta e schiantò la tazza di Ron: con un gratta e netta ripulì tutto, prese i cocci e lì buttò.
Si diresse alla porta, girò le chiavi nella toppa e mormorò alcuni incantesimi, molto simili a quelli che aveva usato più e più volte dieci anni prima, in giro alla ricerca degli horcrux: solo che quella volta servivano solo ad allontanare Ron da casa sua, nel caso avesse avuto l’intenzione di ritornare a chiederle scusa prima o poi.
Era furiosa. E stanca. E sarebbe andata a letto a dormire.

Non aveva ancora aperto gli occhi, ma le lenzuola al tatto non sembravano le sue. E neanche il clima sembrava quello di casa sua, in Galles. Che diavolo—
Aprì gli occhi. Non era decisamente a casa sua. Già, Zabini.
Si voltò verso il moro, sperando di trovarlo addormentato: invece era sveglio, e le rivolse un sorriso malizioso.
«Da quanto sei sveglio?» sbadigliò: effettivamente non avevano dormito molto quella notte.
«Da qualche minuto.» rispose lui, non togliendole gli occhi di dosso, in particolare da una determinata zona al di sotto del suo mento «Oh, dai. Mi hai vista nuda stanotte. Non c’è più nulla di nuovo da guardare...»
«Ti sorprenderebbe quanto ancora c’è da osservare.» le rispose lui, allungando il braccio color cioccolato per afferrarla dalla vita, mentre lei stava evidentemente cercando di raggiungere qualcosa sul pavimento: doveva essere riuscita nella sua impresa, perché sebbene fosse ritornata accanto a Blaise, aveva il cellulare in mano.
Quegli si avvicinò al suo viso e iniziò a disseminare baci lascivi lungo la mandibola, continuando sul collo e poi sul seno...
«Oh, cazzo.»
«Ma non ci sono ancora arrivato!» ribatté lui, strappandole una risata nonostante la sua espressione fosse diventata cupa qualche momento prima «Cosa c’è?» ritornò all’altezza del suo viso, pronto ad ascoltarla. Almeno un po’. Si sarebbero potuti divertire anche dopo, avevano tempo.
«Hermione e mio fratello si sono lasciati. Herm mi ha scritto stamattina alle due. Non so molto altro.»
«Ecco, ora sentire parlare del Weasley pedante mi ha buttato giù...» ribatté Blaise, ma un guizzo negli occhi di Ginny sembrò suggerire altrimenti: lasciò il telefono sul comodino e gli sorrise «Non sembra, non almeno da quello che percepisco contro il mio fianco destro...»
«Cosa suggerisci, cacciatrice?» rispose lui, notevolmente più interessato ora.
«Oh, non so. Cosa stavi facendo prima?» chiese Ginny, sorridendo sorniona.
«Uhm, proprio non ricordo...» rispose Zabini, lasciando che lei gli spingesse la testa verso il basso: trenta secondi dopo udì un mugolio di piacere provenire da qualche decina di centimetri più su, e il respiro della sua compagna di giochi farsi affannoso «Blaise, doccia.»
Nonostante i movimenti del bacino della ragazza contro il suo viso non gli avevano dato l’idea che Ginevra volesse davvero una pausa, lui eseguì, separandosi da lei per guardarla: bella e disinibita, che si mordeva il labbro inferiore.
«Blaise, ora
«Sissignora.» la prese per la vita e sollevò, portandola verso il bagno. Non se lo sarebbe fatto ripetere due volte.

Si era alzata come ogni mattina alle sette, nonostante gli avvenimenti di circa cinque ore prima: erano surreali, sembrava tutto un grande sogno assurdo. Credette di svegliarsi e trovare Ron al suo fianco, invece c’era il suo mazzo di chiavi sul cassettone accanto alla porta e la sua tazza con il jack russell terrier rotta nella pattumiera.
Come tutte le mattine si infilò sotto la doccia e dieci minuti dopo era già di fronte allo specchio ad asciugarsi i capelli. Poi andò in cucina con l’intenzione di farsi un tè: ma ricordò gli avvenimenti di qualche ora prima e decise che quella mattina si sarebbe meritata qualcosa da Starbucks. Non le importava né del costo e men che meno delle calorie.

«Ho chiavato la cacciatrice di una squadra di Quidditch professionista! E l’ho chiavata ben quattro volte!»
«Blaise, i tuoi termini sessisti mi disgustano.» commentò con pacatezza Theo, mordendo il muffin al doppio cioccolato e sorseggiando il suo caffè nero formato venti.
«Oh, dai! Come dovrei dire? “Fare l’amore”? Non era neanche lontanamente amore, era sesso duro e crudo...»
«Per Merlino, sto mangiando! Vorrei evitare di immaginartelo duro mentre mangio!» ribatté l’altro, leggermente allarmato, mentre il moro sghignazzava apertamente in attesa del suo cappuccino in formato grande.
«E comunque anche tu, noto, hai delle occhiaie. Perchééé?» chiese Zabini, insofferentemente fastidioso «Non è che per caso hai fatto sesso ben quattro volte, di cui una nella doccia...»
«Per carità, Zabini! L’abbiamo capito che ci hai fatto sesso tre volte nel letto e una nella doccia, dacci un taglio!» il tono che aveva adottato era leggermente più alto, e diverse teste si voltarono nella loro direzione: Theo arrossì, mentre Blaise non sembrava per niente turbato o infastidito da quella momentanea invasione di privacy nella sua vita «Grazie a te ora anche quelle ragazze più in là sanno delle mie prodezze sessuali e stanno ammiccando in questa direzione! Allora, tu che hai fatto?»
Theo scosse la testa: non sarebbe mai cambiato. Zabini così era e così sarebbe rimasto. «Ho passeggiato.»
«Eh?»
«Luna voleva essere riaccompagnata a casa a piedi e io l’ho riaccompagnata passeggiando fino a Nine Elms. E poi mi sono materializzato a casa.»
«Che gentiluomo. Non come me che—
«Shhh, Zabini. Ho mal di testa.» Malfoy aveva fatto la sua entrata in modo così silenzioso che i suoi stessi amici ex-Serpeverde non se n’erano accorti: aveva fatto l’ordine e pagato, quindi era lì già da un po’. «Inoltre non voglio sentire di come ti sei fatto la Weasley in lungo e largo per tutta casa. Non saprei cosa dire alla Granger se dovessi vederla.»
«Puoi dirle tutto quello che vuoi della mia vita sessuale, non me ne vergogno!» aveva esclamato Blaise, e Draco aveva scosso la testa, con un’espressione contemporaneamente schifata e sofferente in volto.
«Dra’, che c’hai? Come mai mal di testa? Hai bisogno di un’aspirina?» aveva chiesto Theo, che confidava nella speranza di poter cambiare discorso, dato che non ne poteva più di parlare della vita sessuale di Zabini.
«No, grazie. Ho preso dell’ibuprofene a casa. Ho ancora degli stranissimi incubi...» aveva spiegato, massaggiandosi le tempie: evidentemente, l’ibuprofene non aveva ancora fatto effetto.
«Cosa?»
«Oh, questa volta era diverso. C’erano delle urla lancinanti in una stanza buia e una persona veniva torturata da una tipa tutta vestita di nero e apparentemente molto viscida. Ovviamente doveva esserlo, visto che stava torturando qualcuno. Poi c’erano i miei genitori nella sala, e la vittima era la Granger. Che razza di sogno assurdo.» rispose Malfoy, continuando a massaggiarsi le tempie, almeno fin quando non gli arrivò il caffè nero in formato tall.
Era impegnato con il commesso di Starbucks, così non notò lo scambio preoccupato di occhiate che c’era stato tra Blaise e Theo: entrambi sapevano che quell’evento era in realtà accaduto, ma non sapevano come porcisi a riguardo. Avrebbero sicuramente dovuto avvisare Hermione.
«A proposito della Granger...» Blaise sperava davvero che quella notizia li distogliesse dal sogno inquietante e purtroppo reale di Malfoy «Lo sapevi che stava insieme al fratello della Weasley e che si sono lasciati stanotte?»
«No, ignoravo che fosse fidanzata con qualcuno.» rispose Draco, dirigendosi verso l’uscita e venendo seguito dai suoi colleghi, che avevano anche loro la bevanda scelta in mano.
«Non è quella la parte importante, mi senti? Si sono lasciati!» ripeté Blaise, esponendosi al freddo londinese ma esclamando esagitato nondimeno.
«Okay.»
Niente, si sarebbe probabilmente arreso prima di riuscire a convincere Malfoy che ci avrebbe dovuto provare ora con la Granger.

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Capitolo 10
*** 9. Little Lion Man ***


Ed eccomi qui! Sono davvero contenta che vi stia piacendo! Allora, questo capitolo per la vostra gioia è più lungo del solito... vedrete! Sentite la canzone del capitolo che è importante e buona lettura!








 
Weep, little lion man, you’re not as brave as you were at the start
Rate yourself and rake yourself, take all the courage you have left
And waste it on fixing all the problems that you made in your own head.
.
Aveva trascorso tutta la giornata come se fosse un qualsiasi altro giorno lavorativo: aveva lavorato duramente e aveva passato la pausa pranzo a leggere documenti sul suo PC mentre mangiava un panino. Solo tornata a casa decise che avrebbe voluto del supporto: sapeva che Ginny sarebbe arrivata di sua spontanea volontà, ma non era lei che voleva chiamare.
«Ehi, ciao. Non è che per caso sei libero? Hai già finito a lavoro?... Okay. A dopo.»
Ginny l’avrebbe perdonata, ma lei aveva anche bisogno di Harry. Quella sera, ne aveva bisogno.

Non riusciva a capire perché gli avesse dato fastidio: e non sapere che fosse impegnata, ma che fosse stata lasciata da qualcuno – sempre se era quella la situazione. In realtà non sapeva nulla, e per qualche strano motivo il non conoscere gli stava mangiando lo stomaco. Forse era per l’incubo della notte prima, forse era per il momento della sera prima, ma per qualche motivo voleva rendersi utile.
Ma cosa si portava a una ragazza che si era appena lasciata con qualcuno e che non’era un’amica, ma nemmeno un interesse amoroso? C’era un’etichetta per quello?
L’unica cosa che sapeva era che la sua scrivania non era il posto ideale per pensarci, così si sforzò e cercò di concentrarsi sul foglio Excel che aveva davanti.

“La Donnola ha lasciato la principessa dei Grifoni.”
Blaise era arrivato a quella conclusione semplicemente analizzando i fatti: Hermione non aveva mostrato di star passando una strana fase della sua vita. Le era sembrata molto tranquilla e sicura entrambe le volte che l’aveva vista, e di certo non era scoppiata una grande passione tra lei e Draco da farle decidere di lasciare la Donnola su due piedi; e anche se fosse accaduto in cinque giorni, di certo lei non avrebbe ceduto. Era ancora Grifondoro nel cuore, e la sua onestà era così profonda che non avrebbe mai fatto qualcosa del genere, nemmeno a quel cretino di una Donnola. Quindi doveva esser stato per forza quel deficiente della Donnola ad averla lasciata: era davvero così ingenuo – un uso più proprio del linguaggio lo avrebbe portato a definirlo nuovamente idiota, ma si trattenne per non seppe quale motivo – da credere che avrebbe potuto conquistare l’affetto di qualcuno migliore della Granger?
Poteva essere pure un auror che aveva salvato il mondo magico, ma tutte le ulteriori conquiste che sarebbero state attirate da questi... titoli non sarebbero potute essere mai e poi mai migliori della Granger. Questo ovviamente non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, però quel ragionamento l’aveva fatto giungere a quella conclusione e così aveva inoltrato quella semplice frase via e-mail al resto della cricca.
“Blaise, di grazia, sei a lavoro. Lavora. Inoltre c’ero ‘sta mattina quando ce l’hai detto da Starbucks.” era stata la risposta stitica di Theo, ma ci era abituato. Dopotutto lui lavorava a lavoro. A lui piaceva anche divertirsi un po’.
«Allora, Zabini, hai già convinto cinque clienti?» il suo capo fece capolino nel suo cubicolo e Blaise si voltò immediatamente «Ci sto lavorando.» aveva miniaturizzato la finestra delle e-mail quando era arrivato, ma l’aveva subito dopo riaperta per notare una risposta sconvolta di Daphne e un messaggio di Angharad in cui chiedeva il numero di telefono della Granger.
Ma non avrebbe potuto stare ad ascoltarle: avrebbe dovuto concludere l’obiettivo giornaliero. Ora toccava lavorare per bene anche a lui.
Beh, una risposta alle domande delle due ragazze non gli avrebbe tolto poi così tanto tempo, no? Poi poteva tornare a lavoro.

Sospirò profondamente: non aveva ancora pianto. Non che fosse necessario, ma dentro aveva un turbine di emozioni, e non capiva come fosse possibile non piangere all’esterno se dentro c’era un tumulto del genere. Aveva infilato un maxi maglione che era vecchio proprio perché non avrebbe voluto sporcare di lacrime e muco quelli buoni, ma non arrivava nulla.
Seduta sul divano, incrociò le gambe e ci riprovò: niente. Forse le lacrime non uscivano perché era ancora troppo arrabbiata? No, lei piangeva anche per rabbia. Aveva bisogno di sfogarsi in situazioni del genere, eppure ora non ci riusciva.
O forse perché era troppo surreale. Dall’oggi al domani era cambiato tutto e non ne concepiva il perché: probabilmente, nei fatti, era stato graduale. Ma a lei era stato notificato solo alla fine, come se non ci fosse bisogno di avvisarla che qualcosa nella relazione era irrimediabilmente cambiato: naturalmente il processo doveva esser stato graduale, Ron non era impazzito dall’oggi al domani. Magari non ci aveva pensato accuratamente e non aveva analizzato minuziosamente ogni stadio in cui si era ritrovato, ma qualcosa aveva dovuto notarla anche prima. Qualcosa che andasse oltre la sua immotivata gelosia nei confronti del suo lavoro, e qualcosa che coinvolgesse nella loro relazione anche la nuova figura della riserva delle Holyhead, che ora non avrebbe assolutamente voluto conoscere.
Legò i capelli in un ammasso indefinito sulla sommità del capo e tirò i calzettoni un po’ meglio sopra al pantalone della tuta: era un puzzle incomprensibile, e lei doveva risolvere i puzzle.
Probabilmente, in un certo momento, le cose avevano iniziato a raffreddarsi: ma quando? Avrebbe potuto stabilire un inizio? Il momento preciso in cui lei era diventata più interessata al lavoro, in cui le osservazioni infantili di Ron avevano iniziato a infastidirla senza che ci fosse neanche una piccola parte di lei che trovasse un po’ tenero il suo essere geloso? Il momento in cui si erano stancati di provarci?
La memoria non la aiutava, allora iniziò a pensare ad alcuni possibili indici che le potessero essere d’aiuto: la frequenza dei loro incontri, il numero dei litigi o il numero di volte che facevano sesso. Ma in realtà erano tutti numeri stabili da parecchio tempo, da anni. Si vedevano tendenzialmente tutti i giorni, un litigio al mese ci scappava e il sesso... beh, quello accadeva indicativamente una volta a settimana.
Ma forse era proprio quello il problema, che tutte quelle cose erano quasi asettiche come un appuntamento dal dentista?
Quand’era stata l’ultima volta che si era mostrata – ed era stata – veramente interessata a quello che gli era successo a lavoro? Ai suoi interessi? Ai suoi problemi?
Non lo ricordava. Non le veniva proprio nulla in mente. E non sarebbe dovuto essere così, no?
Ma perché non se n’era accorta? E soprattutto, perché se Ron se n’era accorto non le aveva presentato il problema? Avrebbero potuto lavorarci su, avrebbero potuto prenderlo per tempo e non mandare all’aria una relazione di nove anni e otto mesi!
Il flusso abbastanza sconnesso e decisamente poco razionale dei suoi pensieri era stato interrotto dalla suoneria del suo cellulare: alzò il capo in direzione dell’oggetto che vibrava e suonava, posato su un angolo del tavolino basso del salotto, e si allungò per afferrarlo. Il numero che la chiamava non era salvato in rubrica e non lo conosceva.
«Pronto?» chi poteva essere?
«Hermione? Ciao. Sono Angharad.» l’aveva riconosciuta dalla voce, ma evitò di bloccarla per fare un’osservazione abbastanza inutile «Ho saputo da Blaise della... rottura. So che ci siamo appena conosciute e che hai degli amici, ma... come stai?»
Angharad si era presa la briga di chiedere a qualcuno – probabilmente Draco – il suo numero per chiederle semplicemente come stesse: pensare a tutto quel passaggio le riscaldò il cuore. Non poteva che essere una domanda sincera, avendo dovuto superare tutti quei piccoli ostacoli per domandarglielo.
Sorrise al nulla, ricordandosi solo dopo che avrebbe dovuto risponderle: «Sinceramente... non lo so. È stato un fulmine a ciel sereno.»
«Posso capire. Senti... ti andrebbe qualche libro da leggere? Non so te, ma io trovo molto rassicurante leggere delle peripezie e delle problematiche altrui quando ho qualche problema io stessa. E magari leggere le storie di altre persone ti può aiutare a venire a patti con questa nuova situazione e... ho qualcosa da prestarti. Ti va?»
Angharad era molto titubante, ma quella era una delle proposte più belle che riceveva da tanto tempo: adorava leggere qualcosa che le era stato consigliato da qualcuno, era come leggere una storia precedentemente filtrata, come se la vedesse attraverso gli occhi di qualcun altro che l’aveva amata così tanto da volergliela presentare, in modo da farle rendere conto di quanto bella e interessante fosse.
Lei annuì e si scoprì eccitata al voler conoscere le preferenze letterarie di quella nuova conoscenza, e solo dopo si rese conto che l’altra non poteva vederla: «Sì.»
«Hai annuito e poi ti sei ricordata che non posso vederti?»
«Sì!» rispose Hermione, in una risatina.
«Immaginavo. Allora la prossima volta che ci vediamo al pub ti porto qualche libro...»
Hermione udì il citofono e si alzò dal divano per rispondere.
«Oh, hai ospiti. Allora buona serata!» aveva intuito Angharad, e Hermione ne fu contenta: non voleva essere lei a salutarla per prima, ma soprattutto aveva paura di non avere nulla da dirle se avessero continuato a stare al telefono. Non quel giorno, non in quella situazione: e aveva anche paura di scoppiarle a piangere in faccia, col rischio di mettere in imbarazzo la nuova conoscenza dall’altro lato del telefono «Grazie. Buona serata anche a te.»
Chiuse la chiamata e attese davanti alla porta di casa socchiusa, a braccia conserte: quando udì il suono dell’ascensore che si fermava al suo piano fece sbucare la testa dalla fessura che si era creata con l’apertura della porta. Vide Harry mettere un piede sul pianerottolo e poi l’altro, e sorrise involontariamente: quando l’amico la raggiunse, la abbracciò immediatamente.
«Lo striglierò pesantemente.» disse semplicemente, e lei sorrise nel suo abbraccio «Nah, non preoccuparti.»
Entrarono in casa e a Hermione venne immediatamente in mente qualcosa: «Vuoi un tè?»
«Sì, grazie.»
«Viene anche Ginny. Cioè, non me l’ha detto e... non sa che sei qui. Ma immagino che verrà anche lei.»
Harry annuì, pensieroso, e si sedette sul divano mentre lei andava in cucina: avrebbe potuto usare la magia, ma le piaceva preparare il tè senza.
«Earl Grey va bene?»
«Sì!»
Mise il bollitore sul fuoco e tirò fuori dalla credenza due bustine di tè, tornando poi dall’ormai uomo sopravvissuto.
«Allora...» doveva chiederglielo. Doveva. «Tu sapevi di...?»
«La tipa delle Holyhead. Non prima di stamane, no. In realtà dovrei anche aver capito chi è, ma solo da quello che mi ha detto Ginny della sua squadra quando stavamo insieme.»
«Oh.»
«Sì, è tutto nuovo anche per me, Herm.» la rassicurò Harry, e in realtà c’era qualcosa di tranquillizzante nella sua completa ignoranza: non aveva tradito la sua fiducia, non sapeva nulla anche lui. E l’avrebbe capito se avesse tradito la sua fiducia per mantenere un segreto di Ron, insomma, era il suo migliore amico, ma... era davvero sollevata dal fatto che il suo ex-fidanzato non gliene avesse parlato.
«Com’è andata la tua giornata?»
«Al solito. Ancora non mi capacito di tutto, però.»
«Nemmeno io. E ne ho parlato tutto il giorno con Ron.»
«È strano, però. Ancora non riesco a individuare il momento in cui tutto è iniziato ad andare a rotoli...»
«Magari, come mi hai detto tu qualche giorno fa, siete semplicemente cambiati e vi siete pian piano allontanati. Siete cresciuti... ma non insieme.»
«Forse.» annuì lei, pensierosa: il bollitore iniziò a fischiare e andò a spegnere il fornello; nel mentre, suonò il citofono: rispose, identificò Ginny e aprì la porta. Poi tornò in cucina e aggiunse un’altra tazza e un’altra bustina di tè: era certa che Ginny avesse voluto dell’Earl Grey.
Stava aggiungendo lo zucchero nelle quantità che sapeva sarebbero andate bene ai suoi amici, quando udì la voce di Ginny provenire dall’altra stanza: «Lo sai che è vero quello che dicono degli uomini di color—oh, cazzo.»
Era entrata in casa della sua amica senza dare un’attenta occhiata all’ambiente circostante e, per chiudere la porta, aveva dato e spalle a tutto il resto: solo quando si voltò verso i divani si rese conto dell’ospite presente sul divano con una tazza di tè fumante in mano e di Hermione in piedi accanto a lui con entrambe le mani occupate da altre due tazze di tè.
La padrona di casa osservò prima l’espressione sconvolta di Ginny e poi quella molto imbarazzata di Harry: allora scoppiò a ridere. Non riuscì a fermarsi per più di venti secondi, e nel frattempo Ginny si era seduta sul divano, occupando la parte opposta a quella di Harry.
«Scusami, ma...» la sua voce non si era ancora del tutto ricomposta, ma Hermione si sforzò «Anche se fossi stata sola, cosa pensavi di ottenere informandomi sulle dimensioni del piano di sotto di Zabini?»
Ginny la osservava con un’espressione assente: «Non so, ti saresti messa a ridere perché ero impropriamente inadeguata? Oh, beh, ti ho fatto ridere comunque, quindi un punto per me.»
Hermione emise un’ultima risatina e si sedette in mezzo ai suoi due amici, incrociando le gambe e prendendo la sua tazza di tè: quel siparietto le aveva messo il buon umore, ma non sapeva il perché. Forse perché era bello essere nuovamente circondata da loro due dopo più di un mese che non accadeva, o perché era contenta che i suoi amici ci fossero, nonostante tutto, nel momento del bisogno.
«È imbarazzante.» aprì finalmente bocca Harry, guardando di fronte a sé.
«Nah, lo stiamo rendendo noi tale. Dai, se vuoi puoi parlarmi della tua ultima prodezza sessuale.» dichiarò Ginny, guardandolo finalmente negli occhi: non sapeva da dove venisse tutta questa volontà di andare avanti. Fino a qualche giorno prima l’avrebbe maledetto, ora era disposta a sentirlo parlare delle sue ipotetiche conquiste.
«No, direi di no. Non sono a mio agio a farlo.»
«Okay, fa niente.» rispose Ginny, facendo spallucce e prendendo la sua tazza di tè «Allora, che diavolo ha combinato quel deficiente di mio fratello?»
«Oh, in realtà non lo so nemmeno io.» era arrivato il momento di raccontare tutta la faccenda a qualcuno, ed era contenta che quel qualcuno fossero loro due «Ieri sera sono uscita dall’auto di Daphne e son salita a casa—
«Sei tornata con Daphne?!»
«Beh, sì. Strano che Malfoy non mi abbia messa in un taxi, ora che ci penso.» rispose, pensierosa «Comunque, son salita a casa...»
«Scusatemi: ieri sera eravate insieme?» s’intromise Harry, perplesso.
«Certo, secondo te dove potevo incontrarlo Blaise, sennò?» rispose Ginny, scuotendo la testa.
«Okay, continua.»
«Allora, son salita a casa e ho iniziato a prepararmi un tè, quando ho sentito una presenza in casa e ho preso la bacchetta e... gliel’ho puntata contro. Non sapevo fosse lì, credevo fosse a spasso.»
Entrambi gli amici annuirono, e lei continuò: «Mi ha subito detto che aveva conosciuto una persona. Io ho continuato a farmi il tè e poi, tornata in salotto, abbiamo iniziato a parlare.»
Le espressioni dei suoi amici la esortarono a continuare, ma lei bevette un sorso di tè: «Poi ha iniziato a parlare a vanvera: prima ha detto che ha conosciuto qualcuno di interessante, una persona davvero interessata a lui.» prese un altro sorso di tè «Poi ha dichiarato che era confuso e che doveva pensare.» questa volta il sorso di tè fu più lungo «E poi ha detto che io avrei dovuto lasciare il mio lavoro per iniziare a metter su famiglia con lui. E mi ha chiesto di sposarlo. E poi mi ha nuovamente detto che era confuso e che non mi amava più come prima.»
Sia Ginny che Harry avevano la stessa espressione basita, ma fu Ginny a emettere un suono: «Oh-oh.»
«E poi s’è fatto lasciare, perché non ha avuto le palle di dirmi “Senti, è finita. Tanti saluti e grazie”. L’ha fatto dire a me, nonostante non fossi quella che aveva interesse a farlo.» terminata la storia, terminò anche il suo tè: in ventiquattr’ore aveva sviluppato una certa velocità a berne.
«Oh-oh.» aggiunse anche Harry.
«Non c’è molto altro da dire, no?» fece spallucce Hermione, alzandosi a portare la sua tazza di tè nel lavandino «Rimanete a cena, ordiniamo le pizze?»
I due annuirono contemporaneamente, ancora scioccati dall’intero racconto: nel frattempo Hermione prese il cordless e iniziò a digitare il numero della pizzeria; poi si spostò in cucina e continuò da lì.
«Che coglione.»
«Uh-uh.» commentò Harry, scuotendo la testa incredulo.
«Se sa che concordi con me ti ammazza.»
«Ma è stato un po’ senza palle.»
Ginny annuì, sospirando: «Almeno avesse avuto il coraggio di lasciarla. Insomma, se n’era reso conto per primo, no? Allora lasciala e basta. Almeno non le lasci come unico ricordo quello di te che dopo nove anni ti comporti da emerito deficiente e ti fai lasciare.»
Harry annuì, sovrappensiero.
«Ehi, grazie. Perché mi hai lasciato. Nel senso, ‘fanculo, però... almeno hai avuto le palle di farlo tu. Te ne sei preso la responsabilità, e... beh, almeno l’ultimo ricordo che ho di me e te insieme non è quello di te che ti comporti come uno smidollato.» concesse con sincerità Ginny, provando una strana tranquillità nell’ammetterlo.
Harry le rivolse uno sguardo e le annuì: era ancora pensieroso riguardo a Hermione e Ron, ma quel cenno era solo per lei. Era un “prego” – alla luce degli ultimi fatti era davvero contento di essersi comportato così. Era più da uomo, ecco. E ci sarebbe potuto essere, partendo da quella base, un altro tipo di relazione tra lui e Ginny, in futuro. Sarebbero anche potuti essere amici.
«Facciamo una ruota mista o volete delle pizze singole?» la voce di Hermione provenne dalla cucina e loro furono come risvegliati da uno stato di trance da essa «Va bene una ruota mista, Herm!» le aveva risposto per prima Ginny, ma lui si trovò d’accordo. Magari avrebbero anche potuto guardare un film insieme.
Quando Hermione tornò in salotto avevano anche loro finito il tè, ma non si alzarono per mettere le tazze nel lavabo: anzi, l’attesero seduti e aspettarono che si sedesse anch’ella.
«Cosa c’è?» chiese lei, perplessa, spostando lo sguardo da uno all’altra.
«Come va?» questa volta fu Harry a parlare, e quella che pronunciò era una frase semplice e sincera: Ginny gli diede manforte, annuendo e guardandola, in attesa.
«Boh.» anche la risposta di Hermione fu molto sincera, e lei l’accompagnò con un’alzata di spalle «Non so. Sono arrabbiata, perché mi ha solo notificato alla fine le sue intenzioni e perché l’ho dovuto mollare io. Sono triste, perché non sono riuscita a prevederlo e a risolverlo. Sono furiosa e vorrei spaccare tutte le cose sue che son rimaste qui. Sono scioccata, perché non mi ero resa conto del fatto che fossimo arrivati a questo punto. Sono contenta che però sia finita, se le cose stavano così.» le parole le erano uscite di bocca ancor prima che lei se ne potesse rendere conto «E sono sollevata. Ma non so il perché.»
Poi ripensò a qualcos’altro che avrebbe voluto dire loro: «Ma non ho ancora versato nemmeno una lacrima.»
Harry e Ginny incrociarono lo sguardo alle spalle di Hermione, ma era il turno di Ginny ora: «E... non è meglio?»
Hermione scosse la testa: «No. Perché arriveranno. E più tardi arrivano, peggio è.»
«Magari significa solo che non sei rimasta poi così...»
«No, Ginny. Sono sconvolta. Non me ne capacito. Sono internamente in tumulto. E fuori nemmeno una lacrima. Significa che ancora non sono scesa a patti con la cosa.»
Ginny non sapeva davvero cosa dire. Allora guardò Harry, cedendo il testimone all’ex-fidanzato: «Herm, arriveranno. Non preoccuparti. E arriveranno presto e potrai liberarti di tutto. Ora magari iniziamo a mettere la sua roba nei pacchi?» propose Harry, facendo un cenno a Ginny «Tu ci dici dove sono, ti stendi sul divano a leggere un libro e noi due ci occupiamo di tutto. Magari prova a piangere, se ti fa sentire meglio.»
Hermione annuì e rivolse al migliore amico uno sguardo colmo di gratitudine: era davvero felice di non doversi occupare di quella faccenda. Anche perché probabilmente se avesse dovuto farlo lei avrebbe dato fuoco a gran parte dei possedimenti di Ron presenti in quella casa.
Indicò loro più o meno tutti i posti in cui avrebbero potuto trovare qualcosa di suo e porse loro due scatole: poi si stese sul divano e chiuse gli occhi. Ci provò sul serio, a fondo.
Ma non uscì ancora nulla.
Ed erano passate ore da quando era accaduto.

Doveva essersi addormentata, perché quando riaprì gli occhi si ritrovò davanti Ginny e Harry con due scatole di cartone chiuse tra le braccia che la guardavano dall’alto.
«Mi sono addormentata?»
«Sì, circa un’ora fa. Abbiamo pensato di svegliarti perché è arrivata la maxi pizza e si raffredda. E non sappiamo dove mettere ‘ste scatole.»
«Oh, vicino alla porta. E magari portatevele, perché ho paura di dar loro fuoco se mi trovo da sola con loro.» a quella risposta Ginny sogghignò, come se le facesse diabolicamente piacere.
Mentre andava in cucina a lasciare le tazze di tè e a prendere i piatti per la pizza, il citofono suonò nuovamente: Harry era il più vicino, ma guardò Ginny interdetto «Aspettiamo qualcuno?»
«No. Luna non poteva venire. Magari è il fattorino che ha dimenticato di darci qualcosa?»
Harry annuì e rispose al citofono: «Chi è?»
«Granger?»
Harry ripose immediatamente la cornetta a posto, e Ginny strabuzzò gli occhi: «Chi è?» mormorò.
«Malfoy!» rispose Harry, a voce così bassa che Ginny dovette leggere il labiale: «Rispondi! Diamine, non si chiude il citofono in faccia alle persone!»
«Ehm, scusami. Hermione è in cucina al momento. Vuoi salire?» chiese educatamente Harry, sperando che rispondesse di no. Ma se era arrivato fin lì probabilmente voleva salire.
«Sì, grazie. Che piano?»
«Terzo.»
«Grazie. Puoi aprire il portone ora?»
Ginny, che stava origliando tutto, si sbatté una mano in fronte e scosse la testa: poi premette un pulsante sulla cornetta del citofono e rivolse un’occhiataccia a Harry.
«Grazie.» aveva risposto Malfoy: ed era l’ultima cosa che avevano sentito.
«Chi è?» chiese Hermione, curiosa: li stava osservando da qualche secondo, perplessa.
«Malfoy.» rispose Ginny, sbattendo le palpebre.
«Merda, nascondiamo le bacchette!» aveva esclamato immediatamente Hermione, prendendo la sua – che era malamente gettata sul tavolino del soggiorno – e portandola in camera: «Allora?»
«Va bene!» Harry e Ginny la seguirono e nascosero tutti e tre le loro bacchette nell’armadio.
«Diamine, il fascicolo!» Hermione ritornò in salotto e prese tutte le scartoffie contrassegnate col simbolo del Ministero della Magia per portarle nella sua camera: il suo armadio sarebbe andato bene anche per quelle.
Ringraziò il cielo che i file sul computer fossero tutti protetti da password e poi si guardò intorno, alla ricerca di qualche cosa che ricordasse il mondo magico: i libri di magia non erano sulla libreria nel salotto, ma in un mobile in camera da letto. Fortunatamente non c’era nient’altro di inusuale, così si diresse alla porta.
Ginny osservò la scena con fare perplesso e incrociò le braccia: «L’unica ragazza che si preoccupa di questo quando sta per salire a casa sua un tipo carino, quando ha i pantaloni infilati nei calzettoni.»
L’espressione di Harry fu alquanto esplicativa: «Hai appena definito Malfoy “carino”???»
«Beh, era un deficiente da piccolo, ma non era proprio orrendo. E comunque è migliorato, ma forse è colpa dell’atteggiamento da businessman che ha.» ammise Ginny, aggiungendo subito dopo qualcos’altro «Ricordati che non vi conoscete, quindi presentati e non comportarti da persona malata di mente.»
Harry annuì, appena in tempo: il campanello suonò e si avvicinarono alla porta. Ma Hermione l’aveva già aperta, pronta a comportarsi da brava padrona di casa, non aspettandosi lo spettacolo che le si parò davanti.
Draco Malfoy, ancora vestito con gli abiti con cui probabilmente era andato a lavoro, con una busta di Tesco in una mano e un gattino nell’altra. Un gattino. Bianco e amorevole e dolce e con una macchia nera al lato del muso, che veniva mantenuto con una mano di Malfoy dalla pancia.
Lo sguardo perso che aveva adottato la Granger gli fece credere di aver sbagliato qualcosa, allora iniziò a giustificarsi, probabilmente un po’ troppo: «Ciao. Non sapevo cosa portarti, allora ho pensato che del gelato fa sempre bene quando si rompe con qualcuno e... non so come, ma anche l’idea del gatto mi è passata per la mente, e ho pensato che avrebbe potuto aiutarti, anche se ovviamente non so se hai già altri animali, o se sei allergica, o se semplicemente odi i gatti... Però ormai ero nel negozio e lui era così carino e non ho potuto non—
E poi Hermione scoppiò a piangere. A pieni singhiozzi, senza neanche prendere aria per respirare, davanti a un Draco Malfoy con un gatto bianco in braccio e una busta piena di gelati in una mano.
Ginny intervenne immediatamente, spalancando la porta e prendendo per le spalle Hermione: «Dai, andiamo in cucina.» iniziò a trascinarla da quella parte per poi lanciare un’occhiata a Malfoy «Entra e chiudi la porta.»
Draco eseguì, un po’ perplesso: non capiva. Immaginava di trovarla in quello stato, ma quando aveva aperto la porta lei sembrava normale, tranquilla. Era esplosa solo dopo che lui aveva iniziato a parlarle.
Chiuse la porta e lasciò che il gatto si ambientasse in quella casa – sebbene ne avesse bisogno anche lui. L’unica altra persona nella stanza era un tipo occhialuto, poco più basso di lui, con una strana cicatrice a forma di saetta in fronte, malamente coperta da una zazzera scura di capelli. E quel tipo non accennava a parlare. Ma chi era?
Decise che era il caso di presentarsi: lasciò la busta con i gelati dentro accanto a quella che era... una scatola della pizza, a quanto pareva ancora calda, e porse una mano al tipo silenzioso «Draco Malfoy.»
«Harry Potter.» Harry si sentiva come in un déjà-vu, ma questa volta il Malfoy che si presentava era completamente diverso da quello che aveva conosciuto diciassette anni prima «Sono il migliore amico di Hermione.» si affrettò ad aggiungere: era più che certo che se avesse detto solo quello, Ginny l’avrebbe poi ucciso «Vuoi sederti?»
Grazie a dio il tipo strano aveva iniziato a parlare: Draco annuì e prese posto sul divano, seguito subito dopo dal gatto. Probabilmente neanche a lui andava di esplorare quella casa da solo, e aveva trovato conforto nell’unica persona che più o meno conosceva.
«Sta bene?»
L’espressione che comparve subito dopo sul viso di quel Potter era indescrivibile: sembrava scioccato, ma positivamente. E poi sembrava sinceramente ignaro «Io— non so. Sembrava stare tranquilla, prima. Ma non aveva ancora pianto, e aveva detto che prima ci fosse riuscita, meglio sarebbe stato.»
«Oh. Come vi siete conosciuti?» era assurdo che dovesse essere lui a fare conversazione! Era lui l’ospite!
«Andavamo a scuola insieme. Voi?»
«Mi ha stalkerato per un’intervista.»
«La vostra è sicuramente una storia più interessante.» commentò Harry, nonostante sapesse come si fossero incontrati quei due «Cosa fai?»
«Sono un manager finanziario. Merrill Lynch. Tu?»
«Dipartimento di polizia.» magica. Ma non avrebbe potuto dirglielo. «Come hai... trovato questo gatto?»
«Volevo adottarlo, ma avrei dovuto farlo per me, perché i rifugi richiedono determinate credenziali per farti adottare degli animali, e non avevo tempo... quindi l’ho comprato.»
Un Malfoy che avrebbe adottato un gatto piuttosto che comprarlo: il mondo era al contrario.
«È davvero un bel cucciolo. Come si chiama?» si sentiva Andromeda Tonks a fare quelle domande, avrebbe dovuto smetterla.
Draco fece spallucce: «Immagino che debba deciderlo Hermione.»
«Vuoi un pezzo di pizza?» propose infine Harry, non sapendo più cosa dire. Era troppo sconvolto.
Draco indicò con un cenno del capo le porte scorrevoli della cucina «Penso che dovremmo aspettarle, no?»
«Oh. Già.» commentò Harry, e si mise a guardare intensamente il cartone della pizza. Non sapeva davvero di cosa diavolo parlare. Fortunatamente Malfoy sembrava aver deciso che sarebbe stato meglio osservare minuziosamente i particolari di quella stanza piuttosto che interagire in quel modo.

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Capitolo 11
*** 10. I Gave You All ***


Rieccomi. Capitolo standard questa volta, ma lo sto postando in tempo! Sentite la canzone che dà il titolo al capitolo, e... buona lettura!









 

And you rip it from my hands and you swear it’s all gone,
And you rip out all I had just to say that you’ve won, you’ve won
Well, now you’ve won... But I gave you all.

«Non posso—Davvero, non posso...»
Era quello che Hermione stava ripetendo da trenta secondi. Prima aveva solo singhiozzato ininterrottamente e rumorosamente, seduta a terra contro la parete e con una spalla poggiata contro il congelatore del frigorifero.
Ginny si era inginocchiata di fronte a lei e le aveva preso le spalle: si maledisse per aver lasciato la sua bacchetta nell’armadio della ragazza, avrebbe volentieri fatto un Muffliato.
«Herm, parlami. Ce la puoi fare. Dimmi.»
«Non ha senso!»
«Lo so.» ammise piano Ginny: c’era passata anche lei, non troppo tempo prima. Sapeva che non aveva senso, all’inizio. Non aveva alcun senso. Non c’era nessuna logica dietro. Erano sentimenti, e spesso non avevano logica.
«Insomma, Ron mi conosce da quando avevo undici anni. Ron, quel Ron che non potrebbe fare male nemmeno a una mosca...»
«Non può ancora. Però... sai che è un po’ disattento riguardo ai sentimenti. Lo è sempre stato.»
«Lo so! Ma credevo di meritarmi un po’ di più dopo nove dannatissimi anni!» ribatté, alzando lievemente la voce. Ginny l’abbracciò e iniziò a carezzarle i capelli con fare consolatorio: «Sì, meritavi di meglio come regalo d’addio.»
Le diede un bacio veloce sulla tempia sinistra e si allontanò di qualche centimetro: Hermione aveva iniziato a calmarsi e a fare respiri più profondi, nonostante gli occhi fossero ancora rossi e pieni di lacrime. Però aveva ripreso un po’ di contegno «E poi Draco Malfoy si presenta sulla porta di casa mia con del gelato, “perché serve sempre durante le rotture” e un bellissimo gatto bianco! Un gatto!» esclamò a voce più bassa, esprimendo tutta la paradossalità della situazione con il tono sconcertato.
«Per essere precisi, anche Malfoy ti conosce da quando avevi undici anni.» la corresse Ginny, annuendo con l’atteggiamento di qualcuno che sapeva di cosa stava parlando.
«Sì, lo so... però...»
«Beh, sì, era Malfoy appunto. Ma l’hai detto anche tu, questo Malfoy è diverso. È decisamente più accettabile e apparentemente anche più... premuroso.» il viso di Ginny si trasformò in una maschera di disgusto «Ugh, non avrei mai pensato di poter descrivere il furetto “premuroso”.»
Hermione emise una risatina: aveva ancora gli occhi rossi ma non stava singhiozzando più. Il volto era rigato di lacrime, ma non ce n’erano di nuove: Ginny le sorrise «Dai, andiamo di là. Son più che certa che Harry sia così sconvolto da non riuscire a spiccicare parola. E Malfoy – sì, mi dispiace per Malfoy, almeno questa versione di lui – sarà così imbarazzato da doversi guardare intorno perché Harry è inadatto ad accogliere la gente in queste situazioni.» Hermione emise nuovamente un suono buffo, e lei le diede una mano per aiutarla a rialzarsi «E poi la pizza si raffredda. E il gelato si scioglie. Sia ringraziato Merlino che Malfoy ha portato il gelato!»
Ginny la precedette e spalancò le porte scorrevoli: «Siamo tornate!»
Hermione ringraziò il buon’umore di Ginny nonostante tutto: aveva risollevato gli animi, non solo il suo. Certo, trovare Harry con gli occhi sbarellati e Draco con il nuovo arrivato in testa era altrettanto rinvigorente, ma soprattutto divertente. Sorrise e si sedette tra Ginny e Draco, liberando quest’ultimo dalla presa del suo nuovo compagno di casa: «Piacere di conoscerti, piccolo nuovo coabitante.» prese la zampina del gattino, che la guardò come stupito.
«Quindi lo accogli di buon grado? Ti piace?» chiese Draco, sinceramente interessato. Non sapeva il perché, ma vederla scoppiare così a piangere, come se non si potesse far nulla per aiutarla, l’aveva turbato. Non solo perché aveva messo lui e quel Potter in una situazione imbarazzante, ma anche perché credeva che fosse stata la sua scelta in merito ai regali a sconvolgerla. Ma a quanto pare era qualcosa che sarebbe solo dovuta accadere, non era colpa di nessuno: anzi, sembravano andare d’accordo, lei e il gattino bianco.
«Certo. È sicuramente il migliore coabitante che avrei mai potuto avere!» Hermione si voltò nella sua direzione e gli rivolse un sorriso grato: poi tornò a coccolare il gattino, che sembrava davvero compiaciuto da tutte quelle attenzioni.
«Allora, Malfoy, Harry ha fatto gli onori di casa?» cambiò discorso Ginny, sorridendo a trentadue denti mentre prendeva il suo ex-fidanzato per il collo e lo sballottava qua e là, facendogli cadere un po’ gli occhiali dal naso.
«Ehm... certo.» Se così avesse potuto definire le due chiacchiere che avevano scambiato: ma non voleva metterlo in difficoltà, Ginny sembrava una di quelle persone che sarebbe stato meglio non fare arrabbiare.
«Ti ha anche detto che è il mio ex-fidanzato?» chiese lei, aprendo nel mentre il cartone della pizza.
«No, ha dimenticato di menzionarlo.» e sembrava anche una di quelle persone che non si faceva problemi a lanciare bombe di quel genere nelle conversazioni.
«Beh, Gin, non è da Harry presentarsi e dire anche: “Lo sai che quella che sta con la padrona di casa nell’altra stanza è la mia ex-fidanzata che ho mollato un mese fa?”» prese parola Hermione, con un tono un po’ sarcastico – ma era sintomo del suo stare meglio, quindi Ginny evitò di ribattere come avrebbe fatto in situazioni diverse «Non è come te. Non gli verrebbe mai in mente di entrare a casa di qualcuno e come prima cosa confermare dei luoghi comuni sull’apparato sessuale dei neri.»
«Herm!» ribatté Ginny, lanciandole un’occhiata tradita: Draco manifestò la sua migliore espressione schifata, mentre Hermione gli si rivolse direttamente «Perché, non lo sapevi?»
«No, ovvio che lo sapevo. Insomma, è Blaise quello di cui stiamo parlando...» anche il suo tono era parecchio schifato.
«Mi piace come la mia vita sessuale sia sulla bocca di tutti...» commentò Ginny sarcasticamente, appropriandosi di un piatto e prendendo un pezzo di pizza: ma non sembrava davvero infastidita.
«Come se per te fosse un problema ammetterlo tra amici.» ribatté Hermione, ma anche Draco sembrava avere qualcosa da dire: «Tu e Blaise sembrate entrambi molto aperti da questo punto di vista, effettivamente.» Poi si rese conto del fatto che oltre la rossa ci fosse anche il suo ex-fidanzato, e si affrettò ad aggiungere qualcos’altro «Scusa, Potter.»
«Ah, non importa. Ci sono abituato.» lanciò un’occhiata eloquente in direzione di Ginny e Draco sorrise: era divertente far parte di quell’atmosfera quasi familiare che c’era tra loro. Gli ricordava il rapporto che lui stesso aveva con Blaise e gli altri.
«Scusatemi eh, se sono presente e ascolto tutto quello che state dicendo su di me!» esclamò Ginny, alzando le braccia al cielo: e poi iniziarono a cenare.
Grazie a quel siparietto, da quel momento in poi l’atmosfera fu molto più tranquilla e rilassata.

Aveva capito che Draco sarebbe andato da Hermione sebbene non ne avessero parlato esplicitamente: non ne aveva fatto parola con Blaise, ma proprio perché sapeva che Draco sarebbe stato assente quella sera era certo che non si sarebbero visti neanche gli altri. Non aveva parlato con Daphne, ma aveva avvisato Angharad che sarebbe uscito per una corsa e che poi, se fosse tornato presto, sarebbe passato da casa sua. Probabilmente ci avrebbe trovato anche Daphne lì.
In realtà aveva avuto un’idea diversa: senza pensarci troppo, era arrivato a Chelsea, e solo allora aveva pensato di proseguire per Nine Elms.
Dopo aver attraversato in lungo Battersea Park, arrivò di fronte all’edificio dai mattoni rosso-beige e gli infissi blu e si diresse all’entrata: premette il pulsante accanto al quale c’era solo un foglietto bianco e dopo qualche secondo udì l’inconfondibile voce della Lovegood.
«Chi è?»
«Ciao Luna. Theo.»
«Oh, vuoi salire? Ho appena fatto il tè alla menta e ho del succo di zucca fatto in casa.»
«Sì grazie.»
«Secondo piano!» sentì poco dopo l’inconfondibile suono che indicava l’apertura del portone ed entrò.
Qualche minuto dopo mise piede sul pianerottolo del secondo piano e vide spuntare da un angolo la testa bionda di Luna e il suo sorriso timido.
«Vengo da una corsa. I piedi mi hanno portato qui.» disse Theo, come per giustificarsi.
Lei annuì semplicemente, facendogli spazio per lasciarlo passare.
Entrando, venne investito da tanta luce: alla sua destra c’era una di quelle enormi vetrate che si vedevano dalla strada e quella stanza conteneva tutto. In fondo intravide la cucina e alla sua sinistra una porta blu; un’altra porta dello stesso colore era poco più avanti alla grande vetrata.
«Vuoi del tè o del succo?»
«In realtà ero passato solo per chiederti se ti andasse di fare una passeggiata fra...» si guardò l’orologio sul polso «un’oretta. Lungo il Tamigi.»
Luna annuì e sorrise: aveva i capelli raccolti in un ammasso disorganizzato sulla sommità del capo e non sembrava pronta a desistere «Puoi comunque fermarti per un tè.»
«Non sono propriamente presentabile...»
«Puoi fermarti anche a farti la doccia, in realtà. Sarai più che capace di pulire quei vestiti e trasfigurarli, no?» propose lei, facendo spallucce «Se non hai la bacchetta posso prestarti la mia.» allungò la mano, porgendogliela.
«No, in realtà...» infilò la mano nel piumino smanicato, tirando fuori la bacchetta «Ce l’ho qui.»
«Allora, quello è il bagno» Luna gli indicò la porta blu oltre il divano «Io ti aspetto per il tè. E lancio un incantesimo riscaldante, così non si raffredda.»
Theo non aveva pensato a quell’ipotesi: era stato lontano dal mondo magico per decisamente troppo tempo.
Incitato dal sorriso della padrona di casa che si era seduta sul divano a gambe incrociate e lo osservava, entrò in bagno: era strano essere nel centro della Londra babbana ma dialogare tranquillamente di argomenti che aveva pressoché evitato, se non in situazioni particolari, per tanti anni.

«Chissà cosa stanno facendo gli altri. Blaise, che stanno facendo gli altri?» Daphne era stesa, spanciata sul divano di Angharad, mentre lei era seduta alla scrivania dietro al divano e Blaise faceva zapping con i piedi della sua amica di più vecchia data addosso.
«Non so cosa stanno facendo gli altri, se lo sapessi probabilmente ora li avrei raggiunti.» aveva risposto lui, ricevendo un calcio dalla ragazza «Ahio!»
«State buoni, entrambi, io sto analizzando i dati del sondaggio e non ci riesco se voi battibeccate come due comari.» Angharad riprese entrambi gli amici, che si zittirono e abbassarono il volume della TV «Comunque io ho sentito Theo e ha detto che sarebbe passato se fosse tornato presto dalla sua corsa. Se non viene è perché s’è perso per Londra.»
Ma Daphne sembrava aver indirizzato altrove il suo interesse: si era seduta e aveva posato le braccia sulla spalliera del divano, guardando nella sua direzione «Come sta venendo la tesi?»
«Beh, ancora non sta venendo su nulla. Sto semplicemente raccogliendo miriadi di dati... ma sembra che siano abbastanza simili e vadano precisamente in una determinata direzione, quindi dovrei essere capace di confutare un determinato pensiero.» aveva risposto Angharad, alzando poi lo sguardo dal PC «A voi com’è andata oggi a lavoro?»
«A me tutto come al solito. In realtà l’umore è basso perché molta gente pensa che perderà il posto di lavoro... vedono quello che succede negli Stati Uniti e sono un po’ terrorizzati...»
«Al nostro piano ignorano i problemi» s’intromise Blaise, mettendo la TV in silenzioso e voltandosi anche lui verso Angharad «Il nostro capo entra e chiede “Siete riusciti a raggiungere l’obiettivo giornaliero? Eh?” Non so se è perché è un po’ esaurito perché gli fanno pressione dall’alto o semplicemente perché si forza a essere ottimista per non pensare a quello che potrebbe accadere.»
«Ho davvero paura di quando dovrò iniziare a licenziare gente del mio team.» ammise Daphne, fissando un punto imprecisato nel vuoto «Non sono miei amici, però è come se fossero dei fidati... commilitoni. Non voglio buttarli via come se fossero carta straccia.»
«Lo so.» esalò Blaise, imitando Daphne e posando anche lui il mento sulle mani incrociate «Fortunatamente nel mio caso sarò io a essere licenziato per primo e non dovrò dare la notizia a nessuno. Anzi, dovrei iniziare a liquidare un po’ di asset, così nel momento del bisogno non avrò azioni che mi faranno perdere tutto.»
«Effettivamente...» commentò Daphne, accorgendosi poi che Angharad s’era alzata e aveva abbassato lo schermo del PC «Che fai?»
«Metto su l’acqua per il tè. E tiro fuori il rhum, così correggiamo il tè e risolleviamo gli animi.» dichiarò semplicemente, ricevendo dei cenni affermativi da entrambi gli amici, che dopo quell’argomento non erano più di tante parole. Avrebbero decisamente avuto bisogno di qualcosa che non li facesse pensare a quell’argomento «E poi facciamo partire la registrazione che ho fatto dell’episodio di Doctor Who di Sabato scorso.»
Quella frase sembrò bastare, visto che entrambi si alzarono e la raggiunsero alla penisola nell’angolo cucina.

 

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Capitolo 12
*** 11. Needle in the Dark ***


Sono ritornata! Come va? Questo capitolo è sempre molto riflessivo, ma soprattutto Hermione-centrico: si focalizza ancora sulla rottura con Ron, in un certo senso. Spero vi piaccia. La canzone del capitolo è di Passenger e... buona lettura!









   
We may find that the gate has been locked
When we come back down to what we really are,
Retrace the footprints off the path that is lost
It’s like trying to find a needle in the dark.

 
La scelta di Angharad in fatto di libri l’aveva sconvolta, nel caso di quello che stava leggendo in quel momento: aveva trovato più di un paio di titoli di un certo autore italiano, Alessandro Baricco, ma non riusciva a capire perché quel “Seta” dovesse esserle d’aiuto. La storia di un tipo che per lavoro deve cercare bachi da seta dall’altra parte del mondo – in Giappone – dove si ritrova a essere attratto da una ragazzetta con la quale neanche parla quando ha una moglie che lo aspetta a casa non la concepiva proprio, e di conseguenza non riusciva a immedesimarsi in nessuno dei personaggi: se non la moglie, sebbene non fosse una dei protagonisti e nemmeno lontanamente simile alla sua situazione; ma avrebbe avuto fiducia, se non in quello scrittore almeno in Angharad. Era certa che alla fine del libro avrebbe capito il perché di quella scelta insolita. Aveva già letto un altro libro che le aveva prestato Angharad, Novecento, dello stesso scrittore – in realtà era più che altro una sceneggiatura, ma nondimeno bella – che l’aveva rapita la sera prima: l’aveva finito in poche ore e alla fine aveva pianto come una bambina.
Il suo nuovo coabitante le saltò sulla pancia in un momento di distrazione e richiese prepotentemente attenzioni: aveva deciso di chiamarlo Nix, ossia “neve” in latino. Era una scelta piuttosto banale, considerato il colore del suo pelo, ma non le importava: era un nome corto e a quanto pare l’aveva convinto in poche ore a voltarsi e seguirla non appena lei lo pronunciava, quindi andava bene.
Per sua fortuna aveva ancora tutti i giochi e le cose di Grattastinchi: la prima cosa che aveva tirato fuori dagli scatoli nell’armadio era stata la lettiera; nonostante fosse facile con la magia pulire qualsiasi cosa, soprattutto nel caso in cui Nix avesse deciso di non rispettarla – e si sa a quale mancanze di rispetto porta un pensiero del genere da parte di un gatto – lei voleva che imparasse a comportarsi come avrebbe dovuto se fosse stato compagno di un babbano. Ma non sembrava particolarmente restio all’uso della lettiera, anzi, si ritrovava a raggiungerla anche quando doveva sputare qualche palla di pelo. Differentemente, non si faceva alcun problema a saltarle addosso nel momento in cui si sentiva poco calcolato, proprio come in quel momento.
«Sì, Nix?»
Il suono che aveva emesso era quasi infastidito, e lei alzò un po’ di più il libro, in modo da poter leggere: Nix però non sembrava d’accordo. Raddrizzò la schiena e occupò tutta la visuale della sua coabitante, che comprese e mise giù il libro, infilò il segnalibro alla pagina che stava leggendo e lo posò sul tavolino: in quel momento il gattino – che in realtà doveva avere già quattro mesi, quindi non era più tanto “ino” – decise che si sarebbe accoccolato sulla sua pancia e che avrebbe dovuto ricevere delle coccole. Hermione non aveva molta voce in capitolo a riguardo, a dire il vero.
Il giorno prima aveva iniziato a ricercare veterinari nella zona e ne aveva trovato uno con delle buone referenze: aveva preso un appuntamento per il lunedì dopo. Voleva sapere tutto quello che poteva sulla sua nuova bestiolina dagli occhi eterocromi: uno blu e uno verde. Era una piccola meraviglia, e ancora non si capacitava di come Draco Malfoy potesse avere avuto un’idea così precisa, premurosa e paradossalmente perfetta per lei. Non la conosceva così bene, eppure le aveva portato un gatto.
Che il suo subconscio si ricordasse di Grattastinchi? Il pensiero di quell’ipotesi – a cui non aveva ancora pensato, e per questo si rimproverò mentalmente – le fece allungare la mano sul tavolino, afferrando un pezzo di carta e una penna: doveva annotarselo e fare ricerche a riguardo. Sarebbero andati bene dei database babbani, dato che i documenti magici fino a quel momento erano stati inutili per inquadrare bene i sintomi di questa specie di amnesia.
Quel movimento repentino aveva contrariato Nix, al quale lei tornò a dedicare la sua completa attenzione solo dopo qualche secondo: in quel momento il micio si rilassò e iniziò a fare qualche fusa.
Non era una posizione assolutamente comoda, ma sapeva che con i gatti gli umani non avevano molto potere: con Grattastinchi era così per determinate cose – e lui era un kneazle, sarebbe dovuto anche esser più problematico – ma Nix... Nix era peggio. Soprattutto nel momento in cui decideva di essere in diritto di ricevere la dose di coccole che lui avrebbe ritenuto necessaria. E quel giorno era particolarmente prepotente, visto che l’aveva già dovuto abbandonare per un’oretta per andare a fare il solito resoconto settimanale a Malfoy Manor: aveva aggiornato entrambi i coniugi sugli incontri e sulle sue ultime piste, senza però specificare sul perché avesse visto l’ultima volta Malfoy. Poi, però, Narcissa gliel’aveva chiesto in privato e lei non se l’era sentita di mentirle: la reazione della donna fu molto strana. Era sinceramente interessata al suo benessere e le aveva chiesto come fosse successo il tutto, senza neanche voler informarsi troppo sul figlio, ma più su di lei. Quello l’aveva inquietata non poco, ma le aveva anche fatto piacere.
Venne distratta dalla suoneria del suo cellulare: allungò la mano sul tavolino un’altra volta – per la gioia di Nix – e afferrò il telefono «Pronto?»
«A che punto sei?» la voce di Angharad era dall’altra parte, e sembrava molto interessata.
«Ieri ho finito Novecento, ora sto leggendo Seta, sebbene non capisco perché tu me l’abbia consigliato.» rispose sinceramente quella, cambiando leggermente posizione quando Nix si stiracchiò e spostò più in basso.
«Lo capirai, lo capirai.» rispose l’altra, dall’alto della sua conoscenza «In realtà non ti ho chiamata per questo.»
Quella frase solleticò il suo interesse: «E perché l’hai fatto, allora?»
«Volevo chiederti se ti andasse di venire a casa mia stasera, verso le nove. Vediamo un film qui. Non ho ancora deciso quale, ma manderò Theo e Luna a noleggiarne qualcuno da Blockbuster. Ah, appunto, c’è anche Luna.»
Theo e Luna? Perché dovrebbero andare a noleggiare dei film insieme?
«Oh... okay.»
«Ci sono tutti, anche se non sono sicura su Blaise. E neanche su Ginny. Ti senti tu con lei?» Angharad aveva ripreso a parlare, ma lei stava ancora pensando a Theo e Luna.
«D’accordo. Dov’è casa tua?»
«Hammersmith.»
«Dove, di preciso?»
«È proprio a duecento metri dalla fermata... fai così, sentiti con Draco e vieni con lui!»
«Uhm, okay.» non aveva tanta voglia di vederlo, dopo qualche allusione che era stata fatta da Narcissa quella mattina e che lei aveva dovuto ascoltare, ma dopotutto non era colpa sua.
«Puoi portare anche il tuo coabitante peloso.»
Hermione sorrise: «Se gli va, gli metto la pettorina e lo porto.»
«Perfetto, a dopo!» salutò Angharad, e poco dopo udì il suono familiare che indicava la fine della telefonata.
«Che dici, Nix, ti va di conoscere gli amici del tipo che mi ti ha regalato?»
Non sembrava fregarsene molto, il gatto, in quel momento.

Ginny aveva lasciato il telefono cellulare spento, nello spogliatoio. Aveva giocato la partita in uno stadio di Quidditch sperduto su una delle punte della Cornovaglia e, per quanto il panorama fosse davvero mozzafiato, voleva tornare a casa. Era stanca e doveva avere un principio di raffreddore: fortunatamente, pur non avendo giocato benissimo quella partita, avevano vinto. Merito della loro Cercatrice, più che altro.
La loro allenatrice le aveva strigliate per bene e la doccia non era stata poi così calda: aveva voglia di una coperta. Prese il telefono e trovò due chiamate senza risposta di Hermione: allora decise di richiamarla, uscendo dagli spogliatoi «Herm?»
«Com’è andata la partita?»
«Male, ma abbiamo vinto.»
«Chiamavo per chiederti se ci sei stasera. Angharad mi ha telefonato, dicendomi che si vedono a casa sua e ci sono Theo e Luna con loro...»
«Theo e Luna?» chiese Ginny, il cui tono di voce era di un’ottava più alto.
«Appunto! Tu sapevi niente? Di qualunque cosa? Sono nuovi migliori amici?»
«Non so davvero...» ma si zittì immediatamente: in quello che doveva essere un parcheggio – un parcheggio vicino a uno stadio di Quidditch, come aveva fatto a non notarlo quando erano arrivate con la passaporta? – c’era Blaise ad attenderla. Poggiato su un’auto nera, con un cappotto nero e a braccia conserte.
«Posso dirti dopo se ci sono?»
«Okay.» rispose Hermione: dal tono di voce sembrava confusa. Chiuse la chiamata e raggiunse il moro, con tutta l’attrezzatura e il borsone al seguito «Zabini, che diavolo ci fai qua?»
«Come siamo simpatiche e gentili!» l’unico cenno che gli rivolse la rossa fu un sopracciglio alzato, allora iniziò a spiegarle «Sono venuto a vedere la partita. E mi chiedevo se volessi tornare in città con me.»
«Ho una passaporta che mi aspetta...»
«Lo sai che si può arrivare a Londra anche in auto, no?»
Non le sarebbe dispiaciuto il tepore di un’automobile. E quella sembrava poi particolarmente comoda...
«Vado ad avvisare la squadra che non prendo la passaporta. Posso lasciare l’attrezzatura?»
Il movimento delle mani di Blaise in direzione del portabagagli era molto simile a un cenno di benvenuto: lei buttò tutta la sua roba lì dentro e lo richiuse, dirigendosi nuovamente verso gli spogliatoi e tirando fuori dalla tasca il cellulare, pronta a scrivere un messaggio a Hermione “Mi dispiace, stasera non ci sono. Saluta Luna e anche le Serpi. G x”

Doveva
finire di leggere quel libro. Alla scoperta che colei che aveva scritto quella lettera non era stata la giapponesina, ma sua moglie, che l’aveva creata e fatta tradurre per lui, aveva deciso che doveva finirlo di leggere prima di uscire. Quel colpo di scena non se lo sarebbe mai aspettato, ma soprattutto... non avrebbe immaginato che venisse trattato in modo così leggero. Non superficiale, ma proprio con leggerezza. Sembrava come se tutta quella storia, per certi versi molto triste, venisse raccontata in una luce completamente diversa proprio per la capacità narrativa dello scrittore. Era qualcosa di importante e molto distruttivo – almeno per la moglie – quello che era accaduto, ma anche... semplice. Come se si potesse vivere meglio ad affrontarlo così piuttosto che affrontandolo con un atteggiamento greve.
«Meow.» Nix pretendeva i croccantini: Hermione non staccò lo sguardo dal libro, ma si alzò e si diresse in cucina, aprendo una delle credenze alla destra della cappa e cercando a tentoni lo scatolo giusto: il gatto la guardava stranito, da giù, come se si stesse chiedendo perché diavolo la sua padrona stesse ancora guardando quel libro invece che prestare più attenzione al suo cibo.
Lasciò per dieci secondi il libro giusto per versare i croccantini dalla scatola alla ciotola, prendendo l’altra per riempirla d’acqua e approfittarne ora che Nix era con il capo letteralmente nei croccantini. Non appena terminò, prese nuovamente il libro e tornò sul divano: si sedette e incrociò le gambe, pronta a continuare la lettura. Ma il telefono squillò.
«Pronto?» il tono era quasi infastidito: doveva leggere.
«Granger. Stai leggendo “Seta”?» come lo sapeva Malfoy?
«Te l’ha detto Angharad?»
«No, ma immaginavo avresti letto quello come uno dei primi.» e in realtà non sapeva il perché dovesse saperlo, ma aveva come il sentore che fosse così «Comunque, sto per mandarti un taxi a prenderti...»
«No, non sono ancora pronta.»
«Come? E quando vieni?»
«Ehm... vorrei finire il libro.»
«Va beh, vengo da te e poi ci muoviamo di lì non appena hai finito. Va bene?»
Come erano arrivati a quella soluzione? Ma non aveva tempo di pensarci, era quella migliore, visto che l’obiettivo principale della serata era quello di terminare “Seta”.
«Okay.» rispose semplicemente «A dopo!» e chiuse la telefonata.
Draco guardò il cellulare e scosse la testa: anche lui aveva passato un’intera pausa pranzo da solo, nel suo ufficio, per finire quel libro. Quindi in realtà avrebbe potuto capirla molto bene.

 

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Capitolo 13
*** 12. Shake It Out ***


Ed eccomi nuovamente qui! Oggi ho avuto una giornata di riposo - letteralmente. Ho praticamente sempre dormito. Ora che sono abbastanza sveglia... nuovo capitolo. Spero vi piacerà, ascoltate sempre la canzone che dà nome al capitolo che è sempre fondamentale e...  buona lettura!







 

 

Sweet Disposition





12. Shake It Out
 
And it's hard to dance with a devil on your back,
So shake him out.
 
Erano passati diversi giorni e lei aveva metabolizzato la rottura proprio grazie ai libri di Angharad: non tutti per il messaggio, alcuni anche perché l’avevano momentaneamente trasportata altrove. E non credeva che ci potessero riuscire così semplicemente e velocemente. Non se n’era accorta del tutto se non quando oramai era accaduto, e lei non era riuscita a posare l’ultimo libro se non alla fine. Poi l’aveva posato sulla colonna dei libri letti e l’aveva smembrata, mettendo ogni libro uno accanto all’altro. E aveva capito cosa le avesse insegnato ognuno di quelli.
Ed era subito uscita di casa, nonostante fossero state le dieci di sera: si era materializzata a Hammersmith per ridarli ad Angharad, con un sorriso in volto. E l’altra – poteva definirla amica, no? – aveva capito.
E così era iniziata quella strana frequentazione di tutti loro, insieme, che in realtà c’era già da un po’: dopo diverse uscite s’era resa conto che Blaise e Ginny erano più che altro compagni di letto, mentre Theo e Luna – c’era un Theo e Luna, ma non quello che lei e Ginny avevano immaginato – erano per qualche strano motivo compagni di passeggiate e lei stessa aveva trovato un’amica in Angharad. Questo susseguirsi di eventi favorevoli l’avevano anche portata a frequentare e conoscere molto di più Malfoy – nonostante la loro relazione non fosse proprio specificata, non nei termini con i quali erano spiegate le altre – cosa che le aveva fatto fare qualche passo in avanti nella comprensione del soggetto. Erano sicuramente in rapporti amichevoli, ma non riusciva a considerarsi sua amica. Daphne, comunque, aveva finito per accettarla: ed era anche stata quella che le aveva raccontato degli incubi, nonostante lei stessa l’avesse scoperto solo da Blaise e Theo.
Era uno strano equilibrio quello che avevano raggiunto, ma non le dispiaceva. Inoltre quelle insolite frequentazioni avevano dato uno scossone alla sua vita sociale, e checché potesse dirne, ne aveva bisogno: nonostante provenisse da un gruppo davvero paradossalmente assortito. Serpeverde purosangue naturalizzati babbani, una nata babbana e una purosangue Grifondoro, una Corvonero sognatrice e persino una vera babbana. Non se lo sarebbe aspettato nemmeno nei suoi sogni più improbabili. Ma tanto meglio ricavarne contentezza, oltre a tempo preziosissimo col suo soggetto all’oscuro di tutto.
Quei pensieri l’avevano distolta dal lavoro di fronte a sé: incrociò le gambe e le occupò con il computer, per poi prendere un sorso di tè dalla sua tazza preferita. Lanciò un’occhiata a Nix, che sonnecchiava dall’altra parte del divano, semi-immerso in un plaid a quadri: era un quadretto piacevole, che avrebbe potuto definire molto semplicemente con la parola felicità. Erano solo lei, un gatto e il lavoro, ma questo le dava gioia. Si sentiva stranamente completa, e non si sentiva completa da tantissimi mesi. Non se n’era nemmeno accorta, in tutto quel tempo. Quindi sì, era felice: lavorando alle sette di un giovedì sera piovoso, con un tè accanto e un gatto che ronfava poco più in là.
Sistemò meglio gli occhiali sul naso e ricominciò a guardare i risultati degli esperimenti che lei stessa aveva iniziato a fare – seppur controvoglia – su delle cavie da laboratorio: non avrebbe potuto buttarsi subito a manomettere la mente di Malfoy con incantesimi. E sebbene fosse molto più semplice, per le cavie era tutto ritornato come prima: aveva fatto delle analisi tre volte durante tutto il processo. Ma, nonostante tutto, erano risultati completamente inconsistenti col caso di Malfoy. Forse perché la differenza fondamentale era che a lui i ricordi non erano stati tolti: ma solo chiusi in una scatola sigillata nella sua testa. Come faceva a riportarli indietro?
Se fosse stata una botta molto forte in testa a fargli dimenticare parte della sua vita in modo babbano avrebbe saputo come risolvere quella faccenda usando altri metodi, ma il problema era che quel sigillo posto su alcune parte della sua memoria erano state fatte mediante l’utilizzo della magia. Cionondimeno, aveva ottenuto qualche progresso ulteriore nell’analisi delle famiglie purosangue che avrebbero potuto provare ancora risentimento nei confronti dei Malfoy e che avevano un passato di anatemi e magie segrete tramandate di padre in figlio: il problema principale era che, nonostante le avesse identificate, non sapeva ancora quali fossero precisamente le magie in questione.
Sbuffò pesantemente, prendendo un lungo sorso dalla tazza da tè: chiuse quella tabella per aprire il file di Word dove aveva scritto tutto ciò che sapeva sulle famiglie in questione e sospirò. Avrebbe dovuto appuntarsi tutto e portarlo dai Malfoy due giorni dopo: magari sarebbero stati utili, con i loro collegamenti passati tra i Mangiamorte.
Fece per alzarsi con l’intenzione di andare a preparare altro tè quando il telefono suonò: lesse “Malfoy” e rispose subito dopo «Pronto?»
«Muoviti, scendi di casa. Siamo a Shoreditch.» era l’unica cosa che aveva sentito, ma subito dopo un’altra voce si unì, ed era quella di Angharad: «Dio mio, sembri Regina George. “Coraggio, perdente, andiamo a fare shopping!”»
Dall’altra parte udì sghignazzare anche altre persone, e ipotizzò che ci fosse tutta la combriccola Serpeverde con lui: «Probabilmente considererei anche l’opzione se tu fossi più gentile...»
«Lui è Regina George, Hermione, non è gentile!» sentì nuovamente la voce di Angharad, mentre Draco ribatteva qualcosa come “Non paragonatemi a quell’arpia di Mean Girls...”.
«Granger, vuoi cenare con noi sotto casa tua?»
«Con piacere, Malfoy. Ci vediamo alla stazione?»
«No, direttamente alla Old Truman Brewery. Muoviti.» questa volta la voce che udì era quella di Daphne, e subito dopo quella chiuse la chiamata.
«Ma è chiusa da dieci anni...» fu l’unica cosa che Hermione commentò, a quanto pareva, al vento «Mi dispiace, Nix, ma a quanto pare devo andare alla ricerca di locali chiusi da tempo con un branco di serpi.»
Ma Nix non sembrò calcolarla: il suo sonnellino era più importante.


Un quarto d’ora dopo si trascinò fino al vecchio birrificio e intravide proprio lì davanti due teste bionde, due nere e una castano bionda: arrivò da dietro e li colse alle spalle, pensando bene di pronunciare una semplice sillaba, come vendetta del loro per nulla educato invito: «Buh
Notare Draco, Blaise e Theo saltare su fu molto divertente però. Davvero, davvero divertente.
«Che femminucce.» aveva commentato Daphne, scuotendo la testa «E Granger, sul serio, pensavi di spaventare qualcuno così?»
«Beh, qualcuno è stato spaventato...» ribatté l’altra, guardando in direzione dei tre uomini, che ricambiarono lo sguardo con risentimento.
«Non hai tutti i torti...» commentò la bionda, scuotendo la testa: Hermione notò che erano tutti in tenuta lavorativa, tranne Angharad, che probabilmente veniva da casa o dall’università.
«Allora, perché stiamo di fronte al vecchio birrificio?»
«Ti abbiamo portata qui perché sapevamo avresti conosciuto la strada, ma andiamo qua dietro, ci sono un paio di bancarelle con street food niente male.» spiegò Malfoy, semplicemente.
Daphne e Angharad iniziarono a camminare: sembravano loro quelle a conoscenza del posto. Blaise e Theo seguivano subito dopo, e Draco e Hermione chiudevano la fila.
«Come mai a Shoreditch?»
«Beh, perché è geograficamente sopra la City.»
«Sono due chilometri.» ribatté Hermione, senza sosta.
«...E Daphne e Angharad ci rompono da giorni perché vogliono vedere questi banchi di street food e noi abbiam pensato bene di portarcele di giovedì così non possiamo fare tardi, visto che abbiamo la scusa del lavoro domani.»
«Meschini.» si limitò a commentare Hermione, sorridendo.
«Lungimiranti, semmai.» la corresse Draco, tirandole una leggera spallata, che venne immediatamente ricambiata dall’ex-Grifondoro «Lungimirantemente meschini.»
«Eh, okay.» Malfoy accettò il commento, ma si bloccò subito dopo, imitando i suoi amici «Siamo arrivati?»
«Sì, eccoli qui.»
«Oh, dai, siam venuti fin qui per delle alette di pollo che mi sarei potuto prendere comodamente sotto casa?» si lamentò Draco, alzando gli occhi al cielo.
«Non delle semplici alette di pollo, Draco, non delle semplici alette di pollo...» il tono di Angharad era leggermente sinistro, e Hermione non fu l’unica ad accorgersene: Theo, Blaise e Draco si scambiarono un’occhiata perplessa, mentre Daphne sembrava tanto motivata quanto l’amica babbana.
«Allora, prima le alette o il pollo di quest’altro? O il messicano? O il greco?» anche Daphne sembrava posseduta.
«Ingrasseremo stasera.» dichiarò Blaise, sbattendo le palpebre per cercare di comprendere la scenetta che gli si trovava davanti.
«O molto più probabilmente ci ritroveremo ognuno nelle proprie case a vomitare nei nostri bagni.» commentò con tranquillità Theo.
«Oh, facciamola finita.» terminò Draco, prendendo per un polso Hermione – ma poi cambiò idea, e scese fino alla mano per afferrargliela – e trascinandola al banchetto delle alette di pollo particolari.
Blaise e Theo si limitarono a osservare quell’altra stranissima scenetta con tanto d’occhi, fin quando Blaise non iniziò a ghignare soddisfatto: «Il me adolescente vorrebbe tanto iniziare a dire “Malfoy e la Sanguesporco, Malfoy e la Sanguesporco”...»
«Io stavo pensando più a “Tra rose e fior, nasce l’amor...”» ribatté Theo, sghignazzando insieme all’amico subito dopo.
«Ovviamente mi sono riferito a lei così per via di Draco. Insomma, del vecchio Draco...»
«Lo so, Blaise. Non riusciresti a portarti la Weasley a letto se pensassi davvero certe cose sulla Granger.» dichiarò semplicemente Nott, decidendo che era arrivato il momento di seguire il resto del gruppo: anche perché avrebbe volentieri evitato spiacevoli commenti da parte dell’amico riguardo a quella che sembrava essere la sua nuova amichetta. Cosa che ovviamente non era, non come l’avrebbe posta Blaise, perlomeno.

 
Ginny doveva assolutamente trovarsi una casa sua: non che le dispiacesse vedere la sua famiglia, ma non poteva andare in Galles ogniqualvolta volesse stare un po’ sola. Persino il suo fratello stupido – l’aveva ribattezzato così, da quando aveva mollato così insospettabilmente Hermione – aveva un posto dove stare lontano da casa. Certo, era parte della Londra Magica, ma ce l’aveva.
La cosa peggiore era che sua madre chiedeva a lei notizie della rottura, e lei non sapeva cosa dire: già era tanto riuscire a evitare di rispondere alle frequenti domande sui luoghi dove passava la notte in quel periodo – principalmente da Blaise, ma questo la madre non avrebbe dovuto saperlo – ma non dire nulla neanche sulla rottura del mese – visto che il mese passato ne era stata lei la regina, con Harry che l’aveva mollata molto ragionevolmente – era troppo per Molly Weasley.
E il fatto che il fratello scemo fosse nella sala da pranzo adiacente non l’aveva dissuasa: «Ginny! Mi stai ascoltando?»
La ragazza annuì, più di default che non perché lo stesse davvero facendo mentre pelava le patate «Allora! Vuoi dirmi che cosa è successo?»
Soppesò la situazione: Hermione non sarebbe ritornata presto in quella casa a raccontare qualcosa, e Ron era chiuso come uno schiopodo sparacoda. Nessuno avrebbe fatto uscire niente dalla propria bocca, se non lei. E sinceramente, era molto più convenevole che la madre scoprisse le circostanze nelle quali si erano lasciati Ron e Hermione, che non stavano più insieme, che non i luoghi – il luogo, in realtà – che frequentava lei dopo mezzanotte.
L’unico problema era che, se l’avesse sconvolta troppo, dall’altra parte del muro se ne sarebbero accorti: era una cena di famiglia, quindi c’erano tutti. Tutti tranne Fred, ovviamente. Lui avrebbe trovato qualcosa di divertente in quella situazione – soprattutto la parte dove lei se la faceva con Blaise Zabini.
«Ma’, non ero presente...»
«Ma so che sei andata subito da Hermione!»
«Posso dirti solo quello che mi ha riferito lei...» aveva iniziato lei, sperando che nell’altra stanza non venisse in mente a qualcuno di palesarsi proprio quel momento in cucina.
«Quindi?!»
«Niente, lei è tornata a casa, lui l’aspettava, ha iniziato a dirle che aveva incontrato una tipa...»
«Aveva incontrato chi?!»
«Una riserva di quelle che giocano in squadra con me.» spiegò Ginny, guardando la madre negli occhi – e capendo tutte le cattive intenzioni che avrebbe avuto di lì a poco con il figlio maschio più piccolo tra quelli che aveva generato.
«Poi ha iniziato a dire che era confuso, che voleva sposarla e iniziare una famiglia, ma era di nuovo confuso, e i sentimenti non erano più gli stessi, e voleva che lasciasse il lavoro...» continuò Ginny, a ruota libera.
Il viso di Molly Weasley era un tripudio di emozioni: stupore e rabbia erano quelle predominanti, però.
«E allora Hermione l’ha lasciato. Lui ha detto “Okay” e se n’è andato. Ed è scomparso più o meno dalla vita di tutti.»
«Mi stai dicendo che Harry nemmeno lo sta vedendo?» l’espressione della donna più grande, al pronunciare quel nome, si addolcì: aveva ancora speranze per la figlia e l’ormai uomo sopravvissuto. Ginny non se la sentiva di spezzargliele su due piedi dicendole la verità.
«È completamente sparito dai radar di tutti, al momento.»
Molly Weasley guardò la figlia sconvolta, al che Ginny si corresse: «È un modo di dire babbano... insomma, non lo vede nessuno a parte noi.»
«E perché non gli parli? Non gli dici qualcosa? Magari è solo un errore momentaneo... Passerà!»
Ginny soppesò la situazione: probabilmente se qualcuno l’avesse fatto per lei un mese prima, avrebbe iniziato a sputare fuoco a destra e a manca. Scosse la testa, contrariata «No, non penso sia la cosa giusta. Hermione sta bene e non vedo perché dovrei farla ritornare nella situazione in cui stava prima. Inoltre non è che siano proprio affari miei.» terminò quella, e Molly Weasley la guardò a occhi spalancati. Non si aspettava una risposta così giudiziosa da parte della figlia – ma soprattutto non credeva che qualcosa di buono fosse potuto davvero uscire da quella situazione. Comunque, lei, con Ron, ci avrebbe parlato. E questo sua figlia non avrebbe potuto impedirlo.

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Capitolo 14
*** 13. Heart's On Fire ***


Ciao! Ecco un nuovo capitolo, tutto per voi. Spero vi piaccia. Buona lettura!







 

Well I don’t have many and I don’t have much
In fact I don’t have any but I’ve got enough
‘Cause I know those eyes and I know that touch

Aveva teso un’imboscata a Theo e Blaise perché in realtà aveva bisogno di loro: anche di Daphne, se se ne fosse presentata l’occasione. Si era palesata a casa di Zabini subito dopo il suo ritorno dal Wiltshire: aveva bussato e aveva dichiarato senza mezzi termini che aveva bisogno di lui e dei suoi amici Serpeverde senza amnesia per la ricerca di informazioni sulle famiglie che seguivano il Signore Oscuro. Aveva chiesto qualcosa anche ai signori Malfoy, ma Narcissa non era poi così informata e Lucius sembrava molto restio a parlarne: sperava davvero che Theo, Daphne e Blaise potessero esserle più d’aiuto.
Aveva trascinato con sé anche Nix: l’aveva già lasciato solo per abbastanza tempo, quel giorno. Voleva evitare che le distruggesse casa sentendosi poco calcolato.
Così bussò alla porta dell’appartamento di Zabini con Nix in braccio, aspettandosi che fossero già tutti lì: invece si ritrovò di fronte solo un Blaise chiaramente appena svegliatosi e in pigiama.
«Alla buon’ora!»
«Ehi, il riposino pomeridiano è importante...»
«Ma se sono appena le due di pomeriggio!»
«Mpft...»
«Gli altri?» chiese Hermione, dirigendosi sicura verso il salone alla sua destra, pronta a liberare Nix subito dopo e a tirare fuori dalla borsa il PC. Il gatto bianco sembrava molto interessato dalle tante superfici nuove che avrebbe potuto esplorare ed eventualmente distruggere – ma solo se il padrone di casa gli fosse stato antipatico.
«Stanno arrivando, Theo è appena salito all’ottavo piano a buttare giù dal letto Daphne.»
«Ma il palazzo è lo stesso?»
«Nah, loro stanno qua di fronte.»
«Blaise, hai una sorta di lavagnetta magnetica? Grande però.»
«Che dobbiamo farci?»
«Non so, riunire gli indizi? Devo trovare qualcosa su qualche purosangue. Perché diciamocelo, è altamente improbabile che a tramandare incantesimi del genere siano stati dei mezzosangue, o comunque qualcuno con una famiglia non poi così antica...»
«Ho bisogno di caffè per iniziare a ragionare.» si massaggiò le tempie Zabini: per una volta non era stato l’aver fatto baldoria la sera prima a portarlo all’attuale situazione pietosa. Era solo davvero stanco per colpa del lavoro «Vuoi del caffè?»
«Non hai del tè?» chiese lei, mentre Nix saltava su uno dei suoi divani – con suo forte disappunto.
Blaise scosse la testa, mormorando qualcosa molto simile a “tremendamente inglesi”, ma si diresse in cucina, probabilmente pronto a preparare del tè. Dopo cinque minuti qualcuno suonò alla porta e Hermione decise che avrebbe risparmiato del tempo a tutti se fosse stata lei ad andare ad aprire: si ritrovò davanti Theo in tuta, ma la cosa più divertente era Daphne con indosso un pigiama di pile rosa e arancione e degli UGG che sembravano caldissimi a fasciarle i piedi. Poteva anche veder fuoriuscire dallo stivaletto un pezzo di calzettone, rigorosamente al di sopra dei pantaloni.
«Ma dormite tutti fino a quest’ora?» chiese lei, perplessa, osservandoli.
«Io in realtà torno da una passeggiata.» spiegò Theo, facendo spallucce e raggiungendo l’amico in cucina, mentre Daphne si limitò a scoccarle un’occhiataccia prima di degnarla di una risposta «Ho avuto un meeting su Skype con alcuni della direzione generale. Solo che da loro erano le cinque del pomeriggio e da me le dieci di sera. Ed era solo l’orario d’inizio. Quindi devo davvero volere bene a Draco per essere qui ora, Granger.»
Blaise passò loro accanto con un vassoio pieno di tazze e allora tutti lo seguirono in salotto, con un’Hermione concentrata che faceva partire il computer dopo averlo collegato a una presa con il caricabatterie.
Lei si trovava da una parte del tavolo, mentre dall’altra, esattamente opposta a lei, si trovavano i tre sfatti Serpeverde. In realtà, Theo sembrava quello che stava meglio. Hermione non poté evitare di pensare che forse la passeggiata che aveva fatto era stata proprio con Luna. Chissà.
Lasciò loro qualche minuto per riordinare le idee e bere tè e caffè – anche lei aveva dato qualche sorso alla sua tazza, a dire il vero – e iniziò ad aprire diverse finestre sul desktop con i diversi ritrovamenti su quella faccenda.
«Allora... cosa sapete? Io ho trovato tracce di possibili incantesimi... come dire, personalizzati, in almeno dieci famiglie delle Sacre Ventotto. Ma ovviamente non so di che si tratta.»
Vide Theo e Daphne emettere un ghigno, mentre Zabini roteava gli occhi: «Cosa?»
«Niente, Granger» spiegò immediatamente Theo «da giovani e rompiballe amavamo prendere in giro Blaise perché non faceva parte delle Ventotto. Era uno dei nostri passatempi preferiti.»
Hermione scosse la testa, prendendo un altro sorso di tè prima di forzarsi a evitare di roteare gli occhi.
«Comunque, per quel che ne so, di incantesimi di memoria tramandati al loro interno ce ne sono circa cinque.» commentò Daphne, con l’espressione di qualcuno in difficoltà a ricordare qualcosa «Yaxley, Lestrange, Parkinson, Selwyn e Shafiq.»
«Ah e la mia famiglia.» commentò Nott, annuendo con l’aria di chi la sapeva lunga «Ma dubito che mio padre sia uscito da Azkaban qualche volta, dal ’98. Perché se così fosse stato, probabilmente non sarei vivo ora.»
«Bene...» gli ingranaggi della mente di Hermione sembravano macchinare furiosamente, mentre lei tamburellava velocemente scrivendo qualcosa sul PC, concentrata «Possiamo eliminare i Lestrange e Yaxley, quelli ancora vivi sono rinchiusi ad Azkaban e non sono mai usciti. Per non parlare di quelli morti...»
«I Selwyn son più che vivi. Quella sciroccata della Umbridge non era imparentata con loro?» propose Blaise, che sembrava stesse riflettendo effettivamente su qualcosa.
«Blaise, dubito fortemente che la Umbridge possa uscirsene così e decidere di togliere un pezzo di memoria di Malfoy...» ribatté Daphne, prendendo un sorso di caffè.
«Non aveva parenti?» chiese Hermione, alzando lo sguardo dal PC.
«Granger, che stai scrivendo? Dubito ci sia un portale internet per ricerche sul mondo magico» Daphne era poco sarcastica quel giorno.
«Sto integrando i miei appunti.»
«Quindi hai un punto di partenza?» chiese Zabini, incrociando le braccia.
«Non proprio. So che ci sono, so che ne fanno uso, ma non so né chi né come. Nessuno fuori dalle Ventotto tramanda cose di questo tipo?»
Daphne scosse la testa: «Che io sappia, fuori dalle Ventotto vengono tramandati solo incantesimi minori. Per, che so, pulire arazzi e cucinare determinate cose...»
«Quindi nulla di questa portata...»
«Ehi Daph, tu non hai dei libri sulle Ventotto?» chiese Theo, come se avesse appena avuto un’illuminazione.
«Sì, ma a casa dei miei...»
«Ma tu Theo non dovresti avere proprio gli appunti originali?» intervenne Hermione, che aveva momentaneamente smesso di digitare qualcosa al PC.
«Sì, ma principalmente cose degli anni ’30, quando è stato scritto. Inoltre non posso entrare in casa mia.»
Blaise e Daphne non si mossero: lo sapevano già da tempo.
«Tuo padre... sa che vivi nel mondo babbano?» si avventurò Hermione, titubante.
Theo annuì: «E ovviamente ha fatto mettere tutti gli incantesimi protettivi specificamente contro di me. Quindi, anche se fosse una copia utile, non potrei andare a riprenderla.»
«Però Daphne a casa dovrebbe averne una, e dovrebbe anche essere aggiornata.» continuò Blaise, prendendo un ultimo sorso di caffè «Ricordo che tuo padre era abbastanza malato da appuntarsi tutto...»
«Ma non posso tornare quando c’è mio padre, lo sai.»
«Tua sorella?» chiese immediatamente Hermione, cercando qualcosa in borsa «Lei ti parla ancora?»
«Sì, perché?»
«Ti può fare entrare lei... tra due giorni. Tuo padre lunedì ha un’udienza al Ministero.» dichiarò Hermione, controllando qualcosa sull’agenda.
«Come mai l’hai annotato?» chiese Daphne, stupita.
«Mah, poteva rivelarsi utile. Per cose del genere, ecco.»
«Ma se lei ti parla potreste incontrarvi da qualche parte!» propose Blaise in direzione di Daphne, che scuoteva la testa «Te la immagini Astoria che cerca disperata Oxford Street?»
I tre Serpeverde ridacchiarono «No, effettivamente non è la cosa migliore.»
«Mi materializzerò fuori da casa in pausa caffè e le dirò di fare in fretta.»
«Non puoi avvisarla prima? Mandale un gufo e dille che è per il suo caro Malfoyuccio!» propose Theo, sottolineando l’ultima parola con un battito di ciglia.
«Cosa mi sto perdendo?» chiese Hermione, indicando lo scambio tra tutti e tre.
«Oh, prima che Draco venisse colpito da quella maledizione era promesso sposo ad Astoria» spiegò Blaise, ridacchiando «Cioè... lo era già da un bel po’ di anni in realtà!»
«Ugh.» fu il commento di Daphne, disgustata «Sono quasi contenta che lui abbia perso la memoria magica. Almeno non devo avercelo come cognato.»
«Ma se lo vedi comunque tutti i giorni!»
«Sì, ma non è mio cognato! E se poi mi buttava fuori di casa?»
«Dai, sai che non l’avrebbe mai fatto!»
«Ora mia sorella sarà data in sposa a qualcun altro di ricco e potente e purosangue e quando i miei moriranno il maniero sarà tutto mio!» dichiarò Daphne, sadica.
«Prima che gli incantesimi si esauriscano da Nott Hill ne passeranno di decenni. Anche dopo la morte di Nott Senior.» ribatté Theo, scuotendo la testa.
«Scusatemi, voi fate i matrimoni combinati?» chiese Hermione, stupita. In realtà era anche un po’ infastidita, ma a quello ci avrebbe pensato dopo.
«Sì, è una pratica comune. Specialmente tra le Ventotto.» spiegò Theo «E spesso le famiglie si sono anche mischiate tra loro. Chi lo sa, magari Draco è un mio pro-cugino di chissà quale grado.»
«Ugh! Ti immagini? Condividiamo il sangue?» Daphne non sembrava molto propensa all’idea «È come sposarsi in famiglia, yack.»
 Hermione osservava lo scambio perplessa, ma non era l’unica: anche Blaise doveva esser spesso stato escluso da quel tipo di discorsi. Incrociò lo sguardo incuriosito della ragazza e scosse la testa «Questa parte è quella che meno mi dispiace, per quanto riguarda il loro vantarsi di far parte delle Ventotto.»
«Ehi, non ci stiamo mica vantando!» aveva ribattuto Theo, mentre gli occhi di occhi di Daphne sembrarono brillare di una luce sinistra: «E comunque, Granger, non preoccuparti: il tuo fidanzato non è più promesso sposo di mia sorella da anni. È tutto tuo.»
Gli ex-Serpeverde sogghignarono insieme e Hermione avrebbe anche ribattuto con qualcosa di intelligente, oltre ad arrossire visibilmente, ma un rumore oltre il muro alla sua sinistra attirò la sua attenzione: era una porta che si apriva. Con delle chiavi.
«Blaise?»
«Salotto.» rispose il padrone di casa, facendo per alzarsi ma venendo bloccato contemporaneamente da Theo e Daphne, il cui ghigno era particolarmente preoccupante.
«Weasley, siamo in quattro, non renderti impresentabile.» l’avvisò Theo, meritandosi una spallata di Blaise.
L’espressione di Hermione era molto esplicativa: non si aspettava nulla di tutto quello.
«Ah-ah, Nott, come sei simpatico.» aveva risposto Ginny, entrando nella sala da pranzo e accorgendosi solo in quel momento della presenza dell’amica sconvolta dall’altro capo del tavolo «Ciao Herm.»
L’altra rispose inizialmente con un cenno della mano, aggiungendo solo dopo un suono vocale molto simile a un “Ciao”.
Le tre serpi erano tutte molto divertite, ed entrambe lo potevano notare: «Perché dovete torturarla?»
«E perché, Weasley, tu non gliel’avevi detto?» ribatté Daphne, sbattendo le ciglia.
«Herm, ho le chiavi di casa di Zabini. Te lo dico ora perché sennò questi mi tortureranno fino alla fine dei miei giorni. Non è poi un grande affare.» spiegò la rossa, liberando in quel momento Blaise dalle grinfie dei suoi amici.
«Io... sono felice per voi?» Hermione era davvero in difficoltà: più per l’irrealtà della situazione che altro. Ginny le sorrise: «Ne parliamo lontano da questo covo di serpi.» e trascinò Blaise fuori dalla stanza.
I fischi di approvazione degli unici due purosangue rimasti in sala da pranzo terminarono dopo qualche secondo, e Hermione scosse la testa, sconsolata «Siete davvero delle serpi.»
Daphne le rispose con un’alzata di spalle e un’espressione angelica, mentre Theo annuiva «Puoi contarci. Ma solo ogni tanto.»
Hermione si passò le mani sul viso, prima di venire interrotta da qualcuno fuori dalla stanza: «Herm, che ci fa Nix qua?»
«Oh, non volevo lasciarlo a casa da solo per troppo tempo.» rispose a Ginny, che doveva ancora essere nel corridoio «Com’è andata la partita?»
«Vinto!»
«Yay per le arpie!» aveva esultato Theo lanciando un pugno in aria, nonostante non fosse sfuggito a nessuno il tono scherzoso.
«Sta’ zitto, Nott.» ribatté Ginny, lanciandogli contro una pluffa – da dove era uscita, poi, quella? – che quello prontamente schivò.
Hermione guardò tutto lo scambio e scosse la testa: era una situazione paradossale. Quelli erano tutti ex-compagni di scuola, e ora sembravano essere ancora a scuola – solo in un atteggiamento molto più amichevole di molti anni prima.
«Granger, una chimera t’ha mangiato la lingua?» le si rivolse Daphne, e Hermione scosse la testa: era sovrappensiero.
«Quindi ne sapremo di più ora che riprenderai il libro?»
Daphne annuì, ma anche l’attenzione di Theo era nuovamente focalizzata su quell’argomento spinoso.
«Tutte e due le famiglie hanno Mangiamorte al loro interno?»
Hermione gli rivolse un’occhiata incuriosita: «Di Selwyn lo sapevo, ma Shafiq? Non penso neanche di averne incontrato qualcuno a scuola. O al ministero se è per questo.»
«Uhm, dubito che li troveresti con quel nome. Che io sappia, di nome sono estinti.»
«Di nome?»
«Sono più che certo che siano ancora in giro, ma saranno sposati con...»
«Quindi solo donne?»
«In Inghilterra, sì. Penso di sì.» rispose Nott, pensieroso.
«Quindi il cattivo è una donna?» Daphne sbatté le palpebre, perplessa.
«Beh, non è così assurda come ipotesi. Se pensi alla Lestrange... insomma, tra le schiere di Mangiamorte c’erano diverse donne.»
«Sì, e anche di potenti. Ma con le competenze, le capacità e il potere di mettere in atto un piano del genere...» Daphne era pensierosa.
«Potrebbe essere la mente, una Shafiq. Dovrebbe avere tutte le competenze per farlo.» commentò Theo, concentrato «Ma l’esecutore potrebbe essere stato qualcun altro.»
«Dopotutto l’unica cosa necessaria era un legame di famiglia. Per conoscere la maledizione» aggiunse Hermione, annuendo «Ha senso. Ma non sappiamo ancora il tipo di magia...»
«E per questo ci servirà il libro. Daph, se hai a casa qualcosa degli Shafiq, la porti?» chiese Nott, subito dopo «Anche Blaise dovrebbe avere qualcosa. Dopo gli dico di contattare sua madre e vedere che cosa trovano nella loro soffitta polverosa.»
«Non era il terzo marito di Nadine uno Shafiq?» chiese la bionda, tamburellando le dita delle mani sul tavolo.
«Nadine?» per stare al loro passo Hermione doveva quasi ragionare più velocemente del solito.
«La madre di Blaise.» spiegò Daphne, mentre Theo annuiva «È vero. Allora può trovare qualcosa di più interessante lui.»
«E adesso...»
«Granger, io non uscirei dalla stanza. Non voglio esser scandalizzato» tagliò corto Theo, con l’espressione solenne di qualcuno che aveva la conoscenza dalla sua parte.

«Quindi, Draco... come va a lavoro?»
Narcissa gli aveva lei stessa preparato una crêpe. Non era proprio un pancake, ma era molto simile, e aveva potuto renderla salata: Hermione le aveva detto che ce n’erano anche di quel tipo.
Draco, però, doveva esserne stupito: perché diavolo sua madre si metteva a cucinare nonostante avesse dei domestici? E soprattutto, perché delle cose così strane?
«Uhm, diciamo che potrebbe andare meglio. Ci sono molte più restrizioni, dopo quello che è successo alla Northern.»
«Non pensi sia il caso di esplorare altre... carriere?» Lucius Malfoy passò all’attacco: Draco sapeva che in realtà al padre non piaceva il suo mestiere. Ma cosa si aspettava, dopo tutti gli studi che aveva fatto?
«Di che tipo?» non doveva attaccarlo subito: poteva rispondergli civilmente.
«Per esempio nel governo.» trattenne un verso schifato – uno di quelli che Daphne non si sarebbe fatta problemi a emettere.
«Preferirei provare a entrare in altre mille banche d’investimento piuttosto che far parte del governo di Gordon Brown, papà.» e non dipendeva dal fatto che fosse un laburista: era proprio Brown che non sopportava. E poi non voleva finire immischiato nel governo, doveva essere un mestiere davvero seccante.
«E a casa? Con Theo, Blaise e Daphne?» Narcissa era ansiosa di cambiare argomento: la innervosiva il fatto che Lucius cercasse in tutti modi di immischiare il figlio in cose che nemmeno lui conosceva perfettamente; certo, era stato un uomo parecchio ammanicato nel Ministero, ma cosa ne poteva sapere della realtà del figlio?
«Oh.» Draco sorrise impercettibilmente «Ci sono nuove aggiunte nel gruppo.»
«Davvero? Chi?» Narcissa aveva saputo la versione di Hermione, ma bramava conoscere anche quella del figlio. Per sapere come se la stesse cavando la ragazza ad adattarsi in quel gruppo, ma non solo. Voleva il suo parere.
«Una ragazza. Beh non solo, anche le sue amiche si sono in qualche modo unite al gruppo.» Narcissa era certa che stesse parlando di Hermione. Ed era anche contenta di quel sorrisetto che aveva appena cercato di nascondere, ma che lei aveva colto comunque «Come si chiama?»
«Hermione Granger. Ci siamo incontrati perché voleva farmi alcune domande sulla crisi immobiliare americana, però poi abbiamo continuato a vederci.»
Narcissa, in realtà, avrebbe fatto i salti di gioia «Ed esce con voi?»
«Sì, ha stretto parecchio con Angharad anche.»
«La ragazza gallese che ha ripreso a studiare?»
«Mh-mh.» annuì Draco, ingoiando un altro boccone di crêpe «E poi ci sono Luna e Ginevra. Quest’ultima sembra a posto, anche se non ho ancora propriamente capito in che tipo di relazione si sia invischiata con Blaise. Mentre Luna mi inquieta un po’.»
«Ti inquieta?» Narcissa era tutt’orecchi.
«È come se solo guardandomi sapesse cosa sto pensando. Non penso lo sappia davvero, però... è molto percettiva.»
«E Hermione?» Narcissa era contenta che Draco non stesse notando suo padre, perché Lucius le stava rivolgendo un’occhiata disgustata: non aveva ancora capito se era per via della Granger o perché lei stesse facendo quelle domande in modo così sfacciato.
«È a posto.» si limitò a rispondere Draco, con un altro sorriso impercettibile.
Narcissa sarebbe volentieri uscita da quella sala per saltellare di gioia: quel sorriso valeva più di mille parole.


 

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Capitolo 15
*** 14. Lover to Lover (Pt. 1) ***


Buon Natale (in ritardo) e buone feste! Come le state passando? Avete mangiato fino a non riuscire ad alzarvi dalla sedia? Io no ma ci sono andata vicino. Il capitolo è un semi-omaggio a una delle mie serie TV preferite di sempre: How I Met Your Mother. Spero vi piaccia! Alla prossima!








 

And I’ve been taking chances, I’ve been setting myself for the fall
I’ve been keeping secrets
From my heart and from my soul.

 
«Dov’è la Granger? Che fine ha fatto la tua fidanzatina, Blaise? Dai, voglio iniziare questo “How I met your mother”!» Daphne era molto lamentosa, ma il tono che aveva adottato era quello con cui normalmente cercava di ottenere qualcosa.
«Daphne, sta’ calma. Non posso far teletrasportare Hermione qui, aspetta e lo inizieremo insieme.» rispose Malfoy, ma solo la quarta volta che l’amica effettivamente lo chiese «Piuttosto, Blaise... ma con Ginevra?»
«Cosa?» il moro si fece evidentemente evasivo. Iniziò a giocherellare con il telecomando, mentre Daphne, seduta sul tappeto, leggeva i riassunti degli episodi della prima stagione della sitcom che avrebbero iniziato di lì a poco a guardare.
«Draco, non insistere: è troppo innamorato per dire qualcosa di sensato.» li rimbeccò Angharad, dall’angolo cucina: stava controllando la cottura dei muffin che erano in forno, ma non si era risparmiata una battuta ai danni del broker del gruppo.
Draco sogghignò: «Adoro Angharad. Beh, allora, Zabini?»
«Ma cosa?!» ribatté l’altro, attirando anche l’attenzione di Daphne su di lui, che adesso non era più tanto interessata alle sinossi degli episodi «Non stiamo insieme, poi.»
«No, convivete direttamente. Siete tranquillamente al passo successivo!» osservò Daphne, alzando entrambe le sopracciglia «Questo mi fa pensare all’assente della situazione: Theo. Perché lui e Luna vengono sempre insieme?»
Malfoy, Zabini e anche Angharad iniziarono a ridacchiare convulsamente, ma solo dopo Daphne collegò tutto «E dai! Come siete patetici, sempre a cercare doppi sensi! Intendo alle varie riunioni, che siano da Blaise, o qui, o al pub!»
«Sono diventati camminatori seriali.» spiegò Angharad, tornando sul divano, tra Blaise e Draco.
«Vuoi spiegarti meglio?» Daphne era perplessa e completamente dimentica del DVD che era stato già inserito nel lettore ma non ancora fatto partire.
«Da quando la prima sera Theo l’ha riaccompagnata a casa, hanno iniziato a vedersi per camminare insieme. Che io sappia se ne vanno lungo il Tamigi, o nei parchi, o semplicemente in giro per Londra. Sono molto teneri.» commentò la gallese, annuendo.
«Ma... si stanno frequentando?» chiese Draco, curioso: Blaise e Daphne, nel frattempo, tentavano di mantenere una facciata non troppo sconvolta; anche solo la remota ipotesi che il loro amico Serpeverde Theodore Nott potesse lontanamente frequentare Lunatica Lovegood li sconvolgeva al punto da terrorizzarli, ma non avrebbero potuto spiegarne il perché a Draco, quindi dovevano trattenersi.
Angharad lanciò loro un’occhiata il cui significato era ben chiaro: “State calmi e non esagerate”. Forte e chiaro. Ma era un’ipotesi così... assurda.
«Non ne sono sicura.» rispose poi la padrona di casa, incrociando le gambe «Theo è molto riservato. E anche se mi ha parlato molto di lei e la trovo adorabile e sono sempre insieme, non so come interpretarlo. Insomma, sembrano molto attaccati... ma non li ho mai beccati a scambiarsi effusioni, ecco.» lanciò un’altra occhiataccia in direzione di Daphne e Blaise, che inorridirono per qualche secondo.
«Beh... anche se quella Luna mi inquieta, posso capire come possano trovarsi bene insieme.» ammise infine Draco, come se stesse dispensando una perla di saggezza.
«Perché, scusa?» Daphne era sinceramente stupita, mentre Blaise era solo contento che non si stesse dissezionando la sua relazione un po’ particolare con una ragazza in quella determinata sede.
«Beh, perché sono silenziosi. Perché sembrano capirsi al volo e condividere un segreto di cui solo loro sono a conoscenza, mentre il mondo intero ne è all’oscuro. E poi Angie ha ragione, sono molto teneri insieme, se ci pensate. E non penso che né Hermione né Ginevra sappiano se c’è qualcosa tra di loro.» Daphne e Blaise erano sconvolti dalla profondità di Malfoy: dieci anni prima non avrebbe mai detto nulla del genere.
Angharad sorrise soddisfatta in direzione di Draco: «E poi parlano tanto. Comunicano tanto tra di loro, nonostante col mondo siano un po’ restii a farlo. E nessuno dei due s’è preoccupato di descrivere quello che hanno agli altri, ma sono più che sicura che loro due, in privato, ne siano certi.» concluse la gallese, sorridendo.
«E tu ne sei contenta?» Daphne era perplessa e contemporaneamente anche schifata dalla reazione dei suoi due amici.
«Beh, sì. Ognuno si merita il suo pezzo di puzzle mancante, o se vuoi chiamarlo diversamente, la sua metà – sto semplicemente citando il mito greco dell’androgino, non sono sdolcinata» si era dovuta spiegare meglio, alla vista dell’espressione schifata di Daphne e Blaise «E quei due mi sembrano abbastanza affini.»
«E poi non capisco perché dobbiate essere così espliciti.» commentò Draco, perplesso «Insomma, Blaise, anche se tu e la Weasley non avete ufficializzato nulla mi sembrate abbastanza monogami.»
«Non abbiamo nemmeno parlato di quello che è questa cosa.» ammise infine il diretto interessato, espirando profondamente; sembrava combattuto.
Daphne iniziò a prestare attenzione sinceramente, notando che Angharad non aveva in realtà mai smesso di farlo: Blaise, nel frattempo, ricominciava a parlare «Insomma... non sono proprio un romanticone...»
«No, sei tendenzialmente un puttano.» commentò Daphne con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, beccandosi le occhiatacce di tutti i presenti «Che c’è? Ho solo detto la verità!»
«Comunque. Non sono proprio una persona che tende a intrecciare relazioni. Anzi, normalmente mi stanco abbastanza in fretta. E non abbiamo ancora definito nulla, eppure lei rimane tranquillamente da me, almeno due volte a settimana.»
«E sei monogamo.» aggiunse Draco, annuendo.
«E sono monogamo.» ripeté Blaise, sbattendo lentamente le palpebre «Non lo concepisco nemmeno! Che ha la Weasley in più delle altre da farmi decidere di darle il doppione delle chiavi di casa? Di interessarmi a lei? Di chiederle della sua giornata, o anche solo di chiederle quando ritornerà? Insomma, non stiamo manco assieme
«Beh...» iniziò Angharad, cauta «Non avete ancora definito la relazione, e forse voi ne avete bisogno. Pensi di sapere cosa pensa Ginny a riguardo?»
Blaise scosse la testa, e sembrava davvero provato da quella discussione: probabilmente ci aveva già pensato a lungo da solo. Daphne era stupita: non credeva ci tenesse così tanto alla Piattola – avrebbe decisamente evitato di chiamarla così ad alta voce «Non ne ho la più pallida idea. Cioè, lei sembra presa, ma...»
«Ma non ne avete ancora parlato.»
«Ma mi piace.»
Draco e Blaise pronunciarono la fine della frase – almeno quella che sarebbe stata tale secondo loro – contemporaneamente. Poi, Blaise diede ragione a Draco «E sì, non ne abbiamo ancora parlato.»
«E parlatene.» rispose semplicemente il biondo, facendo spallucce «Tanto non penso che la Weasley sia una che non se ne frega niente di te. Inoltre penso che sia una monogama seriale: lo sapevi che con il suo ex-ragazzo ci stava da quando aveva circa diciassette anni?»
Il ringhio malcelato di Blaise – che era vagamente simile anche a un “Potter” – venne ignorato per via del suonare del citofono: perlomeno la conversazione sarebbe terminata subito dopo.
L’arrivo di Luna e Theo, in compagnia di Ginny, distolse tutti i presenti dagli argomenti appena trattati: l’attenzione di Blaise venne catturata dalla rossa, che occupò immediatamente il posto tra lui e il bracciolo del divano, mentre Daphne iniziò a guardare attentamente – e un po’ ossessivamente – i comportamenti di Theo e Luna. Voleva saperne di più.
Erano effettivamente molto complici, ma non sembravano essere poi così affettuosi. Certo, in qualche loro scambio di sguardi si era sentita un po’ di troppo – sembrava stessero parlando un linguaggio tutto loro solo con gli occhi – ma tutto sommato non sembravano proprio in atteggiamenti romantici. Certo, sul divanetto lì accanto erano seduti vicini, ma non significava nulla.
Ginny e Blaise, invece, erano completamente appiccicati: loro non si facevano problemi a dare adito a lamentele, avrebbero tranquillamente limonato lì davanti a tutti. Daphne scosse la testa, contrariata, e afferrò un cuscino dal divano per portarselo sotto al sedere: sperava davvero che la Granger arrivasse in fretta, voleva vedere quel telefilm.
Quando il campanello effettivamente suonò – senza che il citofono avesse fatto lo stesso – Daphne ringraziò Merlino e tutti gli altri maghi e streghe: la Granger aveva salutato tutti, lei compresa, occupando il piccolo spazio tra Draco e Angharad. Lei premette “play” e tirò un sospiro di sollievo: finalmente riusciva a iniziare “How I met your mother”.


Harry non sapeva davvero che fare. Essere alla Tana non era una cosa tanto strana, anzi, era la sua quotidianità. Ma lo era nel caso in cui Ron non lo contattava da giorni per poi uscirsene un venerdì non meglio specificato di Febbraio dichiarando che lui “doveva assolutamente essere presente” nel momento in cui Maggie avrebbe conosciuto la sua famiglia. Perché Harry era come un fratello per lui. Quindi non poteva mancare.
Ma tutto questo lasciava Harry molto perplesso: innanzi tutto, chi era Maggie? Era la cercatrice delle Holyhead Harpies che aveva fatto prendere una sbandata madornale al suo migliore amico, convincendolo a farsi lasciare da Hermione? Ecco, non poteva semplicemente essere assente, perché probabilmente avrebbe dovuto difendere Ron dalla madre, che non sarebbe stata per nulla felice di quella presentazione ufficiale. Ma in realtà avrebbe davvero preferito seguire Hermione, Luna e persino Ginny per vedersi con Draco Malfoy a casa di una loro amica piuttosto che stare quella sera alla Tana.
L’atmosfera a quella tavolata era già tesa, e non erano nemmeno arrivati tutti. Mancavano Bill e Fleur. E Harry voleva già scappare.
Molly Weasley lanciava sguardi omicidi al figlio – e alla sua fidanzata nuova, quando quella non le rivolgeva lo sguardo – mentre Arthur Weasley si guardava ansiosamente intorno. Percy sembrava paradossalmente indifferente, mentre George sembrava quasi divertito. D’altro canto, Ron era molto imbarazzato ma anche completamente inebetito – questo quando osservava Maggie, ovviamente – mentre la protagonista della serata cercava di ignorare alla bell’e meglio l’ostilità a lei diretta.
Anche lui avrebbe dovuto defilarsi con Ginny e usare come scusa il fatto che “avrebbe dovuto sostenere Hermione in una serata così difficile e per questo non avrebbe potuto partecipare a quell’adorabile riunione familiare”.
«Allora, Harry, come va al dipartimento di sicurezza?» cercò di smorzare la tensione Arthur, lanciandogli un sorriso incoraggiante che era terribilmente simile a un’espressione impaurita.
«Tutto come al solito. Ma Ron non vi ha detto che—
«A quanto pare Ron ha tante notizie nuove. Vero, Ron?» il tono carezzevole di Molly Weasley aveva qualcosa di sinistro «Harry ancora non lo sa, nevvero?»
«Cosa dovrei sapere?...»
«Uhm, ehm, volevo aspettare anche Bill e Fleur per dirvelo, però ecco... ho deciso di lasciare il Ministero. Visto che George sta aprendo un altro negozio dei Tiri Vispi, aiuterò lui. Ecco.»
La bomba che aveva lanciato colpì direttamente George, il cui sguardo ora non era più tanto divertito quanto desolato.
E poi qualcuno bussò alla porta, e Bill e Fleur sarebbero di lì a poco stati riconosciuti come salvatori di quella serata terribile.


«Dai, Ted, prendi quel diavolo di corno francese blu!*» Daphne lanciò una manciata di popcorn allo schermo della televisione, incitando inutilmente il protagonista, per il divertimento di tutti.
«Daph, lo sai che non ti può sentire, vero?» Theo era divertito: era raro vedere Daphne tanto appassionata a una serie TV.
«E comunque lo sta già facendo.» aggiunse Luna, indicando il ragazzo, sullo schermo, che stava correndo fuori dal locale.
«Li raccoglierai tu da terra e ripulirai tu lo schermo.» dichiarò funerea Angharad, il cui tono di voce più che una lamentela particolarmente mesta sembrava un ordine.
«Che poi, no, chi diavolo fa una cosa così romantica al primo appuntamento?!» si ribellava Blaise, indicando la televisione.
«Ted Mosby lo fa.» Daphne gli lanciò un’occhiataccia, ritornando a rivolgere l’attenzione allo schermo davanti a lei.
«No, la domanda esatta è: chi diavolo si sogna di dire al primo appuntamento “mi sono innamorato di te”? Insomma, sei a un passo dal quagliare e te ne esci così!» aggiunse Ginny, scuotendo la testa.
«Oh, Blaise, tu e Ginny siete proprio fatti per stare insieme. Siete entrambi romantici quanto una lavanda gastrica.» commentò piatta Daphne, facendo arrossire entrambi i diretti interessati riuscendo così a zittirli, mentre gli altri presenti non poterono trattenere una risatina.
Angharad sentì un movimento alla sua sinistra: senza farsi notare lanciò un’occhiata oltre la sua spalla, notando il braccio di Draco sulla spalliera del divano. Si era allungato ulteriormente e adesso stringeva – senza però effettivamente stringerla – Hermione in un abbraccio, che si era spostata leggermente a sinistra, andandogli – involontariamente? – incontro.
La padrona di casa allora sogghignò, soddisfatta, e lasciò partire il secondo episodio.





*succede nel primo episodio della prima stagione di How I Met Your Mother, che, per inciso, vi consiglio ardentemente.

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Capitolo 16
*** 15. Cosmic Love ***


Buon pomeriggio! Sono andate bene le feste? Avete mangiato fino a fare schifo? (Io sì!) Ebbene, nuovo capitolo. Decisamente importante. Spero vi piaccia - la canzone è fondamentale. Buona lettura!









 
Then I heard your heart beating, you were in the darkness too
So I stayed in the darkness with you.

 
Luna adorava le passeggiate che faceva con Theo: erano istruttive – per entrambe le parti: lui conosceva davvero bene Londra, e aveva una notevole conoscenza anche delle creature magiche, ma nonostante questo non superava la sua – piacevoli e rilassanti. Erano arrivati a farne tre a settimana, e nei giorni in cui non erano possibili ne sentiva la mancanza.
Ovviamente non si incontravano solo per passeggiare, bevevano anche tanto tè e succo di zucca: per via delle passeggiate lui aveva anche diminuito la frequenza del jogging che solitamente faceva con regolarità, e questo la compiaceva segretamente, sebbene desse adito anche ad alcuni suoi turbamenti.
«Cosa pensi?»
Lei diceva sempre quello che pensava e non aveva problemi ad ammetterlo sinceramente, ma proprio perché Theo era così simile a lei, aveva un po’ di difficoltà: non ne aveva mai avuta con nessuno. Eppure era facilissimo dirgli tutto, ma aveva qualche riserva a confessare determinate cose: come quello che stava pensando in quel momento.
Così tacque, e Theo si fermò a osservarla: non disse nulla, si limitò a cercare di comprenderla con uno sguardo; erano entrambi in abbigliamento sportivo, e Luna sembrava stesse davvero pensando intensamente a qualcosa. Poi alzò lo sguardo da terra e gli sorrise «Ti devo portare in un posto.»
«Fai strada.» indicò il marciapiede davanti a loro, ma non si aspettava lo scatto fulmineo che aveva appena avuto la ragazza: dovette iniziare a correre per starle al passo.
Non avrebbe chiesto altro, sembrava qualcosa di molto importante per lei: avevano appena passato Wigmore Hall e lei si stava dirigendo verso nord. Eppure avevano visitato Regent’s Park appena due giorni prima...
La seguì nonostante tutto, e arrivarono in pochi minuti all’entrata di Baker Street: lì Luna iniziò a rallentare, continuando a dirigersi verso nord, seguendo il lago. C’erano ancora delle persone, tante, soprattutto considerate le condizioni meteorologiche impietose di quel giorno.
Poi si appiattì dietro un albero, il petto scosso da un respiro agitato «Devi vedere una cosa.» e gli afferrò una mano, mentre con l’altra prendeva la bacchetta.
Ciò che sentì immediatamente dopo fu una sorta di risucchio che lo allontanava da terra e la terribile sensazione dell’assenza di terreno sotto di lui: si materializzarono qualche secondo dopo in mezzo a una folta coltre di alberi. Udiva il rumore dell’acqua lì vicino, e in lontananza intravedeva un paesaggio conosciuto ma da una prospettiva completamente diversa: erano a Regent’s Park, ma su uno degli isolotti al centro del lago. Quelli fitti di vegetazione sui quali non si arrivava tramite ponticelli, perché non ce n’erano: guardò Luna, stupito.
Lei si stava mordendo il labbro inferiore, visibilmente nervosa: «Quello che sto per mostrarti non l’ha visto nessun altro. Non l’ho ancora nemmeno dichiarato al Ministero.»
Theodore era perplesso, ma lasciò che continuasse «È che l’ho trovato quand’era ferito... e non volevo che lo analizzassero... e lui s’è fidato immediatamente di me... allora ho fatto un Repello Babbanum e altri incantesimi protettivi sull’isoletta...»
Non l’aveva mai vista così in ansia. Non riusciva a capire se ciò dipendesse dall’aver nascosto qualcuno o dalla dichiarazione del misfatto che stava facendo a lui.
«Okay... sii rispettoso. Non si fa avvicinare da nessuno, anche con me ci ha messo un po’.»
La seguì, addentrandosi insieme a lei nella vegetazione e solo poco dopo emise un rantolo sorpreso: un unicorno argentato – non ancora adulto, ma nemmeno un cucciolo – lo osservava con diffidenza, e non aveva intenzione di abbassare lo sguardo.
«Ho piantato qualcosa per lui, l’ho curato e gli ho reso l’isolotto più abitabile... ma prima o poi dovrò fare in modo di lasciarlo libero in un posto che non sia una metropoli affollata.»
Theo le lanciò un’occhiata come per dire che avrebbe potuto avvicinarlo, lui sarebbe rimasto lì senza dare fastidio: era rarissimo vedere un unicorno a quella distanza, soprattutto uno non ancora adulto.
Ma quella scosse impercettibilmente la testa e lo trascinò con sé, raggiungendo lentamente l’animale: il quale si lasciò accarezzare da lei, ma solo dopo qualche secondo.
E Theo aveva capito il significato di quella dichiarazione: qualcun altro avrebbe potuto sostenere che non era nulla, che era solo una creatura magica; ma non era così. Era un unicorno, della cui esistenza era a conoscenza solo Luna: e ora anche lui. Luna l’aveva scelto per rivelargli questo enorme segreto, quindi si fidava abbastanza di lui per farlo.
Questa realizzazione lo colpì in pieno, distogliendolo così tanto dal mondo intorno a sé che si rese conto solo dopo decine di secondi che l’unicorno di fronte a lui stava attendendo qualcosa: gli aveva dato il suo benestare, e ora poteva accarezzarlo.
E lo fece subito dopo, lasciando scorrere leggermente la mano sul muso della bestia, che parve apprezzare: o almeno, diede segno di accettare la presenza di Theo lì.
Quello che accadde successivamente non fu molto chiaro: Luna si stava prendendo cura dell’unicorno – si rivolgeva a lui chiamandolo “Nestor” – gli medicava una zampa, faceva alcuni incantesimi, lo coccolava. Poi gli riferì che sarebbero dovuti andare e che quindi avrebbe potuto salutarlo: e anche Nestor sembrava aspettarsi proprio qualcosa di simile a un saluto.
Theo passò la mano sul collo dell’unicorno, che gli rispose con un cenno compiaciuto e un nitrito: subito dopo percepì la familiare – e che aveva provato una decina di minuti prima – sensazione di risucchio e atterraggio successivo al suolo, e decise di sedersi su una panchina, scombussolato.
Luna lo seguì, titubante: unì le mani sul grembo e lo osservava tormentandosi il labbro inferiore «Allora?»
Iniziò a parlare solo dopo qualche istante: «Non posso davvero rispondere con qualcosa di altrettanto magico... quindi utilizzerò un metodo più babbano.»
E poi la baciò. E per Luna fu così improvviso che si ritrovò a serrare le palpebre mentre schiudeva le labbra, e non riusciva davvero a ritenere quello che stava accadendo meno magico dell’unicorno. Proprio per nulla.
«Non so, a me sembra abbastanza magico.» commentò semplicemente lei; allora Theo rise sotto i baffi e la osservò attentamente dalla posizione privilegiata che aveva in quel momento ottenuto: a pochi millimetri da lei, con la fronte contro la sua.


Draco aveva davvero bisogno di un consiglio maschile: e siccome Theo era quasi irrintracciabile in quei giorni, si sarebbe dovuto accontentare di Blaise. Non che fosse una cima in quanto a relazioni con esseri di sesso femminile, ma stava migliorando, almeno da qualche settimana a quella parte.
Certo, aveva trovato una donna molto simile a lui, specialmente per le cose importanti: entrambi evitavano il discorso in tutti i modi, generalmente usando il sesso, i film o mangiando. E lui e Theo ne erano al corrente perché Blaise se ne lamentava costantemente, perché nonostante le loro distrazioni fossero immensamente piacevoli aveva comunque bisogno di definire qualcosa.
E siccome l’aveva ascoltato a lungo, da bravo amico, quella sera sarebbe stato Blaise ad ascoltarlo: stava correndo in giro per Kensington e decise che prima gliel’avrebbe chiesto, meglio sarebbe stato.
Certo, non si sarebbe aspettato che ad aprire la porta di casa di Zabini fosse la Weasley – nonostante sapesse bene che praticamente quei due vivevano ormai insieme senza ammetterlo: «Ginny, buonasera. Blaise è presentabile?»
«Oh, ma se l’hai visto nudo cosa chiedi a fare?» rispose lei con un gesto nella mano, lasciandolo entrare per poi stringere meglio attorno a sé il maxi-cardigan di lana e fare un nodo per mantenerlo; dopo aver chiuso la porta decise di continuare col rispondere a Malfoy «È in cucina ed è vestito. Più o meno.»
«Perfetto, allora accompagnami perché ho bisogno anche del tuo punto di vista sulla faccenda.» il biondo si diresse con confidenza in cucina, seguito dalla rossa che lo osservava con un sopracciglio alzato «Faccenda?»
«Che faccenda?» chiese Blaise, distogliendo lo sguardo dalla padella di fronte a sé per osservare l’amico che si era appena palesato a casa sua in tuta, interrompendo quello che sarebbe potuto essere quella sera il discorso.
«Beh, ve la faccio breve...»
«Vuoi un tè?» chiese Ginny, iniziando a mettere l’acqua sul fuoco, mentre Draco occupava una poltroncina che era nell’angolo.
«Sì grazie.»
«Io sto facendo french toast per cena.»
«Ma non sono per la colazione?» chiese Draco, perplesso.
«Noi crediamo fermamente che il cibo della colazione sia il miglior cibo e quindi può essere mangiato a tutte le ore.» annuirono entrambi solennemente, quasi come se fossero una vecchia coppia ben oliata. Quando Blaise però rivolse un’occhiata a Draco si ritrovò davanti una faccia molto arrabbiata, con una bocca che mimava una frase molto chiara “Dovete parlarne!”.
E Zabini rispondeva in modo altrettanto silenzioso, ribattendo che era stato proprio lui a interrompere quella che sarebbe potuta essere la discussione.
«Di cosa devi parlarci?» chiese Ginny, voltandosi verso di lui per piazzare tre tazze sul tavolo e per prendere le bustine di tè da una credenza: si muoveva lì come se conoscesse il luogo di ogni singola cosa necessaria.
«Oh, beh... nell’ultima riunione mi hanno detto che a metà marzo, tra circa una settimana e mezzo, dovrei visitare il quartiere generale della Merrill a New York per alcune riunioni...»
«Ed è qualcosa di inusuale per il vostro lavoro?» chiese Ginny con perplessità.
«Per nulla.» le rispose Blaise, voltandosi a guardare l’amico «E quindi, Dra’?»
«Vorrei portare Hermione a New York. Penso le potrebbe fare bene, con la rottura e tutto.» dichiarò il biondo, notando lo strano luccichio quasi malefico negli occhi di Ginny Weasley e lo shock dell’amico, che rischiò di ustionarsi seriamente toccando direttamente uno dei due toast: «E pensi che questo sia un comportamento molto chiaro e che definisce in modo perfetto la vostra amicizia, eh?»
«Oh, shhh, Blaise.» lo zittì Ginny, strofinando le mani tra loro «Penso proprio che le potrebbe piacere.»
«Beh, a chi non piacerebbe la Grande Mela...» controbatté Blaise con fare derisorio.
«No, intendo proprio un viaggio di questo tipo. Dopotutto tu, Draco, avrai da fare con le riunioni, no?»
«Non sempre, però sì, principalmente. E lei potrà girarsi la città come più preferisce, anche se la accompagnerò quando avrò qualche momento libero...»
«E ha decisamente bisogno di qualcosa del genere, dopo tutto quello che ha passato in questi mesi...» Ginny annuì come per rafforzare la sua tesi.
«Quindi tu pensi che potrebbe accettare?» Draco sembrava davvero confuso e pensieroso a riguardo.
«Oh sì, assolutamente. Magari non subito, ma le farebbe bene, e capirà dopo un po’ che deve assolutamente andare con te a New York.» continuò Ginny, beccandosi un’occhiataccia di Blaise.
«Tu non sei d’accordo, Blaise?»
«Non fraintendermi: sai che tifo per te e la Granger...» iniziò lui, ma Draco fece un gesto strano con la mano destra, come se volesse sminuire l’osservazione appena fatta dall’amico «Ma secondo me è molto confusionario. Insomma, non porti Angharad a New York, e lei è praticamente la tua migliore amica...»
Blaise travasò i french toast nei piatti e lì portò sulla tavola, cedendone uno a Ginny, che gli scoccò un’occhiataccia probabilmente in riferimento alla discussione che stavano affrontando in quel momento.
«Beh, ma Angharad non ne ha bisogno. Se fosse stata mollata ingiustamente e avesse bisogno di cambiare aria non esiterei a portarla a New York...»
Blaise aveva l’aria di qualcuno che avrebbe voluto controbattere a quell’affermazione completamente insensata, ma si stette zitto, poiché non avrebbe ottenuto nulla da un amico innamorato perso che non sapeva nemmeno di esserlo e dalla pseudo-fidanzata che parteggiava tanto quanto lui per l’unione del suddetto amico e della sua amica. Quindi iniziò a tagliare uno dei suoi due toast e si ficcò un pezzo in bocca, esasperato.
«Non pensi che le farebbe bene, Blaise?»
«No, Draco, penso che sarebbe ottimo per lei. E anche per te, visto che vai più a New York per lavoro che per svago, e ti farebbe bene passare qualche bel momento da turista in una delle migliori città del mondo.» quella risposta doveva aver calmato Draco e soddisfatto Ginny, che lo osservava compiaciuta.
«Oh beh, allora se concordate e pensate entrambi che le possa far bene e che potrebbe dire di sì posso anche chiederglielo... insomma, dovrebbe farle piacere, no?»
Di tutta risposta ricevette solo un cenno del capo convinto da parte di Ginny e sconsolato da parte di Blaise, ma lui non sembrò farci molto caso. Poi terminò metà tazza di tè tutto d’un fiato e si alzò dalla poltroncina «Grazie, piccioncini. Ora vi lascio alle vostre discussioni sicuramente importanti.» e sogghignò.
Aveva riacquistato il suo sarcasmo e il suo ghigno sempre presente, e per un millesimo di secondo entrambi si pentirono della scelta delle loro risposte: poi però Ginny ricordò anche il resto e decise di non controbattere. Dall’alto della sua conoscenza – di lui, di Hermione, della faccenda – sorrise e lo salutò «Buona serata, Malfoy!»
«Anche a voi!»
Blaise si alzò per accompagnarlo alla porta e dopo qualche secondo Ginny udì la porta aprirsi e  successivamente richiudersi. Il padrone di casa ricomparse sulla soglia della cucina poco dopo e la guardava torvamente: «Li incoraggi troppo spudoratamente.»
«Ne hanno bisogno.» si limitò a ribattere lei, facendo spallucce e iniziando a tagliuzzare la seconda metà dell’ultimo toast.
«E dovremmo davvero parlare.» dichiarò dopo qualche minuto il moro, guardando dritto nel piatto. Non ottenendo risposta, si decise ad alzare lo sguardo sulla ragazza, che aveva finito i suoi toast e ora lo osservava immobile sull’altra sedia. E nuda, con un ghigno stampato in volto: sapeva che l’altro sarebbe capitolato anche quella volta.
«Ti odio.» Blaise resistette solo per qualche secondo, poi la raggiunse immediatamente e la afferrò per la vita, mordendole giocosamente la spalla.
«Non abbastanza da farti rimanere al tuo posto però.»
«No, decisamente no.» la tirò su facilmente con un braccio, per poi passare l’altro sotto le ginocchia di Ginny e strapparle una risatina per via del solletico: aveva lasciato gli ultimi pezzi del toast e il tè a raffreddarsi in cucina.
Però il letto sembrava molto più comodo in quel momento. Sicuramente più morbido e piacevole, ma non tanto quanto il collo, il seno, il ventre, le cosce e la pelle lattea della ragazza che in quel momento era sotto di lui, bramandolo nello stesso modo in cui lui stesso la desiderava.

Voleva proporglielo subito: certo, una doccia dopo tutti quei chilometri era d’obbligo, ma subito dopo avrebbe portato delle offerte di pace – non aveva ancora deciso se passare dal cinese, dal thailandese o dall’italiano a prendere cibo d’asporto – a casa sua e gliel’avrebbe chiesto.
Draco camminava verso la stazione metro di Fulham Broadway, meditando principalmente su due cose: come proporle quella cosa di New York e che cibo prendere. Sarebbe sceso ad Aldgate East e sinceramente non ricordava che ristoranti d’asporto ci fossero tra quella stazione e casa sua.
Oh, ci avrebbe pensato appena sceso dalla metro: il come proporle New York era un argomento molto più spinoso.
Passò la Oyster Card sul lettore di uno dei tornelli e la rimise nella tasca del giubbotto, facendo ben attenzione che non fosse la stessa in cui c’erano portafogli e chiavi: poi infilò le mani nelle tasche e ricominciò a pensare, estraniandosi dal resto del mondo – che, effettivamente, in quel vagone era ben presente.
Anche lo stop dovuto alla stazione di Earl’s Court per cambiare treno gli aveva dato modo di riflettere, ma non abbastanza a lungo, perché quando udì la solita, inconfondibile voce che chiamava la fermata successiva – nonché la sua – si rese conto del tempo che era passato e del piano che non aveva ancora formulato.
Aveva camminato già per dieci minuti prima di rendersi conto che la soluzione migliore sarebbe stata la verità: le avrebbe detto chiaramente tutto, di come gli fosse venuta in mente quell’idea e il perché. Hermione era sicuramente una stakanovista, e aveva bisogno di una pausa, quindi le avrebbe fatto bene. Poi la sua attenzione venne rapita dal Wagamama di Spitalfields e anche la seconda questione era stata risolta.
Dopo venti minuti e pieno di sushi si diresse a Marlow House, ad Arnold Circus. E quando citofonò alla Granger era certo che lei non si sarebbe aspettata niente.
«Chi è?»
«Malfoy, e porto offerte di pace nella forma di cibo giapponese. Posso salire?»
Non udì risposta per qualche secondo, per poi percepire un risolino sommesso «Sali. Il sushi è sempre il benvenuto qui.»
E allora Draco spinse il portone e salì le scale, pronto a occupare l’ascensore e a spiegare molto semplicemente alla ragazza perché la scelta migliore sarebbe stata quella di seguirlo a New York per una settimana.



L'amore di Blaise e Ginny per il cibo della colazione è ovviamente stato ispirato da How I Met Your Mother xD

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Capitolo 17
*** 16. The Cave ***


Buongiorno! Come va? Siete ritornati alla vita di tutti giorni, senza parenti e senza troppo cibo ovunque? I capitoli iniziano a scarseggiare (sto appena scrivendo il 20 ç_ç spero di non dovervi fare aspettare troppo dopo)... buona lettura!








 
‘Cause I need freedom now
And I need to know how
To live my life as it’s meant to be

Era sbalordita. Lo era molto di più ora rispetto a quando gliel’aveva proposto. Anzi, durante quella bizzarra proposta, la sua mente aveva deciso di dare più spazio all’istinto e alla sua curiosità, e per quello aveva detto subito di sì. Ma ora ci pensava e ripensava e non era certa che quella fosse una grande idea.
Insomma, non aveva mai messo piede fuori dall’Europa. I suoi stessi genitori erano in Australia, spediti dall’altra parte del mondo, e lei non aveva mai nemmeno messo il naso fuori dal suo continente, a stento dalla sua isola. E ora Malfoy le proponeva New York. Ed era ovvio che la parte di sé curiosa e impavida dicesse subito di sì, ma quella cosciente e razionale... beh, ora si stava facendo sentire, e c’erano tanti motivi per disdire quei sei giorni dall’altra parte dell’Atlantico.
In primis, aveva davvero paura che danneggiasse il suo lavoro: non solo la ricerca di per sé – insomma, non aveva mai messo in conto di avvicinarsi così tanto a Draco Malfoy – ma tutto quello che voleva raggiungere curandolo. Stavano passando troppo facilmente al diletto, e lo stava facendo lei stessa, dimenticandosi spesso del lavoro nel tempo libero, e non era da lei.
Inoltre non si sarebbe mai aspettata una situazione così intima: Blaise e Ginny che non definivano un beneamato cavolo, Luna e Theo che avevano qualcosa di inspiegabilmente privato e Daphne Greengrass che era arrivata ad accettarla più che facilmente. E poi, beh, Draco Malfoy che voleva portarla a New York, e che le presentava quell’opzione come se lei non avesse molta scelta, visto che era la cosa da fare più giusta in modo assoluto.
Ne era un tantino sopraffatta: aveva bisogno di un tè.
E per l’ennesima volta, quella domenica si alzò dal divano non avendo concluso nulla con la ricerca dei casi simili, e si era trovata ad avere ben troppi pensieri riguardo New York. E non è che ci potesse fare molto a riguardo: insomma, il volo era due giorni dopo.
Invece che pensare a tutte quelle cose avrebbe dovuto iniziare a preparare la valigia, avvisare il Ministero e il San Mungo, e invece era in compagnia di tutte quelle paturnie... e di Nix. Oddio, a chi lo lasciava Nix?
Appellò la bacchetta e poi con quella appellò il cellulare, rendendosi conto della proprietaria del numero di telefono appena digitato solo dopo aver già fatto partire la chiamata: «Herm?»
«Angharad.»
«Eh sì, m’hai chiamata tu. Che c’è, hai finito la sfilza di libri?»
«Sì. No – cioè, non ho chiamato per quello.»
«Perfetto, allora passo a prenderli. Sono a Dalston con la mia migliore amica e non mi pesa venire a prenderli. Cosa mi dovevi chiedere?»
«Sai che Draco mi ha chiesto di andare con lui a New York, vero?» non riusciva proprio a sganciare la bomba meno direttamente, eh?
«Sì, ce l’ha detto.»
«Ecco... io non sono molto sicura, ma... ecco... se dovessi andare, Nix rimarrebbe solo.»
«Ah, non preoccuparti! Portamelo lunedì sera e ci abitueremo. Sono più che certa che passeremo sei fantastici giorni insieme!»
«Oh... okay. Grazie!»
«Ma figurati. Piuttosto, come l’hai presa la proposta?»
«Ehm—
«Hai accettato subito e ora ti stai facendo troppi problemi, vero?»
«Sì.» non voleva ammetterlo a nessuno, ma Angharad la capiva davvero bene, ed era inutile negarglielo: lo sapeva meglio di lei.
«Ah, non preoccuparti. Ti farà bene stare un po’ lontana da Londra, divertirti ed esplorare la Grande Mela. Sarai sia da sola che con Draco: e pensala così, potrai conoscerlo meglio. Potrebbe aiutarti anche per la ricerca, per quando sarai tornata a Londra.»
«Sì, hai ragione. Però, ecco... mi sembra come se questa cosa si stia sempre più allontanando dal lavoro e avvicinando a qualcos’altro.»
«E sarebbe negativo?»
«Sinceramente? Non lo so.» rispose Hermione, sobbalzando al suono del citofono e rendendosi subito conto dell’acqua che bolliva: spense la fiamma e si diresse al citofono, mentre Angharad riprendeva parola «Pensaci. Ma comunque, di andare ci andrai: Draco ha già comprato i biglietti per te e ha aggiornato la sua prenotazione a un certo The Pearl Hotel di Times Square.»
«Cosa? Pearl...?»
«Ci vediamo tra un’oretta, passo appena posso! Buona serata con Ginny!»
E dopo due secondi udì il familiare suono che indicava la fine della chiamata, e si rese conto che aveva aperto già la porta di casa ma non aveva nemmeno controllato chi fosse al citofono. Aveva aperto e basta. Ma come faceva a sapere Angharad che era Ginny? E soprattutto, era davvero Ginny?
Dopo una ventina di secondi vide le porte dell’ascensore aprirsi per farne uscire Ginny, Luna e Harry – avrebbe dovuto discuterne in merito con Ginny, sicuramente – che si dirigevano, gioiosi e sicuri, alla sua porta.
«Cos’è... questo?»
«Una festa di “Buon viaggio”?» rispose Harry, porgendole una bottiglia di vino e superandola bellamente per entrare e andare a salutare Nix, il quale pretendeva quella dovuta educazione anche dagli altri ospiti.
«Ma starò via solo sei giorni, e penso che mi vedrete anche domani...»
«Sì, noi sì probabilmente.» Luna indicò lei e Ginny, mentre quest’ultima sbuffava via una ciocca di capelli rossi che le era finita sulla fronte «E vedi di trasformare questa serata, che ho battibeccato con Blaise per venirci.»
«Scusami?» Hermione sgranò gli occhi e chiuse la porta: ma aveva ben altre idee in mente su quel presunto litigio tra l’amica e l’ex-Serpeverde.
«Beh sì, insomma, è presente anche il mio ex-fidanzato...»
«Non è per quello che Blaise è geloso e sul piede di guerra, Gin.» ribatté Hermione, mentre Luna annuiva impercettibilmente «Per nulla, Ginny.»
«Fate come se qui io non ci fossi, eh!» esclamò Harry, giocando con Nix che, proprio in quel momento, decise di conferirgli il sommo onore di fungergli da scala: si arrampicò lungo il suo braccio, fino alla spalla e poi sulla sua testa; aveva, fino alla fine, lasciato parecchi graffi nella pelle del salvatore del Mondo Magico.
«Sì, insomma, so anche io che possa dipendere dal discorso non ancora intrapreso...»
«No, Gin, non dal discorso non intrapreso: dal discorso che tu stessa hai evitato più e più volte nei modi più disparati!» la rimbeccò Hermione, scuotendo la testa.
«Beh, non voglio affrontarlo ora!»
«Ma non lamentarti se poi lui diventa inspiegabilmente geloso di Harry!...»
«Ah, chi se ne frega delle loro osservazioni, quando un adorabile gatto mi ha appena graffiato tutto il braccio ma ora è accoccolato sulla mia testa e fa le fusa...» non seppero se Harry stesse parlando con se stesso o con Nix, però smisero di parlare dell’argomento Blaise.
«E comunque, ancora non capisco il perché di questo ritrovamento improvviso...»
«Ah, sta’ zitta, Herm. È una cosa importante, qualcuno ti ha convinto a staccarti dal lavoro per ben sei giorni di seguito!»
«Quello che Ginny sta cercando di dire, ma per mancanza di tatto non le riesce bene» spiegò Harry, dedicandole la sua attenzione «È che sono almeno cinque anni che non prendi giorni di vacanza. Quindi è una faccenda abbastanza importante, Hermione. E comunque, abbiamo bisogno di un motivo per piazzarci da te a bere vino e a mangiare pizza?»
«No, per nulla. Ah, tra un po’ passa Angharad che le devo ridare dei libri...» avvisò Hermione, andando a prendere i menù delle pizzerie d’asporto vicine per lasciarli cadere sul tavolino di fronte a loro.
«Ah, prima che me lo dimentichi: Herm, ho scoperto che a Weston, in Connecticut, c’è la più grande banca dati in merito ai danni fisici e psicologici causati da anatemi e pozioni del Mondo Magico. So che è improbabile, considerato che l’assalitore è probabilmente nato e cresciuto qui in Regno Unito, ma...»
«Tanto vale provare, visto che sto lì vicino. Va bene, darò un’occhiata e farò in modo di vedere se potrò avere accesso alle loro ricerche anche da qui.»
«Basta lavoro. Ho fame e voglio scegliere la pizza.» decretò fermamente Luna, stupendo i presenti e zittendoli di conseguenza: ma in realtà anche loro stessi segretamente concordavano con lei, e volevano semplicemente decidere cosa gettare nello stomaco per quella sera.

Si erano ritrovati da Blaise, il quale era in visibile bisogno di supporto morale: per una volta erano solo loro, gli ex-Serpeverde – anche se questo Draco non lo sapeva – visto che Angharad era impegnata. Era raro che riuscissero a vedersi solo loro quattro, come i vecchi tempi. Quindi era un momento prezioso, anche se Blaise non dava cenno di smetterla con i piagnucolii che produceva mentre era avviluppato in una coperta sul divano.
«Sembri un burrito, lo sai?» proclamò Daphne, con le gambe incrociate dal tappeto: amava stare seduta a terra nelle case degli altri. Anche nella sua in realtà.
«Odio Potter. Quando si trova una fidanzata?»
«Ah, come sei esagerato. Lo sai che Ginevra non perde più tempo appresso a lui...» Draco cercava di evitare in tutti i modi i movimenti convulsi dei piedi di Blaise, che sembravano avere vita propria, mentre Theo si limitava ad annuire e a portare nuovamente la mano nella coppa di patatine fritte che si trovava a metà tra lui e Daphne.
«Sì... peròòò...» Blaise Zabini non sembrava molto convinto. Al che Daphne decise di prendere l’iniziativa e lanciargli una manciata di patatine: «Smettila di lamentarti.»
«Di grazia, mi dici come l’olio su tutte le superfici a due metri da te dovrebbe convincermi a farmi smettere?» ribatté il moro, guardandola trucemente.
«Non lo so, volevo lanciarti qualcosa. Mi sembrava eccessivo scegliere qualcosa di tanto pesante quanto questa roba deforme.» indicò un soprammobile blu elettrico posato su un ripiano della parete attrezzata dov’era sistemata la televisione e fece spallucce; poi si sporse verso il divano per avvicinare a lei la coppa delle patatine, che Theo aveva deciso di fare sua, senza condividerla con nessun altro.
«Nott, perché cerchi in tutti i modi di ficcarti più patatine possibili in bocca?» commentò argutamente Daphne, privandolo della coppa e piazzandola dove si incrociavano le sue caviglie «Cosa stai nascondendo?»
Draco, che nel frattempo stava spiegando ripetutamente a Blaise che non avrebbe potuto continuare così, che avrebbe dovuto parlare con Ginny, pur non essendo generalmente lui quello che amava far partire le conversazioni, si fermò all’istante: prese a osservare Theo, che aveva effettivamente un atteggiamento troppo sulla difensiva.
«Daph ha ragione. Cosa nascondi?»
Blaise ringraziò mentalmente la riluttanza di Theo a incontrare lo sguardo degli amici per più di dieci secondi, ma subito dopo lo maledisse: non gli dispiaceva quell’attenzione tutta per lui. Però era vero: perché diavolo Theo cercava di non parlare?
Non aveva effettivamente aperto parola da quando era arrivato, se non per salutare o per convenzioni del genere.
«Nott, sputa il rospo!» lo esortò – come al solito con molto tatto e simpatia – Daphne, lanciando delle patatine anche a lui.
«Smettila col lancio del cibo, Daph!» la riprese Blaise, e la ragazza gli rivolse un’occhiataccia, per poi tramutarla in una fredda occhiata di superiorità.
«Sto con Luna. Cioè, ci frequentiamo...»
«Beh, che passavi tutto il tempo che non passavi con noi con lei lo sapevamo già...» iniziò Daphne, alzando le sopracciglia, imperturbata.
«Non platonicamente. Ci frequentiamo non platonicamente.» ammise l’altro, guardando dritto al centro del tappeto.
«Oh.» Draco riuscì a emettere solo quel suono: in realtà se lo aspettava, li aveva osservati più volte e aveva notato la loro complicità... però da lì ad ammettere davanti ai suoi amici di starsi frequentando con lei ce n’era di differenza.
«Oh beh, almeno adesso tutto quel tempo che passate insieme ha senso.» dichiarò Daphne, facendo spallucce e tenendosi stretta la coppa delle patatine: Theo non aveva più necessità di fregargliene, ora.
«Vedi? Vedi? Persino loro hanno definito la loro relazione! E sono dei tipi un po’ strani...» Blaise si era seduto e aveva preso a scuotere Draco che, imperturbabile, si limitava a guardare il vuoto seguendo i movimenti delle mani dell’amico.
«Grazie, Blaise!» ribatté Theo, alzando un sopracciglio nella sua direzione.
«Beh, non ha tutti i torti.» commentò Daphne, dando manforte a Zabini: che però aveva già smesso di dare attenzioni a loro, concentrandole tutte sul povero Draco, che si ritrovava scosso e interrogato dalle interminabili domande di quello che in quel momento credeva di essere l’eroe tragico e romantico della loro combriccola.

Harry, Luna e Ginny avevano appena lasciato casa sua assieme ad Angharad e alla sua migliore amica, che alla fine si era unita a loro, dopo che la gallese aveva passato una buona mezz’ora da Hermione lasciandola nel portone a non aver nulla di meglio da fare se non controllare il suo telefono – cosa che l’aveva oltremodo seccata, dopo trenta minuti.
Così la combriccola di quella serata si era inaspettatamente allargata, come spesso accadeva da diverse settimane a quella parte: in un modo o nell’altro, la presenza di Draco nella sua vita l’aveva portata alla conoscenza di molte altre persone nuove, tutte piacevoli – anche se aveva, ovviamente, le sue preferenze.
E averlo realizzato aveva portato alla luce un’altra cosa: per quanto Draco Malfoy fosse stato ben più di una spina nel fianco nel corso della sua pre-adolescenza e adolescenza, adesso era molto simile a una manna dal cielo. Aveva portato indirettamente nuove amicizie, nuove esperienze nella sua stessa città, nuovi punti di vista: e voleva portarla a New York. Aveva l’opportunità di attraversare l’Atlantico e vedere una delle città che aveva da sempre desiderato visitare. Scosse la testa, come a volersi liberare di qualcosa che l’aveva tediata per troppo tempo, e si diresse in camera: aprì l’armadio e si mise sulle punte, per afferrare due valigie e lasciarle a terra.
Aveva anche sprecato troppo tempo nella sua indecisione, doveva prepararsi adeguatamente a quell’avventura!

 

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Capitolo 18
*** 17. Nothing's Changed ***


Buongiorno! Come va? Questo capitolo è una bomba, sappiatelo. Neanche so come ho fatto a metterci tante cose insieme XD E ascoltate la canzone che dà il titolo al capitolo! Buona lettura!









 

 

Sometimes words don’t say enough,
Sometimes silence says too much,
Too close for comfort but too far to touch,
Nothing’s changed.

Non si poteva dire che facesse caldo, ma le temperature erano leggermente salite: quindi le loro passeggiate non potevano che continuare. Certo, considerata la nuova natura della loro relazione avevano iniziato a passare molto tempo a casa, sia dell’uno che dell’altra, e il caldo di una dimora era sicuramente molto apprezzato. Ma non avevano dimenticato le loro vecchie abitudini e, dopo esser passata a prenderlo da lavoro, quel pomeriggio avevano deciso che sarebbero tornati dalla loro parte della città a piedi. Nei loro cappottoni e mano nella mano.
«Come pensi stia andando a New York tra Draco e Hermione?»
«Non mi piace la tua domanda a trabocchetto.» commentò Theo, lasciando la mano di Luna solo per darle un buffetto sulla guancia rotonda «So che stai cercando di farmi ammettere qualcosa di non detto.»
«Non ho davvero bisogno che tu lo ammetta, in realtà penso sia abbastanza chiaro più o meno a tutti, anche se è qualcosa di non detto.» la sicurezza che Luna aveva era solo più chiara da quando erano insieme: Theo era più che certo che fosse qualcosa che era sempre stato presente in lei, ma si era manifestato più chiaramente solo nel momento in cui c’era qualcosa di più peculiare e fragile da difendere; dopotutto la loro unione non era contrastata, ma nemmeno del tutto compresa. Ed era qualcosa che entrambi avrebbero difeso con le unghie e con i denti, ma aveva come il sentore che lei l’avrebbe difesa con molto più ardore: non perché lui ci tenesse di meno, ma perché lei sembrava molto più limpida nel non avere problemi ad ammetterlo.
Theo non si vergognava di lei: però conosceva i suoi amici e sapeva cosa avevano pensato di lei per lungo tempo, almeno fino a quando erano a Hogwarts. Lui, in realtà, anche a quel tempo ne era affascinato: era una persona così peculiare, intelligente e interessante, ma anche empatica. Avevano già dei punti in comune, ma avrebbe potuto imparare tanto da lei. E aveva in realtà un po’ paura che Blaise e Daphne potessero essere un po’ troppo critici riguardo alla loro relazione: e gli dava fastidio, per lui contava il loro parere ma voleva anche che loro si accorgessero di quanto Luna fosse fantastica. E poi proprio Blaise avrebbe dovuto capirlo: lui era cotto a puntino della Weasley, forse anche più di quanto la Weasley stessa lo fosse di lui.
«E allora perché me lo chiedi?»
«Voglio il tuo parere a riguardo.» rispose semplicemente Luna, piazzandosi davanti a lui sul Millenium Bridge e interrompendo la loro camminata. Poi unì le mani dietro la schiena e si avvicinò al ragazzo con un sorriso furbetto.
Theo le baciò la fredda punta del naso, che era ancora arricciata in quell’espressione monella, e scosse la testa: «Non lo so. Potrebbe accadere qualcosa, visto che sono entrambi all’esterno della loro comfort zone. E Hermione lo sa, Draco non penso se ne sia reso conto... ma nulla è certo. Potrebbero anche essere lentissimi e rendersi conto del fatto che sono palesemente interessati l’uno all’altra in ritardo. Insomma, Draco ha continuato a ripetere per giorni “Sì, sì, le potrebbe proprio far bene New York” come se l’unico motivo di quella proposta fosse il fatto che lei ne avesse bisogno e non il suo inconscio desiderio a volerla lì con lui.»
Luna gli sorrise radiosa dopo qualche secondo, allontanandosi di qualche centimetro: «Mi piace questa risposta.»
«Oh, ti piace?» Theo alzò un sopracciglio e scosse la testa, sorridendo.
«Sì, è sincera e ben ragionata. Ed è anche quello che penso io, anche se sono leggermente più fiduciosa.»
«Lo sei stata dall’inizio, in realtà.» commentò Theo, approfittando dello spazio che si era creato tra di loro per riprendere a camminare «C’è davvero tanto vento oggi su questo ponte, andiamo?»
«No.» gli rispose Luna, continuando a sorridergli e passando le braccia attorno alla sua vita «Devo prima darti qualcosa.»
«Adesso sono interessato.» il ghigno che era comparso sul suo viso aveva ricevuto come risposta un pizzicotto da parte della ragazza, ma subito dopo riuscì a identificare l’inconfondibile tessuto lanoso e pruriginoso del cappello di Luna a contatto con la sua fronte: non vedeva molto, se non i suoi occhi, e sentiva il suo sorriso sulle labbra. Poi le incontrò e tutto quello che percepiva era il loro abbraccio e il contatto con lei: l’afferrò per la vita, sollevandola un po’ da terra e provocando l’emissione di uno strano squittio da parte sua. Quando si separarono ritornò a percepire il vento, il freddo e la pesantezza dei loro cappotti.
«Ora possiamo andare.» dichiarò soddisfatta Luna, aprendo la sacca verde che trasportava con sé e tirando fuori degli inusuali occhiali rosa.
«Ce li hai ancora?» chiese Theo, curioso; la prese per mano, nonostante stringesse solo il guanto di lana della ragazza.
«Certo, cerco ancora nargilli, ogni tanto.» rispose quella, risistemandosi la sacca sulla spalla e litigando con il giaccone di un rosa improbabile che continuava a fargliela scivolare «Perché, li ricordi?» la realizzazione della precedente domanda del fidanzato la colse impreparata solo dopo qualche momento.
Theo sorrise e annuì: «Non possono esser dimenticati da nessuno, Luna.»
«Oh, beh, non mi sarei aspettata che un Serpeverde snob facesse attenzione a certe cose!» ribatté lei con un tono leggermente altezzoso, probabilmente in risposta alla sua frase in parte canzonatoria.
«Ah, sei superiore a queste risposte. Sai che siamo abbastanza percettivi, ma non lo mostriamo a meno che qualcosa o qualcuno non abbia catturato il nostro interesse.» e con quella risposta abbastanza soddisfacente, Luna strinse la mano del ragazzo e gli si avvicinò un po’ di più, continuando a camminare verso la riva sud.

Trovò Blaise in cucina, non appena fu entrata in casa di ritorno dagli allenamenti: era affaccendato con quella che sembrava una quiche di carote, zucchine, melanzane, brie e bacon. Sembrava davvero buona.
«Mmmh, non vedo l’ora che sia pronta.»
L’altro sobbalzò, rendendosi conto della sua presenza solo in quel momento: «Ginevra?»
«Sì. Aspettavi qualcun altro?» ribatté quella, alzando un sopracciglio e mollando il giaccone sulla poltrona nell’angolo.
«Oh, beh, di questi tempi non si sa. Non ho nemmeno alcuna idea in merito all’esclusività della nostra... cosa. Di questa cosa.» indicò loro due, e l’unica cosa che con cui si scontrò era lo sguardo truce della Weasley «Che c’è, ti da fastidio?»
«Cosa, stai cercando di dirmi che ti vedi con qualcun altra?»
«No, Ginny, dannazione, no!» lasciò cadere la teglia d’acciaio sul piano cottura, causando parecchio rumore e facendo sobbalzare la ragazza «Dobbiamo parlarne.»
«Blaise...» il tono era più cedevole che innervosito: Ginny non era una che era solita gettare la spugna. Se non voleva affrontare qualcosa avrebbe fatto di tutto per non farlo.
«Pensi davvero che possiamo continuare così, senza parlarne?» chiese lui, con entrambe le mani che stringevano il bancone e dando le spalle a Ginny: non udendo risposta si voltò a guardarla ma non trovò nessuno «Ginny?»
Uscì dalla cucina e si diresse in salotto, ma non c’era; dopo aver attraversato tutto il corridoio il terrore lo assalì: che fosse uscita di casa piuttosto che affrontare il discorso? Erano a quel livello?
Ma non appena entrò in camera la trovò seduta al bordo del letto con la testa piegata e le braccia contro il busto.
«Ginny?»
«Preferirei non parlarne.» la voce uscì molto più sottile del previsto, e per Blaise fu molto difficile costringersi a non fare nulla: se avesse seguito il suo istinto si sarebbe buttato ad abbracciarla.
«Perché?» anche il tono di lui era colmo di significati, ma traspariva soprattutto il bisogno di sapere perché lo chiudesse sempre fuori. Le si avvicinò e strinse la mano destra della ragazza nella sua, e gli sembrava piccola e pallidissima.
«Ginevra...» non era spazientito, ma il tono era fermo: non avrebbe accettato altre scuse o altri mezzucci per evitare il discorso. Ne dovevano parlare.
L’altra alzò lo sguardo e incontrò quello di lui, decidendo di non nascondere più le lacrime: erano bollenti e rabbiose, ma non erano tutte per Blaise.
«Gin...» le circondò le spalle con un braccio, nonostante la sua iniziale caparbia riluttanza: poi prese ad accarezzarle ritmicamente i capelli, e Ginny chiuse gli occhi.
«Ho paura di definire questo. Non voglio definirlo, perché stiamo tanto bene così e... ho paura che dichiarando quello che vogliamo e che ci aspettiamo poi crollerà tutto. Io non voglio perdere l’equilibrio che abbiamo...»
«Ginevra, tu avrai anche raggiunto un equilibrio, ma io non ci sto bene, ho bisogno di capire cosa—
«Perché? Perché diavolo ne hai bisogno?!» a quella distanza fin troppo vicina, la frase quasi urlata della rossa era troppo forte per essere recepita e processata senza sentimenti contrastanti.
«Perché sono innamorato di te, idiota! Non è solo sesso!» si era passato quasi rabbiosamente le mani tra i capelli e, considerata anche la loro cortezza, non era stato molto facile. E ora si era anche scoperto tanto, visto che Ginny non aveva fatto altro che dimostrarsi restia a definire quello che avevano e lui le aveva praticamente dichiarato i suoi sentimenti, senza dimenticarsi di insultarla, però.
Si sarebbe aspettato di tutto: rabbia, pugni, lacrime, risate – quest’ultima opzione non era la migliore, effettivamente – ma non l’assalto vero e proprio che venne attuato conseguentemente dalla ragazza.
Gli era addosso. Letteralmente, visto che aveva le ginocchia piantate sul letto attorno ai suoi fianchi ed era seduta sulle sue cosce, con le mani sulla sua nuca e su tutto quello che riuscivano ad afferrare su quella testa: gli stava quasi mangiando il viso in quel bacio passionale, e lui non sembrò subito pronto a rispondere a quello con dell’attenzione altrettanto focosa. In realtà era stupito: non riusciva a capire se fosse semplicemente stata una reazione istintiva, la sua, o calcolata perché non voleva ammettere cosa provava per lui. Però poi sentì chiaramente delle lacrime – che non erano sue – bagnargli la faccia e optò per la prima: doveva star trasmettendo davvero tanto in quel bacio.
Forse non era pronta a parlarne apertamente, e aveva scelto di trasmettere i suoi sentimenti fisicamente: rispose al bacio con meno foga rispetto alla ragazza, stava ancora cercando di razionalizzare il tutto.
Poi però ricordò la sua stessa dichiarazione, e ormai il danno era stato fatto: le aveva detto tutto. Ora lei sapeva. Quindi poteva anche abbandonarsi alla dichiarazione – con pochissime parole – di lei: l’afferrò per la vita e la spostò a sinistra, sovrastandola subito dopo con il suo corpo; Blaise aveva finalmente reagito al suo modo di comunicare cose scomode, cose che non avrebbe mai voluto ammettere a voce, non fino a quel momento almeno.

Faceva davvero freddo dall’altra parte dell’Atlantico, ed era diverso dal loro freddo: lo sentiva più umido, e probabilmente le temperature erano anche più basse. Non che a Londra fossero chissà quanto più alte, potevano essere sui nove, massimo dieci gradi. Ma aveva visto le previsioni meteorologiche non appena era atterrata a New York e, nonostante l’equinozio di primavera fosse a tre giorni di distanza, portavano neve. Quindi sì, il freddo era decisamente più impietoso.
Però amava la città, se n’era innamorata non appena ci aveva messo piede con il bus che li aveva portati all’hotel: quei palazzi altissimi, ma che erano perfettamente affiancati da una chiesa gotica o da un blocco di mattoni rossi alto massimo cinque piani— era semplicemente impeccabile.
Nonostante la vicinanza a uno dei simboli della città – nonché uno dei più inflazionati soggetti fotografici che portava nell’immaginario collettivo di chiunque nel mondo l’idea di New York City – si era ritrovata a non sopportarlo più di tanto: era a cinque isolati – che erano decisamente più grandi di quelli che venivano considerati “isolati” a Londra, ecco forse la differenza da parte dei compari oltre-oceano nella decisione di chiamarli blocchi più che isolati – da Times Square e non aveva ancora imparato ad amarla.
Anzi, ogniqualvolta avesse dovuto avvicinarsi alla metro per prenderla e dirigersi in qualsiasi altra parte di Manhattan, preferiva andare verso nord, raggiungendo Central Park, piuttosto che scendere a Times Square e cercare di limitare le bestemmie contro le infinite mandrie di persone che la attraversano ogni momento.
Aveva anche scoperto la gioia nelle passeggiate infinite: New York era davvero enorme. Se si considerava tutta la città, Londra era grande il doppio, però non si trovava mai ad attraversarla a piedi, complice la Tube, sempre pronta a salvarla in ogni momento e sempre pulita, organizzata ed elegante. Non aveva la stessa considerazione per la metro di New York: l’abbonamento settimanale aveva sicuramente un costo inferiore – complice il dollaro, al cui cambio era notevolmente più debole della sterlina – ed era più semplice e diretto utilizzarlo, dato che dopotutto era solo un pezzo di carta leggermente plastificata; però i treni erano più vecchi e brutti, le stazioni più grandi e mettevano molta più ansia, e la struttura organizzativa delle linee e dei treni molto più incasinata. C’era da dire, però, che funzionava anche di notte: e questo, a Londra, era semplicemente un’utopia.
Grazie alla vicinanza con il Museum of Modern Art, quella era stata la prima tappa dopo il suo arrivo. D’accordo, aveva fatto un giro in taxi con Draco, ma poi lui era stato impegnato con una cena di lavoro e lei era rimasta a osservare l’odiata Times Square da un tavolo vicino alla finestra del ristorante Bubba Gump – quello di Forrest Gump, e anche solo per quel riferimento se n’era innamorata – e poi era tornata in hotel. Ma il giorno dopo la sua prima tappa era stata il MoMA, e quel museo non l’aveva delusa: era rimasta incantata almeno per mezz’ora di fronte alla Notte Stellata di Van Gogh, ma quella non era l’unica opera d’arte che l’aveva conquistata. Dalle Ninfee di Monet – che erano giganti e un tripudio di colori, le avevano messo subito tranquillità – alla Persistenza della Memoria di Dalì – che se la sarebbe aspettata molto più grande – alle zuppe Campbell di Warhol, era estasiata. Avevano tante opere stupende nelle centinaia di musei e gallerie londinesi, ma questo museo – e anche il Met, che avrebbe voluto visitare al più presto – aveva alcuni dei quadri che aveva sempre desiderato vedere dal vivo.
Uscita dal museo era sopraffatta dalle emozioni, allora aveva deciso di passeggiare sulla Fifth Avenue: era arrivata fino a Central Park e aveva appena visitato – per la gioia dell’Hermione bambina – FAO Schwartz*, quando ricevette una chiamata di Draco.
«Pronto?»
«Granger, prendi un taxi e passa a prendermi, andiamo a pranzo insieme.»
«Che invito gentile, Malfoy!»
«Preferisci mangiare da sola su una panchina sperduta da qualche parte?»
«Non ho paura di mangiare da sola.» la indispettiva come talvolta i suoi inviti fossero molto simili a degli ordini malcelati: ma era anche più che certa che si vergognasse a fare un vero e proprio invito formale, almeno da quando si erano avvicinati così tanto. Perché un invito formale destabilizzava gli equilibri, e non era una cosa che le persone – Draco specialmente – amavano.
«Oh beh, se allora non vuoi assaggiare il migliore hamburger di New York fa nulla, io te l’ho proposto...»
«Non ho detto questo!» intervenne lei, maledicendosi per tutti i soldi che stava probabilmente spendendo a telefono con Malfoy.
«D’accordo, allora ci vediamo tra dieci minuti di fronte all’hotel. Au revoir
«Ma non so nemmeno se con questo traffico ci arrivo in dieci minut—Ah. Dannato Malfoy» aveva già chiuso la chiamata da un pezzo.
Non sapeva nemmeno come chiamare un taxi senza sembrare impedita: lì tutti ci riuscivano agevolmente, senza sforzo, e lei aveva già rischiato di esser presa sotto due volte  quando ci aveva provato quella mattina.
La sua terza prova, proprio accanto a una delle entrate di Central Park, non aveva mostrato molta più facilità: si era ritrovata a bloccare il familiare taxi giallo con entrambe le mani sul cofano motore. Il tassista non l’aveva guardata molto bene.
Arrivarono al Pearl solo un quarto d’ora dopo, per ritrovarsi di fronte un Draco dall’espressione sbruffoncella che dichiarava: “Sei in ritardo, cara!” e che si meritava l’occhiataccia truce di Hermione.
«Madison Square Park, grazie.» disse al tassista, che ricominciò a guidare nell’impossibile traffico newyorkese – non che quello londinese fosse effettivamente migliore.
«Smarcherai un altro monumento storico, Granger.»
«Non stiamo andando a mangiare il cosiddetto miglior hamburger di New York?» ribatté quella, alzando un sopracciglio: era davvero contenta che Draco fosse entrato in macchina, lei non avrebbe mai fatto tutta quella strada in taxi trovandosi a pagare tutti quei dollari, quando avrebbe potuto raggiungere qualsiasi posto in metro.
«Con uno dei migliori panorami che potrai mai ritrovarti di fronte mangiando un buon hamburger e pagandolo così poco, Granger.» aggiunse l’altro, con l’insopportabile aria da saputello per la quale avrebbe voluto prenderlo a schiaffi volentieri.
Poi si ricordò di tutte quelle volte – che lui per forza di cose aveva dimenticato – in cui lui doveva essersi sentito così, visto che lei era stata una saputella davvero insopportabile poco più di dieci anni prima, e si limitò a non controbattere: glielo doveva, almeno a New York. La conosceva meglio, quindi avrebbe potuto fare il saputello, gliel’avrebbe concesso.
E poi aveva ragione: quando arrivarono al ristorante all’aperto a Madison Square Park – Shake Shack – rimase a bocca aperta. Da un lato vedeva chiaramente il Flatiron building, mentre dall’altra parte c’era l’Empire State building. Ed erano in un parchetto, circondati da alberi ma anche da palazzi alti, e i tavoli erano all’aperto e tutto lo spiazzo era occupato, in alto, da lunghi fili di lucine, che da accese dovevano dare un effetto davvero magico al posto.**
Malfoy l’aveva mandata a prendere un tavolo e lei ne aveva occupato uno, guardandosi intorno per respirare il momento: avrebbe tirato fuori la macchina fotografica per fare qualche foto, era davvero tutto troppo spettacolare.
In realtà si era resa conto di come si fosse trasformata nella perfetta turista in meno di ventiquattrore: passava buona parte delle sue passeggiate con la macchina fotografica in mano, perché quei panorami mozzafiato non potevano non essere immortalati.
«È stupendo, eh?» Draco era tornato, con due cheeseburger, due porzioni di patatine fritte arricciate e quello che aveva l’aria di essere una sorta di milkshake.
Hermione annuì, guardandosi intorno un’ultima volta, prima di avvicinarsi un po’ di più al tavolo: «Allora, hanno ammesso la crisi?» sorrise beffarda.
«Non parlerò di lavoro, Granger. Piuttosto, cosa hai visto stamattina?»
Gli concesse anche quello: «Mi sono volontariamente persa nel MoMA, da FAO Schwartz, e ho curiosato in qualche negozio della Fifth.»
«Da brava turista.» commentò lui, addentando il suo cheeseburger e sospirando subito dopo: doveva dargliene conto, era davvero uno dei migliori hamburger che aveva mai mangiato in vita sua, forse proprio il migliore «Cosa pianifichi per il pomeriggio?»
«Non l’ho ancora deciso. Sono indecisa se spingermi fino a Battery Park o farmi un giro nella zona della NYU, Soho e poi spingermi fino a Greenwich Village, Little Italy e... insomma, quella zona lì***.»
«Ammettilo che vuoi vedere l’edificio di “Friends”!» la stava palesemente prendendo in giro e ci aveva evidentemente fatto segno: Hermione, nel suo cappello di lana e cappottone imbottito, era arrossita terribilmente.
«Beh, sì, è qualcosa che è nella mia lista delle cose da andare a vedere.» lo ammise quasi solennemente, come se non ci fosse nulla di ilare e ridicolo in quello che stava dichiarando.
Draco ghignò, annuì e poi riprese a mangiare: «Mi sto solo divertendo a provocarti.»
«Ah, l’ho notato!»
«E comunque voglio venire a vederlo anche io. Di tutte le volte che son venuto qui, Bedford Ave non l’ho ancora attraversata.»
«Okay, è un appuntamento.» dichiarò Hermione, sorridendo istintivamente subito dopo. Perché aveva sorriso? Era fastidioso, perché non ne conosceva la motivazione, e Draco sorrideva di conseguenza in quelle situazioni. Era già successo altre volte, e lei non si sentiva del tutto a suo agio.
«Piuttosto, dovresti prepararti a tornare in hotel. È prevista una bella nevicata.»
«Davvero? Per quando?»
«In realtà non lo so, le previsioni dicevano per le due, però ancora non vedo nulla... ci hanno consigliato di mangiare qualcosa allo Starbucks dell’hotel, o al massimo alla pizzeria lì vicino. Dovrebbe trattarsi di una nevicata corposa.»
«Ma è quasi primavera!» Hermione non si trattenne e mise il broncio: effettivamente faceva molto freddo per poter considerare quel tempo “da primavera”, però le date erano quelle.
Draco sorrise e scosse la testa, prendendo a mangiare le patatine e osservando la compagna di viaggio che si rintanava in un silenzio probabilmente dovuto alla sua ricerca di tepore all’interno del suo cappotto mentre finiva il cheeseburger e seguiva il suo esempio, iniziando a inzuppare le inusuali patatine arricciate nella crema al formaggio.
Solo dopo una decina di minuti si resero conto del qualcosa di bagnato che stava atterrando sulle loro mani, sulle scatole del cibo – che ormai erano vuote – e sui loro nasi: aveva iniziato a nevicare.
Draco e Hermione si guardarono negli occhi, stupiti: e ora?
Poi iniziarono a ridere istintivamente e liberamente, senza apparente motivo: la neve aumentava e le persone iniziavano a cercare riparo, ma loro erano ancora lì, a ridere stupidamente, seduti in mezzo al verde e al freddo.
Solo dopo qualche altro secondo agguantarono tutti gli scatoli per buttarli nel cestino più vicino, si afferrarono non premeditatamente per mano e corsero alla stazione di metropolitana più vicina.


*FAO Schwartz: negozio di giocattoli più grande al mondo che è sulla piazza di fronte al "negozio di vetro" più famoso della Apple;
**esiste davvero tutto quello che ho descritto. Ci sono andata di sera ed è stupendo ç_ç;
***NYU; università, tutto il resto è tra Midtown e downtown Manhattan.
Una mappa, per chi avesse bisogno di più chiarezza:


 

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Capitolo 19
*** 18. Sigh No More ***


Buongiorno! Come va? Gela come se ci fosse Elsa con il suo inverno perenne anche da voi? Alloraaa... ecco il secondo capitolo a New York, ed è Dramione-centrico. Anche da loro c'è la neve. Buona lettura!










 

Love; it will not betray you, dismay or enslave you, it will set you free
Be more like the man you were made to be.
There is a design, an alignment to cry of my heart to see,
The beauty of love as it was made to be.

Giovedì mattina venne svegliata dal bussare alla porta da parte di qualcuno: però il suono era più vicino, e la camera non era solo sua... Aprì gli occhi troppo velocemente, e non comprese la vista che le si parava davanti. Malfoy era pronto per uscire, ma non era addobbato come al suo solito. E stava portando ripetutamente il suo pugno sinistro contro il comodino che separava i loro letti.
«Che ci fai ancora qui?» Hermione sbadigliò vistosamente, coprendosi gli occhi con una mano e provocando involontariamente una risata in Draco, che le mise subito dopo davanti una tazza fumante di... qualcosa.
«Che roba è?»
«Caffè appena fatto. Su, muoviti!»
«Ma se ieri ha nevicato tutto il pomeriggio...» non era usuale una Hermione Granger così pigra, specialmente in vacanza, dove c’erano tante cose da scoprire. Ma era stata anche appena svegliata improvvisamente, quindi non aveva tutti i torti.
«Infatti andremo a fare pupazzi e angeli di neve a Central Park.» dichiarò soddisfatto il biondo, esibendo il suo migliore ghigno a trentadue denti «Se ci riusciamo. E se riesci a portare il tuo pesante deretano in bagno a prepararti.»
Il sorriso che era spontaneamente comparso sulle labbra di Hermione si trasformò in un’occhiataccia indirizzata a Malfoy: riusciva a fare deliziose premesse e gesti amorevoli, per poi distruggerli – volontariamente, probabilmente – in meno di dieci secondi.
Afferrò la tazza di caffè fumante e borbottò qualcosa: «Preferivo* il tè.»
«Ti ho difatti fatto il caffè per dispetto. E perché ne avevo voglia io.»
Hermione gli scoccò un’altra occhiata perplessa – e non proprio amichevole – per poi sedersi meglio sul letto, ancora nelle coperte, a sorseggiare il caffè «Com’è che non sei ancora andato in riunione?»
«Le hanno cancellate, per oggi. Dovevano arrivare degli speaker fondamentali al JFK stamane, ma ovviamente con questo tempaccio non è stato possibile.»
«Oh, ecco.» E la prima cosa che aveva pensato di fare era andare a esplorare Central Park con lei con la neve. E l’aveva pure svegliata. E nonostante avesse un pigiamone caldo e coprente addosso, si sentì improvvisamente troppo scoperta e arrossì, dando la colpa al caffè caldo e non ad altro.
«Granger, per quanto sia affascinante osservarti mentre sorseggi come un uccellino quel caffè, inizio a scendere. Provo a fare una chiamata transoceanica a quegli sconsiderati di Theo e Blaise, che mi ignorano.»
Hermione pensò immediatamente al fuso orario, corrucciandosi subito – e Draco la intercettò «Non preoccuparti, sono in pausa pranzo. Non mi sognerei mai di chiamare Blaise a lavoro...»
Il tono sarcastico era tutto fuorché subdolo. «A dopo, sbrigati!»
E con la stessa velocità con cui si era palesato davanti a lei non appena aveva aperto gli occhi, si chiuse dietro la porta lasciandola sola nella suite: Hermione tirò un sospiro di sollievo. Si rese conto solo allora che aveva trattenuto involontariamente il fiato fino a quel momento.

Quella nevicata programmata ma nonostante tutto non attesa le aveva scombussolato i piani, soprattutto per le conferenze che aveva fatto cancellare: stava seguendo Malfoy avviluppata nel suo cappottone e con il cappuccio alzato, senza dimenticarsi della sua sciarpa e senza preoccuparsi dell’idea che doveva star dando alle persone che la incontravano per i viali del più famoso parco newyorkese.
«Potremmo addirittura incontrare Marshall, e ti scambierebbe chiaramente per uno yeti nero.»
Hermione colse il riferimento a “How I Met Your Mother” e gli tirò una leggera spallata: «Bigfoot, semmai. E poi non voglio morire di freddo. Se dobbiamo fare l’angelo di neve senza il cappuccio mi bagnerei tutti i capelli!»
«...Ma se decideremo di fare prima un pupazzo di neve avrai la capacità motoria di un pezzo di legno.» continuò Draco, prendendola con nonchalance sotto braccio e conducendola lungo un ponticello arcuato bianco «Voglio portarti al lago e alla fontana di Bethesda, e poi magari vediamo dove andare a piazzarci per fare un bel pupazzo di neve. Magari Strawberry Fields?»
«Ho già sentito questo nome, non mi piace andare in posti affollati.» Hermione assottigliò lo sguardo, cercando di ricordare a cosa lo associasse.
«Sarebbe paradossale che tu non l’abbia mai sentito come nome... Strawberry Fields Forever! La canzone dei Beatles!» stavolta fu lui ad averle dato una leggera spallata «È il memoriale di John Lennon a Central Park. E sì, è anche abbastanza famoso per i picnic, ma dubito che verranno a fare picnic oggi...»
«Il mio angelo di neve sarà in un posto isolato, dove nessuno lo rovinerà.» continuò lei, alzando il naso al cielo: Draco scosse la testa e sorrise. Quella ragazza era davvero testarda.
Quando però arrivarono vicino al lago, la sua caparbia si trasformò gradualmente in completo stupore: osservava i soffitti di vetro dai colori sgargianti della terrazza di Bethesda e le arcate che conducevano a un piazzale rotondo dove c’era la fontana, e poi il lago. E lui osservava il viso di lei: era sempre un tripudio di emozioni quando scopriva cose nuove, e adorava notare ogni piccola sfumatura del suo stato d’animo di fronte a quello che lui stesso le mostrava.
Improvvisamente, però, quella iniziò a correre: ridacchiando contenta, si diresse alla sponda del lago, cercando di coglierlo tutto con un solo sguardo. Draco la raggiunse con calma e lasciò che facesse qualche foto, non aveva fretta; provava inesplicabilmente gioia a vederla così.
Si sedette su una delle panchine a ridosso del lago e la osservò da lontano, mentre si avvicinava alla fontana, poi alla terrazza, continuando a fare foto: aveva preso a osservare il lago e i palazzi che sembravano lontani anni luce sebbene ancora visibili oltre gli alberi, quando si sentì pizzicare il braccio. Nonostante gli strati di vestiti di entrambi, Hermione c’era riuscita ad attirare la sua attenzione in un modo così fastidioso: ma quando si voltò a guardarla vide solo il suo sorriso spensierato «Andiamo a fare un pupazzo di neve su quella collina.»
Stava indicando una distesa innevata prima del lago, oltre la terrazza e verso l’Upper West Side; lui la seguì, dopotutto non sembrava avere molta voce in capitolo.
Quando però la vide tirare fuori dalla tasca del cappotto delle cianfrusaglie colorate – tra cui una carota! – rimase perplesso «Granger, che roba è?»
«Beh, il pupazzo di neve dovrà pur avere un naso, degli occhi e una bocca, no?» rispose quella, iniziando ad ammassare neve in un punto, cercando di darvi una forma tonda.
Decise di non chiederle dove avesse trovato quella roba e iniziò a imitarla, inginocchiandosi a qualche metro da lei per formare una forma rotonda di neve leggermente più piccola di quella ragazza: e la levigava con le mani inguantate.
Venti minuti dopo avevano sistemato anche dei rametti a mo’ di braccia e di capelli per la loro creazione di neve, soddisfatti.
«Come lo chiamiamo?»
«Deve avere un nome per forza?»
Hermione annuì con fermezza.
«Okay... Snorre.»
L’espressione di Hermione ora era leggermente schifata: «Non proprio un nome tenero.»
«Allora sceglilo tu!» ribatté lui, scuotendo la testa. In realtà nemmeno sapeva come gli era venuto quel nome in mente, probabilmente l’aveva letto documentandosi su qualche mito norreno.
«Olaf. Ha un suono molto più dolce.» commentò l’altra, ricevendo da Draco solo un cenno affermativo non meglio specificato «Voglio una foto. Con noi e Olaf.»
«Non troveremo mai qualcuno che passa da qui per chiedergliela...»
«Spilungone, basta che giri la fotocamera e allunghi il braccio un po’ a sinistra e scatti! Ed è fatta! Ci dovremmo entrare tutti e tre.» lo riprese bonariamente lei, dimostrando qualche secondo dopo di aver ragione: avevano la foto con Olaf, erano entrambi sorridenti e ci erano riusciti senza chiedere a nessuno.
Hermione si alzò e allontanò un po’ dal pupazzo di neve, gli fece un’altra foto e poi continuò a salire su per la collina: perplesso, Draco la seguì. Quando la vide cadere credette in un suo malore, ma poi venne smentito: si era spaparanzata sul terreno a braccia e gambe allargate, e le stava muovendo senza criterio. Comprese e si fece un po’ più in là, imitandola: «Il mio angelo sarà sicuramente più realistico.»
«Sì, certo, come no.» ribatté l’altra con un tono di sfida.
«Ah sì?» poco dopo se lo ritrovò affianco, posato su un lato, intento a slargare le forme dell’angelo che lei stava ancora facendo «Malfoy!»
Quell’uomo la torturava con quei dispetti infantili. Certo, si pentì subito dopo di quell’esclamazione accorata che l’aveva fatta voltare a sinistra, facendola trovare a dieci centimetri dal bellimbusto dispettoso: non voleva davvero pensare alla parola “bellimbusto”, non era nemmeno solitamente nel suo vocabolario. Però, a quella distanza, con tutti i trascorsi e considerati i momenti prima, non riusciva proprio a trovare una descrizione più adatta... certo, il fatto che Malfoy le si stesse avvicinando impercettibilmente non la faceva ragionare molto meglio. Deglutì. Non trovava la parola adatta. E Malfoy si avvicinava. E lei non voleva minimamente allontanarsi.
Aveva anche serrato gli occhi, pronta ad affrontare l’irrimediabile conseguenza che adesso desiderava, ma l’unica cosa che sentì subito dopo fu un colpo molto forte sulla fronte.
Aprì gli occhi e si ritrovò Malfoy addosso, dolorante e con le braccia allungate alla sua destra. Non riuscì a trattenere la risata: le si sarebbe probabilmente formato un bernoccolo per colpa della caduta inopportuna dell’ex-Serpeverde, ma la sua espressione sconvolta era davvero esilarante. Non doveva esserselo aspettato neanche Draco, probabilmente aveva fatto leva su un piede cercando di sporgersi un po’ di più ed era finito di faccia a terra – o meglio, sopra Hermione. E ora lei non riusciva a smettere di ridere.
«Sei adorabile, Granger. La tua sensibilità è oltremodo magnanima.» il sarcasmo era chiaramente malcelato, ma lei si alzò e lo aiutò comunque a fare lo stesso: aveva ancora il sorriso – e la risatina – stampato in viso «Muoviti, Malfoy. Voglio passeggiare ancora un po’ in questo meraviglioso paesaggio invernale.»
Draco accettò l’aiuto di Hermione e le andò dietro: con la macchina fotografica in mano quella si lasciava guidare dai suoi stessi passi, che in quel momento seguivano il lago. Il sentiero era tortuoso e ripido in diversi punti, e ora era più che certo che la macchina fotografica l’avesse tirata fuori qualche minuto prima per usarla come barriera tra loro due: Hermione lo precedeva di qualche passo ed era in silenzio, concentrata sullo scattare foto. Draco non sapeva se, oltre alla separazione fittizia di cui ora necessitava la sua accompagnatrice, Hermione fosse davvero interessata a fotografare ogni singolo scoiattolo, cigno e papera che osservava, sulla superficie del lago o su quella dei sentieri ogni dieci metri.

Passarono tutta la giornata insieme, e stranamente quello non l’aveva sconvolta più di tanto: l’aveva portata a pranzo in un localino vegano – che a quanto pare era a prescindere molto buono, a detta di Draco – a Brooklyn**, avevano passeggiato tutto il pomeriggio in quella zona, avevano attraversato il ponte di Brooklyn con la neve – era sicuramente una vista inusuale, considerato il mese e le solite foto che si vedevano di quel ponte – e infine le aveva fatto fare un tour personalizzato del distretto finanziario. Tornarono a Midtown dopo cena, ma solo dopo aver fatto una capatina a Greenwich Village: voleva vedere a tutti i costi il tipico arco oltre il quale era visibile l’Empire State Building che era a Washington Square Park, e anche l’edificio di Friends. Malfoy ne aveva poi approfittato per portarla a cena in un altro posto lì vicino, sempre famoso per gli hamburger – e quando mai, a New York sembravano esserci solo quelli e gli hot dog – ma anche per avere una stella Michelin.
Quando finalmente rimise piede in camera, l’unica cosa che voleva fare era gettarsi sotto le coperte e non uscirne fino alla mattina dopo: ma non era possibile. C’era un’enorme scatola sul suo letto, e non ne capiva il perché. Draco non era lì con lei e non poteva nemmeno chiederlo a lui.
La grande scatola era anche accompagnata da una busta da lettere: il cartoncino era molto bello. Si decise ad aprirla, anche se non sapeva davvero cosa aspettarsi: riconobbe la grafia di Draco, e questo non era di buon auspicio. Avrebbe potuto dirglielo a voce, invece aveva scelto di comunicarglielo per messaggio. E poi cosa c’era in quella scatola enorme?
Granger, non arrabbiarti.” le premesse non erano buone “Lo sai che ti ho detto di non andare al Met? Ecco, è perché venerdì sera Merrill Lynch organizza una cosa lì. Siamo invitati. E hai bisogno di un vestito perché son più che certo che tu non ti sia portata nulla del genere da Londra, visto che non ti aspettavi serate di questo tipo. Non dare di matto, non è nulla di che. Non ci ho speso eccessivamente, non per i miei standard almeno, e lo stilista possiamo dire che è emergente. Più o meno. Davvero, non dare di matto. Spero ti piaccia, Draco x
Lo lesse tutto d’un fiato: non poteva crederci. Più che altro perché Malfoy, che di solito non era ripetitivo, aveva scritto due volte “Non dare di matto” – avrebbe sicuramente dato di matto.
Un po’ in ansia, mise il biglietto da parte e sollevò il coperchio della scatola: non riusciva a richiudere la bocca. Era anche peggio di quello che si sarebbe aspettata.




*: so che sarebbe stato più corretto "Avrei preferito il tè", ma, pur essendo Hermione Granger, si è appena svegliata. E non ama la luce e non è di molte parole: quindi la forma più breve e leggermente scorretta va bene.
**: si chiama MOB. Esiste davvero, se cercate "MOB Brooklyn New York" su google trovate anche i suoi piatti! Noi lo trovammo per caso a NY, una domenica all'ora del brunch/pranzo, eravamo davvero affamate ed era l'unica cosa non troppo sporca/poco costosa e non troppo costosa: veniva un po' ma era buona. E all'inizio manco c'eravamo accorte che non erano veri hamburger!

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Capitolo 20
*** 19. Never Let Me Go ***


Buongiorno! Siamo a New York - ancora per poco! Come va? Cosa ne pensate? Spero vi piacerà. Buona lettura!









 

And it’s over and I’m going under, but I’m not giving up! I’m just giving in...
Oh, slipping underneath... so cold, but so sweet.

«No, Ginny, non hai capito: io voglio sposare quel vestito!»
Hermione camminava avanti e indietro per la camera, ed era quello che aveva fatto più o meno per tutto il pomeriggio: era ancora sconvolta dagli avvenimenti della sera prima.
Inoltre, non sapeva quando e dove si sarebbe dovuta incontrare con Draco: lui era praticamente sparito da quando erano tornati all’hotel insieme meno di ventiquattr’ore prima.
Quella mattina non l’aveva incontrato e lui non s’era fatto sentire per tutto il giorno, e lei aveva inizialmente cercato di ignorare l’enorme scatola nella stanza, ma non ci era riuscita. Allora quella mattina era scappata via, necessitando di lunghe riflessioni senza né capo né coda, che sarebbero state processate camminando sulla Fifth Avenue.
E comunque aveva bisogno di un body, o qualsiasi altra cosa avrebbe potuto indossare sotto allo stupendo vestito decisamente troppo trasparente se indossato senza nulla da sotto.
Ovviamente non conosceva lo stilista, ma si era innamorata di quel vestito. E comunque non riusciva neanche a non dare di matto, perché era davvero troppo bello.
E quindi aveva continuato le sue camminate in camera, tra quattro mura, con Ginny al telefono.
«Herm, non penso sia considerato legale sposare un vestito...»
«Ma quindi ti ha fatto fare un vestito su misura?» la voce chiaramente di Blaise saltò fuori dal ricevitore e Hermione non ne era neanche troppo sconvolta: «Come?»
«Beh, non è che i vestiti di Saab si trovino per strada a New York*...»
«Ed ecco che parla l’esperto stilista!» il commento ironico di Ginny doveva averle fatto guadagnare una qualche risposta da Blaise, perché non udì nessuno dei due per un po’ di tempo.
«L’ha fatto fare su misura?!» Hermione era un po’ in panico. Succedeva questo quando non aveva la situazione sotto controllo. E una bomba del genere non era per nulla sotto il suo controllo.
«Quella è la mia ipotesi, Granger. Penso l’abbia fatto arrivare dalla boutique di Parigi...»
«Ma... come sapeva le mie misure?!»
«Facile, avrà chiesto a qualcuna delle tue amiche.» spiegò Blaise, facendo spallucce, ancora avvinghiato sotto le coperte con Ginny, che gli si avviluppava intorno con insistenza: «A me non ha chiesto proprio niente. Sarà stata sua complice Luna... o Angharad. O probabilmente entrambe, tifano per voi due insieme.»
Hermione si limitò a deglutire, sconvolta. Il lungo vestito di pizzo di un celeste etereo la osservava dall’interno della scatola, insieme a tutti quei ghirigori – che le ricordavano una carta da parati, ma di quelle belle – che lo riempivano.
«È anche azzurrino.»
«Quasi come se inconsciamente si ricordasse quello color pervinca del ballo del Ceppo.» commentò candidamente Ginny, beccandosi un morso giocoso da parte di Blaise sulla spalla.
Hermione sentì bussare alla porta e andò ad aprire, lasciando Ginny un momento in linea: «Sì?»
«Un messaggio per lei, signorina Granger.»
Il cameriere le porse un fogliettino e se ne andò subito dopo, lasciandola sulla porta a rigirarsi il pezzo di carta tra le dita.
Riconobbe immediatamente la calligrafia di Draco, e tornò a sedersi sul suo letto, esausta: era l’ora della verità.

Aveva comprato anche un paio di scarpe quella mattina: perché Draco a quanto pare aveva pensato al vestito stupendo, ma non a body e scarpe. E alla fine aveva trovato qualcosa che andasse bene e che fosse adeguato per la situazione... e non credeva che si sarebbe mai ritrovata ad aspettare un’auto in un vestito lungo e un mantello a New York.
Si sentiva come Cenerentola, solo ancora più stranita: almeno lei voleva andare al ballo. E non che lei non volesse... bramava visitare il Met, soprattutto avendo l’opportunità di farlo lontano dalle comuni masse di turisti. Però non si aspettava tutto quello, e non parlava solo del vestito.
Draco non si faceva vedere da quando erano ritornati e ciò la inquietava. Certo, era quasi successo qualcosa che entrambi a quanto pareva non si aspettavano... ma ciò non giustificava la sua sparizione pianificata.
Perché si trattava di quello, lui le aveva anche lasciato biglietti e messaggi. E, se non fosse stata agghindata e curata come un albero di Natale avrebbe iniziato a mangiarsi le unghie dal nervoso. Aveva anche la schiena nuda, e il mantello di lana non era abbastanza.
L’altra cosa che la sconvolgeva era il fatto che avrebbe potuto usare qualcosa di accettato e utilizzato nel mondo magico in quello babbano e non sarebbe sembrato bizzarro: con cos’altro avrebbe dovuto coprirsi, indossando un abito che arrivava fino a terra?
E poi c’era la questione del sentirsi una sorta di principessa moderna con quel vestito: toccava terra, strisciava a terra e lei camminava su sporchi marciapiedi newyorkesi.
Non le piaceva per nulla, pur adorando il vestito e volendo indossarlo praticamente sempre.
Alla fine era salita nell’auto e Draco non era nemmeno lì: si era arresa al fatto che molto probabilmente l’avrebbe incontrato direttamente al Met, e non sapeva nemmeno dove.
Era un’adulta, avrebbe saputo benissimo giostrarsi nel museo da sola, ma... avrebbe preferito non esser stata completamente messa da parte per un giorno.
Anche se, effettivamente, quel viaggio sarebbe dovuto essere per lei, per farla stare meglio a prescindere dalla presenza di Draco o meno: quella era opzionale. Non era un viaggio per loro due, ma per lei... eppure ne aveva sentito la mancanza, soprattutto per come avevano trascorso il giorno precedente.
«Signorina Granger? Siamo arrivati.»
Come sapeva il suo nome l’autista? Che diavolo aveva combinato Draco? Perché tutti sapevano dove trovarla e come chiamarla?
Lo ringraziò e uscì dall’auto: si ritrovò di fronte alla maestosa facciata del Metropolitan Museum e non poté non sentirsi rapita. Gli scalini, la struttura, le luci... avevano proprio fatto qualcosa di ben organizzato.
In tutto ciò si chiedeva ancora come mai una banca d’investimenti organizzasse serate in un monumento storico del genere, ma a quanto pareva l’unica risposta sensata sarebbe stata: “avevano i soldi per farlo e quindi ne approfittavano”.
Non trovava alcun altro collegamento logico tra quella serata e la società organizzatrice.
Salì i gradini ed entrò dall’entrata principale dopo aver mostrato l’invito che aveva trovato per caso mentre liberava il vestito dalla scatola: ormai non era più stupita da nulla. Si sarebbe aspettata però che Draco l’avesse messo più in bella vista, dopotutto il biglietto era importante: e se non l’avesse trovato, tant’era presa dal vestito? E se fosse caduto a terra mentre lo tirava fuori?
Non appena si ritrovò nell’atrio, però, tutti quei pensieri erano svaniti: riusciva solo a guardarsi intorno, a soffermare lo sguardo sulla statua egizia e a voler a tutti i costi proseguire per vedere tutto il museo.
Ma avrebbe dovuto prima trovare Draco, così si limitò a seguire il flusso di persone che sembravano andare tutti nella stessa direzione – approfittandone per lanciare un’occhiata a tutto quello che la colpiva non appena passavano da qualche sala che la interessava.
La sala che doveva essere la destinazione finale per buona parte delle persone era davvero maestosa, l’aveva già precedentemente vista in diverse foto: aveva una vetrata enorme, era piena di statue in marmo e al centro ne spiccava una dorata di Diana in procinto di tirare con l’arco. In un angolo riusciva anche a scorgere dei tavoli dove c’era un buffet.
Si avvicinò alla statua di Diana, per osservarla più da vicino, quando sentì una presenza alla sua destra: non si voltò per rivolgergli un qualche cenno di riconoscimento, sapeva già chi fosse e lui era a conoscenza del fatto che lei sapesse.
«Hai trovato la strada, anche senza di me.»
«È stato difficile, considerato che non sapevo nemmeno che fine avessi fatto, ma dopo dodici ore mi sono rassegnata.» si voltò per scoccargli un’occhiataccia, ma ci riuscì solo a metà: l’unica cosa che colse appieno fu l’espressione di pura ammirazione che Draco le stava rivolgendo.
«Ero in riunione...»
«E mi stavi evitando.» continuò lei, senza concedergli un’altra scusa. Quello che però dopo la prese in contropiede fu la candida affermazione del suo accompagnatore, che non sembrava per nulla scalfito dal suo malcelato attacco: «Sei stupenda.»
E arrossì. Non se lo aspettava, non credeva sarebbe stato così sincero, e non riusciva a continuare a guardarlo negli occhi, così spostò lo sguardo sulla statua di Diana.
«Sapevo ti starebbe stato bene, ma non credevo così bene.»
Non riusciva a non arrossire: sapeva di dover ringraziarlo, che avrebbe dovuto cambiare discorso, ma era come gelata lì sul posto a guardare una statua che in realtà non stava vedendo.
«Grazie. Per il vestito. Lo adoro. Nonostante tu non mi abbia mai dato spiegazioni.»
«Ne sono contento. Grazie per averlo indossato e non star dando di matto qui davanti a tutti.»
«Non sono così pazza...» ribatté Hermione, alzando gli occhi al cielo e tornando a rivolgergli un’occhiata che sarebbe dovuta essere oltraggiata ma era solo stupita.
Lo sguardo che si era ritrovata ad affrontare era tutto fuorché accusatorio: era cauto, gentile e sinceramente ammaliato.
E non riusciva davvero ad averne a che fare, senza arrossire e volerlo spostare altrove.
«Dovrei probabilmente presentarti qualcuno.»
«Io vorrei esplorare il museo, in realtà.» ribatté con sincerità l’ex Grifondoro, e Draco emise un rantolo divertito: «Ti prometto che ci andiamo dopo.»
Non lo vedeva, perché stava camminando nella direzione che Draco sembrava aver puntato, ma sentì la mano fredda dell’ex Serpeverde sulla sua schiena. La fitta gelida che le causò era dovuta a tutto fuorché alla reale temperatura della mano in questione.

Aveva effettivamente mantenuto la sua promessa: dopo mezz’ora a parlare con individui evidentemente importanti si erano finalmente spostati altrove.
Non che lei fosse riuscita a spiccicare molte parole: adorava osservare come Draco parlasse del suo mestiere. Era appassionato e concentrato e lo si notava dalle rughe che gli si formavano sulla fronte.
E lei era completamente terrorizzata dal suo stesso spirito d’osservazione, perché non sapeva neanche di averlo osservato così a lungo da riconoscere quelle peculiarità.
«Cosa vuoi vedere come prima cosa?»
«Come seconda. La prima è già stata la sala.»
«Okay, come seconda...»
«Gli impressionisti al piano di sopra?»
«Ci avrei scommesso.» rimbeccò lui, ghignando soddisfatto. Come lo sapeva? Perché se lo aspettava? Perché arrossiva anche per quello— e perché la sua mano destra era nuovamente sulla sua schiena?
Non che le dispiacesse, a dirla tutta.
Erano così piccoli i passi che avevano fatto ognuno nella direzione dell’altro, così minuscoli che potevano sembrare quasi invisibili. Eppure c’erano, e ora si beava di ogni piccolo contatto che si veniva a creare tra loro due.
E, davvero, non desiderava sentirsi così: eppure non riusciva a non percepire quel tuffo al cuore quando ritornavano a sfiorarsi – involontariamente o volontariamente che fosse.
«Non avremmo dovuto davvero iniziare da qui...»
«Perché?»
«Perché qui ci sono le sale migliori. E poi il piano di sotto di sembrerà terribilmente noioso.»
«Avresti dovuto dirmelo prima di lasciarmi scegliere...»
«Nah, sono anche le mie sale preferite.» concluse lui, svoltando a sinistra e ritrovandosi poco dopo ad afferrare una mano che era arrivata a sfiorare la sua. Non mostrò alcun segno di stupore, non evidente perlomeno, e lasciò intrecciare le loro dita.
«Lo sai che c’è un modello di Amore e Psiche qui?»
«Davvero?»
«Avrei scommesso che ne fossi a conoscenza!»
«Beh, non posso conoscere tutto lo scibile umano...»
«Sì, ma mi aspettavo che ti saresti documentata» controbatté Draco, ciondolando lievemente il braccio la cui mano era stretta a quella di Hermione.
«Se non fossi dovuta andare alla ricerca disperata del resto del vestito, probabilmente mi sarei documentata.» ribatté Hermione, lanciandogli una brevissima occhiata in tralice. Non era stato il massimo, il loro contatto visivo per quella sera.
«Se ti avessi fornito tutto il necessario per l’outfit non sarebbe stato altrettanto divertente…» commentò ironico l’ex Serpeverde, ricevendo come risposta un lieve strattone da parte di Hermione: «Sarebbe stato più divertente saperlo a voce
Quando arrivarono nelle sale impressioniste, però Hermione lasciò la mano di Draco: era sopraffatta.
«L’avrei immaginato.»
Hermione si voltò per rivolgergli un’occhiata confusa e Draco fece un movimento comprensivo con una mano: «So che vuoi vedere quelli che preferisci da sola. Ci rincontreremo quando ci rincontreremo.»
Perché diavolo la comprendeva così bene? Ma soprattutto, perché non si faceva tanti problemi quanto se ne faceva lei a causa di questo loro comprendersi anche senza parlarne esplicitamente?
Scosse la testa, come a voler scuotere via anche quei pensieri.
Adorava le sale dai pannelli bianchi e la carta da parati dai colori pastello: era tutto molto francese. E aveva già intravisto una delle poche statue di Degas, raffigurante – ovviamente – una ballerina. E l’autoritratto di Van Gogh, una chiara distesa erbosa di Monet e diversi Renoir.
La visita al piano era diventata un’instancabile caccia al tesoro. Inoltre si era ritrovata ad affacciarsi sulla sala precedente, e anche su un’altra al di là della quale c’era un’esposizione temporanea.
E aveva completamente perso di vista Draco – e anche un po’ se stessa. Troppe opere d’arte troppo belle per essere vere. E dall’alto la statua di Diana era ancora più luminescente e affascinante.
Alla fine era scesa anche al piano di sotto, riuscendo a vedere meglio le sale medievale e delle armi: ritornò al piano di sopra solo per cercare Draco. Era certa di aver dimenticato qualcosa, ma non le veniva in mente l’opera in questione e... voleva proseguire con lui, a dirla tutta.
Le piaceva guardarlo di sottecchi mentre era concentrato nell’osservazione di un quadro o una statua che lo rapivano particolarmente: quindi aveva iniziato a riattraversare tutte le sale che aveva già visto, piene di quadri impressionisti, e andò oltre, senza deviare per osservare la sala di Diana dall’alto, dal lato della Charles Engelhard Court.
Alla fine arrivò in una sala dalle pareti grigie e si rese conto di due cose: si ricordò cosa avesse dimenticato tra tutte le cose che avrebbe voluto trovare nel museo per vederle dal vivo e aveva finalmente ritrovato Draco.
Assorto e attento, vicino alla porta alle spalle di Amore e Psiche. Dietro Cupido, a osservare la coppia di amanti di nascosto, come se non volesse farsi scoprire. Guardandoli da un punto di vista inusuale e insolito.
E Hermione non aveva alcun interesse per la statua in quel momento. Avrebbe davvero voluto vedere lo studio di Amore e Psiche, ma non era quello che rapiva il suo sguardo in quell’istante.
La statua, non per mancata armonia o bellezza, non splendeva di luce propria come qualcos’altro – qualcun altro. Ed era uno spettacolo ben più bello, almeno per lei.
E lei amava Canova, adorava le sue opere d’arte. Per lei, quelle statue avevano vita: ma ora non riusciva a guardare lo studio di uno dei suoi lavori più conosciuti, perché il suo sguardo non si staccava da un’opera diversa.
Un’opera che comprendeva la sua nemesi di un tempo, l’attuale soggetto del suo studio, suo potenziale paziente... che osservava con dedizione e ammirazione una statua che, in un’altra situazione, avrebbe amato lei stessa con lo stesso ardore.
Ma, in quel momento, amava qualcos’altro. E quella realizzazione la colpì in pieno. In quei secondi, non vinceva la statua. Vinceva la sua ex nemesi, su tutto, qualsiasi quadro o statua della sala.
Alla fine, quasi percependo gli occhi persistenti di qualcuno addosso, Draco alzò lo sguardo e si rese conto di Hermione: non riusciva a comprenderla appieno, ma sembrava tradita, sopraffatta da diverse emozioni. Non sembravano tutte positive, ma... non guardava la statua. Non le rivolgeva il minimo sguardo.
Fece qualche passo alla sua destra, giusto per superare il blocco di marmo, nella direzione della ragazza: ma era cauto. E lento. E aveva sinceramente paura che sarebbe scappata.
L’opzione di Hermione era solo una: correre. Doveva solo decidere se correre via o corrergli incontro. Ma era inutile girarci intorno: ormai se n’era accorta. Dei sentimenti di Draco e anche dei suoi. Lo sapevano entrambi, se n’erano resi conto entrambi.
Allora scelse di corrergli incontro, nonostante non fosse per nulla semplice farlo, con quel vestito.
Però raggiungere il traguardo fu oltremodo gratificante: sentì nuovamente le mani di Draco sulla sua schiena nuda, ma adesso si aggrappavano alla sua vita come se la vita di lui dipendesse da questo.
Il loro incontro fu più che altro uno scontro: la bramosia li aveva entrambi condotti a un cozzare di denti, lingua, labbra. Ma amava quell’abbraccio, così tanto che ci si sarebbe davvero potuta perdere e non le sarebbe importato nulla. Si sentiva al sicuro e non voleva separarsi da Draco.
Da Malfoy. Non avrebbe voluto mai separarsi da Malfoy.
E neanche lui sembrava volersi separare per alcun motivo da lei: alla fine, il bacio rallentò. Divenne più lento, profondo, intimo. Costante.
E aveva bisogno di aria, così si separò dalle paradossalmente attraenti labbra di Malfoy per guardarle attentamente e poi alzare lo sguardo e incontrare gli occhi dell’uomo in questione. Fronte contro fronte, si appigliava ancora al suo collo in un modo che rendeva chiaro come non avrebbe mai voluto separarsi dall’abbraccio. Piuttosto sarebbe rimasta così.
Inspirò profondamente e gli sorrise. Draco la strinse più forte a sé e le rubò un altro bacio prima di ricambiarle il sorriso, sincero e coinvolto tanto quanto il suo.

«Chissà che sta succedendo a New York in questo momento.»
L’osservazione di Luna attirò la logica e pronta risposta di Ginny: «Probabilmente quello che tu e Angharad avete pianificato, dando a Draco le misure di Hermione.»
«Uuuh, che risposta consona e glaciale.» ribatté Blaise, scontrando i palmi delle mani: Angharad e Luna emisero una risatina complice, mentre Theo scuoteva la testa e avvicinava quest’ultima a sé.
«Hermione and Draco, sitting in a tree, K-I-S-S-I-N-G...**» aveva iniziato a canticchiare Blaise, steso su un divano, ma con la testa posata sulle gambe di Ginny, che aveva una risposta anche per lui: gli tirò un cuscino in faccia «È puerile!»
«Ma dai, che sei infantile tanto quanto me! Sei solo invidiosa di non averci pensato tu prima, a cantare!» ribatté il moro, lanciandole un’occhiata snob e beccandosi in risposta un pizzico da parte della rossa.
Erano tutti a casa di Angharad: quasi tutti, a parte i soggetti della loro conversazione e Daphne.
«Ma che fine ha fatto Daphne? Non manca mai...»
«Penso sia andata con Harry a incontrare Astoria.» pronunciò con calma Luna, posando il capo sulla spalla di Theo e incrociando le gambe.
«Aspetta, cosa?» Ginny sbarrò gli occhi «Mi sono persa qualcosa?»
«Per la memoria di Draco, no?» spiegò Luna, come se quello fosse bastato a tutti.
«La Greengrass e l’ormai uomo sopravvissuto. Oh, quanto la prenderò in giro a vita...» sogghignò Blaise, coinvolgendo tutti i presenti in una risata.
«Ma... come? Cioè, come si sono trovati insieme?» Ginny era ancora perplessa, e ciò stupì lievemente Blaise. Stava quasi per mostrare il suo lato geloso e possessivo, quando Ginny rantolò una risata «Quanto diavolo lo prenderò in giro per questo. Aspetta che lo dica a tutta la mia famiglia. Aspetta che lo sappia George
Blaise si voltò a guardarla con stupore, e successivamente con fiero orgoglio.
«Oh, guardate come siete adorabili mentre pianificate le vostre vendette canzonatorie contro i vostri amici!» commentò Angharad, sbattendo i palmi delle mani con ironica ammirazione «Che coppia perfetta!»
Blaise e Ginny rotearono gli occhi in contemporanea, causando ulteriori risate all’interno del gruppo di amici.





Se volete vedere il vestito premete
qui: senza cinturino giallo orrendo ovviamente!
* adesso esiste una boutique di Elie Saab a New York, ma nel 2008 non c'era. Me lo son studiato bene!
** è la versione inglese di "tra rose e fior, nasce l'amor..."... però quella l'avevan già cantata nella storia e ho voluto utilizzare questa versione!

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Capitolo 21
*** 20. Lovers' Eyes ***


Buon pomeriggio! Scusate il ritardo, ma ieri ero davvero troppo impegnata per correggere e postare. Spero vi piaccia e buona lettura!







 

‘Cause I feel numb, beneath your tongue
Beneath the curse of these lover’s eyes.

 
Si guardava ancora intorno basita quando apriva gli occhi per svegliarsi. Era tornata a casa sua, aveva Nix nel letto accanto a sé e tutto sembrava superficialmente tornato alla normalità.
Solo che niente era più normale, scavandoci nel profondo.
Non aveva ancora fatto parola con nessuno di quello che era successo a New York – e continuato a New York, e sul volo di ritorno per Londra e anche a Londra. Era tornata da tre giorni e ancora non aveva visto né Ginny, né Luna, né Harry, (né Angharad)... e men che meno le serpi.
Aveva visto Malfoy, però.
Anzi, Malfoy l’aveva visto molto spesso. Così spesso che due delle volte che aveva riaperto gli occhi da quando era tornata a Londra l’aveva avuto al suo fianco nel letto.
E ciò la stupiva interamente, semplicemente. Era Malfoy. Ed era completamente caduta ai suoi piedi.
Beh, non solo: anche lui era caduto ai suoi. E questo non rendeva la situazione più facile, anzi. Erano entrambi nella stessa situazione terribile: erano innamorati?...
Sì, probabilmente, ma se avesse dovuto ammettere a se stessa anche quello sarebbe impazzita quel giorno.
Poi c’era la faccenda di Weston. Era scappata una mattina in Connecticut per cercare qualcosa in più sull’amnesia magica di Draco – aveva deciso di chiamarla così tempo prima – dopo la serata al Met.
E la realizzazione della sua situazione l’aveva colpita in pieno: stava andando a letto con il suo soggetto e potenziale paziente. Beh, andando a letto e baciando e si era anche precedentemente – forse – innamorata del suo soggetto.
E questo complicava ulteriormente le cose, per loro e per il suo studio – di cui, ovviamente, il soggetto non era assolutamente a conoscenza.
Si era invischiata in un bel macello, e ammetterlo al mondo spiegando cos’era successo a New York l’avrebbe solo reso più reale ed era qualcosa che non desiderava, in quel momento.
«Vedo il tuo cervello fumare. Perché stai pensando così tanto di prima mattina?» la testa bionda di Malfoy sembrò tentare un qualche movimento non molto sicuro nella sua direzione: quando sentì la sua voce sobbalzò.
Non si era ancora del tutto abituata a separare completamente la voce dell’uomo per cui si era presa una cotta magistrale da quella del ragazzino dispotico che l’aveva presa in giro torturandola per tutta la sua adolescenza. Quindi, quando non era attenta e il suo subconscio aveva il potere, sobbalzava.
Certo, la situazione non faceva che rendere i suoi sobbalzi più frequenti: per certi versi sarebbe stata molto più tranquilla quando l’avrebbero saputo tutti gli altri.
Però era bello avere tutto quello come loro. Solo per loro due, un loro segreto.
«Granger, sei sveglia? Sei catatonica? Sei viva?» Draco passò la sua mano davanti agli occhi aperti della ragazza accanto a lui tre volte prima di avvicinarla a sé per abbracciarla.
«Mh. Sì. Buongiorno.»
«A cosa pensavi, mente frenetica?»
«Non ho una mente frenetica, semmai ordinata.»
«Sì, certo.» ribatté con tono di schermo il biondo.
Hermione roteò gli occhi e li incrociò subito dopo con quelli grigissimi di Draco, realizzando qualcosa di terribile: era sabato. Sabato!
«Oh diavolo!»
«Granger?»
«Ho un appuntamento alle 11!» esclamò quella, sbarrando gli occhi al pensiero delle persone con le quali ce l’aveva.
«Beh, sta’ calma, sono ancora le 9 e mezza...» non sembrava volerla lasciare andare, ma lei non era per nulla tranquilla: il brunch delle 11 con i suoi genitori. E lui non ne sapeva nulla.
Perché, perché si era andata a invischiare in quella situazione?
In tutto quel pandemonio, il campanello era suonato. Hermione si guardò intorno, spaesata.
«Granger, ascoltami: vado ad aprire io la porta. Tu preparati.»
Hermione gli rivolse un’occhiata perplessa: lui?
«Tanto sarà sicuramente il postino, chi si palesa a casa tua alle 9 e mezza del mattino? Dai, muoviti.» la liberò dalla coperta e a quel gesto la ragazza emise un verso di disappunto.
«Alla faccia della mattinata tranquilla, “tanto è sabato”...» borbottò Malfoy, roteando gli occhi mentre Hermione gli lanciava un’ultima occhiata – e un piccolo sorriso grato e complice – per poi dirigersi in bagno.
Al secondo scampanellio si alzò anche lui e si infilò la vestaglia, aprendo la porta della camera che dava sul salotto: doveva essere il postino. Chi altro sarebbe potuto essere? Una vicina?
«Che diavolo starà facendo, è sveglia già alle otto quella di sabato... e cosa le fa pensare che non saremmo venute a—
Draco Malfoy, in pigiama, pantofole e vestaglia, non si aspettava Ginny Weasley e Luna Lovegood alla porta di Hermione a quell’ora. E aveva fatto il madornale errore di non controllare chi fosse dallo spioncino. Allora strabuzzò gli occhi e scosse successivamente la mano destra a mo’ di saluto.
Entrambe le nuove arrivate non emisero un suono: Ginny era basita – e anche un po’ contrariata, ma non sapeva per cosa – mentre Luna gli sorrideva soddisfatta.
«Buongiorno?»
«Io l’ammazzo.» Ginny non ripose al saluto di Malfoy e lo superò, camminando spedita verso la camera da letto.
«Ciao Draco! Com’è andata a New York?» chiese giovialmente Luna, entrando in salotto e sorridendogli.
«Abbastanza bene. Qui a Londra?»
«Tutto come al solito. Oh, a parte il fatto che Daphne ha deciso di terminare la prima stagione di How I Met Your Mother senza di voi.» rispose la biondina, annuendo e dirigendosi verso la cucina.
All’occhiata perplessa di Malfoy decise di dovergli una spiegazione: «Stavo pensando che ne potremmo parlare davanti a un tè. Hai già fatto colazione?»
«Non ancora e... sì, grazie.»
Draco ringraziò immensamente la stranezza di quella ragazza, che al ritrovamento inaspettato di un quasi amico a casa di una sua amica di prima mattina aveva evitato qualsiasi imbarazzo scegliendo di buttarla sulla quotidianità e di preparare un tè: aveva sottovalutato Luna Lovegood all’inizio.
«Earl Grey o Darjeeling?»
«Earl Grey!»
L’aveva decisamente sottovalutata.

Ginny non aveva avuto il buonsenso di bussare: aveva direttamente spalancato la porta del bagno, senza preoccuparsi di come avrebbe trovato Hermione dall’altra parte.
«Ma che diavolo—
«Lo dico io! Non ti fai sentire da quando sei tornata, sei praticamente scomparsa, vengo a trovarti e mi apre la porta Draco Malfoy in pigiama! Ti sei dimenticata di dirmi qualcosa?» Ginny era metaforicamente dello stesso colore dei suoi capelli, ed Hermione era nuda e in procinto di entrare nella doccia a due metri da lei.
«Buongiorno, Gin.» l’espressione sconvolta di Hermione lasciò spazio a un pratico sbuffo «Vorrei tanto spiegarti tutto per filo e per segno davanti a un tè, ma come vedi sono nuda e in procinto di entrare in una doccia, visto che tra circa un’ora dovrei essere dai Malfoy.»
«Non preoccuparti, posso attaccarmi alla parete esterna della doccia e puoi dirmi tutto.» ribatté la rossa, convinta. Successivamente invocò un Muffliato con la bacchetta alla mano e si avvicinò al wc, pronta ad abbassare la copertura per sedervisi sopra «Allora?»
«Cosa vuoi sapere?» l’acqua scorreva, quindi dovevano parlare a voce alta.
«Tutto. Da com’è andata a New York al perché tu non mi abbia contattata da quando sei tornata e soprattutto il motivo per cui mi ha aperto la porta Malfoy in pigiama.»
L’acqua smise di scorrere e sentì Hermione sospirare; successivamente prese a maneggiare con i contenitori di shampoo e detergenti vari «D’accordo...»
«Direi che me lo merito, no?»
«Sì, sì. Allora, alla serata al Met ci siamo baciati. Siamo tornati in hotel insieme e siamo andati a letto insieme. E quello è stato più o meno tutto quello che è successo finora, sia a New York che a Londra, eccetto per le pause nelle quali siamo andati a lavoro o io sono scappata a Weston per la banca dati...»
«Quindi state insieme?»
«...Non ne abbiamo propriamente parlato. Ma lui è tornato a casa sua solo una volta da quando siamo tornati da New York e—
«E non volevi vedere nessuno per non rompere la vostra bolla di gioia e sesso e perché volevi evitare discussioni esplicative del genere.»
«Sì, ecco. E poi non sapevo cosa dire effettivamente. Insomma, è abbastanza evidente che entrambi proviamo dei sentimenti...»
«Herm, ma da mesi. Lui ti trattava come una piccola bambola che avrebbe potuto rompersi da un momento all’altro e tu non lo sapevi, e dalla tua parte negavi costantemente tutto anche al tuo subconscio. Su quello non c’è dubbio!» sbuffò Ginny, roteando gli occhi – movimento impossibile da cogliere per Hermione, che nonostante tutto lo percepì.
«E non so cosa pensare, cosa dire, come spiegare. Penso l’abbia capito solo Angharad quando è passata a consegnarmi Nix il giorno dopo che siamo tornati...»
L’acqua aveva ripreso a scorrere, e Ginny posò il capo contro le mattonelle della parete alle sue spalle: «Herm... sai che avresti potuto dirmelo. Non sono nella posizione di giudicare nessuno... E anche gli altri, fidati, sarebbero felici. Sì, anche le serpi, persino Daphne, sia per te che per Malfoy. E ti potrebbero anche capire e fornire supporto, considerato che sanno a cosa tu stia cercando di porre rimedio.»
«Non ci ho pensato... non ho proprio voluto farlo.»
«Beh, tanto vi toccherà perché stasera usciamo. O forse siamo da Daphne. In realtà non so nemmeno se lei sarà presente. Ultimamente lei e Harry sono irrintracciabili...» commentò pensierosa Ginny, e come risposta vide comparire la testa riccia insaponata di Hermione fuori dalla doccia: «Cosa
«Penso stiano investigando insieme su quella roba delle sacre ventotto. Spesso ci vediamo e loro non ci sono. Mi sa che c’è anche Astoria di mezzo. Ma non ci ha detto nulla di specifico...»
«Devo riprendere a lavorare.» dichiarò con un sospiro pesante Hermione, riaprendo il flusso dell’acqua.
«Hai trovato qualcosa d’interessante a Weston?»
«Sì, la password per accedere alla loro banca dati online. E poi ho trovato alcuni documenti male assortiti che menzionavano casi di maghi colpiti da un Obliviate parziale. Tipo Draco.»
«E cosa dicevano?»
«Che non sono più tornati indietro.»
«Ritengo ancora che per lui non sia un male.» commentò dopo qualche minuto Ginny.
«Non so. E non so nemmeno cosa dire ai Malfoy... Narcissa capirà sicuramente qualcosa...»
«Parla loro di Weston e se Narcissa ti chiede qualcosa parla dei vostri giri nella Grande Mela. Non spetta a te dirle il numero di volte che ti sei bombata suo figlio.» tagliò corto Ginny, con molta praticità.
Quando Hermione uscì dalla doccia e le rivolse un’occhiataccia, tutto quello che la rossa si limitò a fare fu esprimersi nel suo miglior sorriso sornione.

Detestava aspettare. Soprattutto se doveva nascondersi in un angolo di Florian Fortebraccio per attendere qualcosa di non meglio identificato.
«Potter, che diavolo stiamo facendo in una gelateria d’inverno? È ridicolo, e siamo tutti. Astoria è qui, se non te ne sei accorto, e sta anche attirando parecchie attenzioni. E la parrucca prude!»
«Avresti potuto trasfigurarti i capelli, sorellona. A meno che tu non ti sia dimenticata come fare...» il tono presuntuoso di Astoria le faceva venire voglia di tirare i suoi lunghi capelli chiari, ma il suono del campanello a indicare l’apertura della porta principale la distolse dal portare a termine tale nefanda azione.
«E che diavolo ci fanno loro qui?!»
Riusciva solo a identificare un Weasley, che riconosceva come uno dei gemelli. L’unico rimasto vivo, insomma. L’altro era più alto, robusto e aveva l’aria di esser burbero – o semplicemente di aver vissuto lontano da gruppi di esseri umani per molto tempo.
«Dobbiamo entrare nella camera blindata dei miei alla Gringott, che razza di senso ha portare due Weasley?»
«Daphne, datti una calmata! Devo parlare con loro di Ron...»
«Già, la Donnola ancora più rimbambita appresso a una gonnellina. Che novità.» commentò acida la più grande delle Greengrass, grattandosi nuovamente in un punto non meglio identificato sulla nuca. Quella parrucca le dava un fastidio bestiale.
«Odio davvero essere d’accordo con un’ex-Serpeverde, ma ha ragione.» George era arrivato e si era seduto al tavolo, facendo spallucce «Sorelline Greengrass.»
«Weasley.» commentarono con lo stesso identico tono Astoria e Daphne.
«Oh, non siete poi così tanto diverse allora! Nonostante le vite separate» rimbeccò George, diventando oggetto d’interesse per un’altra delle eloquenti occhiatacce di Daphne.
«Zitti, entrambi. Non staccatevi reciprocamente le teste a morsi. Daphne, Astoria, lui è Charlie. Suo fratello...» indicò brevemente George.
«E quindi anche fratello della Donnola. Potter, lo sai che se non entriamo nella prossima ora c’è un’alta probabilità che troveremo i nostri genitori alla Gringott, vero?» Daphne era visibilmente sulle spine. Maledetto Potter.
«Sta’ tranquilla—
«Per favore, non ribadire che sei il Salvatore del Mondo Magico.» lo bloccò in anticipo George, portando una mano avanti a sé «Il mio unico orecchio non ce la può fare»
«Grazie!» commentò Daphne, concordando – forse per la prima volta – con un Grifondoro.
«Perché hai dato appuntamento a tutti nello stesso orario?» chiese George, curioso.
«Oh, no, non ho dato appuntamento a tutti dieci minuti fa...»
«Il nostro era un’ora fa, ma Astoria è arrivata solo un quarto d’ora fa.» rispose sinteticamente Daphne, lanciando un’occhiataccia alla sorella minore «E dobbiamo andare, se vogliamo avere qualche possibilità.»
«Ma sono appena arrivati...» iniziò a ribattere Harry, venendo successivamente interrotto dall’unica persona che fino a quel momento non aveva ancora parlato.
«Sembra davvero importante. Possiamo aspettare qui io e George.»
Daphne rivolse istintivamente a quel Charlie un’occhiata grata: nessun’altro sembrava aver buon senso a parte lui.
«Beh, visto che ci siete... dopotutto in una banca del genere potresti tornare utile.» Harry era arrossito impercettibilmente, imbarazzato.
«Oh... Oh. Fratellone, mi sa che ti tocca essere l’uomo che sussurrava ai draghi se qualcosa va storto.» George si espresse nel suo miglior sorriso «Io vi aspetto qui.»
«Non c’è problema.» rispose il fratello maggiore, facendo un cenno positivo a Harry, che sembrava avesse ripreso a respirare solo in quel momento.
«Se mi vedono mamma e papà sarò in seri guai...»
«Astoria, sul serio...»
«Oh, insomma! Tu sei a Londra, ben lontana da loro, non rischi nulla!»
«Hai ragione, essere diseredata e disconosciuta ha proprio i suoi vantaggi.» ribatté seccamente Daphne, causando la discesa del silenzio su quel gruppetto improbabile.
Solo dopo qualche istante percepì lo sguardo attento di qualcuno addosso: sicuramente il più percettivo tra i suoi momentanei compagni d’avventura.

Erano solo a metà dell’incontro e Hermione si sentiva come se stesse attraversando un campo minato. Tra le accuse più o meno velate di Lucius che sosteneva fosse colpa sua che suo figlio era ancora invischiato in quell’incasinatissimo mercato di capitali che ora sembrava star crollando ai tentativi di Narcissa di sapere di più.
«Dunque, oltre ai pressoché inutili ritrovamenti sugli Obliviate parziali, a Weston ho letto qualcosa anche su pozioni che acuiscono gli incantesimi di memoria, quindi avrei intenzione di procedere in quella direzione...»
«Signorina Granger, non è possibile intromettersi e agire in qualsiasi modo per allontanare mio figlio da quella dannatissima banca?» Lucius era diventato troppo diretto, per i gusti di entrambe le donne presenti: Narcissa gli scoccò un’occhiata palesemente contrariata, mentre Hermione cercava di ritornare all’argomento principale «Non penso sia possibile, sembra essere molto affezionato alla posizione che ricopre. Inoltre, ho trovato una lieve correlazione tra...»
«Ma Bear Stearn è praticamente collassata!» esclamò con vigore il signor Malfoy, indispettendo non poco sia la moglie che Hermione, ma continuando nonostante tutto «Continuano a negare di avere problemi di liquidità e che si tratta solo di “un problema di mancanza di fiducia”, ma son passati da una disponibilità in cassa di diciotto miliardi di dollari a solo due! Quanto ci metterà questo... morbo a passare anche a tutte le altre?»
«Lucius, non mi sembra il caso...»
«Senta, non voglio davvero oltrepassare alcun limite, ma Draco è più che capace di arrivare a conclusioni del genere, forse anche più di lei, eppure continua a fare il mestiere che fa, perché lo adora. E non penso che riuscirebbe a fargli cambiare idea neppure se lo colpisse lei stesso con una maledizione Imperio!» non credeva che sarebbe scoppiata. Non era quella la sua intenzione quando aveva aperto bocca, ma ora doveva continuare con qualcosa e non poteva fermarsi lì «E visto che evidentemente non è altrettanto interessato ai risultati delle ricerche quanto a far cambiare idea a Draco, io tolgo il disturbo. Al prossimo sabato e buon pomeriggio!» non riusciva a non essere educata pur essendo visibilmente arrabbiata – oltre ogni modo – con Lucius Malfoy. Riuscì, nonostante ciò, a intercettare l’espressione soddisfatta di Narcissa e quella oltraggiata del marito quando aveva tirato fuori la bacchetta magica per appellare borsa e cappotto e lasciare Malfoy Manor.




PS. Per me, Charlie è lui!

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Capitolo 22
*** 21. Monster ***


Buon pomeriggio! Ci son finalmente riuscita a correggere il penultimo capitolo di quelli pronti: ebbene sì, dopo ce n'è solo uno e il 23 è quello che sto scrivendo. Spero di esser pronta ogni sabato con un nuovo capitolo, davvero! Per il resto... buona lettura!











 
If I told you what I was, would you turn your back on me?
And if I seem dangerous, would you be scared?

 
Non aveva detto a nessuno ancora, che aveva sbottato con i Malfoy. Non era certa di come l’avrebbero presa, e in realtà... non sarebbero dovuti essere affari loro, semmai di Draco. Ma a lui non poteva dirlo, e aveva bisogno di riferirlo a qualcuno o sarebbe scoppiata.
Nix aveva notato la sua insofferenza, non nei suoi confronti, ma l’aveva percepita: e di conseguenza era altrettanto poco disponibile anche lui. Lei gliene aveva parlato, ma come prevedibile non gli interessava ascoltare la sua umana sfogarsi, voleva semplicemente che non gli addossasse tutto il suo nervosismo.
E poi c’era la faccenda della maledizione che pendeva come una spada di Damocle sulla relazione tra lei e Malfoy. E lei doveva andare avanti, era il suo lavoro e quello era il suo attuale progetto. Ma si sentiva il cattivo a prenderlo in giro così palesemente, nonostante tutto quello che provasse per lui fosse sincero e nonostante non gli mentisse... a parte sul suo lavoro e sulla magia e su tutta la parte di vita che non ricordava.
Sbuffò infastidita e si passò le mani tra i capelli: rimasero incastrate in un punto e decise che avrebbe dovuto cercare di pettinarli, erano indomabili e particolarmente ricci.
Per non parlare dell’entrata in scena dell’improbabile cricca del giorno prima: Harry, Daphne, Astoria, Charlie e Fred Weasley si erano palesati a casa sua alle cinque del pomeriggio – un orario in cui ci sarebbe benissimo potuto essere anche Malfoy, ma questo loro ancora non lo sapevano – chiaramente scombussolati, per lasciarle una copia piena di annotazioni del libro sulle Sacre Ventotto.
Non aveva ancora risolto nessuno di quegli enigmi.
E, sinceramente, quel pomeriggio il suo cervello aveva deciso che era troppo offuscato dai pensieri per funzionare correttamente, quindi decise di scegliere la cosa più sensata: raggiungere un posto in cui lei e Nix sarebbero potuti stare più tranquilli e ricevere le dovute attenzioni.
Dopo aver circondato il collo del gatto con una sciarpa rossa e averlo convinto a entrare nel trasportino trasferì alcuni file che le sarebbero potuti servire su una chiavetta usb e si infilò il cappotto. E con chiavi, bacchetta e trasportino alla mano, uscì di casa.

Aveva davvero bisogno di studiare, tutti gli articoli scientifici che aveva stampato erano accatastati sulla sua scrivania ed erano non poco pericolanti.
Ma per qualche motivo non ancora precisato dalle due ospiti, si era ritrovata ad aprire la porta a Luna e Ginny che, senza menzionare altro se non un saluto, si erano piazzate sul divano e avevano acceso la tv dopo aver preso qualcosa da sgranocchiare dal suo frigorifero.
«Ragazze? Sapete che siete sempre le benvenute, ma a cosa devo la vostra presenza?»
«Sappiamo che hai tanto materiale da consultare, ma avevamo pensato di farti compagnia. E poi Ginny voleva a tutti i costi spettegolare sugli ultimi eventi.» il candore di Luna le fece sciogliere qualsiasi cosa che avrebbe potuto lontanamente indisporla nei loro confronti: Angharad afferrò una coperta e si unì alle ragazze sul divano «Purché non si parli di Draco e Hermione.»
«Ma dovevo raccontarti di quello!» esclamò Ginny, interdetta.
Angharad scosse solennemente la testa: «Off-limit. Se vuoi però possiamo riguardare gli episodi di “How I Met Your Mother” che tu e Blaise vi siete persi avendo passato l’intero weekend scorso ad accoppiarvi.»
Luna squittì in una risatina e alzò un palmo, contro il quale Angharad batté il cinque poco dopo: Ginny sembrava lievemente contrariata «Non mi piace questa alleanza contro di me.»
«Beh, qualcuno deve pur prendervi in giro, siete agli antipodi» commentò Luna, accoccolandosi sotto la coperta contro Angharad.
«Prenderei in giro anche Luna e Theo, ma sono fedele a loro e soprattutto... sono troppo carini per poterli sbeffeggiare.» spiegò praticamente Angharad, annuendo e facendo arrossire violentemente un mezzo della coppia in questione: anche solo quello era bastato a Ginny, che aveva annuito soddisfatta.
«Allora posso raccontarvi del fatto che Daphne e Astoria sono andate a recuperare il libro delle Sacre Ventotto che serviva a Herm insieme a Harry e mio fratello Charlie. Sono ancora sconvolta... e ovviamente me l’ha detto George, che li ha aspettati da Florian Fortebraccio.»
«Florian che?» chiese Angharad, arcuando entrambe le sopracciglia verso l’alto.
«La gelateria più buona di Diagon Alley» spiegò brevemente Luna «Davvero è successo?»
Ginny annuì, con l’aria di quella che la sapeva lunga: «E poi sono andati dritti da Hermione a lasciarglielo. Anche se non ho capito perché siano andati il giorno dopo.»
«Se fossero rimasti alla Gringott per tutta la notte? Magari hanno avuto dei problemi...» propose Luna, incuriosita.
«George non ha detto niente a riguardo e Harry non apre bocca. Se avessero fatto qualcosa di leggermente illegale Fred avrebbe avuto tanto da blaterare...»
«Ma essendo Harry un Auror gliel’avrebbe proibito. E poi stiamo parlando di Daphne e Astoria Greengrass, se George avesse iniziato a prenderle in giro probabilmente si sarebbe trovato diverse maledizioni contro.» aveva continuato Luna, mentre Angharad le guardava interessata.
«Cosa c’è?»
«È stranissimo sentir parlare di Daphne che fa magie. Cioè, so che le fa e l’ho anche vista farle, ma pensare che maledirebbe questo George... oh cielo, si ritrova a maledire diverse persone spesso, solo verbalmente però.» spiegò la biondina gallese, scuotendo la testa.
«E Charlie? Cosa c’entrava?» chiese Luna, interessata.
«Non ne ho la più pallida idea. George ha detto che si sarebbero dovuti incontrare con Harry per parlare di Ron, ma siccome la piccola Greengrass aveva fatto tardi Charlie si è ritrovato ad accompagnarli. E considerato che molto probabilmente hanno avuto problemi con la camera di sicurezza di famiglia dei Greengrass, sono anche contenta che fosse lì a salvare il deretano a tutti quanti.»
«Salvarli? Perché?» domandò Angharad, interessata come sempre quando si trattava del mondo che aveva dato origine ai suoi amici più cari, dei quali loro avevano fatto parte per anni e anni.
«Lui si occupa di draghi.»
«Che figo! Esistono i draghi? Voglio vederne uno! Voglio diventare la madre dei draghi!» esclamò super eccitata Angharad, battendo le mani.
Ginny le rivolse un’occhiata perplessa: «Madre dei draghi?»
«Oh, è un libro» spiegò Luna «Babbano, ovviamente. Si chiama “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”. È ambientato in una terra immaginaria chiamata Westeros ed Essos e uno dei personaggi ha... covato tre uova di drago dando vita ai suoi tre draghi, i primi dopo molti anni.»
Ginny osservava la sua migliore amica ancora più basita, che continuò solo dopo aver fatto spallucce: «Che c’è? È interessante. Theo ha tutti i libri della saga che sono usciti finora e ho iniziato a leggerli. Sono davvero piacevoli.»
«Hai visto, eh?!» aveva esclamato con comprensione Angharad, annuendo.
«O-kayyy...» Ginny era ancora molto perplessa, ma decisa a continuare «Comunque sì, mio fratello Charlie si occupava di draghi in Romania. Ora si è trasferito in una riserva più vicina a casa, dopo quello che è successo in seguito alla fine della guerra...»
«Ah ecco.» si limitò a pronunciare Angharad, un po’ angosciata.
«...E alla Gringott sguinzagliano i draghi, se c’è qualche problema.» terminò la spiegazione Ginny, lasciando la gallese ancora un po’ su di giri.
«Così tanti misteri, così poco tempo...» si limitò a commentare con un tono lievemente inquietante Luna, rompendo il silenzio che si era creato e piegando il capo leggermente di lato.
Dopo qualche minuto di riflessione, che le aveva portate una a controllare cosa avesse nelle dispense, l’altra a guardare il tavolino basso a mezzo metro dal divano e la terza fissare un punto non meglio definito del tappeto, il citofono suonò. E le tre ragazze alzarono lo sguardo su ognuna di loro nello stesso istante.
«Aspetti qualcuno?» chiese Ginny, circospetta.
«No, ma non aspettavo nemmeno voi...» Angharad le oltrepassò e si diresse al citofono, incuriosita.
Dopo cinque minuti, dalla porta che la biondina gallese aveva lasciato socchiusa erano comparsi Hermione e Nix, visibilmente stupiti dalla presenza di Ginny e Luna nella casa.
«Oh... stavate facendo una riunione senza di me?» scherzo lei, chiudendo la porta di casa e liberando il gatto dal trasportino, che saltò subito via per poggiarsi sulle gambe di Angharad.
«In realtà no, si sono palesate qui a sorpresa proprio come te.» spiegò la padrona di casa, iniziando a coccolare Nix senza togliergli gli occhi di dosso.
«Che gatto degenere, nemmeno si degna di salutare gli altri presenti...» commentò Ginny, roteando gli occhi e incontrando lo sguardo di Luna, che invece sorrideva contenta.
«Ma lui adora la sua umana-per-una-settimana...» aveva commentato Angharad, immergendo il viso nel pelo della pancia del micio, che faceva le fusa beato.
Hermione si liberò del cappotto e si sedette tra Luna e Angharad, occupando così l’ultimo posto rimasto libero sul divano più grande.
«E penso che sotto sotto abbiamo tutte pensato che sarebbe stato meglio aspettarli qui.»
Hermione lanciò a Ginny un’occhiata perplessa: «Draco, Theo e Blaise, dici?»
«E Daphne. Non hai sentito quella cosa della Bear Stearns?» ribatté la rossa, allungandosi per prendere il telecomando e accendere la tv.
«Non ho seguito niente, né in tv né sui giornali. Ho lavorato tutto il giorno...» Hermione, preoccupata, si concentrò sullo schermo a qualche metro da lei, sistemandosi meglio sotto la coperta. Ecco perché non aveva sentito Draco tutto il giorno, se non per qualche messaggio breve a pranzo.
La faccenda era seria, almeno per Bear Stearns: da quello che diceva la giornalista, gli azionisti avevano depositato una causa collettiva contro i termini che aveva posto la JP Morgan per comprare l’impresa.
«Li avete sentiti?»
Angharad scosse la testa, mentre Luna annuiva impercettibilmente: «Theo mi ha detto che la situazione a lavoro era caotica. Draco è stato in riunione praticamente sempre, tranne per dieci minuti a pranzo. Lui doveva raggiungerlo nel pomeriggio... penso siano insieme ora.»
«Blaise mi ha detto che al suo livello sono sconvolti. Non sanno bene come comportarsi e cosa fare, e non sanno di cosa stiano parlando ai piani alti.» aggiunse Ginny, facendo spallucce.
«Non sapevo fossimo già a questi livelli...» commentò Hermione, iniziando a mangiucchiarsi le unghie.
«Già?» Ginny alzò un sopracciglio.
«Herm aveva previsto tutto. Non come la Cooman... aveva semplicemente guardato i dati negli Stati Uniti. Tu non te lo ricordi perché quando ne parlavano stavi mangiando la faccia di Blaise.» spiegò candidamente Luna, facendo arrossire la diretta interessata.
«Vado a prendere le patatine, vah. Sarà una lunga serata» dichiarò, leggermente funerea, Angharad, liberandosi dalla stretta di Nix, che passò a occupare le gambe della sua umana,  per dirigersi in cucina.

Quando finalmente arrivarono, la stanchezza gliela si leggeva in faccia. Blaise stava confabulando con Theo parlando di qualcosa che non riuscivano a cogliere e Draco aveva spinto la porta precedentemente aperta verso l’interno, con gli occhi socchiusi. Si fermò a due metri dalla porta e si massaggiò le tempie.
«Angh, hai dell’ibuprofene?»
La padrona di casa gli lanciò un pacchetto, che lui afferrò al volo. Prese una pillola, la portò alle labbra e poi la ingoiò: dopo qualche secondo proferì parola «Buonasera. Cosa ci fate tutti qui?»
«Vi aspettavamo» fu Ginny a rispondere, indicando con un cenno del capo la tv, dove dei giornalisti parlavano di Bear Stearns e JPMorgan. Passò lo sguardo sul resto della stanza, incontrando quello concentrato di Angharad, che stava palesemente cercando di analizzarlo, e il sorriso di Luna, forse il primo di quella giornata indirizzato a lui.
Tirò un sospiro di sollievo e cercò Hermione: lo osservava con un’espressione preoccupata dal divano. Alla sua destra non c’era nessuno ed era avvolta nella coperta. Tirò un altro sospiro di sollievo e le sorrise, nonostante tutto, mentre mollava la borsa dietro al divano più piccolo più vicino, a un metro dalla porta.
La raggiunse e si sedette accanto a lei, salutandola subito dopo con un leggero bacio sulle labbra.
«Come va?»
«Stanco. Sopraffatto. Sonno.» furono le uniche parole che pronunciò, prima di venire assalito da Nix, che, impietoso, richiedeva le sue attenzioni.
«Vogliamo andare da te dopo? Così sei più vicino?» mormorò Hermione a qualche centimetro dal suo orecchio; nonostante l’attenzione del resto dei presenti fosse concentrata su entrambi, i due sembravano essere su un altro pianeta. Draco annuì «Grazie»
Lei gli rispose piazzandogli un veloce bacio sulla guancia sinistra, accoccolandosi contro la sua spalla e tornando a guardare verso la tv.
Tutti gli astanti sembravano congelati: tranne Luna, che spezzò il silenzio liberando Theo dal cappotto e lasciandolo sulla spalliera del loro divano.
«Allora?» chiese subito dopo Ginny, rivolgendosi a Blaise, ma anche ai suoi due amici. Draco roteò gli occhi: «Preferirei non parlarne.»
«Almeno diteci se avete ancora un lavoro!» ribatté la rossa con veemenza.
«Per ora...» commentò Theo, sbuffando.
«Non siamo Bear Stearns.» commentò in un simile sbuffo Blaise, mentre Draco si limitò a dedicare tutta la su attenzione alle grattatine al pancino di Nix.
«Non vorrei davvero peggiorare la situazione, ma... dove diavolo avete lasciato Daphne?» intervenne Angharad, guardando oltre Hermione per costringere almeno Theo e Draco a guardarla negli occhi. Ma fu Blaise a rispondere: «Non lo sappiamo.» sospirò profondamente.
«L’avete persa?» Angharad sbatté le palpebre, perplessa.
«Ha discusso con il CFO. L’ha chiamata poco dopo pranzo nel suo ufficio e dopo l’abbiamo completamente persa. L’abbiamo cercata ovunque, ma... niente.» spiegò con calma il bruno.
«Lo sai com’è, se non vuole farsi trovare non si fa trovare. E con questo casino e il fatto che tutti dicono che la prossima sia la Lehmann... non siamo noi, ma si sta diffondendo. E ha dovuto licenziare cinque dei suoi, oggi.» spiegò infine Draco, distogliendo l’attenzione da Nix per concentrarla tutta su Angharad, che lo osservava apparentemente impassibile, molto più probabilmente concentrata «Potrebbe essere lei la prossima, se non dovesse ottenere il risultato sperato la sua prossima campagna. E non so come possa farlo, considerato che ora il suo team è ridotto a tre persone, lei compresa.»
«Quindi si è come volatilizzata nel nulla?» Angharad era perplessa. Ma non poteva prendersela con quei tre poveracci. Erano stati a lavoro fino alle nove passate, ed era vero: se Daphne non avesse voluto farsi trovare non si sarebbe fatta trovare, lo sapeva.
Theo annuì, abbassando lo sguardo.
«Preferirei davvero non sentire più parlare di questa roba almeno fino a domattina» proclamò Draco, indicando la tv «How I Met Your Mother va bene a tutti?»
Annuirono. Con non molta foga, erano alquanto abbattuti, stanchi e provati tutti. Angharad si alzò e infilò un dvd nel lettore e lanciò il telecomando a Draco, che fece gli onori di casa.

Aveva freddo, ma non aveva intenzione di formulare un incantesimo riscaldante o di trasfigurare il suo cappotto in qualcosa di più pesante. Voleva soltanto rimanere seduta su quella panchina a osservare il paesaggio che aveva guardato per anni dalla finestra della sua cameretta.
Solo che ora, se voleva osservarlo per rincuorarsi, doveva farlo da una fredda panchina lontana metri da casa sua e altri non molti chilometri dal villaggio di Ottery St. Catchpole, la parte magica di quello babbano di Ottery St. Mary, che riusciva a vedere se guardava in direzione di Exeter.
Aveva odiato essere ripresa da Jones, ma aveva detestato ancor di più dover licenziare su due piedi più di metà della sua squadra.
Aveva passato più di tre ore chiusa nel suo ufficio a pensare a chi dovesse lasciare andare, e probabilmente da quelle cinque persone sarebbe stata odiata – giustamente – a vita. Aveva persino pensato di andare in un laboratorio per creare della Felix Felicis e consegnarla loro in qualche modo, dar loro un po’ di fortuna... ma come avrebbe fatto? Non poteva nemmeno tornare nella sua casa magica a fare qualcosa del genere. E non è che avesse tutti gli ingredienti a portata di mano come prima.
Al che si era materializzata agli estremi di Ottery St. Catchpole, tra il villaggio e la sua vecchia villa, alla solita panchina sulla quale andava a piazzarsi quando voleva stare da sola.
Tutti quei pensieri rumorosi le avevano fatto perdere di vista l’obiettivo principale: controllare di restare sola con se stessa. Qualcun altro si era seduto sulla sua panchina.
Si voltò verso l’usurpatore, aspettandosi, sinceramente, qualcun altro. Insomma, qualcuno che non conoscesse, con l’intenzione di dare fastidio, qualcuno che avrebbe volentieri schiantato. Aveva bisogno, dopotutto, di sfogarsi, e quella sarebbe stata l’occasione migliore.
E invece era Charlie Weasley. Che la osservava a mezzo metro di distanza con uno sguardo attento, i ricci rossi al vento e una coperta di lana a quadri piegata sulle gambe.
«Ciao» decise di salutarlo. Dopotutto qualche giorno prima l’aveva aiutata a ottenere qualcosa che probabilmente, se si fosse trovata in quella situazione solo con Astoria e con Harry, l’avrebbe portata a lasciarci le penne.
«Ciao.» manteneva, nonostante tutto, la distanza che aveva adottato appena aveva occupato il suo posto, e la osservava di sottecchi. Credeva forse avrebbe potuto iniziare a sputare fuoco da un momento all’altro?
Beh, probabilmente, se se lo fosse aspettato non avrebbe avuto tutti i torti. Se non fosse stata triste l’avrebbe probabilmente fatto, con tutte le sue forze.
E poi aspettava. Non le stava chiedendo cosa avesse, si limitava a osservarla con attenzione con i suoi acuti occhi azzurri.
«Ti ho portato questa, così che tu non muoia assiderata.» le lasciò la coperta sulle ginocchia, allungando il braccio destro verso di lei per pochi secondi «Stai bene?»
«Beh, se per bene si intende “emotivamente distrutta, così tanto da parlare con il primo conoscente passato per strada a portarti una coperta”, sì, sto davvero bene.» il risentimento era ben udibile dal tono, ma la bionda dall’espressione generalmente di ghiaccio sembrò tentennare «Grazie, comunque.»
«Di niente. Ti ho vista al tramonto mentre passeggiavo per il villaggio e ho pensato di portarti qualcosa che non ti avrebbe trasformato in un ghiacciolo. E poi dovevo davvero scappare dalle urla tra mia madre e Ron.»
«Che quell’idiota della Donnola si sarà probabilmente meritato.» commentò Daphne, alzando un sopracciglio.
«Non sai nemmeno cosa avrebbe teoricamente fatto!»
«So cosa ha fatto: si è fatto lasciare da Hermione e ha portato una tipa della squadra di Gin a casa. Ginny ha raccontato tutto» rispose quasi immediatamente la bionda, voltando la testa di scatto verso il rosso, che a quel punto sorrideva «Quindi siete davvero non in piede di guerra, con mia sorella..?»
«Oh, è una tipa a posto. Tosta da tenere testa a Blaise e schietta da farmi impallidire. Ci voleva qualcuno del genere...»
«Carino scoprire del nuovo interesse amoroso di mia sorella da un’amica del suo presunto fidanzato...»
«Sai che stanno insieme?!» sussultò Daphne, guardandolo sconvolto.
«Non lo sapevo, ma me l’hai appena confermato tu» Charlie sorrise soddisfatto.
«Diamine. Non dirlo a nessuno o Ginny probabilmente tenterà di ammazzarmi.»
«Non ti lascerei mai fare una fine così tremenda, non preoccuparti.» il sorriso non sembrava voler separarsi dal viso del secondogenito dei Weasley «Cosa è successo?»
«Ho dovuto licenziare alcune persone e mi hanno detto chiaramente che se il mio lavoro non dovesse essere buono sarò la prossima. E avendo più che dimezzato il mio gruppo, è molto probabile che finirà così.»
«...Ma tu combatterai con le unghie e con i denti e non lascerai che finisca così.» continuò il rosso alla sua sinistra, stupendola non poco con la certezza della sua affermazione. Non la conosceva per nulla bene, eppure le aveva infuso un po’ più di sicurezza.
Allora ricambiò il sorriso e si posò la coperta sulle spalle, dopo averla aperta. «Una cosa però la puoi dire, se ti fanno impazzire troppo» dichiarò la bionda, sorridendo mentre guardava il paesaggio verde che si estendeva per chilometri oltre lo steccato.
«Cosa?»
«Che Hermione Granger è felicemente in una relazione con Draco Malfoy da qualche giorno e che sono ben assortiti.» dichiarò Daphne con un ghigno «Potresti causare davvero una diatriba familiare cosmica.»
«Quella è una specialità di George, in realtà... ma effettivamente hai ragione: a mali estremi, estremi rimedi.» Charlie rimase lì accanto a lei a farle compagnia, sorridendo e porgendo lo sguardo verso le immense distese di verde proprio come stava facendo Daphne a mezzo metro da lui.

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Capitolo 23
*** 22. Bedroom Hymns ***


Buongiorno! Come va? Allora, non ho cambiato il rating perché non è poi così esplicita e ritengo che arancione vada bene... ma verso i 3/4 di capitolo c'è una scena hot&steamy. Non era pianificata (né dai personaggi e men che meno da me), è semplicemente accaduta. Giusto per non farvi prendere un infarto quando ci arrivate :D Buona lettura!








 
The sweetest submission, drinking it in:
 the wine, the women, the bedroom hymns.
‘Cause this is his body, this is his love,
Such selfish prayers and I can’t get enough.

Non ricordava quando aveva dormito a casa sua l’ultima volta. Sapeva di essere andata a Marlow House per prendere la posta e alcuni vestiti il giorno prima, ma l’ultima volta che ci aveva dormito... era sicuramente stata con Malfoy. Forse due weekend prima?
Quella realizzazione l’aveva colpita in pieno: era stravaccata sul divano del soggiorno al piano terra e guardò alla sua sinistra. Nix stava saltellando qua e là mentre cercava di staccare uno dei giochi che Draco aveva attaccato al muro per lui: un uccellino giallo al cui interno era chiaramente presente dell’erba gatta. Il micio era concentrato, intento nella sua lotta infinita contro il piccolo peluche giallo.
Hermione guardò oltre e osservò il tavolo da pranzo e infine la cucina, poi voltò la testa verso destra, guardando il giardino oltre la porta-finestra. Come si era ritrovata così a suo agio a casa di Malfoy? Lui non era nemmeno presente, era a lavoro. E lei era acciambellata sul divano avvolta in una sua coperta – che aveva portato da casa! – con il computer sulle gambe a lavorare, mentre di fronte a lei la TV era con il suono inattivo ma perennemente su BBC News.
Come ci era arrivata, fin lì?
Si alzò e si diresse in cucina, decisa a prepararsi del tè: il freddo non mancava, e aveva bisogno di distogliere la mente da quei pensieri. Perché, sinceramente, la terrorizzava il suo aver momentaneamente spento il cervello per buttarsi a capofitto in quella relazione, che non era ancora stata ben definita, nonostante stessero praticamente convivendo insieme.
Insomma, lo aspettava a casa spesso. Tornava da lavoro direttamente a casa sua, e Nix era lì ad aspettarla. E quasi tre mesi prima si era lasciata con la persona con cui era stata più di otto anni, ma con la quale non aveva neanche lontanamente affrontato l’argomento convivenza.
E invece dopo neanche un mese era già di casa a casa di Malfoy. Era completamente disarmante la naturalità con la quale erano arrivati a un punto del genere senza chiedersi neanche una volta se avessero affrettato troppo tutto, stavano semplicemente bene così.
Era terribile.
E non si era nemmeno accorta che l’acqua stesse bollendo, tant’era presa da quei pensieri: spense il fuoco e lasciò cadere la bustina di tè che aveva preso in una tazza.
«Meow.» Nix attirò la sua attenzione: era così raro che miagolasse, quel gatto – soprattutto da quando stava a casa di Draco, dove aveva tanti piani da esplorare e in cui causare marasma – che talvolta si dimenticava avesse una voce. Ma ce l’aveva e sapeva farsi ascoltare: e in quel momento, voleva che la sua umana gli riempisse nuovamente la ciotola, perché era quel che lui considerava “vuoto” — aveva mangiato tutti i croccantini che erano al centro e non aveva alcuna intenzione di sforzarsi per prendere tutti quelli vicini ai bordi.
«Sì, d’accordo, signor viziato.» Hermione roteò gli occhi, ma eseguì: prese la scatola dei croccantini dal mobile e ne versò un po’ nella ciotola, tornando solo dopo da quello che sarebbe diventato a breve il suo tè.
La cosa altrettanto sconvolgente era come avessero semplicemente accettato quei loro passi – che il suo cervello razionale avrebbe definito affrettati – quelli che erano diventati i loro amici. Luna e Angharad erano palesemente contente e Ginny non aveva avuto nulla da ridire, e già quello sarebbe stato un miracolo se non si fosse trattato di Malfoy. E Theo e Blaise l’avevano già da tempo accettata nel gruppo, ma a quanto pare anche come degna compagna di Malfoy. Le metteva ansia mista a euforia pensare a quel termine, e rendersene conto era sicuramente un passo in avanti nonostante rendesse anche così il tutto troppo reale per poterlo evitare. Quindi ora sapeva che esser considerata la compagna pari di Malfoy era qualcosa che la spaventava e la eccitava.
Stava decisamente avendo un atteggiamento infantile nell’affrontare quelle multiple realizzazioni, ma fortunatamente non avrebbe dovuto affrontarle a breve: il campanello aveva suonato, e lei non aspettava nessuno. E Draco aveva le chiavi.
Questo lo sapeva anche Nix, che non appena udì il suono, sgattaiolò nel piccolo spazio tra il divano e il muro. Nel frattempo, la sua umana salì le scale e si fermò davanti alla porta d’ingresso, guardando dallo spioncino per controllare chi fosse l’ospite inatteso.
«Merda.»
«Posso sentirti, Hermione.» la voce di Narcissa Malfoy era chiaramente udibile al di là della porta, che lei non avrebbe potuto semplicemente non aprire, come avrebbe fatto se si fosse trattato di qualcun altro che non fosse a lei conosciuto.
Aprì la porta per trovarsi davanti una compita – e a quanto pare contenta di vederla... o di averla trovata con le mani nel sacco? – Narcissa Malfoy, vestita da babbana molto elegante – e, a quanto pareva, amante della haute couture – che attendeva sui gradini una qualche reazione da parte sua.
«Buon pomeriggio?» fu l’unica cosa che Hermione riuscì a dire, mentre le sue gote diventavano di minuto in minuto più rosse.
«Lo sapevo. Lo sapevo che stavate insieme!» e con quell’esclamazione vittoriosa, Narcissa Malfoy entrò in casa di suo figlio, in sua assenza, esprimendo lauta soddisfazione a quella che già considerava sua nuora e oltrepassandola per entrare in casa.
«Okay.» Hermione scosse la testa, rassegnata: ormai Narcissa era dentro casa e la stava percorrendo come se volesse rifarne la sua conoscenza. Chiuse la porta e seguì l’ospite nel salottino alla loro destra, dove Narcissa sembrava essersi ambientata perfettamente. Ringraziò il cielo che la porta dello studio di Draco fosse chiusa: dava sul salottino, e Narcissa avrebbe potuto benissimo scambiarlo per un altro salotto.
«Vuole un tè?»
«Hermione, puoi decisamente darmi del tu dopo che mi sono fiondata dentro casa vostra...»
Non aveva davvero voglia di replicare che quella non era casa sua ma di Draco e che la sua invece si trovava ad Arnold Circus, così si limitò ad aspettare la risposta della donna, che arrivò dopo qualche secondo: «E sì, grazie!»
«Vado a prenderlo. L’avevo appena fatto anche per me.»
«Perfetto!» sentita la risposta dell’ospite, iniziò a dirigersi verso il piano di sotto, quando il campanello suonò nuovamente: quella volta aprì direttamente la porta, trovandosi Daphne Greengrass davanti.
«Granger. Mi sarei aspettata un comportamento meno sconsiderato. Aprire la porta senza guardare dallo spioncino prima...»
«Merlino, talvolta parlare con te sembra parlare con Draco...»
«Non innamorarti anche di me, però!» ribatté la bionda, battendo le ciglia ed esibendo il suo migliore sorriso a trentadue denti.
«Ho bisogno di una mano.» era davvero disperata se si ritrovava a chiedere aiuto a Daphne Greengrass, arrivando ad afferrarle il polso e a guardarla con gli occhi sgranati.
«Rilassati, Granger! Che è successo?»
«Narcissa Malfoy è nel salottino e stavo andando a prepararle del tè.» si limitò a risponderle Hermione, indicando con un cenno del capo la stanza in questione.
Daphne emise quella che sembrava la prima risata di cuore dopo molto tempo, riuscendo a risponderle solo annuendo dopo qualche secondo: «Dovevo solo lasciare dei documenti per Draco, ma okay, affrontiamo la suocera.»
Hermione roteò gli occhi, ma non mancò di ringraziarla, principalmente perché aveva paura che l’avrebbe abbandonata su due piedi se non l’avesse fatto dopo che si era inavvertitamente presentata lì da lei come una manna dal cielo.
E quando Daphne la oltrepassò con il sorriso stampato in volto richiesto dalla situazione e l’andatura elegantemente marziale, si chiese sinceramente come mai non fosse una modella o più probabilmente un’attrice, vista la facilità con cui aveva adottato la parte dell’amica ed ex compagna di scuola del figlio dell’altra ospite. Sembrava una valchiria bellissima.
«Grazie!» rispose l’oggetto dei suoi pensieri, che a due metri da lei si voltò a guardarla per rivolgerle un ghigno a trentadue denti.
Hermione non riuscì a trattenere la bocca chiusa, sconvolta: «Come ti permetti di usare la legilimanzia! E come diavolo lo fai con una facilità tale da non farmene rendere conto!—
«Se la smettessi di pensare così rumorosamente... e poi sono brava!» ribatté l’altra, dedicandole un ultimo sorriso sfacciato per poi aprire la porta del salottino: «Narcissa, buon pomeriggio! Sono passata a lasciare dei documenti per Draco, ma appena ho saputo che eri qui non potevo non salutarti!»
«Daphne? Tesoro caro! Come stai?»
Vederle salutarsi con abbracci e baci – ma soprattutto Narcissa Malfoy che si alzava dal divanetto per essi, con calore, manco fosse la sua stessa figlia – la sconvolse anche di più di quanto non lo fosse già.
«Vado a fare del tè in più.» si limitò a dichiarare, dirigendosi immediatamente alle scale prima che una delle due potesse ribattere qualcosa che avrebbe potuto trattenerla lì.
Riempì il bollitore fino all’orlo e accese il fuoco, per poi iniziare a bere il tè che aveva preparato solo per sé e che si era già raffreddato. Nix era uscito dal suo nascondiglio ed era acciambellato sulla penisola della cucina, ma in quel momento aveva aperto gli occhi per osservare l’umana che sembrava stremata.
Hermione,  invece, decise di correggere il restante tè semifreddo che le rimaneva con il gin: stava cercandolo sul tavolino degli alcolici, in quella che lei considerava un’alcova – era un pianterreno così vasto che in un angolo della sala da pranzo c’erano praticamente sei metri quadrati o più di spazio incastrati in un angolo buio – quando udì un rumore. Sfoderò la bacchetta e si acquattò contro la parete: strano che Nix non avesse accennato alcun movimento però.
Continuò a piccoli passi, finché non arrivò all’angolo e uscì dal nascondiglio, ritrovandosi però a puntare la bacchetta contro Malfoy: «Cristo, Granger! Che cosa diavolo stavi facendo?!»
«Cercavo il gin. E come ti viene in mente di entrare dal retro!» mollò la bacchetta e gli tirò un pugno sulla spalla, per poi cedere e lasciarsi salutare con un bacio.
«E poi cosa mi avresti fatto, con quel pezzo di legno? Mi avresti pungolato?» ribatté con scherno il biondo, ridacchiando. Poi si diresse verso Nix, che fece cenno di averlo notato con un miagolio: Hermione ebbe il buon senso di rimettere la bacchetta nella manica, tirando un sospiro di sollievo.
«E soprattutto, gin alle sei del pomeriggio? Perché?»
«Oh, tua mamma è venuta a trovarmi. Mi ha teso un’imboscata.» rispose Hermione, riavvicinandosi all’uomo con un ghigno dipinto in volto: questa volta toccava a lei deriderlo, perché lui era quello che si sarebbe dovuto sentire in imbarazzo, la cui madre si era palesata a casa per conoscere la fidanzata del figlio a tradimento.
«Sul serio?» Draco lasciò la merendina che aveva preso dalla credenza e si voltò verso di lei, sconvolto.
Hermione allora lo raggiunse e gli si parò davanti, incrociando le braccia e alzando un sopracciglio: «È di sopra con Daphne, che era passata a lasciarti dei documenti ma che ho implorato per fare in modo che rimanesse.»
«Piccola scaltra volpe!» la abbracciò, dimentico della merendina che aveva puntato qualche secondo prima, e le baciò la fronte.
«Dovrà bastarci il tempo che ci metterà l’acqua a bollire.» si lamentò Hermione, passando le braccia sotto la giacca di Malfoy e stringendolo a sé, mentre lui allungava il braccio e si appropriava dell’unica tazza di tè pronta presente sul bancone per prenderne un po’: «Non ti preoccupare, ce la faremo. Voglio anche io il tè corretto, però.»
«Affare fatto.» rispose Hermione, alzando il capo per guardarlo e annuire, ma ritrovandosi contro il bancone catapultata in un bacio decisamente più passionale di quello precedente.
Quando sentì la mano di Draco insinuarsi sotto la maglietta e contro la sua schiena si allontanò dalle labbra della serpe seduttrice che le stava facendo dimenticare dove si trovassero.
«Malfoy, non credo che fare sesso quando al piano di sopra ci sono tua madre e Daphne sia la cosa più adeguata. Inoltre, stavo solo cercando di abbracciarti dopo una lunga giornata.»
«Non ho mai suggerito nulla del genere.» ribatté il padrone di casa con voce arrochita, lasciandole un bacio sulla guancia per poi allontanarsi.
«Che stai facendo?» era udibile una nota di delusione nel suo tono. Ma Draco aveva preso in braccio Nix e l’aveva trasportato al confine con la sala da pranzo, per poi chiudere le porte scorrevoli della cucina e voltarsi nuovamente verso Hermione: «Ti precedo, ovviamente. O meglio, anticipo le cose altamente probabili che avresti da ridire...» nel frattempo era tornato di fronte a lei e si era liberato della giacca.
«Sta’ zitto e baciami.» Draco obbedì, ghignando soddisfatto dopo qualche secondo: «Lo farei anche se avessi qualcosa di peggiore addosso.»
«Hai da ridire sui miei pantaloni della tuta?» si rese conto di aver ansimato la domanda, ma era colpa di Malfoy: stava avendo una qualche conversazione sensata con lui nonostante avesse le sue dita tra le gambe e nonostante lui la stesse stuzzicando intenzionalmente in tutti i punti giusti.
«Non ora, ma ti sfido a continuare a parlare.»
Gli aveva sbottonato lei la camicia e i pantaloni? Non se n’era resa conto, non la parte razionale di lei, perlomeno, che stava ancora chiedendosi se fosse opportuno un comportamento del genere in quel momento.
«Avrei io da ridire, se tu avessi qualcosa contro i miei...oh.»
«I versi non contano, Granger.» avrebbe voluto volentieri togliergli quel ghigno sbruffone dal volto, ma tutto ciò a cui stava pensando erano le sue mani addosso, sotto la maglietta, e i loro fianchi che finalmente aderivano: «Malfoy, mi bacerai o giuro sul bollitore rumoroso che farò più rumore di lu—
Sentì la mano destra afferrare la sua nuca, la sinistra contro il seno, ma non vedeva più la cucina: aveva finalmente obbedito. Passò una mano tra i capelli dal biondo improponibile di Malfoy e incrociò le gambe dietro i suoi fianchi, inarcandosi contro di lui mentre le loro labbra erano coinvolte in qualcosa molto simile a una lotta famelica. Doveva sentirlo di più, più pelle contro pelle, più nel profondo.
«Granger, mi farai im—
Non ebbe il tempo di completare la frase, perché gli aveva occupato nuovamente le labbra, mentre si muovevano all’unisono a centimetri dal bollitore che fischiava ormai da tempo.
Dopo qualche secondo, Draco aveva poggiato la fronte contro quella di Hermione, la cui testa era orgogliosamente posata contro i pacchi di pasta e merendine che si trovavano più avanti nel mobile pensile.
«La regina degli orgasmi contro i pacchi di pasta.» aveva commentato l’uomo, ghignando soddisfatto mentre si scostava da lei.
«Ma sta’ zitto, tu eri tra una merendina e un bollitore.»
«E dentro di te, se l’hai dimenticato. Giusto per chiarificare la mia esatta posizione.» le piazzò un bacio sulla punta del naso e iniziò a riabbottonarsi la camicia, ma solo dopo aver passato il maglione e i pantaloni a Hermione, che lo osservava con un’espressione tra il soddisfatto, il contrariato e l’imbarazzato.
Poi scese dal bancone e prese a vestirsi «Abbiamo passato già un po’ di tempo giù.»
«Nah, solo pochi minuti.» Draco stava maneggiando la cintura dei pantaloni quando Hermione riemerse dal maglione: «Non che sia un motivo di vanto, generalmente.»
«Potrei ribattere dicendo che hai ferito il mio povero ego, ma so abbastanza da poter decretare che dovrei essere orgoglioso: eri bagnata già solo con le mie parole. O forse anche solo vedendomi.»
«Sta’ zitto...»
«E questa è l’ennesima prova del mio aver ragione!» passò l’indice contro una guancia infuocata della ragazza, che lo osservava imbarazzata «Non potevo resisterti, Granger. Ecco perché è straordinariamente motivo di vanto.»
E dopo aver sganciato una bomba del genere si infilò nuovamente la camicia nei pantaloni e andò a prendere le bustine di tè per gettarle nella teiera, mentre Hermione lo seguiva silenziosa con il bollitore che aveva smesso di fischiare per travasare l’acqua da un contenitore all’altro.
Poi prese due tazze da tè per Daphne e Narcissa e due tazzoni per lei e Draco, compresi di gin: sperava davvero che Draco li riempisse per primi, o avrebbero avuto tanto da spiegare.

«Quindi ti hanno tirato un brutto scherzo, nevvero?»
«”Brutto scherzo” è un eufemismo. Mi hanno reso praticamente impossibile la riuscita di questa campagna, e ne va della mia carriera direttamente. I quattro peggiori risultati porteranno al licenziamento dei gruppi peggiori. Ma ce la farò...»
«Sembri speranzosa, e questo va bene.» osservò la donna più grande, sorridendo.
«Sì. Qualcuno* mi ha stranamente ricordato che sono brava in queste cose.» anche Daphne sorrise, docilmente, diversamente da come raramente lo faceva.
«Bene, questo è l’importante.» le diede due schiaffetti amorevoli sulla mano, dichiarando successivamente qualcosa di completamente diverso «Ma dov’è andata Hermione a prendere il tè, in India?»
Dopo nemmeno tre secondi, Hermione e Draco comparvero dalla porta a vetri, per lo stupore di entrambe le donne e per il diletto di Daphne, che riconosceva la camminata della vergogna dei due da tante piccole peculiarità: in primis l’aria da gallo cedrone di Malfoy e i capelli tremendamente scompigliati della Granger. E poi lui era vestito con una precisione quasi immacolata, come se l’avesse appena fatto, quando invece aveva sopportato un tragitto in metro e una passeggiata di almeno quindici minuti, ed entrambe le cose l’avrebbero scompigliato molto di più se non si fosse meticolosamente rassettato da poco.
«Oh, Draco! Da dove sei arrivato?»
«Da lavoro, mamma. Sono entrato dal giardino. Non sapevo avessi pianificato un’imboscata per Hermione.» ovviamente Draco non aveva mezzi termini, nonostante fossero presenti lei e Hermione oltre a sua madre.
«Non esser sciocco, volevo solo conoscere la ragazza che occultavi da giorni. Non ti capita spesso di incontrare una ragazza importante a tal punto da volercela nascondere!» l’osservazione di Narcissa aveva colpito in pieno sia il figlio che Hermione, meno abituata di Malfoy a una franchezza del genere: diamine, se era uno spettacolo divertente.
Ma sarebbe dovuto terminare: «Bene, signori, io devo andare.» Daphne si alzò e afferrò il cappotto per indossarlo «Draco, ho lasciato i documenti sul tavolo vicino alla porta-finestra» indicò con un cenno del capo l’estremità opposta della stanza, abbottonandosi il cappotto e prendendo la borsa dai manici «Hermione, accompagnami alla porta. Mi devi dire dove hai lasciato il mio ombrello.»
Il suo ombrello era sano e salvo in borsa, in realtà, ma non avrebbe perso l’opportunità di gongolare con la Granger.
«Subito!» Hermione seguì Daphne nell’atrio, ben sapendo che non c’era alcun ombrello da recuperare.
«La prossima volta che fate sesso in presenza mia e di Narcissa, abbiate la decenza di non fare una palese camminata della vergogna.»
«Come diavolo hai—vabbé, lasciamo perdere.»
«L’ho capito dalla sua camicia perfettamente infilata nei pantaloni ma dall’assenza della cravatta, che ha sempre al lavoro. Se non si fosse riassettato ora, sarebbe conciato molto peggio, dopo un tragitto in metro e uno a piedi. E poi tu hai i capelli molto più arruffati di prima. E l’aria di qualcuno che l’ha combinata grossa.» Daphne terminò il discorso sui gradini esterni della casa e fece spallucce.
«Perfetto, Sherlock Holmes. Hai carpito tutto. Buona serata!»
«Ciao ciao, fornicatrice del tè!» salutò con una mano oltrepassando il cancelletto, e Hermione scosse la testa. Passavano decisamente fin troppo tempo con i loro amici per essere così facilmente sgamabili.
O forse era Daphne che aveva una capacità d’osservazione fuori dal comune: quello sarebbe potuto essere anche il motivo per il quale non era una modella ma una grandiosa consulente di marketing.




* Sì, sta parlando di Charlie. :)

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Capitolo 24
*** 23. Dog Days Are Over ***


Buonasera! Scusate il ritardo, ma ho avuto una giornata di recupero della scorsa nottata terribile. Allora... ci sono tante rivelazioni in questo capitolo. Diciamo... due o tre. Ma sono importanti. E poi ho una domanda, per curiosità: le canzoni che danno titolo ai capitoli le sentite? :P In ogni caso, buona lettura!








 

Happiness hit her like a train on a track, coming towards her stuck still no turning back.
She hid it ‘round the corners and she hid it under beds, she killed it with kisses and from it she fled
With every bubble she sank with her drink and washed it away down the kitchen sink.

Theo non riusciva mai a dormire oltre l’alba quando passava la notte da Luna: la ragazza non usava tende, e aveva delle finestre enormi. Non capiva come facesse, lei, a dormire e a non svegliarsi fino alle otto.
Ma quella mattina, si accorse di esser stato l’ultimo a svegliarsi: il posto accanto a lui era vuoto e, a giudicare dal calore che non emanava, doveva esserlo da un bel po’ di tempo.
Controllò l’orario: stranamente, quella mattina ce l’aveva fatta a dormire fino alle otto e mezzo. Era un grosso traguardo, per lui. Ma che fine aveva fatto Luna?
Stava pensando di chiamarla al cellulare – o in extremis, invocare un Patronus che andasse a trovarla e avvisarla – quando udì le chiavi muoversi nella serratura della porta di casa: era ancora in pigiama, infreddolito dall’esser uscito di scatto dalle coperte preoccupato, e per questo avvolto da una coperta e seduto sul divano ad aspettare la sua ragazza, quando quest’ultima entrò con un vassoio di quelle che evidentemente erano due bibite e una busta di carta.
«Sei già sveglio?»
«La tua domanda sarebbe dovuta essere: hai dormito così tanto?» le andò incontro e le liberò le mani dal vassoio, le diede un leggero bacio a fior di labbra e attese che si liberasse del cappottone per offrirle parte della sua coperta «Che fine avevi fatto?»
«Sono andata a Clapham Junction a prendere qualcosa per colazione.»
«Non avevamo cibo?»
«Sì, ma volevo fare una passeggiata. E offrirti qualcosa di diverso dal tè o dal succo di zucca, per una volta!»
«Traditrice, a passeggio senza di me.» aveva ribattuto lui, fintamente offeso, mentre la ragazza gli tirava una leggera spallata «Non volevo aspettare il bello addormentato!»
«Avresti potuto lasciare un biglietto! E comunque... fino a Clapham? Non sarà freddo, ora?» indicò con un cenno del capo il caffè.
«Theo, ti ricordi che siamo maghi e che esiste un incantesimo riscaldante, vero?» gli chiese, sinceramente incuriosita, Luna.
«Non ci avevo pensato.» esalò l’altro, afferrando il suo caffè «Sarà stata la preoccupazione di prima mattina, appena sveglio, a farmelo dimenticare!»
«Ma sta’ zitto, te ne sei semplicemente dimenticato e basta!» ridacchiò la ragazza, prendendo l’altra tazza di plastica e aprendo la busta di carta «Muffin?»
«Sì, grazie.» rispose Theo, lasciando cadere il discorso precedente «Che piani abbiamo oggi, Lovegood?»
«Usciremo con gli altri probabilmente stasera, vero?»
«O staremo più probabilmente da qualcuno. Punto su Angharad, ma è probabile che saremo da Draco e Hermione...»
«Quindi casa di Draco?»
«Sì, certo, dove c’è Nix al momento. Effettivamente la nostra vita sociale adesso ruota attorno a un gatto...»
«E poi c’è la faccenda del pub che è esattamente a cinquanta metri da casa di Draco, e anche quello conta.» lo rimbeccò Luna, lanciandogli un’occhiatina canzonatoria «E per il resto della giornata?»
«Con questo freddo, io rimarrei nel letto.» Theo rispose alla sua occhiata con un’espressione furbetta alquanto inequivocabile.
«Lo sai che abbiamo entrambi del lavoro da svolgere, vero?»
«E potremo farlo anche nel letto, esistono i computer. E lì ci sono anche le coperte, il caldo, il diletto...»
«Oh, lo so.» rispose Luna, mantenendo lo sguardo furbetto e addentando il muffin al doppio cioccolato che aveva comprato mezz’ora prima.


Blaise rimaneva sempre stupito da quanto la sua pelle sembrasse scura a contatto con quella diafana e lentigginosa di Ginny. Gli sembrava come se entrambi i colori venissero evidenziati a contatto l’uno con l’altro, come se fossero più prominenti. Ed era un po’ lo stesso anche con i loro caratteri, terribilmente simili ma anche molto diversi: la loro vicinanza sottolineava le loro peculiarità.
«Zabini, se mi stessi spogliando con gli occhi non mi preoccuperei, ma la tua espressione pensante mi fa capire che stai riflettendo su qualcosa. Di prima mattina.» la frase che Ginevra usò per attirare la sua attenzione lo fece sorridere: al che si voltò a guardarla e a stamparle un bacio a fior di labbra.
«Ben svegliata!»
«Non mi stai dicendo a cosa pensavi.» era insistente: questa era una particolarità che condividevano. Forse lei era anche più persuasiva di lui, quindi sapeva che la cosa migliore sarebbe stata ammettere la verità.
«Pensavo a quanto la mia pelle sembrasse scura accanto alla tua e viceversa, e a come i nostri caratteri fossero altrettanto... spiccati, quando siamo insieme.»
Ginny gli sorrise sinceramente, prima di tornare a stuzzicarlo: «Oh, e io che pensavo fosse davvero qualcosa di più carnale.»
«È inutile che ci provi, ti conosco bene.» commentò il moro, avvicinandosi alla ragazza e stringendola in un abbraccio.
«Scusami? Cosa vorresti dire, con questo?»
«Semplice, non hai la partita oggi, ma domani. Quindi, onde a evitare performance scadenti domani, niente sesso. E poi sei dannatamente scaramantica» aggiunse l’ex Serpeverde, annuendo soddisfatto della sua percettività.
«Beh, io ci guadagno, da quelle partite! E poi, tutta questa soddisfazione causata dal non fare sesso dovrebbe preoccuparmi?» ribatté la rossa, con entrambe le sopracciglia innalzate.
«Al contrario: non sono soddisfatto per la mancanza di amor carnale, ma per l’ampia conoscenza che ho di te.»
«Oh, come siamo aulici. E bene, se non riempiremo la giornata come al nostro solito, cosa mai faremo?» lo stava palesemente provocando.
«Non è vero che facciamo solo quello! Facciamo tante cose, ma devo essere davvero tanto prestante se tu ti ricordi solo quello!» anche Blaise stette al gioco, beccandosi una gomitata da parte della ragazza, che gli rivolse un’occhiata colpevole – nonostante stesse scherzando, non doveva essere andato troppo lontano dalla verità, forse.
«Beh, potremmo provare a passeggiare in giro per la città. O mangiare fuori, o tutte quelle cazzate da Luna e Theo...
*» propose Ginny, soddisfatta della propria immaginazione nel proporre qualcosa del genere.
Blaise non poté trattenersi dal ridere: «Quelle cazzate da Luna e Theo? Aggiudicato. D’ora in poi le chiameremo così.»
«Non abbiamo ancora deciso cosa fare della nostra giornata.» gli ricordò la rossa, spintonandolo leggermente con una spallata.
Ma Blaise sembrava rapito da un pensiero che doveva essergli venuto in mente qualche secondo prima: «Potrei aver avuto un’idea... interessante. Ma per questa dovrai andarti a buttare nella doccia.»
«Mi stai dando della puzzolente?» Ginny arcuò il sopracciglio destro, perplessa ma propensa a dargli la possibilità di commentare con altrettanta audacia – o di cambiare suggerimento.
«Ovviamente no, cara, ma dovrai prepararti con più attenzione per dove vorrei portarti.» Blaise accompagnò la dichiarazione con un sorriso a trentadue denti, mentre Ginny lo osservava ancora con il sopracciglio alzato, che non aveva l’intenzione di tornare al suo posto.
«Non mi muovo da sotto le coperte finché non mi dici cosa—
«Weasley, voglio portarti a trovare mia madre.»
La sincera ammissione di Blaise, accompagnata da un sorriso a metà tra lo speranzoso e il birichino, la fece capitolare, nonostante quella proposta la terrorizzasse non poco.
«Okay. Vado per prima in doccia.» e lanciandogli un’ultima occhiata un po’ titubante si liberò dalle coperte e si diresse verso la porta.
L’ultima cosa che vide prima di dedicare tutta la sua attenzione al muro color crema che occupava la sua visuale – e a cosa avrebbe detto per spiegare alla madre la motivazione della sua inattesa visita – fu la coppia di gambe diafane di Ginny che si allontanavano dal letto per raggiungere il bagno.

Quando Hermione si svegliò, la casa sembrava innaturalmente silenziosa. Accanto a lei, Draco non occupava il suo lato del letto, e Nix non era seduto sulla sua pancia, perseverante, con l’obiettivo di destare la sua umana.
Di conseguenza, l’ex Grifondoro era uscita dal letto, aveva agguantato il suo cardigan casalingo color crema di lana pesante, l’aveva infilato ed era uscita dalla camera da letto per dirigersi ai piani inferiori.
Solo quando ebbe raggiunto la scala che portava alla cucina iniziò a sentire qualcosa: la televisione accesa come sottofondo, la voce di qualcuno che canticchiava sommessamente – sarebbe potuto essere Draco? – una padella sulla quale sfrigolava qualcosa e il rumore che era solito fare Nix quando giocava energicamente con uno dei suoi giochi.
Arrivata a destinazione, scoprì di aver ragione: le porte scorrevoli della cucina erano spalancate sull’open space che raccoglieva sala da pranzo e salotto, nel quale c’era Nix che si accaniva contro un gioco a forma di topino a pochi metri dalla televisione accesa.
E, in cucina, c’era Draco che armeggiava una padella ai fornelli, cucinando qualcosa e fischiettando un motivetto, che ogni tanto prendeva la forma di qualche parola cantata.
«Buongiorno?» era perplessa. Non l’aveva mai visto così vitale di sabato mattina. Ringraziò il cielo che non dovesse andare dai Malfoy per il brunch, perché quella visione era già abbastanza destabilizzante.
«Lo è.» rispose Draco, voltandosi verso di lei e dedicandole un gran sorriso, al quale lei non poté non rispondere che con un’alzata di sopracciglia: lo raggiunse ai fornelli.
«Il tuo buonumore mi rende leggermente perplessa.»
«Non contenta?»
«Lo sarò quando scoprirò a cosa è dovuto questo buonumore.» rispose la ragazza, abbracciando l’ex Serpeverde da dietro.
«Oh, non sono a lavoro e non ho lavoro da fare nonostante sia a casa, e già questa è una manna dal cielo considerato il periodo. Le nuvole presagiscono tempesta e il cielo è grigio, quindi ho tutte le mie buone motivazioni per rimanere chiuso in casa fino a lunedì mattina, per non parlare del fatto che le giornate grigie mi mettono tranquillità. Sono costretto in casa con te e Nix, e nessuno dei due avrà intenzione o voglia di lasciare l’abitazione con il preannunciato tempaccio e vi avrò per quarantott’ore di fila, e infine è colazione, il momento migliore della giornata per rimpinzarsi di dolci.» si voltò Draco, concludendo il discorso girando il pancake che stava preparando e rivolgendole un sorrisino più piccolo del precedente, al quale però, questa volta, Hermione rispose «Mi hai convinta appieno. E a cosa devo la preparazione della colazione?»
«Cucinare mi impegna mani e testa, e non è qualcosa che normalmente mi capita nelle mie mansioni giornaliere. Quindi sono contento di farlo quando sono libero.» rispose l’uomo, usando una spatola per passare il pancake ormai cotto in un piatto che ne ospitava già una decina.
«Avrei avuto in mente un’altra occupazione per le tue mani, di prima mattina...»
L’occhiata istintivamente sconvolta che le rivolse successivamente Draco si trasformò in ammirazione: «Adoro le tue battutine sconce inaspettate. Ma non temere, abbiamo un intero weekend in cui potremo fare di tutto e di più. Possibilmente lontani da Nix, in questo frangente.»
«Ha quattro piani da esplorare, fidati che non starà con noi tutto il giorno.» lo rassicurò con un sorrisino sornione Hermione, incontrando lo sguardo di Draco nella superficie riflettente della cappa «A proposito, l’hai nutrito?»
«Ovviamente, come al solito.»
«Che bravo umano!»
«Fino a prova contraria, quella sei tu! La sua umana»
«Sì, ma lui ti adora alla pari di quanto ami me, quasi» ribatté la ragazza, annuendo e così facendo scontrandosi contro la spalla di Malfoy con il mento «Allora, con cosa i pancake? Che topping prendo?»
«Ti direi sciroppo d’acero, ma so che...»
«Io amo il cioccolato e per questo prenderò la Nutella.» concluse per lui Hermione, dirigendosi verso lo scompartimento giusto della credenza.
«Esattamente.» convenne Draco, annuendo e cercando di accumulare la giusta quantità d’impasto per l’ultimo pancake.
La loro abbondante e cioccolatosa colazione li portò a trasferirsi sul divano solo dopo più di venti minuti trascorsi a cercare di terminare i loro pancake da sei strati senza soccombere a ragionevoli futuri mal di pancia.
«Penso di poter saltare il pranzo.» aveva dichiarato Draco, lasciando i piatti nel lavabo e arrancando verso il salotto con un paio di coperte.
«Non sei l’unico. Forse la prossima volta che ti viene voglia di fare Masterchef dovresti aggiustare le dosi.» commentò la ragazza, affiancandolo sul divano e appropriandosi di una delle sue coperte.
«Colgo commenti da malevola serpe insoddisfatta, signorina Granger?»
Serpe? Che il suo inconscio facesse brutti scherzi, nonostante Malfoy non ricordasse nulla del suo passato da Serpeverde?
«No, certo che no. Non potrei avere l’ardire di appropriarmi di una sua coperta, sennò.» si affrettò a rispondere Hermione mantenendo lo stesso tono beffeggiante di Malfoy.
«Ora, Granger, dobbiamo solo decidere cosa fare del resto delle nostre ore. Almeno di questo weekend.»
«Il mio piano comprende tante cose, tra cui la lettura, il cibo, sebbene tra un po’ di ore, e tante coccole di tipo diverso...»
«Il tuo piano mi attrae, Granger» commentò Malfoy, sorridendole malizioso «La televisione è inclusa per un po’ nel piano?»
«Forse.» commentò la ragazza, rispondendo con lo stesso sorriso birichino «Oppure potremmo fare tutto quello che ho detto prima, ma in un forte.»
«In un forte?» ora era davvero perplesso.
«Sì, ci costruiamo un forte di cuscini e coperte dove passare tutta la giornata. E dove accogliere Nix, ogni tanto.» propose la ragazza, con lo sguardo che luccicava.
«Non penso di esser ancora ferrato nella costruzione di forti, Granger. L’ultimo che ho costruito penso sia vecchio più di dieci anni...»
«Anche io. La cosa divertente è quella, no?» ribatté la riccia, alzandosi «Prendi cuscini e coperte, io cerco le lenzuola adatte e qualche statua o catasta di tomi pesanti per fare le colonne del nostro maxiforte.»
«Allora è deciso?» l’idea gli piaceva molto, ma era completamente strana: non aveva mai costruito un forte da adulto e con la propria fidanzata. Ma la ragazza in questione era già andata al piano di sopra a cercare il necessario, quindi si ritrovò a parlare con se stesso «È decisamente deciso.»

Se qualcuno mesi prima le avesse detto che si sarebbe trovata nell’appartamento sopra i Tiri Vispi Weasley a trascorrere il suo sabato con un Weasley, lei gli avrebbe risposto che era un pazzo visionario.
E invece era stesa sul pavimento della camera che ormai era diventata di Charlie dopo esser stata disabitata per anni a osservare il soffitto, con il proprietario della camera in questione steso accanto a lei e impegnato nella medesima attività.
George, il fratello stranamente ficcanaso – almeno quando si trattava di lei – ma sicuramente tra i migliori di Charlie, era altrimenti occupato e non a casa: non che sarebbe stato un problema se fosse stato presente, lui sapeva dei loro incontri. Non ne conosceva il perché, il come e la natura del rapporto tra quei due, ma ne era sempre a conoscenza. Dopotutto, viveva con Charlie.
Da quando trascorreva gran parte del tempo con lui, Daphne aveva imparato ad apprezzare la bellezza del silenzio: la sua comprensione, la sua accoglienza, la sua immobilità non terrorizzante.
Parlavano, spesso, ma i loro silenzi erano maggiori delle loro chiacchiere: era una relazione strana. Non aveva mai avuto nessuno nella sua vita con il quale si era rapportata così: talvolta parlava addirittura di più con George, nonostante fosse solo di passaggio per trascorrere il suo tempo con Charlie.
E aveva anche notato che quegli incontri erano quasi sempre fuori dalla sua comfort zone e dagli ambienti che normalmente frequentava: quasi mai a casa sua, spesso da George e Charlie, o nelle campagne vicino Ottery St. Catchpole, o in quelle dell’Oxfordshire, vicino alla colonia di draghi dove lavorava Charlie.
Il suo flusso di pensieri venne interrotto dal suono del cellulare: controllò il messaggio, scoprendo che era di Angharad.
Charlie si era voltato per osservarla, incuriosito ma non invadente. La vide sospirare profondamente, chiudere gli occhi e rimettere a posto il telefono senza digitare una risposta.
«Chi era?» sapeva che non l’avrebbe indisposta quella domanda, non se l’avesse posta lui.
«Angharad.» e lui sapeva chi lei fosse. In realtà, in davvero poco tempo, Charlie aveva scoperto cose della sua vita che lei non aveva nemmeno confessato a se stessa, prima di quel momento. Si era completamente affidata a lui, aveva affidato la sua vita a lui, con tutti i suoi problemi appresso. E lui li aveva accolti e benvenuti, mai sminuiti, e l’aveva fatta sentire di conseguenza a casa.
«Non le hai risposto.»
«Non mi va.»
«È plausibile che sia preoccupata per te, ti sei nettamente e quasi completamente allontanata da tutti ed è molto probabile che senta la tua mancanza...» sapeva che il suo compagno rosso aveva ragione, ma quella consapevolezza non l’aveva fermata dal ribattere aspramente una risposta: «Non come vorrei che le mancassi.»
**
Charlie lo sapeva, Charlie aveva scoperto qualcosa che lei non aveva nemmeno lontanamente mai compreso del suo rapporto con Angharad e della sua eccessiva protezione nei suoi confronti, contro tutti. Non che Angharad ne avesse bisogno – ma c’era, nonostante tutto.
E le aveva naturalmente fatto realizzare la motivazione del suo atteggiamento a tratti morboso nei suoi confronti, senza nemmeno ammetterlo esplicitamente. Charlie aveva lasciato che lei mettesse tutte le carte in tavola – quelle della sua vita, quelle che la componevano come individuo – e l’aveva supportata. E lo faceva ancora.
Non aveva mai affrontato con nessuno l’argomento della sua plausibile bisessualità, ma non ne aveva nemmeno mai sentito il motivo: non era contraria all’idea, ma non ci aveva semplicemente mai pensato. Certo, aveva avuto qualche esperienza di più con alcune ragazze a Hogwarts, almeno rispetto a quelle che ne potevano aver avute altre, ma era stata la stessa cosa con i ragazzi. Ed era adolescente, quindi aveva sinceramente pensato che dipendesse tutto dal risveglio ormonale di quegli anni.
Non ci aveva mai pensato più di tanto e non aveva mai creduto di volere qualcosa di quel tipo da Angharad, che era sempre e solo stata sua amica. Poi, però, una sera con Charlie si era trovata a pronunciare una frase simile a quella che aveva appena detto, e aveva messo insieme un puzzle che non aveva nemmeno mai visto fino a quel momento.
Già non riusciva a frequentare gli altri come prima, per via del lavoro e della sua propensione a voler risolvere i suoi problemi da sola, ma dopo quella realizzazione non riusciva nemmeno a guardare più Angharad nello stesso modo: era arrabbiata con l’amica perché quella non provava ciò che lei invece sentiva nei suoi confronti, e con se stessa per aver involontariamente riconosciuto quel casino, rendendolo così reale.
E non aveva ora voglia di sentirla o vederla spesso, perché non voleva nemmeno affrontare la questione: era a conoscenza della sua eterosessualità, ma soprattutto sapeva che per lei era davvero, solo una amica. Una buona amica con la quale si confidava e condivideva diversi aspetti della sua vita, ma solo un’amica. E non ci si innamora dei propri amici.
«Daph, lei ti vuole bene, e la stai allontanando. Per qualcosa che non dipende da lei, e nemmeno da te...» le sagge parole di Charlie raggiunsero il suo orecchio, ma la sua mente e il suo cuore non avrebbero voluto assimilarle.
E l’inesplicabile persona che era Charlie Weasley l’aveva nuovamente fatta sentire in pace, avvicinandola a sé con un braccio abbastanza solido e comodo da infondere sicurezza: si nascose nell’incavo del suo collo e chiuse gli occhi, più che decisa a lasciare fuori i suoi problemi da quella dimensione tutta loro, dove lei poteva semplicemente circondarsi del profumo rilassante dell’uomo e non pensare a nient’altro.
Percepì l’avambraccio dell’unica persona alla quale avrebbe mai permesso un contatto simile
*** contro la sua vita e ispirò profondamente il suo profumo, abbandonando qualsiasi suo pensiero fuori da quel momento.

Osservavano l’ignaro visitatore di Broomstix
**** da un vicolo nascosto, che collegava direttamente a Nocturn Alley.
«Lo sai che devi farlo avvicinare alla Sanguesporco, vero?» le due figure esili erano nascoste in un angolo buio, cercando di passare inosservate.
«Ci sto provando, ma è più difficile del previsto.»
«Che cosa significa? Devi riuscirci. È l’unico motivo per cui fai parte del piano, l’unica cosa per la quale ti sei avvicinata a lui. O sai a che punto è arrivata nella sua ricerca per ridare la memoria a quel traditore del suo sangue, o...»
«O cosa? Mi uccidi?» ne aveva abbastanza degli ultimatum che quella sanguisuga dai capelli nerissimi le poneva. Senza di lei non aveva nemmeno un contatto diretto con le vittime.
«Potrei benissimo. O peggio, dovrò prendere io in mano la situazione, e non so quanto sarà piacevole per te.» lo sguardo della sua accompagnatrice saettò e si focalizzò su di lei «Anzi, lo so. Non ti piacerà per nulla. Quindi ottieni dei risultati, o sparisci.»
E con quell’ultima minaccia abbandonò la stretta sul suo braccio e si diresse nuovamente verso Nocturn Alley, lasciandola sola e dandole la possibilità di tornare dal suo fidanzato, che vagava ancora per il negozio.







* Sì, è una citazione di How I Met Your Mother, precisamente a un qualche episodio della nona stagione quando parlano di “all that Lily and Marshall crap”, riferendosi alle promesse che si fanno, l’onestà e tutto.
** Allooora. Io dall’inizio ero indecisa se far finire Daphne con qualcuno, e mi era venuta in mente una possibile relazione omosessuale. Però poi ho detto no: non per qualcosa, ma non mi va che siano tutti accoppiati – e poi l’idea non mi aveva mai convinta appieno. E non l’ho introdotto dal nulla perché non è importante, quanto perché, nonostante la mia Daphne sappia più o meno di essere bisessuale da tempo, ha scoperto di essere attratta da una sua cara amica all’improvviso, come del resto lo scoprono i lettori. E l’ha scoperto grazie alle chiacchierate con Charlie. E poi non tutti possono avere l’happy ever after: ci sono gli amori non corrisposti. Ora, Daphne le vuole bene e si sente attratta da lei, ma sarà davvero amore? E poi cosa ci si può fare se Angharad non è attratta da lei? E sì, so di essere un po’ bastarda a mandare tutte le cose brutte a Daphne, ma in realtà non tutto è brutto... basti vedere quanto è diventato importante Charlie nella sua vita e la loro stramba relazione. Vi giuro che non l’ho introdotta a buffo e nemmeno senza pensarci a lungo, anzi. Poi oh, a chi non capita di innamorarsi talvolta dei propri amici? L’unica differenza in questo caso e che per Daphne è una amica... ma beh, l’ha sempre "saputo" –senza ammetterlo a se stessa, ma lo sapeva– di essere bisessuale, quindi non le cambia molto. Deve solo farsela passare, non essendo ricambiata (come capita spesso quando ci si prende le sbandate per gli amici). E poi un po' di dramma mi piace sempre :P
*** La relazione di Daphne e Charlie è molto fisica. Non carnale (ora che Blaise ha usato questa parola non smetterò mai di usarla io XD), ma fisica senza dubbio. Per lei c’è moralmente e “fisicamente”.
**** non so quale sia la traduzione utilizzata in italiano, ma vende roba di Quidditch a Diagon Alley. Oh oh oh, chi saranno queste due esili figure?

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Capitolo 25
*** 24. Starlings ***


Buon pomeriggio! Come state? Il capitolo è un po' atipico, ma ci sono "tutti". Più o meno. Beh, leggerete! Buona lettura!







 

And we laughed like a pair of fools,
like kids, they laugh at school,
and we wandered home before the day brought dusk.

Il bar era affollato, nonostante fossero le dieci del mattino di una domenica di maggio soleggiata e relativamente calda, per gli standard londinesi. Probabilmente, avevano avuto tutti la loro stessa idea.
«Mi sto ancora chiedendo perché diamine ci stiamo vedendo prima, qui, quando le case della maggior parte di noi sono a Holland Park.» dichiarò Daphne, perplessa, osservando il resto dei presenti: c’erano Blaise e Theo, Draco e Hermione erano appena arrivati, ma non si vedeva ancora l’ombra di Angharad, Ginny e Luna.
«Perché, mia cara Daphne» iniziò Draco, che per lo stupore di Hermione era a maniche corte fuori di casa, e questo ancora la sconvolgeva un po’, nonostante il neo arrivato quasi caldo «Questo è il nostro punto d’incontro. Inoltre siamo a 4 minuti dalla metro, che ci porterà davanti all’entrata giusta di Regent’s Park, mentre da casa vostra è lontana chilometri!»
«Beh, mio caro Draco, saremmo potuti andare a Hyde Park invece che a Regent’s... e poi abbiamo la metro vicina anche noi!» Daphne era contenta. Certo, aveva notato la chiusura di Angharad nei suoi confronti, probabilmente dovuta al fatto che lei stessa l’aveva evitata ripetutamente negli ultimi tempi, ma quella domenica era rilassata. Principalmente perché aveva avuto il fegato di invitare George e Charlie Weasley al picnic che stava organizzando con il resto delle Serpi da giorni, ed era soddisfatta. Avrebbe voluto invitare solo Charlie, ma sarebbe stato alquanto strano, poiché non aveva spiegato nulla a nessuno dei suoi amici. Invece, col fatto che c’era anche Potter, la loro presenza sarebbe potuta passare inosservata. O almeno, era quello che sperava, perché avrebbe preferito non dare spiegazioni difficili davanti a tutti.
«A più di un chilometro di distanza dalle vostre rispettive case, e a circa 20 minuti di camminata. Qui siamo a cinque minuti e in qualche fermata siamo a destinazione!» continuò Malfoy, sicuro di sé. Hermione scosse la testa, divertita «Qualcosa da ridire, Granger?»
«Assolutamente no, Malfoy.» la ragazza intrecciò le dita con quelle di Draco, posando la mano direttamente sul tavolo «Se non che questo è uno scontro tra titani. Tu e Daphne potreste essere fratello e sorella per tante cose, ma ciò che avete sicuramente in comune sono caparbia, sarcasmo e ostinazione.»
Blaise e Theo osservavano la schermaglia giocosa senza proferir parola, scambiandosi occhiate divertite e bevendo le loro birre ghiacciate.
«Concordo.» annuì Daphne, sicura «Le ho detto più volte, infatti, di non innamorarsi di me!»
«Non c’è problema, Daphne. Un ostinato sarcastico mi basta e avanza.» ribatté Hermione, alzando entrambe le sopracciglia e beccandosi un pizzicotto da parte di Malfoy, che finì per scoprirle una parte dell’avambraccio sinistro che avrebbe preferito tenere nascosto. Non troppo, ma neanche così in vista, davanti a tutti loro, che solo avendolo scorto erano rimasti immediatamente pietrificati.
«Ragazzi? Che c’è?» e Draco l’aveva notato «Lo so che è brutto, ma sono...»
«Errori di gioventù. Sapete, quei tatuaggi che da ubriachi sembrano una buona idea ma da sobri non lo sono più di tanto.» Hermione era giunta in soccorso della situazione: Draco l’aveva già visto e lei gli aveva raccontato quella storia. La scritta “Sanguesporco” era sbiadita, ma c’era ancora. E non avrebbe potuto dirgli la verità... quindi la storia del tatuaggio “errore di gioventù” sarebbe dovuta andare bene.
«E poi non è l’unica che ha fatto un errore del genere» per l’orrore dei presenti, Draco appiattì il suo braccio sinistro – la cui mano era stretta a quella di Hermione – contro il tavolo: il Marchio Nero era ben visibile, nonostante fosse un po’ sbiadito anch’esso, e gli altri tre erano ancora più sconvolti. Faceva sempre un certo effetto vederlo «Questo obbrobrio non è per nulla di buon gusto, ma tutti facciamo errori da giovani.»
Hermione annuiva, cercando di non pensare a quanto quella frase fosse vera per lui: e Draco non lo sapeva. Se l’avesse saputo, era più che certa che probabilmente sarebbe finito per dare di matto. E non solo per quello specifico tatuaggio.
«Dai, andiamo a prendere il solito secchio di birra per questi tre, sono rimasti pietrificati» Hermione gli sorrise, perché nonostante tutto quel Draco non aveva quelle colpe: non ricordava nemmeno che fosse un mago, figurarsi di esser stato presente durante la sua tortura. E si lasciò condurre dalla mano di Malfoy contro la sua vita verso il bancone del bar, decidendo di rispondere al contatto posando il capo contro la spalla sinistra di Draco.
«Ricordatemi di non chiamarla mai, mai, mai Sanguesporco.» dichiarò con tono funereo Daphne, osservando la coppia dal loro tavolo.
«Ma non lo fai, Daph» intervenne Theo, perplesso.
«Nemmeno se parliamo tra noi.» continuò la bionda, guardando entrambi gli amici negli occhi.
Blaise si limitò ad annuire impercettibilmente, mentre Theo le aveva risposto che sì, l’avrebbero fatto.
Non si capacitava davvero, talvolta, di cosa avesse dovuto passare la Granger durante la guerra, e prima ancora durante la scuola, per poi trovarsi a tentare di curare uno dei principali fautori delle sue disgrazie e finire per innamorarsi di lui. Non era decisamente facile.

Avevano occupato un pezzo di prato all’ombra del grande albero che si trovava a metà strada tra il pavilion decorato e il Boating Lake e ci avevano piazzato sopra due coperte e una tovaglia. Poi si erano seduti tutti intorno a essa mentre aspettavano le ultime tre persone mancanti.
Daphne si sentiva in ansia e non sapeva nemmeno il perché, mentre Angharad si ritrovava spesso a indirizzarle occhiate contrariate, che venivano puntualmente incrociate e smussate da Luna, che le afferrava e stringeva la mano ogni volta. Era accanto a lei molto spesso, aveva trovato una buona confidente in lei. Sicuramente una dalle volontà meno altalenanti di Daphne.
«Gin, ma li hai invitati tu Charlie e George?» chiese tutto a un tratto Hermione dopo essersi voltata verso l’amica dalla comoda sedia ergonomica umana che era diventato il petto di Draco Malfoy.
«No. Non hai chiesto a Harry? Magari è stato lui.» la rossa alzò gli occhiali da sole per guardare negli occhi l’amica, che scosse la testa. Allora fece spallucce «Non ne ho la più pallida idea.»
Blaise era disteso su un asciugamano, accanto a Ginny, e sonnecchiava pigramente. Nel frattempo, Daphne non sapeva dove guardare. Si sentiva così ansiosa e imbarazzata che avrebbe giurato di esser diventata color peperone, ma nessuno sembrava accorgersene a quanto pareva.
«Zabini, la rivincita di due settimane fa?» Blaise si sedette per guardare meglio Theo e capire le sue intenzioni: scherzava? O aveva davvero portato le carte?
«Ehi, perché chiedi a lui e non anche a me?» si era intromesso Malfoy, cercando di guardarli entrambi ma riuscendo a scorgere solo Zabini che si incamminava verso Theo da quella posizione.
«Perché tu sei tutto pucci-pucci con la Granger e perché non partecipi alle nostre bische da molto tempo.» commentò Blaise, sedendosi di fronte a Theo e sfregandosi le mani.
«Non è giusto!»
«Non frignare, Malfoy!» lo rimbeccò Theo, chiudendo la conversazione.
Draco, però si ritrovò a sbuffare molto vicino all’orecchio di Hermione: «Pfff. Si sono dimenticati di me. E in parte dipende dalle tue grinfie che mi tengono sempre molto vicino a te.»
Scherzava, lei lo sapeva: ma questo non le impedì di rivolgergli un’occhiataccia da sopra gli occhiali da sole dopo essersi voltata verso di lui «Prego, Malfoy, corri pure dai tuoi amici quando vuoi. Sai che nessuno te lo impedisce.»
«Nah. È molto più divertente passare le serate a testare superfici diverse con te, piuttosto che giocare con loro a carte. E poi è ulteriormente interessante vederti leggermente gelosa e infuriata.» aveva commentato Malfoy, mordendole giocosamente l’orecchio dopo che quella era quasi diventata color vermiglio.
«Buonsalve a tutti!» una voce nuova – perlomeno ad alcuni del gruppo – attirò gli sguardi di tutti i presenti sul suo proprietario: George Weasley aveva rivolto un sorriso sornione a un punto non meglio precisato delle pezzo di terra che occupavano e accanto a lui c’era Harry e oltre Charlie. L’ormai uomo sopravvissuto sembrava un microbo in mezzo ai due Weasley impossibilmente alti, molto di più del suo migliore amico – soprattutto Charlie.
Daphne saltò su, colta alla sprovvista, ma nessuno parve notarlo: solo Charlie, che le rivolse un’occhiata di qualche millesimo di secondo più lunga rispetto a quelle indirizzate agli altri e un piccolo sorriso. Si sentiva già meglio.
«Sì, buongiorno! Per chi non li conoscesse, questi sono George e Charlie Weasley, chiaramente fratelli di Ginny.» aveva indicato con un cenno del capo la rossa in questione, che rivolse un grande sorriso ai suoi fratelli, mentre Harry indicava le Serpi che i due ex-Grifondoro non avrebbero dovuto teoricamente conoscere. In realtà si conoscevano quasi tutti, ma questo Draco non lo sapeva.
«Vedo una bisca?» gli occhi di George si illuminarono non appena scorse le carte di Theo e Blaise, che annuirono nella sua direzione: bastò quel gesto – e quello spettacolo che gli si era parato davanti agli occhi – per convincerlo a raggiungerli e inserirsi.
«Me lo sarei immaginato.» commentò Ginny, alzando gli occhi al cielo per poi rivolgersi al suo fratello maggiore preferito «Charlie? Dai, vieni qui. Non ti vedo da un po’!»
Il maggiore tra i Weasley presenti obbedì, e la testa di George non poté non voltarsi verso Daphne per capire quale sarebbe stata la sua reazione: ma questa lo intercettò e lo incenerì con un’occhiataccia veloce. Soddisfatto, George tornò a focalizzare l’attenzione sulle ex Serpi con le quali si era ritrovato invischiato.

Nel primo pomeriggio avevano finito tutte le scorte di cibo che avevano portato per il picnic e il grande gruppo si era fondamentalmente scisso in due: le ex Serpi – esclusa Daphne, che era stesa sull’asciugamano sotto al sole – facevano alcuni tiri con un pallone in uno spazio un po’ più ampio, mentre Hermione, Ginny, Luna, Harry, George, Angharad e Charlie erano seduti vicini all’albero a confabulare. Beh, tutti eccetto Charlie, che sembrava sempre più attirato da qualche pianta che da loro.
Angharad era stata tirata su di morale dall’attitudine di quel George: era uno spasso. Probabilmente un po’ troppo pazzo sotto certi punti di vista, ma era divertente, soprattutto considerato come aveva passato il resto della giornata.
«Qualcuno vuole un gelato?» Daphne si era alzata lasciando la sua asciugamano, e aveva nuovamente indossato la t-shirt con la quale era arrivata nel parco: il sole aveva picchiato fino a quel momento e ne aveva approfittato un po’.
La neo-combriccola dell’albero la guardò con sorpresa e nessuno, tra loro, proferì risposta: solo una voce emerse da quel silenzio assoluto, quella di Charlie.
«Io sì.» il rosso si alzò e la raggiunse, e si diressero, sotto lo sguardo stupito di tutti – e quello divertito e ghignante di George – verso il piccolo chiosco dei gelati che si trovava quasi intrappolato in un angolo di verde fitto venti metri più là.
«Che diavolo è appena successo?» Ginny era basita, ma Angharad, Hermione e Harry non erano da meno. George, invece, continuava a sogghignare divertito «George? Che diavolo ridi?!»
Quello non rispose, mentre anche gli altri iniziarono a mostrare interesse verso la sua reazione atipica: «Cosa non sappiamo che tu sai?» chiese Hermione, guardinga.
George si espresse nel suo miglior sorriso a trentadue denti prima di rispondere «Oh, dormono insieme.»
«Che cosa?!» diverse varianti di quella domanda esplosero in un boato, prima che lui si decidesse a spiegare meglio: «Calmatevi! Ho detto che dormono insieme, non che stanno avendo una relazione sessuale o sentimentale di qualche tipo!»
«George, che diavolo intendi?» l’espressione seria di Ginny gli fece capire che non stava scherzando, come del resto non lo facevano nemmeno gli altri astanti.
«Oh, rilassatevi. Dormono insieme, nel senso di dormire proprio. Ogni tanto lei è rimasta da noi anche di notte, ma normalmente passano pomeriggi a parlare, confidarsi e stare stesi sul pavimento a guardare il soffitto.»
«Quindi vi ha invitato lei...» iniziò Hermione, venendo bloccata dall’annuire contento di George «Sì! Non ci siamo presentati qui dal nulla!» aveva sorriso George, soddisfatto.
«Noi in realtà stavamo pensando che fosse colpa di Harry, non... di Daphne.» dichiarò Ginny, sbattendo le palpebre e indirizzando automaticamente lo sguardo verso il chiosco del gelato a decine di metri più in là, dove Daphne e Charlie erano in fila decisamente vicini. Suo fratello doveva aver detto qualcosa che non era passato inosservato, vista la reazione della bionda che gli aveva tirato una leggera spallata. Sorridevano?
«E avete seriamente pensato che non ve l’avrei chiesto, se avessi invitato ‘sti due?!» ribatté Harry, roteando gli occhi.
«Beh... » entrambe le ragazze fecero spallucce, mentre Luna osservava sorridente i due diretti interessati. L’unica più sconvolta di Ginny era Angharad, che stava sulle sue.
Harry lo notò e si rivolse direttamente alla babbana: «Ehi. Ti va di fare una passeggiata?»
Quella non mostrò il minimo stupore – e nemmeno una minima espressione grata, tanto era seccata – e si limitò ad annuire e ad alzarsi in piedi, prendendo la borsa di paglia.
«Insomma, non lo incolperei nemmeno. Se fossi in lui anche io me la farei.» ammise Ginny, guardando i due dall’albero.
«Oh, Gin, quanto mi mancavano queste tue dichiarazioni poco caute, davvero. Potrei prenderti in giro a vita. E comunque, non fanno niente del genere.»
«E tu come lo sai?»
«Prima di tutto, la Greengrass forse parla più tempo con me che con Charlie. E poi li sentirei, sai, vivo con lui!»
«Non se sono silenziosi!» ribatté Ginny, alla quale George rispose con un verso disgustato.
«Per favore! Questo mi fa pensare che tu fai quelle cose con Zabini
«Sono un’adulta consenziente e soddisfatta, fratello!» rispose la rossa con un sorriso a trentadue denti dopo aver fatto spallucce. George, di conseguenza, le rivolse un’occhiata a metà tra il disgusto e lo choc.
Hermione e Luna, invece, dividevano le loro attenzioni tra i due maghi al chiosco, i due fratelli battibeccanti al loro fianco e l’improbabile duo formato da Angharad e Harry che si allontanavano lungo la riva del lago.

«Sai, è altamente probabile che stiano parlando di me e te.» aveva iniziato Daphne, facendo spallucce.
«Lasciali fare. Considerato che è George a dare le notizie, è probabile che stia cercando di sconvolgerli per principio.» aggiunse Charlie, annuendo con l’aria di sapere di cosa si stava parlando.
«Sì, probabilmente sì.» convenne Daphne, annuendo anch’ella «Allora, ti sei alzato solo per il gelato?»
«Non proprio, ma sapevo che prima o poi nella vita avrei dovuto provare un gelato diverso da quello di Fortebraccio.»
«È una saggia semi-motivazione.» la bionda, socchiudendo gli occhi con l’aria di approvare la sua affermazione, gli tirò* una leggera spallata amichevole.
«Daph, stai ignorando Angharad.» sapeva che il suo monito sarebbe arrivato prima o poi.
«In realtà sto ignorando un po’ tutti. Sto sulle mie.»
«Sì, ma Angharad di più.» continuò Charlie, i cui capelli al sole sembravano quasi arancioni. Non come quelli di George, ma erano di un rosso molto più caldo al sole. Ma, considerato l’argomento affrontato, non avrebbe dovuto pensare a quello.
Roteò gli occhi «Non mi va di parlarle.»
«Ma non ti ha fatto niente!»
«Beh, non ha nemmeno non fatto qualcosa. Non mi pare che lei mi abbia rivolto la parola.»
«La ignori da mesi, non è assurdo che non ti rivolga la parola per prima.» ribatté il rosso, con lo sguardo cauto di chi stava cercando di dimostrare la propria tesi senza però indispettirla troppo.
Lo sbuffo conseguente di Daphne fu naturale e anche un po’ buffo: Charlie rise «Non puoi fare sbuffi infantili per chiudere la conversazione.»
«Beh, no, ma non posso farci niente se è la mia reazione naturale.» ribatté quella, roteando nuovamente gli occhi. Sapeva che aveva ragione, ma davvero non ne aveva voglia.
«E comunque, sei precipitata con classe**.»
«Quando raramente cado dalla scopa, lo faccio così.» ribatté quella, alzando un sopracciglio in direzione del Weasley.
«Questo mi ha ricordato qualcosa che volevo chiederti da tempo: tu giocavi a Quidditch a scuola, vero?»
«Ovviamente.» ribatté quella, quasi con aria di sufficienza.
«Addirittura così bene da causare una tua reazione del genere? Oh bene, allora una di queste domeniche devi venire a pranzo alla Tana. Dopo generalmente – soprattutto se c’è Ginny – imbracciamo le scope e facciamo una partita.»
«Ti straccerò.» rispose semplicemente Daphne, il cui spirito agonistico era talvolta più veloce della ragione, che solo dopo arrivò alla realizzazione un po’ terrificante: avrebbe partecipato a un pranzo di famiglia dai Weasley. Con tutti quei Weasley. E avrebbero saputo che era stata invitata da Charlie.
«Cacciatrice, vero?»
«Ovviamente.» rispose l’altra, roteando gli occhi «Anche tu, no?»
«Sì. E probabilmente non avrei dovuto fare appello al tuo spirito agonistico, perché ti trasforma in una serpe senza scrupoli.»
«Decisamente, Weasley, decisamente.» annuì quella con un ghigno, rendendosi conto che era finalmente arrivato il loro turno e incamminandosi verso il gelataio precedendo Charlie.

Angharad Jernigan quasi marciava lungo la riva del lago. Era nervosa, indispettita, arrabbiata e delusa. E Harry Potter – che a quanto sapeva era chiamato “ragazzo sopravvissuto” o qualcosa del genere nel mondo magico – quasi le correva dietro.
«Potresti rallentare?» perché diavolo conosceva persone che si circondavano di altrettante persone che diventavano delle velociste quando si arrabbiavano? Già si era ritrovato in troppe situazioni del genere con Ginny ed Hermione, ora anche con Angharad.
La ragazza, controvoglia, eseguì. Ora non camminava più tanto velocemente, e Harry la raggiunse: «Volevo solo essere gentile, ma— cosa Salazar ha motivato una reazione del genere?»
«Invece di dire che diamine o che diavolo, dite che Salazar? Di classe!» ribatté l’altra, perplessa «E comunque... Daphne.»
«Cosa, Daphne?»
«L’ho saputo per ultima. Qualsiasi cosa sia quella che ha con Charlie... lei non me l’ha detto. Non mi ha resa partecipe. Mi ignora praticamente da mesi. Siamo passate da amiche a estranee in pochi giorni e non so nemmeno perché.»
«Oh.» Potter alla riscossa in tentativi di risoluzione di conflitti amicali. Probabilmente avrebbe dovuto inventare un motivetto per quando si ritrovava a fare cose del genere «Magari non è molto propensa a condividere i suoi problemi? Insomma, con il lavoro, i suoi genitori...»
«Okay. E Charlie?»
Era un argomento spinoso, perché Harry non conosceva bene Daphne, non conosceva bene Angharad, e non sapeva niente in merito a quello che avevano Charlie e Daphne, anzi, l’aveva appena scoperto anche lui!
«Magari si sono trovati al posto giusto nel momento giusto. E si sono conosciuti quando ne aveva più bisogno... sai, in realtà li ho presentati io.»
«Sì, alla Gringott con i draghi.» annuì quella, sovrappensiero.
«Scusa, come lo sai?!» Harry strabuzzò gli occhi: non aveva raccontato a nessuno la fortuna che aveva avuto nello scegliere di portare Charlie alla Gringott, quella volta che erano alla ricerca del libro delle Sacre Ventotto.
«In realtà me l’hai appena confermato. Non lo sapevo, ma era quello che ipotizzavano Luna e Ginny!» Angharad sorrise: draghi? Anche lei voleva vedere un drago.
«Oh, vabbè. Comunque...»
«Sì, ho capito cosa intendi. Però voglio vedere un drago. E accarezzarlo.» diede voce al suo pensiero: pensare a creature così fantastiche e maestose le aveva alleviato il nervosismo.
«Non sono così tenere come sembri pensare tu, ma si può chiedere a Charlie.» Davvero? Ora voleva seriamente tornare all’albero e chiederglielo.
«Davvero?!»
Harry Potter annuì, sorpreso: perché diavolo una babbana doveva essere esaltata dall’idea di incontrare un drago? Era davvero una babbana strana. Ecco perché era amica di Malfoy, Zabini, Greengrass e Nott.
«Okay, allora torniamo indietro.» dichiarò Angharad, ammaliata: avrebbe affiancato il rosso e gliel’avrebbe chiesto. Poteva mettere da parte l’irragionevolezza di Daphne per un motivo del genere.








*Non so se è il verbo giusto, ma “lo spintonò amichevolmente con una spalla” mi sembra un po’ cacofonico in questo caso.
**Avete presente il detto “salvarsi in calcio d’angolo”? Ecco, l’ho cercato in relazione al Quidditch e ho trovato questa cosa qui su un sito dove parlavano di Quidditch e l’ho adottato. Sembra carino!

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Capitolo 26
*** 25. Spectrum ***


Buon pomeriggio! Come va? Il capitolo è un po' Daphne-centrico/Weasley-centrico. Spero vi piaccia e buona lettura!





 

When we first came here, we were cold and we were clear
With no colours in our skin, ‘til we let the spectrum in.

Alla fine, Charlie aveva proposto a Daphne il pranzo alla Tana qualche settimana dopo. Era pieno giugno, faceva freddo ed era uno dei mesi più ventosi da molto tempo. Non l’ideale, per una partita di Quidditch.
Però era una promessa e avrebbe dovuto mantenerla: nonostante la tempesta perfetta che si era scatenata sulle coste di buona parte dell’isola. Sperava davvero che la situazione non fosse così a Ottery St. Catchpole.
A quanto pareva, il grande evento non era la sua presenza, fortunatamente: Ginny aveva finalmente reso nota la sua relazione con Blaise – visto che ormai lo sapeva quasi tutta la sua squadra e metà della sua famiglia – e l’aveva invitato al pranzo della domenica alla Tana. E Charlie l’aveva buttata sul “dare supporto morale” a Zabini, ma sinceramente avrebbe accettato anche se non ci fosse stato: era da tempo che non giocava a Quidditch, e non vedeva l’ora. Più ampiamente parlando, era da tempo che non faceva qualcosa che era cresciuta facendo.
Doveva, però, necessariamente trovare il posto per la bacchetta, non avrebbe potuto presentarsi a casa di maghi senza. Non la usava più tanto spesso, ormai.
La bacchetta era necessaria anche per un altro motivo: avrebbe dovuto trasfigurare un qualche contenitore per portare la Nimbus 2001 in giro. Non sarebbe andata in giro per Londra con una scopa da corsa in mano.
Trasfigurò una vecchia borsa in qualcosa molto simile a un porta-chitarre e ci infilò la Nimbus dentro, per poi infilare la bacchetta nella manica del maglione bianco e il telefono in una tasca. Aveva le Converse ai piedi e le chiavi di casa in mano: sarebbe potuta uscire e andare alla stazione di Waterloo.
Detestava dover lasciare casa praticamente dopo colazione, ma non avrebbe voluto utilizzare la materializzazione. E poi, dopo essere arrivata alla stazione più vicina di Feniton avrebbe potuto riprovare la Nimbus per gli ultimi quattro chilometri, e non era una cattiva idea.
Prese al volo una giacca a vento appesa a un gancio al muro e uscì di casa, sperando vivamente che quel giorno non venissero indirizzate a lei troppe domande. 


«Si gela.» Hermione si stringeva nel giubbotto imbottito. Aveva indossato anche il cappuccio, tanto era impietoso il vento.
«Sì, Granger, lo percepisco.» rispose Draco, altrettanto coperto e con le mani in tasca: la ragazza l’aveva preso sottobraccio, e così attraversavano il Vauxhall Bridge dirigendosi verso Lambeth.
«E allora mi chiedo: che diavolo stiamo facendo fuori, al freddo, con questo vento e un tempo che minaccia tempesta nonostante siamo in pieno giugno?» si strinse di più a Draco, cercando di usare il suo corpo per schermarsi dal vento.
«Oh, stiamo andando a cercare un fratellino o una sorellina per Nix. Ho scoperto che a Battersea c’è un’organizzazione centenaria che si occupa di trovare casa per cani e gatti e ho pensato che avremmo potuto visitarla.» cercò di non darvi troppo peso, ma Hermione aveva sentito bene e compreso anche meglio. Nonostante ciò, bloccò il suo viscerale istinto di analizzare tutto e affrontare apertamente la discussione – dopotutto non c’era nulla di male, vivevano praticamente insieme da mesi e Nix si era più che ambientato alla nuova casa – per fermarsi sul posto e guardarlo trucemente: «Avremmo potuto letteralmente attraversare solo un ponte e arrivare a destinazione e tu mi hai fatta camminare con questo freddo fino a Vauxall?»
«È questa la domanda che ti viene da pormi? Sono a cavallo allora.» rispose lui, sorridendo apertamente «E poi non hai imparato niente dagli insegnamenti di Luna e Theo? Camminare fa bene!»
«Non con un vento a più di 80 chilometri all’ora!» ribatté Hermione, indispettita. Riprese nonostante tutto a camminare a braccetto con Malfoy «E poi è domenica, l’hai dimenticato?»
«Ho controllato, è aperto.» rispose prontamente lui, con il sorriso ancora stampato in volto «Dovremmo arrivare poco dopo l’orario di apertura. E ribadisco che se queste sono le tue uniche obiezioni, ho già vinto.»
Hermione concesse un sorriso, nonostante l’espressione innervosita non avesse del tutto lasciato posto a una più mite: aveva ragione, però, si trattava di sfondare una porta aperta. Non le sarebbe dispiaciuto un altro gatto in casa.
«Bè, non è una cattiva idea. Insomma, passiamo la maggior parte della giornata fuori di casa, e farebbe bene, a Nix, trascorrere la giornata con un compagno di giochi.» ammise lei, facendo spallucce «Avevi pensato a un cane o a un gatto?»
«Gatto. Ultimamente non so con certezza i miei orari e non puoi essere sempre tu a doverlo portare fuori, in caso...» rispose immediatamente Draco, e Hermione non poté non sorridere «Che c’è?»
«Oh, niente. Solo il fatto che non avresti sbolognato a me tutti i doveri e avresti voluto naturalmente suddividerli equamente.»
«E... non è normale?» era sinceramente perplesso.
«Oh, sì, è come dovrebbe essere. Ma non viene genuinamente in mente a tutti.» piazzò un bacio sulla sua guancia: non dover lottare per fargli capire qualcosa e addirittura essere il beneficiario di tali attenzioni la faceva sentire coccolata e rispettata.
«Comunque, pensavo a un gatto.» aveva visto che le aveva rivolto un’occhiata leggermente perplessa, e questo la inorgoglì ancora di più: era arrivato a un punto della sua vita in cui era così naturale l’idea che uomo e donna fossero allo stesso livello e avessero pari responsabilità in un rapporto che era stranito dal pensare qualcosa di diverso. Era scontato che si sarebbero divisi i compiti. Si sentì così orgogliosa di lui e contenta di averlo scelto: non ricordava l’ultima volta che si era sentita così. A onor del vero, probabilmente sarebbe stato impossibile sviluppare idee diverse per lui, considerato che passava da più di otto anni gran parte della sua vita con Angharad e Daphne, due delle donne più appassionatamente femministe che avesse mai conosciuto. Quindi non sarebbe stata del tutto impensabile l’idea che fossero state quelle due a farlo rigare dritto in tutti quegli anni, anzi, era anche molto probabile.
«Sono d’accordo.» commentò Hermione, indirizzandogli un altro sorrisino orgoglioso.
«Mi stai leggermente spaventando.» rispose Draco, ancora un po’ confuso.
«Non esserlo. Oppure sii spaventato, ma solo se non mi farai tornare a casa prendendo la via più breve, se proprio dobbiamo farla a piedi.»
«Oh, dobbiamo, Granger. Anche perché se non lo facessimo, ci metteremmo molto più tempo a prendere un treno della Southern fino a London Victoria, cambiare un’altra volta metro...»
«Ho capito, ho capito! Tanto che saranno, quattro chilometri in più, quattro in meno... Come minimo poi voglio rimanere il resto della giornata sul divano!» ribatté quella, roteando gli occhi. L’espressione colpevole di Draco, però, non prometteva bene «Cos’altro hai organizzato, Malfoy?»
«Ho prenotato per pranzo da Randall & Aubin, un posto che volevo provare da tempo.» l’espressione adorabilmente responsabile del biondo la fece capitolare: «Maledetto. Che posto è?»
«Mi stai chiedendo se puoi venire in tuta?»
Non riuscì a trattenersi dal rivolgergli un’occhiataccia, alla quale lui rispose con un sorriso a trentadue denti: «Comunque direi casual chic. Non andrei in giacca e cravatta, ma nemmeno in tuta.»
«Sta’ zitto, tu andresti in giacca e cravatta anche in palestra.» ribatté quella, lanciandogli un’altra occhiataccia «Come Barney.»
«Ecco, dobbiamo recuperare How I Met Your Mother dopo che torniamo a casa dal pranzo. Perché ci andiamo, vero?» il sorrisino colpevole la fece automaticamente annuire «Ti adoro!»
«La prossima volta però chiedimelo, o potrei aver pianificato altro!»
«Ti adoro comunque!» aveva risposto Draco, e Hermione scosse la testa, non riuscendo a non sorridere.
Era propositivo e voleva sempre fare tutto, talvolta anche trascinandola fuori dalla sua oasi di pace che era diventata la casa di Malfoy, ma le piaceva. Lui le piaceva tanto.

Quando Daphne arrivò alla Tana, trovò George nel giardino: «Weasley.»
«Non dovresti davvero chiamarmi così, in una casa piena di Weasley.» ribatté quello, ghignando soddisfatto.
«Beh, chiamerei solo te così. Charlie è Charlie e Ginevra è Ginny, o Gin, e con gli altri non avrò abbastanza confidenza per utilizzare con così tanto scherno e giocosità il cognome generale come soprannome, come del resto faccio con te.»
«Mi sei mancata anche tu, Greengrass.» ribatté il rosso, con il ghigno che si trasformava lievemente in un sorriso.
«Dov’è Angelina?» aveva incontrato la ragazza di George più di una volta, a casa sua. Tutto sommato era a posto – pur essendo fieramente Grifondoro, eccessivamente Grifondoro, decisamente più di tutti i Grifondoro che avesse mai conosciuto – e non era mai stata offensiva o poco accogliente.
«Oh, arriva con Maggie.» rispose George, sottolineando l’ultima parola. Gli occhi rotearono istintivamente all’insù e Daphne non poté non ridacchiare «Talvolta non la capisco. Quella là non è né carne né pesce e nonostante tutto vuole legare con lei.»
«La mia compagnia ti sta rovinando, Weasley?» ribatté la bionda, ghignando «E comunque, è pur sempre una sua compagna di squadra.»
«Una riserva.» la riprese lui, con l’espressione leggermente schifata.
«Sempre una compagna.»
«Non cambia l’opinione che ho di lei.» concluse quello, lasciando perdere la pianta che stava innaffiando – probabilmente costretto sotto minaccia dalla madre – e indicando la porta d’entrata «Andiamo a presentarti alla famiglia.»
«Suona terribilmente.»
«Lo so, sto cercando di metterti ansia.» ribatté George, esprimendosi nel suo migliore sorriso a trentadue denti e accompagnandola all’entrata.

Blaise non riusciva a decidere che cravatta indossare. Ginny lo aspettava in salotto, indispettita, battendo ritmicamente il piede contro il parquet.
«Questa come sta?» chiese il moro, speranzoso.
«È sempre rossa.»
«No, è bordeaux! Oh, come faccio!»
«Zabini, per l’amor del cielo, nel pomeriggio giocheremo a Quidditch. Come hai intenzione di giocare, in giacca e cravatta?» ribatté Ginny, ai limiti della sopportazione: erano ore che le chiedeva pareri di quel tipo.
«Ma devo essere presentabile! E poi mi stanno bene i vestiti.»
«Lo sai che saranno tutti, molto probabilmente, in maglioni, vero? Forse anche con i maglioni che mamma ci ripropone puntualmente ogni Natale, vero? Sembrerai un pesce fuor d’acqua.»
«Sentiamo, cosa proponi?»
Maledetto Zabini e la sua ansia da prestazione. Perché di quello si trattava: voleva fare bella impressione e stava dando di matto.
«Se hai davvero bisogno di una camicia a tutti i costi, va bene: lascia la camicia, quei pantaloni, e mettiamo un maglione. Senza cravatta. D’accordo?»
Sembrava convincente. E non perché lo fosse davvero, ma perché aveva seriamente paura di essere affatturato a Ginny: il suo piede sul parquet seguiva un ritmo particolarmente feroce e la sua bacchetta era solo a un metro da lei.
«Okay.»
Blaise riemerse dalla camera da letto con un maglione verde bottiglia e un cappotto addosso. Riusciva a vedere la bacchetta nella sua manica del cappotto e sembrava in ansia, ma anche particolarmente terrorizzato da lei.
«Andrà tutto bene, Blaise. Non preoccuparti. E poi, sul serio, il vero evento è Daphne. Lo sai che Charlie non ha mai portato nessuno a casa? Mai.» sarebbe dovuta essere rassicurante, ma Blaise a quel punto si sentiva solo inutile: lo lesse nella sua espressione sconfortata.
Lo abbracciò: «Andrà davvero tutto bene. Mia mamma non ha mai staccato la testa a nessun mio fidanzato. E andrai bene, a loro.»
«Come lo sai?»
«Vai bene a me, quindi loro sono costretti ad assecondarmi.» dichiarò sogghignando Ginny, soddisfatta. Prese il cappotto e la borsa, e si diresse verso la porta di casa, seguita da Blaise che si sentiva leggermente più rincuorato.

Aveva gestito abbastanza bene le presentazioni, tutto sommato. Aveva effettivamente pronunciato la frase “Oh santo cielo, quanti bambini” a Charlie, non appena era entrata in casa, ma l’aveva fortunatamente sentita solo lui – e aveva ridacchiato, e non aveva ancora capito il perché. In quella famiglia, le mogli sembravano tutte o incinte, o con figli, o entrambe le cose.
Quando poi era arrivato Harry con un bambino al seguito – aveva scoperto dopo che si trattava di Teddy Lupin, figlio di Remus Lupin e Nymphadora Tonks, la migliore amica di Charlie che era morta durante la battaglia di Hogwarts –  aveva seriamente creduto che quello fosse uno stranamente grande e illegittimo di Potter. Si era trovata ad avere a che fare principalmente con Victoire Weasley, la figlia di sette anni di Bill e Fleur, che si era praticamente innamorata di lei quando Daphne le aveva rivolto la parola in francese, e ora parlavano solo così. Si era persino voluta sedere accanto a lei, per la precisione tra lei e sua mamma Fleur, quasi dimentica del padre. Molly, invece – che a quanto pare era la primogenita di quattro anni di Percy e la moglie Audrey – era tendenzialmente timida e stava sulle sue, vicina alla madre: avrebbe detto fortunatamente. Già aveva alle calcagna Victoire e Teddy – che puntualmente cambiava il colore dei capelli ogni cinque minuti per impressionare lei e la piccola Weasley-Delacour – avrebbe fatto volentieri a meno di Molly.
E poi Fleur e Audrey erano entrambe incinte – “Io partorirò due mesi prima di Fleur!”, secondo quanto aveva detto con molto orgoglio la moglie di Percy, e lei sinceramente non aveva idea del perché ci fosse una sorta di rivalità in merito. Forse dipendeva dal fatto che fosse più giovane di lei? Non che avesse molto senso, comunque.
Ringraziò il cielo che Ginny e Angelina non fossero incinte, tutti quei bambini le mettevano ansia.
Per il resto si era trovata bene: Bill e Fleur erano quelli che le erano più simpatici, fino a quel momento. Beh, eccetto per George e Ginny, ma questo i due diretti interessati non l’avrebbero mai saputo. Percy e quella Audrey erano alquanto sciapiti – e un po’ insopportabili – Molly Weasley era stata, a quanto le aveva sussurrato George, “eccessivamente accogliente, ma quello dipendeva dal fatto che era ancora sconvolta per via dell’atto, da parte di Charlie, di portare un individuo di sesso femminile a casa”, mente Arthur Weasley era completamente affascinato dalla sua affinità al mondo babbano. Era la terza persona che le parlava di più, dopo Victoire e Teddy, in pratica.
L’unica nota dolente erano stati Ron e Maggie: erano entrambi molto silenziosi, passivo-aggressivamente rabbiosi – almeno nei loro sguardi – e tendenzialmente sulle loro. Non che volesse a tutti i costi piacere alle persone, ma non amava essere odiata, e quei due si erano semplicemente presentati a lei. E poi basta.
«Daphné, aimes-tu mon tricot?»
* la interruppe Victoire, guardandola attentamente con occhi sognanti.
«Mais oui, il est tres joli, Victoire!» aveva interrotto il suo discorso con Arthur Weasley per risponderle, ma sembrava aver fatto breccia nel cuore di qualcuno almeno, in quella famiglia.
«Merci.» rispose la bambina, inorgoglita. Riprese, però, subito dopo «Est-ce que tu aimes qu’est-ce que tu es en train de manger?»
Era imperterrita, ma tutto sommato la più delicata là dentro: «Oui, c’est très bon.»
«Cuisines-tu comme ci?» chiese la bimba biondissima, interessata.
«Non, je n’utilise pas la magie.» rispose sinceramente Daphne, rendendosi conto di quanto fossero cambiate le sue abitudini. Certo, non era lei di fatto a cucinare, quando era ancora al Greengrass Estate, ma, arrivata tra i babbani, si era adeguata perfettamente.
«Vraiment?» aveva attirato l’attenzione della mamma di Victoire – probabilmente l’unica persona che aveva ascoltato e capito quella discussione «Et qu-est-ce que— Cosa utilizzi? Fai tutto a mano?» sembrava oltremodo sconvolta.
«In realtà no. C’è il Thermomix
** per quello.» ammise Daphne, facendo spallucce.
«Le Thermomìx?» Fleur era molto perplessa, invece.
«È un elettrodomestico. Ha diverse funzioni, e cucina a vapore, o normalmente. Ma si usa anche per impastare, per pesare gli ingredienti... E devi solo girare manopole e premere pulsanti. È sicuramente meno impegnativo che usare la magia, e il sapore è lo stesso.» spiegò con semplicità Daphne, aprendo un mondo per molta gente a quel tavolo: Ginny e Blaise sogghignavano nella sua direzione, ma non aveva capito il perché. Temette seriamente di aver offeso qualcuno, parlando del Thermomix come se fosse la soluzione di tutti i problemi – per quelli culinari, lo era eccome – nonché uno strumento oscuro che avrebbe causato la fine della cucina così come l’aveva sempre conosciuta il mondo magico. Molly Weasley sembrava oltraggiata.
«Quindi di cosa ti occupi, precisamente, Daphne? Cosa stai facendo al momento?» Arthur Weasley corse in suo soccorso, ritornando ad affrontare l’argomento precedentemente messo in stallo per via delle insistenti domande di Victoire. Per lui, quel giorno sarebbe stato facilmente paragonabile a uno di festa: stava scoprendo così tante cose interessanti sul mondo babbano. E aveva visto e utilizzato un vero smackphone!
«Beh, generalmente di creare campagne pubblicitarie. Per mantenere i clienti e fidelizzarne altri. Al momento sono affiancata a un gruppo, perché sono in prova presso quest’altra banca...»
«Come mai?» s’interessò il capofamiglia Weasley «E poi, fidelizzare
«Sì. Creare relazioni durature tra l’azienda, nel mio caso principalmente banche d’investimento, e il cliente, in modo che quest’ultimo rimanga sempre con questa banca.» spiegò Daphne: era rinvigorente parlare con qualcuno che davvero era interessato del suo mestiere «Comunque sono in prova perché per via della crisi la banca d’investimento presso cui lavoravo prima e presso cui lavora ancora Blaise mi ha lasciata andare. Accade molto spesso, recentemente.»
«E adesso sei in prova da un’altra? Com’è?»
«Oh, più o meno lo stesso, ma è migliore. Sta gestendo relativamente meglio la crisi, era in attivo nel primo trimestre.» spiegò, forse troppo tecnicamente, Daphne: il suo interlocutore la guardava perplesso «Significa che ci ha guadagnato, nonostante la maggior parte delle altre banche stiano facendo carte false per contenere le perdite.»
«Ma come mai la situazione è così catastrofica?»  chiese Arthur Weasley, sinceramente preoccupato e sconvolto.
«È iniziato tutto negli Stati Uniti. La maggior parte delle banche ha concesso mutui a tante persone, senza tener conto della loro possibilità di ripagare il mutuo o meno, perché il mercato immobiliare era in forte crescita. E ora che le persone non ripagano i mutui che hanno acceso, i controllori hanno iniziato a pignorare beni e ad agire sulle ipoteche sulle case. Ma la diffusione che c’è stata qui è dovuta ai derivati, che sono dei pacchetti di opzioni, il cui andamento è legato a quello di altri investimenti, nel nostro caso quelli del mercato immobiliare, che sono state messe insieme da alcune banche d’investimento per nascondere il casino che avevano combinato, e considerato che queste opzioni avevano fino a poco tempo fa un rating molto alto...»
«Avete davvero seguito quello tra i babbani.» quella di Ronald Weasley non era una domanda attinente e nemmeno una domanda. Doveva dirlo e basta.
«Sta’ zitto, Ron» aveva ribattuto – quasi ringhiando – Ginny. Solo dopo Daphne aveva risposto: «Scusami?!
***»
«Avete adattato la vostra vita a qualcosa di completamente diverso per seguire qualcuno che vi aveva allontanato dalla sua vita.»
Ginny posò la forchetta sul tovagliolo, afferrò la mano di Blaise sotto al tavolo e rivolse un’occhiata truce al più piccolo tra i suoi fratelli. Poi guardò verso Daphne, e notò che Charlie e George stavano facendo lo stesso.
Daphne inspirò profondamente e poi espirò: «Sì, Weasley, perché apparentemente, a differenza tua, so cosa significa essere leali e fedeli nei confronti delle persone a me care.»
Ginny poteva chiaramente vedere George in procinto di ridere – stava facendo di tutto per trattenersi, a quanto pareva – e Charlie lievemente preoccupato: lei non lo era, sapeva perfettamente come si sarebbe potuta letalmente difendere Daphne da sola.
«Inoltre, considerato che Draco, Theo e Blaise sono praticamente la mia famiglia, ti inviterei a evitare commenti così astiosi, grazie.»
Vide Ron aprire e chiudere la bocca un paio di volte, sconvolto. Poi, però, la tavola aveva ripreso a parlare e il tempo non sembrava più immobile – e avrebbe giurato di aver sentito George che sussurrava “L’ha fatto, l’ha fatto!
****” a qualcuno al tavolo.
Ginny sorrise, orgogliosa. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stata prima o poi nella vita orgogliosa di Daphne Greengrass – che aveva abilmente evitato una situazione spiacevole, essendo fantasticamente tosta e feroce, lanciando a Ron una frecciatina terribile ma senza risultare sgarbata o in torto, e che in quel momento era coinvolta in una fitta conversazione in francese con la piccola Victoire. Scorse anche lo sguardo di Charlie, che l’aveva inevitabilmente seguita, e si scoprì favorevole a qualsiasi cosa ci fosse tra quei due: Daphne era più che all’altezza del suo fratellone.

Prima di quella mattina, non era salita sulla sua Nimbus per circa dieci anni. Non sapeva nemmeno se ce l’avrebbe fatta senza cadere. Alla fine ce l’aveva fatta e le era anche piaciuto: ecco perché non era in ansia per quella partita amichevole – non nei confronti della Donnola, ma questo non aveva bisogno di saperlo nessuno.
Charlie si palesò alla sua sinistra e le tirò una lieve spallata, alla quale lei rispose voltandosi verso di lui: «Sì?»
«Sono pronte le squadre.»
«Siamo contro, vero?» chiese la bionda,  alzando un sopracciglio.
«Ovviamente. Siamo io, Bill, George, Ron e Maggie, contro te, Ginny, Blaise, Harry e Angelina.» rispose il rosso, lanciandole un’occhiata strana «Cerca di non disarcionare Ron.»
«Ci proverò, ci proverò.» rispose Daphne, sorridendo maliziosamente «Buona sconfitta, Charlie!»
«Si vedrà, Daph!»
Si diressero ognuno nella direzione opposta, ma entrambi lanciarono un’ultima occhiata all’altro. Poi Daphne andò avanti e raggiunse Blaise e Ginny, che sembravano confabulare con aria quasi complottista.







* La discussione in francese tra Victoire e Daphne è più o meno così: Ti piace il mio maglione, Daphne? - Ma sì, è molto carino. - Grazie. Ti piace cosa stai mangiando? - Sì, è molto buono. - Cucini anche tu in questo modo? - No, non utilizzo la magia.
E poi s'intromette Fleur dicendo "Veramente? E cosa usi...". Grazie a mia sorella per aver tradotto tutto XD
** è come viene chiamato il Bimby all'estero. Solo da noi si chiama Bimby!
*** “Excuse me?” suona molto più minatorio e sappiate che l’ho pensato così.
**** Inizialmente avevo pensato a un’esclamazione tipo “Burnt!” ma da me la cosa più simile a quello in cui s’è trovato Ron è dire “T’ha fatto!”. Ecco perché la frase.

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Capitolo 27
*** 26. All This And Heaven Too ***


Ma salve! Scusate il ritardo, ho avuto da fare in giornata... e poi nel pomeriggio dovevo guardare Marvel's Daredevil, sono usciti i nuovi episodi *-* Spero vi piaccia! Si scopre qualcosa di interessante... ma vedete da voi, buona lettura!








   
And it talks to me in tiptoes, and it sings to me inside
It cries out in the darkest night and breaks in the morning light.

 
Era a un punto morto. Non lei, lei stava per la prima volta dopo molto tempo semplicemente bene. Era soddisfatta di praticamente tutte le sue relazioni interpersonali ed era contenta di star riuscendo a fare altro a lavoro. Ma, proprio sulla questione “lavoro”, c’era una nota dolente: la sua ricerca era a un punto mortissimo.
Principalmente per due motivi: era arrivata a trovare il probabile incantesimo utilizzato per provocare l’amnesia, che era una variante dell’Obliviate della famiglia Shafiq, ma non aveva alcuna notizia in merito alla pozione utilizzata. E poi c’era il problema etico: nonostante avesse effettivamente prelevato del sangue da Malfoy per poterlo analizzare a lavoro – e l’aveva fatto – dopo aver commesso ciò, semplicemente non reggeva più lo stress. L’ansia di mentirgli, di omettere buona parte delle loro vite passate, la paura che potesse scoprire tutto da un momento all’altro.
Quindi riusciva a lavorare solo a lavoro senza sentirsi in colpa. Non era più così tanto stakanovista – e forse era meglio così. Dopotutto stava davvero bene con Draco.
E non solo: lui stava davvero bene con se stesso. Ogni volta pensava all’ipotesi di parlargliene – mandando probabilmente all’aria tutto il suo lavoro di anni – per essere sincera... ma come ci sarebbe rimasto? Le avrebbe creduto? E soprattutto, ne sarebbe stato distrutto?
Non solo da tutto quel mentire, ma... da quello che aveva fatto nel passato. L’avrebbe ricordato e in parte rivissuto tutto insieme... e non avrebbe mai voluto fargli qualcosa del genere.
Quindi a casa, se era al computer, la maggior parte del tempo non lavorava. E se si trovava a farlo, non c’entrava Malfoy.
Ma la sensazione di fondo d’inadeguatezza c’era sempre. Talvolta non se ne rendeva contro, però c’era sempre.
«Hermione?» la testa bionda di Malfoy comparve sulla porta della camera, dove lei stava teoricamente cercando qualcosa da mettere. Di fatto stava guardando nell’armadio, ma in pratica stava pensando ad altro.
«Mh?»
Draco le sorrise: l’aveva sorpresa, così lei s’era voltata con un’espressione pensierosa e concentrata in volto.
«Sai, dovremmo andare. Ho i biglietti, quindi non abbiamo queue* da fare, però dovremmo stare lì prima che inizi... inoltre la zona lounge è davvero bella. E poi abbiamo appuntamento con gli altri tra appena dieci minuti.» terminò Malfoy, raggiungendola alle spalle e abbracciandola.
«Ma in realtà sono pronta, è solo che...»
«Non hai scelto il vestito. Sì, avevo capito. Rimane il problema che, per quanto tutto il resto possa essere pronto, non puoi andare in giro nuda per l’All England Lawn Tennis and Croquet Club.» la prese in contropiede lui «Vuoi una mano?»
Hermione fece spallucce: probabilmente avrebbe anche scelto meglio lui, considerato che sapeva come presentarsi a eventi del genere.
«Sai, in realtà stiamo solo andando a vedere alcune partite di tennis. Non stiamo andando a incontrare la Regina.» continuò lui, piazzandole un bacio sulla guancia «Voto per il prendisole bianco a fiori. E porta una giacca se dovessi sentire freddo.»
«Mi fido.» rispose Hermione, alzando un sopracciglio e lanciandogli nonostante tutto un’occhiata ammonitrice «Se la tua scelta non dovesse farmi sentire a mio agio me la prenderò con te.»
«D’accordo. Basta che ci muoviamo! Vado a prendere la crema solare, così non ti ustioni.» e così dicendo, Draco si diresse verso il bagno.
Hermione scosse la testa, sorridente: era orrendo mentirgli, ma lui era così diverso. Premuroso, divertente e intelligente. Beh, dell’intelligenza non ne aveva mai dubitato, ma tutto il resto la stupiva spesso. E sì, si sentiva ancora peggio a nascondergli buona parte della sua vita, ma si sentiva nonostante tutto anche molto, molto fortunata a poterlo conoscere e vivere così.


Era più che certa che si sarebbe dovuta addentrare sottoterra per trovare Aljeik: il resto della casa era troppo silenzioso perché ci potesse essere qualcuno. E, nella quasi totalità dei casi, quella dimora era occupata solo da loro.
«Jey?» chiamò, titubante. Solo con lui poteva permettersi – e riusciva a farlo – di mostrarsi dubbiosa: aveva imparato a farsi temere, dagli altri.
Entrò nel laboratorio di pozioni che Aljeik si era creato molto tempo prima, e lo trovò chino su un calderone: «Sei tornata, finalmente. Ti aspettavo.» lasciò incustodito l’oggetto di rame per raggiungerla e posarle un bacio a fior di labbra, affettuoso.
«Ho bisogno che tu faccia un incantesimo per la pozione.» disse semplicemente, e lei capì e annuì. Dopo aver eseguito, lo lasciò ritornare al suo posto.
Da quando l’aveva conosciuto, se possibile, la sua abilità in pozioni era notevolmente aumentata. Si era migliorato costantemente, leggendo e praticando. Certo, era fondamentale la sua presenza: sia per gli incantesimi di famiglia che per quelli che erano necessari nella pratica pozionistica, ma era uno dei pozionisti migliori che aveva mai incontrato in vita sua.
Ironico come l’altro migliore che aveva conosciuto era diventato la loro cavia da laboratorio senza saperlo.
Beh, cavia forse non era proprio il termine esatto: era l’ignaro soggetto che era stato sottoposto all’assimilazione della loro creazione una volta. Una creazione fatta su misura per lui, traditore della fazione giusta. Meschino e vigliacco come pochi, della loro parte.
Ricordava ancora la sua espressione tradita quando aveva incontrato il suo sguardo mentre Aljeik gli iniettava la pozione a tradimento e lei pronunciava l’incantesimo: era sconvolto, stupito, allibito. E infine si era arreso. Non avrebbe potuto fare nulla, erano due contro uno, e l’ultimo viso che aveva visto era il suo, come voleva che fosse.
Non avrebbe ricordato nulla, lui, ma lei sapeva in quel momento, e avrebbe ricordato, successivamente, l’espressione arresa di Malfoy quando l’avevano nelle loro grinfie e lui aveva capito che non avrebbe potuto fare nulla. Non sapeva cosa gli sarebbe successo, ma sapeva che, purtroppo, era nelle loro mani traditrici. Nelle sue mani da traditrice.
Non sapeva, Malfoy, che lei aveva preso il Marchio. Non ne aveva la più pallida idea. Non l’aveva neanche chiaramente capito quando loro l’avevano preso alla sprovvista e attaccato, era solo confuso e impaurito.
E vedere quello sbruffone del Principe delle Serpi inerme nella sua presa era incredibilmente invigorente. L’aveva avuta vinta su quel vanitoso arrogante che si era sempre creduto migliore di buona parte della sua stessa Casa, a parte per i pochi eletti che considerava la sua cerchia.
La stupida cerchia che alla fine l’aveva seguito nel mondo babbano.
Davvero, non credeva che potessero essere così idioti, leali ai livelli di quegli inetti dei Tassorosso. E invece no, avevano seguito il Principe delle Serpi in quel posto mediocre, e ci avevano vissuto, ci stavano ancora vivendo. Doveva davvero piacere a loro, quel posto immondo. Si erano dimostrati per quello che erano sempre stati: traditori del loro sangue.
«Cara? Tutto bene? Com’è andata con la lacchè?» ritornò nel laboratorio, a quanto pareva. Si era persa nei meandri della sua mente.
Si divertivano a chiamarla così, loro due. Notò una fossetta su una delle guance di Jey: stava sorridendo.
«Come al solito: è un’inetta e non sa neanche occuparsi di una semplice missione di ricognizione. Temo dovrò occuparmene io.»
«Hai già qualche idea?»
«Non proprio. Sono indecisa: non so se devo farmi amica Potter o qualche altro idiota o passare alle maniere forti.» sbuffò, pensierosa. Poi si rese conto che quella era la prima volta dopo giorni che sarebbe potuta stare sola con Aljeik e lo raggiunse: non avrebbe avuto senso pensarci ora.

Era una giornata apparentemente soleggiata. Apparentemente, perché nelle settimane prima erano stati più i diluvi e le tempeste che le giornate calme. Neanche soleggiate, semplicemente calme.
Ringraziò Godric di non esser l’unica addobbata a festa: anche Ginny sembrava averci messo particolare riguardo nel prepararsi, mentre Luna aveva fatto accostamenti improbabili come al suo solito, ma che tutto sommato non stonavano con il resto dell’ambiente. E poi, Theo era troppo innamorato di lei per farci effettivamente caso e curarsene.
Wimbledon, comunque, era fantastico. Hermione non era fatta per quelle cose semi-snob, e aveva temuto che fosse qualcosa del genere. E nel lounge, e in quella che pareva una zona VIP, sembrava quasi qualcosa del genere. Però tutto il resto era semplicemente così inglese che non poteva non apprezzarlo: il Pimm’s, le fragole e lo spumante prima della partita.
E Draco, Blaise e Theo erano perfettamente a loro agio: quelle tradizioni le onoravano, probabilmente perché le portavano avanti da tempo. Erano lei, Luna e Ginny le novelline. E mentre lei stessa ne aveva sentito lontanamente parlare, senza mai provarle effettivamente, Ginny era a una delle sue prime esperienze babbane fortemente britanniche in cui non sapeva bene come comportarsi – principalmente perché neanche Hermione l’aveva preparata, essendo tutto nuovo anche per lei. Quelli che le avevano introdotte alla novità... erano le Serpi. Che cosa strana, ma positiva. E strabiliante: dove era arrivata la rispettiva e pacifica approvazione di entrambe le parti. Così da non essere più “parti”, ma un unico grande gruppo.
E poi, beh, c’era Luna, che accoglieva qualsiasi esperienza che viveva con stupore e meraviglia, quindi sarebbe potuta sembrare atipica ovunque, ma probabilmente era quella che si godeva di più la vita, notando tutto con la dovuta attenzione.
E, a quanto pareva, stavano guardando quella che, secondo i tre esperti, sarebbe diventata una delle migliori finali della storia del tennis moderno. Lei aveva seguito il tennis solo da piccola, perché ogni tanto suo padre lo guardava, ma non aveva continuato da grande. E aveva sentito di nome quei Roger Federer e Rafael Nadal, ma non conosceva molto di più oltre ai loro nomi. Sapeva, però, che quel Federer era numero uno al mondo da un bel po’ di tempo.
Blaise, Draco e Theo erano tesi come se si fosse trattato di una partita di Quidditch: forse anche di più, considerato che negli ultimi dieci anni avevano masticato molto di più il tennis che lo sport magico.
«Nadal è un po’ un piccolo bastardo arrogante, ma diamine se è bravo!» commentò Draco – probabilmente rivolgendosi più ai suoi due compari che a lei.
Però, poi, sembrò leggerla nel pensiero e le afferrò la mano: Hermione si voltò a guardarlo, perplessa.
«Ti sta piacendo?» le chiese, cauto. Credeva di aver visto di tutto, eppure da qualche tempo a quella parte si era dovuta ricredere: non aveva ancora visto Malfoy premuroso, e ora era una prerogativa tutta sua. Era l’unica a esserne testimone, ogni volta che quella strana creatura si manifestava.
«È sicuramente avvincente. Non può non prenderti.» commentò, ricambiando la stretta di mano del biondo. Poi Draco intrecciò le dita con le sue, dando segno che non le avrebbe lasciate molto presto: la partita era coinvolgente, a tal punto da fargli ignorare tutto il resto, ma quella parte di lui avrebbe fatto meglio a ricordare a Hermione che non era del tutto dimenticata.
«Questo tennis è forte.» Ginny era sconvolta. Come faceva uno sport babbano a essere così bello? Così preciso? Così perfetto? «Mi sento male per Roger. Mio dio, sto male a ogni scambio.»
Blaise se la rideva. Cosa poteva fare? L’aveva sempre saputo che Ginny era una sportiva, era altamente probabile il possibile sviluppo di una sua ossessione nei confronti del tennis: l’aveva già reso suo così tanto da stare male quando il gentiluomo del tennis** perdeva qualche game. Gli stringeva con vigore la mano durante ogni scambio particolarmente lungo e avvincente. Stava reagendo al tennis nello stesso modo in cui reagiva al Quidditch: non riusciva a essere indifferente.
La amava anche per questo. Lei non lo sapeva ancora, ufficialmente, ma era così. Non avrebbe certamente portato una squinzia alla finale di Wimbledon. E poi Ginny Weasley non sarebbe mai potuta essere la squinzia di nessuno: era troppo interessante per essere solo quello.
«Mi andrò a comprare il telo da mare con i colori della competizione. Adoro l’accostamento di quel verde e quel viola, e ora sicuramente non ci saranno file alle casse.» dichiarò Luna, alzandosi di punto in bianco e causando reazioni irritate a non poche persone. Nonostante fossero britannici, essendosi lei alzata durante un game particolarmente combattuto, non avevano potuto mascherare il proprio enorme disappunto.
«Vuoi che ti accompagni?» chiese Theo, distogliendo lo sguardo dalla partita.
«No, non c’è bisogno. So quanto ti stia piacendo!» e così facendo – e lasciando buona parte delle persone intorno a loro sconvolte – si allontanò dal settore e si diresse all’esterno del Campo Centrale.

Charlie aveva appena richiuso la porta di casa dopo aver accompagnato Daphne all’esterno, per lasciarla tornare verso il Paiolo Magico e l’uscita da Diagon Alley, quando trovò George ad aspettarlo seduto al tavolo della cucina.
«George.» salutò, dirigendosi alla credenza per controllare che ci fosse qualcosa da poter sgranocchiare.
«Cosa stai facendo con Daphne?»
«Non penso di capire la tua domanda.»
«Qual è la vostra relazione? Non posso far finta di non aver sentito alcuni dei suoi problemi quando è l’unica ragazza che abbia mai visto così vicina a te. A parte Tonks, ovviamente, ma lei era la tua migliore amica a scuola***, e il vostro rapporto era decisamente diverso da quello che hai con Daphne.»
«Fidati quando ti dico che non è un insulto, ma non penso che siano affari tuoi.» pronunciò Charlie con sicurezza e senza alcuna aggressività nel tono di voce, continuando la sua ricerca.
«Lo so, ti conosco! So che sei genuino, così come ti si vede, e so che non lo dici per farmi incazzare! Ma come posso fidarmi appieno di lei? Insomma, penso che tu sia abbastanza coinvolto in questa vostra cosa e non voglio che tu ci rimanga secco!» George era animato da una furia parzialmente dovuta alla mancata comprensione del fratello, che invece si limitò a rispondere pacatamente con un sorriso e un semplice «Non lo farò.»
«Ma come fai a esserne così sicuro?» sembrava partito per la tangente. Non aveva mai visto George così «Insomma, non te n’è mai fregato niente delle ragazze. Per un po’ abbiamo sinceramente pensato che fossi gay, visto che non ne hai mai portata nessuna a casa, e poi abbiamo capito che in realtà il tuo amore per i draghi era maggiore.»
«Perché avrei dovuto perdere tempo appresso a delle ragazze quando avrei potuto fare qualcosa di più interessante e utile alla società?» chiese Charlie, perplesso. Ormai aveva lasciato perdere la sua ricerca per dedicare tutta la sua attenzione a George, che sembrava molto turbato.
«Esattamente! Proprio questa tua inclinazione, che è da sempre stata molto rassicurante, mi terrorizza ora. È la Greengrass, e mi sta stranamente simpatica, ma... tu passi tutto il tuo tempo che non passi a lavoro con lei! Lei... ti interessa! E lei è innamorata di una sua amica?»
«Credo francamente che tu debba evitare di origliare così tanto le sue confessioni.» proferì con sincerità e, per sottolineare questo suo pensiero, annuì «E no, non è proprio innamorata. Ne è attratta e le vuole bene, ma è arrabbiata con lei e con se stessa per aver creato questo casino. E non penso ci sia bisogno che ti dica che può capitare di innamorarsi di una propria amica e di non voler però necessariamente fare nulla, onde a evitare di cambiare la natura della relazione per i motivi più disparati, ma principalmente quello di non rovinare l’amicizia, no?»
«Quindi non vuole stare con lei?» chiese George, ancora perplesso.
«Non penso di dover ulteriormente sottolineare quanto questi davvero non siano affari tuoi, ma sì, secondo me non vuole fare alcun passo nei suoi confronti.» fece una pausa per inspirare profondamente «Daph è un semplicemente un po’... rotta. Al momento ha bisogno di qualcuno che si prenda davvero cura di lei, per riportarla a essere completa, al suo meglio.»
«E capisco che è quello che stai facendo tu, ma perché?» era esasperante la scrupolosa ricerca della verità da parte di George in quella discussione.
«Senti, non m’importa quello che farà con me. Non mi interessa sinceramente dichiarare nulla, voglio che stia meglio, voglio che si senta amata come merita di essere amata, da chiunque quella persona sia.» la sincera dichiarazione che aveva fatto fu lievemente più accelerata alla fine: non si aspettava di poter dire una cosa del genere a George.
«Merda. Sei innamorato di lei.» si limitò ad appurare il fratello, basito.
«È una persona speciale, profonda, appassionata, leale. Quando ama, non lo fa con superficialità e combatte con fierezza per te. Non capisco come chiunque non possa esserlo, di lei.»
«Sei innamorato di lei e la conosci, la capisci.» era come se George stesse commentando più tra sé e sé la faccenda «Merda. Hai parole d’amore per una Greengrass. Nessuno se lo sarebbe potuto mai aspettare...»
Charlie si limitò a fare spallucce, tornando a trafficare con le mani nella credenza, che aveva abbandonato per parlare con il fratello.
«Ma dopotutto, ha senso. Quella ragazza è l’essere umano con il comportamento più simile a quello di un Grugnocorto Svedese che abbia mai visto in vita mia. Non mi stupisco che sia stata proprio lei a conquistarti.» commentò il fratello, come a chiudere la discussione: non aveva propriamente avuto la risposta precisa che desiderava, ma ne aveva ottenuta un’altra altrettanto stupefacente e insolita.









*Avrei potuto tradurre "queue" fila, ma per Wimbledon - e siccome sono inglesi - c'è proprio la tradizione della Queue: praticamente vai dalla mattina presto per fare la fila e prendere i biglietti. Ogni giorno ne mettono a disposiizione tot per il pubblico e tu quando vuoi vai e fai la fila per comprarli. Vi dico solo che quando ci sono andata io son partita coi mezzi da Hyde Park verso le 4.30 del mattino... alla fine siamo arrivate verso le 6 del mattino e già la prima fila e mezza era piena di gente. Gli inglesi amano le file, quindi quella di Wimbledon è così tradizionale che ci fanno addirittura i manuali. Sì, ho un manuale per fare una fila, LA QUEUE (come si fa a non amarli!).
**Si riferiscono a Federer così, è generalmente riconosciuto il gentleman del tennis. E beh... lo è. Inoltre non avevo considerato questa parentesi a Wimbledon, ma è tutto troppo inglese e babbano per poterlo evitare. E poi la finale del 2008 la trasmettono ancora sugli schermi di Supertennis ora! (sì, sono appassionata di tennis se non si fosse capito)
***Per me questa cosa è canon. L’ho trovata su Tumblr e me ne sono innamorata quindi ho deciso che è canon XD

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Capitolo 28
*** 27. Seven Devils ***


Buona Pasqua! Il titolo del capitolo mi sembra particolarmente appropriato, per un giorno di festa cattolica XD ma, scherzi a parte, ho appena finito di scrivere il capitolo e non potevo non postarlo. Buona lettura!








 

Holy water cannot help you now, thousand armies couldn't keep me out.
I don't want your money, I don't want your crown
See I've come to burn your kingdom down.

Era una giornata calma a lavoro: era rimasto tutta la giornata al Ministero, non c’erano stati troppi intoppi e sarebbe stato un piacere non poi così grande tornare a casa. E l’ultimo era decisamente l’indicatore migliore per la piattezza della giornata.
«Maggie? Cosa ci fai qui?» la ragazza di Ron aveva un aria affannata. Che diavolo ci faceva al Ministero?
«Oh, Harry. Ciao. Cercavo Ron, l’hai visto?» era davvero preoccupata. Ma perché?
«Ehm, no. Non lo vedo da due giorni circa. Ma dubito sia qui, da qual che so ha iniziato ad aiutare George al negozio...»
«Oh, ecco. Ma io non lo vedo da più di ventiquattro ore... Non risponde alle lettere...» Maggie si guardava intorno, come se si aspettasse qualcosa di terribile da un momento all’altro.
«Provo a contattarlo io. O vado a trovarlo alla Tana. Se lo trovo ti faccio sapere, va bene?»
La ragazza annuì, e sembrò lievemente più tranquilla. Guardò verso le ascensori: «Allora mi fai sapere, Harry?»
«Certo, appena so qualcosa. Non appena esco da lavoro mi materializzo alla Tana.» le sorrise. Si dispiacque un po’, la ragazza sembrava davvero preoccupata. La salutò con una mano, e quella si voltò, ancora titubante.
Che cosa ci faceva una riserva delle Holyhead al Ministero? E perché non era all’allenamento? E soprattutto, dov’era finito Ron?
Avrebbe avuto diverse domande alle quali risposte avrebbe dovuto pensare, di lì all’arrivo alla Tana.

«Scusate se ve lo chiedo di nuovo, ma perché siete qui?» Angharad era perplessa. Era domenica, l’ora di pranzo stava per arrivare, e Theo e Luna si erano palesati a casa sua, senza apparente motivo.
«Per farti compagnia.» rispose semplicemente la ragazza bionda, facendo spallucce e andando ad appropriarsi di un posto sul divano.
«Quello che ha detto lei. Insomma, con Daphne che è per la maggior parte del tempo assente ingiustificata* , Draco e Hermione che oggi sono fuori a conoscere i genitori e Ginny e Blaise che hanno dichiarato di fare più spesso le cazzate alla Theo e Luna – denomina per la quale dovrei probabilmente sentirmi insultato – abbiamo pensato di venirti a fare compagnia. E poi siamo arrivati a piedi.» elaborò Theo, chiudendo la porta principale e incontrando lo sguardo perplesso di Angharad.
«Siete adorabili. Ma il mio pranzo domenicale è una monoporzione di noodles. E devo fare la spesa ancora.»
«Okay, allora finisci quello che stai facendo e ti portiamo fuori a mangiare la variante buona di quello che avevi pianificato di fagocitare.»
Angharad osservò l’amico con un sopracciglio alzato «Cioè?»
«Andiamo al giapponese!»
«Oh, sì. Sarà sicuramente interessante.» gli diede manforte Luna, incrociando le gambe nel suo posto sul divano.
«Oookay.» concesse Angharad, ancora un po’ strabiliata da tutta quella proattività «Devo prima finire di scrivere questo paragrafo e andiamo.»
«Fai con calma.» Theo aveva raggiunto Luna e aveva afferrato il telecomando, accendendo la televisione.
«Dite la verità, siete venuti qui anche per i DVD di How I Met Your Mother...» disse la padrona di casa, non staccando gli occhi dallo schermo del PC.
«In realtà no, però potremmo effettivamente approfittarne...» rispose questa volta Luna, rivolgendo un’occhiata furbesca al fidanzato, che fece spallucce «Per me va bene.  Non mi alzerò per prenderlo però.»
«Accio DVD della seconda stagione di How I Met Your Mother!» invocò Luna con la bacchetta la mano.
«Porca trota, si può fare con tutto?!» Angharad saltò su, stupita dalla velocità con la quale il DVD in questione fosse arrivato dritto nelle mani di Luna, che dovette prenderlo al volo.
«Beh, sì.» spiegò Theo «Anche se la maggior parte delle volte non la usiamo in questo ambiente non significa che non si possa fare, ecco.»
«Wingardium leviosa.» Luna accompagnò il dischetto fino al lettore DVD, dopo averlo liberato dalla sua scatola «Ora puoi limitarti a schiacciare il pulsante d’accensione e via. Non credevo potessi essere pigro con la magia.»
«Nah, non sono pigro... è che ho lasciato la bacchetta a casa. E non avrei fatto un incantesimo di appello per far arrivare qui una bacchetta che è riposta con cura a chilometri di distanza.»
«Se volete che usciamo al più presto, dovete tacere. Posso sopportare al massimo le voci di Ted, Lily, Marshall, Robin e Barney e scrivere, se fate magie davanti a me posso direttamente dire addio a tutto!» li riprese Angharad, guardandoli dalla scrivania con un sopracciglio alzato.
«Sissignora!» rispose Theo, simulando un saluto militare; Luna si limitò a sorriderle e annuire.
E poi partì la familiare sigla del telefilm e lei poté tornare a concentrarsi solo su quel capitolo della tesi.

Hermione era tesa e preoccupata. Tante cose sarebbero potute andare storte, su tanti piani diversi. Non credeva di dover incontrare i Malfoy così presto, considerata l’imboscata tesa da Narcissa mesi prima. Invece, dopo qualche tempo Draco aveva iniziato a proporre non troppo subdolamente quella possibilità, e alla fine di Luglio, l’opportunità si era presentata: Narcissa aveva fatto una sorta di invito formale a loro due e lei non si sarebbe potuta tirare indietro.
Era già pronta, ma gli scenari che si stavano formando nella sua testa erano tanti, e non erano dei migliori. Inoltre, temeva davvero di arrivare lì ed essere impresentabile, considerato il viaggio in macchina che avrebbero dovuto affrontare. Due ore in auto nel caldo della fine di Luglio, e sarebbero dovuti partire in meno di mezz’ora.
Draco era ancora di sopra a prepararsi e lei ne aveva approfittato per riempire le ciotole di Nix e Nyx di croccantini: questa era l’ultima arrivata, e nonostante tutti si fossero chiesti perché mai avessero scelto dei nomi così simili, aveva un senso. Nyx, una femminuccia di un anno tutta nera, aveva un nome che, era sì simile a quello del fratellino, ma significava quasi l’opposto, ossia “scuro”, “notte”, in greco. Considerato che il fratellino rispondeva alla variante latina di “neve”, niente sarebbe potuto essere più opportuno.
Decise di riempire anche quelle dell’acqua: aveva appena finito quando sentì bussare alla porta-finestra che dava sul giardino.
«Ma che diavolo—
Dall’altra parte c’era un Ron, chiaramente turbato. Perché bussava a casa di Draco, e soprattutto, perché dal giardino? Aveva superato i cancelletti saltandoli? Che diavolo voleva? Era da quando si erano lasciati che non si vedevano.
Lei aprì, nonostante tutto, la porta-finestra. Solo quel po’ per chiedergli che ci facesse lì.
«Ron? Perché sei qui?»
Non appena ebbe aperto la porta-finestra, però, Ronald Weasley entrò nella casa veloce quasi come un fulmine.
«Ehi, ma che cavolo?! Non ti ho invitato per un tè, Ronald.» ribatté quella, contrariata. Ci mancava solo lui, quella mattina.
Nyx e Nix lo guardavano attentamente, osservando ogni suo movimento.
«Devo parlarti, ho fatto un terribile errore.» già il fatto che le aveva preso entrambe le mani non prometteva bene: Hermione fece per scuoterle via, ma Ron non sembrava avere intenzione di mollarle.
«Devo dirtelo, non ti ho mai dimenticata.»
«Ronald Bilius Weasley, ma che diavolo?!» lo spintonò via, guardinga «Cosa stai dicendo? Ma soprattutto, come ti viene in mente di palesarti a casa di Draco con queste idee malsane?»
«Sembra essere casa vostra, non casa di Draco.» sottolineò l’ultima parola, rabbioso.
Cosa gli prendeva? Non sembrava lui. Certo, c’era da dire che non sembrava lui nemmeno quando si era fatto lasciare, ma da quel momento erano passati mesi e sembrava davvero una vita fa, quindi anche lui sarebbe potuto benissimo cambiare.
«Cosa, non dovrei riferirmi a lui con il suo nome? Ti dà troppo fastidio? Si dà il caso che sia il mio fidanzato, quindi non mi pare di poter rivolgermi a lui solo pronunciando sprezzantemente il cognome come fai tu. Rispondi: cosa ci fai qui?»
Nix e Nyx avevano entrambi rizzato la coda e inarcato il corpo.
«Wow, avete persino dei gatti. Siete davvero propensi a formare una famiglia!»
Hermione si piazzò istintivamente davanti ai due mici, a mo’ di protezione: non le piaceva quella situazione, per nulla «Ronald...»
«Ho fatto una cazzata a lasciarti, ‘Mione!»
«Sì, certo. E ci tengo a precisare che ti sei fatto lasciare, non mi hai lasciata. Ora, ci terrei a ribadire che questo non è posto per te e che è il caso che tu te ne vada.» continuò lei, imperterrita.
Il trambusto doveva aver raggiunto le orecchie di Draco, perché stava scendendo le scale abbottonandosi i polsini della camicia: «Cosa sta succedendo qui?»
«Eccolo che arriva, il riccone elegante. Non credevo ci volessero i soldi, a conquistarti, ‘Mione!» sembrava intenzionato a creare un conflitto bello e buono: Draco gli rivolse un’occhiata perplessa, irrigidendosi nonostante cercasse di comportarsi civilmente «Non credo ci siamo mai presentati, quindi ritengo fuori luogo le sue assunzioni a di poco sconclusionate e i suoi insulti.» poi rivolse un’occhiata interrogativa a Hermione, come a voler appurare che fosse tutto sotto controllo.
La ragazza annuì, sentendo scemare l’ansia per quei pochi secondi.
«Aw, che carini. Comunicano senza dover parlare. Sembrate davvero fatti l’uno per l’altra.» commentò sarcastico «Sono stato davvero un’idiota a credere che sarebbe andato tutto per il meglio, quando hai iniziato a pedinarlo. E io che ero venuto qui per cercare di farti ragionare...»
«Ronald Bilius Weasley, fuori di qui. Ne ho abbastanza dei tuoi comportamenti insensati e, come ha detto Draco, questa tua... scenata, è fuori luogo. Ti prego di andartene da dove sei venuto, o sarò costretta a chiamare la polizia.» in realtà l’avrebbe volentieri schiantato, in quel momento, ma non l’avrebbe mai fatto davanti a Draco. Inoltre, la bacchetta era nascosta in un cassetto della camera da letto.
«Va bene, va bene. Tanto sei completamente rincretinita appresso a questo idiota e alla vostra vita agiata. Dovevo capirlo subito che non avresti mai voluto qualcosa di serio con me, non hai mai considerato l’ipotesi di convivere, mentre con questo codardo ci vivi già da mesi, senza che neanche se lo meriti.»
«Ho già composto il numero.» Draco non scostava lo sguardo da quel tipo dai capelli rossi, che sembrava pericoloso. Davvero Hermione stava con quello, prima?
«Sto andando, sto andando!» e così fece, dopo essersi goffamente scontrato contro il computer di Hermione, che era sul divano, e aver sbattuto con forza la porta-finestra.
Draco sentì chiaramente Hermione espirare rumorosamente: «Tutto bene?»
Lei si lasciò cadere sul divano, abbassando la testa e scuotendola subito dopo: Draco la raggiunse e le cinse le spalle con un braccio.
«Mi dispiace che tu sia stato costretto ad assistere a una cosa del genere.» dichiarò Hermione, portandosi una mano sulla fronte «Qualcosa del genere, poi! Non si è mai comportato così. Poi, anche se fosse diventato un idiota particolarmente rissoso e negativo, perché avrebbe dovuto aspettare così tanto tempo, se quelle erano le sue motivazioni? Ci sono molte cose che non quadrano.»
«Grazie al cielo. Credevo fossi stata anni insieme a un mostro.» commentò il biondo, sospirando profondamente «Dal nome idiota, per giunta. Ronald Bilius, sul serio?! Chi chiama proprio figlio in quel modo? Vuoi proprio che diventi così...»
Hermione rise di cuore. Con quella stupida battuta era riuscito a farla rilassare a tal punto da ridere anche dopo un avvenimento del genere: Draco sorrise, per poi baciarle la fronte «L’hai distrutto, comunque. Ricordami di non farti mai arrabbiare.»
La riccia alzò lo sguardo verso di lui, grata. Poi cercò i due gatti: erano tornati a giocare, quasi dimentichi di quello a cui avevano appena assistito. E poi rivolse uno sguardo al suo computer: come si era ritrovato ad andarci contro, Ron? E perché ora lo schermo era acceso? Lei era più che certa di averlo spento qualche minuto prima.
«Dai, andiamo. Abbiamo altro di meglio da fare, che stare qui sul divano. Purtroppo.» Malfoy, sottolineò l’ultima parola e si alzò, porgendo poi una mano a Hermione per aiutarla a rialzarsi: decise che avrebbe affrontato il mistero del computer dopo. Ora doveva preoccuparsi di superare una giornata con i suoceri di fatto, che erano anche i parenti di un suo paziente – più o meno – in una casa in cui anni prima era stata torturata. Davanti a tutti loro.
Sarebbe stata sicuramente una giornata memorabile.

Hermione non riusciva a dimenticare l’espressione che Lucius Malfoy aveva adottato nel momento in cui Draco l’aveva presentata come la sua fidanzata. Ricordava di aver visto di scorcio quella contenta e soddisfatta di Narcissa, ma la cosa che l’aveva colpita maggiormente era l’espressione completamente pietrificata in un sorriso mellifluo – e terrificato – del padrone di casa.
Inoltre aveva capito di averlo davvero sconvolto essendo semplicemente presente lì dal fatto che non aveva neanche una volta provato a esortare il figlio a cambiare lavoro: doveva averla presa davvero male.
Non si capacitava poi del fatto che non ne fosse stato al corrente: Narcissa lo sapeva da tempo e non gliel’aveva detto? O peggio ancora, l’aveva fatto e lui non ci aveva creduto? Sembrava sinceramente perplesso. Non era per nulla un buon segno.
Non che avesse bisogno dell’approvazione di Malfoy senior per decidere se continuare o meno la sua relazione con Draco, ma addirittura una reazione del genere...
«E lei, signorina Granger, di che cosa si occupa?» Lucius Malfoy sembrò deciso ad attaccare.
Per poco non si soffocò con il pezzo di carne di manzo che stava masticando: «Ricerca, signore. In un ospedale.»
Il padrone di casa mostrò i denti in un sorriso per niente affabile «Capisco. E riesce a mantenersi con un lavoro da ricercatrice?»
«Papà...» lo ammonì Draco, contrariato. Che cosa aveva suo padre contro Hermione? Come se la conoscesse poi, da poterla giudicare in così poco tempo.
«Sì, ci riesco perfettamente, signor Malfoy!» rispose Hermione, sfacciatamente. Ma l’aveva voluta lui: stava cercando palesemente di fare in modo che trapelassero cose che non avrebbero dovuto farlo, e non si disturbava neanche a nasconderlo.
«Draco, tesoro» cambiò argomento Narcissa «Come va a lavoro?»
«Non bene. Lo sapevi che Daphne è stata allontanata?»
«Davvero? Credevo ci fosse riuscita a concludere quel progetto...» iniziò Narcissa, espirando come se si fosse sgonfiata.
«Ma ha fatto un salto di qualità, è passata alla HSBC. È una delle poche banche che nel primo trimestre ha fatto utili, ed è inglese, fondata a Hong Kong... ma non è ancora stata assunta, è in prova. È un periodo particolare, per cambiare azienda.» rispose il figlio, come se stesse soppesando tutti i fatti «Però ci riuscirà, probabilmente. È arguta e lavora bene, in quel campo.»
«Almeno lei è passata a qualcosa di domestico. Che, per giunta, riesce a guadagnare anche in tempi di crisi. E non è rimasta sotto l’egida, che a breve si frantumerà, degli sconsiderati statunitensi.» Lucius non aveva davvero problemi ad affrontare argomenti spinosi mentre veniva terminato il secondo, e Narcissa aveva davvero l’impressione di volerlo fulminare non solo con gli occhi. Hermione non ebbe, invece, bisogno di vedere Draco irrigidirsi: percepì il suo cambiamento di attitudine anche solo dal suo respiro.
«Papà, hai davvero intenzione di affrontare questo discorso ora, l’unico giorno che mi sono presentato a casa, dopo mesi che non ho potuto prendermi questo lusso, e che avrei, a questo punto lo dico tranquillamente, potuto passare altrove, sicuramente più tranquillamente?» Draco avrebbe iniziato a breve a espirare come un toro imbufalito, così Hermione lasciò le posate – non aveva poi così tanta fame – e spostò le mani sotto il tavolo, dove una raggiunse il ginocchio di Draco. Quello capì, e afferrò la mano, lievemente più calmo.
«Esattamente, Lucius, non è il caso di affrontare questo discorso ormai ripetitivo ora.» Hermione non aveva mai visto Narcissa con quell’aria truce, nemmeno durante la guerra. Le fece un po’ paura. Però, poi, si rivolse a lei e a Draco, e sembrava completamente diversa «Che ne dite, ci trasferiamo in salotto per la frutta e il dolce?»
«D’accordo.» fu lei a rispondere, alzandosi per prima. Avrebbe evitato di far parlare Draco, prima che si fosse calmato. Sarebbe stato un lungo pomeriggio.





* da “AWOL”, “Absent WithOut Leave", linguaggio militare

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Capitolo 29
*** 28. Strangeness&Charm ***


Mi sarò fatta aspettare (dovevo finire di scrivere il capitolo), ma sono arrivata! E spero davvero che vi piacerà, quello che leggerete. È un po' lunghetto e sono "in ritardo", ma ne vale la pena! Buona lettura!







 
And the pressure in our bodies that echoes up above, it is exploding
And our particles that burn it all, because they aim for each other
And although we stick together, it seems that we are stranging one another

 
Il mese di prova era ampiamente terminato e Daphne si sentiva un po’ in ansia ad andare all’appuntamento con il Chief Marketing Officer. Si diceva che i suoi appuntamenti durassero il tempo di un percorso in ascensore dal piano più basso al più alto della sede, eppure lui l’aveva contattata in ufficio.
L’ipotesi che volesse cacciarla sarebbe stata improbabile per le prestazioni raggiunte e per il fatto che il periodo di prova fosse anche stato prolungato, ma non impossibile, considerata la situazione economica mondiale. Non era il periodo migliore per essere senza lavoro, quello.
Inspirò profondamente e strofinò un palmo sudato sulla camicetta, dove la giacca la copriva. E bussò.
«Avanti!» la risposta arrivò dopo cinque secondi e, quando lei aprì la porta, l’uomo era ancora al telefono con qualcuno.
Daphne si sedette dalla parte opposta della scrivania e aspettò: non era da lei essere così in ansia in una riunione, soprattutto perché era certa di essere stata proficua. Ma era un periodo imprevedibile, per lei, ma soprattutto per il mercato.
«Allora, signorina Greengrass. Ho una videoconferenza tra quattro minuti e diciassette secondi, quindi meglio andare al punto.»
Merlino, quanto era rigido quel tipo. La professionalità non la spaventava, ma la rigidità e la compostezza di quell’uomo...
«I suoi risultati sono strabilianti. Le campagne che ha sovrinteso sono piaciute molto a tutti i manager del piano, e probabilmente, almeno due di quelle, saranno portate avanti. Non mi occupo di parlarle di salari o condizioni lavorative, ma è assunta. Da lunedì continuerà a lavorare con il team che ha seguito in questo mese regolarmente, a tempo indeterminato. Non possiamo permetterci di lasciarci sfuggire personalità industriose ed economicamente produttive come la sua, non in un periodo del genere. Può andare già ora alle Risorse Umane per discutere del salario e degli orari. Chiuda la porta alla sua uscita.»
L’espressione di Daphne era paralizzata, metà sorridente e metà scioccata. Prese, però, tutto e si diresse alla porta. Ebbe il tempo solo di dire “Grazie”, che era già fuori e diretta all’ascensore.
Sarebbe andata al dipartimento delle Risorse Umane e poi avrebbe avuto molto da fare.
Aveva bisogno di rimettere a posto la sua vita, un tassello alla volta. Il lavoro – anche migliore del precedente – ce l’aveva. Adesso doveva ricostruire un’amicizia che aveva potenzialmente distrutto con il suo comportamento: si lasciò andare ed esultò per i dieci secondi di percorso in ascensore e ripartì all’attacco. Come molti mesi prima.

«Fa caldooo.» Ginny occupava da ore l’ombra creata dal maxi-ombrellone che si trovava al centro del giardino di casa di Draco, e la inseguiva in base a come cambiava posizione il sole, portandosi appresso la sedia sulla quale era seduta e quella sulla quale aveva posato i piedi.
Hermione, dal tavolino, le rivolgeva un’occhiata perplessa: «Mi sto ancora chiedendo perché sei qui dall’ora di pranzo. Sai, son contenta del fatto che tu mi stia facendo compagnia, ma non è che ne abbia davvero bisogno... Almeno Luna e Angharad si sono portate le loro cose da studiare!»
«La verità, Hermione, è che Ginny ama questo giardino. Anche i tuoi gatti, ma più il tuo giardino. Cioè, quello di Draco. Ma vabbè, hai capito!» Angharad alzò lo sguardo dal suo schermo del PC per incrociare quello di Hermione.
In verità stavano non poco strette sul tavolino, ma non le dispiaceva la compagnia: Angharad era al computer come lei, mentre Luna stava compilando dei moduli per chiedere il trasferimento sul campo alla riserva di draghi dove lavorava Charlie. Aveva detto che si era seccata di stare in ufficio al Ministero, e dopo aver dovuto consegnare l’unicorno che aveva trovato mesi prima alle autorità, aveva deciso che aveva bisogno di una pausa.
«Quindi... lavorerai coi draghi anche tu?» Angharad era curiosa come al suo solito: da quello che aveva capito, Harry le aveva promesso che avrebbe chiesto a Charlie di farle vedere qualcheduno dei suoi assistiti, ma Hermione sapeva molto bene che l’ormai uomo sopravvissuto non aveva avuto ancora il coraggio di chiederglielo.
«Spero bene di sì! Mi hanno sempre affascinata, e non ho ancora avuto l’opportunità di conoscerli molto bene. E poi lavorare con Charlie sarà interessante. È considerato un esperto nel campo, soprattutto con i Lungocorni Rumeni, ma non è male anche con i Gallesi Verdi Comuni.»
«E i Neri delle Ebridi.» aggiunse Ginny, che stava leggendo un magazine con tanto di occhialoni da sole addosso.
«Sai, Gin, probabilmente puoi liberarti degli occhiali. Il sole sta tramontando...» ribatté Angharad, lanciandole un’occhiata perplessa.
«Non abbastanza velocemente.» commentò la rossa, tirando su il paio di occhiali e alzando il capo.
«Ma soprattutto mi chiedo: perché stare fuori se sei così allergica al sole?»
«Perché dentro fa caldo, duh
«Non così tanto...» riprese Hermione, scuotendo la testa. Avrebbe fatto meglio a riprendere con le ricerche, invece di stare appresso alle stranezze di Ginny.
Quando un telefono emise un suono di notifica, dopo molto tempo che erano rimaste in silenzio, nessuna delle quattro presenti ci fece tanto caso: fin quando tre di loro non udirono un chiaro verso di stizza provenire da Angharad, che stava in quel momento digitando una risposta al mittente misterioso e che causò la discesa da parte di Nix dalle gambe della gallese in questione.
«Angh?» chiese Hermione, incuriosita. Luna, invece, le lanciava un’occhiata comprensiva, come se la capisse, mentre Ginny cercava a tutti i costi di osservarla senza dare a vedere che lo stesse di fatto facendo, come del resto stava facendo poco più in là Nyx.
«Daphne. Mi propone di vederci perché deve parlarmi. Le ho proposto il pub tra mezz’ora, così non mi viene in mente di saltarle al collo e sventrarla.»
«Vai, cara!» le rispose Luna, alzando una mano per battere cinque con la ragazza in questione, che si decise a farlo solo dopo qualche secondo, semi-mestamente.
«Non mi va di litigare. E poi sto tanto bene a ignorarla. Ormai mi sono abituata...»
«E tutti sappiamo quanto questo sia vero...» commentò ironicamente Hermione, rivolgendo uno sguardo ad Angharad da sopra agli occhiali da vista «Almeno chiarirete, finalmente
«Non ne ho così bisogno. Non è di certo la mia migliore amica
«Lo sappiamo, ma è quella che viene subito dopo.» ribatté Ginny, decidendo di partecipare alla conversazione «E poi ne abbiamo tutti abbastanza di questa tensione che ci costringe a dividerci tra le due.»
«L’ha deciso lei! E poi non se lo merita quell’appellativo, Luna viene prima!» ribatté la babbana, inorgogliendo la strega bionda accanto a lei, che divenne oggetto di occhiatacce da parte di Ginny.
«Oh, dai, dovrete risolvere prima o poi! È un po’ tardi, sì, ma non è mai troppo tardi!» dichiarò Hermione, bloccando la potenziale lite che si sarebbe potuta creare sull’argomento.
«Pfff. Va bene. Vado, così ordino qualcosa. Sperando che mi mettano un ombrellino nel drink e possa infilzarla con quello...» commentò Angharad, alzandosi dalla sua sedia – che venne subito dopo occupata da Nix – e strascicando il passo fino al cancelletto che portava alla facciata anteriore della casa. Il suono dei suoi passi si era esaurito, ma Luna e Hermione avevano ancora un sorriso incoraggiante piantato sulle loro labbra.

Avrebbe voluto dire tante cose a Daphne. Si era preparata una lista mentale nel tragitto da casa di Draco e Hermione al pub, ma era più che certa che se le sarebbe dimenticate nel momento in cui l’avrebbe affrontata. E poi era davvero curiosa di sapere che diavolo di scusa avesse da presentarle.
Era a metà del suo drink e stava giocando con l’ombrellino – faceva caldo e non aveva pranzato, quindi si era premiata con una Piña Colada – quando Daphne entrò nella sala: la identificò subito, Angharad era seduta al loro solito tavolo. Beh, al solito tavolo che frequentava mesi prima.
Alzò una mano a mo’ di saluto, non avendo alcuna risposta dall’(ex?)amica Angharad, a parte un’occhiata non molto amichevole fissa su di lei.
«Buonasera.»
«Mh.» Angharad non sembrava molto collaborativa, ma probabilmente se lo meritava, per aver smesso di interagire con lei dal giorno alla notte «Cosa ci faccio qui?»
«Volevo chiederti scusa...»
«Perché?» Angharad poteva essere molto, molto aggressiva se provocata. E in quel momento aveva mesi di domande – e frasi sbottate e rabbiose – da porle tutte insieme «Non voglio le tue scuse, voglio sapere che diavolo è successo per farti cambiare completamente comportamento in ventiquattr’ore o poco più.»
Daphne inspirò ed espirò profondamente: dopotutto sapeva che non sarebbe stato facile, e non si sarebbe meritata nulla di facile «Angh, fammi scusare...»
«Non finché non mi dici cosa-diavolo-t’è-capitato.» marcò le ultime quattro parole piantandole un indice tra la spalla e il collo, leggermente violenta.
Okay, avrebbe dovuto semplicemente dirglielo. Sapeva che avrebbe dovuto farlo, perché lei gliel’avrebbe chiesto. La conosceva abbastanza bene per sapere che quella sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto.
Inspirò profondamente e iniziò a parlare: «Mi sono resa conto di aver avuto per un po’ di tempo una cotta per te e non sapevo come gestirla. Quindi mi sono chiusa in me stessa, perché mi sentivo anche un po’ una fallita dato che Merrill Lynch mi aveva lasciata andare.»
L’espressione cocciutamente inferocita di Angharad crollò: era più che certa che sarebbe scoppiata a ridere. Vedeva già gli angoli delle labbra dell’amica inarcarsi, ma non rideva ancora «Mi stai davvero dicendo che ti sei allontanata perché pensavi di avere una cotta per me? Sul serio?»
Daphne annuì e abbassò lo sguardo sul tavolo: per iniziare subito il discorso non aveva nemmeno ordinato qualcosa al bar. E ora, dicendo ad alta voce qual era stato il suo insormontabile problema per i mesi passati – beh, non l’unico, ma quello che credeva fosse il principale – si sentì un po’ stupida. Non era qualcosa di semplice, ma nemmeno difficile, se solo gliene avesse parlato e non se lo fosse tenuto per lei, ingigantendolo di conseguenza – essendo la sua l’unica prospettiva che considerava, a parte quella di Charlie, che era comunque esterno alla loro relazione – e confondendo la povera Angharad, che non aveva fatto nulla di male.
Angharad che, dopo aver speso ben quindici secondi a ingurgitare ininterrottamente buona parte della sua Piña Colada rimasta, si staccò e la scrutò attentamente, come per capire se stesse dicendo la verità. E poi scoppiò a ridere.
Daphne quasi si sentì sollevata quando la sentì ridere, ma durò poco: subito dopo l’amica iniziò a punzecchiarla non troppo leggermente con lo stesso indice di prima, alterata.
«E tu hai smesso di parlarmi per una cosa del genere? Dannazione, Daphne, credevo di averti ucciso in qualche modo la madre, per come ti comportavi!» gli indici piantati tra spalla e collo non si fermavano «Potevi dirmelo! Potevamo affrontare questa cosa insieme! Potevamo discuterne, invece di tagliarmi completamente fuori dalla tua vita!»
«Angh, capisco che tu sia incazzata e hai ragione, ma infilzami nuovamente con quel ditino sottile e pungente e te lo trasformo in carota.» dichiarò Daphne, con un’espressione che non ammetteva repliche. Effettivamente l’aveva fisicamente punzecchiata molto.
Angharad si fermò con l’indice a mezz’aria e abbassò la mano, posandola sul tavolo e incrociandola con l’altra, intorno al bicchiere che conteneva quel poco che era rimasto del suo drink.
«Quindi, mi ti vuoi fare*?» Angharad ammiccò nella sua direzione, chiaramente ironica, e a Daphne vennero i brividi di disgusto «Se ne avessimo parlato avresti reagito così? Diamine, hai passato troppo tempo con Blaise!»
«Touché. Ma te lo sei meritato. E comunque sai che avrei avuto tatto, se non ti fossi chiusa a riccio senza motivo. Se me ne avessi parlato, avrei capito e ti avrei lasciato spazio. Ma adesso non te lo meriti. Anche perché se hai aspettato mesi, avrai sicuramente risolto il problema.» spiegò Angharad, finendo il suo drink e alzando una mano in direzione del barman, che la vide dopo qualche secondo.
«Non proprio. Cioè, non ero certa di come avrei reagito, ma avevo bisogno di riparlarti e di rammendare quel che era possibile, a prescindere dal fatto che ci sarei potuta rimanere male o meno alla tua risposta.» dichiarò Daphne, pratica.
«E come ci sei rimasta?» Angharad non poté non chiederlo. Si sentiva leggermente in colpa, pur non essendocene effettivamente motivo.
«Mi sarei aspettata di peggio. Sembra assurdo, dicendolo a voce. Almeno, sembra assurda la mia reazione, ora che te ne parlo.» Daphne non sapeva come esprimere i suoi pensieri frenetici «Sei qui, davanti a me, e il problema mi sembra irrisorio, ora. Pressoché inutile. Non voglio davvero saltarti addosso, e il tuo solo alludere a una cosa del genere mi ha fatto venire i brividi... So di essere bisessuale, ma con te, non la te che avevo idealizzato, ma tu Angharad che sei di fronte a me... no. Non desidero davvero vederti nuda.»
«È la cosa meno piacevole che qualcuno mi abbia mai detto, in quest’ambito, ma sono super contenta che venga da te.» dichiarò Angharad, rivolgendole un sorriso a trentadue denti «E cosa ti ha fatto capire che ti stavi comportando da idiota e dovevi tornare a parlarmi?»
«Sono stata assunta dalla HSBC. A tempo indeterminato.» dichiarò contenta, Daphne. Angharad era la prima persona a cui aveva dato la notizia: e reagì come un’amica avrebbe dovuto.
«Davvero?!» Angharad era visibilmente estasiata «Ma è ottimo! Non sei più con quegli americani sanguisughe di merda e qualcuno finalmente ti apprezza!»
«Hai visto?! Non chiamare la Merrill Lynch così davanti agli altri, però.» aggiunse l’ex-Serpeverde subito dopo. Merlino, se era contenta di aver detto tutto ad Angharad. Era sollevata, anche se l’amica l’aveva ovviamente rifiutata. Ma... forse, lo era anche di più, proprio per quello. Era stato tutto nella sua testa, e anche se trovava alcune donne – come diversi uomini – attraenti, non pensava più ad Angharad in quel modo. Perlomeno, non a quella reale che era davanti a lei: e aver realizzato questo aveva eliminato gli istinti anche nei confronti di quella idealizzata. Era molto, molto sollevata.
«L’hai già detto al tuo bellimbusto rosso?» Angharad pose la domanda con una tale nonchalance che lei non fece neanche caso al trabocchetto: «No, in realtà. Non lo sento da stamattina...»
«Allora è il tuo bellimbusto rosso!» esclamò quella, vittoriosa «Allevatore di draghi, per giunta!» aggiunse in un mormorio.
«Bé, no. Non so a cosa tu ti stia riferendo.» Daphne era arrossita visibilmente e si guardava intorno.
«Oh, dai! Non dirmi che non te ne sei accorta! Quel Charlie non ha occhi che per te!» Angharad era partita all’attacco e non l’avrebbe fermata nessuno: probabilmente qualcuno avrebbe dovuto farlo, visto che era partita da casa di Draco col piede di guerra e si era ritrovata a perdonare Daphne fin troppo velocemente, perché le mancava la sua amica, e anche quei momenti.
«Oh, sta’ zitta!» ribatté la bionda in tailleur, guardando ovunque pur di non affrontare lo sguardo dell’amica.
«Non te ne eri davvero accorta?!» questa era una cosa nuova, che Daphne non si accorgesse delle attenzioni di qualcuno nei propri confronti. E il fatto che stesse palesemente glissando le sue domande non faceva che rinforzare quella tesi «Wow. Quindi immagino che non vi siate nemmeno scambiati un bacino piccino-picciò...—
«Oh, sta’ zitta!» Daphne era ormai diventata color vermiglio**.
«Okay, taccio.» dichiarò Angharad, soddisfatta e con un sorriso a trentadue denti. Si alzò dalla panca e fece per dirigersi alla casa «Visto che il barman non si palesa direi di spostarci da Draco. Ti va o hai da fare?»
«Devo tornare a casa. Sono indecentemente sudata e bramo una serata in compagnia del mio divano.» spiegò brevemente l’ex-Serpeverde, indicando la camicetta sotto la giacca.
«Okay. Buona serata!» il tono allusivo sarebbe dovuto essere colto in riferimento a una possibile serata passata con il suo Charlie, ma Daphne non l’aveva colto. Inoltre, era già fuori dalla porta del pub. Angharad si piazzò davanti alla cassa e aspettò: sarebbe tornata sola da Hermione, tanto avrebbero avuto molto da fare fin quando non si sarebbero presentati gli altri. 

Quando Draco, Theo e Blaise furono arrivati, il sole era già tramontato da un bel po’: avevano l’aria di essere distrutti, soprattutto Draco e Blaise.
Tutte e quattro le ragazze erano ora sedute intorno al tavolo e avevano almeno un cardigan a testa per coprirsi: le temperature si erano abbassate.
«Wow, è un record per questo mese, l’orario a cui siete tornati!» aveva esclamato Angharad, ironica.
Draco le rivolse un’occhiataccia, a metà tra il perplesso e il seccato «Non è che possiamo proprio scegliere di non andarcene più tardi...»
«Oh, lo so. Difatti vi prendo come indice di valutazione. Sai, del casino. Che scoppierà a breve.»  rispose l’amica, annuendo a mo’ di supporto della sua tesi «Oooh, che ci avete portato?»
«Come mai sei di così buon umore?» chiese Blaise, che dopo aver salutato Ginny con un bacio aveva iniziato a guardare con sospetto l’amica gallese.
«Oh, ha fatto pace con Daphne.» spiegò Luna, anticipandola e annuendo contenta.
«Ah, finalmente! Non ne potevo più di vivere come un figlio di separati!» aveva esclamato il moro, cercando una sedia «Perché non andiamo dentro? Fa freddo, i gatti, intelligentemente, hanno occupato il divano, e noi abbiamo delle coscette di pollo fritte che se aspettiamo un altro po’ si freddano. Dai, muoversi!...»
«Anche tu sei di buon umore. Perché sei di buon umore?» chiese Angharad, puntandogli il dito contro il petto mentre si alzava per seguire gli altri in cucina.
«Sono contento di non essere più a lavoro. Oramai le priorità sono state completamente ribaltate.» spiegò lui, prendendo i due computer che erano ancora sul tavolino e seguendo l’amica.
«Draco?» Hermione l’aveva seguito in cucina per prendere le posate, ma voleva anche chiedergli in privato come andasse.
«Mh?» stava trafficando con il rotolone di carta da cucina, staccando tanti fogli quanti i presenti, e avrebbe anche voluto riempire di acqua le ciotole di Nyx e Nix.
«Come stai?» era titubante, sembrava particolarmente distrutto. Allora strinse le braccia intorno alla vita dell’uomo, che si voltò per guardarla, oltre la sua spalla: «Stanco. Davvero tanto. Forse riescono a vendere la Lehman.»
«E non è positivo?»
«Sì, se ci riuscissero. Insomma, dovranno trovare un capro espiatorio in tutto questo macello, ma se dovessero davvero riuscire a venderla, sarà comunque per qualcosa come 10 dollari ad azione... O forse poco più, dipende dalla banca nazionale coreana interessata alla transazione. Non si sa con precisione.»
«Se ti fa stare meglio, non ne parliamo.» dichiarò Hermione, piazzandogli un bacio sul lato destro del collo.
«Sì, grazie. A voi com’è andata la giornata?»
«Oh, dopo il lavoro son tornata qui come al solito, solo che dopo mezz’ora mi sono ritrovata tutte a casa. E allora ci siamo spostate fuori, dove però, di fatto, eravamo solo io e Angh a lavorare.»
«Le uniche da cui me lo sarei potuto aspettare, a casa.» convenne lui, annuendo per sostenere la sua tesi con non poca ironia.
«Sta’ zitto!» ribatté l’altra, sorridendogli. Draco le baciò la tempia, prima di prendere tutti i fogli di carta che aveva posato sui piatti per dirigersi al tavolo che era in sala da pranzo: «Prendi tu bicchieri e posate?»
Hermione annuì, osservandolo mentre si allontanava per raggiungere gli altri, che si erano già posizionati al tavolo e battibeccavano come se tutti i problemi della giornata non fossero semplicemente rilevanti in quel momento: prese i bicchieri e le posate, rimanendo sovrappensiero. Era davvero in un bel posto, nella sua vita e con quella combriccola che non avrebbe potuto mai lontanamente immaginare. E tutto sarebbe potuto essere spezzato con la scoperta di una piccola verità nascosta.

Daphne era stanchissima. Non era tornata direttamente a casa dopo aver lasciato Angharad: aveva ben pensato di premiarsi per l’assunzione facendo shopping, poi però si era ricordata del frigo quasi vuoto e, con le buste di Topshop e Superdrug***, si era ritrovata a fare spese da Tesco. Dopo aveva anche pensato che faceva troppo caldo per cucinare qualcosa – e c’era sempre il fattore “premio!”, dovuto all’assunzione – e aveva deciso di comprare una pizza d’asporto.
Solo successivamente si diresse a casa: era ormai ancora più distrutta, piena di roba, ma soddisfatta. Quando arrivò sul pianerottolo, però, notò qualcosa di diverso: lei si aspettava di arrivare a casa, cambiarsi e piazzarsi sul divano a guardare la TV, e magari mandare un messaggio a Charlie per sapere che fine avesse fatto. Ma Charlie Weasley era lì, seduto contro la porta di casa e una bottiglia di champagne posata a terra accanto a lui, che aspettava.
«Che ci fai qui!? Da quanto aspetti?» se era seduto non poteva che essere un bel po’ di tempo.
«Oh, un po’. Ma non preoccuparti!» si alzò, spazzolando il retro dei jeans «E comunque son venuto per congratularmi. Ero certo che ti avrebbero presa. Ti hanno presa, vero? Dall’ammontare di buste che porti immagino che si tratti di compere-premio...»
Perché? Era stato così premuroso, e non era la prima volta. E non ne aveva nemmeno la certezza, che l’avrebbero presa, aveva semplicemente fiducia in lei. L’aveva avuta da sempre, da quando l’aveva conosciuta. E poi pensò a come Angharad l’avesse tremendamente presa in giro, chiamandolo il suo bellimbusto rosso. E allora lasciò cadere le buste a terra e non si preoccupò del fatto che probabilmente in quel momento non era la persona più profumata del mondo, quando corse quei due metri per andargli incontro: agì d’istinto – cosa non poco improbabile, se non proprio impensabile, per lei –  e lo baciò, stringendo le braccia intorno al collo, forse con un po’ troppa veemenza.
Con così tanto fervore e velocità che Charlie ci mise un po’ a capire cosa fosse successo e rispondere, incrociando le braccia intorno alla vita della ragazza mentre manteneva ancora con una mano la bottiglia, che in quel momento non sembrava altro che un fastidioso impedimento.
Quando si separò dalle gentili – ma, stranamente, non troppo – labbra di Charlie, lo guardò negli occhi, vedendo finalmente ciò che fino a quel momento non era stata capace di interpretare: la cauta accortezza con la quale si era sempre rivolto a lei, che recentemente nascondeva qualcosa che sembrava un sentimento profondo, e si chiese come avesse fatto a non accorgersene. E poi, beh, come aveva risposto al bacio. Perché aveva risposto, nonostante fosse rimasto stordito per i primi tre secondi. Ma poi aveva risposto, eccome se lo aveva fatto.
«Ciao.» pronunciò Daphne con un sorriso, impegnata ancora in un abbraccio stritolante.
«Ciao.» rispose lui, non riuscendo a impedire la nascita di una risata «Un gran bel saluto, direi.»
«Lo so.» rispose l’ex-Serpeverde, mantenendo il sorriso a trentadue denti, che virava verso il sornione «E grazie.»
Charlie assunse un’espressione lievemente disorientata «Per cosa?»
«Per aver creduto in me quando anche io avevo perso la fiducia in me stessa. E per esserci stato sempre, in tutto il giro tremendo di montagne russe deprimenti.»
Charlie scosse la testa «Hai conquistato tutto quello che hai da sola, il merito è il tuo.»
«Sì, è vero.» ammise Daphne, con un tono quasi gongolante, per poi ritornare seria «Però ho avuto il migliore supporto del mondo, senza nemmeno rendermene conto.»
E allora lo ribaciò: non se n’era davvero accorta, per tutto quel tempo. Aveva aperto gli occhi solo quel pomeriggio, e la vista era stupenda.
«Daph? Interrompere questo momento non è tra i miei maggiori interessi, ma c’è un cartone della pizza a terra. Insieme a diverse buste...»
«E ho un tappo di sughero piantato nelle costole.» concesse quella, annuendo «D’accordo, entriamo.» prese le chiavi di casa e aprì la porta, lasciando entrare Charlie e andando a riprendere le buste: questo la osservava da vicino alla porta, per chiuderla non appena quella fosse entrata.
E più la osservava, più si rendeva conto di quanto fosse vero quello che le aveva appena detto: si era rimessa in piedi da sola, era riuscita a essere completa da sola.
Aveva sbagliato qualche settimana prima, dicendo a George che per farlo lei avrebbe avuto bisogno di qualcuno: Daphne aveva bisogno solo di se stessa. E di tempo per riprendere le forze e la voglia di affrontare tutte le situazioni più disparate che la vita presentava.
E ora che l'aveva ritrovata, grazie a se stessa, era di nuovo completa, di nuovo lei, al cento per cento.
Aveva avuto bisogno di supporto emotivo e morale, nel frattempo, ed era tutto quello che lui era stato per quei mesi, supporto. Però, quando si era trattato di rimettersi in piedi – l'aveva fatto da sola, perché lei era così. E dopo averlo fatto, si era manifestata in tutta la sua grandezza splendente: e a quanto pare l'aveva scelto.
Probabilmente sì, era la donna più simile a un Grugnocorto Svedese che avesse mai visto in vita sua – e George nella sua, essendo stato lui stesso a coniare quella frase – ma era il Grugnocorto Svedese più bello che avesse mai avuto il piacere di conoscere.




BOOM! Tanto per un capitolo XD 

*Non sono proprio certa che sia grammaticalmente corretto, ci ho pensato tanto, e le alternative mi suonavano tutte male. Volevo usare un termine poco usato ma che suonasse ironico, e questo ci stava. Poi, il problema era che le persone erano la prima e la seconda, quindi magari suona male... non so! Ditemi voi! [Alla fine l'ho cambiato seguendo il suggerimento di Jules_Weasley, che tra l'altro ringrazio pubblicamente!]
**Libero riferimento all’episodio di HIMYM in cui Lily fa un sogno erotico su Ranjit e non vuole dirlo a Marshall e lui sottolinea che lei, “non è diventata color cremisi” ma “vermillion, the color of cardinal shame!”. Non dovrei ricordare certe cose, forse XD
*** Il primo è tipo Zara, ma teoricamente più figo - e ora più costoso - mentre Superdrug è tipo Limoni, ma con molti più sconti!

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Capitolo 30
*** 29. Roll Away Your Stone ***


Buongiorno! Ora, non succede quello che tutti aspettate e giustamente temete, ma QUALCOSA accade. Cosa sarà mai? Buona lettura!







 
 

Sweet Disposition




29. Roll Away Your Stone


Darkness is a harsh term, don’t you think?
And yet it dominates the things I see.


Hermione era stata svegliata da un bacio sulla spalla: era più che certa che fosse Draco e non uno dei gatti, anche perché se fossero stati questi ultimi, probabilmente avrebbe percepito un qualche peso all’altezza della pancia.
Il sole doveva essere appena sorto, perché la luce che entrava dalla finestra non era ancora dirompente: «Draco?»
«Beh, dubito di poter essere qualcun’altro.» rispose quello, stranamente di buon’umore. Non erano stati dei giorni facili, quelli della settimana prima: lavorava puntualmente fino alle nove, se gli andava bene. E quella mattina cominciava un’altra settimana.
«Come mai sei già sveglio?» ancora non del tutto sveglia, si voltò verso il biondo per abbracciarlo e rispondere ai baci che fino a quel momento lui aveva dedicato al suo lato destro dalla spalla al collo.
Draco fece spallucce: «Non riuscivo più a dormire. Mi sono svegliato circa mezz’ora fa.»
L’espressione di Hermione fu comprensiva, ma preoccupata nonostante tutto: chi riusciva a reggere per così tanto tempo quei ritmi? Da amare il suo lavoro era finito a essere costantemente pensieroso.
«Posso ancora vedere il tuo cervello macchinare, Granger. E so a cosa stai pensando.»
«Lo so, scusa...» non voleva essere prevedibile, ma era anche naturale che fosse preoccupata. Ci teneva non poco a lui.
«Non devi scusarti. Anzi, ti ringrazio per non averli espressi a voce, quei pensieri. Però avrei anche un’idea per farteli passare di mente...» una cosa sulla quale poteva sempre contare erano i sorrisi maliziosi di Draco nei momenti più disparati – e, nella maggior parte delle volte, meno consoni. Ma andava bene così: riusciva sempre a distrarla, quando ce n’era bisogno soprattutto.
E ci sarebbe riuscito perfettamente, considerato come già percepisse le sue mani ovunque, se il telefono avesse smesso di squillare. Ma non lo faceva per nulla.
E all’inizio Draco aveva provato a ignorarlo, ma poi fu costretto ad accettare la realtà dei fatti: avrebbe dovuto rispondere.
«Ma che diavolo—Pronto? Theo?» avendo risposto di fretta, era finito per metterlo in vivavoce, quindi Hermione sentì chiaramente tutto il discorso.
«Dra’, alzati. Preparati e appena puoi vieni a lavoro.»
«Sei già lì? Che cosa è successo?»
«No, ma ci sto andando. Cioè, sto per uscire.» persino Theo, che era sempre preciso e pronto a tutto, sembrava confuso «La Lehman Brothers ha dichiarato bancarotta per seicentotrentanove miliardi di dollari in asset e seicentotredici miliardi di debiti. Faranno ricorso al Capitolo 11.»
«Merda. Ma non è mezzanotte—
«Lo stavano arginando già da troppo tempo, BofA* non aveva intenzione di comprarla e neanche le altre. Dai, sbrigati. Dobbiamo andare, crollerà tutto nella giornata.»
«Sì, d’accordo. Hai avvisato Blaise?»
«Appena chiudo con te, chiamo lui. Muoviti, ci vediamo lì.» e chiuse la chiamata. Hermione non aveva mai sentito Theo così poco misurato.
Guardò sconvolta Draco, che sembrava più sconcertato e impotente di lei, e allora inspirò profondamente: «Vai in doccia. Scendo a preparare velocemente la colazione e metto su il caffè. Muoviamoci.»
E con un bacio a fior di labbra, s’infilo la vestaglia e uscì dalla stanza, lasciandolo solo con i piedi già nelle ciabatte. Aveva avuto bisogno di quei due secondi in più per assimilare tutto – ma soprattutto il fatto che l’inevitabile era finalmente accaduto – e fu pronto anche lui. Non avrebbe potuto essere altrimenti, o non sarebbe fatto per quel lavoro che l’aveva affascinato e scelto più di otto anni prima.

Ginny era sveglia dall’alba e aveva iniziato il suo allenamento mattutino di routine attorno al letto: tra flessioni e addominali, riusciva a essere abbastanza silenziosa da non svegliare Blaise. Ma, anche se non lo fosse stata, probabilmente non ci sarebbe riuscita: quel ghiro di Zabini dormiva così profondamente che se fosse scoppiata una bomba sotto casa probabilmente si sarebbe girato dall’altra parte e avrebbe continuato a dormire.
Normalmente era sola con se stessa quando si allenava a quell’ora, e nessuno la disturbava: a stento sentiva i rumori della metropoli che era Londra, considerato com’era presto. Ma, quella mattina, non era così.
Aveva quasi finito i suoi esercizi, quando il telefono di Blaise iniziò incessantemente a squillare: lui, ovviamente, neanche lo sentiva.
Allora raggiunse il comò e guardò il Blackberry, scoprendo che era Theo: «Pronto, Theo? Cos’è successo?»
«Ginevra. Sì, la Lehman ha dichiarato bancarotta. Blaise che sta facendo?»
Ginny roteò gli occhi: era ovvio che succedesse qualcosa del genere e Blaise dormiva «Dorme. Aspetta che lo sveglio.»
«Grazie mille, aspetto in linea.»
La rossa allora ebbe la grande idea – sapeva avrebbe funzionato, ci era riuscita solo un’altra volta, ma, a onor del vero, ci aveva effettivamente provato solo quella volta – di saltare letteralmente addosso al moro da dove si trovava, senza prendere la rincorsa: non sarebbe stato un risveglio piacevole, ma avrebbe funzionato.
«Gin?! Ma che cavolo?!»
«Blaise! Sveglia! Theo! Al telefono!» quasi gli urlò in faccia: e dopo circa trenta secondi, il volto di Blaise iniziò a mostrare segni di aver compreso quello che gli era stato detto.
Allora Ginny si rialzò, ritornò al comò e prese il cellulare di Blaise «Theo, l’ho svegliato. ‘Spetta che ti metto in viva voce, così forse recepisce meglio.»
Dopo qualche secondo, la voce di Theo risuonò nella stanza: «Blaise, ascoltami bene. Devi alzarti, buttarti nella doccia, possibilmente fredda, e venire il più presto possibile alla Merrill. La Lehman ha appena dichiarato bancarotta, seicento miliardi di asset e altri seicento circa di debiti. Hanno ricorso al Capitolo 11, e i mercati saranno imprevedibili. Devi uscire di casa.»
«Oh, si fottano. Se devo essere licenziato, almeno rimango a dormire...»
Ginny rivolse un’occhiataccia a Blaise molto simile a quelle che sua madre aveva rivolto innumerevoli volte ai suoi figli: e poi prese il comando «Theo, non preoccuparti. Te lo porto tra mezz’ora.»
«Grazie, ci vediamo.»
«Che cosa intendi—
Blaise non ebbe il tempo di continuare la domanda. Ginny si era letteralmente appesa alle sue braccia con tutto il suo peso per farlo alzare e lo stava spingendo verso il bagno.
«Andiamo, Zabini. Non fare quello che poltrisce in situazioni di crisi.» lo spinse fin dentro la doccia, dalla quale fece scorrere l’acqua fredda senza dargli nemmeno la possibilità di liberarsi delle mutande: «Va bene, va bene! Prepari il caffè?»
«Sì, però devo prima chiamare qualcuno.»
E così dicendo, tornò in camera e cercò il suo cellulare: senza nemmeno pensarci digitò il numero di telefono di Charlie. Che rispose dopo due squilli.
«Ginny?»
«Buongiorno! Sei da Daphne?» percepì un po’ di imbarazzo dall’altra parte della cornetta, e poco dopo udì una risposta «Sì.»
«Okay, passamela.»
Dopo qualche secondo, udì la familiare voce della ex-regina delle serpi: «Lehman ha dichiarato bancarotta, tra mezz’ora devo portare Blaise da Theo alla Merrill. Ne sei al corrente?»
«Ho appena visto, ho acceso la tv. Scendo tra dieci minuti. Ci vediamo alla fermata della metro?»
«Sì, perfetto.» e chiuse la chiamata.
Poi si ricordò che avrebbe dovuto preparare il caffè, metterlo in due tazze che avrebbe dovuto poter portare in strada e che si sarebbe anche dovuta rendere presentabile, in meno di cinque minuti: e allora si concentrò solo su quello.


In seguito all’aver visto Draco uscire di casa dopo nemmeno venti minuti che si era svegliata, anche Hermione si era preparata per andare a lavoro: e ci era riuscita piuttosto bene a svolgere la sua normale giornata lavorativa, l’unico problema era il fatto che il suo pensiero fisso fosse ciò che succedeva a qualche chilometro di distanza nella City.
Non tanto per la crisi imminente – e ormai praticamente arrivata – che aveva predetto mesi prima, quanto per Draco. Certo, sarebbe dovuta essere più preoccupata per le ripercussioni sociali – e sull’economia globale, dei piccoli e medi risparmiatori – che avrebbe avuto quella catastrofe economica di dimensioni colossali, ma non avrebbe potuto prendersi in giro da sola anche se avesse voluto: stava pensando a Draco.
E a come l’ansia lo attanagliasse più o meno da quando era iniziato Agosto, sebbene molto di più nell’ultima settimana: lui cercava di non pensarci e di distogliere la sua attenzione quando lei se ne accorgeva, ma non poteva semplicemente non farci caso o cambiare pensiero.
Nove mesi prima, anche se si sarebbe aspettata la catastrofe, non avrebbe immaginato che l’avrebbe toccata così tanto. Ma, dopo tutto, nove mesi prima viveva principalmente nel mondo magico, aveva un fidanzato che era ancora conscio di saper usare la magia – nonché, denominato da buona parte del loro mondo, Eroe del Mondo Magico – e non avrebbe mai pensato che la finanza internazionale avrebbe giocato un ruolo così fondamentale nella sua vita privata e sociale.
E invece erano le due e mezza del pomeriggio di un sedici settembre a nove mesi di distanza da quando era stata scoperta, e lei era davanti alla televisione del salotto di casa di Draco Malfoy, con i loro due gatti acciambellati accanto a lei e quella che aveva conosciuto come l’amica babbana di Draco Malfoy, che ora era una cara amica anche per lei, all’altro capo del divano. E stavano aspettando Ginny e Luna.
Perché tanto valeva aspettare insieme, se l’altra metà del gruppo sarebbe arrivata a mezzanotte – se non più tardi – a casa. E, casa loro era l’ipotesi migliore, la più vicina.
«Meow!» Nix era saltato sul grembo di Angharad, distogliendola dal libro che stava leggendo «Ma ciao. Vuoi un po’ di coccole?»
Hermione li osservava: quel gatto sarebbe pure potuto essere suo e avrebbe anche potuto considerare lei la sua umana, ma lui adorava Angharad. Avevano un legame speciale da quando lei l’aveva lasciato a casa sua per andare a New York con Draco. A New York con Draco Malfoy. Pensarci senza rendersi conto del punto in cui si trovasse nella vita le dava ancora una sensazione strana.
«La Federal Reserve ha appena annunciato di aver ampliato la serie di asset qualificati a esser considerati garanzia per i prestiti del Tesoro, raddoppiandolo a duecento miliardi di dollari, corrispondente a circa centoquarantadue miliardi di sterline. La Banca Centrale Europea ha provveduto a una ulteriore iniezione di liquidità per 30 miliardi di euro, circa ventiquattro miliardi di sterline, mentre la Bank of England cinque miliardi di sterline. Le dieci più grandi banche d’investimento—
«L’avevi detto, tu.» dichiarò apertamente Angharad, distogliendo l’attenzione di entrambe dalle parole della giornalista televisiva della BBC. Sarebbe stata criptica, se Hermione non avesse saputo di cosa stesse parlando.
«Avrei preferito non averne, considerate le cose. Ma sì.»
«Ma lo sapeva anche Draco.» ammise Angharad, annuendo per supportare la sua tesi ma dedicando ancora buona parte della sua attenzione al pancino bisognoso di coccole di Nix «Ti combatteva, all’inizio, perché non voleva crederci. Ma la crisi è iniziata quando è scoppiata la bolla l’anno scorso negli Stati Uniti: che da noi non fosse ancora propriamente arrivata, a parte dovute eccezioni, non significava che ne saremmo stati immuni. E poi sono più che certa che Dick Fuld** e gli altri grandi capi sapessero di star vendendo merda. Magari faranno finta di non averlo mai saputo, ma lo sapevano eccome.»
Non c’era molto da aggiungere alla perfetta e chiara spiegazione di Angharad, così Hermione si limitò a guardare, senza davvero vederla, la tv. Fin quando Nyx non decise che una dei due suoi umani avrebbe dovuto rivolgerle le dovute attenzioni, reclamandole piazzandosi su una delle cosce della ragazza con tutto il suo peso. E Hermione accettò di buon grado la sua prepotenza: perché era un gatto e non avrebbe potuto fare altrimenti e perché almeno l’avrebbe distolta da pensieri ed elucubrazioni per nulla piacevoli.


Ron Weasley aveva provato a non pensarci, ma a un mese di distanza ancora non ricordava bene cosa avesse fatto quei tre giorni di Agosto durante i quali Maggie l’aveva dato per disperso. Non lo ricordava proprio. Certo, all’epoca non gliel’aveva detto, aveva detto che era stato a casa e lei ci aveva creduto, ma visto che la memoria non era tornata... forse avrebbe dovuto parlargliene?
Maggie era nella cucina della sua casa del Sussex e stava leggendo qualcosa sul Settimanale delle Streghe. Sembrava pacifica, un sorriso spuntava spontaneamente ogni qualche secondo. Odiava doverla disturbare e probabilmente farla preoccupare, ma magari lei sapeva qualcosa di più.
«Mag?»
«Mh?» alzò la testa dal giornale per rivolgere tutta l’attenzione al rosso «Cosa c’è?»
«Ehm... ricordi quando sono sparito quei tre giorni il mese scorso?» come affrontava un discorso del genere senza indisporla? Aveva già notato che lo sguardo di lei si era indurito istintivamente, cercando di ritornare normale subito dopo.
«Sì?»
«Ecco, la verità è che non ricordo cosa ho fatto in quei due giorni. Credevo che me lo sarei ricordato, ma non ne ho la più pallida idea di cosa sia successo. E non volevo preoccuparti, per questo ti ho detto che sono rimasto a casa dai miei. Però... più ci penso e più non mi capacito di questa mia inabilità di non ricordare. Sono anche sicuro di essere stato due di quei giorni a lavoro, ma non ricordo le sere e nemmeno la mattina di domenica...»
E poi Maggie collegò tutti i punti. Non aveva capito cosa fosse successo quando Harry era arrivato a casa sua infuriato, che respirava pesantemente e guardava Ron cercando di capirlo. Aveva anche detto “Ma cosa ti è venuto in mente?!”.
E lei aveva pensato che fossero cose di famiglia. O al massimo tra loro due. E poi non voleva pensarci ulteriormente, perché Ron non aveva voluto renderla partecipe.
Però, adesso che Ron le aveva detto della sua amnesia, aveva capito che cosa diavolo fosse accaduto al suo ragazzo. Ed era più che certa che c’entrasse la dannatissima Pansy Parkinson.
Lei non era riuscita a ottenere le notizie che la dannatissima serpe voleva, e allora era passata alle maniere forti, senza preoccuparsi di come ne sarebbe uscito il suo Ron. Certo, l’aveva minacciata più volte, ma non credeva che sarebbe davvero arrivata a tanto.
Dopotutto, Malfoy era ancora senza memoria, no? E invece no. Aveva effettivamente fatto quello che minacciava da settimane. L’unica cosa che non aveva fatto era spifferare tutto a tutti: ma quello non avrebbe giocato a suo favore, perché una volta utilizzata quella carta non avrebbe potuto più usare lei.
Ma l’avrebbe sentita. L’avrebbe sentita eccome.
Si alzò imperiosa dallo sgabello e si diresse in camera, cercando di non mostrare palesemente tutto quello che stava provando in quel momento e andò a prendere la borsa.
«Mag? Tutto bene?»
«Sì. Mi sono ricordata che devo fare una cosa...»
«Non sei arrabbiata con me perché non te l’ho detto prima, vero?» Come diavolo le era venuto in mente di mettere in mezzo quel pezzo di pane di Ron e utilizzare una Maledizione Senza Perdono? Diamine se l’avrebbe sentita. L’avrebbe anche denunciata, fregandosene del fatto che ci sarebbe andata di mezzo anche lei, ma non aveva prove. Lo sapeva, ma senza prove nessuno l’avrebbe ascoltata.
«No, figurati.» lo salutò con un bacio e uscì velocemente di casa. Se avesse scoperto tutta la verità, probabilmente sarebbe stato lui a essere arrabbiato con lei.
Inspirò ed espirò profondamente, contò fino a cinque e si smaterializzò.

Alla nove erano tutte lì, persino Daphne: Angharad e Luna erano uscite circa mezz’ora prima per andare a prendere cibo giapponese d’asporto da Itsu, su King’s Road, e la Greengrass era arrivata nel frattempo. Erano solo donne e gatti.
«Dove hai lasciato mio fratello?» chiese Ginny con nonchalance, guardando la bionda ex-Serpeverde da sopra la sua lattina di Coca Cola.
«Gli ho detto che sarei dovuta stare qui, era importante. E comunque l’aveva già capito da stamattina, visto che hai chiamato lui e, a detta sua, non hai battuto ciglio chiedendo di me.» aggiunse Daphne, senza darci troppo peso.
«Beh, sì. Era importante.» aggiunse la rossa, restia ad aggiungere altro.
«Non preoccuparti, Daph, lei è sempre così quando qualcuno inizia a frequentare un suo fratello. Fece così con Angelina e anche con Hermione, e con entrambe era in confidenza. Con Maggie non l’ha fatto solo perché è più che certa che le potrebbe staccare la testa a morsi.» la naturalezza con cui Luna spiegò tutto così chiaramente fece sorridere Daphne e inorridire Ginny, che si voltò verso la migliore amica e la guardò oltraggiata: «Luna!»
«Che c’è? Stiamo tra amici, non è che ho fatto questa grande confessione a Cho Chang!» il ringhio sommesso che aveva seguito l’esclamazione sincera di Luna rese Angharad perplessa: «Illuminatemi, chi è questa?»
«Oh, una mia compagna di Casa, a Hogwarts.» iniziò a spiegare Luna.
«Che Potterino adorava. Le andava dietro dal terzo anno. E Ginny di conseguenza non poteva vederla.» continuò Daphne, aprendo una delle scatole e separando le sue bacchette, per poi prendere un maki e ficcarselo in bocca.
«Perché, perché sono presenti sia Luna che Daphne nella stessa stanza...»
Hermione, a osservare quel teatrino dalla cucina, sorrideva. Che combriccola atipica.
«Oh, ciao.» Nix era saltato addosso alle gambe di Daphne, e la scrutava interessato: poi si acciambellò e chiuse gli occhietti.
«Oh. Fa le fusa.»
«Sì, a quanto pare non ha problemi con le serpi.» roteò gli occhi Ginny, ancora contrariata.
«Oh, sta’ zitta!» l’ammonì Luna con un sorriso «Non è la giusta reazione alla pura verità, questa.»
«Ah, se hai da ridire sulle reazioni, con Ginny hai sempre avuto molto da fare.» aggiunse Hermione, alzando entrambe le sopracciglia. Era tornata in salotto con due bottiglie di acqua.
«Ricordo ancora la sua Fattura Orcovolante. Sarò pure stata brava in tanti incantesimi, ma quanto stimavo la sua Fattura. Di un po’, lo minacci, Blaise, con quella?» incalzò Daphne, ghignando.
L’adulazione, con Ginny, un po’ funzionava. E dopo qualche secondo sembrò sciogliersi, per poi rispondere: «Sì, ma meno di quello che mi sarei aspettata di dover fare.»
«Sì, effettivamente Blaise è facilmente convincibile con l’utilizzo di altri metodi.» Daphne roteò gli occhi verso l’alto, con eloquenza.
«Oh, ma da Blaise ce lo saremmo aspettato tutte, non è poi così sconvolgente.» ribatté Hermione, sorridendo sardonica «Tu piuttosto?» indicò Daphne con un cenno del capo «Come va con Charlie?» avrebbe decisamente preferito parlare di quello rispetto a tornare a guardare la TV.
«Detesto il fatto che tu sia passata dal parlare della porcaggine di Blaise alla relazione di lei e mio fratello utilizzando “piuttosto”, sappilo.» commentò Ginny, annuendo come per sottolineare la sua tesi, mentre Daphne diventava rosso pomodoro.
«Oh, bene. Normale.»
«Sembra quasi innocua, quando è imbarazzata!» commentò Angharad, indicando l’amica con una delle due bacchette con cui stava mangiando «Inoltre sono un po’ oltraggiata: un’amica se lo bomba, l’altra ci lavora, e questo Charlie ancora non mi ha fatto conoscere un drago! Non va bene!»
«Ohhh, Angharad!» l’esclamazione scandalizzata di Ginny e la reazione quasi istantanea che Daphne ebbe di spostare lo sguardo verso il basso, atterrita, fecero sorridere Hermione. Solo Luna – e i due gatti – non ne avevano risentito. E Luna aveva subito iniziato a risponderle come se fosse un’altra magizoologa «Beh, ma i draghi sono creature che vanno conquistate e devono avere fiducia di te. Non è che ti possiamo mettere davanti a loro, potrebbero benissimo divorarti!»
«Oh, ma non vedo l’ora di conoscere e rispettare un drago! Vedi come funziono bene con loro?» Angharad indicò Nix, acciambellato sulle sue gambe «Anche loro devono avere fiducia di te, sennò con molta probabilità ti ritrovi la loro cacca sul tuo letto. Beh, ecco, quello lo fanno proprio se non ti rispettano, però.» aggiunse poco dopo, annuendo tra sé e sé.
«Comunque, ho scoperto oggi a lavoro che la Merrill sarà comprata da Bank of America. Sapevo stessero nei guai, ma non così tanto...» Daphne aveva deviato l’argomento sulla motivazione che le aveva raccolte tutte lì, a quell’ora. E Hermione ebbe un tuffo al cuore, perché proprio non voleva pensarci.
«Sì, me l’aveva scritto Theo per messaggio. Ce ne siamo scambiati qualcuno, probabilmente nelle sue pause bagno.» convenne Luna, guardando Daphne.
«Sì, sicuramente. Erano gli unici momenti in cui anche io potevo respirare... E la HSBC sta bene. Di certo non sta infognata come la Merrill Lynch, perlomeno.» commentò Daphne, inzuppando un pezzo di tonno crudo nella salsa di soia.
«Non ho sentito Blaise per tutto il giorno, difatti. Ma meglio così, lo preferisco concentrato quando è a lavoro, specialmente in situazioni del genere.» allora Ginny guardò verso Hermione «Tu, Herm?»
«Solo un paio di volte, per sapere come la stesse gestendo.» ammise Hermione, cercando di non lasciar trapelare troppo. Ma fu abbastanza per Daphne: «È in ansia, vero? L’ho notato. Ha così tanta gente da gestire e a cui dovrà dire qualcosa. Probabilmente non perderà il posto nell’acquisizione da parte di BofA, ma molti dei suoi sì. Non ha mai amato troppo quella parte del lavoro.»
«Sì, infatti. Cerca di non pensarci, ma si vede lontano un miglio che questa situazione gli mette ansia.» ammise finalmente Hermione, che si sentì come se un macigno fosse caduto dal suo petto: ne poteva parlare, un po’. Qualcun altro l’aveva intuito, e quel qualcun altro... era Daphne. Ma era ovvio, erano come fratelli, quei due.
«Almeno non mostra la non preoccupazione di Blaise. Sapete cosa ha detto stamattina?»
«Qualcosa del tipo, “Almeno se devono licenziarmi, lo facessero quando sto nel letto a poltrire”?» tentò Daphne, abbastanza certa della risposta.
«Esattamente. Talvolta quell’uomo mi stupisce di come sia mai potuto finire a Serpeverde.» commentò Ginny, scuotendo la testa. Nessuno poté evitare di ridere, dopo quella confessione.

Quando Draco, Theo e Blaise finalmente uscirono dall’edificio della Merrill Lynch – che a quanto pare a breve avrebbe visto sopra l’insegna l’aggiunta “Bank of America” – erano le undici e mezzo passate. Erano stanchi, affamati e con il mal di testa da almeno diverse ore.
«Ho sentito Luna mentre ti aspettavamo, sono tutte a casa tua ad aspettarci.» dichiarò Theo, incamminandosi verso la metro. Sperava di prendere una delle ultime corse verso West Ruislip o Ealing Broadway. Sapeva che ci sarebbero riusciti, se avessero camminato velocemente.
«Hanno cibo?» le priorità di Blaise erano ben ordinate.
«Sì, ci hanno conservato del giapponese che hanno preso verso le nove da Itsu, a Chelsea.»
Draco era silenzioso. In realtà era ancora nell’edificio della Merill Lynch, con la testa.
«Dra’? Ci sei?»
«Sì. Dai, andiamo. Poi rimanete pure da me, tanto è tardi, i posti ci sono e domattina alle sette e mezzo dovremo già essere a lavoro.»
«Oh, che figo, pigiama party a casa di Malfoy junior! Da quanto non capitava!» Blaise era di buon’umore: beato lui.
«Da quando non finiamo più così ubriachi al pub o a casa sua da non poter tornare neanche con la metro a casa, ecco da quanto non capitava. Ed è meglio così.» dichiarò Theo, rivolgendo un’occhiata sorpresa a Blaise: Dow Jones era caduto di più di 500 punti, S&P era precipitato fino a 1192.7 punti, il peggiore crollo dall’undici Settembre, e Blaise era tutto sommato tranquillo.
«Che c’è? Io sono contento. Sono stanco, ma contento. Insomma, almeno noi non falliamo. BofA ci ha salvati e abbiamo ancora un lavoro!» dichiarò Zabini con naturalezza, come se, in una giornata del genere, quella fosse la reazione più giusta che si potesse avere.
Scendendo le scale della fermata di St Paul, Theo si fermò e voltò per osservare l’amico: «Il tuo buon’umore mi stupisce ancora, in certi casi.» e una dichiarazione del genere sentiva che andasse fatta solennemente, fermi sui gradini della Tube.
Per quanto riguardava Draco, invece, le sue priorità erano di ben altro tipo: non vedeva l’ora di tornare da Hermione, Nix e Nyx. Era sollevato di avere anche tutti gli altri – quegli amici che erano praticamente diventati la sua famiglia, e quelli che erano la sua famiglia da molti anni – ad aspettarlo a casa, ma la cosa che bramava di più era tornare da Hermione e sentirsi a casa, di nuovo, finalmente.




*Diminutivo di Bank of America
**CEO di Lehman Brothers
PS. Se qualcuno è interessato a cosa era successo in quei giorni e nella settimana prima per quanto riguardava la Lehman e il mercato, QUESTO è il link da visitare! Si tratta di un articolo del Telegraph, fatto tutto sommato bene!

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Capitolo 31
*** 30. The Enemy ***


Buonasera! Sì, l'una di notte non è proprio sera, ma ho finito di scrivere il capitolo solo ieri notte alle 5.30 di mattina e ora di rileggerlo. Ho fatto il prima possibile! So che un ritardo di 3 settimane è vicino all'essere imperdonabile, ma il 14 aprile avevo il concerto di Florence + The Machine a Torino e poi son stata lì dalla BFF fino al lunedì dopo... e tra una cosa e l'altra se n'è andata un'altra settimana prima che iniziassi a scrivere il capitolo. E considerata la sua delicatezza, non son riuscita nemmeno a scriverlo tutto insieme... ma ora è qui, promesso. Buona lettura!







 

So why did you choose to lean on
A man you knew was falling?

Daphne ogni tanto, quando si ritrovava a svegliarsi prima di Charlie, lo osservava. E si chiedeva, considerata l’accoppiata di geni che quei due portavano, come sarebbero usciti i loro figli. Non che stesse pensando di fare figli o qualcosa del genere, ma Charlie aveva davvero dei capelli impossibilmente rossi. E gli occhi di un blu chiarissimo. E lei non era da meno, nonostante i capelli fossero biondi. Insomma, tutti geni recessivi. Chissà cosa avrebbe primeggiato – anche se, considerata la famiglia da cui il rosso proveniva, non ci sarebbero dovuti esser dubbi.
Il suono del campanello, però, la distolse fortunatamente da quei fuorvianti e pressoché inutili pensieri. Ma chi era, a quell’ora del mattino?
Perplessa, tirò le gambe fuori dal piumone e fece per alzarsi, venendo bloccata da una mano di Charlie: «Buongiorno.»
«Chi è?»
«Bella domanda. È quello che stavo cercando di andare a scoprire.»
Charlie aveva ancora la bocca impastata e gli occhi semichiusi: «Mh.»
Daphne roteò gli occhi e si infilò la vestaglia di pile, raggiungendo dopo quindici secondi la porta d’ingresso e avvicinando il volto allo spioncino: quando ebbe avuto la certezza che fosse davvero Angharad con in mano un vassoio di Starbucks – in cui c’erano sicuramente dei dolci, oltre alle tre tazze di caffè d’asporto – aprì la porta.
«Angh?»
«Buongiorno. Sono qui per due motivi. Beh, tre, ma uno è direttamente collegato a un altro. Allora, innanzi tutto Luna mi ha detto di dirvi che stasera siamo tutti invitati da lei e Theo. A casa sua però. Non so cosa deve dirci Theo. Secondo, sono qui perché il tuo fidanzato deve portarmi dai suoi draghi. Sono passate settimane da quando l’ho chiesto e ho deciso che è arrivato il momento, oggi. E per fare in modo che non mi odiaste ho portato qualcosa che ho preso da Starbucks, che, inoltre, ha già tirato fuori le tazze e le ricette natalizie.»
«Angharad? Che ci fai qui?» Charlie si era alzato dal letto e aveva anche lui indossato una vestaglia: stava, in quel momento, stropicciandosi l’occhio destro con il palmo della mano.
«Quello che ho appena detto. Che, in sunto, è: siete impegnati stasera da Luna, devi portarmi dai tuoi draghi, e per renderti meno difficile questa mia richiesta molto ferma e risoluta ho portato dei dolci e del caffè per non farmi odiare. Basta come riassunto?»
Il rosso fece spallucce, raggiungendola e afferrando una busta di carta dal vassoio.
«Bene, lo prendo come un sì. Si va a conoscere i draghiii!!!»
«Angh, è prima mattina. Urlami di nuovo nelle orecchie e ti caccio a pedate fuori di casa.» il tono funereo con cui Daphne aveva espresso il suo pensiero convinse Angharad, che tacque, per poi riprendere a sorseggiare il suo cappuccino.
Charlie aveva preso a spiluccare un brownie e a sorseggiare la sua bevanda calda, e Daphne si ritrovava a osservare di sottecchi quelle due persone, tra le più importanti della sua vita, che avevano imparato a relazionarsi affabilmente. Beh, non erano assolutamente le uniche, ma primeggiavano tra diversi individui.
«Chi mi presenterai? Augustus? Clementine?»
«Quello che avrà già mangiato. Ti va bene come proposta?»
«Sì. Basta che ne vedo uno. Posso accarezzarlo?» Angharad era in visibilio, mentre Charlie scuoteva la testa con risoluzione.
«Pfff. Almeno ci ho provato.»
«Voi sembra che dobbiate fare una scampagnata, io invece devo andare a lavorare tra un po’. Quindi mi dileguo in bagno, ci vediamo dopo.» dichiarò Daphne, uscendo teatralmente di scena.
«Drama queen.» commentò Angharad, scuotendo la testa e rischiando di far soffocare Charlie, che scoppiò a ridere subito dopo.

Ginny stava marciando per casa di Blaise da più di dieci minuti, alla ricerca disperata della sua bacchetta. Non sapeva dove l’aveva lasciata quando era tornata a casa il giorno prima e non sentiva quella casa come sua.
In realtà non sapeva neanche quale fosse la sua città. Ormai adorava utilizzare la metropolitana per girare per Londra perché utilizzava già troppo spesso la materializzazione per raggiungere gli allenamenti in Galles, o casa sua. Era stancante e stressante. Si era imbabbanita più del solito nella sua vita privata proprio perché non ne poteva più di viaggiare magicamente per stati giornalmente. Avrebbe fatto volentieri a cambio con un normale pendolare che faceva due ore in treno ogni giorno per arrivare nella City dal Sussex che non provare quell’irritabile sensazione vorticosa che ti staccava da terra e catapultava altrove. Per non parlare di tutta la concentrazione necessaria per farlo...
«Ughh. Blaise?»
La testa del moro spuntò dalla cucina, con un’espressione perplessa in volto.
«Appella la mia bacchetta con la tua. E dobbiamo cambiare casa.» dichiarò la rossa, sbuffando sonoramente.
Blaise stava già dirigendosi in camera per andare a prendere la sua bacchetta, al sicuro nella cassettiera, quando si voltò verso di lei, perplesso: «Come?»
«Qui non mi sento a casa, ma ormai vivo qui. Lavoro principalmente in Galles e metà del mio guardaroba e delle mie cose è lì. Dobbiamo cercare casa insieme.» sentenziò Ginny, perentoria.
«Gin, hai idea di quanto sia difficile vendere casa ora? Il mercato è crollato, inoltre questa zona è buona... e ti piace! Ed è grande. Dovessimo mai decidere di avere figli, ci sono il giusto numero di camere in più...»
Entrambi gli interlocutori si guardarono sorpresi: come erano arrivati a quelle considerazioni?
«Okay, ma allora mi trasferisco definitivamente qui. E lascio la casa in Galles.»
«Tanto eri in fitto, non ci dovrebbero essere problemi, no?»
La rossa annuì, pensierosa: «Ma voglio rimodellare questa casa. Mi sa di vecchio o di troppo moderno e decisamente troppo Serpeverde.»
L’espressione perplessa di Blaise non sembrava voler lasciare la sua faccia: «Vuoi che chieda a Daphne se conosce qualche decoratrice di interni?» propose, neanche lui sapendo se fosse serio o ironico.
«No, io e Daphne penso basteremo.» rispose Ginny, stranamente risoluta.
«Okay, chiamo il mio avvocato per aggiungere il tuo nome al mio. Così diventiamo comproprietari.» dichiarò Blaise, con un tono sorprendentemente ragionevole «Ordino un camion da un’azienda di trasporti per questo weekend?»
«No, ho la partita in Scozia. Facciamo quello dopo?»
«Per me va bene.» era atipica, tutta quella calma tra i due in un discorso così delicato.
«Potremmo addirittura decidere di sposarci con una discussione del genere, mi sembra molto equilibrato» si lasciò sfuggire Ginny, rendendosi conto di aver lasciato correre la sua lingua un po’ troppo liberamente, quasi come non rispondesse più a lei ma direttamente ai suoi pensieri ormai partiti in quarta.
«Beh... per me va bene, in realtà. Si tratta di un contratto, e se preferisci qualcosa di privato e non sfarzoso... io ci sto.» il fatto che Blaise non fosse scappato via già diceva tanto, ma l’aver preso seriamente quella dichiarazione avventata le causò una scarica di adrenalina quasi rinvigorente.
«Okay.» Ginny fece spallucce, ma lasciò il borsone per avvicinarsi al moro, che era ancora sulla porta della camera «Però non prendere anelli e fronzoli, così risparmiamo sul... rinnovo generale.» indicò lo spazio circostante, per poi allacciare le braccia intorno alla vita di Blaise.
«Uh-uh, ho quasi paura di cosa hai intenzione di fare. Soprattutto se c’è di mezzo Daphne...»
«Sta’ zitto!» lo rimbeccò Ginny, sentendosi a sua volta abbracciata dall’ex-Serpeverde e avvicinandoglisi per baciarlo.
«Mi sento molto orgoglioso, comunque.» aggiunse Zabini, dopo essersi staccato dalle labbra della rossa «Abbiamo preso due decisioni importanti in modo calmo e razionale e da adulti.»
Ginny scosse la testa, non nascondendo una lieve risatina: «Sì, non gongolare troppo però, sennò non sembriamo più due adulti responsabili.» piazzò un ultimo bacio sulle labbra di Blaise, prima di continuare a parlare «E ora vai ad appellare la mia bacchetta, che se non arrivo in orario all’allenamento mi fanno il culo!»
«Sissignora!» e accennando un gesto vagamente militare, il moro entrò nella camera da letto.

Draco, ormai, lavorava spesso anche a casa: il merging di Bank of America con Merrill Lynch l’aveva impegnato molto in quei mesi. Le telefonate intercontinentali erano aumentate, e non solo con i vertici di Merrill, ma anche con i superiori alla BofA.
E Hermione aveva lasciato correre: non era nella posizione di riprendere colui che si portava il lavoro a casa, quando lei stessa era la prima che l’aveva sempre fatto. Sarebbe stato ipocrita riprenderlo per quello, e dopotutto stava meglio. Era meno stressato di prima, solo più impegnato. Inoltre era piacevole stare insieme sul divano, ognuno con il suo computer a lavorare, con la televisione come sottofondo e i due gatti che reclamavano attenzioni. Era stranamente rilassante.
Con il ritorno del freddo pungente, ormai in autunno avanzato, le uscite si erano ridotte notevolmente: con gli altri si incontravano o a casa di Draco, o in quelle degli altri. Era più raro anche vedersi al pub, nonostante fosse a pochi metri da casa loro.
Il freddo li aveva resi molto più sedentari e casalinghi del solito, ma a Hermione non dispiaceva: ormai si sentiva a casa, lì a Chelsea. Buona parte del suo abbigliamento invernale non era nemmeno più ad Arnold Circus, ma da Draco.
E non trovava neanche particolarmente umiliante fare le cose da donna di casa: non era solo lei a farle, erano entrambi. Quindi, lo star cucinando in quel momento, non le dava fastidio. Aveva trovato un insospettabile piacere nello sforzarsi per cucinare cose semplici, ma diverse: era interessante, come imparare una nuova arte.
«Hermione?» il tono di Draco sembrava urgente: oramai si era così abituata alle diverse inflessioni della voce del biondo che riusciva a distinguerle bene.
Ma quella volta non doveva aver colto le differenze dal suo tono più comunemente urgente, perché Draco stava osservando basito qualcosa sullo schermo del computer e non accennava a muoversi. Lo schermo del suo computer.
Un’onda di panico colpì in pieno Hermione: cosa aveva trovato? E insieme a quel marasma di emozioni c’era altro, una piccola punta di sollievo. Sapeva, finalmente?
In attesa, sugli scalini che collegavano la sala da pranzo al salotto, Hermione era all’erta. Osservava preoccupata Draco, che non alzava gli occhi dallo schermo: anzi, quelli si muovevano frettolosamente da sinistra a destra, leggendo a velocità impressionante.
Quando finalmente si alzarono su di lei, sembravano feriti, ma nondimeno battaglieri: «Stavo usando il browser sul tuo laptop, perché stavo riavviando il mio. Una mail è arrivata e non avrei dovuto aprirla, ma qualcosa ha colto la mia attenzione. Perché il cosiddetto Ministero della Magia, che sembra essere il nome di una setta poco raccomandabile, chiede informazioni sul tuo soggetto? Conduci un’analisi sperimentale? Ma soprattutto, perché Lucius Malfoy avrebbe qualcosa da esprimere in merito a questo... esperimento? Perché diavolo parlano di me come se fossi un topo da laboratorio? E che cazzo significa che non hai ancora consegnato le analisi semestrali?» Draco avrebbe potuto verosimilmente sputare fuoco, perché l’aria che fuoriusciva dalle sue narici era pesante e seguiva un ritmo rabbioso.
E Hermione non sapeva da dove cominciare. Draco aveva tutto il diritto di essere arrabbiato, ma anche quello di sapere. Lo pensava da tempo, ma non aveva ancora avuto il coraggio di aprire lei il discorso. E la diga si era rotta, in qualche modo, e ora doveva spiegare tutto. Allora decise di cominciare dall’inizio.
«Nell’estate dello scorso anno, i tuoi genitori mi hanno contattato tramite l’autorità per cui lavoro per cercare di risolvere il tuo problema. Quel Ministero della Magia che tu hai nominato è l’autorità in questione. Lavoro per loro e per il San Mungo. Ora, so che questi nomi possono non dirti nulla...»
«No, Granger, mi sembra di star parlando con una persona sotto effetto di allucinogeni.» ribatté Malfoy, secco. Aveva posato il computer sul tavolino e incrociato le braccia al petto.
Hermione fece due passi in avanti, e Draco sembrò reagire istintivamente, allontanandosi impercettibilmente.
«Non sono pazza e men che meno sotto l’effetto di qualche droga allucinogena. I tuoi genitori mi hanno contattata perché sono considerata uno degli esperti nel campo degli incantesimi di memoria. Con la mia ulteriore preparazione in psicologia e successivamente il dottorato...»
«Quella parte la so, a meno che tu non abbia mentito anche su quella.»
Non aveva molta altra scelta se non incassare i colpi, sapeva di essere in torto marcio. Eppure voleva solo avvicinarsi a Malfoy e abbracciarlo, ma lui era chiuso come un riccio in quel momento, e lo capiva.
«No, la mia educazione babbana è tutta vera. Non potevo raccontarti del mio vero lavoro, perché sennò mi avresti creduto fuori di senno e non avresti potuto capire...»
«Cosa, di grazia, Granger?! Che diavolo è ‘sto Ministero della Magia? E quale sarebbe il mio problema?!» sputò l’ultima parola come se fosse veleno.
«Hai dimenticato parte della tua vita. Una maledizione e una pozione hanno cancellato tutta la parte magica del tuo essere. O meglio, c’è ancora, ma è come se fosse chiusa in una cassaforte, da qualche parte nel tuo cervello.»
«Parte magica? Stiamo parlando di emozioni strabilianti o stai davvero parlando di magia?!» nel tono di scherno utilizzato riconosceva la volontà di ferire del vecchio Malfoy e anche la paura: di quello che lei gli stava dicendo, del fatto che sarebbe potuto essere anche lontanamente vero, e ciò che implicava.
«Sto parlando di magia vera, quella con le bacchette. I tuoi genitori mi hanno contattato e io ho iniziato a seguirti poco più di un anno fa. Mi avevano detto che eri stato attaccato poco dopo la battaglia di Hogwarts, e che non si trattava proprio di amnesia, poiché ricordavi tutte le persone importanti della tua vita, ma non sapevi del mondo magico. È come se avessi chiuso in uno scrigno e messo da parte la tua impressionante abilità da pozionista e nella magia, insieme a tutto ciò che riguardava la parentesi magica in cui sono coinvolti i tuoi cari.»
«Mi stai davvero dicendo che sono un fottutissimo stregone?! Ma che cazzate stai sparando?!» esclamò Draco ad alta voce. Nyx e Nix non erano visibili da tempo: probabilmente erano scappati via al piano superiore quando avevano percepito l’inizio delle ostilità.
«La verità, Draco. Puoi chiedere a chi vuoi, confermeranno. E sei un mago, non uno stregone.» esalò Hermione, stanca. Non credeva che l’avrebbe ridotta così, portare quel fardello «Ho iniziato a seguirti e ad annotare le tue abitudini a settembre. A gennaio mi hai scoperta. E da lì conosci la storia.»
«E le analisi? Di che stanno parlando?»
«Ho prelevato un campione di sangue da te qualche mese fa. Mi serviva per capire se ci fosse qualcosa di diverso a livello chimico, tra te e i babbani che soffrono di amnesia, o tra te e gli altri colpiti da incantesimi di memoria...»
«Quindi mi hai mentito per mesi. Mi hai rubato del sangue per analizzarlo e sono stato il tuo topo da laboratorio... per quanto tempo? Da quando abbiamo iniziato a frequentarci? Da prima?» era ferito, profondamente, ma anche ferocemente arrabbiato. E non riusciva a non dargli ragione, nonostante tutto.
Hermione annuì: «Con il proseguire della relazione ho smesso. Non ho lavorato più a casa e anche se mi sono concentrata sul cercare le maledizioni tramandate dalle famiglie Purosangue fedeli a Voldemort, non ho più osservato te.»
«Oh, quindi non solo mi hai spiato, ma poi sei anche diventata negligente sul lavoro...» ribatté Malfoy, tagliente «Perché i miei hanno chiesto di te? Come ti conoscevano?»
«Noi due... andavamo a scuola insieme.» spiegò Hermione, abbassando lo sguardo a terra.
«Ecco perché avevo la sensazione di averti già incontrata.» incalzò Malfoy, comprendendo qualcosa. Era furioso, ma un tassello sembrava essere andato lentamente al suo posto. E quel nome, Voldemort, gli provocava qualcosa di molto simile alla nausea. Perché? «Dove? Dubito sia stato in qualche scuola, come tu chiami, babbana...»
Hermione scosse la testa: «A Hogwarts, la scuola di Magia e Stregoneria di Regno Unito e Irlanda.»
«Eravamo... conoscenti?» chiese Draco, titubante: non ricordava nulla. E Hermione, la persona della quale si sarebbe fidato ciecamente fino a qualche ora prima, gli stava raccontando qualcosa di assurdo sul suo conto, che però sembrava essere vero. Improbabile, poco plausibile a una mente razionale, ma stava rischiando troppo per poter davvero inventare fandonie del genere. Erano così impossibili da credere che... sarebbero potute benissimo essere la verità.
«Rivali. Ero la prima della classe e ti rodeva. E poi... beh, sei cresciuto con determinate credenze.»
«Cosa stai... Che stai dicendo?» Draco aveva mal di testa, e avrebbe volentieri messo in pausa quello scontro. Ma non sembrava riuscirci, nonostante tutto.
«Sono una strega, ma sono una Nata babbana. Una Sanguesporco, per le famiglie Purosangue più radicali.» era umiliante per lei, pronunciare quella parola e spiegargli ogni cosa che lui le chiedeva: ma aveva tolto il tappo, e tutta la verità stava fuoriuscendo. Nient’altro che la verità, nonostante la stesse stremando. E voleva abbracciare Draco.
Allora si avvicinò istintivamente al divano con due falcate ampie e si lasciò cadere accanto a Malfoy, che sembrava troppo immerso nei suoi pensieri per poter reagire allontanandosi. Aveva bisogno di sentire che almeno il suo corpo non era così restio al contatto come invece lo era la sua mente.
«Mi dispiace. Avrei potuto dirti tutto prima, ma avrebbe potuto danneggiare la ricerca, e non lo volevano. Né i tuoi né il Ministero. In parte nemmeno io, però... Non ne potevo più e—
Hermione scoppiò a piangere, e tutta l’ansia, la preoccupazione e lo sconforto confluivano in quel pianto a singhiozzi.
Nonostante tutte quelle menzogne, però, Draco non riusciva a vederla così: non poté non abbracciarla. E il bacio salato – e violentemente appassionato – che seguì non l’aveva pianificato. Però non poteva non abbracciarla, era così vulnerabile, avvinghiata a lui nonostante fosse già in una posizione scomoda su quel divano, con le gambe contro il petto... Passò una mano tra i suoi ricci, sperando che avesse un effetto calmante. Odiava vederla così. Odiava anche, però, che gli avesse nascosto tutto quello.
«Mi dispiace. Era il mio lavoro. E la mia ricerca. Però poi tu sei diventato tu, e... non potevo continuare a osservarti, e...» tirò su col naso, serrando gli occhi. Cosa sarebbe successo? Aveva, per la prima volta dopo molto tempo, davvero paura delle conseguenze.
«Hermione... tutto quello che mi hai detto, per quanto a me sembra assurdo... me l’hai detto ora. Mi hai nascosto parte della mia e della tua vita per tutto questo tempo...»
«Ma ti amo.» Hermione non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per ammetterlo finalmente a voce alta: erano stati mesi senza dirselo a voce, e ora la prima volta che lo diceva sembrava quasi una scusa, mormorata tra singhiozzi e respiri pesanti.
«Anche io. Ma hai comunque tradito la mia fiducia. E devo riflettere... devo pensare a tutto questo, e non posso farlo vicino a te.» era una decisione che lo spezzava, ma era stata la naturale conseguenza di tutto quel caos accaduto quasi per caso. Le sue lacrime non erano rumorose come quelle di Hermione, ma erano lì. Non era certo che lei le avesse viste, e forse era meglio così.
«Capisco. Io, allora... io vado.» l’ex-Grifondoro stropicciò gli occhi e afferrò il laptop, trascinandoselo appresso mentre camminava verso le scale che portavano al piano di sopra e poi fuori da quella casa.
Draco era ancora immobile sul divano quando sentì la porta di casa chiudersi rumorosamente dopo una ventina di minuti.

«Siamo gli ultimi?» chiese Ginny, affacciandosi dalla porta d’ingresso dell’appartamento di Luna, con Blaise al seguito.
«Non proprio, mancano Draco e Hermione. Ma sono sicura che tra poco arriveranno.» rispose immediatamente Luna, sporgendosi dal cucinino «Tutto bene?»
«Sì, come al solito!» non era propriamente la verità, ma Ginny non avrebbe dato la notizia del matrimonio – che ci sarebbe stato prima o poi – di lei e Blaise. Era la serata di Theo, a quanto pareva.
«Sono abbastanza sicura che non ci odieranno a morte per aver iniziato senza di loro. Ho fame, e il cibo si raffredda!» la voce di  Daphne era arrivata prima della sua figura, diretta in cucina, pronta a fregare una polpetta. Venne bruscamente bloccata da Angharad, che le schiaffeggiò piano una mano «Sta’ buona!»
«Ma rischiano di freddarsi! E soprattutto, F-A-M-E!» la bionda era perentoria. Charlie e Theo, in salotto, avevano ormai lasciato perdere: erano certi che quella avrebbe avuto la meglio.
«D’accordo, porto tutto sul tavolino.» con un colpo di bacchetta, Luna trasportò – per la meraviglia di Angharad – la pentola con gli spaghetti e quella con le polpette.
Dopo aver riempito i piatti di cibo e i bicchieri di quello che sembrava Champagne, Daphne batté le mani: «Tanto possiamo rifare il brindisi dopo, non si accorgeranno che l’abbiamo già fatto. Sputa il rospo, Nott!»
«Sei pressante, Greengrass.» ribatté il diretto interessato, alzandosi in piedi «Visto che se non lo faccio ora, qualcuno mangia me...» il sorriso a trentadue denti – e ironico – di Daphne non sfuggì a nessuno «Sono stato avvicinato da alcuni membri della Financial Services Authority. Per via della crisi verrà probabilmente smembrata, a breve. Saranno create altre agenzie indipendenti per controllare i mercati finanziari, e mi hanno proposto di prendere parte a questa fase di transizione. Prima nella FSA e poi... in quel che sarà. E ho accettato.» terminò Theo, sorridendo. Luna lo osservava dal basso, seduta a gambe incrociate vicina al tavolino basso che avrebbero utilizzato come tavolo: l’aveva saputo prima. E sorrideva contenta, e orgogliosa: quel momento sarebbe stato per Theo e tutti gli altri, che lo scoprivano ora. Lei lo sapeva già da giorni prima, quando ancora non era del tutto certo.
Nonostante l’avesse comunicato agli altri, però, Theo non poté non cercare lo sguardo di Luna, che gli sorrideva dal basso.
«Merda! Quindi ci controllerai! Tutti noi!» esclamò Blaise, leggermente sconvolto. Solo dopo che Theo annuì si ricordò che era motivo di congratulazioni.
«Vai Theo! Spacca i culi a tutti gli investitori sostenitori della deregulation!» Daphne batté le mani contenta, ricevendo un sorriso di Theo in risposta.
«Yay. Fai il culo a Blaise, mi raccomando.» aggiunse immediatamente dopo Angharad, beccandosi un’occhiataccia del moro in questione. L’unica che non sembrava proferir parola era Ginny, che osservava lo schermo del suo cellulare.
«Porco Salazar indemoniato!» esclamò Ginny, sconvolta. Voleva solo vedere perché avesse un messaggio non letto nella posta, credeva fosse qualcosa di innocuo, non di così terribilmente scioccante.
«Ginny?» Theo alzò un sopracciglio, ancora in piedi. Ora tutti la osservavano.
«Penso che Draco e Hermione non verranno stasera. Hermione mi ha appena scritto, e cito testualmente “Draco sa dell’amnesia. Non sono più a casa sua.”. Cosa si fa ora?» chiese la rossa, pensierosa.
I volti che trovava intorno a sé non sembravano esprimere sensazioni molto differenti: Blaise era basito, Theo preoccupato. Daphne aveva iniziato a torturarsi il labbro inferiore con morsi, mentre Angharad si era chiusa in se stessa. Luna e Charlie cercavano di confortare gli altri, silenziosamente.
L’atmosfera non era più tanto di festa.










Non so, quando l'ho scritto ieri non mi convinceva. Ora mi convince un po' di più, ma non del tutto. Non so se Draco e Hermione mi sembrano troppo distaccati o troppo furiosi... è tutto molto strano. Come l'avete percepito?

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Capitolo 32
*** 31. Ship To Wreck ***


Buongiorno! Questa volta sono in orario XD E' stato stranamente piacevole scrivere questo capitolo, nonostante i nostri cari protagonisti non siano propriamente felici e contenti. Forse proprio per quello :P Che dire, buona lettura, spero che vi piaccia!







 

And oh, my love, remind me, what was it that I said?
I can’t help but pull the earth around me, to make my bed.
And oh, my love, remind me, what was it that I did? Did I drink too much?
Am I losing touch? Did I build this ship to wreck?

Hermione richiuse la porta di casa accasciandocisi sopra, esausta. Rimanere semi-impassibile per tutto il tragitto sui mezzi pubblici era stato a dir poco stancante, come lo era stato anche evitare di pensare a quello che era appena successo.
Non solo, era senza Nyx e Nix. Li aveva lasciati da Draco, nella fretta di andarsene. Aveva preso quello che poteva prendere ed era scappata. E poi Nyx e Nix non erano solo suoi. E si sentiva incredibilmente sola.
Le mancavano. E le mancava Draco. Eppure non lo vedeva da poco meno di un’ora.
Ginny l’aveva chiamata per chiedere spiegazioni, ma fortunatamente era accaduto quando era in metro: ora aveva ricevuto il messaggio ma non aveva per nulla voglia di parlare. Spense il cellulare e si chiuse in casa, pronta a disfare quella valigia fatta alla bell’e meglio.
Aveva bisogno di un tè, di una doccia e di sedersi.
E invece rimaneva lì, seduta a terra contro la porta a fissare i cuscini del divano. E riprese a piangere.
«Un’ultima volta, prima di tornare a essere utile.» si disse, chiudendo gli occhi per trattenere le lacrime. E poi si rese utile.
Ancora con le lacrime stagnate sul viso, mise l’acqua nel bollitore e accese il gas, svuotò la borsa e rimise tutto a posto. Abbassò la fiamma del tè e si gettò sotto la doccia: solo dopo dieci minuti fu pronta a bere quel tè. E a riprendere finalmente, seriamente, in mano il computer dopo settimane, per mettersi al lavoro e cercare di risolvere il suo caso. Dopotutto, anche se Draco al momento non aveva intenzione di parlarle... non era quello di cui aveva bisogno la ricerca. E se lei non si fosse resa utile a qualcosa sarebbe impazzita, quindi tanto andava lavorare.
Aveva un intero database online a disposizione, la copia cartacea delle Sacre Ventotto piena di appunti, le analisi. Poteva farcela.
Ce l’avrebbe fatta.


Era arrivato il finesettimana, ed erano già tre giorni che Draco ignorava tutte le sue conoscenze. Aveva ricevuto messaggi da parte di Blaise, Theo, Daphne e persino Luna. L’unica che non si era fatta sentire era Angharad, per qualche motivo. Forse era l’unica abbastanza intelligente da capire che voleva essere lasciato in pace?
Non solo non aveva voglia di vedere i volti dei cari che si erano presi gioco di lui per anni e anni, ma aveva anche bisogno di tempo: per fare il suo lavoro diurno, e quello che ormai era diventato quello notturno, ossia cercare di capirci qualcosa di tutto quello che gli aveva detto Hermione. Che gli sembrava esser tanto quando l’aveva ascoltata, ma in realtà era molto poco. Non aveva le basi per capire di quale mondo stesse parlando – quello “magico” – e in realtà avrebbe potuto solo chiedere agli altri. O a lei. O ancora, ai suoi genitori.
Un miagolio molto vicino attirò la sua attenzione: Nix prese lo slancio per saltare sul divano accanto a lui. Il gatto bianco, che nominalmente era di Hermione ma era di fatto cresciuto con entrambi, richiedeva le coccole. E la sua presenza lì accanto gli ricordò che avrebbe dovuto, almeno lui, riportarlo da Hermione. Era giusto che fosse con lei, eppure non riusciva a separare i due fratellini. Stavano così bene insieme, e si facevano compagnia durante la giornata, quando lui era a lavoro.
E poi gli mancava Hermione. Era ancora arrabbiato, confuso, e soprattutto non capiva come davvero tutto quello che gli aveva detto lei fosse possibile, ma le mancava incommensurabilmente. Si era così abituato alla sua presenza che ne sentiva la mancanza anche inconsciamente: quando vedeva alla tv qualcosa che loro due avrebbero sicuramente trovato divertente, e si voltava alla sua sinistra per dirglielo, ma ormai alla sua sinistra c’erano solo i due gatti. O quando non trovava qualcosa nella sua stessa casa e iniziava a domandarle dove fossero i suoi dannatissimi calzini, ma ovviamente lei non c’era. E quando si svegliava di soprassalto di notte per colpa di un incubo particolarmente realistico e controllava che lei stesse dormendo – magari respirando pesantemente come al suo solito – accanto a lui, ma ovviamente l’altro lato del letto era vuoto. Perché Hermione non c’era e l’aveva cacciata lui di casa.
Non esplicitamente, ma le aveva detto che aveva bisogno di spazio, e lei era subito saltata su ed era scappata via. Perché non voleva rimanere? Aveva anche lei capito che avrebbe dovuto affrontarlo da solo? O voleva scappare e basta?
«Pfff...» espirò pesantemente Malfoy, dando qualche carezza distratta a Nix, raggomitolato al suo fianco, mentre cercava notizie in merito a tutto quello che Hermione le aveva detto del mondo magico su internet. Ma finora si era rivelato inutile.
Un bussare che proveniva dalla porta-finestra del salotto lo ridestò dai suoi pensieri – e lo spaventò non poco: perché diavolo qualcuno era entrato nel suo giardino e stava bussando dal retro?
Quando alzò lo sguardo sull’intruso si accorse che si trattava di qualcuno conosciuto abbastanza bene da lui: Angharad gli sorrideva da dietro il vetro, un po’ abbacchiata – e sicuramente con delle foglie tra i capelli – e agitando la mano a mo’ di saluto.
Draco era troppo sconvolto per reagire cambiando stanza e si limitò a guardarla esterrefatto: poi lei indicò la serratura, come per chiedergli di aprire, e lui eseguì. Ormai era lì, non aveva senso non farla entrare.
«Oh, finalmente. Come stai?» Angharad piegò la testa di lato, in un modo che ricordava terribilmente Nyx. O anche Luna. Li ricordava entrambi, e poteva decisamente attribuire alcune delle sue movenze al troppo tempo passato con i suoi animali e con la ragazza di Theo «Ho deciso di infischiarmene di tutta quella faccenda del “mi sento tradito, sto da solo” e son venuta a trovarti. Anche perché ho diritto di entrare in questa dimora, ci sono diverse cose mie qui.»
Draco la osservava ancora in silenzio, basito. Però qualcosa aveva cliccato, forse il suo aver menzionato la motivazione del suo attuale stato di eremita, e allora parlò: «Sapevi anche tu che ero un mago?» glielo chiese perché sapeva che sarebbe stata sincera, Angharad lo era sempre.
Infatti la ragazza annuì, silenziosa. Però poi ricominciò a parlare: «E non iniziare la manfrina in cui sicuramente ti butterai del “sentirti tradito”. Chiediti, perché l’avranno fatto? Lo sai che siamo un gruppo brutalmente onesto, sai che io stessa sono brutalmente onesta. Se te l’ho nascosto anche io, un motivo ci sarà, no?»
A Draco venne un’idea in mente: divenne tutto rosso e improvvisamente titubante «Angh, ma tu... anche tu fai magie? Sei una strega?»
La ragazza, liberatasi di borsa, cappotto, sciarpa e cappello, si lasciò cadere sul divano, ridendo a crepapelle: «Mio dio, no. Magari. Quelli magici sono Theo, Daphne, Blaise e rispettivi consorti. E, beh, Hermione. E i tuoi genitori, ovviamente. E anche tu, ecco.»
Anche Draco, allora, si sedette sul divano, più curioso che altro. Una punta di rabbia sarebbe probabilmente spuntata nel discorso prima o poi, ma doveva sapere. Anche se Angharad era la persona non magica – o, come diceva Hermione, babbana – del gruppo, sicuramente avrebbe saputo più di lui.
«L’hai sempre saputo?»
Angharad sembrò pensarci su: «Non proprio. Insomma, Daphne me l’ha detto quando sono ufficialmente entrata nel gruppo. Non quando abbiamo iniziato a vederci ma... qualche mese dopo.»
«Perché tutta questa segretezza?»
Angharad sembrava stesse nuovamente riflettendo: «Beh, in primis perché sono babbana. E introducendomi al mondo magico hanno infranto lo statuto di segretezza – che, se non ricordi cos’è, si tratta di un insieme di legge istituite dal mondo magico per tutelare entrambi i mondi ed evitare ghettizzazioni da entrambe le parti.»
«Mi stai dicendo che mondo magico e babbano sono popolosi? E alcune persone sanno dell’esistenza dell’altro?»
Angharad annuì: adesso Draco era semplicemente curioso «Sì. Gordon Brown e la Regina sono a conoscenza del mondo magico. Collaborano anche con il Ministero della Magia e hanno contatti col Ministro della Magia.»
«Mi stai dicendo la verità, vero? Non mi stai prendendo in giro?» Draco era incuriosito e titubante contemporaneamente, Angharad allora annuì e sorrise «Nient’altro che la verità. Ormai è uscita dal sacco e non avrebbe senso continuare a mentire. E comunque, sappi che l’abbiamo fatto per il tuo bene. Insomma, una cosa del genere ti sembra già assurda ora, figurarsi se ce ne fossimo usciti senza che tu vedessi quella mail di Hermione... ti saremmo sembrati dei pazzi.»
«In realtà ancora non ho deciso se non lo siete davvero. Ho i miei dubbi.» dichiarò apertamente Draco, espirando profondamente «Okay. Cosa ti ha detto Daphne, quando ti ha introdotto al mio grande segreto
Angharad sembrava stesse cercando qualcosa di particolare nella mente, almeno dalle sue espressioni facciali: «Mi disse di sedermi, perché sarebbe stato meglio. All’inizio non capii, ma lo feci comunque. Poi mi disse che lei era una strega, e che erano dei maghi anche Blaise e Theo. Io scoppiai a ridere. Ma poi Daphne tirò fuori la bacchetta e fece levitare il mio beauty case dopo aver pronunciato qualcosa simile a “wingarden leviosa”. E allora le credetti. E mi disse che ti conoscevano da quando avevi undici anni, che avevate frequentato la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts insieme e che durante gli ultimi anni, con la rinascita di Voldemort e la Seconda Guerra Magica, tu ti sei trovato molto in mezzo. E non proprio dalla parte dei buoni. Inizialmente eravate attivamente con Voldemort, ma poi quel tipo ha iniziato a usarvi...»
Udire quel nome era doloroso: perché? E poi, dalla parte del male? Di che stava parlando Angharad? «Scusami, cosa? C’è stata una guerra? E io e chi stavamo con questo Voldemort?»
«I tuoi genitori, tuo padre principalmente. E tu e tua madre l’avete seguito. Alla fine, però, venivate principalmente usati e puniti per gli errori di tuo papà... non so bene in dettaglio, mi dispiace. Però, la guerra è stata fondamentale. Alla fine, Harry ha sconfitto Voldemort...»
Draco strabuzzò gli occhi: «Harry? Harry Potter? L’ex di Ginny???»
«Ehm, sì. Harry, Hermione e Ron erano la punta di diamante dell’Esercito di Silente. Questo l’ho saputo da Luna, però.» ammise Angharad, tentennando: Nyx era salita sul divano, tra le sue gambe incrociate, e pretendeva coccole.
«Pazzesco. Bella premessa, quella di stare sui due fronti diversi di una guerra, per una relazione.» commentò Draco con sarcasmo, alzando entrambe le sopracciglia.
«Non dire cazzate, Dra’. Non sei più quella persona.» lo rimbeccò Angharad, guardandolo trucemente.
«E che ne sai? Fino a pochi giorni fa nemmeno sapevo di fare parte del mondo magico! Magari sono ancora quella persona, solo che non lo so.»
«Lo so perché ti conosco da otto anni, Malfoy. Gradirei che non mi interrompessi con le tue ipotesi bizzarramente idiote.» lo riprese Angharad, continuando a guardarlo seriamente «Comunque. In seguito alla fine della guerra, siccome tua madre ha ingannato Voldemort dicendogli che Harry era morto quando invece lui era vivo e poi lui, insomma, l’ha ammazzato... i Malfoy sono stati considerati dei traditori dai seguaci di Voldemort. E qualcuno voleva vendicarsi. Non si sa chi sia stato, però ti hanno fatto un incantesimo e dato anche una pozione che ti hanno fatto perdere parzialmente la memoria e dimenticare il mondo magico. Non erano incantesimi che si trovano sui libri di scuola.»
«Perché ci sono incantesimi che si trovano sui libri di scuola.» ripeté Draco, alzando entrambe le sopracciglia, perplesso.
«Beh, sì. Daphne ce li ha conservati. Se vuoi te li fa vedere. Magari fa scattare qualcosa e ricordi.» commentò con praticità Angharad, annuendo.
«Okay, ipotizziamo che quello che tu stai dicendo è tutto vero...» iniziò Draco, venendo successivamente interrotto dall’amica «Lo è. Non te lo direi, sennò. E se lo facessi senza che fosse la realtà probabilmente avrei fin troppa fantasia.»
«Okay, consideriamola la verità. Perché non poteva dirmi nulla nessuno già da subito? Non si fa così con i pazienti affetti da amnesia?»
«Daphne mi disse che i tuoi volevano provare l’approccio suggerito dal Ministero della Magia.» rispose Angharad, pensierosa «Uno degli psicologi suggeriva di tenerti all’oscuro e studiarti per vedere se si potesse creare un antidoto. Lo psicologo era Hermione, perché è l’unica qualificata anche secondo i nostri canoni. Insomma, non ci sono altri psicologi come li intendiamo noi, lì. E sicuramente, non con tutte le lauree di Hermione.»
«Oh, wow. E si è proposta di fare tutto questo casino, oltremodo invasivo poi, per me, per un perfetto sconosciuto?» ribatté lui, roteando gli occhi.
«Prima di tutto, “invasivo”? Mi stai prendendo in giro?* Non ti ha messo degli elettrodi nel cervello scoperto, ti ha osservato da lontano e poi è entrata nella tua vita quando l’hai beccata. Stava solo cercando di farti guarire, e tu manco lo sapevi. E poi, non era previsto che vi innamoraste. E non eravate dei perfetti sconosciuti, siete andati a scuola insieme. E probabilmente, per come erano rimaste le cose tra voi a scuola, non andavate neanche troppo d’accordo.»
La strigliata di Angharad doveva aver sortito il suo effetto, poiché Draco non era più esuberante e sarcastico – e sul piede di guerra – come prima.
«E allora, ora? A che punto siamo con questa cura? Perché immagino che me ne avreste parlato se l’aveste trovata, no?»
Angharad si morse il labbro, titubante. Forse non era il suo compito dirglielo, ma aveva promesso di dire tutta la verità. «Beh, penso di sì. Per l’etica di Hermione, perlomeno. I tuoi genitori, inizialmente, avrebbero voluto direttamente somministrarti la cura, senza darti una scelta. Ma poi ti sei costruito una vita che, per quanto non fosse la loro prima scelta, a te piaceva, e... beh, l’hanno accettato. Più o meno. E delle ricerche se n’è sempre occupata Hermione. Ha avuto qualche risultato, ci sono stati dei progressi... ma da quando state insieme, davvero insieme, ha smesso. Continuava con le ricerche a lavoro, ma... beh, sentiva di starti prendendo in giro, e non voleva. Era parecchio combattuta, alla fine. Anche perché, diciamocelo, sei uscito più che bene senza tutta quella roba del Mondo Magico.»
La rabbia di Draco era ritornata: gli avrebbero fatto ritornare tutto in mente senza dargli la possibilità di scegliere? Chi si credevano di essere? Non sarebbe stato diverso da quello che gli avevano fatto in primis coloro che gli avevano tolto la memoria. Sarebbe stata una violazione bella e buona.
«Dra’? Tutto bene?»
«Insomma.» rispose lui, inspirando ed espirando profondamente «Sai altro?»
«Beh, potrei stare ore a parlarti dei draghi che mi ha mostrato Charlie un po’ di giorni fa, ma non penso sia quello a cui tu ti riferisca. E sì, i draghi esistono. E anche tante altre creature magiche.» annuì la ragazza, estasiata e interessata «Comunque, penso che tu debba considerare quello che hanno fatto gli altri mentre stai qui a tener loro il muso perché ti hanno mentito. Sai, loro hanno abbandonato il mondo magico per te. Sono tutti maghi purosangue e hanno voltato le spalle alle loro famiglie per seguirti nel mondo babbano. Quindi esci la testa dalle tue stesse chiappe e riprendi a parlare con loro, o ti costringo a farlo.» lo minacciò, alquanto efficacemente, Angharad. La sua espressione non era più affabile, per nulla.
Ma lui aveva un’altra curiosità: «Voltato le spalle alle loro famiglie...?»
«Theo e Daphne sono stati disconosciuti e diseredati. Blaise no, ma solo perché a sua madre non interessa in che mondo sia, basta che sia felice. E, a quanto pare, nel mondo magico è qualcosa di atipico, soprattutto tra voi purosangue.»
«Ogni volta che ripetete la parola purosangue mi sento un fottuto cavallo.» ribatté Malfoy, contrariato, mentre l’amica scoppiava a ridere di getto. Poi ricominciò a pensare a quello che gli aveva detto Angharad: non poteva ancora portar loro rancore. Se davvero avevano fatto quello che diceva Angh – e di lei non dubitava – erano stati la sua famiglia più della sua stessa famiglia di sangue. Per tutti quegli anni.
«Dovrei probabilmente richiamare Theo.»
«Dovresti, decisamente. Va’ pure, io farò come se sono a casa mia, come al solito.»
E mentre Draco si allontanava verso la cucina digitando il numero di cellulare di Theo, vide Nix attraversare il divano e raggiungere l’amica, richiedendole rumorosamente delle coccole.


«Perché siamo tutti qui eppure nessuno dei due momentaneamente separati è qui?» Blaise non poneva un quesito stupido.
Lui, Ginny, Theo, Luna e Angharad si erano ritrovati da Daphne per un pomeriggio da dedicare ai DVD. Speravano che ci sarebbe stato almeno uno dei momentaneamente scoppiati. E invece nessuno dei due si era presentato.
«Beh, Draco è andato a pranzo dai suoi genitori. Quando ci siamo sentiti ieri ha chiaramente detto che li avrebbe messi sotto torchio su tutta la faccenda dell’amnesia.» spiegò praticamente Theo, annuendo. Stavano un po’ stretti sul divano di Daphne, in cinque, con Angharad spiaccicata tra Ginny e Luna: ma l’altro sedile altrettanto confortevole da utilizzare era la poltrona, e la occupavano Charlie e Daphne.
«Ed Hermione mi sta evitando. Cioè, non sta propriamente evitando me, ma tutti. Si è chiusa in una terribile fase di studio matto e disperato, e sinceramente non la vedevo così da quando andavamo a scuola.» dichiarò Ginny, sbuffando.
«Non la biasimo.» ribatté Angharad, comprensiva «Insomma, sta recuperando il tempo perduto appresso ai sensi di colpa. E poi deve trovare l’antidoto, è il suo lavoro. Qualsiasi cosa non le faccia pensare a Draco va bene.»
«E comunque, nonostante questo discorso» intervenne Daphne, portando dei DVD terribilmente familiari in salotto «Siete qui per vedere qualcosa a casa mia, insieme, lontano dal gelo della città. E si dà il caso che ho comprato i DVD della nuova stagione di “How I Met Your Mother”, e ho fatto in modo che Charlie arrivasse a essere in pari con noi. Quindi preparatevi a rivedere Ted e compagnia bella!»
«Non ti invidio per niente, fratello**» commentò Blaise, rivolgendosi con un cenno del capo a Charlie, che rispose poco dopo: «Seguo le avventure di Ted, Robin, Lily, Marshall e Barney da settimane, ormai. Almeno un episodio a sera. In certi momenti era simile a una tortura.»
«Ed ecco come abbiamo passato la scorsa primavera!» continuò Theo, indicando la televisione ma rivolgendosi a Charlie, che rise di conseguenza.
«Tutti zitti, sto facendo partire il primo episodio!» l’ordine di Daphne venne accolto con uno sbuffo più o meno diffuso, ma i suoi ospiti obbedirono: e dopo qualche minuto erano stati tutti assorbiti dalla storia di un gruppo di personaggi inventati che passava il tempo in modo pericolosamente simile al loro.


Draco era a Malfoy Manor da quella mattina a mezzogiorno. Avrebbe dovuto mettersi in auto a breve, se fosse voluto arrivare a Londra per le otto.
Aveva torchiato i suoi genitori per ore, compresa quella del pranzo. Sua madre era capitolata dopo poco tempo, mentre con suo padre ce n’era voluto di più, e ci era riuscito solo facendo riferimento a tutte quelle volte che il suo genitore aveva cercato di fargli cambiare mestiere.
Entrambi, però, nonostante avessero ammesso più o meno tutto quello che Angharad gli aveva raccontato, non lo avevano fatto nei suoi termini: non c’era stata menzione del loro passato oscuro e nemmeno di quel Voldemort di cui avevano così facilmente parlato Angharad ed Hermione.
Era finito in cucina a prendere il tè, da solo. Non gli andava la compagnia dei suoi genitori, in quel momento, se avessero dovuto continuare a nascondere parte della verità. Ma sua madre sembrava non aver inteso – o non aver voluto intendere – l’antifona, e l’aveva raggiunto, versando anche per sé una tazza di tè.
«Devo partire, fra qualche minuto» spiegò Draco, poco prolisso. Gli dava palesemente fastidio, tutta quella censura.
«Lo so. Senti, Draco» Narcissa avvicinò una mano e gliela strinse «Tuo padre non ama rivangare il passato, soprattutto se si tratta di vecchi errori. Errori molto gravi. Errori che ancora oggi fa fatica a giudicarli tali. Non essere eccessivamente duro con lui, è... diverso. Inoltre, per quanto tu possa aver scoperto la verità, ora la sai, ma non l’hai vissuta. Ed è diverso, come puoi immaginare, per te rispetto a com’è per noi. Siamo stati dalla parte sbagliata, è vero, ma tuo padre non l’aveva carpito per tempo. Non sono certa che l’abbia del tutto fatto nemmeno ora. Però è migliorato, di poco, ma è migliorato. Quando l’unica cosa che conoscevi era il mondo babbano, lui si è adattato, pian piano. Ora s’intende di economia babbana, e l’ha fatto solo per te. Ti vuole bene, anche se preferisce tenerti all’oscuro di certe cose. Sono più che certa, comunque, che se vuoi avere particolari più obiettivi dovrai chiedere ai tuoi amici. Theo, Blaise e Daphne sanno tutto, e saranno sicuramente più propensi a condividerlo con te rispetto a Lucius.»
Il tono di voce di Narcissa era comprensivo, ma fermo. Stava spiegando qualcosa che necessitava cautela.
«E fammi un favore: non essere così duro con Hermione. L’abbiamo trascinata dentro noi, dall’inizio. Certo, ha scelto lei di farlo, ma voleva solo aiutarti. Nonostante tu nel passato non sia stato poi così gentile con lei. E lei è andata anche oltre i pregiudizi che poteva aver avuto prima, giustamente, e ci tiene a te. Non mandare all’aria qualcosa di prezioso solo per qualcosa non proprio corretto ma neanche scorretto, che però è stato fatto in buona fede. Quella ragazza ci tiene, a te, come so che tu tieni a lei. Nonostante siate un purosangue e una nata babbana.»
L’espressione schifata di Draco stupì la donna, che però dovette successivamente ricredersi: non erano i motivi a cui pensava lei, quelli che l’avevano portato a reagire così. E lui li spiegò, dopo aver finito il tè «Ti prego, non fare riferimento a questo stupido nome. Purosangue. Non sono un cavallo! E per quanto provo io, anche “nata babbana” lo è.»
Narcissa gli sorrise, comprensiva, e gli strinse la mano un’ultima volta, per poi lasciarla andare «Su, muoviti. Non vorrai arrivare troppo tardi a casa, domani devi andare a lavoro!»
«D’accooordo, ma’!» il tono lamentoso era lo stesso che aveva quando era piccolo e non voleva andare a letto all’orario prestabilito.
Non era cambiato molto, in certi particolari che solo una madre poteva ricordare. E mentre lo vedeva alzarsi e dirigersi verso lo studio del padre per andare a salutarlo, Narcissa non poteva evitare di pensare a tutte le cose che erano diverse e quelle che erano rimaste uguali nonostante le situazioni completamente mutate.






*Immaginate la cara Angharad che si rivolge a Draco con l’espressione facciale da “Are you fucking kidding me?!” perché è quella che lui si merita se fa queste uscite XD
**l’ho pensata come “mate”, in realtà, ma tradurlo “compagno” non andava bene!

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Capitolo 33
*** 32. Where Does The Good Go? ***


Lo so, è un ritardo imperdonabile. CHIEDO VENIA. Ma non ero tanto ispirata, e sono tanto impegnata con gli esami, e tra una cosa e l'altra non ho aggiornato per settimane. Le "gioie" del non iniziare a postare i capitoli a storia conclusa ._. non posso garantirvi che posterò il capitolo successivo presto, ma almeno c'è il 32esimo! Buona lettura!






 
 

Where do you go with your broken heart in tow? What do you do with the left over you?
And how do you know, when to let go? Where does the good go?
Look me in the eye and tell me you don’t find me attractive,
Look me in the heart and tell me you won’t go.
Look me in the eye and promise no love’s like our love,
Look me in the heart and unbreak the broken, it won’t happen.

Daphne osservava intensamente un punto non meglio specificato del tavolino basso nel suo soggiorno, sbuffando di continuo. Era seduta a gambe incrociate sul tappeto e non sembrava aver voglia di smetterla. Charlie, che era sul divano e stava leggendo alcuni rapporti sui draghi appena nati che si era portato da lavoro, venne definitivamente distratto dal suo ennesimo sbuffo «Daph? Cosa ti turba?»
La ragazza sembrava stesse soppesando se dirglielo o meno: cosa, non lo sapeva «Lo sai che non riesci a tenermi un segreto per molto, vero?»
«Sì. E comunque ho bisogno di parlarne con qualcuno, quindi lo saprai in anticipo: so perché tua sorella e Blaise ci hanno convocato venerdì sera al nostro solito pub.» dichiarò la bionda, sbuffando per la millesima volta.
Charlie fece per incitarla con uno sguardo perplesso: «Cioè?»
«Ginny mi ha chiesto di aiutarla a ridecorare casa di Blaise, vuole sentirla più sua. E volevo sapere il perché, allora ho iniziato a tormentarla e a pressarli con domande... e mi ha detto che hanno parlato e hanno deciso che si sposeranno, prima o poi, o insomma... a breve. Non vogliono neanche fare una cerimonia, giusto andare a firmare le carte in municipio con i testimoni. Però ce lo diranno.»
«Mamma l’ammazzerà» commentò Charlie, non riuscendo a trattenersi ed esibendosi nel suo migliore sorriso a trentadue denti «Ma questo cosa c’entra con il tuo sbuffare ininterrotto?»
A quella risposta, Daphne sbuffò ulteriormente: «Ci saremo tutti quando ce lo dirà ufficialmente, tranne Hermione. Perché c’è Draco. E non è giusto.»
«Non me lo sarei aspettato.» l’espressione di Charlie era effettivamente stupita, ma mutò velocemente in un sorriso scanzonato «Non dirò a Hermione che ti preoccupi per lei, non preoccuparti.»
L’occhiata che Daphne gli rivolse di conseguenza fu alquanto risentita, ma si decise a continuare «Ha praticamente perdonato tutti. Okay, non è nei migliori rapporti col padre, ma noi... ci ha perdonati facilmente. E Hermione? Ha solo, sta solo, facendo il suo lavoro.»
«Beh... voi non siete Hermione.» commentò con poca chiarezza il rosso «Insomma, il vostro rapporto è diverso da quello che ha avuto con Hermione. Non solo perché voi siete i suoi amici di una vita ed è probabilmente stato più facile farvela passare liscia, visto anche quello che siete stati costretti a subire per seguirlo, ma anche perché siete appunto suoi amici. E vi ama, è palese, ma non come ama la sua ragazza che l’ha palesemente tradito.»
«Hermione non ha tradito Draco, non dire cazzate!» ribatté con veemenza Daphne: se qualcuno mesi prima le avesse detto che avrebbe difeso Hermione Granger a spada tratta, gli avrebbe probabilmente riso in faccia.
«In realtà sì. Pensala dal suo punto di vista: ha appena scoperto che tutto quello che sa da molti anni a questa parte è falso. E ha riaccettato voi nella sua vita. Ma la persona che era arrivato ad amare, con cui aveva costruito qualcosa... era stata pagata per osservarlo e curarlo. E aveva fondato tutta la loro relazione su una menzogna. Non è così facile condannarlo, dopotutto ha le sue ragioni. Con questo non dico che non debba perdonarla, anzi, dovrebbe. Ma capisco perché si stia prendendo il suo tempo per riflettere, ecco.» terminò Charlie con un sospiro pesante.
«Non era tutto falso. Ha sempre cercato di essere più sincera possibile, per quel che poteva...»
«Ma non lo è stata completamente. Daph, so che non poteva, lo capisco. E ho visto che ci tengono entrambi, l’uno all’altra. Ciò non toglie che ci vuole del tempo per assimilare tutto, e quindi vi dovrete dividere tra i due.» le accarezzò il capo, sorridendole comprensivo.
«Non rende la situazione più facile il suo essersi completamente rintanata a lavoro. Che io sappia non si sta vedendo nemmeno con Luna e Ginny, è praticamente diventata un’eremita. E questo lo so da Angharad, perché è l’unica abbastanza persistente da continuare a contattare qualcuno anche se quella persona non sembra darle corda.»
«Beh, da quello che mi hanno detto Ron e Harry è sempre stata stakanovista. Amante dello studio e del risolvere i problemi. Immagino che sia il suo modo di affrontare la situazione.»
«Non la sta affrontando, si sta nascondendo cercando di rendersi utile.» ribatté Daph, esibendosi nell’ennesimo, plateale, sbuffo.
«Torneranno sui loro passi, non crucciarti. Avranno i loro tempi, ma sono più che certo che lo faranno. Non sembrano due persone particolarmente... arrendevoli.» commentò Charlie, con l’espressione di qualcuno che sembrava star cercando proprio la parola giusta.
Daphne rise così spontaneamente che arrivò a grugnire inaspettatamente come un maiale, finendo per portarsi una mano alla bocca «Sicuramente non lo sono, entrambi. Piuttosto testardi, anzi.»
«E chi se lo sarebbe mai aspettato!» Charlie roteò gli occhi, come se stesse rendendo nota la più palese verità al mondo.
Daphne sorrise, rincuorata. Non stava guardando nella sua direzione, ma Charlie era in parte la causa del suo sorriso. Dopo qualche secondo si voltò verso l’uomo dai capelli rossi, che ormai aveva ripreso a leggere, e gli fece una linguaccia: «Sta’ certo che dirò a George che hai difeso Draco Malfoy al posto di Hermione Granger in una discussione!»
Charlie roteò gli occhi esasperato e scosse la testa, per poi afferrare Daphne dalle spalle e portarla vicino a sé sul divano, pronto a vendicarsi con l’utilizzo del solletico, che la ragazza non accettò senza una lotta.

A Ginny faceva male tutto il corpo. Era Novembre, avrebbe dovuto sentirsi così per le troppe decorazioni natalizie distribuite in posti improbabili nella casa, non perché stava avendo non pochi problemi a ridipingere il soffitto del salotto di Blaise da sola. Beh, del loro soffitto. O meglio, della loro casa. Era ufficialmente comproprietaria, e non aveva più la sua casa in Galles.
E aveva portato la Metropolvere e l’aveva lasciata in una ciotola vicino al camino, così non avrebbe dovuto solo smaterializzarsi per andare agli allenamenti di Quidditch.
In un’altra situazione avrebbe probabilmente ripreso Blaise per la mancanza di aiuto da parte sua, ma era, quel pomeriggio come la maggior parte delle volte in cui gestiva tutto lei, a lavoro. E poi c’era Luna con lei. Anche se non era molto collaborativa: era in cucina a leggere un giornale. Non sapeva quale e nemmeno le interessava: aveva bisogno di una dannatissima mano.
«Luuuna? Avrei bisogno di una mano! Oh, diamine—
Sarebbe con molta probabilità caduta di testa a terra se l’amica non l’avesse salvata con un Levicorpus, ciononostante quella posizione non era molto più comoda di quella che aveva appena evitato.
«Puoi lasciarmi atterrare dolcemente?» chiese la rossa, sentendosi ancora più stremata. Quando fu atterrata stesa sul divano tirò un sospiro di sollievo.
«Cosa volevi chiedermi?» domandò Luna, piegando naturalmente il capo da un lato: da chiunque altro non sarebbe stato considerato un movimento naturale, ma per lei lo era. Era di una naturalezza surreale «E poi, perché lo stai facendo alla babbana se hai la magia?»
«Perché Blaise ritiene che venga meglio a mano, naturalmente. Ha paura che faccia casini con pennelli e vernice se dovessi manovrarli con la bacchetta. Secondo lui, quasi sicuramente esagererei con il colore in certi punti, mentre altri li dimenticherei quasi!» ribatté la rossa, lamentosa.
«Beh, potrebbe non aver del tutto torto.» commentò Luna, annuendo spassionatamente sincera.
«Grazie del voto di fiducia!» ribatté l’amica, lievemente irritata.
«Hai tanti talenti, ma non sei mai stata una... pittrice. Hai bisogno di una mano?» chiese la bionda, mettendo da parte la rivista per avvicinarsi alla scaletta.
«Sì, ti avevo chiamata per quello. Ma non so... non mi va ora. Forse dovrei davvero usare la magia.» dichiarò Ginny, rigettandosi sul divano ancora ricoperto dal cellofan.
«O potrei farlo io. Sempre con la magia. Magari tu puoi consultare i volantini dell’Ikea.» propose Luna, comprensiva «Sono brava a dipingere. Con e senza magia. Un soffitto bianco non è poi una così grande sfida.»
Ginny, convinta e stanca, annuì: si alzò dal divano incellofanato e si diresse nella cucina.
«Come mai sei così stanca?» quasi urlò Luna, per farsi sentire dalla rossa nell’altra stanza.
«Stamattina mi sono alzata come al solito alle sei per allenarmi, poi sono andata agli allenamenti di Quidditch e non appena sono tornata ho incominciato ininterrottamente a lavorare su queste... migliorie. Insomma, non ho avuto un attimo di pausa se non per pranzo. Voglio solo dormire!» Ginny, in cucina, stava iniziando a prepararsi del formaggio grigliato: era decisamente affamata, oltre che stanca.
«Ma vi date i cambi?» Luna era interessata: Blaise non sembrava così stanco, dopotutto.
«Sì, difatti nel weekend di solito fa tutto lui. Ma durante la settimana... lui se ne occupa solo di sera» continuò Ginny, sopra lo sfrigolio del burro contro il pancarré.
Perplessa, l’ex Corvonero continuò a lavorare in silenzio: dopo qualche minuto Ginny arrivò con due coppie di pancarré nel piatto unite da del Cheddar filante.
«Ehi! Ma hai già finito metà!» Ginny era estasiata.
«Beh... sì. Con la magia è molto più facile, e inoltre... lo sto solo dipingendo di bianco! Non è mica un affresco» rise, pensando a quelli che aveva nella sua vecchia cameretta. Ora come ora, avrebbe dovuto aggiornarli per aggiungere molta più gente.
«Per te, forse» sbuffò Ginny, stendendosi sul divano ancora incellofanato «Io ci metto il triplo del tempo!»
«Non ti preoccupare, finisco io qui. Tu vai a montare i mobili dell’altra stanza?»
«Davvero?» gli occhi di Ginny parevano brillare di luce propria: Luna annuì, sicura «Ho tutto sotto controllo!»
«Ti adoro!» la rossa le stampò un bacio sulla guancia e corse via, con il piatto ormai pieno solo di briciole al seguito. Povera Ginny, alle prese con quei lavori. Luna era più che certa che Blaise se la fosse presa molto più comoda, rispetto alla sua amica.

L’ultima volta che era stato al pub con gli altri c’era stata anche Hermione: fu la prima cosa che gli venne in mente non appena vi entrò, nonostante quel posto fosse molto più pieno di storie che riguardavano lui e i suoi amici che non loro due. Eppure fu impossibile non pensarci istintivamente, per poi riportare alla mente che lei non era più lì con lui.
Draco era più che certo che non ci sarebbe stata: Ginny l’avrebbe avvisato se ci fosse stata. Non che avesse qualche problema con la sua presenza, ma non si erano ancora rivisti dalla discussione. Anzi, credeva che avesse tutto il diritto di essere presente: era una dichiarazione congiunta di Blaise e Ginny, e lei era amica della rossa.
Eppure non c’era.
Era stato il primo ad arrivare: occupò il loro solito tavolo e nell’attesa prese a consultare il cellulare, principalmente per distogliere l’attenzione dai pensieri che lo riportavano puntualmente a Hermione, e voleva smettere di ritornare sempre allo stesso punto. Già ci pensava istintivamente per la maggior parte della giornata, ogni volta che il suo cervello non era concentrato su qualcosa: talvolta anche quando lo era e gli giocava dei brutti scherzi, come quando faceva tardi a lavoro e avrebbe voluto avvisarla che sarebbe tornato a casa un po’ più tardi. Ma lei non lo aspettava più a casa.
«Terra chiama Malfoy! A che diavolo stai pensando?» la voce squillante di Daphne lo riportò immediatamente – e bruscamente – alla realtà: quando era arrivata? Insieme a Charlie per giunta. Non li aveva visti assolutamente.
«Ehrm... buonasera.» era stato colto in flagrante sovrappensiero, era inutile negarlo. Inoltre a Daphne non avrebbe potuto nasconderglielo neanche se l’avesse voluto.
«A che pensavi?»
Talvolta Charlie pensava che l’insistenza di Daphne potesse essere un filino fuori luogo, ma poi considerava che era una parte così caratterizzante di lei, nel bene e nel male, che avrebbero dovuto tutti farsene una ragione: lui l’aveva accettata quasi subito. E Draco e gli altri dovevano averlo fatto già molto prima, perché erano ancora irrimediabilmente con lei, diventando di fatto la sua famiglia atipica.
«Hermione.» si arrese Malfoy, pronunciando semplicemente il nome della ragazza con un tale sospiro che Daphne annuì: «E dovresti, perché dovrebbe esserci anche lei. Non è giusto che sia l’unica assente.»
«Ehi, non gliel’ho vietato mica io di venire!» ribatté Malfoy, prendendola sul personale.
Daphne alzò un sopracciglio, perplessa: «Beh, non direttamente, no. Ma sei il motivo per il quale non è venuta.»
Draco sbuffò nuovamente, e fu immensamente grato dell’arrivo di Theo, Luna e Angharad, che riconobbe soprattutto per la sciarpa colorata di quest’ultima che gli occupò tutta la visuale: «Angh, ma che hai, un mantello di lana?»
«Taci, Malfoy, fa freddo!» ribatté quella, superandolo malamente e raggiungendo il lato della panca attaccato alla parete «Buonasera, Daphlie
«Daph-che?» Draco strabuzzò gli occhi in direzione dell’amica gallese, che gli rivolse un’occhiata altezzosa: «È più veloce, chiamarli così. E poi sono sempre insieme, quindi cade a fagiolo.»
Lo sguardo ancora basito di Draco causò la successiva spiegazione da parte di Daphne: «Ha unito i nostri nomi, e ora ci chiama così. Sai, tipo i Brangelina.»
L’espressione di Draco non era propriamente tornata normale, ma lo era leggermente di più. Venne scavalcato anche da Luna, e si ritrovò all’estremità esterna della panca. Guardò Theo: «Vuoi sederti tu qui?»
«Nah, lasciale confabulare. Si sono appena incontrate, non mi sognerei di separarle» indicò con un cenno del capo Luna e Angharad, intente già in una fitta conversazione.
«Ma... da quando?» chiese a bassa voce a Theo, che aveva preso uno sgabello per sedersi accanto a lui «Da un po’. Penso abbia avuto inizio quando Daphne e Angie non si parlavano, e poi sono arrivate a quello.»
«Mi sono perso pezzi.» ammise Draco, sbattendo le palpebre, ancora un po’ scioccato. Vide entrare una coppia di persone e la più bassa aveva l’inconfondibile fulva chioma di Ginny «Oh, guardate, sono arrivati i futuri sposi!» scherzò il biondo, inconsciamente.
«Lo sai anche tu?!» esclamò Daphne, sconvolta.
L’intero gruppo cadde in un silenzio quasi assordante.
«Sono abbastanza sicuro che quella di Draco fosse una battuta e, Daph, lo hai appena detto tu a tutti.» commentò dopo qualche secondo Charlie, l’unico che ebbe il coraggio di parlare prima dell’imminente arrivo dei diretti interessati.
«Buonasera! Avete già ordinato?» aveva iniziato Ginny, occupando il posto accanto a Daphne mentre Blaise prendeva uno sgabello e si sistemava tra lei e Theo.
Erano tutti silenziosi, ma Daphne sembrava particolarmente pallida: «Cos’è successo?»
«Ma davvero vi sposate?!» esplosero contemporaneamente Angharad e Draco, guardando con gli occhi strabuzzati gli ultimi arrivati.
«Daphne! Perché gliel’hai detto!» Ginny tirò un pugno non tanto leggero alla spalla dell’ex-Serpeverde, che era ancora sconvolta dall’essersi fatta sfuggire così stupidamente una notizia del genere.
«In realtà l’ha detto Draco, scherzando. E lei credeva lo sapesse sul serio, e quindi...» iniziò a spiegare Charlie, onde a evitare ulteriori sfoghi maneschi da parte di sua sorella a scapito della sua ragazza.
«Vi sposate?!» Draco e Angharad, con la stessa veemenza, posero la domanda che per loro era la più fondamentale. I decibel che raggiunsero erano alti tanto quanto quelli precedenti.
«Beh... sì. L’avremmo detto noi se Daphne avesse saputo tenersi un cecio in bocca» rispose Ginny, rivolgendo per l’ultima volta un’occhiataccia a Daphne, per poi tornare a osservare i presenti.
Angharad sbatteva lentamente le palpebre, mentre Draco aveva ancora la bocca spalancata dallo choc. L’espressione di Daphne era ancora ampiamente colpevole, mentre Theo sembrava semplicemente sereno. Solo Charlie e Luna sembravano attivamente sorridenti e felici per quella dichiarazione.
«Auguri!» Luna batté le mani, con un po’ troppa forza per i timpani di Draco, che era molto vicino e ancora molto sconvolto.
«Ma... come?» anche Malfoy aveva preso a sbattere le palpebre, mentre ora Angharad aveva entrambe le sopracciglia alzate dallo... sconvolgimento? Ginny e Blaise non l’avevano ben capito, ma furono rincuorati dagli auguri di Luna e dalla pacca di Theo: almeno quattro di loro l’avevano presa bene.
Quattro, perché Daphne e Charlie già lo sapevano grazie alle doti particolarmente persuasive di Daphne.
«Beh, avevo dichiarato che non ne potevo più di andarmene in giro tra Galles e Londra e Devon senza avere una casa che sentissi mia, e allora gli ho proposto di cercare casa insieme.» Ginny indicò con un cenno del capo Blaise, che continuò con la spiegazione: «Io ho controbattuto che era da pazzi pensare di riuscire a vendere casa mia e comprarne un’altra in questo periodo, allora abbiamo deciso di ridecorarla.»
«E me ne sto occupando principalmente io, con l’aiuto di Daphne, decoratrice d’interni a tempo perso e rana dalla bocca larga...»
«Oh, dai! Credevo l’aveste detto a Draco e credevo lo sapesse!» ribatté la bionda in questione, incrociando le braccia.
«Ma se lo sapevi che lo sapevate solo tu e Charlie, perché me lo hai estorto non appena ti ho chiesto una mano con l’arredamento e non ti saresti stata zitta finché non l’avessi ammesso?» ribatté Ginny, pungolandola con un dito nel braccio, e ricevendo come risposta un sonoro sbuffo da parte della ragazza.
«Poi, parlando di queste cose in modo civile, quasi da bravi adulti, la conversazione è degenerata, e tra una dichiarazione e l’altra abbiamo deciso di parlare molto razionalmente del matrimonio. E, beh, nonostante l’abbiamo deciso molto civilmente, non vediamo l’ora di firmare le carte!» continuò Blaise, annuendo.
Draco e Angharad erano ancora basiti, allora Theo prese parola, incuriositosi: «Firmare le carte?»
«Sì, non vogliamo fare una grande cerimonia. Se volete essere testimoni siete i benvenuti, ma non ci saranno ricevimenti, balli e...»
«...spese inutili di soldi.» concluse Ginny, annuendo anch’ella.
«È... inusuale.» commentò Angharad, ancora accigliata.
«Ti sembra che questi due possano fare qualcosa di usuale?» ribatté Draco, non trattenendosi «Non fraintendetemi, sono felice per voi. È solo che la mia era una battuta e poi era invece vero e... a dire il vero, è un po’ tanto da assimilare in una botta sola.»
«Non preoccuparti, fratello, non accadrà a breve. Non abbiamo ancora deciso la data, dobbiamo ancora prendere appuntamento in tribunale e vogliamo prima finire la casa. Avrai tutto il tempo di assimilare la notizia con calma.» rispose Blaise, ghignando soddisfatto: ultimamente non riusciva a sconvolgere Draco più di tanto, e con quella dichiarazione invece sarebbe rimasto un po’ disorientato ancora per settimane. Era decisamente orgoglioso di Ginny e di se stesso.

Hermione aveva saputo la lieta notizia quella mattina a casa sua, da Ginny. Si era presentata sull’uscio di casa con caffè e brioche e si era autoinvitata dentro: dopo qualche secondo l’aveva invitata al pub, ma lei aveva rifiutato, con un sorriso. Non sapeva come l’avrebbe presa, a rivedere Draco.
E allora Ginny gliel’aveva detto, che quella sera lei e Blaise avrebbero annunciato che si sposavano, e l’aveva dichiarato così a Hermione, che l’aveva abbracciata, ovviamente felice, sebbene un po’ preoccupata.
Insomma, si trattava di Blaise e Ginny. Una coppia che avrebbe giudicato impossibile anni addietro, e un po’ troppo animosa solo mesi addietro. Erano quasi sempre un po’ sul piede di guerra, un po’ a fare la pace tendenzialmente in un letto, ed erano andati a convivere praticamente insieme poco tempo dopo aver iniziato a frequentarsi, sebbene l’avessero consciamente deciso solo da qualche tempo.
Ma forse, proprio considerando le due teste gloriose che formavano quella coppia, quella decisione era stata presa nel modo migliore. Insomma, erano sempre stati un po’ troppo altalenanti, travolti da passioni di diverso tipo, pronti a scannarsi facilmente. Eppure avevano preso quella decisione insieme, civilmente, senza grandi gesti. Pensare che c’erano riusciti quei due la sconvolgeva, ma la riempiva anche di orgoglio.
Pur avendolo saputo in anticipo, avrebbe voluto partecipare ai festeggiamenti, ma non se la sentiva. Nonostante ciò però, si era diretta a Chelsea, e si era ritrovata, ancora indecisa, di fronte alla porta del pub.
Faceva freddo, minacciava pioggia e la gente entrava e usciva dal pub, lì davanti a Hermione e alla sua perenne indecisione. Allora si avvicinò alla porta e la spinse un po’: spostò lo sguardo in tutta la sala, raggiungendo inevitabilmente il solito tavolo.
Ed eccolo lì, Draco, stranamente tra Theo e Luna, direttamente davanti a lei, ma diversi metri più avanti. Sembrava un po’ sconvolto, ma stava dialogando tranquillamente con Ginny – vedeva la sua chioma rossissima anche da lì – e gli altri, e ogni tanto spintonava o pungolava Angharad, che dalle espressioni facciali sembrava lo stesse prendendo palesemente in giro.
Tutto quello fu troppo da immagazzinare, e si allontanò dalla porta: nessuno l’aveva vista, il danno non era stato fatto. Non li aveva visti tutti insieme per giorni e non vedeva Draco dalla discussione... e non avrebbe potuto affrontare tutto quello assieme.
Non sapeva nemmeno perché era finita a Chelsea, non sarebbe voluta entrare nel pub e aveva lavoro da fare a casa. Quella era stata una inutile e dolorosa deviazione, e non era neanche entrata a festeggiare con loro, che era l’unica cosa che le mancava.
Beh, non proprio l’unica, ma sicuramente l’unica a cui avrebbe potuto porre rimedio palesandosi al pub quella sera.
Ma non ne aveva avuto il coraggio e allora correva verso la stazione metropolitana di Fulham Broadway, con le lacrime agli occhi e un affanno terribilmente simile a un attacco d’ansia, mentre la pioggia fredda aveva iniziato a cadere e a bagnarla senza che lei potesse fare nulla per evitarlo.

 

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Capitolo 34
*** 33. Heartlines (Pt. 1) ***


Spero di non essermi fatta attendere troppo! Questa volta ce l'ho fatta a scrivere più o meno per tempo, e arriva un capitolo esplosivo! E ci sarà una seconda parte, dato il titolo. La canzone è sempre di Florence (senza il Pt. 1 ovviamente) <3 Spero vi piaccia! Buona lettura!






 

But know, in some way, I’m there with you.
Up against the wall on a Wednesday afternoon.

Stava leggendo febbrilmente l’ultimo biglietto che aveva ricevuto. Era fondamentale controllare che stesse andando tutto secondo i suoi piani, e comunicazioni inconfondibilmente di penna sua erano rare.
Alijeik era come al solito al suo bancone da pozionista, intento a rigirare un intruglio presente in un calderone: lei gli era accanto, come era solita fare quando si trovava a casa con lui.
«Cosa dice? È cambiato qualcosa?» lui era curioso, ma lei si sentiva quasi inetta e delusa dalle sue capacità: lo esprimeva appieno la sua bocca serrata e le labbra che erano diventate due fili sottilissimi che seguivano una linea fin troppo orizzontale.
«Sì. Doveva rimanere all’oscuro. E ora dobbiamo cambiare piano.»
«Cos’ha in mente?» per la prima volta, Alijeik si fermò e le dedicò la sua completa attenzione.
«Quando ci sarà, dovremo somministrargli l’antidoto. Secondo lui potrebbe essere qualcosa addirittura più distruttiva del piano originale» non era contenta, ma doveva seguire gli ordini. E poi avrebbe goduto della sofferenza di Draco Malfoy quando avrebbe potuto leggergliela negli occhi chiaramente come aveva letto la sua impotenza nel momento in cui si era reso conto che era stata proprio lei a tradirlo.

Hermione ormai andava avanti a tutte le ore del giorno e della notte con del tè accanto: molto più di prima. Lavorava instancabilmente, analizzava i dati che aveva raccolto dalle analisi di Draco e continuava le ricerche sulle Sacre Ventotto, sulle quali era quasi certa di essere vicina a trovare la formula della famiglia Shafiq.
L’assenza di anche solo Nix si faceva sentire, e per questo non voleva pensarci e passava tutto il suo tempo a lavorare e a bere tè per essere produttiva, e quando non lo era più era così stanca che crollava automaticamente a dormire nel letto.
Ma quel pomeriggio, qualcosa la distolse dal suo lavoro matto e disperato: il citofono aveva suonato. Si alzò, confusa, pensando a chi potesse essere: Angharad, forse?
«Sì?» rispose, cauta.
«‘Mione! Sono Ron. Posso salire?» sembrava titubante e molto diverso dall’ultima volta che l’aveva visto: e proprio per questo decise di rispondere affermativamente e aprirgli il portone. Dopo qualche minuto era dall’altra parte del muro a suonare il campanello, e lei gli aveva aperto la porta.
«Ehm, ciao.» il rosso si passò una mano dietro la nuca, imbarazzato: lei si limitò a farlo entrare dentro casa e a chiudere la porta.
«Vuoi un tè? Ho ancora dell’acqua calda rimasta.»
Ron, che sembrava stare particolarmente sulle spine, annuì. Allora Hermione sparì per circa cinque minuti per poi tornare con un’altra tazza ricolma di tè: gli si sedette accanto e gli porse la tazza.
«Allora... come mai sei venuto qui?» non voleva sembrare ostile, ma quella visita, soprattutto per come sembrava stesse colpendo l’ex fidanzato, non aveva senso. Soprattutto dopo l’ultima interazione che c’era stata tra loro due.
«Sono venuto a chiederti scusa. A quanto pare devo aver fatto una cazzata qualche tempo fa.» iniziò il Weasley, titubante. Sorseggiò il tè prima di continuare «Harry mi ha detto che sono stato completamente fuori luogo, e che avrei dovuto chiedere scusa prima o poi. Ho deciso di farlo ora. Non ricordo cosa ho detto, ma dev’esser stato spiacevole. Mi dispiace di essermi intromesso nuovamente nella tua vita e in quella di Malfoy, all’epoca.»
Hermione lo guardò perplesso, registrando le sue scuse ma venendo immediatamente attirata da una parte della storia che non quadrava: «Okay, grazie. Ma aspetta un attimo: Harry ti ha detto quello che è successo? Tu non ricordi nulla? Come mai?»
Ron scrollò le spalle, ignaro: «Non lo so. So solo che ricordo il giorno prima e quello dopo, ma non quella domenica. Però Ginny e Harry erano furiosi. E quando ho raccontato a Maggie di non ricordare cosa fosse successo era infuriata anche lei, così tanto che è scappata da casa sua e non l’ho vista fino alla sera del giorno dopo. Ora che ci penso è stato un comportamento alquanto strano, ma avevo così tante cose a cui pensare che non ci ho fatto caso.»
Hermione assimilò quelle notizie, mentre il suo cervello iniziava già a fumare per connettere tutto ciò che sapeva: Ron si era inaspettatamente catapultato nella loro vita, di lei e Draco, una domenica mattina, non sembrava in lui e delirava. E ora non ricordava niente, così tanto che fu Harry a spiegargli tutto. E quando aveva ammesso tutto quello a Maggie, lei era scappata da casa sua infuriata.
Non aveva senso.
Nel frattempo, il rosso in questione era paonazzo dall’aver sorseggiato il tè troppo velocemente, ma lei non ci stava facendo troppo caso, perché aveva bisogno di capire che diavolo c’entrasse Maggie con quell’intrusione a casa di Draco.
Afferrò in uno scatto il computer che era di fronte a lei, facendo sobbalzare Ron, e iniziò a cercare di capire quali fossero state le penne USB a collegarsi al suo PC: ricordava di aver trovato qualcosa di strano tra i collegamenti esterni del laptop dopo quel giorno, ma non ci aveva fatto troppo caso, viste tutte le cose che erano successe in quel periodo.
«Cosa stai cercando?» Ron sembrava perplesso e anche un po’ spaventato.
«Quando sei irrotto in casa di Draco, oltre a comportarti in modo strano, penso che tu abbia fatto qualcosa al mio computer.»
«In che senso?» Ron era rabbrividito a sentire Hermione chiamare tranquillamente la nemesi di un tempo con il proprio nome, ma aveva già capito da tempo che avrebbe semplicemente dovuto farci l’abitudine.
«Non so, scaricato dei dati, messo un virus, non lo so.»
«Un che? Perché avrei dovuto fare qualcosa del genere?»
«Perché non ricordi niente?!» Hermione quasi sbottò, non riuscendo a far andare le azioni che compiva alla stessa velocità con cui il suo cervello stava galoppando: aveva appellato il telefono e cercava freneticamente un numero, mentre Ron la guardava leggermente terrorizzato.
«Theo?» l’ex-Serpeverde rispose dopo due squilli, e dalla voce sembrava stupito.
«Hermione? Cos’è successo?»
«Puoi parlare? Hai il computer con te?» chiese la ragazza, continuando a osservare la sezione chiamata “Gestione Dispositivi” sul suo computer.
«Cinque secondi e ci sono.» Hermione continuava a leggere, cercando qualche certezza nel pannello aperto davanti a lei: Ron, nel frattempo, aveva le sopracciglia che per lo sconvolgimento erano arrivate quasi ala fronte.
«Dimmi.»
«Ho bisogno di sapere se qualcuno si è connesso con una USB o in qualsiasi altro modo al mio computer.»
«Okay...» sembrava pensieroso «Cosa te lo fa pensare?»
«Ti ricordi quando Ron Weasley è passato da casa di Draco e ha iniziato a comportarsi irragionevolmente? Penso sia stato manovrato da qualcuno per ottenere informazioni su Draco...»
«Per manovrato intendi con una Maledizione Senza Perdono
«Theo, non ricorda nulla. Ancora ora, non ricorda nulla.» l’andamento era febbrile, e Ron provava un’insieme di contrastanti emozioni: Hermione aveva detto prima a Theo che a lui ciò che lo riguardava, e si riferiva a Theodore Nott chiamandolo Theo! E poi lui era stato manipolato? Che stavano dicendo?
«Pensi a Maggie?» chiese lui, dopo qualche secondo.
«Sì, però ti scrivo dopo perché.» tagliò corto lei, lanciando un’occhiata a un Ron oltremodo oltraggiato – per motivi a lei sconosciuti, ma che credeva di poter indovinare facilmente «Come faccio per quella cosa sui dispositivi?»
«Ti sto scrivendo una mail che ti spiega tutto, con il link del programma da scaricare. Se scopri quello che credi di sapere, però, non dirlo a Ron. Perderesti il fattore sorpresa con Maggie. E Ginny, Blaise e Daphne sono stasera a cena dai Weasley.»
«Okay, grazie. Aspetto l’e-mail.»
«Appena inviata. Fammi sapere quando ci riesci.»
«Buon lavoro» era stata una conversazione abbastanza laconica, ma non avevano tempo per i convenevoli. O almeno, questo era quello che Hermione provava: se davvero Maggie fosse stata una minaccia per Draco?
Solo dopo aver aperto l’e-mail spedita da Theo si voltò a guardare Ron, che si sentiva terribilmente ignorato e aveva allora scelto di finire il tè quasi tutto d’un sorso. Era paonazzo, e non riusciva a capire se per l’imbarazzo o il nervosismo.
«Scusami, era urgente.» si limitò a dire Hermione, lanciandogli un’occhiata di sbieco per controllare che stesse bene. Non sembrava fosse così, però.
«Perché hai detto a Theodore Nott della mia amnesia?! Perché chiami Nott Theo?!»
Hermione alzò entrambe le sopracciglia, perplessa: «Perché è mio amico. E perché ha diritto di sapere, visto che mi ha aiutata non poco nel cercare di capire cos’è successo a Draco.»
«Okay, ma cosa c’entro io con Malfoy?» sembrava volesse aggiungere qualcos’altro, con molta più veemenza, ma si fermò. Anche perché Hermione aveva iniziato a marcare ancora di più il nome Draco in sua presenza. Non era stato propriamente intenzionale, ma le dava fastidio l’aria di sufficienza con cui Ron trattava quelli che erano diventati suoi amici – e nel caso di Malfoy, beh, il suo ragazzo.
«Credevo nulla, ma secondo me, sebbene non intenzionalmente, ti sei ritrovato a rubare parti della mia ricerca, quel giorno. Non ho ancora le prove, però erano successe cose strane riguardanti il mio computer, e ora, grazie a Theo, scoprirò se davvero qualcuno di a me sconosciuto ha rubato file dal mio computer.» anche quel tono non poco saccente non era intenzionale, però era stato terribilmente spontaneo. Non tollerava più tanto quell’aria di superiorità da parte di nessuno, non solo di Ron. Harry aveva ben capito di non poter più trattare in sua presenza gli ex-Serpeverde come faceva prima, e non sembrava averne nemmeno voglia, in realtà. L’unico che si comportava ancora in modo infantile era proprio il rosso di fronte a lei.
«D’accordo. Io ero solo venuto per scusarmi per qualcosa che non ricordo nemmeno di aver fatto, se dovessi veramente aver rubato qualcosa sulla ricerca, mi dispiace. Arrivederci, Hermione.» Ron era saltato in piedi dopo qualche secondo che lei aveva finito di parlare, probabilmente notando l’acidità neanche troppo latente di Hermione, che però lo seguì alla porta: «Senti, mi dispiace. Non volevo rivolgermi così a te. Però loro sono i miei amici. E Draco, nonostante le cose ora non siano delle migliori, è il mio ragazzo. E voglio loro bene. Non sono dei figli di Mangiamorte, non sono la feccia dei Serpeverde, sono i miei amici. E non tollero che vengano trattati diversamente da come meritano di essere trattati, che ci si rivolga a loro senza rispetto, solo per dei pregiudizi vecchi e infondati.»
Era stata ferma e civile, mentre manteneva la porta: eppure Ron la guardava sconvolto. Non capiva, non riusciva davvero a capire.
«Okay, scuse accettate, ciao.» quando entrò nell’ascensore, Hermione tirò un sospiro di sollievo: le sarebbe piaciuto riallacciare i rapporti con Ron, comportarsi civilmente, ma sembrava semplicemente impossibile. Perché non ricordava il tempo in cui erano stati semplicemente amici e non persone che “forse avrebbero voluto stare insieme, forse no, forse sono finiti insieme per caso, forse no”. E non sentiva la mancanza di Ron suo amico, perché erano anni che non erano stati più tali, e neanche lo ricordava più. Non ricordava la sua amicizia. E poi, non accettava quelli che erano i suoi amici, e che a breve invece sarebbero stati legati alla famiglia Weasley. O almeno, qualcuno di loro. Ma questo, lui, non lo sapeva.

Ginny era seduta al sedile del passeggero, mentre Blaise guidava: erano quasi arrivati a Ottery St. Catchpole e portavano anche Daphne e Charlie con loro. Avrebbero potuto tutti materializzarsi dai Weasley, ma a quanto pare nessuno ne aveva voglia: allora avevano deciso di raggiungere insieme, per via babbana, il villaggio in questione.
Quando suonò il cellulare, Ginny per poco non sobbalzò: era stanca. Stava per addormentarsi: aveva davvero solo bisogno di dormire.
«Hermione? Buonasera!» era contenta di sentirla, erano rare le sue telefonate, ultimamente. Sembrava essersi chiusa a riccio, e lei non aveva neanche il tempo – e non credeva di averne nemmeno il diritto – di cercare di buttare giù le barriere che aveva eretto l’amica.
«Gin. Stai andando dai Weasley?»
«Sì, con Daphne, Charlie e Blaise. Perché?» ora che ci faceva caso, Hermione sembrava agitata.
«La mia ricerca è stata rubata. E Ron è passato a chiedermi scusa per l’intrusione da Draco di quest’estate e ho scoperto che non ricorda più nulla.»
«Non ricorda nulla? Ma aspetta, cosa c’entra con...»
«Gin, secondo me quell’intrusione era una farsa. O meglio, un diversivo. Per non farci notare che stava rubando qualcosa. E so che non è colpa sua, ma se davvero non ricorda nulla, e ha fatto ciò – e sono certa che sia così, perché ho controllato – significa che molto probabilmente era sotto l’effetto dell’Imperius
«Dell’Imperius?!» esclamò Ginny, sconvolta. Tutti i suoi compagni di viaggio si voltarono a guardarla, anche Blaise, che avrebbe dovuto guardare invece la strada «Ma chi avrebbe interessi nel maledire Ron? Non è di certo amico di Malfoy...»
«Ma aveva ancora un collegamento con me che poteva sfruttare. E poi non è Draco ad avere la ricerca, sono io.»
«Okay, ma sai anche chi è stato?» Ginny udì chiaramente Hermione sospirare profondamente.
«Non con certezza. Ma Ron mi ha detto che quando ha detto queste stesse cose a Maggie, lei è scappata via da casa sua irata. E non è tornata fino alla sera dopo.»
«Ma non ha senso. Perché Maggie vorrebbe sapere a che punto sei nel trovare la soluzione al problema di Draco...» Ginny si fermò dopo qualche secondo, perché Blaise aveva accostato e l’aveva guardata, per poi guardare Daphne, che sembrava in procinto di sputare fuoco.
«Perché è lei che gli ha tolto la memoria.» si limitò a pronunciare l’ex Regina delle Serpi, con un tono che sembrava impassibile ma che molto più probabilmente era semplicemente calcolatore.
«Herm, ti lascio. Ti faccio sapere dopo cosa succede.» spiegò brevemente Ginny, prima di chiudere la chiamata «Ripartiamo. E speriamo che quella maledetta ci sia, stasera.»

Quando arrivarono alla Tana, Ginny e Daphne avevano preceduto i loro accompagnatori: avevano raggiunto la sala da pranzo, dove erano presenti  Harry, George, Ron e Maggie, e avevano sguainato le bacchette contro quest’ultima.
«Oh Godric.» fece in tempo a pronunciare George, prima di alzarsi dalla sedia che occupava e allontanarsi dall’obiettivo delle due ragazze.
«Ginny e Charlie sono arrivati...?» Molly Weasley era entrata appena in tempo per essere testimone di un altro riprovevole sfoderamento di bacchetta, questa volta da parte del figlio maschio più piccolo.
«Non tollero questo comportamento in casa mia! Cosa sta succedendo?» la padrona di casa disse subito la sua, mentre George le faceva cenno scuotendo la testa: Blaise e Charlie avevano appena raggiunto gli altri, trovando la piccola Weasley intenta a puntare la bacchetta contro il suo fratello immediatamente maggiore, che teneva sottotiro Daphne, la quale non accennava a rinfoderare la sua bacchetta o a spostare lo sguardo da Maggie, che rimaneva immobile sotto lo sguardo di tutti i presenti.
«Dalla padella alla brace.» George si avvicinò alla madre, che non accennava a spostarsi dalla porta che conduceva alla cucina.
«Ginevra Molly Weasley! Hai intenzione di spiegare questa tue entrata teatrale?» Molly Weasley non dava l’impressione di volersi spostare di un millimetro, nonostante George stesse cercando di indirizzarla verso il luogo da cui era venuta.
«Chiedi a Maggie, mamma. Chiediglielo. Magari a te dice perché ha lanciato un Imperius contro Ron.» esplose Ginny, spostando brevemente lo sguardo sulla strega accusata.
Blaise, Charlie e Harry avevano tutti e tre afferrato le proprie bacchette, ma non osavano puntarle contro nessuno dei presenti, temendo un’alterazione del fragile equilibrio che si era creato.
«Ginny, non sai di cosa stai parlando. Immaginavo che te ne saresti uscita con qualcosa di così completamente stupido, vista la gente di cui ti circondi!» esclamò Ron, furioso.
«Ron, sta’ zitto. Almeno la gente di cui mi circondo è leale, a differenza di qualcuno qui presente.» la punta della bacchetta di Ginny lasciò sfuggire qualche scintilla, nonostante la ragazza non avesse pronunciato alcun incantesimo «E non manifestare ulteriormente la tua completa ignoranza, non hai nemmeno pensato che qualcuno potesse averti messo sotto Imperius, nonostante non ricordi un’intera giornata della tua vita!»
«Qual era il tuo piano? Dovevi controllare quanto Draco fosse arrivato a sapere? Dovevi manomettere la pozione, qualora Hermione l’avesse trovata?» Daphne riportò l’attenzione su Maggie, che non aveva l’aria di qualcuno preoccupato dalle accuse della maggior parte delle persone presenti nella stanza «Chi ti ha pagato per avvicinarti a Ronald Weasley?»
«Sta’ zitta, Greengrass! Ti avviso.» la mano di Ron tremava per quanto era stretta intorno alla bacchetta, e continuava a puntarla contro l’ex compagna di scuola Serpeverde.
«Dai, Weasley, non insultare l’unico neurone che ti ritrovi! Cos’altro avrebbe potuto toglierti la memoria? Una sbronza colossale? E perché quando l’hai detto a questa qui, lei sarebbe dovuta correre via infuriata? Sai anche tu che c’è qualcosa che non va!» ribatté Daphne, guardando per un millesimo di secondo il rosso in questione, che sembrava aver ascoltato, perlomeno, il suo messaggio.
«Non sono stata pagata da nessuno.» Maggie finalmente prese parola, e tutti tacquero «Sono stata, però, minacciata. Avrei dovuto avvicinarlo per scoprire cosa sapesse la sua ex-ragazza.» indicò con un cenno del capo Ron, che la guardò tradito. Non se lo aspettava per nulla.
«Okay, mamma, ora andiamo.» George riuscì a spingere fuori dalla porta Molly Weasley, che in quel momento non aveva più i piedi tanto piantati a terra: richiuse la porta della cucina non appena riuscirono a uscire da quella stanza sicuramente pericolosa.
Ron aveva abbassato la bacchetta e, in quel preciso momento, Ginny ritornò a puntarla contro Maggie, che inspirò profondamente: «Se non l’avessi aiutata, avrebbe detto a tutti che i miei genitori hanno fornito rifugio ad alcune famiglie di Mangiamorte alla fine della Seconda Guerra Magica. E ci sarebbe andata di mezzo la mia carriera.»
«No, infatti è molto meglio diventare l’amante di qualcuno per scoprire a che punto è la ricerca della sua fidanzata, senz’altro!» ribatté sarcastica Ginny, rivolgendole uno sguardo infuocato: Ron spostava lo sguardo dalla sorella – e anche, sfortunatamente, da Daphne – a Maggie, sconsolato.
«È quello che lei mi ha chiesto, di trovare un modo più veloce. E Ron era abbastanza vulnerabile, visto che la sua relazione con Hermione era in procinto di crollare già da anni.» il rosso in questione le rivolse un’altra occhiata tradita «Ma non sono stata io a usare una Maledizione Senza Perdono su di lui. Non avrei mai potuto!»
«Come mai? Lo ami?» Ginny sputò la frase con sinistro sarcasmo e sembrava quasi in procinto di ridere.
«Sì, in realtà.» rispose Maggie, e sembrava davvero sincera «Dovevo continuare a lavorare per lei, ma avevo iniziato a tenerci, a lui.» indicò Ron con un cenno del capo, senza distogliere lo sguardo da Ginny «E allora ha iniziato a minacciarmi dicendo che gli avrebbe detto tutto e che gli avrebbe fatto del male. Avrei dovuto saperlo, che non ci si poteva fidare di lei
«Di grazia, di “lei” chi?!» sbottò Blaise, seccato: non aveva neanche puntato la bacchetta contro Maggie, ma si era non poco scocciato di sentire nominare “lei” senza sapere a chi si riferisse.
«Pansy Parkinson.» rispose Maggie, chiara «E il suo ragazzo Alijeik.»
«Non ha senso, Pansy era innamorata di Draco!» continuò Blaise, osservando attentamente Maggie con l’intento di scoprire se stesse mentendo o meno.
«Sì, fin quando lui e la sua famiglia non hanno tradito la causa. E il Signore Oscuro. Scoperta la sua debolezza, ha deciso di vendicarsi.» spiegò chiaramente la ragazza, lasciando disgustati tutti i presenti. Quei discorsi non venivano affrontati da molto tempo alla Tana, e il loro ritorno li aveva resi tutti nauseabondi.
«Sta’ attenta a come parli, sostenitrice di Mangiamorte!» Daphne le puntava ancora la bacchetta contro, con il braccio dritto che non sembrava per nulla affaticato.
«Almeno io non ho buttato all’aria la mia intera vita per seguirne uno in un mondo completamente diverso, uno che è riuscito anche a fallire, nell’essere Mangiamorte.»
Blaise e Daphne pronunciarono all’unisono la formula dello Schiantesimo, ma i due incantesimi vennero bloccati da uno scudo innalzato da un Protego appena invocato: era stato Harry a innalzarlo, e tutti i presenti gli rivolsero uno sguardo sconvolto.
«Se fosse rimasta ferita non avrei potuto accettare la sua ammissione di colpa e non potrei portarla davanti al Wizengamot.» spiegò semplicemente, pronunciando a bassa voce la formula che fece partire delle corde dalla sua bacchetta, che andarono a stringersi intorno ai polsi di Maggie «Charlie, ho bisogno della registrazione...»
Il Weasley in questione gli porse il suo telefono e Harry fece un cenno del capo alla ragazza di Ron per intimarle di muoversi: «Grazie a questo» alzò impercettibilmente la mano che conteneva il telefono di Charlie «Potremo riaprire le indagini su Malfoy. E probabilmente avrò bisogno dei vostri ricordi di stasera, quindi potreste passare domattina dal Ministero?»
Dopo aver colto i cenni di assenso dei presenti fece per uscire dalla stanza, ma si fermò: «Dite a Molly che mi dispiace non rimanere per cena.»
Dopo qualche minuto di silenzio, George rientrò in sala da pranzo e diede due pacche sulla schiena a Ron, seduto silenziosamente al tavolo: «Però, complimenti Greengrass. E poi saremmo noi Grifondoro le teste calde!»
Alla battuta del gemello Weasley rimasto, una lieve risatina spezzò l’aria ancora tesa che aleggiava nella stanza, nonostante colei che l’aveva causata era ben lontana da lì: Ginny e Daphne si lasciarono cadere, più rilassate, sulle sedie, e vennero seguite poco dopo dagli altri presenti.

Hermione non riusciva a non guardare il telefono ogni secondo. Da che aveva avuto la certezza che davvero qualcuno aveva avuto accesso al suo computer e aveva preso dei dati su Malfoy era in ansia: soprattutto perché era più che certa che Ginny avrebbe affrontato il qualcuno in questione.
Quando il telefono suonò per avvisarla dell’arrivo di un messaggio saltò su: era accaduto nell’istante in cui non lo stava guardando, poiché si stava versando dell’altro tè.
Lasciò il bollitore e aprì il messaggio dopo aver controllato che il mittente fosse Ginny: “Harry l’ha portata al Ministero. Ha ammesso tutto, ma non è stata lei a mettere Ron sotto Imperius. È stata Pansy Parkinson, che è anche l’artefice di tutto quello che è accaduto a Draco”.
«Merda.» pronunciò alla casa vuota, basita. Rilesse il messaggio e sbatté le palpebre ripetutamente: quella non se l’era aspettata. Eppure avrebbe dovuto pensare a lei, era logico che fosse stato qualcuno di sua conoscenza... ma non sapeva nemmeno che fosse diventata una Mangiamorte, lo ignorava completamente.
Quando suonò il campanello non pensò neanche al fatto che non aspettasse ospiti, tanto la sua mente era impegnata a rielaborare le – poche – informazioni che le aveva dato Ginny, così quando si ritrovò ad aprire la porta a un Draco con un trasportino in una mano e una busta di plastica nell’altra rimase pietrificata lì sul posto.
«Draco?» sbatté le palpebre ripetutamente: decisamente non si aspettava lui.
«È stato ingiusto da parte mia negarti la compagnia di Nix e Nyx, perdonami. Non avrei dovuto...» partì in quarta senza neanche salutarla, ed erano entrambi ancora sulla porta. Hermione si spostò per lasciarlo passare e chiuse la porta d’ingresso, mentre lui apriva il trasportino e lasciava i loro gatti liberi di esplorare la casa.
«Ho appena fatto il tè.» non era neanche una vera e propria domanda fatta per educazione, non gli stava offrendo nulla. Era ritornata in cucina, si era passata le mani tra i capelli e aveva preso un’altra tazza dalla dispensa: non si era accorta del passo felpato di Malfoy, che l’aveva raggiunta in cucina.
«E poi mi mancavi.»
Quando Hermione si voltò, ancora con il bollitore in una mano, se lo ritrovò a meno di un metro di distanza: ebbe giusto il tempo di posare il contenitore bollente sul piano cucina prima di scontrarsi contro il petto di Draco in un abbraccio per nulla delicato e un bacio altrettanto poco posato.


 

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Capitolo 35
*** 34. Heartlines (Pt. 2) ***


Ohi! Son tornata. Ho finito di scrivere le ultime due parti del capitolo ieri sera (prima di cadere irrimediabilmente addormentata) e ora l'ho riletto quindi posso postarlo! Scusate il ritardo, ma ehi - almeno sono ritornata a essere in qualche modo "periodica". Non precisissima, ma ci sono! Spero che questo capitolo vi piaccia, è "di passaggio" ma non solo. Buona lettura!









 

Still I follow heartlines on your hand. And there’s fantasy, there’s fallacy,
There’s tumbling stone. Echoes of a city that’s long overgrown.
Your heart is the only place that I call home, I cannot be returned.
(You can… You can… I know you can…)

Hermione sentiva le braccia di Draco stringerle la vita con un’intensità tale che la rendeva pressoché certa del fatto che non l’avrebbe lasciata andare molto presto. E in realtà ne era contenta, ne aveva bisogno anche lei. Erano stati lontani per troppo tempo, non sicuri di come si erano lasciati, e avevano bisogno di recuperare tutto quel tempo in cui non avevano avuto alcun contatto. Nyx era acciambellata ai piedi del letto, e apriva ogni tanto gli occhi per controllare che i due suoi umani fossero ancora di fronte a lei, avviluppati sotto il piumone. Sembrava essersi abituata bene, per quel poco tempo che era stata lì. Nix, invece, era entrato in camera in perlustrazione solo mentre i due umani erano ancora in soggiorno: tutto il resto del tempo l’aveva passato a sonnecchiare o a giocare sul divano. Aveva ripreso in pochissimo tempo le abitudini che aveva avuto qualche mese prima in quella casa.
Draco sembrò tossire per attirare l’attenzione: sentiva che era sveglio, poiché ogni tanto la presa intorno alla vita si indeboliva impercettibilmente, e inoltre sentiva il suo respiro sulla spalla, e non era profondo com’era solito essere quando dormiva.
«Quindi... andavamo a scuola insieme?» esordì, mentre Hermione rivolgeva ancora lo sguardo dall’altro lato. La ragazza si voltò verso di lui, incuriosita «Sì. Perché me lo chiedi?»
«Oh, beh, stavo pensando... com’eravamo? Com’ero? Cosa facevo? Theo, Blaise e Daphne mi hanno aggiornato sulla loro parte della storia, ma immagino che non sia esattamente uguale alla tua, vero?» quasi le dispiaceva dover dare la notizia incresciosa – ossia della loro inimicizia – a quel faccino dall’espressione amorevolmente curiosa e titubante.
Decise, allora, di buttarla sul ridere, e gli rivolse un sorriso a trentadue denti: «Sì, diversissima. Eri un arrogante figlio di papà che non faceva altro che ripetere che “Suo padre sarebbe venuto a saperlo!”. Oh, e ti sei beccato un mio sonoro schiaffo al terzo anno.» terminò quella, annuendo soddisfatta.
Draco le rivolse uno sguardo sconvolto, toccandosi istintivamente la guancia sinistra, oltraggiato: «Mi hai schiaffeggiato?!»
La lingua della ragazza spuntava lievemente dalle due file di denti, mentre quella sorrideva soddisfatta e annuiva: «Te lo meritavi. Non facevi che gracchiare insulti e stupidaggini e... a dire il vero non ci ho visto più. In compenso, posso ammettere in tua presenza che non è stato uno dei momenti di cui vado più fiera, ora.»
«Come minimo!» esclamò lui, il cui tono era ancora lievemente oltraggiato. Ma era tornato ad abbracciarla.
«Oh, ed eri il secondo migliore alunno del nostro anno.» aggiunse Hermione, annuendo quasi solennemente. Draco roteò gli occhi, attirandola a sé: «Fammi indovinare, la migliore eri tu?»
L’ex-Grifondoro annuì: «Per essere precisa, il termine che veniva usato dalla maggior parte delle persone era “la strega più brillante della sua età”.»
Draco cercò di toglierle quel fastidioso gran sorriso compiaciuto dal volto mordendole la spalla, ma quella non sembrava aver l’intenzione di dargliela vinta – e non sembrava nemmeno in procinto di smettere di sorridere. In realtà, al di là dello scambio di battute e beffe, si sentiva come Hermione: non riusciva a smettere di sorridere nemmeno lui, era come in uno stato di perenne contentezza. E quello non era attribuibile allo scoprire delle cose di sé che aveva ignorato per anni, quanto all’essere di nuovo assieme alla strega più brillante della sua età, averla di nuovo tra le sue braccia, pelle contro pelle.
«Sei rimasto ammutolito dopo la strabiliante rivelazione che mi pone sotto tutt’altra luce ai tuoi occhi? Insomma, per stare con la strega più brillante de—
Draco aveva scosso la testa, ma lei non se n’era accorta, e quello che seguì parve quasi un assalto alle sue labbra. Un piacevole assalto, ma un assalto nondimeno.
Quando incrociò nuovamente gli occhi dell’ex-Serpeverde, quelli avevano uno strano luccichio: sembrava concentrato, ma anche terribilmente distratto.
«Draco? Tutto bene?» era preoccupata, quei discorsi avevano forse innescato qualche ricordo? Cosa gli stava accadendo?
«Ti amo, Hermione Granger.» dichiarò il biondo, quasi solennemente «Anche se, a quanto pare, eri più brava di me alla scuola degli incantesimi.»
«Hogwarts.» lo corresse automaticamente lei, ma lo osservava come fino a qualche momento prima l’aveva guardata lui – o almeno così credeva, per quello che provava «E ti amo anche io, Draco Malfoy. Anche se eri più bravo di me in Pozioni.»
«Quindi c’era qualcosa in cui non primeggiavi!» esultò lui, con un tono che non si preoccupava di mascherare il suo compiacimento, nonostante quelle cose non le ricordasse minimamente.
Hermione roteò gli occhi ed emise un leggero sbuffo: «Sì. Eri bravo, ma eri anche il cocco del professore, che per inciso mal mi sopportava, quindi non so quanto possa esser considerata valida come eccezione!»
«Meno chiacchiere, Granger, accetta la sconfitta!» ribatté Draco, con un tono gongolante «Chi era questo professore? Perché sarei dovuto essere il suo cocco?»
L’espressione di Hermione si rabbuiò impercettibilmente per qualche secondo, ma a lui non sfuggì: «Perché ti ha protetto durante la guerra. E anche prima della guerra.»
«Cosa ha fatto? Come posso ringraziarlo?»
Lo sguardo contrito di Hermione non accennava a sparire: «Ha ucciso al posto tuo il preside di Hogwarts dell’epoca, Albus Silente, quando aveva avuto la certezza che tu non saresti riuscito a farlo, alla fine del sesto anno scolastico. All’epoca non sapevamo che era stato Silente a chiederglielo all’inizio di quell’anno, sia perché aveva una sorta di malattia terminale causata da una maledizione, sia perché voleva salvarti dal commettere un atto da cui non saresti potuto tornare più indietro.»
«Perché mai avrei dovuto uccidere il preside della scuola che frequentavamo?!» il sopracciglio alzato di Draco era chiaro indice della sua confusione neanche poco indispettita, alla scoperta di quei particolari.
«Era il paladino della lotta contro il male, contro Voldemort. E Voldemort voleva che tu lo uccidessi per porre rimedio a quelli che lui considerava gli errori di tuo padre. Fondamentalmente ti aveva messo di fronte a un compito decisamente più grande di te, e tu non avevi scelta, perché se ti fossi rifiutato ci sarebbe andata di mezzo la tua famiglia.»
«Però non l’ho ucciso?» chiese lui, curioso nonostante tutto quel discorso gli desse la nausea. Non poteva nemmeno pensare di uccidere un animale senziente, figurarsi un essere umano.
«Da quello che mi raccontò Harry all’epoca, no. È stato Piton a farlo, approfittando dei tuoi tentennamenti.»
«Harry? Harry Potter, il tuo amico?» chiese Draco, ancora più confuso.
«Sì, era presente. Nascosto, però era lì e ha visto tutto. E per rispondere alla tua seconda domanda, non puoi ringraziare Piton. Voldemort l’ha ucciso durante la battaglia di Hogwarts perché ha scoperto del suo doppiogioco. Lavorava per l’Ordine, nonostante fosse un Mangiamorte.» quando notò lo sguardo lievemente disgustato e triste, ma anche perplesso di Draco, decise di continuare con la spiegazione «L’Ordine della Fenice era un gruppo composto da maghi e streghe che si opponevano a Voldemort. L’hanno combattuto e hanno tenuto lontano Harry da lui in diverse occasioni. Anche io, Harry e Ron facevamo parte dell’Ordine, pur non facendo parte direttamente di tutte le loro missioni. Di alcune non ne eravamo addirittura a conoscenza!»
Draco non aprì bocca per commentare: era palesemente pensieroso. Solo dopo qualche minuto, ancora abbracciato a lei, decise di porle un’altra domanda «Perché Voldemort voleva Harry?»
«Immagino perché fosse l’unico essere vivente che era sopravvissuto al suo tentativo di ucciderlo. Harry è anche quello che inavvertitamente, per un incantesimo protettivo che sua madre aveva posto su di lui prima di essere uccisa da Voldemort, ha indebolito quest’ultimo, costringendolo a interrompere il suo regno del terrore nel mondo magico. Dopo quel giorno, Voldemort è stato assente per molti anni.»
Draco tacque nuovamente. Quando sembrava aver l’intenzione di parlare, taceva subito dopo. Solo dopo qualche minuto riprese parola: «Sono davvero tante informazioni da assimilare. Sai perché Piton mi proteggeva?»
«No, ma ho sempre pensato che dipendesse da un intervento in merito di tua madre Narcissa. Ne sono quasi sicura, visto che durante la battaglia di Hogwarts ha addirittura mentito a Voldemort circa la morte di Harry, dopo aver saputo da lui stesso che eri vivo e vegeto nel castello. Quello che voglio dire è: ti ama molto. Penso che farebbe qualsiasi cosa per proteggerti, quindi sono sicura che c’entrasse lei in qualche modo.»
Draco ora osservava il soffitto: aveva passato un braccio intorno alle spalle di Hermione, e l’altro era posato sul suo stomaco. Stava osservando il soffitto bianco come se vi cercasse delle risposte.
«Perché ho perso la memoria?»
«Vuoi il mio parere professionale o quello personale?»
«Entrambi.» rispose lui, laconico. Guardava ancora il soffitto, e lei vedeva chiaramente il profilo del suo viso da quella posizione.
«Tecnicamente, hanno agito su di te una maledizione e una pozione. La prima dovrei averla trovata, la seconda non ancora. Vorrei riprodurla per capirne al meglio gli effetti e creare un antidoto.» spiegò Hermione, cercando di essere precisa «E poi, personalmente, credo sia stato per vendetta.»
Draco si voltò a guardarla, e si sentì nuda sotto quello sguardo indagatore: poco c’entrava quella sensazione col suo essere effettivamente nuda sotto le coperte «Un complice di quelli che dovrebbero essere i perpetratori ha dichiarato che i due, una in particolare, sarebbero stati motivati dal tuo aver tradito la causa
«La causa?»
«Di Voldemort. Tua madre l’ha tradito, proteggendo Harry. E nonostante lui sia morto, i suoi sostenitori non lo sono.» Hermione sapeva chiaramente che la mano di Draco che non era più visibile perché sotto le coperte era stretta in un pugno.
«Chi ha parlato? Chi è la complice?»
Hermione sospirò pesantemente, attirando lo sguardo inquisitore di Draco su di lei, che sembrava lievemente tradito dal suo esser restia a parlare: «Non sto cercando di nasconderti qualcosa, è che l’ho scoperto qualche ora fa, tramite un messaggio di Ginny. Lei e Daphne sono andata a confrontare la complice... che era la nuova fidanzata di Ron, il mio ex. La sua sfuriata di qualche mese fa a casa nostra era stata compiuta sotto l’effetto di una Maledizione Senza Perdono che aveva reso Ron un burattino, portandolo a rubare parte della mia ricerca. Penso che volessero sapere a che punto fossi nel porre rimedio ai loro danni.»
«Loro chi?»
Hermione chiuse le palpebre e tacque per qualche secondo, prima di ricominciare a parlare: «Pansy Parkinson, una tua compagna di Casa a scuola, e il suo fidanzato. Sono loro che ti hanno fatto perdere parte della memoria.»
La mascella di Draco era tesa ed era certa che gli avrebbe fatto male di lì a qualche minuto, se fosse rimasta così: portò istintivamente un braccio attorno alla sua vita, tralasciando il fatto che l’uomo che amava era così concentrato nel pensare ai due malfattori dal saltare su non appena ebbe percepito il calore di lei sul suo corpo «Non sono stati ancora trovati, ma da quello che mi ha detto Harry in un messaggio che mi ha mandato in seguito a quello che avevo ricevuto da Ginny, l’indagine sul tuo caso è stato riaperta e li stanno attivamente cercando. Se dovessero uscire allo scoperto, dovrebbero trovarli.»
«Perché Harry dovrebbe averti detto questo?» lo sguardo che Draco le aveva rivolto in quel momento era puramente confuso.
«Non ha mentito quando ti ha detto che lavoro fa. È di fatto una specie di poliziotto... ma del mondo magico. E si occupa lui, ora, del tuo caso.» spiegò Hermione, annuendo.
«Che strano mondo.» si limitò a commentare Draco dopo qualche minuto che avevano passato in silenzio, avvicinando Hermione a sé e lasciandole un bacio sui capelli «Come minimo, dopo avermi dato tutte queste cattive notizie, dovresti farmi vedere qualcosa di bello. Non so, qualcosa come qualche magia
Sembrava essergli tornato il buon umore, nonostante era palese che parte di lui stava ancora pensando a immagazzinare tutte quelle notizie che aveva appreso. Al che Hermione decise che era meglio che non ci pensasse, per il momento, e pretese la sua completa attenzione piazzandosi sopra al biondo, che alzò un sopracciglio, perplesso «Che razza di magie hai intenzione di fare, Granger?»
«Magie del tutto babbane, Malfoy. Poi magari potrò considerare l’idea di mostrartene qualcuna più convenzionalmente magica.» si avvicinò alle sue labbra con un sorriso del tutto furbetto, che venne accolto da quello di Draco altrettanto maliziosamente, prima che si decidesse a farla ribaltare sulla schiena in un movimento repentino, che causò l’emissione di uno squittio da parte della ragazza.
Nyx era saltata giù dal letto qualche secondo prima: tutto quel movimento su quello che lei aveva già ribattezzato come il suo materasso la infastidiva terribilmente; allora decise che sarebbe andata a cercare il suo compagno di giochi e magari a rubargli il cuscino.

Daphne aveva preso la metropolitana in piena ora di punta per arrivare al Ministero della Magia durante la sua pausa pranzo, e quel dannatissimo Potter non si faceva trovare nell’ufficio. Era pronta, bacchetta alla mano, per far passare i ricordi dalla sua testa in una boccetta del ministero, e quel maledetto Auror ancora non si era palesato.
Era seduta su una delle sedie oltre la sua scrivania, e tamburellava con un piede sul parquet dell’ufficio: quando Harry entrò non si accorse della sua presenza.
«Porco Salazar!»
«Hai una capacità osservativa davvero bassa per essere un Auror.» commentò secca lei, rivolgendogli un’occhiata perplessa «E ora muoviamoci, dammi la boccetta, così ti do i miei ricordi. Sono venuta qui perdendo la mia pausa pranzo, oggi.»
«È anche la mia, di pausa pranzo!» esclamò lui, inalberandosi.
Daphne roteò gli occhi e sbuffò: «Ma tu lavori qui! Io devo prendere la metro e tornare a Canary Wharf!»
«Non puoi materializzarti?» ribatté lui, andando a prendere il necessario per la deposizione dei ricordi.
«Già devo fare questo incantesimo particolarmente impegnativo, poi, se non ci hai fatto caso, vengo da quattro ore di lavoro impegnativo, e tra mezz’ora devo essere in ufficio. Finirò per mangiare te, Potter.» la nemmeno troppo lieve minaccia arrivò al destinatario mentre quello le porgeva la boccetta, e lei afferrò la bacchetta.
«Ricordi ancora come fare?»
«Potter, sono ancora una Purosangue.»
«Che vive nel mondo babbano da nove anni.»
«È un incantesimo che uso spesso. Per mettere da parte tutti i nostri ricordi migliori, se la nostra memoria dovesse perdere tacche.» Harry sapeva che si riferiva al gruppo delle Serpi, eppure non poté non sorridere: ormai, di quel gruppo facevano parte anche Hermione, Luna e Ginny. Ed era felice che si trovassero con persone indubbiamente leali.
Qualche minuto dopo Daphne gli porse la boccetta piena di liquido argentato: «Chi manca?»
«Ron. Ma dovrebbe arrivare a breve. So che ha richiesto un permesso per poter visitare Maggie.»
Daphne roteò platealmente gli occhi e sbuffò: «Voleva essere più tradito di così? Grazie a lei è stato vittima di un Imperius, e ancora vuole vederla?»
«È ancora la sua ragazza...» commentò Harry, non volendo esporsi troppo: in realtà dava ragione a Daphne, ma questo a Ron non l’avrebbe ammesso.
«Abbastanza merdosa, se posso dire la mia.»
«Andale, andale, Greengrass!»
Daphne era già sulla porta, ma si voltò accigliata per guardare Harry: «Stai citando Speedy Gonzales o mi stai esortando in spagnolo? E sappi che trovo entrambe le cose inquietanti.»
«Stavo citando Speedy Gonzales. Come ben sai, sono comunque vissuto nel mondo babbano.»
«Arriba arriba.» commentò la ragazza, rivolgendogli un’ultima occhiata perplessa e chiudendosi dietro la porta.
Harry sorrise e scosse la testa: ora era pronto a mangiare il suo triste pranzo alla scrivania.

Ron Weasley sedeva nella sala d’attesa del Dipartimento Auror, non riuscendo a tenere le gambe ferme dal nervosismo. Stava aspettando che qualcuno lo conducesse alle celle temporanee, ma nessuno dava cenno di avere un momento libero per effettivamente ottemperare alle sue richieste. E poi c’era una ragazza dai capelli biondo topo che gli lanciava occhiate da qualche sedile più in là ripetutamente, come se sapesse chi fosse.
«Cosa?!» sbottò lui, non potendone più di incontrare lo sguardo incuriosito di quella ragazza ogni pochi secondi.
«Potresti rivolgerti con un po’ più di educazione, Weasley, ai vecchi compagni di scuola.» il tono altezzoso del rimprovero gli ricordava impossibilmente quello di Daphne: ma quella ragazza era più piccola e diversa dalla Greengrass «Sono Astoria. La sorella di Daphne.»
«Oh. Che ci fai qui?» non la ricordava proprio così.
«Aspetto Harry. Avevo appuntamento con lui a pranzo.» spiegò brevemente lei, abbassando lo sguardo sulla borsa posata sulle gambe.
«Con Harry... Potter? Qui?!» si era perso qualche pezzo della storia? Harry e Astoria? Come si erano conosciuti?
«Tu?» chiese semplicemente, glissando le sue domande retoriche e alzando il capo lievemente, facendogli un cenno.
«Cerco di capire se posso incontrare Maggie.»
«Ma non l’ha arrestata, Harry? E poi non ti ha tradito?!» come Daphne, anche Astoria non doveva avere molti peli sulla lingua.
«Non è così facile.»
«Se finissi per colpa del mio fidanzato sotto Imperius sì, sarebbe così facile per me.» ribatté quella, rivolgendogli un’occhiata perplessa – e lievemente altezzosa.
«Come lo—Ah, sarà stato Harry.» stava per chiedergli come lo sapesse, ma data la relazione stretta – a quanto pareva – che c’era tra quei due, doveva essere per forza stata colpa sua.
Astoria annuì impercettibilmente: «Che hai da dirle? Devi lasciarla?»
Ron scosse la testa, e si rese conto di non sapere nemmeno perché fosse lì: voleva vederla. Non sapeva neanche cosa le avrebbe detto, ma sapeva che voleva vederla.
Una porta che si apriva, alle spalle di Ron, attirò l’attenzione di Astoria, che saltò su e salutò qualcuno con la mano «Devo andare. Ci si vede, Donnola!»
Vide solo la gonna della Greengrass piccola scomparire dietro la porta dell’ufficio di Harry che si chiudeva, prima di alzarsi e decidere di affrontare qualcuno per chiedergli dell’incontro: non avrebbe risolto nulla se fosse rimasto ad aspettare in sala d’attesa che qualcuno lo considerasse vivo – e in attesa di essere servito, o perlomeno aiutato.

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Capitolo 36
*** 35. How Big, How Blue, How Beautiful ***


Oh dear. E' il ritardo più imperdonabile che abbia mai fatto. Ma tra mancata ispirazione e cose da fare, non ho scritto nulla. Fino a oggi. Non è un capitolo di quelli che vi lasceranno a bocca aperta per le cose che accadranno, diciamo che è di passaggio... però ha qualche itty bitty part che è importante. Ed è un ritorno coi botti in tutti i sensi XD Buona lettura!







 





What are we gonna do? We’ve opened a door, now it’s all coming through
Till we see it too… We’ve opened our eyes and it’s changing the view.

A Hermione non era mai venuta in mente un’idea del genere prima di quel momento. Non sapeva quali sensazioni l’avessero portata a fare qualcosa di così diverso da sé. Sapeva di averlo deciso impetuosamente, ma in quel momento si sentiva orgogliosa e potente, mentre era sopra Draco e dettava lei il ritmo.
Lui era pigramente disteso, con le braccia incrociate dietro la testa, e la sua espressione era divertita, maliziosa e oltremodo ammirata, mentre la osservava da lontano e lei faceva tutto il lavoro.
«Sembri una bellissima valchiria noncurante, perché altre volte che te l’ho proposto non sei mai stata così... così?» fece come per indicare qualcosa di non meglio definito all’altezza del busto di lei, che, doveva ammettere, si sentiva sicuramente come una valchiria. Ciò non toglieva che Draco avesse dovuto pensare ad altro, o semplicemente non pensare.
«Taci, Malfoy!»
«Se continui così potrei anche diventare disposto a provare un po’ di BDSM!»
«Sta’ zitto!» la faceva ridere. Lei si sentiva potente e lui la faceva ridere, nonostante la particolare posizione in cui si trovassero.
«Sì, mia valchiria.» Malfoy si stava divertendo troppo per il suo bene. Non che fosse vietato fare sesso e divertirsi, ma sicuramente se fosse stata lei a dettare le regole avrebbe vietato questo tipo di divertimento. Probabilmente la sua ammirazione scanzonata avrebbe dovuto farla sentire ancora meglio, ma la stava mettendo particolarmente a disagio.
«Sì ma ti vedo pensare, quindi devo assolutamente intervenire.» Hermione non aveva sentito nemmeno la parte finale della frase, quando se lo ritrovò seduto contro di lei, che la coinvolgeva in un bacio che aveva, tra le altre cose, bloccato i suoi pensieri che potessero avere una qualche logica e spronata a fare sua quella spavalderia che generalmente non le apparteneva ma che aveva avuto fino a qualche secondo prima.
Piantò meglio le ginocchia contro i fianchi di Malfoy, sentendosi molto più a suo agio contro di lui: aveva notato più di una volta che, se si trovavano così vicini, il suo corpo reagiva istintivamente a quello di Draco. Era tutto più veloce, intenso e sicuramente senza pensieri – qualcosa che Draco sembrava amare particolarmente.
Quando venne e riaprì gli occhi, si ritrovò lo sguardo inquisitore soddisfatto di Draco a pochi centimetri dal suo: poi notò il sorrisino del compagno, che la abbracciava ma sembrava non poter evitare di sorridere con soddisfazione.
Sentì di dover dire qualcosa, se non altro motivata dal bisogno di avere l’ultima parola – non che Draco avesse fatto qualcosa di male, anzi – «Grazie per l’accortezza.»
Malfoy scoppiò a ridere e, data la vicinanza, lo sentì fisicamente sussultare dalle risate «Questa non l’avevo mai sentita.»
«Per avermi aspettata!» esclamò spazientita lei, sebbene avesse preferito mantenere la compostezza che aveva appena conquistato. Ma Draco sembrava sguazzare felice nel disagio che le causava quando le faceva complimenti così, e allora continuò: «Granger, non mi sarei mai privato del mio spettacolo erotico personale.»
Lo faceva apposta, a farla arrossire: in certi atteggiamenti, era ancora il borioso ragazzino che si divertiva a prenderla in giro. Notava, però, che lo faceva con un fine decisamente diverso: non era derisorio, ma cercava in tutti i modi di buttare giù quella sua perenne ricerca di compostezza, ogni volta che la perdeva. Sapeva che il messaggio che voleva trasmettere era che poteva essere libera e selvaggia, perché nessuno le avrebbe detto nulla, anzi: nonostante tutto, però, cercava istintivamente la compostezza. Ma per lei era già stato un passo notevole perderla. Prima non l’aveva mai persa, nonostante avesse avuto la sua giusta quota* di orgasmi. Nessuno le aveva mostrato che poteva semplicemente fare qualcosa e non pensarci troppo su, ed era ciò che si ritrovava a provare spesso con Draco, in tutti i campi.
«Granger, vedo gli ingranaggi del tuo cervello in azione. A che stai pensando?»
Lei rispose scuotendo la testa e facendo spallucce: era un discorso troppo lungo da iniziare, e lei stessa non ci era arrivata alla fine.
«D’accordo, visto che non vuoi dirmelo, ti fornisco il mio ultimo consiglio imbarazzante: sii la mia potentissima valchiria orgogliosa, sicura e a tratti noncurante in tutti gli ambiti. Però ti prego, non cavalcare nessun’altro così.»
«Malfoy!» lo squittio di ribellione che aveva lanciato aveva fatto sorridere soddisfatto Draco, mentre Hermione diventava rossa d’imbarazzo e si portava le mani sul viso.
«Oh, dai, Granger! Non ci sta guardando nessuno. Non devi essere imbarazzata dalle mie richieste
Hermione gli rivolse un’occhiataccia, mentre lui si allontanava verso il bagno: poi si fermò, come se fosse stato colto da un pensiero improvviso che meritava tutta la sua attenzione.
«Cosa c’è?»
Fu così repentino nel tornare vicino al letto e prenderla in braccio per portarla con sé che Hermione lanciò un altro squittio di protesta: «Non potrei mai lasciare una ragazza imbarazzata sola in camera, no, no. Quindi ti porto con me.»
«In bagno.» il sopracciglio alzato di Hermione rappresentava perfettamente il suo essere restia a credergli «A fare che?»
«La doccia, ovviamente! Non dovrai farla anche tu? Tanto vale risparmiare acqua e farla insieme. È per l’ambiente!» Draco sbatté le ciglia da cerbiatto e la lasciò atterrare con i piedi sul pavimento piastrellato del bagno, mentre quella lo osservava sbattendo le palpebre, incredula – ma non riuscendo a trattenere un sorriso «Per l’ambiente, ovviamente.»
«Assolutamente sì! Dubiti delle mie buone intenzioni?» la sua espressione faceva invidia agli occhi dolci del gatto con gli stivali di Shrek, mentre allungava il braccio fuori dalla doccia.
«Sempre, Malfoy, sempre.» rispose quella, guardando col sopracciglio alzato la mano dell’uomo che la osservava, in attesa di una sua risposta.
«Ne sono addolorato!» esclamò affettatamente il biondo, afferrando la mano che Hermione gli aveva porto e tirandola dentro la doccia, esibendosi nel suo migliore sorrisone soddisfatto a trentadue denti.

Draco era stato trascinato in quella che i suoi amici chiamavano – a quanto pareva – la Londra magica e non sapeva ancora quale sarebbe stata la loro destinazione finale. Si era sentito, però, non poco osservato. Specialmente insieme a Hermione, quando si tenevano per mano. Aveva anche notato di essere stranamente circondato da ogni lato dagli altri: Daphne e Charlie da un lato, Ginny e Blaise dall’altro, e Theo e Luna dietro di loro. Oh, e Angharad faceva da apripista: ma questo non lo sconvolgeva più di tanto, Angharad era un’esploratrice nata. Quando si trattava di camminare insieme ad altre persone era sempre quella che andava avanti da sola – o al massimo con un’altra persona: era fatta così, e lui ormai si era abituato da anni. Ma lo strano schema che sembravano star seguendo gli altri, insieme agli sguardi non amichevoli della maggior parte delle persone che lo guardava, gli facevano sentire la mancanza della sua Londra: quella che sarebbe stata considerata babbana, ma dove nessuno lo considerava meglio o peggio di quello che era.
«Posso sapere dove mi state portando? E perché Angharad sa la strada?» la risposta alla seconda domanda, pensò Draco, sarebbe stata probabilmente la più interessante. Quella ragazza sapeva sempre dove andare.
«Ho ovviamente studiato la mappa, Draco. E no, non ti dico il posto in cui ti stanno portando!» rispose la diretta interessata, voltandosi per sbattere sadicamente le ciglia nella sua direzione.
Hermione gli strinse la mano che era intrecciata alla sua, come per suggerirgli che non sarebbe mancato troppo tempo: si era accorta degli sguardi furtivi della gente interessata e dell’imbarazzo di Draco, nonché del suo essersi reso conto di come i suoi amici lo circondassero.
«Siamo quasi arrivati!» decise di cercare di alleviare il suo senso di spiacevole confusione, sebbene quello sembrò non vacillare: quando svoltarono alla destra della Gringott si tramutò addirittura in confusione pura.
«Music Alley? Oh signore, ho appena capito!**» ora il suo sguardo era semplicemente sconsolato.
Hermione gli tirò una leggera spallata: «Su, la meta è vicina.»
«I nomi di queste strade sono imbarazzanti. Più imbarazzanti di quelli di alcune città babbane.»*** replicò Draco, alzando gli occhi al cielo e fermandosi di fronte a un portone di legno dopo essere quasi andato a sbattere contro Angharad, la quale si era fermata lì davanti all’improvviso, senza avvisarli.
Le sopracciglia di Draco sembravano avere vita propria mentre quegli leggeva il nome del locale: «Dove diavolo mi avete portato?! Tarantallegra? Che roba è?»
«Taci ed entra, Malfoy!» Ginny lo spinse letteralmente attraverso la porta che Angharad aveva appena aperto, curiosa.
Hermione rivolse un’occhiata quasi ammonitoria a Ginny: erano d’accordo che non l’avrebbero eccessivamente spinto nel mondo al quale apparteneva ma del quale non ricordava nulla. E poi lo seguì all’interno.
La musica era assordante tanto quanto lo sarebbe stata in un locale babbano di sabato sera: solo che quella sera lì erano le Weird Sisters a suonare, e nonostante fossero più vecchie rispetto ai loro anni d’oro avevano ancora un discreto successo.
Angharad si guardava intorno stupita e curiosa, fissando tutto ciò che levitasse o che sembrava anche solo lontanamente magico. Poi ritornò con lo sguardo sulla sua combriccola, che aveva di poco superato l’entrata, e circondò con entrambe le braccia le spalle di Daphne e Theo: «Lo sapete che adesso dovrete farmi provare i vostri drink, vero?»
Il viso di Blaise s’illuminò all’istante, voltandosi a guardare il resto dei vecchi amici: «Ho sempre sognato di potermi bere un Firewhiskey con Angharad! Devo sapere se regge anche quello!» si avvicinò a Draco e iniziò a scuoterlo per le spalle «Dobbiamo iniziare con questo!»
«Fai pure strada. Proviamo ‘sto Firewhiskey.» Draco indicò una direzione a caso, rivolgendo un’occhiata a Hermione «Vi ritroviamo qui tra cinque minuti? O vieni?»
«No, vai pure con loro. Questa bevuta mi sembra giusto che sia con loro.» commentò Hermione, sorridendogli come per invogliarlo ad andare. L’ultima occhiata che Draco le aveva rivolto sembrava perplessa.
«Che tipi.» commentò Ginny, appoggiandosi al fratello, mentre Luna sorrideva sotto i baffi «Come ci siamo ritrovati a questo punto?»
«Hai iniziato ad andare a letto con Blaise, così ci siamo ritrovati qui.» rispose proprio Luna, facendo scoppiare a ridere Hermione e scuotere la testa a Charlie, che aveva un limite di cose che non voleva sapere della sorella da non superare, ma che in quei mesi che aveva iniziato a frequentare Daphne erano stati quasi tutti irrimediabilmente superati.
«Sì, effettivamente non hai tutti i torti.» annuì Ginny, dando ragione alla sua migliore amica con praticità: non obiettò nemmeno all’essere diventata l’oggetto della discussione, ormai lei e Blaise erano abituati.

«Sogno questo momento da anni.» Blaise aveva ordinato cinque cicchetti di Firewhiskey – ed era rimasto fortemente stupito quando aveva scoperto che anche lì erano arrivati i cicchetti, avendoli lui scoperti, all’epoca, nel mondo babbano.
«Noto con piacere che la tua solennità in momenti di fondamentale importanza non cambia mai.» Draco alzò entrambe le sopracciglia, sorridendo nonostante tutto: qualcuno gli aveva rivolto qualche altra strana occhiata, ma Blaise non gli aveva fatto pensare al perché, poiché non poteva esimersi dal rispondere sarcasticamente all’amico che usava quel tipo di tono solenne solo per occasioni del genere – che le persone comuni non avrebbero mai considerato atipicamente importanti.
«Angharad è babbana. E ora posso batterla. Vincerò io, lei sarà stesa sul pavimento del bagno domattina!» aveva un tono quasi sognante.
«Zabini, è una sfida?» un sopracciglio di Angharad si sollevò automaticamente verso l’alto, come se avesse vita propria.
«Ovviamente! Facciamo babbana versus mago, possibilmente senza farlo sapere in giro perché ho paura che ci caccino sennò...» aggiunse dopo qualche secondo, mentre Daphne e Theo, che li osservavano, scuotevano la testa contemporaneamente.
Draco afferrò il suo cicchetto: «Allora, in questo posto si dice “Alla salute”?»
«Dra’, non farti troppe pare.» lo riprese Daphne, afferrando il suo cicchetto e portandolo verso l’alto «Sláinte
«Sláinte!» risposero tutti all’unisono prima di bere, eccetto per Angharad, che brindò orgogliosamente in modo diverso: «Iechyd da
«Angharad!» esclamò Daphne, rivolgendole un’occhiataccia dopo aver buttato giù il Firewhiskey.
«Cosa?! Io sono gallese! Che ne so perché diavolo brindate in gaelico scozzese voi?!» ribatté la ragazza, ordinandone altri due – probabilmente per lei e Blaise, visto che non avrebbe mai rifiutato la sfida di quest’ultimo.
«Prima di tutto, perché è il più bel “alla salute” delle isole,» iniziò Daphne, con tono quasi saccente «E poi perché è come abbiamo sempre brindato a Hogwarts, con l’alcol che facevamo arrivare a scuola con il nostro giro clandestino.»
Draco fece spallucce: «Io ho improvvisato, ho sentito Sláinte, ho risposto Sláinte. Purtroppo, non ricordo... però, dovevamo essere fighi se avevamo un giro clandestino?...» il tono era stupito.
L’espressione saccente di Daphne si tramutò in un sorriso agrodolce: «Sì, fino al quinto anno eravamo dei gran fighi.»
«Oh, non farmi commuovere ripensando ai bei tempi andati, devo vincere una sfida, io!» il tono forzatamente affettato di Zabini era diventato tagliente alla fine, mentre lui e Angharad afferravano contemporaneamente i rispettivi cicchetti: «Sláinte
Theo tirò una leggera spallata a Daphne, che sembrava persa nei pensieri: «Siamo in un posto migliore ora. Nonostante possa sembrare assurdo il come ci siamo arrivati.»
La ragazza annuì, più sicura: aveva ragione. Per certi versi, la maledizione che aveva colpito Draco era stata una benedizione per tutti loro. Nonostante le faide familiari di alcuni e l’immersione completa nel mondo babbano che prima non avevano mai capito, a tratti disprezzato.
«Sono più che sicuro che questi due ne avranno per molto» s’intromise Draco, alzando gli occhi al cielo e indicando Blaise e Angharad «Torniamo dagli altri?»
All’annuire di entrambi iniziò a muoversi, cercando di ritrovare l’entrata.
Però, era buono quel Firewhiskey. Il suo palato sembrava ricordarlo, e gli piaceva, nonostante fosse innegabilmente forte.

Quando finalmente si riunirono tutti, la serata aveva ormai ingranato: Ginny rivolse un’occhiata perplessa a Blaise e Angharad, che erano ritornati abbracciati come due vecchi amici ubriaconi.
«Oh, wow. Futuro marito, credevo fossi collassato da qualche parte» commentò la rossa, alzando entrambe le sopracciglia.
«Oh, è collassato. E ho vinto io! Cinquanta punti a Corvonero!» Angharad era fortemente brilla e l’ultima parte della frase l’aveva urlata – tanto che diverse persone lì intorno si erano voltate a guardarla perplessi. Il rutto decisamente poco elegante che aveva accompagnato la frase causò una reazione in Ginny, la stessa che solitamente le causava Blaise: le sopracciglia arrivavano quasi a toccare l’attaccatura dei capelli e spostava lo sguardo dall’uno all’altra «Non mi stupisco che siate amici, decisamente in questo ambito ciò non mi stupisce...» scosse la testa e passò un braccio intorno alla vita di Blaise, che sorrideva come un ebete ed era contemporaneamente afflitto dalla sconfitta.
«Non posso crederci!» squittì Angharad, indicando un punto imprecisato sopra di loro «Questa è “Sweet Dreams Are Made of This”! E parla di alcune pozioni! Hanno adattato una canzone degli Eurythmics alla vostra roba magica! Che cosa fottutamente fantastica!»
L’aveva nuovamente urlato, e alcune persone lì intorno si erano voltate a guardarla sconvolti, mentre lei si dirigeva ballando come una pazza verso la pista, completamente ignara: i due Weasley presenti la osservavano particolarmente perplessi, mentre gli altri erano sinceramente divertiti.
«Vado a darle un’occhiata» dichiarò Charlie, ancora più perplesso non appena vide la babbana gallese indicare delle bolle d’acqua levitanti sopra la sua testa. Lasciò il braccio di Daphne, che ridacchiava e annuiva contemporaneamente, e si allontanò.
«Posso ammettere con facilità che almeno qualcuno si sta divertendo.» dichiarò Draco, sorridendo alla vista di Angharad, completamente diversa in mezzo a quella folla apparentemente piena di maghi – e di maghi che non ricordavano di esserlo, aggiunse tra sé e sé.
«Tu no?» chiese Hermione, preoccupata: non era sicura di quell’uscita. Blaise, Daphne e Ginny pensavano sarebbe stata una buona idea, lei non ne era mai stata sicura. E sapere che lui non si stava divertendo non faceva che renderla più sicura della sua tesi.
«No, non è quello... non fraintendermi, è un posto carino. E vedere Angharad così è divertentissimo,» continuò ridendo e osservando la ragazza in questione che veniva quasi placcata da Charlie, mentre quella cercava di afferrare una fiammafredda che aleggiava sopra la sua testa «Credevo sarebbe stato peggio. Però mi sento osservato, e gli sguardi sono o curiosi o ostili. Non sono a mio agio qui. Preferirei mille volte il Fabric!»
Sentire di Malfoy più a suo agio in un club babbano che non in uno magico anni prima l’avrebbe completamente sconvolta, ma da quando si era avvicinata a lui e aveva iniziato a capirlo davvero... non poteva che accettarlo. L’aveva capito: ormai Londra era la sua casa. E non quella magica.
«Non è una serata tutta da buttare però, no?» rispose Hermione, circondandogli la vita con un braccio e posando la testa sulla sua spalla destra.
«Oh, no, assolutamente no. Devo comprarmi delle bottiglie di Firewhiskey e fare ubriacare Angharad da noi. Il prossimo sabato sera sarà questo il mio obiettivo. Guardala, è assurda!» indicò la babbana in questione, che ormai aveva quasi iniziato a picchiare Charlie per liberarsi della sua presa, mentre quest’ultimo faceva davvero fatica a non affatturarla per farla stare ferma e buona.
Hermione rise: «Generalmente condannerei un comportamento del genere, ma è buffissima. Angharad brilla è un piacere per l’anima.»
«Ditto!» concordò lui, sorridendo in direzione della pista da ballo.
«Oh Merlino, finirà per affatturarla sul serio!»
Draco e Hermione videro Daphne che passava loro accanto e si buttava nella marmaglia di gente presente sulla pista, puntando il suo ragazzo e la sua migliore amica, che ancora si stavano malmenando – o quasi – lì in mezzo a tutti. Sì, decisamente non potevano far altro che ridere, da spettatori a quella scena.

Era sorprendentemente facile passare i controlli di Azkaban, anche solo con una Polisucco e cambiando bacchetta. Nessuno aveva neanche solo lontanamente pensato che quella potesse essere lei.
E nonostante fosse davvero contraria a quell’incontro per lei pericoloso in quel momento, non avrebbe potuto rifiutarsi o non presentarsi. Inoltre, quei controlli e quella vicinanza al pericolo le aveva dato una scarica d’adrenalina che non provava da tempo – da quando era entrata in casa di Ron e Maggie per colpire la Donnola con l’Imperius, precisamente.
Non sapeva perché aveva fatto qualcosa di così rischioso, chiamandola lì: per lei e per lui. Erano anni che non riceveva visite. Qualcuno avrebbe preso nota di quella che sarebbe avvenuta a breve, e l’avrebbero riferito a chi di dovere. Che diavolo doveva dirle?
Quando arrivò alla sala addetta agli incontri con i civili, inspirò profondamente: la porta venne aperta da una guardia e lei vi entrò. Lo individuò subito.
«Va tutto bene?» si sedette di fronte a lui.
L’uomo annuì, con un ghigno stampato sulle labbra.
«E allora perché sono qui?»
«Perché devo farti capire qualcosa che secondo me non ti è chiara. Deve accadere, presto. Trova il modo, fa’ la pozione, e mettiti in moto. Il momento è arrivato.» dichiarò quello, solennemente.
«Non potevi dirmelo per messaggio???» Pansy era furiosa: non si rendeva conto che era un rischio per lei, essere lì? Ed era lei quella che faceva tutto: lui era rinchiuso in una dannatissima prigione!
«No. E ricorda che senza il mio supporto non avresti concluso niente. Quindi, vedi di darti da fare. Sia tu che quell’essere inutile di Aljeik.»
Avrebbe voluto tirargli uno schiaffo, ma non poteva.
«Va bene. Posso andare ora?»
L’uomo annuì, rivolgendole un’occhiata di ghiaccio: «Devono soffrire tutti. Ricordatelo.»
Pansy non lo stava guardando più negli occhi e si stava dirigendo verso la porta, ma annuì: era certa che quell’uomo viscido avrebbe colto il suo movimento del capo.






*“fair share”. Inizio a pensare che dovrei davvero scrivere direttamente in inglese
**Come Diagonally e Nocturnally, ho pensato di inventare un'altra strada che però ricorda la parola “Musically”, e magari lì ci sono tutti i pub, locali con musica, etc... insomma, dovranno essersi modernizzati nei passatempi pure i maghi, no?
***Si riferisce ad alcune città inglesi, ora non ricordo specificatamente i nomi, ma sono diverse città che portano nomi che sono parolacce XD

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Capitolo 37
*** 36. Wide Eyes ***


Okay, sappiate che sono stupita anche io. So che avrei dovuto postare prima, ma tra la OS Dramione, il viaggio e tutto... alla fine non ho scritto nulla. Tranne ieri sera, che mi sono messa d'impegno e ho scritto tutto di filato questo capitolo. E' più o meno di passaggio... Scoprirete il perché. Spero vi piaccia nonostante tutto! Buona lettura!








   
36. Wide Eyes 
 
Well, I’ve not seen Alaskan white, and I’ve not seen Tokyo by night
And I’ve not seen the northern lights, but I’ve seen your wide eyes tonight.
And I’ve not done all I could have done, and I have walked when I could have run
And I have lost all I could have won, but your wide eyes reflect and move on.
I have found a hole in my coat, I have found a lump in my throat
I have laughed at all my own jokes, but your wide eyes are like water to a boat.
I have never packed my case, gone underground or out into space
When my gaze rests heavy on your face, well, your wide eyes are my favourite place
Yeah, your wide eyes are my favourite place.

Hermione era seduta con le gambe incrociate sul divano e osservava lo schermo del suo computer aggrottando la fronte ogni trenta secondi, mentre Nyx, stesa contro la sua gamba destra, le ricordava gentilmente che avrebbe dovuto coccolarla e non lavorare. E la sua umana, con gli occhiali sul naso e la coperta sulle spalle, le grattava frettolosamente il pancino, lasciandola insoddisfatta.
«Lo sai che ti pianterà il muso se non le dai le dovute attenzioni, vero?» Draco la osservava dal tavolo del soggiorno, che era occupato dal suo MacBook Pro e una caterva di fogli che si era portato da lavoro: erano così tanti che non poteva stare accanto alla sua ragazza sul divano e occupare tutto il tavolino basso lì davanti – dove lei, puntualmente, lasciava le tazze di tè o caffè semivuote dopo che aveva finito di bere... o si era scordata di finirle.
«Sì, è come il suo esigente umano» rispose lei, senza staccare lo sguardo dallo schermo del suo computer portatile «Evidentemente ha passato troppo tempo con lui.»
«Beh, lei vive qui. E tu, tecnicamente, no.»
«Praticamente sì, però.» rispose Hermione, sollevando lo sguardo dal laptop per rivolgere un’occhiata perplessa, con tanto di sopracciglio alzato, all’uomo.
«Sì, ma tecnicamente no.» Draco si era alzato e aveva sceso gli scalini che portavano al salotto, raggiungendola sul divano con un sorriso mellifluo che aveva un qualcosa di preoccupante.
«Cosa stai suggerendo, Malfoy?»
«Beh, stavo pensando... Visto che stai praticamente qui ventotto giorni al mese... perché non tramutarli in trentuno?» il ghigno contento non accennava a sparire dal volto dell’ex-Serpeverde, che ora la guardava risolutamente negli occhi.
«Mi stai chiedendo di trasferirmi qui?» Hermione alzò un sopracciglio: non credeva ce ne fosse bisogno, di fatto viveva lì. Il suo guardaroba era tutto lì, eccetto per quelle poche pezze che erano a casa. La roba di Nyx e Nix era lì – il suo materiale di lavoro era ormai lì. La bacchetta era lasciata ovunque per casa in bella mostra... però, era anche vero che non aveva senso continuare a pagare un affitto in più se tanto viveva lì.
«Beh, sì. Se ci pensi, è la soluzione più sensata: non dovresti tornare a casa a fare il bucato, non dovresti pagare un affitto in più, e poi qui c’è tanto spazio... e ci siamo io, Nyx e Nix!» poco ci mancava e Draco avrebbe iniziato a sbattere le ciglia in modo da ammaliarla, nonostante sembrava stesse cercando di venderle delle opzioni sulle azioni.
«Prima di tutto, questo tuo atteggiamento mi fa pensare che tu stia cercando di vendermi qualcosa che c’entra con il tuo lavoro» commentò Hermione, sorridendo con un sopracciglio ancora alzato «Inoltre, di fatto vivo qui. Non torno più a casa a fare il bucato. Sono... beh, ventotto giorni che non torno a casa. Li hai contati?!»
Il biondo annuì, con il sorriso a trentadue denti del quale non sembrava in procinto di liberarsi «Beh, sì. Ovviamente.»
Hermione si voltò a guardare il muro di fronte a lei: li aveva contati. Stavano la maggior parte del mese assieme, eppure lui aveva contato i giorni in cui era stata a casa sua.
«Okay.» rispose automaticamente, voltandosi a guardarlo negli occhi «Sabato prossimo andiamo a impacchettare tutto?»
«Va benissimo per me!» Draco non accennò a lasciare che il suo sorriso si riducesse, e le passò un braccio attorno alle spalle, per poi rimettere il volume alla TV.
«Non so se te ne sei reso conto, ma sto lavorando!»
«Sì, lo stavo facendo anche io. Ma ci stiamo trasferendo ufficialmente insieme e voglio festeggiare.»
«Con TV e cibo d’asporto? Wow, festeggiamenti seri!» ribatté la ragazza, abbassando lo schermo del portatile e accogliendolo sotto la sua coperta, per poi accoccolarsi contro di lui.
«Se vuoi possiamo anche metterci in ghingheri e uscire a cena fuori, ma dubito che...»
Hermione non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase: «No, fa freddo fuori e poi ha più senso stare qui!»
Draco sorrise sardonico: «Sì, ti conosco, Granger.»
«Lo so.» rispose quella, osservando l’uomo accanto a lei e non la televisione di fronte a loro «E ne sono contenta.»
«Oh, bene, menomale! Credevo di dovermi trattenere e non leggerti nel pensiero
«Sai, lo sapevi fare.» ribatté quella, senza pensarci.
«Che?» rispose Draco, rivolgendole un’occhiata stralunata.
«Eri abile nell’arte della legilimanzia. Se per questo, anche in quella dell’occlumanzia.»
«Granger, stai parlando arabo per me, lo sai?»
«Sapevi leggere nel pensiero, se volevi. E nascondere i tuoi pensieri a chi voleva farlo a te, in pratica.»
«Davvero?! Questo si che sarebbe interessante da provare sui miei capi.»
Hermione ridacchiò: «Non puoi semplicemente andare e stregare in quel modo i babbani...»
«Peccato!» Draco arricciò il naso, tornando a rivolgere lo sguardo alla televisione «Allora ne farò a meno.»
Hermione continuava a osservare lui e non la tv.
«Che c’è?» se ne accorse anche Draco, e si voltò a guardarla «Ho qualcosa in faccia e non me l’hai detto? Sappi che non sono buone premesse per iniziare a vivere insieme...»
Hermione scosse la testa, emettendo una risatina divertita, prima di prenderlo letteralmente d’assalto, fino a spostarlo contro il suo lato del divano e facendo saltare giù Nyx, parecchio infastidita da quei movimenti repentini dei suoi due umani affaccendati a mangiarsi le rispettive labbra. Così, la gatta nera zampettò altrove, alla ricerca del suo fratello felino, che doveva essersi andato a cacciare ben lontano dai loro umani pomiciosi.

Ginny non si stava sentendo bene, per nulla. Era da quella mattina che abbracciava il gabinetto di uno dei bagni di casa di Blaise, aveva anche saltato gli allenamenti. E non riusciva a capire cosa avesse mangiato nei giorni passati che l’aveva fatta stare così male: dopotutto aveva mangiato le stesse cose che aveva mangiato Blaise, e lui stava benissimo.
Non appena Luna aveva saputo, era andata a trovarla: finito a lavoro, era corsa da lei. La sua migliore amica aveva uno strano modo di rendersi d’aiuto: per la maggior parte delle volte, la tranquillizzava da lontano, semplicemente stando seduta su un divano – o, in alternativa, sulla lavatrice in bagno – a leggere. Ma in quel momento era dietro di lei, che le manteneva i capelli, e questo doveva farle capire la gravità della cosa.
«Non riesco davvero a capire come mai Blaise non abbia preso questo virus intestinale. Io sto qui, in bagno da stamattina, o nel letto... e lui è tranquillamente a lavoro. Eppure abbiamo mangiato le stesse cose!» Ginny aveva abbassato tavoletta e copertura del WC e si era seduta sopra, posando il viso sulle mani chiuse a pugno, con le braccia posate sulle ginocchia. E no, non le era sfuggita l’occhiata pensierosa di Luna «Che c’è?»
«Beh... sei sicura che sia un batterio intestinale?» chiese semplicemente l’amica, candidamente.
«E cos’altro dovrebbe essere? Sto così da stamattina...» rispose la rossa, sbarrando immediatamente gli occhi quando qualcos’altro le venne in mente «Oh. No. No-no-no-no-no. No!»
«Beh, può capitare. Lo sai anche tu che qualsiasi metodo contraccettivo non è efficace al cento per cento...»
«No, non è semplicemente possibile. Siamo stati attenti!»
«Vuoi che ti vada a comprare un test alla farmacia più vicina?» Luna fece per saltare giù dalla lavatrice, ma Ginny alzò un dito indice: era più che certa che stava per fare “no” col suddetto dito, ma doveva di nuovo vomitare e così si era ritrovata in ginocchio, di nuovo pronta a piegarsi sul water.
«No, okay, rimango qui.» tornò a tenerle i capelli, lasciandoglieli solo quando quella alzò la testa dal wc.
«È impossibile.» dichiarò la rossa, sospirando profondamente «E non lo dico solo perché siamo stati cauti: sto sboccando da stamattina. Non ho mai sentito di nessuno che nei primi mesi di gravidanza si ritrovava a vomitare dalla mattina alla sera. È  semplicemente impossibile!»
«D’accordo, è improbabile. Ma da quando non ti viene il ciclo?» ripartì all’attacco Luna, mentre Ginny assunse un’espressione pensierosa.
«Beh, lo sai che non è mai stato regolare, il mio...»
Luna roteò gli occhi «Penso che tu debba comunque comprare un test. Per precauzione.»
«Ah-ha. È un’infezione intestinale, lo so!» dichiarò Ginny, prima di tornare nuovamente a riabbracciare il gabinetto. Luna alzò gli occhi al cielo e ritornò a sedersi sulla lavatrice: ne avrebbero avuto per molto.

«Passami le patatine, per favore.» Angharad era stravaccata sul divano di Daphne, mentre quella era seduta a gambe incrociate sul tappeto, gli occhiali addosso e il computer a trenta centimetri di distanza dal capo.
«Alzati e vattele a prendere, sto lavorando.»
«Sei antipatica.» ribatté l’amica, alzandosi e trascinandosi seccata dall’altra parte della stanza per prendere le suddette patatine.
«E tu una scansafatiche da quando hai finito la tesi! Quando è la cerimonia di laurea, così inizi a preoccuparti di quello che dovrai fare nella tua vita?»
«Ehi! Sto già mandando curricula!» ribatté la gallese, rivolgendole un’occhiataccia «Inoltre lo sai che sotto Natale preferisco stare in compagnia!»
«Sì, ma quest’anno mooolto di più. Diciamo pure che vedo più te che Charlie. E lui vive praticamente qui.»
Angharad le fece una linguaccia sentita, infilando la mano nel pacco di patatine e prendendone una francata.
«A proposito, quand’è che torni a casa?»
«A proposito di che?» ribatté la gallese, iniziando a lanciare le patatine in aria per cercare di prenderle con la bocca.
«Se continui a giocare così, o dovrò farti la manovra di Heimlich per evitare di farti morire soffocata, o mi sporcherai tutta casa. O entrambe, più probabilmente quest’ultima.» commentò Daphne, senza spostare lo sguardo dallo schermo del PC. Angharad infilò due patatine in bocca a mo’ di becco e iniziò a muoverle in direzione dell’amica, guardandola male.
Daphne le rivolse un’occhiata allibita e scosse la testa «E comunque, a proposito del Natale. Quando torni in Galles? Facciamo capodanno qui tutti insieme, no?»
Angharad fece spallucce: «Conto di partire il ventitré e tornare il ventisei. Così magari facciamo un po’ di shopping per il Boxing Day, che ne pensi?»
«Brava ragazza.»
«Hai già pensato a Capodanno?»
«Ugh.» il verso schifato di Daphne fu più che esplicativo, ciononostante Angharad non lasciò perdere, sebbene ridacchiando: «Mi rifiuto di andare in un club come gli altri anni. Adesso siamo tanti. Hai un fidanzato, avete tutti dei fidanzati/e! O ci piazziamo da qualcuno e festeggiamo, o andiamo a vedere i fuochi... o entrambe le cose! Dai, mi sono rotta dei club!»
«Anche di quelli magici?» la rimbeccò Daphne, ammiccando nella sua direzione.
Angharad roteò gli occhi: «Potrei farci un pensierino, su quelli magici, ma non penso che Draco sarebbe d’accordo.»
«Infatti.» convenne Daphne, digitando qualcosa sulla tastiera del PC «E comunque, la tua è una proposta interessante. La porterò al consiglio.»
Angharad le rivolse un’occhiata perplessa, con tanto di sopracciglio alzato: «Il che
«A Ginny. Io e Ginny siamo il consiglio. Decidiamo sulle feste.»
«Oligarchico, come metodo.»
«Beh, secondo Aristotele l’oligarchia è la degenerazione dell’aristocrazia, che tecnicamente sarebbe il governo dei migliori. Ergo, funzioniamo bene.»
«La parola chiave fallace del tuo discorso non dovrebbe proprio essere il fatto che è una degenerazione?» il discorso delle ragazze venne interrotto dalla porta di casa che si apriva, ma nessuno che salutava.
«Charlie?»
Sentirono diversi rumori provenire dall’ingresso, la porta che si richiudeva e nessuno che salutava: le due ragazze si guardarono perplesse. Si alzarono, Daphne con in mano la sua bacchetta e Angharad con la prima arma che si era ritrovata vicina: un libro enorme, che non era propriamente un’arma, ma lei la brandiva come tale.
Quando arrivarono nell’ingresso, si ritrovarono di fronte a una scenetta inusuale: Charlie che cercava di sgattaiolare in cucina senza farsi notare, che portava visibilmente qualcosa in una borsa, qualcosa che non voleva che loro vedessero.
«Che diavolo stai facendo, Charlie?» chiese Angharad, sollevando entrambe le sopracciglia.
«Eh. Che hai nella borsa?»
«Ehmmm...» la carnagione del rosso era anch’essa diventata rossa.
«Charles Weasley!» il tono di Daphne non sembrava più particolarmente affabile, ora. Angharad ne approfittò per avvicinarsi all’uomo e aprire la borsa, dalla quale spuntò la testa di un drago: «Daph, guarda che amore!»
«Oh, diamine, no!*» inveì la Greengrass, guardando il fidanzato con cipiglio arrabbiato: nel frattempo, Angharad prendeva in braccio il cucciolo di drago senza nemmeno considerare l’ipotesi che le potesse fare del male, e Charlie non sapeva cosa guardare, se la fidanzata che necessitava di una veloce e convincente spiegazione o l’amica della fidanzata, che stava maneggiando sconsideratamente un cucciolo di drago, il quale era appena finito appollaiato su una sua spalla.
«Guardatemi, sono Daenerys, la mamma dei draghi!» dichiarò quella, alzando le mani all’altezza del capo in un’improbabile posizione che sembrava rubata a un manuale di “Yoga for dummies” «Dovreste farmi una foto, sono stupenda!»
«Angharad, potresti lasciarci soli?» chiese Daphne, assottigliando gli occhi.
«Sì, avoglia!»
«No, in realtà non dovrebbe stare sola con un drago, non sa nemmeno—
Ma Angharad si era già chiusa in salotto.
«Charlie, che diavolo ci fa un drago in casa nostra?»
Raramente Charlie aveva avuto così paura di Daphne: normalmente quel sentimento lo riservava a Molly Weasley, quando era veramente arrabbiata. Ma, in quel momento, Daphne sembrava veramente arrabbiata, ai livelli di Molly Weasley.
«È un cucciolino! Ti prego, non farmelo riportare nella riserva, gli altri draghi lo isolano, e lui vuole solo coccole e amore! Solo per questo periodo, nel frattempo che la sua camera sia pronta!» riversò fuori l’uomo, in una vocina che non lo faceva assolutamente sembrare tale. Anzi, era terribilmente simile a quella che immaginava dovesse avere Ronald Weasley per la maggior parte del tempo.
Daphne assottigliò gli occhi fino a un punto davvero preoccupante, ma infine scrollò le spalle: «Solo per pochi giorni!»
«Grazie, ti adoro!»
«Sì, lo so. E me lo merito.» rispose la bionda, concedendogli l’abbraccio per il quale Charlie si era buttato verso di lei.
«Vooooola vola vola, piccolino!» sentirono entrambi provenire dal salotto.
«Dici che dovremmo rientrare, eh?»
«Sì, decisamente. Un drago e la Daenerys di noi altri potrebbero, con molta probabilità, distruggerti casa.» convenne Charlie, sbattendo le palpebre e aprendo la porta del salotto. Si ritrovarono di fronte a un’immagine oltremodo inusuale: Angharad che saltava su qualsiasi superficie per rincorrere il draghetto, il quale saltellava qua e là, aiutandosi sbattendo le piccole ali.

Draco si era appisolato contro la sua spalla destra e, nonostante si ritrovasse in una posizione scomoda, non accennava a muoversi: proprio come faceva quando Nyx o Nix le si addormentavano addosso. Quell’uomo aveva il sonno leggero proprio come i loro gatti, nonché la predisposizione a rivolgersi burberamente quando veniva svegliato contro la sua volontà.
Afferrò la bacchetta per allungarsi verso il suo laptop, poggiato sul tavolino lì davanti, e premere sul tasto di scorrimento verso il basso: una bacchetta era pratica anche senza dover fare magie. Era soddisfatta di quella scoperta, nonostante non fosse particolarmente illuminata.
Quello che accadde subito dopo non seppe spiegarselo appieno: l’unica cosa che ricordava vividamente era il salto che Draco aveva fatto dal divano non appena vide il Patronus di sua madre palesarsi davanti a loro per avvisarli.
Non che Hermione conoscesse, ovviamente, il Patronus di Narcissa Black in Malfoy: l’aveva capito da quello che le aveva detto. Perché il messaggio era diretto a lei, non a Draco. Draco era casualmente con lei, che stava dormendo sulla sua spalla beatamente, quando saltò su terrorizzato da quella leonessa bianco iridescente che aveva la voce di sua madre.
«Che diavolo è ‘sta roba?! E perché sta dicendo che mio padre è in ospedale?! Che diavolo di ospedale è ‘sto San Mungo?!» raramente aveva visto Draco Malfoy così alterato e spaventato contemporaneamente.
«Okay, Draco, vestiti. Dobbiamo andare al San Mungo, che è l’ospedale dei maghi. Si trova qui a Londra, arriveremo velocemente. A quanto pare, Lucius ha subito ustioni a causa dell’attacco di un Ashwinder, una creatura magica...»
«Che cos’è questa cosa bianca che parla con la voce di mia madre?» si limitò a chiedere, relativamente più calmo, Malfoy.
«Un Patronus, un modo di comunicare cose importanti velocemente e direttamente alla persona alla quale sono inviati. Dai, andiamo, dobbiamo raggiungere l’ospedale...» Hermione si alzò e fu seguita subito dopo da Draco, che stava stranamente borbottando qualcosa contro la madre, nonostante la situazione grave.
«Non poteva chiamare, no? Doveva usare un dannatissimo mezzo magico per avvisare Hermione e farmi portare lì da lei... Un cellulare, le ho regalato un cellulare, anni fa, mai che lo accendesse...»
Hermione voleva ridere: sembrava un vecchietto di quelli restii ad adattarsi e mettersi al pari coi tempi. Solo che non era né il luogo, né il momento adatto: prima o poi l’avrebbe preso in giro, magari dopo essersi informati sulle reali – e aggiornate – condizioni di salute Malfoy Senior.





*"OH HELL NO!" l’esclamazione perfetta che mi sarei aspettata e che ho immaginato mentre scrivevo questa terribile traduzione

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Capitolo 38
*** 37. I'll Be Your Man ***


Chiedo perdono per il ritardo (probabilmente) imperdonabile. Purtroppo ho avuto gli esami da fare, e sono stata super impegnata tra una cosa e l'altra, e alla fine son riuscita solo ora che ero sul treno a correggere il capitolo e postarlo. Che gran bel macello, eh? Spero che, nonostante la lunga attesa, il capitolo vi piaccia. Buona lettura!
PS. So per certo che per qualcosa sarete contente però!







 
'Cause I never compromised, my whole life now I realise,
That it’s time to make a change or I’ll end up feeling strange,
In the dying of my days, when the old shallow grave is calling me...
So I’ll be your man.

Hermione riusciva a percepire la consapevolezza di sé di Draco in quel momento. Non appena avevano attraversato le porte del San Mungo, circa una dozzina di teste si erano voltate nella loro direzione, e in particolare in quella delle loro mani intrecciate. Stava dando fastidio a lei, non osava pensare a Draco.
Ma lui non ne aveva fatto parola, non sapeva se per la preoccupazione, o semplicemente perché aveva capito che era quello che doveva sopportare in quel mondo. Strinse momentaneamente di più la mano che era intrecciata con quella di Draco e si diresse verso il reparto ustioni magiche, ignorando tutti gli sguardi e ringraziando Merlino che il suo compagno stesse facendo lo stesso.
«Perché sento gente urlare?» chiese Malfoy, perplesso, con un sopracciglio alzato mentre la seguiva lungo un percorso che non conosceva minimamente.
«Diciamo che è un ospedale... particolare. Quelli babbani sono decisamente più calmi.»
«Non conoscono gli anestetici, in questo posto?» il labbro superiore era leggermente arricciato in un’espressione che Hermione avrebbe riconosciuto come palese assunzione di superiorità. Degli ospedali babbani rispetto a quelli magici, da parte di Draco Malfoy.
Evitò di ridacchiare per quella realizzazione che, per quanto frequente, la destabilizzava più volte di quanto volesse ammetterlo – e se non la destabilizzava la faceva ridere a crepapelle, almeno nella sua testa – e svoltò a destra, ritrovandosi davanti a un banco dell’accettazione.
«Buongiorno. In che stanza è Lucius Malfoy?»
La strega che alzò la testa per risponderle rivolse chiaramente un’occhiata di disappunto a Draco: «Buongiorno. Siete parenti?»
«Sì, sono il figlio.» rispose direttamente Draco, il cui tono lasciava chiaramente intendere il suo malcelato nervosismo: perché diavolo tutti quanti gli rivolgevano quelle occhiatacce?
«Stanza trecentocinquantatré, il medimago lo sta visitando ora, dovrete aspettare fuori.»
«Grazie.» la risposta di Draco suonò fredda, ma Hermione non avrebbe replicato diversamente: non c’era una persona in quella sala che gli stesse rivolgendo un’occhiata che potesse essere considerata neutra, figurarsi affabile. Gli afferrò la mano che aveva stretto fino a qualche momento prima e prese a camminare nella direzione indicata da un cartello informativo.
«Tutto bene?» chiese la ragazza, preoccupata, dopo esser riusciti ad allontanarsi da orecchie indiscrete.
L’espressione che Draco aveva appena assunto era un miscuglio di emozioni, ma quella che primeggiava era senza dubbio il fastidio «Lo sai... non mi piace questo ambiente. Capisco che siete tutti maghi, che mio padre sia stato attaccato da una creatura fantastica... ma limiterei gli sguardi pieni di astio di questi maghi al minimo, potendolo fare.»
Hermione strinse più fronte per un millesimo di secondo la mano di Draco, fermandosi davanti alla stanza che era la loro destinazione. La porta era chiusa e si sentivano delle voci all’interno.
«Speriamo che almeno i dottori siano meno giudicanti rispetto agli altri.» commentò il biondo, ispirando profondamente.
«Medimaghi.» non poté non correggerlo, sebbene volesse evitarlo. Ma quelli erano svelti a saltare a conclusioni affrettate – solitamente negative – quando non li si affrontava chiamandoli nel modo giusto: non volevano essere associati alle loro controparti babbane.
«Gesù, se sono presuntuosi. “Dottori” non andava bene?» Draco alzò gli occhi al cielo; Hermione gli rivolse un sorriso consapevole: se solo avesse ricordato le sue idee, prima dell’amnesia.
«Sostengono che la medicina babbana non sia adeguata. Eppure riesce in certe cose nelle quali loro non sono altrettanto efficienti, ma sono appunto... branche diverse.»
Draco roteò gli occhi: «Non mi piacciono.»
«L’avevo capito, non preoccuparti.» Hermione sorrise, tirandogli una leggera spallata. Nella stanza oltre il muro calò il silenzio «Mi sa che possiamo entrare.»
«Fa’ pure strada!» rispose Draco, sbattendo le palpebre e spostando la mano destra in avanti, come a indicarle la strada.
Hermione posò la mano sulla maniglia della porta, inspirò profondamente, e la abbassò.

Luna era seduta sul divano di casa sua e stava compilando alcuni moduli di trasferimento di un Dorsorugoso di Norvegia presso un altro rifugio, quando si rese conto di avere ancora freddo: Theo, accanto a lei, era avvolto da due coperte e il laptop su cui stava lavorando era nascosto al di sotto di esse.
«Accio maglione rosa!» pronunciò Luna, con la bacchetta in mano al posto della penna biro che stava usando fino a qualche minuto prima: ma non arrivava nulla. Cercò di ricordare dove potesse essere il suo maglione più caldo, fin quando Theo non prese parola: «Dovresti proprio pagare le bollette, Dicembre col gelo invernale è l’Antartide.»
«Lo so, me ne sono dimenticata perché il mese scorso siamo stati sempre da te... a proposito, è da te il mio maglione rosa?»
«Quello che sembra un tappeto a pelliccia di orso rosa? Sì, è nella roba da lavare...»
Luna inspirò profondamente: forse era la cosa più vicina a uno sbuffo che aveva mai emesso. Theo le fece spazio accanto e la seppellì tra le sue due coperte senza aggiungere null’altro.
«Potremmo accendere un fuoco...»
«Luna, non è il massimo in un appartamento babbano, soprattutto uno con così tante finestre...» commentò l’ex-Serpeverde, continuando a digitare sulla tastiera.
«Lo so... okay, devo uscire dalla coperta. Ritornerò quando ho finito di compilare il modulo.»
«Non puoi incantare la penna così che lo faccia da sola?»
«Non voglio dettare nulla, poi ti disturbo...» commentò l’ex-Corvonero, indicando con un cenno del capo il computer di fronte a Theo, che le sorrise e lo spostò sul tavolino di fronte: «Detta pure. Appena finisci riprendo a lavorare, ora posso fare una pausa.» e la strinse in un abbraccio stretto, che ridusse notevolmente il suo bisogno di calore.
Dopo un Muffliato e diverse frasi dettate alla biro incantata, Luna interruppe l’incantesimo e si voltò verso Theo, che la abbracciava dal suo posto tra lei e il divano: «Sarebbe stato molto più facile se avessi avuto il mio maglione da orso rosa
«Lo so. Ma quando mai abbiamo scelto l’opzione più semplice?» ribatté lui, posandole un bacio sulla punta del naso.
«Lo sai, potrebbe essere tutto più facile se vivessimo nella stessa casa per davvero, e non solo temporaneamente. Insomma, se non dovessimo saltare da una casa all’altra, dalla tua alla mia e viceversa. Non avremmo problemi come quello di avere la cena a doppio perché chi era a casa l’ha cucinata e l’altro l’ha ordinata, condivideremmo ogni momento libero insieme senza dover fare salti mortali da una parte all’altra e non ci dimenticheremmo di pagare il riscaldamento perché siamo stati troppo tempo a casa dell’altro.» nonostante il discorso completamente logico di Luna filasse, Theo la osservava divertito «Che c’è?»
«Io non ho mai scordato di pagare nessuna bolletta.» commentò quello con un ghigno ancora divertito «E il tuo discorso fila liscio.»
Luna gli rivolse un’occhiata perplessa, con tanto di sopracciglio alzato: «E quindi?»
«Beh, è qualcosa di atipico. Sono io il più logico della coppia.» commentò l’altro, beccandosi una gomitata della ragazza all’altezza dello stomaco, ma stringendola più forte tra le braccia subito dopo «È un’idea fantastica, comunque.»
«Lo so.» commentò Luna, orgogliosamente impettita. Poi sembrò sgonfiarsi per tornare la solita persona tranquilla e pacata, ma senza lasciargli l’ultima parola «E non c’è bisogno di prendermi in giro solo perché ho dimostrato di essere, prima di te, la persona che ha proposto più logicamente questa soluzione.»
«Sì, Lovegood. Mi hai decisamente battuto sul tempo» commentò Theo, avvicinandosi per posarle un bacio sulle labbra «Ora però possiamo capire come riuscire a pagare le bollette? Vorrei evitare di morire congelato nelle prossime dodici ore.»
Luna annuì, per poi illuminarsi come se avesse avuto una grande idea «Oppure... possiamo rimanere qui sotto i piumoni fino a domani e poi vedere di risolvere la faccenda!»
«Tentatrice!» ribatté Theo, non muovendosi però di un millimetro: Luna si sistemò meglio nel suo abbraccio e sorrise soddisfatta.

«È grave?» chiese come prima cosa Draco, non appena entrò nella stanza. E, a dire il vero, sarebbe venuto in mente anche a Hermione di chiederlo, dopo aver visto Lucius Malfoy fasciato ovunque da bende. Un uomo che tutto sommato, anche in una delle peggiori guerre del mondo magico, era rimasto perlomeno in piedi, ora era su un letto, fasciato quasi da capo a piedi.
«Lo sarebbe stato di più se non si fosse svegliato quando le fiamme hanno iniziato a divampare per tutto il mio giardino!» iniziò ad accusarlo Narcissa, rivolgendo un’occhiataccia al marito. Non doveva essere poi così grave se la moglie era così sul piede di guerra – a meno che non tenesse più al suo giardino che al marito, ma Hermione cercò di non dare troppa retta a questo pensiero.
«E perché è tutto fasciato?»
«Hanno applicato un unguento rigenerante, per i tessuti. Poi dovranno ritornare per le ustioni più gravi sulle gambe.» spiegò Narcissa, mentre Lucius non le rivolgeva le occhiate più amorevoli.
«È per questo che ci hai chiamato in fretta e furia qui con quel coso bianco lattiginoso parlante?» Hermione, che nel frattempo stava cercando di decifrare la grafia del medimago che aveva scritto sulla cartella di Lucius per capire meglio cosa avesse, dovette trattenere una risatina alla descrizione di Draco del Patronus della madre.
«Bè, Draco, quando ho invocato il Patronus la situazione era leggermente diversa.»
«Avresti potuto chiamare!» ribatté quello, ancora scosso da una serie di cose – tra cui anche l’aver scoperto quel Patronus.
«Ero impegnata a trascinare quel musone di tuo padre al San Mungo!» ribatté Narcissa, lanciando un’occhiata di fuoco anche al figlio, che proprio non sapeva scegliere un momento migliore per lamentarsi del suo Patronus: si voltò allora verso Hermione, che aveva iniziato a leggere la cartella di Lucius appesa ai piedi del letto senza proferire molte parole «Buongiorno, Hermione. Immagino tu abbia avuto più buonsenso di mio figlio?»
La ragazza in questione alzò gli occhi dal foglio, spaesata: tutti e tre i volti dei Malfoy presenti la stavano osservando.
«Oh, uhm... Non sapevo se fosse grave, ma ho cercato di portarlo qui il più velocemente e silenziosamente possibile.» spiegò, terminando la lettura e lasciando la cartella al suo posto «Tutto bene, Narcissa?»
«Bé, è vivo.» indicò con un cenno del capo il marito accanto a sé «E anche se dovrò reinvestire gran parte del mio tempo a crescere il giardino ormai distrutto, posso affermare di non potermi lamentare.»
«Evitate di parlare di me come non fossi presente nella stanza, per favore?» gracchiò Lucius, irritato.
«Ma cos’è successo?» chiese Draco, sbattendo le palpebre, ancora lievemente perplesso.
«Tuo padre ha avuto la brillante idea di addormentarsi in giardino nel bel mezzo di Dicembre, pur sapendo che è il periodo in cui gli Ashwinder depongono le uova!» Narcissa sembrò sul punto di picchiare Lucius con il giornale arrotolato che aveva in mano, ma si trattenne – nonostante non si esimette dal rivolgergli un’altra occhiataccia.
«Ma stavo solo godendomi il freddo leggendo fuori!...»
«E ti sei addormentato!» questa volta, Narcissa non si trattenne e colpì il marito con il giornale arrotolato, che si esibì in un verso di dolore.
Draco aveva portato la mano sinistra sulla fronte, basito: quei due erano senza speranze. Poi sentì la leggera stretta della mano di Hermione e si voltò verso di lei: «Scusali.»
«Oh, sono uno spettacolo sicuramente divertente.» sussurrò vicino all’orecchio la ragazza, e Draco sorrise, scuotendo la testa.
«Cosa hai letto?»
«Ha ustioni di primo grado diffuse su tutto il corpo e alcune un po’ più serie di secondo sulle gambe e le braccia. Ma da quello che ho letto dovrebbero star utilizzando un unguento che rigenererà tutte le ustioni minori entro questa sera e per quelle più gravi passerà a breve un altro medimago con una pozione e un altro unguento specifici.»
La mente di Draco sembrava macchinare velocemente alla ricerca di una soluzione: «E se dopo che facciano effetto queste... cose, lo portassimo all’ospedale di Chelsea e Westminster?»
«Buona fortuna!» rispose Hermione, sbattendo le palpebre, perplessa.
«Cosa?»
«Tuo papà non stima molto i babbani, non te ne sei reso conto?»
«Okay, ma è per il suo bene!» ribatté Draco a bassa voce.
«Ritengo ancora che non riuscirai a convincerlo così. Ma puoi sempre chiederglielo...»
Draco era in procinto di proferir parola e chiedere al padre se potessero portarlo all’ospedale vicino casa sua, quando Lucius sembrò leggerlo nel pensiero: «Non andrò a farmi curare dai babbani, Draco.»
«Ma è un centro ustioni rinomato!» ribatté il figlio, esasperato.
«Sono più che competenti anche qui al San Mungo.» ribatté Lucius, con l’aria di chi non avrebbe proferito altra parola a riguardo.
Draco non era contento, ma sapeva che non avrebbe potuto dire o fare molto altro per convincerlo, allora si rivolse alla madre: «Posso fare qualcosa per te?»
«Non preoccuparti. In serata dovremmo tornare a casa. Ti chiamo quando siamo lì, okay?»
Draco annuì «Che sia una telefonata però, ne ho abbastanza di Patronus per oggi.»
«Sì, non preoccuparti.» gli rispose la madre, sorridendo nella sua direzione.
«Ci vediamo, papà.»
«Buona giornata, Draco.»
«Arrivederci, signori Malfoy.» lo squittio che aveva emesso Hermione prima di chiudersi dietro la porta fece ridere Draco: «Signori Malfoy? È sicuramente l’highlight della giornata.»
«Non sapevo cosa dire! L’atmosfera era tesa e l’ultima volta che sono stata in presenza di tuo padre non è andata molto bene e... oh!» eruppe Hermione, scuotendo le braccia con fare nervoso.
Draco rise: «Non preoccuparti, non sei stata la cosa più strana là dentro.» e le cinse le spalle con un braccio, incamminandosi in una direzione specifica che non sapeva minimamente dove portasse «Sto andando nella direzione giusta?»
Hermione scosse la testa, sorridendo «No, hai sbagliato completamente. Stiamo prendendo la strada più lunga. Però possiamo uscire da quella porta alla fine del corridoio, attraversare il reparto nascite per intero e raggiungere l’uscita. Generalmente sono troppo impegnati per guardare male la gente. E sono tendenzialmente meno propensi a giudicare.»
«Vada per il reparto marmocchi.» annuì, quasi solennemente, Malfoy. Quando poi si riavvicinò Hermione per riprenderle la mano, le rivolse uno sguardo perplesso: «Ehi, ma tu come sai tutte queste cose? Hai un figlio clandestino di cui non mi hai mai parlato?»
Hermione scoppiò a ridere, riprendendo a camminare: «Ho uno studio qui, Draco. Conosco la mappa dell’ospedale, mi divido tra qui e il Ministero!» spinse la porta alla fine del corridoio per passare «E, per tranquillizzarti: non ho alcun figlio clandestino di cui non ti ho parlato finora. Però quando ero qui e tutto era troppo, spesso mi ritrovavo in questo reparto a osservare i neonati dormienti. Sono così pacifici.»
«Insomma, sei la pazza che osserva i bambini. Come Cristina e Meredith in Grey’s Anatomy quando muore qualche loro paziente.» commentò prontamente Draco, alzando entrambe le sopracciglia e beccandosi una leggera spallata da parte della fidanzata: «Se continui col prendermi in giro non ti porto a vedere il fantastico spettacolo dei neonati che fanno magie improvvisate. Si tratta di una nursery decisamente diversa da quella babbana!»
«Hermione, cara, mi scalda il cuore sapere che pensi che sia informatissimo sulle nursery “babbane”, ma non vi ho mai davvero messo piede... Ehi, quelle due sagome le conosco.» Malfoy lasciò perdere il sarcasmo quando intravide una chioma fulva e una corta e nerissima svoltare l’angolo «Famiglia Zabini?»
Hermione sobbalzò e seguì con lo sguardo l’angolo che stava osservando Draco, perplesso: qualche secondo dopo, Ginny e Blaise spuntarono dal corridoio che avevano appena superato. I volti di entrambi sembravano alquanto provati.
Draco e Hermione, ancora con le mani intrecciate, raggiunsero i due amici, che avevano l’aria colpevole, ma non solo. Erano particolarmente turbati.
«Che ci fate qui?» chiese Draco, con un sopracciglio così alzato che quasi arrivava all’attaccatura dei capelli.
«Potremmo farvi la stessa domanda!» lo rimbeccò, combattiva, Ginny.
«Stiamo attraversando questo reparto per raggiungere l’uscita nel modo più tranquillo possibile, evitando il casino di persone che mi guardano da capo a piedi odiandomi potentemente, e abbiamo appena visitato mio padre al reparto ustioni, essendo lui fattosi beccare da un Ashwinder, che non so nemmeno cosa sia. Soddisfatti? Ora dovreste sputare voi il rospo.» Draco sembrava propenso a non lasciare perdere e la reazione precedente di Ginny non aveva fatto altro che convincerlo a continuare con l’offensiva. Ma Hermione era silenziosa, e Draco poteva chiaramente vedere come la sua mente stesse macchinando furiosamente: fino al momento in cui un’espressione sbalordita si fece spazio sul volto della sua fidanzata.
«Oh Merlino. Sei incinta!»
Non era una domanda, e Ginny e Blaise non stavano negando nulla. Draco si voltò verso Hermione, guardandola stupita: «La prossima volta che fai rivelazioni del genere, dimmelo prima! Così mi preparo spiritualmente!»
«Ho appena connesso tutti i punti. Le nausee mattutine di cui mi parlava Luna, il vostro trovarvi qui, il suo particolarmente intollerabile atteggiamento da un po’ a questa parte...»
«Ehi!» ribatté Ginny, rivolgendo un’occhiataccia a Hermione, la cui posa ricordava quella di un detective che aveva appena brillantemente risolto un caso.
«Che brava la mia Sherlock Holmes, lavora di deduzioni e insulta anche inconsapevolmente gli amici!» Draco le baciò una guancia, ritornando poi a sorridere di gusto ai due futuri genitori.
«Non stai gongolando. Perché non stai gongolando?» chiese Blaise, socchiudendo gli occhi fino a farli diventare due fessure minuscole.
«Perché mai dovrebbe gongolare?» si fece trascinare anche Ginny in quella discussione assurda: tanto avrebbe avuto nove mesi per imparare a comportarsi da adulta responsabile, poteva osservare – e partecipare – i battibecchi di quelle due Serpi e cercare di comprenderli. Hermione, nel frattempo, era troppo sconvolta dalla sua stessa scoperta per dare abbastanza corda all’ormai buon’umore di Draco.
«Perché ha appena vinto una scommessa di cento sterline con Theo su chi avrebbe figliato prima tra di noi. Draco puntava su di me.» spiegò Blaise, roteando gli occhi immediatamente dopo.
«Ma non riesco a gongolare. Sono stato colto dalla lampante realizzazione che, non solo ci hai messo tutto questo tempo, ma abbiamo anche un età per cui a una notizia del genere bisogna solo congratularsi vivamente con i futuri genitori! Sono così orgoglioso di te, Blaise!» il tono lievemente sarcastico non era sfuggito a nessuno, ma tutti furono sconvolti quando Ginny annuì, d’accordo con il biondo: «Anche io avrei puntato su Blaise, se avessi dovuto scegliere tra di voi. E hai terribilmente ragione, Malfoy. Non credevo sarei mai arrivata a dirlo.»
«Sono comunque davvero felice per voi. Sarò il padrino?» chiese subito dopo Draco, esibendosi nel suo migliore sorriso a trentadue denti.
«Con calma, con calma. Dobbiamo ancora imparare a diventare adulti responsabili. E dobbiamo sposarci in fretta, oh Godric!» esclamò Ginny, nuovamente stremata.
Hermione, che sembrava aver compreso appieno tutto quel discorso solo in quel momento, si gettò ad abbracciare entrambi: «Congratulazioni!»
«Oh Merlino.» esclamarono i futuri genitori, aggiungendo i ringraziamenti solo dopo.
«Tutta questa tua contentezza mi terrorizza, Granger!» scherzò Draco, rivolgendole un’occhiata fintamente spaventata.
«Considerato il motivo per cui siamo al San Mungo, questa notizia è decisamente una delle migliori che potevamo ricevere per caso» ribatté Hermione, tagliente.
«Già.» convenne Draco, espirando profondamente e battendo le palpebre.
«Okay... noi dovremmo andare, abbiamo la seconda parte della visita...» iniziò Ginny, sbarrando gli occhi, ancora basita «E se poteste non dirlo a nessuno...»
«Non preoccuparti, Gin. Sta a voi dirlo. Non diciamo nulla. E Draco non chiederà a breve il pagamento a Theo.» aggiunse alla fine Hermione, poiché l’ex-Serpeverde in questione stava già iniziando a ribellarsi.
Ginny e Blaise ridacchiarono e la ringraziarono, scomparendo nel corridoio dal quale li avevano recuperati qualche minuto prima.
«Torniamo a casa, compagna?» Draco le porse un braccio, al quale Hermione si agganciò con il suo «Ti voglio far prima vedere i piccoli maghi. Magari loro ti sembreranno meno minacciosi delle loro controparti adulte...» rispose quella, con un sorriso incoraggiante.
«E marmocchi magici siano. Poi però voglio tornare dai miei di piccini, stanno soli da troppo tempo.» concesse Draco, annuendo quasi solennemente.
E continuarono a camminare lungo il corridoio principale, seguendo la strada che portava alla nursery magica.

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Capitolo 39
*** 38. Are You Hurting The Ones You Love? ***


Chiedo perdono: solo dopo un altro mese son riuscita a scrivere/postare qualcosa. Spero vi piaccia, però: è sicuramente più lungo del solito 'sto capitolo XD Buona lettura!







   
Are you hurting the ones you love?
When they watched the walls, and the ticking clock.
Are you hurting the ones you love?
And was it something you could not stop.

«‘Spettate, ‘spettate. Quindi quella roba si chiama Burrobirra ma non è alcolica? E che birra è?» Angharad era seduta a gambe incrociate tra le due coppie che occupavano il divano di casa Granger-Malfoy, e non si alzò nonostante fosse fortemente contrariata solo perché Nyx e Nix sonnecchiavano su di lei.
«Mi spiace deluderti, ma è senz’alcol nonostante il nome.» la rimbeccò Theo dalla sua sinistra, sorridendo beffardo.
«Che mondo illusionista, e non magico, che illude la gente!» ribatté Angharad, sbuffando impettita: però poi Nyx le rivolse un’occhiata che sembrava quasi di rimprovero e si bloccò, chiedendo scusa alla gatta «Scusa, Nyx, non lo faccio più.»
«Questa cosa che i nostri gatti affermino puntualmente la loro supremazia rapportandosi con te e che tu puntualmente ti pieghi al loro volere me li fa stimare anche di più.» commentò Draco, divertito, dalla sua destra: era all’estremità del divano più vicina alla portafinestra e abbracciava Hermione, che era poggiata contro la sua spalla, entrambi avvolti da una coperta dalla fantasia tartan sui colori del bordeaux.
«Beh, Dra’, i gatti sono superiori. Dovremmo tutti accettare la loro superiorità. Io lo faccio con somma gioia.» rispose la gallese bionda, annuendo solennemente «Sapevi che nel corso dei secoli che hanno passato vicino agli umani hanno affinato la loro tecnica nel miagolare per fare in modo che i loro versi siano più simili a quelli dei neonati quando piangono, così da agire a livello subliminale per convincerti a calcolarli? Sono dei geni.»
«No, mi ero perso questa perla di saggezza felina.» commentò il biondo, rivolgendole un sorriso sfottente.
«È vero, però.» aggiunse Hermione, annuendo «Inoltre, gli stupidi amanti di cani sostengono sempre che i cani siano i più intelligenti perché hanno più materia grigia, sviluppatasi nel corso del tempo passato strettamente a contatto con l’uomo per via della loro natura più sociale, ma è stato provato che i gatti sono molto più intuitivi e brillanti nella risoluzione di enigmi... e sanno cacciare, sono indipendenti. Che farsene dell’intelligenza relazionale quando non riusciresti nemmeno a sopravvivere con certezza lontano da persone che ti nutrono e accudiscono?»
«Feroooce!» commentò Theo.
«Sì, ha la stessa intelligenza predatoria dei gatti, lei.» convenne Draco, indicando con un cenno del capo Hermione, che rispose alla beffa tirandogli una leggera gomitata nello stomaco.
«E poi, cosa più importante, essendo indipendenti non hanno bisogno di te. Ma ti scelgono nonostante tutto. Lo sai che ti degnano della loro presenza perché sono affezionati e tengono a te, e non per il mero istinto di sopravvivenza.» continuò Angharad, facendo una grattatina dietro la nuca dei due gatti, che erano il ritratto del relax, acciambellati sulle gambe della ragazza.
«È qualcosa di speciale» annuì Luna, sorridendo pensierosa «Un po’ come quando riesci a instaurare un rapporto con un piccolo drago, che potrebbe arrostirti da un momento all’altro ma non lo fa perché ci tiene, a te.»
«Un po’ differente, ma ciò è molto simile a quello che succede con i felini più grandi, effettivamente.» rispose Angharad, annuendo.
«È una dimostrazione del nostro essere infantili se stiamo qui a parlare di gatti grandi e piccoli quando Blaise e Daphne sono a casa della famiglia di Ginny per la lieta notizia della gravidanza?» chiese Draco, aggrottando le sopracciglia perplesso.
«Potrebbe esserlo. Però, ehi, non siamo noi quelli incinti.» ribatté Theo, con entrambe le sopracciglia sollevate in un’espressione eloquente.
«Che commento fantasticamente selvaggio, Nott!» si congratulò Angharad, sorridente «Quando posso avere questa Burrobirra che avete portato da Diagon Alley, allora? Magari anche con qualche dolcino...»
«Quello devi chiederlo a Draco, Angh. Noi l’abbiamo gentilmente portata, ma l’onore di servirla spetta a lui.» rispose Theo, lanciando un’occhiata all’amico. Subito dopo, Angharad si voltò a guardare Draco e Hermione, sbattendo le ciglia furiosamente.
«D’accordo, d’accordo.» Draco si alzò dal divano e si diresse verso la sala da pranzo, il cui tavolo era ancora apparecchiato dal pranzo che avevano finito qualche ora prima, oltrepassandola e arrivando in cucina.
«Ancora non ci posso credere che avremo a breve una piccola peste nel gruppo. Ehi, ma così non sarò più la più piccola!»
«Sopravvivrai, Angh!» urlò Draco dalla cucina, che aveva udito l’affermazione dell’amica accompagnata da uno sbuffo epocale.
«E poi sarai comunque unica per qualcosa, nel gruppo» commentò Hermione, annuendo.
«L’unica babbana?» ribatté l’altra, rivolgendole un’occhiata contrariata.
«In realtà stavo pensando al tuo essere l’unica giornalista qui, ma se preferisci babbana...»
«No! Giornalista è decisamente meglio. Potenzialmente giornalista sarebbe più corretto, però, forse!» rispose la diretta interessata, sorridendo soddisfatta.
Draco rientrò in salotto con cinque boccali e una cassa di Burrobirre ghiacciate, per poi ritornarvi con una biscottiera a forma di Morte Nera piena di biscotti «Fatti in casa dalla qui presente signorina Granger.»
«Sono commestibili?» chiese immediatamente Angharad, con un sorriso a trentadue denti soddisfatto, beccandosi una leggera gomitata nelle costole da parte di Hermione.
«Completamente, cara.» commentò Draco, versando la Burrobirra nei boccali «‘Sta roba si beve fredda o calda?»
«Direi calda, considerata la temperatura di fuori?» propose Angharad, con un sopracciglio alzato.
«Ops. Io le avevo messe in frigo...» rispose Draco, ma Angharad aveva già iniziato a ripetere a mo’ di slogan qualcosa: «Magia, magia, magia! Chi fa una magia?»
«Ci risiamo...» commentò Draco, roteando gli occhi. Hermione sorrise e si voltò a guardarlo: «Caro, porteresti guanti e presine da cucina per tutti?»
«Che si fa, che si fa?» Angharad aveva l’attitudine di una bambina ogniqualvolta si facesse qualcosa di anche lontanamente magico.
«Immagino che tu voglia utilizzare l’Incendio, Herm?» propose Theo, sorridendo di fronte all’eccitazione dell’unica babbana lì presente.
La ragazza annuì, quando Draco arrivò con due guanti da forno e tre presine: li distribuì assieme ai boccali e riprese il suo posto accanto a Hermione.
«Inizio con Angharad, essendo ovviamente la più eccitata a riguardo...» non pronunciò la formula ad alta voce, ma la babbana era esaltata nonostante tutto.
«Sì, ma continua con noi, che le bacchette le abbiamo lasciate nei cappotti» aggiunse subito dopo Theo, esibendosi nel suo miglior sorriso a trentadue denti: nel frattempo, Angharad stava già pescando i biscotti fatti in casa da Hermione dalla Morte Nera e trangugiandoli con gusto.
«Non sarà una birra, ma è buona!» sentenziò Angharad, col tono di chi che era stato più che adeguatamente soddisfatto.
«Se continui a non fare distinzioni tra le cose che stai mettendo in bocca finirai per soffocare, Angh» la redarguì Theo, divertito.
«Inoltre, come fai a mangiare così tante cose, così velocemente?» chiese Luna, curiosa «Per un millesimo di secondo mi hai ricordato Ron Weasley.»
Tutti tacquero, tranne la ragazza in questione: «Non ho avuto il piacere di incontrarlo, ma ho fame. Mi torna la fame ogni tre ore. Probabilmente perché quando mangio non voglio riempirmi più del necessario e devo mangiare spesso...»
Ma la discussione – animata di una ex-Corvonero e una Corvonero in potenza, taciturna degli altri presenti – venne momentaneamente bloccata dal suono del campanello: i due padroni di casa si guardarono perplessi.
«Vado io?» chiese Hermione, facendo per alzarsi.
«Non preoccuparti» Draco le baciò una guancia prima di alzarsi nuovamente dal divano e oltrepassare la sala da pranzo per raggiungere la scala.
«Che Ginny, Blaise e Daphne abbiano finito prima del previsto?» ipotizzò Luna, pensierosa.
«Ha! Ne dubito fortemente. Diamine, non conosco i Weasley, ma solo per Blaise e il dare la notizia ufficialmente a una famiglia numerosa sarei troppo voluta essere presente...» commentò Angharad, con un’espressione che era un po’ un ghigno, un po’ sognante.
«Angharad, sei completamente sadica talvolta» commentò Hermione, scuotendo la testa.
«Lo so. Ma che pretendi, ho passato tutta la mia età adulta tra Serpi... e poi in realtà ero già così» terminò, annuendo sicura.
Udirono il rumore di alcuni passi provenire dalle scale e l’ospite che si ritrovarono di fronte, accanto a Draco, non lo aspettavano per nulla: Harry Potter aveva raggiunto il salotto di casa Granger-Malfoy accompagnato dal padrone di casa e stava salutando con un po’ di imbarazzo tutti i presenti.
«Harry? È successo qualcosa?» Hermione saltò in piedi, improvvisamente all’erta. Ma Harry scosse la testa: «Non preoccuparti, non sono qui per problemi dell’ultimo minuto. O meglio, sì, ma ho bisogno di Angharad.»
«Sono arrivati tutti i file?» chiese la diretta interessata, addentando un biscotto.
«Sì, sono al Ministero. Ho ricevuto la notifica del trasferimento mentre ero alla Tana, ma sono un po’ e se potessimo dare un’occhiata insieme...»
«Scialla, posso venire con te. Tanto qui ho mangiato tutto quello che potevo e la giornata è finita già da un po’» dichiarò la babbana, saltando in piedi: tutti i presenti tranne Harry le stavano rivolgendo occhiate a metà tra lo sconvolto e il fortemente perplesso.
«Vuoi specificare?*» chiese Draco, con un sopracciglio alzato: Hermione era ancora in piedi, con le sopracciglia aggrottate. Anche Theo era perplesso, mentre Luna sembrava star guardando Angharad con orgoglio.
«Non posso, sappi solo che il dovere mi chiama!» rispose quella, sorridente, mentre infilava il cappotto che aveva lasciato su una sedia della sala da pranzo.
«Che dovere? Sei disoccupata!» ribatté Theo, sbattendo basito le palpebre.
«Vedrete, vedrete! Arrivederci cari!» Angharad era già oltre la sala da pranzo mentre Harry rimaneva in piedi, scuotendo la testa contrariato.
«Puoi spiegare?» chiese Hermione, perplessa.
«Solo se troviamo effettivamente qualcosa. Mi piacerebbe rimanere, ma devo andare...»
«E anche se non dovessi, Angharad è già partita in quarta» continuò Theo per Harry, indicando la sala dov’era Angharad fino a qualche secondo prima.
«...Esattamente. Buona serata!» salutarono Harry Potter, che sparì sulle scale dietro l’amica babbana.
«Luna, stai sorridendo. Sai qualcosa?» chiese Hermione, che ormai aveva le braccia incrociate.
«No, ma sono certa che faranno grandi cose!»
«Vorrei tanto avere la tua fiducia incondizionata» ribatté Draco, ancora sbattendo le palpebre, confuso.
«Bah» emise Theo, continuando a guardare nella direzione in cui Harry e Angharad erano andati.
«Si è anche portata dietro dei biscotti!» commentò Hermione, guardando la biscottiera di Star Wars ormai mezza vuota e lasciandosi cadere sul divano, ancora altamente perplessa.
«Su, su. Son più che certo che prima o poi sapremo cosa sta succedendo...» la consolò Malfoy, posando la coperta che avevano addosso fino a qualche minuto prima sulle loro gambe e passando un braccio intorno alle sue spalle. A dividere le due coppie erano rimasti solo Nyx e Nix, che, nonostante l’improvviso mutamento geografico della loro situazione – a causa della scomparsa del loro cuscino umano – l’avevano presa bene: avevano ripreso a ronfare, rilassati, in mezzo a tutti i presenti.


L’atmosfera, alla Tana, era tesa. O almeno, lo era per Blaise, che saltava su ogniqualvolta qualcuno pronunciasse il suo nome.
«Oh cielo. E io che mi ero anche posta il quesito sul sedere vicino a Ginny o Blaise. È chiaro che tra i due è lei che si sa difendere meglio» commentò Daphne, alzando entrambe le sopracciglia e rivolgendo un’occhiata perplessa a Blaise, mentre Charlie evitava di sorridere troppo evidentemente.
«Perché?» chiese Blaise, guardandosi intorno.
«Zabini, Ginny è a suo agio. Tu invece sembri in procinto di dover andare in guerra. O perlomeno, di star aspettandoti un attacco da un momento all’altro.»
«Lo so, ma... ci ho pensato solo stamane, loro ora sapranno che abbiamo fatto sesso!» l’ultima parte Blaise la mormorò, ma sia Daphne, che Charlie – e anche Ginny, nonostante stesse parlando con George alla sua sinistra – l’udirono.
«Tesoro, dovevi pensarci prima di non utilizzare l’accortezza dovuta!» ribatté, sempre sussurrando, Daphne, non nascondendo una nota di sarcasmo.
«Ma sono contento, è che... sono spaventosi! Sono tanti!» esclamò il moro, con un’espressione terrorizzata che poté mantenere solo per qualche secondo.
«Beh, non lo biasimo» commentò Charlie, annuendo «Anche io avrei paura, se fossi lui. Ma non preoccuparti, Blaise, se dovessero attaccarti sono più che certo che Ginny ti proteggerebbe!»
«Non fate troppo i simpatici voi due, potreste essere i prossimi!» ribatté quello, rivolgendo un’occhiataccia nella loro direzione.
«Sì, ma i nostri figli avranno un patrimonio genetico definitivamente superiore a quello dei vostri!» rispose Daphne, avvicinando una mano stretta a pugno al suo ragazzo, il quale fece lo stesso prima di rilasciarla contemporaneamente a lei «Boom!»
«Siete un pessimo gruppo di sostegno, lo sapete?»
«Oh, se cercano di ammazzarti ti difendo. Ma se non ci provano, e di questo ne sono abbastanza certa... io sono qui per godermi lo spettacolo, caro!» rispose Daphne, compiaciuta.
«Umpf.» esalò Blaise, contrariato.
«Okay.» mormorò Ginny, più a se stessa che a qualcun altro, prima di alzarsi in piedi. Gli sguardi di tutta la tavolata si posarono su di lei, anche quello – stranamente – pieno di aspettative di George Weasley «Allora, ho un annuncio da fare. All’inizio non volevo, almeno, non prima di quando sarebbe ormai finito tutto, ma Daphne mi ha convinta a fare altrimenti, poiché “non dovrei negare a mia madre la gioia di vedermi sposata”, etc... Comunque. Io e Blaise ci sposiamo. Non voglio una festa grande e se proprio bisogna festeggiare vorrei farlo qui, con i presenti come invitati. Più altre cinque persone assenti al momento, più o meno.»
Il silenzio regnava nella sala da pranzo, a parte per George che si era appena voltato verso Daphne per dirle qualcosa: «Non sapevo avessi un cuore, Greengrass!» Però Molly Weasley gli rivolse un’occhiataccia, che venne seguita da un sorriso palesemente finto di Daphne nella direzione del ragazzo: era certa che se Blaise non fosse diventato di ghiaccio dalla paura, avrebbe replicato qualcosa anche lui.
«Inoltre, dovremmo organizzare questo matrimonio presto, prima del previsto, perché sono incinta e non voglio sembrare una balena nelle foto del mio matrimonio. Annuncio terminato.» Ginny si risedette a tavola, dove nessuno sembrava aver intenzione di proferire parola.
«Avremo dei nipotini Serpeverde!» urlò George a pieni polmoni, sorridendo come un idiota «Scusatemi, lo volevo urlare da quando Charlie me l’ha detto.»
L’urlo di George, però, ruppe il ghiaccio: nella stanza irruppe un ruggito gioioso generale, e le persone dall’altra parte del tavolo – Molly e Arthur Weasley con più velocità – avevano iniziato a dirigersi verso i futuri genitori, con Harry Potter che fu il primo a congratularsi abbracciando Ginny – e Blaise, destinatario di una pacca amichevole sulla spalla da parte dell’ormai uomo sopravvissuto.
«Grazie a Godric Daphne esiste, o probabilmente non ti avrei perdonato per un bel po’ di tempo!» dichiarò Molly Weasley con le lacrime agli occhi, coinvolgendo in un abbraccio i due futuri genitori e Daphne, che aveva iniziato a ripetere a bassa voce “Oh cielo. Oh cielo, io che c’entro?” mentre Charlie le dava qualche leggera pacca rassicuratrice sull’unica mano libera della ragazza.
Arthur Weasley, invece, aveva iniziato a tempestarli di domande specifiche sulle loro future vite domestiche, nonostante Bill, Fleur, Percy e Audrey stessero cercando di congratularsi con i due futuri sposi e genitori.
«Ma dove andrete a vivere? Non sarebbe meglio trasferirsi per un po’ di tempo qui?»
«Papà, avevo già iniziato a riarredare casa di Blaise a Londra prima di sapere che fossi incinta, abbiamo deciso di rimanere lì...» rispose Ginny, lievemente seccata – da tutte quelle attenzioni, ma anche dalle domande preoccupate dei genitori: non importava che si trattasse di genitori maghi o babbani, erano sempre ripetitive.
«Ma con un figlio, le cose cambiano...»
«Sono più che certa che la Londra babbana e quella magica avranno tutto quello di cui ho bisogno, papà...» rispose Ginny, più indispettita: era sempre stata veloce a indispettirsi, lei, ma la gravidanza l’aveva resa più propensa a raggiungere la soglia di sopportazione più in fretta. Fortunatamente, però, George iniziò a parlare: «Lo sai, Gin, avevamo scommesso che tu saresti stata la prima Weasley a finire a Serpeverde** E invece avevamo ragione solo in parte, perché ora i tuoi figli ci finiranno!»
«Insomma, ha ragione» ammise Daphne, annuendo «Figli di Ginny Weasley e Blaise Zabini? Non possono che chiaramente finire a Serpeverde.»
«Ho sempre ragione, Greengrass!» ribatté George, esibendosi in un sorriso a trentadue denti in direzione della ex-Serpeverde.
Ginny si era voltata a guardare il futuro marito: Blaise sembrava sopraffatto da tutte quelle reazioni, ma stava sorridendo come un ebete. Allora lei gli strinse una mano, attirando la sua attenzione: voleva solo avere la certezza che fosse tutto tranquillo. Lui annuì e le sorrise, intrecciando le dita della mano che lei gli aveva appena afferrato con le sue, prima di risedersi e lasciare che il pranzo ritornasse alla normalità.
Nonostante fosse contenta della ricezione delle notizie da parte della sua famiglia, si sentì un po’ tradita. Qualcuno non si era congratulato, e ora non era neanche più presente al tavolo. Anche Harry sembrava sparito: doveva aver seguito Ron.
Non riusciva a credere che suo fratello fosse così immerso nelle sue idee idiote da non riuscire nemmeno a gioire per qualcosa di buono che le capitava, sebbene fosse con qualcuno che lui reputava non degno: e poi non stava a lui deciderlo. Per lei, Blaise, era più che degno. Oltremodo degno, e di questo ne era certa, e soddisfatta. Se Ron non avesse voluto rendersi conto dei suoi stupidissimi errori, problemi suoi: lei era esattamente nel momento in cui voleva essere, con le persone con cui voleva essere.
Intercettò un sorriso timido di Daphne, che doveva aver capito l’andazzo dei suoi pensieri: anche lei si era voltata a guardare le due sedie vuote qualche posto più in là, e si era subito voltata verso di lei. Ginny ricambiò, contenta: era decisamente con chi voleva stare, anche se poco più di un anno prima non ci avrebbe neanche lontanamente pensato, a una situazione del genere – nonché alla sua reazione. Dopotutto era calma e soddisfatta. E il suo gruppo di amici stretti, nonché la sua futura famiglia, traboccava di Serpi.


Harry aveva ricevuto un gufo dal Ministero quella mattina, che lo informava dell’arrivo di nuove pergamene piene di informazioni sul caso su cui era più concentrato, specialmente nel suo tempo libero: ma non appena aveva visto Ron uscire dalla stanza prima di poter anche solo rivolgere un sorriso alla sorella, aveva deciso che avrebbe dovuto parlargli. Aveva superato il limite, Ginny non era un fantomatico nemico.
Raggiunse la sua vecchia cameretta – dove Ron era tornato a stare dopo l’arresto di Maggie – e bussò alla porta: «Avanti!»
Ron era seduto sul suo letto, e dava l’impressione di essere essenzialmente confuso.
«Ron? Che stai combinando?»
«Come fai a essere felice per lei?!» ribatté immediatamente il suo migliore amico, tagliente: era una domanda sincera, nonostante fosse piena di rancore. Harry lo raggiunse e gli si sedette accanto, posando una mano sulla sua spalla: «Perché è felice. E le voglio bene.»
«Ma sta... sta col nemico!» sbottò il rosso, passandosi febbrilmente una mano tra i capelli «Sta per sposare il nemico! Ci sta facendo figli!»
«Ron, Blaise non è il nemico. Non lo è mai stato, e sicuro non lo è ora.» Harry era certo che non avrebbe voluto neanche passare un giorno nella mente del migliore amico, se erano queste le idee che partoriva.
«Non è una brava persona.» ribatté Ron, guardandosi le scarpe.
«In realtà non avrei potuto pensare a una persona migliore per Ginny. Un po’ scapestrata come lei, fieramente leale alle persone a cui tiene, impulsiva. Sono stati veloci come il vento, ma stanno bene insieme, Ron. E lo dico io, che sono l’ex-fidanzato di tua sorella.» ammise Harry, con un tono di voce che non ammetteva repliche: Ron si voltò a guardarlo negli occhi, ferito «Non so proprio come tu faccia a dirlo!»
«Perché la gente cambia. Siamo tutti cambiati. E non possiamo giudicare qualcuno senza conoscerlo – e checché tu ne dica, Blaise non lo conoscevamo – men che meno perché era un Serpeverde, perché è amico di Draco Malfoy.»
«Non farmi nemmeno pensare a Draco Malfoy.» ribatté Ron, stringendo i pugni con forza.
«Perché? Perché sta con Hermione e la rende felice come tu non l’hai mai resa?» chiese Harry, alzando un sopracciglio: Ron gli lanciò un’occhiata piena di veleno «Scusami, Ron, ma non posso mentire: lei sta bene, è contenta, è soddisfatta. E non la vedevo così da tempo, e sai che sono anche suo amico. E finalmente ha trovato il suo equilibrio... come fai ad aver tenuto a lei e a non essere contento per lei? E per Ginny?»
«Mi hanno tradito tutti!» esclamò lui, frustrato «Tutti con queste Serpi, pare un’infestazione! Persino Charlie, Charlie che non aveva mai mostrato alcun interesse per una ragazza, Charlie sta con la Greengrass
«E anche loro due sembrano felici.» commentò Harry, cercando di capirlo – ma soprattutto, cercando di passare un messaggio importante, che Ron non sembrava nemmeno vedere.
«Li hanno accolti, tutti. Siete tutti contenti per loro, e non vi ricordate nemmeno chi erano!»
«Dai, Ron, non dire idiozie! Qua l’unico che è stato con una traditrice, e che tra l’altro ha tradito nel senso proprio del termine, sei stato tu! Non cercare le pagliuzze negli occhi degli altri quando c’hai una trave nel tuo!» esclamò Harry, palesemente seccato: Ron lo guardò perplesso, non capendo il riferimento biblico.
«Ciò che intendevo è: non guardare gli errori passati degli altri quando qua il traditore per eccellenza sei stato tu, in un campo, e la tua ragazza in un altro.» spiegò Harry, sospirando profondamente «E va’ a congratularti con Ginny. Anche se non lo pensi. Sebbene tu non riesca a capirlo ora, non siamo più in guerra da un bel po’. E i nuovi arrivati non sono decisamente i nostri nemici, nessuno dei presenti in sala da pranzo lo è mai stato!»
Ron non sembrava molto convinto, ma non era nemmeno pronto a saltare su per replicare con una sua visione sfalsata della realtà, così Harry decise di dire l’ultima cosa: «Ora, io me devo andare. Devo andare a prendere dei documenti da lavoro e tornare a casa per esaminarli. Per favore, non fare il bambino offeso a caso con tutti, e anche se ti senti tradito... comportati diversamente!» Harry si alzò «Ci vediamo!»
Capì che l’amico aveva sentito dall’impercettibile cenno del capo che gli aveva rivolto prima di uscire dalla camera e chiudersi dietro la porta.

Alijeik era chino sul calderone, colmo di una pozione dal colore viola vivace che ribolliva, mentre Pansy camminava febbrilmente avanti e indietro.
«Dobbiamo affrettare i tempi di produzione.»
«Tesoro, sai bene che non è possibile. Bisogna rispettare il tempo esatto o non verrà come dovrebbe essere.» dichiarò l’uomo, col tono di chi doveva aver ripetuto quella frase ben più di una volta.
«Il piano è stato iniziato. Non possiamo essere in ritardo...» Pansy si stava torturando le mani, mentre camminava avanti e indietro per la stanza semibuia.
«Ma la nostra parte fallirà, se affretto il processo. E siccome bisogna portare a termine il proprio obiettivo e non quello degli altri, non ho intenzione di velocizzare innaturalmente la mia pozione.» commentò quello, fermo.
Pansy, di fronte a lui, si piantò le mani tra i capelli scuri, pensierosa: «Non ce la faremo mai.»
«Andrà tutto bene, noi saremo in tempo. Proprio alla fine, ma lo saremo. E dobbiamo occuparci solo di una piccola parte...»
Pansy guardò il suo compagno, titubante: la sua figura sicura e ferma le diede un po’ di fiducia. Ce l’avrebbero fatta nel portare a compimento la loro missione, fosse cascato il mondo, ce l’avrebbero fatta.

Harry non arrivava quasi mai a Grimmauld Place con la metropolitana, ma quel tardo pomeriggio di Dicembre fu costretto a fare così, essendo accompagnato da Angharad. La ragazza gallese era particolarmente prolissa, mentre lui era la sua perfetta controparte silenziosa.
«Potter? Che hai? Terra chiama Potter?»
«Mh?» si voltò verso la babbana, con un’espressione incuriosita «Scusami. Stavo pensando al pranzo alla Tana...»
«Com’è andata la grande dichiarazione?» chiese la ragazza, alzando e abbassando ritmicamente le sopracciglia, ammiccante.
Harry sorrise: «Come ce lo si poteva aspettare. All’inizio eravamo tutti muti, poi George ha urlato qualcosa sul fatto che avranno nipotini Serpeverde e ci siamo tutti congratulati con Ginny e Blaise... tutti tranne Ron.»
«Oh cielo, questo Ron sembra proprio una spina nel fianco.» commentò Angharad, roteando platealmente gli occhi.
«Non è sempre stato così.»
«Non penso di aver sentito una descrizione positiva di ‘sto tipo.»
«Beh, è anche vero che i tuoi migliori amici sono tutti delle Serpi» replicò Harry, annuendo.
«Frequento molto anche Luna, Ginny e Hermione e non mi pare che abbiano parole migliori a riguardo, loro.»
«E mi sa che a breve non ne avranno altre. Sicuramente non Ginny. Ho avuto l’impressione che non ci fosse rimasta molto bene...»
«Beh, tuo fratello non ti si congratula dopo una cosa del genere, mi sembra anche logico essere un po’ astiosi. Ma poi che ci guadagna?»
«È un periodo particolare, per lui.» cercò di giustificarlo Harry, grattandosi la nuca con una mano, mentre con l’altra cercava le chiavi di casa nella tasca.
«Sì, d’accordo, perché con Hermione s’è comportato benissimo invece, no? E lì non puoi usare la scusa del “periodo particolare”.» ribatté Angharad, lanciandogli un’occhiata di sbieco, mentre lui apriva la porta di casa.
«Sei accanitamente leale nei confronti delle persone a cui vuoi bene, eh?» domandò con sicurezza Harry, scuotendo la testa.
«Sto solo dicendo la verità» Angharad fece spallucce, ma la discussione venne bloccata dall’apparizione a sorpresa di qualcuno che non doveva essere lì: Astoria Greengrass sembrava scossa, ed era appena sbucata dalla porta del salotto: «Finalmente sei qui!»
«Ciao Astoria. Tutto bene?» chiese Angharad, osservandola attentamente.
«Non so cosa ci faccia tu qui, ma immagino c’entri con l’indagine e...» inspirò profondamente, stringendosi nella coperta che aveva preso in salotto, per poi guardare Harry dritto negli occhi «Stanno pianificando qualcosa. A breve.»
«Angharad, sai trovare il bollitore per il tè?» chiese Harry, continuando a guardare Astoria e chiudendo immediatamente la porta di casa: la babbana gallese aveva annuito ed era sparita in fondo al corridoio «Astoria, di che stai parlando?»
Aveva appena chiuso a due mandate la porta di casa, quando si sedette sul divano accanto alla Greengrass, visibilmente preoccupata, e le posò una mano sulla spalla «Cosa hai sentito? Dove credono che tu stia?»
«Non so nemmeno se se ne sono accorti che non sono a casa.» rispose quella, guardandosi intorno «Mi inventerò qualcosa se dovessero rendersene conto. Domattina. Posso rimanere qui?»
Harry annuì: «Anche perché penso rimarrà anche Angh. Non posso farle portare via i file che ho appena recuperato... Ma cosa hai sentito?»
«Avevano quattro ospiti, ma non li ho riconosciuti. Non so se hanno utilizzato una Polisucco o qualcosa di più definitivo, ma non li riconoscevo. Ma parlavano del momento, che era arrivato, che sarebbe accaduto tutto insieme... A che punto siete con l’analisi dei file? Avete trovato collegamenti?»
Harry scosse la testa: «Non ancora, ma se puoi possiamo continuare a lavorare stanotte. Chiudiamo le tende, ci mettiamo qui e cerchiamo di sbrogliare la matassa... Ricorderai alcuni dei nomi dalla tua infanzia, no?»
Astoria annuì, tirando poi dei fogli rilegati insieme fuori dalla coperta «E poi ho fotografato e stampato alcuni elenchi che mamma tiene dei vari invitati alle feste passate di Natale...»
«Ma è perfetto! Grande!» esclamò Harry, lasciandosi trascinare un po’ dall’entusiasmo. Astoria appariva ancora ampiamente turbata, e Angharad era appena arrivata con un vassoio, occupato da tre tazze, una teiera piena di acqua che sembrava bollente e diverse bustine di tè «Non sapevo quali volevate...»
«Va bene così. Vado a prendere i cuscini, le coperte e il PC e ci sistemiamo qui, okay?» propose Harry, risoluto.
Angharad e Astoria non ebbero nemmeno il tempo di annuire che quello era già scomparso oltre la porta, nel corridoio del pian terreno, lasciandole con due tazze di acqua bollente in mano e non poche domande da porgli.







*“care to specify” o qualcosa del genere era la formula che m’era venuta in mente quando scrivevo XD
**l’unica cosa che considero canon di quello scempio che è HPaTCC

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Capitolo 40
*** 39. Monster ***


Lo so, lo so, è un ritardo super-non-perdonabile. Ringraziate Jules Weasley che ho postato, perché avevo questo capitolo pronto da Natale ma preferivo scrivere nel tempo libero piuttosto che correggere e postare 'sto capitolo (correggere è palloso!). Alla fine, nonostante il capitolo dopo questo non sia ancora finito (ma quasi) ho deciso di postare comunque - principalmente perché Jules me l'ha chiesto molto convincentemente. Non odiatemi e buona lettura!







 
So we come to a place of no return
Yours is the face that makes my body burn
And here is the name that our sons will learn:
Curse the beauty, curse the queen
Curse the beauty, leave me


«Perché, perché siamo fuori di casa al freddo, lontani dalle calde e avvolgenti coperte del nostro divano e dall’amore dei nostri gatti?» il tono di Hermione era principalmente lamentoso, ma l’ex-Grifondoro aveva seguito Draco fino a Oxford Street, quindi non si poteva dire che fosse risolutamente contraria a quella scampagnata cittadina.
«Ci siamo impigriti, Granger. Con la scusa del freddo e la comodità degli amici che vengono spesso a trovarci, stiamo sempre a casa. Non farà male a Nyx e Nix passare qualche ora da soli.» rispose l’uomo la cui mano stringeva – in una sua tasca del cappotto, però, o il freddo sarebbe stato insostenibile.
«E poi dobbiamo comprare i regali di Natale. E probabilmente, altri addobbi.» aggiunse Malfoy, guardandosi intorno.
Hermione sbuffò: non poteva di certo ribattere sostenendo che avesse torto, anche perché aveva completamente ragione. Da quando era arrivato il freddo pungente londinese, avevano effettivamente limitato le uscite nel mondo esterno al minimo sindacale.
«Lo sai che ho ragione, Granger!»
«Mpf. Lo so, sì.» rispose quella, roteando gli occhi platealmente «Allora, qual è il piano? Da quali negozi dobbiamo passare?»
«Sicuramente da John Lewis, per le decorazioni e il regalo per il baby Weasley-Zabini.»
«Non è ancora nato...»
«E vuoi dirmi che sei il tipo di persona che non fa i regali prematuri?» ribatté Draco, esibendosi nel suo migliore sorriso a trentadue denti dopo essersi voltato nella sua direzione.
«Ovviamente sì, però non credevo lo fossi anche tu. Non sui regali di Natale, almeno.»
«Oh, ma certo che lo sono. Sono tra i migliori a fare i regali natalizi, modestamente.»
«E si vede, ti sei ridotto all’ultimo!» rispose Hermione, ghignando nella direzione dell’uomo «Inoltre, non ti riesce bene quella faccia inorgoglita con un cappello con un pon pon in testa!»
«Non privilegerei mai lo stile a scapito della temperatura della mia testa. O del mio collo, se è per questo. E a quanto pare neanche tu!» rimbeccò Draco, premendo il pulsante di prenotazione del semaforo, pronto ad attraversare la strada di lì a poco.
«Ovviamente, ma non sono io quella che va a lavoro in giacca e cravatta tutti i giorni!» terminò Hermione, con un’espressione soddisfatta in viso «Quanti altri chilometri dovrai farmi camminare, dopo?»
«Oh, non tanti.» rispose quello, stringendole la mano che era nascosta nella sua tasca insieme alla sua «Devo passare da Lillywhites a Piccadilly per il regalo di Blaise, da Primark per Angharad e Daphne, e per Luna e Ginny mi affido a te.»
«Oh, quindi si passa da Regent’s allora. Preferisco quelle decorazioni, anche se sembrano delle strane, enormi ragnatele argentate. E cosa intendi con “mi affido a te”?» ribatté Hermione, alzando un sopracciglio con fare sospettoso.
«Che mi affido al tuo giudizio. Dove dovremmo andare a cercare qualcosa per loro?»
«Oh. Io normalmente vado a Diagon Alley...»
«E se vuoi possiamo passare anche da lì, è serata di shopping natalizio.» convenne Draco, annuendo «Ma se non dispiace a nessuno preferisco comunque orientarmi sui cosiddetti regali babbani. Almeno quelli da parte mia...?»
Hermione gli rivolse un sorriso, stringendogli la mano «Avranno sicuramente dei regali diversi dal comune, così! Per gli altri cosa hai pianificato?»
«I regali per te e Theo sono già arrivati, non preoccuparti» rispose quello, rivolgendole un altro sorriso smagliante – e probabilmente beffardo, almeno per buona parte.
«Non hai risposto alla domanda, Malfoy!»
«Hai ragione!» mancavano circa duecento metri all’entrata del negozio, e Draco era esageratamente spumeggiante «Per Blaise una divisa da tennis e una sacca, per quello dobbiamo passare da Lillywhites. Per Angharad... abbiamo questa specie di tradizione, dove le regalo sempre un maglione a Natale. Hai presente quei terribili maglioni kitch natalizi? Primark ne fa addirittura alcuni che si illuminano... ecco, Angharad li adora. Quindi ogni anno a Natale gliene regalo uno. E ovviamente non posso non fare lo stesso regalo a Daphne, per annoiarla chiaramente: la vigilia di Natale è obbligatorio che ognuno di noi indossi quei maglioni kitch. Lo vuole la tradizione.»
«E sono gli unici regali?» chiese Hermione, perplessa: evitò di paragonarli ai maglioni che la signora Weasley lavorava a maglia per tutti i membri della famiglia, perché risultava davvero troppo strano.
«No, ovviamente, ma quelli pseudo-seri li ho già presi. Un orologio per Daphne e un po’ di roba nerd per Angharad: il cofanetto della trilogia del Signore degli Anelli, un’edizione tridimensionale delle Cronache di Narnia... e basta, in realtà. Posso pensare a qualcosa del genere per Luna e Ginny?»
Hermione si guardò intorno, pensierosa: «Per Ginny comprerei da Lillywhites, come per Blaise. Non aveva detto qualcosa sul voler iniziare a giocare a tennis...?»
«Hai ragione! E ovviamente, il maglione kitch di benvenuto!» aggiunse Draco, movendo su e giù le sopracciglia con fare furbetto.
«Ovviamente.» ripeté Hermione, ridacchiando e seguendolo nel John Lewis di Oxford Street «E per Luna... Oh, secondo me amerà qualche cosa di Primark! Hanno tante borsette, pigiami, onesie strani...»
«Mi sembra un’idea appropriata, cara!» convenne Draco, venendo subito dopo fermato da Hermione, che lo afferrò per il bavero della giacca: «E dimmi un po’, Malfoy, quando arriverà il mio maglione natalizio kitch?» chiese quella, con un inquietante sorriso a trentadue denti in volto.
«E questo è esattamente il motivo per cui ti ho trascinata fuori di casa. Lo scegliamo da Primark!» rispose Draco, annuendo solennemente, per poi lasciarsi sfuggire un sorriso timido.
«Grazie.» rispose semplicemente Hermione, non riferendosi solo a quel regalo anticipato. Fissò gli occhi grigi, ora un po’ indagatori, dell’uomo, per poi sollevare i piedi di qualche centimetro e posargli un bacio a fior di labbra.
«Ora possiamo andare a cercare il regalo per Weasleini junior e le decorazioni!» esclamò la ragazza, liberandosi del cappello di lana e dei guanti e guardandosi intorno alla ricerca delle indicazioni. Draco riemerse da una sorta di stato di trance particolarmente felice e la seguì solo qualche secondo dopo.

«Luna?» Theo aveva iniziato a traslocare parte della sua roba a casa della fidanzata, era già a metà, ma aveva il terribile presentimento che lo spazio babbanamente disponibile non sarebbe bastato.
La testa bionda della ragazza emerse da un cumulo di scatoloni che occupavano il centro del salotto: «Sì?»
«Da quanto non pratichi un incantesimo estensivo irriconoscibile?» chiese Theo, in bilico su una scala cercando spazio – evidentemente mancante – sul mini-soppalco presente al di sopra della porta della cucina.
«Mesi, almeno. Perché?» domandò, piegando la testa da un lato mentre lo guardava attentamente.
«Ho il leggerissimo presentimento che non ce la faremo a mettere tutto quello che ho qua dentro. Lieve, proprio.» rispose Theo, dalla cui espressione lo sforzo era evidente.
«Potresti avere ragione.» Luna si limitò ad annuire e ad alzarsi in piedi, per poi scomparire nella sua camera.
«Luna? Tesoro?» Theo si guardò intorno, perplesso. Era davvero scomodo stare lì sulla scala, in bilico.
Dopo qualche secondo, Luna tornò in salotto trascinando un baule blu, che a Theo sembrava familiare, e lo piazzò dalla parte opposta rispetto a dov’era lui, contro la parete vuota tra le due finestre: «È quello che avevo a Hogwarts. Va perfettamente qui.»
Theo iniziò a scendere gli scalini con due scatoloni in mano, e quando arrivò a terra, Luna lo guardava esibendosi in un sorriso a trentadue denti un po’ inquietante: «Va’ a prendere la bacchetta, magari se proviamo a farlo insieme ce la facciamo.»
Theo posò le scatole a terra e si diresse verso l’appendiabiti accanto alla porta, aprì la valigetta e afferrò la bacchetta d’ebano, avvicinandosi a Luna un po’ tentennante.
«Tu ne hai mai fatto uno?»
Theo annuì: «Sì, ma tanti anni fa. E solo per aumentare la grandezza del mio baule... quando mi sono trasferito da Blaise.» terminò, titubante.
Luna gli rivolse un sorriso rassicurante e gli afferrò la mano destra con quella libera dalla bacchetta: «Sono abbastanza sicura che riusciremo a creare un paio di stanze con facilità. Che ne pensi di uno studio in legno scuro e un ripostiglio per gli scatoloni da non svuotare nel prossimo futuro?»
Theo si guardò intorno, osservando il chaos di scatole presenti nel salotto e annuì: «Okay.»
«Adduco maxima!» pronunciarono entrambi, fermamente, puntando le bacchette verso il baule aperto.
Era passato davvero tanto tempo da quando Theo s’era dovuto concentrare così tanto per una magia che non praticava da decenni.
«Andiamo a vedere?» propose Luna, non dandogli nemmeno il tempo di rispondere: si era già tuffata nel baule. Theo rivolse uno sguardo alla parete opposta e andò a prendere la scala: probabilmente sarebbe servita.
Quando atterrò nella nuova stanza da loro creata rimase estasiato: era proprio come l’aveva immaginata – se non fosse per alcune variazioni un po’ atipiche, che dovevano chiaramente essere opera di Luna.
«Hai avuto decisamente una buona idea: non sapevo a cosa mi sarei dovuta appendere per tornare all’appartamento!» esclamò Luna, sorridente «Allora? Che te ne pare?»
«È perfetta.» Theo ricambiò il sorriso «Mi sa che è arrivato il momento di passarti tutte le scatole che compongono il tuo forte nel salotto. Rimani qui e te le passo dall’appartamento?»
«Perfetto!» esclamò Luna, soddisfatta del suo lavoro «E ricordati di non darmi quelle dei vestiti, della cucina e del lavoro, che quelle possiamo anche smistarle quando abbiamo finito con queste altre cose!»
«Sissignora!» rispose Theodore, accennando una specie di saluto militare verso Luna, che roteò gli occhi palesemente, senza però perdere il sorriso. Poi salì le scale e uscì dal baule: e si guardò intorno nel salotto. Quella sera quella stanza avrebbe avuto un aspetto molto diverso.

Ginny non ne poteva più delle nausee mattutine. Specialmente perché quelle che la tormentavano personalmente non erano solo mattutine: spesso duravano tutto il giorno. E lei riusciva ad allenarsi solo servendosi della pozione AddrizzaBudella, che ormai preparava la domenica per tutta la settimana. Si era già seccata del primo trimestre della gravidanza, era quasi arrivata alla fine e le nausee erano ancora fastidiose.
Perlomeno la maggior parte dei lavori di ristrutturazione – del maniero da single di Blaise che si trasformava, a quanto pareva, in una casa a prova di famiglia – era stata compiuta: o almeno, la parte più fisicamente stancante era terminata. Ora doveva solo, pian piano, trovare lo spazio e il tempo per sistemare le sue cose, quelle che in parte erano già lì da tempo, ma soprattutto la maggior parte che era arrivata dopo che aveva lasciato casa sua in Galles: stoviglie, piatti, asciugamani, presine, tovaglie, vestiti, scarpe... sarebbe stato molto divertente, considerata la vanità del suo futuro marito.
Erano stati costretti a trasformare la camera degli ospiti accanto a quella che sarebbe diventata la loro in cabina armadio: perlomeno, così aveva trovato il posto per i suoi amati armadi di frassino che si era portata dietro dal Galles.
Ma mancavano ancora le scarpiere da comprare, le scatole da svuotare, la culla e il fasciatoio da comprare, la casa da rendere a prova di bebé... e avrebbero dovuto completare tutto nei successivi sei mesi.
Probabilmente, solo per finire tutte quelle cose, avrebbe dovuto lasciare il Quidditch a breve, in piena stagione. Sperava solo di poter tornare per la stagione dell’anno dopo, quella che era cominciata tre mesi prima era decisamente agli sgoccioli. Almeno per lei.
Il telefono di casa prese a squillare e Ginny dovette fortunatamente abbandonare quei pensieri che le mettevano ansia: si alzò, raggiunse e afferrò il cordless, e rispose.
«Pronto?»
«Salve, c’è il signor Blaise Zabini in casa?» chiese la voce di una donna dall’altro capo del telefono.
«No, ma parla la sua fidanzata Ginny Weasley» incalzò la rossa, con l’espressione di qualcuno che avrebbe dato filo da torcere al suo futuro marito non appena sarebbe tornato a casa.
«Buon pomeriggio, signorina Weasley. Chiamo dal Municipio antico di Marylebone. Il suo futuro marito, il signor Zabini, aveva cercato di prenotare una cerimonia di matrimonio prima di Natale, ma purtroppo era tutto pieno...»
«Aspetti, cosa? Una cerimonia? Con delle persone?» se Zabini aveva avuto la cattiva idea di organizzarle un matrimonio in pompa magna l’avrebbe sentita eccome.
«Meno di dieci, in base a quello che mi aveva detto il signor Zabini.» Ginny tirò un sospiro di sollievo: c’era ancora qualcosa che non quadrava, però. Perché non gliel’aveva detto? «Si è miracolosamente liberato un funzionario alle ore tre del pomeriggio del ventiquattro dicembre. Andrebbe bene alla coppia e ai testimoni?»
E ora cosa doveva rispondere? Sapeva che la madre le stava organizzando il matrimonio magico il giorno di Natale alla Tana... ma sapeva anche di volere quello più informale. Solo con i testimoni. Per goderselo con calma. E a quanto pare lo ricordava anche Blaise, visto che aveva cercato di prenotarlo prima di Natale.
«D’accordo.»
«D’accordo?» chiese la donna dall’altra parte del telefono, perplessa.
«D’accordo, lo prenotiamo. A mercoledì ventiquattro alle tre!»
«Oh, non penso mi troverà personalmente, ma segno la vostra prenotazione! Arrivederci e buona serata!»
Ginny chiuse la telefonata, sorridendo come un’ebete: avrebbe avuto il matrimonio che voleva e anche quello che voleva la sua famiglia. Ma quello importante sarebbe stato il primo, quello del giorno prima, quello all’orario improponibile della Vigilia di Natale. E sarebbe stato tra pochi intimi, proprio come voleva lei.
Diede un’ultima occhiata alla stanza intorno a sé e si voltò verso la porta: sarebbe andata a prendere il cellulare, aveva qualche messaggio da inviare alle sue damigelle.

Daphne stava mangiucchiando i popcorn rimasti sul fondo della coppa che avevano preparato qualche mezz’ora prima Charlie e Angharad: i due diretti interessati erano in ginocchio al tavolino del soggiorno, entrambi sommersi di carte – di diverso tipo – entrambi a lavoro.
Lei era tornata da lavoro solo mezz’ora prima, e non aveva intenzione di riprendere a farlo: la presentazione poteva prepararla nel weekend. Allora mangiucchiava popcorn e giocherellava con il cellulare, indecisa sul ristorante da chiamare per prenotare il cibo da farsi portare a casa quella sera – per lei, Charlie e Angharad, ovviamente – quando il telefono emise un trillo: era un messaggio.
«Oh cielo.» dichiarò Daphne, con un tono troppo tranquillo per l’affermazione appena fatta, tanto che né Charlie né Angharad alzarono lo sguardo dai loro fogli «Signori, tenetevi liberi per mercoledì prossimo alle tre del pomeriggio.»
«La vigilia di Natale?» chiese Angharad, perplessa «Ovvio, c’è lo scambio di regali da Hermione e Draco.»
«Non solo, mia cara Angh, non solo.» ripose Daphne, ghignando. Così facendo attirò anche l’attenzione di Charlie, che ora la guardava come lo stava facendo Angharad: da persona perplessa.
«Bene, se non me lo chiedete voi ve lo dico direttamente io: Blaise e Ginny si sposano al municipio antico di Marylebone.»
«Davvero?» chiese Angharad, alzando un sopracciglio.
«Che senso avrebbe inventarsi una cosa del genere, scusa? E poi, penso che lo sapreste anche voi se deste un’occhiata ai vostri cellulari.» ribatté Daphne, alzando il naso al cielo.
Charlie e Angharad eseguirono ed, effettivamente, avevano ricevuto un sms anche loro.
«Ah.» esalò Angharad, osservando con concentrazione il suo telefono.
«Oh.» fece eco Charlie, leggendo il messaggio ricevuto per alzare lo sguardo solo dopo «Qui dice che devo portare George senza farlo sapere a nessuno della famiglia.»
«Non sarà poi così difficile, lui sta rinchiuso al negozio. Non lo saprà manco Angelina che è scomparso per una mezz’ora, non conta come pausa pranzo, quell’ora?» propose Daphne, facendo spallucce.
«Non ne sono sicuro, ma penso non sia del tutto impossibile il tuo ipotetico piano.»
«Ovviamente non lo è, sono un genio del male!» ribatté Daphne, inorgoglita: poi tornò a meditare sull’asporto di quella serata, mentre gli altri due erano ancora un po’ scossi. Non tanto per la notizia, quanto per come era stata recapitata dalla persona cara che avevano in comune – e, che ormai lo sapevano da tempo, non aveva mezze misure.

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Capitolo 41
*** 40. Coins In A Fountain ***


Non posso crederci nemmeno io che sono passati 5 mesi dall'ultimo capitolo che ho pubblicato. Non avrei mai voluto farvi credere che avevo abbandonato la storia, ma in tutto questo tempo non son riuscita a scrivere nulla, ero completamente senza ispirazione, pur sapendo dove sarebbe andata a finire la storia. Alla fine circa un mese fa avevo finito questo capitolo, però non mi convinceva. Alcune cose non mi convincono ancora, ma l'ho corretto e ora sono pronta a postarlo. Basta aspettare. Devo ancora scrivere il prossimo e spero di essere ispirata per iniziarlo al più presto, però per ora spero siate felici di leggere questo (e che non mi abbiate abbandonata nonostante questo ritardo inammisibile). Buona lettura!
 

Hate is a poison, love is a remedy, singing out like the sweetest of melodies
Hope is a ghost in the deepest of memories, stronger than ten of me
Fear is the enemy, in the dark and it creeps like a shark, in the coldest sea, in the deepest part
But hope is the beat in the oldest heart
A hand in a hand and a brand new start.

Draco e Hermione erano arrivati appena un quarto d’ora prima delle tre al municipio di Marylebone credendo di essere in ritardo: oltrepassata l’entrata si resero conto della mancata presenza di un pezzo fondamentale della cerimonia.
Raggiunsero il gruppetto familiare alla sinistra dell’atrio trovandovi Theo, Luna, Angharad, Daphne, Charlie e anche George: ma non c’era alcuna traccia di Blaise e Ginny.
«Buon pomeriggio. Sono pressoché certo che manchi qualcuno» esordì Draco, guardando tutti i presenti «Inoltre: Angharad, Daphne, perché diamine siete venute con i maglioni natalizi già addosso?» sgranò gli occhi in direzione del maglione rosso con la renna Rudolph di Daphne e di quello blu con un paesaggio natalizio innevato completo di lucine che si illuminavano a intermittenza di Angharad. Daphne roteò gli occhi platealmente, degnando Draco di una risposta solo dopo qualche secondo: «Avevo la festa dei maglioni natalizi brutti a lavoro, d’accordo?»
«E io amo solo troppo il mio maglione e lo utilizzerò fin quando nataliziamente possibile.» aggiunse Angharad, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
«Beh, ma mi sembra giusto: voi “testimoni” dovete essere quelli più eleganti» intervenne George Weasley, indicando i quattro diretti interessati: Draco, Theo, Luna e Hermione gli rivolsero occhiate perplesse.
«Ma dove sono precisamente gli sposini?» domandò Hermione, guardandosi ansiosamente intorno.
«Arriveranno, arriveranno...» rispose immediatamente Luna, con fare tranquillo.
«Spero solo in tempo per la cerimonia.» ribatté Hermione, a tratti indispettita. Draco le strinse impercettibilmente la mano per qualche secondo e lei inspirò profondamente: aveva ragione, non aveva di che preoccuparsi, sarebbero arrivati.
«Eccoli!» esclamò Angharad «Guarda, Daph, non siamo le uniche ad aver scelto un maglione!»
«Angh, maglione natalizio e lupetto non sono la stessa cosa...» la corresse Blaise, che li aveva appena raggiunti mano nella mano con Ginny.
«Sì, ma tu ti stai sposando.» continuò Angharad, annuendo platealmente. Gli sguardi perplessi di Theo e Draco davano manforte alla tesi della loro amica: soprattutto perché loro due si sentivano dei pinguini in giacca e camicia.
«Cosa posso dire, sto meglio in total black.» rispose Blaise, rivolgendo un sorriso malefico ai tre amici ancora lievemente allibiti.
«Ha ragione, sta meglio così.» convenne Ginny, annuendo e supportandolo «Su, futuro sposo, andiamo a sposarci di nascosto dalle nostre famiglie!»
«Sissignora!» rispose Zabini, mimando un saluto militare con la mano libera a riprendendo a camminare insieme alla futura moglie, aprendo la fila al gruppetto di amici.
«Sono così contenta di non esser elegante!» commentò Angharad, osservando il corto vestito svolazzante color panna di Ginny e battendo il cinque a Daphne, che aveva appena alzato una mano nella sua direzione: Charlie, di tutta risposta, scosse la testa, ormai arresosi alle stranezze di quelle due.
«Ma sono sempre così?» chiese George, rivolgendosi al fratello maggiore. Charlie annuì: «La cosa peggiore è che mi stanno anche contagiando.»
«Oh, wow. Non immagino come debba essere stare a casa con tutte e due.» annuì George, sogghignando.
«Non è male. È peggio se porto un... animale a casa da lavoro e Angharad inizia a giocarci, ma per ora è ancora viva, quindi immagino di doverle dare un po’ di credito.»
«Weasley, vedi che ti sento!» lo riprese la babbana in questione, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla «E per vostra informazione sono bravissima con tutte le creature, magiche e non!»
«Shhh!» esplosero tutti i presenti, così da ricordare immediatamente ad Angharad la potenzialmente pericolosa mancanza d’attenzione appena mostrata: «Ops.»
«Muoviamoci, Jernigan, che siamo in ritardo!» dichiarò Draco, a distanza di qualche passo, riportandola all’ordine poco prima di svoltare l’angolo mano nella mano con Hermione.


Quando entrarono, la ministrante era già presente: «Siamo tutti?» dopo aver colto il cenno di entrambi gli sposi, riprese pratica a parlare «Perfetto, prendete posto.»
«Buon pomeriggio, signore e signori, e benvenuti all’antico municipio di Marylebone per il matrimonio di Ginevra Molly Weasley e Blaise Zabini.» la donna sembrò sul punto di aggiungere un’imprecazione infelice per via dei nomi che, a quanto pareva, sembrava ritenere degli scioglilingua.
«Mi chiamo Catherine Rawlings e rappresento il borgo londinese di Westminster. Con me c’è l’archivista che si occuperà di registrare gli atti per il futuro.» la maggior parte dei presenti si rese conto della presenza dell’archivista in questione solo dopo l’annuncio di tale Rawlings: era seduto a una scrivania e sembrava scomparire nello sfondo «Devo prima di tutto render noto che il luogo dove siamo raccolti è stato debitamente approvato dalla legge al fine d’essere utilizzato per la celebrazione di matrimoni, e che se qualcuno tra i presenti fosse a conoscenza di qualsiasi ragione legale per la quale queste due persone non possano unirsi in matrimonio dovrebbe dichiararlo ora.»
Draco inarcò un sopracciglio, attirando l’attenzione di Hermione che gli rivolse un’occhiata perplessa, alla quale il biondo rispose scuotendo la testa e con un cenno che le fece intendere che gliel’avrebbe detto dopo.
«Perfetto.» dichiarò nuovamente la portavoce, non appena fu certa dell’assenza di risposte; poi si voltò verso Blaise «Vuoi tu prendere come legittima sposa Ginevra Molly Weasley, e amarla, esserle fedele e leale per il resto della vostra vita coniugale?»
Draco si rese conto di non essere l’unico a guardare intensamente Blaise – che dal canto suo aveva occhi solo per Ginny: anche Theo aveva un’espressione divertita in viso mentre aspettava una delle fatidiche risposte di quella giornata.
«Lo voglio.» Si dovettero entrambi trattenere dall’applaudire e fare già festa, consci del fatto che quella Catherine Rawlings li avrebbe probabilmente uccisi se l’avessero fatto.
La donna si rivolse allora a Ginny: «Vuoi tu prendere come legittimo sposo Blaise Zabini, e amarlo, essergli fedele e leale per il resto della vostra vita coniugale?»
Anche Ginny guardò Blaise prima di rispondere, e gli sorrise: «Lo voglio.»
«Bene. Prima che vi uniate in matrimonio è mio dovere ricordarvi che i voti che state per scambiarvi sono di natura solenne e vincolante. Il matrimonio in questo paese è l’unione esclusiva di due persone che scelgono volontariamente di stare insieme, negandosi a tutti gli altri*.  Oggi scambierete i voti che vi renderanno marito e moglie. Ciò che pronuncerete sono parole formali, nonché una pubblica dichiarazione del vostro amore, e una promessa di impegnarsi l’uno nei confronti dell’altro per il resto della vostra vita. L’obiettivo del matrimonio è che possiate sempre amarvi, prendervi cura l’uno dell’altro e supportarvi a vicenda nella buona e nella cattiva sorte, e che il vostro amore possa far crescere sempre la vostra relazione, rendendola ricca di dedizione perenne e continua.»
La Rawlings prese fiato solo dopo aver finito di leggere quel lungo paragrafo, e Angharad la osservò attentamente: ma era l’unica che s’era accorta della voglia eccessiva di quella donna di fare qualsiasi altra cosa in quel momento che non fosse sposare quei due? Rivolse un’occhiata a Daphne e Charlie, ma entrambi guardavano gli sposi con fare quasi sognante: ai matrimoni le coppie rincretinivano, questo lei l’aveva sempre sostenuto.
«Adesso vi chiederò di dichiarare che non siete a conoscenza di alcun motivo legale per il quale non potreste sposarvi.» si voltò leggermente verso Blaise per fargli intendere che sarebbe stato il primo: «Ripet—
Ma Zabini fu più veloce: «Dichiaro solennemente di non essere a conoscenza di alcun impedimento legale per il quale io, Blaise Zabini, non possa essere unito in matrimonio a Ginevra Molly Weasley.»
La ministrante sembrava notevolmente indispettita da quell’educata ribellione alla formula che avrebbe previsto che li accompagnasse, ma scelse di lasciar correre e di fargliele pronunciare da soli.
«Dichiaro solennemente di non essere a conoscenza di alcun impedimento legale per il quale io, Ginevra Molly Weasley, non possa essere unita in matrimonio a Blaise Zabini.» Hermione guardava Ginny e si rendeva sempre più conto di quanto sprigionasse felicità e luce propria da tutti i pori. Era contenta, e lei era altrettanto contenta per lei.
Catherine Rawlings sembrava particolarmente contrariata anche dalla formula successiva, e lo rese noto espirando l’aria appena inspirata con meno compitezza del solito: «Lo scambio degli anelli rappresenta una promessa d’amore eterna, nonché una pubblica dichiarazione che il contratto tra Blaise Zabini e Ginevra Molly Weasley sarà onorato. Volete pronunciare anche questa parte da soli?» chiese poi ai due sposi, che annuirono: la sua reazione fu un verso quasi esasperato, ma sembrò contenerlo al meglio voltando la pagina del suo libro delle formule di matrimonio.
Blaise prese uno degli anelli che Theo gli aveva porto e lo infilò all’anulare sinistro di Ginny: «Ti offro quest’anello come simbolo della nostra vita coniugale, e chiedo a tutti i presenti di testimoniare** che io, Blaise Zabini, prendo te, Ginevra Molly Weasley, come mia legittima sposa per amarti, esserti fedele e leale per il resto della nostra vita coniugale.»
Ginny prese l’anello rimanente e lo infilò all’anulare sinistro di Blaise: «Ti offro quest’anello come simbolo della nostra vita coniugale, e chiedo a tutti i presenti di testimoniare che io, Ginevra Molly Weasley, prendo te, Blaise Zabini, come mio legittimo sposo per amarti, esserti fedele e leale per il resto della nostra vita coniugale.»
La ministrante si esibì in quello che doveva essere il primo sorriso sincero – e a trentadue denti – dall’inizio della cerimonia, e riprese a parlare: «Blaise Zabini e Ginevra Molly Weasley, avete fatto le proclamazioni previste dalla legge e stretto un contratto solenne e vincolante l’uno con l’altra in presenza dei vostri testimoni, delle vostre famiglie e amici, e a nome mio e del borgo di Westminster sono lieta di dichiararvi marito e moglie. Congratulazioni!» la Rawlings ora sembrava in palese visibilio, e non per il bacio scambiato dagli sposi e neanche per il boato di applausi e congratulazioni che aveva seguito la fine della cerimonia «Signore e signori, così si conclude la cerimonia di matrimonio. Per favore, rimanete seduti mentre gli sposi firmano il registro.» dichiarò la donna, per poi aggiungere a bassa voce «E finalmente me ne vado!»
Aveva già fatto tre passi in direzione dell’uscita, quando l’archivista si schiarì la voce, richiamandola all’ordine: al che la donna gli rivolse un’occhiataccia, ma lo raggiunse nonostante tutto per gli ultimi dolorosi – almeno per lei, che voleva tornare a casa a preparare il cenone della vigilia di Natale – momenti di quella cerimonia.
E mentre quei quattro erano alle prese con i registri, gli altri ignorarono platealmente le intimazioni della stanca e seccata ministrante e si accalcarono, in piedi, alle spalle degli sposi, pronti ad assalirli con le loro congratulazioni e abbracci non appena terminata la faccenda delle firme.
Quando Catherine Rawlings*** concluse l’ultima cerimonia di quell’anno – almeno di quelle che avrebbe pronunciato lei – e riuscì a districarsi tra i baci e gli abbracci di quell’affettuosa e fastidiosa – come lo erano tutte in questi casi –  combriccola, poté tirare un sospiro di sollievo: e, finalmente, dopo decine di secondi, riuscì a raggiungere l’entrata e uscire da quella sala per poter tornare finalmente a casa.

Dopo aver approfittato delle poche decine di minuti di sole che avrebbero ancora avuto quel giorno per fare diverse foto – babbane – a Regent’s Park – tutta opera di Angharad, che aveva platealmente reso noto che l’esser la loro personale fotografa per quella giornata sarebbe stato il suo regalo di matrimonio alla coppia – l’intero gruppo finì al World’s End a bere e festeggiare per buona parte del pomeriggio, prima di trasferirsi finalmente a casa di Draco per l’ora di cena. E quando ci arrivarono, George non li aveva ancora lasciati.
Aveva guardato un paio di volte l’orologio che portava al polso sinistro, ma l’alcol li aveva resi più brilli e gioviali del solito – eccetto per i futuri sposi: l’una doveva evitare l’alcol per il bene della prole, e l’altro per il suo: Ginny non l’avrebbe lasciato intero, probabilmente, se fosse stata l’unica a non bere; e poi Blaise voleva darle manforte, sopportarla e supportarla, e non solo perché si erano appena sposati: in quei tre mesi era già stata non poco male e il peggio sarebbe ancora dovuto venire, quindi voleva fare qualsiasi cosa in suo potere per non farla sentire sola e scoraggiata, soprattutto perché il duro lavoro fisico sarebbe spettato a lei – e stavano meditando su cosa ordinare per cena, se pizza, sushi o tex-mex – che non sapeva con precisione cosa fosse, ma l’avrebbe chiesto a Charlie, Ginny o alla peggio a Daphne – quindi non se la sentiva di rompere l’ordine normale delle cose, o almeno quello che sembrava essere quella discussione sul cibo, per dichiarare che sarebbe dovuto tornare a casa. E la birra era davvero buona.
«Io direi di metterla ai voti: ognuno ha avuto l’opportunità di elencare i pro e i contro di queste cucine, ora si è fatta una certa ora e vorrei evitare di far arrivare il cibo alle dieci di sera. Votiamo per alzata di mano?» il padrone di casa aveva preso parola e George doveva dire che era molto compito – ma quello lo era sempre stato, o almeno, immaginava lo fosse, con i suoi simili – e anche... rilassato. Era molto diverso dal Draco Malfoy che ricordava, e questo lo stupiva ogni volta che sua sorella o Charlie gli parlavano di lui.
«Io ho diritto a due voti! Anche perché non sono del tutto certa che le voglie di cibo siano dettate solo dalla mia volontà, ecco.»
«Penso sia ancora scientificamente impossibile che il bebé ti faccia capire qualcosa, ma lo lasciamo correre per la tua nausea perenne.» commentò Angharad, sfregando un indice contro il suo mento.
«Ecco, sì!» esclamò Ginny, vittoriosa.
«E due voti per Ginevra siano.» dichiarò Malfoy, che sembrava si stesse divertendo a fare il mediatore. Aveva anche appena fatto una pausa scenica eccessivamente lunga prima di riprendere a parlare «Per alzata di mano, chi vuole il sushi?»
Luna, Daphne e Angharad alzarono la mano, nettamente in minoranza. Le ultime due rivolsero un’occhiataccia a Charlie subito dopo il voto, che fece spallucce.
«Per il tex-mex?» chiese Draco, divertito: alzarono la mano solo Theo e Charlie, con il supporto morale di Blaise che avrebbe votato per la scelta di Ginny, nonostante avesse voglia di messicano.
«E per la pizza?» domandò infine Draco, sfregandosi le mani tra loro: le mani di Ginny – entrambe – Blaise e Hermione saltarono in alto, dichiarando automaticamente il vincitore «Pur essendo inutile, al momento, sono per la pizza anche io. Franco Manca****, siamo pronti!»
Solo dopo qualche istante si rese conto dell’astensione di George: «Tu rimani neutrale?»
George quasi sobbalzò, sentendosi chiamato in causa: «Non conosco bene gli ultimi due, quindi sceglierei loro. Ma non ho votato perché non posso rimanere, sono stato già troppo tempo lontano dal negozio e da casa...»
«Ah, già, ti ho costretto a non dire nulla a Ron.» dichiarò Ginny, che si era momentaneamente dimenticata della posizione del fratello più restio a tutto quello.
«Crede che sia dai fornitori. Ma sarebbe assurdo passarci... ormai cinque ore. Quindi devo salutarvi.» George si alzò in piedi e Draco e Angharad lo seguirono: i tre si guardarono perplessi.
«Vado io, Dra’. Tu vedi di chiamare e prenotare le pizze.» il tono era perentorio. Angharad affamata diventava particolarmente dittatoriale.
«Okay...» rispose Draco, titubante: Angharad e la fame erano un connubio che ancora lo rendeva inquieto. Era stato testimone di certe scenate che erano terminate soltanto nel momento in cui l’amica aveva messo qualcosa nello stomaco.
«Signori e signore, ci vedremo tutti domani! Buona vigilia di Natale!» salutò George, seguendo Angharad verso le scale dopo aver ricevuto i saluti di tutti, sovrapposti cacofonicamente l’uno sull’altro.
Arrivati alla porta d’ingresso, Angharad la spalancò: «Ti giuro che non sto cercando di cacciarti, ma ho davvero fame.»
«L’avevo capito dallo sguardo terrorizzato di Draco.» annuì George Weasley, che si rese conto solo dopo dieci secondi buoni di aver chiamato Malfoy con il suo nome. Cose davvero strane erano accadute quel dì.
«Sì, fa bene ad avere paura.» il tono di Angharad sembrava quasi minaccioso «Beh, a domani George! Buon ritorno a casa e buon Natale!»
«Buon Natale, bestia affamata!» rispose George, scherzoso, beccandosi un’occhiata perplessa da parte della ragazza gallese che chiudeva la porta.
Quando Angharad scese al piano di sotto, trovò tutti i pacchi regalo in mezzo alla stanza: «Ehi, non mi avete aspettato!»
«Non li abbiamo mica aperti!» ribatté Draco, sulla difensiva «E non preoccuparti, ho già chiamato: dovrebbero arrivare tra quaranta minuti.»
«Spero per la tua dispensa che il tuo regalo a me sia davvero interessante.» commentò allora l’amica, rivolgendogli un’occhiata per nulla entusiasta.
«Come sempre, Jernigan, come sempre! E se prendi il tuo posto troverai lì davanti i tuoi!»
Angharad si risedette tra Luna e Daphne, sul tappeto: effettivamente c’era una piccola montagnetta di regali sul tavolino.
«Allora, per qualcuno di voi è la prima volta: dovete necessariamente aprire per primo il pacco rettangolare e morbido. Poi gli altri, nell’ordine che preferite.» spiegò Draco, con un sorrisetto compiaciuto: Hermione sorrideva nella sua direzione e scuoteva la testa, ma aveva già sulle gambe il pacco regalo in questione. Ma per lei sarebbe stato più divertente osservare le reazioni degli altri, sapeva già qual era il suo maglione.
Anche Blaise sembrava pensarla come lei: non aveva iniziato ad aprirlo e stava guardando attentamente alla sua destra, dove Ginny lo apriva con cautela e interesse.
«Oh! Grazie, Draco, è stupendo!» esclamò Luna, alzandosi in piedi e abbracciando il suo maglione verde con il disegno sul davanti che la faceva sembrare un elfo di Babbo Natale. Poi abbracciò anche Draco, che era contento, ma si sentì anche lievemente stranito. Era solo un maglione dopotutto.
«Malfoy, mi stai dando della balena?» irruppe Ginny, posandosi sul davanti il maglione rosso con i vestiti di Babbo Natale disegnati sopra.
«Non oserei mai, Weasley. Ma Babbo Natale è il protagonista del Natale, l’ho scelto ovviamente per quello!»
«Mh, ti sei salvato in calcio d’angolo.» commentò la rossa, seguendo l’amica e indossando anche lei il suo nuovo maglione dopo aver abbracciato il padrone di casa.
Hermione a quel punto l’aveva già scartato e indossato, e gli stava rivolgendo un sorriso consapevole: «Non me l’aspettavo proprio, guarda.»
«Sì, lo so...» Draco roteò gli occhi, ma aveva già deciso che per il Natale successivo l’avrebbe scelto da solo il maglione per lei: sarebbe stata una sorpresa, come doveva essere. Hermione gli baciò una guancia subito dopo «Grazie, comunque.»
«Prego.» rispose a bassa voce, e Hermione avrebbe giurato che quel rossore sulle sue guance non fosse dovuto al caldo o all’alcol.
«Grazie, Draco! La renna qui sopra è stupenda!» la reazione di Charlie era terribilmente simile a quella di Luna: sapeva che ci avrebbe azzeccato con il maglione con la renna.
«Sono contento che ti sia piaciuto.» c’era una nota d’imbarazzo nella voce, ma Draco non era abituato ad abbracciare tutte quelle persone, e soprattutto, tante persone nuove: erano solo lui e i suoi quattro amici, di solito.
«Wooow, non appena sputo fuori la bestiolina userò tutto sicuramente!» Ginny aveva già aperto un paio di regali e ringraziato i rispettivi mittenti, ma ora stava esaminando la sua nuova attrezzatura da tennis «Grazie, Malfoy!» aveva alzato una mano nella sua direzione, e Draco batté il cinque poco dopo.
Anche gli altri stavano scartando i regali, e Draco tirò un sospiro di sollievo: quella serata stava andando meglio del previsto.





*La frase in lingua originale era abbastanza problematica, quindi ho scelto di renderla così
**Originariamente è “to witness”, quindi “esser testimoni”, ma non sapevo come girare la frase e renderla comunque solenne quindi MEH
***Non so se avete visto l'ultimo Bridget Jones in cui lei è incinta. Bene, la sua dottoressa la fa Emma Thompson e quel personaggio per me è lei. Catherine Rawlings è lei. E il cognome Rawlings è ovviamente un omaggio alla Rowling.
****Franco Manca è una pizzeria italiana che è davvero a Londra, ce ne sono tante di sedi ma io sono andata a quella di South Kensington e ho mangiato una delle migliori pizze napoletane della mia vita. Se passate da Londra, andateci!

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Capitolo 42
*** 41. No Light, No Light ***


Non aggiorno da 8 mesi e 12 giorni ed è davvero, davvero imperdonabile. Lo so. Purtroppo però diciamo che "la vita s'è messa in mezzo" nel senso che ho dovuto studiare e studiare e comunque non ho ancora concluso, ma la tesi è scritta e anche se ho avuto incidenti di percorso con professoresse particolarmente intransigenti mi manca solo un esame. E soprattutto l'ispirazione per finire questo capitolo - un po' più lungo del previsto sia perché dovevo farmi perdonare, sia perché non potevo anche dividerlo, deve stare tutto insieme per linearità - è tornata. Quindi il 41esimo capitolo è pronto. E vi auguro buona lettura, sperando che possiate perdonarmi e che non abbiate perso le speranze!








 
You are the hole in my head, you are the space in my bed
You are the silence in between, what I thought and what I said.
You are the night time fear, you are the morning when it’s clear
When it’s over you’re the start: you’re my head, you’re my heart.


 
Sia Luna che Theo avevano addosso enormi cappottoni babbani, che stonavano non poco con l’elegante maniero neogotico che si parava davanti a loro e che pareva non essere invecchiato dal momento in cui era stato costruito.
«Hai vissuto qui per tre anni della tua vita?» chiese Luna, strabuzzando gli occhi osservando quel piccolo castello dai colori scuri.
«Sì.» rispose Theo, sorridendo subito dopo «Sembra il castello di Malefica, ma ti posso assicurare che è davvero accogliente.»
Luna rispose al sorriso e gli strinse la mano, o quel che poteva, essendo le mani di entrambi pesantemente inguantate.
«Brrr» Luna emise quel verso nello stesso istante in cui la porta d’ingresso si aprì, mostrando un’affascinante donna sulla cinquantina, avvolta in un elegante mantello – che le faceva venir freddo solo a guardarlo.
«Il più freddo dal ’96, se ben ricordo.» commentò la donna, chiudendosi dietro la porta di casa e dirigendosi ad abbracciare Theo «Buongiorno, Theo. Tutto bene?»
«Buon Natale, Ajike. Nulla di nuovo dall’ultimo brunch.»
«Come mi ha resa cosmopolita la vostra vita babbana, organizzo brunch io!...» commentò la signora Zabini, e sembrava quasi orgogliosa oltre a essere autoironica. A Luna stava già simpatica «Tu devi essere Luna! Theo non fa che parlare di te.»
Ajike Zabini le porse la mano, che lei afferrò con sicurezza e un sorriso sulle labbra «Luna Lovegood. Piacere di conoscerla, signora Zabini.»
«Chiamami Ajike, quel “signora” mi fa sentire vecchia!» Theo era un po’ arrossito, dopo il commento della mamma di Zabini sulla numerosità delle volte che avevano parlato di lei, ma Luna gli fece un sorriso d’incoraggiamento.
«Allora, dobbiamo salire su quella macchina mortale babbana?» chiese Ajike, indicando l’auto al di fuori del cancello di ferro battuto.
«Sì. Ed è esattamente il motivo per cui siamo qui così presto.» Theo s’incamminò lungo il vialetto, mano nella mano con Luna, e Ajike che li seguiva a qualche passo di distanza.
«E così sia. Probabilmente è meglio un ambiente riscaldato di una scopa da corsa e il vento gelato contro il viso con queste temperature, ma anche alla mia veneranda età mi sentirei più a mio agio sulla seconda di queste scelte.»
«Suvvia, Ajike, non temere! Sono bravo a guidare. Non quanto Blaise, ma non sono pericoloso.» rispose Theo, premendo il pulsante accanto al portachiavi e aprendo l’auto.
Luna sbottonò il cappotto prima di aprire la portella dell’auto e Ajike sembrò fare lo stesso prima di entrare nella vettura.
«È contenta?» chiese Luna, e Theo poté intercettare lo sguardo che le due donne si scambiarono.
«Ma certo, è un’occasione felice. Anche se so che sono già sposati, me l’ha detto Blaise ieri sera. E poi gli sarebbe potuta andare peggio, avrebbe potuto innamorarsi di una che non sapeva tenergli testa. Ginny sembra promettere bene, invece!» commentò la donna, liberandosi dei guanti subito dopo la partenza dell’auto «Ciò non toglie il mio stupore: mio figlio è stato il primo tra di voi a sposarsi. Avrei scommesso su chiunque prima di scommettere su di lui, se devo dire il vero.»
«E non sei stata l’unica. Perlomeno io però la scommessa l’ho vinta!» commentò Theo, sorridendo maleficamente.
«Oh, piccola serpe! Sapevo non mi avreste delusa. Draco l’ha persa?»
«Ovviamente.» commentò Theo, sorridendo soddisfatto.
Luna era contenta di aver conosciuto in quella situazione la madre di Zabini, ed era conscia del fatto che questa sarebbe stata la cosa più vicina a un incontro con la famiglia di Theo: ed era meglio così, dopotutto era la famiglia che l’aveva accolto e che lui si era scelto. E sembrava davvero una bella famiglia.

«Posso parcheggiare qui?» la domanda l’aveva posta sia a Hermione che a Charlie, qualsiasi risposta sarebbe stata soddisfacente al momento.
Riusciva a vedere la casa a tre – o erano cinque? – piani da lontano, e notava anche il vialetto. Immaginava che non ci sarebbero state molte auto, ma la sua, quella di Theo e di Blaise ci sarebbero state sicuramente. E siccome non voleva rimanere bloccato lì indefinitamente, avrebbe volentieri parcheggiato per ultimo. O più lontano. O anche in mezzo all’erba. Ma ovviamente non avrebbe potuto ammetterlo ad alta voce.
«Qui a sinistra, prima di quello che sembra un rifugio nucleare va bene.» rispose Charlie, e Draco ringraziò il cielo: temeva che Hermione gli avrebbe fatto parcheggiare l’auto sotto quella casa, che a dirla tutta sembrava un po’ pericolante. Ma magari era retta dalla magia?
«Immagino sia una serra...?» ipotizzò Daphne, guardando in direzione dell’edificio alla cui sinistra avevano appena parcheggiato.
«Sì, una sorta di mega-ripostiglio. Ma non puoi negare che sembra l’entrata di un rifugio nucleare!» commentò Charlie, indicando la costruzione in questione.
«Weasley, stai vedendo troppi film apocalittici!» dichiarò Angharad, afferrando la borsa e aprendo lo sportello dell’auto non appena Draco fermò l’auto: non aveva nemmeno spento il motore e l’amica babbana era già fuori, seguita da Daphne.
«Immagino che vi aspetteremo all’interno» pronunciò allora Charlie, perplesso dalla velocità di quelle due. Dopo qualche secondo nell’abitacolo c’erano solo loro due.
Draco era non poco nervoso, ed era certo che Hermione se ne fosse accorta. Insomma, stava per conoscere la famiglia che era un po’ stata quella che l’aveva introdotta alla magia, soprattutto in quegli anni durante i quali la sua vera famiglia era dimentica di tutto in Australia. E da quello che lei gli aveva raccontato – sebbene non nei particolari, ma non era idiota – lo conoscevano già e probabilmente nemmeno lo sopportavano. Almeno, buona parte di loro. Charlie e George non lo odiavano, di questo era abbastanza sicuro. O forse solo di Charlie: George si comportava in maniera strana in sua presenza. Ma non sembrava restio a respirare la sua stessa aria, perlomeno.
Aveva cambiato marcia senza la solita grazia per tutte le tre ore di viaggio fino alla Tana, e sarebbe stato un eufemismo dire che era particolarmente propenso a saltar su per ogni nonnulla. Hermione aveva immaginato che sarebbe stato un po’ a disagio, ma non aveva mai pensato che sarebbe potuto essere così... reattivo.
Erano solo loro due nell’auto a motore spento e Draco aveva entrambe le mani sul volante, inspirava lentamente con gli occhi chiusi: allora afferrò la sua mano sinistra e gliela strinse «Andrà tutto bene.»
«Non temo un loro possibile tentativo di omicidio o tortura» iniziò Draco, afferrando a sua volta la mano di Hermione e lasciando cadere entrambe le mani intrecciate a qualche centimetro dal cambio «Ma ho carpito abbastanza bene dalle tue storie gentilmente censurate che molto probabilmente non sono loro molto simpatico, e bada bene che sono certo di star utilizzando un eufemismo.»
Hermione aspettò che si voltasse nella sua direzione per sorridergli: «Saranno civili, potrai benissimo entrare nel ruolo “Malfoy Manager” e li incanterai tutti. Soprattutto Arthur Weasley, ama le cose babbane.»
Lo sguardo di Draco era lievemente perplesso: «E poi pensa che hai già tre Weasley dalla tua parte.»
Se avesse potuto, la perplessità nello sguardo di Malfoy sarebbe aumentata: «Tre?»
«Ginny, Charlie e George.»
«Mi era passata di mente Ginevra. Non dirglielo o non mi parlerà per venti giorni almeno.» aggiunse subito dopo Draco, e Hermione sorrise: «Ovviamente.»
«Puoi stare tranquillo, non stai incontrando i miei genitori!» continuò Hermione, cercando di fare una battuta ma fallendo miseramente.
«Dubito di averli insultati espressamente, loro, però.» l’espressione di Draco si tramutò in una smorfia terrificata: «Non li ho mai insultati vero? Non davanti a loro?»
Hermione emise una risata e scosse la testa: «No, quando li incontrerai si ricorderanno solo di quel che dicevo loro dell’insopportabile Malfoy. Non li hai mai insultati, non preoccuparti.» lo trascinò verso il suo sedile per abbracciarlo «E possiamo rimanere qui dentro per altri dieci minuti.»
«Grazie.» la sua risposta arrivò solo dopo la stretta delle braccia intorno alla sua vita, e Hermione sorrise nell’incavo del collo di Draco, ben conscia del fatto che non la potesse vedere. Ma ne aveva chiaramente bisogno, e considerata la rarità dei suoi crolli nervosi – ma più frequenti, da quando aveva saputo dell’esistenza di una vecchia vita che non ricordava e che non era stata, a esser gentili, proprio virtuosa – sarebbe ovviamente stata lì per supportarlo. Ed era anche contenta che ci fossero Theo, Blaise, Angharad e Daphne: avrebbe avuto bisogno di tutto il supporto possibile.

Ron stava osservando la porta sul retro, dalla quale passavano gli invitati prima di arrivare al tendone dove si sarebbe svolta la cerimonia e il pranzo: qualche minuto prima aveva visto la sorella di Astoria e Charlie attraversarla, e ora avevano raggiunto il futuro sposo – che, da quello che aveva capito, in realtà, era già suo genero – Theo, Luna e la signora Zabini.
Lo sguardo era fisso su quella porta un po’ per pura curiosità, un po’ per mancato istinto di autoconservazione, probabilmente: aspettava l’entrata del furetto biondo, che a quanto pareva faceva molto più parte della vita di sua sorella di quanto ne facesse lui ora. E quando lo vide, lo riconobbe solo per la chiarissima chioma e i lineamenti lievemente spigolosi: sembrava essere sull’orlo di una crisi di nervi. O forse di ansia. O di entrambe. Non riuscì a trattenere un ghigno soddisfatto.
«Attento, Weasley, a osservare troppo e augurare il male poi si rischia che tali auguri tornino indietro.» Astoria Greengrass era apparsa al suo fianco quasi magicamente, tant’era stata silenziosa, che il rosso saltò su.
«Non sto augurando il male a nessuno.»
«Sei contento che Draco sia sull’orlo di una crisi di nervi, però.» commentò argutamente lei, guardandolo di sguincio e con un sopracciglio alzato.
«Anche se non volessi farlo, non mi riesce naturale.»
«E poi sarei io la serpe.» ribatté Astoria, roteando gli occhi al cielo.
«Lo sei comunque e lo sai benissimo. Solo che lo manifesti in altre occasioni e per altre persone o faccende.»
«Sì, potresti avere ragione.» concesse la biondina, tirandogli una leggera spallata: il rosso stava ancora osservando le interazioni di Hermione e Draco, che stavano salutando i padroni di casa, e in quel momento Hermione stava presentando il furetto ai suoi genitori. Avrebbe voluto sapere che cosa stessero pensando in quel momento, era molto curioso a riguardo.
«Come farai a superare questa giornata?» Astoria sembrava sinceramente curiosa, lo stava osservando interessata.
«Non lo so ancora, penso eviterò le persone chiave.»
«Intendi metà dei tuoi fratelli e tutti i tuoi amici tranne Harry.»
«Harry e Hermione erano miei amici di quelli che sono qui oggi.» rispose Ron, forse un po’ troppo velocemente.
«Wow. Non c’è davvero bisogno di essere stronzo con Luna, sai, capirei anche l’astio verso Hermione, ma Luna non ti ha fatto nulla.»
«Non provo astio, semplicemente dico la verità: quando passavo del tempo con lei lo facevo solo perché è la migliore amica di mia sorella e di Harry e a quanto pare, ora, anche di Hermione.» spiegò lui, osservando la bionda in questione sorridere all’unica dei presenti che non conosceva neanche di vista, ma da quello che gli aveva detto Harry, doveva essere la migliore amica di Daphne, nonché l’unica babbana presente.
«Ronald, ti sto avvisando: se butti merda su di lei, ti mette a posto. E poi Daphne probabilmente ti ammazza.» disse Astoria, seguendo lo sguardo del ragazzo in lungo e largo per il tendone.
«La eviterò, allora.»
«Bravo ragazzo» rispose la ragazza, prima di allontanarsi per andare a salutare Angharad, Charlie e la sua stessa sorella.

Erano tutti in piedi intorno agli sposi, i quali si stringevano l’un l’altro le mani sinistre, mentre il celebrante, un po’ perplesso, produceva nastri magici dalla bacchetta, pronti ad avvolgersi intorno le mani dei due giovani che pronunciavano la strana formula da loro prescelta.
Poiché non erano stati adibiti posti a sedere per osservare la cerimonia – Ginny alla fine non aveva ceduto solo su una cosa, ossia la non formalità della stessa: avrebbero scelto loro le formule da pronunciare e non ci sarebbe stata nessuna camminata in mezzo a sedie o cose del genere; già tutto quello che la madre aveva organizzato l’aveva stressata – eccetto quelli ai tavoli, e poiché nessuno aveva ancora preso posto quando gli sposi decisero di pronunciare i voti, si ritrovarono tutti in piedi attorno a loro due e al celebrante – per sommo orrore di Molly Weasley, che reputava tutte quelle peculiarità fin troppo eccessive.
«Padre, fabbro, guerriero, madre, fanciulla, vecchia, sconosciuto...» ripeterono contemporaneamente Blaise e Ginny, scambiandosi un sorriso molto simile a un ghigno, consci che in pochissimi avrebbero colto la citazione.
«Ma che roba stanno pronunciando?» Harry osservava perplesso i due ragazzi, alzando un sopracciglio: Hermione stava parlando con lui quando Ginny diede inizio alla cerimonia. Lanciò un’occhiata dall’altra parte del cerchio, dove c’erano Draco, Angharad, Daphne e Charlie che sogghignavano: loro sapevano tutto, e non solo perché avevano letto i libri. Come se il solo pensiero l’avesse avvisato dello sguardo di Hermione, Draco lo intercettò e le sorrise. Lei ricambiò.
«Cosa mi sto perdendo?» chiese sottovoce Harry, ancora perplesso.
«Shhh, ascolta.»
Il celebrante stava ancora producendo nastri dalla bacchetta, i quali si attorcigliavano intorno alle mani di Blaise e Ginny.
«Io sono sua e lui è mio, da oggi fino alla fine dei miei giorni.» pronunciò Ginny, mentre Blaise stava contemporaneamente dicendo «Io sono suo e lei è mia, da oggi fino alla fine dei miei giorni».
Il celebrante bloccò l’incantesimo e si allontanò, lasciando gli sposi al centro e la maggior parte degli invitati perplessi: fin quando Theo, Draco, Angharad e Daphne non seppellirono di abbracci e auguri i due neo-sposi per primi, e tutti gli altri seguirono, imbarazzati.
«Che diamine era quella roba?» chiese Harry, ancora non del tutto ripresosi da quello a cui aveva assistito, dopo essersi congratulato con gli sposi.
Hermione sogghignava, ben sapendo tutto. «Vuoi rispondermi, saputella?»
«I personaggi de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco si sposano usando questa formula.» spiegò lei, ancora sorridendo – e cercando Draco con lo sguardo.
«Che sarebbe...?»
«Angharad non ti ha ancora ossessionato con la sua saga preferita? Adora i Targaryen. Si è quasi fatta incenerire dal drago che Charlie ha portato a casa per colpa dei Targaryen.»
«Effettivamente, Targaryen non è un nome che mi è nuovo.» rispose Harry, riflettendo. Hermione aveva trovato con lo sguardo Draco, sedutosi a un tavolo con Theo, Luna, Charlie, Daphne e Angharad.
Harry lasciò perdere il discorso sulle saghe di cui Angharad era appassionata per seguire lo sguardo di Hermione e sorridere: l’amica intercettò il sorrisino e alzò un sopracciglio «Che c’è?»
«Non sto ridendo di voi. Solo... chi l’avrebbe mai pensato un anno fa.»
Hermione comprese e annuì, sorridendo all’amico «Già. Per dire la verità, tu avevi già lasciato Ginny...»
«Sì, ma non mi sarei mai aspettato di trovarmi, il Natale successivo, al suo matrimonio con Blaise Zabini.» rispose lui, con un tono forzatamente incredulo.
«Te ne penti?» chiese lei, a bruciapelo. Ricordava benissimo che i rapporti con Ron erano molto più stretti un anno prima, erano ancora loro tre. Anzi, quattro, inclusa Ginny.
«No. Neanche un po’. La separazione è stata difficile... e sono certo che lei mi abbia odiato non poco. Ma sono sinceramente contento per loro.» rispose immediatamente Harry, guardando la coppia che continuava a ricevere auguri a destra e a manca «Insomma, guardali! Si sono trovati. Non l’avrei mai immaginato, e probabilmente neanche lei, visti i loro rapporti a scuola... ma evidentemente si sono ri-conosciuti al momento giusto e nella situazione giusta.»
Hermione stava sorridendo, ma non stava guardando i due sposi: piuttosto un punto nel vuoto. Harry comprese «E anche tu e Draco. Anche se dopo. E nonostante tutti i casini. Immagino che nemmeno tu ti sia pentita di—
Hermione non gli aveva neanche lasciato il tempo di finire la domanda che stava già scuotendo la testa, sorridendo in modo quasi sognante – o almeno, Luna l’avrebbe definito così: «No.»
«Non serve neanche che tu elabori ulteriormente, lo vedo dalla tua espressione.» convenne Harry, con un sorriso che virava verso il ghigno.
Quando Hermione smise di sorridere in modo un po’ ebete guardando Draco, si rivolse nuovamente all’amico: «Come sta andando l’indagine?»
«Con l’aiuto di Astoria ho trovato qualche incantesimo promettente, che dovrebbe causare gli stessi effetti che mostra Malfoy, ma più deboli. Lei sta esaminando i tuoi appunti sulle pozioni in questi giorni, mentre Angharad ci aiuta creando... database?»
«Sta usando programmi di statistica per catalogare incantesimi e famiglie di maghi? Wow. Non me lo sarei mai aspettato» commentò, ironica: in realtà quella era una cosa proprio da Angharad.
«Parli del diavolo...» iniziò Harry, e difatti Angharad si palesò davanti a loro, per poi mettere entrambe le braccia intorno agli amici: «Hermione, ci sono piatti che si riempiono da soli. Da soli! Certo, non è il massimo, perché io volevo prendere degli antipasti diversi, però non mi sono dovuta alzare, e...»
Harry e Hermione si scambiarono un’occhiata complice: «Non azzardatevi a parlare senza parlare, lo so che sono nuova a queste cose, ma è stupendo! Daphne non incanta mai il cibo!»
«Immagino, ricordo la prima volta che ho visto qualcosa del genere.» il tono di Harry era comprensivo, nonostante le stesse dando piccole pacche sulla spalla che sembravano leggermente paternalistiche. Iniziò a condurla verso il suo tavolo, che era lo stesso di Hermione: li seguì, qualche passo più indietro. Era contenta che i suoi nuovi amici fossero in confidenza con i suoi vecchi amici. Era contenta di quella giornata. Era contenta di aver assistito a quel matrimonio, ed era contenta di essere lì con Draco. Aveva visto Harry allontanarsi verso la tavolata degli sposi e delle rispettive famiglie dopo aver accompagnato loro al tavolo, e Angharad si era già seduta tra Luna e Daphne, pronta a fagocitare un altro piatto di antipasti: Daphne la riprese, dicendole che avrebbe dovuto smettere se avesse voluto mangiare il resto, ma la babbana aveva già risposto all’amica dicendo che “tanto la cosa che preferiva ai matrimoni erano i buffet di antipasti e quelli dei dolci”.
Si sedette accanto a Draco e gli strinse la mano, riportando la sua attenzione e alzando poi lo sguardo verso di lui: lo scrutò attentamente, e non era più poi così spaventato. Sembrava quasi a suo agio.
Non solo era contenta, era proprio felice.

Il centro del tendone era pieno di gente che ballava: lui stesso fino a qualche minuto prima aveva volteggiato con Daphne in quello stesso posto, ma l’ex Serpeverde aveva ben pensato di andare a far compagnia a Fleur, che sedeva al tavolo con una Dominique particolarmente reticente a interagire socialmente.
Aveva intravisto Draco al limitare del tendone, vicino alle lucine, le quali pendevano lungo tutti i lati dello stesso e illuminavano non poco il tardo pomeriggio già da molto rabbuiato, ma non Hermione nei paraggi: aveva deciso di raggiungerlo, nonostante non sembrasse particolarmente a disagio, piuttosto incuriosito.
«Tutto bene?» chiese Charlie, fermandosi accanto al biondo, che stava osservando i piatti da portata riempirsi automaticamente – e magicamente – da soli con due dita sul mento e un’espressione perplessa.
«Sì... sì.» Draco si accorse di non aver trasudato sicurezza con quel tono, allora continuò «Solo non mi capacito del fatto che tutto questo sia stato parte della mia vita. E che non lo ricordi. Insomma, penso ad Angharad, che ancora sta parlando dei piatti che si riempiono da soli, e la capisco. Capisco il suo senso di stupore, perché lo provo anche io. Sebbene sappia razionalmente che probabilmente l’avrò già provato da bambino... Eppure emotivamente lo provo tutt’ora.»
Charlie rifletté a lungo prima di sospirare e rispondere: «È una situazione complicata. Specialmente essendone cosciente.»
«Non fraintendermi, è bello scoprire cose nuove. Ma non tanto quando sembrano nuove ma so che non lo sono. Insomma, tutto questo è affascinante... ma preferisco la mia casa completamente babbana.» approfondì Malfoy «E so anche come possa risultare assurdo pronunciato da me, nonostante non lo sappia davvero, ma solo per quello che ho carpito da Hermione. Riguardo a chi ero prima.»
Charlie sapeva quanto quello fosse territorio accidentato, così provò a sdrammatizzare: «Lo dici a qualcuno che non ti conosceva nel passato!»
«Sì, lo so. Ma so anche che probabilmente ti saranno arrivate voci. O magari... lamentele?» azzardò Draco, con esitazione.
«Ho sentito qualche recriminazione adolescenziale al tempo, ma niente di più.» rispose Charlie, sorridendogli.
«Grazie al cielo, almeno c’è qualcuno che attualmente frequento che non mi conosceva all’epoca.» rispose Malfoy, alzando gli occhi al cielo.
«Sai, non penso che quelli che ti conoscevano all’epoca facciano le stesse considerazioni del tempo sul te di ora. Ma sto giusto ipotizzando.» aggiunse Charlie, con tono scherzoso, ma in un certo senso anche pacatamente serio.
E Draco aveva capito cosa il rosso avesse inteso, ed effettivamente era anche ciò che provava e percepiva giornalmente. Non solo da Hermione, ma da tutte le altre persone che aveva conosciuto tramite lei. Addirittura dalla stessa Ginevra percepiva una certa aura emozionale diversa ora rispetto a quando l’aveva conosciuta: e aveva carpito, quasi un anno prima, di non starle molto simpatico. Eppure non saprebbe identificare il momento in cui quella percezione è mutata, il momento in cui sono diventati amici.
«Di che si parla?» George li aveva raggiunti, mettendo le braccia attorno alle spalle di entrambi, amichevolmente: aveva deciso che si sarebbe comportato solo così con l’ei fu furetto. Era giunto alla conclusione che, fattura o meno, quella davanti a lui era una persona che si era comportata solo correttamente nei suoi confronti, quindi anche lui l’avrebbe trattato come se fosse un qualsiasi altro conoscente. E poi tutti avevano diritto a una seconda opportunità, di questo era fermamente certo.
Charlie non si scompose e non accennò a rispondere, lasciando a Draco la possibilità di rivelare solo ciò che desiderasse.
«Della mia capacità di afferrare razionalmente ma non emotivamente come tutto questo facesse parte della mia vita.» sintetizzò efficacemente il biondo, non esimendosi dall’approfondire la spiegazione «E delle ripercussioni che questo, o meglio, che il mio passato da me dimenticato ha su un po’ tutto.»
«Wow. Profonde realizzazioni per un matrimonio atipico.» commentò scherzosamente George, e Draco gli diede corda: «Lo so, è sorprendente come dei piatti che si riempiono da soli possano portarti a crisi esistenziali!»
Entrambi i rossi stentarono a trattenere una risatina, non tanto per la battuta auto-ironica quanto per la sua esecuzione.
Tutti loro videro Daphne avanzare verso di loro furtivamente, ma solo George le rivolse un’occhiata perplessa: la donna si avvicinò a Draco e pronunciò solo «È il momento. Theo ha portato Blaise sul terrazzino del terzo piano, tu prendi la bottiglia dalla borsa di Hermione e muoviamoci.»
Solo quando i due ex Serpeverde si allontanarono, George diede voce al pensiero che gli stava ronzando in testa da quando aveva notato il fare da film di spionaggio che entrambi avevano: «Cosa stanno andando a fare, defenestrare il novello sposo?»
George sorrise, avrebbe condiviso la perplessità del fratello se solo non avesse saputo: «Non proprio. Si tratta solo di un piccolo festeggiamento privato.»

«Ragazzi, so che abbiamo percorso rampe di scale, non state per vendicarvi per qualcosa di cui non ho ricordo,vero?» Blaise, bendato, blaterava così vicino alla porta finestra che conduceva al terrazzino: Theo lo teneva per il gomito, ed era così che Daphne e Draco li avevano trovati dopo averli raggiunti.
La mancata risposta probabilmente avrebbe potuto far alterare ulteriormente Blaise, ma loro sapevano che non lo era sul serio, e qualche secondo dopo lo liberarono dalla benda e gli porsero la bottiglia di Veuve Cliquot.
«Miscredente!» commentò Draco, non appena Blaise sembrò arrivare alla conclusione dopo aver tenuto conto di tutte le variabili «Ah, già. Mi ero dimenticato della promessa.»
«Blaise, qua sono io lo smemorato, e comunque questo lo ricordo!» continuò a punzecchiarlo Draco, mentre il migliore amico si accingeva a strappare la carta dalla bottiglia.
«Nessuno di voi ha pensato di portare dei bicchieri?» il tono spazientito di Daphne era facile da identificare, ma Blaise aveva la risposta pronta: «Faremo come i vecchi tempi: dalla bottiglia!»
«Non vorrei prendermi una qualche malattia da te così, Zabini, sono riuscita ad evitarlo per tutti questi anni...» commentò Daphne, fingendo un’espressione schifata.
«Effettivamente le hai passato proprio così la mononucleosi...» commentò Theo, dandole ragione.
Blaise li guardò col fare di qualcuno che non era davvero dispiaciuto «Beh, signori, siamo qui... e la bottiglia è stappata» terminò lui, e i tre videro solo il tappo volare giù dal terrazzino.
«Ormai è fatta» continuò Blaise, ammiccando ai tre amici e passando la bottiglia a Daphne, che roteò gli occhi: «Zabini, se quindici anni fa mi avessero detto che tu saresti stato il primo a sposarti, avrei riso loro in faccia. Con la Weasley poi! Eppure... bleah, dirò qualcosa di troppo sdolcinato per i miei gusti, ma, siete-fatti-per-stare-insieme, ecco.» la bionda tirò un lungo sorso dalla bottiglia, visibilmente provata dall’aver espresso così tanta delicatezza.
La bottiglia passò a Malfoy, che esordì con un: «Ora tocca a me dare cento sterline a Theo. È davvero ufficiale.» l’amico in questione aveva un’espressione gongolante, mentre Daphne e Blaise li osservavano sconvolti: «Davvero? Theo aveva puntato su di me come primo a sposarsi?»
Il bruno annuì: «Ero certo che avresti fatto qualcosa di avventato per quella che ti avrebbe fatto perdere la testa, ti conosco così bene!»
Draco alzò la bottiglia pronto a continuare: «Auguri a entrambi, ma soprattutto a te che sei diventato il più responsabile di noi quattro.» Malfoy bevve e passò la bottiglia a Theo.
«Non so se è il più responsabile ora, ma sicuramente lo sarà tra sei mesi. O magari sarà solo quello con più ore di sonno arretrate, tra di noi.»
«Nott, come puoi credere così tanto in me e poi lanciare sferzate micidiali, non me l’aspetto!» rispose Blaise, con una mano teatralmente al cuore.
«Auguri, compagno!» terminò Theo, alzando la bottiglia e bevendone un sorso, per poi passarla a Zabini.
«Grazie. A tutti.» disse il novello sposo, sinceramente e senza fare il burlone, per una volta «...e auguri a me!»
Solo dopo che Blaise terminò la bottiglia si resero conto che qualcuno era sulla soglia. Ginny li guardava con un sopracciglio alzato, senza avanzare: «Di grazia, che cosa ho interrotto? Non vi facevo così sentimentali.»
«Weasley, era dovuto. E poi se non altro siamo imprevedibili!» la rimbeccò Malfoy, incamminandosi verso la porta-finestra con un braccio intorno alle spalle di Zabini.
«Sì, decisamente.» convenne Ginny, sbattendo le palpebre «Andiamo, romanticoni, che giù si stanno chiedendo che fine avete fatto. Davano per scontato che l’aveste aiutato a fuggire!»
«Quanta sfiducia!» commentò Daphne, fingendo platealmente contrarietà.
«Effettivamente sarebbe stato più plausibile da immaginare, rispetto a quello che è successo sul tuo balcone.» aggiunse Theo, sogghignando.
Ginny indicò l’amico con enfasi, come se finalmente qualcuno avesse colto il punto della questione: «Esattamente! Apparite come dei ghiaccioli superficialmente e poi vi dimostrate in realtà dei cuori caldi!»
«Che?» ribatté Daphne, schifata.
«Come il dolce!» continuò Ginny, scendendo le scale.
«Ma che robe mangiate a casa?» continuò Daphne, rivolgendosi ai neo-sposi e scuotendo la testa.
«Daph, non so cosa ti aggrada, ma per quanto mi riguarda il cuore caldo al cioccolato è uno dei dolci migliori al mondo.» commentò Draco, sconvolto dall’affermazione dell’amica.
«Grazie!» esclamò con enfasi Ginny, alzando le mani al cielo.
«Weasley-Malfoy, un’accoppiata micidiale definitivamente inaspettata.» disse Theo, imitando la telecronaca sportiva, mentre i diretti interessati battevano il cinque.
«Effettivamente ho paura di loro due insieme» convenne Blaise, annuendo vigorosamente, e facendo scoppiare tutti a ridere: le risate non erano ancora scemate quando arrivarono insieme al tendone, gli unici testimoni dell’intimo brindisi segreto.

I saluti erano stati molteplici e fortunatamente erano terminati, aveva finalmente convinto Angharad a mettersi il cappotto e aveva notato che Hermione lo aspettava all’ingresso di quella che tutti chiamavano Tana. Theo e Luna dovevano già essersene andati, visto che non li vedeva con Hermione.
Angharad stava dicendo qualcosa su come avesse sperato che il cibo magico riempisse di meno, perché ne aveva mangiato tantissimo e si sentiva piena a scoppiare, quando tacque senza neanche finire la frase.
«Che, ti è andata di traverso la torta nuziale?» fece Draco, girandosi verso la ragazza e rendendosi conto che occhieggiava un intruso dai capelli rossi non poco platealmente.
«Ehm, ciao.» quello che ricordava essere Ronald Weasley – e non perché gli fosse stato presentato quella sera, anzi, l’aveva intravisto pochissimo per tutta la durata di cerimonia e festeggiamenti – gli stava rivolgendo un saluto imbarazzato, cercando di ignorare Angharad che passava lo sguardo dall’uno all’altro.
«Ciao! Tutto bene?» chiese allora Draco, cercando di stemperare l’imbarazzo in qualche modo.
«Tutto ok.» rispose brevemente Ron, grattandosi la nuca; Draco poteva vedere chiaramente Astoria Greengrass che li osservava con intento a circa dieci metri di distanza «Volevo chiederti scusa. Sai, per aver irrotto in casa tua qualche mese fa. Non ero in me... Sai, con la maledizione Imperio...»
Ron notò lo sguardo perplesso di Draco, che stava aggrottando le sopracciglia «Sì, insomma, la mia ex-ragazza mi aveva fatto un incantesimo per cui dovevo fare per forza qualcosa. Quel qualcosa che ho fatto. E... mi dispiace.»
Draco era perplesso, ma accettò comunque le scuse: «Non preoccuparti, chiaramente non eri in te! Piacere di averti rincontrato.»
Hermione era arrivata in quel momento, frastornata e scarmigliata, per esser testimone insieme ad Angharad della stretta di mano tra i due uomini. Per poco non espresse platealmente il suo sbigottimento lasciando cadere la mandibola.
«Buona serata!» continuò Draco, con un sorriso sorprendentemente genuino per essere di circostanza – almeno era ciò di cui era certa Angharad, mentre faceva strada verso la porta.
«...Anche a te.» rispose Ron, rivolgendo poi lo sguardo a Hermione e annuendo «Hermione.»
«Ciao Ron.» rispose quella, abbozzando un sorriso per poi voltargli le spalle per seguire Angharad e stringere la mano disponibile di Draco, ancora lievemente incredula.
Lo sbalzo termico tra la casa e l’esterno era notevole e ne fu grata, lieta di aver qualcos’altro a cui pensare, piuttosto che allo scambio a cui aveva appena assistito.

Era finalmente uscita dal bagno, struccata e in pigiama, pronta per andare finalmente a letto, quando lo trovò occupato: Draco era al suo lato, ma accanto a lui c’erano Nix e Nyx, stesi in modo da occupare completamente il suo posto.
Draco aveva il laptop posato sulle gambe ma doveva averlo lasciato perdere perché entrambe le mani erano impegnate a massaggiare la pancia ai due gatti, che si beavano delle coccole in posizione supina.
Hermione aprì le coperte quel poco che poté e si sistemò nello spazio rimanente, quando Nyx decise di rivolgerle la sua attenzione acciambellandosi accanto all’umana: non poté che eseguire e accarezzare quell’adorabile testolina nera.
«Qualcuno deve aver sentito molto la nostra mancanza oggi...» Hermione aveva iniziato a parlare nella riconoscibilissima voce che utilizzava solo quando parlava con i gatti coccolandoli, e Draco si era ripromesso di non prenderla in giro – se non altro perché la utilizzava lui stesso, nonostante lei non l’avesse mai colto in flagrante.
«Sono abbastanza sicuro che dormiranno in mezzo a noi stanotte. Ma meglio, così non patiremo il freddo.» continuò Draco, sorridendo dolcemente a Nix.
«Non penso l’avresti patito comunque, dato il piumone!» commentò Hermione, continuando a guardare attentamente Nyx durante le coccole «E poi non festeggiare prima del previsto, che queste bestioline fanno arie di notte e lo sai bene.»
Quando non ricevette alcuna replica, si voltò a osservare Malfoy, e lo beccò a osservarla con intensità: «Sì?»
«Stavo pensando... che ne pensi del matrimonio?» chiese a bruciapelo, come se gli fosse appena venuto in mente.
«T’è venuto in mente per oggi?» ribatté lei, sorridendogli ma senza nascondere un po’ di perplessità.
«Beh, sì, era impossibile non pensarci. Ma in realtà ci avevo già riflettuto qualche tempo fa... Sai, qualche tempo dopo aver scoperto la verità...» spiegò Draco, tranquillamente. Non credeva che avrebbe affrontato una discussione del genere in pigiama e coccolando i loro gatti, ma in realtà non aveva mai immaginato se e quando sarebbe arrivato il momento di affrontare quel discorso. E Draco sembrava pensarci già da un po’.
«Direi che non mi oppongo all’idea. Ma a dire la verità non ci avevo pensato prima.» rispose lei, altrettanto chiaramente.
Draco fece spallucce: «Ti lascio altro tempo per acclimatarti all’idea, allora.»
«Sembra che abbiamo appena terminato un accordo di merging.» commentò Hermione, e sul volto di Draco comparve un’espressione quasi schifata «Per quanto sia il paragone più adatto, no. Per favore, no. E poi era solo per iniziare a parlarne...»
Hermione bloccò in primis quella che sarebbe potuta essere una spirale verso diverse giustificazioni sorridendogli: «Di sicuro non prenderò il tuo cognome, il mio è più bello!»
«Per fare un merging per bene dovremmo mischiare anche i cognomi però!» ribatté lui, con un ghigno.
«No, mi spiace, Gralfoy non funziona.» rispose Hermione, scuotendo la testa ripetutamente.
«Vieni qui, Gralfoy!» ribatté Draco, allungando un braccio nella sua direzione e accogliendola nell’abbraccio, in cui vennero necessariamente coinvolti Nyx e Nix, beatamente accoccolati tra i due umani che si scambiavano un bacio.

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Capitolo 43
*** 42. Lover To Lover (Pt. 2) ***


Devo chiedere venia per l'enorme ritardo, così grande che alcun* di voi hanno creduto che l'avessi abbandonata. Ebbene no, ho ancora intenzione di finire questa storia che mi sta molto a cuore, è solo che vado più a rilento di una tartaruga. Tra il lavoro e la mancanza di ispirazione, riesco a stento a scrivere nei giorni liberi (tipo oggi, in cui però son riuscita a correggere questo capitolo qui sotto). Però posso dire finalmente di condividere la città con i miei personaggi (perlomeno per quando lavoro).
Grazie mille dell'essere ancora miei lettori, nonostante il ritardo protratto e imperdonabile!







 


Going from road to road, bed to bed,
Lover to lover and black to red, but I believe
I believe
There’s no salvation for me now, no space among the clouds
And I’ve seen I’m heading down… That’s alright, that’s alright
That’s alright, that’s alright.

 
Avevano raggiunto la spa la sera stessa della cerimonia, ma i trattamenti avrebbero riempito le loro due giornate successive. Il futuro pargolo Weasley-Zabini, però, aveva avuto un’idea differente.
Blaise si svegliò quasi di soprassalto, collegando i rumori spaventosi che sentiva provenire dal bagno all’assenza della neo-moglie al suo fianco: «Gin? Tutto bene?»
Sentì la donna strappare un pezzo di carta igienica per rispondergli solo dopo: «Merdavigliosamente.»
Blaise si alzò dal letto per raggiungerla, ma siccome era ancora buio e soprattutto faceva freddo, si trascinò dietro il piumone, sedendosi sul bordo della vasca per supportarla, almeno emotivamente, dandole qualche colpetto sulla spalla «Nella gioia e nel dolore.»
«Non so come tu possa dire che stiamo condividendo il dolore al momento, perché io non mi sento le ginocchia dal freddo della ceramica e sono riversa in un water, e tu sei al calduccio sulla vasca.» ribatté quella, sperando che i conati fossero finiti.
«Se vuoi scendo al piano di sotto» indicò il pavimento con un cenno del capo «e ti circondo con questo caldissimo piumone.»
«In realtà vorrei solo sapere se posso tornare a letto.» dichiarò la rossa, lasciandosi cadere seduta sul pavimento. Blaise la raggiunse e la circondò con il piumone «E soprattutto, quando ha intenzione di smettere di farmi sboccare, questo corpo. A quanto pare faccio parte di quella bassa percentuale che si trascina dietro vomito e nausea fino al secondo trimestre.»
«Ti prometto di non metterti più incinta, se può consolarti.» rispose Blaise, piazzandole un bacio su una guancia.
«È sorprendentemente carina come cosa da dire, grazie, maritino!» rispose Ginny, voltandosi verso l’uomo che l’aveva ormai circondata e le faceva lui stesso da coperta, oltre a mantenere il piumone intorno a loro «Avresti mai pensato che “la mattina dopo” sarebbe stata così?»
«Il mio matrimonio? No.» rispose sinceramente Blaise, per poi continuare «Ma “la mattina dopo” è stata ieri, per essere precisi, e non è per nulla stata così.» il ghigno malizioso sulle labbra dell’uomo fece reagire Ginny sia con una piccola spallata involontaria che con un altrettanto malizioso sorrisino.
«Marito, dici che riesci a portarmi a letto tipo neosposi nella nuova casa con tutto il piumone? Vorrei solo tornare a dormire, se ce la facciamo, prima della giornata strapiena di trattamenti...»
«Deduco che il regalo di Theo ti sia piaciuto tanto» ribatté Blaise, prendendola in braccio e mantenendo il piumone sulle spalle, incamminandosi verso la camera.
«Se avesse inventato una pozione antinausea funzionante l’avrei apprezzato molto di più, a esser sincera.» commentò Ginny, facendo una smorfia contrariata non appena fu posata sul letto, che era nuovamente gelido.
«È in arrivo la sua calda coperta e il suo caldo marito, non si preoccupi, neo-moglie!» continuò Blaise, buttandosi sul letto poco dopo e coprendo entrambi con il piumone.
«Ho bisogno che tu sia il grande cucchiaio.» dichiarò Ginny, accucciandosi contro il suo petto e avvicinandosi il più possibile a lui.
«Ai suoi ordini, milady.»
«Ehi, sono davvero una lady? Non è che sposandoti ho ereditato qualche appellativo onorifico di cui non sono a conoscenza dai mariti morti di tua madre?» si voltò a chiedergli Ginny, e Blaise emise una sonora risata: «No, mi spiace. Solo signora Zabini, sono un umile lavoratore babbano.»
«Sì, certo.»
«E poi non ambire al mio denaro, sei tu l’eroina di guerra e giocatrice di Quidditch professionale super-famosa, mica io!» ribatté Blaise, stringendola in un abbraccio.
«Ah, finalmente va bene.» fu un mormorio quasi impercettibile, e Blaise si rese conto che probabilmente Ginny era già in quella delicata fase tra il sonno e la veglia, così si limitò a tacere e ad accarezzare lievemente il braccio della moglie che era direttamente sotto il suo.
Avrebbero entrambi preferito passare la notte a casa loro, probabilmente, ma tanto da letto a letto non cambiava molto. E sarebbe potuto rimanere così, in pace, al calduccio, con la donna che amava attaccata a sé e il sonno che gli intorpidiva le membra anche dall’altra parte del mondo, a dire la verità.

Angharad amava il suo quartiere, profondamente. Era così vivo, così pieno, e senza essere affollato di turisti allo stesso tempo. Sapeva di Londra, ma non c’era alcun monumento tipico che avrebbe potuto ricollegarlo a essa agli occhi di un qualsivoglia non-londinese. E soprattutto le forniva la possibilità, solo attraverso una finestra, di procrastinare.
Era anche vero che Harry non era ancora arrivato, e che era mattina presto, ma stare a fissare il computer non le dava niente in più, mentre guardare le persone affannarsi per entrare nei negozi durante il Boxing Day per accaparrarsi le cose migliori in offerta almeno le dava qualcosa a cui pensare. Per esempio quanto era contenta di avere quella vista e stare al calduccio della propria casa. E poi da quando lo shopping online aveva iniziato a diffondersi, lei aveva sempre preferito quello al cercare febbrilmente nei negozi: attendeva il momento in cui le avrebbero consegnato anche la spesa ordinata con un click a casa, ed era certa che sarebbe arrivato.
Sentì il citofono suonare e si alzò dal divano: dopo aver risposto e aperto a Potter, attese con la porta aperta e la coperta sulle spalle l’arrivo dell’ormai uomo sopravvissuto.
Il quale si palesò dopo circa cinquanta secondi al suo piano, con una borsa che sembrava eccessivamente pesante per la sua dimensione e un vassoio da quattro bevande i cui posti erano occupati solo da due, mentre sugli altri due era in bilico una busta di carta, con dentro quello che doveva immaginare fossero dolci da colazione.
«Buongiorno Potter!» salutò la babbana, liberandogli subito le mani dal vassoio, non solo perché stava morendo di fame, ma anche perché era certa che sarebbe probabilmente caduto rovinosamente a terra se non fosse accorsa in suo aiuto.
«Angharad.» rispose lui, posando la borsa piccola e pesante al centro della stanza. Angharad la occhieggiò nuovamente, non appena ebbe posato il vassoio e i dolci sul tavolino vicino al divano «Perché ho l’impressione che tu abbia fatto qualcosa a quella borsa? Intendo qualcosa di magico. Perché è impossibile che sia così tanto faticosa da portare, è troppo piccola.»
«Incantesimo estensivo irriconoscibile.» spiegò semplicemente Harry, prima di iniziare a tirare fuori dalla stessa un ammontare di file che Angharad considerò un affronto personale: «Per favore, dimmi che sono quelli che ho già catalogato.»
«No, sono quelli che dovrai catalogare oggi.» rispose l’altro, con un sorriso che virava al ghigno «Ma se ti può consolare, ne ho altrettanti da studiare. E ho portato il caffè. E specificamente a te il muffin al triplo cioccolato.»
«Grazie!» Angharad esibì il suo migliore sorriso a trentadue denti, prima di aprire la busta e prelevare il muffin in questione per azzannarlo.
Solo dopo che lo ebbe finito riprese il suo computer dal tavolino per iniziare a lavorare.
«Sai, se avessi portato il tuo laptop avresti potuto catapultarti nel ventunesimo secolo e catalogarli anche tu nel modo più efficiente.» commentò la ragazza gallese dopo qualche minuto, non alzando lo sguardo dallo schermo e non allontanando le dita dalla tastiera, ancora intente a digitare qualcosa.
«L’ho portato.» rispose Potter, tirandolo fuori dalla borsa più-grande-all’interno «Mi sono anche procurato SPSS*, ma dovrai dirmi tu come hai impostato le variabili.»
Angharad si concesse due secondi per mostrare visibilmente il suo stupore, prima di decidersi a rispondere: «Ho pensato di mettere in relazione ogni singola famiglia delle ventotto con la presenza o meno di incantesimi di memoria nella loro storia, distinguendoli tra quelli presi dal manuale o dai documenti che il Ministero ha su gran parte di loro da dopo la guerra.»
«Arrivati alla fine delle lettura di tutti i dossier su di loro, e della loro rispettiva catalogazione, potremmo in primis sapere quali escludere, dato che dubito fortemente che una famiglia che per secoli s’è vantata pubblicamente, su un libro, di avere inventato potentissimi incantesimi di memoria si ritroverebbe a utilizzarli su una vittima. E poi potremmo fare la stessa cosa per le pozioni e per gli esperti pozionisti delle suddette ventotto, vedremo se di tutte o solo di quelle con rapporti più stretti con le famiglie che tramandano incantesimi di memoria.»
«Okay, diciamo che mi fido di te. E soprattutto che ti copierò, perché non mi è ancora del tutto chiaro come dobbiamo arrivare a fare queste esclusioni, solo guardando queste caselle.» ribatté Harry, battendo le palpebre.
«Sarai pure tu il detective, o come vi chiamano nel mondo magico, ma io vengo da mesi di catalogazioni di file e conosco questo software come le mie tasche, ragazzo miracolato.»
«È “sopravvissuto”, in realtà.»
«Sei sopravvissuto così tante volte che al paese mio si dice miracolato, altro che sopravvissuto.» commentò la babbana gallese, iniziando a sorseggiare il suo caffè con la mano libera – c’era scritto “Angharad” sopra, e non l’avevano nemmeno storpiato come al solito! – mentre l’altra sfogliava un dossier post guerre magiche sui Black.
«Sì, probabilmente hai ragione.» commentò Harry, prendendo anche lui la sua bevanda e ritornando a immergersi nel lavoro: non sarebbe stata una giornata di festa per nessuno dei due.

Non sapeva perché avevano accettato l’invito di Daphne – e Charlie, ma probabilmente principalmente della prima – a fare brunch fuori dalle rispettive case, in un giorno di saldi, nell’inverno più freddo in dodici anni, ma fatto stava che lei e Theo erano usciti di casa alle nove quella mattina, nonostante l’aver fatto baldoria fino a tardi la sera – e il giorno intero – prima e si erano diretti alla fermata del bus 137, per arrivare all’incirca mezz’ora dopo al locale che l’ex-Serpeverde aveva deciso di provare quella mattina.
Avevano trovato la coppia ad aspettarli di fronte al 34 di Mayfair, e non sembravano per nulla provati dal freddo: Charlie era coperto fino alla punta dei capelli, mentre Daphne sembrava così sovreccitata dal provare finalmente un nuovo menù brunch in un nuovo posto – almeno per lei, e tutti loro – che non sembrava rendersi conto del gelo, nonostante avesse solo un cappotto in panno grigio, un paraorecchie rosa e le mani – senza guanti – che non smettevano di agitarsi sui tasti del cellulare.
«Immagino che Draco e Hermione non siano ancora arrivati?» chiese Theo dopo aver salutato i due con un cenno del capo, e aver ricevuto lo stesso saluto da Charlie, con incluso un sorriso – quel freddo non permetteva movimenti molto più ampi.
«No, e la prenotazione è per le nove e quarantacinque, cioè cinque minuti fa, e non voglio perdere il tavolo.» dichiarò Daphne, entrando nel locale senza aspettarli.
«Immagino che quindi non stiamo aspettando i Malfoy?» domandò retoricamente Theo, seguendo la compagnia all’interno.
«Salve, ho prenotato un tavolo per sei a nome Greengrass?» sentirono dire Daphne, che si stava già liberando di cappotto e paraorecchie – ed era vestita anche in modo molto formale per essere un giorno in cui probabilmente avrebbero lottato per accaparrarsi qualcosa in saldo, e soprattutto per non essere di lavoro.
«Daph, non dovrebbe perdere punti per il nome poco originale?» continuò Theo, sarcastico, beccandosi una leggera spallata da parte di Luna ma un sorrisino da tutti i presenti – eccetto Daphne, che gli lanciò un’occhiataccia poiché aveva avuto l’ardire di fare una battuta del genere quando il maître era ancora abbastanza vicino da poter sentire.
Non appena si sedettero – Theo e Daphne sui divanetti e Luna e Charlie opposti a loro, sulle sedie – e si liberarono tutti dei cappotti, Daphne riprese a digitare sul telefono.
«Quindi abbiamo deciso di separare i Malfoy?» era la terza domanda, evidentemente non meritevole di risposta, che Theo poneva espressamente a Daphne, con l’intenzione di infastidirla, ma non aveva tutti i torti: avevano lasciato solo i posti a capotavola «Non c’è gusto se mi ignori!»
Charlie e Luna sorridevano, consci che ridacchiare avrebbe indisposto ulteriormente Daphne, la quale cercava di non darlo a vedere ma era almeno marginalmente infastidita dalle battute dell’amico «Non sono domande meritevoli di risposta, Theodore.»
«Oh-oh, è passata a Theodore. Sono nei guai.»
«Dai, lasciala stare» intervenne Luna, ancora sorridente – un po’ troppo per risultare non divertita.
Il telefono di Daphne trillò e la ragazza lo agguantò immediatamente – spaventando il suo vicino al tavolo opposto, che sobbalzò al movimento velocissimo vicino a sé: «Draco e Hermione ci hanno dato buca, quindi non separeremo nessuno. Avrebbero potuto darci più preavviso, però.»
«Sono abbastanza sicuro che se si fossero svegliati stamattina alle sette per avvisarti sarebbero venuti direttamente a mangiare, Daph. Inoltre, bei riflessi da ninja!» commentò Theo, beccandosi un calcio leggero – e scherzosamente ammonitorio – di Luna sotto al tavolo.
Daphne alzò gli occhi al cielo e fece per alzare il braccio per chiamare il menù, ma non dovette nemmeno arrivare a estenderlo tutto che un cameriere aveva già iniziato a portarne loro quattro: il braccio ricadde sul tavolo e la mano dell’ex-Serpeverde venne subito accostata da quella di Charlie, al cui tocco sembrò reagire automaticamente per intrecciarvi le dita.
L’arrivo dei menù portò la quiete al tavolo, poiché tutti lo stavano consultando attentamente. Fin quando Charlie non prese parola: «Che ne dite di mettere i muffin misti al centro e poi ognuno sceglie il piatto che preferisce?»
«Okay per me» rispose Luna, voltandosi verso Theo per sapere la sua risposta, che si manifestò con un cenno di assenso, mentre tutti attendevano la risposta di Daphne, che faticava ad arrivare.
«Oh? Sì, d’accordo, muffin al centro.» rispose dopo un po’ la Greengrass, riprendendo a studiare il menù.
«Stai cercando di capire qual è la cosa migliore da prendere in modo da poter fare paragoni tra questo posto e altri?» chiese Luna, osservando l’altra bionda.
«Quello lo so già. Il fatto è che sono indecisa, mi ispira particolarmente l’uovo di anatra fritto... e anche quello al forno con salsiccia siciliana...»
Charlie le lanciò un’occhiata divertita: sembrava stesse per decidere il destino del mondo «Io prendo le Eggs Benedict, puoi tranquillamente assaggiarle da me.»
«Davvero?» Daphne batté le mani, sorridente: ora sembrava risoluta «Allora prendo l’uovo di anatra fritto.»
«Huevos rancheros per me» ordinò Luna, chiedendosi se il cameriere fosse sempre stato lì o se si fosse discretamente materializzato accanto a loro in un momento non meglio specificato che avevano perso di vista tant’erano presi dalle disquisizioni di Daphne.
«E siccome non sono un mostro che mangia salato a colazione, banoffee waffle per me!» aggiunse Theo per ultimo, venendo completamente ignorato da Daphne, che era nuovamente impegnata per scegliere i tè.
«Theodore, di grazia, perché sei così fastidioso stamane? Hai sognato che ti torturavo stanotte?» chiese l’amica in questione, dopo che il cameriere se ne fu andato.
«Nah, è solo che devo riabituarti all’acidità quotidiana dopo tutta la delicatezza e il sentimentalismo di ieri. È il mio compito di amico, riabituarti alla normalità.» rispose il bruno accanto a lei, impegnato a lasciar cadere una zolletta di zucchero nel suo caffè americano appena arrivato.
«Grazie mille, come farei senza di te» commentò Daphne, con un sarcasmo per nulla latente.
«Esattamente, è quello lo spirito!» esclamò Theo, puntandole il cucchiaino con cui aveva appena girato il caffè contro e beccandosi un’occhiataccia di risposta «E poi qualcuno deve pure prepararti alla malvagità che dovremo affrontare oggi da Westfield.»
«Ricordatemi, perché stiamo andando a fare compere durante il Boxing Day?» aggiunse Luna, versando il latte nel suo caffè e terminando il tutto con una zolletta di zucchero, ignara degli occhi dalla parte opposta del tavolo che la guardavano sconvolti «Sì?» chiese allora, perplessa.
«Lo vuole la tradizione! Difatti Draco e Hermione dovranno avere una scusa migliore del “mi sono svegliato tardi”, perché quella di Blaise e Ginny è accettabile, visto che stanno usufruendo del nostro regalo per loro, ma Hermione e Draco non hanno una motivazione altrettanto forte!» spiegò Theo in un fiume di parole, durante il quale Daphne iniziò a scuotere la testa e a ribattere a bassa voce «Chissene del fatto che si son sposati ieri, è perché stanno usufruendo del suo regalo di nozze che sono esentati...»
«Effettivamente, Luna, come puoi dimenticare uno dei loro pochissimi rituali di gruppo...» la riprese Charlie, facendo calare il silenzio al tavolo.
Luna nascose il sorrisino divertito nel tovagliolo, mentre Daphne assottigliava gli occhi e Theo lo osservava a bocca aperta: «Ha appena fatto... una battuta... sarcastica?!»
«Sì. L’ho cresciuto bene, ora è quasi un perfetto Serpeverde.» rispose Daphne, con uno sguardo orgoglioso.
«Abbiamo contagiato un altro Weasley, questo è un sogno che diventa realtà!» esclamò Theo, alzando brevemente le braccia al cielo e poi battendo il cinque con l’amica seduta accanto.

Sentì le labbra di Draco sulla sua guancia e il suo peso parzialmente su di lei prima che poté aprire gli occhi «Buongiorno, siamo in ritardo!»
Hermione aprì un occhio, per cercare di vedere che diavolo stesse facendo il suo ragazzo con un braccio verso l’esterno del letto. «Diamine.» aveva detto tra sé e sé Draco, riuscendo nell’opera di prendere il cellulare – e la sveglia, poiché voleva investigare perché non avesse suonato – e rendendosi conto di quanto fossero in ritardo.
«Mhmm.» fu l’unico commento di Hermione, che gli diede le spalle e richiuse gli occhi.
Draco le lanciò un’occhiata divertita e digitò qualcosa sul telefono, prima di controllare la presenza di sveglie sull’orologio da comodino.
«Ha suonato, l’ho spenta io.» commentò Hermione, senza aprire gli occhi ma sapendo – come, non era dato a sapersi – quello che stava facendo Draco alle sue spalle.
«Perché?» chiese Malfoy, lasciando la sveglia in questione sul suo comodino e andando ad abbracciare la ragazza da dietro, ancora sotto le coperte.
«Perché avevo sonno, ero stanca, e la combo cielo coperto e previsioni del tempo non mi ispirava a uscire dal letto.» commentò quella, girandosi finalmente verso Draco e rispondendo all’abbraccio, ma continuando a tenere gli occhi chiusi.
«Quindi hai preso una decisione esecutiva senza consultarmi.» ritornò Draco all’attacco, dopo aver digitato qualcos’altro sul suo telefono e averlo lasciato sul comodino – aveva quasi ripreso sonno in quell’intervallo di tempo che avevano smesso di parlare.
«Sì, direi che potresti definirla così.» commentò Hermione, ancora ad occhi chiusi.
«Mh.» rispose Draco, e il successivo silenzio fece aprire almeno un occhio alla ragazza, intenzionata a controllare se Malfoy fosse arrabbiato o se stesse solo cercando di capire come fargliela pagare.
Scoprì che si trattava della seconda opzione, poiché dopo aver aperto entrambi gli occhi si ritrovò catapultata dalla parte opposta del letto: doveva averlo assecondato, perché le loro gambe erano intrecciate e lei aveva ormai gli occhi spalancati, che osservavano l’espressione furbetta di Malfoy.
«Buongiorno.» dichiarò, sorridente.
«Immagino che sia arrivato.» rispose quella, vendicandosi del risveglio brusco piazzandosi su di lui e baciandogli la punta del naso «Buongiorno, Malfoy.»
«Quindi, dobbiamo uscire dal caldo letto?» Hermione si era appena resa conto che c’erano solo loro due in camera: ovunque Nyx e Nix fossero, non erano al loro piano «Visto che ormai mi hai svegliata...»
«Nah, ho già detto a Daphne che non ce l’avremmo fatta ad arrivare in tempo.» rispose il biondo, piazzandole un bacio al centro della fronte «E se le avessimo fatto perdere il tavolo ci avrebbe ammazzati, meglio dare loro buca e far loro godere il brunch in pace. Al massimo li raggiungiamo a Westfield.»
«E allora perché mi hai svegliata?» il tono inquisitorio di Hermione non tardò ad arrivare, e inizialmente Malfoy le rivolse solo un sorriso malizioso.
«Beh, ti dovrò punire per la decisione esecutiva presa senza di me...» continuò Malfoy, ed Hermione alzò la testa per osservarlo meglio. La velocità con cui si liberò della maglia del pigiama fece ridacchiare Draco.
«Che c’è? Mi sto solo portando avanti. E poi non è colpa mia se fa improvvisamente caldo sotto a questo piumone.» commentò la ragazza, tirando giù i pantaloni con nonchalance e arrotolandoli alla sua sinistra.
«Immagino.» rispose Malfoy, sogghignando maliziosamente. Hermione gli rivolse un’occhiata interrogatoria, ma lui non sembrava intenzionato a spogliarsi «Beh?»
«Per quanto seducente siano questi versi che non formano proprio parole, non è quello che avevo in mente.»
«Oh.» rispose Hermione, palesemente delusa.
«Spogliarmi, intendo.» continuò Malfoy, il cui ghigno divertito faceva ben intendere come si stesse perlomeno gustando le sue reazioni «Per quanto riguarda la punizione, invece...»
Hermione lo stava osservando a metà tra la confusione e il desiderio, e lui si stava divertendo fin troppo a non rendere note le sue intenzioni. Decise di darle tregua, però, ma solo dopo averla spostata alla sua destra.
Hermione lo stava ancora osservando concentrata, concentrazione che evaporò nel momento in cui sentì un suo pollice spostarle leggermente lo slip e toccarla, con leggerezza e delicatezza, che in quel momento non desiderava.
Draco spostò la gamba di lei ancora sul suo fianco per poi sorridere malizioso: «Non puoi toccarmi, però.»
«Questo è ingiusto.» commentò Hermione, sistemandosi però supina e portando le braccia sul cuscino. Quando però Malfoy si sistemò di lato, impegnato a guardarla e a toccarla, come sapeva che le piaceva, portò un braccio attorno al suo collo.
«Signorina Granger!»
«Non mi interessa, non sarò più... lontana.» parlare stava diventando più faticoso, specialmente ora che la mano di Draco si era fatta strada nei suoi slip e Malfoy si stava divertendo a sollecitare un suo capezzolo con la lingua. Era davvero ingiusto non poterlo toccare.
«Signorina Granger, la inviterei a continuare a parlare, se proprio non le è troppo difficile.» continuò il fetente, perché proprio non poteva definirlo diversamente, quando la costringeva a non afferrargli nemmeno i capelli e a creare più frizione possibile contro il suo dito medio, che era esattamente dove voleva che fosse.
«Draco, non sta funzionando.» Hermione quasi gli ringhiò contro, liberandosi degli slip e arpionandolo al letto con le ginocchia, per poi fare lo stesso con la sua maglia del pigiama.
«Sapevo che non avresti... resistito.» Hermione non aveva perso tempo, lasciandosi scivolare su di lui al ritmo esatto di suo gradimento.
«E non azzardarti a spostare la tua mano.» ansimò subito dopo, e Draco si decise a osservarla: aveva fatto tanta strada da quando si vergognava di stare in quella stessa posizione. Se fosse stato possibile, sembrava ancora di più una valchiria selvaggia, e adorava la vista dal suo posto.
«Non lo sognerei nemmeno.» ansimò anche lui, guardandola negli occhi per chiederle un’ultima volta «E la punizione?»
«Beh, non ti sto baciando, no?» gli rispose quella, lanciando i capelli all’indietro per liberare il viso e ritrovandosi subito dopo Draco a due centimetri «Sì, nemmeno quello sta funzionando.»
Prima di baciare quel dannato furetto ansimante non poté che sogghignare soddisfatta.

Erano giorni che Pansy aveva preso l’abitudine di tamburellare inconsciamente le dita sulle ginocchia, e questo suo saltare su per qualsiasi motivo era aumentato esponenzialmente con l’aumentare di lettere da Azkaban.
«Pans, tranquilla. Ti servirà tranquillità.» intervenne Alijeik, posandole una mano sulla spalla, che la ragazza afferrò quasi immediatamente.
«Di quanti giorni ha bisogno di riposare?» Pansy si riferiva alla pozione, e Alijeik lo capì subito: proprio in quel momento stava spegnendo la fiamma e stava coprendo il calderone.
«Quattro. Siamo in tempo, anche se a quello non va mai bene nulla...» Alijeik strinse un pugno, ma Pansy lo raggiunse e lo abbracciò.
«Possiamo ignorarlo finché non è pronta, no? Dopotutto di certo non scapperà da Azkaban.» convenne la ragazza minuta e mora, avvolgendo le braccia attorno alla sua vita.
Alijeik sorrise: «Nah, non penso che uscirà a breve di lì.»





*SPSS: è un software statistico che ho dovuto imparare a usare per catalogare le duemila pubblicità sulla cui analisi ho basato la mia tesi, quindi ho pensato che Angharad potesse fare la babbana secchiona/pronta a utilizzare mezzi babbani a favore del mondo magico per questa investigazione XD

 

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Capitolo 44
*** 43. Hardest of Hearts ***


A poco più di un mese di distanza (okay, un mese e mezzo circa, ma è ancora Gennaio quindi ci accontentiamo) sono riuscita a finire un capitolo e lo sto postando pure, wohoo! Giustamente mi è stato "rimproverato" che a lasciar passare così tanto tempo tra un aggiornamento e l'altro si perdono pezzi della storia, ed è vero! Quindi mi sono sforzata e son riuscita a scrivere quello dopo. Ora, dovremmo essere a 7 capitoli alla fine più epilogo, ma non sono sicura se riuscirò a concludere tutto come vorrei, quindi è un numero da prendere con le pinze. Sicuro in questo capitolo ho scritto quello che mi ero prefissata di fare! Grazie ancora a quei pochi lettori che mi seguono ancora e... buona lettura! (Cercherò di postarne almeno uno al mese, e sicuramente tra domani e dopodomani continuerò a cercare di scrivere!)






   
Hold on to your heart,
because I’m coming to take you.
Hold on to your heart,
because I’m coming to break you.

Il freddo imperversava ancora per la capitale, non eccessivamente rigido da farle cambiare idea sull’uscire di casa per raggiungere Hermione, Angharad e Ginny a casa della prima, ma abbastanza per renderla sollevata dell’arrivo del 11 in direzione Chelsea.
Aveva anche considerato per mezzo minuto l’opzione di tirar fuori la bacchetta per invocare un incantesimo riscaldante alla fermata al confine tra Belgravia e Pimlico presso cui doveva cambiare bus, ma decise di evitarlo considerandolo troppo rischioso, essendo in una zona palesemente babbana.
Era in procinto di salire le scale per cercare un posto a sedere al piano superiore del bus quando si rese conto della presenza di una testa bionda a lei familiare in fondo al piano di sotto del bus: «Angharad?»
«Oh, ciao Luna!» la ragazza gallese alzò lo sguardo dalla sua rivista per salutarla con la mano. Luna iniziò di superare le persone che erano in piedi tra di loro cercando di dar loro meno fastidio possibile, mentre Angharad continuava a sbracciarsi senza curarsi molto delle due donne che stavano usando il palo vicino al suo sedile per mantenersi in piedi sul mezzo in movimento.
«Oh, scusate!» si ricordò di pronunciare solo dopo che Luna l’ebbe raggiunta, e dopo che quelle due donne avevano già passato ben più di dieci secondi a guardarla male.
Angharad si spostò sul sedile vicino al finestrino per fare posto a Luna accanto a sé, che ancora sembrava parecchio perplessa «Cosa ci fai su questo bus?»
«Oh, come te sto andando da Hermione.» rispose l’altra, sfogliando una pagina della rivista senza pensarci troppo su «Ah, intendi venendo da questa parte della città. Sono passata da Harry per colazione per lasciargli una copia del database ultimato. Era troppo grande per essere allegato via e-mail e a differenza vostra non ho a disposizione un gufo di famiglia per spedire messaggi a tutte le ore del giorno e della notte. Anche se sarebbe davvero interessante vedere un gufo volare con una chiavetta USB legata alla zampa.»
Luna le rivolse uno sguardo che suggeriva palesemente di smetterla di parlare di usanze magiche quando erano così circondati da babbani, ma Angharad non sembrò darle retta «Sono abituati a sentire le cose più strane, è Londra!»
«Quindi ora lavori per il Ministero?» chiese la Lovegood, spostando l’attenzione altrove, sollevata dal fatto che Angharad avesse avuto ragione: nessuno aveva battuto ciglio né s’era mostrato interessato alle cose che sarebbero potute definitivamente esser considerate strane da coloro che le circondavano.
«Magari! Dovrei effettivamente parlarne con Harry, sto facendo tutto il lavoro sporco per loro gratis...» rispose l’altra, sfogliando un’altra pagina per guardare la fermata a cui il bus si era appena accostato «Sfortunatamente lo sto facendo per enorme bontà d’animo. E perché organizzare cose mi piace terribilmente e sinceramente, Potter ha bisogno di una mano.»
Luna ridacchiò «Ne parli come se fosse il primo inetto che hai incontrato per strada e non il capo più giovane di dipartimento A-U-R-O-R.» terminò a voce più bassa.
«Beh, questo dipartimento A-U-R-O-R ha decisamente bisogno di una svecchiata. Fate tanto i tipi all’avanguardia ma non avete mai pensato di introdurre tecnologia nostrana per semplificare gli archivi o anche solo la comunicazione tra i dipartimenti. Mi spiace informarvi, ma SMS ed e-mail sono decisamente più veloci di un gufo.» spiegò pragmaticamente Angharad, facendo spallucce.
Luna ci pensò su qualche secondo: «Questa è la battaglia di Hermione, in realtà. Ma non in molti le danno retta a riguardo, personalmente perché penso che si siano un po’ adagiati sugli allori dopo la guerra. Hanno sconfitto il male supremo e sono compiaciuti di ciò, ma non pensano ad andare oltre e prendere spunto dal mondo delle vittime, e parlo di quelle ignare, non di chi veniva chiamato Sanguesporco.» aggiunse l’ultima parte a voce più bassa.
«Oh sì, come nel nostro mondo pensano che il razzismo e il sessismo non esistano più perché non appendono più neri per il collo dagli alberi e molte più donne lavorano, ma ignorano completamente l’esistenza del razzismo istituzionale in diversi paesi occidentali, non solo negli Stati Uniti, e tutte le difficoltà che le donne devono superare anche solo per arrivare allo stesso punto nella carriera di un uomo con le stesse competenze ed esperienza. Per non parlare del divario in materia di retribuzione.»
«Immagino che entrambi i mondi facciano fatica a trattare allo stesso modo la maggioranza e le minoranze.» concluse Luna, spostando lo sguardo fuori dal finestrino.
«Oh, dobbiamo scendere alla prossima!» esclamò Angharad dopo diversi secondi di silenzio, spingendo Luna in piedi e prenotando la fermata.
Le donne che le avevano rivolto un’occhiataccia quando si stava sbracciando senza rendersi conto della loro presenza rotearono gli occhi al cielo, ma non ci pensarono su due volte a prendere i loro posti quando le due bionde si allontanarono verso l’entrata del bus.
Rincontrare il gelo di fine Dicembre fuori dal mezzo pubblico fu lievemente traumatizzante, ma fortunatamente dopo qualche minuto furono alla porta di casa Malfoy – Angharad si ostinava a chiamarla così nonostante ci vivesse anche Hermione, e soprattutto, se fosse stata costretta a fare una lista in ordine di preferenza di occupanti, Nyx e Nix.
«Perché bussate ancora quando hanno un campanello?» Ginny aveva spalancato la porta di casa Malfoy senza nemmeno salutarle, e Angharad si adattò subito rispondendole di getto: «Perché questo è uno strano paese, alcuni hanno il campanello, ma tutti hanno il batacchio. Quindi sceglierò sempre di bussare col batacchio. Buongiorno anche a te Ginevra!»
«Eh. Buongiorno. Sono tutti al piano di sotto e ci sono gli avanzi del mio matrimonio. E anche della festa della vigilia Malfoy.»
«Cioè il tuo vero matrimonio.» commentò Angharad, seguendo la rossa in fila indiana dietro Luna.
«È cibo, non faccio la schizzinosa.» rispose Ginny, già ai piedi delle scale al piano di sotto.
«Gin, hai vomitato di nuovo?» chiese schietta Luna, sistemando il cappotto su una sedia del tavolo prima di salutare Hermione da lontano.
«Ovviamente. Se solo consultasse il medico...» commentò la padrona di casa dal divano.
«I medimaghi non sanno nulla al riguardo e i medici babbani hanno detto che non possono farci nulla. Alla prossima ecografia nell’anno nuovo chiederemo di nuovo, se continua così. Se ci penso di più mi innervosisco ulteriormente, quindi meglio prenderla con filosofia.»
«E con le tue amiche.» continuò Angharad, raggiungendo Nyx ed Hermione sul divano.
«Ovviamente, siete qui per questo. Come mio marito, del resto.» commentò Ginny, col naso all’insù.
«Io ancora mi chiedo come tu non sia finita a Serpeverde sinceramente.» ribatté Angharad, la cui attenzione era focalizzata almeno all’ottantacinque percento sul gatto acciambellato sulle sue gambe.
Sia Hermione che Luna ridacchiarono, mentre Ginny si limitava a ribattere: «Ho pregato il Cappello Parlante di non smistarmi lì, o non avrei avuto più pace da nessuno dei miei fratelli.»
«Ah, mi sembra giusto. L’indole passa in secondo piano alla calma.» rispose la babbana, annuendo.
«Beh, dobbiamo iniziare il film? La lista di film natalizi babbani da vedere per metterci in pari con le Serpi è ancora lunga, e mi mette a disagio essere la mentecatta di turno non aperta alle arti non-magiche.» dichiarò Ginny, afferrando il telecomando del lettore DVD.
«E soprattutto ti dà fastidio non capire se Blaise e Draco stanno citando “Mamma ho perso l’aereo”, “Elf” o “Love Actually”» la rimbeccò Hermione, lanciandole un’occhiata divertita di lato e chiudendo il laptop per fare spazio sul divano anche a Luna e Ginny.
«Conosco i primi due, e il terzo lo vediamo oggi!»
«E sono molto diversi tra di loro.» aggiunse Luna, scuotendo la testa e chiudendo le tende della porta-finestra per abbassare la luminosità nella stanza.
«Traditrice.» sibilò Ginny, facendo partire il film mentre Luna prendeva posto all’angolo opposto del divano, ridacchiando.

Non era necessario che fosse lì, Harry gliel’aveva ripetuto più volte. La maggior parte dei dipendenti voleva le ferie per passarle con la famiglia in quel periodo, e lui avrebbe potuto gestire tranquillamente il dipartimento insieme ad altre due o tre persone. Ma Ron sapeva che Harry stava passando sempre più tempo sull’investigazione che riguardava Malfoy, e nonostante non fosse ancora certo di come si sentisse a riguardo, decise di essere una di quelle persone che sarebbero rimaste a lavoro per le vacanze.
E poi non aveva molta voglia di passarle a casa, sembrava essere diventato in quattro e quattr’otto la pecora nera della famiglia, e sinceramente non se la sentiva nemmeno di ascoltare per ore discorsi su nipoti futuri o ben presenti sotto i loro occhi.
Era nella hall quando vide una chioma di un biondo che credeva di riconoscere, e sebbene non ne fosse del tutto certo, decise di seguire la persona che s’incamminava cercando di non dare l’attenzione verso un ascensore meno centrale. La riconobbe all’improvviso: «Astoria?»
La ragazza in questione trasalì, voltandosi a guardare spaventata la fonte della voce, per poi tirare un sospiro che sembrava quasi di sollievo. Ron, ancora più perplesso di prima, la raggiunse in poche falcate.
«Sei qui per pranzare con Harry? La maggior parte degli uffici del ministero è chiusa in questi giorni...»
Astoria non sembrava in vena di chiacchierare, si guardava intorno e avvicinava la borsa a se stessa con fare protettivo a distanzaz di pochi secondi, e Ron si rese conto di non averla mai vista così nervosa. Non ci rifletté qualche secondo di più e posò una mano sulla sua spalla, sorprendendo anche se stesso: «Tutto bene? Sei qui per... sporgere denuncia?»
Solo allora si decise a parlare, esibendo la sua migliore risatina nervosa: «No, macché. È che preferirei non avere troppi testimoni quando devo andare a visitare il dipartimento di unioni familiari.»
«Devi sposarti?» chiese Ron, lasciando cadere il braccio e guardandola stupito.
«Non esser stupido, Ronald, sai benissimo che se si fosse trattato di quello i miei genitori avrebbero come minimo prenotato il palazzo più vistoso e vecchio e immerso di magia possibile.» ribatté la ragazza, scacciando l’ipotesi con uno schiaffo palesemente stizzito all’aria «No, nulla di tutto ciò. Ma devo rimediare all’offerta all’asta fatta dai miei genitori.»
«Offerta all’asta?» Ronald Weasley strabuzzò gli occhi: poteva non essere il più brillante degli Auror, ma si stava parlando di matrimoni potenziali, e cosa potevano mai c’entrare le aste?...
«Beh, non tutti hanno l’incuranza di abbandonare la famiglia per seguire un amico nel mondo babbano, e neanche l’intelligenza e la capacità di adattamento per brillare in suddetto mondo e carriera. Alcune persone hanno bisogno della propria eredità, anche a discapito della propria libertà. Ma sto cercando di limitare le conseguenze dei loro errori, perlomeno.»
«Hanno offerto all’asta te?!» la domanda si era tramutata in un urlo e per poco Astoria non lo schiaffeggiò, limitandosi a decidere di trascinarlo in un angolo meno visibile dall’entrata principale.
«Shhh! C’è un motivo per il quale ci sono venuta oggi. È l’ultimo giorno in cui posso rendere nota la mia disapprovazione prima che l’offerta venga resa pubblica, dopo non può essere ritirata indietro, nemmeno se non sono d’accordo!»
«Ma è una barbarie!»
«Sveglia, Ronald, il mondo magico non è poi così all’avanguardia, e ci sono tante di quelle leggi oscure che non poche famiglie purosangue accettano di buon gusto senza farne pubblicità.»
«Ma non sei una cosa
«Sì, ma sono la loro figlia, e gravo sul loro patrimonio. E siccome non ho intenzione di essere venduta al migliore offerente, ti sarei grata se mi facessi raggiungere il dipartimento in questione...»
«Sì, andiamo.» tagliò corto il rosso, prendendola per il braccio e dirigendosi verso l’ascensore corretto.
Astoria si fermò di botto: «Come, scusa?»
«Dopo che ho scoperto questa cosa, di certo non ti lascio andare sola. Insomma, avere qualcuno che lavora nel ministero può essere utile, e il cartellino di riconoscimento degli Auror vale ancora qualcosa...»
Astoria era solita dubitare e titubare quando le veniva presentata un’azione gentile senza secondi fini: principalmente perché si aspettava sempre la caduta dell’altra scarpa. Tutto aveva un prezzo nel suo mondo, e francamente, era pressoché sicura che fosse lo stesso anche nel mondo della sorella, almeno quello esterno alla loro felice brigata di amici, di cui non aveva mai avuto la fortuna di far parte. E che tale gentilezza venisse da qualcuno che non sembrava esser predisposto a possedere del tatto, ma nemmeno ad avere alcun interesse ad entrare nelle sue grazie, la scioccò non poco.
Non aveva per nulla senso. Ma notò che la presa d’iniziativa della persona in questione si stava velocemente tramutando in nervosismo, e sinceramente lei stessa avrebbe preferito avere qualcuno ad accompagnarla ed aiutarla con quella faccenda.
Per quanto Ronald Weasley fosse un alleato non atteso, non voluto, e decisamente non chi le sarebbe saltato alla mente se si fosse aspettata di avere una mano per quella questione, a caval donato non si guarda in bocca, e non avrebbe rifiutato quel supporto morale inaspettato.
Allora si concesse di rivolgergli un piccolo sorriso di ringraziamento, e lo seguì nell’ascensore che li avrebbe portati direttamente al piano del dipartimento in questione, sentendosi stranamente rincuorata quando ricevette un altrettanto piccolo sorriso in risposta.

Daphne era certa che il tragitto da lavoro a casa, sebbene si fosse raddoppiato in termini di tempo, sarebbe stato notevolmente migliore se Blaise e Theo non l’avessero fatta scendere a Bank per percorrere a piedi il percorso fino al loro posto di lavoro per poi scendere a riprendere la metro a St Paul’s. Già faceva fatica a dover cambiare a Bank ogni mattina per prendere la DLR – la DLR! – per arrivare a Canary Wharf, ma quel fuori percorso in uno dei giorni più freddi dell’anno la stava non poco spazientendo.
Unito al fatto che aveva già visto passare tre ex-colleghi che si erano fermati a commiserarsi con lei per la sua dipartita dall’azienda, era certa che avrebbe ucciso i suoi amici di più lunga data non appena li avrebbe visti. Era stata tentata di dire che stava molto meglio dov’era ora, grazie-mille-e-arrivederci, e che quei bonus loro se li sarebbero sognati la notte, ma ovviamente sarebbe sembrata una scusa, visto com’erano propensi a trattarla come una povera vittima che doveva stare sicuramente peggio ora che non lavorava con la grande Merrill Lynch - Bank of America – No, non si sarebbe trattenuta dal dire che erano stati costretti a esser comprati da un’altra banca per evitare il fallimento; quindi era stato decisamente meglio per tutti che avesse taciuto, sorriso e annuito.
Non appena riconobbe le chiome dei due amici tuonò: «Alla buon’ora!»
«Oh, ciao Daphne. Scusa se abbiamo fatto cinque minuti di ritardo durante la più grande crisi finanziaria dalla Grande Depressione.» la rimbeccò Blaise, rivolgendole un sorriso fintamente angelico.
«Buoni, bambini!» li riprese Theo, prendendo sottobraccio entrambi gli amici e dirigendosi verso l’entrata più vicina della metro, oltre King Edward’s Street «Anche perché ho news succose per entrambi: ho sentito Kean dire a Jacobs che la disfatta praticamente sicura dei Laburisti alle prossime elezioni porterà alla fine della FSA*
«Cosa?» Daphne e Blaise lo guardarono sconvolti, avendo sentito tutto fin troppo bene nonostante il suo tono di voce bassissimo: al semaforo era scattato il verde, e loro erano rimasti fermi senza attraversare, di fronte alle strisce pedonali.
«Lo so, dovrebbe proprio evitare di dire certe cose fuori dalla boardroom...» continuò Theo, facendo per attraversare ma venendo bloccato da entrambi gli ex-Serpeverde, che lo costrinsero ad arretrare per permettere agli altri pedoni di attraversare.
«Se fossero rumour infondati non ce l’avresti mai detto.» iniziò Daphne, il cui cervello aveva chiaramente iniziato le sue macchinazioni.
«Vero, non diffondi gossip a caso.» proseguì Blaise, assottigliando lo sguardo.
«Dopo che ho sentito Kean ho parlato con il mio superiore, ovviamente. Dopo aver consultato Draco. E Neaman ha detto che più di qualcuno a Westminster non vede di buon occhio quanto poco stiano facendo i lord laburisti nel FSA per gestire la crisi...»
«Nott, vieni al punto!» esclamò a bassa voce Daphne, che insieme a Blaise aveva ormai accerchiato l’amico in questione.
«Potrei aver ricevuto l’offerta di seguirlo in uno dei due nuovi corpi giudiziali che si formeranno, se tutto questo dovesse accadere. La parola chiave è “se”, ovviamente.»
«Che amico traditore, pronto a lasciarci al primo problema!» commentò Blaise, scuotendo la testa e premendo il bottone di prenotazione del semaforo «Io invece sto considerando di lasciare tutto invece. Ora che nasce il bimbo. Considerato che della coppia Ginny è decisamente più famosa e porta più soldi a casa...»
«Io non ho alcuna rivelazione scioccante per voi, se non che mentre vi aspettavo ho quasi ucciso Jenkins, Lewis e Donaghy. Rivelazione molto deludente, lo so.» commentò Daphne, annuendo tra sé e sé scendendo le scale della stazione e prendendo la Oyster card dal portafogli.
«Più che deludente, completamente aspettata, Daph.» ribatté Theo, ridacchiando e copiando l’amica cercando la stessa tessera nella tasca del cappotto.
«Ciò che è deludente è che vi dico che diventerò un papà casalingo e voi neanche battete ciglio» li seguì Blaise, scuotendo la testa «Davvero, mi sarei aspettato una rivolta, qualcuno che diceva che sarei stato troppo importante per l’azienda per andarmene...»
«Dai, lo sappiamo tutto che hai scelto questo campo per i soldi e per i bonus, non perché ti piaccia, non prendiamoci in giro.» ribatté Theo, colpendogli lievemente la spalla con comprensione «Hai fatto jackpot quando ti sei sposato una star dello sport, perché non dovrai lavorare più un altro giorno in vita tua.»
«Non avevo mai incontrato un marito trofeo, ma adesso uno dei miei cari amici lo è, wow!» rincarò la dose Daphne, mentre Blaise rispondeva a entrambi facendo loro la voce – perché sapeva anche lui che quel che dicevano era vero e non aveva niente di meglio da ribattere.
La sua attenzione però fu attratta dalla chioma di qualcuno diversi scalini sotto di loro nella scala mobile: era corta, corvina, e ricordava di averla pettinata. Una vita prima, probabilmente.
Sentì una pesantezza improvvisa montarle all’altezza del petto, e iniziò a scendere le scale mobili velocemente, cercando di superare i lavoratori che come lei volevano raggiungere il più velocemente possibile la banchina della metro, ma per ragioni probabilmente diverse dalla sua.
Lei era certa di aver visto un fantasma, loro volevano solo tornare a casa da lavoro.
«Daph?!»
«Ehi, dove stai correndo!»
Theo e Blaise avevano provato a seguirla, ma erano stati bloccati dagli altri lavoratori della City che già avevano fatto un grosso favore a Daphne spostandosi quando li aveva travolti, non sarebbero stati altrettanto gentili con loro.
Quando raggiunse la banchina per i treni della Central Line in direzione ovest, le porte del treno si stavano chiudendo. Ed era certa che non l’aveva sognato: Pansy Parkinson la osservava da oltre il vetro delle porte della carrozza del treno, e la stava salutando con un sorriso spiritato.
«Daph, ma che diavolo?!—
Theo e Blaise la raggiunsero dopo qualche secondo, egualmente indispettiti e preoccupati, soprattutto quando la videro così pallida.
«Greengrass!» esclamò Theo, smuovendole un braccio, e lei si voltò a guardarli: «Era Pansy Parkinson. Era sulla metro, era qui.»
Theo e Blaise si scambiarono un’occhiata atterrita: Daphne non avrebbe potuto sbagliare su qualcosa del genere. Pansy Parkinson era riemersa.






*FSA: Financial Services Authority, si occupava di tenere un'occhio sulle banche dagli anni 80 in UK ed è stata smantellata e divisa in due organi di controllo dopo il casino della grande recessione

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