Inaspettato

di Mitsuki91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ho scritto questa storia minimo tre anni fa... Non l'ho mai postata perché il seguito è ancora "in lavorazione" (semmai vedrà la luce), però boh, mi era piaciuta ai tempi e quindi... Oggi la posto u.u
Buona lettura!

 

 

Prologo

 

A questo punto, beh, mi era capitato già una volta di pensare seriamente alla morte. Con James ci ero andata parecchio vicina, in più modi rispetto al classico morire umano, ma ero stata salvata e, oserei aggiungere, con grande disappunto rispetto al secondo tipo di morte.

Poi ci avevo pensato ancora. Non era stata una decisione cosciente; non visualizzavo scenari concreti né pensavo al suicidio, però ecco, una volta scoperta la chiave delle allucinazioni… Pensavo che forse avrei osato un po’ troppo con le moto, che la mia incredibile goffaggine mi avrebbe tradito anche in sella a due ruote, che un incidente fatale capitasse proprio nel momento più bello, mentre Edward mi urlava nelle orecchie perché era preoccupato per me, e mi amava ancora…

Mi davo della stupida ogni volta, ma, come se quelle allucinazioni fossero una droga, non riuscivo a smettere di mettermi in pericolo.

E poi era successo questo, e dentro di me si agitavano sentimenti contrastanti, mentre mi aggrappavo alla vita con tutta me stessa e nel frattempo sapevo che sarei potuta morire e in ogni caso non avrei mai preso una decisione diversa da quella che ho fatto – anche se non mi era stato possibile scegliere.

Edward non mi urlava più nelle orecchie, non lo faceva più dall’inizio di tutta questa storia, e al principio ero spaventata e confusa, ma forse adesso riuscivo a comprendere. Solo adesso, mentre rischiavo seriamente di morire per lui e non ero comunque pentita, anche se nessun aiuto sovrannaturale era a portata di mano per salvarmi.

Il sunto era che era colpa sua. Io lo amavo, vero, avrei fatto ogni cosa per lui, vero ancora. Ma era colpa sua e io, grazie a Jacob, avevo imparato ad amare un po’ più me stessa, a non metterlo sempre al primo posto, soprattutto in determinate circostanze.

Quindi, ecco, nonostante la mia morte imminente, la preoccupazione e il dolore e la gioia a prescindere da tutto, se ora pensavo ad Edward una sola cosa si affacciava alla mia mente, una sola frase riassumeva appieno i miei sentimenti.

Edward, se sopravvivo a tutto questo, stai sicuro che la prossima volta ti uccido io.

 

***

 

“Bella? Bella?”

Dalle profondità del mio intontimento e del mio sonno senza sogni, qualcosa riemerse. Con grande fatica aprii gli occhi, pensando in modo sconnesso al sonnifero che avevo preso la sera prima per dormire bene.

In effetti era diventata un’abitudine; troppi incubi negli ultimi mesi, troppe urla che facevano star male Charlie.

Eppure questo non sembrava il solito sogno.

Innanzitutto non ero in nessun bosco, ma ancora in camera mia. Avevo la testa pulsante e confusa, mi sentivo leggermente disorientata e non in panico o altro.

E, poi, cosa più importante di tutte, la voce che mi aveva svegliata era quella di Edward.

Lui era lì, chino sul mio viso. Aveva il volto contratto in un’espressione allarmata e preoccupata; gli occhi dorati colmi di ansia.

Non appena riuscii a ricollegare i tasselli mi resi conto che, probabilmente, quello non era un sogno, ma un’allucinazione.

Però…

Non ero in moto. Che io ricordassi non avevo fatto nulla di stupido. Certo, la testa mi pulsava, ma ero io stessa a provocarmi il dolore, cercando di combattere il sonnifero… O no? Era successo qualcosa? Avevo per sbaglio ingerito più pillole? Un incidente domestico di cui non ricordavo niente?

“Meno male.” disse Edward, rilassandomi, vedendomi con gli occhi aperti e mezza intontita.

Mi sorrise, dolce, amoroso.

Ecco che le mie certezze svanivano ancora. Sì, l’Edward delle mie allucinazioni mi amava, ed era preoccupato per me per questo, ma non mi aveva mai sorriso… Era sempre arrabbiato, furioso per il fatto che mettessi la mia vita in pericolo.

Perciò, forse, non era un’allucinazione. Un sogno, dopotutto? O ero morta sul serio e per qualche strambo motivo Edward era con me? Ma la morte non sarebbe stata così fastidiosa

“Chsuccd?” provai, ma le mie labbra non volevano collaborare molto. Mi sentivo stordita.

“Non è nulla, amore.” rispose lui, scostandomi una ciocca di capelli dal viso. Il suo tocco era freddo, esattamente come lo ricordavo, forse ancora più intenso “Mi sono preoccupato, perché non ti sentivo parlare nel sonno.”

“Mmmmh.” risposi, piuttosto neutra.

Alla fine il buon senso ebbe la meglio sulle speculazioni e decisi che, sogno o no, allucinazione o meno, finché durava me la sarei goduta. Un mal di testa non mi avrebbe certo fermato, no?

Indolenzita, mettendoci più tempo del previsto, mi puntellai sui gomiti. Sbadigliai, e poi mi alzai del tutto con il busto e in sostanza caddi addosso al petto di Edward, nel vago tentativo di abbracciarlo.

Lui ridacchiò e io repressi l’istinto di fargli una smorfia. Non era certo colpa mia se non mi sentivo troppo stabile.

“Sei stanca… Dormi, amore.” mi sussurrò all’orecchio, continuando a tenermi stretta.

“Mmmmh.” dissi ancora, poi mi concentrai al meglio per far uscire le parole corrette “Pe… Pensavo… Sei qui…”

Lui sembrò irrigidirsi un attimo, poi continuò a cullarmi.

“Non posso non… Non approfittarne.”

Edward rise ancora, piano.

“Approfittarne?”

“Non so… E’ un sogno o un’allucinazione ma… Sembri reale.”

Alzai le braccia e gliele posai sul petto, alzando al contempo la testa per guardarlo in faccia.

Edward era tornato serio e sembrava riflettere.

“Ma sì….” disse infine “Sono un sogno.” annunciò poi, annuendo.

“Ecco… Mi pareva…”

Mi pareva strano che fosse davvero qui.

Va beh, se un sogno poteva essere così reale – che il mio corpo si fosse abituato ai sonniferi? Che volesse regalarmi unbel sogno, dopo l’infinita sequela di incubi? – allora ne avrei approfittato in toto.

Lo baciai.

Edward, all’inizio titubante, rispose poi al bacio.

Era… Strano. Sembrava incerto. Come se non sapesse quale fosse la cosa giusta da fare, ma se era un sogno…

Beh, avrei fatto sì che si trasformasse in un signor sogno.

Mi misi a cavalcioni su di lui, con un po’ di difficoltà. Il mio corpo sembrava ancora intontito; combattevo contro l’intorpidimento dei muscoli. Approfondii il bacio, leccandogli le labbra, e gli misi le mani sotto la maglietta.

“Bella.”

Ecco, questo era proprio così tipico. Fermarmi sul più bello. Lo faceva sempre anche quando… Anche quando stavamo insieme. Quando era qui.

“Andiamo…” cercai di convincerlo “Tanto è solo un sogno.” gli sussurrai –mugugnai – nell’orecchio, leccandogli il lobo.

Ed era, beh, da tanto, troppo tempo che non facevo un sogno eroticoDovevoapprofittarne.

Edward sospirò. Mise le mani sui miei fianchi ma rimase così, fermo e rigido, mentre io gli esploravo il petto sotto la camicia – e poi osai più giù, mettendogli una mano nei jeans.

“Bella.”

Stavolta la voce era più allarmata del solito.

Mi scostai un po’ dal suo viso per osservarlo. Le pupille erano dilatate – per quanto potessi vedere nella scarsa luce che veniva da fuori. Sembrava seriamente spaventato.

Io, dal canto mio, nonostante l’intorpidimento stavo cominciando a sentire qualcosa. Come un lento risveglio.

Un’onda che aveva iniziato a crescere…

“Seriamente… Quale è il problema?”

Non volevo arrabbiarmi. Non in un sogno del genere. Non se questo era il primo sogno da… Oh, maledizione… Non si sarebbe trasformato in un incubo, vero? Vero?

“Beh, uhm, quello è, è, sei in una zona… Tabù.”

Sembrava terribilmente imbarazzato.

Sbattei le palpebre più volte, cercando di riordinare i pensieri nella mia mente confusa.

“Ta… bù?”

Non avevo tolto le mie mani dai suoi pantaloni, comunque. Non gliel’avrei certo data vinta. Avrei risolto il problema e, poi, avrei continuato a dedicarmi al mio sogno erotico.

“… Non siamo sposati, Bella. Non è, non… Non voglio…”

Scoppiai a ridere. Piano, cercando di ridurre le fitte alla testa.

Non ci potevo credere.

Non ci potevo credete.

“Edward!” esclamai, sottovoce, appoggiandomi sulla sua spalla “Se è per questo, insomma, da quel che ho capito… Non ci sposeremo mai. Tu te ne sei andato.”

Passò un tempo considerevolmente lungo, poi rialzai il viso e lo guardai.

Lui sembrava… Triste. E studiò il mio volto. Alla fine, allungò una mano e mi accarezzò una guancia.

“… Ti farei male in ogni caso.”

“Ma questo è un sogno, Edward.”

“Mh.”

Sospirai.

“Non rovinare il mio sogno con stupide paranoie da inizio secolo. Domani sparirai, e io ho bisogno di questo, adesso. Forse…”

“… Forse?”

“… Forse, se so che riesco sognarti senza star male… Se riesci ad apparire così, reale…” gli presi il viso fra le mani, togliendole dai pantaloni, per sottolineare il concetto “… Magari riuscirei ad accettarlo, pian piano. Andare avanti, smetterla con gli incubi. Vivere.”

Il labbro inferiore di Edward tremò appena. Potevo vedere il suo cervello ragionare, soppesare i pro e i contro – e prima che i contro potessero avere di nuovo il sopravvento, lo baciai ancora.

Non m’importava se i miei muscoli non rispondevano a dovere. Non m’importava se la testa continuava a fare male – non mi sarei lasciata scappare il mio sogno da sotto le dita.

Edward cedette.

Piano, titubante. Insicuro.

Mi chiese di fare da sola. Era un po’ strano, ma lo accettai. Lui rimase sdraiato sul letto, ad occhi chiusi, cercando di trattenere qualcosanell’immobilità – forse la forza, forse la furia, forse la passione.

Aveva paura di farmi male, mi disse. Aveva pausa di svegliare Charlie e di distruggermi i mobili – risi a quei commenti, come avrebbe potuto? Eravamo in un sogno…

Aveva paura di abbandonarsi, di lasciarmi lividi sul corpo. Sembrava così serio, mentre lo diceva.

Lo spogliai e mi spogliai. Lo baciai, percorsi tutto il suo corpo con le mie mani e le mie labbra.

‘Colsi la sua virtù’, come disse lui. In effetti, essendo io vergine, sentii dolore e vidi sangue, all’inizio. Rimasi leggermente sconcertata – leggermente impaurita, guardandolo in volto, ma lui non mosse un dito, né in generale diede segno di volermi mangiare – ma non me ne curai più di tanto.

Lo amai.

Con tutta me stessa, in un modo che non avevo concesso a nessuno.

Cercai di imprimergli sulla pelle il mio bisogno di lui – torna, torna, torna… – e presi qualcosa per me stessa.

Alla fine, sorridente e soddisfatta, con il mal di testa che scemava e i muscoli che si rifiutavano di obbedire, mi accasciai su di lui.

Mi svegliai la mattina dopo nel mio letto, con il pigiama addosso e pulita, come se nulla fosse successo.

Eccetto che sentivo ancora la presenza fantasma di lui dentro di me.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo I

 

Avevo iniziato dando la colpa alla suggestione.

Voglio dire, si era trattato di un sogno, no? Probabilmente mi ci ero impersonata troppo. Probabilmente era il primo sogno erotico dopo mesi e… Non ero più abituata?

Però quando andai in bagno a far pipì, sentii bruciare.

Dannazione, pensai, questo non è normale.

Così tornai in camera di corsa, senza lavarmi il viso, ma non c’era nulla fuori posto. Il letto era sfatto perché ci avevo dormito. Il pigiama lo avevo addosso e sulla scrivania nessuno aveva toccato niente.

Se non che…

Mi avvicinai cautamente al letto e immersi la faccia nelle lenzuola.

Profumo.

Un vago, distante, delicato profumo. Come un eco.

La mia mente iniziò a riempirsi di punti esclamativi e andò in tilt. Rimasi così, semplicemente sepolta fra le lenzuola, senza pensare a niente.

Poi sentii Charlie chiamarmi dalla cucina e mi rialzai.

Lavai in fretta la faccia e mi raccolsi i capelli in una coda frettolosa. Mi stampai addosso il mio migliore sorriso e scesi velocemente, con mio padre che mi guardava in modo sospetto.

“Oggi cosa fai?” mi chiese.

“Devo andare da Jake.”

Ovviamente.

Ovviamente.

Oddio… Jacob.

Charlie annuì e continuò a bersi il suo latte con i cereali. Io mi versai un succo d’arancia e, pazientemente, attesi che se ne andasse.

Una volta uscito da casa, tornai sopra. Rituffai la testa nelle lenzuola, ma il profumo che avevo sentito prima sembrava essere sparito. O forse… Me l’ero immaginato? Anche prima?

Mi stesi meglio sul letto, a pancia in su.Sentivo ancora qualcosa nel mio basso ventre… Ma era tutto incoerente.

Primo, l’Edward del sogno era dolce e gentile. Mi aveva detto che mi amava, cosa che non combaciava affatto con la sua fuga di qualche mese prima.

Secondo… Secondo, non era rimasto. Se tutto quello fosse stato vero, se fossero state vere le sue parole del sogno, lui… Sarebbe rimasto, no? Ma non era in camera mia.

Mi alzai, facendo un giro veloce della casa. Mi vestii e perlustrai anche fuori, ma nulla.

Decisa a non arrendermi, ad aggrapparmi a quella sottile possibilità – che il sogno fosse stato reale – salii sul pick up e guidai fino alla casa.

Le felci invadevano ancora il vialetto.

Tutto era spento, strano, morto.

Tornai ad aggrapparmi alle mie ipotesi e speculazioni per non crollare. Tornai indietro, verso casa – un posto neutro, un posto sicuro.

Durante il tragitto, la mia mente si era acquietata, distesa. Nessun punto esclamativo.

Dopotutto, esisteva sempre una terza opzione.

Terzo, lui era tornato e mi aveva ingannato perché voleva prendersi tutto di me, non lasciarmi niente, distruggermi. Non combaciava molto con ciò che ricordavo del sogno – ero stata io ad insistere, alla fine? – ma era la sola opzione possibile, a meno di non essere diventata pazza.

A meno che il profumo, la sensazione strana e soprattutto il bruciore non fossero frutto della mia mente.

E, dopotutto, potevo benissimo far finta che fosse ancora la prima, quella buona. Perché avrei dovuto stare in pena per questo? Perché, se lui l’aveva fatto con l’intento di ferirmi, avrei dovuto dargli soddisfazione anche così?

Andare a casa sua era stato un errore. Forse era là, lontano, a ridersela sotto i baffi per la mia ingenuità.

Tornai in casa, chiudendo piano la porta dietro di me.

Bene.

Non gli avrei dato nessuna soddisfazione. E avrei continuato ad amarlo, perché se il suo scopo era quello di farsi dimenticare con la rabbia, non ci sarebbe riuscito. Non gli avrei dato soddisfazione in nulla.

Tanto niente poteva più cambiare ormai, no?

 

***

 

Due giorni dopo mi svegliai nel cuore della notte, urlando.

Non era lo stesso incubo, e a dirla tutta non era neppure normale svegliarsi così, dato che stavo continuando a prendere i sonniferi. Ma questo non era neanche come il sogno/non sogno dell’altra volta, dato che ero pronta e vigile e conscia di essere sveglia.

Erano stati i colori a spaventarmi.

I luoghi erano normalissimi: casa di Charlie, la scuola, la rimessa da Jake… Ma i colori. Oddio, i colori erano vividi,reali, come… Come se fosse stato un vampiro a vederli. O almeno come immaginavo che fosse, ad essere un vampiro.

Non lo sapevo, ma erano comunqueintensi, ed erano stati troppo per la mia mente. Mi avevano confuso, non riuscivo a capire ma sapevo che c’era stato qualcosa di sbagliato, nel sogno, nel sorriso di Charlie prima di uscire, nella strada per andare a La Push.

In preda a brividi di freddo, accesi la lampada che avevo sul comodino, cercando di tranquillizzarmi e di verificare che sì, i colori erano tornati normali, nonostante il buio.

Tesi l’orecchio, qualche minuto dopo, ma Charlie non sembrava essersi svegliato. Sentivo ancora il suo russare in lontananza, e mi aggrappai a quello per far diminuire la paura, per far cessare i brividi e per iniziare a scivolare in un sonno meno agitato.

La mattina dopo, scoprii che mi ero svegliata in ritardo. Ancora mezza intontita, fissai per due minuti buoni la sveglia che segnava le nove di mattina prima di iniziare ad andare nel panico.

Merda!

Era troppo tardi per andare a scuola.

Come era potuto accadere?? Avevo una sveglia programmata, certo, ma di solito per forza d'abitudine tendevo a svegliarmi comunque due o tre minuti prima che suonasse.

Non era mai capitato che dormissi così a lungo. E non ne avevo motivo: a parte l’incubo che avevo fatto, non mi sentivo stanca, non ero andata a letto tardi… Non c’erano scuse plausibili per un comportamento del genere.

Seccata, mi trascinai in cucina e telefonai a Charlie.

“Polizia di Forks, desidera?”

“Uhm, sono Bella. C’è Charlie?”

Sentii il telefono passare di mano.

“Bella? Che succede?”

“In realtà… Ho dormito troppo. Mi sono appena svegliata e non sono andata a scuola… Non so come sia potuto accadere, papà, di solito non capita.”

“Ma stai bene?”

“Sì, sembra… Tutto a posto.”

“Va bene allora. Non ti preoccupare… A saperlo ti avrei chiamato. Di solito fai bene da sola.”

Ridacchiai un po’ a quella affermazione. Salutai mio padre e riattaccai, un po’ demoralizzata.

E adesso, che potevo fare? Jake era sicuramente a scuola, non ci saremmo visti prima di quel pomeriggio.

Potevo cucinare, ma la dispensa non era abbastanza piena… E se avessi osato mettere piede al supermercato qualcuno mi avrebbe visto, e avrebbero pensato tutti male.

Con un sospiro, mi rassegnai allo studio. Dato che non ero andata a scuola, avrei comunque avuto qualcosa da recuperare…

Pazienza.

 

***

 

Stavolta era stata la fame a svegliarmi.

Il mio stomaco ruggiva. E io avevo tanta, tanta voglia di mangiarmi della carne.

Il senso di tutto ciò mi sfuggiva. Per i primi dieci minuti provai a girarmi e rigirarmi nel letto, inutilmente.

Poi mi arresi e scesi in cucina, cercando di fare meno rumore possibile. Ad ogni passo tenevo un orecchio teso in direzione della camera di Charlie: nulla, continuava a russare, quindi potevo agire indisturbata.

C’era del pesce avanzato nel frigorifero, che era quello che più si avvicinava alle mie voglie. Il difficile sarebbe stato riscaldarlo, in ogni caso.

Pregando ogni divinità che conoscessi, alla fine mi arresi al microonde e misi il piatto dentro. Per ogni secondo in cui girava, producendo il tipico rumore di sottofondo, cercai di distinguere il russare di Charlie dal battito frenetico del mio cuore.

Alla fine, prima che il timer potesse scattare, lo fermai e aspettai i canonici cinque secondi, sempre più affamata e impaziente.

Presi il piatto dal microonde e, senza badare al calore; lo poggiai sul tavolo e recuperai una forchetta.

Mangiai avidamente i primi bocconi, tentando di placare la fame e scottandomi la lingua, fino a che la temperatura non si abbassò quel tanto che mi consentì di assaporare il gusto.

Orribile.

Con un moto di disgusto, sputai tutto nel piatto, cercando al contempo di pulirmi la lingua con il palmo della mano. Corsi al lavello e bevvi direttamente da lì, senza stare a prendere un bicchiere, ma il saporaccio non se ne andava.

Poi, con la sensazione che il mondo stesso si stesse rivoltando, corsi di sopra appena in tempo per riuscire a vomitare nel water e non per terra.

Oh, maledizione.

Charlie mi trovò semisdraiata sul pavimento, la mattina dopo, mezza incosciente per i pochi minuti di riposo intercorsi tra un conato e l’altro.

“… Non stai bene.” mi disse.

Io alzai un occhio su di lui, esausta, e mugolai qualcosa.

“Dev’essere l’influenza che c’è in giro.” mi disse poi “La signora Stanley dice che Austin se l’è presa.”

Mugolai ancora.

“Beh, credo che passerà, dopotutto. Niente scuola anche oggi, eh? Io… Vado al lavoro. Se hai bisogno di qualcosa chiamami.”

Annuii e richiusi gli occhi. Poco dopo li riaprii, e vidi che Charlie mi posava accanto, sul pavimento, un bicchiere colmo d’acqua.

Non disse nulla e scese di nuovo a prepararsi, fino a che non sentii la porta chiudersi.

Dormii ancora un po’, credo. Quando riaprii gli occhi, la nausea sembrava passata del tutto e i conati solo un brutto ricordo.

Bevvi, cercando di contenere la sete e di fare piccoli sorsi; poi, appurato che il mio stomaco sembrava collaborare, e complice lo specchio che mi restituiva un’immagine orribile, decisi di farmi la doccia.

Fu proprio in quel momento, mentre mi insaponavo sotto il getto d’acqua calda, che lo sentii.

Piccolo e duro, qualcosa era presente nel mio ventre.

All’inizio rimasi semplicemente interdetta, continuando a tastare la piccolissima sporgenza e pensando a cosa potesse essere in astratto – un nodulo? Ma nello stomaco? E non era troppo grande? –; poi, una volta fuori dalla doccia, con l’accappatoio sulle spalle e di fronte allo specchio, mentre continuavo a tastarmi e cercavo divedere cosa fosse quella cosa… Beh, mi bloccai.

Un passo indietro.

Il vomito. L’influenza stava girando, non voleva dire nulla.

La fame. Era così raro avere fame di notte? Non mi era mai capitato, ma succedeva, dai. Succedeva a tutti, prima o poi.

Un passo indietro.

Mmmmh… Il sogno. I colori vividi di un vampiro…

No, non dovevo pensare alla parola ‘vampiro’.

Però.

Un passo indietro.

Un vampiro nella mia camera. Un vampiro a prendersi gioco di me, e forse era stato un sogno… O forse no.

Un passo indietro.

La pelle di un vampiro, più dura del diamante.

E il nulla.

Le mie mani si strinsero su quella piccola, strana, sporgenza. Le unghie mi si conficcarono nella carne, ma non sentii dolore.

Il ventre…

Le pupille mi si erano dilatate all’inverosimile. Respiravo a fatica, sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie.

Fantastico, ci mancava solo la crisi di panico o d’isteria.

Il ventre.

Lui dentro di me.

Il ventre!

Il dolore il giorno dopo, a testimonianza che non era stato un sogno.

Ma non era possibile! Lui l’avrebbe saputo; lui non avrebbe voluto rovinarmi in questo modo! Non fino a questo punto!

Per quanto Edward fosse stato crudele…

Edward.

Una parola, un nome, degli argini rotti.

Edward, Edward, Edward…

L’avrebbe saputo, l’avrebbe prevenuto.

L’avrebbe saputo davvero?

Un attimo di razionalità, Bella, per diana.

Era troppo presto.

Troppo presto.

Ma c’era qualcosa nel mio ventre.

Qualcosa!

Qualcosa che era cresciuto in pochi giorni.

Qualcosa…

I sogni, la fame, la nausea… Qualcosa.

Stava crescendo.

Stava crescendo in fretta.

Era reale, era lì, lo toccavo attraverso la pelle.

Qualcosa di mio. Qualcosa di Edward. Forse…

E poi il grido eruppe dalle mie labbra.

Mio, Edward, mio, Edward.

Troppo, troppo in fretta.

Mi avrebbe distrutta. E i vampiri erano lontani, persi, dimentichi di me.

Mi avrebbe distrutta senza il loro aiuto.

Continuai a gridare, rannicchiandomi su me stessa, senza sentirmi veramente, la testa questa volta davvero piena di interrogativi e terrore, perché non c’era niente che potessi fare, nessun luogo da raggiungere, nessuna soluzione da adottare.

Doveva succedere. Doveva succedere perché qualcosa era nella mia pancia e quel qualcosa aveva la pelle dei vampiria proteggerla e la pelle dei vampiri era più dura del diamante. E nessun vampiro, nessun veleno e nessun dente era a portata di mano.

Doveva succedere, non potevo fare niente a proposito, neanche volendo, e poi, e poi, e poi c’era Edward, un po’ dentro di me, un po’ dentro di me, e poi c’ero io, io unita ad Edward, io unita e quindi, quindi, quindi forse doveva succedere, perché forse volevo anche che succedesse.

Solo non sapevo come sarei sopravvissuta.

Dovevo fuggire…

E poi, l’urlo si spense, lasciandomi senza fiato e intontita, di nuovo preda dei giramenti di stomaco, ma non avrei vomitato, no, non ancora. Non ne avevo la forza.

C’era una cosa che non avevo considerato.

Cosa avrei fatto? Come avrei fatto? Da sola sarei morta, da sola…

Forse sarei morta anche con qualcuno accanto. Ma se dovevo morire, tanto valeva prendermi il meglio per quel poco che mi restava.

Se dovevo morire…

“Jacob.” sussurrai, con la voce roca, esausta.

Avevo una paura immensa.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo II

 

Ci volle un’altra buona mezz’ora prima che mi riprendessi abbastanza da capire che dovevo fare qualcosa.

La mia mente era semplicemente andata alla deriva, dimentica del mio corpo rannicchiato sul pavimento del bagno, mentre davanti agli occhi mi scorreva il volto di Edward e quello di Jacob e l’immagine di un bozzolo duro che si faceva spazio dentro di me.

Alla fine, riuscii a trovare la forza di rialzarmi.

Vomitai ancora, ma forse era normale. Se quella cosa aveva messo radici nel mio corpo in meno di una settimana ed era già diventata così evidente, tutto il concetto di ‘mattutina’ in merito alle nausee andava a farsi benedire. No?

Poi, mentre mi lavavo di nuovo i denti, iniziai a pensare.

Jacob.

Dovevo andare da lui. Probabilmente si sarebbe arrabbiato, mi avrebbe dato dell’idiota, si sarebbe disperato. Avrei visto il suo volto sofferente e non volevo, davvero, non volevo. Ma dovevo tentare.

Ero segnata lo stesso, alla fine. Sarei morta in ogni caso, senza la possibilità di interrompere la gravidanza – ugh, anche solo pensare alla parola mi metteva i brividi! –, senza un vampiro ad aiutarmi, senza nulla.

Non avevo scelta.

Non sapevo se e come avrei… Partorito. Credevo che il bozzolo fosse troppo duro per farne uscire qualcosa, ma forse i bambini mezzo vampiri avevano la forza di spingersi fuori? O non sarebbe stato affatto un parto naturale?

Era possibile che le creature avessero i denti? Perché, se li avevano, avevo una mezza idea di come sarebbe venuta fuori la cosa, e non era affatto piacevole per me la prospettiva. Ammesso e non concesso di riuscire a farmi soccorrere prima della morte, una volta che il piccolo si fosse dato da fare per uscire dalla mia pancia, come avrei spiegato la durezza del ventre? La… Placenta o il liquido o comunque quella roba che rimaneva ancora attaccata nel mio utero? E avrei dovuto anche tagliare il cordone ombelicale, e poi…

Da sola sarei morta sicuramente.

Scoprii che era più facile, però, se riflettevo su questioni simili come in astratto, estraniandomi dal mio corpo. Come se tutto quello non mi riguardasse, ecco.

Alla fine, cos’era importante davvero?

Ah sì, i vestiti. Dovevo prendere uno zaino e portarmi un cambio. La biancheria.

Svuotai il mio classico e vecchio zaino di scuola per far posto a cose più utili.

Ovviamente, anche se Jacob non fosse venuto con me, me ne sarei dovuta andare. Non potevo spiegare a Charlie quello che mi stava succedendo… Forse non mi avrebbe fatto internare, dato che ad un certo punto la pancia sarebbe divenuta evidente, come una macabra prova dei miei racconti. Però, che poteva fare? Portarmi da un medico? Non ero neppure sicura che qualcuno potesse visitarmi. La macchina per le ecografie penetrava la pelle di un vampiro? Ne dubitavo altamente.

Poi.

E poi.

Perché condannare Charlie? Perché dargli il dolore di vedermi morire, impossibilitato a fare nulla? Perché dare l’occasione alla creatura dimangiarselo? Non avevo la minima idea di cosa volesse lei, in effetti.

E poi, ancora.

Non potevo tradire il loro segreto. I Cullen si erano esposti molti, con me.

Nonostante tutto. Nonostante l’abbandono.

Nonostante Edward.

Mi avevano detto che il segreto era importante. Ebbene, me lo sarei portato nella tomba.

Ok, i vestiti erano pronti, lo zaino con ancora un po’ di spazio. Ora toccava a me, vestirmi.

Strati, molti strati.

Buttai l’accappatoio in un angolo, andando alla ricerca delle cose nell’armadio. Lasciai la felpa da indossare sopra il maglione sul letto, assieme allo zaino, altrimenti mi sarei squagliata in casa. Già con due calze sotto i jeans avevo caldissimo… Ma era inverno.

Fuori avrebbe fatto freddo. E io dovevo stare fuori. Nascosta. Lontana dalla civiltà, perché nessuno mi potesse trovare. Lontana da tutti, perché il mio bambino non mangiasse qualcuno per sbaglio.

Oh, se solo avessi potuto costringere Jake a badare a lui… Ma non so se avrebbe retto, dopo la mia morte.

Ebbene, lista di cose indispensabili da fare: se Jake mi avesse seguito e mi avesse aiutata a nascondermi e a sopravvivere fino alla fine, avrei dovuto strappargli la promessa di non fare male al bambino, di aiutarlo, educarlo e crescerlo. Ovviamente partendo dal presupposto che il bambino non se lo mangiasse prima.

Ecco, anche questo era un problema. Ma non era insormontabile, no? Ad un certo punto la mia pancia si sarebbe fatta molto più evidente e sarei stata pronta a partorire. Forse ce l’avrei fatta a resistere, un giorno o due, da sola, prima del parto.

Jake aveva tutto il tempo di scappare, e tanti cari saluti al piano A della crescita e dell’educazione, ma sarebbe stato salvo. L’avrebbe fatto?

Non dovevo pensarci, ancora non sapevo se mi avrebbe seguito.

Uno sguardo all’orologio mi disse che era ancora abbastanza presto. Inutile fare piani con Jake se era ancora a scuola; avrei dovuto aspettare ancora un paio d’ore prima di poterlo raggiungere a casa sua.

Bene, bisognava quindi preparare la fuga nei minimi dettagli, e me la sarei vista dopo con, beh, il ‘dopo’.

Cucinare.

Dovevo preparare la cena a Charlie, e nutrirmi io stessa, cercando di combattere la nausea ballerina.

Cercai di capire di cosa avessi voglia in quel preciso momento… Mh, uova. Le uova potevano andare.

Come pranzo per me, però, non come cena per Charlie.

E per il pranzo c’era tempo… Intanto avrei sgranocchiato dei cracker; da qualche parte avevo detto che facevano bene per la nausea mattutina.

Ecco, cracker. Cibo secco, che si conservasse a lungo… Ne avevo bisogno. Non c’era molto spazio nello zaino, ma forse Jake ne avrebbe avuto un altro da prestarmi… Se non fosse venuto con me, almeno non mi avrebbe negato questo aiuto, vero?

Frugando nel congelatore decisi di cucinare del pollo per Charlie; poi, prendendo la teglia, vidi fra le padelle una padellina media che però aveva il manico da appendere, come se fosse stato un pentolone formato mini.

Era vecchissimo e impolverato, ma mi sarebbe stato utile nella fuga, quindi lo lavai più volte, e poi mi dedicai a saccheggiare la dispensa e a metterci dentro qualsiasi cibo a lunga conservazione trovassi in giro.

Spesa. Non sapevo per quanto tempo avrei dovuto nutrirmi prima di… Beh, prima di partorire e morire, però mi servivano soldi. E avrei dovuto comprare tutto entro oggi, perché sicuramente Charlie avrebbe fatto scattare l’allarme stanotte, non appena non fossi rientrata.

Presi un secondo di pausa, sedendomi su una sedia della cucina e prendendomi la testa fra le mani. Il gesto mi fece ricordare che dovevo ancora asciugarmi i capelli, però…

Era troppo.

Non ce l’avrei fatta da sola, questa era la verità.

Qualcuno mi avrebbe trovato, qualcuno… Ma non potevo morire fra le braccia di Charlie, non per questo, nontradendo il loro segreto

Dovevo convincere Jacob. Jake mi serviva. Non solo per il mio umore, non solo per arginare le crisi di panico che stavo avendo e che avrei avuto poi.

Senza di lui non ce l’avrei fatta. Questa era la verità. E avevo davvero tanta, tanta paura che lui mi lasciasse, che non volesse seguirmi.

Così decisi di abbandonarmi, per un momento, un momento solo, perché poi non mi sarebbe stato più possibile farlo. Avrei dovuto far appello a tutta la mia forza e determinazione; avrei dovuto pensare, così come pensavo un tempo, che anche io, stupida e inutile e goffa umana, potevo tenere il passo del soprannaturale. Non per sempre. Solo quel tanto che bastava.

Quel tanto che bastava per far nascere il figlio mio e di Edward.

Arginai il terrore, fermai le lacrime.

Mi immobilizzai per cinque minuti buoni a considerare quella scena. Presa dal panico, non avevo pensato nel dettaglio a… Al mio bambino.

Avevo pensato che qualcosa stesse crescendo nel mio ventre. Mi ero spaventata, perché sapevo che quelqualcosa mi avrebbe ucciso.

Okay, potevo scendere a patti con questa realtà. Dopotutto, avevo già visto la morte in faccia, e in un modo anche molto più spaventoso di questo.

Avere un sadico vampiro assassino che vuole torturarti per poi mangiartidoveva essere più terribile che morire di parto, per dare alla luce il figlio della persona che amavi…

E, alla fine, era quello il punto.

Sarei morta, sì. Sarei morta giovane e con alcuni rimpianti; non nel modo in cui desideravo morire, certo, rimanendo in vita mentre il cuore mi si fermava, ma era pur sempre una morte. Forse mi aspettava qualcosa di là. Certo avrei voluto almeno rivedere un’ultima volta Edward, e poi…

E poi.

Il mio bambino. Mi posai ancora una mano sul ventre, a premere piano su quel palloncino duro che conteneva il mio bambino.

Non avevo mai considerato in modo approfondito la maternità. Non avevo mai voluto dei figli – forse era stata a causa del matrimonio fallito dei miei genitori, ma anche da piccola avevo pensato a me stessa sola, senza una famiglia e soprattutto senza bambini.

Poi era arrivato Edward, a colmare la mia esistenza. Per me era abbastanza, davvero. Lui era più di quanto osassi sperare; era più di quanto meritassi. Avevo accarezzato l’idea di poter vivere per sempre, letteralmente, accanto a lui.

Un’eternità tutta nostra, e pensavo che non avrei potuto essere più felice di così.

Però.

Sì, se n’era andato. Sì, era tornato, forse per prendersi gioco di me, non mi era dato saperlo. Era tornato solo per una notte, in ogni caso.

E mi aveva lasciato ‘in regalo’ un figlio.

Un figlio nostro. Per metà me, per metà… Lui. L’unica persona che avessi mai amato.

Andava bene così, forse. Era… Una sorta di pareggio? Per aver desiderato di essere abbastanza per lui, per aver fallito.

Ma qualcosa sarebbe rimasta. Qualcosa… Qualcosa di piccolo, innocente, delicato.

Accarezzai la pancia, e pensai a quello che ancora non avevo osato immaginare: il volto di un bambino, bellissimo; un piccolo Edward, con i capelli ramati e gli occhi verdi. Carlisle aveva detto qualcosa a proposito degli occhi verdi di Edward, quando era stato ancora umano…

Bellissimo.

Un piccolo tesoro. Qualcosa di me nel mondo.

E in quel momento capii che non avrei mai voluto rinunciarvi.

Sì, sarei morta. Pur potendo scegliere, avrei fatto una scelta diversa? Non credo proprio.

Sarei morta per una cosa per cui valeva la pena.

Dare alla luce mio figlio.

Inspirai profondamente e riaprii gli occhi. Le incertezze sulla mia fuga mi colpirono ancora, ma erano solo considerazioni marginarli da aggiustare: se Jacob ci fosse stato, sarebbe stato fantastico, altrimenti avrei dovuto solo pensare meglio ed arrangiarmi.

Però ormai la mia decisione era presa.

E questo, più di tutto, mi diede la calma necessaria per finire i preparativi, per asciugarmi i capelli mentre in forno cuoceva il pollo, per far trovare tutto pronto a Charlie, per prendere con me un coltello abbastanza lungo e affilato; per infilare una torcia e delle pile di ricambio nello zaino, per ricordarmi della vecchia tenda da campeggio in soffitta, che nessuno più utilizzava da anni ma che era abbastanza ben conservata; per gestire la nausea imparando a prevederla e a girare con un sacchetto sempre a portata di mano, mentre mi affannavo nei preparativi.

Alla fine mi costrinsi a mangiare, mi riempii una bottiglietta d’acqua da portare con me e da infilare nel già sovraccarico zaino, lavai i piatti e sistemai la cucina, e scrissi un biglietto a Charlie dicendo che avevo intenzione di andare a La Push e che forse uscivo a cenare con Jacob e alcuni suoi amici, quindi che avrei fatto tardi.

Poi, dopo aver appurato che ormai Jacob doveva essere arrivato a casa, caricai tutto sul pickup e guidai verso La Push.

 

***

 

Il pickup non era un mezzo silenzioso, così, quando accostai di fronte alla casa di Billy, Jake era già uscito per venirmi incontro.

Il suo sorriso si fece incerto.

“Bella? Va tutto bene? Sei pallida.”

“Mh.”

Cercai di prendere tempo. Non avevo ancora spento il motore e stavo raccogliendo le idee.

“Vai da qualche parte? Hai… Una specie di arsenale da campeggio nel pickup.”

Sospirai e spensi il motore. Buttai lo zaino e le robe varie ai piedi del sedile passeggero e li coprii con l’unica coperta che ero riuscita a recuperare dalla soffitta, in mancanza di sacco a pelo.

“Devo parlarti.” dissi, uscendo poi dal furgoncino e dirigendomi verso la rimessa.

Jacob, perplesso, mi seguì, mentre io mi sforzai di produrre un sorriso e con la mano salutai Billy, che ci stava osservando dalla finestra.

“Che succede?” chiese infine Jake, aprendomi lo sportello della sua macchina per farmi sedere.

Sentivo che era vicino un altro attacco di nausea e chiusi gli occhi, respirando profondamente con la bocca. Le mani mi tremavano, e le strinsi fra loro per cercare di farle smettere.

“Bella, mi spaventi.”

“Va bene.” risposi.

Lui aspettò, ma quando aprii la bocca sentii un conato salire, quindi mi alzai e presi una delle buste di carta che Jacob lasciava sempre sul piano di lavoro.

“Che schifo.” dissi, dopo essermi liberata lo stomaco.

“Bella, stai male? Chiamo Billy? Se devo accompagnarti in ospedale…”

“No.” lo interruppi “Va tutto bene.”

“Bella…”

Non avevo bisogno di alzare lo sguardo per immaginarmi la sua espressione sarcastica.

“Jake, è successa una cosa.” lo anticipai, tornando a sedermi. Avevo abbandonato la busta nel cestino, chiusa alla bell’e meglio.

“Cosa?”

“Tu… Insomma… Ricordi le leggende che mi hai raccontato? Quelle del tuo popolo e… Dei freddi?”

Lo vidi aggrottare le sopracciglia, perplesso e pensieroso.

“Certo che le so, Bella. Sono un mucchio di sciocchezze. E se non la smetti di tergiversare ti alzo di peso e ti porto in ospedale.”

“Sono vere.” dissi, velocemente, prima di potermi pentire.

Ovviamente a lui non potevo nascondere nulla. E lui già sapeva, quindi non avrei infranto nessuna regola di segretezza.

“… Bella, forse hai preso un colpo in testa o…”

“Sono vere. I Cullen… I Cullen sono dei vampiri. E-Edward è un vampiro.”

Lui rimase qualche secondo a fissarmi, incredulo.

“Okay.” disse infine “Ammettiamo che prendo per buono quello che mi dici. Questo cosa c’entra con il tuo colorito verdastro?”

“Lui mi ha lasciata.” sussurrai, piano. Era necessario… Era necessario che Jacob sapesse. Ma faceva male. Un conto era aver rotto gli argini dentro di me; far scorrere il nome di Edward nella mia mente. Un altro era questo. “Mi ha lasciata, mi ha detto che non mi amava più. E ho pensato, ho pensato che fosse stanco del mio essere umana, goffa, lenta… Non voleva trasformarmi, sai. Gliel’avevo chiesto – ma lui non voleva. E allora credo di aver sempre pensato, da quel giorno, di non essere abbastanza per lui. Perché se mi amava davvero, mi avrebbe voluto accanto per sempre… Ma lui non voleva trasformarmi. E mi sono detta che dovevo cogliere l’attimo, godermi ogni singolo istante che mi dedicava. Avevo paura della fine ed è stata dura, è stata dura davvero, Jake. Me l’aspettavo ma non mi aspettavo che facesse così male.”

Jacob si era avvicinato. Non poteva sedersi accanto a me, ma si era accucciato, per potermi guardare in viso da sotto in su. Solo in quel momento mi resi conto di vederlo attraverso un velo di lacrime, ma non ci badai.

Lui era lì. Pure se mi credeva pazza e non era convinto della mia storia sui vampiri, era lì e mi stava ascoltando, ed era serissimo.

Continuai a parlare, perché ormai avevo preso il via, e non potevo più fermarmi. Dopo tutto quel tempo… Dopo tutto quel tempo passato a portare il peso di quel segreto, finalmente mi sentivo libera.

Non libera dall’amore per Edward, quello mai.

Però più leggera. Non ero più la sola a sopportare.

“Così, quando poi è tornato, ho pensato che fosse un’illusione, e che avrei dovuto approfittarne.”

“E’ tornato?”

Jake mi interruppe, il tono di voce neutro. Io ne approfittai per inspirare al massimo, per cercare di mettere in ordine le parole.

“Una notte. Io avevo preso dei sonniferi e… Non ero molto lucida. Mi è apparso davanti, non collegavo, credevo che… Credevo che fosse un sogno. Un sogno dai contorni perfetti, nonostante il mal di testa e poi… Mi sono approfittata del momento.”

“Capisco.”

Chiusi gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

“No, Jake, non capisci.”

“Bella…”

“E’ successo meno di una settimana fa, Jake. Meno di una settimana fa. Lui se ne è andato.”

“Bella, mi dispiace, ma davvero, davvero non voglio sapere del tuo amore per Edward, ti prego, ti scongiuro, cerca di capirmi…”

“Jacob, io ho bisogno del tuo aiuto.”

“Ti aiuterò, Bella. Ti aiuterò, lo prometto, sono qui per questo. Solo… Non sono pronto per questo discorso…”

“No, Jake.” riaprii gli occhi e gli afferrai un polso, disperata “Morirò, Jacob! Morirò!”

Lui sbatté le palpebre, due volte.

“Bella, per quanto tu possa stare male ora, non penso che tu…”

“Morirò.” ripetei “Non c’è niente che io possa fare, ma ho bisogno del tuo aiuto lo stesso. Permettimi almeno di morirelontano.”

Tirai il polso, finché la sua mano non fu sul mio ventre. La paura, di nuovo presente e in crescita, come un’onda lenta che saliva, si stava facendo strada in me.

Non avevo più paura della morte in sé; in questo momento, avevo paura di non poter far affidamento su Jacob.

Il mio migliore amico.

Se lui mi avesse abbandonato… Non osavo pensarci.

Jake aggrottò le sopracciglia, confuso. Io gli premetti di più la mano sulla mia pancia, dritta contro la durezza del mio ventre.

“E’ troppo presto.” dissi “E’ troppo veloce. Non posso dirlo a nessuno, non posso dirlo a Charlie. Andare da un medico non servirebbe, è troppo duro. Non posso fare niente. Ma ti prego, ti prego dimmi che non sarò da sola.”

La confusione si trasformò in un’incerta incomprensione, poi in orrore.

“Non sapevo che fosse possibile.” continuai a blaterale, ormai avevo perso il filo di ogni cosa, volevo solo che lui capisse quanto bisogno avessi di lui “Non penso neppure che E-Edward lo sapesse. Avevo preso i sonniferi, io non mi rendevo conto, credevo fosse un sogno… Aveva detto di essere un sogno! E poi, e poi, ho iniziato ad avere incubi, e dormivo, e stavo male, e piangevo, oh Jacob, non so cosa fare, so solo che devo andare lontano e da sola non ce la posso fare…”

Jake aveva iniziato a tremare. Respirava forte, probabilmente cercando di mettere in ordine i propri pensieri, di giungere ad una decisione sensata.

“Mi ucciderà.” dissi infine “Mi sta bene, Jacob. Sono già scesa a patti con il fatto che morirò. Però non farmi morire sola. Ti prego.”

E poi, Jacob chiuse gli occhi e si immobilizzò.

Non mi era dato sapere cosa stesse pensando, ma, mentre i minuti passavano, mi calmai anch’io.

Era fatta. Avevo fatto tutto ciò che potevo: ora stava a lui.

Ti prego, pensai, ti prego, Jake.

Dopo un tempo fin troppo lungo, Jacob riaprì gli occhi. Aveva l’espressione più dura che gli avessi mai visto, persino più dura di quando avevamo visto Sam e la sua banda sugli scogli.

Mi si strinse il cuore. Stavolta ero io, era colpa mia se il mio sole si stava spegnendo. Eppure, non riuscivo a fare a meno di pregare perché non mi lasciasse.

“Dimmi che cosa devo fare e dove dobbiamo andare.” disse infine, e un enorme e immenso sollievo mi pervase, nonostante tutto il resto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo III

 

Nella mia vita precedente, devo sicuramente essere stato un pericoloso pazzo omicida, altrimenti non si spiega la dose di sfiga che ho accumulato in questi sedici anni di vita.

Oltre alla morte di mia madre quando ero piccolo, oltre all’abbandono delle mie due sorelle che sono fuggite da qui non appena hanno potuto, oltre all’incidente di Billy che l’ha costretto sulla sedia a rotelle… La ragazza di cui sono innamorato è persa per un altro. E questo poteva essere accettabile, anche soprattutto perché l’altro se n’è andato e l’ha abbandonata.

Un po’ meno è stato accettabile capire che ci avrei messo un po’, per poter curare il suo cuore ferito e conquistarla. Era però un prezzo giusto, onesto, per poter essere finalmente felice. Avrei barattato un po’ di tempo per amore, ed ero anche sulla buona strada. Ce l’avrei fatta, era palese.

Ma la vita mi ha voluto molto, molto male.

Bella è incinta.

Non solo è incinta di Edward, dio, quello potrei capirlo e anche accettarlo. Non sono pronto per essere padre ma sono bravo con i bambini; avrei potuto fare uno sforzo e passarci sopra e fare lo zio simpatico per un po’ e ingoiare la bile al pensiero che ci sarebbe stata una piccola creatura a legarla a lui, ma okay, la sostanza non sarebbe cambiata.

E invece lui si era rivelato essere un vampiro, e il feto dentro la pancia di Bella cresceva troppo velocemente, ed era troppo duro, e insomma troppo troppo, e alla fine lei sarebbe morta.

Avevo sentito la sporgenza dura nel suo ventre. Per quanto fosse assurdo, non dubitavo della sua parola. Non se lei mi aveva parlato con quella voce tremula, e sottolineato le parole con quello sguardo da cucciolo preso in gabbia, e risottolineato il tutto con un contatto inequivocabile.

Avrei solo voluto urlare e sbattere la testa contro il muro e andare in coma erisvegliarmi in un altro mondo, da un’altra parte, dove niente di tutto questo era mai successo perché insomma, diamine, era davvero possibile che esistesse un vampiro e che questo vampiro decidesse di mettere incinta l’unica ragazza che amavo?

Sì, ero stato molto, molto crudele. Forse un serial killer.

E adesso non potevo cambiare la realtà.

Bella mi aveva chiesto di starle accanto. Come avrei potuto abbandonarla? Non era quello che facevo da, beh, da quando la sua storia d’amore era finita e lei si era presentata come uno zombie a casa mia?

Avrei dovuto ingoiare la rabbia e il terrore – terrore di perderla davvero – e starle accanto. Anche solo per Charlie, aveva ragione lei. Avevo visto la mia famiglia soffrire; non avrei condannato Charlie a questo. L’incertezza della scomparsa di Bella poteva lasciargli unasperanza, almeno.

E Billy… Billy avrebbe avuto qualcuno su cui contare, no? Lo stesso Charlie… Harry, anche Harry lo avrebbe aiutato. E che diamine, pure Rachel e Rebecca sarebbero tornate, non erano così meschine da anteporre il loro dolore per la morte di mamma al benessere di Billy.

Ero io che non potevo permettermi di restare.

Non così. Non in questa situazione. Non mandando Bella lontana e alla deriva, dove non solo sarebbe morta, ma sarebbe morta nel giro di mezza giornata, ne ero sicuro – Bella aveva mai fatto parte degli scout? Ne dubitavo, mentre io almeno avevo una conoscenza base della vita nella natura.

Ed era stato per quello – il pensiero ditradirla, di far del male a Charlie, di lasciarla morire senza nemmeno iniziare a pensare a una soluzione – che avevo riaperto gli occhi, fissando il suo volto pallido e terrorizzato, e avevo detto: “Dimmi che cosa devo fare e dove dobbiamo andare.”.

Non era una vera e propria scelta. Non avevo scelta.

Così come non l'aveva lei.

In pochi minuti, preparammo un piano di fuga.

Rientrai in casa, dicendo a Billy che dovevo prendere i libri perché oggi sarebbe toccato ai compiti. Andai in camera e in soffitta cercando di essere il più veloce possibile e nel frattempo di non fare rumore. Billy era al sicuro davanti alla tv, ma non si poteva mai sapere.

Mi auto-rubai un paio di cose – un sacco a pelo a misura di orso, ad esempio; uno zaino da escursione e diverse coperte – e le passai a Bella, che mi aspettava sotto la finestra di camera mia dopo aver fatto il giro della casa passando dal retro del garage, senza quindi farsi vedere da Billy.

Una volta preso tutto, uscii di nuovo di casa con due o tre libri sotto braccio.

“Andiamo da Bella a studiare.” dissi, cercando di essere disinvolto, mentre aprivo la porta “Nel garage fa troppo freddo per potersi sdraiare sul pavimento.”

Billy mi grugnì un assenso, troppo preso dalla partita, e io ringraziai ogni divinità di cui avessi memoria per la sua scarsa attenzione. Di solito non era così facile farlo fesso.

Raggiunsi di nuovo Bella in garage, che mi lasciò le cose e andò a prendere il pick up. Caricai in macchina tutto più la mia moto, che era la più grande.

Avevamo deciso di allontanarci sia da Forks che da La Push e andare a fare la spesa da un'altra parte. Trovammo una stazione di servizio sulla strada per Portland e cercammo altro cibo a lunga conservazione. Non sapevamo per quanto tempo saremmo stati via. Non potevamo fare alcuna previsione sulla... Data del parto... Ma sapevamo che la, la, la cosa cresceva in fretta. Tutto ciò era un bene per le provviste alimentari necessarie, certo, ma maleper tutto il resto.

Poco tempo.

Poco tempo per cercare una soluzione inesistente.

Poco tempo da passare ancora con Bella.

Strinsi i pugni, frantumando un pacchetto di cracker, e poi cercai di calmarmi di nuovo.

Dovevamo essere disinvolti. Due amici che facevano provviste per un'escursione. Un sorriso tirato sul volto e battute di poco conto; mormorare un “Hai già un accendino o hai intenzione di morire di freddo in montagna?” seguito da una risatina e dall'acquisto di dieci accendini, condito dalla battuta “Beh meglio fare scorta, mister premuroso.”.

Una volta finita la spesa, ci allontanammo ancora. Bella aveva intenzione di prosciugare il suo conto e prelevare tutto il possibile. Avevamo cercato di prendere più cose possibili, ma non si sapeva mai (beh, non si sapeva neppure come saremmo riusciti a comprare altro, dato che saremmo diventati due fuggitivi, ma avere dei soldi in tasca non era mai male).

Bella tornò quindi indietro, cercando un posto sicuro in cui posteggiare il pickup. Per proseguire avremmo usato la moto, e onestamente non sapevo come saremmo riusciti a farci stare tutto quello che avevamo preso. Alla fine ci arrangiammo a portare tutti e due degli zaini – io sul davanti, non era il massimo per guidare anche se avevo preso il più piccolo – mentre il sacco a pelo, riempito anch'esso, giaceva fra le mie gambe e il resto era sotto il sellino. Ce l'avremmo fatta, in qualche modo.

Guidai poi per il resto del pomeriggio, allontanandomi dalla costa. Conoscevo un po' di boschi nelle vicinanze, e per il resto mi bastava sapere che in ogni caso gli alberi sarebbero continuati ancora per un bel po'. L'importante era non farci trovare, e restare al sicuro nei boschi dietro casa non era quindi possibile. Con il pickup li avremmo depistati un po', o almeno così speravo.

Quando ormai la luce stava iniziano a scarseggiare, benedicendo l'inesistente traffico, svoltai con la moto nella foresta. Non era il massimo procedere sull'andatura irregolare del terreno, anche e soprattutto perché non osavo seguire un sentiero. Non ci inoltrammo molto negli alberi, sia perché dovevamo montare la tenda, sia perché avevo paura di beccare con le ruote una radice sporgente o un sasso un po' troppo appuntito e allora addio tempo limitato, saremmo semplicemente morti lì entrambi.

Quando scendemmo, Bella sembrava più pallida del solito. Si lasciò cadere con la schiena contro un albero e rimase lì, semplicemente, respirando velocemente e guardandosi intorno con aria smarrita.

Anche io non dissi nulla. Che c'era da dire? Mi limitai a scaricare la moto dal necessario; a toglierle lo zaino con la tenda dalle spalle e a cercare di spianare un po' il terreno dove avrei montato la tenda. Fortunatamente non aveva ancora nevicato. E 'ancora' era la parola chiave, perché sarebbe successo.

Dopo una buona mezz'ora, mentre imprecavo contro i paletti e il sole era quasi scomparso dietro gli alberi, Bella si mosse. La sentii armeggiare con il cibo – un sacchetto di patatine?

“Vuoi?” mi chiese.

Mi girai a guardarla.

Non avrei dovuto farmi prendere dalle emozioni, ma era stato tutto così improvviso.

Il giorno prima meditavo su come avrei dovuto farla ridere un'altra volta, e sognavo un bacio come premio.

Adesso... Adesso eravamo due fuggitivi, Charlie probabilmente era rientrato e aveva dato l'allarme dopo il giro di telefonate a Billy. E Bella era incinta di un vampiro e prossima a morire.

Perfetto, insomma.

… E non riuscivo a non amarla, nonostante tutto. La guardavo, vedevo il suo viso pallido e le occhiaie e l'unica cosa a cui potevo pensare era di andare ad abbracciarla e lenire il suo dolore, anche con una bugia.

Stupido, stupido Jacob.

“Passa.” le risposi invece “Sono esausto.”

“Puoi fare una pausa.”

“No che non posso. Il sole sta svanendo.”

“Mmmh... Ma sei a buon punto, no?”

Mi girai a guardare la tenda mezza montata.

“Sì, lo sono. Ci sono altre cose da fare, però.”

Mi misi una buona manciata di patatine in bocca, guadagnandomi l'occhiata disgustata di Bella. Quasi soffocai nel tentativo di ridacchiare e mangiare insieme, ma poi mi rimisi al lavoro. Lasciai perdere la tenda per un attimo e riempii di cibo sia il sellino della moto, chiuso, che uno degli zaini; poi lo appesi ad un ramo con una corda. E dopo ancora presi qualche rametto e mi dilettai ad accendere il fuoco. Bella mi osservava, curiosa, continuando a mangiare patatine.

Alla fine dovetti prendere la torcia per finire il lavoro con la tenda, dato che il fuoco altro non era che una fiammella e non aiutava molto, con il sole ormai sparito.

“Perfetto.” dissi infine “Puoi andare a nanna, Bella.”

“Tu no?”

“Raccolgo prima ancora un po' di legna. Quella che riesco a trovare nelle vicinanze, tranquilla.”

Aveva visto il suo sguardo perso, terrorizzato.

Dio, non aveva battuto ciglio nel programmare la fuga per potersene morire lontana da Charlie e adesso aveva paura di un po' di solitudine.

Beh, si sarebbe dovuta abituare. Io mi ero preso la responsabilità della nostra sopravvivenza – fino a quando sarebbe stato possibile – e questo prevedeva l'allontanamento, ogni tanto.

Non ci misi molto con la legna, in ogni caso. Ed ero esausto, terrorizzato per... Beh, per tutto.

Però, quando entrai nella tenda e vidi Bella rannicchiata nel sacco a pelo, non potei fare a meno di sorridere.

Sembrava così innocente, così tranquilla e beata. E il sacco a pelo era uno solo.

Potevo far finta, almeno per una notte, che niente di tutto questo fosse successo.

E potevo dormire tenendola fra le braccia, come avevo sempre sognato.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo IV

 

I primi giorni trascorsero abbastanza bene, senza incidenti.

Durante la mattina e per una buona parte del pomeriggio camminavamo. Con la moto al seguito e carichi di tutte le nostre cose, procedevamo un passo alla volta inoltrandoci sempre di più nella foresta.

Bella non si lamentava mai, ma io vedevo i segni sotto i suoi occhi farsi sempre più scuri e profondi.

Dimagriva.

Per quanto mangiasse – e io cercavo sempre di farla mangiare un po' di più del normale – se non vomitava non sembrava comunque riuscire a trarre sostentamento dal cibo.

Ogni volta che la guardavo non riuscivo a non pensarci, e ogni volta che ci pensavo dovevo stringere i pugni e trattenere la rabbia, concentrandomi solo a mettere un piede dietro l'altro e a stare attento a rami, radici e sassi.

Solo dopo quattro giorni decidemmo di fermarci. Ormai pensavamo di essere abbastanza lontani dalla civiltà e, più di ogni altra cosa, io vedevo che Bella era arrivata al limite.

La sua pancia era letteralmente esplosa, nel frattempo. Lei cercava di nasconderla con il giaccone e il giubbotto, ma, non avendo fatto alcuna spesa prenatale, i vestiti ormai le stavano abbastanza stretti e tendevano la stoffa.

Non mi disturbava come avrebbe dovuto, a dire il vero. Forse perché il viso era sempre più magro, o forse perché non avevo comunque visto la sua pelle, il mio cervello si rifiutava di credere che fosse reale.

Jacob, l'esperto nell'evitare pensieri scomodi e nel mascherare il delirio interno. Cercavo sempre di trovare una battuta per Bella, di non farle pesare il suo avermi chiesto di starle accanto, ma vedevo che lei ci pensava spesso. E io stringevo i pugni, ignorando il suo sguardo triste e sparando cavolate con la bocca, perché sapevo che non sarei mai riuscito a trovare una soluzione al 'piccolo problema in espansione'.

Non che mi arrendessi a prescindere, sia chiaro. Ma non riuscivo davvero a pensare a niente, e reprimevo la rabbia cercando di non farla esplodere, di mostrarmi forte.

"Jacob, non serve." aveva detto una volta lei, con un filo di voce, mentre io ridevo da solo di una battuta che mi ero già dimenticato, anche se l'avevo pronunciata giusto mezzo secondo prima.

Io mi ero subito zittito.

Bella era seduta con la schiena contro un tronco d'albero. Aveva fra le mani un succo di frutta che non beveva e si limitava ad appoggiarsi alla sporgenza del suo ventre, come se ormai non le importasse più di niente. La testa era leggermente reclinata e, per un momento, il terrore di perderla invase tutto il resto. Poi Bella si mosse, e l'illusione di un cadavere con il collo spezzato scomparve, lasciandomi sollevato e stordito nello stesso tempo.

Aveva gli occhi umidi, ma non piangeva, o forse non riusciva. Cercò di sollevare leggermente gli angoli della bocca, a pallida imitazione di un sorriso vero.

"Jake." mi disse "Credo di avere un piccolo problemino."

"... Cosa." chiesi, un sussurro che si perse nello sbuffo d'aria gelida. Non era comunque abbastanza basso da essere paragonato al suono della sua voce.

"Io devo... Devo..." Bella non sembrava trovare le parole.

"Bella." la ripresi. Ero fuori controllo; cercavo di rimanere calmo di fronte alla sua espressione ma era come... come se dieverse bolle stessero esplodendo dentro di me.

Ero al centro di una devastazione galattica, impotente nei confronti di tutti.

"... Devo fare pipì." disse infine. Una lacrima sfuggì al suo controllo "Non penso..." continuò poi "Non penso di riuscire ad alzarmi."

"Ah." risposi.

Il mio cervello urlava SBAGLIATO da tutti i pori.

Non era... Non era così che avevo pensato di... Di...

Poi mi accorsi che lei stava aspettando qualcosa. Una mia reazione, presumevo.

E quindi mi avvicinai a lei e le ofrii un braccio. Bella lasciò a terra il succo di frutta e cercò di puntellarsi sui piedi per alzarsi. Io semplicemente la tirai su.

"Hai messo su parecchi muscoli, Jake." mi disse lei, mentre la trascinavo letteralmente dietro un albero.

Io ignorai il tentativo di alleggerire l'atmosfera. Semplicemente non sentivo... Nulla. Osservavo la devastazione e non riuscivo a impedirla.

L'aiutai a togliere i jeans, le calze e la biancheria.

Non era così che pensavo di... Di...

Il mio cervello si censurò da solo. Non avevo tempo per le cazzate; a dirla tutta, il tempo sembrava stare per scadere in tutti i sensi.

La pancia di Bella non era ancora enorme al punto giusto, ma tanto lei non sarebbe sopravvissuta comunque. Avrebbe portato con sé nella tomba quell'escrescenza oscena e tutto quello sarebbe servito solo a non far soffrire troppo Charlie e a rendermi un fuggitivo per sempre.

Girai la testa dall'altra parte, mentre Bella si aggrappava ancora a me e faceva quello che doveva fare.

Non riuscivo a pensare.

"Jake." mi richiamò lei, alla fine di tutto. L'aiutai a pulirsi e a risistemarsi, senza dire una parola.

Non era così che pensavo...

Mi sentivo un disco rotto. Senza neppure il disco, rotto e basta.

Riportai Bella al solito albero e la feci sedere di nuovo. Lei appoggiò la testa al tronco e chiuse gli occhi.

Era esausta.

Esausta per essere stata aiutata ad alzarsi, fare pochi passi e sostenersi mentre faceva pipì.

Poi Bella riaprì gli occhi e si posò una mano sulla pancia, sorridendo.

Sorrideva.

Sorrideva a quel mostro che le mangiava la vita, che l'avrebbe condannata a morte e che, che...

"Perché?!" chiesi, alzandomi in piedi di scatto.

Il mio cervello, che era restato immobiloe a guardare la devastazione dei mondi, sembrava deciso a ribellarsi alla sua fine imminente. Non sentivo più il mio corpo, solo un tremore infinito, eppure non avevo freddo.

Avevo caldo. Sempre più caldo.

Bella sembrò capire subito. Strinse le labbra e mi guardò con aria triste. Si sistemò meglio, tirandosi su le gambe e abbracciandosele, come a coprire quella cosache le cresceva nel ventre.

Come a proteggerla.

"Jacob, non è colpa sua."

Io mi portai le mani alla testa e girai su me stesso.

"Come sarebbe, Bella?! Come sarebbe?! Certo che è colpa sua!"

Lei non aveva cambiato espressione. I suoi occhi erano grandi, troppo grandi – il mostro le aveva mangiato la pelle, le ossa degli zigomi sembravano volerle bucare la faccia.

"No, Jake! Lui non ha colpe per voler crescere. E' solo..."

Non la feci finire.

La pressione in me era aumentata a dismisura. Le stelle dietro i miei occhi erano esplose; non più bolle di sapone a cui assistevo impotente, ma supernove che erano andate in frantumi al mio grido di rabbia e impotenza.

Ed ero esploso anch'io.

La mia visuale si era spostata e il viso di Bella mi appariva vicino, troppo vicino e troppo alieno, con un'espressione terrorizzata che non le apparteneva. Mi accorso di aver ringhiato davvero, e non solo nella mia testa, solo quando il suono cessò e io rimasi stordito ad ascoltare il silenzio.

Cercai di spostarmi, di capire che cosa fosse successo, e mi ritrovai ad inciampare in quattro zampe che non avevo mai visto.

Poi arrivarono le voci, dritte nella mia testa.

"Jacob."

La conoscevo, l'avevo già sentita.

Embry.

Ero confuso. Cercai di allontanarmi in qualche modo e mi ritrovai quasi a sbattere contro un albero.

"Segui l'istinto, Jake. Jared, corri ad avvisare Sam."

Vedevo con i suoi occhi. Avevo ancora quel maledetto albero davanti a me e, al contempo, la foresta mi sfrecciava ai lati. Vidi anche il tremolio di qualcun altro, altrove – Jared? - che però scomparve immediatamente.

"Jacob, siamo tutti preoccupati. Dove sei? Che ti è successo?"

Cercai di concentrarmi ancora una volta sui miei piedi – sulle mie zampe. Riuscii a rimettermi dritto e azzardai inizialmente qualche passo, poi, una volta trovata la stabilità, una breve corsa che mi avrebbe portato lontano da Bella. Dovevo capire.

"Non c'è niente da capire, Jake. Lo sai già, è nelle nostre leggende."

Le leggende, vero. Già. Gran bella cazzata! Le leggende.

Ai margini della mia mente, comparve un'altra presenza.

"Jacob?"

Sam non mi stava particolarmente simpatico negli ultimi tempi e anche prima non l'avevo mai sentito parlare molto, però la creatura sembrò riconoscerlo subito. Soprattutto riconoscerlo come capo.

"Non 'creatura', Jake. Lupo. Siamo lupi, andiamo, dovresti averlo capito." intervenne Embry.

"Embry, continua a perlustrare il perimetro e sta zitto. Jacob, come ti senti? All'inizio è difficile per tutti. E' la rabbia che provoca il cambiamento e la calma che ti fa ritornare umano. Cerca di non aggrapparti alla paura."

Oh, gran bel suggerimento. Mi fermai un attimo in mezzo allo spiazzo che ero riuscito a raggiungere e iniziai a concentrarmi sugli odori. Gli odori erano diversi, con quel nuovo naso. Il me-umano era confuso; il me-lupo sembrava molto concentrato a notare se ci fossero pericoli nei paraggi.

"Jacob, sei con Bella Swan? Dovete tornare indietro, vi stanno cercando tutti. Qualunque cosa sia successa io..."

Il viso di Bella mi apparve davanti agli occhi.

Calma, Jake.

Bella terrorizzata, con gli occhi enormi spalancati.

Avevo solo perso la calma per un istante. Dovevo ritornare indietro, era possibile.

"Hai ferito Bella?" chiese Sam, e sentii nella sua voce una nota di colpa. Vidi assieme a lui la scena della sua aggressione ad Emily. Sentii anche il modo in cui eralegato ad Emily.

Calma, Jake.

"Bella non è ferita." risposi, sentendoti un po' scemo "Sentite, non è che questa cosa della comunicazione può essere più tipo 'parliamo ad alta voce' che non 'ti entro nella testa e vedo tutto'?"

Sentì Embry sbruffare e il suo cervello decifrò il suono come una risatina.

"No, amico." mi disse "Sarebbe troppo facile, altrimenti."

"Mh."

Calma, Jake.

Mi sedetti sulle foglie e osservai la neve che, alla fine, aveva deciso di farsi vedere.

"Jake, devi tornare a casa. Devi..."

Le voci scomparvero.

Con mio immenso sollievo, oserei dire, perché il tono dell'ultima frase lasciata a metà non mi lasciava molti dubbi sulla sua inclinazione.

Era un ordine alfa.

Ne avevo sentito parlare solo nelle leggende, ovviamente, ma il lupo le conosceva. E quando iniziavi a credere alle leggende perché, beh, ti eri appena trasformato in un coso enorme e peloso e altri compagni di scorribande ti parlavano in testa, allora dovevi considerare le leggende nella loro totalità.

Ero anche riuscito a non pensare a Bella, alla cosa che si portava nel ventre.

Mi lasciai cadere con la schiena per terra, tremando di paura e sollievo... E mi accorsi di essere nudo.

Ah, perfetto. Quindi i vestiti non sono compresi nella trasformazione magica?

Tornare da Bella sarebbe stato uno spasso. Saremmo stati pari, quantomeno.

Partì come uno sbuffo, ma ben presto mi ritrovai a ridere di gusto. Non c'era niente di divertente nella mia situazione, ma un po' d'isteria poco prima della fine non sembrava far male.

Bella.

Avevo pensato 'poco prima della fine'. E in effetti Bella pareva non avere troppe ore dinanzi a sé.

Era stato quello a scatenarlo, all'inizio, no? La mia rabbia, la mia impotenza di fronte ad un destino che non poteva essere cambiato.

Mi rimisi seduto, soffocando le risate. Nonostante la neve che aveva cominciato a cadere e la mia nudità, non sentivo freddo.

Dovevo pensare molto, molto bene. Nella mia testa avevo già fatto più volte qualche battuta e, ogni istante che passava e che riesaminavo la situazione, mi appariva lampante la verità.

Bella sarebbe morta perché non riusciva a nutrirsi, e perdeva le forze ora dopo ora.

La cosa che le cresceva nel ventre aveva un vampiro come padre.

E i vampiri bevevano sangue.

Forse non avevo accettato del tutto la realtà dei fatti, fino a quel punto. Voglio dire, ovviamente Bella era incinta e la sua gravidanza non era normale. Lei aveva detto 'vampiro' e io avevo registrato la cosa come marginale; era solo una parola. Non era importante di fronte alla prospettiva di perderla.

Però...

Però, adesso, le leggende Quileute si erano rivelate vere. Se quelle erano vere, erano vere anche quelle sulla famiglia Cullen, i vampiri che si cibavano di sangue animale.

E il lupo doveva essere in grado di cacciare animali.

Dovevo almeno provarci; non potevo tornare da Bella a mani vuote e non potevo neppure tornare con una falsa speranza. Dovevo sbrigarmi, però, altrimenti che io avessi o meno una preda da dissanguare non avrebbe fatto alcuna differenza.

Problema uno. Avevo tutta la banda di Sam in testa – a questo punto, era evidente che fosse un branco, e non una banda – e non volevo renderli partecipi dei fatti miei o di quelli di Bella.

Problema due. Sam Uley era il capo, l'alfa. Un suo ordine aveva valore di legge.

Mi alzai, sgranchendomi le membra. I miei arti, umani come al solito, sembravano a posto. Osservandomi per la prima volta dopo parecchio tempo senza vestiti, notai anche che quello che aveva detto Bella poco prima era vero: avevo messo su un bel po' di muscoli. Solo a cercare legna nel bosco? No, non credevo. Forse c'entrava la faccenda da lupo.

Forse c'entrava anche con il fatto che la neve mi si scioglieva addosso e non mi dava alcun fastidio.

Neve.

Ecco il problema numero tre. Bella era ancora fuori, seduta e appoggiata contro un tronco d'albero, inerme contro la neve, senza la possibilità di spostarsi.

Okay, Jacob, è il tempo di ragionare.

Pochi istanti dopo, con una speranza più che una verità assoluta, cercai di ritrovare la rabbia e di ridiventare lupo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo V

 

"Come diamine hai fatto?!"

Era sempre Embry nella mia testa. Avvertivo, però, anche altre presenze. Probabilmente qualcun altro si era trasformato, forse per darmi il bevenuto, ma non volevo essere egocentrico.

Sam era arrabbiato.

"Jacob." disse "Devi immediatamente tornare..."

"No." risposi.

Sentii qualcuno – Paul, mi informò il lupo – ringhiare, mentre Embry emetteva uno sbruffo sconsolato.

Non si discuteva un ordine alfa.

"Non esistono obiezioni! Devi tornare...!"

"NO." lo interruppi ancora, più forte.

Le mie gambe – zampe – stavano per muoversi. Nel tentativo di frenarle, iniziai a tremare sul posto.

Dondolavo, avanti a indietro.

"Amico, è meglio se non lo combatti." intervenne di nuovo Embry.

Un altro lupo emerse ai margini della coscenza. Una parte di me registrò lo stupore di quando si accorse che era una femmina, ma cercai di non badarci.

"Torna" Sam era sempre più furioso, lo potevo sentire sbuffare per cercare di imprimere più forza all'ordine alfa "Torna..."

"NO!"

Ora anche la mia voce aveva il timbro dell'alfa. Con un rinculo, sentii le voci sparire; tutte, tranne il guaito mentale di Sam, che sembrava preso in contropiede.

Le catene che imprigionavano il mio corpo smisero di stringere e io caddi all'indietro.

"Cosa." disse Sam "Cosa stai facendo, cosa...?"

Riuscii a rialzarmi e mi accorsi non sentire altro. La voce di Sam aveva il timbro dell'alfa e non mi imprigionava, ma io avevo smesso di sentire i suoi pensieri e di vedere con i suoi occhi.

"Ah." cercai di dire "Adesso è diventata una conversazione ad alta voce?"

"Jacob." rispose Sam "Jacob, cosa hai fatto? Torna. Torna, ti prego, possiamo parlarne..."

"Ma ne stiamo parlando. Così va meglio."

Mi arrivò una sorta di guaito/ruggito mentale.

"Scusami." mi sentii in dovere di precisare "Non è per te. Ho solo pensato... Ho solo sperato che essere discendente del precedente alfa mi desse un certo... potere."

"Reclami il branco, quindi? E' questo che vuoi? Potere?"

Il mio corpo di lupo scattò in automatico, ringhiando. Io cercai di tenerlo sotto controllo. Anche se le zampe erano grosse e pelose, io ero sempre io. Il lupo poteva essere controllato dall'uomo; doveva essere così. E a me non serviva un branco.

"No." risposi "Non mi serve il branco. Mi serve il lupo."

Passarono alcuni istanti, in cui tornai a muovermi secondo i miei desideri. Presi un bel respiro e cercai di capire se c'erano prede nelle vicinanze.

"Cosa? Perché ti serve il lupo?"

"Ah, ecco. Molto meglio. Mi spiace, è un segreto."

Adesso potevo permettermi di pensare a Bella, ma non ero ancora sicuro sul controllo che avevo in quella conversazione quindi preferii concentrarmi sulla preda.

Una debole scia di qualcosa verso est...

"Jacob, mi devi una spiegazione! Jacob!"

Lo ignorai. Era facile, se mi calavo nel lupo.

Non pensai a nulla e lasciai che i miei piedi mi guidassero.

L'alce era da solo e stava bevendo al fiume. Come se non avessi fatto altro da quando ero nato, mi avventai su di lui e lo uccisi.

Ci misi qualche istante a riemergere, a dire il vero. Giusto il tempo per fermarmi dallo sbranare la mia preda.

Cercando di nascondermi al lupo, ero sceso troppo in profondità. In un certo senso, gli urli di Sam nella testa mi avevano aiutato a non smarrirmi.

"Fico." dissi, moderando lo spavento "Senti, Sam, ti va di urlarmi nella testa anche la prossima volta?"

"Cosa? Cosa? Cosa stai facendo, Jacob? Ti prego, parla con me!"

Lo ignorai, di nuovo padrone del mio corpo peloso, e cercai di trascinare la mia preda indietro. Il problema non era seguire la scia, il problema era che dovevo tirarmi dietro un animale enorme e morto e senza poter correre non era per niente facile.

Dovevo pensare a Bella.

Dovevo pensare alle sue mani tremanti e alla disperazione nei suoi occhi. Alla lacrima che aveva versato e che poteva essere l'ultima oncia di acqua rimasta nel suo corpo. Nel suo sangue.

Dovevo pensare alla cosa che le stava prosciugando la vita, trovare un modo per posticipare la fine ancora di un giorno, e poi un giorno ancora.

Non avevo intenzione di trasmettere questi pensieri a Sam, e sembrò che la cosa funzionasse. Voglio dire, lo sentivo urlare e implorarmi e arrabbiarsi per scatenare una mia reazione – senza risultato –; se avesse visto la pancia di Bella come la vedevo io nei miei ricordi probabilmente avrebbe cambiato registro.

Riuscii ad arrivare alla piccola radura dove ero riuscito a ritrasformarmi per la prima volta. Era abbastanza vicina e per Bella sarebbe stato meglio vedermi nella mia pelle da essere umano, presumevo. Dovevamo parlare e metà delle cose che erano successe in quei pochi minuti, mezz'ora al massimo, non le capivo neanche io.

Mi ritrasformai, trovando la calma dentro di me e ignorando le urla di Sam. Mi ritrovai a sputare peli di alce e quella fu l'unica nota negativa della caccia.

Ripresi a trascinare l'alce. I miei muscoli supersviluppati servivano a qualcosa, dopotutto, e non mi erano spuntati solo per fare scena. Fico.

O meglio, lo sarebbe stato quando avessi avuto cinque minuti in croce della mia vita per riflettere seriamente sulla questione.

Trovai Bella nello stesso identico punto in cui l'avevo lasciata. Sempre con le mani tremanti, forse un po' più pallida. Mi sentì arrivare e alzò verso di me due occhi enormi impauriti; il viso però le si contrasse in un altra smorfia notando il mio stato.

"... Jake." disse.

"Ehilà. Scusa per lo spavento, io non... Non sapevo che... Immagino che potremmo parlare, dopo..."

"Jake, perché stai trascinando un alce e perché nel nome di tutto ciò che è sacro sei nudo."

Sorrisi, smagliante. Era tipico di Bella lasciare da parte le questioni importanti del tipo 'ti sei appena trasformato in un lupo' e concentrarsi sulle piccole – beh, non tanto piccole – cose come 'Jacob, migliore amico mio, sei completamente nudo'.

"Ah, l'hai notato?" risposi, tranquillo e indifferente, continuando a lanciarle occhiate di sottecchi "Così siamo pari, no?"

Non potei giurarci date le sue condizioni, ma Bella sembrò fare mille smorfie per cercare di trattenersi dal ridere. Sicuramente, se avesse potuto, sarebbe arrossita.

"In ogni caso, ti ho portato la cena. Una cena che potrebbe permetterti di arrivare alla prossima alba, o almeno lo spero."

Bella corrugò le sopracciglia; poi, in un lampo di comprensione, spostò lo sguardo verso l'alce e sgranò gli occhi.

"Stando alle nostre leggende, i Cullen si nutrono di sangue animale. Quindi deve poter fare qualcosa, no?"

"Jake, io non, ah, non penso sia una buona idea..."

"Sei incinta di un vampiro, Bella. E stai morendo. Guardami negli occhi."

Mi accucciai davanti a lei, lasciando momentaneamente l'alce, e le presi il mento con una mano, costringendola ad alzare lo sguardo.

"Lo so io come lo sai tu. La tua pancia si ingrandisce e tutto il resto di te deperisce. Mangi più di quanto dovresti e non funziona. E' evidente che... Il feto... Voglia qualcosa che ancora non gli hai dato da fonti esterne. Se lo prende da te, Bella. Sta prosciugando il tuo sangue e se non provi, se anche solo non provisaiche morirai presto, e morire presto non ti servirà a niente. Non ne so molto di gravidanze ma, per quanto grande sia diventata la tua pancia, pure io so che non è abbastanza perché una creatura possa sopravvivere con una madre morta."

Bella non poteva sottrarsi al mio sguardo. La vidi cercare dentro di sé una scusa e non trovare niente.

Avevo ragione.

E lei non poteva permettersi di perdere questa opportunità, lo sapeva.

Le lasciai andare il mento, non appena vidi nei suoi occhi che aveva preso una decisione. Le avvicinai l'alce.

"Gli ho spezzato il collo senza ferirlo. Ho pensato che altrimenti avrebbe perso troppo sangue..."

"Mh..."

Sospirai.

"Non devi perforza morderlo, Bella. Abbiamo un coltello. Gli faccio un taglio sulla gola e vediamo che succede, vuoi?"

Lei annuì, ancora poco convinta ma decisa a provare. Si mise una mano sulla pancia e io strinsi le labbra, dandole la schiena. Chiusi gli occhi per un istante e controllai il tremore.

Il lupo non mi era più d'alcun aiuto. Il lupo sarebbe rimasto buono, dormiente fino alla prossima occasione.

Presi il coltello dalle nostre cose e feci un taglio sul collo dell'alce. Ne uscì pochissimo sangue, ma Bella sembrò subito rianimarsi.

Era senza controllo, io potevo vederlo. Si sporse subito verso il liquido vermiglio, irrimediabilmente attratta. La sua mano si spostò dalla pancia e cercò di afferrare l'alce per avere una presa migliore.

Si avventò sul collo dell'animale.

Senza pensare a niente; io immaginai che così doveva apparire il lupo nella sua essenza più estrema. Puro istinto e nessun controllo.

Solo che il lupo non era un vampiro, era il protettore degli esseri umani.

Il pensiero che dentro di lei, Bella, la mia Bella crescesse un abominio il cui desiderio di sangue era in grado di annientare il concetto stesso di umanità... Distorcere i contorni del viso di Bella, farle notare e volere solo il sangue; lei, che alla vista del sangue sveniva e vomitava...

Mi ritrovai di nuovo bloccato, mentre la osservavo mangiare.

Troppo vicino per trasformarmi senza danni.

Troppo poco Jacob per evitare di farle male; di cedere all'istinto che mi ordinava di distruggere quella creatura infernale.

Bloccato.

Ma non ero costretto ad assistere.

Non appena me ne resi conto, voltai le spalle a quello spettacolo e corsi di nuovo via, verso la radura. Mi trasformai a metà strada e fu liberatorio in molti sensi.

Sam sentì che ero tornato e ricominciò a cercare di convincermi a parlare, a tornare. Io non gli badavo. Per un momento, per un solo momento, avrei lasciato al lupo buona parte del controllo. Non abbastanza per fargli voltare le spalle e attaccare la creatura, ma tanto quanto bastava per impedirmi di pensare per almeno cinque minuti.

Corsi un bel po' e dopo, esausto sulle zampe, mentre ero più o meno sceso a patti con quello che Bella era diventata, capii che non potevo semplicemente scappare.

Un alce sarebbe stato sufficiente per quanto? Una giornata, due, mezza settimana? E se non fosse bastato affatto? E Bella?

Non potevo abbandonarla. Semplicemente non potevo.

L'amavo troppo. E la verità era che l'amavo anche con i tratti deformati dalla sete e la pancia gonfia di un figlio non mio. Mi aveva offerto una scelta, giorni prima. E io dovevo andare fino in fondo.

Tornai indietro il più velocemente possibile, con il pensiero di parlarle, di spiegarle ogni cosa legata al lupo.

Con l'obiettivo di tenerla in vita e di cercare una soluzione per permetterle di sopravvivere a sé stessa.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 

Scusate il ritardo >_<

 

 

 

Capitolo VI

 

Bella si era limitata a fissare le proprie mani intrecciate per un lungo, lunghissimo momento.

Per la prima volta, non riuscii a capire che cosa pensasse.

"Così" disse infine "Anche le vostre leggende con i lupi sono vere. La rabbia scatena la trasformazione e dopo imparate a controllarvi. Le vostre menti sono collegate ma tu, basandoti su una supposizione, sei riuscito a contrastare gli ordini e a separarti dal branco, che sa solo che sei con me ma non sa di me. Corretto?"

"Sì, finora sì."

Ero seduto proprio davanti a lei, a gambe incrociate. La osservavo alla ricerca di una qualsiasi reazione.

Bella sospirò.

"E io ho iniziato a trovare il sangue di alce gustoso. Il sangue!"

"Già, beh, immagino che se fai sesso con un vampiro e ci rimani non sia così strano. Avresti almeno dovuto pensarci!"

Bella mi trucidò con lo sguardo.

In effetti, l'alce era servito allo scopo. Non tremava più e sembrava aver ripreso un po' di colore.

"E tu, Jacob Black." disse, sottolineando le parole "Sei ancora nudo."

Sorrisi di nuovo. Non potevo farne a meno.

"Se vuoi, puoi approfittarne." le dissi, facendole l'occhiolino.

Lei mi fulminò di nuovo, però arrossì.

Jacob uno succhiasangue meno venticinquemila. Ben fatto, Jake.

"No, grazie." rispose, gelida "Come hai gentilmente fatto notare, partner soprannaturale o meno, quando fai sesso per una volta e poi ci rimani, tutta la faccenda inizia ad essere un po' meno attraente di come la immaginavi prima."

"Ah, quindi prima la immaginavi, eh? E dimmi, sono mai rientrato fra i tuoi partner immaginari?"

Bella alzò una mano e fece il gesto di gettarmi addosso qualcosa, ma aveva solo una manciata di foglie secce fra le mani.

"Vai a farti fottere, Jake." rispose, arrossendo ancora.

Era troppo divertente. Era per momenti come questi che mi ero innamorato di lei, dopotutto.

"Beh, io sono qui, bello e disponibile. Però pare che l'unica creatura femminile nel raggio di miglia non voglia assumersi l'onere del compito."

"Jake! Vatti a vestire!" urlò infine lei.

Con una risata, mi alzai – ben attento a farle sventolare davanti le mie grazie – e corsi a recuperare alcuni vestiti di ricambio prima che i suoi improperi raggiungessero le mie orecchie.

Era proprio una ficata la supervelocità, ora che ci pensavo.

Mi buttai addosso un paio di jeans e una canottiera – tanto non sentivo in alcun modo il freddo – e tornai da Bella, dopo che lei ebbe smesso di urlare.

"Senti." le dissi "Non pensi sia il caso di entrare in tenda? Per me non vuol dire niente ma dato che ha iniziato a nevicare... Ecco... Penso che per te sia molto più freddo."

Bella fece una smorfia.

"Penso tu abbia ragione." disse. Provò a tirarsi su e le porsi una mano. Lei mi guardò diffidente per qualche secondo, prima che io scoppiassi in una grossa risata e la tirassi a me, facendola alzare.

Bella ondeggiò qualche istante, poi recuperò l'equilibrio e mi lasciò la mano, dirigendosi verso la tenda. Il fatto che riuscisse a camminare da sola era una delle cose che mi riempivano di gioia.

Era migliorata così tanto, e in così poco tempo. Era come se il sangue che avesse bevuto fosse immediatamente entrato in circolo.

Scuotendo la testa, mi adoperai per trascinare la carcassa dissanguata dell'alce lontano. Sulla via del ritorno raccolsi anche parecchia legna, stupendomi e apprezzano enormemente la superforza lupesca che mi permetterva di strappare interi rami e di trascinarmeli in spalla senza sentire un briciolo di fatica.

"Mi sarebbe proprio servita il primo giorno." sussurrai al nulla.

L'unico lato negativo della faccenda era l'enorme rumore che fece il mio stomaco una volta che ebbi finito di accendere il fuoco. Non erano rimaste molte provviste, in effetti, e volevo comunque tenere qualcosa da parte per Bella. Non poteva certo nutrirsi di sangue e basta.

Cercai di limitarmi a uno... due pacchetti di schiacciatine al rosmarino e poi, insoddisfatto, entrai nella tenda e mi infilai nel sacco a pelo con Bella.

Lei stava già dormendo. La circondai con le braccia, cercando di non svegliarla, e mi addormentai anch'io.

 

***

 

Ero tutto intento a cacciare una nuova preda per Bella – la prima cosa che mi aveva detto quella mattina, una volta sveglia, era che si sentiva affamata – quando la sentii e mi bloccai sul posto, inchiodando.

"Buongiorno, capo Jacob! Come ti va la vita?"

No no no no NO NO NO NO.

"Va beh, nemmeno un 'ciao Leah, come va, che mi racconti di te?' A proposito, devi dirmi dove dirigermi."

"Leah, no. L'ho detto chiaramente a Sam, non mi serve un braco. Gira le chiappe e torna a La Push."

"Potresti anche sentire le mie ragioni, prima, no?"

"Leah, te li porterai dietro e non ci sono ragioni che lo possano giustificare!"

"Senti, non sono una pivella." poté sentire che era piccata, come se l'avesse ferita nell'orgoglio "Non mi interessano i tuoi segreti e assolutamente non ho intenzione di riferire a Sam alcunché." potei leggere nella sua mente che era vero "Inoltre, ho provato ad andarmene per i fatti miei ma non ci sono riuscita. E dato che devo appartenere a qualcuno, ho scelto te. Sono scappata, Jacob." la vidi lasciare casa nel cuore della notte, con solo i vestiti che indossava "Ho evitato tutti i punti di controllo e mi sono gettata nel mare. Mi sono trasformata solo in quel momento e ho nuotato per parecchie miglia verso sud, sperando di aver azzeccato la direzione, prima di ritrasformarmi e uscire e percorrere correndo altrettante miglia verso l'entroterra e poi, solo allora, finalmente ritrasformarmi. Sarei anche esausta ma che te lo dico a fare."

"Beh allora potevi restartene a casa."

"No. Non potevo."

Il dolore di quelle parole mi colpì come un macigno. Senza che l'avessi chiesto, senza poterlo evitare, vidi uno stralcio della vita di Leah e la vissi come mia.

Sam.

La sua trasformazione tenuta nascosta. La loro storia d'amore tenuta a galla nonostante tutto.

E l'arrivo di Emily. Come quello non era bastato al destino, come anche la genetica si fosse inceppata con lei e avesse dato il via al mostro.

L'unica lupa femmina. Forte abbastanza per trasformarsi ma non idonea ad essere la compagna di Sam.

Stare nella sua testa, per ore, per giorni, con gli altri del branco che potevano leggere nelle pieghe della sua anima e lei che era costretta sempre, sempre e comunque, a guardare l'amore di Sam per Emily. La profondità del legame che le era stato negato e che li univa.

E il branco che la odiava, per la sua antipatia e i suoi sfoghi di nervi, e la cosa peggiore era proprio Sam che la difendeva.

"Ti prometto che non sarò odiosa con te." disse Leah alla fine, in quello che pareva un sussurro "Non m'interessa come mai sei scappato e perché ti sei trascinato dietro Bella. Non m'interessa di nulla. Solo fammi restare ed io sarò il tuo fedele cagnolino."

Vidi lo sforzo che le erano costate quelle parole. Essere definita 'cagnolino' la pungeva nell'orgoglio.

"Ecco, vedi? Mi sto sforzando. Ti sto implorando, puoi sentire quanto mi costi. Lasciami restare."

Scossi la testa, cercando di disfarmi delle sensazioni di malinconia e dolore e invidia che non mi appartenevano. Leah rimase zitta e non pensò a nulla, se non alla corsa. Stava cercando di alleviarmi il compito, lo potevo capire lo stesso.

Leah non disse niente comunque.

"... E va bene." risposi infine "Senti, non so dove siamo. Da qualche parte a est."

"Sì, quello lo so. Non appena vi raggiungo, vi conviene spostarvi ancora."

"... Spostarci?"

"Sam l'ha sentito, Jake. Sa che sei ad est. Se ancora non ti è addosso, è perché alla riserva c'è un altro problema da gestire."

Ululai, mentre Leah mi mostrava una vampira dai capelli rossi che si avvicinava alla riserva e ballava sul confine.

"Merda!" esclamai.

"Senti, non puoi fare nulla finché non arrivo, okay? Sam non si muoverà e ho organizzato le cose perché passi del tempo prima che si accorgano che me ne sono andata. Perché pensi che sia così esausta? Sto cercando di arrivare il prima possibile."

"Non è questo. Dannazione! Pensavo che non sapere la posizione ci avrebbe tenuti al sicuro!"

"Senti Jake, non per farmi gli affari tuoi, ma da cosa esattamente state scappando tu e Bella?"

Prima che potessi fermarle, le immagini mi invasero la mente.

La richiesta disperata di Bella. Le sue condizioni che peggioravano giorno dopo giorno e la pancia che cresceva a vista d'occhio. La breve, tenue speranza che il sangue animale mi aveva dato; il motivo della mia caccia mattutina.

Sentii Leah fermarsi, inorridita quanto me.

"Senti, se hai deciso di tornartene indietro, non azzardarti a riferire una parola o sei morta."

Leah scosse la testa.

"... No. Non tornerò indietro. Te l'ho detto, sono il tuo cagnolino."

Era ancora troppo sorpresa per potersi indignare per la frase che aveva pronunciato da sola. Non sapevo se era un bene o un male.

"No, va tutto bene." rispose lei, mentre riprendeva a correre, stavolta deviando per poter tornare verso la strada.

"Che pensi di fare, Leah?!"

"Stai tranquillo. Sto pensando."

"Sì ma non capisco a cosa..."

"Ecco la strada. Vi raggiungo dopo!"

Scomparve prima che potessi indagare oltre.

Con uno sbuffo, ricordai di avere problemi più urgenti di Leah. Tornai alla mia caccia e, una volta portata la preda a Bella, iniziai a impacchettare le nostre cose mentre lei si dedicava a bere sangue a più non posso.

"Dove andiamo?" mi chiese infine, una volta placato il mostriciattolo che le occupava la pancia.

"A quanto pare Sam potrebbe sapere dove siamo. Mi sto preparando a partire."

Avevo rinunciato a far stare tutto nei due zaini striminziti – non potevamo certo portarci di nuovo la moto – e, così, mi ero limitato a togliere i paletti dalla tenda e ad utilizzarla direttamente come contenitore. Il lupo non avrebbe avuto problemi a trascinarsela dietro.

"Cosa, come? Perché?"

"Leah sta arrivando. Ha scelto di unirsi a me." commentai, con uno sbuffo "Non ci tradirà, o almeno riesco a sentire che è sincera in questo senso. La dobbiamo aspettare e poi partiamo."

Bella mi guardò con gli occhi sgranati.

"Sei sicuro che...?"

"Sono sicuro." risposi. Non lo ero per niente, non avendo capito dove volesse andare e cosa volesse fare Leah negli ultimi minuti della nostra condivisione mentale, ma sapevo che davvero non ci teneva a tornare da Sam. Quindi mi sarei fidato.

"Senti, devo trasformarmi in lupo per sentire dove è e guidarla. Va bene? Non vado lontano."

Bella mi fermò poggiandomi una mano sull'avambraccio.

"Resta qui." mi disse. Aveva ancora gli occhi spalancati e potei leggerci la paura.

Feci un grugnito di assenso e mi spogliai di nuovo. Non ero molto in vena di scherzi ma non potei non apprezzare il rossore sulle sue guance.

Mi trasformai e restai in attesa.

 

***

 

"Finalmente!" esclamai con uno sbuffo, quando sentii Leah 'riaccendersi' nella mia mente "Ma che hai fatto?"

"Spesa." rispose lei "Senti, vieni un po' più a sud. Dobbiamo seguire un itinerario preciso ed è meglio se so orientarmi."

"Cosa? Che stai dicendo?"

"Te lo spiego strada facendo."

Con un altro sbuffo, mi abbassai sullezampe e feci più volte a Bella un cenno con la testa. Immagino che dovesso sembrare molto ridicolo e lei non capì, inizialmente. Poi, quando comprese che la stavo 'invitando' a salirmi in groppa, arrossì e iniziò a balbettare qualche scusa del tipo "Ma Jake, peso!"

Io roteai gli occhi verso il cielo e feci un mezzo grugnito. Non poter parlare a voce con lei era frustrante.

Alla fine, si decise a salire. Rialzandomi e rigirandomi su me stesso, afferrai la tenda-borsa con i denti e mi misi a correre verso Leah.

"Allora." dissi infine "Raccontami della tua idea. E spero che tu abbia comprato kili di patatine."

"... Comprato non è la parola esatta." rispose lei, dopo un attimo di esitazione "In ogni caso, ho preso anche alcune cose."

Vidi nel suoi ricordi due libri sulla gravidanza e una cartina.

"Cosa? Perché?"

"Senti Jake." sbuffò lei "Io non ne so molto, okay? Soche questa non è una gravidana normale, non interrompermi." mi anticipò, sentendo il sarcasmo crescente nella mia mente "Però ho pensato... Quella cosa è dura, giusto? E immagino che, senza alcun vampiro nelle vicinanze, solo i nostri denti possano perforarla."

"Cosa?!"

Guaii piano, per non spaventare Bella, e mi costrinsi a continuare a correre nella direazione che Leah mi mostrava. Presto sarei arrivato all'autostrada, o almeno così speravo, e allora avremmo potuto ricongiungerci sul serio.

"Non iniziare a pensare male!"

"Certo, certo. Pensiamo bene della mia neo-assunta nel branco che decide tranquillamente di affondare i denti nella pancia della mia migliore amica." replicai, velenoso.

"Non si tratta di quello, Jacob!"

"E di cosa allora?"

Vidi di nuovo la cartina, e i calcoli che aveva fatto per trovare il più vicino ospedale che avesse un accesso più o meno diretto con la foresta.

"Non penserai certo di...!"

"No che non lo penso! Non penso a niente!"

Leah frenò la mia rabbia, investendomi con altrettanta furia.

"Ti sto solo dando mezza speranza, Jacob. Mi pareva che il piano prevedesse di avere un piano. E io non sono riuscita a trovare niente di meglio."

Sbuffai, di nuovo, ma cercai di analizzare la situazione da un punto di vista più razionale.

"Bella non sopravvivrà mai." dissi, e mi uscì molto più amaro di quel che mi aspettassi. O forse era solo perché Leah poteva vedere l'emozione formarsi direttamente dentro di me, e non potevo mentire o quantomeno alterare la realtà.

"Lo so. Senti, se ci fosse un altro modo, un qualsiasi altro modo, non esiterei a farlo. Ma questo è tutto quello che abbiamo. Dobbiamo solo sperare che lei resista giusto il tempo che serve per tirarle fuori quella cosa dalla pancia. Per quanto riguarda il resto, beh, so correre molto veloce."

Lo vidi, nella sua testa. Lei con in braccio una Bella mezza morta e sanguinante, mentre correva a tutta velocità verso l'ospedale.

"E poi che farai, andrai in carcere per aggressione?" la presi in giro, più per un riflesso incondizionato che altro

"L'ho detto: so correre molto veloce. Nella confusione del momento nessuno si accorgerà di me."

"E poi una tua foto, o un tuo identikit, apparirà su tutti i telegiornali."

Lei gli lanciò un'occhiata mentale mezza divertita e mezza sprezzante. Era... Strano, comunicare così.

"Pensi che tu e Bella l'abbiate scampata? Charlie sta dando di matto e vi cercano praticamente ovunque. Ha litigato con Billy in un modo che... Si sentivano persino da casa mia, ma forse io non faccio testo, dato i sensi di lupo. Lui, ovviamente, pensa che sia tutta colpa tua e ha sfogato la sua rabbia su di lui."

Rimasi in silenzio qualche istante, ponderando le informazioni. Non si poteva dire che fosse una vera sorpresa, eppure...

Quante cose avevamo rovinato io e Bella, andandocene? E quanto sarebbe stato peggio se fossimo rimasti?

"Molto peggio, Jake. Molto peggio, credimi. Non state proteggendo un segreto solo vostro."

Annuii, anche se Leah non mi poteva vedere. Beh, poteva vedere l'intenzione di annuire. Comunque ero arrivato all'autostrada, anche se mi stavo mantenendo verso l'interno del bosco. Non ci tenevo a mostrarmi a qualche macchina passeggera, con in bocca una tenda e in groppa una ragazza ricercata per tutto il paese.

"In ogni caso." proseguì Leah "Dobbiamo programmare tutto al meglio. Credo che sia impossibile stabilire un tempo limite basandoci, beh, sul tempo, quindi ho pensato di calcolare la circonferenza di Bella. Ho rubato anche un metro da sarta, per inciso."

Sbuffai. Prima che li potessi fermare, i concetti senza parole di 'Ah, allora aspetteremo che il mostro sia grande abbastanza per sopravvivere' si formarono nella mia mente.

Leah aveva intercettato la mia scia e aveva iniziato a correre più velocemente. Io mi ero fermato, per aspettarla. Sentivo sopra di me il peso di Bella ma, con mia grande sopresa, non mi dava affatto fastidio.

"E' la superforza da lupo." fece presente Leah; poi, quando le vidi il muso fra gli alberi e le girai la schiena per riprendere a correre, stavolta parallelamente all'autostrada, aggiunse "Non credo che lei vorrebbe che ammazzassimo suo figlio, Jacob."

"Certo." risposi, amaro.

Bella non voleva un sacco di cose. Prima di tutto, non avrebbe voluto proprio rimanere incinta.

Sentii Leah diventare più triste, sempre più triste. Il mio umore si accordava al suo e quindi mi feci contagiare, mentre continuavo a mettere una zampa dietro l'altra.

"Sai, nemmeno io ci avrei mai pensato." disse lei infine, mentre la marea montava, e montava "Sono troppo giovane per avere un figlio, questo pensavo. Ma la faccenda da lupo..." la sentii sospirare, più mentalmente che fisicamente, anche se ormai mi aveva superato e mi stava guidando "Non bastava, non essere la compagna perfetta per Sam. Forse quello avrei anche potuto accettarlo, sai? Potevo pensare che non eravamo abbastanza compatibili... Dopotutto, il nostro amore era solo umano." lo disse con così tanta amarezza che provai l'impulso di scuotermi, come per scacciarla, ma ricordandomi di Bella sulla mia schiena continuai a correre "Ma l'essere lupa mi ha cambiata, Jake, in molti modi. Il tempo per noi si ferma, e riprende solo dopo che non ci trasformiamo per molto tempo. Io... Sono diventata sterile. Non posso avere figli. Quindi sì, anche se non conosco Bella, anche se per lei questo è un figlio imprevisto... Anche se è il figlio di un vampiro, Jake. Anche così, io l'aiuterò a portare a termine la gravidanza, e a partorire un bambino vivo."

Ancora una volta, nella mia mente si formarono concetti senza parole. Carichi di amarezza, ma con anche una punta di rabbia.

'Partorirà un bambino vivo. Ma non è detto che lo rimanga'.

"Lo rimmarrà, Jacob. Credi che lei non te lo chiederà, alla fine?"

"Chiedermi cosa?"

"Lo sai. Di badare a lui."

Leah si stava pian piano riprendendo. Io non avevo alcuna intenzione di commentare le sue disgrazie femminili, e non perché non empatizzassi, in un certo qual modo – impossibile non farlo, quando i sentimenti ti nascevano in testa – ma perché non c'era nulla da dire.

Mi concentrai quindi sull'ultima frase.

Bella avrebbe osato...?

Ma certo.

Mi aveva coinvolto dall'inizio. Certo che avrebbe osato. Si sarebbe anche aspettata che io rispettassi la promessa.

"Se non lo fai, ti staccherò io la testa a morsi."

"Ricordamelo quando il bambino" sputai disprezzo sulla parola "Ti dissanguerà a morte perché, sopresa!, è un mezzo vampiro e vuole sangue."

Leah rise. Di tutte le reazioni, questa proprio non me l'aspettavo.

"Dai." disse infine "Fra poco facciamo una sosta, o crollo per terra dal sonno."

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

 

Bella si stava tenendo la pancia e ci guardava con espressione terrorizzata.

"Voi non... Voi non..." aveva iniziato a balbettare.

Leah sospirò e mi tirò un poco più indietro, di modo che le lasciassi spazio.

"Non adesso, Bella. Intendo al termine della gravidanza... Più o meno. Come in un parto cesareo, no?"

La vidi rilassarsi appena.

"Alla fine. Certo, alla fine."

"Non farò male al tuo bambino, Bella."

Lei la guardò di nuovo, serrando le labbra. Poi spostò lo sguardo verso di me, socchiudendo gli occhi.

Io non avevo parlato. E Leah aveva parlato solo per se stessa. Era chiaro il messaggio.

"Jacob." mi disse Leah "Vai a cacciare qualcosa."

La guardai truce, per un attimo, poi mi allontanai sbuffando. Immagino che avessero bisogno di un momento da ragazze insieme.

Non mi allontanai troppo, però. Le prede avrebbero dovuto aspettare ancora un po'.

Leah si era seduta accanto a Bella, che continuava a tenersi e massaggiarsi la pancia. Sembrava che fosse cresciuta ancora rispetto anche solo a quella mattina. Non era ancora al livello massimo ma, con i vestiti che tendevano e che ingombravano, essendo a strati, sembrava quasi una mongolfiera.

Ed era tornata di nuovo troppo pallida.

"So che hai paura." le disse Leah "L'avrei anch'io, al tuo posto. Non posso assicurarti che andrà tutto bene. Anche se riuscissimo a farti partorire velocemente... Dopo aver tirato fuori il bambino e la placenta e tutta la sacca che lo contiene... Anche correndo a velocità inumane, Bella, perderai un sacco di sangue. Forse troppo."

Bella strinse appena le labbra, continuando a guardare di fronte a sé.

"Come ho detto a Jacob." riprese Leah "Mezza speranza è meglio di niente."

"... Mezza speranza." ripeté lei. Poi, all'improvviso, scoppiò a ridere. Una breve risata che mi colpì al cuore.

"Ah, Leah." disse infine "Se i Cullen fossero rimasti... Forse, avrei potuto farcela. Qualcuno di loro mi avrebbe trasformata." lasciò la pancia per afferrari un polso con la mano.

"E' questo che pensi? E' questo che avresti voluto? Una non-vita?!"

Bella scosse piano la testa.

"Non so esattamente quale sia il confine, Leah. Ho sempre pensato a me stessa come... Troppo ordinaria, troppo comune per poter afferrare la felicità a due mani. Eppure ce l'avevo. Edward..." disse, incespicando sul suo nome come se ancora le facesse male "Edward ha cambiato la mia visione del mondo. Ma... Alla fine si è rivelato come tutti, no? Eppure avrei dovuto saperlo. Troppo bello per essere vero."

"Infatti non lo era." rispose Leah, alzando lo sguardo "Non era vero, perché non era umano."

"Già, ma non mi riferivo a quello. Intendo dire che le persone belle, intelligenti, sicure di sé, di solito non calcolano la ragazza-nessuno. Mi ero convinta di essere la protagonista di una meravigliosa storia d'amore e invece sono finita in una stupida commedia romantica senza lieto fine. Dove lui mi lascia incinta e scappa. Solo che, beh, ovviamente il mio bambino deve uccidermi perché lui è immortale e forte."

Leah non disse nulla per qualche istante, poi le mise una mano sul ginocchio.

"Tu lo ami ancora, vero?"

Bella non rispose subito. Si limitò a fissare dritta davanti a sé per qualche istante e fu come se mi vedesse fra gli alberi. Io non volevo sentire, ma allo stesso tempo dovevo sapere.

Stavo sacrificando tutto per lei e l'amavo da impazzire. Questo era vero e non poteva cambiare.

Però quel succhiasangue l'aveva distrutta in molti più modi di quanti ne ritenessi possibile. Se lei... Se lei l'amava ancora... Altro che vittima di abusi. Il mio castello di certezze sarebbe crollato e sarei crollato anch'io sotto di esso; sepolto dalle macerie, non sarebbe rimasto più nulla di me.

"Devo crederlo." disse infine Bella "Devo crederlo. Guardami, Leah. Per cosa starei combattendo, se non per il frutto del nostro amore?"

"Ah, ma questo è sbagliato." rispose lei "Questo deveessere sbagliato. Esistono anche figli di stupratori e loro sicuramente non sono nati da un atto d'amore. Non volendo andare sul tragico, esistono anche figli di rapporti da una botta e via. Quello non è amore."

"Lo so. Non hai capito ciò che intendevo dire." Bella rimase zitta ancora qualche istante, poi sospirò "Edward colmava il mio orizzonte. Quando se ne è andato, mi sono sentita persa. Ma..." cercò le parole, mordendosi piano le labbra "Lui era come la stella polare che mi guidava nella notte. Una volta scomparsa, il sole è sorto comunque."

"... Jacob." sussurrò Leah, e se fossi stato appena più lontano non l'avrei sentito.

Bella ridacchiò.

"Jacob, sì. Ho pensato più volte che lui fosse il mio sole. Devi capire, però, che andare avanti non basta. Alzarsi, mangiare, andare a scuola... Tutte le azioni meccaniche che ho compiuto ripetutamente, e anche i brevi momenti di felicità con Jacob... Non bastano a sostituire un progetto di vita spezzato. Non era solo l'amore a legarmi ad Edward... Era un sogno a cui sono stata costretta a mettere fine; l'addio ad una famiglia che avevo scelto con tutta me stessa."

"... Tu volevi diventare un vampiro."

"Sì. Però hai centrato il punto. Io 'volevo'. Adesso... Adesso non lo so più. Ci sono cose che non si possono perdonare. Essere abbandonata per la mia incolumità, per la mia sicurezza, quello sì, l'avrei capito. Non accettato, ma capito. Stavo imparando a viverci, un giorno per volta." Bella si sistemò meglio con la schiena, raddrizzandosi. Stavolta, lampi di rabbia uscirono dai suoi occhi "Essere sedotti e abbandonati, quello no. Edward non si è solo approfittato di me... Io non sono soltanto la ragazza-nessuno ingenua che si fa intortare dal figo della scuola. Io ero drogata. Ero letteralmente drogata; avevo preso dei sonniferi. E lui l'ha fatto lo stesso. Non contento, se ne è andato di nuovo. Oh, sono certa che non sapesse che potevo restare incinta. Non tanto per lui, perché ora nei suoi confronti dubito di tutto. Ma se qualcuno avesse saputo... Se qualcuno avesse anche solo sospettato, non mi avrebbero abbandonato. Non davvero. Qualcuno sarebbe tornato per aiutarmi." lacrime avevano iniziato a cadere dalle sue guance, e lei se le asciugò con un gesto di rabbia "Quindi è tutto qui, capisci? Se lo amo ancora? Credo di sì. Il mio legame con lui non si è spezzato. Devo crederlo o impazzirei. Ma da qui a perdonarlo... Da qui a vedere di nuovo la mia vita con lui... Ne passa di acqua sotto i ponti. Io sono cambiata, e non è solo la pancia o il bambino. Io ho ritrovato il valore della mia dignità. Per quanto possa servire adesso, con una mezza speranza."

Leah strinse un po' di più la mano sul suo ginocchio.

"Scommetto che non lo sapevano, Bella. Scommetto che se anche solo avessero immaginato, sarebbero tornati. Se davvero ti volevano bene, non ti avrebbero abbandonato."

Bella scosse la testa di nuovo, asciugandosi un'altra lacrima.

"Alice." disse "Alice non è tornata. Lei avrebbe dovuto. Ma non è tornata."

Non aggiunse altro ed io avevo sentito abbastanza.

Distrutto dal suo dolore, dal mio, da quello di Leah... Distrutto dal dolore di tutti noi, mi concentrai sul lupo e sulla sensazione istintiva della caccia.

Non avevo fatto i conti con Sam, che stavolta si fece sentire.

"Jacob? Jacob, ci sei?"

Lo ignorai, annusando l'aria.

"Jacob, ti prego, anche se non vuoi parlarmi. Ti prego, ti prometto che non ti cercherò in nessun modo, che non ti ostacolerò in nessun modo... Solo una cosa. Lei è lì? Leeh-Leeh è lì? Ti prego, Jake, è scomparsa e sto morendo di preoccupazione. Devi credermi."

"Sì, ci credo che stai morendo di preoccupazione." forse mi era uscito un po' troppo sarcastico "Se ti perso qualcuno del tuo branco, non sono affari miei." aggiunsi, tornando al lupo e alla caccia.

Lui rimase in silenzio per qualche istante di troppo.

"Grazie." disse infine, e la sua voce sparì dalla mia mente.

Cacciai e non pensai più a nient'altro.

 

***

 

La prima volta che Bella aveva urlato, avevo quasi rischiato di schiantarmi contro un albero per frenare.

Non era riuscita a scendere e Leah aveva dovuto ritrasformarsi e aiutarla. Non riusciva a stare in piedi; piangeva ed era verde.

Leah l'aveva toccata, togliendole i vestiti il più in fretta possibile senza strapparli.

Io avevo visto per la prima volta la sua pancia nuda, piena di chiazze viola, e mi ero sentito morire.

"Credo che ti sia rotta il bacino, o comunque qualcosa. Dannazione!" aveva imprecato Leah.

Bella stava battendo i denti. Era solo fine gennaio, o forse inizio febbraio, e le temperature erano ai minimi storici.

"Leah, rimettile qualcosa addosso prima che congeli del tutto!" avevo detto, rompendo il mio silenzio di orrore e rifiuto.

Leah l'aveva rivestita il più delicatamente possibile, e poi l'aveva abbracciata.

Una volta smesso di battere i denti, Bella aveva sussurrato: "Credo sia solo... Troppo forte, tutto qui. Io mi sono sentita meglio in questi giorni quindi anche lui... Anche lui..."

Io avevo stretto i pugni e mi ero ritrasformato in lupo, per non cedere alla rabbia e al dolore.

Leah non mi aveva neppure degnato di uno sguardo, ma aveva capito. Continuava a tenere stretta a sé Bella e la cullava piano, attenta a non muoverla troppo per non spostare le ossa.

"... Manca poco." disse infine "So che fa male ma devi resistere, okay? Presto saremo dietro l'ospedale e ti giuro che non ci dovremo più muovere."

Bella annuì, piano, chiudendo gli occhi. Aveva ancora le labbra viola e strette fra loro, come se volesse impedire ad un grido di uscire.

"Possiamo finire da umani. Forse... Forse riusciremo a muoverci di meno e a non sballottarti troppo." detto questo, Leah si spostò da Bella e la prese in braccio, sollevandola piano.

"... Peso." sussurò Bella.

"Non essere sciocca." rispose Leah "Ho la forza di un lupo, non pesi nulla per me."

Bella non rispose nulla e si limitò ad appoggiare la testa sulla sua spalla. Tipico di lei pensare sempre al benessere degli altri e mai al proprio.

Probabilmente sentiva un dolore atroce.

E io mi chiesi, ancora una volta, per quanto sarebbe durata tutta quella farsa.

Non c'era speranza.

Se Bella moriva di fame, il mostro non si muoveva e moriva con lei. Se Bella si nutriva, il mostro diventava più forte e le spezzava le ossa.

Non c'era via d'uscita.

"Jacob, prendi tutti i bagagli e seguici." disse Leah. Io mi limitai ad eseguire. Afferrai tutto con i denti e trottelerrai dietro a loro.

Andavamo piano, molto piano. Capivo che Leah non volesse far oscillare Bella più del necessario.

Lei non diceva niente; serrava le labbra ma a volte non riusciva a trattenere un singulto.

"Manca poco." la incoraggiava Leah. Non credevo che sarebbe stata tanto brava in quel ruolo.

Lei era molto più funzionale alla sopravvivenza di Bella di quanto lo fossi io. Eppure, era me che Bella cercava con lo sguardo ogni pochi minuti.

Uno sguardo di scuse. Sapeva che stavo soffrendo, e come avrebbe potuto non capirlo?

Non era solo che ero il suo migliore amico, e la stavo vedendo morire. Lei sapeva. Noi due ci leggevamo come un libro aperto, quindi lo sapeva per forza.

Sapeva che l'amavo e si scusava per non essere stata in grado di ricambiarsi, per essersi cacciata in questa situazione e per avermi coinvolto, per ogni cosa per cui fosse necessario scusarsi.

E forse stavo impazzendo ma, nonostante il dolore, il vero fatto era che non riuscivo ad allontanarmi da lei. Avrei dovuto odiarla, e invece bramavo ogni secondo in più in cui potevo vederla, in cui il suo sorriso si apriva per me.

Dipendevo da lei come una droga.

E forse, ma solo forse, adesso capivo meglio il suo amore per quel vampiro. Non si era trattata di semplice attrazione; Bella era troppo intelligente per una cosa del genere.

Se lei era dipesa da lui allo stesso modo in cui mi sentivo sempre più dipendente da lei, allora forse il suo attimo di debolezza sarebbe stato scusabile.

Certo, questo non cambiava il fatto che stava per morire e che non c'era più di... Un quarto di speranza, neanche mezza. E che io avrei sofferto tutto il suo dolore e il mio, nel momento in cui fosse morta davvero.

"Senti, hai pensato a come chiamarlo?" chiese Leah, interrompendo i miei pensieri lugubri.

Io fissai Bella negli occhi, vedendo che lei ricambiava lo sguardo da sopra la spalla di Leah.

"In realtà pensavo... Pensavo ad Edward Jacob."

"Edward Jacob."

"Beh..." iniziò lei, come a doversi scusare "Dopotutto, il padre è Edward. Ed Edward si chiamava come suo padre. Sarebbe bello continuare la tradizione e..." mi guardò ancora, sorridendo appena nonostante il dolore che doveva provare "Per Jacob, non c'è bisogno di nessuna spiegazione."

"Capisco. E se fosse femmina?"

Bella sbatté le palpebre, come se non avesse mai considerato l'idea.

"Uhm..." iniziò, tergiversando "Non lo so. Penso che... Se devo decidere così su due piedi... Penso che mi piacerebbe chiamarla Elisabeth."

"Elisabeth?"

Lei si strinse nelle spalle e fece una smorfia.

"Era la madre di Edward. E Elisabeth è una variante di Isabella. Sarebbe legata anche a me, in questo modo."

"E' un bel nome." concesse Leah.

Bella appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Dopo poco tempo, si addormentò.

"Sbaglio, o è sempre più stanca?" mi chiese Leah dopo qualche istante, quando divenne evidente che Bella non si sarebbe svegliata.

Io le scompigliai i capelli con uno sbuffo, per tutta risposta.

Era vero. Non che Bella avesse qualcosa da fare, a parte tentare di sopravvivere; in ogni caso, stava dormendo sempre di più nell'ultimo periodo.

Non parlava più nel sonno. La prima notte mi aveva chiesto, imbarazzata, di non far caso alle ciancerie che le avrei sentito uscire dalla bocca, se mi fossi svegliato prima di lei, ma Bella non aveva mai parlato nel sonno da quando eravamo partiti.

Forse il mostro si stava mangiando pure quello. Il suo sangue, la sua vita, la sua energia e la sua voce.

Bel bottino.

Continuammo a camminare per altre cinque ore.

Alla fine, Leah avvolse Bella nel sacco a pelo e mi lasciò a montare la tenda, mentre andava in perlustrazione.

Quando tornò, mi disse solo "Siamo nel posto giusto."

Non ci rimaneva che aspettare.

***

 

Mancavano solo due centimetri.

Solo due centimetri alla fine di tutto.

Non ce l'avevo fatta ad assistere alla misurazione, ma Leah era molto sicura.

"Penso che anche se sono un paio in meno il bambino non farà storie. E' già abbastanza forte."

E considerando quanto cresceva in fretta la pancia di Bella, domani sarebbe stato il giorno prescelto.

Ventiquattr'ore di Bella. Bella viva; un po' sciupata, forse, ma viva.

Non avevo abbastanza... ossigeno, per questo.

"Jake, vieni qui." mi richiamò lei.

Come tirato da un filo invisibile, non potei far altro che seguire la sua voce e sedermi accanto a lei.

Leah ci guardò qualche istante, poi scosse la testa e ci annunciò che andava a caccia.

Bella aveva bisogno di tutto il sangue possibile in vista del parto. Non l'avrebbe assunto nella via piùconvenzionale, forse, e il sangue animale non era neppure quello giusto. Però forse avrebbe aiutato, o almeno lo speravamo.

"Allora." mi disse "Domani, eh?"

"Già. Domani."

Il mio tono era piatto, quasi spento.

Bella si appoggiò con la testa sul mio braccio e intrecciò le nostre dita. Non era mai stata una persona troppo affettuosa, quindi quel gesto mi stupì. Certo, più volte l'avevo stretta a me durante la notte, soprattutto nell'ultimo periodo, dove fungevo da stufetta personale. Però quel contatto... Non era molto da lei, non così.

Poi capii.

Era una sorta di addio.

Ricacciai indietro le lacrime e non permisi al mio corpo di cambiare posizione, di irrigidirsi o altro.

"Jake, sai che te lo devo chiedere." disse infine lei; poco più di un sussurro.

"Chiedere cosa, Bella?" domandai io in automatico.

Ma lo sapevo. Leah l'aveva predetto quella che mi sembrava una vita prima, eppure erano stati solo pochi giorni.

"... Devi prenderti cura di lui, Jake. Anche... Anche se dovesse andare male. Per me."

Io non risposi subito, preferendo osservare la luce che filtrava tra i rami secchi e morti.

"... Non lo saprò." dissi infine "Non saprò come andrà per te. Leah ti porterà via, forse ancora viva o forse no. E io non saprò niente perché dovrò fuggire nel bosco con... Con..."

Lei mi mise un dito sulle labbra, alzando la testa per guardarmi e costringendomi ad abbassare lo sguardo sul suo.

"Va tutto bene, Jake." mi disse "Tu sei forte. Non te lo chiederei se avessi altra scelta. Ma tu sei abbastanza forte per questo. Promettimelo. Promettimelo Jake, ed io... Io ti prometto che farò di tutto per sopravvivere. Ogni cosa."

Guardai i suoi occhi ed ebbi la sensazione di affondare. Non potevo dirle di no, semplicemente. Non importava quanto dolore mi sarebbe costato; non potevo perché lei mi guardava e se lei mi guardava io non vedevo nient'altro.

L'ultimo giorno. L'ultimo giorno in cui sarebbe stata reale, viva.

Semplicemente caddi e le mie labbra sfiorarono le sue.

Lei non si irrigidì. Dopo il primo momento di sorpresa, dischiuse le labbra sulle mie e mi permise di approfondire il bacio.

Non m'importava se lo stava facendo solo per strapparmi quella promessa o se, come me, anche lei sentiva qualcosa. In quel momento niente aveva importanza, ad eccezione di noi due e delle nostre labbra a contatto, delle nostre lingue che si sfiorarono.

Mi persi in lei in alcuni attimi di sogno e, quando il bacio finì e riaprii gli occhi, la realtà mi ripiombò addosso in tutta la sua pesantezza.

Lei lesse il dolore nei miei occhi, la perdita.

Come sempre, non avevamo bisogno di parole.

Mi accarezzò una guancia, sorridendo appena, cercando di mascherare la tristezza dietro le ciglia.

"Non mi hai ancora persa." sussurrò "Sono ancora qui, Jake. E farò di tutto per esserci ancora."

E allora, solo allora, solo perché non c'era altro che si potesse dire, o fare, acconsentii.

"Lo prometto."

Prenditi il mio cuore e la mia anima. Prenditi tutto me stesso.

Bella sorrise ed era di nuovo un sorriso raggiante, ampio.

Il sorriso mio.

"Grazie." rispose "Grazie, Jake."

Tornò ad appoggiarsi sulla mia spalla e fu come se nulla fosse successo, ma tutto era cambiato.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

 

Era tutto pronto.

Leah aveva portato due prede, due enormi alci maschi. Io ero semisdraiata sul sacco a pelo, con gli zaini e le coperte ad alzarmi il busto.

Non potevo negare a me stessa di aver paura.

Avevo sempre cercato di tenere il passo del soprannaturale e ne ero sempre uscita viva, vero. Ma tutte le volte si era trattato o di una scelta improvvisa o di un futuro lontano.

Quando ero andata verso James, nella sala da ballo, ero in preda al terrore. Guidata dalla paura di perdere mia madre, di poter far qualcosa per salvarla. Non era stato un pensiero coscente; ero andata a basta e avevo fronteggiato la morte perché non avevo altra scelta.

La mia 'seconda' morte, quella che ora mi appariva sempre di più come tale e sempre meno come vita eterna, era un qualcosa al di là dal venire. Mi sarei trasformata in un vampiro, certo. Avrei vissuto l'eternità con Edward e con la famiglia Cullen, vero. Dopo la scuola, però. Dopo aver detto addio a Charlie e a Renee. Eventi che mi sembravano sempre lontani, e quindi non dolorosi.

Per sopportare tutto questo, invece, avrei avuto bisogno di una dose diversa di coraggio.

Non l'istinto, non la salvezza delle persone che amavo, non volontà di iniziare un futuro eterno.

Uno sconosciuto, nella mia pancia. Uno sconosciuto che però era parte di me. Anche di Edward. Una somma di noi e del nostro amore, se c'era stato amore. Dalla mia parte, almeno, potevo esserne sicura.

E quel bambino si sarebbe salvato. Comunque fossero andate le cose con me, il bambino sarebbe sopravvissuto.

Jacob aveva promesso. Non gli piaceva l'idea ma non poteva venir meno alla promessa. A dir la verità, non riuscivo neppure a pensare al contrario. Dovevo credere con tutta me stessa che il mio viaggio fino a qui ed ora fosse significato qualcosa, e avevo scelto di affidare il mio futuro a Jacob.

Non come il futuro della mia vita, che forse avrebbe potuto finire fra meno di due ore.

Il futuro nel senso di una persona che era parte me, e che sarebbe in ogni caso vissuta nel mondo anche se io me ne fossi andata.

Dopo qualche discussione, Jacob e Leah avevano deciso che sarebbe stata Leah a mordere. Lei voleva davvero aiutarmi ad avere il mio bambino e di questa le ero grata. Mi aveva raccontato la sua storia, una sera in cui non riuscivo a dormire per via dei calci che il piccolo mi stava dando.

Ero contenta che ci fosse lei con me, ma soprattutto con Jacob. Lei sarebbe sicuramente riuscita a frenare i suoi impulsi, a farlo ragionare.

Non potevo dare a mio figlio persone migliori per accompagnarlo nella vita. Ne ero certa.

Così affrontai anche quella paura.

Nei minuti precedenti il parto, dopo aver consumato una delle prede, strinsi i denti e mi preparai ascoltando i battiti del mio cuore impazzito.

Dovevo resistere. Anche io avevo fatto una promessa.

E dovevo resistere non solo per Jake, non solo per le parole che gli avevo rivolto. Dovevo resistere perché la cosa che desideravo di più al mondo era potere rivedere mio figlio, un giorno.

Ne avevamo parlato, prima.

Jacob e Leah sarebbero scappati subito, inoltrandosi nella foresta e portando con loro il bambino. Poi, dopo un lasso di tempo ragionevole, avrebbero controllato – forse Jake, forse Jake sarebbe potuto andare, entrare in un internet caffé; Jake era quello che era cambiato di più in tutto quel tempo, con i muscoli che aveva messo su –, avrebbero cercato notizie di me e, se fossi risultata essere ancora viva... Sarebbero tornati.

Non subito.

Non alla loro vecchia vita.

A parte il problema di Charlie, che sicuramente si sarebbe fatto due domande e sarebbe giunto alle conclusioni sbagliate, non avrebbero mai potuto tornare indietro senza abbandonare mio figlio, e questo non lo avrebbero fatto mai.

Ma se fossi stata viva, allora, forse qualcuno sarebbe potuto venire a bussare alla mia finestra nel cuore della notte.

Non chiedevo altro.

Solo la possibilità di rivedere mio figlio. Solo quello.

Così mi preparai.

Stinsi i denti, ignorando il dolore delle ossa rotte e dei lividi sullo stomaco. Osservai Leah inserire il coltello più affilato che avevamo nel mio piccolo pentolino, dove la neve era stata fatta sciogliere e portata ad ebollizione.

"Sarebbe sciocco che tu morissi per una stupida infezione." aveva detto tempo prima, mentre stavamo decidendo tutti i dettagli del parto "Pensa che sfiga, arrivare in ospedale per scoprire che è stato tutto inutile perché io non ho disinfettato il 'bisturi'."

Jacob aveva scosso piano la testa, mentre io avevo annuito.

Andava bene.

Andava tutto bene, io dovevo solo tenere duro.

"... E' pronto." disse infine Leah. Tirò fuori il coltello e si avvicinò.

"Va bene."

Jake mi aiutò a togliermi la giacca e le maglie. La pancia era enorme e svettava sopra ogni cosa, impedendomi la visuale. Forse era meglio così.

"Bella, dovresti bere, ora."

L'unico antidolorifico che avevamo era una bottiglia di rum che Leah aveva rubato quando ci era venuta incontro.

Io annuii e Jake mi passò la bottiglia stappata.

Bevvi e sentii il liquore bruciare nella mia gola. Cercai di bere il più velocemente possibile, perché sapevo che l'alcool non faceva bene al bambino... Ma, al contempo, non ero così idiota da credere che ce l'avrei fatta senza alcun aiuto.

Avrebbero dovuto squarciarmi la pancia. Mi serviva, non essere del tutto lucida.

Infatti sentii tutto girare per un po', poi Leah disse qualcosa che non colsi.

E, all'improvviso, il dolore esplose nel mio ventre.

Vidi il viso di Leah sparire oltre la collina della mia pancia, mentre Jake mi aveva messo una mano sulle labbra per soffocare il mio grido di dolore.

Non che cambiasse molto. I denti non li sentii, forse perché ero stordita o forse perché, con tutto il male che mi faceva, non aveva fatto poi così tanta differenza. Vidi la pancia afflosciarsi, mentre Leah tirava fuori il bambino.

"... E' una femmina." disse.

La mia immagine mentale di un piccolo bambino con gli occhi verdi si ditrusse, lasciandomi confusa. Poi vidi un arto della mia piccola muoversi, e allungai le braccia.

"Non penserai..." iniziò Jacob, lasciandomi la bocca, ma Leah mi aveva già posato la bimba sul seno.

La guardai.

Era la cosa più bella che avessi mai visto, ancora più di Edward. Non piangeva, ma respirava confusa e sbatteva le palpebre.

Era grande. Più grande di quanto sarebbe dovuto essere un bambino.

Aveva il volto di Edward e i riccioli color del rame, o forse quello era solo sangue. Gli occhi, però, erano miei.

Si appoggiò sul mio seno e morse.

Jake imprecò e me la tolse dalle mani.

"Elisabeth." sussurrai "Elisabeth."

Dopo la profonda gioia che era stata vedere mia figlia per la prima volta, stavo sprofondando nel buio. Non riuscivo ad alzare la braccia, a tenderle verso Jacob.

Volevo solo la mia bambina ma lei era sparita.

Stava sparendo anche tutto il resto.

Con l'ultimo barlume di coscenza, sentii qualcuno sollevarmi da terra.

 

***

 

Il parto era stato veloce e devastante. Mi ero tolto da Bella per impedire che quell'idiota di Leah le passasse la creatura, ma non avevo fatto in tempo.

"Sbrigati! Toglile tutto e andate!"

Leah non mi rispose neppure e affondò di nuovo le dita nella pancia di Bella.

Io mi sentivo perso, svuotato.

Tutto il bisogno che avevo avuto di Bella se ne stava andando. Era forse perché stava morendo? Perché era già morta?

Il mio corpo sapeva che la sua anima era già lontana?

E per colpa di chi?

Voltai la testa per concentrarmi sulla creatura, sul mostro che aveva ucciso la mia Bella. La vidi appoggiata sul suo seno – uno scempio, uno scempio coperto di sangue – e imprecai.

La stava mordendo.

La stava uccidendo di nuovo.

Non le era bastato succhiare la sua vita mentre era dentro di lei; doveva prendersi ogni cosa anche adesso, mangiare il cadavere della sua defunta madre e Leah non si sbrigava.

La tirai via da Bella e l'appoggiai sulla seconda preda che Leah aveva cacciato apposta per lei. Non mi girai a guardarla; invece non persi un secondo dell'agonia di Bella.

Leah aveva tirato fuori qualcosa dalla sua pancia e ora si stava alzando, sollevandola fra le braccia.

Non si girò, neppure per un saluto. Non me la presi.

Doveva essere veloce ed efficente. Peccato che fosse già tardi; peccato che avevo visto il viso esangue di Bella e non avevo provato nulla, nessun desiderio e nessun dolore.

Era finita.

Era lontana.

La creatura dietro di me emise uno strillo.

Con riluttanza, strappato ai miei pensieri vuoti, mi girai a guardarla per la prima volta davvero.

Non sentivo il bisogno di ucciderla, e a che pro? Non solo avevo promesso, ma non sarebbe servito comunque a niente.

Non avrebbe riportato indietro Bella.

Non avrebbe fatto morire me, per seguirla.

E la sua salvezza era l'ultima cosa che lei mi avesse chiesto.

Il piccolo mostriciattolo aveva finito di bere e si era voltato, cadendo giù dal pelo morbido dell'alce e finendo pancia all'aria sulla neve, rossa di sangue.

Non vidi i suoi occhi color nocciola, la sua pelle d'alabastro. Non sentii il cuo cuore battere veloce e non badai a nessun aspetto fisico di lei.

Semplicemente, qualcosa scattò.

Non ricordai il mio nome, quello di mio padre o dei miei amici, quello della donna che credevo di amare.

Non pensai a niente e smisi di esistere.

Lei era lì.

Lei aveva bisogno di me. Io avevo promesso ma non me lo ricordavo; non era importante.

Era lei.

Il centro dell'universo.

Con uno scatto la sollevai da terra e la presi in braccio.

"Stai bene?" chiesi, a metà fra lo stridulo e il preoccupato.

Elisabeth non piangeva, ma sorrideva. Sembrava non essersi fatta niente durante la caduta. La sua testa era più forte di quella di un neonato, doveva esserla.

Allungò una mano e mi toccò una guancia.

Se non sobbalzai dalla sorpresa fu perché le stavo ancora guardando il viso e non potevo smettere, semplicemente non potevo.

Vidi anche Bella, però.

Il suo viso devastato dall'alcool e dal dolore, che si apriva in un sorriso tremulo. Così come era iniziata, la visione sparì.

"La mamma non può venire da te adesso, Elsie." le risposi, in automatico – perché lei pretendeva risposta; lei non me l'aveva mostrato per nulla.

Elisabeth fece un'espressione corrucciata.

Prima che potesse aggiungere dell'altro, Leah era già tornata indietro.

"Che fai?! Dobbiamo correre, Jake! Dovevi già essere più avanti!"

Distolsi a fatica l'attenzione dal viso di lei per guardarla. E Leah mi stava guardando con orrore crescente, e comprensione.

"Oh no." disse "Oh no. Okay. Senti." si portò le mani alla testa, incurante del sangue che si stava spandendo addosso "Questo non era previsto ma davvero se ci tieni alla salvezza di Elisabeth dobbiamo andarcene. Credo che qualcuno abbia tentato di seguirmi, anche se i medici erano tutti attorno a Bella e l'hanno portata in sala operatoria."

Priorità.

La salvezza di Elisabeth contava oltre ogni cosa; era più forte del bisogno di guardarla.

"Va bene."

"Tienila in braccio e corri." le disse ancora Leah. "Io ti raggiungo da lupo."

Non me lo feci ripetere due volte. Con la bambina stretta a me, mi lanciai nella foresta.

Sentii Leah buttare il pentolone svuotato e il coltello nella tenda, il crepitio di un fuoco acceso e avvertii le vibrazioni della sua trasformazione. In breve tempo mi superò, con la tenda in bocca, aprendomi la strada.

 

 

Questa è la fine della prima parte della storia. La seconda è, purtroppo, ancora in lavorazione. È tutta nella mia testa ma il tempo materiale per scriverla... Beh, è contro di me.

Sappiate solo che da questa stora si è sviluppato un mondo. È andato così Oltre che io non credo riuscirò mai a raccontarlo tutto. Mi piacerebbe inserire almeno le storie principali ma, beh... Si tratta comunque di un lavoro immenso. Spero di farcela lo stesso, ma non vi posso assicurare niente sulle tempistiche ^^"

Per farvi un'idea, ad ogni modo, ci dovrebbe essere una seconda parte di questa storia, per "chiudere il cerchio" come si dice con gli avvenimenti rimasti in sospeso (dai libri). E altre due che nascono di conseguenza, per dare un senso più definito al mondo in cui i nostri personaggi vivono, diciamo così.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Ho deciso di farvi un regalo anticipato e di postarvi il primo capitolo della seconda parte di questa storia. Come dicevo prima, non ho pronto praticamente nulla e tutto è nella mia testa. Forse - forse, se riesco, potrei elaborare qualcosa durante le vacanze... Ma non prometto nulla. Ci spero, però, perché questa è una storia molto importante per me e vorrei riuscire a concluderla.
Buona lettura!

 

 

Seconda parte

 

Capitolo IX

 

Risalire era stata una lenta agonia.

Mi ero persa alcuni istanti e, se fossi stata lucida e non così stordita, sarei morta di paura per questo.

Però c'ero. C'ero ancora.

Ero alla deriva in un mare di dolore ma sentivo. Il dolore mi trascinava in basso. Era acqua densa e più nera della notte. Io incespicavo, non riuscivo a muovermi. Tenevo per un soffio la testa fuori, per poter respirare.

Il dolore mi comunicava che ero ancora viva, perciò mi ci aggrappai con tutta me stessa.

Faceva anche freddo. Il freddo mi intorpidiva i sensi e mi sussurrava di abbandonarmi. Per combatterlo, in quel nulla fatto di agonia, ripensai al peso caldo di mia figlia sul mio seno.

Mia figlia.

Non ne ricordavo né il volto, né il nome. C'era troppo dolore perché la memoria funzionasse a dovere.

Però ricordavo il calore.

Ricordavo un altro dolore, più piccolo e concentrato. I suoi denti sul mio seno, da qualche parte sopra il mio corpo.

Mi aggrappai a quel calore, a quel dolore, per resistere e non andare a fondo.

Dopotutto, non poteva mancare troppo tempo, no? Gli aiuti sarebbero arrivati. Dovevo solo resistere quel tanto che bastava.

Non importava se non fossi riuscita a tenere il passo del sovrannaturale. Importava solo che tenessi a galla me stessa, semplicemente. Gli aiuti non erano invincibili ma potevano farcela.

Il calore del ricordo di mia figlia mi sorreggeva.

Poi arrivò un'onda.

Non era un'onda di dolore, era un'onda di nulla.

Non riuscii a fare altro. Non avevo la forza di muovermi quindi rimasi lì, semplicemente, pensando con tutte le forze a lei.

Il morso, il calore.

Non era abbastanza.

L'onda cancellò ogni cosa.

 

***

 

Il risveglio dei sensi, stavolta, fu più lento e lungo. Graduale.

Non affogavo nel mare di dolore. In effetti, non sentivo nulla, se non una piccola eco in quello che doveva essere il mo ventre.

C'era bianco. Era una palude bianca in contrasto con il nero di prima.

Piano piano, la memoria tornò. Sentii il calore di mia figlia sulla mia pelle. Riuscii a visualizzare il suo viso, i suoi occhi. E quando lei chinò la testa per mordermi il seno; quando ricordai anche quel piccolo dolore caldo, l'udito tornò.

Non ero ancora in me stessa, ma sentivo un ritmico 'bip' circondarmi.

Pensai.

Mentre rivivevo nella mia testa gli ultimi giorni, ancora e ancora, aggrappata al calore immaginario di mia figlia, altre sensazioni emersero.

Ricordavo. Leah, Jacob.

Jake.

Lui che aveva tenuto a me stessa più della mia stessa vita; che mi aveva fatto una promessa.

Leah, che mi aveva donato mezza speranza.

Mia figlia. Elisabeth. Il peso caldo di lei sopra di me.

E all'improvviso capii che il 'bip' era il rumore di un macchinario ospedaliero collegato al mio corpo.

La consapevolezza mi diede una scarica di qualcosa, forse adrenalina, non proprio felicità.

Sollievo.

Ero viva. Contro ogni pronostico, ero viva.

Viva!

Il 'bip' accellerò un pochino e altri rumori invasero la mia piccola bolla bianca di nulla.

"Bella? Bella, stai bene? Sei sveglia?"

Charlie. Quella era la voce di mio padre.

Dopo un attimo di panico e smarrimento, ricollegai i fatti.

Naturale. Ero ricercata. Ero riapparsa in un ospedale, mezza morta, e così mio padre mi aveva trovata.

Mi avrebbe riportata a casa. Ne ero certa.

Andava bene – ero viva. Pronta per promuovere all'attenzione il piano A, che fino a poco tempo prima (ore? O forse giorni?) era stato il piano B, date le scarse speranze di successo per il parto.

Aspettare.

Avrei dovuto aspettare e Jake sarebbe tornato da me, portando con sé mia figlia.

"Dottore? Dottore, il battito è cambiato."

Sentii un fruscio, un rumore di passi.

"Va tutto bene. Si sveglierà non appena sarà pronta."

Ah, dovevo essere pronta? Non sentivo il mio corpo, forse era questo. Sentivo loro, però.

"Senta, lei..."

"Va tutto bene, signor Swan. Sta guarendo bene. Il trasferimento non le ha fatto alcun danno e la ripresa procede."

Trasferimento?

"Adesso ha un'idea precisa di cosa l'abbia...?"

"Non sono sicuro di niente, signor Swan. Ho sentito anche i miei colleghi. Sembrerebbe essere stata pugnalata – ma l'utero era molto compromesso. Come se avesse ricevuto più di un colpo. Mi dispiace, non so dirle di più. Sua figlia non è un cadavere con delle ferite aperte da esaminare, e di questo deve essere grato."

Sentii un rumore di sedia spostata. Forse Charlie si era risistemato meglio.

"Va bene." rispose poi "Mi scusi, sa che dovevo chiedere. E per l'altra cosa si sa...?"

Passò qualche istante di silenzio, mentre io, stupita, mi rendevo conto di avere delle braccia. Non potevo muoverle, ovviamente. Ma potevo sentirne il peso e cercare di stringere le dita; avvertivo qualcosa di morbido sotto i polpastrelli – le lenzuola?

"Mi dispiace. Allo stato attuale... Isabella sta guarendo bene. Purtroppo, però, temo che non potrà mai avere figli."

La notizia mi bloccò per un attimo. Ma io avevo già una figlia. E non era poi così importante.

Voglio dire, non mi ero mai immaginata come una madre, no? Solo qualche settimana prima, ero ancora convinta di voler diventare un vampiro. Essere immortale prevedeva la sterilità.

Adesso i miei piani erano cambiati, ma non avevo mai comunque pensato di mettere su famiglia.

E una figlia ce l'avevo.

Elisabeth.

Elisabeth, piccola, bellissima. Lontana.

Il disappunto mi uscì con un sospiro e io ritrovai le labbra.

"Bella?"

Di nuovo la sedia si mosse.

"Le lasci tutto il tempo che serve, signor Swan. Mi chiami quando apre gli occhi."

Non ci fu nient'altro.

Cotninuai a concentrarmi sullo stringere le mani. Piano piano, poco alla volta, il resto di me emerse.

Gambe, la testa.

Il ventre mi aveva mandato una fitta di dolore, costata un altro sospiro. E quando riuscii a stringere del tutto i pugni, trovai anche gli occhi.

La luce mi trafisse, facendomeli chiudere subito. Li riaprii poco a poco, mettendo a fuoco la scena e fissandomi sul viso di Charlie, che era chinato sopra di me e mi guardava con preoccupazione e sollievo.

"Bella? Va tutto bene, tesoro." mi stava dicendo "Va tutto bene. Sei viva."

Ero viva.

E non potevo esserne più felice.

 

***

 

Le cose non ci misero molto per peggiorare.

Dal punto di vista fisico stavo bene. Avevo ancora il bacino rotto, che si stava saldando pazientemente. Il ventre mi dava noia per il dolore, ma continuavo a prendere delle medicine e anche quello, piano piano, stava passando.

Il fatto era che, beh, non avendo avuto molto tempo per pensare e non avendo avuto in ogni caso alternativa, non avevo fatto i conti con Charlie.

"Bella. Devi dirmi cos'è successo, lo capisci, vero?"

Ero tornata a casa da poco più di tre giorni, e mio padre non aveva mai smesso di fare domande.

Come sempre, girai lo sguardo e mi misi ad osservare fuori dalla finestra. Avevo le labbra cucite e pensavo a Elisabeth.

Il suo peso caldo su di me. Il suo morso sul mio seno.

Come stava adesso? Era con Jacob; dovevo credere che sarebbe andato tutto bene o sarei impazzita.

Ma quanto sarebbe cambiata? Ricordavo gli occhi color nocciola... I miei occhi.

I miei occhi in un volto perfetto di porcellana.

Charlie si spostò fino a coprirmi la visuale.

"Bella, abbiamo trovato una sorta di... Circolo woodoo con un falò, carcasse di alci bruciate e sangue. Il tuo sangue. Devo saperlo, Bella. E' stato Jacob?"

Serrai ancora di più le labbra, ma scossi la testa.

Non potevo dirlo a Charlie. Non era un segreto solo mio; nonostante tutto, non potevo tradire i Cullen.

E non potevo tradire la mia bambina.

"Bella..."

Sospirai.

"Non è colpa di Jake. Jake mi ha salvata."

Almeno questo glielo dovevo. Non potevo rivelare il segreto dei vampiri e dei lupi, ma quello sì.

Jake doveva uscirne pulito. Anche se non sarebbe potuto tornare dalla propria famiglia per un bel po' di tempo...

Cercai di scacciare il senso di colpa deglutendo. Jacob aveva fatto le sue scelte, almeno; io, in tutto questo, ci ero stata costretta. Non me ne pentivo, però. Non ora che ero viva, e che era viva anche la mia bambina.

"E' stata una donna a portati in ospedale, Bella. Anche lei indiana. E alla riserva sembra che da un po' di tempo manchi Leah."

Scossi di nuovo la testa, piano, sottraendomi al suo sguardo.

Elisabeth. Dovevo pensare a Elisabeth e a nessun altro.

Fu il turno di Charlie di sospirare. Tirò verso di sé la vecchia sedia a dondolo e ci si lasciò cadere, incrociando le mani davati al viso.

"Bella, così non va bene. Non sei coinvolta solo te, lo capisci, no? Jacob e Leah sono i figli dei miei due migliori amici. Perché non collabori? Riesci a pensare a quanto sia difficile tutto questo per me?"

Elisabeth.

Dovevo pensare solo... Solo...

"... Beth."

"Cosa? Cosa hai detto?"

Sobbalzai. Non mi ero accorta di averlo lasciato uscire. Chiusi le mie labbra più strette fra loro.

"Bella..."

"Jacob e Leah non c'entrano, papà. Devi credermi. Fidati di me su questo."

Charlie scosse ancora la testa e uscì dalla mia camera.

Il giorno dopo venne una psicologa.

Sapevo che mio padre era davvero preoccupato per me, ma io non potevo dargli le risposte che cercava. Semplicemente non potevo.

E ogni giorno che passavo senza poter vedere Elisabeth, era un giorno in più in cui mi sembrava di impazzire lentamente.

Nemmeno lontanamente paragonabile rispetto a quando avevo sofferto per Edward. Lui, dopotutto, vampiro o non vampiro, era solo un ragazzo.

Elisabeth era il mio futuro, lo sapevo. Parte di me, perfetta e unica. Sapevo di dovermi fidare di Jacob, ma più il tempo passava e più restavo in ansia.

Ovviamente la psicologa non riuscì a farmi dire nulla. Venne ancora, e ancora – rimasi sempre in silenzio, osservando fuori dalla finestra.

Alla fine Charlie chiamò anche Jessica e Angela, Mike e gli altri.

Rimasero tutti in camera mia a chiacchierare del più e del meno, con la scusa di portarmi gli appunti di ciò che mi ero persa – neanche un mese di scuola.

Ero cambiata, dentro e fuori; avevo avuto paura di morire ed ero scappata di casa; mi ero appoggiata a Jacob come a nessun altro e avevo dato alla luce mia figlia. Avevo lasciato alle spalle il mio passato pensando di dover fare un salto nel nulla, e ora mi ritrovavo con un futuro tutto da scrivere e una figlia lontana. E tutto questo in meno di un mese.

Gli altri non avrebbero mai capito. Nessuno avrebbe mai capito. Posto di poterne parlare a qualcuno, posto che il soprannaturale diventasse una cosa scontata e di dominio pubblico.

Nessuno poteva capire come mi sentivo io.

Dopo di quella giornata infernale, fatta di occhiate spaventate e confuse, di sorrisi tirati e di silenzi da parte mia, solo Angela tornò a trovarmi.

"Non importa, sai." mi disse "Sono qui per aiutarti a fare il bagno e a studiare e nient'altro. Non devi aprirti per forza. Però sembra che il segreto che ti porti dentro pesi, e quindi sono qui semplicemente per tenderti una mano."

Più volte avevo constatato come Angela possedesse una comprensione profonda delle cose e come al contempo ruscisse ad essere delicata e poco insistente, pur facendo sentire la propria presenza.

"Mi chiedo quale sia il tuo talento." risposi, prendendo la mano che mi offriva e cercando di alzarmi. Non camminavo moltissimo; riprendersi prevedeva tempi lunghi, eppure continuavo a insistere.

Mentre mi appoggiavo a lei per andare verso il bagno, pensai davvero a che talento avrebbe avuto Angela come vampiro. Qualcosa di simile ad Edward? Era troppo calma per il talento di Jasper, ma aveva comunque il dono di farti sentire a tuo agio, quindi...

"Non ho nessun talento." rispose lei, sorridendo leggermente.

"Ma se potessi avere un superpotere, cosa ti piacerebbe?"

Chiacchierammo così tutto il pomeriggio, di cose inutili e di cose incredibili, nessuna presa sul serio. Lei non nominò mai la mia disavventura e io non dissi niente. Però fu piacevole.

Un piccolo intermezzo sereno mentre il pensiero di mia figlia lontana mi lacerava dentro.

E finalmente, dopo più di una settimana che ero a casa, quando Charlie era contento di vedermi stare meglio ma preoccupato perché non gli dicevo nulla, durante la notte qualcuno colpì la mia finestra.

Mi alzai a fatica, ringraziando di non aver preso ancora il sonnifero. Da quando ero tornata, ormai era d'obbligo. Oltre ad aiutarmi con il dolore, mi impediva di blaterare cose su lupi, vampiri e figli vari mentre ero a portata d'orecchie di Chiarlie.

Spalancai la finestra dopo che il secondo sassolino l'ebbe colpita, ma non vidi nulla.

"Spostati!"

Era stato poco più di un sussurro nel vento. Mi feci da parte e Leah entrò con un salto.

I capelli le erano cresciuti in maniera disordinata; indossava gli stessi vestiti di sempre e a dirla tutta non aveva proprio un buon odore. Non fu per quello, però, che non mi avvicinai subito a lei per abbracciarla.

"Lei dov'è?"

"Sta bene, non preoccuparti."

"E allora dov'è? E Jake?"

Leah mi sorrise.

"E' bello vedere anche te, Bella."

"Oh, Leah, mi spiace. Ma è così tanto che aspetto!"

Mi lanciai fra le sue braccia per quanto le mie ossa malandate mi consentirono, e lei mi strinse piano per evitare di farmi male.

"Vieni, sediamoci un attimo."

"E mi dici cosa stanno aspettando?"

"Credo che Jacob abbia paura."

"Paura?" chiesi, perplessa "E' successo qualcosa a Elisabeth?!"

"Sht! Elsie sta bene, non preoccuparti."

"... Elsie?"

"E' così che la chiama Jake. Scusa."

Scossi piano la testa.

"No, va bene, mi sembra carino. Perché Jacob ha paura?"

Leah si sistemò meglio sul letto. Non mi guardava negli occhi e sembrava incapace di esprimersi. Attesi venti secondi, poi incalzai.

"Leah?"

"Ecco... Ti ricordi... Ti ricordi quando ti ho parlato delle leggende dei Quileute? Quando ti ho parlato di Sam?"

Io annuii. Mi concentrai al meglio sulle sue parole, cercando di non perdere la pazienza.

Volevo solo vedere mia figlia, perché quell'idiota di Jacob stava facendo tutta questa scena?

"L'imprinting è un fenomeno non controllabile, come sai... Quello che non sai è che, beh, non sempre si concretizza in un rapporto romantico."

Alzai un sopracciglio, leggermente scettica.

"Voglio dire... Il lupo che subisce l'imprinting diventa ciò di cui l'altra persona ha bisogno."

"... Non capisco. Emily aveva bisogno di rubare il ragazzo alla sua cugina preferita?"

Leah strinse appena le labbra e la fissò negli occhi.

"E' più una questione di età, in realtà."

"Età?"

"Mh... Per esempio... Si narra che un nostro vecchio capo tribù, un lupo ovviamente, avesse preso sotto la sua ala la figlia della sciamana. Che non le desse molta importanza fino a che non si fu trasformato; improvvisamente, invece, dopo il primo giro di ronda con il branco, quando ancora era un ragazzo, tornò a casa e la scorse sul mare a cogliere conchiglie. E non la lasciò più."

"Leah..."

"Insomma, all'epoca quella bambina aveva otto anni. E per altri otto lui fu per lei un padre e un fratello impeccabile. Solo quando lei raggiunse la maggiore età e fu iniziata ai misteri della vita e delle donne, si concesse di chiedere la sua mano."

"Leah... Non capisco..."

Leah fece un'espressione incerta e anche un po' spaventata. Si allontanò appena, piegando il busto all'indietro.

Fu quel gesto, così inaspettato, che mi fece aumentare il battito cardiaco.

Da qualche parte, dentro di me, lo sapevo. L'avevo capito da subito e semplicemente non volevo ammetterlo.

"Non..."

"Jacob ha avuto l'imprinting con Elsie." disse Leah, tutto d'un fiato "Ti prego, non uccidermi, ambasciator non porta pena, giusto?"

Non persi neppure tempo a risponderle. Mentre lo diceva l'avevo fissata con occhi spalancati, incredula e furiosa, ma adesso sapevo esattamente cosa doveva fare.

Mi alzai e tornai alla finestra.

"Jacob Black! Vieni qui, subito!"

Un profondo grugnito lontano mi ricordò che non ero sola in casa e che Charlie poteva svegliarsi da un secondo all'altro.

Mi feci da parte e Jake saltò in camera mia, stringendo a sé qualcosa.

Tutta la furia evaporò in un istante. Elisabeth aveva il volto rivolto verso di me, e mi osservava.

Era bellissima.

I suoi occhi erano la perfetta copia dei miei. Non solo nel colore, anche nel taglio. Mi scrutava con un'espressione neutra che conoscevo bene, valutando il mondo con il mio stesso metro di giudizio.

Le ciglia che emergevano dalle palpebre, però, erano ramate. Ramati erano anche i suoi capelli, lunghi e mossi, che le cadevano oltre la schiena, stretti fra lei e il petto di Jacob. Il suo volto era pallido, ma non il pallore malato dei vampiri: una vampata di colore permaneva sulle guance e le sue labbra, anch'esse rosee, erano ferme in un'attesa morbida.

Era la piccola copia di Edward. La mia presenza, la mia ingerenza su di lei, a sorpresa, l'aveva migliorata anziché penalizzarla.

La fissai negli occhi per un lungo istante. Il dolore che avevo provato, la mancanza di lei... La vita che avevo vissuto, le scelte sbagliate e il mio amore per Edward si erano riunite tutte in questo istante; il primo istante in cui potevo ammirare mia figlia in tutto il suo splendore, riconoscerla e riconoscermi in lei.

All'improvviso, capii come si dovesse essere sentito Jacob. Non sapevo nulla dell'imprinting, nulla dei lupi, ma potevo comprendere come tutto perdesse di significato, di fronte all'amore che provavo per mia figlia e che era sbocciato in maniera così naturale.

"Elisabeth." sussurrai, tendendo le mani. Non mi ero neanche disturbata a fissare Jake in faccia.

Ed Elisabeth, una creatura già perfetta così, sorrise. La sua gioia incendiava ogni cosa. La sua felicità, finalmente compresi, era il motivo per il quale sarei andata avanti nella vita, sempre e comunque.

Solo per lei.

Tese anche lei le mani verso di me, e Jacob l'avvicinò quel tanto che bastava perché la prendessi in braccio.

"Ti devo avvertire, Bella." dissi, e riconobbi la sua voce dolce, molto più delicata e soffice di quanto fosse mai stata "Lei ha un dono."

Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che Elisabeth mi toccò una guancia. Improvvisamente, il mio mondo si ribaltò ancora.

Vidi la terribile scena del parto. Il volto di Leah che si allontanava e lei che avvertiva la consistenza calda e morbida del mio seno. Vidi il mio volto, i miei occhi riflessi nei suoi. Il mio sorriso meravigliato, dietro uno sguardo di dolore.

"... Oh." dissi solo, barcollando leggermente all'indietro. Leah mi sorresse e mi aiutò a sedermi sulla sedia a dondolo.

"Cosa ti ha mostrato?" chiese Jake.

Per la prima volta, tolsi gli occhi da mia figlia e alzai lo sguardo su di lui. Si manteneva a distanza, l'espressione dispiaciuta, ma non riusciva a trattenere una traccia di curiosità. I suoi occhi scivolavano sempre su Elisabeth, perdendosi nell'estati, ma stava facendo di tutto per controllarsi e perché non me ne accorgessi.

Sbuffai.

"Il mio viso." dissi "Il giorno del parto."

"Sì, lo fa spesso. Era impaziente di rivederti." disse Leah, sedendosi sul bordo del letto.

"Che cosa... Che cos'era quello?" chiesi, tornando a guardare Elisabeth.

"Il suo dono." rispose Jake "Riesce a mostrare agli altri i propri ricordi, semplicemente attraverso il tocco."

Io annuii.

"Elsie? Vuoi mostrarmi qualcos'altro?"

Lei si girò verso Jake, che annuì. Sbuffai un'altra volta. Dopodiché mia figlia mi toccò di nuovo la guancia, mostrandomi ogni cosa.

Restai a godermi le prime settimane di vita di mia figlia. Non avevo cuore di chiudere gli occhi, perché il suo volto era perfetto e i ricordi chiari nella mia mente; non confondevano affatto la mia vista né viceversa.

A quanto pareva, Jake e Leah non avevano fatto altro che correre per i primi due giorni. Lontani, verso nord, per mettere il più possibile distanza fra loro e l'ospedale.

Elsie era rimasta sempre in braccio a Jacob, nuda; le uniche volte in cui non era con lui era perché Leah le aveva preso una preda e lei stava mangiando, ma Jake rimaneva sempre a massimo mezzo braccio di distanza.

Dopo la fuga, una volta accertato di essere abbastanza distanti, montarono finalmente la tenda. Jake la lasciò per la prima volta sola per andare a mangiare; dopodiché fu Leah ad allontanarsi, tornando solo in serata con alcune provviste, dei vestiti per Elisabeth – che era cresciuta parecchio, in soli due giorni – e un giornale arrotolato fra i denti.

"E' viva." disse, come prima cosa, una volta ritrasformata. Jacob aveva appena finito di mettere una tutina ad Elisabeth "Charlie l'ha rintracciata. Parlano di terapia intensiva e prognosi riservata, comunque."

Jake annuì, poi rispose ad una domanda silenziosa di Elsie.

"Sì, è la mamma. Adesso non sta tanto bene ma vedrai che fra qualche tempo andremo a trovarla."

Mi godetti altri giorni pigri, passati a correre, cacciare, mangiare. Il sapore del sangue animale era strano. Avvertivo un lieve disgusto in Nessie; sentivo l'odore e il sapore che sentiva lei, eppure mi era totalmente estraneo. L'unico modo che avevo per comprenderlo era pensare a ciò che io avevo sentito la prima volta che l'avevo assaggiato, mentre la portavo nel grembo. Era così... Disorientante.

Dopo alcuni minuti, o forse ore, in cui avevo ignorato palesemente i miei ospiti per continuare a guardare Elsie e i suoi ricordi, qualcosa cambiò in essi. Sfarfallavano, sembravano sempre più evanescenti.

"Cosa..." iniziai, ma prima che potessi finire la frase lei sbadigliò e chiuse le palpebre, addormentandosi. La sua mano scivolò via dalla mia guancia.

"Oh." esclamai "Non sapevo... Non sapevo che dormisse."

"E' stata una grande sorpresa anche per noi." mi rispose Leah "Dovevi vedere Jacob la prima volta che è successo, era in ansia come una mamma chioccia e credeva che le fosse successo qualcosa. Si è calmato solo quando ha avvicinato il viso al suo e l'ha sentita respirare."

Jake afferrò un cuscino e glielo tirò addosso, ma Leah si limitò a ghignare e non colse la provocazione.

"Sì, beh." disse quindi Jake, lanciandole un lampo d'odio con gli occhi "Questo, almeno, ha reso le cose più facili, poi. Elsie dorme sempre almeno otto ore a notte; in questo modo anche io e Leah siamo riusciti a dormire senza il terrore che sgattaiolasse via da qualche parte."

"Sgattaiolasse?"

Jake strinse leggermente le labbra.

"Dopo pochi giorni dalla nascita, ha iniziato a gattonare. Una settimana dopo... Si è alzata in piedi e ha corso. Sa anche già parlare, ma preferisce mostrare."

Con un brivido, abbassai di nuovo lo sguardo su mia figlia. Accecata dall'amore che avevo provato vedendola, non avevo davvero fatto caso alle differenze fra questa Elsie e quella che, appena due settimane prima, era uscita dal mio ventre.

Era cresciuta.

In poco meno di un mese dentro di me si era formata una bambina, nata sana e a termine. Due settimane dopo, Nessie sembrava già dimostrare alcuni mesi di età, sedeva a schiena dritta e, stando a Jake, poteva camminare, correre e parlare.

Era presto.

Era troppo presto.

Il mio cuore cominciò ad accelerare, così come il mio respiro. Leah prese Elsie dalle mie braccia mentre Jake si inginocchiava davanti a me, afferrandomi le mani.

"Bella. Bella, calmati."

"E' presto." sussurrai "E' presto."

"Lo so." rispose Jake.

Poco a poco, riuscii a combattere la crisi di panico che minacciava di sopraffarmi.

"Che facciamo?" chiesi infine, quando della paura rimaneva solo un lieve tremito nella voce.

Jake chiuse gli occhi e scosse piano la testa.

"Ragazzi, credo che sia il caso che voi parliate da soli."

Sia io che Jake lanciammo un'occhiata a Elsie, profondamente addormentata fra le braccia di Leah. Lei sbuffò.

"Va bene, va bene, ve la lascio qui."

Jacob mi aiutò ad alzarmi dalla sedia a dondolo e a rimettermi a letto. Poi fece il giro e si sedette dall'altra parte, stretto a me perché c'era pochissimo spazio e lui era immenso. Leah depose Elsie fra di noi e uscì dalla finestra, accostandola dietro di sé.

"Torno fra qualche ora." sussurrò, appena più forte del vento.

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Questo è l'ultimo capitolo pronto che ho. Negli ultimi giorni sto rileggendo Twilight, mi è tornata nostalgia per questa storia... Sono sempre intenzionata a finirla. Rileggere i libri mi permetterà di rimettere in ordine temporalmente i fatti, spero.
E spero anche di non farvi più aspettare così tanto!
Buona lettura.

 

Capitolo X

 

Avrei dovuto parlare della rapida crescita di Elisabeth, chiedere a Jacob conferme, insistere perché trovassimo una soluzione.

Invece, da quando Leah aveva poggiato mia figlia fra noi, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era la sua presenza a metà fra me e Jake; la gamba di Jacob a contatto con la mia, il suo essere qui, accanto a me, così vicino da toccarlo.

E mia figlia.

Mia figlia in mezzo a noi.

"... E' stato come un padre, un fratello per lei, fino a che non ha compiuto diciott'anni..."

Le parole di Leah mi rimbombavano nella mente.

Quelle, e il mio addio disperato a Jacob.

Così, invece di parlare di Elisabeth, alzai lo sguardo per incontrare quello del mio migliore amico e chiesi: "Jake, come funziona l'imprinting?"

Lui sbatté le palpebre due volte, sorpreso.

"Uhm..." iniziò a rispondere, accigliandosi appena "Semplicemente, quella persona diventa la più importante dell'universo, faresti di tutto per proteggerla e salvarla e la sua felicità diventa la tua felcità."

Mi morsi leggermente il labbro inferiore, tornando a guardare mia figlia.

"E... Gli altri? Le altre persone? Chi era nella tua vita prima del tuo imprinting?"

Ci fu una pausa di alcuni secondi, fino a che non mi decisi di nuovo ad alzare gli occhi e a guardarlo.

Vidi che aveva capito. La sua espressione era attenta; leggermente dispiaciuta. Le sue sopracciglia erano appena inarcate.

"Posso ricordarlo, Bella. Posso... Non è la stessa cosa. L'imprinting non cancella i legami precedenti, è solo... Più forte. E' un ordine che non posso rifiutarmi di eseguire."

"Capisco."

Jacob mi afferrò il mento con una mano, impedendomi di distogliere lo sguardo.

"Bella, io ti amo." disse. Alcune lacrime iniziarono a spuntare sulle mie ciglia, ma io feci di tutto per non farle cadere.

Lo sapevo, l'avevo sempre saputo.

Ma era la prima volta che Jacob lo diceva.

"Ti ho amata, ti amo ancora. Lo posso ricordare, lo posso sentire. Ma... Non è la stessa cosa."

Aveva l'espressione più lacerata che gli avessi mai visto. Sembrava anche lui sull'orlo delle lacrime; sapevo che era devastato quanto me.

L'imprinting non era stato previsto. Se il fato non avesse deciso che Nessie era la sua compagna perfetta, avremmo potuto ritrovarci. Avremmo potuto iniziare insieme qualcosa.

Mentre lo realizzavo, mi rendevo anche conto di quanto ci avessi sperato. Di quanto i miei pensieri fossero sempre andati a mia figlia, ma non solo: Jacob, con lei. Mi fidavo di Jacob, e non della promessa che gli avevo strappato con un bacio. Non ero diventata così meschina da approfittarmi dei miei sentimenti per lui solo per salvare me stessa, anche se ancora non l'avevo capito.

Mi fidavo di Jacob, perché mi ero resa conto di amarlo anch'io allo stesso modo.

Una lacrima sfuggì al mio controllo.

Jacob era stato la mia luce, il mio sole. Mi aveva accolta a sé e curata in un momento in cui la mia vita sembrava essere implosa. Mi aveva tenuta al sicuro anche quando la mia morte sembrava una certezza e, per lui, aveva il sapore del tradimento.

Mi aveva protetta. Mi aveva amata con tutto se stesso.

E il destino, il karma o gli dei, comunque si volessero chiamare, avevano deciso di punirmi per il mio egoismo. Avevano legato mia figlia a lui. L'unica persona al mondo che non avrei mai potuto odiare, per nessuna ragione.

"Avevo pensato." dissi, la voce roca, cercando di mascherare il mio tormento "Leah prima ha detto, avevo pensato... Che potessi essere come un padre, per lei."

Jacob fece scivolare il pollice sulla mia guancia, a cancellare la mia lacrima.

"Adesso, lo sono." mi disse "Sono quello di cui ha bisogno. Questo, però... Non cambia il mio legame con lei."

Chiusi gli occhi, sopraffatta. Volevo voltarmi, volevo dargli la schiena e andarmene. Volevo rinchiudermi di nuovo nel mio dolore.

Non lo feci. Avevo già sbagliato una volta e, comunque, lui non me l'avrebbe permesso. Rimasi così, il volto alzato verso il suo, mentre le lacrime scendevano piano.

"E' così, quindi? Non c'è speranza?"

"Bella..."

La sua voce, così tormentata, mi fece riaprire gli occhi. Sembrava così perso; a metà di due mondi.

Vedevo che stava tentando di lottare contro se stesso. Vedevo che voleva essere umano, nonostante tutto.

Per la seconda volta, mentre il mondo cercava di toglierci ogni speranza, Jacob si chinò su di me e mi baciò.

Fui io a non contenermi. Con le mie mani gli afferrai il volto e piegai leggermente la testa, cercando di approfondire il bacio. Jacob seguì senza alcuna esitazione i miei movimenti; aveva fatto scivolare la sua mano lungo il collo e mi aveva afferrato la nuca, con dolcezza, quasi temendo di farmi male. Con l'altro braccio mi aveva circondato le spalle, attirandomi a sé.

Il bacio finì e in bocca mi rimase un retrogusto amaro, di rimpianto.

"Dio, Bella." mi sussurrò lui sulle labbra. Aveva gli occhi chiusi e la fronte appoggiata alla mia "Solo un mese fa, avrei pagato per questo. Com'è possibile che sia andato tutto così... Male?"

Mi abbassai su di lui, poggiando il volto nell'incavo del suo collo.

Era caldo; quasi bruciava. Così diverso da Edward. Non volevo allontanarmi, però, per nessuna ragione.

Non avevo risposte.

Jacob mi circondò con entrambe le braccia. Lo sentii sospirare e seppi che stava guardando, come me, Elisabeth.

"Troverò un modo, Bella. Ti giuro che lo troverò."

Sorrisi appena, amareggiata.

"Meno di una mezza speranza?"

"Una volta ha funzionato. Perché no?"

Non risposi e scossi leggermente la testa. Jacob accarezzava piano la mia schiena.

"Abbiamo problemi più urgenti." disse infine. Anche se non avessi sentito la lieve nota di panico nella sua voce, avrei compreso.

"Lo so. Lei... Cresce in fretta. Troppo. Non... Non so cosa farci."

Stare fra le braccia di Jacob, stranamente, riusciva a calmare il panico. Ero sempre spaventata, ma anche lucida.

Elisabeth era la mia ragione di vita. Non potevo assolutamente perderla.

"Non hai nessuna idea? Nessuna cosa che... Loro possano averti detto?"

Scossi di nuovo la testa.

"Non penso che esista una cosa del genere, nel mondo dei vampiri. Non penso che... Edward ne fosse a conoscenza. Non mi avrebbe lasciato in questa situazione, se l'avesse saputo."

"Ne sei sicura?"

Era strano che una domanda come quella fosse stata posta senza alcun astio. Non ci ero abituata.

"Sicurissima."

Ci avevo già riflettuto, all'inzio di tutta questa storia. Edward poteva essersi stancato di me; poteva disprezzarmi, persino, ma non sarebbe mai arrivato ad uccidermi. Non ad odiarmi in questo modo. Non rischiando di esporre tutta la sua famiglia.

"Va bene. Che facciamo, quindi?"

"Non lo so. Penso che fra poco crollerò dal sonno, però."

Sbadigliai e mi accomodai meglio sul suo petto. Era stata una giornata difficile e densa di emozioni.

"Resta." sussurrai solo, già a metà strada verso l'incoscenza "Resta."

"Non vado da nessuna parte, Bella." mi rispose Jake.

Io ero già nel mondo dei sogni.

 

***

 

Mi svegliai da sola, vagamente disorientata. Il sole sembrava sorto da poco e ci misi alcuni istanti a mettere in ordine i pensieri, a ricordare.

Quando già stavo cominciando ad infastidirmi perché Jake se ne era andato, infrangendo la promessa, sentii il campanello suonare e la sedia di Charlie grattare il pavimento, mentre lui si alzava per andare ad aprire.

Uscii dalla camera con l'idea di passare per il bagno a darmi una rinfrescata, ignorando il misterioso ospite che probabilmente era un altro psicologo in cerca di verità che non potevo riferire, quando una voce acuta e musicale mi colpì le orecchie, paralizzandomi sul posto.

"Ciao, Charlie. Bella è in casa?"

Il mio cuore perse un battito, poi iniziò a pompare più forte di prima. Ero immobile, paralizzata dalla sorpresa.

"Sono qui da sola, Charlie." aggiunse Alice, abbassando appena la voce – ma riuscii comunque a sentirla.

A questo punto il mio corpo si riscosse e io mi girai in fretta, per quanto lo consentisse il mio bacino.

"Alice." la chiamai, comparendo in cima alle scale.

Lei sorrise, ma io potei vedere un'ombra strana nei suoi occhi.

Charlie grugnì qualcosa, disapprovando, ma si tolse di mezzo e permise ad Alice di raggiungermi. Io la vidi salire le scale con il suo solito passo danzante – inumano – e le diedi le spalle, tornando in camera.

"Bella." mi disse lei, sempre sorridendo e sempre con quella nota di stupore e allarme nello sguardo.

Io alzai in dito e la interruppi.

"Ho bisogno di un minuto umano."

Andai in bagno, cercando di fare ordine nei pensieri. Come mi sarei dovuta comportare? Perché Alice si era presentata alla mia porta, perché ora?

Quando tornai indietro, non riuscii a mascherare del tutto l'irritazione. Lei se ne accorse, ma fece finta di nulla e aspettò che mi sedessi sul letto prima di parlare.

"Bella, come stai?" chiese infine, corrugando la fronte.

A quel punto incrociai le braccia e girai il volto dall'altra parte.

"Come se non lo sapessi." risposi, e mi stupii di avvertire più veleno del dovuto nel mio tono.

Aveva amato anche Alice. Lei era stata, nella mia mente, la mia futura sorella. E non solo aveva seguito Edward nel suo abbandono, ma mi aveva lasciata sola mentre rischiavo la morte.

Si era ripresentata adesso, a distanza di settimane; più di un mese da quando il mio incubo personale era cominciato. Adesso andava tutto bene, sì, ma non si poteva dire che la mia fosse stata una gravidanza tranquilla.

"Non lo so, Bella." rispose, e l'angoscia nel suo tono mi convinse a voltarmi di nuovo, per osservarla "Non lo so davvero."

Sbattei le palpebre.

"... Non lo sai?"

Avevo voluto bene ad Alice. Mi ero sentita quindi doppiamente tradita, doppiamente abbandonata, quando lei non era apparsa. Ma se non lo sapeva... Non lo sapeva?!

"Circa un mese e mezzo fa la tua immagine ha cominciato a sfuocarsi." disse, sussurrando, come se temesse che qualcuno potesse sentirla "Riuscivo ancora a vederti, anche se con parecchio sforzo, e solo per qualche minuto. Non riuscivo a scorgere nel tuo futuro, Bella. Mi sono spaventata."

Io la fissai con gli occhi e la bocca spalancata, osservando l'incertezza e la paura farsi largo nel suo sguardo.

"... Ma non sei venuta." dissi infine "Anche se stavo scomparendo, non sei venuta."

... Possibile che le visioni di Alice fossero andate fuori fase proprio per colpa della gravidanza?

Lei mi puntò gli occhi addosso e mi fissò con un'intensità tale da farmi abbassare lo sguardo.

"Sarei corsa subito, ma non sapevo dove andare." rispose "Ti vedevo solo per poco, e non riuscivo ad identificare il luogo. C'erano solo alberi a non finire. E tu sembravi malata."

Strinsi le labbra, riflettendo.

"Poi la notizia della tua scomparsa è apparsa su tutti i telegiornali. Ho mentito, Bella, ho mentito a tutti dicendo che era stata solo una ragazzata da parte tua, che eri con Jacob – all'inizio mi è capitato di vederlo, poi ad un certo punto è scomparso anche lui. Dicevo a tutti che stavi bene anche se vedevo il tuo volto farsi più scavato."

Rialzai lo sguardo su di lei.

"Perché?"

Alice sospirò e si sedette sulla sedia a dondolo.

"Perché avevo la fortuna di non vivere con Edward, e sapevo che se a lui fosse giunta una sola voce sospetta avrebbe fatto a pezzi tutte le foreste d'america pur di ritrovarti. E, se non ci fosse riuscito, avrebbe potuto compiere qualche pazzia."

La risposta mi prese in contropiede.

"Cosa?!"

Alice la fissò ancora intensamente.

"Bella, lui non può vivere senza di te."

Mi alzai di scatto, ignorando il dolore del mio ventre.

"Cosa?! Non prendermi in giro! Lui se ne è andato, è colpa sua se...!" Mi interruppi, realizzando in un secondo le implicazioni di ciò che stava dicendo Alice "Tu non sai nulla." conclusi quindi, la rabbia evaporata a favore di un totale sbalordimento.

"No, non so nulla, Bella. Vuoi per favore spiegarmi che cosa diamine è successo?! Ti ho visto arrivare in ospedale. Ho visto che ti saresti salvata e l'ho detto a tutti, anche se a quel punto è risultato evidente che qualcosa non andasse nelle mie precedenti visioni. Nessuno me ne ha fatto una colpa esplicita, dato che conoscono tutti meglio di me Edward e la sua tendenza al melodramma. E poi sei sparita di nuovo... Non potevo non venire a controllare, capisci, Bella?"

Rimasi ferma e in silenzio ancora alcuni istanti, persa nello stupore.

"Non sai nulla." ripetei infine "Nessuno sa nulla. Edward non sa nulla."

"Edward ha avuto la fortuna di andare a piangere in Sudamerica, dove la notizia della tua scomparsa non l'ha raggiunto, quindi no, non sa nulla. Ma io devo sapere se c'è qualcosa, Bella. Mi ammazzerebbe se non lo facessi; mi ammazzerà comunque quando scoprirà che gli ho tenuto nascosto qualcosa! Dimmi almeno di che morte devo morire!"

Boccheggiai ancora un paio di volte.

"Con che diritto!" esclamai infine "Con che diritto lui dovrebbe preoccuparsi per me!" Non erano propriamente domande, quando affermazioni indignate "E' stato lui a lasciarmi! E, e, è stata tutta colpa sua!"

Alice si alzò e mi afferrò per le spalle, impedendomi di gesticolare tutta la mia furia.

"Bella." mi disse, serissima, guardandomi negli occhi "Edward ti ama. Se ne è andato per la tua sicurezza, per lasciarti vivere la tua vita umana... E' stato un coglione, tutti noi gliel'abbiamo detto – tranne Rosalie, ma beh, lei è un caso a parte. In ogni caso lui tiene a te più di quanto tu possa immaginare. Credevi davvero che ti avrebbe lasciata indifesa? Si fidava di me, e io l'ho tradito."

Chiusi la bocca e strinsi i pugni. La rabbia mi si condensò nel ventre in una furia gelida e spietata.

"Quindi vi siete pure divertiti a giocare all'allegra famiglia stalker."

Alice mi lasciò andare e arretrò di un passo, incassando il colpo.

"Non è così, Bella, nessuno voleva invadere la tua privacy... era solo per la tua sicurezza..."

"La mia sicurezza!" espolsi di nuovo "E l'unica volta che serviva nessuno di voi era nei paraggi! Ma bene!" alzai le mani al cielo, esasperata "Sono stanca di pagare per le decisioni degli altri! Ditemi, qualcuno mi ha chiesto qualcosa? Qualcuno di voi ha forse fatto seguire dei fatti alla stupidità di Edward?! Gli avete dato del coglione, ma bravi, e poi? Tutti a seguire i suoi ordini come dei fedeli cagnolini!"

Alice scosse la testa, colpevole e allarmata insieme.

"Stavamo cercando di fargli cambiare idea, Bella." sussurrò in risposta "Sul serio, Carlise ha passato più tempo al telefono con lui che..."

"Certo, mentre il signorino era in Sudamerica a leccarsi le ferite! E ovviamente tutti al telefono, perché Edwardino-ciccino vuole stare da solo! Dovevate prenderlo per le palle e staccargli tutti gli arti a morsi e riportarlo indietro in un sacchetto di plastica, dove io avrei potuto dirgli qualche parola."

Alice spalancò la bocca, poi sbatté le palpebre e le richiuse.

"Uhm, Bella, uhm... Sbaglio o sei diventata più scurrile? Credo che quel bambino non sia la compagnia giusta per te..."

Bella la fulminò con lo sguardo.

"Jacob ha fatto tutto ciò che competeva voi. Mi ha osservato morire lentamente senza poter fare nulla e ha protetto il vostro stupido segreto prima ancora di essere consapevole del proprio, e tutto solo perché io gliel'avevo chiesto, e lui mi ha ascoltato. Non ti azzardare mai più ad insultarlo."

Alice strinse le labbra e spostò il peso sulla gamba sinistra.

"Va bene, Bella." rispose, conciliante, come se stesse cercando di prenderle le misure "Rimane il punto che non ho la minima idea di cosa sia successo, quindi non so neppure di cosa tu stia parlando."

Mi lasciai andare ad una risata amara, poi scossi la testa e mi avvicinai alla finestra. La spalancai – non era chiusa del tutto, solo accostata – e urlai al vento: "Con vostro comodo, eh! Qui qualcuno ha infranto una promessa e sappia che non l'ho presa bene."

Rimasi ad aspettare qualche minuto, ma nessuno si faceva vivo. Mi stavo irritando sempre di più, fino a che Alice non mi fece presente una cosa: "Bella, Charlie è ancora in casa."

Annuii, secca, e con un grugnito di disapprovazione girai le spalle alla finestra e aprii la porta della mia camera per andare a salutare mio padre.

Charlie aspettava in salotto, le braccia incrociate al petto e un'espressione decisa sul volto.

"Papà, non devi andare al lavoro?" chiesi, ancora troppo di malumore per suonare indifferente.

"Mi stavo godendo le tue prime parole. Chi ha infranto una promessa?"

Sbuffai, lanciando uno sguardo irritato anche a lui.

"Nessuno. Sono solo di malumore."

Charlie spostò lo sguardo da me ad Alice, che mi aveva seguita in salotto.

"Sono stati i Cullen a farti male, Bella?"

Sbuffai un'altra volta, alzando gli occhi al cielo.

"Lascia perdere, papà. Non mi considero in pericolo stando con Alice, sono solo arrabbiata con lei."

"Ah sì? Per quale motivo?"

"Perché è mia amica e se ne è andata senza una parola e non mi ha più neppure telefonato o scritto, che altro?"

La mia recitazione era sempre stata pessima, ma avendo detto una parte di verità vidi Charlie cadere nel tranello, anche se non era del tutto convinto.

"E' stato Edward a farti male, Bella?"

Lo sapeva, sapeva che il nome di Edward era tabù, eppure non mi scomposi quando lo sentii scivolare dalle sue labbra. Ne avevo passate troppe e, onestamente, ero così incazzata con Edward che probabilmente l'avrei ridotto in cenere con le mie mani se me lo fossi trovata davanti.

Al di là della mia situazione sentimentale incasinata, al di là di tutto ciò che mi ero resa conto di provare per Jacob, avere una figlia dopo essere stata brutalmente abbandonata, illusa e abbandonata di nuovo aveva messo in prospettiva molte cose.

La mia fantastica storia d'amore mi sembrava ogni giorno di più un ricordo lontano, e un ricordo anche abbastanza sgradevole alla luce di certe manie di controllo di Edward. L'avevo amato, questo dovevo sforzarmi di crederlo per non impazzire.

Ma avevo amato così come potevo amare una statua o un dipinto, e mi ero crogiolata nella meraviglia quando lui aveva ricambiato il mio interesse, più per lo stupore che un miracolo del genere fosse accaduto piuttosto che per la profondità specifica dell'opera in questione.

Forse rivederlo mi avrebbe ancora provocato qualcosa al di là della voglia omicida, questo non potevo saperlo né ero così stupida da illudermi che la sua bellezza non contasse niente nel nostro rapporto. Ma, adesso, ero abbastanza forte per rifuggire da quel sentimento ingannevole dove io donavo tutta me stessa e lui si prendeva gioco di me come voleva, avvicinandomi o allontanandomi a suo capriccio; controllandomi laddove non potevo ribattere e cercando nella mente di sua sorella immagini che mi riguardassero senza mostrare il minimo rispetto per la mia vita e per le sue stesse decisioni.

Nonostante tutto questo, non potevo rispondere a Charlie in maniera diretta. Perché ero una pessima attrice, e tutto ciò che era successo era colpa di Edward, nel bene e nel male.

"La mia storia con Edward è finita." dissi solo "Non dare la caccia ai fantasmi."

Alice si avvicinò di un passo e intervenne, mimando una lieve esitazione.

"Lui non tornerà, se non sarà strettamente necessario."

La fulminai con lo sguardo e lei mi ignorò.

"Credimi, Charlie, è una situazione sgradevole per tutti. Ma Edward si trova in Sudamerica da un bel po' e fortunatamente non ha saputo niente di tutta questa storia, ed è questo il solo motivo per cui non te lo sei trovato alla porta supplicando di poter fare qualcosa e piangendosi addosso per la scomparsa di Bella. Siccome però il suo ritorno da noi è imminente, intendo accertarmi che Bella stia bene prima di andare a lottare con le unghie e con i denti per impedirgli di fare pazzie come cercare di rientrare nella sua vita."

Charlie alzò un sopracciglio.

"Tutto qui, quindi?"

"Da parte mia, sì."

Si girarono entrambi a guardarmi. Io sospirai e con una mano mi toccai la fronte.

"Ho intenzione di rassicurare Alice, chiacchierare un po' e poi salutarla e chi si è visto si è visto. Ti può andar bene? Non intendo pregarla di riportarmi Edward."

"Bene." rispose Charlie.

Poi, dopo qualche attimo di silenzio imbarazzato, Charlie si diresse verso la porta borbottando un saluto.

"Buon lavoro." gli risposi.

Alice si limitò a fissarmi per alcuni istanti, poi piegò la testa di lato.

"Dicevi la verità." disse "Non rivuoi Edward nella tua vita."

Io mi accigliai di nuovo.

"No." dissi "Se lo vedessi ora, gli spaccherei la faccia. O gli farei spaccare la faccia, dato che sono solo una 'debole umana'."

Alice alzò un sopracciglio, scettica. Io la ignorai per andare ad aprire la finestra del salotto e ripetere il mio richiamo; infine mi rigirai a guardarla.

"Capirai a breve, non ti preoccupare."

Leah fu la prima ad entrare. Guardò Alice con sospetto, tesa. Parlò senza distogliere lo sguardo da lei.

"Jacob non si fida."

Io sbuffai, esasperata, e mi girai di nuovo verso la finestra.

"Jake porta le tue chiappe pelose qui e subito; lei è mia e io decido, che ti stia bene o meno!"

Tempo qualche minuto, e anche Jacob varcò la finestra. Aveva la mani libere, tutti i peli del corpo rizzati e osservava Alice come se stesse guardando il ragno più schifoso.

Lei storse il naso, quando un refolo di vento entrò dalla finestra.

"Ugh." disse "Me ne hanno parlato una volta. Lupi?!"

Poi la faccia di Elisabeth fece capolino da una delle immense spalle di Jacob.

Alice si paralizzò sul posto, la bocca aperta a metà come se stesse per dire qualcosa. Jake si piegò appena sulle ginocchia, incominciando a rinchiare.

"Jake! A cuccia!" sbottai, avvicinandomi e tendendo le braccia. Elisabeth mi venne incontro, cercando di non pesarmi addosso sin da subito ma scendendo agilmente dalla schiena di Jacob, e lui si girò con un gemito ad osservarla, mentre Leah continuava a tenere le braccia incrociate al petto e a stare sull'attenti.

Io mi voltai verso Alice, ancora paralizzata dalla sorpresa.

Sapevo cosa stava vedendo. Era impossibile non vedere Edward nel viso perfetto di mia figlia.

"Ho pensato ogni giorno di morire." dissi infine "Sono sopravvissuta grazie ai lupi e alla mezza speranza che Leah mi ha portato. Lei è Elisabeth, e io la amo letteralmente più della mia stessa vita... Ma adesso, Alice, adesso puoi capire perché io non possa perdonare Edward."

Elsie si girò verso di me, confusa, e mi mostrò gli ultimi secondi come per chiederne il significato.

"Non è niente, tesoro." sussurrai, abbassando lo sguardo e sorridendole. Lei mi mostrò ancora il volto di Alice, con una muta domanda nei pensieri.

"Lei è tua zia Alice."

A quelle parole, il mondo riprese a girare per Alice. Espirò e aggiustò la propria posizione, senza fare cenno a volersi avvicinare – anche per le figure di Jacob e Leah in attesa, sospettavo –, e disse: "Beh, questo non me lo sarei mai aspettato."

Le sorrisi, ironica.

"Già, neppure io."

Alice abbassò lo sguardo e strinse le labbra.

"Bella, permettimi di chiamare Rosalie."

"Cosa?!" esclamai, presa in contropiede "Rosalie la perfetta, che mi odia sin dal primo giorno?"

Alice rialzò lo sguardo e mi fissò, serissima.

"Non è come credi. Lei... Credo che lei sarà più brava di me, in un certo senso... Ti prego, permettimi di chiamarla."

Io assottigliai lo sguardo.

"Lei e non Edward?"

Alice piegò la testa.

"Per cominciare. Non dirò nulla ad Edward; nulla che tu non voglia. Ma credo che tu debba ascoltare Rosalie."

"Non se ne parla." intervenne Jacob, avanzando di un passo e stendendo un braccio, schermandomi.

"Jacob..."

"Ovviamente voi potrete stare lontani. Non saremo una minaccia per voi, lupi. Bella, per favore... Dirò a Rosalie di raccontarti la sua storia, e poi deciderai che fare. Elisabeth sarà al sicuro, te lo prometto."

Io osservai Alice negli occhi, ma non vidi altro che determinazione.

Le avevo voluto bene. E, per quanto fosse stata una sciocca a seguire i desideri di Edward, sapevo di essere al sicuro con lei.

Mi sarei fidata.

Sospirai, e risposi: "Va bene."

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