La Cerva e il Cacciatore

di VenoM_S
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuga ***
Capitolo 2: *** La Fonte ***
Capitolo 3: *** Il Cacciatore ***
Capitolo 4: *** Elabora un piano ***
Capitolo 5: *** Ricordi nel legno ***
Capitolo 6: *** L'accenno di un Prima ***
Capitolo 7: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 8: *** La Reggente ***



Capitolo 1
*** Fuga ***


Fuga

Capitolo 1
 

La luce scendeva attutita dalle spesse chiome degli alberi della Foresta. Si faceva sempre più caldo mentre il sole iniziava pigro la sua salita nel cielo. Conor si tolse cautamente la giacca di pelliccia e la posò su uno dei sassi piatti raggruppati accanto a lui, si sistemò il lungo arco e la faretra dietro la schiena di modo che non lo intralciassero e poi si mosse lentamente oltre il primo filare di alberi, con gli occhi puntati sul terreno alla ricerca di tracce. Nonostante fossero anni che entrava e usciva da quel luogo non era mai riuscito a farsi un'adeguata mappa mentale dei sentieri e dei ritrovi più comuni delle prede. Tutto cambiava continuamente lì, crescevano alberi dove il giorno prima si sarebbe detto c'erano rocce, e l'unico vero punto di riferimento era il Sertil, il fiume che nasceva nel centro della Foresta e, in una serie innumerevole di anse, rapide e piccoli salti, ne usciva arrivando fino alle mura di Breaux. Conor lo sapeva bene, e nonostante l'oggetto della sua ricerca poteva nascondersi ovunque il suo intento era quello di rimanere sempre con lo scrosciare dell'acqua a portata d'orecchio.
Camminando, non poteva fare a meno di ragionare sul perché la Reggente gli avesse assegnato quel compito con tanta urgenza, dopotutto si trattava solo di una cerva sfuggita alcuni giorni prima alle riserve private del Palazzo.
Quando lei gliene parlò stava quasi per voltarsi e andarsene. Ràke aveva i suoi Wraith e non gli serviva uno come lui, continuava a ripetersi.

«Se porterai a termine questo compito per me, ti dirò cosa successe quella notte, Conor il Cacciatore»

Era bastata una frase a fermarlo. Quella era la notte in cui la sua vita era diventata di colpo vuota, la notte per cui non riusciva a darsi pace da mesi.
La Reggente sapeva, ma come?
Doveva scoprire cosa era successo a qualunque costo, per questo aveva accettato di trovare e catturare quella dannata cerva.
Ricerca che si stava dimostrando più difficile del previsto, con sua meraviglia. I cervi erano spariti dalla Foresta da molti anni, da quando Ràke, dopo aver sposato il vecchio Reggente di Breaux, Ghorrel, li aveva fatti catturare per spostarli nelle sue riserve private. Eppure, in quattro giorni di ricerche continue non era riuscito a trovare nemmeno una traccia, un ciuffo di peli, un giaciglio nell'erba.
I pensieri di Conor si dissolsero all’istante quando si imbatté in una leggera scia di impronte nel fango, piccoli zoccoli allungati ed esili che si susseguivano in linea quasi retta verso l’interno della Foresta.
Non riuscì a trattenere un sorriso sarcastico.

«Ti ho trovata, finalmente»

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Il calore crescente iniziava a darle fastidio.
Aprì gli occhi lentamente e si ritrovò ai margini del grande semicerchio erboso che costituiva la Radura Centrale. Il folto cespuglio di bacche l’aveva protetta bene dai pericoli durante la notte, ma a quanto pareva nulla riusciva a fare altrettanto con i suoi incubi.
Occhi gialli, lampi e fuoco invadevano continuamente il suo sonno. Non riusciva mai a ricordare nulla del suo Prima, solo quegli occhi venati di malvagio divertimento nei suoi confronti. In realtà non sapeva nemmeno con certezza se ci fosse davvero stato un Prima o se fosse stata sempre così com’era ora. Ma al momento tutto questo non aveva troppa importanza, il suo bisogno principale era trovare qualcosa da mangiare. Le bacche intorno a lei non erano commestibili, sarebbe quindi andata verso la Radura a cercare qualche ciuffo d’erba inumidito dalla rugiada.

Improvvisamente sentì un ramoscello spezzarsi dietro di lei, verso sinistra. Drizzò le orecchie. Un respiro pesante si fece leggero, quasi inudibile. Percepì una strisciante sensazione di pericolo farsi strada nei suoi muscoli, che si prepararono allo scatto.
Doveva tornare alla Fonte, subito.
Doveva fuggire.

 

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Note: Eccomi qui con la mia prima storia (che poi non è proprio la prima che scrivo, diciamo la prima che abbia pubblicato qui su EFP); nove capitoli li ho già pronti, avendoli scritti l'anno scorso, e ragionandoci su ho deciso di pubblicarli con una cadenza di circa 3/4 giorni, sia per mantenere un po' di suspance (eh, sennò che gusto ci sta), sia per darmi un piccolo margine di tempo per poter iniziare la stesura dei capitoli successivi. Dovrò comunque fare qualche piccola revisione/aggiunta ai capitoli già scritti perché mi sono resa conto che appaiono piuttosto "striminziti" qui, e la cosa non mi piace granché. Che altro dire, spero di incuriosirvi con queste prime righe, e di farvi venir voglia di leggere il resto ;)

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Capitolo 2
*** La Fonte ***


La Fonte

Capitolo 2

 

Scartò verso destra ed iniziò a correre a perdifiato. Raggiunto il fiume prese a seguirlo in direzione contraria, zigzagando frequentemente per cercare di confondere il suo inseguitore. Era un Cacciatore, il pensiero le attraversò velocemente la testa.
Perché la inseguiva? Da dove era spuntato?

Finalmente, sbucò nella piccola spiaggia erbosa su cui si affacciava la Fonte. Ansante si diresse verso l’acqua, che come sempre dava una disarmante impressione di immobilità, e vi si immerse in fretta, con gli zoccoli che sembravano affondare nel soffice fango del fondale.
Le ci vollero due o tre falcate per iniziare a percepire la familiare sensazione della mutazione, mentre un leggero bagliore azzurrino l’avvolgeva. Si immerse per non farsi vedere dal Cacciatore, e mentre nuotava sott’acqua verso la cascata per nascondersi pensò alla prima volta che era stata lì, non più di una settimana prima. Non aveva altri ricordi nitidi antecedenti a quel giorno.


Le sembrava di aver corso per ore, giorni forse, non ricordava. Aveva paura, il non sapere nulla di sé o di come fosse finita lì la terrorizzava. Nessuno sforzo poteva sostituire il buio angosciante nella sua mente. 
Fermatasi, esausta, su una piccola spiaggia erbosa davanti ad un laghetto circondato d'erba e alberi da frutto, si accorse che le gambe le tremavano.
Zampe, non gambe.
Esili, tanto da sembrare fragili, e terminanti in un piccolo zoccolo allungato. Si avvicinò al laghetto lentamente, guardandosi intorno. L’acqua vi arrivava dalle alte pareti di roccia muscosa che lo circondavano, ricadendo in piccole ed articolate cascate. Proprio davanti a lei ne scendeva una più grande delle altre, circondata da qualche masso levigato. Alla sua sinistra, invece, l’acqua defluiva in un piccolo torrente che capì essere il fiume che aveva seguito durante la sua inarrestabile corsa. Era arrivata alla Fonte della Foresta, quindi.
L’acqua aveva un che di statico, come se assumesse movimento solo in prossimità delle cascate e del torrente. Era strano, non avrebbe saputo descriverlo in modo diverso.

Ovvervò il suo riflesso nel laghetto. Una cerva dall’insolito manto nero e con due grandi e terrorizzati occhi grigi la guardava.
Una cerva, dunque.
Il fatto di non ricordare se fosse stata sempre così oppure no la terrorizzò ancora di più. Di quello che fece dopo non seppe nemmeno il perché, semplicemente sentì l'impulso di entrare nell'acqua, come se questo potesse in qualche modo aiutarla con quella situazione.
Le sembrò di affondare nel fango, per un attimo, tanto era soffice. Poi iniziò a sentirsi strana, una sensazione indescrivibile le percorse la spina dorsale fino alla punta del muso. L’acqua si fece azzurra, una tenue luce sembrava provenire dal fondale illuminando leggermente l’acqua immobile. Ecco, questo sì che era spaventoso.
Non vedeva ciò che succedeva sotto la superficie, ma sentiva le esili zampe assumere una forma diversa, il soffice mantello corvino disperdersi nella Fonte. Dopo qualche secondo, vedendo una piccola roccia accanto a lei, la afferrò con una mano per cercare di tirarsi via da quella luminescenza inquietante.

Una mano?!

La guardò, incredula. Cinque dita, pelle chiara, molto chiara. Sollevando dall’acqua quella che avrebbe dovuto essere la seconda esile zampa, si ritrovò un’altra mano. Si guardò nuovamente nell’acqua immobile. Una ragazza con i capelli corvini e due grandi e spaventati occhi grigi la guardò stavolta di rimando.
Non capiva. 
Prima una cerva, poi una ragazza, quegli occhi grandi e grigi che continuavano ad osservarla, confusi e spaventati.
Sempre più confusa si disse che magari si era immaginata tutto, che magari la mente e la paura le avevano giocato un brutto scherzo facendole vedere il muso di una cerva nella Fonte poco prima.
Si tirò fuori dall’acqua e si alzò cautamente in piedi. Nessuna trasformazione, era ancora una ragazza completamente bagnata. Cercò qualcosa per asciugarsi ma non vi era nulla di utile in quella radura. Fortunatamente era piuttosto caldo.
Vide un cespuglio di more e qualche albero di mele alla sua destra, e si accorse di aver fame.
Infine, esausta e ancora zuppa, si stese sul prato soffice e si addormentò pesantemente.

La luce del sole che le premeva sugli occhi ancora chiusi la svegliò. Si sentiva asciutta, riposata e ancora affamata. Cercò di alzarsi sulle gambe, ma si ritrovò nuovamente con quelle zampine esili, tanto da sembrare fragili.
Una cerva, ancora.
Non le ci volle molto per capire che non stava sognando, e con pochi tentativi ebbe ben chiara la sua situazione: l'acqua della Fonte le permetteva di assumere la forma di una ragazza e di mantenerla fintanto che rimaneva bagnata. In ogni altro luogo e momento, sarebbe stata la cerva dal manto corvino.

Stava ancora pensando alla sua perenne confusione di quei primi giorni di ricordi quando la sua attenzione fu catturata da un cespuglio di more che si muoveva e da cui uscì, correndo, il Cacciatore.

 

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Note: Lo so, questo capitolo l'ho pubblicato il giorno dopo il primo, ma ero decisamente su di giri per la messa in rete di questa storia e solo dopo ho deciso di aspettare un po' di più tra un capitolo e l'altro :/ Vorrei comunque ringraziare Sara_Fiore e Kree_39 per aver deciso di seguire la storia, e albaTH per avermi recensito!

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Capitolo 3
*** Il Cacciatore ***


Il Cacciatore

Capitolo 3

 

Era un uomo alto, con i capelli bruni e la barba corta. Le braccia muscolose tenevano in mano un lungo arco di legno, in cui era già incoccata una freccia abbellita di piume ambrate. Teneva legato, alla cintola, un coltello senza fodero. Sulla casacca di pelle erano rimaste impigliate alcune foglie secche, a causa del rapido inseguimento tra gli alberi, che adesso cadevano lentamente mentre si muoveva circospetto nei pressi della Fonte, cercando con gli occhi la preda.
Non capiva dove poteva essersi cacciata quella cerva, la radura era così piccola da non poter dare molte possibilità di nascondersi. Si girò verso lo specchio d’acqua, osservando le alte pareti di roccia e l'intrico di cascatelle che vi scendevano. Sembravano una grossa ragnatela. L'immobilità così anormale del laghetto lo colpì, ma non fu solo quello ad attirare la sua attenzione.
Nel fango spiccavano delle piccole impronte.

«È entrata in acqua, quindi. Ci saranno delle grotte dietro le cascate» disse fra sé.

Iniziò ad immergersi lentamente, tenendo l’arco pronto al minimo movimento. 
La giornata stava giungendo al termine, il rosa pallido di qualche minuto prima era già scurito in un rosso intenso, e in lontananza la notte iniziava la sua corsa. Non aveva molto tempo per trovarla, probabilmente sarebbe stato più conveniente accamparsi sulla riva erbosa e attendere la mattina seguente per continuare le ricerche con più luce. Ma voleva assolutamente dare un’occhiata in giro, esplorare quel luogo l'avrebbe reso più sicuro sul da farsi. 
L’acqua gli arrivava oramai oltre la cinta, e dell’animale non c’era nessuna traccia. Le piccole cascate che circondavano il lago non celavano nessuna grotta o cunicolo abbastanza grande per nascondersi. 

Un movimento fra le rocce lo fece scattare. Tese la corda dell’arco, il braccio sinistro diritto, la mano destra a sfiorargli quasi la guancia, la freccia incoccata e pronta a partire verso il bersaglio. Trattenne il respiro qualche secondo, concentrandosi nel prendere la mira per non essere impreparato ad un eventuale altro movimento. 
Leggeri cerchi andavano allargandosi lungo la superficie immobile del lago, partendo da un gruppo di rocce ammassate una sopra l’altra nei pressi di una cascata più grande, praticamente l’unico punto in cui l’acqua sembrava muoversi davvero.

«Lì c’è spazio per una grotta» pensò Conor con una punta di soddisfazione. 
Avvicinandosi ulteriormente verso il lato sinistro della cascata trovò, dietro la parete d’acqua, un largo cunicolo di cui però non riusciva ad individuare il fondo. Sarebbe stato un gioco da ragazzi impedire alla cerva di uscire da lì, per poterla cercare con calma in un secondo momento.

Portava sempre con sé una corda lunga e molto resistente, incredibilmente leggera e sottile, confezionata in una città lontana. Suo padre gliela donò quando concluse la prima battuta di caccia, nella Foresta, alcuni anni prima. 
La usava per creare trappole, per lo più, ma poteva tornargli utile in una moltitudine di situazioni. In questo caso la usò come supporto su cui legare e intrecciare vari rami tagliati da un albero vicino, così da bloccare l’ingresso - e l’uscita - dalla grotta. 
Adesso che la cerva era sistemata poteva tornare sulla riva, accendere un fuoco e cercare qualcosa da mangiare. Non aveva portato nulla con sè convinto che sarebbe stata una giornata di infruttuose ricerche come le altre, non una all’insegna di inseguimenti nella Foresta.
Colse alcune more ed un paio di frutti che assomigliavano a delle mele, ma più piccole - era incredibile la quantità di alberi da frutto presenti in quella radura - si sedette vicino agli alberi e dopo aver raccolto qualche ramo caduto nei dintorni accese un piccolo fuoco con la pietra focaia che portava sempre legata al collo come un pendente.

Convinto di aver sistemato una volta per tutte la faccenda, e con la speranza di scoprire finalmente le sorti della sua famiglia, si addormentò.

 

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La Notte era limpida, nessuna nuvola oscurava le stelle, che si mostravano in tutta la loro infinità. La spiaggia erbosa era bene illuminata dal bagliore biancastro della Luna e dal piccolo fuoco di Conor, che andava via via spegnendosi, non più ravvivato dall’uomo che ormai dormiva da qualche ora. Sull’acqua immobile andavano allargandosi dei grandi anelli, mentre occhi curiosi osservavano quel Cacciatore comparso così all’improvviso, saggiando differenze e analogie.

Nel “muro” di rami davanti al grande cunicolo dietro la cascata spiccava, nero, un varco.

 

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Note: eccoci arrivati al terzo capitolo (di nuovo più corto di quello che mi appariva da Word, mannaggia) vissuto in prima persona dal nostro Cacciatore. La prenderà, questa cerva così sfuggente? 

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Capitolo 4
*** Elabora un piano ***


Elabora un piano

Capitolo 4



 
Era strano osservare quel Cacciatore da così vicino. 
Sotto forma umana era più facile girargli attorno senza fare troppo rumore.
La ragazza era consapevole che avrebbe potuto svegliarsi in qualunque momento, ma non riusciva a smettere di guardarlo dormire sotto la sua casacca di pelliccia. 
Le sembrava stranamente familiare, come se lo avesse incontrato spesso in una vita passata, uno strano deja-vù che la interdiceva. 
L'uomo fece un profondo sospiro, storcendo il naso nel sonno come se vi si fosse posato un insetto, e la ragazza indietreggiò velocemente trattenendo il respiro. 
Niente, dormiva ancora.
Tornandogli accanto si chiese se avessero davvero potuto conoscersi. Magari, se avessero parlato, lui avrebbe potuto aiutarla a ricordare qualcosa, in qualche modo.
Ma come? Come poteva, innanzitutto, evitare che lui cercasse di trafiggerla a vista con una freccia?
Forse seguendolo, vedendo da dove provenisse, avrebbe potuto iniziare a ricordare qualcosa. 

Seguirlo.

Non era niente male come idea, a pensarci bene. Non c'era bisogno di un confronto diretto tra i due, in questo modo. Ma in forma di cerva era del tutto fuori discussione provarci, sarebbe stato pericoloso e una volta fuori dalla Foresta sarebbe stata totalmente scoperta. 
Doveva trovare un modo per prolungare la sua trasformazione e restare una ragazza anche lontano dalla Fonte. 
Iniziò a camminare in tondo concentrandosi sulle particolarità della mutazione. Doveva esserci qualcosa del processo che poteva usare a suo vantaggio.
Guardò l'acqua. Immobile come sempre, non l'avrebbe aiutata a trovare il particolare che cercava.
Continuava a ripetersi mentalmente tutto quello che le accadeva da quando metteva piede - o meglio, zampa - in acqua, la luce azzurra che colorava il fondale, quella sensazione così particolare e istantanea..
Ecco!
La trasformazione aveva luogo appena metteva in acqua le zampe, quindi era sufficiente avere anche solo una parte del corpo bagnata, e non tornava mai una cerva prima di essere completamente asciutta.
Impregnare d'acqua i capelli le avrebbe assicurato una trasformazione abbastanza prolungata, ma non poteva effettivamente sapere per quanto tempo sarebbe rimasta lontana. Continuando a girare intorno al Cacciatore notò, con la coda dell'occhio, un oggetto strano. Si avvicinò cercando di fare meno rumore possibile e, dopo averlo preso, lo guardò con attenzione alla luce della Luna.
Fatto interamente di pelle cucita, probabilmente coniglio, era rigido e cavo ed aveva una forma sferica. Vide anche che era chiuso da tutti i lati, tranne per un piccolo foro circolare, che poteva però essere chiuso all'occorrenza.
L'idea le attraversò la mente in un istante: avrebbe riempito il contenitore con più acqua possibile, e qualora ce ne fosse stato bisogno si sarebbe rovesciata il contenuto sui capelli, bagnandoli nuovamente e prolungando la trasformazione.
Era probabilmente l'unica maniera sensata per attuare il suo piano.



 
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«Maledizione!»

Quella dannata cerva era riuscita ad uscire dalla grotta, nonostante i rami legati per chiuderla. 
Come diamine aveva fatto? 
Conor stentava a crederci, e come se non fosse abbastanza intorno alla grotta, al laghetto e alla spiaggia non c'era nessun segno, nemmeno l'ombra di impronte. 
Iniziava ad averne davvero abbastanza di tracce che scomparivano nel nulla.
A quel punto non aveva più molte alternative sul da farsi: sarebbe tornato a Breaux, avrebbe preparato alcune trappole e  provviste sufficienti per trascorrere alcuni giorni nella Foresta e vi sarebbe tornato. Quell'animale non poteva allontanarsi troppo da lì, ne era più che certo.
Mentre raccoglieva le proprie cose dalla spiaggetta erbosa si accorse di non trovare più la sua borraccia di coniglio. Eppure avrebbe giurato di averla avuta sempre con sè, fino alla notte prima. 
Che fosse invece andata persa nell'inseguimento? O forse in mezzo ai cespugli mentre cercava la legna per accendere il fuoco?
Un'altra cosa che spariva. Sembrava quasi una maledizione.

«Beh pazienza. Quando tornerò a casa ne prenderò un'altra.»

Il Sertil, che fluiva fuori dalla Foresta, aveva origine proprio in quel luogo. Quindi Conor si avviò a passo sostenuto seguendone il corso, così da non essere costretto a fare troppe deviazioni che lo avrebbero solo rallentato.
Nonostante quello che era accaduto, avere un'idea abbastanza precisa dell'area in cui si muoveva la cerva gli infondeva sicurezza. 
Non riusciva a smettere di pensare a quando l'avrebbe catturata, e a come avrebbe finalmente scoperto la verità sulla sua famiglia e la loro oscira sparizione.
Era successo tutto durante una sua battuta di caccia. Da giorni la piccola selvaggina che abitava il limitare della foresta - per lo più fagiani e lepri - scarseggiava. Pensava che spingendosi un po' più all'interno avrebbe trovato qualcosa di meglio, era stato fuori un paio d'ore, forse anche meno.
Al suo ritorno l'unica cosa rimasta ad aspettarlo era il silenzio. 
I mobili sottospra, le tende stracciate. Niente sangue, impronte o qualunque cosa avesse potuto fargli capire cosa era successo. Niente di niente. Quando era partito erano lì, al suo ritorno non c'erano più, svaniti nel nulla.
Fine della storia.

Conor era così perso nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno di essere arrivato davanti agli imponenti Cancelli di ferro della città. Alzò gli occhi, per osservare quell'accavallarsi di tetti e stradine.
Breaux era una città piuttosto grande, un nodo commerciale importante che si trovava a metà tra gli approdi sull'Oceano e le altre città della regione. Appariva come una città ben organizzata, almeno da fuori.
In realtà non era altro che spaccata in due. 
La Periferia Nord era il quartiere dei ricchi: mercanti, nobili, e la Reggente arroccata in quel suo freddo castello in cima alla città. La Periferia Sud era invece abitata dalla gente comune, dai contadini e gli artigiani. I più poveri insomma.
Gli abitanti delle due parti si incrociavano di rado, vivendo vite ben divise.
I nobili erano proprietari delle terre che venivano coltivate nei campi esterni alla città, così come delle bottege da cui risquotevano mensilmente una percentuale sulle vendite. Probabilmente il giorno dei pagamenti era l'unico in cui uscivano dalle loro ville opulente. 

«Diamine, finiscila di rimuginare. La cerva non si cattura a suon di pensieri» sussurrò Conor tra sè, mettendo un piede sul piccolo vialetto di sassi che conduceva a casa. 



 
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Note: Eccoci qui! Capitolo abbastanza soft in cui viene concesso un po' di tempo ai nostri personaggi per pensare alle prossime mosse. La nostra cerva è determinata a scoprire qualcosa in più su se stessa, chissà cosa la aspetta tra le mura di Breaux! 
Vorrei ringraziare di cuore Tomocchan sia per aver recensito i primi tre capitoli che per aver inserito la storia tra le seguite e Schecter (ciao Mary :P) per averla messa addirittura tra le preferite! 
P.s. su apprezzatissimo consiglio di Tomocchan, ho rivalutato la mia idea della cadenza dei capitoli: per renderla una "serie" nel vero senso della parola ho deciso per la pubblicazione settimanale, quindi da ora in poi posterò un capitolo ogni giovedì!
A presto!

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Capitolo 5
*** Ricordi nel legno ***


Ricordi nel legno

Capitolo 5




La casa di Conor si trovava ai margini della Periferia Sud, dove le piccole e modeste abitazioni che contraddistinguevano quella zona della città andavano via via diradandosi. Arrivarci non era difficile, bastava seguire la larga strada che costeggiava le mura di pietra di Breaux, senza fare deviazioni. 
Non era grande, in realtà a guardarla dal vialetto di sassi piccoli e bianchi sembrava solamente vecchia e un po' marcia. Costruita totalmente con grosse assi di legno scuro, aveva il pavimento in pietra per isolarla meglio possibile dal terreno e il tetto di stoppia per ripararla dalla pioggia. 
Fare il cacciatore di certo non gli permetteva di avere qualcosa di meglio.

Entrato in casa si buttò senza pensarci due volte sul materasso imbottito di paglia, avendo la premura di appoggiare l'arco e la faretra accanto alla porta e di togliersi solo gli stivali. 
Era davvero stanco, aveva bisogno di qualche ora di riposo sul morbido; dormire per terra, nonostante l'erba, non era stato affatto piacevole. 
Guardandosi rapidamente intorno posò gli occhi sul resto della sua attrezzatura, riposta in maniera estremamente ordinata tra un tavolo e una rastrelliera nell'angolo sinistro della casa. Trappole, corde, frecce di scorta, coltelli per pulire le prede e ganci fissati al soffitto per appendere le pelli da vendere. Tutta la sua vita era lì, in quel momento, e tutto quello che doveva fare era scegliere la maniera più appropriata di usare quegli attrezzi. 
Spostare lo sguardo gli fece ricordare anche quanto fosse difficile, per lui e la sua famiglia, vivere in una casa composta da una sola stanza. Tantopiù che da quasi quattro anni era rimasto solo con la madre e la sorella, dopo che una febbre fin troppo aggressiva si era trascinata con sè il padre. 
All'inizio era stata dura. Le entrate della famiglia, già basse, erano diminuite. Sua sorella Tara aveva dovuto iniziare a lavorare con la madre nei campi, nonostante avesse solo dodici anni. 
Ma avevano trovato un loro ritmo, e Conor aveva iniziato a progettare anche la costruzione di una nuova stanza dove Tara e Elana potessero dormire, qualcosa di più privato per non doverle costringere a dividere tutti i loro spazi con un uomo. 
I progetti erano ancora di fianco al tavolo, arrotolati su se stessi. 

Conor non ne poteva più di pensare e ripensare a quelle cose, di ricordare. 
Cosa poteva fare con la cerva? Inseguirla, o montare una trappola?
Probabilmente sarebbe stata più sensata la seconda opzione, dato che Ràke la voleva viva. 
Ma ci avrebbe riflettuto con più attenzione in un secondo momento. Adesso aveva solo bisogno di dormire. 




 
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La ragazza era finalmente arrivata al limitare della Foresta, e vedeva con chiarezza le alte mura della città. 
Il Cacciatore era a circa duecento passi da lei, e si dirigeva verso gli imponenti Cancelli a grandi falcate. Non si vedevano altre persone nei paraggi. Durante tutto il tragitto aveva stretto spasmodicamente tra le mani il contenitore di pelle pieno d'acqua, terrorizzata all'idea che potesse scivolarle. Era stata ben attenta a non avvicinarsi troppo all'uomo, cercando di fare poco rumore e trovando riparo fra la vegetazione e le rocce. 
Dopotutto, aveva imparato a conoscere bene la Foresta e i suoi nascondigli, e non era difficile rimanere al coperto. 
Adesso, però, la attendeva un tratto pericoloso. Il tragitto tra la Foresta e la città era totalmente scoperto, una pianura di erba bassa e piccole rocce dietro le quali era impossibile nascondersi. Avrebbe dovuto fare attenzione, e cercare di percorrerlo il più velocemente possibile. 
Continuava a rimanere immobile tra due cespugli di lamponi, sempre più spaventata dalla possibilità di essere vista, picchiettando incessantemente con le dita sul lato del contenitore per l'agitazione. 
Tornando a cercare con lo sguardo il Cacciatore, si rese conto che ormai stava attraversando l'ampio ingresso. 
Non poteva più aspettare, o lo avrebbe perso.
Chiuse forte gli occhi, fece due profondi respiri cercando di calmarsi e farsi coraggio, e iniziò a correre. 

Arrivò alle mura trafelata, con il fiato corto ed il cuore impazzito. Riusciva a percepire il battito accelerato rimbombarle nella testa, quindi appoggiò la schiena alla pietra fredda e si impose qualche secondo di calma prima di proseguire. 
Attraversò i Cancelli e si ritrovò su una strada in pietra ampia e piuttosto scalcinata, ma dritta. Iniziava ad imbrunire e continuava a non vedere nessuno aggirarsi da quelle parti, tranne la figura alta del Cacciatore in allontanamento. Aveva rallentato, prendendo l'ultimo tratto di strada con fare più calmo.
Lo stradone era costeggiato da entrambi i lati da una moltitudine di casupole, di cui alcune fatte interamente di pietra, mentre la maggior parte erano di legno, tutte ugualmente piccole e spoglie. 
Non doveva essere una zona molto ricca della città, questo era sicuro. 
Davanti ogni casa c'era un piccolo spiazzo erboso, occupato dalla legnaia e attraversato in tutta la lunghezza da corde spesse su cui erano stesi ad asciugare i vestiti. 

Fu solo allora che la ragazza si rese conto di non avere nulla addosso che potesse coprirla. 
Certo, non aveva dovuto porsi il problema nella Foresta, sola e nascosta dal mondo esterno com'era, ma in quella città cambiava tutto e non poteva di certo andarsene in giro in quella maniera. 
Controllando che non ci fosse nessuno ad osservarla da qualche finestra, si intrufolò nel giardinetto più vicino e rubò da uno dei fili un lungo vestito di tela grezza color sabbia, indossandolo velocemente. Non era esattamente della sua misura, le lasciava completamente scoperte le caviglie e le stava un po' troppo largo sul seno, ma di certo non avrebbe fatto la schizzinosa. Non c'erano calzature di nessun tipo ad asciugare insieme ai vestiti, per cui lasciò i piedi nudi e si incamminò nella direzione presa qualche minuto prima dal Cacciatore, sperando che non si fosse allontanato troppo o avesse fatto deviazioni. 
Mentre proseguiva, si controllò istintivamente i capelli. Lo faceva di continuo, ma era la parte del piano che più la preoccupava, perché non sapeva quanto ci mettessero ad asciugarsi e non voleva sprecare troppo in fretta l'acqua di scorta. Fortunatamente erano ancora bagnati a dovere, quindi si rilassò e continuò a camminare. 

Improvvisamente notò, lungo il lato sinistro della strada, una sentierino in terra battuta che deviava verso l'interno della città, e poco più avanti seguendolo con lo sguardo scorse una piccola casa di pietra un po' malandata. 
Si fermò.
C'era qualcosa, in quel sentiero, in quella casa. Qualcosa che l'attirava. 
Provò a forzare la sua memoria come aveva fatto tante, troppe volte da quando si era ritrovata a correre disperatamente nella Foresta giorni prima, ma tutto il suo mondo, tutta la sua vita sembrava iniziare da quegli occhi gialli e malvagiamente divertiti che la osservavano sotto le sembianze di cerva. 
Non sembrava esistere nient'altro.
Decise comunque di andare a controllare.
Imboccò il sentiero, camminando lentamente e guardandosi intorno, cercando un particolare che l'aiutasse a ricordare qualcosa.
Arrivata davanti alla casa, salì il gradino che conduceva alla porta di legno scuro e vi appoggiò sopra una mano. Era liscia, ed i disegni della corteccia incredibilmente regolari.

..Lavorata a mano proprio nel giardino..

Si ritrasse istintivamente, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo, e guardò la porta a bocca aperta.
Come lo sapeva? Era forse un ricordo, un accenno di qualcosa del suo Prima?
Decisa sopra ogni cosa a saperne di più, abbassò la maniglia, spinse leggermente la porta, ed entrò.




 
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Note: Eccomi tornata! Ho davvero creduto di non riuscire a fare le dovute modifiche ed aggiunte a questo capitolo in tempo, ho avuto talmente tante cose per la testa in questa settimana.. Ma ce l'ho fatta! I punti di vista dei nostri personaggi, come avrete capito, sono leggermente spostati temporalmente in quanto l'inseguimento della nostra cerva viene bruscamente interrotto, ed era doveroso raccontarlo. 
Cosa scoprirà? Ed il Cacciatore, lo perderà o riuscirà ad incontrarlo? 
Ditemi cosa ne pensate, o se vi siete già fatti qualche idea a riguardo ;)
Voglio inoltre ringraziare Ingridesmee per aver messo la mia storia tra le ricordate! 

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Capitolo 6
*** L'accenno di un Prima ***


L'accenno di un Prima

Capitolo 6



Lo scricchiolìo della porta che si apriva accompagnò il primo sguardo della ragazza all'interno della casa. Davanti a lei si apriva un ambiente piuttosto grande, rettangolare, decisamente cupo e spoglio. Non c'era niente appeso alle pareti di pietra fredda, il pavimento in legno mostrava chiari segni di usura, in vari punti era rigato e in altri iniziava a dare i primi segni di cedimento.
La stanza in cui si trovava doveva essere stata quella principale della casa, come testimoniava l'ampia bocca di un camino in pietra che si apriva a sinistra, in un angolo, davanti la quale stava un treppiedi di ferro nero su cui erano agganciate pentole e padelle di rame un po' ammaccate e distorte dall'uso continuo, e l'ampio tavolo di legno scuro, proprio come quello della porta, che occupava il centro dell'ambiente. Il tavolo era coperto da una moltitudine di oggetti: alcuni piatti di legno di varie dimensioni, una brocca di coccio sbeccata, sei grosse candele mezze consumate e una moltitudine di rotoli di stoffe colorate, pelli di vario genere e lana grezza.
Ma fu solo quando notò, all'altro lato della stanza, i resti di un grosso telaio sfondato, che si rese conto della reale confusione che regnava praticamente ovunque.

C'erano altri piatti a terra, ai fianchi dell'ingresso due lunghe cassapanche erano state aperte, svuotate del loro contenuto e rovesciate, sotto il tavolo altri rocchetti colorati tappezzavano il pavimento insieme a due cuscinetti pieni di aghi e spilli per fermare le stoffe prima di cucirle. Cenere e resti di legna erano sparsi intorno al camino.
Qualunque cosa fosse successa in quella stanza, pensò, non era stata piacevole né prevista.

Davanti a lei si aprivano due porte, mentre una terza si trovava nel lato destro della stanza. Si diresse verso quest'ultima, trovandosi in una stanza molto più piccola della precedente, occupata da un letto basso e largo e una cassapanca. Il letto era rivestito di una coperta bellissima, verde scuro, con i bordi ornati di un intricato disegno color ocra, che a guardarlo da lontano sembrava quasi finissimo pizzo. Era in tremendo contrasto con quella stanza, e con tutta la casa in realtà. Sembrava un oggetto fatto per qualche nobile, più che per gli abitanti di una casina così malmessa. Si sedette sul letto e poggiò una mano sulla coperta, scoprendo così il materiale ruvido con cui era stata tessuta, una lana ancora un po' grezza e di certo a basso costo. Sicuramente un nobile avrebbe preferito la seta o una lana più morbida e lavorata.
Nonostante la vista della sala e di quella camera, e l'ammirazione per quella coperta così bella, però, non le era ancora tornato alla mente nessun ricordo o pensiero che potesse aiutarla a capire cosa le fosse successo.
Uscì dalla camera e si diresse alle altre due porte. Andò direttamente a quella di destra, ritrovandosi in una stanzetta quadrata e un po' angusta. Lungo uno dei lati era incassato un lettino stretto e basso, mentre dall'altra parte stava un piccolo cassettone di legno e uno scrittoio. Questo era coperto di pergamente, calamai, e strane boccette etichettate con delle rune.
Numerose penne d'oca e di tortora erano riposte in ordine in un contenitore rettangolare inciso nello scrittoio, perfettamente pulite.
Proprio davanti a lei, invece, si trovava una finestra che dava direttamente sul retro della casa. Ormai si era fatto buio da un po', e la ragazza riusciva a distinguere gli oggetti intorno a lei solo grazie al chiarore della luna, che quella sera splendeva piena nel cielo senza nuvole.
Tornò allo scrittoio per osservare le pergamene. Molte recavano dei disegni delle montagne che si scorgevano lontane dalla finestra della stanza, o della Foresta, o degli animali che l'abitavano. Altre invece erano ricoperte di segni, parole, probabilmente era una specie di piccolo diario.
Ad accomunare tutto quel marasma di carta era una parola, scritta in piccolo alla fine di ogni pagina.
La ragazza prese uno dei fogli e andò alla finestra, per cercare di vedere meglio. All'inizio stentò a riconoscere le piccole rune, ma poi, in un soffio, lesse a voce alta

«Neia»

Fu colpita dai ricordi come una folata di vento. Vide se stessa china sullo scrittoio, con una delle penne in mano, intenta a disegnare un fringuello, aprendo di volta in volta le boccette con le rune che altro non erano che i colori. Sentì la voce dolce di sua madre chiamarla per aiutare a preparare la cena, il profumo della zuppa di legumi che bolliva in una pentola sul fuoco del camino.
Vide suo padre venirle incontro nella stanza, reggendo fra le mani una statuetta di legno che aveva appena finito in intagliare, dopo aver lavorato tutto il giorno sui mobili e utensili da vendere al Mercato di Primavera, il grande evento che aveva reso ancora più famosa la città di Breaux, in cui da tutte le città vicine accorrevano per una settimana mercanti con i loro banchetti ricolmi di ogni tipo di oggetto e famiglie, nobili e non, alla ricerca di qualcosa da poter comprare.
Sentì suo padre mentre le diceva che quella statuetta era un regalo per lei. Una piccola cerva, dalle gambe sottili.
Voltandosi verso il letto la vide, adagiata sulle coperte.

«Neia sono io! Questo era il mio nome, la mia casa, il mio Prima! Come sono potuta finire a vivere nella Foresta, come sono potuta diventare quello che sono?»  pensò la ragazza con le lacrime agli occhi.

Con ancora la pagina del suo vecchio diario tra le mani tornò nella sala più grande, e si diresse verso i resti del telaio. Facendo scorrere una mano sul legno chiaro, fu avvolta dal ricordo di mani sottili e veloci che azionavano l'attrezzo, intrecciando sapientemente una moltitudine di fili colorati. Le mani di sua madre, che a volte rimaneva china sul telaio per tutto il giorno a tessere tappeti, arazzi e coperte, persino vestiti. Anche i nobili avevano riconosciuto la sua bravura con le stoffe, ordinando da lei nuovi capi ogni anno.
Eppure le sembrava tutto così lontano, a stento riusiciva a ricordare il viso di suo padre, mentre quello di sua madre era ancora avvolto nel buio. Alzando il foglio di pergamena davanti a sè, il più recente che si trovava in cima a tutti gli altri, lesse le prime parole

«Mancano solo pochi giorni alla Festa di Primavera, ed io sono così esaltata! I colori, le voci, i profumi del cibo di tutte le città confinanti!»

Come poteva l'ultimo suo appunto risalire alla Primavera? Non era difficile riconoscere le stagioni, e in quel momento si trovava chiaramente alla fine dell'Estate. C'era un salto temporale di oltre quattro mesi, di cui lei non aveva memoria.
Come era possibile? Cosa aveva fatto durante quei mesi? Cosa era successo alla sua famiglia?
Le domande si accavallavano nella sua mente senza sosta.
Doveva scoprire cosa le era accaduto. Era sicura che il Cacciatore sapesse qualcosa, dopotutto la stava cercando e abitava nella sua stessa città. Doveva trovarlo.
Aprendo la porta si accorse che stava iniziando a sorgere il sole, siera trattenuta davvero troppo in quella casa e ora avrebbe dovuro andare a casaccio per trovare l'abitazione del Cacciatore. Toccandosi ancora i capelli si rese anche conto che si stavano ormai asciugando, e che a breve avrebbe dovuto usare l'acqua della Fonte nella borraccia. Ma voleva sfruttare al massimo ogni minuto disponibile prima di prolingare ancora la trasformazione.

Uscì di corsa, e altrettanto velocemente percorse a ritroso il vialetto per poi girare sulla via che aveva seguito l'uomo qualche ora prima. Continuava a guardare freneticamente da una parte all'altra, osservando tutte le case e le persone che iniziavano ad uscire dalle porte e non si accorse della figura che svoltò l'angolo proprio di fronte a lei, andando a sbatterci contro.
Finì a terra, e la borraccia con l'acqua le scivolò dalle mani, aprendosi, e rovesciando intorno a lei tutto il prezioso contenuto.




 
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Note: Lo so, lo so, ho una settimana di ritardo! Tra un esame e il non riuscire a migliorare il capitolo come volevo ho perso davvero tempo! Ma finalmente eccomi qua, con la nostra cerva che finalmente riesce a scoprire il proprio nome e la propria casa. Ma ancora tante domande l'assillano, e tante sono le cose che dovrà scoprire. Purtroppo però, il suo piano è appena andato in fumo.. Cosa farà a questo punto?

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Capitolo 7
*** Un incontro inaspettato ***


Questo capitolo partecipa al “COWT” di Lande di Fandom
Settimana: quinta
Missione: M1
Prompt: In fuga
N° parole: 1826

Un incontro inaspettato
Capitolo 7
 
I pallidi raggi del sole nascente sorpresero Conor intento a prepararsi per la sua prossima battuta di caccia. Aveva trascorso la notte in modo irrequieto, cercando di riposarsi quanto più possibile sul ben poco comodo materasso di stoffa grezza riempito di paglia. Non riposava bene da diverso tempo ormai, il pensiero continuamente fisso sulla madre e la sorella e su che fine avessero fatto, sul perché fossero scomparse e sulla speranza che in un modo o nell’altro stessero bene. Ultimamente poi, c’erano sempre più spesso momenti in cui gli sembrava con orrore di non ricordare più i loro volti, come se stessero svanendo fin troppo rapidamente dietro una cortina di nebbia impenetrabile. Ma lui cercava di sforzarsi in continuazione di non perdere di vista il suo obiettivo, e il compito che gli era stato assegnato dalla Reggente era, nella sua mente, quanto di meglio potesse sperare per raggiungerlo.
 
La piccola casa si andava via via illuminando sotto i suoi occhi, rivelando i pochi e piccoli oggetti personali delle due donne rimasti esattamente al loro posto da quando tutto era successo. Alla sinistra della porta d’ingresso lo stretto tavolo dove erano soliti riunirsi a mangiare era ancora apparecchiato per tre, con le ciotole in coccio girate verso il basso per non prendere polvere, così come i bicchieri. Poco più avanti, seguendo il muro dell’unica stanza quadrata di cui la casa era composta, vi era il profondo camino ora spento accanto a cui la sorella era solita sedersi a ricamare, mentre la madre preparava i pasti nella grande pentola di rame, ancora agganciata al cavalletto di metallo incassato nel muro. Il lato lungo di fronte alla porta e quello destro invece erano occupati dai letti, i due per Tara ed Elana erano vicini ed accanto vi erano un baule che conteneva i loro vestiti ed un mobiletto con uno specchio in cui le donne tenevano i pettini, il sapone che veniva comprato al mercato ed alcuni accessori per capelli che avevano accumulato nel tempo o che avevano fatto a mano, così da poter essere sempre in ordine e magari potersi concedere, a volte, il lusso di indossare qualcosa di più elaborato. Lo sguardo di Conor fu attratto da un fermaglio adagiato sul ripiano in legno della specchiera, che aveva comprato per sua sorella Tara all’ultima Festa di Primavera come regalo per il suo compleanno: era intagliato in un corno di cinghiale, perfettamente sbiancato e brillante, ed adornato di alcune piccole scaglie di quarzo rosa. Nulla di estremamente vistoso o pregiato, ma lo sguardo estasiato della ragazza alla vista di quell’oggetto quel giorno gli aveva scaldato il cuore.
Ora invece, stringendolo leggermente nel palmo della mano, le uniche cose che riusciva a provare erano solitudine e tristezza. Il lato della casa che si era dedicato, quello destro, era invece adornato da una rastrelliera per l’arco e le frecce, il suo letto e una piccola cassapanca in cui conservava i suoi pochi vestiti e le pelli di animale arrotolate e pronte per essere vendute. All’esterno invece aveva allestito un bancone su cui scuoiava le prede catturate ed una postazione per la conciatura del pellame.
 
Il cacciatore si riscosse dal suo pigro giro d’osservazione della modesta abitazione per tornare a concentrarsi sul grosso sacco che aveva in mano, ancora mezzo vuoto. Se lo sarebbe legato a tracolla dietro la schiena, così da preservare una certa libertà di movimento ed avere con sé tutto l’occorrente necessario alla cattura della cerva. All’interno aveva già sistemato tre trappole a corda, a cui poi aggiunse una coperta di lana grezza per la notte, la sua fidata corda, una bisaccia colma di striscioline di carne salata ed essiccata e due borracce di pelle piene d’acqua, che osservò con una smorfia pensando a quella che aveva perso nella foresta il giorno prima.
Alla cintola si era già assicurato il suo pugnale. Era una splendida arma, chiunque non avrebbe potuto fare altro che ammetterlo, la cui tenuta sempre perfettamente affilata era più larga alla base – verso il manico – ed andava assottigliandosi verso la punta compiendo una leggera curvatura su cui spiccavano delle precise scanalature. Era un’arma non solo letale, ma anche versatile, in quanto era ottima sia per la difesa personale che per lavori più “banali” come scuoiare e pulire le prede.
Dalla rastrelliera appoggiata contro il muro vicino al suo letto, poi, prese una buona scorta di frecce che infilò nella faretra di cuoio anch’essa assicurata dietro la schiena ed il suo lungo arco di legno, che aveva costruito molti anni prima insieme a suo padre e che ancora svolgeva magistralmente il suo lavoro, dato che Conor lo teneva con estrema cura.
 
Una volta pronto alla partenza, il giovane uomo si diresse verso la porta, voltandosi prima di uscire per dare un’ultima fugace occhiata alla stanza, per assicurarsi di non essersi dimenticato davvero nulla. Si chiuse poi la porta alle spalle e si avviò lungo lo stretto vialetto di ciottoli contornato da alti ciuffi d’erba infestante e cespugli di cardi che si avvicendavano fino all’inizio della strada maestra qualche metro più avanti. Era decisamente un ambiente spoglio e poco curato in cui vivere, e le chiacchiere dei vicini sul suo aver completamente smesso di prendersi cura di sé stesso e della sua casa oramai si sprecavano, ma lui non ci aveva mai badato troppo e da quando la sua famiglia era scomparsa aveva deciso che non avrebbe toccato più nulla fino a che non avesse saputo qualcosa su che fine avessero fatto.
Aveva da poco svoltato l’angolo del suo vialetto e stava per svoltare nuovamente a sinistra per dirigersi verso i cancelli della Periferia Sud di Breaux, quando sentì qualcosa sbattergli addosso a gran velocità, venendo sbalzato poi all’indietro di due o tre passi. Alzando lo sguardo per capire chi o cosa fosse così di fretta da non avere nemmeno il tempo di guardare dove andava vide una ragazza minuta distesa a terra, con i lunghi capelli corvini sparsi disordinatamente attorno a lei. Indossava un abito di tela grezza, color sabbia, non adatto alla sua corporatura ed era completamente bagnata e circondata da una piccola pozza d’acqua, cosa che gli parve molto strana.
Si avvicinò, tendendole la mano così che potesse afferrarla per rimettersi in piedi, e fu durante questo movimento che incrociò i suoi occhi. Due enormi pozzi grigio chiaro, inizialmente confusi ed infastiditi, si fissarono nei suoi per qualche secondo. Poi però, appena l’ebbero messo a fuoco, la loro espressione divenne terrorizzata.
Conor continuava a fissare quegli occhi, come se il tempo si fosse fermato, o anzi come se fosse tornato indietro; era infatti sicuro di aver già visto quello sguardo, e di conoscerlo bene, ma la memoria stentava a dargli la risposta che cercava, nascondendola in una cortina di fumo denso.
 
La ragazza si alzò in piedi di scatto, tirandosi i capelli in avanti e cominciando a toccarseli sempre più in agitazione. Infine, dopo avergli lanciato un altro sguardo sfuggente, girò su sé stessa ed iniziò a correre verso i cancelli della città a forte velocità. Conor stava per seguirla, intenzionato a chiederle chi fosse per cercare di chiarire i suoi dubbi, quando il suo sguardo fu attirato verso il basso da un’oggetto che fino a quel momento non aveva notato, probabilmente caduto di mano alla ragazza. Quel che vide, però, non fece altro che aumentare le sue domande: l’oggetto a terra era infatti la sua borraccia di pelle di coniglio, senza ombra di dubbio. Come poteva averla lei, se l’aveva persa nella foresta mentre inseguiva quella maledetta cerva?
«Mi stavi seguendo, ragazzina?» disse fra sé con una punta di irritazione per non essersene accorto, anche se non gli veniva in mente un solo motivo valido per cui una sconosciuta avrebbe dovuto seguirlo in mezzo alla foresta e rubargli degli oggetti. A quel punto, più che mai, voleva delle spiegazioni e senza pensarci due volte mise la borraccia nella sacca che portava legata sulla schiena e partì all’inseguimento della ragazza in fuga.
 
Giunto ai Cancelli si fermò per qualche istante guardandosi intorno, per poterla individuare. La scorse alcune centinaia di metri più avanti, mentre correva dirigendosi verso i grandi alberi che delimitavano l’inizio dell’imponente e labirintica foresta. Il fatto che una ragazzina stesse scappando in quella direzione non faceva altro che rendere tutta la situazione ancora più strana, ma non per questo Conor se la sarebbe lasciata sfuggire, dopotutto per lui trovare le goffe tracce lasciate da lei sarebbe stato un gioco da ragazzi. Si mise quindi a correre, percorrendo a grandi falcate la vasta radura erbosa che si trovava oltre la città e recuperando un po’ della distanza che li separava, e giunto alla prima fila di alberi iniziò a seguire le impronte lasciate dalla ragazza. Come si era aspettato non si rivelò affatto difficile, dato che quella sciocca non sembrava cercasse in nessun modo di nasconderle, presa com’era dalla fuga. La lunga scia delle piccole sagome dei suoi piedi e di ramoscelli spezzati condusse il cacciatore sempre più in profondità tra gli alberi, verso il centro della foresta, ed era sicuro che passo dopo passo stava riducendo la distanza che li separava, tanto che dopo una ventina di minuti gli sembrò quasi di scorgere una veloce ombra infilarsi tra due cespugli qualche decina di metri più avanti.
Conor sorrise tra sé e sé, certo ormai di averla in pugno ed allungò il passo smettendo di curarsi delle tracce a terra ed affidandosi ora alla sua vista ed al suo udito. Arrivato però davanti ad un filare di cespugli spinosi tutte le tracce si interruppero. Non vi erano impronte a terra, né i cespugli erano stati spostati o rotti per far passare qualcuno – cosa che tra l’altro avrebbe strappato la veste e almeno qualcuno dei lunghi capelli di quella ragazza – e di certo per lei, come per lui, era impossibile superare quei rovi semplicemente saltandoli. Il cacciatore fu assalito dallo sconforto per quella trafila apparentemente interminabile di fallimenti, e stava quasi per darsi pervinto quando sentì chiaramente il rumore di alcuni ramoscelli spezzati al di là dei rovi, seguiti da un profondo respiro, come se chi avesse provocato quel rumore avesse poi trattenuto il fiato.
 
Era lei, non c’erano dubbi. Dopo aver tirato fuori il lungo pugnale dalla cintura, Conor incrociò le braccia davanti al volto per proteggersi prima di lanciarsi in avanti e superare in un balzo quella barriera spinosa, lanciando poi in avanti lo sguardo che però incrociò qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di vedere.
Davanti a lui stava, immobile, snella ed elegante, la cerva.
Osservandola sotto la luce diretta l’uomo riuscì a notare il suo peculiare manto corvino che quasi splendeva sotto i raggi del sole. Preso alla sprovvista, l’animale voltò il sottile muso verso di lui con uno scatto, piantando i suoi enormi occhi grigi in quelli di Conor. L’espressione di terrore che li pervadeva era fin troppo familiare e fresca nella memoria di lui da non poterla riconoscere.
 
«Non è possibile, dannazione!»

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[Ebbene sì, dopo non voglio nemmeno leggere quanti anni ho pubblicato un nuovo capitolo. Ero arrivata al punto di non sapere nemmeno come portarla avanti, nonostante nella mia testa i fatti principali siano già delineati, e mi ero un po' arresa al non finirla mai. Ma a quanto pare non sarà così, almeno per adesso, quindi ringraziate il COWT che mi ha fatto scrivere più in 4 settimane che in tutta la mia vita, tipo! Al prossimo capitolo, spero XD]

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Capitolo 8
*** La Reggente ***


Questo capitolo partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: settima
Missione: M6
Prompt: Rosso
N° parole: 1522
La Reggente
Capitolo 8


Lo scranno di mogano liscio e lucido, circondato da morbidi cuscini rosso scuro che componevano una specie di morbida isola attorno ad esso, spiccava nel grande salone di marmo pallido. Completamente spoglio, tranne per il lungo tappeto di velluto rosso che lo tagliava in due metà perfettamente identiche raggiungendo i piedi dell’imponente trono, trasudava freddezza, rigore e perfezione.
Poche volte si era riempito di persone da quando il vecchio Reggente aveva abbandonato la confortevole vita terrena, ma Lei non se ne dispiaceva, anzi. Trovava gli abitanti di Breaux, o forse sarebbe stato più corretto dire le persone in linea generale, tremendamente noiose ed inutili.
Buone solo a servire e perpetrare i suoi scopi nella più totale ignoranza.
 
Mentre addentava con avidità un pezzetto di carne squisitamente al sangue, i cui succhi scarlatti si riversavano sul piatto ogni volta che ne prendeva un pezzo con la piccola forchetta argentata, le grandi porte del salone si aprirono lentamente e senza produrre nemmeno un cigolio, permettendo ad un paggio di entrare a passo veloce nella grande stanza.
«Mia Signora» disse abbassandosi in un profondo inchino di fronte a Lei «I nobili stanno per varcare i portoni del castello. Sono in perfetto orario, come di consueto»
Lei gli rivolse uno sguardo palesemente scocciato, forse anche leggermente disgustato per aver interrotto quel momento di calma e silenzio, in compagnia solo di quel cibo squisito. Ma, in fondo al suo sguardo, si poteva perfettamente scorgere un’eccitazione febbrile, una bramosia antica e profonda che andava via via accrescendosi.
 
Ogni quaranta giorni esatti, i nobili di Breaux venivano invitati nelle riserve private del castello per concedersi una battuta di caccia al cervo. Se ne uccidevano quattro o cinque ogni volta, ma il numero degli animali sembrava mantenersi sempre costante, cosa certamente curiosa ma di scarsa importanza per gli ospiti, che invece dimostravano di gradire particolarmente questa iniziativa.
Molta importanza sembrava avere per Lei, invece.
Dopo la morte di Ghorrel, il precedente Reggente della città, la sua consorte e nuova regnante aveva emanato un editto che con effetto immediato vietava ai cittadini la possibilità di cacciare i cervi nella Foresta che circondava la Periferia Sud della città. Successivamente, grazie anche all’aiuto dei suoi cinque Wraith aveva provveduto a catturare e trasportare tutti i branchi di animali all’interno dei confini della riserva del castello.
Ovviamente tutto questo non era stato fatto per caso, né era propriamente un caso che nuovi animali si aggiungessero più o meno spesso.
“A questo proposito” pensò la Reggente leccandosi con lentezza il labbro inferiore, dove si era trattenuta una piccola goccia di sangue rosso vivo proveniente dalla carne che stava gustando.
«Ti ringrazio per avermi avvertita così in anticipo» rispose freddamente all’uomo che le stava di fronte, ancora inginocchiato davanti a lei come una piccola macchia di sporcizia su quel meraviglioso velluto rosso «Ma dimmi, ora, gli altri nostri ospiti sono pronti?»
Notando la luce ancora più selvaggia negli occhi della sua Signora, il paggio si affrettò ad annuire con vigore, abbassando la testa visibilmente a disagio. Si alzò poi in piedi e, senza voltarsi per non dare le spalle alla donna, indietreggiò in fretta scomparendo al di là della pesante porta d’ingresso.
Nuovamente sola, mentre con le unghie perfettamente curate ed affilate come artigli, anch’esse dipinte con una tintura rosso sangue che preparava lei stessa, tracciava invisibili ghirigori sulle teste di cervo scolpite negli spessi braccioli del suo trono, un leggero sorriso si delineò sulla sua pelle incredibilmente candida, che ormai da qualche giorno era solcata da un leggerissimo intreccio di rughe sottili, totalmente invisibili da lontano ma inconcepibilmente chiare per lei.
Era ora di rimediare a questo inconveniente.
Infilzando un ultimo pezzo di carne con la forchetta e portandoselo velocemente alle labbra, Ràke, Reggente di Breaux, si diresse verso il portone della sala del trono, pregustando il ricco banchetto che l’avrebbe attesa quella sera e dimentica, almeno per quella giornata, di una seccante fuggitiva.
 
Nel corridoio dalle pareti bianche e spoglie, prive di quadri o altre suppellettili, che portava alle stanze private del castello, i passi di Ràke si susseguivano ovattati dai morbidi tappeti rosso scuro che lo ricoprivano. Le ricordavano il colore del sangue, così pieno, così caldo ed inebriante da ossessionarla da sempre, tanto da voler riportare quel colore un po’ ovunque nel castello, così da potersi sentire sempre immersa in quel colore, da poterne sentire il sapore metallico in bocca ed il suo scorrere sotto la pelle.
Si passò la lingua sul labbro superiore mentre svoltava a sinistra verso le sue stanze private, che a differenza degli altri ambienti del palazzo erano più riccamente arredate. L’accolsero i lunghi arazzi colorati alle pareti, le grandi cassettiere di mogano poste ai due lati dell’ingresso della stanza, il morbido sofà color avorio al centro della prima stanza, circondato dai soliti cuscini rosso scuro che lei tanto amava, ed il camino di pietra grigia in cui danzava una deliziosa fiamma aranciata che i servitori del castello si adoperavano a tenere sempre viva per scaldare gli ambienti.
La stanza accanto era occupata per lo più dall’imponente letto a baldacchino, fin troppo grande persino per due persone. La struttura era di legno scuro, riccamente decorata ed intagliata sulla testata a formare un intricato intreccio di rami carichi di foglie e fiori, mentre sul materasso alto e imbottito di soffici piume si stendeva una meravigliosa coperta lavorata a mano, in cui due cervi neri su fondo rosso incrociavano le corna in combattimento. La camera da letto era illuminata da una grande finestra che si apriva sulla riserva privata del castello, ed in quella stanza, appeso ad una delle ante dell’armadio che copriva tutta la parete sinistra, l’attendeva il suo abbigliamento da caccia.
 
La donna tirò leggermente una cordicella che scendeva dal soffitto posta proprio di fianco all’armadio, ed in pochi secondi due giovani ancelle si presentarono alla porta, chinando la testa in segno di saluto. Poi, senza parlare, si avvicinarono ed iniziarono velocemente a svestirla slacciando l’intricato labirinto di fili e nodi che le teneva stretto il corsetto, aiutandola ad uscire dalla pesante gonna a strati e sfilandole le scarpe con i nastrini che si arrampicavano fino a metà polpaccio.
Velocemente, poi, le strinsero al petto il corpetto di cuoio nero, si infilò i pantaloni aderenti di pelle e le ancelle le fecero calzare gli stivali di pelle scura alti fino al ginocchio. Le sistemarono sulle spalle il lungo mantello rosso scuro bordato di morbida pelliccia e le intrecciarono i lunghi capelli corvini attorno alla corona ornata da alte corna di cervo.
Ad un veloce gesto della mano di Ràke infine, si ritirarono indietreggiando con la testa sempre chinata verso il basso, fino a scomparire dietro la porta della camera da letto.
Era pronta.
 
Una volta uscita dalla sua confortevole stanza, la Reggente doveva sbrigare solo un’ultima incombenza prima di potersi dedicare con piacere alla battuta di caccia con i nobili. Svoltò a destra seguendo un intricato intreccio di corridoi che la portarono verso il basso, sempre più nelle profondità del castello, con le pareti che da bianche e perfette divenivano grigiastre, antiche e dismesse. Il suo sguardo si posò infine sulla grande porta, anch’essa rosso sangue come molte delle cose che la circondavano a palazzo, che conduceva alla sua stanza più intima e personale. Non vi metteva piede da ormai quaranta lunghissimi giorni, che avevano iniziato a sembrarle un’eternità. La Stanza era il vero specchio della sua anima, il suo unico e magnifico Regno.
All’interno tutto era buio, ma lei riusciva a vedere perfettamente tutto ciò che vi era nascosto: vedeva i libri stipati in grandi scaffali, le loro copertine consunte e rovinate dal tempo, vedeva le pareti spoglie fatte di pietra grezza, vedeva le lunghe catene che partivano dai muri e finivano verso il basso, allacciate ai polsi delle Vittime scelte per questa occasione, di cui poteva sentire il respirare affannoso ed annusare la paura.
Il fatto che non riuscissero a vederla fino al compimento della Maledizione le dava una più grande sensazione di potenza. Cosa potevano fare quei piccoli ed insignificanti umani, come potevano difendersi dal loro atroce destino e da una Strega potente come era lei?
Senza perdersi ulteriormente nei suoi pensieri, Ràke tese le mani in avanti, con i palmi rivolti verso le tre persone che, incatenate, stavano inginocchiate vicine uno all’altro di fronte a lei. La bambina al centro stava piangendo, in silenzio, senza nemmeno un singhiozzo, con il viso premuto sulla camicetta sporca del padre che si guardava attorno spaesato insieme alla madre, senza poter vedere nulla.
Quindi, proferì a gran voce le parole che componevano la breve formula, carica di odio e di dolore. Un bagliore scarlatto avvolse la stanza, che per un attimo sembrò immersa nel sangue, mentre la Strega si rivelava per quello che era realmente ed i suoi occhi dorati fiammeggiavano trionfanti verso le Vittime. Poi, come se nulla fosse successo, tornò di nuovo il buio.
Ràke, ricomponendosi, osservò con i risultati dei suoi sforzi giacere momentaneamente privi di sensi al centro della stanza.
«Bene, miei piccoli spuntini, è ora di iniziare la caccia» disse sorridendo mentre si voltava per uscire ed andare ad accogliere i suoi ospiti.
 
 

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