Bloody Castle (Volume 1) - Scene Tagliate

di Nana_13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Greenwood ***
Capitolo 2: *** Wisdom - 01 ***
Capitolo 3: *** Wisdom - 02 ***
Capitolo 4: *** Wisdom - 03 ***
Capitolo 5: *** Boschi del Montana ***
Capitolo 6: *** Casa Weaver - 01 ***
Capitolo 7: *** Casa Weaver - 02 ***
Capitolo 8: *** Bran - 01 ***
Capitolo 9: *** Bran - 02 ***



Capitolo 1
*** Greenwood ***


Cari lettori siamo tornate! C'è voluto un po' ma in questo periodo non abbiamo mai smesso di lavorare alla nostra storia. Il secondo capitolo arriverà a breve, è completato e in revisione. Nel frattempo vi lasciamo a queste scene inedite, pensate per dare un tocco in più agli eventi descritti nel primo capitolo.
Buona lettura!
A&L



Greenwood


“Ecco, da qui si vede bene.”

Rachel si sentì sollevata per aver trovato quei posti, dopo essersi scusata con tutti i genitori, amici e parenti seduti sugli spalti a cui passando aveva pestato involontariamente i piedi. Lei, Juliet e Jason erano venuti a fare il tifo per Claire. La sua squadra di calcio giocava un’amichevole contro un’altra squadra dell’ultimo anno, proveniente da una città vicina. Era un modo per salutarsi e divertirsi un’ultima volta prima delle vacanze estive, così aveva detto Claire. Come sempre, loro non si sarebbero persi una sua partita, perciò eccoli lì che urlavano e mangiavano nachos.
Fu quando l’arbitro fischiò un fallo che Rachel riconobbe una figura seduta pochi spalti più in basso. “Mark?”

Sentendosi chiamare il ragazzo si voltò all’istante, sorridendole non appena l’ebbe riconosciuta. “Rachel! Ehi, ciao…come va?” domandò, sembrando quasi imbarazzato di essere stato scoperto.

Rachel era confusa, che ci faceva lui lì, da solo poi?

Juliet allora intervenne, togliendo entrambi dall’imbarazzo. “Perché non ti unisci a noi? Così la smettiamo di urlare.”

Lui fece per replicare, ma venne interrotto da un’altra voce. “I pop-corn al caramello erano finiti, però ti ho preso i…” Cedric si era avvicinato con gli snack e ci mise un attimo a capire che l’amico non lo stava ascoltando. Girò lo sguardo nella sua stessa direzione e riconobbe le ragazze e Jason. “Ehi, eccovi!” constatò allegro.

“Perché non raggiungi i tuoi amici e ti levi dai piedi? Mi copri la visuale!” ribatté per tutta risposta un omone grande e grosso. Al che Mark e Cedric non se lo fecero ripetere due volte e salirono i gradini che li separavano dagli altri.

L’evento era aperto a tutti, ma Rachel non poté fare a meno di sospettare che dietro la loro presenza ci fosse lo zampino di Juliet. Quello era esattamente il genere di iniziative che avrebbe preso lei. “Li hai chiamati tu?” mormorò a denti stretti per non farsi sentire, mentre i due si sistemavano sugli spalti accanto a loro.

L’amica le rivolse un’occhiata dapprima perplessa, poi sembrò illuminarsi. “Ah sì, non te l’avevo detto?” le chiese con la solita aria innocente.

Scontato. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Quando tutti si furono seduti, tornarono a concentrarsi sulla partita, appena in tempo per vedere una bella azione di Claire. Era riuscita a smarcare un’avversaria e a portare la palla verso la porta, ma purtroppo venne intercettata nell’esatto momento in cui provava a fare goal.

“Cavolo!” esclamò Juliet amareggiata.

Cedric le rivolse un ghigno divertito. “Non ti facevo un’appassionata.”

“In realtà non ci capisco molto. Claire ha provato a insegnarmi le regole, ma lo sport in generale non fa proprio per me. Però in questi anni, vedendola mentre gioca, ho capito quando sta per succedere qualcosa di importante e mi sale l’adrenalina.” disse imbarazzata, facendolo ridere.

 “Tu invece? Ne capisci di calcio?” lo punzecchiò Jason. I loro rapporti erano migliorati dalla festa a casa di Rachel, ma a lei sembrava ancora che Jason non lo sopportasse. Cosa che avevano in comune. Per quanto ormai si frequentassero da un po’, non riusciva ancora a farsi piacere Cedric. Forse, come le aveva detto Juliet, era perché avevano dei caratteri completamente diversi e magari le serviva più tempo per conoscerlo, ma al momento faticava ad averlo intorno. Lo sopportava solo perché con lui c’era sempre Mark, che almeno era piacevole.

“Io sono cresciuto a pane e Baseball. Mio padre è un vero tifoso, mentre io… beh diciamo che non sono un grande appassionato, ecco.”

Di lì a poco ci fu un gran fermento tra il pubblico. Claire stava correndo a gran velocità verso la porta avversaria, mentre una delle sue compagne cercava di non farsi rubare la palla dalle avversarie. A pochi metri dalla porta, gliela passò, ma era troppo alta e quando tutti ormai davano per scontato che Claire non ci sarebbe arrivata, lei li stupì buttandosi all’indietro e con una rovesciata fece goal. Il pubblico impazzì, si alzarono tutti in piedi, saltando e urlando a squarciagola, sventolando bandiere e grosse mani di gomma piuma con i colori della squadra. Intanto, in campo le compagne di Claire corsero ad abbracciarla e a darle pacche sulla schiena.
La partita si concluse un’ora più tardi, due pari ma non senza soddisfazioni per la squadra della scuola, le cui giocatrici erano state protagoniste di azioni degne di nota.
Rachel e gli altri rimasero fuori ad aspettare che Claire uscisse dagli spogliatoi e, quando la videro arrivare, Juliet le andò incontro per coinvolgerla in un caloroso abbraccio.

“Sei stata grande!” esclamò entusiasta.

Quasi stritolata, Claire ricambiò, ringraziandola e ridendo della sua impetuosità. Subito dopo, si accorse che alle sue spalle, insieme a Rachel e Jason, c’erano anche Mark e Cedric. “Oh, ciao…” mormorò spaesata, mentre Juliet la liberava dalla stretta. Non si aspettava certo di vederli.

“Hai capito lo scricciolo.” commentò Cedric ironico. “E chi se lo sarebbe mai immaginato.”

Lei non gli diede la soddisfazione di una risposta, sollevando il mento con aria superiore e passando oltre.

“Bella partita, comunque. La rovesciata poi è stata memorabile.” si complimentò poi, mentre tutti insieme si avviavano al parcheggio della scuola.

Claire lo ringraziò, sorridendo di rimando. Non aveva idea del perché fosse lì, ma stranamente le faceva piacere che l’avesse vista giocare.

“Okay, allora ci ritroviamo direttamente al locale.” disse Mark, aprendo la portiera della macchina.

“Aspetta, venite anche voi?” La domanda le sorse spontanea e solo dopo Claire si rese conto che dal tono di voce doveva essere sembrata sgarbata.

Cedric però non parve offeso, anzi. La sua espressione sorpresa doveva averlo divertito. “Juls ci ha invitati. Perché, ti dispiace?”

Lei scosse la testa, decisa a non dargliela vinta. “No, no. Figurati, tutt’altro.”

A quel punto, lui le rivolse uno dei suoi sorrisi a metà tra il trionfo e lo scherno. “Lo so, non puoi fare a meno di me.”

Claire ripensò a quanto aveva detto e si morse la lingua. Come al solito aveva aperto bocca senza riflettere, dandogli modo di approfittarne. Avrebbe voluto ribattere, ma non fece in tempo perché Cedric si era già infilato in macchina; poi Mark mise in moto e partirono, lasciandola lì impalata a rodersi il fegato.
Con una faccia che era tutta un programma si sedette sul sedile del passeggero, abbandonando la testa sullo schienale e guardando fuori dal finestrino.

“Che bella idea hai avuto, complimenti.” disse sarcastica a Juliet, che sedeva dietro con Jason. Non ci aveva messo molto a fare il collegamento e a capire che doveva essere tutta opera sua.

“Che?” chiese lei con aria smarrita.

“Niente, lascia perdere.”

Jason al contrario colse l’allusione e sghignazzò sotto i baffi, mentre Rachel faceva manovra per uscire dal parcheggio.
Poco dopo arrivarono davanti all’entrata del loro locale preferito, un ristopub stile anni ’50 con camerieri sui pattini e luci al neon. Di solito si ritrovavano lì dopo ogni partita di Claire, per festeggiare la vittoria o risollevarle il morale dopo una sconfitta con un hamburger o un bel milkshake. Tra l’altro, quella era l’ultima sera che trascorrevano con Jason prima che partisse per l’Europa. Poi ognuno avrebbe preso la sua strada e chissà quando si sarebbe presentata un’altra occasione per rivedersi.
Rachel scese per ultima e, dopo essersi accertata di aver chiuso per bene la macchina, raggiunse gli altri all’entrata. Aveva preso quella di suo padre perché la sua era a secco, ma la serratura dava qualche problema da un po’. Doveva ricordargli di farla vedere da un meccanico.
In tutta tranquillità, attraverso la strada su cui si affacciava il locale, deserta quella sera. D’altronde era difficile che in un giorno qualunque della settimana ci fosse gran movimento in città. Tuttavia, una volta nei pressi dell’entrata, la colse una strana sensazione, come di una presenza alle sue spalle che la osservava. Qualcosa le diceva che non era sola.
D’improvviso, il rombo di un motore la fece trasalire e si voltò allarmata, riuscendo appena a intravedere il retro di un’auto che svoltava, infilandosi in un vicolo parallelo a pochi metri di distanza.

“Ray?”

Il richiamo di Jason la riscosse.

“Che c’è?” le chiese, avvicinandosi.

Ci mise un po’ a rispondere, fissando ancora il punto in cui aveva visto la macchina sparire, per poi darsi della stupida. Da quella maledetta sera del ballo ormai vedeva pericoli dappertutto e bastava niente a farla andare nel panico. Sbatté le palpebre per riprendersi e scosse la testa, tornando a guardarlo.

“È tutto okay.” lo rassicurò. “Andiamo?”

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Capitolo 2
*** Wisdom - 01 ***


Wisdom - 01

Rachel si sentì trattenere per un polso. Si voltò di scatto e ci fu un momento in cui lei e Dean si guardarono dritto negli occhi, prima che lui la lasciasse andare.

“Scusa, non volevo essere sgarbato.”

Lei dal canto suo sentì a malapena quello che le diceva, come ipnotizzata da quegli occhi magnetici. Doveva ammettere che, anche se di indole non era attratta dai tipi misteriosi, Dean avrebbe potuto tranquillamente mandarla a tappeto.

“Tranquillo, non importa.”

Alla fine decise di proseguire il giro e inaspettatamente lui la seguì.
Rimasero in silenzio tutto il tempo, finché una bancarella di libri usati non attirò l’attenzione di Rachel, che si avvicinò. In cima a una pila spiccava fra tutti Il ritratto di Dorian Grey, un romanzo che aveva letto qualche anno prima. D’istinto lo prese.

“Mi stupisce sempre come questo libro sia così apprezzato dalla critica.” commentò, storcendo il naso mentre osservava la copertina. “Io non l’ho mai amato.”

Dean annuì appena. “In effetti, non è tra quelli che preferisco. Troppo filosofico. Non fa per me.”

Il tarlo della curiosità si fece strada di nuovo in lei. “E qual è il tuo genere? Se non sono indiscreta.” ironizzò, rivolgendogli un’occhiata eloquente.

Dean colse il riferimento e le sue labbra si piegarono in un sorriso accennato. “Niente di troppo complicato. La lettura deve essere un piacere, non uno sforzo mentale.”

Rachel ci pensò su un momento, per poi replicare: “Non sono d’accordo. Secondo me, sforzarsi di cogliere l’intenzione dell’autore è la parte migliore in un libro.”

“Punti di vista.” tagliò corto lui, facendo spallucce.

Come al solito aveva liquidato l’opinione altrui con due parole, lasciando intendere con questo che il suo era l’unico parere che gli interessava. Rachel iniziava a capire la sua logica. Tuttavia, lasciò correre.

“Però ammetterai che la prospettiva di una vita eterna non sia poi così male. Pensa a quante cose potresti imparare, gli eventi storici a cui assisteresti. Per non parlare dei libri che riusciresti a leggere…”

“Sembra meraviglioso descritto così.” ribatté, quasi parlandole sopra. “Ma credo che dopo un po’ ti annoieresti.”

Lei stava per rispondere, ma Dean la precedette. “Pensaci. Se avessi la consapevolezza di vivere per sempre, ogni momento non sarebbe più unico. È la paura della morte che ci fa apprezzare il valore della vita”.

Completamente spiazzata, Rachel rimase per un istante a fissarlo, riflettendo sul suo ragionamento. –Per fortuna che non amava la filosofia – pensò. Ora stava iniziando a vederlo sotto un’altra luce. Era un ragazzo difficile da interpretare, probabilmente perché proveniva da un ambiente così diverso dal suo, ma cominciava a credere che quella volontà di apparire impenetrabile fosse tutta una facciata e che in realtà avesse solo bisogno di qualcuno con cui parlare. Un lato di lui che lo rendeva meno inquietante.

“Già. E poi se fossi l’unico immortale, perderesti tutte le persone che ami.” ragionò.

Dean non replicò, a quanto pare per una volta d’accordo. “Dovremmo trovare gli altri.” disse poi, ponendo fine al discorso.

Persuasa di aver fatto scattare qualcosa in lui che non voleva dare a vedere, Rachel decise che era meglio andarci con i piedi di piombo. Avrebbe ripreso le indagini in un momento più favorevole. Così annuì, seguendolo verso il gazebo.

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Capitolo 3
*** Wisdom - 02 ***


Wisdom – 02

Era da poco passata la mezzanotte quando Dean sentì Cedric rientrare in camera e lo vide con la coda dell’occhio sedersi pesantemente sul bordo del letto a due piazze che divideva con Mark.

Nonostante l’acqua aperta, anche lui doveva averlo sentito, perché dal bagno gli gridò: “Non vedo il tuo dentifricio, Ced. Scordati che ti lascerò usare il mio. Me lo finisci ogni volta.”

Cedric però non rispose, continuando a fissare il vuoto, immerso in chissà quali pensieri.

-Ammesso che abbia un cervello per pensare- rifletté Dean nello stesso istante, senza staccare gli occhi dal suo libro.

Mark doveva aver chiuso il rubinetto, ma continuava a sentire lo sfregare dello spazzolino. Tutto intorno invece scese il silenzio, finché all’improvviso Cedric non si mosse. Dapprima fece un sussulto, poi le labbra gli si piegarono leggermente e alla fine si mise a ridere, scuotendo la testa come se nel frattempo stesse ricordando qualcosa di estremamente divertente.
La faccia di Mark fece capolino dalla porta, lo spazzolino ancora tra i denti, e squadrò l’amico con un’aria quasi preoccupata. Quando uscì dal bagno, Cedric stava ancora ridendo.

“Non è che per caso hai bevuto anche tu?” gli chiese, sollevando un sopracciglio.

-Magari fosse colpa dell’alcol- pensò Dean dal canto suo.

Lui però non rispose subito, anche se le risate si acquietarono. Poi lo guardò. “Non crederete a quello che è appena successo.”

Dean non capì perché volesse includerlo nella conversazione, visto che finora non aveva dato nessun segno di essere interessato. Comunque non disse niente, rimanendo sdraiato sul suo letto a leggere anche se, suo malgrado, costretto a sentire.
Mark fece un sospiro rassegnato, sedendosi difronte a Cedric. “Con te sono pronto a tutto. Avanti, spara.” lo invitò.

“Stavo quasi per fare sesso con Claire.” Esordì d’un fiato.

La risposta di Mark a quella notizia non fu immediata e ci mise un po’ a carburare. Poi finalmente deglutì, sbattendo nervosamente le palpebre. “Cioè…Scusa, in che senso?”

Preso in contropiede da una domanda che perfino Dean dovette riconoscere come ridicola, Cedric passò dall’euforico all’irritato nel giro di due secondi. “Come in che senso. Vuoi che ti faccia un disegnino? Eravamo sul punto di farlo, che altro ti devo dire?”

“Ho capito, ma com’è successo? Insomma…Così, da un momento all’altro?” farfugliò Mark agitato. “Avevi detto che lei era un osso duro, che voleva solo amicizia!”

Cedric scosse la testa spazientito. “Sì, sì, ma era ubriaca fradicia. Non capiva niente. Mi è saltata addosso all’improvviso e ha cominciato a baciarmi.”

“Però…” mormorò Mark colpito.

“Non avete idea. Era fuori controllo.” continuò lui, riportando alla mente la scena. “Mi ha trascinato sul letto e…”

“Okay, okay, è chiaro.” lo fermò, prima che andasse oltre. “Tu che hai fatto poi?”

“Beh le ho dato corda, mi pare ovvio.”

Mark alzò gli occhi al cielo, annoiato dalla sua faccia tosta. “Ovvio.” facendogli il verso.

Lui sghignazzò mollandogli un pugno affettuoso sul braccio per poi tornare serio. “Comunque alla fine non è successo niente, anche perché si è addormentata.”

Mark sollevò un sopracciglio con aria scettica. “Sul serio?”

Cedric fece spallucce. “Stavo per dirle di lasciar perdere ed è crollata.” spiegò. “Così, di botto. Proprio sul più bello.”

Per qualche istante Mark rimase a fissarlo, per poi scoppiare a ridere. “No…”

“Già.” sospirò Cedric di nuovo. “Poco male. Tanto non avremmo concluso in ogni caso. Primo perché era in uno stato
pietoso e secondo perché in bagno c’erano Rachel e Juliet.”

Detto ciò, rimasero per un po’ in silenzio. Mark rifletteva su quanto era successo. “E adesso che farai?” gli chiese infine.

“Voglio dire hai intenzione di aprire l’argomento domani?”

Cedric assunse un’aria pensierosa. “Mah, era talmente fuori che probabilmente non ricorderà più niente. Comunque non lo so ancora…Ho deciso di andarci piano stavolta.”

“Mi fa strano sentirtelo dire.” commentò Mark perplesso. “E mi inquieta anche.”

Nascosto dalle pagine del libro, Dean non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un mezzo sorriso. Era piacevole constatare quanto fossero futili i loro problemi. Avrebbero fatto meglio a goderseli, finché ce n’era la possibilità.

Cedric diede una pacca sulle spalle all’amico, mentre si alzava dal letto. “Lascia fare a me. Vedrai che conquisterò anche lei.” Lo rassicurò nel tono fiducioso che lo contraddistingueva, per poi dirigersi in bagno.

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Capitolo 4
*** Wisdom - 03 ***


Wisdom – 03

Era pomeriggio inoltrato quando Dean scese dal piano di sopra. Gli altri erano tornati in città, mentre lui aveva preferito restarsene in camera a leggere. La sola idea di accompagnarli di nuovo per bancarelle e locali era bastata per dissuaderlo ad andare con loro.
Ora però avvertiva una strana sensazione di disagio, come se si sentisse in colpa. Forse non era stato saggio lasciarli a loro stessi, visti i precedenti della sera prima. Si era raccomandato di non combinare altri guai in sua assenza, ma dubitava che lo avrebbero ascoltato. Erano come dei bambini.
Quando arrivò nella sala comune della locanda, trovandola semideserta, pensò che fosse una situazione provvidenziale. In fondo, accanto a una cristalliera di legno, c’era un vecchio telefono a gettoni, di quelli che Dean aveva visto solo quando gli capitava di visitare qualche città straniera, ma che nessuno usava più. Ormai avevano tutti il cellulare, compreso lui, ma non lo aveva portato per timore che qualcuno, chiamandolo da Bran, gli avrebbe creato problemi. Niente doveva insinuare in loro il sospetto che conservasse ancora contatti con la Congrega.
Dopo essersi assicurato che non ci fosse gente a portata di orecchio, inserì il gettone che si era fatto dare alla reception nella fessura e compose il numero di un cellulare che ormai conosceva a memoria.

Dall’altra parte squillò un paio di volte, non di più, e una voce piatta e familiare rispose: “Pronto?”

“Sono io.” disse Dean, sapendo che l’altro avrebbe capito.

Dustin infatti non fece una piega. “Mossa saggia lasciare qui il telefono.” commentò con una punta di compiacimento.

“Come sempre non ti smentisci.”

Le labbra di Dean si piegarono leggermente in un ghigno. “Volevo aggiornarvi sull’andamento della missione.”

“Ti ascolto.”

“Sono riuscito a convincere gli umani a partire con me. Al momento siamo a Wisdom, a qualche chilometro da Greenwood.

Dovevamo andarcene stamane, ma un piccolo inconveniente ci ha costretti a restare un altro giorno.” lo informò, mentre ripensava alla scena di quelle due ubriache fradicie che ridevano come pazze. “Comunque prevedo di arrivare entro la prossima settimana.”

In realtà, si rendeva conto che probabilmente era un azzardo fare quel tipo di pronostico, soprattutto viaggiando con soggetti del genere, ma doveva rassicurare Nickolaij che stava procedendo tutto secondo i piani. Ne andava del suo collo.
Dall’altra parte Dustin non rispose subito, sicuramente impegnato a riflettere su quanto aveva sentito.

“Devo congratularmi con te. Non è un caso che Sua Grazia ti abbia scelto per portare a termine questa missione, suppongo che tu lo sappia.” concluse infine, senza il minimo variare della voce. “Provvederò subito a metterlo al corrente dei tuoi progressi. Ne sarà compiaciuto.”

“Bene.” disse Dean, che non si sentiva per nulla lusingato.

Sapeva che Nickolaij l’aveva scelto perché il suo compito al castello era occuparsi dei nuovi venuti e quindi avrebbe avuto maggior dimestichezza con un gruppo di giovani umani poco inclini all’obbedienza. Inoltre, sospettava che anche la sua non comune abilità a controllare la sete in tempo di plenilunio avesse contribuito.

“C’è altro?” gli chiese a quel punto.

“No. È tutto qui.”

“Immagino che una volta fuori città ti sarà difficile metterti in contatto.” osservò Dustin. “Potresti aver bisogno di comunicare eventuali ritardi…”

“No, non credo si presenterà il problema.” lo interruppe Dean annoiato. Per lui la conversazione era durata anche troppo. Era arrivato il momento di chiudere. “Ora devo andare…”

Stava per riagganciare, quando d’un tratto la voce dall’altra parte della cornetta cambiò decisamente, assumendo toni femminili. “Dean.” si sentì chiamare.

Non doveva certo chiedere chi fosse. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. “Che cosa vuoi?” le chiese sbrigativo. Era arrivata a una disperazione tale da strappare di mano il telefono a qualcun altro solo per parlargli.

“Ottimo. Facciamo passi avanti.” rispose Mary allegra. “Ero quasi certa che mi avresti attaccato in faccia.”

Dean sospirò impaziente. “È quello che farò se non ti decidi a dirmi cosa vuoi.”

La sua risatina compiaciuta gli riempì le orecchie. “Niente di importante. Volevo solo accertarmi che stessi bene.”

“Sto benissimo. E ora ciao…”

Mary però lo interruppe. “Aspetta!” esordì, temendo che riagganciasse. “In effetti, qualcosa da dirti ce l’ho…”

Dean alzò gli occhi al cielo, chiedendosi per quale motivo avesse ancora la cornetta attaccata all’orecchio. Senza darsi una risposta, rimase in attesa.

Lei però non parlò subito, ma rimase in silenzio qualche istante per tenerlo sulla corda. Le era sempre piaciuto fare questi giochetti. “Sono sicura che non fallirai e al tuo ritorno avrò una sorpresa per te.” Lo disse quasi in un sussurro, alludendo a qualcosa che Dean conosceva bene.

“Dustin sta ascoltando quello che dici? Lo troverà interessante.” esordì poco dopo in tono cinico, rovinando completamente l’atmosfera.

Mary sbuffò seccata. “Sei il solito guastafeste. Dimmi quando tornerai. Mi manchi…”

A quel punto però, Dean aveva già riattaccato.

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Capitolo 5
*** Boschi del Montana ***


Boschi del Montana 

Rachel fu la prima a ritirarsi nella sua tenda. La giornata era stata lunga e pesante, e tutto quello che desiderava era andarsene a letto e dimenticare.
Ancora non riusciva a credere a quello che era successo. Automaticamente i suoi pensieri ritornarono ai momenti vissuti su quel dannato ponte, a come le sue gambe si fossero immobilizzate, impedendole di salvarsi la vita. Una paura come quella non l’aveva mai provata prima, talmente forte da paralizzarla completamente. Avrebbe potuto morire. Anzi, se non fosse stato per Dean, sarebbe successo di sicuro. Solo ora cominciava a rendersene conto.
D’improvviso si sentì pervadere da un senso di angoscia. Le mani che stringevano il suo pigiama cominciarono a tremarle e anche respirare sembrava difficile. La consapevolezza di quello che aveva passato le stava facendo venire un attacco di panico, così inspirò in profondità, cercando di darsi una calmata.
Un fruscio fuori dalla tenda la fece trasalire. Non voleva che qualcuno la vedesse in quello stato.

“Rachel?”

La voce di Mark. Era parecchio tardi, cosa voleva a quell’ora? Prese un bel respiro prima di rispondergli. “Sì?”

“Oh bene, sei ancora sveglia. Posso entrare? Sei…presentabile?” domandò in tono prudente.

Quell’ultima domanda la fece sorridere; poi si infilò al volo la maglietta, che ormai era tutta stropicciata tanto l’aveva stretta, e lo invitò ad entrare.
Il viso di Mark fece capolino, salutandola con un gran sorriso. La tenda era troppo bassa perché potesse starci dritto, così assunse una posizione un po’ storta, che la fece sorridere di nuovo. Si rese conto che l’angoscia di poco prima stava lentamente scemando.
Rimasero per qualche secondo a guardarsi, poi lui si schiarì la gola e interruppe quel silenzio imbarazzante.

“Allora, mi stavo chiedendo come stessi…Insomma dopo quello che è successo. Non deve essere stato facile per te.” tentennò imbarazzato, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

Rachel adorava quel suo modo di fare, così goffo e dolce allo stesso tempo. “Sì, è stata una bella avventura.” minimizzò. “Ma ora sto bene. Grazie per avermelo chiesto.” Ovviamente stava mentendo, ma non voleva fare la piagnucolosa.
Soprattutto davanti a lui.

Il suo corpo però non era della stessa opinione. Le mani le tremavano ancora e, per quanto cercasse di nasconderlo, a Mark non sfuggì. Il suo sguardo, infatti, passò dalle mani al suo viso e fu più che eloquente.

Rachel si maledì. “Okay, non mi è ancora passata va bene? Ho appena realizzato che sarei potuta morire e non è una cosa facile da mandare giù.” La voce le tremò e gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime, così si voltò per nascondere il viso.
“Ho solo bisogno di un momento…”

Lui nel frattempo le si era avvicinato e le poggiò una mano su una spalla. “Ehi…” le mormorò, facendola voltare con gentilezza. “È normale che tu ti senta così, è…umano.” Scherzò, per poi tornare subito serio. “Hai passato dei momenti terribili, ma adesso è finita. Stai bene, per fortuna, e di qualsiasi cosa tu abbia bisogno io ci sono.” disse in tono amorevole.

A Rachel mancò di nuovo il respiro, questa volta non era un attacco di panico però. Lo sguardo risoluto e dolce di Mark le mozzò il fiato e in quel momento le sembrò quasi di vederlo per la prima volta. Una sensazione di vuoto allo stomaco la colse e d’istinto arrossì.
Anche lui si rese conto dell’atmosfera che si era creata e imbarazzato tolse la mano dalla sua spalla, spostando lo sguardo altrove.

“S-sì, beh volevo che lo sapessi. Ora sarà meglio che…che vada. Vorrai riposare.” Balbettò, allontanandosi per uscire dalla tenda. “Ci vediamo domani.” Abbozzò un sorriso e la lasciò sola.

Rachel rimase per un po’ a fissare confusa il punto in cui prima c’era Mark. Il cuore le batteva forte e la faccia le andava a fuoco. Cos’era appena successo?

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Capitolo 6
*** Casa Weaver - 01 ***


Casa Weaver - 01

Un silenzio imbarazzante era sceso nella stalla dei Weaver, preceduto dal suono sordo del ceffone che Claire aveva rifilato a Cedric. Dopodiché era scappata, seguita a ruota dalle amiche, lasciando i presenti a scambiarsi occhiate di traverso, senza sapere bene cosa dire o fare.

“Beh, torniamo a lavoro?” esordì Simon poco dopo, spezzando la tensione e togliendoli finalmente dall’impaccio.

Mentre Jeremy si avviava per primo verso l’interno della stalla, Bob mollò una pacca poderosa sulla spalla di Dean. “Forza, ragazzo. Le mucche non si mungono da sole.” lo invitò con la solita scarsa delicatezza.

Nel frattempo, Mark era rimasto accanto all’amico, ancora impalato a fissare il vuoto davanti a sé. Lo conosceva troppo bene per non capire in un attimo cosa dovesse passargli per la testa. Riusciva addirittura a immaginare gli ingranaggi del suo cervello lavorare come pazzi, alla ricerca di una spiegazione plausibile per quello che gli era appena uscito dalla bocca. Che si fosse già pentito era evidente, perciò era inutile infierire. Si limitò ad aspettare che uscisse da solo da quello stato di intontimento.
Di lì a poco, infatti, Cedric sbatté le palpebre e sembrò rendersi conto dell’accaduto. “Sono un coglione.” mormorò, continuando a fissare la porta aperta da dove, qualche minuto prima, erano uscite Claire e le altre.

-Beh, ci ha messo meno tempo di quanto mi aspettassi – pensò Mark, evitando di farglielo presente. “Il fatto che tu lo abbia riconosciuto è già un inizio.” gli disse invece.

Cedric però non colse la sottile ironia e si abbandonò affranto su una balla di fieno lì vicino, affondando il viso tra le mani. “Ho rovinato tutto…”

Mark gli si sedette accanto. “Dai, non ti abbattere. Sono sicuro che se vai da lei e ti scusi…” Poi ci pensò su un istante.
“Magari in ginocchio…Implorante…”

“No, no. Non hai capito.” lo fermò, scuotendo la testa. “Se finora avevo guadagnato qualche punto, ammesso che non me lo sia sognato, con questa sparata non ho più la minima speranza.”

Mark però non riusciva a seguirlo. “Scusa, ma di che punti parli? Dopo la storia di Wisdom pensavo avessi deciso di andarci piano.”

Cedric sospirò. “Sì, ma in questi giorni ci eravamo avvicinati parecchio, lo hai visto, e da povero imbecille ho creduto che questo avesse fatto scattare qualcosa…”

L’arrivo tempestivo di Juliet, però, gli impedì di aggiungere altro. A malapena si resero conto che era tornata, che subito si scagliò infervorata su Cedric.

“Si può sapere che ti ha detto il cervello?” gli chiese, senza curarsi delle loro espressioni spaesate. “Perché l’hai trattata in quel modo?”

“Juliet…” mormorò Mark, tentando di frapporsi tra lei e l’amico.

Lei però non gli diede nessuna importanza, continuando a puntare il dito contro Cedric. “Davvero Ced, non avrei mai pensato che fossi capace di una cosa del genere. Non è da te.” La delusione sul suo volto era palese. Faceva uno strano effetto vederla così.

“Ma sta bene? Ci hai parlato?” le chiese lui in tono ansioso, incassando le accuse senza replicare.

La sua preoccupazione sembrò placare i bollenti spiriti di Juliet. “No, si è barricata in camera e non vuole saperne di aprire. Io e Ray abbiamo passato gli ultimi dieci minuti a cercare di convincerla.” lo informò, ritrovando la calma. “Adesso però vorrei che mi spiegassi cosa è successo tra voi, perché da quel poco che ho capito devo essermi persa qualcosa.”

Cedric allora abbassò lo sguardo, scuotendo la testa afflitto. “Mi dispiace. Ho fatto un casino, lo so. Ho immaginato cose che non esistevano. È solo che dopo quello che c’è stato a Wisdom e poi l’altra mattina…E invece ho equivocato…” farfugliò, senza riuscire a formulare un discorso compiuto.

Lei però non ci stava capendo nulla e lo bloccò prima che le confondesse ancora di più le idee. “Prendi un bel respiro e ricomincia. Wisdom? L’altra mattina? Di che stai parlando?”

Mark lo vide riorganizzare i pensieri, cercando di trovare le parole adatte per raccontarle quanto accaduto. Era imbarazzato e lui lo sapeva.

“Quando siamo tornati in hotel, dopo avervi trovate al bar, c’è stato qualcosa tra noi…” esitò ancora, incerto su come continuare. “Siamo arrivati a tanto così.” disse poi, facendo un segno eloquente con il pollice e l’indice. “Tanto così. Ma poi l’alcol e il mio buonsenso” precisò, quando vide gli occhi sgranati di Juliet. “ci hanno fermati. Lei non ricorda niente, perciò ho preferito lasciar perdere quella storia. Beh, fino ad oggi.”

Juliet sospirò affranta. Tipico di Claire ubriacarsi e poi dimenticare tutto. Non era certo la prima volta. “E l’altra mattina, invece?”

“Due giorni fa, quando si era svegliata per via dell’incubo, ricordi? L’ho riaccompagnata in tenda, ma non riusciva a prendere sonno. Così le ho chiesto se voleva parlarmene…”

Dal canto suo, Mark lo osservava mentre cercava di riassumere i fatti e non riuscì a fare a meno di provare pena per lui. Quella era in assoluto la prima volta che lo vedeva in quello stato a causa di una ragazza e la cosa lo sorprendeva non poco. Avrebbe voluto dargli una mano, sostenerlo, ma si era impelagato in una situazione da cui sarebbe potuto uscire solo con le sue forze. Non poteva intromettersi.

“Una cosa tira l’altra e ci siamo baciati.” confessò infine. “È stato così naturale e…vero. Insomma, ho creduto che ormai fosse fatta. Mettici pure che ultimamente avevamo legato di più, non potevo che pensarla così.” concluse; poi fece una pausa, in cui si abbandonò a un sospiro frustrato. “Io sono convinto che anche lei provi dei sentimenti per me. Il problema è che qualcosa la blocca, ma si ostina a non volermene parlare e questo mi fa uscire di testa! Ecco perchè mi sono arrabbiato, Juls, anche se non avrei mai voluto dire quello che ho detto. Ma sono fatto così, se tengo davvero a qualcosa non ragiono più.”

A quel punto Juliet sospirò affranta. “Dio santo, Claire…” mormorò, coprendosi la fronte con la mano e chiudendo gli occhi.

“Tu sai cos’ha, vero? Perché si comporta così?” le chiese Cedric, senza capire.

Lei però non rispose subito. Con aria pensierosa distolse lo sguardo, riflettendo sul da farsi. “Non penso tu abbia equivocato, Ced. Al contrario.” si spiegò infine. “Claire non è il tipo che ci prova con un ragazzo solo per il gusto di tenerlo sulle spine. È che ci sono dei precedenti, ma non dovrei essere io a parlartene.”

“Okay. Tu non vuoi parlarne, lei non vuole parlarne, io nel frattempo divento pazzo e non ne usciamo più!” ribatté sempre più agitato.

Mark allora intervenne. “Ehi, calmati adesso. Non è colpa sua.” lo redarguì, cercando di farlo ragionare.

Durante gli anni della loro amicizia, quello era stato da sempre il suo ruolo. Spesso Cedric agiva d’impulso, senza riflettere troppo sulle conseguenze di parole e azioni, quindi aveva bisogno di qualcuno che di tanto in tanto lo frenasse. Tuttavia, a volte ci riusciva, a volte non faceva in tempo, come nel caso di quel pomeriggio.

“Scusami, Juls.” disse infatti Cedric subito dopo, ricomponendosi. “Se non puoi dirmelo, non importa. Lo capisco.”

In quel momento, Juliet avrebbe preferito sentire il parere di Rachel, che però era ancora in attesa fuori dalla porta della camera. Quindi avrebbe dovuto decidere da sola se raccontargli della precedente relazione di Claire o mantenere il segreto. D’altro canto, si rendeva conto che forse spiegargli come stavano le cose avrebbe messo fine a quel loop. Senza contare che anche lui era suo amico e le dispiaceva molto vederlo soffrire. “No, hai ragione. È giusto che tu sappia.” Si decise infine.

Mark fece per alzarsi. “Vuoi che me ne vada?” Non era sicuro che anche lui potesse venire a conoscenza di certi fatti.

Juliet però sventolò la mano, minimizzando la cosa. “Ma no, figurati. Non è un segreto di Stato.” Più che altro, stava pensando al modo migliore per spiegare loro la situazione. “Il fatto è che Claire sta uscendo da un periodo non proprio roseo. La sua ultima relazione non si è conclusa molto bene ed è evidente che non è ancora riuscita a chiudere con il passato.”

Un’espressione confusa si dipinse sul viso di Cedric. “Quindi…Stai dicendo che pensa ancora al suo ex?” concluse con cautela.

“No, ti sto dicendo che stavano insieme da quattro anni e lui l’ha tradita con un’altra.” chiarì in tono secco. In realtà, non avrebbe voluto essere così diretta, ma a volte l’ottusità maschile era snervante.

Per un attimo il silenzio scese sui presenti.

Cedric rimase spiazzato. “Ah…”

“Capisci adesso perché fa fatica a impegnarsi di nuovo? Ha grossi problemi di fiducia. E, scusami se te lo dico, ma un tipo come te, sempre a caccia di nuove conquiste…Non sei esattamente il genere di ragazzo che definirei affidabile.”

Colpito dalla verità delle sue parole, Cedric abbassò lo sguardo amareggiato. “Stavolta è diverso.” mormorò, per poi guardarla di nuovo. “Dico sul serio, Juls.”

Lei annuì. “Lo so, ma non è me che devi convincere. Claire ha paura e sinceramente non me la sento di biasimarla dopo quello che ha passato.”

Detto questo, non c’era nient’altro da aggiungere. Pensò che Cedric avesse capito quanto c’era da capire e che ora dovesse solo rifletterci sopra. Così, li informò che sarebbe tornata in casa, per vedere come se la stava cavando Rachel.

Di nuovo soli, Mark lasciò all’amico qualche attimo per elaborare, prima di proferire parola. “Beh, almeno adesso è tutto più chiaro.” commentò.

Cedric annuì, strofinandosi il viso tra le mani. “Avrei dovuto intuirlo. Che idiota…”

“Non dire scemenze. Come avresti potuto?”

Lui non rispose e per un po’ restarono di nuovo in silenzio.

“Accidenti, Ced. Di tante ragazze che hai avuto, quella giusta doveva essere così complicata?” ironizzò infine.

Cedric abbozzò a malapena un sorriso. “Quelle giuste lo sono sempre.”

Mark non poté che trovarsi d’accordo. In fondo, lo sapeva bene anche lui. Poi gli diede una pacca sulla spalla, cercando di trasmettergli positività e tirarlo su di morale. “Coraggio. Vedrai che vi chiarirete e tornerà tutto a posto.”

L’amico non sembrava troppo convinto, ma alla fine annuì con aria malinconica. Per il momento non c’era altro che potessero fare, così entrambi si alzarono e tornarono a lavoro. 

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Capitolo 7
*** Casa Weaver - 02 ***


Casa Weaver – 02

Rachel correva a perdifiato nel fango, la pioggia scrosciante che batteva sopra l’ombrello dei Weaver. Era stata così stupida! Come aveva fatto a non accorgersi di quello che stava succedendo? Lei e Dean…per cortesia! Neanche tra un milione di anni. E poi il loro era giusto un rapporto di amicizia, se così poteva definirsi. Ora che ci pensava però, già Mark aveva avuto dei sospetti che tra loro ci fosse qualcosa. Ma perché? Insomma, lei non aveva fatto niente di male. Avevano solo parlato e scambiato qualche battuta ogni tanto e ora per uno stupido malinteso rischiava di perdere la sua migliore amica. Comunque, il danno era fatto. Adesso doveva solo trovare Juliet e chiarire questa storia una volta per tutte.
Finalmente arrivò al fienile dove l’aveva vista scomparire. Era fradicia dalla testa ai piedi e cominciava ad avere freddo, ma questo non la fermò. Lasciò l’ombrello in un angolo e si inoltrò nel locale, buio e reso ancora più inquietante dal rumore del temporale.

“Juls!” la chiamò, ma come risposta ricevette solo l’eco della propria voce.

Un lampo improvviso, seguito poi dal fragore di un tuono, la fece sobbalzare. Rachel iniziò a tremare, non solo per il freddo, ma anche per l’ansia. Quel posto le metteva i brividi. Dove diavolo si era cacciata?

“Juls sono io! Ti prego, voglio solo parlare.” La chiamò ancora e ancora nessuna risposta.

Un altro lampo illuminò il fienile a giorno e questa volta notò una cosa che prima non aveva visto. Un corpo a terra, poco distante da lei.
Rachel sentiva il cuore battere a mille e la paura farsi sempre più spazio dentro di lei. “Juliet?” mormorò allarmata.

Provò ad avvicinarsi, ma non fece che solo pochi passi prima che un’altra figura sbucasse da dietro un covone. Era buio e portava un cappuccio, perciò non riuscì a distinguerne bene il viso, ma intuì che si trattasse di una donna. Ne ebbe la conferma quando un altro lampo illuminò l’ambiente, mettendo in risalto il biondo dei suoi capelli.

“Chi diavolo sei? Cosa hai fatt…” stava per affrontarla, ma un dolore acuto alla nuca le mozzò il fiato e perse i sensi.

La figura misteriosa si avvicinò lentamente al corpo esanime di Rachel, osservandola da sotto il cappuccio. Poi con un gesto secco se lo tirò giù, liberando i morbidi riccioli d’oro.

I suoi occhi scuri saettarono dalla ragazza al suo scagnozzo. “Ho un altro compito per te.”

Lui chinò subito il capo, pronto a ricevere l’ordine.

“Andrai in casa e distrarrai Dean.” Dispose pratica, mentre si frugava nelle tasche alla ricerca di qualcosa. Dopo un momento tirò fuori un pezzo di carta e una penna. “Ci occorre un vantaggio se vogliamo arrivare a Bran prima di lui.”

“Sì, Milady.” Annuì, pronto ad andare.

“Connor.” Lo richiamò prima che uscisse dal fienile. “Non fargli troppo male.”

Per tutta risposta il vampiro ghignò, tirandosi sulla testa il cappuccio del mantello e uscendo sotto il diluvio.

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Capitolo 8
*** Bran - 01 ***


Bran - 01

Claire aveva i nervi a fior di pelle. Lei e Dean giravano per le segrete da quelle che le sembravano ore, senza nessun risultato. Di sicuro qualcuno doveva aver scoperto che non era più nella sua cella e probabilmente stavano già venendo a cercarla. L’ansia le attanagliava lo stomaco così forte che faceva fatica a respirare. Il solo pensiero di tornare in quella torre la terrorizzava.

“Da questa parte.” Le indicò Dean, proseguendo per l’ennesimo corridoio, identico a tutti i precedenti.

Claire accelerò il passo, tentando di raggiungerlo, ma la fretta di Dean di trovare gli altri e lasciare quel posto infernale sembrava se possibile ancora più forte della sua. Di lì a poco, infatti, fu sufficiente arrivare a un crocevia per perdersi di vista.
Riprendendo fiato per la corsa, Claire si guardò intorno, tenendo bene aperte le orecchie alla ricerca di un qualsiasi rumore che le indicasse la via, ma tutto quello che sentì era il sangue nella testa che pulsava. “Dean?” chiamò con voce tremante, non ottenendo risposta.

Consapevole di stare per avere un attacco di panico, decise di provare a calmarsi e tentare per uno dei corridoi che le si aprivano davanti. Sempre meglio che starsene ferma in attesa che qualche vampiro la trovasse.
Camminando lungo il cunicolo l’aria si faceva sempre più fredda e Claire rabbrividì stringendosi nel mantello. Come diavolo era finita in quella situazione? Non poté fare a meno di pensare. Quella avrebbe dovuto essere la sua ultima estate di totale relax prima del college. Avrebbe dovuto pensare solo a divertirsi, all’abbronzatura e ai party in spiaggia e non a scappare dalle grinfie di un maniaco psicopatico che abitava in un castello da film horror. Si maledì per non aver usato quella padella per i waffle quando era il momento e aver dato retta a quello stupido Dean, assecondandolo nel suo folle piano invece di chiudergli la porta in faccia. Stupido Dean che non si era minimamente preoccupato se lo stesse ancora seguendo oppure no, lasciandola da sola nel labirinto della morte.

“Maledizione…” mormorò con le lacrime agli occhi. Proprio mentre stava pensando che sarebbe rimasta a girovagare in quelle segrete per sempre, un fruscio attirò la sua attenzione.

–Dean!- fu la prima cosa che pensò, rimangiandosi subito tutte le cattiverie di poco prima, ma qualcosa le disse che non si trattava di lui.

Mossa dalla curiosità, seguì la fonte del rumore. Girò per un altro paio di corridoi, intravedendo qualcosa, un abito o una cosa simile, ma non ne era sicura.
Fu solo quando svoltò per l’ultima volta che quasi le venne un infarto. C’era una donna davanti a lei, con abiti cinquecenteschi e una folta chioma di capelli corvini. Era diafana, incorporea e illuminata da una strana luce argentea. Un fantasma.

La ragazza le dava le spalle e quando si girò Claire la riconobbe all’istante. “Elizabeth?” domandò scioccata.

“Devi andare via Claire. Non puoi restare qui.” La sua voce, come un eco lontano, rimbombò sulle pareti del corridoio. Poi con un movimento repentino, il fantasma le si avvicinò, finendo a pochi centimetri dal suo viso. “Non permettere che lui ti prenda.”

Un brivido freddo corse lungo la schiena di Claire. La sua sembrava più una richiesta disperata che un ordine vero e proprio. “Ma…i miei amici…” balbettò, confusa.

Gli occhi azzurri di Elizabeth si piantarono nei suoi, più determinati che mai. Stava per dire altro, ma un rumore di passi alle loro spalle la spaventò. “Scappa Claire!” urlò.

All’improvviso un forte vento gelido la spinse all’indietro, facendola cadere per terra. Il corridoio venne illuminato a giorno da un getto di luce argentea e poi, così come era cominciato, tutto finì.
Claire si tirò su, poggiandosi sui gomiti. Elizabeth era sparita e il corridoio era ripiombato nella semioscurità. Il vento le aveva scompigliato i capelli, così si portò una ciocca dietro un orecchio, ancora scioccata e confusa al tempo stesso. Era stato tutto così veloce…

“Claire!”

La voce di Dean la riportò alla realtà.

“Che fine avevi fatto? Ti ho cercata dappertutto.” La rimproverò, aiutandola ad alzarsi. Poi notò la sua espressione e si calmò. “Che ti è successo? Sei pallida…”

Claire non era del tutto sicura se quello che aveva visto fosse accaduto realmente o solo nella sua testa, perciò preferì tenerselo per sé. “Sto bene, sono solo scivolata.”

Dean annuì e sembrò crederle, o comunque era troppo preso da altro per preoccuparsene. “Andiamo. Credo di averli trovati.” disse risoluto, facendole poi segno di seguirlo.

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Capitolo 9
*** Bran - 02 ***


Bran – 02

Nel silenzio dello studio in cima alla torre, Byron attendeva paziente che il suo Signore gli dicesse il motivo della convocazione. Naturalmente lo conosceva già e sapeva che ci sarebbe stata ancor prima che Dustin lo informasse, vista la velocità con cui le voci correvano nel castello. Quanto accaduto quella notte era arrivato alle sue orecchie in poco tempo, ora però restava solo da capire quali conseguenze avrebbe avuto sulla sua vita.
Nickolaij sedeva di fronte a lui, alla sua scrivania, con il mento appoggiato sulle nocche e lo sguardo fisso di chi ha la testa invasa da mille pensieri. Al suo arrivo lo aveva trovato in quella posizione e da allora non si era mosso di un millimetro.
Quando finalmente si riscosse, prendendo un bel respiro per calmarsi, Byron trasalì appena, colto alla sprovvista.

“Ora che la ragazza è fuggita, come pensi di risolvere il nostro problema?” gli chiese in tono fermo, senza guardarlo.

Il fatto che apparisse così rilassato non significava che dentro lo fosse altrettanto, Byron lo sapeva bene. Viveva al suo fianco da secoli e avrebbe potuto leggere il suo stato d’animo in ogni gesto, in ogni singola reazione, anche minima, perfino nell’intonazione della voce. Ciò che aveva da riferirgli non erano buone notizie, ma si schiarì la gola e si preparò a rispondere con la solita pacatezza. “Mio Signore, purtroppo gli ultimi eventi hanno compromesso i nostri piani nel breve periodo. L’eclissi è ormai alle porte e senza la ragazza…”

“Lo so già questo!” Nickolaij sbatté con violenza il pugno sul tavolo, interrompendo i suoi tentativi di risollevare la situazione.

Poco dopo sembrò rendersi conto di aver ecceduto e ritrovò la compostezza, raggiungendo in pochi passi la finestra alle sue spalle e prendendo a guardare fuori. “Dimmi qualcosa che non so…” aggiunse in un sussurro.

Byron era abituato a quei repentini sbalzi d’umore, ma doveva ammettere con se stesso che ogni volta si sentiva gelare il sangue nelle vene. Comunque, non gli riuscì difficile conservare la calma. In tutti quegli anni, aveva imparato che era la sua arma più preziosa. “La prossima eclissi lunare sarà più o meno tra sei mesi, secondo i miei calcoli.” lo informò.

La replica giunse dopo un breve silenzio. “Dunque abbiamo sei mesi per ritrovarla.” constatò Nickolaij. “Ancora sei mesi…”

“Mio Signore…”

“Sono stanco.” lo interruppe ancora. “Tu più di tutti dovresti saperlo.”

Il modo in cui sottolineò quell’ultima frase, a denti stretti e con lo sguardo fisso sul suo amato roseto, fecero capire a Byron che ormai per lui sarebbe stato faticoso aspettare anche solo qualche giorno. In fondo, cos’erano sei mesi? Niente e allo stesso tempo un’eternità. Avevano atteso secoli che si presentasse l’occasione giusta e, ora che finalmente avrebbero potuto porre fine alla sua condanna, la chiave di tutto non faceva che scivolare loro dalle mani.
Dal canto suo, anche Byron era frustrato di dover rimandare ancora. Ormai si era votato a quella causa, ci aveva creduto con tutte le sue forze, così come credeva che Nickolaij li avrebbe condotti alla gloria.

“Guardate il lato positivo. Almeno abbiamo catturato il traditore Dean e i suoi nuovi amichetti umani.” disse per tirarlo su di morale. “Sono certo che sapranno dirci qualcosa di utile.”

Al solo sentire quel nome, la mascella di Nickolaij si contrasse pericolosamente. “Quel miserabile…” mormorò, pieno di frustrazione. “Lo farò pentire anche solo di aver pensato di lasciare la mia Congrega. Dove si trova adesso?” I suoi occhi saettarono dalla finestra a Byron nel giro di un istante.

“Gli uomini lo hanno trovato nella foresta, privo di sensi. Al momento lui e gli altri sono nella torre ovest.”

Il suo Signore annuì appena. Da quella distanza, Byron poteva vedere uno scintillio in quelle iridi cerulee che non prometteva niente di buono. Era come se un nuovo cammino si fosse dipinto dinnanzi a lui e Nickolaij non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di percorrerlo.

“È lui il responsabile di quanto è successo, insieme a quegli incompetenti che si sono fatti scappare tre ragazzine da sotto il naso. Anche loro la pagheranno, ma ora sarà bene concentrarsi sul traditore. Dean pagherà i suoi errori con la vita, rimpiangerà di avermela portata via.” sentenziò determinato.

Byron non ebbe certo bisogno di ulteriori chiarimenti per capire che per Dean l’ora della fine sarebbe arrivata tutt’altro che presto e che Nickolaij gli avrebbe fatto soffrire le pene dell’inferno, prima di concedergli la morte. Per qualche strano motivo l’idea lo allettava, anche se non aveva mai amato molto le manifestazioni di violenza.

Di lì a poco qualcuno bussò, troncando la conversazione.

“Cosa c’è ora?” gridò Nickolaij di rimando, infastidito dal rumore ma ancor più di essere stato interrotto.

La porta si aprì lentamente e il volto magro e intimidito di Dustin fece capolino da fuori. “Mi avete fatto chiamare, mio Signore?”

“Ah, sì.” Lui allora parve ricordarsi e gli fece cenno di venire avanti. “Notizie di Rosemary?” gli chiese in tono secco, quando si trovarono faccia a faccia.

“No, Signore. Milady è ancora nelle sue stanze. È probabile che non si sia ancora ripres…”

Byron però si aspettava che delle sue condizioni di salute a Nickolaij importasse ben poco, visto che era stata lei la causa dello sfacelo della notte prima, quindi non si stupì quando le parole del vampiro vennero bloccate sul nascere.

“Non mi interessa se è agonizzante, manda qualcuno a dirle che voglio vederla nella sala del trono. A costo di dovercela portare di peso.” ordinò Nickolaij sbrigativo.

Il suo sguardo magnetico, che fino a quel momento si era concentrato su  Dustin, tornò a fissare un punto imprecisato della parete alle sue spalle. “È giunto il momento per lei di rendere conto delle sue azioni.”

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