aspettando la fine dei giochi

di kibachan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** cap 1 ***
Capitolo 2: *** cap 2 ***
Capitolo 3: *** cap 3 ***
Capitolo 4: *** cap 4 ***



Capitolo 1
*** cap 1 ***


Cap 1

Tony afferrò il mucchio di dati che riempivano lo schermo olografico davanti a sé, li compresse chiudendo il pugno e li trascinò sul software dell'orologio. Dietro di lui Pepper continuava a fissarlo con sguardo duro. La ignorò nonostante la pressione che sentiva sulle spalle.

"dico solo!" esclamò lei a voce alta per richiamare di nuova la sua attenzione su di sé "se ci hai pensato... se davvero è la cosa giusta da fare!" Questa volta Tony le concesse di voltarsi dalla sua parte per poterla meglio fulminare con lo sguardo "è un anno che non faccio altro. Quindi... sì! direi che ci ho pensato!" la donna non si lasciò scoraggiare "rompere la barriera spazio temporale, tornare indietro, cambiare il passato. Hai idea delle implicazioni che questo potrebbe avere sulla vita di tutti? Io dico di no! perché nessuno può averla!"Queste cose gliele aveva dette quasi urlando. Seguendolo nel lungo corridoio che dal laboratorio portava all'ascensore per la superficie "evitare lo schiocco di dita?" ribatté lui premendo con forza il tasto dell'ascensore "impedire la morte di tre miliardi e mezzo di persone? Non mi sembrano implicazioni negative!" poi fece un grosso respiro e le poggiò le mani sulle spalle, guardandola negli occhi per tentare di condurla sulla sua stessa linea di pensiero "non capisci? se riusciamo nel nostro intento sarà come se questo orribile anno non ci fosse mai stato, il mondo ha bisogno di questo, la gente ha bisogno di questo" Pepper scosse la testa mentre un jingle annunciava l'apertura delle porte "sei tu che non capisci..." disse con voce flebile seguendolo nell'ascensore "quel che è accaduto è stato orribile, devastante.... ma è passato un anno. Non pensi che la gente ora stia cominciando a voltare pagina? A riprendersi, ad accettare" su queste parole Tony scosse la testa vigorosamente e smise di nuovo di guardarla. Lei lo accarezzò sul braccio "non pensi che le persone siano stanche della guerra? Di combattere? Di avere nuovi motivi per soffrire?" la voce della donna era dolce. Quella di Tony non lo fu "Pepper stiamo parlando della perdita di 3 miliardi e mezzo di persone" ringhiò quasi "padri, figli, mogli, mariti, amici... cosa può far soffrire più di questo! L'altro giorno ho saputo che il nostro funzionario delle risorse umane si è suicidato! Lo schiocco di dita gli aveva portato via moglie e tre bambini. Non è abbastanza come sofferenza???"

Le porte dell'ascensore si aprirono sul sospiro doloroso di Pepper. Tony uscì a passo di marcia ma lei lo bloccò poco oltre la soglia "ma c'è anche chi in quest'ultimo anno ha avuto un figlio!" gli disse "chi si è liberato dalla schiavitù di qualcuno, chi è sfuggito a una relazione violenta, chi ha avuto una vocazione e ha dedicato tutta la sua vita e le sue sostanze ad aiutare gli altri, salvando centinaia di vite! Tornando indietro queste cose potrebbero anche non avvenire mai!" la voce sempre più alta "il punto è che non puoi decidere tu per tutti quanti Tony!" guardò il soffitto in un moto di esasperazione, sforzandosi per non piangere.
Ma Tony sembrò indurito ancora di più da queste ultime parole "beh, non poteva farlo neanche Thanos" tagliò corto. Poi si divincolò con uno strattone dalla sua presa e si diresse con passo deciso alla porta d'ingresso. Pepper tirò forte su col naso e si asciugò rapidamente gli occhi prima di seguirlo.
"dimmi la verità!" la sua voce rotta lo bloccò mentre già aveva aperto la porta "lo fai per il mondo??? davvero?? o lo fai per lui!?"

Tony sentì una fitta dolorosa al petto. Pepper aveva colto nel segno, ma comunque non capiva. E d'altra parte come poteva? Lei non era lì. Non aveva visto i suoi occhi di bambino pieni di paura. Non si era sentita stringere con disperazione, come con la convinzione che il solo fatto di abbracciarlo avesse potuto salvarlo. Non gli aveva sentito chiedere scusa un attimo prima di sparire. Non si era ritrovata a stringere nel pugno null'altro che polvere.

Forse era davvero egoista, ed egocentrico, come sempre. Ma lui quella sofferenza non la sopportava più.

E senza dire più una parola varcò la soglia chiudendo con forza la porta dietro di sé.

 

 

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Capitolo 2
*** cap 2 ***


Cap 2

Il lampo dei fanali di un auto, che sfrecciò davanti alle tapparelle dimenticate aperte, la svegliò.
Natasha rilassò il respiro constatando il buio quieto attorno a lei. Era ancora notte. Si issò seduta, drappeggiandosi poi un lembo di lenzuolo attorno alle spalle. Anche se era ancora agosto la notte cominciava già a rinfrescare, e lei era completamente nuda. Guardò la schiena di Clint, coricato su un fianco accanto a lei. Notò la leggera peluria dietro il collo dritta per il freddo, e con un piccolo sorriso allungò il lenzuolo anche su di lui. La sua testa, ormai completamente rasata se non per via di un ciuffo sulla sommità, si mosse appena permettendogli di intravedere il suo profilo. Il sorriso morì sul volto di Natasha. Come ogni notte in quel lungo anno, quello del suo compagno non era un sonno sereno. Scene o ricordi troppo dolorosi si ripresentavano da lui ogni volta che chiudeva gli occhi.

Guardò l'orologio sul comodino. Tra poche ore sarebbero partiti per quella che decisamente poteva essere la loro ultima missione. Addirittura un salto nel tempo. Tornò ad osservare Clint, riempiendosi gli occhi di ogni dettaglio del suo corpo nudo, sdraiato accanto al suo. Perchè se avessero avuto successo... quella sarebbe stata per sempre la loro ultima notte.

Lo schiocco di dita che aveva cambiato il mondo era stata particolarmente impietosa con Clint. Aveva spazzato via in un istante tutta la sua famiglia, davanti ai suoi occhi. Senza che lui avesse potuto fare niente.
Clint ne era era uscito devastato. Si era trasformato in una persona molto diversa. Un agente molto diverso. Violento, freddo, come non era mai stato. Solo con lei riusciva a tornare sé stesso, anche se per qualche momento.

Forse era per questo all'inizio che era andato a vivere insieme a lei. Perché non sopportava la desolazione di casa sua, e lei era la cosa più simile a una famiglia che gli fosse rimasta.
Ma poi era successo qualcosa in quell'ultimo anno. Qualcosa che probabilmente era sempre rimasto ad aleggiare nell'aria tra loro, come una specie di non detto. Avevano finito per stare insieme. Per perdersi l'uno nelle braccia dell'altro per scappare a quell'immane dolore. Per innamorarsi.

Natasha aveva riflettuto sul fatto che probabilmente lo amava da sempre. E forse anche lui, l'aveva sempre amata. Indubbiamente erano stati attratti l'uno dall'altra ai tempi del loro primo incontro, ed avevano anche condiviso il letto in gioventù. Ma lei a quel tempo era troppo poco umana per spingere la loro relazione affettiva oltre il sesso, e lui lo sapeva bene. Poi Clint aveva incontrato Laura... e tutto era cambiato. Quel qualcosa che c'era era finito in uno di quei cassetti della memoria in cui giacevano gli avvenimenti inconfessabili di tante missioni folli, in giro per il mondo. Ricordi che vuoi dimenticare. Ai quali quasi non credi quando ripensi a te stesso. E loro due si erano convinti e calati nei panni degli amici insostituibili, dei partner di lavoro perfetti.

Ma gli avvenimenti dell'ultimo anno avevano riportato tutto prepotentemente alla luce.

Natasha sospirò. Si chiese se Clint avesse ragionato sul fatto che riportare tutti in vita, annullare quegli ultimi 12 mesi, significasse rinunciare per sempre a loro due.
Ma non importava.
Lei lo aveva fatto.
E aveva concluso che le andava bene così. Che voleva di nuovo vederlo con quel sorriso di pura gioia stampato perennemente sul viso tutte le volte che guardava i suoi bambini, che voleva vederlo di nuovo sereno. Non importava se per lei non fosse rimasto niente.

Si sdraiò accanto a lui e gli passò un braccio intorno alla vita stringendolo forte. Respirò a fondo contro la pelle della sua schiena. Quello era il suo pegno d'amore definitivo. Lo avrebbe lasciato andare. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellare per sempre quell'anno in cui si erano amati e lasciarlo felice con la sua famiglia.
Voleva solo tenerlo stretto a sé ancora per qualche ora. Sentirlo ancora, per quegli attimi di notte, solo suo.

Poi sarebbe bastato così.

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Capitolo 3
*** cap 3 ***


NOTA DELL'AUTRICE: scusate l'immane ritardo ma il computer ha gentilmente deciso di sfasciarsi con all'interno la mia fic proprio la volta che ne avevo una tutta pronta T_T Ora sono tornata


Cap 3

Nella navicella regnava un silenzio irreale, dato quanto fervore l'aveva animata in quei mesi. Rocket si era dato da fare più che mai, costruendo ogni sorta di congegno la sua intelligenza superiore gli suggerisse potesse tornare utile nella missione per sconfiggere Thanos, e poi ne aveva disfatti più della metà poco dopo.

Thor, che gli aveva fatto compagnia in quei mesi, lo guardava lucidare il piccolo schermo di un apparecchio rilevatore di onde gamma, con una meticolosità ormai definibile ossessiva.
Si capiva che era agitato.
Sarebbero partiti la mattina seguente.

Buttò giù una sorsata di intruglio che coraggiosamente aveva definito caffè e si costrinse a trattenere una smorfia disgustata, per non ammettere il suo totale fallimento.
"Tu lo sai... vero? Che non c'era altro modo" la voce di Rocket era stata talmente assente in quelle ultime ore che sentirla fece quasi sobbalzare il dio del tuono, intento a detestare le sue capacità culinarie. Lo guardò senza capire... lì per lì..
"intendo dire... per la faccenda della tua famiglia. Non è niente di personale davvero, si tratta di probabilità di successo" Thor sospirò, ma si sforzò di sorridere "si, si... tranquillo lo capisco"

"la gemma dell'anima, ammesso che riusciamo a sottrarla a Thanos, cosa già decisamente improbabile" si sentì comunque in dovere di spiegare Rocket "è in grado di esaudire un desiderio, uno qualsiasi, però solo uno. Ma se chiedessimo semplicemente di riportare in vita tutti quelli uccisi da Thanos rischieremmo di non includere quelli dello schiocco di dita. Per una questione di semantica magari!" si infervorò balzando in piedi "perché sono spariti e non morti, o perché in realtà li hanno uccisi le gemme e non Thanos, vai a capire! Non possiamo rischiare, stiamo parlando di metà della popolazione dell'universo"

Thor annuì. La sua gente, Heimdall e Loki, non erano stati spazzati via dallo schiocco di dita. Thanos li aveva uccisi personalmente. Chiuse gli occhi dal dolore nel ripensarci. Ancora l'aveva davanti la scena di lui che spezzava il collo di suo fratello. Se il desiderio fosse annullare gli effetti dello schiocco di dita la sua famiglia non sarebbe comunque tornata... e lui sarebbe continuato ad essere l'unico superstite della sua intera civiltà.

"credimi che mi dispiace" disse ancora Rocket "e tu credimi che capisco" ribatté Thor.
Il procione tornò a sedersi sbuffando, tentando di mandar via la tensione dalla spalle. Meccanicamente tirò fuori da una tasca il videogioco con cui si intratteneva sempre Groot e lo accarezzò sospirando. Si sentiva quasi in colpa della febbricitante euforia che sentiva, alla sola speranza di poterlo rivedere.
"rivedrai tuo figlio presto, te lo prometto" gli disse Thor rassicurante, a Rocket invece si arruffò tutto il pelo di colpo dall'imbarazzo "MA DI CHE STAI PARLANDO!!" urlò "di Groot" rispose il biondo con semplicità "ero lì... quando è sparito... ti ha chiamato papà.... giusto?"
Rocket si chiese se veramente per lui fosse possibile arrossire e distolse lo sguardo "perché? tu capisci la sua lingua?" Thor sorrise con quell'aria tronfia che faceva sempre quando si pavoneggiava "ho migliaia di anni, conosco praticamente tutte le lingue dei nove regni" Rocket sbuffò e tornò a gingillarsi con il videogame per tenere le mani occupate
"beh si... nella sua forma rigenerata aveva deciso di eleggermi come suo padre" borbottò "sempre detto che è un essere dotato di scarsa intelligenza" aggiunse facendo ridacchiare Thor.
Rocket sospirò pesantemente "se ne avrò l'occasione, mi piacerebbe essere un padre migliore per lui, di come sono stato" confessò. Thor annuì anche se l'altro non poteva vederlo, poi il suo sguardo si fece nostalgico "anche a me sarebbe piaciuto diventare padre" ammise, con una nota di dolore nella voce. Rocket emise un verso scocciato "beh se non sbaglio sei pressoché eterno no?" sbottò con il suo solito tono acido "mai dire mai!"

Thor sorrise ancora. Ma stavolta il sorriso non raggiunse gli occhi. Non lo aveva detto a nessuno, ma lui lo sapeva bene. Aveva studiato ogni dettaglio delle gemme dell'infinito in gioventù.
Agli altri non lo aveva detto... ma la gemma dell'anima esigeva un tributo, un tributo all'altezza, per esaudire il desiderio.
Thor sperava solo che la vita del dio del tuono e del fulmine fosse un tributo sufficiente per riportare in vita mezzo universo.

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Capitolo 4
*** cap 4 ***


Cap 4

 

Happy raggiunse a fatica il portone d'ingresso del palazzone popolare, scavalcando cumuli di immondizia e un uomo che si era addormentato proprio sull'uscio. Aveva provato a convincerla in tutti i modi in quei mesi ad abbandonare quel tugurio, ma lei non aveva voluto saperne.
Raggiunse il settimo piano senza ascensore ormai con una certa agilità, nonostante i sacchetti colmi della spesa tra le braccia. Aveva fatto quelle scale quasi ogni giorno nell'ultimo anno, ormai era allenato.
Giunto davanti al civico 712 agguantò alla meglio le chiavi dalla tasca sul retro dei calzoni ed entrò nell'appartamento. Alzò gli occhi al cielo quando poco oltre la soglia i suoi piedi calciarono alcune lattine di birra vuote abbandonate sul pavimento.
Alle solite.
Cominciava a credere che il tipo dello spaccio all'angolo ormai le facesse credito, non era possibile nella sua situazione riuscire a permettersi tutto quell'alcol.
"May!" la chiamò a voce alta "May sono io! Ci sei?" chiese dato che la stanza era in penombra.
Un brontolio proveniente dalla stanza da letto gli rispose di sì. Poggiò le buste della spesa sul tavolo, alzò le serrande e spalancò le finestre agitando le mani in aria per convincere l'odore di chiuso a sloggiare. Poi corse a rovesciare il rimanente contenuto di una bottiglia di quello che più che rum sembrava acido antigelo nel lavandino della cucina.
"sei venuto a dare una pulita?" la voce sardonica della donna lo fece voltare. Sulla soglia della camera da letto May Parker, in pigiama e lattina di birra alla mano, gli fece un cenno di saluto con la spalla poggiata alla porta. Happy sbuffò forte aria dal naso e dalla bocca in segno di disapprovazione
"questa robetta l'hai bevuta prima della birra?" le disse sollevando la bottiglia di rum/antigelo "quante volte ti devo dire di non salire e scendere di gradazione???" La donna sbuffò a sua volta "ed io che ero felice di vederti..." commentò ironica andandosi a sedere accanto al tavolo.
Happy le sfilò delicatamente la lattina di mano e analizzò critico le borse sotto gli occhi di May. Non poteva andare avanti così "ti preparo il caffè" le disse in tono asciutto, che non ammetteva repliche.

Era sfibrante vedere una donna come lei ridotta in quel modo, ma d'altra parte all'inizio non era riuscito a biasimarla. Quando aveva saputo della morte di Peter aveva dato di matto. Aveva quasi aggredito il signor Stark, aveva pianto per giorni, domandandosi perchè non fosse toccato a lei. Poi un giorno aveva scoperto che se beveva riusciva almeno a dormire, lei che non aveva mai avvicinato una goccia d'alcol in vita sua, e da allora non era più riuscita a fermarsi.
Happy non sapeva come mai, nonostante tutte le persone care che avesse perso, non era riuscito a concentrarsi sul suo dolore, ma si era invece lanciato nella disperata crociata di salvare lei. Forse perchè gli dispiaceva così tanto; forse perchè si era affezionato da morire a Peter in quel poco tempo che lo aveva conosciuto, che poteva solo immaginare quanto lei stesse soffrendo; forse per non pensare al proprio di dolore. Fatto sta che aveva cominciato ad andare da lei ogni giorno per controllare che non si fosse suicidata e che mangiasse, fino a che lei quasi con indifferenza non le aveva perfino dato le chiavi di casa sua.

Le poggiò davanti la tazza fumante e, dopo aver riposto nel frigo la spesa, si sedette di fianco a lei. "non sei uscita per niente oggi?" le disse dolcemente "perchè dovrei..." fu l'amara risposta "il lavoro non ce l'ho più ormai" "non sarebbe ora di trovarsene uno nuovo?" insistette lui. Non osava dirle che il signor Stark si era offerto di aiutarla a trovarne uno. Sapeva che non voleva neanche sentirlo nominare.

Happy perchè fai tutto questo me eh?" le rispose lei invece con un'altra domanda "davvero, me lo sono chiesta varie volte... cos'è? ti senti in colpa? Non devi... se ho capito bene, anche se Peter non fosse mai diventato Spiderman, non sarebbe cambiato nulla, dovunque si fosse trovato lui sarebbe comunque...." non riuscì a finire, il labbro prese a tremarle in maniera incontrollata e le pupille le si dilatarono dallo sforzo di trattenere le lacrime, così si tuffò sulla tazza di caffè e bevve una lunga sorsata bruciandosi lingua ed esofago... ma bene così, almeno il dolore fisico le aveva temporaneamente cacciato via il brutto pensiero dalla testa. Happy sospirò passandosi una mano sugli occhi "non è così..." sussurrò "o forse lo era in principio ma poi..." confessò "May, io vorrei davvero che tu riuscissi in qualche modo a superarla e a riprenderti" le disse "lo vorrei per te. Dico sul serio" aggiunse, azzardandosi poi ad allungare una mano per spostare i capelli da davanti al viso.
"sai è buffo" sorrise a questo punto May, apparentemente ignorando le sue parole "ho sempre pensato che io e Ben avessimo salvato Peter, accettando di occuparcene anche se eravamo molto giovani" spiegò "che sciocca... non mi ero mai accorta che invece era stato lui a salvare me" disse con la voce che le si incrinava sul finale "che era stato lui a dare alla mia vita un senso" ora piangeva "perchè io ora senza di lui, della mia vita non so proprio che fare!" May si concesse un minuto per piangere, mentre l'uomo si allungava dalla sedia per abbracciarla, anche se in modo goffo, ma fu solo un minuto, poi con un rumoroso respiro si staccò da lui e guardando in alto si asciugò rapidamente il viso "oddio, non sei certo venuto qui per sentirmi piangere" borbottò passandosi ancora freneticamente una mano sotto gli occhi e tornando a stringere con l'altra la tazza di caffè. Happy sospirò "sono venuto qui per qualsiasi motivo tu abbia bisogno di me" lei gli concesse un piccolo sorriso forzato e si alzò in piedi "grazie, davvero, ma mi hai già fatto la spesa e riordinato la stanza, hai fatto già tanto!" gli disse convinta, andando poi a svuotare il caffè nel lavandino.
L'uomo sospirò ancora nel vederglielo fare. Niente. Non c'era verso di tirarla fuori da quel baratro. Perchè lei stessa non aveva alcuna volontà di uscirne. Si alzò a sua volta e si gettò la giacca su una spalla facendo poi alcuni passi verso la porta.
In realtà era venuto lì anche per un altro motivo. Voleva dirle che gli Avengers avevano elaborato un folle piano che, non aveva idea di come, avrebbe potuto riavvolgere il tempo, cambiare le cose.... forse.... farlo tornare.
Ma per come stava May quel giorno non gli parve saggio darle false speranze. Il signor Stark gli aveva detto che le probabilità di riuscita erano vicine allo zero, tante le variabili che c'erano in gioco.
Lei non avrebbe sopportato altro dolore.

Solo sulla soglia della porta, una volta già girata la maniglia si voltò a guardarla, così piccola e smagrita, così distrutta, ma nonostante tutto così bella.
"May" la chiamò "se domani mattina dovessimo svegliarci in un mondo diverso, ti inviterò ad uscire formalmente, promesso" le disse.
Lei non capì e lui non disse altro. Le sorrise e uscì.

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