L'appartamento

di LorasWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Antonio ***
Capitolo 2: *** Antonio ***
Capitolo 3: *** Gilbert ***
Capitolo 4: *** Arthur ***
Capitolo 5: *** Antonio ***
Capitolo 6: *** Arthur ***
Capitolo 7: *** Arthur ***
Capitolo 8: *** Gilbert ***
Capitolo 9: *** Romano ***
Capitolo 10: *** Antonio ***
Capitolo 11: *** Gilbert ***
Capitolo 12: *** Arthur ***
Capitolo 13: *** Gilbert ***
Capitolo 14: *** Romano ***
Capitolo 15: *** Arthur ***
Capitolo 16: *** Antonio ***
Capitolo 17: *** Arthur ***
Capitolo 18: *** Gilbert ***
Capitolo 19: *** Antonio ***
Capitolo 20: *** Arthur ***
Capitolo 21: *** Gilbert ***
Capitolo 22: *** Arthur ***
Capitolo 23: *** Gilbert ***
Capitolo 24: *** Alfred ***
Capitolo 25: *** Romano ***
Capitolo 26: *** Arthur ***
Capitolo 27: *** Antonio ***
Capitolo 28: *** Arthur ***
Capitolo 29: *** Romano ***
Capitolo 30: *** Arthur ***
Capitolo 31: *** Gilbert ***
Capitolo 32: *** Antonio ***



Capitolo 1
*** Antonio ***


L'appartamento
 


1.Antonio

Antonio controllò nuovamente l’indirizzo su google maps e si guardò intorno.
Vide i numeri dispari sul lato del marciapiede dove si trovava, così velocemente attraversò la strada e dovette fare solo altri pochi passi prima di arrivare al numero 24.
Chiuse l’applicazione nel cellulare e si guardò intorno, non era un quartiere ricco ma non era neanche di quelli più brutti, in Spagna ne aveva visti parecchi di quell’ultimo tipo e questo non gli dispiaceva affatto.
Non era un condominio grandissimo, a giudicare dalle finestre e dai balconi che riusciva a vedere e dai bottoni nel citofono dovevano esserci tre piani con due appartamento per ciascuno.
Scrutò meglio le varie scritte nella griglia posta accanto il cancelletto dell’ingresso e cliccò il terzo riquadro che presentava i nomi:
A. Kirkland
L. Beilschmidt
R. Vargas
Gli rispose una voce dopo pochi secondi chiedendo chi fosse, aveva un forte accento straniero anche se Antonio non riuscì a capire di che nazionalità fosse, si presentò semplicemente con il suo nome e lo scatto del cancelletto avvenne subito dopo, infondo lo stavano aspettando.
Si ritrovò all’interno della struttura, tutta esclusivamente bianca.
Percorse titubante quei pochi scalini che lo portarono al piano terra, poi dal piano di sopra sentì una porta aprirsi e la stessa voce di prima dire –Sali al primo piano.
Antonio obbedì percorrendo velocemente le tre rampe di scale che lo dividevano dal suo probabile nuovo appartamento.
Aveva visto che c’era l’ascensore, ma gli era sembrato inutile per arrivare al primo piano e non voleva subito sembrare una persona pigra e indisponente.
Davanti la porta aperta dell’appartamento trovò un ragazzo biondo alto più o meno quanto lui, con delle folte sopracciglia corrugate e gli occhi verdi che lo stavano scrutando.
-Sei in ritardo- fu la prima cosa che gli disse.
Antonio sentì un peso allo stomaco, già non iniziava bene.
Si grattò la nuca imbarazzato e cercò di sorridere –Mi dispiace, google maps mi ha fatto perdere… due volte.
Il biondo scosse la testa –Non importa, entra.
Antonio fece come gli era stato comandato e solo quando fu dentro il ragazzo si ricordò di presentarsi –Ah, comunque io sono Arthur.
Antonio annuì e gli strinse la mano, conoscevano già il suo nome, era inutile presentarsi a sua volta.
Arthur lo portò lungo il breve corridoio che si divise subito in due stanze, a destra intravide la cucina mentre in quella a sinistra c’era il soggiorno, stanza in cui lo fece entrare e dove al suo interno c’erano già altri due ragazzi.
Un altro ragazzo biondo gli dava le spalle, spalle enormi e super muscolose, stava sistemando dei fogli sopra il tavolo dietro il divano.
Proprio sul divano invece stava stravaccato scompostamente un ragazzo moro, mangiava una mela rossa direttamente dalla sua mano a morsi.
-È qui- annunciò Arthur attirando l’attenzione degli altri ragazzi.
-Perfetto- rispose l’altro biondo girandosi e avvicinandosi porgendogli la sua mano in una stretta forte e potente –Io sono Ludwig Beilschmidt, il fratello di Gilbert.
Antonio annuì, conosceva bene quel cognome impronunciabile.
Poi Ludwig indicò il ragazzo moro ancora seduto sul divano che lo stava fissando con aria annoiata –Lui è Romano. Ora se non ti dispiace passiamo dopo ai convenevoli e andiamo dritto al punto, ho una lezione universitaria alle 16 e si sta facendo tardi.
-Si certo, non c’è problema- rispose velocemente Antonio, sapendo già di non essere visto di buon occhio per il suo ritardo.
Lo fecero accomodare su una poltrona che era posta quasi di fronte al divano mentre gli altri due biondi si andarono a sedere su quest’ultimo vicino all’altro coinquilino, Ludwig al centro.
Mentre si sistemavano Antonio non poté fare a meno di scrutare il ragazzo moro, Romano l’avevano chiamato, e strabuzzò gli occhi quando si rese conto che non stava mangiando una mela ma bensì un pomodoro.
-Bè? Che cazzo guardi?
A Romano non era sfuggito quello sguardo e l’aveva ripreso con quelle parole, parole non proprio gentili se si voleva iniziare una convivenza, ma non gli importava minimamente.
Antonio arrossì e semplicemente rispose con la prima cosa che gli attraversò il cervello –Mi piacciono i pomodori.
E Romano rimase così stupito da quella frase inaspettata che non disse più niente.
-Bene Antonio- Ludwig iniziò a parlare, si era sporto in avanti e aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia, le mani intrecciate tra di loro –non sono uno che giudica le persone dalle amicizie che hanno o dall’apparenza, per questo ho deciso di darti una possibilità nonostante tu sia amico di mio fratello.
Antonio arrossì di nuovo, sapeva che Gilbert, il suo migliore amico, aveva un fratello ma questa era la prima volta che lo vedeva, troppo diversi i due tedeschi per andare d’accordo o per vedersi e uscire come una normale famiglia.
-Inoltre abbiamo davvero bisogno di trovare un nuovo coinquilino al più presto perché non possiamo permetterci l’affitto e le bollette in tre- aggiunse Arthur più pragmatico.
-Quindi- continuò Ludwig –abbiamo solo bisogno di alcune tue credenziali, di firme e di assicurazioni e poi la stanza in fondo potrebbe anche diventare tua. Inoltre devi sapere fin da ora che avrai la tua stanza singola ma il bagno è uno solo, quindi ti devi abituare ai nostri orari come noi faremo con te.
Antonio annuì e iniziò a parlare –Conosco bene tuo fratello, è il mio migliore amico, ma non per questo sono come lui, te lo posso assicurare, anche se penso tu sia uno che ha più bisogno di prove dirette, quindi se mi accetterete farò in modo di dimostrarvelo. Inoltre non ho problemi a partecipare per le faccende di casa o a cucinare, mi sono trasferito in questa città perché voglio diventare un cuoco, i miei zii hanno un ristorante qui e hanno deciso di darmi una mano. Posso anche pagarvi l’affitto mensile oggi stesso, per darvi una garanzia in più.
-Fai il cuoco?- domandò Romano con un sopracciglio alzato.
-Ancora non a tutti gli effetti, ma spero di aprire un mio ristorante un giorno.
-Hai detto che puoi pagarci l’affitto anche oggi stesso?- domandò invece Arthur quasi sollevato.
Antonio annuì.
-Potresti aspettarci qui? Noi tre ne andiamo a parlare in cucina.
I ragazzi si alzarono e si avviarono verso quella stanza che lo spagnolo aveva visto solo di sfuggita chiudendosi la porta alle spalle.
Ma Antonio era troppo curioso e alzandosi e avvicinandosi decise di origliare, non fu neanche molto difficile visto che i tre ragazzi neanche pensavano di tenere un tono basso e le mura di quella casa erano veramente sottili.
-Non abbiamo bisogno di un cuoco, ci sono già io- una voce piccata.
-Smettila Romano, nessuno sta cercando di sostituirti.
-E poi ha detto che ci paga oggi stesso, sapete benissimo che siamo al limite di questa situazione e non possiamo più permetterci di vivere qua dentro solo in tre.
-Tu che ne pensi Ludwig?
-Mhh, secondo me il fatto che sia amico di quello scemo di mio fratello è anche un lato positivo, se dovesse scappare via derubandoci sapremo come trovarlo o contattarlo andando da Gilbert. Quindi sempre meglio che far entrare un perfetto sconosciuto.
Uno sbuffo.
-Quindi gli diciamo di si?
Antonio sentì le voci più vicine così scappò nuovamente in soggiorno e fece finta di starsi guardando in giro.
-Va bene, sei ufficialmente il nostro nuovo coinquilino, finché non ci tiri brutti scherzi.
Antonio non poté fare a meno di sorridere –Ho 25 anni, direi che sono abbastanza grande per gli scherzi.
-Bene così, ora ti faremo fare un breve tour per la casa per mostrarti tutto, già da stanotte puoi dormire qui se ti va…
-Se ci lasci i soldi- borbottò Arthur a mezza voce.
-… e puoi iniziare a portare le tue cose quando vuoi.
-Grazie mille!- Antonio sorrise e abbracciò di slancio tutti e tre, era molto portato per le manifestazioni d’affetto –Penso che oggi stesso inizierò a portare le mie cose così non dovrò più pagare l’hotel in cui alloggio da ormai tre giorni. Andrò anche a prelevare così vi lascio i soldi, quant’è?
Fu Arthur a parlare –Oh, di quello me ne occupo io, studio economia e qui mi lasciano amministrare i soldi comuni, per te non è un problema, no?
-No no- si affrettò a rispondere Antonio, finché non lo truffavano gli andava bene non occuparsi di queste cose che non riusciva proprio a comprendere.
-Bene, ti farò vedere tutto quando firmerai il contratto d’affitto.
-Perfetto, io ora vado a lezione, quindi mi dispiace ma non posso aiutarti con il trasloco ma forse…
-Non guardare me stupido crucco- rispose in fretta Romano allontanandosi –Se volete cenare stasera non provare a darmi compiti extra e noiosi.
-Non ci pensare neanche- rispose Arthur quando lo sguardo di Ludwig si posò su di lui.
Antonio sorrise nuovamente –Tranquilli ragazzi, mi farò aiutare da un mio amico, non è un problema.
-Perfetto, allora io vado, per le ultime cose ti aiuterà Arthur.
Ludwig prese la sua borsa e uscì di casa, Romano tornò a sedersi sul divano dove si accese la tv e iniziò a fare zapping mentre finiva di mangiare il suo pomodoro.
La voce di Arthur lo riportò alla realtà, con imbarazzo si rese conto di essersi nuovamente concentrato per troppo tempo sull’unica figura mora tra i suoi nuovi coinquilini.
-Andiamo, ti mostro la tua stanza e il resto, ti faccio firmare il contratto, ti cerco il mazzo di chiavi in più che già abbiamo e ti dico per i soldi.
Così Antonio lo seguì nel suo tour improvvisato.

 
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Ciao a tutti!
Ho già scritto in questo fandom per chi non mi conoscesse ma questa è la prima long.
E' già conclusa, quindi nessuna preoccupazione, non resterà incompleta.
Pubblicherò una volta a settimana, nel weekend, preferibilmente sabato, ma se non arrivo è possibile anche la domenica.
Si tratta (come avrete già capito) di una AU universitaria, le loro nazionalità sono così varie che non dirò mai in che stato/città si trovano, decidete voi.
Il nome dei capitoli equivale al punto di vista che sta descrivendo, in questo caso tipo Antonio.
Ci saranno i punti di vista quindi di Antonio, Romano, Arthur e Gilbert, ovviamente tutte le storie delle varie coppie sono intrecciate tra di loro.
Come ho scritto anche nella descrizione le coppie principali saranno la Spamano, la FrUK e la PruCan, la Gerita di sfondo.
Spero che lascerete un commento e inizierete a seguire questa long, mi farebbe davvero molto piacere.
Alla prossima settimana!
Deh

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Capitolo 2
*** Antonio ***


2.Antonio

-Mmmh, quindi come sono questi ragazzi?
Francis si arricciava una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi sfuggita al codino intorno l’indice, era appoggiato allo stipite della porta tra il bagno e la camera dell’albergo e lo fissava curioso.
-Ma sei venuto qui per farmi domande o per aiutarmi?- sbuffò seccato Antonio mentre cercava di far chiudere la valigia sedendosi sopra.
Com’è che solo tre giorni fa ci entrava tutto alla perfezione e ora sembrava scoppiare?
Francis alzò un sopracciglio scettico –Non hai bisogno del mio aiuto ora- disse come se fosse una cosa ovvia –Piuttosto sto cercando di capire se ne varrà la pena dopo aiutarti a portare gli scatoloni che hai in macchina su per il tuo nuovo appartamento.
-E da cosa lo deciderai?- chiese con fatica, era riuscito a chiudere metà della cerniera.
Francis rise, come se il suo amico fosse così innocente da non saperlo –Dipende da quanto siano carini.
-Mmh- Antonio si bloccò pensandoci, come se prima di quel momento non gli fosse neanche passato per il cervello –Bè, uno è il fratello maggiore di Gilbert, quindi non so fino a che punto i conviene anche solo parlargli.
-Quello l’avevo già scartato a prescindere, anche se ho visto delle foto, è un bell’uomo, nulla da dire.
Antonio annuì sempre sovrappensiero, poi continuò la sua lista –Poi c’è un inglese con delle sopracciglia che potrebbero farti svenire.
Francis storse il naso –Potevi già fermarti alla nazionalità, sai che li odio.
Antonio rise –La guerra dei cent’anni si è conclusa da secoli- scherzò.
Francis sbuffò –Non scherzare su queste cose serie e delicate. Bè, l’ultimo?
-È un italiano, mi ha rivolto si e no due frasi e in entrambe mi insultava o urlava contro qualcuno.
-Quindi sei uno spagnolo che sta andando ad abitare con un tedesco, un inglese e un italiano, sembra l’inizio di una barzelletta. Va bene dai, potrei darti una mano con uno o due scatoloni.
Antonio alzò gli occhi al cielo e riprese a chiudere la sua valigia –Ricordami perché non mi poteva aiutare Gilbert con tutto questo.
-Ha uno dei suoi soliti provini, lo conosci.
Antonio annuì velocemente, senza ascoltarlo davvero, in fondo la sua era solo una domanda retorica, poi sorrise soddisfatto e alzò un pugno al cielo quando finalmente riuscì a chiudere del tutto la sua valigia rossa.
-Chèri, ma questi non dovevi posarli?
Lo chiamò a quel punto Francis recuperando dal bagno tre magliette e un paio di mutande che Antonio aveva dimenticato sparso in giro.
Lo spagnolo si buttò depresso sul letto immacolato che le cameriere avevano rifatto solo qualche ora prima –Potevi anche dirmelo prima!
-Era più divertente così.
 
Con fatica cercò di uscire i quattro scatoloni e la valigia con tutta la sua roba dietro dall’ascensore cercando di non rimanere incastrato tra le porte in metallo.
-Comunque grazie, mi sei stato molto d’aiuto- commentò ironico quando poggiò anche l’ultimo scatolone a terra davanti la porta della sua nuova casa e cercò di riprendere fiato, fissando malissimo il suo amico francese che aveva una semplice sacca in spalla, quello era tutto l’aiuto che gli aveva dato.
Prese la sua copia delle chiavi dalla tasca, che erano legate insieme a quella della cassetta della posta e del portoncino del palazzo, e aprì la porta d’ingresso.
Il profumo di cibo buono che veniva cucinato subito colpì il loro olfatto, la casa era piena di quell’odore ed era certo quindi che altre persone fossero in casa in quel momento, ma nessuno venne ad accoglierli all’ingresso.
Antonio non era stupito di questo, considerando come avevano reagito solo poche ore prima era ovvio che nessuno avesse intenzione di aiutarlo a trasportare scatoloni pesanti e a sistemare le sue cose.
Per prima cosa indicò a Francis la stanza più vicina, il soggiorno, e gli disse di portare le cose li.
Neanche si aspettava che il ragazzo tornasse indietro ad aiutarlo dopo che aveva già portato la sacca che teneva in spalla così fece tutto da solo e iniziò a sudare freddo quando sentì Francis parlare con Arthur che evidentemente si trovava nel soggiorno.
-Salut beauté- sentì il suo amico dire e sospirò esasperato, era sempre il solito.
Anche se ormai si doveva immaginare che si sarebbe comportato così.
Sentì il silenzio, poi Arthur rispondere con voce annoiata e distratta –Ci conosciamo?
-Sono Francis, l’amico di Antonio.
Nel frattempo l’interpellato aveva entrato tutto e chiudendosi la porta alle spalle aveva raggiunto gli altri nel soggiorno.
Arthur sembrava avere una faccia disgustata, smise di calcolare Francis come se non gliene potesse importare di meno e si rivolse al suo nuovo coinquilino –Ma dovevi proprio avere un amico francese?
Antonio sorrise imbarazzato e Arthur continuò sorpassandoli e avviandosi verso le camere personali –Solo perché mi hai già pagato non ti chiedo di tornarmi le chiavi- poi si chiuse la porta alle sua spalle.
Antonio lanciò un’occhiataccia a Francis e non smise di fissarlo male, incrociando anche le braccia al petto.
-Che c’è?- si difese il biondo.
-Di cosa abbiamo parlato fino a un attimo fa? Non lo odiavi per principio?
-Antonio- Francis gli mise entrambe le mani sulle spalle parlandogli serio, come se avesse appena tralasciato un dettaglio importantissimo in tutta quella storia –Ma hai visto il suo culo?
Antonio sospirò gravemente e si schiaffeggiò la fronte –Sparisci, prima che per colpa tua vengo sfrattato neanche 24 ore dopo aver trovato un tetto dove dormire.
Francis rise e gli fece l’occhiolino –Ci vediamo presto allora- infine andò veramente via.
Antonio si appoggiò al muro e rilasciò uno sbuffo, poi si avviò in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua prima di portare tutto nella sua nuova camere e fare il procedimento inverso di quello che aveva fatto poco prima.
La cucina non era isolata, ovviamente sentendo quell’odore quando pochi minuti prima era entrato voleva far presumere che ci fosse qualcuno al suo interno a cucinare, ma Antonio non aveva collegato questo suo ragionamento e quando entrò si bloccò un attimo vedendo Romano di spalle.
Il ragazzo era di lato al forno acceso al cui interno c’era una teglia di qualcosa che stava cucinando, messo di fronte la penisola della cucina stava tagliando dei pomodori per fare un’insalata.
-Ciao- lo salutò Antonio senza ricevere alcuna risposta.
Non si fece intimidire da quel silenzio e si avvicinò al frigo, aprendolo prese una bottiglia di acqua.
Poi si guardò intorno per capire dove prendere un bicchiere.
-Il primo sportello in alto a destra.
La voce di Romano era quasi fredda e concisa, pratica. Non si era neanche girato a fissarlo mentre lo diceva.
-Grazie- rispose Antonio con un piccolo sorriso in volto mentre recuperava un bicchiere di vetro e lo riempiva di acqua fresca.
Scese nuovamente il silenzio, interrotto dal coltello che sbatteva contro il tagliere e l’acqua che si muoveva all’interno del bicchiere mentre Antonio la beveva.
Lo spagnolo posò il bicchiere dentro il lavello, l’acqua in frigo e fece per uscire dalla stanza pronto a sistemare tutte le sue cose.
Si bloccò quasi sulla porta quando sentì la voce di Romano porgergli una domanda –Non sei italiano, vero?
-Sono spagnolo.
Vide Romano annuire tra sé e sé, come se già lo sapesse ma volesse una conferma.
Poi si girò verso di lui, le mani e la schiena che continuavano a poggiarsi sulla penisola in marmo.
-Sai cucinare la pasta?
E facendo quella domanda lo scrutò intensamente con lo sguardo, usò anche un tono di voce che faceva capire quanto fosse importante per lui quella domanda.
Antonio era sicuro che la sua risposta avrebbe avuto un gran peso per la futura loro convivenza li dentro.
Ma non poteva di certo mentire, era un qualcosa che gli sarebbe stato smascherato subito, quindi tentennò grattandosi la nuca imbarazzato con una mano.
-Non troppo bene… O di sicuro non sono bravo quanto lo potresti essere tu- si affrettò ad aggiungere.
-Arthur è un inglese. Mangia la merda e gli sta bene. Cucina in modo insipido e ti fa pentire di essere nato. Gli abbiamo categoricamente vietato di ucciderci con il suo cibo e non si avvicina mai alla cucina. L’altro è un crucco mangia patate, anche a lui sta bene che cucini io per tutti, nonostante devo aggiungere quasi sempre delle patate da qualche parte. Ho sempre cucinato io.
-Romano, non sono venuto qui per rubarti il ruolo, dico solo che potrei aiutarti.
Romano lanciò uno sguardo al forno acceso dove all’interno stava cuocendo una teglia di lasagne, Antonio capì che era pasta quando il ragazzo sospirò –Ma io non posso vivere senza pasta.
Antonio sorrise –Bè, potresti insegnarmi.
Romano si girò di scatto verso di lui con gli occhi sbarrati, Antonio non riuscì a capire se era stupito da quella sua frase o se lo stesse prendendo per pazzo credendo che avrebbe fatto una cosa che non aveva nessuna intenzione di fare.
Non disse nulla e dopo un intero minuto di silenzio lo spagnolo si sentì davvero in soggezione e scappò via da quella stanza con la scusa che doveva ancora sistemare un sacco di cose e aveva poco tempo a disposizione.
Quando si richiuse la porta alle spalle dovette poggiarsi alla parete e riprendere fiato, perché quegli occhi scuri gli facevano attorcigliare lo stomaco in quel modo?

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Capitolo 3
*** Gilbert ***


3.Gilbert

Mentre controllava quanti like avesse preso all’ultima foto che aveva pubblicato sui social camminava lungo la strada per andare a vedere come si era sistemato Antonio, il suo migliore amico, nella casa che lui stesso gli aveva suggerito, quando aveva saputo che suo fratello aveva urgente bisogno di un coinquilino.
Non che andasse molto d’accordo con Ludwig ma alla fine erano fratelli, ovvio che si volessero bene, inoltre sapeva che nonostante tutto fosse una brava persona, quindi non si era fatto scrupoli a mandare il suo migliore amico li.
C’era stato si e no due volte in quell’appartamento e neanche per troppo tempo, semplicemente quando aveva qualcosa di urgente da chiedere o da farsi dare da suo fratello, ma più o meno ricordava dove abitassero.
Inoltre in quel momento il suo più grande pensiero era capire perché il ragazzo che aveva fatto il provino dopo lui per la pubblicità degli occhiali avesse addirittura 11 like più della sua ultima foto. Era un affronto.
Quando arrivò trovò il portoncino aperto ed entrò senza il bisogno di citofonare, salì i primi gradini e suonò al campanello della porta a destra.
Ci fu solo silenzio dall’altro lato del legno e dopo diversi secondi e uno sbuffo infastidito Gilbert suonò nuovamente.
Solo a quel punto sentì dei leggeri passi che si avvicinavano alla porta e poi questa venne aperta lentamente, lasciando un piccolo spirale aperto dal quale Gilbert intravide un ragazzo leggermente più basso di lui, con i capelli biondo scuri che gli ricadevano ai lati del viso e gli occhi stupiti che lo fissavano attraverso le lenti degli occhiali.
-Sono arrivato!- annunciò Gilbert con il suo solito modo di fare rumoroso ed egocentrico, aprendo di più la porta e autoinvitandosi dentro l’appartamento.
Non ricordava di aver mai visto quel ragazzo, ma in fondo non è che facesse mai attenzione ad altro oltre se stesso e poi era convinto che fosse uno dei coinquilini di Ludwig e ora anche di Antonio.
Percorse il corridoio parlando a gran voce, come se si trovasse a casa sua –Bè? Dov’è quello scemo di mio fratello? Al solito aveva lezione? Com’è che non ne salta mai neanche una? Neanche quelle più inutili?- raggiunse il soggiorno e fu meravigliato dal cambiamento, totalmente diverso da come lo ricordava visto che era pieno di schermi, console e tutte quelle altre cose elettroniche.
Inoltre, quella appesa dietro la TV non era forse una bandiera del Canada?
-Vedo che avete cambiato molto dall’ultima volta che sono stato qui, bè, dove sono tutti gli altri?
Si girò a fissare nuovamente il ragazzo biondo che gli aveva aperto, che dopo i primi attimi di smarrimento l’aveva inseguito preoccupato, cercando di capire cosa ci facesse un perfetto sconosciuto in casa sua.
-Ma…- iniziò il ragazzo biondo con una voce bassissima e le guance rosse per l’imbarazzo –Tu chi sei?
Gilbert sbatté gli occhi confuso, non era abituato a domande del genere, tutti dovevano conoscerlo, lui era magnifico, come potevano i coinquilini di quello stupido di suo fratello non conoscerlo?
Incrociò le braccia al petto e rispose piccato –Non lo vedi? Sono il fratello di Ludwig, io sono il bello e il magnifico della famiglia.
-Ludwig…- cercò di ricordare il ragazzo, poi gli venne un’illuminazione –Il ragazzo che vive al piano di sopra?
Scese il silenzio, Gilbert si portò una mano al mento per comprendere meglio tutta quella situazione.
-Al piano di sopra? Dici che ho sbagliato piano?
-Eh si- il ragazzo abbassò lo sguardo abbattuto, un sorriso triste in volto –Nessuno cerca mai davvero me.
Gilbert annuì quasi senza ascoltarlo e fece il percorso al contrario per uscire da quell’appartamento, quasi si bloccò perché il poster di un videogioco delle dimensioni 50x70 che era incorniciato e appeso in una parete del corridoio attirò la sua attenzione.
-Ci giochi anche tu!?- chiese esaltato indicandolo con entrambe le braccia.
Il biondo strabuzzò gli occhi e lo fissò quasi sognante –Lo conosci?
-Ovvio che si, sono il numero uno in questo gioco, uno dei primi che ha portato il proprio personaggio a un livello altissimo e che ha quasi tutti i mostri rari con le skill aggiornate. Lo amo!
Il ragazzo sorrise sincero, le guancie nuovamente rosse –Mi fa piacere- sussurrò semplicemente e poi lo accompagnò alla porta.
Stava per chiudere quando la voce dell’altro lo bloccò –Come ti chiami?
Rimase con la bocca leggermente aperta, confuso per una domanda tanto semplice che quasi mai nessuno gli porgeva.
-È una domanda tanto difficile?
-Sono Matthew.
-Piacere di averti conosciuto Matt, io sono Gilbert.
Il canadese gli sorrise dolce e chiuse la porta solo quando lo vide sparire oltre le scale che l’avrebbero portato al primo piano.
Suonò questa volta alla porta giusta e ne fu sicuro quando ad aprirgli fu proprio suo fratello.
Lo vide sospirare e chiedere come saluto –Che ci fai qui?
Gilbert sorrise –Non sei felice di vedermi?
-Immagino che adesso ci vedremo molto più spesso visto che il tuo amico si è trasferito qui.
Gilbert rispose semplicemente con un sorrisetto mentre entrava in casa.
-STAI LONTANO DAL MIO FRATELLINO, CRUCCO DI MERDA!
Si sentì questa voce urlata dalla stanza chiusa che doveva essere il bagno.
-Non è Feliciano- gli urlò in risposta Ludwig beccandosi una domanda muta di Antonio che lo fissò confuso.
Ludwig  rispose scuotendo la testa, come se non fosse importante e poi si allontanò lasciando i due amici a salutarsi.
-Ma vi siete trasferiti?- chiese Gilbert a suo fratello mentre con Antonio li raggiungeva nel soggiorno.
Ludwig lo fissò confuso –Viviamo qui da anni, Gilbert.
-Ma prima stavate al piano di sotto.
-No?- Arthur rispose entrando nella stanza, confuso quanto tutti gli altri.
-Sono sicuro che abitavate di sotto!- Gilbert non ammetteva di avere torto neanche sotto tortura.
Antonio rise e arrivò al punto –Hai suonato sotto?
Il tedesco si imbarazzò e alzò le spalle facendo l’indifferente –Ho conosciuto Matthew.
-Chi?- domandarono in contemporanea sia Ludwig che Arthur.
Gilbert corrugò la fronte –Vivete qui da anni e non l’avete mai visto?
-Io ero convinto che non ci abitasse nessuno qui sotto, non abbiamo mai sentito rumori o gente che veniva per le visite- spiegò suo fratello.
-Sarà uno sfigato asociale- concluse Arthur disinteressato mentre controllava dei documenti scritti sul suo iPad.
Quella insinuazione diede leggermente fastidio a Gilbert ma non disse nulla perché l’aveva conosciuto solo per qualche minuto, non poteva di certo difenderlo o altro.
-Usciamo stasera?- cambiò argomento –Dobbiamo festeggiare questo tuo trasferimento definitivo qui!
-Si, perché no- sorrise Antonio –Dove andiamo?
-Con Francis di recente abbiamo trovato un nuovo bar in centro, andiamo li. Venite anche voi?- si rivolse poi a suo fratello e ai suoi coinquilini.
-Veramente io…- iniziò Ludwig ma Gilbert non lo fece concludere.
-Ma che persona pessima saresti se non vieni neanche alla prima uscita con il tuo nuovo coinquilino.
-Ma avevo già un impegno, dovevo uscire con Feliciano e…
Quella parola fece smuovere un tornado dall’altra parte della casa, la porta del bagno si aprì e un ragazzo moro, infuriato e bagnato uscì a grandi falcate, raggiungendo tutti gli altri nel soggiorno mentre le gocce d’acqua che solcavano il suo corpo stavano facendo un laghetto a terra.
Era evidentemente appena uscito dalla doccia e aveva solo un asciugamano a coprirgli la vita.
-Ti ho detto che devi smetterla di uscire con mio fratello!- urlò contro suo fratello il nuovo arrivato.
-E noi ti abbiamo già detto mille volte che ha vent’anni ed è perfettamente capace di poter decidere da solo con chi uscire o meno.
-Bè- si intromise Gilbert rivolgendosi a suo fratello perché non gli piaceva essere messo troppo da parte –porta anche questo ragazzo stasera ed è fatta.
-Va bene, okay- sospirò infine sconfitto il tedesco.
Il ragazzo moro stava lanciando sguardi che potevano uccidere con quei suoi occhi scuri, alla fine urlò –Se vengono loro due, vengo anche io.
E detto questo andò via, rischiando di scivolare con tutta l’acqua che aveva creato ma riuscendo a mantenere una postura fiera.
-Bene- Gilbert batté le mani una volta sola, poi si rivolse all’ultimo rimasto.
-Tu vieni?
Arthur rispose senza neanche staccare gli occhi dal suo lavoro –Se c’è quel francese non ho nessuna intenzione di venire.
Gilbert sorrise malizioso –Hai forse paura di un francese?
Arthur alzò gli occhi di scatto, uno sguardo pieno d’odio pari a quelli che Romano aveva lanciato in giro fino a quel momento.
-Rimangiati quello che hai detto, io non ho paura di un francese.
-Ah no?
-NO- si alzò e in fretta si diresse verso le camere, aveva anche spento l’iPad e l’aveva abbandonato sul divano.
-Dove vai?- gli chiese Gilbert divertito, sapeva già la risposta.
-A cambiarmi. Devo dimostrarti quello che dico.- poi si sentì la porta chiudersi con uno scatto secco e forse un po' troppo forte.
Gilbert sorrise soddisfatto e si stiracchiò, poi tornò a portare la sua attenzione verso il suo migliore amico, che era ancora bloccato a fissare un punto fisso nel vuoto.
-Antonio?
-Mh?
-Smettila di sbavare per quel ragazzo che poco prima è uscito quasi nudo, sei imbarazzante.

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Capitolo 4
*** Arthur ***


4.Arthur

Si stava maledendo per la milionesima volta in quella serata.
Tutta colpa di quello stronzo tedesco che aveva insinuato che lui avesse paura di un francese.
Lui! Ma per favore!
E pensare che infondo lo sapeva che quella frase era stata detta solo per vincere e riuscire a farli uscire tutti insieme, ma era troppo orgoglioso per lasciare correre a un’insinuazione del genere.
E così, arrivati a quel bar, presero un tavolo dove fin da subito si crearono dei gruppetti.
Feliciano era seduto in mezzo a Ludwig e Romano, cercava di parlare con entrambi e di calcolarli nello stesso modo, alla fine era pur sempre Feliciano, dolce e disponibile con tutti, non gli venne troppo difficile. Nonostante il fratello imprecasse contro di lui ogni volta che si metteva a parlare con Ludwig o si avvicinasse troppo a quest’ultimo.
Antonio seguiva la scena divertito e a tratti rispondeva a Gilbert, che continuava a parlare solo di se stesso e non aveva davvero bisogno che qualcuno lo ascoltasse o gli rispondesse.
E poi c’era quella rana bavosa, il francese che non aveva sopportato dal primo momento.
Non che fosse geloso di una bellezza così celestiale, certo che no.
-Cosa studi?- fu la prima vera domanda che gli rivolse direttamente dopo diversi minuti che tutti erano seduti in quel tavolo.
Il suo tono di voce era tranquillo, niente derisione o doppi sensi in quella semplice frase, era pura curiosità.
E Arthur si trovò in dovere di rispondere per semplice cortesia, e perché non sarebbe stato lui il primo a comportarsi in modo sgarbato, era un gentiluomo infondo.
-Economia- freddo e conciso, solo dopo diversi secondi decise di aggiungere –Tu?
Francis sorrise malizioso –Moda.
-Non me ne intendo- borbottò in risposta l’inglese accettando di buon grado la birra che la cameriera gli aveva appena portato dopo le ordinazioni che avevano fatto poco prima.
-Oh, si vede- fu la risposta di Francis mentre afferrava il suo calice di vino e lo sorseggiava elegantemente.
Arthur strinse la bocca in una linea sottile e si girò a fissarlo con gli occhi socchiusi –E con questo che vorresti dire?- lo sibilò così piano che dato tutto il trambusto che c’era li dentro Francis lo capì a stento.
-Constato solo ciò che è evidente, mon chéri.
-Brutto figlio di…
Ma Arthur non concluse la frase, perché Francis non aveva ancora finito di parlare e non gli piaceva lasciare le cose a metà.
-Vorrei che tu mi facessi da modello.
Lo stupore sul volto dell’inglese era tanto –Che!?
-Ho in mente una collezione particolare per la mia tesi, nonostante ancora mi manchino due esami da dare, ma ci penso già da un po', solo che non sono mai riuscito a vederli indossati a nessuno in particolare quegli abiti, ma penso… anzi no, sono certo che su di te sarebbero perfetti.
Arthur sentì le sue guance andare a fuoco e si nascoste nel bicchiere di birra bevendone diversi sorsi quasi senza respirare.
-Sei stupido che te ne esci con queste frasi? Ma chi sei? Chi ti conosce?
-Sei proprio carino quando arrossisci, Angleterre.
Arthur gli puntò l’indice contro –Non ti prendere confidenze che nessuno ti ha dato, stupida rana.
Poi bevve tutto quello che restava della sua birra in una solo sorso e si alzò di scatto per andare al bancone e farsi riempire nuovamente il boccale.
Barcollò leggermente e dovette chiudere gli occhi per cercare di stabilizzarsi prima di avviarsi a fare quello che si era promesso.
-Tutto bene?- sentì il tocco delicato del francese sul suo braccio.
-Non toccarmi- rispose di gettò scostandosi di scatto da quella presa, come se avesse preso la scossa, poi si allontanò.
Si sedette in uno dei posti liberi del bancone e il boccale vuoto che si era portato dietro gli venne riempito quasi subito.
Sapeva benissimo che non riusciva a reggere l’alcool, non c’era mai riuscito e al liceo era il principale intrattenimento dei suoi compagni alle feste.
Di solito preferiva non bere per non rendersi ridicolo, ma ormai aveva capito che non riusciva più a continuare quella serata completamente da sobrio, soprattutto poi quando una persona che ben conosceva gli mise un braccio intorno alle spalle e urlò il suo nome felice.
Arthur cercò di sottrarsi alla sua presa cercando allo stesso tempo di non cadere dallo sgabello sul quale il suo equilibrio era già molto precario.
-Alfred… che ci fai qui?
-Secondo Ivan in questo bar fanno la miglior vodka del paese, ci veniamo spesso.
Arthur si oscurò ancora di più in volto e bevve altri sorsi di birra –Sono felice per voi- mentì –Ora potresti staccarti da me, prima che il tuo ragazzo ci veda e decida di spaccarmi la faccia? Ci tengo a rimanere vivo, se per te non è un grosso disturbo.
Si sentì soddisfatto di se stesso per essere riuscito ad articolare tutta quella frase di senso compiuto nonostante sentisse sempre di più la testa farsi leggera e l’alcool circolare nelle sue vene.
I sensi che sfumavano, le voci ovattate, non gli dava neanche più fastidio il suo braccio intorno alle spalle, o forse Alfred l’aveva tolto già da un po' e lui non se n’era semplicemente accorto.
-Sai, non devi preoccuparti quando Ivan non ci vede- sussurrò Alfred vicino al suo orecchio sia per farsi sentire meglio sopra tutto quel trambusto, sia perché voleva che quella conversazione rimanesse privata –infondo, avevamo una bella intesa noi due, e quella con Ivan non è una relazione esclusiva.
Arthur storse la bocca disgustato –Non sono la tua puttana.
Si alzò più barcollante di prima e raggiunse nuovamente il tavolo con i suoi amici, lasciandosi dietro un Alfred sghignazzante che diceva qualcosa sul fatto che sarebbe tornato da lui.
L’americano non lo seguì, Arthur sapeva benissimo che non l’avrebbe fatto perché poco prima gli aveva detto che era andato li con Ivan, non avrebbe mai rischiato di farsi vedere mentre gli andava dietro.
Francis stava parlando animatamente di qualcosa con Gilbert, Arthur neanche ci provò a capire l’argomento della conversazione, semplicemente li interruppe mettendosi in mezzo e attirando l’attenzione del francese.
Si aggrappò ai suoi lunghi capelli biondi che erano stati legati in una coda bassa e tirò verso di sé.
-Ahi! Che stai facendo? Mi fai male!
Francis si alzò girandosi e poggiò le sue mani sopra quelle dell’altro per farle staccare dai suoi adorati e bellissimi capelli biondi.
A quel punto Arthur strinse le sue mani e fissandolo con gli occhi lucidi e la mente completamente vuota gli disse una sola parola: andiamo.
E dicendo questo iniziò a camminare trascinandoselo dietro.
Non che fosse così difficile sfuggire alla sua presa non del tutto stabile e traballante, ma Francis non si oppose e lo accontentò domandando dove stessero andando, continuò a seguirlo anche quando non ricevettero risposta.
Arthur lo portò in bagno e dopo una breve occhiata in giro con la quale si assicurò che non ci fosse nessuno, si girò per baciarlo a bocca aperta sulle labbra.
Francis era così smarrito che accettò il bacio passivamente per diversi secondi, finché non si rese davvero conto di quello che stava succedendo e lo scostò dal suo viso facendo pressione sulle spalle dell’altro per discostarlo.
-Arthur- aveva la voce roca –Che cazzo stai facendo?
Arthur lo fissò confuso, davvero era così stupido da non capire cosa avesse intenzione di fare?
Lo spinse dentro uno dei gabinetti e si chiuse la porta alle spalle –Secondo te cosa voglio fare?
Provò di nuovo a baciarlo palpandogli il petto con entrambe le mani.
Francis alzò il viso e Arthur si ritrovò a baciare il suo mento dove c’era quella leggera barba fastidiosa.
-Sei ubriaco- constatò il francese –Molto ubriaco.
Arthur sbuffò –Credi che potrei mai farlo con uno stupido francese del cazzo da sobrio?
Anche Francis sbuffò, era quasi divertito mentre cercava di tenerlo a bada –Potrei dire la stessa identica cosa, ma io non sono ubriaco.
La mente di Arthur annebbiata dall’alcool era divisa in due, una parte di lui gli diceva che stava sbagliando tutto, che era ovvio che poco prima Francis lo stava solo prendendo in giro, perché alla fine, chi voleva davvero uno come lui?
L’altra parte invece continuava a ripetere che Francis continuava a discostarlo semplicemente perché non voleva approfittarsi di lui.
Non ebbe modo di rispondere al francese e cercare di avere l’ultima parola come faceva sempre, perché sentirono la porta del bagno aprirsi e delle persone entrare.
Si immobilizzarono entrambi e trattennero il fiato.
Quando sentì la prima delle due voci parlare Arthur pregò che il pavimento sotto i suoi piedi si aprisse e lo inghiottisse per sempre.
Era indubbiamente la voce di Ivan, quell’accento russo e quel tono di voce dolce e gentile che in realtà nascondeva un demone dietro non avrebbe mai potuto dimenticarlo.
-Allora Alfred? Che gli hai detto? Vi ho visto che parlavate.
L’altro sbuffò, era indubbiamente annoiato da tutto questo –Te l’ho detto, Ivan. Mi ha salutato e ho ricambiato perché non volevo essere una persona scortese, tutto qui.
-Te l’ho già detto che non voglio che ti avvicini più a quella sanguisuga inglese, che cosa potresti mai volere da lui? È inutile, completamente inutile.
-Lo sai benissimo che la penso come te. Arthur non mi è mai interessato e mai mi interesserà, è noioso e non sarà mai al mio livello.
-Però te lo scopavi.
Una risata divertita –Si, poi quando ho conosciuto te ho capito cos’era il vero sesso, pensi che potrei mai tornare indietro?
Silenzio.
La testa di Arthur vorticava sempre più veloce, ma ogni singola parola che era stata detta entrò prepotentemente dentro di lui colpendolo dritto al cuore.
-Dai Ivan- continuò Alfred con voce quasi più dolce –Abbiamo affrontato questa conversazione un sacco di volte. Possiamo andare a divertirci e basta?
Ebbe un grugnito come risposta, poi entrambi uscirono dal bagno e i due ragazzi nascosti nel cubicolo tornarono ad essere completamente soli.
-Arthur?- lo chiamò incerto Francis.
Il ragazzo in questione aveva abbassato la testa e l’aveva appoggiata contro il petto dell’altro.
Una semplice lacrima gli solcò la guancia e andò a infrangersi contro il tessuto sottile di quella camicia blu che il francese indossava.
-Stai bene?- mormorò sinceramente preoccupato.
Arthur scosse la testa e pronunciò l’ultima frase di quella serata –Voglio andare a casa.
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Ciao!
Vorrei dire due qualche cosa su questo capitolo.
Prima di tutto che non odio assolutamente i personaggi di Russia e America, anzi, ma mi servivano degli "antagonisti" in questa storia e quindi faranno gli stronzi, mi dispiace per chi li ama ahaha
E volevo anche dire che nonostante per la FrUK questa serata si è praticamente conclusa il prossimo capitolo sarà visto dal punto di vista di Antonio e vedrete anche gli altri a quest'uscita.
Spero che come inizio per questa OTP vi sia piaciuta.
Lasciatemi qualche commento, ci terrei davvero tanto...
Un bacio, Deh

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Capitolo 5
*** Antonio ***


5.Antonio

Antonio non si aspettava che il fratello di Romano fosse così uguale a lui ma allo stesso tempo così diverso.
Certo, aveva i capelli leggermente più chiari così come gli occhi, ma poi erano identici.
Se non avesse saputo che Feliciano aveva due anni in meno del fratello li avrebbe scambiati per gemelli.
Durante la serata poi aveva iniziato a parlare con lui e conoscerlo meglio, era molto disponibile, sorrideva a tutti ed era sempre gentile. Tutto l’opposto di suo fratello.
-Se vi siete entrambi trasferiti in questa città per l’università, perché non vivete insieme?- domandò Antonio nel bel mezzo di una conversazione mentre cercava di capirci di più.
Le ordinazioni al tavolo erano appena arrivate e non appena fece quella domanda iniziò a sorseggiare il drink attendendo una risposta che ovviamente arrivò da Feliciano.
-Ve… io sono entrato nel collage di arte mentre Romano ha deciso di fare agraria, e con la mia borsa di studio mi hanno dato l’alloggio direttamente li. Per questo viviamo separati- sorrise –Anche se molto spesso vado da loro, quindi non ti stupire se mi vedi girare per casa.
Antonio gli sorrise a sua volta –Dovrete essere molto legati.
Feliciano annuì felice e Romano sbuffò alzando gli occhi al cielo –Come se venisse per me.
Il fratello minore si imbronciò e cercò di stringere in un abbraccio il maggiore che fece di tutto per allontanarlo, ma ebbe degli scarsi risultati.
-Ve, fratellone, perché dici così, sai benissimo che non è vero.
Antonio rise a quella scenetta familiare così carina e non poté fare a meno di notare come Ludwig non staccasse gli occhi da Feliciano. E quello sguardo… era forse uno sguardo da innamorato perso?
Non ebbe molto tempo per interrogarsi sulla questione, perché Feliciano attirò nuovamente l’attenzione di tutti alzandosi di scatto dopo aver annunciato –Ho fame! Vado a ordinare qualcosa!
Si allontanò verso il bancone del bar e mentre Ludwig lo seguiva con lo sguardo Romano stava fissando insistentemente il tedesco.
Ludwig distolse lo sguardo dal più piccolo degli italiani solo quando fu interpellato dal fratello di questo che con voce sprezzante disse –è inutile che continui a guardarlo come se volessi mangiarlo, sai già che non accetterò mai questa amicizia che avete.
Amicizia? Davvero Romano credeva che fosse solo amicizia? Antonio li conosceva da pochi minuti e già aveva capito molto più di lui.
Non credeva che Romano fosse così stupido, quindi arrivò alla conclusione che semplicemente il suo cervello ignorava gli avvertimenti così ovvi perché era un qualcosa che non avrebbe mai accettato.
Decise di non intromettersi in quella conversazione perché comunque lui non c’entrava nulla.
-Romano smettila di comportarti come un bambino geloso di un giocattolo.
-Non dirmi quello che devo o non devo fare, crucco di merda. Inoltre quello è mio fratello, mentre tu non sei nessuno.
-Solo perché tu non vuoi vedere l’evidenza non vuol dire che…
Romano non lo lasciò concludere –Vado a fumare- disse alzandosi velocemente e dirigendosi fuori a passi veloci.
-Lud- la voce di Feliciano era triste, quasi delusa.
Era appena tornato al tavolo, giusto in tempo per vedere suo fratello alzarsi e andare via ignorando i suoi richiami.
Fissava il tedesco con le braccia conserte, dall’alto verso il basso.
-Non possiamo andare avanti così, Feli- fece presente Ludwig passandosi una mano sugli occhi con un sospiro.
-Sai benissimo come è fatto e sai bene che…
-So bene che ogni singola volta succede questo. Lui che mi provoca, io rispondo, lui si offende e tu te la prendi con me.
Aveva alzato la voce e Feliciano aveva distolto lo sguardo mordendosi un labbro.
-Dai vai- continuò Ludwig massaggiandosi la tempia con le dita –Inseguilo e vallo a consolare, come fai sempre.
-Mi stai accusando di tenere a mio fratello?- Feliciano era scettico.
-Non ti sto accusando di nulla, sto semplicemente dando ragione a quello che ha detto Romano, lui è tuo fratello e io non sono nessuno, quindi vai, seguilo.
Feliciano si morse nuovamente il labbro e fissò dietro di sé la porta d’ingresso del locale, poi tornò a posare gli occhi sul tedesco, erano lucidi, la voce era più di un sussurro mentre cercava quasi di scusarsi –Non posso lasciarlo solo…
E a quel punto Antonio decise di intromettersi perché aveva ormai sentito abbastanza della conversazione e aveva capito che Feliciano era troppo buono e stava cercando di trovare una soluzione per accontentare tutti, ma purtroppo non poteva ancora sdoppiarsi.
-Vado io da Romano, tranquillo.
Sia Feliciano che Ludwig lo fissarono come se non fossero del tutto certi di aver sentito bene.
-Sei sicuro? Non sei obbligato a… Insomma, so benissimo come è fatto e…
Bloccò il flusso di parole di Feliciano con un sorriso mentre già si alzava.
-Sicurissimo, non preoccuparti, inoltre voglio prendere un po' d’aria.
Feliciano gli sorrise e Ludwig lo ringraziò con uno sguardo davvero grato.
Antonio vide solo che Feliciano si era seduto nuovamente accanto al tedesco, molto più vicino di prima, e avevano iniziato a parlare con i toni molto più calmi.
Li lasciò alla loro conversazione e si diresse fuori.
Romano non era andato molto lontano, era semplicemente poggiato con le spalle contro il muro del locale diversi metri a destra dell’entrata.
Una sigaretta a metà tra le labbra.
Quando lo vide sorrise amaro e distolse lo sguardo, presa una nuova boccata di fumo e disse –Non mi aspettavo che venissi tu.
Antonio alzò le spalle e si mise di fianco a lui nella stessa posizione, li dividevano solo pochi centimetri.
-Vuoi?- Romano gli porse la sigaretta.
Antonio scosse la testa –Ho smesso di fumare.
-Perché?
-Perché se voglio fare il cuoco e cucinare tutto il giorno per le persone non posso puzzare di fumo.
Romano rifletté su quelle parole mentre annuiva distrattamente.
-Che ti ha fatto Ludwig?
Antonio fece quella domanda a tradimento, dicendola di botto senza alcun tipo di preparazione.
E sapeva che c’era una buona possibilità di peggiorare la situazione, ma lo chiese comunque.
Vide Romano stringere i pugni e buttare via la sigaretta, tremò, forse dalla rabbia, ma alla fine non fece alcuna scenata.
La voce era sempre arrabbiata ma riuscì a non urlare.
-Non voglio che stia vicino a Feliciano.
Antonio non disse nulla, semplicemente attese, perché sapeva che non aveva detto tutto, infatti Romano riprese a parlare dopo qualche secondo.
-Feliciano non si rende conto… è troppo innocente e crede che tutti siano buoni quanto lui, la sua mente neanche riesce a partorire l’idea che la gente lo utilizzi solo per i suoi soldi.
-Non penso che Ludwig stia con lui per…
Romano lo bloccò semplicemente girandosi di scatto e fissandolo con uno sguardo omicida –Cosa ne puoi sapere tu? Che ci conosci da tre giorni. In tre giorni hai deciso di sapere abbastanza da potermi fare il discorsetto serio? Pensi di saperne più di me? Che ho passato tutta la vita a proteggere Feliciano da persone del genere.
-No, ma io…
-Non hai idea di quello che ho passato, non ne hai neanche la minima idea. Quindi, per favore, stai zitto e non intrometterti in situazioni delle quali a stento conosci solo una parte delle superficie.
Scese il silenzio, a Romano fremevano le mani.
Antonio lo vedeva che era inquieto, non capiva se avesse avuto voglia di piangere o di urlare e prendere a pugni qualcosa, forse perfino lui.
-Mi dispiace- sussurrò infine lo spagnolo.
Romano trattenne il fiato, forse non si aspettava un risvolto del genere, forse non era abituato a questo tipo di conversazioni.
-Mi dispiace, Romano- prese una pausa –Hai ragione, non ho nessun diritto di intrometterti nella tua vita e di dirti cosa dovresti o non dovresti fare.
Romano non disse nulla, alla fine decise di tornare dentro il locale, non aveva più nulla da dirgli e si sentiva già abbastanza scombussolato.
Fece solo due passi prima che Antonio riprendesse a parlare, facendolo gelare sul posto.
-Ho solo capito che ami tuo fratello e faresti tutto per lui.
Nonostante fossero circondati da persone, loro ormai neanche le vedevano, neanche sentivano le loro discussioni e le loro risate.
Per Antonio c’era solo Romano e per Romano la voce di Antonio occupava tutto il resto.
-Ma non capisci che comportandoti così, gli fai solo del male?
-Lo faccio per il suo bene- era un sussurro quello di Romano.
-Potrebbe finire per odiarti- anche la voce di Antonio si era abbassata tantissimo, certo, aveva visto quella stessa sera come in realtà l’italiano più piccolo fosse impossibilitato a odiare le persone, ma a tutto c’era un limite, no?
-Tanto già mi odiano tutti.
Tentennò sul posto, poi cambiò strada e invece di tornare dentro il locale decise di prendere la direzione opposta.
-Me ne torno a casa- annunciò camminando con le mani dentro le tasche –dillo tu a mio fratello.
Antonio non fece nulla per fermarlo.

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Capitolo 6
*** Arthur ***


6.Arthur

Quella domenica mattina Arthur si svegliò grazie alla voce di Romano che nell’altra stanza stava urlando rimproveri contro qualcuno sulla questione cibo.
Tutto nella norma, insomma.
L’unica differenza era che Arthur aveva un terribile mal di testa che lo stava uccidendo e dalla sua bocca uscì un semplice lamento che sembrava più quello di un morto.
Come si era ridotto in quello stato?
Non ricordava quasi nulla della sera prima, i suoi ricordi finivano a quando si era alzato per andare a prendere un’altra birra al bancone del bar.
Presuppose di trovarsi nel suo letto e non in qualche vicolo abbandonato perché uno dei suoi coinquilini l’aveva aiutato a ritirarsi a casa, puntava più su Ludwig e Antonio che su Romano, anche se non gli importava davvero.
Si alzò a fatica e rimase per qualche secondo seduto sul bordo del letto, alla fine capì di doversi prendere un’aspirina per poter davvero affrontare la giornata.
Si avviò come uno zombie verso il bagno e provò ad aprire la porta, ma questa era chiusa dall’interno.
Iniziò a bussare e dopo qualche minuto la porta venne aperta da un Romano sorridente che gli diede uno squillante buongiorno.
Ah no, quella descrizione non poteva essere collegata a Romano e solo per questo si accorse che in realtà si trovava Feliciano davanti.
-Che ci fai qui?- domandò confuso.
-È domenica- rispose l’italiano come se fosse una cosa ovvia e in effetti doveva esserla davvero –vengo sempre qui la domenica.
Arthur annuì –Giusto… Che problemi ha tuo fratello in cucina?
-Oh- alzò le spalle come se fosse completamente normale, cosa che doveva essere ovvia anche quella –Stava minacciando Antonio con un cucchiaio di legno poco fa.
A quel punto gli lasciò libero il bagno e andò a controllare la situazione.
Arthur rimase chiuso li dentro per circa venti minuti, il tempo di prendere l’aspirina e aspettare che facesse effetto prima di andare a controllare quella gabbia di pazzi e nel frattempo fece tutto quello che aveva bisogno di fare.
Pulito, vestito e con il mal di testa che era diventato solo un leggero ronzio si avviò lungo il corridoio e notò non solo che la porta della cucina era chiusa ma che stranamente Romano non stava più urlando.
Decise che comunque doveva stare lontano da quella stanza e arrivò in soggiorno dove c’era  il suo nuovo coinquilino spagnolo e quello tedesco.
-Antonio- pronunciò al posto di un saluto fissando con la fronte corrugata il diretto interessato –hai un bernoccolo a forma di cucchiaio o sbaglio?
Antonio rise imbarazzato e fu Ludwig a rispondere –Questo povero ingenuo si era proposto per cucinare il pranzo della domenica- rise divertito –Il pranzo della domenica, capisci?
Arthur scosse la testa sospirando –Quindi la cucina è barricata perché i fratelli Vargas ne hanno preso il possesso?
Ludwig alzò le spalle –Li conosci.
Parlarono per pochi altri minuti quando Ludwig decise di alzarsi annunciando che doveva studiare per un esame che aveva a breve.
Si andò a chiudere in camera e solo quando sentì il rumore della maniglia che scendeva Arthur si rese conto che doveva andare anche lui a studiare, non che avesse un esame nelle vicinanze, ma 600 pagine non si sarebbero di certo studiate da sole.
-Anche io dovrei andare a studiare- borbottò tra sé e sé e fece per alzarsi quando Antonio lo richiamò con il suo semplice nome.
-Mh?
E poi sganciò la bomba –Ti ricordi qualcosa di ieri sera?
Arthur strabuzzò gli occhi, se gli faceva una domanda del genere significava che c’era davvero qualcosa da ricordare.
-Dovrei?- chiese incerto.
Antonio si grattò la testa imbarazzato –Non lo so, sto chiedendo a te…
Arthur lo scrutò per diverso tempo, poi si alzò di scatto e mettendosi davanti iniziò a scuoterlo per le spalle –So che mi nascondi qualcosa! Dimmelo!
Antonio alzò le mani in segno di resa –Ieri quando sono tornato ho incontrato Francis che scendeva lungo le scale.
-Che…- la voce troppo stridula -Che ci faceva quello stupido francese qui?
-È quello che gli ho chiesto…
-E!?
-Mi ha detto di averti accompagnato. Ma aveva quel suo solito sorrisetto e insomma… conosco troppo bene Francis per pensare che ti abbia solamente accompagnato.
Arthur sbiancò e quasi cadde a terra, fortunatamente c’era il divano libero accanto ad Antonio e si gettò di peso li.
Iniziò a farfugliare parole incomprensibili e Antonio fraintese il suo problema.
-Tranquillo, non pensare che io ti stia chiedendo queste cose perché sia geloso di Francis, non c’è assolutamente nulla tra me e lui e…
-NON ME NE FREGA NULLA DI QUEL FRANCESE! COSA CREDI!? FIGURATI!
Agitato andò via prima che l’altro potesse dirgli o domandargli qualsiasi altra cosa.
Si chiuse in camera e iniziò a percorrere tutto il suo perimetro a grandi falcate, non era possibile che fosse successo quello, con un francese e che lui neanche lo ricordasse!
Non era per niente possibile! Lui non si sarebbe abbassato a tanto, giusto?
Con il cuore che andava sempre più veloce per l’agitazione solo dopo tantissimo tempo notò un post-it sul comodino con un numero di telefono scritto da una calligrafia elegante, non c’era nessun nome ma Arthur sapeva benissimo di chi fosse.
Non perse tempo a digitare il numero dal suo cellulare e inoltrare la chiamata.
-Mon amour- rispose quella voce che Arthur aveva imparato a odiare.
-Stupida rana, rispondi a tutti così o ti sei già salvato il mio numero?
-Mmmh- Francis fece finta di pensarci –Tu quale delle due opzioni preferisci?
Arthur digrignò i denti, poi decise di ignorare quella domanda e arrivare dritto al punto.
-Preferisco che tu mi spieghi che cazzo è successo ieri sera.
Francis rise, una risata elegante e cristallina che fece incazzare ancora di più l’inglese –Ma come, non ricordi proprio nulla?
-Smettila di giocare con me!
-Ma è cosi divertente, Angleterre.
-Francis, se non mi dai subito delle risposte io…- non riuscì a continuare la frase, perché alla fine non poteva minacciarlo in alcun modo.
E lo sapeva benissimo anche il francese, così continuò a divertirsi stuzzicandolo –Che carino, è la prima volta che mi chiami per nome, mi piace come lo pronunci.
-Ti odio tantissimo- stava quasi iniziando a tremare dalla rabbia.
Francis rise nuovamente, poi decise di dirgli qualcosina, perché se continuava a tirare la corda sapeva che l’altro gli avrebbe chiuso il telefono in faccia e avrebbe anche bloccato il suo numero dato l’orgoglio.
-Puoi stare tranquillo, chéri. Non siamo arrivati a tanto, non volevo di certo approfittarmi di un culo bello come il tuo mentre eri in quelle condizioni.
-Sei un pervertito!
-Eh si, è uno dei miei tanti pregi.
-E poi chi ti dice che io starei sotto?
Francis rimase in silenzio per pochi secondi, come se non aspettasse una risposta simile, poi rise –Chi sarebbe il pervertito adesso?
-Stavo solo facendo una constatazione, vuoi forse litigare?
-Non mi hai chiamato proprio per questo motivo?
-Appunto, è una mia prerogativa!
-E comunque- tornò all’argomento di prima Francis –Puoi solo stare sotto se sei la troia di un americano fidanzato con un russo.
Ad Arthur cadde il telefono di mano.
Boccheggiò incredulo, gli occhi spalancati, il volto sempre più pallido.
Recuperò il cellulare che si era semplicemente scheggiato un angolo ma non aveva chiuso la chiamata –Come lo sai?- il suo era meno di un sussurro, ma l’altro lo udì comunque.
-Era solo un’ipotesi, ho messo insieme e collegato delle cose che sono successe ieri sera, ma adesso me ne hai dato la conferma.
Arthur rimase in silenzio per un tempo lunghissimo, non sapeva più cosa dire o cosa pensare, di sicuro era certo che non avrebbe più bevuto per un lungo lasso di tempo… o almeno, ci avrebbe di sicuro provato.
Fu Francis a riprendere in mano la conversazione –Se vuoi provare qualcosa di nuovo hai il mio numero.
-E perché mai dovrei chiamare te?- il tono era scettico e cinico, era quasi tornato in lui.
-La vera domanda è: perché non dovresti chiamarmi?
-Bè, perché…
Stava iniziando la sua lunga lista quando l’altro lo interruppe parlandogli sopra –Riflettici sopra  e chiamami!
E detto quello chiuse la chiamata.
Arthur fissò per qualche secondo lo schermo nero, poi tornò a chiamare quello stesso numero.
-Sei stato veloce, mon amour.
Il tono era quasi derisorio.
-SONO IO QUELLO CHE CHIUDE LA CHIAMATA IN FACCIA!
E detto questo Arthur fece davvero quello che aveva appena detto.

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Capitolo 7
*** Arthur ***


7.Arthur

Non appena il professore dichiarò conclusa quella lezione Arthur non perse tempo a prendere tutto quello che aveva di fronte e posarlo all’interno del suo zaino.
Salutò qualcuno di sfuggita e da solo si diresse fuori dall’aula, aveva finito per quella giornata le lezioni e, se tutto andava bene e riusciva a prendere il bus in tempo, forse arrivava in tempo a casa per trovare ancora il pranzo caldo.
Il suo stomaco brontolò al solo pensiero.
Non appena fu fuori si rese conto che si era alzato il vento freddo e che il cielo era stato coperto da nuvoloni neri.
Non era una grande novità per lui, in Inghilterra faceva quel tempo sei giorni su sette, ma visto che appunto non si trovava nel suo paese e quella mattina era uscito con il sole non si era di certo portato l’ombrello.
Gli arrivò una chiamata, il numero non era stato salvato per questione di orgoglio e principio, ma ormai Arthur poteva quasi dire di averlo imparato a memoria, non che l’avrebbe mai ammesso ad anima viva.
-Cosa vuoi?- fu il suo modo di rispondere mentre affrettava il passo per raggiungere il più velocemente possibile la fermata dell’autobus.
-Ti serve forse un passaggio, mon chéri?
Arthur si bloccò e si guardò intorno, non riusciva a vederlo ma sapeva che era li.
Dopo quattro giorni che ormai parlavano al telefono e facevano conversazioni di quel tipo stava imparando a conoscerlo.
-Che fai, mi spii?
Francis rise –Potrei essermi trovato nei paraggi, quindi? Vieni o no?
Arthur non rispose mordendosi il labbro, era indeciso sul da farsi, non voleva di certo dargliela vinta così facilmente, ma era stanco e affamato.
Francis capì i suoi pensieri e decise lui –Sono nella via stretta a sinistra, posteggiato davanti al panificio.
Detto questo chiuse la chiamata, sicuro che l’altro l’avrebbe raggiunto.
Arthur borbottò qualcosa di incomprensibile ma si diresse subito dove gli aveva dato indicazioni l’altro.
Quando salì in macchina chiuse lo sportello un po' troppo forte, ma non si scusò, la prima frase che disse fu piuttosto un –Ti ho già detto che sono io quello che chiude le chiamate in faccia!
-Non penso di averti ascoltato.
Arthur alzò gli occhi al cielo –Bè, che cosa ci fai qui?
Francis lanciò un’occhiata al parabrezza che lentamente si riempiva di piccole gocce –Ti salvo- rispose sicuro.
-Intendevo, come facevi a sapere di trovarmi qui.
-Oh- rispose annuendo, come se quella domanda fosse più intelligente di quella posta prima –in quel negozio- e inidicò un punto impreciso di fronte a loro sulla destra –vendono la stoffa migliore a un buon prezzo, ho preso quello che mi serviva- e gli indicò le buste che si trovavano nei sedili posteriori –poi si, potrei anche aver chiamato Antonio per chiedergli i tuoi orari.
-Idiota- borbottò Arthur e mentre l’altro metteva a moto la macchina e si immetteva nella strada lui girò il capo e si concentrò sulle gocce che scendevano lungo il finestrino.
Stranamente il tragitto fu silenzioso, se si escludono i battibecchi per la scelta della musica poi quasi non si parlarono.
Quando Francis arrivò di fronte l’appartamento dell’inglese lasciò la macchina accesa mentre aspettava che l’altro scendesse.
-Uhm- iniziò Arthur imbarazzato –Tu non scendi?
Francis era stupito da quella domanda e chiese a sua volta –Dovrei?
-Bè- Arthur aveva quasi iniziato a balbettare e si odiava per questo –Non devi di certo farmi solo da autista. E poi lo dico per Antonio, a me non interessa nulla, figurati!
Francis sorrise e mentre Arthur continuava a vomitare parole senza più un filo logico posteggiò per bene.
Quando entrarono dentro l’appartamento erano leggermente bagnati nonostante la corsa che si erano fatti ma l’odore di pizza invase le loro narici e gli risollevò il morale.
Trovarono Romano e Antonio in cucina a parlare tra di loro quasi in modo civile, un sacco di ingredienti sparsi sul tavolo e del teglie di pizze nel forno acceso.
-Ehy Francis!- lo salutò l’amico andandogli incontro –Alla fine sei venuto!
Arthur corrugò la fronte e si girò a fissare malissimo il francese –Quindi ti aveva già invitato lui?
Antonio li fissò curioso entrambi, portando lo sguardo da uno all’altro come in una partita di tennis.
-Ops, vero- il francese alzò le spalle –Ero curioso di vedere se mi invitassi anche tu, anche se non nutrivo grandi speranze, per questo sono rimasto sorpreso.
Arthur chiuse i pugni e quasi tremò dalla rabbia –Sei un idiota. Ti odio così tanto.
-Ehy voi!- Romano attirò la loro attenzione in un urlo scocciato –Mi avete preso per una cameriera tutto fare? Se volete mangiare dovete apparecchiare la tavola.
Diversi minuti dopo si ritrovarono tutti e quattro seduti intorno al tavolo a mangiare con trasporto quella pizza fatta in casa.
-Ma il fratello di Gilbert dov’è?- chiese a un certo punto Francis tra un boccone e un altro.
-Spero non con mio fratello- borbottò impercettibilmente Romano.
-Se non sbaglio stamattina ha detto che sarebbe rimasto all’università fino alle sei, o qualcosa di simile- rispose invece Antonio risollevando un po' del morale di Romano.
-Invece noi usciamo per le sei, giusto?- domandò sempre Francis al suo amico.
-Si certo, ho già fatto prenotare a Gilbert i biglietti, verrà qui a piedi così poi andiamo tutti e tre insieme.
-Dove andate?- la voce di Arthur era davvero curiosa.
-Oggi è mercoledì. E il mercoledì è di rito che noi tre, il bad touch trio, vada al cinema- rispose Francis e Antonio continuò.
-È una cosa che abbiamo iniziato per gioco alle medie, poi è diventata importante per noi e non perdiamo un mercoledì se ci troviamo tutti nella stessa città, o meglio, nello stesso stato. Ora che siamo tutti qui con le università o il lavoro non vogliamo di certo saltare giorni.
La conversazione così si spostò sull’università e i corsi che stavano seguendo per quel semestre tutti quanti quando Antonio notò che Romano aveva ancora residui di farina un po' ovunque, ma soprattutto nei capelli.
Così Arthur quasi a rallentatore vide come la sua mano si andava a posare su quel  ciuffo, cercò di bloccare il suo nuovo coinquilino, ma ormai era troppo tardi.
Vide Romano irrigidirsi totalmente sulla sedia, fare un singulto e diventare completamente rosso mentre Antonio afferrava il ciuffo e gli passava le dita per pulirlo da quei residui bianchi.
Non appena tolse la mano, l’italiano si alzò così di scatto che la sedia si rovesciò all’indietro, ma lui non sembrò neanche accorgersene e in un lampo corse via andandosi a chiudere in bagno.
Sentirono solo lo scatto della chiave e il rumore dell’acqua che veniva fatta scorrere.
-Cosa… è appena successo?- chiese Antonio più confuso che mai.
Arthur sospirò, poi lo fissò con uno sguardo serio, parlò lentamente in modo da fargli capire ogni parola che gli disse.
-Antonio. Quel ciuffo è una zona erogena di Romano.
Francis scoppiò a ridere e Antonio strabuzzò gli occhi diventando a sua volta del colore di un pomodoro.
-Ma…- balbettò –è un ciuffo di capelli.
-Lo so, è strano, ma è così.
-Dev’essere davvero brutto avere una zona erogena così esposta- constatò Francis pensandoci su seriamente –O forse no. Mh, immagino che dipenda dai punti di vista.
E detto quello continuò a mangiare finendo il pezzo di pizza che aveva lasciato a metà.
Dopo un bel quarto d’ora pieno Romano uscì dal bagno, Antonio si alzò di scatto ancora rosso in viso e cercò un modo per scusarsi, ma Romano non lo fece neanche iniziare.
Afferrando la giacca posata nell’attaccapanni all’ingresso fissò serio e incazzato lo spagnolo e disse una semplice parola –Andiamo.
-Eh? Dove?- Antonio era sempre più confuso.
-In un bar o in una pasticceria!- il tono di Romano era esasperato, come se l’altro dovesse già sapere tutto –Per colpa tua e delle tue stupide manie di toccare le persone mi sono dovuto fare una sega chiuso in bagno con la consapevolezza che voi eravate qui. Pensi che sia stato appagante? Assolutamente no. Quindi ora come minimo mi compri dei dolci per aggiustare questa situazione!
E finendo l’ultima frase era già fuori, nel pianerottolo del condominio.
-Ma aspetta!- Antonio quasi inciampò nella furia di inseguirlo e pochi secondi dopo erano entrambi fuori di casa, la porta ben chiusa alle loro spalle.
Arthur allontanò il piatto da davanti a sé e con una smorfia annunciò –Mi è passata la voglia di mangiare.
-Certo che in questo appartamento siete tutti strani- commentò invece Francis alzandosi per sparecchiare.
-Disse- lo rimbeccò Arthur in un borbottio.
Francis rise –Tutte le mie zone erogene sono normali. Le tue invece?
Arthur si alzò a sua volta, portò i piatti sporchi al lavandino per dargli le spalle e non fargli vedere il leggero rossore che gli aveva invaso le guancie.
-Sono discorsi da fare?
-Siamo grandi e vaccinati, ormai ho capito che hai avuto esperienze di sesso pur non avendo una relazione ed è la stessa cosa che io faccio da anni, non possiamo semplicemente goderci del sano sesso senza troppi giri di parole?
-Sei un pervertito- sussurrò Arthur sentendo la sua presenza dietro la sua schiena, non si scostò, lo lascio fare mentre sentiva la sua mano che lenta oltrepassava il limite della sua maglietta e gli sfiorava il ventre piatto.
-Non che anche tu non lo sia- il sussurro arrivò dritto nel suo orecchio e lo fece tremare.
-Perché non usi quella bocca che ti ritrovi per qualcosa di più utile?- lo rimbeccò Arthur gettando la testa all’indietro e poggiandola sulla sua spalla, era ancora vestito ma sentiva le mani del francese ovunque.
Inoltre, non faceva sesso da davvero tanto tempo.
Francis lo girò tra le sue braccia tenendolo vicino a sé con un braccio che gli stringeva la schiena e l’altra mano immersa tra i suoi capelli biondi –Come siamo impazienti.
Fu Arthur a decidere di farlo tacere una volta per tutte coprendo quelle stupide labbra con le sue.

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Capitolo 8
*** Gilbert ***


8.Gilbert

Erano le tre e mezza del pomeriggio quando Gilbert decise di muoversi da casa.
Andò a piedi perché aveva piovuto per due ore abbondanti e la strada sarebbe stata bagnata  e piena di fango, non voleva di certo sporcare la sua moto che adorava quasi quanto se stesso.
Si mosse per quell’ora perché aveva smesso di piovere e gli era sembrato il momento più opportuno.
Inoltre che importava se fosse arrivato con due ore e mezza di anticipo? Nessuno avrebbe rifiutato la sua magnifica presenza, o almeno era quello che credeva.
Rimase dietro la porta, questa volta quella giusta, a suonare per ben cinque minuti abbondanti.
Solo perché era diventato davvero insistente e non aveva nessuna intenzione di andarsene la porta gli fu aperta da un visibilmente scocciato Arthur che aveva addosso solo i boxer, messi al contrario data la fretta, e i capelli scompigliati.
Gilbert non ci mise molto a comprendere che l’avesse disturbato, ma fece finta di nulla e annunciò –Cerco i miei amici.
-Ludwig è all’università. Antonio è fuori con Romano. Francis è impegnato.
Gilbert alzò un sopracciglio divertito –è un succhiotto quello che hai sul collo?
Arthur si limitò a chiudergli la porta in faccia.
-Potevano pure invitarmi- borbottò il tedesco risentito –Nessuno rifiuta mai una cosa a tre. Che maleducati.
Non sapeva che fare, di sicuro non avrebbe aspettato per due ore seduto nelle scale fredde e in marmo che i suoi amici sbrigassero i loro sporchi comodi, così quasi come in un flash rivide nella sua mente il volto dolce e imbarazzato del ragazzo che viveva solo un piano più sotto.
Quando si ritrovò davanti la sua porta tentennò leggermente prima di bussare, e non gli era mai capitata una cosa del genere.
Quando Matthew gli aprì la porta i suoi occhi si fecero molto più grandi di quanto già le lenti degli occhiali non glieli facessero, aveva delle calze ai piedi, un sotto di tuta sformato e una felpa quasi il doppio di lui con sopra stampata in rosso la foglia del Canada.
-Ciao Matt.
-C… Ciao- balbettò questo non aspettandosi una visita del genere –Tuo fratello vive sempre al piano di sopra- gli ricordò.
-Lo so, ma mio fratello è all’università, il mio migliore amico fuori non so dove e l’altro mio migliore amico si è chiuso in casa con il coinquilino di mio fratello a scopare, e non mi hanno neanche invitato!
A sentire quelle parole il canadese divenne completamente rosso e per poco non svenne.
Fu Gilbert a continuare a parlare –Posso stare qui per un po'? O sei impegnato?
-Oh… Si, certo…- si mise di lato e lo fece passare.
Questa volta Gilbert fece più attenzione a tutto ciò che lo circondava lungo il corridoio e poi nel soggiorno, era uguale a com’era l’ultima volta che era entrato li –sembra un covo di nerd qui dentro- commentò sincero fissando la quantità di cose elettroniche.
-Bè si…- perché la voce di quel ragazzo era sempre così bassa? –Lo è davvero.
Gilbert si accomodò sul divano senza che nessuno gli avesse detto nulla e Matthew si sentì in dovere di offrigli qualcosa –Cosa ti porto?- era imbarazzato –Non sono abituato ad avere ospiti.
-Una birra.
Matthew sparì velocemente e tornò con una bottiglia di vetro e un bicchiere con del succo dentro.
Si tenne il bicchiere per sé e porse la birra al suo ospite.
Gilbert lesse curioso la marca: Labatt's Blue –Non avevo mai sentito questa marca.
-Oh, è Canadese, ho solo questa, mi spiace.
-Andrà bene. Sono tedesco, amo qualsiasi tipo di birra.
Matthew gli sorrise, un piccolo sorriso sincero che riservava solo a poche persone, non quei soliti sorrisi di circostanza che aveva con tutti.
-Ti va di giocare?- chiese poi dopo diversi minuti di silenzio indicando lo schermo enorme della televisione che avevano di fronte.
Lo sguardo di Gilbert si illuminò, un sorrisetto divertito gli spuntò in volto –Se non ti lamenterai quando ti straccerò, ovvio.
-Se ne sei convinto…- quel sussurro fu anche più basso di tutti gli altri, poi il canadese si alzò e accese tutto quello che gli serviva, infine si risedette al suo posto porgendo un joystick rosso al suo ospite.
Aveva messo il gioco di cui aveva il poster in corridoio e che aveva attratto Gilbert da subito, scelse la modalità due giocatori, premette il tasto “start” e non ci fu più bisogno di parlare.
-COME DIAVOLO HAI FATTO!?
Matthew l’aveva battuto per la terza volta consecutiva, Gilbert non capiva, era come se usasse delle mossa extra o che comunque lui non aveva mai visto, come se in un certo senso barasse.
Il canadese si morse le labbra e fece un piccolo sorriso –Comunque sei veramente bravo a giocare- gli disse.
-Mi stai prendendo per il culo?
Matthew si spaventò per quel tono e Gilbert lo capì dal suo impercettibile cambio nella voce e dal sorriso che spariva, si fece più piccolo contro il divano e borbottò –No, sono serio…
Gilbert sospirò e cercò di calmarsi, in fondo non ce l’aveva davvero con lui, era solo questione di orgoglio. E lui aveva un forte orgoglio.
-Resta il fatto che continui a battermi senza neanche impegnarti troppo.
Matthew rise piano –Potrei avere un po' barato.
-Lo immaginavo- Gilbert posò il joystick sul tavolino di fronte e gli si avvicinò –Dimmi come fai.
-Uhm, non posso…
-Oh si che puoi- Gilbert gli afferrò i fianchi con le mani, poi sorrise quasi sadico, infine iniziò a fargli il solletico.
Matthew lanciò un urletto non del tutto virile e cercò di toglierselo di dosso, ma sembrava che le mani del tedesco fossero ovunque.
-Ti prego, smettila!- rideva e scalciava.
Ma Gilbert era irremovibile e gli bastarono pochi minuti per vincere.
-Va bene, va bene- biascicò infine Matthew senza fiato e con le lacrime agli occhi –Hai vinto.
Gilbert sorrise soddisfatto e tornò a sedersi composto, poi lo fissò in attesa.
-Sappi che mi imbarazza un sacco questa cosa- Matthew si coprì il viso con entrambe le mani, la sua voce arrivava attutita –L’ho creato io.
Gilbert strabuzzò gli occhi –Eh? Hai creato un modo per barare?
-No…- Matthew aprì leggermente le dita per vedere attraverso gli spiragli, anche con una buona parte del volto coperto si vedeva quanto fosse rosso in volto.
-Ho creato io il gioco.
-Davvero?- gli occhi di Gilbert erano pieni di meraviglia –Ma sei fantastico.
E fu un semplice complimento detto di getto e con il cuore che lasciò quasi senza fiato Matthew.
-Quindi è questo che fai per vivere?- Gilbert si alzò e si guardò con molto più interesse intorno.
-Faccio il programmatore di giochi, si… Tu?
Gilbert ampliò il suo sorriso e alzò le braccia come se dovesse presentare qualcosa di fantastico, ovvero se stesso.
-Hai proprio di fronte a te un attore.
-Reciti nei film? Conosci attori davvero famosi?- Era cosi eccitato Matthew di quella novità che il suo tono di voce divenne quasi uguale a quello delle persone normali, quasi.
Gilbert gli diede le spalle per non far vedere il suo rossore –Non ho bisogno di fare amicizia con quei palloni gonfiati. Per ora ho fatto qualche comparsa in alcune serie tv e delle pubblicità, ma puoi star certo che arriverò in alto. Molto in alto.
Aveva fatto quella conversazione un milione di volte ormai e con un sacco di persone diverse. Lui era soddisfatto di quello che faceva e non gli importava nulla del pensiero degli altri.
Per questo, nonostante ogni volta dopo quella sua affermazione la gente non faceva altro che ridere o sfotterlo per quelle parole, lui continuava a rispondere nello stesso modo, perché era quello che voleva fare e non avrebbe permesso a nessuno di abbatterlo.
Ma Matthew fu il primo che non rise o lo prese in giro per quello che aveva detto.
Matthew fu il primo a rispondergli serio –Sono certo che ci riuscirai. Non posso dire di conoscerti, ma sembri avere un bel caratterino, potresti conquistare qualsiasi cosa.
Gilbert si girò a fissarlo, non era sicuro di aver sentito quelle esatte parole.
Matthew sostenne il suo sguardo semplicemente per fargli capire che era serio, che non l’aveva detto tanto per dire, ma che ci credeva sul serio.
Dovette distogliere lo sguardo quando Gilbert rispose con –Qualsiasi cosa, eh? Quindi dici che potrei conquistare anche te?
Il biondo nascose di nuovo il viso tra le mani portandosi anche le ginocchia al petto e si chiuse totalmente in se stesso borbottando frasi scomposte sull’essere imbarazzanti e dire frasi che non si dovevano assolutamente dire.
Gilbert rise divertito e intenerito da quella scena, gli poggiò una mano tra i capelli scompigliandoli –Matt?
Come risposta ricevette un nuovo mugolio soffocato e disperato.
-Ehy dai non volevo metterti così in imbarazzo, potresti evitare di avere una combustione umana spontanea?
Silenzio, poi Matthew rispose con quella che forse doveva essere una battuta –Non ne sono sicuro.
Il cellulare di Gilbert iniziò a suonare avvertendolo di una chiamata, controllando lo schermo notò che era Francis, lanciando una veloce occhiata all’orario mentre accettava la chiamata notò che erano le 18.02.
-Ti sei divertito abbastanza?- rispose con questa domanda Gilbert, anche se in realtà avrebbe voluto avere una voce molto più risentita.
-Totalmente, sono felice che tu non abbia insistito alla porta.
-Però che bastardo che sei, potevi anche invitarmi- Matthew aveva alzato lo sguardo curioso e stava seguendo quella conversazione ascoltando ovviamente solo le rispose dal suo lato.
-Era una cosa esclusiva, Gil.
-Mah, per questa volta te la faccio passare.
Matthew storse leggermente la bocca, molto probabilmente il ragazzo aveva comunque capito il punto della situazione.
Francis rise poi domandò –Comunque dove sei? Io e Antonio ti stiamo aspettando.
Potete scendere, vi sto aspettando davanti al portone.
-Arriviamo.
Chiusero la chiamata e Gilbert recuperò la sua giacca.
-Io devo andare, ti ringrazio per avermi ospitato questo pomeriggio.
-Nessun problema- Matthew era tornato ai sussurri, lo accompagnò fino alla porta e lo fece uscire.
-Grazie a te per avermi tenuto compagnia, quando vuoi puoi…- si morse le labbra e non finì la frase, troppo imbarazzato per dirlo sul serio.
Gilbert gli scompigliò i capelli, poi più lentamente scese con la mano sulla sua guancia annuendo –Quando avrò tempo tornerò, infondo sarebbe degno di una persona fantastica come me battere il programmatore di giochi al suo stesso gioco, non credi?
Matthew non riuscì a rispondere, troppo concentrato sul calore della mano nella sua guancia e sul pollice che gli accarezzava lo zigomo rosso.
Quando si sentì una porta al piano di sopra aprirsi e le voci di Antonio e Francis invadere il condominio Matthew sussultò e farfugliando un saluto gli chiuse la porta in faccia.
Aveva forse paura delle altre persone? O aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere?

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Capitolo 9
*** Romano ***


9.Romano

Romano si girò nuovamente nel letto, ormai aveva smesso di tenere anche il conto.
Sbuffò tirando una leggera testata volontaria al cuscino quando con la coda dell’occhio vide che erano le due e mezza di notte.
Dov’era finita tutta la sua stanchezza? Perché non riusciva proprio a prendere sonno?
I tuoni si susseguivano nel cielo e la pioggia continuava a scendere insistente da una giornata ormai, ma non poteva essere quello il problema.
Più provava a non pensare a nulla e più le immagini di quel pomeriggio gli invadevano la mente, più cercava di contare le pecorelle e più quelle avevano la testa di Antonio.
Non pensava che si sarebbe davvero divertito.
Quando aveva proposto di uscire l’aveva fatto solo perché voleva davvero calmarsi con dei dolci.
Darsi piacere da solo non era una cosa che gli fosse mai piaciuta, lo lasciava quasi più insoddisfatto di prima e non poteva di certo restare con un’erezione seduto a tavola.
Il cibo era una delle gioie della sua vita, per questo non ci aveva pensato due volte a uscire per soddisfare la sua golosità e risollevarsi il morale.
Non avrebbe mai immaginato che uno spagnolo, uno straniero, l’avrebbe fatto divertire fino al punto da non rendersi conto di quanto tempo fosse passato.
Lo aveva portato nella pasticceria migliore della città e si era fatto offrire una crepes alla nutella con tre palline di gelato sopra, non importava se ormai fossero a novembre e fuori, proprio in quel momento, stava piovendo.
-Fammene assaggiare un pezzo- Antonio, seduto di fronte a lui, l’aveva distratto dal suo puntiglioso contemplare le gocce di pioggia che percorrevano il vetro.
-Scordatelo- aveva risposto Romano avvicinandosi di più il piatto, nonostante avesse già superato il limite del tavolo.
Antonio piegò le labbra in una smorfia, poi ebbe un’illuminazione e sorrise –Facciamo un gioco.
Romano lo fissò alzando un sopracciglio, era curioso –Di che tipo?
-Voglio conoscerti e voglio vedere se l’idea che mi sono fatto di te è giusta. Inoltre voglio davvero assaggiare quello che stai mangiando. Quindi ponimi dieci dilemmi, metti in relazione due cose e tra le due ti dico quella che piace a te, un esempio sarebbe “cani o gatti?”, se ne indovino più della metà me ne fai assaggiare un pezzo.
Un luccichio divertito passò negli occhi dell’italiano –Ci sto.
Antonio continuò –E per la cronaca, a quella domanda avrei risposto cani. Perché tu ti comporti come un gatto che odia il mondo, quindi sei sicuramente un tipo da cani. Forse Feliciano è più un tipo da gatti, o sbaglio?
Romano boccheggiò incredulo e il pezzo di dolce che aveva infilzato con la forchetta cadde indisturbato senza che nessuno ci facesse davvero caso –Bè, questa non vale però.
Distolse lo sguardo imbarazzato e Antonio rise.
Ripensando a quello stupido gioco che alla fine non solo aveva fatto conoscere più cose ad Antonio, ma anche Romano aveva iniziato a conoscerlo, si girò di nuovo nel letto, intrecciandosi nel piumone mentre abbracciava stretto il cuscino.
-Hai davvero suonato una serenata?- Romano aveva gli occhi spalancati per lo stupore.
Il piatto ormai vuoto era rimasto al centro del tavolo dopo che entrambi avevano mangiato dalla stessa forchetta.
Antonio rideva ricordando il fatto –Oh si, ma suonavo solo eh, a cantare era Francis per la sua cotta del momento. La parte più divertente è stata quando, arrivati alla terza strofa, ci siamo resi conto di aver sbagliato casa.
Romano si schiaffeggiò la fronte –Oh mio dio quanto siete stupidi…
Antonio alzò le spalle –Sono esperienze che vanno fatte nella vita.
L’italiano lo scrutò intensamente –E tu? Hai mai suonato una serenata non per conto di qualcun altro.
-Nah- la sua voce era quasi malinconica, ma quando alzò lo sguardo non batté neanche le ciglia per mantenere il contatto visivo mentre diceva –Non ho mai incontrato la persona giusta.
E Romano non poté fare a meno di arrossire.
Sentì nuovamente le guancie in fiamme mentre ripensava a quel momento del pomeriggio e nascose più a fondo il volto nel cuscino, il sospiro che lasciò le sue labbra si infranse contro il tessuto caldo.
-Guarda che così ti bagni- proruppe Antonio dopo pochi passi che avevano fatto fuori dalla pasticceria, avevano un solo ombrello e per restare coperti entrambi dovevano stare molto vicini.
Gli circondò le spalle con un braccio e se lo strinse contro per proteggerlo meglio dal vento freddo e dalla pioggia che era diventata più insistente.
Romano non disse nulla, non lo ringraziò ma non si lamentò neanche come suo solito, non lo riempì di brutte parole e non lo insultò. Rimase in silenzio a fissare i suoi piedi che evitavano le pozzanghere.
Nessuno dei due disse più nulla mentre velocemente si avviavano a casa, non essendosi resi conto di aver perso la cognizione del tempo e che quindi Antonio stava tardando all’uscita con i suoi due migliori amici.
Venne distratto dai suoi pensieri quando sentì la porta di casa aprirsi.
Non fece così tanto rumore da svegliare tutti, ma Romano la sentì perché il suo cervello era troppo attivo per non farci caso.
Quando si alzò dal letto e uscì dalla stanza non fu qualcosa che scelse del tutto volontariamente, era come se il suo corpo si fosse mosso da solo.
Sentiva ancora la pioggia battere sulla finestra chiusa e i tuoni che di tanto in tanto esplodevano nel cielo.
Si avviò lungo il corridoio e si fermò a fissare Antonio, fermo sull’uscio dell’ingresso, che si toglieva le scarpe e i vestiti bagnati.
-Sei tornato- proruppe continuando a mantenere lo sguardo fisso sulla sua figura mentre una spalla era poggiata contro il muro.
Antonio sussultò, dato l’orario e il silenzio non pensava di certo di trovare qualcuno sveglio.
Fortunatamente non urlò per lo spavento, ma sorrise quasi imbarazzato e rispose –Era quasi impossibile camminare nelle strade con tutta l’acqua che c’è, domani dovrebbero chiudere le università, lo sapevi?
Romano alzò le spalle –Non avevo comunque lezione domani.
Antonio annuì avvicinandosi, continuarono a parlare con dei sussurri –Per questo sei ancora sveglio alle tre di notte?
Romano si morse un labbro –Non riuscivo a dormire.
Poi si diresse in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua, Antonio lo seguì.
Stavano in silenzio ma era come se entrambi volessero dire tantissime cose.
-Oh comunque avevamo ragione- mormorò Antonio introducendo un argomento che a nessuno dei due interessava davvero –Quando siamo tornati oggi pomeriggio, Francis e Arthur avevano appena finito di farlo.
Tanta era la sorpresa che delle gocce d’acqua rotolarono fuori dal bicchiere, poi Romano si riprese –Interessante, userò in futuro questa informazione quando Arthur deciderà di spaventarmi.
Antonio sorrise –Ti fa paura Arthur?
Romano arrossì, ma nel buio della stanza non si notò, bevve due sorsi d’acqua prima di riposare il bicchiere sul tavolo e decidere di rispondere –A te no? Non sembra… del tutto normale, certe volte.
Fece una pausa mentre con il dito creava dei disegni astratti sul ripiano in legno con le gocce d’acqua cadute poco prima -Anche mio fratello mi ha detto la stessa cosa la prima volta che l’ha incontrato.
-Avete un bellissimo rapporto, voi due.
Romano annuì distrattamente e non disse nulla quando vide Antonio allungare una mano per afferrare il suo bicchiere e bere l’acqua rimasta.
Il silenzio andò avanti per altri secondi, l’acqua che continuava a cadere insistente dal cielo era l’unica cosa di sottofondo.
Capirono entrambi che non avrebbero parlato di argomenti seri o comunque non avrebbero detto quello che in realtà premeva sulle loro labbra, non per quella sera almeno.
Fu Romano così a decidere di concludere quello strano momento che stavano vivendo –Bè, non sei stanco? Dovresti andare a dormire.
Antonio si stiracchiò e quasi in contemporanea sbadigliò, a confermare quello che Romano aveva appena detto.
-Si hai ragione, andiamo a dormire.
Si diressero lungo il corridoio e Antonio si fermò davanti la porta del bagno, ovviamente doveva ancora cambiarsi e asciugarsi prima di poter davvero andare a dormire.
Lo spagnolo allungò la mano e accarezzò i capelli scuri ramati dell’altro, una carezza lenta e quasi impercettibile al quale Romano non rispose in alcun modo.
-Buenas noches, Romano.
Il suo era meno di un sussurro al quale Romano non rispose di nuovo, semplicemente si allontanò chiudendosi dentro la sua camera.
Si strinse nuovamente intorno alle coperte e affondò la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi sentì che il sonno arrivò quasi subito facendolo cadere nel suo oblio.
E in un attimo di lucidità durante il dormiveglia arrivò a pensare che adesso poteva finalmente dormire, perché Antonio era tornato a casa tutto intero nonostante fuori ci fosse una tempesta.
Adesso poteva finalmente dormire perché anche lui stava bene a pochi metri da lui, nella stanza accanto.

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Capitolo 10
*** Antonio ***


10.Antonio

Fecero colazione tutti e quattro insieme e con calma, cosa che non era mai successa da quando si era trasferito in quell’appartamento.
Era una cosa più unica che rara, visto che l’unico motivo era la chiusura delle università per il maltempo.
Quella mattina Romano stava litigando con Ludwig su argomenti vari, sembrava che si fosse svegliato con la voglia di contestare tutto quello che il tedesco diceva e gli argomenti potevano variare dal cibo al tempo che faceva fuori.
Il tutto venne interrotto dal cellulare dell’italiano che iniziò a squillare, Romano accettò subito la chiamato rispondendo con –Oi Feli, che succede?
Ascoltò in silenzio la risposta dall’altro lato del cellulare, poi si alzò e iniziò a urlare –Che vuol dire che ti si è allagata la stanza?- il resto della conversazione si perse quando chiuse con forza la porta della sua stanza dietro di sé.
-Ludwig- lo chiamò Antonio curioso, ormai credeva di essere stato in quella casa abbastanza da poter iniziare a fare le domande che lo incuriosivano di più.
-Mh?- domandò a sua volta il tedesco quasi sorpreso di essere stato appellato.
-Perché non reagisci mai?
Il biondo corrugò la fronte –Che dovrei fare?
-Non lo so, anche rispondere verbalmente, ti tratta sempre malissimo, perché non gli dici nulla?
-Ha ragione- si intromise Arthur anche se stava scorrendo qualcosa nel suo cellulare con l’indice –Si comportasse così con me l’avrei mandato a dormire sulle scale.
Ludwig sospirò accasciandosi contro lo schienale –Ma si comporta così anche con te.
Arthur storse la bocca –Quello è il suo carattere, lo fa con tutti si, ma mai con così tanta enfasi con la quale se la prende con te.
-Non gli dico niente perché in fondo non penso che tutta la colpa sia solo sua.
Antonio si sporse in avanti curioso, i gomiti poggiati sul tavolo e le mani a coppa dove mise dentro il suo volto –In che senso? Centra qualcosa Feliciano?
-Sai, quei due sono più simili di quanto vogliano far credere. Forse non se ne rendono conto neanche loro.
Fece una pausa, poi decise di spiegarsi meglio –Il punto è che sono stati abbandonati dai loro genitori quando erano piccoli, hanno vissuto con il nonno che è morto due settimane dopo che Romano era arrivato alla maggiore età nel suo paese. È stato lui a mandare avanti se stesso e suo fratello, a darsi un verso per garantire un futuro a entrambi. Non avevano problemi di soldi, perché gli hanno lasciato un’eredità abbastanza consistente.
Arthur strabuzzò gli occhi ignorando il cellulare e concentrandosi totalmente su Ludwig –Non sapevo nulla di tutto questo e lo conosciamo entrambi da tre anni, no? Te l’ha raccontato Romano?
Ludwig sbuffò divertito –Pensi che potrebbe mai raccontarmelo Romano? Me ne ha parlato Feliciano.
-Oh giusto- borbottò Arthur come se da solo si fosse reso conto di quanto stupida era stata la sua domanda.
-Questo non me l’ha detto Feliciano invece- continuò il tedesco quasi perso nei suoi pensieri –Ma ho imparato a conoscere entrambi e a capire il perché dei loro comportamenti.
Antonio era rapito da quelle parole, non pensava che con una semplice e innocua domanda potesse riuscire a sapere tutto quello.
-Il punto è che entrambi hanno il terrore dell’abbandono, semplicemente reagiscono in modo differente. Feliciano infatti è dolce e gentile con chiunque, cercando di fare sempre nuove amicizie, perché crede che più è circondato dalle persone più non sarà mai solo- fece una piccola pausa, nessuno disse nulla –Romano invece tratta male chiunque per far allontanare le persone, perché è convinto che più non si lega a nessuno e più non verrà abbandonato, perché finché hai accanto qualcuno avrai sempre il terrore di essere abbandonato da quel qualcuno.
-E ha paura che tu gli porti via l’unica persona a cui tiene davvero- concluse Antonio arrivando al punto della situazione, tutto finalmente collegato nella sua mente.
-Esatto- Ludwig annuì –Inoltre Feliciano mi ha chiesto non so quante volte di non essere troppo duro con Romano, per questo per la maggior parte cerco di ignorarlo e basta, anche se spesso non mi viene bene, tipo l’altra volta al bar.
Come se fosse stato chiamato Romano tornò in cucina che già aveva indossato sia le scarpe che il giubbotto –A Feliciano si è allagata la stanza al collage, resterà a dormire per tre o quattro giorni qui da noi, nella mia stanza- calcò bene quelle ultime tre parole –vado a prenderlo.
E detto questo era già sparito oltre la porta della cucina.
Ludwig sospirò mentre si alzava –Aspetta, vengo con te.
-Nessuno ha bisogno del tuoi aiuto!
Ludwig lo seguì comunque mentre borbottava –Ma se non hai neanche la macchina.
 
Tornarono circa un’ora dopo, Ludwig portava entrambi gli zaini di Feliciano e quest’ultimo aveva delle spaventose occhiaie e borbottava frasi senza senso dove la parola “pasta” era quasi sempre presente al loro interno.
Arthur era chiuso nella sua stanza a studiare e Antonio stava guardando il notiziario in tv che parlava dei danni che la pioggia aveva fatto il giorno e la notte precedente.
-Sembri uno zombie- constatò Antonio alzandosi dal suo posto e raggiungendo i nuovi arrivati, salutando Feliciano in quel modo.
-Cuciniamo la pasta, ve?
Romano sbuffò –Te la cucino io la pasta per pranzo, tu adesso te ne vai a dormire.
-Ma fratellone…
Ludwig gli diede man forte –Ha ragione tuo fratello, hai bisogno di dormire Feli.
E per il più piccolo dei fratelli Vargas non ci fu nient’altro da fare se non andare davvero a dormire.
Si stava avviando lungo il corridoio accompagnato da Ludwig quando sembrò pensare a qualcosa di importante e si girò a fissare il fratello.
-Romano- disse serio.
-Dimmi.
-Non fare toccare la pasta a Ludwig- continuò ancora più serio.
Romano sorrise sincero, amava così tanto suo fratello –Fidati di me Feli, quel crucco mangia patate non si avvicinerà neanche.
Feliciano sorrise sollevato, poi riprese a camminare, seguito da Ludwig che borbottava rimproveri contro i due italiani.
Antonio stava per tornare alla sua postazione sul divano quando Romano lo richiamò.
-Si?- chiese non del tutto certo di aver sentito bene.
-Mi vuoi aiutare?- la domanda venne fatta con imbarazzo mentre guardava da tutt’altra parte.
-Come?- Antonio non era davvero sicuro di quello che stava succedendo.
Romano sbuffò –Avevi detto di voler imparare a fare la pasta o no? Vieni- e non aspettò che l’altro rispondesse o facesse nuove domande, semplicemente entrò in cucina aspettando che lui lo seguisse.
Antonio rimase confuso da quel risvolto inaspettato, ma spense la tv e lo raggiunse, chiudendosi la porta alle spalle, non appena si girò si ritrovò le mani occupate da dei pomodori.
-Visto che sei un cuoco suppongo che tu sappia fare la polpa di pomodoro liquida, si?
-Certo- rispose Antonio avvicinandosi al tavolo e posando i vegetali su di esso, mentre Romano cercava tutto il resto degli ingredienti.
-Perfetto, voglio fare le penne alla norma.
-Le cosa?
-È un tipico piatto di pasta diffuso nel sud Italia, per prima cosa facciamo il condimento e la pasta per ultima, tanto ci mette 15 minuti a cucinare. Tu prepara la salsa, io taglio le melanzane e la cipolla.
Antonio sorrise –Va bene.
E insieme iniziarono a cucinare, senza litigare troppo e in modo più civile di quanto entrambi si aspettassero.
Un’ora dopo erano entrambi vicino ai fornelli a girare nella padella il sugo quasi del tutto pronto.
-Quindi nel condimento mettiamo la polpa di pomodoro, le melanzane, l’olio e la cipolla?
Romano annuì mentre continuava a girarlo con il cucchiaio di legno –Andrebbe cucinato anche con uno spicco d’aglio ma Arthur ne è allergico. Oh e poi prima di servire i piatti bisogna assolutamente mettere basilico e ricotta salata.
Smise di mischiare il condimento solo per prenderne un po' con quello stesso cucchiaio e portarlo vicino alla bocca di Antonio.
-Assaggia- mormorò.
Antonio obbedì sentendo i sapori predominanti del pomodoro e della melanzana esplodere nella sua bocca, era buono. Romano non aveva staccato neanche per un attimo gli occhi dai suoi, era pieno di aspettativa il suo sguardo.
-È davvero buono, forse ci vuole un po' di sale in più.
Le guancie di Romano divennero leggermente rosse a quel complimento, poi assaggiò a sua volta e gli diede ragione, aggiunse il sale e dopo un’ultima mischiata spense il fuoco.
Quando tornò ad alzare lo sguardo arrossì e Antonio si rese conto che forse erano troppo vicini. Quando si erano avvicinati così tanto?
Romano fece un passo indietro, ma lo spazio era così piccolo che inciampò sui suoi stessi piedi e quasi cadde all’indietro se Antonio non avesse avuto i riflessi pronti da prenderlo al volo, una mano a stringergli la schiena e l’altra che lo teneva per un braccio.
Avevano i volti così vicini che sentivano il fiato dell’altro sulla propria pelle.
Romano fece un verso strozzato, entrambe le sue mani che si erano ancorate alla maglia dello spagnolo, il volto ora totalmente rosso.
-Forse- tossì, la sua voce era troppo roca per poter continuare a parlare –Forse dovremo iniziare a fare la pasta.
I suoi erano mormorii impercettibili, entrambi che lentamente si staccavano da quella posizione compromettente.
Antonio annuì quasi per riflesso, perché non aveva collegato del tutto il cervello e stava vivendo quasi passivamente tutto quello.
Quando Romano tornò alla giusta distanza di sicurezza recuperò una pentola e prese a riempirla con dell’acqua, poi iniziò il suo sproloquio –Prima bisogna riempire la pentola di acqua e mettergli il sale, poi lasciamo l’acqua bollire e solo dopo si deve mettere la pasta, quando…
Ma in realtà Antonio non lo stava più ascoltando, vedeva solo quelle labbra muoversi tra di loro, quelle labbra che sembravano così morbide e che avrebbe voluto tanto baciare.

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Capitolo 11
*** Gilbert ***


11.Gilbert

Quando Matthew andò ad aprirgli la porta quel venerdì pomeriggio, Gilbert gli sorrise mostrando due biglietti del cinema che gli sventolò letteralmente sotto gli occhi.
-Allora, sei pronto?- esordì con quella domanda che fece arrossire il ragazzo che si trovava davanti, sorrise ancora più soddisfatto, tutto stava andando secondo i suoi piani.
-C… Cosa?
-Volevo invitarti al cinema oggi- spiegò Gilbert mentre Matthew si spostava e lo faceva entrare dentro casa –Ma mi sono reso conto di non avere ancora il tuo numero di cellulare, quindi ho fatto come se avessi accettato e ho preso i biglietti.
-Uhm- Matthew arrossì e abbassò lo sguardo mentre chiedeva curioso –Per cosa?
Gilbert ampliò il suo sorrisetto –Il nuovo film Marvel che è uscito, ovviamente.
Al piccolo nerd gli si illuminarono gli occhi, poi affrettò il passo verso la sua camera personale affermando –Mi cambio subito.
Sembrò ripensarci e tornò indietro, mise nelle mani del tedesco il suo cellulare e borbottò –Puoi salvarmi il tuo numero se ti va e puoi prenderti il mio.
Un quarto d’ora dopo uscì dal bagno pulito e profumato, con dei jeans  stretti e chiari e una felpa con il logo della Marvel sopra.
Gilbert lo squadrò da capo a piedi senza cercare di nascondere il proprio apprezzamento, poi gli tornò il cellulare sul quale si era salvata con il nome “il magnifico”, quando Matthew lo lesse non poté fare a meno di ridere.
Mettendosi i loro giubbotti uscirono di casa e Gilbert lo indirizzò verso la sua moto.
-Oh…- Matthew rallentò il passo fissando il mezzo con occhi inquieti.
-Hai paura?- domandò Gilbert senza alcun tipo di derisione nella voce.
-Non… non sono molto pratico- rispose sincero.
-Vieni qui- rispose tranquillo il tedesco porgendogli la mano e quando l’altro gli fu a pochi centimetri di distanza gli mise il casco e glielo allacciò quasi con delicatezza sotto il mento.
-Non devi preoccuparti se ci sono io, okay?
Matthew annuì, Gilbert sapeva di avere una voce abbastanza convincente.
Indossò a sua volta il casco e salì in moto, poi fissò il canadese e lo spronò a mettersi dietro di lui.
Matthew tentennò nuovamente, ma non si fece pregare troppo per raggiungerlo.
Quando fu sopra Gilbert gli afferrò le mani e gliele fece stringere intorno al suo busto –Tieniti forte.
Non ricevette una risposta verbale, ma lo sentì stringersi con molta più forza e poggiare anche la sua guancia contro la sua schiena.
Gilbert alzò un angolo della bocca, poi partì sfrecciando per le strade.
Dieci minuti dopo avevano posteggiato proprio davanti al cinema.
-Allora?- chiese Gilbert mentre gli slacciava il casco –è stato così brutto?
Matthew scosse la testa, le guancie rosse sia per l’imbarazzo che per il freddo –Ero convinto…- iniziò, poi cambiò frase scuotendo la testa –Ho solo avuto brutte esperienze e…- si morse un labbro –Fa nulla, lascia stare.
E di solito Gilbert non era uno che lasciava stare, voleva sapere tutto e subito, ma aveva capito com’era quel ragazzo e che farlo spaventare sarebbe stato peggio, quindi decise di prenderla con calma e non chiedere risposte nello specifico, anche se ne sarebbe venuto a capo, lo avrebbe saputo.
Non appena furono dentro saltarono la coda per i biglietti avendoli già e quando videro l’area ristoro gli occhi di Matthew si fecero grandi e quasi corse per raggiungere la fila e mettersi in coda, gli occhi fissi sui pop-corn al caramello.
Gilbert lo raggiunse più lentamente, era divertito dal suo comportamento che sembrava quello di un bambino –Non esci spesso, vero?
Matthew alzò le spalle –Non saprei con chi uscire- rispose come se fosse una cosa normale, poi si girò verso di lui –Vuoi qualcosa?
Gilbert si trattenne dal rispondere “te” e si limitò a scuotere la testa, non staccando gli occhi da lui mentre si prendeva il secchio dei pop-corn al caramello più grande e il bicchiere di coca-cola.
Pagò con la carta e mentre si avviavano verso la sala il tedesco lo aiutò a portare entrambe le cose che aveva comprato mentre lui risistemava tutto nel portafoglio e quest’ultimo in tasca.
Mentre camminavano un ragazzo andò di proposito a sbattere contro Matthew dandogli una forte spallata, il biondo abbassò semplicemente lo sguardo senza dire nulla, tenendosi la parte lesa con la mano, Gilbert, furioso, si girò a fissare il tizio che, insieme ai suoi amici, non avevano staccato gli occhi da dosso al canadese. Come se ce l’avessero a morte con lui. Come se questo gli avesse fatto qualcosa di imperdonabile.
Gilbert aprì la bocca per urlare contro di loro, ma venne fermato da Matthew che gli posò una mano sul braccio stringendolo quasi convulsamente –Gilbert, no.
Il tedesco strinse i denti, la fronte corrugata –Matt, ti hanno…
-Ti prego.
E quella semplice preghiera, detta con quel tono e con quegli occhi lo fecero desistere, nonostante la rabbia gli ribollisse dentro e lui agisse sempre d’istinto.
-Allora andiamo- rispose un po' troppo scorbutico e velocemente si avviò dentro.
Matthew si rattristì e lo seguì con gli occhi bassi, non dissero nulla mentre entravano in sala e trovavano i loro posti.
Il canadese aveva i pop-corn davanti ma non ne mangiava neanche uno, li guardava semplicemente con tristezza.
Dopo diversi minuti, quando erano già iniziati i trailer prima della proiezione, Gilbert sbuffò e si rivolse al ragazzo –Eri così esaltato prima per quei dolci, ora perché non mangi?
Matthew storse la bocca e pianissimo chiese –Ce l’hai con me?- la sua voce era così bassa che sopra il ronzio delle altre persone e la voce degli attori la sentì a stento l’altro.
Rimase stupito da quella domanda e cercò di evitare di parlare ancora con quel suo tono duro, non si capacitava di quanto l’altro fosse sensibile per la qualsiasi cosa.
-Stupido- sospirò accarezzandogli i capelli –Mi ha dato fastidio come quelli ti guardavano, perché dovrei avercela con te?
Matthew si sentì visibilmente meglio, ma continuò a non fissarlo –Sicuro?
-Matt- Gilbert lo costrinse a girare lo sguardo verso di lui –Ho deciso di portarti al cinema oggi e non mi pento di questa decisione, va bene? Potresti per favore goderti il film e rendermi felice?
Il diretto interessato sorrise impercettibilmente e Gilbert ne fu soddisfatto.
Alla fine del film, solo quando Matthew si girò verso di lui tutto esaltato e gli chiese –Non è stato bellissimo?- il tedesco si rese conto che quasi non l’aveva visto il film, troppo concentrato a guardare le reazioni dell’altro, perché era così tenero e sembrava quasi un bambino data la sua esaltazione che era impossibile distogliere lo sguardo.
Tossì per mascherare l’imbarazzo e rispose un –Certo- poco convinto che però l’altro non colse, troppo perso nel suo mondo e sul racconto delle battaglie epiche che avevano appena visto, delle scene più commoventi e di quelle divertenti.
-Avevo gli occhi lucidi in quella scena, amo come recita!
E Gilbert si morse la lingua per non rispondere che si, aveva visto i suoi occhi lucidi e il groppo che aveva in gola, come aveva visto il luccichio stupito durante le battaglie e le risate trattenute per delle parti più divertenti.
Arrivarono alla moto e, dopo che Matthew aveva finito il suo sproloquio e mentre Gilbert sistemava i loro caschi, quest’ultimo chiese –Dove vuoi andare a mangiare?
-Uhm… Se comprassimo delle pizze e le mangiassimo da me… ti va?
-Non ti piace proprio stare in mezzo ad altre persone, eh?
Matthew arrossì del tutto, colto sul fatto.
-Io… scusa… se vuoi… io…
Iniziò a balbettare frasi sconnesse e Gilbert, come al solito, dovette tranquillizzarlo –Non me la stavo prendendo con te, era una constatazione, per me va benissimo andare da te.
E così presero le pizze da una pizzeria d’asporto e andarono a casa del canadese, mangiarono direttamente seduti sul divano, il cartoni di pizza sul tavolino davanti a loro e i joystick in mano.
Parlarono tanto, Gilbert aveva ormai capito che Matthew era in imbarazzo se si rendeva conto di essere al centro dell’attenzione, ma quando non ci faceva caso, troppo impegnato nel gioco o nel suo sproloquio sul film appena visto, parlava a ruota libera e alzava il tono di voce come un normale essere umano.
Era particolare e sicuramente qualcosa l’aveva segnato.
Gilbert era totalmente attratto da lui, non solo perché era carino ma perché era strano, diverso da qualsiasi altra persona e soprattutto era il suo stesso opposto.
Era mezzanotte passata quando provò a baciarlo, erano entrambi mezzi sdraiati sul divano, la tv spenta, i cartoni vuoti abbandonati, si guardavano pigramente mentre parlavano del più o del meno.
Gilbert si era avvicinato lentamente, vide le guance di Matthew farsi sempre più rosse e, solo quando era ormai a pochi millimetri dalle sue labbra il canadese scostò la testa e si alzò direttamente dal divano.
Gli diede le spalle per non fargli vedere quanto ormai fosse rosso e con voce incerta disse –Si è fatto tardi, non trovi?
Gilbert sospirò pesantemente chiudendo gli occhi, poi si alzò a sua volta e recuperò la sua giacca –Hai ragione- rispose avviandosi lungo il corridoio che portava alla porta d’ingresso.
Matthew lo accompagnò sempre in silenzio e solo quando ormai il tedesco era già nelle scale lo richiamò con un flebile “Gil”.
Gilbert si girò incerto a guardarlo e rimase totalmente immobile e quasi sconvolto quando lo vide avvicinarsi di scatto, mettersi in punta di piedi e lasciargli un leggere bacio sulla guancia, dove poi sussurro un “grazie” che gli fece venire i brividi.
Si riscosse solo quando sentì la porta di casa chiudersi lasciandolo solo.
Il cervello in pappa mentre pensava che si era preso la più grande cotta della sua vita.

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Capitolo 12
*** Arthur ***


12.Arthur

Arthur aveva gli occhi socchiusi, il sudore che gli colava lungo la fronte, il petto che si alzava e abbassava alla ricerca di aria.
Avevano appena concluso un round di 69 che aveva lasciato appagati entrambi più di quanto si sarebbero aspettati.
Sentì Francis alzarsi e raggiungerlo dall’altro lato del letto, si stese al suo fianco, ora avevano entrambi i piedi sul cuscino.
-Sei già stanco?- Domandò Francis con un sorrisetto divertito mentre gli artigliava un fianco e se lo spingeva contro, la pelle bollente di entrambi entrò in contatto.
Arthur mugugnò qualcosa di scomposto che fece sorridere nuovamente il francese.
-E dov’è finito il mio piccolo pervertito?
Arthur arrossì lievemente –Sei tu il pervertito.
-Può essere, ma ciò non implica che non possa esserlo anche tu.
Arthur sbuffò –Sono stanco, dammi un po' di tregua.
-Va bene, mon chéri, restiamo così per un po'.
Poi si avvicinò al suo collo non troppo candido e iniziò a lasciargli dei leggeri baci su quella pelle bollente e sudata, lentamente, solo per coccolarlo e perché non aveva nessuna intenzione di staccarsi da lui.
Arthur mugugnò versi scomposti e chiuse gli occhi limitandosi a godersi quel momento.
Non c’era mai stato nulla di tutto quello con Alfred o con qualsiasi altra persona, c’era stato sempre e solo il sesso.
Non che con Francis si vedessero per altro, però c’erano anche i momenti come quello e ad Arthur non dispiacevano per niente, nonostante non l’avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura.
-Angleterre, ci hai pensato?- ruppe quel momento idilliaco con quella domanda dopo diversi minuti, le labbra ancora premute sulla sua spalla nuda.
-A cosa?- Arthur si girò nella sua direzione aprendo gli occhi, le sopracciglia corrugate in un muto interrogativo.
-Al farmi da modello.
L’inglese strabuzzò gli occhi di un verde più intenso del normale –Pensavo che fosse solo un modo per provarci quella sera, che stessi scherzando.
-Ti sembro uno che scherza?- rispose piccato Francis.
-Bè, si.
Il francese sbuffò, poi con la mano che aveva ancora ferma sul suo fianco scese per afferrargli il culo sodo e nudo e stringerselo di più contro –Non potrei mai scherzare se c’è in mezzo un culo così, voglio davvero che tu mi faccia da modello.
Gli baciò una guancia mentre in un borbottio imbarazzato Arthur rispondeva –Vedremo…
-Da cosa?- domandò subito l’altro, eccitato da quella quasi risposta affermativa.
-Da come mi convinci- rispose trovando di nuovo la sua voce ferma –Per esempio, potresti iniziare preparandomi qualcosa da mangiare.
Francis fece un finto broncio –Pensavo volessi mangiare me.
Si beccò un pugno leggero nel fianco e un “pervertito” sussurrato tra i denti.
Francis rise, poi si alzò –Va bene, va bene, vediamo che ti trovo come spuntino.
Arthur arrossì mentre lo vide camminare nudo per casa –Ma copriti!- gli urlò contro.
-Perché?- Francis si girò, poggiando le mani sui fianchi e portando in avanti il bacino –Ti ricordo che io abito da solo, non come te.
Arthur affondò la testa nel materasso –Ma un po' di pudore.
Ovviamente il suo borbottio non fu ascoltato da nessuno.
Quando sentì Francis parlare si alzò a sua volta e infilandosi i boxer decise di raggiungere l’altro ragazzo, si poggiò allo stipite della cucina e lo guardò mentre completamente nudo e per nulla in imbarazzo con una mano parlava a telefono e con l’altra cercava qualcosa dentro il frigo.
Arthur lo vide corrugare la fronte e chiudere il frigo per dedicarsi completamente alla chiamata.
-Gil ma in che senso vuoi presentarci uno che ti sei fatto?
Ascoltò quello che gli veniva risposto e strabuzzò ancora di più gli occhi –Gil ma ti senti? NON TE LO SEI NEANCHE FATTO! MA CHI SEI? CHE È SUCCESSO AL MIO MIGLIORE AMICO?
Francis era sconvolto e Arthur decise di divertirti, gli si avvicinò e, considerando che il francese stava dando tutta la sua attenzione al cellulare, non perse tempo ad inginocchiarsi di fronte a lui e prendere in bocca il suo membro non ancora eretto.
-AH!- Francis quasi urlò e per poco non gli cadde il telefono dalle mani, poi lanciò un’occhiataccia ad Arthur per intimargli di stare fermo, provò anche a mettergli una mano sulla testa per allontanarlo.
Arthur allora lo mise di più in bocca e se lo spinse contro, usò anche la lingua e questo provocò un singulto nel francese.
-Gil…- e quel nome sembrava quasi un ansimo che fece innervosire Arthur e lo fece andare più veloce e più a fondo –Gil, ho capito, ci vediamo stasera, devo andare.
E senza aspettare una risposta gli chiuse la chiamata in faccia.
-Sei un demone- Francis era senza fiato, faticò a dire quelle poche parole –E un pervertito.
Arthur si staccò con un suono osceno solo per poter rispondere –Come se ti dispiacesse.
Poi riprese da dove si era interrotto.
 
-Quindi non ho ben capito, quali sono i nostri programmi di questa sera?
Arthur era nel posto del passeggere e Francis guidava diretto proprio a casa dell’inglese.
-Non è che ci abbia capito molto a telefono con Gilbert- rispose Francis con una frecciatina che Arthur ignorò elegantemente –Ma Gilbert voleva tipo uscire con noi per presentarci una persona.
L’inglese alzò un sopracciglio scettico –Noi: me e te?
-Noi: me e Antonio.
-Ah.
-Ma a quanto ho capito venivano anche suo fratello e Feliciano e Romano, quindi potresti venire- si affrettò a dire Francis lanciandogli una veloce occhiata prima di riportare lo sguardo sulla strada.
Arthur non rispose, pensando ai pro e i contro di quello che poteva portare quella serata.
Così Francis continuò a parlare –Inoltre, se vieni, mi togli la fatica di provarci con qualcuno per portarmelo o portarmela a letto.
Arthur alzò gli occhi al cielo sospirando –Ma non hai un limite? L’abbiamo fatto due volte e ho perso il conto per la quantità di preliminari.
Francis rise e la conversazione finì li.
Solo appena Francis spense la macchina dopo aver posteggiato Arthur rispose alla precedente domanda –Prima di uscire però devo farmi una doccia e cambiarmi.
Il francese sorrise –Certo, è per questo che siamo qui.
Una volta aperto il portone del condominio sentirono voci provenienti dalle scale e alzando lo sguardo mentre il portone si richiudeva alle loro spalle, Arthur si accorse che l’amico di Francis era già li.
-Oi Gilbert, sei già qui?- lo salutò così il francese e quando il tedesco si girò per rispondere e salutare a sua volta Arthur non sentì più nulla.
Tutto si perse e il cervello gli si spense quando mise a fuoco il ragazzo al suo fianco.
Alfred.
La sua mente registrò solo questa parola.
Non era abbastanza lucido per rendersi conto che la porta alle sua spalle era aperta, e quindi doveva abitare li, un piano sotto casa sua.
Non era abbastanza lucido per notare i suoi capelli più lunghi di come li aveva sempre portati.
Non era abbastanza lucido per scrutare quello sguardo dolce, triste e quasi malinconico che Alfred non aveva mai avuto.
Non era abbastanza lucido per unire tutte queste cose e rendersi conto che in realtà non era Alfred.
Semplicemente partì spedito, quasi di corsa, scostò malamente Gilbert e colpì il biondo dritto alla mandibola con un pugno che lo fece finire a terra, poi iniziò a urlargli contro.
-CHE CAZZO CI FAI QUI? MI PEDINI? E IL TUO RUSSO? LO SA CHE TE NE VAI IN GIRO A SCOPARTI ALTRE PERSONE? CHE POI NON CAPISCO, NON CAPISCO PROPRIO, PERCHE’ INIZI RELAZIONI CON CHIUNQUE E A ME SPUTI IN FACCIA? COSA…
Non riuscì a continuare perché Gilbert lo afferrò per il colletto della maglia che indossava e lo sbatté contro il muro, gli occhi erano oscurati dalla rabbia mentre diceva freddo –Non ti permettere mai più di toccarlo.
Ad Arthur mancò l’aria, boccheggiò e Francis venne in suo aiuto, costringendo il suo amico a lasciare la presa.
Quando fu libero Arthur tossì piegandosi su sé stesso, ma non demorse e questa volta si rivolse direttamente a Gilbert –Ma hai una minima idea di quanto sia troia?
Fu il diretto interessato a rispondere in un sussurro così flebile che venne sentito a stento –Io non sono mio fratello.
Tutti si girarono a fissarlo, soprattutto Arthur lo guardò con gli occhi spalancati e con quella semplice frase collegò tutti i pezzi che prima non aveva messo insieme.
Il ragazzo era ancora a terra, gli occhi lucidi di lacrime, una mano che si reggeva il punto colpito che era già diventato rosso e gonfio.
-Sono Matthew. Non sono mio fratello gemello Alfred. Mi dispiace per quello che ti ha fatto.
Poi si alzò e velocemente corse dentro casa sua chiudendosi dentro.
Arthur faceva fatica a respirare, cosa era diventato per una persona che non lo meritava? Quanto si poteva far schifo in quel momento?
Aveva preso a pugni un ragazzo che non c’entrava nulla, gli aveva urlato le peggiori cose e alla fine era stato sempre lui a ricevere delle scuse.
Gli veniva da vomitare.
Corse fuori dal palazzo e iniziò a correre.
Non fece molta strada, perché Francis l’aveva inseguito e continuava a ripetere il suo nome.
Arthur si girò a fronteggiarlo, gli occhi pieni di rabbia e di odio.
-Cosa vuoi anche tu? Smettila di seguirmi. Non capisci che voglio stare da solo? Non capisci che non sei tu la persona che voglio?
Si girò e tornò a correre così in fretta che non vide il mutamento nel volto di Francis, il volto di chi gli era appena stato spezzato il cuore.
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Ciao!
Prima di tutto volevo scusarmi per il ritardo, ero in viaggio e sono tornata solo oggi.
Seconda cosa... si, stiamo iniziando con l'angst e ancora ce ne sarà per un pò di capitoli, ma nulla è detto sul finale!
Lasciatemi qualche recensione, mi farebbe davvero piacere sapere che ne pensate,
Un bacio, Deh

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Capitolo 13
*** Gilbert ***


13.Gilbert

-MATT APRI QUESTA CAZZO DI PORTA.
E lo sapeva benissimo Gilbert, che più continuava ad alzare la voce e a sbattere a mano aperta sulla spessa lastra in legno più Matthew non gli avrebbe mai aperto.
Ma come poteva stare calmo in una situazione del genere?
Non ci aveva visto più quando quell’inglese l’aveva colpito con una tale forza da farlo cadere a terra e soprattutto non era abituato a tutto quello.
Non era abituato ad essere ignorato, non era abituato a non essere al centro dell’attenzione e non era abituato a provare quell’angoscia per un’altra persona al di fuori di se stesso.
Erano passati dieci minuti abbondanti quando Gilbert capì di dover cambiare strategia, Matthew non gli avrebbe mai aperto e continuando così avrebbe solo guadagnato una denuncia da parte dei vicini.
Uscì di casa e si fece il perimetro della casa due volte, cercò di capire un po' la situazione e optò per scavalcare un giardino che non sapeva di chi fosse per poi arrivare alla finestra del bagno che era quasi certo appartenesse al canadese.
Pregò di non sbagliarsi e alzandosi le maniche si mise d’impegno.
Un quarto d’ora dopo era dentro casa del ragazzo.
Tutto era buio e a tentoni dovette uscire dal bagno per cercare il diretto interessato.
-Matt?- lo chiamò.
Matthew urlò e Gilbert si sentì lanciato contro un qualcosa che poi scoprì essere il telecomando della tv.
-Ehy, ehy, sono io, stai calmo.
Gli si avvicinò lentamente, nella penombra non poté fare a meno di notare come avesse gli occhi rossi di pianto e le guancie solcate da lacrime ormai secche.
Accanto a lui stava del ghiaccio che forse, fino a un secondo prima, si stava tenendo contro il mento.
-Come… sei entrato?- sussurrò quasi balbettando.                                   
-Dalla finestra del bagno, davvero non ti aspettavi qualcosa del genere da uno come me? Non mi piace essere ignorato.
Matthew si morse il labbro abbassando lo sguardo –Mi dispiace.
Gilbert si sedette al suo fianco prendendogli il mento con una mano e scrutandogli la parte lesa nonostante il buio –Ti fa tanto male?
Matthew non rispose alla domanda, ma tornò a scusarsi –Mi dispiace. Te l’avevo detto che non era una buona idea uscire con altre persone, io… Non vado bene. Non volevo creare tutto il casino che c’è stato, mi dispiace…
-Matthew smettila. Che diavolo stai dicendo? Non devi assolutamente scusarti semplicemente perché esisti.
E quella semplice frase fece scattare qualcosa dentro Matthew, scoppiò a piangere, non sapeva neanche lui per quale motivo in particolare, se per la tristezza, il sollievo di sentirsi dire quelle cose, la felicità… forse tutto insieme.
Scoppiò a piangere senza trattenersi, rumorosamente e con le grosse lacrime che scendevano veloci lungo le guancie morbide e si infrangevano sui suoi vestiti.
-Vieni qui- Gilbert lo afferrò per le spalle e per le gambe, spostandolo lo fece sedere in mezzo alle sue gambe e gli fece poggiare tutto il suo lato sinistro sul suo corpo.
Matthew non oppose nessuna resistenza, anzi, si aggrappò ai suoi vestiti, nascondendo il viso nel suo petto e piangendo tutte le sue lacrime.
Gilbert lo strinse a sé, forte, come se non volesse lasciarlo andare mai più. Lo cullò tutto il tempo, accarezzandolo per farlo calmare e lasciandogli di tanto in tanto dei baci tra quei capelli morbidi e biondo scuro.
-È sempre stato così- sussurrò Matthew dopo un tempo che parve infinito, aveva la voce roca per via del pianto ma non aveva più lacrime da versare.
Gilbert non disse nulla, lasciandogli il suo tempo per raccontare qualsiasi cosa volesse dirgli.
-Alfred è il mio gemello, siamo identici. Abbiamo anche la stessa voce. Lui… è sempre stato molto… rumoroso. Ha sempre avuto un sacco di amici ma anche un sacco di nemici. E io… non ho mai avuto nessuno.
Gilbert lo strinse di più, sentiva il suo cuore battere veloce, il respiro infrangersi contro il suo collo mentre gli parlava.
-Ero molto più timido e chiuso… Quindi i suoi amici mi trovavano noioso e con me non volevano mai stare, mentre tutti quelli che lo odiavano, odiavano di riflesso anche me, perché la mia faccia gli ricorda lui. Come è successo con il tuo amico prima, ho visto l’odio nei suoi occhi, come vedo l’odio nelle persone ogni volta che riconoscono il suo volto in me, come quelle persone al cinema che mi hanno spintonato, non le avevo mai viste ma ho capito subito che pensavano fossi lui. Non esco quasi mai di casa per questo.
-Che razza di mostro è tuo fratello?- Gilbert non riuscì a trattenersi dal dire quella frase.
Matthew sussultò –Lui…- balbettò –Non è un mostro, io gli voglio bene, davvero. Solo che… non si rende conto. Quello che fa, per lui è giusto e normale, semplicemente, non vede nient’altro oltre sé stesso. O meglio, non gli interessa nient’altro.
Gilbert non rispose, un po' forse in quella descrizione ci si vedeva, ma allo stesso tempo pensava che nonostante quello fosse il suo carattere a lui importava degli altri, anche se non lo dava a vedere. Gli importava di Ludwig, non l’aveva mai trattato male e non gli aveva impedito di avere una sua vita.
Gli ribollì il sangue nelle vene al pensiero che una persona come Alfred potesse aver rovinato l’intera vita a suo fratello senza neanche rendersene conto, come poteva quella piccola creatura che stringeva tra le braccia aver avuto una vita tanto pessima?
-Matt?- un sussurro fu il suo.
Il diretto interessato alzò lo sguardo, occhi negli occhi.
Gilbert gli si avvicinò, quasi più lentamente dell’ultima volta.
Questa volta però Matthew non si scostò, chiuse gli occhi e semplicemente attese, le labbra leggermente aperte, stava tremando.
A pochi millimetri dalla sua bocca fu Gilbert a deviare il percorso, gli accarezzò la guancia e arrivò al suo orecchio, nel quale sussurrò –Sono io, non c’è bisogno di tremare.
-Ho paura- sussurrò in risposta l’altro.
Gilbert gli baciò la parte di pelle sotto il lobo –Di cosa, Matt?
-Di quello che mi stai facendo provare- la sua voce era limpida e sincera, sembrava che ormai fosse arrivato al suo massimo livello di imbarazzo e quindi nulla poteva andare peggio –Mi piaci così tanto.
Gilbert sorrise –Non devi avere paura di questo, mi piaci anche tu.
-Ma io sono… io. Non ho neanche mai baciato qualcuno.
Gilbert lo fissò divertito, uno strano luccichio negli occhi –Bè ovvio, io prendo sempre le esclusive. È ovvio che fossi predestinato a me e mi stavi aspettando.
Non riuscì a decifrare lo sguardo del canadese, era uno sguardo che non gli aveva mai visto e inoltre si stava facendo troppo buio per riuscire a vederlo davvero.
-Ora posso baciarti?
Matthew annuì impercettibilmente, aveva smesso di tremare.
E quando Gilbert finalmente poggiò le labbra sulle sue fu come… come… non riusciva neanche lui a spiegarlo. Come quando arriva il giorno in cui esce nei cinema il film che aspetti da due anni, come quando bevi dell’acqua dopo chilometri di corsa sotto il sole, come quando mangi la pizza dopo una settimana di dieta.
Aveva baciato tante persone in vita sua, ma quel ragazzo era totalmente diverso, per la sua insicurezza e la sua decisione.
Per il fatto che si stesse affidando completamente a lui.
E perché aveva sempre avuto tutto subito, tutti i ragazzi o le ragazze ai quali avesse mai puntato era riuscito ad averli nell’arco massimo di una giornata, gli piaceva questa nuova sfida.
Lo baciò lentamente e a fondo, quando si staccò gli accarezzò il labbro inferiore lucido e domandò –Bè, com’è come primo bacio?
Matthew abbassò lo sguardo e borbottò qualcosa di incomprensibile.
-Non ho capito- rispose Gilbert sincero.
-Ho chiesto- ripeté Matthew leggermente più forte –Posso averne un altro?
Gilbert scoppiò in una fragorosa risata e continuando a tenerlo stretto in un abbraccio lo fece sdraiare sul divano.
-Guarda, solo perché sei tu, ti concedo di passare la serata con il magnifico me a provare tutti i tipi di baci che ti vengono in mente.
Matthew si coprì il volto con le mani –Non imbarazzarmi in continuazione.
Gilbert ghignò e afferrandogli i polsi lo costrinse a togliersi le mani dal volto.
-Ti abituerai.
-Dubito…- un borbottio per nulla convinto.
-Anzi no, ti farò diventare dipendente da tutto questo.
E non gli permise più di parlare, occupando la sua bocca in un qualcosa di estremamente più piacevole dei borbottii.
_______________________________________________
Ribadisco ancora una volta che ai fini di trama Alfred è modificato come personaggio perchè mi serviva una persona che facesse il "cattivo".
Spero che in ogni caso potreste lasciare una recensione per farmi sapere che ne pensate fino a questo punto,
alla prossima settimana!
Deh

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Capitolo 14
*** Romano ***


14.Romano

-Non ho ben capito- biascicò Romano nonostante avesse un quintale di patatine fritte in bocca –ci hanno abbandonato tutti?
Antonio alzò le spalle riponendo il cellulare in tasca –Gilbert continua a non rispondere e Francis ha fatto una sua tipica scena da donna isterica al cellulare, a quanto ho capito hanno litigato, mi farò spiegare meglio.
Poi lanciò un’occhiata alla quantità disumana di cibo che avevano davanti, considerando che avevano già ordinato un aperitivo per sei persone.
Romano corrugò la fronte e ingoiò prima di parlare –Cos’è quella faccia? Non credi che possa tranquillamente mangiare tutto quello che c’è qui?
Antonio gli sorrise, poggiando un gomito sul tavolo e sorreggendosi il volto con la mano aperta –Ma dove lo metti tutto il cibo che mangi praticamente 24 ore su 24?
Romano prese una manciata di frittura mista, prima di mettersela in bocca rispose –Sono italiano, non fare domande.
Antonio rise divertito, poi decise di mangiare anche lui, se proprio dovevano pagare per sei persone almeno voleva che ne valesse la pena.
Passarono una serata divertente, parlando del più e del meno e uscirono di li che erano ancora le nove di sera.
-Che vuoi fare adesso?- domandò Antonio mentre iniziavano a camminare lungo il marciapiede diretti verso la macchina dello spagnolo.
Romano rimase in silenzio, perso nei suoi pensieri.
-Romano?- provò a domandare nuovamente Antonio dopo qualche minuto.
L’italiano si fermò, con le mani in tasca e la fronte corrugata si girò nella sua direzione.
-Bastardo, secondo te quanto è strano far diventare questa uscita un appuntamento?
Antonio perse un battito, non si aspettava di certo una domanda del genere, non si aspettava proprio che quell’argomento sarebbe mai uscito dalle labbra di Romano.
-Perché dovrebbe essere strano?- chiese a sua volta.
Romano alzò le spalle –Perché non puoi accompagnarmi a casa e non possiamo fare la stupida scenetta dove tentenniamo sulla porta, imbarazzati, e poi tu mi baci e io scappo via balbettando insulti sottovoce. È complicato vivere nella stessa casa.
-Mh, in effetti è un bel problema- Antonio fece finta di pensarci riflettendoci seriamente, gli occhi a fissare il cielo e un dito a picchiettarsi il mento.
-Sai come potremo risolverlo?- A Romano stava piacendo quello strano gioco.
-In effetti un’idea l’avrei- Antonio gli mise entrambe le mani tra i capelli e si avventò sulla sua bocca baciandolo direttamente con la lingua.
Romano sorrise nel bacio rispondendo subito, quando si staccarono si leccò le labbra divertito –Mi piace questa soluzione.
-Quindi hai deciso dove vuoi andare ora?
-Mah, non saprei, sono un po' stanco, tu no? Non ti va di tornare a casa?- da quando aveva quella voce così innocente?
Antonio sorrise –Come dire di no a una richiesta del genere?
Lo prese per mano e insieme si diressero alla macchina quasi correndo.
Il tragitto fu un vero inferno per Antonio visto che Romano non riusciva a stare fermo, divertendosi a torturarlo in qualsiasi modo.
-Questa è forse una vendetta per quando ti ho toccato il ciuffo?
-Mhmm… forse- e la mano di Romano rimase ferma dove l’aveva posizionata poco prima, stringendo un po' di più la stoffa dei jeans.
Salire le scale fu anche peggio, rischiarono di cadere e farsi davvero male tantissime volte.
Ma Romano non aveva nessuna intenzione di staccare la bocca dalla sua e considerando la presenza che sentiva sbattere insistentemente contro la sua gamba ad Antonio tutto quello non stava dispiacendo per niente.
Le mani di Antonio tremavano così tanto che gli caddero le chiavi due volte prima che Romano gliele strappò dalle mani e aprì la porta di casa poi gli strinse i riccioli scuri e lo spinse di più contro la sua bocca, non voleva che gli venisse la stupida idea di staccarsi mentre entravano in casa.
Gli morse le labbra solo per il gusto di farlo, leccandogliele subito dopo e sorridendo del suo lamento.
Chiuse la porta con un calcio alle sua spalle e non appena furono dentro lasciò cadere le chiavi a terra, non gli importava di dove.
Si affrettò a togliergli la giacca mentre Antonio decideva di occuparsi del suo collo e mentre quest’ultimo lasciava un segno violaceo Romano gli infilò entrambe le mani nei jeans stringendo il culo sodo.
Antonio mugugnò compiaciuto e subito dopo Romano captò un nuovo gemito, che però non era uscito dalle labbra del ragazzo che gli stava attaccato.
Se ne accorse anche Antonio ed entrambi si bloccarono, c’era qualcun altro in casa.
Romano era convinto che fosse Arthur con il francese, la voce sembrava provenire dal salone, quindi pensò di andare a chiudersi in camera sua o di Antonio e continuare da dove si erano appena interrotti, stava per avvertire Antonio di questa idea quando sentì un nuovo gemito da una voce che ben conosceva e che era impossibile fraintendere, perché aveva appena pronunciato “vee…”.
Romano strabuzzò gli occhi, il volto che gli diventava pallido, si staccò Antonio di dosso spingendolo via senza alcun ritegno e a passi di marcia si diresse verso la stanza incriminata urlando il nome di suo fratello così forte che lo sentirono forte e chiaro tutti i vicini.
Sentì un botto e non appena entrò nella stanza trovò Ludwig a terra, dove era appena caduto di spalle fortunatamente, visto che era completamente nudo e suo fratello sdraiato nel divano, le guancie rosse mentre si affrettava a indossare dei boxer.
-CHE CAZZO STA SUCCEDENDO QUI?
Romano non staccava gli occhi rabbiosi da Feliciano, era raro che urlasse contro di lui, ma la sua collera era troppo grande in quel momento.
-Quello che stavi facendo anche tu? È inutile che ti sconvolgi tanto.
Fu Ludwig a rispondere, mentre cercava di nascondersi recuperando i suoi vestiti.
Romano non riusciva neanche a guardarlo in quel momento –Nessuno ha chiesto il tuo parere, e poi che cazzo stai insinuando?
Ludwig infilò i jeans senza mettere le mutande sotto, poi indicò Antonio che aveva appena raggiunto l’altro in stanza, lo indicò come se fosse una prova evidente –Ha i pantaloni aperti e un’evidente erezione.
-STAI ZITTO! ZITTO! STO PARLANDO CON MIO FRATELLO, TU NON HAI NESSUN DIRITTO DI INTROMETTERTI.
-Romano stai esagerando- gli fece presente Antonio con voce calma –Sai benissimo che tuo fratello può decidere da solo con…
-NON HO CHIESTO PARERI NEANCHE A TE! HO DETTO DI STAR PARLANDO CON FELICIANO, CI VUOLE TANTO A CAPIRLO?
-Non stai parlando con Feliciano- Antonio continuò a rispondere, prendendo la questione quasi sul personale –Stai urlando come un bambino scontento perché gli hanno appena rubato un giocattolo.
-Rimangiati quello che hai detto- sibilò Romano ora furioso anche contro di lui.
-Perché dovrei? Non è forse la verità? Hai solo paura di rimanere completamente solo se perdi anche Feliciano, no? È questo il punto.
-Non osare dirmi…- ma Antonio non lo lasciò finire, continuando a parlargli sopra.
-La varità? Perché sai benissimo quanto lui sia dolce e speciale, sai bene che potrebbe conquistare il cuore di chiunque mentre tu resterai completamente solo con il carattere che ti ritrovi e le tue stupide scenate insensate!
Antonio aveva parlato di getto, in preda alla rabbia, ma da come spalancò gli occhi l’attimo dopo aver finito l’ultima frase capirono che se n’era pentito all’istante.
Romano sentì gli occhi bruciare e riempirsi di lacrime, gli sorrise con gli occhi lucidi, inclinando la testa di lato mentre con voce più calma, quasi rassegnata, affermava –Bene, in effetti dovevo immaginare che hai fatto tutto quello che hai fatto solo perché il mio aspetto fisico ti ricordava quello di Feliciano, visto che ovviamente non lo potevi avvicinare ti sei trovato un sostituto. Non vantartene troppo, non sei il primo che usa questo metodo.
-Fratellone…- Feliciano parlò per la prima volta in quella sera, le lacrime di suo fratello l’avevano privato di ogni paura.
Romano si girò verso di lui –Sai Feli, non sono stupido. Lo sapevo che stavate insieme, volevo solo… che venissi a dirmelo tu. Ci tenevo. E non odio Ludwig perché sta con te, perché potrebbe portarti via, perché so benissimo che già lui ha un posto particolare nel tuo cuore. Lo odio perché non posso fare a meno di pensare, ogni singola volta, a quell’altro tedesco. Te lo ricordi quello che hai passato, si? Te lo ricordi quanto sei stato male quando se n’è andato? Perché io non scorderò mai come ho dovuto portare avanti tutto da solo, come lo scopo della mia vita fosse diventato arrivare a fine giornata con un fratello vivo.
-Romano mi dispiace- Feliciano gli si gettò addosso abbracciandolo stretto, stava piangendo sulla sua spalla –Io… io…
Romano non rispose all’abbraccio, lo accettò passivamente.
-Non ti dirò più nulla- concluse Romano mettendogli una mano sul fianco nudo per staccarselo di dosso –Stai con chi vuoi, spero che non ti riduca più come l’ultima volta.
Infine si rivolse a Ludwig, il tono duro –Se lo fai soffrire ti brucio vivo. Perché non sai cosa significa avere il proprio fratello, la persona che più ami al mondo, che di punto in bianco ti cade tra le braccia più morto che vivo, okay? Se lo fai soffrire, sarà la tua fine.
E a quel punto decise di andarsene, non voleva vederli più, si sentiva vuoto, spento, come se si fosse aperto così tanto da rimanere stupito lui stesso di quanto in realtà avesse tenuto nascosto persino a se stesso.
Si chiuse in camera, scivolò contro la porta e si isolò dal mondo, nascose il volto tra le braccia e le gambe e si perse nell’oblio, i singhiozzi di Feliciano e i richiami di Antonio che erano solo un lontano eco fastidioso.

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Capitolo 15
*** Arthur ***


15.Arthur

Arthur sospirò, mandando via tutto il suo orgoglio.
Alzò la mano e suonò al campanello di quella casa dove ormai era stato molte volte, anche se solo per del soddisfacente sesso privo di sentimenti.
Quando Francis gli venne ad aprire aprì gli occhi confuso, non si aspettava una sua visita.
In realtà non se lo aspettava neanche Arthur che si sarebbe trovato di fronte casa sua, i suoi piedi si erano mossi da soli e l’avevano trascinato li, facendogli sbagliare fermata della metro.
-Ciao- fu proprio l’inglese a parlare per primo.
-Che è successo al tuo orgoglio?- Francis andò dritto al punto, senza convenevoli o giri di parole.
Arthur alzò le spalle –Romano lo sta uccidendo lentamente…
Il francese corrugò la fronte e inclinò il volto di lato, chiedendo spiegazioni in silenzio.
-Non lo so, ha una settimana che c’è tensione a casa, penso abbiano litigato quella stessa sera… E Romano ha deciso di non cucinare più. Non ricordavo quanto fossi pessimo a cucinare, il mio stomaco non è più abituato.
Inaspettatamente Francis rise, portandosi una mano a coprirsi la bocca aprì meglio la porta e lo fece entrare.
Arthur non se lo fece ripetere due volte e mentre entrava lo scrutò, l’uomo indossava una vestaglia che di virile aveva ben poco. Quando immaginò che, conoscendolo, sotto non portava nulla, arrossì così tanto che dovette girarsi dall’altro lato per non farsi vedere.
-Quindi suppongo che tu sia venuto qui per restare per pranzo.
Arthur si morse il labbro, non rispose solo perché già l’altro sapeva che la sua sarebbe stata una risposta positiva.
-Francis- lo chiamò poi, quando lo vide avviarsi in cucina e iniziare a cercare qualcosa in dispensa da poter preparare, dato che ormai era mezzogiorno passato.
-Mh?- rispose distrattamente questo.
-Volevo chiederti scusa- quello di Arthur fu meno di un sussurro,di solito non si scusava mai, sapeva di essere sempre nel giusto.
Francis si bloccò, girandosi a fissarlo più confuso di quando se l’era trovato davanti la porta.
-Si bè- balbettò Arthur imbarazzato –Mi sono comportato male nei tuoi confronti, io non… Non sono una persona di quel genere e non voglio diventarlo per colpa di…- come continuare? “di qualcuno che non mi merita” ma era davvero così? Credeva di poter davvero meritare di più? “di qualcuno di cui sono innamorato da sempre” lo era ancora? O era solo infatuazione la sua? Inoltre, poteva davvero dirlo davanti a una persona con la quale aveva solo una relazione di sesso?
-Di quello.- concluse abbassando lo sguardo.
-Non importa Arthur, non è che noi siamo qualcosa, figurati, non me la sono presa.
-Allora perché non mi chiami da una settimana?
Francis tentennò, non era sicuro di saper rispondere a quella domanda nel modo giusto, infine fece uno dei suoi soliti sorrisetti e disse con semplicità –Bè, mi hai detto tu che dovevo starti alla larga.
Arthur sbuffò –Te lo dissi anche i primi giorni che ci siamo conosciuti, non mi sembra che questo ti abbia mai fermato.
-Ma l’ultima volta avevi la faccia di chi mi poteva tranquillamente denunciare per stalking, non ci tengo, mon chéri.
-Quindi…- Arthur fece un colpo di tosse per eliminare l’imbarazzo e sembrare che quella frase fosse del tutto casuale, come se non gli importasse davvero la risposta –Hai trovato un mio sostituto in questa settimana?
Francis lo fissò curioso prima di prendere una busta di patate e iniziare sbucciarle e lavarle per fare il gratin di patate.
-Nah- rispose infine, solo dopo aver finito di pelare tutta la prima patata e averla messo in una ciotola con l’acqua dentro –Ho avuto altro a cui pensare.
Arthur annuì, mentre quelle parole gli toglievano un peso di dosso che non sapeva di avere fino a quando non si sentì più leggero.
-Allora- questa volta a parlare fu il francese, sempre concentrato a preparare il cibo –Mi racconti questa storia che hai con l’americano? Tanto qui prima che sia pronto ci vorrà un po'.
Arthur si mosse inquieto sulla sedia dove si era seduto poco prima, ma alla fine decise di parlare, perché glielo doveva.
-Uhm okay, ma non giudicarmi.
Francis rise –Chéri, sono l’ultima persona di questo mondo a poterti giudicare, parla liberamente.
-Ho conosciuto Alfred al liceo, era quasi uno di quei personaggi standard, il classico tipo bello e affascinante che è amico con tutti, che ha tutti ai suoi piedi e che di solito nei film finisce per mettersi con la protagonista sfigata.
Francis soffocò una nuova risata –Interessante, vai avanti.
-Bè, la protagonista sfigata non ero io, comunque… ci siamo avvicinati verso il terzo anno. Lui non aveva problema a stare sia con maschi che con femmine, non aveva una vera preferenza e questo era risaputo all’interno del liceo, ma nessuno si azzardava a prenderlo in giro.
Il francese annuì, come se capiva benissimo la situazione –Istinto di autoconservazione, immagino.
Arthur abbozzò un sorriso divertito mentre annuiva –si, qualcosa del genere- poi continuò –Dicevo, ci siamo avvicinati verso il terzo anno, sinceramente non ricordo neanche come è successo, fu come se il giorno prima mi limitavo a guardarlo dagli spalti mentre giocava a baseball e il giorno dopo fossi diventato uno dei tanti che si scopava nei bagni durante le lezioni.
Prese una pausa, giusto per mettere insieme le idee, non aveva mai raccontato a nessuno quella storia e lui stesso non si era mai fermato a rifletterci seriamente.
-Era strano quello che avevamo, non parlavamo neanche, tutto iniziava e finiva con il sesso. Non abbiamo mai camminato insieme per i corridoi, non abbiamo mai mangiato insieme in mensa e non siamo mai usciti insieme fuori dalla scuola se non per studiare insieme- e alla parola studiare tracciò le virgolette in aria oltre a pronunciarla calcandola bene.
-In realtà non saprei neanche dirti quando mi sono innamorato di lui, non so neanche se è davvero amore ad essere sinceri. Non so se lo ammiravo da prima o se durante i nostri incontri qualcosa è cambiato per me. Il punto è che per lui sono sempre rimasto solo un giocattolo e lui lo sapeva, lo sapeva benissimo, che mi piaceva, ma ci rideva sopra. Sopportavo perché ero diventato quasi dipendente da lui e perché comunque ero così illuso da credere ancora che l’avrei fatto innamorare di me.
Fece una nuova pausa, Francis nel frattempo aveva finito di sbucciare tutte le patate e ora le stava tagliando sistemandole nella teglia.
-Poi la scuola è finita e ho cercato di allontanarmi e dimenticarlo, ma continua ad avere una brutta influenza su di me, hai visto come ho reagito quando credevo che fosse lui, no? Viene nella mia stessa università, ma studia scienze politiche, quindi non abbiamo materie in comune, lo vedo di rado e ho scoperto due anni fa che ora sta in una relazione con Ivan, un russo che sembra quasi più psicopatico di lui. Ovviamente si tradiscono a vicenda, ma il punto è che con lui ha deciso di iniziarla questa relazione, mentre a me ha sempre rifiutato.
-All’università ti cerca? Parlate?- Francis aveva quasi un tono duro mentre continuava a dargli le spalle e a concentrarsi nel suo lavoro.
-Io cerco di ignorarlo e di evitarlo, ma quando mi incrocia nei corridoi cerca sempre di attaccare bottone o di convincermi a fare come ai vecchi tempi. Più di una volta il suo ragazzo mi ha minacciato di farmi male se mi avesse visto di nuovo parlare con lui, inutile spiegargli che io non c’entravo nulla con quella storia. Ogni volta che può Alfred viene a importunarmi, perché è ben consapevole dell’effetto che ha su di me e sono tipo… uno dei suoi divertimenti giornalieri.
Francis rimase in silenzio mentre finiva di sistemare le ultime cose e poi infornava la teglia.
Si pulì le mani con uno strofinaccio e alla fine si girò a fissarlo, lo sguardo serio puntato nei suoi occhi verdi –Voglio essere chiaro, Arthur- il diretto interessato annuì lentamente aspettando il continuo –nonostante abbiamo una relazione basata solo sul sesso, non ho mai neanche solo pensato di trattarti come un giocattolo.
-Lo so- aveva un groppo in gola mentre rispondeva di getto, sapeva benissimo che non stava mentendo perché l’aveva vissuto direttamente sulla sua pelle quella differenza, ed era così evidente da non poterla ignorare.
Francis sorrise guardandolo –Mi sei mancato.
Arthur rise quasi istericamente per nascondere l’imbarazzo, poi chiese –Io o lui?- indicando all’altezza del suo inguine.
Francis rise a sua volta –Lui, ovviamente.
Arthur si alzò e gli si avvicinò –Comunque ci ho pensato, se ci tieni così tanto posso farti da modello per la tesi.
Il francese strabuzzò gli  occhi, poi gli si gettò addosso abbracciandolo, per pochissimo entrambi non rotolarono a terra.
-Grazie, grazie!- era così felice da quella notizia che gli stampò un bacio a stampo senza pensarci due volte.
-Si bè- Arthur si grattò la nuca imbarazzato, rosso per il bacio inaspettato che aveva appena ricevuto –è il mio modo per scusarmi.
-E per ringraziarmi del cibo  no?
-Idiota- gli diede un pugno sul braccio facendolo staccare totalmente da lui, poi borbottò –Per quello avevo pensato di ringraziarti in un altro modo…
Francis sorrise malizioso.

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Capitolo 16
*** Antonio ***


16.Antonio

Antonio non era del tutto sicuro di come la sua vita avesse preso quella piega.
Sapeva di essere sempre stato un tipo impulsivo, che forse prendeva un po' troppo a cuore le cose e quindi non lasciava andare quasi nulla.
Ma sapeva anche di essersi comportato di merda con Romano quella sera.
Si, Romano l’aveva provocato urlandogli contro come suo solito, ma Antonio aveva risposto in modo cattivo e per di più lui in quella discussione non centrava nulla.
Era passata una settimana e mezza e Romano aveva smesso di rivolgergli la parola.
La casa era decisamente più tranquilla visto che l’italiano non parlava, e di conseguenza non imprecava, contro lui e Ludwig, l’unico a cui rivolgeva di tanto in tanto la parola era Arthur, ma solo per questioni davvero urgenti.
Stava quasi tutto il suo tempo fuori di casa, aveva anche smesso di cucinare, se lo faceva era solo per se stesso.
Solo a quel punto si resero conto che, per quanto Romano fosse sempre stato scorbutico con tutti e faceva come se li odiasse, in realtà aveva sempre dimostrato il proprio affetto con le piccole cose, ascoltandoli quando avevano problemi e cucinando quello che più desideravano senza chiedere nulla in cambio.
Era diventato quasi l’ombra di se stesso, a nulla valevano tutti i tentativi di Antonio per scusarsi con lui, non riusciva neanche a parlargli in generale.
O l’italiano faceva in modo di restare sempre in stanze con altre persone attorno o sgusciava via così veloce da fargli anche dubitare di averlo visto l’attimo prima.
Stava tornando a piedi dal ristorante dei suoi zii, li aveva aiutati per il pranzo perché si stava festeggiando un compleanno e avevano avuto bisogno di una mano.
Erano le cinque del pomeriggio e il cielo stava andando a scurirsi quando il cellulare nella sua tasca iniziò a vibrare.
Controllò il display e vide che era una chiamata da parte di Ludwig, corrugò la fronte e rispose –Ehy Lud, ho dimenticato qualcosa nella spesa di stamattina?
Fu la prima domanda che gli venne in mente, non riusciva a farsi venire nessun’altra motivazione per quella chiamata.
-Ve, Antonio ciao. Sono Feliciano.
Antonio si bloccò sorpreso solo un attimo, poi riprese a camminare –Feli, ciao, dimmi tutto.
-Ve… Ti disturbo? Vorrei parlarti.
-No, sto giusto tornando a casa, se siete all’appartamento con Ludwig puoi aspettarmi li.
-Mh…- Feliciano tentennò –Preferirei non parlare qui, nella stessa casa dove vive mio fratello, ti dispiace se ci vediamo in un bar? Ti mando l’indirizzo.
-Uhm… okay- Antonio era stranito per quella conversazione ma allo stesso tempo curioso.
-Perfetto, mi accompagna Lud mentre va all’università, non ci metterò molto, a dopo, ve…
Gli chiuse la chiamata e diversi secondi dopo gli arrivò un messaggio, sempre dal numero di telefono di Ludwig, con scritto la posizione del bar.
Controllando con google maps notò che era a quattro minuti a piedi da dove si trovava, Feliciano aveva scelto un posto molto vicino a dove abitava.
Arrivò senza problemi ed entrando dentro scelse un tavolino vicino alla finestra, poi ordinò una cioccolata calda e attese.
Fu qualche minuto dopo, mentre la sua ordinazione gli era stata appena portata, che vide la macchina di Ludwig fermarsi davanti l’ingresso, vide al suo interno Feliciano sporgersi verso il tedesco e baciarlo a stampo, con un grande sorriso in volto. Gli disse qualcosa e scese dalla macchina, salutandolo con la mano fino a quando non si fu allontanato.
Entrò nel bar e lo cercò con lo sguardo, quando lo individuò scostò la sedia che Antonio aveva di fronte e poggiò giubbotto e cappello che indossava.
Antonio lo vide guardare con interesse la cioccolata calda che lui aveva davanti per poi annunciare –Vado a prendermi qualcosa- e dirigersi al bancone, dopo gli diedero subito una fetta di torta.
Soddisfatto l’italiano andò a sedersi al suo posto e, solo dopo aver preso il primo boccone, porse la sua attenzione ad Antonio.
Fu Antonio il primo a prendere la parola mentre con poco interesse girava il cucchiaino in quel liquido scuro e denso.
-So che sei venuto poche volte in questa settimana e mezza, ma come sta Romano?
Feliciano aspettò di ingoiare il suo terzo morso prima di rispondere –Orgoglioso e testardo come al solito, però forse ha accettato davvero Ludwig.
Antonio abbozzò un sorriso non del tutto felice –Sono felice per voi.
Feliciano lo scrutò, poi mise da parte la torta e incrociò le mani sul tavolo –Dimmi una cosa Antonio.
Anche lo spagnolo lasciò andare il cucchiaino e si concentrò su di lui –Chiedi pure.
-Davvero, se non ci fosse stato Lud, ci avresti provato con me?
Antonio strabuzzò gli occhi, non si aspettava una domanda del genere, cioè, si aspettava una conversazione simile nel suo inconscio ma non pensava che ci sarebbero arrivati subito.
Antonio alzò le spalle sospirando –Non penso…
-Già- Feliciano sembrò soddisfatto della risposta, come se già la sapesse e voleva solo avere una conferma –Non sei stato molto carino a dirgli quelle cose.
-Lo so, me ne sono pentito l’istante dopo, sono giorni che cerco di scusarmi e di fargli capire che…- Antonio non era sicuro di quello che avrebbe voluto dire, era tutto così confuso nella sua mente.
-Che non vuoi lui solo perché ti ricordo io? Ve… Direi che è un buon punto di partenza.
Riprese a mangiare la torta per dargli il tempo di assimilare quelle cose.
-Il punto è- tornò a parlare dopo aver ingoiato i nuovi due bocconi –che lui è l’unico ad aver travisato le tue parole perché ha passato momenti del genere un sacco di volte, quindi era quasi normale che la storia si stesse ripetendo allo stesso modo.
-Dici?- Antonio non era quasi più sicuro di nulla.
-Ve… Ascolta- la voce di Feliciano sembrava esasperata, come se non riuscisse a far capire qualcosa di basilare a un bambino –Ludwig è una persona molto gelosa, ha per caso parlato con te minacciandoti qualcosa nei miei confronti o altro?
Antonio cercò di ricordare, corrugando la fronte e stringendo gli occhi verdi –Mhm, non che io ricordi, anzi, mi parla normalmente e tutto.
Feliciano sorrise –Appunto. Non è geloso di te perche sa, ve… Non hai ancora capito che noi abbiamo visto come guardi Romano, solo uno stupido non se ne accorgerebbe.
Antonio arrossì e mentre stringeva la tazza tra le mani e abbassava lo sguardo sussurrò –Non so di cosa tu stia parlando.
-Oh no, già c’è mio fratello che rifiuta tutto quello che prova, non puoi essere anche tu così, o qui non andiamo avanti!- e dicendo quella frase Feliciano aveva messo su un broncio al quale era impossibile dire di no.
Antonio si imbarazzò ancora di più e per non rispondere si portò la tazza alle labbra per prendere lunghi sorsi di quella bevanda che ormai era diventata tiepida.
-Volevo dirti anche un’altra cosa- continuò Feliciano dopo aver finito la sua torta.
Antonio gli fece cenno di continuare.
-Volevo spiegarti anche l’argomento che Romano ha uscito l’altra sera, è una parte importante della mia vita e non ne avevo mai parlato con nessuno, neanche con Ludwig, ma dopo che Romano l’ha tirato in ballo gli ho spiegato tutto. È privata come cosa, ma vorrei raccontartela nonostante ti conosca così poco perché spero che così potrai comprendere meglio Romano e smetterla di fermarti alle apparenze.
Antonio si sentì quasi accusato da quella frase, ma sapeva di meritarsi tutto quanto, posò la tazza quasi vuota e si concentrò su quel viso che si era fatto malinconico.
-Non so se lo sai- iniziò Feliciano –Ma i nostri genitori ci hanno abbandonati quando eravamo piccoli e siamo cresciuti con nostro nonno, è morto dopo che Romano ha fatto 18 anni e siamo rimasti completamente soli. Ho sempre avuto il terrore dell’abbandono e avevo 16 anni quando è successo tutto questo. Ma Romano non si è mai arreso, è riuscito a gestire i soldi del nonno per farci andare avanti, è riuscito ad avere la mia tutela ed è riuscito a mandare avanti la famiglia, nonostante fossimo rimasti solo in due. Ve… È il mio eroe…
Finì quella frase in un sussurro e si perse nei ricordi, poi riprese portando lo sguardo sul vetro della finestra dove potevano vedere il loro riflesso visto che fuori era sceso il buio.
-In quel periodo avevo così tanta paura di essere abbandonato anche da lui e di rimanere così solo che non facevo altro che circondarmi di persone. Mi sono innamorato, lui fu il mio primo vero amore. Era tedesco anche lui, per questo Romano odia così tanto Ludwig. Lui… era tutto per me, ed è morto.
Antonio strabuzzò gli occhi, non aveva capito bene tutta quella storia, ma credeva che quando Romano avesse detto “se n’è andato” pensava che l’avesse lasciato, non che fosse morto.
-M… Mi dispiace, Feli, io non sapevo…
Feliciano lo bloccò alzando piano una mano, infine finì il discorso –Mi sono lasciato completamente andare, non mangiavo, dormivo male, avevo perso la voglia di vivere, continuavo a pensare che tutte le persone che mi stavano intorno finivano per andarsene in un modo o nell’altro. Non riuscivo a sopportarlo. Sono arrivato a stare così male che stavo morendo, sono svenuto tra le braccia di Romano e mi sono ritrovato in ospedale quando mi sono svegliato tre giorni dopo. Quando ho visto il volto di Romano, distrutto dal dolore per quello che io gli avevo fatto mi sono ripromesso di vivere, per lui.
Feliciano sorrise asciugandosi una lacrima, riportò lo sguardo triste e dolce su Antonio –ora ho trovato anche altri motivi per vivere. Quello che voglio dirti semplicemente è che lui è… un angelo. Il mio angelo.
Antonio era colpito da quelle parole, gli entravano dentro scombussolandolo nel profondo.
-Non sto difendendo il suo comportamento, non dico che sia giusto- continuò Feliciano –Però è grazie a quel comportamento, a quel suo modo di fare se oggi siamo qui, vivi. E non posso più permettere che soffra, l’ho giurato dopo aver visto il suo volto distrutto sul capezzale di quel letto d’ospedale. Quindi Antonio, devi capire cosa vuoi davvero e devi capire che se accetti di continuare ad averci a che fare devi renderti conto di star maneggiando un qualcosa di così fragile da potersi spezzare al minimo sussulto.
-Lo proteggerò- quelle parole gli uscirono di getto nel modo più sincero possibile –Anche da me stesso se ce ne fosse il bisogno.
Feliciano sorrise –Ne sono felice- si alzò rimettendosi giubbotto e cappello –e se non mantieni la tua promessa, ricorda che so dove abiti.
Ad Antonio quella minaccia fece venire i brividi, molto simile a quando Romano aveva minacciato Ludwig se avesse fatto soffrire il fratello, ora capiva benissimo il tedesco quando aveva detto che quei due erano più simili di quanto volessero dare a vedere.
Feliciano tornò alla sua voce dolce, lo salutò e fece per uscire dal locale, poi tornò indietro e si ricordò di aggiungere –Oh e ricorda che a mio fratello piacciono tanto i dolci- gli fece un occhiolino e andò via.
Antonio si alzò a sua volta e andò alla cassa per pagare, mentre era in fila adocchiò i cioccolatini sfusi che vendevano in una cesta li vicino, ne prese uno e lo pagò insieme alle loro ordinazioni.
Quando uscì dal bar si girò il piccolo dolce rotondo rivestito dalla carta argentata.
Non era molto, ma si iniziava sempre dalle cose piccole, no?

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Capitolo 17
*** Arthur ***


17.Arthur

Quando Arthur andò ad aprire la porta di casa non si sorprese di trovare Francis, ormai era come se si fosse trasferito a casa loro per quanto stavano insieme. Una volta si era pure portato la macchina da cucire con la scusa “con tutto il silenzio che sta a casa non riesco a concentrarmi bene”.
Fu stranito invece nel trovarlo pieno di buste dal quale uscivano brandelli di stoffe.
-Francis?- domandò cercando spiegazioni mentre lo faceva entrare in casa.
-Ho abbozzato tutto quello che dovrei presentare alla tesi, vorrei che lo provassi, in modo da poter adattare le tue misure e poi sagomarli bene e aggiungere i ritocchi.
-Va bene, ma andiamo nella mia camera.
Mentre si dirigevano lungo il corridoio incontrarono Romano che usciva dalla sua camera, il ragazzo si limitò a lanciare un’occhiata a Francis per poi chiedere distrattamente –Ma ormai ti sei trasferito qui?
Non che gli interessasse davvero una risposta, visto che li aveva già superati per chiudersi in bagno.
E prima di chiudersi in stanza incontrarono anche Antonio, il ragazzo fu stupito nel vedere il suo amico e quasi offeso disse –Certo che potresti far almeno finta di venire qui per me e come minimo salutarmi.
Francis lasciò le buste che aveva in mano in grembo all’inglese senza neanche guardarlo e si avvicinò al suo amico con le braccia aperte.
Lo strinse in un abbraccio quasi morboso e baciandogli i capelli scherzò –Oh, mon amour, sai che amo solo te.
Arthur strinse tra le braccia le buste che teneva e distogliendo lo sguardo entrò nella sua camera di prepotenza.
Passarono ben sette secondi prima che Francis lo raggiungesse, non che l’inglese si fosse messo a contarli, assolutamente.
Francis si chiuse la porta a chiave alle spalle, poi guardò l’altro con un sorrisetto –Hai impegni o abbiamo tutta la giornata libera?
Arthur lanciò un’occhiata all’orologio digitale che faceva le 15.37 –Alle 18 ho una lezione in università.
Francis sembrò quasi deluso, gli si avvicinò spingendolo sopra il letto –Allora non possiamo perdere tempo.
Poggiando un ginocchio sul materasso si sporse verso di lui e afferrandogli il viso con entrambe le mani iniziò a baciarlo a fondo.
Arthur non si oppose, rispose con enfasi e cercò di primeggiare per poter comandare in quel bacio, fu una battaglia abbastanza ardua che finì quasi in un pareggio.
Quando si staccarono avevano entrambi l’affanno, i volti rimasero vicini tanto che Arthur sentiva solleticato il suo dai capelli lunghi del francese.
Quest’ultimo gli sorrise –Ciao.
Arthur arrossì, con un filo di voce rispose –Ciao…
Francis gli schioccò un altro bacio a stampo poi gli morse una guancia, infine andò a cercare il bordo della felpa che l’inglese indossava.
-Mh- mugugnò Arthur sentendo le mani dell’altro che vagavano sul suo ventre piatto –Non dovevi farmi provare i vestiti?
Francis gli baciò il mento –E per provarli devi spogliarti, ti sto solo aiutando.
-Idiota…- ma il suo borbottio si perse in un sospiro quando quelle mani che ormai lo conoscevano benissimo andarono a slacciargli i pantaloni.
 
Due ore dopo Francis era più che soddisfatto visto che aveva fatto provare tutte le bozze ad Arthur e si era reso conto che era davvero il modello perfetto per quella linea di abiti, si era scritto tutto quello che doveva aggiustare e cambiare e contava che in una settimana potesse anche riuscire a finire. Inoltre erano anche riusciti a ritagliarsi un po' di tempo per loro.
Arthur notò tutto questo semplicemente scrutando il suo viso, finì di infilarsi le scarpe e prese la tracolla con dentro già i libri –Quindi mi accompagni tu?
-Si certo- rispose Francis come se fosse una cosa normale, poi recuperò le sue buste e insieme uscirono dalla stanza.
Nel soggiorno incontrarono Romano, il ragazzo stava mangiando un pomodoro stravaccato sul divano, con i piedi sul tavolino di fronte e la tv accesa a un volume improponibile mentre proiettava un film comico.
-Ma sei diventato sordo?- domandò Arthur storcendo il naso mentre entrava nella stanza a recuperare la sua giacca.
Romano abbassò il volume semplicemente per rispondere –Appunto perché non sono diventato sordo stavo cercando di sopprimere i vostri rumori, ti ricordo Arthur che le pareti di questo appartamento sono molto sottili.
Arthur divenne così rosso che quasi si sentì la febbre addosso.
Poi scappò letteralmente via da quella casa senza riuscire a vedere gli sghignazzi divertiti di Romano.
Il tragitto in macchina fu abbastanza silenzioso, finché Francis non decise di abbassare il volume della musica e introdurre quell’argomento che gli girava in testa da tanto tempo.
-Che ne dici se scendo con te e ti accompagno fino all’aula?
Arthur si girò a guardarlo corrugando la fronte, non che gli dispiacesse, ma non capiva il punto della situazione –Perché?
Francis alzò le spalle –Hai detto che c’è quello stupido americano che ti pedina in università, potresti quindi farti vedere con me.
Arthur ci pensò su, in effetti magari se l’avesse visto con qualcun altro avrebbe potuto pensare che a lui di Alfred non gli importava più nulla e si sarebbe distaccato avendo perso il suo giocattolo.
-Non è una cattiva idea- concluse infine –Ma poi la gente potrebbe pensare che… stiamo insieme.
Francis rimase per diverso tempo in silenzio, riflettendo su quelle parole, infine sorrise divertito e alzò nuovamente le spalle –Bè, non devo farmi nessuno della tua università, e tu?
Arthur gli lanciò un’occhiataccia –Ma se già per colpa tua non ho mai il tempo di studiare, immagina gestirne un altro, figurati.
La risata divertita di Francis si diffuse nell’abitacolo e il volume della musica venne rialzato.
Quando scesero dalla macchina dopo aver posteggiato mancavano quindici minuti all’inizio della lezione e così decisero di prendersela con calma.
Stavano camminando uno di fianco all’altro quando Francis decise di allungare il braccio e poggiarlo sulle spalle del più basso.
Arthur arrossì e distolse lo sguardo –che diavolo fai- sussurrò tra i denti e gli diede anche una gomitata sul fianco che però venne incassata in silenzio senza che il braccio venisse tolto.
-Certo che ci sono un sacco di ragazzi belli qui- commento Francis distrattamente mentre Arthur gli mostrava le aree comuni e le varie aule studio.
Arthur sbuffò e rispose piccato –Come se anche tu non andassi all’università- fece presente.
-Ma a moda stanno solo donne.
Arthur lo guardò male –Non fare finta che ti dispiaccia.
Francis rise e gli lasciò un leggero bacio in guancia.
L’inglese alzò il braccio e indicò l’ultima porta a destra in fondo al corridoio, vicino a questa stavano dei ragazzi che parlavano tra di loro –Quella è l’aula dove avrò lezione- spiegò.
Francis annuì –Vuoi andare?
Arthur non rispose, il suo sguardo era stato distratto da altro, così si staccò dal suo abbraccio solo per mettersi di fronte, aggrapparsi alla sua camicia e avvicinarsi al suo viso per sussurrare –Alla tua sinistra, in mezzo a quel piccolo gruppetto di persone sta Alfred, lo vedi? È identico al fidanzato del tuo amico.
Francis neanche ci perse tempo a cercarlo con lo sguardo, non gliene poteva interessare di meno, semplicemente agì di conseguenza.
Immerse una mano in quei capelli biondissimi e notò solo per un secondo lo stupore in quegli occhi verdi prima di attirarlo a sé per baciarlo a fondo.
Arthur si lasciò trasportare, socchiudendo gli occhi e dimenticandosi del posto dove si trovava, si lasciò baciare dolcemente muovendo le labbra sulle sue, ma senza lottare per averne il dominio, gli piaceva anche in quel modo, nonostante non l’avrebbe mai ammesso, soprattutto a un francese.
Il bacio non si trasformò mai in qualcosa di troppo esplicito, perché nessuno dei due voleva di certo essere cacciato per aver dato spettacolo in un luogo pubblico.
-Ci vediamo dopo- gli sussurrò Francis a un centimetro dalle sue labbra quando si fu staccato.
Arthur annuì velocemente, il volto rossissimo.
Francis sorrise, gli schiocco un ultimo bacio e lo lasciò andare.
Arthur si girò di scatto e velocemente si avviò verso l’aula. Era così imbarazzato e tutti i suoi pensieri erano rivolti al francese che si scordò della presenza di Alfred e non lo notò, né lui né i suoi sguardi di fuoco, neanche quando gli passò accanto.
Quando arrivò alla porta si girò timidamente per lanciare un ultimo sguardo al francese che gli aveva dato le spalle e si stava dirigendo fuori, era una figura così bella e aggraziata che certe volte Arthur faceva fatica a credere che fosse vero.
Scosse la testa cercando di cancellare quei pensieri assurdi ed entrò in aula occupando un posto libero mentre aspettava l’arrivo del professore.

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Capitolo 18
*** Gilbert ***


18.Gilbert

Non appena Matthew gli aprì la porta sorrise in modo così spontaneo e dolce che Gilbert si chiese come avesse fatto a vivere fino a quel momento senza godersi quello spettacolo.
Entrò in casa senza che l’altro lo invitasse, così come aveva sempre fatto, mentre gli afferrava il volto con entrambe le mani e gli lasciava un lungo bacio a stampo sulle labbra.
-Ciao- lo salutò quando si fu staccato dalle labbra solo per salire e schioccargli un giocoso bacio sul naso rosso.
-Ciao…- sussurrò Matthw imbarazzato.
Erano già tre settimane che quella storia andava avanti e al minimo contatto fisico Matthew non faceva altro che arrossire e imbarazzarsi, ci volevano intere ore per sciogliersi e calmarsi un po', poi la volta successiva era di nuovo come prima.
Gilbert l’aveva quasi presa come una sfida personale.
-Allora?- domandò Gilbert mentre si toglieva il giubbotto pesante e si chiudeva la porta alle spalle –Cosa dovevi mostrarmi?
Gli occhi del canadese brillarono dietro le lenti dei suoi occhiali, quasi saltò sul posto felice ed eccitato e prendendolo per mano lo trascinò velocemente in soggiorno, era addirittura arrivato a correre quasi saltellando.
Con la mano libera gli indicò la tv accesa sulla pagina di “start” di un gioco che Gilbert non ricordava di aver mai visto.
Prima che potesse fare domande Matthew spiegò, era troppo esaltato e le parole gli uscivano come una marea in piena.
-Ne ho progettato uno nuovo, questo è solo il demo, si devono sistemare ancora un sacco di cose prima che possa andare nel mercato, ma… ti va di provarlo?
E Gilbert, che non diceva mai no ai videogames, neanche ci pensò di rispondere negativamente a quella domanda.
Ma soprattutto, come avrebbe potuto dire no quando il più basso lo fissava con quella speranza negli occhi e il labbro trattenuto tra i denti?
-Il mio piccolo genio- sussurrò stringendoselo contro e lasciandogli un bacio tra i capelli –Ovvio che voglio provarlo.
Matthew sorrise ancora di più e lo portò a sedersi sul divano accanto a lui.
Per un attimo Gilbert si oscurò pensando alla sua vita, Matthew realizzava giochi da un giorno all’altro mentre lui si limitava a fare provini e audizioni… e se stesse sbagliando tutto?
Scosse la testa per mandare via quei pensieri dalla mente quando l’altro gli mise in grembo il joystick, sempre quello rosso, ormai era come se appartenesse a lui, gli piaceva questa cosa, gli piaceva quella sensazione di possesso, da sempre.
Matthew fece partire il gioco e per i primi dieci minuti gli spiegò i comandi di base e la trama in generale, cose che poi nel gioco completo e finito spunteranno direttamente nello schermo e spiegheranno passo passo al giocatore cosa deve fare.
Non giocarono molto, passò solo un’ora e mezza prima che Matthew decise di staccare, alla fine era solo la prima bozza iniziale e non c’era molto da fare.
Il canadese si alzò per posare entrambi i joystick e nel frattempo iniziò a parlare –Allora? Che ne pensi? So che ancora non fa molto, ma la trama dovrebbe essere del tutto completa, la grafica mi piace però penso che i colori potrebbero essere un po' più scuriti nelle scene di battaglia, tu che ne pensi? E poi anche per le musiche, non so se…
Gilbert bloccò quel fiume in piena di parole abbracciandolo da dietro e poggiando le labbra contro il lembo di pelle sotto il suo orecchio.
-Matt, è perfetto. Ovviamente hai delle cose da aggiustare, ma lo sai benissimo e, fidati, andrà a ruba. È davvero interessante.
Matthew si girò tra le sue braccia, poggiando i palmi contro il suo petto –Dici sul serio?
Gilbert alzò un sopracciglio –Non ti fidi del fan numero uno del tuo primo gioco?
Matthew rise –Mi fido, mi fido.
-Bene- lo alzò di peso e se lo mise in spalla, come un sacco di patate –Ora andiamo.
Il canadese fece un urlò sorpreso e con voce isterica chiese –Dove stai andando?
Gilbert non disse nulla, la risposta era abbastanza evidente e Matthew la capì subito non appena l’altro entrò nella sua camera da letto e lo mise giù facendolo sedere nel bordo del suo grande letto.
-Ti voglio- spiegò Gilbert togliendogli la maglia, poi lo spinse delicatamente facendolo stendere sul letto –Non ti va?
-Mi va…- fu una risposta detta con un tono di voce così basso che fu sentita a stento.
Con quel lasciapassare Gilbert iniziò a dedicarsi al suo corpo, iniziando a lasciare baci sul collo per poi scendere sul petto, passava dai semplici baci a stento a quelli più profondi nei quali leccava e succhiava quella pelle candida.
Matthew aveva un braccio che gli copriva gli occhi mentre le labbra venivano morse quasi a sangue pur di non parlare, troppo imbarazzato per quello che sarebbe potuto uscire da esse, quando a un certo punto iniziò a suonare il cellulare del canadese.
-Non rispondere- sussurrò Gilbert con le labbra che gli accarezzavano il fianco.
-Nhm…- fu un mugolio incomprensibile la sua risposta ed entrambi lasciarono il telefono squillare a vuoto fino a quando non smise.
Il petto di Matthew si muoveva velocemente per colpa della sua respirazione quasi impazzita, Gilbert gli lasciò un bacio umido in quella porzione di pelle sotto l’ombelico, poi si dedica ai pantaloni della tuta, tirandoli giù in un colpo solo.
Sentì un singulto e bloccò le mani del canadese che, sapeva benissimo, stavano correndo a coprirsi per l’imbarazzo, come aveva sempre fatto.
-Cosa abbiamo detto, Matt?- Gilbert lo guardava severo mentre gli teneva fermo i polsi ai lati della testa.
Matthew si morde il labbro e girò la testa imbarazzato –Scusa… mi viene spontaneo.
Gilbert sospirò, poi baciò la pelle del collo che l’altro aveva lasciato scoperta e alla sua mercé, ma vennero di nuovo interrotti dal cellulare di Matthew che riprese a squillare.
Gilbert sospirò di nuovo abbandonando la testa nell’incavo tra la spalla e il collo dell’altro, Matthew invece borbottò –Dovrei rispondere, se insistono tanto sarà importante… magari è per il nuovo progetto.
Gilbert si limitò ad annuire non staccandosi dalla sua posizione e l’altro si sporse per quel poco che può arrivando al cellulare che si trovava nel comodino li accanto.
-Pronto?- borbottò portandosi il cellulare nell’orecchio che si trovava nella parte del viso libera.
Il tedesco riuscì a sentire la conversazione da entrambi i lati perché la persona dall’altro lato parlava con una voce super alta e squillante.
-Fratellino! Domenica c’è la mia super festa, l’evento dell’anno! Ovviamente ti aspetto.
Matthew rimase in silenzio, Gilbert sentì che aveva anche smesso di respirare, non si aspettava per niente una telefonata del genere.
-A…Alfred?- domandò insicuro in un balbettio.
Il fratello rise così sguaiatamente che a Gilbert diede parecchio fastidio nonostante non fosse direttamente in contatto con l’apparecchio elettronico, quando finì di ridere rispose divertito –Chi altro dovrebbe chiamarti? Non fare quella voce stupita.
Gilbert strinse i pugni, come si permetteva quell’idiota di insultarlo così apertamente attraverso frecciatine non troppo velate.
-I… Io… Bè…
Alfred non lo lasciò finire, come se non gli importasse la sua risposta, e molto probabilmente era esattamente così.
-Non mancare! Più gente c’è e più verrà raccontata, ogni anno deve essere sempre più in grande! Domenica alle 22, a casa mia!
E detto questo gli chiuse il telefono in faccia.
Matthew rimase senza parole a fissare il soffitto, il telefono che lentamente scivolava e finiva contro il materasso.
-Matt, tutto okay?- domandò Gilbert preoccupato mentre gli accarezzava la testa.
-Non lo sentivo da mesi- rispose semplicemente, forse cercando di capire ancora quello che era successo nell’arco di pochi secondi.
Infime si girò verso di lui e quasi rassegnato rispose –Tanto non ci andrò- poi cercò di baciarlo prendendo l’iniziativa per chiudere li il discorso.
Gilbert si fece indietro e lo fissò corrugando la fronte –Secondo me dovremo andarci invece.
Matthew strabuzzò gli occhi –Dovremo? Anche tu?
-Certo. Ma non l’hai sentito come ti ha insultato al telefono? Potresti anche esserci abituato tu, ma non è normale e se permetti a me da molto fastidio essendo il tuo ragazzo, quindi noi andremo li e gli faremo rimangiare tutto quello che ho detto in questi anni e che continua a pensare.
Matthew sembrava essere rimasto senza parole, il volto rossissimo, aprì la bocca per parlare tre volte ma non un filo di voce uscì da questa.
Solo dopo diversi secondi riuscì a chiedere pianissimo –Hai detto… ragazzo?
Gilbert era confuso, si aspettava di tutto, ma non quello.
-Per te non stiamo insieme?- corrugò ancora di più la fronte –Non credevo che facessi questo- e indicò il suo corpo nudo –Con persone a caso.
-No, no- si affrettò a bloccarlo Matthew con le mani davanti al viso –Per me ci sei solo tu- pigolò poi –Pensavo però… che uno come te… si, insomma… non credevo che volessi una… relazione seria.
-Matt- gli scostò le mani dal viso accarezzandogli piano le guancie rosse –Te l’ho già detto. Mi piaci. Mi piaci così tanto che per me era scontato iniziare una relazione seria con te, non voglio vedere altre persone, non mi interessa…
-Uhm…- Matthew si nascose contro il suo petto facendosi abbracciare –Non voglio che incontri mio fratello…
Gilbert rise stringendoselo più contro –Stai tranquillo, non sono come le altre persone.
Poi il suo sorriso si tramutò in un sorrisetto malizioso mentre faceva scendere le mani fino al fondoschiena e con una di esse stringeva la carne soda dei glutei –Riprendiamo da dove eravamo stati interrotti?

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Capitolo 19
*** Antonio ***


19.Antonio

Erano tre settimane che ormai Romano si rifiutava di parlare con lui.
Così, quando proprio il ragazzo in questione gli si mise davanti con le braccia incrociate e uno sguardo annoiato, Antonio non ci fece subito caso.
Lo spagnolo era seduto sul divano, sotto una coperta di plaid, tutto concentrato sul suo cellulare.
Non c’era molta luce nella stanza nonostante fosse mattina, perché fuori era nuvoloso e sicuramente a breve avrebbe piovuto.
Era nella chat con sua zia e si stavano organizzando, perché i suoi parenti avevano bisogno di una mano con un catering che avrebbero avuto quel fine settimana e gli servivano più persone.
Era così concentrato a scrivere un messaggio di risposta che proprio non si accorse dell’altro fino a quando questo, impaziente, fece un colpo di tosse per attirare la sua attenzione.
Quando Antonio alzò lo sguardo gli cadde anche il telefono dalle mani mentre strabuzzava gli occhi e chiedeva incerto –Romano?
Romano strinse di più sia le braccia tra di loro che le labbra creando una linea sottile, distogliendo lo sguardo disse –Dov’è il mio cioccolatino?
Antonio non poté fare a meno di sorridere, quindi quel piano per scusarsi che portava avanti ormai da diversi giorni era andato a buon fine.
Da quando aveva parlato con Feliciano in quel bar e aveva comprato quel cioccolatino aveva deciso di farlo ogni giorno, ne comprava sempre uno diverso dal precedente e lo lasciava davanti la porta dell’italiano o in posti dove sarebbe andato solo lui.
Non era sicuro che Romano li ricevesse davvero, visto che non gli parlava e non gli diceva nulla, ma Antonio aveva continuato a farlo.
Corrugò la fronte e inclinò la testa di lato –Che dici? Te l’ho messo davanti la porta come ogni giorno.
Romano arrossì un po', forse rendendosi conto della conversazione che aveva iniziato senza neanche pensarci.
-Io ti dico che non c’era. Non sono così stupido da non vederlo.
-Romano non è possibile, davvero io…
Vennero interrotti dalla voce di Arthur che chiamava a gran voce Antonio, il biondo spuntò davanti la porta chiuso dentro il suo accappatoio, aveva appena finito di fare la doccia.
-Oh bene ci siete entrambi- disse annuendo quasi a sé stesso, poi si rivolse ad Antonio –Volevo solo dirti che il tuo migliore amico è un cretino e stamattina, mentre andava via, ha pestato il cioccolatino che metti sempre davanti la sua porta- a quel punto si diresse nella sua stanza borbottando imprecazioni contro la popolazione francese e qualcosa sul fatto che aveva anche dovuto pulire tutto lui.
Antonio tornò a guardare Romano con un sorriso di scuse –Mi dispiace, domani te ne compro due.
Romano fece un gesto scazzato con la mano –Non importa, non mi interessa.
Fece per andarsene ma Antonio agì di scatto, non poteva sprecare quell’opportunità.
Si alzò così in fretta che per poco non inciampò nella coperta che era ormai caduta ai suoi piedi e lo bloccò trattenendolo per un braccio.
-Lasciami- la voce di Romano era bassa, lo sguardo che si posava su qualsiasi cosa tranne la sua figura.
-Non tornare a non parlarmi, ti prego, mi dispiace per quello che ti ho detto, mi sono sentito un mostro l’attimo dopo aver concluso quelle frasi.
-Sei uno stronzo- sibilò Romano con un groppo in gola mentre cercava di farsi lasciare il braccio.
E Antonio capì che non avrebbe concluso nulla a parole, doveva dimostrargli quello che voleva dire, come aveva fatto con i cioccolatini.
Con la mano libera gli afferrò il retro del collo e lo spinse contro di lui, baciandolo.
Romano rimase immobile per i primi secondi, quando capì quello che stava succedendo gli morse il labbro, lo spintonò e gli diede uno schiaffo fortissimo.
-IO NON SONO FELICIANO!- urlò in preda alle lacrime.
Antonio aveva fatto un passo indietro tenendosi con la mano la guancia che pulsava e il labbro ferito dal quale stava gocciolando un po' di sangue.
-Lo so- sussurrò cercando il suo sguardo –Lo so benissimo, Romano. L’ho sempre saputo. E a me piaci tu.
-Bastardo- le lacrime sul suo viso ormai correvano libere, si era avvicinato e aveva iniziato a prenderlo a pugni sul petto –Sei solo un bastardo.
Antonio alzò una mano e gli accarezzò quei morbidissimi capelli scuri cercando di stare attento al ciuffo, incassava tutti i colpi che l’altro continuava a dargli, perché sapeva di meritarseli e sapeva che doveva farlo liberare da tutto quello che si teneva dentro da giorni.
-Sei perfetto così come sei, non devi essere Feliciano, devi essere Romano. Non ascoltare mai nessuno quando ti dice che devi cambiare, neanche me, non farlo mai.
I suoi pugni divennero sempre più deboli, fino a quando le sue mani non si limitarono ad aggrapparsi alla sua maglia, in cerca di un appiglio.
-Ti odio- i singhiozzi gli perforavano il petto, le parole uscivano a stento –Ti odio così tanto.
Vedendolo in quelle condizioni le parole di Feliciano gli invasero la mente “devi renderti conto di star maneggiando un qualcosa di così fragile da potersi spezzare al minimo sussulto”, sentì lo stomaco stringersi, lo attirò a sé stringendoselo prepotentemente tra le braccia.
Doveva proteggerlo, l’aveva promesso.
Doveva proteggerlo anche da se stesso e dalle sue parole.
-Perdonami- sussurrò contro i suoi capelli –Perdonami, ti prego.
Romano alzò lo sguardo lucido, lo scrutò a fondo con quei suoi occhi scuri e profondi, poi alzò una mano e gli asciugò con il pollice le gocce di sangue sul labbro, non si scusò per averlo morso, non disse neanche una parola, semplicemente si sporse in avanti e lo baciò.
Lo baciò con foga, mugugnando quando si spinse e si strusciò contro il suo corpo.
Antonio non pensò neanche di staccarsi, non ebbe neanche il tempo di rimanere stupito, lo strinse di più a sé e affondo con la lingua in quelle labbra schiuse.
In preda alla foga non si rese conto di aver artigliato il ciuffo con la mano che teneva ancora tra i suoi capelli fino a quando non sentì Romano gemere e boccheggiare direttamente sulla sua bocca, tanta fu la sorpresa che lo sentì barcollare e sarebbe anche caduto a terra se Antonio non lo stesse ancora stringendo tra le braccia.
-Giochi sporco- disse senza fiato l’italiano.
Antonio sorrise imbarazzato per scusarsi e Romano lo spinse contro il divano facendolo sedere e mettendosi a sua volta a cavalcioni sopra di lui.
Con foga andò ad aprirgli i pantaloni sussurrando –Ora ti prendi le conseguenze delle tue azioni- con un tono che doveva sembrare cattivo, ma che non fece altro che eccitare ancora di più lo spagnolo.
Romano infilò una mano dentro i suoi boxer senza farsi pregare e afferrò la sua erezione, mosse la mano ma si bloccò quasi subito.
Antonio sbatté le palpebre confuso, il piacere che gli stava offuscando la mente –Che c’è? Perché ti sei fermato?
Romano si alzò in fretta da quella posizione, ad Antonio veniva da piangere se pensava che lo stava abbandonando in quelle condizioni, con i pantaloni aperti e i boxer abbassati.
-Non voglio farlo dove l’hanno fatto mio fratello con quel crucco mangia patate.
La sua faccia era schifata al solo pensiero mentre si avviava per uscire dalla stanza.
Antonio rimase immobile a guardarlo, si riscosse solo quando l’altro tornò indietro e lo fissò esasperato –Vieni o no?
Fu così che si ritrovarono nudi nel letto di Romano.
Si toccavano, si rincorrevano con le mani e con la bocca, non riuscivano a staccarsi dal corpo dell’altro per troppo tempo.
Era una cosa che avevano desiderato per così tanto tempo dopo essere stati interrotti tre settimane prima che fu quasi una liberazione.
Quando Antonio entrò finalmente in lui una lacrima scese sulla guancia dell’italiano, dove stavano ancora le altre lacrime secche.
Antonio si bloccò sia per farlo abituare a quell’intrusione sia perché era preoccupato.
Gli asciugò la guancia con le mani –Scusami, farò piano, non piangere… hai degli occhi troppo belli e non voglio più vederli pieni di lacrime.
-Bastardo- mormorò Romano distogliendo lo sguardo mentre arrossiva –Che vai a blaterare? Non ti sei accorto che proprio quelli sono diversi da Feliciano?
Antonio sospirò –Te lo ripeterò tutte le volte che vorrai, fino a quando non ti entra in quella testa di legno che ti ritrovi. Non voglio Feliciano, smettila di pensare a lui, voglio te, non sto immaginando nessun’altro mentre lo faccio con te. Ci sei tu e basta. Solo tu.
Romano non rispose, come avrebbe dovuto rispondere?
Antonio iniziò a muoversi lentamente dentro il suo corpo –Sei bellissimo, cazzo.
E Romano nascose il viso nella sua spalla, troppo rosso per rispondere o per farsi vedere in volto, lo strinse a sé quasi convulsamente, mentre intrecciava le gambe dietro la sua schiena e se lo spingeva contro più in fondo, aiutandolo nel ritmo.
I cuori battevano impazziti all’unisono e Romano si lasciò andare come mai aveva fatto con nessuno.
Sporchi e sudati rimasero sdraiati in quel letto, in completo silenzio per un tempo infinito, Antonio che lo coccolava e Romano che si limitava a fissarlo.
Lo spagnolo avrebbe pagato qualsiasi cifra per capire cosa diavolo passava nella testa di quel ragazzino testardo.
Quel momento idilliaco fu poi interrotto da Arthur che bussò forte alla porta della stanza e senza entrare urlò da dietro questa –Romano! Ora che avete finalmente fatto pace e dovresti essere più felice visto che hai scopato e sembravi abbastanza soddisfatto data la voce, non è che torneresti a preparare il pranzo che il mio stomaco si rifiuta di mangiare altro cibo d’asporto o cose che preparo io? Ti ringrazio.
E dai passi che sentirono si allontanò senza aspettare una risposta.
Antonio non poté fare a meno di ridere quando vide Romano diventare completamente rosso, nascondere la testa sotto il cuscino e borbottare che non sarebbe uscito mai più da quella stanza.

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Capitolo 20
*** Arthur ***


20.Arthur

Arthur sorrise mentre, entrando in bagno, leggeva il messaggio di Francis che gli era appena arrivato.
“Sono qui fuori, solito posto”.
Era semplice e conciso come messaggio, ma nonostante volesse sembrare freddo e distaccato Arthur non poteva fare a meno di sorridere perché non gli aveva mai chiesto di passarlo a prendere, era una cosa che Francis aveva iniziato a fare spontaneamente.
“Arrivo subito” rispose per poi posare il telefono in tasca e slacciarsi i pantaloni mentre entrava in un cubicolo del bagno e faceva la pipì che tratteneva da tre ore di lezione senza alcuna pausa.
Uscendo dal bagno si avvicinò al lavandino e fece partire il rubinetto, aveva appena messo le mani sotto l’acqua ghiacciata quando sentì la porta dell’area comune aprirsi.
Lanciò una veloce occhiata allo specchio di fronte a sé e si bloccò di scatto quando vide chi era appena entrato.
Alfred sorrise divertito, era un sorriso cattivo, di quelli che solo poche persone avevano mai visto sulla sua faccia.
-Arthur, Arthur- cantilenò l’americano avvicinandosi –Credi che possa farmi qualche effetto il piano che hai escogitato?
-Non so di cosa tu stia parlando- ribatté il diretto interessato restando immobile al suo posto, aveva stretto le mani così forte contro il lavandino in marmo che gli erano diventate le nocche bianche.
Con forza Alfred lo afferrò per una spalla e lo fece sbattere contro il muro alle sue spalle, fu così violento che per un secondo Arthur vide tutto nero.
Alfred non lasciò la presa sulla spalla e non aveva nessuna intenzione di spostarsi, l’aveva bloccato contro il muro senza lasciargli alcuna via di fuga.
-Mi fai male- biascicò l’inglese mentre cercava di liberarsi.
Alfred strinse ancora di più la mano e sorridendo si avvicinò al suo volto, per parlare direttamente nel suo orecchio.
-È inutile che fai finta di lamentarti, ti piaceva il dolore quando lo facevamo, non ti manco più?
Gli morse il collo con prepotenza e gli chiuse la bocca con la mano libera per evitare che urlasse.
-Quindi- cantilenò leccandogli la pelle lesa –Pensi davvero di riuscire a farmi ingelosire baciandoti con il primo che passa davanti a me? Non me ne può fregare di meno, sai benissimo che non ti amerò mai. E sai benissimo che puoi provarci quanto vuoi ma il mio ricordo ti resterà indelebile nella mente.
-Lasciami- Arthur aveva gli occhi lucidi.
Alfred rise –Domenica c’è la mia super festa, ti aspetto, troverò un po' di tempo anche per te, non preoccuparti.
Arthur trovò la forza di spingerlo via e liberarsi, tornò alla giusta distanza di sicurezza e lo fissò con occhi vacui, ma riuscì a mantenere la voce ferma mentre parlava.
-Punto primo: non mi è mai piaciuto il dolore. Lo odiavo. Ero solo troppo preso da te per lasciarti fare di tutto. Punto secondo: non me ne frega più nulla di te, devi starmi lontano. E punto terzo: lui non è il primo che passa.
Afferrò il suo zaino e velocemente scappò via da li, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle sentì la risata dI Alfred e la sua ultima frase –Ne riparliamo domenica.
Confuso e scombussolato si avviò come un automa fuori dall’università e poi dentro la macchina di Francis borbottando un saluto senza neanche guardarlo, troppo perso nei suoi pensieri.
Francis lo scrutò in silenzio, poi chiese –Che è successo?
-Mh?
Francis sospirò, poi gli afferrò delicatamente il mento con una mano e lo costringe a girare il volto scrutandolo con quegli occhi azzurri.
-Arthur, che hai?
Arthur schiuse leggermente le labbra e sembrò metterlo a fuoco solo in quel momento, si sentiva ancora gli occhi lucidi di un pianto che non era stato rilasciato e non aveva nessuna intenzione di farlo.
Non rispose, non sapeva neanche che dirgli, da dove iniziare.
Francis lo scrutò ancora più a fondo, poi sembrò accorgersi di qualcosa in particolare, perché strinse le labbra e distolse lo sguardo.
Lo lasciò andare e tornò a fissare davanti a sé, tamburellando inquieto le dita sul volante, nonostante non avesse ancora messo a moto.
-Se sei preoccupato perché ti sei fatto un altro puoi stare tranquillo- sembrava che quelle parole gli uscissero a forza dalla bocca, come se volesse dire tutt’altro ma non poteva –non abbiamo di certo una relazione esclusiva, l’abbiamo sempre detto.
Arthur lo fissò confuso –Che diavolo stai dicendo, stupido idiota? Non sono stato con ness…
Francis non gli fece concludere la frase –Quel succhiotto che hai nel collo non te l’ho fatto io. Me lo ricorderei.
Arthur chiuse la bocca di scatto e portò una mano tremante a toccarsi il punto leso, gli faceva schifo.
Poi le parole gli uscirono di getto, con un tono di voce basso e quasi tranquillo, come se stesse raccontando un qualcosa che non avesse vissuto in prima persona solo pochi attimi prima.
-Alfred mi ha seguito in bagno. Mi ha sbattuto contro il muro. Con una mano mi ha chiuso la bocca per non farmi urlare e mi ha morso, perché è quello che fa quando ha paura di perdere qualcosa di suo, marchia il territorio. Mi ha detto che è inutile che cerco di farlo ingelosire, tanto non mi amerà mai. Ha anche detto che sa benissimo che io non riuscirò mai a dimenticarlo e che domenica mi aspetta alla sua festa.
Scese il silenzio, Francis non aveva intenzione di dire nulla, aveva stretto le mani contro il volante e le labbra in una linea sottile, ma non una sillaba uscì da esse.
Arthur si stava torturando le mani, lo sguardo fisso in un punto indefinito, dopo qualche minuto riprese a parlare, questa volta era un discorso rivolto più a se stesso.
-Non è vero- sussurrò –Non è vero che sarà sempre nei miei pensieri, non mi interessa più. Lo odio. Non provo più nulla per lui. Voglio solo… che sparisca dalla mia vita. Che smetta di importunarmi.
Si portò una mano a coprire il viso e rilasciò un sospiro tremolante.
Solo a quel punto Francis sembrò riprendersi e accese la macchina, in silenzio poi si mise in strada e guidò fino a casa dell’inglese.
Accostò di fronte il cancello del condominio e fece capire ad Arthur di scendere.
Questo lo guardò confuso e domandò –Non scendi?
-È mercoledì, devo uscire con Gilbert e Antonio.
Arthur corrugò di più la fronte –Lo so, ma fra due ore, eravamo rimasti che restavi da me intanto, o sbaglio?
Francis alzò le spalle quasi impassibile –Devo parlare con Gilbert.
Arthur cercò di non mostrare la delusione nel suo volto e nella sua voce mentre rispondeva –Va bene, grazie per il passaggio.
E scendeva dall’auto senza salutare e senza ricevere il saluto da parte dell’altro.
Quando aprì la porta di casa sentì la tv del soggiorno accesa ma messa a un volume bassissimo, si diresse verso questa stanza per togliersi il giubbotto e appenderlo all’attaccapanni.
Trovò Antonio e Romano in quella stanza, erano entrambi davanti la tv, Romano dormiva sdraiato sul divano con la testa poggiata sulle gambe dello spagnolo, quest’ultimo era tutto concentrato sul ragazzo e con una mano gli stava accarezzando lentamente la testa portandogli i capelli all’indietro.
Quando sentì Arthur entrare nella stanza alzò lo sguardo e gli sorrise, poi lo salutò parlando con un tono basso per non svegliare il ragazzo che gli dormiva addosso.
-Ciao, non c’è Francis?- domandò confuso cercando l’amico dietro la sua figura.
Arthur alzò le spalle –Ha detto di dover parlare con Gilbert ed è andato via. Posso usare il bagno? Ho bisogno di farmi una doccia.
-Fai pure- rispose Antonio mentre il biondo si stava già dirigendo lungo il corridoio.
Si chiuse in bagno iniziando a spogliarsi e buttando tutti i vestiti a terra, in un angolo, poi entrò dentro il box della doccia senza lanciare neanche un’occhiata allo specchio di fronte al lavandino.
Si fece una lunghissima doccia calda e uscì solo quando si rese conto che avrebbero dovuto pagare una bolletta dell’acqua davvero alta se fosse rimasto li sotto per un altro po'.
Si avvolse nel suo accappatoio bianco e si mise davanti lo specchio, con la manica in cotone si allungò e pulì il vetro appannato, poi fissò il suo riflesso.
La rabbia lo invase non appena contemplò quel segno rosso che spiccava sul suo collo, lo odiava. Così come odiava chi glielo aveva fatto.
Non era più sicuro di quando il suo sentimento verso di lui si era trasformato in puro odio, ma sapeva di non voler avere più niente a che fare con lui. Non voleva più niente di suo.
Iniziò a sfregarsi il collo, come a voler cancellare quel segno, come se fosse così semplice.
Si bloccò e tornò in sé solo quando sentì qualcuno bussare alla porta e la voce di Romano impastata dal sonno domandare quanto diavolo avesse intenzione di stare li dentro, perché in caso andava a fare pipì fuori dal balcone.
Arthur aprì la porta e uscì dalla piccola stanza in accappatoio, non si era preso i vestiti prima di fare la doccia quindi doveva andare per forza in camera a cambiarsi.
Romano lo attendeva con uno sguardo annoiato che strabuzzò e si tramutò in uno preoccupato non appena si concentrò sulla sua figura.
Arthur non fece in tempo a chiedersi cosa diavolo avesse che questo parlò –Stai perdendo un sacco di sangue dal collo! Hai sbattuto?
Arthur, sempre più confuso, si guardò la manica con il quale si era sfregato il collo fino a quel momento e solo in quel momento notò il cotone candido impregnato del suo sangue rosso.
-Oh- rispose semplicemente –Non me n’ero accorto, metterò un cerotto.
E si diresse nella sua camera sentendo lo sguardo del coinquilino fisso sulle sue spalle.
Si chiuse la porta alle spalle e portò una mano al collo per toccare la ferita che si era autoinflitto, mentre contemplava il sangue fresco tra le sue dita gli venne per un attimo il dubbio che Alfred avesse ragione, che fosse un masochista al quale piaceva il dolore.
O peggio ancora, gli venne il terrore che Alfred l’avesse cambiato così tanto da desiderare inconsapevolmente quelle cose.
Le lacrime che a lungo aveva trattenuto sgorgarono dai suoi occhi e non riuscì più a frenare il pianto che ne seguì.
Finì accovacciato a terra con la schiena contro la porta, si strinse il busto con le braccia e tutti i suoi pensieri erano rivolti a Francis.
Aveva il disperato bisogno di farsi stringere da lui, di averlo al suo fianco.
Ma Francis non era li.

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Capitolo 21
*** Gilbert ***


21.Gilbert

Gilbert era poggiato con la spalla allo stipite della porta della camera da letto del suo ragazzo.
Proprio quest’ultimo gli dava le spalle, aveva il petto nudo e si stava chiudendo dei jeans così stretti da essere sicuramente illegali sul suo corpo.
Gilbert si morse le labbra mentre continuava a fissare il suo corpo soffermandosi soprattutto sul fondoschiena.
-Gilbert- lo chiamò Matthew con un filo di voce distraendolo dalla sua contemplazione.
-Mh?- rispose il tedesco leggermente confuso.
Matthew sospirò, poi si girò verso di lui –Non voglio che fate del male a mio fratello.
La sua voce era limpida e sincera, colpì Gilbert che, dopo i primi attimi di smarrimento, rispose –Sai che non sei costretto a difenderlo sempre, si?
Mathew tentennò mordendosi il labbro inferiore, poi scosse la testa come per scacciare dei pensieri e continuò –Non lo faccio perché sono costretto, è mio fratello, non voglio che tu e il tuo amico gli facciate del male.
-Non posso prometterti questo, non decido io cosa fa Francis.
Matthew prese coraggio, gonfiò le guancie, strinse i pugni e parlò con un tono di voce più alto –Invece farà come dico io, me lo deve. Visto che il suo ragazzo mi ha picchiato senza alcun motivo!
Gilbert strabuzzò gli occhi, non si aspettava che reagisse in quel modo, poi sorrise e se lo strinse al petto dopo essersi avvicinato, quasi con orgoglio annunciò –La mia presenza ti sta cambiando eh?
Matthew si imbarazzò, ma nascondendo il volto contro il suo petto continuò a parlare.
-Che poi, mi spieghi perché deve venire anche lui?
Gilbert gli accarezzò la schiena pensieroso –Ha detto che tuo fratello ha superato il limite con Arthur… Matthew mi dispiace, ma non hai visto che faccia aveva quando qualche giorno fa è venuto da me a raccontarmi quello che era successo, non si era mai interessato a nessuno come sta facendo con quell’inglese adesso. E quando ha uscito l’argomento della festa di oggi e io ho risposto senza pensarci che ci saremo andati, mi ha chiesto speranzoso se si poteva aggregare, non potevo di certo dirgli di no.
Matthew alzò lo sguardo e lo fissò indeciso, insicuro se parlare o meno, alla fine decise di fargli lo stesso la domanda, anche se Gilbert non riuscì a interpretare la sua espressione.
-Voi due avete mai… si, insomma… l’avete mai… fatto?
Gilbert strabuzzò gli occhi, poi scoppiò a ridere così forte che dovette tenersi la pancia piegandosi su se stesso –Oh mio Dio, no! Ovvio che no! Lui e Antonio sono i miei migliori amici da sempre, non potrei mai.
Matthew annuì lentamente distogliendo lo sguardo.
-Comunque, potresti non fargli uccidere mio fratello?
E lo guardò con gli occhi così dolci e speranzosi che Gilbert non avrebbe mai potuto negargli nulla in quelle condizioni.
-Va bene- sospirò –Gli impedirò di fare cose avventate.
Matthew sorrise felice, poi si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio in guancia per ringraziarlo.
-Anche io ho una richiesta però.
-Dimmi.
-Non devi staccarti assolutamente da me.
-Non ne avrei alcun motivo.
-Bene- Gilbert si sporse in avanti per lasciargli un bacio sulla bocca, poi gli diede una pacca sul sedere e mentre vedeva le sue guancie colorarsi di rosso sorrise divertito e gli disse di continuare a vestirsi o non sarebbero usciti più.
 
-Ma il tuo ragazzo non viene?- chiese innocentemente Matthew in macchina a Francis mentre tutti e tre si avviavano verso la villa grazie alle sue indicazioni stradali.
Francis sembrò imbarazzato e non era una cosa che capitava spesso, Gilbert ricordava che erano così poche le volte nelle quali era capitato qualcosa di simile da riuscirle a contare sulla punta delle dita.
-Non è il mio ragazzo- borbottò infine il francese stringendo il volante e tenendo gli occhi fissi sulla strada –E non sa che ci sto andando.
-Oh- Matthew si morse le labbra –Non pensi che si arrabbierà quando verrà a saperlo?
Francis alzò le spalle –Tanto litighiamo sempre e comunque per una cosa o per un’altra, non mi cambierà la vita.
Il canadese annuì, passarono pochi secondi in silenzio prima che tornasse a rivolgersi al francese –Ti conviene iniziare a posteggiare qui, ci saranno così tante persone che è impossibile trovare posto.
Francis fece come gli era stato detto e in silenzio iniziarono a camminare.
Gilbert, come se fosse una cosa che aveva sempre fatto, afferrò la mano del biondo con gli occhiali e camminarono in quel modo.
Francis, dietro di loro, soffocò una risata.
-Che c’è?- domandò Gilbert non capendo dove fosse il problema.
-Nulla, solo che non pensavo ti avrei mai visto in una situazione del genere.
Matthew arrossì e cercò di lasciargli la mano, ma Gilbert non glielo permise stringendolo più forte.
-Non me lo aspettavo neanche io- rispose semplicemente l’amico.
Camminarono in silenzio per gli ultimi tratti di strada fino a quando non si trovarono di fronte una villa enorme, la musica si sentiva chiara e forte anche li fuori, la gente era tantissima, tutte le luci accese e nonostante fossero solo le 10 di sera molte persone erano già ubriache marce.
Francis e Gilbert avevano gli occhi spalancati per lo stupore –Non mi aspettavo neanche una cosa del genere, ma i vicini non dicono nulla?
Matthew sospirò –Nessuno può mai dire nulla ad Alfred e soprattutto nessuno può impedirgli di organizzare la sua festa dell’anno.
All’ingresso stava un buttafuori che controllava i nomi delle persone che entravano in una lista lunghissima.
-Sono Matthew, il fratello di Alfred- si presentò il canadese dovendo ripetere il nome due volte data la musica troppo alta e il suo tono troppo basso, presentò poi Gilbert come il suo accompagnatore e il buttafuori si limitò ad alzare un sopracciglio scettico, ma non disse nulla.
-Sono Arthur Kirkland- si presentò invece Francis.
L’uomo fece scorrere la penna lungo la lista, quando lo trovò alzò lo sguardo e chiese –Sei da solo, vero?
Francis annuì –Perché?
-Perché Alfred mi ha vietato di farti entrare se fossi stato accompagnato da qualcuno.
Sia Gilbert che Matthew lo fissarono in silenzio, Francis si limitò a sorridere –Sono solo e non vedo l’ora di incontrare Alfred.
Il buttafuori li fece entrare e Francis camminò spedito, il sorriso che era svanito dal suo volto e lo sguardo che cercava una persona in particolare.
Matthew si aggrappò al braccio di Gilbert e lo fissò con uno sguardo pieno di aspettativa e di paura, il tedesco sapeva benissimo cosa volesse dirgli.
-Ci penso io, andiamo.
Facendosi spazio tra quei corpi ammassati e pieni di sudore che ballavano, si baciavano e bevevano riuscirono a seguire il francese che sembrava non avere una meta ben precisa, stava semplicemente cercando Alfred.
-Alfred- biascicò una ragazza palesemente ubriaca strusciandosi contro Matthew.
Il ragazzo si bloccò, smise anche di respirare e non riuscì a dire neanche una parola, troppo sconvolto per quello che stava succedendo.
Gilbert la spinse via senza preoccuparsi di essere delicato o meno, poi in modo possessivo si strinse di più contro il suo ragazzo.
-Okay, forse non è stata una grande idea venire- disse a quel punto mentre Matthew gli lanciava un’occhiata da “e che avevo detto io?”
Gilbert afferrò un bicchiere di alcool da un tavolo a caso e lo bevve tutto d’un sorso –Sono troppo sobrio per tutto questo.
Avevano perso di vista Francis, ma nel compenso Alfred, palesemente ubriaco, aveva trovato loro, quindi almeno sapevano che Francis non era con lui pronto a ucciderlo.
-Sono così ubriaco da immaginare il mio timido fratello con un ragazzo?
La voce dell’americano li colse alle spalle, il ragazzo stava ridendo divertito mentre accartocciava il bicchiere vuoto tra le mani e lo gettava a terra.
Matthew non rispose, non era mai riuscito a rispondergli a tono e quella sera non faceva alcuna differenza.
Fu Gilbert a prendere le sue difese, alla fine aveva convinto l’altro ad andare li solo per quello, no?
-Siamo venuti qui solo per dimostrati, lurido pezzo di merda, che Matthew ha gente che si interessa a lui e che lo accetta per quello che è, nonostante tu l’abbia sempre trattato di merda.
-Ah si?- Alfred sorrise malizioso avvicinandosi al suo viso –E tra queste persone ci sei anche tu?
Alfred aveva modulato il tono della voce per copiare quello del fratello, aveva sbattuto gli occhi per fare uno sguardo dolce ed era diventato in tutto e per tutto Matthew, questo scombussolò Gilbert così tanto che non riuscì a rispondergli, come poteva?
-Lo so che ha un bel faccino- continuò Alfred –in fondo è me. Non potrei mai dire il contrario. E capisco che tu sia attratto da questo. Ma ti stuferai presto di lui. Mentre io potrei accontentarti tutte le volte che vuoi.
Gli sfiorò le labbra con le sue e Gilbert non fece nulla per fermarlo, come poteva spintonare o tirare un pugno a Matthew?
Fu il canadese a prendere l’iniziativa, spintonò il fratello e gli diede un forte schiaffo in guancia, non aveva mai fatto una cosa del genere.
Alfred rise –Allora anche tu sai uscire gli artigli quando vuoi, eh?
-Perché mi fai questo Alfred? Perché devi sempre prenderti le cose che amo? Ti odio.
Aveva gli occhi lucidi mentre si girava poi verso Gilbert, le mani strette in due pugni come se volesse schiaffeggiare anche lui ma non ne trovasse il coraggio.
-Vedi? Ecco perché non volevo che lo incontrassi! Stai tranquillo, me ne vado, così continuate senza interruzioni.
Scappò via sgusciando tra la folla così velocemente che Gilbert lo perse di vista all’istante.
Alfred gli si avvicinò nuovamente e gli sussurrò all’orecchio –Che ne dici? Vuoi scopare o vuoi rincorrere lui?
Gilbert non ci dovette pensare troppo, non gli fece neanche finire la domanda che le sue gambe si erano già mosse inseguendo quello che sperava fosse ancora il suo ragazzo.
Alfred lo fissò con un sorrisetto che aleggiava sul suo volto. Era totalmente ubriaco ma riusciva a comprendere quello che era appena successo e, per quanto l’avesse sempre nascosto, era soddisfatto che il fratello avesse trovato una persona del genere.
Quel pensiero durò poco prima che qualcun altro gli mise un nuovo bicchiere in mano e riprese a bere senza che non gli importasse nuovamente di nulla.

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Capitolo 22
*** Arthur ***


22.Arthur

Arthur si stiracchiò dopo un’intensa sezione di studio.
Era domenica sera ed era stato tutto il giorno curvo su quella scrivania, ma aveva un esame tre giorni dopo, quindi non poteva permettersi distrazioni.
Chiuse i libri e si alzò, controllando l’orologio vide che erano le nove e mezza passate, si avviò in cucina per cercare qualcosa da mangiare.
Quando entrò nella stanza urlò facendo urlare a sua volta Romano e sussultare Antonio.
Perché c’era Romano seduto sul tavolo a gambe aperte e mezzo nudo e Antonio in mezzo a queste che lo baciava e teneva le mani in posti che Arthur avrebbe solo voluto dimenticare.
-Ma che cazzo ragazzi, ci vivono altre persone in questa casa!- urlò infastidito mentre distoglieva lo sguardo.
Romano, spaventato, si alzò di scatto e si andò a nascondere dietro lo spagnolo rivestendosi subito mentre questo sorrideva imbarazzato per scusarsi.
Arthur sapeva che Romano aveva sempre avuto paura di lui, qualche volta sfruttava questa paura per ciò che più gli conveniva, ma di solito cercava di vivere in modo pacifico perché aveva bisogno del cibo che gli preparava l’italiano e, lo sapeva benissimo, che Romano avrebbe potuto avvelenarglielo, o peggio, avrebbe potuto smettere di cucinare anche per lui.
-Ma tu che diavolo ci fai a casa?- sbottò proprio l’italiano rimanendo nascosto dietro l’altro.
Arthur corrugò la fronte –Che vuol dire? È un giorno che sono a casa a studiare, in che altro posto dovrei essere?
-Oh- Antonio si grattò la testa confuso –Come mai non sei andato alla festa con Francis?
Arthur strabuzzò gli occhi e un senso di inquietudine iniziò a invadergli il petto –Dov’è andato quel deficiente?
-Alla festa… di… non ricordo il suo nome.
-Alfred?
-Esatto! Quello. Perché non sei andato anche tu?
Arthur strinse i pugni, la rabbia che lo invadeva –Perché punto primo, non mi ha detto che andava a quella festa. Punto secondo, Francis non era stato invitato, ero stato invitato io e non avevo nessuna intenzione di andare. Come c’è andato? Come ha scoperto dove abita?
Antonio si morse il labbro, aveva capito di star facendo danni e star raccontando una cosa che il suo migliore amico non voleva che si sapesse… ma ormai era fatta, no?
-Antonio, se non mi racconti tutto dirò a Ludwig lo schifo che fate su questo tavolo quando noi non ci siamo.
Antonio sbiancò, poi si decise a parlare –Quando l’altra sera sono uscito con Francis e Gilbert stavano parlando di questo, di questa festa del quale ero certo fossi a conoscenza visto che è tipo… il tuo ex? A quanto pare Gilbert ci sarebbe andato con il suo ragazzo perché è il fratello del proprietario, quando Francis gli ha chiesto se si poteva aggregare pensavo che avrebbe portato anche te.
-Io lo uccido. Se prima non lo fa Alfred, certo.
-Che significa?
-Che quello stupido si è messo in mezzo a qualcosa più grande di lui che comunque neanche lo colpiva direttamente. Mi ci accompagni così vedo se riesco a sistemare qualcosa?
Antonio si morse il labbro e lanciò una veloce occhiata a Romano, ancora dietro di lui, i pantaloni aperti.
Arthur sospirò –Se non mi accompagni resto a casa e non potete continuare quello che stavate facendo.
-Okay andiamo- il repentino cambiamento di Antonio fece alzare gli occhi al cielo all’inglese.
Antonio diede un bacio veloce sulla guancia di Romano e poi fece per andare verso di lui, quando Romano lo fermò afferrandolo per un braccio e avvicinandosi al suo orecchio con le labbra.
Gli sussurrò qualcosa che Arthur non riuscì a sentire, ma vide benissimo come il volto di Antonio divenne completamente rosso, l’italiano lo lasciò andare con un sorriso malizioso in volto mentre cantilenava –Non metterci troppo.
Antonio lo superò velocemente facendogli pressione per sbrigarsi, era già fuori dalla porta d’ingresso mentre Arthur afferrava il suo giubbotto.
-E comunque Arthur- gli urlò dietro Romano –Guarda che Ludwig e mio fratello lo fanno nel divano.
Arthur storse la bocca e cercò di cancellare dalla sua mente l’immagine che si era appena formata, scappando velocemente fuori da li.
Forse doveva iniziare a pensare seriamente di cambiare casa.
Salì in macchina che già Antonio aveva messo in moto, il tempo di chiudere lo sportello e si era messo in strada.
Arthur mise la cintura, poi si girò verso di lui –Come diavolo hai fatto a cambiare Romano così tanto e in così poco tempo?
Antonio alzò le spalle, poi abbozzò un sorriso –L’ho conquistato con il cibo.
Arthur soffocò una risata –Non male come piano, fortuna che sei un cuoco allora.
-Piuttosto…- continuò Antonio dopo qualche secondo di silenzio –Sai che Francis non è mai andato a letto con la stessa persona per più di tre volte?
-Eh? Cosa vorresti dire?
-Nulla- si morse le labbra –Semplicemente che anche tu sei riuscito a cambiare il mio migliore amico.
-È diverso.
Arthur distolse lo sguardo portandolo fuori dal finestrino.
-Perché dovrebbe essere diverso?- chiese innocentemente Antonio.
-Perché è solo sesso. Niente di più, niente di meno.
-Mh- Antonio rispose semplicemente in quel modo, strinse le labbra e non disse più nulla, ascoltando e ubbidendo alle indicazioni che gli dava l’inglese.
Quando furono vicini Antonio disse un’ultima frase che si ricollegò al discorso di prima –Comunque Arthur, non ho nessuna intenzione di farmi gli affari vostri, ma sappi che Francis non è mai andato a discutere con l’ex di una sua scopata. E davvero, non l’ho mai visto così incazzato come lo era quella sera, semplicemente per quello che ti aveva fatto.
Come riflesso involontario Arthur si portò una mano al collo, sentì sotto i polpastrelli la crosta del taglio che si era fatto sfregando con unghie e tessuto.
Non rispose, scese dalla macchina, lo ringraziò e si avviò verso la villa.
Per tutto il tragitto provò a chiamare Francis tre volte, il telefono squillava a vuoto e poi partiva la segreteria.
Sempre più agitato aumentò il passo e sorpassando gente ubriaca per il vialetto arrivò all’ingresso.
-Sono Arthur Kirkland, fammi entrare, vado di fretta.
L’uomo che stava all’entrata lo bloccò –Arthur è già dentro, non funziona questa tattica.
-Cosa!?
Arthur dovette litigare con quella specie di buttafuori per dei minuti interminabili, alla fine, dopo avergli uscito la carta d’identità, lo scostò malamente di lato ed entrò dentro la casa.
La puzza di alcool e sudore gli invase le narici e gli fece storcere il naso.
Era stato più volte li dentro, sapeva come muoversi, sapeva dove poteva cercare, in che stanze entrare o meno.
Corse per diversi minuti, facendosi spazio tra quell’ammasso di corpi, fino a quando non riuscì a intravedere Francis.
Stava discutendo con Alfred, questo era così ubriaco da barcollare, mentre si avvicinava a loro con passo svelto sentì l’americano dire –Non so come tu sia riuscito a entrare, ma tutte queste visite inaspettate mi stanno facendo divertire più del dovuto. Soprattutto quando iniziate a fare delle richieste assurde.
Arthur si bloccò, voleva ascoltare quello che i due ragazzi si stavano dicendo, Francis non lo notò perché gli dava le spalle e Alfred era troppo ubriaco per accorgersi di lui al limite del suo campo visivo.
Francis rise divertito, quella sua tipica risata che lo rendeva comunque elegante, stonava totalmente la sua figura li dentro –Puoi essere chi cazzo vuoi, non mi interessa, ti voglio solo fuori dalla sua vita.
-E lui è d’accordo con questa cosa? Dubito…- gli si era fatto più vicino –Puoi scopartelo quanto vuoi, tanto sappiamo benissimo tutti e tre che i suoi pensieri, i suoi gemiti e le sue urla sono tutti per me. Ama me, non ci sarà mai spazio per te.
Francis gli diede un pugno alla mandibola così forte che lo fece barcollare all’indietro.
Arthur si riscosse e lo raggiunse bloccandogli il braccio a mezz’aria pronto a colpire nuovamente.
Lo fissò con uno sguardo che era un misto di rabbia e delusione, Francis sussultò e spalancò gli occhi, non si aspettava di vederselo spuntare davanti.
Arthur neanche lanciò un semplice sguardo ad Alfred, non gliene poteva importare di meno di lui, ormai era morto nella sua vita.
-Andiamo- disse a Francis con un tono duro, poi si girò e fece il suo tragitto al contrario, aspettandosi che l’altro lo seguisse.
-Arthur aspetta!
Ma l’inglese non ebbe nessuna intenzione di fermarsi fino a quando non fu fuori dalla villa, abbastanza lontano da persone e dalla musica assordante.
Solo a quel punto si girò per fronteggiarlo, gli urlò contro mentre teneva i pugni chiusi lungo i fianchi, il volto nero dalla rabbia.
-COSA CAZZO CREDEVI DI FARE, EH?
-Arthur, io…
Ad Arthur però non interessavano le sue scuse, aveva semplicemente voglia di urlargli contro, perché l’aveva fatto spaventare e perché aveva agito alle sue spalle.
-PENSI CHE TI SAREBBE ANDATA COSI’ BENE SE ALFRED FOSSE STATO MENO UBRIACO? O PEGGIO ANCORA, SE IVAN FOSSE STATO LI ACCANTO A LUI? COSA TI SALTA IN MENTE?
-Senti, mi dispiace ma…
-NON ME NE FREGA NULLA DELLE TUE SCUSE! HAI AGITO ALLE MIE SPALLE!
Lo schiaffeggiò e scese il silenzio.
Poi, inaspettatamente, Francis rise.
-Puoi odiarmi- gli disse piano –Ma se prova ancora a toccarti o a farti del male, io lo uccido.
Arthur strabuzzò gli occhi, poi si girò di scatto per nascondere il rossore delle guancie.
-Andiamo a casa.

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Capitolo 23
*** Gilbert ***


23.Gilbert

L’aveva perso di vista, gli stava girando la testa.
La musica troppo forte gli stava perforando il cervello, le luci che lo mandavano in confusione.
Non sapeva dire quanto tempo fosse passato quando finalmente lo vide per puro caso.
Era contro un muro, tremava, dietro di lui un ragazzo alto e grosso lo teneva fermo e cercava di abbassargli i pantaloni, non c’era ancora riuscito solo perché era davvero ubriaco e Matthew indossava dei jeans davvero stretti.
Non ci vide più dalla rabbia, corse nella loro direzione e più si avvicinava più sentiva Matthew piagnucolare –Non sono Alfred, non sono Alfred…
Gilbert diede un calcio al ragazzo facendolo rotolare di lato, lo prese così alla sprovvista che per i primi secondi neanche si rese conto di quello che era appena successo.
In ogni caso Gilbert non era stupido, aveva visto come fosse il doppio di lui e di sicuro non voleva iniziare una rissa.
Afferrò Matthew per un braccio, ignorando il suo sussulto a quel tocco, e iniziò a tirarlo verso di sé, costringendolo a correre per andare via da li.
Uscirono dalla casa praticamente indisturbati, Gilbert continuò a trascinarselo dietro per diversi metri, fino a quando Matthew, totalmente consono di quello che era appena successo, non si gettò in ginocchio, nascose il viso tra le mani e iniziò a piangere.
-Ehy, ehy- Gilbert si mise al suo fianco, allungò una mano per accarezzargli i capelli.
Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non sapeva se avrebbe peggiorato la situazione visto il suo primo sussulto per una semplice stretta di mano, dato quello che era successo.
-Va tutto bene- gli sussurrò mentre si guardava intorno preoccupato –Non ti ha fatto nulla, non permetterò mai a nessuno di farti del male.
Matthew sembrava non ascoltarlo, chiuso nel suo mondo di lacrime e disperazione.
Gilbert afferrò il cellulare dalla tasca e chiamò Francis, era lui quello che aveva le chiavi della macchina, non sarebbero potuti tornare a casa altrimenti.
Lo chiamò due volte, ma in entrambi i casi squillò a vuoto finendo con la segreteria telefonica.
Imprecò sottovoce, provò a chiamare Antonio e gli rispose Romano con –Antonio è uscito, aveva fretta e ha dimenticato il cellulare a casa, devi dirgli…
Gilbert non lo lasciò concludere, imprecò di nuovo e gli chiuse la chiamata in faccia, infine decise di chiamare suo fratello.
-Gilbert?- rispose Ludwig al secondo squillo, aveva un tono di voce confuso, non lo si poteva biasimare, Gilbert non lo aveva mai chiamato, ma quella era davvero un’emergenza.
-Ludwig, ho bisogno del tuo aiuto, non so che altro fare, ti prego.
Lanciò un’occhiata preoccupata a Matthew e aspettò la risposta di Ludwig, quest’ultimo rimase per un po' in silenzio, confuso sul tono di voce preoccupato dell’altro che non gli aveva mai sentito.
-Dove sei? Che è successo?
Gilbert gli diede le indicazioni e gli chiese di fare in fretta, poi chiusero la chiamata e il tedesco tornò a preoccuparsi del suo ragazzo.
-Matthew, amore, guardami.
Matthew venne scosso da quelle parole, scostò lentamente le mani dal suo viso e lo guardò con gli occhi rossi e gonfi di lacrime –Sento le sue mani ovunque.
Fu meno di un sussurro che fece tremare Gilbert.
-Non è riuscito a farti nulla, ci sono io, ci sarò sempre io.
Matthew lo fissò come se stesse riflettendo su quelle parole.
-Posso abbracciarti?- di solito Gilbert l’avrebbe fatto spontaneamente, non aveva mai chiesto, ma data la situazione lo fece per non spaventarlo di più.
Fu Matthew a gettarsi contro il suo petto stringendo convulsamente i suoi vestiti –Non lasciarmi, non lasciarmi…
-Sh…- Gilbert lo strinse, con una mano gli scostò i capelli dalla fronte baciandogliela –non ti lascerò mai, va tutto bene.
-Voglio andare via- sussurrò dopo un po', quando non era del tutto calmo ma non stava neanche più avendo una crisi di panico.
Gilbert annuì continuando a stringerselo contro –Ho chiamato mio fratello, fra poco sarà qui.
E dopo quella frase passarono ben dieci minuti prima che Ludwig accompagnato da Feliciano li raggiungessero.
Gilbert vide che si stavano avvicinando a loro di fretta e con sguardo preoccupato.
Sussurrò a Matthew di aspettarlo li, poi si alzò e raggiunse suo fratello a metà strada, nel frattempo Feliciano era andato da Matthew, si era inginocchiato di fronte a lui e gli aveva sorriso in quel modo che usava con tutti.
-Ve, ciao- allungò una mano e gli asciugò una guancia dalle lacrime –Perché piangi? Non ti faremo niente, siamo qui per aiutarti, sai? Non dovresti piangere.
E continuò a parlargli in modo quasi spensierato, sempre con quel suo tono dolce e disponibile che il canadese rimase immobile, quasi spiazzato.
-Che hai fatto?- Ludwig sussurrò quelle parole per non farsi sentire dagli altri mentre lanciava un’occhiata preoccupata a Feliciano che consolava Matthew.
Gilbert gli mise entrambe le mani sulle spalle –Sono stato uno stupido a portarlo qui- con suo fratello si permise di crollare, di darsi tutte le colpe e farsi vedere disperato, con Matthew invece doveva essere quello forte, doveva proteggerlo.
-Lo stavano stuprando… se non fossi arrivato in tempo… io… lui…
Ludwig lo afferrò per il colletto della giacca e lo scosse, serio e pragmatico –Gilbert, riprenditi, se inizi a darti colpe da qui non ne usciamo più. È a pezzi, non puoi esserlo anche tu, l’importante è che sia stato solo uno spavento e che di concreto non sia successo nulla.
Gilbert annuì mordendosi un labbro, sapeva che suo fratello aveva ragione.
Ludwig annuì a sua volta, poi gli chiese –Quanto è importante per te?
L’altro strabuzzò gli occhi, la risposta gli fu chiara all’istante, ma era una cosa del quale si era reso conto solo in quel momento.
La consapevolezza gli fece mancare il fiato –Io lo amo.
Ludwig lo scrutò a fondo, poi sospirò –Noi due dobbiamo fare una bella chiacchierata dopo.
Poi si avvicinò ai due ancora seduti a terra.
-Ve, Lud!- disse contento Feliciano mentre si alzava di slancio e si aggrappava al braccio di quest’ultimo –Il ragazzo di tuo fratello mi piace! Voglio fare un’uscita a quattro con loro!
Ludwig sembrò imbarazzato mentre distoglieva lo sguardo, si passava una mano tra i capelli e borbottava –Poi vediamo Feli.
-Veee- Feliciano iniziò a lamentarsi per quella risposta che non era davvero una vera risposta e Gilbert ne approfittò per avvicinarsi a Matthew che sembrava più tranquillo, Feliciano era anche riuscito a fargli spuntare un piccolissimo sorriso sul volto.
Il canadese si alzò a sua volta poi si avvicinò ai due nuovi arrivati, Feliciano smise di lamentarsi curioso di sapere cosa l’altro volesse dire.
Si chinò davanti a loro e parlò con quel suo tono bassissimo –È un piacere conoscervi, scusate per le condizioni in cui sono, grazie per esserci venuti a prendere.
-Veeee lo vedi che carino? Lo voglio come amico, ho deciso!
Feliciano saltellò contento della sua decisione mentre Ludwig spalancava gli occhi e fissava lui –Ma dove l’hai trovato? È il tuo completo opposto.
Matthew si morse il labbro –È un problema?
-Oh no- Ludwig si affrettò a riportare lo sguardo su di lui –è la cosa migliore che potessi scoprire.
Matthew aveva uno sguardo confuso, ma non chiese più nulla, soprattutto quando Gilbert lo affiancò, gli mise un braccio intorno alle spalle e gli baciò la testa.
Si avviarono verso la macchina e il cellulare di Gilbert iniziò a squillare.
-Francis?- rispose dopo aver letto il suo nome nel display.
-Gil scusa, ho avuto problemi con Arthur, non l’ho proprio sentito il telefono, dove siete? Vi passo a prendere.
-Ah non preoccuparti, tranquillo, sono con mio fratello, ci sta accompagnando lui.
-Oh okay, allora ci vediamo domani.
Chiuse la chiamata mentre saliva in macchina, nei posti di dietro insieme a Matthew.
-Dove vi porto? A casa tua Gil?- domandò Ludwig mettendo in moto, poi si rivolse a Feliciano –Metti la cintura.
L’italiano sbuffò, ma fece come gli era stato detto.
-Mh no, andiamo da Matt.
Ludwig aspettò in silenzio che gli venissero fornite le indicazioni, ma così non fu –Dovrei sapere dove abita?- chiese poi.
-Uhm si, è il tuo vicino di casa.
-Abito sotto di voi- specificò Matthew quando scese il silenzio.
-Ah… che figura…- borbottò Ludwig diventando rosso e concentrandosi sulla strada –è che non ti ho mai visto.
Matthew abbozzò un sorriso –Nessun problema, non esco mai di casa, forse una volta ho incontrato te mentre prendevo la posta?- domandò poi a Feliciano.
-Oh io non abito li, ma Romano si, è mio fratello, siamo quasi uguali, quindi dovrebbe essere stato lui.
Matthew annuì e la conversazione continuò solo da parte di Feliciano, quel ragazzo era così euforico da poter parlare con chiunque di qualsiasi cosa senza alcun problema.
Gilbert smise di ascoltare e non staccò neanche per un attimo il suo sguardo dal ragazzo che aveva accanto.
Non poteva far altro che contemplarlo per avere la certezza che fosse li con lui e che stesse bene, stava per perderlo quella sera ed era una cosa che non voleva riprovare mai più.
A un certo punto rise, mentre ascoltava Feliciano dire qualcosa, e davanti a quella risata delicata e quasi velata Gilbert non poté fare a meno di pensare che quella fosse la cosa più bella di tutta la sua vita.
Quando arrivarono a casa si salutarono sulle scale, Feliciano esclamò che una di quelle sere, magari proprio il giorno dopo, dovevano assolutamente uscire tutti insieme.
Quando Matthew sbiancò alla parola “uscire” trovarono l’accordo di vedersi nell’appartamento di Ludwig e gli altri, così Matthew sarebbe rimasto nello stesso palazzo e avrebbe conosciuto il resto dei loro amici.
Quello sembrò un buon compromesso e, dopo aver chiesto conferma a Gilbert con lo sguardo, accettò imbarazzato.
Salutò e aprì casa sua, Gilbert gli fece segno di precederlo perché lui doveva parlare con Ludwig velocemente nelle scale.
Quest’ultimo diede le chiavi di casa a Feliciano e gli disse di aspettarlo dentro, il ragazzo prese il mazzo e salì le scale saltellando.
I due fratelli rimasero soli.
-Quindi… sei cambiato.
Gilbert fece un sorrisetto di sbiego –sono sempre io, ma per lui potrei fare cose di cui prima non mi sarei mai immaginato.
Ludwig rise sospirando –Non è molto, ma ne sono comunque felice.
Fece per dire qualcos’altro quando Feliciano tornò giù da loro.
-Che succede? Perché non sei entrato?- tutta l’attenzione del tedesco era ora per il suo ragazzo.
-Ve, ho sentito Romano urlare da dietro la porta.
Ludwig alzò gli occhi al cielo –Romano urla sempre, dov’è il problema?
-Uhm, ma stava urlando: Ah, Antonio, più forte! Più forte!- e senza imbarazzò modulò anche la voce per farlo sembrare vicino a un orgasmo.
Gilbert scoppiò a ridere mentre Ludwig diventava tutto rosso, poi afferrò la mano del suo ragazzo e lo trascinò fuori di li –Io stanotte dormo al tuo dormitorio, non si discute!
Gilbert ormai stava ridendo così tanto da avere le lacrime.

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Capitolo 24
*** Alfred ***


Ciao! Come va?
E' un pò che non scrivo qui ma dovevo precisare che questo è il primo e ultimo capitolo visto dal punto di vista di Alfred, volevo si potrebbe definire un Extra, ma comunque porta avanti la trama.
Comunque, come ho già detto, non scrivo da un pò dei commenti ma sono davvero impegnata con lavoro, università e vita sociale.
In ogni caso cerco sempre di essere puntuale con gli aggiornamenti, però mi farebbe molto piacere se mi lasciaste qualche recensione, ovviamente continuerò a scrivere in ogni caso, ma mi darebbe qualche soddisfazione in più avere qualche commento.
Bè, spero di risentirci presto, buona lettura!
Deh
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24.Alfred

Quando quella mattina si svegliò si stupì di trovarsi nel suo letto.
Non ricordava quasi nulla della sera precedente, ma era abbastanza certo di essere così ubriaco da non poter arrivare al suo letto.
-Sei sveglio?- domandò una voce dolce che Alfred conosceva bene.
Rispose con un lamento mentre cercava di mettersi seduto con scarso successo, il mal di testa lo stava uccidendo.
Sentì il letto abbassarsi al suo fianco mentre qualcuno si sedeva, poi avvertì delle dita delicate che gli scostavano i capelli dalla fronte.
Lo sentì sospirare rassegnato.
Alfred aprì gli occhi e si trovò davanti la figura di Kiku che lo fissava con apprensione e rassegnazione.
Era strano il rapporto che avevano, forse lui era l’unico che Alfred poteva definire davvero amico, ma era anche una persona che Alfred aveva trattato di merda, facendogli passare l’inferno.
Nonostante questo era sempre rimasto al suo fianco, in silenzio, a proteggerlo da sé stesso e a sistemare i suoi casini.
-Che ore sono?- chiese con una smorfia mentre i raggi del sole gli disturbavano gli occhi.
-Sono le tre del pomeriggio, sei svenuto verso le cinque del mattino, ti ho portato a letto, poi ho mandato tutti via, non è rimasto più nessuno, ma c’è un bel casino da pulire sotto.
Alfred annuì, era esattamente questo quello che intendeva, ancora non riusciva a spiegarsi come Kiku continuasse a restare al suo fianco ad aggiustare la sua vita che era un completo casino.
-Ivan?- domandò poi confuso del perché quello che definiva il suo ragazzo non fosse al suo fianco.
Kiku alzò le spalle distogliendo lo sguardo e scostando la mano dai suoi capelli –Se n’è andato arrabbiato con te perché non…- divenne rosso, si imbarazzava a parlare di certe cose e Alfred arrivò dritto al punto.
Corrugò la fronte e chiese confuso –E perché mai non ho voluto farlo con lui?
-Perché non eri tu.
-Eh?- l’americano non ci stava capendo nulla e il mal di testa non accennava a passare.
-Ha provato a stuprare tuo fratello, non so se a un certo punto si è accorto che non eri tu o meno, ma non aveva intenzione di fermarsi.
Alfred strabuzzò gli occhi, si aspettava di tutto, ma non quello –Dov’è Matthew adesso?
Kiku lo scrutò a fondo, come se stesse vedendo dentro di lui qualcosa di nuovo che non pensava potesse esistere -Ho visto solo che andava via con il ragazzo che l’ha allontanato da Ivan prima che le cose potessero degenerare… Ti stai forse preoccupando per tuo fratello?
Alfred si morse le labbra –Non dovrei?
-Non mi sembra che tu l’abbia mai fatto in tutta la tua vita.
-Non ho idea di cosa tu stia parlando.
-Lo sai benissimo come trattano Matthew ogni volta che lo scambiano per te, non fingere.
-Non me n’ero mai fatto un grande problema…
Il giapponese sospirò, poi distolse nuovamente lo sguardo e mordendosi le labbra parlò –Non capisco comunque perché ti sia messo con un ragazzo del genere.
Alfred lo guardò quasi sotto una nuova luce, si avvicinò al suo viso e lo costrinse a girare il volto, stava per baciarlo quando Kiku si tirò indietro, alzandosi direttamente dal letto.
-No, no, no, no, no. Assolutamente no.
Alfred inclinò la testa di lato –Perché no? Pensavo ti piacessi.
-Non hai mai capito nulla. E non sarò la tua puttana. Ne hai tante di quelle.
Poi velocemente corse via e a nulla valsero i richiami di Alfred.
Sconsolato si gettò nuovamente contro il materasso e chiuse gli occhi sospirando, ma cos’era diventata la sua vita?
 
Tre ore dopo stava bussando alla porta di Matthew, ad aprirgli fu il ragazzo del giorno prima che era andato alla festa con suo fratello.
Entrambi rimasero in silenzio per qualche secondo, stupiti di trovarsi l’altro davanti.
Il primo a riprendersi fu il ragazzo che parlava con un forte accento tedesco, tramutò la sua espressione in odio e pronunciando un semplice “no” fece per chiudergli la porta in faccia.
Alfred ebbe prontezza di spirito e riuscì a bloccarla con un piede prima che si chiudesse del tutto.
-Non sono di certo qui per te, fammi vedere mio fratello.
-No, sparisci dalla sua vita, dalla nostra vita.
-Non me ne andrò fino a quando non avrò parlato con lui, so benissimo che ieri il mio ragazzo lo stava per stuprare, voglio parlare con lui.
Lo sguardo del tedesco si fece ancora più pieno di rabbia –Quindi quel gran pezzo di merda è il tuo ragazzo!? SPARISCI.
-Gil, chi è?- la voce flebile di Matthew arrivò alle spalle del tedesco, quest’ultimo sospirò esasperato, poi alla fine aprì la porta mostrando la figura di Alfred.
L’americano vide benissimo come gli occhi di suo fratello si fecero grandi per lo stupore, gli lesse al suo interno anche un briciolo di paura.
Vide il suo sguardo posarsi veloce nella figura di quello che aveva chiamato “Gil”, per poi mordersi le labbra e fissare il pavimento.
Alfred alzò le mani in segno di resa –Matthew non mi interessa il tuo ragazzo, non ho intenzione di portartelo via o altro, voglio solo parlare con te.
-Ieri non era così.
-Ieri ero ubriaco e non avevo capito quanto lui ci tenesse a te.
-Perché ti importa di questo?- la voce del tedesco era piena di rabbia e voglia di ferire.
Alfred sospirò, poi lo guardò male –Mi lasci parlare da solo con mio fratello?
Gil cercò lo sguardo di Matthew, quest’ultimo annuì e il tedesco sospirò.
-Okay, vado sopra da Antonio, per qualsiasi cosa chiama, va bene?
Matthew annuì di nuovo rassicurandolo con un piccolo sorriso.
Prima di andarsene si rivolse a lui –E non ti azzardare a ferirlo in qualche modo.
Andò via lasciando i due fratelli da soli.
Matthew lo condusse nel soggiorno e lo fece sedere nel divano.
-Come mai sei qui? Ti serve qualcosa?
Alfred scrutò la bandiera canadese appesa dietro il televisore, poi decise di fare una domanda senza rispondere a quella che gli aveva appena posto l’altro.
-Quando da piccolo sei andato con mamma in Canada, li ti trovavi meglio perché non c’ero io?
Matthew sbatté più volte le ciglia, confuso su come rispondere, non ci aveva mai pensato, non davvero –Io… A me piace il Canada, è un bel paese, ma non è che le cose fossero molto diverse. Certo, nessuno mi scambiava per te, ma la situazione non cambiava, il mio modo di comportarmi è sempre quello.
Alfred annuì, poi chiese –Stai bene?
-Mh?
-Ho saputo che Ivan ieri stava per stuprarti.
-Ah- le sue guancie divennero rosse, gli occhi si oscurarono –Sto bene, non è successo nulla, c’era Gilbert.
Alfred annuì di nuovo –Si vede che ti ama.
-M… Mi… ama?- iniziò a balbettare nascondendo il viso tra le mani –No che dici… Lui… Io… Stiamo solo insieme.
Alfred rise –Matt ha rifiutato me per te e si comporta in modi che… tutte le persone con cui sono stato… non si sono mai comportate così.
Matthew si morse le labbra distogliendo lo sguardo –Quindi non vuoi portarmelo via?
-No Matt, non è mia intenzione. E poi anche volendo non ci riuscirei.
Matthew annuì, restarono diversi secondi in silenzio, non sapendo che dire o che fare, perché non si erano mai trovati in una situazione del genere, non avevano mai parlato, non davvero.
-Penso che adesso posso anche andare, volevo solo accertarmi che tu stessi bene. Ho intenzione di rompere con Ivan comunque, tanto ci siamo sempre traditi a vicenda e lo sapevamo entrambi, ma non riesco a mandare giù il fatto che ci abbia provato con te.
Matthew annuì di nuovo, fu Alfred a continuare a parlare.
-Non dirò che ora tra noi due le cose miglioreranno, perché siamo sempre noi, ma penso di aver capito come ti sei sentito in questi anni quando la gente sceglieva me al posto tuo, cercherò… di migliorare. Ma non ti prometto nulla.
Si alzò, pronto ad andarsene –Comunque se posso fare qualcosa per farmi perdonare, non esitare a chiedere.
-In realtà- quelle due flebili parole fecero fermare Alfred dall’andare via, lo fissò curioso mentre Matthew alzava il viso e gli lanciava uno sguardo carico di aspettativa –c’è una cosa che vorrei chiederti.
 
Dieci minuti dopo Matthew lo stava accompagnando alla porta.
-Ti farò sapere quando avrò qualche notizia, tu mandami quello che mi serve.
Matthew gli sorrise felice, poi lo abbracciò di slancio.
Alfred non si aspettava quello, ma rispose impacciato all’abbraccio.
-Non è vero che ti odio- sussurrò il più piccolo ricordando quello che gli aveva urlato la sera prima, Alfred non rispose, si limitò a stringerlo più forte.
Si staccarono dopo qualche secondo e mentre si girava per andarsene Matthew lo richiamò –Comunque Al, tu non te ne sei mai accorto, ma Kiku è davvero innamorato di te. Potresti provare a cambiare… per lui. Sempre se vuoi qualcosa di diverso dal solito.
Alfred si bloccò, mentre quelle parole gli entravano dentro.
Ripensò a Kiku, al fatto che lui c’era sempre stato, sempre presente nei suoi ricordi.
Era una persona che Alfred dava per scontata nella sua vita, ma se così non fosse stato per sempre?
Ripensò a quello che era successo solo poche ora prima, al suo andarsene di fretta, alle sue parole sul non voler essere la sua puttana e sul non aver mai capito nulla.
Gli si aprì come un nuovo mondo.
-Ci penserò- rispose infine.

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Capitolo 25
*** Romano ***


25.Romano

-Ve, Romano, dove vai?
Chiese Feliciano saltellando verso di lui.
Romano si stava infilando il giubbotto all’ingresso dell’appartamento.
Rispose a suo fratello mentre si stringeva la sciarpa intorno al collo –Devo consegnare dei documenti a un professore all’università, mi ha chiamato all’ultimo minuto e dice che sono urgenti, come se tutti fossimo ai suoi comodi.
E finì la frase con delle imprecazioni borbottate prima verso il suo professore e poi verso il mondo in generale.
-Posso venire con te? Lud sta studiando e mi ha cacciato dalla stanza perché dice che lo distraggo, mi annoiooo.
-Va bene, vieni con me, così stai lontano da quel crucco.
Feliciano sorrise e corse a prendere il giubbotto, poi sembro ripensarci e domandò con l’indumento in mano –Ma torniamo presto vero? Stasera vengono il fratello di Lud e il suo fidanzato, è molto simpatico, voglio parlare con loro.
Romano sbuffò, si era quasi dimenticato che quella sera casa sua sarebbe stata molto affollata.
-Purtroppo l’università chiude a un certo orario, quindi si, non possiamo stare fuori più di tanto, non avrei nessuna scusa.
Feliciano sembrò non cogliere la frecciatina velata e saltellò felice verso di lui indossando a sua volta il giubbotto, poi lo seguì fuori di casa.
Mentre si avviavano per la strada Feliciano gli strinse un braccio intorno alle spalle –Veee, sono così felice che usciamo insieme, mi manchi.
-Ma se sei sempre buttato a casa mia, a proposito, non ti dicono mai nulla al college?
Feliciano alzò le spalle –Finchè seguo le lezioni non importa a nessuno, ti ho fatto vedere l’ultimo quadro che ho fatto? È un ritratto.
Romano storse il naso –Non voglio vedere un ritratto di quel crucco mangia patate.
Feliciano rise –È un tuo ritratto.
-Oh…- le guancie del più grande divennero completamente rosse e si nascose nella sciarpa –ed è bello?
-Vee- Feliciano gli pizzicò la guancia arrabbiato –Come se non lo sapessi come disegno.
Romano rise.
-Ti va di camminare?- gli chiese poi –sono circa quindici minuti a piedi, potremo prendere il bus ma a quest’ora non so quando passerà.
-No, va bene camminare.
Feliciano si perse nel suo mondo inseguendo una lucertola e camminando saltando gli incastri tra una lastra di pietra e un’altra tra quelle che formavano il marciapiede.
Quando si stufò tornò a concentrarsi su Romano.
-Ve, fratellone, sono felice che tu abbia smesso di tormentare Ludwig.
Romano sbuffò distogliendo lo sguardo –Non è assolutamente vero, lo tormento ancora.
Feliciano rise –Si ma come fai con tutti gli altri, è un passo avanti, ne sono felice.
-Allora devo tornare a mettermi d’impegno.
Feliciano si imbronciò –smettila, uff…
Romano sorrise senza farsi vedere, lo stava solo prendendo in giro.
-E poi Lud dice che ormai sei troppo impegnato con Antonio per disturbare gli altri, l’unica cosa è che fate troppo rumore.
Romano si bloccò di scatto –CHE COSA!?- urlò sconvolto.
Feliciano alzò le spalle –Le pareti sono sottili, non me lo dicevi sempre anche tu?
-Ma… ma… è diverso!- aveva ripreso a camminare mentre sbottava contro di lui –non deve assolutamente farsi gli affari nostri, bah, ma di cosa si lamenta, e poi siamo silenziosissimi. Appena lo sento dire qualcosa non gli preparo più da mangiare! E anche a quell’inglese.
-Cosa centra Arthur?- Feliciano era confuso.
-Centra sempre in un modo o nell’altro. E impedirò anche ad Antonio di cucinare per loro, si. Farò cosi, mi sembra più che giusto…
Ormai aveva intrapreso quella conversazione praticamente con se stesso, borbottando tra sé e sé, una mano sul mento e lo sguardo serio perso nelle molteplici opzioni.
Fu Feliciano a farlo tornare al presente –Comunque siete carini, tu e Antonio. Non pensavo ti piacessero i ragazzi, ma sono felice quando vedo come lo guardi e come lui guarda te.
Romano distolse lo sguardo –Anche io, fino a quando non ti ho visto con il tuo primo ragazzo, credevo ti piacessero le donne.
Feliciano alzò le spalle –Nonno Roma ci ha parlato così tanto di tutte le sue conquiste che potrebbe averci traumatizzato.
Romano soffocò una risata –Forse hai ragione.
-Quindi…- Feliciano si fece serio, stava per intraprendere un discorso che rimandava da troppo tempo –A te andrebbe bene se dopo l’università io e Ludwig ce ne andiamo a vivere insieme?
Romano storse la bocca, ovviamente Ludwig non era iniziato ad andargli a genio da un giorno all’altro, ma non poteva dire più nulla a suo fratello, non dopo tutto quello che era successo.
Sospirò, poi rispose –Se ti rende felice, Feli, non ho nulla in contrario.
Feliciano gli saltò al collo abbracciandolo –Sei il miglior fratello del mondo, sono così fortunato ad averti.
-Va bene, va bene- Romano cercò di scrollarselo di dosso, leggermente imbarazzato.
Stesero qualche secondo in silenzio, poi Romano, con il volto sempre più rosso e nascosto nella sciarpa chiese –Quindi a te piace Antonio?
Feliciano rimase stupito da quella domanda, poi rispose in fretta –Ovvio che si! È completamente cotto di te.
Romano annuì pensieroso –Dici? Non pensi che voglia… te, vero? Sei sempre stato bravo a capire queste cose.
Feliciano scoppiò a ridere –Oddio no, assolutamente no! Non ne avete parlato? Non te l’ha detto?
-Si ma…- alzò le spalle –Non so se fidarmi o meno.
-Ve, fratellone, non dico che dovresti aprirti di più con le persone, ma penso che con lui potresti provarci, sai? Sono abbastanza certo che sia una di quelle persone per le quali ne vale la pena.
Romano annuì in silenzio, perso totalmente nei suoi pensieri.
Il discorso si concluse, anche perché Feliciano notò un gatto e iniziò a inseguirlo.
Dopo altri dieci minuti di richiami da parte di Romano verso il fratello, di strade deviate e altri incidenti vari arrivarono finalmente all’università di Romano.
-Fatti un giro qui, io vado dal professore, non dovrei metterci molto.
Feliciano annuì senza neanche guardarlo, ormai tutto preso da ciò che li circondava.
-Stai attento e non ti perdere, okay? Resta nei dintorni.
Gli sembrò di parlare con un bambino, ma comunque aspettò che l’altro annuisse nuovamente prima di andare.
 
Nonostante i buoni propositi e ciò che aveva detto a suo fratello il professore l’aveva tenuto così tanto che Romano riuscì ad andare via solo perché erano ormai le otto passate, l’università stava chiudendo e furono letteralmente cacciati via.
Salutò educatamente trattenendo dentro di sé tutte le bestemmie che voleva lanciargli contro.
Mentre si avviava fuori controllò il cellulare e lesse due messaggi dall’anteprima, erano entrambi da parte di Antonio e chiedeva a che punto erano e cosa stavano facendo.
Li ignorò momentaneamente, avrebbe perso meno tempo a trovare Feliciano e poi a rispondere mentre si avviavano a casa.
Non fu difficile trovare suo fratello, era nel cortile esterno e stava giocando seduto nelle scale con alcuni gatti che Romano vedeva sempre gironzolare per l’università.
In effetti doveva anche aspettarselo di trovarlo in una situazione del genere.
-Veeee Romano- disse esaltato quando notò il fratello che si avvicinava –Questi gatti sono bellissimi! Ho dato a tutti un nome e abbiamo giocato un sacco, Ombra mi ha graffiato ma poi si è fatto coccolare anche lui- e mostrò il graffio superficiale nel dorso della mano come una grande ferita di guerra.
-Sono felice che tu abbia fatto amicizia, ma ora dobbiamo davvero andare, si sta facendo proprio tardi.
Feliciano si imbronciò, ma sapeva che il fratello aveva ragione e dopo aver salutato un’ultima volta i gatti seguì l’altro avviandosi verso casa, iniziando a parlare ovviamente di gatti –Sai, nella stanza al college non li posso tenere, ma un giorno ne avrò tantissimi. Ludwig non vuole dei gatti, ma io li prenderò di nascosto e lui non potrà farci nulla. È un piano geniale, non trovi?
Romano soffocò una risata –Oh si, tutto quello che si conclude con quel crucco esasperato è un piano che io acconsentirò sempre.
Mentre si avviarono lungo la strada principale sentirono degli schiamazzi provenire da una stradina stretta e buia alla loro destra.
Romano lanciò una veloce occhiata, vide che erano dei ragazzi poco raccomandabili, uno di loro aveva una bottiglia in mano mezza vuota, quindi dovevano essere anche abbastanza ubriachi.
Un altro stava giocando con un accendino, lo si vedeva dalla piccola fiamma che di tanto in tanto accendeva e nel buio risplendeva.
Stavano tormentando qualcosa.
Afferrò Feliciano per un braccio e lo spinse a fare in fretta sussurrando –Non guardare, vai avanti e non farti notare.
Ma suo fratello non si mosse, rimase a fissare la scena con occhi spalancati, poi si liberò dalla presa del più grande.
-Romano stanno tormentando un gatto! Gli stanno facendo del male!
-Feli, no!- ma a nulla valsero i richiami di Romano, Feliciano era già partito spedito verso di loro.
Romano imprecò a mezza voce, poi rincorse l’altro infilandosi in una situazione più grande di loro.

____________________________________
Ciao!
Per chi ancora non conoscesse appieno le mie storie, si, sappiate che ho la tendenza a far finire i capitoli con molta suspance.
E questo è solo l'inizio, preparatevi al peggio la prossima settimana.
Spero abbiate apprezzato il capitolo tra questi due fratelli, meritano così tanto amore e, personalmente, penso che la loro BROTP sia davvero poco calcolata dal fandom.
Detto questo, volevo solo informarvi che mi sono appena resa conto che mancano meno di dieci capitoli alla conclusione di questa long, se non ci sono cambiamenti finirà al capitolo 32.
Ci si sente la prossima settimana! Spero continuerete a seguirmi!
Un bacio,
Deh

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Capitolo 26
*** Arthur ***


26.Arthur

Arthur sentì bussare alla sua porta e, prima che potesse dire qualcosa, questa fu aperta.
Rimase con lo sguardo concentrato sul libro che aveva davanti, a leggere la fine del paragrafo che stava studiando.
Aveva l’esame due giorni dopo ma era a un buon punto, aveva quasi finito tutto, poi doveva solo ripassare.
-Ludwig, è già arrivato tuo fratello?
Fece la domanda senza girarsi, aveva chiesto al tedesco di avvertirlo quando sarebbero arrivati gli altri, così avrebbe usato il tempo libero fino alla fine per studiare.
Come risposta ricevette il suono della porta che veniva di nuovo chiusa e poi una voce che con un forte accento francese diceva –Sono io.
Arthur lanciò uno sguardo all’orologio che teneva li accanto, erano le sette.
Chiuse il libro e si girò a fissarlo –Sei in anticipo- constatò incrociando le braccia al petto.
Francis alzò le spalle mentre si andava a sedere di fronte a lui, sul letto –Ti dispiace?
-Mi hai disturbato dalla mia sessione di studio- rispose piccato semplicemente perché viveva per lamentarsi di lui e con lui.
-Studia pure, non ti disturberò.
Arthur sbuffò –Certo, comodo per te.
Francis corrugò la fronte, confuso su quello che volesse dire –Comodo per far cosa?
Arthur gli lanciò uno sguardo ovvio, come se l’altro stesse solo nascondendo qualcosa che sapeva benissimo –Non pensi che dovremo parlare di quello che è successo ieri?
Il francese alzò un sopracciglio –Ora sei propenso a parlare? Perché ieri appena provavo a dire una parola tu non facevi altro che interrompermi e urlare di sopra.
Arthur si alzò, afferrandolo per il colletto della camicia e guardandolo dall’alto verso il basso visto che l’altro era seduto.
-Non provare a fare passare me dalla parte del torto.
Francis sospirò quasi in modo teatrale, poi lo fissò serio –Cosa vuoi che ti dica, Arthur?
-Perché diavolo hai pensato che agire alle mie spalle sarebbe stata un’idea geniale?
-Perché se te l’avessi chiesto non mi avresti mai permesso di andarci.
Arthur alzò le mani esasperato –E ti stupisce come cosa?
Francis rimase in silenzio, poi alzò un angolo della bocca in un sorriso quasi malizioso –Quindi ti sei preoccupato per me?
Arthur arrossì girandosi di scatto –Che stai a dire stupido francese? Io? Assolutamente! Non potrei mai preoccuparmi per uno come te! Tzk…
Francis continuò a sorridere, avrebbe potuto continuare a stuzzicarlo, ma semplicemente decise di alzarsi e abbracciarlo da dietro –Mi dispiace- sussurrò mentre lo sentiva irrigidirsi tra le sue braccia –Ammetto di aver agito d’istinto, ma non mi pento di quello che ho fatto.
-Idiota- sussurrò in risposta l’inglese mentre cercava di liberarsi dalla sua presa.
Francis fece in modo che girasse tra le sue braccia per averlo di fronte, lo fissò per pochissimo in quegli occhi verdi, poi il suo sguardo si posò sulle sue labbra, labbra che Arthur aveva socchiuso leggermente.
Stava per baciarlo quando entrambi sentirono la voce di Gilbert che era così alta e squillante da essere chiara e forte come se fosse li insieme a loro e non all’ingresso dell’appartamento.
Arthur alzò gli occhi al cielo –c’è il tuo stupido amico, dovremo andare.
Si staccò e fece per avvicinarsi alla porta, aveva già una mano sulla maniglia quando venne afferrato dal francese che gli fece poggiare le spalle contro la porta in un botto secco e si appropriò delle sue labbra in quel bacio che pochi secondi prima gli era stato negato.
Lo baciò così bene che quando si staccò l’inglese rimase stordito per diversi secondi, tornò in sé solo quando Francis era già uscito dalla camera, aveva attraversato il corridoio ed era andato a salutare calorosamente l’amico.
Si infuriò con se stesso per come cambiava in sua presenza, per quello che riusciva a fargli, poi li raggiunse nel soggiorno del suo appartamento.
Rallentò il passo e si morse un labbro imbarazzato quando vide Matthew, il fratello di Alfred, sussultare notandolo e afferrare un lembo della maglia di Gilbert quasi come riflesso involontario.
Il tedesco gli si mise di fronte, come pronto a proteggerlo da un imminente attacco.
Si sentì ancora peggio.
Antonio, Ludwig e Francis stavano assistendo alla scena in silenzio.
Arthur sospirò, poi gli si avvicinò, a capo chino.
-Volevo scusarmi con entrambi per come ho reagito l’altro giorno, per quello che ho fatto e per le parole che ho detto. Sono stato un pezzo di merda, lo so. Ma ce l’avevo così tanto con Alfred che davvero, non mi sono reso conto che non eri lui…
Gilbert borbottò qualcosa di incomprensibile mentre Matthew invece abbozzava un piccolo sorriso dolce –Non fa nulla, non ce l’ho con te. Conosco mio fratello e so bene quello che fa alle persone, non sei di certo il primo che ha reagito così e di sicuro non sarai l’ultimo. Non incolparti troppo.
Antonio e Francis si lanciarono uno sguardo incredulo, entrambi chiesero conferma all’altro di star assistendo davvero a una scena del genere, poi si rivolsero al loro migliore amico –Come diavolo è possibile che una persona così stia con uno come te?!
Ludwig annuì –è quello che continuo a chiedermi anche io.
Arthur sghignazzò divertito, poi disse di spostarsi dall’ingresso e andare nel soggiorno, alla fine era pur sempre un gentiluomo e il padrone di casa.
-Certo che siete proprio stronzi!- urlava Gilbert mentre si dirigevano nella stanza giusta e Matthew mormorava di sottofondo domande dove chiedeva cosa volesse dire tutto quello.
Ludwig si sedette nel divano seguito da Matthew e Gilbert, Antonio prese posto nella poltrona e Francis si appoggiò al bracciolo di questo. Arthur finì per rimanere in piedi, andando vicino al termosifone e poggiandosi a questo.
-Quindi… com’è che vi siete conosciuti esattamente?
Gilbert distolse lo sguardo e fu Matthew a rispondere alla domanda interessata di Ludwig –Stava venendo da te ma ha sbagliato piano e ha suonato a me, appena ho aperto non mi ha neanche lasciato il tempo di parlare che era subito entrato in casa.
Sia Francis che Antonio risero.
-Tipico, scommetto che ha anche iniziato a urlare come suo solito per attirare l’attenzione e altro.
Matthew abbozzò un nuovo sorriso all’insinuazione di Ludwig, poi si morse il labbro e lanciò uno sguardo a Gilbert, per capire se l’avesse offeso o meno.
-No davvero- Francis aveva davvero uno sguardo confuso –Come ci sei finito con uno come lui? Siete completamente l’opposto.
Gilbert strinse il suo ragazzo a sé, quasi in modo possessivo e rispose per entrambi –Io faccio per entrambi quindi la cosa si equilibra, no?- chiese conferma al canadese che annuì lentamente.
Arthur stava seguendo tutta la discussione in silenzio, non si sentiva nessuno per intromettersi e commentare, ma non poté fare a meno di sorridere quando Francis annunciò divertito che a quel punto era arrivato il momento di raccontare i momenti più importanti nella vita di Gilbert che Matthew doveva assolutamente sapere. E marcò abbastanza bene la parola “assolutamente”.
Raccontò una storia che comprendeva Gilbert, una ragazza, una proposta imbarazzante, un due di picche ancora più imbarazzante e la rivelazione che a quella ragazza piacessero altre ragazze.
Arthur aveva le lacrime agli occhi, anche Ludwig sembrava parecchio divertito ed era strano che il tedesco si lasciasse andare così tanto.
Anche Matthew stava ridendo, in modo più pacato e quasi come se volesse trattenersi per non offendere il tedesco, in ogni caso Arthur preferiva di gran lunga quella “versione di Alfred”.
-Quindi ti piacciono anche le ragazze?- chiese poi girandosi verso il suo ragazzo curioso.
Gilbert alzò le spalle –Bè si, anche per Francis è così.
Il francese annuì e Gilbert continuò incerto –E anche Ludwig?
Il fratello scosse le spalle –A me piacciono solo le ragazze.
Tutti rimasero in silenzio, fu Arthur a prendere la parola dopo aver tossito imbarazzato –Quindi Feliciano è una ragazza?
Ludwig rise –No, ma lui è un’eccezione, non mi piacciono gli altri ragazzi, mi piace solo lui.
Gilbert borbottò –E poi sono io quello strano tra i due?
Francis sbatté le mani per attirare l’attenzione –Hai ragione, torniamo a parlare di te, c’era quell’altra storia bellissima, ma meglio se la racconta Antonio che io quel giorno non c’ero.
Tutti si girarono verso il diretto interessato ma questo non stava proprio ascoltando, troppo concentrato a fissare il cellulare con sguardo preoccupato.
-Oi Antonio, sei tra di noi?- Francis, quello che gli era più vicino, gli schioccò le dita davanti al viso.
-Scusate- lo spagnolo sorrise imbarazzato –Qual’era la domanda?
Matthew lo fissò inclinando il volto di lato –Ti è successo qualcosa?- chiese con quel tono basso e gentile.
Antonio sospirò, dandosi dei colpetti con il cellulare sul ginocchio, come fosse un tic –Romano non mi risponde al telefono, sono preoccupato.
Ludwig lanciò uno sguardo all’orologio –In effetti sono le otto e mezza passate… Provo a chiamare Feliciano.
Prese il cellulare e dalle chiamate rapide ne inoltrò subito una con il ragazzo in questione, peccato che il suo cellulare iniziò a suonare proprio in quella stanza: l’aveva dimenticato a casa.
Il tedesco sospirò afflitto –Poi mi dice che non devo trattarlo come un bambino.
-Non vi state preoccupando troppo? Sono grandi e vaccinati, no?- domandò Francis non capendo il problema.
Arthur alzò gli occhi al cielo sapendo già l’effetto di quella frase sui suoi coinquilini e infatti sia Antonio che Ludwig gli lanciarono un’occhiataccia -Sono i fratelli Vargas, non li conosci- spiegò Ludwig e Antonio continuò –Inoltre mi preoccupa il fatto che i primi due messaggi li ha letti, mentre poi si è completamente scollegato, se lo chiamo mi da la segreteria.
-Magari si sono fermati a comprare da mangiare- provò a ipotizzare Gilbert e Arthur gli diede man forte –O magari semplicemente Romano non voleva partecipare a questa cosa.
Entrambe le opzioni erano molto probabili conoscendo i soggetti e così decisero di aspettare un altro po' prima di pensare di fare qualcosa di concreto.
E mentre stavano decidendo cosa mangiare quella sera, se prendere qualcosa da asporto o far cucinare i due italiani quando tornavano, il citofono iniziò a suonare.
-Vado io- disse Arthur visto che era l’unico già alzato.
Non appena il citofono aveva suonato fu come se tutti furono più sollevati, ma quando chiunque fosse non si staccò dal pulsante e continuò a suonare ininterrottamente sia Antonio che Ludwig si alzarono e lo seguirono impazienti.
Arthur prese la cornetta infastidito e con voce scazzata rispose –Chi è?
Gli rispose la voce di Feliciano, era in lacrime e parlava così veloce che Arthur non capì nulla, solo le parole “Romano”, “ambulanza”, “colpa mia”.
Strabuzzò gli occhi e mentre apriva il portone guardò i suoi coinquilini mentre chiedeva –Che è successo a Romano? Devo chiamare un’ambulanza?
Antonio scattò, corse fuori dall’appartamento e si precipitò giù dalle scale seguito a ruota da Ludwig.
Gli altri ospiti si erano tutti avvicinati per capire cosa fosse successo.
-Arthur?- domandò Francis affiancandolo e stringendogli il braccio con una mano.
L’inglese scosse la testa e fece per seguire i suoi coinquilini, avevano lasciato la porta spalancata e da sotto si sentivano diverse voci che parlavano tutte insieme, quando Ludwig urlò –ARTHUR, CHIAMA UN’AMBULANZA, SUBITO!
I suoi gesti erano diventati quasi meccanici mentre afferrava il telefono che il francese gli passava, formulava il numero di emergenza e inoltrava la chiamata, attendendo.

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Capitolo 27
*** Antonio ***


27.Antonio

La sua paura che potesse essere successo qualcosa a Romano passò solo per un secondo quando sentì il citofono suonare.
Ebbe il tempo di fare un semplice sospiro di sollievo prima che le cose iniziassero completamente a precipitare.
Quando poi Arthur rispose, corrugando la fronte e guardandolo preoccupato mentre diceva “Cosa è successo a Romano? Devo chiamare un’ambulanza?” sentì il gelo invadergli le membra.
Il suo corpo si mosse da solo mentre scappava lungo il corridoio, spalancava la porta e scendeva le scale del condominio a due a due senza preoccuparsi di potersi ammazzare.
Nel frattempo i due ragazzi erano appena entrati dal portone d’ingresso, in realtà era stato Feliciano a entrare trascinandosi di peso il fratello mezzo svenuto.
Il più piccolo dei fratelli zoppicava e aveva il volto inondato di lacrime, ma oltre questo sembrava illeso. Era stanco per essersi trascinato Romano come un peso morto per tutta quella strada con il piede che gli faceva male.
Romano invece aveva gli occhi socchiusi, di chi sarebbe svenuto da un momento all’altro, un polso girato in una posizione non naturale, parte dei vestiti bruciati e tagliati e aveva parte del collo e della guancia destra ustionate. Era sporco di sangue.
Ovviamente Antonio realizzò tutto quello in meno di un secondo, quindi riuscì a pensare solo a un prospetto generale, magari poi erano messi peggio di come aveva visto a una prima occhiata.
Ma non riuscì a riflettere per molto, perché Feliciano sembrò sollevato quando vide sia lui che Ludwig alle sua spalle e, completamente privo di forze, lasciò andare il fratello che Antonio afferrò al volo.
E quando Romano gli cadde tra le braccia, ricoperto di sangue, mezzo svenuto, mentre urlava di dolore per il polso che aveva sbattuto contro il suo petto, Antonio si sentì morire.
Scivolò a terra portandoselo dietro lentamente per farlo stendere –Romano! Romano!
Tutta quello che gli capitava intorno era ovattato, tutta la sua concentrazione era per il ragazzo che stingeva tra le braccia e che aveva appena rantolato il suo nome con voce fioca e con una smorfia di dolore.
Non sentì Feliciano che, dopo essersi accasciato contro il petto di Ludwig, iniziò a piangere ancora più forte urlando frasi scomposte formate principalmente da “è colpa mia, è tutta colpa mia”.
Non vide lo sguardo preoccupato di Ludwig che stringeva a sé il suo ragazzo possessivamente cercando di calmarlo, non lo sentì neanche urlare forte ad Arthur di chiamare un’ambulanza immediatamente.
Non si rese conto del tempo che passava, gli sembrava che ci stessero mettendo una vita i soccorsi ad arrivare, come allo stesso tempo pensò che non fosse passato neanche un secondo quando Francis lo scostò con delicatezza dal corpo di Romano per permettere ai paramedici di occuparsi del suo ragazzo.
 
Due ore dopo erano tutti nella sala d’attesa dell’ospedale.
Francis aveva comprato il caffè a tutti, eccetto ad Arthur che aveva preso il the, in quel momento erano seduti uno di fronte all’altro, Francis sorseggiava il suo caffè mentre l’inglese dopo la prima smorfia schifata aveva lasciato andare la bevanda, ma non si era lamentato e non aveva detto nulla al Francese.
Gilbert e Matthew erano seduti in quelle sedie scomode in plastica, uno di fianco all’altro, il canadese aveva poggiato la testa sulla spalla del suo ragazzo e questo l’aveva stretto a sé. Non parlavano, si limitavano a fissare o a far muovere il liquido scuro della bevanda nel bicchiere che tenevano tra le mani.
Ludwig era qualche sedia più a destra rispetto a loro, chinato in avanti con le mani tra i capelli, non diceva una parola, il bicchiere del caffè vuoto.
Antonio invece aveva ignorato il suo caffè, era già abbastanza agitato e non riusciva a stare fermo, tanto che continuava a percorrere l’intero perimetro della sala d’attesa a grandi falcate, più e più volte, la caffeina non gli avrebbe di certo fatto bene.
Il primo a raggiungerli fu Feliciano, aveva un piede fasciato ma riusciva a camminare anche senza stampelle, era accompagnato da un dottore.
Gilbert chiamò il fratello per attirare la sua attenzione e quando questo alzò lo sguardo subito si diresse da Feliciano rilasciando un sospiro di sollievo.
Ludwig lo raggiunse in fretta e lo strinse tra le braccia, poi ascoltò cosa il dottore avesse da dire, anche gli altri si erano avvicinati per sentire.
-Il piede non è rotto, era solo una storta, per questo non l’abbiamo ingessato. Può camminare ma meglio che faccia il minimo sforzo per almeno una settimana, okay?
Ludwig annuì diligente, il dottore continuò –Gli abbiamo dovuto somministrare dei tranquillanti perché non smetteva di urlare e piangere per suo fratello, per questo adesso è stordito, conviene portarlo a casa, si addormenterà a breve.
Ludwig annuì di nuovo ma Feliciano rispose con voce strascicata –Io non ci vado a casa fino a quando non so qualcosa di Romano!
Il dottore sospirò –Non abbiamo stanze libere, mi dispiace.
Feliciano si aggrappò alla maglia di Ludwig, il labbro gli tremava –Non importa! Resto qui, con loro!- poi si girò verso il suo ragazzo –Non portarmi via, ti prego.
-Non lo farò- rispose subito Ludwig, convinto di quello che stava dicendo.
Il dottore non fece più nulla, si limitò a dire che li avrebbe avvertiti quando c’erano notizie di Romano, poi andò via.
Ludwig prese in braccio Feliciano, si andò a sedere nella sedia che stava occupando fino a poco prima e se lo sistemò addosso, facendolo poggiare contro il suo petto in una posizione più comoda rispetto tutte le altre –Dormi qui.
Ma Antonio aveva aspettato troppo, così esplose contro il più piccolo dei fratelli –Si può sapere che diavolo è successo?
Ludwig gli lanciò un’occhiataccia –Non lo vedi che non…
Venne interrottò da Feliciano che biascicò –No, ha ragione, è giusto che gli racconti.
Gli avevano iniettato così tanti tranquillanti che raccontò con voce bassa e quasi monotona, non pianse come se quello non fosse un suo vero ricordo, come se non lo toccasse in prima persona, le parole gli uscirono dalla bocca come se non fosse davvero lui a raccontare.
-Stavamo tornando a casa, quando in una via abbiamo sentito delle voci, erano dei ragazzi ubriachi e crudeli, Romano mi ha detto di andare via ma io non l’ho ascoltato, perché si stavano divertendo a torturare un povero gatto, gli strappavano il pelo, poi lo bagnavano di alcool e lo bruciavano… non potevo far finta di non aver visto, capito? Solo che… loro erano in tre e noi, non siamo molti bravi in questo genere di cose.
La voce gli era diventata più fievole, così alzò una mano per strofinarsi un occhio e tenersi sveglio gli ultimi minuti.
-Romano mi ha protetto, mi sono preso solo una storta al piede perché lui mi ha spinto via, per poi proteggermi da quei tre. Gli hanno rotto il polso sbattendolo contro il muro, l’hanno picchiato e l’hanno ferito con una bottiglia di vetro che gli hanno rotto addosso, si è tagliato con il vetro e si è bagnato con un po' d’alcool che poi ha preso fuoco quando uno ha iniziato a usare un accendino. Però si sono spaventati quando hanno visto il suo volto in fiamme e sono andati via, solo così sono riuscito a prendere Romano e trascinarlo a casa, non avevo il telefono per chiamare qualcuno e il suo si è rotto durante la rissa… Mi dispiace… È tutta colpa mia… Se solo non avessi agito d’istinto e me ne fossi andato quando l’aveva detto lui…
Inaspettatamente fu proprio Antonio a bloccare quel suo flusso di parole –Non è colpa tua Feliciano, hai reagito davanti la crudeltà delle persone, è una reazione normale, nessuno ti farà mai una colpa di questo, neanche Romano. Non sei tu che l’hai ridotto in quel modo, sono stati quei pezzi di merda e possono solo pregare che io non scopra mai il loro volto perché non sarò clemente.
-Ve… Antonio…- ormai Feliciano aveva chiuso gli occhi, nel dormiveglia sospirò –Te l’avevo detto che lui è il mio angelo…
Si addormentò profondamente e Antonio si alzò sospirando, Gilbert lo raggiunse fissandolo serio –Se vuoi andare a cercarli, io sono con te.
Antonio abbozzò un sorriso –Lo so, ma per il momento la mia priorità è Romano.
Attesero per altre due ore abbondanti, erano ormai le due passate, poi li raggiunse un’infermiera –Un parente di Romano Vargas?
Svegliarono Feliciano che mezzo stordito chiese –Mh?
-Lei è il fratello?- domandò l’infermiera avvicinandosi –Solo una persona al momento può far visita a Romano visto che non è l’orario delle visite, deve essere un parente, viene lei?
Feliciano la scrutò, gli occhi che gli si chiudevano –Lui sta bene?
-Si, sta bene, deve starà qui per tutta la notte e anche domani per accertamenti, ma sta bene adesso.
Feliciano sorrise dolce –Mi basta sapere questo, se può andare solo una persona, voglio che vada Antonio.
Antonio strabuzzò gli occhi –Sei sicuro?
Feliciano annuì –Ve… E poi, mi sento ancora quella specie di droga in circolo, non sono sicuro di arrivare nella sua stanza senza crollare addormentato da qualche parte.
Lo spagnolo annuì, l’infermiera li scrutò –Deve venire un parente- specificò per la seconda volta.
Antonio non si fece intimidire –Sono il suo ragazzo e ho l’okay del fratello, adesso mi faccia vedere Romano.
L’infermiera non disse più nulla e si avviò lungo i corridoi, lo accompagnò fino alla porta e prima di entrare parlò –Se vuole può restare qui anche tutta la notte finché non disturba gli altri, al paziente è stato somministrato nella flebo un antidolorifico che dovrebbe farlo addormentare a brave e permettergli di dormire sereno tutta la notte, per qualsiasi urgenza c’è il pulsante rosso accanto al letto.
Antonio annuì, poi entrò richiudendosi la porta alle spalle, non appena Romano lo mise a fuoco cercò di mettersi seduto e la prima cosa che chiese con voce roca fu –Dov’è Feliciano, come sta?
Antonio si affrettò a raggiungerlo per farlo mettere nuovamente sdraiato –Sh, sta bene, ha solo una slogatura la piede, ora dorme, era così preoccupato per te che gli hanno dovuto somministrare dei tranquillanti per calmarlo.
Romano si morse il labbro ma fu sollevato di sapere che l’altro stesse bene, lo si vedeva dai suoi occhi pieni di sollievo.
Antonio strinse le labbra e sedendosi al suo fianco allungò una mano ad accarezzargli quella parte del viso non fasciata dalle bende candide –Tu come stai?
Romano storse la bocca –Sono stato meglio.
-L’infermiera dice che presto gli antidolorifici dovrebbero farti effetto e che ti addormenterai a breve.
Romano annuì –Li sento già che entrano nel mio braccio- lanciò una breve occhiata all’ago della flebo dentro la sua vena e rimase con lo sguardo li per non fissare l’altro direttamente negli occhi, le guancie rosse –Tu resti con me?
-Non vado da nessuna parte.
Romano annuì di nuovo –Sappi che non ho nessuna intenzione di scusarmi per quello che ho fatto, se ti sei preoccupato o meno, lo rifarei altre mille volte.
-Lo so- rispose in fretta Antonio –Non avevo alcuna intenzione di dirti nulla.
Fece una pausa, poi concluse con voce più bassa –Ricordi la sera quando abbiamo litigato? Hai detto a Ludwig che non poteva neanche immaginare cosa significasse vedere la persona che più ami al mondo caderti tra le braccia più morto che vivo. Ecco… adesso ho capito quello che si prova.
Romano arrossì del tutto, quella era a tutti gli effetti una dichiarazione.
Rispose semplicemente con un “baciami” biascicato e Antonio obbedì subito fino a quando non lo sentì cadere tra le braccia di Morfeo.

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Capitolo 28
*** Arthur ***


28.Arthur

-… ed è per questo che anche negli anni ‘80 c’è stato un incremento de…
Il professore interruppe il suo lungo monologo parlandogli sopra.
-Va bene signor Kirkland, ho potuto appurare che lei è abbastanza preparato, che ne pensa del 28? Accetta?
Arthur sorrise soddisfatto annuendo subito.
Aspettò che il professore registrasse il voto al pc mentre lui recuperava i suoi libri sparsi per il tavolo, poi si alzò, gli strinse la mano e uscì dall’aula con un sorriso soddisfatto in volto.
Trovò Francis diversi metri più avanti, sempre lungo il corridoio che portava all’aula dove continuavano a svolgersi gli esami, non appena lo vide gli si illuminarono gli occhi.
-Allora? Com’è andata?
Arthur mise le mani sui fianchi e lo fissò con aria di superiorità -28.
Francis sorrise felice per lui, poi lo punzecchiò mentre iniziavano a camminare fuori dalla struttura –Potevi fare di meglio.
Arthur sbuffò andandogli dietro dopo avergli dato una gomitata –Ma stai zitto, sono stato fantastico!
Francis ghignò –Ma non è comunque 30.
-Voglio proprio vedere te con quanto ti laurei.
Il francese gli fece un occhiolino –Se prenderò un voto basso sarà colpa del mio modello, io sono perfetto.
-Mi hai scelto tu, non hai nulla di cui lamentarti.
Francis stava per rispondere a tono, ma erano arrivati quasi fuori dall’università e una figura si piazzò davanti a loro.
Arthur trattenne il fiato e Francis gli si mise davanti, come a proteggerlo.
-Sparisci- disse all’americano con tono duro.
Alfred gli lanciò un’occhiata annoiata, poi guardò lui –Ti volevo parlare.
-Io non voglio parlare con te- rispose Arthur in fretta.
-Va bene, tanto sono io quello che voleva parlare.
Francis lo afferrò per un braccio, forse voleva portarlo via di li, ma Arthur rimase fermo, voleva ascoltare quello che l’altro aveva da dirgli.
-Sto partendo- continuò l’americano non staccando lo sguardo dai suoi occhi –Vado in Giappone per un anno con Kiku, voglio provare a cambiare vita, voglio ricominciare e non posso farlo qui, non con tutte le persone che mi conoscono.
-E Ivan?
Alfred rimase per qualche secondo in silenzio, poi rispose –Capisco che pensi il peggio di me, ma non avevo intenzione di continuare a stare con lui dopo che ha tentato di stuprare mio fratello.
Arthur trattenne il fiato, Francis invece non si mosse, non cambiò espressione, da questo l’inglese capì che era una cosa che già sapeva, che gliel’aveva di sicuro raccontata Gilbert.
Arthur poi annuì –Sei venuto a dirmi solo questo?
Alfred alzò le spalle –Mi sembrava giusto dirtelo di persona.
Arthur annuì di nuovo, poi domandò –Toglimi una curiosità… Di Kiku sei innamorato?
Alfred distolse lo sguardo e si morse un labbro –Non lo so- rispose sinceramente –Non sono sicuro di poter amare davvero, ma se c’è qualcuno che potrebbe farmi cambiare idea, quello sarebbe sicuramente lui.
Arthur sentì un peso sullo stomaco, strinse le labbra e passò a uno sguardo impassibile, semplicemente annuì per la terza volta.
-Mi dispiace, ma non avrei mai potuto darti quello che volevi- lanciò un breve sguardo a Francis prima di tornare su di lui e dirgli –Spero tu sia felice, addio Arthur.
Si girò e si allontanò così come era arrivato.
Francis lasciò andare lentamente il braccio dell’inglese che aveva afferrato pochi istanti prima, sospirò mettendo le mani in tasca e distogliendo lo sguardo.
-Pensavo che non fossi più innamorato di lui- lo disse con un tono quasi rassegnato.
Arthur portò di scatto lo sguardo su di lui –Infatti non lo sono!
Francis sbuffò –Guarda che la tua faccia era abbastanza evidente quando ha detto che poteva innamorarsi di quell’altro.
-Non è per quello che credi tu- sussurrò Arthur.
-Non c’è bisogno che ti giustifichi ogni volta Arthur, hai messo ben in chiaro le cose abbastanza spesso.
Arthur strinse i pugni –Non è una giustificazione, sono serio, non ci sono rimasto male perché ama un altro, ci sono rimasto male perché non riesco proprio a capire…
-Cosa, Arthur, cosa!?- Francis ormai era esasperato.
-Perché chiunque altro venga sempre prima di me? Perché non sono mai la prima scelta di nessuno? Perché alla gente non piaccio? Cosa devo fare per farmi amare da qualcuno?
Era diventato un fiume in piena, tutto quello che si teneva dentro da anni gli era uscito fuori, e non gli importava che fosse ancora dentro l’università e che stesse dando spettacolo a quelle poche persone che si trovavano intorno a loro, tutto era scomparso per lasciare  spazio alla sua disperazione e ai suoi pensieri cupi.
-Perché sei così stupido da non renderti conto che io ti amo!
Francis rispose di getto, era infuriato e non si rese conto di aver detto quelle parole fino a quando non concluse l’ultima sillaba.
Si fissarono, entrambi con gli occhi sgranati, l’uno non sicuro di aver davvero detto quello e l’altro non certo di aver sentito bene.
Le guancie di Francis divennero rosse e Arthur boccheggiò qualcosa di incomprensibile.
Nessuno dei due sapeva cosa altro dire e fu proprio il cellulare di Arthur a toglierli dall’impaccio quando iniziò a suonare avvertendoli di una chiamata.
Quando l’inglese si apprestò a prenderlo dalla propria tasca si accorse di star tremando, lesse il nome di Romano nel display e si morse un labbro.
Non avrebbe voluto rispondere per cercare di capire quello che era appena successo, ma non poteva ignorare una chiamata di Romano, non dopo che il ragazzo era uscito dall’ospedale solo il giorno prima con un braccio ingessato per il polso rotto e mezza faccia bendata.
-È Romano- disse come scusa, poi rispose.
-Roma, tutto bene?- chiese come prima cosa allontanandosi leggermente dal francese e cercando di ignorare il suo sguardo che sentiva fisso su di sé.
-Si può sapere dove sono i miei cazzo di antidolorifici?- urlò l’altro ragazzo nella cornetta così forte che l’inglese dovette scostarsi leggermente il telefono dall’orecchio per non rimanere sordo.
Sospirò, ma cerco di restare calmo e non urlargli contro come facevano di solito, non gli sembrava il caso viste le sue condizioni.
-Dovrei saperlo io?- chiese gentilmente.
-Non lo so se lo sai tu! Ma qui sono da solo! Mi fa male tutto e non ho idea di dove ieri mio fratello o Antonio abbiano messo gli antidolorifici quando siamo tornati a casa.
-Uhm… Non puoi chiedere a loro?
-Eh, grazie! Mio fratello è a lezione e non risponde, Antonio sta lavorando al ristorante dai suoi zii e non risponde neanche lui…
-Va bene Romano, ora vado da Antonio e mi faccio dire dove sono, torno presto, il tempo della strada dall’università al ristorante e poi quella per tornare a casa.
Romano rimase in silenzio.
Dopo diversi secondi Arthur domandò –Ci sei ancora?
-Si…- Romano aveva smesso di urlare –Scusa, mi ero scordato del tuo esame…
Arthur sorrise –Tranquillo, già fatto, è andato tutto bene.
-Bè- Romano alzò di nuovo la voce per mascherare il suo imbarazzo –Allora muoviti!- e gli chiuse la chiamata in faccia.
Posò il telefono e si girò verso Francis, non poté fare a meno di arrossire non appena incontrò il suo sguardo –D… Devo andare da Antonio, ha gli antidolorifici di Romano e poi tornare subito a casa- inizialmente stava quasi balbettando –Tu sai dove lavora con i suoi zii, vero?
Francis annuì e si mise al suo fianco mentre si avviarono finalmente fuori dall’università e verso la macchina del francese.
Quando erano quasi arrivati alla vettura Francis decise di parlare mantenendo lo sguardo fisso di fronte a sé –Potresti dimenticare quello che ho detto? Possiamo far finta di nulla?
Arthur annuì all’istante mentre apriva lo sportello e si sedeva nel posto del passeggere.
Non sapeva se sentirsi sollevato per quella richiesta o se rimanerci completamente male, decise così di spegnere il cervello e fare come l’altro gli aveva chiesto.
Avrebbero continuato come sempre, perché i sentimenti erano un qualcosa di troppo complesso da gestire e nessuno dei due ne era davvero pronto.

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Capitolo 29
*** Romano ***


29.Romano

Romano cercò di aprire il barattolo di marmellata quasi vuoto con la mano sana poggiandolo tra il gesso del braccio e lo stomaco, ma non solo non ci riuscì, questo scivolò e si ruppe a terra, sparpagliando sul pavimento pezzi di vetro e di marmellata rossa.
Urlò un’imprecazione sbattendo la mano sul tavolo.
Era furioso e arrabbiato con se stesso, per sentirsi così inutile, per non riuscire a fare neanche una semplice operazione come quella di prepararsi la colazione.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime per la rabbia ma le ricacciò indietro, odiava sentirsi in quel modo, come si era sentito imponente la sera in cui aveva cercato di proteggere Feliciano.
-Romano!- esclamò allarmato Antonio che si era appena precipitato in cucina attirato dal rumore.
Vide i cocci di vetro a terra e il suo volto cupo, sospirò, ma non disse nulla.
Perché erano già tre giorni che stava dietro i suoi sbalzi d’umore e le sue crisi più isteriche del normale, ma non gli diceva nulla, perché capiva quello che stava passando.
Romano era scalzò, così Antonio lo prese in braccio per non farlo tagliare con il vetro e lo fece sedere su una sedia del tavolo, poi iniziò a pulire tutto quello che stava a terra.
L’italiano non fiatò, abbassò il capo nascondendo gli occhi con i capelli e afferrò un biscotto dal tavolo pronto per la colazione riempiendosi la bocca.
Masticò lentamente e guardò di sottecchi il lavoro dello spagnolo che aveva appena finito di raccogliere tutti i cocci appuntiti e ora stava lavando per evitare che rimanesse appiccicoso.
Rimasero completamente in silenzio fino a quando non vennero raggiunti da Francis.
Era vestito di tutto punto, ma Romano poteva giurare che la maglietta che indossava appartenesse ad Arthur.
Il francese si sedette a tavola e iniziò a servirsi tranquillamente dopo aver annunciato uno squillante buongiorno al quale rispose solo Antonio distrattamente.
Si riempì il piatto e quando prese una fetta di pane si guardò intorno alla ricerca di qualcosa.
-Dov’è la marmellata alle fragole?- chiese poi non trovandola.
Romano strinse i pugni e Antonio, alzandosi da terra con lo straccio in mano, rispose –Non ne sta più.
Francis fissò il suo amico, poi il pavimento, capì quello che era successo e sbuffò seccato –Ora come faccio colazione senza la mia marmellata?
E Romano esplose, perché si sentiva chiamato in causa, nonostante il francese non l’avesse accusato direttamente –Hai forse scambiato questa casa per un albergo?
Francis portò lo sguardo su di lui, uno sguardo che Romano non riuscì a interpretare.
-Poi com’è che sei davvero sempre qui? Ormai ci vivi qua dentro! E hai pure il coraggio di lamentarti? Ma non ce l’hai una casa tua?
Francis continuò a fissarlo con lo stesso sguardo e, inaspettatamente, non rispose in alcun modo.
Antonio fissò entrambi, spostando lo sguardo prima su una figura e poi su un’altra, sembrava che volesse dire qualcosa, ma dopo uno sguardo più intenso all’amico si morse le labbra e rimase zitto.
Il silenzio che seguì fu uno di quelli imbarazzanti e pesanti.
Romano non riusciva a capire cosa stesse succedendo e sinceramente non aveva voglia di entrare nei problemi degli altri visto che non riusciva a gestire neanche i suoi in quel momento.
Dopo pochi minuti che parvero interminabili vennero raggiunti anche da Arthur.
L’inglese non si accorse della tensione nella stanza, salutò tutti come suo solito e poi porse diverse cose che aveva tra le braccia a Francis.
-Tieni, sono da un po' che le lasci in camera mia, non riesco a sistemare bene.
Romano sentì Antonio trattenere il fiato, poi vide Francis spostare lo sguardo lentamente dal volto dell’inglese ai pochi vestiti che questo teneva tra le braccia.
Si alzò di scatto –Ok!- afferrò con poca grazia i vestiti che l’altro gli porgeva –Ho capito che qui sono di troppo!
Si avviò velocemente lungo il corridoio e uscì di casa sbattendo forte la porta d’ingresso.
-Siete due cretini!- urlò esasperato Antonio inseguendo poi l’amico.
Arthur aveva gli occhi spalancati, totalmente confuso per quello che era appena successo.
Quando sentì la porta sbattere per la seconda volta dopo l’uscita in scena di Antonio si girò verso l’italiano per chiedere –Ma che diavolo è successo?
Romano alzò le spalle –Io ho urlato contro il tuo ragazzo perché è sempre qui e ha scambiato questa casa per un albergo e tu l’hai letteralmente cacciato via.
Arthur aprì anche la bocca incredulo –Io non… Non lo stavo cacciando! Stavo solo…
-Rimarcando i tuoi spazi, perché nella tua camera non può entrare nulla di estraneo, ovviamente.
Arthur chiuse la bocca, Romano sapeva di aver centrato il punto.
-Certo che hai un tempismo pessimo.
Si alzò, ormai non aveva neanche più fame, lasciando l’inglese più confuso di prima si andò a sdraiare sul divano iniziando a fare zapping alla tv, con la mente proiettata da tutt’altra parte.
Si addormentò per la noia dopo un po' e venne svegliato verso l’ora di pranzo da delle voci che litigavano.
-Che vuol dire che non hai nessuna intenzione di dirmi che diavolo sta succedendo, Antonio?- questa era la voce di Arthur.
Stordito Romano si mise a sedere stiracchiandosi e sbadigliando, non vide nessuno nei paraggi ma le voci erano abbastanza forti e chiare.
-Sto solo dicendo che non dovresti saperlo da me.
-Come dovrei saperlo da Francis se sono andato a casa sua e ho trovato gente che stava traslocando! Mi hanno pure detto che quell’appartamento era libero ormai da più di una settimana! E ovviamente mi ignora i messaggi e le chiamate.
-Non è colpa mia se tu non ti rendi conto di quello che fai e non soppesi le parole.
-Ma siete impazziti tutti quanti? Non ho fatto nulla di male! Gli ho solo portato le sue cose! Che ne potevo sapere che quell’altro l’avesse già cacciato di casa?
Romano, interessato alla conversazione, si era alzato in silenzio e si era avvicinato al corridoio continuando a non farsi vedere.
Sentì Antonio sospirare –Lo so che Romano ha sbagliato più di te, ma avete unito tutte le cose insieme e con quello che gli sta succedendo…
-COSA? COSA GLI STA SUCCEDENDO? DIMMELO.
-Perché ti importa così tanto?- la voce di Antonio era calma, non si era alzata come quella dell’inglese e rispose con quell’altra domanda.
-Bè… P… Perché…. Perché si!- Arthur che balbettava? Per Romano era una novità –Perché non dovrebbe interessarmi?
-Perché ti ha detto di amarti e non hai risposto nulla.
Romano sbirciò oltre la porta, il tempo di vedere Arthur diventare completamente rosso per poi scappare fuori di casa.
Antonio sospirò di nuovo portandosi una mano davanti gli occhi, poi si girò e notò la sua figura davanti la porta.
Si fissarono, Antonio forse sperava che l’altro si scusasse, ma Romano non aprì bocca, fissandolo a sua volta con quel suo tipico sguardo corrucciato.
Lo spagnolo distolse lo sguardo, lo sorpassò dirigendosi in cucina, disse un semplice “preparo il pranzo” per poi chiudersi la porta alle spalle, lasciandolo fuori.
Romano sentì una morsa allo stomaco per quel rifiuto che non gli piacque per niente.
L’inquietudine aumentò quando Antonio, a tavola, si sedette lontano da lui.
Peggiorando quando uscì di casa diretto solo lui sapeva dove e non tornando a cena.
Quella notte l’italiano non riuscì a chiudere occhio.
Se ne stava sdraiato sul letto, immobile, gli occhi aperti a fissare il soffitto bianco.
Era da poco passata l’una quando sentì la porta d’ingresso aprirsi e dei passi leggeri per il corridoio.
Antonio era tornato.
Aspettò che si cambiasse, che andasse in bagno a lavarsi e che si chiudesse in camera.
Quando già erano passati cinque minuti di totale silenzio decise di alzarsi, a piedi nudi si diresse verso la sua camera, aprì la porta silenziosamente chiudendosela poi alle spalle.
Antonio era sdraiato a letto, ma non era ancora del tutto addormentato, perché sentì l’altro entrare in stanza e si mosse nel letto.
Romano non gli diede il tempo di dire nulla, semplicemente si mise sotto la coperta, sdraiato accanto a lui.
Cercò una posizione comoda per il braccio ingessato, con la mano libera gli artigliò il tessuto della maglia che l’altro usava per dormire e poggiò la fronte contro la sua schiena.
-Mi dispiace- sussurrò ingoiando tutto il suo orgoglio –So di starmi comportando di merda in questi giorni, più del solito… Ti prego, non lasciarmi.
La voce gli si incrinò, Antonio ebbe il tempo di girarsi per guardarlo in viso che l’altro scoppiò a piangere stringendosi contro il suo petto.
Lo spagnolo non perse tempo a stringerselo contro baciandogli la testa –Non ho nessuna intenzione di lasciarti- rise leggermente –Non mi aspettavo neanche delle scuse, mi sarebbe andato bene comunque.
Romano alzò la testa, avevano i volti vicinissimi.
Lo scrutò a fondo, si perse in quegli occhi verdi che lo fissavano con amore.
Antonio si avvicinò al suo volto per baciarlo, ero così vicino che ormai le labbra si sfioravano, quando Romano parlò di getto.
-Ti amo.
Lo spagnolo strabuzzò gli occhi trattenendo il fiato, lo scrutò cercando di capire se avesse sentito bene o meno.
Romano non lo ripeté, ma il rossore che gli aveva invaso il corpo era abbastanza evidente.
-Mi amor…
Si avventò sulle sue labbra, baciandolo con foga.
Lo trattò con amore, stando attento alle parti ferite e fasciate del suo corpo.
Fecero l’amore, con la consapevolezza di essere completamente l’uno dell’altro, promettendo a se stessi che nessuno li avrebbe mai separati.
Perché avevano trovato quel qualcuno per la quale valeva davvero la pena lottare.
Romano si addormentò tra le sue braccia, un leggero sorriso in volto, non si sentiva più inutile mentre quelle mani lo cullavano e la sua voce non faceva altro che mormorargli dei “te amo” direttamente nel suo orecchio.
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Ed eccomi qui per avvertirvi che ormai siamo agli sgoccioli di questa storia.
Questo era l'ultimo capitolo sulla Spamano, spero che vi sia piaciuta la loro evoluzione durante questi capitoli.
Il prossimo sarà sulla FrUK e poi sulla PruCan, infine per concludere tutto quanto torneranno tutte e tre le coppie (con l'aggiunta della Gerita che fa sempre bene di contorno) per un capitolo finale che farà quasi da epilogo.
Spero mi seguirete fino alla fine ormai!
E spero anche in qualche commento per questa coppia che amo tantissimo!
Al prossimo fine settimana, un bacio, Deh

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Capitolo 30
*** Arthur ***


30.Arthur

-Ti prego Ludwig! Che ti costa dirmelo?
Il tedesco sospirò dall’altro lato del telefono, Arthur sentiva anche Feliciano in sottofondo che diceva qualcosa, ma non riusciva a distinguere le sue parole.
-Va bene, va bene… Feliciano smettila! Sto arrivando, ho capito!
Velocemente il tedesco dettò l’indirizzo di suo fratello al suo coinquilino per poi chiudere in fretta la chiamata e occuparsi del suo fidanzato che richiedeva attenzioni.
Arthur sorrise soddisfatto e scrisse l’indirizzo su google per cercare le indicazioni stradali.
Venti minuti dopo, dopo diversi metri fatti a piedi e un tratto di strada con la metro si trovò di fronte la villetta dell’altro tedesco.
La scrutò un po', si accertò che fosse la casa giusta leggendo lo stesso cognome incomprensibile di Ludwig e solo a quel punto si avviò lungo il vialetto.
Suonò e attese mordendosi le labbra.
Ad aprirgli fu Matthew, il ragazzo sussultò sulla porta quando lo vide, Arthur sentì un peso sullo stomaco per la reazione involontaria che l’altra aveva avuto.
Sorrise triste –Ciao Matthew.
-C… Ciao- balbettò l’altro restando sull’uscio, non sapeva come comportarsi –Gilbert è sotto la doccia- spiegò dopo.
Arthur annuì, le guancie vagamente rosse mentre alzava lo sguardo e arrivava dritto al punto –Francis si trova qui?
Matthew strabuzzò gli occhi e iniziò a balbettare scuse incomprensibili per mandarlo via diventando completamente rosso.
Arthur lo ascoltò per i primi tre secondi, poi agì d’istinto –Scusa, ma devo davvero vederlo.
Lo scostò dalla porta quasi con facilità entrando dentro la casa nonostante non fosse stato invitato.
-Francis!- iniziò a urlare avviandosi velocemente lungo tutte le stanze e scrutando dentro, ignorando Matthew che lo inseguiva cercando di fermarlo senza alcun risultato –Francis lo so che sei qui!
Iniziò a salire le scale per il piano di sopra quando la ricerca al piano di sotto fu del tutto inutile, continuava a urlare il nome dell’altro e fu per questo che attirò anche l’attenzione del padrone di casa.
Gilbert uscì da una stanza che doveva essere il bagno, tutto bagnato e con solo un asciugamano a coprirgli la vita, aveva un’espressione annoiata mentre chiedeva –Che diavolo sta succedendo in casa mia?
Matthew corse da lui, lo abbracciò ignorando il fatto che fosse bagnato e con voce bassa iniziò a scusarsi –Mi dispiace, non sono riuscito a fermarlo, è entrato prepotentemente e io…
Smise di mormorare quando Gilbert gli mise una mano tra i capelli e gli sussurrò che andava tutto bene.
Arthur però non era concentrato su di loro, tutta la sua attenzione era rivolta verso la persona che stava cercando, attirato anche lui da tutto quel rumore era uscito dalla stanza dove si trovava fino a un attimo prima e ora lo stava scrutando dallo stipite della porta.
Gilbert fece per dirgli qualcosa, ma Arthur anticipò tutti, con voce ferma e con lo sguardo che non si spostava dagli occhi azzurri di Francis disse –Non ho nessuna intenzione di andarmene da qui fino a quando non avremo parlato.
Francis guardò il suo amico e semplicemente annuì, come a dirgli che andava tutto bene, poi fece segno ad Arthur di seguirlo in camera.
L’inglese non se lo fece ripetere due volte e quando l’latro chiuse la porta alle sue spalle e si girò verso di lui il braccio di Arthur agì quasi da solo mentre si alzava per dare un forte schiaffo sulla guancia dell’altro.
Francis rimase con la testa inclinata mentre si portava lentamente una mano a coprire la parte del volto lesa –E questo per cosa è?- domandò con voce bassa.
Arthur strinse i pugni e le labbra, poi gli diede le spalle e si tolse il giubbotto con rabbia, gettandolo malamente sul letto immacolato che il francese doveva aver usato in quei giorni.
Sembrava in tutto e per tutto una camera degli ospiti quella, in un angolo riuscì anche a intravedere degli scatoloni chiusi e una valigia mezza aperta dal quale uscivano un paio di vestiti, non aveva sistemato le sue cose perché non voleva rimanere li per troppo tempo.
La rabbia esplose nel petto dell’inglese e tornando a guardarlo gli urlò contro, infilandogli l’indice nel petto a ogni frase –Sei solo un bastardo! Un cretino! Perché diavolo non mi hai raccontato nulla? Perché continui a tenermi segrete le cose come quando sei andato alla festa di Alfred!? Cosa credi, che sia così stupido o fragile da non poter gestire tutto questo? E perché poi hai iniziato a fare la primadonna quando hai totalmente frainteso quello che stavo dicendo l’altra mattina e hai anche smesso di rispondermi al cellulare sparendo? Ho dovuto pregare Ludwig di darmi l’indirizzo di suo fratello solo perché speravo che tu fossi qui. Non avevo idea che Romano ti avesse già cacciato di casa e non sapevamo di certo la situazione.
Francis lo stava guardando, in silenzio, aveva uno sguardo che Arthur non riusciva a decifrare e questo lo fece infuriare ancora di più.
Lo spinse con entrambe le mani urlando –Rispondimi!
A quel punto il francese sospirò chiudendo gli occhi, si passò una mano tra i capelli e si andò a sedere sul bordo del letto.
-I miei genitori hanno avuto problemi finanziari, cose noiose che non ti sto qui a raccontare, non potevo più permettermi l’appartamento che pagavano loro, sto finendo l’università solo perché ormai mi manca solo un esame per prendere la laurea… Poi non lo so, non ho idea di quello che farò, Gilbert e Antonio non potranno aiutarmi per il resto della vita, forse me ne tornerò in Francia, mi troverò qualcosa…
-Dovevi dirmelo.
Francis sorrise triste –Non volevo farti pena.
-Avrei potuto aiutarti, sai che studio economia, sai che…
Francis concluse la frase per lui –So che ami i soldi, non volevo che ti sentissi obbligato a fare qualcosa.
Arthur rimase in silenzio, trattenne il fiato e solo dopo diversi secondi sussurrò pianissimo –Ma amo anche te.
-Eh?- Francis strabuzzò gli occhi e si alzò di scatto, sentiva solo il rimbombo del suo cuore che batteva veloce.
Arthur gli diede le spalle, troppo imbarazzato per guardarlo direttamente negli occhi, si strinse le braccia intorno al busto come per proteggersi da se stesso e da quello che stava per confessare.
-Ci penso da quando me l’hai detto, da quel giorno le tue parole non fanno altro che persistere nel mio cervello. E pensandoci, io… Non voglio perderti. Non posso. E non so quando è successo, quando è cambiato, ma io con te faccio l’amore. E quando te ne sei andato, quando hai smesso di rispondere ai miei messaggi e alle mie chiamate… non voglio sentirmi più così male.
Sussultò quando sentì il corpo dell’altro poggiarsi sulla sua schiena, le sue braccia stringerlo a sé e il suo volto avvicinarsi al suo collo, rabbrividì quando sentì le sue labbra che gli accarezzavano piano la pelle e gli occhi gli si riempirono di lacrime quando sentì sussurrato direttamente nel suo orecchio –Je t’aime aussi.
Arthur si girò tra le sue braccia e si avventò sulle sue labbra, lo baciò voracemente, stringendogli i capelli tra le dita quasi a fargli male.
Francis rispose con enfasi, stringendoselo di più contro e facendolo alzare quasi da terra.
Finirono sul letto, quando Arthur sentì la sua schiena contro il materasso diede un colpo di reni e modificò le posizioni, gli si mise sopra bloccandogli la mani ai lati della testa.
Lo fissò negli occhi, uno sguardo furente che poteva uccidere, la bocca socchiusa mentre cercava di riprendere fiato.
-Se provi ad andartene ti uccido- minacciò.
Francis rise, una risata genuina e sincera –Se mi minacci così non posso mica rischiare.
Arthur mise su una faccia soddisfatta –Perfetto allora- gli diede un nuovo bacio, breve e a stampo, poi tornò a parlare –Sistemeremo tutto, ti aiuterò io, devi solo spiegarmi tutta la situazione.
Francis fece per parlare, ma Arthur lo interruppe continuando a parlare sopra.
-È inutile che mi dici che sono cose noiose, ti ricordo nuovamente che studio economia, per me queste cose non sono noiose, tutt’altro.
Francis lo scrutò, poi sospirò annuendo lentamente –Va bene, ma…
-Ma?
-Ma prima potremo continuare quello che stavamo iniziando? Non la senti la mia presenza molesta?- diede un colpo di bacino per enfatizzare la cosa –Visto che sei il mio ragazzo è diventato un tuo dovere occuparti di certe cose.
Arthur divenne completamente rosso –Sei un pervertito- borbottò sempre più imbarazzato e per evitare che l’altro commentasse il suo rossore o contestasse quello che aveva appena detto tornò a baciarlo con così tanta enfasi che non ci fu più bisogno di parole.

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Capitolo 31
*** Gilbert ***


31.Gilbert

Gilbert sentiva l’adrenalina scorrere tra le vene.
Stringeva senza paura la pistola tra le mani, la teneva con fermezza, un occhio chiuso per mirare meglio.
Sentiva la presenza di Matthew al suo fianco, ma nulla di tutto quello che lo circondava l’avrebbe distratto dal suo obiettivo.
Premette il grilletto e la pallina che uscì dal giocattolo centrò in pieno anche l’ultima lattina ancora in piedi, facendola cadere a terra e permettendogli di vincere anche quel turno.
-SI!- Esultò con la sua tipica voce squillante alzando i pugni in segno di vittoria.
Matthew si strinse di più al suo fianco –Fai un po' paura- commentò a bassa voce –E non voglio sapere come hai imparato a sparare così bene.
Gilbert lo fissò con un sorrisetto divertito e gli fece un occhiolino come risposta, poi diede attenzione alla ragazza dietro il bancone del gioco della giostra che stava parlando con lui.
-Visto che ne hai vinti tre di fila puoi scegliere il premio che più preferisci.
Gilbert si guardò un po' intorno pensieroso fino a quando non adocchiò il peluche di un orso bianco, era abbastanza grande e non sarebbe passato inosservato, ma non gliene poteva importare di meno.
Scelse quello e non appena gli fu consegnato si girò verso il suo ragazzo porgendolo a lui.
Matthew strabuzzò gli occhi –P…Per me?
-Certo, non ti piace?
Matthew lo afferrò subito stringendoselo al petto, aveva gli occhi luminosi e un sorriso sincero in volto –Un sacco!
Gilbert era soddisfatto, sapeva che gli sarebbe piaciuto, ormai aveva imparato a conoscere tutte le passioni, più o meno strane, del suo ragazzo.
Gli mise un braccio intorno alle spalle e si avviarono lungo il luna park.
Erano le undici passate ed erano felici di quella che era stata la loro serata.
Gilbert l’aveva portato sulle montagne russe, dove Matthew si era più preoccupato di perdere gli occhiali che altro, nella casa dei fantasmi dove l’altro non aveva fatto altro che urlare al minimo rumore e stringersi di più a lui, avevano mangiato, avevano comprato lo zucchero filato ed avevano concluso con il gioco a premi che aveva voluto fare Gilbert.
Uscendo dal luna park, dopo aver attraversato si trovarono al lungomare, Matthew si fermò a fissarlo –Mi è sempre piaciuto il mare in inverno- sussurrò impercettibilmente.
Così Gilbert lo condusse in una panchina li vicino che si affacciava sul mare, non c’era quasi nessuno in giro dato che erano a metà dicembre e la gente preferiva stare nei posti chiusi al caldo la sera.
Rimasero in silenzio, Matthew era stretto al suo fianco, il braccio del tedesco che gli circondava le spalle lo faceva sentire protetto da tutto e tutti, mentre a sua volta si stringeva il peluche al petto.
Fu proprio il canadese a rompere quel silenzio pronunciando un semplice nome –Kumajirou.
-Eh?- domandò il tedesco confuso.
-Kumajirou, è così che voglio chiamarlo.
E Gilbert solo dopo diversi secondi capì che si stava riferendo all’orso polare che stringeva tra le braccia con amore.
Sorrise divertito e gli lasciò un bacio tra i capelli –è un bel nome.
-Grazie- sussurrò l’altro alzando poi lo sguardo e mettendo i suoi occhi chiari in quelli scuri dell’altro –Per tutto, grazie.
Gilbert lo baciò, lentamente, perché era impossibile trattenersi se lo fissava con quell’espressione così dolce e innamorata.
-Te l’ho detto- sussurrò direttamente sulle sue labbra quando si fu staccato, passandogli una mano tra i capelli lunghi –Devi iniziare ad abituarti a tutto questo.
Matthew sorrise –Sono felice.
-Di aver trovato qualcuno che ti vizia così?- domandò divertito l’alto facendo quella domanda quasi come una battuta.
Ma Matthew rispose serio, divenne tutto rosso ma non abbassò lo sguardo mentre lo correggeva –Di aver trovato qualcuno che mi ama così.
Gilbert strabuzzò gli occhi, alla fine non avevano mai parlato apertamente di quella cosa.
Gilbert aveva detto ad altri che lo amava, ne era consapevole, ma non l’aveva mai detto a Matthew.
Non ricevendo risposta il canadese nascose il volto contro il peluche e borbottò –Scusa se mi sono spinto troppo oltre, so che non me l’hai mai detto, solo che io… Non ho mai avuto niente di tutto questo e, anche se non mi ami, per me è la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita, sono felice di questo, sono felice con te, non voglio perderti e per come mi tratti, è la prima forma di amore vero che ho mai ricevuto, quindi non so cosa sia tutto questo per te, ma per me è amore.
Era strano sentire Matthew fare quei discorsi così lunghi ed era strano che Gilbert rimanesse in silenzio per così tanto tempo, troppo sconvolto per capire come comportarsi e come rispondere. Aveva sempre avuto tutto sotto controllo, quello invece gli stava sfuggendo di mano.
Il telefono di Matthew iniziò a squillare, il canadese si affrettò a prenderlo dalla tasca, lesse sul display il nome e si alzò in fretta, continuando a stringersi l’orso al petto –Scusa, è mio fratello, devo rispondere.
Si allontanò e Gilbert non sentì nulla di quella conversazione, l’altro non era così lontano da non poterlo sentire, ma non era davvero concentrato sulle sue parole, non gli interessava quello che aveva da dirgli Alfred. Piuttosto era concentrato sulla sua figura, era così bello e dolce che ancora non si spiegava come fosse stato il primo ad accorgersi di tutto questo.
Si alzò per avvicinarsi, aveva intenzione di dirgli che lo amava e che era suo, solo suo. E non voleva più aspettare, gli avrebbe preso il cellulare e avrebbe chiuso la chiamata con quel cretino che non lo meritava.
Non lo fece solo perché Matthew aveva gli occhi sbarrati, un sorriso felicissimo in volto e stava urlando, per quanto il suo tono di voce glielo permettesse –Davvero? Grazie mille Alfred! Davvero grazie, mi hai reso felicissimo di questa notizia, non credevo che riuscissi davvero a fare qualcosa! Grazie, grazie… Si, si, domani mattina, terrà il telefono acceso. Grazie!
Chiuse la chiamata e si girò a fissare lui con gli occhi quasi lucidi.
Gilbert lo fissò confuso, corrugò la fronte e inclinò la testa di lato in una muta richiesta.
-Okay, non ti arrabbiare per quello che ho fatto, va bene?- iniziò Matthew e fece preoccupare Gilbert, il quale dovette annuire lentamente, altrimenti sapeva che l’altro non avrebbe continuato.
-Ti ricordi quando è venuto a casa mia per scusarsi? O quando mi ha chiamato per dirmi che stava partendo per il giappone?
Gilbert annuì nuovamente.
-Bè, prima di andarsene mi ha detto che se ci fosse stata qualcosa che poteva fare per me, tipo per sdebitarsi, potevo chiedere tranquillamente. Così…
-Cosa gli hai chiesto?- Gilbert era una persona che non riusciva ad attendere facilmente.
-Lui è abbastanza famoso, ha un sacco di contatti e… ha delle conoscenze alla Atlas Entertainment, gli ho chiesto se poteva fare qualcosa per te e domani ti chiameranno per stabilire un provino.
Gilbert era senza parole –Ma sei pazzo…
-So che hai il tuo orgoglio, ma ti sto semplicemente dando una possibilità, non ti prenderanno solo perché sei stato raccomandato da mio fratello, vogliono vedere il tuo talento e dovrai fare vedere tutto quello di cui sei capace, quindi sta a te fare tutto il lavoro e se dovessero prenderti sarebbe solo merito tuo.
Gilbert gli si avvicinò lentamente, alzò entrambe le mani che gli tremavano e gli sfiorò le guancie, lo accarezzò lentamente con i pollici e mormorò –Ti amo.
-Non…- stava iniziando a contestare l’altro, con le guancie rosse, ma il tedesco non glielo permise.
-Dio quanto ti amo Matthew. Sei così speciale, così buono e altruista con chiunque. Sei il primo che mi ha preso sul serio, il primo che ha davvero creduto in me, che è andato oltre l’apparenza e ha visto quello che stava dietro.
-Tu hai fatto lo stesso con me- sussurrò in risposta l’altro poggiandogli entrambe le mani sul petto e sporgendosi in avanti poggiò le labbra sulle sue, prendendo l’iniziativa del bacio.
Gilbert non si fece pregare e lo strinse di più a sé mentre rispondeva con fervore, ma non era molto comodo avere il peluche che li divideva.
-Senti Matt, non è che potremo appoggiarlo sulla panchina il tempo che…
Matthew spalancò gli occhi come se avesse appena sentito una bestemmia, fece un passo indietro e si strinse l’orso così forte al petto che per un attimo Gilbert credette che si stessero fondendo.
-Okay scherzavo, fa finta che non abbia detto nulla, però ora torniamo a casa che sto morendo di freddo e ho intenzione di ringraziarti come si deve.
Matthew annuì diventando rosso, imbarazzato per quello che Gilbert con quelle parole voleva intendere.
Si avviarono verso la moto di Gilbert, il tedesco gli teneva un braccio intorno alle spalle perché il canadese aveva entrambe le mani occupate per unirne una con la sua.
-Fammi capire, adesso avremo una relazione a tre con… come si chiama?
-Kumajirou- abbozzò un sorriso –e non puoi lamentarti, me l’hai regalato tu.
Gilbert sospirò, ma mentre alzava gli occhi al cielo sorrise, poi gli lasciò un bacio tra i capelli biondo cenere dell’altro.
Quando arrivarono davanti la moto si bloccarono a fissarla per diversi secondi, fu Matthew a rompere quel silenzio.
-Questa moto non è omologata per tre persone, vero?
-No… ma troveremo un modo per entrarci tutti e tre.
-Finché lui non si fa male mi va bene.
E il canadese era così concentrata a sfregare il viso contro il pelo bianco dell’orso che si perse l’occhiataccia che gli lanciò il suo ragazzo.

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Capitolo 32
*** Antonio ***


Ed eccoci qui alla fine di questa storia.
Non ho molto da dire, questo è una specie di epilogo di due anni dopo, scritto dal punto di vista di Antonio (perché avevo iniziato con lui e dovevo anche finirla) ma spunteranno tutte le coppie.
Mi sono divertita un sacco a scrivere questa storia e sappiate che ho in mente già molte altre storie di questo fandom (alcune proprio già scritte) quindi spero che continuerete a seguirmi.
Trovate tutto sul mio profilo.
Se siete arrivati fino a qui inoltre vorrei ringraziarvi per la pazienza, per avermi seguito e gradierei tantissimo, se lo volete, qualche commento o recensione.
Alla prossima storia!
Deh
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32.Antonio

*due anni dopo*
 
Strinse di più la mano di Romano, per riscaldarsi dato il gelo che c’era fuori mentre camminavano lungo il marciapiede di quella strada abbastanza affollata e piena di lucine natalizie.
Erano le cinque di pomeriggio ma era già buio pesto, aveva nevicato da poco, a terra c’era uno strato di neve fresca, ma questo non aveva impedito le persone di uscire di casa per fare le ultime commissioni della vigilia di Natale.
-Mi amor- iniziò Antonio cautamente, perché conosceva troppo bene il carattere del suo fidanzato e non gli sembrava il caso litigare la vigilia di Natale –è inutile ricordarti che se arriviamo tardi alla prima del film di Gilbert non potrò più definirlo il mio migliore amico?
Quasi gli sembrò di veder spuntare un sorrisetto sadico sul volto dell’italiano, ma non ne fu sicuro perché scomparve subito per rispondere –E credi davvero che il vostro divorzio sia un qualcosa di negativo?
Antonio sospirò, nonostante fossero passati due anni i suoi migliori amici ancora non andavano a genio a Romano, certo, loro che tendevano a stuzzicarlo in ogni occasione non miglioravano di certo la situazione.
-Dai Roma, non…
Ma fu interrotto dall’altro che gli parlò sopra, senza neanche guardarlo, troppo concentrato a camminare spedito e ad evitare le persone.
-Stai zitto, siamo praticamente arrivati. Prima devo darti il tuo regalo di Natale, poi facciamo tutto quello che vuoi. È importante.
-Non potevi darmelo domani come fa tutto il resto del mondo?
-Con il pranzo di Natale che abbiamo preparato io e Feliciano ci siederemo a tavola alle 11 e ci alzeremo alle 19. Smettila di lamentarti, siamo praticamente arrivati.
-Ma…
-Eccoci!- esclamò soddisfatto Romano fermandosi nel bel mezzo del marciapiede, senza essere arrivato in nessun posto in particolare.
Antonio si morse il labbro, era diventato troppo stupido o non si capiva davvero quale doveva essere il suo regalo?
Andò per gradi e prima di far presente che non ci stava capendo più nulla seguì lo sguardo del suo ragazzo, al lato del marciapiede stava un locale che doveva ormai essere chiuso da parecchio tempo, dalle scritte che Antonio poté intravedere all’interno doveva essere un ristorante cinese.
-Volevi portarmi  a mangiare cinese? Penso che questo si…
Romano non lo lasciò concludere, al limite dell’esasperazione sbuffò e praticamente gli urlò contro –è questo il tuo regalo!- e per enfatizzare di più la situazione iniziò a gesticolare verso il locale, come un bravo italiano.
Antonio strabuzzò gli occhi e boccheggiò incredulo, pian piano tutto stava prendendo forma nella sua mente, ma non poteva essere davvero quello, no…?
-Sei impazzito? Che diavolo stai dicendo Romano…
L’italiano sbuffò nuovamente –Hai sempre voluto un ristorante tutto tuo no? Eccolo qui.
-Non posso accettarlo, è troppo, non potrò mai accettare una cosa del genere- la sua voce era meno di un sussurro, era così stordito da non rendersi davvero conto di quello che stava succedendo.
-Si che accetterai, perché è una cosa che ho fatto anche per me. E inoltre non posso di certo tornarlo indietro, ormai è tutto firmato.
Antonio aveva gli occhi spalancati, leggermente lucidi, li aveva appena spostati dal negozio al volto del suo ragazzo.
Romano aveva il volto rilassato, un principio di sorriso sul volto, era soddisfatto e per nulla pentito di quello che aveva fatto, poi decise di spiegarsi meglio.
-Io e Feliciano ne abbiamo parlato molto. Abbiamo deciso di usare tutta l’eredità di nostro nonno per crearci il futuro, ce la siamo divisi in parti uguali, Feli ha usato la sua per aprirsi la galleria d’arte che ha inaugurato due settimane fa. Io ho comprato questo ristorante- si morse il labbro –So che ne hai sempre voluto uno tutto tuo, pensavo però che magari ti poteva andare bene lavorare insieme qui, nel nostro ristorante, potremo vendere cucina tipica italiana e spagnola… che ne pensi?
Una singola lacrima scese lentamente sulla guancia dello spagnolo, Romano però non fece in tempo a preoccuparsi per quella reazione perché si ritrovò stretto fra le sue braccia in un abbraccio che a stento lo fece respirare.
Ci mise così tanta enfasi Antonio che lo alzò anche da terra facendogli fare dei giri sul posto.
Rideva, quando lo rimise giù aveva un sorriso così luminoso che Romano ne rimase folgorato.
-Sei tutta la mia vita, ovvio che voglio aprire un ristorante con te- gli accarezzò una guancia, rossa dall’imbarazzo nel sentire quelle parole, con il pollice –Sei così speciale che a volte penso proprio di non meritarti- sussurrò infine.
Romano gli diede un pugno sul braccio facendo un grugnito –Non dire cose senza senso- distolse lo sguardo –Quindi ti piace come regalo?
-Lo adoro- lo fissò intensamente –Ti amo alla follia.
Lo baciò intensamente, non gli importava che fossero nel bel mezzo di una strada affollata e che magari stava anche dando spettacolo, tutto era scomparso, c’era solo Romano.
Fu proprio quest’ultimo a tirarsi indietro dopo diversi minuti, mantenne però le mani strette contro il suo petto, aveva il volto rossissimo –Dovremo andare, o faremo davvero tardi.
Antonio rise, gli lasciò un ultimo bacio a stampo e stringendoselo contro si avviarono verso casa.
 
Quando arrivarono a casa Feliciano e Ludwig erano già fuori quindi Antonio non ci pensò due volte ad afferrare il suo ragazzo e ringraziarlo facendo l’amore con lui.
Al diavolo la prima del film del suo migliore amico o qualsiasi altra cosa, aveva già tutto quello che aveva bisogno tra le braccia e non aveva nessuna intenzione di lasciarlo andare.
Mentre Romano si allacciava la cravatta davanti lo specchio Antonio lo raggiunse da dietro e lo abbracciò, lasciandogli un bacio sul collo, poi, mentre lo fissava negli occhi dal riflesso dello specchio disse serio –Casa te la regalo io però.
Romano corrugò la fronte –Quale casa?
-Quella dove andremo a vivere solo noi due- sorrise –O vuoi per caso vivere per sempre con tuo fratello?
Romano ci pensò seriamente su –Non vorrei mai abbandonare Feliciano, ma non penso che riuscirei a resistere tutta la vita con quel crucco tra i piedi.
Antonio rise di nuovo, gli girò il viso per baciarlo nuovamente, poi lo lasciò andare per permettergli di finire di vestirsi.
Ormai era quasi un anno che in quella casa i coinquilini erano diventati lui, Romano, Ludwig e Feliciano. Quest’ultimo si era trasferito dopo aver concluso la triennale al college d’arte nella vecchia stanza di Arthur. L’inglese si era trasferito con Francis al piano di sotto, nella vecchia casa di Matthew quando questo era andato a vivere da Gilbert, quasi costretto dopo le diverse insistenze da parte del tedesco.
Romano prese il cappotto e si avviò all’ingresso aprendo la porta, sbuffò mentre Antonio recuperava le chiavi della macchina e il portafoglio e commentò –Muoviti, che se quell’altro crucco del tuo amico se la prende con me per questo ritardo gli tiro un pugno.
Antonio rise, ma si affrettò fuori dall’appartamento, perché sapeva che quando Romano faceva minacce del genere non stava di certo scherzando.
Arrivarono al cinema che erano già tutti li, il film non era ancora iniziato, la gente non era neanche in sala, ma erano molto più in ritardo rispetto all’orario che aveva dato Gilbert.
Non appena entrarono notarono subito il gruppo formato da Matthew, Ludwig, Francis, Arthur e Feliciano semplicemente perché quest’ultimo stava sventolando le mani in aria per farsi notare mentre urlava –Vee, fratellone, siamo qui!!
Li raggiunsero e prima che ancora potessero aprire bocca per salutare, il più piccolo degli italiani si aggrappò al braccio del fratello per attirare la sua attenzione –Ve! Gli è piaciuto il regalo al fratellone Antonio?
Aveva iniziato a chiamare “fratellone” anche Antonio quando aveva stabilito che ormai faceva ufficialmente parte della loro famiglia.
Romano sorrise, poi si girò a fissare il suo ragazzo –Bè, ti è piaciuto?- domandò nonostante già sapesse la risposta.
-Sai benissimo che l’ho amato, ti ho anche ringraziato in modo abbastanza eloquente, altrimenti non avremo fatto questo ritardo.
Ludwig e Francis risero cogliendo la frecciatina, Feliciano si limitò a inclinare la testa di lato, però poi sorrise, felice anche lui che suo fratello lo fosse a sua volta.
-Che regalo?- domandò a quel punto Francis curioso.
Antonio divenne rosso per l’imbarazzo, si grattò la testa e rispose –Mi ha regalato un ristorante.
Sia Matthew, che Francis che Arthur strabuzzarono gli occhi increduli, Ludwig doveva già essere al corrente della cosa invece.
Romano si intromise –Si bè, è anche mio, faremo sia cucina italiana che spagnola- si strinse contro il fianco del suo ragazzo mentre mugugnava –Bastardo, nell’insegna la bandiera e il nome italiano verranno prima.
Antonio soffocò una risata e baciandogli la testa rispose –Tutto quello che vuoi.
Nel frattempo, dopo essersi ripresi dallo shock Arthur si era girato verso il suo ragazzo francese e non si era fatto problemi a picchiarlo con uno schiaffo sul braccio.
-Loro si regalano ristoranti e tu mi fai giorni di casino perché ti pago due miseri mesi di affitto!?
Non si era fatto problemi a uscire l’argomento, ormai tutti sapevano di quando Francis aveva avuto i suoi problemi economici in famiglia, Arthur era quello che l’aveva aiutato più di tutti nonostante Francis non aveva mai accettato questa cosa e se n’era sempre lamentato.
Odiava così tanto che Arthur si fosse messo in testa di pagargli l’affitto che gli era andata bene solo quando erano poi andati a vivere insieme, almeno così l’inglese non avrebbe pagato due affitti e in ogni caso l’altro gli ripeteva ogni giorno che gli avrebbe restituito tutto quanto.
Francis lo fissò e facendo un sorrisetto decise di cambiare argomento –Mon amour, hai ripreso a parlarmi?
Arthur assottigliò le labbra infuriato, poi incrociò le braccia al petto e gli diede le spalle, ricordandosi di avercela con lui.
Antonio, continuandosi a stringersi Romano al petto mentre gli accarezzava i capelli, domandò in un sospiro –Per cosa avete litigato questa volta?
Fu Feliciano a rispondere –Sembra che una stilista che lavora nella stessa agenzia di Francis ci provi spudoratamente con lui.
Antonio portò lo sguardo sul suo migliore amico e fece un nuovo sospiro –Sempre quella?
Francis annuì quasi depresso, Arthur non vide la risposta del suo ragazzo ma la domanda di Antonio lo fece incazzare ancora di più.
Iniziò a inveire contro di lei mentre diventava tutto rosso per la rabbia –Questa è una troia che non capisce qual è il suo posto, mi sta facendo uscire fuori di testa, ogni volta che vado a prenderlo o semplicemente a trovarlo in agenzia fa di tutto per farmi impazzire. Lo fa di proposito! AH! Ma non me ne frega nulla se è una donna, io la metto sotto con la macchina un giorno, oh si, la…
Venne interrotto da Francis che lo strinse da dietro in un abbraccio dolce e gli poggiò un mano sulla bocca per farlo stare in silenzio –Amore, stai dando troppo spettacolo.
Arthur si liberò della mano sulla bocca, poi si rigirò nel suo abbraccio cercando di farlo staccare senza grandi risultati –Non me ne frega nulla se sto dando spettacolo- rispose piccato, ma abbassò la voce rispetto a prima –E puoi star certo che non me la prenderò solo con lei, tu non sei di certo un santo, tu, stupido coglione francese, devi smetterla di…
-Di amarti incondizionatamente nonostante tutto? Di continuare a vedere sempre e solo te ignorando tutto ciò che mi circonda di superfluo?
Arthur rimase con la bocca socchiusa, non sapeva rispondere a tutto quello, Francis continuò sorridendo dolce –Amo solo te, come te lo devo far capire?
Non era una domanda che richiedeva davvero una risposta, ma Arthur comunque parlò di getto facendo ammutolire tutti quanti –Sposami.
Francis strabuzzò gli occhi azzurri, non chiese conferma di quello che aveva appena sentito, non domandò di conseguenza “cosa?” “come?” “stai scherzando?”, semplicemente si limitò a scrutare gli occhi verdi del suo ragazzo, vide tutta la determinazione nel suo sguardo e, sorridendo leggermente e stringendoselo più contro disse –Va bene.
-Bene- fece Arthur annuendo forse più a se stesso che a l’altro.
-Bene- ripeté nuovamente il francese, poi lo baciò.
Il primo a riprendersi fu Feliciano, che iniziò a urlare parole indefinite eccitato per la situazione e per i suoi amici.
Ludwig, ridendo, cercava di calmarlo perché ormai troppe persone si erano girate a guardarli.
Matthew sorrideva dolce felice per loro, ormai faceva parte del gruppo da così tanto tempo che si era affezionato a tutti loro.
Romano fece una faccia disgustata e fece finta di vomitare, poi divenne completamente rosso e spinse via Antonio quando questo gli sussurrò all’orecchio –Non farai mica quella faccia anche quando te lo chiederò io, no?
Vennero interrotti da Gilbert che li raggiunse quasi di corsa, mise un braccio intorno alle spalle del suo ragazzo e si rivolse a tutti loro –Cosa diavolo ci fate ancora qui? A momenti inizia! Muovetevi!
Si trascinò Matthew prendendolo per mano e non si girò per controllare che anche gli altri fossero dietro, dava per scontato che li stavano seguendo.
E così infatti era, tranne che prima sia Francis che Antonio bloccarono gli altri e dissero –Non dite a Gilbert di questa cosa del matrimonio per oggi, sapete che vuole sempre essere al centro dell’attenzione, non possiamo rovinargli la sua giornata.
E tutti annuirono, credendo che si riferissero al fatto che stava per uscire il suo primo film.
Ma capirono a cosa si stavano davvero riferendo i due migliori amici del tedesco quando, dopo il film, mentre gli attori e i registi parlavano e commentavano in sala il film questo attirò tutta l’attenzione su di sé, com’era sempre bravo fare.
Prese il microfono e ringraziò il suo ragazzo, facendolo anche illuminare con un occhio di bue, Matthew era così imbarazzato che Antonio, che era seduto alla sua destra, sentiva il calore del suo corpo nonostante li distanziassero diversi centimetri.
Gilbert lo ringraziò, dicendo che se non fosse stato per lui non sarebbe mai arrivato a quel punto, disse che lo amava e, mentre la sala si scioglieva per quel romanticismo, concluse inginocchiandosi e chiedendogli di sposarlo.
E Matthew, dopo aver risposto con voce super flebile e balbettante svenne per il troppo imbarazzo.
-Gliel’avevo detto io che non era una buona idea- commentò divertito Francis mentre Feliciano e Ludwig si affrettavano a soccorrere il canadese.
Arthur gli fece notare –Bè, almeno ha risposto di si prima di collassare.
E Romano aggiunse –Di questo passo però non so se ci arriva vivo al matrimonio.

[Fine]

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