Apostle of God

di Liris
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Tutti i tuoi figliuoli saran discepoli dell'Eterno ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Quanto a me son misero e bisognoso ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Il suo animo è saldo: tu gli assicurerai la pace ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie. ***
Capitolo 6: *** Capitolo IV - Dimorate in me, e io dimorerò in voi. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Tutti i tuoi figliuoli saran discepoli dell'Eterno ***


cap 1


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Kinderdijk, bassopiano Alblasserwaard
Olanda, 1996

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Era piacevole sentire la brezza estiva baciargli la pelle candida delle guance di bimbo, mentre il profumo dei fiori inebriava i suoi sensi percettivi. Amava la carezza del vento fra le ciocche scure, che smosse dal continuo correre e giocare erano ora una massa inconsulta su quella piccola testolina bruna.
Le risa erano alte e sembrava che il mondo fosse il suo parco giochi naturale, mentre gli occhi del genitore ne seguivano i passi.
Avvertì la presa delle mani forti, callose per via del lavoro umile nei campi, e i piedi non furono più ancorati al terreno: volava letteralmente, in tondo sopra la testa di suo padre, in un'immaginazione d'infante.

Aprì le braccia per sembrare un uccello trasportato dalle correnti ascensionali, mentre il genitore gli dava il ritmo, tenendolo saldamente per i fianchi.
E rideva, eccome se rideva! Entrambi si stavano divertendo, e il piccolo poté vedere da quella prospettiva il Lek continuare placido il suo corso, baciando le sponde di terra dove crescevano i canneti.

Il frinio dei grilli e la calma placida della campagna davano un senso di beatitudine a quel duetto familiare, mentre in lontananza alcuni mulini proseguivano nel loro lento giro, spettacolo per gli occhi dei turisti.
Finalmente tornò a toccare con i piedi il terreno, e sfuggì alla presa del padre, nascondendosi dietro ad un misero cespuglietto.
L'avanzare del genitore si fermò, però, quando una macchina prese la stretta via sterrata, avvicinandosi con lentezza quasi disarmante.
Il bambino allungò il collo, e si fece curioso, mentre il padre non sembrava turbato da quella visita inaspettata: andò proprio incontro ai tre uomini ben vestiti che scesero, una volta ferma, dalla vettura.

Parlarono alla svelta, uno scambio pratico di battute e lui non poté sentire dalla sua posizione, e poi la mano del padre gesticolò nella sua direzione per richiamarlo.
Come non alzarsi dalla posizione accucciata che aveva preso, per muovere le gambette scattanti verso la persona che amava, di cui si fidava?
Fu per questo che, quando fu vicino, non comprese il peso della mano sulla sua nuca, in una carezza parsimoniosa, e la successiva spintarella verso i tre uomini.
Fece tre piccoli passi, intimorito dagli sguardi privi d'espressione dei primi due e da quello interessato del terzo. Proprio quest'ultimo si chinò, salutandolo con un'accento molto diverso dalla loro lingua, marcato.
Non gli piaceva per nulla, non gli ispirava fiducia, e per questo rispose a monosillabi, mordendosi il labbro inferiore con nervosismo.

Alzò lo sguardo, alla ricerca di una tacita risposta del padre alla sua domanda inesistente, posta solo con quei grandi occhi color nocciola.
Ma tutto ciò che poté capire fu che lo sconosciuto si rimise in posizione eretta e disse qualcosa agli altri due: e fu terribile sentire la presa di uno di questi sulle sue braccina.

Il terrore prese posto nel suo cuore e scalciò, cercando di liberarsi dalla stretta che gli procurava dolore.

Papa! Ik begrijp het niet.- Una nota disperata uscì dal timbro di voce del bambino - Wat gebeurt er?2 
Si sentì letteralmente trascinato dentro quell'autovettura dai finestrini scuri, e a nulla valsero le sue suppliche o i richiami verso il padre, che silente, osservava la scena con poco interesse.
Una volta chiuso lo sportello si sentì in trappola, e prese a battere le mani contro il vetro, avvertendo le lacrime scivolare copiose sulle guance fattesi cremisi.
Più picchiava e più sembrava che il mondo là fuori fosse disinteressato a ciò che stava succedendo.

Ingoiò a vuoto, mandò giù un groppo terribile che gli fece mancare il fiato, mentre suo padre, la luce della sua vita e l'unico al mondo che aveva, ringraziava il capo del trio, ricevendo da questo una busta gialla.
Si guardò intorno, sentendosi in gabbia, su quei sedili di pelle nera e ai suoi occhi un muro che lo divideva dal posto passeggero e guidatore davanti.
Tornò a picchiare i pugnetti chiusi contro il finestrino, vedendo il suo respiro creare uno strato di condensa contro il vetro ora appannato, che man a mano lo lasciò nuovamente libero di vedere la scena all'esterno.

-Papa!- Urlò, non sapendo che dall'esterno poco o niente poteva sentirsi; ma testardo proseguiva, perché sapeva che suo padre lo amava. Aveva fino a pochi minuti prima giocato con lui!
Come poteva abbandonarlo?
Per cosa?

Intravvide soltanto alcune banconote spuntare dalla busta che suo padre stava esaminando, e poi gli diede le spalle, senza sé e senza ma.
Non si arrese, nemmeno quando uno dei due che l'aveva trascinato lì dentro entrò dalla parte opposta e si mise comodo. Le portiere furono chiuse e il rombo d'accensione del motore fu un suono di disperazione per lui.

Osservò la schiena di suo padre allontanarsi di sua iniziativa, con le sue gambe, riprendendo la strada di casa.
- Heb ik iets verkeerd gedaan?3 - Soffiò quasi senza più senza voce, per il pianto instabile e le urla strazianti.

Mangiò via quella domanda, sentendo il sapore delle sue stesse lacrime fra le labbra.
La macchina si mosse, si spostò con il corpicino verso il ripiano posteriore, aggrappandosi a quell'ultima possibilità di vedere i passi di suo padre.

Per l'ultima volta.

 
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1Papà, io non capisco
2Cosa sta succedendo?
3Ho fatto qualcosa di sbagliato?

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. ***



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Sede della Legione in Golubac
Serbia, 1999
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I sensi si quietarono, le braccia trovarono il giusto equilibrio in una linea perfetta con il corpo ed il cuore ebbe tacito consenso, prendendo un battito più misurato.
Le mani tremarono, in un moto costante: il sangue rappreso a decorarle come un macabro gioco di pennello su tela vergine.
Ed ebbe da prendere un lungo respiro, mentre la gabbia toracica quasi comprimeva i polmoni carichi d'aria, che rilasciarono quel bagaglio quasi doloroso in un gesto tanto lento quanto naturale.
Le gambe faticavano a reggere il peso del corpo, in bilico su un burrone di amara realtà, che s'apriva sotto i piedi scalzi e pieni di lividi e ferite.
Lasciò andare il bastone, che ruppe il silenzio creatosi con un tonfo ripetuto, scheggiandosi in più punti; non era importante, era un oggetto, una cosa, uno strumento. Un'arma che fino ad ora aveva usato per i suoi scopi.
Indietreggiò, avvertendo il dolore colpire i nervi, risalire lungo la spina dorsale per martellare il cervello carico di informazioni sconclusionate. Il sangue a ribollire nelle vene, l'odore di zolfo a soffocare i pensieri e il respiro.

Si voltò, il bruno, cercando di focalizzare i pensieri e mettere a fuoco ciò che rimaneva di quel gruppo folto che era entrato nella stanza circolare.

Null'altro che corpi.
Sparsi come pedine rovesciate su una scacchiera monocromatica, dalle tinte d'amaranto.
Boccheggiò, non riuscendo a concepire un tale scempio nell'ideologia di umanità.
Ma rimaneva pur sempre un fanciullo, pochi anni sulle spalle e già troppo vissuto.

L'ultima prova.
La peggiore di tutte.

Solo lui sopravvissuto.
A073, l'unico riferimento sulla sua identità, si portò una mano a coprire la bocca per evitare al corpo di rigettare il nulla presente nel suo stomaco.
Agghiacciante era lo spettacolo che si presentava ai suoi occhi, vacui nel comprendere che la morte era calata con tanta rapidità da rendere nulla la vita innocente di chi l'aveva circondato fino ad ore prima.
Ingoiò a vuoto, cercando di mettersi seduto. Lo sfregio alla gamba destra doleva, tirava la pelle separata e bruciava in maniera assurda.
Ma le lacrime erano ben nascoste dietro all'apatia, al terrore del dopo.
Perché ora cosa sarebbe successo?

Come in risposta alle sue domande, un rumore lo fece sobbalzare e alzare lo sguardo verso l'ingresso, dove il peggiore degli individui si fece avanti fra i cadaveri di innocenti, come una divinità misericordiosa.
Ma non vi era Dio la sotto, non c'era speranza di una vita migliore, né il caldo calore del sole.

- Direi che siamo arrivati finalmente ad una meta. E non mi sarei potuto aspettare miglior candidato. - Il tono caldo, amorevole, stonava quasi con le azioni che l'avevano preceduto e A073 ne fu da prima stordito e successivamente si ritrasse, quando una mano fu posta in modo che ci si potesse aggrappare.

Come il primo giorno in cui la sua vita era cambiata.

Non l'accettò nemmeno allora, e la smorfia dell'uomo non lo turbò, lasciando che fossero altri a caricarlo di peso, per farlo alzare, spingendolo verso una meta imprecisa.
- Da stasera muoveremo i primi passi verso un glorioso futuro. - Sibilò il tizio, lasciando solo il tempo ad A073 di mormorare una preghiera per coloro che erano caduti.

"Perdonami Dio, perché ho peccato..."

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Quanto a me son misero e bisognoso ***


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Sede della Legione in Golubac
Serbia, 2003

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Il rumore di vetri rotti che si disperse nell'aria fu solo il preludio di ciò che ne seguì, mentre le lacrime bagnavano pallide guance morbide e le mani tremarono alla ricerca di sostegno.
- Prendi fiato Andrew. Lunghi respiri, così. - 
La voce dell'uomo non aiutava in quel momento, mentre si sentiva circondato da mille sguardi e mille bocche sibilavano chissà quali ingiurie contro quel piccolo corpo squassato dal dolore.
- Andrew! Ti ho detto di calmarti e prendere delle grandi boccate d'aria. Inspira, avanti! - 
Alzò gli occhi ma non vide ben definito l'uomo che gli stava di fronte, tutto composto e dall'espressione rigida; le mani nascoste oltre la schiena in una posa statuaria, come se davanti a se non ci fosse un ragazzino febbricitante e con una crisi profonda di coscenza, indotta dalle azioni sconsiderate di quel mondo fittizio.
- Andrew! - 
Il richiamo fu categorico, e dovette per forza fare ciò che gli veniva imposto, mentre i polmoni si riempirono di grandi boccate d'ossigeno e la testa smise di girare.
Si rese conto d'esser scivolato in ginocchio, sui vetri di quel pannello che lui stesso aveva rotto. Le mani ne sentirono la freddezza e le dita poterono appurare quanto tagliassero quei bordi frastagliati.

E nuovamente fu spasmodica ricerca di comprensione, mentre flash di gesti fraterni, discorsi in lingua antica e dolore straziante non ne colpirono la mente già instabile.
Non sentiva più la voce dell'uomo, né i bisbigli dei compagni di sventura: vi era un fischio terribile, continuo, che trafiggeva i timpani e rimbombava nel cuore come colpi di martello su chiodi grondanti sangue.
Si portò le mani alle orecchie, stringendo le palpebre sugli occhi, mentre il sapore metallico del sangue fu un gusto terribile da provare.
Qualcuno lo prese per le spalle, si sentì scuotere, ma non poté fermare tutto quel guazzabuglio di terribili sensazioni non sue.

Quasi poteva sentire il calore del sole bruciargli la pelle, le ferite imposte da una flagellazione violenta tirare e piegare la sua volontà ad un bisbiglio di pietà.
Prese fiato e fu come condannarsi a morte, poiché sembrava impossibile per i polmoni compiere quel gesto tanto naturale.
Bisbigliò qualcosa, pregava forse, non seppe nemmeno lui dire cosa potesse aver partorito in quel momento la sua mente.

Poi si sentì intorpidito, le braccia ricaddero lungo i fianchi e lo sguardo poté mettere a fuoco solo per una manciata di secondi l'uomo che gli aveva fino ad ora parlato, con una siringa dalla pancia vuota stretta in una mano.
Scivolò nell'incoscenza, crollando sul pavimento come un frutto ormai maturo, e fu buio e pace.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Il suo animo è saldo: tu gli assicurerai la pace ***




cap 4


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Sede della Legione in Golubac
Serbia, 2004

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Non era stata proprio una bella giornata.

I segni della fatica si potevano leggere negli occhi profondi del piccolo che si stava lentamente trascinando fino alla propria cella, con i piedi scalzi e i capelli arruffati e colmi di polvere.
Le batoste subite a causa degli allenamenti e le mani tremanti per via dei continui incubi che riempivano le sue notti solitarie.
Parlava poco perché le parole gli sembravano inutili in un posto dove la gente si aspettava tutt'altro da te e le preghiere erano una costanza sulle labbra screpolate dalla fame e dalla sete.

Aveva rifiutato il cibo e aveva chiesto consenso per ritirarsi: cosa che ricevette, contro ogni aspettativa, visto l'arroganza con cui veniva molto spesso trattato dal tutore.
Jimmy mancava da giorni e Philip non gli aveva dato spiegazioni a riguardo, come lui non aveva insistito nel chiederle: di sicuro i Farisei gli avevano affidato qualche compito, e lui era uno dei pochi a cui era data la possibilità di uscire da quel buco sottoterra.

Faticava a star dietro a tutte le informazioni che gli erano state impiantate nel corpo, miriade di ricordi e sensazioni contrastanti, che lo facevano arrancare nella realtà come un disperso nel deserto.
Dopo il rituale aveva evitato ogni contatto, s'era chiuso in un mutismo terribile che aveva scosso i suoi compagni di patimenti, tranne naturalmente il maggiore; questo aveva espresso a parole il suo principale menefreghismo, anche se con gli occhi teneva d'occhio ogni azione del più giovane.
Il rituale.
Fin da quando aveva messo piede in quel luogo celato, s'era parlato solo del momento in cui, ad un'età precisa, avrebbero varcato la soglia dell'ultima terribile prova al quale stuolo di bimbi perduti erano stati messi di fronte. Unico sopravvissuto, aveva ricevuto quel battesimo indecente.
Non conosceva le reali intenzioni dei Farisei, non comprendeva, nella sua tenera età, a cosa miravano tutti quei volti coperti di maschere senza espressione. Lui taceva nell'ignoranza e si lasciava trascinare come piccola foglia lontana dall'immensa protezione della fronda, da un torrente impetuoso.

Ed era avvenuto.
A073 non esisteva più, come d'altronde ci si sarebbe aspettato da un numero, surclassato da ciò che sarebbe stato a vita: Andrew.

L'ultimo, di quattro ivi rinchiusi: James, detto Jimmy, Philip, Simon e lui.

E così i mesi erano passati e di parole non s'erano sprecate, come anche le azioni, proseguendo come se nulla fosse quella vita costante: le lezioni sui testi antichi, gli allenamenti, le diatribe con i superiori.

Solo gli incubi davano la possibilità a Giacomo di farsi vicino ed evitare che Andrea potesse dar fuori di matto del tutto; perché il pacchetto completo comprendeva quei terribili incubi, se di questo poteva trattarsi davvero. Ricordi? Chi poteva realmente dire cosa i Farisei avevano creato, con i loro tramini inconsulti e le azioni sconsiderate.

Pose la mano sulla porta di metallo e spinse la maniglia, che fece scattare la serratura e dischiudere la soglia.
Davanti ai suoi occhi notò delle piccole candele accese e si chiese chi potesse averle messe lì.

- Ehi, furetto, hai deciso di rimanere impalato sulla porta ancora a lungo? - 

Riconobbe subito la voce di James e una piccola parte di lui si riattivò come la fiammella su un cerino.
Entrò nella stanza e abbracciò il maggiore, sentendo la stretta d'affetto che fu ricambiata.
- Ehi, a quanto pare sono mancato! - Lo prese deliberatamente in giro, facendolo sedere al suo fianco sulla brandina, mentre si allungava dalla parte opposta.
- Perché stai al buio? Volevi farmi prendere paura? - Domandò Andrew, storcendo le labbra in una smorfia sostenuta, mentre l'altro prese a ridere.
- Se accendevo la luce avrei attivato i sensori e avrebbero spostato l'attenzione qui, visto che tu eri con loro. Ti pare? E poi volevo farti una sorpresa. - Alzò le spalle il più grande, mostrando all'altro un involucro di carta.
Glielo passò e Andrew prese a togliere meticolosamente i vari strati, scoprendo cosa ci fosse nascosto all'interno.
Il profumo della pasta e del formaggio fresco lo investì, riattivando i sensi del gusto e della fame, a quella vista.
- Si chiama Ghibanizza: è un tipico dolce di queste parti. Visto che il mangiare qui non è un granchè, ho pensato di portarti qualcosa da fuori. Naturalmente se mi scoprono è la volta buona che mi ammazzano. - Se la rise, Giacomo, vedendo nel minore la felicità di un bambino il giorno di Natale.

Lo ringraziò e provò subito quel tortino che aveva di fronte, spezzandolo con le dita per portarsi infine il boccone alla bocca.
Il sapore era un concentrato di dolcezza e friabilità e non poté non prenderne ancora, tutto euforico per qualcosa che poteva finalmente decantare come "cibo vero".
- Ehi! Lasciamene almeno un pezzettino! - Rise Jimmy, afferrandolo da sotto le ascelle per sistemarlo meglio sulla brandina, mentre lui ci si sdraiava per metà, appoggiando le spalle alla testiera del letto, portando un braccio dietro la testa con fare comodo - La prossima volta ti porterò lo Slatko. Ricorda molto un dolce dei nostri tempi. -

Andrew si ripulì un dito dalle briciole rimaste, guardando poi la fiammella delle candele tremare appena, come fu la sua stessa anima a vibrare a quelle parole.
"I nostri tempi".
I tempi di chi, realmente?
Perché loro respiravano un'aria differente, un secolo ben lontano da quello che avevano visto coloro che dimoravano nella mente e nel cuore.
Andrew era giovane, un bambino incapace di farsi serie domande su tutto quel guazzabuglio di pensieri incoerenti; e da questo traeva giovamento nel lasciarsi amalgamare dalla realtà, lasciandosi alle spalle ciò che fu. L'Olanda? Un paese che aveva perduto completamente, un posto sconosciuto. Suo padre?
Chi era suo padre?
Eppure aveva solo in testa il volto di un uomo che aveva fatto della pesca il suo lavoro e il suo sostentamento. Ma un'altro tempo accarezzava quel frammento di memoria, secoli fattisi polvere.

Comunque non diede segno di accorgimento al suo parlare, mettendo da parte il dolce per sistemarsi comodo accanto a Jimmy.

- Grazie... - Mormorò solamente, sentendo la mano del maggiore scompigliargli i riccioli scuri, in un gesto d'affetto.
Neanche si rese conto di scivolare lentamente in un sonno pacifico, privo di incubi di morte, mentre Jimmy s'alzava per spegnere le candele e richiudersi alle spalle la porta, nell'uscire.
Inspirò nell'incoscienza, e gli parve di sentire profumi dimenticati, e il bacio del sole sulle sponde del
lago di Tiberìade, nel primo risveglio del mattino.

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Capitolo 5
*** Capitolo V - Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie. ***


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Sede della Legione in Golubac
Serbia, 2007
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Pose un piede davanti all'altro, mantenendo lo sguardo di fronte a se su ciò che gli era stato posto innanzi, senza remora nel constatare con i suoi occhi il lugubre peccato del maligno.
Accanto a se sostava Giacomo, ma era come se realmente non ci fosse, data la sua inattività nel portargli sostegno, mentre sentiva l'attenzione del resto dei personaggi ivi riuniti per la prima reale dimostrazione di ciò che poteva o non poteva fare.

I ferini occhi del loro tutore attesero pazienti, mentre la lingua passò ad umettare il labbro superiore, apparendo come un predatore in procinto di studiare la preda. In una mano una cartelletta contenente chissà quale documentazione, che compilava regolarmente.
Sentiva il sudore imperlargli la fronte, le dita tremare lievemente, nella constatazione della mancanza di forze di fronte alla prospettiva di individuare il demonio che stava possedendo quella bambina.
Legata e tenuta ferma in una posa di preghiera, quasi, genuflessa ai loro piedi, si contorceva come se avesse avuto il fuoco dentro che le stava corrodendo l'anima.
E lui poteva sentirla. Ne avvertiva il dolore, che a ondate si propagava da quel piccolo corpo fino a lui, stordendolo.
- Avanti, Andrew. Non abbiamo tutto il giorno e la questione deve chiudersi nell'immediato. -
Le parole del Bastardo furono sovrastate dalle urla della ragazzina, che parlò in antico aramaico, mentre puntava gli occhietti d'ebano proprio sull'apostolo più giovane; fu letteralmente scosso da ciò che gli disse, ma non si pronunciò in merito, mentre Jimmy taceva di fianco a lui.

Fu sospinto però da quest'ultimo ed entrò nel cerchio di polvere chiara, ulteriore detenzione per la posseduta, che ora si trovava in trappola con lo stesso Andrew di fronte a compiere il suo primo esorcismo.
- Crux sancta sit mihi lux, non draco sit mihi dux1 - Sussurrò, sentendo nelle sue stesse parole una vena d'urgenza, chinandosi in equilibrio sulle punte dei piedi, mentre la mano veniva posta senza indugio sulla guancia della bambina, che indurì lo sguardo e sibilò peggio di un serpente a sonagli ingiurie contro Andrew.
- Vade retro satana, nunquam suade mihi vana. Sunt mala quae libas. Ipse venena bibas2 - A tono rispose, senza retrocedere nelle sue azioni, avvertendo tutto il rancore misto ad un dolore acuto dall'anima in trappola.

Chiuse gli occhi, sia per trovare la concentrazione, sia per non vedere il ghigno distorto su viso innocente, mentre i fili invisibili che solo a lui era dato tangere vibrarono e sembrarono sferzare l'aria.
Gli mancò il fiato, fu difficile mantenersi calmo, mentre il ginocchio destro s'appoggiò sul pavimento, lasciando così l'intera figura del giovane in un sacrale equilibrio.
" Mio Dio, misericordia nel tuo cielo, guida la mia mano e allontana il maligno..." Pensò, tracciando con l'altra mano segni nell'aria, come se stesse pizzicando quelle stesse corde e slegasse nodi imprecisi e terribili sul filo della vita innocente che aveva davanti.
Vibrarono i cerini intorno a loro, poté avvertire il placido respiro di Jimmy e toccare con mano l'insana aspettativa del Bastardo poco più in là.
- Chi dimora nel nascondimento dell'Altissimo alberga all'Ombra dell'Onnipotente. Certo egli ti riscoterà dal laccio dell'uccellatore, dalla pestilenza mortifera. - Mormorò, avvertendo le due essenze distinte, l'una succube dell'altra, più feroce e intenzionata a non mollare la presa sull'anima pia - Egli ti farà riparo con le sue penne, e tu ti ridurrai in salvo sotto alle sue ali; la sua verità ti sarà scudo e targa. - 

Emise un basso respiro, avvertendo un dolore acuto propagarsi dal suo cuore fino alla mente, e seppe che lo stesso era ciò che la piccola di fronte a se provava.
Vestiva di stracci e la pelle era candida di carnagione ma sporca di terra, come se avesse albergato per mesi in una topaia.
Pregò per lei, tenendo per se quel gesto, chiedendo a Dio l'aiuto per darle la pace e liberarla dal male che l'attanagliava.
Continuò a mantenere una mano sulla sua guancia, in una carezza d'affetto, mentre la destra stringeva le dita tremanti a mezz'aria, sentendo fra di esse qualcosa d'invisibile che aveva afferrato.
Tirò, con tutte le sue forze, perché la resistenza era immane, ed ebbe l'impressione che ciò portò ad un epilogo unico: quell'essenza si sbriciolò come polvere inconsistente, crollando di fronte ai suoi occhi, invisibile al resto del mondo.
Fredda però fu pelle della bambina e vitrei i suoi occhi, mentre il sangue ne dipingeva le piccole labbra racchiusesi in un ultimo sospiro d'alito di vita sfuggente.

Si sentì afferrare per le spalle e trascinare all'indietro, osservando con occhi sbarrati il corpicino ricadere lungo e disteso, esanime, senza più la vita a scorrere nelle vene; e quasi lo sentì nel suo stesso corpo quella terribile verità, che gli fece ingoiare un amaro boccone.
L'uomo dei Farisei si avvicinò al cadavere e ne constatò la morte con un semplice gesto menefreghista, segnando sulla propria documentazione diverse annotazioni.
Prese a fatica fiato, Andrew, tremando nella presa gentile ma presente di Jimmy, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla creatura di Dio che aveva ucciso.

- Hai un potere straordinario, Andrew. Ma dovremmo lavorarci su per evitare questi spiacevoli inconvenienti. Comunque, da quel che ho visto, hai esorcizzato il corpo. Peccato per la perdita dell'ospite. -
Fu veloce, Andrew, a scostarsi da Giacomo e puntare proprio sul figlio di puttana che aveva anche solo osato parlare, con mano a mezz'aria: pronto a sferrare il colpo, pronto a pagarne le conseguenze, ma almeno togliersi la soddisfazione.
Fu impassibile il tizio, sapendo forse anticipatamente che nulla l'avrebbe sfiorato, poiché il maggiore fra i due afferrò il polso di Andrew e lo rigirò dietro la schiena, calciando alla base dei polpacci per costringerlo ad una caduta sulle ginocchia.
Ingoiò insofferenza, Andrea, così costretto alla polvere, mentre l'uomo dei Farisei si fece avanti con passo lento e calcolato, picchiettando la penna contro la cartellina.
- Si, Andrew? Avevi rimostranze in merito? -

Fu costretto a tacere dalla presa di Jimmy fattasi quasi fuoco intorno al suo polso, e lasciò crollare la rabbia, mentre l'arida consapevolezza dell'inutilità lo colpì in pieno.
Guardò a terra, ingoiando l'amaro boccone, facendo correre gli occhi verso quel corpicino che alcune guardie presero in consegna per farlo sparire.
" Requiem aeternam dona eis Domine et lux perpetua luceat eis....requiescant in pace.....Mi dispiace " Era questo che stavano dicendo i suoi occhi, cupi come l'abisso più nero.

- Non ne avevo dubbi. - Sibilò il Bastardo al silenzio protratto da Andrew, allontanandosi, mentre Giacomo aiutava il "fratello" a rimettersi in piedi.
Scostò la sua mano, massaggiandosi il polso leso, prendendo la strada inversa per lasciarsi alle spalle tutto quello schifo, sapendo che nei giorni a venire non sarebbe andata meglio.

Non andava mai meglio.



 
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1Croce santa sia la mia luce, non sia il drago la mia guida. retrocedi, Satana, non tentare mai di persuadermi, sono cose vane.
sono cose male quelle che offri, bevi tu stesso i veleni.

2L'eterno riposo, dona loro, o Signore, e splenda ad essi la Luce perpetua. Riposino in pace.

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Capitolo 6
*** Capitolo IV - Dimorate in me, e io dimorerò in voi. ***


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Sede della Legione in Golubac
Serbia, 2003

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- Andrew. -
Scandì a chiare lettere il nome, guardando colui che aveva posto la domanda che aveva richiesto una tale risposta. Il corpo immobile nella posizione seduta assunta precedentemente, con le mani a riposo sulle gambe fasciate da pantaloni asettici.
L'uomo parve raccogliere le idee, prima di appuntarsi qualcosa sulla cartellina posta di fronte a lui, sul tavolo d'acciaio. Alzò il volto e puntò i chiari occhi in quelli del bambino, picchiettando ripetutamente la penna sui fogli.
- Un'altra volta: come ti chiami? - Riformulò la domanda, dopo che questa aveva già lasciato le sue labbra per dieci volte, da qui a qualche minuto.
Il bambino alzò appena un sopracciglio, un gesto impercettibile, mentre iniziava a spazientirsi sulla sedia scomoda e dura; si mosse quel poco per trovare una specie di tregua allo stremo al quale era costretto, spostando impercettibilmente gli occhi sul suo interlocutore.
- Andrew. - Ripetè, quindi, mordendosi la guancia interna, avvertendo una sorta di sesto senso delle prossime mosse altrui. Difatti l'uomo rilassò le spalle, borbottando in uno stretto idioma sconosciuto, scribacchiando ancora in modo confuso.
- Sei convinto di questo nome? Perché? Senza indugio l'hai pronunciato già al mio primo quesito. Eppure dovresti sapere che non è quello che ti è stato dato; non è così, A073? - Si pronunciò l'adulto, in una concentrazione di rughe agli angoli degli occhi, mentre si lasciava andare ad un'espressione pigramente curiosa.

Il bambino parve dimostrare un certo indispettimento a quella serie di numeri preceduti dalla prima lettera dell'alfabeto, giocando distrattamente con la pellicina del mignolo sinistro.
- Io sono Andrew. - Ripeté, lasciando che un tono cupo prendesse sostegno della sua voce, facendo viaggiare or ora le iridi castane da un punto all'altro della stanza.
- Perché questo nome, A073? - Insistette il dottore, perché di questo si trattava, mentre riportava con minuziosa perizia i propri accorgimenti sulla scheda dell'esperimento.
- E' il nome che mi appartiene. - Sibilò il più giovane, sottoposto ad uno stress non indifferente.
Pareva che le pareti della stanza fossero in procinto di restringersi addosso a lui, in quell'asetticità che le contraddistingueva. Spoglie, prive di qualsiasi oggetto che potesse renderle meno scarne.
Un silenzio pesante cadde fra loro e l'uomo si voltò verso l'unica porta presente, sulla quale torreggiava una piccola telecamera a circuito chiuso, dalla spia luminosa accesa. Un chiaro cenno d'assenso fece si che, dopo un paio di minuti, si presentasse il capo della sezione.
Andrew stette immobile, in un religioso silenzio, sotto la prova della loro attenzione.

- Abbiamo dei risultati? - Domandò atono, tenendo le braccia dietro la schiena come un perfetto generale di fronte ai suoi sottoposti. Il medico picchiettò pigramente la penna sul tavolo, poggiandosi all'indietro contro lo schienale.
- Difficile a dirsi per ora. Potrebbe essere solo un'autosuggestione della mente. Un nome non riconosce una persona precisa. - Diede la sua diagnosi, guardando il bambino immobile, sentendo il superiore prolungare un respiro a narici spalancate.
- Avremo tempo per appurarlo. - I piccoli occhietti neri si fecero spilli contro Andrew, che sentì la minaccia del sottile sorriso del caposezione, come promessa di patimenti futuri.

 
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Gerusalemme
30 d.C. / 31 d.C.

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La polvere impregnava i vestiti e il sudore ne catturava il pulviscolo, rendendo la pelle ruvida, imperfetta al tatto mentre strati di stoffa la ricoprivano per proteggerla dall'arsura del giorno appena iniziato.
Le vie erano in fermento, sulla bocca di molti ciò che stava accadendo, e sulle labbra di pochi l'urgenza di fuggire. Quei pochi che erano stati gli eletti, che ne avevano seguito i passi fin dall'inizio, dispersi in piccoli gruppi.
Il fiato ormai corto e i piedi dolenti, per le corse sulle vie ciotolate, consunte e nascoste ad occhi vigili, per poter portare la vita in salvo lontano da una persecuzione iniziata la sera precedente.
Il manto a coprire la nuca, a sfuggire agli sguardi delle donne pie che tutto sapevano e sulla loro bocca proveniva la verità, quando già ebbero indicato Pietro come discepolo di quello sciagurato chiamato il Cristo.

Andrea non sapeva dove si trovava il fratello, non conosceva l'ubicazione degli altri oltre a coloro che gli stavano accanto e che lo guidavano con più coscienza: di una cosa tutti erano sicuri, e cioè che Gerusalemme non poteva essere luogo sicuro in quel momento, sapendo il Messia sotto giudizio degli stessi romani che la occupavano.
Eppure, se fosse stato per lui, avrebbe seguito quei passi e visto con i suoi occhi il sangue colare dalla schiena barbaramente esposta al colpo della frusta; ne avrebbe sentito le urla e avrebbe stretto le mani della Madre, perché insieme a Giovanni era quello che più di tutti ne comprendeva il messaggio dalle labbra sempre sorridenti.

Ed invece era lì, con Giacomo il Minore e Matteo, a trascinarsi lontani dalla calca maggiore; fuggivano come piccoli roditori terrorizzati, dopo l'arresto avvenuto nei giardino di Getsemani, dove loro s'erano accampati, come richiesto dallo stesso Gesù.
Celato spesso dietro alla stoffa del manto che ne copriva il capo, occhi a sondare ogni volto che di lì passava, accodandosi al resto della massa per andare ad assistere alla morte del Nazareno.

- Di qua - Sussurrò Giacomo, sospingendolo gentilmente verso una seconda via, fra basse case di pietra, calcando i passi sull'acciotolato, che produsse piccoli sbuffi di polvere. - Prenderemo la strada dei campi. Appena le acque si saranno calmate torneremo in Gerusalemme per riunirci agli altri. - Spiegò spiccio, mentre Matteo annuiva in modo assente, ancora negli occhi la furia delle guardie del Sinedrio che avevano afferrato con forza il loro Maestro.
Andrea non pronunciò parola, in silenzio fra i due nel proseguimento della loro fuga, mentre la fiorente città rimaneva alle loro spalle e davanti a loro s'aprivano le campagne silenziose.
Giù per una piccola discesa, un muretto di pietre ad accompagnarli sulla destra, ed il sole ormai alto nel cielo; i loro passi erano silenziosi come le loro bocche, cucite in un tacito rispetto per quanto accaduto. Il cuore a tamburellare nei loro corpi scossi, rimbombando nelle orecchie fino a far male.

Troppi pensieri ad affaccendarsi nella loro mente, e soprattutto in quella di Andrea che si domandava quesiti senza via di risposta.
Quel tacito silenzio fu interrotto solo da un esclamazione di sorpresa dello stesso figlio di Giona, quando nello discendere lungo il campo del vasaio il piede destro incespicò su una piccola roccia, facendogli perdere l'equilibrio. La presa di Giacomo sul suo braccio gli evitò la caduta, ma tutt'altro ebbe da destare reazione nel corpo del più giovane del trio.

Nel rialzare lo sguardo le pupille si dilatarono e il respiro mancò nel corpo avvolto da strati di stoffa impolverata.

Avvertì solo in minima parte l'esclamazione di sorpresa di Matteo, mentre un nome usciva dalle labbra di Giacomo con tono duro, anche se solo sussurrato.
Incespicò sui suoi passi, Andrea, quasi come se fosse incapace di ricordare come si ponesse un piede davanti all'altro.
La mancina andò ad appoggiarsi sulle pietre di un basso muretto, in una ricerca spasmodica di sostegno per il corpo afflitto. Il respiro a mancare nei polmoni, insufficiente a permettere al cuore di pompare nuovo sangue.
Aveva perso quel battito, il ritmo distrutto, come lo fu l'intera sua anima a quella vista.
E la negazione giunse feroce nella sua mente, a ripetersi che non era accaduto, che non era stato tanto sciocco da compiere un gesto così folle.

Il corpo era abbandonato al ciondolare incostante, tenuto ancorato a mezz'aria per mezzo di quella corda stretta intorno al collo ormai segnato dalla presa ferrea.
Le labbra cianotiche, la pelle cadaverica e lo sguardo perso nel vacuo abbandono della morte.

Andrea scacciò la mano che Giacomo aveva proteso verso di lui per arrestare i suoi passi, avvicinandosi all'albero ricurvo che era stato mezzo per uno di loro di un gesto tanto estremo.
- Andrea. Dobbiamo andare. - Le parole spicce di Matteo diedero al fratello di Pietro un senso di nausea alla bocca dello stomaco, mentre i passi s'erano interrotti di fronte al corpo privo di vita di Giuda.
D'un tratto sembrava quasi come se avesse dimenticato come si respirasse, come si compissero gesti tanto semplici.
Strinse la presa sul proprio petto, artigliando la stoffa che lo ricopriva, mentre il cuore compiva pochi battiti e la testa girava ferocemente.
Domande senza esiti rivolte a quel Dio che s'era fatto beffe di suoi figlio, mandandolo a morte, e che s'era servito di uno dei suoi discepoli per emettere la sentenza di tradimento.

Non s'era nemmeno accorto della vicinanza di Giacomo e delle mani sulle sue spalle, mentre le lacrime avevano appannato la vista e la mascella s'era irrigidita.
- Andrea andiamo. -
- Taci... - Fu il sibilo, il sapore delle sue stesse parole ad invadergli la bocca fattasi asciutta.
Prese respiro, l'unico suono che sembrò sentire, mentre l'inasprezza di Giacomo nemmeno lo tangeva. 
- Dobbiamo tirarlo giù - Sussurrò, cercando di avvicinarsi, non più fretta a premere sulle proprie azioni, come vigente in un mondo a parte.
- Scordatelo! E' lì che merita di stare un traditore. Preda degli avvoltoi che ne mangino le carni. - 
Una tale ingiuria ebbe solo modo di far reagire Andrea, che si scostò da lui, guardandolo con occhi sbarrati dall'orrore e dalla pena, mentre Matteo seguiva in silenzio la diatriba.
- Era un nostro fratello, Giacomo! Come puoi anche solo idealizzare una tale frase e un tale pensiero? -
- Ha consegnato il Rabbi nelle loro mani con un bacio! Ragioni con mente annebbiata Andrea! C'eri anche tu. - S'alzò la voce dell'apostolo, mentre Andrea ne riceveva l'affronto con stoicità, cercando di mascherare le lacrime con la rabbia.
- Lo sapeva...Lui lo sapeva e non l'ha impedito, ma lo ha esortato a proseguire nelle sue azioni. Non lo difendo, no... - Sussurrò, sentendo la sua stessa voce vacillare, tremare di fronte allo sguardo duro degli altri due. -Ma saremmo peggio delle bestie a lasciarlo così. Vi prego- Spostò gli occhi su uno e poi sull'altro - Vi prego aiutatemi... -

Era come scontrarsi con un irto muro e ne fu ulteriormente angosciato, mentre non riusciva nemmeno a guardare il suo corpo oscillare sopra le loro teste.
La stretta al cuore resa insopportabile, il respiro a graffiare la gola.
- Vi prego, non possiamo...non.. - Si portò una mano sulla bocca, sapendo d'apparire sciocco e debole di fronte a loro, ed indietreggiò quando duramente Giacomo si fece avanti per afferrarlo per la spalla.
- Ci penseranno i romani o chi per loro a tirarlo giù dalla sua scelta. Che sia monito per noi a ciò che ci aspetta se voltiamo le spalle a Dio. -
- Parli come un ignorante, Giacomo! Hai dimenticato i Suoi insegnamenti?! Il Messia è dunque andato incontro alla furia del Sinedrio per vedere le proprie parole diventare polvere?! - Lo gridò, feroce come una bestia braccata di fronte al cacciatore con il bastone e il fuoco ben in vista. - Non permetterò che il corpo di Giuda rimanga così, e né tu né Matteo potrete sbarrarmi la strada. - 

Si voltò per rendere reali i suoi desideri, pronto ad avvicinarsi al tronco dell'albero ricurvo per slegare il nodo della corda.
Ma la presa ferra di Giacomo lo colse alla sprovvista e lo allontanò dai suoi intenti.
Scalciò e cercò di scivolar via dalle braccia forti dell'altro apostolo, ma Matteo ci si mise in mezzo e fu impossibile combattere con entrambi.
Potè quindi solo lasciarsi andare a quel pianto disperato che da tempo premeva nella gola, come un groppo doloroso. Le gambe tremarono, quasi cedendo al peso del corpo, mentre le spalle lottarono ancora e la mano si protese verso quel corpo privo di vita.
Continuava a supplicare i suoi "fratelli", misericordia ad uscire dalle labbra bagnate di lacrime, che non venne accolta da nessuno dei due, soprattutto quando avvertirono i passi di un gruppo di persone: che fossero contadini o gli stessi soldati del Sinedrio non seppero dirlo.

Fu letteralmente trascinato via, con nel cuore e nella mente l'ultima immagine di qualcuno che non avrebbe mai meritato una tale scelta, anche dopo ciò che aveva compiuto.
"Per il tuo nome, Dio, per la tua volontà ha compiuto un tale gesto. Perché hai dato a lui questo fardello? Perché lui, fra tutti..."

Pregava dentro di se e ancora cercava risposta a domande che sarebbero rimaste per anni nel profondo del suo cuore angosciato.
Ad immaginarsi scena diversa, le mani che tremanti andavano a sciogliere nodo e calare il peso del corpo fino a terra.
A stringerne il viso freddo, a pregare per i suoi peccati e chiedere perdono in sua vece.
Avrebbe dato tutto per poterlo stringere a se e dar sfogo al dolore che attanagliava il cuore fattosi semplice organo grondante sangue.

Tutto ciò che poté solo provare fu la negazione di quell'unico desiderio, masticando l'amara realtà del proseguimento della fuga verso la Galilea.
Le lacrime rese aride dal calore del sole sulle guance segnate da residui di scie salate.
Nemmeno il risentimento verso i due fratelli di preghiera ed esilio, poiché i Suoi insegnamenti non lo permettevano, in quel cuore fattosi sabbia.

Null'altro che il nulla.

 
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Le pareti della stanza sembravano incrinarsi, storcersi e racchiudersi intorno al giaciglio dove poco prima era stato accolto il sonno tormentato da incubi sempre più ricorrenti.
A nulla erano valsi i farmaci, le costanti cure che venivano somministrate anche agli altri tre giovani: Simon e lui sembravano subire maggiormente gli effetti del rituale.
Se durante il giorno le cose potevano essere in un dato equilibrio, la notte era un tormento infernale.

Non ce ne era una, che fosse una, dove il sonno poteva dare ristoro alle membra stanche, rendendo al corpo le ore spese in giornate di fatica.
Il sudore ne imperlava la pelle, le coperte s'arrotolavano intorno alle caviglie e la sensazione dell'essere in trappola si accentuava, portando quell'incubo ad un'amara realtà terrena.
Se c'era una tortura assoluta, per Andrew, era il semplice ordine: "Le luci si spengono, dormite".

Ed eccolo, come si trovava, mezz'ora dopo.

Un urlo strozzato, ormai morente nella gola arsa dal troppo parlare, dal pregare e invocare quel Dio che l'aveva sacrificato come un'agnello sull'altare.
Le mani tremanti a stringere convulsamente le braccia di chi, in quel momento cercava di tranquillizzarlo.
Più di una volta aveva preso a pugni quelli che erano accorsi di fretta nella stanza, scalciando come un mulo impazzito, poiché non riconosceva il luogo stretto nel quale si trovava. Quelle celle di pietra e metallo, che avevano l'odore di stantio.

Solo Giacomo sapeva come afferrarlo, bloccandogli i movimenti nel mentre che le urla si quietavano al suono della sua voce rassicurante.
- Va tutto bene Andrew. Sei qui, non c'è nessuno che ti farà del male. E' tutto passato. - 
Sapeva che erano solo parole di circostanza, dettate per placare quegli incubi e far tornare il respiro ad un ritmo pacato.
Nulla andava bene, tutti in quella struttura sembravano essere intenzionati a studiare la soglia di dolore e follia che poteva intercorrere nei loro giovani corpi, e fin da quando erano solo bambini ne avevano subite di cotte e di crude.

Ma Jimmy era il più grande, lì dentro, il maggiore anche se colui che dimorava nel suo cuore era detto "Il Minore".
Lo cullò, come ogni volta, continuando quella litania di parole ed Andrew riuscì a rischiarare i suoi pensieri mentre il battito tornava costante.
E sopraggiungevano le lacrime, a sovverchiare quel connubio di informazioni non sue: ricordi spezzati di una vita colma di dolore che stavano facendo letteralmente impazzire quell'anima pia.
Tirò indietro la nuca e l'appoggiò sulla spalla di Jimmy prendendo un fiato grave.
Domandò, il compagno di sventure, cosa avesse sognato questa volta, come se parlarne avrebbe scacciato via l'irreparabile senso di ansia e dolore.

Ma scosse la testa, Andrew, evitando di rispondere.
Non quella volta. Sapeva che avrebbe fatto infuriare l'altro, e non se la sentiva di affrontare un deleterio discorso. Non in quel momento.

Non di nuovo

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