Childhood's end | di pabbeyrene

di _Madame_
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Crepuscolo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Vespro ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Crepuscolo ***


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Titolo: Childhood's End
Autore: pabbeyrene
Traduttore: _Madame_
Fandom: Bloodborne (Videogioco)
Data di pubblicazione: 19/10/2017 su Archive of Our Own (Ao3)
Rating: Arancione
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico
Tipo di coppia:
Note: Alternative Universe (AU)-Canon Divergence, Canon-Typical Violence, Traduzione, What if? (Fix-it of Sorts)
Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Personaggi: Altri, Djura, Eileen il Corvo, Figlie di Gascoigne
Trama: Un tempo i cacciatori erano un fiero gruppo di fratelli d’arme; un tempo la piaga sembrava contrastabile. Quei giorni sono passati da tempo, ormai. Nel caos di una città collassata su se stessa, due bambine sono state lasciate sole e spaventate. Ma due degli ultimi cacciatori rimasti cono decisi a salvarle – a consegnarle alla luce del sole prima che la putrefazione e la rovina di Yharnam inghiottano tutti loro.


Note dell’autrice (pebbeyrene)
Se presumete che Henryk sia il “Nonno” delle bambine – cosa che io credo – senza tuttavia essere un parente biologico – cosa che io credo pure – allora perché anche gli altri cacciatori non avrebbero dovuto essersi guadagnati un ruolo all’interno della famiglia Gascoigne?
Non penso vi sia molto materiale nel gioco a supportare la mia versione sul passato dei cacciatori, ma nemmeno che possa demolirla. Nel mettere insieme la fic ho mantenuto le parti della lore di mio interesse, riducendo quelle che non lo erano. Non credo, perciò, che questo sia il modo “corretto” né il più supportato di interpretarla; si tratta solamente di una lettura a mio parere interessante che mi è stata d’aiuto nel raccontare questa storia in particolare.
Aggiornamenti mensili.


Note della traduttrice (_Madame_)
Inizio col ringraziare di cuore tutti voi che avete deciso di dare una possibilità a questa splendida fanfic. Si tratta della mia prima traduzione in assoluto, perciò se pensate che qualcosa strida non fatevi problemi a riferirmelo, anzi! Tutti i consigli sono (più che) ben accetti!
Vi avverto fin da subito che la pubblicazione dei vari capitoli potrebbe risultare un po’ (tanto) lenta, poiché tra impegni vari e le mie strambe pignolerie ne uscirà fuori una quaresima – ergo, rispetto a quanto affermato da pabbeyrene, non aspettatevi aggiornamenti mensili.
Per il resto, vi auguro una buona lettura. Spero che questa storia possa intrigarvi tanto quanto ha intrigato me.
Qui il link della storia in lingua originale https://archiveofourown.org/works/12404403
e quello del profilo dell’autrice https://archiveofourown.org/users/pabbeyrene/pseuds/babbeyrene
Se siete iscritti su Ao3, vi invito caldamente a leggere, commentare e supportare la storia.




Childhood’s End di pebbeyrene

Traduzione a cura di _Madame_



Capitolo 1: Crepuscolo



Il sole non era ancora tramontato, eppure era come se la notte fosse già iniziata: l’aria era pregna della morbosa energia che caratterizzava la caccia.

E ciò che Eileen aveva udito sgattaiolare dietro l’angolo non era una belva.

L’età non aveva ancora attenuato il suo udito, e il suo istinto era ben affinato. Sapeva come distinguere le belve dagli uomini. Le porte intorno a lei erano già serrate strette, tutte le persone rispettabili si erano arroccate al sicuro nelle loro case, così Eileen snudò le sue lame; ma lentamente, con cautela, ricordò a se stessa. Non sarebbe stata la prima volta che una povera anima indifesa si ritrovava intrappolata sulla strada con la notte ormai prossima.

Girò l’angolo. Vuoto: un vicolo cieco, con alte bare accatastate disordinatamente, che proiettavano le loro larghe ombre nella pallida luce. Nessuno in vista. Uno dei feretri era accasciato sul lato, quasi in orizzontale, e non era chiuso.

«Ah, in tal caso» disse Eileen. «Vieni fuori, adesso: non ti farò del male se tu non cercherai di farne a me.»

Non diede alla sua preda il tempo di coglierla di sorpresa. Spalancò il coperchio, trovando due spaventati occhi marroni che la fissavano da un visetto familiare.

Le ci volle un attimo per superare lo sbigottimento.

«Di tutte le cose che si potrebbero trovare in una bara» riuscì finalmente a dire. «Adele Gascoigne, che diamine hai combinato?»

«Zietta Eileen!» La voce della bambina s’incrinò di sollievo. «Non sapevo chi stesse arrivando. Ero così spaventata » Si arrampicò affannosamente fuori dalla bara vuota, aggrappandosi alle braccia di Eileen in cerca d’equilibrio; la cacciatrice si premurò di tenere le sue lame a distanza. Una volta che Adele si fu messa in piedi, le rinfoderò stringendo il polso della bambina.

«Ovvio non sapessi chi stesse arrivando. Che ti è saltato in mente, ragazzina, uscire da sola nella notte della caccia? Dov’è tuo padre?»

«Non lo so,» rispose Adele. Allungò la mano libera aggrappandosi al mantello di piume di Eileen, quasi temesse di vederla volare via. «Non è rincasato, e Mamma è uscita a cercarlo, però non è più tornata, ed è ormai passato un secolo temevamo si fosse persa da qualche parte, chiusa fuori, stavo andando a chiedere ai nostri vicini se l’avessero vista, sentire se stesse tornando indietro o vedere se riuscivo a trovare il Nonno o o » Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre gli spaventi della serata emergevano in lei.

Eileen a malapena se ne accorse. Gascoigne scomparso – non poteva significare nulla di buono, non con la piega che aveva preso in quegli ultimi mesi.

Provò a pensare se avesse visto qualche traccia di lui, ma quella sera era concentrata su altre prede. Un cacciatore delirante era un pericolo per se stesso, ma per Viola che era andata a cercarlo – doveva esser stata veramente sconvolta, tanto sconvolta da abbandonare il suo solito buonsenso. La donna sapeva come usare un’arma da fuoco, ma si era sempre rifiutata di farsi insegnare altro dagli amici di suo marito, non volendo essere coinvolta oltre nel mondo della caccia. Eileen ne aveva rispettato la decisione, a patto che Viola imparasse abbastanza da tenersi lontana dal pericolo. Ma ora… Gascoigne svanito, probabilmente mutato, sua moglie sola e quasi del tutto indifesa con la notte della caccia alle porte: e due bambine lasciate indietro.

«Calmati, adesso,» disse Eileen dando ad Adele una gentile scrollata. «Calma. Dov’è tua sorella?»

«A-a casa. Le ho detto di a-aspettare, di non far entrare nessuno.» Adele tirò più volte su col naso.

«D’accordo. Torniamo a casa e vedremo cosa potrà essere fatto. Andiamo, adesso. Non aggrapparti a me in questo modo – Non sarò in grado di raggiungere le mie lame.»

Ma le strade erano abbastanza tranquille, a quell’ora, e la casa era vicina. Solo in un’occasione, in un vicolo, videro muoversi qualcosa e sentirono ansare, un inumano respiro, ma sgusciando via velocemente la cosa non le seguì. Adele le veniva dietro tenendo di nascosto un lembo del suo mantello. Ad Eileen non piaceva essere impacciata, seppur così lievemente, ma tenne a freno la lingua.

Adele la spinse via dalla porta principale una volta che ebbero raggiunto la casa della sua famiglia.

«Ho detto a Laure di non lasciare entrare nessuno che bussi alla porta» disse. La condusse invece ad una finestra laterale, e picchiettò sul vetro.

Laure doveva esser rimasta in attesa lì vicino, perché le rispose quasi subito.

«Addie?»

«Sono io, Laure. Ho trovato Zia Eileen. Apri la porta.»

Poterono sentire la sedia raschiare sul pavimento appena Laure si precipitò fuori dalla stanza. La ritrovarono alla porta e Adele si preoccupò di richiudere tutte le serrature non appena furono scivolate all’interno.

«Zietta Eileen!» esclamò Laure cercando le mani della cacciatrice per aggrapparvisi.

«Ciao, piccolina. Lasciami togliere la maschera.» Le bambine si erano preoccupate d’aver cura dei bastoncini d’incenso nell’ingresso e la casa era piena del suo intenso profumo; avrebbe potuto fare a meno della protezione della sua maschera per qualche istante.

«Tu sai dove sono Mamma e Papà?» chiese Laure.

«No, Laure. Non sapevo nemmeno che fossero scomparsi. Quando li avete visti per l’ultima volta?»

Adele serrò l’ultimo chiavistello, alzandosi in punta dei piedi per raggiungerlo. «Papà se ne è andato per l’ultima caccia e non è più tornato. Mamma è uscita questa mattina, dicendo che ci avrebbe contattato per l’ora di pranzo. Ma non l’ha fatto, e tutti i servitori se ne sono andati, e loro ci avevano assicurato che ci avrebbero informate qualora avessero saputo qualcosa, ma non abbiamo ricevuto notizie da nessuno per tutto il giorno.»

«Capisco.» Il cipiglio di Eileen s’incupì ulteriormente. «E come vi è sembrato vostro padre, in questi ultimi giorni?»

Entrambe le bambine rimasero per un po’ in silenzio, prima che Laure dicesse finalmente: «Strano.»

Adele andò dalla sorella prendendola per mano. «Zia Eileen, cosa dovremmo fare? La casa è sigillata ma abbiamo già usato un sacco d’incenso. E le belve si sono fatte così vicine, l’ultima volta, e ce n’erano così tante...»

Eileen guardò le due bambine, una di fianco all’altra, i loro volti pallidi e supplicanti: Adele con i suoi capelli chiari e il vestito in ordine, e Laure, luminosi boccoli castani ad incorniciarle le guance paffute. Sembravano le santerelle protagoniste di una qualche storia per ragazzini ostinati, le bambine ubbidienti con i genitori e che recitavano le loro preghiere e per questo venivano ricompensate, mentre Wicked Winifred1 si rimpinzava di dolcetti morendo per il sangue cinereo.

Non poteva lasciarle lì. Sarebbero potute star bene, rannicchiate per tutta la notte e a togliere i catenacci dalle porte al sorgere del sole; ma se fosse successo qualcosa, se l’incenso si fosse esaurito, se le belve si fossero fatte più audaci… Adele aveva appena undici anni, Laure non ancora otto. Non ci si poteva aspettare che fossero in grado di difendersi da sole o saper far fronte ad una qualche emergenza.

Ma Eileen aveva del lavoro da svolgere quella notte. Poteva quasi sentire il sole strisciare più in basso nel cielo, assaporare la crescente follia nell’aria. Aveva un bersaglio – forse due, adesso – e in una notte già così problematica, sicuramente ne sarebbero spuntati altri. Non poteva tenere le bambine con sé.

«Avete dei vestiti più scuri?» Chiese, osservando il vestito bianco di Laure e quello grigio pallido di Adele. «Quelli rifletterebbero la luce.»

«Abbiamo i nostri abiti da lutto, quelli del funerale di nostro nonno», disse Laure. «Il nostro vero nonno, non il Nonno» chiarì, come se Eileen potesse altrimenti convincersi che Henryk fosse morto da oltre un anno.

Se solo.

«Indossateli, veloci. Pettinatevi i capelli all’indietro e vedete se riuscite a trovare della cenere per sporcarvi il viso.»

Laure si avviò verso le scale, stringendo ancora la mano della sorella, ma Adele si voltò. «Stiamo uscendo di casa?» Chiese. «Dove stiamo andando?»

«Non ho ancora deciso. Andate, adesso.»

Sparirono su per le scale ed Eileen si mise al lavoro.

Spalancò le porte del salotto. Una piccola lanterna bruciava vicino alla finestra, il posto di guardia di Laure; Eileen la spense gettando la stanza nelle ombre nere e oro del crepuscolo. L’aria era densa e pesante poiché porte e finestre erano state serrate, ma tutto era pulito, ricoperto solamente da un sottile strato di polvere, e le ricordava molto gli anni in cui quella casa era stata un vivace luogo di ritrovo notturno per ogni genere di cacciatore.

Viola aveva sempre accolto di buon grado il costante flusso di cacciatori nella sua piccola fortezza ordinata, lasciandosi sfuggire un sospiro solamente quando questi le si sedevano sulla mobilia con gli abiti insanguinati. Nelle notti della caccia spesso congedava i servi restando ad aspettare da sola per tutta la notte, facendosi trovare con un buon stufato denso pronto all’alba. Partecipava a tutti i loro incontri, ascoltava attentamente, facendo domande e discutendo con il resto di loro. Sebbene si fosse rifiutata di prender parte alla caccia, aveva insistito sul fatto che lei avrebbe saputo cosa faceva suo marito e avrebbe avuto voce in capitolo.

La casa dei Gascoigne non era l’opzione più ovvia per un punto di raduno. L’imponente prete dava sovente l’impressione d’essere nient’altro che un bruto. Eileen stessa era rimasta spesso sorpresa quando invitata nella casa l’aveva trovato concentrato sulle sue scritture, il libro sacro come rimpicciolito tra le sue gigantesche mani. Ma le riunioni avevano dimostrato come lui fosse un uomo di vivaci opinioni.

Ricordava bene una notte – una notte all’inizio della fine, ripensandoci a posteriori – quando il rispettoso dibattito sulla piaga dilagante si era trasformato in un infiammato litigio, come sempre più spesso era solito succedere in quel periodo. Gascoigne, furioso, quasi ruggendo, aveva brandito il suo testo sacro; Djura, parimenti irritato, già ben oltre il baratro della sua stessa follia, glielo l’aveva schiaffeggiato via di mano. Per un attimo era sembrato stessero per venire alle mani – poi la porta della cucina si era spalancata, e lì vi era la piccola Laure Gascoigne. Una mano sull’uscio, l’altra sul fianco, aveva freddamente ispezionato la stanza piena di assassini sanguinari e detto, con l’innocente audacia propria di un bambino che ha trovato una solida scusa per rimproverare i grandi: «Potreste voi tutti abbassare la voce? Adele non riesce a dormire, e mi farete venire gli incubi.»

Gascoigne si era affrettato a riportare la figlia a letto, mentre Djura era sgattaiolato fuori dalla porta sul retro prima che lui tornasse. Ma, da allora, se il tono delle voci si era abbassato, i conflitti tra loro non avevano fatto che crescere. La piaga si diffondeva rapidamente, le bestie crescevano in audacia e mostruosità; le cacce erano più frequenti e le notti più lunghe. Sempre più cacciatori si erano arresi al richiamo del sangue. Ad ogni nuovo raduno, Eileen poteva sentire su di sé le occhiate diffidenti degli altri cacciatori, fissarla quando convinti che il suo sguardo fosse altrove, quasi si aspettassero di vedere il sangue dei loro compagni grondare ancora dai suoi vestiti. Gli incontri a tarda notte, un tempo fonte di faticato cameratismo, si diradarono, diventarono meno frequenti, più rabbiosi. Finché non cessarono definitivamente.

Eileen poteva sentire i passi di Laure e Adele al piano di sopra. Dove portarle? Chi era rimasto? Di chi poteva fidarsi?

Andò in cucina, ricordando la notte in cui una bambina in camicia da notte li aveva involontariamente salvati da uno spargimento di sangue. Non aveva più visto Djura da che era scomparso dentro Old Yharnam, anche se le era capitato d’udirlo, una volta o due, mentre inseguiva i suoi bersagli attraverso il quartiere abbandonato. Quella sua torre poteva essere uno dei luoghi più sicuri della città, a patto che tu riuscissi a raggiungerla; e poi lui aveva conosciuto le bambine, si era preso cura di loro, come tutti loro del resto. Non aveva tenuto troppo in conto il vecchio pazzo, ma poteva fidarsi di lui? Suppose in un certo senso di . Si fidava di lui quanto ci si sarebbe potuti fidare di un orologio guasto: lei non aveva mai controllato il suo orologio interiore, ma sapeva esattamente cosa voleva fare, quando e perché.

Eileen sentì dei passi scendere le scale, e tornò nell’ingresso per riunirsi alle bambine. Chiaramente erano riuscite a trovare i loro abiti da lutto, sebbene i vestiti vecchi di un anno sembrassero stretti per entrambe, e gli orli più corti del dovuto – tuttavia, perlomeno, si sarebbero potuti rivelare una benedizione qualora avessero dovuto muoversi velocemente. Si erano legate i capelli e sporcate il viso di cenere, come da istruzioni, sebbene Laure sembrasse aver preso l’incarico con più entusiasmo della sorella, e si fosse sporcata con più cura: aveva le mani ancora nere. Eileen si sfilò i guanti, grattò via un po’ di cenere dalle mani della bambina passandone in buona misura sui lunghi capelli chiari di Adele.

«Ecco, fatto. Sarai più difficile da individuare in questo modo. Vi ricordate di Djura? Stiamo andando nella parte vecchia della città, per trovarlo. Sarete al sicuro con lui finché non sarà mattino.»

«Zio Djura?» chiese Adele. Il suo viso s’illuminò per un attimo, a buona ragione: Djura non era riuscito a rovinare le due giovani Gascoigne corrompendole durante de sue visite, ma certo non era stato per mancanza di tentativi.

«Ha costruito il suo covo in un’alta, vecchia torre orologiaia nel quartiere vecchio,» disse Eileen. Si rimise la maschera, stringendola bene. «Statemi accanto, bambine, e fate silenzio.»

«E tu cercherai Mamma e Papà, non è vero, Zietta Eileen?» chiese Laure.

«Lo farò. Lo prometto.» Eileen aprì i chiavistelli e le serrature della porta, accompagnando le bambine fuori sui gradini. Adele agguantò nuovamente il suo mantello; Laure le si accoccolò contro.

«Papà ha detto che Zio Djura è impazzito,» disse Laure, con la stessa limpidezza con cui avrebbe potuto dire, Papà ha detto che Zio Djura è partito per un lungo viaggio ai tropici.

«Sì, beh,» disse Eileen, «Tutti indossiamo la follia in modi diversi. Non avete nulla da temere da lui.»

«Lo so,» disse Laure, suonando leggermente offesa.

«Venite, allora.» Eileen prese ciascuna bambina per le spalle, conducendole nell’oscurità.



Eileen udì la belva appena in tempo. Spinse le ragazze dietro di sé con una mano mentre con l’altra fendeva l’aria con la lama. Parò l’attacco della belva, affondando nella pelle e nei muscoli appena sotto la sua gola e facendola cadere all’indietro. Una piccola parte allertata della sua coscienza sentì le bambine sbattere contro la soglia alle sue spalle: quindi salve, per il momento, perciò scattò in avanti attaccando prima che la cosa potesse trovare un punto d’appoggio. Tre tagli netti sul collo: e poi ci fu silenzio.

Rimase immobile, ansando, tutti i sensi allerta. Solo adesso riconosceva esattamente cosa le avesse attaccate: una delle enormi creature-lupo, il tipo che era solito muoversi in branco. C’erano diversi vicoli scuri che si connettevano al cortiletto che stavano percorrendo, offrendo molti punti bui nei quali un’altra belva avrebbe potuto nascondersi. Aspettò, orecchie tese, ma non udì nessun altro movimento, ed infine tornò dalle bambine.

Erano rannicchiate sulla veranda, gli occhi sbarrati, strette l’una nelle braccia dell’altra.

«È morto?» sussurrò Laure.

«Sì. È morto.»

«Ti ha morsa?»

Un attimo di confusione: poi Eileen ricordò che la cosa aveva cercato di chiudere i denti attorno al suo braccio, mentre la stava finendo. Nella foga del momento non ci aveva fatto caso. Esaminò l’arto sinistro: la manica era strappata e zuppa di bava, ma poteva affermare con certezza che la belva non aveva scalfito la pelle.

«No. So bene. E anche fosse ho sangue a sufficienza per rimediare al peggio,» disse, toccando le fiale che aveva allacciate in vita.

Lo sguardo di Adele era fisso sul cadavere. «È arrivato così velocemente,» sussurrò. Si rimise lentamente in piedi tirando sua sorella su con sé. «Ce ne sono altri?»

«A Yharnam? Sì, molti.» Eileen sapeva non essere ciò che Adele stava chiedendo, ma era turbata. Le creature-lupo erano semplici animali, al di sotto degli effetti della piaga; non era solita vederle per le strade prima della mezzanotte – non lì nel distretto centrale, e certamente non con il sole ancora alto nel cielo. Negli ultimi tempi le cacce si erano fatte sempre più caotiche ed imprevedibili, ma non aveva mai visto nulla del genere. Avvertì il gelo attanagliarle il petto e lottò per scacciarlo.

«Non ne avverto altri in giro,» disse ad Adele, «ma dovremo stare molto più attente proseguendo.»

«Quanto lontano?» chiese Laure.

«Tanto ancora. Tuttavia –» Eileen si fermò, riflettendo «– potrebbe esserci una via più veloce. Venite, adesso, veloci, prima che ne arrivino altri.»

Adele stava ancora fissando la belva maciullata con repulsione mista a fascino; la sua faccia era pallida sotto la cenere. Era certamente uno spettacolo orribile – i denti digrignati in un ringhio e viscidi del sangue della creatura, gli squarci nella sua gola divelti a rivelare strati di carne e scorci di osso bianco e rosa. Queste cose avevano smesso da tempo di disturbare Eileen, o anche solo di attirarne l’attenzione; ma le sembrò di rivedersi attraverso gli occhi di Adele. Non aveva alcun senso coccolare le bambine, ovviamente, eppure…

«Adele,» disse più bruscamente di quanto intendesse «vieni, andiamocene.»

Laure era già accanto ad Eileen cercando di afferrarle il braccioma lei sfilò via la mano, velocemente, guardando la striscia di sangue sul suo palmo.

«Oh,» mormorò.

«Sì,» disse Eileen, «è sangue, mi aspetto d’esserne ben ricoperta; sii contenta che si tratti del suo e non del mio. Questo è ciò che fanno i cacciatori, piccola, incluso tuo padre. È un lavoro spietato, ma dev’essere fatto.»

«Lo so» disse coraggiosamente Laure.

«Silenzio, allora, entrambe, e seguitemi.»

Le bambine avevano avuto ben poco di che rallegrarsi in precedenza, ma in quel momento il loro silenzio aveva acquistato una sbalorditiva solennità. Eileen le guidò fuori dal cortile, attraverso una piazza e giù per una rampa di scale, i suoi sensi si sforzavano di rilevare il minimo rumore o movimento tra le ombre. Arrivarono ad un cancello arrugginito incassato in un muro, abbastanza largo perché un adulto potesse attraversarlo solamente stando a carponi. C’era un lucchetto, ma Eileen lo sapeva da tempo arrugginito e rotto; aprì il cancello ottenendo ben poca resistenza.

«Passeremo attraverso le fogne,» disse. «In questo modo possiamo accorciare un percorso altrimenti più lungo. State vicine e seguitemi, adesso.» Era una scommessa, ma Eileen si sentiva sicura delle probabilità: se disgustose belve suppuravano in alcuni degli angoli più oscuri dell’elaborato sistema fognario di Yharnam, i percorsi principali erano generalmente tenuti puliti dai cacciatori che li usavano per muoversi rapidamente attraverso la città. C’era un tratto che avrebbe permesso loro di tagliare dritto attraverso le altrimenti labirintiche strade soprastanti. Avrebbero potuto dimezzare il loro tempo di viaggio e concedere meno opportunità alle belve di sorprenderle.

Eileen accese un fiammifero, e illuminò la lanterna fissandosela con cura alla cintura. Poi si accovacciò attraverso il cancello e prese a gattonare.

«Le fogne?» disse Adele dietro di lei. Eileen poteva quasi sentire in suo naso storcersi.

«Le fogne!» disse Laure, entusiasta per l’avventura, correndole dietro.

Arrancarono per un breve tratto attraverso i liquami fangosi dell’ultimo temporale, finché Eileen non si diresse ad una scala scendendo. Si erano calate non più della metà quando Laure sopra di lei improvvisamente sibilò: «Oh! Che puzza!»

«È una fogna, Laure,» disse Eileen, quasi divertita. «Non ci si svuota l’acqua di rose.»

L’incenso e le erbe presenti nella sua maschera la proteggevano dall’odore peggiore, ma quando i suoi stivali calpestarono il miscuglio paludoso sottostante, persino lei sentì qualcosa di pesante, umido e nauseante premerle contro il naso.

«Vieni avanti, Laure,» disse Eileen con impazienza; Laure si era fermata sul gradino più basso, con una mano premuta su naso e bocca, ovviamente riluttante ad addentrarsi nella melma.

«Vai avanti, Laure,» sussurrò Adele dall’alto, che aveva usato la pausa per tappasti il naso.

Laure chiuse gli occhi e saltò giù dalla scala, emettendo un piccolo lamento infelice mentre i suoi stivali affondavano. Adele la seguì. Entrambe le bambine ora stavano in piedi con le mani strette sui loro volti, gli occhi pieni di lacrime; improvvisamente Eileen si sentì leggermente in colpa per il fatto d’essere l’unica ad indossare una maschera.

«Non è così brutto una volta che ci si è abituati,» improvvisò, piuttosto scettica riguardo la veridicità della cosa. Le spinse in avanti lasciando il riparo del vicoletto cieco dov’erano scese ed entrando in uno spazio sorprendentemente alto lì avanti. Una volta Eileen aveva conosciuto un paio di cacciatori che sia erano allenati con gli studenti di Byrgenwerth prima d’aver capito di preferire il brivido della caccia; non erano riusciti a lasciarsi alle spalle il mondo accademico, e Eileen ricordava vagamente il loro vaneggiamenti sul come le fogne fossero un eccellente esempio della stratificazione archeologica di Yharnam, essendo state catacombe un tempo, e forse ancor prima luoghi rituali sacri. Eileen non aveva prestato molta attenzione. Quei due non erano durati molto a lungo.

Se quella parte delle fogne era fortunatamente aperta, con pochi angoli bui nei quali avrebbero potuto annidarsi delle belve, l’odore non era migliore, e Laure aveva preso a piagnucolare man mano che s’immergevano sempre più nelle profondità di Yharnam.

«Non potremmo...» iniziò col dire, quando improvvisamente emise un verso strozzato, in preda al panico perdendo l’equilibrio. Adele allungò una mano per afferrarla iniziando a tirare – ad Eileen ci volle un istante per distinguere la figura ricoperta di fanghiglia di un ghoul di fogna con le sue disgustose dita avvolte attorno alla caviglia di Laure. Si lanciò in avanti, estrasse le sue lame e tagliò via la mano dal polso senza pensarci; una volta riacquistati tutti i sensi, guidò il pugnale nella gola della cosa per precauzione. La lama si conficcò ed Eileen fece lefa col suo piede calciando via la cosa; questa volò all’indietro, la testa mezza mozzata dondolava grottescamente.

«Sangue divino,» imprecò Eileen, «maledizione...».

Occhi spalancati, mani premute sulla sua bocca, Laure respirava affannosamente, in preda al panico, inalando maggior aria viziata, la quale non faceva che farla stare peggio – Adele, stretta a sua sorella, le braccia attorno alla vita, guardava disperatamente Eileen. La cacciatrice non si diede il tempo di pensare. Le sue dita corsero alle chiusure della sua maschera, strappandosela via dalla faccia. Il tanfo le fece lacrimare gli occhi, ma la tenne sul viso di Laure – «Ecco, Laure, respira questo, respira» – iniziando ad allacciarla.

«Ne ho solo una –» iniziò a dire ad Adele.

«Dalla a lei,» disse coraggiosamente Adele, «va bene così, Zia Eileen.»

Naturalmente, la maschera era troppo grande, ma Eileen l’allacciò il più stretto possibile tenendola in posizione. Il fetore del liquame era quasi insopportabile, ma alla cacciatrice parve di sentire anche l’odore di qualcos’altro, sotto di esso, qualcosa di rancido e aspro: l’odore della belva.

Te lo stai immaginando, te lo stai solamente immaginando, vecchia stupida, si disse Eileen, cercando d’imbrigliare il crescente terrore. Non ti metterai a ringhiare e sbavare sopo soli pochi minuti.

Tenendo la bocca ben chiusa, Eileen fece un cenno ad Adele ed agguantò Laure; un po’ trascinandola e un po’ portandola, scattò in avanti, Adele al suo fianco, e le tre si misero a correre fuggendo.



1 Wicked Winifred: è un personaggio negativo, incarnazione di tutti i difetti umani, tipico del folklore anglosassone. Agli inizi del XIX secolo nel Regno Unito era comune la letteratura per bambini di tipo moralistico e didattico. L’autrice (pabbeyrene) ha immaginato che anche a Yharnam potessero esserci dei libri scritti per insegnare l’educazione ai bambini, con personaggi positivi, premiati per la loro bontà o negativi che alla fine vengono puniti per i loro crimini. Wicked Winifred è un esempio di quest’ultima categoria di figure narrative.




Note di fine capitolo (di pabbeyrene)
So esserci del dibattito sulla sorella Gascoigne più anziana a causa della sua inquietante linea di dialogo finale. Per quel che vale, penso lei sia chi afferma di essere e non credo volesse realmente che sua sorella si facesse del male. Onestamente non amo particolarmente quest’ultima battuta (penso complichi solamente la storia senza arricchirla). Preferisco leggerla come l’effetto della luna di sangue su di una bambina terrorizzata e segnata dal dolore, e non come l’indice di qualcosa di più sinistro. Un’argomentazione un po’ debole, forse, ma sentitevi liberi di considerarlo un AU se non vi trovate d’accordo. (Beh, un AU più d quello che è già). Ho inserito alcune implicazioni di quella particolare lettura nella mia caratterizzazione di Adele, ma non entreranno in gioco se non un po’ più in là nella storia.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Vespro ***


Campagna di Promozione Sociale – Messaggio No Profit:
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Farai felici milioni di scrittori (© elyxyz)
(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)




Childhood’s End di pebbeyrene

Traduzione a cura di _Madame_



Capitolo 2: Vespro



Le porte di Old Yharnam vibrarono e gemettero quando Eileen spinse il suo peso contro di loro.

Le lasciò aperte quel tanto da permettere a se stessa e alle bambine di scivolarvi attraverso, poi le richiuse di nuovo. Si fermò un momento, appoggiando le mani contro il legno marcio, per riprendere fiato. Non che lì fosse molto più sicuro rispetto all’altro lato della porta, ma le era di conforto sapere d’essersi chiusa alle spalle tutto ciò che avrebbe potuto tender loro un agguato.

Avevano corso in tutta fretta attraverso le fogne ed erano tornate in superficie non appena avevano trovato una scala, coprendo poco più della metà del percorso che Eileen aveva sperato inizialmente. Si erano fermate ad una fontana per lavarsi gli stivali nell’acqua salmastra e riordinare le idee. Era stato sciocco da parte di Eileen perdere la testa, ed era andata avanti a maledirsi mentalmente mentre avanzavano lentamente per le strade. Il ghoul l’aveva colta di sorpresa – non aveva mai visto belve in quella parte delle fogne – ma non era una valida scusa. E lei aveva permesso alla mancanza della maschera di destabilizzarla ulteriormente. La maschera offriva protezione dalla piaga, certo, ma lei cominciava ad aggrapparsi a quell’oggetto come un bambino alla sua coperta preferita, e questo era inammissibile; aveva avuto abbastanza bambini da rendersene conto. Tuttavia, l’aveva nuovamente indossata non appena erano state al sicuro. Domani, aveva giurato a se stessa, domani si sarebbe impegnata per spezzare il suo attaccamento alla maschera: ma prima avrebbero dovuto superare la notte.

Laure e Adele osservavano i cadaveri carbonizzati delle belve con gli occhi sgranati, mentre avanzavano verso il punto panoramico.

«Aspettate, ragazze», le richiamò Eileen. «Non muovetevi.» Scrutò l’orizzonte trovando la vecchia torre, il suo quadrante brillava enigmaticamente negli ultimi raggi cremisi del sole. Non riusciva a distinguere alcuna figura sulla cima, naturalmente, ma non aveva dubbi sul fatto che Djura fosse lì, né che avesse già notato l’invasione nel suo territorio.

«Laure, sta ferma un attimo» si inginocchiò per afferrare per la vita la bambina più piccola e la sollevò, abbastanza in alto da sederla sulla sua spalla; le sue vecchie ossa gemettero per lo sforzo.

«Che stai facendo?» chiese Adele, mentre Laure si lasciava sfuggire un gemito sorpreso.

Eileen teneva lo sguardo fisso sulla torre. «Assicurandomi che Djura veda chi c’è.»

Lei era assolutamente inconfondibile, con il suo mantello e copricapo, ma dubitava che Djura le avrebbe garantito un passaggio sicuro in nome dei vecchi tempi. Dubitava, anche, che fosse in grado di riconoscere le bambine Gascoigne da quella distanza, e dopo così tanto tempo. Ma che le riconoscesse o meno, era certa che il vecchio pazzo non avrebbe mai aperto il fuoco su dei bambini.

Tenne in alto Laure un altro po’. Djura non gridò, perlomeno, probabilmente ancora scioccato dalla vista della loro strana combriccola. Posò a terra Laure e fece un cenno ad Adele.

«Vedete la torre, laggiù? Andremo là. Ovviamente ci saranno belve anche qui – saremo rapide e silenziose, e cercheremo di non combatterle.»

Non appena attraversarono il ponte, Djura finalmente ritornò in sé. La sua voce echeggiò sui tetti: «Eileen! Qualunque cosa tu stia architettando, stai lontana dalle mie belve. Se le ferisci...»

Cosa, Djura? Pensò Eileen. Mi abbatterai, e queste povere bambine con me? Improbabile. Djura non terminò la sua minaccia, consapevole d’esser stato messo all’angolo.

«Perché non vuole che feriamo le belve?» sussurrò Adele.

«Le protegge. Silenzio,» disse, frenando il fiume di domande che vedeva frullarle in testa. Tenne le bambine vicino alle pareti mentre superavano una belva ancora in parte umana. Non appena questa si avventurò più vicina, Eileen afferrò un pezzo di legno da una delle pire ancora in fiamme e la tenne d’innanzi a loro. La belva balzò all’indietro, piagnucolante, emettendo un gemito gutturale e sofferente. Eileen non avrebbe mai capito perché Djura considerasse un atto di clemenza lasciarli in quello stato, barcollanti e deformi, quando un rapido fendente della sua lama avrebbe potuto liberarli per sempre dalla loro miseria.

Tenne sempre le bambine celate lungo i bordi delle strade, trascinandole attraverso vicoli e edifici bruciati per evitare di attraversare i percorsi delle belve che vagavano per Old Yharnam. Non aveva senso inimicarsi Djura, e in ogni caso – beh, le bambine avevano visto abbastanza sangue quella sera da bastargli per il resto della vita. Perlomeno, il quartiere abbandonato era più tranquillo rispetto a quelli superiori: niente urla, risate isteriche, né echi di lame che graffiavano sulla pietra. Solo i lamenti e i ringhi delle belve e il crepitare delle fiamme. La cenere ricopriva ogni cosa. Attutì i loro passi, si posò sui capelli e sulla pelle delle bambine. Eileen tenne loro i colletti sulla bocca dov’era più fitta, per evitare che la respirassero.

Era lì la notte in cui era bruciata. Tutti lo erano. Era stata una mossa disperata, nemmeno poteva definirla una scommessa – non c’erano stati calcoli né valutazioni accurate delle probabilità. Era stato l’attacco delirante di un animale messo all’angolo. Oh, la Chiesa ne aveva fatto un trionfo, l’aveva proclamata una santa e nobile crociata. Ma tutti si erano resi conto che la piaga non stava regredendo, che le belve iniziavano a superare di numero gli uomini – specialmente lì, in quel quartiere maledetto già decimato dal sangue cinereo. E guarda chi ha vinto quella notte, sotto quell’ultraterrena luna rossa, a causa della folle e sanguinaria violenza dei cacciatori: le belve governavano le strade lì, adesso, non gli uomini. Alcuni cacciatori erano morti quella notte, altri erano scomparsi; altri avevano incominciato a spezzarsi. Djura lo era certamente. Tutto per nulla.

Eppure, Eileen ricordava tutto con una certa indifferenza. Ciò che è fatto e fatto. Ci avevano provato, avevano fallito, e poco a poco erano caduti a pezzi. Ciò che trovava più difficile da accettare, ora, era il fatto che avessero sempre creduto di poter strappare una vittoria definitiva e assoluta in quella lotta. Era da tanto che non si aspettava altro che minimi successi: quella guerra infinita tra ordine e caos si riduceva allo schianto delle sue lame contro quelle del suo avversario ebbro di sangue. E anche quelle vittorie su scala umana non erano più così ovvie come un tempo.

Mentre camminavano il sole scivolò sotto l’orizzonte, il cielo si colorò di viola e per le strade le ombre s’infittirono e si allungarono avidamente per inghiottire tutto quel che potevano raggiungere.

Avevano quasi raggiunto la base della torre quando una figura incappucciata emerse dall’oscurità tagliando loro la strada. Eileen imprecò quasi ad alta voce.

«Ferma dove sei» disse l’uomo. La portò all’interno, le bambine accanto a lei. «Cosa ti porta qui?»

Pareva familiare, ma solo vagamente.; sangue nuovo, suppose, arruolato quando ormai tutto stava collassando, non uno dei vecchi veterani che avrebbero frequentato la casa dei Gascoigne. Sapeva che Djura aveva plagiato alcuni devoti alla sua folle crociata, ma non ne aveva mai incontrato uno e nemmeno si era aspettata di trovarsi il passaggio precluso. Doveva essersi ritirato sulla torre quando aveva scoperto la presenza di un intruso.

Tirò le bambine più vicine a sé. «Ho una consegna per Djura.»

«So che genere di consegna rechi, Cacciatore di Cacciatori.»

Eileen rise forte. «È di questo che si tratta? Non ho alcun interesse per il tuo maestro. Finché se ne resta qui buono nella sua tana non è affar mio. Queste bambine sono le figlie di un amico comune e necessitano della sua protezione. Non appena saranno al sicuro, me ne andrò.»

Il cacciatore studiò le bambine cautamente. «Old Yharnam non è posto per bambini.»

«Yharnam non è posto per bambini. Soprattutto stanotte. Non permetterete alla caccia di venire qui – quale posto più sicuro di questo, allora?»

Il cacciatore soppesò le sue parole, i suoi occhi scintillavano da sotto il suo cappuccio mentre guardava Laure e Adele. Eileen pregò che quel genere d’uomo che avrebbe sacrificato la sua vita per la causa di Djura fosse anche quel genere d’uomo che si sarebbe lasciato intenerire da una coppia di bambine spaventate, e silenziosamente sperò che le ragazzine apparissero dolci ed indifese come non mai. Alla fine lui disse: «Parlerò con Djura. Aspettate qui.»

Salì la scala. Le bambine rimasero curiosamente silenziose nell’attesa, schiacciate contro Eileen, le loro teste chine come se la stanchezza avesse avuto il sopravvento su di loro; Adele giocherellò distrattamente con le piume del mantello della cacciatrice. Finalmente il subalterno di Djura fece ritorno.

«Eileen, ha detto che parlerà con te. Lascia qui le bambine.»

«Le bambine vengono con me» rispose Eileen con fermezza. Prima che l’uomo potesse ribattere, approfittò del suo vantaggio spingendole verso la scala. Bella mossa, Djura, pensò. Immagino ti sentiresti molto meno in colpa a scaraventarmi giù dalla torre senza bambini lì a guardare, vero? O forse pensavi che vedere le loro faccine avrebbe reso troppo difficile rifiutare?

Le bambine si allarmarono messe davanti alla scala.

«Fin lassù?» chiese Laure debolmente, allungando il collo.

«Siete delle ragazzi grandi ormai», disse Eileen. «Salite la scala. Avanti – andate per prime, io sarò proprio dietro di voi. Così se doveste cadere avrete un bel atterraggio morbido.»

Non risero, ma Laure si fece coraggio e s’incamminò, Adele la seguì. Salirono ad un ritmo costante, e Eileen le tenne d’occhio controllando che non scivolassero. Quando Laure raggiunse finalmente la cima, si sollevò in un’esplosione d’energia esclamando tutto d’un fiato: «Ti-prego-Zio-Djura-possiamo-stare-quì?»

Eileen si arrampicò subito dietro ad Adele e con qualche sforzo riuscì a rimettere la terra sotto i piedi. Laure si era congelata a metà del tetto, come se avesse iniziato a correre verso Djura ma poi ci avesse ripensato, e Eileen non la biasimò. Tanto per cominciare, il ricordo di lui della bambina doveva essere confuso, e persino ad una rapida occhiata nella luce morente appariva emaciato e in uno stato pure peggiore versava il vestiario: abiti a brandelli e sbiaditi, i capelli scarmigliati. Ovviamente aveva perso la benda sull’occhio e l’aveva sostituita con una fasciatura non troppo pulita. Adele indugiò alle spalle di sua sorella, ugualmente esitante; prese la mano di Laure.

Djura, da parte sua, non sembrò meno sorpreso. «Eileen» disse infine, «che diavolo sta succedendo?»

«Ricordi le figlie di Gascoigne» disse Eileen con calma. Da dietro la maschera scrutò il perforatore che portava sul braccio destro: un’arma goffa, secondo i suoi calcoli, ma Djura non se ne separava mai, e gli spazi stretti lì in cima alla torre gli avrebbero permesso di usarlo a proprio vantaggio. «Gascoigne è sparito, e Viola l’ha seguito. Le bambine erano sole in casa. Ho del lavoro da fare stasera, forse più di quel che credevo: non possono stare con me.»

«Vuoi che le tenga qui?»

Djura spostò rapidamente lo sguardo tra lei, le bambine e il tetto stesso più volte, probabilmente considerandone l’inadeguatezza come asilo.

«Saremo bravissime, Zio Djura» disse Laure sottovoce, insolitamente timida.

«Solo fino al sorgere del sole» aggiunse Eileen.

«E poi cosa?»

«E poi il sole sarà sorto, e le cose potrebbero sembrare diverse. O forse no. Ad ogni modo, tornerò per loro.»

Djura sembrava ancora vagamente scettico, ed Eileen quasi lo compatì: tagliato fuori da ogni umana compagnia per anni, per poi far entrare lei con due bambine al seguito chiedendogli di giocare a far la tata per la notte.

«Ti prenderai cura di loro? Non hanno nessun altro posto in cui andare.»

Ci fu una pausa. Poi, finalmente: «Lo farò.»

L’ultima fievole luce stava lasciando il cielo e gli edifici sottostanti erano avvolti nell’ombra; era ora di andare. Eileen carezzò dolcemente la testa a Laure e Adele.

«Siete state molto coraggiose stasera, entrambe. Date retta a Djura, adesso, vi rivedrò domattina.»

Laure cercò la sua mano. «E tu troverai Mamma e Papà, vero?»

Eileen strinse le piccole dita. «Farò tutto il possibile.»

Prima di ridiscendere la scala, si fermò voltandosi.

«Dovesse succedere qualcosa – potrai trovarmi a Cathedral Ward questa notte.»

Quindi avvolse il suo mantello e scese.



Djura rimase a guardare le sue due responsabilità, rigido e impacciato nella disperata ricerca di qualcosa da dire. Le bambine Gascoigne lo guardavano timidamente, raggomitolate una vicino all’altra come in cerca di calore. Il silenzio si dilatò tra loro, pesante e vuoto, finché lui alla fine non decise di azzerare la distanza e sollevò delicatamente il mento di Adele con la mano libera.

«Allora, che diamine vi ha fatto, eh?» disse. «Sembrate dei piccoli spazzacamini.»

E venne ricompensato da due brevi, esitanti sorrisi.

«Zia Eileen ci ha detto di sporcarci di cenere» disse Laure «Ci rende più difficili da vedere.»

«Ah, ingegnoso.»

Sotto la fuliggine ora riconosceva i volti familiari delle bambine che conosceva da quando erano in fasce. Tempo in cui teneva sempre dei dolci in tasca ogni volta che sapeva sarebbe passato dalla casa dei Gascoigne, infilandoli nelle loro piccole dita cicciottelle quando i loro genitori non stavano guardando. Ma, ora, sembravano un po’ troppo grandi per venir corrotte con un pezzo di liquirizia.

«Vi siete alzate di parecchio da che vi ho viste l’ultima volta» disse, sforzandosi di conversare. «Non fa male, crescere così in fretta?»

«Non ti abbiamo più visto per anni» lo corresse Laure, in tono di rimprovero. «Sei stato qui tutto il tempo?»

«Beh – sì.»

«Perché?» chiese lei.

«Io – Io proteggo le belve.»

«Ma perché?» ripeté lei. «E cos’è quella?» – indicando la Gatling. «E perché è tutto bruciato? E chi era quello sotto?»

Djura, annaspando, non abituato a quel genere di conversazione, guardò impotente Adele.

«Zia Eileen non ci dice mai il perché» spiegò la più grande, a giustificazione di sua sorella. «Ci dice solo di fare cose e poi “Silenzio”».

«Silancio1» disse Laure tranquillamente, imitando l’accento di Eileen.

Adele improvvisamente ridacchiò. «Silancio» ripeté lei. «Silancio.»

Entrambe le bambine presero a ridacchiare, silanciandosi l’un l’altra a turno. C’era un vigore morboso in ciò, una disperata valvola di sfogo per tutte le prove che avevano dovuto affrontare per arrivare fin lì – il che non doveva essere stato poco, pensò Djura, tracciando mentalmente il percorso dalla loro casa fino al vecchio quartiere.

Ad un tratto Adele dominò se stessa, tirando la mano di sua sorella. «Non dovremmo scherzare» disse, combattendo contro il suo stesso sorriso. «Non è carino.»

Ah, piccola seriosa Adele. Djura ricordava ancora quando era una bimbetta grande abbastanza da reggersi a malapena in piedi: Viola la teneva seduta in grembo mentre riceveva gli ospiti in salotto, e Adele li squadrava tutti con la fronte corrugata e un’aria di sospetto. Henryk era l’unico, oltre ai suoi genitori, che riusciva a farla sorridere o ridere; amava afferrare le penne che gli ornavano il cappello. Allora c’era un altro cacciatore, Albert, malizioso, impudente e libertino; frustrato dal successo di Henryk, aveva tentato ogni genere di trucchetto riportato nei libri per ottenere da lei un’identica risposta solo per scontrarsi con un muro di pietra. Avevano ululato dalle risate – Ha capito il tuo gioco, eh? Ragazza sveglia!

E poi era arrivata Laure, diversa dalla sorella come il giorno e la notte.: sorridente e solare, affettuosa, avventurosa, e nemmeno in minima parte così esigente. Quando si arrabbiava, però, era imperdibile: si gettava sul pavimento inarcando la schiena, paonazza in viso, agitando braccia e gambe; i suoi genitori si preoccupavano sempre che potesse farsi del male. Crescendo, i suoi scoppi d’ira si erano fatti meno frequenti ma comunque formidabili. Una volta, prima che la Chiesa avesse posto fine a questo genere di cose, Djura si era fermato alla casa per lasciare alcuni piani d’azione, ma quando un Gascoigne dall’aria esausta era venuto ad aprire la porta, aveva sentito gli strilli e le urla di Laure.

«Due ore e mezza» aveva detto Gascoigne, sbattendogli l’uscio in faccia.

Con tutti gli altri cacciatori, però, Laure e Adele erano delle bambine d’oro, e perché non avrebbero dovuto esserlo? Erano i piccoli tesori di tutti. Le mani callose e sfregiate dalla battaglia si allungavano sempre per accarezzargli i capelli o dare loro dei regali, e ricevevano tutto a buona ragione. Pochi cacciatori avevano avuto figli. Meno ancora sarebbero stati in grado di allevarli in un simile idillio domestico. E tra la gente comune, molte giovani famiglie avevano preso a fuggire da Yharnam, preferendo tentare in un nuovo posto sconosciuto piuttosto che rischiare la vita dei propri cari nelle strade infestate dalle belve. Solo Gascoigne sembrava invulnerabile al marciume dilagante di Yharnam: marito, moglie e due figlie sane e felici vivevano le loro giornate in una casa calda e accogliente, belve o meno. E dopo lunghe notti di stragi, c’erano ben pochi cacciatori che non volessero fuggire in quel mondo per un po’, chi non avrebbe voluto godere della possibilità di dimenticare i suoi problemi per un’ora o due tra le allegre chiacchiere di una ragazzina? Djura non li visitava spesso né si tratteneva a lungo come certi altri, ma gli piaceva pensare d’essersi fatto apprezzare dalle bambine come consulente ingegneristico per le loro fortezze quando giocavano ai cavalieri e castelli, portando loro in dono piccoli ingranaggi e involucri brillanti di proiettili per le decorazioni.

«Questa è una mitragliatrice Gatling», disse Djura. «Vieni a darle un’occhiata.»



Un poco della tanto agognata quiete avanzò attraverso la torre mentre l’oscurità s’infittiva. Laure si era dimostrata un po’ troppo interessata alla Gatling, pensando cocciutamente che le sarebbe stato concesso di provarla; Djura era riuscito a distrarla solamente offrendole del cibo. Si era diretto verso la botola ed aveva frugato nel suo deposito di conserve scavato tra le case incenerite sottostanti. Sebbene le bambine dicessero di star morendo di fame, non era riuscito a convincerle su di una scatola di fagiolini, che gli era sembrato un qualcosa di sano da offrire a dei bambini in piena crescita. Dopo averli piluccati di malavoglia per qualche minuto, guardandolo con occhi malinconici, si era visto costretto a gettare la spugna, finendo col mangiare lui i fagioli e dando loro un barattolo di marmellata appiccicosa. Vi avevano immerso le sue gallette, e rosicchiare e lottare con il biscotto duro combattendo per ottenere un morso le aveva tenute occupate abbastanza a lungo affinché Djura potesse rimuovere il suo perforatore, accasciarsi su si una sedia, e domandarsi in che razza guaio, per gli Dei celesti, era andato a cacciarsi.

Quando ebbero finito, le bambine vollero risalire a guardare il panorama, e si erano sistemate con soddisfazione sul bordo del tetto. Djura aveva la vaga sensazione che forse non avrebbe dovuto permetter loro di sedersi con le gambe a penzoloni sopra una caduta letale, ma sembravano abbastanza stabili, e Adele aveva una buona presa sulla sorella. Laure sembrava sul punto di addormentarsi, con la testa appoggiata contro la spalla di Adele.

Djura non era certo di che fare con se stesso. Era abituato a trascorrere le sue notte in silenzio meditativo, tamburellando ritmi distratti sulla Gatling o riparando amorevolmente le sue armi, venendo interrotto solamente da un occasionale, sciocco cacciatore che aveva ignorato i suoi avvertimenti; dormiva durante il giorno, soprattutto, e usava la luce del sole per andare a frugare per le strade quando le belve erano più tranquille. Le sue giornate avevano un ritmo semplice per le bambine: inconscio, automatico, quasi – ci aveva riflettuto più di una volta, con un sorriso ironico – onirico. Riusciva a malapena a ricordare il sogno, solo vaghe immagini: un campo di fiori, un paio di mani bianche e gelide. Abbastanza piacevole, rispetto ai sogni che aveva ora di fumo e sangue che gocciolava dalle sue dita.

Il ritmo della sua vita lì teneva tutto ciò lontano dalla sua mente vigile, tenendolo dolcemente sospeso sull’orlo della sua consapevolezza: ma quelle due piccole figure appollaiate sul bordo del tetto lo avevano completamente destabilizzato. Camminò rigidamente avanti e indietro, scrutando l’orizzonte, prestando ascolto ad ogni suono di disordine sottostante, timido e nervoso. Guardò di nuovo le bambine, e alla fine, sospirando, le raggiunse.

Si sistemò maldestramente vicino ad Adele. Era alla sua destra, nel suo punto cieco; dovette voltare la testa per guardarla. Lo stava osservando con quella sua espressione buffa e grave, ma quando la sorprese a fissarlo lei distolse lo sguardo. Ma dopo un attimo di silenzio, finalmente parlò:

«Perché non vuoi che qualcuno ferisca le belve?»

Quante volte aveva tentato di spiegare quel concetto prima di ritirarsi definitivamente a Old Yharnam – non ultimo al padre della bambina? Ma era passato tanto tempo da che aveva dovuto dar spiegazioni. Aveva dimenticato come si faceva. Tuttavia, cercò le parole e alla fine arrivarono, maldestre e schiette.

«Sono persone» disse stancamente. «Sono solo persone. Sono malate, Adele, hai capito? Non vogliono fare del male. Non sanno quel che fanno. Non è giusto ucciderle, solo per questo.»

«Oh» disse Adele. Fece una pausa, rigirando la domanda. «E se ti attaccassero? È sbagliato ferirle, se stai solamente cercando di scappare?» Il suo tono era pensoso, filosofico, non polemico. «Abbiamo dovuto combatterne alcune, sulla nostra strada fin qui. Avrebbero potuto ucciderci se non l’avessimo fatto.»

Djura si sforzò intensamente per non immaginarselo – le bambine in balia di una qualche belva, la belva in balia delle lame di Eileen – ma non poté farne a meno.

«È solo – la caccia. Non l’hai mai vista. Inviare cacciatori armati fino ai denti, notte dopo notte – non è giusto. Sono solo persone.»

Dopo un momento di pensoso silenzio, Adele disse: «Ho visto mio padre, quando torna dalla caccia.»

Djura aspettò, ma lei non disse altro, e non riuscì a capire se fosse d’accordo con lui o meno.

Dalla loro postazione potevano vedere le luci delle finestre della città alta, moltiplicarsi sempre più ad ogni momento che passava. Non ce n’erano così tante ora come lo erano state sei mesi prima. Ma se comparata ai quartieri alti, Old Yharnam ai loro piedi era un completo deserto, buio e compatto che risuonava con echi delle grida delle belve.

«Sono malate come Papà?» chiese Laure.

«Che cosa?» mormorò Djura, sorpreso: pensava che Laure si fosse addormentata.

«Le belve» disse Laure. «Anche Papà è malato, ma lui e la Mamma non ci vogliono dire cosa c’è che non va, non proprio, e Addie dice che non dovrei chiedere perché li rattrista. È malato come loro? Perché a volte ci dimentica, e lui non sa – » proruppe in un piccolo strillo acuto.

«Addie,» disse, afferrando il braccio di sua sorella. «Addie – il carillon

Adele, vicina a lui, si fece di pietra.

«Deve averlo preso» disse, «deve, se ne ricorderebbe – »

«Era sulla mensola!» la contraddisse Laure, la sua voce si alzò per il panico. Si rialzò in piedi – «Attenta, Laure» gridò Adele nello stesso momento in cui Djura urlava «Ferma» – ma lei aveva trovato il suo appoggio e cominciò a strattonare con urgenza sua sorella. «Era sulla mensola del caminetto, Addie, al piano di sopra, dove siamo andate a prendere la cenere – l’ho visto, ne sono certa, era lì – »

Adesso anche Adele era in piedi, con gli occhi sgranati. «Non l’ha preso con sé?» disse freneticamente. «Quand’è uscita stamattina – ha preso la pistola ma non il carillon, ed è grosso, avrebbe dovuto tenerlo in mano, ce ne saremmo accorte – »

«Zio Djura, Zio Djura» chiamò Laure, «dobbiamo tornare indietro – Mamma non ha il carillon

«Il carillon» biascicò Djura alzandosi i piedi, di fronte alle bambine agitate. Non aveva la benché minima idea di che stessero parlando, ma non le aveva mai viste così spaventate – un conto sarebbe stato se fosse stata solamente Laure ad agitarsi, ma Adele sembrava sul punto si svenire – e una scheggia ghiacciata aveva preso a scivolargli giù per la spina dorsale da che Laure aveva chiesto se le belve fossero malate come Papà.

«Suona la canzone preferita di Papà» spiegò Laure con urgenza, «e quando ci dimentica la suoniamo per lui così che ricordi – non intende far del male a nessuno, no, ma è come hai detto tu, a volte non sa quel che fa – ma se Mamma non l’ha con sé – potrebbe – potrebbe – » Laure non finì la frase. Non ne aveva bisogno.

Che Dio fosse maledetto.

Gascoigne, di tutte le persone – quell’uomo era una roccia, un’ancora; c’era una ragione se i cacciatori si erano avvicinati a lui, si erano radunati a casa sua, adottato le sue figlie e non c’entrava nulla la cucina di Viola. Lui e Djura non erano mai stati quelli che Djura avrebbe potuto chiamare amici, anche prima che iniziasse la discesa verso l’inferno, ma c’erano state molte cacce nelle quali Djura si era sentito confortato nel avere Gascoigne come alleato. Era stato tutto ciò che un cacciatore avrebbe dovuto essere, devoto e invincibile – il che significava che era stato tutto ciò che Djura disprezzava da che aveva capito ciò che era davvero la caccia. E anche così, fu scosso dal pensiero che quell’uomo avesse ceduto alla piaga.

Ma c’era anche qualcos’altro, un interruttore che cercava di scattare nel suo tormentato cervello – continuava a distrarsi pensando a Viola che vagava indifesa possibile preda del suo stesso piagato marito, e che fossero maledetti gli Dei, a lui piaceva Viola, non che questo facesse molta differenza – ma no, non era quello – che aveva detto Eileen?

Ho del lavoro da fare stasera, forse più di quel che credevo.

Non possono stare con me.

Merda.

Merda.

Eileen stava inseguendo Gascoigne. Certo. I suoi soliti bersagli erano i cacciatori ebbri di sangue, non le belve, ma solo gli Dei sapevano che razza di danno avrebbe potuto arrecare un chierico potente come Gascoigne se mutato, e per qualche folle motivo Eileen probabilmente sentiva essere una sua responsabilità finire il suo vecchio amico. Djura si tolse il cappello passandosi una mano fra i capelli, scompigliandoli freneticamente.

«Questo carillon» disse. «Dite che aiuta quando lui…?»

«Sì» disse Adele con urgenza. La sua espressione era più seria che mai, i suoi occhi lo perforavano; poteva sentire quanto intensamente stesse cercando di convincerlo a prendere la cosa sul serio. «Per favore, Zio Djura, dobbiamo tornare indietro a prendere il carillon, e trovare Mamma – »

Djura non sapeva come trovare Viola; cercare di rintracciare una donna sola per la città, senza dubbio abbastanza intelligente da evitare di lasciare tracce, sembra un’impresa folle. Ma un Gascoigne ammattito sarebbe potuto essere più semplice da individuare – sicuramente Eileen doveva averci pensato e se le bambine conoscessero un modo per salvare loro padre dalle lame di un cacciatore…

Era una follia, certo. Pensare di tornare indietro attraverso la città, con due bambine al seguito – lasciando Old Yharnam incustodita – beh, non del tutto incustodita – ma sicuramente sarebbe stata più sicura con due guardiani anziché uno –

Laure scattò in avanti afferrandogli la mano. «Ti prego, Zio Djura, dobbiamo salvare la mamma» supplicò. Le sue piccole dita erano calde nel suo palmo, dai suoi occhi iniziavano a scendere lacrime esasperate, e Djura sapeva per cosa era fatto.

«Datemi un minuto» disse, «datemi un minuto, per preparare questo posto – »

Aprì la botola, prendendo le sue armi, la polvere da sparo e tutto ciò di cui aveva bisogno per andare ai “piani alti”.



1 Silancio: non sapendo bene come tradurre l’”Hoosh” (Hush) di Eileen per mantenere la battuta sul suo accento, ho deciso di usare la parola Silenzio imbastardendola con una sorta di pronuncia francese (in francese “Silenzio” si dice “Silance”, da qui Silancio). Non mi fa troppo impazzire come soluzione, ma non me ne venivano in mente altre – tutti i consigli sul come rendere al meglio la cosa sono ben accetti, perciò non siate timidi.




Note della traduttrice (_Madame_)
Oddio, quasi non mi sembra vero d’avercela fatta.
Capitolo secondo, ovvero, dove Djura si ritrova inaspettatamente a dover fare il baby sitter.
Ricordo che quando lessi per la prima volta questo capitolo, m’invaghii completamente del personaggio di Djura. Adoro come lo ha costruito Pabbeyrene, è così dannatamente naturale da sembrar fuoriuscito direttamente dal gioco. È lui! E poi è troppo spassoso il suo rapporto con le bambine. Adorabile. Semplicemente adorabile.
Tenetevi forte perché sta per arrivare il bello…
Ringrazio tutti voi lettori a nome mio e dell’autrice originale, e vi invito a lasciare anche solo un breve commento per farci sapere se la storia vi sta piacendo, se avete dei consigli da dare (alla sottoscritta, soprattutto per quanto concerne la traduzione), se vi piacciono i personaggi di questa storia, quello che volete, insomma.
Mi sono resa conto d’essere stata imprecisa nello scorso capitolo e di non aver aggiunto una nota che, a mio parere, avrebbe potuto rendere la lettura più semplice e comprensibile. Perciò, d’ora in poi, mi premurerò di chiarire ogni cosa con delle piccole annotazioni – e, sì, aggiungerò anche quella dello scorso capitolo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima.


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