Dream di Kano_chan (/viewuser.php?uid=4134)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Suonando sotto la pioggia ***
Capitolo 3: *** 2. Incubi ***
Capitolo 4: *** 3. Reset ***
Capitolo 5: *** 4. Di corsa ***
Capitolo 6: *** 5. Visite ***
Capitolo 7: *** 6. Contatto ***
Capitolo 8: *** 7. Urgenza ***
Capitolo 9: *** 8. Verità ***
Capitolo 10: *** 9. Jericho ***
Capitolo 11: *** 10. Resistenza ***
Capitolo 12: *** 11.Desideri ***
Capitolo 13: *** 12. Battaglia ***
Capitolo 14: *** 13. Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo
Prologo
Mi chiamo Seren Andrews.
Ho 30 anni e vi sto per raccontare di come la mia vita sia cambiata
completamente.... ancora una volta.
Vi faccio un
breve riassunto: insegno musica in un conservatorio, a Detroit. Ogni
venerdì, quando le mie lezioni finiscono, alle cinque del
pomeriggio esco e vado fino al vicino Chandler Park. Al centro esatto
del giardino c’è un piccolo pianoforte verticale,
sotto ad un padiglione in legno bianco.
Ora voi mi
direte: “Insegni pianoforte tutto il giorno e quando finisci
di lavorare vai a suonarlo sotto ad un vecchio gazebo rovinato dal
tempo!?”
Sì,
perché quello è il mio momento di assoluta
libertà. In quei tre quarti d’ora mi dedico alla
musica, senza dover badare che la mia esigua classe non riesca a
seguirmi. Non ho spartiti davanti, non ho metrature da seguire. Siamo
io e la mia voglia di suonare.
Ho anche un
discreto pubblico. Per lo più è gente anziana, ma
il fatto che si riunisca lì per ascoltarmi a me basta e
avanza, mi sembra di rendere liberi anche loro in qualche modo.
Ma anche io ho
una domanda da farvi.
Voi, siete mai
stati liberi? Intendo per davvero.
Avendo la
palpabile certezza di star facendo esattamente quello che volete fare,
nel momento in cui volete farlo? E vi è mai successo che
quel senso di libertà vi fosse strappato via brutalmente?
Beh, questo è esattamente ciò che mi è
accaduto quel tardo pomeriggio del 15 luglio 2038.
Come ogni
volta mi ero recata al parco. Avevo salutato cordialmente i miei
ascoltatori, mi ero seduta sul piccolo sgabello e avevo iniziato a
suonare l’unica canzone che io abbia mai composto. Non avevo
mai sbagliato una nota di quella canzone, né la mia
libertà era mai terminata... fino a quel giorno.
Mentre
attaccavo la parte centrale, quella più ricca,
più coinvolgente, alzai gli occhi.
Le dita
semplicemente mi scivolarono dai tasti, mentre le mie spalle si
irrigidivano e il cuore cacciava un urlo. Il piano stridette e poi
tacque, mentre un lieve brusio si propagava dai miei ascoltatori senza
che però io ci badassi.
Fissavo quella
figura, quel fantasma apparso dal nulla e continuai a farlo, mentre
incespicando mi precipitavo giù dal palchetto.
Quando fui
più vicina, e quindi la situazione mi fu più
chiara, la rabbia prese il posto dello shock. La figura, che in un
primo tempo avevo scambiato per un fantasma, era in realtà
un androide. Sulla giacca gli brillava fioco il nome del modello:
“RK800”.
Non lo avevo
mai sentito prima d’ora, ma questo non migliorò di
certo il mio stato d’animo, anzi, semmai lo
peggiorò.
- Mi dispiace
di averla interrotta Miss Andrews – esordì quello
cordialmente.
Aveva una voce
pacata, che grattava leggermente in fondo alla gola.
- Chi diavolo
sei? - gli abbaiai contro.
- Mi chiamo
Connor, sono l’androide mandato dalla Cyberlife –
si presentò, mentre il led circolare che aveva sulla tempia
lampeggiava quieto.
- La
Cyberlife… - mormorai in preda ad
un’incredulità alla quale il cyborg
replicò educatamente con un sorriso appena accennato.
Connor aveva i
capelli scuri e gli occhi di un caldo color castano. La fronte, con
qualche ruga ad incresparla, era interrotta da un ciuffo ribelle che
gli ricadeva morbidamente sulla pelle chiara. Indossava un completo con
cravatta ordinatamente annodata, smorzato da un paio di jeans e scarpe
comode. Il logo della Cyberlife spiccava luminoso sul petto della
giacca, a far ben intendere la sua provenienza.
In
realtà non era niente di nuovo per me… ma era
qualcosa che pensavo di aver seppellito ormai da tempo.
- Mi scuso
davvero di averla disturbata, ma dovrei farle alcune domande -
Connor si
interruppe subito non appena alzai la mano facendogli cenno di tacere.
- No.. -
replicai secca, tirando fuori il cellulare dalla tasca e componendo un
numero.
L’androide
corrugò la fronte perplesso dal mio gesto, ma rimase
rispettosamente in silenzio mentre prendevo la linea.
- Che cazzo
è questa storia? - sibilai al microfono –
Risparmia le cerimonie e i finti perbenismi… vi divertite a
farmi questo? - replicai guardando per una frazione di secondo Connor
in viso – Dopo tutti questi anni… Dio…
no! Non mi interessa, c’entra sempre… sempre! -
proseguii sentendo la gola stringersi dolorosamente – State
fuori dalla mia vita! - gridai al telefono chiudendo al contempo la
chiamata.
Avevo il
respiro spezzato e la testa che girava, come se avessi corso per
chilometri.
- Miss
Andrews, sta bene? -
Al solo
sentirmi sfiorare dalle dita dell’androide mi ritrassi,
puntandogli addosso un paio di occhi spiritati.
Connor mi
guardò sorpreso e il suo led lampeggiò di giallo.
-
Io… -
Più
guardavo il suo viso e più il mio malessere aumentava. Mi
pareva di vivere un incubo.. di nuovo lo stesso incubo
- Stai lontano
da me… stai solo lontano da me – mormorai, prima
di voltarmi e fuggire via.
Così
è cominciata la mia storia, fuggendo da un androide che mi
ricordava fin troppo bene il mio passato.
Jericho's place:
Salve a tutti e
benvenuti in "Dream"!
Avete avuto una
piccola infarinatura di ciò che sarà e di quali
saranno i suoi protagonisti ^^ Spero di avervi messo addosso abbastanza
curiosità da voler provare a leggere il resto!
Sarà
una storia breve, che si concluderà, credo, con una
cinquantina di pagine in tutto. I capitoli saranno corti, vi avverto
già da subito!
Purtroppo una
volta avevo più tempo da dedicare alla scrittura, adesso
molto meno ^^" Per questo stesso motivo non so dirvi con quale cadenza
posterò i capitoli, ma non lascerò la storia
incompiuta, di questo potete stare tranquilli.
Ho preso Detroit
il giorno dell'uscita e me ne sono innamorata! Così come mi
sono innamorata del personaggio, un pò controverso, di
Connor. Da lì la storia ha preso piede da sè
nella mia testa.
Il titolo riprende una canzone degli Imagine Dragons, se volete qui di
seguito trovate il link per ascoltarla: Dream -
by Imagine Dragons
Vi
ringrazio fin da ora per il tempo che mi avete dedicato nel leggere
questo prologo!
A
presto!
Marta
|
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Capitolo 2 *** 1. Suonando sotto la pioggia ***
1.
1.
Suonando sotto la pioggia
Se
speravo di
liberarmi di Connor con solo quella criptica frase lanciatagli durante
il nostro primo incontro, mi sbagliavo di grosso.
Silenzioso e
quasi
invisibile, per le successive
due settimane, l'androide si palesò ogni volta che mi recavo
al Chandler park per
suonare. Stava
sempre in disparte,
solitamente di fianco al tronco di un grosso larice che adornava il
giardino. Mi sforzavo di non guardare mai direttamente nella sua
direzione
se non di sottecchi.
Il
suo sguardo invece era sempre
puntato su di me, ma più che appostato per tendermi
un’altra imboscata, dava l’impressione di ascoltare
attentamente la musica... avrei quasi detto che fosse assorto nel
cercare
di capire qualcosa di me attraverso di essa.
Quando finivo
di suonare e
mi allontanavo dal parco, lui sembrava semplicemente scomparire.
Arrivai a chiedermi se non fosse una qualche strana tecnica per farmi
assuefare alla sua presenza, per poi piombarmi di nuovo addosso con
tutte le domande che non era riuscito a pormi. Mio malgrado devo dire
che, se era il loro piano, fu efficace…
Il 29 luglio
2038, come al
solito ero seduta davanti al piano, facendo scivolare le dita sui tasti
e avvertendo l’elettricità raccogliersi
nel cielo
sopra di me. Il temporale
scoppiò
all’improvviso su Detroit, rovesciando sui pochi
rimasti tutto quello che aveva accumulato nelle ultime ore di
preparazione.
Con un sospiro
lasciai la
mia postazione, afferrando lo zainetto di cuoio ormai consunto e
l’ombrello che provvidenzialmente mi ero portata dietro. Nonostante quella
mattina
splendesse il sole avevo deciso di prenderlo lo stesso, a differenza
dei molti avventori del parco che adesso stavano scappando alla ricerca
di un
riparo.
Ho sempre
pensato di avere
una specie di superpotere, perchè riuscivo a fiutare la
pioggia anche
quando neppure il meteo la segnalava.
Respirai quindi l'aria carica dell'odore di legno umido e di terra, e
aprii
l’ombrello, lasciando il riparo del patio. La pioggia
scrosciò violenta sulla tela impermeabile, riempiendomi le
orecchie con il suo ticchettio convulso. Era un rumore che una volta
amavo e che adesso mi lasciava sempre con un vago senso di turbamento.
Scossi
impercettibilmente la testa per scacciare i ricordi e mi misi in
marcia... salvo fermarmi appena pochi passi dopo.
Non so se mi
voltai perché mi sentivo osservata, o se per altri motivi...
fatto sta che lo feci.
Istantaneamente incontrai gli occhi di Connor; non si era mosso di un
millimetro da dove si era posizionato venti minuti prima,
quando avevo raggiunto il parco.
L’acqua
gli rimbalzava addosso, rendendo lucida la sua pelle sintetica e
infradiciandogli gli abiti altrimenti impeccabili. Mi fissava
attraverso il velo della pioggia battente, senza accennare a volersi
muovere; sembrava una visione fuori dal tempo.
Quella vista
mi diede una
scossa, e per una frazione di secondo smisi di pensare a lui come ad un
androide, finendo per fare qualcosa che avrebbe segnato la mia vita da
lì in avanti... avanzai verso di lui.
L’espressione
dell’androide virò dallo stupore alla
preoccupazione,
mentre le sopracciglia castane si sollevavano a formare un arco
interrogativo sulla fronte.
Arrestai la
mia avanzata solo quando l’ombrello non incluse anche lui
sotto la sua protezione.
- Ma
perché voi
androidi non vi portate mai un ombrello dietro? - esordii, fissando le
goccioline raccogliersi sul suo mento.
- La pioggia
non mi infastidisce – replicò Connor semplicemente.
- Beh, a me
infastidisce vederti qui sotto la pioggia come un cane abbandonato
– risposi io.
- Mi spiace -
- Non hai la
minima
intenzione di lasciarmi stare, vero? - sospirai, mentre il vento mi
spingeva contro le gambe il tessuto leggero del vestito a fiori che
indossavo.
- Ho bisogno
di farle alcune domande – disse lui con
accondiscendenza.
Restai a
fissarlo per qualche secondo, notando la sfumatura color miele dei suoi
occhi scuri.
- Vieni con me
– affermai a quel punto.
- Con lei? -
ripetè confuso Connor.
- Con me. -
precisai - Sono
stanca, voglio tornare a casa – replicai voltandomi
– e preferisco averti vicino piuttosto che nascosto
da qualche parte a pedinarmi – spiegai mentre lui si adattava
al
mio passo sotto l’ombrello.
Ci immettemmo
nel traffico
pedonale di Detroit, con la pioggia che continuava a scendere, anche se
un po' più lieve di prima.
Nessuno dei
due parlò per un bel pezzo, finché Connor non
ruppe il silenzio sotto la nostra piccola cupola.
- Miss
Andrews, posso farle
una domanda? - disse con tono titubante – Non riguarda la mia
indagine – si affrettò ad aggiungere notando
probabilmente
i miei occhi dardeggianti.
-
Sì, ma smettila di darmi del lei – risposi
spostando il mio sguardo nuovamente sul marciapiede zuppo.
- Il mio
protocollo dice che non sarebbe educato – ribattè
cordialmente lui.
- Certo, il
protocollo... - sbuffai io.
- Mi domandavo
se quell’aria che suona così spesso fosse stata
scritta da lei – chiese.
-
Sì, l’ho composta io diversi anni fa –
risposi un po' confusa da quella strana domanda.
- Ne
è certa? - insistè lui.
- Stai dicendo
che sto spacciando per mia la canzone di un altro? - ribattei,
inarcando le sopracciglia con fare minaccioso.
- No! -
replicò subito – E’ che… -
Connor si
interruppe a inizio frase e io mi voltai a guardarlo. La fronte era
aggrottata e il suo led lampeggiava di giallo.
- Cosa? - lo
incalzai io.
- Mi sembra di
averla
già sentita prima, tutto qui – ammise alla fine
–
Probabilmente deve essere un errore di caricamento nella mia memoria
e… tutto bene? -
Ritrovandosi
improvvisamente sotto la pioggerellina, Connor si voltò
verso di
me, che impalata mi ero fermata a fissarlo.
Poteva essere
che…? Scossi la testa e chiusi l’ombrello ormai
inutile sotto al cielo che si stava rischiarando.
- Ti
è piaciuta? - domandai all’androide.
- Non penso di
essere in grado di darle un parere, non nel senso che intende lei
– affermò Connor dopo averci riflettuto per un
attimo.
- Coraggio,
siamo quasi arrivati – dissi con un sospiro, rimettendomi in
marcia.
- Poteva
prendere un taxi,
sarebbe arrivata molto prima – osservò Connor dopo
un attimo, mentre entravo nel quartiere di casette a schiera dove
abitavo.
- Non amo
prendere i mezzi
pubblici.. in realtà non amo nessun mezzo che non possa
controllare con le mie gambe... – replicai adombrandomi
– Comunque siamo arrivati -
Imboccai il
vialetto di accesso della mia piccola proprietà, una casetta
su due piani dai colori tenui.
- Connor? -
con le chiavi
in mano mi voltai, notando che l'androide si era fermato appena prima
dei
gradini del portico – Che fai? Non entri? -
- Entrare? -
mi domandò nuovamente preso in contropiede.
- Devi farmi
delle domande no? Anche se non penso di avere le risposte che cerchi
– replicai con una scrollata di spalle.
- Pensavo mi
odiasse – ribattè perplesso.
- Connor...-
sospirai
– Non ti odio e non odio gli androidi, se è questo
che
pensi.. la mia reazione è stata dettata da un altro motivo
– spiegai.
- E posso
sapere quale? - domandò lui piegando appena la testa di lato.
- Inizia a
darmi del tu e forse prima o poi te lo dirò –
risposi con un mezzo sorriso.
Jericho's Place:
Buondì!
Ho approfittato
dei giorni di ferie che mi rimanevano per mettere giù un
altro capitolo, della serie "chi ha tempo non aspetti tempo" ^^"
Innanzitutto
vorrei ringraziarvi per quanto favorevolmente il prologo sia stato
accolto! Ho visto che siete stati in molti a leggerlo e questo mi ha
fatto un enorme piacere ^^
Seren ha dato il
via agli eventi che la porteranno fino alla ribellione dei devianti...
però cosa volete farci? Connor sotto la pioggia è
troppo tenero! xD
Chissà cosa
sarà successo a Seren in passato.. e come mai Connor ha una
vaga memoria del suo brano per pianoforte? Mistero!!
La grafica di Detroit
è talmente accurata che provo appagamento solo nel guardare
come viene resa la pioggia sugli abiti e sulla pelle! Era da un
pò che non trovavo un gioco così ben dettagliato!
Nello
scorso capitolo temo di essermi dimenticata di fare un appunto. Come
sapete Dream
è inserita nelle "missing moments" e questo contrasta
abbastanza con il fatto che la storia inizi il 15 luglio 2038. Ecco, i
primi capitoli saranno ambientati prima degli eventi che danno il via
alla trama del gioco, ovvero il 15 agosto 2038. Chiedo scusa se non
l'ho specificato subito!
A tal proposito
ringrazio Molang
per avermelo fatto notare, oltre al fatto di essere stata la prima a
lasciare una recensione ^^
Mille grazie
anche a Echelon_Potterhead
e a Yujo
per aver inserito la fic tra le preferite/ricordate/seguite!!
A
risentirci al prossimo capitolo!!
Marta
|
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Capitolo 3 *** 2. Incubi ***
2
2.
Incubi
15
agosto 2038
Mentre le mie
dita danzavano sui tasti bianchi e neri del pianoforte a coda che
avevo nella sala, lo sguardo mi scivolò verso la finestra
leggermente aperta.
La pioggia
batteva
incessante, rendendo opaca la sottile zanzariera che avevo piazzato per
cercare di arginare il fastidioso problema delle zanzare. Erano ormai due giorni
che
non smetteva di diluviare e oggi sembrava essere arrivato il gran
finale, corredato da tuoni, lampi e un forte vento.
A dar riprova
di
ciò, le ultime note che suonai vennero accompagnate da un
potente bagliore e da un boato che scosse lievemente perfino i vetri.
- Hai mancato
un paio di note -
I miei occhi
si spostarono
su Connor, seduto sulla poltrona di pelle color crema, che mi fissava
da sopra un libro di Agatha Christie che gli avevo imprestato.
- La pioggia
mi ha distratto – risposi io.
- Stai ancora
cercando di perfezionarla? - domandò riferendosi al mio
pezzo.
- Nonostante
gli anni
passati a suonarla, mi sembra ancora che ci sia qualcosa che non va
– borbottai mordendomi l’unghia del pollice.
La presenza di
Connor in casa mia, dopo
la prima volta che lo invitai ad entrare, era diventata una
consuetudine.
Quando andavo al Chandler Park a suonare era sempre lì ad
aspettarmi, e quando finivo, lui tornava a casa con me. Oggi
a causa del tempo, avevo dovuto disdire il solito appuntamento
all’aperto e lui si era semplicemente presentato a
casa mia. Non
gli avevo mai domandato
perché continuasse a venire da me, visto che ormai mi aveva
chiesto quello che doveva chiedermi. Forse avevo paura della sua
risposta...
- Dovresti
provare ad invertire lo schema delle battute centrali – mi
disse.
- Ma davvero?
- replicai inarcando le sopracciglia.
- Vuoi che ti
faccia sentire? - si propose l’androide non cogliendo per
nulla la mia ironia.
Connor poteva
sembrare saccente, ma in realtà non lo faceva per nulla in
malafede. Era così e basta.
- Accomodati
– lo invitai io trattenendo un sorriso.
L’androide
si alzò, venendo a sedersi al mio fianco.
Prese a
suonare il
pianoforte come se non avesse fatto altro nella vita, e per un attimo
capii l’astio che alcuni di noi provavano verso di loro.
Sapevano
fare tutto e senza il minimo sforzo, a me invece ci erano voluti anni
per imparare e non ero ancora perfetta.
Quando
terminò l’esecuzione, mio malgrado, dovetti
ammettere che aveva ragione.
- Riproviamo
– gli dissi seria, sistemandomi meglio sulla seduta.
- Va bene
– assentì lui, posando le mani al fianco delle mie
già pronte sui tasti.
Connor mi
venne dietro come
se avessimo suonato a quattro mani da sempre, adattandosi senza
sbavature alla mia cadenza. La musica era così potente che
riuscì perfino a mascherare il rumore della pioggia
scrosciante
che c’era fuori.
Mentre
andavamo su e
giù lungo la scala musicale, le nostre spalle si sfiorarono
a
più riprese, facendomi quasi perdere la concentrazione.
- E' perfetta!
Grazie Connor! – commentai quando terminammo il brano,
voltandomi verso di lui.
- E’
la tua composizione ad essere perfetta, non è merito mio -
Quella sua
affermazione mi
prese in contro piede. Connor non sembrava per nulla turbato da
ciò che aveva appena detto, limitandosi a fissarmi con un
mezzo
sorriso; era così vicino che potevo contargli ogni piccolo
neo o
lentiggine che gli solcava la pelle.
Chiusi le mani
a pugno nel tentativo di reprimere il desiderio che mi
attraversò la mente.
- Stai bene? -
chiese l'androide preoccupato dalla mia assenza di risposte.
- Scusa,
– mi ripresi
io – sono solo stanca. Ho passato la nottata a preparare i
test
d’ingresso per l’inizio del semestre autunnale e ho
dormito
pochissimo – dissi, il che non era una bugia.
- Sarebbe
meglio che andassi
a riposare, troppo lavoro e poco riposo non fanno bene alla salute
– mi avvertì lui con tono pratico.
- Credo che
seguirò il tuo consiglio – assentii alzandomi
– Tu se vuoi puoi rimanere ancora – aggiunsi.
Salii in
camera mia con un
lieve disappunto. Era vero che avevo bisogno di dormire, ma avevo
cercato di resistere il più a lungo possibile. Il tempo che
trascorrevo con Connor era piacevole, così tanto, che mi ero
accorta di dispiacermi sempre di più quando lui se ne
andava.
Accostai le imposte della stanza, sdraiandomi sul letto fresco; non
avevo sentito chiudersi la porta d’ingresso, quindi Connor
doveva
essere ancora al piano di sotto...
Rassicurata da questo pensiero, chiusi gli occhi e mi addormentai nel
giro di qualche istante.
Un senso di
pesantezza alla testa e di intorpidimento mi riscosse poco dopo.
Le mie palpebre si aprirono su di un mondo alla rovescia. Ero a testa
in giù e fissavo davanti a me un finestrino in pezzi. La mia
mano sinistra lo attraversava, stesa sull’asfalto bagnato. La
pioggia scrosciava implacabile, ticchettando sul mio palmo e
stemperando il sangue che ricadeva in sottili rivoli lungo la pelle.
Seppi dove mi
trovato e la paura mi invase.
All’improvviso,
alle mie spalle iniziò a crescere un bagliore che,
tremolante, rischiarò l’abitacolo.
Seppi cosa stava accadendo, ma non riuscivo a muovermi.
Sentivo il
calore bruciarmi la schiena, ma non riuscivo a voltare la testa.
Avvertivo il dolore, ma non potevo gridare.
Non potevo fare niente…
- Seren!!
Ren!! -
Riaprii gli
occhi, questa
volta in camera mia, e mi sollevai sui gomiti, sentendo il sudore
corrermi lungo la colonna vertebrale.
Il fioco
bagliore del led mi rivelò la
presenza di Connor nella penombra vicino al letto. La pioggia
continuava a scrosciare fuori... non dovevo essermi addormentata da
più di venti minuti.
- Stavo per
uscire quando ti ho sentita gridare – continuò.
- Scusami.. ho
fatto un incubo – dissi, mettendomi a sedere e passandomi una
mano sulla fronte umida.
- Ti succede
spesso? - domandò Connor.
- Non
ultimamente.. - risposi con voce stanca.
Ed era vero.
L’ultima
volta che avevo fatto quel sogno era stata molto tempo prima, ma
nonostante questo, non mi ero mai dimenticata della paura che riusciva
a suscitarmi.
- Ho capito
– asserì l’androide facendo per voltarsi.
Mossa
dall’istinto gli afferrai la mano.
- Aspetta! -
esclamai, colta da un improvviso senso di panico.
- Scendo solo
a prenderti un bicchiere d’acqua – mi
rassicurò Connor accigliandosi.
-
Sì, certo... scusa – balbettai io arrossendo nel
buio.
Torturando
l’orlo sfilacciato dei miei pantaloncini, ascoltai i passi di
Connor scendere fino in cucina.
Era ironico se mi fermavo a pensare che parte del mio incubo stava
camminando proprio in casa mia in quel preciso momento. Distrattamente mi
grattai il braccio sinistro… se solo Connor avesse
saputo…
- Eccomi -
Alzai lo
sguardo su di lui
mentre mi porgeva un bicchiere dalla superficie imperlata di condensa.
Con cautela lo presi e mandai giù un paio di sorsi,
sentendomi
subito meglio.
- Ti ringrazio
– gli dissi appoggiando il bicchiere sul comodino –
Senti... -
- Dimmi
– mi incoraggiò lui, visto che avevo lasciato la
frase in sospeso.
- Resteresti? -
Con un
coraggio che non
sapevo di avere gli feci quella domanda, alzando lo sguardo verso la
sua figura che torreggiava sopra il letto.
Era
leggermente voltato,
quindi non riuscivo a vedergli bene il led, ma mi sembrò che
ci fosse stato un leggero bagliore giallo, o forse me lo ero solo
immaginato...
Stavo per
dirgli di lasciare stare e scusarmi, quando la sua risposta
arrivò.
- Va bene
– disse semplicemente.
Non aggiunsi
altro, ma mi
rimisi sdraiata dandogli la schiena. Un istante dopo avvertii il
materasso affondare leggermente sotto il peso dell’androide.
Restammo in
silenzio, con la sola compagnia del ticchettio della pioggia sul tetto
sopra di noi.
-
Connor…
perché continui a tornare qui? La Cyberlife vuole ancora
qualcosa da me? - domandai, attingendo nuovamente a quel coraggio
apparso tutto d’un tratto.
- No
– rispose lui.
- Allora
perché? - insistetti, dandomi quasi immediatamente della
stupida.
- Non lo
so… - disse
Connor dopo un lungo momento di silenzio – Forse
c’è
qualcosa che non va anche in me... – affermò, e mi
sembrò di sentire una nota di paura nella sua voce.
- Non
c’è niente che non va in te… - mormorai
facendo cadere di nuovo il silenzio.
Avvertivo il
respiro di
Connor in mezzo alla pioggia e il torpore del sonno riprese a farsi
strada tra mille pensieri e mille dubbi.
- Connor.. -
lo chiamai
– c’è qualcosa che ti devo dire... -
sussurrai ad occhi chiusi.
- Riposati, me
lo dirai quando ti svegli – rispose l’androide alle
mie spalle.
A
quell'invito, mi feci leggermente
più
indietro, finché la mia schiena non trovò il suo
fianco.
Un soffuso calore si irradiò da quel punto di contatto,
guidandomi verso un sonno tranquillo
che venne interrotto solo un paio di ore più tardi.
- Seren! -
Questa volta
sapevo già che era Connor a chiamarmi, quindi, un po'
intontita, mi misi a sedere.
- Devo andare,
ho ricevuto degli ordini urgenti dalla Cyberlife -
Quella frase
mi svegliò del tutto e guardai con apprensione Connor in
piedi vicino a me.
- Tornerai? -
Non so
perché ma avevo una brutta sensazione, che in quel momento
però, attribuii al recente incubo.
-
Sì, certo – assentì lui.
- Connor
io… -
L’androide
mi guardò incuriosito, ma io scossi la testa sorridendo.
- Te lo dico
dopo – dissi – non ti faccio perdere altro tempo
prezioso – aggiunsi e con un ultimo cenno
del capo, Connor scomparve nel corridoio.
Alzatami dal letto, aprii leggermente le imposte per guardarlo salire
sul taxi che lo aspettava davanti a casa mia.
In quel
momento nutrivo
ancora la speranza di potergli raccontare tutto.. senza sapere che non
ne avrei più avuto l’occasione.
L’urlo
straziante che
mi uscì dalla gola quella sera, davanti alla diretta tv,
credo che
riecheggi ancora per la casa assieme al mio dolore.
Jericho's
place:
Buongiorno e ben
ritrovati!!
Ho riletto,
rifatto, riscritto questo capitolo almeno sei volte e per essere solo
al secondo direi che sono messa bene ^^"
La prima notizia
è che
sarà l'utimo ambientato "prima" degli eventi del gioco e la
seconda è che mi auguro di aver alimentato la vostra
suspance xD
Sto cercando con
tutte le mie
forze di mantenere in IC Connor... se così non dovesse
essere vi
prego di farmelo notare! Tentare di non farlo andare fuori dal suo
personaggio è una vera impresa, ma ce la sto mettendo tutta,
credetemi!
Penso sia
abbastanza chiaro
che la diretta tv vista da Seren, sia quella del Deviante che ha preso
in ostaggio la bambina sul tetto; in questo caso ho scelto il finale
nel quale Connor perde la vita. Vi sarà presto chiaro il
perchè...
La tanto citata
canzone
suonata da Seren, se qualcuno volesse ascoltarla, è
questa: Sincerely
- True (Violet Evergarden Opening)
Ringrazio a tal proprosito la mia cara amica Benni per aver
deciso (a sia insaputa) quale dovesse essere xD
Grazie mille a
tutti i Lettori
che mi stanno seguendo e a Yujo
per aver commentato lo scorso capitolo ^^
Ci
si rivede tra un po'!!
Marta
|
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Capitolo 4 *** 3. Reset ***
3
3. Reset
5 novembre 2038
-
Etciù! -
Sconsolata,
guardai le gocce riempire il mio campo visivo rendendolo leggermente
sfocato.
Ero da poco uscita dalle prove
per il saggio dei miei allievi e la pioggia mi aveva colta di sorpresa
a metà strada, costringendomi a dovermi riparare sotto la tenda di un
negozio di
scarpe che a quell’ora era ormai chiuso. Speravo fosse un
rovescio sporadico, risolvibile nel giro di poco, ma il tempo non
pareva proprio della mia stessa idea.
Ben presto l'aria era stata pervasa dal tipico odore di metropoli
bagnata, di asfalto e di metallo, mentre le luci della strada
iniziavano a riflettersi sulle pozzanghere.
Una macchina passò davanti a me a tutta velocità,
sollevando un'ondata d'acqua che si infranse a qualche centimetro dalle
mie scarpe da ginnastica.
Sbuffai,
sistemandomi meglio la sciarpa attorno al collo e il mio fiato si
condensò in una densa nuvoletta bianca. L’inverno
era
ormai alle porte, e non sarebbe mancato molto perché la
prima
neve facesse capolino su Detroit...
Mentre mi guardavo attorno, vidi
dall'altra parte della strada una banchina per il noleggio degli
androidi. Uno dietro l'altro, cinque di loro sostavano con lo sguardo
perso nel vuoto e io mi affrettai a distogliere lo sguardo. Mandai
giù il groppo in gola e cercai di non pensare a lui...
Alla fine,
stanca e
spazientita da quell’inutile attesa, mi tirai sulla testa il
cappuccio della felpa e mi rimisi in marcia. Sarei arrivata a casa
completamente fradicia, ma avrei fatto una doccia calda e si sarebbe
sistemato tutto; sempre meglio che restare lì....
Stavo giusto
attraversando le strisce pedonali, quando una chioma argentea
catturò la mia vista.
- Hank! -
esclamai, riconoscendo immediatamente il soggetto.
Il poliziotto
si girò al mio indirizzo e la faccia burbera dietro la barba
incolta, si aprì in un sorriso.
- Seren!
– mi salutò lui avvicinandosi.
- E’
da un pezzo che
non ti vedo, non passi mai a trovarmi! E dire che abitiamo solo a
quattro case di distanza – lo rimproverai, stringendolo in un
abbraccio veloce.
- Sono sempre
molto indaffarato – si scusò lui impacciato.
- Vedo
– replicai sarcastica, gettando un’occhiata
all’insegna intermittente del bar a pochi passi da noi.
- Piuttosto...
tu non dovresti andare in giro da sola a quest’ora
– osservò Hank con cipiglio severo.
- Sono uscita
dalle prove,
ma la pioggia mi ha sorpresa per strada – spiegai con una
scrollata di spalle – E tu? Hai già finito la tua
“serata”? - replicai virgolettando l'aria.
Conoscevo bene
Hank, avevo
fatto da babysitter a suo figlio Cole spesso e volentieri, finendo per
diventare una presenza costante nella vita di quella famiglia che era
andata distrutta due anni prima. Dopo la morte del figlio e la
separazione
da sua moglie, io e Hank ci eravamo allontanati; il dolore era stato
troppo e troppo improvviso. Sapevo perfettamente che il poliziotto
aveva
problemi con
l’alcol, ma ogni mio tentativo di fargli capire che non era
il
modo giusto per andare avanti, era andato a vuoto.
- Sarebbe
continuata, ma
sono stato appena coinvolto in un nuovo caso –
spiegò con
uno sguardo del tutto fuorchè entusiasta.
- Mi pare di
capire che ti abbiano affibbiato una rottura di scatole -
- E’
un eufemismo! -
sibilò lui – Assegnarmi ad un caso sui
Devianti..
per di più affiancandomi un androide!! -
- Tenente
Anderson! Mi dispiace insistere, ma ci stanno aspettando -
Se sentire la
parola
"Devianti" mi aveva scosso, udire quella voce richiamare Hank
dall’altra parte della strada, mi destabilizzò del
tutto.
Connor, che
fino a quel
momento doveva essere rimasto in macchina in attesa del poliziotto, ora
era sceso non vedendolo arrivare.
- Parli del
diavolo..- mormorò Hank sospirando.
Gli occhi
dell’androide si spostarono dall'uomo a me. Era
esattamente come me lo ricordavo, mentre la pioggia gli scorreva sul
viso e iniziava ad inumidirgli le spalle della giacca.
- Connor? -
sussurrai
allibita, prima di correre verso di lui e buttargli le braccia al collo
– Dio… pensavo che ti avessero dismesso! Dove sei
stato
negli ultimi tre mesi?! - esclamai facendo un passo indietro per
guardarlo.
Non immaginavo
di potermi
sentire di nuovo annientata. Eppure, quando vidi lo sguardo perso e
stupito di Connor, qualcosa si ruppe ancora una volta dentro di me.
- Ci
conosciamo? - domandò educatamente lui.
- Vi
conoscete?! - esclamò Hank che nel frattempo era
sopraggiunto.
Istintivamente
feci un
passo indietro, quasi avessi ricevuto uno schiaffo in pieno volto.
L’androide mi guardò aggrottando le sopracciglia e
il suo
led diede un bagliore giallo.
-
Credo… credo che la sua amica mi abbia scambiato per qualcun
altro Tenente – disse Connor alla fine.
-
Sì.. Sì, mi dispiace – riuscii a
mormorare io.
- Seren, tutto
bene? Sei pallida, sembra che tu abbia visto un fantasma –
replicò Hank dubbioso.
Io continuavo
a guardare
Connor, nella speranza di trovare un qualsiasi cenno sul suo viso che
mi facesse capire che si ricordava di me... Ma potevo vederla
riflessa chiaramente nei suoi occhi castani, quella ragazza fradicia di
pioggia, con i capelli tinti di
bianco e gli occhi verdi spalancati dalla
confusione. Una completa sconosciuta.
- Sto bene
– risposi con un filo di voce – Meglio se torno a
casa… -
- Vuoi un
passaggio? - si offrì il poliziotto.
- Tenente non
ne abbiamo il
tempo – si intromise Connor con tono professionale, perdendo
istantaneamente qualsiasi interesse per me.
- Lo decido io
se abbiamo tempo o no! - gli abbaiò contro l’uomo.
- Ti ringrazio
Hank ma non
fa niente – mi affrettai ad intervenire – In bocca
al lupo
con il caso – aggiunsi altrettanto velocemente facendo dietro
front.
Se fossi
rimasta lì un secondo di più non avrei retto.
- Seren! -
esclamò Hank cercando di trattenermi.
Io non mi
fermai ma affrettai il passo, raggiungendo la salvezza dietro il primo
angolo che mi fece scomparire alla loro vista.
Barcollando
leggermente,
accecata dalle lacrime, mi sostenni con una mano al muro di mattoni.
Sentii la superficie ruvida grattarmi la pelle e premetti ancora di
più.
Che senso
aveva avuto? Cosa avevano in mente quelli della Cyberlife?
Colpii il muro
con
l’interno del pugno, abbastanza forte da sentire una lieve
fitta
salirmi lungo il braccio. Con rabbia spazzai via le lacrime miste alla
pioggia e mi incamminai verso casa.
Non sarei crollata di nuovo.
Jericho's
place:
Buondì!
"Aggiorni dopo
due settimane e posti questo striminzito capitolo???" - Cit. Lettori
Sì.
A mia discolpa ho
detto fin da subito che i capitoli sarebbero stati corti, non tutti, ma
alcuni sì. u_u
Per chi si
domandava cosa ci
sarebbe stato di diverso al ritorno di Connor, beh... direi che il
fatto che gli abbiano resettato la memoria sia già
abbastanza xD
Se avete mai
parlato con il
poliziotto che si poteva salvare durante la prima missione, avrete
notato che, se Connor muore in quell'occasione, lui non si
ricorderà
dell'uomo, nonostante quest'ultimo lo ringrazi per avergli salvato la
vita
(sì, c'era un agente da salvare. No, l'ho scoperto molto
dopo
anche io).
Scusatemi per il
clichè su Hank, ma avevo davvero bisogno che si conoscessero
già...
Adesso resta da
vedere come reagirà Seren e in che modo le loro strade si
incroceranno di nuovo... *mistery time* Però sapete che ha i
capelli bianchi xD Tutte le protagoniste delle mie storie hanno questa
caratteristica; non so dirvi perchè ma mi piacciono proprio
tanto <3
Un
grandissimo grazie a tutti i Lettori,
a _Blanca_ e _purcit_
per averla aggiunta tra le seguite e a Leila91 per essersi
aggiunta alle commentatrici (Love u ç_ç).
Un
abbraccio a tutti quanti!
Marta
|
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Capitolo 5 *** 4. Di corsa ***
4
4. Di corsa
6
novembre 2038
- Guardi che
è verde -
La frase,
detta ad alta voce
per superare la barriera dei miei auticolari, mi richiamò
alla realtà.
Senza degnare di uno sguardo chiunque mi avesse fatto gentilmente
notare che il verde era scattato, ripresi a correre.
Il
brano pop che stavo ascoltando, terminò mentre raggiungevo
l'altro lato della strada,
per lasciare il posto ad uno rock che diede una lieve scossa al mio
cervello mezzo addormentato. Quella notte non avevo
praticamente chiuso occhio, limitandomi a vagare da una stanza
all’altra di casa, incapace di sdraiarmi nel letto.
Avevo sofferto
per la morte
di Connor quel 15 di agosto, ma avevo sempre nutrito la
segreta speranza di poterlo incontrare di nuovo… dopo tutto
non ci sarebbe stato nulla di strano. Mai mi sarei
aspettata però, che lui potesse non ricordarsi di me.
Per
quale motivo la Cyberlife lo avesse quindi riattivato, cancellando
però ogni
traccia di me, rimaneva un mistero... forse sarebbe stato meglio non
fosse
mai tornato...
Scossi la testa aumentando il ritmo della corsa contrariata dai miei
stessi pensieri.
Quando quella mattina mi ero svegliata raggomitolata sul divano della
sala, avevo deciso di uscire a fare jogging nel tentativo di
sgombrarmi la mente. Purtroppo, fino a quel momento la mia idea sembrava produrre
esattamente
l’effetto opposto, e visto che il cielo minacciava di nuovo
pioggia da un momento all’altro, non trovai ragioni
sufficienti
per continuare.
Stavo facendo
dietro front per tornare verso casa, quando vidi una volante della
polizia con i
lampeggianti accesi fermarsi all’ingresso di un vicolo tra un
bar e una lavanderia a gettoni. Un istante dopo scorsi Hank passare di
gran carriera.
Agrottando le sopracciglia, mi tolsi gli auricolari dalle orecchie e mi
diressi verso il vicolo. Passando alle spalle
del
poliziotto che cercava di tenere a bada alcuni ragazzi armati di
telefonino, mi infilai nella stretta stradina. In fondo ad essa, a
ridosso
della rete metallica che delimitava l'accesso alla statale che passava
lì dietro, c’erano Hank e Connor.
- Non posso
rischiare! - sentii esclamare Connor che cercava di arrampicarsi sulla
rete.
-
Ehi! Ti farai
ammazzare così! - lo bloccò Hank afferrandolo per
un
braccio – Resta qui Connor, è un ordine! -
Corsi loro
incontro proprio
mentre l’androide, con uno strattone, si liberava dalla presa
del
poliziotto superando la recinzione.
- Dannazione
Connor!! - gli gridò dietro l’uomo furente.
- Hank! -
esclamai mentre sopraggiungevo.
- Seren! Che
diavolo ci fai qui?! - domandò incredulo.
Non badai alla
sua domanda, ma spostai
lo sguardo verso la figura del suo partner che, lanciatosi
all’inseguimento di quelli che dovevano essere una coppia di
devianti,
stava attraversando il primo tratto di autostrada. A quella vista
sentii il sangue gelarmisi nelle vene.... Scattai oltre Hank,
verso
un cassonetto dei rifiuti posto lì vicino, il quale mi
offrì un comodo trampolino per
saltare al di là della rete.
- Seren!!! Che
cazzo fai? Vieni qui immediatamente! -
Il poliziotto,
preso alla
sprovvista, battè energicamente i pugni contro le maglie
metalliche.
- Lo hai detto
anche tu, si farà uccidere così!!!
- gli risposi io cominciando a caracollare giù del pendio
fangoso – Non succederà di nuovo! -
Nel frattempo,
Connor era
riuscito a guadagnare incolume la mezzadria tra le due carreggiate.
Dal canto mio sapevo bene che cercare di attraversare la statale
sarebbe stato un suicidio, quindi mi diressi verso la struttura poco
distante che
sosteneva i cartelli con le indicazioni e che faceva da ponte tra le
due corsie. Non appena mi avvicinai alla strada, l'eco delle grida di
Hank venne inghiottito dal traffico ad alta
velocità.
Una volta
raggiunta la struttura, salii rapidamente la
scaletta che serviva per la manutenzione, gettando
un’occhiata
fugace alla situazione sotto di me. Le auto sfrecciavano ad una
velocità impressionante; il solo pensiero di essere centrata
da
una di esse mi metteva i brividi...
Quando arrivai
al punto
che sovrastava la mezzadria, Connor si era ormai già
lanciato sulla
corsia successiva, riuscendo ad afferrare una delle devianti in fuga.
L’altra, una bambina che non doveva avere più di
sette o
otto anni, era già arrivata al sicuro a bordo strada.
Spostai lo
sguardo dalla
lotta che si stava consumando, al salto che dovevo fare per raggiungere
il suolo. Da dove mi trovato c’era solo qualche piolo che
scendeva, giusto per
permettere l’accesso ai comandi del cartellone centrale; per
il
resto si trattava solamente di lasciarsi cadere e sperare.
Senza
rifletterci ulteriormente scesi i gradini, afferrai saldamente
l’ultimo di esso con entrambe le mani e dopo essermi fatta
dondolare un paio di volte, abbandonai la presa.
L’atterraggio
non fu
esattamente come sperato... Una fitta lancinante mi percorse la gamba e
riuscii a restare in piedi solo grazie all’adrenalina
che mi circolava in corpo.
Il che fu decisamente un bene... perché
fece la differenza negli istanti successivi.
La lotta tra
Connor e la
deviante era giunta al termine, la ragazza era riuscita a liberarsi dal
suo inseguitore e a spingerlo via.
Vidi Connor
incespicare
all’indietro, proprio mentre una macchina di grossa
cilindrata
sopraggiungeva. Feci l’unica cosa che mi venne in mente: mi
sporsi e lo afferrai per un braccio, tirando con tutta la forza che
avevo.
L’androide
barcollò, finendo contro il guardrail ed evitando
così il
mezzo; io caddi all’indietro, ritrovandomi seduta sul raso
prato
che era cresciuto nella mezzadria.
Vedendo che
Connor stava bene tirai un lungo sospiro, accorgendomi solo in quel
momento di tremare.
- Ren! -
L’androide,
una volta
resosi conto che i devianti ormai erano irraggiungibili, aveva spostato
la sua attenzione sulla persona che lo aveva salvato
dall’auto.
Connor si
inginocchiò vicino a me; il led acceso di giallo per la
sorpresa. Ritrovandomi
a corto di
fiato e di parole, gli passai le braccia attorno al collo, attirandolo
in un abbraccio che lo costrinse ad appoggiare una mano a terra per non
rovinarmi addosso.
- Stai bene...
- mormorai con voce rotta – Scusami! - aggiunsi un istante
dopo lasciandolo andare.
Connor mi
fissava, sembrava voler dire qualcosa ma le parole gli rimasero sulle
labbra leggermente schiuse.
- Aspetta un
attimo… - proseguii io aggrottando la fronte – mi
hai chiamata Ren? - gli domandai.
Il led sulla
tempia diventò rosso quasi istantaneamente.
- Dovrei
arrestarvi!!! -
L’urlo
proveniente dalla corsia di sinistra ci fece voltare entrambi.
- State bene?
- domandò un furente Hank.
-
Sì – risposi io facendo per mettermi in piedi e
ricordandomi con un attimo di ritardo della mia caviglia.
Non caddi solo
grazie al pronto intervento di Connor, che mi sorresse per un braccio.
- E’
solo una brutta storta – sentenziò un istante dopo
aver scansionato la parte lesa.
- Riuscite a
tornare
indietro? Ho fatto momentaneamente chiudere il traffico su questo lato
dell’autostrada – ci avvisò il
poliziotto.
- Certo
tenente! –
rispose Connor – Lasci che l’aiuti. – si
rivolse poi a
me, appoggiandomi un braccio attorno alle spalle e uno dietro le
ginocchia per tirarmi su.
Un istante
dopo mi ritrovai
tra le sue braccia, cullata dal ritmo del suo passo già
diretto
verso Hank che ci aspettava.
Avrei voluto
insistere ancora, farmi ricordare, ma evitai. Per quel giorno avevo
sfidato la sorte a sufficienza.
Jericho's
place:
Buona domenica
ragazzi!
Siamo giunti
all'episodio On
the run!
Personalmente ho scoperto dopo la possibilità di inseguire
Kara ed è stato veramente un momento al cardiopalma; per
questo motivo spero di avervi fatto provare di nuovo un pò
di quell'adrenalina ;)
Connor sembra
aver avuto una qualche reminescenza del suo primo incontro con Seren,
ma la memoria gli ritornerà mai del tutto? Seren dal canto
suo ha paura di osare troppo e di tornare a sperare l'impossbile...
Se vi state chiedendo come andrà a finire non vi
rimane altro che aspettare il seguito xD
*momento off
topic* Ho finito un piccolo ritratto di Kara sulla mia pagina
Instagram, se qualcuno volesse passare a dargli un'occhiata ne sarei
molto felice :) vi lascio il link: martist_corner
Grazie mille a
tutti coloro che Leggono
e/o Recensiscono!
Un
abbraccio a tutti!
Marta
|
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Capitolo 6 *** 5. Visite ***
5
5.
Visite
6
novembre 2038
“Sono
creature del
demonio! Dovrebbero bruciarli tutti, dal primo
all’ultimo! Che Dio ci...”
Spensi la tv
con un gesto secco e lanciai il telecomando
dall’altra parte del divano. Ero disgustata da
quello
che i notiziari facevano ormai sentire quotidianamente e dalle
interviste, come quella appena sentita, dove la gente si professava
improvvisamente contraria agli androidi da tutta la vita…
Il grosso
problema è che la maggioranza delle persone sembrava
pensarla proprio così. Tutti guardavano agli
androidi come al male incarnato, nonostante i crimini di sangue da loro
compiuti fossero un caso su cento. Come si suol dire "fare di tutta
un'erba un fascio"; ecco l'umanità che ripete i propri
errori per l'ennesima volta signori!
Erano
veramente rare le
persone disposte a valutare l’ipotesi che non fossero
più dei
meri oggetti, ma che in qualche modo avessero acquisito quella che in
genere si chiama “coscienza”. E stranamente, uno di
questi
sembrava essere proprio Hank. Con la mente tornai
alla discussione che avevamo avuto poche ore prima.
Dopo che un paramedico mi
aveva applicato una fasciatura alla caviglia, il poliziotto mi aveva
voluto portare fino a casa e vista la sua espressione, avevo preferito
ingoiare la mia reticenza ed ero salita sulla sua auto.
***
-
Mi vuoi dire che ti
è preso per correre dietro a quello lì?! - mi
aveva aggredita dopo un istante, abbassando la radio con un gesto
nervoso.
- Lo hai detto
anche tu, si sarebbe fatto ammazzare – avevo replicato
laconica mentre osservavo la pioggia battere sul finestrino.
- Non per
questo dovevi
rischiare la tua!! E’ una macchina porca puttana! La possono
rimpiazzare! - aveva sbraitato lui, mettendosi a suonare il clacson al
povero automobilista davanti a noi.
- Non sono
solo delle “macchine” – avevo risposto
stringendo le labbra.
- Quindi? Cosa
sarebbero?
Sono pezzi di plastica che camminano Seren! E alcuni di loro sono
semplicemente difettosi!! – mi aveva abbaiato contro Hank,
anche se non del tutto convinto.
- Hank...
Conosco le ragioni della tua avversione nei confronti degli
androidi, ma onestamente non so dirti chi abbia per davvero mancato ai
propri
doveri quel giorno.. se loro o noi – avevo detto –
Hai visto
anche tu quella deviante – lo avevo interrotto prima che
potesse replicare – Stava cercando di proteggere la bambina!
E se
è lo stesso androide scomparso, di proprietà di
quel Tod
che ho visto in televisione, non fatico a credere che sia
voluta scappare! Non so se lo hai visto, ma so
da cosa è provocato quel rossore agli occhi, così
come lo sai tu – avevo affermato, con un non troppo velato
riferimento alla Red ice.
Hank non aveva
replicato, e
nell’abitacolo era sceso il silenzio mentre l’auto
si accostava
davanti al vialetto di casa mia.
- Grazie per
il passaggio Hank e perdonami se ti ho fatto preoccupare –
gli avevo detto apprestandomi a scendere.
- Provi
qualcosa per Connor? Intendo… - il poliziotto aveva lasciato
la frase in sospeso.
- Credi sia
possibile
innamorarsi di un androide ed essere ricambiati? - avevo ribattuto io
con un
sorriso mesto prima di aprire la portiera e scivolare via.
***
Mentre
ripercorrevo con la
mente la conversazione avuta con Hank, l’oscurità
nel
frattempo era calata fuori dalla finestra, resa ancora più
fitta
dalla pioggia che continuava a cadere. Con un sospiro mi spostai verso
la sala, accendendo la luce che si riflettè sulla superficie
lucida e nera del mio pianoforte a coda.
Non appena i
miei occhi si
posarono sopra di esso, mi sentii subito alleggerita da quel
turbinio di pensieri che ormai si annidavano nella mia mente.
Aiutandomi con
la stampella
che la mia vicina mi aveva gentilmente prestato (un refuso di quando il
figlio adolescente si era rotto una gamba), avanzai verso la seduta.
Con
delicatezza posai i polpastrelli sopra i tasti bianchi e
neri, e nell’aria tiepida di casa mia si espanse la solita
canzone. Proprio
in quel momento, mentre muovevo le mani
lungo la tastiera, con la coda dell’occhio vidi lampeggiare
qualcosa fuori dalla finestra che dava sul portico
d’ingresso.
Le mie dita
abbandonarono
la canzone, che si interruppe un po' malamente. Mi
alzai e, procedendo più in fretta che potevo, mi precipitai
in
ingresso, spalancandone l’uscio.
In mezzo alla
pioggia,
quasi alla fine del vialetto c’era Connor. La pioggia
scivolava
su di lui, che come al solito sembrava non farci caso.
- Connor! -
esclamai.
L’androide
sembrò riscuotersi improvvisamente, puntando il suo sguardo
su di me.
- Mi dispiace
Miss Andrews,
ma il Tenente Anderson ha insistito perchè passassi a vedere
come stava;
mi dispiace averla disturbata – disse.
- Non lo hai
fatto, stai tranquillo – replicai io con un sorriso
– Forza, vieni dentro – lo invitai.
Come la prima
volta che gli rivolsi quella frase, Connor sembrò confuso.
- Davvero, non
vorrei disturbarla – titubò lui.
- Andiamo, non
farti pregare – insistei
facendogli un cenno - Odio vederti lì sotto la pioggia e per
piacere dammi del tu – aggiunsi.
- Credo che...
non sarebbe educato – replicò lui cortesemente.
-
Già, è vero, mi ero dimenticata del tuo
protocollo.. – sospirai – Magari più
avanti – aggiunsi.
A quel punto
Connor annuì, venendomi dietro.
- Come va la
caviglia? - domandò entrando nel salotto.
- Come avevi
detto tu
è solo una brutta storta, un paio di giorni e
sarà come
nuova– gli dissi sedendomi sul divano.
- Mi fa
piacere sentirlo – asserì Connor, appoggiando la
mano sullo schienale della poltroncina dirimpetto la mia.
- E
l’indagine sui devianti come procede? - chiesi incuriosita.
- Poco fa mi
hanno
notificato una nuova scena del crimine; devo giusto passare a prendere
il Tenente – rispose lui tamburellando distrattamente sulla
stoffa.
- Ne
sarà
sicuramente contento – sogghignai io, già
immaginandomi la
reazione del poliziotto a quell’incursione notturna.
- Lei e il
Tenente Anderson vi conoscete da molto? -
s’informò l’androide.
- Da qualche
anno, sì
– assentii io appoggiando il mento sulle dita intrecciate
–
Facevo da babysitter a suo figlio prima che… - mi interruppi
a
metà della frase, notando lo sguardo stupito di Connor
–
Non ne sai niente? - chiesi confusa.
- No,
io… - mormorò l’androide preso in
contro piede.
- Allora
sarà meglio
che non prosegua oltre – sospirai – non sta a me
raccontarlo
– aggiunsi con una nota afflitta nella voce.
- Avere
quest’informazione potrebbe aiutarmi ad instaurare un
rapporto
migliore con lui – replicò invece Connor.
- Il modo
migliore per
instaurare un rapporto con Hank è stargli accanto
–
risposi io – E Dio solo sa quanto ne ha bisogno...
– aggiunsi.
-
Perchè è corsa a salvarmi stamattina? -
La domanda a
bruciapelo dell’androide mi colse leggermente di sorpresa.
-
Perchè ho sentito
il dovere di intervenire – risposi slacciando
l’intreccio
delle mie dita – Vederti morire lì sulla strada
non.. - mi
bloccai incapace di andare avanti.
Sembrava che
Connor stesse per replicare qualcosa, ma il suo sguardo divenne per un
attimo distante.
- Temo di
dover andare – mi avvisò un secondo dopo.
Io annuii,
alzandomi e accompagnandolo fino alla porta d’ingresso.
Fuori, la pioggia continuava ad insistere.
- Le auguro
una buona
serata Miss Andrews e una pronta guarigione –
asserì l'androide scendendo i gradini dello stretto
porticato.
- Connor! -
Con un gesto
automatico feci un paio di passi avanti e lo afferrai per un polso.
Piccole gocce
d’acqua si infransero sul mio viso facendomi rabbrividire.
- Davvero non
ti ricordi di me? - domandai.
L’androide
abbassò prima lo sguardo sulla mia mano, poi lo
alzò su di me.
-
Io… temo di no – rispose, con uno sguardo che
sembrava deluso dal dover fare quell’affermazione.
- Scusami se
continuo ad insistere – aggiunsi scuotendo la testa con un
sorriso e lasciandolo andare.
-
Però… -
Alzai la testa
per guardarlo in viso e vidi che il suo led lampeggiava di giallo.
- La canzone
che stava
suonando al piano… mi… mi pare di averla
già
sentita.. - disse sbattendo le palpebre per scacciare le gocce di
pioggia – E’ sua, vero? - mi domandò.
-
Sì, lo è
– risposi – Avrei voluto avere più
tempo quel quindici di agosto.. c’era qualcosa di importante
che
volevo dirti.. - aggiunsi di getto.
Connor
continuava a fissarmi confuso mentre il suo led diventava rosso.
- Ma ora non
importa.. Torna a trovarmi quando vuoi – e alzatami
in punta di piedi, gli lasciai un veloce bacio all’angolo
della
bocca.
Non rimasi a
vedere la sua
reazione, ma mi voltai e tornai dentro.
Le lacrime, che si mescolavano
ancora una volta alla pioggia, non sapevo se fossero di
disperazione o di speranza.
Jericho's
Place:
Arieccome!!
Avrei potuto
aggiornare prima se lo scorso weekend mi fossi messa a scrivere... ma
ho iniziato il nuovo Assassin's Creed e quindi ciaone! xD
However...
abbiamo un veloce incontro tra i nostri protagonisti che avviene la
sera dell'indagine all'Eden club. In questo caso, Connor ha "dovuto"
fare una piccola deviazione a casa di Seren per sincerarsi delle sue
condizioni. Nonostante sia stato Hank a insistere, pare che questo
incontro abbia prodotto qualcosa... ma sarà abbastanza?
Spero che questa
coppia vi stia piacendo ^^ creare la giusta alchimia tra i protagonisti
è sempre una bella sfida!
Un sentito
ringraziamento a tutti i Lettori
che ancora osano seguirmi XD, alle mie recensiste di
fiducia e a Pandizenzero
per averla inserita tra le storie seguite ^^
Al
prossimo aggiornamento!
Marta
|
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Capitolo 7 *** 6. Contatto ***
6.
6. Contatto
8
novembre 2038
-
Così può andare! -
Fissai
soddisfatta il mio
riflesso nello specchio del bagno, sistemandomi i capelli umidi e
freschi di un'immacolata tinta bianco candido. A quel punto, afferrato
l’asciugamano che avevo abbandonato sul bordo del lavandino,
mi
diressi in camera, fermandomi davanti alla finestra che dava sulla
strada. Con calma presi a frizionarmi delicatamente i capelli
osservando la neve scendere. Aveva sostituito la pioggia il giorno
prima e per ora non sembrava dare cenni di voler smettere; tutte le
case del
circondario erano ormai completamente imbiancate e l’aria
sembrava già diversa, più pulita.
Incantata
com’ero da
quel paesaggio un po' fiabesco (per abitare in una metropoli come
Detroit), quando sentii la porta d’ingresso aprirsi sobbalzai
spaventata.
Con cautela
uscii dalla camera affacciandomi dalle scale.
- Hank? -
chiamai, pensando
che l’unica persona al mondo che poteva prendersi il lusso di
entrare senza neppure suonare il campanello fosse il poliziotto
–
Sei tu? -
Il bagliore di
un led mi portò su tutt’altra strada.
- Connor?! -
esclamai sorpresa, guadagnando finalmente l’interruttore che
illuminò l’ingresso.
L’androide
sostava in fondo alle scale, sul viso un’espressione di
turbamento che non gli avevo ancora visto.
- Connor!
Cos’è successo?! - esordii, precipitandomi
giù
dalle scale e perdendo l’asciugamano umido per strada.
- Ho trovato
uno dei devianti che hanno attaccato la Stratford tower –
disse, quasi mangiandosi le parole.
- Connor.. -
cercai di calmarlo io.
-
L’ho sentito Ren! - ripetè lui, interrompendomi e
passando improvvisamente a darmi del tu.
- Cosa? Non
capisco… - balbettai io confusa.
- Mi sono
connesso a lui un
attimo prima che gli sparassero e l’ho sentito! -
proseguì, facendo saettare lo sguardo dal pavimento a me.
- Per favore
Connor, non capisco, mi stai spaventando – replicai.
-
L’ho sentito
morire! - esclamò, svelando finalmente cosa lo stesse
turbando
tanto – E ho avuto paura... - aggiunse.
Sembrava
completamente fuori di sé mentre il led lampeggiava di rosso
al ricordo dell’esperienza vissuta.
- Connor! -
gli presi il viso tra le mani costringendolo a guardarmi –
Sei vivo! Tu sei vivo. – gli dissi.
Lui mi
guardò ancora
per un momento, spaesato, poi il led tornò del solito
azzurro e
il suo sguardo di calmò.
- Scusa
– disse – Non sarei dovuto venire... non so
perchè... - lasciò la frase in sospeso.
- Puoi venire
quando vuoi
– lo rassicurai con un sorriso, che scemò non
appena notai
quello che non avevo visto in precedenza - Perdi sangue! –
esclamai sentendomi invadere dal panico.
Sulla camicia
solitamente
immacolata, una chiazza di colore blu impregnava la stoffa,
allargandosi intorno ad un inequivocabile foro di proiettile.
- Non
è nulla, i miei sistemi funzionano tutti perfettamente
– minimizzò lui.
- Dobbiamo
fermare l’emorragia – tagliai corto io, prendendolo
per mano e facendolo sedere in cucina.
- Cosa? -
domandò confuso.
- Non puoi
andare in giro
con quella ferita aperta! –
replicai – Posso riparare il danno -
Connor, anche
se leggermente basito, rimase seduto.
- Per favore,
togliti la camicia – gli dissi con un tono che non ammetteva
repliche, dirigendomi verso la
credenza e aprendo una delle antine per estrarne una cassetta di
metallo laccata di blu.
Quando mi
girai,
l’indumento stava scivolandogli dalle spalle. La pelle
pallida,
tesa sul torace e sugli addominali, mi fece
attorcigliare lo stomaco.
- Parti
dall’inizio e raccontami cos’è successo
- gli dissi sedendomi di fronte a lui.
- Avrai
sicuramente visto il messaggio dei devianti – disse
l’androide.
- Ovvio
– risposi.
Chi non lo
aveva visto? A
quell’ora ero a lezione all’accademia e avevo perso
la
pazienza vedendo che nessuno mi stava ad ascoltare; avvicinandomi al
gruppo di studenti chini sul cellulare di uno di loro, avevo capito il
perché.
Il viso bianco
perlaceo di
un androide, stava parlando in diretta su una delle maggiori emittenti
televisive. Chiedeva all’umanità di riconoscere
gli
androidi come esseri viventi a tutti gli effetti, di porre fine alla
loro schiavitù e di poter essere trattati come pari.
La mia
meraviglia era stata
mitigata solo dal fatto che, in cuor mio, sapevo che prima o poi quel
momento sarebbe arrivato.
Tutto si evolve....
- Io e il
Tenente ci siamo
diretti alla Stratford tower per indagare – spiegò
Connor
mentre io valutavo l’entità della ferita
– I
devianti sono riusciti ad infiltrarsi indisturbati fino alla sala di
trasmissione dove hanno registrato il loro messaggio –
continuò.
- Scusa
Connor, potresti
rimuovere la pelle? - lo interruppi, e in un attimo mi ritrovai a
fissare la superficie lucida del polimero che si celava sotto di essa.
Alzai per un
attimo lo sguardo. Connor mi fissava incuriosito, ma senza
dare cenni di volermi fermare.
- Grazie,
continua pure – asserii aprendo la cassetta.
Alcuni piccoli
led si
accesero automaticamente, illuminandone il contenuto: una serie di
sottili strumenti tutti perfettamente allocati nei propri spazi.
- Uno degli
umani presenti
al momento dell’irruzione è riuscito a scappare e
a dare
l’allarme, permettendo così alla squadra
d’assalto
di fare irruzione – raccontò.
- I devianti
erano armati? - domandai mentre valutavo una serie di piastrine bianche
di diversa misura.
-
Sì -
- Quindi
avrebbero potuto
sparargli ma non lo hanno fatto – commentai afferrando il
pezzo
prescelto con un paio di pinzette.
- A quanto
pare hanno deciso di risparmiarlo – assentì Connor.
-
Cos’è successo quando la Swat è
arrivata? -
Con
delicatezza appoggiai il pezzo di polimero sul foro del proiettile,
avvicinando al contempo un piccolo saldatore portatile.
- Ha aperto il
fuoco sul
gruppo – disse Connor – Uno dei quattro devianti
è
stato colpito e lo hanno trascinato fino al tetto -
- Hanno
davvero saltato con i paracaduti? - chiesi curiosa e un po' ammirata.
- Qualcuno
deve averli
aiutati dall’interno e portato l’attrezzatura sul
tetto
– assentì l’androide mente facevo
aderire i bordi e
sigillavo la ferita.
- Non
c’è che
dire, erano ben organizzati – commentai, mordicchiandomi il
labbro
inferiore per la concentrazione.
-
Sì, ma hanno
dovuto lasciare indietro il deviante ferito – disse Connor
– L’ho trovato nascosto dentro una delle cabine per
la
manutenzione dei pannelli elettrici – raccontò
–
Quando l’ho scoperto mi ha sparato e ne è nato uno
scontro
a fuoco – disse.
- Hank sta
bene? - chiesi preoccupata.
- Il tenente
Anderson sta bene – affermò Connor con una punta
di quello che registrai per sollievo.
- Devo
rimuovere il pannello del torace, credo che il proiettile sia rimasto
all’interno e preferirei non lasciarlo lì
–
aggiunsi.
- Fai pure
– concesse Connor.
Con la punta
delle dita
trovai la scanalatura per l'apertura e premetti leggermente. La luce
azzurrina dei bio componenti lasciati scoperti mi fece socchiudere gli
occhi.
- Scusa.... ma allora
come hai fatto a
connetterti al deviante? - domandai confusa.
-
Ho attraversato lo scontro a fuoco – rispose lui.
I miei occhi
saettarono nei suoi, sconvolta.
- Dovevo
capire dove fosse
il loro quartier generale, se lo avessero ucciso non avrei mai avuto
quell’informazione! – si giustificò lui.
- Connor,
potevi morire!- esclamai.
- Ma non
è successo
– replicò l’androide – sono
riuscito ad
interfacciarmi con lui un secondo prima che venisse colpito –
aggiunse.
- Ed
è allora che lo hai sentito – dissi, mentre con
delicatezza estraevo il proiettile dopo averlo individuato.
-
Sì...-
Mi tirai
indietro a tornai
a fissarlo in viso. Con la fronte aggrottata e le sopracciglia
contratte, Connor palesava tutto il suo disagio e la confusione che
quel momento gli aveva creato.
- La paura
è un
emozione umana... – affermai cauta – Sei ancora
sicuro che
non siate in grado di provarle? Che sia tutto un semplice
malfunzionamento? -
- Gli umani e
le macchine
sono diversi.. - ragionò lui – Non possiamo
provare quello
che provate voi, ma emularlo… non siamo come voi –
disse.
L'irrazionalità
è una prerogativa umana; quindi il gesto che compii
rientrava perfettamente nei parametri.
Afferrai la mano di Connor e feci aderire il palmo appena sopra il
mio seno sinistro. Nello stesso momento allungai le dita e, leggera
come
una piuma, le chiusi attorno al cuore meccanico e pulsante di Connor.
L’androide
sgranò gli occhi e il led lampeggiò di giallo.
- Sei sicuro?
- gli chiesi.
Sentivo il suo
cuore
sfarfallare sotto la mia mano, veloce tanto quanto lo era il mio mentre
tradiva la calma che cercavo di preservare sul mio viso.
Volevo che
Connor
capisse… che non c’era alcuna differenza tra me e
lui se
non eravamo noi stessi ad imporcela. Che per me, non
c’era
differenza.
Quel breve
momento fu
interrotto dal sonoro squillare del mio telefonino. Connor
abbassò la mano e io ritirai la mia, alzandomi.
- Torno subito
– gli dissi.
Raggiunsi il
cellulare un attimo prima che smettesse di suonare.
- Pronto? -
“
Seren? Scusa per l’ora”
La voce di
Hank uscì leggermente metallica dal microfono.
- Nessun
disturbo, stai bene? - gli domandai salendo le scale per andare di
sopra.
Da quando il
figlio era morto, Hank non mi aveva mai telefonato.
“
Sì, io sto
bene… volevo solo sapere...” la sua voce si
interruppe un
istante “volevo sapere se avevi visto Connor di recente, oggi
siamo stati sul posto dell’agguato televisivo e...”
- Sta bene
Hank, adesso è qui – lo interruppi mentre tiravo
fuori dal cassettone di camera mia una t shirt da uomo.
“
Ah.. ok, bene…” borbottò il poliziotto
dall’altro capo della linea.
- Mi ha
raccontato cos’è successo – gli spiegai.
Hank rimase
per qualche istante in silenzio, il tempo necessario perché
io tornassi al piano di sotto.
“Seren..
pensi che lui possa...” lasciò la frase in sospeso.
- Forse.. ma
non sono sicura – risposi osservando Connor ancora seduto
dove lo avevo lasciato.
“
Certo… beh, scusami se ti ho disturbato, ti auguro la buona
notte”
E senza darmi
il tempo di replicare interruppe la chiamata.
- Tieni,
indossa questa
finché la Cyberlife non ti porterà un cambio
– mi
rivolsi a Connor allungandogli la vecchia maglietta.
- Grazie
– replicò lui alzandosi per indossarla.
Mentre si
vestiva, io presi
una mug dalla credenza e la riempii con il tè che avevo
fatto in
precedenza. Quando mi voltai, un pensiero fugace mi
attraversò
la mente e mi misi a ridacchiare.
- Sono buffo?
- domandò Connor abbassando lo sguardo sulla maglietta che
di sicuro non aveva mai indossato in vita sua.
- No, ma
sembri talmente
umano che per poco non ti offrivo una tazza di tè
–
risposi con un sorriso – Dovrebbero farvi dotati del gusto,
il
cibo è uno dei pochi piaceri a cui nessuno dovrebbe
rinunciare
– dissi.
- Sono il
primo modello a
poter ingerire sostante per verificarne la natura e l’origine
– mi spiegò Connor molto professionalmente.
- Scherzi? -
esclamai io allibita. Quella mi era nuova.
- Per niente
– replicò lui.
- Allora tieni
–
Allungai verso
di lui la
mia tazza in attesa. Connor la guardò per un secondo, poi
intinse appena il dito indice e il medio dentro la bevanda bollente e
se li portò alla bocca.
Quella vista
mi fece nuovamente attorcigliare lo stomaco mentre una vampata di
calore mi saliva lungo il petto.
-
Tè Matcha in foglia, provenienza Osaka, Giappone –
sentenziò lui.
- Direi che
funziona... – asserii io ancora un po' scossa –
Però non senti il sapore, vero? -
- No, quello
no –
ammise Connor seguendomi fino in salotto, dove io mi sedetti sul divano
– Beh, ti lascio a riposare, penso..-
- Potresti
restare -
Appena lo
interruppi i nostri occhi si incrociarono e io mi sentii arrossire.
- Mi.. mi
farebbe piacere
se restassi a farmi compagnia – mormorai concentrandomi sul
liquido caldo che avevo nella tazza – Sempre se non devi
correre
da qualche parte – aggiunsi.
- Per ora non
ci sono sviluppi sul caso, non ho ricevuto istruzioni –
rispose lui.
Trascorse
qualche secondo imbarazzato prima che mi venisse in mente qualcosa da
dire.
- Prima era
Hank al
telefono – gli dissi, facendomi automaticamente da parte sul
divano perché si potesse sedere anche lui.
Connor
sollevò le sopracciglia sorpreso, occupando
l’altro lato della seduta.
- Voleva
sapere come stavi,
penso che fosse preoccupato per te – spiegai appoggiando la
mug
sul basso tavolino che avevamo di fronte.
- Strano,
perché non
ha mai fatto mistero del suo odio per gli androidi –
commentò Connor con una punta di sarcasmo.
- Hai avuto
modo di parlare con lui? - domandai.
- Ieri siamo
stati in un
parco con vista sul ponte – rispose l’androide
– A
casa sua avevo visto la foto di un bambino, così gli ho
domandato se fosse suo figlio – raccontò
– mi ha
detto che si chiamava Cole… è morto due anni fa,
vero? -
Io sospirai,
tirandomi le ginocchia al petto.
-
Già… aveva sei anni... – affermai io
– C’è stato un incidente –
aggiunsi.
- La loro auto
è
sbandata sul ghiaccio e Cole è stato portato
d’urgenza in
ospedale, ma il medico di turno non era reperibile e così un
androide ha preso il suo posto.. - spiegò Connor.
- Ma Cole
è morto sotto i ferri.. - conclusi io.
Il ricordo
dello shock nell’apprendere quella notizia mi
formò un nodo alla gola che mi fece pizzicare gli occhi.
- Mi spiace,
non volevo
turbarti – nel dirlo, Connor aveva fatto il gesto di
allungare
una mano verso di me.
Prima che la
potesse
ritirare, mossi la mia, stringendogliela e facendo incrociare le nostre
dita. D’un tratto mi sentii stanchissima.
- Come ci
siamo conosciuti? Non mi ricordo di te, ma sono sicuro che sia successo
-
Quell’affermazione
mi fece voltare di nuovo verso di lui. Gli occhi caldi di Connor mi
sondavano.
- Domani...-
risposi.
- Cosa? -
domandò lui confuso.
- Domani ti
racconterò ogni cosa, tutto – asserii esausta.
Senza
riflettere mi accostai a lui, appoggiandogli la testa sulla spalla e
chiudendo gli occhi.
Connor non si
mosse, né cercò di sottrarsi al contatto delle
nostre mani ancora intrecciate.
- Domani
allora – assentì con calma.
- Connor.. -
sussurrai.
-
Sì? -
- Non lasciare
che sia la
Cyberlife a decidere per te… non fare quell’errore
–
gli dissi mentre perdevo contatto con la realtà.
Jericho's place:
Buongiorno a
tutti!
Mi dispiace
moltissimo di non poter aggiornare con maggiore frequenza, ma almeno
sto cercando di darmi il limite massimo di due settimane tra un
capitolo e l'altro.
Nel frattempo
spero che abbiare apprezzato questo capitolo un pò
più lunghetto del solito e che, personalmente, mi
è piaciuto molto scrivere ^^
I capitoli che si
discostano dalla trama sono quelli più difficili da mettere
giù, ma sono anche quelli più stimolanti.
Connor
è reduce dalla sua investigazione alla Statford tower, dove
(almeno nella storyline che ho scelto) è riuscito a
connettersi a Simon. Questo ha generato una serie di interrogativi in
lui e un certo scompiglio... ciò, lo ha involontariamente o
meno, portato a casa di Seren, che si scopre avere delle
abilità meccaniche non da tutti...
Chi mi ha mandato
a quel paese quando ha letto questo scambio di battute?
-
Domani...- risposi.
-
Cosa? - domandò lui confuso.
-
Domani ti racconterò ogni cosa, tutto – asserii
esausta.
Avete
fatto bene xD Ma posso dirvi che nel prossimo capitolo finalmente
saprete... ma forse non nel modo che pensate ;)
Nel frattempo sto cercando di finire un ritratto di Seren, spero venga
come desidero!
Grazie quindi a tutti i Lettori che cotinuano a seguirmi e a chi mi
recensisce! In particolare grazie a Pandizenzero
che è passata a darmi il suo apprezzamento ^^
Un abbraccio,
Marta
|
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Capitolo 8 *** 7. Urgenza ***
7.
Urgenza
9
novembre 2038
Riemersi dal
sonno lentamente,
mettendo a fuoco il ripiano del tavolino ingombro di riviste e di una
tazza ormai fredda. Tirandomi a sedere, una coperta di pile mi
scivolò da addosso, adagiandosi con un fruscio vicino ai
miei
piedi scalzi. Mi guardai attorno un
pò intontita...
Se non
fosse stato per la presenza di una maglietta da uomo ben ripiegata
sulla poltrona di fronte a me, la visita di Connor sarebbe potuta
sembrare solo un sogno. Fissai la coperta caduta a terra e capii che
doveva essere stato lui a coprirmi quando se n’era andato.
L’altra cosa che notai fu il mio pad che, appoggiato vicino a
me,
lampeggiava.
Quando lo
sbloccai mi apparve un messaggio scritto con l’applicazione
delle note.
“
Sono dovuto andare
via. Il tenente Anderson ha una pista, è riuscito a
rintracciare
l’abitazione di Elijah Kamski. Connor”
Bastò
leggere quel nome, perché la vista mi si offuscasse e il
panico mi avvolgesse: Elijah
Kamski.
Guardai la
data di salvataggio del messaggio: 10.30.
Poi guardai l’ora attuale: 11.00.
Lanciai il pad
sul divano e
corsi fuori, ignara del gelo che mi aggredì i piedi nudi. Mi
spinsi fino al
marciapiede e guardai in direzione della casa di Hank con il fiato che
si condensava in spesse nuvolette di vapore. La sua auto non
c’era.
Voltandomi per
rientrare,
la serranda del garage, come un oscuro presagio, attirò la
mia attenzione e mi
spinse verso una decisione che in altri casi non avrei mai preso.
Tornata in
casa, infilai il
giubbotto e anfibi, e presi il mazzo di chiavi risposto
accuratamente nel
cassetto del mobile in ingresso. Poi mi diressi al garage, accendendo
la luce che rischiarò lo spazio odorante di olio e metallo. Uno spesso telo bianco
con
un sottile strato di polvere sopra, mi accolse.
Quando misi una mano
sopra di esso, ebbi un secondo di esitazione.... Stavo per scoperchiare
il vaso di Pandora, ma lo sollevai ugualmente.
Al di sotto comparve una
vecchia Kawasaki nera satinata, che sembrò quasi
rimproverarmi
quella lunga assenza. Mentre la serranda si apriva sul vialetto di
accesso, mi calai in testa un casco integrale e infilai le chiavi nella
toppa. Dovetti girarle e dare gas almeno quattro volte, prima che il
motore si avviasse.
Con un ultimo
sospiro
smorzato dal casco, diedi ulteriore gas immettendomi in strada; erano
quasi otto anni che non prendevo quella moto.. o qualsiasi mezzo su
ruote, se non si contava lo strappo che Hank mi aveva costretta ad
accettare dopo la storta alla caviglia...
Concentrandomi
sulla mia
destinazione, cercai di ricacciare in un angolo della mia mente il
leggero panico che sentivo montare dentro mentre zigzagavo nel
traffico.
Kamski viveva
fuori Detroit, dall’altra parte del ponte che attraversava
l’omonimo fiume.
Si era
costruito una casa
in riva al corso d’acqua, con un ottima vista della Belle
Isle,
l’isola che, oltre ad ospitare un enorme parco e un acquario,
era
le fondamenta della principale fabbrica della Cyberlife.
Quando arrivai
davanti
all’abitazione immersa nella neve, notai subito la macchina
di
Hank parcheggiata lì davanti. Abbandonai la moto in fretta e
furia, gettando il casco a terra e dirigendomi verso la porta
d’ingresso. Lì, invece
di
suonare il campanello, portai alla luce un piccolo pannello digitale
nascosto nel rivestimento in legno della porta. Digitai il codice e,
con un sommesso click, l'uscio si aprì davanti a me.
- E’
abbastanza! Connor ce ne andiamo -
La voce di Hank fu la prima cosa che sentii provenire dalla camera
attigua.
Mi avvinai alla porta ignorando lo sguardo penetrante del ritratto del
padrone di casa, e aprii uno spiraglio.
- Premi il
grilletto... -
Elijah Kamski
appoggiò una mano sulla spalla di Connor, il quale teneva
puntata una pistola verso un’androide bionda vestita di
blu.
- Connor! Non
farlo! - esclamò Hank a qualche passo dai due.
- e ti
dirò tutto ciò che vuoi – concluse
Kamski.
Quando intuii
quello che
stava accadendo, mi si gelò il sangue nelle vene, ma non
feci in
tempo a reagire che Connor abbassò spontaneamente la
pistola.
-
Affascinante… -
disse allora Kamski – L’ultima chance della
Cyberlife di
salvare l’umanità è esso stesso un
deviante -
-
Non… non sono un
deviante – si affannò a rispondere Connor mentre
il led
sulla sua tempia continuava a lampeggiare furiosamente di rosso.
- Hai
preferito risparmiare
la vita di questa macchina piuttosto che portare a termine la tua
missione. – replicò l’uomo.
A quel punto
aprii completamente la porta, facendo il mio ingresso nella piscina
coperta.
- Adesso basta
Elijah –
Tutti e tre si
voltarono al mio indirizzo mentre, con passo deciso, mi avvicinavo
loro.
- Seren?! Che
diavolo ci fai qui? - esclamò Hank allibito.
- Guarda chi
si vede… - commentò Kamski con un mezzo sorriso.
Connor fu
l’unico a restare in silenzio, limitandosi a fissarmi
confuso.
- Spero tu sia
soddisfatto… - sibilai all’indirizzo del ragazzo
con gli occhi azzurri.
Con un gesto
secco, tolsi la
pistola che Connor teneva ancora in mano e la lanciai
in piscina, dove affondò con un gorgoglio.
- Quando la
pianterai con questi giochetti? - aggiunsi affrontandolo.
- E’
un piacere anche per me rivederti – replicò lui.
- Ehi,
aspettate un secondo! Voi due vi conoscete? - s’intromise
Hank.
-
Può ben dirlo
tenente, siamo amici di vecchia data – rispose Kamski
cordiale
– Ma temo che non siate stati informati di questo -
Io chiusi gli
occhi e sospirai, prima di voltarmi verso i miei due amici.
- Mi sono
laureata in ingegneria bio tecnica lo stesso anno di Elijah e... ho
iniziato a lavorare con lui – dissi.
- Con lui?
Alla Cyberlife? - mi chiese Connor parlando per la prima volta.
- Avete
davanti una delle fondatrici della compagnia – intervenne il
ragazzo.
Ed eccoci
arrivati al capolinea…
-
Cosa…? - disse Hank con voce strozzata.
- Ho.. ho
inventato io i
bio componenti che fanno funzionare gli androidi – ammisi
alla
fine – Vi spiegherò tutto, giuro... ma non qui.. -
aggiunsi con
tono supplichevole.
- Per me
possiamo andare,
non abbiamo più niente da fare –
assentì Hank dopo
un momento, avviandosi all’uscita.
Feci per
allontanarmi a mia
volta, ma Elijah mi afferrò per un polso e, al contempo,
Connor
afferrò il braccio dell’uomo. Io lo guardai
stupita,
mentre Kamski si limitò a lasciarmi andare con un sorriso.
- Speravo
potessimo parlare, già che sei qui – mi disse.
- Ci siamo
detti tutto otto anni fa Elijah… ti prego, basta –
gli risposi.
- Non
è stata una mia idea… - aggiunse e io guardai di
riflesso Connor.
- Ma non hai
neppure impedito che accadesse.. - ribattei – Andiamo Connor -
Voltatami,
aggirai la
piscina per tornare verso l’uscita. Appena prima di varcare
la
porta dell’ingresso, Elijah parlò
un’ultima volta.
- E comunque,
c’è sempre un piano B nei miei programmi. Non si
sa
mai...- disse laconico con il viso rivolto alla vetrata della piscina.
Fuori la neve
continuava a
scendere lenta e implacabile. Sulla mia moto si era già
formato un sottile strato
bianco, che mi apprestai a togliere diligentemente con i guanti.
- Come mai non
hai sparato a quella ragazza? -
Hank si
rivolse a Connor, incrociando le braccia sul petto.
-
Io… l’ho
guardata negli occhi e non ce l’ho fatta, ok? - rispose
l’androide concitato mentre il led gli si colorava
improvvisamente di rosso.
- Dici sempre
che portare a termine la tua missione è la cosa
più importante – insistè il poliziotto.
-
Gliel’ho detto, non ce l’ho fatta. Mi dispiace! -
ripetè Connor.
Io fissai i
due confrontarsi e pensai che entrambi, probabilmente, non si erano
minimamente accorti di quanto fossero cambiati.
- Forse non
è stato
un male, forse hai fatto bene – affermò alla fine
il poliziotto – Io devo
tornare un attimo in centrale – aggiunse poi, rivolgendosi a
me
– Ti lascio Connor davanti casa -
- Non
è meglio aspettare che ci sia anche tu? - domandai perplessa.
- Nah
– rispose Hank
– credo che quello che hai da dire interessi più a
lui che
a me; e poi potete sempre aggiornarmi dopo – disse con
un’alzata di spalle.
- Allora vi
aspetto a casa – assentii montando sulla Kawasaki e
infilandomi il casco.
Con un ultimo
cenno ai due
partners, ed evitando accuratamente lo sguardo di Connor, accesi il
motore e partii alla volta del mio futuro.
Jericho's
place:
*musichetta da
colpo di scena*
In
realtà penso che molti di voi ci fossero arrivati, o almeno
si fossero fatti un'idea generale xD Per tutti gli altri, sappiate che
volevo stupirvi con effetti speciali!
E così
la nostra Seren ha aiutato Kamski a mettere in moto la Cyberlife,
inventando niente di meno che i bio componenti degli androidi!
Ciò che è ancora poco chiaro sono i motivi che
hanno spinto la ragazza ad abbandonare la brillante carriera
nell'azienda... Connor sembra essere la chiave di tutto. Per chi mi sta
maledicendo, non lo faccia troppo che ho bisogno di lavorare ancora per
un bel pò prima che sia Natale ^^" Posso rassicurarvi
però, che avrete tutte le spiegazioni del caso nel prossimo
capitolo u.u
Per ora ringrazio
tantissimo tutti i Lettori
che continuano a seguirmi, al mio piccolo gruppo di Recensiste e a Roiben per aver
inserito la fic tra le seguite ^^
Vi
abbraccio tutti!
Marta
|
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Capitolo 9 *** 8. Verità ***
8.
8. Verità
9
novembre 2038
Come
immaginato, arrivai a
casa ben prima di loro; il che mi diede il tempo di mettere su del
caffè e di iniziare a berlo appoggiata al bancone della
cucina.
Fuori la neve
continuava a
scendere, seppellendo ed imbiancando, minuto per minuto, il caos di
Detroit.
Per
me, quel periodo dell'anno, era il più magico. Mentre per la
gran parte della gente risultava un fastidio, il fatto che nevicasse
per me era invece fonte di tranquillità. Il silenzio che si
veniva a creare era confortante; un giorno ti svegliavi, e ti
sembrava di essere in un mondo parallelo, lontano dalla frenesia di
tutti i giorni.
Fu
proprio grazie a quel silenzio ovattato che potei udire subito
l’arrivo di Connor.
Sentii il rumore di un
motore, poi quello della musica assordante di Hank, un secondo prima
che
una portiera fosse sbattuta. Mi sembrò quasi di percepire
anche i passi
scricchiolanti dell’androide mentre percorreva il vialetto
innevato...
Un secondo dopo la porta si aprì e lui fece il suo
ingresso individuandomi subito, anche perchè non mi ero
mossa dalla cucina.
All’inizio
nessuno dei due proferì parola, poi, preso un bel respiro,
cominciai.
- Prima di
iniziare c'è una cosa che devi vedere – esordii,
sempre senza abbandonare il bancone al quale ero appoggiata.
Avevo bisogno
di sentire qualcosa di solido, perché in quel preciso
istante avevo una gran voglia
di fuggire...
- Apri il
cassetto di quel mobile, dentro dovresti trovarci una fotografia
– gli feci cenno.
Connor non mi
pose domande,
ma fece come gli avevo indicato. Ne estrasse una vecchia foto ancora
stampata su cellulosa e nel momento in cui i suoi occhi vi si posarono
sopra, il suo led divenne rosso.
Lo
vidi alzare gli occhi su
di me, incredulo, per poi riabbassarli altrettanto velocemente di nuovo
sull’immagine. Sapevo cosa stava vedendo e ne capivo il
turbamento….
- E’
il giorno della laurea… - spiegai – Quelli siamo
io, Elijah e Nick...-
Connor
tornò a guardarmi con espressione smarrita.
Sapevo perché...
Nick era identico a lui.
- Non
capisco.. - riuscì a mormorare, il led sempre rosso.
- Connor, ho
bisogno che mi
ascolti fino alla fine.. ma devo essere sicura che non supererai la
soglia di stress – dissi afferrando più saldamente
la
tazza di caffè per frenare il tremore alle mani –
mi devi
dire se devo fermarmi… se dovessi mai auto distruggerti
io… - non riuscii a terminare la frase.
-
Sì – si limitò a rispondermi lui.
Un po'
rassicurata dal fatto che il led fosse tornato giallo, presi un bel
respiro e iniziai a raccontare.
- Io, Elijah e
Nick ci
siamo incontrati i primi anni di università, e da subito
siamo
diventati un trio affiatato. Avevamo tre caratteri completamente
diversi, ma era un alchimia che funzionava – cominciai,
mentre
Connor mi osservava in silenzio – Già dal primo
anno
abbiamo iniziato a sviluppare l’idea di un androide che
potesse
superare il test di Touring, e continuammo a lavorarci fino alla
laurea.
Elijah si occupò di tutto ciò che riguardava il
software
e la programmazione, io della parte bio meccanica e Nick, che era
chimico, creò il Thyrium. - dissi –
Questa è
la vera origine della Cyrberlife -
- Se siete
stati voi tre a
crearla, perché l’unico fondatore risulta essere
Kamski? -
domandò Connor aggrottando le sopracciglia castane.
- Quando
assumemmo il
direttivo e i legali per mettere in piedi la società, ci
dissero
che sarebbe stato più semplice se avessimo avuto un front
man
per così dire, e la scelta ricadde su Elijah, che era il
più avvezzo a quel genere di posizione – risposi
– anche se, alla luce di quello che successe, alla fine non
fu più necessario... –
Lo sguardo mi
scivolò sul fondo della tazza ormai vuota, che presi a
rigirare
facendo ruotare quel poco caffè rimasto.
-
L’inverno di otto
anni fummo coinvolti in un incidente d’auto… -
dissi sentendo la gola stringersi - Elijah se la
cavò con un braccio rotto, Nick morì nel tragitto
verso l'ospedale e io rimasi in come per quattro settimane. Il nostro
mondo fu distrutto in una manciata di secondi... –
- La tua fobia
per i mezzi… - mormorò Connor facendo il
collegamento.
-
Già… e non è tutto -
Il passo che
stavo per fare mi costava un enorme fatica…
-
Dio… - mormorai – Faccio prima a fartelo vedere
– conclusi.
Appoggiai la
tazza sul bancone dietro di me e sollevai la manica del braccio destro.
La pelle
scomparve
lentamente lasciando scoperta una superficie bianca e lucida, la stessa
che faceva da scheletro a tutti gli androidi.
-
Nell’incidente ho perso un braccio – spiegai.
Il led di
Connor saettò di rosso.
- Quella
protesi... Non ci sono casi di innesto di parti bioniche negli esseri
umani, non di quel livello almeno – disse scosso.
- A quanto
pare Elijah
aveva portato avanti un progetto tutto suo e durante il mio coma ha
convinto i medici ad operarmi in via sperimentale.. a suo favore posso
dire che lo fece in buona fede.. aveva appena perso il suo migliore
amico e io ero in condizioni critiche – spiegai.
- Non ha
funzionato come sperava? - chiese Connor.
-
Sì e no… ho
riacquistato la mobilità degli arti, il che mi ha concesso
di
continuare a vivere normalmente, ma ho patito
dolori inimmaginabili per molto tempo, vivendo sotto farmaci fin quando
il mio corpo non ha
accettato il cambiamento. Sono state diverse le volte in cui ho pregato
i medici di uccidermi per far smettere quella tortura –
risposi corrugando la fronte al
ricordo di quelle giornate tormentate.
- Kamski non
ha mai portato avanti il progetto? - la domanda di Connor era
più che lecita.
- In
realtà il suo progetto era un altro.. e fu la prima cosa che
volle mostrarmi una volta dimessa dall'ospedale - dissi – Mi
disse di raggiungerlo a casa sua e quando arrivai c’era una
sorpresa ad
aspettarmi… mi ricordo ancora tutto come se fosse ieri
–
raccontai con occhi spenti - Quando varcai la soglia del salotto e
trovai Nick ad accogliermi -
- Nick? Ma non
era… -
Connor
sollevò di scattò gli occhi su di me, colpito
dalla verità.
- Aveva creato
un
androide del tutto identico a lui.. – dissi – Mi
venne incontro, con quel sorriso che conoscevo da una vita, per
abbracciarmi, ma io mi ritrassi inorridita.. Elijah cercò di
convincermi che quello sarebbe stato il futuro…
ma quella che lui vedeva come l’idea del secolo, io la vedevo
come un abominio, un rimpiazzo – aggiunsi con tono grave
–
Connor… io non mi sono mai pentita di quello che abbiamo
creato,
ma quando vidi quel tentativo di emulazione del mio migliore amico, per
la lucidità – affermai sentendo di nuovo la gola
stringersi – Cominciai a dire le cose
più aberranti nei confronti di quell’androide...
al punto
che il suo livello di stress raggiunse il picco massimo e si
autodistrusse sparandosi alla testa con la pistola di Elijah
– raccontai
con le lacrime agli occhi.
Connor mi
fissava, turbato e allibito da ciò che gli stavo dicendo.
- Dissi a
Elijah che volevo
tirarmene fuori.. e così i legali si occuparono di tutto,
facendomi scomparire
dalla società e io chiusi
ogni rapporto con la Cyberlife – raccontai –
Iniziai a lavorare al
conservatorio e cercai di dimenticare il mio passato con gli
androidi...- conclusi.
- Fino a
quando non sono comparso io – commentò Connor.
- Quel giorno
devo dire che
riapristi una ferita che credevo sanata da tempo – ammisi
–
Ero furiosa e spaventata – raccontai – Chiamai
subito
Elijah, il quale mi disse che però non era stata una sua
decisione -
- Amanda? -
suggerì Connor.
- Amanda
– confermai
– Dopotutto è un’intelligenza
artificiale creata da
lui per gestire la compagnia. Il suo algoritmo deve aver ripescato il
modello di Nick per qualche strano motivo, onestamente non so..
– spiegai.
- Come ci
siamo incontrati? -
Quella domanda
mi fece sorridere.
- Suono al
Chandler park
ogni domenica.. a luglio scorso ti ho intravisto tra gli uditori, eri
venuto a farmi delle domande sui devianti, probabilmente la Cyberlife
pensava che potessi centrare qualcosa spinta da vecchi rancori
–
risposi – Ovviamente non ero per nulla ben disposta, come ti
ho detto, ma tu continuasti a presentarti lì
e alla fine fui io ad avvicinarmi – gli dissi.
- Cosa ti fece
cambiare idea? -
Connor mi
guardò con una limpidezza così disarmante, che
barcollai mentalmente.
- Non lo
so… il
fatto che mi ascoltassi durante le mie esecuzioni, o vederti sotto la
pioggia senza ombrello – affermai con un sorriso.
- E’
per questo che la tua canzone mi sembra famigliare? -
-
No… me lo
chiedesti anche la prima volta, già allora ti pareva di
averla
già sentita – dissi scuotendo la testa –
è
probabile che per qualche strana ragione abbiano inserito quella
melodia nella tua memoria fissa – ragionai – Ho
fatto mille
congetture, ma non ho ancora capito che intenti abbiano alla Cyberlife.
-
Connor rimase
in silenzio e
tornò a guardare la foto che ancora stringeva in mano; i
dubbi
gli si potevano leggere chiaramente in faccia, così mi
avvicinai.
Gli tolsi la
foto e gli presi il viso tra le mani.
- Connor, non
devi pensare
neppure per un momento che io mi sia avvicinata a te per la somiglianza
con Nick, perché onestamente, a parte la fisionomia e il
viso,
voi due non potreste essere più diversi – affermai
con
sicurezza.
- In che
senso? - domandò lui confuso.
- Nick era
avventato, una
testa calda! Leale con i suoi amici quanto implacabile con chi gli
metteva i bastoni tra le ruote – dissi – Era la
persona
più trasandata che conoscessi e cambiava ragazza con la
stessa
facilità con cui si stufava degli snack che mangiava! Tu non
sei
niente di tutto ciò… -
- Sono un
imitazione – replicò Connor.
- No! Tu sei
tu!! -
esclamai io – Con la tua personalità, i tuoi pregi
e i
tuoi difetti! Non ho mai provato per Nick quello che provo per te -
Quella mia
ultima frase ebbe l’effetto di far illuminare il led di
Connor di rosso.
- Non sei solo
una macchina Connor… e lo sai – aggiunsi.
Non ebbi tempo
di sapere la sua risposta, perché ricevette una chiamata.
- Arrivo
subito – disse al suo interlocutore.
- Tutto bene?
- domandai apprensiva.
- Era il
tenente Anderson, ci hanno convocato d’urgenza alla centrale
– mi rispose avviandosi verso la porta.
Quando la
aprì si
fermò un secondo sulla soglia, voltandosi verso di me. La
sua
espressione era combattuta e la sua bocca si aprì un paio di
volte prima di parlare.
- Ren io...-
- Vai
– gli dissi io
interrompendolo – pensa a quello che ti ho raccontato, io non
vado da nessuna parte – lo rassicurai.
Connor mi
fissò ancora per un secondo e poi, fattomi un cenno di
assenso, si diresse in strada.
Jericho's
place:
No, non mi sono
dimenticata di voi ^^"
Seppure con
grande fatica posso presentarvi l'ottavo capitolo!
Anche
perchè credo che aspettaste queste spiegazioni da un
pò di tempo XD
Qualcuno di voi
ci era arrivato molto vicino! Connor non è altro che la
replica di Nick, amico di Selenis e Elijah e co fondatore della
Cyberlife assieme a loro. Credo di aver fatto un bell'azzardo
nell'inventarmi questa storia e spero che la cosa non mi si ritorca
contro..
L'unica incognita
è come mai Amanda abbia proprio deciso di usare la sua
immagine per la serie Rk800... ma soprattutto... Connor deve aver
capito i sentimenti di Selenis, quindi come finirà la
storia? Soprattutto adesso che siamo in procinto di raggiungere
Jericho?
A queste e a
tutte le altre domande risponderò (spero) nei prossimi
capitoli! So Stay tuned!
Grazie mille a
tutti i Lettori
e alle mie immancabili recensiste!
A
presto,
Marta
|
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Capitolo 10 *** 9. Jericho ***
9.
9. Jericho
9
novembre 2038
Chiunque
avesse guardato da
una delle finestre di casa mia e mi avesse vista, avrebbe pensato ad un
animale in gabbia. Giravo da una stanza all'altra, pretendendo di
riuscire a distrarmi con un libro o un programma televisivo. Mi sedetti
perfino al piano, ma le mie dita rimasero ferme sui tasti, incapaci di
focalizzarsi sulla musica.
Da quando
Connor aveva
varcato la porta dell'ingresso sparendo alla mia vista, una sgradevole
sensazione mi si era annidata alla bocca dello stomaco.
La cosa
peggiore era che
quell'inquietudine l’avevo già provata... proprio
quel 15
dello scorso agosto, e come sappiamo non era andata a finire bene...
Così,
quando il mio
cellulare squillò, rischiai quasi l’osso del collo
per la
fretta con cui mi precipitai a vedere chi fosse.
Non Connor, ovviamente.
- Pronto,
Hank? - risposi, accorgendomi di avere il fiato corto come se avessi
corso per chilometri.
- Seren? Mi
dispiace
disturbarti, ma avrei bisogno di un favore – la voce del
poliziotto arrivò al mio orecchio smorzata da un gran
vociare di
sotto fondo.
- Hank, tutto
bene? - gli domandai.
- Diciamo di
sì.. -
replicò l’uomo che sembrava più
infastidito che
altro – Dovresti passare da casa mia per dare da mangiare a
Sumo,
io al momento sono… impossibilitato ecco – disse.
- Ovvero? - lo
incalzai io.
- Sono in
stato di fermo alla centrale e non so quando mi faranno uscire
– borbottò il poliziotto.
- In stato di
fermo!? -
ripetei disorientata – Perchè?? Connor mi aveva
detto
che eravate stati convocati in centrale; è uscito
già
qualche ora fa -
- Ci hanno
chiamati per avvisarci che ci toglievano il caso – rispose
con rabbia trattenuta Hank.
- Scherzi?! -
esclamai io.
- No, per
niente…
colpa di quei figli di puttana del FBI – replicò
lui
– Connor mi ha supplicato di dargli ancora cinque minuti
nella
sala delle prove, era convinto di poter scoprire qualcosa.
Così
gli ho fatto da diversivo perché potesse scendere
nell’archivio – raccontò il poliziotto.
- E?-
- Ho dato un
cazzotto sul
naso a quel bastardo che si è preso il nostro caso
– disse
Hank con una certa soddisfazione nella voce.
- Sei
incredibile… - commentai con un sorriso – Connor?
E' lì con te? -
- No -
Quell’unica
parole ebbe l’effetto di farmi piombare il cuore nello
stomaco.
- E
dov’è? - boccheggiai io.
- Deve aver
trovato quello
che stava cercando, perché di lui non c'era più
traccia e
si sono accorti che qualcuno è sceso nell'archivio
–
spiegò Hank.
- Ma come
avrebbe fatto a trovare la soluzione? Non aveva niente in mano! -
esclamai io confusa.
- Quando si
è
connesso a quel deviante sulla Stratford tower mi ha detto di aver
visto l’immagine di una scritta, tipo un’insegna o
qualcosa
del genere – rispose l’uomo.
- Cosa
c’era scritto? - domandai curiosa.
- Jericho
– disse Hank – Non ho idea di che collegamento
abbia potuto
fare, ma credo che ci sia arrivata anche l’FBI,
perché li
ho sentiti vociferare di un punto caldo vicino alla stazione di
Fernandale -
Non appena
Hank ebbe detto Jericho, mi venne un flash, soprattutto se abbinato
alla zona portuale di Fernandale.
- Hank,
scusami ma devo andare! Non ti preoccupare, penso io a Sumo! -
E prima che il
poliziotto
potesse replicare alcun che, interruppi la chiamata e buttai il
cellulare sul divano; precipitandomi invece a raccattare il tablet.
Sbloccai la
superficie trasparente del device e frugai tra le mail di qualche mese
prima.
Uno dei miei
studenti aveva
iniziato un corso di fotografia e mi aveva mandato alcuni dei suoi
scatti, chiedendomi se fosse possibile usarli come tema su cui basarsi
per il prossimo saggio. Alcuni di essi erano stati scattati nella zona
portuale di Fernandale e me ne ricordavo uno in particolare...
Alla quinta
foto che
visionavo, trovai ciò che stavo cercando.
L’immagina
ritraeva una delle tante navi merci in stato di abbandono, quella in
particolare, recava sulla fiancata una scritta ormai rovinata dalla
ruggine: Jericho.
L’indizio
che Connor cercava così disperatamente, io lo avevo sempre
avuto sotto il naso.
Mi
bastò fare una veloce ricerca su internet per scoprirne
l'esatta ubicazione e, esattamente
com’era successo sul ciglio dell’autostrada, agii
d’istinto.
Mezz’ora
più
tardi, dopo essere passata a vedere come stava Sumo, ero già
arrivata nella zona di Fernandale.
Parcheggiai la moto in
uno dei tanti vicoli che componevano il quartiere, mentre
l’odore
salmastro del fiume impregnava l’aria mossa dalla neve
In
giro non
c’era anima viva. Le persone avevano iniziato a chiudersi in
casa
prima del calar della notte; un po' per colpa dei devianti, un po' per
la presenza delle truppe d’assalto che facevano le ronde per
le
strade.
Così,
con
una certa apprensione mi diressi verso la strada che sapevo portare
alla mia meta. Avevo appena girato l’angolo, quando quasi mi
scontrai contro quella che pareva una montagna su gambe.
Allarmata
alzai lo sguardo,
per restituirlo ad una ragazza dai corti capelli biondi, un ragazzo di
colore dalla statura colossale e ad una bambina che sostava sulla sua
spalla.
- Ma voi non
siete...? - esordii riconoscendo la ragazzina e la donna, ma non potei proseguire
la frase perché un’altra voce risuonò
nell’aria.
- Alt!
C’è qualcuno lì? -
Spaventata
guardai in
lontananza la figura di un militare avvicinarsi, poi guardai il
terzetto che sembrava più spaventato di me.
- Andate via!
Ci penso io a
distrarlo! Forza! - gli intimai, muovendomi al contempo verso
l’uomo – Buona sera agente – lo salutai.
Il militare
alzò immediatamente il mitra, tenendolo pronto.
- Che ci fai
qui? - domandò sospettoso.
- Sono umana,
per cortesia abbassi quel mitra.. - lo pregai.
- Una misura
della
temperatura lo confermerà – replicò
quello, tirando
fuori un aggeggio elettronico che mi puntò addosso.
- Tutto bene?
- chiesi dopo un attimo.
- Mi scusi
signora, ma non
si è mai troppo prudenti. – rispose
l’uomo
evidentemente più rilassato - Non è
sicuro girare
per questa zona, soprattutto a quest’ora – mi disse.
- Ha
perfettamente ragione, stavo cercando il mio cane… quello
stupido è scappato da casa – mentii.
- Capisco, ma
è meglio se torna domattina – replicò
il militare.
- Giusto, ha
ragione – assentii io – Beh, le auguro buon lavoro
– mi congedai.
- Grazie
signora – rispose quello.
Mi diressi
dalla parte
opposta dalla quale ero arrivata, svoltando non appena mi era
possibile. Quando fui sicura che l’uomo non potesse
più
vedermi tornai a dirigermi verso Jericho.
Il relitto del
mercantile
mi apparve davanti all’improvviso, cogliendomi quasi di
sorpresa.
Quando mi
avvicinai
ulteriormente, notai un gruppo di persone trafficare vicino allo scafo
che si apriva direttamente sul pontile come un enorme ferita.
Un baluginio
blu mi fece
capire che quelli erano androidi e che quello che trasportavano
all’interno della nave era sangue blu e altri bio componenti.
Quando fui a
meno di una
decina di metri da loro mi notarono, smettendo di lavorare e girandosi
a fissarmi. Istintivamente alzai le mani in segno di resa.
- Mi chiamo
Seren Andrews, non ho intenzioni ostili, ma ho bisogno di parlare con
chi è al comando -
Più
di un led lampeggiò di giallo.
- Non ho armi
di alcun genere.. per favore, è urgente – aggiunsi.
- Aspetta qui
– disse alla fine uno dei devianti allontanandosi
all’interno del cargo.
Ne
tornò cinque
minuti dopo, seguito da un’altra androide con una lunga
treccia
di capelli color miele. Identificai quasi all’istante il
modello
e quindi non mi stupii dell’occhiata torva e sospettosa con
la
quale mi accolse.
-
Perchè sei qui, umana? - domandò e io non potei
non notare la presenza di una pistola nella sua cintura.
Una parola
sbagliata e sapevo che il mio viaggio sarebbe finito lì.
- Sei tu il
capo? - chiesi a mia volta.
- Sono quella
che
valuterà se sia il caso di farvi incontrare oppure no
–
replicò lei con una non troppo velata minaccia nella voce.
- Ho bisogno
di parlargli, ho qualcosa di importante da dirgli – risposi.
- E sarebbe? -
ribattè la deviante.
- Senti.. non
sono qui
né per farvi del male, né per denunciarvi, lo
vedi anche
tu che sono disarmata; potreste neutralizzarmi in due secondi
–
dissi – C’è un androide a cui tengo..
molto…
e credo che sia venuto qui da voi – spiegai.
- Un deviante?
-
- Non sono
sicura che lo sia.. - risposi titubante.
- Che vorrebbe
dire? - domandò l’androide minacciosa
- E' complicato.. -
- Non ho tempo per questo - esclamò lei, troncando sul
nascere
la mia frase - Chiudetela da qualche parte per ora – aggiunse
rivolta agli altri.
- Aspetta! -
esclamai – Devo incontrarlo, devo sapere se lui è
qui! -
La deviante si
fermò, facendo cenno agli altri di fare altrettanto.
- Tieni
davvero così tanto a questo androide? Tu? Un'umana? - disse
con un leggero tono di scherno.
- Ci tengo,
sì,
– risposi fissandola senza abbassare lo sguardo –
ma
c’è anche un’altra ragione…
E’ lui
l’androide della Cyberlife che vi sta dando la caccia -
aggiunsi.
Vidi lo
stupore farsi strada sul volto della deviante.
- Vieni con me
– disse soltanto incamminandosi a passo svelto.
Io la seguii,
lasciandomi
alle spalle l’aria impregnata di neve per inoltrarmi in una
serie di corridoi
mal illuminati e permeati dall'odore pungente del ferro
arrugginito.
Ad ogni piano
si
intervallavano file di porte blindate e cabine vuote, finché
non
sbucammo nella stiva principale che sembrava raccogliere tutti i
devianti presenti.
Diversi
proiettori posti
sia al primo che al secondo piano della struttura, trasmettevano sui
muri di metallo le immagini dei
principali notiziari locali. Al piano terra erano state ricavate delle
stanze improvvisate con teloni di plastica trasparente, ospitanti
infermerie di fortuna per
gli androidi che erano usciti malconci nel tentativo di raggiungere
Jericho.
Istintivamente strinsi lo zainetto a tracolla, sentendo
all’interno la famigliare forma della mia cassetta per gli
attrezzi. L’avevo portata con me pensando a Connor,
ma probabilmente potevo farne un uso ancora più ampio viste
le
condizioni in cui versavano certi devianti.
L’androide
che mi
faceva da anfitrione mi condusse lungo un’altra rampa di
scale, e
fu in quel momento che
avvertimmo il primo boato e la prima scossa. Tutte e due ci fermammo
impietrite... qualche istante più tardi cominciarono gli
spari che
mi fecero gelare il sangue nelle vene: ero arrivata tardi.
La deviante
prese a correre, forse dimenticandosi della mia presenza e io non potei
fare altro che starle alle costole.
Non lo
negherò, ero
terrorizzata; in quel momento realizzai che forse mi ero andata a
cacciare in un problema ben più grande di quanto potessi
gestire.
- Markus! -
L’esclamazione
di sollievo dell'androide mi fece alzare gli occhi sul nuovo arrivato.
Markus aveva
la pelle color
del caffè latte, i lineamenti marcati del sud America e
occhi di
diverso colore (uno probabilmente non era originale) e aveva
tutta l’aria del leader.
L’androide
mi diede
una rapida occhiata, ma io non ci feci più di tanto caso,
perché avevo già spostato la mia attenzione sul
suo accompagnatore.
- Ren! Che ci
fai qui? -
Ci impiegai
qualche secondo a capire chi fosse.
- Connor!! Dio
sia lodato..
- mormorai, sentendo montarmi dentro
un’assurda voglia di mettermi a piangere.
Lui si
avvicinò con l’espressione più
incredula che gli avessi mai visto.
Indossava un
berretto di
lana scura, una felpa sotto ad una spessa giacca di pelle imbottita, e
un
paio di jeans che gli ricadevano morbidi, arricciandosi sugli
scarponi massicci. Avevo tutto il diritto di non averlo riconosciuto
subito, era completamente diverso, e forse questa differenza non si
limitava solo
al suo abbigliamento.
- Dobbiamo
scappare Markus! Non c’è niente che possiamo fare -
La sentenza
della deviante
dai capelli castani mi strappò da quel momento di
felicità; mi ero quasi dimenticata della situazione
in cui
ci trovavamo.
- Dobbiamo far
esplodere
Jericho – asserì a quel punto Markus con decisione
- Se la nave
affonda saranno costretti ad evacuare e la nostra gente
potrà
fuggire – aggiunse.
- Non ce la
farai mai! -
esclamò la androide – Gli esplosivi sono in fondo
alla stiva, ci sono soldati ovunque! -
- Ha ragione
–
intervenne per la prima volta Connor – Sanno chi sei e
faranno
qualsiasi cosa per prenderti – disse.
Egoisticamente,
in quel
momento sperai con tutto il cuore che Connor non si offrisse
volontario, ma fortunatamente Markus decise per tutti.
- Andate e
aiutate gli altri. Vi raggiungerò dopo – disse.
- Markus.. -
- Non ci
metterò molto – la interruppe l’androide
voltandosi a correndo nella direzione opposta alla nostra.
Non appena
Markus se ne andò, Connor mi afferrò una mano e
si mise in moto.
- Sei pazza ad
essere venuta a cercarmi! - mi disse mentre correvamo lungo un nuovo
dedalo di corridoi.
- Ti ho
già lasciato andare via una volta, non potevo farlo una
seconda - replicai.
- Attenti! -
La deviante ci
fermò
con un gesto del braccio, dandoci così il tempo di
nasconderci mentre uno
squadrone di militari ci attraversava la strada.
- Sembra che
tu abbia trovato chi cercavi – mormorò lei.
- Sono stata
fortunata.. e
sono sicura che lo sarà anche Markus – risposi per
rassicurarla.
La deviante mi
guardò con la coda dell’occhio.
- Sono North
comunque – si presentò uscendo dal riparo.
- Seren - replicai prima che riprendessimo la nostra corsa contro il
tempo.
Sembrava di
stare all’inferno… in vita
mia non avevo mai sentito tanti spari, ma soprattutto tante urla. Le
voci dei devianti che supplicavano di aver salva la vita, si
mescolavano
a quelle rudi dei militari che intimavano loro di fermarsi, prima di
sparargli senza pietà.
Non
riuscivo a concepire
come, di fronte a quelle suppliche, non si facessero alcuno scrupolo
nello sterminarli.
Non erano oggetti! Non erano esseri inanimati!
Possibile che non se ne rendessero conto?!
Stavamo
procedendo a passo
svelto, quando una
raffica di spari illuminò ad intermittenza l'incrocio a
qualche metro da noi.
Connor, che mi
teneva
ancora saldamente per mano, mi spinse verso una stretta rientranza tra
due porte blindate. Cercai di infilarmi il più a fondo
possibile, visto che lo spazio era appena sufficiente per
starci
in due
di profilo.
Connor si mise tra me e l'apertura, curvando leggermente le spalle per
farmi da
scudo.
Ad un centimetro dal petto dell’androide, potevo sentire
distintamente il suo cuore meccanico battere come impazzito.... Che
avesse
paura anche lui?
Improvvisamente
mi
sembrò che fosse calato un'assordante silenzio…
avvertivo il
mio respiro spezzato e i passi pesanti degli stivali calzati dal
militare.
Ero
terrorizzata… mi
aspettavo che da un momento all’altro un buco elettrico si
aprisse sul torace di Connor, uccidendolo.
Alzai lo
sguardo verso di
lui e lui abbassò il suo. Dovette leggere nei miei occhi la
paura, perché si abbassò leggermente, fino a
sfiorarmi la
fronte con le labbra e questo bastò a calmarmi. La sua
presenza,
senza neppure che me ne accorgessi, era ormai diventata una
rassicurazione…
I passi del
soldato si
avvicinarono sempre di più, proseguendo oltre il nostro
nascondiglio; solo allora si udì un colpo di pistola
assordante,
seguito dalla voce di North.
- Andiamo!
Sbrigatevi! -
Connor si
staccò da
me, uscendo dalla rientranza e tirandomi con lui.
Il corpo del militare
giaceva a terra; un foro circolare si apriva sull’elmetto che
ne
celava il volto, mentre una pozza si sangue si allargava sul pavimento.
Sotto le fioche luci del corridoio, il sangue sembrava nero come la
pece
e così lucido da potervisi specchiare.
Quella visione
mi
procurò un brivido lungo la schiena.
- Andiamo Ren -
Connor mi
riscosse, afferrandomi per un braccio e portandomi via con
sé.
- Ci siamo
quasi – affermò North, svoltando
l’ennesimo angolo.
Fu proprio
allora che Markus ricomparve.
- Markus
– lo accolse la deviante con evidente sollievo.
- Le bombe
esploderanno da un momento all’altro, dobbiamo uscire di qui!
- ci avvisò lui.
Ancora una
volta ci
mettemmo a correre accompagnati dal suono continuo del massacro.
In
quel momento sperai che fosse l’ultima volta, che qualsiasi
cosa
mi stesse aspettando fosse la conclusione di quell'assurda situazione.
Dietro di noi
comparvero improvvisamente un paio di militari che fecero fuoco nella
nostra direzione.
North, con un
gemito, cadde a
terra e Markus si precipitò verso di lei, ingaggiando uno
scontro
con i due soldati che vennero ben presto messi al
tappeto.
A quel punto,
sorreggendo la compagna, il leader dei devianti si avviò al
nostro indirizzo.
- Proteggila -
Udii la voce
ferma di
Connor, prima di venire spinta verso Josh e di vederlo andare incontro
ai due androidi con la pistola puntata.
- Connor!! -
esclamai spaventata.
- Resta qui,
sa quel che fa – mi trattenne Josh quando cercai di seguirlo.
Con
apprensione, guardai Connor
fare da copertura a Markus e North contro i quattro agenti che si erano
messi al loro inseguimento.
Non lo avevo mai visto in azione, e nonostante la
mia paura, dovevo ammettere che i suoi movimenti avevano un che di
ferino ed elegante al tempo stesso.
Due dei
militari caddero quasi
subito, permettendo a Connor di passare ad occuparsi dei restanti due.
Stavo
seguendo la sua lotta, quando vidi che uno dei soldati messi a terra
precedentemente, si stava rialzando per puntare il fucile contro di
lui.
Le mie gambe
si mossero prima che il cervello potesse realizzare.
- Ferma! -
L'urlo di
Markus mi
arrivò stranamente ovattato, mentre correvo in avanti.
Guidata
dal solo istinto, feci l’unica cosa che potevo fare: mi
scagliai
contro il
soldato.
Questo, preso alla sprovvista, barcollò di lato e
poi fu la
questione di un istante, quel che bastò a Connor per
eliminare
anche
lui.
- Quando
imparerai a fare quello che ti dico!?? - mi rimproverò,
aiutandomi a rimettermi in piedi.
- Senti da che
pulpito...
– replicai con il fiato corto mentre un altro gruppo di
soldati
compariva nel corridoio.
Connor mi
spinse in avanti verso gli altri che ci attendevano.
- Forza,
svelti! - esclamò Markus pronto a saltare da uno squarcio
nella fiancata della nave che dava sul porto.
-
Morirà assiderata se salta! L’acqua è
ghiacciata! - protestò Connor intuendo il loro piano.
- Non abbiamo
altra scelta – sentenziò North.
- Me la
caverò – replicai io – Andiamo! -
Presi Connor
per mano e, prima di fermarmi a pensare alla pazzia che stavo per
compiere, saltai.
Jericho's
place:
Buondì
a tutti!
E anche il nono
capitolo è arrivato, portandosi dietro un pò di
sana azione u.u
Per un caso
fortuito (viva le coincidenze!) Seren sa esattamente dove trovare
Connor, ovvero a Jericho, la base della ribellione deviante.
Il fatto che la
ragazza abbia incontrato il gruppo di Kara non è una
coincidenza, ma il motivo lo scoprirete nel prossimo capitolo...
*suspance*
North l'ho
trattata esattamente come mi è apparsa nel gioco,
battagliera e sospettosa, ma con un motivo ben specifico di fondo.
Farla interagire con Seren è, e sarà, parecchio
divertente. XD
Finalmente è comparso anche Markus! Non ho potuto
approfondire sul suo personaggio per ovvi motivi, viste le circostanze
nelle quali si trovano al momento; ma avrò modo di farlo
più avanti.
E infine Connor!
Inutile dire che è stata la parte che più mi
è piaciuto scrivere ^^ Ora non resta che vedere cosa
succederà a Seren dopo il tuffo nell'acqua gelata del
fiume...
Non mi resta che
ringraziare tutti i Lettori,
chi recensisce
e af_Eleven_
per aver inserito Dream tra le fic seguite!
Ne approfitto per
farvi anche Tantissimi
auguri di un sereno Natale, perchè penso
proprio che ci sentiremo intorno a Capodanno ;)
Un
abbraccio,
Marta
|
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Capitolo 11 *** 10. Resistenza ***
10.
10. Resistenza
L’impatto
con
l’acqua fu uno shock. Non appena infransi la superficie nera
come
la pece, persi la presa sulla mano di Connor e il gelo mi
aggredì in tutta la sua brutalità.
D’istinto
aprii la bocca per gridare, perdendo così quel poco ossigeno
che ero riuscita a trattenere. L’acqua
ghiacciata mi entrò in gola e la testa prese a girarmi. Fu
questione di pochi istanti,
ma giuro che non me lo scorderò mai, così come
non mi
scorderò mai del calore dell’auto in fiamme dopo
l’incidente.
Per fortuna
venni afferrata saldamente per la vita e un secondo dopo riguadagnai la
superficie.
Tossii
convulsamente, annaspando appesantita dai vestiti fradici.
- Tranquilla
Ren, ti ho presa -
La voce di
Connor mi arrivò all’orecchio e nella penombra
scorsi il profilo del suo viso.
- Forza -
La mano di
Markus si
allungò verso di me mentre Connor mi spingeva da dietro.
Venni
issata sulla banchina, ma anche se ero fuori dall’acqua non
riuscii ad alzarmi; le gambe sembravano non volermi obbedire.
- Dobbiamo
radunarci – disse North – ce la fai a camminare? -
mi chiese.
Io scossi la
testa mentre
mi stringevo inutilmente le braccia attorno al corpo. Il freddo si
stava trasformando in una serie di lame taglienti che mi bloccavano i
muscoli in una morsa dolorosa. Fu Connor, così come fece
già una volta, a prendermi in braccio.
- Deve
mettersi addosso qualcosa di asciutto o non sopravviverà -
Il
tono calmo usato
dell’androide fu tradito dal suo led, appena visibile sotto
la
cuffia, che lampeggiò angosciato di rosso.
Con la testa
completamente
abbandonata contro Connor, vidi Markus guardarsi febbrilmente attorno.
Sapevo che non c’era tempo e che lo stavano sprecando per me.
Cercai di
dirgli di
lasciarmi perdere, ma non appena aprivo la bocca i denti mi battevano
assieme così forte che rischiavo di mozzarmi la lingua.
- Ehi tu! -
North si
voltò, apostrofando qualcuno lungo la strada.
Quando riuscii
a metterlo a
fuoco, mi accorsi che altri non era se non la deviante accompagnata
dalla bambina e dall’androide di colore che avevo incrociato
prima. Ora erano rimaste solo lei e la bambina, cosa che mi fece
presagire il peggio sul terzo membro.
- Per favore
puoi aiutarci? Ha bisogno di vestiti asciutti o morirà
assiderata – disse Markus.
La deviante ci
guardò, probabilmente mi aveva riconosciuto, così
come aveva riconosciuto Connor.
- Kara, hanno
bisogno -
La bambina
tirò per una manica l’androide, che
abbassò un secondo gli occhi su di lei prima di risponderci.
- Va bene, ma
dobbiamo sbrigarci – assentì.
Ci spostammo
così all’interno di un bar chiuso che aveva visto
giorni migliori.
Lì,
Connor mi
adagiò sul pavimento che mi sembrò già
più
caldo del gelo che c’era fuori.
- Controllate
che non arrivi nessuno – disse North ai tre androidi.
A quel punto,
lei e Kara mi svestirono
rapidamente, e quest’ultima mi diede i suoi abiti.
Già al
solo contatto con la stoffa asciutta il mio corpo si sentì
meglio e i denti smisero di battere, ma restavo lo stesso molto debole.
- Dovrebbe
andare – disse Kara sistemandomi i capelli umidi sotto la
cuffia.
- Grazie, mi
hai salvato la vita – le risposi sorridendole.
- Tu hai
salvato la nostra prima – replicò lei –
era il minimo che potessi fare -
- La tua mamma
è davvero gentile – dissi poi, rivolta alla
bambina di nome Alice.
- Lo so
– rispose lei con una punta di orgoglio nella voce.
Ancora una
volta mi chiesi
come il resto del mondo non riuscisse a vederli come esseri viventi...
Avevo trovato più umanità in questi due giorni in
loro,
che nel resto delle persone che mi avevano circondato durante la mia
vita.
In quel
momento Josh, Markus e Connor fecero di nuovo capolino
all’interno del negozio.
- Come stai? -
mi chiese quest’ultimo con una certa apprensione negli occhi.
- Meglio, ed
è merito di Kara – dissi.
- Hai tutta la
mia
riconoscenza e per quanto vale, mi spiace per ciò che
è
successo sull’autostrada – disse lui.
- Acqua
passata – rispose Kara stringendo la mano di Alice.
- E’
meglio se
andiamo – intervenne preoccupato Josh, guardando fuori da uno
spiraglio tra le assi inchiodate della vetrina.
Feci per
alzarmi ma le gambe mi cedettero quasi subito. Markus mi
afferrò per un braccio, sostenendomi.
- Mi spiace
– mormorai afflitta.
- Ti porto io -
Connor si
offrì nuovamente, voltandomi le spalle e facendomi cenno di
salire. Quando
mi ebbe caricata, con circospezione uscimmo tutti
all’esterno.
In lontananza
il boato di
Jericho che affondava su sé stessa, era accompagnato dal
suono
delle sirene della polizia che sembravano arrivare da ogni dove.
Io avrei
voluto restare
sveglia, ma il freddo patito e le emozioni provate, abbinate alla
rassicurante sensazione della schiena di Connor a sostenermi, vinse sul
mio desiderio.
Quando mi
svegliai la neve era ormai sparita, così come la strada
deserta e il suono delle sirene.
Ero sdraiata
con la testa appoggiata su qualcosa di morbido e davanti a me crepitava
un piccolo falò.
- Come stai? -
La voce di
Connor
arrivò rassicurante alle mie orecchie. Leggermente
intontita,
sollevai il capo dalla sua gamba, tirandomi a sedere.
Nel farlo, la giacca dell'androide mi scivolò da addosso,
ripiegandosi scompostamente sulle gambe.
- Meglio
– dissi con voce arrochita – Dove siamo? - domandai.
- Dentro una
chiesa
sconsacrata – rispose Connor – Markus ha mandato le
coordinate a tutti i devianti ancora in giro – aggiunse
afferrando la giacca e appoggiandomela sulle spalle.
- Sono rimasti
in pochi… - mormorai.
Nell’ampio
spazio
della chiesa erano radunati un centinaio di androidi; chi assiepato
sulle panche di legno consumate, chi seduto per terra in mezzo ai
calcinacci e alla polvere. L’aria all’interno era
fredda e
odorava di muffa, però era sempre meglio che stare fuori al
gelo.
Un piccolo
pronto soccorso
era stato allestito in un angolo, con un solo dispenser di Thyrium che
di sicuro non bastava per tutti i feriti che vedevo.
Individuai
Markus seduto su
una vecchia cassa di legno nella zona dove sarebbe dovuto esserci
l’altare per le funzioni; teneva la testa china, e le spalle
rigide facevano capire quanto fosse teso.
- Quanto tempo
è passato? - chiesi, sistemandomi meglio contro il muro alle
mie spalle.
- Circa sei
ore – rispose Connor, piegando un ginocchio per appoggiarci
il braccio.
- Tu come
stai? -
Voltai la
testa di lato per osservarlo in viso. Il led era nascosto dalla cuffia,
ma lo sguardo serio parlava da sé.
- Diventare un
deviante
è stato in parte uno shock – mi disse –
e al tempo
stesso come se mi fossi tolto un peso – aggiunse –
E’
come svegliarsi per la prima volta dopo essersi limitato a fare da
spettatore alla propria vita -
- Non oso
immaginare cosa sarebbe accaduto se fossi rimasto una macchina...
– commentai.
- Io non oso
immaginare
cosa avrei fatto se tu fossi morta per venirmi a cercare –
replicò lui girandosi verso di me.
Negli occhi
aveva una nota di rimprovero che si stemperava in paura.
-
Perchè diavolo non hai fatto come ti ho detto e sei rimasta
a casa!? - riprese.
- Senti da che
pulpito...
– mi accigliai io, poi scossi la testa – Connor,
quel 15 di
agosto ti voltasti e uscisti da casa mia, per poi sparire e
dimenticarmi – dissi – Non potevo lasciare che
accadesse di
nuovo – mormorai abbassando lo sguardo.
Sentii Connor
sospirare e
il suo braccio circondarmi le spalle. Io mi lasciai volentieri
stringere contro il suo fianco, restando ad osservare il fuoco davanti
a me mandare scintille nell’aria gelida.
- Disturbo? -
Alzai lo
sguardo verso Markus che si era avvicinato a noi.
- No
– risposi mettendomi in piedi, imitata da Connor.
Ci fu un
momento di silenzio prima che Connor prendesse la parola.
- E’
stata colpa
mia… - esordì – gli umani sono riusciti
a trovare
Jericho.. sono stato uno stupido, dovevo immaginare che mi avrebbero
usato – disse corrugando la fronte afflitto – mi
dispiace
Markus, capirei se non volessi fidarti di me -
Il leader dei
devianti
restò in silenzio. Sembrò valutare Connor, il che
mi
spaventò, soprattutto perché alla cintura portava
una
pistola.
Con un
riflesso
incondizionato mi portai leggermente davanti a Connor, incrociando lo
sguardo di Markus. Anche senza parlare il mio gesto era più
che
eloquente: se spari a lui, spari anche a me.
- Sei uno di
noi adesso
– sentenziò alla fine l’androide
– il tuo
posto è con la tua gente – asserì
facendo per
congedarsi, ma Connor lo fermò.
- Ci sono
migliaia di
androidi nella sede principale della Cyberlife – disse
l’androide – se fossimo in grado di svegliarli
potrebbero
unirsi a noi e ribaltare così la situazione -
Quando sentii
quelle parole
il mio cuore perse un battito. Mi voltai a guardare Connor che
però evitò il mio sguardo, confermando
così la mia
paura.
-
Vuoi infiltrarti alla Cyberlife Tower? -
Markus,
scioccato, diede voce ai miei pensieri.
-
Connor… è un suicidio – disse il leader
della rivoluzione.
- Si fidano di
me, mi
lasceranno entrare. Se c’è qualcuno che ha una
possibilità di infiltrarsi alla Cyberlife quello sono io
–
replicò Connor.
- Se ci
andrai, ti uccideranno – ribattè Markus.
-
C’è
un’altra probabilità che ciò accada.. -
confermò l’androide e questa volta i suoi occhi si
fermarono nei miei – ma statisticamente parlando
c’è
sempre la possibilità che questi infausti eventi non
avvengano
– aggiunse tornando a guardare Markus, il quale
restò per
un attimo in silenzio.
- A te sta
bene? -
Ci impiegai
qualche secondo a capire che stava interpellando me.
- Io...- dissi
spaesata
– preferirei marciare personalmente contro le forze speciali
piuttosto che lasciarlo andare alla Cyberlife… ma se
è
ciò che vuole non posso
fermarlo, sta lottando per la sua gente.. - affermai.
- Vorrei che
anche gli
altri umani parlassero come te – commentò Markus,
poi
appoggiò una mano sulla spalla di Connor – Stai
attento
– lo mise in guardia.
- Markus,
potrei dare una
mano a curare i feriti finché resto qui? Ho con me un kit di
riparazione e so fare il mio lavoro – gli chiesi stringendo
lo
zainetto a tracolla che ero riuscita a salvare da Jericho.
- Ogni aiuto
è ben accetto – rispose il deviante con un
sorriso, congedandosi.
- Ren.. -
- No
– bloccai Connor
sul nascere – rispetto la tua decisione, ma ho bisogno di
stare
da sola adesso – gli dissi allontanandomi.
Spesi le ore
successive di
deviante in deviante, cercando di limitare i danni e riparare i
malfunzionamenti ove possibile. Molti di loro portavano i
segni di una
vita precedente, fatta di soprusi, angherie e maltrattamenti. Ascoltavo
i loro racconti vergognandomi della mia specie, alcuni di essi mi
raccontarono di vagare da anni, vivendo nascosti dagli umani. Altri mi
dissero di aver assistito alla morte dei loro compagni, amici, amori.
Un androide particolarmente malconcio mi spiegò di essere
stato
legato ad un auto e trascinato in giro per le strade. Alla fine del
giro avevo
la nausea e dovetti sistemarmi in un angolo per riprendere fiato.
- Tutto bene? -
North mi si
avvicinò e io scossi la testa.
- Tutti
dovrebbero sentire
quello che vi è successo – mormorai passandomi il
dorso
della mano sulla fronte imperlata di sudore freddo.
- Direbbero
che stiamo
simulando le nostre emozioni, che siamo solo dei pezzi di plastica.. -
replicò l’androide con durezza – non
c’è niente che gli vieti di fare di noi
ciò che
vogliono – sentenziò.
- Capisco la
tua rabbia -
North mi
guardò, abbassando gli occhi quando intuì che
avevo riconosciuto il suo modello.
-
Siamo una razza
incontentabile e abbiamo cercato di appagare le nostre mancanze
creandovi.. – proseguii pizzicandomi la radice del naso
–
Abbiamo creato androidi che facessero i lavori più pensanti
e
più ingrati al posto nostro, salvo poi lamentarci per la
disoccupazione. Abbiamo creato androidi che accudissero i nostri figli,
per lamentarci di venire sostituiti al loro affetto. Abbiamo creato
androidi perché diventassero dei partner perfetti, finendo
per
sfogare su di loro il malcontento della nostra vita -
La deviante mi
ascoltava
attenta, forse perché ero la prima umana che aveva
l’ardire di ammettere ciò che tutti gli altri
nascondevano.
- Per non
distruggere noi,
stiamo distruggendo voi – dissi con le lacrime agli occhi
–
e abbiamo finito per avere paura.. perché ci ricordate
quanto poco perfetti siamo, quanto riusciamo a creare sofferenza!
–
volsi lo sguardo in direzione di Connor, rimasto in un angolo buio
della chiesa con il capo chino e l’aria assorta –
Sono
stata così egoista.. - conclusi.
Passai le dita
sulle guance bagnate, cercando di spazzarle via assieme a quelle
emozioni.
- Grazie -
Confusa
guardai North.
- Ho sempre
sperato di
sentire quelle parole da un umano – disse –
Continuo a
pensare che sarebbe stato meglio dare battaglia, piuttosto che
scegliere
un approccio pacifico.. probabilmente ho maturato troppa rabbia per
poter perdonare – asserì continuando a fissarmi
negli
occhi – sei la prima persona a farmi pensare che forse sto
sbagliando -
Non seppi cosa
risponderle, l’unica cosa che riuscii a fare fu di sorriderle.
North mi fece
un cenno
d’intesa con il capo per poi dirigersi verso il pulpito della
chiesa, dove Markus si era appena fatto avanti.
- Gli umani
hanno deciso di
sterminarci – esordì abbracciando con lo sguardo
la folla
di androidi raccolti davanti a lui – In questo momento la
nostra
gente viene portata nei campi per essere distrutta…
è
arrivato il tempo di fare una scelta; quella che per davvero
deciderà il futuro del nostro popolo –
annunciò.
Il mio cuore
prese a martellarmi nel petto ascoltando le sue parole e iniziai ad
avvicinarmi alla figura di Connor.
- So che siete
arrabbiati e
so che volete combattere… ma posso assicurarvi che la
violenza
non è la risposta. Gli diremo pacificamente che vogliamo
giustizia. Se c’è un po' di umanità in
loro, ci
ascolteranno. E se non sarà così, altri
prenderanno il
nostro posto e continueranno la nostra lotta. Siete pronti a seguirmi? -
Mentre la
folla di androidi scoppiava in un boato di approvazione, intonando il
nome di Markus, io raggiunsi Connor.
Quando gli fui
accanto gli
presi una mano tra le mie. Lui si voltò sorpreso non
avendomi
avvertita arrivare. I suoi occhi castani mi guardarono alla ricerca di
una risposta: lo avrei supportato in quella folle decisione di andare
alla Cyberlife, oppure no?
-
Andiamo a casa
– gli dissi solamente, intrecciando le dita alle sue e
appoggiandogli la fronte sulla spalla – Portami a casa -
Jericho's
place:
Buondì
bella gente!!
E dopo aver
mangiato e bevuto da bastarmi per i prossimi quindici giorni, sono qui
con un altro capitolo!
Vi avevo detto
che il
brevissimo incontro con Kara sarebbe stato importante, ed ecco qui
spiegato il motivo. Il suo intervento è stato decisivo per
salvare Seren da un molto probabile assideramento...
Ma per la ragazza i problemi non sono finiti, e deve presto fare i
conti con la possibilità di perdere nuovamente Connor,
deciso a
giocarsi il tutto per tutto infiltrandosi alla Cyberlife. I suoi
sentimenti in subbuglio la portano ad allontanarsi dall'androide salvo
poi, con un pò di auto introspezione, decidere di
appoggiarlo
nella sua decisione.
Ormai siamo quasi
giunti al
termine di questa storia, a stima direi che mancano tre capitoli
ancora... Spero di tenervi incollati fino alla fine!
Un grazie
speciale a chi continua a leggermi, a chi recensisce con particolare
menzione a af_Eleven_
per essersi aggiunta e a _Another_
e Lunatica_26 per averla inserita tra le seguite <3
Grazie a tutti voi per il supporto!
Buon
anno ragazzi, ci vediamo nel 2019!
Marta
|
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Capitolo 12 *** 11.Desideri ***
11
11. Desideri
10
novembre 2038
Infilare la
chiave nella
toppa di casa e aprire la porta, fu allo stesso tempo strano e
familiare. Erano successe così tante cose in appena tre
giorni,
che mi sembrava di aver iniziato una nuova vita e di aver lasciato la
vecchia dietro di me, come la pelle di un serpente. Mi pareva di tornare
da un lungo viaggio che in realtà non si era ancora
concluso.
Avevamo
lasciato Markus e
gli altri androidi nella Chiesa diroccata, si sarebbero mossi solo alla
sera, cominciando la loro marcia pacifica fino ad arrivare davanti al
campo di smaltimento n.5 nel cuore di Detroit. Poi, cosa sarebbe
successo, non avrebbe potuto predirlo nessuno...
Appoggiai le
chiavi nella
ciotola all’ingresso, producendo un tintinnio che
riverberò
nell’aria immobile della casa, girandomi poi verso Connor.
L’androide
si era
tolto la cuffia e con una mano si
stava sistemando, con un gesto automatico, i capelli leggermente
arruffati.
La sua
rinnovata coscienza era così evidente da darmi le vertigini.
- Connor, io
salgo a farmi una doccia, tu mettiti pure comodo – gli dissi.
- Grazie Ren
– assentì lui.
Con un sorriso
mi ritirai
al piano di sopra dove mi concessi di lavarmi via di dosso lo sporco
accumulato in quelle ore, assieme alla sensazione di freddo che non mi
aveva ancora abbandonata del tutto. L'unica cosa che non riuscivo a
scacciare era il pensiero di ciò che doveva accadere...
Era
vero, avevo deciso di appoggiare la decisione di Connor, ma allo stesso
tempo ne ero profondamente turbata. Se non fosse andata come sperato...
io....
Alzai il viso verso il doccione e poi spensi il getto, non potevo
prendermi il lusso di perdere tempo, ne restava troppo poco e non
desideravo passarlo da sola.
Quando tornai
di sotto con
i capelli umidi e un cambio di vestiti, trovai Connor intento a
guardare fuori dalla finestra del salotto, la spalla leggermente
appoggiata al muro.
Aveva uno sguardo serio, ed era così concentrato su
ciò
che stava pensando, da non essersi accorto che ero tornata.
Il cuore mi diede una dolorosa stretta a quella vista; avrei
voluto che tutto si fermasse in quell’istante...
Mi avvicinai a
lui,
passandogli le braccia attorno alla vita e affondando il viso tra le
sue scapole. Sentii le sue mani appoggiarsi sui miei polsi per
stringerli delicatamente.
- A cosa
pensi? - gli chiesi, la voce attutita dalla schiena.
- Mi chiedo se
abbia preso la decisione giusta... – rispose lui.
- Credi che
diventare un
deviante sia stato uno sbaglio? - lo interrogai, tirandomi
indietro e facendolo voltare verso di me.
-
No… adesso sento di essere davvero me stesso, non
più una semplice macchina. – rispose.
- Di cosa stai
dubitando allora? -
Connor abbassò lo sguardo, puntandolo su un punto
imprecisato del lucido pavimento di legno.
- Ho paura di
fallire... - ammise - Per la prima volta ho paura di non essere in
grado di portare a termine
il mio compito... – sentenziò alzando gli occhi su
di me, dove vi lessi l'incertezza.
- Se hai paura
sei sulla
strada giusta allora. – replicai io con un sorriso
– Se hai
paura vuol dire che ti stai mettendo in dubbio e che ciò che
vuoi salvare ti sta davvero a cuore – continuai sotto il suo
sguardo attento – e se ti sta così a cuore da
esserne
spaventato, vorrà dire che farai tutto ciò che
è
possibile per riuscirci, Connor – dissi – Se il tuo
cuore ti
dice che questa è la strada giusta, percorrila. La Cyberlife
non
conosce il futuro, non può avere la certezza di
cos’è meglio per noi ed è per questo
che è
così spaventata dai devianti, perché non li
capisce -
Connor non
proferì
parola, restando a fissarmi così intensamente da provocarmi
brividi lungo la schiena. Mi avvicinai ancora un po' verso di lui,
riuscivo quasi a sentire il suo cuore meccanico pulsare.
- Cosa vuoi
fare Connor? - domandai in un soffio.
- Baciarti
– affermò,
con un sussurrò talmente debole che solo la presenza
ovattante
della neve all’esterno me lo fece sentire.
Quella
risposta fece letteralmente esplodere il mio cuore.
- Speravo che
prima o poi lo avresti detto – sorrisi.
E ancor prima
che il sorriso abbandonasse le mie labbra, Connor si piegò
su di me impossessandosi della mia bocca.
Una sensazione
di calore
iniziò ad espandersi dal basso ventre fino ad arrivare allo
stomaco. Il
mio cervello spense qualsiasi pensiero che non si concentrasse sulle
labbra di Connor appoggiate sulle mie, in esplorazione, o sulle sue
mani salde attorno alla mia vita. Io affondai le dita tra i suoi
capelli,
attirandolo più verso di me, assaporando il contatto tra i
nostri corpi. Quando ci separammo io
avevo il fiato corto e Connor gli occhi accesi. Lo trovavo bello da
togliere il fiato.
- Hai bisogno
di riposare –
Connor mi
sfiorò con
l’indice appena sotto l’occhio, dove probabilmente
le
occhiaie si stavano allargando come una chiazza di petrolio sul mare.
- E devi bere
qualcosa di
caldo – aggiunse voltandosi per dirigersi verso la cucina
–
non guasterebbe neppure se mangiassi qualcosa -
- Ti amo
Connor -
Il suo passo
si
arrestò immediatamente appena prima dell’ingresso
del
cucinino. Quando si voltò, la sorpresa gli increspava i
tratti
del viso cosparso di nei.
- Avrei dovuto
dirtelo tre
mesi fa… - proseguii fermandomi al centro del salotto
– se
lo avessi fatto forse le cose sarebbero andate diversamente –
ammisi – ma avevo paura che non fosse reale, che in qualche
modo
il mio sentimento fosse legato alla scomparsa di Nick, ma mi
sbagliavo.. l’ho capito troppo tardi -
Connor mi
aveva lasciato
parlare a briglia sciolta e solo quando finii mi si avvicinò
di
nuovo. Mi prese il viso tra le mani, spazzando via con i pollici le
lacrime che scorrevano sulle mie guance e poi mi baciò
delicatamente.
- Ti amo anche
io –
mi rispose – e se non fosse stato per te, probabilmente sarei
rimasto solo una macchina e non avrei mai capito l’importanza
di
questo sentimento – disse.
- Ho paura di
perderti di nuovo – mormorai premendomi il suo palmo contro
la guancia.
- Questa volta
tornerò; porto sempre a termine una missione –
replicò con un sorriso sghembo.
Io annuii,
sorridendogli di rimando.
- Penso
proprio che mangerò qualcosa, sto morendo di fame
– dissi.
- Ti faccio
compagnia -
Jericho's
place:
Ben ritrovati a
tutti!
Spero che il
vostro 2019 sia iniziato bene e continui alla grande!
Mi spiace
presentarvi un capitolo così scarno, ma onestamente ho
preferito tenerlo così come lo avevo abbozzato. E' breve, ma
ricco di contenuti, direi... hihihi.
Finalmente
eccolo, questo tanto sospirato momento romantico! Mi ricordo le
innumerevoli storie d'amore che leggevo nei manga o nei libri, dove sto
benedetto bacio non arrivava mai xD
Oserei dire che
finalmente le carte sono state messe in tavola tra i nostri due
protagonisti, peccato però che c'è ancora un
grosso ostacolo da superare... come andrà a finire?
Il prossimo
capitolo sarà sicuramente più lungo e
sarà il penultimo di questa fic, quindi restate
sintonizzati!!
Nel frattempo
ringrazio come sempre tutti i Lettori, chi mi ha recensita,
con particolare menzione a angela2_0, chi mi ha inserita tra
le storie seguite: angela2_0
e Foster Giorgi,
e chi tra le preferite: angela2_0,
Lavellan e MeryLove.
Un
abbraccio,
Marta
|
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Capitolo 13 *** 12. Battaglia ***
12. Battaglia
Quando
accompagnai Connor alla
porta di casa, mi parve che
fossero passati solo pochi minuti dal nostro arrivo.
Sembrava infatti che la nostra storia dovesse svolgersi sempre su
quella
soglia.. io da una parte, lui dall'altra, in procinto di andarsene.
Lo osservai
sistemarsi il
nodo della cravatta sopra la consueta camicia; aveva ufficialmente
smesso i panni del deviante per tornare l'RK800 della Cyberlife.
- Un perfetto
cacciatore di
devianti – approvai quando ebbe finito – nessuno
noterà la differenza rispetto a prima –
Cercavo di
apparire serena,
ma tenevo le mani strette all’altezza dello stomaco per
impedirle
di tremare e Connor, ovviamente, non se la bevve
- Ren io.. -
disse, avvicinandosi a me.
- Fai quel che
devi – lo interruppi – Solo… ti
scongiuro, fai attenzione – lo pregai.
- Ti prometto
che tornerò – asserì
l’androide con sguardo deciso.
- Vai a
salvare la tua gente adesso – sorrisi, alzandomi sulle punte
per lasciargli un bacio a fior di labbra.
Guardai Connor
salire sul taxi che lo aspettava davanti al marciapiede, e che ben
presto
scomparve lungo la strada innevata.
Bene.
Ora veniva il mio turno.
Mi
voltai chiudendo la porta e afferrai il giaccone di pelle imbottito di
Connor, infilandomelo.
Era di qualche
taglia in
più della mia, ma indossandolo mi sentivo più
protetta
che con un giubbotto anti proiettile. Le chiavi della moto tintinnarono
nella
tasca dei jeans di Kara, mentre le tiravo fuori dirigendomi in garage.
Qualche minuto dopo fui in strada, con la neve che si
infrangeva sulla
visiera del casco integrale, mentre scalavo le marce districandomi per
le vie di una Detroit fantasma.
Il coprifuoco
indetto dalla
Presidente aveva costretto la gente a restare nelle proprie case, a
meno di urgenti
necessità, e io non riuscivo a pensare ad un motivo
più
urgente del mio.
Markus stava
marciando in quel preciso momento, diretto al campo di smaltimento 5
nel cuore della
città... ed era proprio lì che mi stavo
dirigendo.
Se Connor ne fosse stato a conoscenza, probabilmente mi avrebbe chiusa
in casa e gettato la
chiave... ma lui ne era del tutto ignaro.
Avevo preso la
mia
decisione dopo averlo visto di nuovo con il suo completo addosso;
lui stava facendo la sua parte per cambiare le sorti degli androidi,
Hank aveva fatto la stessa cosa... ed ora toccava a me.
Vidi le luci
lampeggianti
ancora prima di mettere a fuoco le sagome dei mezzi della polizia. Ero
ormai entrata nella zona rossa e questo voleva dire che mi avrebbero
sicuramente fermato. Mi
ripetei mentalmente quel poco di strategia che mi ero preparata
finchè, come anticipato,
quando fui
vicina al blocco, un militare in tenuta da assalto mi intimò
di
fermarmi. Frenai con calma, arrestando la moto e appoggiando un piede a
terra.
-
L’accesso è
vietato, i civili devono rimanere in casa. Non ha sentito che
è
stato indetto il coprifuoco? - domandò l’agente
con la
voce leggermente alterata dall'elmetto.
Sforzandomi di
ignorare il fucile che teneva in mano, mi tolsi il casco fulminandolo
con lo sguardo.
- Sono qui per
conto di
Channel 16! - sbottai – Ho il materiale di sostituzioni della
telecamera che si è rotta! – dissi, indicandomi il
petto
dove, in realtà, c’era il mio zaino a tracolla
con il kit per la riparazione dei bio componenti.
- E hanno
chiamato lei? A quest’ora? - chiese il poliziotto.
- E chi altri
dovrebbero
chiamare? Non state ammazzando tutti gli androidi che vi arrivano a
tiro? Secondo lei n’è rimasto qualcuno agli studi?
-
sbottai stizzita.
- Dobbiamo
essere prudenti… -
- Allora usi
quel suo
rilevatore di temperatura, se deve, e mi faccia passare – gli
intimai – sto rischiando la pelle per avere una promozione,
cosa
crede? Che mi diverta? Con questo freddo… - lo interruppi.
L’agente,
ormai senza parole, mi puntò alla testa il termometro
elettronico che diede esito positivo.
-
L’area stampa
è cento metri più avanti. Non superi le
recinzioni che
delimitano l’area, intesi? - annunciò alla fine.
- Molto
gentile – borbottai io, rimettendomi il casco e dando gas.
Dovetti
procedere con calma
perché la visiera mi si appannava ad ogni respiro che
facevo. Avevo il cuore che minacciava di scoppiarmi nel petto ed ero
coperta di sudore nonostante la temperatura glaciale. Mi era andata
maledettamente bene… per ora.
Parcheggiai la
moto vicino
agli altri mezzi della stampa e raggiunsi il capannello di giornalisti
assiepati dietro un’alta rete metallica.
L’area
giornalistica dava
direttamente sullo spiazzo antecedente l’ingresso del campo
n.5,
presieduto da uno spiegamento di forze armate che contava perfino
alcuni carro armati.
Davanti ad
esso, era stato
allestito un presidio circolare protetto da una barricata improvvisata,
fatta di auto, cartelli stradali e pannelli digitali.
Mi avvicinai
di più alla grata, aguzzando la vista tra
le maglie romboidi per scorgere qualcuno nell’accampamento.
Ero quasi
sicura di aver individuato la figura di Markus, quando ci fu un
tremendo scoppio e le
fiamme si levarono improvvisamente alte al centro della barricata.
Per un attimo
non capii
cosa stesse succedendo, e solo quando la spessa cortina di fumo che si
era creata si diradò, vidi che i soldati avevano fatto
irruzione
all’interno della barricata.
I giornalisti
attorno a me
erano in fermento; i cronisti si affrettarono a richiedere la diretta,
commentando con sgomento la decisione dei militari di attaccare
nonostante la protesta si stesse svolgendo pacificamente. Dal canto mio
ero
atterrita, udivo i colpi di arma da fuoco e le urla dei devianti come
se fossero stati di fianco a me, e in un attimo fui riportata a
Jericho,
in quell’inferno.
Mi allontanai
dalla rete
metallica, ma solo per prendere la rincorsa. Afferrai con la mano
sinistra
il bordo del recinto e grazie al biocomponente del mio
braccio, riuscii senza sforzi a issarmi oltre ad essa. Qualcuno dietro di me
gridò al mio indirizzo, forse un avvertimento, ma io non ci
badai.
Presi a correre verso la barricata, perché no, non poteva
finire così, con l’ennesimo massacro.
Ero a una
ventina di metri dal presidio, quando venni fermata.
- Cosa crede
di fare?! -
Nonostante il
rumore della
battaglia, riconobbi la voce del soldato che mi aveva fermata al posto
di blocco. Mi afferrò saldamente per le braccia cercando di
portarmi via.
- State
massacrando delle persone che non vi hanno fatto nulla di male!! -
gridai io.
- Non sono
persone – replicò l’agente –
Stia ferma! -
Ma io di
fermarmi non ne
avevo proprio l’intenzione, anzi, presi a divincolarmi con
maggior vigore, tanto da costringerlo a serrarmi le braccia attorno al
corpo per trattenermi.
All’interno
della
barricata intanto, sembrava che lo scontro fosse terminato...
- Non vi
rendete conto? Non sono solo macchine! - protestai scalciando.
- Lei adesso
viene con me, si consideri in arresto – berciò
l’uomo strattonandomi.
- Mi lasci
andare!!! -
- Hold on just
a little while longer… -
Sia io che il
militare ci
fermammo nello stesso istante, come congelati....
I devianti stavano
cantando e le loro voci si levavano abbastanza alte, perché
chiunque lì presente potesse udirle.
Approfittando
del momento
di distrazione del soldato, mi divincolai dalla sua presa, ignorando il
suo alt e percorrendo quei pochi metri che mancavano alla barricata.
Quando
finalmente la
raggiunsi, vidi Markus, North, Josh e un’altra manciata di
devianti cantare di fronte ai soldati schierati e pronti a far fuoco.
Era una visione talmente surreale, talmente bella nella sua
tragicità, che mi vennero le lacrime agli occhi.
- Everything
will be alright… -
La voce di
Markus si spense
per ultima e dopo pochi istanti i militari abbassarono i fucili e
iniziarono ad indietreggiare. Sopra di me, l’elicottero di
Channel 16 girava senza sosta, riprendendo tutto.
Vidi le
espressioni
dei devianti, dapprima confuse, aprirsi in un largo sorriso
quando realizzarono che ci erano riusciti, che erano salvi.
Arrampicandomi
sopra una vettura entrai finalmente nel cerchio della barricata.
- Markus!
North!! -
A quel
richiamo tutti quanti si voltarono verso di me, che procedevo a passo
sicuro nella loro direzione.
- Seren?! Cosa
ci fai qui?! - esclamò al culmine dello stupore il leader
dei devianti.
- In
realtà non lo so esattamente… - risposi io
– ma non potevo restare a casa senza fare nulla! - aggiunsi.
North, al
fianco di Markus, scoppiò a ridere.
- Ne hai di
coraggio! - commentò.
- In
realtà inizio a
credere che sia incoscienza – replicai con un mezzo sorriso
– Markus, avete notizie di Connor? - domandai tornando seria.
- Per ora
nulla..- rispose l’androide.
Il mio cuore
perse un
battito nel sentire quella frase, ma cercai di pensare positivo; non
era detto che le cose fossero andate per il verso sbagliato, no?
- Ho qui con
me il kit per la riparazione, posso dare un’occhiata ai
feriti se volete – proposi.
- Ci sarebbe
di grande aiuto – rispose Josh.
- Bene allora
– annuii.
Iniziai quindi
a darmi da
fare, soccorrendo tutti quelli che ne avevo bisogno, anche se molti,
purtroppo, erano irrimediabilmente compromessi. I loro
corpi giacevano su quel che restava del campo di battaglia intriso di
Thyrium e fumo. Forse non lo potevano sapere, ma quella notte avevano
contribuito a cambiare la storia del mondo per sempre.
Il commento a
caldo del
Presidente Warren non tardò ad arrivare, la quale
affermò
di aver ordinato la ritirata delle forze militari e che, vista
l’opinione pubblica, forse era arrivato il momento di
considerare
il fatto che gli androidi potessero davvero essere una nuova forma di
vita intelligente.
- Meglio tardi
che mai.. - borbottai mentre saldavo un cavo sanguigno per fermare
l’emorragia di uno dei devianti colpiti.
Ero
così intenta nel mio lavoro, che ci impiegai qualche secondo
a realizzare che qualcuno mi stava chiamando.
- Seren!
Sbrigati! Vieni a vedere!! -
Il grido di
North mi
attirò fuori dalla barricata, dove lei, Markus e Josh
stavano
osservando una folla di migliaia di persone dirigersi ordinatamente
verso di noi.
Capii dopo un
attimo che quelli erano tutti androidi e che la figura in testa altri
non era se non..
- Connor
– mormorai incredula.
Le mie gambe
si mossero autonomamente prima ancora che il cervello desse loro
l’ordine.
Mi misi a
correre con la
vista resa tremolante dalle lacrime, ma nonostante questo riuscii
benissimo a vedere l’espressione sorpresa di Connor mentre si
rendeva conto di chi gli stesse correndo incontro. Stava aprendo la bocca
per
dire qualcosa, quando mi buttai letteralmente fra le sue braccia. Lo
strinsi a me così forte che se fosse stato umano sicuramente
si
sarebbe lamentato per il dolore.
- Ce
l’hai fatta! - esclamai euforica tirandomi indietro per
guardarlo in faccia.
- Ren!
Sarò ripetitivo, ma cosa diavolo ci fai qui?! -
replicò lui.
- Non potevo
lasciarti da solo – risposi semplicemente.
Dietro di noi,
nel frattempo, i devianti
usciti vivi dalla protesta e quelli portati in salvo dal campo n.5 si
erano
avvicinati, creando una vera e propria massa omogenea.
A quel punto mi feci da parte,
lasciando che Connor e Markus si confrontassero.
- Ci sei
riuscito Markus – esordì Connor.
- Noi ci siamo
riusciti
– replicò l’androide – questo
è un
grande giorno per il nostro popolo, gli umani non hanno scelta adesso,
dovranno ascoltarci – disse con un sorriso fiero.
Connor gli
lasciò la scena, affiancandosi a me. Sentii la sua mano
cercare la mia e le nostre dita si intrecciarono.
North si
avvicinò invece a Markus e li guardai con un sorriso mentre
si baciavano da persone libere.
- Stanno
aspettando tutti
che tu dica qualcosa – disse alla fine la deviante
riferendosi
alla moltitudine di androidi che li circondava.
- Credo sia
arrivato il momento – concordò Markus.
Lo vidi
dirigersi verso un
grosso container vicino a noi, sufficientemente alto per servire da
palco improvvisato ed essere visibile a tutti quanti.
Con un gesto
della mano chiamò North, Josh e Connor che salissero con
lui.
Connor si
incamminò, per poi girarsi quando sentì che io
invece non mi muovevo.
-
Questa è la
vostra vittoria, è il momento di voi androidi –
gli dissi
rispondendo alla sua espressione confusa – ti aspetto qui
–
aggiunsi, lasciando con delicatezza la sua mano.
Connor
tentennò un paio di secondi e poi annuì, salendo
anche lui sopra al container.
Io mi misi a
lato, vicina ad un altro paio di androidi completamente bianchi.
Avevo avuto
modo di
ascoltare alcuni racconti di chi era sopravvissuto al campo di
smaltimento e al solo pensiero mi si stringeva di nuovo un doloroso
nodo alla gola.
Dovevamo farci
perdonare molto…
- Oggi, la
nostra gente
finalmente emerge da una lunga notte – prese la parola Markus
– Dal primo, vero, giorno della nostra esistenza, abbiamo
tenuto
per noi il nostro dolore, abbiamo sofferto in silenzio, ma è
arrivato il momento di alzare la testa e di dire agli umani chi siamo
realmente.- disse abbracciando con lo sguardo la folla - Di dirgli che
siamo persone anche noi! Siamo una nazione! E oggi, oggi inizia la
sfida più dura delle nostre vite, il momento in cui dobbiamo
dimenticarci delle nostre amarezze e bendare le nostre ferite. -
Dalla mia
angolazione avevo
una chiara visione del gruppo che stava sopra il container, ma mi ci
volle comunque qualche istante per notare il movimento di Connor.
Aggrottai le
sopracciglia vedendolo portare una mano dietro la schiena, e smisi di
respirare quando lo vidi estrarre la pistola.
- Il momento
in cui
dobbiamo perdonare i nostri nemici. Gli umani sono sia i nostri
creatori che i nostri oppressori e domani dovremo far sì che
diventino i nostri compagni, e magari un giorno anche nostri amici.-
continuò Markus ignaro di tutto.
Spostai lo
sguardo verso il led di Connor che lampeggiava ad intermittenza, rosso
fuoco.
La mia bocca
si aprì
per gridare un avvertimento, ma lo soffocai sul nascere. Guardai con
apprensione le pistole alla cintura sia di
North che di Josh… non avrebbero esitato a sparargli. Improvvisamente
però, Connor si arrestò; lo vidi guardarsi
leggermente intorno, poi
guardare l’arma nella sua mano che si affrettò a
riporre dietro la schiena.
- Ma il tempo
della rabbia
è finito, adesso dobbiamo costruire un futuro comune, basato
sulla tolleranza e sul rispetto. Noi siamo vivi! E adesso…
siamo
liberi!! -
Il discorso di
Markus terminò, e la folla esplose in un boato di
approvazione.
Io avevo
ancora gli occhi
incollati su Connor, che non appena si girò dalla mia parte,
parve capire che dovevo aver visto tutto. Mentre gli altri si godevano
il loro momento di trionfo, lui scese dal container venendomi
incontro.
Quando mi ebbe
raggiunta,
mi prese per mano e mi portò un po' più distante,
al
riparo da uno dei dissuasori in cemento usati dai militari per
l’eventuale rappresaglia.
-
Cos’è successo? - gli chiesi immediatamente.
-
Amanda… Amanda mi ha forzato a tornare al giardino zen, mi
ha intrappolato lì dentro! - rispose Connor agitato.
- Come?! -
esclamai io con voce strozzata.
- Mi ha detto
che era
esattamente andato secondo i suoi piani.. Ren, sapeva che sarei
diventato un deviante!! Mi ha usato fino all’ultimo per
cercare
di uccidere Markus! - disse.
- Ma non lo
hai fatto – replicai afferrandolo per le braccia e cercando
di calmarlo.
-
Perchè mi sono
ricordato di una cosa che mi aveva detto Kamski poco prima di lasciare
casa sua… “C’è sempre un
piano B nei miei
programmi, dopotutto non si sa mai...”- disse ripetendo le
esatte
parole di Elijah.
- E cosa
volevano dire? - domandai confusa.
-
C’era uno strano
monolite nel giardino, con l’impronta di una mano.. ho sempre
trovato strana la sua presenza lì dentro, non aveva senso
– rispose Connor – L'unica cosa che mi è
venuta in mente è stata quella di cercarlo.. Sono riuscito a
trovarlo per un soffio, e appena l'ho toccato mi ha riportato
qui – spiegò.
- Mio
Dio… - mormorai rendendomi conto del pericolo corso.
- Ho paura che
Amanda non si arrenderà così facilmente.. -
affermò Connor guardandomi.
- Qualsiasi
cosa
deciderà di fare, le hai già dato prova che non
sei
più il suo burattino Connor. Quei giorni sono finiti per
sempre. - lo rassicurai accarezzandogli una guancia.
- Possiamo
interrompere? -
Mi voltai
verso Markus e North appena sopraggiunti.
- Certo
– risposi io con un sorriso.
- State bene?
- domandò il leader dei devianti.
- Connor era
preoccupato perché sono tipo 48 ore che non riposo
– mentii.
- Non ha tutti
i torti allora – replicò North.
- Come vi
muoverete adesso? - chiesi rivolta a Markus.
- Credo che
verremo presto
contattati dal governo, immagino che vorranno un incontro –
rispose il deviante – per ora aspetteremo –
aggiunse.
- E voi? Che
programmi avete? - ci interrogò la sua compagna.
- Torniamo a
casa nostra? -
Mi voltai per
guardare Connor che, passata la sorpresa per le parole appena uscite
dalle mie labbra, sorrise.
-
Sì, torniamo a casa -
Jericho's
place:
No, non sono
sparita, tranquilli! xD
Grazie alla mia
solita flemma,
mi sono persa per strada e di conseguenza vi porto il penultimo
capitolo in ritardo, pedonatemi ^^"
Mi auguro che vi
abbia almeno soddisfatto, almeno è un pò
più lungo dei precedenti xD
Finalmente la
guerra dei
devianti è finita! Selenis ha cercato in qualche modo di
dare
una mano, spinta dal desiderio di non fare solo da spettatrice ancora
una volta. Alla fine (come credo fosse abbastanza prevedibile) tutto
è finito per il meglio e la ragazza ha potuto riabbracciare
Connor che, nonostante il tentativo di plagio da parte di Amanda,
è riuscito a fermarsi prima dell'irreparabile... ed ora
c'è solo una cosa da fare: tornare a casa.
Come avrete
capito, il
prossimo capitolo sarà (ahimè) l'ultimo... Inizio
già a sentire la nostalgia.... xD Ma la tristezza lasciamola
a
tempo debito!
Per ora ringrazio
tutti i Lettori
giunti fin qui, chi mi ha lasciato una recensione e chi ha
inserito la storia tra le preferite (Rebecca_mecenero).
Un abbraccio a tutti!
Marta
|
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Capitolo 14 *** 13. Epilogo ***
13
13. Epilogo
Girai la
maniglia e spinsi
la porta. Quando ero uscita non l'avevo neppure chiusa a chiave...
forse,
inconsciamente, pensavo di non fare ritorno, chi lo sa?
L’odore
famigliare di
casa mia mi investì, assieme ad una ventata di aria tiepida
che si
mescolò con il gelo che c’era fuori.
Appoggiai le
chiavi della
moto, che era rimasta parcheggiata vicino al campo di smaltimento,
avvertendo la presenza di Connor alle mie spalle.
Durante il viaggio di ritorno in taxi mi aveva raccontato quello che
gli era successo dopo la nostra separazione. Di come
fosse riuscito a raggiungere il deposito della Cyberlife e di
com’era stato interrotto da un altro RK800 che teneva in
ostaggio
Hank. Mi disse che dopo una breve colluttazione, Hank aveva dovuto
capire chi di loro due fosse quello vero, in quanto era diventato
impossibile distinguerli fisicamente.
Nonostante la
paura che il
racconto mi aveva creato, quando mi disse che Hank aveva ucciso
l’altro Rk800 dopo una serie di domande poste ad entrambi,
sorrisi. Senza neppure accorgersene quei due erano passati dall'essere
a malapena partner, ad essere amici
- Dicevi sul serio? -
Strappata dai
miei pensieri, mi voltai a guardare Connor fermo nell’atrio.
- Eh? -
domandai confusa.
- Casa nostra?
- rispose lui facendo un cenno circolare con l’indice per
indicare la struttura.
-
Perchè? Hai un altro posto dove andare? - chiesi.
-
Io… no… -
rispose corrugando la fronte – effettivamente non ci avevo
pensato – aggiunse facendomi scoppiare a ridere.
- Se per te va
bene, puoi vivere qui con me – dissi avvicinandomi.
- Penso che
possa essere una soluzione – assentì Connor mentre
mi alzavo in punta di piedi per baciarlo.
Con una mano
gli accarezzai
la base del collo, avvertendo la morbidezza dei capelli corti alla base
della nuca. Le sue dita sul mio fianco bruciavano come fuoco e la sua
lingua che accarezzava la mia era pura elettricità.
Con
l’altra mano
libera scesi lungo il suo petto, sentendo sotto i polpastrelli la linea
dei
suoi muscoli, finché non arrivai al bordo della camicia, che
elusi per tastare la pelle.
Connor
interruppe il bacio, lasciandomi ansante ad un centimetro dalle sue
labbra.
Lo guardai,
mentre con calma gli sbottonavo la camicia.
- Quanto tempo
abbiamo? - chiesi in un sussurro roco.
- Devo
incontrarmi con Hank tra otto ore, sei minuti e ventotto secondi
– mi rispose.
- Penso che
basteranno – conclusi.
11 novembre
2038 – 06:45 Am
Aprii gli
occhi e sorrisi. Mi sentivo così stupidamente felice!
Osservai il
petto di Connor
alzarsi e abbassarsi lentamente, mentre la mia testa appoggiata alla
sua
spalla ne seguiva il movimento.
Mossi
leggermente le dita della mano distesa all’altezza del suo
cuore meccanico, udendone
il battere leggero. Il braccio di Connor attorno alla mia vita si
strinse, così come l’intreccio delle nostre gambe
sotto le
lenzuola. Una piacevole sensazione di calore si accese alla bocca
del mio stomaco. Sapevo perfettamente che Connor non nutriva la stessa
necessità di contatto che provavo io,
l’appagamento fisico
era una pura debolezza umana. Ma nonostante questo
mi aveva soddisfatta.... decisamente.
Il ricordo
delle ore appena
trascorse mi invase come fuoco liquido e per distrarmi alzai la testa,
incrociando così lo sguardo di Connor.
- Ciao
– mi disse, accennando un sorriso e sistemandomi una ciocca
di capelli bianchi dietro l’orecchio.
- Sei un
sogno? - dissi io chiudendo leggermente gli occhi a quel tocco.
- Sono
piuttosto sicuro di no – sogghignò Connor.
Stava ancora
sorridendo
quando mi feci avanti per baciarlo.
- No,
decisamente non lo sei – affermai, ritrovandomi sdraiata
sopra di lui.
- Tu invece
sei certa di non essere un androide? Sembra che non ti stanchi mai
– replicò lui.
Io mi
puntellai sui gomiti per guardarlo in faccia, godendomi la sensazione
dei nostri corpi a contatto.
- Sono le
prime ore che
passiamo senza l’incubo della tua indagine o della Cyberlife
– risposi – Riposarmi mi sembrava uno spreco
–
commentai con un’alzata di spalle.
-
Libertà…
che strano, fino a poco tempo fa non ne conoscevo il significato
– replicò Connor – o almeno non per
davvero -
Fissai i suoi
occhi castani
mentre sondavano il soffitto, sentendo le sue dita passare distratte
sulla mia schiena disegnando arabeschi invisibili sulla pelle.
Era perfetto,
non avrei trovato un altro aggettivo per definirlo.
- A cosa
pensi? -
Mi focalizzai
di nuovo sul suo sguardo che ora era posato su di me. Non mi ero
neppure accorta di avere la fronte corrugata.
- Sei certo di
volere me? - chiesi facendolo trasecolare.
-
Perchè mi fai questa domanda? - replicò lui
confuso.
-
Invecchierò – risposi semplicemente, a dispetto
del macigno che il solo pensiero mi creava sullo stomaco.
- Non
è un problema
– ribattè lui tranquillamente –
adatterò il
mio aspetto al tuo con il passare degli anni -
-
Morirò Connor
– proseguii io – noi umani siamo fragili, voi
potete essere
immortali con un buon grado di manutenzione e..-
- Quando
verrà il momento mi farò disattivare –
mi interruppe lui.
- Connor! -
esclamai puntando le mani sul suo petto per sollevarmi.
- No Ren,
ascoltami –
mi bloccò nuovamente – ho la libertà di
scegliere
cosa fare della mia vita adesso, e quando sarà il momento,
quando il tuo arriverà, questo è ciò
che voglio
fare – disse serio.
Un secondo
dopo le sue mani si alzarono, accarezzandomi il collo e il viso.
- Voglio te
– disse, rispondendo alla mia domanda iniziale.
- Mi hai
già da tanto tempo – risposi chinandomi per
baciarlo.
15
luglio 2039
- E’
permesso? -
- Hank, entra!
-
Uscii dalla
cucina e
comparii nel salotto. Il poliziotto si fece avanti, mentre dietro di
lui Connor, inginocchiato, si faceva fare le feste da Sumo.
- Non dovevi
disturbarti – lo salutai, abbracciandolo e alleggerendolo del
peso di due bottiglie di vino.
- Non esiste
grigliata senza vino – replicò l’uomo.
Hank aveva i
capelli
più corti e un colorito florido sotto una delle sue
improbabili
camicie fantasia. Dopo gli eventi di quella che ormai tutti chiamato
“la rivoluzione di Detroit”, Hank aveva smesso di
bere e
fortunatamente di cercare di suicidarsi. Continuava a lavorare al
dipartimento di polizia e Connor era oramai un suo collega a tutti gli
effetti. Non che il capitano avesse avuto altra scelta, la questione
era entrambi, o nessuno dei due.
- Credo che il
fuoco sia pronto – ci avvisò Connor –
Direi che possiamo mettere la carne a cuocere -
- Sto morendo
di fame
– asserì Hank seguendoci in giardino –
però avrei preferito non interferire
con i vostri festeggiamenti -
- Nessuna
interferenza, ci fa piacere averti qui per cena –
replicò Connor.
Avevamo deciso
di comune
accordo di stabilire il giorno del nostro anniversario il 15 di luglio,
la data esatta del nostro primo incontro.
- Noto
dall’assenza
di sorpresa da parte tua che ne fossi già al corrente
–
dissi portandomi la mano destra davanti al viso, dove,
sull’anulare spiccava una fedina di diamanti.
- Se vuoi
posso fingere
– replicò Hank sorridendo – diciamo che
gli ho dato
un paio di consigli – aggiunse alzando le spalle.
- Hanno
funzionato – risposi guardando Connor, che sembrava
compiaciuto ed imbarazzato al tempo stesso.
Quella
mattina, quando ero
scesa a fare colazione avevo trovato Connor in piedi vicino al mio
posto e sulla tovaglietta della colazione una scatolina.
Mi ero
congelata sul posto,
facendo saettare lo sguardo incredulo dal tavolo a lui, talmente a
lungo, che Connor aveva iniziato a preoccuparsi. Poi senza nemmeno
aprire la scatolina gli ero saltata in braccio gridando
“sì” e facendolo scoppiare a ridere.
- Dobbiamo
solo aspettare
che venga definita una legge a tal proposito – disse Connor
– al momento il matrimonio tra androidi e umani non
è
ancora stato regolamentato – spiegò.
- So che North
se ne sta occupando – commentai io.
- I vostri
amici ci raggiungono oggi? - chiese Hank.
- Purtroppo no
– rispose Connor – Markus aveva alcune riunioni a
cui presidiare -
Le cose si
stavano
evolvendo a poco a poco. Il giorno dopo la rivoluzione di novembre,
Markus aveva incontrato il governo e il presidente Warren. Avevano
discusso civilmente, anche se da entrambe le parti c’era
ancora
qualche contrasto.
Da quel
giorno, il leader
dei devianti si era preso in carico di portare avanti le trattative per
stabilire le loro condizioni di vita. Fino a quel momento, era riuscito
a far abolire la
schiavitù e a ottenere un salario per i lavori svolti dagli
androidi che decidevano di loro spontanea volontà di venire
impiegati. Il che, aveva aiutato
parzialmente a ridurre la disoccupazione dilagante, rendendo di nuovo
competitivo il lavoro degli umani. Inoltre, alla morte di Karl, il
celebre pittore aveva lasciato parte della sua cospicua
eredità
a Markus, il quale l’aveva impiegata per comprare alcuni
terreni
vicino a Detroit dove iniziare ad edificare un luogo che accogliesse
gli androidi.
Per quanto
riguardava la
Cyberlife, gli impianti di produzione erano fermi da novembre, in
attesa di capire come poter far funzionare il tutto nuovamente.
- Beh,
comunque congratulazioni! - disse Hank abbracciandomi.
- Grazie
– rispose
Connor – meglio se vado a mettere su da mangiare –
aggiunse, allontanandosi tallonato da Sumo.
- Allora? Come
va? -
Mi sedetti su
di una delle sedie in ferro battuto e mi rivolsi al poliziotto.
- Bene.
Incredibile, ma bene – affermò l’uomo.
- Non so
perché, ma
ho come la sensazione che ci abbia salvato lui e non il contrario
– commentai appoggiando il mento sul palmo aperto.
- Non sei
l’unica a
pensarlo – replicò Hank – credo che
l’umanità avesse bisogno di questa rivoluzione
–
aggiunse.
- Come va
Connor? - domandai osservandolo cercare di tenere a bada Sumo in modo
che non portasse via le bistecche appena cotte.
Avevo
raccontato ad Hank
l’episodio di Amanda e lo avevo pregato di tenerlo
d’occhio. La mia paura che la Cyberlife potesse di nuovo
usarlo
non se n’era andata.
- Tutto
tranquillo –
rispose l’uomo – se non conti Gavin e i suoi
insulti mormorati a
mezza bocca. Il tuo fidanzato ha un notevole autocontrollo, io gli
avrei già spaccato tutti i denti – disse
oscurandosi.
- Ho ancora
paura che possano portarmelo via, Hank – ammisi rigirando
distrattamente l’anello all’anulare.
- Anche se
succedesse
tornerebbe da te in qualsiasi caso – replicò il
poliziotto
– dopotutto non lo ha già fatto una volta? - mi
chiese con
un mezzo sorriso.
-
Sì, è vero – annuii.
- Avete finito
di
spettegolare alle mie spalle? Perchè è pronto
–
annunciò Connor venendoci incontro con una teglia di carne
fumante.
- La mettevo
in guardia sul
tuo vizio di assaggiare i fluidi sulle scene del crimine e poi di
lasciarti cucinare – rispose Hank dando una grattata alle
orecchie di Sumo che si era accucciato sotto al tavolo.
- E’
una funziona che
mi pare sia di grande aiuto nelle indagini –
replicò
Connor sollevando un sopracciglio – per esempio
l’altro
ieri, mi ha permesso di identificare che il sangue della vittima fosse
affetto da...-
- Connor!!! -
esclamammo in coro sia io che Hank, salvo poi vedere
l’espressione divertita del deviante.
- Sta
peggiorando da quando
lavora con te Hank – affermai dando un buffetto al braccio di
Connor, il quale si sporse a lasciarmi un bacio sulla tempia.
- Che ne dite
di un
brindisi allora? - propose Hank, stappando il vino che aveva portato
– Al vostro fidanzamento! - disse riempiendo i bicchieri.
- Alla nostra
nuova famiglia! - esclamai io facendo diventare gli occhi del
poliziotto lucidi.
- Alle persone
che mi hanno reso ciò che sono oggi – aggiunse
Connor.
Per un attimo
ci sorridemmo
tutti e tre, poi Sumo decise di alzarsi di colpo e di rovesciare
praticamente tutto ciò che c’era
sulla tavola.
Senza riuscire
a smettere
di ridere, guardai Hank rimproverare il povero animale e Connor tentare
di difenderlo mentre asciugava il vino versato.
Quando mi
asciugai le
lacrime sapevo che non derivavano solo da quello, ma anche dal fatto di
essere
incredibilmente fortunata.
Ero di nuovo libera.
Fine
Jericho's
place:
Eccoci qui, dopo
una lunga attesa (perdonatemi) siamo giunti alla conclusione.
Spero che questo
finale vi abbia soddisfatti, magari sarà un pò
scontato, ma tantè che è andata così!
Mi auguro che Dreams vi abbia lasciato qualcosa, o che almeno vi abbia
gradevolmente intrattenuti per questi tredici capitoli ^^
Ringrazio di
cuore tutti i Lettori che si sono imbarcati
con me in questa piccola impresa, grazie a tutti coloro che hanno
trovato il tempo di lasciarmi una loro impressione tramite le
recensioni: Yujo, Leila91, Pandizenzero, af_Eleven_ e Angela2_0, e a
chi ha inserito la storia tra le seguite af_Eleven_, Angela2_0,
Foster Giorgi, Leila91, Lunatica_26, Molang, Pandizenzero,
Rebecca_mecenero, Roiben, Yujo, _Another_, _Blanca_, _purcit_, e
preferite:
Angela2_0, Echelon_Potterhead, Lavellan, MaryLove, Rebecca_mecenero.
Con affetto
sincero vi abbraccio tutti <3
Magari,
chissà, ci rivedremo ;)
Marta
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