The silence

di SherlokidAddicted
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dannato inconscio ***
Capitolo 2: *** L'uccellino ferito ***
Capitolo 3: *** La rosa e il girasole ***
Capitolo 4: *** L'uomo nella mia testa ***
Capitolo 5: *** Le fasi lunari ***
Capitolo 6: *** La vita reale ***
Capitolo 7: *** Era solo un caso ***
Capitolo 8: *** Diverso ***
Capitolo 9: *** Tre cose prima di tutto ***
Capitolo 10: *** La pioggia ***
Capitolo 11: *** Clarence ***
Capitolo 12: *** Castiel Novak ***
Capitolo 13: *** Neanche mi conosci ***
Capitolo 14: *** Un brindisi ***
Capitolo 15: *** Volevo sentire la tua voce ***
Capitolo 16: *** Love me tender ***
Capitolo 17: *** Glielo devi ***
Capitolo 18: *** Sei lui ***
Capitolo 19: *** Nove mesi ***
Capitolo 20: *** Ma non mi dire, Sherlock! ***
Capitolo 21: *** Zepp traxx ***
Capitolo 22: *** La lettera per Hogwarts ***
Capitolo 23: *** Posso parlarti qui fuori? ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Dannato inconscio ***


Dannato inconscio



Il silenzio non era mai stato il miglior amico di Dean Winchester. Odiava nel profondo quando si rendeva conto che oltre al suo respiro e al ticchettio dell'orologio appeso sulla parete del soggiorno non c'era altro. Detestava sentire il rumore del frigorifero, lo scricchiolio delle bottiglie di plastica, lo sfarfallio delle lampadine accese, il rumore dei grilli all'esterno. Erano piccole cose che emergevano solo se c'era quel silenzio assoluto che lo soffocava, quello insopportabile per cui, se faceva anche solo un singolo movimento dell'indice, riusciva a sentirne il suono impercettibile.

No, Dean amava il rumore, le serate ai pub, nei locali per adulti dove poter rimorchiare qualche bella ragazza, amava le risate dopo la sbornia, le luci intermittenti sulla pista da ballo, la vera musica rock, non quella commerciale che ascoltavano tutti, ma quella che ti scorre nelle vene e ti accende come un fiammifero, amava i sospiri pesanti e i gemiti racchiusi in una notte di fuoco, e perfino il continuo blaterare e lamentarsi di Sammy.

Il silenzio era per quelli depressi.

Il silenzio era per quelli che odiavano tutto quello che lui amava.

Il silenzio era per quelli che avevano già sentito abbastanza.

Eppure eccolo lì, seduto su quella poltrona con una bottiglia di birra ghiacciata in mano a fissare il vuoto e completamente circondato dal tanto temuto e assordante silenzio.

Sam era chiuso in camera sua, nessun suono usciva da lì, nemmeno un singhiozzo o un gemito sommesso di dolore.

Bobby era uscito.

"Che palle, mi serve un po' d'aria!"

Aveva detto a un certo punto, mentre guardava quello che lui considerava come un figlio senza la solita scintilla negli occhi che lo caratterizzava. A nulla erano servite le sue consolazioni, a nulla era servita la sua presenza, ma Dean sapeva che anche Bobby voleva il momento tutto suo che negli ultimi due giorni non si era dedicato.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma amava i Winchester così tanto che preferiva pensare prima a loro che a se stesso.

Dean, però, voleva farsi inghiottire ancora da quel silenzio angosciante, ancora e ancora, voleva seppellircisi dentro, affogarci e non uscirne più. Di tutto pur di non sentire quel dolore e pur di non sapere che anche Sam stava passando l'inferno.

Si alzò da quella poltroncina con fatica, come se avesse il triplo dei suoi trentacinque anni, sentendo acciacchi e scricchiolii lungo tutto il corpo, infine raggiunse lentamente la finestra e scostò la tenda. La sua Impala era parcheggiata davanti al vialetto. Aveva sempre amato quella macchina, suo padre la teneva come fosse oro. Insieme a Bobby la riparava ogni volta che qualcosa non andava, e Dean era sempre lì, pronto ad aiutare e a imparare qualcosa di nuovo. La passione per le auto era nata così in fondo, grazie a John Winchester, Bobby Singer e l'officina che con grande passione gestivano insieme.

Ora quell'auto era lì, come lo era sempre stata i giorni precedenti, ma guardarla dopo gli ultimi avvenimenti era deprimente, era come se anche "lei" sapesse.

Le chiavi erano state abbandonate dentro un posacenere all'ingresso, e dall'ultima volta che John le aveva toccate, Dean non si era azzardato mai a prenderle.

Lasciò andare la tendina e bevve lunghi sorsi abbondanti, tutti d'un fiato, tanto che la temperatura troppo bassa della bibita gli provocò un forte mal di testa, gli si era proprio "congelato" il cervello, e ciò gli procurò una smorfia infastidita per la quale Sam sicuramente avrebbe riso. 

Ma Sam non era lì.

Si avvicinò al corridoio e accostò un orecchio alla porta della stanza di quello spilungone di suo fratello. Singhiozzi sommessi arrivarono forti e chiari all'apparato uditivo di Dean, e quella consapevolezza gli strinse il cuore come in una pressa.

Papà non c'era mai stato molto per entrambi, soprattutto per Sam, ma era proprio per questo che il minore ne piangeva la scomparsa.

Era morto troppo presto e troppo all'improvviso, John Winchester. Un dannato infarto se l'era portato via, e Sam era arrabbiato. Lo era perché lo aveva da sempre considerato un cattivo padre, quello che non accettava le sue scelte, che era troppo severo e duro con lui, che non si congratulava mai con Sammy quando prendeva un buon voto a Stanford, che non gli rivolgeva mai una parola affettuosa, e che gli aveva detto "Vuoi fare l'avvocato? Bene, allora esci da qui e non farti più vedere."

Dean sapeva cosa gli passava per la testa in quel momento, anche se Sam continuava a dirgli che no, non poteva capire. Ma conosceva fino in fondo il suo fratellino, lo aveva cresciuto, reso l'uomo che era diventato, e sapeva che odiava il fatto che il loro vecchio fosse morto senza prima affrontare un chiarimento. Ci aveva provato tante volte Sam, a chiarire con lui, ma quello sbottava sempre che i loro affari riguardavano l'officina, che era una cosa di famiglia. Sammy avrebbe dovuto lavorare solo lì, proprio come John voleva, ma testardo com'era si era ribellato. Dean non capiva perché avesse scelto quella strada, ma con titubanza la accettò, perché Sam era suo fratello e se era felice allora tutto poteva essere perdonato.

Cosa che invece John non riuscì a mandare giù. I litigi erano quotidiani, nonostante Dean e Sam vivessero in un'altra casa rispetto al padre, succedeva perfino al telefono, anche quando le conversazioni partivano con le migliori intenzioni.

I singhiozzi si fecero per un momento più forti, e Dean percepì anche dei leggeri lamenti che non riuscì a decifrare ma che riuscì perfettamente a intuire.

"Perché non potevi essere diverso, papà?"

"Perché sei andato via prima che mi spiegassi cosa non andasse bene in me?"

"Perché sei stato così freddo con me, papà?"

Dean non giustificava il comportamento di suo padre nei confronti di Sammy, ma capiva anche perché John fosse così in conflitto con se stesso e con gli altri, perfino con i suoi figli.

Il motivo era la mamma, morta dando alla luce il piccolo Sam. La perdita di sua moglie lo aveva scioccato e distrutto, la amava come se non ci fosse nessun'altra donna sulla faccia del pianeta, e dopo quella perdita, il povero John voleva tenere accanto a sé i suoi due figli, tenerli sotto d'occhio il più tempo possibile. Anche se questo avrebbe significato tenerli sotto pressione.

Non voleva perdere anche loro.

E l'allontanamento di Sam lo aveva deluso per questo. La lontananza non era ammessa, non avrebbe potuto badare a lui.

Per Dean fu un po' diverso. Seguiva le sue orme solo per renderlo fiero e per distrarlo dal suo tormento, ma suo fratello non sapeva che anche lui litigava col padre quasi tutti i giorni.

- Sammy! - Lo chiamò Dean mentre si allentava la cravatta ormai diventata insopportabile. Dalla porta si udì un sospiro e poi la voce tremante del fratello.

- Sì? - Dean deglutì, nella sua mente era impressa la sua espressione distrutta durante il funerale.

- Sto ordinando qualcosa, tu hai fame? -

- No, grazie Dean. - La sua voce ovattata arrivò forte e chiara, e sicuramente Dean non avrebbe voluto insistere e poi litigare, anche se voleva davvero che il fratello mettesse qualcosa sotto i denti.

- Sei sicuro? -

- Sicuro. - Dean si sfilò la giacca, poi si allontanò dalla porta senza dire nulla, indeciso se utilizzare o no qualche frase di conforto. Ma tanto, si disse, non sarebbe servito a nulla.

Bobby tornò sul tardi, quando Dean aveva già mangiato e si era chiuso nella sua camera senza riuscire a dormire. Aveva sentito il rumore della porta e poi i suoi passi pesanti fino al corridoio. Si era accostato alle porte delle loro stanze ma non era entrato, poi era tornato in salotto. Probabilmente per accasciarsi sul divano e dormire, senza nemmeno togliersi quel completo nero elegante che mai Dean gli aveva visto addosso. Aveva deciso di rimanere a casa con loro in quel momento difficile.

Dal giorno dopo, Dean sapeva che la loro vita sarebbe tornata come prima per lui, avrebbe raggiunto Bobby in officina e lo avrebbe aiutato con il lavoro, come sempre, e Sam si sarebbe asciugato le lacrime con le sue grandi mani da gigante e avrebbe raggiunto il suo ufficio.

Dean questo non lo sopportava. Voleva allontanarsi da quel posto, voleva trovarne uno tutto suo dove lasciarsi andare in pace, senza che nessuno lo vedesse, perché no, non poteva farsi sfuggire lacrime in pubblico, Dean Winchester non doveva mostrarsi debole.

Chiuse gli occhi e pregò a bassa voce, non sapeva nemmeno lui a cosa stesse pregando, né perché lo stesse facendo, ma dopo l'ennesimo "ti prego", la sua mente viaggiò abbastanza finché non creò il luogo perfetto. Era un lago, tranquillo e pacato, e lui era seduto su un ponticello, fra le mani aveva una canna da pesca e accanto a lui c'era un grande cassa di birra. L'aria fresca gli scompigliava i capelli biondi e gli accarezzava il viso con delicatezza, e perfino nella sua immaginazione chiuse gli occhi per godersi il momento. Gli ricordava un po' uno di quei momenti felici trascorsi con il padre quando lui era più piccolo e lo portava a pescare.

Dean si lasciò sfuggire una risata amara, perché persino nei sogni non riusciva ad allontanarsi dai pensieri che riguardavano John.

Ma lì non c'era il silenzio che lui tanto odiava. C'era il frusciare del vento fra l'erba e gli alberi, il cinguettio degli uccellini, l'acqua del lago che pigramente si infrangeva alla riva e... poi era la sua testa, no? Gli bastava immaginarsi anche che nell'aria si librasse la sua canzone preferita, così che potesse sentirsi finalmente in pace con sé stesso. Forse per un momento non voleva piangere, forse voleva solo rilassarsi.

- Tu chi sei? - Una voce lo distrasse ed aprì gli occhi confuso. Il lago era ancora lì, la canna da pesca era ancora nelle sue mani. Si chiese come diavolo fosse possibile che qualcuno avesse parlato, dato che lui stesso non lo aveva immaginato. Forse era solo stata la sua impressione, forse era troppo scosso per pensare in modo lucido. - Chi sei e che ci fai qui? - Di nuovo, una voce che mai aveva udito in vita sua, non era familiare, sapeva non fosse di Sam, di Bobby o di chiunque altro lui conoscesse, e istintivamente si voltò verso destra. Accanto alla riva, poco lontano da lui, c'era un uomo che lo guardava sorpreso e anche un po' terrorizzato. Dean si alzò dalla sedia come spinto da una forza invisibile.

Come diavolo era possibile avesse creato quel qualcuno dal nulla?

- Da dove diavolo sei spuntato? - Gli chiese allora mentre metteva giù la canna da pesca sul legno fradicio del ponticello.

- Sono sempre stato qui. - Gli disse l'uomo, piegando appena la testa da un lato e scrutandolo come se fosse un miraggio. Lo osservò meglio. Portava un completo scuro, abbinato a una cravatta blu, poi un trench color sabbia, lungo fin sotto le ginocchia. Un completo abbastanza serioso ma che andava del tutto in contrasto con la sua espressione che Dean ritenne abbastanza buffa.

- Sei sempre stato in questa fantasia? - Quello annuì deciso, poi Dean ridacchiò nervosamente e tornò a sedersi scuotendo la testa. Il suo inconscio gli stava apertamente dicendo che nemmeno in un momento come quello gli era concesso rimanere da solo. Gli stava anzi urlando che avere qualcuno accanto era forse la cosa migliore e aveva creato quello strambo tizio. Dean voleva solo stare in pace. - Beh, credo tu debba sparire invece, non voglio nessuno qui. -

- Non posso. - Dean sospirò pesantemente e anche leggermente irritato da quelle parole. Che voleva dire che non poteva? Cosa diavolo stava succedendo alla sua dannata testa?

- Non puoi? -

- Io appartengo a questo posto. - Il biondo lo guardò in silenzio, distratto dai capelli scuri dell'altro che si muovevano con il vento. Quella buffa espressione confusa non era sparita e nemmeno la sensazione di fastidio nel vedergliela dipinta costantemente in faccia.

Stava per dire qualcosa, ma una terza voce li distrasse, ma questa volta era familiare. Lo sconosciuto si guardò intorno ancora più confuso, ma quella fu l'ultima cosa che vide prima di svegliarsi nella sua stanza per colpa dei pugni di Bobby sulla porta e del suo vocione che lo chiamava.

- Alzati, idiota! O ti lascio qui e vieni a piedi. - Si stropicciò pigramente gli occhi, poi si girò a guardare la sveglia sul comodino e si rese conto che erano le sei. Il suo turno in officina doveva iniziare fra un'ora, ma Dean non si era reso conto di aver dormito così tanto. Si mise a sedere sbattendo ripetutamente gli occhi per la stanchezza e sbadigliando sonoramente. - Dean! -

- Arrivo Bobby, arrivo! - Disse esasperato prima di alzarsi in piedi.

Si preparò in un batter d'occhio. Non ci impiegava molto di solito, quello a essere lento era suo fratello, che doveva tenere a bada la sua chioma fluente. Quando uscì dalla sua stanza e cercò Sam non lo trovò da nessuna parte, e fu allora che Bobby gli disse che aveva preferito andare via prima e poi dirigersi con calma nel suo ufficio.

In officina andò tutto come al solito. A Dean piaceva sporcarsi le mani con quella roba, lo aiutava a non pensare, ed era ciò che più desiderava per sé ultimamente, anche se avrebbe preferito lo stesso anche per suo fratello. Gli avrebbe parlato, si disse, non appena avrebbe potuto, anche subito.

Pranzo insieme, ci vediamo al solito posto.
Ti prego non mancare, voglio passare un po' di tempo con il mio Sammy.

Premette il tasto invio, sperando vivamente che suo fratello capisse che voleva solo stargli accanto. Non gli avrebbe fatto domande, non lo avrebbe stressato, voleva solo passare del tempo con lui, voleva vederlo in faccia e non parlare più alla porta chiusa della sua camera.

La risposta non tardò ad arrivare.

Va bene, ci vediamo dopo.

Una semplice frase, solo cinque parole, ma fu abbastanza per Dean, era felice.

Arrivò alla tavola calda con un po' di anticipo. Bobby lo aveva visto nervoso e gli aveva concesso di staccare prima e prendere un po' d'aria. Aveva in effetti paura che Sam non sarebbe arrivato, e invece era lì, seduto da solo a un tavolino, rigirandosi il portatovaglioli fra le mani, in attesa di Dean. Il maggiore sorrise sulla porta d'ingresso, poi si avvicinò e prese posto davanti a lui, che si era accorto solo dopo della sua presenza e aveva alzato lo sguardo.

- Ciao! - Gli disse Sam con un sorriso forzato e tremante.

- Ciao, Sammy. - Rispose Dean. Gli occhi del fratello sembravano supplicargli di non fargli domande sulla tragedia avvenuta, né su come si sentisse. Dean sapeva che volesse elaborare il lutto da solo, e da bravo fratello maggiore gli avrebbe lasciato i suoi spazi senza esitare. - Com'è andata in ufficio? - Gli occhi di Sam ebbero un sussulto positivo, era come se lo stesse ringraziando per aver deciso di evitare l'argomento.

- Direi bene, sì. In officina? -

- Tutto ok. - Sam annuì e prima ancora che potesse aprire bocca, una voce accanto a loro li distrasse.

- Cosa vi porto, ragazzacci? - Gabriel era in piedi con il taccuino in mano e la penna a mezz'aria, in attesa di istruzioni. Lavorava lì da quando ne avevano memoria, ed era l'anima del locale. Simpatico, sarcastico, insopportabile e con quella finta aria da innocente che nessuno si beveva. Con i clienti era spigliato e amichevole, amava trattare tutti come se li conoscesse da una vita e ciò non escludeva di certo i Winchester che frequentavano la tavola calda da fin troppo tempo, a volte anche con il padre al seguito. Gliene avevano viste fare di tutti i colori, tipo litigare scherzosamente con il titolare, sbraitare contro un cliente maleducato, flirtare spudoratamente con qualunque cosa respirasse nei dintorni, ed essere semplicemente il Gabe che tutti adoravano.

- Per me un hamburger con bacon e patatine. - Disse Dean, e Gabriel appuntò annuendo, poi portò lo sguardo sul minore in attesa.

- Ehm... lo stesso per me. - Gabe appuntò nuovamente.

- Due birre? - Entrambi annuirono e il cameriere scrisse anche quello, poi ripose il taccuino nella tasca del grembiule. - Arriveranno prima che Dean possa inveire sulla lentezza del nostro cuoco. - Annunciò infine, ricevendo un'occhiataccia da quest'ultimo, al quale lui rispose con un occhiolino insopportabile e un sorriso che faceva venire voglia di prenderlo a schiaffi. Poi però l'espressione di Gabe mutò e tornò seria, lo sguardo era perfino diventato gentile e premuroso e quel cambiamento non passò inosservato ai due seduti al tavolo, anche perché non era proprio da lui. - Per quello che vale, ragazzi... se avete bisogno di qualsiasi cosa in particolare, non esitate a chiedere. - Detto ciò, dopo una pacca comprensiva sulla spalla di entrambi, Gabriel si allontanò urlando l'ordinazione alle cucine e sparendo dietro al bancone.

Lui sapeva.

Tutta la città sapeva della dipartita di John.

Sam deglutì rumorosamente e scostò lo sguardo verso la vetrata che dava sulla strada e per un momento Dean maledì la gentilezza di Gabriel.

- Torni in ufficio, dopo? - Il fratello tornò a guardarlo e scosse la testa.

- No, per oggi ho finito. -

- Oh capisco, in realtà speravo lo dicessi! - Sam corrugò la fronte confuso e Dean ridacchiò. - Che ne dici di andare al poligono di tiro? È tanto che non ci andiamo. - Era una cosa solo loro. Andare a sparare contro il bersaglio, il loro modo per sentirsi liberi di scaricare la rabbia e la frustrazione.

- Non lo so... - Esitò il minore.

- Cosa c'è, hai paura di perdere? - Sam sollevò entrambe le sopracciglia e per la prima volta dopo tanto tempo lo vide sorridere, seppure quello fosse solo un sorriso di sfida.

- Ti piacerebbe! -

- Allora? -

- Va bene, va bene, verrò. - Dean sorrise trionfante.

Mangiarono i loro hamburger, parlando del più e del meno, senza risparmiarsi di quei momenti di silenzio che sembravano infiniti, perché in quel contesto era concesso, in quella situazione di merda non parlare era consentito.

Subito dopo andarono al poligono di tiro, e Sam era così determinato che alla fine sconfisse il fratello con un punteggio strabiliante. Dean aveva finto che la cosa gli dispiacesse, ma in realtà era felice che Sam pensasse ad altro invece che al suo dolore, anche perché sapeva che era stato proprio quel dolore ad aiutarlo a vincere, lo stava scaricando attraverso i proiettili, e Dean semplicemente lo aveva lasciato fare.

Quella sera, però, Sam mangiò in camera sua, lasciando Dean da solo in cucina. Si era di nuovo chiuso in camera sua e non aveva la minima intenzione di uscire fino al giorno dopo. Bobby era già tornato a casa sua, voleva dare un po' di spazio ai ragazzi.

Era troppo presto, pensò Dean.

Era successo solo da qualche giorno, Sam doveva digerirlo, e Dean doveva essere forte per lui.

Quella sera andò a letto con un enorme peso sul petto, con l'immagine degli occhi tesi e arrabbiati di Sam mentre sparava contro il bersaglio.

Poi era di nuovo lì, il lago splendente davanti a lui che emanava una brezza umida e rilassante, il sole che lo riscaldava e il venticello primaverile che gli carezzava la pelle tesa del viso. Prese uno, due, tre respiri profondi a occhi chiusi e il nodo allo stomaco si sciolse pian piano. Stava bene in quel posto, con la sua canna da pesca fra le mani e la cassa di birra al suo fianco, comodo su quella sedia adagiata sul ponticello. Ci avrebbe passato eoni in quel luogo.

- Non sembri il tipo a cui piace pescare. - Dean aprì gli occhi. Seduto accanto a lui con le gambe a penzoloni verso l'acqua del lago c'era l'uomo della notte prima. Adesso erano più vicini e Dean poté scoprire con piacere che i suoi occhi erano blu, un blu più intenso di quello del lago che aveva davanti, un blu più puro, più angelico. Sospirò rassegnato, maledicendo il suo inconscio che segretamente gli stava dicendo di sfogarsi con qualcuno, che no, lui non stava affatto bene, che aveva bisogno di parlarne. Ma Dean non lo avrebbe fatto, era tanto chiedere un po' di solitudine?

- Fantastico... - Mormorò a denti stretti.

 

Note autrice:

Hola gente! 
Come per chi mi conosce sa, scrivere non sarà mai una cosa che abbandonerò. 
Stavolta ho cambiato fandom, anche perché le mie otp sono varie e i Destiel sono sicuramente nella top 3. Questa storia nasce da un sogno che ho fatto e da quella scena in cui Castiel entra nel sogno di Dean, diciamo che ho mixato le due cose.
È una AU per il semplice motivo che Dean e Sam non sono cacciatori, il mondo sovrannaturale della serie non esiste e Castiel non è un angelo, come avrete letto.
Spero che questo mio progettino sia di vostro gradimento, io ci tengo molto perché è la prima Destiel che scrivo e la storia in sé mi piace particolarmente.
Come ultima cosa, volevo avvertire i nuovi lettori che i miei tempi nel postare dipendono molto dal mio tempo libero, quindi se non sarò velocissima vi chiedo di avere pazienza. Chi mi conosce e ha letto le mie storie sa che non lascio MAI una storia in sospeso, che prima o tardi la concluderò.
Vi sbaciucchio tutti e a presto per il prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** L'uccellino ferito ***


L'uccellino ferito


- Che vuoi dire con questo? - L’uomo accanto a lui fece spallucce e puntò lo sguardo blu e limpido verso la superficie dell’acqua, a osservare le leggere increspature causate dal vento, che per fortuna lì non era freddo come nella realtà. Aveva deciso lui stesso che nella sua testa doveva esserci la primavera, diversamente dall’inverno nella vita reale.

- Non lo so, sembri… uno di quelli che preferiscono le serate nei locali fino a tarda notte. - Quelle parole fecero sollevare entrambe le sopracciglia di Dean, tanto che sarebbe bastato poco per farle scomparire oltre l’attaccatura dei capelli. Guardò le spalle del moro, poi ridacchiò nervosamente e ripose la canna da pesca nella sua custodia.

- Senti, amico, sono qui per schiarirmi le idee, per non pensare a nulla, non per averti tra i piedi! - E detto ciò, Dean attraversò il ponticello di legno e cominciò a camminare con le scarpe che sprofondavano sul terreno a ogni passo. L’altro lo guardò confuso, la testa sempre chinata da un lato e quello sguardo stralunato che sembrava contraddistinguerlo da ogni individuo sulla Terra.

“Smetti di immaginartelo Dean, smettila, è la tua testa, diamine!”

- Dove stai andando? - La sua voce era più lontana questa volta. Dean si era allontanato già di molto, oltrepassando i primi alberi che davano inizio a una lunga distesa di foresta. Quando si girò vide semplicemente l’uomo in piedi accanto a quella che poco prima era la sua sedia comoda, ed era piccolo abbastanza da non riuscire a vederlo con precisione. Dean dovette gridare per farsi sentire.

- Lontano da te! Magari trovo un fiume, un altro lago, un ruscello, qualunque cosa. - Si girò di nuovo e riprese a camminare oltre la fitta foresta, sentendo dietro di sé la risata appena accennata del suo nuovo tormento personale.

- Non funzionerà! - Il biondo scosse la testa ridendo nervosamente, affondando ancora i piedi nella terra umida. Non aveva ancora esplorato in fondo, cosa ci poteva trovare in una foresta nella sua mente? Magari c’era qualche strana e sexy creatura mitologica, una di quelle belle ninfe o elfe dei boschi, come in quei film che Sam guardava in continuazione, e a quel punto la “compagnia” di quel tipo non gli sarebbe dispiaciuta, anzi… ne avrebbe sicuramente approfittato. Certo, Dean non era il tipo tanto nerd da amare quel genere di cose, ma se si trattava di belle ragazze lui era sempre presente.

Alzò lo sguardo, e solo dopo aver messo a fuoco si rese conto di essere sbucato nuovamente alla riva del lago, e sapeva che fosse lo stesso di prima perché il tizio strambo col suo dannato trench era ancora lì in piedi accanto alla sua sedia, le mani infilate in tasca e un sorriso beffardo a delinearle. Lo guardò come se fosse un’allucinazione assurda, poi lanciò un’occhiata alle sue spalle e vide lo stesso identico scenario, seppure in lontananza.

- Ma che diavolo… - Mormorò, ma forse non abbastanza piano perché anche “occhioni blu” lo sentisse. Quest’ultimo si lasciò sfuggire una risata divertita, poi iniziò a camminare in sua direzione, fermandosi però poco dopo essere sceso dal ponticello.

- È un loop, non c’è modo di andarsene, da qualunque parte deciderai di andare tornerai sempre qui. - Dean deglutì a quella spiegazione, e pensò a quanto fosse strana la mente umana nell’essere in grado di creare una cosa come quella. Si accasciò sconfitto contro l’albero al quale si era poggiato con un palmo aperto, vi schiacciò contro la schiena e chiuse gli occhi. Riusciva a sentire il terreno sotto di sé come se fosse reale, si punse addirittura con un bastoncino di legno, tanto che dovette ritirare la mano e succhiare l’immaginaria gocciolina di sangue che era fuoriuscita.

Sentì dei passi accanto a sé e poi il peso dell’uomo che probabilmente si metteva comodo come aveva fatto lui poco prima. Sospirò rassegnato ma non si azzardò a schiudere le palpebre per sbirciare. Semplicemente inarcò la testa all’indietro e poggiò entrambe le braccia sulle ginocchia.

- Pare che nemmeno nelle fantasie io possa stare tranquillo. - Non ricevette alcuna risposta, quindi aprì un occhio per capirne il motivo. L’uomo davanti a lui era seduto al suo stesso identico modo, gli occhi però erano puntati all’orizzonte, verso il lago. Fu come se non avesse sentito per niente quello che aveva detto. Ne approfittò quindi per prestare attenzione a qualche suo particolare. Quando si concentrava si formavano delle leggere rughe sulla sua fronte, il suo sguardo indagatore era bizzarro, come lo era di per sé ogni cosa di quel tipo. Ma era strano, perché sembrava anche pensieroso e per un momento si chiese anche a cosa potesse pensare una semplice immaginazione. - Almeno ce l’hai un nome? - Chiese curioso, e solo con quella domanda lo sconosciuto si girò verso di lui e lo guardò allo stesso modo con cui stava fissando la superficie dell’acqua.

- Mi chiamo Castiel. -

- Castiel? - Il diretto interessato annuì e Dean corrugò confuso la fronte a quella nuova informazione. - Che razza di nome dovrebbe essere? - E la cosa parve almeno un po’ divertente, perché il suo interlocutore sollevò l’angolo delle labbra ma preferì non rispondere. - Io sono Dean, comunque. - Castiel fece un cenno della testa, e il biondo pensò “Mi starà prendendo per stupido, certo che sa come mi chiamo, è nella mia testa. Merda, continuo a contraddirmi da solo.”

- Dean. - Ripeté il moro, puntando nuovamente lo sguardo al lago. L’aria era fresca e Dean la sentiva sulla pelle come se fosse reale.

- Cosa? - Chiese confuso, perché il modo in cui pronunciò il suo nome era come se stesse assaporando ogni lettera, come se stesse provando come suonasse detto dalla sua voce. Cosa poteva esserci di tanto eclatante in un nome semplice come il suo? Non era di certo come “Castiel” la cui provenienza sembrava sconosciuta. Non aveva mai sentito un nome del genere.

- Nulla, mi piace come suona. - Trovò quella sua affermazione un po’ fuori dal normale, ma si limitò a sollevare le sopracciglia e a richiudere gli occhi. Non si dissero altro, preferì restare immobile fino a quando non si sarebbe svegliato, e a quanto pare fu la stessa cosa che decise di fare Castiel, perché non lo sentì muoversi neanche di un millimetro.

Il giorno dopo Sam lo stupì positivamente. Era in cucina e stava preparando la colazione per entrambi. Gli aveva anche rivolto un “buongiorno” e accennato un sorriso, seppure Dean avesse intuito che era abbastanza tirato. Era felice che almeno stesse cercando di sforzarsi di stare bene.

Decise di sua spontanea volontà di accompagnarlo in ufficio prima di recarsi da Bobby, poi gli diede appuntamento all’officina, cercando anche di fargli capire che sarebbe dovuto passare alla tavola calda per prendere il pranzo. “Prendilo anche a Bobby, altrimenti si incazza.”, e Sam aveva ridacchiato prima di salutarlo con una pacca sulla spalla.

- Come sta Sam? - Fu la domanda di Bobby, mentre armeggiava sotto un grosso fuoristrada e Dean pigramente gli passava gli attrezzi. Fino a quel preciso istante aveva evitato di parlargliene, ma improvvisamente aveva deciso che era il momento. Dean non seppe come rispondere e si limitò a sospirare guardandosi le mani sporche di grasso.

- Ha alti e bassi. - Spiegò. - Un momento sembra stare per riprendersi e quello dopo si rinchiude nella sua stanza. - Anche Bobby borbottò esasperato sotto il fuoristrada, e Dean intercettò le parole “che palle”, “sfogarsi”, e “piangersi addosso”. Ma gli bastò per capire che cosa intendesse. Neanche un attimo dopo, Bobby si diede una leggera spinta e si tirò fuori da solo da sotto l’automobile.

- Anzi, mi correggo, tutti e due dovreste sfogarvi e smetterla di piangervi addosso. - Dean lo guardò confuso, sollevando appena le mani.

- Io sto bene! - Bobby aprì con il solito borbottio una portiera del fuoristrada e poco prima di salire al posto del guidatore lo guardò come se gli avesse appena scaraventato contro una sedia.

- Stronzate! Ti conosco più delle mie tasche, Winchester, e so che sotto quella corazza che ti stai costruendo in realtà ti senti una merda. Che cazzo, non hai pianto nemmeno quando la disgrazia è successa, e io so che non è stato facile per te! - Infilò prepotentemente le chiavi nel cruscotto e cercò inutilmente di accendere il motore. Ci riprovò un altro paio di volte, mentre Dean, con ancora gli attrezzi fra le mani, cercava di capire se Bobby avesse in effetti ragione. E cavolo, se ce l’aveva, ma non voleva mai dimostrare quello che provava mai a nessuno, soprattutto a Sammy. Non aveva pianto quando aveva saputo della morte del padre. Sam sì, lo aveva fatto disperatamente sulla sedia in sala d’aspetto, poi contro la parete della stanza quando era entrato a vedere John, inerme su quel letto d’ospedale. A cosa sarebbe servito sfogarsi per Dean se non peggiorare la situazione di suo fratello? Non poteva permettersi di soffrire davanti a lui, aveva già abbastanza dolore da sopportare, e Dean sapeva egoisticamente quanto Sam tenesse a lui. Lo aveva cresciuto, in fondo. Ogni volta che il padre non c’era, ogni volta che spariva la sera per andare a bere chissà dove, ogni volta che Bobby era stracarico di lavoro perché John decideva di non aiutarlo in officina, ogni volta che John crollava esausto sul divano senza neanche degnarli di uno sguardo, Dean era lì per Sam. Gli preparava la colazione, il pranzo da portarsi dietro a scuola, lo aiutava con i compiti se poteva e se ci capiva qualcosa anche Dean, lo portava fuori a mangiare una pizza e gli preparava il brodo di pollo quando stava male.

Insomma, per Sam, Dean era importante. E credeva che vederlo sofferente, che vederlo crollare non sarebbe stato un bene per lui, dato che mai gli aveva mostrato quel lato fragile. Voleva continuare a essere quella roccia impenetrabile per suo fratello.

Ma era anche vero che a Bobby non si poteva nascondere niente, perché anche quando il padre era vivo e Dean perdeva le staffe con lui, era Bobby quello da cui andava a piangere e a sfogarsi.

- Che palle! - Esclamò l’uomo quando si rese conto che l’auto ancora non partiva, sottolineando l’imprecazione con un colpo delle mani sul volante. Scese perciò di tutta fretta e si asciugò il sudore della fronte con l’orlo della camicia. - Mi serve una pausa. - Il rombo di una macchina li interruppe, Sam era arrivato e aveva parcheggiato vicino all’ingresso. Quando scese dalla macchina, Dean vide palesemente tre sacchetti provenienti dalla tavola calda. Gli lanciò un veloce cenno della mano al quale il maggiore rispose, ma non Bobby. - Pensa a quello che ti ho detto, ragazzo. - Gli disse l’uomo che per molto tempo aveva considerato come un secondo padre, poi quando Sam fu abbastanza vicino, prese il proprio sacchetto del pranzo e se ne andò, lasciandoli da soli.

- Che gli prende? - Chiese Sam con espressione confusa. Per un momento gli ricordò quel Castiel che vagava indisturbato nei suoi sogni.

- Non saprei. - Mentì Dean facendo spallucce, poi si limitò a strappare dalle mani del fratello il sacchetto con su scritto il proprio nome e cognome dall’inconfondibile calligrafia di Gabriel. Sam probabilmente aveva ordinato il pranzo telefonicamente.

- C’è anche la crostata. Te ne ho fatte fare due fette. - Lo sguardo del maggiore si illuminò mentre si sollevava felice come un bambino verso gli occhi di Sam, e a quella reazione il minore ridacchiò, scuotendo esasperato la testa. - In realtà ne avevo presa una, ma Gabe ha deciso di abbondare. Anche con me a quanto pare, non mi ha fatto pagare nemmeno l’extra. - Gabriel non lo avrebbe mai ammesso, pensò Dean, ma quello era il suo modo di preoccuparsi per la loro recente perdita. Era già successo una volta, quando Sam ebbe una delusione causata da una ragazza, una cosa da niente, ma Gabriel gli aveva offerto una fetta di torta in più senza fargliela pagare, sparando la prima cazzata che gli era venuta in mente, ovvero che “oggi sei il primo cliente che varca la porta con il nome che inizia per S!”, sì, cazzate, e tutto per difendere il suo orgoglio e non ammettere che in fondo ci teneva a loro, nonostante li vedesse solo alla tavola calda e non si conoscessero a fondo.

- Mi sembra maleducato non approfittare della sua gentilezza, no? - Dean afferrò il proprio panino e gli diede un generoso morso, che fece storcere il naso del fratello in una smorfia divertita. Il cibo era una delle sue più grandi debolezze dopotutto, e ancora di più le crostate.

- Certo, ovvio. - Rispose Sam mentre si tirava su per sedersi sul tavolo da lavoro, scostando qualche attrezzo per farsi spazio, poi anche lui cominciò a masticare il panino che aveva fatto preparare per sé. - Quindi, cosa aveva Bobby? -

- Ah, le solite cose, non preoccuparti. L’auto non parte e sai che se la prende facilmente. -

- So che se la prende facilmente, ma non per l’auto che non parte, Dean. Non è di certo la prima volta. - Il maggiore fece spallucce e per trovare le parole adatte si riempì la bocca con un altro po’ del suo pranzo. Parlò solo dopo che mandò giù il boccone.

- Immagino sia preoccupato per noi. - Sam a quel punto annuì, distogliendo lo sguardo dal fratello. Quella giustificazione sembrava più convincente, ed evitare di parlare della vera e propria discussione avvenuta poco prima fu proprio voluto da Dean, sapendo che Sam non avrebbe voluto aprire bocca sull’argomento, infatti non ci pensò due volte a cambiare argomento.

- Ascolta, in ufficio c’è uno degli stagisti che ha ottenuto un lavoro prestigioso a New York. Ha deciso di dare una festa questo sabato per salutarci. - Dean mandò giù un altro boccone e lo guardò confuso.

- Ok…? -

- Ha invitato anche me, ma da solo non mi va di andarci. Gli ho chiesto se potevi venire anche tu e ha detto di sì, perciò… -

- Una festa? - Stava per farlo. Stava proprio per rifiutare, per dire un no categorico, un “non ci penso nemmeno ad andare a una festa piena di avvocati spocchiosi”, ma poi pensò che se Sam aveva accettato con quella condizione, probabilmente sarebbe stata una buona occasione per evitare di pensare alla loro ultima disavventura, e forse sarebbe stato un buon espediente per aiutarlo a distrarsi. - Ci penserò su, va bene? - Sam sorrise leggermente e annuì, la speranza dipinta nei suoi occhi.

Quella notte, per un momento Dean pensò di essere da solo, finalmente, e per un momento lo fu mentre sorseggiava la sua birra sul ponticello, accompagnato dal fruscio degli alberi e dal rumore dell’acqua. Un rumore di qualcosa che vi cadeva contro e poi sprofondava. Un rumore continuo di sassolini che slittavano sulla superficie prima di venire inglobati nell’oblio.

Si girò.

Castiel era a pochi passi da lui sulla riva, con un mucchietto di pietre in mano. Le lanciava piano, una dopo l’altra. Dean le guardò rimbalzare sull’acqua e poi osservò Castiel, rassegnato ormai della sua presenza nel “suo” posto felice.

- Ti annoi? - Gli chiese Dean dopo un po’ di silenzio. Castiel fermò il braccio a mezz’aria e fu come se si fosse accorto di lui solo in quel preciso istante, poi però sollevò appena un angolo delle labbra e riprese a lanciare i sassolini con calma. Uno di essi però non rimbalzò, e Dean si ritrovò davanti la sua faccia piena di disappunto mentre riponeva i sassolini nell’ampia tasca del trench.

- Non c’è molto da fare qui. - Rispose lui. Dean portò una mano nella cassa di birra e ne estrasse una. La sollevò in sua direzione e attese in silenzio senza nemmeno guardarlo, finché non lo sentì afferrarla e gli si sedette accanto facendo ciondolare le gambe verso il lago, diversamente da Dean che invece le teneva incrociate. Castiel si attaccò alla bottiglia e ne mandò giù quattro sorsi abbondanti a occhi chiusi, come se si stesse godendo sorso dopo sorso il sapore immaginario del malto sul palato.

- Amico, sembra tu non beva una birra da secoli! - Castiel si asciugò le labbra con la manica del trench, poi osservò l’etichetta della bottiglia prima di parlare.

- No, è che… avevo sete. - Disse lui, facendo ridacchiare Dean. Il moro però non sapeva cosa ci fosse di così divertente e lo guardò confuso. Era la prima volta che si guardavano da così vicino, e Dean pensò fosse ancora più buffo con quello sguardo stralunato.

- Bene, allora è una fortuna che ce ne sia dell’altra. - Disse il biondo, dando un colpetto sulla cassa accanto a sé.

- Quindi così cosa divento? Il tuo compagno di bevute? -

- Forse, almeno per oggi. - Castiel sollevò di nuovo l’angolo delle labbra e Dean ebbe per un momento un brivido lungo la schiena che gli fece distogliere inspiegabilmente lo sguardo.

- Non ho mai avuto un compagno di bevute. Cosa fanno di solito? - Dean storse le labbra pensieroso, era davvero ingenuo quel tizio e la cosa lo divertiva, tanto da non riuscire a togliersi quel sorriso irritante dalla faccia che però sembrava non fargli né caldo né freddo.

- Oh e che vuoi che ne sappia? Io bevo sempre da solo. - Castiel ridacchiò sottovoce.

- Quindi devo stare in silenzio? - A quella domanda gli venne da riflettere. Lui odiava il silenzio, ma trovava anche irritante la sua compagnia quando in realtà era solo la solitudine quella che voleva. Un pensiero che andava molto in contrasto con tutto quello che pensava, ma alla fine annuì, e il moro si ritrovò a fissarlo per un momento mentre mandava giù qualche altro sorso.

Tutto ciò a cui pensava Dean erano le parole di Bobby e la proposta della festa di Sam. Sentiva il disappunto del suo secondo padre che ronzava nella sua testa e la speranza di Sam a pesargli sul petto. Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma con chi?

Guardò Castiel per un attimo. Era per questo che era lì, no? Tanto valeva sfruttare quell’opportunità.

- Cas… posso chiamarti Cas? - Non attese nemmeno che lui rispondesse e continuò. - Se avessi un fratello e ti chiedesse di andare a una festa che vorresti evitare con tutto te stesso, ma sai che tuo fratello sta passando un momento difficile e tu vorresti solo che stesse bene e che si distraesse, tu che faresti? Andresti a quella festa solo per farlo contento o manderesti tutto all’aria all’ultimo minuto solo perché sai che in fondo a quella festa non ci vorresti andare nemmeno morto? - Castiel poggiò la bottiglia di birra sul legno del ponticello e portò poi entrambe le mani sulle ginocchia.

- Se sapessi che a mio fratello potrebbe far piacere la mia presenza, ci andrei di corsa. - Dean si girò a guardarlo, poi scosse la testa e sospirò.

- Lo sto chiedendo proprio a un sentimentale come te, eh? -

- Un sentimentale? -

- Andiamo, si vede lontano un miglio che sei un sentimentale. - Castiel sorrise, per niente arrabbiato da quell’affermazione e per un momento Dean si sentì fremere di puro fastidio alla bocca dello stomaco. Perché a quell’uomo tutto sembrava solo acqua fresca? Perché non gli rispondeva male come facevano tutti? Perché sembrava così tremendamente in pace con sé stesso?

- Perché credi che lo sia? -

- Non so, hai l’aria di uno di quelli che si fermerebbero nel bel mezzo della strada per soccorrere un uccellino ferito. - Castiel a quel punto scoppiò a ridere senza riuscire a trattenersi e Dean, seppure volesse risultare infastidito da quella reazione, ne fu contagiato e si ritrovò a ridacchiare lui stesso, scuotendo però la testa.

- Come tu sembri uno a cui piace fare baldoria la sera, ma a quanto pare vuoi evitare questa festa. - Dean si zittì e si morse la lingua quando si accorse che aveva ripreso il discorso del giorno prima. Aveva ragione ma non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

- Perché, vuoi dirmi che non sei un sentimentale? -

- Forse, ma non mi fermo per strada a soccorrere uccellini feriti, se è quello che mi vuoi chiedere. - Dean ridacchiò mentre si rigirava la bottiglia mezza piena fra le mani. - Ma se l’uccellino ferito fosse mio fratello lo aiuterei, anche se questo potrebbe costarmi una multa per aver intralciato il traffico. - Un paragone strambo quello della multa per descrivere una festa a cui non avrebbe mai partecipato di sua spontanea volontà, ma decisamente efficace da lasciarlo senza parole, tanto che la sua unica risposta fu un sorriso tirato e un leggero cenno con la testa. Poi Castiel sollevò la bottiglia in attesa e a quel punto Dean la fece scontrare con la propria. Calò il silenzio, ma questa volta non lo trovò fastidioso.


Note autrice: 

Buonaseraaaaa gente!
Il secondo capitolo è arrivato prima del previsto e sinceramente non me lo aspettavo nemmeno io, ieri mi sono liberata da un grosso progetto per l'università, perciò ho avuto un po' di respiro, e finché ce l'ho mi dedico alla stesura della storia.

Ringrazio tutti quelli che hanno lasciato un riscontro positivo, per me ha significato tantissimo e spero che la storia continui a piacervi.
Che ne pensate di questo Castiel? Dean seguirà il suo consiglio?
Al prossimo capitolo, bacioni!

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Capitolo 3
*** La rosa e il girasole ***


La rosa e il girasole


 

- Allora, ci hai pensato? - Sam stava intingendo le patatine nella salsa quando rivolse quella domanda al fratello maggiore. Dean sollevò lo sguardo dal suo hamburger e smise per un momento di masticare. Erano passati due giorni da quella proposta e lui ci aveva eccome pensato, soprattutto dopo averne parlato col suo “consigliere immaginario”, e alla fine si era reso conto che aveva ragione. Quell’uccellino ferito era Sam, e Dean si sarebbe fermato a soccorrerlo anche rischiando una multa. La festa si sarebbe tenuta il giorno dopo, e dato che non era una di quelle feste in cui si sarebbe dato alla pazza gioia, come quelle a cui di solito prendeva parte, aveva anche pensato che probabilmente avrebbe dovuto vestirsi anche in modo più formale per far piacere a un gruppo di avvocati con la puzza sotto al naso. Era proprio una categoria di persone che Dean non sopportava, tranne per Sam, ovviamente.

Castiel, quella notte, gli aveva chiesto se avesse deciso di andare o no a quella festa ma Dean aveva solo alzato le spalle e ingurgitato un altro abbondante sorso di birra. Però doveva aspettarselo forse, che il fratello gli avrebbe chiesto una conferma più precisa, perciò Dean sospirò e mandò giù il boccone prima di poggiare il panino sul piatto e pulirsi le mani con un tovagliolino di carta, quei tovagliolini stupidi che non pulivano mai nulla.

- Mi assicuri che ci saranno delle belle ragazze? - Sam sollevò un sopracciglio, ridacchiando, poi portò la patatina alle labbra e la mandò giù in un sol boccone.

- Ho delle belle colleghe. - Dean sorrise in risposta.

- Allora ci sarò. - Sam stava per parlare, ma la voce inconfondibile di Gabe a un volume decisamente troppo alto lo fece sobbalzare dalla sedia, causando invece in Dean un’espressione confusa. Il cameriere non si vedeva nei paraggi, le sue urla provenivano dalle cucine, da cui ne uscì un Balthazar decisamente senza parole, era proprio come se stesse fuggendo da quella situazione. Anche lui lavorava lì da molto. Non quanto Gabe però, era arrivato qualche anno dopo e anche lui aveva un bel caratterino esuberante.

- Datti una calmata, Gabriel! Farai scappare i clienti. - Gli urlò da dietro la porta, mentre lanciava uno strofinaccio sul bancone e cominciava indispettito a pulirne la superficie.

- Vaffanculo, Balthazar! Non è il momento! - Gabe uscì poco dopo mentre si infilava sopra al grembiule della tavola calda una giacca pesante e una sciarpa. Dean si alzò sotto gli occhi confusi del fratello e raggiunse il bancone. Il suo intento era quello di chiedere un’altra birra, ma in realtà voleva con tutto il cuore capire cosa diavolo stesse succedendo. - Torno più tardi. - Annunciò Gabriel passando proprio accanto a Dean, scontrandosi con la sua spalla senza nemmeno scusarsi, poi si precipitò fuori e salì subito in macchina. Dean lanciò uno sguardo al fratello che gli rispose con un’alzata di spalle.

- Ehi, Balthazar! Un’altra birra se non ti spiace. - L’uomo lo guardò per un attimo, poi sospirò e si girò dalla parte opposta per prendere un’altra bottiglia di birra, ghiacciata proprio come piaceva al maggiore dei Winchester. Gliela poggiò sul bancone, proprio davanti ai suoi occhi, poi tornò a pulire la superficie sempre nello stesso punto, ormai era così splendente che ci si poteva specchiare. - Giornata di fuoco? - Il cameriere sollevò per un attimo le sopracciglia prima di rispondere.

- Fuoco e fiamme, direi. -

- Che gli prende? -

- Non ne ho idea e sinceramente non m’interessa. - Rispose Balthazar con una risata nervosa. Dean si limitò ad annuire confuso, poi gli fece un cenno come per ringraziarlo della birra, e tornò al tavolo, dove Sam stava addentando un altro pezzo di panino. Lo guardò con aria interrogativa, chiedendogli silenziosamente dell’accaduto.

- Forse è da troppo tempo che non sco… -

- Dean! - Lo ammonì Sam, ridacchiando, e Dean lo seguì a ruota, finché entrambi non finirono di pranzare.

Tornarono all’officina e Sam decise di restare a dare una mano, visto che per quel giorno aveva finito in ufficio. Dean ne fu sorpreso e contento, perfino Bobby che non si aspettava affatto di vederlo lì ad armeggiare con loro sul motore di una vecchia auto d’epoca lasciatagli da Rufus, un caro amico di Bobby a cui faceva ogni volta un generoso sconto.

Ci fu un momento, uno solo, in cui i due fratelli restarono da soli mentre Bobby andava a recuperare alcuni pezzi di ricambio. Dean guardò di sottecchi suo fratello, e più si sforzava più non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa.

- Quando finisco qui… volevo andare a trovare mamma e papà. - Azzardò Dean mentre metteva a posto gli attrezzi, ma non appena si ritrovò con lo sguardo su Sam, lo vide quasi terrorizzato. Gli occhi sbarrati e il pomo d’Adamo che andava su e giù per il suo collo. - Non vado a trovare papà dal giorno del funerale e… mi chiedevo se potessi accomp… -

- No. - Fu una risposta decisa e categorica, non ammetteva contraddizioni, e il suo sguardo era già diventato più duro e severo mentre cercava di evitare quello di Dean. Quest’ultimo lo guardò stupito. Non immaginava che perfino vedere le loro lapidi avrebbe peggiorato le cose per Sam. Immaginava solo che non volesse parlarne, e non lo avrebbero fatto al cimitero, Dean se lo era ripromesso, voleva solo andare lì con lui, salutare i suoi genitori, Sam sarebbe rimasto in religioso silenzio accanto a lui e poi sarebbero andati via. Niente parole, di quelle potevano farne a meno per il momento, se era quello che desiderava. Ma quel primo passo, Sam non voleva farlo.

- Ma Sam… -

- Ho detto di no, Dean. - Stavolta lo guardò e Dean vi lesse delusione in quegli occhi, e fu come uno schiaffo in pieno volto per lui. - Vado ad aiutare Bobby. - E detto ciò si dileguò in pochissimi secondi.

Dean rimase da solo a guardare il punto dove poco prima si trovava suo fratello, poi deglutì e si lasciò cadere su una sedia lì vicino, lo sguardo ancora perso nel vuoto al solo pensiero di ciò che era appena successo. Si diede dello stupido. Come aveva solo potuto pensare che quello avrebbe potuto fargli bene? Era ancora presto per parlarne, ancora troppo presto per spingere Sammy a fare qualcosa che non aveva la forza di affrontare. L’unico pensiero che gli venne in mente fu “Sam si sente in colpa”.

Mary Winchester era morta dandolo alla luce, e Dean non avrebbe mai dimenticato quando una volta gli disse “Mamma sarebbe ancora qui se non fosse per me”.

E ora c’era questo, la morte del padre che aveva scombussolato la loro vita cento volte di più. L’ultima volta che si erano parlati, John e Sam avevano litigato, lo facevano sempre. Ma non si erano mai chiariti.

Un’altra colpa sulle spalle del povero Sammy.

Non riusciva ancora ad affrontarli.

Stupido, stupido Dean!

E stupido Sam! Non aveva alcuna colpa di tutto quello che era successo.

Al cimitero ci andò da solo, alla fine. Non era nei programmi di Dean, ma nel tragitto Sam accostò lì vicino e senza nemmeno guardarlo gli disse “ci vediamo a casa”, poi era sgommato via. Per un attimo pensò di seguire la macchina e di raggiungerlo subito, ma poi decise di andare a trovare i suoi genitori, perché sapeva che Sam si sarebbe chiuso in camera e lo avrebbe evitato per tutta la sera pur di non parlare della situazione.

Il sole stava per calare. Il cielo era tinteggiato di colori caldi e tenui, lanciando riflessi rossi sulla superficie delle lapidi lungo il tragitto. L’aria era gelida e il suo giubbotto di pelle non lo aiutava di certo a sopportare una temperatura così bassa. Cavolo, quanto odiava l’inverno!

Arrivò davanti alle due lapidi, messe l’una accanto all’altra, e rimase lì in piedi a fissarle. C’era un girasole poggiato sul terreno per Mary, e una rosa gialla per John. Dean accennò un sorriso triste, immaginandosi Bobby che la mattina presto veniva lì poco prima di passare a prenderlo, solo per lasciare quel piccolo saluto ai suoi genitori. Che idiota, pensò, dovrei farlo io, dovrei esserci io assieme a Bobby ogni mattina.

Non sapeva cosa dire. Era lì davanti alle loro lapidi e non sapeva se stare in silenzio o iniziare a parlare, di qualunque cosa. Cosa si faceva in quei casi? Con la mamma era stato facile parlare apertamente davanti alla sua lapide, ma con entrambi non aveva la più pallida idea di cosa fare, quindi si portò entrambe le mani nelle tasche della giacca e pensò per un momento a Sam, al fatto che non fosse lì con lui a confortarlo come solo suo fratello sapeva fare, a dirgli anche un semplice “Dì qualcosa, Dean!”.

Una lacrima solitaria scese dall’occhio sinistro e Dean quasi non se ne accorse finché non la sentì scorrere sulle labbra.

- Che cosa devo fare? - Chiese soltanto, alternando lo sguardo su entrambi i nomi che risaltavano sulla pietra. - Vi prego, ditemi che cosa devo fare. - La sua voce tremava, ma lì attorno non c’era nessuno. Poteva concederselo.

Quando tornò a casa, Sam era in camera sua, chiuso a chiave come Dean si aspettava. E solo quel pensiero contribuì a chiudergli lo stomaco, voleva solo sprofondare nel suo letto senza pensare a nulla, perciò si recò dritto nella sua stanza e si addormentò senza mettere qualcosa sotto i denti.

Neanche qualche minuto dopo il lago scintillò sotto ai suoi occhi e Dean stringeva già la sua bottiglia di birra con le dita, così forte da rendere bianche le nocche. Ne sentiva perfettamente la temperatura fredda, la superficie bagnata. Prese un respiro profondo a pieni polmoni, gli occhi chiusi mentre cercava di trattenere altre lacrime, perché sì, Dean era sul punto di piangere di nuovo, ancora e ancora. Ma non voleva farlo, perché sapeva che di lì a poco non sarebbe stato più da solo.

E ne ebbe la conferma non appena riaprì gli occhi e avvertì la presenza di Castiel al suo fianco, seduto al bordo del ponticello come lui, che lasciava dondolare le gambe.

- Hai un aspetto di merda. - Gli disse, ma Dean non rispose e si limitò a bere qualche sorso di birra, e lo fece così velocemente che dovette strizzare gli occhi e sopportare quei pochi secondi in cui sentì il cervello “ghiacciato”. - Dean? - Lo chiamò quando si rese conto che ancora non aveva aperto bocca. Quello sbuffò rumorosamente e si girò verso di lui e la sua espressione non presagiva nulla di buono.

- Devi sparire dalla mia testa, Castiel! - La sua voce troppo alta fece sussultare l’uomo davanti a lui. - Voglio stare da solo, porca puttana! - E detto questo si alzò di tutta fretta e provò ad allontanarsi a grandi falcate, portando con sé la bottiglia di birra. Stava per inoltrarsi nella foresta, ma poi si ricordò che facendolo non avrebbe risolto il problema, sarebbe tornato indietro contro la sua volontà, quindi si fermò all’improvviso e lanciò la bottiglia contro una grossa pietra lì vicino. Andò in frantumi e i pezzi di vetro esplosero attorno a lui con un rumore assordante. Sentì i passi di Castiel e poco prima che quest’ultimo potesse avvicinarsi ancora di più, si girò verso di lui e gli puntò contro il dito indice, facendolo immobilizzare. - Io non ho bisogno di te. - Disse, la voce decisamente più bassa, ma con il tremore della rabbia a spezzarla. - Non ho bisogno di parlare dei miei problemi con te. - Castiel aveva alzato appena le mani, ma non aveva smesso di guardarlo sorpreso e allo stesso tempo confuso, la testa come sempre inclinata da un lato come un cucciolo smarrito. - Ho creato questo… - Continuò indicando con le braccia il luogo attorno a loro. - … per poter stare da solo. - Poi gli si avvicinò pericolosamente, e perfino quando Dean afferrò Castiel per il bavero del trench, quello non ebbe alcuna reazione, rimase immobile a guardarlo, e a Dean quell’atteggiamento non era andato giù fin dal primo giorno che lo aveva visto. - Non mi serve parlare con te come se fossi il mio psicologo, hai capito? - Castiel deglutì per un attimo, ma non disse nulla, stette ancora in silenzio in attesa di qualcosa che Dean non riusciva a capire. - Non dici niente? - Alzò la voce, ma Castiel ancora non emise alcun suono, nemmeno quando strinse ancora di più il bavero del suo trench e gli si avvicinò a un palmo dal naso. Solo guardando i suoi occhi capì cosa realmente stava facendo. Castiel non reagiva e non diceva una parola perché stava solo lasciando che Dean si sfogasse, che gettasse fuori ogni cosa. Castiel non lo aveva costretto a gettar fuori la sua rabbia, era stato lui, da solo. Probabilmente se in quel lago non ci fosse stata anima viva, sarebbe rimasto seduto su quel dannato ponticello a osservare l’acqua e a bere fino a scoppiare, sopportando il silenzio che tanto odiava. Invece la presenza di Castiel lo aveva aiutato a sfogarsi, e ciò contraddiceva ogni singola parola che Dean gli aveva vomitato addosso. Per un momento si sentì come Gabriel che quella mattina aveva attaccato senza alcun motivo un innocente Balthazar che invece di inveire su di lui aveva tenuto la bocca chiusa e lo aveva lasciato sbraitare.

Solo in quel preciso istante se ne rese conto. Aveva davvero bisogno di qualcuno, e Castiel era lì per quello.

Con quella nuova consapevolezza, Dean lasciò andare il trench del moro, poi fece qualche passo indietro e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Non immaginava di essere così vulnerabile da aver bisogno di certe cose, pensò mentre abbassava la testa e stringeva forte le palpebre in un ultimo disperato tentativo di trattenersi.

Non passò molto prima di sentire una mano sulla propria spalla, ma Dean rimase immobile, i pugni stretti talmente forte da piantarsi le unghie nel palmo delle mani. Solo dopo un po’ riuscì a sollevare lo sguardo verso Castiel. Lo guardava preoccupato, ma allo stesso tempo quegli occhi gli stavano dando forza, e Dean si sentì uno stupido ad averlo attaccato in quel modo del tutto ingiustificato.

- Mi dispiace… - Disse, e a quel punto non riuscì a trattenere le lacrime. Sgorgarono dai suoi occhi come cascate e Castiel ebbe un sussulto nello sguardo non appena lo vide piangere, fu come se non se lo aspettasse, come se avesse creduto fino a quel momento che Dean non sarebbe mai stato in grado di piangere. - Mi dispiace, Castiel. - Fu un gesto del tutto istintivo quello del moro, ma lo abbracciò stretto e Dean ricambiò soltanto dopo essere rimasto immobile qualche secondo. Era sorpreso di quella sua iniziativa, ma non aveva le forze di essere orgoglioso come suo solito. Dean ne aveva un disperato bisogno e cominciò a singhiozzare senza controllo, aggrappandosi con i pugni chiusi al trench che tanto trovava buffo su di lui. - Mi dispiace. - Continuava a ripetere con la voce tremante e ovattata, tenendo il viso nascosto sulla sua spalla, come a non volere che l’altro lo vedesse in quello stato che lui riteneva pietoso. Mai prima d’ora erano arrivati ad avere un contatto fisico come quello, eppure a Dean non dava alcun fastidio quella vicinanza, non in quel preciso istante almeno. Anzi, sperava di potercisi seppellire fra quelle braccia, almeno per quella notte, almeno finché non avesse riacquistato la lucidità necessaria per tornare il Dean di sempre.

Dio, quanto si detestava in quel momento!

- Va tutto bene. - Disse il moro. Lo strinse ancora, finché non sentì i suoi singhiozzi affievolirsi, poi sciolse appena la presa e lo guardò dritto negli occhi verdi. Dean lo osservò smarrito. In quel momento non sapeva se un’altra situazione come quella sarebbe potuta succedere di nuovo, ma si rese conto che quel gesto gli aveva fatto bene, che gli era piaciuto avere il sostegno di qualcuno che era estraneo alle cose che gli capitavano… ma sarebbe stato lo stesso con qualcun altro? O era proprio Castiel a ispirargli quel briciolo di fiducia? - Vuoi… parlarne? - Dean scosse la testa e si asciugò gli occhi con il dorso della mano, tirando leggermente su con il naso.

- No, non oggi, non ora. Ti prego… parliamo di qualcos’altro, qualunque cosa, ma non quello. - Castiel annuì, poi si limitò a indietreggiare di qualche passo, lasciando scivolare dalla sua spalla la mano che vi era ancora adagiata sopra, prima di iniziare a camminare verso il ponticello. Dean lo guardò da lontano. Non si era voltato a vedere se lo stesse seguendo, ma lo stesso gli sembrò un tacito invito a farlo. Si accomodarono nuovamente come prima, l’uno accanto all’altro, e questa volta anche Dean fece penzolare le gambe verso l’acqua scintillante. Castiel prese due birre e ne passò una a Dean, che lo ringraziò con un cenno della testa. Ci fu silenzio fra i due, per un bel po’ di tempo, prima che Castiel decidesse di romperlo con una domanda.

- Allora… ci vai alla festa o sei ancora indeciso? - Dean deglutì ancora prima di bere, poi annuì.

- Sì… sì, ci vado. - “Se Sam ancora me lo permetterà.” Disse mentre guardava l’acqua sotto di sé. Castiel si fece sfuggire un mezzo sorriso e poggiò la bottiglia su una delle gambe. - Ma se non ci sono belle ragazze e non si mangia decentemente… - L’uomo accanto a lui ridacchiò.

- Cosa? Scapperai dalla finestra? - Dean sollevò appena l’angolo delle labbra, solo per una frazione di secondo.

- Potrei farlo. - Disse infine, facendo scuotere la testa a Castiel, ma poi Dean sospirò. - Scherzi a parte, ci vado solo per lui. Per l’uccellino ferito, con tutte le multe che dovrà costarmi. - Castiel lo guardò senza dire nulla, poi si soffermò a osservare la foresta dall’altra parte del lago, guardando all’orizzonte.

- Questa metafora che ho fatto ti sta sfuggendo di mano. - Dean roteò gli occhi per un attimo, ma quel sorrisetto divertito non sfuggì allo sguardo attento di Castiel. Non passò molto prima che quest’ultimo si girasse completamente verso Dean, incrociando le gambe sul ponticello di legno e guardandolo con la testa piegata leggermente verso destra, con quell’espressione curiosa e buffa che solo lui possedeva. Dean sollevò un sopracciglio.

- Che c’è? -

- Parlami di te. L’unica cosa che so è che hai un fratello e che qualcosa ti tormenta. Nient’altro. - Dean si chiese come mai qualcosa che era frutto della sua di testa non sapesse nulla di lui, ma poi capì. Voleva farlo parlare, voleva distrarlo, e in fondo non ci trovava nulla di male in quello, perciò sospirò e fissò per un momento la bottiglia fredda fra le sue mani.

Gli raccontò del suo lavoro all’officina e di Bobby, di come lo considerasse un secondo padre, del suo carattere impaziente e delle sue imprecazioni. Gli raccontò di Sammy, di quello che faceva in ufficio, del fatto che fosse diventato un ottimo avvocato e della sua determinazione a voler seguire quella strada andando a Stanford. Gli disse che all’inizio fu strano per Dean che lui volesse fare quel lavoro, ma che per vederlo felice e a suo agio accettò la situazione. Gli disse che lo aiutava spesso, quando andava al college. Che quando andava a trovarlo Dean prendeva i suoi libri e lo ascoltava ripetere un capitolo di cui lui non capiva un accidente. Gli parlò dei suoi interessi sulla musica, dell’amore per le belle auto, e per quello verso il cibo, soprattutto degli hamburger di cui non poteva fare a meno.

Non parlò di sua madre, né di suo padre, non accennò della loro morte neanche di sfuggita, non gli disse nulla del vuoto che provava dentro e del dolore seppellito nel suo cuore, niente di tutto quello. Ma Castiel non era stupido, non di certo. Aveva capito che qualcosa mancava in quel racconto, che Dean si stava facendo sfuggire apposta quell’elemento importante della sua vita, però non disse niente, non gli chiese nulla, e lo lasciò parlare, annuendo di tanto in tanto e ridacchiando agli aneddoti divertenti che lui gli raccontava.

E a Dean quello bastò.


Note autrice:

Ho aggiornato oggi perché non sono sicura di riuscire entro la prossima settimana, dato che fra dieci giorni ho gli esami.
Pregate per me che ho l'ansia.
Comuuuuunque, che ne pensate di questo capitoletto? Qui iniziamo a vedere un approccio molto cute fra i due eheheh l'ho fatto apposta lo ammetto.
A presto con il prossimo capitolo, baci!

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Capitolo 4
*** L'uomo nella mia testa ***


L'uomo nella mia testa

 

Sam si era comportato come se niente fosse il giorno dopo, come se quella piccola discussione non fosse mai avvenuta. Aiutò perfino suo fratello Dean a scegliere cosa mettersi per quella festa, perché in fin dei conti Dean stava optando per un completo troppo serioso e da “puzza sotto il naso”, almeno così era come lo definiva lui. Sam per poco non sputò tutta l’acqua che stava bevendo non appena lo vide conciato in quel modo, e gli ci volle qualche respiro profondo per smettere di ridere e dirgli che quella era una normalissima festa come tutte le altre, che non c’era bisogno di mettersi in tiro.

Alla fine Dean indossò i soliti vestiti che lo facevano sentire a suo agio, più la sua giacca di pelle, quella delle occasioni speciali.

Quando arrivarono al locale, Dean fu grato di aver riconosciuto la tavola calda, e pensò che forse si era preoccupato troppo per quella stupida festa.

- Non mi avevi detto sarebbe stato qui. - Disse Dean dopo aver chiuso la portiera. Sam lo fece a sua volta e chiuse a chiave l’auto prima di incamminarsi verso il marciapiede, seguito da un Dean abbastanza confuso e stupito.

- Non so cosa ti aspettassi, Dean, ma uscire tutti insieme per mangiare e bere qualcosa si chiama festa anche per gli avvocati, sai? - Il maggiore gli lanciò un’occhiataccia che Sam ignorò volutamente mentre si avvicinava all’ingresso ed entrava nell’edificio. Dean osservò per un attimo la tavola calda. Non ci era mai venuto quando fuori era buio, era sempre stato un posto dove veniva di solito a pranzare e per un momento gli parve strano. Osservò perfino le auto parcheggiate all’esterno, chiedendosi quante persone stessero partecipando a quell’occasione, ma poi sospirò e decise di vederlo di persona.

Non appena aprì la porta, Sam era ancora sulla porta ad aspettarlo e appena lo vide gli fece cenno di seguirlo. Attorno a lui non vide altro che persone normalissime, vestite normalmente, che mangiavano normale cibo e bevevano normale birra. Questi dannati avvocati allora sanno cosa vuol dire svagarsi un po’, pensò Dean mentre stava al passo del minore, che si era diretto verso un ragazzo dai tratti asiatici, con in mano un piccolo contenitore di stuzzichini. Li mangiava uno dopo l’altro senza riuscire a smettere, e ridacchiava alle battute di una ragazza che a quanto sembrava doveva essere davvero molto divertente.

- Kevin! - Il ragazzo puntò lo sguardo verso di loro e sorrise ampiamente prima di abbracciare Sam, e sparire completamente all’imponenza di quel gigante di suo fratello.

- Ah, sei venuto! Mancavi solo tu, in effetti. - Gli disse il ragazzo mentre offriva un po’ degli stuzzichini al nuovo arrivato.

- Certo che sono venuto. Non mi sarei perso la tua festa. Oh, lui è mio fratello Dean. Dean, lui è Kevin Tran, il nostro stagista fortunato. - Dean gli strinse la mano con un sopracciglio sollevato. Sembrava abbastanza giovane ma immaginava che dentro quella testolina si nascondesse una mente geniale se in così poco tempo era riuscito ad attirare l’attenzione di qualcuno ai piani alti e ricevere una proposta di lavoro che probabilmente molti dei colleghi di Sam si sarebbero solo sognati.

- Quindi sei tu! È un piacere conoscerti, congratulazioni per tutto. - Per poco sentì lo sguardo soddisfatto di Sam su di sé, forse perché per la prima volta Dean si stava interessando al lavoro del minore, cosa che non aveva mai fatto, visto ciò che pensava in effetti di loro. Era felice, però, che Dean fosse lì e di certo lui non gli avrebbe rovinato la serata. Kevin sembrava uno a posto, anche se immaginava fosse uno di quei nerd fissati, un po’ come Sam. Forse erano molto legati, visto come si erano salutati, e per poco a Dean dispiacque che a Kevin fosse capitata quell’opportunità che lo avrebbe tenuto lontano da Sam.

- Ti ringrazio, sono felice che sia qui anche tu. Sam parla sempre di te, è un continuo. Ti ammira molto. - Dean squadrò il minore e quello rispose con un sorriso imbarazzato e un’alzata di spalle. Ne era di certo lusingato, ma allo stesso tempo la cosa lo fece rabbrividire, anche se non capì bene il motivo. Fu solo un attimo, una scia di brividi lungo la schiena che lo fecero raddrizzare improvvisamente prima che lasciasse andare la mano del suo nuovo conoscente.

- Ah sì? Beh… potrei dire che ne sono stupito, ma in effetti a Sam piace tanto adularmi. - Sfoderare il solito sarcasmo gli sembrò la cosa giusta da fare, e ne ebbe la conferma quando Kevin iniziò a ridacchiare e Sam lo colpì con una gomitata sul fianco per zittirlo. Stava per controbattere, quando una voce alle loro spalle lo fece sussultare.

- Scusate ragazzacci, mi state ostruendo il passaggio, e non è che io abbia le mani molto libere al momento. - Gabe sbucò dietro una pila di vassoi pieni di altri stuzzichini, implorandoli con lo sguardo di farsi da parte. I tre si spostarono di qualche passo e Gabriel passò sinuosamente fra di loro, sollevando i vassoi in aria per non farli cadere rovinosamente sul pavimento, poi li poggiò sul tavolo sistemato per l’occasione, il tutto in una velocità disarmante, come un vero cameriere provetto. Tornò indietro spolverandosi le mani soddisfatto, passando fra i tre e lanciando loro un occhiolino prima di posizionarsi dietro il bancone per occuparsi dei clienti che richiedevano i loro drink.

- Vi va qualcosa da bere? Offro io. - I due annuirono, e Dean diede loro una leggera pacca sulla spalla prima di raggiungere il bancone dove Gabriel stava riempiendo degli shot.

- Cosa ti porto, Dean-o? - Gli chiese quello mentre faceva strisciare i bicchieri verso i clienti che li avevano richiesti.

- Mi fido di te, qualcosa per me, Kevin e Sam. - Gabe non se lo fece ripetere due volte e in men che non si dica riempì tre bicchieri di un liquido color ambra, non risparmiandosi di decorarlo con qualche elemento in più. - Senti, Gabriel… - Quello fece un cenno con la testa come a dirgli che lo stava ascoltando. - Cosa è successo ieri? Sei andato via su tutte le furie. - Gabriel ridacchiò e fece un cenno con la mano come a dirgli di lasciar perdere quella storia, anche se subito dopo non esitò a raccontargli come in effetti erano andate le cose. Sì, Dean aveva usato la scusa del drink per curiosare su quella faccenda.

- Clienti difficili che trovano qualunque modo possibile e immaginabile per farmi diventare matto. - Disse mentre passava a servire un altro cliente arrivato poco prima che Gabe potesse rispondergli, un uomo sulla quarantina con l’aria di chi aveva già bevuto abbastanza nonostante la festa fosse iniziata da soli pochi minuti. Eppure non sembravano poi così rigidi questi avvocati! Di certo quel tizio non lo era, pensò mentre lo vedeva barcollare e ridere senza alcun motivo ben preciso.

- Capisco, beh… - Disse distogliendo lo sguardo confuso dall’uomo barcollante e portandolo verso i bicchieri sul tavolo. - Grazie Gabriel. - Il biondo afferrò attentamente ogni drink, mentre il barista gli faceva un occhiolino amichevole, poi raggiunse il fratello e il nuovo conoscente, Kevin. Brindarono alla sua nuova opportunità e subito dopo la festa poté cominciare senza alcun intoppo.

Dean non lo avrebbe mai ammesso a sé stesso, ma più passava il tempo in mezzo a quel branco di svitati, più si divertiva. C’era chi ballava a destra e a manca, chi giocava a quello stupido gioco della bottiglia, chi si sfidava al lancio delle freccette, e ci fu addirittura una gara di divoratori di hamburger, che Dean vinse come se stesse bevendo acqua fresca. Riuscì perfino a procurarsi il numero di qualche ragazza, a ballare con molte di loro e perfino a partecipare allo stupido karaoke che però lui aveva comunque apprezzato. Fece un duetto con Kevin e lui era leggermente stonato, ma ridevano come pazzi, inebriati dall’alcol e dall’atmosfera delle luci intermittenti.

Aveva trovato così tanti modi per tenersi impegnato quella sera, che si accorse che il fratello si era allontanato solo quando si allontanò per andare in bagno.

Quando era andato via dal suo campo visivo? E soprattutto perché lo aveva fatto?

Si asciugò le mani sui pantaloni, poi lo cercò nel locale, alternando lo sguardo fra la poca gente ancora sobria che era rimasta a ballare al centro della tavola calda, e quelli ormai stanchi ed esausti seduti ai loro posti, alcuni con addirittura le teste poggiate contro il tavolo e gli occhi chiusi e pesanti.

Incrociò lo sguardo di Gabriel che parve leggerlo nel pensiero, perché con un cenno della testa gli indicò la porta principale. Dean non esitò neanche un secondo prima di uscire fuori. Se aveva intenzione di andarsene perché non dirglielo? Se quella festa a cui LUI aveva insistito di andare non era abbastanza divertente, perché si trovavano ancora lì? Era forse uno dei suoi stupidi sensi di colpa o c’era qualche altra cosa sotto?

Girò l’angolo, pronto a fargli una ramanzina lunga un secolo, ma quando sentì la voce di Sam che ridacchiava si costrinse a fare qualche passo indietro per nascondersi meglio alla vista del fratello minore.

Non era da solo. Si accorse che in sua compagnia, a ridacchiare con lui, c’era una ragazza dai lunghi capelli biondi e un sorriso che aveva stregato Sammy al punto che neanche lui riusciva a smettere di sorridere.

- Non sei una tipa da feste? - Chiese Sam, e a quel punto Dean decise di origliare, male di sicuro non avrebbe fatto, e poi da lì non lo avrebbero visto. Entrambi stringevano un bicchiere in mano ed erano poggiati contro un’auto. Il maggiore dei Winchester non poté non notare lo strano sguardo d’intesa che i due si scambiavano. Una punta d’orgoglio lo pervase.

- Neanche tu, vero? -

- Io… le feste mi piacciono, ma forse mio fratello le regge di più. -

- Forse? - Scoppiarono nuovamente a ridere e Dean si ritrovò a scuotere esasperato la testa. Di certo il loro modo di flirtare non era lo stesso, Sam era sempre stato più tenerone, più sentimentale rispetto a lui. E sapere che perfino durante dei momenti del genere, l’argomento della discussione fosse proprio lui, gli fece roteare gli occhi al cielo.

D’un tratto vide la ragazza strofinarsi un braccio con la mano libera, e a quel punto Sam non esitò dal togliersi la giacca e dal poggiargliela sulle spalle. Fu sicuro di vederla arrossire mentre si spostava i capelli dal viso.

A Dean quella scena scaldò il cuore.

- Vuoi rientrare? -

- No, io… parliamo qui un altro po’, ti va bene? -

- Certo, Jessica. - A quel punto, Dean indietreggiò fino alla porta d’ingresso, lanciando loro un’ultima occhiata, poi rientrò nuovamente nel locale, pensando a quanti modi avrebbe potuto usare per prendere in giro il fratello riguardo alla sua cotta. Era felice per lui, sia chiaro, ma prenderlo in giro per qualsiasi cosa era di sua routine, dai suoi lunghi e sciocchi capelli, al modo in cui russava la notte. In più era felice, perché se lui non riusciva davvero a renderlo felice come sperava, era contento ci fosse qualcun altro a farlo al posto suo.

Ma quel moto di gelosia era lì, impiantato nel suo petto come un macigno, perché la consapevolezza che Sam non riuscisse a essere così felice come lo era con quella Jessica lo distruggeva. Ma era felice, e quello contava.

La festa finì, o almeno così sembrava, visto che il locale si stava svuotando e Gabe e Balthazar avevano iniziato a mettere in ordine, litigando perfino per la disposizione di alcuni tavoli e perché secondo Gabriel l’altro gli stava troppo “fra i piedi” mentre lavorava.

Kevin li salutò con un forte abbraccio. Dean ne fu all’inizio sorpreso, poi però ricambiò con qualche pacca sulla spalla e gli augurò buona fortuna.

Quando furono in macchina fu Dean che si mise alla guida, mettendo su una canzone di una qualche stazione radio metal che Sam non conosceva. Passarono pochi secondi prima che Dean abbassasse di poco il volume per fare in modo che il fratello lo sentisse.

- Allora… Jessica, eh? - Il minore trasalì sorpreso, poi avvampò e si poggiò con la tempia contro il finestrino, sospirando rassegnato dal fatto che a Dean non riusciva mai a nascondere cose di quel tipo.

- Ah, finiscila! - Cercò di fingersi irritato, ma quel sorrisetto appena accennato suggeriva il completo opposto, seppure fosse imbarazzato da morire.

- Dico solo, è carina. Complimenti Sammy, i tuoi gusti sono migliorati! -

- Ehi! I miei gusti sono sempre stati ottimi! - Lo rimproverò il minore, scattando all’improvviso sul sedile e puntandogli il dito contro, al quale Dean ridacchiò.

- Certo, e che mi dici della ragazzina che ti piaceva alle medie? Era inquietante. - Sam si accigliò e si morse leggermente la lingua prima di rispondere.

- Non era inquietante, aveva solo una smisurata passione per le cose… macabre. - Risero, come da tanto non facevano, poi stettero in silenzio per tutto il viaggio, e Dean trovò “quel” silenzio estremamente piacevole.

Arrivati a casa, Sam lo bloccò poco prima che Dean entrasse in camera sua.

- Senti, per ieri… mi dispiace. - Dean non disse nulla, lo guardò solo con un’evidente sorpresa dipinta in volto, che fece sospirare Sam. - Devo ancora metabolizzare delle cose e… mi serve tempo, va bene? - Dean annuì. Il cuore gli batteva come impazzito nel petto e non se ne spiegava il motivo. Era colpito dalle sue parole, e in senso positivo. Significava che quindi prima o poi quel grosso muro di mattoni che aveva costruito sulla faccenda, prima o poi sarebbe crollato, e Dean ci sarebbe stato in quel momento, e lo avrebbe aiutato a non seguire la rovina dei mattoncini fragili del muro.

Si sorrisero a vicenda, poi entrarono entrambi nelle loro stanze.

Quando si ritrovò al lago, quella notte, camminò a piedi nudi sul terreno umido, cantando a voce alta una canzone, la giacca di pelle lasciata ricadere sulla spalla destra, mentre il ritmo della festa gli scorreva ancora nelle vene.

Castiel era seduto sul terreno, non aveva le scarpe ai piedi, il trench era piegato e poggiato alla riva del laghetto, insieme alla giacca nera e la cravatta blu. Lui indossava solo i pantaloni e la camicia, leggermente aperta sul collo, e sorrideva divertito mentre lo guardava dare una degna interpretazione della canzone che stava intonando. Dean si accorse di lui solo dopo essere scivolato sul terreno con le ginocchia, notando il modo diverso in cui gli si presentava. Poteva stabilire realmente la sua stazza adesso, e si accorse che non era così mingherlino come sembrava. Lo aveva notato anche quando lo aveva abbracciato per piangere disperatamente contro la sua spalla, e adesso poteva veramente confermare che un po’ di muscoli a tenere su quelle ossa esistevano davvero.

- Ah, ti sei divertito allora! - Esclamò Castiel con le braccia incrociate sopra alle ginocchia. Dean piegò per un attimo la testa da un lato, imitando involontariamente il tipico sguardo confuso di Castiel. Quest’ultimo però fece finta di non notarlo. - Com’è andata? - Gli chiese. Dean gattonò fino a sedersi accanto a lui, poi si lasciò ricadere sul terreno con la schiena e osservò il cielo e le nuvole sparse a creare strane forme irregolari.

- Bene, c’era tanto cibo, tante ragazze, e si ballava… si ballava tanto. -

- Visto che non era poi così male? - Dean ridacchiò, fu più una risata liberatoria che altro. - E credo che mio fratello si sia preso una cotta per una sua collega. L’ho visto sorridere sinceramente dopo così tanto tempo… - Ci fu un momento di silenzio quasi interminabile, poi Dean si azzardò a guardare il suo nuovo “amico”. Anche lui lo stava fissando, come se stesse aspettando ulteriori informazioni, ma quando capì che non sarebbero arrivate, parlò al posto suo.

- Sei felice per lui? -

- Lo sono. - Castiel sorrise e annuì soddisfatto da quella risposta, e Dean si sollevò a sedere senza scostare lo sguardo dal suo profilo. Non gli aveva ancora detto nulla del padre e ogni volta che gli parlava di Sam sembrava di stare parlando con qualcuno che conosceva da tutta la vita. Eppure a quell’argomento non ci arrivava mai. Forse non era ancora il momento, si diceva, forse non riuscirei ancora a raccontare dell’accaduto come Sam fa con me a riguardo.

Decise di cambiare argomento, ponendogli una domanda che lo tormentava da tempo.

- Castiel, che succede qui quando io non ci sono? - Lui si girò a guardarlo confuso, e Dean si affrettò a spiegarsi meglio. - Quando io non dormo e non sono qui… tu cosa fai? Insomma, come… come funziona? Sparisci da questo posto e compari insieme a me magicamente o… -

- Ti ho detto che appartengo a questo posto. Quando non dormi e non ci sei… io ti aspetto. - Dean si morse appena la lingua a quelle parole, e per un momento si immaginò Castiel a giocare con i suoi stupidi sassolini in attesa di un segno di vita.

- Questo ti rende il mio amico immaginario? -

- Siamo amici adesso? - Gli chiese lui con un mezzo sorriso. - Credevo di essere il tuo compagno di bevute. - Dean fece spallucce.

- “Compagno di bevute immaginario” non suonava bene. - Castiel rise e in risposta lo spintonò, contagiando Dean con una risata mentre assumeva la stessa posizione seduta di Castiel. - Allora sei… l’uomo nella mia testa, credo. -

- Mi piace di più, ha un non so che di misterioso. - Dean non rispose, si limitò a sorridere e a guardare di fronte a sé. Poi calò il silenzio, di nuovo.


Note autrice:

E rieccoci qui!
I miei esami sono finiti ufficialmente e oggi sono tornata a scrivere come una pazza.
Che ne pensate della svolta di questa storia? Non vi fa tenerezza un Cassie tutto solo ad aspettare solo l'arrivo di Dean? Perché a me sì, tanta...
Comuuuuunque, molto presto avrete il resto (OH MY CHUCK, LA RIMA).
Spero vi sia piaciuto.
Baci!

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Capitolo 5
*** Le fasi lunari ***


Le fasi lunari

Le rose e i girasoli davanti alle lapidi quella mattina furono invece due, una di Bobby e una di Dean. Si era sentito con un peso in meno sulle spalle mentre le adagiava sul terreno con delicatezza. Bobby si era tolto il cappello e lo teneva adagiato sul petto con la testa abbassata e gli occhi chiusi. Forse pregava, e Dean non lo aveva mai fatto prima d’ora, quindi si limitò a stare in silenzio e a guardare il terreno.

Quando aveva detto al suo burbero amico che lo avrebbe seguito al cimitero, quello rimase un po’ stupito, ma alla fine non disse nulla e acconsentì. Sam andò di filato a lavoro senza dire una sola parola ma lanciando occhiate dispiaciute a Dean per quel suo comportamento che forse nemmeno lui sapeva spiegarsi.

Poco dopo, Bobby sollevò la testa e sospirò, poi diede una pacca sulla spalla di quello che lui considerava come un figlio e senza dire altro se ne andò verso la strada, pronto a salire sul furgoncino e ad attenderlo. Gli stava dando un momento tutto per sé e Dean gliene fu più che grato, infatti si sedette sul terreno freddo e cominciò a giocherellare con un ciuffo di erba.

- Mi dispiace… - Mormorò, come se loro potessero davvero sentirlo. E nemmeno lui sapeva del perché si stesse scusando, forse per tutte le volte che aveva litigato con John, o per tutte le volte che lo aveva deluso. Forse per tutte quelle volte che sua madre impazziva a stargli dietro quando era piccolo, o per il fatto che non avevano avuto modo di conoscersi meglio e a fondo per via dei pochissimi anni passati assieme. Quante cose le avrebbe raccontato ora che era adulto, pregandola di non dire nulla al padre! Delle sue conquiste, magari, del modo in cui era bravo a sistemare motori e a riparare carrozzerie scheggiate, di quanto Bobby fosse un ottimo mentore. Le avrebbe parlato di Sammy, di tutte le volte che si davano fastidio, della sua nuova cotta per Jessica. Poi… forse le avrebbe parlato dell’uomo nella sua testa, quel tizio con il trench più stupido che avesse mai visto e del modo in cui lo aspettasse ogni notte per fare due chiacchiere, andandosene a zonzo nei suoi sogni. Lo avrebbe preso per pazzo, di sicuro.

Per un momento si era chiesto come facesse ad avere sempre la stessa persona nella testa, come riuscisse a fare sempre lo stesso sogno quasi ogni notte, perché capitava sognasse un altro scenario anche se raramente. Di solito non si è quasi sempre in grado di comandare i sogni, giusto?

Allora Castiel… come faceva a essere sempre lì?

Probabilmente erano stati i suoi genitori a mandarlo sapendo della situazione di merda che stava passando, magari lui era una sottospecie di guardiano, di… angelo.

Dean non ci credeva a queste cose, cavolo, erano tutte fantasie per lui, ma come poteva spiegarselo? In fondo Castiel aveva una faccia che lui non aveva mai visto, una voce profonda che gli metteva i brividi, un’anima, sembrava non fosse lui a comandarlo o il suo inconscio. Sembrava semplicemente un’entità a sé stante.

Ah, cazzate… gli angeli non esistono! Sono io che sono fuori di testa e cerco disperatamente qualcuno con cui sfogarmi. Si disse infatti scuotendo la testa, poi si alzò da terra e dopo aver fissato per un’ultima volta le due tombe, fece dietro front e raggiunse il furgoncino per iniziare quella giornata di lavoro.

Fu solo alla tavola calda, quando arrivò mezzogiorno. Sam era immerso da non sapeva nemmeno lui quante scartoffie, Bobby aveva preferito rimanere in officina. Quindi, quando arrivò accanto al bancone, un Gabe con la fronte corrucciata lo salutò con un cenno forzato della mano. Dean si accomodò al bancone e lo guardò di sottecchi.

- Che faccia! Sembri uno straccio. -

- Ti ringrazio Dean-o, anche tu non sei mai stato così bello. - E dopo quelle parole gli lanciò un’occhiata che chiedeva silenziosamente a Dean se volesse il solito, e quello annuì in risposta. Gabe fece un passo verso la cucina, aprì la porta e urlò l’ordine come un elegantissimo scaricatore di porto. Dean si ritrovò a scuotere la testa e a ridacchiare nel vedere quella scena.

- Sul serio, che succede? -

- Si chiama, mio caro amico, emicrania. - Disse lui mentre poggiava i gomiti sul bancone e sospirava, lasciando adagiare il mento sul palmo delle mani. La tavola calda non era molto affollata quel giorno, anzi si poteva dire che fosse quasi deserta, quindi per Gabe non c’era poi molto lavoro da fare. Si poteva concedere due minuti di dolce far niente. - Dov’è il tuo aitante fratellino? -

- In ufficio, non poteva raggiungermi. -

- Peccato. - Dean sollevò un sopracciglio a quelle parole e lo guardò confuso. Gabe invece lo guardò come se fosse stupido, come se sulla fronte del maggiore dei Winchester ci fosse stato scritto “non capisco una mazza”. - Oh e dai! Mi rifaccio gli occhi ogni volta che viene qui. Gliel’ho anche fatto presente qualche giorno fa... -

- Aspetta aspetta… - Disse Dean portando entrambe le mani in avanti come per frenare le sue parole. - Tu hai flirtato con mio fratello? - Gabe mosse le sopracciglia e lo guardò come se la risposta fosse ovvia.

- Anche con te, un sacco di volte. - E il suo sorrisetto divenne malizioso, mentre la faccia di Dean fu al contrario sorpresa. - Tranquillo, Dean-o! Scherzavo! Anche se non nego che siate due bocconcini. - Dean fece per dire qualcosa, ma poi si limitò a ridacchiare incredulo.

- Sei un coglione. - Gabriel fece il giro del bancone per raggiungere un tavolo dove una coppia di teenager si era appena seduta. Tirò fuori blocchetto e penna prima di rivolgersi nuovamente a lui.

- I coglioni girano sempre in coppia, amico. - Poi gli fece un occhiolino e Dean non ebbe modo di reagire perché si era già dileguato. A volte lo faceva incazzare così tanto e allo stesso tempo si divertiva da morire per quegli insulti velati.

Poco dopo il suo pranzo fu servito dallo stesso Gabe a un tavolo che Dean aveva scelto, e il cameriere non si fece problemi a rubare una o due patatine dalla porzione che gli aveva appena portato, ma non era la prima volta che lo faceva e Dean non gli aveva mai detto nulla a riguardo.

Da lontano una ragazza lo guardava con due grandi occhi da cerbiatta, si mordicchiava le labbra, attorcigliandosi una ciocca di capelli al dito. Era uno sguardo così insistente che Dean smise di masticare e sollevò meglio la testa per osservarla, poi la riconobbe. Era a quella festa di sabato, lei gli aveva lasciato il numero ma lui non l’aveva richiamata. Gli piaceva fare il prezioso con le ragazze, farsi attendere, rendeva il tutto più intrigante se alla fine avrebbero dovuto rivedersi per davvero.

La ragazza, di cui non ricordava nemmeno il nome, gli sorrise e lui fece altrettanto. Questo la spinse a sollevarsi dal suo posto e a raggiungerlo, sedendosi proprio di fronte a Dean.

- Sapevo che prima o poi ti avrei trovato qui. -

- Mi aspettavi? Mi lusinghi così. - La ragazza sorrise e allungò il braccio verso il suo, carezzando la sua pelle da sopra la stoffa della camicia, ma Dean non abbassò lo sguardo verso quel gesto e continuò a scrutare i suoi occhi azzurri come l’oceano, i suoi capelli quasi neri a contornarle il viso piccolo e tondo. Era bella, incantevole, e gli ricordava vagamente qualcuno, anche se non aveva ben chiaro chi.

- Mi chiedevo… hai da fare adesso? - Dean allontanò il piatto vuoto da sé, facendolo scivolare al centro del tavolo.

- In realtà sì. - La ragazza parve delusa, e stava per ritirare la mano, quando Dean la bloccò prima che potesse davvero farlo. - Ho da fare con te. - Il sorriso che nacque su quelle labbra carnose lo fece rabbrividire, ed è inutile dire che dopo non meno di qualche minuto i due erano già in macchina, diretti a casa Winchester, e Dean fu felice che per una volta avesse davvero il pomeriggio libero invece di passarlo in officina con Bobby, lui di sicuro non era un bel vedere come lo era Karen. Così si chiamava, a quanto pareva.

Entrarono in casa travolti dalla passione. Sam non c’era, quindi Dean non si era risparmiato dal travolgere le labbra di Karen come un fuoco devastante. Si spogliarono durante il tragitto, come uno di quei film stupidi che ogni tanto Sam beccava in tv e che finiva a guardare perché non c’era altro di interessante. Si chiusero in camera di Dean, poi quel fuoco si espanse per tutto il corpo e divampò disumano.

Fu bellissimo, si disse quando ormai si era ritrovato ansimante e senza fiato accanto a una Karen altrettanto esausta ma felice. Era da tanto che non lo faceva, soprattutto dopo la morte di suo padre, non ne aveva avuto l’occasione, non ne aveva avuto… voglia. E per Dean non avere voglia di sesso era quasi indecente. Aveva dato il meglio di sé, quel periodo di astinenza era servito, tanto che Karen crollò addormentata dalla stanchezza e Dean ne approfittò per alzarsi dal letto e raggiungere la cucina, perché quel consumo di energie gli aveva messo una fame terribile.

Stava divorando un budino al cioccolato, quando Sam fece il suo ingresso e si bloccò sulla porta, la sua faccia era disgustata mentre guardava il pavimento ricoperto di indumenti che lasciavano un percorso fino alla camera del fratello, come quello di Hansel e Gretel con le briciole di pane.

Incrociò lo sguardo del maggiore, rigorosamente in mutande, poi lo spostò verso il corridoio, immaginandosi chiunque ci fosse a dormire nel letto di Dean. Questo fece per parlare come a giustificarsi, ma Sam si limitò a sollevare un dito e a lasciarsi sfuggire una risata imbarazzata.

- Non voglio saperlo, ma sono contento che tu… te la spassi, ecco. - E detto ciò, richiuse finalmente la porta e si diresse verso il frigorifero per prendere un budino e un cucchiaino, con tanto di panna spray che Dean si premurò di strappare letteralmente dalle sue mani per spruzzarla direttamente sulla lingua. - Deve adorare il tuo charme, quella ragazza nella tua stanza. - Disse Sam per prenderlo in giro, ricevendo una gomitata sul fianco in risposta.

- Visto che sei qui… posso farti una domanda? - Chiese Dean dopo qualche secondo passato a svuotare il vasetto di budino. Sam annuì con ancora il cucchiaino in bocca, poi Dean sospirò e si diede dell’idiota per ciò che stava per chiedergli. Lo avrebbe preso per pazzo, di sicuro… ma visto che l’argomento “mamma e papà” era del tutto fuori discussione, tanto valeva parlare di qualcos’altro, di quel dubbio che lo attanagliava da un po’. - Ti capita mai di fare degli strani sogni? - Sam fece spallucce e annuì di nuovo.

- Come tutti, immagino. -

- Sì, ma… fai mai dei sogni in cui decidi tu cosa succede? - Sam smise di mangiare e lo guardò confuso per un attimo, poi fece per pensarci su.

- Qualche volta è capitato. -

- Ed è strano fare lo stesso sogno lucido tutte le notti? - Il minore corrugò la fronte e abbandonò il cucchiaino nel vasetto mentre scrutava il fratello con attenzione, forse per capire se fosse serio o no. La sua faccia, infatti, non dava segno di scherno. Dean non gli stava mentendo, non lo stava prendendo in giro. Non c’era quella strana luce negli occhi di ogni volta che voleva fargli uno dei suoi strani scherzi.

- Tutte le notti? -

- Quasi tutte le notti. - Sam arricciò le labbra sovrappensiero, poi si grattò la nuca e sospirò come se non trovasse la risposta adatta. Infatti quella che uscì dalle sue labbra fu un’altra domanda.

- Cosa sogni esattamente? - Dean lasciò il vasetto sul bancone della cucina e guardò un punto ben preciso davanti a sé, poi sospirò. Ma che idiozia stava per raccontargli? Ovviamente lo avrebbe preso per stupido! E poi lui che spiegazioni gli avrebbe potuto dare? Non ne capiva un accidente Dean, figuriamoci Sam!

Fece un cenno con la mano come a digli di lasciar perdere.

- Ah, sciocchezze, tranquillo. Ultimamente mi faccio solo tante paranoie, sarà per questo. - Sam fece per dire qualcosa, ma Dean non voleva sentire altro, perché sapeva che la prossima frase di suo fratello sarebbe stata “sei sicuro di stare bene?” o “mi stai dicendo una cazzata, non è vero?” e voleva evitare con tutte le sue forze di rispondere. Si alzò, getto via il vasetto vuoto, e così come era uscito, rientrò in camera sua, dove un’affascinante Karen dormiva ancora con le gambe incastrate fra un cumulo di coperte.

Quando lei se ne andò, scoprì che lavorava allo stesso piano di Sam, o almeno… nello stesso edificio. I due si erano salutati quando si erano scontrati in salotto, ed erano così imbarazzati che Dean avrebbe pagato oro per immortalare la faccia di suo fratello in quel momento. Chissà l’imbarazzo che ci sarebbe stato fra i due nei prossimi giorni. Voleva essere una piccola mosca indisturbata solo per godersi lo spettacolo.

Quella notte sognò ancora il lago, ma diversamente dalle altre volte, era buio. Il sole non splendeva in cielo, c’era un manto di stelle luminose e la luna piena che faceva da guardiana a quel posto magico. Dean comparve vicino alla riva, ma Castiel si trovava sul ponticello con le gambe a penzoloni e come faceva ultimamente, non aveva addosso il trench, la giacca e la cravatta.

- Non c’è mai stato buio qui. - Disse mentre gli si sedeva accanto. Castiel non rispose, ma accennò un leggero sorriso. In mano aveva il solito cumulo di sassolini. Dean gliene rubò una manciata e cominciò a tirarli e a farli rimbalzare sulla superficie.

- Non è male, però. - Mormorò Castiel, abbandonando i sassolini sul legno marcio del ponticello. - Sai, la luna ha un significato simbolico. Indica cambiamento, per via delle fasi lunari. - Dean fermò il bracciò a mezz’aria proprio mentre stava per lanciare un altro sassolino e deglutì mentre guardava l’orizzonte, gli alberi in lontananza che venivano colpiti dalla luce del satellite che davano un’atmosfera inquietante e magica allo stesso tempo. - E la notte porta consiglio, no? - Dean abbassò il braccio e guardò in basso, rigirandosi i sassolini fra le dita come un bambino insicuro. - Dean, devi dirmi qualcosa? - Temeva quella domanda, dal momento esatto in cui gli aveva parlato del significato della luna. Qualcosa era cambiato in lui, e il fatto che lì fosse buio per la prima volta sembrava un segno. La sua mente stava manifestando quel cambiamento nel modo più poetico possibile.

Sospirò come se fosse necessario per cacciare via quel groppo allo stomaco, poi si leccò le labbra nervosamente e sollevò lo sguardo verso il cielo, a scrutare le stelle luminose che contribuivano a non rendere il tutto troppo spaventoso. Da piccolo aveva tanta paura del buio.

- I miei genitori sono morti. - Confessò finalmente, per la prima volta a quell’uomo sconosciuto. Questo era il significato della notte che li travolgeva. Il cambiamento in questione era il fatto che Dean adesso si fidava di Castiel, che era pronto a parlare. - Mia madre è morta di parto quando Sam è nato. Mio padre solo da poco, per un infarto. - Castiel tacque e Dean lo prese come un’incitazione a continuare. Era lì, lo stava ascoltando. Si schiarì la voce con una finta tosse, cercando allo stesso momento di frenare l’impulso di piangere, anche se sentiva già gli occhi pungere. - Ho vissuto poco della mamma, ero solo un bambino, ma ricordo quanto fosse dolce, buona, protettiva. Ricordo che mi preparava il pane tostato la mattina e che toglieva i bordi perché sapeva che non mi piacevano. Ricordo quando mi metteva a letto cantandomi una canzone. Ricordo che mi portava a giocare al parco con gli altri bambini e che mi riempiva di regali quando mi comportavo bene. E ricordo le sue sgridate, i suoi momenti no e quante volte la facessi impazzire. - Rise, ma allo stesso tempo in mezzo a quella risata riuscì a sentire le lacrime rigargli le guance. - Quando è morta mio padre è caduto in depressione. Beveva per non pensarci, e da lì è subentrato Bobby. Ci ha in parte cresciuti, soprattutto quando papà era fuori di sé. Da bambino ingenuo ho cercato di mettermi nei suoi panni e molte volte ho cercato di capirlo, ho cercato di immaginare come mi sarei sentito al suo posto se avessi perso la persona che più amavo in questo mondo, l’unica che mi restava, e la sua situazione non era tanto diversa dalla mia perché anche io stavo male... - Avvertì la mano di Castiel sulla propria spalla, ma non fece nulla per controbattere, anzi fu quasi un sollievo avvertire quel tocco delicato. - Crescendo, Sam ha iniziato a sentirsi in colpa. Continuava a ripetere che se non fosse stato per lui la mamma sarebbe stata ancora viva. Papà esagerava e quando era ubriaco gli dava la colpa. Ha iniziato a credergli e quando si è iscritto al college contro i suoi precisi ordini ebbero una furiosa litigata. Lui voleva lavorasse in officina con me e Bobby, e non si sono più parlati. Io ho lasciato che vivesse la sua vita e ho seguito mio padre. Sam ha sempre creduto che io e lui fossimo uniti ma… io e lui litigavamo per la maggior parte delle volte. Non gli andava mai bene nulla, e odiava il fatto che io difendessi Sammy per le sue scelte. Mi trattenevo, volevo dare un buon esempio a mio fratello… e poi papà è morto. E seppure il nostro rapporto non fosse rose e fiori, mi sono sentito morire insieme a lui quando è successo. - La voce fu rotta dalle lacrime. Era già la seconda volta che si sfogava con lui, e come la prima si era sentito uno straccio, ma allo stesso tempo si era sentito bene perché sapeva di non essere da solo. - Con Sam non ne parlo… lui… ogni volta che accenno l’argomento svia il discorso o mi evita per tutto il giorno. E ho avuto questo peso qui. - Si colpì il petto con un pugno chiuso, la voce trasudava rabbia, frustrazione, e poi sollievo quando Castiel poggiò la propria mano sulla sua. Dean si girò a guardarlo e incrociò subito il suo sguardo. La luce era cambiata, ricadeva sulla sua pelle, calda e intensa. Era l’alba, Dean si era tolto un peso e il sole stava sorgendo fra gli alberi, e anche se sapeva che quel momento della giornata era uno spettacolo per gli occhi, Dean non smetteva di guardare le iridi di Castiel che risaltavano su tutto il resto, brillando come due stelle in pieno giorno.

- A volte servono mesi per riprendersi da certe cose. - Mormorò il moro, abbassando delicatamente la mano di Dean dal suo petto. - Non puoi biasimarlo. -

- Ma sono suo fratello! -

- Non importa. Ognuno affronta il lutto in modo diverso, e per lui evitare di parlarne è proprio il modo per affrontarlo. - Ci fu un momento di silenzio in cui il biondo si passò una mano sulla guancia ad asciugarsi le lacrime, Castiel continuava a guardarlo. - E tu… per quanto tempo ti saresti tenuto dentro questa cosa? - Dean distolse lo sguardo e sospirò. Probabilmente lo avrebbe fatto ancora per molto tempo, si sarebbe tenuto dentro tutto fino a esplodere. - Non rispondere, ho capito. - Mormorò con un mezzo sorriso. - Dean, tu sei un bravo fratello maggiore. Non ho dubbi su questo, e nemmeno lui ne ha, quindi non farti inutili paranoie. - Ci fu ancora silenzio, momento in cui Dean rifletté a lungo sulle sue parole, arrivando alla conclusione che forse quello strano uomo aveva ragione. Anzi, ne aveva da vendere, e dopo quella “strigliata” si sentiva già meglio, quel peso era scivolato via come con il sapone. E mentre il sole si alzava lentamente dagli alberi, Castiel aveva preso qualche sassolino dal mucchietto di poco prima e lo aveva lanciato contro il laghetto. Rimbalzò quattro volte prima di sprofondare, e quando lo fece Dean afferrò il restante mucchietto e lo spinse fuori dal ponticello, facendo scivolare ogni pietruzza in acqua sotto lo sguardo confuso di Castiel, per il quale si ritrovò a ridacchiare divertito.

- Devi trovarti un hobby, Cas. Questa cosa dei sassolini sta diventando noiosa. -

- Scusami tanto ma… non è che ci sia molto da fare qui. -

- Oh, invece sì! -

- Tipo? - Castiel incrociò le braccia al petto e lo guardò come se lo stesse sfidando. Dean accettò di buon grado quella sfida, sollevando un sopracciglio, ma rimase in silenzio, e solo all’improvviso, quando meno se lo aspettava, Dean diede uno spintone al suo compagno di bevute, e senza che potesse evitarlo quello scivolò in acqua, dietro la risata divertita del maggiore dei Winchester. Non gli ci volle molto prima che ritornasse in superficie, l’aria stupita mentre riprendeva fiato e si portava le mani sugli occhi. - Questo è un colpo basso, Winchester! - Dean era ancora troppo impegnato a ridere per accorgersi che Castiel lo aveva afferrato per una gamba e tirato in acqua con sé, e a quel punto non era più lui quello che stava ridendo. - Sai, hai ragione! È un’attività alquanto soddisfacente. - Dean risalì in superficie tossendo, poi cominciarono una vera e propria lotta con l’acqua, come due bambini in spiaggia in una giornata di piena estate.

- Questa cosa non posso farla da solo, quando non sei qui… - Disse Castiel, ancora in preda alle risate.

- Lo so, quindi aspettami. - Dean aveva il fiatone. Rimase immerso fino al collo, Castiel era di fronte a lui e si era passato una mano fra i capelli. L’alba vista da lì era ancora più bella, rifletteva sull’acqua dandole un colore aranciato, sembravano immersi in un grande raggio di sole.

- Come sempre. - Disse Castiel, con tono più serio, ma col sorriso stampato in volto, un sorriso che contagiò anche Dean.


Note autrice:

Goooooodmorning! Avevo il capitolo pronto da un po' ma il tempo e il maiunagioia mi hanno permesso di pubblicarlo just now. Dal prossimo capitolo introdurrò un nuovo personaggio, e accorgendomi del fatto che ce ne sono molti riguardo alla serie, volevo aggiungere alle caratteristiche della storia, tra i personaggi, "un po' tutti", ma non so per quale assurdo motivo non riesco... vabbè, c'est la vie!
Che ne pensate di questo capitolo? Raccontatemi tutti i vostri pensieri! Lo so che sembra sempre in una situazione di stallo, ma vi assicuro che ci saranno dei cambiamenti già a partire dal prossimo capitolo. Scoprirete tante cosine... (i puntini sono per la suspense).
Un bacio e a presto!

 

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Capitolo 6
*** La vita reale ***


La vita reale

Quella mattina Dean era rimasto a fissare le chiavi dell’Impala poggiate sul tavolino dell’ingresso. Il sole picchiava su di loro e trasmetteva la sua luce sul soffitto, creando una strana forma gialla sopra la sua testa. Bobby lo stava aspettando nel furgoncino, Sam era sul sedile posteriore che sbuffava, picchiettando le dita sul ginocchio, era in uno stramaledetto ritardo, e proprio quel giorno aveva deciso di farsi accompagnare, proprio il giorno in cui Dean sembrava del tutto non intenzionato a seguirli. Il clacson lo fece sobbalzare e risvegliare da quello stato di trance, poi si decise e afferrò le chiavi. La vecchia Impala era ancora parcheggiata davanti casa, proprio dietro il furgoncino di Bobby che lo aspettava.

- Era ora! - Esclamò Bobby spazientito, ma Dean non esitò a dargli un buon motivo per ricevere ben presto un’altra strigliata delle sue.

- Vai pure Bobby, io ti raggiungo dopo. - Sam abbassò il finestrino e anticipò l’uomo alla guida prima che mandasse al diavolo tutto il quartiere.

- Dean, ci hai fatti aspettare un sacco di tempo e ora te ne esci così? - Dean annuì e in risposta sollevò davanti al naso del fratello le chiavi della macchina. A quel punto Sam si morse l’interno della guancia, e per un momento sembrava stesse cercando qualcosa di opportuno da dire, ma l’unica sillaba che uscì dalle sue labbra fu un semplice “Oh...”. - Mi dispiace, davvero Bobby. Andate pure, io sarò in officina in poco tempo. E Sam, ti passo a prendere in ufficio e pranziamo insieme, ok? - Bobby sbuffò dal sedile anteriore ma decise di non dire nulla, dando il tempo a Sam di annuire. Il furgoncino partì e il minore osservò suo fratello dallo specchietto retrovisore, lo guardò mettersi davanti a quella macchina come se avesse paura di salirci, finché Bobby non girò l’angolo e Sam si lasciò andare con la testa contro il sedile.

- Allora, piccola. Vediamo se funzioni ancora? - Aprì la portiera e si accomodò al posto del guidatore. Strinse il volante fra le dita e deglutì rumorosamente. Le mani di suo padre erano nello stesso punto nemmeno qualche settimana prima, mentre accompagnava svogliatamente Sam a lavoro, o mentre andavano insieme all'officina con Bobby al seguito, e a volte anche quando andavano a trovare la mamma al cimitero. Si ricordò dei momenti passati, quando Sam e Dean erano bambini e seguivano il padre ovunque andasse, quando era in sé e non se la prendeva con tutto il mondo. Quando andavano al campeggio e poi a pescare al laghetto. La prima volta che ci erano andati, Dean aveva rubato il coltellino del padre dal portaoggetti e insieme al fratello avevano inciso le loro iniziali sulla portiera. Era uno dei ricordi più belli che avesse.

Dopo un momento di esitazione inserì le chiavi nel cruscotto e accese il motore, infine partì, e non sapeva nemmeno lui dove si stesse dirigendo. Gli bastava guidare con il finestrino abbassato e la musica a palla. Non sapeva come mai avesse deciso di prendere la macchina del padre, probabilmente era uno di quei tanti pesi che voleva togliersi dalle spalle, probabilmente vederla ferma lì senza uno scopo lo opprimeva, o forse era solo una bella macchina… anche se sapeva che in fondo non era solo quello.

Percorse i confini della città senza badare a niente e a nessuno, lasciando che i capelli si scompigliassero al vento. Era solo, era libero, e poteva andare dove gli pareva. Anche se in fondo non era mai solo, se lo chiedeva spesso… era davvero da solo? Castiel assisteva alle sue decisioni quotidiane o era solo lì nella sua testa, quando sognava? Cosa avrebbe detto poi se fosse stato lì in macchina insieme a lui, senza i suoi dannati sassolini e quel lungo trench che nascondeva la sua vera stazza?

Lo preferiva senza.

Oddio, ma che diavolo sto dicendo? Pensò mentre scuoteva divertito la testa e faceva un’inversione a U per dirigersi finalmente a lavoro.

Bobby gli fece una bella strigliata, frustrato dal fatto che lo avesse fatto aspettare un’eternità fuori di casa a suonare un clacson e a sbuffare e inveire contro suo fratello. Dean aveva semplicemente alzato le spalle. Non sapeva come giustificare quel gesto.

Aveva avuto bisogno di un momento da solo? Probabile.

Voleva staccare la spina per due minuti? Anche questo era probabile.

Voleva sentirsi più vicino a suo padre? Forse era più che probabile.

Bobby decise di non insistere e si misero al lavoro, e perfino Dean si chiese dove stesse trovando tutta quella pazienza che non era per niente da lui. Se fosse stato al suo posto avrebbe sbraitato, dato di matto per davvero. Odiava chi lo faceva attendere troppo.

Arrivò la fatidica pausa pranzo. Dean decise di prendere l’ordine alla tavola calda e di portare Sam da qualche parte, in un posto diverso, per spezzare quella routine che seppure gli piacesse, stava diventando perfino noiosa.

Quando parcheggiò con l’Impala di suo padre davanti al locale, vide Gabe fuori dalla porta che teneva la mano sulla spalla di un ragazzino. Quest’ultimo sembrava turbato, e Dean vide qualcosa negli occhi di Gabriel che era sicuro non avesse mai visto dipinto sulla sua faccia. C’era tristezza, tenerezza, comprensione, e supporto, tutti messi assieme, e per un po’ quell'assurdo cameriere sembrò tutt'altra persona da quella che si ricordava. Li osservò dalla macchina in silenzio, finché il ragazzino non gli si gettò letteralmente fra le sue braccia e Gabe lo strinse talmente forte che era certo lo avrebbe soffocato, ma ciò non accadde. Quando quella presa si sciolse, Gabriel diede una leggera pacca sulla spalla del ragazzo e alla fine quello entrò nella tavola calda. Il suo amico sembrava turbato, tanto che in un momento prima di entrare e seguirlo aveva dato un calcio a un sasso sul marciapiede con un’imprecazione che perfino dall'auto riuscì a udire.

Scese dalla macchina quando ormai i due erano rientrati da un pezzo, poi entrò anche lui e si fermò sulla porta quando vide quel ragazzino dietro il bancone che serviva da bere ad alcuni clienti. Gabriel si stava occupando dei tavoli e quando lo vide accennò un saluto che Dean ricambiò.

Si avvicinò titubante al bancone. Balthazar sembrava impegnato a intrattenere una conversazione con uno dei clienti e sembrava si stesse divertendo molto dal modo in cui stava ridendo, ma ciò dava anche a vedere che non si sarebbe occupato di lui, quindi la sua unica possibilità era rivolgersi al ragazzino.

Si mise seduto sullo sgabello e lo osservò meglio. Aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, di sicuro quel tipo di ragazzo che piaceva alle sue coetanee. Indossava il grembiule della tavola calda, quando era fuori non ce l’aveva, e sulla spilletta appuntata al petto c’era scritto a caratteri cubitali “JACK”.

- Posso aiutarti? - Quasi sobbalzò quando si accorse che il ragazzo si stava rivolgendo proprio a lui, tanto che si schiarì la voce con una finta tosse e si raddrizzò sulla schiena prima di rispondere e richiedere il suo ordine da portare via in un sacchetto. Il ragazzo appuntò il tutto su un blocchetto. - Arrivano subito! - E neanche dopo qualche secondo sparì dietro la porta delle cucine.

Non passò molto prima che Gabriel raggiungesse il bancone per preparare un vassoio e poggiarci sopra delle tazze che man mano stava iniziando a riempire di caffè. Jack tornò poco dopo, e sotto specifico ordine di Gabe andò a occuparsi dei tavoli.

- Nuovo acquisto? - Gabriel ci impiegò un po’ prima di rendersi conto che stesse parlando con lui, ma poi annuì quasi orgoglioso e continuò a lavorare.

- Oggi è il suo primo giorno. Lo sto istruendo. -

- Sembra molto giovane! -

- Ha diciotto anni. È un amico di famiglia, dopo che i suoi sono morti in un incidente… mi ha chiesto di aiutarlo. - L’espressione orgogliosa e felice del cameriere cambiò completamente in una malinconica, nostalgica e triste. E solo dopo quella confessione Dean capì come mai lo stesse abbracciando in quel modo fuori dal locale. - Non me lo ha chiesto davvero. Ho voluto farlo io quando ho visto che stava… impazzendo. - Si corresse poi mentre metteva l’ultima tazza sul vassoio, poi recuperò le varie bustine di zucchero. - Non so nemmeno perché te lo sto dicendo, non dovrei con quello che ti è successo. - Si stava riferendo a John, suo padre, e da un lato Dean apprezzò quella sua preoccupazione.

- Figurati, non preoccuparti, io… mi dispiace per lui. - Gabe annuì, un sorriso triste dipinto sulle labbra, poi afferrò il vassoio e fece il giro del bancone.

- Ma è bravo, no? Non c’è che dire, sono un ottimo maestro! - Gli fece un occhiolino, mostrando quel suo lato vanitoso e scherzoso di sempre, poi si dileguò.

Dean lasciò una buona mancia a Jack, dopo che gli portò il suo pranzo, e lui lo ringraziò stupito ma felice, sotto lo sguardo intenerito di un quasi paterno Gabriel. Gli disse che non avrebbe mai scordato l’uomo che gli aveva dato la sua prima mancia, che ne era grato… e Dean si sentì bene non appena uscì dalla tavola calda e raggiunse l’Impala. Non voleva mettere a confronto ciò che aveva passato Jack e ciò che aveva passato lui, ma sapeva che il dolore esisteva in entrambi i casi e che perfino un piccolo gesto avrebbe potuto aiutare. Non c’era bisogno di mettersi nei suoi panni per capirlo. Mentre metteva in moto pensò anche a Gabe. Quando aveva calciato il sasso con frustrazione si era immaginato al suo posto, e Jack in quel caso era Sam. Anche lui, forse come Gabriel, non si sentiva abbastanza per il fratello minore, non sapeva se stesse facendo tutto il necessario, ma poi pensò alle parole di Castiel e in situazioni come quelle sapeva che la cosa valesse anche per il suo amico.

Arrivò all'edificio dove lavorava Sam e scese dalla macchina. Varcò le porte di quel posto per la prima volta e si rese conto che tutto sembrava fuorché uno studio legale. O almeno… non era come se l’era immaginato. Si accomodò in un angolo riservato ai clienti in attesa e cercò di capire da dove provenisse quel suono del telefono insistente. Quando capì che proveniva dalla reception e che la ragazza che stava rispondendo era proprio Karen, sbiancò completamente. Non lo aveva visto e immediatamente Dean afferrò una rivista, la aprì e vi nascose la faccia in mezzo. La foto di un tizio mezzo nudo in posa per la pubblicità di una linea di intimo era proprio la pagina su cui la sua faccia si era affossata. E il suo naso era proprio poggiato lì, nei gioielli di famiglia. Quando se ne accorse, arretrò di poco con la testa, con un cipiglio di fastidio dipinto in faccia. Stava per fare cambio con una rivista di giardinaggio, ma non appena fece capolino da dietro le pagine, vide che gli occhi di Karen puntavano proprio verso la sua direzione, in più aveva intravisto Sam, affiancato dalla bella Jessica, uscire dall'ascensore e chiacchierare, mentre suo fratello metteva in ordine nella borsa a tracolla dei documenti.

- Allora ci vediamo domani, Sam. - Sentì dire alla ragazza.

- Sì, certo. - Sbirciò da dietro le pagine e vide il fratello indugiare immobile verso una Jessica che ormai stava per lasciare l’edificio. Dean sbuffò, e se lì non ci fosse stata Karen dalla quale non voleva assolutamente essere visto, lo avrebbe spinto di forza. Quei pensieri però furono come se Sam li avesse sentiti, perché poco dopo richiamò Jessica e con una voce balbettante di un ragazzino del primo anno di liceo, le chiese di uscire “una sera di queste”. Dean sorrise nello stesso momento in cui lo fece Jessica.

- Va bene, mi piacerebbe! -

- Allora ti chiamo io! - Jessica annuì, poi gli sorrise e con un cenno di saluto se ne andò. Sammy sembrava su di giri, tanto che quando la vide completamente sparire dal suo campo visivo non si risparmiò dall'esternare un vero e proprio gesto di vittoria, per la quale Dean ridacchiò, abbastanza forte perché Sam lo sentisse. Infatti non esitò a girarsi nella sua direzione e ad arrossire non appena si rese conto che il fratello maggiore lo stava guardando, ma poi la sua espressione cambiò in una confusa. - Che cavolo ci fai qui? - Dean gli fece cenno di abbassare la voce, poi sbirciò da dietro le pagine. Karen non c’era più. Non aveva idea di quando se ne fosse andata dalla sua postazione, così ne approfittò per lasciare andare la rivista sul tavolino, accanto alle altre, e prendere suo fratello per un braccio così da trascinarlo fuori dall'edificio. - Che stai facendo? -

- Non volevo che Karen mi vedesse. - Disse lui, guardandosi intorno circospetto, poi gli diede una sonora pacca sulla spalla alla quale il minore sussultò sorpreso. - Allora hai un appuntamento! - Sam lo incenerì con lo sguardo.

- Non mi piace che mi controlli. -

- Sono solo venuto a prenderti, andiamo a pranzare fuori. - Sam si rassegnò e cominciò a scuotere la testa esasperato, poi si girò e non appena vide l’Impala esitò per un momento. Per un attimo Dean credette non volesse salirci, che tutti i suoi sensi di colpa venissero a galla e gli impedissero anche di fare quello, ma invece lo stupì e dopo essersi schiarito la voce con una finta tosse si accomodò al posto del passeggero. Dean gliene fu grato, perché non sapeva se avrebbe sbraitato o meno per un comportamento simile.

- Come mai scappi via da Karen? Credevo ti piacesse. - Disse il minore dopo aver abbandonato la borsa a tracolla sui sedili posteriori. Dean si sistemò meglio al posto del guidatore, poi mise in moto e accese la radio, a un volume che Sam detestava, infatti lo vide roteare lo sguardo.

- Mi piace ma non in quel senso, cioè… è stato solo… -

- Per divertirti? - Sembrava quasi un rimprovero, e negli occhi di Sam notò infatti tanto dispiacere nei confronti di Karen, un pizzico di rabbia perché non la smetteva di illudere le ragazze con cui “usciva”, e una punta di rassegnazione perché ormai sapeva che Dean non sarebbe mai cambiato.

- Oh andiamo! Lo sai che non sono il tipo da relazioni durature! E poi… Karen mi ricorda qualcuno e la cosa mi mette i brividi. - Partì, si immerse nel traffico e cominciò a guidare verso chissà dove, sotto lo sguardo confuso di Sam.

- Chi ti ricorda? - Dean non rispose, si leccò le labbra perché sinceramente neanche lui ne aveva idea. Si limitò a fare spallucce e poi continuò a guidare in silenzio.

Sam si rizzò sul sedile quando si rese conto del posto in cui suo fratello lo aveva portato, e perfino a Dean mancò il fiato.

Era il lago. Lo stesso posto in cui da bambini si sentivano bene, lo stesso in cui pescavano in compagnia del padre e lo stesso che Dean visitava ogni notte insieme all'uomo nella sua testa. Era strano senza Castiel, per un momento gli era sembrato che sarebbe comparso di lì a poco, per fare compagnia a entrambi i Winchester. Che avrebbe lanciato assieme a loro i suoi stupidi sassolini con addosso il suo stupido trench, che si sarebbe buttato con Dean nell'acqua limpida e che si sarebbero spinti a vicenda, con le loro birre fredde su quel ponticello di legno.

Perché era andato lì?

Se lo chiese mentre scendevano dalla macchina. Forse voleva che ci fosse davvero Castiel, e voleva che anche Sam si sfogasse almeno con lui, l’unico uomo che era riuscito a farlo parlare davvero. Ma lui non esisteva, non per Sam, non per il resto del mondo.

- Perché proprio qui? - Gli chiese Sam stringendosi nelle spalle dopo una leggera folata di venticello freddo, mentre assieme al fratello si sedeva sul cofano dell’auto.

- Qui eravamo felici un tempo. - Disse Dean mentre passava il sacchetto del pranzo al più piccolo.

- Eravamo solo dei bambini. -

- Già, ma eravamo felici. - Non si dissero più niente, non ce n’era bisogno in fondo, perché per un attimo aveva visto Sam sorridere e quello gli bastava.

Ci ritornò al lago, la notte stessa, nella sua testa. C’era anche Castiel questa volta, lo aspettava con due birre già stappate e un sorriso entusiasta. Ogni volta che lo raggiungeva nei sogni Cas sembrava più felice di non essere da solo.

Camminarono a lungo e in silenzio seguendo il perimetro del lago. Cas era davanti a lui, la mano era infilata nella tasca del trench, l’altra reggeva la bottiglia ormai vuota. Dean l’aveva già buttata via e si limitava a seguire il suo amico con la testa bassa, guardando i suoi piedi che disegnavano orme indefinite sul terriccio. Poi in quelle orme ci immergeva il piede, le studiava, le faceva sbiadire al passaggio della scarpa. Infine sollevò lo sguardo verso di lui e si mordicchiò il labbro inferiore.

- Ho portato mio fratello qui, oggi. Nella vita reale, intendo. - Castiel si fermò per un attimo e Dean non poté vedere la sua reazione dato che continuava a dargli le spalle. Avevano camminato così a lungo che il ponticello su cui di solito si mettevano seduti a scambiarsi chiacchierate e battute sembrava solo un puntino in lontananza.

- Davvero? - Disse alla fine, ricominciando a camminare lentamente.

- Già. Non so perché l’ho fatto. - Il rumore dei loro passi riempiva il silenzio circostante. Era quasi rilassante. - Forse ho sperato per un attimo di trovarti lì, forse ho sperato che Sam potesse sfogarsi con te. - E fu a quel punto che Castiel smise di camminare e si girò a guardarlo. Nel suo sguardo si poteva leggere quanto quella confessione gli avesse fatto provare… tenerezza? O era pena? - Tu non puoi saltare da una testa a un’altra, vero? - Castiel accennò un sorriso divertito e scosse la testa, poi bevve l’ultimo sorso dalla bottiglia e la lasciò cadere sul terriccio umido. Tanto il giorno dopo sarebbe scomparsa da sola.

- Mi piacerebbe, a volte sei noioso. - Dean notò nei suoi occhi quel sarcasmo che lo fece ridacchiare, poi scosse la testa rassegnato.

Infine ci fu silenzio, ma mentre continuavano a guardarsi le parole sembravano librarsi nell'aria. Quegli occhi verdi parlavano da sé, così come quelli blu di Castiel, continuavano da soli quella conversazione. Ma poco dopo un pensiero di Dean divenne reale, perché lo pronunciò ad alta voce.

- Devo verificare una cosa. Tu non impressionarti, ok? - Castiel piegò appena la testa da un lato, confuso. Quella solita espressione che prima infastidiva Dean, ma che ora gli faceva venire i brividi e non sapeva nemmeno il perché.

- In che senso? - Dean si avvicinò abbastanza, forse troppo, fu faccia a faccia con lui, e d'altronde Castiel non fece nulla per evitare quella vicinanza, anzi divenne ancora più confuso. - Che cosa vuoi fare? -

- Tu sta’ solo fermo. - Castiel annuì, seppure la sua faccia stesse dicendo che ancora non capiva. Poco dopo Dean sollevò entrambe le mani e le poggiò sulle guance dell’uomo che popolava continuamente i suoi sogni. Le sfiorò appena con i polpastrelli e vide le palpebre dell’altro tentennare davanti a quel gesto. Infine Dean chiuse gli occhi e le sue dita iniziarono a studiare i dettagli. Sfiorò le sue guance lisce, scese fino al mento, poi tornò nuovamente su a toccare i suoi zigomi, sulle palpebre chiuse sotto le quali sentiva le pupille muoversi velocemente. Arrivò alla fronte, a toccare quei solchi che erano le leggere rughe di espressione, sfiorò la linea della mascella, e il tutto terminò con entrambi i pollici che sfioravano quelle labbra piene e schiuse da cui all'improvviso Castiel stava facendo uscire sbuffi di fiato. Sembrava quasi affannato, o forse… quel fiato lo aveva trattenuto per tutto il tempo e ora stava solo cercando ossigeno.

Quando Dean aprì gli occhi, Castiel lo guardava insicuro, fragile come un bambino. Le mani di Dean si staccarono dalla sua pelle lentamente, mentre la sua fronte veniva quasi attratta come una calamita da quella di Castiel, che sembrava aver perso la capacità di reagire. Chiuse gli occhi e li strinse fino a farsi quasi male.

- Eppure… - Sussurrò Dean, sentendo il fiato di Castiel a contatto con il proprio viso. Fece scendere una mano verso quella dell’amico e la strinse. Era fredda, forse per via della bottiglia che stava stringendo poco prima. Ma la sentiva sotto le dita, la percepiva come percepiva qualunque cosa lui toccasse quando era sveglio. - Eppure sembri reale. - Sentì che Castiel iniziava a stringergli la mano con forza, ma senza dire nulla. Anzi, portò quella mano all'altezza del proprio petto e la strinse ancora di più. Dean percepì il battito del suo cuore sul dorso e si lasciò sfuggire una leggera risata nervosa, gli occhi ancora chiusi e la fronte contro la sua. Deglutì una, due volte, aveva la gola secca. - Sembri reale. - Ripeté a bassa voce, stringendo a sua volta e con la stessa forza la mano di Castiel. - Vorrei che lo fossi. -

- Lo vorrei anch'io. - La voce di Castiel era spezzata, ma nessuna lacrima usciva dai suoi occhi quando si decise finalmente a sollevare le palpebre. Dean si staccò dalla sua fronte e lo guardò. Le pupille saettavano su ogni particolare del suo viso, rivedendo ciò che le sue dita avevano toccato poco prima.

Non ne seppe il motivo, ma due secondi dopo aveva nascosto la testa nel suo collo e lo aveva stretto in un abbraccio soffocante, che Castiel non aveva esitato a ricambiare nello stesso modo. Era come se non volessero più lasciarsi andare. Si erano già abbracciati una volta, ma non come lo stavano facendo in quel momento. C’era disperazione in quella stretta, e solo mentre stringeva a sé quel suo amico immaginario, Dean si rese conto che lo avrebbe voluto con sé anche quando teneva gli occhi aperti, nella vita di tutti i giorni.

 

Note autrice:

Eeeeee ci siamo.
Come promesso ci sono degli sviluppi, che continueranno a svilupparsi (?)
Che ne pensate di Jack? Vi consiglio di attenzionare molto bene questo personaggio, sarà importante.
E che ne pensate del rapporto tra Dean e Cas?
Direi che ci sono molti punti di cui si potrebbe parlare, ditemi i vostri pensieri se vi va su quello che potrebbe succedere.
Spero vi piaccia questo capitolo!
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Era solo un caso ***


Era solo un caso

- Non avevi detto che era tutto ok con la macchina? - Chiese Sam affacciando la testa dal finestrino dell’Impala. Guardò Dean, intento a lavorare per far ripartire la macchina che aveva deciso di fermarsi nel bel mezzo del nulla, nel tragitto dall'officina a casa.

Dean rispose al fratello con un mugolio scocciato e continuò a lavorare fino a che non sollevò le mani e osservò con maggiore attenzione ciò che aveva appena fatto.

- Prova a mettere in moto. - Sam scivolò sul sedile del guidatore e girò la chiave nel cruscotto, ma il motore sembrava far fatica ad azionarsi, e Dean si ritrovò a imprecare a bassa voce, asciugandosi il sudore dalla fonte con il braccio.

- Proprio oggi che ho un appuntamento con Jessica… - Mormorò Sam prima di scendere dalla macchina e affiancare il fratello per dargli una mano. Dean nemmeno ci fece caso a quel commento, ma era felice che Sam uscisse e si divertisse, soprattutto con Jessica. Non era da escludere il fatto che, seppure non lo dimostrasse, Sam era nervoso, e Dean lo sapeva perché lo conosceva come le sue tasche. Non faceva che svuotare l’armadio e cercare cosa mettersi negli ultimi giorni, oppure chiedeva consiglio a Dean su qualche bel posto in cui si mangiava bene, o si faceva inutili paranoie su ciò che sarebbe potuto accadere dopo quella tanto agognata cena. Ma un difetto di Sam era proprio il non accettare alcun aiuto quando era nervoso. Quando Dean si propose di dargli una mano a scegliere cosa mettersi, Sam se n’era uscito con “Non ci pensare nemmeno, voglio essere me stesso, non somigliare a te!”, ed ebbe da ridire anche sul luogo che gli consigliò, o sul come comportarsi con Jessica in particolari situazioni.

Mancavano solo due ore al suo maledetto appuntamento, Sam non era ancora pronto e l’Impala aveva deciso di fare i capricci.

- Che stai facendo? -

- Ti do una mano, magari in due ci riusciamo. - Si misero entrambi a lavorare, ma dopo qualche tentativo si resero conto che i loro sforzi erano stati vani.

- È un’Impala del ‘67? - Una voce alle loro spalle li fece sobbalzare. Quando si voltarono per capire da chi provenisse, videro il giovane Jack, il nuovo apprendista di Gabriel. Teneva in entrambe le mani delle buste e un mazzo di chiavi, fissava la macchina come se fosse un miraggio. Un leggero sorriso incredulo increspava le sue labbra e i suoi occhi azzurri brillavano. Dean trovò strano il fatto che un ragazzino come lui potesse interessarsi a un’auto come quella come se fosse l’ultimo modello di playstation sul mercato. - È proprio bella! - Jack si avvicinò ai due e si abbassò verso il finestrino a osservare gli interni. - È tua, Dean? - Il diretto interessato guardò per un momento il fratello minore, poi rivolse un sorriso tirato al ragazzo e annuì.

- Era di mio padre ma adesso è mia. - Jack annuì, poi si soffermò a guardare i due e piegò leggermente la testa da un lato, confuso. E quel gesto fu così simile a quello che faceva Castiel che Dean ebbe un brivido lungo la schiena.

- Posso darvi una mano? - A quella proposta Sam stava per accettare, ma ebbe il tempo solo di aprire la bocca che Dean lo interruppe.

- Oh non importa, noi… - Ma quella domanda per Jack non sembrava accettare risposte negative. Mise giù le buste sull’asfalto, si sollevò le maniche della camicia e si fece spazio fra i due fratelli. Osservò con attenzione la situazione, studiando ogni piccolo dettaglio di ciò che si trovava all'interno del cofano. La sua espressione era concentrata mentre iniziava ad armeggiare con il motore, sporcandosi le mani e leccandosi ogni tanto le labbra. Ci fu un suono secco, poi il ragazzo allontanò le mani e guardò i due con un leggero sorriso soddisfatto. Sam corrugò la fronte e prese quell'espressione come un invito a provare a mettere in moto e, quando il più piccolo dei Winchester fece girare la chiave nel cruscotto, si stupì nello scoprire che magicamente il motore aveva deciso di funzionare.

- Complimenti ragazzino! - Esclamò Dean euforico, dando una pacca sulla schiena di Jack che in risposta si limitò a sorridere ancora di più. Certo, all'inizio Dean si era dato dell’idiota, perché lavorando in un’officina non era riuscito a capire come far funzionare il motore di una vecchia Impala del ‘67, poi si era reso conto che non aveva mai avuto a che fare con un motore come quello, di solito ci pensava Bobby alle auto d’epoca. E infine era rimasto piacevolmente sorpreso dalla semplicità con cui Jack era riuscito in poco tempo a riparare il danno. - Come ci sei riuscito? -

- Mio nonno aveva la stessa macchina. Mi ci portava sempre in giro e ogni volta che faceva i capricci lo aiutavo a ripararla. - Rispose lui mentre si tirava giù le maniche e faceva spallucce, richiudendo il cofano e girandosi a guardare i due prima di recuperare le buste che aveva lasciato incustodite.

- Mi sembra doveroso riaccompagnarti a casa. - Jack stava per controbattere, ma non appena Dean sollevò il dito indice si ammutolì e piegò nuovamente la testa da un lato, come un cucciolo di cane confuso.

Sempre più simile a Castiel!

- Sali in macchina, Jack! Ti diamo uno strappo, davvero. - Stavolta fu Sam a parlare, proprio mentre si affacciava dal finestrino del guidatore. - Dicci solo dove andare. -

Alla fine Jack si ritrovò costretto ad accettare quella proposta. Dopo pochi minuti di strada, Dean si fermò davanti a un condominio con diversi piani. Jack guardò l’edificio e i due fratelli giurarono di vederlo deglutire a fondo, come se gli pesasse essere lì, come se la vista di quel posto gli causasse dei brutti ricordi. E Dean di certo non lo biasimava dopo quello che aveva appena perso.

- Quindi è qui che abiti! - Disse Dean. Jack afferrò entrambe le sue buste. Solo in quel momento si rese conto che provenivano da una farmacia, e Dean rabbrividì al pensiero che quelli potessero essere degli antidepressivi, probabilmente proprio per Jack che ancora doveva digerire la sua nuova situazione.

- No, ci vive Gabe. Mi sono trasferito da lui. - Gabriel sembrava aver preso seriamente la situazione del ragazzo. Sembrava tenerci molto a lui se gli permetteva di vivere sotto lo stesso tetto. Doveva proprio ammetterlo, quell'uomo aveva dei lati a lui sconosciuti ma che lo rendevano di certo un uomo migliore. - Beh, grazie ragazzi! Ci vediamo alla tavola calda. - Il ragazzo rivolse loro un sorriso, poi scese dall'auto trascinandosi dietro le due buste. Lo guardarono tirar fuori le chiavi del portone e poi sparire dopo aver rivolto loro un ultimo saluto. Quando sollevarono lo sguardo videro Gabe a una finestra, dietro il vetro e la tenda bianca. Gli stava rivolgendo uno sguardo indecifrabile, quasi sorpreso, ma subito dopo si era dileguato senza neanche salutarli.

I Winchester tornarono a casa in fretta e furia. Dean si fiondò sul divano davanti alla tv, Sam si precipitò sotto la doccia, intimando al fratello di non stressarlo perché “doveva rendersi presentabile senza le sue pressioni”. Dean si era limitato a sollevare le mani in segno di resa, poi lo aveva visto correre da una stanza a un’altra per recuperare vestiti, asciugamani, asciugacapelli e dei prodotti per la sua capigliatura di cui il maggiore ignorava totalmente il nome.

Uscì fuori dal bagno un’ora dopo circa, tutto profumato e in tiro per l’agognato appuntamento. Non aveva l’abbinamento camicia e jeans che utilizzava di solito, o il completo che metteva per andare in ufficio. Sam aveva indossato sì una camicia, ma era blu, mentre i jeans erano neri e abbinati a un paio di scarpe lucide di cuoio. Si era fatto la barba, poi aveva indossato l’orologio per le occasioni speciali, quello che non indossava mai se non si trattava di qualcosa di veramente importante. Perfino l’acqua di colonia che indossava era completamente nuova per il fratello.

- Non ricordavo avessi questo profumo. Come si chiama? - Disse mentre continuava a fare zapping, cercando un programma che non fosse noioso per passare quella serata in cui sarebbe stato inevitabilmente da solo.

O forse no.

Magari poteva appisolarsi.

A quel punto non avrebbe dovuto sopportare il silenzio della stanza ma godersi il suono della voce del suo amico immaginario.

Aspetta, perché mai avrebbe dovuto godersi il suono di quella voce?

Quando realizzò ciò che aveva appena pensato di Castiel, scosse leggermente la testa con un’espressione leggermente confusa sul volto.

- Pensa un po’ Dean, si chiama sapone. - Dean corrucciò la fronte, poi lanciò un cuscino in direzione del minore, che si difese al meglio con le braccia davanti al volto, ridacchiando divertito. Poco dopo Sam si infilò la giacca e fece per andarsene, facendo diversi respiri profondi, come a prepararsi per un vero e proprio calvario.

Stava esagerando, pensò Dean mentre lo guardava indugiare sulla porta.

- Ehi, perché non prendi l’Impala? Funziona adesso e ci farai un figurone. - Sam lo guardò stupito, come se non si aspettasse per niente quella proposta.

- Sei sicuro, Dean? -

- Altrimenti non te lo avrei proposto. - Prese le chiavi dalla tasca dei pantaloni, poi le lanciò verso il fratello che ebbe i riflessi abbastanza allenati e pronti per afferrarle al volo.

- Grazie. - Gli disse con un sorriso sincero. - Tu che farai stasera? -

- Oh, io credo che ordinerò una pizza. Anche io ho un appuntamento. -

- Un appuntamento? -

- Con una lunga e sana dormita. - Stava per dire “con l’uomo dei miei sogni”, ma quando aveva formulato quella frase nella sua testa gli era sembrata troppo assurda e decisamente poco… etero. Lo avrebbe preso per un idiota, di sicuro.

Sam ridacchiò, poi abbassò la maniglia per aprire la porta d’ingresso e indugiò un altro po’ prima di oltrepassarla.

- Buona fortuna Sammy. Usate le protezioni! - Disse nello stesso momento in cui udì la porta chiudersi. Fu sicuro di aver sentito poco dopo la voce di suo fratello che gli diceva un divertito “vaffanculo!” da dietro la porta. Dean sorrise e rimase a fissare lo schermo della televisione, fino a quando non sentì il motore dell’Impala che si accendeva e subito dopo si allontanava.

Dean ordinò davvero quella pizza, e la mangiò seduto sul divano, al buio e davanti a un film horror da quattro soldi, per cui non si risparmiò di borbottare insulti al protagonista che continuava a fare cose stupide dall'inizio alla fine. Fine… insomma, Dean si addormentò molto prima che il film terminasse. Era così noioso che quella sequenza di scene raccapriccianti erano diventate un vero e proprio sonnifero.

Si ritrovò catapultato alla riva del lago. Il sole illuminava l’acqua e la faceva scintillare, l’aria era fresca e carezzava la pelle con dolcezza. Il cinguettio degli uccelli rendeva quell'atmosfera ancora più primaverile.

Castiel era accovacciato vicino all'acqua. Aveva addosso il suo trench e osservava il cielo sopra di sé, sereno come mai lo era stato. Forse anche perché Dean si sentiva stranamente a suo agio dopo che era finito nuovamente nei suoi sogni.

Si avvicinò al suo amico e gli si sedette accanto senza dire nulla e Castiel sorrise senza nemmeno rivolgergli uno sguardo. Dean invece non si risparmiò di osservare come i suoi occhi brillassero alla consapevolezza di non essere più da solo. E quel pensiero lo fece rabbrividire, ma in senso buono, quasi piacevole.

- Ma guardati! Cosa è successo? Da quest’acqua è venuta fuori una sirena per incantarti con una canzone? - Castiel rise a quelle parole e finalmente si voltò verso di lui.

- Perché lo pensi? -

- Non lo so, sembri al settimo cielo. -

- Anche tu lo sembri, Dean. - Lui non rispose, si limitò a fare spallucce e a osservare davanti a sé. Castiel però continuava a fissarlo. Sentiva i suoi occhi azzurri su di sé, riusciva a scorgere con la coda dell’occhio perfino l’esatto momento in cui si era morso il labbro inferiore. - Se mi dici il motivo, io ti dirò il mio. - Propose dopo qualche secondo di silenzio. Quando Dean cercò di decifrare la sua espressione capì che non avrebbe ammesso obiezioni.

- Sam è felice, e questo mi fa stare bene. Ha un appuntamento, è lì con Jessica adesso. - Castiel annuì, soddisfatto della sua risposta. - E tu, Cas? - Quest’ultimo ridacchiò e si alzò in piedi, al che Dean fece lo stesso per impedirgli di sviare il discorso, guardandolo mentre si spolverava via la terra dal trench.

- Dean, qui non succede mai niente. Secondo te perché potrei essere felice? - E detto ciò iniziò a camminare verso il ponticello, senza nemmeno aspettare che lo seguisse. Lo fece e basta, perché ormai quel posto era diventato suo, forse lo era già da molto più tempo, ma Castiel lì prendeva iniziative senza che fosse l’inconscio di Dean a suggerirglielo. Il libero arbitrio di Castiel non era frutto della sua testa, o almeno… non se ne rendeva conto.

- Quindi la sirena non c’entra? - Chiese ad alta voce, poco prima di chiedersi cosa diavolo stesse facendo. Si tolse il trench e lo lasciò andare contro la sedia che di solito Dean usava per pescare quando era lì. Fece lo stesso con tutti i suoi vestiti, lasciandosi addosso solo un paio di boxer scuri, infine si tuffò in acqua e riemerse con una grazia che non gli era mai appartenuta, Dean non gliela aveva mai vista addosso e per un momento lo trovò… affascinante. Non si rese conto che si era pian piano avvicinato fino a camminare sul ponticello, e adesso lo guardava dall’alto con un cipiglio confuso.

- La sirena non c’entra. - Affermò poco dopo. - Allora? Mi lasci sguazzare qui da solo? - Nemmeno si rese conto che quello era proprio un modo per fuggire dalla conversazione. Stava anche per dire qualcosa ma lo sguardo di Castiel divenne di sfida e Dean ne rimase, se possibile, ancora più sconvolto. - Che c’è, ti vergogni? - A quel punto Dean si sentì toccato nell’orgoglio e non trattenne quel sorriso che preannunciava una vera e propria dimostrazione del fatto che no, non si vergognava affatto. Di colpo cominciò a spogliarsi e anche lui restò solo in boxer, poi si tuffò in acqua e riemerse vicino a un Castiel che non la smetteva di ridacchiare divertito, per quale motivo Dean ancora non sapeva spiegarselo. Si stropicciò gli occhi con i pugni chiusi, poi si portò indietro i capelli.

Poco dopo si trasformarono in due bambini, alternando momenti in cui cercavano di spingersi sott’acqua a vicenda, a momenti in cui si schizzavano acqua addosso fra le risate e le imprecazioni.

- Un crampo, aspetta. - Disse Dean mentre lasciava andare il suo amico e portava la mano a massaggiare il polpaccio dolorante. Il dolore sembrava del tutto realistico per essere solo uno stramaledetto sogno. Castiel si immerse fin sotto il mento e ridacchiò nell’acqua piacevolmente fresca.

- La vecchiaia, eh? -

- Fanculo, Cas. - Entrambi risero per un po’, poi cadde il silenzio, riempito solo dai loro respiri. Sembrò passare un’eternità quando il moro si decise a fare la prima mossa per spezzare quel vuoto di parole, forse anche un po’ imbarazzante. Castiel sollevò un dito da sotto l’acqua fino a raggiungere il petto di Dean per sfiorarlo. Di norma con chiunque altro si sarebbe spostato e lo avrebbe mandato a quel paese, ma non fu la stessa cosa con Castiel. Lo lasciò fare senza dire una parola, curioso di sapere a cosa volesse andare a parare.

- È bello, non sapevo ne avessi uno. - Dean corrugò la fronte confuso, non capì a cosa si stesse riferendo finché non abbassò lo sguardo e vide il proprio tatuaggio. A volte si dimenticava di averlo, ci era talmente abituato che ormai era come se non ci fosse. Accennò un sorriso, e senza che Castiel glielo chiedesse cominciò a spiegare.

- L’ho fatto insieme a Sam, ce l’ha anche lui. - Castiel non allontanò le dita dalla sua pelle neanche mentre Dean parlava, anzi continuò a sfiorare la parte inchiostrata, seguendone delicatamente i contorni. Il biondo rabbrividì senza riuscire a controllarsi, ma almeno poteva dare la colpa all'acqua per quella reazione inaspettata. Non era però quella a provocare in lui quelle strane sensazioni. Era difficile e quasi impossibile spiegare in cosa quell'uomo si stesse trasformando per lui. Erano amici, sì, su questo non aveva dubbi. Ma gli amici non facevano come loro due, giusto? C’erano certi momenti, degli attimi troppo… intimi. Cose che probabilmente non permetteva di fare neanche a suo fratello, la persona più intima e cara a lui, a Castiel erano concesse, e Dean non provava fastidio.

- Ha un significato? - Dean annuì.

- Io e Sammy siamo amanti dell’occulto e del sovrannaturale, questo simbolo era su un libro. Impedisce la possessione dei demoni. Metaforicamente parlando, lo abbiamo fatto come una promessa. Non ci saremmo mai dovuti far impossessare dai nostri demoni, e in tal caso ci saremmo sempre stati per tirare fuori l’altro dall'oblio. - Dean sospirò. - Anche se in casi come questi ci vuole del tempo. -

- A ogni cosa serve il suo tempo, Dean. - La mano di Castiel si spostò alla sua spalla, per stringerla e trasmettere a Dean la forza e la sicurezza di cui necessitava in quel momento. Gli sorrise e l’altro rabbrividì di nuovo. Cercò di ricambiare quel sorriso ma non ci riuscì, venne fuori una smorfia un po’ ebete, ma Castiel come sempre non lo giudicò per quello.

- Perché sei felice, Cas? - Non aveva mai risposto veramente a quella domanda in effetti, e visto che la situazione stava diventando abbastanza imbarazzante, ne aveva approfittato per riformularla, aspettandosi questa volta una risposta meno criptica.

Lui fece scivolare via la mano dalla sua spalla.

- Perché tu mi tieni in vita. - Quelle parole lo spiazzarono e purtroppo non seppe come interpretarle. Poteva significare che ogni volta che Dean lo andava a trovare, finalmente Cas non era più da solo, o perché continuava a sognarlo e questo lo rendeva effettivamente quasi reale nella sua testa, o forse dietro quella confessione c’era qualcosa di più? Non lo sapeva, e probabilmente nemmeno Castiel sapeva spiegarselo. Ma qualunque fosse il senso, il suo cuore aveva iniziato a battere all'impazzata lo stesso, e Dean non si mosse nemmeno quando Castiel si era avvicinato di più fino ad averlo a quasi un palmo dal naso. Nessuno dei due però fece alcuna mossa, si guardavano soltanto intensamente e gli occhi chiari dell’uomo sembravano leggerlo dentro e fino in fondo, si erano ancorati alla sua anima e pian piano la stavano studiando.

Un rumore li fece sussultare e Dean sollevò lo sguardo per guardare il cielo, come se quel suono provenisse da lì. Sembrava un rumore di pentole e padelle e allora Dean capì cosa stava realmente succedendo.

- Mi sa che è ora. - Disse allontanandosi volontariamente da Castiel, ma sentendo un vuoto all’altezza del petto non appena lo fece. Poi vide la figura di Castiel sfocarsi a intermittenza, e poco prima di aprire gli occhi fu sicuro di averlo visto deluso.

In fondo lo aveva lasciato da solo. Di nuovo.

Era ancora sdraiato sul divano come la sera prima, ma il sole gli colpiva gli occhi e una coperta lo copriva fin sopra le orecchie. Quando si mise seduto la sua schiena scricchiolò facendogli fare una smorfia di dolore. Si alzò traballante e raggiunse la cucina, dove come pensava vide Sam intento a preparare la colazione. Ecco il perché di quel rumore. Avrebbe voluto lanciargli contro qualcosa, lo aveva destato da una situazione che stava apprezzando, e non era da lui. Insomma, Dean non era mica gay! Non lo era giusto? Era solo un caso se quando aveva guardato Karen negli occhi azzurri aveva visto quelli di Castiel, che quando aveva indugiato sulle sue labbra carnose aveva visto quelle dell’uomo dei suoi sogni. Ed era sicuramente solo un caso assurdo che quella notte nell'acqua del lago aveva quasi avuto voglia di sapere qual era il sapore della sua bocca. Sì, era solo una coincidenza che pensasse continuamente a lui perfino da sveglio. Ed era assurdo perché lui non esisteva.

- Ah, buongiorno! - Disse Sam quando lo vide arrivare, ricevendo un mugolio assonnato in risposta. Dean si mise seduto con la testa poggiata sul tavolo, poi il fratello gli piazzò davanti un piatto di uova e bacon fumanti. - Dormivi così bene ieri sera che non ti ho voluto svegliare. - Dean mugolò di nuovo e Sam roteò gli occhi. Gli si sedette accanto e il maggiore non poté farsi sfuggire il suo improvviso nervosismo. Sollevò la testa confuso e lo osservò con più attenzione.

- Che succede? L’appuntamento è stato un fiasco? - Chiese preoccupato, con ancora la voce impastata dal sonno.

- No no… è stato magnifico. Non è questo. - E il suo sorriso confermò le sue parole, ma il nervosismo tornò quasi subito dopo. - Mi chiedevo… tu e Bobby andrete al cimitero dopo? -

- Come sempre. Perché? - Sam lo guardò e un’aria indifesa e imbarazzata gli si dipinse in volto prima di mormorare in un modo quasi incomprensibile:

 

- Posso unirmi a voi? -

 

Note autrice:

Quiiiiindi alla fine ci siamo. Posto un po' tardi ma perdonatemi. Sempre colpa dell'università che mi sfianca e mi fa andare a letto prestissimo. Ditemi quale essere umano alla mia età alle dieci è già che ronfa come un ghiro. Io boh.
Comunque, qui mi sa che Cassie abbia acceso la miccia, non pensate?
Cosa rispondiamo a tutti i dubbi esistenziali di Dean sul fatto che sia solo un caso? Una bella padellata in testa per fargli capire tutto in due nanosecondi? Chi è con me?
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!
E tanti baci a voi, alla prossima!

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Capitolo 8
*** Diverso ***


Diverso

Sam era andato davvero con Bobby e Dean al cimitero. Li aveva seguiti a testa bassa senza dire una parola, poi era rimasto in silenzio anche dopo che aveva chiesto di restare un minuto da solo per contemplare quelle lapidi. Dean e Bobby lo avevano osservato da lontano mentre le fissava, sembrava non avesse reazioni, ma al fratello non sfuggirono le mani che continuava a stringere a pugno e ad aprire nuovamente, come segno di nervosismo.

Dean lo aveva guardato come se avesse avuto davanti un alieno quando gli aveva detto quella cosa quella mattina, ma poi era stato felice, perfino di comunicare la cosa a un ignaro Bobby, che era invece sorpreso e felice allo stesso tempo.

Era un passo. Un grosso passo che significava molto. E ovviamente Dean non si risparmiò di chiedergli una spiegazione quando arrivarono alla tavola calda, anche perché quando aveva chiesto come fosse andato l’appuntamento aveva solo risposto “Bene!”.

- Ti devo tirar fuori questa risposta con le pinze, Sammy? - Gli chiese mentre gettava il tovagliolino usato nel piatto ormai vuoto. Sam fece spallucce e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. - Andiamo, non mi hai nemmeno detto come è andata con Jessica! - Esclamò. - E comunque credo di meritarmi una spiegazione, è quasi più di un mese che eviti l’argomento mamma e papà. - Sam terminò il suo pranzo e spinse il piatto ancora mezzo pieno verso il centro del tavolo, non sembrava molto affamato, e dalla sua faccia contrariata sembrava addirittura già pieno.

- Non so se la cosa potrebbe farti piacere. -

- Che cosa? - Chiese Dean, confuso.

- Ne ho parlato con lei, con Jessica… di mamma e papà, di te, di noi, di tutto. - Rimase poi in silenzio, aspettando una reazione dal fratello maggiore che però non arrivò, rendendolo oltremodo abbastanza nervoso. - Posso spiegarti, io… avevo bisogno di parlarne con qualcuno di estraneo ai fatti prima di farlo con… te. - Dean sollevò sorpreso le sopracciglia, ma non perché fosse arrabbiato, anche se era ciò che in effetti Sam si aspettava, ma perché in fondo era quello che aveva fatto lui stesso, solo che la persona estranea ai fatti nel suo caso non esisteva, non era per niente reale, stava solo lì, nella sua mente contorta. - Sei arrabbiato? - Lo vide deglutire, perché la sua gola fece per un attimo su e giù.

- No che non sono arrabbiato. - Disse semplicemente, facendo spallucce prima di assistere a un’espressione totalmente stupita da parte del minore, che sembrava non voler credere alle sue orecchie.

- Davvero? - Perfino la sua voce era stranita.

- Sì, cioè… posso mettermi nei tuoi panni, ho cercato di farlo e credo di poterti capire. - “Anche perché io ho fatto lo stesso”, ma si fermò prima di poter pronunciare anche quelle parole. Sam si raddrizzò confuso sulla sedia. Dean non era mai stato così paziente in casi come quelli. Diceva sempre “sono tuo fratello, avrei dovuto saperlo”, non era da lui. Da un po’ di tempo in effetti si stava chiedendo cosa ci fosse di diverso in lui. Perché Dean era cambiato, in qualche modo, in certi aspetti del suo carattere sembrava diverso e Sam non riusciva a spiegarsi come mai, né il perché.

- Oh, ok… - Disse quindi, muovendosi appena a disagio sulla sedia.

- Sto ancora aspettando una risposta, riguardo all’appuntamento. - Sam sorrise, forse al solo pensiero gli veniva naturale.

- È stato bello. - Disse facendo spallucce. - Jessica è dolce, intelligente, sorride sempre e mi rende felice. - Dean sorrise di rimando nel vedere il suo viso spensierato. - È stato facile parlargliene. Sapeva solo la parte che conoscevano tutti. Della morte di papà e di quella della mamma. Poi le ho detto di te. - Con quello Dean non aveva ben chiaro per cosa stesse quella frase, non immaginava cosa potesse averle detto di lui, se del loro rapporto o di come molte volte lo avesse spronato a sfogarsi, ma non volle interromperlo e rimase ancora in silenzio. - E dopo che abbiamo parlato mi sento pronto a farlo anche con te, a poco a poco, iniziando dal cimitero e… progredendo con altri piccoli passi. - Dean fu grato a Jessica, non si sentiva arrabbiato, stranamente. Di norma avrebbe ribollito dalla gelosia, ma quella volta era solo contento che Sam si sentisse pronto grazie a qualcun altro. - Così magari anche tu mi dirai cosa ti sta succedendo. - Quelle parole però lo stupirono e Dean raddrizzò sorpreso e confuso la testa.

- In che senso? -

- Scherzi, vero? - Dean corrugò la fronte. - Dean, ci sono un sacco di ragazze carine oggi alla tavola calda. - Il maggiore si guardò intorno smarrito. - E non hai ancora tentato di abbordare nessuna di loro. - Dean aprì la bocca per dire qualcosa ma nessun suono ne fuoriuscì. Aveva ragione, quasi nemmeno si era accorto della loro presenza. Sembrava davvero così cambiato da fuori? Credeva di esserlo solo nella sua testa, lì insieme a Cas.

- Non vuol dire niente! - Sam lo guardò come se gli avesse detto l’assurdità più grande del mondo, e in risposta Dean lo colpì con una ginocchiata da sotto il tavolo. - Piuttosto! Nessuna effusione tra te e la biondina? - Sam roteò lo sguardo rassegnato.

- Può darsi. -

- Oh, e bravo il dongiovanni! - Entrambi ridacchiarono, ma poi cadde il silenzio tra loro due, riempito soltanto da Gabriel e Jack che passavano fra i tavoli a consegnare ordini e a ritirarne degli altri, da Balthazar che passava lo straccio umido sul pavimento e dal rumore di utensili dalla cucina. - Sam, come hai capito che ti stavi… innamorando? - Quella domanda non era programmata nella testa di Dean, ma era venuta fuori spontaneamente dopo quel discorso, e Sam non poté fare a meno di trovare strano anche quel suo comportamento. Che suo fratello si fosse preso una sbandata e non sapeva come comportarsi? Il solo pensiero lo fece sorridere.

- Perché me lo chiedi? - Dean sbuffò per nascondere la tensione.

- Non esci con una ragazza da un po’, ero solo… curioso. - Sam non si bevve quella confessione, ma fece finta di nulla e si poggiò con la schiena alla sedia per stare più comodo.

- L’ho capito quando mi sono accorto che le azioni che facevo non corrispondevano al mio cervello, ma al mio cuore. Non era la testa a dirmelo. - Dean sembrò cercare di decifrare quelle parole in silenzio, ma nel frattempo la sua gamba aveva iniziato ad avere un leggero tic nervoso e tremolava di nascosto sotto al tavolo. - Stavo bene con lei, e io volevo stare bene. Quindi mi sono semplicemente buttato. - Per Sam quello era un consiglio nascosto in una confessione. Gli stava spiegando la situazione ma allo stesso tempo voleva spronarlo a fare qualunque cosa lui avesse in mente. Dean non disse nulla, si limitò ad annuire come se avesse capito, ma poi un altro dubbio si insinuò nella sua testa.

- E se Jessica fosse stata diversa da te? Molto diversa… ti saresti buttato lo stesso? -

- Io e Jessica siamo diversi sotto molti aspetti, Dean. Ma provavo lo stesso quelle cose, quindi certo, mi sono buttato ugualmente. Si può essere come il giorno e la notte, ma se i sentimenti restano quelli, allora… - Lasciò la frase in sospeso e fece spallucce prima di iniziare a bere qualche sorso dal bicchiere di birra.

Castiel era diverso da Dean, ma non era quello che intendeva. Castiel era un uomo, ed era diverso per questo, perché fino a qualche settimana prima Dean non avrebbe avuto occhi che per delle belle ragazze, e invece si sentiva attratto da un uomo che nemmeno esisteva. Ammetterlo nella propria testa lo lasciò quasi sotto shock. Non era mai riuscito ad arrivare a una simile conclusione, ma si era preso una cotta per Castiel e non poteva più nasconderlo a sé stesso. E poco gli importava se fosse un uomo. L’unica cosa che gli premeva era che lui non fosse reale. E come gestire una cosa che appunto era solo nella sua testa? Si sentiva un folle al solo pensiero che volesse farlo.

- Vi porto qualcos’altro? - Jack comparve accanto a loro, asciugandosi le mani sul grembiule e con il solito sorriso genuino.

- No, grazie Jack, credo che siamo a posto. - Disse Sam. Jack annuì e fece per andarsene, ma Dean lo richiamò indietro e il ragazzo si voltò curioso.

- Ti piacciono tutte le auto d’epoca, Jack? - Quest’ultimo piegò confuso la testa da un lato, ma poi annuì. - Che ne dici un giorno di venire in officina? Bobby e io possiamo farti vedere tante belle auto e… ne potremmo rimettere una a nuovo insieme. - Non sapeva come mai avesse deciso di fargli quella proposta, e nemmeno Sam visto che lo aveva guardato stupito, quasi con la stessa espressione che Jack assunse in quel preciso istante.

- Davvero? -

- Certo, sei il benvenuto. - Jack sorrise, se possibile ancora più di prima.

- Verrò volentieri, Dean. Ti faccio sapere quando sono libero! - Dean annuì e il ragazzo fece un cenno di ringraziamento con la testa prima di sparire dietro il bancone, oltre la porta delle cucine. Dean osservò in quella direzione per una manciata di secondi, poi si girò verso il fratello che lo guardava come in attesa di una spiegazione, a braccia incrociate.

- Un ragazzino appassionato di auto d’epoca. Dove si trova al giorno d’oggi? - Disse il maggiore per spiegarsi, Sam ridacchiò e si limitò a scuotere la testa senza aggiungere altro. Finirono di bere la loro birra e poi pagarono il conto. Dean non si risparmiò di lasciare una mancia a Jack prima di uscire. Gabe li guardava dalla sua postazione con un mezzo sorriso grato e incredulo. Era contento forse, di questa strana sintonia fra i due.

Arrivati a casa quella sera dopo il lavoro, Sam si chiuse in camera per parlare al telefono con Jessica. Dean già sapeva che ne avrebbero avuto per molto, anche perché Sam si era portato la cena in camera e aveva chiuso a chiave la porta. E pensare che non molto tempo prima si chiudeva in quella stanza per affrontare il lutto di suo padre. Dean era felice che lo facesse invece per qualcosa che lo faceva stare bene.

Mangiò da solo in cucina, poi Bobby venne a trovarlo per bere una birra con lui.

- Questa Jessica, la conosci? - Gli chiese mentre si sistemava il cappellino sulla testa.

- Non molto, l’ho conosciuta a una festa ma sembra una brava ragazza, e Sam è felice. -

- Per questo te lo chiedo. Deve essere un angelo sceso in Terra per averlo cambiato così. - Dean ridacchiò mentre teneva la bottiglia contro le labbra, poi si concesse un lungo sorso. - Però tienilo d’occhio lo stesso. -

- Bobby, Sam è grande e vaccinato. -

- Per me restate i mocciosi di sempre. - Disse il più anziano, poggiando la bottiglia vuota sul tavolo, poi si alzò e prese la giacca per infilarsela. Si era fatto tardi in effetti e per lui era giunta l’ora di andare. Dean aveva gradito la sua presenza, chiacchierare un po’ con lui, e avrebbe voluto restasse ancora, ma non disse nulla e si limitò ad alzarsi a sua volta per accompagnarlo alla porta. - Salutami il ragazzo allora, io vado a letto. - Dean annuì e lo accompagnò all’ingresso, la bottiglia quasi vuota fra le mani. Bobby aprì la porta, ma prima di uscire si girò a guardarlo confuso. - Devi dirmi qualcosa, Dean? - Il biondo corrugò la fronte stranito.

- Che vuoi dire? -

- Non so, sembri diverso anche tu. - Dean deglutì, ma poi cercò di nascondere il tutto con un’alzata di spalle. Bobby sospirò e roteò lo sguardo.

- Buonanotte ragazzo. - Se ne andò senza dire altro, e Dean si poggiò alla porta con le spalle dopo averla chiusa. Perfino Bobby lo aveva notato. Come poteva una cosa del genere essere così evidente? Sam lo aveva capito dal fatto che non guardasse più le altre ragazze come una volta, ma Bobby? Di cosa si era accorto?

Andò a dormire con questo pensiero, che per un momento non gli fece prendere sonno, ma proprio mentre stava per rinunciarci si ritrovò in piedi sul terriccio umido del laghetto, e sorpresa delle sorprese, era buio. Il cielo era quasi nero, ricoperto da una miriade di stelle. La luna era solo un piccolo spicchio nascosto fra gli alberi.

Castiel lo affiancava con le mani infilate nelle tasche del trench, e lo sguardo rivolto in alto. Sapeva cosa volesse dire il buio in quel luogo, ma non gli chiese nulla a riguardo, e quando Dean incrociò il suo sguardo poté notare i suoi occhi brillare, come ogni volta che Dean veniva a fargli compagnia.

- Facciamo due passi? - Gli chiese Castiel, e lui annuì. Cominciarono a camminare fianco a fianco, a una distanza che a Dean diede abbastanza fastidio. Nemmeno si sfioravano, sembravano distanti.

- Ti sembro cambiato, Cas? - L’uomo lo guardò confuso, poi però si fece sfuggire un mezzo sorriso e continuò a camminare, guardandosi la punta dei piedi.

- Forse. - Dean sbuffò e distolse lo sguardo spazientito.

- Bobby e Sam credono che io sia cambiato. -

- Tu credi di essere cambiato? - Dean rimase in silenzio ad analizzare quelle parole. Non aveva creduto di essere diverso finché non glielo avevano fatto notare, perché era successo senza che lui se ne fosse accorto, probabilmente. Gradualmente i suoi modi di fare erano sembrati diversi dal solito, a volte, si era detto, poteva essere stato solo un caso, e invece a quanto sembrava stava cambiando davvero qualcosa in lui. Perfino la notte in quel posto lo dimostrava.

- Non lo so. -

- Una cosa è certa, non vuoi prendermi più a pugni come i primi giorni. - Dean sollevò un sopracciglio e gli rivolse uno sguardo furbo.

- E tu che ne sai? - Castiel ridacchiò a bassa voce e scosse appena la testa. Poi cadde il silenzio e il rumore che lo riempiva erano solo i passi sul terreno e il respiro dei due. Dean si ritrovò a pensare alle parole di Sam, sul fatto che si fosse buttato e basta con Jessica. Quando osservò Castiel si sentì rabbrividire, perché nessuno era più insicuro di Dean in quel momento. Gli si avvicinò, fece diminuire le distanze e i loro gomiti si sfiorarono mentre continuavano a camminare. - Ti posso fare una domanda un po’ personale? - Castiel non si scostò e annuì. - Ti è mai capitato di provare qualcosa di… forte per qualcuno? - Gli occhi azzurri dell’amico lo scrutarono in silenzio senza però rispondergli. - Nel senso… so che tutti possono provare dei sentimenti, ovviamente. Ma mi chiedevo se… hai mai sentito nel profondo che quella volta era diverso. -

- Diverso come? -

- Diverso come se sentissi che tutte le sensazioni provate in passato per altre persone a confronto siano state… cose da niente, e che invece per quella persona senti un legame che rende quel sentimento qualcosa di reale, di concreto. - Dean smise di camminare, e quando Castiel si accorse di questo si fermò poco più avanti, voltandosi totalmente verso di lui. - È come guardare altre persone che di solito hai trovato belle da togliere il fiato e invece ora le trovi solo… carine. È come se fosse il centro del tuo universo, come se tu in fondo sapessi che non ci sarebbe nessun altro come questa persona, la sensazione che potrebbe essere l’unica per cui potresti provare qualcosa del genere. - Era più facile, pensò Dean, parlare di quello che stava provando in quel modo, senza intervenire in prima persona, senza dire che era proprio lui il “problema”. - L’hai mai provato? - Castiel rimase per un attimo in silenzio. Lo guardò senza alcuna espressione precisa in volto. Era serio, forse un po’ confuso da quella conversazione, ma letteralmente non esprimeva altro che serietà.

- L’ho provato, sì. -

- E come l’hai affrontato? - Castiel guardò per un momento verso il basso, di nuovo verso la punta delle proprie scarpe.

- Non l’ho fatto. - Gli rispose semplicemente, lasciando Dean quasi di stucco.

- Perché? - L’altro gli sorrise, un leggero sorriso triste che fece rabbrividire il biondo.

- Perché non poteva funzionare. - Castiel non aggiunse altro e cominciò a camminare, lasciando indietro Dean, che lo stava guardando con curiosità. Chi poteva mai essere la persona per cui si era sentito così? E soprattutto… come poteva essere possibile? Lui era nella sua testa da sempre.

- Come puoi aver provato qualcosa del genere per qualcuno se sei sempre stato qui? - Castiel smise di camminare e rimase immobile per un po’, prima di girarsi con la testa verso di lui e lasciarsi andare a un secondo sorriso triste.

- Appunto. - Dean sentì le gambe molli e le braccia tremare. Mentre lo guardava riprendere il cammino si rese conto. Solo in quel momento riuscì a collegare ogni filo e dare un nesso logico alle sue parole. Quella persona era lui. Stava parlando di Dean.

Lo raggiunse a grandi falcate, chiedendosi perché Castiel pensasse che tutto quello non avrebbe funzionato, poi gli afferrò la mano quando fu abbastanza vicino e lo fece girare strattonandogli appena il braccio. Cas sembrò stupito da quell’iniziativa, ma non disse nulla e si limitò a piegare leggermente la testa verso destra.

- Perché non potrebbe funzionare? - Castiel deglutì rumorosamente. I suoi occhi azzurri adesso erano leggermente spalancati perché si era reso conto che Dean aveva capito. Cercò di distogliere lo sguardo ma non ci riuscì.

- Perché non so quanto.. non so se potrò esserci sempre, potrei esserci oggi, ma domani? Potrebbe non avere più bisogno di me e a quel punto io non potrei fare nulla per restare. - Dean scosse la testa con decisione.

- Avrà sempre bisogno di te. -

- Dean… -

- No, sta’ zitto! - La voce si alzò di poco e Castiel sospirò. Dean fu sicuro di vedere scorrere una lacrima sul suo viso e per un momento la cosa lo destabilizzò. Allentò la presa dalla sua mano e osservò per qualche istante il modo in cui le loro dita si intrecciarono subito dopo. - Potremmo provare. -

- Dean, io non so se sarò sempre qui, io non so se… -

- Dimmi che non provi niente e io lascio perdere. - Lo interruppe lui, ricevendo in cambio solo un’occhiata smarrita. Le sue pupille si soffermavano in più parti del suo viso, era come se lì stesse cercando una risposta adatta, ma alla fine non disse nulla, richiuse la bocca e deglutì ancora rumorosamente, distogliendo lo sguardo verso il lago e la luna che si rifletteva su di esso. Dean fece in modo che quegli occhi si riflettessero nei suoi, portando due dita sotto al suo mento. Solo quando vide i suoi occhi brillare capì la sua tacita risposta. Quelli non erano gli occhi di qualcuno che non provava nulla.

Fu un gesto del tutto istintivo quando gli si avvicinò completamente fino ad azzerare le distanze. Quelle labbra che tante volte aveva osservato di nascosto erano sulle sue, immobili, mentre Dean cercava di trasformare quel semplice contatto in qualcosa di più intenso. Castiel sembrò titubante in un primo momento, aveva addirittura gli occhi spalancati dalla sorpresa e rimase impietrito, ma quando le mani di Dean furono sulle sue guance come se stessero tenendo e accarezzando la cosa più preziosa al mondo, Castiel si sciolse come un ghiacciolo sotto il solo cocente. Si lasciò andare del tutto e schiuse le labbra su quelle di Dean, lasciò che l’altro ne approfittasse per intrufolare la lingua e trasformare quel semplice sfiorarsi di labbra in un vero e proprio bacio passionale, in cui il suono delle loro bocche che si cercavano era l’unico presente nell’aria. Il vento non esisteva, il rumore dell’acqua del lago, nemmeno il luogo attorno a loro esisteva ormai. C’erano solo loro due. Dean percepiva solo le mani di Castiel che si aggrappavano alla sua camicia all’altezza dei fianchi e la sua lingua che con dolcezza giocava con quella dell’altro. Prima di allora non aveva mai provato niente del genere nel baciare qualcun altro.

Si staccarono con un leggero schiocco e automaticamente le loro fronti si toccarono, mentre il loro respiro pesante accarezzava il viso dell’altro. Ci fu silenzio, ma solo per poco, perché poi Castiel lo guardò di nuovo negli occhi senza sapere cosa dire.

- Voglio godermelo finché dura, Cas. - Gli disse in sussurro. L’altro lo guardò, ancora in balia di ciò che era appena successo, ma dopo un attimo di titubanza, finalmente annuì e accennò un leggero sorriso, ma stavolta non era triste.

Nel frattempo il sole fece capolino oltre gli alberi.


Note autrice:

PAAAAMPAPAAAMPAAAAAM
Era una musichetta gloriosa, se non si fosse capito, ma comunque...
Ma insomma, questa cosa da quanto la aspettavamo?
E sapete la bella notizia adesso? Ne succederanno di cotte e di crude, gente MUHUHAHAHAHA
Non uccidetemi, è così che va la vita, tra alti e bassi. E la storia è angst per un motivo.
Che ne dite comunque? Vi è piaciuta quella particolare scena?
Cosa pensate potrebbe succedere?
Vi do un bacione e alla prossima!

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Capitolo 9
*** Tre cose prima di tutto ***


Tre cose prima di tutto

Se Dean non aveva fatto caso al suo cambiamento, ora che girava canticchiando per l’officina, lo aveva notato eccome, soprattutto dagli sguardi furtivi di Bobby, che continuava a borbottare a bassa voce per non farsi sentire, probabilmente per chiedersi che diavolo fosse successo a Dean Winchester nell’ultimo periodo.

Perfino Sam era sempre più stranito, soprattutto quando lo vide fischiettare mentre preparava la colazione, improvvisando qualche mossa di ballo ogni tanto e incitando il fratello a fare lo stesso. Sam aveva scosso la testa. “Non ci penso nemmeno a ballare con te, Dean.”, aveva risposto con una faccia divertita e stupita allo stesso tempo.

Ma Dean non poteva farci niente, era così naturale essere felici dopo la notte appena passata con Castiel. Si era sentito benissimo dopo avergli confessato ciò che provava. Non aveva altro che quel bacio in testa, riusciva a sentire ancora le labbra di quel maledetto uomo sulle sue, le sue mani sui fianchi e quelle sensazioni che non aveva mai provato prima. Erano ancora lì e di scrollarsele di dosso non ne aveva intenzione.

Si era però svegliato senza avere il tempo di salutarlo, e di solito succedeva quando qualcuno veniva a disturbarlo o a svegliarlo bruscamente. Invece quando aveva aperto gli occhi si era reso conto che il sole batteva sulle sue palpebre e gli intimava di alzarsi. Doveva andare al lavoro prima che Bobby iniziasse a bussare insistentemente sulla porta della sua stanza.

Smise di essere su di giri quando in officina a portargli una macchina messa proprio male quel giorno fu proprio Gabriel. La trainava con un furgoncino bianco e sul sedile del passeggero accanto a lui c’era Jack che non faceva che guardarsi curioso intorno. Era immerso in un paradiso di auto d’epoca e in fondo era comprensibile il suo stupore.

Dean aveva guardato quel disastro di auto fin dall’ingresso pensando già “questo casino non lo rimetterà mai a posto nemmeno il buon Dio”. Aveva la parte anteriore completamente schiacciata. I vetri erano andati, mancava addirittura la portiera dal lato del guidatore.

- Porco cane! - Esclamò Bobby mentre era a fianco di Dean ad assistere a quell’ingresso “trionfale”.

Il finestrino del furgoncino si abbassò e Gabriel fece capolino con la testa, un sorriso quasi dispiaciuto sul volto.

- Buongiorno ragazzacci. - Disse mentre scendeva dalla macchina e si avvicinava a un Dean completamente senza parole.

- Come cavolo… - Fece quest’ultimo.

- Oh, quella? - Gabe si girò a guardare verso la macchina distrutta e fece una smorfia di disappunto, prima di portare nuovamente gli occhi su Dean e Bobby. - Non è mia. Era l’auto del padre di Jack. - Il biondo deglutì a quella confessione, poi si ripulì le mani sporche di grasso direttamente sui jeans, fregandosene del fatto che poi Sam si sarebbe lamentato al momento di fare il bucato. Quindi era in quella macchina che i genitori del ragazzino avevano perso la vita. - L’ho lasciata nel loro garage anche dopo l’incidente e non era previsto che ve la portassi… - Gabe continuava a guardarsi intorno, osservando ogni minimo particolare dell’esterno dell’officina. - Jack mi ha chiesto di portarla a Dean-o. – E detto ciò diede a quest’ultimo una pacca sulla spalla, al quale Dean sussultò perché troppo occupato a contare i danni su quella macchina che probabilmente sarebbe stata da rottamare. Nel vedere i visi dei due meccanici così scioccati e senza parole, Gabriel si affrettò a spiegare, lasciandosi andare a un sospiro. - Sentite, so che è praticamente irrecuperabile, ma Jack ci teneva e… non gli ho promesso che l’avreste rimessa a nuovo, gli ho solo detto che avreste visto se c’era qualcosa che potevate fare, e nel caso non fosse possibile potrete anche rottamarla. -

- Ragazzo, verrà a costare un bel po’, sempre se quell’auto abbia ancora speranze. - Disse Bobby dopo aver scosso stupito la testa.

- Ne sono consapevole. Io non sono particolarmente ed economicamente agiato quindi magari prima ne possiamo discutere. - Il sorriso convincente di Gabe fece capolino sulle sue labbra e Bobby si ritrovò a sbuffare rassegnato. Di certo non era uno che non accettava le sfide, e Dean lo ammirava molto anche per questo. Ce la metteva tutta finché non raggiungeva un preciso obiettivo. In delle piccole cose Bobby poteva essere un gran maestro di vita.

- Va bene, diamo un’occhiata a questo rottame. - E detto ciò, Bobby lo prese da parte per discutere e osservare da vicino i danni.

Anche Dean non si perse d’animo ad avvicinarsi e osservare da sé, e da ciò che vedeva doveva essere stato un incidente proprio violento. Il solo pensiero lo fece deglutire. I suoi genitori non erano morti allo stesso modo, ma non credeva avrebbe retto nel vederli ridotti come immaginava i genitori di Jack ne fossero usciti da lì.

Si avvicinò al furgoncino, proprio dal lato del passeggero dove Jack stava guardando un punto fisso davanti a sé, ma quando si accorse che Dean si stava avvicinando non esitò ad abbassare il finestrino e salutarlo bambinescamente con un cenno della mano e un sorriso stampato sul volto. Lo ammirava, sembrava sempre a suo agio nonostante tutto.

- Niente lavoro oggi? - Chiese Dean, appoggiandosi con le braccia alla portiera.

- Ci andiamo dopo, siamo passati solo per la macchina. - Jack indicò l’auto con il pollice. Poi ci fu silenzio e Dean si soffermò a guardare gli interni di quel furgone. Il portaoggetti era aperto, dentro vi erano documenti, riviste, giornali, penne e talmente tante di quelle cose che Jack faticò a richiuderlo, prima o poi sarebbe esploso. Appesi allo specchietto c’erano un ciondolo con un crocifisso e un portachiavi con un piccolo peluche che rappresentava un angelo. Non aveva mai immaginato che Gabe potesse essere religioso, almeno non così tanto da girare con un crocifisso appeso allo specchietto.

- Perché vuoi farla riparare? Non ti farebbe risvegliare dei brutti ricordi? - Jack lo guardò in silenzio per un momento, poi cominciò a torturarsi le dita e sospirò.

- L’Impala potrebbe farti risvegliare dei brutti ricordi riguardo ai tuoi, eppure la tieni lo stesso. - Si limitò a rispondere, facendo annuire Dean. Non aveva tutti i torti. Molte volte stando seduto al volante provava come una specie di morsa al petto, perché li rivedeva che percorrevano l’America su quei sedili. Un ricordo vivido che aveva Dean era sicuramente quando John aveva portato Mary di corsa in ospedale e il piccolo Dean era seduto sui sedili posteriori. La madre cercava di respirare profondamente perché Sammy voleva venire al mondo proprio quella notte. Era spaventato nel vederla così sofferente, e mai si dimenticò il preciso momento in cui con dolcezza lei si era voltata verso i sedili posteriori e, col sudore sulla fronte e il viso rosso, gli aveva sussurrato “Va tutto bene, tesoro, il fratellino sta arrivando”.

Fu l’ultima volta che l’aveva vista sveglia, e furono le ultime parole che lei gli disse.

Nonostante quei brutti ricordi, però, quando Dean guidava l’Impala si sentiva vicino a loro, e poteva valere lo stesso anche per Jack.

- Vedrò cosa posso fare, va bene? - Jack annuì, un triste sorriso sulle labbra e un pizzico di gratitudine nei suoi occhi.

Poco dopo il trillo di un cellulare li distrasse. Non l’aveva notato ma sul sedile del guidatore c’era un cellulare, probabilmente di Gabriel. Sullo schermo era comparso il nome “Meg”.

- Scusa un secondo. - Disse Jack, poco prima di afferrare il cellulare e rispondere come se fosse il suo. - Meg? Sono Jack. - Dean si era allontanato di qualche passo per dargli almeno quel po’ di privacy che era giusto che avesse durante una telefonata, ma cercò comunque di udire la voce dall’altro capo del telefono. Fu tutto invano, era incomprensibile a quella distanza. - Sì, Gabe è con me. - La faccia di Jack divenne confusa, poi quasi preoccupata. - Aspetta, lo chiamo. - Fece sporgere la testa dal finestrino quel tanto che bastava per farsi notare, poi chiamò l’altro a gran voce, che però sembrava non molto interessato alle sue urla dato che stava parlando con Bobby. - Gabe! - Dean vide il diretto interessato roteare gli occhi infastidito.

- Jackie, sto parlando, non vedi? - Jack si limitò a mostrargli il cellulare. - Chiunque sia, sono occupato. - Jack sospirò.

- È Meg. - Bastò quello per far rizzare le orecchie a Gabriel. La sua espressione infastidita si trasformò in una seria e composta. Senza dire altro si avvicinò e strappò quasi letteralmente il telefono dalle mani del ragazzo, poi si allontanò e la conversazione al telefono fu del tutto inascoltabile.

Peccato, si disse Dean… la situazione stava diventando interessante.

Bobby affiancò Dean e si asciugò il sudore da sotto il cappellino da baseball prima di rivolgersi a lui.

- Mi sa che abbiamo un bel lavoraccio da fare, ragazzo. - E con quelle parole Dean capì che Bobby aveva accettato di prendersi cura di quell’auto malandata, e magari ridarle una vita. - Dovrò andare in giro per tutto il Paese per trovare tutti i dannatissimi pezzi di ricambio. - Borbottò poi l’uomo.

Non passò molto prima che Gabe tornasse indietro, infilandosi di fretta il telefono in tasca e precipitandosi dentro il furgoncino.

- Devo andare a casa, Jackie. Ti accompagno alla tavola calda, va bene? - Jack parve spaventato dalla serietà di Gabriel, ma quest’ultimo lo incoraggiò con un mezzo sorriso e un cenno di assenso con la testa. A quel punto Jack parve stare meglio. In quel momento non c’era nessuno più confuso di Dean. Bobby al contrario sembrava del tutto estraneo alla cosa, continuava a guardare l’auto distrutta e a lamentarsi su quanto tempo ci sarebbe voluto per rimetterla in sesto.

Gabe e Jack se ne andarono subito dopo, lasciando loro l’auto con tutto il rimorchio. L’indomani Dean avrebbe provato a lavorarci anche solo per un po’, così da capire da dove cominciare.

A pranzo con Sam alla tavola calda, i due si accorsero che Gabriel non c’era e che Jack continuava a guardare il cellulare e l’orologio appeso accanto alla cassa. Era abbastanza distratto, tanto che si era confuso e aveva portato al loro tavolo dei piatti che avevano richiesto altre persone. Si era scusato mortificato e poi aveva applicato uno sconto per rimediare.

Dean non sapeva cosa diamine stesse succedendo ma sperò non fosse nulla di grave.

- Ti sta a cuore quel ragazzo, mh? - Gli disse Sam quella sera mentre lavavano i piatti in cucina. Dean fece spallucce ma non rispose. - Come mai? A te i ragazzini neanche piacciono, li trovi insopportabili. -

- Beh, non faccio di tutta l’erba un fascio. - Sam sciacquò per bene un bicchiere di vetro e lo mise a far gocciolare sul bancone. Dean stava insaponando due posate alla volta e le passava al fratello senza mai distogliere lo sguardo dal getto di acqua calda.

- Sicuro che sia solo questo? - Dean sospirò, poi si occupò di un piatto, imprecando per i residui di cibo che non ne volevano sapere di staccarsi.

- Mi ricorda qualcuno che conosco probabilmente. - Sam lasciò andare le posate sul bancone con fare annoiato, poi si girò completamente verso il fratello maggiore.

- Dean, ma che ti sta succedendo? Karen ti ricordava qualcuno, adesso anche Jack. Chi è questo qualcuno? - Dean smise all’improvviso di fare quello che stava facendo, le mani erano ancora ricoperte di sapone per i piatti e per un momento nel riflesso di un bicchiere di vetro vide il viso di Castiel.

Sam non sapeva nulla di lui, nemmeno un piccolo dettaglio di quella sua situazione assurda. Prima o poi avrebbe sospettato qualcosa, questo non lo metteva in dubbio, il problema era cosa dirgli, perché non aveva idea di cosa inventarsi. La verità o una balla? No, non voleva di certo mentire a Sammy, non dopo lo sforzo che stava facendo per tirarsi fuori da quella situazione che era la perdita del padre, o il dover sfogarsi con Dean.

Il maggiore si lasciò andare a un sospiro.

- È una situazione molto… strana. Non mi crederesti. -

- Tu prova a dirmelo. - Sam lo guardò dritto negli occhi e Dean si sentì scrutato fino in fondo. Gli stava rivolgendo uno sguardo ricco di tenerezza fraterna e di incoraggiamento, a cui il maggiore non riuscì a resistere.

- Te lo dirò. A suo tempo. - Sam lo rimproverò in silenzio, poi però annuì, deglutendo rumorosamente. Stava cercando di mandare giù quel suo silenzio su quel determinato argomento, ma allo stesso tempo lo capiva, perché come lui anche Sam si stava prendendo i suoi tempi.

Quella notte, al lago, Dean era comparso accanto a Castiel sul ponte di legno, con le gambe a penzoloni verso l’acqua. Il moro sussultò perché non lo aveva sentito arrivare.

Rimasero a chiacchierare per un po’, Dean gli raccontò di Jack per la prima volta, e di come quel ragazzo stesse soffrendo come lui, di come si rivedesse in quel diciottenne che stava cercando di sopravvivere a una perdita come quella. Castiel stette semplicemente in silenzio perché amava sentire parlare Dean, il suono della sua voce era tutto ciò che aspettava ogni volta.

L’unica cosa che un po’ destabilizzava Dean era che non avessero fatto riferimento alla notte prima e a quel bacio, che sembravano tornati i compagni di bevuta di sempre. Certo, non era un ragazzino che si aspettava di poter vivere di effusioni, ma la totale assenza di ciò che avevano da poco scoperto di provare lo stava mandando in confusione.

Quando si voltò verso l’orizzonte si rese conto che il sole stava tramontando. Era la prima volta che succedeva. Era stata notte, ma mai aveva visto il sole calare in quel posto, e perfino Castiel ne parve sorpreso.

- E questo che vorrebbe dire? - Chiese Dean. Castiel si limitò a fare spallucce, ma poco dopo la sua testa si poggiò contro la spalla dell’altro, e quando Dean girò la testa verso di lui, si ritrovò a sfiorare i suoi capelli con le labbra e la punta del naso.

- Faremmo davvero notte se dovessimo analizzare le metafore di un tramonto. - Ridacchiò il moro. - Forse lo volevi e basta. - E Dean capì, perché aveva visto una certa distanza fra di loro, ma non appena il sole aveva iniziato a calare, dipingendo il cielo di mille sfumature aranciate e rossastre, Castiel aveva sottolineato quella che era la loro nuova situazione, quella più intima, poggiando il capo contro la sua spalla. Ed era proprio ciò che Dean voleva accadesse.

- Sì, forse hai ragione. - Disse infatti, portando un braccio attorno a lui, stringendolo poi contro di sé. - Sam vuole sapere cosa mi sta succedendo. - Cominciò poi, tenendo il naso immerso fra i capelli scuri di Castiel. Li sentiva solleticargli la pelle, e percepiva perfino il profumo di muschio bianco alle narici. - Gli ho detto che col tempo glielo dirò. - Castiel sollevò la testa e si girò a guardarlo.

- Vuoi parlargli di me? -

- No… e sì. - Dean deglutì. Non sapeva proprio come comportarsi riguardo a quello. Sapeva per certo che suo fratello lo avrebbe preso per un pazzo, ma allo stesso tempo non poteva nascondergli un sentimento come quello. - Glielo devo, è mio fratello. Ma non mi crederà, lo so. E di certo non lo biasimerei. - Una mano di Castiel si intrufolò dolcemente fra i capelli di Dean, proprio sulla nuca, dove iniziò a carezzargli dolcemente la cute. Sentiva le sue dita stuzzicargli deliziosamente il cuoio capelluto, e le unghie fare altrettanto. Normalmente avrebbe dato di matto, detestava gli toccassero i capelli, ma le dita di Castiel erano rilassanti e avrebbe voluto non smettesse mai. - È tutta colpa tua. - il cipiglio confuso che Dean si aspettava comparì sul viso dell’altro.

- Mia? -

- Sì, tua. -

- Perché? -

- Perché è a causa tua se quando sono sveglio mi sento un ebete. - Mormorò il biondo, perdendosi per un momento a osservare la sua espressione ancora confusa. - Potrei trattenere ogni emozione, ma quando penso a te non ci riesco. Se non fosse per te riuscirei a nascondere tutto e a non destare sospetti. Ma poi mi ritrovo a sorridere come un demente quando mi vengono in mente i tuoi occhi. - Castiel abbandonò del tutto quell’espressione confusa, facendo spazio a un leggero sorriso, che si limitava solo all’angolo delle labbra, ma che esprimevano un accenno di tenerezza infinita per quella confessione che voleva essere celata in un’accusa. - O la tua stupida espressione confusa, o il tuo stramaledetto sorriso. - Dean cercò di sembrare infastidito, ma più guardava Castiel più la sua voce si addolciva. A fingere di essere arrabbiato non ci riusciva proprio.

- Dean… -

- Ed è snervante anche che tu riesca a farmi rimbecillire con un bacio. Mettiti nei panni di Sam, mi ha visto canticchiare e fischiettare senza un motivo preciso, per non parlare di Bobby che… - Smise di parlare, ma non per sua volontà. Castiel gli aveva messo la mano sulla bocca per zittirlo e ora Dean lo guardava confuso, restando in silenzio perfino quando quella mano si spostò fino a prendere quella di Dean.

- Fai schifo nelle dichiarazioni. - Gli disse, facendolo ridacchiare di gusto mentre faceva intrecciare le dita a quelle dell’altro. Il moro guardò quelle mani strette fra di loro e si mordicchiò il labbro inferiore per un momento, con quel mezzo sorriso a increspargli ancora le labbra. Dean non riusciva a staccare gli occhi da quella bocca neanche per un momento.

- Lo so, ma dovevo dirtelo, brutto figlio di putt… - Non poteva esistere modo migliore di zittire qualcuno, pensò mentre si ritrovava le labbra di Castiel sulle proprie. Era stato un attimo, non aveva avuto neanche il tempo di pensare. Le aveva bramate per tutta la sera e ora erano sulle sue, anche se per poco. Sì, perché con grande dispiacere di Dean, Cas si era staccato abbastanza presto per guardarlo negli occhi e rivolgergli un sorriso dolce. Ma lo aveva fatto con una dolcezza infinita, quell’adorabile schiocco lo aveva fatto tremare.

- Dovevo evitare che peggiorassi le cose. - Gli disse ridacchiando il moro dopo un momento di esitazione, contagiando anche Dean che aveva scosso la testa rassegnato. Per un momento non aveva saputo cosa dirgli.

- Io credo di volerle peggiorare invece. - Fece per avvicinarsi, voleva ancora quel contatto, e lo voleva per tutta la notte, finché non si sarebbe svegliato, ma invece di assecondarlo Castiel arretrò con la testa per non permettere alle loro labbra di sfiorarsi. - Che c’è? - Gli chiese infatti l’altro, infastidito da quel comportamento schivo.

- Tre cose prima di tutto. -

- E sarebbero? -

- La prima: quello che hai detto… è stato dolce. - Mormorò Castiel, e per un momento sembrò addirittura imbarazzato, tanto che Dean non riuscì a trattenere un sorriso intenerito. - La seconda: tu non puoi saperlo, non mi vedi quando sei sveglio ma… nemmeno io riesco a fare a meno di pensare a te e a quello che mi fai e mi provochi. Ogni cosa di te mi rende felice. E per un’anima costantemente sola e infelice in questo posto puoi immaginare quanto significhi, no? - Dean si leccò per un momento le labbra. Al posto suo sarebbe impazzito di sicuro. Certo, ognuno aveva bisogno dei suoi momenti di solitudine, ma Castiel era sempre stato lì, da solo e triste. Se la causa di quel sorriso era proprio Dean, lui non poteva che esserne al settimo cielo, perché quel sorriso lo sognava perfino a occhi aperti.

- E la terza? -

- L’atmosfera è perfetta e non hai bisogno di scuse se vuoi baciarmi. - Un punto per Dean Winchester, pensò mentre si complimentava da solo per aver immaginato così perfettamente quel tramonto suggestivo e forse anche romantico, e tutto solo per impressionarlo.

Un momento prima lo stava guardando negli occhi e stava cercando di capire come quelle sfumature azzurre fossero impressionanti mischiate al colore dell’atmosfera circostante, ma un momento dopo aveva adagiato con delicatezza le labbra su quelle piene di Castiel. Dentro di sé fu come una serie di fuochi d’artificio scoppiati tutti nello stesso momento, e ogni piccolo scoppiettio andava a ritmo dei battiti veloci e incessanti del suo cuore. Castiel fece scendere la mano che aveva poggiato sulla nuca di Dean fino al centro della sua schiena, proprio in mezzo alle sue scapole, con l’unico scopo di tenerlo il più possibile vicino a sé.

Quelle bocche si cercavano affamate e insistenti. I respiri erano pesanti, affannati, e il rumore dei piccoli e delicati schiocchi delle loro labbra contribuivano solo a farli rabbrividire prepotentemente. Dean non ci pensò due volte, afferrò quella dannata cravatta blu e lo spinse letteralmente sopra di sé, a cavalcioni sulle sue gambe, e Castiel non esitò ad afferrare il viso del biondo fra entrambe le mani e ad approfondire quel bacio il più possibile, esplorando la sua bocca con la lingua e lasciando che l’altro lo circondasse con le braccia e lo stringesse forte contro il proprio corpo.

Si staccarono affannati e ridacchiando a voce bassa prima che le loro fronti si toccassero.

- Vorrei tanto che tu non debba svegliarti. - Sussurrò Castiel mentre faceva scivolare le mani sul suo collo. Dean non disse nulla, si limitò a chiudere gli occhi e a godersi quel momento finché il sole che entrava dalla finestra non lo destò da quel sogno paradisiaco.


Note autrice:
Ebbene, questo era più che altro un capitolo di passaggio dove mi piace seminare indizi e dubbi.
Come sono Crudelia. No ok, non fateci caso.
Il prossimo capitolo sarà... eeeeh come sarà, sapeste! Vi dico solo che è già mezzo pronto e non vedo l'ora di finirlo, perciò lo avrete presto. È che succedono così tante cose che non vedo l'ora di postare, quindi passo la vita a scrivere in pratica. E vabbè dai.
Altro argomento, sono in lutto per la comunicazione che hanno dato i J2M. Io non so come vivrò ancora la mia vita senza Supernatural, quindi buttarmi a scrivere è come diciamo... un antidoto, ecco.
Spero vi piaccia questo capitolo, ma ci vediamo presto per il prossimo.
Bacioni e grazie di cuore a tutti!

PS: ma non è bellissima la gif che ho trovato?

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Capitolo 10
*** La pioggia ***


La pioggia

Il tempo passò inesorabilmente. Sam continuava a fare piccoli passi per aprirsi con il fratello maggiore e lui faceva altrettanto. Veniva tutti i giorni al cimitero con lui, poi chiedeva di stare solo per almeno cinque minuti, così Dean si allontanava e lo osservava da lontano, alcune volte lo vedeva piangere.

Una sera a cena avevano preso una birra e avevano iniziato a parlare del passato con papà, senza fare riferimento alla sua dipartita, avevano solo ricordato i momenti belli e Sam non aveva obiettato come faceva di solito, avevano perfino riso insieme per degli aneddoti divertenti.

Un’altra volta, invece, alla tavola calda Sam gli aveva chiesto di parlare della mamma, di raccontargli com’era. Lui non aveva esitato e gliene aveva parlato, dicendogli tutto ciò che gli occhi di un piccolo Dean si ricordava e aggiungendo le storie del padre sulla donna meravigliosa che era Mary. Sam aveva ascoltato senza fiatare, con un piccolo sorriso triste sulle labbra.

Una mattina, mentre Dean lo accompagnava a lavoro, Sam gli aveva raccontato che si portava dietro un peso enorme e che non riusciva ad accettare di essere la causa della morte della madre. Dean aveva accostato con la macchina e lo aveva abbracciato stretto, Sam dopo tanto tempo si era lasciato andare alle braccia del fratello, stringendosi a lui come se quello servisse a farlo continuare a respirare. “Non è mai stata colpa tua”, gli aveva detto il maggiore con voce carezzevole, e l’altro aveva pianto in silenzio.

Dean invece gli aveva accennato qualcosa, anche per lui valeva la regola dei piccoli passi. Aveva detto a suo fratello che c’era qualcuno per cui aveva perso la testa, che provava dei sentimenti forti per una persona. Sam aveva indagato con delle domande, come “Oh, e chi sarebbe?”, oppure “Dove l’hai conosciuta?”, e “Da quanto tempo va avanti?”, ma Dean non aveva mai risposto, e il minore si chiedeva cosa ci fosse di così strano in quella situazione. Se Dean si era preso una cotta per qualcuno perché tutti quei segreti? Ma un giorno gli disse che la persona in questione era un uomo e Sam lo aveva guardato stupito per una manciata di secondi. Aveva sospettato ci fosse qualcuno di importante per Dean, dato che non guardava più le altre come una volta, ma scoprire che era un uomo era stato destabilizzante. Lo accettò, non c’era nulla di male, ma immaginò che quei segreti fossero dovuti proprio a quello, perché Dean stava riscoprendo se stesso, quando invece in ballo c’era molto altro. Non gli disse mai che era solo nella sua testa.

Infine, i sogni continuavano a esserci, sempre intensi e sempre con quello che ormai lui definiva “il suo Castiel”. Erano felici, e inevitabilmente innamorati, più passava il tempo e più se ne rendevano conto entrambi. Passavano dei momenti indimenticabili, a volte parlando della giornata di Dean, altre restando semplicemente in silenzio, stretti l’uno all’altro, altre invece a scambiarsi quelle effusioni da carie che solitamente avrebbero fatto storcere il naso a Dean. Poi cantava per lui alcune volte, e Castiel restava in silenzio ad ascoltare la sua voce che lo cullava.

- Sei inguardabile. - Gli disse Castiel ridendo, una di quelle notti. Gli aveva dato il suo trench e ora Dean lo stava indossando, fingendo una sfilata d’alta moda lungo il ponticello. L’altro se ne stava seduto con le gambe incrociate sul legno scricchiolante, gettando la testa all’indietro dalle risate ogni volta che il biondo faceva una posa da tappeto rosso. - Per l’amor del cielo, toglilo. Non ti dona per niente. - Disse facendo nascere sulle labbra di Dean un finto broncio mentre gli si avvicinava.

- Potrei ritenermi offeso. - Gli si sedette accanto, stirandosi distrattamente il trench con le mani. - Se proprio vuoi saperlo, l’ho sempre detestato addosso a te. Sembri un esattore delle tasse. - Castiel scoppiò a ridere nuovamente e lo spinse leggermente con una mano.

- Non mi sembra ti faccia questo effetto quando mi afferri per il colletto per baciarmi. - Gli disse in risposta, sollevando furbamente le sopracciglia. Dean sorrise, poi quel sorriso si tramutò in una leggera risata.

- Sei un figlio di puttana. - Gli disse mentre Castiel, ridendo, si spostava e si posizionava seduto esattamente davanti a lui. Il tramonto continuava a rendere l’atmosfera più intima, Castiel pensò che Dean lo facesse apposta, capitava sempre più spesso che il biondo immaginasse quel cielo aranciato con tutte le sue sfumature, e a lui non dispiaceva affatto. Non gli aveva mai detto che creava quella situazione appositamente per lui, ma Dean era bravo a dimostrarlo, quel tramonto voleva dire “Eccomi, sono qui con te, nella mia testa… e con te sto bene e sono felice”. Gli bastava eccome.

- Ti piacciono i figli di puttana. -

- Solo uno. - Castiel non poté trattenere un mezzo sorriso mentre le dita di Dean raggiungevano quelle dell’altro per far sì che si intrecciassero. Sollevò lo sguardo verso i suoi occhi e il biondo fece altrettanto. Ogni silenzio tra di loro era così… stranamente appagante. Era riempito da mille parole, tante attenzioni, e a Castiel piaceva. Non lo aveva mai detto a Dean, ma anche lui detestava il silenzio, perché ce n’era troppo quando lui non era lì. Non lo sopportava, ma adorava condividerlo con Dean.

- Mi sarebbe piaciuto conoscere Sam o Bobby, sai? A volte ci penso. - Dean assunse un’espressione mista tra lo stupore e un improvviso senso di inadeguatezza. - Mi sarebbe piaciuto poter far parte della tua vita. -

- Cas. - Gli sollevò il mento con due dita e lo guardò negli occhi che all’improvviso erano diventati lucidi. - Tu fai già parte della mia vita. - Castiel accennò un sorriso triste e quella stessa mano di Dean che reggeva il proprio viso la prese fra le sue e la baciò delicatamente, trattenendola poi contro la pelle della propria guancia.

- Intendevo davvero. - Dean si rabbuiò appena e distolse lo sguardo per un attimo, sospirando. Aveva ragione, chi doveva prendere in giro? Quella storia bellissima era solo nella sua testa, l’amore che provava era nella sua testa, Castiel… lui era solo nella sua testa e il suo inconscio continuava a prenderlo per i fondelli. - Hai mai pensato che forse stiamo sbagliando? - Quella domanda lo colpì dritto al petto come una pugnalata ben assestata.

- Sì. - Non poteva negarlo, ci aveva pensato eccome. Non poteva di certo andare a dire in giro che aveva un… “fidanzato immaginario”, anche se così ancora non lo aveva mai definito. - Ci penso sempre. - Mormorò, lasciando che Castiel continuasse a tenere la propria mano premuta sulla sua guancia. - Ma non riesco a rinunciare a te. È una pazzia, lo so, un’assurdità. Ma importa davvero se ci fa stare bene? - Castiel rimase in silenzio, non sapeva cosa dire. Sapeva che se avesse provato ad allontanarlo le cose comunque non sarebbero cambiate, Dean avrebbe continuato a sognarlo, e di certo nemmeno il moro riusciva a rinunciare a lui.

- È sbagliato comunque. -

- Lo so, Cas. - Disse leccandosi subito dopo le labbra. Poi però gli si avvicinò ancora di più e fece sfiorare le labbra con le sue, in un delicato bacio a stampo. Castiel trattenne il fiato perfino quando si staccarono e rimasero con la fronte l’una contro l’altra. - La senti anche tu? Questa sensazione... - Castiel cercò di dire qualcosa, ma quando aprì la bocca non uscì alcun suono. Ogni volta che Dean lo baciava perdeva momentaneamente le capacità verbali. L’altro ne era consapevole e ogni volta sembrava se ne approfittasse. Subito dopo infatti le labbra di Dean furono nuovamente sulle sue per un bacio più intenso, e come ogni volta si sciolse completamente in balia della bocca dell’altro e dei suoi movimenti, aggrappandosi alla sua camicia con il pugno chiuso, cercando un appiglio che lo avrebbe mantenuto almeno un po’ lucido, anche se non era affatto facile. Poco dopo le labbra di Dean cominciarono a scendere, prima percorrendo la linea della mascella, e poi finendo a lasciare piccole scie umide sul suo collo. Castiel non lasciò andare la sua camicia nemmeno quando si fece sfuggire un sospiro più pesante del solito, non appena avvertì addirittura i denti di Dean lambire un lembo della sua pelle ipersensibile. Non poté fare a meno di rabbrividire e di nascondere poi il viso nell’incavo del suo collo. Il fiato del biondo sulla sua pelle lo faceva tremare in visibilio. - Cas… -

- La sento. - Disse lui per interromperlo, riferendosi a quella magnifica sensazione.

- Ci rinunceresti? -

- Mai. - Dean sorrise alla sua risposta e lo stesso fece Castiel poco prima di lasciare la sua camicia, spostare la testa per guardarlo meglio e allungare le braccia per sistemargli il colletto del trench, stirandolo delicatamente con le dita. - Togliti questo trench, però. - Continuò ridacchiando. - Voglio provare la tua giacca, così siamo pari. - Dean non se lo fece ripetere due volte e continuarono a ridere e scherzare finché il biondo non avvertì la sensazione di stare per svegliarsi. A quel punto afferrò la cravatta di Castiel e finalmente per una volta lo salutò come si deve, con un bacio che voleva solo dirgli “ci vediamo domani”.

Sollevò la testa dal cuscino e quando si leccò le labbra assonnato fu sicuro di sentire ancora il sapore di quelle di Castiel.

Quel giorno Sam non era occupato con il lavoro e aveva deciso di andare in officina con lui e Bobby perché voleva assistere di persona e magari dare una mano per la famosa auto del padre di Jack. Lui e Bobby ci stavano mettendo anima e corpo, perfino con l’assistenza di Jack che, come promesso, aveva accettato la proposta di Dean di passare del tempo in officina. Gabe lo accompagnava con il furgoncino bianco ogni volta che alla tavola calda era concesso a Jack un turno libero, e guarda caso l’auto che avevano deciso di rimettere a nuovo era proprio quella che insieme a Gabriel avevano portato quasi un mese prima.

Stavano facendo una pausa quando il cellulare di Dean aveva iniziato a squillare. Jack era seduto accanto a Sam e stavano parlando di film e serie tv. Avevano trovato quel punto in comune già alcuni giorni prima e avevano iniziato a legare molto in quelle settimane. Jack ammirava molto Sam e lo stesso faceva Sam.

- Scusatemi, continuate pure a chiacchierare. - Dean si allontanò e afferrò il cellulare dalla tasca, gli altri non lo avevano quasi per niente sentito, erano troppo impegnati a discutere su quale Batman cinematografico fosse stato il migliore, mentre Bobby sorseggiava una birra in disparte, ascoltandoli come se stessero parlando in chissà quale lingua sconosciuta.

Quando lesse il nome sullo schermo sollevò le sopracciglia sorpreso. Era Gabriel, e fu strano per Dean perché non lo chiamava mai. Si erano scambiati i numeri anni prima per far in modo che Dean potesse ordinare alla tavola calda senza troppi intoppi, ma mai per altro. Certo, erano amici, ma non fino al punto di chiacchierare al telefono per parlare dell’ultima partita di football.

- Pronto? - Mormorò confuso, dopo aver toccato sul touch screen la cornetta verde.

- Ehi Dean-o! Mi spieghi dove diavolo ha il telefono quel ragazzo? Sono ore che provo a chiamare Jackie! - Dean si voltò a guardare il ragazzo, stava ridendo a una battuta di Sam che citava chissà quale delle cose nerd che solo loro conoscevano, poi fece spallucce come se Gabriel potesse vederlo.

- Non ne ho idea, non abbiamo sentito squillare nessun telefono. Probabilmente non c’è campo, capita qui in officina. Devi dirgli qualcosa? - Sentì un sospiro dall’altro capo del telefono, poi un mormorio.

- Sì… no, cioè no. In realtà volevo chiederti un favore. -

- Va bene, dimmi tutto. -

- Ho un contrattempo e non posso passare a prendere Jackie. Ho dovuto lasciare la tavola calda nelle mani di quell’idiota di Balthazar e so già che me ne pentirò amaramente. Non è che potrebbe restare con te finché non sbrigo questa faccenda? In realtà non so quando finirò, potrei dilungarmi fino a tarda sera. - Dean sospirò, ma alla fine decise di accettare. Di certo non poteva tirarsi indietro, soprattutto perché Jack non era male come compagnia, e perché dal suo tono di voce sembrava proprio una cosa seria.

- D’accordo. - Disse infatti, guardando l’auto che insieme stavano cercando di riparare, poi i pezzi di ricambio poggiati sul pavimento poco più in là. Proprio quella mattina avevano consegnato l’ultimo. - Cosa devo dire a Jack? - Ci fu silenzio, un lungo silenzio. Gabe sembrava titubante su cosa dire, ma alla fine si decise a parlare.

- Digli che va tutto bene e che lo chiamo dopo. -

- Va bene, glielo dico. -

- Grazie Dean-o, ti devo un favore. -

- Figurati amico. - Detto ciò, Gabe mise giù e Dean si ritrovò a osservare lo schermo in cui apparve esattamente quanto tempo era rimasto al telefono con lui. 1 minuto e 5 secondi netti.

Tornò indietro e raggiunse il tavolo su cui Jack e Sam erano seduti.

- Chi era? - Gli chiese Sam.

- Era Gabriel. - Jack parve più attento e rizzò le orecchie come un cagnolino al suono del richiamo del padrone. - Ha detto che ha provato a chiamarti. - Jack non disse niente e attese semplicemente che continuasse a parlare, all’improvviso gli era sembrato addirittura nervoso. - Ha un contrattempo e mi ha detto che puoi restare con noi finché non torna. - Ancora nessuna risposta da parte sua, solo uno sguardo smarrito e le dita che stringevano la tazza di tè che Sam gli aveva preparato. - Mi ha detto di dirti che va tutto bene. - Solo a quel punto Jack parve riprendere a respirare, allentò addirittura la presa sulla tazza e si limitò ad annuire con un sorriso forzato.

Sam e Dean si scambiarono uno sguardo confuso.

Restarono in officina fino a sera, ma di Gabriel nessuna traccia, così decisero di portare Jack a casa loro e di aspettare lì un suo probabile arrivo. Cenarono tutti insieme in cucina, poi si piazzarono davanti alla televisione, ma dopo nemmeno mezzora Sam si era già appisolato con la testa piegata verso destra. Jack aveva parlato qualche ora prima al telefono con Gabriel, poi lo aveva tempestato di messaggi, ma comunque continuava a essere nervoso. Dean voleva distrarlo in qualche modo, così decise di far iniziare una conversazione e dargli modo di non pensare a qualunque cosa la sua mente stesse partorendo in quel momento.

- Che tipi erano i tuoi genitori? - Gli chiese curioso. Jack scostò lo sguardo dalla tv e guardò Dean per un momento. Quest’ultimo ebbe il terrore di aver sbagliato domanda, in effetti era stato stupido, voleva distrarlo da quel suo apparente nervosismo riportando a galla il ricordo dei suoi defunti genitori... Stupido, stupido, Dean! Ma poi il leggero sorriso del ragazzo lo fece ricredere.

- Mio padre era un tipo difficile. Un senso dell’umorismo spiccato e tagliente, un individuo sbandato e una vera testa calda. Avevamo un rapporto complicato e lui aveva i suoi problemi. Litigavamo sempre però gli volevo davvero bene. - In questo si rivedeva molto in Jack, era come parlare con una versione più giovane di sé stesso, tranne per il fatto che caratterialmente lui e Dean erano completamente diversi. - Mia madre era la donna più buona e amorevole del mondo. Mio padre diceva sempre che le somigliavo troppo, che avevamo lo stesso modo di fare e di pensare. Non aveva tutti i torti, passavo più tempo con lei. Papà era sempre al lavoro. - Ci fu un momento di silenzio, spezzato da un mugolio di Sam che si poggiava meglio contro il divano per poter continuare il suo pisolino.

- Devono mancarti molto. - Jack si rabbuiò per un momento, poi però sorrise forzatamente e annuì nascondendo di poco il viso nel cuscino che continuava a stringersi al petto fin da quando si era seduto lì.

- Tremendamente. - Per Dean fu naturale portare una mano sulla spalla di Jack per qualche pacca confortante e accennare un sorriso altrettanto incoraggiante.

- Come si chiamavano? - Gli chiese infine, dopo qualche momento di silenzio in cui Dean fu convinto che Jack stesse solo cercando di trattenersi dal non piangere davanti a lui.

- Kelly e Lucifer. - Dean fece per dire qualcosa ma il campanello li fece sobbalzare, perfino Sam ebbe un sussulto che lo fece destare dal sonno. Mugolò di nuovo, stavolta infastidito, poi con una voce assonnata intimò a Dean di “alzare il culo e andare ad aprire”, scatenando una risata divertita a Jack.

- Dev’essere Gabe. - In fondo conosceva benissimo il loro indirizzo, molte volte avevano ordinato da casa e Gabriel stesso portava il sacchetto pieno di manicaretti alla loro porta. Quando Dean si avvicinò all’ingresso poté infatti scorgere dalla finestra il suo inconfondibile furgoncino bianco.

Aprì la porta ed era proprio lui come pensava. Era leggermente sudato, i capelli erano in disordine, ma sul volto aveva il solito cipiglio ironico.

- Ehi, Dean-o! - Lo salutò poco prima di fare un passo avanti per osservare a destra e a sinistra dentro casa. - Allora, dov’è Jackie? - Il diretto interessato comparve accanto a Dean poco dopo con le mani nelle tasche della felpa e un mezzo sorriso insicuro dipinto in faccia. - Ah eccoti qui! - Gli disse dandogli una pacca amichevole sul braccio. - Ora perché non prendi le tue cose e sali nel furgone? Io scambio due chiacchiere con Dean. - Il ragazzino annuì, poi raggiunse nuovamente il divano per raccogliere la sua roba e rimettersi le scarpe, che si era sfilato per stare più comodo. - Scusa l’orario amico, è stata una situazione pesante. -

- Va tutto bene, Gabe? - L’uomo lo guardò confuso per un momento, ma alla fine annuì e sorrise bonariamente.

- Va tutto bene, certo. Una questione urgente ma che si è risolta. - Dean annuì, contento nel sapere che non fosse successo nulla di grave, poi Jack lo affiancò nuovamente e lo salutò con un cenno quasi timido della testa. Mentre percorreva il vialetto verso il furgoncino però continuò a guardare quello che per il momento era diventato il suo punto di riferimento: Gabriel. Si fermò accanto alla portiera e lo aspettò lì. - Oh, quasi dimenticavo! Aspetta qui. - Si allontanò dalla porta e si diresse verso il furgoncino, recuperò qualcosa dal sedile del guidatore, poi tornò in direzione di Dean e gli porse una busta di plastica con sopra il logo colorato della tavola calda. Da lì usciva un odore veramente invitante.

- Che… sarebbe? - Chiese Dean confuso mentre afferrava quel sacchetto.

- Il mio modo per ringraziarti del disturbo, ma sono ancora in debito con te. - Gabe rimase a guardare il viso ancora interdetto dell’amico, poi roteò lo sguardo. - La tua crostata preferita. - A quel punto l’altro sbarrò gli occhi sorpreso e Gabriel fu convinto di vedere due cuoricini pulsanti al posto delle pupille del biondo.

- Potrei sposarti per questo. - Il cameriere ridacchiò, poi fece qualche passo indietro.

- Adesso tolgo il disturbo, salutami Samuel! - Percorse il vialetto proprio nell’esatto momento in cui Dean aveva iniziato a sbirciare nella borsa di plastica, ma poi riprese a parlare a voce più alta mentre raggiungeva Jack. - Non ci sarò al locale per un paio di giorni, quindi fate i bravi tu e tuo fratello. - Lo salutò con un altro cenno della mano e Dean fece altrettanto poco prima di richiudersi la porta alle spalle. Indugiò un attimo davanti alla finestra e vide Gabe che abbracciava con forza Jack, quasi fino a fargli perdere il respiro. Si limitò a ridacchiare e tornò sul divano dove lui e Sam si godettero un pezzo della crostata. Alla fine decisero di andare finalmente a letto, sotto il tepore delle coperte.

Quando però Dean si ridestò al laghetto, dovette stringersi nelle spalle.

- Cazzo! - Esclamò stupito. L’aria era gelida e pioveva. Come diavolo poteva essere possibile? C’era sempre stato il sole, la notte o il tramonto. Per la prima volta in due mesi in quel posto si poteva udire il vento che soffiava forte e lasciava lunghe scie di brividi lungo la schiena, e la pioggia che cadeva e lo inzuppava dalla testa ai piedi. - E questo che vorrebbe dire adesso? - Si chiese fra sé e sé, guardando il cielo come se in effetti qualcuno avesse potuto rispondergli dall’alto. Si guardò intorno più e più volte. Il ponticello era al solito posto, c’era perfino la sedia dove di solito si metteva a pescare e la cassetta piena di bottiglie di birra.

Non appena si rese conto dell’ovvio sentì una forte stretta al petto che gli fece perdere il respiro.

Castiel non c’era.

- Cas! - Lo chiamò a gran voce e si fece avanti attraverso il vento che gli soffiava in faccia prepotente, rendendogli difficile perfino camminare. - Castiel, per l’amor del cielo! - Lo chiamò ancora e quando fu vicino alla riva vide il trench del suo “amico”, bagnato e lasciato lì sul terriccio. Dean si abbassò e lo afferrò. Era freddo e quando lo avvicinò al naso non sentì nemmeno il suo inconfondibile profumo, sembrava fosse rimasto lì da secoli. - No… - Mormorò con voce tremante, perché quella verità gli arrivò dritta addosso come uno schiaffo. Si alzò velocemente tenendo ancora il trench stretto fra le dita. - Non pensare di cavartela così, hai capito? - Urlò guardandosi intorno. - Mi hai sentito, brutto figlio di puttana? - Continuò facendo qualche passo verso il ponticello. Lì intravide un mucchietto di sassolini e nient’altro, proprio accanto alla sedia. - Castiel! - Cercò di camminare ancora ma il vento gli rendeva difficile quell’impresa e rimase immobile. Solo quando abbassò lo sguardo sulla stoffa color sabbia del trench che ancora stringeva fra le mani si rese conto che, mischiate alle gocce di pioggia, sul suo viso c’erano anche le inconfondibili lacrime salate di un pianto. - Ti prego non farmi questo… - Mormorò di nuovo, stavolta con un filo di voce, perché sembrava non avere più la forza di urlare. - Ho ancora bisogno di te, riporta le tue chiappe qui... - E fu stringendo quella stoffa contro il naso che si lasciò andare a un pianto disperato.


Note autrice:

Beh che dire follettini e foll... ok, no, non posso iniziare una nota col trash.
Vi dirò la verità, aveva pronto questo capitolo già da ieri, ma ho pensato sarebbe stato troppo presto per pubblicarlo, quindi ve lo posto oggi.
Per quanto riguarda il capitolo... c'è bisogno che io aggiunga altro? Sentite già l'angst straripare come un fiume in piena? E se vi dicessi che molto altro bolle in pentola? Mi dispiace, le cose tristi mi piacciono.
(Chissà cosa ho innescato nella vostra testolina dopo aver detto questa cosa...)

Comunque, il prossimo capitolo lo avrete abbastanza presto perché è già quasi pronto, quindi posso dirvi di tenervi pronti.
Bbbbene, adesso vi lascio alle vostre recensioni perché mi va di sapere tanti pareri (amo leggere ogni vostra supposizione).
Baci e a moooolto presto!

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Capitolo 11
*** Clarence ***


Clarence

Quando Dean si era svegliato, il cuscino era bagnato di lacrime e Dean aveva un’emicrania che non riusciva nemmeno a fargli capire che cosa stesse succedendo attorno a lui. Era rimasto una manciata di secondi seduto sul letto, poi aveva realizzato e aveva iniziato a stringere i pugni fino a infossare le unghie nel palmo delle mani.

Sicuramente stanotte ci sarà, si era detto per darsi la forza di affrontare quella giornata, e con quella convinzione aveva affrontato il resto della mattina. Sam non si accorse di nulla proprio perché Dean aveva deciso di affrontare quella cosa con filosofia. Ogni tanto aveva bisogno di una pausa anche Castiel, no?

Purtroppo, però, quella notte ci fu ancora quella tempesta e dell’uomo dei suoi sogni non c’era traccia. Il suo trench era lì dove Dean lo aveva poggiato, sulla sedia, sempre zuppo e inodore. Ma perfino quella mattina cercò di affrontare la situazione con il pensiero e l’auto-convinzione che presto sarebbe tornato, finché poi alla seconda settimana aveva cominciato a rassegnarsi. Nei suoi sogni c’era sempre il lago, sempre il suo trench, ma per la prima volta il cielo era solo ricoperto di nuvoloni grigi e il vento era leggero e gelido. Era come se anche quel posto se ne stesse facendo una ragione all’idea di quell’assenza.

E poi c’era silenzio, un silenzio così assordante che Dean aveva dovuto coprirsi le orecchie per riuscire a sopportarlo. Non c’era mattina in cui si svegliasse con la federa del cuscino asciutta. Dopo un po’ si era anche stufato di dormire se la conseguenza era ritrovarsi lì, completamente da solo, quindi passava le notti in bianco a fissare il soffitto. A volte pregava a bassa voce, sussurrava il nome di Castiel e gli intimava di tornare altrimenti, diceva, sarebbe impazzito.

Anche Sam si accorse di quel cambiamento, lo notava dagli occhi gonfi e rossi del fratello maggiore, da tutte le volte che lo sentiva singhiozzare quando passava davanti alla porta della sua camera e dalla sua poca voglia di parlare. Ogni volta che gli chiedeva spiegazioni, Dean gli rispondeva soltanto di lasciarlo in pace, a volte anche bruscamente senza alcun motivo. Era ovvio che il fratello si preoccupasse per lui, in fondo Dean lo capiva.

Bobby gli concedeva più pause del previsto, perché aveva notato che non si applicava minimamente in lavori semplici e che a volte restava immobile a fissare un punto indefinito della carrozzeria dell’auto di Jack.

Quest’ultimo non si era azzardato a chiedere, ma era più gentile nei suoi confronti, sia in officina quando passavano del tempo insieme, sia alla tavola calda quando era il momento di pagare e certe volte Jack si premurava di offrirgli una fetta extra di crostata, seppure ogni volta Dean la lasciasse completamente intera nel piatto.

Perfino Gabe era preoccupato. Serviva da mangiare al loro tavolo ma Dean si limitava a fissare la decorazione del piatto e a giocare con la forchetta con il cibo. Gabriel lo guardava da lontano senza sapere cosa fare. Aveva addirittura provato a parlare con Sam, chiedendogli se magari c’entrasse John Winchester e il pensiero della sua morte. Sam gli rispondeva che non poteva essere possibile, che c’era qualcos’altro ma che non riusciva a capire di cosa si trattasse.

Dean “conobbe” Jessica una sera, quando lui era buttato sul divano con due bottiglie di birra che si stava scolando davanti a un programma demenziale alla tv.

Era arrivata a casa Winchester e la prima cosa che aveva visto dopo aver salutato Sam, era stato suo fratello che con uno sguardo smarrito si girava a controllare chi fosse appena arrivato.

- Ciao! - Aveva detto lei con un sorriso. Dean non aveva risposto, aveva solo fatto un cenno con la testa, poi era tornato a fissare lo schermo della tv. I due credevano che non avrebbe ascoltato, invece Dean rizzò le orecchie e stette attento alle loro parole. - Mi avevi detto che la situazione era grave, ma non immaginavo così. - Sentì il sospiro pesante di Sam.

- Già… non l’ho mai visto in questo stato. - Dean non fece caso a quelle parole, voleva solo che gli altri lo lasciassero in pace. Se doveva riprendersi, voleva gli altri fuori dalle scatole. Sembrava egoista forse, ma non poteva fare a meno di stare in silenzio quando era in compagnia.

- Ehi Dean! - Jessica gli si era seduta accanto, lui nemmeno se n’era accorto. La guardò per un momento. Non era mai stato così tanto vicino a lei, l’aveva solo vista di lontano o di sfuggita a quella famosa festa. Era bellissima, un incanto, una ragazza con cui probabilmente Dean ci avrebbe provato spudoratamente, se non fosse che nella sua testa ci fossero solo due occhi maledettamente blu e una voce profonda che lo facevano rabbrividire. Era per la loro assenza che non riusciva più a essere il Dean di sempre, in fondo. - Non rispondermi se non ti va, ti ho solo portato questo. - Poggiò sul tavolino di fronte a lui una tavoletta di cioccolato fondente. - Lo mangio quando sono giù di morale. - Dean osservò la confezione colorata del cioccolato senza dire una parola. - Sam, va via. - Il minore parve leggermente stupito da quelle parole.

- Cosa? -

- Lasciami da sola con Dean. - Sam fece per dire qualcosa ma alla fine si limitò a sospirare e si allontanò dal salotto per raggiungere la cucina e restare lì in attesa. Dean non capiva ma come al solito non aggiunse una parola. - Tuo fratello mi parla sempre di te. Dice che sei il suo punto di riferimento, la sua roccia. - Jessica aveva un sorriso rassicurante, quasi lo fece sentire meglio, ma fu solo una sensazione di pochi secondi. - Ma tutti hanno i loro momenti no, lo capisco. - Dean bevve un abbondante sorso di birra, poi si asciugò le labbra con il dorso della mano e finalmente riuscì a guardare Jessica negli occhi. Vi leggeva preoccupazione, ma più di tutto una forza incredibile che in una donna vedeva rare volte. - Non sono qui per farti la predica, se è quello che pensi. Voglio solo dirti che… quando vorrai e se vorrai, io e Sam siamo qui per te. È giusto che tu pianga, che tu non voglia parlare. Tutti ci passiamo e sarebbe preoccupante se tu non avessi le tipiche reazioni umane a qualunque cosa ti stia capitando. Ma noi ci siamo, sappi questo. - Gli occhi di lei erano sinceri e per niente pietosi, e per questo capì come mai suo fratello avesse perso la testa per lei. Non riuscì a non rivolgerle un mezzo sorriso. - Mangia il cioccolato, Dean. Va bene? - Lui annuì, Jessica sorrise e si alzò dal divano, sistemandosi la borsa in spalla e stirandosi la gonna del vestito.

- Mi dispiace tu debba conoscermi in questo stato. - Si azzardò a dire Dean, mordicchiandosi il labbro in imbarazzo. Si aspettava di essere spigliato nel momento in cui avrebbe ufficialmente conosciuto la fidanzata di suo fratello, magari a una serata organizzata proprio per quello, e Dean avrebbe offerto la cena senza esitare. Invece lo aveva conosciuto proprio in quello stato, e se ne vergognava.

Jessica parve sorpresa di sentirlo parlare, ma poi scosse la testa con un sorriso dolce.

- A me non dispiace. È bello sapere che non sei solo un ammasso di spavalderia. La sofferenza è il lato più umano di una persona, ed è stato bello conoscere il tuo lato umano. - Quelle parole lo zittirono, la guardò senza alcuna capacità di risponderle. Le piaceva quella ragazza. Sam era fortunato.

Se ne andò poco dopo, salutando Sam con un bacio che Dean aveva sbirciato senza vergogna.

Poco dopo Dean aveva scartato la confezione della barretta e l’aveva mangiata quasi tutta.

Alla fine, però, Sam era scoppiato. Certo, Jessica gli aveva detto di non stressarlo, perché non era il modo giusto, diceva che doveva andarci piano, ma non ce la faceva più a vederlo così. Lo aveva bloccato sulla porta della sua stanza prima ancora che vi potesse entrare, piazzandosi fra Dean e l’ingresso.

- Ti prego, dimmi che ti sta succedendo. - Dean emise un sospiro e incrociò le braccia al petto. - So che… io stesso non ho voluto dirti nulla del mio dispiacere, ma ne conoscevi benissimo il motivo. Io invece sto brancolando nel buio, non so perché ti senti così. Dimmi almeno… la causa, non spiegarmi per forza cosa è successo. - Ci fu silenzio, Dean continuava a fissare la porta dietro suo fratello e Sam cercava di studiare il suo sguardo. Vedeva le occhiaie profonde che segnavano i suoi occhi, non dormiva da tanto, o se lo faceva i suoi erano solo incubi. Continuava a stringersi nelle spalle, come se avesse costantemente freddo o come se stesse semplicemente cercando di colmare un vuoto. Ma certo! Come aveva fatto a non capirlo? C’entravano problemi di cuore, e Dean non era mai stato in grado di gestirli come si doveva. - C’entra l’uomo che frequenti? - A quel punto ottenne l’attenzione totale di suo fratello, e non poté non notare gli occhi improvvisamente lucidi. - È così, vero? - Dean deglutì, ma alla fine fece un cenno positivo con il capo. Sam portò una mano sulla sua spalla e la strinse con forza, forse per trasmettergliene quanta più possibile, ma una lacrima rigò inevitabilmente la guancia del maggiore. - Non ti chiederò altro, se non v… -

- Se n’è andato, Sammy. - Quella voce tremava, e a Sam sembrava avere tutt’altra persona davanti. Era strano come i sentimenti potessero stravolgere il comportamento di qualcuno, e Dean doveva tenerci davvero molto a quest’uomo se il risultato era quell’ammasso di paura, vuoto, disperazione che era adesso suo fratello. - Semplicemente… se n’è andato, così… senza dirmi niente. - Sam lo abbracciò forte, sentiva un peso allo stomaco, avrebbe voluto dirne di tutti i colori a colui che aveva fatto soffrire così tanto suo fratello, avrebbe voluto sbraitare, andare a cercarlo, ma alla fine pensò che Dean non avrebbe voluto sentirgli dire quello. Aveva solo bisogno di un supporto, e Sam lo avrebbe supportato fino alla morte. Dean si lasciò andare a un pianto silenzioso, non voleva esagerare soprattutto perché credeva che ormai i suoi condotti lacrimali si fossero prosciugati.

- Adesso ti fai una doccia, ti vesti decentemente e andiamo a mangiare alla tavola calda. Devi mettere qualcosa sotto i denti, va bene? Guai se mi dici di no. - Dean si asciugò gli occhi con il palmo della mano, poi però annuì. Averglielo detto lo aveva alleggerito almeno un po’, poteva fare lo sforzo di mangiare e di uscire di casa. - Di lui parleremo un’altra volta ma adesso devi rimetterti in forze. - Il maggiore non disse niente, ma cominciò a grattarsi una spalla a disagio. “Di lui parleremo un’altra volta”, e cosa avrebbe dovuto dirgli esattamente per non farsi passare per uno squilibrato?

Dean però acconsentì, si fece una doccia e rimase addirittura sotto il getto d’acqua calda per così tanto tempo che a un certo punto Sam aveva bussato preoccupato alla porta, chiedendogli se fosse tutto ok. Ma il tepore dell’acqua lo stava rilassando, scioglieva i suoi nervi tesi e lo aiutava a svuotare la mente. Niente Castiel, niente ansia, niente disperazione, solo il rumore della doccia.

L’acqua che cadeva.

Il suono delle gocce che battevano sul pavimento.

La pioggia scrosciante.

Il laghetto.

Il suo incubo.

Dean fermò il getto il prima possibile e poggiò la fronte bagnata contro le piastrelle. Il suo respiro era pesante. Inevitabilmente ogni cosa lo riportava a pensare alla sua assenza. Doveva uscire, fare qualcosa, distrarsi una volta per tutte.

Sam non lavorava quel giorno. Dean si chiese come mai, di solito era sempre in ufficio, ma quando lo guardò con un mezzo sorriso mentre salivano sulla macchina di Sam, allora capì. Si era preso un giorno libero solo per lui.

E Dean si sentì ancora peggio perché sapeva che stava soffrendo solo per uno scherzo della sua mente, qualcosa che non poteva svelargli sul serio.

Entrarono in quella tavola calda. Dean teneva la testa bassa e stava dietro a suo fratello stringendosi nelle spalle e tenendo le mani nelle tasche. Il brusio di voci si arrestò per un attimo e quando sollevò lo sguardo per capirne il motivo, vide Gabe, Jack e Balthazar che lo fissavano con un misto di stupore e preoccupazione. Tutti ormai sapevano del suo malessere lì dentro. Tranne forse i clienti, che cambiavano di giorno in giorno o che semplicemente non si interessavano dei problemi di uno sconosciuto.

Gabriel però non rimase a lungo a fissarlo come uno stoccafisso. Ripose il blocchetto delle ordinazioni nella tasca del grembiule e indicò loro un tavolo libero con un cenno della testa, poi lanciò uno sguardo di rimprovero a Jack, come a dirgli “smettila di fissarlo così”.

I due Winchester si andarono a sedere e Dean si mosse a disagio sulla sedia, fissando il portatovaglioli di metallo sul tavolo.

- Buongiorno ragazzacci! Cosa vi porto oggi? - Sam guardò il fratello per un momento, come a chiedergli silenziosamente di che cosa avesse voglia, ma quando non ottenne risposta, si limitò a guardare il cameriere ed esalare un “Il solito, Gabe, grazie”. - Vada per il solito. Oggi sul menù abbiamo un dessert speciale, una nuova invenzione del nostro cuoco. Una crostata, vi assicuro che è buona, ve ne porto una fetta? - Dean sapeva lo avesse detto apposta, ormai tutti lì sapevano del suo debole per le crostate, e Gabe di certo voleva tirarlo un po’ su in qualunque modo possibile, nelle sue capacità da cameriere ovviamente. In fondo era l’unico al mondo dopo Sam a conoscere alla perfezione i suoi gusti in fatto di cibo.

- Sì, perché no! - Rispose Sam, rivolgendogli un sorriso per ringraziarlo. Gabe fece per appuntare anche quello, ma all’improvviso i due lo videro sussultare. Una donna era arrivata alle sue spalle e lo aveva fatto sobbalzare, quella si era ritrovata a ridere di gusto.

- Ah, sei tu! - Disse Gabe con un sospiro, finendo di appuntare le ordinazioni per poi sistemare il blocchetto al suo posto insieme alla penna. - Meg Masters ha deciso di mettere piede nel mondo dei comuni mortali, non dovevi tornare a lavoro? - La donna smise di ridere, spostando i capelli scuri dietro le orecchie e accennando un sorriso furbo. Quel nome non fu estraneo a Dean, ricordò una telefonata di Gabe all’officina, quella in cui Jack aveva detto si trattasse di una certa Meg, e probabilmente era proprio quella donna che adesso stava in piedi accanto al loro tavolo.

- Sono solo passata a salutare. -

- A salutare o a continuare a darmi raccomandazioni inutili? - Dean li guardò confuso. Non aveva idea del tipo di rapporto che ci fosse fra loro due ma sembravano stranamente in sintonia. Si scambiarono infatti un’occhiata che la diceva lunga.

- Anche per quelle, non è che tu sia una cima a ricordare le cose. - Meg poi si rivolse ai due Winchester e parlò loro come se li conoscesse da sempre, anche se in realtà Dean non l’aveva mai vista prima. - Sapete, Gabe ha un’agenda. La custodisce gelosamente sulla sua scrivania a casa sua, ci scrive dentro i suoi impegni ma non la controlla mai. Secondo voi non dovrei dargli raccomandazioni? -

- Andiamo, non sei mica mia madre! - Rispose fintamente irritato il cameriere.

- Che Gabriel fosse un po’ fuori dall’ordinario lo avevamo capito tutti ormai. - Disse Sam, sinceramente divertito dalla discussione. Gabe gli rivolse uno sguardo inceneritore, ma poi scosse la testa rassegnato.

- Vedi? La gente è d’accordo con me, fattene una ragione! A proposito, chi sono questi due bocconcini? - Meg guardò i due fratelli con un sorrisetto malizioso. A Dean sembrò la versione femminile di Gabe e al solo pensiero ebbe i brividi, sembravano fatti l’uno per l’altra.

- Sam e Dean Winchester. Amici e clienti fissi. Ragazzi, lei è Meg, una mia amica. - La donna strinse la mano a entrambi. Dean pensò fosse più di un’amica, non sapeva perché ma aveva questa sensazione.

- Sam… tuo fratello non sembra stare in forma. Io sono un’infermiera, potrei… esaminarlo, se vuole. - Il biondo si ritrovò con due maliziosi occhi marroni che continuavano a fissarlo come se lo stessero spogliando con lo sguardo. Ci fu un silenzio imbarazzante, ma Dean poteva sentire Sam ridacchiare sotto i baffi, e lo stesso stava facendo Gabriel. Quel notevole imbarazzo fu spezzato, per fortuna, dall’arrivo di Jack.

- Meg! - Il ragazzino l’abbracciò con forza e la donna rise mentre ricambiava quel suo gesto tanto spontaneo.

- Ah giusto, c’è anche il ragazzino! Come stai? -

- Sto bene. - Disse Jack mentre scioglieva il loro abbraccio.

- Beh, io lascerei lavorare Gabe. - Continuò Meg dopo aver preso la mano di Jack come si faceva con un bambino piccolo. - Clarence è qui? - Jack annuì.

- È nell’ufficio. -

- Portami da lui, così Gabriel la smette di lanciarmi occhiatacce. - Il diretto interessato la esortò ad allontanarsi con uno sguardo, lei gli fece una linguaccia, poi si lasciò trascinare verso la porta dell’ufficio della tavola calda da un Jack sorridente e quasi entusiasta. Quel ragazzino sembrava sempre così felice che Dean rischiava le carie croniche in sua compagnia.

- Vi porto il pranzo. - Disse Gabe con tono rassegnato e un mezzo sorriso divertito stampato in faccia. Poi si allontanò verso la cucina e li lasciò da soli.

Il loro pranzo arrivò in poco tempo dopo. Dean fu riluttante all’inizio, ma lo sguardo di Sam lo incitò a mangiare qualche boccone. E quel giorno mangiò forse più di tutti gli altri, nonostante avesse lasciato quasi metà della sua porzione nel piatto. La birra la ingurgitò senza problemi, tanto che quando il bicchiere si svuotò del tutto, Dean si alzò per raggiungere il bancone e prenderne un’altra.

- Vacci piano con la birra, Dean. -

- Sono assetato, Sammy, lasciami in pace. - Sam scosse la testa rassegnato e lo osservò dirigersi verso il bancone finché non lo vide sedersi a uno sgabello. A quel punto prese il cellulare e cercò di rispondere agli sms che aveva lasciato in sospeso. Tutti di Jessica e tutti che esprimevano la sua preoccupazione per Dean.

- Vuoi un’altra birra? - Chiese Gabe guardando stranito il modo in cui Dean aveva poggiato il gomito contro il bancone e poi il mento sul palmo della mano.

- No, volevo vedere da vicino quanto fossi affascinante. Certo che voglio un’altra birra! - Il cameriere sollevò le mani in segno di scusa, poi afferrò il suo bicchiere vuoto e lo riempì velocemente prima di passarlo nuovamente all’amico.

Proprio mentre Dean si concedeva un abbondante sorso della bevanda a occhi chiusi, la porta dell’ufficio si aprì e sentì la voce di Meg diventare più nitida alle sue orecchie.

- Non puoi stare sempre chiuso fra quelle quattro mura, Clarence, ti serve aria. -

- Meg, lui non si chiama Clarence, come devo dirtelo! - Esclamò Gabriel. - Si chiama Castiel, non mi sembra tanto difficile. - Dean sentì la birra andargli di traverso e si staccò dal bicchiere tossendo convulsamente, sentendo lo sguardo confuso del cameriere addosso. Doveva aver sentito male, sì. Le sue orecchie gli stavano sicuramente giocando un brutto scherzo. Non poteva sorprendersi di ciò, aveva immaginato una storia perfetta con un uomo altrettanto perfetto, era ovvio fosse un po’ fuori di testa, tanto da sentire il suo nome in normali conversazioni.

- Woh, tutto ok, Dean-o? - Dean continuò a tossire ma ad annuire allo stesso tempo, stringendo gli occhi come se questo bastasse a farlo tornare a respirare normalmente.

- Sto bene, sto b… - Aprì gli occhi e le parole gli morirono in gola. C’era Gabe, c’era Meg, ma con stupore si era reso conto che la terza persona accanto a loro era proprio Castiel.

Non si accorse di aver lasciato andare il bicchiere, nemmeno del vetro in frantumi sul pavimento e della birra che gli si era rovesciata addosso. Tutti i suoni attorno a lui erano spariti. Le voci erano ovattate. Sentiva solo un forte fischio alle orecchie mentre guardava quella figura come se fosse un miraggio. Stava sognando ancora, vero? Non poteva essere lui, giusto?

- Castiel? - Si lasciò sfuggire con un filo di voce. L’altro lo fissava con un’espressione confusa e sorpresa allo stesso tempo. Però non gli rispose. Gabe li guardò senza capire, poi Dean deglutì e indietreggiò di qualche passo senza staccare gli occhi da quelli blu di Castiel. Erano i suoi occhi, era la sua stupida faccia, la sua stupida espressione confusa, quelle erano le sue stupide labbra piene per cui aveva perso la testa.

Era troppo, non poteva restare lì. Uscì dal locale correndo come se stesse scappando da uno dei suoi peggiori incubi.

Sam si alzò confuso dalla sedia e lanciò uno sguardo a Gabriel, che si limitò a fare spallucce confuso. Questo gli bastò per uscire fuori e seguirlo.

- Che cavolo gli è preso? - Si chiese Gabriel a voce alta, poi si girò verso Castiel che ancora osservava la porta da cui i due fratelli erano usciti correndo. - Lo conosci per caso? - Castiel si voltò verso Gabriel tirandosi i polsini della camicia, poi fece una smorfia confusa e scosse la testa.

- Non l’ho mai visto prima. - Disse semplicemente.

- Sembrava ti conoscesse. - Castiel ridacchiò e fece spallucce.

- Avrò una faccia comune. -

- E anche orribile, visto come la gente scappa appena ti vede. - I due risero di gusto, anche se forse sembrava inappropriato visto ciò che era appena successo. - Pulisco questo casino prima che qualcuno scivoli e si faccia male. - Castiel fece per alzarsi, ma un dito di Gabe sollevato che aveva tutta l’aria di un rimprovero lo fece tornare con “il culo sulla sedia”. - Non mi devi aiutare, non sei qui per aiutarmi. Resti seduto lì, fratellino. - Castiel sorrise intenerito dalla sua preoccupazione, poi scosse la testa rassegnato.


Note autrice:
Direi che siamo proprio alla parte più importante di tutta la storia, che dite?
Queste parti ve le ho lasciate molto più prima del solito perché capisco l'ansia di sapere qualcosa e perché siccome sono parti molto >>>> le ho scritte di getto senza fermarmi, ergo erano già pronte.
Infatti vi dico già da ora che il prossimo capitolo potrete leggerlo già martedì sera (o mercoledì mattina se non crollo a causa delle lezioni che mi ammazzano).
Che dire, il 50% dei misteri sono stati svelati, altri invece sono ancora dei misteri. Ho letto tutte le vostre domande, dubbi e supposizioni e mi sto divertendo... vedo alcuni che hanno centrato appieno e altri che sono completamente fuori strada. Tranquilli, tutto verrà a galla.
Che ne pensate, allora?
Fatemi sapere. Ci vediamo prestissimo, baci!

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Capitolo 12
*** Castiel Novak ***


Castiel Novak

- Dean! - Sam corse fuori dalla tavola calda, guardò prima a destra e poi a sinistra finché non vide suo fratello poggiato con il palmo delle mani sul tettuccio della macchina. Teneva gli occhi chiusi e cercava di respirare con calma, forse cercando anche di non farsi venire un attacco di panico. - Dean! - Lo richiamò poco prima di avvicinarsi e poggiare una mano sulla sua spalla. - Ehi! - Disse scuotendo appena la sua spalla. Dean stringeva forte le dita contro il tettuccio, Sam poteva vedere le sue nocche sotto sforzo nel farlo. - Che diavolo è successo? - Dean aprì gli occhi e guardò verso la punta dei propri piedi. - Dean! - Sam alzò il tono e la conseguenza fu solo che il maggiore aveva iniziato a scuotere la testa.

- Brutto figlio di puttana. - Mormorò a denti stretti, la voce piena di rabbia, frustrazione e quella nota di delusione del tutto giustificata.

- Ehi, cerca di stare calmo adesso. - Dean scosse la testa, poi però abbassò le mani lungo i fianchi e si lasciò andare a dei respiri profondi. Fosse stato per lui avrebbe dato di matto ancora e ancora, ma Sam era lì, probabilmente in attesa di una spiegazione, e di certo non voleva si preoccupasse più di quanto già lo fosse per la sua scenata. Era già uscito di casa che si sentiva uno schifo, poi era arrivato lì e quando lo aveva visto… non era più riuscito a reggere la situazione. Gli serviva aria. - Sali in macchina. - Gli disse il minore mentre apriva la portiera. Dean lo guardò smarrito per un attimo. - Avanti, sali in macchina! Io vado a pagare il conto. Non ti azzardare a fuggire da questa situazione, quindi sta’ seduto e aspettami. - Il suo tono autoritario era sempre stato uno dei suoi punti di forza, sembrava addirittura Sam quello più grande quando si comportava in quel modo, e Dean al contempo si sentiva un bambino inesperto e ingenuo. Non gli restava che ascoltarlo.

Sam si assicurò che Dean si mettesse comodo prima di ritornare alla tavola calda.

Rimase lì immobile, sul sedile del passeggero, a cercare di capire cosa avrebbe dovuto fare. La cosa che più lo premeva era capire come… come fosse possibile tutto quello. Castiel non era mai stato reale, era stato il suo inconscio a crearlo, la sua stupida testa bacata e bisognosa di attenzioni. Dean era matto, solo matto, non ci poteva essere altra spiegazione.

Sam uscì poco dopo dal locale e lo guardò in attesa non appena mise piede in auto. Si aspettava una spiegazione e non aveva torto, ma solo il pensiero fece agitare Dean sul sedile. Le lacrime che scorrevano sulle sue guance furono impossibili da fermare.

- Te lo dirò, Sammy. Ma non mi crederai. -

- Beh, mettimi alla prova. - Dean lo osservò a lungo, poi prese un respiro profondo e cominciò a parlare. Gli raccontò di quel periodo buio in cui stava male per lui, e al modo in cui aveva creato quel posto nella sua testa per evadere dalle sue preoccupazioni e dal suo dolore. Gli raccontò dell’uomo con il trench che gli era apparso già dal primo giorno e che non lo lasciava mai in pace. Gli disse della prima volta che si era sfogato con lui, del modo in cui stava semplicemente in silenzio ad ascoltarlo, dei suoi consigli, perfino della metafora dell’uccellino ferito. Gli raccontò di come pian piano si sentiva più unito a quello strano uomo, delle loro notti a bere birra fredda o a farsi il bagno nel lago, giocando come due bambini. Poi gli raccontò del loro bacio, quel primo bacio pieno di dubbi ma allo stesso tempo pieno di desiderio. Gli raccontò delle loro preoccupazioni, dei loro sentimenti. Gli disse che si era innamorato, e soprattutto che si era innamorato di una fantasia. Che aveva creduto di essere pazzo, che lo credeva ancora, e che non aveva la minima idea che Castiel, il SUO Castiel esistesse davvero.

Sam non aveva detto una parola, ma la sua espressione cambiò man mano che andava avanti a parlare. Adesso lo guardava esterrefatto, e Dean come al solito non lo biasimava, se ne stette in silenzio, abbassando lo sguardo con imbarazzo. Il silenzio fu atroce da sopportare.

- Quindi l’uomo di cui mi avevi parlato era lui? - Dean annuì senza nemmeno guardarlo. Ci fu un’altra pausa, un altro silenzio assordante prima che continuasse. - Perché non me lo hai detto prima? -

- Ti voglio bene Sammy, ma a volte non capisci proprio un cazzo. - Sam fece per parlare ma Dean lo interruppe. - Come facevo a spiegarti questo… senza passare per un malato di mente? - Sam sospirò e si lasciò andare con il corpo contro lo schienale.

- Non che tu adesso stia sembrando sano di mente… -

- Non mi credi? - Il minore si morse indeciso il labbro inferiore e osservò fuori dal finestrino, forse per cercare le parole giuste da dirgli, magari per non offenderlo.

- Dean, mi hai appena detto che ti sei innamorato di uno scherzo della tua mente! - Dean distolse lo sguardo e strinse leggermente i pugni. La verità gli arrivò dritta in faccia come un pugno ben assestato.

- Allora come fa lui a essere lì? -

- Le persone che sogniamo sono persone che abbiamo già visto in giro, anche di sfuggita, probabilmente lo hai visto da qualche parte e lo hai semplicemente dimenticato! -

- Io non l’ho mai visto prima, mi ricorderei di uno del genere! - Disse Dean alzando leggermente la voce. Sam scosse la testa rassegnato, e dopo un momento di silenzio Dean continuò a parlare. - Mi ha detto di essere sempre stato in quel posto, che da lì non si era mai mosso, poi all’improvviso se n’è andato. L’ho toccato, Sam. Ho sentito battere il suo cuore sul palmo della mano. Era reale, io… -

- Aspetta, tu credi lui abbia vissuto la tua stessa esperienza onirica? - Dean deglutì appena, poi annuì, ricevendo in risposta uno sguardo scettico.

- Aveva sempre paura di non essere reale, di dovermi lasciare da solo prima o poi, e lui è sparito, poi è sbucato alla tavola calda! Insomma, come me lo spieghi? - Sam non rispose, forse stava cercando di ricollegare i pezzi del puzzle anche lui, forse stava cercando di mettersi nei suoi panni, e Dean per un attimo lo sperò con tutto il suo cuore. - Non mi ha mai detto di essere reale, mi ha detto solo una montagna di cazzate! - Sbottò Dean, dando una ginocchiata al portaoggetti, solo per sfogare la sua rabbia.

- Dean… - cominciò Sam poco prima di sospirare. - Io credo tu l’abbia solo sognato e basta. Non credi che a quest’ora lui sarebbe corso qui a parlarti? - Dean si girò verso di lui con stupore. Non ci aveva pensato, e se suo fratello avesse ragione? Perché Castiel non aveva reagito nel vederlo? Ma anche se fosse stato così… troppe cose non gli tornavano.

- Ti ricordi quando ti ho accennato dei miei sogni? - Sam annuì. - Facevo lo stesso sogno tutte le sere. Ma era troppo reale, era troppo… nei sogni c’è sempre qualcosa che ti fa capire che in fondo non è reale, una cosa strana, qualcosa fuori posto, ma lì era tutto troppo vero. E ora che l’ho visto… ne ho la conferma, qualcosa non quadra. - Sam aprì la bocca per dire qualcosa, ma da essa non uscì alcun suono, era come se stesse cercando di riflettere come suo fratello, di metabolizzare quelle informazioni. - Deve essere successo qualcosa, per qualche motivo non si ricorda… - Si sentì afferrare un braccio. Sam stringeva la mano attorno al suo gomito e Dean incrociò il suo sguardo senza riuscire a capire se lo stesse intimando a zittirsi perché lo credeva pazzo o per un qualunque altro motivo.

- Continuo a credere sia una cosa assurda. - Gli disse il minore con calma. - Ma molte cose non riesco a spiegarmele. - Dean deglutì, forse per l’ennesima volta. Sentiva ancora le lacrime uscire dai propri occhi, lo avevano fatto per tutto il tempo. - E tu ne sembri estremamente convinto. In più sembri davvero… preso da lui, non voglio credere che tu sia pazzo, perciò… indagheremo, va bene? - Dean lo guardò in silenzio, poi si leccò le labbra e accennò un sorriso, solo un semplice sollevarsi dell’angolo delle labbra. Suo fratello lo stava sostenendo, lo stava facendo davvero seppure quella situazione sembrasse assurda. I suoi occhi erano sinceri, voleva davvero aiutarlo.

- Grazie… - Mormorò, anche se la voce era spezzata dal pianto. Sam gli sorrise con dolcezza, poi non riuscì a trattenersi e tirò a sé il fratello maggiore per stringerlo in un abbraccio confortante. - Non sono pazzo, Sammy. - Mormorò mentre teneva la faccia affossata nella spalla del minore.

- Lo so… so che non lo sei. Voglio crederti. - Dean lo strinse ancora più forte. Si sentiva meglio ora che aveva il suo appoggio.

Dean e Sam tornarono a casa, il maggiore aveva bisogno di prendersi una pausa da tutto quel macello nella sua testa. Quella sera decise di addormentarsi, lo fece non perché voleva far sparire la sua notevole stanchezza, né perché credeva di aver bisogno di dormire. Voleva semplicemente andare nel loro posto per indagare.

Il laghetto era tranquillo, il vento non soffiava e la pioggia non c’era, solo delle fitte nuvole coprivano l’azzurro del cielo. Castiel non c’era, ma se lo aspettava. Si avvicinò al ponticello. Aveva adagiato sulla sedia il suo trench e lì era rimasto, assieme al mucchietto di sassolini sul pavimento di legno. Dean si sedette e afferrò ciò che restava lì di Castiel, accarezzando la stoffa con le dita.

- Che cosa è successo, Cas? - Chiese mentre si portava il trench accanto al viso. Era ancora inodore, ma asciutto, perché lì non pioveva già da un po’. - Ti prego, voglio capire che cosa è successo. Dammi un segno, uno solo. - Stette in silenzio, con le orecchie tese, in ascolto di un qualunque segnale. Ma non successe nulla, e Dean rimase seduto su quella sedia finché non si svegliò.

Decise di andare da Bobby, voleva tenere la mente occupata e lavorare. Sam voleva prendersi un altro giorno libero ma Dean insistette, gli disse che poteva cavarsela da solo, che c’era Bobby lì con lui. Il minore alla fine cedette, dicendogli di chiamarlo se avesse avuto bisogno.

Jack arrivò qualche ora dopo per dare una mano, a bordo del furgoncino bianco di Gabriel. Quando entrambi scesero dal mezzo di trasporto, Dean rimase immobile a fissare il cameriere che faceva le sue raccomandazioni al ragazzo, ma poi i loro sguardi si incrociarono e Gabe parve preoccupato. Dean si avvicinò senza neanche pensarci, tenendo le mani in tasca.

- Ciao Dean! - Esclamò Jack con un grande sorriso sulle labbra.

- Ciao Jack. - Disse lui cercando di ricambiare quel sorriso, poi il ragazzino guardò Gabriel per un momento, il quale gli fece un cenno con la testa. - Vado ad aiutare Bobby. - Dean annuì e il ragazzo si allontanò. Si sentì il vocione di Bobby che lo accoglieva, perfino il suono delle sue sonore pacche sulla spalla, ma Dean fece caso solo allo sguardo preoccupato di Gabriel.

- Come stai, Dean-o? Ieri non sembravi in forma. - Il biondo fece spallucce e distolse lo sguardo.

- Meglio. - Gabe annuì, poi si poggiò contro il cofano del furgoncino e incrociò le braccia al petto, lo guardava indeciso, forse si aspettava qualcosa in più. Lo vide osservare Jack che parlava con Bobby, poi storse le labbra in un’espressione pensierosa. Dean non sapeva cosa dire in quel momento di silenzio imbarazzante, ma l’amico lo precedette e interruppe il vuoto che si era formato.

- Ascolta, in questi giorni io sono stato discreto e ho cercato di non pressarti perché ho visto che non stavi bene, ma quando ti ho visto reagire in quel modo davanti a Castiel… - Gabe smise di parlare, a Dean mancò il respiro non appena sentì nominare quell’uomo. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato a quel punto, se lo aspettava, dopotutto aveva rotto un bicchiere proprio davanti ai suoi occhi. - Sembrava avessi visto un fantasma. -

- Per il bicchiere io posso pagarti e… -

- Dean, non me ne frega un cazzo del bicchiere, sinceramente. Voglio sapere che cosa ti è preso. Conosci mio fratello? - A quel punto Dean lo guardò come se fosse appena sceso giù da una navicella e si fosse presentato come conquistatore della Terra. Gli occhi erano sbarrati quasi fino a farli uscire dalle orbite.

- Tuo fratello? -

- Sì, Castiel, mio fratello. - Dean parve entrare per un momento nel panico. Non li avrebbe mai scambiati per due fratelli, erano completamente diversi. Ma ora che guardava bene Gabe cominciava a notare qualche somiglianza, solo in alcune espressioni del viso, in alcuni atteggiamenti forse, ma il carattere era un altro paio di maniche, almeno credeva… conosceva solo il Castiel nella sua testa, non sapeva se quello fosse lo stesso.

- Perdona il mio… stupore, non hai mai parlato di un fratello. - Disse per giustificare il suo silenzio, perché in fondo era vero. Gabe aveva mai parlato di un fratello?

- Ne ho parlato! Ma tu eri troppo occupato a fissare le altre ragazze o a ingozzarti di patatine fritte per ascoltarmi. - Ora che ci pensava, forse aveva sentito alcuni accenni a un fratello minore, ma non aveva mai pronunciato il suo nome prima d’ora. E Gabe aveva ragione, si distraeva facilmente da tutto ciò che gli stava intorno, tra cui ad esempio per le ragazze, per il cibo, o per osservare quanto fossero in ordine i capelli di Sam così da poterglieli scompigliare solo per dargli fastidio.

- Non l’ho mai visto in giro. -

- Non è mai stato molto in giro, non c’era mai per lavoro. E poi ultimamente… - Le parole gli morirono in gola e Dean si ritrovò a osservare il pomo d’Adamo di Gabriel fare su e giù e il suo improvviso sguardo che fissava il vuoto. Normalmente avrebbe lasciato perdere, non era uno che si interessava ai fatti personali degli altri, ma era di Castiel che stavano parlando, dell’uomo di cui si era innamorato, doveva insistere, sapere, indagare a fondo.

- Ultimamente? - Chiese per incitarlo a continuare. Gabe sospirò pesantemente e fissò Jack per un momento, poi si voltò, forse per non farsi guardare in viso nel caso in cui il ragazzino si fosse soffermato a guardarlo. Tenne le braccia incrociate e cominciò a fissare l’insegna dell’officina.

- Non ha passato un periodo facile. - Dean affiancò l’amico e continuò a stare in attesa, voleva si spiegasse meglio. Gabriel si massaggiò una tempia per un po’, poi sospirò come se stesse cercando di mandare via un’emicrania pazzesca e insopportabile. - È stato in coma per due mesi. - Le sue parole rimbombarono nella testa di Dean come se fosse stata una voce fuoricampo a pronunciare quella frase. Per un momento sentì le gambe molli, e dovette reggersi al cofano del furgoncino con una mano per non cedere o per non destare sospetti agli occhi di Gabe, anche se sembrava più interessato ad analizzare le lettere che componevano l’insegna dell’officina. - Si è svegliato tre settimane fa. - Dean strinse gli occhi, forte, come a cercare di digerire quella nuova realtà.

Per due mesi lo aveva avuto nella sua testa.

Da tre settimane aveva smesso di sognarlo.

Ma lui non si ricordava, perché non si ricordava?

- Perché non ce lo hai mai detto? - Gli chiese, la voce un po’ tremante mentre riapriva gli occhi appena in tempo, perché Gabriel si era girato a guardarlo. In quel momento ripensò al giorno in cui Castiel era andato via dalla sua testa. Gabriel gli aveva affidato Jack per tutto il giorno. “Una questione pesante, ma che si è risolta” gli aveva detto. E ora tutto tornava. Perfino gli strani atteggiamenti del cameriere in quei mesi.

- Perché dirlo ad alta voce lo avrebbe reso reale. - Dean si sentì talmente male per lui che non esitò a poggiargli una mano sulla spalla. Non lo aveva mai visto così giù, lui era sempre felice, ironico, sarcastico, pieno di vita. Quell’atteggiamento però non durò molto, infatti Gabe sviò il discorso con un gesto della mano. - Bando alle ciance, sul serio… conosci Castiel? - Dean deglutì, abbassò la mano dalla sua spalla, poi scosse la testa lentamente.

- No, l’ho… scambiato per un’altra persona. - Gabe lo fissò a lungo, poi annuì ed emise un sospiro prima di raggiungere la portiera al posto del guidatore.

- Va bene, allora… io vado. Balthazar è da solo e non voglio pensare al casino che mi farà trovare. Ci vediamo dopo? - Dean annuì nuovamente, quando lo salutò con un cenno della testa, Gabriel partì e lasciò il parcheggio.

Mentre lavorava la sua testa era completamente altrove, attendeva solo il momento in cui sarebbe dovuto andare a pranzo con Sam per raccontargli tutto, e così fece. Mentre guidava la sua Impala gli raccontò della conversazione con Gabriel e il minore ne rimase sorpreso. Non appena parcheggiarono davanti al locale, il minore si trascinò fuori dall’auto stringendo la sua borsa da lavoro con dentro tutti i suoi documenti.

- In effetti… il periodo coincide. - Gli disse Sam chiudendo la portiera e facendo il giro dell’auto per raggiungere il fratello. Dean chiuse a chiave e cominciò a camminare verso l’ingresso. - Magari finge di non sapere perché pensa di risultare pazzo. - Ipotizzò mentre entrava nel locale e prendeva posto a un tavolo proprio accanto alla vetrata che si affacciava sulla strada. Dean si sedette di fronte a lui, lo sguardo fisso verso il bancone nel caso avesse visto Castiel seduto su uno degli sgabelli. Gabe non c’era ancora. Era passato a prendere Jack e lo stava riaccompagnando a casa, probabilmente si trovava ancora sul furgoncino sulla via di ritorno. - Ehi, hai presente quando ti svegli e ti dimentichi il sogno che hai appena fatto? Magari è andata così per lui! - Disse a bassa voce, lì dentro era meglio parlarne senza farsi sentire da orecchie indiscrete.

- Sì ma… come fai a dimenticare certe cose? - Disse, esitando su come avrebbe dovuto chiamare le loro effusioni, la loro vicinanza e qualunque altra cosa fosse successa al lago che riguardasse i due.

- Stiamo parlando di un coma, Dean! - Il biondo sospirò. Forse era proprio quello il problema.

In quel preciso momento, la porta dell’ufficio si aprì e Castiel fece il suo ingresso, facendo agitare di conseguenza Dean sulla sedia. Quello però sembrò non far caso alla sua presenza, forse non lo aveva nemmeno visto. Lo vide fare il giro del bancone e poi dirigersi piano verso la porta d’ingresso. Quando uscì Dean non ebbe più modo di seguire i suoi movimenti e si ritrovò a guardare il fratello, indeciso.

- Devo andare a parlargli. - Dean fece strisciare la sedia sul pavimento, poi si alzò e fece per incamminarsi, ma si sentì afferrare il polso e fu costretto a fermarsi. Sam lo guardava con uno sguardo serio e di rimprovero.

- Che cosa gli vuoi dire? Non vorrai mica mettergli paura e dirgli che lo hai avuto in testa per tutto il tempo! Dean, non sappiamo nemmeno se tutta questa storia sia reale e… -

- Proprio per avere degli indizi voglio parlargli! - Dean strattonò piano il braccio dalla presa del fratello, poi si aggiustò quasi involontariamente la camicia. - E non sono mica stupido, non voglio parlargli di questo. Mi scuserò per ieri. - Sam sospirò, poi annuì e a quel punto Dean decise di andare. Si incamminò verso la porta d’ingresso e portò la mano sulla maniglia. Osservando fuori vide Castiel che discuteva con Gabriel che era appena arrivato. Decise di esitare solo per ascoltare le loro parole.

- Non se ne parla, Cassie. - Gli disse il maggiore.

- Gabe, io non posso stare qui tutto il giorno! Voglio fare qualcosa. Ho trovato un lavoro, tra una settimana mi fanno cominciare e… -

- Ma ti sei appena risvegliato! -

- Sono passate tre settimane, sto bene! -

- E i capogiri? - A quel punto Castiel smise di parlare e si ritrovò a sospirare e ad abbassare lo sguardo davanti a quello preoccupato del fratello maggiore, sembrava non sapesse come replicare. A Dean si strinse il cuore. - Senti, ne riparliamo dopo, devo cominciare il turno. - Dean si fece coraggio e aprì la porta. Si scontrò con Gabriel, spalla contro spalla, ma lui sembrò non farci nemmeno caso, era nervoso e con altri pensieri per la testa per rivolgergli almeno uno sguardo. Restarono solo Castiel e Dean, ma il moro era girato di spalle e si accorse di lui solo quando Dean esalò un “ciao”. Si girò lentamente e raddrizzò la schiena non appena lo vide. Guardò prima l’interno della tavola calda, poi di nuovo Dean, e a quel punto cercò di abbozzare un mezzo sorriso.

- Ciao. - Gli rispose. Ma oltre quello non ebbe alcuna reazione che potesse far pensare al biondo che sapesse chi si trovava di fronte a lui. Era un estraneo per Castiel, e Dean dovette deglutire a vuoto per accettare quella situazione.

- Volevo solo… scusarmi per ieri. Non sono in forma ultimamente e non vorrei mi avessi scambiato per uno squilibrato. - Castiel sorrise e fece spallucce.

- Non importa, va tutto bene. - Gli disse, facendo annuire Dean, che sembrava già più tranquillo rispetto a prima. Lo guardò meglio. Nonostante non indossasse il trench sembrava più robusto del Castiel che ricordava.

- Sono Dean comunque, Dean Winchester. - Allungò una mano verso di lui. Sperava che nel sentire il suo nome, che nello stringere la sua mano, in lui si accendesse una lampadina, che quella sua presentazione facesse scattare qualcosa in Castiel. L’altro guardò per un momento il suo braccio teso, poi si decise a stringergli la mano. Per Dean fu come se quella mano stesse stringendo il suo cuore fino a sbriciolarlo. Quel tocco era così familiare che avrebbe voluto che una botola gli si aprisse sotto i piedi per risucchiarlo nel terreno.

- Castiel Novak, piacere di conoscerti. -


Note autrice:
Sono riuscita a non crollare per correggere e uscirvi questo capitolo. E dopo la stanchezza di oggi merito un Oscar, Nobel, David di Donatello, Emmy o quello che vi pare
Non c'entra un caspio, ma volevo dirvi che ho trovato la canzone perfetta per i Destiel di questa storia, e ho pensato potrebbe essere una di quelle canzoni che Dean canticchiava a Cas quando erano ancora nella sua testa. Ma non vi svelo qual è per il momento. So solo che la canto in continuazione e che sto rincretinendo.
Coooooomunque, che dire amici. L'arcano è più o meno svelato direi, non del tutto, ma ci siamo.
Ho letto una miriade di vostre teorie, qualcuno aveva già capito, altri no, e poteva sembrare una soluzione banale quella che ho messo qui, ma adesso miei cari amici arriva la parte angst proprio perché Cassino nostro non ricorda una caterba cippa, yuppy.
Che ne dite giovincelli?
Come pensate sia il Castiel reale?
Lo scopriremo nelle prossime puntate.
Ora io vado a dormire...
Al prossimo capitolo (arriverà questo giovedì)
Baci!

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Capitolo 13
*** Neanche mi conosci ***


Neanche mi conosci

Dopo quella presentazione, la notte stessa, Dean aveva cominciato a sognare come tutti gli altri. Il lago non c’era più, solo i normalissimi sogni di un tempo, e quando si svegliò rimase per un momento a fissare il soffitto e a chiedersi per quale assurdo motivo doveva essere proprio lui quello a finire in una situazione del genere.

All’inizio aveva sospettato che Castiel lavorasse alla tavola calda, ma immaginò fosse lì soltanto perché Gabriel voleva tenerlo costantemente sotto controllo. Meg era stata la sua infermiera, adesso lo aveva capito.

Sembrava proprio che Castiel non riuscisse a stare lì senza fare nulla, voleva tenersi impegnato. Almeno questo era quello che aveva intuito quando lo aveva sentito discutere con Gabriel. Capiva Castiel, ma riusciva a comprendere anche Gabe. Neanche lui avrebbe lasciato solo un momento Sam se gli fosse successa la stessa cosa.

Non gli aveva mai chiesto della sua vita, era sempre stato convinto fosse solo il frutto della sua immaginazione e non ne aveva motivo, ma Dean si rese conto che in effetti non sapeva un accidenti di quell’uomo. Non sapeva quale fosse stato il suo lavoro prima del coma, non sapeva come mai fosse finito in coma, non sapeva i suoi hobby, non sapeva quale fosse la sua canzone preferita, il suo colore preferito, quali film gli piacesse guardare in tv, quale fosse il suo rapporto con Jack, con Meg, non sapeva quasi nulla di lui. Erano due sconosciuti, ma Dean non riusciva a trattenere le pulsazioni che aumentavano ogni volta che lo vedeva, nemmeno a scostare lo sguardo dal suo viso ogni volta che Castiel non lo guardava. E faceva male non essere ricambiato, faceva male che quel sorriso sulle sue labbra ogni volta che Balthazar faceva una battuta non era dovuto a lui, faceva male vedere che non gli riservava gli sguardi a cui era abituato nella sua testa, quelli che lo facevano tremare ogni volta. Quegli occhi azzurri come il cielo limpido non erano più solo per Dean.

Faceva così male che avrebbe preferito che gli estraessero il cuore dal petto a mani nude.

Erano passati tre giorni da quella presentazione fuori dalla tavola calda, e a mezzogiorno in punto Dean si era recato al locale da solo. Sam aveva da fare con un caso importante al lavoro. Avrebbe potuto restare con Bobby in officina e ordinare qualcosa, ma il suo pensiero fisso era sempre lì, quindi decise di andare da solo. Non appena entrò lo sguardo andò inevitabilmente a cercare Castiel. Era seduto a uno dei tavoli accanto alla vetrata. Vi ci era poggiato con la tempia mentre leggeva un libro. Sembrava davvero assorto e concentrato. Gli si formavano delle rughette sulla fronte quando lo era, proprio come si ricordava nella sua testa. Indossava una camicia azzurra e sopra un cardigan blu che mai aveva pensato di vedergli addosso.

Era così bello che Dean dovette nascondere quel mezzo sorriso per non passare per uno psicopatico. Si sedette a un tavolo poco distante dal suo, solo per poterlo osservare di sottecchi ogni tanto. Ordinò qualcosa di diverso dal solito, poi attese in silenzio. Cominciò a osservare le notifiche sul cellulare. Nella chat di suo fratello c’erano un paio di messaggi che gli chiedevano come si sentisse. Lui rispose con “sto bene, Sammy, non preoccuparti”. La risposta arrivò nel giro di pochi secondi, sembrava quasi che Sam non stesse aspettando altro che quello. “Jessica ti saluta”, c’era scritto alla fine del messaggio. Dean sorrise, poi ripose il cellulare in tasca.

Mangiò con calma e in silenzio, soprattutto con calma. Voleva essere lento, solo per avere una scusa in più per guardare Castiel, seppure si muovesse poco da quella posizione. Si distrasse solo qualche secondo per chiedere un’altra birra a Gabriel e attese finché non gli fu portato un generoso bicchiere della bevanda. Quando tornò a guardare verso il tavolino in cui c’era Castiel, la sedia era vuota e il libro giaceva sopra di essa con il segnalibro incastrato fra le pagine. Dean non se n’era nemmeno accorto, non sapeva nemmeno dove se ne fosse andato. Sospirò, dandosi dell’idiota per essersi distratto, poi bevve gli ultimi sorsi di birra e si alzò per raggiungere i bagni. Entrò in quello riservato agli uomini e scelse il primo bagno dei tre della fila, richiudendosi la porticina di plastica alle spalle.

Quando però uscì per raggiungere il lavandino dove lavarsi le mani, si sorprese nel vedere Castiel intento a lavarsi la faccia. Dean fu sicuro di aver trattenuto il respiro per un attimo, ma alla fine si avvicinò e utilizzò il secondo lavandino. Il moro si accorse di lui solo in quel momento, ma non disse nulla mentre nascondeva sotto la camicia la catenina che portava attorno al collo. Dean non ebbe il tempo di vedere di cosa si trattasse, ma non gli sfuggì il viso tirato e la leggera nota di stress dipinta nello sguardo. Tirò via un po’ di carta dal rotolo e si asciugò le mani.

- So che non sono affari miei… - Disse a un certo punto Dean, sia per attirare la sua attenzione, sia per attaccare bottone in qualche modo. Se doveva indagare su di lui doveva farlo al meglio. - Ma hai tutta l’aria di uno che vorrebbe fuggire da un momento all’altro. - Castiel si sciacquò le mani e abbozzò un sorriso lieve, poi prese un po' di carta dallo stesso rotolo e si asciugò le mani.

- Tuo fratello non ti tiene sotto sorveglianza ventiquattro ore al giorno. - Dean si morse l’interno della guancia, fissandolo dal riflesso dello specchio mentre gettava via la carta usata.

- Non mi vorrai dire che non ti lascia nemmeno uscire! - Esclamò sorpreso. Aveva intuito che Gabe fosse iperprotettivo, ma non fino al punto da segregare suo fratello sotto il suo occhio vigile. Castiel si voltò a guardarlo, smettendo di mantenere il suo sguardo dal riflesso dello specchio.

- Tu lo sai, vero? - Dean deglutì, ma Castiel si affrettò a rimediare perché non era di certo sua intenzione metterlo a disagio. - Non preoccuparti, lo sanno tutti. La voce si è sparsa, da quando mi sono svegliato la gente non fa che parlarne. - Dean si morse la lingua per un attimo prima di infilarsi le mani in tasca e sospirare leggermente.

- Sì, ho saputo. - Disse Dean facendo qualche passo verso di lui, senza però rendere quella vicinanza troppo imbarazzante. In fondo erano ancora “conoscenti”. - Mi dispiace per quello che ti è successo. - Castiel sorrise, uno di quei sorrisi sinceri che ti facevano sciogliere solo a guardarli.

- Sto bene adesso. - Si limitò a dire, ma a Dean sembrò come una frase registrata. Probabilmente l’aveva detta così tante volte a tutti quelli che si dispiacevano per lui che ormai non faceva altro che riciclarla.

- A me non sembra. - Fece quell’espressione, quella in cui la sua testa era piegata da un lato e sulla fronte comparivano le sue piccole rughette che segnavano la sua confusione. Dean sentì le gambe tremare per un momento ma fece finta di niente. - Intendo, non che non sembri in forma, assolutamente. Solo che… come ho detto prima, hai l’aria di uno che vorrebbe scappare da qui. - Castiel abbassò lo sguardo titubante, torturandosi l’orlo del cardigan con le dita, poi lanciò una veloce occhiata alla porta del bagno che dava sulla sala.

- Già, apprezzo la preoccupazione di Gabe ma è un po’ opprimente. - Mormorò con voce quasi timida e anche piuttosto colpevole, forse perché sapeva che voleva fare qualcosa che avrebbe fatto stare in pensiero suo fratello.

- Dove vorresti andare? - Castiel fece spallucce, lasciando finalmente andare l’orlo del cardigan e infilando subito dopo le mani in tasca.

- Non ha importanza, immagino. - Dean rimase in silenzio a fissarlo. Anche lui sarebbe impazzito probabilmente, non biasimava il suo evidente stress sul viso che aveva imparato ad amare. Il fatto era che Castiel era forse più paziente di lui, al suo posto avrebbe dato di matto e costretto Gabe con le buone o con le cattive, e anche sotto un determinato rifiuto lui sarebbe uscito lo stesso, facendo i conti con i sensi di colpa solo dopo aver disobbedito. Dean era una testa calda, ma questo non voleva dire che non riuscisse a mettersi nei panni degli altri.

- Andiamo allora. - Castiel lo guardò con stupore e sorpresa. I suoi occhi azzurri e limpidi erano più in evidenza adesso, così grandi, Dean ci stava letteralmente affogando dentro come in un oceano.

- Cosa? - Chiese lui in un sussurro incredulo.

- Ho detto andiamo! Sono in macchina, non dovrai nemmeno camminare se è questo che spaventa tuo fratello. -

- Ma Dean… -

- Non farti pregare, su. - Castiel boccheggiò per un momento, insicuro su cosa dire, poi sospirò e osservò la porta ancora chiusa del bagno.

- Non so se Gabriel… -

- Oh, ti prego! Sei adulto e vaccinato, e poi non saresti da solo! - Castiel guardò Dean a lungo, con quei suoi occhi celesti e bellissimi. Quello sembrava uno sguardo di gratitudine, anche stranito e confuso. Probabilmente si stava chiedendo il perché avrebbe voluto aiutarlo, in fondo non si conoscevano nemmeno, non avevano mai parlato se non per quella presentazione davanti alla tavola calda. Perché Dean Winchester sentiva il bisogno di aiutare proprio lui? Era Castiel a fargli pena per la sua situazione o semplicemente Dean era un uomo buono e generoso? Probabilmente, pensò Castiel, la seconda.

- Dovrai convincere Gabe. - Dean sorrise.

- Se ho convinto te, convincerò anche lui, no? - Il sorriso che comparve sulla bocca carnosa di Castiel era grato proprio come il suo sguardo, e Dean dovette deglutire a fondo per non cedere a quegli occhi e a quelle labbra. Doveva smettere di ricambiare quel sorriso in modo ebete, si disse fra sé e sé, o Castiel lo avrebbe scambiato per un idiota.

- Non saprei. - Dean non rispose, si limitò a incamminarsi verso l’uscita del bagno, non attendendo nemmeno che Castiel lo seguisse, perché in fondo sapeva lo avrebbe fatto. Infatti, quando si girò lo vide poco distante con le mani infilate nelle tasche e uno sguardo scettico. Si diresse proprio in direzione del cameriere che si trovava al bancone a preparare caffè e a litigare con la macchinetta inceppata.

- Ehi Gabriel! - Lui sbuffò rumorosamente e diede un sonoro colpo alla macchinetta con una mano, riuscendo in qualche modo a sbloccarla.

- Balthazar, ti avevo detto di chiamare per far sostituire quest’affare! - Urlò senza nemmeno girarsi. Mise i bicchieri di caffè sul bancone per servirli a due clienti, poi si rivolse finalmente a Dean.

- Fammi indovinare, un’altra birra? - Dean scosse la testa e solo in quel momento Gabriel si accorse che qualche passo dietro di lui suo fratello lo guardava in attesa, con le mani infilate in tasca e la testa bassa.

- Speravo dessi il via libera a Castiel per prendere una boccata d’aria. - Gabe guardò prima lui, poi il fratello minore, rivolgendogli uno sguardo quasi di rimprovero, al quale Castiel distolse il proprio. Ci fu un momento di silenzio, poi Gabriel si raddrizzò sulla schiena. Fece per parlare ma Dean lo interruppe appena in tempo. - Ha visto l’Impala dalla vetrata e gli è piaciuta, ho pensato gli avrebbe fatto piacere farci un giro. - Si inventò, sentendo addosso l’occhiata sorpresa di Castiel e quella titubante di Gabriel. - È apposto, te lo riporto in… due ore? - Si girò verso Castiel come a chiedergli una conferma. Quello annuì senza sapere cosa altro aggiungere. - In due ore. - Confermò il biondo con un sorriso sicuro in volto. Il cameriere osservò a lungo suo fratello, poi sbuffò e poggiò entrambe le mani sul bancone come per rifletterci su qualche momento.

- Ah, Castiel… - Mormorò scuotendo esasperato la testa. - Va bene, ok. - Disse dopo un lungo sbuffo. - Solo perché so che sei in buone mani. - Castiel sorrise, quasi incredulo al comportamento di suo fratello. - Ma ti telefonerò fra… -

- Fra un’ora e poi ogni dieci minuti, sì, lo so. - Terminò la frase per lui il moro. Gabe annuì e nel vederli ancora lì immobili roteò lo sguardo. - Sparite prima che cambi idea! - Esclamò incitandoli con un gesto delle mani a levarsi dai piedi. Dean diede un colpetto con la mano sul bancone come segno di saluto, poi si diresse verso l’ingresso della tavola calda, seguito da un Castiel ancora incredulo dalla facilità con cui avevano ottenuto quel permesso speciale da parte dell’opprimente Gabriel. Si richiuse la porta alle spalle e osservò Dean dirigersi verso l’Impala in questione. Rimase fermo sul marciapiede a una ragionevole distanza, ma quando l’altro lo incitò a raggiungerlo lui non esitò ad aprire la portiera e a salire sul posto del passeggero. Dean prese posto al volante e inserì le chiavi per accendere il motore. Accanto a lui Castiel guardava assorto gli interni di quella macchina, la sua faccia era confusa come al solito, probabilmente era proprio la sua tipica espressione, l’unica che Dean gli avrebbe associato.

- È proprio una bella auto. - Disse il moro con un mezzo sorriso. Per Dean fu difficile guardarlo senza avvicinarsi di più, fu costretto a farsi distrarre da qualcos’altro, come il dondolio leggero delle chiavi.

- Grazie, era di mio padre. - Non riuscì a guardarlo ma in risposta ebbe solo il silenzio, e Dean si leccò le labbra quasi a disagio. - Allora… hai due ore libere, cosa vuoi fare? - Castiel prese a ridere a bassa voce e scosse la testa. Il biondo non sapeva cosa ci trovasse di così divertente e lo guardò confuso, portando una mano sul volante. - Che c’è? - L’altro incrociò le braccia al petto e la risata si affievolì piano prima che iniziasse a parlare.

- Hai presente quando ti vengono in mente tante attività da fare, ma quando sei sul punto di farle le dimentichi tutte o non sai da dove cominciare? - Dean accennò un sorriso divertito, poi si decise a uscire dal parcheggio. Tanta fu la voglia di prendere la mano dell’altro come era abituato a fare altrove, ma quando si rese conto dell’assurdità si ritrovò a grattarsi la nuca mentre percorreva la strada. - Tu dove andresti dopo aver dormito per due mesi? - Dean fece per pensarci su. Cosa avrebbe fatto al suo posto? Di sicuro dopo due mesi di totale assenza Dean sarebbe corso da suo fratello e insieme avrebbero fatto le migliori uscite e avrebbero bevuto insieme così tanta birra da scoppiare.

- Forse mi imbucherei a una festa con mio fratello. - Rispose, poi storse appena le labbra e pensò a quello che avrebbe fatto ancora prima di correre da Sam. - O andrei al cimitero, dai miei genitori. - Il suo tono si fece più serio e a quel punto Castiel lo osservò in silenzio. - Non credo direi loro qualcosa, probabilmente gli farei capire solo che ce l’ho fatta, che sto ancora bene. - Nessuno dei due parlò per un pezzo, poi però Castiel sospirò.

- Andiamoci allora. - Dean lo guardò senza capire.

- Cosa? -

- Al cimitero. Devo fare una cosa. - Non disse altro, si poggiò nervoso contro lo schienale e Dean capì che non avrebbe dovuto aggiungere altro. Guidò in silenzio verso il cimitero, conosceva quella strada come le sue tasche e parcheggiò al solito posto di tutte le mattine non appena arrivò. Dean spense il motore e guardò Castiel indeciso se procedere o no con la sua idea, la mano gli tremava mentre raggiungeva la maniglia, ma alla fine scese dalla macchina e l’altro fece lo stesso. Il moro superò il cancello e Dean gli stette dietro in silenzio, cercando di capire chi stesse cercando lì in mezzo a tutte quelle lapidi. Lo vide guardarsi intorno e osservare con attenzione ogni nome a caratteri cubitali, poi si fermò all’improvviso e per un pelo Dean non gli finì addosso. Castiel deglutì e abbassò lo sguardo. Il biondo notò una lacrima scorrere sulla sua guancia. La asciugò subito con una mano, quasi come a volerla nascondere, perfino dal suo viso si capiva che stava cercando in tutti i modi di trattenersi, mettendo su un’espressione seria e composta. Dean osservò le due lapidi e a quel punto gli mancò il respiro per un attimo.

Lucifer Vaught
Kelly Kline

Erano i genitori di Jack. E Dean ebbe come l’impressione che Castiel stesse vedendo quelle lapidi per la prima volta.

- Sono i genitori di Jack… - Mormorò stringendosi nelle spalle. Castiel annuì e chiuse gli occhi, come se utilizzare la vista fosse un dolore perfino più grande di quella consapevolezza. - Lui me ne ha parlato una volta. - Continuò. C’erano delle margherite davanti a entrambe le lapidi, Dean immaginò fossero di Jack.

- Sì lo so. - Sussurrò Castiel. - Jack mi ha raccontato tante cose, dice che avete legato molto. Non fa che parlare di te, sei la sua ispirazione. - Dean deglutì. Aveva capito che il rapporto con Jack fosse diventato più solido già da un po’, ma non pensava che il ragazzino si premurasse tanto di parlare bene di lui. Se fosse stato un’altra persona sarebbe arrossito, ma lui era Dean e si limitò a grattarsi la nuca in imbarazzo. - Mi ha detto anche che stai riparando l’auto insieme a lui. -

- Già, sembrava un’impresa impossibile ma… dovremmo riuscire a rimetterla in sesto. Insomma era proprio messa male. - Castiel aprì gli occhi e accennò un sorriso triste. Dean ebbe un tuffo al cuore quando vide che le lacrime erano straripate dai suoi occhi non appena aveva sollevato le palpebre, ma lui prontamente le aveva asciugate con l’orlo della manica del cardigan. Avrebbe voluto essere lui quello che asciugava le sue lacrime, avrebbe voluto passarci i pollici, poi avrebbe baciato i suoi occhi chiusi e gli avrebbe sussurrato che andava tutto bene. Ma ancora una volta rimase immobile con lo sguardo rivolto verso il basso.

- Lo immagino… - Sussurrò Castiel rimettendo le mani nelle tasche dei jeans.

- Eravate molto… amici, vero? -

- Lucifer era il mio migliore amico. Kelly è entrata nelle nostre vite molto più avanti ma era come una sorella per me. - Sentì la voce di Castiel tremare per un attimo, ma con forza di volontà cercò di ritornare in sé, respirando a fondo e deglutendo continuamente, come se quello bastasse a stabilizzarlo.

- Mi dispiace, Castiel. - Disse sinceramente Dean. - Avrai sofferto parecchio per loro. -

- Non ne ho avuto il tempo. - Dean lo guardò senza capire, e a quel punto incrociò il suo sguardo liquido. I suoi occhi brillavano, ma non era la stessa luce che si ricordava di lui. Era una luce flebile, tenue, triste. - C’ero anch’io su quella macchina, Dean. - Quelle parole furono come un grosso macigno caduto improvvisamente dal cielo, dritto sulla testa di Dean. Era così che era andata allora? Il famoso incidente dei genitori di Jack, era stato quello a causare il coma di Castiel? C’era anche lui su quella macchina, ma si era salvato, e ora piangeva la morte ingiusta dei suoi migliori amici. Perché era davvero una morte ingiusta, soprattutto se sapeva di essere sopravvissuto a loro. Al suo posto si sarebbe sentito così in colpa e così tremendamente solo. E forse era proprio questo che stava provando Castiel. Era davvero la prima volta che vedeva quelle due lapidi.

Immaginò il suo risveglio, lo immaginò sul letto in ospedale a chiedere dei suoi amici e a sentirsi rispondere, magari da un Gabriel in lacrime, che loro non ce l’avevano fatta. Immaginò perfino la prima volta che vide Jack dopo il risveglio, sentì il dolore di Castiel all’altezza dello stomaco nel saperlo orfano e nell’essere stato presente nell’esatto momento in cui era accaduto.

Castiel stava male. Tremendamente male. E Dean si sentì precipitare in un abisso assieme a lui.

- Mi lasceresti da solo qualche minuto? - Dean deglutì a fondo prima di annuire, poi fece dietro front e si allontanò, raggiungendo la propria auto. Poggiò le mani sul tettuccio e cercò di liberare la mente, di togliersi l’immagine di quell’auto distrutta e di un Castiel sanguinante sui sedili posteriori.

Lasciarono quel posto solo qualche minuto dopo. Non erano passate due ore, così i due decisero di indugiare con un normalissimo giro in macchina prima di tornare alla tavola calda.

- Dean, perché mi stai aiutando? Neanche mi conosci. - Si sentì chiedere dopo un po’. Castiel non lo stava guardando. Aveva abbassato il finestrino e tirato fuori un braccio, lasciando che il vento scorresse fra le sue dita mentre l’auto sfrecciava.

- Perché ti stai fidando di me? Neanche tu mi conosci. - Gli domandò invece Dean, curioso e speranzoso in una qualche risposta che potesse dargli un segno, anche un solo piccolo e minuscolo segno. Castiel non rispose subito, indugiò in silenzio, giocando pigramente con il vento che passava fra le sue falangi.

- Forse perché volevo verificare che i racconti di Jack fossero veri. -

- Anche se la tua prima impressione di me non è stata delle migliori? Non dirmi che non hai pensato che fossi un po’ fuori di testa, ammettilo. - Castiel ridacchiò, ripensando al modo in cui Dean fosse scappato a gambe levate il giorno in cui l’aveva visto per la prima volta.

- A proposito, perché hai reagito così? - Dean fece spallucce.

- Non sono stato bene e ti ho scambiato per un’altra persona. -

- Qualcuno di importante, se ti ha provocato quella reazione. - Dean sospirò, poi fece di nuovo spallucce.

- Può darsi. - Ci fu silenzio da parte di Castiel, ma adesso sentiva i suoi occhi azzurri come il cielo più limpido addosso, come se lo stessero studiando e leggendo come un libro aperto. - Quindi… perché ti fidi di me? -

- Non lo so. - Rispose Castiel, solo dopo aver esitato un po’.


Note autrice:
Voi non avete la più pallida idea di quante volte io abbia cancellato e riscritto questo capitolo dall'inizio. Non mi convinceva MAI.
Non che ora sia la perfezione, ma finalmente sono arrivata a dire che mi sembrava convincente.
Mamma mia quanto odio il blocco dello scrittore...
Comuuuuuunque, voi che ne pensate? Come vi è sembrato questo secondo approccio?
Fatemi sapere!
Il prossimo capitolo arriverà tra sabato e domenica. Io spero vivamente di postarlo sabato, ma non so perché ne dubito, quindi restate connessi.
Baci e alla prossima!

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Capitolo 14
*** Un brindisi ***


Un brindisi

- E se ne parlassi a Gabriel? - Aveva detto Sam qualche giorno dopo, mentre era in macchina con Dean. Il maggiore lo aveva guardato confuso per un momento. La sua testa era assorta in pensieri e dubbi, si distraeva facilmente nell’ultimo periodo.

- Come? - Disse infatti, smarrito. Sam sospirò, perché in fondo aveva notato che la sua testa fosse fra le nuvole. Era difficile non notare quando Dean non gli prestava attenzione o quando si perdeva a fissare un punto indefinito davanti a sé. Sam non lo biasimava, ma allo stesso tempo avrebbe preferito che suo fratello tornasse in sé. Solo per questo suo comportamento Sam capì che Dean si era preso una vera e propria cotta stratosferica per quell’uomo, e non era mai successo che reagisse in quel modo per qualcuno. Era importante, lo era tanto, a Sam la cosa non sfuggì. Aveva anche messo da parte il suo scetticismo proprio perché Dean ne sembrava convinto, e perché quando parlava di Castiel il suo viso e i suoi occhi si illuminavano di una luce nuova e meravigliosa.

- Ho detto… hai mai pensato di parlarne a Gabriel? - La reazione di Dean fu spontanea e immediata. Sam lo vide scuotere la testa con uno sguardo che accusava il minore di essere diventato improvvisamente pazzo.

- Non se ne parla! - Esclamò incredulo. - Mi farà rinchiudere, suo fratello è uscito da un periodo di merda, se gli racconto una cosa del genere non mi farà stare nemmeno a dieci metri di distanza. - Sam sospirò, poi tirò su con il naso e osservò la strada davanti a sé.

- Già, hai ragione. -

- Ma come ti è venuta in mente? - Chiese Dean scuotendo la testa mentre parcheggiava la macchina di fronte all’ingresso della tavola calda.

- Pensavo alla probabilità che lui potesse saperne qualcosa a riguardo. Magari ha sentito Castiel mormorare qualcosa nel sonno o… non lo so, Dean. - Sam scese dalla macchina e chiuse la portiera, attendendo che il fratello facesse la stessa cosa prima di raggiungere il marciapiede e affiancarlo.

- Sarebbe inquietante chiedergli “ehi, per caso Castiel ha mormorato il mio nome mentre era incosciente?”, non credi? - Sam roteò lo sguardo e Dean scosse la testa quando lui si recò senza aggiungere altro verso l’ingresso. Non appena vi entrarono furono investiti da un coro di risate e festeggiamenti. C’era un gruppo di persone che formavano un cerchio, fra loro sia clienti che dipendenti, perfino il cuoco, l’aiuto cuoco e il lavapiatti, più tutto lo staff della cucina. In piedi sulla sedia, proprio al centro c’era Gabriel. Sam e Dean si scambiarono un’occhiata confusa, ma poi Balthazar li raggiunse con due bicchieri di quello che sembrava proprio dello champagne. Si limitò a depositarli nelle loro mani e a spingerli letteralmente verso il gruppo.

- Che sta succedendo? - Chiese Sam a bassa voce. Balthazar però gli fece cenno di fare silenzio e di ascoltare. Gabe cercò di calmare le acque con un cenno delle mani, stringeva anche lui un bicchiere fra le dita.

- Sono consapevole che dopo questa cosa verrò preso probabilmente a schiaffi dal festeggiato, ma era mio dovere e nostro piacere, di tutti noi qui presenti, fare questo brindisi. - Gabriel sollevò il calice. - Ma devo questo anche a tutti voi, a volte ero così nervoso che vi ho trattati un po’ di merda, ammettiamolo. - Qualcuno ridacchiò. - Volevo quindi chiedervi scusa. Soprattutto a te Balthazar, te ne ho dette di tutti i colori, eh? -

- Amico, lo fai sempre e comunque. - Rispose lui con un mezzo sorriso.

- Vaffanculo! Sto cercando di essere gentile! - Le risate stavolta furono più rumorose e Balthazar si ritrovò a sollevare esasperato gli occhi al cielo. Gabriel fece una finta tosse per schiarirsi la voce. - Quindi questo brindisi è per mio fratello, per dargli un ufficiale bentornato. Grazie per aver lottato Cassie. Non so che avrei fatto se ti avessi perso. - Solo in quel momento Dean si rese conto che proprio accanto alla sedia sulla quale stava in piedi Gabe, c’era un Castiel imbarazzato, con la testa bassa e un bicchiere di champagne, ma che nascondeva comunque un mezzo sorriso intenerito da tutta quella situazione. C’era troppa gente accalcata davanti a lui perché avesse potuto vederlo immediatamente. Dean deglutì rumorosamente. - E a Kelly e Lucifer. Ci mancate davvero davvero tanto. - Jack accanto a Gabriel abbassò di poco lo sguardo, e Castiel portò un braccio attorno alle sue spalle e lo strinse a sé con dolcezza, dandogli amichevoli pacche sulle spalle. Poi tutti sollevarono i calici, e Sam e Dean fecero lo stesso prima di bere qualche sorso. - E ora torta per tutti, offre la casa! - Un applauso si levò dai presenti e la gente cominciò a sparpagliarsi non appena Gabriel scese dalla sedia per stringere suo fratello in un abbraccio. Dean rimase a guardare quella scena in religioso silenzio, perfino quando Jack si unì a quell’abbraccio e Gabe strinse entrambi come se fossero figli suoi.

- Prendo un tavolo e ordino per entrambi? - Dean annuì assorto alle parole di Sam. - Due fette di torta? - Annuì di nuovo, poi Sam gli diede una pacca sulla spalla e si allontanò. Dean rimase immobile finché non vide Castiel rimanere da solo. Si avvicinò, ma a ogni passo qualcuno si approcciava a lui per stringergli la mano, salutarlo o scambiare semplicemente qualche parola. Arrivò accanto a lui nell’esatto momento in cui Meg, di cui si era accorto solo in quel momento, stava abbracciando Castiel come se ne dipendesse la sua vita. Dean non poté evitare di sentire prudere i palmi delle mani nel vedere qualcun altro avvinghiato a lui, ma si limitò a tossicchiare appositamente per attirare la loro attenzione. I due sciolsero l’abbraccio e Meg sollevò le sopracciglia.

- Ah, è arrivato il bocconcino! - Esclamò la donna. - Dov’è quell’adone di tuo fratello? - Dean sospirò, poi indicò il tavolo dove Sam stava già ordinando da Balthazar. - Vado a salutarlo. - E senza dire altro si dileguò. Castiel strinse il proprio bicchiere contro il petto e si grattò la nuca. Sembrava imbarazzato.

- Si festeggia, eh? -

- È stata una sorpresa, non sapevo Gabe lo avrebbe fatto. - Mormorò Castiel, osservando per un momento il fratello che chiacchierava con Jack e qualche cliente. - Detesto queste cose, mi mettono in imbarazzo. - Continuò deglutendo subito dopo. Dean reagì con una leggera risata che fece colorare di rosso le gote di Castiel. - Che c’è? - “Sei adorabile”, avrebbe voluto dirglielo, rischiando tutto ciò che c’era da rischiare, ma si limitò solo a fare spallucce, mantenendo nella sua testa quelle parole.

- Niente, è che sembra tu voglia scappare anche questa volta. - Castiel si guardò attorno per un attimo e accennò un breve sorriso.

- Non conosco la maggior parte di queste persone. - Si giustificò il moro, poggiando sul bancone dietro di sé il bicchiere di champagne che aveva già svuotato.

- Allora magari… ti unisci a me e Sam? - Dean indicò il tavolo dove suo fratello si era seduto. Meg non c’era, l’aveva già salutato e adesso stava chiacchierando con Gabriel. Sam si accorse dell’occhiata di Castiel e gli rivolse un saluto, sollevando una mano, che Castiel ricambiò con un cenno della testa. Si erano conosciuti in quei giorni e sembrava andassero molto d’accordo. A Sam stava simpatico e aveva detto a Dean che non lo biasimava se provava qualcosa di forte per lui.

- Ma sì, perché no. - Disse dopo un momento di esitazione. Dean gli sorrise e con un cenno gli disse di seguirlo. Aggiunse una terza sedia al tavolo e pranzarono insieme, parlando del più e del meno. Castiel sembrava meno a disagio in quella situazione e forse, si disse Dean, non voleva più scappare. Visto che era anche una giornata speciale, almeno così aveva detto Gabe, i tre si concessero uno shot offerto dalla casa. Lo mandarono giù insieme, dopo aver contato fino a tre, poi Sam aveva iniziato a tossire sotto le risate pronunciate di Dean e Castiel.

- Vado a pagare il conto. - Disse a un certo punto Sam, alzandosi e lanciando un’occhiata ambigua a suo fratello. Dean avrebbe voluto lanciargli contro una forchetta. Li lasciò da soli al tavolo e il maggiore si ritrovò a sospirare fra sé e sé.

- È l’occasione o ti senti a disagio in tutte le feste? - Chiese curioso poco dopo.

- Dipende dalla festa, credo. - Disse Castiel con un mezzo sorriso. - Quando eravamo solo dei ragazzi era Lucifer l’animale delle feste. Ci andavo con lui, era molto popolare. Cercava sempre di farmi conoscere le ragazze più carine, di combinarmi un’uscita con loro. - Lucifer sembrava proprio un tipo con cui Dean avrebbe fatto amicizia. Dai racconti di Castiel sembravano simili. - E andava sempre male. - Ricordò ridacchiando, mentre giocherellava con l’orlo di un tovagliolo ormai sgualcito.

- Perché, ti piantavano in asso? - Chiese Dean divertito.

- Io le piantavo in asso. -

- Ti piace fare il difficile? - Castiel scosse la testa ridacchiando. Dean approfittò di quel momento per lanciare un’occhiata furtiva a Sam. Stava chiacchierando con Balthazar, forse per prendere tempo, sapeva lo stesse facendo apposta per fare in modo che lui e Castiel continuassero a interagire.

- Non riuscirei a fare il difficile neanche provandoci. -

- Già, non sembri il tipo. Allora perché? -

- Diciamo che le ragazze non sono mai rientrate nei miei gusti. - Dean si morse quasi automaticamente il labbro inferiore e si diede subito dopo dello stupido perché Castiel aveva notato quel gesto e aveva distolto subito lo sguardo, le sue gote si erano leggermente colorate di rosso. Dean non lo fece apposta, ma era proprio sembrato un modo per flirtare con lui. Più passavano insieme del tempo, più si rendeva conto che somigliava sempre di più al Castiel della sua testa, perché l’uomo che aveva davanti poteva anche rilevarsi totalmente diverso, e invece ogni sua sfumatura era quella che Dean aveva imparato ad apprezzare prima che accadesse tutto quel casino. Quello era il suo Castiel, non aveva dubbi, e aveva forse qualche possibilità.

- E quindi le scaricavi. - Disse Dean dopo essersi schiarito la voce con un colpo di tosse.

- Già. - Rispose semplicemente il moro, tornando a giocherellare con l’orlo del tovagliolo. Sam si rifece vivo subito dopo. Era ora di andare, quindi Dean si alzò dal tavolo e lo stesso fece Castiel. Si salutarono velocemente e quando Sam uscì dal locale, Dean si bloccò sulla porta a indugiare un momento. Si girò a cercare Castiel che si era avvicinato al bancone, e a quel punto Dean prese un respiro profondo e si avvicinò nuovamente a lui.

- Ehi, Cas! - Gli disse, cercando di apparire sicuro di sé più che poteva. Il moro lo guardò prima sorpreso, poi abbastanza confuso. - Se avessi voglia di scappare dalle grinfie di tuo fratello un’altra volta… - Cominciò, poco prima di allungarsi verso il bancone e rubare una penna e un post-it giallo. Poggiò il piccolo foglio sullo sgabello e cominciò a scarabocchiare su di esso il proprio numero di telefono. - … chiamami, ok? - Gli passò il biglietto e attese solo che Castiel lo afferrasse. Lui sembrò sorpreso, ma alla fine non disse niente e annuì, prendendo il piccolo post-it con un mezzo sorriso sulle labbra. - Allora ci vediamo. - Dean fece per andarsene, ma la voce di Castiel lo fece fermare in mezzo alla sala poco prima che uscisse.

- Mi piace. - Lo guardò confuso e Castiel si affrettò a spiegare. - Il modo in cui mi hai chiamato, “Cas”. Nessuno mi chiama così. - Dean sorrise ma non aggiunse altro. Se ne andò, uscendo finalmente dalla tavola calda e raggiungendo Sam in auto.

Castiel lo osservò allontanarsi, poi abbassò lo sguardo sul biglietto e sorrise poco prima di ripiegarlo con cura e sistemarlo in una delle tasche interne del suo portafoglio, dove sarebbe stato più al sicuro.

Il giorno dopo non si recarono alla tavola calda. Jack era in officina e ci sarebbe rimasto tutto il giorno per dare una mano. L’auto stava iniziando a prendere forma e voleva partecipare a tutti i costi a quella che sarebbe stata la sua rimessa a nuovo. Fecero una piccola pausa pranzo e Bobby, Jack e Dean assaporarono dei sandwich speciali preparati proprio dal ragazzino quel giorno stesso. Erano così buoni che Dean non esitò a prenderne un altro dopo che ebbe finito il primo.

Sam aveva pranzato con Jessica in casa Winchester, aveva perfino cucinato per lei, e Dean fu felice di avergli lasciato un po’ di privacy, senza il terzo incomodo fra i piedi.

Dalla prima volta che Jack era arrivato in officina, aveva imparato così tanti trucchetti da Bobby e Dean che stava diventando quasi più esperto di entrambi con i motori. Jack aveva deciso di prendere la patente, aveva iniziato a studiare da poco per passare i test scritti, e frequentava regolarmente le lezioni due volte alla settimana. Quando era in compagnia di Dean, quest’ultimo lo interrogava come se fossero a un esame orale. Quando sbagliava gli lanciava un’occhiata di rimprovero, quando invece rispondeva esattamente allora gli lasciava una pacca incoraggiante sulla spalla. Jack gli chiese addirittura di aiutarlo con le guide e Dean aveva detto che ci avrebbero provato sicuramente.

Si fece sera. Come al solito Gabe passò a prendere Jack con il suo furgoncino bianco e Dean tornò a casa, stanco per il lavoro intenso e con il sudore che gli colava sulla fronte. Puzzava come una discarica, si disse fra sé e sé mentre varcava la soglia di casa. Sam era seduto al tavolo della cucina e stava controllando dei documenti, probabilmente sul lavoro. La cena era già pronta e aspettava solo che Dean piantasse il sedere sulla sedia. Mangiò affamato e poi corse immediatamente sotto la doccia, dove finalmente poté riassumere il normale odore di un essere umano.

Proprio mentre si asciugava i capelli, il cellulare cominciò a squillare e a vibrare accanto al lavandino. Dean si sporse per osservare lo schermo. Il numero era sconosciuto, e guardando l’ora si chiese chi diavolo potesse essere. Sbuffò e prese il cellulare.

- Non voglio comprare nessun fottuto depuratore dell’acqua, avete capito? - Disse non appena portò il suo smartphone all’orecchio. Dall’altra parte ci fu silenzio per un attimo, rotto poi da una voce profonda e confusa.

- Dean? - Il biondo si diede dello stupido. Era ovvio che i venditori di depuratori non disturbassero alle dieci di sera!

- Oh, Castiel… - Disse chiudendo e stringendo forte gli occhi, come a voler reprimere e soffocare la figuraccia appena fatta. - Ciao, scusa amico… credevo fossero i soliti seccatori. - Sentì una risata soffocata.

- Non preoccuparti, è tutto ok. - Dean annuì, più a sé stesso, visto che in effetti Castiel non poteva vederlo. - Ti ho disturbato? -

- No, affatto. Qualcosa non va? - Aveva notato una punta di nervosismo nella sua voce.

- Sì, cioè no… va tutto bene, ma mi chiedevo se per te non fosse un problema vederci, adesso. - Dean deglutì.

- Sicuro sia tutto ok? - Castiel esitò, si immaginò il suo sguardo che si abbassava alla punta dei piedi e la sua mano destra che giocherellava con l’orlo della camicia.

- Ho bisogno d’aria e… di un amico. - Dean si morse il labbro a quelle parole. Con tutta la gente che avrebbe potuto chiamare, non si aspettava affatto che potesse essere lui quell’amico di cui aveva tanto bisogno in quel momento.

- E Gabe? -

- No, lui… voglio la compagnia di qualcuno estraneo ai fatti. - I ruoli si stavano invertendo. Dean lo aveva capito e quando lo aveva realizzato ebbe una stretta improvvisa all’altezza del petto. Stava davvero accadendo? All’inizio era stato Dean ad aver avuto bisogno di un estraneo con cui sfogarsi, e adesso Castiel stava richiedendo il suo aiuto. In quel modo si erano trovati, e forse in quel modo potevano ricongiungersi. - Lo so che non è un orario decente per chiederti di… -

- Sto arrivando. - Castiel non parlò per dei secondi che sembrarono interminabili.

- Davvero? -

- Certo. Dammi dieci minuti, dove ti raggiungo? - Castiel balbettò per qualche secondo prima di rispondere.

- Vivo nello stesso palazzo di Gabe. -

- D’accordo, arrivo. -

- Grazie Dean. - Il biondo sorrise, poi chiuse la telefonata e dopo fu una lotta contro il tempo riuscire a prepararsi per andarsene. Quando uscì dal bagno e raggiunse la cucina, la stanza era già buia. Sam probabilmente dormiva già, pronto ad affrontare la giornata lavorativa del giorno dopo. Dean aprì il frigorifero e prese due birre dalla confezione, poi le chiavi, la giacca e uscì di casa.

Quando arrivò al palazzo di Gabe, la strada era buia, illuminata solo da due lampioni. Nessuno era presente, si udiva solo l’ululato di qualche cane nelle vicinanze, e l’unica anima viva era proprio Castiel, seduto sui gradini dell’ingresso che si rigirava il ciondolo della catenina fra le mani. Quando parcheggiò, Castiel sollevò lo sguardo e nascose il ciondolo sotto la camicia, rivolgendogli un mezzo sorriso. Dean lo ricambiò e scese dall’auto portandosi dietro le due bottiglie. Si sedette proprio accanto a lui, poi prese le chiavi e con quelle rimosse il tappo delle birre. Ne passò una a Castiel che lo ringraziò con un mezzo sorriso.

- Allora? - Chiese Dean poco prima di bere un sorso. Castiel guardò assorto la bottiglia, poi cominciò a bere come se non l’avesse mai fatto, scolandosene quasi metà e leccandosi subito dopo le labbra con la fronte corrugata. Per un momento ricordò a Dean la prima volta che aveva bevuto con lui nella sua testa ed ebbe un brivido. - Cosa c’è che non va? - Il moro sospirò.

- Tutto non va. - Gli rispose lui guardandosi la punta delle scarpe. - Ma non voglio parlare di questo, non ora, volevo solo… - lasciò la frase in sospeso, era come se stesse cercando le parole adatte che però non trovò. Cominciò quindi a grattarsi la nuca nervosamente. - Non so perché ho chiamato te. - Esalò alla fine dopo un sospiro pesante, poi i loro sguardi finalmente si incrociarono e per Dean fu automatico far cadere quello sguardo prima sui suoi occhi, poi sulle sue labbra. Era stregato. - Ma quando ci sei mi sento a mio agio e non me lo so spiegare. - Dean deglutì senza dire nulla. Era forse quello un segno? - Quindi quando ho preso il telefono sei stato la prima persona a cui ho pensato. - Dean bevve un altro sorso e lo stesso fece Castiel poco dopo.

- Ti serviva una compagnia diversa. - Concluse il biondo per lui.

- Sì, può darsi. - Dean osservò il pomo d’Adamo dell’altro andare su e giù nervosamente.

- Hai sempre vissuto qui? - Chiese curioso, cercando di cambiare argomento. Castiel lanciò un’occhiata furtiva al palazzo, poi annuì.

- Sì, io e Gabe viviamo in due piani diversi. Ho… vissuto a casa sua nell’ultimo periodo, solo perché doveva tenermi d’occhio, ma oggi ho deciso di tornare nel mio appartamento. Mi sentivo male lì. Non per Gabe, lui è un fratello fantastico e capisco le sue preoccupazioni. Ma vedere Jack tutti i giorni, quello… non riuscivo a reggerlo. Mi sentivo così fuori posto e così in colpa… - Dean lo osservò senza dire nulla. Non biasimava affatto ciò che provava, probabilmente al posto suo avrebbe sentito le stesse identiche cose. La pazienza di Castiel, era quella che lui non aveva. Sarebbe impazzito molto prima. - Rivedo i suoi genitori ogni volta che lo guardo. - La voce gli tremò per un attimo e Dean ebbe l’impulso di abbracciarlo così stretto da togliergli il respiro. Però non lo fece. - Parliamo di qualcos’altro, ti prego. - Dean annuì e cercò un argomento che potesse risultare meno stressante. Qualcosa che probabilmente lo avrebbe distratto al punto da fargli scivolare via di dosso quell’evidente nervosismo che Dean detestava vedergli dipinto in faccia.

- Ho sentito che vorresti cominciare a lavorare, di che si tratta? - Castiel lo guardò con entrambe le sopracciglia sollevate.

- E tu come lo sai? -

- Le voci girano. - Castiel ridacchiò e Dean si sentì già meglio.

- Cercano un cassiere in un mini market. Non è il massimo, ma ho pensato che avrei potuto provare, non è un lavoro complicato, né troppo stressante. Gabe è titubante ma sto riuscendo a convincerlo. - Dean sorrise e bevve un altro sorso di birra.

- Che tipo è Gabriel? Insomma… nel privato, intendo. So che è altruista perché quando è morto mio padre ha fatto del suo meglio per aiutarmi con piccoli gesti che nascondeva in delle banali scuse ma… è stato gentile. E so che è uno sclerato. - Castiel scoppiò a ridere, seguito a ruota da Dean, poi il moro cominciò a raccontargli di lui, di piccoli aneddoti di quando erano piccoli, dei lati di Gabe che nessuno aveva mai visto, della sua parte fragile, di quella insicura e di quella spaventata, parti che Dean non aveva mai visto in quell’uomo nemmeno di sfuggita. E poi gli parlò del suo coraggio e della sua determinazione, della sua forza in quel periodo così buio per entrambi. E Dean fece lo stesso parlando di Sam, per la seconda volta, perché gli aveva già raccontato di lui quando erano nella sua testa. Ma in quel momento entrambi stavano raccontando delle persone a loro più care, i loro fratelli. E ne parlarono fino a che Dean osservò l’orologio e si rese conto che era quasi mezzanotte.

- Cavolo, mi dispiace. Domani avrai del lavoro da fare e ti ho trattenuto. - Disse Castiel mortificato mentre poggiava la bottiglia ormai vuota sul pavimento.

- Ah, non ti azzardare a preoccuparti per questo. Se avessi voluto andare via lo avrei già fatto. Mi sono trattenuto perché lo volevo. - Disse Dean mentre si alzava in piedi e Castiel faceva lo stesso, però lo guardò a lungo come se lo stesse studiando, i suoi occhi azzurri come il cielo cercavano di leggere e capire ogni sfumatura del viso di Dean.

- Continui ad aiutarmi, Dean. Lo fai sempre e forse neanche te ne accorgi. -

- E tu continui a fidarti di me. - Castiel sorrise e abbassò appena lo sguardo. Poi senza che Dean se lo aspettasse o senza che lo avesse calcolato prima, Castiel lo abbracciò. E non era un abbraccio di due amici, non aveva niente a che fare con quello. Il biondo avvertì le mani dell’altro stringergli la giacca con forza nei pugni, e sentiva il suo respiro sul collo. Dean aveva portato le braccia attorno a lui e lo aveva stretto a sé come non faceva da tempo. Gli era mancato così tanto quel contatto che sentiva gli occhi pungere. Doveva darsi una regolata e calmarsi, altrimenti avrebbe mandato a puttane ogni cosa. Ma di una cosa era certo, Castiel si sentiva legato a lui, non c’era altra spiegazione a quei gesti, solo che non ne ricordava il motivo. Era un segno abbastanza evidente, e gli bastò per capire che quello era il suo Castiel.


Note autrice:
Ok, mi sbagliavo, sono riuscita a pubblicare oggi. Dimenticate le mie parole ahahahahah
Che dire amici, lascio la parola a voi che siete tanto belli quando mi dite cosa ne pensate.
Io posso solo dirvi che questo capitolo è fin'ora risultato il più lungo di tutti, lo dimostrano il conteggio delle parole su office.
Vogliamo parlare della gif? Quando l'ho trovata mi si sono illuminati gli occhi, e niente poteva dimostrare meglio i rapporto fra i Novak. Gabe è uno dei miei personaggi preferiti, si è capito?
Bene, che ne dite dell'ultima parte? Vi aspettavate che Castiel ringraziasse Dean così?
Spero vi sia piaciuto. Ci vediamo lunedì con il prossimo capitolo.
Baci!

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Capitolo 15
*** Volevo sentire la tua voce ***


Volevo sentire la tua voce

- Ok, cambia la marcia. Mi raccomando, vacci piano con la frizion… - Non ebbe nemmeno il tempo di finire di parlare che l’auto si spense di colpo e Dean per poco non arrivò con la faccia contro il vetro. Jack sollevò immediatamente le mani e lo guardò mortificato.

- Scusa… - Mormorò poi. Dean si raddrizzò sul sedile. Era da tutta la mattina che provavano a fare quella guida, ma a Jack non stava affatto simpatica la frizione della macchina. L’auto si era spenta una ventina di volte e Dean aveva cercato in tutti i modi di reprimere la frustrazione e di mantenere la pazienza, perché di certo non voleva sgridare un ragazzino che aveva passato un periodo terribile e che soprattutto riteneva Dean una fonte d’ispirazione.

- Va bene, per oggi basta. - Dean fece scendere Jack dalla macchina e si preoccupò di parcheggiarla in modo da non ostruire il passaggio alle altre auto, poi scese anche lui e si sgranchì le gambe intorpidite. Era titubante all’inizio nel lasciare che qualcuno guidasse Baby al posto suo, a stento lo faceva Sam, ma si disse che non c’era motivo di non lasciarlo provare se c’era Dean a controllare la situazione.

- Prometto che farò del mio meglio la prossima volta. -

- Ne sono sicuro, Jack. - Gli rispose Dean mentre si poggiava al cofano della macchina e chiudeva gli occhi, lasciando che il sole carezzasse la sua pelle. Stava arrivando ormai la primavera, le temperature erano sopportabili e permettevano a chiunque di uscire fuori senza rischiare l’ipotermia. Sentiva gli uccellini canticchiare, il vento fra i capelli e non gli dispiaceva nemmeno il silenzio che si innalzava attorno a loro, in quella strada immersa nel nulla, scelta apposta per far fare pratica a Jack.

- Senti, Dean. - Il più grande aprì gli occhi e lo osservò, Jack si poggiò al cofano accanto a lui e portò le mani in tasca. - Ho notato che tu e Castiel siete abbastanza in sintonia. - Dean sollevò le sopracciglia, curioso di sapere a cosa volesse andare a parare – Lui non è molto aperto con me, non ultimamente, quindi volevo chiederti se magari ti ha detto… qualcosa. Non capisco cosa prova, lo metto a disagio? - Dean deglutì per un momento, poi sospirò e osservò un punto davanti a sé cercando di trovare le parole giuste da dirgli.

- Castiel è solo sopraffatto da ciò che è successo. Devi dargli tempo. - Jack abbassò lo sguardo verso la punta delle proprie scarpe, poi si strinse appena nelle spalle insicuro.

- Lo so che si sente in colpa nei miei confronti. Ma lui non c’entra con la morte dei miei genitori, è stato un incidente. - Dean osservò il ragazzino che continuava a tenere la testa bassa.

- Sai, mia madre è morta quando ha dato alla luce mio fratello. - Jack sollevò lo sguardo verso di lui e rimase in silenzio. Voleva ascoltare quella storia. - Sam si è sentito in colpa per tutta la vita, ma ne abbiamo parlato e a piccoli passi si sta togliendo questo malsano pensiero dalla testa. - Jack si leccò le labbra e annuì.

- Non poteva avere colpe per una cosa del genere. -

- Lo so. Sto cercando di dirti che non è facile per Castiel, come non lo è stato per Sam. Tutto ciò che devi fare è dargli tempo di digerire la cosa e poi fargli capire che non è stato lui la causa. - Dean poggiò una mano sulla spalla del ragazzo, per dargli qualche leggera pacca incoraggiante. Jack sospirò, poi però sorrise e annuì. - A piccoli passi, va bene? - Il ragazzino annuì di nuovo, poi Dean si sollevò e osservò per un momento la sua Impala prima di raggiungere la portiera al posto del guidatore. - Dai, andiamo alla tavola calda. Sam sarà già lì con Jessica. -

Sì, quel giorno avrebbe pranzato lì con Jessica. Era la prima volta forse che la portava lì, ma Sam gli aveva detto che aveva un annuncio importante da fare a entrambi, che voleva che anche Dean fosse presente e che era tanto eccitata nel dare quella notizia. Per un momento Dean aveva pensato al peggio, tipo un fidanzamento ufficiale o una proposta di matrimonio, ma, cavolo, era ancora troppo presto! Sam non amava andare di fretta, doveva essere per forza qualcos’altro. Altrimenti avrebbe dovuto studiarsi un discorso da fratello maggiore che gliene diceva di tutti i colori per quanto quella cosa fosse affrettata.

Non appena scesero dall’auto, Jack e Dean fecero il proprio ingresso, e la prima cosa che udirono fu la voce di Gabriel.

- Siete in ritardo, ragazzacci! - Disse, più rivolto a Jack che all’altro. - Tu, metti il grembiule e dammi una mano, avanti! - Il suo tono sembrava di rimprovero, ma non appena Jack fu fuori dal suo campo visivo, Gabe guardò Dean con un’espressione divertita, e subito dopo gli fece un occhiolino. Dean scosse ridacchiando la testa, notando con la coda dell’occhio che Sam e Jessica erano già seduti al tavolo a chiacchierare fra di loro, ed erano così assorti che probabilmente non si erano nemmeno resi conto del suo arrivo. Dean si guardò di nuovo intorno, poi storse appena le labbra quando non vide Castiel nei paraggi. Istintivamente si avvicinò al bancone e si sporse verso Gabriel, intento a dare una pulita sul pavimento.

- Ehi Gabe! Castiel non c’è? - Il cameriere non si girò ma stava comunque prestandogli attenzione, infatti mugolò in risposta mentre scuoteva la testa.

- Quella testa calda ha iniziato a lavorare. - Disse poco dopo aver sospirato. - Non volevo lo facesse ma diceva di aver bisogno dei suoi spazi e della sua indipendenza. Una testa calda! - Sembrava piuttosto rassegnato dal suo tono di voce, ma allo stesso tempo riuscì a percepire la stessa nota di preoccupazione che Dean avrebbe potuto avere per Sam. - Gliel’ho detto che era ancora troppo presto, ma no! Sempre a voler fare di testa sua! - Ora sembrava stesse parlando più con sé stesso che con Dean. Quest’ultimo si ritrovò ad annuire, la delusione era percepibile nel suo sguardo, perché sperava di poter chiacchierare con lui anche in quella pausa pranzo, e invece non sarebbe stato possibile.

- Capito, beh… - Deglutì appena. - Vado al tavolo. -

- Arrivo a prendervi l’ordinazione fra poco. - Rispose Gabe. Dean sospirò e raggiunse suo fratello e Jessica. Non appena la donna si alzò per abbracciarlo stretto, quasi si dimenticò della delusione di non aver visto Castiel. Jessica era così piena di entusiasmo che Dean guardò confuso suo fratello mentre lei ancora lo stritolava. Sam gli rispose con un’alzata di spalle e una leggera risata.

- Però! Cos’è successo? Hai vinto alla lotteria? - Jessica ridacchiò, poi sciolse quell’abbraccio e passò una mano sulla guancia di Dean, come una madre intenta a pulire una macchia di ketchup dal viso del suo bambino. Jessica era così, spontanea, dolce e decisamente materna.

- Siediti, avanti! - Dean fece come gli era stato chiesto e si accomodò davanti ai due. Quando vide la scodella di salatini al centro del tavolo non esitò a prenderne una manciata e a portarli tutti alla bocca, come un ragazzino davanti a una ciotola di caramelle alla frutta. Sam non si risparmiò un’occhiataccia di rimprovero, ma Dean lo ignorò, anche perché Jessica sembrava abituata a quel suo comportamento, o meglio non le importava affatto.

- Beh, cosa volevi dirci Jess? - Chiese Sam, che sembrava abbastanza confuso quanto Dean. Il maggiore credeva che lui sapesse, ma a quanto pare era riuscita a tenere all’oscuro perfino lui.

- Sono riuscita a far vincere la causa della mia cliente al processo. Era vittima di violenza dal suo ex marito, quello stronzo le faceva delle cose veramente allucinanti. - Jessica prese una manciata di salatini sul palmo della mano e cominciò a mandarli giù a uno a uno, poco alla volta. - So che non è molto professionale, ma io e lei abbiamo legato molto nonostante dovessi mantenere un certo distacco, visto che lei è una mia cliente. - Dean la ascoltò in silenzio, anche se non aveva idea di dove volesse andare a parare con quel discorso. Cosa c’entravano Sam e Dean in tutto quello? - È una donna incredibile e ha deciso di aiutare le donne che hanno passato la stessa cosa. Ha organizzato una raccolta fondi. Una cosa veramente seria, è coinvolto anche il sindaco. Ma avevamo bisogno di un posto dove organizzarla, e visto che lei ci teneva così tanto… - Jess lasciò la frase in sospeso e si limitò a fare spallucce, il suo sorriso andava da un orecchio all’altro.

- Davvero? - Sam sembrava aver capito e spalancò gli occhi sorpreso e anche abbastanza orgoglioso della donna che aveva a fianco.

- Sì. Ho fissato la raccolta fondi per il week end della settimana prossima, si farà a casa mia e sarà una bella festa. Appoggerei una causa a cui io tengo molto, e per me il regalo più bello sarebbe proprio che la gente donasse per questo. - Dean sorrise all’entusiasmo con cui Jessica stava raccontando quella storia. Sam lo fece a sua volta e non aveva occhi che per lei, così intenta a spiegare la sua meravigliosa idea ai due Winchester.

- E non mi hai detto nulla? - Disse Sam.

- Doveva essere una sorpresa! E ve lo sto dicendo adesso, a entrambi. Perché vi voglio a questa festa e perché voglio che spargiate la voce. Più siamo e meglio è! - Jess afferrò la borsa e la aprì e cominciò a frugarvi dentro, scavando fra i mille oggetti all’interno. Dean si chiese quali strane diavolerie potesse contenere la borsa di una donna, e se fossero davvero così necessarie dato che sembrava difficile perfino trovare il portafoglio. A lui bastavano le tasche dei jeans e a volte si dimenticava perfino il portafoglio sul tavolo all’ingresso di casa.

Poco dopo, Jessica tirò fuori una busta da lettere e la aprì. All’interno vi erano due rettangoli di cartoncino che passò a Dean e a Sam, uno ciascuno. Quando Dean lesse cosa c’era scritto, sorrise. Era un piccolo volantino della suddetta festa.

- Mh, ma che classe! - Esclamò Dean, rigirandosi il cartoncino fra le mani e notando lo stile della scrittura fine ed elegante.

- Sì, vero? Li ho fatti da sola, sono molto soddisfatta. -

- Perché c’è il numero di telefono in fondo? - Chiese curioso il biondo.

- Ci sarà una lista per poter entrare. Solo chi vuole donare è ammesso e ci si dovrà prenotare. - Dean annuì pensieroso. - A offerta libera, sia chiaro, non ci sono costrizioni o limitazioni. Basta anche poco per fare qualcosa di grande. -

- È proprio una bella cosa, Jessica. - Disse Dean in un sorriso, che la ragazza ricambiò portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio destro. - Ci sarò sicuramente e cercherò di spargere la voce. -

- Non immagini quanto potrebbe significare per me. - Disse Jessica in risposta. Sam le afferrò una mano da sopra il tavolo e gliela strinse con dolcezza.

- Sono fiero di te. - Le disse, e i due si sorrisero guardandosi teneramente negli occhi. A Dean non diede fastidio che subito dopo i due si stavano scambiando un tenero bacio davanti ai suoi occhi. Era semplicemente felice che si fossero trovati, sembravano perfetti per stare insieme e Sam era praticamente rinato grazie a quella donna. Avrebbe tanto voluto, però, che la stessa scena fosse possibile anche per lui e Castiel un giorno. Non poté evitare di sentire quella stretta allo stomaco.

- Buongiorno ragazzacci. Ciao di nuovo Dean-o! - Gabriel si fece vivo con penna e taccuino, poi li guardò in attesa finché non incrociò lo sguardo di Jessica e sollevò sorpreso le sopracciglia. - Ah, tu sei Jessica, vero? Samuel mi ha parlato di te! Se non sbaglio eri anche alla festa d’addio di Kevin! - Jessica gli strinse gentilmente la mano in risposta, dato che l’aveva tesa verso di lei per presentarsi.

- In persona, Gabriel! - Il cameriere le fece un occhiolino, poi sciolse la presa delle loro mani.

- Ah, quindi sai anche come mi chiamo! Samuel ti parla di me, potrei sentirmi onorato. - Sam si ritrovò con la testa fra le mani, scuotendola esasperato, ma un sorriso divertito solcava le sue labbra. - Ti ha detto anche qualcosa di imbarazzante? - Jess fece finta di pensarci su.

- Facciamo che se mi fai appendere un manifesto sulla vostra bacheca, te lo dirò. - Gabe storse appena le labbra e la guardò come a studiarla, poi però annuì.

- Affare fatto. - Alla fine i tre ordinarono, e se ne andarono solo dopo aver pulito i piatti del tutto e aver aiutato Jessica a mettere il manifesto sulla bacheca degli annunci della tavola calda. Lo attaccarono proprio al centro, ed era abbastanza grande e visibile. Tutti lo avrebbero adocchiato già appena entrati, Dean era sicuro avrebbe accalappiato un sacco di visitatori curiosi e generosi.

Jessica consegnò un secondo manifesto a Dean per l’officina e lui fu ben felice di portarlo da Bobby e di appenderlo in bella vista, e Bobby non ebbe nulla da ridire.

Quando il suo turno in officina terminò, Dean stava rimettendo a posto i suoi attrezzi insieme a Bobby, quando sentì la familiare suoneria del suo cellulare. Lo prese dalla tasca e quando vi lesse il nome di Castiel sullo schermo non poté non trattenere un sorriso.

- Oh, conosco quello sguardo. - Disse Bobby mentre si toglieva il cappellino da baseball sotto il quale stava sudando copiosamente.

- Cosa? - Disse Dean mentre abbandonava quello che aveva nelle mani per allontanarsi così da poter rispondere.

- Quella faccia non la fai con chiunque. -

- Ah, sta’ zitto! - Esclamò subito dopo uno sbuffo, poi quando fu abbastanza lontano si decise finalmente a rispondere. Poteva vedere con la coda dell’occhio un Bobby che scuoteva divertito la testa per quella risposta schiva. - Ehi Cas! -

- Ciao, Dean. - Disse la voce dall’altro capo del telefono.

- Tutto bene? Ho saputo che hai iniziato a lavorare. -

- Sì, io… tutto bene, devo solo prendere confidenza con il registratore di cassa. - Il solo pensiero di Castiel che litigava con la cassa lo fece quasi ridacchiare, ma riuscì a trattenersi. - Ma per il resto direi che va tutto bene. -

- Sono felice per te, Cas. Mi fa piacere che inizi a essere indipendente. - Ci fu un momento di silenzio, poi sentì l’altro sospirare leggermente. - Perché mi hai chiamato? - Chiese poco dopo, curioso. Ancora ci fu silenzio e Dean si ritrovò a grattarsi la nuca mentre si poggiava al cofano della sua Impala.

- Quando ho fatto la mia pausa pranzo da solo ho pensato a te. - Dean dovette mandare giù deglutendo quell’improvviso groppo alla gola non appena udì quelle parole. - Volevo sentire la tua voce. C’era troppo silenzio senza di te. - Ignorò perfino il battito del cuore che aveva iniziato ad accelerare senza che potesse controllarlo. Castiel probabilmente non si era nemmeno reso conto di quanto quella frase fosse sembrata sdolcinata. - Dean, ci sei? -

- Ehm, sì, sì, certo, ci sono. - Raddrizzò le spalle poco prima di continuare. - Senti, Cas… dove sei adesso? -

- Sono appena uscito dal minimarket e sto andando a casa a piedi, perché? -

- Dammi l’indirizzo e sta’ fermo lì, vengo a prenderti e ti accompagno. -

- No, davvero… non è molto lontano, ce la faccio. -

- Cas! - L’altro sospirò pesantemente e scandì per bene l’indirizzo all’altro, perché sapeva che se avesse insistito Dean avrebbe comunque fatto di testa sua. Ormai conosceva questo suo lato determinato.

Dean infatti mantenne quella promessa, e neanche cinque minuti dopo Castiel vide l’Impala in lontananza che pian piano si avvicinava. Si fermò proprio accanto al marciapiede dove lui si era fermato ad aspettarlo e il finestrino dal lato del guidatore si abbassò. Dean si sporse a guardarlo.

- Bel gilè! - Castiel abbassò lo sguardo su quello che indossava. Era ciò che Nora, la proprietaria del negozio, gli aveva dato come prima cosa quella mattina, con tanto di spilletta con il suo nome. - Sali! - Non se lo fece ripetere due volte. Salì al lato del passeggero e Dean partì subito dopo. Non si dissero nulla, anche perché il tragitto fu breve e abbastanza tranquillo. Quel vuoto di parole non risultò fastidioso a nessuno dei due.

L’auto si fermò davanti al palazzo di Gabe e Castiel, e Dean non si limitò a dirgli di scendere e a salutarlo. Si catapultò fuori dalla macchina insieme a lui ed entrambi si poggiarono contro di essa, l’uno accanto all’altro con le mani in tasca.

- Quindi ti mancavo? - Chiese Dean poco dopo, riferendosi alle parole che gli aveva detto al telefono. Castiel abbassò lo sguardo in imbarazzo, cercava di evitare il suo sguardo ma non riuscì proprio a sfuggirgli.

- Può darsi. - Dean ridacchiò e diede una leggera gomitata al fianco dell’altro, che si unì a quella risata divertita.

- Potrei quasi dire che mi stai corteggiando. - Non si vergognò di quello che disse, lo aveva fatto apposta per vedere la sua reazione, per giocare con lui in qualche modo, per scherzare e basta. Era il suo normale modo di fare in fondo, o forse lo faceva solo con le ragazze? Era lui quello che stava flirtando in questo caso? Non seppe darsi una risposta ben precisa, ma non se ne pentì quando sentì la risposta di Castiel.

- Cosa? No, io ho solo… cioè, anche se volessi… non sono bravo in queste cose. - Dean lo guardò di sottecchi mentre l’altro si stringeva nelle spalle. Si chiese cosa sarebbe successo se avesse provato ancora a stuzzicarlo in quel modo.

- Oh, quindi vorresti! - Si lasciò sfuggire un sorrisetto e la faccia di Castiel in quel momento sembrava solo dire “sotterratemi adesso”, e Dean non poté trovarla più adorabile.

- Io… - Castiel scosse la testa ridacchiando e si staccò con la schiena dall’Impala. - Secondo me qui sei tu quello che sta flirtando. - Dean fece spallucce e tornò a osservare il palazzo di fronte a sé.

- Può darsi. - Quella risposta fece scuotere divertito la testa a Castiel, che pian piano sembrò essere a suo agio perfino con quell’argomento, visto che le sue guance stavano tornando a un colore naturale.

- E io che credevo fossi un donnaiolo! -

- C’è questa reputazione su di me? -

- Direi che Gabriel sia un perfetto testimone oculare delle tue conquiste. - Dean rise. Aveva flirtato spudoratamente con Karen alla tavola calda, e con decine di altre ragazze, tutto davanti agli occhi rassegnati di un Gabriel Novak che si limitava a distogliere lo sguardo ogni volta che vedeva qualche effusione in atto.

- Colpevole. Sono stato un donnaiolo. -

- Ma? - Chiese Castiel, consapevole che a quella frase ci fosse un continuo che Dean aveva volontariamente omesso.

- Ma ho avuto una cotta per un uomo, ed era una cosa seria. - Castiel sembrò sorpreso di quella risposta e si girò del tutto a guardarlo, poggiandosi con il fianco alla macchina.

- Ah sì? -

- Già. - Si guardarono a lungo. Dean avrebbe voluto urlare che quell’uomo era proprio lui, che si trovava a guardarlo negli occhi in quel preciso momento, che se non avesse avuto tutta quella forza di volontà, lo avrebbe già baciato spiaccicandolo contro la carrozzeria della sua Impala. Invece il discorso si interruppe lì, e anche il contatto visivo, perché Castiel abbassò lo sguardo e si schiarì la voce con una finta tosse.

- Io andrei adesso… è tardi e sto morendo di fame. - Dean non rispose, si limitò ad annuire con un sorriso. - Grazie del passaggio, Dean. - Si guardarono un’ultima volta, due paia di occhi che non riuscivano a fare a meno di scrutarsi, poi Castiel voltò le spalle e cominciò a camminare verso l’ingresso del palazzo.

- Ehi, Cas! - Lo richiamò il biondo, che automaticamente fece qualche passo in sua direzione. Il moro si girò a guardarlo confuso, aveva già le chiavi in mano ed era già pronto a entrare in casa. - C’è una festa la settimana prossima. È un evento di beneficenza, mi chiedevo… se ti andasse di andarci, con me. - Castiel lo guardò sorpreso per un attimo e Dean si leccò nervosamente le labbra. - Solo se vuoi, ecco. - Sulle labbra di Castiel comparve un mezzo sorriso.

- Ha tutta l’aria di un appuntamento, stai ancora flirtando con me? - Dean fece spallucce e accennò un sorriso divertito che fece ridacchiare Castiel. - Va bene allora, verrò volentieri. - Non disse altro, gli rivolse solo un sorriso più genuino che per poco non fece tremare le gambe a Dean, poi aprì il portone e sparì all’interno del palazzo.

Dean non riuscì a muoversi da quel marciapiede per i successivi cinque minuti, doveva aspettare che il suo dannato cuore smettesse di esultare.


Note autrice:
Priiiima di parlare del capitolo volevo dare delle veloci comunicazioni:
1. Molto presto pubblicherò da qualche parte (copyright permettendo) il trailer di questa storia, tutto rigorosamente in italiano. Non lo faccio adesso perché contiene spoiler e non voglio rovinare tutto. Dovevo farlo, ci sono troppe scene che coincidono alla perfezione, in più la canzone di sottofondo è meravigliosa e la adoro.
2. Quando questa storia giungerà alla fine, ho pensato di pubblicare un seguito. Ma attenzione, non sarà un vero e proprio seguito ma uno spin off. La storia sarà sempre questa ma dal punto di vista di Gabriel, perciò conterrà un sacco di retroscena che qui non ho approfondito, e soprattutto si incentrerà sul rapporto fraterno tra lui e Castiel. È ancora un'idea, ma avrei così tanto da scrivere a riguardo che ho pensato "perché no?". Voi che dite, dovrei farlo? Sarebbe una cosa che leggereste? Fatemi sapere!
Comunicazioni finite, passiamo al capitolo.
Che dire... direi che Dean ha iniziato a far trapelare qualcosa, no?
E il suo invito alla festa? Ooooh, vedrete poi che ho in mente per quello...
Comuuunque, che ne pensate in generale?
Aspetto i vostri pareri.
Intanto vorrei dirvi che il prossimo capitolo dovrebbe uscire mercoledì, ma domani ho lezione e potrei tornare a casa distrutta e non avere voglia di scrivere, quindi potrebbe saltare a giovedì, ma non ne sono sicura, stay tuned!

Un bacio a tutti, scusate le note chilometriche.
Alla prossima! 

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Capitolo 16
*** Love me tender ***


Love me tender

Dean aveva prenotato la presenza alla festa perfino per Castiel e lui si era premurato di depositare una somma ragionevole per la causa che Jessica stava sostenendo. Anche Dean e Sam avevano depositato un considerevole gruzzolo, e lo stesso fece Gabriel, che però non sarebbe potuto essere presente perché doveva occuparsi del locale insieme a Balthazar. Aveva però lasciato il via libera a Jack, voleva che almeno lui partecipasse e che si svagasse un po’.

I preparativi erano in corso, Sam stava via di casa quasi tutto il giorno per dare una mano a Jess, mentre Dean si preoccupava di fare breccia nel cuore di Castiel, anche se detta in quel modo poteva suonargli infantile e quasi… disperato. Ogni tanto si vedevano dopo il lavoro, Dean si faceva trovare fuori dal minimarket quasi tutte le sere senza avvertire prima l’altro, e Castiel sorrideva ogni volta che uscito dal negozio incrociava il suo sguardo. Un’altra volta gli aveva portato il caffè sul posto di lavoro, poi lo avevano consumato insieme, un’altra invece avevano passato la serata a bere birra davanti al portone del palazzo di Castiel, parlando del più e del meno.

Era la sera prima della festa e i due stavano facendo due passi. Castiel aveva appena finito di lavorare e indossava ancora il suo assurdo gilè azzurro con la spilletta sul petto che citava il suo nome. Tenevano le mani in tasca mentre si dirigevano verso casa di Castiel. Quest’ultimo gli aveva chiesto se poteva essere lui questa volta ad accompagnare Dean, ma quest’ultimo aveva rifiutato categoricamente. Non voleva gli succedesse qualcosa, soprattutto visti i suoi capogiri, e Gabe sicuramente lo avrebbe fucilato se avesse visto il suo fratellino vagare da solo e a piedi.

- Sei pronto per domani? - Gli chiese il biondo mentre guardava il marciapiede.

- Sì, e no. - Gli rispose Castiel con un mezzo sorriso, poi si leccò appena le labbra. - Lo sai che non sono un tipo da feste. - Dean si voltò a guardarlo e fece spallucce.

- Beh, ma in questa festa ci sono io. - Gli fece un occhiolino che fece ridacchiare il moro mentre scuoteva esasperato la testa.

- A volte dimentico che tu e la vanità andate a braccetto. - Dean rise a sua volta e diede una leggera gomitata al fianco di Castiel.

- Come tu e il mistero, d’altronde. - Castiel lo guardò confuso, la fronte corrugata e gli occhi stretti in una fessura.

- Che vuoi dire? - Dean deglutì, avrebbe voluto dirgli davvero il motivo, che per lui Castiel era un vero e proprio mistero. Che quello che avevano passato sembrava più un racconto fantastico che la realtà, e il fatto che lui non se ne ricordasse rendeva il tutto ancora più surreale. Stava per balbettare una scusa, quando decise di raggirarlo con una risposta che avrebbe potuto giustificare il suo commento.

- Voglio dire che io non ti ho mai visto in giro qui, e se il tuo lavoro ti teneva lontano da casa doveva essere un lavoro importante, quindi… di che si trattava? Eri della CIA? - Castiel ridacchiò e poco dopo si fermarono in mezzo al marciapiede. Per un momento Dean si chiese come mai si fossero fermati, ma poi si rese conto che erano appena arrivati davanti al palazzo dove vivevano i Novak.

- Non ero della CIA. - Gli disse il moro, fronteggiandolo con le mani ancora infilate in tasca.

- Allora? - Castiel parve indugiare un momento, poi fece vagare lo sguardo sulla camicia di Dean e per poco credette di essersi sporcato in qualche modo e di aver quindi distratto l’attenzione dell’altro, Quando però si diede una controllata capì che era tutto a posto e che Castiel stava solo temporeggiando.

- Te lo dico solo se rispondi a una mia domanda. - Dean annuì e Castiel lo guardò negli occhi, poco prima di abbassarli imbarazzato. - L’uomo che hai amato… - Mormorò. - Come si chiama? - Dean fu colto di sorpresa e aprì la bocca per dire qualcosa, ma da essa non uscì alcun suono, solo una serie di balbettii che probabilmente Castiel non avrebbe saputo come spiegare.

- Perché lo vuoi sapere? - Disse dopo un momento di silenzio imbarazzante. Castiel fece spallucce tenendo ancora lo sguardo basso. Quella che vide in quell’atteggiamento sembrava proprio gelosia e Dean dovette combattere con tutte le sue forze per non prendergli il viso fra le mani e azzerare quelle distanze che ormai stavano diventando insopportabili per lui. - Sei geloso? - Castiel sbarrò gli occhi e si soffermò a guardarlo per un momento prima di fare un piccolo passo indietro e scuotere nervosamente la testa.

- No no, è solo curiosità. - Tagliò corto, guardando di sfuggita il palazzo e dondolando nervoso sui piedi, come un bambino in imbarazzo davanti a uno sconosciuto. Dean sorrise involontariamente. Avrebbe potuto inventare un nome qualunque da dirgli, ma decise che quella gelosia gli piaceva, che quella sensazione al petto non voleva scrollarsela di dosso, così si limitò a leccarsi le labbra e a tacere. - Lo sapevo… non me lo dirai perché ti diverte vedermi in difficoltà. - Dean fece spallucce e Castiel scosse la testa, grattandosi la nuca timidamente, ma con l’accenno di un sorriso sulle labbra. - Allora continuerò ad andare a braccetto con il mistero. - Dean rise, seguito a ruota da Castiel. - Devo rientrare. - Mormorò poco dopo, spingendo il cancelletto che conduceva al portone.

- Ti passo a prendere io domani, alle otto, va bene? - Castiel annuì, poi si morse il labbro e indietreggiò di qualche passo prima di voltarsi e recuperare le chiavi dalla tasca posteriore dei pantaloni. Le inserì nella toppa e fece scattare la serratura, poi spinse il portone e poco prima di entrare osservò per un’ultima volta Dean. Era ancora fermò lì dove lo aveva lasciato, solo in attesa di vederlo fuori dal suo campo visivo. Lo faceva sempre, ogni volta aspettava che entrasse prima di avviarsi, e questo a Castiel piaceva. Gli faceva sentire un calore all’altezza del petto che poche volte aveva sentito in vita sua. Si sentiva… importante per lui, e con quel pensiero si stampò un sorriso sul volto che non esitò a rivolgergli prima di entrare e richiudersi il portone alle spalle. Dean se ne andò solo poco dopo aver visto la luce accendersi.

Il giorno dopo fu tutto un accumularsi di nervi e tensione per entrambi i Winchester. Per l’occasione, Bobby aveva lasciato la giornata libera a Dean, e Sam aveva passato quasi mezza giornata a casa di Jessica per preparare le ultime cose. Si sarebbe occupato il minore di andare a prendere Jack alla tavola calda, dove si sarebbe fatto trovare già pronto dopo il turno di lavoro. Sam si era proposto di farlo, in realtà, forse per lasciare che Dean stesse da solo con Castiel.

Era comunque una festa di beneficenza, ci sarebbe stato il sindaco e qualche assessore comunale, era come andare a una serata di gala e doveva essere più che presentabile. Dean si fece una lunga doccia calda, poi stette quasi dieci minuti davanti al suo armadio indeciso sul da farsi. Non voleva apparire troppo elegante e spocchioso, ma allo stesso tempo non poteva presentarsi come se stesse a una delle solite feste a cui era abituato andare, quelle piene di alcool e ragazze che sbucavano da ogni dove, quelle in cui il suo unico scopo era far colpo su una di loro. Sì, la cosa non era molto differente. C’era qualcuno su cui voleva fare colpo anche in quella festa, ma non era come con quelle ragazze.

Decise di optare per una camicia nera e un completo grigio chiaro, evitando ridicole cravatte o assurdi farfallini. Sistemò i capelli meglio che poté e mentre era intento ad agganciarsi l’orologio al polso, sentì bussare alla porta della sua camera. Quando ebbe il permesso, Sam fece capolino con la testa nella stanza.

- Ehi, io vado a prendere Jack, ci vediamo lì allor… - Il fratello smise di parlare non appena lo guardò, e per Dean fu automatico sollevare la testa verso di lui confuso. Sammy indossava un normalissimo completo nero su camicia bianca, anche lui aveva deciso di evitare cravatte e farfallini ridicoli. Stava molto bene, perfino con la solita chioma che incorniciava il suo viso.

- Che c’è? - Sam ridacchiò

- Non stai andando al ballo di fine anno, Dean. Rilassati! - Dean lo scimmiottò con una smorfia e il minore si ritrovò a scuotere la testa. - Ci vediamo lì! - Poco dopo Sam era già sparito e Dean aveva sentito la porta di casa sbattere.

Osservò che ore fossero, poi prese le chiavi della sua Impala e si diede un’ultima controllata allo specchio all’ingresso. Decise di sbottonare i primi due bottoni della camicia, poi annuì a sé stesso, come ad approvare l’immagine che vedeva riflessa. Quando salì in macchina e cominciò a guidare, si ritrovò a pensare al fatto che non aveva sentito Castiel per tutto il giorno e per un momento ebbe il dubbio che si fosse dimenticato della serata. Avrebbe dovuto scrivergli un messaggio per dirgli che stava arrivando? O sarebbe sembrato solo troppo disperato? Non ne ebbe motivo, perché quando arrivò sotto al palazzo dei Novak, Castiel era già in piedi davanti al cancello. Dean dovette trattenere il respiro per un momento quando si rese conto che indossava lo stesso maledetto completo con cravatta blu che aveva avuto per tutto il tempo nei suoi sogni, insieme a quel lungo trench, che probabilmente non sembrava davvero molto adatto per quell’occasione. Ma, cavolo, lo trovava affascinante comunque, e ne ebbe la conferma quando, appena salito al posto del passeggero, il suo profumo di muschio bianco e la sua vicinanza gli fecero aumentare le palpitazioni all’improvviso.

- Ciao… - Mormorò quindi il biondo, tenendo una mano sul volante e l’altra sul cambio, deglutendo subito dopo. Anche Castiel sembrava piuttosto nervoso, se non imbarazzato dalla situazione.

- Ciao, Dean. - Disse con un mezzo sorriso. - Stai benissimo. -

- Anche tu, perfino con la cravatta, e a me neanche piacciono. - Castiel ridacchiò e come gesto istintivo stirò l’accessorio con il palmo della mano.

- Grazie, credevo di sembrare troppo… formale. - Dean inserì la prima marcia, poi uscì dal parcheggio e cominciò a guidare verso l’indirizzo che suo fratello aveva scritto frettolosamente su un pezzo di carta quella mattina.

- No, sei a posto. - Castiel sorrise, e per tutto il tragitto i due non si scambiarono una parola, non c’era nulla da dire in fondo e quel silenzio, come sempre, non era fastidioso, né carico di tensione come Dean si aspettava. Era anzi piuttosto piacevole.

Quando arrivarono alla casa di Jessica, per poco Dean credette di aver sbagliato indirizzo. Non era una semplice casa, era una vera e propria villa, addobbata per una grande festa, con tanto di parcheggiatore e un tizio grande e grosso all’ingresso che gestiva la lista degli invitati. Non affidò la sua amata Impala a quell’uomo, nemmeno gliela lasciò sfiorare, parcheggiò da solo e insieme a Castiel si recarono all’ingresso della casa.

- I vostri nomi? - Chiese il tizio all’ingresso.

- Novak e Winchester. - Rispose Dean. Quello fece scorrere le dita lungo la lista, passando lentamente su ogni nome e storcendo le labbra.

- Castiel Novak, eccolo qui. E visto che lei non è Sam, allora deve essere Dean! -

- In persona! - Esclamò Dean, mentre accanto a lui Castiel si stava già sfilando il trench. L’uomo si fece da parte e con un cenno della testa li incitò a entrare.

- Buon divertimento. - I due lo ringraziarono con un cenno della testa e varcarono la soglia. Ad accoglierli un ampio salone in cui era stato fatto abbastanza spazio, probabilmente per ballare, le luci attenuate e una musica di sottofondo. Un tavolo ricco di ogni tipo di stuzzichino si trovava accanto a una porta a vetri che dava su un bellissimo giardino sul retro, con tanto di piscina e un piccolo gazebo adornato di piccole luci per l’occasione. La gente vestita elegantemente si distribuiva nel salone, sui divani e in piedi accanto al tavolo pieno di cibo, oppure fuori a godersi l’aria aperta. Castiel lasciò il suo trench a una cameriera, poi si guardò attorno a disagio.

- A quanto pare Jessica ci sa fare con queste cose! - Esclamò Dean mentre adocchiava ogni presente. Scorse Jack, vestito in total black, i capelli biondi pettinati all’indietro con un po’ di gel, che chiacchierava con una ragazza e la faceva ridere. Dean sorrise involontariamente a quella scena, e poco più in là intravide Jessica mano nella mano con suo fratello. Entrambi tenevano in mano un bicchiere di champagne. Fu Jessica la prima a vederli, e si sbracciò in loro direzione per incitarli ad avvicinarsi. Dean fece per raggiungerli, ma non sentì i passi di Castiel accanto a sé. Quando si girò pensò di vedere un Castiel timido e impacciato che non aveva intenzione di unirsi a lui, ma invece non stava facendo altro che cercare di sistemare la cravatta inutilmente. Dean ridacchiò e si avvicinò, terminando il lavoro per lui. Strinse per bene il nodo alla sua cravatta, poi aggiustò il colletto con entrambe le mani e gli sorrise.

- Adesso va meglio. - Il moro gli sorrise e per alcuni secondi si guardarono negli occhi, poi raggiunsero Jessica e Sam.

- Ah, Dean, finalmente! - Esclamò la donna, abbracciandolo stretto e con un sorriso sgargiante sul volto.

- Te la passi bene, Jess. Questa casa è spettacolare. - Lei sciolse l’abbraccio e spolverò le spalle dell’altro con le dita.

- Non è proprio casa mia, è dei miei genitori. Io vivo in un piccolo appartamento, ma ho pensato che per un’occasione del genere ci fosse bisogno di una location adatta. - Solo a quel punto Jessica si accorse della compagnia di Dean e a quel punto si rivolse con il medesimo sorriso anche a Castiel. Dean sapeva che Sam non aveva raccontato a Jess dei suoi sogni su di lui, ma immaginò le avesse detto qualcosa sul fatto che provasse dei sentimenti nei confronti di Castiel. A Dean non dava fastidio il fatto che lei sapesse. - Tu sei Castiel, vero? - I due si strinsero la mano per presentarsi. - Finalmente ti conosco! Grazie mille di essere venuto e di aver donato qualcosa, significa tanto per me. -

- È stato un piacere per me, davvero. - Rispose Castiel. La timidezza sembrava essere del tutto svanita, sembrava solo un uomo felice di aver conosciuto una persona tanto speciale come lei. Sam nel frattempo lanciava delle occhiatine a suo fratello. Accanto a lui c’era una donna che non aveva mai visto prima, ma Jess non tardò a rimediare, come a leggerlo nel pensiero. La presentò loro come Ellen, ed era proprio lei la donna che aveva dato inizio a tutto, sostenendo la causa e aiutando le donne vittime di violenza come lo era stata lei. Per Castiel e Dean fu un vero onore stringere la sua mano e avere occasione di scambiare due chiacchiere con lei.

La festa procedeva bene. Il tavolo del cibo veniva riempito ogni qualvolta un piatto veniva spazzolato da ogni pietanza, e i bicchieri di champagne andavano e venivano dalla cucina in continuazione come se ce ne fosse una scorta infinita. Jack sembrava spigliato e a suo agio mentre faceva nuove conoscenze a destra e a manca, e Dean scorse perfino il sindaco e sua moglie ridere e scherzare con altri ospiti.

L’aria cominciò a farsi viziata dopo un po’, e i due dovettero uscire al giardino sul retro per riprendere a respirare normalmente, entrambi con un bicchiere pieno in mano. La musica aleggiava nell’aria e dalle grandi finestre si potevano vedere gli ospiti ballare al centro del salone, tra cui Jessica e Sam che si stringevano l’un l’altro.

- Sono una bella coppia! - Disse Castiel poco prima di bere un sorso. Era poggiato contro una delle colonne del gazebo. Dean gli stava a fianco e sorrise non appena udì quelle parole, guardando a sua volta i diretti interessati.

- Già, lo sono. - Il biondo fece ondeggiare il liquido all’interno del suo bicchiere, poi spostò lo sguardo sull’altro che si ritrovò a fissarlo a sua volta.

- Perché non stai ballando con gli altri? Pensavo ti piacesse ballare. - Dean fece spallucce.

- Forse sto aspettando la canzone adatta. - Castiel bevve un altro sorso e poggiò il bicchiere semivuoto sul muretto. - E tu che ci fai a una festa? Non eri una frana in queste cose? - Lo prese in giro Dean, facendolo ridacchiare

- Mi ha invitato un certo Winchester. Un donnaiolo, sai? Però ha invitato me invece di una bella ragazza conosciuta alla tavola calda di quel tipo, quel Gabriel. Non so come sentirmi a riguardo. - Dean nascose un sorriso dietro al proprio bicchiere.

- Forse ti ritiene speciale. - Bevve l’ultimo sorso, svuotò completamente il suo bicchiere prima di poggiarlo sul muretto accanto a quello di Castiel. La musica cambiò, la melodia movimentata si trasformò in una dolce e lenta. Il giardino era quasi del tutto vuoto, tranne che per una coppia che si aggirava lungo il bordo della piscina, al lato opposto in cui c’erano loro. Dean riconobbe la voce che cantava quella canzone. - Elvis Presley! - Disse infatti, poi si voltò verso Castiel e gli porse la mano. Il moro la guardò confuso per dei secondi che sembravano interminabili, poi sollevò gli occhi verso quelli verdi e intensi di Dean. - È la canzone adatta. - Si limitò a dire, e a quel punto le gote di Castiel assunsero una tonalità leggermente più rossastra, Dean riuscì a notarlo nonostante il buio circostante e le luci soffuse.

- Qui fuori? -

- Non mi pare sia vietato. - Castiel si guardò attorno titubante, leccandosi le labbra imbarazzato, poi guardò nuovamente quella mano tesa verso di lui. - Non farti pregare. - A quelle parole, il moro prese delicatamente la sua mano e Dean lo guidò qualche passo più avanti, dove c’era spazio sufficiente per muoversi. Castiel sembrava impacciato, ma il biondo non esitò a intrecciare le dita con quelle dell’altro, mentre l’altra mano si poggiava delicatamente al suo fianco. Il moro esitò, ma alla fine strinse le dita attorno alla spalla di Dean.

- Dean, io non so ballare… -

- Non importa. - Castiel si ammutolì, e quando Dean prese a muoversi con dei semplici ondeggiamenti seguendo le dolci note di quella canzone, Castiel si lasciò guidare e incatenò lo sguardo al suo. Ma mantenere il contatto visivo con i suoi occhi verdi sembrava talmente complicato per il moro, che dovette abbassare leggermente la testa. Quelle note però lo cullavano, lo portavano a essere così malleabile fra quelle braccia, che tutta la rigidità avuta fino a quel momento si dissolse nel nulla, e Castiel continuò ad assecondare i leggeri ondeggiamenti dell’altro, osservando un punto indefinito della camicia di Dean per evitare il modo intenso in cui i suoi occhi lo guardavano. E dentro di sé aleggiava quella piccola preghiera che sussurrava a Dean di non lasciarlo più andare, nemmeno dopo la fine di quella canzone, perché avrebbe potuto restare in quel modo con lui anche per tutta la serata e non gli sarebbe dispiaciuto.

Fu allora che sentì la voce di Dean unirsi a quella di Elvis in sottofondo.

Love me tender, love me true
All my dreams fulfill

Dean poté giurare di sentire Castiel deglutire poco prima di incatenare nuovamente i suoi occhi a quelli di lui.

For my darling I love you
And I always will

Non aveva mai cantato a Castiel quella canzone nemmeno nei suoi sogni, ma sarebbe stata una bugia se avesse negato che in quel modo sperava di accendere in lui la scintilla di un ricordo, di tutte quelle canzoni che aveva canticchiato al suo orecchio ogni notte, quando se ne stavano semplicemente seduti l’uno accanto all’altro sul loro ponticello di legno, accanto a un mucchio di sassolini.

Love me tender, love me long
Take me to your heart

Castiel continuava a guardarlo stregato, e la mano che prima stringeva la sua spalla adesso si era spostata sul suo petto ed era rimasta lì, immobile.

For it's there that I belong
And will never part

La voce di Dean era bassa, soave e leggera come un soffio, ed era intonata e talmente bella che Castiel non riusciva a distogliere l’attenzione da lui. Dean iniziò a muovere delicatamente il pollice sulla mano dell’altro in una dolce carezza.

Love me tender, love me dear,
tell me you are mine.

Dean non avrebbe mai immaginato in vita sua di poter fare una cosa del genere per qualcuno. Cantare durante un lento, gli era sempre sembrata una cosa troppo sdolcinata e totalmente non da lui. Ma quando aveva iniziato a farlo per Castiel non gli era sembrato così male. Forse era vero quello che a volte gli diceva Sam, che quando ti innamori fai cose che non ti aspetti di fare per nessuno.

I'll be yours through all the years,
till the end of time.

La canzone terminò e Dean smise di ondeggiare, ma nessuno dei due osò allontanarsi dall’altro. Gli occhi di Castiel, blu come mai lo erano stati, erano ancora persi in quelli di Dean. La musica cambiò, ma ancora non si mossero. Sentivano le voci degli ospiti e gente che applaudiva, ma per loro tutti gli altri non esistevano.

Né l’uno, né l’altro ebbe l’iniziativa, fu una cosa voluta da entrambi, si erano avvicinati insieme e lentamente fino ad azzerare quelle distanze. Le labbra di Castiel erano proprio come lui se le ricordava, morbide e fresche mentre le lasciava sfiorare con le sue. Fu un lento bacio a stampo all’inizio, dal quale si staccarono con un leggero schiocco, ma non sembrò bastare, perché poco dopo si erano di nuovo avvicinati e quando le loro labbra si toccarono non fu un semplice sfiorarsi. Le loro lingue si intrecciarono tra di loro e a ogni tocco, a ogni respiro pesante, Dean sentì le gambe tremare senza che potesse farci nulla. Fu automatico per lui lasciare la sua mano solo per reggersi ai suoi fianchi, conscio che se non lo avesse fatto avrebbe pensato che tutto quello se lo stesse solo immaginando. Ne aveva bisogno per accertarsi della realtà, e quella era davvero la realtà. Castiel portò la mano libera sul suo collo mentre le loro bocche si esploravano a vicenda, e si staccarono solo dopo una manciata di secondi, con il fiatone e la pelle ricoperta di brividi. Le loro fronti si toccarono e quando aprirono gli occhi e si guardarono, un sorriso si dipinse sul volto di entrambi, tanto che alla fine si ritrovarono a ridacchiare per un motivo a loro sconosciuto, ma erano così felici che non importava.


Note autrice:
In qualche capitolo precedente vi dissi che mi era venuta in mente una canzone che mi faceva pensare a loro.
Ecco, era proprio questa. Quale occasione migliore per utilizzarla? Se non la conoscete andate a cercarla e ascoltatela, è la canzone più diabetica del mondo.
Comuuuuuunque, bello direte, eh? Tutto rose e fiori. Ma le rose e fiori sappiate che non fanno per me, indovinate chi aggiungerà angst?
Su, non odiatemi e ditemi che ne pensate. Vi aspettavate questa cosa? Era anche ora mi pare ahahahah
Il prossimo capitolo potrebbe arrivare tra venerdì e sabato, stay tuned.
Fatemi sapere che ne pensate, spero vi sia piaciuto!
Baci!

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Capitolo 17
*** Glielo devi ***


Glielo devi

Dopo danze, cibo all’aria aperta e brindisi in compagnia, Ellen si impossessò del microfono per fare i suoi ringraziamenti e per comunicare la quota finale raccolta per quell’occasione. Era così felice e commossa della gentilezza e del buon cuore di tutti i presenti che non riuscì a trattenere le lacrime, mentre in sottofondo tutti gli ospiti applaudivano e la acclamavano. Sua figlia Jo la strinse in un forte abbraccio non appena finì il suo discorso.

La festa terminò e a poco a poco la villa dei genitori di Jessica si svuotò. Dean decise di accompagnare anche Jack, mentre Sam si preoccupava di dare una mano a Jessica a rimettere in ordine. Sarebbe rientrato a casa decisamente più tardi del previsto.

Il tragitto in auto fu silenzioso. Jack si era addirittura appisolato sui sedili posteriori con la testa premuta contro il finestrino. Dean lo osservava ogni tanto dallo specchietto retrovisore, come a controllare che stesse bene, poi tornava a guidare tranquillo, le spalle rilassate e lo stomaco pieno di maledette farfalle per quel bacio che non riusciva a togliersi dalla testa, ma anche con un peso sullo stomaco, perché era deluso che quello non avesse risvegliato niente in lui, altrimenti glielo avrebbe fatto presente, giusto? Non ricordava niente di quello che avevano passato. Se lo avesse fatto, Dean avrebbe avuto così tante domande da fargli, per esempio gli avrebbe chiesto una spiegazione sul motivo per cui gli aveva detto di non essere reale.

Non appena arrivarono e scesero dalla macchina, Castiel svegliò Jack e lo aiutò a scendere dall’Impala. I capelli biondissimi che erano tenuti dal gel adesso erano tutti scompigliati, le occhiaie contornavano i suoi occhi stanchi e quando mise entrambi i piedi sul marciapiede barcollò pericolosamente prima che Castiel lo afferrasse per evitare che crollasse addormentato seduta stante.

- Perché non sali, mh? Dai, saluta Dean. - Gli disse Castiel. Jack annuì distrattamente, poi si limitò a sollevare una mano in direzione di Dean in segno di saluto, che lui ricambiò con un cenno della testa, e si diresse spedito verso il portone. Lo aprì con fatica e poi se lo richiuse alle spalle scatenando in Dean un’espressione divertita.

- Te lo dico io, Cas, quando uno si diverte molto a una festa è quello lo stato in cui si finisce. - Disse Dean, facendo ridacchiare il moro mentre si poggiava all’Impala con la schiena.

- Ha fatto nuove amicizie, direi che è stato bene. - Commentò Castiel, guardando la luce dell’appartamento di Gabe accendersi. Jack era appena rientrato.

- Quel ragazzo troverà in fretta una fidanzata, ne sono sicuro. -

- Lo spero per lui. - Calò il silenzio. Castiel si stringeva nel suo trench color sabbia, torturando l’orlo della manica con le dita, poi decise di rompere il ghiaccio. - Hai una bella voce, Dean. - Gli disse tenendo lo sguardo basso verso le proprie mani. Il biondo si girò a guardarlo senza dire nulla, ma leccandosi le labbra pieno di aspettative. - Ma mi è sembrato… di averti sentito cantare prima, solo che non ricordo quando è successo. - Dean si raddrizzò improvvisamente, posizionandosi proprio davanti all’uomo.

- Dove? - Gli chiese, e Castiel lo guardò confuso, poi fece spallucce.

- Da nessuna parte, è stata solo una sensazione. - Dean si leccò nervosamente le labbra, di nuovo, poi annuì deluso e fece qualche passo indietro. Si fermò solo perché Castiel gli aveva afferrato la mano all’improvviso, quasi come a impedirgli di allontanarsi di più. Quando Dean fece cadere lo sguardo sulle loro mani accennò un sorriso e senza pensarci ricambiò quella stretta. - Sei stato dolce, e non me lo aspettavo. -

- Ah no? - Castiel ridacchiò nervosamente, poi allungò la mano libera verso la giacca di Dean per sistemarla, fu un gesto spontaneo, pensò Dean mentre osservava la sua mano che con delicatezza stirava una piega della stoffa.

- Non ti facevo così romantico. - Dean fece roteare lo sguardo per un momento.

- Mi hanno anche detto che non sembro un tipo a cui piace pescare, e invece… - Lasciò la frase in sospeso sollevando appena le spalle. Quella frase era voluta, era stata una delle prime cose che Castiel gli aveva detto quando erano nella sua testa, sperava che un altro riferimento avrebbe aiutato, ma invece Castiel ridacchiò leggermente, prendendola come una battuta. Fu un altro duro colpo per Dean, ma cercò di non darlo a vedere, deglutendo a fondo. - Ma è vero, non sono un amante delle smancerie. Con te è venuto naturale. - Castiel si leccò appena le labbra, poi sorrise e abbassò lo sguardo verso le loro mani unite.

- Però! Adesso sì che mi stai facendo una corte spudorata. - Dean accennò una risata, poi senza pensarci oltre portò due dita sotto il mento di Castiel e poggiò delicatamente le labbra sulle sue. Il moro si lasciò guidare dal movimento della sua bocca, portando una mano sul suo fianco a stringere la sua camicia in un pugno. Dean interpretò quel gesto come un modo per accertarsi della realtà dei fatti e anche come un modo per mantenersi lucido… e il pensiero più dolce fu quello che ebbe subito dopo, perché immaginò anche che lo stesse facendo per non lasciarlo scappare via, perché voleva Dean con sé. Lo loro lingue giocarono insieme ancora una volta e poco dopo Dean si staccò solo di poco per guardarlo negli occhi.

- Almeno sto riuscendo a conquistarti? - Castiel spostò una mano sulla nuca di Dean e annuì.

- Lo hai già fatto da tempo. - Dean sorrise, poi sollevò la testa e depositò un bacio sulla sua fronte, al quale Castiel socchiuse gli occhi.

- Dai, è meglio che entri adesso, sembri stanco. - Si preoccupò di dirgli Dean, dopo essersi allontanato di poco da lui.

- Mi stai già scaricando? - Il biondo scosse la testa, ridacchiando insieme all’altro, poi gli pizzicò giocosamente il fianco.

- Sei un figlio di puttana. - Castiel fece spallucce, poi lasciò andare la mano di Dean e si staccò con la schiena dalla carrozzeria dell’Impala, raggiungendo il cancello. Prima che potesse spingerlo per aprirlo, Dean lo aveva già fatto per lui come un vero galantuomo, aspettando solo che Castiel lo sorpassasse. In risposta lui gli sorrise. - Buonanotte, signor Novak. -

- Buonanotte. -

Anche quella sera Dean aspettò che la luce dell’appartamento di Castiel si accendesse prima di andarsene.

Quando arrivò a casa, di Sam non c’era ancora traccia. Doveva essere ancora occupato ad aiutare Jessica, quindi si limitò ad andare a cambiarsi e a gettarsi sul letto, osservando il soffitto e sorridendo fra sé e sé. Più pensava a quella serata più si sentiva un ragazzino che aveva portato la sua cotta al ballo scolastico. Stava diventando patetico!

Castiel accese la luce non appena varcò l’ingresso del suo appartamento e rimase a osservarlo in silenzio. Tutto era completamente in ordine come era stato abituato a lasciarlo.

- Alla buon’ora! - Quando si girò vide Gabriel poggiato allo stipite della sua porta d’ingresso che lo guardava con indosso il suo pigiama e con i capelli leggermente scompigliati. Era sceso dal piano superiore non appena lo aveva visto rientrare, da bravo fratello maggiore opprimente

- Perché sei ancora sveglio? - Gli chiese Castiel mentre si sfilava il trench e la giacca dell’abito contemporaneamente.

- Jack ha fatto un gran casino quando è rientrato poco fa, probabilmente era così stanco che continuava a sbattere dappertutto nel tragitto per la sua camera. - Castiel accennò un mezzo sorriso divertito e adagiò ordinatamente il tutto sulla poltrona.

- Sì, si era addormentato in macchina. - Gabe non disse nulla, e lanciò uno sguardo alla finestra.

- Senti, Cassie. Quella cazzata la vuoi ancora fare? - Castiel sospirò pesantemente a quella domanda, non si aspettava che suo fratello tirasse fuori quell’argomento proprio in quel momento in cui si sentiva così felice e appagato, ma poi abbassò lo sguardo verso il pavimento e annuì, sentendosi quasi colpevole nel dovergli dare quella risposta.

- Non è una cazzata. - Aggiunse poi.

- Sì, lo è, ma tu sei una testa dura e non posso più farti cambiare idea. - Castiel sbuffò di nuovo, poi si sfilò anche le scarpe, rimanendo a piedi nudi mentre si metteva seduto al divano.

- Gabe, sono stanco e non voglio litigare. -

- Nemmeno io, e non ho più intenzione di contestarti per questa cosa. Ci ho rinunciato, perché quando ti parlo è come se lo facessi con un muro. - Castiel osservò il maggiore in silenzio, in attesa che continuasse a parlare, perché sapeva che la questione non era conclusa lì. - Ti ho visto con Dean mentre pomiciavate qui fuori. - Castiel cominciò a grattarsi nervosamente il braccio, poi accennò un leggero sorriso al pensiero. - È una cosa seria? - Gabriel lo guardò con le sopracciglia sollevate e Castiel rimase in silenzio per una manciata di secondi.

- Lui mi piace davvero, Gabe. - Il maggiore sospirò, restando con le braccia incrociate.

- Allora glielo devi dire. - Castiel sollevò la testa verso di lui e lo guardò con un cipiglio di improvvisa ansia dipinta in volto. - Se tieni a lui e lui tiene a te, glielo devi. - Il minore deglutì rumorosamente, agitandosi appena sul divano mentre restava seduto, e nemmeno il tentativo di Gabe di alleggerire la tensione lo fece tranquillizzare. - Mi piace Dean, è una brava persona. Non mi spiego come mai tutto a un tratto sia attratto dagli uomini, ma ehi, noi Novak abbiamo fascino, non lo biasimo. Anche io sarei attratto da me. - Riuscì a strappargli un sorriso solo con quell’ultima frase, poi Gabe afferrò la maniglia della porta d’ingresso e fece qualche passo indietro. - Adesso torno di sopra. - Castiel annuì. - Buonanotte, Cassie. -

- Notte, Gabe. - Il maggiore uscì definitivamente dall’appartamento e chiuse la porta. Castiel strinse forte gli occhi fino a farsi male alle palpebre e abbassò la testa, passandosi nervosamente le dita fra i capelli.

Odiava quando Gabriel aveva ragione.

L’indomani Dean fu contento di svegliarsi a un orario decente per la sua salute mentale. Era domenica, poteva riposarsi e non pensare al lavoro. Si girò verso il comodino e afferrò pigramente il cellulare, rischiando di farlo cadere sul naso, proprio per cominciare al meglio quella giornata. Cercò tra i contatti il numero di Castiel e osservò quelle cifre per una manciata di secondi prima di premere sulla cornetta verde e portarsi il telefono contro l’orecchio, in attesa. Per un attimo credette non gli avrebbe risposto, forse stava ancora dormendo, ma poco dopo riuscì a udire la sua voce affannata.

- Pronto? -

- Ti ho beccato in un momento compromettente? - Ci fu silenzio per un attimo, ma poi la leggera risata di Castiel fece sciogliere i suoi nervi.

- Ero sotto la doccia, sono corso fuori per rispondere. -

- Sei nudo e bagnato mentre parli al telefono con me? Non dovevi dirmelo, adesso non farò che pensarci. - Di nuovo udì la risata di Castiel e Dean si sollevò a sedersi portandosi una mano a grattarsi la nuca lentamente.

- Come stai, Dean? - Il biondo si leccò le labbra e guardò l’orologio. Era quasi mezzogiorno. Poche volte si svegliava così tardi, di solito accadeva se era molto rilassato o se era troppo stanco dalla sera prima. In effetti poteva ben dire che in quell’occasione era un mix di entrambe le cose: la stanchezza della festa e il pensiero di aver baciato Castiel nella realtà, non nella sua testa, di aver toccato davvero quelle labbra senza farsi mille dubbi a riguardo.

- Mi manchi, Cas. - Non era proprio la risposta che Castiel si aspettava, ma fu la prima cosa che riuscì a dire dopo aver aperto bocca. Era venuto fuori automaticamente, e forse era anche stupido visto che non era passato molto dall’ultima volta che si erano visti. Ma chi poteva biasimarlo? Castiel era reale, esisteva, lo aveva baciato, si piacevano. E non doveva più aspettare la notte e i suoi sogni per poterlo rivedere. - Cioè… sto bene, sto benone, ma mi manchi. - Non sentì alcuna risposta per un po’.

- Pranzi da me? Ti va? - Solo dopo quella domanda capì che per tutto il tempo Castiel aveva sorriso. Lo aveva intuito dal suo tono di voce.

- Mi va. -

- Perfetto, ci vediamo tra poco. -

- A dopo, Cas. - Non appena la chiamata terminò, Dean si precipitò subito fuori dal letto rischiando di inciampare sui suoi stessi piedi, prese dei vestiti puliti e uscì trepidante dalla sua stanza per chiudersi in bagno poco prima che lo facesse suo fratello, lasciandolo in piedi e frustrato davanti alla porta del bagno non appena il maggiore la chiuse a un palmo dal suo naso.

- Aspetta il tuo turno, dannazione! - Sentì urlare il fratello.

- Ho un appuntamento, Sammy. - Sam disse qualcos’altro, ma Dean si era già precipitato sotto la doccia e il rumore scrosciante dell’acqua aveva coperto i suoi lamenti e le sue imprecazioni.

Si lavò velocemente, e si vestì con altrettanta rapidità, poi uscì dal bagno e raggiunse la cucina, dove Sam stava sbirciando indeciso cosa c’era dentro al frigo. Non avevano fatto la spesa il giorno prima, non c’era molto in casa se non una porzione di maccheroni, qualche schifezza calorica di Dean e delle birre. - Io sto uscendo. -

- Sì, lo avevo intuito. - Gli disse Sam dopo averlo guardato a lungo, richiudendo il frigorifero. - Vai da Castiel? -

- Sì, pranzo da lui. - Sam sorrise e fece qualche passo verso di lui, sembrava già pronto ad arrivare alle sue conclusioni e Dean non riuscì a trattenersi dal roteare lo sguardo.

- Non devi dirmi nulla? - Dean sospirò e afferrò le chiavi e il portafoglio all’ingresso per metterli entrambi nelle tasche, poi si girò nuovamente verso il fratello che ancora lo guardava in attesa.

- Lo so che lo sai, è inutile che te lo dica. O ci hai visti o lo hai intuito. - Sam ridacchiò e scosse appena la testa.

- Potrei avervi visti. - Dean sollevò le sopracciglia fingendo di essere sorpreso. Non era l’unico ad averli visti, probabilmente quasi metà degli ospiti li avevano adocchiati. Le finestre erano ampie, di vetro, e loro avevano ballato nel punto più visibile del giardino. Il fatto che si sentisse a suo agio in quella situazione era solo perché con Castiel tutto attorno a loro sembrava sparire, ma nella realtà dei fatti avevano avuto gli occhi puntati addosso per la metà del tempo.

- Posso andare adesso? - Sam fece spallucce.

- Permesso accordato. - Non ebbe nemmeno il tempo di finire di parlare che Dean si era già precipitato fuori di casa ed era salito sulla sua Impala. La voglia di vedere Castiel era così tanta che il tempo sembrò non scorrere mai durante il tragitto.

Parcheggiò davanti al palazzo dove vivevano i Novak e spense il motore, poi lo cercò sul campanello e premette il pulsante, restando in attesa. Non sentì alcuna voce chiedere chi fosse, ma il cancello e il portone si aprirono e lui li varcò entrambi prima di raggiungere il suo piano. Sapeva esattamente quale fosse, molte volte ne avevano parlato, e si rese conto di essere arrivato quando vide la porta di uno degli appartamenti aperta e Castiel con entrambe le mani in tasca che lo aspettava poggiato allo stipite. Si fermò sulle scale a quella visione ed entrambi si sorrisero. Dean percorse gli ultimi gradini e lo fronteggiò con un mezzo sorriso, poi diede uno sguardo curioso all’interno dell’appartamento. Non c’era mai entrato, era la prima volta che si immergeva quasi totalmente nella vita quotidiana di Castiel. Conosceva a memoria la strada, sapeva perfettamente dove guardare quando la luce si accendeva dalla finestra, ricordava i dettagli più futili dell’edificio esterno, ma mai era salito insieme a lui.

- Sei troppo ordinato. - Concluse Dean, dopo aver dato una veloce occhiata, poi si soffermò su di lui. Indossava una maglietta a maniche corte e un normalissimo paio di jeans, dall’interno fuoriusciva un calore rilassante, i riscaldamenti erano accesi. Adesso che era più scoperto poté constatare che era davvero più robusto di come se lo immaginava, sembrava si tenesse abbastanza in forma. Cercò di distogliere lo sguardo dalle sue braccia e di portarlo sul suo viso per non apparire come un maniaco ai suoi occhi, ma Castiel sembrava non essersene nemmeno accorto.

- E tu non sei ancora entrato. - A quel punto il moro si fece da parte per fargli spazio e Dean finalmente varcò quella soglia, osservando meglio l’ambiente circostante. Tutto era pulito e messo in ordine proprio come aveva visto da fuori. Sembrava quasi maniacale. Il salone era accogliente, collegato con la cucina e la sala da pranzo. C’era un piccolo corridoio che probabilmente portava al bagno e alla camera da letto, o a qualunque altra stanza ci fosse in quella casa. Dean si sentì afferrare una mano proprio mentre stava osservando le fotografie appese ai muri che lo ritraevano insieme a suo fratello, altre erano insieme a Jack, più piccolo e in braccio a un uomo che probabilmente era Lucifer, e una donna che gli stava accanto, che quasi sicuramente era Kelly. Nel vederli per la prima volta gli venne un enorme groppo in gola. Somigliavano tantissimo a Jack, soprattutto Kelly. Doveva essere dura per Castiel dover passare davanti a quelle fotografie tutti i giorni. - Hai fame? - Gli chiese il moro.

- Sì, abbastanza. - Castiel annuì.

- Bene, perché è quasi pronto. - Dean avvertì un leggero imbarazzo da parte sua. Non ne capiva il motivo, ma era deciso ad alleggerire quella tensione, quindi portò quasi subito una delle mani sulla sua guancia. Castiel si sciolse a quel tocco e chiuse gli occhi, soprattutto quando Dean aveva iniziato a muovere delicatamente il pollice per sfiorare l’accenno di barba sul suo viso. Mai in tutta la sua vita aveva pensato di poter provare piacevole sfiorare la guancia ispida di un altro uomo. - La smetti di temporeggiare? - Sussurrò Castiel, facendo corrugare la fronte a Dean. - Vuoi baciarmi, sì o no? - A quel punto Dean lo guardò prima stupito, poi intenerito per il leggero rossore che era affiorato sulle sue guance, e infine divertito, senza preoccuparsi di trattenere una risata.

Si sporse verso il suo viso e quando fu abbastanza vicino fece aderire finalmente le loro labbra. Il mugolio che emise Castiel poco dopo sembrava di puro sollievo, perché in effetti non vedeva l’ora di provare le stesse sensazioni della sera prima, sensazioni che fin dal primo bacio dopo quel lento non gli erano sembrate affatto nuove. Non era riuscito a spiegarsi il perché, e tutt’ora continuava a chiederselo, ma poi decise di lasciarsi andare. Non voleva pensare a niente mentre baciava Dean, solo a lui e a quanto la dolcezza delle sue labbra lo mandasse in iperventilazione. Portò entrambe le braccia attorno al collo di Dean e quest’ultimo circondò il busto dell’altro con le proprie, stringendolo a sé come se ne dipendesse la sua vita. Le loro bocche si cercavano, perfino quando si staccavano solo per riprendere fiato, e più continuavano a far intrecciare le loro lingue, più si desideravano. Avrebbero continuato ancora e a lungo, ma i loro polmoni chiedevano pietà e furono costretti a separarsi. Dean poggiò la fronte contro la sua e respirò piano sulle sue labbra mentre le mani di Castiel si immergevano nei suoi capelli per accarezzarli.

- Ti devo dire una cosa. - Sussurrò il moro. Teneva gli occhi chiusi e Dean riusciva a sentire il suo battito contro il proprio petto per quanto fossero vicini.

- Cosa? - A quel punto Castiel aprì gli occhi e guardò quelli verdi dell’altro. Esitò e pensò a Gabriel e a quello che si erano detti la sera prima. Suo fratello aveva ragione, Dean aveva il diritto di sapere, soprattutto adesso che avevano intrapreso quella strada insieme, soprattutto perché l’uno teneva all’altro, e soprattutto perché Castiel sentiva che quello che stava succedendo fra di loro poteva rivelarsi una cosa seria e a cui sarebbe stato difficile rinunciare.

Stava per farlo, quando aprì la bocca per parlare però non uscì alcun suono. Gli occhi curiosi e pieni di aspettativa di Dean lo fecero tremare e il suo coraggio scemò fino a scomparire del tutto. Deglutì rumorosamente e spostò le mani dai suoi capelli fino alle sue spalle per accarezzarle, infine sospirò.

- Non sono bravissimo a cucinare, quindi… se non ti piace quello che ho fatto, fingi sia buono e sorridi, altrimenti ferirai i miei sentimenti. - No, stupido, stupido! Si disse nella sua testa per essersene uscito con quella frase. Gabe lo avrebbe preso a sprangate se solo avesse assistito a quella scena patetica. Ma come dirgli una cosa come quella senza rischiare di perderlo?

Dean d’altra parte sperava che le sue parole potessero essere “io mi ricordo di te e di noi, mi ricordo tutto”, ma quando ciò non accadde sentì una nuova e fastidiosa stretta allo stomaco che non avrebbe retto se Castiel non avesse tirato fuori quel sorriso, l’unica cosa che aveva potere su Dean per farlo rilassare.

- Nemmeno io sono una cima in cucina, Cas. Mi va bene tutto. - Castiel sorrise, poi fece sciogliere quella stretta fra i loro corpi e afferrò la mano dell’altro. Dean gliela strinse, lasciando che le loro dita si intrecciassero e infine si lasciò guidare fino in cucina.


Note autrice:
Vi ho piazzato un nuovo mistero. Cosa non vuole e non riesce a dire Castiel a Dean?
Vi do un indizio: non che si ricorda di lui, perché Castiel non si ricorda, punto.
C'è un altro mistero che si tira avanti da un po', io aspettavo nelle vostre recensioni dei pensieri anche su questa cosa, perché ho lasciato piccoli indizi un po' qua e un po' là, ma NESSUNO si è posto qualche domanda, o se lo ha fatto non lo ha scritto.
E ora vi accendo questa miccia perché sono perfida.
Che sarà mai la cazzata di cui parla Gabe? Cosa vuole fare Cassie?
Vi lascio col dubbio e mi dileguo.
Prossimo aggiornamento probabilmente questa domenica.
Fatemi sapere che ne pensate.
A presto, baci!

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Capitolo 18
*** Sei lui ***


Sei lui

Dean non si risparmiò dall’aiutare Castiel a lavare i piatti, asciugandoli subito dopo e riponendoli poi con cura nell’armadietto sopra al lavandino, nonostante quest’ultimo protestasse perché il suo ospite rimanesse seduto. Non aveva potuto far cambiare idea a Dean, era una testa dura, e forse in questo si somigliavano, pensò Castiel mentre metteva via l’ultimo piatto. Subito dopo si ritrovò avvolto dalle braccia del biondo, e con le mani ancora gocciolanti prese a ridacchiare, pensando che probabilmente non avrebbe voluto essere in nessun altro posto se non stretto a lui.

- Hai più avuto capogiri? - Gli chiese Dean dopo un po’, quando avevano già finito di rimettere a posto la cucina. Si era avviato subito dopo verso la libreria di Castiel e aveva cominciato a osservare con attenzione i titoli dei volumi, tirandone fuori alcuni per sfogliarli.

- No, sono tornato in forma. - Disse Castiel mentre era seduto sul divano a guardare ogni singolo movimento di Dean. - Nelle prime due settimane è stato un vero inferno, non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto senza dovermi reggere a qualcosa. - Dean richiuse il libro che stava sfogliando e lo ripose al suo posto, passando poi le dita sul dorso di altri volumi sullo scaffale successivo. - Era come essere appena usciti da una lavatrice dopo la centrifuga. - Il biondo fece una leggera risata a quelle parole.

- Era normale li avessi, no? -

- Certo, in fondo è stato un trauma cranico. Ho avuto anche qualche costola rotta e una brutta slogatura al polso. - Dean si allontanò dalla libreria e si sedette accanto a lui, poggiando i gomiti sulle ginocchia e guardandolo in ascolto.

- Punti? -

- Non immagini quanti, hanno dovuto rattopparmi un bel po’. - Dean annuì e si leccò le labbra in silenzio, esitando sulla prossima domanda da porgli.

- Com’è successo? - Castiel sospirò e fece spallucce, come se fosse completamente indeciso sul cosa dirgli.

- Non me lo ricordo. So solo che alla guida c’era Lucifer, poi c’era Kelly sul sedile del passeggero e io ero in quelli posteriori. Mi hanno detto che abbiamo fatto un frontale. Il guidatore dell’altra auto so che è morto sul colpo e che era ubriaco. - Castiel si poggiò completamente contro il divano, distendendo la schiena per rilassarsi e adagiando la nuca alla spalliera per osservare il soffitto.

- Cavolo… -

- Già. -

- Il tuo risveglio… te lo ricordi? - Castiel girò appena la testa per guardarlo, e Dean ne approfittò per poggiarsi accanto a lui allo stesso modo, con la nuca adagiata sulla spalliera e lo sguardo nei suoi occhi blu.

- La prima cosa che ho visto è stata Meg. Non si era nemmeno accorta che mi stavo svegliando, era seduta accanto al mio letto, stava leggendo una rivista sui vecchi film classici. - Fece una breve pausa. - Poi si è resa conto che la stavo fissando, non riuscivo a parlare per colpa dei tubi che mi facevano respirare, lei è schizzata dalla sedia come un pupazzo a molla. - Castiel non riuscì a trattenere una risata, e fu seguito a sua volta da Dean. - Solo dopo ho scoperto che stava leggendo un articolo del film “la vita è meravigliosa”. - Dean si illuminò e sollevò le sopracciglia.

- Per questo ti chiama Clarence? - Castiel annuì con una leggera risata, poi lasciò scivolare la testa fino a toccare la spalla di Dean. Quest’ultimo lo prese come un invito silenzioso e subito dopo immerse il naso fra i suoi capelli per sentirne quel delicato profumo che era rimasto impresso nei suoi pensieri già da fin troppo tempo. - Quando ti hanno dimesso? - Castiel sollevò la testa e poggiò il mento sulla spalla di Dean per guardarlo da più vicino.

- Ero già a casa. - Quando il biondo corrugò confuso la fronte, Castiel non si fece problemi a spiegarsi meglio. - Io detesto gli ospedali, e questo Gabriel lo sa bene. Ha lottato parecchio con medici e infermieri perché potessero continuare a seguirmi da casa. Portare i macchinari fino a questo palazzo costava e Gabe ha speso tutti i suoi risparmi per fare in modo che io mi sentissi a mio agio quando mi sarei svegliato. - Dean non si immaginava una cosa del genere, credeva che Gabe avesse fatto avanti e indietro tra casa, lavoro e ospedale. - Mio fratello non mostra mai il suo lato fragile, né a me né a chiunque altro. Ma Meg lo ha visto una volta, io ero ancora incosciente e lui mi teneva la mano, e piangeva. - Castiel aveva smesso di guardarlo e adesso stava osservando un punto non definito davanti a sé, tenendo il mento ancorato alla spalla di Dean. Fu sicuro di vederlo con gli occhi lucidi, ma come aveva fatto davanti alle lapidi di Kelly e Lucifer, si era asciugato gli occhi con il palmo delle mani ed era tornato quello di sempre. - Ha pregato ogni giorno che mi svegliassi. Dopo un po’ di tempo in coma i dottori ti dicono di lasciar perdere, di mettere fine alle sofferenze e spegnere le macchine, ma Gabe era convinto che non l’avrei lasciato e ha continuato a lottare e a sopportare di vedermi in quello stato. - Dean lo ascoltò in silenzio, poi portò un braccio attorno alle sue spalle e lo strinse contro di sé, finché non lo avvolse in un abbraccio che Castiel accolse di buon grado, nascondendo il viso nel suo collo. Dean sapeva che dopo quel racconto non avrebbe più guardato Gabriel allo stesso modo. Aveva già intuito che fosse un bravo fratello maggiore, ma non era mai stato bravo a mettersi nei panni degli altri. E nel sentire quella storia si era immaginato al suo posto, si era paragonato a quello strambo cameriere, perché sapeva che avrebbe fatto lo stesso.

Rimasero stretti in quell’abbraccio per un tempo indefinito, poi Dean adocchiò un vecchio giradischi in un angolo del soggiorno e fu automatico per lui sciogliere la stretta e raggiungerlo, attirato come da una calamita.

- Ti piace la vecchia musica? - Chiese Dean mentre guardava la pila di dischi nella collezione di Castiel. Quest’ultimo sorrise e si alzò dal divano.

- Come puoi ben vedere. - Dean vide spiccare tra quella collezione alcuni dischi dei Pink Floyd, altri dei Queen, altri ancora dei Beatles, di Elton John o dei Rolling Stones. I suoi occhi brillavano come quelli di un bambino davanti ai regali di Natale.

- Ok, hai degli ottimi gusti ma… non vedo i Led Zeppelin. - Disse Dean, storcendo le labbra con disappunto. - Né i Kansas. - Castiel ridacchiò e lo affiancò. Lo vide afferrare uno dei dischi di Elton John, e senza che potesse dire qualcosa in contrario, Dean lo fece partire.

- Mea culpa, non ho mai ascoltato davvero le loro canzoni. - Dean lasciò che la musica inondasse l’appartamento silenzioso di Castiel mentre continuava a far scorrere le dita fra ogni disco, poi si girò a guardare il moro e accennò un sorriso furbo.

- Se mi frequenti non avrai altra scelta. - “Se mi frequenti”, lo aveva detto senza pensarci ma non era mai sembrata una frase più giusta. Per Castiel quella loro situazione poteva sembrare nuova, ma non lo era per Dean, loro due si frequentavano già da un po’. Castiel lo guardò in silenzio per un po’ senza sapere cosa dire, ma poi si limitò ad abbassare lo sguardo e a sorridere in quel modo timido che faceva tanto impazzire l’altro. Non credeva avrebbe mai trovato una reazione del genere tanto adorabile.

La musica cambiò, partì “Your song”, e a quel punto Dean prese la mano di Castiel e lo trascinò al centro del soggiorno. Portò entrambe le mani sui suoi fianchi, e di conseguenza Castiel poggiò le sue sul petto ampio di Dean, guardandolo confuso. Solo quando il biondo cominciò a improvvisare un lento, Castiel si lasciò andare a una leggera risata.

- Dean… di nuovo, davvero? -

- Cosa, non ti piace ballare con me? -

- No, tutt’altro. - Disse Castiel mentre si lasciava guidare dai suoi movimenti, poi non ci fu bisogno di dire altro perché sembrava che quella canzone parlasse per loro. E come la sera prima si guardarono negli occhi come se non esistesse altro intorno a loro, e tra un dolce sorriso e qualche risata imbarazzata, i due continuarono a ballare in mezzo alla stanza. Dean sentiva il respiro dell’altro sul collo che lo faceva rabbrividire mentre la sua testa si poggiava contro la sua spalla e quelle dannate farfalle invadevano il suo stomaco. Era una sensazione meravigliosa, pensò mentre le loro dita si intrecciavano e si stringevano con tenerezza.

Dean andò via che era ormai buio, nel pomeriggio inoltrato. Avevano continuato ad ascoltare musica e a parlare fra di loro, e qualche volta a scambiarsi effusioni sul divano. Castiel lo aveva accompagnato alla porta e aveva stretto nei pugni la sua camicia, trasmettendogli quella sensazione che sembrava dirgli come la sera prima che avrebbe preferito restasse con lui ancora, poi lo attirò a sé e lo baciò sull’uscio di casa.

Arrivato a casa, Sam non riuscì a non notare quanto Dean fosse felice, e lui gli raccontò ogni cosa. Il fratello minore lo guardava orgoglioso. Era contento che Castiel lo facesse sentire così bene.

Cenarono insieme a Bobby quella sera, e perfino lui si chiese come mai Dean sembrasse così felice, così alla fine glielo raccontò Gli parlò di Castiel, del loro incontro alla tavola calda, delle volte che lo aveva accompagnato a casa, delle loro birre insieme davanti al portone del palazzo e di come si sentisse ogni volta che era in sua compagnia.

Bobby era incredulo, non immaginava che Dean potesse essere attratto da un uomo, era sempre sembrato un donnaiolo, quel tipo di uomo che andava dietro alle belle ragazze e a nessun altro. Con Castiel sembrava diverso, a Bobby sembrava addirittura innamorato, seppure fosse presto per dirlo. E a lui questo bastava, che fosse felice era l’unica cosa importante.

Evitò di raccontargli dei sogni e del netto collegamento di Castiel a essi. Quella era una cosa che voleva restasse tra lui e Sam.

Il giorno dopo dovette alzarsi presto e prepararsi per andare al lavoro, ma dopo aver accompagnato Sam in ufficio e prima di andare in officina, era passato alla tavola calda per prendere un grosso bicchiere di caffè. Gabriel non si fece domande mentre lo riempiva e lo consegnava al biondo, non ne aveva bisogno perché sapeva già a chi lo avrebbe portato. Poco dopo, infatti, aveva oltrepassato le porte del minimarket e si era messo in fila dietro a una coppia di ragazzi con lo zaino in spalla, pronti per andare a scuola, e una vecchia signora che stava acquistando una confezione di cibo per gatti. Quando arrivò il suo “turno” alla cassa e vide che Castiel era intento a sistemare i contanti al suo posto, se ne uscì con “un pacchetto di sigarette al mentolo, per favore”. Castiel aveva sollevato sorpreso lo sguardo, poi aveva ridacchiato e scosso la testa esasperato. Dean si era sporto oltre il bancone e gli aveva depositato un delicato bacio a stampo sulle labbra, poi gli aveva lasciato il bicchiere di caffè, e dopo aver fatto due chiacchiere se n’era andato.

Dopo il lavoro e dopo aver cenato, Castiel si era ritrovato nel suo appartamento a fissare le foto di Kelly e Lucifer nel suo soggiorno. Avrebbe voluto loro fossero lì, per chiedergli consiglio su come dire ciò che lo premeva di più a Dean. Lei avrebbe saputo come aiutarlo, mentre Lucifer avrebbe riso della sua inutile preoccupazione e gli avrebbe detto di buttarsi e parlare, e di mandarlo a quel paese nel caso fosse andata male. Al pensiero di quella sua reazione ridacchiò e scosse la testa. Aveva bisogno di pensare, di trovare una soluzione, di lasciare semplicemente che la sua mente vagasse in un posto tranquillo.

Si era già cambiato per andare a letto, ma non esitò a rimettersi i vestiti che aveva indossato fino a poco fa. Uscì dal suo appartamento e salì a quello di Gabriel. Un piccolo fascio di luce usciva da sotto la porta, quindi intuì che fosse sveglio, o che lo fosse almeno Jack. Suonò il campanello e attese in silenzio, finché avvertì dei passi trascinati e poi la porta che si apriva. Gabe gli comparve davanti, ancora vestito e con una bottiglia di birra in mano. Non appena vide il suo fratellino minore sull’uscio assunse la sua tipica espressione preoccupata e piegò leggermente la testa da un lato.

- Cassie, tutto bene? - Jack era seduto sul divano e guardava confuso la scena. Lui si era già cambiato per andare a letto e dalla sua faccia sembrava abbastanza stanco. Castiel annuì distrattamente a quella domanda, poi si portò le mani in tasca.

- Devi farmi un favore. - Gabe corrugò la fronte e attese che continuasse a spiegarsi. - Devi portarmi lì. Ho bisogno di pensare e stare da solo… - Gabe lo guardò prima confuso, poi osservò l’orologio da polso e sollevò le sopracciglia con fare sorpreso.

- Cassie, non ti sembra un po’ tardi per guidare fino a lì? - Castiel deglutì. Aveva ragione, aveva sempre ragione, ma non voleva aspettare oltre. Il giorno prima era stato meraviglioso con Dean. Un semplice pranzo che alla fine si era trasformato in un secondo lento romantico, riusciva ancora a vedere gli occhi di Dean che lo guardavano come se non esistesse nessun altro al mondo. Riusciva a sentire quella sensazione di protezione che gli aveva trasmesso, percepiva ancora le sue labbra contro le proprie, si stupiva continuamente di quanto quel suo romanticismo potesse essere spontaneo, di come Dean riuscisse a tirar fuori quel suo lato dolce che probabilmente in pochi conoscevano, e tutto quello gli aveva impedito di parlare. Dean era felice, e anche lui lo era.

Poi era arrivato il giorno dopo, e come se non bastasse la sua confusione, Dean gli aveva portato il caffè al minimarket di sua spontanea volontà.

Si stava innamorando, non poteva più negarlo, e anche Dean forse provava lo stesso. Aveva proprio bisogno che Gabe lo accompagnasse.

- Ti prego, Gabe. - Disse poco prima di deglutire e di sentire gli occhi pungere. Sul viso di Gabriel si dipinse il panico, aveva capito si trattasse di qualcosa di importante, di qualcosa di molto serio. Bevve velocemente gli ultimi sorsi di birra, poi poggiò la bottiglia vuota sul tavolino all’ingresso, prese la giacca, il cellulare e le chiavi e si girò verso Jack.

- Non starò via molto, Jackie. Vai a letto, o ti sveglio a suon di secchiate d’acqua domani. - Gabe fece un occhiolino divertito a Jack, il quale accennò un leggero sorriso, poi il maggiore uscì dall’appartamento e chiuse la porta.

Quando Castiel e Gabriel furono sul furgoncino non si scambiarono nemmeno una parola. Il maggiore non sapeva cosa dire, e di conseguenza il moro era troppo perso nei suoi pensieri per aggiungere altro.

Quando arrivarono e il motore si spense, i due guardarono davanti a loro e Gabe sospirò.

- Scendi da solo? - Castiel annuì e il fratello sbuffò rumorosamente aprendo il portaoggetti e afferrando una rivista. - Ti aspetto qui, non metterci un’eternità. - Castiel annuì di nuovo, ringraziandolo con un sorriso, poi aprì la portiera e se la richiuse alle spalle.

Camminò lentamente e a testa bassa, il vento gli arrivava dritto in faccia e gli scompigliava i capelli già arruffati e in disordine. Si fermò a osservare l’orizzonte e sospirò, chiudendo gli occhi e pensando a quante altre volte prima del suo incidente era stato lì per riflettere sulle scelte della sua vita, scelte che Gabe non approvava quasi mai, ma che appoggiava solo per farlo contento. Pensò a quante volte Gabe era rimasto lì con lui in silenzio, a fargli semplicemente compagnia prima che partisse per il lavoro. Pensò a Dean e a tutte le sensazioni che provava in sua compagnia, cose che non aveva mai provato prima per nessun altro uomo con cui era già stato. Pensò alla sua faccia nel momento in cui gli avrebbe detto tutto, al modo in cui avrebbe disapprovato così come aveva fatto suo fratello. E alla fine pensò al perché avesse deciso di fare di nuovo quel passo.

Chiuse gli occhi, fu un attimo, poi li riaprì immediatamente e osservò un punto ben preciso alla sua destra. Era sicuro di aver visto qualcosa. Indietreggiò di qualche passo e cercò di darsi una calmata. Pensò al peggio, credette di avere un altro capogiro, che avrebbe ripreso a stare male, che avrebbe dovuto ricominciare a prendere le pillole per le vertigini, invece quando chiuse gli occhi un’altra volta, una serie di immagini iniziarono a scorrergli davanti come in un film. Iniziò ad avere il fiatone, dovette portarsi una mano al petto per regolarizzare il respiro, e quando si passò una mano sul viso si rese conto che stava piangendo. La situazione peggiorò quando aprì gli occhi e quelle immagini continuarono a scorrergli davanti come con un proiettore impazzito.

Indietreggiò di nuovo di qualche passo, poi si girò del tutto e cominciò a correre verso il furgoncino bianco di suo fratello. Si precipitò all’interno, facendolo sobbalzare mentre stava leggendo la sua rivista. Lo sentì borbottare.

- Dannazione, Cassie, mi hai fatto venire un infarto! Non dovevi stare qui per pensare? - Fu in quel momento che Gabriel si decise a guardarlo. Castiel aveva il fiatone, sembrava sull’orlo di un attacco di panico vero e proprio. Guardava un punto fisso davanti a sé e piangeva silenziosamente, stringendo convulsamente la maniglia della portiera e il bordo del sedile, reggendosi forte come se stesse facendo un giro sulle montagne russe. - Ehi, che diavolo è successo? - Gabe lanciò la rivista lontano da sé e lo guardò preoccupato. Quando non ebbe alcuna risposta iniziò addirittura a scuoterlo per una spalla. - Cassie, per la miseria! -

- Andiamo via. - Mormorò il minore, deglutendo e facendo sgorgare i suoi occhi pieni di lacrime. - Metti in moto questo dannato furgone e andiamo via. -

- Non faccio un cazzo di niente se non mi dici che ti prende. - Castiel emise uno o due respiri più profondi, poi cercò di riprendersi e si girò verso suo fratello, rivolgendogli una silenziosa preghiera.

- Portami da Dean. -

- Perché? -

- Fallo e basta, Gabe. - Gabriel rimase in silenzio e immobile per un po’, chiedendosi che diavolo passasse per la testa di Castiel, poi però sospirò e mise in moto, eseguendo alla lettera gli ordini di suo fratello, senza fare domande. Gli avrebbe spiegato con le buone o con le cattive anche in un altro momento, e poi sapeva che lo stava portando da una persona di cui si fidava e che sembrava tenere molto a Castiel, qualcuno che si sarebbe preso cura di lui.

Non ci volle molto per arrivare davanti a casa Winchester, e a quel punto Castiel strinse titubante la maniglia e osservò l’ingresso della casa come se fosse l’ingresso all’inferno. Alla fine, quando credette di aver accumulato abbastanza coraggio, scese dal veicolo e guardò il fratello dal finestrino abbassato.

- Vai a casa. - Gabe lo guardò come se fosse impazzito all’improvviso. - Gabe, vai a casa. Mi riaccompagna Dean. -

- Oggi hai deciso di farmi venire un colpo, Castiel? -

- Ti prego, fidati di me per una volta. - Le lacrime continuavano a rigare il viso del più piccolo, e Gabe si ritrovò a sospirare pesantemente.

- È questo il problema, mi fido troppo di te, per questo ti lascio fare tutte le tue cazzate. - Castiel sollevò appena l’angolo delle labbra, non appena vide sul viso di suo fratello che in quel modo aveva deciso di accontentarlo.

- Grazie, Gabe. -

- Vaffanculo, ora sbrigati prima che cambi idea. - Castiel si allontanò dal finestrino e Gabriel non esitò a partire. Quando il moro fu sicuro di non vedere più in lontananza il furgoncino, cominciò ad avviarsi verso l’ingresso di casa Winchester sentendo il cuore rimbombargli nelle orecchie a ogni passo.

Suonò il campanello, e poco dopo dei passi pesanti iniziarono a farsi sempre più vicini.

- Sammy, giuro su Dio che se hai dimenticato le chiavi io ti ammaz… - La porta si aprì, e quando Dean si rese conto che quello che aveva davanti non era Sam si ammutolì. Era andato a dormire da Jessica, non era la prima volta, e capitava tornasse indietro perché aveva dimenticato qualcosa, tipo lo spazzolino da denti, o le chiavi di casa. Invece davanti a lui c’era Castiel, in lacrime e con i capelli arruffati, il viso arrossato e gli occhi gonfi.

- Cas? - Quest’ultimo si lasciò andare a un’altra cascata di lacrime, e Dean ebbe per un momento paura che fosse successo qualcosa di terribile. - Ehi! Parlami, che cosa ti prende? - Lo spinse dentro casa e richiuse la porta, poi gli afferrò il viso fra le mani e lo guardò in attesa, con la paura dipinta in viso e un magone al petto che non ne voleva sapere di sparire. Castiel continuava a stare in silenzio, non riusciva a calmare i singhiozzi. - Cas! - Lo richiamò Dean, e a quel punto Castiel si aggrappò con i pugni chiusi al suo petto, guardandolo come se lo vedesse per la prima volta.

- Dean… - Disse, poi deglutì. Sentiva la gola maledettamente secca. - Dean, come ho fatto a dimenticarti? - A quel punto il biondo sbarrò gli occhi e lasciò andare la presa dal suo viso. Fu come se all’improvviso una botola si fosse aperta sotto di lui per risucchiarlo via.

- Come? - Chiese con un filo di voce.

- Sono appena stato al lago, Dean. E io… - Castiel scosse la testa e a quel punto fu lui a prendere il viso dell’altro fra le mani. - Tu sei l’uomo che mi ha tenuto in vita, sei lui… - Dagli occhi di Dean cominciarono a venir fuori le lacrime che per tutto quel tempo aveva trattenuto. Quello che aveva sperato gli dicesse dal primo giorno, adesso stava accadendo.

- Tu ricordi… - Mormorò Dean in sussurro, ancora incredulo di ciò che aveva appena sentito.

- Come ho fatto a dimenticarmi di te, Dean… come… eri la mia unica felicità, eri l’unica cosa per cui ho continuato a lottare. - Il biondo afferrò l’altro per i fianchi e lo tirò a sé. Era così felice e così senza parole che l’unico modo per poter dimostrare ciò che provava in quel momento era solo un bacio, un bacio disperato, in cui le loro bocche si premevano con forza l’una contro l’altra e le loro mani stringevano l’altro quasi fino a fargli male. Un bacio che sapeva di lacrime salate, di mancanza, di improvvisa gioia. E seppure Castiel non avesse ancora avuto modo di riflettere su come avrebbe dovuto rivelargli ciò che gli pesava, dopo aver scoperto quella nuova realtà non poté fare altro che lasciarsi andare. Perché adesso sapeva cosa lo rendeva inspiegabilmente legato a Dean, sapeva perché quelle sensazioni non erano nuove per lui, sapeva perché quell’uomo era diventato in così poco tempo qualcuno di cui non riusciva a fare a meno.

- Brutto figlio di puttana… - Mormorò Dean con le labbra ancora premute sulle sue e i singhiozzi che spezzavano la sua voce. Castiel non rispose, si limitò a portare entrambe le braccia attorno al suo collo e a baciarlo con più passione. Dean lo afferrò per i fianchi, e senza sapere né come, né quando avevano già cominciato a dirigersi verso la camera da letto.


Note autrice:
Perciò... che dire, siamo arrivati a questa capitolo tanto atteso.
Vorrei specificare che Cas non ha ancora detto quella cosa a Dean, quindi rimane ancora questo minuscolo problemino. Ma non manca molto perché Dean sappia.
Cosa ne pensate? Era come ve lo aspettavate?
Il prossimo capitolo come sempre dovrebbe uscire martedì, ma domani ricominciano le mie lezioni quindi potrebbe saltare di un giorno, anche se io farò tutto il possibile per darvi il prossimo capitolo, che come avrete notato dalla fine di questo sarà abbastanza... eh!!
Spero vi sia piaciuto, baci!

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Capitolo 19
*** Nove mesi ***


Nove mesi

L’impatto con la porta non fu doloroso né fastidioso per Castiel, perché il suo unico pensiero era rivolto solo a colui che ce lo aveva spinto contro. Quel mugolio non era affatto di dolore. Dean continuava a divorare le sue labbra con fare quasi disperato, spingendo il corpo contro quello dell’altro, facendoli aderire perfettamente e incastrare come un puzzle. Le lacrime continuavano a scorrere sui loro visi, ma non sembrava importare a nessuno dei due. Dean allungò una mano alla maniglia della porta, faticando un bel po’ per trovarla, poi la aprì. Per poco Castiel non cadde all’indietro, ma la presa di Dean fu abbastanza forte da impedirglielo. La porta si richiuse con uno scatto e Dean girò la chiave prima di dedicarsi completamente a lui.

Le loro bocche fremevano affamate e Castiel rabbrividì quando avvertì la mano dell’altro intrufolarsi sotto alla sua maglietta per carezzarne la pelle bollente. Fu costretto a separarsi dalla sua bocca e per un momento Dean ebbe paura di star correndo troppo e di aver frainteso quell’improvvisa e frenetica passione, ma poi il moro cominciò a sbottonare lentamente la camicia di Dean senza distogliere lo sguardo dalle sue iridi chiare. I loro occhi erano incatenati e non ne volevano sapere di distrarsi su altri particolari, nonostante quella che la camicia stava lasciando completamente esposta fosse la pelle dell’uomo che lo aveva tenuto in vita per ben due mesi. Gli bastò poggiare le mani sul suo petto scoperto e chiudere gli occhi per rendersi conto che quello stava succedendo realmente, perché gli sembrava ancora tutto così surreale.

Lasciò scivolare via l’indumento dalle sue spalle, e quello Dean lo interpretò come una specie di via libera. Afferrò la sua maglietta dai bordi e la sfilò lentamente. Quando ebbe davanti il suo corpo semi nudo trattenne il respiro. Lo aveva visto nella sua testa un paio di volte quando facevano il bagno al lago, ma nella realtà sembrava completamente diverso. Era robusto, i suoi muscoli spiccavano ben definiti sotto alla catenina che portava al collo. Non riuscì a individuare bene il ciondolo, la stanza era poco illuminata per poterci prestare troppa attenzione, ma le ombre e le luci che si depositavano sulla pelle di Castiel riuscivano a dare un’idea ben precisa di quello che gli stava davanti. Era una visione meravigliosa.

Poco dopo le sue labbra erano già sul collo del moro, e Dean non poté trattenere una scia di brividi lungo la schiena quando lo sentì mugolare di sollievo, come se non aspettasse altro. Castiel gli si aggrappò ai passanti dei jeans con gli indici e quando la bocca di Dean cominciò a torturare altri lembi della sua pelle, il moro non riuscì a trattenersi oltre e prese a slacciare anche quelli.

In poco tempo i due erano di nuovo avvolti dalla passione e completamente senza vestiti. Dean cadde seduto sul letto e Castiel si sistemò a cavalcioni sulle sue gambe senza smettere neanche un secondo di assaporare le sue labbra. Sentiva le sue mani addosso che carezzavano intensamente la sua schiena, mentre teneva il viso di Dean fra le mani, fino a spostarle fra i suoi capelli per tirarli appena e aggrapparcisi, non risparmiandosi di mugolare insieme a lui quando i loro bacini si sfiorarono, scatenando una serie di scosse di piacere capaci di prendere ogni singola cellula dei loro corpi. Castiel spinse Dean fino a farlo stendere completamente sul materasso e di conseguenza il biondo lo afferrò per la catenina per fare in modo che facesse lo stesso. Si baciarono a lungo e a fondo, poi Castiel sentì le mani dell’altro tenergli fermo il bacino e cominciare a muoversi sotto di lui, strusciandosi senza vergogna e facendo in modo che anche Castiel facesse lo stesso.

- Dean… - Mormorò stringendo i denti, sopraffatto da quella nuova sensazione. Strinse più forte i capelli di Dean e quello gemette contro le sue labbra, poi senza sapere come, Castiel si ritrovò sotto il corpo statuario di Dean. Sentì le sue mani vagare su di sé fino a raggiungere la sua parte più sensibile e volubile. Castiel si inarcò con un gemito quando quella stessa mano cominciò a stimolarlo per mettere alla prova il suo autocontrollo, cosa che sapeva di non riuscire a mantenere se si trattava di Dean.

Quest’ultimo, d’altra parte, non aveva mai visto niente di più bello in vita sua. Non era di certo la prima volta che le sue mani mandassero in iperventilazione qualcuno, l’ultima era stata Karen, ma Castiel era una visione celestiale mentre reagiva alle sue provocazioni e provava piacere grazie a lui. Gli bastava vederlo in quello stato per impazzire. Afferrò entrambe le sue mani e le bloccò sopra la sua testa, strette fra il cuscino e il suo palmo, con l’unico scopo di tenerle ferme mentre continuava a torturarlo. Castiel non smetteva di inarcarsi e di gemere, l’ultimo suono che uscì dalla sua bocca sembrava più un mugolio disperato e frustrato, un suono che chiedeva soltanto di più. - Dean… - Ripeté come una preghiera celata in un sussurro tremante. Il biondo lo trovò così sexy che non si risparmiò di lasciargli un morso sul mento, al quale lui reagì con un sospiro pesante.

- Guardami, Cas… - Disse poi, aumentando solo di poco la velocità dei movimenti. Castiel non sapeva più a cosa reggersi, non aveva la possibilità di farlo visto il modo in cui la mano dell’altro lo teneva fermo, quindi si limitò a piantare le unghie nel suo palmo, spingendo indietro la testa in completa estasi. - Cas, guardami. - Ci provò a farlo, ma più Dean continuava a torturarlo, più era difficile per lui mantenere un briciolo di lucidità. Alla fine però puntò lo sguardo nei suoi occhi verdi, e Dean lo deliziò con un bacio umido sulle labbra, tanto dolce e pieno di tenerezza che andò totalmente in contrasto con ciò che il biondo stava continuando a fargli nel frattempo. Poi lo guardò negli occhi, come a chiedergli il consenso. Castiel fece un cenno di assenso con la testa e Dean si sistemò meglio fra le sue gambe. Non pensò nemmeno al fatto che quella fosse la sua prima volta con un uomo, non pensò alla paura di sbagliare, né a nient’altro, perché era venuto così naturale e così spontaneo che aveva dimenticato tutto il resto. Si spinse in lui con lentezza, voleva che entrambi si abituassero, e Dean non immaginò potesse essere così appagante, perfino meglio di come se lo aspettava. Mugolò rumorosamente contro le labbra di Castiel e lui fece lo stesso, riuscendo addirittura a liberarsi dalla presa delle mani di Dean per portare le proprie fra i suoi capelli. - Tutto bene? - Chiese Dean, dopo aver ripreso fiato. L’altro annuì.

- E tu? -

- Sto benissimo. - Si scambiarono un sorriso e subito dopo un bacio lento e dolce, e proprio mentre assaporavano l’uno le labbra dell’altro, Dean prese a spingere e lasciò che Castiel allacciasse le gambe attorno a lui. Fu come un’esplosione di mille sensazioni tutte insieme. Più andava avanti, più si rendeva conto di quanto si sentisse fortunato di averlo lì con lui, sotto di sé, a pregare che gli desse di più, a gemere il suo nome e a far vagare le sue mani sul proprio corpo come se non volesse mai più lasciarlo andare.

Quegli affondi furono ben precisi e mirati a far impazzire entrambi, ma quando Dean cominciò a sfiorare i suoi punti più sensibili, Castiel si inarcò di nuovo sotto di lui, gemendo disperatamente a voce più alta del solito. Nemmeno Dean si trattenne, i loro gemiti si mischiavano diventando una sola voce che andava all’unisono con ogni affondo. Dean sentì le dita di Castiel piantate sulla sua spalla e lui portò di conseguenza una mano a carezzare con lentezza la sua coscia, con il palmo totalmente aperto. Castiel si sentì bruciare ogni volta che avvertiva il suo tocco, era come lasciarsi scottare dal sole cocente, ed era così dannatamente piacevole che sapeva non avrebbe più fatto a meno di quelle attenzioni.

Andarono avanti finché entrambi si sentirono ormai al limite. Castiel aveva nascosto il viso nell’incavo del suo collo, circondandolo con un braccio per tenerlo più stretto possibile a sé, e aveva continuato a gemere e ansimare vicino all’orecchio di Dean, e ciò bastava al biondo per farlo uscire completamente di testa. Si puntellò quindi sulle ginocchia e portò entrambe le mani a reggere il suo bacino, permettendosi di esagerare con quelle spinte, finché non si rese conto dalle reazioni dell’altro che aveva toccato proprio il punto giusto.

- Dean… non fermarti… - Disse Castiel tra i gemiti, aggrappandosi con tutta la sua forza alle spalle dell’altro, rischiando addirittura di graffiarle e segnarle con le sue unghie. Neanche Dean si risparmiò, non riusciva a stare in silenzio mentre guardava il viso estasiato dell’altro.

Bastò qualche altra spinta in più, poi arrivarono all’apice del piacere insieme, gemendo l’uno il nome dell’altro e respirando subito dopo con affanno sulle labbra altrui. Castiel aveva chiuso gli occhi, poi avvertì la fronte di Dean sulla propria e poco dopo si baciarono con dolcezza, lasciando che le loro dita si intrecciassero piano contro la federa del cuscino.

Quella situazione non poteva essere più perfetta di così, pensò Dean mentre si staccava con uno schiocco dalle sue labbra e lo guardava negli occhi.

Era così che ci si sentiva? Dean non ricordava di aver mai provato nulla del genere per qualcuno. Era la prima volta che stava così bene, completo, finalmente in pace con se stesso.

Poteva essere quello un segno? Che Castiel fosse la persona giusta per lui? Che fosse stato il destino a permettere il loro incontro onirico e poi reale?

- Non riesco ancora a trovare una spiegazione. - Gli disse Dean, quando poco dopo si ritrovarono distesi l’uno accanto all’altro. Castiel era poggiato con la testa alla sua spalla, stava seguendo il contorno del tatuaggio di Dean con le dita, e quest’ultimo continuava a carezzare delicatamente i suoi capelli. - Davvero, Cas. Non ci capisco niente, come hai fatto a entrare nella mia testa? - Il moro smise di accarezzare quel lembo della sua pelle e circondò il suo busto con un braccio, sollevando lo sguardo verso il suo viso.

- Non lo so. - Rispose Castiel dopo un momento di esitazione.

- Perché non mi hai detto di essere reale? -

- Perché ero convinto di non esserlo. - Dean lo guardò confuso mentre cominciava a carezzare delicatamente il braccio con il quale lo stava cingendo. - Non ricordo né il momento esatto in cui sono finito in quel posto, né il momento in cui sono andato via. E quando ero lì non ricordavo la mia vita reale, era come se non fossi mai esistito prima. Forse è stato il coma che… in qualche modo ha confuso la mia testa. -

- Per questo credevi di essere sempre stato lì? -

- Immagino di sì. - Dean si leccò appena le labbra, poi si girò sul fianco in sua direzione, tenendo il braccio ben disteso sotto la testa di Castiel, in modo che potesse starci ancora poggiato.

- Che legame hai con quel posto? Perché lo conosci? - Castiel gli sorrise appena, poi sistemò meglio la testa sul suo braccio.

- Ci andavo sempre per riflettere. Quando avevo delle decisioni importanti da prendere guidavo fino a lì e mi sedevo sul ponticello a cercare di capire se stavo facendo una cazzata o no. Ci andavo anche prima di partire per il lavoro, o anche dopo, quando tornavo senza dire nulla a Gabe e volevo fargli una sorpresa. - Castiel deglutì rumorosamente. - Il giorno dell’incidente ero appena tornato, avevo chiamato Lucifer ed era venuto a prendermi all’aeroporto. Gabriel non sapeva niente, avevamo organizzato una sorpresa per lui, ma poi… beh, sai com’è andata. - Dean si avvicinò leggermente e poggiò le labbra sulla sua fronte, accarezzandogli subito dopo una guancia. Castiel gli sorrise tristemente, poi portò un braccio attorno a lui e si strinse contro il suo corpo. - Sai, non penso sia importante il come. - Mormorò a un tratto il moro. - Non credo conti molto, forse la mia… anima vagava ignara e sono finito nei tuoi sogni, nella testa di un uomo che soffriva come me. Forse è stato questo… o forse no. Ma conta davvero? Ci ha fatti trovare, è questo che a me importa. - Dean gli sorrise e Castiel fece altrettanto.

- Hai ragione. - Sussurrò il biondo dopo un leggero sospiro. - Sì, hai proprio ragione. - Castiel gli depositò un delicato bacio a stampo, e proprio quando stava per approfondirlo, Dean indietreggiò con la testa e lo guardò con la fronte corrugata, poggiandogli un dito sulle labbra.

- Ehi, uomo del mistero, non mi hai ancora detto nulla di questo tuo lavoro. Cosa facevi? - Castiel lo guardò per un po’ negli occhi, in silenzio, poi sospirò e portò la mano al suo ciondolo, quello appeso alla catenina che portava sempre al collo, poi se la sfilò e la depositò nel palmo aperto di Dean. Il biondo non capì dapprima, poi abbassò lo sguardo e osservò quello che in realtà non era un semplice ciondolo, ma una medaglietta. La avvicinò al viso per guardarla meglio, e inciso sopra vi erano il suo nome, la sua data di nascita, quello che sembrava un numero di identificazione e il gruppo sanguigno. Fu allora che realizzò. - Eri un soldato. - Mormorò sorpreso, come se non lo credesse possibile. Ora capiva perché in realtà sembrava anche molto più in forma di come se lo ricordasse nella sua testa.

- Sembri sorpreso. - Disse Castiel ridacchiando, ricevendo in cambio uno sguardo quasi imbarazzato. Si sentiva piccolo in quel momento davanti a lui, quasi insignificante. Aveva sempre nutrito un profondo rispetto per chi serviva il Paese, e tutto poteva dire di Castiel tranne che fosse andato in guerra.

- È che tu sembri così… non lo so, non hai la faccia di un soldato. -

- Disse quello che non sembrava né romantico, né uno che ama pescare. - Dean incrociò il suo sguardo divertito e si ritrovò subito dopo a ridacchiare, prima di tornare con lo sguardo sulla piastrina identificativa, accarezzando con un pollice le lettere in rilievo.

- Un marine? - Castiel annuì. - Che grado? -

- Sergente. - Dean accennò un sorrisetto e si leccò subito dopo le labbra, come deliziato da quella notizia.

- Sergente Novak… suona bene. È sexy. - Castiel accennò una risata, poi si diede una leggera spinta con le anche e lo sovrastò con il suo corpo, sistemandosi a cavalcioni su di lui. Dean ne approfittò per rimettergli la catenina attorno al collo, facendo poi scivolare la mano sulla piastrina per accarezzarla un’ultima volta. - Hai ancora la divisa? -

- Ovviamente! A casa mia, una per ogni occasione. Da combattimento, da parata, di servizio e perfino quella di gala - Dean si sollevò a sedersi, portando le mani sulle sue cosce per accarezzarle delicatamente, ma in quel tocco Castiel vi lesse anche un pizzico di malizia e di devozione che non gli dispiacque affatto.

- Voglio vedertele addosso. - Gli disse portando le labbra a una distanza minima dalle sue, con un tono che lasciava vagare l’immaginazione nel più piccante dei pensieri. - E poi togliertele. - Castiel ridacchiò e portò entrambe le braccia attorno al suo collo.

- Ti eccitano i soldati? -

- Uno in particolare. - Castiel sorrise a quelle parole, poi si avvicinò quel tanto che bastò per depositargli un lungo bacio a stampo sulle labbra. Quando si staccò con un delicato schiocco, poggiò la fronte contro la sua, carezzando delicatamente la sua nuca con le dita. Dean teneva gli occhi chiusi in silenzio e si godeva le sue attenzioni. Non seppe di preciso quanto tempo passarono in quel modo, ma poi il sospiro di Castiel ruppe il silenzio e il biondo aprì gli occhi.

- Ti devo dire una cosa. - Mormorò infatti, un improvviso nervosismo nella voce. Le cose stavano diventando serie, sentiva di tenere troppo a lui. Visto da fuori forse poteva sembrare una cosa completamente fuori di testa, ma per loro quella specie di relazione era iniziata già da molto prima. Quello era il momento, doveva sfruttare quel briciolo di coraggio e parlare.

Dean corrugò la fronte.

- Io non avevo finito con l’esercito e… sarei dovuto partire di nuovo se non fosse stato per l’incidente. Ero tornato per un mese di congedo. - Dean si leccò le labbra, in attesa. - Visto ciò che è successo… il mio mese di congedo è stato prolungato a quattro mesi e… - Il biondo si raddrizzò sulla schiena e di conseguenza Castiel fece scivolare via le braccia dal suo collo, ritrovandosi davanti la sua espressione improvvisamente piena di panico. - Quindi io… -

- No, non dirlo! - Castiel deglutì a quella sua reazione e abbassò lo sguardo.

- Dean, il mio contratto non è ancora scaduto, devo fare l’ultima missione prima di ritirarmi definitivamente. - Il biondo scosse la testa con decisione.

- Vuoi farla comunque? Dopo quello che ti è successo? - L’altro sollevò lo sguardo senza dire niente, si limitò a guardarlo negli occhi, e Dean lesse in quelle iridi quanto fosse fermo su quella decisione. - È una cazzata! -

- Non sei il primo a dirmelo. -

- Se non sono il primo allora credo dovresti farti una o due domande. - Castiel sospirò. Il tono di Dean era arrabbiato e deluso, e fu la cosa che forse lo ferì di più. Se lo aspettava, ma non si era preparato a quella sua reazione, per questo aveva deciso di andare al lago e rifletterci su. Non biasimava né Gabe né Dean, era ovvio la credessero un’idiozia, un rischio, una cosa impensabile per qualcuno uscito da poco da una situazione come la sua. Ma gli occhi di Dean erano gli occhi che aveva imparato ad amare quando non era cosciente, quelli che lo avevano tenuto in vita per due mesi, quelli a cui adesso non faceva altro che pensare, vederli in quello stato non fu facile.

- Mi avevano proposto di lasciar perdere quando mi sono svegliato, di riprendermi e di rifarmi una vita qui. Io ho voluto continuare lo stesso. Mi manca una sola missione per concludere, Dean, ma quando ho firmato non sapevo che avrei perso la testa per te… - Dean distolse lo sguardo, vedeva ancora la rabbia nei suoi occhi verdi. Castiel gli prese il viso con una mano e lo costrinse a guardarlo. - Ehi! - Dean non reagì. - Se avessi dovuto scegliere adesso non avrei accettato, perché questa cosa… noi due, voglio godermela ogni giorno. Ma ora non posso più tornare indietro, capisci? Ho preso un impegno e io rispetto gli impegni. - Lasciò la presa dal suo viso e spostò le mani su quelle di Dean per stringerle forte. - Non ricordavo i nostri due mesi insieme e non avevo previsto di provare qualcosa di così forte per te, è successo e basta, allora non potevo saperlo. - L’espressione di Dean era ancora severa, ma decisamente più addolcita mentre poggiava la fronte contro quella di Castiel.

- Quanto starai via? - La voce tremava nel fare quella domanda, aveva paura della sua risposta, perché si ricordò delle tre settimane senza di lui, di come era stato male nel non avere più sue notizie. Non osava immaginare come si sarebbe sentito in un tempo prolungato.

Castiel esitò, come a cercare di trovare le parole adatte.

- Nove mesi… - Dean boccheggiò e raddrizzò nuovamente la schiena, poi deglutì rumorosamente e strinse gli occhi come a reprimere le lacrime, come se quello bastasse ad attutire quella nuova batosta.

Nove mesi senza di lui, non sapeva come li avrebbe affrontati, non sapeva nemmeno se ci sarebbe riuscito.

- Nove fottuti mesi? - Mormorò il biondo in un filo di voce tremante. - Cas, ti ho pregato ogni notte quando sei sparito dalla mia testa. E in quel periodo non mangiavo, non andavo a lavorare, non parlavo… nove mesi è troppo tempo. - Concluse, deglutendo faticosamente. Dovette smettere di parlare perché non ne aveva quasi più le forze, voleva solo che quello che gli aveva detto fosse un brutto sogno, voleva svegliarsi mentre lo stringeva a sé in quel letto, voleva essersi immaginato tutto, ma quella era la dura realtà.

- È la durata minima di una missione, sono stato via anche per un anno intero in quelle precedenti. - Mormorò Castiel a testa bassa, poi fece salire le sue mani fino alle braccia di Dean che cominciò ad accarezzare con dolcezza. - Nove mesi non sono niente paragonati al resto della mia vita con te. - Gli sussurrò costringendolo nuovamente a guardarlo negli occhi, e Dean non poté trattenere quell’unica lacrima che sgorgò dal suo occhio destro fino a raggiungere le sue labbra. Ne sentì il sapore amaro e salato. - Ti scriverò ogni volta che potrò. Ogni tanto mi concederanno qualche telefonata, e capiterà di poter fare perfino delle video chiamate. - Dean chiuse gli occhi, e nel farlo altre lacrime rigarono il suo volto. Castiel le asciugò prontamente con i pollici, carezzando delicatamente le sue guance. - Tu mi aspetterai, vero? -

- Non c’è universo dove non ti aspetterei, Cas. - Il moro non riuscì a trattenere gli occhi lucidi, poi si avvicinò al suo viso e poggiò le labbra sulle sue. Dean dapprima non reagì, ma poi portò le mani alle sue guance e approfondì quel gesto, assaporando la sua bocca con intensità, e in quel bacio Castiel avvertì ancora la disperazione e soprattutto la paura.

- Quando? - Sussurrò Dean con ancora la bocca a pochi millimetri dalla sua. Non ci fu bisogno di specificare, perché Castiel capì a cosa si stava riferendo. Parlava della sua partenza.

- Un mese. - Il biondo aprì gli occhi che aveva tenuto chiusi per tutto il tempo, forse perché non voleva rendere reale quella notizia, perché voleva reprimerla in qualche modo. Lo guardò, non stava più piangendo ma le sue pupille tremavano e sentiva che era sul punto di lasciarsi andare, ma si trattenne. Si sentiva ridicolo, era raro che piangesse davanti a qualcuno, e non voleva farlo davanti a lui.

- Voglio godermelo fino in fondo, allora. - A quelle parole Castiel annuì, poi lo strinse fra le proprie braccia e nascose il viso nel suo collo, carezzando delicatamente la sua schiena con le dita. - E il lavoro al minimarket? Io credevo… -

- È temporaneo. - Dean si leccò le labbra e si ammutolì mentre continuava a stringerlo contro di sé.

- Non ne voglio parlare più per adesso. - Sussurrò il biondo, depositando un bacio sulla spalla di Castiel. - È stato bellissimo stanotte, e non voglio rovinare questo momento piangendomi addosso. -

- Lo so, non ho proprio scelto l’occasione adatta per dirtelo. -

- Già, alla nostra prima volta, sei un figlio di puttana. - Castiel accennò un leggero sorriso divertito e Dean provò a fare lo stesso, ma quello che venne fuori tutto sembrava tranne che un sorriso. - Dormi qui? -

- Dormo qui. - I due si distesero sul letto, l’uno accanto all’altro, Castiel si fece cingere in silenzio fra le sue braccia, poco dopo si addormentò. Dean non riuscì a prendere sonno per un tempo indefinito. Sentiva il respiro caldo dell’altro sulla pelle, il calore del suo corpo contro il proprio, quella presenza confortante e che gli era mancata come l’aria, aveva tutto quello di cui aveva bisogno lì accanto a lui. Guardava quel suo viso rilassato e dormiente e pensava a quanto si sentisse fortunato, ma poi realizzò che quei nove mesi non sarebbero stati affatto facili, e fu proprio quello a tenerlo sveglio.

Si addormentò solo in tarda notte, in un groviglio di gambe e lenzuola e con il profumo di Castiel a inebriargli le narici.


Note autrice:
Mistero svelato. Che dire, ve lo aspettavate? L'indizio che vi avevo disseminato in giro riguardava proprio questo misterioso lavoro. E poi la catenina, un elemento che ho citato spesso. Ho cercato varie informazioni dei marines su internet, di preciso non c'era scritto quanto durassero le missioni, dai 9 ai 12 mesi, quindi ho improvvisato, così come nei mesi di congedo che non sono specificati esattamente nei casi di malattia come questo. Tutte le altre informazioni le ho cercate con precisione, tipo le indicazioni sulla medaglietta o tutte le divise ufficiali.
Ho riletto questo capitolo venti volte perché volevo renderlo il più appetibile possibile, spero di essere riuscita nell'intento, ho cercato di descrivere questo incontro romantico senza scendere troppo nei particolari e rendendolo il più fluffoso possibile. Ditemi se è il caso di mettere il rating rosso o di lasciare l'arancione, anche se non credo...
E ora cosa mai accadrà?
Spero di aver reso l'idea di quello che ho descritto, ci tenevo particolarmente che QUESTO capitolo fosse buono.
Ci vediamo giovedì o venerdì.
Un bacio e a presto!
P.S. La gif l'ho fatta io, la cercavo così e non la trovavo, alla fine ho fatto da sola pft

 

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Capitolo 20
*** Ma non mi dire, Sherlock! ***


Ma non mi dire, Sherlock!

- Lo sa… sì, gliel’ho detto. - Dean aprì appena gli occhi. La luce che entrava dalla finestra gli arrivò dritta negli occhi e dovette sbattere le palpebre più volte per abituarsi. La voce che sentiva in sottofondo era quella inconfondibile di Castiel, solo che quando allungò un braccio sul letto non riuscì a toccare il suo corpo. Le lenzuola accanto a sé erano ancora calde, quindi si era alzato da poco. - Come vuoi che l’abbia presa? - Dean si passò una mano sugli occhi e sospirò, aveva dormito poco ed era così stanco da non riuscire a vedere bene che ore fossero dalla sveglia accanto al suo letto. Si guardò intorno alla ricerca di Castiel, la sua voce non sembrava molto lontana. - No, Gabe è… complicato. Ieri al lago è successa una cosa e non… non posso spiegartelo per telefono. Anche perché non è facile che tu mi creda. - La porta della camera era semichiusa, Dean intravide l’altro dalla fessura, poggiato alla parete del corridoio con il cellulare appoggiato all’orecchio e lo sguardo a fissarsi la punta dei piedi. - Dici sempre che hai bisogno di guardarmi negli occhi per capire se sto dicendo una cazzata, no? - Dean decise di non attirare la sua attenzione e si stiracchiò a lungo, cercando di seguire in silenzio il filo del discorso. - No, ecco… potrei non aver solo dormito con Dean. - Castiel accennò un minuscolo sorriso che non sfuggì agli occhi del biondo. - Non ti dirò i dettagli, cavolo Gabe! - Dean ridacchiò in silenzio non appena vide l’espressione di disappunto di Castiel, e fu a quel punto che lui si accorse che Dean era sveglio. - Prometto che ti spiego tutto, ma ora devo andare. - Il biondo si portò un braccio sotto alla testa e osservò il sorriso di Castiel da lontano, rivolto solo ed esclusivamente a lui. - A dopo. - Il moro si staccò dalla parete e chiuse la telefonata, poi entrò nella stanza. Indossava solo i boxer ed era una visione per Dean.

- Da quanto sei in piedi? -

- Solo qualche minuto, non di più. - Castiel puntellò un ginocchio sul letto, poi si sistemò a cavalcioni sul corpo di Dean e si abbassò fino al suo viso per depositargli un lungo bacio a stampo sulle labbra. - Buongiorno. - Gli sussurrò poco dopo essersi staccato.

- Buongiorno, uomo dei sogni. - Castiel ridacchiò, gli depositò un secondo, poi un terzo bacio, infine prese entrambe le sue mani e fece intrecciare le dita alle sue, raddrizzandosi con la schiena. - Ero abituato a svegliarmi e a non vederti più, adesso invece sei qui. - Mormorò Dean leccandosi appena le labbra. - Non mi sembra vero. -

- Nemmeno a me. - Sussurrò Castiel, poi Dean si sollevò a sedere e lasciò andare le sue mani solo per cingere il suo busto con le braccia e lasciargli un bacio sulla fronte. - Non sembra tu abbia dormito molto. - Gli fece notare il moro poco dopo.

- No, infatti. - Disse l’altro sospirando. - Mi servirà solo una buona dose di caffeina, tanta forza di volontà… e un bacio d’incoraggiamento, probabilmente. - Accennò un sorrisetto all’ultima frase, e Castiel alzò gli occhi al cielo con un’espressione divertita, poi però si avvicinò alle sue labbra e cominciò a baciarlo con dolcezza, dapprima sfiorando solo la sua bocca con la propria, poi approfondendo quel contatto e facendo intrecciare le loro lingue fino a non avere più fiato nei polmoni. Si staccarono con un delicato schiocco e Dean prese ad accarezzargli la schiena. - Visto? Sto già meglio. -

- Sei un bugiardo. - Ridacchiò Castiel, sfiorando solo per un momento con la punta delle dita le evidenti occhiaie di Dean, ma lui si limitò a fare spallucce con uno sguardo innocente. - Non hai dormito per quello che ti ho detto, vero? -

- Non è quello. - Castiel piegò leggermente la testa da un lato, poi sospirò.

- Dean! -

- Non è quello, davvero. -

- Ti ricordi al lago? Quando c’era qualcosa che non andava in te tutto diventava buio. -

- La luna simboleggia il cambiamento, avevi detto. - Disse Dean a bassa voce.

- Esatto, e non è un caso se lì succedeva questo. Credo che in qualche modo sia legato al tuo vero essere. Per te sembra essere calato il buio da quando te l’ho detto, e sei cambiato. Lo vedo adesso nei tuoi occhi. - Castiel si leccò le labbra. - Non ti biasimo, lo capisco. Al tuo posto reagirei allo stesso modo. Ma non insistere a nascondermi quello che provi, io so che è quello il problema. - Dean sospirò e guardò i suoi occhi. Aveva ragione, ma in qualche modo forse aveva pensato che negando l’evidenza si sarebbe sentito meglio, e Castiel non si sarebbe sentito in colpa per aver preso quella scelta che li avrebbe separati per un bel po’, di nuovo.

- Devo ancora digerire la cosa. - Affermò alla fine dopo qualche momento di silenzio. - Se penso a come sono stato quando sei sparito… c’era troppo silenzio senza di te. -

- Non è la stessa cosa. -

- Sì invece… -

- Eri convinto non esistessi e che non ci saremmo più rivisti, Dean. Ma io adesso sono qui, sono reale e tornerò. - Nessuno dei due parlò, Dean stava a testa bassa, sembrava stesse ragionando su quelle parole, e sapeva quanto fossero reali perché quando lo aveva perso era convinto che non lo avrebbe più rivisto perché solo frutto della sua testa, ma lui era reale questa volta. Avrebbe inevitabilmente sofferto, ma quello che c’era fra di loro era più vero di qualunque altra cosa.

- L’importante è che nessuno dei tuoi colleghi ti faccia gli occhi dolci. - Castiel sorrise.

- Non li guarderò nemmeno. -

- Lo so, ma loro lo faranno. Non è difficile perdere la testa per te. -

- Mi corteggi ancora, te ne rendi conto? - Disse Castiel mentre un dolce sorriso gli si stampava sul viso. Dean fece spallucce e accarezzò delicatamente il braccio dell'altro. Castiel gli stampò un bacio sulla guancia e poggiò subito dopo il mento sulla sua spalla. - Posso farmi una doccia? - Gli chiese ad un certo punto, dopo qualche momento di silenzio.

- Certo, ma non usare lo shampoo di Sam o mi odierà per tutta la vita. Usa quello nella bottiglia verde. - Castiel ridacchiò e annuì.

- Ricevuto! - Disse mentre si alzava, sfilandosi momentaneamente la catenina con la medaglietta per poggiarla sul comodino.

- Se ti servono vestiti puliti il mio cassetto è a tua disposizione. - Dean scostò le coperte e si alzò dal letto, passandosi una mano fra i capelli e sbadigliando. Castiel rimase per un momento incantato da quella visione. - Hai fame? - Solo dopo quella domanda riuscì a scostare lo sguardo e a schiarirsi la voce con una finta tosse. Quella reazione fece sbucare un sorrisetto sul viso di Dean.

- Un po' -

- Bene, preparo qualcosa. - Disse alla fine. Castiel annuì, poi dopo aver preso il necessario si recò verso il bagno. Dean si mise un paio di boxer e si avviò verso la cucina. Prese una padella e cominciò a friggere delle uova e del bacon.

Di solito era Sam a occuparsi della colazione, raramente ci pensava Dean. Ma cosa non si faceva per amore? Adesso capiva quanto fosse complicato gestire le emozioni quando prima non se ne preoccupava affatto. Il suo unico pensiero fino a qualche mese fa era solo il piacere, adesso era tutto diverso. Era difficile anche gestire la paura e l'ansia. Quei nove mesi si sarebbero avvicinati, non c'era modo per evitarlo, e perfino sorvolare sull'argomento sembrava doloroso.
D'un tratto sentì la porta d'ingresso scattare e Dean si girò appena in tempo per vedere Sam fare il suo ingresso inaspettato, dato che pensava si sarebbe recato in ufficio con Jessica non appena sveglio. Quando infatti si girò a guardare verso la finestra intravide la donna in questione che aspettava in macchina.

- Che cavolo ci fai qui? - Chiese Dean in sussurro, forse per evitare che Castiel lo sentisse dall'altra stanza. Sam corrugò la fronte confuso.

- Sbaglio o è anche casa mia? - Dean roteò lo sguardo e abbassò la fiamma del fornello.

- Intendo adesso, credevo andassi direttamente in ufficio. -

- Ho dimenticato il fascicolo di un cliente. - Si giustificò Sam facendo spallucce, poi si recò subito nella sua stanza. Dean rimase immobile, sentiva solo lo sfrigolio del bacon nella padella, i passi di suo fratello, e il rumore della doccia in bagno. Si chiese cosa diavolo avrebbe pensato la mente diabolica del minore nel sapere che Dean non era affatto da solo quella mattina, e infatti Sam non ci mise molto a tornare, la sua faccia esprimeva tutta la sua confusione. Esitò immobile, guardando verso il corridoio, poi tornò con lo sguardo sul fratello maggiore. - Mentre passavo ho sentito uno strano odore di sesso. - Dean non rispose e scosse la testa rassegnato mentre tornava a occuparsi della colazione. - Stai preparando la colazione per due, sei mezzo nudo e mi pare di aver sentito il rumore della doccia, quindi... c'è Castiel? -

- Ma non mi dire, Sherlock! - Esclamò Dean ironicamente.

- Mi avevi detto che era una cosa seria con lui. -

- E infatti lo è. -

- Mi sembra però che non abbiate perso tempo. - Dean prese due piatti e li poggiò sul bancone, pronti per essere messi a tavola. - Dean, non ti sembra un po' presto per lui? Posso capire che per te sia passato molto tempo, ma per lui... -

- Sam, lui ricorda. - Non sentì parlare il fratello minore per un bel po', quindi si girò verso di lui per cercare di comprenderne il motivo. Sam se ne stava semplicemente immobile con lo sguardo stupito e gli occhi così sbarrati che a Dean sembrò uno di quei personaggi drammatici in quei manga giapponesi.

- Cosa? - Dean sospirò e si recò verso il frigorifero, dove prese il cartone del succo d’arancia per versarlo in due bicchieri e sistemarli al tavolo.

- È andato al lago ieri sera, è stato come premere un interruttore nella sua testa, ha ricordato tutto. Poi è venuto qui e… - Dean si leccò appena le labbra. - Beh, è successo. Non era programmato, è solo successo. - Adesso Sam stava accennando un tenero sorriso, seppure nel suo sguardo ci fosse ancora sorpresa per ciò che aveva appena sentito.

- Cavolo… sembri al settimo cielo. -

- Non dovrei esserlo? -

- Ma come… insomma… - Il rumore del clacson li fece sobbalzare entrambi. Sam guardò l’orologio e sospirò. - Sono in ritardo, ma tu mi racconterai tutto, ok? - Dean annuì e poco dopo aggiunse a quel gesto un sorrisetto ammiccante. Sam sbarrò gli occhi e scosse la testa. - No no no, non quello, non voglio sapere come avete… -

- Sai che non è niente male? Poi Castiel è anche molto stret… -

- Dean, che palle! - Il maggiore iniziò a ridere di gusto, tenendosi la pancia con una mano nell’osservare la faccia contrariata di suo fratello. Quest’ultimo, con le guance rosse dall’imbarazzo, mise i suoi fascicoli nella borsa da lavoro e si avviò verso la porta. - Vaffanculo. - E poi uscì di casa. Sam poté giurare di averlo sentito ridere anche quando aveva già raggiunto l’auto.

Poco dopo la colazione era già pronta. Castiel sbucò in cucina con addosso un paio dei boxer di Dean e una delle sue camicie bianche. Il moro sembrava imbarazzato nell’averle addosso, ma all’altro sembrava non dispiacere affatto, tanto che gli lanciò un’occhiata di ammirazione prima di iniziare a mangiare.

Dopo aver finito, i due si prepararono definitivamente per uscire. Salirono sull’Impala e Dean accompagnò Castiel al minimarket. Aveva aperto da poco, e il moro scorse Nora all’interno intenta a pulire il pavimento prima dell’arrivo di qualche cliente.

- Ti passo a prendere per pranzo? - Chiese Dean dopo aver accostato accanto al marciapiede. - Possiamo mangiare insieme alla tavola calda. - Castiel sorrise e annuì, poi si sporse verso di lui e gli lasciò un delicato bacio a stampo come saluto.

- Allora a dopo. -

- A dopo, Cas. - Quest’ultimo aprì la portiera e scese dalla macchina, poi si girò un attimo verso Dean e gli sorrise prima di entrare definitivamente nel negozio. Attese che raggiungesse la cassa e solo a quel punto decise di partire per raggiungere l’officina di Bobby.

Per tutto il tragitto non fece che pensare alla notte appena passata, a tutte quelle sensazioni che non credeva possibili, ai suoi occhi blu che lo scrutavano fino in fondo e al suo cuore che non smetteva di avere le palpitazioni ogni volta che si ritrovava in sua compagnia. Cavolo, era proprio cotto, e non lo avrebbe negato nemmeno per orgoglio, si sentiva fiero di quella relazione, l’avrebbe urlato a tutti quanti, perché si sentiva a suo agio e perché non era mai stato così felice. Insomma, erano così che si sentivano quegli adolescenti che aveva sempre preso in giro per lo stesso motivo? Perché adesso non li biasimava, si sentiva anche uno di loro, e il fatto di averlo pensato lo fece rabbrividire.

Poi gli vennero in mente i suoi genitori. Come avrebbero reagito a riguardo? Forse sua madre lo avrebbe appoggiato, ma suo padre? Era un tradizionalista, non tollerava molte cose, chissà se avrebbe avuto da ridire su Castiel, magari anche solo per il fatto che fosse un uomo. A quel punto probabilmente avrebbe agito come Sammy. Si sarebbe ribellato pur di stare con lui, accettandone le conseguenze.

Ma Dean non avrebbe mai saputo come sarebbe stato.

Arrivato in officina, Dean accostò e osservò dallo specchietto retrovisore. Dietro di lui c’era il furgoncino bianco di Gabriel. Aveva quasi dimenticato che quel giorno Jack avrebbe dato una mano.

Dean scese dalla sua Impala e fece un cenno di saluto ai due. Jack ricambiò ma non lo fece invece Gabriel, che lo guardava in un modo così severo che gli fece venire i brividi, tanto che rimase immobile e confuso con la mano ancora sulla maniglia della portiera. Sapeva avesse parlato al telefono con Castiel, ma da ciò che aveva origliato sembrava che Gabe non fosse arrabbiato o contrariato dalla situazione. Invece il cameriere gli fece cenno di aspettare lì mentre Jack scendeva dal furgone e raggiungeva Bobby in officina.

Gabriel scese dal posto del guidatore, poi fece qualche passo in sua direzione e mise entrambe le mani nelle tasche dei jeans. Dean si sentì per la prima volta in vita sua come un ragazzino davanti al padre della fidanzatina il giorno del ballo di fine anno, quello in cui avrebbe ricevuto una strigliata da parte dell’ipotetico suocero.

- Gabe, io… - tentò di giustificarsi, anche se non sapeva bene di cosa, visto che in teoria non aveva fatto nulla che Castiel non volesse fare, ma semplicemente il suo sguardo severo lo aveva fatto allarmare e si era sentito in dovere di dire qualcosa, inutilmente dato che Gabriel aveva sollevato il dito indice per zittirlo. Dean chiuse la bocca e mise a sua volta le mani in tasca.

- Non so che intenzioni tu abbia, Dean-o. Ti ho visto per anni e anni cambiare “compagna di avventure” come si cambia la biancheria intima, e finché erano altre ragazze la cosa non mi ha toccato minimamente. - Dean rimase in silenzio, perché sentiva che il discorso di Gabriel non era finito lì. - Ma visto che la tua nuova conquista è il mio fratellino, mi sento in dovere di avvisarti. - Gabriel aveva un tono calmo e pacato, quasi cantilenante, per un attimo gli fece venire i brividi.

- Lui non è solo una conquista, Gabe. Io… lui mi piace davvero ed è una cosa seria per me. - Gabe annuì sovrappensiero, poi distolse per un momento lo sguardo.

- Anche per lui sembra esserlo. Non so cosa sia successo ieri sera, so che era sconvolto quando è stato al lago, ero lì. So che c’entri tu in qualche modo, e il fatto che siate già passati allo step successivo mi lascia interdetto, ma lui mi ha detto che mi spiegherà. Non sono qui per farti la predica… -

- A me questa sembra proprio una predica. - Gabe fece roteare gli occhi.

- Non lo è, permettimi di essere confuso da tutta questa storia, che cavolo! - Dean sospirò. - Se una brava persona, Dean-o, davvero. Ti ammiro e ti rispetto, e qualunque cosa sia accaduta fra di voi a me va bene, però… se mio fratello dovesse stare male a causa tua dovrai mettere i cani da guardia alla porta di casa. - Dean sollevò le sopracciglia, poi tossicchiò in imbarazzo perché quella celata minaccia, seppure detta da uno come lui, sembrava abbastanza reale. In più credeva da sempre che lui e Gabe si somigliassero in qualche modo, e da poco si era accorto che erano praticamente identici nel rapporto con i loro fratelli minori. Anche lui avrebbe fatto di tutto per Sam, e se questo stava a significare il dover picchiare qualcuno che lo avrebbe fatto soffrire, allora Dean lo avrebbe fatto. Quindi Gabriel non era da biasimare.

- Non ho intenzione di fargli del male, sono sincero. - Il cameriere lo guardò a lungo negli occhi e in quel momento pensò alle parole che Castiel gli aveva detto per telefono.

Dici sempre che hai bisogno di guardarmi negli occhi per capire se sto dicendo una cazzata, no?”.

Sembrava non valere solo per Castiel, Gabe lo stava analizzando a fondo, poi aveva annuito e incrociato le braccia al petto.

- Bene. - Disse in conclusione. - Ti ha detto della cazzata, vero? - Dean sospirò e annuì, poggiandosi alla sua Impala, improvvisamente più tranquillo visto che avevano cambiato discorso e le preoccupazioni di Gabriel non sembravano più tanto minacciose. - E sei d’accordo? -

- Ovviamente no! - Esclamò Dean. - Ma so che ormai non può più tornare indietro. - Gabe sospirò a sua volta e annuì.

- Sono nove mesi, Dean. Sappi che ti terrò d’occhio per tutto il tempo e se ti vedrò fare stronzate con altre persone, Castiel lo verrà a sapere. - Dean accennò un sorriso. Non era né divertito, né canzonatorio, semplicemente era intenerito dal fatto che Gabe tenesse talmente a Castiel da reagire in quel modo con lui, minacciandolo perfino nel caso in cui suo fratello avesse sofferto a causa sua, prendendolo da parte per parlare appositamente della cosa.

Gabe cominciava a piacergli sempre di più.

- Non c’è pericolo. -

- Ne sembri fermamente convinto. - Dean si leccò appena le labbra, poi si raddrizzò e fece qualche passo verso l’entrata dell’officina. Jack si era già messo al lavoro, Bobby gli stava spiegando cosa fare e lui annuiva ed eseguiva come un bravo apprendista.

- Credo che appena Castiel ti spiegherà, forse capirai anche tu perché sembriamo entrambi così convinti. - Disse con un mezzo sorriso. Gabriel lo guardò interdetto per un attimo, ma Dean non aveva dubbi su quello che aveva detto. - Solo… probabilmente ti sembrerà assurdo, ma sappi che è la verità. - Cercò di spiegargli poi, dato che si aspettava il suo scetticismo, così come era successo con Sammy quando gli aveva raccontato tutto. - Ci vediamo a pranzo, Gabe. - Lo salutò infine, per poi sparire definitivamente oltre l’ingresso dell’officina.

Gabriel rimase immobile per un momento, poi però sospirò e raggiunse il suo furgoncino.


Note autrice:
Alloooooora, ieri non ho postato perché avevo la febbre e poca voglia di vivere. Oggi va meglio quindi eccomi quaaaa.
Questo è un capitolo di passaggio prima del prossimo che sarà molto... ehm, lasciamo stare, vi lascio sulle spine ops.
Volevo avvertirvi che non manca molto alla fine definitiva di questa storia. Non so quanti capitoli ancora, ma credo davvero molto pochi.
Spero vi piaccia, vi saluto e ora vado a imbottirmi di medicinali.
Visto il periodo di Pasqua, non so di preciso quando pubblicherò il prossimo, stay tuned!
Baci!

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Capitolo 21
*** Zepp traxx ***


Zepp traxx

Dean non seppe di preciso cosa Castiel avesse detto a Gabriel, ma nei giorni successivi aveva sentito lo sguardo confuso del maggiore dei Novak addosso. Ogni volta che entravano insieme alla tavola calda, Gabe non faceva che guardarli con curiosità, e lo fece per un’intera settimana. Poi aveva semplicemente lasciato perdere. Castiel gli aveva detto che all’inizio aveva reagito con scetticismo, ma che poi aveva iniziato a crederci, perché in effetti quella scenata la prima volta che Dean aveva visto Castiel alla tavola calda non avrebbe avuto altre spiegazioni. La scusa del fatto che non stesse bene gli sembrava poco credibile già dall’inizio.

Gabriel, però, non fece mai parola della cosa, si limitò semplicemente a lasciare che le cose corressero.

Sam invece seppe anche della famosa “cazzata”, e perfino lui credette lo fosse, poi aveva detto a Dean che per qualunque cosa lui ci sarebbe stato, e lo aveva addirittura pregato di non rovinare tutto in quei nove mesi, perché Castiel era una brava persona e sembrava fatto apposta per suo fratello. Ma perché chiunque credeva lo avrebbe fatto soffrire? Certo, Dean aveva dei precedenti abbastanza evidenti, ma Castiel… a lui non avrebbe mai fatto nulla del genere.

Quando quel giorno entrambi scesero dall’Impala, un’ondata d’aria fresca li investì e Castiel si ritrovò a sorridere nell’osservare davanti a sé.

- Forse avrei dovuto portare il trench. - Disse stringendosi nella spalle, e Dean ridacchiò scuotendo la testa, mentre chiudeva l’auto e riponeva le chiavi in tasca.

- Non credo ti servirà. - Gli disse in risposta. Castiel fece qualche passo sul terreno e poi chiuse gli occhi, come a godersi la sensazione del vento leggero che carezzava la sua pelle. Dean lo affiancò in silenzio e sorrise, poi si sentì afferrare e stringere la mano. Le loro dita si intrecciarono lentamente, infine iniziarono a camminare verso la riva, accompagnati solo dal rumore dei loro passi. Si misero seduti sul ponticello, le gambe a penzoloni verso l’acqua limpida, poi Dean stappò le due bottiglie di birra e ne passò una a Castiel. Le fecero tintinnare fra loro e cominciarono a bere in silenzio.

- Quanti déjà-vu, eh? - Mormorò Castiel contro il vetro della bottiglia.

- Un bel po’. Solo che qui il tramonto dobbiamo aspettarlo. - Castiel rise a quelle parole.

- E tu non mi lascerai qui ad aspettarti. - Dean si girò a guardarlo. I loro sguardi si incrociarono e il biondo non esitò a portare un braccio attorno a lui per stringerselo contro.

- Com’era stare qui da solo? - Chiese Dean dopo qualche secondo di silenzio, poco prima di leccarsi le labbra secche.

- Snervante. Non sapevo mai quando saresti arrivato, e non facevo che aspettarti. - Dean rimase in silenzio e osservò il sole che pian piano stava cominciando a sparire dietro agli alberi. - Cosa sogni adesso? - Chiese poi il moro, girandosi leggermente per guardarlo in viso.

- Quello che sognano tutti, immagino. - Castiel bevve un sorso di birra, poi portò a sua volta un braccio attorno alla vita di Dean e prese ad accarezzargli delicatamente il fianco.

- Quell’uomo di cui parlavi prima che io ricordassi, quello per cui hai avuto una cotta. - Dean lo guardò in silenzio, un mezzo sorriso già delineava le sue labbra. - Ero io? - Quel mezzo sorriso si allargò sul volto di Dean.

- Tu che dici, genio? - A quelle parole, Castiel non poté fare a meno di sorridere, poi scosse appena la testa e riprese a bere puntando lo sguardo verso l’orizzonte. Adesso il sole stava tramontando come lo faceva spesso nella testa di Dean, colorando di sfumature rosse e arancioni il cielo. Era la prima volta che andavano al lago insieme nella realtà, sembrava si fossero teletrasportati indietro nel tempo, per un momento entrambi avevano creduto che tutto quello non fosse reale, che Dean si sarebbe svegliato nel suo letto con il sudore sulla fronte e le lacrime agli occhi. Ma perfino lasciandosi pizzicotti sul braccio per destarsi da quella situazione, Castiel continuava a essere al suo fianco e a confermargli la realtà dei fatti.

- Lo sentivo che mancava qualcosa, quando mi sono svegliato mi sentivo smarrito. E non c’entra il coma, ero… avevo un vuoto dentro che non riuscivo a colmare. All’inizio ho creduto fosse per via della perdita di Kelly e Lucifer, ma poi mi sono reso conto che quel vuoto c’era già da prima che Gabe mi dicesse della loro morte. - Castiel smise per un attimo di parlare, soprattutto quando sentì il naso di Dean fra i suoi capelli. Amava quando lo faceva. - Poi hai rotto quel bicchiere alla tavola calda quando mi hai visto. Non avevo idea di chi fossi, ma il mio cuore ha perso un battito lo stesso, e non riuscivo a capirlo. - Castiel si voltò completamente verso di lui con la testa e capitò talmente vicino al viso di Dean da poterne sentire il respiro sulle labbra. I loro nasi si sfiorarono e gli occhi verdi del biondo non riuscivano a staccarsi dai suoi. - Perché non me lo hai detto? Credevi ti avrei preso per pazzo? - Dean deglutì alle parole sussurrate di Castiel, poi annuì.

- Tu non ricordavi, eri uscito da una certa situazione e non volevo passare per un matto ai tuoi occhi. Volevo riconquistarti e basta. - Castiel accennò un sorriso, poi poggiò la bottiglia vuota sul ponticello e portò una mano alla sua guancia per carezzarla delicatamente.

- Forse ti avrei creduto, sai? -

- Davvero? -

- Sentivo un legame con te, sarebbe stato strano ma avrebbe avuto un senso. - Dean ridacchiò. - Però mi hai corteggiato alla vecchia maniera, il che non mi è dispiaciuto. - Continuò, unendosi alla sua risata, poi si avvicinò a lui quel tanto che bastava per cominciare a baciarlo con dolcezza. Dean lasciò andare la bottiglia accanto a quella di Castiel per poter prendere la sua mano che stava ancora sulla propria guancia, fece intrecciare le loro dita e il moro sorrise sulle sue labbra prima di un ultimo bacio, poi nascose la testa nel suo collo e inspirò il profumo di Dean, lasciando qualche bacio sparso sulla sua pelle.

- Allora… chi c’era prima di me? - Castiel corrugò la fronte e sollevò appena la testa per guardarlo con un mezzo sorriso incuriosito, poi però puntellò il mento sulla sua spalla e rispose alla sua domanda.

- Era un caporale. Non stavamo proprio insieme, lui non era molto convinto dei suoi sentimenti nei miei confronti. - Castiel smise di parlare e si perse un momento nei suoi occhi. - Era sempre insicuro, eravamo spesso nelle spedizioni insieme, mi parlava dei suoi dubbi e delle sue paure riguardo al nostro rapporto, ma poi arrivava la notte e finivamo sempre per passarla insieme. - Castiel si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. - È stato bello nonostante tutto. -

- Perché è finita? -

- Dopo la sua ultima missione ognuno è semplicemente andato per la sua strada. Io ho continuato, lui invece ha smesso. E poi non c’erano le basi perché continuasse. Non ci conoscevamo a fondo, nonostante i mesi passati insieme, mentre con te… - Smise di parlare per un attimo e deglutì. - Mi sembra di conoscerti da sempre nonostante tutto. - Dean sorrise e osservò le loro dita ancora intrecciate, premurandosi di accarezzare con le proprie quelle di Castiel. - Mi mancherai così tanto, Dean… - Il sorriso sul viso del biondo si spense e si ritrovò a deglutire, ma senza aggiungere altro si ritrovò a stringere Castiel in un abbraccio quasi soffocante. Era come se gli stesse dicendo che era lì, che poteva godere della sua presenza per qualche altra settimana ancora, ma allo stesso tempo gli stava chiedendo silenziosamente di non pensarci, perché più finivano su quel punto della discussione, più Dean iniziava a tenere il conto dei giorni che lo separavano dalla fatidica partenza. Non poteva sopportare di avere quel pensiero fisso.

Per fortuna l’argomento si concluse lì quel giorno, e nei successivi Dean e Castiel tornarono più volte al lago, quello che ormai era diventato il loro posto, quello più importante e più significativo. Ci organizzavano piccoli picnic, a volte Castiel lo costringeva anche a fare jogging ed esercizio fisico seguendo la riva e tornando indietro, perché un soldato aveva bisogno di riprendere la forma adeguata prima di partire. A volte ci andavano semplicemente per una birra sul ponticello, per fare un bagno nelle giornate più calde, e altre semplicemente restavano sull’Impala a osservare fuori, ritrovandosi quasi sempre a fare l’amore sui sedili posteriori, così come lo avevano fatto un’ultima volta il giorno prima della partenza, nel modo più dolce e disperato possibile, in cui oltre agli ansimi di piacere e al sudore sulla fronte, i loro occhi si guardavano lucidi e Dean teneva il suo busto avvolto con le braccia per tenerlo vicinissimo a sé mentre si muoveva su di lui, come se quello bastasse a non farlo andare via.

Ma andare al lago non era l’unica cosa che si erano premurati di fare in quei giorni. La tavola calda era uno di quei posti che non mancavano mai nella lista, e lì le uscite a quattro con Sam e Jessica erano diventate una routine. Avevano legato molto, tanto che Jessica e Castiel ogni tanto si divertivano a prendere in giro i rispettivi compagni per delle loro strane abitudini.

Dean continuava a lavorare all’officina di Bobby e a istruire Jack. Ormai lavorare con quel ragazzino era diventato più un piacere che un dovere. E per quanto riguardava Gabriel, con lui i rapporti erano sempre gli stessi, se non si aggiungeva il fatto che ogni volta che Castiel decideva di passare la notte a casa di Dean, Gabe lo metteva in guardia con uno sguardo severo, o con le semplici parole “Trattalo bene o ti spezzo le ossa”.

I giorni passarono inesorabili senza che nessuno potesse farci nulla. Castiel si era tenuto in forma in tutti i modi possibili, con tanto esercizio fisico, cibo salutare e integratori che secondo Meg lo avrebbero reso “un figurino”. E il tempo passò così in fretta che quel dannato giorno arrivò, e arrivò con una sveglia alle cinque del mattino e un Dean che si svegliava di soprassalto, sapendo già cosa quel giorno avrebbe riservato a entrambi.

Aveva dormito nell’appartamento di Castiel, perché perfino quell’ultima notte voleva restargli accanto. Lo aveva guardato alzarsi dal letto in silenzio, passandosi le dita fra i capelli, poi lo aveva visto passare una mano sulla divisa appesa all’anta dell’armadio, già pronta per essere indossata. Era la prima volta che Dean la vedeva dal vivo e non in qualche foto ricordo di Castiel.

Gabriel arrivò circa dieci minuti dopo per dare una mano, aiutò Dean a preparare la valigia di Castiel con le ultime cose, mentre lui si cambiava e indossava la divisa mimetica. Quando fu pronto e si presentò in soggiorno, Dean ebbe un fremito e dovette deglutire a fondo, sentendo la gola improvvisamente secca. Certo, quella vista soddisfaceva ogni sua più nascosta fantasia, era talmente sexy ai suoi occhi che gli aveva tolto ogni parola di bocca, ma allo stesso tempo vederlo con quella divisa addosso confermava sempre di più che quel maledetto giorno era ormai arrivato.

Dopo poco si era fatto vivo anche Jack, poi Meg, Sam e Jessica. Ognuno attese nelle rispettive auto, avrebbero seguito il furgoncino di Gabriel fino all’aeroporto e poi lì avrebbero salutato Castiel.

Gabe era seduto davanti alla guida, vicino a lui c’era Jack. Nei sedili posteriori c’erano Castiel e Dean, quest’ultimo continuava a tenere la sua mano e le dita intrecciate alle sue, cercando di guardare fuori dal finestrino per restare calmo. La sua gamba però non smetteva di muoversi, scossa da un tic nervoso che non sfuggì agli occhi di Castiel. Dean avvertì una mano sulla propria coscia e automaticamente il tic svanì. Si girò verso di lui e lo osservò a lungo, lo vide rivolgergli un minuscolo sorriso incoraggiante che però Dean non riuscì a ricambiare, poi Castiel gli baciò la tempia e automaticamente il biondo lasciò scivolare la testa sulla sua spalla.

- Ma guardateli, ci siete proprio tutti! - Esclamò Gabriel non appena raggiunsero l’interno dell’aeroporto. - Ma tu soprattutto… - Disse indicando Meg con uno sguardo confuso. - Non dovresti essere in ospedale? - In effetti aveva addosso il camice da infermiera e il cartellino con il suo nome ancora attaccato al petto. Meg fece roteare lo sguardo.

- Potrei aver detto una minuscola bugia al capo reparto. “Emergenza familiare”. - Gabe rimase in silenzio per un attimo, fissandola ancora, ma stavolta con sorpresa. - Gli sono stata attaccata a quel culo da angioletto per due mesi senza fiatare, gli ho cambiato le flebo, gli ho letto le mie riviste tutte le sere. Clarence non può partire senza prima salutarmi. - A Dean non sfuggì il sorriso intenerito sulle labbra di Gabriel nel sentire quelle parole, e nemmeno quello di Meg che però lei cercò di nascondere agli occhi di tutti.

Attorno a loro si avvicinavano altri soldati, ognuno di loro accompagnati dalle famiglie e dagli amici. Castiel ne salutò qualcuno da lontano con un cenno della mano, e quando tutti iniziarono a dirigersi all’uscita del gate, il moro emise un sospiro e guardò tutti coloro che erano lì per lui.

Dean deglutì e abbassò lo sguardo. Era ora che andasse e nonostante si fosse preparato per un intero mese a quel momento, sentiva di non essere affatto pronto.

- Le donne hanno la precedenza, scusatemi ragazzi. - Disse Castiel con un’alzata di spalle prima di recarsi direttamente fra le braccia già spalancate di Meg.

- Soprattutto le donne cazzute. - Disse lei con un mezzo sorriso. Nonostante cercasse di nasconderlo, i suoi occhi scuri erano lucidi e commossi. - Fai il bravo, Clarence. E se vedi un collega sexy, single e etero, digli che hai un’amica infermiera single e fatti dare il suo numero. - Castiel ridacchiò, notando lo sguardo di Gabe dietro di loro che sembrava alquanto contrariato.

- Guarda che ti sento, Masters, tu non sei più single. - I due sciolsero l’abbraccio con un sorriso divertito alle parole del maggiore dei Novak.

- Già, ho una palla al piede, che è diverso. - Gabe fece roteare lo sguardo esasperato, Castiel invece piegò leggermente la testa da un lato, confuso, poi quando realizzò sbarrò gli occhi e sorrise.

- Voi due? Oh, lo sapevo! - Meg rise, poi lasciò un bacio sulla guancia del moro. Per Dean non fu una sorpresa, era già da tempo che sospettava che Meg e Gabe si frequentassero, e non solo come semplici amici. Chissà cosa era successo fra di loro in quei due mesi!

Castiel strinse in un abbraccio anche Jessica. Lei rimase fra quelle braccia per un po’, poi stirò la divisa di Castiel con le mani e gli sorrise.

- Cerca di tornare il prima possibile, ok? Dobbiamo fare un’altra uscita a quattro. - Castiel annuì con un mezzo sorriso. - Riguardati. -

- Anche tu. - La donna gli passò la mano su una spalla per un’ultima volta, poi Castiel si lasciò andare a un abbraccio fraterno con Sam, con tanto di pacche sulla spalla. - Ti prego, tieni d’occhio Dean per me. - Gli sussurrò con voce tremante.

- Come sempre, Castiel. - Gli disse Sam annuendo. Castiel si passò velocemente una mano sull’occhio, come ad asciugarsi una lacrima che stava minacciando di uscire. - Ci vediamo presto, amico. - Si strinsero la mano per un’ultima volta, poi fu il turno di Jack. Se ne stava in piedi con la testa leggermente chinata, torturandosi le mani.

- Ehi. - Castiel cercò di attirare la sua attenzione portando una mano sulla sua spalla. Jack sollevò lo sguardo e poi si gettò letteralmente fra le braccia di Castiel, soffocandolo quasi in quella stretta. Dean dovette distogliere l’attenzione da quella scena per evitare di piangere. Comunque non si dissero nulla, forse per loro quell’abbraccio bastava e avanzava, forse quello diceva più di mille parole, quindi era perfetto così.

Venne il turno di Gabriel, e Dean non lo aveva mai visto così nervoso prima d’ora, tanto che fu sicuro di vedere le sue mani tremare mentre gli sistemava amorevolmente il colletto della divisa.

- Chiamami, ogni volta che puoi, va bene? - Castiel annuì e lasciò che il fratello maggiore gli sistemasse sulle spalle lo zaino come si faceva con i bambini piccoli. Ed ebbe perfino quella visione, il ricordo di un Gabriel adolescente che sistemava lo zaino della scuola sulle spalle di un piccolo Castiel prima che lo vedesse entrare dopo il suono della campanella. Certe abitudini non morivano mai. - Se non mi concedi una video chiamata ogni tanto, ti ammazzo. Se non mi scrivi qualche lettera, ti ammazzo. Se torni ferito, ti ammazzo. Se ti fai mettere i piedi in testa da quei coglioni dei tuoi colleghi, ti ammazzo. Se ti fai ammazzare… ti ammazzo. - Castiel accennò un sorriso triste, i suoi occhi lucidi non sfuggirono al maggiore, soprattutto perché aveva sentito la voce di Gabriel tremare mentre gli faceva tutte quelle raccomandazioni. Castiel fece per abbracciarlo ma l’altro lo bloccò. Si mise una mano in tasca e ne tirò fuori una catenina d’argento da cui pendeva un crocifisso. Era la stessa catenina che Gabe teneva appesa allo specchietto nel suo furgoncino. La mise proprio al collo del fratello minore e nascose il ciondolo sotto alla divisa, e solo dopo gli concesse quell’abbraccio soffocante. - Stai attento, per l’amor di Dio. - Castiel annuì nuovamente, poi lasciò andare anche lui.

Quando Dean si rese conto di essere arrivato al suo turno si agitò nervosamente sul posto, portando le mani nelle tasche della giacca, insicuro su cosa dire. Castiel gli stava davanti con lo sguardo chinato e un leggero imbarazzo.

- Credevo avrei saputo cosa dirti arrivati a questo punto, avevo preparato anche un discorso ma… - Disse Dean poco prima di afferrare una delle mani di Castiel. - Ma ho dimenticato tutto non appena siamo arrivati. - Si lasciò sfuggire una risata nervosa che Castiel imitò per un momento, carezzando la mano dell’altro con il pollice.

- Credo che ci siamo già detti tutto in questo mese, Dean. - Ci fu silenzio per un po’. Si guardarono negli occhi per dei secondi che sembrarono interminabili, poi il biondo non riuscì più a resistere e lo afferrò per i fianchi. Poggiò le labbra alle sue come se lì intorno non ci fosse nessuno. Non lo faceva spesso, scambiarsi effusioni in pubblico non era proprio da lui, preferiva di gran lunga quando erano soli al lago, o sull’Impala, o nelle loro rispettive case. Ma quello era un momento importante, non lo avrebbe più visto per nove mesi, era l’ultima occasione per sentire le labbra di quell’uomo sulle proprie prima di una lunga astinenza che ancora non sapeva come l’avrebbe gestita. Castiel portò le mani al suo collo per accarezzarlo con dolcezza, fino a circondarlo con entrambe le braccia per approfondire quel bacio.

- Scrivimi, anche solo per raccontarmi una semplice cazzata, ma fallo. - Sussurrò sulle sue labbra Dean, ricevendo in risposta l’annuire di Castiel. Le loro bocche si toccarono ancora e ancora finché non ebbero più fiato da trattenere. Rimasero fronte contro fronte a inspirare l’odore dell’altro, poi Dean sollevò la testa e depositò un lungo bacio sulla fronte di Castiel, che chiuse gli occhi per godersi al meglio quel dolce gesto. - Non è vero che ci siamo detti tutto. - Disse Dean a un certo punto, facendo sollevare lo sguardo a Castiel verso i suoi occhi verdi e lucidi. - E prima che tu vada voglio che tu lo sappia e lo tenga a mente finché non torni. Credo sia l’unica cosa da dire che riassuma tutto il fottuto discorso che ho dimenticato. - Castiel rimase in silenzio e in attesa, leccandosi nervosamente le labbra e annuendo. Dean deglutì leggermente prima di parlare. - Ti amo, come non ho mai amato nessuno. - Quella lacrima che sfuggì dagli occhi di Castiel fu subito asciugata dal pollice dell’altro. - E sei incredibilmente sexy con questa divisa. - Un sorriso spuntò fra le lacrime di Castiel, poi il moro gli si avvicinò e lo baciò ancora con dolcezza, prima a stampo e poi con più intensità.

- Ti amo anch’io. - Gli sussurrò sulle labbra, poi gli lasciò un ultimo bacio a stampo prima di separarsi da lui e passarsi entrambe le mani sul viso per asciugarsi le lacrime. - Devo andare… - Dean annuì e si leccò le labbra, poi portò una mano in tasca e recuperò il regalo che gli aveva preparato.

- Prima che me ne dimentichi. - Era una cassetta audio, sull’etichetta c’era scritto “Dean’s top 13 Zepp traxx”. Castiel la guardò immobile per un attimo, poi la afferrò e sorrise. - Te lo avevo detto che te li avrei fatti sentire, no? - Il moro annuì, continuando a guardare la cassetta e rigirandosela fra le mani.

- Grazie, Dean. - Il biondo gli sorrise. Castiel conservò la cassetta in una delle tasche del suo zaino, poi afferrò il manico della valigia e diede un ultimo sguardo a tutti i presenti. La sua mano stringeva ancora quella di Dean.

- Ci vediamo presto, ragazzi. - Disse, poi volse lo sguardo a Dean per l’ultima volta e indietreggiò appena, lasciando andare lentamente la sua mano, infine si decise a girarsi e a dirigersi all’uscita del gate, convinto che se avesse esitato ancora un altro po’ non sarebbe riuscito ad andare via.

Dean rimase immobile finché non vide le porte automatiche richiudersi, poi chiuse gli occhi e una lacrima rigò la sua guancia.

Gli mancava già.


Note autrice:
Bene, visto che ho passato la Pasquetta a casa, ne ho approfittato.
Siamo giunti al fatidico momento. Che ne pensate? In più se lo avete notato vi ho anche piazzato una novità, vediamo chi riesce a indovinare di che cosa si tratta!
Comunque, ho l'onore di annunciarvi che ci sta anche il trailer da oggi!
Ed è questo ------> Trailer "The silence" <------ Fatemi sapere se riuscite a vederlo e ditemi anche cosa ne pensate.
C'era uno spoiler e non potevo pubblicarlo prima!
Il prossimo capitolo, se tutto va bene, arriverà mercoledì.
Un grosso bacio e a presto!

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Capitolo 22
*** La lettera per Hogwarts ***


La lettera per Hogwarts

Sembrava proprio che l’unica distrazione per Dean fosse passare del tempo con Jack.

Quel ragazzino gli ricordava tremendamente l’uomo che amava, e Dean sapeva anche perché. Castiel gli aveva spesso parlato del loro passato. Sapeva che quando Lucifer e Kelly erano impegnati con il lavoro, il piccolo Jack passava le giornate a casa di Gabe o di Castiel. Abitavano a pochi passi di distanza, uscivano sempre tutti insieme. I Novak lo avevano in parte cresciuto, tanto che lui aveva assorbito alcune delle loro abitudini, come la tipica espressione confusa di Castiel o la fede cristiana di Gabe.

E poi c’era quella passione per le vecchie auto che lo accomunava con Dean, e quel piccolo sogno del ragazzo di potersene occupare anche per lavoro, una passione che a quanto ne sapeva aveva preso dal nonno.

Nell’ultimo periodo non era venuto spesso all’officina, anzi in effetti non ci era venuto per niente. Era troppo impegnato con gli esami della patente e le lezioni di guida con il suo istruttore, ma Dean aveva avuto occasione di passare del tempo con lui quando andava alla tavola calda, lui e Jack si sedevano insieme a mangiare allo stesso tavolo, o quando andava a trovare Gabriel a casa… perché adesso anche il rapporto con il suo potenziale “cognato” stava diventando più solido.

Quando quel giorno Jack si fece vivo in officina, settimane dopo la partenza di Castiel, Dean e Bobby stavano parlando con Ellen, la donna che aveva organizzato quella raccolta fondi. Era arrivata lì con l’auto guasta, consigliata proprio da Jessica. A Dean non sfuggì il modo in cui i due si stavano guardando mentre discutevano del problema. Sembrava che Bobby non avesse mai visto una bella donna prima di allora. Fu distratto dal motore del furgoncino che era appena entrato nel parcheggio dell’officina.

- Immagino che possiamo intervenire anche subito… - Borbottò Bobby grattandosi nervosamente un braccio mentre Ellen gli sorrideva riconoscente. Dean lo guardò come se avesse avuto davanti un alieno, poi però si schiarì la voce con una finta tosse per attirare la sua attenzione.

- Vogliate scusarmi, ragazzi. - Fece un cenno a Ellen, poi passò di proposito in mezzo a loro e raggiunse l’esterno, dove Jack stava già scendendo dal furgoncino, pronto per mettersi al lavoro. - Non siete un po’ in ritardo? - Gabe era stranamente a suo agio, aveva una camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti e un paio di occhiali da sole che non esitò ad abbassare sul naso, così che i suoi occhi fossero più visibili a Dean. Calò il finestrino e sollevò le sopracciglia un paio di volte con fare ammiccante.

- Siamo diversamente in anticipo, invece. - Dean roteò lo sguardo trattenendosi il più possibile nel mandarlo a quel paese solo per non intaccare all’ingenuità di Jack che era lì presente. Lui era un ragazzino dolce e simpatico, non lo aveva mai sentito dire parolacce o lamentarsi in malo modo, non voleva che sentisse Dean imprecare come uno scaricatore di porto.

- Ehi Jack! Perché non mi aspetti dentro? Ho una cosa da farti vedere. - Il ragazzino annuì, poi rivolse un cenno di saluto a Gabriel che lui ricambiò, infine li lasciò da soli. Dean si appoggiò con entrambi i gomiti allo sportello del furgoncino, mentre Gabe si tirò su gli occhiali per sistemarli sulla testa. - Hai novità? - Gabriel sospirò.

- Come ogni giorno che me lo chiedi, no. - Dean annuì e distolse lo sguardo sullo specchietto retrovisore dove Gabe aveva appeso quel pupazzo che rappresentava un angelo, quello che Castiel aveva regalato al fratello maggiore quando Gabe aveva acquistato quel furgoncino, per proteggerlo, aveva raccontato una volta a Dean. Il crocifisso non c’era più, sapeva che Castiel lo teneva al collo insieme alla sua medaglietta.

- Nemmeno una telefonata o… -

- Dean, la telefonata deve guadagnarsela. - Disse Gabriel. - Per te è la prima volta, lo capisco, ma io sono abituato alle sue gite oltreoceano. Non ho mai avuto sue notizie così presto, devi avere pazienza. - Il biondo annuì di nuovo, poi si passò una mano fra i capelli e sospirò.

- Scusami… è che mi manca così tanto. - Sentì lo sguardo di Gabriel addosso per un po’, uno sguardo un po’ diverso dal solito. Forse voleva dire solo che lo trovava cambiato, che non aveva più dubbi su di lui. Da poco Dean si era accorto che Gabriel non lo teneva più d’occhio come prima, non solo perché alla tavola calda non si azzardava a guardare nessuna ragazza con gli occhi da pesce lesso, ma anche perché ogni santo giorno Dean non faceva che chiedere a Gabriel se ci fossero novità. A volte, quando Sam era sommerso di lavoro e Dean veniva da solo al locale, se ne stava solo e in silenzio a guardare fuori dalla vetrata, seduto al tavolo che solitamente occupava con Castiel. Gabe avrebbe scommesso tutto sul fatto che in quei momenti in cui sembrava così fuori dal mondo, stesse proprio pensando a Castiel e a quanto gli mancasse.

- Lo so, Dean-o. - Disse infatti.

- È passato ancora solo un mese. Se ti rompo le scatole tutti i giorni è perché so che sai come ci si sente. Perché anche tu hai atteso molte volte il suo ritorno. - Mormorò Dean. - Come fai a non pensarci? - Gabe si agitò appena sul sedile, poi si passò la lingua sulle labbra e sospirò.

- Ci penso sempre, invece. Ma mi piace anche pensare che lui stia bene e che presto tornerà. Non è facile all’inizio, alla sua prima missione ho pianto come un bambino per un mese di fila, almeno finché non ho ricevuto una sua lettera dove mi rassicurava. Pian piano è diventato meno tremendo, ma ehi… tu sei fortunato! Ho dovuto sorbirmi la sua assenza per una miriade delle sue missioni, tu devi superare solo questa, e poi lo avrai sempre al tuo fianco, e a quel punto non lo sopporterai più e me lo rispedirai a casa. - Dean lo aveva ascoltato senza accennare a interromperlo, ma alla sua ultima frase non riuscì a trattenere una risata, così come non ci riuscì nemmeno Gabriel. Alla fine calò il silenzio per qualche secondo, ma non durò molto perché fu proprio il cameriere a spezzarlo - Senti, ho una proposta. Stasera io, Meg e Jack andiamo al bowling. Ti unisci a noi? Puoi dire a Samuel e Jessica di aggregarsi. Che ne pensi? - Dean accennò un minuscolo sorriso.

- Stai cercando di farmi distrarre? -

- Beh, ci sto riuscendo? - Dean ridacchiò. - Allora, vuoi venire o no? -

- Va bene, perché no. - Disse Dean facendo spallucce. Non gli dispiaceva passare una serata diversa, una in cui non sarebbe rimasto a letto a pensare a Castiel. Molte volte era finito in quella situazione, ma non piangeva mai. Non sapeva bene se non ci riuscisse o se semplicemente era consapevole che, diversamente da quelle terribili settimane in cui aveva creduto che fosse sparito dalla sua testa, sapeva che sarebbe tornato a casa sano e salvo, e soprattutto per stare con lui, proprio come gli aveva appena detto Gabe.

- Perfetto, alle nove io e Meg passeremo a casa vostra. - Era strano per Dean vedere Gabriel in compagnia di una donna e che la cosa fra loro due fosse seria. Era abituato a vederlo flirtare con qualunque cosa avesse la capacità di respirare, forse Gabe gli somigliava più di quanto pensasse. Anche lui aveva trovato forse qualcuno per cui ne valeva la pena. Meg sembrava fatta apposta per lui, sapeva tenergli testa e sapevano come punzecchiarsi. Ultimamente li aveva adocchiati insieme alla tavola calda, sembravano una coppia di vecchi amici, non una coppia di amanti. Di certo le smancerie non erano tra le loro cose preferite, almeno non quelle in pubblico. Gli sarebbe piaciuto sapere i retroscena di quella storia, ma d’altronde non voleva impicciarsi in qualcosa che non gli riguardava.

Gabe mise in moto il furgoncino e fece per andarsene, ma Dean lo raggiunse di nuovo al finestrino e gli rivolse uno sguardo indagatore.

- Tu lo sai, vero? - Gabe parve non capire. - Del lago, dei sogni, tu lo sai. - Non glielo aveva mai chiesto veramente, né ne aveva fatto parola con Castiel, ma era sicuro al cento per cento che Gabriel sapesse ogni cosa. Quest’ultimo accennò un minuscolo sorriso e sollevò le sopracciglia. Non disse nulla, ma quel silenzio era pieno di parole. Dean aveva capito tutto, quindi si allontanò con un mezzo sorriso dal veicolo, poi Gabriel fece marcia indietro e se ne andò.

Ne aveva avuto la conferma.

Dean mise le mani in tasca e si diresse di nuovo in officina. Bobby ed Ellen stavano ancora parlando, ma dalla risata della donna sembrava proprio che la loro discussione non riguardasse affatto il guasto all’auto. Sembrava proprio che Bobby ci stesse quasi… provando. Dean non riuscì a trattenere quel cipiglio sorpreso mentre attraversava la stanza e raggiungeva Jack che lo stava aspettando in silenzio, appoggiato alla parete e con le braccia incrociate.

- Come vanno le lezioni? - Chiese Dean mentre si rimboccava le maniche della camicia e si dirigeva verso uno dei cassetti per cercarvi all’interno. Jack lo guardò incuriosito.

- Vanno bene. - Disse semplicemente, e allo stesso momento Dean tirò fuori un mazzo di chiavi dal cassetto e fece cenno al ragazzo di seguirlo. Jack divenne ancora più confuso, ma tacque e lo seguì senza esitare, curioso come un bambino. Dean lo guidò fino al parcheggio, fra tutte le auto da rottamare e quelle ancora da riparare.

- Oggi voglio vederti guidare, è da tanto che non facciamo una lezione solo io e te. - Jack si guardò per un momento alle spalle. L’Impala era parcheggiata vicino all’ingresso, mentre loro stavano andando dalla parte opposta.

- Va bene ma… la tua macchina… -

- La mia macchina? Non sarà la mia macchina quella con cui andrai a prendere la tua futura ragazza. - Jack si portò una mano sulla nuca per grattarsela, poi piegò leggermente la testa da un lato. Fece per aggiungere qualcosa, ma poi vide Dean fermarsi e guardarlo come se si aspettasse una qualche reazione da lui. Alla fine la vide. Davanti a loro c’era l’auto di suo padre, rimessa completamente a nuovo, riverniciata come se fosse appena uscita da una concessionaria, pulita e splendente e completamente diversa dall’ultima volta che l’aveva vista. - Dì qualcosa, avanti! - Jack parve risvegliarsi da un lungo sonno profondo e guardò Dean con occhi lucidi e un sorriso incredulo.

- Hai… hai finito di ripararla! - Esclamò mentre si avvicinava all’auto a passo lento. - Quando? - Dean cercò di nascondere il sorriso soddisfatto dietro al suo solito orgoglio, ma davanti a quell’espressione grata di Jack non riuscì a trattenersi.

- Beh, visto che non ci sei stato ho deciso di farti questa piccola sorpresa. Ho lavorato giorno e notte, Bobby mi ha dato una mano qualche volta, ma in realtà ci ho sudato da solo. Lavorare mi aiutava a non pensare e sono riuscito a finirla. Beh, che ne pensi? - Lo aveva davvero fatto, spendere tutto il suo tempo per fare in modo che quella macchina sembrasse nuova di zecca. Lavorare non lo faceva pensare troppo, era stato un bene forse. Si chiedeva cosa avrebbe fatto per distrarsi nei giorni successivi.

Jack si avvicinò alla macchina e toccò con delicatezza il tettuccio, come se avesse paura di romperla al solo sfiorarla.

- Mi ricorda tanto quando papà l’ha comprata e l’ha portata a casa la prima volta, era così felice… - Si morse l’interno della guancia, ma sul viso aveva un minuscolo sorriso malinconico.

- Beh, adesso è tua! Quando avrai quella dannata patente potrai fare di tutto. - Dean lanciò letteralmente le chiavi verso Jack e lui le prese al volo. - Perciò? Vogliamo andare? - Jack si lasciò sfuggire una risata felice e annuì, poi entrambi salirono in macchina. Il ragazzo strinse le mani al volante come se lo vedesse per la prima volta, poi però mise in moto e partì.

Dall’ultima volta era migliorato tantissimo, la macchina non si spegneva più per colpa della frizione e Jack proseguiva spedito per la strada, facendo attenzione ai segnali, ai semafori e agli incroci. Dean lo controllava in silenzio, con una punta di orgoglio.

- Sei diventato un prodigio! -

- Beh, questo è anche merito tuo. - Jack si girò solo un attimo per sorridergli, poi continuò a guidare in silenzio.

La giornata poi trascorse tranquilla. Pranzò alla tavola calda, scambiando quattro chiacchiere con Gabriel al bancone subito dopo, poi in officina si occupò dell’auto di Ellen. Un problemino da nulla che poteva essere sistemato in poco tempo, infine decise di rincasare prima. Aveva avvertito Sam e Jessica dell’uscita e loro avevano accettato senza problemi, doveva prepararsi prima che Gabe e Meg si facessero vivi alla loro porta, così Bobby gli aveva detto che poteva andare, che ci avrebbe pensato lui a quell’auto. Quando però Dean nominò Ellen, Bobby distolse lo sguardo e cercò di cambiare argomento. Dean cercò in tutti i modi di non scoppiare a ridere per quell’improvviso imbarazzo.

Quando entrò in casa, trovò Sam con delle buste fra le mani. Le stava controllando una per una, sbuffando rumorosamente. Dean lasciò andare le chiavi sul tavolino all’ingresso.

- Bollette? - Chiese con una smorfia.

- Sì, per la maggior parte. - Disse in risposta con un sospiro, poi tirò fuori una busta dal mucchietto e la porse a Dean senza dire nulla. Il maggiore lo guardò confuso, e nel vedere il mezzo sorriso sul viso di suo fratello non poté fare a meno di alzare lo sopracciglia. Cos’era, un modo carino per chiedergli di pagarle? No no, quella non era una faccia di uno che voleva fregarlo. Si avvicinò titubante e la prese. Lesse l’indirizzo del mittente, ma non lo riconobbe. Poi però sollevò lo sguardo e lesse il nome a caratteri cubitali.

“Castiel Novak”

Per un attimo fu sicuro di non sentire più il terreno sotto i piedi. Sam non disse niente, si limitava a sorridere, perfino mentre Dean sollevava lo sguardo stupito sul viso del minore. Cercò di darsi un contegno e si schiarì la voce con una finta tosse prima di allentarsi il colletto della camicia come se all’improvviso gli stesse dando fastidio, quella scena gli ricordò tanto il nervosismo di Sam quando ricevette il risultato del test d’ammissione a Stamford.

- Se arriva Gabe digli di aspettare. - Disse Dean, poi corse fino in camera e si chiuse la porta alle spalle, facendo fare due giri alla chiave. Non voleva essere disturbato per nessuna ragione al mondo. Non seppe spiegarsi cosa stava provando mentre apriva con le mani tremanti quella busta, strappandola quasi per fare in modo che il foglio di carta all’interno ne uscisse illeso. Era forse sollievo, ma anche paura, perché non poteva mai sapere cosa ci fosse scritto, e l’ultima cosa che voleva leggere in quella lettera era che Castiel fosse ferito, o che gli fosse successo qualcosa di brutto.

Poi però riconobbe la sua scrittura non appena stirò il foglio sul letto e si sdraiò a pancia in giù per leggerlo. Soltanto leggere quel “caro Dean” lo fece sorridere come un imbecille.

 

Caro Dean,

Quando ti ho salutato in aeroporto mi hai detto di scriverti, anche per raccontarti una semplice cazzata. Bene, lo sto facendo, perché in qualche modo è come sentirti vicino a me, come se ti stessi davvero parlando, solo che stavolta non mi interromperai con le tue solite battute.

Non è successo molto in questi giorni. La vita di un soldato oltreoceano non è entusiasmante come molti pensano. Abbiamo semplicemente fatto il nostro lavoro di routine, molti dei nostri compiti comprendono l’ispezione di edifici segnalati come non sicuri, verificare che non lo siano davvero e in tal caso far evacuare tutti nel caso ci sia una bomba. È capitato. Qui è normale, ma noi interveniamo come è giusto che sia, poi teniamo al sicuro la zona mentre gli artificieri sono al lavoro. Sai… dobbiamo tenere d’occhio anche loro, perché mentre disinnescano una bomba il dinamitardo potrebbe essere lì fuori, pronto a innescarla sotto il loro naso.

Per fortuna nessuno ci ha mai provato.

Non voglio raccontarti questo per spaventarti, ma voglio essere sincero e farti sapere come vanno le cose qui, farti sapere che sto bene, che non ho paura, e che soprattutto non faccio che pensare a te.

Mi manchi come l’aria, Dean. La tua assenza è l’unica cosa che mi rende costantemente ansioso nell’attendere che il maggiore mi conceda di fare qualche telefonata. Saresti il primo che chiamerei. Gabriel ne sarebbe contrariato ma visto che le nostre comunicazioni oniriche non sono più possibili, tu saresti la prima voce che vorrei sentire.

Ho ascoltato la tua cassetta e avevi ragione. I Led Zeppelin sono forti, mi piacciono. Ma suona stupido se ti dico che nell’ascoltarla mi sono un po’ commosso? Lo so che le loro canzoni non fanno proprio commuovere, ma il fatto di avere una cosa tua con me è già abbastanza per farmi sentire in quel modo.

Mi dispiace, probabilmente questa lettera ci metterà un po’ ad arrivare, però spero di ricevere una tua risposta. La aspetterò come sto aspettando che questi nove mesi passino in fretta.

Dì a Sam che non vedo l’ora di riprendere le nostre uscite a quattro, e che mi manca anche lui.

Adesso devo andare, il dovere mi chiama. Oggi il maggiore vuole parlarci, probabilmente vorrà darci dei compiti da eseguire, e vista l’impazienza devono essere delle cose veramente urgenti. Ma lui è sempre impaziente dopotutto...

Sto contando i giorni, Dean. Non vedo l’ora di riabbracciarti.

Ti amo tantissimo. E ti prego aspettami.

Tuo Castiel.
 

Dean si asciugò un occhio con il dorso della mano, poi si distese sulla schiena e strinse quella lettera al petto come se fosse quella il suo Castiel. Non era così che si immaginava nel leggere la sua prima lettera, credeva di mantenere un certo contegno, di limitarsi a sorridere alle sue parole e di preparare un foglio e una penna per potergli rispondere. Invece così non fu. Dean si sentiva svuotato, era felice che stesse bene, ma ancora una volta quello non faceva che sottolineare quanto Castiel gli mancasse e quanto gli sarebbe ancora mancato.

Ma era così determinato ad aspettarlo che non credeva possibile che nella sua vita avrebbe sopportato di soffrire pur di stare con qualcuno. Mesi prima avrebbe già rinunciato per non stare male, ma Castiel non era uno qualunque. Era l’uomo dei suoi sogni, non ne avrebbe mai fatto a meno.

Tirò su con il naso, poi si girò verso il suo comodino e controllò l’orologio. Doveva sbrigarsi se non voleva fare aspettare Gabe in macchina.

Prese un respiro profondo e si mise seduto. Lasciò la lettera ben aperta sul letto, e si preparò. Al momento di uscire di casa, però, la ripiegò e la conservò nel suo cassetto. Sapeva che quella sera non avrebbe avuto altri pensieri se non la risposta che avrebbe dovuto scrivere.

Quando uscì di casa e guardò Gabe dal finestrino della sua macchina, lui non esitò ad abbassarlo e a lanciargli uno sguardo d’intesa. Aveva capito. Probabilmente Castiel aveva mandato una lettera anche a lui, e dal viso sconvolto di Dean, di sicuro quella cosa non passava inosservata

- Stasera dobbiamo proprio festeggiare. A quanto pare anche Dean-o ha ricevuto la sua lettera per Hogwarts! - Dean scosse la testa ridacchiando a quelle parole, poi salì sulla sua Impala.

Alla fine quella giornata non era stata poi così tremenda.


Note autrice:
MIEI PRODI.
Oggi siamo qui riuniti per questo capitolo che vi annuncio... è il penultimo. OPS.
Il prossimo sarà l'ultimo, poi ci sarà un epilogo che posterò successivamente.
Sì, ci stiamo avvicinando alla fine di questa storia e i miei feels stanno avendo il sopravvento.
Ci rivedremo comunque per lo spin-off su Gabe, quindi molti retroscena Gabestiel e molte lacrime... yep.
UNA COSA ADESSO, non vi lascio sicuramente a stomaco vuoto (?) quando questa storia si concluderà, in contemporanea allo spin-off pubblicherò, ebbene sì, una nuova Destiel. COMPLETAMENTE DIVERSA da questa. Sarà a tema fantascientifico, distopico e post apocalittico (non lo stesso della serie, una cosa completamente inventata da me) anche questa piena di misteri e cose da scoprire. Quindi... se volete essere avvertiti sul quando posterò questa nuova storia vi basterà dirmelo nelle recensioni e io vi avvertirò non appena posterò il primo capitolo, stessa cosa vale per lo spin-off. Pubblico tardi proprio perché ho già buttato giù i primi capitoli di queste due cose.
Che ne pensate di questo capitolo? Cosa vi aspettate accadrà nel prossimo/ultimo?
Spero vi sia piaciuto!
Baci e a presto! (Sabato avrete l'ultimo capitolo, e lunedì probabilmente l'epilogo)

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Capitolo 23
*** Posso parlarti qui fuori? ***


Posso parlarti qui fuori?

Caro Castiel,

Nemmeno immagini quante volte io abbia riscritto questa lettera. Ho aspettato così tanto delle tue notizie che quando le ho ricevute non ho più saputo da che parte cominciare. Un po’ come quando sei partito, quel discorso che avevo preparato e poi dimenticato. Le emozioni, cavolo, giocano brutti scherzi.

Devo dire che con quello che mi hai raccontato non mi hai fatto tranquillizzare affatto, odio sapere che tu possa essere a rischio, mi lascia continuamente con un peso sul petto, non faccio che pensare a quello che potrebbe succederti. Ma ieri sera, quando sono uscito con Gabe e tutti gli altri, tuo fratello mi ha raccontato delle tue precedenti missioni e del modo in cui ne sei uscito senza un graffio. Se ne sei uscito illeso quelle volte so che ne uscirai illeso anche questa. In fondo sono fiero di te, orgoglioso dell’uomo coraggioso che sei. Ed è strano perché quando sei qui con me diventi un ragazzino che arrossisce ai miei complimenti, di una dolcezza infinita, che piega la testa da un lato quando è confuso. Un angelo.

Anche io penso a te continuamente, non credo sia una novità. Non faccio che chiedere a tuo fratello tue notizie, anche se sono consapevole che comunque ne sappia quanto me, credo inizi a detestarmi per questo. In realtà, però, abbiamo legato molto io e lui. Non lo ammetterà mai ma credimi, è così. Se prima era solo un amico, adesso sta diventando come un fratello per me, ed entrambi abbiamo una cosa in comune, tu. Ti amiamo più di ogni altra cosa.

Non vedo l’ora di sentire la tua voce, è strano averla avuto attorno per così tanto tempo e poi improvvisamente non udirne più il suono. Ti prego, fai in modo che tu possa guadagnare questa telefonata, mi bastano anche trenta secondi.

Visto? Ti avevo detto che i Led Zeppelin sono forti. E non ti biasimo se ascoltarli ti commuove. Io non sono uno che piange come una mammoletta per le canzoni romantiche ad esempio, eppure ascoltare la canzone del nostro primo lento mi ha fatto uscire qualche lacrimuccia.

Ti prego, che questa cosa rimanga tra noi, Sam potrebbe prendermi in giro per tutta la vita.

Sam e Jessica ti mandano i loro saluti, anche loro ti aspettano, hanno detto che gli manchi.

Spero tu riceva presto questa lettera, così da poter ricevere altrettanto presto una tua risposta. Mi manchi tantissimo, Cas.

Tranquillo, ti aspetterò sempre e comunque. Ti amo anch’io.

Tuo Dean

 

Passò un intero mese dopo l’arrivo di quella prima lettera. I due continuarono a scambiarsene di tante, alcune così profonde e romantiche che quando Sam ne aveva letta una di nascosto non credette fosse stata Dean a scriverla. Però Sam era felice che Castiel tirasse fuori quel suo lato tanto dolce che poche volte Dean mostrava.

Quel giorno era in officina ed era da solo. Capitava che Bobby si assentasse per delle commissioni e lasciasse le redini a Dean. Stava cercando di far partire il vecchio motore di un'auto, quando udì il suono del cellulare provenire dall’interno dell’officina. Sospirò pesantemente e raggiunse l’appendiabiti dove aveva lasciato la giacca. Cercò il cellulare nella tasca e quando lo prese osservò lo schermo. “Numero sconosciuto”, diceva. Dean aggrottò per un momento le sopracciglia ma si decise lo stesso a rispondere.

- Pronto? - Per un momento ci fu silenzio, Dean credette fosse uno scherzo, ma poi sentì un respiro tremante e subito dopo una voce, tremante anche quella.

- Dean? - Il cuore del biondo perse un battito, fu costretto a reggersi contro la parete per non cedere sulle sue stesse gambe.

- Cas... - L’altro si lasciò andare a una leggera risata commossa e liberatoria, probabilmente stava anche piangendo ma Dean non poteva vederlo, solo che sembrava così dal suo tono. Avrebbe voluto abbracciarlo forte e dirgli che andava tutto bene.

- Cazzo, Dean… scusami, non credevo avrei reagito così, io… - Lo sentì tirare su con il naso.

- Smetti di piangere, non rendi le cose facili. - Mormorò Dean mentre si accasciava su una sedia lì vicino e guardava un punto fisso, ancora incredulo di aver sentito quella voce.

- Scusa, lo so… - Lo sentì prendere un respiro profondo, poi un altro, quel tanto che bastava per tranquillizzarsi. - Non ho molto tempo, quindi… -

- Non mi hai neanche salutato, brutto figlio di puttana… - Castiel si lasciò sfuggire una risata, e Dean sorrise appena.

- Ciao, Dean. - Disse poco dopo.

- Ciao, Cas… - Sussurrò lui.

- Come sta andando? Stai bene? -

- Sto bene, sì… tu come stai? - Castiel ridacchiò dall’altra parte del telefono. - Perché stai ridendo? -

- Non lo so, non mi aspettavo “ciao, come stai?” da questa conversazione. - Dean si poggiò contro la spalliera della sedia e prese a giocare con i lacci dei pantaloni della tuta, accennando un sorriso divertito.

- Vuoi che ti dica tutto quello che penso? -

- Sì, Dean. Tutto, e... - Castiel non ebbe il tempo di finire di parlare.

- Mi manchi da morire, Cas. - Per un po’ non ebbe risposta, poi sentì nuovamente il respiro tremante di Castiel.

- Ed ero io quello che non rendeva le cose facili. -

- Mi hai detto di dirti ciò che penso. -

- E tu mi hai detto di non rendere le cose difficili. -

- Sei uno stronzo. -

- E tu un idiota. - Dean scosse la testa e rise. - Mi manchi da morire anche tu. - Ci fu ancora silenzio, e Dean si ritrovò a passarsi le dita sugli occhi per asciugarli da quell’accenno di lacrime. - Dean, purtroppo devo andare. Non possono farmi stare molto al telefono se voglio chiamare anche Gabe. -

- Devi già andare via? - Chiese il biondo, deluso.

- Sì… mi dispiace. Se fosse per me ti parlerei per tutto il giorno. - Dean si schiarì leggermente la voce.

- Quando potrò risentirti? -

- Non lo so, ma mi risentirai, te lo prometto. - Dean si alzò dalla sedia, sentiva ancora le gambe molli ma non ci fece caso, quello che era appena successo era troppo per farlo rimanere seduto e immobile.

- Non fare cazzate, stai attento, e… e torna da me, ok? - Castiel non rispose subito, ma Dean immaginò stesse sorridendo dall’altro capo del telefono, dall’altra parte del mondo, ovunque lui fosse in quel momento.

- Tornerò. - Gli disse poi. Dean udì un mormorio, un’altra voce che non apparteneva a Castiel, qualcuno che diceva “sergente Novak, non abbiamo tempo”. Volevano che attaccasse. Dean avrebbe voluto prendere a schiaffi quell’altra persona e urlargli di lasciarli finire di parlare. - Devo andare davvero adesso, salutami Sam e gli altri, va bene? -

- Lo farò. -

- Ti amo, Dean. - Il biondo deglutì e cercò di mandare giù il groppo alla gola. Era strano sentirselo dire al telefono, con la consapevolezza che fosse così lontano da lui, ed era doloroso perché non faceva che alimentare la sua mancanza e quanto odiasse quella distanza.

- Ti amo anch’io, Cas. - Il segnale che annunciava la fine della chiamata fu l’unica cosa che udì subito dopo. Dean lasciò scivolare il telefono fino alla tasca. Poi rimase poggiato contro la parete per un paio di minuti a fissare il vuoto prima di tornare al lavoro.

Quella non fu l’unica chiamata, comunque. Nei mesi successivi ebbero modo di sentire la voce dell’altro. Dean fu deluso quando scoprì che non gli avrebbero concesso delle video chiamate, gli sarebbe piaciuto vedere il suo viso, i suoi occhi, anche se a separarli ci sarebbe stato il monitor di un computer. Però continuarono a scriversi. Dean aveva preso l’abitudine di raccontargli le sue giornate, una volta gli scrisse addirittura come aveva ignorato le avance di una ragazza che lo aveva notato a una delle serate al bowling organizzate da Gabe, dicendole apertamente “mi dispiace, sei carina e tutto ma… gioco in un’altra squadra”. Sam che era accanto a lui era scoppiato a ridere senza riuscire a trattenersi.

Jack ebbe la sua tanto attesa patente, il risultato dei suoi esami fu ottimo, e aveva iniziato a guidare la macchina del padre senza problemi. Non era più Gabe quello che lo accompagnava in officina o al lavoro, era lui che guidava fino a quei posti, e Dean era talmente fiero di quel ragazzino…

I mesi passarono, lenti e dolorosi, ma passarono. Alcune volte aveva avuto dei crolli emotivi, Sam non lo biasimava ogni volta che lo trovava con le mani fra i capelli e l’espressione di uno che cercava in tutti i modi di non piangere mentre leggeva una lettera di Castiel. Una volta era capitato quando aveva saputo che Castiel si era ferito in un’imboscata. Lui stesso gli aveva scritto che non era nulla di grave, che gli avevano sparato di striscio e che erano serviti solo dei punti di sutura. Dean sapeva che non c’era nulla di cui preoccuparsi, ma Castiel era oltreoceano, sarebbe stato più semplice vedere di persona e accertarsi che la situazione non fosse grave come lui diceva. Castiel dovette mandare una foto della sua ferita a Dean per tranquillizzarlo, e alla fine il biondo aveva potuto accertarsi delle sue condizioni. Non era davvero nulla di irreparabile, la ferita si stava già cicatrizzando.

In estate aveva raggiunto il lago quasi tutti i giorni, a volte con Sam, a volte da solo, per sentire semplicemente la vicinanza di Castiel in quel luogo, era come se fosse lì insieme a lui, come un angelo custode. Lo sentiva vegliare su di sé, il suo soldato coraggioso.

In autunno aveva assistito alla caduta delle foglie nel suo giardino dalla finestra del salone, perché era già passato troppo tempo da quella partenza e i momenti di malinconia e nostalgia stavano diventando sempre più soffocanti.

Poi era arrivato l’inverno, e con lui anche il periodo natalizio. Mancava poco alla fine di quei nove mesi, ma sapeva avrebbe passato il Natale senza Castiel. Faceva male come una ferita aperta e sanguinante.

Era a casa, insieme a Bobby e Sam stavano addobbando l’albero di Natale. Sam aveva deciso di indossare uno di quei maglioni dalle fantasie orribili, tipico delle festività. Voleva costringere anche Dean a indossarlo ma lui si era categoricamente rifiutato, così come aveva fatto con quelle ridicole corna da renna. Capiva le festività e tutto, ma non riusciva a capacitarsi del perché avrebbe dovuto somigliare a un idiota.

- Dannazione! - Esclamò quando si rese conto che le luci che avrebbero dovuto mettere attorno all’albero erano talmente ingarbugliate che ci sarebbe voluta un’eternità per scioglierle. Il campanello lo fece sussultare. - Sammy! Vedi chi rompe a quest’ora? - Il minore sospirò e lasciò andare le decorazioni che stava prendendo dalla scatola insieme a Bobby. - Dannate luci natalizie. - Mormorò frustrato mentre sentiva la porta aprirsi e le inconfondibili voci di Gabriel e Jack che annunciavano il loro arrivo.

- Buonasera Samuel! - Dean si girò per assistere alla scena, lasciando andare quelle maledette lucine per un attimo. Jack si fece spazio e lo raggiunse senza dire niente. Prese le lucine al suo posto e cominciò a scioglierle con una buona dose di pazienza. - Oh, vedo che state addobbando a festa, bene… ah, c’è anche Bobby! - L’uomo si sistemò il berretto sulla testa e gli fece un cenno di saluto. Poi però lo sguardo di Gabe cadde proprio su Dean e lì rimase per un po’ in silenzio. Se ne stava sulla porta a guardarlo come se non sapesse cosa dirgli.

- Che vuoi fare? Entri o vai via? - Gli chiese Dean, impaziente come al solito. Jack accanto a lui non spiccicava una parola, continuava a cercare di sbrogliare i fili delle luci natalizie, lanciando di tanto in tanto un’occhiata al biondo con la coda dell’occhio. Sembrava proprio che quei due gli stessero nascondendo qualcosa.

- Senti, Dean-o… - Iniziò Gabe con un’espressione che a Dean non piacque per niente, tanto che si alzò in piedi e lo guardò in attesa, di qualunque cosa volesse dirgli. Gabriel sospirò, poi gli fece cenno di avvicinarsi. - Posso parlarti qui fuori? - Dean guardò i presenti, a parte Jack sembravano tutti confusi quanto lui. Gli occhi di Gabe nascondevano qualcosa che non era sicuro di voler davvero sapere.

- Che è successo? - Gabe non rispose, si leccò semplicemente le labbra e lanciò uno sguardo a Jack che però lui non ricambiò. Quello bastò a fargli sentire quell’improvvisa stretta all’altezza del petto. - Si tratta di Castiel? - Gabe abbassò lo sguardo e Dean credette di sentire le gambe tremare per un momento.

- Possiamo parlarne fuori, per favore? - Il tono di Gabriel non aveva niente di rassicurante, era netto, piatto, privo di alcuna emozione. Quando Dean cercò lo sguardo di Jack si accorse che il ragazzino stava facendo di tutto per non guardarlo.

- Che diavolo è successo, Gabe? - Disse con voce tremante. Ma la reazione di Gabriel fu decisa.

- Vieni fuori, che cazzo! - Lo aveva urlato quasi, e Dean deglutì rumorosamente. Sentì lo sguardo di tutti addosso, perfino quello di Jack che aveva smesso di provare a sciogliere il filo delle luci. Sam aveva sussultato per la reazione di Gabriel, poi aveva lanciato uno sguardo a Dean per incitarlo a muoversi. Il biondo aveva annuito appena, poi si era deciso a seguire Gabe all’esterno. Sam e gli altri rimasero a guardarli sulla porta d’ingresso. Gabe camminò fino a quasi la metà del vialetto, poi si girò verso Dean e portò le mani in tasca. Il suo viso serio come mai lo era stato.

- Allora? - Chiese Dean incrociando le braccia al petto, non ricevendo però in cambio alcuna risposta. - Che cosa gli è successo? Hai saputo qualcosa? - Gabriel sospirò, ma anche questa volta non disse niente. - Porca puttana, Gabriel! Vuoi iniziare a parlare? Giuro che se non mi dici cosa è successo… - Smise di parlare subito quando vide che un sorriso si stava formando sulle labbra del maggiore dei Novak. Un sorriso furbo e divertito che a Dean parve del tutto fuori luogo, avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. - Che c’è da ridere? - Gabe sembrava determinato a tacere, poi però si limitò a prendere il viso di Dean e a farlo voltare verso la strada.

- Dovevo farti uscire in qualche modo, no? - Dean non capì, ma poi lo sportello del furgoncino di Gabriel si aprì e chi ne uscì da lì quasi fece venire un mancamento a Dean. - Uh, dovevi vedere la tua faccia, è stato divertente. - Adesso Gabe stava ridendo di gusto, ma Dean non riusciva a sentirlo. Tutti i suoni attorno a lui erano svaniti.

Castiel si richiuse la portiera alle spalle e poi si tolse il berretto. Aveva ancora la divisa militare addosso, e poi un sorriso stampato sulle labbra, un sorriso felice, commosso e degli occhi lucidi che Dean riuscì a vedere perfino a quella distanza. Quando Castiel cominciò a correre verso di lui, Dean si mosse in automatico in sua direzione.

- Con te faccio i conti dopo. - Disse a Gabe poco prima di allontanarsi e cominciare a correre a sua volta. Non riusciva a capire, si fece così tante domande che non sarebbe bastato un solo giorno per rispondervi, tipo come facesse lui a essere lì, perché era tornato prima del previsto, e perché lui non ne sapeva niente. Ma l’unica cosa che voleva in quel momento non erano delle risposte.

Castiel si gettò letteralmente fra le braccia di Dean e lo strinse così forte da sentire le braccia indolenzite. Dean fece la stessa cosa, sollevandolo addirittura da terra per un momento. Il suo profumo lo inebriò e dopo tutto quel tempo lontano da lui si accorse di quanto in realtà gli fosse mancato perfino immergere il naso fra i suoi capelli. Castiel spostò la testa dal suo collo fino a fronteggiarlo. Furono in grado di vedere il viso dell’altro, ed entrambi erano ricoperti di lacrime, ma allo stesso tempo un sorriso delineava le loro labbra.

- Sorpresa… - Mormorò Castiel. Dean scosse la testa incredulo e spostò le mani sulle sue guance per accarezzarle con dolcezza, quasi come per accertarsi che tutto quello fosse reale, che Castiel lo fosse. Quest’ultimo si aggrappò ai suoi fianchi e lo guardò negli occhi come se al mondo non esistesse altro.

- Sei un figlio di puttana… - Sussurrò Dean, non rendendosi conto che altre lacrime stavano inondando il suo viso. Castiel rise, tirando poi su con il naso.

- Lo so. - Il moro non ci pensò su due volte, portò le mani sul colletto della camicia di Dean e lo spinse letteralmente contro le sue labbra. Dean rispose a quel bacio con disperazione, portando le braccia attorno al suo busto per stringerselo contro il più possibile. Fu come riprendere a respirare dopo una lunghissima apnea. Quelle labbra piene e carnose gli erano mancate, le sue braccia che lo stringevano gli erano mancate, il suo odore, la sensazione alla bocca dello stomaco ogni volta che stava insieme a lui, quella che lo faceva sentire strano e completamente al sicuro. Era il suo Castiel, ed era di nuovo lì con lui.

- Sei tornato prima… io credevo… - Sussurrò Dean sulle sue labbra, e Castiel si premurò di asciugare le sue lacrime con il pollice, sfiorando subito dopo il suo zigomo in una carezza.

- Neanche io… pensavo di dover restare lì ancora ma poi mi hanno congedato in anticipo. Ne ho approfittato per farti una sorpresa, volevo… volevo vedere la tua faccia. - Castiel tirò su con il naso e si passò la manica della divisa su una guancia. - Sei bellissimo. - Dean non gli permise di dire altro. Lo baciò di nuovo, stavolta con più intensità, lasciando che le loro lingue si intrecciassero nonostante la presenza degli altri attorno a loro, che probabilmente si erano avvicinati. Dean ci fece caso solo quando si staccò dalla bocca di Castiel.

- Io direi che possiamo festeggiare adesso. Vi aiutiamo con l’albero, che ne dite? - Disse Gabe poco dopo, dando una pacca sulla spalla a Sam. Dean sciolse l’abbraccio con Castiel e si limitò a prenderlo per mano, poi puntò il dito indice verso il maggiore dei Novak e gli riservò un’occhiataccia.

- Io e te dobbiamo fare i conti, mi hai quasi fatto venire un infarto, tu e i tuoi dannati scherzi melodrammatici. - Gabe si limitò a fare spallucce, ridacchiando. - E anche tu, con quella faccetta da angelo, non pensare di passarla liscia. - Disse poi rivolto a Jack. - Vi salvate solo perché sono felice adesso. - Castiel sorrise divertito accanto a lui, poi cominciò a salutare tutti gli altri con un forte abbraccio, Bobby compreso.

Dopo qualche minuto stavano già brindando nel salone al suo ritorno. Il sorriso di Dean andava da una parte all’altra, e per tutta la serata non lasciò andare la mano di Castiel neanche per un secondo.


Note autrice:
ALLORA, questo è proprio l'ultimo capitolo, gente.
Scusate se oggi sarò brevissima nelle note, sono reduce da Avengers Endgame e il finale di stagione di Supernatural, entrambi mi hanno lasciata sconvolta, triste, malinconica, e voglio piangere fino alla fine dei tempi... comunque...
Lunedì avrete l'epilogo, e lì vi pubblicherò comunicazioni, ringraziamenti e quant'altro.
Vi aspettavate questa fine? (Ho in serbo una bomba per l'epilogo, che potrebbe essere?)
Ci vediamo prestissimo per l'epilogo.
Baci!

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Capitolo 24
*** Epilogo ***


Epilogo

Dean si accasciò sul lato vuoto del letto con il fiatone, il sudore sulla fronte e un sorriso a labbra schiuse. Accanto a lui, Castiel teneva ancora stretto il lenzuolo con i pugni, anche lui con il fiatone e gli occhi lucidi, li teneva chiusi per cercare di controllare tutte le sensazioni che aveva provato e quelle che ancora stava sentendo alla bocca dello stomaco.

- Sembri senza parole… - Mormorò Dean, passandosi una mano fra i capelli leggermente sudati. Castiel si lasciò andare a una leggera risata. Dean girò la testa verso di lui e sorrise, cercando di non guardare la cicatrice sul braccio, quella che si era procurato in missione e per cui si era tanto preoccupato.

- È stato… wow, meglio di come lo ricordassi. - Mormorò il moro aprendo gli occhi e girandosi finalmente con la testa verso Dean, che a quella frase aveva iniziato a ridacchiare.

- Non puoi biasimarmi. Otto mesi d’astinenza, dobbiamo recuperarli tutti. - Castiel si unì a quella risata, poi si sistemò su un fianco e cominciò a riempire la sua spalla di piccoli baci leggeri. Dean lo lasciò fare per un po’, ma alla fine cedette, lo circondò con un braccio e lo strinse a sé, lasciandogli un bacio fra i capelli e come sempre immergendo il naso fra di essi per sentirne il profumo. Castiel rimase in silenzio per un attimo, godendosi quelle dolci attenzioni, poi sorrise contro la sua pelle.

- Vuoi recuperarli tutti in una volta sola? - L’occhiata scettica di Castiel fece indignare l’altro, che allontanò di poco il viso dalla sua testa per guardarlo.

- Perché, credi che non ne sarei capace? Non ti azzardare a mettere in dubbio le mie prestazioni sessuali. - Castiel rise di nuovo, poi si diede una leggera spinta con il bacino e si sistemò sul corpo dell’altro, portando una mano sulla sua guancia per accarezzarla.

- Non ho mai avuto dubbi su questo. -

- Vorrei ben dire… - Le loro labbra si toccarono per un bacio inizialmente delicato, poi sempre più intenso, in cui le loro lingue non facevano altro che cercarsi e carezzarsi dolcemente fra di loro. Dean circondò il corpo di Castiel con le braccia e lo tenne stretto a sé per tutta la durata delle loro effusioni.

- Dovremmo alzarci, Bobby non ci aspetterà in eterno. - Sussurrò Castiel sulla bocca di Dean, che rispose con un mugolio contrariato, stringendo ancora di più l’altro fra le proprie braccia.

- Otto mesi, Cas… dobbiamo proprio? Non preferisci un altro round? - Castiel rise di gusto e scosse la testa rassegnato.

- Abbiamo tutta la giornata per stare insieme, tutto il week-end e… -

- E tutta la vita? - Castiel non rispose, si limitò a sorridere e a lasciare un ennesimo bacio sulle labbra di Dean, accarezzandogli i capelli con delicatezza. - Era un sì? - Il moro ridacchiò e annuì. - Bene, allora. - Il biondo gli sorrise, poi si sporse a baciargli la fronte e Castiel chiuse gli occhi di conseguenza per godersi il contatto delle sue labbra con la propria pelle.

La sera prima, dopo i festeggiamenti a casa di Dean, quest’ultimo aveva insistito per accompagnarlo a casa insieme a Gabe, e aiutarlo così a disfare la valigia. Entrambi si aspettavano che sarebbero finiti a letto, fra le lenzuola, ad amarsi e a rendersi una sola anima fino a sentirsi completamente sfiniti, ma poco dopo, mentre Dean metteva a posto le ultime cose, trovò Castiel addormentato come un sasso, esausto per il viaggio di ritorno. Dean aveva sorriso e poco dopo si era sdraiato accanto a lui per stringerselo contro.

Si erano messi d’accordo per raggiungere il cimitero, dove Bobby li avrebbe aspettati, quindi dopo una doccia calda e una buona colazione, i due raggiunsero il posto con l’Impala di Dean.

Bobby era già lì, davanti alle lapidi di Mary e John, ma prima i due decisero di visitare quelle di Kelly e Lucifer. Castiel vi si posizionò davanti, tenendo la mano di Dean e abbassando la testa. Chiuse gli occhi e forse iniziò a pregare in silenzio. Dean ne approfittò per guardare ai piedi delle due lapidi. Si vedevano i chiari segni del passaggio di Jack e Gabe, forse andavano lì ogni volta che potevano. C’erano dei fiori, delle lettere, ognuna nella sua busta di carta, poi dei piccoli oggetti che probabilmente erano significativi e simbolici per loro.

Poco dopo Castiel sollevò la testa e sospirò.

- Tutto bene? - Gli chiese Dean, ricevendo un cenno positivo con la testa. - Ti senti ancora in colpa? - Castiel sollevò appena l’angolo delle labbra.

- Non più. Non come prima. Adesso mi mancano e basta. - Dean non ci pensò due volte a stringere Castiel contro di sé e a lasciargli un bacio sulla tempia.

Poco dopo si recarono direttamente da Bobby, intento a sistemare i fiori nei rispettivi vasi. Si salutarono semplicemente con un cenno delle teste, poi Dean si fece avanti per osservare quei nomi in rilievo.

- Sai, a volte penso… che avrei voluto conoscerla meglio. - Castiel capì che Dean si stava riferendo a Mary, ma si limitò a guardarlo in silenzio, lasciando che si sfogasse. - E con papà avrei voluto avere un rapporto migliore. Non so se sia fiero di me adesso. -

- Dean, tutti i rapporti sono complicati. - Gli disse Castiel, portando una mano sulla sua schiena per accarezzarla. - Ma questo non cancella l’affetto e l’amore di un padre. È fiero di te, come lo è tua madre. - Dean si girò a guardarlo e accennò un mezzo sorriso che Castiel ricambiò. Probabilmente aveva ragione, anzi, sentirlo dire quelle parole non faceva che renderlo più sicuro e forte.

- Sai perché mio padre mi portava al lago? - Castiel scosse la testa. Non sapeva perché, ma Dean non gli aveva mai raccontato quella storia. Sapeva che suo padre andava lì a pescare, che ci portava Sam e Dean da piccoli, ma non di certo i retroscena. - Ci conobbe mia madre lì. Ha detto che è stato amore a prima vista. - Castiel gli sorrise e fece per dire qualcosa, ma la risata appena accennata di Bobby li interruppe, facendoli voltare confusi.

- Quell’uomo, quante sciocchezze raccontava! - Disse infatti mentre si sistemava meglio il berretto sulla testa.

- Che vuoi dire? - Bobby si infilò le mani nelle tasche dei jeans.

- Tuo padre era un visionario. - Dean sollevò un sopracciglio senza capire. - Farfugliava di sciocchezze quando ha conosciuto tua madre. - Continuò scuotendo la testa. - Non era molto a posto in quel periodo, forse beveva di nascosto. -

- Perché? - Chiese ancora Dean, osservando poi la lapide del padre come se quella potesse rispondergli al posto suo.

- Quando l’ha vista la prima volta è venuto in officina per raccontarmelo, sembrava impazzito. Mi disse di questa donna meravigliosa che aveva incontrato al lago, di quanto fosse bella, di quanto fosse innamorato. - Bobby scosse la testa con un sorriso divertito. - Gli dissi “amico, non puoi amare una persona parlandoci solo qualche ora, devi conoscerla meglio, capire se è la donna giusta, far passare un po’ di tempo!”. E sapete che mi ha risposto? Mi disse che la conosceva già da molto tempo, l’aveva sognata a quanto pare. - Dean fu sicuro di aver capito male, tanto che si girò verso Castiel per accertarsene. Lui era scioccato quanto lui, i suoi occhi blu erano spalancati e la sua mano aveva raggiunto quella di Dean per stringerla con forza. Incrociarono i loro sguardi solo per qualche secondo, increduli, poi tornarono a guardare Bobby, che però stava osservando le lapidi e non aveva notato le loro reazioni, altrimenti probabilmente avrebbe chiamato un’ambulanza, visto che Dean era completamente sbiancato e a stento riusciva a reggersi sulle gambe.

- Sognata, in che senso? - Chiese Dean, la voce leggermente incrinata dalla sorpresa. Bobby scrollò le spalle.

- Diceva si fossero incontrati nella sua testa, che si erano innamorati nei suoi sogni e altre stronzate varie. - Castiel risalì con la mano fino all’orlo della manica di Dean per strattonarla appena, come a dirgli “hai sentito anche tu o mi sto immaginando tutto?” - Secondo lui quello era un segno. Diceva significasse che sarebbero rimasti insieme per sempre, fino alla fine. - Dean deglutì e tornò a osservare le due lapidi con occhi diversi, come se non conoscesse davvero le persone che erano state i suoi genitori, riscoprendo quel nuovo dettaglio della loro vita a lui da sempre sconosciuto e che adesso, probabilmente, riusciva a spiegare tantissime cose.

Bobby scrollò le spalle e sospirò.

- Beh, ragazzi, vi lascio un po’ da soli. - E detto ciò, diede una leggera pacca sulla lapide di John, come se lui fosse lì in carne e ossa, poi si allontanò. Dean alternò lo sguardo da lui al nome in rilievo di suo padre, poi a Castiel che stava sorridendo incredulo.

- Non lo sapevi? - Chiese Castiel, la voce smorzata da quella notizia.

- No… no, per niente. - Il moro non seppe cosa dire se non stringere la mano di Dean con la sua. - Sono stati loro… ti hanno portato da me, è possibile? - Dean sentiva gli occhi lucidi ma si trattenne, guardò Castiel e lo vide esitare.

- Non lo so… ma se così fosse… - Mormorò Castiel, lasciando la frase in sospeso. Fu Dean a completarla per lui.

- Se così fosse, mi hanno fatto il regalo più bello del mondo. - Castiel sorrise e subito dopo Dean lo strinse in un forte abbraccio soffocante.

Il lago rimase un loro appuntamento fisso. Ora sapevano perché John Winchester amasse così tanto quel posto, e per questo era diventato ancora più speciale per loro. Erano felici ogni volta che si trovavano lì, spensierati come non mai, e lo furono anche negli anni a venire, facendo i loro picnic, i loro bagni nell’acqua fresca, nelle loro corse da jogging lungo la riva, perfino quando anni dopo, mentre Dean stringeva la sua mano, percepiva la fede al dito di Castiel, e poi accarezzava la sua per accertarsi che tutto quello fosse reale.

Amavano perfino andare lì e non fare niente, semplicemente stare seduti vicini e godersi il silenzio.

Quel silenzio che Dean aveva all’inizio detestato, ma che grazie a Castiel aveva imparato ad amare.


Note autrice:
E CI SIAMO. Siamo arrivati alla fine. Non ci credo ancora che siamo a questo punto ma ok...
Non posso non dire un GIGANTESCO grazie a chi ha recensito dal primo all'ultimo capitolo, facendomi sapere cosa ne pensava, cosa ha provato nel leggere, per correggermi nelle mie sviste, per darmi suggerimenti e supporto, siete state meravigliose.
Ringrazio anche i preferiti, i ricordati e i seguiti, ma anche chi ha letto in silenzio semplicemente per il piacere di farlo.
L'avventura con questa storia finiscesi conclude qui, ma di certo non è finita del tutto. Lo spin-off dedicato a Gabe verrà postato mercoledì, si intitolerà "Brother mine".
Un'altra Destiel invece arriverà in settimana, quindi che dire... restate semplicemente connessi.
Fatemi sapere se vi aspettavate un finale diverso, io a dire la verità ne avevo escogitati parecchi, ma alla fine ho voluto tirare in mezzo i Winchester e probabilmente è stato meglio così.
Questo epilogo è rappresentato stavolta da una foto, invece di una gif. Niente poteva rappresentarlo meglio a mio parere.
E niente, anche queste note sono finite.
Non so cos'altro dire se non di nuovo un grosso grazie a tutti voi.
Vi mando un grosso bacio e a presto, con altri scleri letterari!

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