Brevi giorni

di sofismi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Con la testa sotto la sabbia ***
Capitolo 2: *** Il tuo maglione ***
Capitolo 3: *** Livido ***
Capitolo 4: *** Taglio ***
Capitolo 5: *** In un altro universo ***



Capitolo 1
*** Con la testa sotto la sabbia ***


Con la testa sotto la sabbia;

In treno scatto fotografie alle mani di sconosciuti. Qualcuno scappa. Io, invece, ogni giorno salgo e scelgo un posto, conoscendo già la destinazione che mi attende. Viaggiando sul binario di questa vita sembra che niente abbia senso e senza il biglietto tutto è più spaventoso. Il treno viaggia veloce nella galleria, è tutto così buio e tetro. Se durante il tragitto guardo il muro nero scorrermi sotto agli occhi senza farmi distrarre da altri dettagli, mi angoscio. Quando finirà? Finirà mai? All’improvviso c’è di nuovo luce, e ci sono i ciottoli, e l’erba. Ma il treno di nuovo rallenta e so che tra poco saremo di nuovo al buio. Quando arrivo siamo all’aria aperta, nessun buco trattiene il mio treno né le mie paure, e tu sei esattamente dove sapevo di trovarti.  Sempre, però, torno indietro. Risalgo sul treno e torno indietro. Indietro dove? Sento che devo, che è giusto, ma non ne ho bisogno. Spesso non ne ho voglia, mi sembra non abbia nessuno scopo, però ho sempre quel bisbiglìo nella testa che mi ricorda quanto sia sbagliato. Se rimanessi, però, starei altrettanto male, sarei comunque di troppo. Ma allora a che scopo?  Di notte è tutto così diverso: tu sei così lontano, mentre io lo sono ancora di più. Vorrei annientare questa sensazione, fargli il solletico fino a farla smettere di respirare. Eppure non riesco nemmeno a toccarla.  Sulla scrivania ci sono tutte le forcine che avevo tra i capelli quel giorno; ricordo ancora bene la nostra conversazione in macchina, come potrei dimenticarla. Non dimentico nemmeno l’emozione che provavo se per un momento mi soffermavo a pensare a quanto era bello averti lì al mio fianco, e quanto pacifica e serena e tranquilla è ancora quell’emozione. Se solo tu sapessi.  Sotto le coperte ho ancora le cuffie, ma non producono nemmeno un suono. Ascolto il suono del silenzio con in sottofondo la mia voce che dice che mi fa male l’orecchio appoggiato al cuscino per colpa dell’auricolare. Tolgo le cuffie e mi riappoggio al cuscino. Ora il suono del silenzio è più pieno, più reale. Lo sento occupare tutto lo spazio intorno a me, e quello fuori tra le strade, e nelle case. Tutto tace eppure mi appare così incasinato; non riesco più ad ascoltarlo questo silenzio, dove sei?  Adesso sono tanto stanca: a volte mentre cammino mi rendo conto di non ricordarmi di aver fatti i passi necessari per arrivare in quel punto e più mi sforzo di ricordare più mi rendo conto di quanto il ricordo di quella strada percorsa solo pochi secondi prima sia lontano. 

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Capitolo 2
*** Il tuo maglione ***


 

Il tuo maglione;

  Accarezzo con mano leggera il profilo dei miei fianchi che il tuo maglione copre. Forse non dovrei indossarlo, non penso che un regalo funzioni così, però non ho potuto farne a meno. Quando l’ho provato nel camerino del negozio ho iniziato a ridere come una matta, sentendo come mi cadeva addosso riuscivo solo a pensare che anche le felpe che hai a casa mi stanno così ed ero contenta da morire.
  Di nuovo nei miei vestiti, la paura che potesse non piacerti mi fermava dal comprarlo, sebbene appena lo vidi mi gridò subito il tuo nome. Ci misi un po’ a camminare verso la cassa, ma quando poi, - poco dopo, - uscii con il sacchetto in mano, un grosso sorriso mi si stampò sul volto senza che potessi fare niente per evitarlo. Ero contenta perché sentivo come se in quel sacchettino bianco e triste ci fosse un pezzetto di te, pieno di amore. 

  Una volta arrivata a casa l’ho tirato subito fuori dal sacchetto, l’ho aperto e ripiegato un’infinità di volte. Più lo guardavo e più mi chiedevo se ti sarebbe piaciuto, se avrebbe avuto l’odore di casa mia, se te ne saresti accorto e se poi avresti sorriso.
  Oggi, invece, l’ho lasciato un po’ da solo nel sacchetto sopra la scrivania, e quando questa sera mi ci è caduto sopra l’occhio non ho potuto fare a meno di riaprirlo e osservarlo e vederci dentro te, e quasi senza rendermene conto l’ho indossato. L’ho sentito scivolarmi giù dalla schiena fino a metà coscia, mentre le mani stringevano forte i bordi delle maniche troppo lunghe. Mi ha subito pervasa una sensazione che raramente provo, e immobile ho pensato: come può una cosa rendermi così felice, nonostante tu ancora non sappia della sua esistenza?
  Mi sono sdraiata in fondo al letto con i capelli bagnati, facendomi il più piccola possibile, con ben impresso nella mente il pensiero di te in questo stesso maglione. Ho provato a passare una mano sul mio fianco, che il tuo maglione compre, ma subito ho sentito che non è lo stesso. Tu sotto questo tessuto saresti caldo, mentre io sono fredda e spigolosa come una scarpa in un sacchetto. Ho passato le dita su tutte le mie costole, sono scesa fino al bacino immaginandomi il tuo e lì ho abbandonato la mano, più triste e sola di prima.
  Piangendo mi sono tirata su, senza ricordarmi che quello che indossavo era un regalo; le lacrime scivolavano giù dai miei occhi, dalle guance, dal collo, fino al bordo del tuo maglioncino. Preoccupata che potesse rovinarsi, ho asciugato le ultime lacrime con quelle stesse maniche, ridendo amaramente.
  Seduta sul letto, abbracciandomi ancora, penso a te in questo stesso maglione. L’angoscia che potrebbe non piacerti mi stringe il cuore, ma la possibilità di sentirlo sulla tua pelle mi riempie d’amore. 


N. d. A. 
Lo scopo principale è sempre fare ciò che ci piace, no? A me piacerebbe tanto fare questo nella vita, ma ho ancora bisogno di sistemare cose lasciate in sospeso da molto tempo. Per ora penso a divertirmi, esercitarmi, e soprattutto ad amare.
Mi farebbe molto piacere sapete cosa pensate voi lettori di questa piccola raccolta, e mi sarebbe molto utile! 
- a

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Capitolo 3
*** Livido ***


Livido; 

Non sapeva perché si trovasse in quella stanza, né capiva fino in fondo perché non se ne andasse. Era lì ma non c’era, lontana da tutti come intrappolata in un silenzio infrangibile. La sua volontà di vivere il mondo non era abbastanza forte da renderla realmente partecipe; a malapena viva, consumata dalla sua solitudine autoimposta, guardava e odiava e celando invidia camminava fra quelle figure e sagome vuote, e solo grazie ai suoi infausti pensieri riusciva ad andare avanti, a continuare ad esistere. Le sembrava che tutti in quella stanza fossero collegati, uniti, e che lei sola era stata dimenticata, tenuta a distanza da quell’intreccio di fili. Senza riuscire a non generalizzare, disprezzava i legami e i legati, e ancor di più disprezzava se stessa per non riuscire a crearne, e di conseguenza a mantenerne. Solo una volta aveva sentito un filo morbido nascere e crescere intorno alla sua vita e finalmente la gioia di vivere era tornata a farle battere il cuore; ora però non era altro che un ricordo: ora di quel filo non rimaneva che un segno livido nato dal contatto del cotone con la sua pelle. Anche la persona nascosta alla fine del filo era sparita, e con sé si era portata via anche tutto ciò che esisteva ed era reale, cristallizzato. E lei era sicura che non lo avrebbe visto più e camminava sola, grigia, scollegata. In quelle stanze non cercava più di creare legami, non voleva più fili pronti a lasciarle lividi, non voleva più colori sul suo corpo. Ma il tempo aveva altri progetti, e il momento era arrivato, e ad ogni passo il sottile segno disegnato intorno alla sua vita bruciava sempre di più, sempre più forte, finché si trovò di fronte quello che pensava essere il dolore più grande della sua esistenza, con il viso contratto, una smorfia di dolore e un segno livido intorno al collo.


N. d. A. 
Questo breve racconto l'ho scritto tra le seggiole dell'università in un momento di sconforto. È forse uno tra i racconti a cui temgo di più e sicuramente il più personale, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate! 
- a 

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Capitolo 4
*** Taglio ***


Taglio; 

 

Mi guardo allo specchio e sorrido amaramente, il piccolo taglio sul labbro fa più male del solito. Forse non dovrei stuzzicarlo, dovrei smettere di togliere la crosta, però è più forte di me e la gratto via. Sorridendo ancora, tra il bruciore e un sacco di sangue, mi siedo sul cesso. 

“Che idiota, non devo più toccarla.” 

Mentre faccio pipì tampono la ferita con la carta igienica. Ricordo bene quando è apparsa: mi avevi baciata, un singolo, piccolo bacio e poi mai più. All’inizio non faceva così male, era piccola e innocua, ma con il passare del tempo ha iniziato a fare sempre più male, a perdere sempre più sangue. 

“Mi ucciderà,” mi ripeto. 

Il tempo passa e io sono ancora viva e vegeta. Seduta sul cesso penso ancora alle tue labbra: umide e calde il giusto, ma subito il taglio inizia a pulsare e a farmi così male che devo costringermi a smettere di pensarci. Presto il sangue smette di colarmi in bocca e posso sospirare. 

Avevo paura di non vedere mai più quel segno andare via, e poi finalmente ti ho avuto di nuovo davanti. Ti ho salutato e quando tu ti sei sporto di nuovo per baciarmi mi sono spostata. Ancora non ti ho perdonato questo doloroso scherzo. Ho paura di soffrire di più se ti baciassi di nuovo, e io non voglio soffrire. Però i tuoi occhi, le tue labbra, le tue mani, tutto di te mi dice di baciarti. 

Scappo, scappo sempre, ma al centro del labirinto trovo di nuovo te. Il labbro pulsa, il sangue cola, e anche se a te fa un po’ schifo ti bacio lo stesso. Le tue labbra sono umide e calde il giusto, il taglio non pulsa, la mia bocca non sa di sangue. Quando ci stacchiamo sorrido, e sorridendo ti bacio ancora.


N. d. A. 
Questo racconto è corto corto ma ci tenevo lo stesso a pubblicarlo. 
Forse, tra tutti, è la pecora nela: quello strano, quello diverso, ma io ci tengo ugualmente. 
Come sempre: fatemi sapere cosa ne pensate! 
-a 

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Capitolo 5
*** In un altro universo ***


In un altro universo; 

 

  Quando ci siamo salutati l’ultima volta, se di saluto si può parlare, ti avevo detto con convinzione che - dato il dolore che già mi avevi causato - non avrei più voluto permetterti di ferirmi, e che quindi non avrei mai più voluto vederti né parlarti. Me n’ero andata a testa alta, incurante del dolore che provavo voltandoti le spalle e della mancanza che già sentivo nel petto; e inconsapevole di quello che sarebbe successo - com’è normale che sia - ti ho lasciato solo. 

  Oggi, dopo tutto il tempo che è passato, siamo ancora una volta l’uno affianco all’altra, in quella stessa macchina che migliaia di volte ci ha visti insieme. E oggi, come allora, ancora non sappiamo cosa dirci. 

  Ti ho sempre ripetuto quanto ti amassi più di ogni altra cosa, e ora che quel sentimento si è trasformato nella più dolorosa emozione esistente tu ancora non capisci. Provo a spiegarti, a mostrarti quando sia difficile per me questa situazione incerta e incapace di equilibrio provo a raccontarti i pensieri che tutti quei piccoli gesti mi avevano costretta a formulare, e il dolore che tutte le mancanze mi provocavano. 

  Ancora oggi non capisci perché io abbia sentito il bisogno di allontanarmi da te, nonostante i miei sentimenti, i tuoi. E ormai è tardi: non ho più parole per spiegare e mi sento di pietra, immobile, quando mi rendo conto che tu non vuoi ascoltarmi. Ho sempre pensato che il futuro ci attendeva, ma non avrei mai immaginato che lo avremmo raggiunto percorrendo strade diverse. 

  Sei seduto affianco a me in questa macchina che tante volte ci ha visti insieme, e non dici una parola. Nel silenzio mi chiedo perché sono qui, cosa ci sono venuta a fare, cosa spero di ottenere. Penso alla stanza che avrei voluto condividere con te, ai libri che avrei voluto mi aiutassi a sistemare in una libreria nuova di zecca, appena montata; ai cuscini che avremmo scelto insieme, e che non ti sarebbero piaciuti perché a te piacciono i colori neutri mentre io preferisco i colori sgargianti, quelli che messi vicini non sembrano stare bene ma che nella mia testa hanno tutto un altro significato. Penso alla linea temporale in cui siamo, alle scelte che ci hanno portati qui, a quello che avrei potuto dire e fare al posto che cercare il modo per farti soffrire solo per farti capire quanto io stessi soffrendo. 

  Nel silenzio penso che le cose sarebbero andate diversamente se io non fossi stata io, e se tu fossi stato un po’ meno tu. Ma nulla avrebbe avuto lo stesso significato. 

  Gli occhi mi bruciano mentre il cuore mi dice che questo non è il mio posto, che sicuramente esiste un universo in cui la nostra storia trova un finale diverso, e con questo pensiero impresso nella mente apro la portiera e scendo: “In un altro universo forse saremmo stati felici, ma noi siamo in questo e non possiamo far altro che amare quello che abbiamo vissuto, custodirlo, e non dimenticarlo.”
 



N. d. A. 

Ed ecco la quinta oneshot, l'ennesima a cui sono profondamente legata. 
Questa in particolare è l'ultima che ho scritto ed è nata un pomeriggio durante una conversazione con una persona amata; per questo motivo mi piacerebbe molto sapere qual è la vostra personale interpretazione! 
Grazie 
- ann

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