I found you

di Hil 89
(/viewuser.php?uid=8283)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
 
Si narra che le anime gemelle siano destinate ad incontrarsi, prima o poi.
Il percorso per trovarsi è segnato da visioni, ma il cammino non sempre è semplice.
Quello che è certo è che quando il destino chiama, non resta altro che rispondere.
 
 
 
Le pennellate erano delicate sulla tela immacolata.
A prima vista, il disegno sembrava un ammasso di colori scuri con uno spruzzo di bianco, ma uno sguardo più attento poteva scorgere l’immensità dello skyline di New York in una notte serena di luna piena.
Il pennello era stretto in una mano dalla pelle ambrata, le unghie smaltate di nero e le dita coperte da una quantità indefinibile di anelli.
I movimenti del pittore erano sinuosi, sembrava quasi che danzasse invece che dipingere.
A piedi scalzi con dei pantaloni da yoga dai mille colori ed una semplice canotta viola, lo sconosciuto continuava il suo lavoro, con solo un bicchiere di Martini appoggiato al suo fianco ed un minuscolo gatto bianco che sonnecchiava su un cuscino, a fargli da spettatore.
 
 

 
La stanza era completamente avvolta nel buio, i muri di pietra trasmettevano un senso di umido e di scarsa igiene, sembrava lo scantinato di un vecchio edificio abbandonato.
Come arredo, se cosi si può definire, una semplice branda con un materasso logoro ed una sedia di legno che aveva visto giorni migliori.
Al centro della stanza c’era un ragazzo moro con il capo chino, il suo respiro era irregolare, le braccia erano sollevate e legate da una catena che lo teneva in piedi, la pelle candita dei polsi era arrossata e piena di tagli a causa delle peso che dovevano sostenere.
La camicia, un tempo bianca, era strappata in più punti ed aperta sul petto ampio del giovane, sul quale si intravedevano alcuni tatuaggi contornati da numerosi lividi freschi.
Una luce si accese alle spalle del moro, che con fatica alzò la testa, le iridi erano di un blu accecante e nonostante un taglio sul sopracciglio e uno zigomo viola e gonfio, il suo sguardo era fiero e determinato.







Note:
Ed eccoci qui con questa nuova prova! 
E' da un po' di tempo che avevo in mente questa specie di Long... è più o meno definita nella mia mente, ora spero solo di riuscire a metterla per iscritto e non deludervi! E sopratutto spero di non perdermi troppo ed essere abbastanza puntuale con gli aggiornamenti!
Grazie in anticipo a chi deciderà di leggerla e di seguirla e di lasciare dei commenti! 
Vi abbraccio!
Saluti, HiL

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


 
“Alec”
Un giovane dai capelli neri come l’inchiostro alzò il capo dai fogli che aveva sparsi sulla scrivania per puntare il suo sguardo blu, profondo come l’oceano, su un ragazzo della sua stessa età appoggiato allo stipite del suo ufficio.
“E’ ora”

 
 
Alexander Lightwood era il primogenito di una delle famiglie più importanti di New York.
Tutti, chi per conoscenza reale chi per fama, sapevano chi erano i Lightwood.
Ligi al dovere, rispettosi delle leggi, severi, forti e determinati.
Robert Lightwood era uno tra i migliori avvocati del paese, era soprannominato lo Squalo perché non c’era causa che lui non potesse vincere. Preciso, attento e quando serviva sapeva essere maledettamente spietato.
Maryse Lightwood Trueblood, sua moglie, era il capo della OCCB. La sua carriera era stata non priva di ostacoli, ma con grande tenacia aveva scalato la montagna dalla valle fino alla vetta. Maryse era letale. Una donna tutta d’un pezzo con lo sguardo duro come il diamante. Insieme ai figli, aveva istituito la Task Force per smantellare il Circolo di Alicante, una tra le organizzazioni criminali più conosciute a New York.
I Lightwood avevano quattro figli: Alexander Gideon, Jonathan Christopher, Isabelle Sophia e Maxwell Joseph.
I primi tre figli hanno deciso di seguire le orme della madre, frequentando l’accademia di polizia per poi entrare a far parte della OCCB: Alexander e Jace erano Sergenti, mentre Isabelle era una Detective.
Max, il più giovane dei fratelli, stava ultimando gli studi ad Harvard per diventare avvocato come il padre.
Alec aveva ventisei anni, capelli neri come l’ebano e occhi blu, pelle bianca e fisico asciutto. Era il più schivo tra i fratelli Lightwood, in molti rivedevano nel suo atteggiamento scostante il carattere duro della madre, ma solo chi lo conosceva per davvero (e il numero delle persone si poteva contare sulle dita di una mano) poteva confermare che dietro la postura rigida si nascondeva un ragazzo che amava profondamente la sua famiglia ed i suoi amici e che avrebbe fatto di tutto per proteggerli. Aveva delle grandi capacità intuitive ed era uscito dall’accademia con uno dei punteggi migliori.
Jace, coetaneo di Alec, era stato adottato dalla famiglia Lightwood quando aveva tre anni, capelli biondi come il grano ed occhi dorati, corporatura robusta ed atteggiamento sprezzante. Era conosciuto soprattutto per la sua indole combattiva, affrontava ogni sfida di petto ed era uno tra i migliori tiratori scelti. Faceva coppia con Alec da quando si erano iscritti all’accademia e nessuno, in tutto il dipartimento, mentiva quando diceva che ogni caso affidato a loro riusciva, in un modo o nell’altro, ad essere risolto.  
Izzy, l’unica figlia femmina, aveva ventiquattro anni, longilinea dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri. Sicura e determinata, era riuscita a dimostrare che oltre ad avere un bel faccino ed un fisico da urlo, aveva una mente eccezionale in grado di risolvere anche i casi più difficili con ingegno ed astuzia.
Insieme avevano deciso di formare la Task Force, sotto la supervisione della madre, per poter fermare le operazioni del Circolo di Alicante.
Erano due anni che lavoravano a tempo pieno su questo caso, indagando su ogni fronte possibile per cercare di localizzare ed eliminare l’organizzazione dalle fondamenta.
Il capo del Circolo era ignoto, nonostante le numerose indagini, non erano riusciti ancora a dare un volto ed un nome al cuore di quella associazione.
Avevano individuato molteplici complici, ma erano tutti pesci piccoli, sicuramente sacrificabili.
Un mese prima, grazie ad una soffiata da parte di un informatore, erano riusciti ad avere delle informazioni precise su un contrabbando di armamenti al quale il Circolo sembrava interessato.
Si erano infiltrati ed erano riusciti ad avere il controllo dell’operazione, instaurando in questo modo un contatto con uno dei fornitori dell’organizzazione: Sebastian Verlac.
La data della consegna era stata fissata ed Alec aveva deciso, in accordo con i fratelli, ad agire sotto copertura per avvicinarsi in modo diretto al Circolo.




Alec e Jace si fermarono di fronte alla porta chiusa dell’ufficio del Capitano Lightwood, la mano pallida del moro di avvicinò sicura al vetro e bussò un solo colpo.
La porta venne aperta da Izzy che accolse i fratelli con un sorriso, lasciandoli entrare nella stanza l’istante dopo.
Maryse era seduta dietro alla scrivania, con un cenno fece accomodare i figli di fronte a sé e li osservò con attenzione, un lieve sorriso animò le sue labbra prima di tornare ad assumere la sua solita espressione da comando.
“Alexander” chiamò il maggiore, “è tutto pronto?”
Alec puntò lo sguardo in quello scuro della donna ed annuì, “Si Signora. Tutto organizzato come deciso in precedenza: l’incontro avverrà tra due ore e trenta minuti”
“Perfetto” continuò incrociando le braccia al petto, “Jonathan, Isabelle” spostò l’attenzione verso gli altri due ragazzi, “La copertura?”
“La mia squadra starà appostata a pochi metri dal punto dello scambio” intervenne Jace prima di spostare lo sguardo verso la sorella, “La mia invece seguirà la macchina di Alec durante il tragitto” concluse Izzy scambiandosi un cenno con i fratelli.
“Ottimo” Maryse si alzò con un movimento fluido, azione che venne subito imitata dai figli, “Potete andare”
“Si Signora!” risposero i tre all’unisono prima di voltarsi ed uscire dalla stanza.
Fate attenzione” un sussurro usci dalla labbra della donna prima che la porta venne chiusa alle spalle dei giovani Lightwood, i ragazzi incontrarono lo sguardo della madre ed annuirono.
 
 

“Manterremo sempre il contatto visivo con te” la voce di Isabelle era sicura, “Simon ha organizzato tutto nei minimi dettagli, sai che è il migliore nel suo campo” continuò appoggiando la mano sulla spalla di Alec.
Il moro le regalò un sorriso storto, “Lo so, Iz” rispose sfiorandole la fronte con le labbra.
“Ti copro le spalle, fratello” il tono di Jace era complice, il biondo gli strinse un braccio, presa che venne copiata dal moro, “Non posso chiedere di meglio” disse Alec scambiandosi uno sguardo d’intesa con il giovane.
“Forza!” intervenne Izzy finendo si allacciarsi il giubbotto antiproiettile, “Andiamo a fare il culo a quei bastardi!”
I tre si guardarono negli occhi per un altro istante, prima di annuire e salire a bordo delle rispettive macchine.  





 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Magnus Bane aveva sempre amato l’arte, fin dalla tenera età.
Sua madre, Anne, era una scultrice e aveva trasmesso la sua passione al suo unico figlio.
Fin da piccolo aveva dimostrato una grande dote per il disegno, prima con pennarelli e matite fino a specializzarsi alle tempere su tela.
Anne era mancata improvvisamente, a causa di un tumore maligno scoperto troppo tardi, quando Magnus aveva diciotto anni, e per quando il dolore fosse grande, l’arte lo teneva legato al ricordo di sua madre e questo l’aveva portato a aprire insieme ad il suo migliore amico, Ragnor Fell, una galleria nella quale a volte esponeva anche delle sue opere.
Era una mattina come tante, si era alzato relativamente presto, ed ora stava iniziando a preparare tutto l’occorrente per continuare la sua nuova opera.
Dette uno sguardo rapido alla tela situata nel suo studio, vicino alla vetrata che gli garantiva una buona vista su Brooklyn.
Amava New York, era sempre stata una delle sue città preferite.
La città che non dorme mai.
Come lui, d’altronde. Lui amava la vita notturna, al pari di quella diurna.
Di giorno faceva una delle cose che più adorava: dipingeva, mentre la sera la passava molto spesso nel suo locale: il Pandemonium.
Era molto fiero di quello che era riuscito a costruire, ed il suo gioiello era il migliore di tutta New York! E non lo diceva solo perché era il suo, assolutamente no!
Il Pandemonion era davvero uno dei migliori locali presenti sulla Costa Est.
Non solo per la sua ampiezza, ma anche perché non era né un semplice bar né una qualsiasi discoteca. Era il giusto equilibrio tra le due cose, arredato con attenzione fin nei minimi dettagli e con del personale qualificato.
Un leggero miagolio attirò la sua attenzione, seguì il rumore e trovò all’entrata della stanza un piccolo gatto dal pelo candido “Chairmain!” esclamò avvicinandosi al felino per prenderlo in braccio, lo grattò piano dietro alle orecchie ricevendo delle tenere fusa, che durarono giusto un paio di attimi prima che l’animale sgusciasse abile dalla sua presa per dirigersi verso il salotto.
“Grazie mille, amore piccolo! Anche io ero contento di vederti!” disse al nulla il padrone di casa scuotendo la testa.
Magnus tornò a concentrarsi sulla preparazione dei colori, quando il campanello di casa suonò, sbuffò richiudendo la tempera nera ed usci dalla stanza.
“Chi osa disturbare il Sommo Stregone!?” chiese all’interfono
Estúpido!” una voce spazientita raggiunse il suo orecchio e Magnus non poté far altro che sorridere, “Possibile che il tuo migliore amico sia cosi estúpido!”
“Clandestino, se vuoi salire in casa mia, devi essere più educato!” rispose l’asiatico con tono divertito.
“Mags” il richiamo pacato di Ragnor lo fece ridere di più, “Apri. Per favore”
Magnus aveva giù il dito sul bottone ed aprì il portone del palazzo sghignazzando quando sentì la prima voce dire: “Non lo sopporto!” e la seconda rispondere “Smettila. Lo so che in fondo ti sta simpatico”
Il padrone di casa spalancò la porta del suo appartamento giusto in tempo per sentire: “Molto in fondo! E me lo faccio piacere solo perché sei tu!”
Magnus notò lo sguardo carico d’amore che Ragnor regalò al giovane che camminava imbronciato al suo fianco, “Lo so Raphael. E ti amo anche per questo!” rispose sicuro l’uomo dalle ciocche verdi baciandogli la fronte, in risposta ricevette un sorriso timido.
“Siete quasi stomachevoli per quanto siete schifosamente romantici” l’asiatico si lasciò andare contro lo stipite della porta e li osservò con un sorriso malandrino dipinto sulle belle labbra, Ragnor rise e Raphael sbuffò entrando in casa senza chiedere il permesso.
“Ne riparleremo quando incontrerai anche tu la tua anima gemella” disse invece Ragnor appoggiando una mano sulla spalla dell’amico prima di trascinarlo all’interno dell’appartamento.
Magnus rise e si sedette sul divano di pelle nera al centro del salotto, Ragnor prese posto di fianco a Raphael, “Non sto scherzando, Mags” continuò il ragazzo dai capelli verdi mentre intrecciava le dita con quelle del messicano, che non tardò a ricambiare la presa.
“Va bene, va bene” rispose l’asiatico con un gesto rapido della mano, “Quando avrò anch’io le visioni, te lo dirò!”
“Ne sono certo” disse convinto Ragnor con un sorriso, Magnus non poté evitare di imitare il suo gesto mentre si passava una mano inanellata tra i capelli scuri.
Ricordava dei minimi dettagli il giorno che il suo migliore amico ebbe la prima visione sulla sua anima gemella: stavano sistemando gli ultimi quadri per una mostra di arte moderna e Ragnor si bloccò di colpo, lo sguardo fisso davanti a sé anche se realmente non stava osservando il dipinto, ma un’immagine nella sua mente.
Quando la visione finì, si volto trepidante verso Magnus che lo guardava in attesa e disse solo: “Devo andare. Lui mi sta aspettando!” senza aspettare una risposta da parte dell’asiatico abbandonò l'opera sul tavolo ed se ne andò velocemente dalla galleria per farvi ritorno solo il giorno seguente mano nella mano con un messicano dallo sguardo duro ed annoiato, espressione che nel momento in cui si voltava verso il suo amico di sempre, cambiava totalmente. 
Perchè quando Raphael guardava Ragnor, le sue iridi si illuminavo e la sua solita aria da "odio tutti" lasciava il posto ed uno sguardo di adorazione pura. 
Magnus sapeva che prima o poi sarebbe capitato anche a lui e nel profondo sapeva che il suo cuore non aspettava altro che incontrare la persona, uomo o donna che fosse, che gli avrebbe fatto provare quel senso di completezza e di profondo amore che solo un’anima gemella era in grado di fare.
Lo vedeva in Ragnor e Raphael, in Aline ed Helen e lo aveva visto in sua madre e suo padre, che dopo la morte della sua Anne non era più stato lo stesso uomo che aveva conosciuto e si era lasciato andare fino a quando il dolore ed il senso di quella perdita improvvisa l’avevano spento. 
Magnus sospirò mentre allungava le dita per accarezzare Chairmain Meow che si era avvicinato per acciambellarsi su un cuscino colorato. 
Doveva solo avere pazienza, sarebbe arrivato anche il suo momento.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
 


Il ragazzo moro si morse un labbro a sangue per evitare che un gemito di dolore sfuggisse dalla sua bocca, il suo aguzzino lo colpì nuovamente con un pugno nello stomaco che gli tolse il fiato.
Al suo fianco era presente un uomo dalla capigliatura bionda, quasi albina, indossava un completo nero ed osservava la scena a braccia conserte.
Dopo un altro paio di colpi violenti fermò il suo complice appoggiandogli una mano sulla spalla, poi si avvicinò al prigioniero afferrandogli il mento candido con una presa ferrea.
Il ragazzo lo trapassò con il suo sguardo blu e scosse la testa con determinazione.
Il biondo lasciò andare il volto del giovane e lo colpì con un manrovescio prima di dargli le spalle ed uscire dalla stanza.
Sulla porta che si chiuse alle sue spalle c’era il disegno di un giglio bianco.
 
 
 
 
 
L’orientale stava pulendo i pennelli che aveva utilizzato per dipingere il quadro con attenzione, li sciacquò sotto il getto dell’acqua prima di riporli nel contenitore sul lavandino.
Asciugò velocemente le mani prima di lasciare lo studio e chiudersi la porta alla spalle.
Un sorriso dolce spunto sulle sue labbra mentre si chinava verso il piccolo micio, lo accarezzò dietro le orecchie prima di prenderlo in braccio.
Si diresse verso il soggiorno per versarsi un altro Martini. Dopo aver preparato il drink, si sedette sul divano e trafficò per un paio di secondi al cellulare.
Parlò per pochi minuti, senza smettere di passare le dita inanellate sul manto candido del gatto, lo sguardo verde dorato fisso davanti a se. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


Una fitta al braccio destro fece socchiudere gli occhi ad Alec che trattenne un gemito di dolore non appena di accorse che non poteva eseguire le più elementari funzioni motorie.
Le sue mani erano legate sopra al capo con una catena di ferro appesa al soffitto, doveva ringraziare la sua altezza che gli permetteva comunque di poter appoggiare i piedi a terra per aver una presa abbastanza salda.
Dette una rapida occhiata a quanto lo circondava e sbuffò nel constatare che non c’era un minimo indizio che potesse aiutarlo a capire dove si trovava, i suoi effetti personali erano stati gettati con poca cura lontani da lui.
Dannazione” sibilò tra i denti, prima di alzare il capo verso la porta che si stava aprendo di fronte a lui.
 

Le strade di Manhattan erano sempre caotiche, fortunatamente il traffico ero abbastanza scorrevole.
Alexander controllò lo specchietto retrovisore prima di svoltare in una strada secondaria che lo avrebbe condotto più velocemente verso Hunts Point.
Era stato deciso che lo scambio doveva effettuarsi su un molo dell’East River, avevano analizzato con attenzione l’intero spiazzo e la squadra di Jace doveva già trovarsi non distante dal luogo d’incontro ed i tiratori scelti erano sicuramente già appostati ai piani alti degli edifici abbandonati. La squadra di Izzy invece stava seguendo direttamente i suoi spostamenti, controllando che nessuno interferisse con i suoi movimenti.
Alec si fermò ad un incrocio e controllò l’orologio da polso che indossava: era in perfetto orario.
Dopo aver dato la precedenza, ingranò la marcia e continuò a guidare, lo sguardo fisso davanti a lui e la mente concentrata sull’operazione.
Erano anni ormai che insieme ai fratelli stava cercando di trovare un appiglio per potersi infiltrare nell’organizzazione per cercare di scoprire qualche informazione in più riguardante la gestione del Circolo di Alicante.
Il Circolo aveva le mani in tasca in ogni affare losco della città: prostituzione, traffico d’armi, spaccio di droga, vendita di organi e medicinali sul mercato nero.
Quello che Alec non riusciva a spiegarsi era la capacità che avevano di far sparire le loro tracce dopo ogni attività.
Il loro capo soprattutto, non erano riusciti a scoprirne neanche il sesso!
L’unico indizio che erano riusciti a scovare era il nome di uno dei compratori: Sebastian Verlac.
Mise la freccia per svoltare a destra e iniziò a percorrere il rettilineo che lo avrebbe condotto al molo dello scambio, non mancava molto al punto di incontro ed Alec prese un respiro profondo.
Sapeva che la situazione era pericolosa, ma era indispensabile riuscire a cogliere sul fatto il trafficante ed arrestarlo cosi da poterlo portare in centrare per interrogarlo.
Alec notò dallo specchietto retrovisore che le berline che lo stavano seguendo fino a poco prima erano sparite, segno che Izzy e la sua squadra si erano appostati poco lontano dal luogo dell’appuntamento in attesa del via libera della squadra di Jace.
Parcheggiò in una posizione visibile ed attese un paio di secondi in auto, analizzando attentamente il luogo: il molo era deserto, c’erano alcuni magazzini chiusi a delineare il perimetro ed alcune imbarcazioni abbandonate.
Un movimento alla sua sinistra attirò il suo sguardo, la serranda di un garage si stava alzando per rivelare la presenza di qualche macchina scura ed alcuni uomini appostati in fila.
Alec sfiorò con le dita la pistola che aveva nascosto sotto la camicia e scese dall’auto non appena vide due uomini uscire dal magazzino.
Il primo doveva aver circa la sua età, longilineo e dai capelli molto chiari, indossava un completo semplice, ma sicuramente di alta sartoria. L’uomo al suo fianco teneva le braccia incrociate al petto e l’attenta analisi del poliziotto aveva già notato un rigonfiamento sul lato sinistro: era armato.
Dette uno sguardo rapido agli altri uomini che erano rimasti vicini alla macchine e notò che erano almeno cinque.
Respirò lentamente e prese a muoversi incontro ai due che si stavano avvicinando.
“Lei ha sicuramente qualcosa che mi interessa” la voce dell’uomo più giovane era chiara e priva di intonazione, lo sguardo verde era freddo e non lasciava trasparire nessuna emozione.
“Certo. Ho tutto quello che ha chiesto” rispose sicuro Alec indicando con un gesto rapido del capo la macchina alle sue spalle.
“Molto bene” continuò il compratore infilando entrambe le mani delle tasche dei pantaloni, “Direi che possiamo procedere” concluse facendo un cenno al complice al suo fianco.
L’uomo annuì e sollevando il braccio verso l’altro fece un gesto con due dita.
Accadde tutto in un battito di ciglia.
Le macchine presenti nel capannone si misero in moto e li accerchiarono in un paio di secondi, i vetri di ogni vettura erano oscurati ed Alec non riuscì a capire quante altre persone ci fossero all’interno, gli uomini rimasti nello stabile avevano estratto le pistole e li tenevano sotto tiro.
Il poliziotto analizzò velocemente la situazione e si rese conto di essere in trappola: Jace ed i suoi uomini non avrebbero potuto fare molto, se fossero arrivati ad uno scontro a fuoco non avrebbero risolto nulla. Lui sarebbe morto, senza alcun dubbio, e la loro intera operazione sarebbe andata in fumo perché sicuramente qualcuno di questi uomini sarebbe sopravvissuto e la loro task force ne avrebbe perso nuovamente le tracce.
Fece un respiro e cercò di mantenere il tono di voce calmo: “Non capisco la necessità di questo spiegamento di forze”
Sul volto del giovane di fronte a lui nacque un ghigno gelido, “Pensavate davvero di poterci ingannare cosi facilmente?” chiese senza abbandonare la posa che aveva assunto in precedenza, “L’idea era buona, ve lo concedo. I principianti sarebbero stati fottuti senza dubbio, anche quelli con più esperienza, ma noi siamo il Circolo di Alicante. Nessuno può entrare a far parte della nostra organizzazione, senza che noi lo permettiamo” continuò mantenendo lo sguardo verde fisso in quello blu di Alec, “Quello che ora voglio da te, Alexander Lightwood, è il nome dell’informatore”
“Te lo puoi scordare” rispose risoluto il poliziotto
“Ero certo che la risposta sarebbe stata questa” riprese il biondo, “Perciò verrai con noi” concluse indicando con un cenno dal capo la macchina al lato destro di Alec.
Il moro non si mosse e tenne lo sguardo fisso in quello malvivente, il quale aveva ancora lo stesso ghigno disegnato sulle labbra fini.
“Non era una richiesta, Lightwood” una voce di donna pizzicò l’orecchio di Alec, un attimo dopo sentì qualcosa pungerlo al lato del collo ed il secondo dopo si fece tutto buio.
 
 
L’ennesimo colpo al fianco gli spezzò il fiato in gola, ma Alec si morse a sangue il labbro inferiore per impedire a qualsiasi gemito di dolore di uscire dalla sua bocca.
Alzò nuovamente il capo e puntò lo sguardo in quello verde del giovane che stava in piedi di fronte a lui, il quale si rivolse a lui con un ghigno: “Hai cambiato idea?”
Alec scosse il capo con determinazione ed affondò i denti della parte morbida della sua bocca al nuovo colpo che ricevette.
“Mi avevano avvertito” continuò il biondo mentre con una semplice alzata di mano fermò il complice che stava per colpire nuovamente il poliziotto, “che saresti stato uno tosto. Ma sai, ho tutto il tempo del mondo. Ti tirerò fuori quel nome e tutto quello che sapete su di noi, a costo di ficcarti io stesso le dita in gola” disse afferrando in una morsa il mento di Alec.
“Non ti dirò niente” rispose il moro non appena venne liberato dalla presa
“Lo farai” dichiarò l’altro, poi si voltò verso l’uomo al suo fianco, “Vai a chiamare mio padre”
“Si Signore!” rispose l’interpellato pulendosi rapidamente le mani sulla stoffa dei pantaloni ed uscendo subito dopo dalla stanza.
“Sai perché la nostra organizzazione non crolla?” domandò ancora il giovane, “Perché abbiamo delle solide fondamenta e delle regole ferree” continuò con tono velenoso avvicinandosi al Alec, “Non permettiamo a nessuno di uscire dal Circolo, se non in un sacco per cadaveri. E questa sarà la fine che farai anche tu, Lightwood. Sta a te decidere quanto soffrire”
“E chi ti dice che i miei non mi troveranno?” domandò Alec fissandolo dritto negli occhi.
Il biondo scoppiò a ridere, poi incrociò le braccia al petto: “Nessuno ti troverà” concluse schiaffeggiandogli la guancia destra un paio di volte.
Detto questo gli diede le spalle per avvicinarsi alla porta, prima di uscire si voltò verso il poliziotto e sorrise freddo: “Ricorda Lightwood, da adesso in poi è tutto nelle tue mani. Puoi scegliere: una rapida uscita di scena oppure una lenta caduta verso l’Inferno”
Alec seguì con lo sguardo il giovane fino a che non si chiuse la porta alle spalle, strattonò le braccia cercando di allentare la presa delle catene, ma invano.
Strinse i denti mentre cercava di muovere le dita per avere una minimo di sollievo in quella stretta ferrea che gli bloccava la circolazione, quando un immagine attraversò la sua mente: tempere colorate, lo skyline di Brooklyn, un minuscolo gatto e un uomo orientale dalla sguardo verde dorato.
Un sorriso storto nacque sulle sue labbra martoriate.  

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


 
Magnus camminava avanti e indietro sul tappeto persiano del suo soggiorno, i piedi scalzi passeggiavano senza sosta sulla morbida stoffa, mentre il respiro dell’orientale si faceva sempre più irregolare.
Chairmain Meow era seduto sull’attenti al centro del divano di pelle e seguiva con il musetto candido le azioni del suo padrone, osservandolo quasi con un’espressione preoccupata.
“Resta calmo” sussurrava Magnus quasi come una litania, “Pensa, pensa!” continuava a ripetersi senza accennare a smettere di muoversi.
Il suono del campanello fece sussultare sia l’umano che il felino, che schizzò veloce contro la porta e prese a grattare con gli artigli lo stipite in legno.
Magnus seguì l’animale e senza chiedere chi fosse, aprì il portone mentre si chinava per prendere in braccio il gatto ed iniziare ad accarezzarlo dietro il collo e tra le orecchie, immergendo le mani inanellate del pelo bianco e morbido.
Spalancò la porta e dalle sue labbra sfuggì un sospiro quando le sue iridi scorsero dei ciuffi verdi ed una capigliatura azzurra.
“Mags!” la voce di Catarina fece spuntare un lieve sorriso sul volto dell’orientale e accolse con piacere l’abbraccio che la donna gli regalò prima di lasciargli un lieve bacio sulla guancia.
Magnus fece entrare i due amici che si accomodarono subito sul divano in pelle, lasciando la poltrona al padrone di casa che si sedette al suo posto subito dopo aver appoggiato con delicatezza Chairmain su uno dei cuscini sparsi per il soggiorno.
Si passò le mani sul volto prima di iniziare a parlare, lo sguardo fisso negli occhi di Ragnor mentre una mano era corsa a stringere quella già tesa di Catarina.
E’ successo” iniziò piano “E’ tutto confuso e molto buio. Non riesco a capire dove sia. Non è solo e non può andarsene” il tono di voce si era fatto più alto ed il suo cuore aveva già iniziato ad aumentare i battiti, “Lui ha bisogno d’aiuto
Catarina si sporse leggermente verso l’amico e prese ad accarezzare con movimenti circolari il dorso della sua mano, “Cosa c’è intorno a lui?” chiese dolcemente.
“Poco niente, la stanza è spoglia e c’è solo una luce alle sua spalle. E’ legato e gli stanno facendo del male. Cat devo aiutarlo! Devo andare da lui!” esclamò scattando in piedi e sfuggendo dalla presa rassicurante della ragazza.
Ragnor si alzò in piedi e l’afferrò per le spalle: “Devi calmarti” iniziò con il suo solito tono pacato, “Se dai di matto, non potrai fare niente per lui. Cerca di ricordare quello che hai visto” lo incoraggiò.
Magnus chiuse gli occhi e prese dei respiri profondi cercando, invano, di calmare il galoppare del suo cuore.
“E’ legato a delle catene che pendono dal soffitto. La prima volta era solo. La seconda volta invece c’erano due uomini, uno non si vedeva bene, l’altro invece era biondo e credo che abbia più o meno la mia età” puntò le sue iridi verdi dorate in quelle di Ragnor e strinse con forza gli avambracci del suo amico, “Lo stanno picchiando! Rag non posso lasciarlo lì da solo!”
“Certo che no” rispose il giovane dei capelli verdi aumentando la presa sulle spalle dell’asiatico, “E ti aiuterò a trovarlo, ma devi cercare di ricordare se c’è qualcosa che può aiutarci a capire dove sia”
Magnus strizzò le palpebre per poi scuotere la testa velocemente: “Non c’è un bel niente in quella maledetta stanza!” esclamò allontanandosi dall’amico e ricominciando a muoversi avanti e indietro, “E’ completamente spoglia! Non ci sono luci, non ci sono scritte, non c’è niente appeso ai muri. Dannazione!” urlò prima di lasciarsi cadere sulla poltrona.
Catarina si inginocchiò ai sui piedi ed appoggiò entrambe le mani sulle ginocchia dell’asiatico, “Fai un respiro profondo” mormorò piano, “Lo so che è difficile” continuò mantenendo il tono di voce basso, “Ma devi cercare di concentrarti sui minimi dettagli, anche se ti sembrano insignificanti”
Magnus cercò di seguire il consiglio dell’amica, ma subito il volto sofferente del giovane tornò prepotente davanti ai suoi occhi, si prese il volto tra le mani e pigolò “E’ da solo. Ha bisogno d’aiuto e io non sono con lui” alzò di poco il mento e scontrò il suo sguardo in quello di Catarina, “Io devo trovarlo” disse con tono più fermo mentre un luccichio nuovo attraversò le sue iridi feline.
“E lo troverai” la voce di Ragnor lo fece voltare verso la sua sinistra, il suo amico aveva un lieve sorriso dipinto sul volto e gli stava porgendo una tazza fumante.
“Mi hai fatto una camomilla?” chiese scettico l’orientale mentre si passava nuovamente la mano sul viso.
“L’ho corretta con un po' di Sambuca” rispose ammiccando, Magnus afferrò la bevanda e ne prese un lungo sorso, beandosi del calore che lo avvolse per un attimo.
Appoggiò il capo allo schienale e chiuse gli occhi, fece un paio di profondi respiri prima di cercare di concentrarsi sulle immagini che avevano occupato completamente la sua mente.
Focalizzò l’attenzione sul ragazzo dai capelli neri come l’inchiostro, sul suo sguardo del colore dell’oceano, l’espressione fiera e determinata nonostante quello che stava passando, una fitta al cuore lo fece sussultare quando ripensò a quella pelle candida segnata da lividi violacei.
Respirò ancora per rimanere concentrato e cercò di mettere a fuoco l’ambiente che circondava il giovane, la stanza poteva essere un magazzino oppure poteva trovarsi in una zona disabitata, l’igiene era sicuramente scarsa se non inesistente e non c’era nulla che potesse dargli delle indicazioni su dove si potesse trovare.
Strinse forte i pugni lungo i fianchi, ma resto fermo e non aprì gli occhi.
Doveva trovare qualcosa! Anche la cosa più insignificante poteva essere utile in quella ricerca disperata, non doveva perdere la concentrazione.
Spostò l’attenzione sull’altro ragazzo, quello dallo sguardo freddo e calcolatore, che con molte probabilità era uno dei responsabili di quello che era accaduto al giovane. Da come si era comportato quello schifoso che si era divertito a colpire il suo occhi blu, il biondo era sicuramente un suo superiore. Cercò di ricordare i suoi vestiti, ma erano di un anonimo taglio classico, non avevano niente di particolare, niente spille, niente stemmi, niente marche..  niente di niente!
Possibile che non c’era nulla che potesse aiutarlo?
L’unica cosa che stonava con quella stanza lugubre era il fiore disegnato sulla porta della stanza, ma non gli diede molta importanza, la sua attenzione tornò sul corpo del moro, nonostante gli ematomi poteva scorgere senza problemi dei tratti neri che andavano a formare dei tatuaggi.

Aspetta un attimo!
Possibile che…


Magnus spalancò gli occhi e scattò in piedi, facendo sussultare sia Catarina che Ragnor, rimasti in religioso silenzio al suo fianco.
“Cosa?” chiese il ragazzo dai capelli verdi avvicinandosi all’amico, la sua mano si appoggiò sulla spalla dell’asiatico che allacciò subito il suo sguardo con il suo.
“La porta” sussurrò più a se stesso che agli altri, “Sulla porta c’è il disegno di un giglio bianco” spiegò mentre si sottraeva dalla presa di Ragnor per correre all’ingresso e recuperare le sue scarpe.
“Hai capito dov’è?” chiese Cat con un sorriso mentre apriva l’armadio e prendeva la giacca di pelle nera che sapeva benissimo che Mags abbinava sempre con quelle scarpe.
Magnus indossò velocemente gli anfibi e allacciò rapidamente i lacci, “Non è un semplice disegno” continuò mentre ringraziava con un bacio in fronte l’amica ed infilava le braccia nell’indumento, “E’ un tatuaggio!” esclamò come se quella misera informazione potesse essere la soluzione a tutti gli enigmi, recuperò le chiavi della sua Camaro e si voltò verso Ragnor “Dobbiamo andare alla polizia!” concluse aprendo velocemente la porta dell’appartamento.
Il ragazzo dai capelli verdi non fece domande e si mosse rapido verso l’ingresso, Magnus si voltò verso Catarina che gli regalò uno dei suoi sorrisi più dolci e comprensivi: “Vi aspetto a casa con Chairmain. Vai da lui, trovalo!”
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


 
L’asiatico stava guidando concentrato, il contatore sul cruscotto rivelava che il limite di velocità era stato superato, ma non sembrava importargli.
Al suo fianco un uomo dallo sguardo serio e delle ciocche verdi osservava attentamente la strada, indicandogli le vie da seguire.
Gli occhi verdi dorati si velarono di un lieve sollievo quando davanti ai loro sguardi si presentò lo stabile che ospitava gli uffici della polizia di New York.
Parcheggiò la macchina al primo posto libero e si fiondò all’esterno della vettura per poi correre verso l’edificio e raggiungere il piano giusto.
Non diede retta agli agenti che gli andarono incontro, li lasciò al ragazzo che l’aveva accompagnato, e si precipitò verso l’ufficio del capitano in comando.
Entrò senza bussare e davanti a lui si presentò un ragazzo dai capelli color del grano e lo sguardo dorato ed una ragazza dai lunghi capelli neri e le iridi scure come la notte.
 


 
Una bruciatura spiccava sul torace candido del ragazzo, un rivolo di sangue gli scorreva lungo il mento segno che si era nuovamente morso il labbro con forza.
Di fronte a lui un uomo, anch’egli con un completo nero, stringeva tra le mani un pezzo di metallo dalla punta incandescente.
Al suo fianco lo stesso ragazzo biondo osservava la scena con sguardo divertito ed un sorriso malefico dipinto sul volto.
L’uomo si avvicinò al giovane e premette le dita sulla ferita appena inferta, il moro sussultò ma non emise nessun suono, strinse più forte le dita sulle catene che lo tenevano legato al soffitto della stanza.
Sputò in faccia al suo aggressore che in risposta gli rifilò uno schiaffo che gli fece voltare il viso verso sinistra, il ragazzo fissò negli occhi i suoi carcerieri: lo sguardo blu era lucido, segno che il dolore era molto forte, ma sul volto coperto da nuovi lividi splendeva un sorriso storto.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


 
“Se svolti alla prossima a destra, saremo al Police Plaza in meno tempo” Ragnor mosse il braccio in accordo con l’indicazione stradale prima di appoggiare a palmo aperto la mano al cruscotto della Camaro di Magnus, dopo l’ennesima manovra estrema dell’asiatico.
La guida dell’orientale era sempre stata molto sportiva, ma il modo in cui il contatore continuava  a segnalare il superamento del limite di velocità consentita, faceva intendere che si stava muovendo molto rapidamente incurante delle più normali norme stradali.
Gli occhi verdi dorati del ragazzo erano fissi davanti a se, i muscoli delle braccia erano tesi e il suo respiro era pesante.
Ragnor lo guardò con attenzione e trattenne il fiato quanto l’amico inchiodò per fermarsi ad un semaforo rosso.
Approfittò dell’attimo di calma per appoggiare la mano sulla dita che tamburellavano sul cambio, Magnus si voltò rapido verso di lui e scontrò il suo sguardo in quello calmo dell’amico.
“Andrà bene” disse piano regalandogli un lieve sorriso.
L’orientale non rispose, ma annuì prima di spostare lo sguardo sulla lampadina che si illuminò di verde, ingranò la marcia ed attraversò l’incrocio velocemente.
“Cosa centra il tatuaggio di un giglio bianco?” chiese Ragnor tornando ad appoggiare le mani davanti a se.
“Ti ricordi di quella tipa con cui sono uscito per un po’ lo scorso anno?” domandò Magnus senza togliere gli occhi dalla strada. Non ricevendo risposta, sospirò e riprese:  “Capelli biondi, occhi verdi, fisico attraente, ma stronza come pochi...”
“Camille” rispose il giovane dai capelli verdi annuendo, sorrise appena nel sentire lo sbuffo di Magnus, “Cosa centra quella con il presunto rapimento di quel ragazzo?”
“Camille aveva un tatuaggio di un giglio bianco sul fianco destro” iniziò a spiegare, “Una volta le chiesi se aveva un significato particolare e lei rispose che era il segno di appartenenza di un Circolo” l’orientale di lasciò scappare un lieve sospiro di sollievo quando scorse il palazzo del Dipartimento di Polizia di New York, “Ho come la sensazione che possa essere utile. Non so spiegartelo, Rag, ma so che è così. So che questa informazione potrà portarmi più vicino a lui”
“Ti credo” rispose l’amico, “Parcheggia li” disse poi indicandogli un posto libero.
Magnus posteggiò abilmente l’auto e scese subito dopo, muovendosi rapidamente verso l’ingresso dell’edificio con Ragnor al suo fianco.
Entrarono e si diressero sicuri verso l’ascensore, le dita inanellate dell’orientale presero a stuzzicare la stoffa della giacca fino a che non si aprirono le porte.
Ragnor premette il pulsante che li avrebbe condotti al piano giusto e appoggiò una mano sulla spalla dell’amico.
“Grazie per essere qui” disse Magnus lasciando trasparire un breve sorriso
“Sempre” rispose l’amico stringendo la presa su di lui e ricambiando il suo gesto.
Il classico suono del raggiungimento del piano li fece allontanare di qualche centimetro e non appena l’ascensore si aprì, rivelando un ambiente pieno di uffici, Magnus si fiondò fuori e si diresse rapido e sicuro verso la fine del corridoio, sapendo che quel percorso lo l’avrebbe condotto verso le stanze delle persone di alta carica.
“Signore, aspetti un attimo! Non può andare da quella parte!” non si curò del richiamo di un ufficiale perché un secondo dopo sentì la voce calma di Ragnor rispondere, “Non si preoccupi, Agente Jordan, il mio amico è qui per una questione importante e sono sicuro che i suoi responsabili ascolteranno con attenzione quello che avrà da dirgli”
Le voci si fecero più lontane a mano a mano che Magnus si allontanava, il suo sguardo scorreva veloce sulle targhe appese alle porte e si fermò davanti a quella che citava: Capo Dipartimento Maryse Lightwood Trueblood.
Bussò per cortesia, ma non attese una risposta e spalancò la porta fermandosi sulla soglia ed osservando tre paia di occhi che lo scrutavano con espressioni interrogative ed indagatrici.
“Ehi amico, non credo che tu sia autorizzato a stare qui”
Magnus seguì il suono della voce maschile ed incrociò lo sguardo dorato di un giovane dai capelli di grano che lo osservava con le braccia incrociate al petto muscoloso.
“Credo di essere nel posto giusto invece” rispose l’orientale imitando il gesto del poliziotto
“Potrebbe essere più chiaro, Signor…” continuò la donna seduta dietro la scrivania, la sua postura era rigida, come lo erano i lineamenti del viso e lo sguardo scuro. La targa d’ottone in bella vista sul mobile recitava le stesse parole scritte sulla porta dell’ufficio: era lei che comandava.
“Bane” rispose muovendo i primi passi all’interno della stanza, “Mi chiamo Magnus Bane. Sono qui per informarvi che ho assistito ad una scena di un presunto rapimento. Il giovane in questione ha i capelli neri come i suoi Signora e due occhi blu, profondi come l’oceano” Magnus notò che la terza persona presente nell’ufficio trattenne il fiato per un attimo prima di avvicinarsi e prendere posto sul bordo della scrivania.
La ragazza era di una bellezza indescrivibile, lo sguardo scuro era fiero e la capigliatura nera era molto simile a quella della donna seduta che continuava ad osservarlo con un cipiglio indagatore.
“Si spieghi meglio” continuò la donna, mentre anche il ragazzo biondo prendeva posto alle spalle dalla responsabile dell’ufficio.
“Non ho delle informazioni precise purtroppo. Quello che so è che questo ragazzo è legato in una stanza e lo stanno pestando a sangue” un lampo di dolore attraversò per un secondo lo sguardo duro della donna, “ Dovete aiutarlo” continuò Magnus appoggiando le mani sul bordo della poltrona posta di fronte alla scrivania.
“Come fai a saperlo?” chiese per la prima volta la ragazza più giovane.
Ho avute le visioni” dichiarò Magnus spostando lo sguardo verde dorato su di lei, la vide muovere rapida una mano ed appoggiarla all’altezza dal cuore.
“Cos’altro sai?” domandò il ragazzo lasciando il suo postazione per avvicinarsi all’orientale.
“Il posto è buio, potrebbe essere un magazzino, una stanza in disuso od un seminterrato. Quello che so è che sulla porta c’è il disegno di un giglio bianco. Quel particolare disegno è identico ad un tatuaggio che portano delle persone appartenenti ad un Circolo
“Cosa sa di questo Circolo?” chiese la donna appoggiando le mani sulla scrivania
“Ad essere onesto non ho la più pallida idea di cosa sia il Circolo, ma per poco tempo ho frequentato una ragazza che aveva questo tatuaggio e diceva che faceva parte di questo Circolo. So che la cosa può sembrarvi assurda, ma quel disegno è identico, ve lo posso giurare. E sento che è importate”
“Come si chiama la ragazza?” continuò Maryse
“Camille Belcourt”
“Jace” comandò solo la donna
“Subito” rispose il biondo fiondandosi subito fuori dall’ufficio del capo.
“Siediti Magnus” la giovane gli indicò con un gesto la poltrona e l’orientale si accomodò accavallando le gambe con grazia, “Come sta lui?” chiese ancora la ragazza avvicinandosi.
“Da quello che ho visto è malconcio, ma sta mantenendo uno sguardo fin troppo fiero” disse quasi con un sorriso.
“Alexander è uno dei migliori” dichiarò la donna mentre si appoggiava allo schienale della sua sedia girevole e si passava una mano sul viso.
“So che la situazione è abbastanza assurda, Signora, ma potrei sapere qualcosa di più?”
“Isabelle” disse solo la donna.
La ragazza annuì e prese posto di fianco all’asiatico: “Il suo nome è Alexander Lightwood. E’ un Sergente della OCCB sotto copertura. L’operazione non è andata come avevamo previsto. E’ stato sequestrato pochi secondi dopo l’incontro organizzato per cercare di sventare un’organizzazione criminale chiamata il Circolo di Alicante” iniziò a spiegare la ragazza, “Alec è mio fratello, nonché primogenito del Capo Dipartimento” continuò indicando con un cenno del capo la donna che li osservava in silenzio, “Jace, il ragazzo che è appena uscito, è anche lui nostro fratello ed era a capo della squadra che doveva proteggerlo sul campo. Purtroppo non è stato possibile impedire l’inevitabile perché non appena Alec si è avvicinato ai criminali, questi l’hanno accerchiato con le loro macchine e lo tenevano sotto tiro. Ha scambiato un paio di parole con quello che presumiamo sia il capo dell’operazione e subito dopo una donna l’ha sedato e caricato in auto. Ci siamo mossi subito, ma non c’è stato nulla da fare. Abbiamo perso le loro tracce dopo due isolati”
Magnus annuì mentre si stringeva il mento tra le dita, “L’uomo con cui parlava era vestito con un completo scuro?” chiese, al cenno di assenso di Isabelle continuò: “Biondo chiarissimo, longilineo e giovane?”
“Lo conosci?”
“E’ insieme ad Alexander nelle miei visioni” rispose, “La donna che l’ha narcotizzato, l’avete vista?”
“Non molto, ma era sicuramente bionda”
“Camille” confermò Magnus
“Hai visto altro? Qualcos’altro che può aiutarci a capire dove lo tengono?”
“No, la stanza è molto buia e completamente spoglia”
La porta di aprì interrompendo il discorso di Magnus, che si voltò verso l’entrata dell’ufficio e notò la presenza di Jace ed in un altro ragazzo moro con gli occhiali che stingeva tra le mani un fascicolo.
Il biondo si avvicinò a Magnus e gli mostrò una foto che ritraeva il momento del rapimento di Alec.
L’orientale la prese tra le mani, “Si è lui. E questi due sono gli stessi che erano con lui nella stanza” continuò indicando i sospettati nell’immagine.
“Avete scoperto qualcosa di più preciso?” chiese ancora il Capo Dipartimento
“Non molto purtroppo. Belcourt ha solo qualche multa di eccesso di velocità, ma non ci sono altre informazioni utili” disse Jace porgendo comunque i documenti alla donna, “Maryse abbiamo bisogno di dati più precisi”
“Se potessimo avere uno schizzo di quel tatuaggio, forse…” continuò Isabelle
“Datemi una matita ed un pezzo di carta” disse Magnus, “Sono un artista. I fiori li disegno da quando avevo cinque anni e la mia memoria fotografica è eccezionale” concluse ammiccanzo verso la mora. 
Il ragazzo con gli occhiali si avvicinò ed allungò un blocco ed una penna all’orientale e rimase alle spalle della giovane.
Magnus mosse velocemente la punta sul foglio sotto lo sguardo attento dei presenti e quando terminò il lavoro lo mostrò agli ufficiali.
Quello…” la voce del moro si fece balbettante, “Quello è….”
“Lewis per l’Angelo, parla come mangi!” esclamò Jace avvicinandosi al giovane che era crollato sulla poltrona che fino a pochi attimi prima era stata di Isabelle, la giovane si inginocchiò davanti al ragazzo ed afferrò le sue guance con fermezza e lo costrinse a guardarla negli occhi: “Simon, respira con me” iniziò con voce moderata, “Hai già visto quel disegno?”
Simon annuì con il fiato corto e non allontanò la sguardo da quello della ragazza quando parlò: “Quello è il giglio di Jocelyne. Clary lo disegna da anni quando è sovrappensiero”
“Cosa diavolo stai farneticando, Lewis!” scattò Jace mentre strappava il moro dalla presa della sorella, “Cosa centra Clary con questa storia!”
“Jonathan!” esclamò Maryse alzandosi in piedi, “Calmati. Se lo scuoti cosi non potrà parlare”
Jace lasciò la presa e si passò la mano tra i capelli di grano, Izzy nel frattempo aveva appoggiato la mano al centro della schiena di Simon ed aveva preso a muoverla con movimenti circolari.
“Sim” lo chiamò con dolcezza, “Cosa sai?”
“Quello è il disegno che faceva sempre la mamma di Clary. Dopo la sua morte, Clary trovò una vecchia scatola in garage che conteneva dei vecchi schizzi di sua madre, tra i quali questo. Le piacque talmente tanto che le rimase impresso nella mente. Ogni volta che è sovrappensiero o preoccupata per qualcosa lo scarabocchia ovunque. Non capisco però come questo possa centrare con il Circolo” continuò Simon scontrando il suo sguardo titubante in quello calmo della giovane.
“Dovremmo chiamare questa Clary” intervenne Magnus iniziando a tamburellare le dita della mano destra sulla coscia, “Non pensate?” chiese spostando lo sguardo su Jace.
Il biondo strinse i pugni lungo i fianchi, i muscoli tesi delle braccia si intravedevano dalla stoffa della camicia chiara che indossava, “Clary non ha niente a che fare con il Circolo” dichiarò sicuro fissando la madre dritta negli occhi, nessun fremito nella voce.
“Nessuno presume questo, Jonathan. Sono anni che ci stiamo occupando di questa operazione, se ci fossero stati dei collegamenti l’avremmo scoperto.” disse Maryse lasciando il posto dietro la scrivania per avvicinarsi al figlio ed appoggiargli una mano sulla spalla, “Chiamala”
Jace annui e sfilò il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e fece partire la telefonata spostandosi verso la finestra che dava sulla città.
Magnus lo seguì con lo sguardo per poi fermare le sue iridi in quelle di Isabelle, che aveva mosso la mano lungo il braccio di Simon ed aveva intrecciato le dita con le sue.
Izzy gli restituì lo sguardo e parlò piano mentre si sedeva nuovamente sul bordo della scrivania: “Clary è la migliore amica di Simon ed è anche la fidanzata di Jace” spiegò, “Ci siamo conosciuti nello stesso momento, le nostre visioni era congiunte. Io ho visto Simon che suonava in un gruppo e Jace ha visto Clary seduta nel tavolo in prima fila sotto al palco” ricordò con un lieve sorriso sul bel volto, “Questo è successo cinque anni fa” continuò senza smettere di accarezzare il dorso della mano del suo ragazzo.
“Sarà qui tra poco, Luke verrà con lei” li interruppe Jace tornando al suo posto appoggiato al muro, puntò il suo sguardo dorato in quello di giada di Magnus e parlò: “Quante visioni hai avuto? Quando sono iniziate?”
Magnus aprì la bocca per rispondere, ma un’immagine attraverso la sua mente zittendolo di colpo.
I suoi occhi verdi dorati divennero lucidi in un battito di ciglia e la sua mano scattò rapida all’altezza del cuore, l’intero corpo fu attraversato da un brivido ed il suo respiro si fece più rapido.  
Un pesante silenzio cadde nella stanza e tutti osservarono con il fiato sospeso il volto dell’orientale che fissava un punto fisso davanti a sé, senza realmente vedere nulla.
Quando la visione finì, Magnus sentì il cuore stretto in una morsa, si passò una mano sul viso prima di voltarsi verso Maryse: “Dobbiamo trovarlo in fretta” disse con voce rotta, “Non c’è più tempo” concluse prendendosi il volto tra le mani.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9



Alec non aveva mai dato troppa importanza alla questione delle anime gemelle.
Non poteva negare la lieve fitta di gelosia che l’aveva colto quando sia Jace che Izzy ricevettero la loro visione. Sentimento che però svanì non appena vide, sul volto di due tra le persone che più amava al mondo, quel sorriso spensierato e pieno d’amore che rivolgevano a Clary o Simon e che ricevevano a loro volta.
Un lieve sorriso prese forma sulle sue labbra al pensiero di quel ragazzo orientale, che da poco tempo aveva iniziato ad alimentare i suoi pensieri e che nonostante quello che gli stava succedendo, gli stava tenendo compagnia, ma sopratutto lo faceva sentire meno abbandonato a sé stesso.
Nel profondo sapeva che nessuno l’avrebbe mai lasciato indietro, specialmente Jace ed Izzy, ma era consapevole che non avendo molto informazioni certe sul Circolo, non era sicuramente facile cercare di capire dove fosse.
La porta si aprì di fronte a lui ed Alec alzò il capo, puntando il suo sguardo oceano in quello verde bosco del giovane biondo che si chiuse la porta alle spalle.
“Cambiato idea, Lightwood?” chiese avvicinandosi lentamente
“Continua a sperare” rispose secco il poliziotto strattonando le catene.
“Sai” continuò il biondo afferrandogli il mento tre le dita, “Questa tua assurda resistenza, non ti farà guadagnare tempo, prolungherà solamente le tue sofferenze”
“Stai diventando ripetitivo. Devo iniziare a credere che le vostre difese si stiano affievolendo?” lo sfidò Alec fissandolo dritto negli occhi
“Non ti illudere” rispose il biondo aumentando la stretta sul suo volto, “Nessuno ti troverà”
“Jonathan” una voce alle loro spalle zittì entrambi i giovani, “Ora basta”
Le dita del biondo lasciarono subito la presa e si strinsero lungo i fianchi, mentre si allontanava di qualche passo dal prigioniero.
Alec spostò lo sguardo verso l’entrata della stanza e vide per la prima volta un uomo dalla capigliatura bionda e dallo sguardo scuro e freddo come il ghiaccio.
Lo vide muovere dei passi lenti all’interno della stanza e lo osservò attentamente: la sua postura, il suo atteggiamento, l’espressione sul viso. Notò una somiglianza lampante con il giovane fermo a pochi passi da lui.
“Padre” confermò infatti il ragazzo voltandosi verso di lui
L’uomo non rispose al richiamo, ma continuò a fissare il poliziotto imprigionato di fronte a lui
“I miei collaboratori mi hanno informato che non intendi collaborare” iniziò fermandosi ad una manciata di passi da Alec, “Vediamo se questo può farti cambiare idea” continuò alzando un braccio e muovendo due dita in avanti.
Alle sue spalle entrò un altro uomo che teneva tra le mani un spranga di ferro che aveva la parte superiore incandescente, l’uomo biondo indossò un guanto ed impugnò il pezzo di metallo nella zona fredda per sventolare la parte calda davanti agli occhi blu di Alec.
Il moro aumentò la presa sulle catene e affondò i denti candidi nel labbro inferiore quando il ferro rovente si scontrò con la pelle del suo fianco. Il respiro aumentò rapidamente al crescere del dolore, ma Alec non permise ad un singolo gemito di lasciare le sue labbra, sentiva il sapore ferroso del sangue invadergli la bocca e scendere lento lungo il profilo del mento, mentre il bruciore della pelle scottata gli scuoteva il corpo.
Chiuse per un attimo gli occhi, cercando di concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non fosse quel ferro incandescente a contatto diretto con il suo torace, quando un paio di occhi verdi dorati invasero la sua mente.
Una serie di immagini passò velocemente davanti ai suoi occhi, sollevò lentamente le palpebre e fissò l’uomo dritto negli occhi, un sorriso storto dipinto sulle labbra martoriate.
“Chi vi ha passato le informazioni sullo scambio?” chiese l’uomo mentre faceva pressione con le dita sulla bruciatura che spiccava sulla pelle candida del poliziotto, Alec continuava a fissarlo negli occhi senza emettere nessun suono. Le dita della mani stringevano con forza sempre maggiore le catene che lo tenevano fermo, il battito veloce del suo cuore gli rimbombava nelle orecchie ed il sapore del sangue invadeva ancora la bocca.
Senza distogliere lo sguardo dalle iridi fredde di fronte a lui, prese un respiro prodondo per poi sputargli dritto in volto. Aveva preventivato lo schiaffo secco che ricevette in risposta e non poté evitare di far spuntare l’ennesimo sorriso storto sulle labbra insanguinate, quanto il suo sguardo incrociò quello furioso dell’uomo.
“Non avrai risposte da me” dichiarò con voce sicura.
Aveva imparato, fin dai tempi dell’accademia, che gli informatori erano un bene prezioso per le forze dell’ordine e meritano la protezione dei loro agenti di collegamento, anche a costo di mandare a monte un caso. Guadagnarsi la loro fiducia era indispensabile, perchè solo in questo modo, in caso di necessità sarebbero corsi in loro aiuto senza esitazione alcuna. Alec era convito di questo, infatti in più di un’occasione la chiusura di un caso oppure la svolta decisiva era arrivata grazie all’informazione giusta di uno dei suoi informatori.
E di certo non era questo il giorno in cui avrebbe infranto la promessa fatta anni addietro a Meliorn.
Una risata sprezzante uscì dalle labbra del giovane, rimasto in silenzio fino a quel momento, si affiancò al padre ed incrociò le braccia al petto.
“Sai” cominciò, “Vorrò sicuramente vedere la faccia di Jace quando troveranno il tuo cadavere sul ciglio della strada”
Al sentire il nome del fratello, un brivido attraverso la schiena di Alec, si morse l’interno della guancia per evitare di far trapelare un qualsiasi sentimento e cercò di restare calmo.
Come facevano, loro, ad avere cosi tante informazioni su di loro? Doveva cercare di scoprirne di più.
“Vedo che ho attirato la tua attenzione” constatò Jonathan con un sorrisetto strafottente dipinto sulle labbra, “Ti chiederai se sappiamo altro?” continuò posizionandosi a pochi centimetri dal volto di Alec, “La bella detective Izzy, il capitano Lightwood-Trueblood, lo Squalo, oppure il giovane studente di legge Max” le dita pallide del biondo afferrarono con forza i capelli neri del poliziotto e lo strattonarono violentemente per avvicinarlo ancora verso di lui, “Sappiamo tutto di voi. Non è stato semplice, lo ammetto. Come già ti avevo detto, avete fatto un buon lavoro. Però noi siamo stati più bravi. Inoltre abbiamo le nostri armi segrete”
“E quando il collegamento sarà scoperto, sempre se saranno in grado di scoprirlo, sarà troppo tardi” continuò l’altro uomo avvicinandosi al figlio, “O almeno, sarà tardi per te” concluse stringendo il mento del moro in una presa ferrea.
Alec analizzò attentamente le parole dei due uomini e decise che tanto valeva rischiare: aveva l’occasione di scoprire qualcosa di più preciso sull’organizzazione, Izzy e Jace erano sulle sue tracce e da quello che aveva visto il giovane orientale li aveva raggiunti, doveva guadagnare tempo e poteva provare a farlo cercando di ottenere più informazioni sul Circolo.
Puntò i suoi occhi blu su padre e figlio e sorrise: “Non vi dirò nulla. Lo so io e lo sapete voi” disse calmo, “Il mio destino è già segnato” continuò osservando le loro reazioni, Alec prese un breve respiro poi fece la sua domanda: “Cosa ci ha tradito?”
“L’ultimo desiderio di un condannato a morte” constatò il più giovane con un ghigno, lasciando cadere le braccia lungo ai fianchi.
La presa sul mento di Alec si allentò ed il moro spostò l’attenzione sul volto dell’adulto e trattenne il fiato quando il suo pugno colpì con forza il suo fianco, all’altezza della bruciatura inferta poco prima. Non distolse lo sguardo da quello freddo dell’uomo, guardandolo con sfida, aspettando la risposta con il battito del cuore accelerato.
“Hai fegato, ragazzino” disse solo l’uomo schiaffeggiandogli il volto, “Devo concedertelo” continuò allontanandosi di qualche passo per affiancarsi al figlio, “D’accordo” concluse poi incrociando le braccia.
Jonathan imitò il gesto del padre senza togliersi l’espressione strafottente dal volto, socchiuse le labbra per aggiungere qualcosa quando la porta della stanza si spalancò.
Sulla soglia un uomo aveva il fiato corto, segno che aveva corso per raggiungerli il più velocemente possibile, osservò i due uomini in completo e disse: “Signore. Abbiamo un problema” il tono era tremolante, chiaro segno che non riusciva a nascondere la preoccupazione, “Ci hanno scoperto”.

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10


Magnus ringraziò con un sorriso Isabelle mentre la giovane gli porgeva un bicchiere d’acqua, l’asiatico lo consumò con calma, appoggiando la testa contro lo schienale dalla sedia, chiudendo gli occhi.
L’immagine nitida di Alec attraversò come un fulmine la sua mente, lo sguardo blu lucido ma estremamente fiero, la vena del collo tesa ed il respiro irregolare.
Il suo cuore prese a battere più velocemente al ricordo del ferro incandescente che bruciava la pelle candida del giovane e un dolore sordo lo colse al pensiero di quanto Alec stesse realmente soffrendo.
Strinse forte le dita attorno al bicchiere e spalancò le iridi di giada quando il volto dell’uomo che stava torturando il suo giovane poliziotto si materializzò davanti ai suoi occhi.
Abbandonò con poca cura l’oggetto sul tavolo, non curandosi delle gocce d’acqua che bagnavano il legno della scrivania e prese a scarabocchiare con la penna su un foglio bianco del blocco che prima gli aveva consegnato Simon.
“Cosa fai?” gli chiese Izzy sistemandosi silenziosa alle sue spalle
“Sto cercando di fare un identikit dell’uomo che ha ferito Alexander” rispose senza abbandonare l’attenzione ai tratti scuri che stavano prendendo forma sulla carta.
“Buona idea” constatò Maryse, ancora seduta alla scrivania, mentre osservava il figlio maschio percorrere avanti e indietro il perimetro del suo ufficio senza togliere lo sguardo dorato dalla strada, in attesa di scorgere la macchina di Luke.
Seduto al tavolino da caffè, Simon continuava a picchiettare velocemente le dita sulla tastiera del suo portatile, alla ricerca di chissà quale informazione che poteva aiutarli ad avere un qualche indizio che li avrebbe condotti più vicini al suo primogenito, nonché a quel maledetto Circolo di Alicante che non solo aveva impiegato tutte le forze dei figli da più di due anni, ma stava mettendo in serio pericolo la vita di Alec.
Lo scatto fulmineo di Jace la distolse dai suoi pensieri, lo vide uscire di corsa dalla stanza e non lo riprese per aver lasciato la porta spalancata. Spostò lo sguardo su quello della figlia e non si stupì di vederla saettare lo sguardo scuro tra lo schermo del pc del fidanzato ed il disegno che stava preparando Magnus.
Gli occhi scuri della donna si fermarono ad osservare il profilo orientale del giovane seduto alla sua scrivania, quel ragazzo particolare ed estremamente colorato era l’anima gemella di suo figlio, quando aveva dichiarato di aver avuto le visioni il suo cuore aveva mancato un battito, l’attimo dopo la sua mente aveva iniziato ad elaborare una serie di emozioni contrastanti: lo sgomento di Alec insieme ad un uomo, la preoccupazione di cosa avrebbero pensato al dipartimento, fino a arrivare alla rassegnazione ed alla consapevolezza che il destino di suo figlio era irrimediabilmente legato a quello dell’artista e che niente e nessuno avrebbe potuto interferire con questo.
Si sporse verso Magnus ed osservò con attenzione le linee nere che andavano a formare il volto di un uomo, costatò con stupore che l’asiatico era veramente talentuoso ed attento ad ogni particolare: “Stai facendo un ottimo lavoro” dichiarò, “Ti ringrazio per il tuo aiuto” continuò cercando di addolcire il tono di voce.
Magnus allontanò per un attimo lo sguardo dal foglio per puntarlo negli occhi scuri della donna: “Non è molto, ma farò tutto quello che posso per trovarlo” rispose con un piccolo sorriso prima di tornare al suo lavoro.
Maryse stava per rispondere quando l’attenzione venne catturata dal figlio che tornava accompagnato da una giovane dai capelli rossi come il fuoco ed un uomo dai capelli marroni.
I tre entrarono nell’ufficio del capitano e Jace si chiuse la porta alle spalle, Maryse si alzò e si avvicinò all’uomo appoggiandogli una mano sul bicipite, “Luke, grazie per essere arrivato cosi in fretta” disse prima di rivolgere un sorriso alla ragazza.
“Amore” la voce del biondo attirò l’attenzione della rossa che si voltò verso di lui, “Potresti guardare questo disegno e dirmi cosa ti viene in mente?” chiese porgendole il disegno del giglio.
Clary diede uno sguardo veloce prima di puntare le iridi verdi in quelle dorate del fidanzato: “E’ un disegno che ho trovato tra gli schizzi di mia madre” rispose mentre si voltava verso l’uomo che era venuto con lei per porgerglielo, Luke lo osservò ed annuì: “Jocelyne amava i gigli. Li ha coltivati per molto tempo” spiegò.
“Perché me lo hai fatto vedere?” chiese la ragazza tornando a guardare il poliziotto
Jace fece un respiro profondo prima di iniziare a spiegare: “Sai il caso su cui stiamo indagando? Avevamo organizzato per oggi un’operazione sotto copertura, ma le cose non sono andate come previste e hanno preso Alec” un lampo di dolore misto a rabbia attraverso lo sguardo dorato del giovane, “Sulla porta della stanza dove lo tengono c’è quel disegno. In seguito abbiamo scoperto che quel disegno è anche un tatuaggio di appartenenza ad un circolo… quella persona era presente al rapimento di Alec”
“Aspetta” la voce di Clary tremò, “Mi stai dicendo che l’organizzazione criminale sulla quale stai indagando è legata al disegno di mia madre?” continuò mentre allungava una mano per stringere la manica della giacca di Luke, in piedi al suo fianco, “Ci deve essere un errore! Mia madre non era una criminale. E’ impossibile!”
“Clary” Jace mosse alcuni passi verso di lei e le appoggiò con delicatezza le mani sulle spalle, “Stai tranquilla. Nessuno pensa che tua madre sia una criminale. Quello che volevamo chiederti è se ti ricordi altro legato a questo disegno… qualcosa che potrebbe aiutarci a capire qualcosa in più” continuò con tono dolce, accarezzando piano le braccia della ragazza.
“Ho finito”
La voce di Magnus interruppe il silenzio che era calato nella stanza, Maryse prese il disegno che il giovane le porse e l’osservò attentamente, l’uomo raffigurato aveva lineamenti duri e severi e lo sguardo freddo e calcolatore. Passò l’identikit ad Isabelle che dopo averlo guardato lo diede a Simon che in un attimo lo scannerizzò per poterlo passare al riconoscimento facciale, dopo di che finì tra la mani di Jace, che non si era ancora allontano da Clary e Luke.
Il biondo lo analizzò facendo saettare lo sguardo chiaro sui lineamenti dell’uomo, senza però riconoscere alcun dettaglio.
Valentine
Sei paia di occhi dai colori differenti si mossero all’unisono per incrociare quelli chiari di Luke, che osservavano sconvolti il disegno tra le mani di Jace.
“Chi è?” chiese il biondo porgendo il foglio all’uomo che aveva allungato la mano verso di lui, Maryse si avvicinò anch’essa al figlio e Magnus abbandonò la sua posizione affiancandosi ad Isabelle.
“Non è possibile” la voce di Luke era appena un sussurro
“Luke” lo richiamò Maryse, “Conosci quest’uomo?”
L’uomo annuì, “Era uno dei miei migliori amici ai tempi del college” il tono era lontano, lo sguardo fisso sul pezzo di carta, “Eravamo inseparabili. Io e Val. Poi lo persi di vista, era entrato in un brutto giro e non sappi più molto di lui. Vecchi compagni mi dissero che si era trasferito a Chicago, che aveva avuto un figlio e poi la moglie lo aveva lasciato” continuò a raccontare, “Quanto ebbi la visione di tua madre” disse voltandosi verso Clary, “Iniziai ovviamente a cercarla e quando la trovai, lei mi disse che stava scappando da una persona e che per mettersi in salvo aveva dovuto abbandonare una parte di sé. Era stata costretta a fare una scelta difficile” proseguì accarezzando la pelle liscia del volto della giovane, “Per poter dare un futuro migliore alla nuova vita che portava in grembo, era stata costretta a lasciare indietro il suo primogenito” la mano si fermò sulla guancia della rossa, “Quando incontrai Jocelyne, lei era incinta di te, Clary. E stava scappando da suo marito: Valentine Morgenstain”
Clary dondolò pericolosamente sulle gambe e Jace su rapido a prenderla tra le braccia prima che cadesse a terra, la fece sedere su una poltrona e Simon scattò subito al suo fianco per prenderle la mano.
“Mia madre mi disse che mio padre era morto” disse la ragazza, “Mi disse che era morto durante un’escursione a causa di una frana. Perché me lo avete tenuto nascosto?” la sua voce crebbe di un’ottava mentre lo sguardo lucido di lacrime si puntava in quello chiaro di Luke.
“Jocelyne voleva proteggerti. Se ti avesse detto che tuo padre era vivo, aveva paura che un giorno saresti andata a cercarlo” spiegò l’uomo, “Non voleva mentirti. Voleva solo che vivessi una vita tranquilla”
“Non ha mai più avuto contatti con quest’uomo?” domandò Maryse
“No” confermò Luke, “Dal momento in cui lasciò Chicago, cambiò cognome e sparì completamente dalla vita di Valentine.”
“Non ci sono riscontri” intervenne Izzy, che si era spostata al posto di Simon, “Il riconoscimento facciale non ha dato risultati”
“Dannazione!” Jace strinse i pugni lungo i fianchi, “Come diavolo è possibile che quell’uomo sia un fantasma!”
“Come fate ad essere sicuri che sia collegato con il rapimento?” chiese Luke
“L’ho visto io” la voce di Magnus era chiara e sicura, “E’ la terza visione che ho di Alexander. E sia il giglio che il volto di quell’uomo sono impressi a fuoco nella mia mente”
“Come è potuto accadere tutto questo?” continuò Clary attirando nuovamente l’attenzione su di sé
“Ascolta” Luke di inginocchiò alla sua altezza e passò le dita tra i suoi capelli ramati, “Ti prometto che ti racconterò tutto, sei al sicuro” continuò spostando le mano sulla sua spalla minuta.
“Al momento però è mio figlio quello ad essere in pericolo” intervenne dura Maryse, “Luke, se sai qualcosa che potrebbe aiutarci a trovarlo, per favore dimmelo subito” continuò la donna mentre si appoggiava alla scrivania.
L’uomo si passò la mano libera sul mento, ma scosse la testa: “Ha paura di non potervi aiutare più di tanto. Come ho già detto ho perso i contatti con lui dai tempi del college. Jocelyne mi disse solamente che era scappata da quest’uomo, scoprii in seguito che si trattava di lui, ma non mi rivelò mai molto del suo passato. Disse che per il bene di Clary doveva chiudere con il passato anche se questo significò di dire addio ad un figlio. Non so altro, Maryse. Mi dispiace davvero. Vorrei poterti aiutare di più”
La donna annuì prima di passarsi la mano sul volto, quella situazione stava diventando completamente assurda e snervante. Continuavano a scoprire dei piccoli tasselli, ma nessuno era collegato all’altro e tornavano sempre al punto di partenza.
“Deve pur esserci un maledetto collegamento tra queste cose!” esclamò ancora Jace avvicinandosi ai fogli sparsi sulla scrivania della madre per prendere le foto che erano riusciti a scattare quando avevano rapito Alec sotto ai suoi occhi.
“Riconosci qualcuno?” chiese mostrando le immagini a Luke, l’uomo scosse il capo dispiaciuto.
“Un attimo” intervenne Izzy, “Sim hai detto che la Belcourt ha avuto delle multe per eccesso di velocità, giusto?” al cenno di assenso del ragazzo continuò, “Potremmo provare a rintracciare la macchina. Magari è una ricerca a vuoto, ma tanto vale tentare” continuò guardando il fratello.
“Possiamo provare” concordò Jace
Simon lasciò la mano di Clary e si mise subito a lavorare al portatile, si sistemò gli occhiali sul viso mentre gli occhi saettavano sullo schermo e le dita si muovevamo rapide sui tasti.
“Ho preso il numero della targa dall’ultimo rapporto, ho fatto un controllo incrociato con i documenti della polizia stradale, adesso sto controllando con le telecamere del traffico e..” il ragazzo parlava a raffica, ma per una volta Jace non interruppe il suo sproloquio e Izzy si lasciò sfuggire un sorriso quando notò che tutti pendevano dalle labbra del suo fidanzato, “Bingo!” esclamò sistemandosi ancora gli occhiali che continuavano a scivolargli sul naso, “Le telecamere hanno avuto un riscontro con la targa segnata nel rapporto, certo non è detto che Belcourt abbia ancora la stessa macchina, però forse potremmo essere…”
Lewis!” all’urlò esasperato di Jace, Simon scattò seduto dritto ed annunciò: “La macchina a cui corrisponde la targa è parcheggiata tra la 7th Avenue e la 21st Street”
Magnus si passò la mano inanellata tra i capelli, le strade di quel quartiere avevano un qualcosa di familiare, ma non riusciva a ricordare.
Un flash attraversò la sua mente, gli occhi si spalancarono e si picchiò la mano in fronte: “L’Idris Club!” esclamò, “ E' un club privato ad un paio di isolati da lì. Quando uscivamo insieme, Camille mi portava sempre lì. Si muoveva come una regina, non c’era persona che non la conoscesse”
“Simon cerca tutto quello che puoi su quel posto. Indirizzo, planimetrie, atto di proprietà. Qualsiasi cosa! E’ l’unica pista che abbiamo!” disse Isabelle mentre si sedeva accanto al ragazzo e osservava insieme a lui lo schermo.
“Io intanto vado ad avvisare la mia squadra e la SWAT” annunciò Jace e senza aspettare risposte corse fuori dall’ufficio.
“Sim, fermo. Ingrandisci la pianta del locale, qui” chiese Izzy allungando il dito sullo schermo per indirizzare il giovane, “Il locale è su due piani: lounge bar e cucina al piano terra, nel seminterrato ci sono magazzini e stanze vuote” la mora puntò lo sguardo scuro in quello della madre: “E’ lì che tengono Alec!” dichiarò sicura.
“Non abbiamo prove per un’operazione armata” rispose la donna, ma alzò una mano per fermare la risposta della figlia, “ma è l’unico collegamento che abbiamo. La SWAT resta in stand by a qualche isolato di distanza. Vi avvicinerete tu e Jonathan. La squadra di Jace di copertura all’estero. Potrete intervenire sono con un riscontro termico del seminterrato. Non entrate alla cieca. Non abbiamo bisogno di richiami o denuncie per uso improprio del distintivo o per azioni armate su proprietà privata.”
“Ricevuto!” Isabelle scattò rapida e dopo un bacio a stampo sulle labbra di Simon si precipitò fuori dalla stanza.
Magnus afferrò la giacca pronto a seguirla, ma venne afferrato per un braccio da Maryse: “Non puoi andare con loro”
“Io devo andare” ribatté l’orientale guardandola fissa negli occhi, la donna notò la scintilla di puro fuoco che alimentava lo sguardo di giada del ragazzo ed allentò di poco la presa, “Non farai nulla che possa mettere in pericolo la tua vita. Sei un civile. Aspetterai fuori. Al sicuro” il tono di voce era perentorio, “Giuralo” concluse stringendolo nuovamente.
“Promesso”
La donna lasciò cadere il braccio lungo il fianco e mantenne lo sguardo in quello verde dorato di Magnus. L’orientale fece un cenno del capo prima di darle le spalle e correre anch’egli fuori dall’ufficio.
Le iridi del ragazzo scattarono rapide per i corridoi alla ricerca di un ciuffo di capelli verdi, non appena notò Ragnor seduto su una sedia vicino all’ascensore lo raggiunse velocemente.
L’amico alzò lo sguardo dal cellulare e scattò in piedi: “Allora?”
“Potrebbe essere all’Idris Club. I suoi fratelli stanno organizzando l’operazione. Andremo con loro”
“Cosa?!” esclamò il ragazzo, “Magnus sei impazzito?! Tu non sei un poliziotto!”
“Ho promesso che aspetteremo in macchina!” lo tranquillizzò, “Devo andare, Rag. Devo esserci anche io” continuò “Sei con me?” chiese guardandolo fisso negli occhi.
“Certo” confermò Ragnor con un sorriso lieve, “Ma non fare cazzate, Bane!”
“Croce sul cuore” rispose Magnus mimando rapidamente una croce all’altezza del pettorale sinistro, “Anche perché se torni a casa con un solo graffio, chi lo sente il clandestino!”
“Smettila di chiamarlo clandestino. Sai perfettamente che è cittadino americano” lo riprese l’amico con tono esasperato
Un lieve sorriso canzonatorio apparve sul bel volto dell’orientale, “Lo so, ma non per questo smetterò”
“Andiamo” una voce femminile li fece voltare, Izzy era in piedi di fronte a loro con indosso un giubbotto antiproiettile ed una arma legata alla coscia destra.
I due uomini la seguirono in silenzio ed entrarono insieme nell’ascensore.
Il cuore di Magnus prese a battere più velocemente, l’adrenalina alle stelle, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
Concentrò tutta la sua attenzione sul volto del giovane poliziotto, il battito iniziò leggermente a calmarsi al pensiero che presto il suo sguardo si sarebbe perso nel blu oceano degli occhi di Alexander.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 

 
Ci hanno scoperto



Sulle labbra insanguinate di Alec spiccava un sorriso storto ed il suo sguardo seguiva con attenzione le reazioni degli uomini che lo tenevano prigioniero.
L’uomo che aveva portato la notizia respirava velocemente, il viso era imperlato di sudore freddo e le sue iridi non erano in grado di nascondere il turbamento che lo scuoteva.
Jonathan strinse i pugni lungo i fianchi e si voltò verso il padre, il quale aveva incrociato le braccia al petto ed assunto un’espressione ancora più dura.
“Come è potuto succedere?” domandò il più giovane dei tre.
“Non è molto chiaro” iniziò a spiegare l’uomo abbandonando la sua posizione all’entrata della stanza per avvicinarsi ai due biondi, “Da quello che Hodge è riuscito a scoprire, pare che due squadre della S.W.A.T e due unità guidate dai Lightwood abbiano lasciato il Police Plaza circa venti minuti fa”
“Sei certo che stiano venendo proprio qui?” chiese ancora Jonathan afferrandolo per la stoffa delle maglia
L’uomo deglutì prima di annuire, “Pare che siano riusciti ad identificarvi” confessò con voce tremante, mentre volgeva lo sguardo in quello scuro del suo capo.
“Non è possibile” rispose il biondo lasciando andare la presa con malagrazia prima di fissare suo padre negli occhi, “Siamo come fantasmi” continuò restando poi in attesa di ricevere una risposta dall’uomo. Quest’ultimo non disse nulla, ma afferrò il cellulare che aveva nella tasca dei pantaloni e se lo portò all’orecchio.
“Sono io” il tono di voce era tagliente, rimase in ascolto per alcuni secondi prima di voltare lo sguardo verso il loro prigioniero, “Lei è lì?” chiese ancora mentre si avvicinava lentamente al poliziotto. “Lucian Garroway” continuò fermandosi di fronte ad Alec, il moro notò il pulsare della vena sul collo dell’uomo e un velo scuro oscurare ancora di più i suoi occhi. Lo vide stringere i pugni lungo i fianchi mentre annuiva, cercò di tendere l’orecchio per riuscire a capire le parole dell’altro capo del telefono, ma la voce era troppo distante e la conversazione era troppo concisa.
“Ho capito” concluse l’uomo chiedendo la comunicazione e passando il cellulare al figlio, “Starkweather sarà qui tra poco, chama Belcourt e preparatevi per un eventuale scontro. Tu invece resta qui” ordinò.
Jonathan annuì e lasciò la stanza velocemente, l’uomo prese posto al suo fianco.
Alec non distolse l’attenzione da quello che stava accadendo e memorizzò i nomi sentiti. Puntò nuovamente lo sguardo in quello dell’uomo anche quando quest’ultimo l’afferrò per i capelli e lo strattonò violentemente verso di lui, “Pensi che questo basti per mettermi in difficoltà?” gli sputò a pochi centimetri dal viso.
“Di certo non l’avevi previsto” rispose a tono il giovane senza togliersi il sorriso storto dalla labbra.
Le dita dell’uomo si chiusero sulla sua gola e gli mozzarono il fiato, Alec sentì l’aria mancargli ma strinse i denti e non allontanò lo sguardo da quello furioso del suo aggressore, “Lo ucciderò davanti ai tuoi occhi, lentamente” sibilò aumentando la presa, “Poi farò lo stesso con te” concluse lasciandolo andare.
Alec strinse le catene fino a far diventare la pelle quasi trasparente e sputò nuovamente in faccia all’uomo di fronte a lui, “Non te lo permetterò”
“Questo è da vedere, Lightwood. Al momento quello impossibilitato a muoversi sei tu” continuò con un sorriso crudele l’uomo prima di voltarsi verso l’altro uomo, “Pestalo fino a che non perde i sensi, ma non farlo fuori” ordinò per poi dargli le spalle ed uscire dalla stanza.
Si fermò sull’uscio e si voltò verso il poliziotto: “Quello che vi ha tradito è questo stupido legame delle anime gemelle. Sono sempre stato un passo avanti a voi, perché mia moglie credeva di essere al sicuro, ma io non ho mai smesso di cercarla. E quando ho finalmente rintracciato mia figlia, lei inconsapevolmente vi ha letteralmente consegnato a me su un piatto d’argento” rivelò quasi con voce di scherno, “Non avevo previsto che un damerino multicolor intralciasse i miei piani, ma come ho detto, risolverò il problema molto presto” concluse sorridendo perfido per poi chiudersi la porta alla spalle.
Alec strattonò ancora le catene cercando di allentarne la stretta, ora che sapeva i piani di quell’uomo ed aveva la conferma che Jace ed Izzy stavano arrivando, non doveva più restare fermo per cercare di carpire delle informazioni.
Doveva, ma soprattutto poteva reagire.
Allargò appena le gambe per poter avere una stabilità maggiore sul pavimento, mentre l’uomo di fronte a lui toglieva la pistola dalla fondina e l’appoggiava lontano da loro, per poi avvicinarsi con i pugni alzati, pronto ad eseguire l’ordine del suo capo.
Incassò i primi colpi per far credere all’avversario di avere il pieno controllo, approffittò del primo momento di pausa per spostare il peso del corpo sulla parte sinistra e facendo leva sulle braccia scagliò il primo calcio verso l’uomo, il quale colto impreparato si sbilanciò ed indietreggiò di un paio di passi.
Questo dette il tempo ad Alec di prepararsi al prossimo violento assalto, ma gli anni passati ad esercitarsi agli scontri a corpo libero con Jace, l’avevano allenato per sopportare qualsiasi tipo di pressione e questo gli permise di respingere l’ennesimo colpo con una ginocchiata al centro dello sterno dell’aggressore.
“Maledetto” l’uomo digrignò i denti e sputò a terra, prima di lanciarsi nuovamente contro il poliziotto, il quale flettendo le braccia riuscì a parare il colpo sollevando le gambe.
“Riesci a fare solo questo?!” lo sfidò Alec quando un pugno lo colpì in volto, “Ti senti un gran duro, vero?!” continuò ad infierire il moro respingendo l’affondo successivo con un altro calcio.
“Farei a pezzi il tuo culo da sbirro anche se fossi libero” rispose con un ringhio l’uomo mentre gli assestava un pugno sul fianco ferito.
Alec trattenne il fiato per un istante, ma sorrise beffardo puntando il suo sguardo blu in quello dell’uomo, “Ad armi pari, non avresti scampo!”  lo affrontò ancora il giovane, notando come le iridi del suo avversario presero a brillare furiose.
Alec era sempre stato molto intuitivo ed i suoi colleghi erano convinti che una della sue migliori doti era quella di riuscire ad analizzare la situazioni con fredda lucidità, anche in casi di estremo pericolo, e di creare dei piani geniali anche in situazioni critiche. Per questo motivo aveva deciso di sfidare l’uomo di fronte a lui, puntando sul colpire il suo orgoglio, nella speranza di essere liberato.
“Sei solo uno sbruffone, ragazzino!” esclamò quello colpendolo ancora al volto, “Ma voglio proprio vedere la tua faccia quando ti avrò tolto quel sorrisetto a suon di pugni!” continuò avvicinandosi per tiragli un pugno in pieno stomaco.
Alec si piegò in avanti per prendere fiato, ma sorrise quando sentì la mani dell’uomo armeggiare con il gancio delle catene che lo tenevano attaccato al soffitto.
Sentì la costrizione che gli teneva uniti i polsi allentarsi quando uno spintone gli fece perdere l’equilibrio e lo costrinse a terra.
Ebbe appena il tempo di scrollare le spalle che sentì il peso dell’uomo sopra il suo, con uno scatto di reni si mosse ed invertì le posizioni costringendo l’avversario a terra, assestò un paio di pugni sulle tempie e si alzò rapidamente allontanandosi appena per assumere una posizione difensiva.
L’uomo si rimise in piedi e sputò a terra, lanciandosi nuovamente contro il giovane, che prese a rispondere e parare gli attacchi con facilità.
Alle loro orecchie giunsero delle urla e dei colpi di pistola, l’uomo si distrasse un attimo ed Alec ne approfittò e lo colpì al fianco alcune volte costringendolo ad arretrare verso il muro, lo spinse contro la parete con durezza e con una mossa rapida e sicura strinse due dita all’altezza della gola dell'avversario.
L’uomo prese a dimenarsi velocemente, all’inizio, ma in poco tempo il suo respiro prese a farsi irregolare, ed il moro senza allentare la presa lo spinse più forte bloccandogli le gambe con le ginocchia, impedendogli cosi ogni movimento.
Non appena i tentativi di ribellione si fecero più deboli, Alec allentò la presa per voltarlo e stringere il braccio intorno al collo dell’uomo per fargli perdere definitivamente i sensi.
Rilasciò un lungo sospiro e si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato.
Fece passare una manciata di secondi prima di tornare in posizione eretta, si massaggiò i polsi indolenziti e dette una rapida occhiata alla ferita al fianco, poi prese le catene che erano cadute a terra e legò l’uomo lasciandolo steso contro il muro.
Recuperò la sua pistola controllando il numero dei proiettili che aveva a disposizione ed afferrò i suoi effetti personali abbandonati in fondo alla stanza.
Si avvicinò cauto alla porta chiusa, socchiudendola appena per sentire con attenzione i rumori all’esterno.
Una voce sopra le altre si distinse tra il caos: “Mio fratello è qui! Offrirò una confezione di birra decente al primo che lo trova!”

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 


Magnus continuava a tamburellare le dita sul volante della sua Camaro ad un ritmo intermittente, le iridi dorate continuavano a muoversi frenetiche, alternando lo sguardo tra l’entrata del bar e il vicolo laterale dove solo pochi attimi prima aveva visto sparire Jace ed Izzy.
“Magnus” la voce calma di Ragnor interruppe per un istante il movimento rapido dei suoi polpastrelli, spostò gli occhi nello specchietto retrovisore ed incrociò lo sguardo dell’amico.
Ragnor aveva lasciato il posto a fianco del conducente all’agente Jordan, Isabelle prima di seguire il fratello aveva affidato al giovane poliziotto l’incolumità dei due civili.
“Respira” disse solo l’uomo, allungandosi per appoggiare una mano sulla spalla dell’orientale.
La presa di fece più salda quando notarono il sopraggiungere dei restanti membri delle squadre dei fratelli Lightwood e gli uomini della S.W.A.T.
Magnus si mosse inquieto sul sedile e si voltò verso l’agente di polizia che seguiva con attenzione i movimenti dei compagni che si erano divisi in due gruppi: uno aveva seguito la direzione presa precedentemente da Izzy e Jace, mentre l’altra aveva sfondato la porta principale dell’Idris Club.
“Hanno avuto la conferma della presenza del Sergente” li informò Jordan, “Lo troveranno, stia tranquillo” concluse con un piccolo sorriso verso l’orientale, prima di tornare a prestare la completa attenzione al locale, la mano era corsa a stringere la pistola in caso di necessità.
Il cuore di Magnus prese a battere ad un ritmo veloce, strinse con forza la presa sul volante, ma si lasciò cadere contrò lo schienale del sedile per permettere alla mano di Ragnor di tornare sulla sua spalla.
I minuti scorsero lenti ed inesorabili, scanditi dai colpi di pistola che facevano ben intendere che all’interno dell’edificio fosse in corso una sparatoria.
Il suono delle sirene che segnalavano l’arrivo di alcune ambulanze ed altre auto della polizia, fece sobbalzare Magnus, il quale spostò per un attimo lo sguardo dalla porta d’ingresso per puntarlo in quello di Ragnor. Il giovane dai capelli verdi aumentò la stretta sulla sua spalla, notando quanto i muscoli dell’artista fosse tesi e contratti.
Non si scambiarono parole perché la loro attenzione fu catturata dai primi agenti che uscirono dal locale trascinando, con poca grazia, alcuni uomini che vennero presi in custodia da altri poliziotti, mentre i primi facevano ritorno all’interno del locale.
Magnus strinse la mano di Ragnor quando vide Isabelle sbucare dal vicolo laterale dell’edificio insieme ad un uomo ammanettato, l’artista lo riconobbe subito: era l’uomo presente al rapimento di Alexander, lo stesso che poi lo aveva picchiato.
Ci furono un paio di colpi d’arma da fuoco che distrussero alcuni vetri del locale, subito dopo altri agenti uscirono dalla porta principale con altri uomini in manette.
Seguì la chioma scura di Isabelle rientrare con la presa salda sulla pistola e non potè evitare alle sue labbra di piegarsi in un lieve sorriso, quando la vide uscire poco dopo mentre accompagnava, con uno sguardo fiero ed un portamento sicuro, una donna dalla capigliatura bionda alla prima volante disponibile.
“Camille” disse solo Magnus voltandosi appena verso Ragnor, l’amico annuì e lo guardò negli occhi dorati, “Ha avuto quello che si meritava” continuò l’artista con tono piatto, prima di riportare l’attenzione sulla zona dello scontro.
Passarono altri minuti prima che anche Jace uscisse dal locale, stava ancora lottando contro un uomo che a sua volta non stava collaborando molto, sul volto del biondo spiccava un livido all’altezza dello zigomo sinistro, gemello a quello presente su quello destro dell’uomo.
Jace lo sbattè con violenza contro il cofano di una macchina, prima di rimetterlo sui suoi piedi per poterlo spingere all’interno della vettura.
Nel momento in cui l’uomo alzò il volto, Magnus lo riconobbe: Valentine Morgenstain.
L’asiatico mosse rapido la mano sulla maniglia della portiera e l’aprì, incurante dei richiami di Ragnor e dell’agente Jordan, uscì dalla macchina e osservò come l’uomo continuava a sorridere perfido nonostante fosse in manette e lo sguardo freddo che Valentine gli rivolse, gli fece scorrere un brivido freddo lungo la schiena.
Magnus appoggiò la mani, a palmi aperti, sulla cappotta della sua macchina e prese un paio di respiri profondi per cercare di calmare, almeno in parte, i battiti furiosi del suo cuore.
Ragnor fu al suo fianco in un attimo ed appoggiò una mano sulla sua schiena, dandogli delle affettuose pacche per cercare di tranquillizzarlo.
“Sta andando bene, Mags. Stanno arrestando i responsabili. Vedrai che tra poco lo troveranno ed uscirà da quel posto anche lui” gli parlò piano rivolgendogli uno sguardo dolce.
“Rag. Quello era l’uomo che l’ha torturato” disse con voce grave mentre si voltava per guardarlo negli occhi.
“Lo so” rispose l’amico, “Ed ora è nelle mani delle giustizia. Sconterà la sua pena”
“Stanno entrando i paramedici” li informò l’agente Jordan mentre chiudeva la portiera del posto del passeggero, “La situazione sembra stabile. Posso avvicinarmi per chiedere degli aggiornamenti, se vuoi?” chiese poi con tono gentile.
Magnus gli rivolte un breve sorriso, “Te ne sarei grato. Ti ringrazio”
L’agente annuì e si diresse a passo svelto verso i colleghi, avvicinandosi ad un paio di agenti fermi vicino ad una delle ambulanze.
“Oddio” la voce dell’asiatico tremò quando i primi paramedici uscirono dal locale con le barelle occupate. Il giovane cercò di seguire con lo sguardo ogni portantina, nella speranza di non scorgere la capigliatura nera e la pelle pallida di Alec.
Trattenne il fiato quando gli ultimi paramedici uscirono fin troppo lentamente dal bar, trasportavano con cura una barella, Magnus si alzò sulle punte dei piedi per cercare di avere una visuale migliore e sospirò quando notò che il giovane che stavano sistemando sull’ambulanza aveva i capelli biondi.
“Sono una pessima persona se provo sollievo nella morte di quel tipo?” chiese voltandosi verso Ragnor.
Il giovane dei capelli verdi sbuffò appena mentre gli stringeva nuovamente la spalla.
“Sei preoccupato per Alec, è più che normale. E poi, non stai provando felicità per la morte di quel tipo, ma sei semplicemente grato del fatto che su quella barella non ci sia il tuo uomo” rispose Ragnor con quel suo tono pacato e calmo
“Cosi suona un po’ meglio” constato l’artista girandosi completamente verso di lui per appoggiare la mano sul suo bicipite in segno di gratitudine.
“Magnus” lo richiamò Ragnor, il ragazzo lo fissò interrogativo, mentre un sincero sorriso spuntava sulle labbra del giovane dai capelli verdi, “Guarda” disse solo indicando l’edificio con un cenno del capo.


Magnus si voltò ed il suo cuore perse un battito quando vide uscire dalla porta principale dell’Idris Club un giovane dai capelli biondi che sorreggeva con attenzione un ragazzo moro, il quale stava ridendo ad una battuta che l’altro aveva fatto mentre si passava le dita dell’altra mano tra i fili di grano spettinati.
Il sorriso del moro di allargò quando una furia dai capelli scuri si lanciò contro di lui e lo abbracciò stretto, cingendogli il collo con le braccia esili e nascondendo il volto del suo collo.
Notò il braccio del giovane accarezzarle piano la schiena con movimenti circolari, mentre le sussurrava qualcosa all’orecchio.
Appena la ragazza abbandonò la presa sul suo corpo, poté vedere le guance del moro imporporarsi mentre faceva vagare lo sguardo oltre la figura della mora.
Magnus trattenne il fiato nello stesso istante in cui gli occhi blu di Alec incontrarono i suoi di giada, che non avevano smesso di seguirlo per un solo istante da quando l’aveva visto uscire dal bar, e non potè evitare alla sua labbra di piegarsi in un sorriso dolce.
L’orientale mosse i primi passi verso il poliziotto, aumentano gradualmente la velocità fino a che non si fermò a pochi centimetri dal moro.
Izzy ed Jace si erano allontanati di poco, ma osservavano la scena con uno sguardo felice e consapevole, e Magnus era sicuro che lo stessa espressione era dipinta sul volto di Ragnor.
Non si lasciò distrarre però da quei pensieri, perché la sua attenzione era completamente catturata della figura che si trovava in piedi di fronte a lui.
Nessuno dei due pronunciò una sola parola, si fissarono semplicemente negli occhi per qualche secondo, fino a che Magnus non mosse lentamente una mano verso il volto di Alec e ne tracciò piano i lineamenti, seguì con il pollice il contorno del labbro inferiore martoriato e fermò la corsa della sua mano appoggiandola sul collo pallido del moro.
Alec socchiuse gli occhi beandosi di quella carezza delicata e si sbilanciò in avanti per avvicinarsi maggiormente al corpo di Magnus.
Lo sguardo verde dorato dell’asiatico di addolcì e rafforzando appena la presa sul giovane, lo trascinò completamente contro di lui, abbracciandolo stretto, immergendo il volto nell’incavo del suo collo. La risposta di Alec non si fece attendere molto, Magnus sentì le braccia muscolose del poliziotto avvolgerlo intorno alla vita, mentre la fronte si appoggiava tranquilla sulla sua spalla.
Nessuno dei due si stupì troppo nel notare che i loro corpi si incastravano alla perfezione, come i pezzi mancanti di un puzzle, e restarono in quella posizione per parecchi attimi, cullati dal battito regolare dei loro cuori ed incuranti di tutto quello che li circondava.
Magnus si allontanò appena dal corpo caldo di Alec solo per potersi specchiare ancora nel blu oceano delle sue iridi, gli sorrise e si avvicinò alle sue labbra per sfiorarle con un bacio a stampo.
Alec aumentò la presa sulla base della sua schiena ed appoggiò la fronte contro quella di Magnus senza interrompere il legame dei loro sguardi. 
Mi hai trovato” sussurrò piano, sul suo viso leggermente imporporato splendeva un sorriso storto
“Avevi dubbi?” chiese Magnus altrettanto sotto voce, intrecciando le braccia attorno al suo collo
Neanche uno”.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Epilogo ***


Epilogo
 


 
Si racconta che le anime gemelle siano destinate ad incontrarsi, prima o poi.
La loro storia è già scritta.
 
 


 
Magnus Bane si svegliò presto quella mattina, si passò distrattamente una mano sul volto prima si voltarsi verso il lato sinistro del letto.
Un sorriso intenerito spuntò sulle sue labbra quando il suo sguardo raggiunse il volto serenamente addormentato di Alexander Lightwood: il giovane dormiva profondamente, il bel viso candido era ancora segnato da alcuni lividi in via di guarigione, ma questo non influiva sulla pura bellezza di quei lineamenti. I capelli neri come l’inchiostro erano arruffati e Magnus non riuscì ad impedire alle sue dita di saggiarne la morbidezza. 
Un lieve sospiro gli fece spostare l’attenzione nuovamente sul volto del poliziotto facendo in modo che i suoi occhi verdi dorati incontrassero le iridi blu profonde di Alec.
“Buongiorno” un roco sussurro uscì dalle labbra del moro
“Buongiorno a te, Fiorellino” bisbigliò Magnus abbassandosi verso di lui per baciarlo a fior di labbra.
Le guance del ragazzo di imporporarono lievemente, “Mags” lo chiamò piano, “Cosa abbiamo detto riguardo ai nomignoli assurdi?” chiese poi alzandosi lentamente per mettersi a sedere.
Magnus gli sistemò i cuscini dietro la schiena, era ancora convalescente dopo tutto, e venne ringraziato con un sorriso dolce da parte del compagno.
“Abbiamo parlato di luoghi pubblici, non privati. E qui, Fiorellino, non c’è nessuno!” rispose lui, senza nascondere uno sguardo birichino.
Alec alzò gli occhi al cielo prima di immergere la mano tra i suoi capelli privi di glitter ed attirarlo verso di sè, Magnus accolse con piacere l’iniziativa del ragazzo e congiunse le loro labbra in un bacio delicato, che in pochi secondi divenne più intenso e appassionato. Le lingue iniziarono ad esplorare l’una la bocca dell’altro, mentre le mani presero a tracciare percorsi immaginari sulle loro pelli.
Si separano con il fiato corto e rimasero a guardarsi negli occhi con le fronti premute l’una contra l’altra.
Il moro lo invitò a sedersi a cavalcioni su di lui e l’orientale si mosse con una grazia innata, facendo scontrare i loro bacini in modo languido mentre si chinava verso le labbra morbide di Alec per rubargli un nuovo bacio che di casto aveva ben poco.
Si allontanarono lentamente, le labbra lucide ed umide e lo sguardo perso l'uno in quello dell'altro. Le dita di Magnus presero a percorrere con delicatezza i contorni delle linee scure presenti sul torace di Alec, stando ben attento a non toccare i lividi che deturpavamo quella pelle candida. Fermò la sua corsa vicino alla ferita sul fianco, coperta da un cerotto, e ne tracciò piano i contorni mentre l’altra mano si appoggiava calma sul pettorale sinistro del moro.
Sentiva il battito leggermente accelerato del cuore di Alec sotto i polpastrelli ed il calore naturale della suo corpo a contatto con la sua mano, alzò di poco il capo per guardarlo in volto e sorrise nel notare che il giovane lo stava osservando con uno sguardo liquido, le pupille dilatate, le guancie di un adorabile rosa accesso ed il labbro inferiore tra i denti.
Si chinò appena per poter mordere lui stesso quelle labbra, prima di tracciarne il contorno con la lingua, e rubare con la propria bocca il gemito che sfuggì dalle labbra di Alec.
Alec mosse di poco il bacino per sbilanciare Magnus ed averlo ancora più vicino, appoggiò una mano a palmo aperto al centro della sua schiena e lo pressò contro il suo petto, mentre otteneva l’accesso all’interno della sua bocca.
Con uno scatto di reni, invertì le loro posizioni e incastrò il corpo di Magnus tra il proprio ed il materasso, sistemandosi tra le gambe dell’artista e permettendogli di allacciarle ai lati dei suoi fianchi.
Si allontanò appena dalle labbra di Magnus solo per tracciare una scia bollente, sulla sua pelle ambrata,con la punta della lingua, che si fermò dietro l’orecchio. Ne succhiò il lobo, prima di immergere il naso in quel punto sensibile, dove l’odore di Magnus era più forte, e si beò delle fragranza di legno di sandalo che gli invase le narici.
Le dita di Magnus si ancorarono alle spalle ampie di Alec, quando quest’ultimo prese a torturagli con i denti la pelle tesa del collo.
“Alexander” gemette piano inarcando la schiena verso di lui e piegando il volto di lato per lasciargli più spazio da baciare. Sentì le labbra di Alec piegarsi in un sorriso, e dopo un ultimo bacio a fior di pelle, vide il voltò del giovane alzarsi per tornare al livello del suo.
Lo baciò a stampo per poi sollevarsi ed inginocchiarsi tra le sue gambe, Magnus si leccò le labbra prima di seguirlo e sedersi di fronte a lui. Appoggiò le mani sulle sue spalle e lo costrinse con gentilezza a riappoggiarsi contro i cuscini, Alec si lasciò sfuggire uno sbuffo che venne catturato ancora una volta dalle labbra morbide di Magnus.
“Sei ancora in convalescenza” sussurrò l’artista mentre si sistemava nuovamente a cavalcioni sopra di lui, “Abbiamo tempo” bisbigliò ancora mentre faceva combaciare il suo petto contro il torace solido di Alec.
Il moro sospirò piano annuendo, le mani lo avvolsero per i fianchi e  Magnus intrecciò le braccia intorno al suo collo per accoccolandosi meglio contro di lui.
Alec chinò appena la testa per sfiorare con il naso la pelle bollente del collo di Magnus, “Non mi sono mai reso conto di quanto ti stavo aspettando” bisbigliò contro la sua epidermide caramellata, “Fino a quando non ti ho visto” continuò baciando piano la porzione di pelle a disposizione.
Un brivido percorse l’intera spina dorsale dell’artista, che in risposta sollevò il mento del giovane con due dita per potersi specchiare nel blu oceano delle sue iridi, lo sguardo che regalò al giovane fu talmente intenso e profondo da far tremare le gambe di Alec, il quale ringraziò silenziosamente l’Angelo di essere già seduto, altrimenti si sarebbe sciolto al suolo.
“Ed ora mi hai trovato, Fiorellino” sussurrò Magnus tornando ad allacciare le braccia attorno al collo di Alec, per poi immergere le dita ambrate nei suoi capelli d’ebano.
“Si” continuò Alec avvicinando il viso al suo, per parlargli a fior di labbra, “Ti ho trovato” disse iniziando poi a passare la punta della lingua sul labbro inferiore di Magnus, ottenendo quasi subito l’accesso alla sua bocca e baciarlo come se ne andasse della sua stessa vita.  
“E non ti lascerò più andare” concluse Alec con il fiato corto e la voce roca, dopo essersi separato dalle labbra umide di Magnus.
L’artista gli accarezzò dolcemente una guancia, prima di chinarsi nuovamente verso di lui per sussurrargli: “Non chiedo di meglio”.
 
 
 
 
 
 
Note finali
Prima di tutto volevo ringraziare tutti quelli che hanno inserito questa storia tra le preferite/seguite/ricordate.. e tutti quelli che hanno trovato il tempo di lasciare un commento!
Grazie, grazie, grazie!
E’ bello e gratificante sapere che il proprio lavoro è apprezzato! Ti sprona a scrivere meglio, a scrivere ancora…!
Questa storia era da parecchio tempo che ce l’avevo in mente, ma non riuscivo mai a trovare le parole giuste per iniziarla.. poi l’ispirazione è arrivata e ne sono usciti 13 capitoli! 
Mi è piaciuto metterla nero su bianco e spero di non avervi deluso!
Detto questo, vi saluto e alla prossima!
Saluti, HiL

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3815219