La Valchiria del Re

di Lamy_
(/viewuser.php?uid=351812)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La furia del fuoco ***
Capitolo 2: *** La vita e la morte ***
Capitolo 3: *** Un dono degli dèi ***
Capitolo 4: *** Plenilunio di sangue ***
Capitolo 5: *** La promessa ***
Capitolo 6: *** Amicizia tradita ***
Capitolo 7: *** Holmganga ***
Capitolo 8: *** Notte d'amore ***
Capitolo 9: *** La Valchiria del Re ***



Capitolo 1
*** La furia del fuoco ***


1. LA FURIA DEL FUOCO

Dodici anni prima
Non appena discese il buio e si concluse la cena, Hildr si coricò in attesa della favola della buonanotte. Abitava con la sua famiglia in una piccola fattoria non molto lontana dalla città, cinta da una palizzata di legno e munita di due recinti per gli animali. Suo padre Gellir era il migliore pescatore di tutta Kattegat e un discreto falegname, poiché in quest’arte il primato lo deteneva suo fratello Floki detto ‘il costruttore di navi’. Suo zio, infatti, aveva messo le sue doti al servizio di Re Ragnar ed era partito alla volta dell’Inghilterra con lui il suo equipaggio, e avrebbero fatto ritorno a breve. Sua madre Inge, invece, era un’abile guaritrice e si prendeva cura della casa. Entrambi i suoi genitori erano stati guerrieri in passato, ma avevano accantonato la guerra in favore di una vita frugale dopo la nascita di Hildr, la loro unica figlia. La bambina sorrise quando la madre scostò la tenda per sedersi accanto a lei sul letto. La donna prese ad accarezzarle le lunghe ciocche nere come il manto di Hugin e Munin, i corvi imperiali al servizio di Odino.
“Quale storia mi racconti stasera, madre?” chiese Hildr, accoccolandosi al petto della madre. Nell’angusta stanza entrò anche il padre, un uomo alto e snello, con un sorriso sempre gentile in volto. Le ripeteva sempre di essere gentile e, per questo, di essere un’eccezione. Inge strinse la mano del marito e poi gli accarezzò la guancia con dolcezza.
“Quale storia proponiamo questa sera alla nostra bambina?”
Gellir si schiarì la gola e si sistemò ai piedi della figlia, coprendola meglio perché non prendesse freddo, dal momento che quello era un inverno particolarmente gelido.
“Ti racconto l’origine del fuoco. I miti raccontano che tempo addietro Loki, durante un banchetto, sfidò Logi a chi fosse il più veloce nel mangiare. Al centro del tavolo fu servito un piatto di carne e i due sfidanti si disposero ognuno ad un lato per vedere chi arrivava prima nel mezzo. Impiegarono entrambi lo stesso tempo ma, mentre Loki mangiò la carne fino all’osso, Logi consumò anche le ossa e il legno del tavolo. A fine gara fu chiaro a tutti che Logi era il fuoco divoratore in persona.” 
Hildr rivolse uno sguardo alle fiamme che scoppiettavano nel focolaio e immaginò di intravedere il volto di Logi, egli stesso una fiamma ardente.
“Il fuoco divorerà anche noi, padre?”
“Non devi temere, bambina mia. Sei al sicuro con noi.” La rassicurò la madre abbracciandola. E Hildr si addormentò poco dopo cullata dal profumo della madre e dalla voce del padre.
Un urlo agghiacciante squarciò la notte come se il martello di Thor avesse iniziato a colpire la Terra più e più volte. Hildr spalancò gli occhi nel panico e subito si portò una mano alla bocca per non inalare il fumo che si stava diffondendo in tutta la casa. Sgusciò dal letto e corse nella camera dei genitori ma due mani forti la sollevarono per impedire che una trave le cadesse addosso. Suo padre la teneva stretta e si faceva strada a fatica tra le fiamme. La casa stava andando a fuoco.
“Hildr, stai bene?”
“Sì, padre. Che cosa succede?”
Gellir non rispose, si scansò prima che una fiamma si abbattesse su di loro. Mentre fuggivano lo schienale della sedia, si staccò e cadde addosso alla bambina che urlò di dolore, al che il padre si affrettò a portarla all’esterno.
“Adesso dovrai fare esattamente quello che ti dico io, bambina mia. Ti accompagno fuori, poi corri a cercare aiuto e non entrare in casa per nessuna ragione al mondo. Hai capito?”
Hildr era confusa e impaurita, e lo sguardo triste del padre non era confortante.
“Hai capito, Hildr?”
“Sì, sì.”
Gellir le riparò la testa con una coperta e corse verso la porta, mentre il fuoco inghiottiva tutta l’abitazione. La bambina rabbrividì quando i piedi nudi toccarono la terra fredda. Anche gli animali si lamentavano, soffrivano come loro. Hildr stava per dirigersi presso la casa più vicina in cerca di aiuto quando il padre la strinse forte a sé e le baciò la fronte.
“Qualunque cosa accada, ricorda sempre che io e tua madre ti amiamo con tutto il nostro cuore. Sei la nostra bambina e un giorno diventerai la straordinaria donna di cui andremo fieri. Sii gentile, sii un’eccezione. Vai! Corri!”
Hildr guardò suo padre fare marcia indietro e gridare il nome di sua madre. L’attimo dopo le fiamme divamparono divorando tutta la fattoria. Non capiva cosa stesse succedendo, allora sfrecciò nel freddo della notte e bussò alla dimora dei vicini, ma nessuno rispose. A quel punto non restò che raggiungere Kattegat, pertanto riprese la sua corsa verso la città. Nel tragitto perse la coperta e il gelo le pungolò il corpo come una secchiata d’acqua fredda, però lei non si fermò e continuò a correre. Doveva chiedere aiuto come le aveva ordinato il padre. Le strade di Kattegat erano isolate, tutti dormivano e le luci erano spente, ma non fu difficile individuare la sontuosa dimora del Re. Sbatté i piccoli pugni contro la porta con tutta la forza che le era rimasta.
“Aiuto! Aiuto! Per favore! Aiutatemi!” gridava a gran voce mentre le lacrime le bagnavano le guance arrossate dalle basse temperature. Quando la porta si aprì, sbucò il viso assonnato di un bambino poco più grande di lei.
“Ti prego, aiutami. La mia casa sta bruciando!” gridò ancora Hildr, anche se la sua voce stava perdendo vigore. Era infreddolita e sfinita dalla corsa. Inoltre, il suo braccio sinistro si stava ricoprendo di vescicole per l’ustione.
“Hvitserk, che stai facendo?” tuonò una voce autoritaria alle spalle del bambino. Era la regina Aslaug in tenuta da notte e con una pelliccia sulle spalle. I suoi occhi duri si impietosirono quando scorsero la bambina. La riconobbe all’istante, era Hildr, la nipote di Floki.
“Regina, tu devi aiutarmi. La mia casa brucia! Dobbiamo andare a salvare i miei genitori! Aiutami! Ti prego!”
“D’accordo. Hvitserk, va a svegliare le guardie e ordina loro di andare alla fattoria di Gellir immediatamente! E tu, bambina, entra dentro.”
Il bambino annuì e si incamminò a passo spedito verso le mura della città alla ricerca delle guardie.
Poche ore dopo la grande sala del re era piena di gente, così come le strade si erano riempite, e tutti si accalcavano per curiosare. Hildr sedeva al tavolo con i figli di Ragnar, era stata avvolta con una mantella di lana e le era stata offerta una bevanda calda. Una delle guaritrici al servizio del re le aveva applicato sul braccio ustionato una lozione di erbe curative, ma la pelle sarebbe rimasta per sempre segnata dalle cicatrici.
“Puzzi di fumi e sei sporca.” Esordì uno dei bambini, quello seduto in una carretta e con l’espressione sprezzante. Hildr, in effetti, non aveva un bell’aspetto, il suo volto paffuto era macchiato di fuliggine, i capelli erano spettinati e la sua tunica emanava un forte odore di fumo.
“Sta zitto, Ivar. Non vedi che è appena scappata da una casa in fiamme? Sei proprio uno stupido!” replicò il più grande, pareva si chiamasse Ubbe. Il bambino nella carretta, quello di nome Ivar, diede un pugno al tavolo e mise il broncio.
“Mi dispiace per avervi disturbato, non sapevo dove altro andare.” Disse timidamente Hildr, gli occhi puntati sulla bevanda. Hvitserk, il bambino che le aveva aperto la porta, le diede una leggera pacca sulla spalla.
“Non ti devi scusare. Questa è la casa del re ed è aperta a tutti. Non dar retta ad Ivar, lui dice sempre cose cattive.”
Hildr fece scivolare gli occhi lucidi su Ivar e lui, anziché essere sgarbato come prima, le riservò un sorriso abbozzato che svanì nell’arco di pochi secondi.
“Hildr!” strillò Helga, piegandosi sulle ginocchia per abbracciare la nipote. Entrambe si misero a piangere mentre si stringevano. In quel momento le guardie e alcuni cittadini fecero ritorno nella sala per conferire con la regina. Aslaug capì dalle loro facce che stava per essere annunciata una tragedia.
“Che cosa è successo?”
“L’incendio ha distrutto completamente la casa e ha ucciso tutti, inclusi gli animali.” Disse una guardia, rammaricata nel dare quella notizia. Helga scoppiò di nuovo a piangere ma Hildr era smarrita.
“Io non capisco. Dov’è sono i miei genitori? Helga, perché piangi? Che succede?”
Ivar, impietosito dallo sguardo terrorizzato della bambina, spinse la carretta fino a lei per afferrarle la mano.
“I tuoi genitori sono morti. Adesso sei un’orfana.”
Aslaug si stupì della dolcezza con cui suo figlio aveva parlato, lui che di solito era sempre scontroso e maleducato. Hildr si abbandonò ad un pianto disperato tra le braccia di Helga, consapevole che il fuoco sarebbe stata d’ora in poi una costante della sua esistenza.
 
Era trascorso un anno dalla morte dei suoi genitori e Hildr si era trasferita dagli zii Floki ed Helga. Non era stato un periodo di felicità e di ripresa perché avevano subìto la perdita di Angrboda, e la nipote era l’unico raggio di sole della loro vita. Erano gentili con lei, come se fossero i suoi genitori, ma Hildr si sentiva sempre sola. Avere sette anni ed essere tanto triste era ingiusto. Era ingiusto che fosse orfana, che sua cugina fosse morta, era ingiusta tutta quella sofferenza. Gli unici momenti di svago erano quelli in cui scendeva in strada per giocare con i figli di Ragnar. Aveva legato molto con Hvitserk perché Ubbe era stato iniziato al combattimento, Bjorn era in viaggio col padre, e Ivar se ne stava sempre per conto suo. Quella mattina stava facendo un giro per il mercato con Helga per comprare del cibo e alcuni utensili per lo zio. Quando passarono davanti alla dimora regia, vide i bambini giocare con la palla e ridere. Solo Ivar era isolato, seduto nella sua carretta in un angolo. Helga scorse lo sguardo curioso della nipote e sorrise.
“Vuoi andare a giocare?”
 “Posso?”
“Certo. Ti vengo a prendere più tardi. Sta attenta, mi raccomando.”
Hildr annuì, consegnò la cesta di pesce alla zia e sgattaiolò in piazza. Hvitserk l’accolse con un sorriso allegro come suo solito.
“Vieni, Hildr! Questo gioco ti piacerà tantissimo!”
Hildr era davvero entusiasta di gettarsi nella mischia per giocare, ma lo sguardo spento di Ivar la fece rattristare. Malgrado fosse irrispettoso, nessuno meritava di essere escluso.
“Mmh, non mi va di giocare. Vado a sedermi e vi guardo.”
“Come vuoi.” Rispose laconico Hvitserk, poi trascinò il fratello Sigurd con sé.
Ivar la osservava con il suo consueto cipiglio mentre la bambina prendeva posto accanto a lui sulla veranda. D’istinto con la coperta si riparò le gambe.
“Che vuoi?” le domandò.
“Ti faccio compagnia. Ti dispiace?”
Hildr era strana, pensò Ivar. Era sempre gentile e disponibile, non era mai fuori luogo. Tutti le volevano bene e l’ammiravano, soprattutto i suoi fratelli. I suoi lunghi capelli neri e i suoi occhi scuri facevano a pugni con la mantella azzurrina poggiata sulle spalle. Le cicatrici sul braccio sinistro erano visibili, alcune più piccole e altre più frastagliate, ma lei non se ne curava. Lui, invece, odiava il proprio difetto.
“Il tuo braccio è disgustoso!”
“Lo so.” Disse Hildr, pacata e indifferente a quell’insulto. Ivar sgranò gli occhi azzurri a quella calma.
“Perché non lo nascondi?”
Hildr si passò le dita sulla pelle e le venne in mente il volto dei suoi genitori, ora seduti a festeggiare con gli dèi nel Valhalla.
“Perché dovrei farlo? Non mi vergogno. Mi ricordano che sono una sopravvissuta, o almeno così dice Floki, anche se io non lo capisco molto. E tu perché nascondi le gambe?”
Ivar aggrottò la fronte, si sentiva preso in giro. Era impossibile che i suoi fratelli non le avessero spifferato la verità.
“Non lo sai?”
Hildr scosse la testa e una ciocca le ricadde sulla fronte.
“Dovrei saperlo?”
“Io sono uno storpio.” Confessò Ivar abbassando lo sguardo per la vergogna. La bambina si morse l’interno della guancia con fare ansioso.
“E che cos’è uno storpio?”
“Tu non capisci proprio niente, vero?” la rimbeccò lui con una risatina.
“Non devi essere sempre così cattivo, Ivar. Questo comportamento non ti porterà da nessuna parte.”
Ivar deglutì, solo sua madre lo rimproverava ed era una novità essere ripreso da una bambina più piccola.
“Le mie gambe sono diverse da quelle delle persone normali. Le mie ossa si rompono facilmente e sento molto dolore. Mio padre mi ha soprannominato ‘senza ossa’ per questo. Tutti sono disgustati da me, mi prendono in giro, mi mettono in disparte. Tu sei l’unica che parla con me.”
Hildr arricciò il naso e sembrò riflettere su quell’ammissione.
“Gli altri sono cattivi, ma non è colpa tua. E poi chi stabilisce la normalità? Magari tu sei normale e siamo tutti noi quelli strani. Ci hai mai pensato? Io sono strana, il mio braccio è strano!”
I due si guardarono per qualche secondo e poi si misero a ridere per quelle assurdità. Aslaug, non appena udì la risata cristallina di suo figlio, avvertì le lacrime rigarle le guance. Forse Hildr poteva essere una speranza per Ivar.
 
Hildr si sentiva strana quel pomeriggio, come se il suo corpo si stesse trasformando dall’interno. Aveva da poco compiuto dodici anni, era abbastanza grande ormai per occuparsi delle faccende di casa e per aiutare Floki nella costruzione delle navi. Quando Helga le concedeva del tempo, si allenava con i figli di Ragnar nella caccia e nella pesca, nella lotta corpo a corpo e nell’uso delle armi. Quel giorno, però, si era congeda dall’addestramento perché non si sentiva bene, e aveva raggiunto Ivar sulla veranda. Era diventato il suo più caro amico. Trascorrevano insieme le ore libere a discutere sugli dèi, a giocare a scacchi, e intagliare il legno, oppure semplicemente si sdraiavano a fissare il cielo per immaginare la forma delle nuvole. Quando Ivar la vide arrivare, strisciò fuori dalla sala regale per raggiungerla.
“Tu non avevi un addestramento oggi?”
“Sì, ma ho avanzato una scusa e mi sono defilata. Non mi sento in forma oggi.”
Hildr si lasciò cadere accanto a lui e gli pizzicò la guancia, era il suo modo di salutarlo. Ivar scostò la sua mano, sebbene sorridesse sotto i baffi per quel gesto che apparteneva solo a loro. Avere quattordici anni ed essere amico soltanto di una ragazzina non gli arrecava disturbo, anzi era contento che Hildr avesse scelto lui come suo preferito e non uno dei suoi spocchiosi fratelli.
“E quale scusa hai usato? Che venivi a fare compagnia allo storpio?”
Hildr alzò gli occhi al cielo e sbuffò, quell’appellativo che si affibbiava le dava fastidio. Ivar non era solo uno storpio, era molto di più e lei sperava che un giorno tutti se ne sarebbero resi conto.
“Ti dai troppo credito, amico mio. Sono qui solo perché sono esausta, non per farti compagnia.”
Aslaug in quel momento uscì in veranda e sorrise nello scorgere i due ragazzi a ridere. Hildr era l’unica persona con cui Ivar si sentiva a suo agio.
“Hildr, come mai sei qui?”
Hildr scattò in piedi perché, sebbene fosse un’assidua frequentatrice della famiglia reale, si sentiva in obbligo a mostrare sempre una certa deferenza.
“Salve, regina Aslaug. Sono qui per tormentare Ivar con le mie inutili chiacchiere. Vi serve qualcosa?”
Ivar ridacchiò, ma in fondo adorava quelle inutili chiacchiere. Adorava anche il silenzio, se a condividerlo c’era lei.
“Potresti andare al mercato a comprare due once di sale, per favore? Stasera ospiteremo una grande festa.”
“Certo, vado subito. Vieni con me, Ivar?”
Il ragazzo, nonostante odiasse strisciare come una serpe per la città e farsi prendere in giro dai cittadini, accettò per non lasciarla da sola. Hildr camminava al suo fianco stando attenta a non schizzargli la terra in faccia, pertanto procedeva lentamente. Avvertì uno strano dolore all’addome e arrestò il passo, costringendo Ivar a girarsi.
“Stai bene?”
“Sì, sto bene. Scusami. Andiamo.”
Si introdussero nel quartiere del mercato e incrociarono un trio di ragazzi della loro età che si divertiva a insultare lo storpio. Ivar fumava di rabbia per le occhiate malevole di quei ragazzi, ma la mano di Hildr sulla spalla lo calmava. Si fermarono davanti alla bancarella delle spezie, proprio dove il trio stava giocando a scacchi.
“Vorrei due once di sale per la regina Aslaug.” disse Hildr in tono gentile, una sua caratteristica.
Il trio iniziò a ridere a crepapelle e a puntare il dito contro la ragazza. Ivar, furibondo, si voltò verso di loro.
“Idioti, vi conviene smetterla di deridere la mia amica, oppure ordinerò la vostra decapitazione!”
“Ivar, lascia perdere. Non dar loro corda.” Gli suggerì Hildr toccandogli la spalla di nuovo.
“Il sangue sta già scorrendo! – rispose uno dei tre con una risata crudele – vero, Hildr?”
Ivar stava per ribattere quando si accorse di una chiazza rossa sul retro del vestito di Hildr e di alcune gocce altrettanto rosse scivolarle lungo l’interno coscia.
“Hildr, per tutti gli dèi, che ti prende?!”
Hildr, vedendo il sangue, si mise a piangere e scappò via da tutti gli occhi indiscreti e dalle risate di quei tre ragazzi.
Due ore dopo Ivar con difficoltà arrancò sino alla casa usata come base per la caccia dai fratelli. Si collocava su un’altura e le gambe gli dolevano, ma doveva parlare con Hildr. La ragazza, infatti, sedeva con il viso rivolto verso il mare. Sobbalzò quando Ivar l’affiancò.
“Hildr, stai bene? Sei sfrecciata via come una mula impazzita!”
“Grazie per il gentile paragone con una mula.”
“Dimmi che cosa ti è capitato.”
“Helga dice che sanguinerò una volta al mese e che succede a tutte le ragazze. Pare che io sia diventata una donna.”
“Tu una donna?! Nah, tu sei solo Hildr.”
Hildr sbuffò indispettita. Nessuno dei figli di Ragnar la considerava una ragazza, per loro lei era solamente Hildr, selvaggia e combattiva come una futura shieldmaiden.
“E va bene se sono solo Hildr?”
“Sì. E va se sono solo uno storpio?”
“No. A me va bene se sei solo Ivar.”
Il ragazzo distolse gli occhi azzurri da lei per puntarli contro la spiaggia e le onde del mare che si agitavano. Hildr era l’unica che, oltre a sua madre, lo aveva accettato senza remore. Da quando Ragnar aveva lasciato Kattegat per dissolversi nel mondo, lei era stata la sua forza.
“Sono Ivar solo per te.”
“Grazie.” disse Hildr stringendogli la  mano e dandogli una lieve spallata.
 
Aslaug non aveva mai riso tanto in tutta la sua vita. La sala reale era gremita di gente riunita a festa. Al centro della sala, seduti al lungo tavolo imbandito, Hvitserk e Hildr si sfidavano a chi riusciva a centrare il bersaglio, ossia un fantoccio di paglia appeso alle travi del soffitto.
“Non ho paura, ti batterò senza problemi.” Disse Hvitserk, sicuro di sé.
“Non essere sciocco, fratello. Hildr ha una mira fenomenale. Ti batterà ad occhi chiusi.” Rispose Ivar, accomodato al fianco di sua madre, mentre studiava con accurata attenzione la scena. Hildr fece spallucce e sorrise ad Ivar.
“Tuo fratello ha ragione, Hvitserk. Preparati ad essere stracciato!”
Hildr era entrata a far parte delle loro vite da dieci anni, e ogni giorno la famiglia reale l’accoglieva sempre a braccia aperte. La sua amicizia con Ivar si era ormai consolidata, erano inseparabili, e tutta Kattegat credeva che neanche gli dèi sarebbero riusciti a separarli.
“Ti concedo il primo lancio.” Riprese Hvitserk consegnando un coltello alla ragazza. Hildr fece scricchiolare le ossa del collo e le nocche, preparandosi al lancio. Raddrizzò la schiena, prese un respiro, e scagliò il coltello. Un boato di esultanza si sollevò nella stanza quando l’oggetto si conficcò con precisione nello stomaco del fantoccio. Ivar applaudì e Hildr simulò un inchino. Aslaug fece rimbalzare lo sguardo tra i due sorridendo, era lieta che suo figlio si permettesse il lusso di lasciarsi andare almeno con Hildr.
“Sarà dura, fratello.” Disse Ubbe, divertito dalla faccia da pesce lesso del fratello. Hildr fece roteare il coltello nella mano e poi glielo porse.
“E’ il tuo turno, pivello. Avanti, renditi ridicolo davanti a tutti.”
Ivar proruppe in una risata fragorosa per il sarcasmo tagliente della sua amica.
“Lancerò il coltello ad occhi bendati, sono certo di farcela.” Annunciò Hvitserk scatenando le risate di tutti. Sigurd allora gli bendò la vista con uno straccio e, dopo essersi assicurato che non vedesse, lanciò il coltello. Il sorriso di Hvitserk si spense quando il coltello ricadde per terra con un tremendo clangore. Hildr batté le mani sul tavolo in preda alla gioia.
“Hai perso! Adesso paga pegno!” strillò Ubbe, brillo per via della birra. Hildr si alzò per andare ad esultare con Ivar quando la voce di Hvitserk la bloccò.
“Hildr, tu sei capace di tirarlo ad occhi chiusi?”
A quel punto Ivar le allungò uno dei suoi coltelli che teneva alla cintola e Hildr, senza voltarsi verso il bersaglio, mosse il braccio all’indietro e il coltello si piantò nella testa del fantoccio spruzzando paglia di qua e di là.
“Ti conviene stare zitto, Hvitserk. Sei stato umiliato abbastanza!” lo canzonò Sigurd tra le risate.
“Sei stata eccezionale.” Si complimentò Ivar con un sorriso soddisfatto, era un piacere vedere uno dei suoi fratelli al tappeto. Hildr appoggiò il gomito sulla sua spalla e gli sfiorò la guancia in una tacita carezza, sebbene loro non fossero appiccicosi come amici.
“Lo so, amico mio. Lo so.”
“Per avere soli sedici anni sei davvero sorprendente.”  Le disse Floki sbucando alle sue spalle con un boccale ricolmo di birra. Hildr sorrise trionfante e chinò il capo in segno di riconoscenza.
“Non a caso mi alleno tutto il giorno, zio.”
“Per questo non sei una donna come si deve. Dovresti imparare a cucina, a tenere la casa pulita, e dovresti pensare anche al matrimonio.” La rimproverò Kara, la sua vicina di casa.
“Voglio essere più di questo. Essere una donna di casa non mi basta, non fa per me. Io voglio essere una shieldmaiden considerata al pari di un uomo in tutto e per tutto.” disse Hildr, risoluta e salda nella sua decisione.
“Nessuno ti considererà al pari di uomo, neanche se diventi la migliore shieldmaiden del mondo.” Sputò acida Kara, le labbra contratte in una smorfia di disgusto. Ivar si sentì in dovere di prendere le sue difese perché, se c’era qualcuno che sapeva quanto fosse difficile superare gli ostacoli, quello era lui.
“Hildr non è come le altre donne. Lei può farcela. Diventerà la donna più forte dei norreni, una guerriera migliore di qualunque uomo sia mai esistito. Lei sarà l’eccezione alla regola.”
Hildr lo guardò con immensa gratitudine, ricordando il consiglio di suo padre: sii un’eccezione. Kara emise una risata di scherno.
“Ah, sì? E combatterete insieme? Una donna e uno storpio?”
“No. – intervenne Floki – Combatteranno insieme e saranno Hildr e Ivar.”
Ivar alzò gli occhi su Hildr e lei annuì come a volergli dire che avrebbero lottato fianco a fianco, che sarebbero morti insieme sul campo di battaglia.
“Per sempre.” Mimò Ivar.
“Per sempre.” Ripeté Hildr. 
 
 
Salve a tutti! :)
E’ la prima volta che scrivo qualcosa su Vikings, perciò siate clementi.
La storia riprende più o meno gli eventi della serie ma li modifica in gran parte e aggiunge personaggi.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La vita e la morte ***


2. LA VITA E LA MORTE

Un anno prima.
Hildr come ogni giorno, dopo aver aiutato Floki, si recò presso la dimora reale per incontrare Ivar. Al suo arrivo, però, non trovò nessuno dei ragazzi. La regina Aslaug sedeva attonita sul suo trono, sembrava una statua. Piangeva sommessamente.
“Mia signora, state bene?” domandò Hildr con una nota di preoccupazione nella voce. La regina si asciugò frettolosamente le guance e prese un respiro.
“Vai al mercato.” Le disse solamente, poi riprese a singhiozzare. Hildr corse più veloce che poté verso il centro della città col cuore che batteva forte per paura che fosse successo qualcosa ai suoi amici. Temeva soprattutto che fosse successo qualcosa di brutto ad Ivar e accelerò la corsa.  I polmoni quasi le bruciavano, il sudore la infastidiva, ma lei procedeva senza fermarsi. Da lontano scorse la folla che attorniava una figura maschile. Si fece strada a spintoni tra le persone e si lasciò scappare un sospiro di sollievo quando vide Ivar sano e salvo. Con lui c’erano i suoi fratelli e tutti guardavano Ragnar. Hildr si arrestò per la sorpresa, non si aspettava di rivederlo. Tutti lo davano per disperso, eppure aveva fatto ritorno a Kattegat. Era invecchiato e la sua salute appariva malconcia, però il suo carisma non era stato scalfito né dal tempo né dalla sofferenza. Stava abbracciando Ubbe mentre gli altri figli lo osservavano per essere sicuri che fosse davvero lui. Ivar incrociò lo sguardo di Hildr e sorrise, la sua espressione era quella di un bambino contento che suo padre fosse ritornato. Hildr fece un sorriso falso, non era certa che il ritorno di Ragnar fosse un bene. Floki le aveva riferito che il Veggente gli aveva profetizzato che una bufera si sarebbe abbattuta su di loro qualora il re fosse ricomparso.
“Andiamo a casa.” Disse Ubbe, dopodiché Ragnar fu guidato verso la sua vecchia dimora. Il re si fermò solo per guardare Hildr e accarezzarle la guancia con la sua mano callosa.
“Hildr, sei cresciuta. E noto che sei ancora legata ai miei figli.”
“Re Ragnar, bentornato.” Lo salutò lei con un mezzo inchino.
“Vieni anche tu.” Le disse Ivar, e Hildr lo seguì ancora intontita da quell’incontro. Un brutto presentimento si fece spazio nel suo cuore.
 
“Allora, fratelli, che ne pensate della proposta di nostro padre?” chiese Ivar, seduto su un tronco mentre si rigirava tra le dita uno dei suoi coltelli. Si erano radunati nel bosco per riflettere su quanto era accaduto. Ragnar aveva proposto loro di seguirlo in una spedizione nel Wessex per vendicare la distruzione della colonia norrena per ordine di Re Ecbert.
“Io non posso seguirlo, ho promesso a Bjorn che sarei andato con lui a razziare.” Disse Hvitserk piantando la spada nel terreno.
“Tu vorresti seguirlo? E come pensi di farlo?” lo prese in giro Sigurd, un sorriso sornione dipinto sulla faccia. Hildr gli diede uno scappellotto che gli fece battere i denti.
“Taci, Sigurd.”
“Smettila di difendere Ivar come se fosse un cucciolo smarrito.” Replicò il ragazzo spintonandola. Ubbe puntò l’ascia contro la spalla di Sigurd per allontanarlo.
“Non perdiamoci in chiacchiere inutili. Nessuno può partire con Ragnar. Hvitserk salperà con Bjorn e Floki, mentre io e Sigurd abbiamo promesso a nostra madre di restare e proteggere Kattegat.”
“Io per l’appunto non rientro nei vostri piani, pertanto posso partire.” Disse Ivar sollevando le sopracciglia. Hildr si andò a sedere accanto a lui e gli tolse il coltello di mano per incavare il legno del tronco su cui stavano. Incise una runa portafortuna.
“Ivar, ragiona. Tuo padre sbuca all’improvviso e tu vuoi partire con lui? Mi sembra un po’ tardi per vendicare la colonia, sono passati anni ormai.”
“E tu che ne sai di un padre? Non ne hai mai avuto uno.” Ribatté il ragazzo con cattiveria, ferendo i sentimenti della sua amica.
“Ivar!” lo riprese Hvitserk.
“Che c’è? Dico solo la verità. Suo padre è morto quando aveva sei anni e a stento se lo ricorda.”
Hildr lo spinse facendolo ruzzolare a terra e si incamminò verso Kattegat, non voleva starlo più a sentire.
 
L’indomani Hildr evitò l’allenamento con Ubbe e gli altri, preferendo starsene seduta al porto ad ammirare il panorama. Udì uno strascichio e, girandosi, vide Ivar procedere sulle mani verso di lei.
“Mi auguro che tu sia venuto per scusarti. Ieri sei stato crudele più del solito.”
“Non mi scuserò per aver ammesso un’ovvietà. Mi dispiace che tu abbia reagito male alla mia costatazione.”
“Anche che tu sia un vero bastardo è un’ovvietà.”
Ivar ridacchiò, lo divertiva quando era arrabbiata.
“A dire il vero, sono qui per dirti che ho deciso di partire con Ragnar. Mia madre ha cercato di dissuadermi blaterando di una visione in cui muoio per colpa di una tempesta.”
Hildr scosse la testa, benché non fosse stupida di quella decisione. Ivar voleva dimostrare il suo valore e partire con Ragnar era la sua grande occasione.
“A maggior ragione non dovresti partire. Lo sai che le visioni di tua madre si rivelano sempre vere.”
“Io devo partire, Hildr. Capiscimi.”
La disperazione nella sua voce obbligò Hildr ad alzare gli occhi su di lui e a leggergli nel viso la sua volontà di farcela ad ogni costo.
“Ti capisco. Non posso impedirti di partire, perciò spero che tua madre si sbagli.”
“Ti mancherei se morissi?”
Hildr rise per mascherare la preoccupazione, non voleva che la paura avesse la meglio su di lei.
“No.”
“Allora posso partire.” Disse Ivar facendo spallucce.
Il ragazzo non aggiunse altro, le riservò un ultimo sguardo e poi strisciò verso casa, pronto a partire.  Hildr sentì il cuore schizzarle in gola e soffocarla, allora si voltò e si morse il labbro.
“Mi mancheresti!”
“Lo so!” gridò lui di rimando, sorridendo mentre tornava nella sua dimora per salutare la madre.
 
Hildr buttò fuori l’aria che aveva trattenuto durante la scalata per raggiungere la capanna del Veggente. In tanti anni non gli aveva mai fatto visita, ma aveva bisogno di avere delle risposte concrete sulla visione di Aslaug. Dall’altura si vedeva Kattegat, il mare, e svariate fattorie disperse qua e là. Adocchiò il terreno dove un tempo sorgeva la sua casa, ora sostituito solo da un recinto per animali. Hildr non pensava mai ai suoi genitori, cercava di allontanare quanto più possibile il loro ricordo per evitare di soffrire. Doveva diventare forte a qualunque costo, perciò piangere per la morte della sua famiglia non era contemplato.
“Accomodati.” La invitò la voce roca del Veggente, consumata dagli anni che gli pesavano sulle spalle. Hildr si sedette di fronte a lui con un certo timore, insicura della sua scelta di fargli visita.
“Non sei mai venuta nella mia umile casa, Hildr. Quale turbamento ti conduce da me?”
“Immagino che tu lo sappia.”
Il Veggente sorrise, quella ragazza aveva lo stesso temperamento della madre.
“Sei in pena per il giovane Ivar. La tua mente, però, è un luogo profondo e non mi è concesso scorgere nei suoi abissi.”
“Voglio sapere quale destino attende me e Ivar. Combatteremo insieme oppure morirà come ha predetto sua madre?” la voce della ragazza era tremula, intimorita dalla sua stessa domanda.
Il Veggente con il pollice le disegnò una runa immaginaria sulla fronte in modo da avere accesso alla sua mente.
“Ah, ciò che vedo è oscuro. Tu e Ivar combatterete ancora insieme, ma non sarete per sempre insieme. Vedo una serpe dorata sgusciare nel sangue, è portatrice di sventure. E vedo ancora una donna che saprà rimediare con cuore alla follia!”
Il fuoco divampò e Hildr sobbalzò, l’atmosfera era fin troppo suggestiva per i suoi gusti.
“Che vuol dire che io e Ivar non saremo per sempre insieme? E chi sono la serpe e la donna?”
“Non vedo altro. Non posso dirti altro. Che gli dèi ti proteggano durante il viaggio.” Le disse l’uomo, dopodiché si coprì il volto col cappuccio e si coricò. Hildr comprese a quale viaggio si riferisse, perciò si precipitò a casa per raccattare l’arco e qualche provvista. Floki ed Helga erano partiti poche ore prima con Bjorn e Hvitserk, quindi avvisò solo la regina Aslaug della sua partenza.
“Proteggi mio figlio, Hildr. Ti supplico.” La pregò la donna con le lacrime agli occhi. Hildr annuì e poi sfrecciò in direzione del porto, dove Ragnar e la sua ciurma si apprestavano a partire.
“Aspettate!” strillò quasi senza fiato, sfinita dalla corsa. Lo sguardo di Ivar si illuminò e tese una mano per aiutarla a salire a bordo.
“Che ci fai qui?”
“Parto con voi. Se devi morire in una tempesta, io voglio godermi il momento!” ironizzò Hildr dandogli una pacca sulla spalla.
“Benvenuta a bordo, ragazzina.” Le disse Ragnar, uno strano sorriso a increspargli le labbra coperte dalla fola barba grigia.
“Benvenuta a bordo.” Ribadì Ivar. Stava partendo per la sua prima avventura insieme a suo padre e alla sua più cara amica, tutto stava andando nel verso giusto per la prima volta da quando era nato.
 
Non appena calò la notte, Ragnar suggerì di accamparsi e riprendere il cammino alle prime luci dell’alba. La visione di Aslaug si era in parte avverata: erano stati colti da una tempesta che aveva dilaniato la nave e ucciso alcuni membri dell’equipaggio. Loro tre, dopo essersi ripresi, avevano abbandonato gli altri superstiti e si erano inoltrati nella foresta che permetteva di arrivare alla corte di Re Ecbert in due giorni. Mentre era intenta a raccogliere la legna per il fuoco, Ragnar si avvicinò a lei con fare furtivo.
“Ti serve qualcosa, Ragnar?”
L’uomo mosse le sopracciglia in uno strano modo, assumeva le stesse microespressioni di Ivar.
“Perché mio figlio sta così male?”
Ivar, di fatti, lamentava dolori atroci alle gambe. Aveva camminato fino a consumarsi le mani e la stanchezza gli aveva indolenzito tutti i muscoli. Se ne stava sdraiato a terra a piagnucolare per la sofferenza.
“Forse perché è affetto da una malformazione?!” disse retorica Hildr, stando attenta a non farsi sentire dall’amico. Ragnar si portò le mani ai fianchi ed emise un verso strozzato, tutto in lui era teatrale.
“Il palazzo di Ecbert dista ancora due giorni, non può stare male proprio adesso. Tu puoi fare qualcosa? Ricordo che tua madre era una delle migliori guaritrici di Kattegat.”
“Raccogli la legna, ci penso io ad Ivar. Sappi, però, che non sarà piacevole. Odia mostrarsi vulnerabile, specialmente davanti a te.” lo avvertì Hildr, consapevole delle paure del suo amico. Quando si inginocchiò accanto a lui, Ivar tremava di dolore e di freddo.
“Hildr, non qui e non ora.” Mormorò il ragazzo con difficoltà. Non voleva che suo padre lo vedesse come uno storpio debole e incapace di reggere un viaggio. Hildr gli strinse le mani con gentilezza e si sedette per terra per stargli più vicino.
“Non fare lo stupido, Ivar. Hai bisogno di me. Solo io posso alleviare il dolore, lo sai.”
“No.” Obiettò lui spostando gli occhi azzurri sulle fronde degli alberi che apparivano assai sinistre nel buio della notte. Hildr gli afferrò il mento perché la guardasse in faccia.
“Tu stai soffrendo e io posso aiutarti, perciò non comportarti come un bambino. Affidati a me.”
Ragnar, a qualche metro da loro, li osservava con una certa tenerezza nel cuore. Lui non era mai stato in grado di amare Ivar come meritava e immaginava che nessuno lo avesse mai amato, eccetto sua madre Aslaug e Hildr.
Ivar si limitò ad annuire, così Hildr tirò fuori dalla sua bisaccia uno straccio che avvolgeva cinque foglie di gramigna, una pianta curativa per lenire il dolore alle ossa. Stappò la borraccia, versò l’acqua in una scodella e triturò le foglie con una pietra in modo da creare una pasta verdognola dall’odore sgradevole.
“Sei pronto?” domandò Hildr al ragazzo che, riluttante come sempre, lentamente si tolse le scarpe per sollevare i calzoni sino al ginocchio. Chiuse gli occhi per non vedere lo scempio delle proprie gambe.
“Sono pronto.”
Fu allora che Hildr con estrema delicatezza iniziò a massaggiargli gli arti inferiori con la pasta di acqua e foglie, attenta a non premere troppo per non fargli male. Era l’unica persona, oltre ad Aslaug, che aveva visto e toccato le sue gambe da storpio. Ivar era rimasto impressionato dalla facilità con cui la ragazza si poneva dinanzi a quel difetto, non lo scherniva come gli altri, anzi lei aveva scoperto che la gramigna costituisse un buon rimedio.
“Dimmelo se ti faccio male.”
Ivar aprì gli occhi e scorse un sorriso gentile sul suo volto. Lei era sempre gentile, era un’eccezione.
“Tu non mi fai mai male, Hildr.”
A Ragnar si riempirono gli occhi di lacrime, forse era la vecchiaia che lo rendeva sensibile, oppure era colpa dell’amicizia pura tra i due ragazzi. Tornò da loro solo quando Ivar si fu rivestito, non volendo che si sentisse a disagio. Mangiarono in silenzio una preda catturata da Hildr e poi si sistemarono per terra a dormire. Mentre Ragnar si era appisolato contro un tronco, Hildr si addormentò con la testa sull’addome di Ivar, che prese sonno passando le dita tra le ciocche nere della ragazza.
 
Hildr si scolò l’intero bicchiere d’acqua in un batter d’occhio, ruttando in segno di apprezzamento. Mentre Ivar scoppiò a ridere, il principe Alfred rimase interdetto da quel gesto poco femminile.
“Perché mi guardi così?” domandò la ragazza al principe, confusa dal suo sguardo allibito.
“Ehm, no, nulla. E’ solo che qui le donne sono diverse.”
“Oh, ma lei non è una donna. Lei è solo Hildr.” Commentò Ivar spostando un pedone sulla scacchiera. Hildr roteò gli occhi, era stanca di non essere considerata una donna dai figli di Ragnar solo perché era cresciuta con loro.
“Hai un bel nome, Hildr.” Proseguì Alfred, i capelli piuttosto lunghi erano lucenti sotto la fioca luce del sole. Hildr pensò al suo aspetto e a quanto dovesse apparire sudicia in quel momento con i capelli e gli abiti incrostati di polvere.
“E’ il nome di una delle Valchirie.”
“Chi sono queste Valchirie?” domandò Alfred, che nel frattempo aveva battuto Ivar nel gioco, suscitando in lui uno sbuffo irritato.
La comunicazione era abbastanza fluente dal momento che Ragnar aveva insegnato loro la lingua del Wessex quando erano bambini.
“Voi dei Wessex non sapete proprio niente. Dove diamine vivete?! Comunque, le Valchirie sono guerriere al servizio di Odino che decide chi vive e chi muore in battaglia. Scelgono i caduti, trasportano una parte nel Valhalla e l’altra dalla dea Freya. Inoltre, le Valchirie si preparano a combattere Ragnarok.” Spiegò Hildr, seduta scomposta sulla panca.
“Ragnarok è la battaglia finale tra l’ordine e il caos in seguito alla quale il mondo sarà distrutto e poi ricreato.” Aggiunse Ivar.
Dopo due giorni a nascondersi nei boschi erano stati imprigionati da Re Ecbert e suo figlio ma Ragnar li aveva pregati affinché trattassero bene lei e Ivar, ragion per cui adesso facevano compagnia ad Alfred.
“Mio nonno me lo diceva che la vostra cultura è interessante.” Sorrise il principe.
“Voi, invece, non siete molto interessanti.” Disse Ivar beccandosi una gomitata nelle costole dalle Hildr.
“Ivar voleva dire che siamo molto diversi e che di voi non sappiamo molto, sennonché credete in un solo dio.”
“Quella è solo una parte della nostra fede.”
In quel momento due guardie irruppero nella stanza e Hildr, svelta e agile, puntò l’arco contro di loro. Una delle guardie in risposta brandì la spada.
“Guardia, abbassa la spada. Questi ragazzi sono nostri ospiti, non nostri nemici.” Intervenne Alfred mettendosi in piedi.
Hildr e la guardia deposero le armi all’unisono sotto lo sguardo sgomento del principe.
“Principe, siamo qui perché il prigioniero desidera scambiare una parola con i nostri ospiti.”
“Certamente. Direi che siamo arrivati ai saluti.” Proseguì Alfred, stranamente triste. Hildr gli strinse la mano con eccessiva forza e Ivar gli fece un semplice cenno col capo.
“Addio, principe.” Disse Hildr, fissandosi l’arco sulla schiena.
“Spero in un prossimo incontro.” Disse Alfred baciandole il dorso della mano. Hildr gli regalò un ultimo sorriso divertito, poi fu scortata insieme ad Ivar nelle segrete per parlare con Ragnar.
 
Hildr tratteneva a fatica le lacrime. La gola le doleva quando deglutiva mentre Ragnar diceva addio a suo figlio. Ecbert gli aveva concesso una manciata di minuti per vederli un’ultima volta. Ivar piangeva sommessamente, aveva appena ritrovato il padre e lo stava già perdendo. Ragnar era altrettanto commosso, ma anche vecchio e molto esausto. La vita lo aveva ridotto a brandelli più di quanto avesse fatto la guerra. Ad Hildr venne in mente suo padre che l’abbracciava prima che l’incendio uccidesse lui e sua madre, e si sentiva impotente ora come allora.
“Figlio mio, so di aver commesso molti errori. Ti ho abbandonato due volte, quando sei nato e quando sono andato via da Kattegat, ma ritrovarti è stato bello. Credevo che tu fossi un debole per via delle tue gambe, ma ho visto la tua curiosità, la tua furia e la tua voglia di apprendere e mi sono ricreduto. La forza che non hai nelle gambe ce l’hai nella testa perché sei la persona più intelligente che io abbia mai conosciuto. Sono sicuro che farai grande cose. Sii spietato e tutto il mondo parlerà di Ivar Senz’Ossa.
Hildr avvertì un paio di lacrime bagnarle le guance e le asciugò perché doveva tenere duro per Ivar, doveva essere la sua roccia in un mare tempestoso. Ivar piangeva in maniera incontrollata, anche le sue emozioni erano furiose come il suo animo.
“Padre, tu non mi hai mai abbandonato. Il tuo ricordo è sempre rimasto con me.”
Padre e figlio si abbracciarono singhiozzando e sussurrandosi parole all’orecchio. Hildr fece due passi indietro per dare loro il giusto spazio, ma improvvisamente Ragnar arpionò il suo polso per attirarla a sé. Accarezzava sia i capelli della ragazza che i capelli di Ivar con un sorriso malinconico.
“Hildr, tu devi promettermi che ti prenderai cura di Ivar in ogni attimo. Resta con lui a qualunque costo, proteggilo dalle minacce, cucigli le ferite, sgridalo quando sbaglia, riportarlo sulla retta via quando si smarrisce. Dovete restare insieme, intesi?”
I due ragazzi annuirono in lacrime, in fondo erano solo un diciottenne e una sedicenne in una terra straniera, impauriti e indifesi.
“Te lo prometto, Ragnar.”
Tutti e tre si strinsero in un abbraccio e Ragnar baciò le loro teste. Lasciare Ivar nelle mani di Hildr gli assicurava una morte serena.
“Adesso ascoltate attentamente e fate ciò che vi dico. Re Ecbert vi libererà e vi darà un passaggio per tornare a Kattegat. Una volta a casa, direte a tutti che Ecbert mi ha consegnato a Re Aelle e che sono morto. Vendicate la mia morte. Prendetevi tutto quello che è vostro, figli miei. Sono orgoglioso di voi.”
 
Ivar alla fine era sprofondato nel sonno dopo aver pianto per ore. Hildr lo aveva cullato e gli aveva assicurato che tutto sarebbe andato bene, che li attendeva un futuro radioso grazie al sacrificio di Ragnar. Tra i due era lei quella dal carattere forte, toccava a lei sostenere l’amico e soffrire per due. Kattegat distava una settimana di viaggio, pertanto i due si ritagliarono un angolino tutto loro della nave per starsene in pace e lontani dai sassoni.
Il sesto giorno Hildr offrì ad Ivar un tozzo di pane ma il ragazzo lo rifiutò come aveva fatto nei giorni precedenti.
“Ivar, devi mangiare.”
“Sembri Aslaug con quel tono imperativo.”
La ragazza sospirò, la riluttanza dell’amico era sfiancante, però lei non poteva arrendersi.
“Giuro che ti imbocco se non mangi!”
Ivar la ignorò e si voltò a guardare la superficie dell’acqua che si increspava al passaggio dell’imbarcazione. Hildr, che non ne poteva più, gli artigliò la spalla per farlo girare e gli spiaccicò la mollica di pane contro le labbra.
“Apri la bocca e mangia, Ivar! Giuro sugli dèi che ti colpirò con una freccia se non mangerai qualcosa!”
Ivar aprì la bocca e tossì perché il pane gli era andato di traverso. Hildr si mise a ridere e coinvolse anche lui, dopo tanta tristezza finalmente rideva. La ragazza tentò di alzarsi per recuperare altro cibo ma inciampò in una corda e cadde per terra. Per sbaglio il suo viso si ritrovò a pochi centimetri da quello del ragazzo. Ivar lo sapeva bene quanto fosse bella Hildr, i lunghi capelli neri, i grandi occhi scuri, la pelle nivea, le clavicole sporgenti e il collo elegante.
“Scusa.” Disse Hildr in un ghigno, però l’amico non rideva più. D’istinto poggiò le labbra sulle sue in un bacio impacciato, più che altro uno sfioramento. Indietreggiò non appena si rese conto di star baciando la sua migliore amica, Hildr, quel maschiaccio che considerava come una sorella.
“Ehm, ecco … io .. mi dispiace. Non so cosa mi sia preso.”
Le guance di Hildr erano rosse per l’imbarazzo, non era previsto che condividesse con lui il suo primo bacio.
“Non fa niente, tranquillo. E’ stata una svista. Dimentichiamo tutto.”
“Amici come prima?” biascicò Ivar, ancora stordito dall’accaduto.
“Amici come prima. Ora finisci di mangiare prima che ti pianti davvero una freccia nel cranio!” lo ammonì Hildr sorridendo e dandogli una lieve spinta.
 
A Kattegat si respirava un tremendo clima di terrore causato dalla morte di Aslaug per mano della nuova regina Lagertha. Ubbe e Sigurd erano stati tratti in inganno da Margrethe e avevano lasciato la madre senza alcuna protezione. Hildr aveva ospitato i figli di Ragnar a casa di Floki ed Helga, i quali erano ancora lontani con Bjorn. Ivar si era chiuso in se stesso, come faceva ogni volta che qualcosa smuoveva la sua furia, e il suo sguardo era infiammato di odio. Aveva sfidato Lagertha ma lei si era rifiutata, e i fratelli lo avevano allontanato prima che compiesse una stupidaggine. Aveva giurato alla nuova regina che l’avrebbe uccisa e molti erano scoppiati a ridere perché uno storpio come lui non poteva farlo, ma Hildr sapeva bene quanto fosse tenace l’amico e che portava a compimento ogni sua promessa.
Quella mattina Hildr si congedò da Ubbe e Sigurd per andare alla ricerca di Ivar, che si era appropriato di uno sgabello nella capanna del fabbro.
“Ivar.”
Ivar continuò ad affilare la lama dell’ascia senza guardarla, era troppo arrabbiato per intavolare un dialogo pacifico.
“Vattene, Hildr. Non ho tempo per te.”
“Oh, lo vedo. Sei intento ad affilare l’ascia con cui hai intenzione di uccidere Lagertha, che grande impegno!”
Hildr si scansò in tempo per evitare il coltello che Ivar le aveva lanciato.
“Vattene!”
“Andarsene sarebbe troppo facile e a me non piacciono le cose facili. Io resto con te.”
Ivar in cuore suo sorrise quando Hildr si sedette vicino a lui e iniziò a curiosare tra le frecce che il fabbro aveva realizzato.
“Resterai con me qualunque cosa accada?”
La ragazza gli spinse giocosamente la punta di una freccia nel fianco e gli regalò un sorriso raggiante.
“Resterò con te, per sempre.”
“Sarai la mia valchiria!” esclamò entusiasta Ivar per poi riprendere la sua attività. Hildr ghignò scuotendo la testa, forse il loro destino sarebbe stato luminoso.
 
 
Salve a tutti!
Come avrete notato, ho riscritto alcuni eventi della serie aggiungendo qualche modifica.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un dono degli dèi ***


3. UN DONO DEGLI DEI

Due  anni dopo.
York era diventata la fortezza del Grande Esercito vichingo dopo che i figli di Ragnar avevano ucciso Re Aelle e Re Ecbert vendicando il padre, dopo avere conquistato la città e dopo aver sconfitto il nuovo Re sassone Aethelwulf . La pace, però, era un obiettivo ancora lontano. Ivar aveva ucciso Sigurd in un atto d’ira e questo aveva accresciuto l’ostilità tra i fratelli, benché il ragazzo si fosse proclamato dispiaciuto più volte. Bjorn aveva deciso di salpare con Halfdan per il Mediterraneo, mentre Ubbe e Hvitserk avevano preferito restare a York come Ivar. Hildr, invece, aveva subìto un’ulteriore perdita: zia Helga era stata uccisa e Floki, troppo addolorato, era partito da solo per una meta ignota, sospinto dagli dèi e dal dolore. Era rimasta orfana una seconda volta, da sola in un campo minato, accerchiata da uomini assetati di sangue e di potere. Anche la sua amicizia con Ivar aveva iniziato a vacillare a causa delle ambizioni del ragazzo che non collimavano con le sue, nonostante ciò era rimasta al suo fianco in battaglia come gli aveva promesso. Si ridestò dai pensieri quando la serva che Ivar aveva messo al suo servizio entrò nella camera che condivideva con Hvitserk.
“Non volevo spaventarvi, mia signora.”
Si chiamava Isobel ed era una ragazza sassone di circa sedici anni, con i capelli biondi nascosti sotto una cuffia bianca e le mani rovinate dal lavoro.
“Smettila di chiamarmi in quel modo, non sei la mia serva. E’ una folle idea di Ivar. Chiamami Hildr e, ti prego, considerami tua amica.”
“E’ un vero onore essere tua amica, Hildr.”
Hildr detestava che l’Esercito avesse ridotto i cittadini di York in schiavitù ma la sua opposizione non era servita a nulla, anche Ivar era stato irremovibile perché mostrare pietà per i sassoni significava mostrarsi deboli ai nemici. Hildr si legò i capelli in una treccia frettolosa e disordinata, si allacciò la cintura delle armi in vita e si infilò la giacca di cuoio.
“Perché sei qui se ormai lo sai che mi vesto da sola?”
“Ivar vuole vederti, dice che è urgente.”
“Per lui è tutto urgente.” Sbottò Hildr facendo ridere Isobel, dopodiché si incamminarono verso il quartiere generale, ossia la chiesa della città distrutta e adatta a sala udienza.
Ivar l’accolse con le braccia spalancate e un sorriso allegro sulle labbra, era particolarmente contento.
“Amica mia, che piacere vederti!”
Hildr sbirciò i volti dei vichinghi seduti qua e là mentre camminava verso di lui, la mano sull’ascia nel caso uno degli uomini avesse tentato qualche mossa azzardata. In fondo era una donna e doveva difendersi dal perverso interesse maschile.
“Qual è l’urgenza?”
“Le truppe di Aethelwulf accerchiano la città e, come ben sai, ci stanno affamando e assetando nella speranza di renderci vulnerabili.” Incominciò Ivar facendole cenno di accomodarsi al suo fianco. Hildr, però, rimase in piedi davanti a lui, salda nella sua posizione.
“E scommetto che tu hai deciso di stare al loro gioco.”
“Esattamente! Tu mi conosci davvero bene!” esclamò Ivar battendo le mani per l’eccitazione. Era cambiato nel giro di due anni, portava i capelli più lunghi acconciati in trecce elaborate, aveva il petto ricoperto di tatuaggi e si era allenato per aumentare la massa muscolare delle braccia; era diventato un uomo. Inoltre, si era fatto fabbricare delle armature rigide per le gambe che, insieme alla biga costruita da Floki, gli permettevano di essere al pari dei suoi fratelli.
Anche Hildr si era trasformata in una donna, era più alta, più formosa, ma era anche più forte ed esperta nell’uso dell’arco e dell’ascia. Era il migliore arciere dell’intero Grande Esercito, la sua mira era infallibile e letale, nessuno sfuggiva al suo tiro.
“Sì, mio malgrado ti conosco bene. – scherzò lei – Ebbene, come intendi procedere?”
Ivar si agitò sulla sedia essendo fuori di sé dalla gioia.
“Questa è una domanda intelligente, Hildr! Davvero intelligente! Fingeremo di bruciare i morti in modo da fare credere ai sassoni che siamo a corto di guerrieri. Nel frattempo sfrutteremo le fogne sotto la città per nasconderci e assaltare l’esercito sassone quando avrà varcato le porte con l’illusione di aver vinto.”
Hildr rimase colpita dall’ingegno dell’amico che ogni volta si faceva valere per la sua spiccata intelligenza.
“E’ un piano che può funzionare. L’urgenza era comunicarmi la tua idea?”
“No. Ti volevo qui per proclamarti alla guida dell’organizzazione dell’Esercito.”
Ivar sorrise all’espressione sconvolta della ragazza, era divertente sorprenderla.
“Sei impazzito?! Non posso! Ci sono guerrieri più anziani di me che hanno più esperienza! E poi credi davvero che tutti quegli uomini si lascerebbero guidare da una ragazzina?!”
Hildr indietreggiò quando Ivar zoppicò verso di lei, era confusa e arrabbiata. Ivar le afferrò il polso e l’avvicinò per guardarla negli occhi.
“Puoi farcela, io mi fido di te. Sarà difficile, certo, ma nessun uomo può ostacolare una come te. Sei la mia valchiria, ricordi? E una valchiria non si tira mai indietro.”
Sebbene lei odiasse andare in guerra e ammazzare tutte quelle persone, era una vichinga e per farsi valere come donna guerriero doveva scendere a compromessi.
“D’accordo. Raduna gli uomini.”
 
Hvitserk era scettico quando Hildr si pose al centro della stanza gremita di uomini e di donne che componevano il Grande Esercito. Ubbe era offeso da quella scelta, un figlio di Ragnar scavalcato da una ragazzetta non era il massimo per la sua reputazione. Ivar, seduto alle sue spalle, la ammirava con aria soddisfatta. Quando Hildr parlò, la sua voce risultò sicura, benché fosse tesa.
“Lo so che nessuno voi è contento di farsi guidare in battaglia da una ragazza di soli diciotto anni con scarsa esperienza bellica, ma purtroppo mi è stato affidato questo onere e mancano poche ore all’attacco per pensare ad un’altra strategia. Ivar ha ideato un piano che ci permetterà di sorprendere i nemici: mentre alcuni di voi bruceranno la legna fingendo che siano cadaveri, sette truppe da duecento uomini si nasconderanno nelle fogne per poi salire dai tombini e attaccare. Ho nominato sette comandanti che condurranno i guerrieri al loro posto. Uscirete allo scoperto solo e soltanto quando io darò il segnale, perciò farete bene a tenere gli occhi ben aperti.”
“Ci farai ammazzare tutti quanti, ragazzina!” tuonò la voce di un danese dal fondo della stanza. Un centinaio di voci si unì in coro per protestare e inveire contro di lei. Hildr, stanca di quella situazione, prese l’ascia e la scagliò contro una lastra di bronzo per far tacere tutti. Il rumore, infatti, placò le prediche.
“Neanche io sono felice di questo incarico! Non avrei mai voluto che le vostre vite fossero affidate alle mie mani inesperte, ma la decisione è stata presa e verrà portata avanti. Dopo questa battaglia lascerò la guida a qualcun altro, ma per ora dovrete ubbidirmi. Muovetevi e andate alle vostre postazioni!”
La sua risolutezza riuscì a mettere tutti d’accordo più o meno e rapidamente i guerrieri lasciarono la stanza. Quasi tutti la fulminarono con lo sguardo prima di uscire, solo Hvitserk le fece un mezzo sorriso. Ivar si accorse del respiro accelerato di Hildr e le mise una mano sulla spalla per incoraggiarla.
“Sei pronta a mietere vittime, valchiria.”
 
Quando Hildr scoccò una freccia infuocata nel cielo, i vichinghi balzarono fuori dalle fogne e si abbatterono come animali feroci sui sassoni. Fu lieta di aver messo in sicurezza tutti i civili tra servi, prigionieri, e bambini indifesi. Scese dal tetto della chiesa per immergersi nel pieno della battaglia. Raggiunse Ivar e Hvitserk e imbracciò l’arco.
“Sei stata fenomenale!” si complimentò Hvitserk, esterrefatto dalle doti belliche della ragazza.
“Ringraziatemi quando sarà tutto finito.”
Uno spruzzo di sangue le imbrattò la faccia e lei fu costretta a trattenere un conato di vomito, non era ancora abituata a quella violenza. Ivar le cinse il collo con la mano e poggiò la fronte contro la sua, erano pari, erano uniti.
“Resta vivo oppure, giuro su Odino, che ti resuscito solo per ammazzarti con le mie mani.” Mormorò Hildr piantando gli occhi in quelli azzurri di lui.
“Che gli dèi ti proteggano, valchiria. Ora vai!”
Ivar sentì una morsa avvolgersi intorno allo stomaco quando la vide correre verso il centro dello scontro. Hvitserk si chiese se fossero consapevoli dei loro sentimenti, poi una spada lo colpì e lui si dedicò alla battaglia.
Hildr tranciò la mano di un sassone e ricadde a terra con il fiatone, era la sua decima vittima e non ne poteva già più. Intorno a lei cozzavano spade, asce e scudi procurando feriti e morti. Fu sbalzata in avanti quando un vichingo alto e massiccio come pochi le passò accanto brandendo un martello enorme. Uccise in pochi minuti numerosi sassoni spaccando ossa, teste, e sbudellando le loro interiora. La ragazza strabuzzò gli occhi quando riconobbe il principe Alfred lottare contro quel bestione. Il ragazzo era esile e cadde per terra mentre il suo scudo colpo dopo colpo si sfaldava. Non vedendo Ivar nei paraggi, Hildr scoccò una freccia contro il vichingo massiccio, ma quello non si mosse e continuò a percuotere Alfred. Il ragazzo fu salvato in tempo da Aethelwulf che con la spada faticava ad attaccare il bestione. Fu allora che Hildr prese la sua ascia e ne estrasse una seconda dal cranio di un soldato per abbattere il vichingo. Gli piantò le due asce nella schiena, poi velocemente raccolse da terra la spada di Alfred e la conficcò nel cuore dell’uomo che morì tra dolori lancinanti.
“Hildr!” disse Alfred con un sorriso luminoso. La ragazza gli allungò la mano sporca di sangue per aiutarlo a rimettersi in piedi.
“Principe Alfred, è stato un onore salvarvi il regale sedere!”
Quando Aethelwulf mosse un passo verso di lei, Hildr si ritrasse e gli puntò la spada alla gola.
“Tranquilla, non voglio farti del male, non dopo che hai salvato me e mio figlio. Ti voglio ringraziare.” Le disse il Re, gentile e dolce.
“Adesso vi conviene scappare. Andate!” gridò Hildr, dopodiché sgattaiolò per andare a vedere che fine avessero fatto gli altri.  
Lungo il tragitto scoccò altre frecce per ripararsi, scansò un fendente, si macchiò di altro sangue che schizzava da tutte le parti. Ritrovatasi nella piazza della città, scorse i guerrieri in cerchio attorno ad un Ivar dal volto insanguinato che strisciava per sedersi. Hildr si sentì strattonare da Hvitserk e insieme si fermarono ad osservare la prossima mossa del ragazzo. Intanto la pioggia scrosciava su di loro lavando via il sangue e rinfrescando i corpi accaldati dalla battaglia. A pochi metri da Ivar giacevano quattro corpi senza vita, ferite multiple da ascia li deturpavano. Tutti i guerrieri, vichinghi e sassoni, si erano arrestati e fissavano Ivar agitare l’ascia con un sorriso diabolico che spiccava sul viso rosso di sangue.

Ved du ikke hvem jeg er? Du kan ikke dræbe mig! Ved du ikke hvem jeg er? Jeg er Ivar*!” Tuonò la voce profonda di Ivar riecheggiando in tutta la piazza di York. Dall’altra Ubbe si scambiò un’occhiata con Hvitserk, entrambi capirono che il fratello non si sarebbe fermato mai più. Di colpo i vichinghi si mossero contro i sassoni e il conflitto riprese in gran carriera. Hildr fu sbattuta a terra dallo scudo di un sassone e sputò il sangue che le riempiva la bocca, poi si rialzò e affondò l’ascia nella spalla del nemico. Stava per colpire un altro soldato quando udì le urla di Isobel: un sassone le spingeva la lama della spada contro il petto da cui sgorgava qualche stilla di sangue. Hildr appese l’ascia alla cintura, prese l’arco e mirò al sassone. La freccia trafisse l’uomo al ginocchio facendolo ruzzolare, così Hildr ebbe la possibilità di dargli il colpo mortale con l’ascia.
“Isobel, stai bene?”
La ragazza l’abbracciò in lacrime, ricordandole come piangeva lei la notte della morte dei suoi genitori.
“Grazie per avermi salvato la vita. Grazie! Grazie!”
“Non c’è tempo per i ringraziamenti. Nasconditi nella chiesa, barricati in una stanza e aspettami. Corri!” le ordinò Hildr spingendola verso la chiesa. Invece che uccidere, Hildr stava risparmiando troppi sassoni, Aethelwulf, Alfred, Isobel, e tutti quelli messi in sicurezza. Hvitserk la tirò via per sottrarla alla furia di un sassone a cavallo, la cui spada aveva ammazzato i vichinghi con estrema facilità.
“E quello chi è?”
“Non lo so, ma Ivar gli ha dato il suo cavallo per continuare a battersi. Scommetto che la sua mente malata abbia escogitato un altro piano.” Replicò Hvitserk, lercio di sangue e con un profondo taglio lungo la guancia. Il cavaliere, però, fu sopraffatto e l’esercito sassone si ritirò immediatamente. Ivar non aveva smesso di sorridere tronfio, un altro tassello della sua gloria era stato apposto.

 
Hildr respirava a fondo mentre Isobel le sciacquava le ferite con l’acqua tiepida. Era pallida e sudata, ma una notte di riposo l’avrebbe di certo ristorata. Tutti si stavano divertendo in giro per la città in occasione della vittoria, però molti erano i feriti e i morti sparsi sotto il tendone che fungeva da base medica.
“I segni scuri sul polso che cosa sono?” chiese Isobel, gli occhi verdi che vagavano sulle linee nere che ornavano il polso di Hildr. Erano due nodi intrecciati che spiccavano sulla sua pelle nivea.
“Sono tatuaggi. Io e Ivar ce li siamo fatti dopo aver occupato la città.”
Isobel aguzzò la vista sulla pelle della ragazza e sfiorò i tatuaggi con curiosità, non aveva mai visto una cosa simile.
“Perché due nodi?”
“Rappresentano il legame tra me e Ivar. I nodi dei marinai sono difficili da sciogliere, e così la nostra amicizia è difficile da spezzare. Lui ha lo stesso tatuaggio sul petto.”
“Tu e Ivar siete innamorati?”
Hildr rise e quasi si strozzò, la domanda di Isobel era esilarante.
“Come?! Io e Ivar innamorati? Nah, noi siamo come fratello e sorella. Quello che abbiamo io e lui va oltre l’amicizia e l’amore, non si può spiegare.”
“Tu non se come lui, Hildr. Tu sei buona.” Disse Isobel intingendo la pezza nell’acqua. 
“Nessuno è veramente buono a questo mondo. Tutti abbiamo un lato oscuro che ci avvolge e ci consuma.”
“E’ vero, ma almeno possiamo provare a compiere buone azioni.”
“E’ questo che suggerisce il tuo dio? Compiere buone azioni ci rende di conseguenza brave persone? No, Isobel, non è così semplice. Per quante azioni buone tu possa compiere, ce ne saranno altrettante brutte che commetterai.”
Isobel fece cadere lo straccio nella scodella con un guizzo per concentrarsi sul viso dell’altra.
“Allora tu come sei?” 
“Io sono solo Hildr, altro non posso essere.”

 

 
Hildr aveva da poco salutato Isobel e Hvitserk, che doveva farsi curare lo zigomo ferito, e si diresse verso la chiesa dove stava Ivar. Avevano catturato il cavaliere cristiano, era un vescovo e il suo nome era Heahmund. Era stato imprigionato in una delle stanze dell’edificio di culto e nessuno aveva il permesso di vederlo. Il portone della chiesa cigolò quando lo sospinse e l’attimo dopo anche il cuore di Hildr cigolò.
“Per tutti gli dèi! Scusate l’interruzione! Non ho visto niente!” disse, serrando gli occhi e voltandosi di spalle. Avrebbe voluto cavarseli, gli occhi, dopo aver visto una ragazza nuda in braccio ad Ivar. La risata del ragazzo rimbombò nell’aula e fece tremare anche la povera Hildr.
“Nessuno problema, amica mia. Puoi girarti.”  
Quando si girò, la sconosciuta si era rivestita e si stava dirigendo fuori dalla chiesa in fretta. Rimasti soli, Hildr simulò un sorriso per mascherare il disappunto.
“Mi dispiace avervi disturbati. Ero venuta per sapere come stavi, e direi che stavi benissimo!”
“Lei è splendida, non credi? Si chiama Freydis, era una schiava, ma l’ho resa una donna libera. Probabilmente trascorreremo altro tempo insieme nei prossimi giorni. Potrei piacerle! Tu che ne pensi?”
Hildr si morsicò l’interno della guancia, non poteva sbattergli in faccia che tutte le donne si sentivano in obbligo a dimostrarsi interessate a lui pur di entrare nelle sue grazie e non morire. Il sorriso felice dell’amico, però, inibì ogni sua intenzione.
“Penso che potresti piacerle, sì. Come potresti non farlo?”
“Sono uno storpio, le donne non si interessano a quelli come me. Però Freydis sembra diversa, e mi ha anche detto delle cose su cui rifletterò seriamente. E tu, invece, come stai? Noto con piacere che le tue ferite sono migliorate.”
“Sì, Isobel è davvero brava. A proposito, puoi rendere libera anche lei? Lo so che è una sassone, che è una schiava, ma se lo merita.”
Ivar posò i gomiti sui braccioli della sedia e studiò con cura la sua amica, i suoi abiti erano sporchi di sangue e terra, i suoi capelli erano disordinati, e il suo corpo era disseminato di bende, eppure il suo sguardo determinato non cambiava mai.
“Oggi sei stata superba sul campo. Ti sei destreggiata bene, hai disposto bene i nostri uomini, e hai anche salvato la tua amichetta. Sono fiero di te. Detto ciò, libero con effetto immediato Isobel e vorrei che tu lo accettassi come un mio regalo per te.”
Hildr gli saltò addosso per abbracciarlo e stampargli un bacio sonoro sulla guancia.
“Grazie, Ivar.”
Si ritrovarono di nuovo a pochi centimetri di distanza, le bocche pericolosamente vicine, come sulla barca di ritorno dal Wessex. Ivar fece scivolare gli occhi sulle labbra screpolate della ragazza per poi concentrarsi sui suoi occhi. Tossì e si allontanò per non cadere in tentazione, era sua sorella e non poteva baciarla.
“Prego. E’ meglio che tu vada a dormire, è stata una giornata faticosa.”
“Sì, hai ragione. Buonanotte.”
“Buonanotte a te, valchiria.”
 
Hildr fu grata quando la sua schiena toccò il materasso, finalmente poteva dormire e scacciare la stanchezza. Spalancò gli occhi quando una voce imprecò in un sussurro. Nel buio della stanza era impossibile capire che ci fosse, così afferrò l’ascia dalla cintura abbandonata sul pavimento e gattonò sul letto per aprire la finestra. I raggi lunari rischiararono Hvitserk intento a sgattaiolare via.
“Hvitserk, dove stai andando?”
“Ehi, Hildr! Sto andando ad incontrare una ragazza.”
Il ragazzo stava palesemente mentendo, era nervoso e gli tremava la voce.
“E tu incontri le ragazze portando con te la spada? Perché indossi la pelliccia se devi spostarti in città?”
“Sei sospettosa come Ivar.” Sbuffò Hvitserk, colto in flagrante.
“Evito di farvi uccidere. Che state combinando tu e Ubbe? Vi ho visto parlottare per tutta la sera, e immagino sia a discapito di vostro fratello.”
“Stiamo cercando di risolvere questa assurda faccenda dei sassoni. Tu odi combattere e uccidere, perché non ti unisci a noi?”
Era vero che Hildr odiava uccidere chi, in realtà, non le aveva fatto del male. Lei voleva imparare a combattere non per guidare un esercito ma difendere se stessa in quanto donna e vittima prediletta degli uomini.
“Non posso venire con voi, lo sai. Non posso tradire Ivar in questo modo.”
“Perderai la testa per colpa di Ivar!” disse Hvitserk, poi uscì nell’oscurità e si diresse con Ubbe verso il campo sassone.
Hvitserk aveva ragione, lei sarebbe addirittura morta per Ivar. Aveva promesso ad Aslaug, a Ragnar e a Floki di proteggerlo e di rimanere al suo fianco anche nei momenti più bui. E se per stare con lui doveva uccidere e scendere in battaglia, allora avrebbe fatto a pezzi orde di uomini e di donne senza il minimo scrupolo.
 
“Svegliati, dormigliona! Odino non sorride a chi poltrisce tutto il giorno!” esclamò la voce di Ivar mentre picchiettava la spalla di Hildr affinché si svegliasse. La ragazza si rigirò nel letto e affondò la guancia nel cuscino, ignorandolo del tutto.
“Hildr, dovresti svegliarti per davvero. Ho delle novità che ti faranno ridere.”
“Sei una vera seccatura, Ivar.” Disse lei con voce assonnata. Si puntellò sui gomiti e sbadigliò, era ancora sfiancata dalla battaglia. Ivar indossava un mantello nero che gli copriva anche la testa, i suoi occhi erano venati di sangue e un graffio si stava rimarginando sulla fronte.
“Oh, lo so, ma meno male che ci sono io! Comunque, vuoi sapere le novità che ti porto?”
“Me le diresti lo stesso. Parla.” Lo intimò Hildr facendo ricadere la testa sul cuscino.
“La scorsa notte Ubbe e Hvitserk sono andati da Aethelwulf per patteggiare, ma sono stati tratti in inganno e assaliti. Sono tornati ovviamente con la coda fra le gambe. Ubbe stamani ha fatto ritorno a Kattegat e Hvitserk, dopo qualche ripensamento, ha deciso di restare qui. Non trovi tutto ciò esilarante? Insomma, i miei fratelli che mi tradiscono proprio come mi aspettavo! Che dici, sarò un veggente anche io?”
Hildr emise una risatina nervosa, maledicendo Ubbe e Hvitserk per il loro errore. Ivar, sebbene apparisse divertito, era rimasto ferito dal tradimento dei fratelli e lei era sicura che quell’azione avrebbe avuto serie ripercussioni.
“E qual è la prossima mossa?”
“La prossima mossa è stringere un’alleanza con Re Harald per conquistare Kattegat uccidendo Lagertha.”
“Harald ha sempre avuto intenzione di diventare re anche di Kattegat, perciò potrebbe tradirti non appena ne ha l’occasione. Non puoi fidarti.” Disse Hildr, ora completamente rinsavita dal sonno. Ivar appoggiò il mento sulle mani incrociate sulla stampella e fece spallucce.
“Stringere un’alleanza con lui non implica che io mi fidi. La tua osservazione è corretta, potrebbe eliminarmi una volta presa Kattegat, ma gli proporrò di diventare re dopo la mia morte.”
“Scherzi? Ivar, hai solo venti anni! Potresti vivere ancora per molto tempo, mentre Harald ha già una certa età.”
Ivar sorrise e allungò la mano per accarezzarle la spalla in uno dei suoi rari momenti di dolcezza.
“Ti preoccupi sempre troppo per me, amica mia.”
“Mi preoccupo perché non posso perderti. Non voglio perderti.” Sussurrò Hildr afferrandolo per il mantello.
“Non mi perderai. Ho tutto sotto controllo. Ti fidi di me?”
Hildr ripensò alle parole del Veggente secondo cui lei e Ivar non sarebbero stati insieme per sempre e ogni giorno temeva che fosse il loro ultimo insieme.
“Non mi fido di chi sta intorno.”
“Andrà tutto bene, Hildr.” La rassicurò lui stringendola la mano in una presa salda.
“D’accordo. Beh, quando partiamo?”
“Ecco, così mi piaci! Mi piace la versione determinata di te! Partiremo tra una settimana, ho già iniziato a predisporre tutto quanto. Puoi portare con te la tua nuova amica, se vuoi.”
Hildr lesse nel suo sguardo qualcosa di bizzarro, c’era dell’altro che non le aveva detto.
“Oh, ma certo. Io porto Isobel e tu porti la tua amichetta, giusto?”
“Intendi Freydis? Non ci avevo pensato, ma mi hai appena dato un ottimo consiglio.”
La ragazza si diede della stupida da sola, aveva spinto Ivar tra le braccia di Freydis e adesso le toccava pagarne le conseguenze.
“Sei molto preso da lei. Deve essere sensazionale quello che ti mormorava all’orecchio ieri sera.”
Ivar ghignò e inarcò il sopracciglio, la sua tipica espressione maliziosa.
“Mi ha detto, in modo estremamente sensuale, che la mia deformità è un dono che gli dèi mi hanno concesso perché io sono speciale. Capisci, Hildr? E’ l’unica donna in vita che non mi ha deriso per essere uno storpio!”
“Beh, anche io sono una donna e non ti ho mai deriso.” Sottolineò irritata Hildr.
“Tu non sei mica una donna! Suvvia, tu sei ... sei …”
“Io sono solo Hildr.” Concluse Hildr per lui, amareggiata ancora una volta dalla scarsa considerazione dell’amico nei suoi confronti.
“Esatto! Dai, vestiti, c’è molto lavoro da fare.”
 
 
Salve a tutti!
Beh, Hildr ha colto Ivar in compagnia di una figura che le darà filo da torcere.
Chissà cosa succederà.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
 
*(Trad.) ‘’Don't you know who I am? You can't kill me! Don't you know who I am? I am Ivar the Boneless’’. Non sono riuscita a trovare una fonte sicura su quello che Ivar dice in nordico antico, ma questa sembra essere la traduzione più vicina.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Plenilunio di sangue ***


4. PLENILUNIO DI SANGUE

Un mese dopo.
Le strade di Rogaland emanavano un disgustoso tanfo di balena, il principale commercio del regno di Re Harald; il sangue e le ossa del cetaceo erano disseminati dappertutto. Hildr aveva fatto fatica ad abituarsi, ecco perché si era stabilita in una capanna abbandonata ai piedi della collina, laddove la puzza non arrivava. Condivideva l’angusto spazio con Hvitserk e Isobel. Nel giro di un mese era stato preparato l’attacco contro Lagertha e Bjorn con l’ausilio di Harald e dei suoi consiglieri. Le navi erano ormai pronte, le provviste erano state stipate nella stiva, e mancavano poche ore alla partenza. Heahmund, il cristiano sotto la loro custodia, aveva accettato di combattere con Ivar pur di aver salva la vita. Aveva blaterando di una missione affidatagli dal suo dio, ma nessuno ci aveva dato peso.
Hildr osservava i cittadini brulicare nei pressi del porto per ultimare i preparativi mentre Isobel le intrecciava i capelli per fissarglieli in modo che non le dessero fastidio.
“Non voglio restare qui. Ho paura.” Esordì Isobel. Hildr annuì e una ciocca sfuggì dall’acconciatura ricadendole sul viso.
“Lo so, per questo ho deciso di portarti con me. Resterai all’accampamento e ti prenderai cura dei feriti. Non temere, sarai sotto la mia protezione e quella di Hvitserk. Nessuno ti farà del male.”
“E ammazzeremo chiunque proverà a ferirti.” Aggiunse Hvitserk sbucando alle loro spalle. Indossava già l’armatura e aveva con sé lo scudo. Isobel gli sorrise timidamente, e Hildr capì che tra quei due c’era del tenero.
“Vi sentite pronti per la battaglia?”
Hildr e Hvitserk si scambiarono un’occhiata eloquente: non si era mai davvero pronti alla prospettiva di morire.
“Sì.” Mentì il ragazzo ostentando un falso coraggio.
Dal fondo della strada emerse la figura di Freydis in un vestito azzurro che la faceva sembrare una donna nobile. In quel mese lei e Ivar avevano legato molto, trascorrevano quasi tutto il tempo insieme, ridacchiavano e si abbandonavano alle effusioni. Hildr aveva dei sentimenti contrastanti perché da un lato era contenta che una donna si interessasse ad Ivar ma temeva anche che fosse tutta una finzione.
“Buongiorno a tutti. – squittì la voce di Freydis – sono qui per conto di Ivar. Vuole che raggiungiate il porto per compiere un sacrifico come buon auspicio per il viaggio.”
“Abbiamo fatto tre sacrifici nei giorni precedenti, non ne posso più.” Si lamentò Hildr, che non amava sacrificare gli animali se non era necessario. Hvitserk l’aiutò a fissare l’arco e la faretra sulla schiena e le legò due asce alla cintura, poi le passò lo scudo.
“Sei pronta?”
“No.”
“Perfetto, andiamo!”
Isobel ridacchiava mentre Hildr e Hvitserk si rincorrevano frattanto che scendevano in città, insultandosi e spintonandosi.
Ivar gli aspettava seduto su una cassa insieme ad Heahmund, ed era rilassato come sempre prima di uno scontro. I suoi occhi azzurri si fissarono su Hildr in tenuta da combattimento, munita di armi, con i guanti e i capelli neri raccolti. Le mancavano due larghe ali piumate per essere una valchiria in tutto e per tutto. Dietro di lei Freydis teneva lo sguardo basso per non mostrarsi irriverenti nei suoi confronti, ed era bella come una perla luminosa in una conchiglia.
“Alla buon’ora! Vi eravate persi?” li accolse Ivar con un rimprovero.
“Sta calmo, fratello, rientriamo perfettamente nei tempi.”
Hildr si irrigidì quando re Harald si avvicinò a loro con le braccia spalancate. Quell’uomo non le piaceva, mostrava nei suoi confronti una particolare attenzione che lei odiava.
“Meravigliosa Hildr, che piacere rivederti!”
“Harald.” Si limitò a salutarlo lei, a disagio per lo sguardo insistente dell’uomo. Isobel le sfiorò la mano per darle coraggio, era l’unica con cui poteva sfogare le sue preoccupazioni di donna.
“Signore, siamo pronti a partire!” gridò un uomo dalla prua della nave. Ivar si alzò sulla stampella e si incamminò verso il mare.
“E’ giunto il momento, amici miei.”
 
Hildr non riusciva a mangiare per colpa delle smancerie tra Ivar e Freydis che le causavano il voltastomaco. Hvitserk stava spiegando a Isobel la pratica della pesca, perciò non poteva distrarsi in nessun modo. Ivar continuava ad accarezzare la guancia di Freydis e lei continuava ad emettere quella sua snervante risata stridula. Un mese prima Hildr avrebbe condotto quel viaggio al fianco del suo migliore amico tra chiacchiere futili e discorsi seri, ma era stata da messa da parte dopo l’intrusione di Freydis nelle loro vite. Gettò un pezzo di carne con rabbia nel piatto, era frustrata dal rapporto che univa quei due. Si sporse oltre il fianco della nave per immergere la mano nell’acqua e lasciarsi consolare quando si ricordò di un episodio del passato.
# La regina Aslaug, come tutti i giorni, affidò il piccolo Ivar alle cure di Floki perché gli insegnasse i principi del loro credo. Hildr si prodigò affinché il bambino si mettesse comodo sul suo letto, poi si sedette acanto a lui in attesa che Helga servisse loro il pranzo. Quando tutti ebbero il piatto pieno, Floki accese il fuoco e prese posto di fronte ai due bambini.
“Oggi vi racconto una storia di sofferenza e d’amore, di come i sentimenti rimangano forti nella buona e nella cattiva sorte. Anni orsono Loki uccise il figlio di Odino attirando l’ira di tutti gli dèi, e per punizione venne sepolto nel cuore della terra, legato alla roccia con le interiora del suo stesso figlio, con un serpente che gli corrodeva il viso facendo gocciolare il suo veleno. Sua moglie Sigyn lo seguì nel tormento per raccogliere il veleno e lenire le pene del suo amato. Quando la ciotola doveva essere svuotata, il veleno colpiva Loki facendolo urlare di dolore. La povera Sigyn, malgrado le braccia stanche e la malnutrizione, accorreva in fretta in suo aiuto.”
“Qual è la morale, zio?” domandò Hildr, che aveva accantonato il cibo per ascoltare quella storia affascinante. Ivar ne approfittò per rubarle dal piatto un pezzo di carne.
“La morale è che, nonostante il castigo fosse atroce da sopportare, Sigyn non lasciò mai solo il suo adorato Loki e rimase con lui nella buona e nella cattiva sorta perché l’amore è più forte di qualsiasi dolore.” Rispose Helga, un sorriso rivolto a Floki, lo sguardo ricolmo d’amore.#
Non fu un caso che poi Ragnar inflisse a Floki la stessa punizione del dio degli inganni per aver ucciso Athelstan. Helga, proprio come Sigyn, si era condannata allo stesso supplizio pur di aiutare suo marito. Si ridestò quando Ivar le pungolò il fianco con la stampella, obbligandola a voltarsi con le sopracciglia aggrottate.
“Che vuoi?”
“Ti sto chiamando da svariati minuti, però tu sei persa in chissà quali pensieri. Qualcosa ti turba?”
Ivar si sedette su un sacco di paglia a guardare il sole tramontare lentamente. Hildr notò il modo in cui la sua pelle cambiava tonalità in base alla luce del sole. Scrollò la testa come a voler scacciare quell’assurda riflessione.
“Stavo ripensando a Floki ed Helga, a quando ci hanno raccontato di Loki e Sigyn. Te lo ricordi?”
“Come potrei dimenticarlo? Loki e Sigyn uniti nella gioia e nel dolore, sempre insieme, sempre a sfidare il mondo l’uno al fianco dell’altra. Floki la chiamava la ‘storia del vero amore’.”
“Tu ci credi nel vero amore?”
Hildr desiderò potersi rimangiare quella domanda, era stata una stupida a pronunciarla ad alta voce. Il suo cuore fece crack quando Ivar riservò uno sguardo in direzione di Freydis.
“Forse inizio a crederci. E tu?”
Hildr avvertì una morsa allo stomaco e deglutì per ingoiare quel boccone amaro. Se Ivar era innamorato di quella ragazza, presto si sarebbe dimenticato di lei.
“No. Io non ci credo.”
“Da quando sei così cinica?” rise Ivar, sorpreso dalle parole della ragazza.
“Non sono cinica, dico solo la verità. L’amore è sofferenza, Ivar, sappilo.”
Hildr si alzò per allontanarsi da lui ma Ivar l’afferrò per il polso.
“E’ una sofferenza per cui vale dannarsi.”
La ragazza si sentì scoperta, come se avesse buttato il proprio cuore sul ponte della nave perché tutti lo deridessero per i sentimenti che si celavano al suo interno.
Io mi sto già dannando, avrebbe voluto rispose. Invece si liberò dalla sua presa e raggiunse Isobel e Hvitserk, aveva bisogno di distrarsi.
 
Dopo che l’accampamento fu allestito e la cena terminò, tutti i guerrieri si ritirarono nelle proprie tende in vista della battaglia. Hildr divideva la tenda con Ivar, Freydis, Hvitserk, Isobel e Heahmund. Si era ritagliata un posto vicino al vescovo pur di stare lontana da Ivar e Freydis, non voleva ascoltarli mentre di notte si sussurravano parole smielate e si baciavano. Hildr fu la prima a congedarsi, il viaggio l’aveva stancata, e voleva starsene da sola. Si soffermò a guardare la luna, piena e luminosa, rischiarare quella notte buia.
Nella tenda Heahmund stava in ginocchio con le mani giunte e gli occhi chiusi, mormorava parole incomprensibili.
“Pater noster, qui es in caelis; sanctificetur Nomen Tuum […] dimittimus nos debitoribus nostris, et ne nos inducas in tentazionem sed libera nos a Malo.”
“Scusami, non volevo interrompere … qualunque cosa tu stessi facendo.” Disse Hildr alzando le mani in segno di resa. Heahmund era sempre teso, i suoi occhi sprezzanti gettavano occhiate severe ai norreni, ma quella sera si limitò ad un piccolo sorriso.
“Stavo pregando. Voi non pregate i vostri idoli?”
Hildr si tolse gli stivali e la giacca, poi si sedette a gambe incrociate e iniziò a sciogliersi i capelli.
“Più o meno. Non abbiamo delle vere e proprie formule di preghiera come voi cristiani.”
“Ho come la sensazione che tu non creda molto nei vostri dèi.” Disse Heahmund sdraiandosi con le mani sotto la nuca.
“Io non credo in un sacco di cose, non più. Il tuo dio, i miei dèi, e chissà quanti altri sparsi per il mondo! Su questa terra c’è troppa varietà per essere sicuri di un singolo elemento.”
Il vescovo fece scattare la testa verso di lei, era un discorso molto arguto. La ragazza lo impressionava.
“Tu ragioni come un uomo saggio.”
“Io ragiono come una donna saggia. Non tutto si riduce ad un uomo.”
Hildr emise un verso strozzato quando si sciolse l’ultima treccia, poi si massaggiò la testa per diminuire la pressione dell’acconciatura.
“Il mio dio lascia spazio alle donne, sai. Le innalza al cielo e alla vita eterna.”
“Ah, sì? Io mi innalzo da sola, non ho bisogno di nessun uomo per risplendere.”
“E Ivar che ruolo assume nella tua vita?” le chiese Heahmund con il sopracciglio inarcato, la stava stuzzicando.
“Che c’entra Ivar? Se pensi che io abbia bisogno di lui per farmi valere, ti sbagli di grosso. Lui è mio fratello, combattiamo come pari.”
“Non è solo un fratello. Vedo come lo guardi, e quello non è amore fraterno.”
Hildr non ebbe la possibilità di replicare perché gli altri irruppero nella tenda. Hvitserk notò la tensione tra Hildr e il vescovo, perciò si parò davanti a lei e si abbassò alla sua altezza.
“Va tutto bene?”
“Sì, io e il cristiano stavamo facendo due chiacchiere.”
“Stavate facendo catechismo? Non dirmi che anche tu vuoi convertirti, Hildr.” La canzonò Ivar, intento a sfilarsi i supporti alle gambe mentre Freydis gli preparava il giaciglio. Hildr rise senza divertimento, si mise a letto e diede la schiena al vescovo, nella speranza di evitare che la leggesse come fosse un libro aperto. Intravide Freydis posare la testa sul petto nudo di Ivar e chiuse gli occhi con forza per non guardare altro. Non capiva perché fosse gelosa, perché il suo cuore tremasse di rabbia, sapeva solo che quelle sensazioni non le piacevano affatto. Strinse la mano che Isobel le stava tendendo e si addormentò.
 
Hildr non si poteva definire una credente come suo zio Floki, e nemmeno come il resto dei norreni, a dirla tutta. Lei degli dèi ammirava i miti, le lotte, i punti di forza, ma non amava i sacrifici in loro onore né animali né umani. Quel giorno, per il fatidico scontro tra il Grande Esercito di Ivar e l’armata di Bjorn, ripescò dalla sua sacca da viaggio una scatola dentro cui negli anni aveva conservato cimeli importanti. Tra questi c’era un amuleto, una semplice pietra di ambra bucata per far passare un cordoncino, che era appartenuto a sua madre e che era sopravvissuto all’incendio. Non aveva mai avuto il coraggio di indossarla, la teneva nascosta per evitare il doloroso ricordo dei suoi genitori. Un rumore la fece allarmare, afferrò l’ascia e la puntò alla gola dell’intruso.
“Sei suscettibile.” Disse Heahmund con la sua voce profonda, sembrava recitare una perenne preghiera.
“E tu sei un imbecille ad arrivarmi alle spalle. Avrei potuto ucciderti.”
“Lo terrò a mente. Siamo disposti a partire, sono stato mandato da Ivar ad avvisarti.”
Hildr storse le labbra al pensiero che Ivar avesse delegato il vescovo, di solito era lui che la richiamava. Alle prime luci dell’alba lo aveva sgusciare fuori dalla tenda in compagnia di Freydis tra risatine sommesse e baci, pertanto ipotizzò che fosse lei la causa di quella mancanza.
“Arrivo tra qualche minuto.”
Heahmund comprese la sua volontà di privacy e con un cenno del capo uscì dalla tenda per tornare al campo. Hildr velocemente si allacciò al collo l’amuleto e terminò di armarsi, dopodiché a grandi falcate raggiunse il punto di raduno dell’esercito. Hvitserk la salutò con un gesto della mano e lei ricambiò altrettanto, mentre Isobel si lanciò letteralmente fra le sue braccia. Hildr non era abituata a quelle dimostrazioni d’affetto perché i figli di Ragnar erano stati i suoi unici amici e, in quanto maschi, non erano propensi a certe attenzioni.
“Che diamine fai?”
“Ti sto abbraccio. Oh, Hildr, potrei non rivederti più. Io ti devo la mia vita. Senza di te non ce l’avrei mai fatta.”
Hildr da lontano vide Freydis salutare Ivar con un bacio estremamente passionale e, come la sera prima, desiderò cavarsi gli occhi pur di non assistere. Heahmund intercettò il suo sguardo e sorrise beffardo, aveva capito tutto.
“Non morirò, Isobel. Gli dèi hanno in serbo un lungo e tortuoso cammino per me, e non mi lasceranno morire. Tu allontanati dal campo e trova un rifugio in quella capanna dismessa nella foresta che abbiamo incrociato ieri in modo che nessun uomo rimasto all’accampamento potrà farti del male. Verrò a cercarti quando sarà tutto finito.”
“D’accordo. Ti aspetterò. Non lasciarmi da sola, Hildr.” La pregò Isobel tra le lacrime. Hildr le asciugò le guance con il pollice e le baciò la fronte, era troppo piccola per sopravvivere da sola e lei sarebbe tornata a tutti i costi.
“Tornerò, te lo prometto. Adesso saluta Hvitserk, che sennò si offende, e va a nasconderti.”
Hildr si girò dalla parte opposta per non scoppiare a piangere, strinse le dita intorno alla collana per darsi supporto. Non appena la vide, Ivar sorrise e si chinò oltre il fianco della biga.
“Amica mia, oggi è un grande giorno per noi!”
“E gli dèi saranno con voi.” Disse Freydis, i capelli biondi a creare una sorta di aureola sulla sua testa. Hildr non la degnò di uno sguardo, teneva gli occhi fissi sul cielo plumbeo.
“Hildr! Sei uno splendore!” le disse Harald camminando verso di loro. Ivar colse il disagio della sua amica e decise di intervenire.
“Re Harald, i tuoi uomini sono pronti?”
“Sì, signore.” Ripose il re senza staccare gli occhi da Hildr. La ragazza si sentì rincuorata dalla presenza di Hvitserk, che le cinse le spalle con un braccio.
“Bjorn, Ubbe e Lagertha sono arrivati. Manchiamo solo noi.” Annunciò, arrotolandosi intorno all’indice una ciocca di Hildr. Ivar corrugò la fronte e si chiuse i guanti intorno ai polsi.
“Bene. Possiamo procedere. Hildr, tu verrai sulla biga con me. Devo parlarti.”
Hildr e Hvitserk batterono i gomiti secondo il saluto vichingo e ognuno andò per la propria strada. Heahmund sorrise divertito alla ragazza mentre la vedeva salire sul carro, e lei roteò gli occhi per la soddisfazione stampata sul viso del vescovo. Freydis indietreggiò per non essere schiacciata dai cavalli e diede un ultimo bacio ad Ivar.
“A dopo, Senz’Ossa.”
Hildr fu grata quando il cavallo sfrecciò lontano dall’accampamento, finalmente poteva restare da sola col suo amico.
“Di cosa mi devi parlare?”
“Di nulla, volevo solo sottrarti alle attenzioni di Harald. Ho capito che le sue avances sono inadeguate.”
“Quel tizio non mi piace. Non mi fido di lui. Certe cose le sento a pelle.”
Ivar strattonò le briglie e il cavallo aumentò la corsa, il campo di battaglia si scorgeva a pochi metri di distanza.
“La penso come te. E Freydis a pelle cosa ti trasmette?”
“Perché lo chiedi a me? E’ a te che piace.” Ribatté con stizza Hildr, beccandosi una risata di scherno da parte del ragazzo.
“Lo chiedo a te perché sei la mia migliore amica. Qual è il tuo giudizio? Sii sincera e spietata.”
Hildr avrebbe voluto urlargli in faccia il disgusto che provava per Freydis, ma poi si ricordò del sorriso allegro di Ivar con lei, e dovette cambiare versione.
“Per ora mi è indifferente, non ho ancora avuto occasione per testarla. Ti farò sapere.”
“Bene, ci tengo alla tua opinione. Quella non è la collana di tua madre?”
Hildr rimase meravigliata del fatto che lui ricordasse quella collana che aveva visto solo una volta e di cui lei non parlava mai.
“Sì, ho sentito la necessità di tenerla con me oggi.”
“Non avrai mica paura di morire, amica mia?” la schernì Ivar stuzzicandole una ciocca di capelli fuoriuscita dall’acconciatura.
“Non è la morte che temo. Mi fa paura una vita vissuta male.”
“Non essere così drammatica. Vivrai una vita perfetta, ne sono sicuro.” Disse il ragazzo dandole una pacca sulla spalla. Hildr si limitò ad annuire, non voleva più perdersi in chiacchiere, preferiva gettarsi nella mischia. Rapidamente i due eserciti si disposero l’uno di fronte all’altro, i guerrieri imbracciarono le armi, e i corni risuonarono. Hildr partì all’assalto scoccando frecce contro chiunque corresse nella sua direzione. I corpi si afflosciavano intorno a lei come fiori morti. Una shieldmaiden le fece cadere di mano l’arco e incominciò a colpirla con l’elsa della spada. Hildr si riparò con lo scudo, piegata su un ginocchio, e colpì il ginocchio della donna con l’ascia. Recuperò l’arco e le diede la morte con una freccia nel petto.
“Hildr!” urlò una voce alle sue spalle, dura come l’acciaio delle armi. Quando si voltò, Bjorn le sorrise tronfio. Gli puntò contro l’arco, preparandosi a scagliare una freccia prima che lui potesse solo avanzare di un passo.
“Bjorn la Corazza, quale onore!”
“Anche per me sarebbe un onore se tu non ti fossi schierata con il mio nemico.”
“Infatti, io mi sono schierata con il mio amico.”
Bjorn era decisamente invecchiato dall’ultima volta che lo aveva visto, però restava senza dubbio il guerriero più forte. D’altro canto, era protetto dagli dèi e nulla poteva scalfirlo.
“Tu e Ivar siete uniti da un legame profondo, lo capisco, ma stai sbagliando. Sei troppo intelligente per stare dalla sua parte.”
“Sei venuto per propormi un accordo o per uccidermi?”
Intanto giravano in cerchio minacciandosi a vicenda con le armi, uno era il predatore e l’altra la preda. Hildr era la migliore amica di Ivar e quindi costituiva un ottimo ostaggio, rapirla o ucciderla avrebbe segnato un punto a favore di Bjorn.
“Non ti propongo nessun accordo perché so che non lo accetteresti, tu non abbandoneresti mai mio fratello.”
“Allora sei qui per uccidermi.” Concluse la ragazza rafforzando la presa sull’arco. Bjorn smise di muoversi e si lasciò andare ad una risata fragorosa.
“Non ti ucciderò. Sarai tu stessa a ucciderti se continuerai a restare con lui. Ivar è la tua maledizione!”
Hildr d’istinto abbassò l’arco, interdetta da quella specie di sentenza, e l’attimo dopo la lama di un’ascia le sferzò l’addome. Con la mano cercò di arrestare la fuoriuscita di sangue, era la sua prima vera ferita in battaglia. Cadde sulla terra bagnata di rugiada in preda a tremendi giramenti di testa, faticava a respirare e il sangue sgorgava copioso dalla ferita. Il guerriero che l’aveva attaccata sollevò l’ascia su di lei con una smorfia di divertimento e lentamente la calò su di lei come fosse una ghigliottina.
“Hildr!” sbraitò Ivar dalla sua postazione, mentre vedeva la sua amica giacere a terra insanguinata. La ragazza, però, con un ultimo brandello di forza afferrò il polso dell’uomo con le caviglie e glielo storse fino a spezzargli l’osso. L’ascia si conficcò a pochi centimetri dalla sua testa, la prese e mozzò il braccio del suo assalitore. Era in procinto di svenire quando Hvitserk l’agguantò in tempo, prendendola in braccio.
“Tieni duro, Hildr.”
Hildr parve confusa, poi vide i soldati francesi sfrecciare sul campo di battaglia e capì che Rollo aveva tenuto fede alla sua promessa. Il volto di Hvitserk fu l’ultima cosa che vide prima di chiudere gli occhi.
 
Ivar non aveva smesso di stringere la mano di Hildr da quando avevano fatto ritorno all’accampamento. Aveva ordinato che fosse allestita una tenda solo per lei e che fossero lasciati in pace. Hvitserk aveva trovato Isobel nascosta nel bosco e l’aveva riportata al campo perché si occupasse della ferita. Hildr aveva perso i sensi da due giorni, respirava ma non accennava a riprendersi. Lui non aveva mangiato e non aveva dormito per starle accanto, nonostante l’insistenza di Freydis. Aveva vegliato su di lei giorno e notte, supplicando gli dèi di risparmiarla, mormorandole parole di conforto. Era notte fonda quando Hildr riaprì gli occhi e vide Ivar con la fronte poggiata contro le loro mani unite.
“I-ivar.”
Ivar stentava a crederci, gli dèi lo avevano graziato e lui si riteneva fortunato.
“Ehi, bentornata tra noi.” Sussurrò lui per non disturbarla troppo, dopodiché si distese accanto a lei e le permise di mettere la testa sulla propria spalla.
“Che è successo?”
“E’ successo che abbiamo vinto. Torneremo a Kattegat non appena sarai in grado di affrontare il viaggio. Stiamo per tornare a casa, Hildr.”
Hildr tentò di sistemarsi in maniera più comoda, ma avvertì una lancinante fitta di dolore.
“Dannazione.”
“Devi fare attenzione, sono passati solo due giorni. Sei stata gravemente ferita. Ho rischiato di perderti.” Disse Ivar, la disperazione nella voce, le mani tremolanti. Lei fece incastrare le dita con quelle dell’amico per placare la sua ansia.
“Stai tremando. Va tutto bene, Ivar. Sono viva. Non mi hai ancora persa.”
Hildr in cuor suo era felice di quell’apprensione da parte del ragazzo. Se nelle settimane precedenti sembravano essersi allontanati, adesso tutto stava tornando alla normalità tra di loro.
“Se non sono impazzito in questi due giorni è stato solo merito di Freydis. Mi ha tenuto compagnia mentre vegliavo su di te.”
Hildr ritirò le mani con uno scatto e rivolse lo sguardo dall’altra parte, era di nuovo arrabbiata nell’udire il nome di Freydis.
“Beh, ringrazia Freydis per me. Pare che sia diventata indispensabile per te.”
“Io penso di essermi innamorato di lei.”
Fu in quel momento che Hildr preferì essere morta. Quella confessione la ferì più di quanto avesse fatto l’ascia, ma non espresse alcuna emozione. Gli propinò un sorriso falso per non sminuire il suo entusiasmo.
“Sono felice per te. Meriti qualcuno che ti ami con tutto il cuore.”
“E io sono felice che tu lo abbia accettato, sai quanto sia importante la tua opinione per me. Sento che Freydis è la donna della mia vita.”
Hildr artigliò le lenzuola nel tentativo di reprimere un urlo. Non le faceva male solo il corpo, le faceva male anche l’anima.
“Tutto purché tu stia bene.”
Ivar la intrappolò in un abbraccio e lei gli avvolse le braccia intorno al collo saldamente, quasi fosse un addio.
 
 
Salve a tutti!
Che dire, a Hildr non piace molto Freydis e le cose si stanno facendo complicate con Ivar.
Fatemi sapere cosa se ne pensate.
Alla prossima.

ps. La città di Harald e il mito di Loki sono veri, mi sono accertata dalle fonti. Non sono di mia invenzione.  

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La promessa ***


5. LA PROMESSA

Due settimane dopo.
Kattegat si era espansa ed era diventata il porto commerciale più importante dell’intero regno. Da quando Ivar era stato nominato re, erano stati avviati i lavori per rendere più sicura la città tramite nuovi sistemi difensivi. Bjorn non si sarebbe di certo arreso, insieme a Ubbe e a Lagertha avrebbe fatto di tutto pur di riconquistare Kattegat, pertanto era meglio tenersi pronti. Hildr si era rintanata nella baracca che Floki usava come base lavorativa presso il fiume. Si sentiva a casa in mezzo agli attrezzi, al legno, e agli schizzi di suo zio. La ferita era guarita, ma cercava di stare al riposo il più possibile, perciò Isobel aveva deciso di abitare con lei. Hvitserk, invece, aveva occupato una piccola abitazione a pochi metri dalla dimora reale. Anche re Harald si era stabilito in città, ospitato in una delle stanze dove un tempo dormiva Ubbe. Dalla battaglia solo Heahmund non aveva fatto ritorno, probabilmente era morto. Hildr aveva trovato la sua croce nella tenda che aveva condiviso e aveva scelto di portarla con sé come cimelio, in ricordo del vescovo.
“Disturbo?” esordì Isobel alle sue spalle, emergendo dalla baracca. Hildr si era svegliata presto a si era messa a meditare in riva all’acqua.
“Vieni a sederti qui, Isobel. Questo posto ti fa cambiare la visione che hai del mondo.”
“La mia visione è sbagliata?”
Hildr ridacchiò per l’ingenuità di quella ragazza, dimostrava tutti i suoi sedici anni in quegli occhi verdi smarriti.
“Mio zio Floki sostiene che ogni giorno è l’occasione giusta per riconsiderare la vita in una nuova luce. La sabbia, l’acqua, e il cielo ispirano la riflessione. Anche se immagino che tu preferissi stare con Hvitserk.”
Isobel arrossì e tossì, invano cercava di negare.
“Ehm, no, non è vero. Come ti è venuto in mente? Io e Hvitserk?! Pft! Non dire sciocchezze.”
Hildr inarcò il sopracciglio con espressione scettica tanto da costringere Isobel a cedere.
“E va bene, potrei provare qualcosa per Hvitserk. E’ sempre stato gentile con me, anche quando ero una schiava, e mi ha protetta.”
“Hvitserk è un imbecille, se proprio vuoi saperlo. Lui è l’eterno indeciso, non sa mai da che parte stare e spesso si ritrova nei guai per questo. Te lo dico perché potrebbe fingere di essere interessato a te, portarti a letto e poi ignorarti.”
“Sei molto severa nei suoi confronti. C’è qualcosa che non so?”
Hildr si stese sulla sabbia, incurante di sporcarsi i capelli, e affondò le mani nei granelli per vederli scivolare tra le dita.
“Io sono severa nei confronti di tutti. Sono fatta così, non mi fido mai fino in fondo, soprattutto se sono uomini.”
“Sei una maniaca del controllo come Ivar.” Rise Isobel spostandosi i capelli per vedere l’espressione divertita dell’amica.
“Che dire, tutti gli anni passati insieme a lui mi avranno influenzata!”
“Avete una bella amicizia, sai. Sembrate davvero fratello e sorella.”
Hildr sorrise compiaciuta, era bello che la loro unione apparisse tanto solida all’esterno.
“Sì, beh, lui è la mia famiglia. Dopo la morte di Helga e la partenza di Floki, mi è rimasto solo lui.”
“Non sei sola, Hildr. Io sono qui. So che non potrai mai considerarmi parte della famiglia, ma spero che mi considererai almeno come tua fedele amica.” Disse Isobel costringendo l’altra a voltarsi e a stringerla la mano.
“Isobel, tu sei mia amica. Sei sotto la mia protezione, perciò puoi ritenerti parte della famiglia.”
Hildr in Isobel rivedeva se stessa quando era piccola e aveva perso i genitori, conosceva la paura della solitudine e la disperazione di una vita difficile. La ragazza l’abbracciò e si accoccolò contro il suo petto, in fondo era una bambina e aveva ancora bisogno di essere rassicurata.
“Ehilà!” gracchiò una voce, e Hildr l’avrebbe riconosciuta tra mille. Freydis camminava verso di loro recando in mano un cesto di fiori. Hildr si alzò e si ripulì i pantaloni dalla sabbia, costringendosi ad essere gentile con la nuova arrivata.
“Buongiorno, Freydis. Quale buon vento ti porta qui?” domandò Isobel, conscia del disappunto di Hildr.
“Ivar mi manda perché vuole incontrare Hildr presso le mura della città.”
“E scommetto che è urgente.” Disse Hildr roteando gli occhi. Freydis ridacchiò e annuì.
“Sì, esatto. Credo che abbia un incarico per te, almeno così mi è sembrato di capire ieri sera.”
Hildr aggrottò la fronte perché, se Freydis e Ivar avevano parlato la sera prima, significava che avevano dormito insieme.
“Tu e Ivar state insieme?”
“Sì, mi piace pensarlo.”
Che risposta idiota, pensò Hildr. Il sorriso imbarazzato di Freydis le fece venire voglia di colpirla con l’ascia pur di togliersela di torno. Era bella e dolce, era ovvio che Ivar se ne fosse invaghito, eppure continuava a ritenere che non fosse quella giusta per lui.
“Puoi tornare a Kattegat e dire ad Ivar che lo raggiungerò nel pomeriggio. Adesso ho di meglio da fare.”
“Ma Ivar ha detto …” cercò di aggiungere Freydis, però lo sguardo furente di Hildr la fermò.
“Non mi importa cosa dice Ivar, io faccio quello che mi pare. Adesso, se non ti dispiace, io e Isobel abbiamo del lavoro da sbrigare.”
 
Hildr raggiunse Kattegat solo nel tardo pomeriggio. Aveva impiegato l’intera giornata ad allenarsi con l’arco e nel lancio dell’ascia, poi aveva fatto una nuotata e infine aveva aiutato Isobel ad adattare al meglio la baracca. Non appena imboccò la strada principale, trovò Ivar seduto sulla veranda ad ammirare la sua città. Come quando era piccolo ed escluso dai giochi, se ne stava lì a pianificare un modo per accrescere la sua fama. Notando la sua presenza, Ivar fece leva sulla stampella e scese i pochi scalini con le gambe intorpidite.
“Stai bene?” chiese Hildr, captando sul suo volto una smorfia di dolore. Ivar, che camminava peggio del solito, con uno scatto della mano la liquidò.
“Io me la cavo. Tu, piuttosto, per quale motivo mi stai evitando?”
“Non ti sto evitando, semplicemente avevo voglia di ritagliare del tempo per me. Io non sono al tuo servizio, Ivar.”
La risposta piccata della ragazza lo fece ridacchiare, la sua amica era l’unica persona al mondo che lo vedeva come un comune ragazzo.
“Sono il tuo re, e dovresti badare bene a come ti rivolgi. Potrei punirti con il supplizio dell’aquila di sangue.”
Hildr gli tolse la stampella di mano e, prima che cadesse, gli afferrò con forza il mento. Ivar sorrideva, da sempre amava il suo spirito ribelle.
“Non esistono re che possano incatenarmi. Con me devi mantenere i piedi a terra, io non sono una tua suddita. Io sono tua amica.”
I loro visi erano vicini, un lieve spostamento e le loro labbra si sarebbero sfiorate.
“Ah, ecco la mia valchiria! La punta di diamante del mio esercito!” esclamò Ivar, un luccichio di soddisfazione negli occhi. Hildr lo lasciò andare e gli restituì alla stampella.
“Non sono una valchiria, non sono degna di un tale titolo.”
“E qui ti sbagli, amica mia! Tutti ti chiamano ‘Hildr la Valchiria’ dopo la vittoria a York.”
La ragazza si mise le mani sui fianchi e scosse la testa, non amava tutta quella gloria.
“Ordina a tutti di smetterla di chiamarmi in quel modo dal momento che sei il re.”
“Perché? Ti sei guadagnata quella nomina! Sei stata la migliore sul campo di battaglia.” le disse Ivar iniziando a zoppicare in direzione delle mura.
“Non sono stata la migliore. Mi hanno chiamata così soltanto perché sono tua amica e vogliono entrare nelle tue grazie.”
Il ragazzo si girò e le depose una mano sulla spalla, il calore penetrò la sottile casacca facendola rabbrividire.
“Per me sei la migliore, conta solo questo.”
Hildr si fece scappare un sorriso, solo lui riusciva a consolarla.
“Grazie. Allora, perché volevi incontrarmi alle mura?”
“Seguimi e lo scoprirai.” Disse Ivar in tono scherzoso, poi le offrì il braccio e proseguirono insieme.
 
“No, no, no! E ancora no!”
Hildr si dimenò ma la presa di Ivar intorno alle sue braccia era troppo salda.
“Andiamo, Hildr, non fare la bambina!”
“Faccio la bambina? Sei tu che, oltre ad essere senza ossa, sei anche senza cervello!”
“Non essere offensiva. Non è la fine del mondo!”
La ragazza riuscì a liberarsi e indietreggiò con le sopracciglia corrugate. Ivar le aveva chiesto di collaborare con Sveinn per proteggere le mura e organizzare un piano di difesa in caso di attacco.
“Infatti, Ragnarok è nulla in confronto!”
Ivar sospirò e imprecò a bassa voce, la sua amica sapeva essere davvero testarda.
“Sii ragionevole, per favore. Ho bisogno del tuo aiuto, Hildr.”
“E io sono ben disposta ad aiutarti, ma questa volta mi tocca rifiutare per principio!”
“Sveinn è cambiato, è un adulto adesso. Prova a comportarti anche tu da persone matura.” l’ammonì Ivar puntandole contro il dito. Hildr scostò il suo braccio con uno schiaffo e fece un ulteriore passo indietro.
“Tu mi stai chiedendo di collaborare con il ragazzino che ci ricopriva di insulti. Ti rammento che quell’idiota ha riso di me quando ho sanguinato per la prima volta! Tra l’altro, ti sfotteva sempre per via delle tue gambe. Con che coraggio mi chiedi di lavorare con lui?”
“Ti sto chiedendo di lavorare per me, di trovare un modo per proteggere la città. Bjorn e la sua armata arriveranno presto e noi dovremo essere preparati.”
Hildr aveva voglia di obiettare ancora ma lo sguardo supplichevole di Ivar inibiva ogni sua tentazione. Non era in grado di dirgli di no da quando erano bambini.
“Se la metti così, mi immolerò per la patria.”
“Brava la mia ragazza!” disse Ivar pizzicandole la guancia. Poi i suoi occhi slittarono alle spalle della ragazza e fece un cenno della mano alla figura che stava avanzando. Quando Hildr si voltò, vide un ragazzo dai lunghi capelli rossi, alto e dalle spalle larghe.
“Hildr, è un piacere rivederti.” Disse lo sconosciuto con un sorriso cordiale. Hildr lanciò un’occhiata interrogativa ad Ivar, il quale rideva sotto i baffi.
“Ci conosciamo?”
“Sì, io sono Sveinn. Ti ricordi?”
La ragazza non se lo ricordava così bello e muscolo, era cambiato di molto negli anni.
“Sì, purtroppo sì.”
Ivar si issò nuovamente sulla stampella e a fatica mosse le gambe.
“Poiché avete del lavoro da svolgere, io torno nella mia dimora. Ci vediamo più tardi per festeggiare. Mi raccomando, Hildr, indossa qualcosa di decente!”
Hildr grugnì per la rabbia. Voleva corrergli dietro, però doveva esaudire anche la sua richiesta, perciò decise di abbracciare anche quella croce.
“Sveinn, direi che possiamo procedere.”
“Andiamo, ti presento la squadra di lavoratori che sarà con noi.”
 
Era tarda sera quando Hildr e Isobel si presentarono nella sala regale. La tavolata era imbandita, tutti bevevano e mangiavano, un ragazzo allietava l’atmosfera suonando la cetra.
“Possiamo tornare a casa? In fondo, non ci ha ancora viste nessuno!” disse Hildr con un pizzico di speranza nella voce, ma Isobel scosse la testa.
“Vuoi scappare solo perché indossi un abito femminile.”
Hildr, infatti, che non indossava vesti femminili da quando aveva dodici anni, quella sera era fasciata da un abito a maniche lunghe color bronzo e portava i capelli sciolti sulle spalle.
“Guarda che ti rispedisco a York e ti faccio imprigionare di nuovo!” scherzò Hildr mascherando l’agitazione. Isobel le diede una leggera spallata mentre rideva. Hildr smise di ridere quando udì una serie di tonfi picchiare contro il pavimento e, voltatasi, incontrò il ghigno di Ivar.
“Oh, amica mia, allora sei una vera donna!”
Dietro di lui stava Freydis, bellissima nel suo abito blu che faceva risaltare i lunghi capelli biondi.
“Io sono una donna, sei tu che non mi vedi.” Ribatté Hildr in modo tagliente, facendo scomparire il ghigno dall’espressione dell’amico.
“Hildr la Valchiria!” strillò re Harald dal fondo della sala, dopodiché si alzò e camminò a passo baldanzoso verso di lei. La ragazza digrignò i denti, quell’uomo non le piaceva affatto.
“Re Harald, sei già sbronzo a quest’ora? Devo dedurre che questo sia il tuo record.”
Anziché offendersi, Harald proruppe in una risata.
“Bevo per rallegrare la mia esistenza.”
“E’ tanto penosa la tua esistenza?” domandò Freydis in tono canzonatorio, e le sue dita si avvolsero intorno al braccio di Ivar.
“La mia esistenza è penosa senza una donna da amare.” Replicò Harald guardando Hildr, che invece distoglieva lo sguardo apposta.
“A proposito di donne e d’amore, - incominciò Ivar trascinandosi sul trono – vorrei comunicare una lieta notizia a tutti voi, popolo di Kattegat.”
“Un’altra guerra da vincere?” disse un uomo seduto in prima fila, e tutti si misero a ridere. Ivar stesso sorride, poi afferrò la mano di Freydis e ne baciò il dorso.
“Di sicuro ci saranno altre guerre da vincere, amici miei. Stasera, però, vorrei annunciare pubblicamente le mie intenzioni. Sposerò Freydis settimana prossima!”
I presenti esplosero in esclamazioni di gioia, applausi e fischi. Hildr non si unì ai festeggiamenti, era troppo sconvolta. Quasi poté sentire il proprio cuore andare in frantumi. Hvitserk le lanciò un’occhiata preoccupata ma lei non era neppure in grado di muoversi. La delusione bruciava come sale sulle ferite.
“Mi dispiace.” Le sussurrò Isobel all’orecchio. Ivar, stranito dalla reazione dell’amica, sollevò il sopracciglio in segno interrogativo. Fu a quel punto che Hildr si fece coraggio e sorrise.
“Congratulazioni!”
L’attimo dopo sgusciò via dalla sala in preda alla rabbia. In quel momento capì che tutte quelle sensazioni, l’affetto eccessivo per Ivar, la gelosia, la delusione, erano connesse tra di loro: era innamorata di Ivar. Si toccò il petto con la mano come se volesse impedire al cuore di sanguinare per lo shock di quella presa di coscienza. Le si annebbiò la vista, le lacrime si dibattevano per sgorgare, ma non riusciva neanche a piangere.
“Povera Hildr! Hai il cuore a pezzi.” Squittì una voce alle sue spalle, e dal buio emerse Freydis. Hildr odiava farsi vedere vulnerabile, perciò raddrizzò la schiena e ostentò una finta indifferenza.
“Non essere idiota, Freydis. Non sono a pezzi perché Ivar ha deciso di sposarti, il mio cuore è in perfetta salute.”
“Adesso sei tu che fai l’idiota. Io l’ho capito che provi qualcosa per Ivar, forse lo capiscono tutti quelli che passano più di cinque minuti con voi due. Sai, all’inizio pensavo che anche lui avesse dei sentimenti per te, ma col trascorrere del tempo ho capito che lui ti considera solo come una sorella. Non vali niente per lui.”
Hildr incassò il colpo e, invece che avvilirsi, si limitò a sorridere.
“Tu non conosci Ivar, nessuno lo conosce, e questo può essere un fattore pericoloso. Tu credi che sia un re, che sia un dio, che sia l’uomo più forte del mondo, ma non vedi il bambino che si cela dietro la sua furia.”
“Imparerò a conoscerlo, non è un problema.” Disse risoluta Freydis. Hildr si sfilò un coltello sottile dalla manica del vestito e lo puntò contro la gola di Freydis.
“Se tu fai del male ad Ivar in qualunque maniera, io ti vengo a cercare e ti sgozzo. Sono stata chiara?”
“Va tutto bene lì?” le interruppe Hvitserk affacciandosi dalla veranda. Hildr prontamente rimise il coltello al suo posto e sfoderò un sorriso allegro.
“Va tutto benissimo! Io e Freydis ci stavamo scambiando banali confidenza tra amiche. Torna a divertirti, Hvitserk!”
Non appena il ragazzo rientrò, Hildr assunse di nuovo la sua maschera di freddezza. Freydis incrociò le braccia con fare altezzoso.
“Io non paura di te, Hildr.”
“E fai male, perché io posso essere molto peggio di Ivar.”
 
Hildr fece ritorno alla festa con l’anima che pesava come fosse un mattone. Scorse Isobel in compagnia di Hvitserk e decise di non disturbarla, perciò si prese da bere e scolò la birra tutta d’un sorso. Era talmente persa nei propri pensieri che non si accorse della presenza di Sveinn.
“Che faccia scura!” scherzò il ragazzo ma Hildr a malapena lo guardò. Era troppo impegnata a trucidare con gli occhi Freydis che riceveva complimenti a destra e a sinistra.
“Deduco che la futura regina non ti vada a genio.”
La ragazza gli riservò un’occhiataccia fulminea, poi bevve altra birra e sbatté con forza il boccale sul tavolo.
“Che vuoi, Sveinn? La tua gentilezza mi dà la nausea! Da ragazzino non facevi altro che darmi il tormento, e adesso fai la persona a modo?! Io non ci casco!”
Sveinn rimase interdetto dalle sue parole velenose, si passò una mano tra i capelli rossi con fare nervoso e imbarazzato.
“Hildr, eravamo ragazzini ed eravamo stupidi! So di essermi comportato male con te e con Ivar, ma adesso siamo adulti e dovremmo andare avanti.”
Hildr ne aveva abbastanza, adocchiò ancora una volta Ivar e poi si incamminò fuori dalla sala. Voleva stare da sola.
“Hildr!” la richiamò Sveinn, che la stava rincorrendo.
“Che diamine vuoi ancora? Mollami!”
“Che ti prende? Tu non sei così!”
“Tu non sai chi sono!  - sbraitò lei – noi non siamo mai stati amici e mai lo saremo. Solo perché Ivar ci costringe a lavorare insieme non vuol dire che ho dimenticato quello che ci hai fatto!”
Sveinn era confuso dall’improvviso raptus di rabbia della ragazza, non era da lei.
“Tu sei ferita.” Realizzò lui, sgranando gli occhi per la sorpresa. Hildr si passò le mani tra i capelli e sbuffò.
“No, la ferita è guarita ormai. Sto bene.”
“Tu sei ferita nell’animo, Hildr. E la ferita l’ha causata Ivar.”
“Di che parli?”
Sveinn non aveva altro da dire, aveva capito tutto, ma non andò oltre per non farla scappare ancora.
“Niente, non parlo di niente. Ora, per favore, andiamo a divertirci.”
 
Ivar stava sorridendo mentre stringeva le mani a chi si congratulava con lui per le nozze imminenti, ma il sorriso si spense quando Hildr e Sveinn ritornarono alla festa. Quella sera Hildr era particolarmente bella, l’abito metteva in risalto le curve del suo corpo, e i gioielli le illuminavano il viso. Per la prima volta la stava vedendo per ciò che era: una donna. L’aveva sempre considerata un maschiaccio, una mezza ragazza, e adesso si rendeva conto di essersi sempre sbagliato. Il profilo di Hildr scomparve quando nel suo campo visivo comparve un alquanto brillo re Harald.
“Ivar Senz’Ossa!”
“Re Harald, mi auguro che tu ti stia divertendo.”
“Mi divertirei di più se avessi la giusta compagnia.” Disse il re indicando Hildr con un cenno del mento. Ivar immediatamente si irrigidì a quella insinuazione  e la sua mano scattò a serrarsi intorno al coltello che teneva nella cintola.
“Fa attenzione a quello che desideri, Harald.”
“Io voglio sposare Hildr. E’ giovane, forte, determinata, e sono sicuro che sarà una fantastica regina e una madre amorevole.”
Ivar non aveva mai immaginato Hildr come una donna sposata e né tantomeno come una madre, per lui era una guerriera ed era la sua migliore amica.
“Io ritengo che sia una splendida idea!” commentò Freydis con troppa enfasi.
“No.” Disse categorico Ivar. Le labbra di Harald formarono una linea sottile a quel rifiuto.
“Come, scusa?”
 “Ho detto no. Non ti do il permesso di sposarla.”
“Ma io non stavo chiedendo il tuo permesso.”
Ivar gli toccò la spalla ed esercitò una certa pressione che fece sbarrare gli occhi del re.
“Hildr non è disponibile.”
“Questa tua opposizione mette a dura prova la nostra alleanza. Non sfidarmi, Ivar.” Lo minacciò Harald, dunque si liberò dalla sua mano e si allontanò per bere ancora.
“Ivar, rivedi le tue priorità.” Gli suggerì Freydis con voce melliflua. Ivar fissava Hildr chiacchierare con Isobel e Hvitserk, era tranquilla e lui non poteva distruggerla così.
“Non posso cedere ad ogni richiesta di Harald, mi renderebbe debole agli occhi dei nemici.”
Freydis gli accarezzò gli zigomi dolcemente e gli baciò a stampo la bocca come a voler calmare la sua ira.
“Concedere in sposa la tua più cara ad un alleato è un segno di forza. I nemici capiranno che la vostra alleanza è indissolubile e vi temeranno. Pensaci, amore mio.”
 
 
Salve a tutti!
Alla fine Hildr ha capito cosa si celava nel suo cuore. Essere innamorati del proprio migliore amico è sempre un rischio, e lei sarà sopraffatta dall’amore che prova per Ivar.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Amicizia tradita ***


6. AMICIZIA TRADITA

Hildr se ne stava con la testa poggiata contro il bordo della vasca ad occhi chiusi, fischiettando il ritmo di una canzone che le cantava sua madre da bambina. Era il giorno del matrimonio di Ivar e Freydis, pertanto pensava che un bagno caldo avrebbe calmato i nervi. Da quando aveva realizzato di essere innamorata di Ivar le cose erano cambiate, preferiva evitare ogni contatto fisico con lui, non lo guardava più del dovuto, e divideva tutto il suo tempo tra il lavoro con Sveinn alle difese e Isobel. Vegliava su di lui come sempre, ma aveva imparato a farlo da lontano. Sapeva che si sarebbe dovuta fare da parte per dare spazio a Freydis, era lei la regina e la moglie del suo migliore amico. Quel flusso di pensieri fu interrotto dalla porta che si apriva con il solito vecchio cigolio. Hildr spalancò gli occhi quando vide Ivar trascinarsi con la stampella nella stanza.
“Ivar! Che ci fai qui? Esci subito!”
“E per quale ragione?!” chiese il ragazzo scrutandosi intorno. Hildr si portò le ginocchia al petto nella speranza di coprirsi il corpo nudo.
“Perché sto facendo il bagno!”
“Continua a farlo! Temi che possa sbirciare nell’acqua? Tranquilla, mi siedo a distanza.” Disse Ivar sedendosi sul letto della ragazza. Hildr sospirò in rassegna, si strinse ancora di più per evitare lo sguardo dell’amico.
“Quale sventura ti porta nella mia umile dimora? Oggi ti sposi, dovresti prepararti.”
“Sono già pronto. E’ Freydis quella che deve indossare roba complicata. Sono qui per passare il tempo che mi separa dalla cerimonia, a casa da solo mi annoiavo.”
“E mi usi come ripiego, grazie molte.” Replicò Hildr senza rendersi conto del tono indispettito che aveva usato.
“Che hai ultimamente? Sembra che mi odi. Sei scostante, corrosiva come acido, e passi più ore con Sveinn che con me! Sarò anche impegnato a governare Kattegat, ma mi accorgo di certe cose.” Disse Ivar aggrottando le sopracciglia, proprio non riusciva a capire il distacco dell’amica.
“Non ho niente. Comunque, è colpa del tuo sistema difensivo se passo tante ore con Sveinn!”
Il ragazzo camminò verso di lei strascinando la stampella sul pavimento, poi la lasciò cadere per stringere con le mani il bordo della vasca tanto forte da far sbiancare le nocche. Hildr non osò alzare gli occhi, era terrorizzata di cedere davanti al suo sguardo furioso. Ivar, però, le afferrò il mento e la costrinse a guardarlo.
“Se qualcosa o qualcuno ti disturba, tu devi dirmelo. Risolverò qualsiasi problema. Sono qui per te, Hildr. Ci sono da quando avevi sei anni e continuerò ad esserci.”
Hildr tremava, e non per il freddo, ma per il calore che Ivar stava emanando. Una treccia intricata gli ornava i capelli, la casacca e la giacca blu gli illuminavano l’azzurro degli occhi, ed era bello da far male.
“Sto bene. – mentì – Non c’è niente e nessuno di cui devi occuparti. E’ solo che sto ripensando molto ai miei genitori. Tornare a Kattegat mi ha destabilizzata, tutto qua. Non preoccuparti.”
Ivar, dal canto suo, colpì la superficie dell’acqua con un pugno schizzandosi i pantaloni. Era certo che Hildr nascondesse qualcosa ed entro la fine della giornata lo avrebbe scoperto, costi quel che costi.
“Va a prepararti.” Le ordinò, dunque le allungò il telo e le diede le spalle. Hildr velocemente si coprì e uscì dalla vasca, era in totale imbarazzo. Quando Ivar si voltò, sentì il cuore schizzargli in gola. Il telo grigio si era bagnato a contatto con la pelle e si avvolgeva attorno al suo corpo perfettamente, evidenziato ogni particolare, dal profilo dei seni, ai fianchi larghi, gli sembrava una delle statue femminili romane che ornavano le terme di re Ecbert nel Wessex. I capelli le gocciolavano sulle spalle e lungo le braccia nude, e Ivar dovette tossire per riprendersi.
“Vado a vestirmi.” Disse Hildr, le gote tinte di rosso, la voce malferma. Il ragazzo annuì soltanto, era troppo rapito da quella visone per parlare.
 
Hildr controvoglia aveva dovuto presenziare alla cerimonia nuziale. Preferiva di gran lunga un’ascia piantata nel petto che assistere alla consacrazione dell’unione tra Ivar e Freydis.
Non appena si furono scambiati il primo bacio come marito e moglie, Hvitserk si alzò e Hildr lo seguì immediatamente, non avrebbe resistito un secondo di più.
“Quanto stai soffrendo?” le mormorò Sveinn all’orecchio. L’aveva affiancata mentre si dirigevano nella sala reale per il banchetto. La ragazza alzò gli occhi al cielo, non aveva bisogno che anche lui la tormentasse.
“Le tue insinuazioni sono diventate irritanti. Sono due settimane che mi torturi, e sinceramente non ne capisco la ragione. Saresti così cortese da spiegarmelo?”
“Perché fingi, Hildr? Te lo si legge in faccia che sei innamorata di lui.”
Hildr serrò le dita intorno alla cinta del vestito e prese un respiro profondo, non poteva perdere il controllo.
“Non è vero. Io provo solo un affetto fraterno per Ivar.”
“Non devi mentire con me, non lo direi mai a nessuno.” Disse Sveinn sempre a bassa voce. La ragazza scoppiò a ridere e gli diede una gomitata nelle costole.
“E secondo te sono così stupida da fidarmi di te? Possiamo anche lavorare insieme, ma io non dimentico quello che hai fatto. Sono una che porta rancore fino alla morte.”
Hildr non gli diede la possibilità di replicare, gli diede le spalle e si incamminò verso Hvitserk e Isobel. Era triste ed arrabbiata, ma non poteva chiudersi in casa perché sarebbe sembrato strano. Era la migliore amica dello sposo ed era obbligata a restare.
“Hildr, meravigliosa creatura!”
La voce di re Harald le fece storcere il naso, lui era una di quelle persone che peggioravano quella giornata. Si voltò verso lui con la furia negli occhi.
“Re Harald, smettila di starmi addosso! Sei un alleato di Ivar ma ciò non significa che noi siamo amici. Io nutro dei sospetti nei tuoi confronti, perciò ti conviene restare al tuo posto!”
“Che caratteraccio! Mi piaci troppo!” disse Harald con un sorriso malizioso.
“Mi stai esasperando, Harald. Smettila di infastidirmi con le tue stupide chiacchiere!”
Una decina di persone furono attratte dalle grida della ragazza e si misero a guardare, tant’è che Hvitserk si vide costretto ad intervenire.
“Andiamo, Hildr. La cena è stata servita.”
Hildr si scrollò di dosso la sua mano e si mosse in direzione del porto, aveva bisogno di ritrovare un equilibrio altrimenti avrebbe messo a repentaglio la giornata.
 
Era notte fonda e i festeggiamenti proseguivano. Tutti erano ubriachi, bevevano, mangiavano a sazietà e si cimentavano in danze sfrenate. Hvitserk gettò nel piatto l’ultima coscia di lepre e si pulì la bocca con le mani, poi svuotò in pochi sorsi il boccale di birra.
“Hai una fame da lupi.” Ridacchiò Isobel al suo fianco. Era bella con i capelli legati in due trecce e un vestito azzurro con ricami blu.
“E’ fame vichinga!” scherzò lui versandosi altra birra. Aveva intuito che Isobel era innamorata di lui, e di certo era una ragazza che si faceva notare per bellezza e gentilezza, ma aveva paura di ferirla. Isobel abbassò lo sguardo a causa degli insistenti occhi di Hvitserk, poi lui le sollevò il mento con le dita e posò un bacio casto sulle sue labbra. La ragazza si tirò indietro come se si fosse appena scottata.
“Non posso. Hildr ne sarebbe dispiaciuta.”
“E tu fai tutto quello che dice Hildr?”
“Beh, lei mi ha resa libera e si prende cura di me, pertanto devo mostrare rispetto per lei.”
“Immagino che lei ti abbia parlato male di me. Vero?”
“Hildr non è tipo da adottare certi sotterfugi. Mi ha solo suggerito di stare attenta perché tu potresti fingere di essere interessato a me solo per portarmi a letto.” Ammise Isobel, le guance arrossate per la vergogna.
“Tu ci credi?”
“Non fare il finto ingenuo, Hvitserk. Ti vedo ogni giorno in compagnia di una ragazza diversa, e questo mi permette di giudicare. Io non voglio più soffrire, ho sofferto già troppo in vita mia.”
Hvitserk d’istinto le accarezzò la guancia e socchiuse gli occhi, quasi potesse sentirla anche lui quella sofferenza.
“Sei mai stata innamorata?”
Isobel sussultò a quella domanda, era così intima per derivare da una persona come lui.
“No. Tu?”
“Nemmeno io. Hai ragione a giudicarmi perché vado a letto con molte ragazze, però devi sapere che lo faccio perché ho paura dei veri sentimenti. Non sono pratico in amore e temo di mandare tutto all’aria.”
“Lo capisco, tutti abbiamo un po’ di paura in amore. Ma non è forse la paura di amare già amore?”
Hvitserk rimase sbigottito, Isobel era capace di zittirlo. Sorrise e annuì.
“Quindi tra di noi è già amore?”
“Oh, ehm, io … ecco … non intendevo dire che … non mi riferivo a noi … a te.” balbettò lei in difficoltà, lui la stava confondendo.
“Tu mi stai facendo innamorare per la prima volta in vita mia, Isobel.”
Isobel, stanca di trattenersi, si protese per sfiorargli le labbra e Hvitserk ne approfittò per approfondire il bacio. Nonostante la stanza fosse piena di gente, esistevano solo loro in quel momento.
“Io non sono mai andata a letto con un ragazzo.” Confessò Isobel, e si diede della stupida per averlo detto. Hvitserk sorrise di nuovo e ancora una volta la baciò dolcemente.
“Non importa. Andremo piano. Voglio fare le cose per bene questa volta.”
“Grazie.”
 
Hildr non aveva fatto altro che piluccare il cibo nel piatto svogliatamente. Non aveva fame, non aveva sete, e soprattutto non aveva voglia di divertirsi. Ivar e Freydis si scambiavano teneri baci e si sussurravano chissà quali romanticherie, e lei reprimeva un urlo. Si abbandonò ad un sorriso nostalgico quando  ricordò la prima volta che si era seduta sul trono della regina.
#L’inverno di Kattegat era duro da affrontare. Il gelo penetrava nelle ossa raffreddandole e neanche il fuoco talvolta riusciva a concedere ristoro. Ragnar e Floki erano in procinto di partire alla volta di Parigi, pertanto erano sempre indaffarati nei preparativi, ed erano Aslaug ed Helga a badare ai bambini. Quella fredda mattina Helga entrò nella sala reale insieme alla piccola Hildr, e Hvitserk le cose incontro per accoglierla.
“Ciao, Hildr! Io e Sigurd abbiamo costruito delle spade di legno, vuoi giocare con noi? A momenti Ubbe tornerà e potremo fare un gioco a squadre.”
“E Ivar non gioca?” chiese la bambina, sbirciando alle spalle di Hvitserk in cerca dell’amico.
“Ivar non può giocare, lo sai.”
“Siete voi che non lo invitate mai a giocare, siete cattivi con lui!”
“Hildr!” la rimproverò Helga fulminandola con lo sguardo. Aslaug emerse dal fondo della sala e sorrise quando vide la bambina. Teneva Ivar in braccio, avvolto in due coperte pesanti. Aveva il viso rigato di lacrime ed era colpa del dolore alle gambe. Hildr lasciò la mano della zia per avvicinarsi ad Ivar, ma il bambino non osava guardarla.
“Ivar, che ti succede?”
La preoccupazione evidente nella sua voce fece scattare gli occhi di Ivar su di lei.
“Sento dolore. Si è spezzato un altro osso.”
Hildr, anziché schernirlo come gli altri, si inginocchiò di fronte a lui e lo abbracciò, dopodiché gli diede un bacino sulla guancia.
“Mia madre diceva che un bacino guarisce tutte le ferite. Adesso stai già meglio?”
“Sì!” esclamò Ivar con un sorriso, convinto che il bacio avesse funzionato.
“Vieni con noi, Hildr.” Disse Aslaug facendo un cenno alla bambina. La regina fece sedere Ivar sul trono di Ragnar, gli sistemò le coperte per tenerlo al caldo, poi accostò il proprio trono a quello dove stava il figlio. Hildr spalancò la boccuccia quando Aslaug la invitò a sedersi con un gesto della mano.
“Devo sedermi? Siete sicura, regina?”
“Prego, Hildr. Oggi Ivar sarà il re e tu sarai la regina.”
Hildr si arrampicò sul grande trono e salutò Helga come avrebbe fatto una vera regina.
“Sei una bellissima regina.” Le disse Ivar, al che la bambina sorrise e gli stampò un altro bacino sulla guancia.
“E tu sei un bellissimo re.”#
Hildr sbuffò, irritata dagli eventi di quella giornata che facevano a pugni con i ricordi. Si ridestò quando notò il silenzio religioso che era piombato nella stanza. Ivar si era alzato in piedi e sollevava il bicchiere con un sorriso trionfante dipinto sulle labbra.
“Popolo di Kattegat, oggi si festeggia un nuovo inizio per tutti noi. Sapevo di essere destinato alla grandezza, mio padre stesso me lo aveva predetto, ma è grazie alla mia incantevole moglie che oggi ho realizzato chi sono davvero. Non sono un uomo ordinario e neanche un re ordinario, io sono un dio! Avete compreso? Un dio tra gli dèi vive tra di voi e vi governa! La mia condizione di storpio non è una maledizione come tutti hanno sempre creduto, è un dono di Odino! E’ un segno che sono degno di essere considerato al pari di una divinità! Sapete, poco fa ho ricevuto una spiacevole notizia e mi sono scervellato per trovare una soluzione, ma la mia dorata Freydis mi ha consigliato di agire come un dio misericordioso, di essere migliore di chi ha commesso il reato. Sono stato tradito infinite volte nella mia vita, ma il tradimento appena compiuto è il più doloroso, mi lascia un buco nel petto. Mia sorella Hildr, il mio braccio destro, il mio contrappeso da sempre, mi ha tradito senza pensarci due volte.”
A Hildr crollò il mondo addosso. Si mise in piedi con difficoltà, aveva il respiro concitato, e tremava tutta. Che cosa stava succedendo?
“Ebbene, popolo di Kattegat – proseguì Ivar – Hildr nella battaglia di York ha risparmiato il principe Alfred del Wessex e gli ha concesso di fuggire per salvarsi. Io, in quanto vostro re e dio, devo punire questa azione deplorevole! Guardie, portatemi l’accusata.”
Hildr cercò di scappare via ma le guardie la braccarono e la scortarono da Ivar. La fecero piegare sulle ginocchia, tirandole i capelli affinché guardasse il re.
“Ivar, lasciala subito andare!” tuonò Hvitserk sfoderando la spada. Ivar inarcò il sopracciglio e si toccò il petto fingendosi offeso.
“Oh, fratello, sta a cuccia. Abbaiare non ti si addice, anche perché non sai mordere.”
Hvitserk stava per attaccarlo quando una guardia lo immobilizzò sulla sedia puntandogli l’ascia alla gola.
“Che cosa ti ho fatto per meritare tutto questo?” chiese Hildr, gli occhi lucidi, la gola nodosa.
“Hai salvato la vita di quello stupido principe quando avresti dovuto farlo a pezzi! Mi hai deluso profondamente, Hildr!”
Hildr non capiva come lo avesse scoperto, non lo aveva raccontato a nessuno, e credeva che nessuno l’avesse vista. Ma cosa ci avrebbe guadagnato la persona in questione a riferire una tale azione? Cosa si nascondeva davvero dietro quell’accusa?
“Chi te lo ha detto, eh? Non ti accorgi che c’è qualcosa di assurdo in tutto questo?”
Freydis alle spalle di Ivar sorrideva, ammirava la scena con attenzione, finalmente si liberava di una nemica.
“Ah, allora neanche provi a negarlo!” sbraitò Ivar scagliando il bicchiere a terra.
“No, non lo nego! Ho salvato la vita ad Alfred? Sì. Se lo meritava? Sì. Me ne pento? No.”
L’espressione di Ivar era ferita, la delusione aleggiava sul suo volto, irradiandosi dal cuore. Tutti lo avevano tradito, anche la sua migliore amica, sua sorella.
“Meriti la morte per questo.”
Fu allora che Hildr pianse, mostrandosi in lacrime davanti agli altri per la prima volta.
“Uccidimi.”
“No! – disse Ivar, asciugandosi gli occhi umidi – dal momento che sono un dio benevolo, ho optato per una punizione diversa. Le condizioni sono queste: dovrai combattere durante gli Hòlmganga* contro i tre guerrieri più forti di Kattegat. Se vincerai, sposerai re Harald e sarai libera. Se perderai, sarai ridotta in schiavitù e sarai la schiava personale di re Harald.”
“Perché mi fai questo, Ivar?”
“Perché ho rivisto le mie priorità e devo pensare soltanto a proteggere la mia posizione.”
“E’ un altro suggerimento di Freydis, immagino. Lo capisci che ti sta manipolando? Sei così accecato dal tuo delirio di onnipotenza da non vedere la realtà dei fatti!” inveì Hildr, il vestito ormai sporco di polvere, i capelli disordinati. Ivar, mosso dall’ira, le artigliò bruscamente le spalle per spingerla a sé.
“Non hai alcun diritto di mettere voce nelle mie decisioni. Tu per me sei morta nel momento in cui hai scelto di salvare il principe!”
“Nemmeno mi chiedi perché l’ho salvato, a te importa solo ostentare il tuo potere!”
Hildr digrignò i denti quando la guardia le tirò ancora i capelli, temeva che alcune ciocche si fossero staccate. Isobel piangeva sommessamente mentre Hvitserk si dimenava invano, due guardie puntavano le asce contro di loro.
“E sentiamo, perché lo hai salvato?” continuò Ivar elargendo un sorriso sornione.
“L’ho salvato perché è stato l’unico ad essere gentile con noi. Te lo ricordi come ci ha trattati quando eravamo prigionieri alla corte di re Ecbert? Tutti ci consideravano dei mostri ma Alfred si è dimostrato cortese e aperto verso di noi. Non meritava di morire ammazzato a York come se fosse un topo! E’ solo un ragazzino!”
“Quel ragazzino, come lo definisci tu, è il re del Wessex e di conseguenza è un nostro nemico! Salvarlo è stata una mossa incosciente!”
Hildr emise un verso a metà tra una risata e un lamento.
“Sai, per essere un dio sei alquanto stupido! Secondo te ho salvato Alfred senza avere un secondo fine? Salvandogli la vita, ti ho fatto guadagnare un papabile alleato. Vedi, Ivar, non sei il solo che architetta strategie. Alfred è in debito con me e, essendo una persona di parola, so per certo che accorrerebbe in mio aiuto.”
Ivar ricadde sul trono, sfinito da quella giornata. Il ragionamento di Hildr non faceva una piega, ma al tempo stesso era l’ennesima ammissione di colpa. Freydis gli toccò la spalla come a volergli infondere il coraggio necessario ad emettere la sentenza.
“Non importa la ragione della tua scelta, sta di fatto che hai salvato la vita di un nemico. La sentenza non cambia, sei condannata agli Hòlmganga !” tuonò il re, poi con un cenno comandò ai suoi uomini di scortare fuori la condannata. Hildr si sentì sollevare da due guardie e fu trascinata verso l’uscita, ai suoi lati sfilavano i volti increduli dei presenti.
“No! No! No! Ivar! Ivar!”
Gli strilli di Hildr riecheggiarono in tutta la sala e Ivar si tappò le orecchie per non udire nulla. Aveva condannato una parte di se stesso.
 
Hvitserk scaraventò il bicchiere contro la parete in preda alla collera. Isobel gli cinse le spalle e appoggiò la fronte contro la sua schiena, captando il suo respiro irregolare.
“Calmati, Hvitserk. Ti prego.”
Il ragazzo capì che anche per lei doveva essere difficile, perciò l’abbracciò e le baciò la testa.
“Dobbiamo aiutare Hildr, oppure questa storia non finirà bene.”
“Come hanno saputo che Hildr ha salvato Alfred?”
“Non lo so. – disse Hvitserk prendendo posto sul letto – Penso che Freydis c’entri qualcosa. Io non vado d’accordo con mio fratello, ma Hildr non può pagare per colpa sua. Tutti abbiamo risparmiato qualcuno sul campo di battaglia.”
Isobel non riusciva a sedersi, era troppo agitata, camminava avanti e indietro. Il solo pensiero di Hildr in gattabuia la faceva rabbrividire di paura.
“Che cosa sono gli Hòlmganga?”
“Non vuoi davvero saperlo.” Replicò Hvitserk in tono piatto.
“Dimmelo, per favore.”
Hvitserk tremò quando Isobel gli prese le mani e gli sfiorò la guancia con le labbra, era troppo pura per un mondo violento come il loro.
“Gli Hòlmganga sono duelli che si svolgono su un isolotto non lontano da Kattegat. Chiunque sia stato offeso può sfidare l’altro ad un hòlmgang per qualsiasi ragione. Si combattono tre giorni dopo la sentenza. Sono duelli all’ultimo sangue, si combatte fino a che uno dei duellanti non muore. Hildr non avrà alcuna chance contro i tre guerrieri più forti dell’esercito.”
“Tu sai chi sono questi guerrieri?”
Il senso di colpa distorse l’espressione di Hvitserk e Isobel si coprì la bocca con la mano.
“I tre guerrieri più forti, esclusa Hildr che è la sfidante, siamo io, Sveinn e la shieldmaiden Dagrùn.”
“Non puoi batterti con Hildr!”
“Lo so, Isobel. Lo so.”
 
Ivar ammirava la luna mentre Freydis gli scioglieva le trecce. Era amareggiato, furioso e soprattutto triste. Si toccò d’istinto i nodi tatuati sul cuore, li stessi che macchiavano la pelle di Hildr, e sembrava che stessero sanguinato. Non stava così male dalla morte di sua madre perché, sì, il tradimento di Hildr significava che una parte di lui era morta.
“Ivar, non ti corrucciare più del dovuto. Hai agito nel modo giusto.”
“Ah, sì? E chi lo stabilisce cosa è giusto e cosa è sbagliato?”
“Tu sei un dio, sei tu che stabilisci le regole del gioco.”
Ivar scacciò malamente le mani della ragazza e ricadde di schiena sul materasso.
“E’ mia sorella, non dovrei trattarla così.”
Freydis sospirò, detestava l’incertezza che Hildr suscitava in lui.
“Hildr ha smesso di essere tua sorella quando ha preferito salvare Alfred piuttosto che liberarti di un nemico. Sarà colpa sua quando i sassoni piomberanno su di noi con le armi spianate!”
“Sì, hai ragione. Già devo fronteggiare i miei fratelli, i sassoni sono un problema in più.”
“Un dio può fronteggiare tutti i suoi nemici e vincerli in poche mosse. Sei Ivar Senz’Ossa, hai il mondo ai tuoi piedi.”
Ivar sorrise, Freydis era sempre in grado di consolarlo. La baciò per ringraziarla del sostegno, e lei si sdraiò al suo fianco senza staccare le labbra.
“Grazie di esistere, Freydis.”
La ragazza gli diede un altro bacio, dopodiché spense la candela e si accoccolò sul suo petto.
 
Hildr strillò quando vide un topo scorrazzare fuori dalla cella. La gattabuia era un vero incubo. Si trattava di un edificio immerso nella foresta, isolato dalla città, costituito da numerose celle anguste e spoglie. I prigionieri dormivano sul pavimento e mangiavano solo pane ammuffito con acqua sporca. Non era sola, altre dieci persone erano state rinchiuse per chissà quali crimini. Gli Hòlmganga si sarebbero tenuti tre giorni dopo, perciò avrebbe dovuto mangiare quel poco che le davano pur di mantenersi in forze. Si sarebbe battuta con Hvitserk, Sveinn e Dagrùn, i migliori guerrieri di Kattegat, e già sapeva che sarebbe morta. Non poteva vincere contro di loro se era malnutrita, insonne e sfiancata, e Ivar a quel punto avrebbe fatto di tutto pur di punirla, anche lasciarla morire. Trasalì quando udì un rumore e si appiattì contro la parete, era terrorizzata che fossero venuti a prelevarla per ucciderla prima ancora del duello. Si rilassò solo quando captò alcune voci fuori dalla gattabuia. Spiando attraverso la piccola grata della cella, intravide due ombre stendersi sull’erba. Si baciavano e si spogliavano a vicenda.
“E se qualcuno lo scoprisse?” domandò l’uomo, che venne subito zittito dalla donna perché non si facesse sentire.
“Non lo scoprirà nessuno. Ci incontriamo qui proprio perché nessuno può vederci.”
Hildr sbarrò gli occhi quando un raggio di luna illuminò Freydis in pieno viso. Si accasciò sul pavimento per evitare che si accorgessero di lei. Freydis era così imprudente da tradire Ivar nei pressi della gattabuia? Di colpo arrivò alla conclusione: Freydis non conosceva l’interno della gattabuia, quindi non sapeva dove fossero collocati i prigionieri, né tanto meno sapeva che Hildr era stata imprigionata vicino alla foresta. Se poco prima si era rassegnata, adesso aveva ritrovato la fiducia. Non restava che trovare un modo per mascherare Freydis e liberare Ivar dal suo controllo.
 
 
Salve a tutti!
Ivar è pur sempre Ivar, perciò non ha preso bene il presunto tradimento di Hildr.
Freydis sembra aver vinto, ma non è ancora finita.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
*Gli Hòlmganga sono davvero una pratica vichinga e si svolgono esattamente nel modo in cui gli ho descritti, mi sono documentata.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Holmganga ***


7. HOLMGANGA

Hildr fu svegliata bruscamente da una secchiata di acqua fredda. Annaspò e sputò l’acqua che le era finita in bocca e nel naso. Fuori dalla cella Ivar sorrideva divertito.
“Il sole sorge, Hildr!”
“Che vuoi? Credevo che gli Hòlmganga si svolgessero domani.”
Era rinchiusa da due giorni, non mangiava, a stento beveva, e passava le notti insonni. Il vestito, lo stesso che indossava dal matrimonio del re, era sporco e stracciato, ed era ricoperta di polvere da capo a piedi.
“Sono qui per comunicarti una lieta notizia.” Disse il ragazzo, poggiando il peso sulla stampella. Hildr camminò sino alle sbarre e pose i gomiti tra gli spazi vuoti.
“Alfred è venuto a salvarmi in nome dell’amore? Mi auguro sia questa la lieta notizia.”
Ivar irrigidì la mascella a quella presa in giro, il temperamento della ragazza non era stato scalfito neanche dalla gattabuia.
“Spiacente, ma il tuo prode cavaliere si è dimenticato della tua esistenza.”
Hildr fece spallucce e assunse un’espressione menefreghista, alimentando la rabbia in lui.
“Poco importa, domani morirò.” 
“Non morirai. Andrai con Harald, o come regina o come schiava.”
“Io morirò domani, Ivar. Non andrò con Harald, non sarò né la sua regina né la sua schiava. Mi ucciderò prima di partire. Lo sai che non rinuncerei mai alla mia libertà.”
Il sorriso di Ivar si spense e i suoi occhi si adombrarono, le parole della ragazza erano farcite di coraggio.
“Non ti interessa diventare regina? Potresti unirti ai miei fratelli e dichiararmi guerra.”
“Non mi è mai interessato diventare regina. Io voglio solo dimostrare di essere una donna in grado di agire al pari di un uomo, anche meglio. Io non sono come te, Ivar. Io non mi vendicherei di te se decidessi di sposare Harald. Lo hai detto tu stesso che ora non ci lega niente più.”
“Tu sei innamorata di Alfred?” le domandò con tono risoluto, le dita intorno al coltello.
“Come posso essere innamorata di un tizio con cui ho parlato per un’ora? Sei ridicolo!”
La spavalderia di Hildr innescò la rabbia di Ivar. Di colpo aprì la cella, la sbatté contro il muro e le puntò il coltello allo stomaco.
“Rispondimi!”
“Uccidimi!” gridò Hildr sollevando le sopracciglia come a sfidarlo. Sussultò quando la punta del coltello le pungolò la pelle.
“Io non potrei mai ucciderti. Non ne ho la forza, nonostante tutto quello che hai fatto.”
“E che cosa ho fatto, eh? Volerti bene e proteggerti in tutti questi anni è il crimine di cui sono accusata? Beh, sono orgogliosa di essere colpevole!”
“Tu mi hai tradito, Hildr.”
Hildr lo spintonò tanto da farlo ruzzolare sul pavimento, gli tolse l’arma di mano e la gettò fuori dalla cella.
“Non sono io quella che ti ha tradito! Scommetto che sei venuto per dirmi che Freydis aspetta un figlio da te.”
Ivar spalancò la bocca per la sorpresa, non era così che si era immaginato quella conversazione.
“E tu come lo sai? Hvitserk e Isobel hanno il divieto di farti visita.”
“Io so molte cose. Credo che una traditrice debba essere bene informata per mettere in atto il suo piano malvagio.” Ironizzò lei, sedendosi sul pavimento lercio di fronte a lui. Ivar si trascinò sino alla parete opposta e si massaggiò le gambe doloranti.
“Almeno il senso dell’umorismo non l’hai perso. Comunque sì, sono venuto per dirti che aspettiamo un figlio.”
“Tu non puoi avere figli, Ivar.”
“Io sono un dio, posso fare tutto! E come la spieghi la gravidanza di Freydis?”
Hildr proruppe in una risata fragorosa mentre lui la fulminava con lo sguardo. Uno di fronte all’altro, osservandosi, sembravano due leoni in procinto di farsi a pezzi.
“Tu non sei un dio e non puoi generare figli. Mi dispiace, ma è questa la realtà.”
“Io sto per diventare padre, sono il re di Kattegat, ho una splendida moglie, sono tutti segnali del mio essere divino!”
“Tu sei solo uno stupido!” lo rimbeccò Hildr con tono stizzito, era stanca di quel suo delirio. Adesso fu Ivar a ridere, le dita a disegnare figure nella polvere.
“Ti dà fastidio che io sia riuscito a soddisfare una donna mentre il tuo re sassone non lo ha fatto con te?”
“E chi ti dice che io non sia andata a letto con Alfred? Magari a York sono sgattaiolata via per incontrarmi con lui, chissà!”
“Dunque sei innamorata di lui?”
“Se tu fossi un vero dio, lo sapresti.”
Ivar non disse nulla, lei aveva ragione e la sua confusione stava solo aumentando. Vederla ridotta in quelle condizioni, sporca e malnutrita, gli faceva male.
“Non avrei mai voluto che le cose andassero in questo modo, Hildr.”
“Il Veggente me lo aveva predetto, sai. Mi aveva anticipato che non saremmo stati insieme per sempre, che una serpe dorata sarebbe sgusciata nel sangue e che avrebbe portato sventura.”
“La serpe saresti tu?”
Hildr lo guardò e scosse la testa, il pensiero di dirgli la verità la spaventava da morire.
“Ho impiegato molto tempo a capirlo, però alla fine ho dedotto la soluzione. La serpe dorata è Freydis, il colore fa riferimento ai suoi capelli. Da quando è entrata nella tua vita non siamo più stati insieme e ha portato solo sventura.”
“Non ti credo. Lo dici solo perché vuoi salvarti.”
“Freydis ti tradisce. Incontra ogni sera un servo nella foresta dietro la gattabuia e fanno sesso, probabilmente lo fa per restare incinta. Quello che ha in grembo non è tuo figlio, Ivar. Tu non puoi avere figli.”
Ivar sospirò, deluso e ferito dal comportamento meschino della ragazza. Si levò sulla stampella e faticosamente uscì dalla cella, dunque richiuse a chiave la porta.
“Sei crudele, Hildr.”
“Mai quanto te, Ivar.”
 
Il giorno della sfida era giunto. Poche ore separavano Hildr dagli Hòlmganga. Si sarebbero svolti di sera, avrebbero avuto inizio con il consueto sacrificio di una capra in onore di Odino, e poi il re avrebbe dato il via ai duelli. All’alba di quella giornata Hildr fu trasferita ad Anholt*, una delle isole dello stretto di Kattegat, dove ogni anno si celebravano gli Hòlmganga. Il viaggio in barca durò circa un’ora, durante la quale le fu concesso di mangiare e di bere per rimettersi in forma, e le fu anche consegnata la sua armatura. Non appena approdarono, fu scortata in un enorme capannone che ospitava i cinquanta sfidanti dell’annata. Erano tutti uomini, eccetto lei. Una serva anziana si avvicinò e le prese dolcemente il braccio, invitandola a seguirla.
“Vieni con me. Il re ti vuole pulita.”
“In che senso?”
La donna la condusse al piano superiore del capannone, aprì una porta e si fece di lato per farla entrare. Al centro della stanza c’era una vasca fumante di acqua calda.
“Il re ti ha concesso un bagno prima della sfida. Sbrigati, non hai molto tempo.”
“E’ un tranello, vero? Ivar ha intenzione di assassinarmi mentre faccio il bagno?”
La serva le accarezzò la fronte spostandole una ciocca di capelli, la trattava con la stessa gentilezza che si riservava ad una persona sul letto di morte.
“Non ti ucciderà. Vuole solo che tu faccia un bagno per rilassarti. Mi ha detto di restituirti questa.”
Hildr trattenne le lacrime quando l’anziana le mise in mano la collana di sua madre. Gliel’avevano strappata dal collo quando l’avevano imprigionata nella gattabuia e credeva che non l’avrebbe più rivista, ma Ivar l’aveva recuperata e gliel’aveva resa. Non tutto era perduto.
“Ho bisogno di parlare con il re. E’ urgente.”
“Ma certo, lo mando subito a chiamare.”
 
Ivar osservava i cittadini correre di qua e di là per i preparativi. Gli Hòlmganga erano da sempre una delle celebrazioni più attese dell’anno, era il momento del sangue e della resa dei conti. Da lontano scorse la nave, che conduceva i duellanti presso il luogo della sfida, salpare mentre i raggi del sole timidamente bucavano il cielo. Hildr si trovava sull’imbarcazione, in procinto di battersi e di soffrire. Si passò le mani fra i capelli sciolti, non si era premurato ancora di intrecciarli, e mandò giù un sorso di birra. Gettò uno sguardo all’interno e vide Freydis dormire, era bella con le mani depositate sul ventre come a voler coccolare già il loro bambino. Hildr aveva instillato in lui il dubbio che la moglie lo tradisse per davvero, perciò l’aveva fatta seguire e aveva scoperto che effettivamente faceva visita ad un servo. Non li aveva colti in flagrante e non aveva potuto fare nulla, ma ormai non si fidava più di Freydis come prima. Ripensò a sua madre Aslaug, a quanto desiderava che fosse lì per consigliarlo, e invece si ritrovava solo e avvilito. Strinse fra le mani un anello che un tempo era appartenuto a sua madre e si perse in un remoto ricordo.
# Era la solita giornata fredda e piovosa a Kattegat. Hvitserk, Ubbe e Sigurd si erano rintanati in una baracca sulla spiaggia con gli amici per divertirsi, mentre Ivar era stato lasciato in disparte. Hildr aveva la febbre e, nonostante si fosse opposta a Floki, alla fine era stata costretta a restare a casa sotto le cure di Helga.
“Sei pensieroso.” Esordì Aslaug entrando nella sua camera senza bussare. Ivar si spostò per farle posto sul letto, gli piaceva chiacchierare con sua madre come se fossero amici.
“Stavo pensando a Hildr. Lei odia avere la febbre perché non può essere iperattiva come suo solito, perciò immagino che stia imprecando a tutte le ore del giorno.”
“Hildr ti piace molto.”
“Sì, è la mia migliore amica. Lei non è come gli altri. Mi accetta per quello che sono e non mi fa sentire mai uno storpio, con lei mi sento un ragazzo normale.”
Aslaug si accorse del rossore che ricopriva le gote del figlio e sorrise.
“Figlio mio, tu sei innamorato di lei.”
“Che?! Non è vero!” obiettò Ivar, e le sue guance diventano sempre più rosse. Aslaug gli cinse le spalle con un braccio e gli baciò la fronte con la sua solita dolcezza.
“Sono tua madre e conosco il tuo cuore. Non c’è nulla di male nell’amare qualcuno.”
“Nessuno può amarmi. Insomma, sono solo uno storpio sempre arrabbiato! Hildr è vitale, coraggiosa, forte, buona, e potrei elencare per ore le sue innumerevoli doti. Una ragazza così non potrebbe mai amare uno come me.”
“Lo hai detto anche tu che Hildr non è come gli altri, perciò c’è la possibilità che lei ricambi i tuoi sentimenti. Dovresti dirglielo.”
Ivar guardò le proprie gambe e fece una smorfia disgustata, erano la sua maledizione.
“Credo che Hildr abbia una cotta per Hvitserk, sai. Lui è normale, cammina e non si trascina per terra come me, può renderla davvero felice. Hildr sarebbe infelice con me, io rovino tutto quello che tocco e lei non se lo merita.”
“Hai intenzione di passare tutta la vita a nascondere quello che provi per lei?”
“Sì, per la sua incolumità. Hildr merita qualcosa di reale, qualcosa di possibile, e non mezze speranze con me.”
Aslaug si dispiacque nel costatare le profonde ferite emotive che segnavano il figlio.
“Tu sei Ivar Senz’Ossa, non puoi e non devi avere paura.”#
“Ivar?”
Il ragazzo si ridestò quando mise a fuoco la figura di una serva anziana. Inclinò la testa per guardarla meglio.
“Mi hai chiamato per nome? Io sono il tuo re.”
“Mi dispiace, perdonatemi. Sono qui per conto di Hildr, desidera vedervi al più presto.”
Ivar si insospettì dalla presenza della donna, uno strano formicolio gli vibrava nel sangue.
“Tu sei la serva che ho mandato a Anholt. Se la barca è salpata dieci minuti, come fai ad essere qui?”
La donna sorrise e nei suoi occhi brillò uno strano luccichio.
“Posso essere lì e qui al tempo stesso.”
“Che sta succedendo? Hildr sta bene?” domandò Ivar alzandosi con l’ausilio della stampella.
“Dovresti chiederglielo tu. Sei tu che la stai uccidendo. Tu sei Ivar Senz’Ossa, non devi e non puoi avere paura.”
“Ivar?” lo richiamò Freydis mentre si svegliava. Ivar si voltò per comandarle di stare in casa e, rivolgendosi di nuovo alla serva, non la vide più. Era svanita nel nulla.
 
Il sole era da poco tramontato, il cielo si tingeva di blu e le stelle iniziavano ad emergere dal buio. Hildr dal capannone vedeva numerose imbarcazioni approdare sulla spiaggia, erano tutti lì per presenziare alle sfide. Con l’armatura addosso, affilava la punta delle sue frecce e le impilava dentro la faretra. Stava per morire e voleva farsi valere almeno per l’ultima volta. La serva non era più tornata, pertanto immaginava che Ivar avesse declinato il suo invito e che avesse impedito alla donna di ritornare ad Anholt. La porta del capannone si spalancò con un tremendo cigolio e tutti gli sfidanti sobbalzarono, terrorizzati che fosse giunta l’ora. Un uomo robusto andò da Hildr e la prese per il braccio rimettendola in piedi come fosse una piuma.
“Dove mi state portando? Gli Hòlmganga non iniziano prima delle nove.”
“Sta zitta e cammina.”
Fu strattonata fino all’altra sponda dell’isola, laddove c’era solo sabbia e acqua. L’uomo la scaricò a riva e si allontanò senza dire una parola. Hildr temeva che volessero ucciderla prima della sfida. Forse Freydis aveva deciso di eliminarla per liberarsi di lei, oppure Harald voleva rapirla, oppure Ivar voleva torturarla per farsi confessare altre informazioni su Alfred. Udì un rumore tra gli alberi e tese l’arco in quella direzione, nel caso fosse sbucato qualche nemico. Rimase sbalordita quando Ivar si fece avanti zoppicando sulla stampella.
“Abbassa l’arco, Hildr. Non sono qui per farti del male.”
“E perché mi hai isolata dagli altri?”
“Voglio solo parlare con te. Fidati.”
Hildr abbassò lentamente l’arco senza staccare gli occhi da lui, non poteva fidarsi appieno.
“Hai ucciso la serva? Quella che avevo mandato a chiamarti.”
Ivar si andò a sedere su un vecchio tronco riverso sulla sabbia, indossava le sue vesti da re, ma la sua espressione era quella di un qualunque uomo stanco.
“Non era una serva. Quando mio padre morì da solo, Thor si manifestò a me e ai miei fratelli per avvisarci della sua dipartita.”
“E questo cosa c’entra con quella donna?” domandò lei, restando a debita distanza.
“Credo che fosse Freyja, la dea dell’amore.”
“E’ anche la dea della morte, quindi direi che la sua apparizione sia connessa alla mia fine.” replicò la ragazza con scetticismo palese nella voce. Ivar era più devoto di lei agli dèi, Floki in lui aveva trovato un ottimo seguace, mentre Hildr poco ci credeva.
“Smettila di ripetere che morirai oggi!” sbraitò Ivar in preda alla rabbia.
“Cosa dovrei fare? Fantasticare sul mio futuro da regina o da schiava di Harald? No! Meglio morire!”
“Hildr …”
“No, taci! Io una vita incatenata non posso viverla! Io una vita senza di te non posso viverla!”
“E allora perché mi hai tradito?”
“Io non ti ho tradito! Ho solo salvato la vita di un ragazzo che non meritava di essere brutalmente ammazzato per il solo fatto di essere un sassone! Se dovessi scegliere fra te e Alfred, io scegliere sempre te. Ivar, io …”
Ivar serrò le dita intorno al tronco tanto da far sbiancare le nocche, era furioso e smarrito, mentre la ragazza apriva e chiudeva la bocca senza aggiungere altro.
“Tu cosa? Continua, dai. Insultami quanto ti pare!”
“Io ti amo! – gridò Hildr – Sono innamorata di te da sempre!”
Non appena pronunciò quelle parole, il suo cuore si alleggerì dal peso dei segreti. Stava per morire e fingere non serviva più a niente. Gli occhi di Ivar si inumidirono, era come se gli mancasse l’ossigeno.
“Non è vero. Non è possibile. Tu lo dici solo perché speri che io ti risparmi la vita! E davvero stupido da parte tua pensare che io possa cred …”
“Sta zitto, dannazione!”
Hildr lo afferrò per il colletto con forza e premette le labbra sulle sue. Ivar, dapprima immobilizzato e spaventato, si abbandonò al bacio e le strinse le mani intorno ai fianchi per attirarla a sé. La ragazza approfondì il contatto sempre di più, forse era l’unica occasione disponibile per dirsi addio ed era meglio non sprecarla. In un attimo il bacio si infiammò, uno ansimava sulla bocca dell’altra, le mani scorrevano veloci, l’abbraccio si faceva sempre più stretto. Ivar aveva sempre immaginato come potesse essere baciare Hildr, ma la realtà stava decisamente superando la fantasia. Quando si staccarono, Hildr indietreggiò il giusto per guardarlo in faccia.
“Scusami.”
Cercò di prendere le distanze ma Ivar non mollava la presa sui suoi fianchi, trattenendola vicino a sé.
“Davvero mi ami?”
“Purtroppo sì. Ho sempre saputo di provare dei sentimenti per te, però pensavo che fossero dovuti alla nostra amicizia e non ci ho mai dato peso. Tutto è cambiato quando ti ho visto a York insieme a Freydis, in quel momento ho capito che io sono innamorata di te. Persino Heahmund se ne era accorto! Volevo dirtelo quando mi sono risvegliata dopo essere stata ferita in battaglia, ma tu eri così contento che Freydis fosse interessata a te che non ho avuto il coraggio. Poi l’hai portata a Kattegat e l’hai sposata, perciò ho preferito restare in silenzio affinché tu fossi felice.”
“Oh, Hildr.” Mormorò Ivar, gli occhi lucidi, le sopracciglia corrugate. Hildr abbozzò un sorriso triste, era esausta di lottare contro i propri sentimenti.
“Mi dispiace per stamattina, sono stava davvero meschina. Freydis aspetta tuo figlio e io sono contenta per te, sarai un buon padre.”
Ivar scosse la testa e portò le mani sulle guance di Hildr, accarezzandole gli zigomi.
“Hildr, ascoltami. Non ti devi scusare perché avevi ragione. Ho fatto seguire Freydis e, sebbene manchino le prove concrete del tradimento, questo basta a farmi capire che andava a letto con un servo per rimanere incinta. Inoltre, io non posso avere figli perché ho una malformazione e non sono un dio.”
Hildr ricoprì le mani del ragazzo con le proprie, godendosi il calore che emanavano, poggiò la fronte contro la sua.
“Non importa. E’ troppo tardi.”
“Hildr.” Sussurrò Ivar, poi si protese per baciarla. Questa volta fu un bacio amaro, intriso di rimpianti e di sofferenza.
“Devo andare, Ivar.”
Hildr si liberò dall’abbraccio e corse via per evitare che lui la inseguisse. Ivar, dal canto suo, non aveva avuto l’audacia per interrompere la sfida. Non si reputava un re, era solo un ragazzo col cuore infranto e un buco nel petto. Le parole di sua madre gli rimbombarono in testa: Tu sei Ivar Senz’Ossa, non devi e non puoi avere paura.
 
Hildr prese uno scudo e andò a mettersi in fila con gli altri. Il centro dell’isola, costituito da un fitto bosco, brulicava di spettatori. Erano state disposte svariate panche di legno in modo che tutti si accomodassero e alcuni servi strisciavano tra le postazioni per offrire da bere. Un trio di sciamani aveva compiuto il sacrificio e si accingeva versare il sangue sul terreno dove si sarebbero tenuti i duelli.
“Hildr!” esultò una voce alle sue spalle, e l’attimo dopo Isobel la stava stritolando in un abbraccio. Hvitserk si limitò a salutarla con un buffetto sulla testa, come faceva quando erano bambini.
“Isobel, così mi soffochi.”
“Perdonami, è che sono felice di rivederti. Sono stata in pensiero per te!” replicò la ragazza allentando la stretta.
“Beh, benvenuti al mio funerale!” esclamò Hildr con un sorriso, benché le tremasse la voce.
“Non morirai oggi.” le disse Hvitserk, convinto come poche volte. Hildr ripensò al bacio con Ivar e avvertì un’ondata di dolore che ingoiò per restare lucida.
“Sappiate che, in caso di vittoria o di sconfitta, mi toglierò la vita. Non posso stare con Harald.”
Isobel scoppiò a piangere di colpo, riversando la testa sulla spalla dell’amica, e Hildr le accarezzò i capelli biondi per calmarla. Hvitserk, invece, sembrava stranamente tranquillo.
“Andrà tutto bene, Hildr.”
Quando il corno risuonò, Hildr trasalì e si separò da Isobel. La ragazza fu trascinata via da Hvitserk e andarono a sedersi in prima fila, accanto al re e alla regina. Gli sfidanti furono radunati al centro e uno sciamano tracciò sulle loro mani due linee con il sangue del sacrifico, perché fossero riconoscibili a tutti. Ivar stava seduto sul trono con aria superba, quella che adottava durante le riunioni, e al suo fianco Freydis sorrideva compiaciuta. Alla sinistra de re sedeva Harald insieme al generale del suo esercito, beveva e studiava la scena con cura. Il vocio confuso si placò quando Ivar si mise in piedi e sollevò la mano.
“Popolo di Kattegat, oggi ricorre una delle più importanti celebrazioni della nostra tradizione: gli Hòlmganga. Di fronte a voi ci sono gli sfidanti che si batteranno per vincere e per farci anche divertire, ma qualcuno tra di loro di sicuro morirà, pertanto auguriamo a tutti che gli dèi li accompagnino. Premesso ciò, che gli Hòlmganga abbiano inizio!”
La folla esultò tra fischi e applausi, il sangue e la morte attiravano l’attenzione come il miele per le api.
Ivar, anziché sedersi di nuovo, sollevò ancora la mano per zittire i presenti.
“Ah, dimenticavo, popolo di Kattegat, che è stato apportato un cambiamento alle sfide. Hildr è esonerata dagli Hòlmganga, sarà la regina a prendere il suo posto.”
Freydis ghiacciò sul posto, allibita dalla piega che stava prendendo la situazione.
“Che stai facendo, Ivar? Io sono la regina!” protestò, puntando il dito contro il marito. Hvitserk sorrise a Hildr, la quale tremava per l’agitazione.
“Non sei più la regina a partire da … ora!”
Ivar schioccò le dita e due guardie presero Freydis per spingerla insieme agli altri sfidanti.
“Questa me la pagherai cara!” sbraitò la ragazza, senza corona e senza regno ormai. Ivar rise, quella sua tipica risata perfida, e fece spallucce.
“Sei tu che stai per pagare, mia cara. Mi hai riempito la testa di menzogne, mi hai convinto a condannare la mia migliore amica, e aspetti un figlio non mio. Dimmi, Freydis, non meriti la morte per le tue colpe?”
Una delle guardie estrasse l’ascia e avanzò verso Freydis, ma Hildr incoccò una freccia e mirò alla faccia dell’uomo.
“Non fare un altro passo. Nessuno ucciderà questa donna!”
Hvitserk e Isobel si scambiarono un’occhiata perplessa, non aveva senso il comportamento dell’amica.
“Hildr, non è il momento di fare la buona samaritana.” Le disse Ivar in tono perentorio.
“Freydis ha sbagliato ma aspetta un bambino, non puoi ucciderla.”
“E cosa proponi?” chiese uno degli sciamani, quello che l’aveva segnata col sangue.
“Che Freydis venga imprigionata in gattabuia!” ordinò Ivar.
Hildr si spostò per permettere alle guardie di accompagnare Freydis in prigione, ripose l’arco e fissò gli occhi sul Ivar. Il ragazzo le sorrise, poi scese dalla sua postazione e zoppicò fino a lei per prenderle la mano.
“Che combini?”
“Gli Hòlmganga andranno avanti senza di noi. Tu vieni con me.”
 
Hildr non ci stava capendo più niente. Ivar l’aveva caricata sulla barca e l’aveva riportata a Kattegat ma, invece di fermasi nella dimora reale, si erano diretti verso la casa che i figli di Ragnar usavano quando andavano a caccia.
“Ivar, mi spieghi che stiamo facendo? Non ne posso più di camminare!” si lamentò Hildr, però non sortì alcun effetto perché Ivar continuò a tirarla per la mano. Il ragazzo si era chiuso in un silenzio terribile, non rispondeva né alle domande né agli insulti, al massimo ghignava o inarcava il sopracciglio. Quando raggiunsero la destinazione, Hildr poté riprendere fiato mentre lui manometteva la maniglia per aprire la porta.
“Sei inquietante. Mi hai portata qui per torturarmi in tutta tranquillità? Beh, potevi lasciarmi crepare agli Hòlmganga!”
Ivar col mento le fece segno di entrare e Hildr, sebbene riluttante, eseguì. Prima ancora che potesse parlare, Ivar la schiacciò contro la parete col proprio corpo.
“Parli troppo, Hildr. Dovresti usare quella bocca in un modo decisamente più interessante.” Le sussurrò con un sorriso malizioso. La ragazza deglutì e strabuzzò gli occhi.
“Come, scusa?”
“Appunto, parli troppo.”
Hildr sussultò quando fu Ivar a baciarla, premendosi contro di lei per sentire ogni curva del suo corpo.
“A-aspetta … Ivar … aspetta!” biascicò tra un bacio e un altro, e il ragazzo si distaccò con un certo disappunto.
“Qualcosa non va?”
“Me sei serio?! Hai appena imprigionato tua moglie, mi hai trascinata qui e mi stai baciando! Tu hai qualcosa che non va?”
“Hai ragione. Scusami. Sediamoci e parliamone con calma.”
Hildr si sedette a gambe incrociate sul letto e Ivar appoggiò la schiena alla testata, erano uno di fronte all’altra come sulla spiaggia.
“Spiegami che succede, Ivar.”
“La verità è che io sono innamorato di te dall’età di quindici anni. Non te l’ho mai confessato per timore di essere rifiutato. Tu eri già mia amica e aspettarsi che tu diventassi qualcosa di più era surreale. Credevo che tu fossi innamorata di Hvitserk, soprattutto perchè vi allenavate insieme e trascorrevate l’intera giornata da soli nel bosco. Sono un miserabile storpio, Hildr, e pensavo che una come te potesse non amarmi. Per tutti gli dèi! Tu sei eccezionale! Io non mi sentivo alla tua altezza, perciò ho tenuto tutto nascosto. Ad essere sincero questa è la prima volta che ammetto anche a me stesso di amarti.”
“Perché hai sposato Freydis se mi ami?”
“L’ho sposata perché non potevo avere te. Avevo paura di perderti, così ho scelto di stare con una donna che, almeno in apparenza, tenesse a me.”
“Ivar …” disse dolcemente Hildr, dopodiché strisciò fino a lui per abbracciarlo.
“Quella donna era davvero Freyja. Mi ha ripetuto le stesse parole che Aslaug mi disse un tempo: Tu sei Ivar Senz’Ossa, non devi e non puoi avere paura. Freyja ci voleva insieme, ecco perché si è mostrata a noi.”
“Meno male che Freyja c’è!” scherzò Hildr, ed entrambi scoppiarono a ridere. Ivar le scostò una ciocca corvina dal viso e lasciò scorrere il pollice sulle sue labbra carnose.
“Io ti amo, Hildr.”
Hildr sorrise raggiante, aveva atteso a lungo per sentire quelle parole da lui.
“E io amo te, Ivar.”
Ivar si chinò a baciarla. Sorrisero nel bacio mentre il contatto si intensificava sempre di più, finalmente liberi di dare sfogo ai loro sentimenti. Tutto era tornato al posto giusto.
 
 
 
Salve a tutti!
Alla fine anche Ivar ha ceduto all’amore. Questi due si sono amati per anni senza dirsi nulla, che follia!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.

*Anholt è realmente un'isola che fa parte dello stretto di Kattegat.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Notte d'amore ***


8. NOTTE D’AMORE

Un mese dopo.
Hildr attraversava la piazza centrale di Kattegat a passo lento, non aveva voglia di andare di fretta. Sveinn le aveva proposto di intensificare le ore di lavoro per la realizzazione del nuovo sistema difensivo, nonostante fossero già a buon punto, e si era dovuta precipitare giù dal letto all’alba. Alla fine aveva lasciato la baracca di Floki per trasferirsi nella casa di città dove aveva vissuto con gli zii. Isobel, invece, stava per sposare Hvitserk e andavano ad abitare in una delle svariate proprietà di Ragnar disseminate in tutta Kattegat.
“Guardatela un po’, la signorina cammina tra noi comuni mortali!” esordì Kara, la sua vicina di casa. La donna stava comprando del pesce assieme ad un paio di sue compagne.
“Kara, dovresti smetterla di parlare. Il mondo sarebbe un posto migliore se ti cucissi la bocca!”
Da quando Freydis era stata imprigionata e il matrimonio con il re era stato annullato, tra i cittadini circolava la voce che Hildr fosse l’amante di Ivar. In verità, tra Hildr e Ivar non era cambiato niente. Dopo essersi confessati a vicenda, il loro rapporto era tornato quello di prima, si comportavamo sempre come migliori amici. Non c’erano stati più baci o altre dichiarazioni, solo qualche sporadico abbraccio più stretto.
“Sei solo una donna, Hildr, e per questo nessuno ti considererà mai al pari di un uomo. Potrai anche andare a letto con il re, ma ciò non cambia quello che sei e i tuoi limiti.”
“Beh, sta di fatto che sono fiera di essere una donna diversa da te e dalle tue amiche. Io ho cervello e carattere, voi non avete neanche un briciolo di dignità.” Disse Hildr con un sorrisetto, dopodiché le sorpassò e si diresse alle mura. Sveinn l’attendeva insieme agli altri lavoratori, stavano revisionando alcuni progetti.
“Buongiorno, signori!”
“Hildr, ma che piacere averti fra noi. Finalmente ti sei decisa ad alzarti dal letto!” la canzonò Sveinn facendo un buffo inchino. Hildr rispose con un altro goffo inchino e poi gli diede una gomitata nelle costole.
“Sta attento, oppure ti pianto un’ascia nel petto.”
“Come sei manesca!” scherzò uno dei ragazzi che collaborava alla difesa. Hildr rise e scosse la testa, si sentiva a suo agio tra quella gente semplice come lei.
“Qual è il piano di oggi?” domandò, seguendo Sveinn verso una pila di legna.
“Dobbiamo rinforzare i ponteggi e la porta di accesso. Hai qualche idea che possa aiutarci e che possa piacere anche al re?”
“Il re è un ottimo stratega, nessuna delle mie idee potrà essere utile. Dovremmo parlarne direttamente con lui.”
“Immagino voglia essere tu a parlare con lui.”
Sveinn tentò di mascherare una risatina e Hildr lo trucidò con i suoi occhi scuri.
“Qual è il problema, Sveinn?”
“Circolano delle voci su te e Ivar, pare che tu sia la sua amante.”
“Non pensavo che tu fossi il tipo di persona che dà adito ai pettegolezzi.” Disse Hildr in tono serio, non aveva intenzione di scherzare su certi argomenti.
“Infatti non ci credo. Volevo solo dirti che ormai la voce si sta spargendo a macchia d’olio. Insomma, Ivar ti ha miracolosamente salvata dalle pretese di re Harald.”
“Harald è stato pagato per andarsene. Ivar gli ha ceduto la fortezza di York perché mi lasciasse in pace, e lo ha fatto perché ero stata accusata ingiustamente.”
Sveinn notò il cambio d’umore della ragazza e le mise le mani sulle spalle, la loro differenza di altezza era spiazzante.
“Ehi, io so la verità. Sono gli altri che fanno supposizioni. A me interessa sapere come stai tu.”
“Grazie per il pensiero, ma io sto bene. Ivar sta bene. Non capisco perché la gente si preoccupi tanto della nostra relazione. Se stiamo insieme o no è solo una faccenda nostra che non ha a che fare con tutta la città. Non mi piace essere additata come la concubina del re, non mi si addice.”
I capelli rossi di Sveinn risaltavano come una pozza di sangue contro i raggi del sole, e Hildr chiuse un occhio per ripararsi dalla luce.
“E quale relazione c’è tra voi due?”
“Secondo te vengo a raccontarti i fatti miei? Non essere imbecille, Sveinn.” Replicò lei inarcando il sopracciglio. Sveinn sorrise e si avvicinò a lei fino a far toccare i loro corpi.
“Non ti muovere. Il re ci sta fissando dalla veranda.” Le mormorò all’orecchio, gettando un’occhiata alla figura che li osservava da lontano.
“Che stai facendo?”
“Facciamo ingelosire un po’ il re, eh? Magari smuoviamo le acque.”
Hildr capì che Sveinn stava risolvendo la situazione di limbo più di quanto avesse fatto lei nell’ultimo mese, perciò annuì e non si mosse. Rimasero così per una decina di minuti prima che una serva intimorita picchiettasse l’indice sulla spalla di Hildr.
“Sì?”
“Il re richiede la tua presenza al suo cospetto. Ha urgenza di discutere con te circa il proseguimento dei lavori.” Balbettò la ragazza, piccola e timida.
“Ti conviene sbrigati, oppure ti rinchiuderà di nuovo.” Le suggerì Sveinn con un ghigno. Hildr alzò gli occhi al cielo e seguì la serva verso la dimora reale. Una volta entrata, trovò Ivar seduto al tavolo e intento a scolarsi un boccale di birra. Hildr prese posto di fronte a lui e rubacchiò una fetta di mela per mangiucchiarla.
“Ehi! Volevi vedermi?” 
“Ho costatato con disappunto che tu e Sveinn state lavorando poco alle difese. Devo dedurre che vi intratteniate con altre attività.”
Ivar era palesemente infastidito, il suo sguardo azzurro si era fatto scuro e le labbra erano una linea dura.
“Lavoriamo tutti i giorni da mesi alle tue difese! Non hai motivo di criticare il nostro operato. Inoltre, di quali altre attività parli?”
“Un tempo odiavi Sveinn.” Riprese Ivar, ignorandola. Hildr sbuffò e fece ricadere la schiena contro lo schienale.
“Io tuttora in parte odio Sveinn, non dimentico quello che ci ha fatto. Però tu mi hai ordinato di collaborare con lui, quindi adesso non ti lamentare.”
“Per l’appunto io ti ho chiesto di collaborare con lui, non di passarci tutto il tuo tempo tra toccatine e risate!”
“Toccatine e risate?! – fece Hildr alzandosi bruscamente – Tu non ti rendi conto di quello che dici, Ivar. Stai insinuando qualcosa che non esiste tra me e Sveinn. E tu lo sai.”
Ivar, colto dall’ira, scaraventò a terra il boccale di birra, che si frantumò sul pavimento.
“Io non si proprio un bel niente! Viviamo in una situazione di stallo da un mese, Hildr, e non ci sto capendo nulla.”
“E la colpa sarebbe la mia? Neanche tu sei stato molto espansivo ultimamente!” ribatté lei, stizzita. Si stavano urlando addosso senza alcun motivo, erano solo stanchi dell’incertezza della loro relazione. Ivar si avvicinò a lei con l’ausilio della stampella e le scostò un ciuffo di capelli dalla fronte, ma Hildr rimase a braccia conserte con espressione torva.
“Scusami, non è giusto prendermela con te. E’ colpa di entrambi.”
“Io non so nemmeno se stiamo insieme, Ivar. Ci siamo comportati come sempre, non sembra cambiato niente.”
Ivar aggrottò le sopracciglia e si morse le labbra.
“Tu vuoi che cambi qualcosa?”
“Dovremmo cambiare qualcosa?”
Si guardarono per un istante e poi scoppiarono a ridere, era ridicolo quel loro scambio di battute.
“Non abbiamo più sei anni, eh.” Disse Ivar portando le mani sui fianchi della ragazza. Hildr, dal canto suo, gli circondò il collo con le braccia.
“Nah, dire di noi.”
“Non so che fare.”
Hildr incassò quell’ammissione come il fendente di una spada, sciolse l’abbracciò e si ritrasse.
“Forse non siamo fatti per essere una coppia. Amarsi non implica per forza stare insieme.”
Ivar non si aspettava quelle parole, bruciavano come sale sulle ferite. Anche lui fece un passo indietro, serrando le dita intorno alla stampella tanto da far scricchiolare le nocche.
“Bene, a questo punto non abbiamo più nulla da dirci. Amici come sempre?”
Entrambi ricordavano quando anni addietro si erano baciati per sbaglio e avevano voluto dimenticare tutto per restare solamente amici, e ora stavano commettendo lo stesso errore.
“Amici come prima.”
 
Due settimane dopo
Isobel tremava come una foglia mentre Hildr l’aiutava a sistemarsi l’abito. Poche ore la separavano dal matrimonio con Hvitserk, e l’agitazione la tormentava da quando si era svegliata.
“Ecco fatto! Sei pronta.” Esordì Hildr, spingendo l’amica verso lo specchio perché si ammirasse. Era un semplice vestito grigio-perla a maniche corte con intarsi bianchi e argentati. Indossava un paio di perle ai lobi e i capelli erano intrecciati ad una corona di fiori.
“Grazie, Hildr. – disse Isobel voltandosi con gli occhi lucidi – Grazie di tutto. Senza di te oggi sarei ancora una schiava, oppure sarei morta, e devo la mia vita a te.”
“Beh, che dire, io salvo vite nel tempo libero!” esclamò Hildr, poi abbracciò l’amica e le baciò la testa. Il momento fu interrotto dall’arrivo di Sveinn che comparve sulla soglia.
“Hvitserk ti aspetta.”
Hildr e Sveinn accompagnarono Isobel sino alla spiaggia, dove si era riunito un nutrito gruppo di invitati, e Hvitserk sorrise raggiante. L’attenzione di Ivar si focalizzò su Hildr, si era seduta con Sveinn e parlottavano fitto tra di loro. Le curve del suo corpo erano messe in risalto da un abito rosso dall’ampio scollo, dotato di una cintura in oro, e portava i lunghi capelli neri sciolti e ribelli sulle spalle. Non diede retta alla celebrazione del matrimonio, restò concentrato su Hildr e Sveinn. Sembravano particolarmente intimi, si sfioravano con le mani, si sorridevano complici, e lui sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.
Poco dopo si spostarono nella sala reale per il banchetto. Ivar stava sul trono in silenzio, lontano da tutti, mentre lasciava vagare gli occhi tra gli invitati. Fremette di ira quando il fuoco illuminò il profilo di Hildr che mostrava a Sveinn una testa di orso vinta da Ubbe anni orsono. Fischiò per richiamare un servo e gli fece cenno di avvicinarsi.
“Dì alla ragazza col vestito rosso di raggiungermi nelle mie stanze.”
Dieci minuti dopo Hildr si presentò negli appartamenti privati del re col cuore che batteva all’impazzata. Non si parlavano da due settimane e quell’invito era improvviso, temeva l’ennesimo litigio.
“Ivar?”
“Sono qui.”
Ivar stava affacciato alla finestra mentre il sole si spegneva per lasciare spazio alla notte.
“Perché mi hai fatta chiamare?”
Il ragazzo zoppicò e le afferrò il polso per attirarla a sé, al che lei sussultò. Quella vicinanza era come fuoco sulla pelle.
“Io ti guardo e ho una voglia disperata di baciarti. Più ti guardo e più la voglia aumenta. Sei tu l’amore della mia vita, Hildr. Sei tu perché altrimenti la mia vita non avrebbe senso.”
“Ivar …” incominciò Hildr, però lui le pose un dito sulle labbra per zittirla.
“Non pronunciare altre parole, ne sono state dette troppo e nessuna di loro ha funzionato. Non sopporto vederti con Sveinn o con qualsiasi altro uomo, divento folle di gelosia. Voglio essere l’unico per te.”
 Ivar aveva sussurrato ogni sua speranza con una veemenza esasperante. Il cuore di Hildr batteva il doppio e temeva che sarebbe uscito fuori dal petto.
“Tu sei l’unico, Ivar. Sei sempre stato l’unico.”
Questa volta Hildr non gli permise di parlare ancora, lo prese per il colletto della giacca e lo baciò. Ivar fece cadere la stampella a terra per stringerle i fianchi, avvinghiandosi a lei come fosse il solo scoglio di salvezza nella tempesta. Ben presto la bocca del ragazzo scese a baciarle il collo e le clavicole. Hildr gemette quando sentì le labbra di Ivar scendere verso il seno. Una miriade di emozioni si dibattevano in loro, era come scoprire il mondo per la prima volta. Si separarono quando due uomini ubriachi urtarono contro la porta aprendola.
“Scusateci, re Ivar.” Biascicò uno dei due, poi svanirono nel corridoio buio. Hildr si schiarì la voce nel totale imbarazzo.
“Beccati.”
Ivar sorrise contro la sua spalla, annusando il suo odore.
“Dovremmo tornare alla festa, è meglio.”
“Sì, decisamente.”
Hildr stava per uscire quando Ivar richiuse la porta e la schiacciò contro la superficie.
“La festa può aspettare qualche altro minuto.”
La risata della ragazza morì sulle labbra di Ivar, e la serata trascorse tra baci roventi e parole sussurrate al buio.
 
Il sole caldo di giugno rendeva arduo l’allenamento, per di più unito alla terra e ai fili d’erba che schizzavano dappertutto. Hildr prese fiato per qualche secondo, le mani sulle ginocchia piegate, la testa che ciondolava.
“Sei già esausta? Ci stiamo allenando solamente da tre ore!” la punzecchiò Ivar, accomodato su un tronco a maneggiare l’ascia.
Hildr grugnì, poi si tolse la casacca per rimanere solo con il seno coperto da una fascia e i pantaloni. Si legò i capelli in uno chignon in modo che non le dessero fastidio e riprese l’ascia, era pronta a continuare. Ivar si inumidì le labbra a quella visione, lei riusciva ad essere attraente in tutte le occasioni.
“Continuiamo, idiota.” Disse la ragazza puntandogli l’ascia al petto.
“Devi smetterla di insultare il tuo re, Hildr. Sei davvero una cattiva ragazza.”
“E tu devi smetterla di dirmi cosa devo fare.”
Ivar sorrise compiaciuto, adorava quando lei gli teneva testa. Con gli occhi percorse il suo corpo armonioso, ogni curva, ogni cicatrice, e si meravigliò di tanta bellezza.
“Ah, che caratteraccio!”
“Da che pulpito!” replicò Hildr, poi avanzò e gli assestò un colpo finto al collo come se volesse tranciargli la testa. Allora Ivar le ghermì il polso, la fece voltare e le spinse il braccio intorno al collo simulando uno strangolamento. Si trovavano schiena contro petto, e Hildr avvertiva la pelle bollente del ragazzo sulla propria.
“Sei lenta. Qualcosa ti distrae?” le disse lui all’orecchio in tono suadente. Aveva il gomito poggiato al seno sinistro e sentiva i battiti accelerati di Hildr riecheggiargli nelle ossa.
“Sei tu quello distratto, cocco.”
Ivar abbassò gli occhi e vide l’ascia di Hildr che gli pungolava l’addome. Da una settimana circa avevano deciso di provare a stare insieme con la promessa che tra di loro non sarebbe cambiato nulla, che l’unica eccezione sarebbero stati i baci e una maggiore fedeltà. Le cose stavano funzionando, in fondo la loro amicizia era soltanto passata allo stadio successivo. Hildr trasalì quando Ivar le baciò il collo facendola rabbrividire. Non erano mai andati oltre i baci e a stento avevano dormito nella stessa stanza, perciò quelle erano tutte sensazioni nuove. Ivar sussultò quando la mano di Hildr gli accarezzò la coscia, perciò si tirò indietro di colpo. La ragazza si girò per capire cosa fosse cambiato all’improvviso.
“Ivar, va tutto bene?”
“Ehm, sì, è solo che si è fatto tardi.” Disse laconico, e cercava in tutti i modi di evitare lo sguardo di Hildr.
“Ho sbagliato qualcosa?”
Ivar emise un sospiro frustrato, non voleva farla preoccupare ma non sapeva che altro fare. Ogni volta che Hildr aspirava a qualcosa di più di un bacio, lui si irrigidiva e lasciava perdere.
“Non hai fatto niente. E’ che ho degli affari da sbrigare in città.”
“E’ un peccato, ci stavamo divertendo.” Gli sussurrò lei sulle labbra per poi dargli un bacio a stampo.
“La verità è che non vuoi tornare a lavorare.” Scherzò Ivar per stemperare la tensione, però Hildr non rise.
“La verità è che non capisco perché non ti lasci toccare da me. Non sono stupida, lo vedo che ti sottrai ogni volta che andiamo oltre un banale bacio.”
“Sei troppo intelligente, Hildr.”
“E tu sei troppo imbecille, Ivar.”
Hildr gli diede un pugno sulla spalla e lui finse di essersi fatto male, ma tornò subito serio.
“Mi imbarazza l’idea di essere in intimità con te.” ammise Ivar, morsicandosi l’interno della guancia.
“Ti vergogni di me? Sono solo io.”
“Non è vero. Il problema è che sei proprio tu! Sei Hildr, e questo mi spaventa a morte. I baci vanno bene, ma non voglio che tu mi veda per davvero. Sono uno storpio.”
“Non sei uno storpio, piantala con queste idiozie. Per me sei solo Ivar. E voglio tutto di te, anima e corpo.”
Ad Ivar scappò un sorriso, rincuorato da quelle parole.
“Tu mi sorprendi sempre.”
“E’ una delle mie doti!” disse Hildr ridacchiando.
Stavano per baciarsi quando uno scoiattolo scorrazzò tra l’erba facendoli scostare.
“Sarà meglio tornare a Kattegat.”
 
Tre mesi dopo
Tutta Kattegat si era radunata nella piazza centrale in occasione delle nuove misure di difesa. Hildr e Sveinn solo due giorni prima avevano terminato il progetto e Ivar non aveva voluto sprecare altro tempo, pertanto era stata organizzata una grande festa. Erano stati compiuti tre sacrifici, la birra scorreva a fiumi, e i servi sballottavano interi vassoi ricolmi di cibo di qua e di là. Hvitserk aveva sfidato Sveinn in una gara di bevute, e sembrava che il figlio di Ragnar stesse vincendo. Isobel, incinta di quattro mesi, si teneva lo stomaco per le troppe risate. Ivar cinse col braccio le spalle di Hildr, che stava seduta accanto a lui, e le baciò la guancia.
“Per cos’era il bacio?”
“Mi andava. E’ vietato baciare la mia valchiria?”
Hildr scosse la testa, poi gli prese il mento e gli diede un bacio approfondito sulle labbra.
“E’ così che devi baciare la tua valchiria.”
Ivar sorrise sulla sua bocca prima di baciarla ancora.
“Ho una sorpresa per te. Seguimi.”
Hildr lanciò un’occhiata interrogativa a Isobel, la quale era del tutto ignara di cosa stesse accadendo, e salì sulla biga di Ivar. Il cavallo galoppò veloce in direzione della sua vecchia abitazione, laddove un tempo sorgeva la fattoria dei suoi genitori. Non ci andava più da quando aveva dieci anni, in fondo si trattava di un piccolo pezzo di terra abbandonato e bruciato. Ragnar si era assicurato che i resti rovinati della casa fossero sgomberati e poi aveva ordinato che nessuno andasse ad occupare quella terra.
“Hai ancora intenzione di uccidermi per aver salvato Alfred? Occultare il mio cadavere da queste parti è facile.” Esordì Hildr per spezzare il silenzio creatosi tra di loro. La ragazza non guardava davanti a sé, manteneva gli occhi sull’orlo del vestito per paura di essere investita dai ricordi. Ivar scavò nella tasca della giacca e ne estrasse una benda nera, dunque la cacciò nelle mani di Hildr.
“No, la voglia di ucciderti mi è passata. Ora vorrei che indossassi questa.”
“Una benda? Vuoi decisamente farmi fuori.”
“Fa la brava bambina e bendati.”
“Suona molto perverso.” Disse lei, allacciandosi la benda dietro la testa. Non vide il ghigno di Ivar, ma seppe lo stesso che gli increspava le labbra. La biga avanzò nel buio per altri venti minuti, poi Ivar tirò le briglie e il cavallo arrestò la sua corsa. Con qualche difficoltà mise i piedi sul terreno, imprecando a bassa voce, e tese una mano verso Hildr.
“Siamo arrivati, puoi scendere. Dammi la mano.”
“Siamo sul luogo della mia morte?” insistette lei, tastando l’aria per avere un minimo indizio di dove si trovassero.
“Sta zitta, Hildr. Non rovinare tutto con la tua parlantina.”
“E’ solo che mi crea una certa ansia essere bendata in mezzo al buio.”
“Adesso ti libero.”
“Oh, era ora!”
Dopo che Ivar le slacciò la benda, gli occhi di Hildr si velarono di lacrime. Davanti a lei torreggiava una piccola casa di pietra simile a quella dove abitava con i suoi genitori, e ai lati era costeggiata da un recinto per animali e da un pozzo. Dalla biga alla porta il tragitto era illuminato da una serie di fiaccole in fila.
“E’ mezzanotte. Sono trascorsi dodici anni da quando ci siamo conosciuti, mia adorata Hildr.”
Hildr non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto, era troppo commossa per poter pensare, e si limitò a gettargli le braccia al collo per abbracciarlo forte. Ivar la strinse a sua volta e le baciò la spalla, era contento di averla sorpresa.
“E per questo hai ricostruito la mia casa.”
“Entra, dai!” la incoraggiò lui con un sorriso, al che Hildr tutta tremante entrò dentro e fece un giro delle stanze. Le sembrava di avere di nuovo sei anni, di avere ancora la sua famiglia e tutta la spensieratezza di una bambina. Ivar la lasciò da sola per un po’, il giusto perché si abbandonasse ai ricordi e rivivesse gli ultimi istanti con i suoi genitori. Hildr si affacciò alla finestra e i suoi occhi saettarono verso il cielo trapunto di stelle, piccoli puntini luminosi che immaginava essere i suoi genitori che dal Valhalla vegliavano su di lei.
“Che fai lì impalato, Ivar? Vieni!”
Una volta dentro, Ivar si sedette sul letto, le gambe iniziavano a dolergli. Hildr già si era spaparanzata al suo fianco e fissava il soffitto con espressione felice.
“Ho una cosa per te.” disse Ivar, tirando fuori dalla tasca un sacchetto nero. Il sorriso di Hildr si allargò ancora di più quando, aperto il sacchetto, vi trovò una collana con un pendente a punta di freccia.
“E’ stupenda.”
La ragazza gli diede la collana e si girò di spalle perché lui gliela appuntasse al collo.
“La freccia è senza dubbio il tuo simbolo, tagliente, letale, affascinante.”
“Non avresti dovuto fare tutto questo per me. Non valgo tanta fatica.”
Ivar fece di no con la testa, toccò il pendente e poi si attorcigliò intorno al dito una ciocca corvina.
“Infatti, tu meriti molto di più. Credevo che dopo mia madre l’unica ad amarmi fosse Freydis, ma in realtà l’avevo liberata e mostrava interesse solo per mantenere il suo status. Mi ha addirittura tradito pur di essere regina, mi ha fatto credere di essere un dio invincibile, di essere il migliore di Midgard. Per colpa della mia follia di onnipotenza stavo per perdere l’unica cosa buona e pura della mia vita, tu. Rischiavo di lasciarti ad Harald, di ucciderti, e di vivere con il peso di averti fatta soffrire. Ricordi quel bacio che ci siamo dati per sbaglio di ritorno dal Wessex? Ecco, non era casuale, io volevo davvero baciarti. Volevo confessarti tutto, ma tu eri talmente bella che non ho avuto il coraggio perché temevo che i miei sentimenti ti avrebbero allontanata.”
“Non è il momento per piangersi addosso, Ivar. Non ti è concesso fermarti a riflettere ora che il pericolo incombe su di noi. La guerra sta arrivando, e la sua portata sarà devastante.”
Ivar sollevò le sopracciglia, era surreale che lui si stesse scusando e che lei fosse preoccupata per la guerra.
“Te lo hanno mai detto che rovini l’atmosfera?”
Hildr ridacchiò, da bambina Helga le rimproverava sempre di essere una guastafeste con la sua serietà e massima concentrazione.
“Perdona la mia eccessiva apprensione. E’ solo che le cose non saranno facili ancora per molto, presto tutto cambierà in maniera radicale.”
“Hai paura di perdere?” indagò Ivar, i suoi occhi azzurri spiccavano sul volto illuminato solo da poche candele.
“Tutti abbiamo paura di perdere, io, tu, anche Bjorn. Non c’è solo Kattegat in ballo, ci sono la gloria, l’amore, la famiglia. La posta è troppo alta per non avere paura.”
Dalla voce di Hildr traspariva una certa disperazione, un’insolita agitazione che di rado ammetteva di provare.
“Non c’è nulla di cui aver paura, Hildr. Abbiamo un esercito forte, il sistema difensivo è eccellente, e la città si prepara da mesi all’attacco.”
“A me non importa della città! E non mi importa nemmeno di battere Bjorn e Lagertha! A me importa di te, di Isobel e di suo figlio, e di Floki che si trova ancora là fuori! Io già perso la mia famiglia una volta, non voglio che succeda di nuovo. Al dolore c’è un limite.”
Ivar rimase interdetto, sapeva che Hildr aveva ragione ma non voleva ammetterlo per non sentirsi debole.
“Questo significa che non combatterai al mio fianco?”
“Questo significa che combatterò più ferocemente per le persone che amo.” Disse Hildr, risoluta e fiera come una valchiria.
“Non ci perderemo, Hildr. Faremo il possibile per restare insieme.”
“Giuramelo.” Disse lei, portandosi una mano sul cuore.
Ivar con la propria mano andò a coprire quella lei, i battiti del cuore di Hildr rimbombavano attraverso le ossa simili a spade che cozzano.
“Te lo giuro.”
L’istante dopo le labbra di Hildr furono sulle sue in un bacio impetuoso che sapeva di dolce e di amaro al tempo stesso. Non stavano suggellando il giuramento solo a parole, lo stavano facendo anche con i baci. Se c’era una cosa che non sarebbe mai cambiata al mondo, era il loro legame indissolubile. Le dita di Hildr scattarono per sbottonare la giacca di Ivar mentre lui le riempiva il collo di baci. Le loro mani erano avide di pelle, i baci sempre più famelici, e le fiammelle delle candele bruciavano proprio come loro. Quando Hildr gli sfilò anche la casacca, si prese qualche secondo per contemplare la bellezza del ragazzo. Le spalle, le braccia e il petto erano tonici e muscolosi, la pelle era segnata da numerosi tatuaggi, tra cui i due nodi che lei stessa aveva sul polso.
“Che c’è?” chiese Ivar con filo di voce, spaventato che lei si stesse tirando indietro all’improvviso.
“Ti stavo ammirando. Sei davvero bello.”
Hildr sorrise divertita per il rossore che affluì sulle guance di Ivar, che in quel momento non era più un re ma un semplice ragazzo di venti anni. Poi l’inquietudine si impossessò di lui e si sentì stranamente scoperto, senza difesa alcuna.
“Non posso.”
“Di che parli?”
“Di quello che stiamo per fare. Io non posso.”
Ivar cercò di alzarsi dal letto ma Hildr gli artigliò i polsi costringendolo a restare.
“Ivar, sono io. Sono Hildr. Non devi andare nel panico.”
“Tu non capisci. Noi non potremo mai fare nulla del genere.”
Hildr si accorse del suo disagio e provò una fitta di dolore nel costatare che l’autostima del ragazzo non era mai aumentata negli anni.
“Capisco che il problema siano le tue gambe. So che ti vergogni, ma ti ricordo che sono sempre stata io quella alleviava il dolore con i massaggi. Conosco il tuo corpo meglio del mio, perciò non ti devi preoccupare del mio giudizio.”
Ivar respirò a fondo ad occhi chiusi in cerca del coraggio per confessarle la verità. Benché amici da una vita, non conoscevano proprio tutto l’uno dell’altro.
“Il problema non sono le mie gambe perché so che i tuoi occhi non mi giudicheranno mai. Il problema è che io non sono fisicamente in grado di soddisfarti.”
Hildr fu colta alla sprovvista da quella dichiarazione e, seppur tentasse di non darlo a vedere, Ivar comprese subito la sua reazione.
“Ma tu e Freydis non avete mai consumato il matrimonio?”
“Non del tutto. Ero talmente abbagliato dalla convinzione di essere un dio da credere di poter generare un figlio anche senza consumare in modo vero e proprio, ma ovviamente mi sbagliavo.”
“Per tutti gli dèi, sono così felice che tu non sia realmente andato a letto con Freydis!”
Hildr si tappò immediatamente la bocca con le mani nella speranza di rimangiarsi ciò che aveva appena detto, ma la risata di Ivar era la conferma che non poteva tornare indietro.
“E perché sei così felice?”
“Perché voglio essere la prima a fare l’amore con te.”
Il sorriso di Ivar si spense, tramutandogli il viso in una maschera di freddezza.
“Non prenderti gioco di me. Ti ho appena detto che non posso.”
“Ci sono svariati modi di fare l’amore, noi dobbiamo solo trovare il nostro.”
Ivar era da sempre un freddo calcolatore, sicuro, spietato, ma bastavano spicciole parole dolci per farlo sciogliere.
“Tu sei già stata con qualche ragazzo?”
“No. Tu sei il primo.”
“Mi fido di te.” disse allora Ivar, sebbene l’incertezza macchiasse la sua voce. Hildr premette le labbra sulle sue in un bacio tenero, rassicurante, lo stava invitando a lasciarsi andare del tutto. Lentamente si sedette a cavalcioni, le ginocchia toccavano i fianchi del ragazzo, e le loro labbra non si staccavano. Ivar rallentò l’impeto del bacio e Hildr si scostò con preoccupazione.
“Ti ho fatto male?”
“Tu non mi fai male, Hildr.”
Erano le stesse parole che le aveva detto nei boschi del Wessex, quando Ragnar era vivo e lui aveva bisogno di lenire il dolore alle gambe. Hildr sorrise, dunque riprese a baciarlo. Ivar iniziò ad abbassarle le spalle del vestito con calma, godendosi il contatto con la pelle morbida e calda della ragazza. Intanto Hildr era scesa a baciargli il petto, i muscoli guizzavano ad ogni movimento, e lei si prodigava di passare in rassegna ogni singolo tatuaggio. Si liberò del vestito, che oramai era diventato di troppo, e Ivar trattenne il respiro. L’aveva sempre considerata come una non-donna, ma adesso si accorgeva finalmente dell’armonia del suo corpo, ogni curva era perfetta. La pelle era segnata da cicatrici e qualche ustione, eppure restava la cosa più bella che avesse mai visto. Trasalì quando le dita di Hildr gli sbottonarono la cintura costringendola a fermarsi.
“Posso?”
Ivar deglutì perché, un conto era continuare con i vestiti addosso, e un conto era farsi vedere nudo. Nonostante Hildr conoscesse il suo corpo, provò una certa soggezione.
“Sì.” Concesse poi, sfinito dalla propria vergogna. Quando anche i suoi calzoni caddero sul pavimento, Hildr non smise di sorridere. Si avventò sulla bocca di Ivar per smorzare l’imbarazzo, erano nudi per la prima volta e ora potevano conoscersi ancora meglio.
“Sentire il tuo corpo nudo sotto di me è una sensazione appagante.” Disse Hildr.
Gli occhi di Ivar strabuzzarono, nessuno si era mai professato in maniera tanto diretta con lui, ma Hildr lasciava trapelare ogni singolo pensiero. L’attirò a sé per baciarla, stringendosi le sue gambe intorno ai fianchi, voleva sentire ogni singolo centimetro di pelle. Il bacio si intensificò subito, i gemiti riempivano la stanza, le mani si rincorrevano desiderose di maggiore vicinanza. Ivar le tempestò di baci umidi il collo, le clavicole, le spalle. Gemette senza ritegno quando le labbra di Hildr lo intrappolarono in un bacio violento, fatto di lingua e di morsi, di sentimenti taciuti a lungo. Capovolse le posizioni in modo che la ragazza si trovasse sotto di lui, voleva guardarla e adorarla.
“Tu sei la mia dea.”
Hildr fece un sorriso malizioso, gli avvinghiò di più le gambe attorno ai fianchi per avvicinarlo.
“Ma tu non sei il mio re.”
Ivar rise, lei non si arrendeva mai a tenergli testa.
“Io non voglio essere il tuo re. Io voglio essere il tuo amante.”
Lei non replicò, anzi ingaggiò l’ennesimo bacio passionale, e Ivar si fece trasportare.
Mentre loro si amavano, la luna gettava ombre argentate sulla finestra come a proclamarsi testimone della loro unione.
Hildr riaprì gli occhi svogliatamente, era ancora assonnata e avrebbe preferito dormire, ma Ivar le stava accarezzando i capelli nella speranza di svegliarla.
“Te lo hanno mai detto che dormi tanto?”
“Te lo hanno mai detto che non si interrompe il sonno di una persona?”
Si voltò verso di lui e fu salutata da un sorriso raggiante, era raro vederlo così sereno e felice.
“Mi stavo annoiando da solo.”
“E non potevi dormire un altro po’?”
“Lo sai che dormo poco, soprattutto dopo ieri notte.” Disse lui, disteso su un fianco e con la guancia poggiata sulla mano.
“Appunto, dopo ieri notte dovresti essere esausto.”
L’entusiasmo di Ivar scemò di colpo, era tornato serio e nervoso.
“Stai dicendo che non ti è piaciuto?”
Hildr si mise seduta e si passò le mani tra i capelli, intontita dal risveglio.
“Non ho detto questo, Ivar. Dal momento che ieri notte siamo andati avanti per circa due ore, peno che dovremmo essere stanchi.”
“Quindi ti è piaciuto?”
“Sì, mi è piaciuto da impazzire. Smettila di essere così insicuro. E’ stata la nottata migliore della mia vita, tu sei stato strepitoso, e adesso sono felice.”
“Sono stato strepitoso anche se non abbiamo concluso completamente? Lo so che ti sembrerò ossessivo, ma il fat …”
“Sì, sei ossessivo, perciò sta zitto o ti prendo a bastonate con la legna del focolaio!”
Hildr si mise a ridere, sin da quando era bambina adorava zittirlo.
“Dovrei bandirti per come ti rivolgi al re!”
“Ah, sì? E poi come te la cavi senza di me?”
Ivar per ripicca l’afferrò per i fianchi e le fece il solletico, sorvolando sulle lamentele della ragazza che lo pregava di smettere.
“Sei davvero un’insolente, ragazzina.”
“Lasciami! Ivar, ti supplico! Basta!” strillò Hildr tra le risate, quasi a corto di fiato. Ivar rideva insieme a lei, sembrava di essere tornati a quando avevano dieci anni e si sbellicavano dalle risate prendendo in giro i cittadini.
“Chiedi scusa e ti lascio.”
Hildr, che detestava rassegnarsi, con uno scatto di agilità riuscì a mettersi sopra di lui e a bloccargli le mani.
“Io non chiedo mai scusa, mio caro!”
Ivar si svincolò dalla sua presa, impugnò il ciondolo a forma di freccia e la strattonò verso il basso per baciarla. Hildr sorrise sulle sue labbra prima di abbandonarsi ad un bacio lento, urgente, pieno di leggerezza.
“Vorrei che fosse sempre così. A volte vorrei soltanto andare via, rifarmi una vita lontano da Kattegat e da tutto il dramma che ne deriva. Vorrei essere semplicemente Ivar, un ragazzo normale.”
Hildr gli accarezzò il contorno delle lebbra col pollice per poi stampargli un bacio sulla guancia.
“Non puoi. Sei figlio di Ragnar, non ti è concesso essere normale. Non sarai un dio, ma sei un uomo straordinario. Sei un ottimo stratega, anticipi le mosse degli altri, sei intelligente, furbo, e sai come vincere uno scontro con pochi guerrieri. Tuo padre aveva ragione, la tua forza sta nella tua testa. Hai una mente eccelsa, puoi fare quello che vuoi. Non devi porti alcun limite. Tu sei Ivar Senz’Ossa, puoi conquistare il mondo intero!”
Ivar giocò con una ciocca di capelli di Hildr, tirandola e torcendola, mentre la guardava negli occhi. Lei era l’unica che credeva in lui, che non lo considerava un deforme, ma lo reputava un uomo valoroso.
“E tu sei Hildr la Valchiria, puoi annientare qualunque uomo si metta sulla tua strada.”
“Allora vedi di non metterti sulla mia strada!” ribatté lei con un sorriso divertito.
“Tu non lasci mai agli altri l’ultima parola.”
“Perché dovrei? Merito anche io di avere l’ultima parola.”
Ivar annuì, quella ragazza lo meraviglia ogni volta.
“Sei sicura di voler stare con me? Io non posso darti quello che potrebbero darti gli altri uomini.”
“Cosa posso darmi gli altri che tu non puoi?”
“Una relazione normale. Dei figli. Una vita serena, al sicuro dalla guerra. Una nottata di vero sesso.”
Hildr rotolò giù dal letto per raccattare la casacca di Ivar per vestirsi, poi si riempì un bicchiere d’acqua e lo bevve in un solo sorso. Ivar la osservava dal letto, la schiena contro il muro, le gambe coperte.
“Abusi della parola ‘normale’, sai. Hai il brutto vizio di inserirla dappertutto, come se fosse di vitale importanza. Chi ti dice che non sei normale? Le tue gambe? Le persone? No, sei tu stesso che non ti consideri normale. Non ti ho mai visto come uno storpio, per me sei sempre stato solo Ivar.”
“E se essere solo Ivar non ti bastasse più?”
Hildr alzò gli occhi al cielo, dialogare con uno testardo come lui era una causa persa.
“E se essere solo Hildr un giorno a te non bastasse più? Anche io non sono come le altre donne. A me non importa di avere una bella casa, dei vestiti e dei gioielli. Non sarò mai una mogliettina ubbidiente, una madre con i fiocchi. Io non sono così.”
“E’ diverso, Hildr. Tu hai un corpo perfetto e hai due gambe che funzionano.”
“Eppure vengo sempre sottovalutata perché sono una donna.”
Ivar sapeva che essere una donna era da sempre un fattore invalidante perché gli uomini avevano la mania di pretesta, e Hildr glielo ripeteva da quando erano ragazzini.
“Hai ragione, scusami.”
“Oh, lo so che ho ragione.”
L’attimo dopo entrambi si misero a ridere, discutevano nello stesso modo da quando si conoscevano e tutto terminava con una risata.
“Vieni, torna a letto.”
Hildr si andò a posizionare tra le sue gambe e appoggiò la schiena contro il suo petto, al che Ivar le avvolse la vita con le braccia.
“Non vuoi diventare madre?”
“No. Non credo che la gravidanza faccia per me. Non sopporterei di ingrassare e di stare nove mesi a letto senza muovermi. Specialmente non sarei mai in grado di sopportare il dolore del parto. Ti dispiace questa cosa?”
“No, anche perché io non posso darti figli. Siamo una bella accoppiata, devo dire.”
Hildr ghignò, affondò la guancia contro il suo petto e gli baciò il tatuaggio dei due nodi.
“Io non avevo dubbi.”
“Sposami, Hildr.” Le sussurrò Ivar con fare suadente, baciandole il collo. Hildr ghiacciò sul posto, allibita da quella proposta.
“Sei serio?”
“Sono serissimo. Ti voglio nella mia vita in tutto e per tutto. So che non sarai una moglie come le altre ed è proprio per questo che ti voglio al mio fianco. Voglio sposarti. Dimmi di sì.”
“Tu vinci la guerra e io ti sposo.”
“E’ una minaccia?”
“No, è la promessa che non ti perderò. Dovrai restare per forza in vita perché io ti sposi.”
Ivar sorrise sulla sua spalla, si aspettava una controfferta di quel genere, e ne era contento.
“Vincerò e ti sposerò.”
“Che gli dèi siano con noi.”
 
Salve a tutti!
Tra qualche incertezza e un po’ di audacia Hildr e Ivar ce l’hanno fatta, ma la guerra incombe su di loro come una nuvola scura e sarà doloroso il suo arrivo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** La Valchiria del Re ***


9. LA VALCHIRIA DEL RE

“La Valchiria mi ha fatto una promessa, o vivrà oppure morirà con me. Lei mi condurrà alla battaglia gloriosa e le mie gesta saranno cantate nel Valhalla.
Ragnarok sta arrivando, la Valchiria è tra le mie braccia, e la morte dilaga tutta intorno.”
(Sparsh Bhasin)
 
Un mese dopo
Il sole penetrava tramite l’uscio della porta, sgusciando dentro la stanza e illuminandola. Era giunta la primavera, i prati fiorivano, il porto lavorava instancabilmente, e tutti i cittadini si davano da fare per le provviste da conservare per l’inverno successivo. Ivar si rigirò nel letto e sbatté le palpebre, riparandosi gli occhi dalla luce. Allungò una mano ma non trovò nessuno, le lenzuola erano ancora tiepide e ciò voleva dire che lei si era da poco alzata. In quel momento Hildr fece il suo ingresso con addosso solo un telo grigio e i capelli raccolti in uno chignon improvvisato.
“Alla buon’ora, Ivar! Credevo di doverti tirare giù dal letto letteralmente.”
“Dove sei stata?”
Hildr roteò gli occhi e raccattò il pettine, dunque si sedette sul letto.
“Ero nella stanza adiacente a farmi il bagno. Tranquillo, nessuno mi ha vista mezza nuda.”
Ivar si mise a sedere con la schiena contro la testata e si passò le mani sul viso nella speranza di ridestarsi. Avevano trascorso la notte tra baci bollenti e carezze di fuoco, pertanto si erano addormentati tardi e il mancato sonno si faceva sentire.
“Sono tranquillo. Allora, che programmi hai per la giornata?”
“Devo incontrare Isobel tra un’ora per aiutarla con le provviste dato che Hvitserk non è qui.”
Hvitserk, infatti, era partito per incontrare re Olaf e sperare di stringere un’alleanza in vista della guerra contro Bjorn, Ubbe e Lagertha.
“Io devo vedere Sveinn e Hvithàr* per ridefinire le ultime strategie.”
“Sta già succedendo. Io che mi occupo delle faccende domestiche come una brava massaia e tu che discuti di guerra. Dannazione!”
Ivar rise all’espressione truce della ragazza, spalancò le braccia e la invitò ad avvicinarsi.
“Dai, vieni qui.”
Hildr strisciò da lui, si sedette a cavalcioni sul suo bacino e appoggiò i palmi aperti sul suo ampio e tonico petto.
“Non sono una brava massaia, sappilo.” Disse lei con il broncio, facendo ridere ancora di più il ragazzo.
“Però sei una bambina che fa i capricci. Facciamo così: vieni con me a parlare con Sveinn e Hvithàr e poi aiuti Isobel. Ti sta bene?”
“Sì, mi sembra un’offerta ragionevole.”
“Quindi me lo merito un bacio?”
Hildr annuì, gli prese il mento e lo attirò in un tenero bacio.
“Bene, ora puoi legarmi i capelli.” Disse, dandogli le spalle e sciogliendosi i capelli che ricaddero lunghi sulle spalle come una cascata. Ivar le intrecciava i capelli da quando erano bambini, aveva perso l’abitudine da diversi anni, ma da quando stavano insieme aveva ripreso la mano. Hildr adorava sentire le mani di Ivar scorrere tra le sue ciocche per intrecciarle, era una sensazione piacevole. Chiuse gli occhi per godersi quelle attenzioni.
“Preferisci una o due trecce?”
“Mmh, una.”
Ivar si mise al lavoro, tirava le ciocche, le lisciava, le aggrovigliava tra di loro, le fissava con le forcine. I capelli della ragazza erano lunghi sino alla base della schiena, ci voleva tempo e pazienza per raccoglierli tutti, ma a lui non dispiaceva prendersi cura di lei.
“Fatto. Sei bellissima.” Disse, scostando la treccia per baciarle il collo. Hildr si morse la labbra e si abbandonò a quella scia di baci vogliosi. Sussultò quando la mano di Ivar si avvolse intorno al suo collo in una debole presa. La pelle bagnata di Hildr era fredda a contatto con quella calda del ragazzo, insieme creavano un mix sensazionale. Ivar emise un gemito gutturale quando Hildr gli strizzò la coscia, intontita dai baci, e approfondì quella dolce tortura baciandole le spalle, le scapole, e poi la porzione di seno che il telo mostrava.
“Ivar.” Annaspò Hildr, affondando le unghie nelle braccia del ragazzo tanta era l’intensità del momento. Ivar sollevò il telo per accarezzarle l’interno coscia, la mano scorreva scivolosa sulla pelle bagnata, mentre continuava imperterrito a baciarle il petto. Riuscire a soddisfarla, anche senza un vero e proprio rapporto carnale, era una vittoria quotidiana. Hildr poteva avere tutti gli uomini che voleva, ma aveva scelto lui e lo sceglieva ogni singolo giorno.
“Re Ivar!” esordì una voce dalla sala reale, che li costrinse a separarsi. Hildr si allacciò il telo sul seno e balzò in piedi, seguita da Ivar che a fatica si alzò dal letto. Lei si premurò di aiutarlo a prendere la stampella e di accompagnarlo alla porta. Hvithàr attendeva davanti al trono e, quando Ivar si mostrò, chinò il capo in segno di riverenza. Hildr era rimasta accucciata dietro la parete della camera da letto in ascolto.
“Che succede?”
“Mio re, devo informarvi della situazione attuale. L’esercito di Bjorn la Corazza e i suoi alleati hanno oltrepassato i confini e hanno allestito un accampamento a due settimane da Kattegat. Presto arriveranno.”
Ivar sorrise, finalmente era arrivato il momento fatidico di scendere in battaglia.
“Invia altri ricognitori affinché acquisiscano maggiori informazioni. Voglio sapere tutto, che armi usano, quanti sono, chi sono. Vai.”
Hvithàr si congedò con un altro cenno del capo, dopodiché sparì in strada. Hildr emerse dalla camera e abbracciò Ivar da dietro, posando la fronte sulla sua schiena.
“E’ tempo di combattere, mia Valchiria.”
 
 
Era una giornata adrenalinica, Hildr e Ivar stavano decidendo le strategie da adottare contro i nemici mentre intorno a loro Kattegat si preparava alla guerra. L’esercito di Bjorn era stato avvistato a due giorni di distanza, pertanto l’attacco era imminente. Hvitserk era partito per formare un’alleanza con re Olaf, ma non era ancora rientrato.
“Io potrei posizionarmi lungo le porte per rispondere alle prime offese.” disse Hildr bevendo un sorso d’acqua.
“Non ci pensare proprio. – obiettò Ivar con tono perentorio – Tu non ti avvicinerai alle porte. Non ho intenzione di vederti morire.”
“So difendermi! Sei tu quello che ripete sempre che sono la migliore, e ora cosa è cambiato?”
Hildr era avvilita da quella negazione, non voleva che lui la trattasse come una bambina indifesa. Sveinn notò lo scambio di occhiatacce tra i due e represse una risata, erano come cane e gatto quando si trattava di combattere.
“Sono sicuro che Bjorn ha dato l’ordine di ucciderti perché sa che sei la mia debolezza, non gli servirò la vittoria su un piatto d’argento. Tu starai sul ponte con me e Sveinn.” Disse Ivar indicando con le mani le mura difensive.
“Sveinn, lasciaci da soli.” Disse Hildr, al che Sveinn si congedò con un cenno del capo e si allontanò. Ivar sbuffò, lo sguardo inferocito della ragazza lo annoiava.
“Non guardarmi così, Hildr. Non ci casco!”
“E come dovrei guardarti? Mi stai risparmiando solo perché stiamo insieme! Non è giusto. Sai che sono la tua arma migliore.”
“Sì, lo so, ma so anche che non posso perderti come guerriero. Se le cose dovessero andare male, ho bisogno che tu sia viva per continuare a combattere. E sì, ti risparmio soprattutto perché ti amo. Non ci perderemo, te l’ho promesso.”
Prima che Hildr proferisse parola, Isobel irruppe con le lacrime agli occhi e le mani intorno al pancione di sei mesi.
“Isobel, che succede?”
“Alcuni uomini hanno visto Hvitserk e re Olaf insieme a Bjorn e Ubbe.”
Ivar e Hildr, anziché stupirsi, si guardarono consapevoli di aver avuto sempre ragione.
“Ipotizzavamo che Hvitserk ci avrebbe traditi, non ci restava che capire come e quando. Ora lo sappiamo.” Spiegò Hildr, e Isobel si gettò tra le sue braccia singhiozzando.
“Ha tradito anche me e il nostro bambino.”
Ivar irrigidì la mascella e inspirò con forza, sembrava un toro sul punto di scagliarsi contro il bersaglio.
“Ascoltami bene, Isobel: avvisa Sveinn e poi torna a casa, non parlare con nessun altro.”
Isobel, sebbene sconvolta, andò spedita da Sveinn. Hildr si abbassò all’altezza di Ivar, seduto su un barile, e gli afferrò il mento.
“Guardami. So che fa male questo ulteriore tradimento, ma non possiamo mollare. Dobbiamo rivedere il nostro piano. Ci serve una via di uscita.”
“Ci ho già pensato mesi fa, è tutto pronto.” Assicurò Ivar, che aveva previsto ogni dettaglio nel corso del tempo per essere certo di non lasciare nulla al caso. Hildr si chinò a baciarlo, in una sorta di assenso, e poggiò la fronte contro la sua.
“Ce la faremo.”
 
Hildr immerse le mani nella ciotola ricolma del sangue dell’animale sacrificato e si disegnò due linee rosse sotto gli occhi. Sveinn fece lo stesso, poi fu il turno del resto dell’armata. Era l’alba e i ricognitori erano da poco sopraggiunti per annunciare l’incombente attacco nemico, perciò tutti i guerrieri si erano riversati in strada per armarsi e disporsi secondo le indicazioni del re. Hildr e le altre shieldmaiden avevano aiutato i cittadini comuni a trovare riparo, avevano consegnato loro cibo e acqua a sufficienza poiché l’assedio si prospettava lungo. Isobel era stata affidata a Dagrùn perché la proteggesse a costo della sua vita. Ivar e Hildr non avevano chiuso occhio, insieme a Sveinn e a Hvithàr avevano progettato e riprogettato ogni dettaglio, avevano montato e smontato teorie difensive fino alle prime luci del giorno.
“Ti senti pronta?” chiese Sveinn, i capelli rossi legati in una doppia treccia, la mano sull’ascia.
“Sì. Questa guerra deve finire.” Rispose Hildr sistemandosi sulla schiena la faretra e l’arco. Il silenzio calò nella sala reale quando la stampella di Ivar picchiò duramente contro il pavimento. Indossava l’armatura e alla cintola erano appesi i suoi fedeli coltelli.
“Amici, ci siamo. I miei fratelli sono arrivati alle nostre mura. E’ ora di mostrare loro chi è che comanda davvero. Ammazzateli brutalmente, non abbiate pietà di nessuno, e solo così vinceremo. Che Odino sia con noi!”
I guerrieri esultarono, carichi per andare in battaglia. Rapidamente corsero fuori per occupare le posizioni, chi sul ponte, chi sulle torri e chi lungo le mura. Hildr raccolse due asce e le allacciò alla cintura, poi nascose le collane dentro l’armatura come amuleti di buona fortuna.
“Non hai bisogno della protezione delle collane. Sei tu la tua forza.” Le disse Ivar con un mezzo sorriso. Hildr, però, non sorrise.
“Dobbiamo davvero uccidere i tuoi fratelli? Voglio che tu ne sia sicuro.”
“Ho ucciso Sigurd per dei banali insulti, non vedo perché dovrei essere clemente con quei tre che mi vogliono spodestare. Ne sono sicuro.”
“Non finirà bene, Ivar.”
Ivar le sollevò il mento per guardarla negli occhi, era stranamente agitata.
“Non importa come finirà, l’importante è vincere. Le perdite saranno molte ma ne sarà valsa la pena. Lo so che non ti piace ammazzare la gente, però sei una guerriera e devi agire come tale. Sii crudele, Hildr. Lascia uscire la valchiria che è in te. Dimostra a tutti quegli uomini quanto vali, quanto tu sia migliore di loro.”
Hildr sapeva che quella era l’unica occasione per far vedere a tutti quanto fosse forte, quanto meritasse di essere considerata al pari di uomo, perciò annuì con convinzione.
“Allora andiamo ad uccidere quei bastardi.”
Prima che si avviasse verso le mura, Ivar l’attirò in un bacio intenso e amaro, quasi fosse l’ultimo.
“Io ti amo. Qualsiasi cosa succeda, ricordatelo.”
“E io amo te, Ivar.”
 
L’esercito che si estendeva alle spalle di Bjorn era enorme, erano tre armate messe insieme ed erano guerrieri letali. Accanto a lui stavano Ubbe, Hvitserk, Harald e Olaf. Sul ponte delle difese di Kattegat stavano Ivar, Hildr, Sveinn e Hvithàr, e l’esercito a terra era decisamente minore di numero. Stettero svariati minuti ad osservarsi con accuratezza, gli uni studiavano gli altri, erano tutti predatori e prede al tempo stesso. Poi la guerra divampò in pochi attimi. Bjorn e alcuni suoi soldati iniziarono a sfondare le porte di Kattegat, mentre Ubbe e gli altri tentavano di risalire lungo le mura.
“Che il divertimento abbia inizio.” Disse Hildr, poi incoccò una freccia dopo l’altra e iniziò ad uccidere con una mira infallibile. Puntò l’arco contro Hvitserk che si muoveva lesto tra i guerrieri, scagliando la spada a destra e a sinistra. Un nemico, salito sul ponte, agguantò Sveinn e lo spinse di sotto.
“Sveinn!” strillò Hildr sporgendosi oltre il bordo, e vide Sveinn inerme sputare sangue.
“Non ci pensare!” le disse Ivar, che aveva già capito le intenzioni della ragazza.
“Non posso lasciarlo, e poi è lì sotto che si combatte davvero.”
Ivar era furente ma non poteva impedirle di seguire il suo istinto, grugnì per la rabbia e strinse le mani a pugno.
“D’accordo. Però resta viva, devo ancora sposarti.”
Hildr si mise a ridere, poi gli diede un bacio a stampo e si calò giù lungo la parete. Non appena toccò terra, un uomo riuscì a graffiarla con la spada. Gli piantò l’ascia nel petto e la spinse in fondo per spaccargli lo sterno, e quello si accasciò morto. Stava per avanzare quando Hvitserk la minacciò con la spada.
“Hildr! Dov’è mia moglie? La rivoglio!”
“Ti ricordi solo ora di avere una moglie? Isobel sta bene, al riparo da te e dalla tua infinita indecisione! Tu non te la meriti!”
Hildr con un calcio gli fece sfuggire di mano la spada e gli tirò un pugno rompendogli il naso. Hvitserk le diede una gomitata nelle costole, però lei non si arrese e lo attaccò con un calcio alle ginocchia.
“Io la amo davvero. Devi credermi.”
“Ho smesso di crederti molto tempo fa. Allearti con Bjorn? Mossa stupida!” disse Hildr, poi lo colpì in volto con l’asta dell’ascia. Hvitserk l’afferrò per i capelli e la strattonò per tutto il terreno insanguinato. Hildr si dimenò e, liberatasi, gli conficcò una freccia nel braccio. Recuperò velocemente il suo arco, incoccò una freccia e gliela puntò contro, ma l’istante dopo cadde in ginocchio a causa di un colpo di scudo alla schiena.
“Vai!” gridò a Hvitserk il ragazzo che l’aveva colpita, era biondo e impaurito. Hildr strabuzzò gli occhi per il dolore, però non si abbatté, si rimise in piedi e prese l’altra ascia dalla cintura.
“Ti sei messo contro la persona sbagliata, idiota.”
“Io sono Magnus, figlio di Ragnar!”
In quel preciso momento una freccia dall’alto trafisse Magnus facendolo afflosciare con il viso contorto dal dolore. Era stato Hvithàr ad ucciderlo dal ponte. Hildr lo ringrazio con un gesto della mano, poi raccattò le proprie armi e si gettò nella mischia. Sentiva Ivar abbaiare ordini, incitare gli uomini, mentre piovevano frecce da ogni dove. Si riparò con il cadavere di un guerriero per evitare una freccia, dopodiché uccise chi l’aveva lanciata. Bjorn continuava a smantellare la porta, che non avrebbe retto ancora, e Ivar comandò di bruciarli vivi. Prima che l’olio e il fuoco si mischiassero, Hildr accorse in aiuto di Sveinn, lo strascinò per l’armatura e si allontanò il più possibile dalle fiamme.
“Sveinn!”
Il ragazzo aprì gli occhi e boccheggiò in cerca di aria, i polmoni erano pieni di sangue. Hildr lo aiutò a mettersi seduto e gli fece vomitare altro sangue per farlo stare meglio.
“Ce la faccio. Grazie, Hildr. Sei scesa per me?”
“Non potevo abbandonare un amico.”
Sveinn ridacchiò e un dolore terribile gli pungolò le costole.
“Hildr, alle tue spalle!” tuonò la voce di Ivar. Hildr si girò e vide re Harald camminare verso di lei con la spada e con un sorriso folle sulle labbra.
“Hildr la Valchiria!” la salutò Harald inchinandosi goffamente. L’arco era andato perso tra le fiamme, perciò Hildr serrò le dita intorno alle due asce e si parò davanti a Sveinn per proteggerlo.
Ivar batté le mani sul bordo del ponte imprecando a bassa voce. Vedeva Hildr e Harald fronteggiarsi e si diede dello sciocco per averle permesso di scendere in battaglia. Saperla là non gli dava la possibilità di concentrarsi sulla difesa e sugli ordini da impartire, a lui importava solo di Hildr. Ed era forse quello il vero amore? In  mezzo all’inferno focalizzarsi soltanto su una minuscola persona?
“Re Ivar! Manca poco e saranno entrati!” gli riferì una delle shieldmaiden, i capelli arruffati e l’armatura sporca di sangue e terra. La sua mente non riusciva a riprendersi, guardava svariati guerrieri cadere e immaginava che uno di loro fosse Hildr. Poi si ricordò della loro promessa: tu vinci la guerra e io ti sposo.
“Lasciateli entrare!”
Hildr, dal canto suo, fece scricchiolare le ossa del collo che aveva riportato una serie di traumi e si pulì gli occhi dal sangue.
“Fatti avanti, Harald. Forza, fatti ammazzare come il maiale che sei!”
Re Harald caricò la spada contro di lei e Hildr gli andò addosso con tutta la furia di cui era dotata. Le loro armi cozzarono con un forte clangore che scheggiò il metallo.
“Saresti stata una splendida regina.” Le disse Harald, indietreggiando per riprendere il controllo della spada. Hildr gli sfregiò una guancia con l’ascia e lo spinse a terra, approfittando della sua debolezza.
“Scusami, ma sono già impegnata!”
Harald le fece lo sgambetto e Hildr sbatté la testa sulla dura terra, dal naso e dalla bocca fuoriuscì del sangue. Sveinn si alzò a fatica e assalì Harald alle spalle. Il re si difese trapassandogli l’addome con la spada.
“S-veinn.” Mormorò Hildr mentre vedeva la vita fluire dal corpo dell’amico. Nel frattempo Bjorn aveva fatto irruzione dentro Kattegat ma, invece di entrare in città, si ritrovò bloccato da altre mura e accerchiato dai guerrieri del fratello. Ivar con un innocuo gesto della mano ordinò agli arcieri di attaccare. Gli uomini e le donne cadevano come fiori estirpati dal prato, uno dopo l’altro, tra urla e sofferenze.
“Non sei furbo, Bjorn! Le tue tattiche belliche sono datate!” lo canzonò Ivar ridendo di gusto.
“Ritirata!” gridò Bjorn, e pian piano i suoi guerrieri abbandonarono il campo di battaglia. Ivar non festeggiò, anzi rivolse la sua attenzione a Hildr. La ragazza era lercia di sangue sul viso e sulle mani, anche i suoi capelli neri erano imbrattati dalla sostanza viscosa, e la sua pelle recava lividi e graffi. A malapena si reggeva sulle gambe, eppure non mollava la presa intorno alle asce e la sua espressione restava determinata.
“Volete che vada ad aiutarla?” domandò Hvithàr, i capelli bianchi striati di rosso, le mani rugose rosse e gonfie di dolore.
“No. Lei può farcela.”
“Rischia di morire, mio signore.”
Nonostante il desiderio di uccidere Harald con le sue stesse mani, Ivar dovette rimanere saldo nella sua decisione.
“Non morirà.”
Hildr si abbassò per chiudere gli occhi di Sveinn e in cuor suo lo raccomandò agli dèi affinché lo accogliessero nel Valhalla. Malgrado i loro rapporti da ragazzini, erano stati molto uniti negli ultimi mesi.
“Dicono che tu sia la migliore guerriera di Ivar, ma devo ammettere che non vedo tutta questa grandezza.” La stuzzicò Harald ma Hildr non disse una parola. Era stanca, provata, e voleva che tutto finisse al più presto. Avvertiva gli occhi azzurri di Ivar addosso, sapeva che dopo le avrebbero fatto la paternale, però doveva restare in vita perché ciò accadesse. I suoi genitori, Helga, Ragnar e tutti gli dèi la osservavano dall’alto del loro banchetto, aspettavano una sua mossa. Hildr allora partì alla carica, sganciò un calcio nello stomaco di Harald e lo fece ruzzolare al suolo. Harald si svincolò e Hildr gli premette il ginocchio sulla trachea  giusto per farlo placare. Il re, però, le tirò i capelli e la scaraventò di lato. Prese l’ascia e cominciò a fendere la terra mentre Hildr rotolava per spostarsi e sottrarsi all’arma. Fu bloccata da un cadavere, perciò si alzò e si protesse con un mezzo scudo spaccato.
“Morirai oggi, ragazzina!”
Harald stava per ucciderla quando ricadde sulle ginocchia con l’ascia ancora tra le mani. Hildr aveva estratto la spada dal cadavere alle sue spalle e aveva pugnalato l’uomo dritto al cuore.
“Non morirò oggi, Harald. Sai, devo sposarmi.” Disse Hildr, dopodiché estrasse la spada e di netto gli tranciò la testa. Il sangue le schizzò sul viso, sui capelli, sull’armatura. Intorno a lei solo una decina di guerrieri si erano salvati e facevano ritorno in città. Ivar la scorse aggirarsi tra le fiamme che ancora lambivano le mura, coperta di sangue e di terra, con lo sguardo vacuo, e quasi intravide due ali nere spuntarle sulla schiena. Non c’era dubbio che fosse una valchiria.
 
Tre anni prima.
Ivar impiegò due ore per raggiungere la dimora del Veggente. Le sue gambe non erano di aiuto e le sue braccia ogni tanto avevano bisogno di riposo, perciò era sfinito quando arrivò in cima al pendio. Scostò la porta e strisciò all’interno senza annunciarsi, in fondo il Veggente aveva già previsto la sua visita.
“Ivar Senz’Ossa, ti stavo aspettando.” Esordì il Veggente con voce roca, simile ad un canto antico quanto la creazione del mondo. Ivar si arrampicò sulla sedia e bevve un goccio d’acqua dalla borraccia, era sfiancato dalla scalata.
“Dunque sai perché sono qui. Voglio sapere cosa mi attende in futuro.”
“Io vedo! Vedo una guerra. Vedo molti morti e molti vivi. Vedo la fine di una famiglia. E ancora vedo …”
“Cos’altro vedi?” indagò Ivar. Gli occhi del Veggente si spostarono sul fuoco come se attraverso le fiamme potesse scorgere la verità.
“Vedo una donna dalle ali nere, forgiata dalle fiamme, vestita d’ambra. Questa donna è buio e luce, è tutto e niente, e l’inizio e la fine.”
“Chi è la donna?”
“Odino la chiama, la reclama, ordina ai suoi corvi di trovarla. E’ una donna di sangue, di carne, di vento, di acqua. E’ una donna viva. E’ l’arma segreta del re.”
Le fiamme di colpo sfavillarono e Ivar si scottò la mano, mentre il Veggente restava incantato dall’ardore del fuoco.
“La vedo! Tu e questa donna siete legati, giovane Ivar. Combatterete insieme ma non sarete insieme per sempre.”
“Chi è? Dimmi il suo nome, che aspetto ha, qualche indizio utile!”
“Lei è la valchiria!”
 
Hildr aprì lentamente gli occhi per abituarsi alla luce. Sentiva dolore dappertutto, sembrava che ogni organo e osso del corpo andasse a fuoco.
“Ehi!” sussurrò Ivar accarezzandole lo zigomo. Al suo fianco c’era Isobel che si accarezzava il pancione, sorrideva e piangeva al tempo stesso. Hildr si guardò intorno ma non riuscì a capire dove fossero.
“Sono morta?”
“No. Sei ancora viva. Sei solo un po’ ammaccata.”
Quando cercò di alzarsi, una fitta di dolore le punse l’addome. Ivar l’aiutò a mettersi seduta e si accertò che la benda fosse ancora al suo posto.
“Che diamine è successo?”
“Sei svenuta non appena sei rientrata in città dopo aver ucciso Harald. Hai riportato svariati lividi e abrasioni, ma è la ferita al fianco che ti procura questi dolori. Non è profonda e il sangue ha smesso di fuoriuscire, però non è guarita del tutto.”
Di colpo Hildr si rese conto di essere a bordo di una nave, circondata da uomini e barili.
“Che ci facciamo su una nave? Ivar, che sta succedendo?”
Isobel sospirò e prese posto accanto a lei, facendo attenzione alla propria condizione.
“Siamo stati traditi due volte, Hildr. Mentre preparavamo le difese, qualcuno ha liberato Freydis dalla gattabuia e si è rifugiata presso Bjorn in cambio di informazioni. Ha detto loro del passaggio segreto che permette di entrare e uscire da Kattegat senza essere visti, così stamattina Bjorn e gli altri hanno fatto irruzione. Io e Ivar siamo riusciti a portati via in tempo.”
“State scherzando! Ovviamente mi prendete in giro!” sdrammatizzò Hildr con una risata, ma la serietà di Ivar era la conferma di quanto raccontato da Isobel.
“Non avevamo altre opzioni, dovevano fuggire prima che ci catturassero. Ti abbiamo caricata sulla biga, siamo arrivati al molo e siamo saltati sulla prima nave che salpava.” Aggiunse Ivar, lo sguardo colpevole, le dita intorno alla stampella. Hildr si tolse di dosso la coperta e distese le gambe per sgranchirle nella speranza di lenire il dolore.
“Perché hai portato Isobel? Sarebbe potuta rimanere a Kattegat con Hvitserk date le sue condizioni.”
 “No! – obiettò Isobel – non potevo accettare di stare con Hvitserk. Ci ha traditi tutti, inclusi me e il bambino. Lui sarà anche mio marito, ma tu mi hai salvata da un destino crudele. Sei la mia casa, Hildr. Ovunque andrai, io e mio figlio verremo con te.”
Hildr si sciolse in un sorriso e baciò la fronte dell’amica, era ingiusto soffrire tanto alla sua giovane età.
“Questa nave dove conduce?”
“Va nelle regioni dell’Est, scarica tessuti e spezie.”
“Ad Est? Non ci siamo mai spinti così al largo.”
Ivar tracciò nella polvere una runa sul fianco di legno della nave, era una runa di protezione.
“Supereremo anche questa. L’importante è restate insieme.”
 
Le stelle brillavano come lucciole sul manto oscuro della notte. Hildr si assicurò che Isobel dormisse comoda, poi andò da Ivar che ne stava in disparte sulla prua.
“Come mai tutto solo?”
“Non riuscivo a dormire e ho pensato di venire qui a riflettere.”
Hildr si sedette al suo fianco, le loro spalle si toccavano e le dita si sfioravano.
“Quali pensieri ti tormentano?”
“Abbiamo perso la battaglia ma la guerra non è ancora finita. Vinceremo, costi quel che costi. Torneremo a Kattegat e ci riprenderemo ciò che ci spetta.”
“Lo so.”
Ivar si chinò a baciarla, le sue labbra morbide gli erano mancate, anzi lei gli era mancata in quelle poche ore di incoscienza.
“Devo dirti una cosa.”
“Dimmi.”
“Sono stato io ad affibbiarti il soprannome ‘’Valchiria’’, non i guerrieri. L’ho fatto perché c’è un motivo alla base. Tempo fa feci visita al Veggente per sapere cosa mi avrebbe riservato il futuro e lui mi disse che ci sarebbe stata una guerra, morti, vivi, e una famiglia spezzata. Mi disse anche che nella mia vita ci sarebbe stata una donna dalle ali nere, forgiata dalle fiamme, e vestita d’ambra. Disse che questa donna e’ l’arma segreta del re per vincere definitivamente la guerra, che io e lei avremmo combattuto insieme ma non saremmo rimasti insieme per sempre.”
“Il Veggente disse una cosa simile anche a me.”
Ivar deglutì, spaventato dalle parole che gli si annidavano il gola.
“La donna in questione è la Valchiria. Quella donna sei tu.”
Hildr scattò in piedi con espressione sbigottita.
“Non dire sciocchezze. Credevo che il tuo cervello avesse ripreso a funzionare normalmente, forse mi sbagliavo.”
“Il mio cervello è più lucido di quanto non sia mai stato. I tuoi genitori sono morti tra le fiamme, tu porti una pietra di ambra al collo, e ieri mi sembrava di aver visto spuntare due ali nere sulla tua schiena. Non è un caso che il Veggente abbia riferito ad entrambi che non saremmo stati insieme per sempre. Non capisci? Sei tu l’arma segreta. Sei tu che ci garantirai la vittoria.”
“Ivar …”
“Sei tu la Valchiria del Re!”
“Tu credi davvero che io sia l’arma che ti farà vincere la guerra? Io sono solo una ragazza che combatte proprio come tutti gli altri! Non sono straordinaria come credi.”
Ivar si alzò, le mise le mani a coppa sulle guance e l’avvicinò a sé. In quel momento nei suoi occhi baluginava la stessa veemenza di Floki quando blaterava sugli dèi.
“Gli dèi hanno scelto te. Io ho scelto te. Tu non porti solo il nome di una valchiria, tu sei una valchiria!”
Hildr era spiazzata, confusa, e sembrava che il dolore fisico fosse aumentato.
“Una sola persona non basterà a sconfiggere Bjorn e gli altri.”
“Ma noi non siamo persone comuni! Siamo più intelligenti di loro, più furbi, più spietati, e siamo uniti.”
“Il Veggente ha detto che non saremmo rimasti insieme per sempre.” Gli fece notare Hildr con una note di disappunto nella voce. Ivar scosse la testa e sorrise.
“Allora vediamo di riscrivere quella parte a modo nostro. Sfidiamo il fato che gli dèi hanno stabilito per noi. Superiamo tutti i limiti, puntiamo al massimo. Sii un’eccezione, Hildr. Sposami!”
Hildr sentì la voce di suo padre riecheggiare tra le onde, calda e profonda come se la ricordava. Sii gentile. Sii un’eccezione.
“Ti sposo! Mille volte sì!”
Si diedero un bacio impetuoso, fatto di passione, forza, speranza nel futuro. Ivar tirò fuori dalla giacca un anello che era appartenuto a sua madre, una sottile fascia d’oro giallo ornata da un piccola pietra rossa, e lo fece scivolare all’anulare di Hildr.
“Con questo anello io ti prometto amore e rispetto. Con questo anello io ti consegno la mia vita.”
Hildr, invece, si slacciò la collana di sua madre, quella decorata da un piccolo pezzo di ambra, e l’appuntò al collo di Ivar.
“Con questa collana ti prometto amore e rispetto. Con questa collana io ti consegno la mia vita.”
“Resterai con me qualunque cosa accada?”
Hildr ridacchiò, era la stessa domanda che le aveva posto durante il viaggio di ritorno dal Wessex anni prima.
 “Resterò con te, per sempre.”
Circondò il collo di Ivar con le mani e lo baciò mentre una stella cadente attraversò il cielo.
Niente e nessuno avrebbe spezzato il vincolo tra il Re e la Valchiria, neppure gli dèi.
 
 
Salve a tutti!
Questo è l’ultimo capitolo.
Ho voluto concludere seguendo il finale della stagione, sempre con qualche modifica.
Ho cercato di mantenere il personaggio di Ivar il più possibile fedele alla serie e spero di esserci riuscita.
Mi auguro che vi sia piaciuta la storia.
Grazie di cuore per avermi seguita.
Un bacio.
 
[LA SECONDA PARTE ARRIVERA’ NON APPENA SARA’ DISPONIBILE LA SESTA STAGIONE, QUINDI ASPETTATEMI E RESTATE CON HILDR!]
 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3824136