The Seven Seas Games

di Vera_D_Winters
(/viewuser.php?uid=169691)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Distretto Dodici: Regno di Goa ***
Capitolo 2: *** Distretto undici: Beterilla ***
Capitolo 3: *** Distretto dieci e nove - Alabasta e Rogue Town ***
Capitolo 4: *** Distretti otto e sette: Flevance e Zou ***
Capitolo 5: *** Distretti sei cinque e quattro: Water Seven, Skypea e Fisherman Island ***
Capitolo 6: *** Distretti tre, due e uno: Ohara, Germa 66 e Dressrosa ***
Capitolo 7: *** Marijoa ***
Capitolo 8: *** The Alliance ***
Capitolo 9: *** The Stand ***
Capitolo 10: *** The Show Must go On ***
Capitolo 11: *** Benvenuti nell'Arena ***
Capitolo 12: *** Gioco al massacro ***



Capitolo 1
*** Distretto Dodici: Regno di Goa ***


L'urlo lacerò il silenzio della notte, ma nessuno accorse per placarlo. Dopotutto non era più al Grey Terminal Sabo, non viveva più tra le lamiere, ma al villaggio dei vincitori che nel dodici erano solamente tre, due dei quali vivevano nella casa adiacente alla sua. Padre e figlia. 
Penoso vero, che una famiglia avesse dovuto patire quella carneficina per ben due volte. Ma quella era quasi la regola, non l'eccezione.
Un respiro pesante, la mano che passava sul viso scarno e imperlato di sudore freddo, gli occhi ormai troppo svegli per potersi riaddormentare.
C'erano sempre stati gli incubi da quando era uscito dall'arena, ora che si avvicinava l'edizione della memoria però, sembrava che questi fossero aumentati esponenzialmente, tanto che anche quando era sveglio vedeva le immagini scorrere davanti a sè.
Lui alla fine si era rifiutato di uccidere. 
Nel momento cruciale, quando si erano trovati all'uno contro uno decisivo, quando era stato il momento di vincere, si era rifiutato effettivamente di vincere. Tutta Marijoa aveva trattenuto il fiato, gli occhi dell'intero mondo erano stati su di lui, e lui aveva detto no.
Una parola tanto semplice, che tuttavia aveva cambiato tutto.
Peccato che il ragazzo del distretto quattro che era di fronte a lui in quel momento non avesse retto. 
Sabo non seppe mai il perchè, non ebbe tempo di chiedere. Semplicemente l'altro si puntò la pistola alla tempia e si sparò, il sangue schizzò ovunque, sporcando anche le mani del giovane del dodici che si era proteso per fermarlo, e tutto era finito come sempre, come ogni anno.
Sabo era stato l'unico superstite, Sabo aveva vinto.
Sempre se quella si poteva chiamare vittoria.
Sempre se lui si poteva considerare ancora vivo.


«Benvenuti, benvenuti. Benvenuti ai settantacinquesimi Giochi dei Sette Mari.»  
La voce di Perona, stretta nel suo abito giallo e nero che la faceva sembrare una grossa ape dai capelli rosa, trillava come se ci fosse qualcosa di bello, di divertente. Qualcosa di cui gioire. Ma lei era figlia di Marijoa, non comprendeva davvero quel dolore. Per quelli come lei i Giochi dei Sette Mari erano solo spettacolo, e non era nemmeno colpa sua, ma del mondo che l'aveva cresciuta.
Ad ogni modo a quel formale saluto che apriva la mietitura, ovvero la cerimonia con cui si sceglievano i tributi per i Giochi, Rufyko fece un passo avanti, e così fecero Sabo e Dragon.
Loro erano gli unici vincitori del distretto, e quell'anno per gli speciali Giochi della Memoria programmati ogni venticinque anni, Akainu aveva stabilito che nell'arena sarebbero tornati i vincitori delle passate edizioni. Ovviamente.
Sabo sapeva che era una punizione per lui, per il suo affronto, per la sua ribellione.
Solo che così ne pagavano anche  gli altri le conseguenze.
Rufyko ne stava pagando le conseguenze. Non c'era possibilità per lei di sviare i giochi quell'anno, in quanto lei era l'unica vincitrice donna.  
«Prima le signore.»
Cinguettò ancora Perona in una pantomima inutile in quanto vi era un solo nome da estrarre a sorte, e la sua voce era un suono che strideva con il pianto singhiozzante della povera Makino, la quale stretta a Shanks osservava sua nipote andare nuovamente incontro a quella barbarie che glie l'avrebbe strappata via, forse questa volta per sempre.
Il sindaco Garp non osava guardare, Dragon al fianco di Sabo non emetteva un singolo respiro.
Poi...
«Mi offro volontaria come tributo.»
Silenzio. Assoluto silenzio dalla popolazione di Goa.
«Ma... ma... - Perona tremava ed era incerta. - Non credo sia p..p...permesso, questa è un'edizione della memoria. E quest'anno è...è riservata ai vincitori! E tu non hai mai partecipato ai giochi. Io... Io...»   
«Il regolamento vieta che ci siano volontari ai Giochi della Memoria?»   
Intervenne allora Garp, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere la speranza che sua nipote a quel punto potesse evitarsi il calvario dell'arena.
«Non che io sappia...»   
Non andava bene. Sabo lo sapeva. Quella era l'ennesima sfida al potere di Akainu e loro non ne avevano bisogno. Il presidente era già sul piede di guerra. 
Ma nessuno sembrava voler essere ragionevole al momento.
« Sono Roronoa Zoroko e mi offro volontaria come tributo.»   
Ripetè la giovane dai capelli verdi, amica della corvina sin dalla loro più tenere età.
 «No, non puoi!»   
Rufyko provò a prendere il proprio posto accanto a Perona come usavano fare i tributi scelti, ma Garp glielo impedì.
Zoroko avanzò dunque fino alla presentatrice e con il portamento degno di un soldato restò lì ferma e impalata, lo sguardo che andava oltre la folla, come se vedesse qualcosa di più grande di tutti loro.
«Ehm... ora... ora tocca ai ragazzi, si.»   
Incerta la donna dagli spumosi capelli rosa fece un passo verso la bolla di vetro in cui i due bigliettini erano tenuti in attesa dell'estrazione, ma ancora una volta tutto fu più rapido di lei.
«Mi offro come tributo volontario.»   
Le parole quasi erano state mangiate tanto erano state veloci nell'essere pronunciate, e Sabo prese il proprio posto al lato destro della presentatrice, che ancora una volta inciampò su se stessa, presa in contropiede dagli eventi.
«A... allora abbiamo i nostri tributi del distretto dodici! Roronoa Zoroko e Kakumei-Teki Sabo. » 
Rufyko a quel punto singhiozzava senza freni nella stretta di suo nonno Garp, Dragon fissava ancora davanti a sè, come se non avesse metabolizzato la cosa, e Perona dondolava sui talloni come se non sapesse più cosa fare.
Il tempo sembrò restare sospeso, tutti galleggiavano in una stato di catatonia momentanea. Tuttavia alla fine qualcosa ancora accadde.
Tutti gli uomini e le donne del distretto  alzarono il braccio al cielo, salutando i tributi con le sole tre dita della mano unite in quel simbolo che era divenuto foriero di speranza e di rivolta, e Sabo seppe che erano ufficialmente rovinati tutti, che sarebbero morti in quei giochi, perchè Akainu non avrebbe mai permesso che gente come loro tornasse a casa sulle proprie gambe.
Gente che osava dire no, gente che osava alzare la testa e disobbedire.
E tuttavia se ne fregò e alzò anche lui il braccio. E lo fece anche Zoroko. E Rufyko. E Dragon. E Garp.
Qualcuno fischiò il motivetto della ghiandaia imitatrice che Sabo aveva accennato ai giochi dell'anno prima, e l'animo del biondo si infiammò d'orgoglio verso se stesso e verso tutti loro.
Erano settantacinque anni che tutti rimanevano buoni ed in silenzio a subire, ed ora invece insorgevano lentamente. Ciò di cui Akainu aveva profondo terrore, tutto ciò per cui aveva minacciato Sabo durante il tour della vittoria, tutto stava accadendo come un'infausta predizione che prende vita.
Ed il biondo non si sarebbe tirato indietro a quel punto, sarebbe saltato su quel treno e avrebbe fatto la sua parte.
Pensò questo con il cuore gonfio d'emozione mentre i pacificatori della marina portavano via i tributi, impedendo persino loro di salutare i propri cari com'era invece consuetudine.
Ma Marijoa non poteva oscurare ciò che era appena successo. 
Non avrebbe potuto oscurare più nulla ormai, il seme della rivoluzione era stato piantato.


Il treno sfrecciava sull'acqua a grande velocità lasciando dietro di sè le grigie terre del regno di Goa, la discarica a cielo aperto, le famiglie, la povertà, gli stenti di un'isola abbandonata a se stessa come molte delle altre che erano state dimenticate. Solo Marijoa conosceva la prosperità, e con lei i distretti più vicini, più utili. Ma non Goa. Goa era solo un mondo di poveri umili cani che si arrabattava per sopravvivere.
«Ci odieranno tutti.»     
Zoroko interruppe così i pensieri di Sabo, intento a guardare fuori dal finestrino del treno con fare assorto.
Perona aveva passato ore a parlare con il den den mushi con chissà chi, la compagna dai capelli verdi si era dedicata alla manutenzione della propria katana, e Dragon che avrebbe fatto loro da mentore anche quell'anno, si era limitato a leggere il giornale.
Ma ora l'attenzione di tutti era diretta all'unica spadaccina rimasta a Goa. Tutti gli altri erano morti nei giochi, o catturati dai pacificatori della marina in quanto erano stati ritenuti pericolosi per il governo totalitario che Marijoa pretendeva di esercitare.
«Odieranno me.»     
La corresse il biondo, conscio ormai che sebbene non lo avesse pianificato, il suo no aveva ispirato molte persone che ora a piccoli passi insorgevano con i loro modi e con i loro tempi.
«Non rinunceremo ad avere alleanze. I vincitori sono arrabbiati si, ma quella rabbia per il momento sarà catalizzata su Marijoa, e di conseguenza sui tentativi di fermare i giochi. Faremo leva su quello finchè sarà possibile. Ma ne parleremo una volta giunti a destinazione, adesso riposate. Vi servirà essere al pieno della forma fisica.»     
Dragon parlò in maniera pragmatica come era sempre stato solito fare e chiuse il discorso per quel momento, lasciando calare di nuovo il silenzio sul vagone.
Perona di tanto in tanto lanciava occhiatacce ai capelli di Zoroko come se disapprovasse che una donna portasse un taglio tanto maschile, mentre l'altra dal canto suo non la degnava nemmeno di uno sguardo.
«Iva non sarà per nulla contento quest'anno. Gli stilisti di solito hanno materiale più buono su cui lavorare.» 
Ed eccola l'occhiataccia omicida che convinse la presentatrice non che manager del team a stare zitta.    
Perona tuttavia non aveva proprio tutti i torti. Le ragazze del dodici erano tutte uguali, come imponeva la legge di Marijoa: lunghi capelli sempre strette in severe code di cavallo, fisico esile a causa della poca disponibilità del cibo in quel regno, e aspetto delicato, reso anche tale dagli abiti semplici lunghi fino al ginocchio che dovevano indossare.
Non Zoroko però, lei era diversa, era una guerriera. Aveva braccia muscolose e un portamento da soldato temprato dai suoi costanti allenamenti, era più alta rispetto alle altre e i corti capelli verdi le accarezzavano a mala pena le orecchie, su uno dei quali nonostante le proibizioni, svettavano ben tre orecchini dorati. Nessuno possedeva oro a Goa, nemmeno il sindaco. Lei si però. Quello era il tesoro della sua famiglia. E portava i pantaloni. Non gonne, pantaloni.
Zoroko era diversa, e anche quell'elemento per Sabo ora rappresentava un segno del destino, un segno che il cambiamento ormai non poteva essere fermato.
Fu questo a permettergli di piegare le labbra in un sorriso sghembo.
Stavano andando a morire, ma lui era felice, felice di poter essere lì in quel momento storico, consapevole che avrebbe fatto la sua parte.
Quasi cominciava ad essere contento che il suo nome fosse stato estratto a sorte l'anno prima.
Nonostante gli incubi, nonostante la barbarie che non avrebbe mai dimenticato, era felice.
Finalmente aveva uno scopo importante che lo attendeva davanti a sè, e non si sarebbe tirato indietro per niente al mondo.
Che andassero al diavolo Akinu e le sue minacce. Sabo avrebbe combattuto fino alla fine.

// Benvenuti, benvenuti <3
Eccoci con questo nuovo crossover, il progetto che vi avevo annunciato.
Un caloroso grazie a tutti coloro che decideranno di leggere, e magari anche di recensire, ed un caloroso grazie ormai come sempre ai ragazzi del GDR OnePiece Caffè, che non solo mi consigliano e mi correggono quando non ricordo qualche particolare , ma che accettano sempre con entusiasmo le mie idee, spronandomi a metterle in pratica.
Molte delle fanfiction su questa pagina non esisterebbero senza di loro.
E che altro dire? Spero che questa storia vi piaccia. Sarà un lungo e imponente progetto, quindi non abbandonatemi :3
A presto <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Distretto undici: Beterilla ***


Anche i vincitori del distretto undici erano un numero estremamente limitato. 
Gli abitanti dei distretti più poveri consacravano la loro vita al lavoro manuale imposto da Marijoa, e nessuno aveva il diritto o il tempo per allenarsi per i Giochi, come invece succedeva nei primi distretti.
Il compito di Baterilla nello specifico, unica isola sopravvissuta nel mare Meridionale, era fornire i prodotti agricoli per tutti gli altri, perciò il suo popolo era appunto composto per lo più da agricoltori, cosa che aveva reso difficilissima la sopravvivenza nel cruento gioco cui ogni anno erano tutti obbligati a sottoporsi.
Ciononostante, i vincitori dell'undici si erano schierati senza batter ciglio, fieri ed orgogliosi, decisi a non cedere al bieco tentativo di Akainu di affossarli.
Franky, il presentatore di quel distretto, stava al centro del palco nella sua capigliatura sgargiante e nella sua statura ingombrante, gli uomini alla sua destra e le donne alla sua sinistra, tutti silenziosi in attesa del verdetto.
«Cinquanta e cinquanta. Io e te abbiamo il cinquanta per cento delle possibilità di finire lì in mezzo.»
Mormorò Bonney, mentre Franky si avvicinava alla boccia in cui erano contenuti i nomi delle uniche due donne vincitrici.
La ragazza dai capelli rosa aveva vinto nella sua edizione solo per la propria furbizia, che l'aveva letteralmente salvata. Ma non era certa che questo sarebbe bastato nell'Edizione della Memoria, dove ormai avrebbero gareggiato tutti assassini volontariamente o involontariamente esperti.
La belva al suo fianco invece, si era distinta per la violenza inaudita, atipica per i tributi dell'unidici, e per quanto non avrebbe mai voluto augurare a nessuno la mietitura, Bonney sperava che toccasse all'altra.
Nemmeno il vento sembrava volersi alzare su di loro mentre il presentatore estraeva il fogliettino, e tornando davanti al microfono si apprestava a leggere il nome.
«Eustass Kidda.»  
Nella folla si udì un ringhio, il fratello di Kidda, Heat, aveva pestato il piede a terra con forza ed era stato allontanato da uno dei pacificatori della marina.
Come dargli torto? Già una volta aveva visto la sorella partire per quel gioco al massacro.
Bonney dal canto suo, tirò un sospiro di sollievo di cui un po' si pentì, mentre Kidda stretta nella sua inseparabile pelliccia rossa, si accostava a Franky senza batter ciglio.
Il che era piuttosto strano.
Ma non vi fu ulteriore indugio in quella cerimonia inutile, ed il presentatore ignorando le proteste sotto il palco, si apprestò ad estrarre il nome di uno dei ragazzi.
Inazuma tremava appena, Ace sogghignava, Killer... Killer non si sapeva. Dopo i suoi giochi aveva preso ad indossare una maschera che gli copriva il volto e nessuno aveva mai più visto cosa celasse il viso sotto di essa.
Rouge, la madre di Ace, già aveva le gote rigate di lacrime salate, come se presumesse il peggio a prescindere.
E come darle torto?
Il motto di Marijoa era: e possa la fortuna essere sempre a vostro favore, ma la fortuna non era mai stata a loro favore.
Ed i pensieri di Rouge non vennero disattesi.
«Portgas D. Ace. » 
Tuonò la voce di Franky, chiara come non mai.
«Ci avrei scommesso.»
Fu l'ironico commento del corvino, mentre andava a prendere posto, rivolgendo poi un saluto con la mano alla rossa compagna di giochi. Saluto che ovviamente non venne ricambiato.   
«Molto bene, salutate i vostri campioni, Baterilla! E che le vostre preghiere siano con loro!»  
Ma non vi fu giubilo, non vi furono acclamazioni, solo il cordoglio di una madre che doveva mandare nuovamente il figlio al patibolo, ed una popolazione stanca che si stringeva attorno a lei, cercando di darle un conforto che mai avrebbe davvero lenito la ferita che si era riaperta nel cuore già fortemente provato di Rouge.


 «Il primo che farò fuori sarà quel dannato biondino del cazzo. No, lui non poteva semplicemente uccidere quel coglione del quattro, no. Doveva rifiutarsi! E adesso per colpa sua siamo di nuovo qui su questo treno di merda, per andare in quella Marijoa ancora più di merda, ad ammazzarci tra noi. Vaffanculo dico io.»  
Kidda si era ripresa senza ombra di dubbio.
Dopo i saluti, dopo le raccomandazioni, una volta al sicuro se così si poteva dire sul treno che li avrebbe condotti a destinazione, e una volta sparito Franky, finalmente aveva potuto dar sfogo a ciò che le rodeva l'anima.
Si era trattenuta anche troppo a lungo per i suoi soliti standard.
Ace ovviamente rise di quello scoppio d'ira, mentre Inazuma preoccupato guardava entrambi.
Il mentore ufficiale era lui, a lui sarebbero spettate le strategie, i colloqui con gli sponsor, le trattative per le alleanze, ed avere in squadra una mina vagante come Kidda, avrebbe fatto venire i capelli bianchi a chiunque. Se poi si aggiungeva il fatto che anche Ace non era molto propenso a seguire i piani altrui, la combo era disastrosa.
I due per sua fortuna però, una volta cominciato a convivere nel villaggio dei vincitori, avevano instaurato un buon rapporto d'amicizia. Restavano quindi due impulsivi, ma due impulsivi che andavano d'accordo, e questo rendeva il compito di Inazuma leggermente più semplice. Forse.
Kidda intanto stava bestemmiando ancora all'indirizzo del povero ragazzo del dodici che aveva inconsapevolmente attivato quella macchina di vendetta, di Franky e di Akainu, facendo morire dal ridere Ace.
«Falla smettere... con il clima di tensione che c'è se la sentono criticare così apertamente il presidente Akainu saranno guai seri.»  
Intimò il mentore che si mordeva nervosamente il labbro inferiore.
«Inazuma... non so se lo hai notato, ma siamo già nei guai, e dubito ci sia qualcosa di peggio di una sentenza di morte certa sulle nostre teste. Perciò rilassati, ok?»
Gli fece notare Ace con semplicità disarmante che tuttavia l'uomo non condividette affatto.
«Non è divertente.»    
 Il corvino a quel punto fece come gli era stato chiesto, tirando Kidda per una guancia.
«Datti una calmata, Rossa, sfogherai il tuo astio nell'arena.»
«Ma...!»  
«Niente ma.»  
La ragazza provò comunque a protestare ancora, perchè non fosse mai che stesse zitta a comando, ed Ace per tutta risposta le tappò la bocca con un bacio, cosa che lasciò Inazuma altamente perplesso.
«Non sapevo che tra di voi intercorresse questo tipo di relazione.»  
«Non lo sapevo nemmeno io.»  
Aggiunse Kidda una volta libera di parlare, il sopracciglio sinistro inarcato davanti all'espressione assurdamente divertita e malandrina di Ace.
«Infatti non c'è. Però tu ti sei calmata e io mi sono tolto una curiosità che avevo da anni ormai.»  
Ovviamente ciò fece scattare un pugno da parte della rossa, che colpì il compagno in testa senza tuttavia metterci troppa forza, ed il tutto terminò in una risata stranamente sollevata.
Il clima tutto sommato non sembrava quello dei giochi di morte che presto sarebbero iniziati, e nella mente di Inazuma cominciava a nascere più di una strategia.
Se non fosse riuscito a convincere Marijoa a fermare i giochi, perlomeno avrebbe portato a casa la pelle di uno di quei due.
Non sarebbe tornato a Baterilla da solo.
Quella era una promessa.
Ammesso e concesso che quei due glielo avessero permesso.


«ACEEEEEEEE!»  
Franky alzò la testa dal suo giornale nel sentire l'urlo d'amazzone. Dopo due giorni di viaggio ci aveva fatto l'abitudine e ci rideva anche su, ma per fortuna mancava solo un giorno all'arrivo a Marijoa perchè se continuavano così quei due avrebbero distrutto il treno.
La risata del corvino intanto si propagava per i vagoni mentre correva per fuggire alla furia della belva scarlatta.
«In tutta la mia carriera non ho mai visto qualcuno andare ai giochi così a cuor leggero.»  
Asserì colpito il cyborg, cercando poi una sorta di conferma nel mentore, che tuttavia scosse il capo.
«Non stanno andando a cuor leggero. Stanno semplicemente cercando di godersi al meglio la vita che gli resta. Loro sono fatti così. Questa è la vera essenza del coraggio, giocarsela fino alla fine, sapendo quanto le probabilità siano a loro sfavore. E quando se ne andranno, se se ne andranno, lo faranno col sorriso sulle labbra perchè loro fino alla fine avranno vissuto.» 
Alle parole di Inazuma una lacrima scivolò lungo il viso di Franky, che nemmeno si scusò di nasconderla. Era un tipo che si commuoveva facilmente e non se ne vergognava nonostante la cosa stridesse con la sua mole.
«Ace correva sempre quando gli veniva detto di non farlo, si buttava in mare quando gli veniva detto che era proibito, mangiava sempre la frutta che coglieva per Marijoa anche se i pacifisti della marina lo sgridavano o peggio lo picchiavano per questo. Così è cresciuto, libero, nonostante in questa nazione non esista la libertà. E se ne andrà da uomo libero, a modo suo. Kidda? Niente l'ha mai piegata, nemmeno l'arena la prima volta. E non verrà piegata nemmeno in questa. Questi sono i miei ragazzi, ed io sono orgoglioso di loro come potrebbe esserlo un padre. E ti assicuro che se c'è anche solo una possibilità di tirarli fuori vivi entrambi, non me la lascerò scappare.»    
Era un avvertimento quello di Inazuma? Franky lo prese come tale. 
Erano tempi duri per Marijoa, e lo spauracchio dei Giochi non era più abbastanza per sedare il malcontento.
Si poteva sentire nell'aria.
Il profumo del cambiamento.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Distretto dieci e nove - Alabasta e Rogue Town ***


Gli allevamenti intensivi di Alabasta erano ormai lontani quando Pell si affacciò a guardare la distesa di mare aperto oltre il finestrino del treno, gli occhi scuri velati di rassegnazione. Le due cicatrici che tagliavano a metà le proprie guance non erano mai parse così tanto una scia di lacrime come in quel momento.
Il suo cuore era rimasto sulla sua isola natia, con Bibi, le cui vere lacrime avrebbero accompagnato i suoi incubi fin dentro l'arena, ancor più del sangue che scorreva a fiumi.
Quando il proprio nome era stato estratto dal boccione trasparente per la seconda volta nel giro di sette anni, il mondo gli era mancato sotto i piedi e tutto era tremato attorno a lui, eppure il suo primo pensiero non era stato per la propria vita, per la propria incolumità, bensì per quella donna dai lunghi capelli turchesi che non aveva retto e si era accasciata tra le braccia del padre, disperandosi sino a perdere i sensi. 
E Pell non era nemmeno potuto andare a stringerla, a frenare quella caduta come faceva sempre da quando la conosceva.
Aveva chiesto a Koza di prendersi cura di lei, Koza il cui fato aveva risparmiato una nuova discesa negli inferi.
Aveva dovuto chiedere a colui di cui più era geloso di prendersi cura della ragazza che amava, poichè Pell stesso probabilmente non avrebbe più potuto.
E si era lasciato tutto alle spalle, la sua terra, la sua gente, il suo cuore.
«Stai anche per metterti a frignare come una donnetta oltre che continuare a sospirare affranto? No dimmelo così almeno lo so in anticipo e posso chiedere a Crocodile un catino per vomitare. » 
La voce fastidiosa ed acida di Miss Doublefinger tagliò l'aria come un coltello che affonda in un panetto di burro, e fece voltare il giovane uomo verso quella che doveva essere una compagna di squadra, e che invece era la prima persona a cui Pell desiderava infilare una lama nel cuore.
I ricci bluastri erano un groviglio intricato che la facevano sembrare una pazza, cosa che probabilmente era davvero, e la sua muscolatura faceva ben capire che non era una creatura indifesa come lo era invece la maggior parte delle donne di quel distretto.
«Non sto per piangere. Ma io ho lasciato indietro qualcosa a differenza tua che non hai niente.»
«E se pensi che mi importi e tu ora mi stia ferendo interiormente ti stai sbagliando di grosso.» 
«No, tranquilla. Lo so che niente ti turba e nemmeno mi interessa farlo. Stavo solo esponendo un fatto. Ed il fatto è che tu non hai nulla da perdere in questi giochi, a differenza mia.»   
«Ti sbagli. Io combatto per la mia vita. Perciò non avrai favori da parte mia, non mi sacrificherò per farti tornare dalla tua bella Bibi.»   
«Io non te l'ho chiesto.»   
E la conversazione sarebbe continuata così a stilettate secche e colme di astio e cattiveria, se non fosse intervenuto il mentore, comparso nel vagone in una nuvola di fumo acre nata dall'inseparabile sigaro che Sir Crocodile teneva sempre tra le labbra.
Sul suo viso olivastro si stagliava la cicatrice che si era guadagnato ai propri giochi, ed il suo sguardo nero come i capelli laccati che gli incorniciavano il viso, palesava solo fastidio.
Difficile dire se fosse per loro due, per la situazione in sè, o per qualcosa d'altro. L'uomo corpulento e alto infatti, aveva quell'espressione arcigna praticamente costantemente.
Il giovane tributo probabilmente credeva l'avesse perfino quando dormiva, ma non si sarebbe mai avvicinato per appurarlo. Che rimanesse pure una teoria. Non ci teneva a finire con il collo squarciato dall'uncino che il mentore aveva al posto della mano, altro regalo della sua avventura nell'arena.
«Avete finito di massacrarvi? Mantenete questo livore per l'arena, per gli altri tributi. Vi massacrerete tra voi alla fine.»   
Ecco il grande consiglio del grande mentore.
Pell aveva voglia di prendere a testate il vetro e buttarsi in mare suicidandosi così e lasciando perdere tutto. Ma quello sarebbe stato il modo migliore per assicurarsi di non vedere Bibi mai più e quello non era ciò che voleva. Se c'era qualcosa per cui avrebbe combattuto, quello era propria lei.
Perciò regalò un ultimo sguardo sconsolato a quei due compagni di viaggio che non avrebbe mai scelto per volontà propria, e cercò di concentrasi sui grandi allevamenti di cavalli in cui correva libero nelle terre di Alabasta, richiamando quella pace e quel senso di poter fare tutto e desiderare tutto, anche se Marijoa stringeva il suo gioco su tutti loro.
Ma quando cavalcava... tutto scompariva.
Quando cavalcava c'era solo lui e c'era il vento, ed era come avere un paio d'ali.
Questo gli sarebbe mancato più di ogni altra cosa.


Il clima era molto diverso sul treno partito da Rogue Town.
Non c'era tensione, non c'era rabbia, non c'era odio.
C'erano solo tre persone unite da un unico infausto destino che cercavano di capire come uscirne il più indenni possibili.
Smoker, un altro appassionato del club del sigaro, era chino su dei resoconti di anni ed anni di giochi, i capelli ingrigiti dal tempo meno ordinati del solito, tutta la sua attenzione focalizzata su ciò che stava leggendo, come se in quelle carte vi fosse la strategia vincente per loro. Dall'altra parte del tavolino in mogano, tondo e lucido, Tashigi leggeva un libro che raccoglieva tutti i tipi di armi bianche, anche se non aveva bisogno di studiarle poichè lei sapeva quale di quelle era quella adatta a lei. In tutto ciò Kobi invece, cercava di mandare giù qualche boccone, sebbene il suo stomaco si rifiutasse abbastanza di mantenere qualcosa al proprio interno. La fascia colorata donata dalla sua sorellina teneva in ordine i capelli di un pallido rosa, e faceva a pugni col pallore del proprio volto in quel preciso momento.
Non sembrava volare nemmeno una mosca, ed anche a Rogue Town non era volata una mosca quando i loro nomi erano saltati fuori tramite la voce di Hina, la presentatrice del loro distretto. Tutto si era svolto nel più assoluto contegno. Non fosse mai che in quel luogo esso venisse a mancare.
Gli abitanti di quel distretto portavano sulle loro spalle un grosso peso, un'eredità che li aveva resi tanto odiati quanto decantati a seconda dei punti di vista di chi ne parlava. 
Se la ribellione dei pirati era partita da Raftel infatti, e da lì poi si era propagata per tutto il globo sino alle porte di Marijoa, Rogue Town ne era stata la fine. L'ultimo avamposto della ribellione, i cui abitanti giunti alla fine, forse per paura o per chissà quale promessa fatta dai draghi celesti, avevano consegnato il re dei pirati ai pacificatori della marina, che lo avevano giustiziato nella pubblica piazza, spegnendo così il fuoco della rivoluzione.
Senza più un volto i ribelli disorganizzati avevano iniziato a perdere terre e uomini, e alla fine la soppressione era giunta e Marijoa aveva trionfato.
Il capro espiatorio di tutto era dunque diventato il nono distretto, un distretto abbastanza militarizzato, ma non abbastanza vicino ai draghi celesti per fornire pacificatori alla Marina, e non abbastanza amato dai distretti più poveri e disagiati, che li vedevano come traditori infidi e inaffidabili.
Ma Kobi non voleva essere così.
Non voleva essere nè militare nè codardo.
Quali che fossero stati i motivi che avevano portato la sua isola natia a scendere a patti con i dittatori, non erano le proprie ragioni, così come non erano sue nemmeno le idee dei pirati ribelli. Lui era lui e basta. Un individuo unico nel suo pensiero e nelle proprie convinzioni.
Si era distinto nei suoi giochi per il suo essere pacifico, per la sua misericordia, per la sua compassione, e così avrebbe fatto anche in quella nuova sfida, sebbene Smoker volesse optare per una strategia diversa.
Be che la usasse per Tashigi, Kobi per una volta non avrebbe dato ascolto al loro mentore che stimava, sì, ma a cui non avrebbe permesso di snaturarlo solo per portarlo alla vittoria.
Il giovane infatti era prontissimo ad accettare la morte, purchè il suo io se ne andasse secondo le proprie regole. Questa era la sua unica condizione al momento.
Aveva anche paura certo, ma più di tutto temeva che qualcuno potesse cambiarlo, modificarlo, renderlo ciò che tutti pensavano fosse, questo era il suo timore più grande.
Marijoa possedeva le loro terre, la loro libertà, il diritto di decidere sulla loro vita e sulla loro morte, ma non possedeva i loro cuori.
E Kobi non avrebbe permesso a nessuno di corrompere il proprio, amico o nemico che fosse.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Distretti otto e sette: Flevance e Zou ***


Sembrava che davvero l'unico treno rumoroso fosse quello che dal distretto undici era diretto a Marijoa. Mentre Ace e Kidda si facevano i dispetti infatti, il viaggio di tutti gli altri tributi era stato colmo di silenzi e pesantezza.
Non avevano fatto eccezioni sul treno del distretto otto che due giorni prima era partito da Flevance, unica isola sopravvissuta nel mare Settentrionale, se si poteva davvero considerare tale dato che gli esperimenti di Marijoa molti anni prima avevano causato un'epidemia mortale che aveva decimato la popolazione.
La malattia del piombo ambrato tuttavia era ormai un ricordo lontano, a differenza dell'arena che attendeva i tributi di quell'isola: Trafalgar D. Lawiko e X Drake.
La ragazza dai corti capelli neri e gli occhi simili a quelli di un gatto aveva passato le giornate a studiare medicina, la sua passione ed aspirazione, come se si aspettasse di tornare a casa e poter fare il chirurgo una volta terminati i giochi, sebbene in realtà il lavoro del distretto e sua primaria ricchezza fosse l'industria tessile, settore in cui tutta la popolazione doveva convogliare secondo i dettami di Marijoa. D'altro canto Drake che nemmeno era un chiacchierone affabile, aveva passato il tempo a gironzolare per i corridoi tra un vagone e l'altro. Odiava stare al chiuso, possedeva un'intrinseca natura primordiale che gli imponeva di abbracciare i grandi spazi aperti, ove potesse allargare entrambe le braccia e correre via. Sarebbe stato perfetto per il distretto undici con i suoi infiniti campi. Il fato tuttavia lo aveva donato all'otto.
Ed il fato era ciò che il loro mentore continuava ad interrogare imperterrito, consultando i suoi sciocchi tarocchi. 
Basil Howkins parlava solo quando lo riteneva necessario e lo faceva in maniera tanto criptica che nessuno capiva mai realmente il significato dei suoi discorsi. I lunghi capelli biondi facevano da cornice allo scarno volto pallido e gli occhi neri privi di qualsiasi luce emotiva quasi apparivano come morti. Nessuno sapeva come fosse sopravvissuto ai suoi giochi, ed egli aveva sempre semplicemente risposto che non era scoccata la sua ora.
Drake non lo avrebbe mai voluto come mentore, mai. Tanto valeva fare il mentore di se stesso per quanto era inutile quell'uomo.
La sua frase migliore era: se il fato lo vorrà sopravvivrete.
Al diavolo. Al diavolo lui e Lawiko.
Preso da un moto d'insoddisfazione fu tentato di aprire un finestrino e gettarsi nell'oceano, sparendo alla vista del mondo, ma represse quell'istinto poichè in realtà il giovane uomo dai capelli castano ramati aveva una chiara missione in testa per quei giochi, e non poteva non portarla a termine. Il suicidio e la fuga dunque non erano contemplati, anche se il senso di soffocamento che gli stava attanagliando la gola era semplicemente insopportabile.
Posò le mani sulle pareti del corridoio come se potesse allargarle, ed espirò con forza.
Gridava liberà a gran voce il suo cuore.
Gridava libertà.


Anche Whitey Bay camminava per gli stretti corridoi come un'anima in pena, sul treno che dal distretto sette portava a Marijoa.
Carta e legname per la capitale erano affidati all'isola di Zou, isola itinerante su cui erano convogliati gli abitanti di altre isole distrutte, in cerca di una casa. I pochi sopravvissuti di Wano e delle Terre dei Ghiacci erano tra questi superstiti, e proprio due giovani appartenenti a quella discendenza erano stati scelti dal destino per tornare nell'arena.
Sul palco, sotto la voce tonante del presentatore il cui nome rispondeva a Cavendish, quando il proprio nome era stato estratto, Bay non aveva fatto una piega in realtà, e con il suo solito regale contegno si era schierata, sollevata anzi, poichè le sue carissimi amiche Carrot e Wanda erano state risparmiate dalla barbarie dei giochi.
E tale sarebbe rimasto il suo umore, se una volta sul treno non fossero stati comunicati loro i nomi degli altri tributi. In quel momento la dama dai capelli di cielo aveva desiderato di morire esattamente. Si sarebbe estirpata il cuore dal petto con le sue stesse mani se avesse potuto tanto era sordo il dolore che l'aveva presa.
I vincitori dei giochi si conoscevano tra loro, il sistema che li voleva come mentori per i giochi successivi aveva portato gli ex concorrenti a stringere rapporti di fiducia e d'amicizia, a volte anche particolarmente stretti, che nel caso di Bay erano sfociati in un amore puro e tangibile. Perchè negarsi una gioia si era detta. Perché non provare? Chi mai avrebbe pensato di dover tornare nell'arena? E quante erano le possibilità che nell'arena tornasse anche lui, proprio assieme a lei?
Infinitesimali...
Ma la fortuna non era mai a loro favore, no?
Ed in realtà lei era pronta a farsi uccidere al primo colpo di cannone pur di non rischiare di dover vivere in un mondo senza lui, ma lasciarlo solo nell'arena? Non provare nemmeno a proteggerlo? No, avrebbe lottato con tutta se stessa per lui e per lui soltanto, pregando tuttavia che al momento finale non si dovessero trovare l'uno di fronte all'altra.
Lasciarsi morire, od uccidere per lui era una scelta semplice da compiere. Combattere contro di lui al contrario, era impensabile. Ma lei sapeva benissimo che il suo amato si sarebbe lasciato morire a sua volta piuttosto che farle del male.
Che razza di destino era toccato loro in sorte?
La sofferenza di Bay sembra protrarsi all'infinito.
Dal vagone alle sue spalle invece, proveniva un delicato suono di risa, che in un qualsiasi altro momento avrebbe trovato deliziosamente contagiose.
Nekomamushi, il loro mentore, possedeva da sempre una risata gioiosa e particolare che sapeva infondere a chiunque l'ascoltasse il buon umore. Sembrava andare particolarmente d'accordo con il loro principesco presentatore, ed anche Izou, l'altro tributo, pareva essere in sintonia con entrambi.
Il suo compagno sotto l'aspetto delicato e quasi femmineo, era un cecchino abile ed implacabile, ed aveva ottime chance di uscire vivo dall'arena.
Questa era un'altra cosa che le dava la nausea.
Adorava Izou, spesso e volentieri passavano assieme il loro tempo libero assieme al villaggio dei vincitori. Lui le aveva insegnato la cerimonia del tea e lei gli aveva insegnato a suonare l'arpa. Lui le aveva raccontato delle millenarie tradizioni di Wano, lei gli aveva narrato favole delle terre d'inverno. Non avrebbe mai voluto trovarsi nemmeno con lui nell'arena, ed ancora peggio odiava dover fare una scelta: per quanto adorasse Izou, non avrebbe potuto proteggerlo, e se mai fosse giunto il momento di dover decidere tra il compagno e l'amore della sua vita, Bay era dolorosamente consapevole di quale sarebbe stata la propria scelta.
Insomma vi era un'enorme spada di Damocle a pendere sulla testa della dama, la quale a furia di torturarsi le mani con i denti, aveva finito con lo scorticarsi leggermente la pelle fino a farsi sanguinare. Proprio lei sempre tanto elegante e discreta.
E non erano nemmeno arrivati a Marijoa.
Come sarebbe stata ridotta una volta laggiù?
A strapparla a quelle domande e a quelle torture, giunsero inaspettatamente le dita di Izou, pallide quasi quanto le proprie.  Egli prese la mano di Bay, allontanandola dalla bocca di lei per stringerla appena in segno di conforto e calore.
Non vi furono parole, non ve ne era bisogno.
Izou sapeva.
Così semplicemente Bay si lasciò andare ad un sospiro tremante, che si scontrò contro il petto del cecchino contro il quale era stata attirata affinchè potesse dare sfogo a quel male che se la stava mangiando viva. E la dama accolse quel calore e quell'invito, e per una volta non pensò a dare buona mostra di sè, lasciandosi semplicemente andare ad un pianto silenzioso.
La stretta del corvino dunque si fece sentire più vigorosamente sulle esile spalle di lei, ed un bacio gentile le venne posato tra i capelli. 
In molti credevano che Izou aderisse alla via degli okama, che era vista oltretutto in maniera oltraggiosa da Marijoa, ma in realtà l'uomo sapeva essere estremamente virile, molto e più di tanti altri. Il suo aspetto ingannava, ma se lo si conosceva a dovere si poteva capire che vi era solo eccentricità in lui, e voglia di non sottomettersi alle ferree regole della capitale.
Izou avrebbe conservato se stesso, sempre e comunque, e quel pensiero stranamente le fu di conforto davvero.
Intanto le lacrime continuavano a bagnare il kimono del suo compagno, mentre la voce di lui l'accompagnava in uno stato di calma ovattata.
Voce che forse il mondo avrebbe perso per sempre, nel giro di una sola settimana.
Bastò quel pensiero a rigettare Bay nello sconforto, prima che un malore la cogliesse, lasciandola scivolare tra le braccia di Izou che saldamente l'afferrarono prima che toccasse terra.
Ma nessuno poteva frenare la rovinosa caduta nell'oscurità che la dama aveva appena intrapreso.
Poco male, forse il sonno le avrebbe dato quella pace che non poteva avere in quell'incubo ad occhi aperti.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Distretti sei cinque e quattro: Water Seven, Skypea e Fisherman Island ***


  «Kalifa... non puoi coprirti un po' di più? » 
La voce di Paulie risuonò quasi implorante nel silenzio del vagone adibito a sala da pranzo, mentre la donna appena interpellata alzava gli occhi al soffitto e per tutta risposta accavallava le gambe, facendo sì che l'orlo della minigonna si tirasse indietro ulteriormente sulle sue seriche e pallide cosce, mostrando ancora più pelle nuda.
Ovviamente Paulie si mise a sbraitare sul decoro, sul senso del pudore che a Kalifa evidentemente mancava, ed altre simpatiche frasi da cucciolo puritano quale era.
Fu quindi il turno di Lucci di riportare la quiete nel vagone. Gli bastò una sola singola occhiata torva per zittire il biondo carpentiere, mentre Kalifa sorrideva compiaciuta.
«Tu non ridere. Non è facendo la gatta morta che uscirai viva dall'arena.»  
La redarguì il mentore dai folti capelli neri, togliendo ogni traccia di buon umore dal viso di lei.
Lucci era da sempre stato il miglior mentore del distretto sei, tutta Water Seven lo acclamava e a Marijoa tutti lo desideravano come un trofeo ambito, ma la verità era che metteva i brividi, punto. Che poi sapesse fingersi bene un uomo tranquillo era un altro paio di maniche.
Ma Paulie sapeva la verità, e ne era terrorizzato.
Certo se vi fosse stato comunque qualcosa che non andava, alla fine lo avrebbe detto apertamente, poichè il tributo sapeva essere assai coraggioso e soprattutto fedele a se stesso e a coloro a cui teneva, ma in quel caso sarebbe stato consapevole che contrapporsi al mentore sarebbe stata una sentenza di morte.
Stanco comunque del fare di entrambi i suoi compagni di viaggio, rubò un panino a cinque strati dal tavolo, ed uscì dalla cabina, masticando e borbottando tra sè.
Il treno marino era stato costruito a Water Seven, il distretto incaricato dei trasporti, e proprio il nonno del biondo era stato uno di coloro che aveva lavorato al progetto, per questo Paulie era orgoglioso di calcare di nuovo con i propri passi quei corridoi intarsiati. Il treno marino era un gioiello di meccanica ed ingegneria, e lui lo adorava.
Ed i pacificatori della marina adoravano lui, il quale con la sua fidata chiave inglese se ne andava in giro per il treno ad aggiustare tutto ciò che trovava di rotto.
Se non fossero stati nemici mortali, forse, e se Paulie non fosse stato destinato a finire i suoi giorni nell'arena, magari sarebbe anche potuto nascere qualcosa di bello da quel viaggio.
La sorte però come sempre, non era mai a loro favore.
Non era a favore di nessuno che non fosse Akainu, in effetti.



«Porco Ener! »  
«Wiper non bestemmiare! »  
Il manrovescio di Nami arrivò in pieno sulla nuca del giovane dalla pettinatura da moikano, il quale finì con la testa in avanti e quasi rischiò di picchiare la faccia contro il tavolo, cosa che fece scoppiare a ridere il loro mentore, Calgara.
Ecco i prodi inviati dal distretto cinque, uno dei più remoti, ovvero l'isola di Skypea, un luogo con usi e costumi particolari, unico nel suo genere, l'unico a cui era permesso ancora venerare il proprio Dio, nonostante lo Stato totalitarista di Marijoa non prevedesse privilegi del genere per nessun altro.
Skypea sola godeva di tale privilegio poichè era lei a dare il dono dell'elettricità a tutti i distretti e alla capitale, e nessuno si sognava di mettersi contro quel distretto, proprio per questo motivo. Ed i suoi abitanti in effetti, erano tra i più liberi che il mondo avesse conosciuto in quegli anni, sebbene anche loro alla fine dovevano sottostare al freddo e stretto giogo di Marijoa.
«Calgara digli qualcosa!»  
Brontolò la giovane dai lunghi ed ondulati capelli arancioni, il viso ovale stretto in un'espressione imbronciata, buffa ed adorabile.
«Suvvia Wiper, un po' di contegno, non puoi bestemmiare ogni volta che le cose non vanno come vuoi.»  
« Allora porco Akainu!»  
Fu quindi la risposta del giovane scavezzacollo, cosa che suscitò altra ilarità nel mentore, e che invece fece mettere le mani nei capelli a Nami, disperata come non mai.
«Se i pacificatori della marina ti sentissero, ti giustizierebbero qui e subito! » 
Sibilò la ragazza con fare quasi cospiratorio, mentre si guardava intorno furtiva. Il fatto che fossero da soli nello scompartimento, non garantiva loro alcuna privacy, anzi, era quasi sicuro che vi fossero delle cimici nascoste che captassero i loro discorsi.
Vi erano in tutti i distretti per evitare che il seme di una rivolta venisse piantato, figurarsi se non le avevano messe su un treno che arrivava proprio da Marijoa stessa. Impossibile.
«Ma a chi importa Nami??? Tanto se non ci ammazzeranno qui ci massacreremo nell'arena! Siamo carne da macello che cammina, non importa più a nessuno quello che diciamo!»
Esclamò quindi Wiper, stufo dei modi di fare della sua compagna di viaggio e di Giochi, la quale non apprezzò affatto, e lo dimostrò incrociando le braccia sotto il seno, guardandolo torva come non mai.
Il ragazzo ovviamente non ne venne per nulla scalfito ed anzi...
« Porco Akainu. Porco Akainu! PORCO AKAINU!»  
Ormai esasperata Nami si gettò su Wiper, cercando di tappargli la bocca con le mani e impedirgli di urlare, sotto lo sguardo divertito del loro mentore.
Calgara lo sapeva che avrebbe dovuto dire loro qualcosa, fermare anche lui la follia suicida di Wiper, e tuttavia non lo fece e lasciò invece, che la fiamma continuasse ad ardere orgogliosa.

 

«Siamo quasi arrivati... » 
La vocina della dolce Shirahoshi risuonò pigolante nel buio del vagone letto, mentre l'alba rischiarava le ultime ore di quel viaggio che li avrebbe condotti alla capitale.
Le braccia di Sanji si tesero allora nella semi oscurità e la afferrarono per poterla stringere e recarle conforto, mentre il mento del biondo si appoggiava sui soffici capelli rosa di lei.
Shirahoshi si era offerta volontaria in quella follia. Lei così delicata, gentile e carina, si era offerta volontaria tra lo sgomento di tutti gli abitanti del distretto quattro.
E perchè lo aveva fatto? Solo per lui.
Fisherman Island era il distretto dedito alla pesca, erano tutti abili nuotatori, e solo nelle arene in cui vi era stato modo di combattere in acqua i suoi tributi erano riusciti ad avere la meglio. Tuttavia Shirahoshi non sarebbe mai potuta sopravvivere nemmeno se vi fosse stato l'oceano. Lo sapeva lei, lo sapeva il compagno che la stava abbracciando, lo sapevano tutti gli isolani, Pudding compresa. Era stata proprio la ragazza castana a scampare ai Giochi, grazie all'intervento della giovane amica. Pudding aveva vinto due anni prima, ma l'esperienza nell'arena aveva peggiorato la sua già precaria personalità, rendendola totalmente instabile. Non sarebbe sopravvissuta ad una seconda sessione dei Giochi.
E poi quanto poteva essere crudele lasciare due fidanzati all'interno di quel meccanismo che prevedeva il totale massacro?
No Shirahoshi non aveva potuto permetterlo.
Quanto coraggio ci voleva a sacrificare la propria vita consapevolmente in favore della felicità di qualcun altro?
Un coraggio enorme, che Sanji non possedeva.
«Principessa io...»   
Ma Shirahoshi gli impedì di parlare.
Gli aveva fatto promettere che lui avrebbe vinto e sarebbe tornato dalla sua Pudding, che avrebbero avuto una bella bambina e che l'avrebbero chiamata come lei. Ed ovviamente aveva convinto anche il loro mentore, Jimbei, che sarebbe dovuto uscire il biondo vivo dall'arena, a discapito della giovane che era solo una vittima sacrificale, che anche se si fosse impegnata con tutta se stessa non sarebbe riuscita a far male nemmeno ad una mosca.
Un'assoluta verità.
Dura, ma vera.
E Sanji si zittì davvero, ma non la lasciò andare. La udì poco dopo rannicchiarsi meglio contro il proprio petto e riprendere a sonnecchiare, mentre entravano sotto una buia galleria sottomarina, una delle ultime prima di raggiungere Marijoa.
Anche il biondo voleva provare a rubare ancora qualche ora di sonno, ma non gli fu più possibile. Non quando i suoi occhi increduli scorsero un bagliore arancione contro il muro della galleria. Alla velocità con cui erano passati non era parso altro che un'allucinazione, eppure Sanji sapeva di aver visto bene il simbolo tracciato sulla pietra fredda: la zampa artigliata di un drago, sul cui dorso svettava ad ali spiegate una ghiandaia imitatrice.
Un chiaro messaggio per chi voleva combattere davvero. 
Combattere contro il vero nemico.

 

// Spazio autrice:
Buongiorno carissimi, questo è il penultimo capitolo introduttivo, nel prossimo vi saranno gli ultimi tributi e l'arrivo a Marijoa.
Volevo specificare alcune scelte. Kidda la trovo perfetta per il ruolo di Joanna e penso si spieghi da sè, così come Sabo che fa scoppiare la rivoluzione, dire che non potrebbe essere più calzante.Per Sanji invece, ho avuto molto da patire. Sono profondamente innamorata di Finnik Odair, ed odio invece altrettanto profondamente il biondo cuoco dei Mugiwara, quindi capirete il mio dissidio interiore nel dargli quel ruolo. Tuttavia ho pensato che per modi di fare e per storia, i due potessero collimare in qualche modo. Un ultimo appunto lo faccio per le provenienze. Ho cercato di essere fedele il più possibile sia ad Hunger Games che a OP, ma non potevo tenere tutti i luoghi, dunque sono stata costretta ad accorpare alcuni personaggi anche dove non c'entravano come appunto Sanji o Nami. Spero comunque che la storia possa piacervi e che continuerete a leggera. Baci a tutti da zia V

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Distretti tre, due e uno: Ohara, Germa 66 e Dressrosa ***


 Il volto di Nico Robin appariva disteso mentre discorreva amabilmente con Mihawk. Ad un primo sguardo potevano essere scambiati per parenti lei ed il mentore di Ohara: capelli neri come ali di corvo, occhi grandi seppur molto spesso inespressivi, pelle pallida e lineamenti spigolosi. Tuttavia non intercorreva nessun grado di parentela tra loro, e l'unica cosa che li accomunava era l'infausto destino che li aveva portati a calcare i pavimenti del treno marino diretto a Marijoa.
Il distretto tre era considerato il padre dei più grandi cervelloni del globo, aveva sfornato menti grandiose come quelle di Vegapunk e Ceasar Clown dopotutto, e molta della tecnologia che permeava il Paese intero, era merito proprio di quelle menti sopraffine.
Ma laddove esisteva il genio, le più grandi capacità intellettive, risiedeva anche la disobbedienza. 
Molti erano stati giustiziati tra gli abitanti di Ohara, una tra questi, la madre di Robin, Olvia. Ed anche per questo la coraggiosa figlia era intenzionata a fare del suo meglio nell'arena ancora una volta, così da vendicare nuovamente colei che le aveva dato la vita.
E con un mentore come Mihawk, silenzioso e letale stratega, si sentiva in una botte di ferro.
Tuttavia il suo pensiero in quel momento non riusciva ad essere così tranquillo come invece appariva la sua espressione, poichè di tanto in tanto i suoi occhi cercavano colui che non era in quel vagone, colui che da quando aveva scoperto i nomi degli altri tributi, si era rinchiuso in un cupo silenzio, carico di dolore e frustrazione.
E l'unica persona capace di strapparlo a quel silenzio autoimposto e doloroso, non era su quel treno.
Ah, l'infausto giogo di Marijoa.


Si colei che avrebbe potuto salvare Marco dal più totale tracollo, era colei che probabilmente lo avrebbe ucciso, poichè lui glielo avrebbe lasciato fare.
Inizialmente il biondo non ci aveva nemmeno sperato. Il riserbo era la sua caratteristica principale, unita ad uno stoico controllo ed un'indole taciturna. Sapeva essere un uomo d'azione quando doveva esserlo, ma quando gli era concesso scegliere, allora decideva d'essere un pensatore. Tale era la sua natura, ed in accordo con essa, si era limitato ad osservare Bay da lontano, beandosi della sua naturale bellezza e di quella delicatezza che contraddistingueva ogni suo passo.
Una regina, ecco come appariva la dama ai propri occhi cerulei.
Un giorno però, mentre entrambi svolgevano il loro ruolo di mentori, qualcosa era mutato, e parola dopo parola, timido sorriso dopo timido sorriso, un sentimento puro e delicato era fiorito tra loro, che nell'illusione di essere ormai salvi dalle macchinazioni di Akainu, avevano deciso di assecondare.
Stavano perfino progettando il matrimonio, anche se questa era un'operazione piuttosto complicata in quanto richiedeva il benestare del Presidente ed il trasferimento permanente a Marijoa, poichè era proibito a persone di distretti differenti vivere in uno diverso da quello di origine.
Tutto però ormai, aveva perso di significato.
Come avrebbe fatto Marco a condividere l'arena con lei? Lei che era il suo stesso respiro ed il battito del suo cuore?
Certo l'avrebbe protetta sino alla fine, ma se qualcuno lo avesse ucciso prima della fine dei giochi? L'avrebbe lasciata sola? E se invece fossero arrivati entrambi alla fine? Cos'avrebbe fatto? Si sarebbe ucciso davanti a lei, condannandola per sempre a vivere con il peso di quella colpa? Di quel dolore? O avrebbe ucciso lui lei, liberandola e condannando se stesso alla follia? Avrebbe potuto ucciderla ed uccidersi allora... dovunque si voltasse, nella sua mente comunque c'erano solo pensieri di morte.
E mentre nascondeva i propri occhi al mondo con il braccio muscoloso a coprirli, calde lacrime di rabbia ed odio scivolarono lungo il suo viso scavato dalla preoccupazione.
Ma non vi erano in quel momento le fresche dita della sua amata ad asciugarle.
Probabilmente non ci sarebbero state mai più.

 

«Ichiji puoi smetterla di fare quel rumore, per cortesia?»    
In un tripudio di rosa, Reiju apparve sulla soglia del vagone ristorante, facendo alzare lo sguardo al fratello dai capelli rossi, mentre il loro mentore continuava a giocherellare con delle stupide monete che faceva saltare in aria per poi riprenderle e controllare se fosse uscita testa oppure croce.
Katakuri si divertiva così, a giocare contro se stesso, ammantato nel suo alone di mistero.
Le macchine da guerra erano tutto ciò che il distretto due forniva a Marijoa, e non solo in termini bellici materiali, ma anche come uomini. La maggior parte dei pacificatori della marina venivano da lì, così come la maggior parte dei vincitori dei Giochi dei sette mari. 
Il regno di Germa 66 era votato alla violenza e alla lotta.
Ovviamente Ichiji non degnò la sorella di una risposta e tornò a raschiare appositamente il fondo del piatto con la forchetta, così da far saltare i nervi alla giovane, la quale però non gli diede quella soddisfazione, ed anzi ignorandolo sommamente dopo aver semplicemente sollevato gli occhi al soffitto, andò ad accomodarsi al proprio posto.
Katakuri non mangiava con loro, ma pretendeva che loro consumassero cinque abbondanti pasti al giorno per rimanere in forze.
Era un mentore taciturno, ma era anche un dio della battaglia, perciò nessuno dei due rampolli della famiglia Vinsmoke osava contraddirlo, nemmeno Ichiji, che si sentiva superiore a tutti.
Eppure, nonostante l'uomo dall'altezza ed il fisico spropositati fosse sempre imperscrutabile, quel giorno appariva cupo e meditabondo.
« Charlotte Sama, qualcosa non va? »    
Chiese quindi Reiju, sebbene fosse convinta che non avrebbe mai ottenuto risposta.
 « Sto solo pensando ad un sogno che ho fatto.»    
Sorprendentemente invece lui rispose, senza alzare gli occhi sulla sua interlocutrice, ok, ma era già qualcosa.
Ed ovviamente quelle parole attirarono l'attenzione di Ichiji, mentre la sorella tratteneva il fiato. Katakuri era noto in tutto il Paese non solo per la sua forza, e per il suo essere imbattuto, ma anche per i suoi sogni premonitori.
«E che cos'hai sognato? »    
Domandò quindi il rosso, senza nessun minimo di tatto, ricevendo un'occhiataccia dalla sorella.
Possibile che i suoi fratelli non avessero un minimo di educazione e di ritegno?
Ma ancora una volta l'attenzione ricadde sulle parole del mentore, assieme ad un assordante silenzio.
«Ho sognato Marijoa bruciare. »    


« AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA ZOROKO SEMPAAAAAAAIII E' STATA COSI' FANTASTICA NEL FARSI AVANTI AL POSTO DI RUFYKO SEMPAAAAAAAI.»  
Rebecca si massaggiava le tempie con aria disperata. Bartolomeno continuava con quella tiritera da quando erano partiti, tanto che la ragazza stava seriamente prendendo in considerazione l'idea di strangolarsi con la propria treccia rosa.
«E Sabo sempaaaaaaaiiiii non vedo l'ora di conoscerlo di personaaaaaaaaaa.»  
Quel babbeo groupie con la cresta verde e piercing ovunque era stupido e fastidioso. Non lo sopportava più, davvero.
La giovane rivolse quindi uno sguardo implorante al suo mentore, ma quello dormiva con un libro piazzato sul viso, il petto che si alzava e si abbassava in maniera regolare, avvolto dalla sua pelliccia rosa e piumosa.
Come faceva Doflamingo a dormire con un baccano simile?
Ecco uno dei trii peggio assortiti senza dubbio.
Ma Dressrosa era uno dei distretti favoriti da sempre, il primo, il pupillo di Mairjoa grazie ai beni di lusso che esso forniva, perciò avrebbero avuto un sacco di sponsor nonostante la gladiatrice ed il pollo starnazzante non facessero granchè impressione rispetto ad altri tributi.
Per questo il mentore era tanto tranquillo.
Rebecca tuttavia non lo era.
Non voleva morire, e nemmeno voleva basarsi sulla semplice fortuna e la semplice statistica che dava loro come favoriti.
Nella sua prima arena aveva rischiato grossissimo, era arrivata talmente vicina alla fine che ancora si chiedeva lei stessa come fosse sopravvissuta. No, non avrebbe fatto la favorita in quei nuovi Giochi.
Che Doflamingo facesse ciò che voleva e che Bartolomeo continuasse a fare il tifo per gli altri invece che per se stesso. 
Rebecca avrebbe badato da sola a se stessa, come aveva sempre fatto.
E mentre la ragazza dal viso severo e fiero prendeva per sè quella decisione, una voce metallica e preimpostata annunciò l'arrivo in stazione, mentre il treno rallentava considerevolmente e fuori dal finestrino cominciavano a stagliarsi le sacre terre di Marijoa.

 

Benvenuti ai settantacinquesimi Seven Seas Games  

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Marijoa ***


Akainu non era affatto contento. E come poteva esserlo? Quei patetici esserini continuavano a sfidarlo di continuo.
Nella sala ovale stava riguardando tutte le mietiture, circondato dagli strateghi,  i cinque Astri di Saggezza, e non vi era alcuna traccia di buon umore sul suo viso duro come la pietra, nessuna luce nei suoi occhi scuri e assetati di una giustizia che comprendeva solo lui.
In silenzio i cinque Astri attendevano quindi lo scoppio d'ira, la funesta manifestazione di quel silenzio carico di disapprovazione, ma nulla di tutto ciò avvenne. Akainu sorprendentemente scoppiò in una risata sgangherata, eco di una follia che probabilmente lo stava cogliendo per via del forte stress cui da mesi ormai era sottoposto.
Il distretto undici cominciava a dare numerosi problemi, rivolte nascevano un giorno si e uno no, il malcontento serpeggiava e si spandeva come increspature nelle acque, e ormai le voci dei ribelli avevano superato i confini di quell'isola, diffondendosi come un cancro verso i centri più vicini.
Ed era tutta colpa di quei giovani insolenti che sfilavano sullo schermo. Loro avevano acceso di nuovo il fuoco della speranza, loro aveva sobillato le folle, e quel che era peggio lo avevano fatto inconsapevolmente, come inconsapevolmente Akainu aveva concesso loro il potere di fare rendendoli eroi amati da tutti.
«Li voglio tutti morti! »  
Esordì alla fine battendo il pugno sul tavolo, facendo tremare i calici di vino ed il liquido in esso contenuti, per via della forza dell'impatto.
« Tutti dal primo all'ultimo, soprattutto il tributo del dodici! Devono sparire!»    
I cinque strateghi si affrettarono ad annuire con fare servile, prima che nella stanza entrasse il referente del loro gruppo per quell'anno.
Il capo stratega della scorsa edizione ormai marciva in mare, ed al suo posto era stato eletto l'alto e glaciale Aokiji, che con la sua ferma andatura raggiunse il grande tavolo circolare.
«Sei in ritardo.»
Lo redarguì il presidente, senza curarsi di nascondere l'astio dietro quelle poche e semplici parole.
«Lo so, ma qualcuno doveva pur accogliere i tributi, no? »  
Akainu parve sorpreso, ed Aokiji si limitò a sorridere con fare serafico.
«Il treno del distretto dodici è stato l'ultimo ad arrivare. I tuoi adorati tributi sono già qui, ed è stata mia premura che non incontrassero il pubblico. Se i cittadini di Marijoa non riceveranno amore dai loro beniamini e qualcuno farà credere loro che essi si sento ormai troppo celebri per mescolarsi alla gente comune, allora forse il popolo comincerà ad amarli meno. » 
Fu a quella spiegazione che un sorriso inquietante e compiaciuto comparve sul volto del presidente.
«Ben fatto Aokiji. Ben fatto. »    
Ed in effetti l'uomo dai folti e ricciastri capelli neri aveva davvero fatto un buon lavoro. D'altronde si sapeva, no? L'arena era solo l'ultima fase di un gioco spietato che cominciava molto prima della mietitura stessa. Dalla nascita di ogni uomo e donna appartenente a Marijoa.

 

Sabo fu molto stupito di trovarsi direttamente in un cunicolo sotterraneo. L'anno prima una volta sceso dal treno era stato accolto dall'assordante calca dei cittadini di Marijoa urlanti e curiosi di conoscere i nuovi tributi, ed invece quest'anno il mezzo aveva tirato dritto sui binari, mostrando solo una fugace visione della folla stipata sulla banchina.
Il biondo aveva colto di sfuggita alcune espressioni, ma nonostante la rapidità aveva notato la delusione su quei volti che aveva intravisto nel loro frettoloso passare oltre.
«I giochi sono già iniziati. »  
Aveva semplicemente sentenziato Dragon, mentre Zoroko aveva continuato a dormire fino a che il treno non si era fermato.
«Me l'aspettavo più colorata questa Marijoa. » 
Si lamentò la giovane guardandosi intorno dopo che erano scesi, e quella semplice affermazione aveva scaturito l'ilarità del compagno tributo, che dopo un'occhiataccia però, era stata costretta a zittirsi.
«Siamo sottoterra. »    
Le spiegò quindi Dragon paziente, prima che il trio venisse scortato in superficie.
E una volta alla luce del sole, tutto fu esattamente come Sabo lo ricordava nei suoi incubi: alti palazzi di vetro che brillavano sotto i raggi come enormi diamanti, vociare indistinto di persone vestite di abiti tanto pacchiani da rasentare il ridicolo, colori caldi e quasi fluorescenti, e profumi artificiali e innaturali, tanto forti da far venire la nausea ed il mal di testa.
L'espressione della compagna dai corti capelli verdi diceva chiaramente che nemmeno lei apprezzava il luogo, mentre invece Dragon rimase come sempre impassibile.
Come faceva?
Fu l'ultima domanda che Sabo si fece, prima che davanti ai loro occhi comparisse la struttura adibita ad alloggio dei tributi e centro d'addestramento. Un brivido gli corse lungo la schiena quando ripercorse quei corridoi sino all'ascensore usato l'anno prima, ed un nodo allo stomaco quasi lo costrinse a piegarsi su se stesso.
Improvvisamente, più che in qualsiasi altro momento trascorso sino ad allora, si rese conto che era finita, che era di nuovo in quella macchina infernale, e che questa volta non ci sarebbero state scappatoie. Involontariamente lui aveva scatenato la rivolta, e se non fosse morto Akainu si sarebbe premurato di distruggere tutto che per il biondo era caro. Stava consapevolmente andando incontro alla sua dipartita il giovane come altri ventidue di loro.
E fu esattamente in quell'attimo che guardando Dragon, decise che quel qualcuno doveva essere Zoroko. La ragazza aveva risparmiato a Rufyko la barbarie dei Giochi, e per questo Sabo l'avrebbe portata alla vittoria. Sarebbe stato il suo ultimo atto da eroe, quello che non aveva voluto essere, ma un ruolo che ormai era stato costretto ad interpretare.


Intanto in un'altra ala dell'edificio, un'altra importante decisione veniva presa.
Marco sapeva che ai tributi di differenti distretti non era permesso vedersi, e tuttavia non poteva esimersi dal correre da colei che aveva il suo cuore.
Non appena l'ebbe raggiunta nemmeno si preoccupò dei Pacificatori della Marina che debolmente provarono a fermarlo, semplicemente corse fino a farsi scoppiare i polmoni, e la strinse a sè con una forza tale da rischiare di spezzarla.
Ma lei sostenne quell'avventatezza e quel'irruenza che non erano da lui, lo baciò come se da quel gesto dipendesse la sua vita e lo strinse a sua volta con tutta la disperazione che in quel momento muoveva entrambi.
Izou per un attimo li guardò con un groppo alla gola, poi lentamente si avvicinò ai pacificatori, convincendoli chissà come ad andarsene per lasciare sola la coppia, permettendo loro di godersi quegli ultimi attimi insieme.
 «Bay... »    
Mormorò Marco affondando il viso tra le morbide ciocche che adornavano il viso della donna, baciandole il capo e strofinando la guancia contro quella di lei, beandosi della frescura della sua pelle vellutata.
Era una scena capace di sciogliere il cuore di chiunque, soprattutto di un uomo come Izou, che semplicemente voleva il bene degli altri.
Fu per questo che anche lui si allontanò raggiungendo Robin, che dall'altra parte del corridoio attendeva che il proprio compagno tributo lasciasse andare Bay, controllando di tanto in tanto che i pacificatori non cambiassero idea e tornassero indietro.
« Ciao I..»    
La donna non fece in tempo a dire alcunchè, poichè il samurai proveniente da Wano fu più veloce di lei ad aprire bocca.
« Parla con il tuo mentore Robin. Dobbiamo cercare di fermare i giochi.»    

 

// angolo autrice
Dopo mesiiiiii mi è tornata l'ispirazione per questa ff. Non so quanto durerà, e non so se posterò di nuovo con regolarità i capitoli, per questo mi scuso.
Grazie a chi comunque deciderà di leggere nonostante la latitanza. Cercherò di fare del mio meglio per essere più celere! Un abbraccio a tutti

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** The Alliance ***


 «Non funzionerà mai, non fermeranno i Giochi.»  
 «Non si può fare!»  
«Si può, conosco il modo. »  
La mano di Inazuma corse immediatamente a tappare la bocca di Dragon, mentre Kalgara e Nekomamushi si guardavano intorno con fare circospetto.
«Attento a ciò che dici. - Sibilò il mentore dal doppio colore di capelli. - Ci sono telecamere e cimici ovunque qui, perfino nei vicoli e negli angoli delle strade.»
« Che è il motivo per cui gli altri mentori non sono voluti venire, immagino.»  
Osservò il gattone troppo cresciuto, mentre l'omone dai capelli rossi dell'isola del cielo scuoteva la testa con disappunto evidente. Lui era fiero e belligerante e non si era tirato indietro all'idea sovversiva di provare ad interrompere i Giochi proposta a gran voce dai tributi, ma non tutti erano del suo stesso avviso. La posta in gioco era troppo, troppo alta.
«Vi dico che un modo c'è. Fidatevi di me. »  
Insistette ancora Dragon in un mormorio il più sommesso possibile. Tuttavia non fu in grado di finire la frase, poichè uno dei pacificatori della Marina stava proprio puntando verso di loro.
«Allora Dragon dì al tuo pupillo di fare attenzione!!»  
Con il suo vocione Nekomamushi salvò la situazione, scoppiando a ridere come se avesse fatto una battuta, trascinando gli altri con sè.
La guardia allora cambiò direzione, lasciando il manipolo di uomini alla loro chiacchierata.
«Visto?! - Irruppe ancora nella conversazione Inazuma con un bisbiglio quasi inudibile. Ve l'ho detto, non si può fare. »  

 

Ed intanto nella stanza più bassa del grande edificio, quella adibita agli allenamenti dei tributi, Sabo in effetti era costretto a fare molta, moltissima attenzione. L'ascia infatti era volata con una precisione quasi millimetrica, e per poco non gli aveva tranciato un orecchio prima di conficcarsi nella parete alle sue spalle.
Un po' pallido in viso, il biondo si voltò a vedere chi era lo psicopatico che aveva fatto una cosa del genere, ed in effetti non si stupì di trovarsi poco distante dalle iridi ambrate di Eustass Kidda, che per in risposta al suo sguardo interrogativo e allarmato gli regalò un sorrisino falso come pochi.
«Ops, scusami, mi è scappata... »  
Mormorò con voce civettuola, soffiandogli anche un bacio prima di dargli le spalle con una risata fastidiosamente irritante.
«Si può sapere che diavolo ti ho fatto?! E' da quando siamo arrivati qui a Marijoa che mi tratti come se avessi fatto qualcosa per meritare il tuo odio!»  
E dire che nemmeno si conoscevano...
La risposta tuttavia non arrivò dalla donna, bensì da una svagata voce maschile.
« Penso che essere la causa per cui Akainu ha deciso di farci tornare tutti nell'arena sia sufficiente ad attirare un po' l'odio di tutti, non solo quello di Kidda.»  
Ace stava recuperando l'ascia della compagna, e quando Sabo si voltò verso di lui imbronciato e pronto a dire la sua, semplicemente gli sorrise.
« No, non devi convincere me, amico, a me non interessa e non sono incazzato a differenza degli altri, quindi risparmiati la filippica. »  
Il biondo tributo del dodici allora sospirò profondamente, e piegò le labbra in un'espressione che silenziosamente chiedeva scusa per il modo brusco in cui gli si sarebbe rivolto se l'altro non lo avesse bloccato sul nascere.
Il moro dal canto suo non sembrava interessato comunque a ricevere scuse, di qualsiasi genere esse fossero, e allungò la mano con fare amichevole affinchè l'altro la stringesse. Non potevano avere che pochi mesi di differenza, ed un naturale cameratismo sembrava spingerli inevitabilmente l'uno verso l'altro.
« Comunque io sono Ace, piacere di fare la tua conoscenza finchè saremo vivi.»  
Già... finchè sarebbero stati vivi.
Peccato che se avessero continuato così, Sabo sarebbe morto ancor prima di entrare nell'arena.


« Quell'Eustass è così...»  
«Sexy. »  
Concluse Wiper, interrompendo la frase di Izou sul nascere.
«Io stavo per dire rozza e aggressiva, ma se ti piace il genere... »
« Oh si. Puoi giurarci che mi piace. Mi ricorda le donne di casa mia. »
«Ah, fantastico. Ricordami di non venire mai a visitare l'isola nel cielo... »  
Pungente sia nel tono che nell'espressione, il samurai di Wano distolse lo sguardo dal giovane intento a farsi chissà quale filmino mentale pornografico, e spostò le scure iridi sul resto della sala.
Shirahoshi cercava inutilmente di imparare a tirare con l'arco, aiutata da un Sanji incapace però quanto lei in quella disciplina; Marco e Bay stavano totalmente ignorando gli istruttori e sembravano emettere cuori e nuvole di fiore dall'angolo in cui si erano appartati, decisi a godersi sino all'ultimo quei pochi attimi che gli restavano uniti; Robin osservava con interesse la giovane Zoroko, la quale sembrava decisamente temibile con il suo maneggiare ben tre Katana contemporaneamente. In fine i favoriti avevano formato il loro idilliaco e scontato gruppetto, peccato non sembrasse funzionare: Bartolomeo continuava a fare un casino del diavolo dicendo scempiaggini come il suo solito, o meglio urlandole, facendo conseguentemente vergognare una rossissima e disperata Rebecca; Ichiji osservava tutti altero dall'alto della sua perfezione, e Reiju sembrava desiderare di essere ovunque tranne che lì.
Uno sbuffo decisamente scontroso e sconsolato abbandonò le labbra carnose del moro. Mihawk era stato chiaro. Se i Giochi fossero andati sino in fondo, i suoi due tributi avrebbero dovuto pensare a delle ipotetiche alleanze, così da aumentare le probabilità di rimanere in vita il più possibile.
Come giostrarsi però in quel circo?
Izou sapeva esattamente chi avrebbe voluto al suo fianco, di chi solo si sarebbe fidato oltre alla sua compagna di squadra, ma lui a quel giro non sembrava intenzionato a muovere un dito, se non per la donna a cui stava stringendo le mani.
Si costrinse a distogliere lo sguardo da quei due, si costrinse a cancellare dal proprio volto l'espressione di profonda pena che provava per loro, e tornò a scandagliare la stanza.
In un altro angolo si erano rintanati i due di Rogue Town e l'altra giovane donna dell'isola del cielo di cui non ricordava il nome, mentre nella sala delle simulazioni si stavano allenando XDrake e Lawiko. Quei due non parlavano granchè nemmeno tra loro, erano assolutamente da escludere. Probabilmente non si sarebbero guardati nemmeno le spalle a vicenda, non erano affidabili. E nemmeno il ragazzo con gli ormoni a palla che aveva a fianco gli ispirava fiducia.
Forse il famigerato Sabo...
Mah. Non gli andava di pensarci oltre. Voleva ancora credere, o meglio illudersi, che i Giochi sarebbero stati fermati di lì a breve.


« Non troveremo mai degli alleati, Dragon. Mi odiano tutti.»  
Così esordì a cena il biondo quella sera, la faccia livida per l'ultima scazzottata avuta a fine allenamento. Con la scusa di provare la lotta libera infatti, Ichiji gli si era praticamente avventato contro e avevano fatto a cazzotti. Sabo le aveva prese ma le aveva anche date di santa ragione a quel damerino, ma l'atteggiamento generale degli altri tributi lo aveva alquanto demoralizzato. Tranne Ace.
Quel tipo era a posto e gli piaceva parecchio. Peccato per la belva che aveva come compagna di squadra. Quella sicuramente non avrebbe accettato un'alleanza...
«Be, non ci servono alleati, ce la caveremo da soli. » 
Tagliò corto Zoroko, prima che il mentore potesse anche solo pensare di rispondere alle recriminazioni del giovane.
«Non è così semplice. Quest'arena è particolare. Sono tutte persone che hanno già ucciso almeno una volta, non sono ragazzini inesperti. Ed in più ognuno di loro, ognuno è amato dai nobili di Marijoa, hanno sponsor potenti e tra di loro si conoscono. Alcuni sono amici, alcuni sono... coppie. Senza alleati non sopravvivrete cinque minuti nell'arena. Dovete fare amicizia, non c'è altro modo. »
Dopo la disamina di Dragon non volò una sola mosca per tutto il resto della cena, e nel silenzio i tributi si ritirarono nelle proprie camere.
Il primo giorno era andato. Ne restavano solo tre prima della fine.


// angolo autrice
Rieccomiiiii. Ho fatto passare meno tempo dall'ultima volta, ma ci ho messo comunque un'eternità. Perdonatemi T.T
Spero vi sia piaciuto questo capitolo. A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** The Stand ***


Nella sala degli allenamenti era stato portato un pianoforte.
Per quale motivo? Perché Akainu nella sua immensa magnanimità, o per meglio dire nella sua maschera di dittatore magnanimo, aveva deciso di rendere pubblica quella sessione, portando telecamere e presentatori ad intervistare i tributi.
Il pianoforte era solo un sotterfugio per regalare una parvenza di eleganza in un luogo in cui si insegnava a dare la morte, ed era una di quelle cose che faceva impazzire i nobili di Marijoa, tutti incollati davanti agli schermi per vedere quel macabro reality show.
La preparazione dei tributi era sempre stata segreta fino ad allora. Per ben settantacinque anni agli spettatori dei Giochi dei Sette Mari era stato concesso solo di vedere il bagno di sangue nell'arena, perciò l'eccitazione e le aspettative erano alle stelle per quella novità.
All'insaputa di Akainu però, un ordine era stato dato da alcuni dei mentori, nel loro continuare a provare a interrompere quella barbarie prima che i Giochi veri e propri cominciassero. Un ordine che fu Marco ad eseguire per primo.
Quando le telecamere infatti si accesero, il giovane uomo dai capelli biondi si sottrasse al giornalista che voleva intervistarlo, ed andò a sedersi proprio al piano, sorridendo placido come se nulla fosse, come se non stesse appena intraprendendo un'azione totalmente sovversiva in diretta mondiale.
Le sue dita cominciarono a volare sui tasti, dando vita ad una musica armoniosa e leggiadra, che invase con innaturale dolcezza la stanza con le sue note d'amore.
Pochi attimi dopo Bay si sedette al suo fianco, poggiando la testa sulla sua spalla e sfiorandosi il ventre con le dita, sorridendo mesta: Un chiaro messaggio ai cittadini di Marijoa, che avevano tifato per la loro coppia da quando questa era nata: una famiglia si stava formando in quell'unione. Una nuova vita prendeva forma cullata dal corpo delicato della donna.
Un mormorio serpeggiò allora tra i tributi ignari di quella notizia.
Era tutto vero? O era una messa in scena orchestrata per spingere i nobili a chiedere la sospensione dei giochi in modo da costringere Akainu a fare marcia indietro?
Quale che fosse la realtà, quell'onda andava cavalcata senza ripensamenti o remore, e mentre i cameraman impazziti cercavano le migliori inquadrature di Marco e Bay, e i presentatori non sapevano più cosa fare, Izou artigliò Nico Robin per un polso e con leggiadra eleganza cominciò a farla volteggiare attorno al piano, esibendosi in un sensuale sogghigno, accompagnato da un intenso sguardo che la donna ricambiò con un'espressione complice ed affabile.
Due concorrenti di diversi distretti che danzavano assieme prima dei giochi? Quando laggiù avrebbero dovuto per forza uccidersi a vicenda?
Inaudito.
Un gesto di solidarietà e amicizia che non sarebbe mai dovuto esistere. Una sfida diretta al potere del dittatore che muoveva i fili delle loro vite.
Cogliendo il significato di quanto stava accadendo perciò, anche Ace prese senza perdere tempo una delle dame presenti, optando senza accorgersene per la bella spadaccina dai capelli verdi del distretto dodici, la quale sembrava totalmente incapace di muovere un solo passo.
Al moro veniva da ridere mentre cercava di farla danzare con grazia, ma niente, un manico di scopa avrebbe fatto meglio di lei e sarebbbe stato anche più collaborativo. Poco importava però, ciò che contava realmente era che il messaggio giungesse forte e chiaro: noi ci opponiamo. Noi siamo uniti in questa battaglia.
E piano piano anche gli altri compresero e si unirono a volteggiare in quello spiazzo divenuto pista da ballo.
Impensabile.
Akainu dovunque fosse, si stava sicuramente mangiando le mani nel vedere il proprio piano ritorcerglisi contro.
Perfino Ichiji Vinsmoke si era chinato con fare principesco, e chiedendo il passo ad una Shiraoshi sbalordita, e davanti ad un Sanji quanto mai contrariato, si era unito agli altri ballerini, facendo peraltro sfigurare un po' tutti coloro che stavano improvvisando a differenza sua che invece era un danzatore nato.
Instancabili le dita di Marco intanto continuarono a creare quell'atmosfera soffusa e delicata, cambiando motivo da un classico minuetto ad un valzer, e a quel punto perfino Eustass Kidda si decise a fare la sua mossa, pizzandosi davanti a Sabo con la mano tesa ed il volto serio.
Si capirono con uno sguardo.
Lei chiaramente avrebbe preferito ballare con uno zoppo, ma proprio perchè non digeriva il biondo, danzare con lui avrebbe avuto molto più significato, per questo il tributo del docesimo distretto acconsentì, fingendo un sorriso tanto largo ed abbagliante, che quasi ci credette davvero anche lui.
Le loro dita si intrecciarono e i loro piedi trovarono il medesimo ritmo mentre si univano al gruppo ormai nutrito di ballerini, e fu meno peggio del previsto, nonostante la rossa fosse più impegnata a guardare dove metteva i tacchi, con i quali peraltro, lo sorpassava di quasi tutta la testa. Il che non era particolarmente edificante per il giovane, che si sentiva un po' in soggezione ed un po' infastidito come un moccioso.
Alla fine tutti i tributi si unirono a quel ballo improvvisato, e la diretta televisiva venne interrota bruscamente, adducendo ad un guasto alle linee di telecomunicazione.
Ciò che doveva essere visto però, ormai era impresso in maniera indelebile nella mente di tutti gli spettatori.

 

 

Sabo guardava la strada sottostante attraverso la grande vetrata dell'attico in cui alloggiavano i tributi del dodici. La via adiacente il grattacielo era gremita di cittadini, tutti uniti in un unico urlo: fermate i giochi.
Ed ovviamente Akainu non avrebbe mai potuto far disperdere la folla in maniera violenta, come avrebbe fatto in qualsiasi altro distretto. Quella era la capitale, quelli erano i nobili che costruivano il tessuto sociale su cui lui faceva leva per sostenere il proprio governo. Non poteva in alcun modo perdere il loro favore, o far loro del male.
Era stato messo alle strette, proprio come Dragon San aveva previsto.
« Siete stati molto bravi oggi. »
La voce del mentore risuonò alle spalle del giovane, facendolo voltare sorpreso, tanto che il movimento fu accompagnato da un lieve sobbalzo.
« Non credo di aver fatto molto, a parte pestare i piedi ad Eustass Kidda, guadagnandomi ancora un po' del suo odio. »
Sospirò dunque il biondo, esibendosi in una semplice scrollata di spalle.
Il proprio dire però, trovò in risposta un gesto di diniego da parte dell'adulto il cui compito era riportare a casa lui e Zoroko.
« Ed invece avete creato un'alleanza. Se Akainu deciderà comunque di mandarvi nell'arena, il pubblico si aspetterà di vedere i tributi dell'undici e quelli del dodici spalla a spalla, proprio com'è accaduto oggi. Forse non era ciò che Ace e Kidda avevano in mente, ma ormai il dado è tratto. Degli sponsor hanno contattato sia me che il loro mentore, Inazuma. »
Sabo si lasciò di nuovo andare ad un sospiro cupo e colmo di rassegnazione.
Ace gli piaceva molto, combattere spalla a spalla con lui era un'idea che lo elettrizzava più di quanto fosse lecito, ma quella Kidda... dava l'idea di una capace di sbranare anche il proprio alleato.
Come avrebbe potuto fidarsi di lei?
Fu Zoroko però ad attirare l'attenzione dei due compagni, con un quesito cui invece il biondo non aveva pensato.
« E se rimarremo solo noi quattro alla fine, cosa succederà? Questa volta Akainu non lascerà uscire più di una persona viva dall'arena. Non farà lo stesso errore che ha fatto l'anno scorso.»
Il peso di quella verità calò su tutti loro come un incudine, facendo sentire Sabo come se fosse sul punto di vomitare.
Era colpa sua se erano di nuovo tutti in quella situazione.
L'odio della belva scarlatta dell'undici non era poi così ingiustificato.
Il seme della speranza però, ancora una volta venne gettato da Dragon.
« Se siamo fortunati in realtà, finirà tutto molto, molto prima. »

 

 

// SONO TORNATA CON QUESTA FF, COLTA DA UN MOMENTO D'ISPIRAZIONE.
Cerco di promettervi un capitolo a settimana, perchè in realtà voglio finirla al più presto, ma come sempre non posso assicurarvi nulla, se non che però, non passeranno più così tanti mesi prima che aggiorni.
Grazie per avere avuto la pazienza di aspettarmi, e grazie a chi vorrà ancora seguirmi.
Un abbraccio a tutti da una pirata che sta rubando la connessione del lavoro per pubblicare muahahahahaha

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** The Show Must go On ***


Né la discesa in piazza né le proteste dei nobili avevano fatto desistere Akainu dal portare avanti ugualmente i Giochi. Il dittatore aveva espresso i motivi di tale decisione durante una diretta televisiva, ed ovviamente ci erano cascati tutti in quel dire autoritario. Chi aveva alzato la testa aveva ben presto dimenticato il livore e l'astio, il presunto bambino di Marco e Bay ed anche l'amore per i loro campioni, in favore della paura instillata nuovamente dal Presidente.
I Giochi a detta di Akainu erano non solo necessari ma indispensabili per mantenere la pace. Senza di essi si sarebbe ritornati all'anarchia e alla fame provocata dalla passata epoca della pirateria, e tanto era bastato per zittire tutti.
Non nei distretti ovviamente. Li la scintilla dell'insoddisfazione e la voglia di libertà ormai erano state aizzate, non c'era più nessuno spauracchio capace di trattenere le rivolte crescenti. E per arginare quella rabbia il dittatore era ancora più intenzionato ad essere spietato più che mai. I cinque astri e il capostratega avrebbero davvero dato del filo da torcere nell'arena, nel più cruento modo possibile.
Un'ultima speranza era rimasta ai ventiquattro tributi: le interviste la sera prima del suono di cannone che avrebbe sancito l'inizio della fine.
Per evitare altre brutte sorprese ovviamente, era stato presentato un copione da seguire ad ogni concorrente, copione a cui si sarebbero dovuti attenere scrupolosamente. Peccato che i mentori, ormai tutti sulla stessa linea, avessero suggerito ai propri pupilli di fare esattamente il contrario.
Ormai tanto valeva giocarsi il tutto per tutto, poichè in ogni caso, al più tardi l'indomani mattina sarebbero comunque tutti morti o quasi.
La tensione perciò era davvero alle stelle dietro le quinte, mentre i giovani a coppie salivano la piccola scaletta che li avrebbe condotti sul palco.
I primi a fare il loro ingresso furono Ichiji e Reiju Vinsmoke dal primo distretto. La loro recita non fu troppo eclatante: il rosso si esibì in un falsissimo sorriso accondiscendente, come se fosse pronto a perdonare tutto e tutti, prima di posare il braccio muscoloso attorno alle esili spalle della sorella, la quale non perse tempo a lasciarsi andare ad un pianto lieve e sommesso, singhiozzando su quanto Marijoa avesse dato loro tantissimo da quando erano divenuti campioni. Il pubblico ovviamente si era commosso assieme a lei bevendosi quella pantomima, ed una nuova sequela di "fermate i giochi" si era levata alta dagli spalti. Per quanto stupidi ed ottusi, quei nobili volevano davvero bene ai loro campioni.
Le grida vennero silenziate quasi subito, facendo uscire in fretta e subito il duo, seguito dunque da Rebecca e Bartolomeo, la seconda coppia in gara. Loro entrarono ed uscirono senza troppo clamore, a differenza di chi giunse dopo di loro. Marco e Robin infatti, donarono un nuovo colpo al cuore ad ogni spettatore. Il biondo non guardò il presentatore, ed ignorò la sua domanda in favore di un giuramento attuato inginocchiandosi e portandosi una mano al petto con fare solenne per pronunciare la propria promessa: avrebbe fatto di tutto per proteggere Bay, portarla avanti fino alla fine dei Giochi, e solo allora si sarebbe tolto la vita per lasciar vincere lei, e donare la libertà e la vita al loro bambino.
Una standing ovation accolse quella scena, tanto che persino il presentatore Prospero si abbandonò ad un sospiro commosso.
Anche Marco e Robin lasciarono il palco, e al loro posto vennero Sanji e Shiraoshi, con nuove emozioni da regalare. La giovane fece commuovere tutti nel suo dolce saluto diretto al padre ed ai fratelli, mentre Sanji, guardando dritto nella telecamera lasciava un ultimo messaggio alla sua amata Pudding rimasta a Fisherman Island. 
Ogni campione si alternò all'altro, creando un caleidoscopio di sensazioni in chi li osservava. 
Nami e Wiper portarono il buon umore e sonore risate con i loro battibecchi, così come fu esilarante Paulie nel cercare in tutti i modi di abbassare la gonna di Kalifa, da lui giudicata troppo succinta.
Il sentimentalismo tuttavia non tardò a farsi vivo di nuovo attraverso Bay e Izou. Le lacrime erano tornate a scorrere a fiumi mentre la donna si accarezzava il ventre piatto con amore, affiancata da un samurai dall'aria agguerrita come quella di un mastino. Un guardiano fedele al fianco della dama. Se avesse potuto li avrebbe azzannati tutti uno ad uno, fiero e bello come non mai.
E se dal distretto sette era giunta la più calda delle emozioni, con l'otto si era tornati al gelo con una Lawiko silenziosamente rassegnata ed un Drake dall'espressione calcolatamente illeggibile. Nel loro contegno tuttavia, vi era una precisa protesta: non parlarono, non risposero ad alcuna domanda, ed in quel silenzio vi fu la loro sfida al potere.
Prospero si arrese e li mandò di nuovo dietro le quinte per liberarsi di quell'impiccio, ma fu un cadere dalla padella alla brace, poiché Kobi e Tashigi con il loro giovane ardore e la pretesa di giustizia avevano infiammato totalmente la folla, così come fece l'arringa di Pell, desideroso di parlare in favore dei diritti di tutti quanti loro.
Il meglio tuttavia, un po' per fato un po' per semplice ordine dei distretti, era stato tenuto per la fine.
Quando infatti era stato il turno di Kidda di arrivare sotto i riflettori in un abito scarlatto come la sua chioma ribelle, si scatenò il vero delirio, delirio che Ace non si curò minimamente di mitigare o fermare, accogliendo anzi tutta la sfuriata della compagna con una sonora risata, mentre Prospero cercava inutilmente di strapparle il microfono di mano.
« Avevi promesso che se avessi vinto il mio anno, sarei stata libera per sempre, ed invece provi di nuovo a rinchiudermi e ad ammazzarmi, grandissimo figlio di puttana! »
Inveendo contro la telecamera, la giovane urlava tutta la sua ira, agitando l'unico braccio rimastole dato che il sinistro lo aveva perso proprio nell'arena.
« Perchè tu e quegli stronzi di strateghi non scendente a giocare con noi?? E' troppo comodo farci ammazzare a vicenda! Se hai le palle dannato cane, vieni a combattere contro di me. Dai Akinu! Fatti avanti! »  
I gestacci non vennero risparmiati, e alla fine i due del distretto undici vennero accompagnati nuovamente dietro le quinte, nonostante la rossa stesse ancora sbraitando.
Sulla scalinata però, i campioni uscenti incrociarono i ragazzi del dodici, e le dita di Kidda si chiusero con forza sul polso del biondo, vestito secondo il volere del Presidente come un pacificatore della Marina. Uno sfregio voluto, un segno di sottomissione chiaro.
« Fagliela pagare. »  
Ringhiò feroce la giovane all'orecchio del tributo, prima di lasciarlo andare, così che lui e Zoroko avessero il loro momento.
Sabo non si sentiva affatto a suo agio negli abiti che il dittatore gli aveva imposto, per quanto la divisa gli conferisse un'aura audace ed adulta, tuttavia confidava in ciò che Ivankov gli aveva detto mentre lo aiutava a vestirsi.
Ed infatti nel bel mezzo dell'intervista, la stoffa prese letteralmente fuoco, e in una fiammata maestosa che fece urlare tutti i presenti, la divisa da marine lasciò il posto ad un lungo cappotto nero, le cui frange ondeggianti ricordavano il movimento delle ali di un corvo, o meglio ancora di una ghiandaia imitatrice, l'animale divenuto ormai il simbolo della rivolta.
L'ovazione fu altissima, il pubblico non stata più fermo sulle poltrone per la forte eccitazione, ed il suo stilista nel trasgressivo abbigliamento di calze a rete e corpetto, si alzò a prendersi ogni singolo applauso, inchinandosi sorridente e soddisfatto.
L'espressione di giubilo non aveva ancora trovato il suo fine quando tutti i tributi tornarono a calcare il palcoscenico per il saluto finale, e sulla scia di quel marasma generale, l'ultimo gesto di sfida venne lanciato all'unisono verso il potere che soggiogava quel mondo, verso quel potere ormai incrinato. Tutti e ventiquattro i tributi si presero per mano, sollevando poi le braccia verso l'alto, con audacia e fierezza.
A quel punto Prospero fece segno di tagliare ai cameraman, le luci vennero spente sotto le proteste del pubblico nello studio, e la trasmissione venne interrotta bruscamente.
Ancora una volta però, era troppo tardi. Ciò che doveva essere visto era stato mostrato, la fiamma della rivoluzione non poteva più essere spenta.

- To be Continued -

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Benvenuti nell'Arena ***


Quella stessa notte furono distrutte molte vite nei distretti che trovarono la forza di ribellarsi.
Sembrò quasi di essere tornati alle rivolte dei cento anni di buio, ma nemmeno quel'ultimo gesto di sfida servì ad evitare ciò che quel mattino doveva accadere.
Era stato solo altro sangue versato, su quello che sarebbe corso a fiumi nell'Arena.
I ventiquattro tributi erano già stati divisi infatti in altrettanti corridoi differenti, senza ritardi o intoppi, per permettere loro di compiere l'ultimo cammino che li avrebbe condotti direttamente al patibolo. Non vi era stato nemmeno modo di riuscire a scambiarsi almeno un'ultima parola, scortati a vista dai Pacificatori della Marina com'erano.
Marco e Bay si erano scambiati un solo ed unico lunghissimo sguardo carico di parole non dette, mentre Ace aveva strizzato l'occhio alla spadaccina dai capelli verdi del dodici. Si era preso una bella cotta, e giustamente pazienza che stesse andando probabilmente a morire, e che altrettanto probabilmente si sarebbe dovuto battere con lei. Non poteva esimersi da fare lo spaccone in nessuna situazione lui.
Kidda dal canto sui invece, si era fatta scortare stranamente in silenzio, stretta nella sua pelliccia rossa, così come avevano fatto i Vinsmoke, impassibili nel loro avanzare. Da due fratelli ci si sarebbe aspettato un minimo di interazione in più, ma da loro era giunta solo freddezza.
Quando ormai quasi tutti erano stati incanalati verso la loro ultima destinazione, fu però Rebecca a creare il caos: a metà del proprio corridoio sembrò essere colta infatti da un panico improvviso che la spinse a provare a scappare via. Mossa inutile e stupida ovviamente, dato che immediatamente venne abbattuta con un sedativo sparato nel braccio, e trascinata ugualmente nel tubo che l'avrebbe trasportata sino alla Cornucopia, dove sarebbe stata un bersaglio più che semplice stordita com'era dai tranquillanti.
Davanti a quella scena sia Sabo che Wiper mossero entrambi un passo verso la giovane, ed entrambi furono bloccati all'istante. Il biondo tuttavia, era stato afferrato non dai pacificatori, ma dal proprio stilista, Ivankov, che lesto gli sussurrò anche all'orecchio:
« Non ora. Ricorda chi è il vero nemico. »
Quelle erano state anche le parole di Dragon-San. Una sorta di monito, o forse qualcosa di più.
Sabo annuì e diede un ultimo caloroso e grato saluto all'omone dai ricci capelli violacei, prima di essere scortato via.
Mentre veniva fatto entrare nel tubo elevatore trasparente però, un nuovo grido squarciò la calma, facendolo voltare per lanciarsi fuori a razzo verso la strada da cui era arrivato. Troppo tardi però, ormai era chiuso dentro, ed il rullo cominciava a trasportarlo verso l'alto.
« IVA!»
Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, battendo ripetutamente i palmi aperte contro la superficie in vetro fortificato. Non poteva vedere cosa stesse accadendo, ma le urla dell'okama erano terrificanti, ed erano altresì sufficienti a dargli un'idea di quanto stesse avvenendo: una punizione per lui, non per colui che stava venendo torturato. Una punizione per essersi innalazato dove non avrebbe dovuto.
Calde lacrime di rabbia gli solcarono le guance, prima che il riverbero del sole lo colpisse in pieno, offuscandogli la vista per qualche secondo e riportandolo bruscamente alla realtà.
La superficie in vetro si ritrasse, e lui rimase solo sul proprio piedistallo. Girò su se stesso, prima per controllare che ci fossero tutti, poi per farsi un'idea di come fosse stata strutturata l'Arena.
Il conto alla rovescia era già iniziato inesorabile e brillava dorato nel cielo, lì dove la cupola invisibile che delimitava quel luogo, proiettava immagini.
30
29
28
Sabbia, attorno a loro c'era soltanto sabbia.
Il calore del sole era bruciante, e non sembravano esserci ripari disponibili, almeno nell'imminente circondario.
Dune, dune, soltanto dune. Quelli di Alabasta perlomeno sarebbero morti sentendosi a casa...
22
21
20
La Cornucopia si ergeva imponente nella raggiera creata dai ventiquattro piedistalli, una struttura nera, austera e minacciosa, ornata sulla superficie con spuntoni argentei dall'aria letale.
Al suo interno gli zaini e le armi erano uno specchio per le allodole, ma soprattutto una fonte d'acqua zampillava fresca ed invitante.
Quei bastardi avevano messo l'unica fonte di sostentamento lì?
Che razza di strategia era?
17
16
15
Ah ma certo... improvvisamente Sabo vide tutto chiaramente.
I Giochi non sarebbero durati giorni come al solito, ma ore. Solo ore. Akainu non poteva permettersi ulteriori passi falsi, ulteriori scherzi da parte dei tributi. Li avrebbe distrutti lì, tutti in un colpo solo o quasi, e senza nemmeno muovere un dito di persona.
La fratellanza mostrata nei giorni precedenti infatti, si sarebbe affievolita in un secondo di fronte a quelle impervie condizioni.
Bastardo... Bastardo dittatore maledetto.
9
8
7
Spasmodicamente Sabo cercò lo sguardo di almeno qualcuno degli altri Tributi, ma ormai si erano piegati quasi tutti sulle ginocchia pronti a compiere lo scatto che li avrebbe portati alla Cornucopia, unica ancora di salvezza in quel mare desertico.
Ovviamente, volevano sopravvivere, e come dargli torto?
In fondo per quanto si fossero opposti a quella infausta situazione, nessuno di loro voleva rivoluzionare le cose, ma solo tornare a casa dalla propria famiglia, al sicuro. Avrebbero combattuto ognuno per sè, e Akainu avrebbe vinto.
Maledetto.
4
3
Sabo voleva gridare, dire a tutti di fermarsi, ma aveva come l'impressione che se lo avesse fatto, gli Astri diSaggezza, Strateghi da generazioni, avrebbero buttato loro addosso una bomba o qualcosa del genere, costringendoli in qualche modo a fare lo sporco gioco di Marijoa.
Fu così dunque, nei disperati secondi che si rincorrevano, che il biondo decise che avrebbe fatto da solo la differenza. O almeno che ci avrebbe provato.
Se doveva morire infatti, lo avrebbe fatto alle sue regole e non a quelle di qualcun altro.
2
1
Il colpo che dava inizio alla battaglia esplose nel fragore di un tuono, ed in effetti Sabo scattò come tutti gli altri... solo correndo dalla parte opposta.
Alle sue spalle in pochi secondi sarebbe cominciato un massacro cui non voleva nè assistere nè prendere parte, ma soprattutto desiderava avere il tempo di crearsi una valida strategia a propria volta.
Corse, corse a perdifiato, ignorando il pressante calore che lo stava già facendo boccheggiare, tanto concentrato da non rendersi nemmeno conto di non essere da solo.
« Se hai un piano, questo è il momento di esporlo. Zoroko ha detto che recuperava una spada e poi ci avrebbe raggiunto in qualche modo, quindi dobbiamo darci una mossa. »
In uno scatto stralunato Sabo voltò allora la testa alla sua destra, giusto in tempo per vedere Ace che lo affiancava senza sforzo.
« Io non ho un piano. »
Rispose allora sincero, nonostante lo sbigottimento, facendo nascere nell'altro un sorriso che era a metà tra l'incredulo e il divertito.
« Oh, perfetto. Allora immagino non ci resti che correre. »
E quello fu esattamente ciò che fecero.
Spalla a spalla corsero tra la sabbia bollente, allontanandosi dalle grida belluine che cominciavano a risuonare dietro di loro.
 

 


// si ogni tanto torno con questa storia. Ho scoperto di avere poca ispirazione per questa trama, ma ormai ero in ballo, e anche se piano piano, la voglio finire. A preso //

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Gioco al massacro ***


Quello scemo di Sabo voleva fare l'eore. Questo pensò Zoroko nel vederlo correre via come il vento. Disarmato.
Dannazione.
Fu un attimo lo scegliere di correre per lui e con lui, intimando ad Ace di fare altrettanto mentre lei cercava almeno di recuperare qualcosa per difendersi. Una katana sarebbe stata l'ideale, ma si sarebbe fatta andar bene qualsiasi cosa di appuntito.
Le gambe lunghe e snelle le permettevano di essere più veloce di altri, ma non a sufficienza per giungere per prima alla Cornucopia.
Scivolò volontariamente sulla sabbia per appiattirsi mentre Miss Double Finger cominciava una spietata battaglia contro Reiju.
Bene che si scannassero a vicenda, meglio per lei.
Fece allora per tuffarsi in avanti, ma venne placcata da X Drake.
Bastardo, era stato zitto e muto per tutta quella settimana, ed ora si faceva valere prendendosela proprio con lei?
Cercò di liberarsi da quella mole ingombrante, provando a svicolare via con un colpo di reni, ma nulla. Mentre un pugno chiuso la colpiva in pieno viso, vide una spada scintillare argentea poco lontano da lei. Era un fioretto, non una katana, ma poteva andare ugualmente.
Ecco cosa non voleva farle prendere, ecco perchè le si era avventato addosso a quel modo.
« Bastardo. »
Imprecò saggiando sulla lingua il sapore del proprio sangue, prima che qualcosa di altrettando caldo e rosso le si riversasse sul viso a fiumi, coprendole la visuale ed imbrattandola completamente.
Dapprima udì quindi il tonfo ed il rotolare di qualcosa su di una superficie piana, dopodichè venne alleggerita dal peso del corpo che l'aveva sovrastava. Riuscì così a tergersi il viso con la manica della propria giacca, e ciò che vide le diede una morsa allo stomaco.
Il corpo di X-Drake, decapitato, era appena stato lanciato via da Kidda, nella cui mano destra scintillava un'ascia ricoperta di liquido cremisi.
« Non stare lì a fissarmi come una cretina, devi andare, no?! »
Abbaio la ragazza dell'undicesimo distretto, esortando Zoroko a muoversi.
Fu così che la spadaccina ritrovò la lucidità per sollevarsi con un balzo e recuperare l'arma desiderata, assieme a due zaini dal contenuto sconosciuto.
Dragon aveva avvisato soltanto lei di essere riuscito a tessere alleanze con alcuni degli altri mentori, ed ora era chiaro anche con quale dei dodici. Altrimenti non si spiegava perchè la rossa stesse aiutando proprio lei.
« A buon rendere Ki... »
Prima che potesse terminare la frase, sopraggiunse Ichiji a reclamare attenzione, costringendo la scarlatta ad un nuovo duello.
Zoroko si fece avanti per darle man forte questa volta, ma l'altra glielo impedì.
« Non è questo il nemico! Vai. Ora! »
Esistazione.
Esitazione e rimorso prima di schizzare via come un ghepardo, percorrendo a ritroso la strada fatta poco prima.
Fu costretta a saltare come fosse un ostatolo il corpo esanime di Rebecca, e con la coda dell'occhio intravide Izou e Marco intenti a combattere spalla a spalla per parare gli assalti di Wiper e Kalifa, mentre un Kobi in lacrime cercava di portare lontano dal campo di battaglia la compagna di squadra ferita.
« Decisamente non ci teniamo più per mano. »
Brontolò contrariata, arrestando però la propria corsa nel vedere nuovamente sopraggiungere Ace e Sabo verso la propria direzione.
« Ma che diavolo fa... MERDA. »
Alle loro spalle emerse dalla sabbia uno scoprione enorme, grande quanto il fottuto palazzo di Akainu.
Che diavoleria era mai quella? Tutti sapevano che Marijoa nei suoi laboratori segreti dava vita a spaventosi ibridi, ma c'era un limite a tutto, che diavolo!
Istintivamente quando i due furono abbastanza vicini lanciò ad entrambi gli zaini, sperando che contenessero un'arma utile o qualcosa del genere, dopodichè si lanciò senza pensare contro lo scorpione, sperando che la propria lama fosse sufficiente a fendere le zampe di quell'essere.
« Zoroko! »
« Attenzione! »
Due esclamazioni egualmente preoccupate, ma inutilmente. Prima che infatti la giovane potesse essere a portata di letale pugiglione, qualcuno lanciò una granata proprio nella bocca dell'artropode, facendolo esplodere in mille appicciosci pezzi.
Dopo il sangue, le interioria viscide... e i Giochi erano appena iniziati da quanto?
Con il ronzio dell'esplosione ancora nelle orecchie, la giovane trovò la mano porta verso di lei e con essa si issò, finendo contro il petto ampio di Ace.
« Stai bene? »
Le domandò lui mentre si udiva Sabo ringraziare qualcuno.
La spadaccina si sporse allora per vedere chi altri era intervenuto in loro soccorso, e fece solo in tempo a vedere una chioma arancione di donna, prima che le sabbie sotto di loro cominciassero a muoversi.
« Maledizione un'altra trappola. »
Imprecò Ace, trascinandosi via Zoroko prima che una voragine si aprisse sotto di loro inghiottendo i resti dello scorpione.
« Solo il perimetro attorno alla Cornucopia è sicuro, vogliono tenerci confinati qui! »
Spiegò Lawiko, sopraggiunta anche lei dopo che come Sabo aveva provato ad allontanarsi per evitare l'iniziale spargimento di sangue della Cornucopia.
Lo strano quintetto tornò allora per miracolo nei pressi della struttura di metallo, dove duelli erano ancora in corso, e nello sguardo di ognuno di loro si poteva leggere la consapevolezza dell'inuttabilità di quella situazione.
Akainu non avrebbe risparmiato nessuno. Nessuno.
Ed ancora una volta dalla sabbia, a riprova di quanto appena dedotto, nuovi animali si ersero a circondare tutto il perimetro.
Mastini del deserto, serpenti giganteschi, ed altri animali ibridi metà di una specie e metà di un'altra. Persino una sfinge emerse nella sua letale imponenza.
Non avevano badato a spese, eh?
« SE ESCO DI QUI TI APRO IL CULO, AKAINU! »
La voce di Kidda esplose nel silenzio attonito che aveva colpito gli altri tributi.
Aveva battuto Ichiji?
Zoroko la cercò con lo sguardo mentre tutti istintivamente arretravano, creando una sorta di circolo compatto contro l'accerchiamento che li aveva colti alla sprovvista, e la trovò poco distante e decisamente poco integra.
Le corse a fianco posandole una mano attorno alla schiena per aiutarla a sostenersi e restare in piedi, mentre nel cielo venivano sparati i nomi dei caduti di quella prima tornata di scontri: Rebecca, Tashigi, XDrake, Pell, Paulie, Miss Double Finger e Wiper.
Il maledetto Vinsmoke se l'era cavata?
Dov'era, nascosto nella Cornucopia al sicuro a farsi leccare le ferite dalla sorella?
La voce di Sabo si innalzò sopra la confusione però, e sopra i pensieri della spadaccina.
« Questo è il messaggio che Akainu ci sta mandando. Massacratevi tra di voi o morite per mano mia, come se non ci fossero altre vie d'uscita. Ma sapete cosa vi dico? Io non sono più disposto a fare a modo suo. Siamo noi quelli nell'Arena. Siamo gli unici a poterci opporre. Facciamo fuori queste belve e riconquistiamo la nostra libertà fuori da qui! »
« Si perchè ci faranno uscire, vero? Più probabile che ci facciano saltare in aria se facciamo a modo nostro. »
Fece notare scettica Lawiko, la cui mano sinistra stringeva convulsamente una specie di bisturi, la cui lama sembrava lucida di veleno.
« Io preferisco saltare in aria combattendo alle mie regole, piuttosto che uccidere ancora una volta anche uno solo di voi. »
Intervenne  Ace con la semplicità del suo caldo sorriso spruzzato di lentiggini.
« Concordo. »
Convenne Marco, stringendosi alla sua Bay.
« Si anche io. »
« Contate su di me. »
Voci si sostennero una dopo l'altra, giungendo persino da labbra inaspettate.
Ancora una volta per Marijoa però, fu troppo. Una sfida imperdonabile.
Fu così che come un'unica grande entità le belve attaccarono tutte insieme, e nuove urla riempirono l'Arena.

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3733171