La volta in cui Levi...

di Ellery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Si perse al supermercato ***
Capitolo 2: *** Smarrì il cappello di Kenny ***
Capitolo 3: *** Ricevette la lettera per Hogwarts ***
Capitolo 4: *** Decise di esplorare il web ***
Capitolo 5: *** Andò a cena da Krakko ***
Capitolo 6: *** Partecipò a C'è missiva per te! ***
Capitolo 7: *** Cercò di rapire Eren ***
Capitolo 8: *** Progettò una partenza intelligente ***
Capitolo 9: *** Ebbe un incontro ravvicinato del terzo tipo ***
Capitolo 10: *** Partecipò all'Eredità ***
Capitolo 11: *** Prese parte al Presepe Vivente ***
Capitolo 12: *** Partecipò a una gara di orienteering ***
Capitolo 13: *** Estrasse la spada nella roccia ***
Capitolo 14: *** Vinse una mano fortunata a poker ***
Capitolo 15: *** Partecipò ad un campeggio meditativo ***
Capitolo 16: *** anzi Kenny scrisse un libro ***
Capitolo 17: *** Ottenne un nuovo cavallo ***
Capitolo 18: *** Salvò la Terra di Tre/Quarti ***
Capitolo 19: *** Seguì Kenny sul posto di lavoro ***
Capitolo 20: *** Vinse alla lotteria ***
Capitolo 21: *** Partecipò alle Olimpiadi ***



Capitolo 1
*** Si perse al supermercato ***



La volta in cui Levi si perse al supermercato
 


Levi fissò il grande edificio oltre il vetro sporco della macchina, poco prima che Kenny parcheggiasse con un brusco rumore di freni. Il centro commerciale era enorme e, nonostante fosse solo metà novembre, addobbato di luci colorate e Babbi Natale giganti. L’atmosfera della festa si respirava già all’esterno, dove le tettoie per i carrelli erano state adornate di fili rossi ed argento.

«Siamo arrivati» Kenny lo fece scendere dalla vecchia Citroen con uno strattone, prima di sbattere malamente la portiera alle sue spalle.

«Mi comprerai un gioco, zio?» chiese, lo sguardo sottile improvvisamente carico di speranza.

«No»

«Ti prego» giunse le manine in una muta supplica, mimando un leggero capriccio con le labbra.

«No»

«Uno piccolo»

«No»

La risposta era sempre la stessa, nonostante il tono di voce stesse pericolosamente cambiando: aveva imparato a conoscere quella sfumatura irritata e secca, indice che Kenny non stava gradendo affatto le sue richieste. Decise, tuttavia, di ritentare:
«Poi non ti chiederò più niente»

«No»

Sbuffò. Con quell’uomo non si poteva proprio ragionare. Infilò le mani nelle tasche del giubbetto azzurro, chinando il capo e limitandosi a camminare dietro all’imponente figura nera.

Kenny era suo zio da parte di madre. Da quando Kuchel se n’era andata – Kenny non aveva voluto dirgli dove, ma lui sospettava si fosse risposata con il tabaccaio sotto casa, che aveva chiuso il negozio proprio in quel periodo – si era ritrovato costretto a vivere con il burbero signor Ackerman, che si era rivelato tutto, tranne che uno zio affettuoso e premuroso. Aveva dovuto accontentarsi: sua madre non sarebbe tornata, impegnata come era nella nuova attività di commerciante alle Maldive. Per cui, non aveva scelta: vivere con lo zio oppure finire in orfanotrofio. Non era sicuro d’aver preso la decisione giusta, ma ormai era fatta! Almeno aveva un tetto sopra la testa e qualcosa da mangiare, già… non poteva lamentarsi troppo. Anche perché, in caso contrario, avrebbe conosciuto di nuovo il battipanni; l’ultimo incontro non era stato affatto piacevole.

«Muoviti!» la voce di Kenny lo riscosse, spingendolo ad attraversare in fretta il parcheggio, sino all’ingresso. Passò sotto al grande arco dorato, fermandosi soltanto un istante per studiare la propria figura: a cinque anni, la sua altezza era già inferiore alla media, ma il viso paffuto e le spalle tondeggianti lo facevano assomigliare più ad un pulcino impaurito, che ad un bambino sveglio e promettente. Un pulcino nero, a giudicare dai ciuffetti di capelli che spuntavano sotto il berrettino a pois. Il corpo morbido era avvolto in troppi strati di vestiti: giacca a vento, maglione, maglietta della salute; bermuda sotto i jeans ed un paio di scarponcini, oltre agli immancabili guanti bianchi di seconda mano, regalo di una vicina di casa.
In fondo, forse Kenny gli voleva bene: lo aveva imbacuccato così per evitare che si ammalasse? Senza dubbio, ma più per risparmiare sulle cure mediche, che per amore della sua salute.

Scosse il capo, barcollando tra la gente e tornando al fianco dello zio. Formavano una coppia curiosa: un uomo di bell’aspetto, allampanato e robusto, seguito da un moccioso più simile ad un rospo che ad un bambino. Attiravano indubbiamente l’attenzione: molte signore si soffermavano sui lineamenti duri e intriganti di Kenny, prima di squadrare perplesse il ragazzino che gli correva appresso.

«Zio…» Levi tese le dita nel nulla «Mi dai la manina?»

«No»

«Ma c’è gente… ho paura! Potrei perdermi»

«Chissenefrega»

«Zio…» pigolò di nuovo, senza ritrarre la mancina «La mamma me la dava sempre»

«Immagino. Tua madre la dava a tutti.» si inoltrarono oltre i tornelli del supermercato, fermandosi solo per noleggiare un carrello «Adesso piantala di frignare o ti riporto in macchina»

Si azzittì, affondando il mento nella lana pungente della sciarpa. Il supermercato era pieno di famiglie, con bambini urlanti che sfrecciavano tra le corsie, intenti a curiosare nella zona giochi e quella dei dolci natalizi. Alcuni nonni erano in coda per accaparrarsi i videogiochi più in voga del momento, mentre altri caricavano voluminose case di bambole per le nipotine. Una coppia stava sfogliando alcuni libri, chiacchierando sulla possibilità di regalarli ai loro figli.

«Zio…»

«No!»

«Ma non ti ho ancora chiesto niente!»

«Mi hai già chiesto troppe cose per oggi. A partire dall’ossigeno per respirare. Che altro vuoi?»

«Posso entrare nel carrello? Mi fanno male gli scarponcini» fece per sedersi su una scaletta, di quelle usate dai commessi, ma una mano callosa lo tirò bruscamente in piedi.

«No»

«Perché no?»

«Ci devo mettere la spesa nel carrello, va bene? Cerca di tacere, cazzo!­» tra le mani del parente comparve un foglietto. Riuscì a leggere soltanto alcuni nomi: pane, formaggio, vino, birra, vodka, dentifricio, altro vino, burro, sughi preconfezionati.

Tornò a guardarsi attorno, fissando lo scorrere delle corsie: la pasta perfettamente impilata nei cartoni colorati, i risi precotti – di cui Kenny fece una assurda scorta – la zona per la cura personale e, infine, il reparto alcolici. Le bottiglie di vino erano disposte con cura, suddivise per colore e per casa produttrice, mentre il prezzo lievitava via via che ci si avvicinava al centro.

Kenny prese a riempire il carrello con alcune bottiglie, adagiandole accuratamente sul fondo. Ad ogni tintinnio sospetto, controllava che il vetro non si fosse scheggiato e che i tappi di sughero fossero ancora perfettamente sigillati.

«Zio…»

«Sto scegliendo il vino! È un’ operazione delicata, roba da adulti. Vuoi piantarla di rompere?»

«Voglio delle caramelle»

«No»

«Mi dici sempre di no…»

«Chissà come mai…» v’era del sarcasmo nella voce del parente; un sentimento che, a lungo andare, Levi aveva imparato a riconoscere sin troppo bene.

«Per favore…»

«No! E adesso stai fermo e zitto… e lasciami lavorare»

Sporse leggermente il labbro inferiore, mentre gli occhi si inumidivano e bruciavano. Era così frustrante non poter ricevere mai niente! Gli altri bambini stavano trascorrendo un sabato felice con le loro famiglie, ingozzandosi di dolciumi e riempiendosi le braccia di giocattoli. Lui, al contrario, era confinato nel reparto vini, senza poter fare altro che specchiarsi nelle bottiglie scure.

«Zio…»

Kenny mimò uno sbuffo seccato al vedere la sua espressione distrutta:
«Non ti metterai a frignare, vero?»

Levi tirò su col naso, scuotendo velocemente la testa. Se c’era una cosa che Kenny non poteva sopportare, erano i piagnistei inutili: diventava stranamente insofferente ed odioso, davanti alle sue lacrime. Non che solitamente non lo fosse, ma… più insofferente ed odioso! Si sforzò di trattenere la delusione, mentre una goccia amara scivolava lungo la guancia paffuta.

«N-no» mentì, le labbra piegate in una smorfia malinconica.

«Va bene! Vai a comprare le caramelle. Un pacchetto solo»

«Non mi accompagni?»

«No. Ti aspetto qui. Adesso sparisci e non metterci troppo»

Sgattaiolò via, contando frettolosamente le corsie e controllando i cartelli con le indicazioni. Superò il reparto surgelati e quello dei succhi di frutta, deviando immediatamente nell’area dei dolci. Quella zona era fantastica: scaffali interi pieni di caramelle colorate, di leccalecca, di barrette di cioccolato e biscotti confezionati singolarmente.

Si avvicinò ad un pacchetto di marshmallow, perdendosi ad osservare il rosa ed il verde intrecciarsi sulla superficie morbida. Lo afferrò tra le dita sottili, stringendolo delicatamente al petto: Kenny non gli aveva mai permesso di comprare dei marshmallow. Secondo lui, servivano solo per alimentare le tasche dei dentisti, ma… forse questa volta glieli avrebbe concessi. Li trattenne, quasi fossero il più grande tesoro mai visto, prima di procedere a ritroso nella corsia. Magari Kenny sarebbe stato clemente e gli avrebbe permesso anche una barretta di cioccolato! E un tubetto di Smarties. E anche un pacchettino di confetti.

Prese tutto tra le braccia, tornando sui propri passi. Macinò metri velocemente, entusiasta di quella piccola spesa. Finalmente, anche lui aveva dei dolci! Non era più costretto ad invidiare gli altri bambini, anzi… sarebbe stato al centro dell’attenzione. Notava già gli sguardi invidiosi di alcuni ragazzini, a cui i genitori avevano vietato i preziosi marshmallow.
Corse a perdifiato fino al corridoio del vino, sbucandovi con un enorme sorriso.

«Zi…» la parola gli morì sulle labbra. La corsia era deserta! Kenny se n’era andato! Lo aveva abbandonato tra le bottiglie di pregiato spumante ed il Tavernello. Un destino crudele…

Vedeva già i titoli dei giornali: “Orfano si perde nel supermercato e viene adottato da una famiglia di lattine di birra”. Orrore! Sarebbe diventato lo zimbello della classe; i suoi compagni lo avrebbero deriso, le ragazze snobbato e persino le maestre avrebbero incontrato difficoltà a parlare con delle lattine, durante i colloqui genitori-insegnanti.

I dolci gli caddero, mentre le mani si alzavano istintivamente agli occhi, ormai colmi di lacrime. I singhiozzi gli sfuggirono incontrollati, mentre il pianto erompeva nel silenzio della corsia. Non c’era nessuno che potesse aiutarlo, lì? Tra le piccole damigiane e i colli alti degli amari, non c’era qualcuno che potesse dirgli dove si trovava Kenny? No. Era solo. Solo ad affrontare la dura realtà, il mondo crudele dei bambini smarriti al supermercato. Cosa poteva fare? Scosse il capo: non riusciva a pensare a nulla. Nemmeno una idea. Si rannicchiò contro uno scaffale, stringendo le braccia al petto e nascondendo gli occhi tra le pieghe della sciarpa.

«Ehi…»

All’improvviso, una voce lo obbligò a sollevare lo sguardo. Un uomo aveva fermato il carrello e si era chinato accanto a lui. Aveva un aspetto gioviale, con i capelli biondi che incorniciavano il viso morbido ed affabile. I grossi occhiali tondeggianti tendevano, però, a scivolare dal naso adunco.
«Stai bene?» anche il tono era cortese ed educato.

Levi annuì, spostando lo sguardo al carrello, dove un bambino, seduto tra una quantità industriale di caramelle, biscotti e tavolette di cioccolato, gli stava tendendo un pacchetto di liquirizie gommose:
«Tieni»

Scosse il capo, rifiutando silenziosamente.

«Ti sei perso?» il piccolo si era sporto dal bordo metallico e lo stava fissando con i grandi occhi azzurri colmi di curiosità «Sai, dovresti andare alla cassa centrale e cercare i tuoi genitori. Vero, papà?»

L’uomo mimò un cenno d’assenso, prima di aiutarlo a rialzarsi:
«Vieni. Ti accompagno al box informazioni»

Levi non disse nulla, limitandosi a seguire l’uomo con il figlioletto che, nel frattempo, continuava a tendergli caramelle e cioccolatini. Sembrava contento, quando li prendeva per nasconderli nelle tasche della giacca.

«Pagheremo io e papà, non ti preoccupare. Mangiale pure» gli aveva detto, cacciandogli tra le dita anche un leccalecca alla fragola «Ti piace? Io lo adoro» e poi uno al limone «Anche se quelli gialli sono i miei preferiti» svoltarono un angolo e un enorme scrivania bianca e rossa apparve a qualche passo di distanza «Ecco! La cassa centrale… qui potrai chiamare i tuoi genitori» quanto parlava quel ragazzino? Troppo. Non aveva un tasto di spegnimento? Boh, forse era solo logorroico. Poco male, almeno gli aveva regalato dei dolci, no?.

Una commessa lo prese subito in custodia, lasciandogli solo il tempo di salutare il padre e il figlioletto chiacchierone. Sedette su una seggiolina in plastica chiara, ritrovandosi un foglio ed una matita tra le dita.

«Accomodati. Ti va di disegnare un po’?» la voce della donna era decisamente zuccherina. Trucchetti da commessa navigata per non sentire il frignare dei bimbi smarriti «Ti sei perso? Dove è la tua mamma?»

«La mamma è alle Maldive col tabaccaio»

«Ah… capisco»

«E il papà?»

«Non ce l’ho il papà»

«AH… mi dispiace, non sapevo…» la donna sembrava sconvolta «Chi ti ha accompagnato al supermercato?»

«Mio zio Kenny.»

«Va bene. Ora lo chiamiamo, non ti preoccupare» la signorina gli rivolse un ultimo sorriso, prima di accostarsi ad un microfono. L’interfono gracchiò immediatamente, risuonando nel caos del supermercato:

“Lo zio HHHHCCCRRHHH” interferenza “è atteso dal nipote presso la cassa HHCCCRRHHH

«Ecco fatto! Ora verrà a prenderti»

Levi aggrottò la fronte:
«Non si è sentito niente, però… come fa a venirmi a prendere se non sa dove sono?»

«Sbagli caro. Si è sentito perfettamente»

«Io ho sentito solo HCCCRRHHH» mimò il verso con la voce, suscitando uno sbuffo seccato dalla commessa.

«Senti bamboccetto, sono dieci anni che recupero marmocchi distratti come te nei supermercati! Vuoi insegnarmi come fare il mio lavoro?!»

«N-no, ma…»

«Vuoi che richiami nuovamente?»

«Sì, per favore»

“Lo zio HHHHCCCRRRHHH è atteso dal HHHHHCCCRRRHHH alla cassa HHHCCCRRHHH

Un altro sorriso al miele, poco prima che la donna si allontanasse. A Levi non rimase altro da fare che disegnare.
 

***


Anche quella giornata di lavoro era finalmente terminata. Presto il centro commerciale avrebbe chiuso i battenti. Dot Pixis stava diventando troppo vecchio per fare la guardia giurata, ma alla pensione mancava ancora una decina d’anni. Maledetta riforma del governo Reiss! La prossima volta avrebbe votato per il Movimento Cinque Mura.
Attraversò il corridoio principale, guardandosi attorno: alcune commesse stavano battendo gli ultimi scontrini. Controllò l’orologio: ancora venti minuti alle nove. Si avvicinò alla cassa centrale, sporgendosi oltre il bancone.

«Ehi, Carla… Ti va un caffè?» domandò, verso la commessa che stava finendo di annotare alcuni cambi merce «Ma… quel bambino?»

«Quello?» Carla scoccò una occhiata velenosa all’indesiderato ospite «Oh, me lo hanno scaricato oggi pomeriggio. Non sono ancora passati a riprenderlo»

«Ma… il supermercato chiuderà tra poco!»

«Beh, non è mica un mio problema. Lo vuoi portare a casa tu?»

«Mh? No, dai! Ne ho già a casa troppi! Tutti i bambini non recuperati li rifilate a me…»

«Allora lo faremo dormire nel reparto camping. Controlla se c’è già una tenda montata, per favore.»
 

***


Kenny oltrepassò la soglia di casa, le braccia cariche di borse. Fare la spesa era sempre così stressante. Dovevi sempre ricordarti di prendere tutto, di non tralasciare nulla di quanto scritto sul biglietto; eppure, per quanto meticolosa potesse essere la ricerca, finivi sempre per rientrare con la sensazione d’aver dimenticato qualcosa al supermercato. Nello specifico, quella sensazione non lo aveva mai abbandonato: dal pomeriggio, continuava ad essere tormentato dal dubbio. Sentiva d’aver lasciato qualcosa. Qualcosa di importante, forse di vitale… eppure, non gli veniva a mente nulla. Aveva ricontrollato la lista della spesa e poi lo scontrino, ma niente. Il vuoto lo aveva accompagnato persino all’osteria, dove era solito fermarsi per bere un goccetto e consumare una cena veloce. Nemmeno il ripercorrere la strada lo aveva aiutato: qualcosa gli sfuggiva, ma non avrebbe saputo dire cosa.

Posò le borse sul tavolo in cucina, voltandosi poi ad osservare il frigorifero. La mancina si mosse automaticamente per aprire lo sportello; la luce dell’elettrodomestico lo investì immediatamente, inondando la sua mente con la giusta idea. All’improvviso, tutto acquisì un senso: squadrò a bocca aperta i ripiani del frigor, incapace di metabolizzare un errore simile. Che sciocco, che sbadato! Come aveva fatto a non accorgersene?

«Cazzo…» sibilò a denti stretti «Ho dimenticato il burro»


 
Angolino: buonsalve! Torno a scrivere un pochetto, cimentandomi con qualcosa di leggero (prima di proseguire con Operazione Chairot, che devo assolutamente finire *pant*). Si tratta di una raccolta di ff su situazioni improbabili che il malcapitato protagonista si ritroverà ad affrontare. Non ci sarà un filo conduttore tra una one-shot e l'altra: solo il personaggio principale rimarrà invariato, ma a seconda delle situazioni potrebbe trattarsi di una AU, di un Crossover oppure di un capitolo in linea con la storia originale. Insomma, dipenderà un po' dall'ispirazione del momento ^^
Naturalmente, le ff non hanno la pretesa di trattare argomenti seri o delicati, ma solo la speranza di far sorridere e divertire il lettore.
Un grazie infinito, quindi, se siete arrivati a leggere fin qui e, al solito, se avete pareri o consigli, mandatemeli pure *_*
A tal proposito, ringrazio Shige per avermi aiutato nelle correzioni della ff e per avermi appoggiato nella tragica idea di dar vita a questa raccolta ^^ Sono sicurissima che le verranno mille altre idee in merito, il che sarà gravissimo perché, conoscendola, saranno tutte idee perfide *_* mi piaceee!
Poi, un grazie specialissimo a Teresa e Greta: considerate questo primo capitolo come una sorta di ringraziamento per i giorni trascorsi insieme <3 per il viaggio in treno che, in fondo, mi ha dato questa orribile idea. Per il supermercato con sessantanove casse e "La fiat cinquecento targata
HHHCCCRRRHHH deve essere urgentemente rimossa". E il bambino disperso tra gli scaffali. E per tutti quegli annunci da supermercato in cui non si capisce una mazza di niente XD

Grazie infinitamente a tutte e tre... siete persone
HHCCCCRRRRRHHHH e vi voglio un sacco di HHHCCCRRRHHH.
Un abbraccio

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Capitolo 2
*** Smarrì il cappello di Kenny ***



La volta in cui Levi smarrì il cappello di Kenny


 
Kenny rientrò in casa sbattendo la porta. Sempre che di “casa” si potesse parlare: era più una stanza, alloggiata ai piani inferiori di una palazzina cadente. Erano gli unici inquilini, considerato che il tetto pericolante rischiava continuamente di crollare e che i muri ormai antiquati lasciavano permeare sin troppa umidità.

La vita nel sottosuolo era difficile anche per il più rinomato degli assassini: sopravvivere in una topaia del genere era impensabile, ma non aveva soldi per permettersi nulla di meglio; d'altronde, quando sei un libero professionista, ti devi un po' arrangiare con il lavoro ed i periodi di magra capitano spesso: ultimamente, ben pochi mandanti sceglievano i suoi servigi, preferendo ricorrere a ladruncoli di strada o killer improvvisati. Pur di risparmiare qualche soldo, sfidavano la sorte commissionando omicidi a principianti, che fallivano il più delle volte. Da quando, poi, la Polizia Militare aveva iniziato a pattugliare i bassifondi, il numero di richieste era drasticamente diminuito: probabilmente, in troppi temevano d'essere colti in flagrante ed arrestati.

Si aggiunga a tutto ciò che il signor Ackerman aveva un nipote da mantenere. Sua sorella era morta da alcuni anni e gli aveva lasciato, come unica eredità, un moccioso impertinente. Più di una volta, Kenny aveva pensato d'abbandonarlo sul ciglio della strada e scappare; alla fine, però, quel briciolo di coscienza che ancora possedeva, lo aveva fatto desistere: quella povera creatura era tutto ciò che Kuchel gli aveva donato. In effetti, Kenny avrebbe preferito di gran lunga ricevere un ritratto con dedica “Al migliore fratello del mondo”, piuttosto che un ragazzino urlante. Ormai, però, aveva quel mostriciattolo in casa e non poteva farci nulla; di buono c'era, ovviamente, che Levi si dava un gran da fare con le faccende domestiche: rifaceva i letti, spazzava i pavimenti, lavava i piatti. Il pane, nel suo piccolo, si sforzava di guadagnarlo.

Era, comunque, una bocca in più da sfamare. Inoltre, gli stava facendo perdere credibilità: Kenny lo Squartatore che gira con un bambino? Semplicemente ridicolo.

«Bentornato, zio»

La voce squillante di quell'infimo topo di fogna lo fece trasalire. Abbassò lo sguardo, incrociando gli occhi grigi del nipote. Quanti anni aveva, la sanguisuga? Boh, non era sicuro di ricordarlo. Forse dieci, forse dodici o quindici...anche se ne dimostrava meno, vista la bassa statura, le spalle ossute e la faccia scavata; i pantaloni corti gli arrivavano appena sotto il ginocchio, ma erano per metà coperti dall'orlo di una lunga camicia, le cui maniche erano rimboccate più volte sui gomiti.

«Hai lavato i piatti?» domandò bruscamente, slacciandosi l'impermeabile ed appendendolo alla gruccia vicina.

«Certamente»

«Spazzato per terra?»

«Sì»

«Fatto il bucato?»

«L'ho anche steso»

«D'accordo...»

Kenny si tolse il cappello, ignorando le manine. Sapeva benissimo che stava cercando di fare, quell'ingrato moccioso: da qualche tempo, Levi aveva iniziato a far strane domande sul suo cappello. Perché usciva sempre con il cappello? Perché non gli permetteva mai di toccarlo? Perché non voleva che lo lavasse insieme agli altri vestiti?

«Ti ho detto di tenere le tue manacce lontane dal mio cappello» ringhiò, avvicinandosi ad un basso comò. Sollevò una teca di vetro leggero, appoggiando il copricapo su un centrino di pizzo bianco, prima di richiudere quel cubo trasparente.
La teca era la sola cosa in grado di proteggerlo dalle dita sudice del bamboccetto.

«Perché non posso toccarlo?»

«Perché non ne sei degno» sbuffò, accomodandosi in una larga poltrona e calciando via gli stivali «Ti ho già raccontato che quel cappello era di mio padre, e di mio nonno prima di lui. È un reperto sacro alla famiglia Ackerman»

«Ma sono tuo nipote!»

«Questo non ti rende sufficientemente degno... per conquistarlo devi prima diventare un serial killer professionista. Devi uccidere, capisci? Molte, moltissime vittime. Il tuo nome deve suscitare paura nella gente, deve essere sussurrato con rispetto, deve correre tra i vicoli più bui e nelle locande malfamate. Solo quando sarai un vero assassino, potrai ambire al cappello. È una tradizione, tramandata di generazione in generazione»

«Ma non posso nemmeno provarlo?»

«No»

«Perché no?»

«Non sei adatto. Devi prima diventare un Ackerman decente»

«Non sono abbastanza Ackerman, per te?»

«Decisamente no. E adesso sparisci»

Nonostante quell'ordine, il ragazzino rimase agganciato al bracciolo della sua poltrona:
«Zio...»

«Che cazzo vuoi ancora?!»

«Come fai ad uccidere la gente con il cappello? Non rischi che ti voli via?»

«Non dire idiozie! Che razza di assassino sarei, se perdessi il cappello al primo alito di vento? Sai come puoi riconoscere un bravo serial killer da uno mediocre?» ricevette uno scuotere del capo «Dal cappello! Un bravo omicida non abbandona mai il suo copricapo. Nemmeno quando lavora. Nemmeno quando salta sui tetti, scivola dalle grondaie o si arrampica sui balconi. Neppure quando combatte. Il legame col cappello è talmente forte da tenerglielo incollato alla testa. Ti ho mai raccontato di quella volta in cui ho attraversato tutta la capitale balzando di carrozza in carrozza per sfuggire alla polizia?»

«Sì, almeno una dozzina di volte»

«Ecco! E dove pensavi fosse il mio cappello?» si indicò la testa «Proprio qui!»
 

***


Levi si rigirò nel sonno, tormentato dal pensiero del cappello, che non voleva saperne di uscirgli dalla mente: lo aveva rimirato per tutta la sera, osservandolo come fosse un tesoro prezioso. Presto o tardi, anche lui sarebbe diventato un vero Ackerman! Avrebbe stupito lo zio, lo avrebbe lasciato talmente sbalordito da costringerlo a cedergli il favoloso copricapo.

Si lasciò cullare dai sogni, con un leggero sorriso sulle labbra sottili. Vide Kenny prenderlo per mano e condurlo verso la bottega di un sarto. Erano così rari, nel sottosuolo, i bravi sarti... no, un momento! Quelli non erano i bassifondi, ma i larghi viali della capitale! Oh, si... sarebbero saliti in superficie e Kenny lo avrebbe accompagnato nel migliore atelier.

Lì, una giovane e graziosa commessa gli avrebbe posto un metro attorno alla fronte, misurando con precisione la sua circonferenza. E poi gli avrebbe messo un catalogo sulle ginocchia. Si immaginò intento a sfogliare le pagine leggere, coperte da disegni di splendidi cappelli. Ne avrebbe scelto uno con le piume!

Il sogno sfumò piano, assumendo i contorni inquietanti dell'incubo: Kenny lo stava trascinando via, senza comprargli nulla. La sarta li fissava con aria preoccupata, mentre lasciavano il luminoso negozio per entrare in una stanza buia e fredda. Venne spinto su uno sgabello da un uomo grasso e calvo.

«Come li facciamo, questa volta?» la voce impastata arrivò a ferirgli le orecchie.

«Il solito!» Kenny se ne stava andando, abbandonandolo.

«Zio! Zio!» si mise a strillare, ma la sua voce si confondeva con quella del parrucchiere alle sue spalle:

«Sono davvero troppo lunghi, Levi... dobbiamo tagliarli»

«No! Non voglio! Li nasconderò sotto al cappello, li...»

Sentì qualcosa calargli in testa. Sollevò le dita, sfiorando bordo rotondeggiante. Orrore! Riconobbe immediatamente la sensazione fredda della ceramica, punteggiata da frivoli motivi geometrici.

«No! La scodella no!» gridò, agitandosi sulla seggiola, mentre il sibilo delle forbici si faceva sempre più vicino.

«Quello è l'unico cappello che ti meriti» la voce di Kenny risuonò dal fondo della stanza buia, prima di essere interrotta dal click, click delle forbici.
 

Levi si svegliò di soprassalto, scattando a sedere e picchiando immediatamente la fronte nel tubo piegato ad U. Ah, come era difficile dormire sotto al lavandino! Chissà se Kenny gli avrebbe mai comprato un letto...
 

***
 

Kenny era uscito presto quella mattina per andare dal barbiere, ma non sarebbe tornato prima di cena. Levi sorrise, consapevole d'avere il giorno a propria disposizione. Sarebbe passato a trovare i suoi amici, dopo aver sbrigato le faccende domestiche.

Si armò di spolverino ed iniziò a cancellare le scarne tracce di polvere dai mobili. Passò accuratamente sulla poltrona, sul tavolo e sulle seggiole, rivolgendo poi l'attenzione al comò: il cappello era lì! Kenny lo aveva dimenticato? O aveva deciso di lasciarlo a casa per evitare di perderlo nello studio del parrucchiere?

Si avvicinò al mobile. Non doveva toccare il cappello, no... solo guardarlo.

Non vorrai farti sfuggire un'occasione simile, vero?” nella sua testa comparve un piccolo omino rosso “Prendilo, avanti. Kenny non lo saprà mai

Non dargli retta” una figura in tunica bianca raggiunse il collega “Lascialo stare

Oh, è arrivata la buona coscienza! Senti, ciccia... vedi di sloggiare, che al ragazzo ci penso io!

Lo porterai sulla cattiva strada

Scherzi? Siamo già sulla cattiva strada! Non vorrai che cresca come uno smidollato, vero?!

Essere onesti non significa essere dei vili

Seh, seh... Levi, ascoltami... vuoi diventare un vero Ackerman, no? E per farlo, ti servirà il cappello! Prendilo, avanti. Farlan e Isabel rimarranno abbagliati e anche tutti gli altri ragazzini. Prendi il cappello

Non farlo, Levi! Se lo farai, sarai condannato. Diventerai un criminale, un poco di buono...

Scosse il capo. Quelle voci lo confondevano, ma sicuramente l'omino rosso aveva ragione: se avesse preso il cappello, avrebbe finalmente dimostrato a tutti d'essere come lo zio. Un temibile Ackerman a cui portare rispetto, qualcuno di cui aver paura e...
Le dita scivolarono sulla teca e poi sulla morbida stoffa della tesa. Calcò il copricapo in testa. Era un po' largo, per lui, ma non aveva importanza! Per un giorno, sarebbe stato suo!

Abbandonò lo straccio, correndo immediatamente fuori. La visiera gli cadeva continuamente sugli occhi, ma cercò di non badarvi. Oltrepassò un incrocio, piegando velocemente verso destra.

«Farlan! Farlan!» pigolò, raggiungendo una casa color senape. Una donna sorrise, agitando un braccio.

«è andato alla roggia con gli altri ragazzi!»

«Grazie signora mamma di Farlan. Li raggiungerò»

Le sue gambette macinarono altri metri: svoltò un paio di volte, attraversando la via del mercato e intrufolandosi nei vicoli più stretti e bui. La strada più veloce, però, era quella: ancora un paio di crocevia e sarebbe arrivato.
 

La roggia era, in realtà, un lungo canale che fungeva da fogna a cielo aperto: i liquami del sottosuolo si riversavano lì, in quell'oscuro e maleodorante fiumiciattolo. Alcune condotte allontanavano poi l'acqua, incanalandola in cunicoli sotterranei. Il posto ideale, insomma, dove giocare o dove far sparire i cadaveri.

Raggiunse gli amici, già assiepati attorno alla riva. C'erano tutti! Farlan, la cui testa bionda spiccava tra i capelli scuri degli altri; Konrad, troppo intento ad esplorare le proprie narici per badare ad altro; Luke che, seduto su un rotolo di corda, fingeva di saper leggere un malmesso tomo, mentre Isabel stava pungolando un rospo con un lungo bastoncino, ridacchiando al gracidare infastidito della creatura.

«Buongiorno!» esordì, sforzandosi di controllare l'entusiasmo nella voce «Notate qualcosa di diverso?»

Un unico cenno d'assenso:
«Hai spuntato di nuovo i capelli?» chiese Konrad, pulendosi le dita nella camicia.

«No, cretino! Ha il solito taglio a scodella, non vedi?» Farlan scosse il capo.

«Uh, ci sono! Hai dormito più del previsto... infatti, noto meno borse sotto i tuoi occhi» Luke sogghignò, mentre Isabel sollevava timidamente una mano.

«Io so cos'hai di diverso. Hai il cappello»

Oh, finalmente qualcuno ci arrivava! Si impettì, sfoggiando un sorriso orgoglioso:
«Esattamente! Me lo ha dato mio zio. Ha detto che ora sono un Ackerman come lui e posso portare il cappello»

La reazione non fu esattamente quella che si aspettava: tutti scoppiarono a ridere, persino il rospo che la ragazzina stava torturando.
«Dì piuttosto che lo hai rubato...» a Farlan non si poteva nascondere proprio niente «Tuo zio darà di matto, quando se ne accorgerà. Dovresti riportarlo subito indietro»

«Kenny starà fuori fino a sera... e poi... è molto importante! È stato tramandato di padre in figlio, nella famiglia Ackerman. Perché, quindi, dovrei averlo rubato? Kenny potrebbe avermelo regalato e...»

«Scemenze. Tuo zio ti detesta. Non ti regalerebbe nemmeno un pelapatate, figurati il cappello di suo padre, suo nonno, suo bisbisnonno, suo bisbisbisbisnonno»

«Devi andare avanti ancora per molto?» sbuffò, incrociando le braccia al petto «Va bene, l'ho preso in prestito... e con questo?»
«Kenny te le suonerà col battipanni»

«Non se ne accorgerà nemmeno! Glielo riporterò sta se...»

Non riuscì a finire la frase, che due cose terribili accaddero contemporaneamente: un alito di vento – probabilmente l'unico che passava per caso nei sotterranei – gli strappò il copricapo dalla testa. Levi impallidì: il sacro cappello stava fluttuando nell'aria, diretto chissà dove. Sentì delle urla dietro di sé e si voltò appena in tempo per assistere alla tragedia: il rospo, stanco delle punzecchiature, aveva sputato la sua saliva irritante sulla faccia della ragazzina che, più per lo spavento che per il bruciore, si era sbilanciata all'indietro. Scorse Isabel mulinare le braccia e gridare qualcosa, prima di vederla sprofondare nelle acque scure e maleodoranti della roggia.

«Isabel!» chiamò, ma della ragazza non c'era nessuna traccia. La corrente la stava sicuramente trascinando via, verso gli scarichi sotterranei.

«Fai qualcosa!» Farlan lo stava scuotendo per un braccio.

«Giusto...» si voltò, cercando immediatamente il cappello. Dove era volato quello stupido affare? Doveva seguirlo! Doveva ritrovarlo prima che Kenny rientrasse, altrimenti sarebbero stati grossi guai.

«Che stai facendo?» l'amico lo aveva afferrato più saldamente, indicandogli l'acqua «devi salvare Isabel!»

«No! Devo recuperare il cappello. Kenny mi ammazza se non glielo riporto»

«E non pensi a Isabel?»

«Siamo qua in quattro, perché devo pensarci io?! Puoi salvarla tu, dannazione.»

«Perché sei il protagonista della storia e i protagonisti salvano sempre le ragazze in difficoltà. E poi... io sono già l'amico secchione. Non posso rivestire due ruoli»

«Io non so nuotare!»

«Nessuno sa nuotare»

«Potrebbe salvarla Konrad»

«No, io sono quello che si scaccola» Konrad aveva ripreso le operazioni di pulizia nel proprio naso.

«O Luke»

«No, io sono quello analfabeta che finge di saper leggere e che vuole vedere l'oceano. E che sta seduto su un rotolo di corda» il ragazzino tese una cima «Legala in vita, forza! Ti terremo noi»

Levi sbuffò, scuotendo il capo. Evidentemente non c'era altra soluzione; si passò la fune attorno ai fianchi, fermandola con uno stretto nodo. Fissò l’acqua marrone, con una smorfia disgustata: leggende sussurravano che quel colore fosse dato, niente meno, dall’enorme quantità di liquami che quotidianamente veniva scaricata nella roggia. Represse un conato di vomito:
«Devo proprio?» domandò, ricevendo in cambio una netta spinta. In una manciata di secondi si ritrovò nell’acqua fredda e puzzolente.

Colse il gelo penetrargli nella carne e nelle ossa, inzuppargli i vestiti ed arruffargli i corti capelli scuri. Qualcosa galleggiava a poca distanza: allungò una mano, cercando di afferrare le dita inerti che si muovevano spinte solo dalla corrente. Le tirò a sé, con sin troppa facilità, fissando il reperto appena recuperato: no, quel braccio non apparteneva sicuramente alla ragazzina. Chissà di chi era, però… mah. Alla spalla non era attaccato nessun corpo.

“Non penso mi servirà mai…” sussurrò, lasciando andare l’arto mozzato. Mosse le gambe, cercando di procedere nel flusso, ignorando il bruciore agli occhi e al naso. Isabel? Dove poteva essere? Continuò a guardarsi attorno, pregando che la corrente non l’avesse trascinata via. Sotto di sé scorse una figura affusolata guizzare veloce “Isa… ah, no. Un pesce” si disse, aggrottando la fronte “Un pesce peloso” la sagoma, tuttavia, era troppo tozza “Una pantegana! Blah”.
All’improvviso, la corda prese a riavvolgersi. I ragazzi lo stavano rapidamente tirando su. Emerse pochi attimi dopo, respirando a grandi boccate.

«Che cazzo state facendo?!» sbottò, indicando nuovamente la roggia, mentre Luke e Konrad lo tiravano oltre l’argine «Isabel è…»

«Sono qui» la ragazza si stava strizzando i capelli rossi con aria annoiata «Per fortuna so cavarmela. Se avessi aspettato i vostri soccorsi, a quest’ora sarei al mare»

«Io voglio andare al mare! Pensi che potrei arrivarci seguendo la roggia?»

«Forse!» Isabel si tolse gli scarponcini, facendo colare l’acqua dalle suole «Ho letto da qualche parte che tutti gli scarichi portano al mare»

«Va bene, ora basta!» Farlan si intromise, prima che il discorso degenerasse «Isabel, siamo felicissimi che tu stia bene. Luke, meglio se rinunci in partenza all’idea del mare. Perché nascete tutti con sta fissa, proprio non lo so! Vi ricordo che abbiamo un altro grossissimo problema: abbiamo perso il cappello di Kenny»

 
***


Le ricerche si erano rivelate infruttuose. Avevano passato l’intero pomeriggio alla ricerca di quel maledetto cappello, che sembrava essersi volatilizzato. Alle tre, a causa dell’intensa attività, il naso di Konrad aveva iniziato a colare sangue; Luke aveva riaccompagnato a casa l’amico. Alle quattro, Isabel aveva annunciato un eccessivo mal di piedi, mentre mezz’ora dopo Levi aveva iniziato a cercare metodiche rapide ed indolori per suicidarsi. Farlan aveva cercato di riportare tutti sulla retta via, ma senza successo. Alla fine, il biondino aveva concepito un’ottima idea: comprare un cappello nuovo, identico al precedente.
«Non se ne accorgerà mai» aveva rassicurato, consegnandolo a Levi «Rimettilo dove l’hai trovato, nell’esatta posizione, ed andrà tutto bene»

Levi, naturalmente, aveva seguito scrupolosamente il consiglio. Era rientrato poco prima di cena, infilandolo immediatamente sotto la teca. Si era poi messo a cucinare, con la stessa disinvoltura di sempre: aveva tagliato accuratamente le patate e le carote, mettendole a bollire in un grosso calderone, allungando gradualmente la zuppa col brodo. Il profumo della minestra aveva, ben presto, coperto quello dei suoi sensi di colpa.

«Sono a casa» una voce burbera lo riscosse, obbligandolo a correre, un’ultima volta, al comò: il cappello era in ordine, adagiato correttamente sul centrino ricamato «Cosa ci fai lì?» dannazione! Colto in flagrante! «Non starai pensando di toccarlo, vero?»

«Lo sto solo guardando, zio» si giustificò, scivolando velocemente di lato. Incrociò le dita dietro la schiena, pregando silenziosamente.

«Lo spero per te. Piantala di sudare, Levi!­»

Stava sudando? Non se n’era accorto. Mimò un piccolo colpo di tosse:
«Scusa, zio… è che … temo d’aver preso freddo e…»

«E sudi?»

«Sì, sai… per la febbre» balbettò, indietreggiando ancora, mentre il parente spostava la teca. Lo vide passare lentamente le dita sulla tesa nera, poi sul nastro di seta bianco e risalire lentamente sino all’apice del cappello. Deglutì a vuoto, quando la mano si soffermò sul bordo inferiore, mentre la voce dell’uomo tornava a farsi sentire:

«Questo non è il mio cappello. Il mio cappello ha una macchia di sangue proprio in questo punto. Una macchia, capisci? È il simbolo del mio primo omicidio. Lo ricordo ancora come fosse ieri…» la voce dell’uomo si stava pericolosamente incrinando «Dove è, Levi?»
 

***


L’idea di ucciderlo gli era passata spesso per la mente, ma non l’aveva mai attuata: Kuchel, ovunque fosse, non glielo avrebbe mai perdonato. Quel giorno, tuttavia, la voglia di assaggiare uno “stufato di nipote” – ricetta segreta della famiglia Ackerman – si era fatta davvero prepotente. Kenny aveva resistito alla tentazione, ancora una volta.

Si era accucciato sul muretto davanti alla palazzina, limitandosi ad accendere un sigaro sfilato dalle tasche di una delle sue recenti vittime. Nei sotterranei non era facile trovare quel genere di articoli, mentre nella capitale gli aristocratici sembravano consumarne ogni giorno.
Sbuffò nell’aria il fumo, osservandolo condensarsi in piccole nuvole, prima di fluttuare via. Quella sera, nel sottosuolo, vi era una insolita brezza: era raro che il vento giungesse fin nei bassifondi che vivevano, per lo più, all’ombra di improvvise e deboli correnti – più simili a spifferi, in realtà.

Sollevò lo sguardo, lasciando che l’aria gli arruffasse i capelli appena tagliati. Le iridi chiare intercettarono subito un movimento a destra: una sagoma scura si stava avvicinando, con un leggero e spensierato volteggiare. Lentamente, il cappello di Kenny si posò sulle sue ginocchia, come il muso di un cane fedele. L’uomo sorrise e se lo calcò silenziosamente in testa.

I cappelli degli Ackerman trovano sempre il modo di ritornare dal loro padrone.
 

 

Angolino: buonsalve! Torno con il secondo capitolo, che temo sarà il preludio di una nuova serie su Levi e il cappello di casa Ackerman. Questa cosa non era assolutamente in previsione ed è nata ieri sera, a seguito di una marea di stupidate sparate con Shige. Siamo partite da fullmetal alchemist per arrivare agli assassini di classe che vestono con i cappelli. A uno come Kenny, naturalmente, non poteva certo mancare il cappello!
So che la storia contiene dei grossissimi errori sulla trama: non segue per niente Choice, né il carattere reale dei personaggi, né il modo in cui Levi ha conosciuto farlan e Isabel, né tiene conto del divario di età, ma... va beh, prendetela per come viene: è una storia nata per divertire e far sorridere e non ha la pretesa d'essere precisa (né questa, né le successive XD). Non riesco a vedere Levi troppo idealizzato: sono convinta che moltissimi passaggi della sua esistenza non li conosceremo mai, ma... non riesco a immaginarlo perennemente imbronciato, eternamente schivo e che se ne sta sempre sulle sue. Suppongo che, al di fuori della trama del manga, qualche sciocchezza da "semplice essere umano" la faccia anche lui.
Vi ringrazio se avete letto fin qui! Scrivetemi, se avete pareri, consigli o nuove idee ^^
Nella speranza vi sia piaciuta, un abbraccio

E'ry

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Capitolo 3
*** Ricevette la lettera per Hogwarts ***



La volta in cui Levi ricevette la lettera per Hogwarts


Premessa: avevo voglia di riprendere un poco in mano questa mini raccolta sulle stupidate che il capitano Ackerman avrebbe probabilmente compiuto se si fosse trovato in situazioni tanto assurde. Non mi aspetto che i personaggi siano IC (neanche un po', lo confesso), né che le situazioni siano coerenti (è una raccolta di sciocchezze inventate in momenti di noia, per cui... prendetele un po' così, come vengono). AMmetto, tuttavia, che in alcuni punti di questa ff... il protagonista da il peggio di sé. Però... lo capisco. Mi comporterei nello stesso identico modo, se ricevessi una lettera per Hogwarts.
Naturalmente, sto ancora aspettando con ansia la mia.



***

Levi pulì attentamente la lama del coltello, sfregandola con uno straccio. L’ultima rapina era stato un mezzo fallimento: la vittima era un vecchio squattrinato, che non possedeva più d’una ventina di monete. Fatica sprecata.
Si schiacciò meglio nell’unica poltrona della stanza, osservando pigramente l’ambiente circostante; la casa era composta da soli due locali: un soggiorno con una malmessa cucina ed una camera per la notte. I servizi igienici si trovavano, invece, fuori dall’abitazione. Il salotto ospitava soltanto un tavolo con tre sgabelli, la poltrona e qualche credenza ripiena di volumi  ammuffiti, che Farlan si ostinava a leggere continuamente.

«Che palle» sbottò, sgranchendosi braccia e gambe «Trovato qualcosa di interessante?» chiese, rivolgendosi all’amico, intento a sfogliare un giornale.

«Niente. Nessun transito di personalità, nessuna richiesta di furto su commissione, nessun omicidio a pagamento. La pagina degli annunci è praticamente vuota!­­» fu la risposta, sottolineata da un gesto di stizza «Di questo passo, non avremo soldi per pagare l’affitto il prossimo mese»

«Mh, pazienza… sono già otto mesi che non paghiamo; uno in più non farà differenza»

«Dici? Perché Madame Pompour potrebbe anche decidere di sbatterci fuori di casa… o avvisare la Polizia Militare per farci arrest…»

Un tonfo interruppe quelle parole. Isabel aveva spalancato l’uscio, emergendo dalla penombra della zona notte. Un libro le era sfuggito di mano, mentre i pugni si serravano lungo i fianchi e gli occhi si riempivano di lacrime.

«Cos’è successo?» i due ragazzi scattarono immediatamente in piedi, allarmati, ascoltando la voce spezzata che sussurrava:

«è morto Albus Silente»

«Cosa?!»

Lo sconcerto si dipinse sul viso di Levi. Come era possibile che fosse morto Silente? Era il più grande mago di tutti i tempi! Nessuno poteva sconfiggerlo, a parte forse l’Oscuro Signore. Batté le palpebre, sconcertato:
«Quando è successo? Cioè… chi è stato? Voldemort?»

«No! È stato Piton. Era lui il Principe Mezzosangue. Ha ucciso Silente e…»

«Non è possibile! Ah, lo sapevo che Piton era cattivo. Non me l’ha mai contata giusta»

«Era un mangiamorte e….»

«Bastardo! Non ci si può fidare dei Serpeverde. Silente ha cercato d’essergli amico e guardate che cosa gli hanno fatto!­»

«Harry è distrutto dal dolore!»

Un insistente bussare interruppe, tuttavia, quella conversazione. Levi scivolò verso la porta, mentre la mano destra si serrava sul coltello istintivamente. Chi poteva essere a quell’ora? Sicuramente, nulla di buono. I guai, in genere, arrivavano sempre dopo cena. Forse un creditore arrabbiato, oppure qualche sicario venuto per ucciderli. Schiuse lentamente l’uscio, gettando una occhiata oltre la soglia.
Le vicine lampade ad olio illuminarono una figura alta e corpulenta, celata in parte da un mantello verde; il viso era un poco più visibile: gli occhi azzurri stavano squadrando l’ingresso della abitazione, contornati da sopracciglia spesse. Un ciuffo di capelli dorati sfuggiva da sotto il bordo del cappuccio.

«Buonasera. Sto cercando il signor Levi, il signor Farlan e la signorina Isabel»

«AMh… siamo noi» Levi aprì maggiormente l’uscio, ricevendo direttamente tra le mani tre lettere «Cos’è?»

«Sono per voi. Sono… “inviti”, diciamo»

«Inviti?»

«Sì, esatto. Spero vorrete accettarli» la figura si voltò, tornando ad incamminarsi lungo lo stretto vicolo «Arrivederci a presto, spero» fu l’unico saluto che regalò.
Si ritrovò a fissare le larghe spalle dello sconosciuto, accompagnate da uno stemma dove spiccavano un’ala blu ed una bianca. L’aveva già visto quel disegno, ma… dove? Liquidò la faccenda con una scrollata di spalle, ritirandosi nuovamente nel soggiorno.

«Chi era?» la voce di Farlan lo rimportò immediatamente alla realtà.

«Il postino» rispose, distribuendo agli altri le buste «Non il solito postino, in effetti. Questo era più carino»

Armeggiò con due dita per aprire la propria lettera, dispiegando poi un foglio con estrema attenzione. Lo sguardo corse alle prime parole:
 
Caro signor Levi,
siamo lieti di informarla che è stato ammesso alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. In allegato, troverà l’elenco dei libri di testo e delle attrezzature necessarie.
 
Cordiali saluti
 
K. S.
 
La pergamena gli cadde di mano per lo stupore.
«Non posso crederci!» esclamò «Ho ricevuto una lettera per Hogwarts!»

«Anche ioooo!» Isabel si mise a saltellare per tutta la stanza.

Farlan, invece, arrivò puntuale a distruggere i suoi sogni:
«è chiaramente una bufala. Lo sanno tutti che sono i gufi a consegnare le lettere per Hogwarts»

«Smettila di fare il guastafeste. È evidente, no? I gufi non possono arrivare nel sottosuolo. Avranno mandato un postino figo per questo»

«E se fosse una trappola?»

«Che scemenze… e di chi?»

«Della Polizia Militare?»

Levi scosse il capo:
«Tsk. Non sanno allacciarsi le stringhe da soli, quelli… figurarsi se articolano un piano simile!»

Era decisamente impossibile. Quegli idioti della Gendarmeria non sapevano neppure leggere. Figurarsi, quindi, se erano a conoscenza di un mondo magico parallelo a quello reale. Assurdo. E poi… quella lettera era senza dubbio vera! Erano diciannove anni che la aspettava! Alle porte dei trenta, era anche ora che il suo talento venisse alla luce e qualcuno lo riconoscesse per quello che era: non un sudicio babbano, ma un mago a tutti gli effetti. Chissà dove lo avrebbero smistato. Forse in Grifondoro, la casa dei coraggiosi. O in Corvonero, con quelli intelligenti.

«Poco probabile» la voce di Farlan lo riportò bruscamente alla realtà «Per me, è uno scherzo. E poi… che significano le iniziali “K.S.”?»

«Kordialmente, Silente»

«Non si scrive con la kappa»

«Senti, ciccio!» era troppo. Non gli avrebbe permesso di infrangere quel suo sogno «Ho trent’anni e, se permetti, so decidere da solo che cosa è meglio per la mia vita. Secondo me, la lettera è vera. È tutta una vita che sogno di andare a Hogwarts! Non sarai tu ad impedirmelo. » scoccò una occhiata alla ragazzina dai capelli rossi «Isabel? Che ne pensi?»

«Penso che tu abbia sempre ragione, fratellone! Woah, andremo a Hogwarts! Non è fantastico? Corro subito a preparare il baule. Credi che potremmo portarci un animaletto?»

Levi annuì, dopo aver ricontrollato la lista del necessario:
«Qui dice: potete portare un rospo, un gatto, un topo o un gufo. È fantastico! Ho sempre sognato d’avere un gufo!»

«E dove pensi di recuperarlo? Viviamo in una fogna! Tutt’al più, potremo catturare dei ratti o delle rane, ma… dubito troverai un gufo»

«Sei proprio un guastafeste!» ringhiò, affrettandosi a raggiungere l’appendiabiti e recuperando il proprio mantello. «Troverò un gufo e ti farò rimangiare ogni singola parola. Stupido babbano mezzosangue» scattò, scivolando poco dopo oltre la soglia.

Isabel e Farlan rimasero a fissare l’uscio chiuso per qualche attimo; fu il ragazzo, tuttavia, a spezzare il silenzio:
«Ho come la sensazione che finiremo in un mucchio di guai»
 

***
 

Il primo di settembre era infine arrivato. Levi, Farlan ed Isabel avevano raggiunto la superficie attraverso la lunga e dispendiosa scalinata che collegava i bassifondi con i quartieri alti della capitale. Naturalmente, per uscire dal sottosuolo occorreva pagare una tassa decisamente salata.

«Addio ai nostri ultimi risparmi» borbottò Farlan, trascinando il baule lungo gli ultimi scalini «Toglietemi una curiosità… perché non mi avete fatto portare la Manovra Tridimensionale? Avrebbe potuto esserci d’aiuto»

«Ma va!» Levi scosse una mano, allontanando prontamente quei dubbi «Forse non lo sai, perché sei un babbanazzo, ma… a Hogwarts ci forniranno dei manici di scopa volanti. Così potremo giocare a Quidditch. Sono sicuro che mi prenderanno in squadra… oh, voglio diventare un Cercatore!»

«Uh! Anche io! Il signor Groviera diventerà la mascotte ufficiale della squadra. Vero?» scorse la ragazzina chinarsi su una scatolina, dove una pantegana squittiva indispettita. Lei e Farlan avevano catturato i loro ratti da compagnia lungo lo scarico principale, che raccoglieva i liquami di tutti gli abitanti del sottosuolo, animali o persone che fossero.

«Tsk, che banalità portarsi due ratti» commentò, sollevando orgogliosamente la gabbietta con il suo animaletto.

«Levi» la voce dell’amico richiamò la sua attenzione «Non credo che ad Hogwarts ti facciano entrare con quell’affare» scorse un indice puntare verso il suo grosso rapace «è impagliato…»

«La lettera non specificava! Diceva “un gufo”… non “un gufo vivo”!»

«Secondo voi… in che casata ci smisteranno?»

«Tu finirai nei Rottinculo, Farlan…»

«Solo perché son più prudente e saggio di te, non significa che sia una rottura di scatole»

«Invece si!» Levi mimò un becco con la mancina, aprendolo e chiudendolo di scatto «Lasciaci sognare un po’, no? È tutta la vita che desidero andare ad Hogwarts e non fai altro che criticarmi! “Sei troppo vecchio, è una trappola della Polizia, il gufo morto non va bene”… che palle!»

Il chiacchiericcio, tuttavia, si interruppe quando raggiunsero la piazza principale. Un convoglio con sette carrozze li stava aspettando, trainato da cavalli neri, ove erano state montate delle finte ali di tela scura. Levi aggrottò la fronte, perplesso:
«Li vedo solo io?»

«No, anche noi!» la risposta di Farlan giunse impeccabile.

«Cosa sono?»

«Thestral, suppongo. Li possiamo vedere perché abbiamo assistito alla morte di una persona cara almeno una volta nella vita»

«Non dovrebbe esserci l’Espresso per Hogwarts ad attenderci?»

«Mh… forse erano a corto di fondi»

«A me sembra che ‘sti cazzo di Thestral, però, li vedano tutti» indicò un capannello di persone che, senza nascondere la curiosità, si era avvicinata ai destrieri, accarezzandoli sul muso e sulla groppa.

«Rifletti, Levi. Viviamo in un mondo dove essere mangiati dai giganti è la quotidianità. Mi sembra ovvio che tutti vedano i Thestral! Non facciamo altro che crepare dalla mattina alla sera»

«Primo anno! Primo anno! Da questa parte, grazie!»

Levi rivolse l’attenzione all’uomo che aveva parlato. Era enorme, semplicemente! Le spalle muscolose, il fisico asciutto, ma energico. I capelli biondo scuro incorniciavano un volto robusto e squadrato, mentre sotto al naso prominente si intravedevano un paio di baffetti a spazzola.

«Hagrid!» scorse Isabel correre incontro al mezzo gigante, cercando di abbracciarlo.

Questi, tuttavia, si scostò rapidamente, rifilandole un semplice:
«Non sono Hagrid. Mi chiamo Mike. Hai con te la lettera per Hogwarts?»

«Ma certo!» la ragazzina la spiegò prontamente «Posso salire?»

«Accomodati pure. Partiremo tra pochissimo»

«Uh, fantastico! Passerà la signora con i dolci?»

«Emh… no»

«Niente cioccorane?»

«No»

«Tutti i gusti?»

«No…»

«Posso avere una Bacchetta di Liquir…»

Mike chiuse lo sportello, tirando prontamente le tende. Non era pagato per quel lavoro. Perché diamine rifilavano sempre a lui il ruolo di Hagrid? Trattenne uno sbuffo quando scorse altri due ragazzi avvicinarsi.
«Cosa volete?»

Ulteriori lettere vennero mostrate. Riaprì la portiera, facendo segno di accomodarsi.
«Spicciatevi. Non abbiamo tutto il giorno» grugnì, sollevando poi un braccio.

Le carrozze si misero in moto, abbandonando gradualmente le vie della capitale.
 

***
 

La signora del carrello non passò. Attesero per ore di arrivare ad Hogwarts, spiando oltre i finestrini. Più si allontanavano dal Wall Sina, però, e più appariva chiaro che non erano diretti in Scozia – ovunque fosse questa maledetta Scozia!
Infine, il convoglio si fermò in un ampio spiazzo, circondato da una alta palizzata in legno. Lungo tutto il perimetro, fiaccole e falò illuminavano il cortile, dove erano state disposte tre tavolate apparecchiate con posate di ottone consumato, candelabri e bandierine recanti altrettanti stemmi: ali blu e bianche, rose e un osceno unicorno verde.

«Credevo fossero quattro le casate» disse Levi, scendendo agilmente dalla carrozza «E questa non mi sembra affatto Hogwarts»

«Io l’avevo detto che era una cretinata venire fin qui!»

«Ah, stai zitto, Farlan! Sono sicuro che c’è una spiegazione logica. Insomma… ho perfino comprato un gufo per questo! Mi sono rimaste… dodici monete e qualche spicciolo; tradotto, corrisponde circa a cinque falci e tre zellini… credo»

«Una miseria. Hai speso tutti i tuoi risparmi per quella roba impagliata?»

«Beh…» si azzittì al sentire una mano tirargli un lembo della camicia.
Abbassò lo sguardo, incrociando gli occhi terrorizzati di un ragazzino seduto al primo tavolo:
«Scappate, per carità! Fuggite, finché siete ancora in tempo» lo apostrofò lo sconosciuto.

Levi si ritrasse immediatamente:
«Ma che diamine vai dicendo? È tutta la vita che sogno di venire a Hogwarts!»

«Non capisci? Questa non…»

Lo scrosciare di un applauso nascose quelle parole. Tornò a guardare verso il fondo del cortile, dove era stato allestito un palco. Un uomo di mezza età stava giusto terminando il proprio discorso; le mostrine sull’uniforme segnavano il massimo grado. Era il preside? Sulla giacca portava il semplice stemma di uno scudo, su fondo neutro:
«… e diamo il benvenuto ai nuovi studenti, che presto saranno smistati nelle loro nuove casate d’appartenenza. Venite avanti, ragazzi… non siate timidi»

Contò circa una trentina di persone, scese anch’esse dalle carrozze. Gradualmente, il gruppo si accostò al palco, fermandosi ai piedi dello stesso.
L’uomo riprese a parlare, sistemandosi gli occhialini tondi sul naso.

«Ora, il vicepreside, il signor Keith Shadis, vi chiamerà. Verrete qui e vi siederete su questo sgabello. Il cappello parlante vi smisterà nella vostra casata d’appartenenza. Cominciamo. Isabel Magnolia?»

Isabel balzò immediatamente sul palco, accomodandosi ed attendendo il verdetto del cappello:

«Parla davvero?» chiese solo, ricevendo in cambio una occhiata scettica.

«Ovviamente no.» Shadis storse le labbra in una piccola smorfia, mimando in falsetto, come a simulare l’improbabile voce di un cappello «Legione esplorativa»

«Che? Ma io voglio finire in Grifondoro!»

«Ho detto Legione. Addio» di nuovo quel tono ridicolo, poi sfumato in un dire imperioso «Colette Leton»

Un’altra ragazza si accomodò e venne prontamente spedita al tavolo del Corpo di Ricerca.

La scena si ripeté una dozzina di volte, prima che da dietro le quinte giungesse una sonora protesta:
«Shadis! Lasciane un po’ anche a noi. Va bene che ti serve gente da far fuori, però…»

«Va bene, i prossimi due ve li regalo! Fa vedere…» il vicepreside scorse l’elenco alla svelta «Paul Gorle e Susy Stewart. Voi due finirete nella polizia e nella gendarmeria. Tutti gli altri, si considerino arruolati nella Legione Esplorativa»

«Ehi!» Levi scattò immediatamente, raggiungendo il palco a larghe falcate «Non ho fatto tutta questa strada per non essere smistato. Esigo il responso del cappello parlante»

Per Farlan fu impossibile fermarlo. Si poteva essere così scemi? Sì, forse sì. Scosse il capo, passandosi una mano sulla fronte.

«Io l’avevo detto che era una fregatura» si lagnò appena, ma nessuno lo stava più ascoltando: Isabel aveva già attaccato bottone con una tizia occhialuta, che sembrava generosamente darle corda; Levi strattonava furiosamente il cappello, cercando di impadronirsene, mentre il Comandante Supremo si gustava, semplicemente, la baruffa improvvisata.

Si avvicinò al tavolo, sconcertato. Presto sarebbero divenuti tutti polpette per i giganti. Perché non lo avevano ascoltato? Si sarebbero risparmiati un sacco di fastidi, tra cui cacciare pantegane e comprare gufi impagliati. Spiò il piatto davanti a sé, colmo solo di una zuppa fredda. Nessun dolce, nessun elfo domestico a sparecchiare, nessuna cioccorana o ape frizzola. Niente di niente…

Osservò in silenzio Levi tornare vittorioso e sedersi accanto a lui, con tanto di cappello ancora in testa.

«Dove ti ha smistato?» chiese, paziente, ricevendo in cambio un sorriso trionfante.

«Proprio qui. Anche se avrei preferito Grifondoro»

«Non ci sei ancora arrivato, vero? Non c’è nessuna Hogwarts! Era solo… una scusa per arruolarci a forza.»

«Davvero?» Levi batté le palpebre, perplesso. Gli ingranaggi della sua mente si misero faticosamente in moto: quindi… quella non era una Scuola di Magia, ma una caserma; i professori erano ufficiali e gli altri studenti dei semplici cadetti. Non c’erano bacchette, pozioni o scope volanti! Solo giganti pronti a divorare chiunque avesse osato mettere il naso fuori dalle mura «Ci hanno imbrogliati?» domandò, ricevendo in cambio un mesto applauso.

«Ci sei arrivato, alla fine» Erwin si accomodò accanto a loro, sfoggiando un sorriso rassicurante «Sono certo che perdonerete l’inganno, ma.. dobbiamo necessariamente ricorrere a questi mezzucci. Non si arruola mai nessuno, nella Legione. Mi domando il perché, insomma… è avventuroso» si strinse nelle spalle «Certo, qualcuno torna a pezzi, qualcuno non torna proprio, ma… diamine, è comunque una bella esperienza. Come si dice… breve, ma intensa, no?»

«Tu non sei un postino, vero?» Levi squadrò nuovamente la figura accanto a sé. Era sicuramente l’uomo che aveva consegnato le loro lettere. Dunque… non lavorava per Hogwarts, ma per il Corpo di Ricerca! Maledetto imbroglione! Se non fosse stato così prestante e grazioso, gli avrebbe sicuramente spaccato la faccia a suon di pugni. D’altronde, però, era davvero una bella faccia.

«No»

La conferma non lo sorprese per niente. Si limitò ad alzare le spalle:
«Peccato» sussurrò, infine «Eri un gran bel pezzo di postino»

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Capitolo 4
*** Decise di esplorare il web ***


La volta in cui Levi decise di esplorare il web


Premessa: mi sono sempre chiesta cosa provassero i personaggi nel vedersi sfruttati in fanart, fanfiction, opere amatoriali di qualunque genere. Molti di loro, immagino, non sarebbero felici (considerando le fini atroci a cui spesso li sottoponiamo XD). Per curiosità, dunque, ho immaginato che sia il nostro sfortunatissimo capitano a svolgere questa ricerca... A mia volta, l'ho cercato su Google accompagnato dalla parola "fanart" e, naturalmente, è uscito il mondo... Quanto alle fanfiction, quelle le ho inventate XD Non ho preso riferimenti ad alcuna ff scritta qui o in altri siti (eccetto questa stessa raccolta che, ne sono certa, il protagonista forse non apprezzerebbe molto XD Naturalmente, non ha voce in capitolo).
Detto questo, ringrazio per essere passati di qui *_* al solito, prendete questa storia un po' per quello che è: un mucchio di sciocchezze senza capo né coda ^^



***


Levi sedette al computer, premendo il tasto d’accensione. Il vecchio Packard Bell sbuffò un soffio d’aria calda, mentre la ventola prendeva a ronzare fastidiosamente. Avrebbe dovuto decidersi a farla riparare, ma al mese d’Agosto difficilmente avrebbe trovato un centro assistenza aperto.

Mosse il mouse, entrando nella familiare schermata di Windows. Lo sfondo dalle verdeggianti colline lo accolse con la sua eterna monotonia. Controllò rapidamente alcune icone sul desktop ordinato, prima di spostare un paio di files nel cestino. Dubitava che quelle ricevute gli sarebbero occorse ancora.

Infine, portò il cursore sulla E azzurra, cliccando due volte. Internet Explorer si aprì lentamente, visualizzando un paio di avvisi: password obsolete e necessità di effettuare una scansione antivirus.

«Lo farò dopo» borbottò, selezionando Google come motore di ricerca.

«Che stai facendo?» Erwin gli arrivò alle spalle, facendolo sussultare.

«La vuoi piantare d’essere così inquietante?» ringhiò, squadrandolo attentamente. Il biondo aveva optato per una tenuta prettamente tedesca: camicia hawaiana dall’orribile fantasia ad ananas sorridenti; bermuda color kaki e un paio di invedibili calzini bianchi infilati nei morbidi sandali di cuoio nero. Era così che il signor Smith affrontava la calura estiva?

«Perché diamine ti sei messo i calzini?» domandò, senza staccare gli occhi grigi dall’atroce combinazione.

«Anche tu hai indosso i calzini, Levi»

«Io li porto sempre perché ho freddo»

«Ci saranno almeno trentacinque gradi! Come fai ad avere freddo?»

«Non lo so, ma ho freddo» replicò, lisciando lentamente le piegoline sulla t-shirt nera che, lungo la schiena, recava la familiare scritta “Humanity’s strongest”.

«Mh, peccato. Avevo preparato una limonata fresca, ma…»

«Andrà benissimo!­» allungò la mancina, servendosi del bicchiere e trangugiando un rapido sorso. La sete si placò immediatamente.

«Cosa stai facendo?»

«Voglio cercarmi su internet»

«Ossia?»

«Beh… voglio vedere cosa salta fuori, se metto nome e cognome su Google»

«Non penso sia una buona idea»

«Perché?»

«Emh… non saprei come spiegartelo, Levi»

«Pensi che non sia abbastanza popolare?»

«Al contrario, credo tu sia uno dei più famosi e ricercati sul web»

«E allora…?»

«è proprio questo il problema»

«Sei geloso?»

Colse il compagno scuotere prontamente il capo:
«Neanche un po’, ma… vedi… internet è pieno di… cose strane. Non credo dovresti dare molto peso a quanto troverai.»

«Sei geloso perché io ho delle fans e tu no»

«Beh...Anche io ho delle fans! Delle fans di tutto rispetto» Erwin si era indispettito? Oh, interessante. Avrebbe fatto leva su quel piccolo nervo scoperto, la prossima volta che gli avrebbe fatto girare le scatole per qualche motivo.

«Io ne ho di più» rimbeccò, affrettandosi a digitare “Levi Ackerman” sul motore di ricerca. Mosse il cursore, spostandolo sulla voce “immagini”. Fissò lo schermo, qualche attimo, con gli occhi sgranati e le labbra spalancate. L’indice destro fece scorrere la pagina verso il basso; la sua espressione, tuttavia, non mutò. «Questo sono io…»

«Già. Te l’avevo detto di non guardare» quanto era fastidioso Erwin, quando si metteva a fare il grillo parlante. Bla bla bla… la voce della coscienza!

«Perché cazzo sono vestito da farfalla?»

«Non lo so»

«è osceno! Che diamine…? Sembro una Winx!» mosse nuovamente il cursore, passando alle immagini successive. Le fanart si susseguirono davanti al suo sguardo incredulo: versione principessa Disney che spazza per terra, cameriera sexy, bambino disagiato, teppista di strada «Questa con il pigiama azzurro però mi piace. Pensi che esista davvero un pigiama con i titani ballerini?» domandò, ricevendo in cambio una scrollata di spalle.

«Lo cercheremo su Aliexspress»

Tornò a fissare lo schermo, scuotendo lentamente il capo. Per un attimo, provò l’irrefrenabile tentazione di lanciare il computer oltre la finestra.

«Perché mi hanno disegnato come un raviolo?!» stese la destra nel nulla «Passami il telefono! Devo chiamare il mio avvocato»

«Non hai un avvocato»

«Presto ne avrò uno»

«E chi?»

«Nile!»

«Nile non è un avvocato.»

«Lo diventerà! Che diamine, non fa mica il poliziotto? È la stessa cosa, suvvia… poliziotto, avvocato. Sempre gente in divisa è…»

«Gli avvocati non hanno una divisa»

«Va beh! Pignolo che non sei altro» sbuffò, tornando a fissare incerto l’immagine del tortellino incazzato «Perché mi hanno disegnato come un raviolo?»

«Beh, ci sono delle diatribe tra fans: alcuni sostengono che Rivaille sia il tuo cognome, altri che sia il tuo nome, altri pensano che ti chiami Lance.»

«Lance? Da dove cazzo esce?»

«è una storia lunga, ma… tornando al raviolo, beh… la pronuncia di Rivaille, in alcune lingue, si accosta alla parola Raviolo e…»

«E mi scambiano per un tortellino?»

«A volte»

Sbuffò, scuotendo il capo e tornando a spiare lo schermo. Un altro turbinio di immagini si confuse davanti ai suoi occhi. Scese lentamente lungo la pagina, sussurrando:
«Qui c’è Farlan morto, qui c’è Isabel morta. Qui sono morti entrambi. Qui sei morto anche tu… Che gusti macabri» mormorò, passando alla pagina successiva «Qui ci sono io che faccio le pulizie, qui ci sono io che vado a trovare Petra al cimitero. Devo capire perché nei cimiteri di Petra ci sono sempre dei pini e non dei cipressi, ma pazienza. Auruo non se lo caga nessuno, a quanto vedo. Nemmeno Erd e Gunther.» una alzata di spalle «Qui ci sono io che lavo Hanji. Ovvio, quella da sola non si lava… qualcuno dovrà pur portarla dal toelettatore» un altro scatto del mouse «Qui ci sono io che mando dei fiori a Hanji. Non ricordo d’averle mai mandato fiori in vita mia. Anche perché li darebbe ai titani per convincerli a diventare vegetariani, quindi…» passò oltre, lasciando la freccia libera di scorrere verso il basso «Qui ci sono io che pelo patate. Che cosa carina, la apprezzo. Qui ci sono io che insegno ad Eren come fare le pulizie. E poi ancora io che mi limono Eren dopo le pulizie… aspetta! Cosa?» batté le palpebre, nuovamente perplesso. Accanto a quella fanart ve ne erano molte altre, di stampo simile. Alcune più soft, altre… «Che stiamo facendo qui?»

«Hai mai letto “Cinquanta sfumature di muro”?»

«No, ma ho visto Ymir che lo leggeva. Ha detto che era interessante»

«Beh… ora sai di cosa parla» l’indice del comandante arrivò a picchiettare sullo schermo.

«Oh… oh, capisco. Sì, ma… no»

«No cosa?»

«Ha quindici anni! Potrei essere suo padre o suo suocero o suo nonno… Magari un parente alla lontana, tipo… uno di quei proproproprozii che ti regalano maglioni orribili a Natale» sbuffò, spostando il mouse con un gesto secco «Ecco, mo’ pure con Mikasa! Siccome già non mi sta in culo peggio di una supposta…» un piccolo ringhio, un sospiro ed un sorso di limonata. Provò a calmarsi: in fondo, erano solo disegni e piccole fantasie con cui i fans lo omaggiavano, no? Non doveva prendersela troppo. «E poi siamo parenti, diamine. Non posso mica spassarmela con mia cugina! O zia! O nipote… non so manco chi cazzo sia, in effetti, ma… siamo parenti, senza ombra di dubbio»

«Magari è un caso di omonimia»

«Oh, certo! Lo sarebbe se fossimo a Milano e ci chiamassimo entrambi Rossi, ma… diamine, siamo nel Wall Rose. Quanti cazzo di Ackerman vuoi che ci siano? E la persecuzione dove la lasciamo? Tutta quella menata che mi ha fatto Kenny  bla bla bla… era talmente pallosa che a un certo punto ho smesso di ascoltare. Certo, poi lui si è un po’ risentito ed ha cercato di farmi fuori, ma… » agitò una mano «dettagli irrilevanti!»

«Potresti provare con qualche fanfiction. Magari avrai risultati migliori»

«Giusto. Sono sicuro che su di me scriveranno cose bellissime! Delle poesie magari. O delle odi. Facciamo un componimento epico, via… la Levissea! Suona benissimo»

«Sembra il nome di un’acqua minerale»

«Dici così solo perché sei invidioso. Sono sicuro che su di te non scrivono niente, perché ti ritengono un noioso comandante con manie omicide.»

«Ehi! Faccio solo il mio lavoro»

«è per questo che stai antipatico a tutti. Oh, vediamo… questo sito sembra promettente» una schermata bianca e azzurra gli balzò agli occhi « “La volta in cui Levi…” sembra promettente!»

Dopo una manciata di minuti, tuttavia, tornò sulla homepage:
«Tsk, che manica scemenze! Non mi perderei mai al supermercato, io. E non ho un’ossessione per il cappello di Kenny» rivolse una occhiata alle proprie spalle, dove un cappello nero a tesa larga stava sistemato sotto un’elegante teca di vetro lucido «Vero?»

«Affatto»

«Insomma… sembro un deficiente, qui! Ed io non lo sono, no?» ringhiò, tendendo la mano nel nulla «Il telefono, grazie»

«Chi devi chiamare, ora?»

«Il “CESSI”. Comitato Esecutore Sulla Salvaguardia Interpreti»

«Non esiste nemmeno come associazione!»

«Perché no? Ah, certo… visto che il signor Smith non la conosce, allora deve essere per forza inesistente»

«Levi… non esiste»

«Certo che esiste! Ho trovato una loro brochure nella cassetta delle lettere e… bah, poco male… comunque, ci sono moltissime storie. Guarda! Sono il protagonista in quasi tutte… questa, ad esempio, mi ispira»

«Ha il bollino rosso»

«E allora? Pensi che non possa leggere qualcosa di spinto? Dannazione, ho passato i trent’anni! Sono un adulto, ormai»

Erwin non capiva assolutamente nulla! Perché si ostinava a volerlo proteggere? Non era certo un ragazzino. Sapeva perfettamente come cavarsela. Uccideva giganti, dopo tutto. Una fanfiction rossa non sarebbe stata un grosso problema. Prese a scorrere il testo, assorbendo avidamente ogni parola: l’autrice, tale Merendina021, lo descriveva con estrema cura, soffermandosi attentamente su ogni dettaglio; dal taglio dei capelli, ai vestiti, ai muscoli che si intravedevano sotto la maglietta ovviamente troppo attillata e bagnata per l’occasione.
«Mh…» fu l’unico commento, mentre lo sguardo correva avido lungo le righe. Lesse tutto, senza staccare gli occhi dalla pagina. Solo all’ultima riga, si convinse a rialzare il capo. Lo sguardo, ormai prossimo alla disperazione più nera, cercò conforto in quello del comandante:

«Erwin» sospirò, una nota malinconica nella voce «Ho visto più cazzi io in cinque righe che mia madre in tutta la sua vita. E mia madre era una prostituta…»

«Te l’avevo detto di non leggere!»

«La smetti di dirmi quello che devo e che non devo fare? Accidenti… In questa muoio perfino!»

«Non ci vedo niente di male»

«Ovvio! Tu sei abituato a crepare. Anche Isabel e Farlan me l’hanno detto. Beh, loro sono abbonati cronici alla morte, ma… che diamine. Io?!» si premette le mani sul petto «Io non posso morire! Accidenti, sono… insomma, il protagonista non muore mai…»

«Non prendertela tanto, suvvia»

«Mi piacerebbe tanto vedere te, al posto mio! Anzi…» tornò sulla schermata principale, digitando frettolosamente due semplici parole «Ora vedremo cosa producono le tue fans, caro il mio signor Smith» aggiunse, innescando un piccolo sogghigno, prima di scorrere la lunga lista di fanart e storie amatoriali «Oh, ma guarda. Qui… e qui… e… qui e…» lo sguardo grigio si incollò nuovamente allo schermo, rifiutandosi di allontanarlo. «Perché tu vieni dipinto come un manzo biondo – quale effettivamente sei – e io da camerierina isterica?»

Colse un sorriso morbido affiorare sul volto del comandante, condito da una punta di leggero sarcasmo; Erwin scosse semplicemente le spalle:
«Chi lo sa, Levi… chi lo sa…»

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Capitolo 5
*** Andò a cena da Krakko ***


La volta in cui Levi andò a cena da Krakko
 

Premessa: i piatti che troverete di seguito... esistono davvero (e, naturalmente, sono presi pari pari dal menù del vero chef che, senza ombra di dubbio, cucina meglio del suo "quasi" omonimo). Quanto segue è ciò che si ottiene quando si ha Masterchef come sottofondo...


Aveva scelto il locale con estrema cura, fidandosi del proprio istinto. D’altronde, lo chef Krakko rimaneva il suo giudice preferito nell’annuale manifestazione culinaria del Wall Sina. Aveva, dunque, convinto Erwin ad accompagnarlo in quel ristorante, tanto rinomato da possedere una ventina di stelle Michelin. Beh, forse non una ventina sul serio, ma… quasi.
Erwin, sicuro di poter finanziare la cena con i soldi della Legione, aveva invitato anche Mike, Nanaba ed Hanji e Moblit, ignorando il sogno di una romantica cenetta in uno dei locali più in di Mitras.

Prima di partire, dunque, aveva raccomandato ai partecipanti eleganza e stile nel vestire; naturalmente, non era stato ascoltato: Hanji aveva optato per uno stravagante abito bianco, costellato da fragole e ciliegie. La gonna arrivava appena sotto il ginocchio e si apriva in morbide balze, mentre le maniche a sbuffo segnavano il contorno delle spalle. Un paio di scarpette rosse completava l’abbigliamento. Per l’occasione, i capelli – solitamente disordinati ed unticci – erano resi ancora più trasandati da un orribile fiocco a pois. Moblit, naturalmente, non se la passava meglio: la camicia arancione era un pugno in un occhio, specie se abbinata a dei pantaloni grigio-topo, sorretti da bretelle color melanzana. Uno scempio che ben si accompagnava a quello della scienziata.
Mike e Nanaba erano stati più sobri, ma decisamente troppo sportivi: entrambi avevano optato per jeans e maglioncini dalle improponibili fantasie: due scoiattoli capeggiavano su quello dell’uomo, mentre la compagna recava la stampa di una fattoria immersa nel verde della lana.
Al contrario, Erwin era l’unico ad aver recepito il suo messaggio; oppure, semplicemente, possedeva un innata propensione all’eleganza. Il completo nero sarebbe stato perfetto, però, anche senza il papillon, che lo rendeva più simile ad un cameriere in servizio, che un ospite. Almeno, però, l’abbigliamento del comandante si adattava al proprio: per sé, aveva optato per un abito scuro, con una semplice camicia e l’immancabile cravattino bianco e morbido.

Levi si avvicinò all’ingresso, affrettandosi a varcarlo quando un servizievole lacchè aprì la grande porta a vetri. All’interno, la sala era immensa: tavoli quadrati, coperti da tovaglie finemente ricamante, erano disposti lungo tutto lo spazio; il pavimento, in marmo rosa, rifletteva la tenue luce che i lampadari di cristallo irradiavano. Il soffitto appariva come una volta scura, quasi a richiamare il cielo notturno. Il locale era colmo di avventori, per lo più membri dell’aristocrazia e dell’alta borghesia. Una targa nera capeggiava sul fondo della stanza: “Karlo Krakko – Ristorante in Mitras”.

«Buonasera. Avete prenotato?» il responsabile di sala li accolse con un registro dorato tra le mani.

«Sì, a nome Ackerman»

«Ackerman… Ackerman… il signor Kenny?»

«No, mh… Levi Ackerman» aggrottò la fronte. Che ci faceva suo zio in un locale del genere? Perché diamine aveva prenotato? E poi… proprio quella sera? Non ci teneva affatto a rivederlo «Però, sono suo parente… suo nipote»

«Capisco» il maître tornò a scorrere l’elenco «Il signor Kenny è uno dei nostri migliori clienti, sa?»

«Davvero?»

«Certo… lui e lo chef sono in ottimi rapporti»

«Oh, splendido… allora… potrei conoscere lo chef?» odiava Kenny. O forse no, ma comunque non gli era simpatico. Tra loro non era mai corso buon sangue, malgrado l’inevitabile parentela. Tuttavia, avrebbe potuto sfruttarlo per incontrare Krakko. Si diceva che il cuoco non fosse affatto incline a conoscere i suoi fans, ma… magari avrebbe ceduto alle sue lusinghe. Dopo tutto era il soldato più forte dell’umanità, no? E anche nipote di Kenny lo Squartatore.

«Lei è il signor Kenny?» ripeté il servitore.

Era stupido o cosa? Glielo aveva appena spiegato! Levi sbuffò spazientito:
«No. Sono il capitano Levi della Legione Esplorativa. Avrà sentito parlare di me, no?»

«No»

Ecco cosa si guadagnava a combattere per quegli ingrati! Uno si spaccava le ossa fuori le mura e quelli non mostravano neppure un briciolo di riconoscenza. Anzi, a dirla tutta, nemmeno sapevano chi fosse.

«Beh, comunque» riattaccò, sfoggiando un sorrisetto deciso «Sono il soldato più forte dell’umanità, nonché nipote di Kenny Ackerman. Capisce? Vorrei chiedere, se possibile, di conoscere lo chef Krakko di persona»

«Lei è il signor Kenny?»

«No, io…»

«Mi dispiace. Lo chef intrattiene rapporti solo con il signor Kenny»

«Ma… sono suo nipote!»

«Attenda, prego» scorse l’uomo frugare nel registro e cavarne una pergamena spiegazzata «Lei è questo?» il foglietto gli finì sotto il naso: sulla carta era disegnato un vero e proprio scarabocchio. Un omino stilizzato, con una testa troppo grossa e degli occhi sottili. Una zazzera di ciuffetti neri sparava in ogni direzione, mentre al collo era attaccato un fazzolettino. Una freccia lo indicava, accanto alle parole “Nipote cretino” «Amh… sì» ammise infine, storcendo la punta del naso. Quel maledetto stronzo! Gliel’avrebbe fatta pagare, prima o poi.

«Mi dispiace, signor Levi. Il signor Kenny la odia. Di conseguenza, anche lo chef Krakko la odia»

«Ma… ma… se nemmeno mi conosce!»

«Lo chef odia tutti quelli che il signor Kenny odia.»

«Ma… lui è il mio idolo.»

«Lo so, signor Levi. Lo chef è l’idolo di tutti, dentro e fuori le mura. Tuttavia, egli la odia.»

«Non gli ho fatto niente di male!»

«Lei respira, signor Levi. Questo è sufficiente» il maître fece un cenno, indicando alla compagnia un tavolo poco distante dall’ingresso «Accomodatevi pure. Cameriere…» disse, rivolgendosi ad Erwin «Porti da bere ai nostri ospiti»

«Veramente, sarei un cliente» fu la risposta pronta del comandante, che, tuttavia, non venne ascoltata.

«Con quella divisa addosso? A me sembra un cameriere. Sta cercando di fare il furbo e non lavorare?»

«No, io…»

«Allora vada in cucina a prendere da bere!»

Erwin scosse il capo:
«No, stavo dicendo… Mi chiamo Smith e sono il comandante della Legione Esplorativa. Sono qui per cenare con i miei amici.»

«Lei fa il cameriere nel tempo libero?»

«Che? No.»

«Allora perché è vestito da cameriere?»

Erwin si slacciò pazientemente il papillon, nascondendolo nella tasca interna della giacca:
«Così va meglio?» chiese, scostando una seggiola.

«Decisamente. Potete accomodarvi, signori… manderò qualcuno a prendere le vostre ordinazioni» l’uomo fece per allontanarsi, tornando poco dopo sui propri passi «Signorina» iniziò, rivolgendosi ad Hanji «Il suo orrendo vestito a frutta ricorda una saporita macedonia ed ha appena fatto sorgere l’ispirazione nel grande chef. Egli la ringrazia e la invita in cucina per conoscerlo. Può portare uno dei suoi amici, naturalmente»

«Scegli me!!» Levi avanzò di scatto, cercando di afferrare il braccio della scienziata; il responsabile di sala, tuttavia, stroncò immediatamente i suoi sogni:

«Tutti tranne questo qui, perché lo chef lo odia»

«Oh, non si preoccupi» Hanji agguantò la mano di Nanaba «Porterò lei. Lasciamo i signori a disquisire su cosa ordinare»

A Levi non rimase altro da fare che sedersi ed osservare le due donne sparire oltre le porte dell’agognata cucina. Sollevò un menù, nascondendovi dietro l’espressione delusa:
«Lo chef mi detesta… tutta colpa di Kenny. Che gran bastardo!» ringhiò, mentre il suo sguardo correva alle pietanze rappresentate.

«Sono sicuro che avrai modo di rimediare, Levi. Non te la prendere così tanto» la voce di Erwin cercò di confortarlo, ma venne immediatamente coperta da quella sarcastica di Mike:

«Come no. Lo chef ti odia.» un sorriso si arricciò sotto il baffetti a spazzola «Sai che novità… anche io ti odio. Anche Nanaba ti odia. Pure Hanji e… anche Moblit. Vero, Moblit?» lo vide dare il gomito all’altro che, con la sua solita flemma, appoggiò la carta dei vini.

«Io non odio nessuno» fu la risposta, a cui Mike non diede seguito.

«Visto? Ti detestano.»

«Vaffanculo, Mike!» si limitò a replicare, tornando a spiare i piatti «Avete già deciso cosa ordinare?»

«Ovviamente no. Tutto ha un costo stratosferico…» di nuovo quella voce testarda «Ehi, Nanetto. Con tutti i posti che ci sono, proprio qui ci dovevi portare? Una bella trattoria dove si mangia bene e si spende poco ti faceva schifo?»

«Vaffanculo di nuovo! Perché devi sempre fare il guastafeste?»

«Io mi domando» Erwin attaccò poco dopo, scrutandolo da oltre il bordo della carta «Come sia fatto un astice blu. Insomma… non ho nemmeno mai visto un astice normale, io. Questo ci propone un “Astice blu cotto a vapore, carciofi , paprika e  birra di farro”. L’astice non dovrebbe essere d’acqua salata?»

«Che ne so. La nostra maniaca-delle-cose-strane è in cucina a conoscere lo chef, invece che essere qui ad aiutarci!­»

«Riflettiamo. Se così fosse… lo chef dovrebbe avere qualcuno che lo rifornisca direttamente dal mare, no? Ma… come ci arriva al mare, se oltre il Wall Maria abbiamo il problema dei titani?»

«In effetti… potremmo chiedere allo chef se ha un passaggio segreto sotto il ristorante?»

«Un passaggio segreto lungo migliaia di chilometri. Mi piace. È un’ottima ipotesi.»

«Come facciamo a chiederglielo? Insomma, ha voluto conoscere solo Hanji e Nanaba.» scoccò una occhiata alla soglia della cucina, da cui le due donne stavano tornando «Non credo che concederà loro una seconda udienza.»

«Nessun problema» Erwin inscenò uno dei suoi soliti sorrisi furbi e terrificanti «La prossima volta che verremo qui, indosseremo tutti abiti con fantasie oscene e richiamanti il cibo. A quello verrà un altro colpo di genio, si sentirà ispirato e ci vorrà conoscere»

«Geniale..»

«Lo so. Dopo tutto, è un mio piano»

Levi sollevò lo sguardo al cielo, senza dar seguito a quel vanto. Tornò a studiare i piatti:
«Voi cosa prenderete?»

«Io prenderò “Gamberi viola appena scottati, pistacchi e barbabietola» Mike fu il primo a chiudere il menù, seguito da Nanaba.

«Mh, quello ispirava anche me. Propongo di prendere piatti diversi, così li assaggeremo tutti. Prenderò il “Piccione in crosta di caffè, patata farcita al mascarpone, mandorla e vaniglia. Mi domando, tuttavia, dove vada a prenderli ingredienti simili…»

«Beh, il piccione è facilissimo. Mitras ne è piena. Ci sono piccioni ovunque» replicò Hanji, snocciolando poi la sua ordinazione « “Selezione di formaggi accompagnati dalla loro guarnizione”. Moblit, invece, prenderà “Rognone di vitello al forno, prezzemolo, pastinaca e bergamotto”.»

«Io, veramente, vorrei un risot…» lo sfortunato assistente venne liquidato con un cenno della mano.

«Smettila, Moblit. Non è il momento per discutere. Prendi il rognone»

«Ma… non mi piacciono le frattaglie! Perché devo mangiarlo io?»

«Oh, quanto fai il difficile!» Hanji sbuffò, impilando i due menù «In tempo di guerra non si butta via niente. Quindi… mangerai il rognone»

«Io non so nemmeno cosa sia un rognone» Levi si intromise nuovamente, ma la sua uscita non venne ben accolta dalla scienziata:

«Ovvio! Non mi dai retta quando parlo. Il rognone è il rene. Ora, sapete tutti come funziona un rene, no? Perché altrimenti sarò costretta a spiegarvelo. Non si può mangiare qualcosa senza conoscere il suo scopo primario. In questo caso…»

Smisero tutti di ascoltarla, tornando al giro delle ordinazioni. Erwin picchiettò l’indice sulla sezione dei pesci:
«Questo! “Scampi arrostiti, crema di ditteri…”»

«Datteri, Erwin» avrebbe dovuto farsi pagare anche come segretario, oltre che in qualità di Soldato più Forte; e, naturalmente, ricordare al comandante di inforcare gli occhiali da lettura.

«Scusate… datteri! “Puttanelle e porro fondente”»

«Puntarelle. Le puttanelle le trovi a una cinquantina di metri sotto i tuoi piedi» si sfregò l’attaccatura del naso, pizzicandola leggermente. Conosceva, naturalmente, l’ubicazione del ristorante: le sue fondamenta poggiavano sul migliore bordello dei bassifondi che, da quando il grande chef aveva aperto bottega, faceva affari a non finire, rivendendo la sciacquatura dei piatti come gustose bevande e brodi di prima scelta.

«Tu cosa prenderai?»

Ottima domanda. Non ci aveva ancora  riflettuto: leggere e rileggere non era servito a granché, ma solo a confondergli le idee. Scosse piano il capo.
«Mh… “Risotto allo zafferano e midollo alla piastra”» concluse, chiudendo, infine, anche il proprio menù.
 

***
 

Attesero quaranta minuti, prima che un cameriere venisse a prendere le ordinazioni. Ed attesero altri quaranta minuti che i piatti venissero consegnati.
Alla fine, dopo una interminabile attesa bagnata da un eccessivo quantitativo di vino, il servizio venne ultimato: le stoviglie, rigorosamente in porcellana finissima, vennero posate sul tavolo, accompagnate da uno striminzito “Buon appetito”.

Levi squadrò la propria portata: un risotto giallo, nella modica misura di due cucchiai, con una sorta di salsiccina marrone. La toccò con la punta della forchetta.
«Emh… cos’è?»

Si sporsero tutti ad osservare, ma nessuno osò pronunciarsi. Solo Moblit si sbilanciò in una rapida analisi:
«Stando a quanto c’era scritto, potrebbe essere il midol..»

«A me sembra merda» la voce di Mike arrivò a coprire quella dell’assistente.

«Anche a me»

«Idem»

«Indiscutibilmente feci di qualche animale strano»

Punzecchiò ancora una volta il curioso fagottino marrone, prima di sollevare una mano, richiamando l’attenzione di un cameriere. Sollevò il piatto, tendendolo al servitore.
«Scusi, me lo potrebbe cambiare. C’è della cacca sul risotto»

Ricevette una occhiata scettica:
«Il grande chef non cambia le ordinazioni»

«Sì, ma… ribadisco… c’è della cacca nel mio piatto»

«La mangi, allora»

«Che? Ma sei cretino? Mangiatela te, ‘sta merda di gallina»

«Se lo chef l’ha messa lì, significa che è inclusa nel menù»

«Ma…» non riuscì a replicare altro e fu costretto a tenersi la fondina «Io questa roba non la mangio. Nasone… la vuoi?»

«Mi hai scambiato per uno scarabeo stercorario? Dallo a Moblit» Mike storse il prominente naso, irritato, concentrandosi sulla propria portata. Nel piatto capeggiavano due gamberi, accompagnati da insalata matta e qualche briciola di pistacchio «Secondo voi… questo è l’antipasto? Cioè? L’antipasto dell’antipasto, intendo.» osservò maggiormente lo squallore nel piatto. «Ci sono dei cosi rosa… sembrano le dita di qualcuno, ma… sono due. Che cazzo mangio? È… e poi…» abbassò il naso sin quasi alla tovaglia «Puzza.»

«Almeno tu hai qualcosa nel piatto, ma… io? Guarda!» Nanaba sollevò un’ala croccante «Ho solo questa. Il resto del piccione ha letteralmente preso il volo! E questa patata? Ha sicuramente visto tempi migliori… ha un buco e le esce della roba bianca!»

«Meglio non fare domande e mangiare.»Hanji squadrò la sua collezione di formaggi «A me hanno servito le croste dei formaggi, dannazione… e uno di questi sembra pure un certosino. Sono riusciti a produrre la crosta sul certosino! Accidenti. Moblit…» si sporse verso l’assistente «Il tuo come è?»

«Beh… è un rene cotto…» il giovane aveva trovato il coraggio di tagliare la curiosa pietanza.

«Un rene! Blah.. è disgustoso! E io di roba disgustosa me ne intendo» la caposquadra controllò rapidamente sul menù «Quarantaquattro monete per quella cosa? È un organo che produce urina, diamine. Che senso ha farlo pagare così tanto?! E anche tu, Moblit! Non potevi scegliere qualcosa di meno caro?»

«Ma… veramente…»

«Il mio è ottimo!» Erwin si intromise prontamente e le proteste dell’assistente si dissolsero, come sempre, nel nulla «In realtà, vorrei farvelo assaggiare, ma… c’era solo uno scampo e mezzo e… l’ho già finito. Comunque, questo scampo era buono. Non so bene che caspita sia uno scampo, ma… beh, era gradevole»

«Credo sia un pesce, sai? Che vive nel mare» Hanji mimò un sorriso compiaciuta, mentre il comandante riprendeva immediatamente:

«Ottimo! Prendi nota, allora. “Cose da fare quando avremo sterminato i giganti”: uno, pescare gli scampi.»

«In ogni caso… trovo imperdonabile questo servizio» Levi decise di riprendere parola, dopo aver sbattuto un sonoro pugno sul tavolo «A me hanno servito della cacca nel risotto»

«Era midollo»

«Stai zitto, Moblit! A Hanji hanno dato le croste del formaggio, a Mike delle dita rosa inquietanti e… insomma, fa tutto schifo, qui! Mi rifiuto di pagare per questa roba» sbottò, incrociando le braccia al petto «Non ho neanche potuto conoscere lo chef! Tutta questa fatica per nulla…» digrignò i denti, in un sordo ringhio.

«Di che ti lagni? L’idea di venire qui è stata tua» Mike si affrettò ad appiccicare una caccola sotto al bordo del tavolo «Toh… ti lascio un ricordino»

«Lo so, ma speravo di incontrare Krakko. O di passare una serata romant… gradevo… carina con Erwin. A parlare di lavoro, ovviamente. In origine questa doveva essere una cena di lavoro. Avete rovinato tutto, come sempre!­» scosse il capo, accasciandosi contro la spalliera della seggiola «E ora? Che facciamo?»

Il comandante recuperò prontamente le redini della situazione:
«Ordiniamo il dolce!» esclamò, con rinnovato ottimismo.
 

***


I dolci furono passabili. Troppo piccoli per poter essere soddisfacenti, ma almeno avevano un buon sapore. Peccato che bastasse una forchettata per esaurirli.

«Tu e le tue idee di merda» Mike, naturalmente, non aveva ancora finito di rimpiangere la trattoria all’angolo, dove i carrettieri si fermavano spesso a mangiare. Bisogna sempre fidarsi dei carrettieri, diceva spesso, sanno dove si mangia bene e si spende poco.

«Devi rinfacciarmele ancora per molto?» Levi scoccò un’altra occhiata alla porta della cucina. Lo chef non si era fatto vedere, nemmeno per un istante. Avrebbe potuto chiedere ad Hanji di descriverlo o di parlargli del fortunato incontro che aveva avuto, ma la Fottuta Quattrocchi si era lanciata in una orazione in favore dei piccioni. «Chiediamo il conto?» domandò, ricevendo un cenno d’assenso «Paghi con i fondi della Legione, vero?»

«Naturalmente» Erwin montò un’espressione sicura, che si sciolse immediatamente con l’arrivo della parcella «Quattrocentoventiquattro monete?! Non… non abbiamo tutti questi soldi!»

«Che significa? Fa vedere… deve esserci per forza un errore» si impadronì dello scontrino, sgranando gli occhi «Come cazzo abbiamo fatto a spendere così tanto?»

«è colpa del rognone di Moblit!»

«Sei il solito, Moblit!»

«Non potevi ordinare pane raffermo e acqua?»

«In effetti, il rognone potevi risparmiartelo…»

«Ma veramente io…»

«Erwin… di quanto disponiamo?»

«Centosessantacinque monete e… tre centesimi»

Il gelo scese sulla tavola. Gli occhi dei presenti si incollarono alla cifra, frettolosamente vergata sul fondo di una delicata pergamena. Occorreva una idea. Sei menti iniziarono a lavorare contemporaneamente, cercando affannosamente una via d’uscita.

«Scappiamo» Levi indicò la porta «è l’unica soluzione. Non voglio passare il resto della mia vita a lavare i piatti qua dentro! Non fraintendetemi… io adoro lavare i piatti, ma… non penso di volerlo fare a tempo pieno»

«Potremmo circuire qualche dama aristocratica e farci offrire la cena»

«Erwin, che cazzo stai dicendo? Tu non circuisci proprio nessuno!» la sfumatura gelosa si cancellò immediatamente, quando un indice si portò verso Mike.

«Pensavo di proporlo a lui, in effetti»

«Oh, mi lusinghi, ma… no. Non vorrei mai finire tra le lenzuola di qualche vecchia arrampicatrice sociale» Mike tornò ad appiccicare una caccola sotto la tovaglia «Potremmo offrirgli la testa di Levi su un vassoio. Visto che lo odia tanto… magari apprezzerà il gesto e ci lascerà andare.»

Il comandante liquidò quell’idea con un gesto della mancina:
«E poi come facciamo con i titani? Non era una cattiva soluzione, ma… ci serve per le prossime missioni»

Ripresero tutti a fissare il conto, mentre le idee tornavano ad accavallarsi. Come uscire da quella situazione? Paradossalmente, forse lo spunto migliore era davvero la fuga in sordina. Obbligare Mike a prostituirsi rimaneva comunque una valida alternativa; viceversa, decapitare il capitano era fuori discussione.

«Fermi tutti!» Hanji si alzò bruscamente in piedi, sbattendo entrambe le mani sul tavolo «Ho avuto un’illuminazione» Tutti la fissarono, pronti a pendere dalle sue labbra. Per una volta – una soltanto! – l’avrebbero ascoltata «Vendiamo Moblit!»
 

***


Nessuno ebbe più notizie del malcapitato assistente. Il maestro Krakko, colpito da un dono di tale portata, decise di perdonare i suoi sfortunati avventori e di lasciarli rincasare. Trattenne Moblit come pegno per la visita e, da quel giorno, si persero completamente le tracce del giovane soldato.
Ancora oggi, leggende e miti si affollano attorno alla figura del disgraziato aiutante. C’è chi sussurra che lo chef lo abbia ucciso, suddividendolo in porzioni talmente piccole da finire sul menù del giorno; chi spergiura d’averlo visto lavorare come sguattero all’interno della cucina, parlando con un topo nascosto tra i capelli; alcuni affermano d’averlo scorto tra i partecipanti di Titanchef, altri ancora a sfornare pasticcini insieme a Knam .
L’ipotesi più accreditata, tuttavia, è che si sia fatto crescere barba e pancia, abbia indossato una giacca bianca e giri per le peggiori locande delle tre mura, castigando i ristoratori più inaffidabili e disastrosi.

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Capitolo 6
*** Partecipò a C'è missiva per te! ***


La volta in cui Levi partecipò a “C'è missiva per te!”

 

Levi si accomodò sul morbido pouff rotondo. La stoffa grigia si intonava ai colori tenui dello studio: il soffitto celeste contrastava con il rosso acceso del pavimento e con le rare poltroncine bianche rimaste vuote. Il pubblico, più numeroso del solito, borbottava sommessamente, facendo da sottofondo alla voce cinguettante della presentatrice.

La donna – una signora di mezza età con dei corti capelli biondi e un elegante abito scuro – stava controllando i dati su una cartelletta in plastica.

Assomiglia un po' a Jean si sussurrò, squadrando meglio i lineamenti marcati della conduttrice. Alla lontana, forse, ricordavano un po' gli stessi tratti da equino del cadetto.

Si sforzò di non sogghignare, limitandosi a stirare con le dita le scarse piegoline del suo completo nero.

“Benvenuto, signor Ackerman.”

“Emh... grazie” che si diceva in quei casi? Non era mai stato in una trasmissione televisiva tanto importante! Mimò un sorriso incerto, tornando poi ad osservare la enorme busta che giaceva al centro dello studio.

“Allora... ora vi racconterò la storia di questo ragazzo”com'è che si chiamava quella tipa? Marie? Come la moglie di Nile. Un nome poco promettente, senza dubbio.

Si grattò il capo, perplesso. Perché si era lasciato convincere a partecipare a quel programma? Avrebbe dovuto impuntarsi e rifiutarsi di presentarsi alle audizioni. Tuttavia, Erwin sosteneva che, per una migliore riuscita delle spedizioni, nella Legione Esplorativa dovesse regnare l'armonia; ergo, tutti dovevano risolvere al più presto le loro “faccende in sospeso”: le amanti deluse andavano rincuorate, i litigi tra vicini accantonati, le famiglie spezzate andavano ricongiunte e così via.

Lui, naturalmente, non aveva nessun guaio simile: il suo unico problema era il rapporto estremamente conflittuale con lo zio. A nulla erano valse le lettere e i tentativi di mettersi in contatto con Kenny lo Squartatore. Aveva quasi desistito nell'impresa, quando Hanji se n'era saltata fuori con quella idea ridicola: chiedere aiuto a Marie de Phillippis. Tornò a prestare attenzione alle parole della conduttrice, che lo stava dipingendo come un povero fanciullo disagiato.

“Levi nasce da una prostituta diciotto anni fa”

“Chiedo scusa... avrei trentacinque anni, quindi...”

“Appena maggiorenne, decide di lasciare la sua dimora, perché la madre non poteva mantenerlo”

“Amh... mia madre è morta quando avevo cinque anni, signora”

“E allora lui si rifugia dalla amante del padre, che tuttavia è una matrigna estremamente perfida. Ha due sorellastre che lo costringono a svolgere i lavori di casa”

Alzò la mano bruscamente, interrompendo quel flusso di parole:

“Per quanto adori le faccende domestiche, devo correggerla: non è la mia storia, questa!”

Scorse la donna osservare confusa la cartelletta e poi girare un paio di fogli. Un sorriso si accese sul volto da cavallo:

“Ah, si. C'è un errore nella scaletta di programmazione” il tono si fece irritato, quasi gracchiante, prima di tornare melodioso in un batter d'occhio “Allora, il signor Levi nasce trentacinque anni fa... davvero?” un cenno d'assenso “Li porta bene, complimenti”

“Sì, amh... me lo dite tutti. Soprattutto quando cerco di comprare alcolici. Sono stufo di dover sempre tirare fuori i documenti!”

“Immagino il disagio, signor Ackerman. Vorrei avere io il suo problema” la donna prese a camminare su e giù davanti agli spalti. “Sua madre era una prostituta. Malgrado il lavoro poco raccomandabile, era una signora gentile e generosa. Soprattutto generosa, a quanto vedo. Dispensava il suo amore a tutti... ma proprio a tutti. Naturalmente, però, amava più di ogni altra cosa suo figlio.”

“Potremmo evitare di soffermarci sul lavoro di mia madre?”

“La signora Ackerman era una meretrice, come abbiamo già detto e come ripeteremo ancora una ventina di volte nell'arco della puntata. È importante sottolineare questo punto, signor Ackerman. I drammi esistenziali fanno audience”

“Sì, ma...”

“Questa povera donna, però, viene a mancare per una malattia. Levi, che all'epoca aveva solo cinque anni, si ritrova costretto a lasciare il bordello a cui era tanto affezionato ed a trasferirsi presso l'unico parente, suo zio Kenny”

Dal pubblico si levò un mormorio entusiasta. Kenny Ackerman? Kenny lo Squartatore? Il George Clooney del Wall Sina? Fantastico! Sarebbe stato ospite in studio? Poteva trattenersi alla fine del programma per qualche autografo? Era possibile scattare un paio di selfie con Kenny?

“Suo zio, però, non si dimostra essere un genitore modello: sfrutta il nipote per le faccende di casa, lo tratta come uno schiavo, spesso lo picchia con un battipanni chiodato. A quindici anni, allora, Levi scappa di casa...”

“Veramente, è Kenny che è scappato di casa”

“Ah, capisco. Allora, Kenny fugge e abbandona il nipote. Da quel momento, per Levi iniziano dei gravi problemi economici: non avendo un lavoro, fatica a mantenersi. Si ritrova costretto a rubare e poi cade nel tunnel della droga”

“Ma.. non è vero!”

“Fa audience anche questo, signor Levi. Anche se... credo che quando suo zio entrerà in studio, faremo comunque il massimo degli ascolti” Marie gli rifilò un sorrisetto soddisfatto, prima di riprendere “A trent'anni, il signor Levi era uno dei peggiori ladruncoli dei bassifondi. Dirigeva una piccola banda criminale e si occupava di rapinare onestamente i pensionati. Tuttavia... un bel giorno, Levi decide di abbandonare la vita malavitosa e si arruola nella Legione Esplorativa, dove tutt'ora milita.

Qualche tempo fa, in occasione dell'ennesimo tentativo di rapimento di Eren Jaeger, Levi si scontra con suo zio. Vuole raccontarci come è andata?”

Levi si mosse a disagio sul cuscino: che doveva raccontare? La verità lo avrebbe sicuramente messo in cattiva luce davanti al pubblico, troppo intento ad adorare Kenny per seguire il suo discorso. Viceversa, mentire poteva essere pericoloso: suo zio avrebbe potuto cogliere l'occasione per smascherarlo davanti a tutti ed aumentare il proprio prestigio. Si morse nervosamente le labbra. Cosa doveva fare? Forse... poteva mostrare alla gente Kenny per quello che era! Uno spietato assassino senza scrupoli, disposto a ricorrere a qualunque mezzo pur di assecondare i propri biechi fini. Si schiarì la voce, cercando di recuperare sicurezza:

“Ero appostato su un tetto e stavo cercando tracce per inseguire i rapitori di Eren, come al solito. Avevo con me tre sottoposti, che mi erano stati gentilmente prestati da Hanji. Ero intento a seguire il finto funerale organizzato per trasportare l'ostaggio, quando ho sentito un forte scoppio. Mi sono voltato e... puff... la testa di Nifa non c'era più. Ho capito subito che qualcosa non andava! Insomma... non è che ai cadetti esplode la faccia così, per sport. Mi sono abbassato appena in tempo, perchè... poco dopo, è esploso il comignolo alle mie spalle. Ho visto Kenny e.. ho capito che stava cercando di uccidermi”

“Avvincente. Che cosa ha fatto?”

“Sono fuggito immediatamente. Ho trovato rifugio in un bar”

“Interessante. E si è nascosto sotto al bancone...”

“Come fa a saperlo?”

“è il posto più cretino dove nascondersi, signor Ackerman. Ci faccia caso! Tutti si nascondono sotto al bancone. C'è una rapina in corso? Sotto al bancone! Una rissa tra nani per la birra migliore? Sotto al bancone! Un cliente che non vuole pagare il conto? Sotto al bancone!”

“Sì, beh... a me sembrava una buona idea, in realtà”

“Immagino che il signor Kenny abbia intuito immediatamente dove si trovava”

“Più o meno”

“Logico. Cosa è successo, poi?”

“Amh... ho trovato un fucile e... emh... gli ho sparato”

“Ha sparato al signor Kenny?”

“Emh... sì” ammise, cambiando immediatamente risposta al cogliere il rumoreggiare del pubblico. Qualcuno fischiava, altri stavano già producendo coloriti insulti in sua direzione “Però, non gli ho fatto male!” un sospiro sollevato si alzò dagli spalti “Comunque, ho approfittato della confusione generale e sono fuggito dalla finestra”.

“Perché vuole incontrare il signor Kenny, dunque? Ha cercato di ucciderla, no? Come mai gli ha spedito una lettera?”

“Beh, diciamo che voglio chiarire il malinteso e riallacciare i rapporti. è... più che altro, un ordine del comandante Smith, che...”

Un Awww si sollevò nuovamente dal pubblico.

“Che hanno, ora?” chiese, fissando sconcertato la presentatrice.

Marie aveva, però, la stessa aria sognante delle signore presenti nel pubblico:

“Provi a ripetere”

“Ho detto che è un ordine del comandante Smith”

Awwww

“Prosegua, signor Levi. Cortesemente, faccia solo attenzione a non pronunciare nuovamente il nome del suo superiore o andremo avanti ad Awwware per tutta la puntata”.

“Dicevo che, beh... nella Legione Esplorativa, per un miglior rendimento, desideriamo appianare ogni divergenza, comprese quelle famigliari, quindi... eccomi qui. Ho pensato di chiedere aiuto al programma per ristabilire un contatto con Kenny, visto che non risponde alle mie lettere”

Marie sorrise, indicando ora il megaschermo sopra alla busta. Cliccò un pulsante, facendo immediatamente partire un video, mentre le luci della sala si abbassavano.


***
 

“Ciao Marie!” un postino aitante, avvolto in una tunica blu notte, sedeva comodo su una bicicletta “Oggi siamo nella città sotterranea per consegnare una lettera al signor Kenny Ackerman. Vediamo se è in casa!”

Partì una musichetta allegra, mentre il postino pedalava fischiettando. Le telecamere inquadrarono i bassifondi, restringendo poi il campo su una casupola malmessa in fondo ad un vicolo cieco. Il messaggero smontò dalla bici, appoggiandola al muro.

“Eccoci, Marie... siamo davanti alla casa di...Ehi, voi!” nel campo entrarono un paio di ragazziotti intenti a fuggire con la bicicletta sottobraccio “Mi hanno fregato la bici, Marie! Non c'è mai la Gendarmeria quando serve!” un sospiro rassegnato “Siamo davanti alla casa del signor Ackerman. Bussiamo!”

Il delicato Toc Toc venne interrotto da una serie infinita di parolacce. Poco dopo, sulla soglia apparve un uomo sulla sessantina. I capelli brizzolati contornavano il volto spigoloso, accompagnato da una barba curata e da rughe sottili.

“Buongiorno, parlo con il signor Kenny Ackerman?” il postino si ritrovò un coltello puntato alla gola.

“Ho ucciso per molto meno. Che cazzo vuoi, brutto stronzo in gonnella?”

“La prego, signor Kenny. Sono... il postino di...”

Il malcapitato non finì la frase. Un fiotto di sangue schizzò dal suo collo, inondando l'obiettivo della cinepresa. Il video si interruppe malamente.


***
 

Levi batté le palpebre, indicando lo schermo:

“Emh...ha ammazzato il postino?”

“Sì, ma non si preoccupi. Succede spesso quando li mandiamo nei bassifondi. Abbiamo sempre dei postini di scorta”


***
 

“Ciao Marie!” questa volta, apparve una postina agghindata con un abito succinto “L'ultima consegna non ha avuto un esito felice, ma siamo qui per riprovarci. Oggi consegneremo la posta al signor Kenny Ackerman!

Riprese il jingle in sottofondo, mentre la ragazza pedalava vigorosamente, attirando fischi ed apprezzamenti di dubbio gusto. L'inquadratura si allargò sull'ormai familiare vicolo.

“Eccoci davanti alla porta. Vediamo se il signor Kenny è in casa” chiocciò, bussando vigorosamente.

Un'altra sequela di bestemmie confermò la presenza dell'inquilino:

“Chi cazzo è questa volta?!

La porta si spalancò, rivelando la presenza di Kenny lo Squartatore. Questa volta, tuttavia, il fido pugnale rimase saldamente nel fodero.

“Buongiorno!”attaccò la ragazza “Sono la postina di “C'è missiva per te!”. Conosce il programma, no?”

“Ma certo! Lo guardo spesso”

“Fantastico. Lei è il signor Kenny Ackerman, giusto?

Un cenno d'assenso:

“Certo! Lo sai che sei proprio una bella figliola?”

“Devo sincerarmi che sia davvero lei, prima di consegnarle la busta! Allora... Lei è il capo di una branca segreta della Polizia Militare, vero?”

“Mh... sì, anche se dovrei dire di no, altrimenti... che branca segreta sarebbe?”

“Ottima osservazione. Cambio domanda. Il suo migliore amico era Uri Reiss?”

“Naturalmente”

“Ed ha preso parte al rapimento di Eren e Historia qualche mese fa?”

“Sì!”

“Allora non mi resta che consegnarle questa busta e...si ricordi! “C'è missiva per te!”

Kenny sorrise, prendendo la busta con una mano e la postina con l'altra:

“Sì, sì, quante belle cazzate. Piuttosto... ti andrebbe una cenetta a casa mia?”

“Davvero? Io... ne sarei felic...”

Il video si interruppe bruscamente.


***
 

Le luci si rialzarono e la graziosa postina apparve a lato della stanza.

“Genoveffa...” chiocciò Marie “Il signor Kenny ha accettato l'invito?”

“Sì, Marie. Il signor Kenny ha accettato ed è qui con noi”

Il pubblico trattenne il fiato, mentre Kenny lo squartatore entrava in studio con la sua elegante spavalderia. L'uomo si pulì frettolosamente le mani nei pantaloni, prima di stringere il palmo che la conduttrice gli stava tendendo.

“Chiedo scusa” bofonchiò a denti stretti “Sa com'è... ero al lavoro e...il sangue è sempre fastidioso da pulire”

“Si figuri” la donna gli indicò il pouff “Si accomodi, prego. Allora, signor Kenny... lei conosce le regole del programma? Adesso... aprirò la busta e lei vedrà una persona. Potrà decidere se far parlare questa persona o meno. Lei ha qualche idea, in merito al mittente?”

Kenny annuì con forza:

“Sì... è da tempo che desidero riconciliarmi con questa persona.”

“Apriamo la busta”

La linguetta si sollevò automaticamente e l'assassino rimase in silenzio, osservando il volto familiare oltre lo schermo. Squadrò i lineamenti sottili, gli occhi stretti e grigi, i capelli neri ben pettinati per l'occasione. Scosse il capo.

“Levi?” mormorò, con una nota incerta “Ma... che cazzo! Io pensavo fosse Shirley! Dovevo uscire con lei l'altra sera, ma ho fatto tardi con l'ultimo omicidio e... Ah, fanculo!” spiò nuovamente lo schermo “Nipote cretino, mi hai fatto fare tutta questa strada per nulla?!”

“Cosa vuole fare, Kenny? Lo faccio parlare?”

“Ma manco per le palle! Chiudiamo la busta, Marie!”

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Capitolo 7
*** Cercò di rapire Eren ***


La volta in cui Levi cercò di rapire Eren

 

“Ho un'idea”

Levi alzò bruscamente la mano, interrompendo il chiacchiericcio. Colse quattro facce attonite volgersi in sua direzione: Erwin lo stava fissando perplesso; Nanaba preoccupata, Mike scettico e Hanji stupita.

“Davvero?” fu il comandante a prendere parola, invitandolo a proseguire con un cenno del capo.

Quella riunione era partita con il piede sbagliato: l'annuncio sulla scarsità di fondi aveva messo tutti in allarme. Hanji non avrebbe più ricevuto finanziamenti per continuare le sue ricerche ed Erwin avrebbe perso quelli per le spedizioni. Occorreva immediatamente trovare una soluzione o sarebbe stata la fine per la Legione Esplorativa; e lui, quella soluzione, l'aveva! Si alzò in piedi, schiarendosi la voce con un colpetto di tosse:
“Rapiamo Eren!” disse solo, spiando le reazioni degli altri quattro veterani.

“E poi? Ci chiediamo il riscatto da soli?” vide Erwin scuotere il capo e tornare a spiare i fogli davanti a sé, dove alcune cifre erano tracciate in inchiostro rosso “Ci rimangono solo duecentoventi monete, spicciolo più, spicciolo meno. Certo, se non fossimo andati a cena da Krakko, forse ora saremmo più ricchi” sbuffò, mentre il sarcasmo di Mike rimbombava nella sala:

“Lo sapevo che era un’ idea cretina. Come tutte le tue idee, d'altronde”

Levi picchiò un pugno sul tavolo, recuperando velocemente l'attenzione:
“Questa volta è buona! Sentite... abbiamo poco più di duecento monete. Investiamole in una assicurazione per Eren. Un’ assicurazione sui sequestri! Sì che... la prossima volta che verrà rapito, potremo chiedere il rimborso all'assicurazione”

Sogghignò soddisfatto al vedere qualche sporadico cenno d'assenso: Hanji lo appoggiava; Erwin tentennava, ma appariva quasi convinto. Nanaba continuava ad essere preoccupata e Mike scettico.

“Per me è una cagata pazzesca”

“Per te è tutto una cagata, Nasone! Fatti venire un’ idea, visto che sei tanto intelligente”

Vide Mike scattare in piedi ed il comandante trattenerlo per un braccio:
“Aspetta. Forse, questa volta... non ha tutti i torti”

Oh, splendido! Anche Erwin approvava il suo piano. Continuò, con aria baldanzosa:
“So che possono volerci mesi o anni per ottenere un rimborso simile. È anche vero che Eren ha la tendenza a farsi rapire un giorno sì e l'atro pure, ma... potremmo accelerare le cose prendendolo in ostaggio. Potremmo fingerci dei malintenzionati e poi chiedere il rimborso.”

“E se ci scoprisse?”

“Potremmo sempre dire che era un'esercitazione”

“Mh...”

“Ti prego, Erwin! Per una volta che partorisco qualcosa di decente!”

“Beh, tentar non nuoce. Chiama l'assicuratore e prendi appuntamento”
 

***
 

Un lacchè impettito li introdusse nello studio di Allianz, noto assicuratore della capitale. Erwin si accomodò nell’unica poltrona disponibile, mentre lui si sistemò in piedi alle spalle del comandante.
Levi squadrò la figura del funzionario, un ometto basso e grasso, con dei baffetti neri spelacchiati. I capelli corvini, al contrario, erano ben pettinati con un ordinato riporto laterale. L’uomo sedeva a braccia conserte, scrutandoli con i suoi occhi porcini.

“In cosa vi posso essere d’aiuto?” esordì, ad un tratto, squittendo come un ratto.

“Buongiorno” il superiore produsse un cenno educato “Sono il comandante Smith, della Legione Esplorativa e sono qui per sottoscrivere una polizza”

“No” la risposta lapidaria giunse come un fulmine a ciel sereno. Non riuscì a trattenersi:

“Che cazzo vuol dire “no”? Non ci ha neppure ascoltato!”

“Levi!” il rimprovero del comandante lo azzittì immediatamente. Erwin riprese con la sua solita flemma “Perché no? Non conosce neppure i termini della nostra proposta”

“Non concediamo assicurazioni sulla vita ai militari, mi dispiace” di nuovo quell’insopportabile vocetta da roditore “Sono certo che comprenderete, signor Smith. Assicurare sulla vita i vostri uomini, equivarrebbe a dichiarare bancarotta. Non riusciremmo mai a risarcire le perdite che subite in ogni spedizione”

“Oh, in realtà… non avevo mai pensato ad una eventualità simile. Tuttavia, non sono qui per questo. Vorrei assicurare Eren Jaeger contro i rapimenti”

“Il ragazzo-titano?” l’espressione di Allianz si fece interessata “Ho saputo che è incline, in effetti, a cacciarsi nei guai. Avete avuto problemi con sequestratori e cose simili?”

“Ultimamente. Crediamo, tuttavia, che assicurarlo potrebbe scoraggiare futuri tentativi ed incentivare Eren ad avere maggior cura di sé stesso”

Il funzionario si sfregò piano il mento:
“Bene, vediamo cosa posso fare per voi” disse soltanto, aprendo un cassetto della scrivania e cavandone alcuni fogli “Abbiamo tre tipi di polizza, a tal riguardo. La minimal, che comprende un risarcimento solo in caso di riscatto superiore alle quarantamila monete d’oro e solo qualora il riscatto venga versato entro i termini stabiliti dai rapitori. La medium, che abbassa questa soglia a venticinquemila monete e consente di avere una proroga di alcuni giorni sugli ultimatum. La large, infine: costa un po’ di più, ma è senza franchigia e non è vincolata dal pagamento anticipato del riscatto; la copertura è ottima: risarciamo fino a centomila monete in caso di liberazione dell’ostaggio e centonovantamila in caso di decesso. Naturalmente, la scelta del pacchetto dipende dalle vostre esigenze”

“Credo che opteremo per la large” Erwin aprì il borsello, cavandone alcuni sacchettini tintinnanti. Prese a contare cautamente i soldi “Quanto vi dobbiamo?”

“Quattrocentoventidue monete. L’assicurazione è valida per sei mesi, dopo di che andrà rinnovata”

“Ah…” il comandante produsse uno sbuffo seccato, volgendosi nuovamente in sua direzione “Non hai qualcosa da prestarmi? Ho solo…trecentonovanta monete”

“Aspetta che guardo” Levi si frugò nelle tasche, prelevando una manciata di spiccioli “Volevo tenerli per il the, però…”

“E invece li investirai qui. Dopo tutto, è stata una tua idea”
 
 
***
 
 
Bisognava soltanto rapire Eren.

La sottoscrizione del contratto era andata a buon fine: Allianz li aveva salutati con una stretta di mano, rifilando loro un plico di fogli pieni di clausole e postille; avevano passato la notte a leggerli. Soltanto all'alba, Erwin si era dichiarato soddisfatto: le condizioni assicurative erano ottime e volgevano a loro vantaggio. Occorreva, quindi, procedere con il sequestro.

Levi si mosse a disagio nel vicolo in cui si erano appostati. Il comandante aveva selezionato lui, Hanji e Mike per la missione, dotandoli di una larga cappa scura con cappuccio, di abiti neri e, ovviamente, passamontagna di lana.

“Mi prude la faccia e sto crepando di caldo” si lamentò, grattandosi furiosamente il mento “Ci saranno quaranta gradi! Non potevano darci un colore più chiaro? Lo sanno tutti che il nero attira il sole”

“Certo! Potremmo rapire Eren vestiti da confetti rosa.” la voce di Mike giunse sarcastica a stroncare ulteriori lagne “Adesso piantala di rognare. Sta arrivando”

Sporse il capo oltre l'angolo della stradicciola:
“Io non vedo nessuno”

“Il mio naso lo ha sentito!”

Come a riprova di quelle parole, poco dopo si udì un passo leggero, accompagnato da una canzoncina allegra. Riconobbero immediatamente il tono spensierato del cadetto.

“Eccolo!” Hanji li spinse fuori dal vicolo “Andiamo a rapir...”

Non riuscì a finire la frase: al centro della via principale si erano palesati altri tre individui; indossavano dei completi bianchi con una M rossa stampata al centro del petto. I due ragazzi più alti   fronteggiavano il malcapitato a gambe larghe e mani sui fianchi; uno dei due stava sudando vistosamente. Ad accompagnarli, una ragazza mingherlina: tra i capelli biondi, raccolti in una crocchia, spuntavano delle orecchie da gatto, mentre sul naso prominente erano stati dipinti dei baffetti.

“Preparatevi a passare dei guai!” esordì il ragazzo più robusto, ravvivandosi le ciocche dorate.

“De-dei guai m-molto grossi” gli fece eco il compagno, balbettando e sudando ancora copiosamente.

“Proteggeremo il mondo della devastazione”

“U-uniremo tu-tti i popoli nella nostra na-nazione”

“Denunceremo i mali della verità e dell'amore!”

“E-estenderemo il nostro pote-re fino alle stelle...”

“Sono Reiner!”

“E io sono Bertholdt!”

“Team Malhe, pronto a partire alla velocità della luce”

“A-arrendetevi subito oppure...”

“Dobbiamo proprio dire tutto questo mucchio di cazzate?” la ragazza si sfilò le orecchie feline, lanciandole via “Non possiamo semplicemente rapirlo?”

“Annie, abbiamo un protocollo da seguire! Ora miagola, per fav...”

Un calcio arrivò dritto nello stomaco del ragazzo biondo, lasciandolo boccheggiante sull'asfalto; Eren si mise subito in guardia, notando solo ora il trio che gli sbarrava la strada:
“Ah, il Team Malhe! Di nuovo voi”
 

“Ci stanno fregando il posto o sbaglio?” Hanji si aggiustò gli occhiali sul passamontagna, mentre Levi scattava immediatamente fuori dal nascondiglio:

“Non sbagli, Quattrocchi!” esclamò, scattando rapidamente verso il trio appena comparso “Ehi!” gridò, richiamando l'attenzione generale “Toccava a noi!”

“Come sarebbe?” Annie si voltò in sua direzione “Non era il nostro turno? Che numero avete?”

Mostrò un bigliettino, dove il cinquantasei capeggiava in bella vista:
“Cinquantasei e voi?”

“Cinquantasette. Ci scusiamo per l'equivoco. Credevamo toccasse a noi...” la ragazza si avvicinò ad Eren, sferrandogli un poderoso pugno in pancia “Ecco qui, tutto vostro” esclamò, indicando il cadetto semisvenuto al suolo “Avete un sacco in cui metterlo?”

“Veramente... no”

“Capisco. Siete dei principianti, vero? Non preoccupatevi... ci siamo passati un po' tutti” Annie gli tese un sacco di iuta “Ecco! Prendete il nostro”

“Amh... grazie. Molto gentile”

“Reiner! Dai una mano a questi colleghi ad imbustare l'ostaggio, invece che stare per terra a lagnarti sempre”

Il giovane biascicò qualcosa, mentre un fiotto di sangue gli sgorgava dalle labbra.

“Siamo alle solite. Sempre a fingerti morto per non lavorare! Eh, va beh...” Annie recuperò il corpo di Eren, buttandolo malamente nel sacco “Fatto! Tocca sempre a noi donne fare il lavoro sporco, pff...”

“Sì, mh... grazie davvero” Levi mimò un frettoloso cenno del capo, mentre Mike recuperava l'ostaggio. “Noi andiamo, eh...grazie ancora” l'istinto gli suggerì di levarsi dai piedi alla svelta; quel trio era decisamente inquietante. C'era qualcosa di strano in loro, di perverso e malvagio, senza dubbio. E poi... cosa cazzo era Malhe?
 

***
 

Smise di pensare a Malhe quasi subito. Qualunque cosa fosse, senza dubbio non era importante.
Trascinarono Eren sino ad una vecchia casa abbandonata, scendendo in cantina. Mike legò l'ostaggio ad una seggiola, infilandolo in uno sgabuzzino basso e stretto.

“Così non potrà trasformarsi in gigante” aveva spiegato, una volta tornato nella stanza principale, una vecchia sala da pranzo completamente disordinata e piena di polvere.

 “Devi proprio conciarti così ogni volta?” Mike stava indicando il fazzoletto bianco che si era sistemato attorno al viso, sopra il passamontagna.

“Questo posto è disgustosamente sudicio”

“Hai addosso un passamontagna, Levi! Che cazzo vuoi che ti succeda?”

“Magari potrei respirare accidentalmente un acaro della polvere e...”

“...potrebbe colonizzarti i polmoni!”

“Gli acari della polvere non colonizzano i polmoni, ragazzi” Hanji spiegò sul tavolo un foglio immacolato, disponendo anche calamaio e pennino “Ora, diamoci da fare! Dobbiamo ancora scrivere la richiesta di riscatto”

“Io inizierei con un: Caro Erwin, ti inviamo questa richiesta di denaro. Abbiamo rapito il cadetto Jaeger e, in cambio della sua liberazione, chiediamo centocinquantamila monete d'oro. Preferibilmente in contanti o con assegno. Ti inviamo gli estremi per il pagamento in allegato. Riguardati e abbi cura della tua salute. Un abbraccio

“è la cosa più cretina che abbia mai sentito. Solo tu potevi concepirla, Levi”

“Allora, scrivilo tu, visto che sei tanto bravo!”

“Io scriverei: Caro Smith, abbiamo il tuo prezioso ragazzo-titano. Se vuoi rivederlo vivo, porta i soldi in contanti a Shinganshina domani a mezzanotte. Vieni solo e non avvisare Nile! Cioè, la Polizia Militare.

“Decisamente meglio!” Hanji intinse la penna nell'inchiostro “Ma non converrebbe spostare il punto di incontro? Sai, per via dei titani”
“Mh... Castle Utgard?”

“Non so... mi sa di posto che mena un po' di sfiga, ma... potrebbe andare!”

“Beccati! Sapevo che c'era il vostro zampino!”

Una voce interruppe la conversazione. I tre veterani si voltarono di scatto in direzione dell'ingresso. Eren si stagliava ritto sulla porta, le braccia incrociate al petto ed un'aria accusatoria dipinta in volto.

“Non lo avevi legato nello sgabuzzino?” Levi si sfilò il passamontagna, gettandolo a terra con un gesto di stizza “Non ne fai una giusta. Come sequestratore fai schifo!”

“Sì, ma...” anche Mike si tolse il passamontagna, seguito da Hanji. Era inutile continuare con quella pantomima, ora che erano stati smascherati dal loro stesso ostaggio.

“Mike, cazzo! Solo quello dovevi fare!”

“Vaffanculo, nano da giardino. Sei buono solo a rompere le palle e concepire piani di merda”

“Questo non era un piano di merda! E tu...” fece per rivolgersi alla recluta, ma questi stava armeggiando con la pelle del collo. Le sue dita strattonavano qualcosa di rosa e molliccio. Un attimo dopo, la maschera venne via, rivelando il volto arcigno dell'assicuratore.
“Blah, si sta desquamando!” Levi storse il naso al notare quella trasformazione improvvisa “Oh, amh... Eren?”

“Io non sono Eren!” una risata maligna risuonò nell'aria “Sono Allianz!”

“L'assicuratore?” batté le palpebre perplesso; i ricordi presero ad affollarsi nella sua mente. L'omino basso e paffuto, con i baffetti a spazzola, sommerso da una pila di contratti. Sì, era proprio lui. Gli ingranaggi arrugginiti della sua mente si misero faticosamente in moto “...perchè abbiamo rapito l'assicuratore?” chiese, infine.

“Possibile che non ci arrivi? Il tuo cervello da criceto ha smesso definitivamente di lavorare?” Mike  lo stava canzonando, di nuovo “Era una trappola. L'assicuratore si è finto Eren per incastrarci e...”

“...e controllare che non lo stessimo truffando” Hanji concluse, con un sospiro amareggiato “Cosa che, in effetti, era esattamente nelle nostre intenzioni”

“Già. Questa è la mia parcella” Allianz si avvicinò, tendendo un foglio ove erano vergate alcune cifre “Oltre al risarcimento per aver cercato di raggirarmi. Portate i miei omaggi al comandante, quando lo vedrete, anche se dubito che sarà felice di ricevere una notizia simile” L'assicuratore sfilò un cilindro da sotto le falde della giacchetta, calandoselo in capo “è tutto” terminò, prima di inforcare la porta più vicina.
I tre rimasero a fissarlo, mentre si allontanava lungo la viuzza sterrata.

“Lo sapevo che era un'idea di merda” sussurrò Mike.

“Come faremo a dirlo ad Erwin?” domandò Hanji.

Levi scosse il capo, affatto convinto:
“Come cazzo ha fatto a far uscire un cilindro da una giacca?”
 

***
 
 
Erwin sedette alla scrivania, osservando la fattura dell'assicuratore. La Legione Esplorativa non disponeva di una somma simile; il risarcimento richiesto era troppo alto e neppure dando fondo ai risparmi personali avrebbe potuto coprire un simile debito. Si massaggiò leggermente le tempie, sforzandosi di pensare ad una soluzione.

“Di chi è stata quest'idea?” domandò, ricevendo in cambio uno sbuffo sarcastico.

“Secondo te? Un piano del cazzo può nascere solo da una mente del cazzo”

“Mike, ti prego.”

“Vaffanculo, Nasone!” Levi squittì, agitandosi sulla seggiola “Avete appoggiato tutti il mio piano! Eravamo d'accordo”

“Io no, se ben ricordi” Mike appiccicò una caccola sotto il bordo della scrivania, scrollando poi le spalle “Come pensi di saldare?”

“Non lo so. Aristocratiche da circuire ce ne sono rimaste?”

“Non molte”

“Moblit?”

“Lo abbiamo già venduto a Krakko, ricordi? Però... potremmo vendere Levi”

“Fottiti, Mike” un altro sbottare del capitano, prontamente ignorato.

Erwin tornò a ciondolare il capo:
“Non possiamo. Ci serve per ammazzare i giganti, lo sai”

“Potremmo vendere qualche cadetto nuovo!” Hanji si intromise, sfoggiando un sorriso smagliante “Qualcuno di potenzialmente inutile, che finirebbe comunque in pasto ai giganti. Che ne dite di Caschetto Biondo?”

“Ah, quello che sembra la Raphaella Karrà? Mh, pensavo più a quei due... quello pelato e la ragazzina che mangia come un orso post-letargo”

Hanji storse le labbra:
“Sono sicura che Caschetto Biondo sia la scelta migliore.”

“Perché? A me sembra promettente. Quanto meno... frigna un po' troppo spesso, ma è intelligente e si applica”

“Ho un brutto presentimento. Fidati, Erwin. Vendiamo lui...”
 

***
 

Armin venne ceduto la mattina seguente, acquistato da un misterioso presentatore troppo abbronzato per poter essere originario del Wall Sina. Nessuno ebbe più sue notizie, ma pare che questo signore lo abbia preso sotto la sua ala protettiva, costringendolo ad estenuanti sedute di lampade abbronzanti per essere “in tinta” con il resto dello staff televisivo. Voci affermano che abbia imparato movenze sexy per intrattenere gli spettatori e che passi il suo tempo a ripetere “Scossa? Va beneeee”.

 
 

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Capitolo 8
*** Progettò una partenza intelligente ***



La volta in cui Levi progettò una "partenza intelligente"



Nome su efp e sul forum: Ellery || Ellery-EFP
Titolo: La volta in cui Levi progettò una “partenza intelligente”
Fandom: Shingeki no Kyojin
situazione scelta: X è in coda in autostrada e…

Note: la ff partecipa al contest "Situazioni XY", indetto sul forum di Efp da Biancarcano e Harriet.
Carattere testo: Verdana 14; ho scelto di utilizzare (come sempre) l'invio a capo dopo ogni frase per una migliore spaziatura del testo (che altrimenti risulterebbe tutto appiccicato; non so bene perchè, ma efp mi da sempre questo problema quando copio da Word).


 



L’idea era stata – ovviamente – sua. Aveva preso spunto da un volantino trovato nella cassetta delle lettere.

Non sai cosa fare d’estate? Il caldo torrido del Wall Sina ti opprime? Touring Club Mahaliano ti offre la soluzione:  soggiorno mezza pensione, con mini-club per i più piccoli e possibilità di escursioni a cavallo fino al mare. Un pacchetto completo, riservato a famiglie, gruppi e studenti in vacanze studio. Prenota ora!

L’offerta non era alla loro portata: nonostante gli sconti, la Legione Esplorativa non poteva permettersi un carico simile. Per cui aveva optato per qualcosa di più economico, prenotando un campeggio nelle pianure del sud, a solo duemila metri dal mare.

Avevano prelevato le tende disponibili, preparato i bagagli e il pranzo al sacco, caricando tutto in auto. Naturalmente, si erano divisi i compiti: Hanji e Moblit, sulla loro microscopica Yaris, avrebbero ospitato Sasha e Connie. Erwin aveva stipato le valigie nel bagagliaio del suo Suv, preferendo prendere con sé Nanaba, la migliore copilota che il Corpo di Ricerca possedesse; i due avevano già imbrigliato Jean, Ymir e Christa nei rispettivi seggiolini. A lui, dunque, era toccata la scomoda compagnia di Mike e della sua Panda a metano.

«Perché non abbiamo preso la mia? È più rapida» sbuffò Levi, abbassando il finestrino con la scomoda maniglia.

«Perché è una cazzo di Smart e in cinque non ci entravamo» colse il sarcasmo nella voce di Mike, mentre dal sedile posteriore proveniva un:
«Signor capitano» un ragazzino con un orrendo caschetto biondo aveva alzato la mano «Mi viene da vomitare. Possiamo fermarci?»

«No, Armin! Te l’avevo detto di non leggere in macchina!» allungò una mano, sequestrando immediatamente il volume nove dell’enciclopedia universale dalle mani del bambino. Lanciò il libro sotto al sedile, mentre la Panda sobbalzava improvvisamente durante un sorpasso «Quanto manca?»

«Troppo» Mike e la sua ironia non erano affatto d’aiuto «Spiegami perché siamo partiti alle due di notte, poi! Che diamine, pensavi di trovare traffico? Ci siamo solo noi e i grilli, in autostrada»

«Si chiama “Partenza intelligente”, Nasone! So che il tuo microcervello non arriverà mai a comprendere un concetto tanto semplice, ma…» non riuscì a terminare.
Oltre la curva, la barriera di Wall Maria Sud risplendeva illuminata dai fari delle auto in coda. Il grande esodo estivo era cominciato ed, evidentemente, tutti avevano pensato la stessa cosa: partire nel cuore della notte, per evitare ingorghi e colonne.

«Molto intelligente, vedo» sibiliò Mike, indicandogli le file interminabili di auto davanti al casello «D’altronde, è stata una tua idea…»

Il conducente frenò a pochi centimetri dal paraurti della macchina precedente, abbassando a propria volta il finestrino. Il caldo afoso della notte invase l’abitacolo della Panda.

«Caposquadra Zacharias» una vocetta fastidiosa dal sedile posteriore «Devo andare a fare pipì»

«Adesso non possiamo, Eren. Grazie a quello sveglione del tuo capitano, rimarremo bloccati qui per le prossime quarantotto ore. Quindi, cerca di rassegnarti…»

«Ma… mi scappa tanto»

«A Eren scappa la pipì»

«Abbiamo capito, ragazzina!» Levi tracannò velocemente l’ultima bottiglietta d’acqua, svuotandola completamente e passandola poi al sedile posteriore «Falla qui dentro, se non riesci a tenerla»

«Nella bottiglietta?»

«Beh, sì»

«Ma… mi vergogno!»

«Di che cazzo ti vergogni? Siamo tutti maschi, forza»

«Mikasa è una femmina»

«Per modo di dire… se non vuoi farla, si vede che non ti scappa abbastanza»

Tornò ad adagiare la schiena contro al sedile, spiando le macchine che ancora li precedevano:
«Quante saranno?» domandò, ricevendo in cambio uno sbuffo dall’autista.

«Preferisco non saperlo. Piuttosto… prendi il ticket di ingresso, che dovremo sicuramente mostrarlo e pagare»

Batté le palpebre, perplesso: quale ticket? Non ricordava assolutamente d’averlo ritirato e, meno che meno, messo da qualche parte. Non aveva neppure idea di come fosse fatto o dove cercarlo. Scosse piano il capo:
«Lo hai preso tu, Mike»

«Che cazzo dici? Ma se ti ho detto “mettilo da qualche parte, che dopo ci servirà”»

«Non lo hai dato a me!»

«Di certo non l’ho dato a quei mocciosi dietro»

«Ma non ce l’ho»

«Merda! Ci serve per pagare l’autostrada… vuoi che ci facciano pagare l’intera tratta? Da Mitras a qui?»

«Non ce l’ho!»

«E adesso cosa facciamo?»

«Chiamiamo il call center delle autostrade. Che diamine, non saremo mica i primi che perdono il biglietto!» si chinò a frugare nella borsa, cavandone un vecchio cellulare. Compose i numeri sul tastierino, ignorando il fastidioso Beep di sottofondo «C’è una musichetta» sussurrò, ricevendo in cambio uno sbuffo.

«Ora ci toccherà rimanere in attesa tre ore»

«Tattata tataaaa tataaattaatataaaa… tata tata taaammm»

«Puoi smetterla di canticchiare?»

«Che palle che s…Oh! Pronto?» un leggero sorriso apparve sulle sue labbra «Ho preso la linea! Pronto? Mi sente… ?»

Sono Angelo, come posso aiutarla?

«Salve Angelo, una informazione. Noi siamo alla barriera Wall Maria Sud, ma sfortunatamente non troviamo il biglietto di ingresso per l’autostrada. Come facciamo?»

Nessun problema. Dove siete entrati?

«A Trost»

Basta solo che lo diciate al casellante. Vi faranno un rapporto di mancato pagamento che vi verrà spedito comodamente a casa.

«Amh… non dobbiamo pagare tutta la tratta, vero?»

No, affatto.

«Grazie»

Un click mise fine alla conversazione.

«Ha detto solo di dirlo al casellante»

«Mh, speriamo bene…» Mike piegò lo sguardo alla propria sinistra, spiando oltre il finestrino «Certo che…Erwin?»

«Cosa?» il capitano drizzò immediatamente le orecchie, sporgendosi in avanti «Dove?»

«Qui»

Un Suv nero si accostò alla panda e le facce sorridenti del comandante e di Nanaba apparvero oltre il vetro oscurato. Il finestrino elettrico si abbassò poco dopo, con un leggero ronzio.

«Come va, ragazzi?» la voce di Erwin sovrastò il rumore dei motori, mentre la donna mimava un piccolo saluto «Noi tutto splendidamente, taffico a parte. I ragazzi dormono. Jean ogni tanto nitrisce nel sonno, mentre Ymir continua ad incollarsi a Christa. Non so come facciano, col caldo che fa, ma…»

«Erwin… perché sei in coda? Tu hai il Muropass»

«Sì, beh… volevo vedere come ve la stavate cavando. I ragazzi?»

«Mikasa è peggio di un disco incantato. Ripete Eren ogni due per tre. Eren ha fatto pipì nella bottiglietta dell’acqua e ora non abbiamo più nulla da bere. Armin vuole vomitare da venti chilometri, ma non troviamo neppure una piazzola dove fermarci»

«Beh, alla grande, allora»

«A te questo sembra “alla grande”?»

«Non proprio, ma sempre meglio che Hanji e MOblit»

«Che hanno combinato? ­»

«Hanno forato. Stanno aspettando il carro attrezzi. Connie e Sasha hanno mangiato tutte le scorte per il viaggio. Hanji forse ha preso una multa per eccesso di velocità»

«Ma… non guidava Moblit?»

«Sì, pare abbia guidato per i primi cinque chilometri… poi Hanji si è stufata di andare ad una velocità costante di quarantacinque km/h ed ha preso il controllo»

«Dobbiamo aspettarli o proseguiamo?»

«Ci troviamo all’Autowall che c’è dopo la barriera.»

«Sempre che arriviate prima di domani notte» il sarcasmo pungente di Nanaba si inserì in quella conversazione «Ah, non potete capire quanto sia figo questo Suv. Ha anche l’aria condizionata, che spettacolo!»

«Perché noi non abbiamo l’aria condizionata?» Levi si sporse un altro poco, intercettando lo sguardo della donna.

«Perché Mike ha voluto risparmiare sugli optional, quando ha comprato quell’orribile Panda color senape.»

«Ehi! La mia Panda è bellissima»

«Certo, come no…» Nanaba premette il pulsante, risollevando il vetro oscurato «Ci vediamo più tardi» salutò, mentre il comandante ingranava la marcia ed il Suv scattava agile verso la corsia preferenziale del Muropass.

«Dovevamo comprare anche noi il Muropass. E l’aria condizionata»

«Stai zitto, nanetto. La tua macchina è già tanto se ha quattro ruote!»
 

***
 

Attesero altri sessanta minuti, sforzandosi di ingannare il tempo con giochini di logica a cui nessuno dei due sapeva rispondere. Armin aveva cercato di aiutarli, prima che un altro attacco di vomito lo costringesse a sporcare fuori dal finestrino. La coda procedeva troppo lentamente ed al casello mancavano ancora diverse vetture.

«Che palle!» sbottò Levi, scorrendo per l’ennesima volta le colonne di un cruciverba vuoto «Non ne so nemmeno una!»

«Chissà perché la cosa non mi stupisce»

«Bartezzaghi è troppo complicato»

«Metti delle parole a caso, tanto… mica viene a controllare»

Mordicchiò nervosamente il fondo della matita, snocciolando poi ad alta voce:
«Quattro verticale: Ragazza titano»

«Mikasa?»

«Non ci sta»

«Christa?»

«Nemmeno»

«Sasha?»

«Quattro lettere»

«Annie!»

«Sono cinque»

«Mh… scrivi la doppia N in una sola casella»

«Mi stai suggerendo di imbrogliare?»

«Che te frega? Non verrà certo l’autore a controllare»

«Ymir» una voce pigolò dal sedile posteriore, ma venne prontamente ignorata.

«Non ci sta nemmeno Hanji» Levi sbuffò, abbandonando la schiena contro al sedile e fissando il vuoto «Petra non è un titano, ne sono sicuro. Marie?»

«La moglie di Nile? Ma figuriamoci»

«Io proverei Ymir» Armin non venne nuovamente considerato.

«Come si chiama quella tizia che sta nella guarnigione?»

«Riko?»

«La risposta credo sia Ymir, capitano»

«Riko! Lo sapevo che quella stronza non me la raccontava giusta.»

«Ci sta! Quattro lettere…vai alla successiva»

Levi scorse nuovamente le definizioni, individuando la seguente:
«Re delle mura, tre lettere»

«Ah, questa è difficile» colse Mike sbuffare nervosamente «Chi cazzo c’è con un nome di tre lettere? Erd?»

«Mh, Erd… dici che è un re delle mura? Sarebbe fantastico.»

«Chi altri ti viene in mente con tre lettere?»

«Uri Reiss, caposquadra»

«Armin, abbiamo capito che devi vomitare. Piantala di rompere! Siamo concentrati qui.» Mike picchiettò sul cruciverba «Scrivi Erd, è sicuramente giu…»

Non riuscì, tuttavia, a finire la frase. Un sonoro strombazzare di clacson lo costrinse a voltare il capo verso il finestrino abbassato: nella fila accanto alla loro, si era fermata una BMW (Best Motor of the Wall. NdT) decapottabile; la vernice nera riluceva davanti ai fari delle altre vetture, illuminando il conducente e il suo piccolo harem che si trascinava appresso.

«Chi cazzo è?» Levi si sporse ad osservare la macchina, non tardando a riconoscere l’autista: cappello nero, impermeabile nonostante i quarantacinque gradi, barba brizzolata e fascino da assassino in pensione.

«Yoh, Levi!» suo zio sfoggiò un sorriso smagliante, mentre le vallette accomodate sui sedili dell’auto emettevano degli squittii entusiasti «Come te la passi?»

«In coda, come tutti» sbuffò appena il capitano, alzando gli occhi al cielo. Perché Kenny doveva apparire proprio nei momenti peggiori? Li aspettava un’altra ora di coda e certo non desiderava passarla accanto al peggior parente di sempre! «Niente WallPass, per te?»

«Cosa vuoi che me ne faccia?»

«Per saltare le code, magari?» gli sfuggì una risatina sarcastica «Non posso credere che anche tu sia in colonna. Il grande Kenny Ackerman congestionato nel traffico, come tutti i comuni mortali?»

«Tsk. Non hai ancora imparato niente, vero? Sei una delusione continua, nipote» vide l’uomo estrarre una pistola da sotto il sedile e sparare due colpi in aria «Fate passare, maledetti figli di puttana! C’è gente che ha fretta, qui!» immediatamente, le macchine davanti alla BMW si sparpagliarono, aprendo la via per il casello «Visto? Sei un principiante» soffiò Kenny, infine, spianando l’arma in direzione della Panda.

«Che diamine vuoi fare?»

Uno scoppio risuonò nelle sue orecchie, seguite da un secco sibilo. Vide suo zio scoppiare in una fragorosa risata e sgommare verso la barriera; le ruote anteriori della Panda si afflosciarono lentamente, crivellate dai proiettili dello Squartatore.

Levi spiò con la coda dell’occhio verso Mike, che stringeva nervosamente il volante e fissava il vuoto davanti a sé:
«Amh… ci ha bucato le gomme…»

«Non dire un cazzo, Levi. Non dire un cazzo, per favore. Quando imparerai a stare zitto, sarà sempre troppo tardi»
 

***

 
Impiegarono quaranta minuti a cambiare la prima gomma e dovettero comprare la seconda da una Panda di passaggio. Diedero fondo a tutti i loro risparmi.

«Capitano… Ho sete»

«Eren, abbiamo finito l’acqua»

«Eren ha sete»

«Lo so! Non posso produrre acqua dal nulla» Levi osservò oltre il parabrezza. Ancora poche macchine e sarebbe stato il loro turno, finalmente «Tra poco passeremo il casello e ci fermeremo all’Autowall, va bene?»

«Ma io ho sete adesso»

«Eren ha sete adesso»

«Quanto manca, capitano? Io devo vomitare»

Sbatté la testa contro il cruscotto, mentre una sola domanda gli sgorgava dalle labbra:
«Perché non abbiamo preso il treno?» 

«Eh…» colse Mike abbassare il finestrino e la squillante voce di una casellante apostrofarli:

«Billieto prego»

«Come?» biascicò. Si era completamente dimenticato del Ticket smarrito! Cosa aveva detto l’operatore del call center? Ah, si… di farlo presente e ritirare il rapporto di mancato pagamento «Non ce lo abbiamo. Lo abbiamo perso, credo… o forse all’entrata non ci è stato erogato dalla macchinetta»

«Cosa vuolle dire?»

«Che non lo abbiamo»

«Ah ma voi no potere»

«Ma come parla questa?» sussurrò all’indirizzo di Mike che, nel mentre, stava cercando di spiegare la situazione:
«Vede, signora… quello che stiamo cercando di dire, è che non abbiamo il biglietto. Abbiamo chiamato il call center e il suo collega…»

«Chi mio collega?­»

«Il suo collega Angelo»

«Ma chi è Angelo?»

Era troppo. Levi slacciò la cintura, scattando oltre la leva del cambio, superando il freno a mano e sporgendosi dal finestrino, simile ad un cane rabbioso:
«MA che cazzo ne so io di chi è Angelo?! È un suo collega, mica mio. Io i miei colleghi li conosco. Allora, ti decidi a farci passare o dobbiamo stare qui tutta notte?» un suono di clacson infastiditi giunse a sottolineare quelle parole. Gli altri automobilisti si stavano spazientendo.

«Ah, ma io no posso…»

«Va bene, allora rimaniamo qui a fissarci nelle palle degli occhi»

«Va beh, allora voi paga e io apro sbarra…»

«Fai quel cazzo che ti pare, basta che ti muovi» colse la mano di Mike stringergli una spalla, come a consigliargli di tacere. Sbuffò, incrociando le braccia al petto con fare seccato. Lasciò all’altro il piacere di continuare la conversazione:
«Grazie, sì… quanto le dobbiamo?»

«Quarantacinque monete»

«Amh.. non le abbiamo»

«Allora voi no pasa»

«Scusi, ma da dove viene per parlare così male? Insomma… senza offesa, ma…»

«Da villaggio di caccatori, a nord di muro Rose»

«Ah, va beh… abbiamo capito. Comunque, non abbiamo soldi a sufficienza. Che ne direbbe di un baratto?»

Levi si fece immediatamente attento a quelle parole. Il cuore gli schizzò nel petto, mentre una orribile scena si dipanava ai suoi occhi: Mike che lo scaricava al casello, obbligandolo a diventare il tirocinante della terrificante e cocciuta casellante. Squadrò il volto arcigno della donna, abbronzato e incorniciato da unticci capelli neri. Una peluria rada copriva il mento e parte delle guance. Ma… era davvero una donna, quella? Mh, forse nel villaggio dei cacciatori tutte le donne erano così… poco male! Non intendeva, comunque, diventare merce di scambio e men che meno abbandonare la carriera di soldato per intraprendere quella del casellante in barriera.

«Non vorrai…» attaccò, ma il caposquadra lo bloccò con un gesto seccato.

«Sarei tentato, ma… ho una idea migliore»
 

***


Ripartirono pochi minuti dopo aver preso i dati della donna. Come previsto, Maria Rodriguez Gonzales era una fan accanita di Kenny Ackerman. La signora Rodriguez Gonzales sarebbe stata così gentile da lasciarli passare, in cambio di un autografo di Kenny lo Squartatore?
Ma certo! Sessanta giorni di tempo per riuscire a recuperare la agognatissima firma, dopo di che… sarebbe scattato il rapporto di mancato pagamento e conseguente multa ai danni di tale Levi Ackerman, capitano della Legione Esplorativa.

«Grazie per avermi messo nella merda» soffiò quest’ultimo, una volta superato il casello.

«Preferivi ti vendessi alla società Autostrade?»

«Forse… non riuscirò mai a recuperare un autografo di Kenny!»

Mike scrollò le spalle, come se non avesse importanza:
«Sono sicuro che ci riuscirai, invece… o che morirai nel tentativo; in entrambi i casi, mi riterrò soddisfatto»

«Vaffanculo!»

«Hai già in mente un piano? Oppure una delle tue brillanti idee?»

Levi scosse il capo, sbuffando piano:
«No, ma immagino… sarà oggetto di uno dei prossimi capitoli»

 

Angolino: ritorno con le disgraziate avventure del nostro capitano. Questa ff, in particolar modo, è dedicata a Auriga (che sicuramente ricorderà quella fatidica domenica di aprile, tempestata dalle mie richieste di aiuto) ed a Shige (che si è sorbita i miei watsapp impanicati sul "cosa faccio ora? devo pagare da venezia?"). La parte del biglietto è tratta da una mia disavventura con l'autostrade, a bordo di una Multipla guidata da Alessia e Erika, che sicuramente ricorderanno il prezioso aiuto di Angelo e la casellante con barba e baffi che abbiamo dovuto affrontare. Un abbraccio a tutte.

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Capitolo 9
*** Ebbe un incontro ravvicinato del terzo tipo ***



9. La volta in cui Levi ebbe un incontro ravvicinato del terzo tipo



Levi si rilassò nella vasca, fissando il soffitto illuminato da un paio di lampade ad olio. Un bagno caldo, dopo l’ennesima spedizione, era quello che ci voleva. Versò un altro poco di sapone, muovendo l’acqua per generare altra schiuma. Il profumo intenso del bagnoschiuma gli stuzzicò le narici, costringendolo ad un piccolo starnuto.
In fondo, si stava decisamente bene. Occupare forzatamente… anzi, chiedere garbatamente ad Erwin di poter usare il suo bagno privato era stata un’ottima idea. Dopo tutto, il comandante era troppo impegnato per godersi un po’ di sano relax, con l’unica compagnia del silenzio più assoluto.
Sorrise, sprofondando un altro po’ nell’acqua calda e chiudendo le palpebre.

«Si sta da…»

TOC

Quel semplice suono bastò a fargli spalancare gli occhi. Drizzò le orecchie, trattenendo il respiro.

«Ti prego, no…» sussurrò, consapevole che quella supplica sarebbe caduta nel nulla. Tacque, mettendosi in ascolto. Nella stanza regnava la quiete più assoluta, ogni rumore ovattato dalle spirali di vapore che ancora salivano dalla vasca.

Me lo sarò immaginato, pensò, rilassando la schiena. Eppure, non riusciva a scrollarsi di dosso l’orrenda sensazione di essere spiato da un paio di sudici occhietti neri.
Sbuffò piano, immergendosi nuovamente e raccogliendo qualche goccia di sapone sul palmo della mano. Prese a passarsi cautamente le ciocche nere, senza smettere di guardarsi intorno attentamente.

Ad un tratto, lo sentì nuovamente.
BZZZZZZ.

Un terrificante ronzio, troppo vicino al suo orecchio sinistro.

Si buttò nell’acqua, immergendosi completamente e trattenendo il respiro. Quell’affare era lì, da qualche parte! Senza dubbio, stava aspettando il momento migliore per posarsi sui suoi vestiti, per infilarsi nelle maniche della camicia o nascondersi negli stivali. O, peggio, acquattarsi tra le pieghe dell’asciugamano che avrebbe usato per ripulirsi.
Riemerse poco dopo, non appena esaurita la frettolosa riserva d’aria nei polmoni. Annaspò, cercando disperatamente di uscire dalla vasca.

«Porca merda!» sibilò a denti stretti, fiondandosi verso il vicino asciugamano.

BZZZZ.

Ancora! Era lì, da qualche parte. Bestia infame!

Si abbassò di colpo, gettando la salvietta in un angolo e prendendo a strisciare verso l’armadietto più vicino. Non poteva certo uscire senza vestiti, ma nemmeno rimanere in quella maledetta stanza infestata. Si mosse a carponi, strisciando quasi sul pavimento.

«Schifo, schifo, schifo!» ripeté a denti stretti, allungando la mano per raggiungere l’antina.

BZZZZZ…  TOC!

Ritrasse immediatamente le dita, al notare un piccolo insetto verdastro che agitava ossessivamente le zampette. Il corpo tozzo, simile ad un pentagono schiacciato, dondolava qui e là, mentre le ali frullavano nel disperato tentativo di recuperare l’equilibrio. Le antennine vibravano alla ricerca di un appiglio.

Schiacciala! Pensò, scacciando immediatamente quell’idea.

«Non posso! Puzza troppo…» si rispose, a denti stretti. Doveva per forza passare accanto all’infame creatura, se voleva raggiungere l’armadietto. «Che schifo, che schifo! Perché cazzo esistete, poi…?! Erwin!!» alzò la voce, nella speranza d’essere sentito «ERWIN! Dove sei quanto mi servi?!­»

Allungò piano la mano, nuovamente… l’indice arrivò a sfiorare lo sportello del mobiletto nel momento esatto in cui la cimice recuperava l’equilibrio. Levi indietreggiò prontamente, scansandosi di un soffio dalla traiettoria di decollo. L’insetto prese di nuovo a ronzare, girando attorno ad una delle lampade.

«ERWIINNN.»

Ancora nessuna risposta.
Doveva uscire di lì, alla svelta e prima che la cimice decidesse di atterrargli in testa.
Agguantò l’asciugamano più vicino, scrollandolo più volte e controllandolo accuratamente. Nessuna traccia di bestie maleodoranti? Perfetto! Lo legò in vita, riprendendo a strisciare a carponi. Un passo, un altro ancora e finalmente la porta.

Tese la destra, cercando di raggiungere la maniglia, ma bloccandosi di nuovo. Sull’ottone lucido, una seconda cimice stava passeggiando avanti e indietro.
«Maledetta stronza!» sibilò, balzando nuovamente all’indietro. Si rannicchiò contro il bordo della vasca, mentre il ronzare proseguiva incessante.
«ERWIIIINN! Perché non ci sei mai quando ho bisogno di te?!­» riprese fiato, cercando di sovrastare il rumore degli insetti «Erw…»

Si interruppe quando colse dei passi pesanti attraversare il vicino studio e dirigersi verso l’ingresso della camera da letto.

«Erwin, sono in bagno! Sono…» si azzittì immediatamente quando scorse la figura di Mike fare capolino sull’uscio.

«Che cazzo ci fai seduto per terra?!» la voce del caposquadra conteneva una distinta nota sarcastica.

«Amh…»

Perché diamine Mike era lì? Non poteva essere da tutt’altra parte? In mensa, in biblioteca, oltre le mura a farsi divorare? No, accidenti! Doveva comparire proprio in quello scomodo frangente.

«Allora?»

Gli metteva pure fretta?! Accidenti a lui! Doveva pensare rapidamente ad una scusa. Mike era l’ultima persona a cui confessare le proprie paure. L’avrebbe fatto diventare lo zimbello della caserma e, senza dubbio, avrebbe iniziato ad allevare cimici pur di fargli un dispetto. Oh, se lo immaginava già! Si sarebbe ritrovato cimici ovunque: nel letto, nella colazione, sotto la sella del cavallo, nei vestiti. Dappertutto! E poi… piuttosto che farsi salvare da Nasone, beh… piuttosto si sarebbe affogato nella vasca per la vergogna.
Sfoggiò un sorrisetto spavaldo, sforzandosi di ignorare il BZZZZ che ancora turbava la quiete della stanza:
«Mi sto allenando»

«A fare cosa?»

«Esercizi per tonificare… amh… i muscoli della pancia.»

«Capisco. E ti alleni nudo?»

«No, io…»

«Mi sembra che tu sia nudo, sai?»

«Ho addosso una salvietta!»

«Sei così esibizionista?»

«Cosa…?»

«Erwin lo sa che ti sgrilletti nel suo bagno?»

Mike evitò di un soffio il lancio di una spazzola.

«Vaffanculo, Nasone!» Levi cercò a tastoni dietro di sé qualcos’altro da lanciare, ma senza successo «Tu e le tue congetture del cazzo! Vai a chiamare Erwin!»

«Erwin ha di meglio da fare che guardarti mentre fai pilates.»

Il capitano si ritrovò nuovamente a fissare la porta chiusa, in compagnia dell’unico ronzare delle cimici.
«Devo uscire da qui.» ringhiò, tornando a muoversi verso l’uscio. Dubitava che sarebbero mai arrivati i rinforzi. Ovviamente, Zacharias non avrebbe riferito nulla al comandante, se non a tarda sera, quando i suoi sforzi sarebbero stati ormai vani. Certo, poteva rimanere chiuso in bagno fino alle due di notte, oppure…
Dannazione! Era o no il soldato più forte?! Uccideva giganti! Possibile che due misere cimici fossero un tale ostacolo per lui?

«Sì, possibilissimo.» si rispose con un mezzo sbuffo «I titani non puzzano quando li uccidi. E non ronzano… e non ti finiscono nei capelli o sui vestiti».

Strisciò nuovamente sul pavimento, alla ricerca: doveva pur esserci qualcosa che poteva usare per scacciarle! Sbattere il tappeto? No, non sarebbe servito. L’unica spazzola l’aveva lanciata dietro a Mike, quindi era irrecuperabile. Il sapone? Sarebbe stato perfetto se, nella concitazione di quei momenti, non fosse finito sul fondo della vasca da bagno. Si guardò disperatamente attorno, finché i suoi occhi non incrociarono la soluzione perfetta. Sgattaiolò fino all’angolo vicino al gabinetto, agguantando – dopo averlo prontamente avvolto in un paio di strati di carta igienica – lo scopettino del wc. Lo strinse saldamente in pugno, brandendolo davanti a sé.

«Brutte stronze…» ringhiò, menando l’arma improvvisata verso la maniglia.

BZZZ.
La sua avversaria frullò le ali, prima decollare, pesante e goffa.

Levì tentò un affondo, poi un altro. Al terzo tentativo, infine, il rassicurante TOC si fece sentire. L’aveva colpita! L’aveva mandata a sbattere da qualche parte. Splendido!
Si catapultò verso la porta, spalancandola e gettandosi oltre. Non fece in tempo a richiuderla: i due insetti si erano levati in volo, lenti ma inesorabili, decisi a varcare l’uscio e gettarsi all’inseguimento.

«Merda, merda, merda, merda!» sibilò, oltrepassando rapidamente l’accesso alla camera da letto, scansando un comò e la sedia ingombra di vestiti per gettarsi dall’altra parte, verso l’ufficio del comandante.

Non appena vi mise piede, però, si rese conto dell’errore madornale: Erwin lo stava fissando perplesso, con un foglio stretto tra le mani. Petra era diventata di un acceso color lampone, mentre Hanji era quasi caduta dalla sedia; Mike sogghignava soddisfatto in un angolo:
«Te l’avevo detto che stava facendo cose zozze in bagno.»

«Fanculo, stronzo! Non mi avevi detto che eravate tutti qui!»

«Tu non lo hai chiesto…»

«Non sarei uscito, se me lo avessi detto!»

«Proprio per questo non te l’ho detto…»

«Bastardo, tu…» puntò lo scovolino in direzione del caposquadra «Lo sapevi e…»

«Levi…» la voce di Erwin lo richiamò immediatamente «Perché giri con lo scopino del gabinetto?»

«Amh…»

Era complicato da spiegare. Ammettere d’averlo usato come arma impropria contro fastidiosi e maleodoranti insetti? Oppure mentire? Mentire inventando qualcosa di credibile!

«Io…» attaccò, mentre il suo cervello si sforzava di elaborare velocemente una scusa «Stavo… pulendo il wc per… testare la consistenza delle setole di questo spazzolino e…»

«Senza vestiti?»

«No, beh… cioè, sì. È molto difficile da spiegare…» bofonchiò, nascondendo prontamente lo scopettino dietro le spalle «Hanji piantala di ridere!»

«Potresti provarci…»

«O potrei non farlo. Comunque…Il tuo bagno è uno schifo! Vedi di pulirlo.»

«Hai una cimice su una spalla.»

«Cosa?!» abbassò lo sguardo, fissando la punta della spalla sinistra. L’insolente insetto era lì, intento a pulirsi le antenne con irritanti e ripetitivi movimenti.
Levi si irrigidì, bloccando le spalle e trattenendo il fiato:
«Toglimela.» sibilò, ripetendo poco dopo «Toglimelaoglimelatoglimelatoglimela.»

«Ci penso io…» Mike si alzò, marciando verso di lui a passo svelto.

«No. Tu no.»

«Non essere ridicolo, pensi non sia capace di togliere una cimice? Non tutti hanno paura come te, sai? Sono esserini innocenti.»

«Innocenti un cazzo! Puzzano, sono rumorosi e… non ho paura! Mi fanno solo schifo!­»

«Anche Hanji puzza ed è rumorosa e ti fa schifo…»

«Sì, ma non è la stessa cosa! Me la vuoi togliere, ‘sta merda verde?!»

Mike si accostò, avvicinando la mano alla sua pelle.
«Sta fermo!» raccomandò, ridacchiando sotto i baffi. Ritrasse il gomito poco dopo, assestandogli una vigorosa manata. Uno SCROCK accompagnò quel gesto, seguito dal diffondersi di un olezzo pungente, fastidioso, nauseante.

Levi si guardò la spalla, dove la carcassa di una cimice demolita spiccava sul pallore della sua carnagione. Distolse in fretta gli occhi, cercando il responsabile.
«Sei un gran bastardo Nasone, lo sai?» ringhiò, ottenendo in cambio un ghigno soddisfatto.

«Lo so.»


 

Angolino: era da tantissimo che non scrivevo, in effetti. Mi andava di aggiornare questa raccolta, tutto qui XD avevo voglia di scrivere qualche altra buffa disavventura ai danni del nostro capitano preferito. Immagino che Levi debba avere qualche debolezza, oltre alla schifofobia, no? Penso che le cimici potrebbero essere una di queste. In fondo, beh... non servono a niente, fanno schifo e puzzano. Quindi erano le protagoniste perfette. Loro e Mike, naturalmente XD
Grazie per aver letto fin qui!
Un abbraccio

E'ry

 

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Capitolo 10
*** Partecipò all'Eredità ***



10. La volta in cui Levi partecipò all' Eredità



Avevano scelto lui tra tutti i potenziali candidati. Ai provini cercavano un concorrente non troppo sveglio, con un passato tragico e una storia alle spalle da poter raccontare per sollazzare i telespettatori.
Erwin, ormai alle strette con i fondi per le spedizioni, aveva proposto di partecipare al quiz televisivo “L’Eredità” per poter recuperare denaro rapidamente. Aveva ordinato a tutti di presentarsi ai casting, consapevole che le possibilità di finire in tv erano comunque ridotte all’osso.

Alle audizioni avevano prontamente scartato il comandante, ritenuto troppo intelligente e, di conseguenza, quello con la maggiore probabilità di vincita. Hanji era strampalata al punto giusto, ma sfortunatamente si trascinava appresso un odore di titano morto che non piaceva a nessuno. Mike e Nanaba avevano superato la prima fase, ma il loro passato non era stato reputato abbastanza coinvolgente; Moblit non era neppure stato preso in considerazione.
Rimaneva, dunque, soltanto una possibilità: il soldato più forte era stato ammesso al programma, costretto ad indossare il completo nero per l’occasione, ed infilato in uno dei più grossi studi televisivi di tutta Mitras.

Si mosse a disagio, allentando con due dita il cravattino che gli fasciava il collo; faceva troppo caldo in quel posto! Possibile che lo sentisse solo lui? Squadrò gli altri concorrenti, imperturbabili ed affatto interessati alle altre temperature. Dopo la prima fase eliminatoria, erano rimasti soltanto in quattro: oltre a sé, Nile Dok, comandante della Polizia Militare; Reiner Braun, cadetto della centoquattresima; Kenny Ackerman, idolo delle folle, nonché il suo stramaledetto zio che, evidentemente, non vedeva l’ora di fargliela pagare; fortunatamente, allo Squartatore era stato impedito di portare in trasmissione qualunque tipo di arma.

Reiner aveva superato un duello, eliminando un tale Rod Reiss, che se n’era andato blaterando qualcosa su figlie bastarde ed eredi al trono. L’intermezzo pubblicitario era appena finito ed il conduttore, un tale Karlo Konti, stava giusto per annunciare il ritorno in studio.
Levi lo osservò attentamente: Konti aveva tutta l’aria di uno che sapesse esattamente l’ubicazione del mare, contando la carnagione talmente scura da far invidia a qualunque “abbronzatrice professionista” del mese di agosto. Però… non era agosto, era novembre. E nessuno poteva vantare una pelle  caramello in quel periodo, men che meno nel Wall Sina. Quindi, i casi erano due: o quello andava ad abbronzarsi nei deserti – ovunque essi fossero – tutti i fine settimana; oppure si spalmava degli abbronzanti a base di carote, cioccolato, vernice marrone e chissà cos’altro.

«Pff… vorrei avere io il suo colore.» sussurrò a denti stretti, paragonando la propria carnagione mozzarella a quella del conduttore.

«Bentornati su Rai Sina! Siamo in studio con i nostri concorrenti. Il signor Braun ha appena eliminato Rod al duello, ma ora… è il momento dellaaaa…» l’uomo richiamò l’attenzione di tutti, puntando un indice verso la telecamera più vicina «…SCOOOOSSAAAAA.»

Una ragazza in abiti succinti scivolò al centro della scena, appoggiandosi languida ad un leggio.
«Eccoci alla domanda di oggi!» cinguettò, guardando allegra i concorrenti «La domanda è… come si chiamano i due giganti che la Legione Esplorativa aveva catturato?»

«Avete catturato dei giganti, nipote cretino?»

Levi voltò lo sguardo al parente, troppo vicino per i suoi gusti:
«A quanto pare…»

«Che cazzo ve ne fate?»

«Hanji voleva studiarli, ma…»

«Che schifo che fate.»

«Ma…»

«Tip e Tap» la voce della valletta lo interruppe prontamente «Cip e Ciop. La bella e la bestia. Sawney e Bean. Holly e Benji. Lady e Oscar.»

«Tocca al signor Ackerman, prego.»

Levi si schiarì la voce. Come funzionava il gioco? Ah, si… doveva dare tutto, tranne che la risposta esatta, no? Beh, era fortunato! Almeno, quella la sapeva!

«Lady e Os…»

«Lady e Oscar!» il tono perentorio di Kenny coprì il suo in un attimo.

Si volse verso lo zio, indispettito:
«Toccava a me!»

«Hanno detto “Signor Ackerman!”»

«Appunto!»

«Sono io il signor Ackerman, cazzo!»

«E io, allora?»

«C’è una gerarchia da rispettare. Sono il più anziano? Quindi è ovvio che spetti a me cominciare!»

«Non credo proprio…»

Karlo ignorò entrambi, limitandosi ad uno:
«Scoooossaaaa?» la casellina si colorò di grigio «VAAAAA BENEEEE!»

«Adesso tocca a me!­» Levi ringhiò, mentre scorreva velocemente l’elenco delle possibilità «e io dico…»

«La risposta giusta è Sawney e Bean!» Reiner sollevò una mano, sorridendo soddisfatto «Ho vinto, vero?»

«Scooossaaaaaa?» Bzzzzzzzz «Ahhhh, che peccato signor Braun! Doveva dare la risposta sbagliata perché fosse giusta! Eh, pensi che i nomi sono proprio Sawney e Bean! Ma sentiamo la spiegazione di Giuseppa.»

La velina sfoggiò un sorriso a trentadue denti:
«Ehh sì, pensate che i titani si chiamano proprio così! Prendono il nome da un serial killer, che uccideva e mangiava le proprie vittime. Tip e tap, invece, sono i nipoti di topolino.»

«Spero che Topolino sia stato più fortunato di me con la progenie…» gracchiò Kenny, mentre Reiner si grattava incerto il capo:

«Non ho capito. Non ho vinto?»

«No, signor Braun» Konti mimò una risatina incerta «Doveva dare le risposte sbagliate per accedere al gioco successivo.»

«Perché?»

«Beh, è scritto nel regolamento…»

«A Marlhe i quiz li fanno meno complicati…» bofonchiò il giovane, mentre Giuseppa lo accompagnava verso l’uscita dello studio.

Di nuovo, l’inquadratura si restrinse sul conduttore, che annunciò:
«è il momento del Triello!»
 

***
 

«Ragazzi, usciamo di sicuro. Fino ad ora c’è andata bene, ma…» Mike afferrò una manciata di patatine «è impossibile che Levi superi questa fase. Sono domande di cultura generale.»

«Non rubarmi le patatine!» Erwin trasse a sé la ciotola, senza staccare gli occhi dal televisore «E non essere pessimista. Può farcela!»
Si erano rintanati nel refettorio dove per l’occasione era stato montato un megaschermo. L’intero Corpo di Ricerca si era riunito per supportare il capitano Levi che, senza dubbio, sarebbe riuscito a portare a casa una somma talmente cospicua da finanziare le prossime spedizioni, gli esperimenti di Hanji e per pagare il salario arretrato di tutti. Qui e là, si intravedevano cartelli di incoraggiamento:
“Forza capitano!”

“Levi ti amo!”

“Niente kritike, solo komplimenti!”

«Erwin, non farti illusioni.» tornò a sbuffare il caposquadra Zacharias  «Il livello di cultura di Levi è simile a quello di un paramecio…»

«Cos’è un paramecio?»

«Non lo so, ma qualcosa di non troppo sveglio, senza dubbio.»
 

***

 
«Ecco le materie di oggi!» Karlo Konti indicò lo schermo dove erano apparsi alcuni cartellini gialli e neri «Geografia, storia, economia domestica, titani. Inizia il signor Dok perché è in svantaggio.»

Nile scrutò attentamente le materie:
«Scelgo “Titani”.»

Levi batté malamente un piede a terra:
«Ma no, cazzo! Non ne sai niente di giganti, tu! Sei solo un fottuto damerino della capitale. Non potevi lasciarla a me? È l’unica domanda a cui saprei rispondere… Beh, forse anche ad “Economia domestica”…»

«Domanda per il signor Dok: come si riproducono i giganti? A) impollinazione anemofila. B) per partenogenesi. C) non si riproducono. D) tramite Meiosi.»

Nile si grattò il pizzetto incerto:
«Ah, difficile! Chiedo l’aiuto della telefonata a casa!»

«Mi dispiace, signor Dok, quello appartiene ad un altro programma…»

«Ah, si? Allora… Mh… D! Per Meiosi!»

Il tabellone emise un bagliore rosso.
«Risposta sbagliataaaa… tocca al signor Ackerman!»

«Quale dei due?!» Levi pestò un pugno sul monitor davanti a sé «Posso rispondere almeno ad una domanda oppure sto qui a fare la statuina?»

«Va beh, se ci tiene proprio…»

«Oh! C! non si riproducono»

Un trillo allegro confermò la sua scelta.
«Esatto! Tocca ancora a lei signor Ack…»

«Mi chiami Levi e basta! Scelgo economia domestica.»

«Bene! La domanda riguarda i rimedi della nonna… Vediamo, eh… se sua nonna ha saputo consigliarla bene.»

«Non ce l’ho mai avuta una nonna. Emh...»

«Peggio per lei! Allora… Per lavare efficacemente i vetri, dobbiamo mescolare acqua e… A) Caffè. B) Aceto. C) Olio. D) Latte»

«Ah, questa è facile! B) Aceto!» Levi batté le mani, non appena la risposta si accese di verde. «Era facilissima! E ora scelgo… Storia!»

«Bene! È semplice. L’anno in cui è caduto il Wall Maria. A) 844. B) 845. C) 846. D) 847»

«Mh… boh. Dico… amh… A?»

«Ma no, signor Ackerman Junior! Tocca al signor Ackerman Senior rispondere.»

Karlo Konti si voltò verso la postazione successiva, dove Kenny lo Squartatore stava allegramente pomiciando con la velina:
«Signor Ackerman, scusi… dovrebbe rispondere?»

«Che?! Proprio ora? Non vede che sono impegnato? Io e Giuseppa ci stiamo scambiando i numeri di telefono…»

«Sì, beh, non mi sembra opportuno…»

«Sembra opportuno a me!»

«Allora, mi dispiace…» il conduttore scosse il capo «Temo che dovrò eliminarla dal programma!»

«Che cazzo stai dicendo?! Non ci pensare nemmeno…» la mano di Kenny scattò immediatamente al fianco destro, alla ricerca della fondina, ma senza successo. Dove era la sua fida pistola? Ah, sì… gliel’avevano requisita prima dell’ingresso in studio. Maledetta Security! Un assassino non poteva nemmeno portarsi appresso gli strumenti del mestiere? Soffocò una imprecazione, mentre Giuseppa lo prendeva per mano per accompagnarlo fuori dallo studio «Non è finita qui, brutto stronzo! Ti ucciderò nel sonno! Io non posso essere eliminato! Ti ucciderò e venderò la tua pelle arancione come tappeto…»

Karlo mantenne la sua imperturbabile aria serafica davanti a quelle minacce, limitandosi ad osservare i due concorrenti:
«Ebbene, siamo alle fasi finali del nostro programma! Calci di rigore che vedono contrapposti il signor Levi contro il signor Nile. Chi vincerà?»
 

***
 

Erwin sorrise a quella notizia. Un colpo di fortuna inaspettato! Eliminato Kenny, la strada era ormai in discesa. Nile non era poi un avversario così temibile, ecco. Anzi, era quasi uno scontro alla pari.
Agguantò un’altra manciata di patatine:
«è la volta buona!» disse solo, osservando gli altri veterani ancora increduli «Questa volta, Levi combinerà qualcosa di giusto, me lo sento!»
 

***
 

La prima domanda era a suo favore. Levi allentò ancora un poco il cravattino:
«Non fa un po’ troppo caldo qui?»

«No, è una normale temperatura desertica. Di quelle a cui sono abituato…» Konti gli rivolse un sorriso asciutto, composto, prima di snocciolare «Signor Ackerman Junior, tocca a lei. Prima domanda. “Come si chiama l’attuale re delle mura?»

«Amh…» boh. Non si era mai interessato di politica. Men che meno di aristocratici e panciuti sovrani. Non ne aveva idea, ovviamente. Scosse piano il capo, tirando a caso «Renzi?»

«Nooooo… si chiama Fritz! Signor Dok! Tocca a lei…”Come si chiama lo stemma della Legione Esplorativa?”»

«Le ali della libertà»

«Eh, grazie al cazzo! Già che ci siamo, perché non gli chiedete come si chiama sua moglie?!» Levi sbuffò, incrociando le braccia al petto. Quel programma era tutta una montatura, senza dubbio. Stavano facendo il possibile per far vincere Nile? Ovvio, era evidente. «Voglio anche io una domanda facile!»

«Signor Ackerman, tutte le nostre domande sono scelte casualmente dal notaio.»

«Seh, come no… che sicuramente sarà un amico d’infanzia di questo spaventapasseri qua.» ringhiò, accennando al comandante della Polizia Militare.

«Guarda che posso arrestarti per oltraggio a Pubblico Ufficiale.» le parole di Nile, tuttavia, passarono completamente inosservate.

«Seh, come no…» il capitano storse la punta del naso, sempre più seccato «Allora, la domanda?» incalzò, mentre Konti riprendeva a biascicare:
«Signor Ackerman, prossimo quesito. Qual è l’indirizzo completo della cantina di Eren Jaeger?»

«Ma come cazzo faccio a saperlo?! So solo che è a Shiganshina… mh… Via dei Caduti, venticinque?»

«No, sbagliato. Tocca al suo avversario» vide Konti girarsi nuovamente verso Nile «Signor Dok… prossima domanda “Come si chiama sua moglie?”»

«Marie!»

«Esatto! Due a zero.»

Levi scattò in piedi, sbattendo entrambi i pugni sul tavolo «Va beh, è una palese presa per il culo! Perché non chiedete a me come si chiama mia moglie?!»

«Lei è sposato, signor Ackerman?»

«Beh, no…»

«E allora come facciamo a chiederle come si chiama sua moglie? Suvvia, si sieda. Prossima domanda. Signor Ackerman “Quante sono le mura?”»

«Mh…tre?»

«Riiispostaaa esatta! Due a uno. Forza, può rimontare! Passiamo al signor Dok. “Quante sono le dita della mano destra del comandante Smith, della legione esplorativa?»


«Mh… cinque?»

«Esat…»

«Protesto!» Levi si alzò nuovamente, interrompendo la trasmissione «Erw… volevo dire, il comandante ha recentemente perso il braccio destro in una spedizione, quindi… la risposta giusta è “nessuna”!»

«Notaio» Konti accennò ad un vecchietto seduto in un angolo «Può confermare questa cosa?» un cenno d’assenso e poco dopo l’annuncio «COLPO DI SCENAAAAAA… ah, il bello della diretta. Signor Ackerman, tocca a lei: “Di cosa sa l’acqua del mare?”»

«Di sale, lo sanno tutti!» incrociò le braccia soddisfatto, rivolgendo un ghigno alle telecamere.

«In realtà non lo sa nessuno, ma … proprio per questo, terremo buona la risposta! Nessuno l’ha mai assaggiata, quindi poteva dire un gusto qualunque che sarebbe comunque andato bene. Due a due! Signor Dok “Quanto fa  dodici per tre?”»

«Ah.. mh, le tabelline si fermano solo a tre per dieci. Mh… ventotto?»

«Noooooo! Attenzione, il signor Ackerman può passare in vantaggio…»

«Non vi insegnano nemmeno a contare nella Polizia Militare?»

«Signor Ackerman, come si chiama di cognome il famoso assassino Kenny lo Squartatore?»

«Ackerman!»

«Esattooooo…Salutiamo il signor Kenny che sicuramente ci segue da casa!» Konti sollevò una mano, mentre da dietro le quinte giungeva un ruggito.

«Ma siete cretini tutti?! Guardate che sono qui!»

Il conduttore, tuttavia, proseguì senza scomporsi:
«Signor Dok, prossima domanda: nel 834, dove si svolsero le prime olimpiadi del Wall Maria?»

«Ah, boh… a Trost?»

«Nooooo… attenzione! Se il signor Ackerman risponderà esatto, diventerà il nuovo campione dell’eredità! Signor Ackerman… “Nel corpo di ricerca, come si chiama il caposquadra Zacharias di cognome?”»

«Emh… Zacharias?»

«Risposta esattaaaaa… quattro a due, vince il signor Ackerman!»

Levi scattò in piedi, ricacciando un ghigno verso l’avversario sconfitto che, mestamente, si stava preparando ad abbandonare lo studio:
«Testa di merda! Pensavi di vincere con i tuoi sporchi trucchetti da unicorno color muschio?! Legione uno, Polizia di stocazzo zero!»
 

***


Erwin per poco non cadde dalla panca. Incredibile, ma vero. Levi era riuscito ad arrivare al gioco finale.
Spiò immediatamente oltre i vetri, controllando il tempo. Stava nevicando? Non ancora, ma per precauzione il cielo si stava annuvolando prontamente. Nel caso avesse vinto, ovviamente, si sarebbe scatenata la peggiore delle bufere.

«Non abbiamo ancora vinto…» Mike gli posò una mano sulla spalla, obbligandolo a rimanere seduto ed a tornare con i piedi per terra.

«Lo so, ma… lasciami sognare, per una volta».

«Il gioco finale è facile, di solito» si intromise Hanji, scolando l’ennesimo bicchiere di birra analcolica «Sono sicura che ce la farà.»

«Mah, io sono dell’idea di Mike…»

«Non fare la guastafeste, Nanaba! Vincerà, vi dico.»

«Caposquadra, è sicura di voler continuare a bere? Rischia di dover andare in bagno per tutta la notte.»

«Non rompere le palle, Moblit! Piuttosto…» Hanji cacciò il boccale sotto al naso del suo assistente «Rabbocca, oste!»

 
***
 

Karlo Konti posò la busta sigillata, invitando il concorrente a mettersi le cuffie, prima di attaccare:
«Per chi si fosse sintonizzato solo ora, abbiamo un nuovo campione. Il signor Levi Ackerman gioca oggi per sessantamila monete d’oro. Iniziamo con le prime due parole. “Giovedì” oppure “Venerdì”»

«Mh…» Levi si sfregò la fronte, incerto. Cosa rispondere? La prima parola andava sempre a casaccio, d’altronde. Non aveva altri indizi «Giovedì» sentenziò, mentre la grafica si animava. La parola cadde dritta sul montepremi, che rimase invariato.

«Ghigliottina» Stonk! «Vaaaa beeeeneeee. Prossima parola, signor Ackerman: “Patate” o….»

«OOOOOOOOOO» fece eco il pubblico, mentre il conduttore proseguiva imperterrito:
«…finocchi»

«Finocchi»

«Ghigliottina» Swiiissshhh «No, no… era Patate. Abbiamo ancora trentamila monete. Continuiamo con “Primo” OOOOOO “secondo”.»

«Secondo?»

«Ghigliottina» Swiiiissshhhh «No. Era Primo. Quindicimila, signor Ackerman. Proseguiamo con “Mike-Erwin” oppure “Nile-Shadis”.»

«Mike – Erwin?? Che cazzo vuol dire?!»

«Mike – Erwin? Ghigliottina.» Stonk «Va beeeeeeeeeeneeee. Signor Ackerman! Un minuto di tempo per scrivere la parola giusta e consegnarla, prego. Gioca per quindicimila monete d’oro.»
 
Levi osservò le parole con attenzione. Non gli veniva in mente niente, ovviamente. Per di più, la coppia apparsa sul tabellone lo disturbava particolarmente. Era un indizio sui gusti pregressi del comandante? Una tresca di cui era all’oscuro? Un segreto di stato? Si, ma… che c’entrava con Giovedì? E tutto il resto? Forse era un indizio! “Il giovedì, Erwin e Mike vanno a patate, fermandosi nel primo bordello a disposizione”. Quindi… la parola giusta poteva essere “bordello”. Oppure… Giovedì era giorno di bucato, no? Quindi poteva anche essere “bucato” la parola, ma non si sposava alle altre. Si grattò furiosamente il capo. Perché era tutto così difficile? Perché?

«Tempo scaduto! Deve consegnare la parola.»

Levi scrisse in fretta e consegnò la busta. Non era affatto convinto, ma quella era la sola parola che gli era venuta in mente…
 

***


Erwin scattò in piedi, osservando il televisore.
«La so!» annunciò «è facilissima…»

«Cioè?» Mike lo guardò perplesso, mentre Nanaba cercava disperatamente di rimettere in piedi Hanji, caduta sotto al tavolo dopo essersi ubriacata di birra analcolica. Moblit era già corso in infermeria a cercare aiuto.

«Gnocchi.»

«Cosa?»

«La parola!» il comandante indicò lo schermo con l’unico braccio che gli rimaneva «è “Gnocchi”. Gli gnocchi sono un primo. Si dice, “giovedì gnocchi”. Sono fatti di patate e… beh, lo hai capito, no?»

«Si, certo ma… con noi ci stava bene anche la parola “manzi”»

«Vero, ma “giovedì manzi” non l’ho mai sentito» Erwin tornò a spiare la trasmissione «Ti prego, fa che abbia scritto “gnocchi”.»

«Il signor Ackerman ha scritto…» la voce gracchiante di Karlo riempì la sala, diffondendo dai vecchi altoparlanti « “Lavanderia”. Vuole spiegarci il perché signor Ackerman?»

Un tonfo arrivò a coprire l’audio della trasmissione. Erwin aveva perso i sensi, ruzzolando involontariamente sotto al tavolo.
Mike scosse mestamente il capo:
«è proprio un deficiente…»

 
***
 

Le luci dello studio si abbassarono, mentre Karlo Konti si alzava e tendeva la mano allo sfortunato concorrente:
«Che peccato, signor Ackerman! Beh, rimane comunque il campione in carica. Potrà riprovarci doman…»

Il conduttore non terminò la frase. Da dietro le quinte si udì uno scoppio e, un attimo dopo, la figura di Konti si accasciò al suolo, mentre il sangue zampillava da un paio di fori sulla schiena.

«Così impari ad eliminarmi dal gioco, brutto stronzo con la faccia da budino!» furono le ultime parole che i telespettatori sentirono, mentre Kenny lo Squartatore sgusciava via nella notte, solo ed indisturbato.
 

 
 

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Capitolo 11
*** Prese parte al Presepe Vivente ***



La volta in cui Levi prese parte al Presepe Vivente


Historia salì sul palco, battendo due volte il piedino regale per richiamare l’attenzione. La piazza era gremita: nobili, plebei, soldati, padri bastardi e zii famosi si erano riuniti per assistere all’annuale estrazione pre-Natalizia, la prima condotta dalla nuova sovrana. La giovane si schiarì la voce, prima di squittire:
«Fedeli schiavi!» esordì, correggendosi immediatamente «Volevo dire… stimati sudditi, benvenuti. È un piacere vedervi così numerosi a questo lieto evento. Presto! Si porti l’urna…»

L’urna, che altro non era che una boccia di vetro dove un malcapitato pesce rosso aveva sguazzato fino al giorno prima, venne condotta sino alla regnante da un lentigginoso scudiero. Alcuni foglietti giacevano sul fondo della sfera, minuziosamente piegati e profumati con essenza di fragola per dilettare le regali narici.

«Orbene… come da tradizione, fingerò soltanto di estrarre casualmente dei nomi, perché tutti i ruoli sono già stati assegnati a tavolino.» cinguettò Historia, introducendo le dita nell’urna e mescolando i bigliettini. Pescò, tuttavia, una lunga pergamena fittamente scritta «Ecco l’elenco dei partecipanti alla consueta recita di Presepe Vivente del Wall Sina. Giuseppe, il bambinello e Maria saranno interpretati dal comandante Dok, da sua moglie e dalla sua novella figliola. Congratulazioni comandante!»

Un boato scontento si levò dalla folla:
«Non è giusto… lo fa sempre lui Giuseppe!»

«Non ha nemmeno le competenze da falegname…»

«Anche io sono sposato, perché non possiamo farli io e mia moglie?»

«Buuuuuh, raccomandati schifosi!»

Nile si fece avanti, inchinandosi alla regina e sfoggiando il solito sorriso da lecchino:
«Grazie, nostra signora. Come al solito, è un onore ricevere il ruolo principale nella recita. Naturalmente, Marie ed io saremo lieti di sfornare il nostro quindicesimo figlio l’anno prossimo, giusto in tempo per le celebrazioni del Natale futuro.»

«Non avete già abbastanza figli, comandante?»

Nile scrollò le spalle:
«Pff… quindici, sedici… che differenza volete che faccia?»

La regina lo liquidò con un cenno:
«Grazie per la vostra devozione, comandante. L’impegno che mettete ogni volta nella recita non verrà dimenticato. Né il vostro, né quello di vostra moglie e delle numerosissime figlie che avete. Andiamo avanti…» Historia scorse velocemente la lista «I re magi di quest’anno sono… Il comandante Smith, Hanji Zoe e Levi Ackerman.»

Levi balzò in piedi dalla panchina su cui si era accomodato, sollevando i pugni al cielo:
«Sìiiiiiiii! Per un anno non farò la solita pecora di merda!» esultò, mentre accanto a lui Berthold e Reiner si scambiavano occhiate sollevate.

«Meno male che non è toccato a noi» disse Reiner, spiando il compagno «Ricordi come è finita l’anno scorso? Re Erode ci ha appeso a testa in giù e ha cercato di infilarci un imbuto nel sedere.»

«Sì…e tutto per farsi dire dove era il bambinello. Mi era parso un tantino esagerato come trattamento…»

«Beh, almeno quest’anno non tocca a noi. Chissà se Zackley farà ancora Erode…»

Le loro congetture, tuttavia, vennero presto disilluse quando Historia pronunciò:
«Red Erode sarà Kenny Ackerman!»

«Nooooooooooo! Non voglio andare dallo zio di merda a chiedere indicazioni per raggiungere la capanna!» Levi tornò a crollare al suolo «Non poteva capitarmi la pecora, quest’anno? Voglio fare la pecora!­»

«Non ho intenzione di vestirmi da tappeto ambulante, reginetta di stocazzo!» ringhiò una voce da dietro un comignolo annerito «Io mi ritiro dalla recita!»

«Ma signor Kenny, questo non è possibile.»

«Me ne fotto se va contro il regolamento! Trovatevi un altro Erode!»

Una mano si levò dalla folla:
«Potrei farlo io!­» Rod Reiss si fece avanti, sfoggiando un ghigno affatto rassicurante «Ho una certa esperienza con i bambini, già… direi che me la cavo piuttosto bene con stragi degli innocenti e quant’altro. E poi…»

«Va bene, signor Reiss. La parte sarà vostra.» acconsentì Historia, mentre il padre ballava dalla gioia.

«Siiii! Finalmente sarò re!» gli occhi porcini di Rod brillarono di speranza e gratitudine «Sarò re! Sarò re! Affilate le zanne perché… sarò reeeee!»

La regina si massaggiò nervosamente le tempie. Ah, quanta pazienza serviva con quella plebaglia:
«Andiamo avanti…» sussurrò, tornando a scorrere la lista «Il caposquadra Zacharias sarà lo zampognaro!»

«Evvai!» Mike si regalò un applauso da solo «è da Giugno che mi esercito! Suonerò il miglior “Piva Piva” che si sia mai sentito dentro e fuori le mura!»

«Nanaba sarà la pastorella e Moblit il cane.»

«Ma… come il cane?» Moblit sollevò timidamente un braccio «Perdonate, regina. Io… speravo di poter avere un ruolo differente, insomma… come narratore, magari. Conosco a memoria tutto il Vecchio Testamento, il Nuovo e anche le Lettere e … i vari spin-off dell’opera. Credo che sarei un ottimo narratore.»

Prevedibilmente, nessuno gli diede retta, men che meno la regina:
«In ultimo, dichiaro che Bertholdt e Reiner rivestiranno il ruolo del bue e dell’asinello.»

Reiner diede il gomito all’amico:
«Figo! Non dovremo nemmeno studiarci la parte. Fammi sentire come muggisci…»

«Muuuuu.»

«Più convinto! Guarda me…» il guerriero inspirò a fondo, prima di produrre un « MUUUUUUUUUUUUU.» tanto forte da richiamare un vicino branco di vacche desiderose d’essere munte.

«Bene…» cinguettò Historia «Non rimane che scegliere l’angioletto. Mh… ci serve biondo e di bella presenza.» Osservò i rimanenti, storcendo la punta del naso in una smorfia schifata «Magari solo biondo, ecco… quelli di bella presenza li abbiamo evidentemente terminati. Armin Arlert sarà il nostro angioletto. Parrucchieri reali…» schioccò le dita, richiamando prontamente una coppia di servitori «Fate i boccoli all’angioletto, che… insomma, non s’è mai visto un angelo con un taglio buono solo per le noci di cocco.» una pausa, fissando i rimanenti «Tutti gli altri… saranno le pecore!» annunciò, mentre dal silenzio attonito della platea si levava un grido familiare:

«Maledette pecore, vi ucciderò tutte!»
 
***
 
Ogni cosa era stata organizzata sapientemente, a partire dalla capanna da cui erano stati sfrattati animali e pastori per fare spazio alla rappresentazione. Una folla di curiosi si era prontamente raccolta attorno allo spazio, delimitato da transenne ed esponenti della Polizia Militare, incaricati di mantenere l’ordine.

«Non posso credere che ci abbiano messo alla distribuzione bottigliette d’acqua» si lamentò Marlo «Il mio sogno era servire il re e non fare il barista.»

Hitch gli rivolse un’occhiataccia:
«Taci, per favore. Preferiresti essere al posto di quei disgraziati là?» domandò, accennando col mento alla parata che stava sopraggiungendo.

Nile Dok aveva caricato la moglie sulle spalle di Bertholdt, agghindato con una pelliccia color topo e un paio di orecchie appuntite.

«IHHH OHHHH» ragliava a tratti lo sventurato cadetto, mentre Marie – temporaneamente in dolce attesa di un cuscino – gli pungolava i fianchi con i talloni. Il comandante della Gendarmeria, infine, lo trascinava per delle redini improvvisate, segnando i passi con un lungo bastone ricurvo.

«Il comandante sembra quasi un divano con quella tunica a righe arancioni addosso» commentò Hitch a bassa voce, sogghignando «E vogliamo parlare dei sandaletti? E del copricapo verde? L’outfit perfetto per una carota.» mormorò, mentre le sue parole venivano coperte dalla voce della regina, improvvisatasi narratrice.

«C’era una volta un bravo falegname che aveva una moglie; la donna aspettava un bambino. Un giorno, arrivò una missiva: i due dovevano recarsi nella loro terra natia per fare censimento. Allora si misero in viaggio verso la loro città natale.»

«Io avrei saputo declamarla meglio.» sussurrò Moblit, sistemandosi il naso da cane pastore. Nessuno, ovviamente, calcolò minimamente le sue parole.

«Sono giorni che viaggiamo, moglie mia! Sicura di sentirti bene?» domandò Nile, alzando la voce perché gli spettatori potessero sentirlo.

«Mica tanto.» rispose Marie «L’asino è terribilmente scomodo e… oh, le doglie. Sono prossima al parto! Presto, troviamo un albergo dove alloggiare…»

Armin scivolò entro la scena, inciampando maldestramente nella tunica rosa. Lo striscione con la scritta “Gloria” gli finì sotto i sandali. Incespicò, cadde in avanti, perse l’aureola e un’ala finì spezzata.
«Oh, perdindirindina!­» imprecò il ragazzino, rialzandosi poco dopo e ravvivandosi i boccoli freschi di messa in piega «Eccomi, sono l’Angelo. Vengo a portarvi una triste notizia. Per voi non c’è posto nell’albergo. Dovrete accontentarvi di una capanna.» disse, indicando la stalla dove Reiner, forte del proprio ruolo di bue, muggiva gioioso.

«Una capanna? Ma io sono gravida!» esclamò Marie, carezzandosi il ventre.

«Non abbiamo di meglio, signora…»

«Ma… insomma, un po’ di rispetto per una partoriente! Devo sporgere reclamo con il Tour Operator per i censimenti?! Che scandalo.»

Nile, accanto a lei, cadde in ginocchio sollevando le braccia al cielo:
«Oh, un angelo! Sia fatta la volontà del Dio delle Mura!»

«Scusa caro… tu vorresti far nascere tuo figlio tra il fieno, l’avena e l’olezzo del fiato di un bue?! Ah, chiedo la separazione con addebito!»

«Marie, cerca di capire… non abbiamo altro posto. La capanna andrà benissimo. Deporremo il nascituro nella mangiatoia e il  bue e l’asino lo scalderanno con il loro alito.» Nile si rialzò, rivolgendosi nuovamente ad Armin «Facci strada, angelo. Ti seguiremo.»
 
***

Historia abbassò nuovamente lo sguardo sul leggio:
«I due sventurati viaggiatori si dovettero accontentare della stalla, della paglia come giaciglio e della compagnia degli animali, perché non c’era posto per loro negli alberghi. Il bambino che stava per nascere, però, sarebbe diventato Re delle Mura. La sua venuta al mondo era un evento lieto, troppo perché potesse passare in sordina. Infatti, dei re del lontano Oriente…»

«Dove è l’Oriente?»

«Ma che ne so. Guardie, decapitate quel disturbatore immediatamente!» la regina voltò frettolosamente pagina «I Re Magi giunsero, dunque, da Oriente per porgere i loro doni al bambinello in fasce, ma… non sapevano dove recarsi. Avevano seguito una stella dalla coda brillante, ma da circa una settimana il cielo era coperto da pesanti nuvoloni di pioggia e i tre re avevano perso il senso dell’orientamento. Decisero, quindi di chiedere indicazioni al governatore della regione, Re Erode.»

«Sono re Erode!» Rod Reiss irruppe sulla scena, piroettando perché i diamanti cuciti sulla sua tunica brillassero alla luce del sole «Sono elegante, affascinante e, soprattutto, sono un tiranno! Odio i bambini. Perché? Oh, è semplice… provate a viaggiare in carrozza per cinque ore con un bambino accanto che non fa altro che piangere, sbavare, sputare pastina ovunque e pulirsi le ditina grassocce nel vostro mantello di velluto purissimo. Tsk…»

«Erode, dunque, ricevette la visita dei Magi. Avanti, Magi…» sussurrò Historia, indicando tre figure ai lati della scena.

«Tocca già a noi?» chiese Levi, aggiustandosi la cappa dorata sulle spalle «Pensavo entrassimo in scena più tardi. Il mantello puzza di naftalina.» ringhiò, sgranando gli occhi al notare il fare di Hanji «Che stai facendo?!»

«Mi gratto il sedere. Di che ti sconvolgi? Questa roba pizzica. Mi solletica le natiche, per dirla in maniera fine.»

«Non è un comportamento regale!»

«Ha parlato il piccolo principe, vero?»

«Smettetela» sibilò Erwin, facendo per spingerli avanti «Tocca a noi, muoviamoci. Prima finiamo, prima possiamo tornare alle spedizioni, agli esperimenti e…»

«Alle pulizie» Levi ricevette un cenno d’assenso «Fate parlare me… ci penso io con questo… Erode. Dopo tutto sono il personaggio più amato da fans, no? È normale che io abbia la parte principale.»

«Veramente, la parte principale ce l’hanno Nile e sua moglie. Comunque… fa pure, non intendo intromettermi.» replicò il comandante, limitandosi a trascinarsi lungo lo spiazzo, seguito dalla scienziata.

Levi raggiunse Erode in un paio di falcate, piantando le mani sui fianchi e sollevando il mento con aria spavalda:
«Ehi, tu! Abbiamo bisogno di informazioni!» agguantò il bavero di Rod Reiss, scuotendolo con forza «Dicci subito dove possiamo trovare il bambino!»

«Qu-qual-e ba-ba-mbi-bino?» balbettò il malcapitato.

«Quel bambino! Il bambino re!»

«Se-se lo sa-sape-ssi sa-sarei già an-daaato a-ucc-iderloooo»

«Ah si? Giusto…» Levi lasciò il colletto dell’uomo, aggrottando la fronte. Era logico, no? Se Erode avesse conosciuto l’ubicazione della stalla, sarebbe andato di persona invece che aspettare loro «Mh… e allora che ci siamo venuti a fare qui?» rivolse lo sguardo all’indirizzo di Erwin, che prese immediatamente parola:

«Signore, vogliamo solo delle indicazioni sulla stella cometa. Dove sorge di notte? In che direzione?»

«Ah? Perché desiderate sapere della stella?» Rod montò un cipiglio sospettoso, che il comandante sviò senza problemi:

«Siamo astronomi. Stiamo monitorando le rotte dei corpi celesti in questo particolare periodo dell’anno. Il maltempo, tuttavia, non favorisce i nostri studi.»

«Ah, capisco! La stella appare sempre a sud.»

«Grazie… ora puoi lasciarlo, Gaspare.»

Levi fissò il compagno perplesso:
«Io non ero Melchiorre?»

«No… Melchiorre sono io!­» intervenne Hanji «Almeno credo…»

«Va beh, poco importa. Definiremo i ruoli poi.» Erwin accennò ad una riverenza «Si è fatto tardi e dobbiamo proprio andare.»

«Non volete fermarvi per un tè?»

«Io mi fermerei volentieri per un tè!» Levi provò a riavvicinarsi, ma venne trascinato via dai due compagni di viaggio.

«Non dimenticate di farmi sapere dove si trova il bambino…» gridò infine Rod.

«Contaci!»
 
***
 
«Durante la notte» riprese Historia «La giovane donna diede alla luce un bambino e lo depose nella mangiatoia. Il bue e l’asinello lo scaldavano con il loro fiato.»

«MUUUUUUUUUU»

«IHHHOOHHHH»

«I pastori della regione giunsero presto a porgere i loro omaggi al nascituro, inchinandosi davanti al piccolo re.»

Dal fondo della scena si levò il familiare suono di una zampogna, che intonava le note del classico “piva piva”. Mike soffiava nella sacca con vigore, schiacciandola ritmicamente per produrre delle note stonate.

«Come zampognaro fai schifo.» gli sussurrò Nanaba, passandogli accanto seguita dal cane Moblit e dal gregge di pecore della centoquattresima.

«Mi sono allenato tutta l’estate!»

«E poi… il kilt non lo portano gli zampognari! Quelli sono i suonatori di cornamusa scozzesi.»

«Scozzesi?»

«Della Scozia.»

«Eh?»

«Lascia perdere.» Nanaba procedette, seguita da un coro di “Bau Bau” e di “Beeehhh” piuttosto convincente.
 
***
 
Era ridicolo che non lo avessero scelto come protagonista! Eren strisciò a carponi sotto la finta pelle di pecora che gli era stata buttata addosso.
«Maledette pecore.» sussurrò «Le ucciderò tutte.»

«Sono pecore, non giganti!» lo rimbeccò Jean, mentre Mikasa si accostava loro con un:

«Beeeeeren Beeeeeeeeren»

«Sì, ma… io sono il personaggio principale dell’intera storia!­­» sbottò nuovamente il ragazzo-titano «Non posso essere relegato al ruolo di ovino. Sapete che farò? Mi farò crescere capelli, barba e baffetti… così vedremo chi sarà il protagonista indiscusso della recita di Pasqua!»
 
***
 
La regina si schiarì la voce, mentre i re magi facevano nuovamente la loro apparizione:
«Giunsero infine i Re Magi. Un po’ in ritardo, in effetti, ma d’altronde il loro viaggio era stato lungo e periglioso. Avevano seguito la stella che li aveva condotti sino alla capanna. I tre recavano doni preziosi: oro, incenso e mirra.»

«Mirra?!» Levi nascose frettolosamente il boccale dietro alla schiena. Mirra? «Avevo capito “birra”, merda. Non ho portato la mirra. Non so nemmeno cosa sia, ‘sta cazzo di mirra!»

«Ma ti pare che puoi portare in regalo ad un neonato della birra?!» l’irritante voce di Hanji giunse immediatamente a canzonarlo.

«Senti, fottuta Quattrocchi… a te sembra che dell’incenso o dell’oro siano dei doni adatti invece? Potevamo regalargli… non so… un fasciatoio! Delle scorte di pannolini! Una carrozzina componibile in un seggiolino omologato per asinelli, ma… che se ne fa di questa roba?!»

«Sono oggetti preziosi, adatti ad un sovrano.» intervenne Erwin «è un gesto simbolico per riconoscere la regalità del bambino.»

«Piva, piva, l’oli d’uliva;
gnaca, gnaca, l’oli de taca;
el Bambin el porta i belé,
la Madona la spènd i dané
. »
 
«Mike, la vuoi piantare?! Non è il momento delle zampogne, qui abbiamo un problema!» Levi si girò di scatto, mentre il caposquadra Zacharias gli sfilava il boccale dalle mani, scolandoselo d’un sorso «Grazie tante, brutto cazzone! Ora sono pure senza birra… non ho più regali! Che diamine porto al bambinello, ora?»

Il viso di Hanji si illuminò all’improvviso:
«Idea! Regaliamogli Connie!»
 
***

Connie, che come pecora aveva già vissuto giorni gloriosi, venne portato in dono dai Re Magi alla capanna. Di lui non si ebbero più notizie, ma si narra sia fuggito a Malhe dopo aver visto respinta la propria domanda di diventare l’angelo ufficiale delle future recite natalizie: “Gli angeli non hanno sesso, ma hanno i capelli.” recitava la risposta ricevuta. 

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Capitolo 12
*** Partecipò a una gara di orienteering ***


La volta in cui Levi partecipò a una gara di orienteering


La fanfiction partecipa al COWT indetto da Lande di Fandom.
Missione 2, prompt: Gara.
Parole: 3786
Nb. La raccolta contiene one shot indipendenti le une dalle altre. Per una lettura più scorrevole, ho aggiunto uno spazio tra le frasi (perché non sono capace di inserire l'interlinea nella formattazione di efp).

***

La storia partecipa al contest "Una sana risata", indetto da Amayph sul forum di Efp.

***
 

Era stata l’ultima volontà di Shadis, prima che andasse in pensione. L’ormai ex-comandante aveva decretato una gara di orienteering tra i componenti della Legione Esplorativa. A detta sua, competizioni simili rafforzavano il cameratismo, sviluppavano i sensi ed aiutavano a ritrovare l’orientamento fuori dalle mura.

Naturalmente, il suo successore ne avrebbe fatto volentieri a meno; tuttavia, quando aveva firmato le carte per assumere il titolo, non si era accorto della microscopica postilla scritta a fondo pagina e contrassegnata da un minuscolo asterisco, che nessun occhio umano avrebbe mai potuto notare. La nota trattava appunto della prova di orienteering.

Consapevole di non poter sfuggire al proprio destino, Erwin Smith aveva dunque convocato i suoi migliori soldati, certo che da loro non avrebbe ottenuto un netto rifiuto. Li aveva chiusi nella biblioteca della caserma, assicurando che non avrebbero cenato, né dormito finché non avessero aderito all’iniziativa. Presi per sfinimento, Nanaba e Levi erano stati i primi a siglare gli accordi, troppo desiderosi di concedersi un bagno dopo quello sfiancante assedio;  Hanji e Mike firmarono quando non riuscirono a dominare i crampi per la fame. L’ultimo a capitolare fu Moblit, ma lo fece soltanto per spirito comunitario.

Erwin aveva dunque approfittato per formare le squadre. Aveva immediatamente accolto il desiderio di Moblit di seguire e servire fedelmente il suo caposquadra, mentre aveva rigettato la richiesta di Mike di poter andare con Nanaba.

«Niente affatto!» aveva decretato «Nanaba verrà con me. In fondo, è la migliore esploratrice del nostro gruppo e non intendo ovviamente rischiare di perdere…»

«E io?» il pigolio incerto di Levi si era fatto immediatamente sentire: fino a qualche attimo prima, era certissimo che Erwin avrebbe scelto lui come compagno d’avventura. Insomma, un romantico viaggio nella natura incontaminata, a tu per tu con l’uomo della propria vita, svegliandosi con il cinguettare dei passeri al mattino e rifugiandosi in una stretta tenda da campeggio la notte…

«Tu andrai con Mike!»

Il sogno si era così trasformato in un incubo: Levi si era visto scarpinare come un dannato su un impervio sentiero di montagna, costretto a piantare la tenda a ridosso di un dirupo ed a dormire fianco a fianco con Mike, all’ombra del suo russare e dell’odore di sudore.
Far cambiare idea al comandante, comunque, era risultato impossibile: sarebbe andato con Zacharias, che gli piacesse oppure no.
 

***
 

Erwin osservò tutta la propria attrezzatura, ben disposta sul pianale della scrivania. Aveva preparato il necessario per una gara di orienteering e per poter sopravvivere in caso di emergenza.

«Preso tutto?» la voce di Nanaba lo obbligò a rialzare il viso. La giovane donna era apparsa sull’uscio del suo ufficio, con un voluminoso zaino sulle spalle.

«Penso di sì» indicò gli oggetti ben divisi per categoria «Ho una mappa aggiornata dei sentieri più frequentati. Kit di pronto soccorso. Torcia da campeggio, tenda e picchetti con la massima adesione al terreno. Sacchi a pelo in grado di resistere fino a meno venticinque gradi.»

«Ma… siamo in piena estate.»

«Lo so, ma non possiamo prevedere bruschi abbassamenti di temperatura, specie in montagna. Potremmo rimanere bloccati da una tormenta di neve…»
«è estate...»

«O intrappolati su un ghiacciaio. Meglio essere prudenti. A tal proposito, ho preso il telefono satellitare e il gps, per ogni evenienza. Una bussola. Una bussola di scorta. E una bussola di scorta della bussola di scorta. Thermos, borraccia. Calzini di ricambio. Lenze e ami, nel caso venissero a mancare le provviste di cibo liofilizzato. Vestiti di ricambio, rigorosamente in microfibra, così occupano meno spazio e possono essere velocemente lavati. Bastoncini da Trekking in carbonio.  Tu cosa hai portato?»

«Più o meno le stesse cose. In aggiunta, la crema solare e dei cappellini.» Nanaba cavò un paio di berretti verdi con lo stemma della legione stampato sopra la visiera.
«Perfetto!» Erwin cavò dall’armadio un paio di pantaloni, degli scarponcini e una polo marroncina, con un simpatico coccodrillo cucito sul petto e sulle maniche «Vado a cambiarmi e siamo pronti a partire.»

 
***
 

La partenza era stata del tutto informale. Si erano semplicemente ritrovati al centro di una valle e, dal cortile del rifugio “Alpi Belle, ma proprio belle”, avevano intrapreso sentieri diversi seguendo le indicazioni delle mappe lasciate da Shadis. Nessuno era accorso a salutarli, a fare il tifo e nemmeno vi era un giudice di gara.

«Come faremo a sapere chi avrà vinto?» aveva chiesto Hanji, ma il comandante si era limitato ad una scrollata di spalle:

«Vincerà il primo che tornerà a casa vivo.»

Ciò definito, erano partiti tutti in gran carriera.
 

***
 

Hanji superò un tratto scosceso, scansando ciottoli e radici sporgenti.
«Ci siamo quasi!» disse, volgendo uno sguardo al proprio assistente, che la seguiva arrancando sul sentiero.
La scienziata aveva indossato per l’occasione un paio di pantaloncini corti dal taglio militare ed una maglietta color verde oliva. Sul cappellino, aveva agganciato dei rametti, per potersi meglio mimetizzare con la vegetazione circostante. Naturalmente, aveva costretto Moblit a fare lo stesso ed a caricarsi di un pesante zaino.

«Dovevamo portarceli appresso tutti, caposquadra?» domandò lo sventurato, arrancando per poterla raggiungere «Capisco che desiderate sfruttare la gara per osservare la flora e la fauna montana, ma… credete davvero che “L’enciclopedia universale dei fiori alpini” sia davvero indispensabile?»

«Beh, se dovessimo imbatterci in qualche pianta sconosciuta, vorrei poterla riconoscere! Ti fideresti a mangiare bacche di un arbusto senza nome, Moblit?»

«No, ma… avremmo potuto ovviare al problema portando, semplicemente, delle provviste.»

«Pff… quisquilie! ­» Hanji continuò a muoversi, facendo per superare un altro tratto impervio. Si inserì in una stretta gola, ignorando le fatiche del galoppino alle sue spalle «Come possiamo assaporare il vero gusto della natura, se ci portiamo dei volgari panini?»

«A me sarebbero piaciuti i panini…»

«Sì, ma non sono salutari! Inoltre… vuoi davvero paragonarli a tanta bellezza? Nutrirsi di radici, di bacche e di funghi, come facevano i nostri antenati!»

«A tal proposito, sono certo che “Il libro dei funghi” possa esserci utile per distinguere quelli velenosi da quelli buoni, ma… “Muffe dei boschi”? E “Riconoscere i fringuelli dal loro canto”?»

«Quanto sei noioso! Se non volevi venire con me, bastava lo dicessi!»

«Non fraintendete, caposquadra. La vostra compagnia è preziosa, solo… se aveste portato uno zainetto anche voi, magari potevamo dividerci il carico e…»

Hanji si acquattò bruscamente dietro ad un cespuglio, portandosi l’indice alle labbra e chiedendo il silenzio. Moblit la seguì gattonando.

«Guarda!» la donna gli indicò un enorme ammasso di carne rosa che sonnecchiava all’ombra di un robusto pino «è un gigante! Presto, prendi la macchina fotografica.»

«Caposquadra… vediamo giganti tutti i giorni. Che ha questo di speciale?»

«Questo è in natura!»

«Sono “in natura” anche quelli che combattiamo.»

«…è nel suo habitat originario. Dobbiamo assolutamente documentare la scoperta.»

«Siete sicura, caposquadra?» armeggiò con le fibbie della bisaccia, cercando di cavare la reflex «Io credo sarebbe più prudente filarc…» non riuscì a terminare la frase. Incrociò uno sguardo porcino ed una bocca ghignante, dalle cui labbra dischiuse colavano fili di densa bava. Il titano si era svegliato e li stava fissando come si fissa un lauto banchetto dopo settimane di digiuno.

«Ca-ca-caposquadra…» balbettò Moblit, tirando insistentemente il braccio della collega «Per caso…avete messo anche il movimento tridimensionale nello zaino?»

«Emh, no. Non pensavo sarebbe servito.»

 
***

 
Erwin puntò il binocolo, osservando l’orizzonte.
«Due titani a destra e uno a sinistra.» snocciolò, mentre Nanaba recuperava l’ennesima bandierina dal terreno. Avevano già percorso una decina di chilometri, raccattando tutte le lanterne che avevano trovato sul sentiero. Non erano sicuri che andassero raccolte, ma ormai l’avevano fatto.

«Possiamo abbatterli facilmente.» fu la risposta, mentre la compagna si agganciava la manovra ai fianchi. Portarla si era rivelata una grande idea. Avevano già abbattuto tre giganti che sonnecchiavano nei pressi di un check-point.

«No, suggerisco di aggirarli. Non sono vicini al punto di interesse, quindi possiamo passargli accanto e proseguire. Risparmieremo gas e lame, così.» Erwin controllò il gps, indicando un punto sul crinale opposto «Dobbiamo dirigerci da quella parte. Allungheremo di poco il giro, ma dovrebbe esserci un ruscello e potremo fare rifornimento d’acqua.

«Perfetto.» Nanaba spiò il proprio orologio da polso «Abbiamo ancora un’ora prima che inizi a calare il sole. Direi di proseguire finché c’è luce e poi trovare un posto dove piazzare la tenda. Magari lungo qualche costone, così saremo sicuri di non incontrare giganti.»

«Ottima idea.» Erwin le passò una barretta energetica «Tieni. Dobbiamo essere sempre in forma. Ti confesso, comunque, che sono un po’ preoccupato… chissà come se la stanno cavando Levi e Mike…»

 
***
 

Levi soffiò sul fuoco, ma un alito di vento gelido lo spense nuovamente. Era impossibile fare del tè in quelle condizioni! Aveva seguito Mike lungo una strada particolarmente impervia, fidandosi stupidamente dell’istinto altrui:

«è una scorciatoia!» gli aveva assicurato il caposquadra, prima di catapultarlo lungo un sentiero così ripido che a metà salita aveva dovuto sedersi per riprendere fiato. A tre quarti, aveva iniziato a vedere tutti i santi del culto delle mura. Alla fine, si era accasciato a terra, incurante dei ragni che gli zompavano felicemente sulle gambe e sulle braccia. Aveva chiesto d’essere sepolto lì, ma Mike lo aveva rimesso immediatamente in piedi. A quanto pare, erano in ritardo e non potevano concedersi soste.
In tutto ciò, non avevano trovato nemmeno una lanterna; erano incappati soltanto in cacche di vacca, ovini al pascolo e, infine, in un gruppo di turisti tedeschi che, travisando la loro richiesta di informazioni, li aveva spediti sul ghiacciaio più vicino.

Levi si gettò il sacco a pelo sulle spalle, cercando di non tremare. Infilarsi soltanto dei pantaloncini corti ed una maglietta non era stata una grande idea. Stava rischiando di morire di ipotermia. Sentiva la neve permeare nella stoffa dei calzoncini e della t-shirt, scivolando sulla sua pelle ormai bluastra. Tirò sul col naso, ormai rosso da far paura. Lo avrebbe perso? Forse sì.

«S-sto co-nge-lando…» biascicò tra il battere dei denti, mentre qualche fiocco gli finiva tra i capelli umidi.

«Che strano!» borbottò Mike, in piedi su una roccia ed intento a scrutare l’orizzonte «Eppure, secondo la mappa, stavamo procedendo nella direzione giusta.»

«Che cazzo guardi?! Non c’è niente da vedere… solo nuvole e neve e neve e… moriremo qui.» Levi si rannicchiò, stringendo le ginocchia al petto «è tutta colpa tua! Non dovevi fermarti a chiedere indicazioni. E… e …ectiù!»

«Salute.»

«Salute un corno!» sbottò il capitano «Sto crepando assiderato… fai qualcosa!»

«Qualcosa?»

«Sta venendo su una tormenta… chiama Erwin, digli di venire a salvarci.»

«Ma… io non ho portato il telefono. Ho solo…» lo vide frugare nello zaino e cavarne un paio di walkie talkie «Questi. Li avevo presi con i punti delle merendine e…»

«Che cazzo ce ne facciamo di due radioline così?! Fai… qualcosa!» ripeté.

«Ho già piantato la tenda! Perché non fai qualcosa anche tu, invece che lamentarti sempre?»

Levi gettò uno sguardo al loro rifugio: la tenda pendeva da un lato, frustata dal vento, mentre le corde e i picchetti riuscivano sempre meno a reggere la struttura. Aveva l’aria d’essere tutto, tranne che un posto affidabile dove passare la notte. Magari avrebbero potuto costruire delle igloo? Sarebbe stato sicuramente più confortevole.

«Io… sto morendo, cazzo…» ringhiò allungando la mancina per raggiungere il proprio zaino «Ho anche e-esau-rito la scorta di bi-biscotti che avevo portato!»

«Beh, scusa, ma… solo tu potevi portare delle scatolette di tè e dei biscotti in alta montagna! Non potevi portare un kit di pronto soccorso? O dei viveri?»

«Tu cosa hai portato?!»

«La birra!» Mike gli piazzò accanto un paio di bottiglie di chiara e una scatoletta argentata «E il fumo. Pensavo bastassero…»

«Ma che…»

«Insomma, sono lo starter pack di ogni gita scolastica che si rispetti!» Mike gli rollò una canna, passandogliela «Tieni. Fuma un po’, vedrai che ti passa.»
 

***
 

Erwin si accomodò al tavolo, spiando rapidamente il menù. Trovare quel rifugio era stato un vero colpo di fortuna! Avevano trascorso la notte in tenda, riparati da un costone di roccia, lontani da foreste, titani e corsi d’acqua infestati dalle zanzare. Dormire sui ciottoli appuntiti non era stato un problema, grazie al rivoluzionario materassino gonfiabile a doppia protezione di cui erano dotati. Il sacco a pelo con termoregolazione autonoma si era rivelato un vero tocco di classe. Non avevano patito il caldo e nemmeno il freddo. Tutto sommato, era stata una esperienza piacevole; niente a che vedere con i campeggi scout a cui era abituato: ricordava ancora la volta in cui aveva dovuto condividere la tenda con Mike e Nile. Mike non la smetteva di russare e Nile di scrivere raccapriccianti poesie per Marie.

Avevano ripreso il cammino subito dopo una abbondante colazione, sfruttando i primi raggi del sole e guadagnando altre quattro lanterne, prima di incappare in una baita davvero graziosa. Si erano avvicinati, spinti dalla curiosità, ed avevano scoperto che la casetta ospitava persino un ristorante. Dopo un rapido consulto, avevano optato per pranzare lì.

La proprietaria, una allegra signora di mezza età, li raggiunse al tavolo, lasciando una caraffa di vino rosso ed un antipasto di formaggi d’alpeggio.
«Avete scelto cosa ordinare?» domandò, mentre il comandante spulciava nuovamente la lista.

«Per me… un arrosto di cervo e polenta» mormorò, guardando poi Nanaba «Per te?»

«Risotto ai funghi e frutti di bosco.»

«Grazie!» la locandiera si ritirò immediatamente.

Erwin si guardò attorno; la stanza che li ospitava era piuttosto buia. I soffitti in legno, benché caratteristici, non aiutavano l’illuminazione, così come le tende a fiorellini che accompagnavano la maggior parte delle finestre. I tavoli, anche questi in legno scuro, possedevano un tocco rustico ed artigianale ed erano accompagnati da sedie altrettanto lavorate. Lungo una parete, una ordinata serie di dipinti ed alcune mensole con suppellettili di scarso valore.

Attese che arrivassero le portate, prima di attaccare:
«Nanaba, che voto dai alla location

«Allora, il posto mi piace.» replicò la donna «Tuttavia, è un po’ buio e trovo che quei soprammobili siano orribili. Non so, forse bisognerebbe rimodernare un pochino.  Cambierei il motivo delle tende, senza dubbio; le fantasie floreali non sono più in voga, ormai. Nel complesso, però, mi sembra adatto ad un ambiente di montagna. Darei un sette.»

«Molto bene! Anche io dico sette.» Erwin pungolò il proprio arrosto, passando poi alla polenta «Il cibo è ottimo. Il cervo è ben cotto, condito con attenzione. Sento un retrogusto di erbe alpine che non mi dispiace per niente. Una piccola nota dolente sul vino, forse troppo corposo. Però, mi sento di dare un otto.»

«Il mio risotto è poco cotto, purtroppo. Peccato, perché l’abbinamento è eccezionale. Forse, avrebbero dovuto lasciarlo qualche minuto di più in padella. Trovo che una riduzione di aceto balsamico sarebbe una eccellente guarnizione. Comunque darò un sei e… Oh, guarda! Moblit e Hanji!»

Erwin si voltò immediatamente verso la finestra più vicina: i due camerati stavano correndo a rotta di collo giù per un pendio. Hanji si trascinava un cavalletto completo di macchina fotografica, mentre Moblit lanciava dei pesanti volumi all’indirizzo di un gigante, intento ad inseguirli.

«Fanno proprio una bella coppia, non trovi?» sorrise, tornando ad osservare la propria compagna di viaggio «Pensi abbiano bisogno d’aiuto?»

«Nah… sanno cavarsela e poi… non abbiamo ancora ordinato il dolce.» Nanaba richiamò l’attenzione della locandiera «Io vorrei una crostata alle fragoline di bosco.»

«Io prenderò… “selezione di biscotti con crema di latte”. Ci può portare anche il conto?»
 

***
 

Hanji e Moblit si accasciarono contro un tronco. Ce l’avevano fatta, alla fine! Erano riusciti a seminare quel gigante. La scienziata si passò una mano sulla fronte, ritraendola coperta di sudore.

«Non abbiamo dei vestiti di ricambio, vero?»

«No, caposquadra.»

«Peccato. Beh, tanto sono abituata a puzzare.» Hanji sollevò un braccio, ficcando il naso sotto l’ascella «Mh, un odore interessante e… Uh, guarda!» squittì, indicando un’altra deforme massa rosa ai margini del boschetto «Un titano nel suo habitat naturale! Forse dovremmo scattargli delle foto!»

«Non credo sia una buona idea, caposquadra…»

L’avvertimento del buon Moblit giunse troppo tardi. La scienziata puntò l’obiettivo verso la creatura e…

“Click”
 

***
 

Erwin guardò i commensali. Al suo tavolo si erano aggiunte altre persone. In particolar modo, la coppia di tedeschi in vacanza a cui Mike aveva chiesto informazioni.
«Allora, secondo voi… quanto abbiamo speso? ­» domandò solenne.

«Mah… centonovanta» disse Nanaba.

«Cientoquavantaquattvo» disse Tedesco Uno.

«Was?» replicò Tedesco Due.

«Abbiamo speso… centosettanta monete. Giusto?»

«Per me è giusto.»

«Io penzafo di più!»

«Was?»

Erwin si alzò:
«Ristoratori, vado a prendere i taccuini!»

Poco dopo quell’annuncio, nel locale scese una musichetta confortante.
Tedesco Uno fu il primo a lasciare un parere:
«Alla location ho dato cinque. Molto pella, ma in Germania abbiamo paite più pelle! Poi c’erano troppi sopvammobili.»

«Al servizio ho dato otto. La signora è stata cordiale e mi è piaciuta l’atmosfera ospitale del luogo.» snocciolò Nanaba, mentre Tedesco Due si prodigava in un:

«Was?»

«Una location carina affacciata su un bellissimo scenario alpino» disse Erwin, sorridendo ai presenti. Modulò la voce in un tono affabile «Qualche piccola pecca nel menù e nel servizio, ma il conto è stato ottimo. Infatti, gli ho dato nove!»

«Erwin…» Nanaba gli tirò una manica della Lacoste, obbligandolo a riportare l’attenzione sulla più vicina finestra «Quelli non sono Hanji e Moblit?»

«Di nuovo?» si stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco la scena «Ah, sì. Il titano, invece, pare diverso. Dici che dobbiamo dargli una mano?»

«…Nah.»
 

***
 

Levi si svegliò di soprassalto, completamente fradicio. Annaspò, cercando di riemergere dalle acque gelate del ruscello. Una robusta mano lo ripescò, abbandonandolo sul ciglio della riva.

«Che cazzo…»  Domandò, incrociando lo sguardo con quello beffardo di Mike «..stai facendo? Volevi affogarmi?» ringhiò, strizzando maglietta e pantaloni. Una rapida occhiata lo convinse di non essere più sul ghiacciaio. «Dove siamo?»

«Non lo so.»

«Come non lo sai?!»

«So dove non siamo. Non siamo più in vetta, contento?»

Quindi… si erano persi nuovamente? Beh, almeno non erano più asserragliati dalla tormenta, ma… dove erano di preciso? Non avrebbe saputo rispondere. Si era addormentato in mezzo al gelo e si era risvegliato in un fiumiciattolo di montagna, ai piedi di un bosco di latifoglie.
«Perché mi hai buttato nell’acqua?»

«Per farti riprendere i sensi…»

«Cosa?»

«Eri svenuto, così ti ho portato in spalla fin qui. Non volevo che morissi di ipotermia.» la voce di Mike era completamente atona, come se non provasse alcuna emozione. Come se, in effetti, stesse parlando del trasporto di un sacco di patate. «In realtà, ho anche pensato di abbandonarti su. Insomma, un’occasione simile non ricapita, sai? Ci ho riflettuto: se ti avessi lasciato, saresti sicuramente morto di freddo. Ti avrebbero ritrovato tra duemila anni, in compagnia di qualche scheletro di gigante congelato.»

«Grazie, eh…»

«Prego, figurati! Come dicevo, se ti avessi mollato ora sarei di nuovo io “il soldato più forte dell’umanità”; e non mi sarei più dovuto sorbire le tue idee cretine.»

«”Idee cretine”? Chi ha insistito per chiedere consiglio ai tedeschi?»

«Erano delle brave persone e poi… non ci saremmo persi se tu non avessi usato le mappe come carta igienica.»

«Veramente l’unico ad andare in bagno sei stato tu!»

«Si, ma l’idea di usarle come carta è stata tua…»

Levi aggrottò la fronte. Non ricordava affatto quel dettaglio, ma era possibile che Mike stesse cercando di scaricargli addosso ogni colpa. Oppure sì, era un’altra delle sue pensate geniali. Non riusciva a rammentare, non con la testa che ancora pulsava per il bagno gelido. Si sfregò la fronte, mentre l’emicrania aumentava. Sentiva freddo dappertutto. Le dita avevano assunto una terrificante sfumatura violacea e così anche la punta del naso.

«Mi cadrà il naso.» si lamentò, scoccando poi un’occhiata secca all’altro «Non potevi trovare un modo migliore per svegliarmi?»

«Sì, beh… avrei potuto prenderti a sberle, ma non credo ti sarebbe piaciuto.»

Squadrò le mani enormi del caposquadra. In un attimo, decise che il tuffo nel fiume non era poi un metodo tanto sbagliato. Almeno aveva ancora le orecchie al loro posto, il naso dritto e tutte le ossa intere. In fondo, non gli era andata poi così male. Cercò di rimettersi in piedi: le gambe gli dolevano, così come le braccia e la schiena. Provò a stiracchiarsi, ma senza successo.

«Ah, cazzo…» sibilò, inclinando il collo per sgranchirlo «Avrei preferito…» si interruppe scorgendo il viso di un titano chino sopra al proprio. Vicino, terribilmente vicino!
Balzò all’indietro, mentre le mani correvano ai fianchi, alla ricerca delle spade. Sì, ma… erano partiti senza manovra tridimensionale.

«Merda, merda, merda…» squittì. Era finita. Quel gigante li avrebbe sicuramente divorati. Avrebbe potuto provare a correre, se solo le sue ginocchia non fossero state tanto intorpidite. «Mike! Aiutami!» gridò, gettando un’occhiata al compagno che, nel mentre, aveva cavato due birre dallo zaino «Che stai facendo?! Prendi un bastone! Una pietra! Una cosa qualunque, ma…»

Lo vide tendere una bottiglia al gigante, sorridendo con aria sorniona:
«Toh, fatti un goccio!»

«Cosa state facendo voi due?» una voce sconosciuta si fece largo nel silenzio sbigottito del capitano. Levi spostò l’attenzione sul nuovo arrivato: un uomo alto, di circa cinquant’anni, vestito con una divisa verde bottiglia. Tra le mani ruvide era comparso un distintivo «Guardia forestale. È severamente vietato dar da mangiare ai giganti della riserva naturale.»

«Ci deve essere un errore…» Levi era sconcertato. Aveva appena rischiato di farsi divorare da uno stupido titano e ora… rischiava persino una multa? «Non lo stavamo nutrendo. Non intenzionalmente, almeno.»

«Ah, lo vedo! Stavate cercando di dargli da bere piuttosto. Temo dobbiate seguirmi in centrale.»

«No! Quel coso voleva mangiarci!»

«E avete pensato di offrirgli una birra?»

«Io non l’ho pensato! È stato lui!» puntò l’indice verso Mike che, nel mentre, aveva già stappato la bottiglia e stava bevendo avidamente.

«Sì, dicono tutti così. È evidente che siete complici. Devo portarvi in caserma.»

«Non sarà necessario! Ce ne stavamo andando e…»

«Yo, guardia!» il caposquadra Zacharias alzò una birra in direzione del Forestale «Ti va una bevuta?»

 
***
 

Erwin e Nanaba furono ovviamente i primi – e gli unici – a raggiungere il traguardo. Avevano raccolto tutte le lanterne segnaletiche.

Il comandante si accomodò al tavolino del rifugio “Alpi Belle, ma proprio belle”. Ordinò un Martini con ghiaccio e scorse gli articoli sulla prima pagina del Wall Maria Post. Una fotografia sbiadita di Levi e Mike, sotto al titolo “Fermati bracconieri”, mentre poco sotto capeggiava un secondo articoletto: “Escursionisti smarriti, la famiglie lanciano un S.O.S.”, accompagnato dai ritratti di Moblit e Hanji.

Nanaba sedette accanto a lui, un sorriso trionfante stampato in volto:
«Abbiamo vinto, alla fine.»

«Avevi dubbi?»

«Neanche uno. Gli altri?»

«Levi e Mike sono in galera; forse dovremmo pagare la cauzione quando rientreremo a Trost. Hanji e Moblit sono dispersi da qualche parte.» Erwin si concesse un sorso di aperitivo «Pensi che dovremmo andare a cercarli?»

La ragazza si sfregò il mento, pensierosa. Era il caso di organizzare una missione di soccorso?
«Mh, forse dovremmo, ma…» sussurrò, scrollando poi le spalle «… Nah.»

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Capitolo 13
*** Estrasse la spada nella roccia ***



La volta in cui Levi estrasse la spada nella roccia


* Cowt8, Week 6
* Prompt: Medieval AU, Missione 6
* parole: 3682



Levi uscì dal bordello, cercando con lo sguardo il proprio nobile destriero. Al solito, il cavallo era sparito.

«Scusate» sollevò una mano, richiamando l’attenzione di un giovane garzone «Avete visto un equino dal manto creolo e…»

«Ma mangia come parli, pezzente!» fu la sola risposta che ottenne.

Accidenti! Erano tempi bui, quelli… tanto più che nei bassifondi del feudo c’era sempre qualcuno pronto a scroccare i destrieri altrui. Doveva smetterla di andare a cercare suo zio alla casa chiusa, in effetti. Perché si ostinava, ancora non lo sapeva…

O forse sì. Kenny Ackerman era il sovrano di quelle terre. Un signore tanto potente da possedere campi, magioni, boschi e colline. Oltre, ovviamente, ad uno splendido castello che sorgeva nel centro della proprietà.
In qualità di vassallo reale, Kenny aveva accesso a qualunque privilegio: poteva cacciare sulle terre del re, poteva circuire dame e prostitute in egual misura – cosa che gli riusciva sempre splendidamente – riscuotere pesanti tasse ed uccidere contadini insolventi – altra cosa in cui eccelleva.

Al contrario, Levi non possedeva nulla di tutto ciò: in qualità di unico parente del signor Ackerman, di cui era sfortunatamente nipote, era il diretto successore e unico erede di quella fortuna. Peccato che Kenny non avesse alcuna intenzione di cedergliela: dopo essere scampato a quattro epidemie di peste, due di colera ed un vago accenno di tifo, Kenny Ackerman con i suoi sessantacinque anni era il vassallo più longevo di tutto il reame. Levi si era dovuto accontentare di fargli da scudiero.

«Come mi piacerebbe avere uno scudiero degno di questo nome!» gli aveva detto una volta suo zio «Un ragazzo alto, prestante, capace e di bell’aspetto. Non una specie di rospo deforme con la faccia sempre incazzata.»
«Potete cambiarmi quando vi pare, zio. Purché mi corrispondiate la giusta rendita per i miei servigi.» aveva replicato, ma per tutta risposta, Kenny gli aveva lanciato dietro un battipanni chiodato:
«Ecco quello che avrai, sciagurato! Ora vedi di impegnarti o ti do in pasto al mio amato coccodrillo Bucefalo. E poi… dove lo trovo un altro scudiero che lavora gratis?»
Dopo quel triste episodio, il giovane nipote non aveva più osato sollevare questioni.

Levi sbuffò, incamminandosi lungo le strette vie della periferia. Il castello distava una abbondante mezz’ora a cavallo. A piedi ci voleva almeno il triplo del tempo. Cacciò fuori il pollice, pensieroso: Kenny si sarebbe sicuramente indispettito, al vederlo tornare senza nobile destriero! Era il terzo che gli rubavano negli ultimi trenta giorni.

«Cerco un passaggio.» cantilenò, osservando i carretti che sfrecciavano lungo la strada sconnessa «Un passaggio per il castello. Date un passaggio ad uno sventurato scudiero…»

Alla fine, una carrozza si fermò giusto accanto a lui. Ne fu sorpreso: era la prima volta che il carrostop funzionava! Si sporse ad osservare la figura che, da oltre lo sportello, lo stava invitando a salire. Si trattava di un uomo di mezza età, dal volto porcino e l’addome prominente. Mal celava un sorriso infido sotto i baffetti a spazzola.

«Salite, prego. Siete diretto da Messer Kenny?» la voce era viscida e sgradevole.

«Sì.» Levi si arrampicò sul predellino, sgusciando poi dentro la carrozza. Si accomodò sul largo sedile rivestito di velluto rosso «Sono suo nipote. Voi chi siete?»

Un inchino e di nuovo quel sogghigno serpentino:
«Sono Rod Reiss, per servirvi.»

«Oh, mh… splendido. Che ci fate da queste parti?»

«Porto grandi notizie da Trost! Sensazionali!»

Si grattò incerto il mento, cercando di ricordare: dove diavolo stava Trost? Boh, ma non aveva importanza. Scrollò le spalle, osservando il paesaggio schizzare rapido oltre il finestrino abbassato. La campagna andava mescolandosi alle malmesse case dei fittavoli, cedendo poi rapidamente il posto ai boschi ed ai pascoli. Decise di non chiedere nulla ed accontentarsi di spiare il panorama: quel Rod non sembrava affatto un tipo simpatico, anzi! Possedeva una nota levantina nella voce, nei sorrisi zuccherini e in quegli occhi da topo indemoniato. Era meglio lasciarlo nel suo brodo ed attendere pazientemente l’arrivo.
 

***
 

Giunsero al castello a tarda sera e sotto una pioggia scrosciante; il cielo si era rapidamente annuvolato dopo il tramonto, riversando cateratte d’acqua. Il ponte levatoio, naturalmente, era già chiuso da un pezzo ed il coccodrillo Bucefalo si era spiaggiato sulle vicine rive del fossato.

«Chi va là?» gridò dall’alto una sentinella.

Rod si sporse:
«Sono Sir Pilade! Sir Pilade! Porto grandi notizie da Trost. Sensazionali!» ancora quella frase? Ma era un vizio? «Svelto, abbassa il ponte!»

«Perdonate…» Levi sobbalzò al sentire uno scossone «Ma non vi chiamavate Rod Reiss?»

«Esattamente! Ma “Pilade” è la parola d’ordine…»

«Ah…»

Decise di non chiedere altro.

La carrozza si fermò al centro del vasto cortile. Immediatamente, i due viaggiatori vennero fatti scendere ed introdotti nel castello. Kenny li stava attendendo nella larga e sfarzosa sala da pranzo, con i piedi appoggiati sul tavolo di legno scuro e un cosciotto di pollo nel piatto:
«Ce ne hai messo di tempo, nipote cretino! Ci sono tutti i piatti da lavare in cucina.»

Levi annuì rapidamente:
«Sì, zio. Resterò sveglio tutta notte per pulirli. Tuttavia, posso presentarvi Rod Reiss? Mi ha accompagnato fin qui e…»

Kenny Ackerman si erse in tutta la propria statura: era un uomo alto e robusto, dal fisico slanciato e muscoloso. Il viso, sebbene solcato da un intreccio di piccole rughe, era accompagnato dal fascino dell’uomo maturo, che tante dame faceva sospirare. Indossava un completo nero, con tanto di pugnale appeso alla cintura ed un elegante cappello a completare la tenuta.

«So benissimo chi è!» fu la risposta stizzita del vassallo, che invitò l’ospite ad accomodarsi con un cenno «Ebbene, Rod… vuota il sacco. Cosa ti porta qui?»

«Non posso porgere i miei omaggi ad un vecchio amico?» di nuovo quella vocetta melensa! Iniziava a trovarla estremamente irritante.

«Non dire cazzate. Se ti sei scomodato a venire fin qui, significa che hai delle novità o sbaglio?»

«Ebbene…» Rod assunse una espressione contrita ed incerta «Mio fratello, re Uri, è venuto a mancare nella notte.»

«A mancare? Non dirai sul serio?!» il volto di Kenny si trasformò in una maschera di sbigottimento e dolore. Come era possibile che Uri fosse morto? Così, poi… all’improvviso! Senza avere un erede e senza nominare un successore. Conosceva Uri da così tanto… era stato proprio lui a donargli il feudo, a strapparlo dall’ignobile professione di assassino sottopagato ed a erigerlo suo vassallo preferito! Il suo tutore, dunque, si era spento, senza nemmeno un lascito delle proprie volontà e memorie. Kenny si alzò di scatto, battendo un pugno sul tavolo «Maledetto Uri! Va bene… visto che era troppo smidollato per fare il re, vorrà dire che io prenderò il suo posto! Salutate re Ackerman!»

Era davvero un modo curioso per compiangere un caro estinto, ma nessuno si scompose: i servi si inchinarono e qualcuno batté le mani, gridando “Lunga vita al re Kenny”.

Soltanto Rod osò parlare:
«Mi dispiace, Kenny… ma sei troppo vecchio. Il “regio decreto regiale” redatto proprio da Uri, dice che soltanto uomini e donne al di sotto del quarantacinquesimo anno d’età possono concorrere al trono; questo, naturalmente, esclude sia te che me.»

«Ah cazzo… eppure li porto bene!» Kenny tornò a sedersi, storcendo le labbra in una smorfia «E ora?»

«Beh, come ultima volontà, Uri ha decretato che si tenga un torneo il giorno di Capodanno. Chi vincerà, sarà proclamato re d’Isla Paradise! In alternativa, anche chi estrarrà la spada dalla roccia, ma… dai, sono anni che sta lì quell’affare e nessuno è mai riuscito a smuoverla di un solo millimetro.»

«Che stronzata, pff… vada per il torneo di capodanno! Che devo fare per prendervi parte?»

«Scegliere un giovane campione, qualcuno che rappresenti degnamente il feudo e che possa vincere!»

«Ho esattamente la persona che fa al caso mio, allora!» Kenny fissò il nipote con aria spavalda, prima di pronunciare «Levi!»

Questi ebbe un mancamento. Non era possibile! Lo zio stava finalmente riconoscendo il suo valore. Dopo anni passati a spazzare per terra, a lavare i piatti e pulire le stalle… sarebbe diventato un cavaliere. Avrebbe avuto il privilegio di rappresentare la famiglia Ackerman al torneo e… se avesse vinto, sarebbe perfino diventato re! Chinò leggermente il capo, in un pallido accenno di reverenza:
«Zio, non so dirvi quanto io sia onorato di…»

«Vai a chiamare Mike! Sarà lui il nostro campione.»
 

***
 

Levi obbedì ciecamente, sforzandosi di nascondere la delusione. Maledetto zio! Che doveva fare per essere accettato? Per essere eletto a “nipote prediletto”, visto che era anche l’unico?

Kenny aveva preferito affidarsi nelle mani di un contadinotto, piuttosto che sceglierlo.

Perché? Che aveva da invidiare a quel Mike Zacharias?

A parte la ragguardevole altezza, le spalle larghe, la pelle abbronzata e i muscoli possenti che facevano bella mostra sotto gli abiti attillati? Proprio niente. Per di più, Mike era uno zotico della peggiore specie: puzzava di stalla e stava ben attento a non lavarsi; mangiava con le mani e non si regolava mai quell’orribile barbetta da capra. Aveva le mani callose ed i piedi perennemente sporchi di terra, visto che soleva girare scalzo. Non sapeva leggere e nemmeno scrivere. Come avrebbe fatto un villico di tale portata divenire re di Isla Paradise?

Proprio non riusciva ad immaginarselo! A meno che, naturalmente, Kenny non desiderasse manovrarlo come un fantoccio per poter ottenere il controllo sull’intero reame, ma… un piano tanto subdolo e perfido era troppo, anche per uno come sir Ackerman, no?

L’unica cosa che Levi era riuscito ad ottenere era diventare scudiero del nuovo cavaliere. Non che fosse un compito di responsabilità, ma almeno non era più costretto a pulire le cacche di Bucefalo dalla riva del fossato.

«Molto bene.» disse, conducendo uno splendido cavallo baio al centro del cortile «Vediamo come cavalchi. Sai montare, vero?»

«Oh, monto un sacco di cose!» rispose Mike, appiccicando una caccola sulla sella dello sventurato equino «A casa, ho costruito quasi tutti i mobili da solo; e ho anche montato qualcosa d’altro, non so se mi spiego…» seguì un occhiolino malizioso che Levi non riuscì ad interpretare.

«No, non ti spieghi.»

«Hai mai visto la figlia del locandiere? È un gran pezzo di gnocca… ti consiglio di farci un giro e…»

«Sì, beh… no, grazie.» era impossibile avere a che fare con uno così! Ma da dove l’avevano pescato?! «Ora sali. Vediamo come te la cavi…»

Scorse Mike afferrare il pomello della sella ed issarsi sul destriero; scavalcare con la gamba il lungo collo dell’animale e poi poggiare la schiena contro la criniera. Le mani si sistemarono lungo i fianchi dell’animale, che venne scambiato erroneamente per un tappeto.
«Va bene se mi sdraio così?»

Levi scosse il capo; prevedibilmente, il novellino era salito al contrario. Come pretendeva di vincere la giostra, se nemmeno sapeva cavalcare? Era un’impresa disperata.

«Al contrario, imbecille.»

«Oh, bada a te! Imbecille lo dici a tua sorella…»

«La vuoi piantare di scaccolarti e ti vuoi concentrare?»

Scorse l’indice dell’altro infilarsi nuovamente su per la narice destra:
«Io sono concentrato…»

Certo… ci sarebbe voluto un miracolo!
Kenny avrebbe dovuto desistere e considerare l’idea di ritirarsi dal torneo. Avrebbe potuto proporglielo…
 

***
 

Levi bussò alla porta della biblioteca, scivolando poco dopo oltre la soglia. Marciò verso una larga scrivania, dove Kenny sedeva con i soliti piedi appoggiati al pianale di legno lavorato.

«Spero per te che sia importante.» lo accolse il vassallo, mentre lui produceva un frettoloso inchino.

«Zio, quel Mike è un idiota! Non sa fare niente. Non sa cavalcare, non sa duellare, non sa nemmeno impugnare una lancia!»

«è per questo che ti pago, razza di gallina avariata! Per insegnargli ad essere un gentiluomo…»

«Veramente, non mi pagate affatto…»

«Vuoi una retribuzione in randellate, nipote cretino?»

Ci pensò su un istante. Forse, parlare con Kenny non era stata un’idea così geniale. Ormai, però, era in ballo; decise di ritentare.
«Zio, vi esorto a riconsiderare la vostra idea! Lasciate che gareggi io. Sono sicuro che non vi deluderò…»

«Tu?» Kenny produsse una grassa risata «E di grazia, con cosa? Con un mini-pony e l’asta dell’ombrellone come lancia? Per piacere… è già abbastanza umiliante averti tra la discendenza. A proposito… ho fatto cancellare la tua faccia dall’arazzo della famiglia Ackerman. Spero non ti dispiaccia troppo…»

«In realtà, me ne rammarico alquanto.»

«E chissenefrega, Levi. Ora torna al tuo dovere. Se Mike non sarà pronto per capodanno, ti userò come spaventapasseri. Prova ad immaginare dove ti infilerò il bastone…»

Quelle parole bastarono a convincerlo. Mike pronto per capodanno? Un’impresa disperata, ma non impossibile. Mancavano ancora due settimane e… adesso, aveva una motivazione in più.
 

***
 

Il tempo volò e Capodanno giunse prima del previsto.

Levi aveva fatto il possibile per addestrare Mike, ma senza grandi risultati. Si era, quindi, ritirato in preghiera, sperando che il Dio delle Mura lo graziasse e scatenasse sulla capitale una tempesta tanto forte da far sospendere le gare. Naturalmente, il Dio delle Mura aveva altro a cui pensare ed era un fan di Kenny Ackerman: per nulla al mondo, si sarebbe perso il torneo.

Levi si diresse alla tenda dei campioni, con le braccia cariche dell’armatura dorata per Mike. Era, ovviamente, una vecchia corazza tirata fuori dal solaio e abilmente ridipinta, ma era l’unica che potesse calzare sul corpo muscoloso del gigante; inoltre, era a costo zero.

«Permesso… scusate…» disse, entrando.

Si vide immediatamente sbattere alla porta da un solerte attendente:
«Questa tenda è per campioni. E ammmmici….»

«Sì, d’accordo. Sono lo scudiero di Zacharias, il campione del signor Ackerman.»

«Allora puoi passare… due fiorini.»

Eh? Doveva pure pagare? Si cavò di tasca un paio di monete, lasciandole scivolare nel palmo dello strozzino. In un attimo, si ritrovò dentro, circondato dai partecipanti al torneo. Erano tutti ben piazzati, muscolosi e esperti. Avrebbero fatto a pezzi Mike in un batter d’occhio.

«Tieni…» disse infine, scaricando l’armatura ai piedi del contadino «Sai come si monta?»

«Chi? La figlia del locandiere?»

«Lascia perdere…» controllò di aver preso tutto: spallacci, corazza, cosciali, gambiere… ah, merda! Dove era finito l’elmo? Dimenticato, senza dubbio! «Torno subito.» sussurrò, sgusciando rapidamente via.

 
***
 

«Questa tenda è per campioni. E ammmmici…»

«Lo so, ho capito!» sussurrò, facendo per superare la sentinella, che prontamente lo agguantò per una manica.

«Due fiorini.»

«Ancora? Ma ho già pagato!»

«Due fiorini.»

«Ma vaff… » lasciò scivolare altre due monete nella mano dell’usuraio, spicciandosi a raggiungere Mike. «Ecco il tuo elmo.» disse, osservando la vestizione altrui.

Zacharias aveva sbagliato tutto! Aveva messo lo spallaccio sull’inguine, il cosciale sull’avambraccio e una delle scarpe gli era finita in testa. Era un caso disperato, senza dubbio. Non avrebbero mai vinto… Levi iniziò a sentire una sgradevole sensazione al fondoschiena; la stessa che devono provare tutti gli spaventapasseri almeno una volta nella vita.

«Ma… la spada?» la voce di Mike lo riportò alla realtà.

La spada! Accidenti, l’aveva scordata!

«Amh… vado… vado subito a prenderla.» balbettò, indicando poi gli altri campioni al contadino «Tu… chiedi intanto a questa brava gente se qualcuno ha un’arma da prestarti. Io vado e torno, eh… faccio in un attimo.» mormorò, schizzando immediatamente via.
 

***
 

Era spacciato! Kenny lo avrebbe squartato vivo. Avrebbe gettato i suoi resti a Bucefalo e della pelle ne avrebbe fatto un grazioso scendiletto. Doveva assolutamente trovare una spada! O partire per una crociata in Terra Santa. Entrambe le opzioni erano ugualmente valide.

Ah, perché tutti gli arrotini ed i fabbri erano chiusi? Non lavoravano a Capodanno? Nemmeno il negozio dell’Estremo Oriente era aperto in quell’infausto giorno! Gli serviva una spada e subito.

«Fatemi la carità, buon signore.»

Che altro c’era, adesso?! Si girò di scatto, notando una ragazzina al bordo della strada. Indossava soltanto una veste bianca e uno scialle di lana, mentre i piedini nudi si rifugiavano inutilmente nella neve. I capelli biondi erano legati in una morbida coda e i grandi occhi azzurri supplicavano pietà.

Coff, coff.

Tossiva pure quella sciagurata! Come minimo gli avrebbe attaccato la tisi.

«No, guarda… non ho moneta, mi dispiace.»

L’orfanella non cedette. Si alzò, prendendo a sgambettargli dietro:
«Datemi da mangiare, buon signore. Comprate i miei fiammiferi. Due fiorini, due fiammiferi.»

«Ma porco d’un cane! A parte che mi sembra un prezzo un po’ eccessivo.» Levi si mise a correre, nella speranza di riuscire a seminarla; l’altra accelerò l’andatura.

Maledetta orfanella usuraia! A lui serviva una spada, altro che cerini! Quelli li avrebbe usati Kenny per bruciarlo vivo, se non avesse rimediato al pasticcio.

«Coff… datemi un soldino, buon signore. Sono povera. Morirò, se non mi aiutate.»

«Morirò anche io, dannazione, se non trovo immediatamente una spada.»

«Oh, io so dove c’è una spada.»

Levi si fermò all’improvviso. Davvero? Intravide un barlume di speranza. Forse non era ancora spacciato:
«Dove? Conducimi dal fabbro, presto…»

«Mi comprerete i fiammiferi, poi?»

«Comprerò tutto ciò che vorrai, ma… sbrighiamoci!»

L’orfanella corse via, infilando un paio di svolte e facendogli cenno di continuare a seguirla. Obbedì, correndo a perdifiato, ignorando la neve che gli bagnava gli stivali e i pantaloni. Una spada, presto…

Un attimo dopo, si ritrovò nella piazza principale. Al centro, infissa in una incudine, Excalibur giaceva dimenticata.

«La spada nella roccia.» sussurrò, avvicinandosi al pomello dorato.

«Si dice che chi estrarrà questa spada diventerà re di Isla Paradise. In molti ci hanno provato, ma invano.»

«Non ci riuscirò mai…» mormorò Levi, scuotendo il capo. Ecco che si otteneva a fidarsi di un’orfanella rincitrullita. Cosa pensava, quella stupida, di prenderlo in giro? La spada non si sarebbe smossa per lui! Nemmeno i più valorosi cavalieri erano riusciti a recuperarla.

«La spada si donerà nelle mani di coloro che hanno il cuore puro.» di nuovo quella fastidiosa vocina infantile.

«Se così fosse, tu dovresti riuscire…» replicò, ottenendo uno scuotere del capo.

«Non siate assurdo, messere. Sono soltanto una povera venditrice di fiammiferi. Non avrei la forza di sollevare l’elsa. Però… voi potete provare. Che avete da perdere?»

Proprio nulla. Il torneo sarebbe iniziato a breve e non aveva tempo di cercare un’altra arma. Levi annuì piano, avvicinandosi all’incudine. Lasciò scivolare le dita sul pomello lavorato, sussultando al sentire una sensazione di tepore correre lungo la sua mano.

«Avanti…» si sussurrò, stringendo l’impugnatura e ritraendo di scatto il gomito. La lama sgusciò fluida dalla roccia, con un sibilo delicato. La punta cadde nella neve, mentre l’elsa risplendeva di luce propria.

Levi sgranò gli occhi:
«Ce l’ho fatta.» sussurrò, lasciando cadere l’arma e fissando i propri palmi, ancora coperti di polvere dorata «Ce l’ho fatta. Ho… estratto la spada dalla roccia. Sono… il nuovo re.» mormorò, mentre il cuore gli balzava nel petto.

Chissà come avrebbe reagito Kenny alla notizia! Ora non doveva più temerlo, anzi… al contrario, suo zio avrebbe fatto bene a portargli rispetto! Gli avrebbe tolto il feudo, oh sì… lo avrebbe rispedito nei bassifondi, costringendolo a chiedere l’elemosina per vivere. Quanto a Mike, lo avrebbe mandato in esilio, in qualche terra lontana. Lui e il suo cervello da gallina.

C’erano così tante cose da fare, da cambiare! Avrebbe bonificato le periferie, chiuso i bordelli e restituito dignità ai poveri. Ottanta fiorini al mese per le famiglie in difficoltà e legge del Jobs Act sull’assunzione di apprendisti a tempo indeterminato presso le botteghe. Ridistribuzione delle proprietà nobiliari e clericali ai poveri. Scomunica degli oppositori e…

Batté le palpebre, tornando bruscamente alla realtà. Non si stava dimenticando qualcuno? In fondo, era merito dell’orfanella. Si voltò, cercando la piccola. Dove era finita? La ragazzina era sparita e con lei anche la spada.
Merda…
 

***
 

L’aveva cercata in tutti i vicoli, chiamandola a gran voce. Nessuno aveva risposto. Non v’era traccia di lei, né di Excalibur. Che ne aveva fatto? Senza dubbio, quella stupida l’aveva rivenduta a qualche rigattiere, barattandola per un tozzo di pane e…

Allungò il passo, al sentire schiamazzi provenire dalla piazza del torneo. Una folla si era radunata attorno ad un carretto, dove una giovane dai lunghi capelli biondi tendeva verso l’alto una spada.

«Io sono Historia e sono la nuova regina delle mura!»

Cori entusiasti, battiti di mani, grida di giubilo.

Maledetta stronza! Non solo gli aveva sottratto Excalibur, ma l’aveva anche derubato del suo titolo. Altro che giovane ed innocente orfanella. Era una serpe, altro che.

Levi tentò di farsi strada tra la gente, calciando e sgomitando:
«è mia quella spada! Spostatevi! È mia, l’ho estratta io…»

Nessuno, ovviamente, gli prestò ascolto.

«è mia!» riepté, allungando inutilmente le mani «è…»

«Leeeeviiiii…dove sei, nipotino adorato? Vieni fuori…»

La voce dello zio era troppo melodiosa per essere reale. Quel tono lasciava presagire soltanto un mucchio di guai. Lo aveva già scorto? No. Kenny si stava ancora guardando attorno, nel tentativo di stanarlo.

Ingranò la retromarcia, procedendo a ritroso come un gambero. Sgattaiolò via, infilandosi nei vicoli prossimi alla piazza. Doveva andarsene alla svelta. Dove? Come? Non aveva importanza! Continuò a retrocedere, sforzandosi di non perdere di vista l’allampanata figura dello zio e della mazza chiodata che si trascinava appresso. Un passo indietro, un altro ancora…

Le sue spalle impattarono contro qualcosa di morbido e peloso. Si voltò, ritrovandosi a fissare il didietro di uno splendido destriero bianco.
«Salute a voi…» lo salutò il cavaliere, dall’alto della sella lavorata.

«Amh… salve.» replicò, spiando gli stendardi e lo stemma ricamato sul mantello «Siete della Legione Esplorativa?»

«Oh, beh… sì. Sono il comandante Smith.» il cavaliere piegò le labbra in un sorriso grazioso, che ben si sposava con l’aspetto composto ed ordinato «Stiamo per partire, sapete come è… le crociate non possono attendere.»

«Leeeeviiii….»

Merda! Kenny stava per arrivare. Colse l’occasione al volo:
«Mi arruolo!» esclamò, balzando rapido sul carretto dei rifornimenti.

«Ne siete certo? Badate che sono missioni pericolose….»

«Leeeeeviiiiiii….»

«…lungi da me dal distogliervi da un nobile intento come combattere il nemico oltre le mura, ma senza una adeguata preparazione…»

«Leeeviiiii…»

«…potrebbe essere troppo difficoltoso per voi. Devo essere certo che intendiate davvero procedere e che questa vostra decisione non sia dettata esclusivamente da un moto patriottico istintivo.»

Il comandante Smith parlava decisamente troppo ed il suo tempo era agli sgoccioli: sentiva già lo stridere della mazza chiodata contro i ciottoli del selciato.

Levi si impossessò delle redini, frustando rapidamente il cavallo, che partì al galoppo. Più leghe metteva tra sé e Kenny Ackerman e meglio era.

La prospettiva di farsi mangiare dai giganti non gli era mai parsa tanto allettante.

 
 

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Capitolo 14
*** Vinse una mano fortunata a poker ***



La volta in cui Levi vinse una mano fortunata a poker


Levi scrutò le proprie carte, sforzandosi di mantenere il viso completamente immobile. Faccia da Poker, aveva detto Mike: espressione imperturbabile per tutta la partita; una passeggiata per uno che, come lui, aveva l’espressività di un calzascarpe.
Osservò gli astanti: gli avversari – Erd e Auruo - si stavano lanciando occhiate scettiche, mentre il suo socio – il caposquadra Zacharias – si lisciava nervosamente i baffetti.

«Hai scommesso tutto quello che avevamo, Levi.» Mike si era sporto in sua direzione, rifilandogli quel sussurro scocciato.

Il capitano si tolse il mozzicone di sigaretta – ovviamente spento, visto che non fumava – dalle labbra, schiacciandolo sul pianale del tavolo:
«Quando non hai niente, non hai niente da perdere.»

«Ma che cazzo stai dicendo?»

«L’ho letto una volta nella carta di un cioccolatino. Bella vero?»

«Che frase della minchia… vediamo di concludere in fretta!»

Levi annuì, osservando la posta in gioco. Effettivamente, avevano davvero scommesso tutto: il loro salario, la sua scatola con il prezioso tè nero, l’orologio da taschino ereditato dalla famiglia Zacharias e il ritratto di sua madre, unico ricordo della sventurata donna che lo aveva messo al mondo. Per contro, Erd e Auruo avevano puntato una coppia di biglietti. La rassicurante scritta “Titanic – crociera inaugurale: Isla Paradise – Marley” capeggiava in cima ai fogli di carta, accompagnata dal profilo di una sontuosa ed imponente nave.

«Bene!» invitò gli altri a mostrare le carte con un cenno della destra «La vita di qualcuno sta per cambiare. Vediamo cosa avete. Mike?»

«Niente.»

«Erd?»

«Niente.»

«Auruo?»

«Doppia coppia.» uno spruzzo di sangue invase il tavolo, quando il soldato si morse accidentalmente la lingua.

«Mh, doppia coppia…» Levi mimò un sorriso dispiaciuto «Scusa tanto, Nasone…»

«Scusa tanto?!» il ringhio del caposquadra gli piovve immediatamente in testa, accompagnato dalla minaccia di un cazzotto dritto sul naso «Ma vaffanculo, nano di merda! Hai scommesso tutto quello che avevamo…»

«Scusa tanto! Non rivedrai tua madre per un bel pezzo…»

«Guarda non la vedo già da anni…»

«… perché noi ce ne andiamo a Marley!» lanciò le carte sul tavolo, scattando immediatamente in piedi «Full!»

Colse un rumore alla propria destra. Mike era balzato in piedi, allungando le grosse mani per arraffare immediatamente il bottino:
«Grande Levi! Finalmente ne hai fatta una giusta!»

«Sì! Visto? Non hai mai fiducia in me…» Levi sorrise, ma il suo entusiasmo venne presto smorzato dalle grida di giubilo del compagno:

«Sì! Abbiamo vinto! Sei proprio un figlio di puttana!»

«Sì, lo so…»

«Figli di puttana!»

«Ho capito, Mike…»

«Puttana la tua mamma Levi, abbiamo vinto!»

«Basta! La smetti di ripeterlo?!»

«Sentito, gente? Vado a Marley!»

Il barista, un uomo tarchiato, con pochi capelli ed un’espressione ingenua e coccolosa dipinta sul volto, scosse piano il capo, mentre con vocetta stridula sottolineava:
«No amico. Il Titanic va a Marley… tra cinque minuti!»

Oh, diamine! Stavano per sprecare l’occasione della loro vita. A cosa serviva vincere due biglietti per una crociera da sogno, se poi perdevano la nave? Mike buttò la vincita nella propria bisaccia, mentre Levi recuperava i biglietti. Con uno scatto fulmineo attraversarono le porte del bar, correndo lesti in direzione del molo più vicino.
 
***

«Fermi! Aspettateci!» Levi agitò le braccia in direzione dell’ufficiale che stava già per chiudere il portello d’accesso alla nave «Siamo passeggeri! Siamo pass..» le parole gli morirono sulle labbra, mentre il fiatone per la corsa si faceva sentire.

«Avete fatto il controllo sanitario?» gli chiese il marinaio.

«Sì, cioè… Non ho i pidocchi. Sono la persona più pulita su questa cazzo di isola.» accennò a Mike col capo «Quanto a lui… gli ho messo l’antipulci l’altro ieri. È a posto.»

«Molto bene, salite pure!»
 
***
 
Naturalmente, i biglietti a loro riservati non comprendevano certo gli alloggi migliori; Erd e Auruo erano i titolari, purtroppo, di una sistemazione di Terza Classe.

Levi spalancò la porta della cabina premendo sulla maniglia con un fazzoletto di carta; gli fu impossibile nascondere un’espressione di disgusto al vedere le condizioni della stessa: due letti a castello erano stipati nello spazio di uno sgabuzzino ed uno era già occupato da una coppia di profughi delle mura intenti a consumare un lauto pasto a base di peperonata e cotolette impanate.

«Salve…» snocciolò solo, senza fissarli; lo sguardo grigio, infatti, si era immediatamente incollato ai materassi ed alle lenzuola di uno strano colore giallastro; le federe mostravano aloni poco rassicuranti, mentre sulla coperta di lana – piegata ai piedi di ciascun letto – erano facilmente individuabili escrementi di topo.

«Io qui non ci dormo!» sentenziò, cercando di infilare immediatamente la porta. Mike, tuttavia, lo agguantò prontamente per un braccio:

«Ma che dici? Sarà stupendo! Non lo senti questo profumo, Levi?»

Scosse il capo, arricciando prontamente la punta del naso:
«Questo puzzo di peperoni e formaggio?»

«Ma no! Questo è l’odore dell’avventura!»

«A me sembrano piuttosto calzini ammuffiti, ma…»

«Smettila di lagnarti! Su, se fai il bravo ti faccio dormire di sopra!»

Una sfumatura speranzosa si accese immediatamente sul volto affilato:
«Davvero?!»

Ma Mike si stava già appropriando del materasso superiore:
«No, ovviamente! Che poi se cadi ti fai male. Questi letti non sono adatti per i bambini… dormi sotto, da bravo…»

«Ma… volevo stare sopra!»

«Pff… ma quando mai? Su, lo sappiamo tutti che sei abituato a stare sotto e che ti piace pure.»

Levi si sentì avvampare:
«Che cazzo stai dicendo?»

Non ottenne risposta. L’altro si era avviato oltre l’uscio della cabina, sbattendo la porta oltre le proprie spalle.
 
***
 
Rimanere solo  - o quasi, contando la presenza dei profughi -  aveva dei  vantaggi. Levi aprì immediatamente la sua misera bisaccia, cavandone una coppia di fazzoletti bianchi; ne fissò uno attorno alla fronte ed uno su naso e bocca, per proteggersi dalla polvere. Infilò un paio di guanti di gomma, lunghi fino al gomito e, infine, un grembiule bianco con la rassicurante scritta “Kiss your Heichou” vergata a pennarello.

Recuperò lo spray Napisan e una spugna. Indossò dei calzari di plastica sopra le scarpe. Posizionò, infine, una piccola videocamera sul comodino, premendo il tasto REC:

«Video per l’audizione di “Malati di Pulito”. Partecipante: Levi Ackerman.» snocciolò, mentre la cinepresa emetteva un rassicurante ronzio. Oh, quelli del cast non avrebbero potuto ignorarlo! Senza ombra di dubbio, si sarebbe guadagnato un posto nella prossima stagione.
 
***

Mike scattò in avanti, tendendo le braccia:
«Non lo faccia!» esclamò, cercando di afferrare la donna per la vita e tirarla nuovamente a bordo. Stava passeggiando lungo il ponte di poppa, quando l’aveva scorta: una giovane appesa alla ringhiera della nave, sporta nel vuoto, intenta a fissare l’acqua. Aveva agito senza pensarci, correndo per poterla salvare. Invece…

«Prego? Si faccia gli affari suoi!» ringhiò la giovane, allontanandolo prontamente con un calcio ben assestato «Maniaco!»

Mike la fissò perplesso: ma come… non voleva essere salvata? Voleva davvero suicidarsi, abbandonando la propria vita alle fredde acque dell’oceano?

«Come?...» biascicò, vedendola intenta a piegare il busto e ridistenderlo ritmicamente, con solo le ginocchia serrate sulla balaustra. Stava… facendo dei piegamenti? Degli addominali, aggrappata alla balconata «Non… si vuole buttare?»

«Pff… per chi mi hai preso?» la biondina tornò a contrarre i muscoli dell’addome, sollevandosi lentamente. Portava i capelli corti e gli occhi, di una sfumatura verdognola «Sto completando il mio workout quotidiano.»

«Ah…»

«Però… sei stato carino a pensare che volessi gettarmi in mare…» la vide ridiscendere nuovamente e, poco dopo, rialzarsi. Le dita robuste agguantarono le sbarre di ferro e, un attimo dopo, la donna scavalcò il bordo della balaustra, tornando con entrambi i piedi sul ponte «Molto cavalleresca come cosa. Come ti chiami?»

«Mh… Mike Zacharias.»

«Sono Nanaba de Witt Bukater»

«Eh?»

«Nanaba sarà sufficiente.»

«Ah, meno male… perché del cognome non si capiva un cazzo.»

Nanaba schioccò le labbra in una risatina sottile. Quel ragazzone, in fondo, era divertente; e, senza dubbio, possedeva uno charme da contadinotto irruento difficilmente eguagliabile. Certo, non doveva essere ricco né particolarmente pulito, a giudicare dai rammendi sui suoi pantaloni e dalle pezze di sudore sotto le ascelle, ma… a lei piaceva il fascino rozzo dell’uomo di campagna. Decise, senza indugio, che una lussuosa cena con l’alta società sarebbe stata l’ideale per ringraziarlo della propria galanteria! Mike si sarebbe sentito a suo agio, affatto in imbarazzo tra tutti quei signorotti pronti a squadrarlo come fosse un ratto di fogna portatore di peste.

«Senti, baldo giovane… non è che ti andrebbe di venire a cena, questa sera? Mi piacerebbe ringraziarti a dovere per la tua preoccupazione e gentilezza. Naturalmente, sarà una cosa del tutto informale tra aristocratici e ufficiali. Niente di troppo complicato, come vedi.»

«Uh, mi piacerebbe! Che c’è sul menù?»

«Raffinatezze nobiliari, senza dubbio. Non mancheranno l’aragosta, il piccione arrosto, le lenticchie, il risotto ai funghi e…»

«Mi avevi già convinto alla parola “cena”! Sarò dei vostri…» Mike sorrise apertamente, prima di rammentare un inquietante dettaglio. Come l’avrebbe presa Levi?

Normalmente, intendiamoci, non gli sarebbe affatto importato di lui… ma l’idea di dover passare la notte a sentirlo lamentarsi e frignare, ovviamente, era abbastanza seccante. Levi si sarebbe lagnato fino allo sfinimento, per il mancato invito. Nella mente del caposquadra si affacciarono prontamente due ipotesi: portare Levi a cena; oppure ficcargli un calzino in bocca e chiuderlo dentro ad un baule. Malgrado la seconda opzione fosse, ovviamente, la sua preferita, Mike decise infine per la prima: non avrebbe mai potuto fare un torto simile ad uno dei suoi calzini.
 
***
 
Levi si aggiustò nuovamente il cravattino, lisciandosi poi le pieghe lungo le maniche. Aveva infilato l’unico completo che possedeva – fatto di una semplice giacca, pantaloni neri e camicia – e si era pettinato i capelli all’indietro, coprendoli di quintalate di gel per mantenerli in piega.

«Dovevi proprio vestirti così?» sibilò verso il compagno, che aveva optato per un outfit molto, molto, ma molto più sobrio : camicia scozzese sbottonata sul petto, salopette da villico e un paio di anonime infradito.

«Nanaba ha detto che era una cosa informale.»

«Con l’aristocrazia, gli ufficiali ed il comandante della nave? Oh, sì! Informalissima...» sbuffò, sarcastico, mentre un usciere li accompagnava ad un largo tavolo rotondo. Mike prese immediatamente posto accanto a Nanaba, chinandosi per mimare un galante baciamano:

«Miss Nanaba… posso presentarle il mio amico, Levi Ackerman?»

«Da quando in qua siamo amici?» 

La vocetta fastidiosa di Levi lo persuase d’aver preso la decisione sbagliata; avrebbe dovuto scegliere la “soluzione baule”. Ormai, comunque, era tardi per fare retromarcia: allungò una gomitata veloce, piantandola dritta nel torace dell’altro.

Levi boccheggiò, quando il braccio robusto gli incrinò due costole.
Ingoiò una sequela di insulti coloriti, limitandosi a guardarsi attorno. I posti al tavolo erano praticamente tutti occupati; ne rimaneva soltanto uno, accanto ad un giovane ed affascinante uomo.

Sgattaiolò in quella direzione, lanciandosi velocemente sulla sedia. Il commensale alla propria destra gli rivolse un sorriso affabile:
«Benvenuto signor Ackerman.»

La voce dello sconosciuto era calda, rassicurante ed affascinante. Levi non riuscì a celare un sorriso ebete.

«Grazie, signor…. Non ho afferrato il nome.»

«Sono il comandante Smith.»

Oh! Certo, logico. Come aveva fatto a non notare le mostrine appuntate sulla elegante giacca di panno scuro? Mh, forse perché  era troppo impegnato a perdersi nei profondi occhi azzurri o a studiare le linee perfette del volto severo.

«Aw…»

«Prego?»

Si riscosse immediatamente, mimando un colpetto di tosse:
«No, dicevo… piacere di conoscerla comandante! E così… amh…lei comanda la nave, eh?»

«A quanto pare…»

«Sì, emh…» fissò qualche attimo la tovaglia apparecchiata: tra i bicchieri di cristallo ed i piatti di finissima porcellana, spiccavano le posate d’argento. Ben dodici per commensale! Mh, nessuno avrebbe fatto caso alla sparizione di uno o due cucchiaini, vero? In preda ad un raptus di cleptomania, si infilò immediatamente una coppia di forchette nella tasca interna della giacca «è il tuo primo comando?» chiese infine, stiracchiando un sorrisetto sulle labbra.

«In realtà, no.» Se Erwin aveva fatto caso alla sparizione improvvisa delle stoviglie, non lo diede a vedere «è il tredicesimo incarico; ero tra i tredici candidati al posto di capitano e sono stato scelto. Non è curioso? Pensa che è addirittura il tredici, oggi. E siamo seduti a tavola in tredici. E ho ben tredici ufficiali …»

«Sei anche nato il tredici, per caso?»

«No, ma per pochi minuti. Era appena scattata la mezzanotte del quattordici di ottobre, quando…»

«Sì, emh… ho capito. Insomma, beh… tanti bei tredici! Che culo, eh?»

«Lei è superstizioso, signor Ackerman?»

«Io?» Levi scosse rapidamente il capo «Oh, no. No no, affatto! Io…» non riuscì a completare la frase: Mike si era alzato in piedi e la possente voce aveva cancellato completamente il resto del chiacchiericcio:

«Ehi bella! Vuoi venire ad una vera festa?!»
 
***
 
La “vera festa” altro non era che l’annuale Sagra dell’Asparago, trasferitasi temporaneamente a bordo del Titanic. Nulla di imperdibile, ma comunque un’occasione per conoscersi meglio.

Naturalmente, dopo aver ballato, bevuto e mangiato asparagi fino alla nausea, a Mike venne un altro tipo di desiderio. Secondo indiscrezioni, la stiva era il posto migliore per consumare una notte d’amore: l’addetto ai bagagli spergiurava vi fosse una macchina di lusso utile allo scopo. “Scopo” in tutti i sensi.

Il caposquadra, naturalmente, era ben deciso a non lasciarsi sfuggire l’occasione: quando mai gli sarebbe ricapitato di poter cogliere un fiore tanto delicato e prezioso come l’aristocratica Nanaba?

Quanto a lei, beh… il sentimento era reciproco. Quando mai le sarebbe ricapitata l’occasione di amoreggiare con uno zotico omaccione dai pettorali ruspanti?
I due, di comune accordo, si diressero immediatamente alla stiva.

Peccato che, come Mike aprì lo sportello dell’unica auto, ma scorse subito un viso arcigno e familiare fare capolino dal sedile posteriore:
«Occupato!»

«Levi? Che ci fai qui?»

«Non sono cazzi tuoi! E…Trovati un’altra macchina, tu…»

Mike si ritrovò poco dopo a fissare nuovamente la portiera chiusa. Scosse il capo, limitandosi a sbuffare:
«L’avevo detto che ti piace stare sotto…»
 
***
 
Mike e Nanaba frugarono in ogni angolo della nave, alla ricerca di un posto appartato; naturalmente, non ne trovarono! Tutti gli angolini erano già occupati da coppiette improvvisate desiderose di limonare e scambiarsi effusioni. Sconsolati, salirono nuovamente sul ponte e si diressero a prua.

La punta della nave fendeva ormai il buio della sera, interrotto soltanto dalla luce delle stelle e di uno spicchio di luna. Il rassicurante rumore dell’acqua contro lo scafo contornava quella pace.

Mike si avvicinò alla ringhiera, porgendo una mano a Nanaba:
«Vieni. Chiudi gli occhi.»

La donna eseguì in silenzio, con un sorriso fiducioso. Il caposquadra le circondò i fianchi, aiutandola ad issarsi sulla balaustra in ferro, lasciando poi scivolare le mani nelle sue.

«Ora, aprili…»

La voce di lui era calda, sensuale e melodiosa; Nanaba dischiuse le palpebre, ritrovandosi a fissare le onde scure perdersi nell’oscurità della volta celeste. Un nodo le serrò lo stomaco: era magnifico! Sembrava quasi di …

«Mike… sto volando»

«No! Ti sto tenendo, tranquilla. Non ti faccio volare da nessuna parte.»

«… Non era quello che intendevo.»

«E che intendevi, allora?»

Scosse il capo, rassegnata. Come si poteva sperare in una serata sdolcinata, quando il proprio principe azzurro peccava di fantasia, romanticismo ed era appassionato quanto un bidone dell’immondizia?

«Lascia perd…» non riuscì a terminare la frase. Un boato arrivò a coprire le sue parole, mentre lungo la fiancata spuntava temeraria la punta di un voluminoso iceberg.

Come avevano fatto a non notarlo prima? Boh, i misteri della storia. Di certo non indagheremo su una quisquiglia simile…
Lo scafo metallico grattò contro il blocco di ghiaccio. La vernice venne via, soppiantata da una generosa falla sommersa.

Mike corse al parapetto, sporgendosi lungo il lato ferito.
«Oh, no… è gravissimo il danno!»

Nanaba gli si avvicinò, aggrottando la fronte e lanciando una occhiata alla carena a propria volta. Non vide altro che l’acqua scura:
«A me non sembra… insomma, non si vede niente.»

«Oh, dai! Non ci vuole certo una laurea in ingegneria navale per capire che se speroniamo un iceberg finiamo con l’affondare…»

«Dobbiamo informare il comandante Smith!»

«Già» Mike si grattò la punta del lungo naso, incerto «Levi non ne sarà felice. La sua luna di miele dovrà aspettare…»
 
***
 
Il comandante irruppe nella cabina di controllo, aggiustandosi velocemente la cravatta e ravvivando i capelli biondi. Ufficiali incompetenti! Possibile che non potesse concedersi nemmeno una piccola pausa, senza che qualcuno tentasse di sabotare la crociera?

«Luogotenente Zoe! Cos’è successo?» domandò, rivolgendosi ad una donna che, nel frattempo, stava cercando di svegliare il timoniere.

«Moblit.» attaccò Hanji, indicando quest’ultimo appollaiato contro la ruota «Si è addormentato sul timone. Un colpo di sonno…»

«Lo vedo.» Erwin scosse il capo, gettando un’occhiata ai sottoposti «Signor Dita Ness… ha controllato il danno allo scafo? Quali notizie ci sono dalla sala macchine?»

Un giovane si fece avanti, togliendosi rispettosamente la bandana:
«è tutta allagata, signore. Abbiamo imbarcato troppa acqua. La nave non è in grado di reggere un danno simile…»

«Mi sta dicendo che il Titanic affonderà?»

«Beh, non vorrei essere così drastico, signore, ma…»

«Affonderà sì o no?»

«Sissignore»

«Molto bene.»

«Molto bene un cazzo, signore.»

Erwin si massaggiò la fronte, sforzandosi di trovare una soluzione. Ah, che sfiga! Ci mancava solo questa. E pensare che gli mancava così poco alla pensione per anzianità! Solo tredici anni, tredici giorni e tredici ore «Beh, niente di irreparabile, comunque… Caricate i passeggeri sulle scialuppe e calateli in acqua.»

«Temo non sia possibile, comandante…» Hanji si fece nuovamente avanti, indicando un punto lontano nel mare, oltre i vetri della plancia di comando «La regina Historia ha requisito quasi tutte le lance per sé e per il suo seguito.»

«Che?» Erwin sgranò gli occhi, tendendo la mano sinistra. Gli venne subito porto un cannocchiale.
«Maledizione!­» ringhiò, dopo aver scrutato l’oceano «Si è fregata tre quarti delle imbarcazioni e… ci ha messo i suoi vestiti e le scarpe e… il codazzo di Pincher che si porta appresso.»

«Non abbiamo abbastanza scialuppe per tutti, comandante. E…» Hanji si interruppe quando sulla soglia apparve un passeggero.
Era più basso di lei di un’abbondante decina di centimetri; il viso affilato tradiva un’espressione perennemente incazzata, mentre i capelli corvini ricadevano lungo le tempie e la nuca, prima di diradarsi in un undercut ordinato. L’uomo indossava solo un accappatoio. «Mi dispiace, signore… è una stanza riservata al personale di bord…»

L’altro la ignorò, superandola per raggiungere Erwin e sventolargli un foglio sotto al naso:
«Eravamo rimasti al “disegnami come le ragazze francesi”.»

«Cerca di pazientare, Levi. Abbiamo un problema leggermente più grosso…» il comandante gli rivolge un sorrisetto imbarazzato, prima di tornare ai suoi ufficiali «Imbarcate le donne e i bambini sulle rimanenti e…Fate a pezzi questa nave, luogotenente. Voglio che qualunque cosa in grado di galleggiare sia buttata in mare come zattera di fortuna.»
 
***
 
 Kenny Ackerman allungò il passo, spintonando l’orchestra che, nonostante tutto, sembrava decisa a continuare a suonare. Stupidi violinisti da strapazzo! Si sarebbero ritrovati con un buco in fronte, se non fosse stato così intento a scappare. Rimanevano davvero poche lance e tutte destinate alle donne e ai bambini. Non c’era posto nemmeno per un assassino di fama internazionale come lui.

Maledetta galanteria! Doveva ingegnarsi alla svelta e trovare un modo per imbarcarsi su una di quelle barchette da strapazzo.

Superò uno stretto corridoio, bloccandosi poi al sentire un sonoro singhiozzare. Si voltò, incrociando lo sguardo con quello spaventato di un ragazzino che, rannicchiato a terra, piangeva incontrollato stringendosi le ginocchia.

All’improvviso, gli venne un’idea.

«Ehi tu… come ti chiami?»

«A-arm-in…»

«Bene! Quanti anni hai?»

«Se-se-di-ci…»

Troppi! Non gli avrebbero mai permesso di imbarcarsi con un ragazzo di sedici anni. Avrebbero caricato Armin, ma lui sarebbe rimasto sulla nave.
«Fanculo, sei troppo vecchio!»

«Vi pre-go vo-glio salvar..mi»

«Sbatte cazzo di quello che vuoi.» ringhiò, girando immediatamente sui tacchi.
Gli serviva un bambino, alla svelta. Doveva sequestrare un minore e sfruttarlo come lasciapassare verso la salvezza.  Tornò a correre lungo il corridoio, fermandosi una seconda volta quando scorse, poco lontano, una famigliola intenta a salire delle ripide scale. Riconobbe immediatamente l’uomo che, con solerzia e tenacia, incoraggiava moglie e figlie a dirigersi verso il ponte superiore. Kenny avanzò lesto, sfoderando la pistola.

Armò il cane, piegando le labbra in un sogghigno:
«Come andiamo, Nile? Mi presti tua figlia, vero?»
 
***
 
«Erwin, che stai facendo?! Dobbiamo andarcene.»

Levi tentò di tirare la manica del comandante, sforzandosi di smuoverlo dal suo posto accanto al timone. Gli altri ufficiali avevano già abbandonato la plancia, portandosi dietro un Moblit in piena crisi di panico.

«Un comandante affonda con la propria nave.»

«Che?! Non essere ridicolo… sono tutti in salvo i passeggeri. Manchiamo solo noi due!»

«è una questione di principio.»

«Principio un cazzo…»

«Salvati, Levi. Non ha senso morire in due…»

«Veramente, non ha senso nemmeno morire qui da soli, Erwin. Possiamo sempre trovarci una sedia a sdraio…e salvarci…»

Era una visione così romantica! Non riuscì a non immaginarsi due sdraio appaiate, unite per i braccioli di legno, galleggiare verso il tramonto. Si vide rannicchiato sulle doghe in legno, mano nella mano con il robusto comandante, mentre le correnti dell’oceano spingevano le sedie verso luoghi selvaggi ed inesplorati. Sarebbero approdati su qualche isola sconosciuta ed incontaminata – ma comunque non priva dei servizi igienici e di zanzariere – dove avrebbero dovuto costruirsi un nido d’amo… una capanna per poter sopravvivere e superare le intemperie.  Avrebbe osservato Erwin pescare con il solo ausilio di un amo rudimentale ricavato dalle noci di cocco, mentre lui si sarebbe occupato della raccolta di bacche di radici e…

Scosse il capo, cercando di tornare alla realtà. Non doveva lasciarsi sopraffare dall’immaginazione, non ora che erano in pericolo. Congiunse le dita, pigolando piano:
«Erwin, ti prego…»

«Sali su una scialuppa, Levi…»

«Non senza di te.»

«Sali su una scialuppa, è un ordine.»

Sul viso affilato del passeggero apparve un sorrisetto orgoglioso:
«Ah-ah, non puoi darmi ordini! Non sono un tuo sottoposto, in questa storia.»

«Invece sì. Sono il comandante, posso dare tutti gli ordini che mi pare. Quindi sali sulla scialuppa.»

Levi scosse lesto il capo, pronto a muovere un’ulteriore obiezione. Non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa, non questa volta. Incrociò le braccia al petto, piantando i piedi al suolo e montando un’aria di sfida:
«Le scialuppe sono riservate a donne e bambini, Erwin.»

«Appunto. Sono sicuro che un posto per te lo troveranno…»
 
***
 
Mike nuotò fino ad una porta galleggiante, aiutando Nanaba a salirvi sopra.

«Resta tu.» le disse, prendendole le mani.

«Oh, Mike! Guarda che se vuoi ci stiamo…»

«No. Ascolta…» la sua voce si era fatta spenta e tremante. L’acqua gelida gli mordeva le membra stanche, come un cane rabbioso. Non gli lasciava scampo, trafiggendogli le carni come spilli acuminati. Inspirò a fondo, cercando di resistere al dolore «Tu non morirai qui… non stanotte» balbettò, incrociando lo sguardo commosso di lei «Ascoltami, Nanaba… tu… devi fare ancora molte cose nella tua vita. Tipo… cavalcare come un uomo. Niente cavalcata alla amazzone…»

«So già farlo, Mike.»

«E sputare come un uomo.»

«Fatto anche questo.»

«E imparare a pilotare dirigibili…»

«Questo mi manca…»

«E…» il tono dell’uomo si spense in un sospiro stremato. «E…»

«E un cazzo. Sei demente? Guarda che ci state in due, su quella merda di porta.»

Entrambi rotearono gli occhi: Levi era apparso a cavallo di un tavolino. Aveva improvvisato un remo con la gamba rotta di una seggiola.

«Senti, nano di merda… hai avuto la tua storia d’amore strappalacrime? Il tuo finale tragico?» Mike agitò un pugno minacciosamente «Ora voglio il mio! Lasciami crepare dignitosamente, come un vero eroe da romanzo rosa…»
 
***
 
Gli aiuti arrivarono tre ore più tardi. Tutti i passeggeri furono tratti in salvo e così anche l’infinito guardaroba della reginetta Historia. Di Mike Zacharias non si trovarono tracce e così del comandante Smith. I soccorritori compresero perfettamente il gesto disperato ed orgoglioso del comandante – coraggiosamente affondato con la propria nave – ma non quello di Mike.

Tutt’ora, tanto a Marley quanto a Isla Paradise, si narra delle sfortunate avventure d’amore del caposquadra Zacharias, così temerario e, al tempo stesso, così idiota. Ancora oggi, una fondamentale domanda riecheggia nella mente di tutti – sopravvissuti, testimoni, curiosi che passavano di lì per caso: ma… ci si stava in due sulla porta?

 

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Capitolo 15
*** Partecipò ad un campeggio meditativo ***




La volta in cui Levi partecipò ad un campeggio meditativo



La regina Historia squadrò l’esercito dall’alto del suo nuovo trono. Essere sovrana non era poi così male, anzi! A saperlo, avrebbe spodestato la dinastia dei Fritz molto prima.

Aveva radunato i soldati nel cortile principale del proprio castello, suddividendoli per reparti. La Polizia Militare occupava il centro dello spiazzo, affiancata dalla Guarnigione a sinistra e dalle misere file della Legione Esplorativa a destra.

«Cari soldati!» Historia si raddrizzò, alzando la voce per poter essere udita «Ho ponderato una saggia e regale decisione, degna del mio titolo. Ultimamente, ho notato che il vostro rendimento si è fatto piuttosto scarso! La Guarnigione ha incrementato il consumo del vino, la Polizia non arresta più nessuno, quanto al Corpo di Ricerca, beh… è già tanto se esiste ancora. È mio desiderio, dunque, concedervi una pausa; una vacanza, che vi tenga lontani dai vostri doveri per un po’ e vi permetta di ristorare la mente ed il fisico» un applauso si levò dalle schiere dei soldati, accompagnato da gridolini entusiasti:

«Evviva! Potrò andare al matrimonio di mia sorella!»

«Non vedo l’ora. Ho già tutto pronto per la montagna!»

«E al mare? Non andiamo al mare?»

«Armin, lo sai che prima dobbiamo sconfiggere i giganti. Al massimo, possiamo andare al lago a pescare»

«Ancora? Ma nel lago ci sono i pesci?»

«Sai che non lo so? In effetti, l’acqua non è salata nel lago. Quindi forse i pesci non ci sono. Oppure sono dei finti pesci…»

Historia batté due volte il piede a terra, richiamando l’attenzione:
«Silenzio, prego!» esclamò, spalancando le braccia per zittire gli ultimi irriducibili «Ho già pensato io ad organizzare la vostra scampagnata; infatti, vi recherete nel distretto di Nedlay…»

Nedlay? Non vi era niente da quelle parti, soltanto sperduti villaggi di contadini e distese interminabili di pascoli, boschi e poco altro. In effetti, era stato quasi completamente abbandonato, tanto da perdere quasi la sua funzione di esca per i titani.

«… dove parteciperete…» la regina inscenò un sorriso affabile, certa che la sua idea sarebbe stata accolta con grida di giubilo «…ad un campeggio meditativo!»

Un sordo tonfo interruppe il silenzio sbigottito dei ranghi: il capitano Levi si era afflosciato a terra come un sacco vuoto. Un paio di barellieri accorsero per portarlo in infermeria.

«Ah, che carino! Non ha retto il peso dell’emozione.» cinguettò Historia, senza badare ai brusii scontenti ed alle occhiatacce che tutti le stavano ormai lanciando.

«Vostra maestà!» Nile Dok fece un passo avanti, sollevando una mano per prendere parola «Vi prego di riconsiderare il coinvolgimento della Polizia Militare in questa iniziativa. Chi proteggerà la vostra persona, mentre saremo via?»

«Verrò con voi, naturalmente!»

«Ah, caz… volevo dire… ah, perdindirindina! È che vedete… avevo promesso a mia moglie ed alle mie figlie di trascorrere le vacanze estive con loro e…»

«Ma che splendida idea! Invitatele pure, comandante!»

«Ma ho anche gli internazionali di Bocce il prossimo fine settimana! Siamo contro Marley, non vorrete che…»

Con un gesto, la regina interruppe quelle lamentele.
«Suvvia, Nile! Recupererete le vostre bocce al rientro. Sono certa che questo viaggetto vi gioverà» raccolse un cenno contrito del capo, prima di tornare a squadrare i soldati «Altre obiezioni?»

Erwin Smith sollevò l’unico braccio che gli rimaneva:
«Dobbiamo andare a liberare la cantina»

«Ad agosto? Non volete concedervi un po’ di ferie meritate?»

«No.»

«Capisco il vostro zelo e l’attaccamento al lavoro, ma credo che sia un mese sconsigliato per il recupero del Wall Maria. Preferisco vi rilassiate.»

«Mia signora.» un soldato si fece avanti, portandosi il pugno al petto «Mi offro volontario come tributo.»

«Ma che state dicendo?»

«Voglio partecipare ad una missione suicida.»

«Permesso negato! Tornate nei ranghi. Non morirà nessuno se per una volta vi concederete una vacanza.»

«Ma perché?! Io voglio morire!»

«Anche io voglio morire.»

«Lasciateci immolare per l’umanità.»

«Silenzio! Silenzio!» Historia batté le mani nuovamente «Apprezzo la vostra lealtà e lo spirito di sacrificio, ma… no! Verrete al campeggio meditativo. Così è deciso, l’udienza è tolta.»

La regina abbandonò il trono, rientrando prontamente nel castello e lasciando il cortile in pieno subbuglio. Campeggio meditativo? Cos’era quella cosa? Un campeggio dove si andava soltanto a pregare la natura ed a mangiare bacche e radici? Assolutamente! Cosa si era fumata la regina? Senza dubbio, le sue manie di salvezza del prossimo stavano diventando ingestibili. Perché non continuava ad aprire orfanotrofi, anziché costringerli a fare yoga nei boschi? Oppure dei gattili…

Erwin sbuffò piano, scuotendo il capo: non era riuscito a spuntarla questa volta; si sarebbe ritrovato a dover presenziare ad un ridicolo camping, a dividere la tenda con Nile ed a sorbirsi i racconti della cresima delle bambine. Terribile, senza dubbio.

Sussultò, al sentire una mano robusta poggiarsi sulla sua spalla ed una voce familiare esclamare:
«Che merda…»

«Mike? Non eri morto diversi capitoli fa?»

«Sì, ma purtroppo sono tornato in vita. Bella sfiga, eh?»

«Davvero. Non ti invidio.»
 

***


Levi batté le palpebre, cercando di mettere a fuoco alcuni dettagli. Il soffitto in legno lavorato gli ricordava terribilmente quello dell’infermeria. Le coperte ruvide e l’odore di disinfettante gli diedero conferma. Volse lo sguardo alla propria sinistra, incrociando quello azzurro del comandante.

«Cosa ci faccio qui?» chiese, cercando di puntellarsi su un gomito.

«Sei svenuto durante il discorso di Historia.»

«Davvero? Che ha detto di tanto terribile?»

«Che dobbiamo partecipare ad un campeggio meditativo.»

«Vuoi dire che dovremo bivaccare i maleodoranti baracche, mangiare bacche e radici e pulirci il culo con delle foglie?»

Hanji fece capolino da oltre l’uscio, sfoggiando un sorriso smagliante:
«E chi si pulisce?!»

Quello fu sufficiente a far perdere nuovamente i sensi al capitano.
 

***
 

Levi fermò il cavallo, accasciandosi sul collo dell’animale. Doveva essere un incubo, sì. Era l’unica spiegazione. Come erano finiti in quella assurda situazione? Un campeggio meditativo. Era una assurdità inaudita! Il programma, poi, non prevedeva nulla di buono; lo cavò da una tasca, rileggendolo rapidamente:
 
Cari soldati,
sono lieta che abbiate accettato di partecipare a questa iniziativa.
 

Perché, avevano altra scelta? Scosse il capo, proseguendo nella lettura:
 

Ricordo a tutti che è severamente vietato introdurre nel campeggio qualunque cibo o bevanda. Provvederemo noi al vostro sostentamento, attraverso una dieta depurativa e tonificante dell’organismo.
 

Aveva nascosto il tè nero sul fondo della bisaccia, nella speranza di non essere perquisito.

 
Ecco il programma dei dieci giorni che affronteremo insieme:
 
h. 3.45: Sveglia
h. 4.00: meditazione mattutina.
h. 7.00: colazione
h. 8.00: seconda meditazione
h. 12.00: pranzo
h. 14.00: terza meditazione
h. 19.00: cena
h. 21.00: meditazione serale e riposo notturno
 

Dieci giorni. Una delle peggiori torture mai concepite. Nemmeno il comandante Zackley avrebbe mai potuto ponderare qualcosa di tanto terribile… Oppure, quella era proprio una sua idea, appositamente studiata per punirli gratuitamente.
 

I pasti verranno preparati dall’organizzazione e si svolgeranno esclusivamente negli orari indicati. Di seguito, una lista degli alimenti che troverete nel vostro percorso:
  • Zuppa di timo
  • Zuppa di ortica
  • Zuppa di radici di mandragora
  • Zuppa di verdure miste
  • Zuppa di tarassaco
  • Zuppa di quellocheraccogliamoalmattino
  • Zuppa di verdure di stagione
  • Zuppa, zuppa, zuppa
Non sono assolutamente concessi: salumi, pane e derivati, dolci di qualunque genere, caffè, tè, bevande gassate, alcolici e tutto quello escluso dalla lista sopra esposta.
È inoltre severamente bandito ogni tipo di svago che non sia la meditazione stessa. Il gioco d’azzardo è da considerarsi illegale.
 

Ripiegò il foglio e smontò dalla giumenta, recuperando le bisacce e consegnando le briglie ad un solerte scudiero.
«Trattala bene!» ordinò, mentre il ragazzo si allontanava in fretta verso le stalle.

Il complesso era proprio come lo aveva immaginato: un recinto di rete in ferro e filo spinato contornava delle baracche di legno, che si reggevano a stento sul terreno fangoso. La coltre scura della fitta pineta impediva l’accesso ai raggi del sole, donando un’ombra cupa alla struttura. Al centro, oltre il cancello, si intravedeva un largo spiazzo deserto, mentre lungo i lati erano sistemati lavatoi e latrine a cielo aperto. Represse un conato di vomito, avvicinandosi alle sentinelle che presidiavano il cancello.

«Nome, prego.» lo apostrofò uno dei due, un tizio basso e panciuto.

«Ackerman.»

«Kenny?»

«No. Levi Ackerman.» sbuffò. Quante volte ancora avrebbe dovuto sopportare quell’umiliazione? Perché nessuno si ricordava di lui?! Al contrario, sembravano tutti coinvolti dalle strepitose imprese dello Squartatore. «Emh… il tuo cane mi sta annusando lo zaino.» fece notare, abbassando lo sguardo su uno scodinzolante labrador, il cui muso era scomparso tra le pieghe della sua bisaccia.

«Sicuramente ha fiutato del cibo illegale! Mi dispiace, ma devo perquisirti.»

«Che?! Non esiste! Non ho portato niente con me e…» si interruppe, aggrottando la fronte «Perché cazzo usate i Labrador come cani poliziotto?»

«Beh, nel fiutare viveri sono i migliori, non trovi?» la guardia gli strappò di mano la borsa, rovesciandone il contenuto a terra.

«Oh! La mia roba! Che cazz…» aveva ucciso per molto meno, ma… aveva anche promesso ad Erwin di comportarsi decentemente durante il campeggio: “niente idee balorde” erano state quelle le esatte parole del comandante “Siamo già nelle grane così, senza che tu peggiori la situazione.”

«Tè di contrabbando! Mi dispiace, ma questo viene messo sotto sequestro.»

«Ma… non puoi portarmelo via! È mio! L’ho pagato e…»

«Ordini della regina»

«Ma sto cazzo! Ridammelo subito!» ringhiò, cercando di recuperare la preziosa scatoletta dalle mani della guardia. Caricò un pugno, pronto a scaricarlo dritto sul viso di quell’idiota, quando una voce femminile lo bloccò immediatamente.

«Che succede qui?!»

Historia teneva le braccia incrociate al petto ed un’espressione contrariata sul viso.

«Niente!» mentì prontamente.

«Capitano, vi avevo chiesto di non portare assolutamente niente da fuori. Provvederemo noi al vostro sostentamento.»

«Sì, ma… il mio tè! Non posso vivere senza di lui.»

«Abbiamo anche quello, non temete. Tè ne avrete in quantità industriali, ve lo garantisco.»

«Di questa qualità?»

«No, ma addirittura migliore.»

«Per esempio…?»

«Tè di compostaggio! Ricavato da humus, stallatico maturo e aromatizzato con foglioline di menta selvatica.»

Quelle parole, tuttavia, non lo rassicurarono affatto:
«Tuttavia…» provò ad obiettare, ma venne prontamente interrotto da una guardia giunta in tutta fretta.

«Mia regina!» esclamò la sentinella, scattando sull’attenti e cercando di riprendere fiato «Abbiamo bisogno urgente della vostra presenza! Il caposquadra Zacharias si è rifiutato di consegnare i propri viveri; sta picchiando tutti con un salame!»

«Che significa “tutti”?»

«Tutti, maestà! Il signor Ackerman, invece…» un indice scattò verso il malcapitato capitano «Non questo qui, l’altro… Kenny lo squartatore… ha già ucciso due vedette e pretende di introdurre alcool e fiches per roulette.»

Historia scosse il capo, seccata:
«Non si può mai stare tranquilli!» aggiunse, affrettandosi ad allontanarsi ed abbandonando Levi alla furia dei labrador affamati.
 

***
 

Giorno 1 –  Ore 3.45
 
Levi scattò in piedi, ruzzolando dallo scomodo giaciglio composto solo da un materasso rovinato ed una coperta ruvida e lercia, creata con foglie di ortica intrecciate. Gli addetti del campeggio si erano rifiutati categoricamente di cambiargliela.

Si stropicciò gli occhi, cercando di ambientarsi: la baracca in cui l’avevano sistemato era la più stretta dell’intero complesso e, ovviamente, come compagno di stanza gli avevano rifilato il redivivo Mike Zacharias; quest’ultimo aveva passato la notte russando come una tartaruga con la laringite, strappandogli così le poche ore di sonno che rimanevano.

«Che cazzo succede?» biascicò, guardando oltre i vetri opachi: delle torce erano state accese, così da illuminare l’intero camping, e degli attivisti stavano suonando la sveglia con trombe e tamburi «Che ore sono?»

«Le tre e quarantacinque» la voce impastata di Mike gli rispose da sotto un cumulo di coperte «Torna a dormire»

«Ma Historia ha detto che…»

«Non vorrai partecipare davvero a questa stronzata, spero! Pff… stavo meglio morto com’ero.»

«No, io…»

«E allora torna a letto!­»

In quell’istante, la porta si spalancò con un secco cigolio. Erwin apparve sull’uscio, vestito di tutto punto ed impeccabile come al solito.
«Buongiorno! Siete pronti?» domandò il comandante, sfoggiando un sorriso rassicurante.

«Sì, ma solo perché siamo andati a dormire vestiti» di nuovo Mike e la sua nota pigra «Pensi di andare a meditare?»

«Mh, non proprio. Ho già trovato un degno sostituto. Io e Hanji abbiamo tagliato i capelli ad Armin, questa notte. Sarà un perfetto sosia e nessuno si accorgerà dello scambio.»

«Armin? È alto un metro ed una spanna…»

«Ehi!»

«Tu sei alto un metro e mezza spanna, Levi. Stai zitto un attimo, che gli adulti stanno parlando» Mike gli rifilò un sogghigno asciutto, prima di continuare «Si accorgeranno subito che non se tu, Erwin.»

«Dici? Mh, dubito… alle quattro di mattina, al buio e con poche ore di sonno sulle spalle… nessuno farà caso alla differenza di statura, vedrai. Sono sicuro che il piano funzionerà.» il comandante si accomodò sul materasso del capitano, scalciando via gli stivali per infilarsi sotto le coperte.

Levi batté le palpebre, incerto. Gli stavano soffiando il posto da sotto il naso?

«Scusa, Erwin, ma quello sarebbe il mio letto.» sussurrò, gettando ai due veterani una occhiata incerta.

«Lo so, ma tu dovresti partecipare alla meditazione di gruppo del mattino.»

«Cosa?! E tu… pensi di nasconderti qui e di dormire?»

«Esattamente. Ora vai, su…»

«Perché proprio io?»

«è un ordine, Levi.»
 

***


Giorno 1 –  Ore 4.00
 
Levi sedette ai bordi del largo cerchio umano che riempiva lo spiazzo centrale del campo. In mezzo, ben visibile agli occhi di tutti, un uomo stava in piedi a braccia spalancate; era avvolto da una lunga tunica bianca, che ben si sposava alla barba bianca ed ai radi capelli spettinati.
«Chi è quello?» il capitano si sporse leggermente verso Moblit, seduto accanto a lui.

«Pare sia un cugino di terzo o quarto grado di Padre Nick»

«Come si chiama?»

«Padre Panoramix, a quanto sembra. Prima andava vaneggiando di una pozione miracolosa capace di donare forza e robustezza a tutti e…»

«Hanji è corsa a provarla, immagino.»

«Già. Si è sentita male subito dopo, però. L’hanno portata in infermeria e forse la rispediranno a casa prima del tempo.»

«Maledetta quattrocchi! Tutte a lei le fortune.» sbuffò, spiando stancamente i presenti. Meno della metà si era presentata alla meditazione del mattino; buona parte della Polizia Militare aveva bellamente disertato, lasciando solo il loro sventurato comandante, intento a parlottare dei vecchi tempi con Armin, evidentemente scambiato per qualcun altro. Della squadra segreta del signor Kenny Ackerman, ovviamente, non vi era traccia, mentre i soldati della Guarnigione erano già troppo ubriachi per capire dove si trovassero.

Levi riportò l’attenzione verso il centro, dove Panoramix aveva iniziato il discorso:
«O figli, miei amati, vi do il benvenuto e mi congratulo con voi per aver scelto di partecipare a questa iniziazione e magnifica esperienza. Il vostro corpo ed il vostro spirito necessitano di una boccata d’aria…» una pausa, mentre un paio di adepti attaccavano un blando sottofondo musicale «Concentratevi… davanti a voi c’è una sfera di luce bianca. Questa luce viaggia verso di voi. Respirate questa luce, fatela entrare nel vostro cuore. La sentite? Dal petto si diffonde verso il resto degli organi e illumina tutto il vostro corpo. Ora visualizzate le parole Gioia e Amore… c’è tanta gioia e tanto amore in questo mondo, ma noi fatichiamo a vederli. Questo mondo ci chiede di vivere tutti in armonia, come fratelli. Fratello albero, sorella farfalla, fratello gigante, fratello Titano Colossale…»

«Perché Bertholdt sta sudando?»

«Non lo so… forse è l’emozione.»

«Amore, Gioia, Serenità. Portate queste parole nel vostro animo, scacciate ogni paura, ogni terrore. Ricordate che niente è una fine, anzi… ogni cosa è un nuovo inizio. Quando moriamo, i nostri corpi diventano erba… I giganti mangiano l’erba…»

«Veramente no…»

«Diventiamo scorreggia di titano.»

«Ora siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita. Lasciate che la luce dentro di voi fluisca, adesso. Immaginate di passare la sfera luminosa verso i vostri amici, alle persone che vi sono accanto. Una sfera di luce buona, positiva, una…»

«Zzzz…»

«Capitano!»

Levi si svegliò di soprassalto, quando Moblit gli piantò un gomito nelle costole:
«…cosa?»

«Non addormentatevi!»

«Perché?»

Per tutta risposta, l’assistente indicò un fossato nei pressi della recinzione:
«è pieno di coccodrilli… buttano lì quelli che si addormentano. Ho visto ora quel cadetto… come si chiama… quello col cognome impronunciabile…»

«Jean?»

«Proprio lui! È stato appena divorato.»

«Sì, ma che palle! Vai al lavoro e rischi d’essere mangiato… vai in ferie e rischi comunque d’essere mangiato. Dormi e vieni mangiato; stai sveglio e vieni mangiato… che vita di merda!»
 

***

 
Giorno 1 –  Ore 7.00

Levi aveva lottato per tutto il tempo contro il sonno; era riuscito a non assopirsi solo grazie alle gomitate che il buon Moblit gli aveva costantemente rifilato. Solo così era scampato al fossato dei coccodrilli.

Padre Panoramix aveva concluso da poco la prima meditazione, invitandoli a sedere in fila indiana. Disposti in due colonne, si erano rivolto verso oriente attendendo il sorgere del sole.

Levi stiracchiò lentamente le braccia, tentando di allungare le gambe. Le punte dei suoi stivali, tuttavia, incontrarono soltanto il didietro di Nile.

«Smettila di tirarmi i calci!» ringhiò il comandante della Polizia Militare.

«Sto scomodo qui!»

«Siamo tutti scomodi! Cerca di portare pazienza…»

«Perché ci hanno fatto sedere così?» si guardò rapidamente attorno: tutti erano accovacciati a terra, con le ginocchia strette al petto. Due sentinelle percorrevano le file, controllando che nessuno osasse alzarsi. Alcuni garzoni, infine, stavano distribuendo delle ciotole fumanti, ripiene di una zuppa rossastra.

«Che diamine è?!» sbottò Levi, quando un malcapitato ragazzo gli tese la scodella.

«è zuppa di rabarbaro, rapa rossa, ravanello e ramarro marrone»

«Eh? Ma… è commestibile?»

«Non lo so. Non l’ho mai assaggiata. Io faccio colazione con pane e nutella.»

«Anche io voglio pane e nutella!» il giovane cadetto seduto alle sue spalle scattò immediatamente in piedi, versando la propria minestra al suolo «Datemi della nutella! Voglio…»

Non riuscì a finire la frase. Le sentinelle accorsero, roteando i manganelli e colpendolo con una furia cieca. La recluta tentò di rimettersi a sedere, ma senza successo: due robuste guardie lo afferrarono saldamente per le braccia, trascinandolo fino al fossato dei coccodrilli. Dopo un sonoro Spalsh, le urla del disgraziato si spensero per sempre.

«Qualcuno ha da ridire circa la colazione?» la squillante voce della regina Historia arrivò a spezzare il silenzio stupito.

«No, vostra Grazia.»

«è perfetta, nostra sovrana.»

«Troppo buona, troppo generosa.»

«Siete una santa!»

«Lode alla regina Historia!»

E altri elogi simili si levarono dalle bocche dei malcapitati soldati, ormai completamente rassegnati a nutrirsi di brodo vegetale.
 

***
 

Giorno 1 – Ore 21.00

Levi rientrò nella propria baracca, trascinandosi verso il giaciglio. Si sentiva esausto, completamente svuotato di ogni forza e volontà. Altro che vacanza rilassante, altro che conforto della meditazione! Quel posto era un incubo. Un campo di prigionia fatto e finito, ben lontano dall’essere un luogo di villeggiatura.

Si accasciò sul materasso, incurante della pungente coperta di ortiche sotto di sé.

«Come te la passi, Mike?» domandò infine, in un sussurro spezzato.

Oh, sicuramente meglio di lui! Zacharias non si era fatto vedere per tutto il giorno. Senza dubbio, era rimasto lì a dormire o a bighellonare insieme al suo amico, la cui migliore idea era stata farsi sostituire da Armin.

«Mike? Nasone…?»

Non ottenne risposta.

Controvoglia, Levi si tirò su a sedere, fissando stupito il resto della camera. Mike era sparito e così anche Erwin. Al loro posto, c’era una busta. Levi la aprì con dita tremanti:
 
Caro Levi” recitava il biglietto.

Come va? Come è stata questa prima giornata?
Spero sia andata bene e che ti stia divertendo.

Io e Mike abbiamo lasciato il camping. Sai com’è, avevamo moltissimi impegni e faccende da sbrigare. Essere comandante richiede parecchi sforzi ed assorbe tutto il mio tempo. Ho fatto presente queste mie preoccupazioni alla regina Historia e lei ha capito la situazione; poi, ovviamente, mi ha espressamente vietato di lasciare il campo.

Non intendo farmi mettere i piedi in testa da una ragazzina che - se non fosse stato per me -  sarebbe ancora a pelare carote. Ho escogitato l’ennesimo, infallibile e geniale piano per evadere ed ho portato Zacharias con me. Mi sarebbe piaciuto aiutarti a scappare, ma Mike mi ha confessato che sei entusiasta di questa iniziativa; che ultimamente ti senti sempre stressato, sotto torchio, teso…. E quale occasione migliore per rilassarsi e distendere un po’ i nervi?

Rimani al campeggio tutto il tempo che vorrai, mio caro! Ti meriti una vacanza, te la sei guadagnata.
Un abbraccio,
 
Erwin.
 
Ps. Mike ti lascia un disegno d’addio.

Sul retro del biglietto fu impossibile non notare una grossa mano chiusa a pugno, con solo il medio sollevato.
 

***

 
Giorno 2 – Ore 2.00

Levi si svegliò di soprassalto. Controllò le ore, ma era ancora troppo presto per la meditazione del mattino. Si guardò attorno spaesato. Cos’era quel baccano che proveniva dall’esterno?

Si fece coraggio, sgusciando da sotto le coperte e schiudendo l’uscio. Alla sua destra, verso il fondo della zona baracche, il cielo era solcato da due grandi fasci di luce giallastra, che si muovevano ritmicamente. Della musica truzza riecheggiava per tutto il campo, spaccando il silenzio con un familiare Tunz – Tunz difficile da ignorare. Qualche flash colorato, infine, si intravedeva nella medesima direzione.

Scivolò oltre la soglia, muovendo un paio di passi in direzione di una coppia di cadetti:
«Scusate!» esordì, sollevando la mancina per richiamare la loro attenzione «Che sta succedendo?»

«Come? Non lo sapete, capitano?» impiegò qualche attimo ad identificare la familiare testa rasata di Connie «Il signor Kenny ha inaugurato un casinò clandestino! Pare sia comprensivo di bordello e…»

«Cibo! Una montagna di cibo!» Sasha si intromise nella conversazione, sbavando come un mastino affamato «Venite con noi? Sono sicura che ci divertiremo!»

Levi scosse il capo. Partecipare alla festa di Kenny era fuori discussione! Sarebbe morto di fame, piuttosto che chiedere aiuto a suo zio!

Non era ancora così disperato da dover ricorrere agli avanzi altrui, anche se poco ci mancava. Un brontolio allo stomaco lo spinse a riconsiderare in fretta quell’idea: in fondo, che male poteva esserci nell’elemosinare un po’ di cibo? Per un attimo, si immaginò seduto ad una sontuosa tavola, accerchiato da budini, arrosti, polli allo spiedo, torte e biscotti… Oh, sarebbe stato magnifico! Si sarebbe saziato con del buon tè e gli stenti di quello schifoso campeggio non sarebbero stati che un ricordo lontano.

Sì, ma… Kenny lo avrebbe davvero ammesso nel suo ristorante? O lo avrebbe fatto accomodare sul retro, lasciandogli delle ossa da spolpare in una ciotola?

Riflettendoci, la seconda opzione era nettamente la più probabile.

Tornò a ciondolare il viso:
«Andate voi, ragazzi. Certi eventi non fanno al caso mio.» aggiunse, voltandosi per rientrare nella propria casupola. Si fermò, tuttavia, sulla soglia «Però… se riusciste a sgraffignare qualcosa per me, ve ne sarei estremamente grato.»
 

Levi attese inutilmente il ritorno di Connie e Sasha; senza dubbio, quei due sciagurati cadetti avevano divorato tutto il possibile, senza lasciargli nulla! Anzi, senza nemmeno ricordarsi della sua pietosa richiesta. Scoraggiato, si ricacciò sotto le coperte, chiudendo gli occhi per cercare di riprendere sonno e dormire ancora un poco.
La sveglia, come logico, suonò precisamente due minuti più tardi.
 

***

 
Giorno 2 – h. 14.00
 
Panoramix sollevò le braccia al cielo, riprendendo la cantilena:
«Fratello fiore, sorella ape! Fratello coniglio, sorella volpe! Frat…»

La meditazione del primo pomeriggio era orribile! Con il sonno in arretrato e quel poco cibo disgustoso a riempire lo stomaco era senza dubbio la peggior tortura mai concepita da mente umana.

Levi si sforzò di mantenere gli occhi aperti, stropicciandoli.

«Quanto manca?» sussurrò verso Moblit, seduto alla sua destra.

«Abbiamo appena iniziato, capitano.»

Batté le palpebre, lottando contro il sonno. La nenia dell’officiante era soporifera a dir poco. Colse le spalle rilassarsi e il capo farsi più pesante. Una violenta gomitata lo fece sussultare all’improvviso.

«Sono sveglio!» esclamò, mentre Moblit gli assestava un altro colpo dritto nelle costole.

«Non dormite! Dovete…»

Non riuscì a cogliere il resto della frase. Un velo scuro gli scese davanti agli occhi, mentre un gregge di impavide pecorelle, guidate da un biondo ed avvenente pastore, si apprestava a saltare una recinzione.

Uno, due, tre, quattro…

«Lui dorme! Lui dorme!»

Si svegliò soltanto a quel grido, mentre due mani robuste lo afferravano per le braccia e lo rimettevano bruscamente in piedi. Qualcuno gli legò i polsi dietro la schiena.

«No! Ero sveglio, lo giuro!» biascicò, tentando inutilmente di divincolarsi.

Un centinaio di compassionevoli occhi si portavano su di lui. Sentì alcuni cadetti bisbigliare:
«Lo daranno ai coccodrilli»

«Poveraccio.»

«Almeno non dovrà sopportare oltre questo schifo di vacanza…»

«Quasi quasi mi faccio divorare anche io.»

La giovane regina si fece avanti, chiamando il silenzio con un gesto imperioso. Historia si piantò davanti a lui, le mani strette ai fianchi e un cipiglio severo:
«Sono costernata, capitano! Tra tutti, proprio voi… addormentarvi così, mentre Padre Panoramix vi istruisce sulla meditazione.»  la vide scuotere il capo e arricciare una smorfia scontenta «Mi dispiace, capitano. Verrete dato in pasto ai miei amatissimi alligatori.» uno schiocco di dita e poi «Portatelo da Burrito e Tacos!»

«Ma… ma…. Sono il soldato più forte dell’umanità! Non potete giustiziarmi!»

«Certo che posso, sono la sovrana! Posso fare quel cazzo che mi pare! E poi… troveremo un altro soldato più forte.» Historia cavò rapidamente dei fogli da sotto il manto regale «Ho già ricevuto molti curriculum, sapete?»

«Sì, ma…»

«Basta, silenzio! I miei coccodrilli hanno fame!­»

«Aspettate, Vostra Grazia! Non potete farlo.»

Levi strabuzzò gli occhi quando vide Moblit farsi avanti. Moblit che prendeva una posizione? Che si esponeva direttamente, rischiando di adirare la giovane regina per salvargli la vita? No, era assurdo! Moblit? Davvero? Il galoppino pedante di Hanji, di cui non si rammentava mai nessuno?

«Voi! Chi siete?» Historia puntò l’indice contro il malcapitato assistente che, per tutta risposta, alzò le mani in segno di resa.

«Sono Moblit.»

«Chi?»

«Moblit!»

Ecco… come volevasi dimostrare. “Moblit… chi?” sarebbe presto diventato il tormentone dell’estate. Era così anonimo, così impersonale e scialbo che nemmeno sua madre si ricordava d’averlo messo al mondo.

«Ebbene, soldato … non ricordo già più il vostro nome… come osate contrastare una mia soave decisione?»

«Ma, vostra maestà… Levi è uno dei migliori elementi della Legione Esplorativa…»

«Ne faremo a meno.»

«Le sue capacità combattive superano di gran lunga quelle di qualunque altro soldato.»

«E con ciò?»

«Ha ucciso più giganti che chiunque altro.»

Historia si fregò il mento a quelle parole, assumendo un’aria indecisa. Forse, condannare il capitano Ackerman sarebbe potuto rivelarsi controproducente; d’altronde, anche salvarlo poteva esserlo: che avrebbero pensato i soldati, vedendola rammollita a tal punto da concedere una grazia? Si sarebbero ribellati, avrebbero preteso di tornare a casa! Avrebbero chiesto un aumento di stipendio, la tredicesima, ottanta denari al mese in più in busta paga e forse anche un’assicurazione sulla vita. Il Wall Sina sarebbe caduto per bancarotta, più che per l’arrivo dei titani. Era fuori discussione.

«Quanti titani avete ucciso, signor Moblit?» domandò all’improvviso, mentre il militare si faceva piccolo piccolo.

«Amh, io… beh, qualcuno. Sono … un ricercatore, per lo più. Un uomo di scienza, che…»

Perentoria, la regina sollevò la destra:
«Ho sentito abbastanza! Gettate anche lui nel fossato dei coccodrilli!»

«Cosa?! Ma perché?»

«Non lavora abbastanza, signor Moblit! È pagato per uccidere giganti, non per fare l’assenteista.»

«Io non sono un….»

«Li conosco quelli come lei. Timbrano il cartellino e poi spariscono. Dovrebbe vergognarsi.»

«Veramente, maestà… mi sono sempre impegnato a fondo, ho combattuto e partecipato a spediz…»

«Silenzio!» Historia schioccò le dita, e in un attimo anche Moblit venne arrestato «Finirete entrambi in pasto ai miei coccodrilli. In fondo, non vorrei che Burrito e Tacos si ritrovassero a dover litigare per una preda tanto scarna.» concluse, gettando un’occhiata asciutta al capitano.

«Cosa?! Io… non sono scarno! E che cazzo, sono sicuro che mangerebbero a sufficienza anche solo con me.» ringhiò Levi, punto nell’orgoglio.

Moblit gli fece eco un istante dopo:
«Sono d’accordo con il mio superiore, signora. Anche secondo me, il capitano Levi sarebbe un pasto più che soddisfacente per…»

«Oh, ma tu da che parte stai?!»

«Scusate, capitano… ma non me la sento proprio d’essere sbranato. Ritengo che sia inutile sacrificarci entrambi…»

«Ma che cazzo stai dicendo?! Fino a cinque minuti fa volevi salvarmi il culo. E ora… vuoi lasciarmi crepare?»

«Sapete come si dice… mors tua vita mea

«Eh?...» Levi lo guardò interdetto. Che diamine significava? Ci rifletté su qualche attimo, mentre le guardie lo trascinavano verso il fossato dei coccodrilli «Senti, Moblit…parla come mangi. Non lo conosco il danese!»

«Non è danese, capitano… in ogni caso… non ha importanza, ormai.» colse il balbettare del malcapitato assistente, quando entrambi raggiunsero l’orlo dello stagno. L’acqua stanziava placida sotto di loro, affatto turbata da quel parapiglia; la stessa acqua che, però, di lì a poco si sarebbe tramutata in un turbine e tinta del rosso del loro sangue. «Regina, vi prego… riconsiderate la vostra dec…»

La voce di Moblit si spense nel momento in cui le sentinelle li spinsero dentro il fossato. Levi rotolò lungo il corto pendio – di ben trentacinque centimetri – cadendo con un sonoro Splash! Tentò inutilmente di liberare le mani, di agitare le gambe, ma si ritrovò a sprofondare sempre di più. L’aria gli sfuggì dai polmoni in grosse bolle, pronte a risalire verso la superficie. Chiuse gli occhi, preparandosi all’inevitabile fine: se non l’avessero ucciso i coccodrilli, sarebbe indubbiamente annegato in quella stupida e maleodorante roggia.
Era tutta colpa di Mike, dannazione! Lo aveva abbandonato lì e se l’era filata, lasciandolo al suo amaro destino. Stupido Nasone. Anche quando non c’entrava niente, la responsabilità era indubbiamente sua!

Contò piano, mentre il suo petto si svuotava gradualmente. Uno, due… sarebbe durato fino a dieci o sarebbe morto prima? Tre, quatt…

Si sentì tirare bruscamente in piedi da una robusta mano. Riemerse sputando e tossendo. I suoi piedi incontrarono il fondo melmoso, riacquisendo stabilità. Distese le ginocchia, raddrizzando la schiena e guardandosi attorno spaesato. L’acqua gli arrivava appena sotto le spalle.

«Oh… ma ci tocco!» esclamò soddisfatto, mentre Moblit, alla sua sinistra, scuoteva mestamente il capo.

«Sarà un metro e mezzo d’acqua, capitano.»

«Beh, per me è già alta!» sentenziò, tornando a spiare attorno a sé. Nessun segno di Burrito e Tacos? «E… emh… i coccodrilli?»

Moblit gli indicò la riva. La regina Historia stava piangendo abbondantemente in un fazzolettino di seta purissima, soffiando con grazia il regale naso, mentre Kenny Ackerman faceva sfoggio della nuovissima collezione autunno-inverno 850;  nuovi stivali, nuovo cinturone completo di fondine e lungo pastrano di squisita fattura… il tutto rigorosamente in pelle di coccodrillo.

«Belli vero?» stava dicendo lo Squartatore, accennando alla punta dei propri calzari «Stiamo pensando di farne anche un modello da donna. Ohi, nipote cretino! Lo sai che sei la vergogna della nostra famiglia, vero?»

Levi si sentì avvampare. Ma perché Kenny doveva sempre punzecchiarlo nei momenti peggiori?

«Di quale famiglia?! Siamo rimasti in due, cazzo.» replicò, mentre suo zio continuava a pavoneggiarsi.

 «Hai ragione. Motivo in più per diseredarti del tutto…»

«Diseredarmi? Mi prendi per il culo?! Non hai niente da lasciarmi in eredità, tranne…»

I suoi occhi corsero involontariamente all’unico capo d’abbigliamento sopravvissuto a quel restyling. Era l’unica cosa che Kenny avrebbe potuto lasciargli; l’unica cosa che bramava ancora segretamente; l’oggetto dei suoi desideri più impossibili, l’inarrivabile compimento di un’utopia. Il maledetto cappello da assassino.

Kenny sogghignò, sfiorando la morbida tesa con due dita:
«Lo vuoi, Levi?» domanda retorica di quella voce arcigna e sarcastica «No, no, no. Magari… quando sarai diventato grande. Ah, scusa… dimenticavo. Tu sei già grande.»

 
***
 

Senza coccodrilli, Historia si vide costretta a sciogliere il campeggio meditativo. Non aveva altrettante valide punizioni con cui minacciare i soldati; la decapitazione ormai non faceva più paura a nessuno. Dopo due giorni, in cui la sovrana cercò inutilmente di ripristinare la disciplina e l’ordine, i soldati vennero lasciati liberi di tornare alle loro dimore.

Levi rientrò in caserma dopo altre quarantotto ore, spese a cercare inutilmente tra botteghe, mercati e sartorie, un cappello che gli si addicesse. Investì tutto il proprio stipendio e barattò metà Moblit per comprarne uno che, alla fine, sembrava più il coperchio di una teiera che un copricapo.

Decise di riciclarlo come regalo di compleanno per Auruo.

Nessuno seppe che fine fece l’altra metà di Moblit; e, naturalmente, nessuno si preoccupò mai di cercarla.

 
 

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Capitolo 16
*** anzi Kenny scrisse un libro ***


La volta in cui Levi, anzi Kenny scrisse un libro


Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 1, Missione 3 (Missione All Stars)
* Prompt: Pizzo
* Parole: 2120


***


“Un buon assassino deve essere multidisciplinare”.

Levi fermò la penna, appoggiandola nuovamente nel calamaio consumato. Sollevò la pergamena davanti a sé, aspettando che l’inchiostro si asciugasse prima di contare le righe. Aveva scritto quella frase quasi cinquecentoventisei volte, eppure Kenny non sembrava ancora soddisfatto. Scrutò il volto arcigno del parente che, seduto all’altro capo del tavolo, stava vigorosamente spazzolando la tesa del suo amato cappello nero.

«Zio…» pigolò, cercando di allungare il foglio all’altro «L’ho scritto più di cinquecento volte. Posso fare basta?»

«Solo cinquecento? Avevo detto cinquemila! A scuola non ti insegnano a contare?»

«Veramente, non mi hai mai mandato a scuola.»

«Questo perché saresti uno spreco di tempo. Continua a scrivere.»

«Ma… mi fa male la manina.»

«E a me fa male il culo a furia di star seduto qui a guardarti. Non diventerai mai un bravo assassino, se non ti impegni.»

«Io voglio diventare un dentista…»

«Cazzate! Per fare i soldi sulla pelle della gente?»

«è quello che fai anche tu, no?» Levi incassò la testa nelle spalle quando vide l’uomo alzarsi e marciare in sua direzione con passo marziale e cipiglio fiero. Un soffio di maligno vento arrivò a scuotere il lungo cappotto che, malgrado fosse appeso ad una gruccia, frusciò sinistramente.

Il bambino si sentì afferrare per i capelli e sollevare il viso con ben poca grazia. I suoi occhi grigi incrociarono quelli arcigni del parente, le cui iridi erano condite di odio, delusione e una vena sadica impossibile da cancellare.

«Mi fai male, zio…» frignò, mentre Kenny gli strattonava malamente le ciocche corvine.

«Io guadagno onestamente sulla vita altrui, chiaro?! Non provare a paragonarmi mai più a quei cavadenti da strapazzo… che nemmeno ti fanno fattura, quando vai ad aggiustare una carie.»

La mano ossuta lo lasciò andare poco dopo. Levi mosse solo un cenno d’assenso, trattenendo a stento le lacrime e il rossore per la vergogna di quel rimprovero vigoroso. Perché suo zio lo maltrattava sempre? In fondo, lui aveva soltanto cinque anni! Ad un bambino non era permesso sognare di diventare un dentista? O un commercialista di successo? A quanto pareva… quando si era un Ackerman, la via era soltanto una: diventare serial killer di professione o perire nel tentativo.

Si sfregò gli occhi lucidi, tirando su col naso:
«Voglio la mamma.»

«è alle Bahamas! Te l’ho già detto, tua madre non tornerà a prenderti. Nemmeno io tornerei, al posto suo. Non vali nemmeno il biglietto del viaggio di ritorno. Quindi tanto vale che ti rassegni.»

«L’altra volta avevi detto… che era alle Maldive.»

«Chissenefrega, rospo! Sono la stessa cosa: un posto esotico, caldo e abbastanza figo da far dimenticare figli degeneri e piagnucoloni. Ah, se non amassi così tanto il mio lavoro, sarei già partito anche io!»

«Mi avresti portato con te, vero?»

«Nemmeno per idea. Ti avrei deposto in una cesta di vimini e lasciato scorrere lungo il torrente fognario, nella speranza di vederti divorato da un coccodrillo. O da una pantegana gigante.» vide l’assassino chinarsi e recuperare una scatola da sotto il divano – sempre che quell’ammasso di cuscini e paglia potesse definirsi tale. «Piuttosto…» attaccò di nuovo, buttando lo scatolone sul vicino tavolo «Vestiti! Dobbiamo consegnare questi.»

Levi si sporse, osservando l’interno del cartone: vi erano diverse pile ordinate di volumi. La copertina giallo limone mostrava il disegno di un coltello insanguinato, accompagnato dalla rassicurante scritta:
“Morire per negati – un manuale di K. Ackerman”

«Hai scritto un libro, zio?» domandò, mentre l’altro recuperava cappotto e cappello.

«Mi sembra evidente.»

«Che cosa dobbiamo fare?»

«Venderlo, naturalmente!»

Levi sorrise entusiasta. Finalmente un compito di responsabilità! Aiutare suo zio nel vendere quei volumi sarebbe stato elettrizzante. Dentro di sé, sentiva già crescere l’anima imprenditoriale. Sarebbe piombato nelle librerie, mostrando con coraggio ed orgoglio il volume scritto dall’illustre parente. Sarebbe stato così abile che – ne era certo – ogni negoziante avrebbe ordinato quattro o cinque bancali di quell’opera imperdibile. Il libro sarebbe andato letteralmente a ruba e Kenny sarebbe diventato famoso. Beh, più famoso di quanto era già… ed avrebbe avuto bisogno di un manager, certo! Si sarebbe proposto per il ruolo. Riusciva quasi a vedersi in un completo gessato, con gli occhiali da sole e i mocassini lucidi mentre organizzava gli appuntamenti di Kenny, vendeva i suoi autografi e si lasciava coccolare da tutte le fans in delirio. Sarebbe stato fantastico! “Levi Ackerman, il più giovane dirigente della storia” suonava dannatamente bene.

 
***
 

Levi si accasciò sull’uscio della libreria. Perché le cose non andavano mai come sperava? Si era visto calcare la strada con una elegante ventiquattrore di pelle umana e non con una vecchia gerla sulle spalle. Kenny si era rifiutato categoricamente di prelevare i libri, caricando tutto il peso la gracile schiena del nipote.

«Così ti fai le ossa…» aveva detto, prima di trascinarlo lungo le vie affollate della capitale.

Il primo negozio era una delle librerie più rinomate della città. La porta recava l’immagine di un titano intento a leggere e, oltre l’ingresso, si aprivano interi scaffali ricolmi di volumi di qualunque dimensione e forma. Ve ne erano di antichi, di più moderni; c’erano pergamene arrotolate oppure tomi grossi come macigni. In fondo, oltre un bancone lucido, un uomo sulla settantina stava terminando di consultare un catalogo.

Kenny mosse immediatamente verso il libraio, armato solo di una copia del suo scritto.

«Ehi, tu! Vecchio!» l’apostrofò, mentre il negoziante sollevava lo sguardo attonito «Dovresti disfarti di tutto ‘sto ciarpame! Piuttosto… dovresti mettere nella tua biblioteca qualcosa di fresco, di innovativo e che sicuramente ti farà fruttare dei buoni guadagni.» lasciò scivolare il libro giallo direttamente sul banco «Tho! Compra questo…»

«Signore… non so chi voi siate, ma…» iniziò il vecchio; l’assassino lo interruppe subito.

«Che domande! Sono l’autore del libro, no?»

«…nella mia attività sono solito tenere opere soltanto di autori affermati.»

«Sono sicuro che per me potrà fare un’eccezione.» Kenny indicò il proprio nome scritto sul libro e l’espressione del commesso mutò radicalmente. Levi lo vide sgranare gli occhi e tergersi velocemente la fronte imperlata, improvvisamente, da un freddo sudore. La voce, inoltre, aveva perso il tono sicuro e pacato:

«Oh, signor Ackerman. È un onore… io… non sapevo avesse scritto un libro. Io… sarei lieto di averne una copia.» balbettò il vecchio «Anzi, due copie… due dozzine di copie!» corresse immediatamente, indicando poi la luminosa vetrina «Le esporrò immediatamente. Posso pagargliele il triplo del loro valore?»

«Pensavo al quadruplo.» Kenny mimò un sorriso ferino.

«Ma certo! E… posso anche pagarvi un extra, se gradite.»

«Io gradisco sempre i soldi, ma… un extra per cosa?»

«Beh, per chiedervi protezione.»

L’assassino si sfregò il mento, pensieroso. La proposta non era niente male, anzi! L’accoppiata libro + pizzo era sicuramente vantaggiosa. Avrebbe potuto vendere il volume e garantire tutela ai negozianti che accettavano di acquistarne più copie. Naturalmente, avrebbe dovuto definire una scala sconti ottimale: dieci copie davano diritto ad una settimana di protezione; venti copie a due settimane e così via…

«è una proposta onesta» sentenziò infine «Mi piace!»
 

***
 

Kenny sbatté i libri sul tavolaccio della quattordicesima libreria. Soltanto un commesso aveva rinunciato all’acquisto e, come prevedibile, era ruzzolato sotto il bancone con un foro in testa in una manciata di secondi. Gli altri negozianti avevano accolto con entusiasmo quella nuova iniziativa: acquistare dei libri ed avere in cambio la protezione dell’assassino più famoso del Wall Sina era, indubbiamente, il miglior affare della loro vita – che non sarebbe durata molto, in caso contrario.

«Quanto mi dai per questi?»

La giovane proprietaria si passò la lingua sulle labbra con fare seducente:
«Tutta me stessa.» sussurrò maliziosa.

«Sì, va beh… e poi?»

«Poi cosa?»

«Soldi?»

«Oh, signor Ackerman… farò di meglio. Vi donerò la mia libreria, sarà tutta vostra. Vi darò i miei risparmi, la mia casa, la mia vita. Oh, vi prego…» la donna si arrampicò sul bancone, con un frusciare indiscreto di sottogonne, pizzi e merletti. Tentò di aggrapparsi alla manica del nero cappotto «Vi imploro, fatemi vostra. Sarò la vostra devota moglie…»

«Non prendo impegni a lungo termine.»

«Amante? Fidanzata? Sguattera tuttofare che si infila nel vostro letto la sera?»

«Mh, non mi serve niente del genere. E come schiavetto ho già lui…» Kenny accennò al nipote appoggiato al portaombrelli, ormai completamente esausto «è compatto, mangia poco e devo solo portarlo fuori una volta al giorno a fare i bisognini. Non penso di sostituirlo.» una leggera pausa incerta «Ti interessa la promozione Pizzo? Libri più protezione garantita, per dieci, venti o trenta giorni a tua discrezione.»

«Siete incluso nell’offerta?»

«No, spiacente.»

Accidenti, quella donna si stava rivelando davvero un osso duro. Chiedere il pizzo non era mai stato così difficile, anche perché… a giudicare dalle calze che la commessa si stava frettolosamente togliendo, probabilmente aveva mal interpretato la situazione. La osservò scalciare le scarpette e iniziare a slacciarsi il corpetto. Normalmente, beh… sarebbe rimasto a guardare ben volentieri, ma per gli uomini d’affari il tempo era denaro, no?

Sollevò una mano cercando di bloccare quello spogliarello improvvisato:
«Mh, credo tu abbia frainteso il significato della parola “pizzo”. Non intendevo…» allungò la destra, indicando il reggiseno che era appena volato a terra «Questo tipo di pizzo…»

«Oh…»

«Intendevo…»

«Il marito della pizza? Mio cugino è pizzaiolo, se volete!» di nuovo quella voce sensuale fuori luogo e uno strisciare sul banco con fare da pantera in amore «Sono certa che ci preparerà il miglior giro-pizza di tutto il Wall Sina… solo per noi e…»

«Sei davvero una ragazza graziosa, ma decisamente scema… non l’avrei mai detto di una bibliotecaria.»

«Oh, tanto non so leggere.»

«Ah, capisco… puoi smetterla di spogliarti? Mi traumatizzi il nipote.» disse, accennando a Levi, che nel mentre era caduto dentro il portaombrelli «Con “pizzo” intendevo una graziosa forma di estorsione, capisci? Io ti do protezione in cambio di denaro e…»
Era inutile proseguire… quella non faceva altro che fissarlo con un’aria da maniaca professionista, ripetendo continuamente:

«Oh si, proteggimi tutta!»

Kenny decise che, per una volta, poteva anche lasciar perdere l’affare. Salutò con un cenno e si diresse a passo spedito verso la porta, sgattaiolando rapido in strada ed allontanandosi dal negozio.

 
Una decina di minuti più tardi, tornò indietro per recuperare il nipote, ancora dentro il famigerato portaombrelli.
 

***
 

Levi stramazzò al suolo quando, all’alba del ventiduesimo negozio, sentì la gerla finalmente vuota. Kenny aveva venduto le ultime quindici copie sfruttando al massimo la promozione Pizzo. Non gli era rimasto più nulla da piazzare, malgrado le insistenze del commesso che desiderava avere qualcosa di più: copie autografate? Ah, certamente… se al maestro Kenny facevano male le mani, beh… non era il caso di insistere. Un ritratto ricordo era almeno possibile? O una intervista esclusiva a quello che, ne era certo, sarebbe diventato ben presto l’autore più amato delle mura?

«Zio…» pigolò, una volta terminato il giro delle consegne «Mi fanno male le spalle e i piedini. Sono stanco. Possiamo andare a casa?»
«Di già? E io che volevo portarti a mangiare un gelato, per ringraziarti dell’aiuto che mi hai dato…»

Risollevò immediatamente il capo, osservando dal basso la figura dell’assassino. Kenny lo stava fissando con il solito odio e disprezzo a cui era tristemente abituato. Eppure… si ingannava o vi era un accenno di sorriso sulle labbra avvizzite? O addirittura un luccichio orgoglioso nelle iridi chiare? Beh…a ben pensarci, forse il “luccichio orgoglioso” era un po’ troppo, ma si sarebbe accontentato del sorriso, indubbiamente. Annuì, mentre un senso di leggerezza gli invadeva il cuore. Alla fine, Kenny aveva riconosciuto i suoi sforzi; si era reso conto del suo impegno e della silenziosa fatica a cui si era sottoposto. Finalmente, lo zio gli avrebbe tributato la giusta ricompensa, l’onore e l’orgoglio e… chissà, magari gli avrebbe concesso di provare il cappello!

«Davvero?» domandò, mentre le labbra si piegavano in un piccolo sorriso speranzoso.

«No, deficiente!» Kenny lo rimise bruscamente in piedi, calando quella sentenza come un’ascia sul collo di un condannato «E adesso muoviti, che dobbiamo andare a rapinare le vedove.»

Levi tirò su col naso.
«Non mi valorizzi mai…»

«E chissenefrega.»

«Mi fai lavorare sempre gratis e…»

«Mi hai preso per un sindacalista, Levi?»

Nascose il viso tra le manine, senza riuscire a trattenere un singhiozzo.

«Non apprezzi mai quello che faccio, non mi regali mai niente e nemmeno mi compri il gelato. Voglio andare alle Bahamas con la mamma!»

«Levi…» colse un movimento e, poco dopo, scorse Kenny chinarsi sulle ginocchia e posargli una mano sulla spalla ossuta «Facciamo così, per ringraziarti dell’aiuto… scriverò il prossimo libro su di te.»

Il bambino alzò nuovamente il viso, pulendosi frettolosamente le lacrime.

«Davvero?» domandò, la vocina rotta più dall’emozione che dal pianto, ora.

«Ma certo!» lo zio gli sorrise, battendogli una leggera pacca sulla schiena «Lo intitolerò “Le avventure del mio nipote di merda”… accattivante, vero?»

 


 

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Capitolo 17
*** Ottenne un nuovo cavallo ***


La volta in cui Levi ottenne un nuovo cavallo


Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 1, Missione 3 (Missione All Stars)
* Prompt: Stupenda mucca marrone
* Parole: 2312


***


Hanji sollevò la paletta con entusiasmo.

«Offro centoventi monete per questo splendido destriero!» esclamò, mentre Moblit tentava inutilmente di abbassarle il braccio:
«Caposquadra, quello non è un cavallo!»

«Non dire scemenze, Moblit. È il più bel cavallo che abbia mai visto.»

«Ma… senza occhiali siete praticamente cieca! Datemi retta, ritirate l’offerta.»

Stupido Moblit! Che voleva saperne di equini? In fondo, era soltanto cresciuto in una fattoria ia-oh, ai margini del wall Maria ia-oh. Sicuramente, non aveva studiato abbastanza l’argomento per potersene intendere davvero. A differenza sua, invece, che aveva passato i tre giorni precedenti a studiare la perfetta morfologia dei cavalli da tiro, per essere certa di aggiudicarsi l’esemplare migliore di tutta l’asta. In fondo, Erwin le aveva chiesto di procurare un nuovo e robusto stallone per i lavori più pesanti, come trainare i carri durante le spedizioni e, nei tempi sereni, per arare l’orticello dietro la caserma del Corpo di Ricerca.

L’aver dimenticato gli occhiali sul comodino, ovviamente, non era un gran problema. Aveva approfondito talmente bene l’argomento che avrebbe saputo scegliere un buon destriero anche bendata. Squadrò attentamente l’indistinta macchia marrone che danzava davanti alle sue iridi, sforzandosi di capire quale fosse il davanti e quale il didietro e quanto fosse alto l’animale. Non sembrava particolarmente slanciato, ma indubbiamente era robusto e ben piazzato.

«Centoventi e uno.» sancì il banditore, poco dopo coperto dalla voce del suo assistente:

«Caposquadra, vi prego! Ritirate l’offerta.»

«Centoventi e due.»

«Piantala Moblit, è perfetto!»

«Centoventi e tre! Aggiudicato alla simpatica rappresentante della Legione Esplorativa!»

Hanji sollevò le braccia al cielo, agitandole festosa:
«Abbiamo vinto, Moblit! Erwin sarà felicissimo.»

«Dite? Io, in verità, temo che il comandante non sarà di buon umore quando vedrà il nostro acquisto.»

«Sciocchezze! Lo adorerà.. a proposito… è un maschio o una femmina?»

«Umh… una femmina, direi.»

«Splendido! La chiameremo Marie, in ricordo della vecchia fiamma di Erwin… sono sicura che apprezzerà.»

L’assistente scosse piano il capo. Vedeva già i titoli sul Corriere delle Mura: “Insulti alla moglie del comandante della Polizia Militare. Arrestati per diffamazione due facinorosi”.

 
***
 

«Hanji, che cosa hai fatto?!»

Nanaba non riuscì a trattenere lo stupore, quando vide cosa vi era parcheggiato nel quinto box delle scuderie. Mike era riverso a terra e si stava rotolando dal ridere, mentre Moblit piangeva silenziosamente in un angolino.

La scienziata, tornata padrona dei propri occhiali, batteva incredula le palpebre:
«Ti giuro che mi sembrava un cavallo.»

Al centro del recinto ruminava placidamente una stupenda vacca marrone. Il pelo lucido sfumava in toni più chiari lungo il ventre e le zampe. La coda si agitava a tratti, per scacciare qualche mosca di troppo. Gli occhi dolci squadravano a turno i quattro veterani, mentre un paio di piccole corna spuntavano ai lati della fronte, accanto alle morbide e vellutate orecchie.

«Muuu

«Come hai detto che si chiama?» domandò Nanaba, ancora rivolta alla caposquadra.

«Marie.»

Le risate di Mike crebbero in intensità.

«Come hai potuto scambiare un bovino per un cavallo?!»

«Ero senza occhiali…»

«Caposquadra, io ve l’avevo detto di lasciar perdere…» l’assistente venne prontamente messo a tacere da un gesto perentorio:

«Stai zitto, Moblit! Avresti anche potuto dirmelo che non era un cavallo.»

«Ci ho provato, ma voi…»

«Erwin non la prenderà bene.» Nanaba allungò la mancina, lasciando che la vacca si avvicinasse per leccarle piano il palmo «Avete investito gli ultimi risparmi per comprare una mucca al posto di un cavallo da tiro.»

«Beh, potremmo usarla comunque. In fondo, credo riesca a trainare i carri dei rifornimenti.»

«Senza dubbio, ma non reggerà mai il ritmo della carica, lo sai! È già difficile per un buon stallone tenere il passo… per Marie è praticamente impossibile.» Nanaba scoccò un’occhiata agli altri tre veterani «Avete qualche idea per risolvere questo pasticcio?»

«Beh, potremmo dare la colpa a Moblit!» sussurrò la scienziata, immediatamente interrotta dal suo personalissimo capro espiatorio:

«Caposquadra, non credo di meritare così a fondo il vostro odio…»

«Suvvia, Moblit. Assumiti le tue responsabilità!»

Mike si asciugò le lacrime, sforzandosi di soffocare le ultime risatine. Sollevò poi una mano, come a richiamare l’attenzione:
«Io ho un’idea! Regaliamola a Levi.»

 
***
 

Levi fissò l’animale dentro al proprio recinto, grattandosi nervosamente una tempia. C’era qualcosa che non quadrava. Che fossero ancora i postumi della sbronza della sera prima? Ah, non avrebbe dovuto partecipare all’addio al celibato di Auruo. Sentiva un cerchio alla testa e, senza dubbio, l’alcool aveva ottenebrato i suoi sensi al punto da distorcere la realtà. Eppure non aveva bevuto tanto! Anche se… beh, a lui bastavano un paio di bicchieri di vino per scorgere il Nirvana.

Tuttavia, non se la sentiva di dare esclusivamente la colpa al vino. La creatura che lo stava osservando non era la sua scattante giumenta; al contrario, sembrava qualcosa di quadrato, marrone e piuttosto ingombrante.

«Ti ricordavo nera…» sussurrò, aprendo il cancellino ed entrando nel box per recuperare la cavezza. Cercò di montarla sul muso, allargando e stringendo le fibbie per poterla adattare. Similmente, tentò di fissare la sella, srotolando completamente le cinghie per passarle sotto al ventre dell’animale. Alla fine, agganciò le briglie e la accompagnò fuori.

«Sai, ero convinto tu fossi più magra, anche… hai messo su qualche chilo? Mh…» sussurrò, ancora pensieroso «Forse dovrei dire ai ragazzi di darti meno biada.»
Si mosse rapido, sbucando poco dopo nel cortile interno della caserma. Attorno alle stalle, fremevano i preparativi per l’imminente partenza: i soldati sellavano i cavalli, riempivano le bisacce con provviste e cambi, facevano rifornimento di gas e lame. Infine, in un angolo, qualcuno stava caricando un carro con alcune bombole e con le casse dei viveri. Levi si accostò, osservando il destriero nero fissato al carretto. Piegò il capo un po’ a destra e un po’ a sinistra:
«Tu mi sembri familiare…» sussurrò, consapevole che il suo livello di stupidità stava toccando il picco massimo.

«Levi!»

Quel richiamo lo costrinse a voltarsi. Sul volto pallido si accese un leggero sorriso, nello scorgere l’avanzare del comandante. Se avesse cercato il nome “Erwin” su un qualunque dizionario, lo avrebbe trovato alla voce: “perfezione”. Il superiore si stava avvicinando, il passo marziale cadenzato e regolare. Gli stivali consumati avvolgevano i polpacci come un guanto, così come le cinghie dell’imbragatura che correvano sulle gambe robuste e sul petto muscoloso, semicoperto dalla giacchetta con le Ali ricamate sul petto e sulla schiena. La camicia inamidata era stretta attorno al colletto dal pendente smeraldino, mentre la manovra agganciata ai fianchi ciondolava appena con un ticchettio familiare. Il viso appariva stanco, come al solito. Senza dubbio, Erwin si era attardato la sera prima per ripassare il piano, ricontrollare le mappe e gli ultimi resoconti. Gli occhi azzurri, tuttavia, mostravano soltanto risolutezza e determinazione. I capelli biondi, scompigliati dalla brezza mattutina, erano l’unica traccia di normalità che accompagnava quella figura più simile ad una divinità che ad un comune essere umano.
Produsse involontariamente un leggero sospiro:
«Aw…»

Erwin gli si accostò, scrutando perplesso il nuovo acquisto:
«Che stai facendo?» chiese.

«Mi sto preparando per la partenza.»

«Questo lo vedo, ma… dove è il tuo cavallo?»

Scosse il capo a quella domanda:
«Ho trovato questa nel box stamane.»

Il superiore sembrava contrariato: aveva poggiato le mani sui fianchi e lo stava fissando con un misto di disperazione, rassegnazione e stizza. Ce l’aveva con lui per via del cambio di cavalcatura? Possibile! Evidentemente, desiderava essere consultato in anticipo, ma… come avrebbe potuto avvisarlo? Anche per lui quella era stata una brusca novità.
Scrollò leggermente le spalle, limitandosi ad un:
«Che ne so! Penso sia andato… a fare una revisione.»

«Nessuno fa la revisione senza il mio permesso!» sbottò il biondo, allungando la mancina per carezzare piano il garrese della bovina «E quella, beh…non credo sia adatta per una spedizione oltre le mura.»

«Sì, ma non trovo la mia giumenta! Come faccio senza di lei?»

«Non è quella attaccata al carretto?»

«No, Erwin! Ti confondi.» la voce di Mike giunse perentoria «Non è la cavalla di Levi. Quella è… la gemella.» il caposquadra Zacharias affilò un sorrisetto compiaciuto «La sua giumenta è fuggita questa notte insieme al bel puledro del secondo recinto. Una fuga d’amore… zoccoli in spalla e via col vento.» batté una pacca sulla groppa della vacca, strappandole un sordo muggito «Per compensare questa perdita, abbiamo prontamente trovato una degna sostituta: Marie!»

Erwin si passò una mano sul viso, soffermandosi a pizzicare l’attaccatura del naso aquilino:
«Hai dato ad una vacca il nome della moglie di Nile…»

«Non sono stato io! E comunque... L’alternativa era di chiamarla “Historia”.»

«Ecco, bravo! Così ci decapitavano seduta stante.»

«Erwin, ti prego…» Mike congiunse le mani, in una palese supplica «Non ricapiterà mai più un’occasione del genere. Ti prego…»

«Non mi sembra il caso. È uno scherzo stupido e…»

Non riuscì a terminare la frase. Levi, senza badare a nessuno di loro, era montato in sella e stava spronando Marie a raggiungere la testa della carovana; impettito e fiero, il soldato più forte dell’umanità non si curava affatto dei sorrisi e delle risatine che accompagnavano la sua cavalcata. Senza dubbio, erano moti di incoraggiamento. D’altronde, chi avrebbe mai avuto l’ardire di prenderlo per il culo?

 
***

 
Levi si sollevò sulle staffe, portandosi una mano alla fronte e scrutando l’orizzonte. Dove diamine era finita la Legione Esplorativa? Era sicuro che avrebbero proseguito dritto, ma non si scorgeva nulla in nessuna direzione. Possibile lo avessero lasciato indietro?

In effetti, dopo il quattordicesimo inascoltato invito di Erwin ad affrettare il passo e cambiare cavalcatura, era possibile che il comandante avesse scelto di abbandonarlo e proseguire nella spedizione.

«Come osano? Sono il soldato più forte dell’umanità! Non possono lasciarmi indietro come l’ultimo dei cadetti.» ringhiò, tallonando i fianchi di Marie che, per tutta risposta, abbassò il muso e riprese placidamente a ruminare «Ah, si pentiranno di avermi abbandonato qui. Sono sicuro che non appena avvisteranno un titano torneranno indietro strisciando a chiedermi scusa…» sussurrò, battendo un paio di colpi sul garrese della bovina «Non sai fare altro che mangiare, tu?»

«Muuuu…»

«Seh, muuu, muuu…» smontò, balzando agilmente a terra ed avvicinandosi ad una roccia sporgente. «Attenderemo il loro ritorno seduti qui. Oh, voglio proprio vederli arrivare grondanti di sangue, con qualche arto in meno. La prossima volta, capiranno l’essenza del nostro valore, Marie!»

 
***
 

L’attesa fu snervante. Dopo aver cercato inutilmente di imbastire un torneo di briscola con il presunto cavallo ed un paio di conigli di passaggio, si era disteso al suolo, sforzandosi almeno di dormire un poco. Dei corvi si erano avvicinati nella speranza fosse morto, ma al primo accenno di sordo russare avevano ripreso il volo.

«Cra cra

«Craaa...» avevano detto, battendo le ali ed allontanandosi nel cielo terso.

Consapevole della difficoltà nel comprendere il corvese, verrà fornita al lettore una rapida traduzione:

«Che sfiga! Di solito son tutti stecchiti… l’unico vivo lo becchiamo noi.»

«Eh già…»

Soltanto verso il tramonto, Levi udì uno scalpitare di zoccoli in lontananza. Si raddrizzò immediatamente, salendo addirittura sul vicino masso per poter avere una visuale completa. Il Corpo di Ricerca stava tornando e, suo malgrado non si notavano sguardi affranti, braccia rotte o gambe mutilate. Con la sola eccezione di Erwin, i colleghi presentavano una invidiabile colorazione dorata; viceversa, la pelle del comandante era diventata rossa come la buccia di un peperone.

Fu proprio questi a frenare il nobile destriero accanto a lui, apostrofandolo con un:
«Siamo tornati Levi! Non sai che ti sei perso.»

«Perché sei rosso come un gambero?»

«Un gambero? Sarebbe?»

«Boh, mi sembrava carina l’espressione.» incrociò le braccia al petto, scoccando all’altro una lunga occhiata inquisitrice «Allora? Dove siete andati?»

«Al mare!»

«…ci siete riusciti? Siete arrivati all’oceano? Senza nemmeno incrociare un gigante?»

Vide l’altro scuotere il capo:
«Nemmeno mezzo! Abbiamo deciso che sei tu che porti sfiga, Levi. In ogni caso, ci sei mancato… il mare ti sarebbe piaciuto, sai? C’era una spiaggia enorme e si stava decisamente bene; faceva così caldo che ci siamo messi tutti il costume da bagno.»

«… Avete un costume da bagno?»

«Certo! Tu non ne porti mai uno nella bisaccia? Sai… per ogni evenienza.»

Levi aggrottò la fronte: vivevano da sempre circondati da mura, in una serie di distretti poveri e in città sotterranee dove l’unico bagno a cui si poteva ambire era quello nella fognatura! Che razza di evenienza poteva richiedere un costume da bagno?! Preferì non indagare, limitandosi ad osservare gli altri soldati. Qualcuno beveva latte da una noce di cocco, qualcuno si stava spalmando del latte doposole sul viso, altri erano ancora intenti a togliersi la sabbia dagli stivali. Il caposquadra Zacharias stava finendo di sistemare una griglia alle cinghie della sella.

«Emh… quella?» chiese, indicandola.

«Oh, beh… Mike ha improvvisato un barbecue, mentre Moblit ha suonato l’ukulele davanti ad un fantastico falò. Hanji ha passato tre quarti del tempo in acqua a raccogliere dati sulle alghe e sui pesci, e Nanaba… beh, confesso che non sapevo avesse doti imprenditoriali così spiccate! Ha venduto pezzi di cocco a praticamente tutta la Legione. Credo abbia guadagnato più di quanto prendiamo io e te messi assieme in un anno…»

«Perché non mi avete aspettato? Sarei potuto venire anche io…»

«Beh, noi ti avevamo chiesto di cambiare cavalcatura, ma non hai voluto ascoltarci.»

«Non potevo abbandonare la mia cavalla.»

«Levi… quella è una vacca!»

Cose immediatamente a turare le orecchie dello sventurato animale:
«Non essere maleducato, Erwin!»

«Non mi hai capito. È una vacca davvero…»

«è così pura. E casta…»

«Levi, è una mucca! Un bovino, una… femmina adulta di Bos taurus

Il capitano fece un passo indietro, rimirando la conformazione della creatura, che stava ancora ruminando nella più totale indifferenza. In effetti, ora che la guardava bene… non assomigliava per nulla ad un cavallo. Non possedeva la tipica conformazione nevrile, né lunghe zampe scattanti. Non aveva una criniera e nemmeno una coda vaporosa. Gli occhi apparivano sin troppo spenti e persino le orecchie erano diverse.

«Oh…»  sussurrò infine, senza riuscire a trattenere una smorfia stupita «Ecco perché aveva le corna.»

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Capitolo 18
*** Salvò la Terra di Tre/Quarti ***



La volta in cui Levi salvò la Terra di Tre/Quarti



Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 2, Missione 1
* Prompt: Fantasy
* Parole: 5007



***


Levi imprecò sonoramente quando i suoi stivali calpestarono dello sterco fresco. Sollevò gli occhi al cielo, maledicendo qualsiasi divinità governasse quel mondo vigliacco. Naturalmente, non aveva idea di come fosse finito in quel pasticcio, ma aveva persino smesso di chiederselo. Ultimamente succedevano troppe cose strane e forse non era il caso di cercare una reale spiegazione.

«Perché i draghi con la diarrea li trovo tutti io?» ringhiò, tentando di pulire la suola contro l’erba fresca della prateria «Comunque, non ho ancora capito cosa ci facciamo qui…»

«Beh, tecnicamente… siamo stati incaricati di buttare questo Canestrello del Potere nel Monte Fatto e salvare così il mondo dalle grinfie di… non ho capito come si chiama il nostro antagonista, ma poco male. Un Anonimo Antagonista, ecco.» spiegò Erwin, cavando di tasca un biscotto a forma di fiore, coperto da un doppio strato di zucchero a velo bianco.

«Si, ma… chi lo ha deciso?»

«Non ne ho idea. Perché non la smetti di lamentarti e non fai qualcosa di utile?»

«Tipo cosa?» sbottò, guardandosi rapidamente attorno. Nessuno in quella stupida compagnia stava facendo “qualcosa di utile”. Hanji stava annusando sistematicamente dei fiori, annotando su una pergamena sgualcita i loro profumi, mentre Nanaba prendeva il sole sdraiata accanto ad un fresco ruscello. Moblit era immobile al centro di uno spiazzo: era morto o si stava immedesimando in una banderuola segnavento? Non che avesse importanza. Mike, per finire, si era arrampicato su un voluminoso masso e, con la mancina alla fronte stava scrutando l’orizzonte.

«Mike!» la voce di Erwin tornò a farsi sentire nel silenzio di quel caldo pomeriggio «Cosa vedono i tuoi occhi da elfo?»

«Un cazzo.» fu la perentoria risposta «Ma se ti vuoi affidare al mio naso, sento che sta arrivando una minaccia da nord est. Che credo sia… da quella parte o giù di lì.» il caposquadra Zacharias stese una mano, indicando approssimativamente il limitare di un vicino bosco.
«Una minaccia? Tipo cosa?»

«I Nilegul.»

Levi aggrottò la fronte: i Nilegul difficilmente si facevano vedere di giorno; erano creature notturne, vestite con dei mantelli neri e dalle mani ossute; tutte indistintamente, possedevano le fattezze del comandante della Polizia Militare e, in quanto tali, mostravano un’innata propensione all’accudire la prole durante le ore diurne. Naturalmente, essere catturati da un Nilegul poteva rivelarsi una sorte peggiore della morte stessa: leggende narravano come questi esseri spietati costringessero le loro vittime a sedute interminabili di pesca sul ghiaccio, a ciaspolate mattutine ed a corsi di windsurf sui laghi dell’entroterra.

«Maledizione!» sbottò, indietreggiando istintivamente «Dobbiamo fuggire! Presto, prima che ci…»

Non riuscì a terminare la frase: dal limitare della radura, un pianto sfrenato di neonato annunciò l’arrivo dei Nilegul. Levi riuscì a contarne sei, in sella a delle biciclette fornite di seggiolini per bambini e di campanelli a forma di trombetta.

«I Nilegul!» gridò, voltandosi e mettendosi a correre. Non c’erano speranze contro quelle creature. Non sarebbero mai riusciti a sconfiggerle, men che meno senza uno straccio di arma. Ah, perché si erano ritrovati in quel mondo assurdo senza nemmeno avere uno scudo, una spada o un arco? Le uniche cosa che possedevano era quello stupido biscotto a fiore e Moblit. Uno più inutile dell’altro.
Levi scattò attraverso la pianura verdeggiante, ben attento a non pestare altre cacche di drago. Sentì i passi dei compagni accerchiarlo velocemente. Tutti stavano fuggendo, cercando di seminare gli oscuri cavalieri, il cui alito pestilenziale si faceva sempre più vicino.

«Non ce la faremo.» sbottò Erwin al suo fianco «Dobbiamo rallentarli in qualche modo. Nessuno ha un’idea?»

Ed ecco l’ennesima pessima notizia! Se persino il comandante era senza un piano, come poteva sperare che qualcun altro ne partorisse uno decente in tempi brevi?

«Mi prendi per il culo?» sibilò, ma le sue proteste vennero presto coperte dalla voce di Mike:

«Io ho un’idea! Lasciamo che catturino Levi. Tanto non ci serve a nulla…»

«Vaffanculo, Nasone!­»

«Sei talmente basso che ti scambieranno per un bambino bisognoso d’affetto. Li terrai impegnati mentre noi potremo filarcela e…»
Proprio in quel momento, si udì un tonfo poco lontano: Moblit era scivolato a terra e faticava a rialzarsi.

«Moblit!» esclamò Hanji, cercando di tornare indietro. Nanaba, tuttavia, la trattenne prontamente:

«Lascialo o non ce la faremo!­»

«Ma… è il mio assistente.»

«Non puoi farne a meno?»

«Beh…»

«Preferisci che ci catturino tutti?»

«No, certo che no! Ma forse dovremmo metterla ai voti… sai, per essere più democratici.» squittì la scienziata, sollevando prontamente la mancina «Chi è d’accordo con me nel salvare Moblit?» nessun altro braccio si mosse «D’accordo…» si arrese immediatamente «Proposta rigettata. Addio Moblit, ci mancherai!»

Le urla disperate dell’assistente vennero completamente ignorate. I cinque veterani continuarono a correre, abbandonando il compagno alla sua triste fine. Si dileguarono, sparendo in fretta nella vicina foresta.
 

***
 

Aver perso un elemento del gruppo, ovviamente, non aveva affatto intaccato il morale della piccola compagnia. La mancanza di Moblit si sentiva soltanto perché avevano dovuto depositare i mantelli su un classico appendiabiti in legno, anziché buttarli alla rinfusa sulle spalle dello sventurato soldato.

Erwin sedette al tavolo rotondo, situato giusto al centro della sala. La locanda “Al Titano Impennato” era parsa un buon posto dove poter riordinare le idee e passare la notte. Lì, quanto meno, sarebbero stati al sicuro dai Nilegul e da chiunque fosse l’antagonista di quell’assurdo posto.

«Ragazzi, dobbiamo fare il punto della situazione.» esordì il comandante, mentre Nanaba gli dava subito man forte:

«Sì, perché non si capisce niente! Chi siamo? Dove andiamo? Cosa dobbiamo fare?»

«E perché è stata creata la vita?» si intromise Hanji.

«A quello risponderemo poi.» sussurrò rapidamente il biondo, tornando a concentrare l’attenzione sui quattro superstiti «Mi sembra evidente che per risolvere questo pasticcio, dobbiamo portare a termine la missione: gettare il Canestrello nel Monte Fatto e salvare il mondo. Mi pare una cosa piuttosto facile da capire…»

«Sì, ma questo Monte Fatto dove si trova?»

«Non ne ho idea.»

«Ma non avevamo una mappa?»

«Mh…» Erwin si sforzò di ricordare dove potesse averla messa. Schioccò le dita non appena gli tornò a mente «Ah, sì! L’avevo data a Moblit, quindi ora siamo senza cartina. Beh, chiederemo informazioni al massimo…»

Levi si massaggiò le tempie, cercando di ricomporre i pezzi di quel complicato puzzle, che – se era già complesso per uno come Erwin – per lui era praticamente impossibile da capire:
«Qual è la prossima mossa, quindi?»

«Stabilire i ruoli e procurarci delle armi.» rispose immediatamente Erwin «Per ovvie ragioni, io sarò il comandante di questa spedizione.»

«Perché non posso farlo io?»

«Perché l’ultima volta hai perso un’intera squadra che ti aveva prestato Hanji… e l’hai persa perché sei stato così ingenuo da non pensare che tuo zio fosse un filo più intelligente e scaltro di te. Non che ci voglia molto, in effetti, però… beh, io ho comunque più esperienza.»

«E allora io chi faccio?» piagnucolò, mentre Mike – alla sua destra – scoppiava in una risata incontrollata:

«Te fai il nano.»

«Vaffanculo Nasone.»

«No, sul serio! Io faccio l’elfo gnocco e tu fai il nano brontolone che non sa fare un cazzo…»

«Perché non posso farlo io l’elfo gnocco?»

«Perché sei alto un metro e un tappo, hai una faccia da rospo e… perdonami, ma…» Mike si alzò di scatto, gonfiando i muscoli delle braccia e del petto «Vuoi mettere? Guarda quanto bendidio qui!»

«Io sarò una principessa, allora!» esclamò Hanji, ravvivandosi i capelli unti con le dita macchiate di marmellata «Sono così raffinata ed educata che… beh, è un ruolo che mi calza perfettamente. E tu?» chiese poi, rivolgendosi a Nanaba.

«Io voglio essere l’affascinante guerriera femminista, che si ribella alle convenzioni sociali per dimostrare che le donne sono meglio degli uomini anche sul campo di battaglia.»

«Bene!» Erwin batté le mani, riprendendo immediatamente la parola «Ora che abbiamo definito tutti i nostri ruoli…»

«Io non ho definito una mazza! Il nano non lo voglio fare.»

«…possiamo concentrarci sulle prossime cose da fare. Per esempio, andare dall’armaiolo e procuraci delle spade prima di rimetterci in viaggio.»

«Non voglio fare il nano!»

«Obiezioni?» ignorò la mano alta di Levi «Bene, direi che possiamo procedere. Cena e poi tutti a nanna, che domani ci aspetta una giornata impegnativa.»

 
***

 
Il fabbro altri non era che un uomo barbuto, le cui fattezze ricordavano vagamente quelle del comandante Zackley. A giudicare dall’insegna della fucina, anzi – un uomo appeso a testa in giù, con una lancia infilata dove non batteva il sole -  doveva essere un suo diretto parente.
«Cosa posso fare per voi?» chiese con voce acida, accogliendoli da dietro un bancone di legno consumato.

«Vorremmo delle armi.» rispose prontamente Levi, ricevendo un’occhiataccia dal bottegaio:

«Ovviamente, altrimenti non sareste venuti qui. Andreste mai da un fioraio a comprare uno stiletto, Messer Nano?»

«Non sono un nano!»

«Tanto peggio per voi, allora… credevo lo foste, vista la statura. Ma.. evidentemente mi ingannavo.» Zackley-bis scrollò le possenti spalle «Quindi cosa siete? Un bambino? Non vendiamo ai minorenni qui…»

«Ho trentacinque anni!»

«Sì, e io sono la principessa del regno delle fate.»

«Ma…»

Erwin gli posò una mano sulla spalla, scostandolo delicatamente:
«Lascia fare a me.» disse, sfoderando il più affabile dei suoi sorrisi «Buongiorno. Come stava dicendo il mio amico…»

«Ah, quindi per te sono solo un amico?!»

«… siamo qui per acquistare delle armi. Dobbiamo affrontare un lungo e periglioso viaggio e… son dell’idea che girare privi di protezioni non sia proprio furbo.»

«Infatti non lo è. Bene…» il fabbro cavò un pesante registro da sotto il bancone «Ditemi il vostro nome e la vostra specializzazione e vedrò in che posso servirvi.»

«Erwin Smith, comandante della spedizione.»

«A voi. Spada a doppio filo, con elsa in argento e diamanti. Posso personalizzarvela, se desiderate: posso incidere sulla lama il vostro nome… o gradireste una profezia? Vanno molto di moda ultimamente, le profezie. “Mi illumino d’immenso”… che ne dite?»

«Mh, no.»

«Oh, forse non è abbastanza incisiva? Preferireste “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.”?»

 «Uh, no, vi ringrazio. Va benissimo così.» Erwin afferrò la spada, appendendola al fianco e cedendo il posto al successivo.

«Mike Zacharias, elfo gnocco.» Mike storse il naso quando si vide recapitare un elegante arco, completo di faretra in morbido cuoio «Io questa roba non la voglio. È da femmine!»

«Scherzate? L’arco è l’arma degli elfi per eccellenza.»

«Io voglio una mazza chiodata.»

«Gli elfi non le usano.» ringhio l’uomo «Non pensate di entrare qui e insegnarmi il mio lavoro. O cambiate classe oppure vi accollate l’arco. Prendere o lasciare.»

«Ma non lo so usare!» protestò, mentre Levi lo spingeva rapidamente di lato:

«Non è difficile, zuccone. La freccia va dentro l’altra persona!» mormorò, picchiando i pugni sul tavolaccio di legno «Tocca a me! Io voglio…» Non finì neppure la frase. Il fabbro lasciò cadere davanti ai suoi occhi un’ascia bipenne. «Che me ne faccio di questa? Non riesco nemmeno a sollevarla! Ed è alta quanto me.» protestò, tentando inutilmente di smuovere l’arma dal bancone.

«Siete un nano o no? I nani usano le asce o i martelli da guerra! Siete come il vostro amico, che pretende di saperne più di me?»

«No, ma…»

«Se non volete la bipenne, ecco un’altra soluzione.» l’ascia venne sostituita da una fionda «Ecco qui. Omologata anche per i bambini…»

«Tuttavia…»

«Il prossimo!»

Fu il turno di Hanji:
«Io…» esordì la scienziata «Sono una splendida ed elegante principessa, che non ha alcuna voglia di sporcarsi le mani in un periglioso viaggio perché preferisce rimanere nel giardino di casa a studiare piante, insetti, uccellini.»

Il fabbro si sfregò il mento barbuto indeciso. Poco dopo, tirò fuori una coppia di maracas, che la donna accettò con estremo piacere.

Infine, l’unica a ricevere un’arma soddisfacente fu Nanaba. Le bastò parlare di femminismo e battaglie per la parità dei sessi nelle epopee fantasy per ottenere: una corazza in ferro completa di gambali ed elmo su misura; una coppia di daghe elfiche; una mazza chiodata portatile e persino un nobile destriero con cui cavalcare vittoriosa verso il tramonto.

Soddisfatti degli acquisti e con molto meno denaro nelle loro tasche, i cinque ripresero poi il cammino.
 

***
 

Erwin si grattò furiosamente una tempia, in preda all’indecisione: la mappa, acquistata presso un ambulante per pochi spiccioli, segnava a nord il cammino per il Monte Fatto; i cartelli posizionati al bivio, invece, indicavano l’est.

«E ora?» chiese, mentre Levi, al suo fianco, scrollava mestamente le spalle.

«Sei tu quello intelligente qui.»

«Già…»

«Potremmo dividerci. E spezzare il Canestrello a metà. Ognuno dei due gruppi porterà Mezzo Canestrello al Monte Fatto.»

«Umh… per una volta, un’idea sensata. Stai migliorando.» Erwin prese il biscotto, facendo per romperlo a metà. Ne consegnò una parte a Mike:

«Tieni. Te lo affido. Ora… formiamo le squadre.»

Levi si strinse istintivamente ad una gamba del comandante. Questa volta non si sarebbe lasciato fregare. Per nulla al mondo sarebbe andato con Mike. Erwin avrebbe capito il suo attaccamento? La sua devozione? Il suo amore sconfinato degno dei migliori romanzi rosa? Specie visto che si era appigliato al lui come un Koala ad un ramo.

«Nanaba viene con me.» mormorò il biondo «E anche…»

Levi socchiuse gli occhi:
«Scegli me, ti prego! Scegli me, scegli…»

«Levi!»

Sgranò immediatamente lo sguardo, sollevandolo verso il viso dell’altro. Non riuscì a contenere lo stupore, mentre un sollievo soddisfatto gli invadeva il petto e gli regalava un sospiro morbido.

«Posso venire con te?» pigolò, ricevendo in cambio un sorriso caldo e rassicurante.

«Naturalmente… no! Tu andrai con Mike. Hanji, invece, verrà con me.»

Levi cadde all’indietro, rotolando al suolo per svariati metri. Si batté il petto, come in un mea culpa silenzioso, prima di finire dritto sull’ennesimo mucchietto di sterco di drago – fortunatamente secco, che non gli si attaccò alle vesti soltanto per questo motivo.
«Perché mi odi così tanto?» piagnucolò, senza ottenere risposta.

Erwin, Nanaba e Hanji si incamminarono verso Nord. A Levi non rimase altro da fare che seguire Zacharias lungo il sentiero orientale.
 

***
 

«Rohan, Helm, Gondor…» snocciolò Erwin, trovandosi davanti all’ennesimo cartello «Da che parte, secondo voi?»

«Boh…» Nanaba scrollò le spalle «Forse dovremmo dividerci ancora. Io andrò a Gondor»

«Buona idea.» il comandante prese il Mezzo Canestrello e lo divise in tre piccole parti. Ne consegnò due alle donne «Io allora… andrò a Helm. Hanji? Rohan ti va bene?»

«Per me un posto vale l’altro!» rispose la scienziata.

Presero tutti sentieri diversi.
 

***
 

Mike brandì una freccia, tentando di pugnalare con quella il grosso ragno che, davanti a loro, agitava furiosamente le chele.

«Non si usa così quella!»

Scoccò una occhiata alle proprie spalle: Levi si era arrampicato su un albero e stava tentando di mimetizzarsi con le foglie, piagnucolando su quanto gli facessero schifo gli insetti.

«Perché non vieni giù a darmi una mano, invece che frignare?»

«Mi fanno ribrezzo. Ho il terrore dei ragni, lo sai.»

«Uccidi titani, dannazione! Questo è solo un ragno.»

«Un ragno enorme e peloso.»

«A maggior ragione, vieni ad aiutarmi!»

Levi scosse furiosamente il capo, stringendo maggiormente il ramo a cui era aggrappato che, all’improvviso, si mosse. Percepì un rumore secco e, poco dopo, la pianta scuotersi con forza, come se si stesse risvegliando:

«Oh…» una voce profonda arrivò alle sue orecchie. Appariva come vecchia di secoli, anzi di millenni! Era come se l’albero si fosse risvegliato ed avesse preso improvvisamente vita «Perché sei attaccato… ai miei… rami…?» parlava con una cadenza pacata, affatto irritata o spigolosa «Di solito, ospito solo uccellini e scoiattoli. Sei un uccellino?»

«Emh… no.» Levi non riuscì a celare una punta di imbarazzo. Che si diceva ad un albero?

«Uno scoiattolo?»

«Nemmeno!»

Colse una manciata di foglie avvolgersi strettamente alle sue caviglie. Si sentì strattonare e perse immediatamente la presa.

«Merda!» ringhiò, ritrovandosi a ciondolare davanti alla faccia crucciata dell’albero «Mollami subito, stupida pianta!»

«Se non sei un uccello o uno scoiattolo, qui non puoi restare.» disse l’albero, scagliandolo letteralmente via. Levi chiuse gli occhi, mentre l’aria fresca fischiava attorno a lui. Si sentì spostare per diversi metri e, infine, cadere su qualcosa di soffice. Batté le palpebre, ritrovandosi a fissare la schiena pelosa del ragno.

«Che schifo!» disse, mentre una robusta zampa arrivava ad afferrarlo ed a schiacciarlo a terra. Vide le chele del ragno farsi terribilmente vicine al suo viso ed a quello di Zacharias, anche lui inchiodato al suolo da un artiglio.

Perché in quello stupido posto nulla andava come sperato? Non era riuscito a farsi mettere con Erwin, era finito con Mike, un ragno enorme lo aveva aggredito ed era stato persino scacciato da una pianta. Forse avrebbe dovuto considerare l’idea di accasciarsi da qualche parte e morire.

«Beh, direi che questa è la fine…» gli riferì Mike, con una nota allegra.

«Che cazzo ridi, deficiente?! Stiamo per essere mangiati da un ragno ipertricotico. Non so tu, ma non è mai stata la massima delle mie aspirazioni.»

«Nemmeno la mia, ma…»

Un lampo azzurro squarciò il pomeriggio, seguito da un alto ululato:
«FUGGITE, SCIOCCHI!»

L’aracnide si ritrasse, indietreggiando velocemente e lasciandoli liberi. Con un sibilo spaventato, scappò nuovamente nel folto della foresta.

«E ora che cazzo succede?» ringhiò Levi, rimettendosi immediatamente a sedere. Beh, almeno non era morto divorato da un invertebrato. Eppure… essere salvato da una luce accecante era altrettanto curioso. Guardò in direzione della fonte, individuando una persona all’interno del bagliore celeste. Era un giovane uomo dai corti capelli castani ed il viso totalmente anonimo. Assomigliava un po’ a Moblit, in effetti.

«Chi sei?» esclamò, mentre la figura avanzava, avvolta in candide vesti.

«Sono Moblit il Bianco.»

«Ah, ok. Io sono Levi. E lui è Mike.» si presentò.

«Sì, lo so chi siete, capitano.»

«Capi-nano, semmai!» uno scoppio di risa interruppe quel siparietto. Mike si stava rotolando al suolo, reggendosi lo stomaco, mentre lacrime abbondanti gli solcavano le guance.

«Facciamo dell’ironia, noto! Vaffanculo. Perché devi essere sempre così stronzo con me?» Levi tornò ad indicare il mago appena comparso «E comunque… sto parlando con una persona, nel caso ti fosse sfuggito. Non farmi fare brutte figure davanti agli sconosciuti.»

«Ma… capitano, mi conoscete. Sono Moblit!»

«Si, si.. quello che è. Sentite, buon signore…» Levi condì il tutto con un sorrisetto stiracchiato «Ci piacerebbe rimanere a parlare di trucchi di magia e quant’altro, ma… abbiamo parecchio da fare.»

«Non volete ascoltare il mio racconto?»

«No, grazie. Davvero, siamo in ritardo…»

«Di come sono sfuggito ai Nilegul?»

«Sentite, siete simpatico, ma dobbiamo davvero andare… ci parte il treno.»

«E di come sono diventato il mago più potente della Terra di Tre/Quarti?»

Levi mantenne il piccolo ghigno di circostanza sulle labbra, indietreggiando ed afferrando Mike per un braccio. Si sporse verso l’altro per sussurrare:
«Filiamo, prima che cerchi di venderci qualcosa… o ci convinca a firmare in favore di qualche sindacato magico.» mormorò, producendo dei rapidi inchini.

Poco dopo, sparì nel fitto del bosco, trascinandosi dietro l’elfo gnocco.
 

***


Ewin sedette su un merlo della torre più alta, sporgendosi a guardare lo spiazzo sottostante. Incrociò le braccia al petto, scrutando attentamente il risultato del suo infallibile, geniale ed eroico piano. La pianura davanti al Fosso di Helm era costellata di cadaveri di orchetti bruciacchiati.

«Che noia questa battaglia.» sussurrò, nascondendo uno sbadiglio dietro la mancina. Volse l’attenzione alla propria sinistra, dove i più alti gradi dell’esercito di Helm lo stavano fissando sconvolti «Davvero non riuscivate a sconfiggerli? Beh… a me è sembrato piuttosto semplice.»

«Perdonate, sir Smith, ma… erano anni che le truppe dell’Anonimo Antagonista ci stringevano d’assedio. Come avete fatto a vincerle in soli venticinque minuti?»

«è quello che mi domando anche io. Insomma, di solito ci metto di meno. Ho una media di diciotto minuti e trentadue secondi.» sussurrò, dondolando poi il capo «Tuttavia, non mi capacito di come voi possiate averci messo… quanto?»

«Sedici anni, tre mesi, ventiquattro giorni… anzi, venticinque! Lo scorso anno era bisestile.» il capitano delle guardie si inginocchiò, portando il pugno destro al cuore «Insegnateci a combattere, vi prego.»

«Mi piacerebbe, ma… non posso trattenermi a lungo.» Erwin cavò dalla giubba il terzo di mezzo biscotto, sollevandolo sul palmo «Questo è un pezzo del Canestrello del Potere. Devo raggiungere il Monte Fatto e distruggerlo per poter salvare questo mondo dallo spietato Anonimo Antagonista. Temo di non avere tempo per…» si interruppe nel momento stesso in cui sentì la propria mano beccata da un piccione di passaggio. Controllò rapidamente, e laddove – fino a poco prima – vi era il sacro biscotto, ora non rimaneva che qualche sparuta briciola.

«Oh, peccato.» disse, per nulla stupefatto. Si era fatto fregare da un volatile di passaggio «Pazienza. Non si può essere infallibili in tutto.» commentò, tornando a sorridere in direzione delle guardie di Helm «Beh, credo di essermi appena liberato. Non credo d’avere altri impegni per i prossimi mesi.»

 
***
 

Hanji controllò le tasche della tunica. Il suo terzo di mezzo biscotto era sparito. Non che la cosa le interessasse particolarmente. Probabilmente, lo aveva perso nel lungo cammino che l’aveva portata fin lì.

«Boh, chissenefrega.» disse solo, decisa a continuare nel viaggio.

A dirla tutta, non sapeva nemmeno dove si trovasse. Sicuramente non a Rohan e nemmeno sul Monte Feto, Fato o come cavolo si chiamava.

Anzi… a giudicare dal litorale sabbioso, dalle palme frondose e dai baracchini dove degli ambulanti gridavano “Cocco! Cocco bello”, doveva aver raggiunto il tanto agognato mare!

«Sì! Finalmente!» disse, spogliandosi rapidamente della tunica elfica e dei sandaletti preziosi. Si fiondò verso l’acqua salata, decisa ad assaggiarla. Acqua salata? Chissà che gusto possedeva! Aveva cercato più volte di riprodurla in laboratorio, ma non le era mai uscito nulla di soddisfacente.

Avrebbe documentato quell’interessante scoperta: si sarebbe concessa un lungo e ristorante bagno; poi avrebbe studiato i pesci, le alghe, i bagnanti intenti a prendere il sole ed un mucchio di altre cose. In fondo, vi erano altri quattro volenterosi eroi pronti a salvare la Terra di Tre/Quarti, no? Nessuno avrebbe fatto caso alla sua diserzione.

 
***
 

Nanaba sollevò la spada davanti al principe dei Nilegul. L’orrenda creatura aveva tentato di incantarla con una soporifera ninnananna, ma senza nessun successo. Ora, però, la creatura troneggiava davanti a lei, emettendo vagiti neonatali piuttosto inquietanti:
«Scccioooccooo…> sibilò «Nessun uomo può uccidermi.»

Nanaba si tolse l’elmo, liberando la corta e ben poco fluente chioma bionda:
«Io non sono un uomo!» esclamò, conficcando la lama dritta nel petto del Nilegul, che emise un grido stridulo, poco prima di accasciarsi al suolo.

«Ah no?» fu la domanda dell’essere «Perché a me pari proprio un uomo.»

«No, sono una donna!»

«Beh, a me non sembra. Che taglia hai, scusa?»

«Di cosa?» chiese, mentre le mani del Nilegul mimavano due rotondità all’altezza del petto «Oh! La seconda.»

«La seconda in retromarcia vorrai dire… e poi… dai, non ti si può vedere con quel taglio corto! Dovresti farti crescere i capelli. Davvero… me pari proprio un uomo.»

Nanaba sollevò la destra, andando a tirare leggermente le ciocche della frangia:
«Dici?»

«Sì, e dovresti anche fare una maschera ricostituente. Guardati, tesoro! Sei piena di doppie punte.»

«Mh…»

Il Nilegul si alzò sulle gambe tremanti, offrendole tuttavia il braccio:
«Se ora tu fossi così gentile da togliermi la spada dal cuore, potrei accompagnarti dal parrucchiere di mia moglie. Fa dei lavori eccellenti, sai? Ed è pure economico…»

La donna estrasse l’arma, rimettendola nel fodero. Accidenti, forse non avrebbe dovuto cedere a tante attenzioni, ma… quando mai poteva ricapitare un’offerta simile? Taglio più acconciatura a sole quattro monete e mezzo. Il Canestrello, senza dubbio, poteva attendere. Dopo tutto, da quanto quel mondo aspettava d’essere salvato? Millenni? Secoli? Un paio d’ore in più non avrebbero fatto differenza.
 

***
 

Levi pulì lo stivale nell’erba. Era la quarta cacca di drago che pestava e ancora non si vedeva la fine di quel periglioso cammino. Avevano raggiunto il Monte Fatto solo per scoprire che le sue pendici erano irte e colme di sterpaglie. L’ascesa, inoltre, era stata resa più faticosa dai bizzarri personaggi che costellavano i fianchi della montagna: si trattava, per lo più, di esseri umani riversi a terra, con gli occhi arrossati e le bocche impastate.

«Ehi amico… oh… ehi..» dicevano questi sventurati, ogni volta che i due viandanti ne incrociavano uno «Ce l’hai un po’ di fumo?»

«No, Messere… non abbiamo nulla.»

«Oh, dai non farti pregare amico. Una cannetta, su…»

«Ce l’hai un po’ di polverina magica? Eh… di quella che ti manda fuori di testa?»

«E il pan di via elfico? Quello è una bomba, amico. Dovresti provare a fumartelo.»

Discorsi simili avevano accompagnato l’intero tragitto, fino alla vetta del monte.

«Ora capisco perché lo chiamano Monte Fatto!» ringhiò Levi, una volta giunto in cima. Si sporse verso il terminare del sentiero, osservando come questi si interrompesse bruscamente sull’orlo di un cratere vulcanico. Un centinaio di metri più in basso, la lava ribolliva costantemente, esplodendo in grosse bolle rossastre ed esalando nubi di vapore.

«Bene, togliamoci questa rottura di palle.» riprese poco dopo, tendendo la destra verso il compagno di viaggio «Mike, il Canestrello, presto!»

«Non ce l’ho.» rispose l’altro.

Levi sgranò gli occhi. Come era possibile? Era sicuro d’averlo lasciato a lui!
«Controlla meglio, magari ti è caduto sul fondo della bisaccia o…»

«Ma va! L’ho mangiato per merenda…»

Sentì le braccia che gli cadevano nel vuoto; se non fossero state attaccate alle spalle, senza dubbio le avrebbe viste rotolare per terra, in compagnia di qualcosa d’altro. Tutto ciò era paradossale. Aveva affrontato un pericoloso viaggio, combattendo contro ragni, alberi maleducati e pestando sterco di drago ogni mezzo miglio… tutto per buttare quello stupido biscotto nel cratere di un vulcano popolato da drogati in crisi d’astinenza e… quell’idiota di Zacharias aveva ben pensato di mangiarsi il Canestrello del Potere.

«Io ti ammazzo…» sussurrò, mentre gli occhi si accendevano di una sfumatura perversa «Mi hai fatto fare tutta questa strada per niente! Ho le vesciche sotto i piedi, sono stanco, puzzo come un suino all’ingrasso e… hai fatto l’unica cosa che non dovevi fare. Come faremo a salvare il mondo dall’Anonimo Antagonista?»

L’elfo gnocco scrollò le spalle:
«Che ne so! Dovresti chiederlo ad Erwin… è lui quello con le idee geniali, di solito.»

Era troppo. Levi scattò in avanti tentando di afferrare Mike per il bavero della giacca.
Cercò di spingerlo, di strattonarlo, di scrollarlo per frullare quel poco di cervello che evidentemente aveva nella zucca:
«Io ti uccido, ti…» sbottò, ma non riuscì a finire la frase: l’impeto era stato decisamente eccessivo e tentare di picchiare un armadio come Mike sull’orlo di un vulcano non era, naturalmente, una grande idea; tuttavia, poiché il lettore è ormai avvezzo ai colpi di genio del protagonista di questa raccolta, non se ne stupirà affatto.

Levi sentì il terreno sdrucciolare sotto le suole dei suoi stivali. Agitò le braccia, tentando disperatamente di recuperare l’equilibrio, ma senza successo. Un istante dopo, si ritrovò a cadere nel nulla, oltre il bordo del vulcano.

Chiuse gli occhi, preparandosi all’impatto con il fuoco liquido. Chissà come era morire sciolti nella lava bollente.
Oh, beh… ancora qualche attimo e l’avrebbe scoperto.
 

***


Levi percepì un dolore lancinante alla spalla sinistra e si risollevò di scatto, mettendosi a sedere. Stropicciò gli occhi, mentre un groviglio di coperte gli stringeva le gambe, ancora per metà sul materasso. Batté le palpebre, cercando di riacquistare familiarità con l’ambiente circostante.

Non vi era alcuna traccia di un vulcano, né di una montagna coperta di sciagurati in crisi d’astinenza. Men che meno percepiva la presenza di Mike e quello era, indubbiamente, un buon segno. Si guardò attorno, sforzandosi di focalizzare i dettagli: il letto sfatto, il vicino comodino, il suo scrittoio con il servizio da the di porcellana e, infine, un armadio chiuso a chiave. La luce della luna piena filtrava dai vetri chiusi dell’unica finestra.

Si passò una mano sulla fronte madida di sudore.

«Era solo… un incubo.» sussurrò.

Era vivo, quindi! Non era rimasto sciolto da un fiume incandescente di lava. Né aveva pestato ripetutamente la cacca di drago. Controllò per scrupolo le piante dei piedi, trovandole pulite come al solito. Si concesse un lungo sospiro di sollievo.

«Mai più peperonata a cena!» si ripromise, mentre cercava di liberarsi delle lenzuola e di rialzarsi.

Si affrettò a sistemare il caos nella stanza e, poco dopo, infilò un paio di ciabattine di spugna rosa. Recuperò una bugia e un acciarino, accendendo lo stoppino della candela.

Di soppiatto, uscì dalla stanza e scivolò nei corridoi limitrofi.

Che ore potevano essere? Non seppe darsi una risposta, ma la caserma del Corpo di Ricerca era immersa in un profondo silenzio, interrotto soltanto dal russare eccessivo di qualche cadetto.

Si mosse piano, sforzandosi di non produrre alcun rumore; la candela gettava ombre tremule sui muri dei corridoi.

Svoltò a sinistra e continuò per una decina di metri, giungendo nei pressi di una larga scalinata. Salì i gradini, misurando ogni passo ed infine fermandosi dinanzi ad una larga porta bianca a doppio battente.

La destra frugò nell’unica tasca della camicia da notte, cavandone una chiave d’ottone. La infilò nella toppa, facendo scattare delicatamente la serratura.

Il capitano scivolò all’interno della stanza, ignorando il disordine che vi regnava sovrano:
«Domani mattina facciamo i conti.» sussurrò, spiando la scrivania ingombra di carte, calamai vuoti e penne spuntate. Piegò in direzione di un secondo uscio, trovandolo dischiuso. Oltrepassò la soglia, dirigendosi verso il vicino letto matrimoniale. Poggiò il candelabro sul comodino, prima di infilarsi sotto le coperte.

«Erwin…» pigolò, mentre dal vicino capo biondo proveniva un:

«Mh..?»

«Stai dormendo?»

«Ora non più… grazie a te» la voce impastata dal sonno conteneva una chiara sfumatura di rimprovero «che ore sono?» un campanile, in lontananza, batté le tre e trenta «è notte fonda… torna a dormire.»

Levi non ci badò, facendo per stringersi al corpo dell’altro:
«Ho fatto un brutto sogno. Posso restare nel lettone?»

«Hai trentacinque anni…»

«Ma ne dimostro meno.»

«Uff… va bene. Solo per questa notte.»

Levi si portò una mano al petto, quasi a sottolineare quel giuramento:
«Lo prometto.» sussurrò, mentre un braccio robusto arrivava a circondargli le spalle.

Si appallottolò contro il petto del comandante, chiudendo gli occhi e scivolando in un sonno decisamente migliore del precedente.

 
 

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Capitolo 19
*** Seguì Kenny sul posto di lavoro ***


La volta in cui Levi seguì Kenny sul posto di lavoro


Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 3, Missione 2
* Prompt: Buonasera. Probabilmente tua madre merita di morire.
* Parole: 2062



***


«Buonasera. Probabilmente tua madre merita di morire.»

Con queste parole Levi Ackerman, colui che sarebbe poi diventato il “Soldato più forte dell’umanità”, si annunciò sulla soglia di una splendida villa nel cuore del Wall Sina. La villa in cui si era recato apparteneva ai Fustemberg, dinastia di alto lignaggio che discendeva direttamente dalla stirpe dei Fritz. Un maggiordomo impettito gli aveva aperto l’uscio controvoglia, squadrando i semplici abiti che indossava – una camicia e un paio di calzoncini,  affatto congrui per un incontro di tale importanza – prima di annunciare che lo avrebbe introdotto nello studio di Gerard, il più giovane rampollo dei signor Fustemberg.

A ben pensarci, anche a lui sarebbe piaciuto vivere lì. Chissà come era essere figlio di una delle più influenti famiglie nobiliari, invece che di una prostituta. A ben pensarci, la sua unica nomea era quella di nipote di Kenny lo Squartatore, famigerato assassino e sex symbol a tempo perso. A quei tempi, erano davvero pochi coloro che riuscivano a resistere al fascino oscuro della malvagità.

Levi, purtroppo per lui, ci riusciva benissimo; ed era proprio questo ad infastidire suo zio:
«Non combinerai mai niente di buono.» soleva ripetergli, mentre lo sfortunato ragazzo spazzava per terra, lavava i piatti, puliva i mobili dalla polvere e batteva i tappeti.

Levi aveva sedici anni, ma ne dimostrava la metà. Anzi, la radice quadrata. Sfiorava a stento il metro e mezzo ed era tanto gracile che un semplice alito di vento avrebbe potuto sollevarlo senza problemi. Per questo motivo, Kenny gli aveva imbottito le tasche della giacca di fastidiosi sassi e pezzi di mattone. I capelli neri erano acconciati nel solito taglio a scodella e gli occhi grigi mostravano sempre più un’aria stanca ed afflitta. Essere parente di un assassino tanto famoso aveva più lati negativi che positivi: in primis, tutti si aspettavano fosse all’altezza di suo zio – cosa impossibile tanto fisicamente, quanto professionalmente; inoltre,  a nessuno fregava di lui: i servigi maggiormente richiesti erano sempre quelli di Kenny e, a qualche raro pezzente che non poteva permettersi le tariffe del miglior serial killer in circolazione, quasi nessuno desiderava essere ucciso da un ragazzino rachitico.

Si era, dunque, ingegnato per poter essere comunque d’aiuto a Kenny senza stargli troppo tra i piedi. Poiché gli omicidi erano sempre più richiesti, si era ripromesso di svolgere la funzione di segretario e tuttofare. Le sue mansioni comprendevano: fissare gli appuntamenti, inviare un promemoria alle vittime nelle ventiquattro ore precedenti e, in caso di disdetta, trattenere le caparre già versate. Inoltre, cercava di assistere Kenny sul campo, fornendo anche un servizio di pulizia e sanificazione dei locali ad opera completata.

 
Levi venne fatto accomodare in un’ampia poltrona ai piedi di un elegante scrivania, ricolma di libri ed appunti vergati con calligrafia elegante. Su un altro scranno, dirimpetto al proprio, il giovane Gerard sedeva con aria assorta. Era un uomo sulla trentina, con i capelli biondi acconciati in una morbida coda e gli occhi chiari contornati da una coppia di occhiali spessi; se non fosse stato per questi ultimi e per il fisico troppo asciutto ed esile, Levi l’avrebbe trovato un bel tipo.

«Allora, signov Ackevman Juniov.» la erre completamente moscia, ovviamente, era un altro forte difetto «Mi è stato vifevito che siete qui per vicovdave a mia madve l’appuntamento di domani, è covvetto?»

«Assolutamente!» confermò con un cenno del capo «Mio zio, il signor Kenny, mi manda a dire che sarà qui poco prima di mezzanotte. Si augura di trovare una rispettosa accoglienza, degna del suo e del vostro nome.»

«Natuvalmente! Mia madve è davvevo eccitata all’idea di potevlo finalmente incontvave. Mi domandava se è vichiesto un abbigliamento pavticolave.»

«No, l’importante è che sia comoda ed a suo agio. Ha una modalità di morte preferita? Oppure lascia che ci pensi mio zio?»

«Nessuna vichiesta. Siamo nelle vostve capaci mani.» Gerard cavò un sacchetto dal primo cassetto, poggiandolo sul pianale della scrivania «Questo è l’acconto, come pattuito. Mille monete d’ovo, più duemila come saldo a lavovo fatto, giusto?»

«Perfettamente!» Levi intascò la somma, chinando frettolosamente il capo. «è stato un piacere fare affari con voi.»

«Il piaceve è tutto mio.»
 

***
 

Levi rientrò in casa, buttando il logoro mantello su una sedia e il sacchetto di monete sul vicino tavolo. Kenny lo stava aspettando con un coltello tra le mani.
«è filato tutto liscio?» gli chiese.

«Perfettamente, zio.» rispose, affinando un sorriso speranzoso «Mi chiedevo… non è che per caso, questa volta, potrei condurre io l’omicidio?»

«è una scusa per indossare il cappello?»

Naturalmente, la reale motivazione era soltanto quella. Kenny Ackerman aveva ereditato quel dannato copricapo dai suoi predecessori; una lunga discendenza che aveva fatto degli assassini una vera e propria professione. Il cappello era passato di testa in testa, sino a fossilizzarsi su quella di Kenny il quale aveva giurato che mai se ne sarebbe separato… e men che meno lo avrebbe lasciato al nipote – troppo incapace per essere giudicato un vero Ackerman.

«No, volevo soltanto fare un po’ di pratica.» mentì prontamente, ricevendo un cenno scocciato dal parente.

«Nemmeno per idea, Levi. Questo è una commissione profumatamente pagata. Non posso assolutamente permettere che un inetto come te la rovini. »

«Ma… sono stanco di occuparmi soltanto di straccioni e poveracci! Non mi pagano mai le provvigioni!­»

«Peggio per te. Hai voluto fare il furbo e lavorare in nero, invece che aprire una regolare partita iva? Ora ne subisci le conseguenze.»

«Ma… non posso aprirla, zio! Sono ancora minorenne.»

«Ah si? Diamine, dimentico sempre quanti anni hai. Se soltanto crescessi un po’, invece che tenerti quella faccia da rospo che ti ritrovi. In ogni caso, a maggior ragione! Non posso mica far lavorare un marmocchio.»

«Non ho più cinque anni, zio…»

«Non mi sembra proprio.» replicò lo Squartatore lapidario, lasciando cadere l’argomento «Ora basta ciarlare a vuoto. Preparami subito un pediluvio…e poi una manicure! Devo essere in perfetta forma per l’omicidio di domani.»

Levi annuì controvoglia. Sapeva che protestare non sarebbe servito a nulla, se non  a ricevere una dose gratuita di cinghiate sul didietro.
«Come lo vuoi il pediluvio, zio?»

«Tiepido, con una manciata di sali alla lavanda. Agitato, non mescolato. Se ci fosse anche un ombrellino da cocktail sarebbe perfetto. Ah, e prendimi il Corriere delle Mura! Mi piace leggere mentre mi lavo i piedi»
 

***
 

Raggiunsero la villa Fustemberg poco prima della mezzanotte. Tutte le luci erano ormai spente e soltanto una coppia di candele, prossima all’ingresso, indicava il battente lasciato provvidenzialmente socchiuso.

Kenny storse immediatamente la punta del naso, premendo piano sulla maniglia. Il portone si aprì senza alcuno sforzo.

«Puha!» sbottò con disgusto, varcando la soglia «Hanno persino lasciato la porta aperta! Per chi mi hanno preso questi? Per un dilettante?» ringhiò, affacciandosi sull’ampio ingresso della villa. Davanti a sé, nella penombra, scorgeva una lunga scalinata saliva al primo piano. Lungo il corrimano erano state piazzate delle frecce di legno che indicavano chiaramente la via da percorrere.

«Temo di sì, zio.» Levi si accostò al parente, fissando la strada ormai segnata.

«Non gli hai detto che non mi serviva alcun genere d’aiuto? Suvvia, questa cosa è per dilettanti.»

«Non sono stato così specifico, tuttavia…»

«Avresti dovuto, invece! Guarda che razza di pasticcio hai combinato.»

«Non è colpa mia…»

«Stronzate. È sempre colpa tua!» l’uomo sollevò le mani al cielo «Ah, Kuchel! Amata sorella… perché non mi hai lasciato un nipote meno cretino?»

Riprese a camminare, salendo i gradini con passo felpato. Kenny si muoveva come un gatto: strisciava nelle ombre, muovendosi con passi lenti e misurati. Il suo sguardo attento si focalizzava su ogni dettaglio, seguendo, suo malgrado, le frecce gialle che indicavano il cammino.

Infine, dopo una manciata di minuti durante i quali non incontrarono alcuna resistenza, giunsero in vista della camera della vittima.

«Credo sia questa…» sussurrò Levi, mentre l’altro sbuffava sonoramente.

«Ovviamente è questa! Non vedi? C’è persino un cartello!»

Un foglio di cartoncino colorato era stato appeso alla porta e recava la scritta:
“Benvenuto Kenny” accompagnata da sorrisi stilizzati e graziosi cuori disegnati a matita.

Lo Squartatore si affrettò a premere sulla maniglia, affatto sorpreso di trovarla aperta. Varcò la soglia, fissando, poco dopo, l’ambiente circostante. La stanza era sontuosamente arredata con un ampio armadio in legno chiaro sulla destra e una enorme specchiera dirimpetto. Sul fondo, proprio davanti ad una larga finestra coperta da tendaggi di seta dorata, era posto un letto a baldacchino sulle cui coperte leopardate giaceva una donna di circa sessant’anni coperta soltanto di una sottile sottoveste di pizzo.

La signora Fustemberg sollevò prontamente il capo quando li scorse entrare. Il viso era perfettamente truccato ed i capelli acconciati in una stretta ed elegante crocchia.

«Oh, Kenny… finalmente sei arrivato.» esclamò lei, fiondandosi giù dal materasso. Le gambe robuste mossero in  direzione dei due, scattando sui tappeti pregiati. Ancheggiò sinuosa sino a raggiungerli e protese le labbra al nulla «Sono tua, Kenny! Baciami.»  

Il killer fece un rapido passo indietro:
«Come? No, siete fuori strada. Non sono qui per questo.» esclamò, ma la donna stava già facendo scivolare la sottoveste per mostrare un audace completino intimo di pizzo rosso «Amh… madama, siete bellissima… va beh, così così. Siete passabile, ecco. Per cui, vi ringrazio dell’invito, ma non sono solito fornicare sul posto di lavoro. Se volete, vi cedo Levi per un paio d’ore.»

Quest’ultimo si schiacciò contro la parete, sperando di mimetizzarsi con la tappezzeria. Perché diamine aveva seguito suo zio in quella assurda impresa? Non voleva diventare il nuovo giocattolino di una audace quanto maliziosa aristocratica.

«Io…mh… avrei da fare.» sussurrò, cercando di riguadagnare l’uscita; Kenny, tuttavia, riuscì ad agguantarlo prima che si dileguasse.

«Ossia?»

«Devo andare dal dentista.»

«A mezzanotte passata?»

Si portò una mano alla guancia, frignando prontamente:
«Sì… ho un terribile mal di denti. Ti prego zio, lasciami andare dal dentista.»

«Nemmeno per idea! Prima di tutto, non ho soldi da buttare in spese inutili come le cure dentarie. E poi… devi soddisfare la signora qui.»

«Ma non mi piace!»

«E me la devo far piacere io, allora?»

«Io sono troppo giovane per accasarmi con questa! Sto ancora aspettando il mio biondo principe azzurro. Questa non è né bionda, né principesca.»

La donna riprese prontamente in mano la situazione, erigendosi su di loro:
«Io non voglio questo ragazzino tisico.»

«Ehi! Non ho la tisi!»

«Voglio solo voi, Kenny… fatemi vostra.»

Il killer indietreggiò di un altro passo, cercando la maniglia della porta a tentoni:
«Veramente, signora… ero venuto per uccidervi. Insomma, tra i miei servigi non rientra il sollazzo pre-mortem.» in effetti, poteva anche essere un nuovo sviluppo lavorativo, ma.. certamente, non si sentiva pronto per un passo così importante; men che meno quella sera e con una ninfomane assatanata.

«Allora uccidetemi tutta!» la signora prese ad abbassare le spalline del reggiseno.

Kenny abbassò di scatto la maniglia, spalancando la porta e fiondandosi all’esterno. Non si curò del nipote che, a giudicare dai passetti affrettati alle proprie spalle, doveva essergli corso dietro. Poco oltre, si udiva il marciare pesante della donna alle loro calcagna.

«Fermati, mio amato! Voglio essere uccisa da te.» continuava a gridare la sventurata.

Lo Squartatore non si fermò. Scese di corsa le scale, lanciandosi contro l’uscio che aveva fortunatamente lasciato aperto. Scattò all’esterno, sbattendo la porta alle proprie spalle. Un tonfo secco, poco dopo, gli ricordò che aveva un nipote dietro di sé.

«Non ne combini mai una giusta!» ringhiò, riaprendo l’ingresso e spiando Levi disteso sul pavimento, con il naso rotto e la faccia grondante di sangue «Ora mi toccherà pure pagarti una plastica facciale. Mh… magari il risultato sarà migliore dell’originale.» sbuffò, agguantando il ragazzo per un braccio e rimettendolo bruscamente in piedi.

«Amatoooo» le grida della padrona di casa tornarono a farsi sentire, insieme al passo delicato quanto quello di un gigante.

Il tempo stringeva e Kenny doveva prendere una rapida decisione: affrontare la donna oppure abbandonare Levi e cercare almeno di salvare sé stesso.
Come il lettore immaginerà, non fu affatto una scelta difficile.
 

***
 

Levi riuscì a rincasare soltanto la mattina seguente. La signora Fustemberg l’aveva trattenuto tutta la notte, costringendolo a raccontare vita, morte e miracoli di Kenny lo Squartatore. Gli aveva chiesto ripetutamente un autografo, un appuntamento galante, un omicidio al chiaro di luna… e Levi aveva sistematicamente evitato di rispondere. Alla fine, era riuscito a sgattaiolare via, approfittando di un sogno ad occhi aperti in cui la donna si era incautamente immersa.

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Capitolo 20
*** Vinse alla lotteria ***



La volta in cui Levi vinse alla lotteria



Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 4, Missione 2
* Prompt: Partire per un lungo viaggio
* Parole: 2211



***

 
Questa volta nulla sarebbe andato storto! Avrebbe pensato ad ogni minimo dettaglio, premurandosi di ficcare in valigia persino uno spazzolino da denti di ricambio e filo interdentale, oltre che a svariati flaconi di doposole, di crema antiscottature e repellente per zanzare… non che ve ne fossero in mezzo al mare, ma non si poteva mai sapere.

Niente avrebbe rovinato la romantica crociera con Erwin, nemmeno il maltempo che le previsioni avevano malauguratamente previsto. Secondo l’Osservatorio Meteorologico Paradisiano, le condizioni meteo sarebbero andate peggiorando verso la metà della settimana, ossia proprio durante la traversata che li avrebbe condotti a Marley. D’altro canto, l’alternativa era rinunciare al viaggio e quale sciagurato avrebbe mai potuto farlo? Lui no di certo. Per una volta che la fortuna gli aveva arriso non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione. Aveva vinto quei biglietti all’annuale lotteria indetta dai Reiss: in cambio di fondi per la ristrutturazione di una cappella famigliare, gli aspiranti eredi al trono mettevano in palio alcuni succulenti premi, tra cui la famigerata crociera. Levi per poco non era svenuto, quando – la sera precedente, durante l’estrazione - aveva letto il numero vincente: il 1317, lo stesso riportato sul proprio ticket.

Aveva cavalcato tutta la notte per portare la notizia alla caserma della Legione Esplorativa. Aveva vinto un viaggio per due persone verso il continente, oltre quel famigerato mare e ben lontano dalle mura che tanto odiava. Era corso verso l’ufficio di Erwin per portargli la lieta novella.

Levi si fermò sulla soglia, dopo aver schiuso il battente. Il comandante era lì, come al solito: intento a massaggiarsi le tempie e chino sulla solita mappa coperta di scarabocchi. La scrivania strabordava di calamai vuoti, rapporti compilati a metà e moccoli di candela ormai quasi interamente consumati.

«Ti posso parlare?» chiese, avvicinandosi.

«è urgente?»

Certo che lo era! Per una volta che vinceva qualcosa!

«Un po’.» ammise, prima di cavare da sotto il mantello una pergamena spiegazzata; il foglio riportava il logo della famigerata compagnia navale “Trost Crociere”, accompagnato dal motto “Navighiamo per conquistarvi” vergato da un’elegante calligrafia femminile «Guarda!» esclamò, senza riuscire a trattenere la gioia «Ho vinto un viaggio per due persone sulla Discordia! Partiamo domani, mentre l’arrivo a Marley è previsto nel fine settimana.»

«Partiamo? Che intendi dire?»

Perché Erwin fingeva sempre di non capire? Era dotato di una intelligenza fuori dal comune, ma la usava soltanto per sconfiggere titani e scoprire ubicazioni improbabili di scantinati. Perché non poteva arrivare ad un concetto tanto semplice come quello?

«Io e te. Pensavo che… una vacanza ci avrebbe fatto comodo.»

«Ma… non posso venire. Ho un mucchio di lavoro da fare.»

Sapeva che avrebbe incontrato delle resistenze. Erwin Smith era l’uomo più restio alle ferie che si fosse mai visto sulla faccia della Terra. Da quando lo conosceva, non ricordava si fosse mai preso una vacanza, nemmeno di un singolo giorno.

«Erwin, ti prego! Non ho mai vinto niente in vita mia…»

«Ho parecchio da fare, Levi.»

«…A parte una stupida torta di pannolini ad una tombolata clandestina nei bassifondi.»

«Che premio era?»

«La cinquina. Non me ne lamento, comunque… Kenny era riuscito a rivenderla facilmente a…» batté le palpebre, sconcertato. Stava cadendo nell’ennesimo trucchetto del comandante: distogliere l’attenzione dall’argomento principale e fingere di dimenticarsene. Non poteva lasciarsi ingannare, né perdere la concentrazione «Senti, lasciamo perdere la storia dei pannolini. Vieni in crociera con me, si o no?»

«Mh, no. Temo dovrai sceglierti un altro compagno di viaggio.»

«Non voglio un altro compagno di viaggio!»

«Una vacanza ti farà davvero bene, Levi… ultimamente, mi sembri un po’ stressato.»

Odiava quei tentativi di cambiare discorso; non si sarebbe lasciato abbindolare però. Congiunse le mani, assumendo un’aria supplichevole:
«Erwin, ti prego…»

«Potresti andare con Mike! Lui adora i viaggi per mare e…»

Scivolò sulle ginocchia, strisciando verso l’uomo ancora seduto alla scrivania.
«Ti prego.»

«Oppure Hanji! Sono certo che troverà il tutto molto interessante.»

Afferrò un lembo del mantello dell’altro, stringendolo tra le dita affusolate. Si soffiò teatralmente il naso nella stoffa verde, colmando gli occhi di lacrimoni e sporgendo le labbra tremanti.
«Ti prego, Erwin. Solo per questa volta…» ripeté, sollevando lo sguardo e sperando di apparire abbastanza patetico.

«Ho davvero tanto da fare, lo sai.»

«Staremo via solo qualche giorno. Potresti chiedere a Hanji di sostituirti temporaneamente o a Nanaba o a Mike…»

Lo vide grattarsi il mento con aria pensierosa. Che si stesse convincendo? Aumentò il ritmo dei falsi singhiozzi, nella speranza bastassero a commuovere quello stacanovista cronico.

«Non mi porti mai da nessuna parte! Mike ha portato Nanaba alla sagra della porchetta la settimana scorsa! Hanji e Moblit sono andati a vedere quel seminario sui funghi commestibili e sullo sviluppo delle felci… perché non possiamo fare qualcosa di romantico anche noi?» si lagnò, aggrappandosi al bracciolo della poltroncina imbottita «Ti scongiuro, solo questa volta! Qualche giorno da passare insieme, lontani dal lavoro, dai giganti, dalla puzza di Hanji…ti chiedo solamente questo. Per una volta che vinco qualcosa…»

Aveva colto nel segno. Quando Erwin iniziava a pizzicarsi l’attaccatura del naso, significava che era vicino al punto di rottura; ancora un po’ di lamentele gratuite e l’ufficiale avrebbe ceduto alle sue richieste. Inspirò profondamente, pronto a riattaccare con la lagna.

Smith, tuttavia, lo precedette di qualche secondo:
«Va bene.» disse questi, donandogli un sorriso accondiscendente «Ma solo per questa occasione, d’accordo?»
 

***
 

Levi si fiondò in camera, iniziando a riempire una vecchia valigia di cuoio consumato. Ci buttò dentro di tutto, abbandonando per una volta quel senso di ordine che lo contraddistingueva. Era troppo su di giri per badare al colore dei calzini, a quante mutande portare, alle magliette della salute ed all’immancabile servizio da the che si trascinava sempre appresso. Ancora non riusciva a credere a tanta fortuna! Erwin, alla fine, aveva davvero acconsentito, a patto che si occupasse lui dei bagagli di entrambi. Naturalmente, non se l’era fatto ripetere due volte.

La valigia del comandante era già pronta e la sua lo sarebbe stata di lì a poco.

«Questi? Li porto?» si chiese, soppesando un paio di occhiali da sole e della crema idratante «Ma si, servono sempre. E…»

Colse un bussare insistente alla porta. Chi diamine poteva essere? Possibile che in quella caserma non si potesse nemmeno fare una valigia in santa pace?

«Chi è?» domandò, avvicinandosi all’uscio e riconoscendo, poco dopo, la voce del cadetto Jaeger.

«Noi, signore!»

«è urgente? Sono un attimo impegnato.»

«Un po’, signore.»

Che diamine volevano ora? Pregò silenziosamente che non si trattasse dell’ennesimo attacco di giganti a casaccio, affrettandosi ad aprire la porta. Si ritrovò a squadrare gli occhi speranzosi di Eren, quelli umidi di Armin e quelli freddi di Mikasa.

«Che c’è?» li apostrofò, mentre Armin riprendeva a tremare e scoppiava a piangere «Che ha questo qui, si può sapere?»

«Capitano, vedete… abbiamo saputo che avete vinto due biglietti per una crociera e… ci domandavamo se per caso foste disposto a venderceli.»

«Da chi lo avete saputo?»

«Beh, avete corso per tutti i corridoi urlando “Ho vinto una crociera!” a chiunque incontravate e… perdonate, era impossibile non sentirvi.»

Lo aveva fatto davvero? Probabilmente sì, colto dall’euforia momentanea della vittoria aveva perso la sua proverbiale espressività da calzascarpe.

«Quindi?» incalzò, mentre il cadetto riprendeva:

«Armin vorrebbe tanto vedere il mare.»

«E chissenefrega.» rispose, malgrado le occhiatacce dell’altra Ackerman, la cui voce riecheggiò poco dopo:

«Ha detto che Armin vorrebbe vedere il mare.»

«E chissenefrega al quadrato.»

«Capitano, vi prego. Dateci i bigliet…» la mano di Jaeger si sporse verso il suo petto, nel chiaro tentativo di sfilare la pergamena della Trost Crociere.

Era decisamente troppo. Come osava quel decerebrato cercare di derubarlo? Di infrangere il suo sogno d’amore con Erwin! Serrò la destra in un pugno, che scaricò con forza sulla guancia dello sfortunato cadetto. La mancina strinse i fogli appena in tempo, premendoli più a fondo nella giacca. Un attimo dopo, si ritrovò a barcollare e cadere. L’impatto col suolo gli strappò un gemito sorpreso, mentre il filo di una spada arrivava a pizzicargli la gola. Mikasa gli aveva piantato un ginocchio sullo sterno e lo stava fissando con ferocia.

«Armin ha detto che vorrebbe vedere il mare.» si sentì ripetere.

Scosse piano il capo, sussultando quando la lama gli graffiò la pelle della gola.

«Che succede qui?»

Una voce conosciuta ed un rumore di passi decisi. Cercò di sollevare un poco il capo, ritrovandosi a spiare la figura di Hanji, intenta ad abbracciare le spalle di Mikasa.

Aggrottò piano la fronte:
«Due domande.» attaccò, sollevando cautamente due dita «Primo: che stai facendo? Ti sembra il momento buono per abbracciare le persone?!»

«Non è ovvio? Ti salvo la vita, tanto per cambiare.»

«Abbracciando una squinternata che vuole sgozzarmi? Interessante tecnica.» sbuffò, tornando a chiedere «Secondo: che ti sei fatta all’occhio?»

Hanji indicò la spessa fasciatura che le copriva l’occhio sinistro:
«Qui? Oh, niente! Mi sono spruzzata del limone per valutare se avesse o meno proprietà disinfettanti. In effetti, non credo d’averlo scoperto, mentre sono sicurissima che non sia un valido lenitivo.»

Levi sollevò lo sguardo al cielo:
«E poi quello scemo dovrei essere io…»
 

***

 
Come Hanji fosse riuscita a convincere Mikasa a liberarlo, rimase un mistero per lui. Decise di non indagare, accontentandosi di registrare un possibile effetto terapeutico degli abbracci sulla mente stitica della cadetta. Il trio di allievi se n’era andato a mani vuote, costretto a rinunciare ai famigerati biglietti e lasciandolo libero di proseguire nel riempimento della valigia.

Concluse l’operazione soltanto a tarda sera e si accontentò di una cena frugale, prima di mettersi a dormire. L’indomani sarebbe stato un grande giorno! Sarebbe finalmente partito con Erwin, cavalcando al suo fianco nelle chiare luci dell’alba; si sarebbero tenuti per mano, superando gli sterminati spazi delle praterie, gli irti pendii delle colline, le zone paludose ricche di zanzare e, infine – dopo aver sterminato qualche dozzina di titani – sarebbero giunti in vista del porto. Si sarebbero imbarcati ed avrebbero navigato verso il continente, godendo della bellezza dei tramonti sull’oceano, dei comfort delle vasche idromassaggio e della suite che era loro riservata.

Niente avrebbe potuto rovinare quel sogno d’amore. Riusciva già ad immaginarsi sulla prua della nave, con le braccia spiegate nel vento e quella leggerezza tipica del volo ad abbracciarlo. Percepiva quasi le mani di Erwin stringergli i fianchi e la sua voce sussurrare canzoni d’amore. Sarebbe stato tutto assolutamente perfetto!
 

***


Il sorriso ed i sogni di Levi si infransero miseramente, come il fianco del Titanic contro l’iceberg, soltanto poche ore dopo.

Il sole era appena sorto e una pallida luce indorava il cortile della caserma, dove erano fermi cinque cavalli ed altrettanti cavalieri.

«Che significa?» esclamò, mentre la valigia gli sfuggiva di mano e lo sguardo sconvolto rimbalzava sulle figure vicine. Nanaba e Moblit stavano consultando la guida del Touring Club Marleyiano, cerchiando con una matita i principali luoghi di interesse; Hanji stava fissando alla sella una dozzina di tomi intitolati “Riconoscere le specie ittiche marine, dalla Acciuga allo Zerro”. Mike si stava scaccolando, come al solito.

«Vengono anche loro!» Erwin gli sorrise, serafico e soddisfatto.

«Ma… i biglietti sono solo due!» protestò debolmente.

«Ho provveduto a comprarne altri quattro con i fondi della Legione. Sai… ho pensato molto a quello che mi hai detto, Levi… e avevi ragione. Ultimamente, siamo tutti un po’ stressati. È così faticoso stendere piani geniali, compilare i rapporti, scrivere lettere consolatorie per le vedove.» l’indice del superiore si puntò verso Mike «Addestrare le nuove reclute.» poi su Hanji «Svolgere gli esperimenti sui titani» e infine su Nanaba e Moblit «Sopportare Mike e Hanji. Sono giunto alla conclusione che ci serviva una vacanza, già… e quale occasione migliore di una crociera per rilassarsi un po’?» il comandante stava ancora sorridendo, come se avesse appena raccontato una piacevole barzelletta «Ho anche preparato le stanze: Hanji dormirà con Nanaba, poi… io e Moblit e tu con Mike.»

Si sentì gelare il sangue. Cosa poteva esserci di peggiore?

«Perché io con Mike?» domandò, l’espressione sconvolta sul volto affilato.

«Beh, andate tanto d’accordo che mi sarebbe dispiaciuto separarvi.»

«Io volevo dormire con te!»

«Oh, suvvia Levi. Sono sicuro che ti divertirai di più con Mike che con me.»

«Ma non credo proprio!»

«Sei contento?»

Ovviamente, non lo era! Come poteva esserlo? Aveva sognato quel viaggio tanto a lungo, cullandosi nell’idea di una pseudo fuga romantica con l’uomo della sua vita e questi, invece, aveva ben pensato di invitare una combriccola di chiassosi amici. Si era immaginato a cena con l’aristocrazia; a ballare tarantelle improvvisate negli alloggi di terza classe; a ritrarre ragazze francesi di passaggio e a dormire fianco a fianco del suo comandante… tutti sogni che si erano prontamente trasformati in incubi! Si era visto vomitare dalla ringhiera per via del mare mosso, con Mike che appiccicava caccole per tutta la camera e Hanji intenta a cercare di imparare il balenese.
Accidenti, perché Erwin non ci arrivava?! Perché la natura gli aveva donato un cervello grosso quanto un pianeta, ma non la delicata sensibilità degli amanti? Persino un rotolo di carta da parati lo avrebbe compreso!

Scosse piano il capo, spiando verso il biondo che, palesemente soddisfatto, stava terminando di legare le provviste alle bisacce della sella.
«Dannazione, Erwin!» sbottò infine, senza riuscire a trattenere oltre la propria frustrazione «Inizio a capire perché Marie abbia sposato Nile, sai?»

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Capitolo 21
*** Partecipò alle Olimpiadi ***


La volta in cui Levi partecipò alle Olimpiadi


Nota: La fanfiction seguente era già stata pubblicata alcuni anni fa per il COWT, indetto da Lande di Fandom.
Ho preferito inserirla anche in questa raccolta, poiché dedicata alle disavventure della Legione Esplorativa e  nostro capitano preferito
Missione 2, prompt: Gara.
Parole: 3015



Historia fissò la platea, dall’alto del suo trono di marmo. Schioccò le dita e subito un servitore accorse con un’ enorme foglia di fico, che prese a sventolarle davanti alla faccia. Quell’estate era davvero troppo torbida. La peggiore degli ultimi vent’anni, da quanto aveva letto sui quotidiani. Per di più, era estremamente tediosa: non c’era niente da fare, letteralmente! Faceva troppo caldo per qualunque cosa. La siccità aveva arso i campi e ridotto la produttività del bestiame;  le esplorazioni oltre le mura erano sospese, così come la caccia ai criminali nella città sotterranea. La guarnigione passava più tempo a bere all’ombra del Wall Maria che a controllare i perimetri.

Aveva quindi fatto riunire i tre corpi  militari nel cortile del palazzo, desiderosa di condividere una splendida idea per animare i pomeriggi afosi. Si alzò, sollevando le mani per richiamare l’attenzione:

«Fedeli schiavi!» esordì, mentre il consigliere reale si affrettava a sussurrarle:
«”Sudditi”, vostra maestà.»

«Ah, giusto.» la giovane si schiarì la voce «Fedeli sudditi! Sono turbata. Il caldo e la siccità stanno opprimendo i nostri villaggi, prosciugando i corsi d’acqua, inaridendo i suoli e bruciando le nostre coltivazioni. Persino i giganti hanno rinunciato ad attaccarci, perché sono troppo intenti a sudare e…»

«Regina!» la mano di un cadetto si sollevò dalla folla «A tal proposito, possiamo toglierci le divise? Stiamo pezzando come dei maiali, qui…»

«No! Soffrite in silenzio.»

«Ma…»

«Guardie, decapitate quell’insubordinato!­­» sentenziò, mentre due gendarmi portavano via lo sventurato «Altre obiezioni sulla scomodità delle vostre uniformi? No?» nessuno osò aprire bocca «Molto bene! Per allietare i miei tediosissimi pomeriggi, ho deciso di indire dei giochi olimpici.» proclamò, raccogliendo tuttavia soltanto occhiate sconcertate «Delle gare sportive, accidenti! Non avete mai sentito parlare delle Olimpiadi?»

Armin Arlert, naturalmente, si fece prontamente avanti:
«Io so di che si tratta.»

«Lo sappiamo tutti che tu lo sai, Armin» chiocciò la sovrana, indicandolo con un gesto secco «Illustralo anche a quelle capre dei tuoi camerati, va…»

«Le Olimpiadi sono un evento sportivo in cui i migliori atleti affrontano una serie di sfide. Ci sono diverse categorie di sport: l’atletica leggera, il ciclismo, il nuoto e molte altre discipline. Lo scopo sia ottenere il miglior risultato, che apportare medaglie alla squadra per cui si concorre. Generalmente, si ha una delegazione per nazione. Visto che noi siamo, comunque, un unico Paese, suggerirei che ciascun corpo militare inviasse la propria delegazione.»

Un boato malcontento si levò dai ranghi militari, che presero a protestare battendo i piedi, sbuffando e urlando. Historia riuscì a riportare la quiete dopo una decina di esecuzioni sommarie.

«Molto bene.» proseguì la sovrana «Si indicano, dunque, le prime Olimpiadi delle Mura! Chiedo ai comandanti di formare le squadre con cui intendono partecipare. Si dia inizio le gare.»
 

***
 

Il giorno seguente, il termometro segnava una temperatura minima di quaranta gradi all’ombra.

Il tedoforo, incaricato di portare la fiaccola olimpica lungo le tre cinte murarie e fino al braciere situato nello stadio di Trost, venne rinvenuto privo di sensi ai piedi di un ruscello in secca. La torcia stava cercando di farsi il bagno, quando venne sorpresa e recuperata. La fiamma olimpica giunse a destinazione soltanto in tarda serata.
 

***
 

Historia prese posto sul palco reale, una balaustra coperta di ampi tendaggi per garantirle ombra e riparo dagli scottanti raggi del sole, che avevano già mietuto le prime vittime. Due cadetti della centoduesima erano schiattati mentre si prodigavano nel salto con l’asta, infilzatisi a vicenda; un novantacinquenne del pubblico si era sentito male per la calura, ma a morire era stato il suo vicino di posto, per una indigestione da peperonata mattutina. Tra gli atleti – con sommo dispiacere degli stessi – non si era registrato alcun decesso.

«Date inizio alla prima gara!» chiocciò la regina, mentre i due contendenti raggiungevano il campo. Si trattava, niente meno, che della inaugurale sfida a tennis tra i comandanti dei due corpi militari più rinomati.

Abbigliamento del comandante Smith, della Legione Esplorativa: polo bianca a marchio Nike, con colletto inamidato e orlo ricamato a mano; pantaloncini rigorosamente neri, in linea con le rifiniture della maglietta ed abbinati al manico della racchetta. Scarpe da professionista, complete di discreto calzino ad altezza caviglia. A bordo campo, personalissimo massaggiatore plurilaureato in fisioterapia, completo di mini frigorifero con bibite rinfrescanti, racchetta di scorta e palline acquistate presso il miglior store online per tennisti in carriera.

Abbigliamento del comandante Dok, della Polizia Militare: gonnellino bianco riciclato dalla cresima della figlia; t-shirt utilizzata come casacca del pigiama domenicale; sandaletti di cuoio con calze di spugna bianche. Racchetta ereditata dal nonno, grande tennista dei tempi passati. A bordo campo, figlie vestite da ragazze pon pon e palline prese in offerta alla Decathlon, approfittando dei saldi invernali.

Fu proprio Nile Dok a dare inizio alla partita. Lanciò la pallina, colpendola con tutta la propria forza. La pallina descrisse una parabola, finendo dritta contro la rete e rotolando mestamente al suolo.

«Quindici, zero!» esultò il comandante, mentre Erwin si limitava ad una alzata di spalle:

«Per me, caso mai. La tua battuta non ha nemmeno superato la rete.» terminò, recuperando a propria volta la linea di fondo campo «Posso?» domandò, mentre l’avversario gli faceva cenno di servire.

La partita si concluse nei cinque minuti successivi: le battute del comandante Smith, più simili a dei missili spinti alla massima velocità, stroncarono immediatamente il contendente. Nile Dok venne sconfitto definitivamente, con grande dispiacere della moglie e delle figlie, mentre il nonno – che assisteva alla partita dall’aldilà – gettò sul nipote tutto il proprio disprezzo.
 

***

 
Hanji si portò in pedana, stringendo saldamente il giavellotto nella mano destra. Lo bilanciò attentamente sul palmo, soppesandolo, prima di chiudere le dita e indietreggiare di qualche passo. Secondo Moblit, quella di iscriversi come giavellottista non era stata una grande idea per una che ci vedeva già poco con gli occhiali; figurarsi, dunque, ora che aveva dovuto rimuoverli del tutto per questioni di sicurezza.

Stupido Moblit! Che ne sapeva di sport, lui? Il lancio del giavellotto era una cosa semplice: dovevi soltanto scagliare un’asta appuntita attraverso un prato e mandarla il più lontano possibile! Non occorreva certo una laurea per una cosa del genere; e, men che meno, servivano gli occhiali.

Prese la rincorsa, scattando poi in avanti. Sentì la lancia vibrare contro la sua pelle, mentre l’aria fischiava attorno alle sue orecchie. La linea di fine pedana si stava avvicinando sempre di più. Hanji contò i passi: uno, due… tre! Frenò di colpo, gettando il giavellotto nell’aria calda del mattino. Lo sentì sibilare e lo vide saettare via, verso la fine del prato erboso.

Il familiare schiocco della punta che si conficca nel terreno venne accompagnato da un:
«AAAAARGH!»

Due barellieri e un infermiere corsero verso il centro del campo, dove il giudice era stato trafitto a morte.
A Hanji vennero immediatamente restituiti gli occhiali ed ottenne il permesso di tenerli fino alla fine delle competizioni.
 

***
 

Petra spronò il proprio destriero, portandolo all’ingresso della pista. Scrutò il percorso ad ostacoli che si profilava oltre il cancelletto. Non appariva molto complicato: oltre ai classici salti, vi erano due siepi, un laghetto da superare e poi una brutta curva che conduceva ad una serie ravvicinata di ostacoli. Poteva farcela! Anzi, potevano farcela!

Si abbassò ad accarezzare la criniera del suo cavallo, attorcigliando le dita tra i fili color nocciola:
«Vinceremo Olmo della Cascina dei Pioppi Solitari.» disse, ottenendo in cambio un nitrito soddisfatto. In effetti, forse avrebbe dovuto modificare il nome di quella povera bestia: Olmo o Pioppo non sarebbero stati appropriati? Dopo tutto, però, quell’appellativo le piaceva: aveva un nonsoché di selvaggio, di rurale ed elegante al tempo stesso.

Piantò i talloni nei fianchi, spronando l’equino:
«Vai Olmo della Cascina dei Pioppi Solitari!» esclamò, mentre il cavallo si indirizzava verso il primo ostacolo.

Scende in campo Petra Ral della Legione Esplorativa.

La amazzone si sforzò di non badare alla telecronaca e concentrarsi esclusivamente sul percorso. Il primo ostacolo era già alle proprie spalle e si apprestava ad affrontare il secondo.

Un ottimo salto, vedremo se saprà replicare…

Trattenne il fiato, mentre il destriero balzava agile in avanti.

Davvero eccellente! Il Corpo di Ricerca può contare su cavallerizze davvero eccezionali. Eccola ad una svolta. Superata anche questa… ed ora l’ostacolo peggiore! La siepe!

Petra pungolò nuovamente i fianchi, ma Olmo della Cascina dei Pioppi Solitari la tradì: puntò le zampe, frenando di colpo. Gli zoccoli solcarono la terra battuta, mentre la groppa si sollevava di scatto e lanciava la malcapitata dritta dentro al cespuglio d’alloro davanti a sé.

«Noooo!» gridò Petra, mentre finiva per schiantarsi contro l’unico ramo sporgente della siepe.

In fondo, avrebbe dovuto prevederlo: Omo della Cascina dei Pioppi Solitari era un ottimo destriero, ma… odiava a morte alberi, cespugli, arbusti e qualunque parte della flora terrestre non fosse commestibile. Forse, gli ricordavano troppo il nome orribile che gli era stato affibbiato in scuderia.

Che peccato! Petra si è schiantata contro una pianta. A questo punto, temo non ci siano più speranze per lei di vincere la gara.

“No, più nessuna” pensò la ragazza, rifiutando di muoversi. Il busto si era piegato ad angolo e le gambe giacevano scomposte a terra. Non era sicura d’essere tutta intera, in effetti. Forse si era rotta qualcosa per l’ennesima volta.

Il soccorso medico sta arrivando. Sembra che la concorrente si sia fatta mal…

La telecronaca si interruppe bruscamente, per riprendere qualche attimo dopo, con maggiore concitazione:
Ma che succede?! La maratona degli Shifter sta passando di qui proprio ora! Un bel guaio e… oh, no! Povera Petra!

Petra ebbe solo il tempo di notare una grande ombra che si allungava su di lei.

“Ah! Che sfiga!” pensò, mentre il peso del Titano Femmina arrivava a schiacciarle le spalle, la testa, il busto… di lei non rimase altro che una sagoma, spiaccicata malamente al suolo.
 

***
 

Annie Leonhart accelerò. Stava perdendo la testa del gruppo. Reiner l’aveva distaccata e così anche Bertholdt. In coda rimaneva soltanto lei, con quello sfigato di Jaeger! Non poteva certo farsi battere da un pivello del genere! Mancava anche Ymir all’appello, ma… beh, lei si era ritirata fingendo una storta dopo i primi due chilometri.

«Roooaaar» urlò, ottenendo di rimando un verso simile.

«Groooar»

Eren non sapeva davvero dire altro?

“Pff… poppante maleducato!” ringhiò, mentre il suo piede pestava qualcosa di scivoloso. Non si fermò a controllare. Senza dubbio, aveva calpestato l’ennesimo incauto umano.

Che seccatura tutte quelle persone! Noiosi spettatori o incauti concorrenti che si venivano a trovare proprio sul percorso della loro maratona. La cosa peggiore, oltre alle urla di terrore ed ai lamenti dei feriti, era dover togliere i corpi dalla pianta del piede ogni volta. Si appiccicavano come gomme da masticare alla suola delle scarpe. Che schifo! Si sarebbe concessa un pediluvio, una volta tornata a casa.

 
***
 

Per la gara di nuoto era stata allestita una piscina artificiale, appena oltre il Wall Rose. Naturalmente, la piscina era diventata immediatamente un abbeveratorio per titani e, di conseguenza, ne era stata costruita un’altra all’interno delle mura.

Armin fissò l’acqua incerto. La vasca appariva buia e profonda. Troppo buia e troppo profonda, in effetti. Controllò attentamente i braccioli gonfi ed il salvagente che portava in vita. Non era sicuro di saper nuotare. Anzi, non era sicuro che nessuno dei partecipanti sapesse farlo.

«Co-comandante…» sussurrò, gettando una occhiata ad Erwin, vicino al bordo della piscina «Non sono certo d’essere la persona indicata per questa gara.»

«Al contrario, nessuno di noi avrebbe chance! Tu hai letto parecchi libri sul mare, no? E immagino anche sugli stili di nuoto…»

«Veramente…»

«Abbiamo aggiunto del sale nell’acqua, per farti sentire a tuo agio e…» il comandante cavò uno spillo dal taschino della camicia, bucando rapidamente salvagente e braccioli «Questi non sono ammessi, mi dispiace.»

«Ma, ma…»

«Beh, vi stanno chiamando! Affrettati, su…»

Armin si ritrovò catapultato sui blocchi di partenza. Aggiustò il costumino, un semplice slip azzurro costellato di caramelle – regalo dei suoi genitori prima che sparissero oltre le mura. Cacciò il caschetto biondo sotto una cuffia altrettanto terrificante, prima di chinarsi sul pelo dell’acqua. Gettò una occhiata agli altri concorrenti: il cadetto della Polizia Militare stava pregando il Dio delle Mura, mentre quello della Gendarmeria era troppo ubriaco per accorgersi del guaio in cui si era cacciato.

«Ai vostri posti!» urlò l’arbitro, sollevando in aria una pistola a fumogeni «Pronti…» tirò il grilletto ed un fumo verde si innalzò verso il cielo «Via!»

Armin si tuffò immediatamente, prendendo a sbattere vigorosamente le mani. L’acqua salata gli bruciava il naso e gli occhi. Stupida simulazione dell’oceano! Mosse i piedi e le braccia, sforzandosi di procedere, ma senza successo. Si sentì tirare verso il fondo. L’aria gli sfuggì dai polmoni immediatamente, mentre continuava ad agitarsi.

«Aiut…» gridò «Aff…»

«Aff…? Che sta dicendo?» domandò l’arbitro, volgendosi verso il bagnino di turno.

«Affanculo?»

«No, suvvia. Non mi sembra un ragazzo così sgarbato.»

«Affidabile?»

«Non mi sembra…»

«Affogo?»

Il bagnino si illuminò d’immenso:
«Affogo! Ecco! Non temere, giovane pupillo del nuoto! Ti salverò io…» sentenziò l’uomo, agguantando immediatamente una supposta arancione e buttandosi in acqua.

«Mi salvi, bagnino!» pianse Armin.

«Qualcuno salvi anche me!» urlò il bagnino.

«Non sa nuotare?»

«Certo che no! Nessuno sa nuotare, in questo cavolo di posto…»

Nessun altro si gettò in piscina. Armin e il bagnino affogarono insieme, quel triste giorno. Di quella sventurata gara di nuoto si salvarono soltanto il cadetto della polizia militare – a cui gli dei avevano concesso il dono di poter camminare sulle acque in via del tutto eccezionale – e quello della gendarmeria che, troppo ubriaco per capire quanto faceva, riuscì ad arrivare primo.
 

***
 

Historia sbuffò nuovamente, costringendo lo schiavo a sventolare la lunga foglia di palma con maggior celerità.

«Fa troppo caldo anche per questi giochi. Sono stanca di assistere; voglio tornare a casa e farmi un bagno ristoratore.» sentenziò, schioccando le dita per ottenere un megafono improvvisato con dei fogli di carta «Udite, udite, gentili sudditi! La vostra regina, dall’alto della sua lungimiranza, ha deciso di porre fine alle competizioni. Il vincitore verrà decretato con l’ultima gara! La corsa ad ostacoli!»

Un boato di sollievo si alzò dalle tribune, ormai completamente madide di sudore.

L’attenzione si spostò sui concorrenti schierati sulla griglia di partenza: per la Guarnigione, la caposquadra Riko. Per la Legione Esplorativa, Levi Ackerman, il soldato più forte dell’umanità. Per finire, per la Polizia Militare concorreva il miglior elemento: Kenny Ackerman, idolo delle folle ed affascinante assassino in carriera. Secondo i pronostici, era dato come vincente sessantamila a uno. Uno stuolo di fazzoletti ricamati si agitò in direzione dello Squartatore non appena questi si accostò ai blocchi di partenza.

«Sposami, Kenny!» si udì giungere dagli spalti.

«No, sposa me!»

«Sarò la tua Rosita e tu il mio Banderas!»

«Domani è un altro giorno!­»

«Sì, si, quante belle cazzate.» ruggì Kenny, sistemandosi sulla linea dello start.

Levi lo guardò in tralice. Possibile che se lo ritrovava sempre tra i piedi? In qualche modo, Kenny spuntava sempre, come un maledettissimo fungo durante un autunno piovoso. Sbuffò, seccato. Non aveva alcuna voglia di competere contro suo zio. Prima di tutto, non era uno scontro alla pari: l’intero stadio avrebbe tifato per Kenny, lanciando a lui ed a Riko soltanto insulti e fischi. Inoltre, lo zio tendeva a voler vincere sempre e con qualunque mezzo possibile. Ciò avrebbe reso estremamente difficile non soltanto finire la gara, ma uscirne addirittura indenni. Gettò un’occhiata all’indirizzo dello Squartatore, che vestiva un sobrio completo nero: pantaloni attillati, alla cui cintura erano agganciate una coppia di pistole; giustacuore e camicia inamidata, perfettamente stirata. Immancabile, ovviamente, il cappello.

«Pensi davvero di poter gareggiare così?» lo canzonò Levi.

«Io non gareggio, nipote cretino. Io vinco. »

«Non hai nemmeno delle scarpe idonee al percorso.»

«Piuttosto che mettermi quelle scarpettine da ballerina in pensione, preferirei tagliarmi i piedi.»

Levi osservò le proprie scarpe: erano un normalissimo paio di Superga in tela bianca, con giusto le stringhe color arcobaleno. Forse avrebbe potuto risparmiarsi i brillantini sulle suole, ma… a parte quello, non avevano nulla di strano o di sbagliato! Inoltre, si intonavano perfettamente ai pantaloncini azzurri ed alla canottierina recante il simbolo del Corpo di Ricerca.

«Ai vostri posti!» decretò l’arbitro, sollevando la pistola per fumogeni «Pronti…»

Levi sentì lo sparo prima ancora che il direttore di gara decretasse ufficialmente il “via”. Scattò in avanti, mentre un secondo scoppio raggiungeva le sue orecchie. Due colpi, quindi… falsa partenza? Non ebbe il tempo di realizzare. Cadde in avanti, mentre la sua gamba sinistra zampillava sangue da quello che assomigliava al foro slabbrato di un proiettile.

«Ah, cazzo!» ringhiò a denti stretti, gettando un’occhiata rabbiosa verso il proprio parente «Perché mi hai sparato?»

«Stai zitto, ti è andata ancora bene.» fu l’unica risposta di Kenny. Riko giaceva riversa al suolo, con la fronte aperta in due come un cocomero maturo «Vorrei tanto farti fuori, nipote, ma… ho una gara da vincere. E senza scarpette da femminuccia.»
 

***

 
A nulla valsero le proteste del comandante Smith. Il comportamento di Kenny, benché antisportivo, non violava alcuna direttiva dei Giochi; anche perché, in effetti, le avevano indette tanto rapidamente che nessuno si era premurato di stendere un regolamento.

Il comandante Smith si ritrovò con l’esercito decimato, tanto per cambiare.

Il Corpo di Ricerca aveva perso quasi venticinque cadetti e quattro dei migliori veterani. Oltre ad Armin e Petra, ci avevano lasciato le penne Connie e Sasha, colpitisi a vicenda durante il lancio del peso; Auruo Bossard, ucciso accidentalmente durante la gara di tiro al piattello; Mike Zacharias, deceduto dopo uno strano incontro di Boxe con un tizio troppo peloso per essere, effettivamente, un umano qualsiasi.

Levi Ackerman trascorse i successivi dieci giorni in ospedale, mentre Hanji Zoe venne accusata di omicidio colposo; sfuggita alla pena capitale, si ritrovò a dover condividere la cella con uno dei tanti cadetti che aveva disertato quei giochi assassini; Moblit, a seguito di questo sfortunato evento, divenne coltivatore di arance a tempo perso.
Erd e Gunther vennero infine dichiarati dispersi dopo la gara di Pentathlon.

La Polizia Militare fu decretata assoluta vincitrice della prima edizione delle Olimpiadi delle Mura. La Legione Esplorativa arrivò seconda, a pari merito con la Guarnigione quanto a numero di morti.
 

 

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