Il giuramento

di AthenaKira83
(/viewuser.php?uid=997427)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


New York, 8 anni prima

Un fulmine squarciò il cielo plumbeo. Il rumore del tuono, che arrivò poco dopo, riuscì a coprire a malapena il grido di piacere che la donna bionda si lasciò sfuggire dalla labbra morse a sangue, nella vana speranza di non farsi sentire. Imprecò sommessamente, mentre stringeva, con più forza, il bordo della scrivania su cui era piegata.
Una risatina roca ed affannata le accarezzò l'orecchio sinistro.
"Shhh!" la ammonì, divertito, il ragazzo alle sue spalle, mentre spingeva ritmicamente dentro di lei.
La donna lo ignorò e continuò ad assecondare quegli assalti che la condussero ben presto all'apice del piacere, seguita a ruota dal compagno.
"Per Lilith!" esclamò soddisfatto il ragazzo, ansando e risistemandosi i pantaloni.
"Stai migliorando!" si complimentò la donna, alzandosi e girandosi per fronteggiarlo.
Il ragazzo le sorrise orgoglioso. "Faccio parecchia pratica!" rispose allegro.
Una fitta di gelosia, tanto acuta quanto inaspettata, saettò nel petto della bionda. Scosse la testa, come a voler scacciare quella fastidiosa sensazione, rimise a posto la gonna e la camicetta e si piegò per raccattare le mutandine gettate a terra neanche dieci minuti prima. Si avvicinò felina al giovane e gliele ficcò nella tasca posteriore dei jeans, palpando, visto che c'era, la natica soda che sentiva sotto le dita. Quel moccioso aveva un corpo perfetto per avere solo vent'anni.
"Quando lo rifacciamo?" chiese, in punta di piedi ed ad un soffio dalle sue labbra, pentendosene un attimo dopo, perchè ora sarebbe sembrata un'odiosa ragazzina alla prima cotta.
Non era, però, riuscita ad evitare quella domanda. Le sarebbe piaciuto avere un atteggiamento algido con lui, cosa che le riusciva perfettamente nella realtà di tutti i giorni con le altre persone, ma da quando erano iniziati quegli incontri clandestini, attendeva quella deliziosa ed eccitante evasione con sempre più maggiore trepidazione.
Non sapeva se era tutto merito del ragazzino, che riusciva a farle raggiungere l'estasi come non c'era mai riuscito nessun altro, o se era per l'ebrezza del peccato, visto che era assolutamente proibita quella tresca che, invece, era nata e continuata nel tempo. Forse per entrambe le cose, decise.
"Non lo so! Devo andare. Ho altre commissioni da fare. Ci vediamo!" le disse, per tutta risposta, il ragazzo, allontanandosi da lei ed uscendo dalla stanza.
La donna incrociò le braccia al petto, irritata. Odiava quando si comportava così. Quel mocciosetto, alla prossima occasione, avrebbe dovuto sudare sette camicie per tornare a trastullarsi con lei!
Sospirò seccata ed iniziò a sistemarsi per tentare di eliminare ogni possibile traccia di quello che era appena successo. Si accorse, con grande disappunto, che c'era uno strappo sulla gonna. Il tessuto doveva essersi impigliato da qualche parte quando il ragazzino l'aveva presa e sbattuta sulla scrivania. Avrebbe dovuto gettarla ed era un peccato, perchè era una delle sue preferite. Dannato moccioso!
Si girò di scatto non appena sentì richiudersi, dietro di lei, la porta della stanza.
"Oh cielo!" esordì, portandosi la mano al petto. "Mi hai fatto prendere uno spavento!" sorrise, mentre l'uomo che era entrato nello studio si avvicinò a lei. "Sei tornato presto!" osservò.
Lui non parlò, limitandosi a trapassarla con un'occhiata glaciale che le fece rizzare i peli dietro la nuca. Oh oh. Era arrabbiato. E parecchio anche.
"Tesoro, c'è qualcosa che non va?" chiese, con la voce più mielosa che riuscì a tirare fuori, appoggiando il palmo della mano sulla sua guancia.
Che sospettasse qualcosa? No, non era possibile. Lei ed il ragazzino erano sempre stati estremamente cauti. Certo, in quel preciso momento, suo marito sarebbe dovuto essere in viaggio di lavoro, anzichè davanti a lei, ma questo non significava che era stata scoperta.
L'uomo prese tra le dita il polso della donna e strinse, dapprima leggermente, poi sempre più forte.
"Ahi! Mi stai facendo male!" lo avvertì la donna, tentando di sottrarsi a quella morsa, senza tuttavia riuscirci. Non era spaventata, ma cominciava ad agitarsi.
Il manrovescio che le arrivò all'improvviso, però, le fece piegare la testa di lato e schizzare il cuore in gola. Boccheggiò, sia per lo shock che per la botta ricevuta. Ora, era il momento di iniziare ad avere paura.
Guardò smarrita, e con le lacrime agli occhi, l'uomo di fronte a lei. "Perchè?" fu tutto quello che riuscì a chiedere, prima che una scarica dolorosa la trapassasse da capo a piedi.
Con occhi sbarrati di incredulità, abbassò lo sguardo verso il proprio ventre. Un manico dorato, e finemente lavorato, spiccava sul bianco candido della camicetta e su una macchia rosso scuro che stava inzuppando velocemente il tessuto.
Rialzò gli occhi sull'uomo, che la guardava imperturbabile, e sentì distintamente la lama ritirarsi dalla sua carne per poi affondare di nuovo in lei, in un altro punto.
Avrebbe voluto urlare, ma le uscì solo un verso strozzato, mentre la macabra danza del coltello continuava ancora, e ancora, e ancora.
In un ultimo lampo di lucidità, mentre si accasciava al suolo, si rese conto che stava morendo, che lui la stava uccidendo.
L'ultima cosa che sentì, prima di sprofondare definitivamente nel buio che la stava risucchiando a sè, fu la risata terrificante dell'uomo.

Il temporale era finalmente cessato e Magnus camminava lentamente lungo il marciapiede, fermandosi, di tanto in tanto, ad osservare le vetrine.
Gli sarebbe piaciuto entrare in ogni negozio ed uscirne pieno zeppo di sacchetti, ma la banca gli aveva bloccato, per l'ennesima volta, la carta di credito perchè il conto corrente era in rosso. Accidenti! Quei damerini in giacca e cravatta non riuscivano a capire che per lui avere l'ultimo modello di quelle scarpe favolose o quella camicia assolutamente fantastica, che di certo non trovavi al mercatino dell'usato, non era uno sfizio, ma questione di vita o di morte! Insomma mica poteva andare in giro vestito da straccione, no?
Passò oltre una vetrina che l'aveva particolarmente affascinato, ma ritornò sui suoi passi quando decise che la giacchetta borchiata, che aveva ammirato per un numero imprecisato di minuti, era troppo bella e non poteva lasciarla su quel manichino inespressivo. Sarebbe stato un reato!
Se non ricordava male, doveva avere almeno duecento dollari nel portafoglio. Bastavano eccome. Si tastò, quindi, le tasche dei jeans.
Su quella di destra trovò le mutandine di Camille: le prese, schifato, e le gettò nel bidone dell'immondizia là accanto. Quando mise la mano nell'altra tasca, però, scoprì di non averlo più con sè. Cazzo! Doveva averlo perso mentre si dava da fare con la donna!
Sarebbe dovuto tornare a riprenderlo, rivedendo, così, la bionda. La cosa, però, anzichè eccitarlo, lo seccava enormemente perchè, sì, lei era molto bella e con le curve al posto giusto, ma stava diventando troppo appiccicosa per i suoi gusti. Avrebbe dovuto dare retta al suo istinto e non accettare di incontrarla nuovamente, dopo la prima scopata.
Magnus non era fatto per le relazioni stabili. A lui piaceva, infatti, svolazzare di fiore in fiore e farsi uomini o donne (od entrambi, perchè no?!) diversi ogni giorno.
Camille, però, era stata così insistente che, alla fine, aveva ceduto. Non che gli fosse dispiaciuto, anzi, ma era giunto il momento di troncare quel rapporto, fin troppo particolare rispetto ai suoi soliti standard, soprattutto prima che lei diventasse una spina nel fianco.
Sbuffò. In un certo senso era colpa sua. Essere troppo bello e troppo desiderabile era la sua croce e la sua delizia.
Il motivo principale, comunque, per cui fece marcia indietro era che non poteva permettersi di lasciare il portafoglio in quella casa. Se fosse capitato tra le mani del marito di Camille, instillando anche il più remoto sospetto che tra i due potesse esserci qualcosa, Magnus era sicurissimo che entrambi sarebbero andati a fare compagnia ai pesci in modo talmente veloce che non se ne sarebbero neanche resi conto. Era meglio non far arrabbiare quell'uomo. Era inquietante. E pericoloso.
Arrivato a destinazione, sgattaiolò all'interno della casa, con la sicurezza che derivava dall'esperienza di averlo fatto decine di volte.
Silenzioso come un gatto, ritornò nello studio, sperando di non dover incontrare nuovamente Camille. Per Lilith, se lei era ancora lì, sicuramente non se la sarebbe più scollata di dosso!
La stanza, fortunatamente, era buia, ma vuota. Per evitare di farsi scoprire, non accese la luce, ma solo la torcia del cellulare e guardò sotto la scrivania, visto che era il posto più probabile dove poteva aver perso il portafoglio, quando si era slacciato i pantaloni. Lo trovò là, infatti. Lo recuperò velocemente e, nel fare dietrofront, scivolò su qualcosa di viscido, lasciando andare il telefono nella caduta.
Aggrottò le sopracciglia e saggiò con le dita la cosa viscosa che gli aveva fatto perdere l'equilibrio. Cos'era? Ritornò in possesso del cellulare e puntò la luce della torcia sulla mano: le dita erano colorate di rosso. Il suo cuore prima perse un battito, poi iniziò a palpitare furiosamente nel petto. Rapidamente indirizzò il fascio di luce anche sul punto dove i suoi piedi avevano perso aderenza e al ragazzo si fermò il respiro.
Un'enorme chiazza scura spiccava sul pavimento dello studio e Magnus era sicurissimo che, fino ad un'ora prima, quella cosa non c'era. Ne era talmente certo che avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco.
Quando finalmente il cervello recepì l'informazione visiva, Magnus sentì improvvisamente l'odore metallico del sangue invadergli ferocemente le narici. Gli venne da vomitare e, prima di farlo, decise saggiamente di alzarsi da terra. Tremava mentre si asciugava le dita sui pantaloni.
Di chi era quel sangue? Cosa era successo in quella stanza?
Il respiro si fece affannato ed incontrollato ed il ragazzo si impose di calmarsi. Doveva farlo se voleva uscire indenne da quella situazione.
Era nella casa di uno degli uomini più pericolosi dell'intero paese, c'era moltissimo sangue e lui poteva essere incastrato per quell'omicidio o addirittura essere la prossima vittima. Non impazziva per nessuna delle due ipotesi.
"Pensa Magnus! Pensa!" si disse, inspirando ed espirando più e più volte.
Via. Doveva andare via da lì, subito.
Come prima cosa, decise di togliersi le scarpe, perchè le suole erano macchiate di sangue ed avrebbero lasciato delle tracce che avrebbero potuto ricondurlo a lui. Poi toccò alle impronte. Quando si era dato da fare con Camille, aveva toccato qualcosa? Ci pensò e, a parte il corpo della donna, era sicuro di non aver sfiorato nessun'altra superficie.
Ok, doveva essere a posto.. il preservativo! Dove cazzo aveva buttato il preservativo? L'aveva gettato nel cestino? Guardò nel bidone, ma era immacolato. Stava per farsi prendere da un attacco di panico, quando si ricordò di averlo portato via con sè, quando se n'era andato dalla stanza la prima volta, e di averlo gettato alla prima occasione utile.
Prese un altro respiro e, con cautela, sbirciò fuori dalla porta per vedere se c'era qualcuno nei paraggi. Nella casa regnava il silenzio assoluto e Magnus schizzò fuori dalla stanza. Sperò e pregò di non incontrare nessuno durante la sua fuga e, fortunatamente, fu accontentato.
Respirò a pieni polmoni non appena ritornò all'aria aperta, come se fosse emerso dopo una lunghissima immersione.
Aveva appena girato l'angolo del muro di cinta dell'abitazione, quando una voce lo gelò.
"Ehi! Ehi ragazzino! Fermati!" urlò un uomo.
L'istinto di sopravvivenza di Magnus gli gridò prepotentemente di scappare e lui lo fece, dirigendosi verso il marciapiede trafficato.
Vide solo una sequenza indistinta di volti, mentre correva a perdifiato, e si accorse della donna solo quando le rovinò sopra.
"Mi.. mi scusi!" ansimò Magnus. "Oh cielo, si è fatta male?" le chiese, quando la aiutò a rialzarsi, accorgendosi del suo volto sofferente.
La donna fece in tempo a fare un debole cenno di diniego, quando il richiamo dell'uomo si fece risentire.
"Ragazzino! Ragazzino fermati!!" lo sollecitò.
Gli occhi di Magnus si spalancarono per il terrore. L'avrebbero preso e Dio solo sapeva cosa gli avrebbero fatto. Torture, sevizie ed infine, quando ormai sarebbe stato solo una poltiglia sanguinolenta, la morte.
La donna guardò prima il ragazzo e poi l'uomo che stava avanzando verso di loro. Prese il polso di Magnus e lo trascinò nel taxi che la stava aspettando, e che avrebbe preso se lui non le fosse piombato addosso. Diede l'indirizzo al conducente e l'auto partì prima che lo sconosciuto potesse raggiungerli.
Magnus si girò verso di lei. "Grazie! Grazie! Grazie! Mi hai salvato la vita!" le disse, colmo di gratitudine, prendendole le mani.
La donna sorrise. "Prego." rispose timidamente.
"Io sono Magnus!" si presentò.
"Lydia." rispose, laconica, la donna.
Il silenzio piombò nell'abitacolo ed i due si fissarono, studiandosi.
Lui aveva un aspetto terribile, con i capelli sparati in tutte le direzioni, gli abiti sgualciti e macchiati di sangue e scalzo, ma lei era talmente pallida che sembrava pronta per la bara da un momento all'altro! Era carina, però, e doveva avere all'incirca la sua età, era bionda, aveva gli occhi azzurri, era ricca, a giudicare dagli abiti che portava, e tremendamente incinta!
Lydia sorrise quando notò dove si era posato lo sguardo del ragazzo.
"E' un maschio. Si chiamerà Max." lo informò, rispondendo alla tacita domanda del giovane, mentre si accarezzava il ventre.
"Sei sicura che ce ne sia solo uno là dentro?" chiese Magnus, sorpreso.
Lydia rise divertita. "Sì, un solo bambino!" confermò.
Il ragazzo guardò scettico la pancia, per nulla convinto di quello che lei gli aveva appena riferito. Il ventre era talmente prominente, che era certo che lei attendesse tre gemelli!
Ritornò lo sguardo sul suo viso e la guardò preoccupato. "Non stai bene." constatò.
Il sorriso della donna si spense. "E' solo la fatica della gravidanza. Non preoccuparti." gli disse, tentando di minimizzare il suo stato di salute.
Anche in quel frangente, Magnus fece fatica a crederle, ma non voleva sembrare invadente e non insistette. Oltretutto, anche se non si conoscevano, e nonostante il suo aspetto, la donna non aveva posto nessuna domanda né lo guardava con diffidenza. Evitare il terzo grado, gli sembrava il minimo.
Guardò fuori dal finestrino e l'enormità della situazione in cui si era cacciato lo riportò alla realtà come una secchiata d'acqua fredda.
Era nei guai. Se lo sconosciuto, e Magnus non aveva motivo di dubitarne, era uno degli scagnozzi del marito di Camille, lui doveva assolutamente sparire dalla circolazione. Almeno fino a quando le acque non si fossero calmate, almeno fino a quando non fosse stato sicuro di non essere più in pericolo di vita. Con Valentine Morgenstern non si scherzava.
Il suo istinto gli diceva che, nel punto in cui c'era l'enorme pozza rosso scuro, qualcuno era morto e non aveva nessuna intenzione di essere nei paraggi per fare la sua stessa fine.
La cosa più logica da fare sarebbe stata quella di chiamare la polizia, ma cosa avrebbe potuto dire? E come avrebbe potuto giustificare la sua presenza in quella casa, senza compromettere Camille? Certo la donna stava diventando una palla al piede, ma, nel caso in cui ci fosse stata una spiegazione plausibile per tutto quel sangue, Magnus rischiava di darla in pasto alla cattiveria del marito ed era una cosa che non avrebbe fatto mai e poi mai. Non avrebbe augurato l'ira di Morgenstern neanche al suo peggior nemico!
L'unica idea che gli veniva in mente, quindi, era quella di fuggire il più lontano possibile.
Sospirò affranto. Dove poteva andare? Non voleva coinvolgere i suoi migliori amici e non aveva una famiglia presso cui rifugiarsi.
Emise un altro sospiro sconsolato e Lydia lo notò.
"Tutto bene?" gli chiese dolcemente.
"Sì.. no.." ammise il ragazzo. "Devo.. devo andare via da New York il prima possibile." le confessò, proprio mentre il taxi si fermava all'indirizzo richiesto dalla donna.
Lydia lo osservò in silenzio e poi annuì. "Tra pochi minuti mi imbarcherò sulla Queen Mary 2." lo informò. "Viaggio da sola." gli disse, facendo una pausa, in attesa che Magnus recepisse l'informazione che gli aveva appena fornito. "Ma questo lo sappiamo solo tu ed io. E avrei davvero bisogno di qualcuno che venisse con me." terminò.
Il ragazzo fissò il volto della sua salvatrice e riuscì solo ad annuire, grato per quella possibilità che quell'angelo biondo gli stava servendo su un piatto d'argento.

"Signor Bane, ecco suo figlio!" annunciò l'infermiera, ponendogli delicatamente tra le braccia il neonato.
Magnus guardò spaesato prima la donna e poi il bambino. Non sapeva assolutamente niente di infanti e quella donna gliene aveva appena appioppato uno. Per Lilith! Lo stava tenendo bene? Gli stava facendo male? Perchè non emetteva un suono?
"Lydia!" si ricordò improvvisamente, "Come sta?" chiese all'infermiera.
La donna si rabbuiò. "Ecco.. vede.. Oh! Sta arrivando il dottore!" disse la donna, sollevata di non essere lei a dover dare la notizia al giovane.
Il medico arrivò di fronte a Magnus. "Signor Bane, purtroppo la sua fidanzata non ce l'ha fatta. Ha avuto una forte emorragia, che siamo riusciti a fermare, ma poi è andata in arresto cardiaco e.. Signor Bane, abbiamo fatto tutto il possibile e.. Mi dispiace.. mi dispiace moltissimo per la sua perdita." gli comunicò serio.
Magnus riuscì solo ad annuire e, prima di far cadere il bambino, decise che era meglio sedersi.
Lydia era morta. Morta.
Doveva piangere, voleva piangere, ma il bambino tra le sue braccia emise un gorgoglìo e Magnus abbassò lo sguardo su di lui.
Da quel che poteva giudicare, era davvero bello. Aveva una pelle morbida, i capelli neri e gli occhi di un'incredibile tonalità di blu, diversi da quelli della madre, che non mollavano i suoi un attimo.
"Ciao Max!" sussurrò con il groppo in gola, mentre il bimbo si appropriava del dito con cui gli aveva accarezzato la pelle.
"Signor Bane, possiamo fare qualcosa per lei? Vuole che chiamiamo qualcuno della sua famiglia?" gli chiese l'infermiera, premurosa.
Magnus scosse la testa. "No, grazie." rispose distratto. "Loro.. loro stanno arrivando." la informò con un filo di voce.
Il medico e l'infermiera annuirono, lasciando poi i due da soli.
Il giovane cullò il neonato, in attesa che i suoi amici arrivassero. Era riuscito a chiamare Tessa mezz'ora prima e l'amica, dopo la sorpresa iniziale, gli aveva assicurato che lei e Jem sarebbero arrivati il prima possibile. Quando avrebbero visto Max, era certo che ai due sarebbe pigliato un infarto!
Magnus sospirò. Non aveva idea di come ci si prendesse cura di un bambino, delle sue necessità, di quello di cui aveva bisogno, ma aveva fatto una promessa ed era intenzionato a rispettarla fino alla morte.
Sì, c'era questo "piccolissimo" dettaglio che il piccolo non era suo, mentre tutti pensavano l'esatto contrario, e che poteva essere tranquillamente incriminato per rapimento, ma non volle pensarci in quel momento. Le emozioni, che gli si agitavano nel petto, erano troppo grandi per ragionare lucidamente.
Lydia, inoltre, era stata categorica: il padre naturale del bambino non doveva essere coinvolto. Magnus non aveva osato chiederne il motivo, perchè le doveva la vita e l'avrebbe assecondata in tutto e per tutto, ma doveva ammettere che la domanda bruciava ancora sulle sue labbra.
La donna era riuscita a farlo imbarcare sulla nave, spacciandolo come suo fidanzato, ed il ragazzo ci aveva visto giusto quando aveva ipotizzato la sua agiatezza economica, perchè uno degli ufficiali dell'imbarcazione era stato ben felice di chiudere un occhio, sul fatto che Magnus non aveva il biglietto, quando lei gli aveva sventolato, sotto al naso, una lauta ricompensa per il suo silenzio.
Magnus aveva avvisato i suoi amici di New York che si sarebbe assentato per un po' e, dopo una settimana di navigazione, lui e Lydia erano diventati amici, se così si potevano definire due che non sapevano assolutamente niente l'uno dell'altra, se non le cose più frivole.
Tutto quello che il ragazzo era riuscito a scoprire era che anche lei stava scappando da qualcuno. Chi era e perchè stesse fuggendo da lui, non era dato sapere. Lydia si era cucita la bocca a riguardo e non avevano più toccato l'argomento.
Non appena sbarcati, la donna era entrata in travaglio e dopo neanche un'ora era diventato padre e "vedovo".
Se qualcuno gli avesse predetto che, a vent'anni, sarebbe stato entrambe le cose, gli avrebbe riso in faccia talmente tanto da farsi venire le convulsioni.
Ripensò all'ultimo momento in cui aveva visto la donna e strinse un po' più forte a sè il bambino.

"Prometti.. prometti.." ansimò pesantemente Lydia, prima di sparire dietro le porte della sala parto.
"Cosa?" chiese Magnus, afferrandole la mano.
"Prometti.. promettimi che ti prenderai cura di lui." lo supplicò Lydia, stringendogli le dita. "Ti prego Magnus, promettimelo!" gracchiò sofferente.
Magnus prese un respiro profondo ed annuì. "Lo giuro." dichiarò solennemente.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Londra, oggi

"MAGNUUUUS!!" urlò la voce di un uomo.
"Che c'è?" chiese, di rimando, il diretto interessato dal bagno, mentre era nel bel mezzo di una delicatissima, quanto vitale, operazione: mettere l'eyeliner sugli occhi.
"MAGNUS BANE!! VIENI SUBITO QUI!!" gridò nuovamente la voce.
"Non posso!" rispose tranquillamente questo, continuando a dedicarsi alla sua attività.
"MAGNUS!!"
Era panico quello che l'uomo aveva appena sentito nella voce dell'amico? Sbuffò e si diresse verso la camera da letto di quest'ultimo.
"Si può sapere che cazzo vuoi? Per colpa tua mi sono sbavato l'oc.." brontolò, bloccandosi poi sul colpo.
Will era in piedi, sopra al letto, spalmato addosso al muro, che guardava terrorizzato il pupazzo a forma di anatra di Max, che troneggiava sinistramente sul pavimento.
"Quello!" disse, indicando l'oggetto inanimato, "Porta via quel demonio sotto forma di peluche!" gridò l'amico.
Magnus sorrise divertito. "Che gli hai fatto questa volta?" chiese, incrociando le braccia al petto ed appoggiandosi allo stipite della porta.
"Niente!" protestò Will.
"Se Mr. Duck Fener è qui, ci deve essere un motivo." continuò a sorridere l'uomo.
"Mi ha chiamato nano da giardino!" dichiarò, oltraggiata, una vocina alle sue spalle.
"Perchè lo sei!" urlò Will, di rimando, guardando il bambino.
"Sarò anche un nano da giardino, ma non sono io quello che, in questo momento, è spiaccicato contro il muro perchè ha paura di un pupazzo!" ribattè ironicamente Max.
"Oh cielo, stavo solo scherzando quando ti ho chiamato così!" lo informò Will, cambiando rotta, nella speranza di addolcirlo. "Dio! Voi Bane siete più suscettibili delle donne!" borbottò a denti stretti.
"Lo sai, vero, che quest'ultima affermazione non ti è utile alla causa?" ridacchiò Magnus. "Che dici?" chiese, rivolgendosi al figlio, "Lo lasciamo così ancora per un po', così impara ad insultarci?".
Will emise un gemito strozzato. "Ti prego, Magnus!" scongiurò.
"Che vuol dire suscettibili?" chiese il bambino, ignorando l'adulto sofferente.
"Che siamo permalosi e ce la prendiamo per tutto. Ma non siamo mica così, no?" sorrise il padre, facendogli l'occhiolino, conscio che, in realtà, un po' permalosi lo erano davvero loro due.
Max ci pensò su un attimo. "Certo che no!" concordò, poi, con un sorriso. Si girò verso lo zio e gli puntò un dito contro. "Giura che non mi chiami più nano!" pretese, piantandosi le mani sui fianchi e guardandolo battagliero.
"Prometto! Prometto!" asserì velocemente l'uomo.
Max guardò nuovamente il padre, che annuì sempre più divertito. Era uno spasso vedere Will alle prese con la sua fobia.
Il bambino decise di avere pietà dell'uomo pallido che stava iniziando a sudare copiosamente, riprendendosi il peluche per portarlo in camera sua.
Will emise un sospiro di sollievo, che gli si bloccò in gola quando Max si girò, un'ultima volta, prima di uscire.
"La prossima volta te le metto sul cuscino mentre dormi!" lo minacciò con l'indice.
Will emise un verso strozzato e stava per ribattere, quando il campanello della porta di casa suonò.
"Vado ioooo!" urlò il piccolo, volatilizzandosi.
"Hobbit!" sussurrò Will, stremato, scivolando lungo la parete ed accasciandosi sul letto. "Vi odio entrambi!" precisò, guardando l'amico che, ridendo senza ritegno, usciva dalla stanza, scoccandogli un bacio volante.
Max corse alla porta, la aprì e guardò l'uomo dai capelli biondi davanti a lui.
"Ciao Maxwell!" lo salutò, sorridendo, quest'ultimo.
"Ehm.. a dire il vero mi chiamo Max. Chi sei?" chiese il bambino, piegando la testa, incuriosito.
"Mi chiamo Jace. Tuo padre è in casa?" domandò l'adulto.
"Papàààà c'è un signore che ti vuole!" chiamò, ad alta voce, il piccolo.
Magnus li raggiunse ed esclamò un allegro "Salve!" appena vide il biondino alla porta.
"Salve! Lei è il signor Bane?" chiese lo sconosciuto.
"In persona! Sono Magnus!" sorrise, allungando la mano. "Cosa posso fare per lei?".
"Beh.. restituirmi mio nipote sarebbe già un buon inizio!" rispose, ironico, il biondo, stringendogli saldamente la mano.
Magnus aggrottò le sopracciglia. "Suo nipote?" chiese perplesso.
Jace annuì. "Magnus.. posso chiamarti Magnus, vero?" domandò e, senza attendere risposta, proseguì. "Sono Jace Lightwood," si presentò, "e sono qui per riportare, in America, lui." disse indicando il bambino. "Maxwell Lightwood."
Il sorriso di Magnus si spense in un soffio ed i ricordi di quel periodo, che credeva ormai sepolti in qualche cassetto sperduto della memoria, tornarono improvvisamente ad affollargli la mente. Il sangue, la corsa a perdifiato, Lydia.
Gli si mozzò il respiro e guardò scioccato l'uomo davanti a lui. Chi era? Da dove veniva? Cosa voleva? Come aveva fatto a rintracciarlo?
Avrebbe potuto reagire in modo maturo ed invitare quel tizio a spiegarsi meglio, ma tutto ciò che riuscì a fare fu sbattergli la porta in faccia, talmente forte che per poco non crollò il soffitto.
"Papà? Papà, cosa vuole da te quel signore? E perchè mi ha chiamato Maxwell Lightwood?" chiese il figlio, allarmato, tirandogli la mano.
Will, attirato dal rimbombo della porta chiusa con violenza, arrivò nell'ingresso ed osservò i due, confuso. "Che succede?" domandò, mentre il campanello tornò a suonare nuovamente. "Chi c'è?" chiese ancora, indicando, con un cenno della testa, la porta.
"C'è un signore che vuole portami via!" disse Max, tremando. "Perchè vuole portarmi via, papi?" chiese al padre, tornando a scuoterlo.
"Magnus?" lo chiamò Will, preoccupato e scuotendolo per una spalla. "Magnus cosa succede?"
"E' finita.." riuscì solo a sussurrare l'uomo, mentre una lacrima scivolava lungo la guancia.

Jace si allargò, sbuffando, il colletto della camicia inamidata e tentò di allentare, il più possibile, il nodo alla cravatta. Anche se la indossava quasi ogni giorno, odiava metterla. Era uno strumento di tortura a cui non avrebbe mai fatto l'abitudine.
Si sistemò, a disagio, sulla sedia, mentre il plotone di esecuzione, parato davanti a lui, non lo perdeva di vista un secondo. Tessa, Jem e Will, infatti, lo fissavano, a braccia conserte, truci e con fare accusatorio.
Jace era sempre stato un tipo spavaldo e sicuro di sè, eppure quel trio riusciva a metterlo in soggezione con un solo sguardo.
Assurdo! Come se fosse lui a doversi sentire in colpa e non l'uomo stravagante, che si trovava nell'altra stanza con suo nipote. Era quel tizio ad essere un bugiardo, non lui!
Perchè, quindi, quei tre lo stavano guardando come se stessero pensando di farlo fuori, per poi nascondere il suo cadavere in qualche luogo isolato?
Sì, era piombato nella loro vita con una notizia bomba, ma non era colpa sua se l'uomo con la cresta aveva accuratamente nascosto, fino a quel momento, di non essere il padre naturale del bambino!
"Uhm.. e così vivete tutti insieme, eh? Com'è vivere a Londra? Mi ha sempre affascinato questa città, ma non deve essere facile!" iniziò a blaterare, nel tentativo di avviare un minimo di conversazione e rompere quel silenzio imbarazzante. "Voglio dire, piove sempre ed è umido.. il che non gioverebbe affatto ai miei capelli!" esclamò preoccupato, afferrando ed osservando un ciuffo, "Ma comunque sono uno che si abitua in fretta e si adatta a qualsiasi situazione." sorrise orgoglioso.
I tre non emisero un suono, ma gli sembrava che, ora, lo stessero guardando ancora più in cagnesco.
Jace si torturò nuovamente il colletto della camicia, prima che finalmente Magnus tornasse in salotto con Max tra le braccia e saldamente ancorato al suo collo. Si sedettero sul divano davanti a lui, guardandolo male.
L'uomo era un disastro: il trucco si era sciolto, a causa delle lacrime, e donava al suo viso un'aria grottesca. Nonostante ciò, Jace dovette ammettere che continuava a rimanere affascinante. Ed era strano per lui ammettere questo, visto che si riteneva l'uomo più bello al mondo.
Max non era messo meglio: gli occhietti rossi, ed il fatto che continuasse a tirare su con il naso, era indice che doveva aver pianto per un bel po' prima di riuscire a calmarsi.
"Spiegati." ordinò, secco, Magnus.
"Sono Jace Lightwood.."
"Sì, questo lo so. Voglio sapere il resto!"
Jace si agitò sulla sedia. "Ok, prima di tutto mi dispiace!" iniziò, tentando di dissipare l'aria pesante che si respirava là dentro. "So che non è una situazione facile. Mi dispiace essermi presentato in quel modo avventato, prima, e non era mia intenzione sconvolgervi, ma è importante che capiate una cosa! Ho l'ordine tassativo di riportare indietro Max e non me ne andrò da qui senza di lui!" concluse serio, guardando le cinque persone davanti a lui.
"Tu non porti Max da nessuna parte!" lo fulminò Magnus, gelido. "E non ho ancora visto un documento che attesti ciò che hai detto prima."
"Mi basterebbe mostrarti una foto di Alec per dimostrarti che non mento!" sorrise Jace, facendo spallucce.
"Chi è Alec?" chiese Magnus, guardingo.
"Alec è mio fratello e.. suo padre." asserì, indicando con la testa Max.
"E' lui il mio papà!" protestò il bambino, stringendosi ancora di più al genitore.
"E' vero." sorrise il biondo, "Ma hai anche un altro papà e, credimi, sei la sua miniatura!" esclamò, mentre il sorriso si ampliava ulteriormente.
"Beh non lo voglio conoscere! Mi basta il papà che ho già!" protestò il piccolo.
"Max, per favore, vai con gli zii a prendere un gelato? Io devo parlare con questo signore." gli sussurrò all'orecchio, dandogli poi un bacio sulla guancia.
"Ok.." concesse, per niente convinto, il figlio.
Magnus fece un cenno d'intesa agli amici, che annuirono. Prima di andarsene, con Max al seguito, lanciarono allo sconosciuto un'ultima occhiataccia fulminante che fece venire a Jace un brivido lungo la schiena.
"Perchè ora?" chiese Magnus, quando il figlio non era più a portata d'orecchio, andando direttamente al sodo.
"Non sono autorizzato a divulgare i dettagli." rispose Jace.
"Otto anni. Sono passati otto anni e quest'uomo si ricorda di avere un figlio solo ora?" domandò l'uomo, iniziando ad irritarsi.
Jace si rabbuiò. "Non lo sapeva."
Magnus lo guardò sorpreso, poi rise scuotendo la testa. "Ti assicuro che la gravidanza di Lydia non passava inosservata!"
"Alec non c'era.." si lasciò sfuggire Jace.
"Non c'era.. non sapeva.. Questo Alec è come le tre scimmiette! Non vede, non sente, non parla!" rise ironicamente Magnus. "E dove era andato? A prendere le sigarette? Per Lilith, per averci messo otto anni e nove mesi, ha fatto un giro davvero lungo per tornare a casa! Che ha fatto? Il giro del mondo in bicicletta?" continuò sarcastico.
"Non sono.."
"Autorizzato a divulgare i dettagli. Sì, l'hai già detto, ma non ti lascierò portare mio figlio chissà dove, da chissà chi, senza una spiegazione plausibile." asserì, caparbio, Magnus.
"A sua discolpa, posso dire che Alec non si è svegliato ieri mattina con la consapevolezza di avere un figlio. Non lo sapeva! E quando ne è venuto a conoscenza, ti assicuro che non è stato facile localizzarvi! Ci sono voluti mesi per trovare la pista corretta ed arrivare fin qui! Un anno e mezzo, per la precisione. Lydia sparì nel bel mezzo della notte, senza lasciare nessun indizio. Nessuno sapeva dove era andata!" confessò.
"Perchè sei qui?" chiese Magnus.
Jace lo guardò stranito, non riuscendo ad afferrare il senso di quella domanda. Pensava di essere stato abbastanza chiaro. "Per riportare a cas.."
"No, voglio sapere perchè questo Alec" sputò fuori Magnus, "ha mandato te! Perchè non è venuto lui?" chiese, severo.
"E'.. ecco.. è un uomo piuttosto impegnato e.."
"Oh quindi il signore è troppo impegnato per presentarsi di persona! Caspita, deve tenerci davvero tanto a rivedere Max! Già." si irritò Magnus.
Come si permetteva, quell'uomo, di snobbare Max, dopo che ne era venuto a conoscenza? Magnus sentì un'ondata di odio invadergli le vene. Non solo questo Alec Lightwood avanzava pretese dopo otto anni, ma non si era neanche preso il disturbo di venire personalmente. Chi si credeva di essere?
"Abbiamo un caso piuttosto ostico e.."
"Un caso?" interruppe, nuovamente, Magnus.
"Sì. Siamo avvocati e.."
"Un avvocato?" sputò, incredulo, l'uomo.
Perfetto! Davvero davvero perfetto! Non solo quell'individuo gli aveva sconvolto la vita, ma era pure un avvocato succhiasangue! Magnus sentiva di odiarlo ancora di più.
"Sì, in famiglia lo siamo praticamente tutti ed Alec non è potuto venire perchè nel bel mezzo di una delle nostre cause più importanti. Così ha mandato me!" sorrise Jace.
"Sì, il cavalier servente dalla lucente armatura!" sbuffò, sarcastico, Magnus. "Mostramelo!" ordinò perentorio.
"Cosa?" chiese Jace, smarrito.
"Tuo fratello! Hai detto che Max gli somiglia, no? Dovrai pur avere una sua foto!" pretese, arrabbiato.
L'avvocato tirò fuori il cellulare, ci trafficò un attimo e poi gli mostrò l'immagine di un uomo, bellissimo, ammise controvoglia Magnus, che assomigliava davvero tanto a suo figlio. Capelli neri come la notte, pelle diafana e due incredibili occhi blu. Il biondino aveva ragione: Max era la miniatura di quello stronzo!
"Senti Magnus, lo sai che basterebbe un semplicissimo esame del dna per dimostrare la paternità di mio fratello.. nel caso la somiglianza fisica non fosse abbastanza ovvia." disse Jace, ironico.
L'uomo, per tutta risposta, sbuffò, scuotendo la testa.
Nonostante l'atteggiamento per nulla collaborativo del tizio davanti a lui, Jace non demorse. "Che ne dici di venire con noi? Così potrai vedere con i tuoi occhi che Alec è un uomo per bene e che Max è in buone mani."
"Mio figlio non va da nessuna parte!" urlò Magnus, alzandosi. "Fuori di qui!" ordinò, puntando l'indice contro la porta.
"Magnus.."
"Ho detto: FUORI DI QUI!" gridò l'uomo.
Jace sospirò e si alzò dalla sedia. "Alloggio all'hotel Savoy." lo informò. "Per favore, chiamami quando ti sarai calmato." lo pregò, consegnandogli il proprio biglietto da visita.
Non appena il ragazzo uscì dall'appartamento, Magnus afferrò un cuscino del divano e lo tirò contro la porta, irritato. Non sarebbe mai successo: nessuno l'avrebbe mai separato da suo figlio. Quei Lightwood sarebbero dovuti passare sul suo cadavere e, ne era certo, su quello dei suoi amici, per prendersi Max.
Tessa rientrò poco dopo, trovando l'amico che, nervoso, misurava l'appartamento a grandi passi.
"Ciao." lo salutò la donna.
Magnus si bloccò nel mezzo della stanza. "Ciao.. Dov'è Max?"
"I ragazzi l'hanno portato al parco." sorrise. "Allora.. vuoi raccontarmi?" chiese, prendendolo per mano e sedendosi con lui sul divano.
L'uomo guardò l'amica, sospirò per l'ennesima volta, e vuotò il sacco, raccontandole di quello che aveva visto nella casa di Morgenstern, dell'incontro con Lydia, del viaggio e di come era diventato il padre di Max.
"Mags.. se questo Alec Lightwood vuole indietro suo figlio, non c'è niente che tu possa fare. Ti trascinerà in tribunale e, se questo succederà, sinceramente non credo tu abbia molte possibilità di avere l'affidamento di Max." gli disse dolcemente.
"Ma se Lydia si è allontanata da quell'uomo, ci deve essere un motivo, no?" provò Magnus, angosciato. "Ci deve essere un modo per non dargliela vinta!"
"L'hai detto anche tu, non conosci i dettagli e non sai niente del passato di quella donna. Potrebbe essere che quell'avvocato ti abbia detto la verità e che suo fratello non sapesse davvero di avere un figlio." disse Tessa, pensosa.
"Questo non gli da il diritto di avanzare pretese dopo otto anni e.."
"Mags" gli disse, stringendogli la mano. "prova a metterti nei suoi panni! Se scoprissi di essere padre, non faresti di tutto anche tu per ricongiungerti a tuo figlio?"
"Ma se non ha avuto neanche la decenza di presentarsi di persona!"
"Devi pensare a cosa è meglio per Max e.."
"IO sono il meglio per Max!" protestò, caparbiamente, Magnus. "Cosa dovrei fare? Eh? Lasciare che questo Jace prenda mio figlio e se lo porti via? Non se ne parla!"
Tessa respirò profondamente. "Hai le mani legate, Magnus. Non sei suo padre e, anzi, ti sei finto tale! Nessun giudice ti darà mai ragione, ma" continuò la donna "Se torni in America e, insieme a Max, andate a conoscere questo Alec Lightwood, forse potresti trovare un accordo per l'affidamento!" gli consigliò.
Magnus scosse la testa e si alzò per dirigersi in camera sua.
Si buttò sul letto, tentando di calmarsi. Sapeva che Tessa aveva ragione, ma non era disposto a perdere Max per un bellimbusto che non faceva neanche il minimo sforzo per venire a conoscere suo figlio di persona. Se quello stronzo pensava di portarglielo via, come se niente fosse, si sbagliava di grosso. Avrebbe lottato con le unghie e con i denti pur di tenersi suo figlio.
Alec Lightwood ancora non lo sapeva, ma si sarebbe pentito amaramente di avergli stravolto la vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


New York, oggi

Alec Lightwood osservò, cupo, lo skyline che si stagliava di fronte a lui, torturandosi le mani dietro la schiena: la causa attualmente in corso gli stava prosciugando la pazienza e tutte le energie a sua disposizione.
La ciliegina sulla torta, in quell'enorme calderone d'irritazione, era che Jace non era ancora rientrato ed era a corto di personale. Lo aveva rimpiazzato provvisoriamente con degli stagisti, che a malapena sapevano trovarsi il sedere, giusto per tentare di tamponare la sua assenza, ma aveva bisogno di lui il prima possibile.
Emise un respiro profondo ed espirò dal naso, spazientito, assottigliando lo sguardo perso nel vuoto.
Gli aveva sbraitato, in più di un'occasione, di tornare perlomeno entro il fine settimana, ma lui faceva orecchie da mercante e rimaneva sul vago quando, durante le loro telefonate, gli chiedeva la data precisa del rientro. Per l'angelo, che ci voleva a pigliare il ragazzino, metterlo su un aereo e riportarlo a casa? Era passata più di una settimana! Cosa cazzo stava combinando in Inghilterra? Il tempo per inviargli delle foto, condite da commenti frivoli e, soprattutto, non richiesti, l'aveva trovato però!
Diede le spalle al panorama al di là del vetro, ficcò le carte che, prima di alzarsi, stava studiando, e su cui stava ammattendo, dentro alla sua valigetta ventiquattrore e si apprestò a lasciare lo studio per tornare a casa.
Uscito dalla stanza, si guardò attorno ed acuì l'udito: niente. Emise un sospiro di sollievo, ma, proprio quando credeva di averla fatta franca, Isabelle lo intercettò all'ingresso.
"Ehi, aspettami!" gli gridò, mentre camminava spedita nonostante la gonna a tubino e i vertiginosi tacchi a spillo.
Alec si bloccò sui suoi passi, sospirò leggermente ed attese che la sorella lo raggiungesse. Non che non amasse lei e la sua presenza, ma aveva la tendenza a diventare estremamente straripante quando riusciva ad agganciarlo.
Tutto quello che voleva fare lui, invece, era arrivare a casa, farsi una doccia e tornare a leggere la documentazione della causa in corso.
"Ceniamo insieme questa sera?" gli propose, allegra. "Simon sta preparando delle leccornie deliziose e.."
"Scusa, ma sono stanco e preferisco andare a casa." la bloccò lui.
Le voleva davvero bene, questo era vero, ma i sentimenti che provava nei confronti del suo fidanzato erano tutt'altra faccenda. Secondo il suo parere, quel ragazzo di modesta estrazione sociale era una palla al piede e non era neanche particolarmente brillante. Alec non aveva davvero idea di cosa ci trovasse la sua bellissima ed intelligente Isabelle in quel nerd noioso ed occhialuto che adorava ciarlare del nulla cosmico. Stare in sua compagnia, anche solo per cinque minuti, gli garantiva sempre un'emicrania fulminate. Non aveva propria voglia, quindi, di doverselo sorbire per un'ora e più.
"Oh andiamo!" protestò lei, prendendolo a braccetto. "Non ti stanchi mai di mangiare sempre da solo, in quell'enorme casa vuota?"
"Non sono da solo." la corresse lui, impassibile. "C'è Hodge." le disse ovvio.
"Per l'angelo, Alec!" protestò lei, con una smorfia. "Come fa a non darti i brividi quell'uomo? Ti fissa senza dire una parola, finchè non hai finito di mangiare! Non lo trovi inquietante?" gli chiese, preoccupata.
Alec fece spallucce. "E' il suo lavoro." rispose laconico.
"Puntarti come un falco, per sparecchiare alla velocità della luce non appena hai ingurgitato l'ultimo boccone, lo chiami lavoro?" scosse la testa lei.
"Lo pago anche per quello, sì." rispose lui, facendo nuovamente spallucce.
Erano arrivati alle proprie auto ed Alec schiacciò il pulsante della chiave per aprire la sua.
"Ok, ci vediamo domani!" le disse, gettando la valigetta dentro l'auto.
Se la salutava velocemente, senza darle il tempo di ribattere, forse riusciva ad evitare le solite lamentele su quanto si frequentassero sempre meno.
"Oh.. ok.." sospirò Isabelle.
La delusione nella sua voce era lampante, ma Alec finse di non notarla. Salì in macchina e partì a razzo, allontanandosi da lei e dal suo broncio infantile, che sfoggiava sempre quando voleva ottenere qualcosa.
Sapeva di essere in difetto ed era consapevole che i fratelli soffrivano del suo atteggiamento freddo e distaccato, frutto di un duro lavoro paterno che l'aveva portato, fin da piccolo, ad agire in modo razionale e privo di emozioni. Loro però non avevano sulle spalle la gestione dell'attività di famiglia nè avevano responsabilità che li opprimevano. Non che Alec si sentisse così.. non sempre almeno (e, anche quando succedeva, reprimeva con forza quei sentimenti dentro di sè).
Ora che il capostipite era morto, Jace ed Izzy lo supplicavano spesso di sciogliersi un po', ma Alec non ne aveva nessuna intenzione. Aveva una routine che viaggiava su binari sicuri e privi di scossoni: casa-lavoro, lavoro-casa. Era un trantran confortante e consolidato che non desiderava modificare.
L'unico svago che si concedeva lo teneva nascosto agli occhi del mondo. Neanche i suoi fratelli ne erano a conoscenza. Soprattutto loro. Alec tremava all'idea che, un giorno, il suo sporco segreto venisse alla luce, distruggendo la sua immagine perfetta.


Londra, oggi

"Ora, dimmi questa a cosa ti serve!" pretese di sapere Jace, sbuffando sonoramente. "Ne hai già messe in valigia dieci! Dieci, Magnus! D.I.E.C.I.!"
"Sei serio?" chiese sbalordito quest'ultimo. "Per Lilith, speravo che, almeno tu, mi capissi!" sospirò sconsolato, scuotendo la testa. "E' sconfortante vedere che sono l'unico, qua dentro, ad avere un minimo di gusto per la moda!"
"Tu quella la chiami moda?" sputò, schifato, Will che era seduto sul letto.
"Taci!" lo apostrofò Magnus. Osservò poi la sua giacca leopardata, oggetto di discussione, con occhi adoranti. "Ohhh, ma chérie, che vuoi che ne sappiano questi due buzzurri di cosa è fondamentale indossare nella vita?"
Jace si guardò attorno, stranito. "Sta.. sta parlando con la giacca?" chiese allibito.
Tessa fece spallucce. "Lo fa spesso. Ci farai l'abitudine!" sorrise, facendogli l'occhiolino.
Il biondo riuscì solo ad annuire, dubbioso.
Era passata più di una settimana e lui si trovava ancora in Inghilterra. Tremava all'idea di rientrare a casa. Era certo, infatti, che Alec l'avrebbe ucciso ed esposto il suo corpo nell'ingresso della società, come pubblico monito per aver osato ignorare i suoi ordini.
Sospirò. Non era colpa sua, ma dell'uomo con la cresta che, in quel momento, era seduto su di una valigia enorme e stava tentando da diversi minuti di chiuderla.. dopo averci ficcato dentro l'intero contenuto di un armadio!
"Magnus, devi lasciare qui qualcosa." gli consigliò Jem.
"Mai!" protestò l'uomo, deciso. "Ho bisogno di tutto. Tutto, capite? Come posso lasciare qui anche un solo capo? E se poi mi serve? No! Devo portare tutti i miei vestiti!" annuì convinto.
"Dovresti noleggiare un aereo privato per riuscire a farci stare tutta quella roba!" lo prese in giro Will.
Magnus lo fulminò con lo sguardo. "Quando avrò bisogno di un tuo parere, stai pur certo che te lo chiederò!" brontolò, mentre saltellava sulla valigia per chiuderla.
Jace si buttò sul letto, a braccia aperte, e lo guardò sconsolato. Non ci sarebbe mai riuscito e, di questo passo, avrebbero messo piede sul suolo americano tra un anno!
"Magnus, la romperai.." gli fece notare Tessa, dopo aver sentito un rumore sospetto provenire dalla valigia.
L'uomo smise di spingere e guardò arrabbiato sotto di lui. "Chiuditi, stronza! Perchè non ti chiudi? Eh?" chiese, riprendendo a saltellare.
Dopo cinque saltelli, un sonoro crac sorprese tutti quanti.
Magnus si alzò, sbalordito. "Non posso crederci! Si è rotta sul serio! Che è? Mi stai forse dicendo che sono grasso? Eh? Guarda carina che sono un fuscello!" esclamò offeso, dandole un calcio.
"Te l'avevo detto io!" sospirò Tessa. "Will, vai a prendere l'altra valigia, mentre Magnus questa volta sceglie davvero cosa portare e cosa no." disse, guardandolo severa.
"Te l'ho già detto! Mi serve tutto e.."
"Magnus non essere ridicolo! Cosa te ne fai di venti paia di jeans? Eh? E di trenta camicie? E le scarpe? Magnus non puoi portarti un centinaio di scarpe!"
"Ma ne ho bisogno!"
"Non è vero! Scegli al massimo cinque cose di tutto e basta!"
Magnus la guardò, spaesato. "Cinque? Ma.. ma.. ma io.. come.. come posso sopravvivere con così poco?" balbettò, "Non so, dimmi di indossare solo le mutande, no?"
"Forse sto per darti una notizia scioccante," si intromise Jace, "ma ti assicuro che abbiamo vestiti e scarpe anche in America eh!"
"Ma ho bisogno dei miei!" rispose petulante l'uomo. "Poi che lì faccia shopping, è un altro paio di maniche!" precisò, sventolando la mano.
"Magnus abbiamo solo un'altra valigia." gli fece notare Tessa, pizzicandosi la radice del naso e sospirando profondamente. "A meno che tu non voglia svuotare quella di Max e farlo poi andare nudo in giro per New York, ti consiglio caldamente di scegliere le cose basilari e basta!"
"Ohhh e va bene!" sbuffò contrariato l'amico. "Ma vi avverto che mi ci vorrà del tempo! E non azzardatevi a mettermi fretta!" puntualizzò, minacciandoli con l'indice.
Dopo tre giorni di sofferenza, grida, pianti e brontolii vari, finalmente la valigia di Magnus era pronta e Jace potè chiamare Isabelle per avvertirla che quel giorno sarebbe tornato a casa.
Telefonare ad Alec era fuori questione. L'aveva contattato il giorno prima e, oltre ad avergli spaccato un timpano con le sue urla, Jace, ad un certo punto, aveva sentito solo silenzio e aveva seriamente pensato che gli fosse venuto un infarto mentre gli stava dicendo che, no, non sapeva ancora quando sarebbe rientrato.
Il biondo ridacchiò, pensando a suo fratello e all'uomo con la cresta che, attualmente, si trovava nella propria camera da letto perchè doveva salutare tutte le sue cose.
Temeva e, allo stesso tempo, agognava l'attimo in cui Alec avrebbe incontrato Magnus: giorno e notte o sole e luna nello stesso luogo e nello stesso momento. Uno spettacolo unico.
"Ok sono pronto!" annunciò Magnus, entrando in salotto, distogliendo Jace dai suoi pensieri.
Quando quest'ultimo lo vide, rise divertito.
"Magnus.." lo ammonì, invece, Tessa.
"Che c'è? Non c'è scritto da nessuna parte che non si può fare!!" protestò lui.
"Oh per l'amor del cielo! Non puoi presentarti all'aeroporto conciato come Bibendum! (ndr. l'omino Michelin) Al check-in ti bloccano di sicuro!"
L'uomo aveva indossato, infatti, quanti più capi possibili e, mentre tentava faticosamente di raggiungere il divano, con gli abiti che gli impedivano di muoversi agilmente, camminava ed oscillava come un pinguino.
"No, ho controllato! Non c'è nessuna legge che lo vieta!" le disse, testardo.
Jace lo studiò, con un grande sorriso sulle labbra. "E come pensi di raggiungere l'aeroporto? Rotolando?" chiese, punzecchiandolo con un dito.
"Sai, fossi in te non farei molto lo spiritoso. Duck Fener è nello zaino di Max, pronto all'uso." ribattè tagliente l'uomo.
Jace e Will sbiancarono nello stesso momento. Magnus aveva scoperto che anche il biondino, proprio come il suo amico, aveva un'enorme fobia per le anatre. Mentre Max stava giocando con il suo pupazzo, infatti, l'americano si era accorto del peluche ed aveva mollato un urlo, che di virile non aveva davvero niente, ed era corso in bagno, chiudendocisi dentro a chiave. Quando Will ne era venuto a conoscenza, era corso da Jace e l'aveva abbracciato stretto stretto, dandogli pacche sulla schiena, felice di aver trovato qualcuno con la stessa paura.
"Ok, allora se sei sicuro di venire via così.. andiamo!" sviò Jace, tentando di riprendere colore.
Magnus annuì convinto, allargando le braccia per permettere a Tessa di abbracciarlo, mentre Max veniva spupazzato dagli zii.
"Fai il bravo!" sussurrò lei, con gli occhi lucidi.
"Quando mai non lo faccio?" sorrise Magnus, abbracciando poi anche i due amici.
"Chiamaci ok?" gli disse Jem. "E comportati bene!"
L'uomo ridacchiò ed annuì nuovamente, mentre un brivido di apprensione, ma anche di eccitazione ed aspettativa, lo percorse tutto.
Tornava a casa.


New York, oggi

Isabelle si alzò sulle punte, tentando di vedere oltre la fiumana di gente che si stava riversando fuori dalla zona arrivi.
"Lo vedi?" chiese a Simon, che era più alto di lei ed aveva meno difficoltà ad adocchiare la criniera bionda di Jace.
"No.. Oh aspetta! Eccolo! Uhm.. no.. non è lui." si corresse, continuando a scrutare la folla.
"Uff! Si può sapere dov'è finito?" si lamentò la ragazza, spazientita.
"Forse ha deciso di posticipare il rientro?" ipotizzò il fidanzato.
"No, me l'avrebbe detto e.."
"Iz, non.. non è lui quello?" chiese Simon, incerto, mentre indicava un biondino che stava arrancando con due bagagli, all'apparenza davvero pesanti, e con qualche vestito gettato sulle spalle e sulla testa.
"S-sì.. almeno credo." rispose Isabelle, osservando sbalordita il fratello.
In quasi vent'anni che lo conosceva, non l'aveva visto mai in versione facchino. Di solito era lui, infatti, a convincere gli altri a fargli da mulo.
Jace arrivò, davanti alla sorella e al cognato, completamente stravolto, scaricando di peso le valigie ai loro piedi.
"Chi cazzo ha inventato i vestiti? Eh?" chiese, esasperato, senza neanche salutarli. "Per l'angelo, l'uomo delle caverne sì che sapeva il fatto suo! Una foglia di fico o qualche pelle di animale e via!"
"Ehm.. tutto ok?" chiese, perplesso, Simon.
"Ti pare che sia tutto ok?" rispose tagliente il biondo. "Ho dovuto trasportare le sue valigie, da ventitre chili l'una.. V.E.N.T.I.T.R.E. chili l'una, già! Ohhh vi state chiedendo "Ma come? Una valigia non è di Max? Come può pesare così tanto la valigia di un bambino?". Beh, ve lo dico io come!! Perchè sua maestà ci ha ficcato dentro altri suoi vestiti, ecco come! Will me l'aveva detto di stare attento, ma no! Io mi sono fidato ed è riuscito a fregarmi alla grande!" esclamò stralunato. "E non è tutto!" continuò, agitando le mani sopra la testa, "Siccome quaranta chili di roba sua non erano abbastanza, ha indossato quanti più abiti possibili. Ci credereste? No? Questa" sibilò, togliendosi una maglietta gialla dalla testa, "l'ha dovuta portare perchè, e qui cito le sue testuali parole, la mia essenza esige questo splendore! Ma vi pare normale? Eh? Poi, visto che rischiava un colpo apoplettico, ha fatto lo spogliarello in aereo e, una volta scesi, me li ha gettati addosso!"
"Ehm.. Jace.." tentò di intromettersi Isabelle, in quel sproloquio senza senso.
"Ah! E non è tutto!! Ci sono anche i due bagagli a mano da otto chili l'uno! Per l'angelo, mi dite cosa cazzo ci fa un uomo con circa sessanta chili di cianfrusaglie? Eh? Ditemi cosa ci fa!" urlò, sull'orlo della crisi isterica.
"Ne ho bisogno!" rispose una voce decisa alle sue spalle. "Smettila di lagnarti!"
Jace digrignò i denti. "Sua maestà!" disse sbrigativo, indicando con il pollice dietro di lui, mentre faceva scrocchiare il collo indolenzito.
Isabelle e Simon guardarono oltre Jace e trattennero il respiro, sbalorditi. Un uomo li stava osservando, sorridendo, mentre sorreggeva due bagagli a mano e decine di vestiti sparsi un po' ovunque.
Magnus mollò le due valigie ed afferrò la mano di Isabelle. "Magnus Bane. Enchanté!" le disse, baciandole la mano.
"E' mia sorella. Ed è fidanzata." lo apostrofò Jace, osservandolo truce e con le mani sui fianchi.
Magnus liquidò la protesta sventolando la mano.
"Isabelle Lightwood!" si presentò, ridacchiando divertita.
Quel tipo le piaceva ed era uno degli uomini più belli che avesse mai visto: alto, moro e con i capelli tirati su in una cresta colorata d'azzurro, pelle caramellata, truccato, pieno zeppo di chincaglieria ad orecchie, collo e mani (in un angolo della sua mente, la ragazza si chiese distrattamente quanto ci avesse impiegato per togliersi e rimettersi tutto al momento del passaggio sotto il metal detector) e vestito con degli abiti talmente aderenti che tanto valeva girasse nudo, visto quanto poco spazio lasciavano all'immaginazione.
"Ehm.. Salve! Sono Simon, il suo fidanzato!" esclamò il ragazzo, comparendo nel loro campo visivo.
"Piacere di conoscerti, Samuel!" sorrise Magnus.
"Ehm.. Simon. Mi chiamo Simon.."
L'uomo liquidò la lamentela con un'altra sventolata di mano.
"Dov'è Max?" chiese di punto in bianco Jace, sbiancando e guardandosi attorno. Oh cielo, il bambino! Dov'era finito il bambino? Non erano ancora usciti dall'aeroporto e l'avevano già perso!
"Tranquillizzati biondino!" esclamò Magnus. "Si sta facendo insozzare di bava da quel cane." disse, indicando il figlio che rideva beato mentre un grosso terranova nero lo leccava con entusiasmo. "Maaax! Dobbiamo andare!" lo chiamò.
Suo figlio salutò l'enorme bestione e corse in direzione del padre, fiondandosi poi tra le sue braccia.
Magnus lo sollevò. "Ok, non baciarmi ancora, per favore!" rise. "Salviette umidificanti!" ordinò poi a Jace, porgendogli la mano perchè gli consegnasse quanto richiesto.
"Ti sembro la tua domestica?" chiese stizzito quest'ultimo.
"Per Lilith, sei una lagna continua! Su, muoviti! Sono dentro allo zaino di Max." sbuffò, rivolgendosi poi ad Isabelle. "Ma fa sempre così? Si lamenta per ogni cosa!"
Isabelle era troppo concentrata a guardare il bambino, per dar retta ai due adulti che stavano battibeccando. "Per l'angelo! E' davvero Alec in miniatura!" sussurrò.
"Tzè! Mio figlio è molto più bello!" decretò Magnus, prima che Jace spiazzasse tutti con un urlo scioccato, mollando poi di peso lo zaino ed allontanandosi da esso come se ne andasse della sua stessa vita.
"Che c'è?" chiese preoccupata Isabelle.
"Scusa biondino! Avevo dimenticato che là dentro c'è Duck Fener." sghignazzò Magnus. "Il pupazzo a forma di papera di Max." spiegò alla ragazza che osservava sempre più perplessa il fratello.
"Ti odio!" sibilò Jace, rosso in viso, continuando a mantenersi ad una certa distanza dallo zaino.
"Ohhh sappiamo entrambi che, in realtà, sei pazzo di me!" rise l'uomo, scoccandogli un bacio con le dita e soffiandolo nella sua direzione.
Mentre Jace inorridiva, Magnus pensò che, tutto sommato, non era poi così male tornare a casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


New York, oggi

Un leggero bussare interruppe le urla concitate, che si sentivano al di là della porta della sala riunioni.
"Avanti!" gridò infastidito Alec, lasciando andare uno sbuffo irritato.
La riunione che aveva indetto non stava andando affatto come previsto e nessuno fin'ora era riuscito a cavare un ragno dal buco, nonostante per quel caso importante avesse scelto validi collaboratori. Non sapeva più dove sbattere la testa, per trovare una soluzione.
Isabelle entrò nella stanza e sorrise al gruppetto, che la stava guardando adorante e grondante gratitudine.
Gli avvocati, infatti, accolsero quell'interruzione come una benedizione. Erano rinchiusi là dentro da almeno due ore, il capo stava sbraitando praticamente da quando erano entrati e, quel che era peggio, non sembrava intenzionato a terminare tanto presto. L'arrivo della bellissima Lightwood era, quindi, un'ancora di salvezza insperata.
"Buongiorno a tutti!" salutò, allegra, la ragazza. "Alec, Jace è tornato!" lo informò.
"Alla buon'ora!" borbottò. "Dov'è?" chiese impaziente, guardando la porta e sperando di vederlo magicamente apparire.
"Nel tuo ufficio!"
"Ok, qui riprendiamo più tardi." comunicò ai presenti, prima di dirigersi, a passo di marcia, fuori dalla stanza per incontrare il fratello.
Camminò spedito per il corridoio e quando intravide Jace, che lo stava stranamente aspettando davanti alla porta chiusa del suo ufficio, anzichè all'interno, prese un bel respiro, pronto a fargli la ramanzina del secolo.
Il fratello alzò le mani, sulla difensiva. "Ti prego, lasciami spiegare prima di iniziare a brontolare."
"Perchè?" chiese Alec, arrestandosi davanti a lui. "Jace sono quasi due settimane che sei via e siamo nella melma più totale con il caso! Non abbiamo fatto un progresso che sia uno, mentre tu ti sei divertito a fare l'allegro viaggiatore!" iniziò a gridare.
"Guarda che non è stato uno spasso, come pensi!" si difese il fratello. "E' stato piuttosto stressante, a dirla tutta."
"Stress..? Tu ti sei stressato?" gracchiò Alec, stampandosi una mano in fronte.
"Sì, io! Cosa credi? Che sia stata una passeggiata? Sai, mi sarebbe tanto piaciuto vederti al mio posto!" borbottò Jace, infastidito. "Perchè non ci sei andato tu?"
"Forse perchè mi è impossibile lasciare l'ufficio?" ritorse, per nulla ironico.
Jace scosse la testa. Era inutile discutere con Alec, quando si impuntava e, visto che il fratello non voleva ascoltarlo, tanto peggio per lui.
Per il bene di tutti, sarebbe stato saggio prepararlo psicologicamente all'incontro con l'uomo dentro al suo ufficio, dato che era dannatamente sicuro che, preso com'era dalle sue scartoffie, non aveva prestato la minima attenzione ai suoi messaggi e alle foto che gli aveva inviato. L'accoglienza ricevuta, però, lo portò a decidere che non meritava quella cortesia. L'avrebbe lasciato in pasto a Magnus e tanti saluti. Sghignazzò al solo pensiero.
"Prego." si limitò a dirgli, aprendogli la porta.
Alec, preso in contropiede dal gesto, non riuscì a far altro che guardarlo corrucciato. Che gli prendeva ora? Perchè gli era spuntato un enorme sorriso, che andava da un orecchio all'altro?
Il fratello, per nulla intenzionato a dargli una spiegazione, gli fece cenno con la testa di entrare ed Alec, controvoglia, decise di assecondarlo.
"Buona fortuna eh!" gli augurò allegro Jace, prima di rinchiuderlo dentro.
Gli sarebbe davvero piaciuto assistere a quell'incontro, ma Magnus era nervoso ed Alec era irritato: praticamente due bombe ad orologeria pronte ad esplodere. Era meglio non essere nei paraggi.
Alec si girò e guardò scioccato la porta che gli si chiudeva in faccia. Non fece in tempo a chiedersi cosa stesse succedendo che un rumore alle sue spalle lo fece voltare su se stesso: un uomo lo stava osservando, mentre era comodamente seduto sulla sua poltrona, facendola girare lentamente prima verso destra, poi verso sinistra.
"Chi è lei?" chiese Alec, spaesato.
Lo sconosciuto non gli rispose, osservando invece l'orologio al suo polso. "Sei in ritardo. Lo fai spesso quando hai un appuntamento?" chiese con voce profonda.
"Ne avevamo uno?" domandò l'avvocato, corrugando la fronte.
"Già." si limitò a rispondergli l'uomo, scavallando le gambe ed alzandosi lentamente in piedi, senza mai staccargli gli occhi di dosso.
Un brivido improvviso saettò lungo la schiena di Alec. Le movenze, lente e calcolate dello sconosciuto, lo fecero somigliare pericolosamente ad un leone pronto a balzare sulla sua preda: se uno sguardo avesse potuto ucciderlo, in quel momento sarebbe stato di sicuro spacciato. Era odio quello che scorgeva nei suoi occhi?
Iniziò a sentirsi stranamente a disagio, sotto quello sguardo accusatorio, ma si trattenne dal muoversi, evitando così di rivelare il suo stato d'animo, ed indurì, invece, i tratti del viso.
Chi era quel tizio? Perchè si trovava nel suo ufficio? Come si era permesso di sedersi sulla sua poltrona? Non avrà mica ficcato il naso anche nei cassetti, vero? Ma, soprattutto, dove cazzo era andato a finire Jace?
Lo sconosciuto gli si parò davanti ed Alec dovette alzare leggermente la testa, sorpreso. Non accadeva quasi mai che qualcuno lo superasse in altezza.
Era raro, inoltre, che un uomo come quello entrasse nel suo studio, considerato uno dei più rinomati ed importanti, non solo di New York, ma anche dell'intero stato. I suoi clienti, infatti, appartenevano all'alta borghesia e si presentavano nel suo ufficio sempre vestiti talmente in tiro che Alec non si sarebbe stupito se, finito con lui, fossero andati direttamente a qualche cena di gala o alla serata degli Oscar.
Lo sconosciuto davanti a lui, invece, non solo era talmente sfacciato da indossare jeans strappati e stretti, con una maglietta striminzita e con uno spacco profondo fin quasi l'ombelico, che lasciava ben poco spazio all'immaginazione, ma addirittura era truccato, con i capelli colorati e pieno zeppo di collane, collanine, anelli, orecchini e braccialetti.
"Chi è lei?" chiese nuovamente Alec, scioccato che una persona come quella si trovasse là dentro.
"Magnus Bane." rispose secco l'uomo.
Bane. Doveva forse dirgli qualcosa quel nome? Frugò nella sua memoria, alla ricerca della risposta, ma niente da fare. Non riusciva proprio ad associare nome e volto ad una circostanza specifica.
"Perchè si trova nel mio ufficio?"
"Mi stai prendendo in giro?" chiese Magnus, assottigliando lo sguardo e dandogli direttamente del tu.
Quella confidenza indispettì oltremodo Alec, che la ritenne decisamente fuori luogo.
"Perchè dovrei prendermi gioco di lei, signor Bane?"
"Sei serio?"
"Signor Bane, non ho tempo da perdere. Ero nel bel mezzo di una riunione e devo.."
"Oh già, è vero! Tu sei sempre impegnato. Tanto impegnato. Troppo impegnato per venire di persona!" sibilò, con le mani sui fianchi.
Oh per l'amor del cielo! Perchè adesso lo sconosciuto si stava comportando come una moglie trascurata? Ci mancava solo che si mettesse a battere il piede, indispettito ed offeso!
"Signor Bane.." ricominciò Alec.
"Non eri così impegnato quando hai deciso di interferire nella mia vita, però!" continuò Magnus, come se l'altro non avesse neanche parlato.
"Si può sapere di che cosa sta parlando?" chiese Alec, sempre più confuso.
Che si fossero incontrati in un'aula di tribunale in passato? O aveva una causa in atto con quel tizio? Era il cliente di qualche suo collega? Fece mente locale tra i vari casi che il suo studio aveva trattato o che stava tutt'ora affrontando, ma quell'individuo continuava a rimanere un mistero.
Lo sconosciuto improvvisamente accennò un sorriso. "Non hai idea di chi io sia, vero?" chiese, incrociando le braccia. "Jace mi aveva avvertito, ma non credevo fossi così stupido!" disse ridacchiando e scuotendo la testa.
Alec iniziò ad arrabbiarsi sul serio. Non solo quel tizio si trovava nel suo studio, senza il suo permesso, ma lo stava addirittura insultando!
"Le consiglio caldamente di andarsene, prima che io chiami la sicurezza e la faccia sbattere fuori a calci." sibilò, spalancando la porta e rimanendo in attesa che il tizio si togliesse dai piedi.
Lo sconosciuto si pizzicò, con le dita, la radice del naso e prese una serie di respiri profondi, bofonchiando qualcosa che Alec non riuscì ad afferrare.
"Signor Bane, se ne vad.."
"Oh per l'amor del cielo, iceberg, sono il padre di Max!" sbuffò esasperato, tornando a guardarlo.
Alec lo fissò, confuso. "Chi?" chiese a mezza voce.
Per Magnus, quella fu la classica goccia che fece traboccare il vaso.

"Tutto ciò è ridicolo." borbottò Alec, incrociando le braccia al petto.
"Silenzio." lo rimproverò Isabelle, lanciandogli un'occhiataccia. "Hai già dato sufficiente spettacolo."
"Iooo??? Adesso sarebbe pure colpa mia?" chiese il fratello, indispettito.
"E di chi sarebbe? Mh?"
"Sua!" borbottò nuovamente, indicando, con la testa, l'uomo con la cresta, seduto sulla sedia dall'altra parte della scrivania e che lo stava guardando in cagnesco.
Era quel tizio che aveva iniziato ad urlare come un isterico, facendo accorrere praticamente tutti i presenti che si trovavano nello studio. Lui aveva solo reagito di conseguenza ed aveva alzato la voce per adeguarsi al tono di quella conversazione assurda.
"Vai a quel paese." sibilò Magnus.
"Dopo di lei." ribattè Alec, con lo stesso tono.
Isabelle sbuffò. "Sentite, ho un sacco di lavoro da fare! Posso lasciarvi di nuovo soli, senza che vi ritrovi agonizzanti al mio ritorno? Eh? Pensate di riuscire a comportarvi civilmente?"
I due uomini non risposero, continuando a lanciarsi occhiate di fuoco, ed Isabelle prese per buono quel tacito assenso, uscendo dalla stanza.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma era stato divertente vedere Alec, per la prima volta, essere messo alle strette da un perfetto sconosciuto.
Da quel che aveva potuto notare, dopo essere giunta nello studio, attirata da quelle grida che avevano fatto tremare tutti i muri dello stabile, il nuovo arrivato riusciva a tenergli testa senza particolari problemi o difficoltà, e questo pregio era davvero una piacevole novità.
Poche persone avevano avuto l'ardire di sfidare Alec e, fino ad oggi, nessuno ne era mai uscito vincitore.
Alec Lightwood era un carro armato che, per raggiungere la meta che si era prefissato, passava sopra a qualunque cosa si mettesse sulla sua strada.
Sperò ardentemente che Magnus restasse abbastanza da riuscire a scalfire la corazza di cemento che il suo adorato fratello si era costruito attorno. Era sicura che fosse l'uomo giusto per farlo.

Erano passati cinque, interminabili e silenziosi minuti prima che Alec si alzasse in piedi, imitato dall'uomo con la cresta, ed iniziasse a parlare.
"Ok, senta signor Bane, ho già perso troppo tempo e non posso permettermelo." dichiarò, scocciato. "Se non le dispiace, passerei direttamente ai dettagli e le illustrerei ciò che, a mio parere, è una ricompensa più che soddisfacente per quanto fatto."
Magnus aggrottò le sopracciglia. "Una ricompensa?" chiese sbalordito.
Alec sospirò. "Evidentemente Jace non è stato sufficientemente chiaro, nonostante le mie precise istruzioni." borbottò, appuntandosi mentalmente di fare un bel discorsetto al fratello, una volta finita tutta quella storia assurda. "Signor Bane, lei verrà pagato per essersi preso cura del ragazzo. Lasci pure i suoi dati alla mia segretaria. Provvederà a farle un bonifico o un assegno, decida lei la modalità di pagamento, oggi stesso."
"I miei dati? Pagamento?" chiese Magnus, sbalordito. "Di che diavolo stai parlando?"
Alec sospirò per l'ennesima volta. "Mi perdoni, signor Bane. Se mio fratello le avesse spiegato, fin dall'inizio, come stavano le cose, di sicuro si sarebbe evitato il viaggio e tutto questo fastidio." si scusò. "Comunque sia, ho un debito nei suoi confronti e.."
"Non mi devi proprio niente! Non mi sono preso cura di Max con l'intenzione di chiedere una ricompensa e non intendo sminuire il mio amore per lui permettendoti di quantificarne il valore!" si indignò l'uomo.
Come osava, quel baccalà, anche solo pensare di mercificare quello che provava per suo figlio?
"Signor Bane.."
"Non prenderò un solo centesimo da te!" sibilò Magnus, tremando di rabbia.
Alec alzò le mani, in segno di resa. "Come desidera signor Bane. Non era mia intenzione farla agitare." si scusò. "Ma, a questo punto, direi che ci siamo detti tutto, allora." disse, con tutta l'intenzione di congedarlo. "La ringrazio ancora per tutto il disturbo che si è preso e.."
"Un momento! Dobbiamo ancora chiarire dove e con chi vivrà Max."
Alec aggrottò la fronte. "Signor Bane, il ragazzo, ora, è sotto la mia responsabilità. Tutto ciò che lo riguarda non deve più interessarla." disse, facendo spallucce.
"Non.. non mi deve più interessare?" sputò Magnus, mentre gli occhi sprizzavano scintille di fuoco. "Il motivo per cui tu e Lydia avete litigato, può anche non interessarmi. Il fatto che tu ci abbia messo quasi otto anni per cercarli, può anche non interessarmi. Ma non ti permetto di dirmi che non devo più interessarmi di mio figlio, perchè lo faccio da quando è nato e lo farò fino a quando avrò vita!"
Alec era stordito. Quell'uomo sfuggiva a qualsiasi sua logica: non solo rifiutava una lauta ricompensa per aver allevato un figlio non suo, ma addirittura amava quel bambino come se fosse sangue del suo sangue! Suo malgrado, si ritrovò ad esserne affascinato.
"Signor Bane, forse mi sono espresso male."
"Ma davvero?"
"Signor Bane, le garantisco che non sta mandando il ragazzo al patibolo e sarà trattato bene." disse Alec, tentando di calmare i toni. "Ho dato ordine che sia seguito ed aiutato affinchè si prepari ad assumere il ruolo che gli spetta.  Mi creda se le dico che voglio anch'io il meglio per lui. Il mio obiettivo non è molto diverso dal suo."
L'avvocato attese una replica, che non venne, perciò riprese a parlare.
"Per un ragazzo dell'età e dell'estrazione sociale di Maxwell, il primo passo, il più importante, sarà quello di acquisire solide basi per la sua istruzione. Ho predisposto, quindi, di mandarlo al Trinity School. E' un'ottima scuola."
"Dovrai passare sul mio cadavere!"
"Prego?"
"Giusto per saperlo, quando avresti intenzione di mandarcelo?"
"Da subito, ovviamente!"
"Perchè?" chiese stupito Magnus.
Alec aggrottò la fronte, perplesso. "State mettendo in dubbio l'importanza di una buona istruzione?"
"Prima di tutto, mio figlio non è fatto per stare rinchiuso in un posto dove gli insegnanti hanno sempre un grosso bastone ficcato nel didietro."
"Come si permette? I Lightwood studiano, in quell'istituto, da generazioni." gli fece notare, truce, Alec.
"Appunto!" esclamò Magnus, sarcastico, mentre lo indicava.
Alec fece una smorfia infastidita, ma non fece in tempo a ribattere che l'uomo continuò, battagliero. "E, no, non sto mettendo in discussione il fatto che Max debba avere una buona istruzione. Lo so che è importante. Dubito fortemente, però, della scelta del momento per farlo iniziare. E' agosto, per Lilith! Dovrebbe solo divertirsi, andare al mare, giocare fuori all'aperto.. fare il bambino, insomma!"
"Ha bisogno di seguire i corsi estivi per mettersi in pari con i suoi futuri compagni di classe." rispose Alec, impassibile.
"Cosa ne sai, tu, di cosa ha bisogno Max? Per tua informazione, mio figlio è intelligente e non gli servono corsi extra per dimostrare il suo valore." si intestardì Magnus. "E ti sei per caso preso il disturbo di chiederti cosa ne pensa Max, di tutto questo? Del fatto che ha un padre che non ha neanche voluto conoscerlo, ma ha spedito lo zio perchè, sai com'è, lui deve lavorare e non ha tempo per queste "sciocchezze"? Eh? O ti sei chiesto come si sentirebbe ad essere spedito, come un pacco postale, in una nuova scuola, tra perfetti sconosciuti che lo guarderebbero dall'alto in basso perchè, oh per tutti gli angeli del cielo, è un bambino normale che non ha la puzza sotto al naso?". Al silenzio dell'avvocato, Magnus proseguì. "Come ti sentiresti tu, se fossi nei suoi panni?"
"Si adatterà."
Alec vide l'uomo con la cresta chiudere gli occhi, serrare i pugni e prendere dei respiri profondi. Non aveva idea di quanto fosse andato vicino a beccarsi un pugno sul volto.
Magnus si impose di calmarsi. Sbattergli la testa contro il muro, sperando che un po' di buon senso gli entrasse in quella zucca vuota, sarebbe stato inutile, oltre che controproducente.
Il pensiero, che quell'uomo potesse vantare tutti i diritti di questo mondo su suo figlio, aleggiava come uno spettro sopra la sua testa. Un passo falso e rischiava di non poter più vedere Max. Avrebbe dovuto lavorarsi quel damerino in giacca e cravatta, tentare di farselo amico ed abbattere le sue barriere, ma, soprattutto, scoprire il suo punto debole. Doveva pur averne uno, e che diamine! Una volta scoperto, non si sarebbe fatto nessuno scrupolo ad usarlo contro di lui!
"Sì, probabile che riuscirà a farlo, visto quanto è speciale, ma ti chiedo di avere un minimo di comprensione e lasciargli il tempo di abituarsi alla sua nuova vita, prima che.. prima di dividerci."
Le ultime parole gli morirono in gola. Gli risultava insopportabile anche solo pensare di non poter più vedere Max ogni giorno, di non poterlo abbracciare, di non potergli dare il bacio della buonanotte. No, avrebbe impedito quell'epilogo a qualsiasi costo.
Il dolore palese dello sconosciuto colpì Alec, che si irrigidì. Prese un respiro profondo e tentò di calmare la rabbia che gli stava montando dentro.
Quell'uomo non aveva nessun diritto di mettere in discussione la sua decisione. Non sapeva nulla di lui, di quello che aveva dovuto patire o del notevole sforzo che aveva dovuto fare su sè stesso per avvicinarsi così tanto al ragazzino. Non sapeva nulla del giuramento che aveva fatto.
Chiuse gli occhi, nella speranza di riordinare le idee. Quando li riaprì, trovò due impazienti occhi verde-oro che stavano aspettando una risposta.
"Un mese, ma verrà un istitutore per dare lezioni al ragazzino, non appena si sarà sistemato." concesse. "Se lo desidera, può venire anche lei.. per dargli il tempo di abituarsi."
Il cambiamento d'umore di Magnus fu istantaneo e palese. Quegli incredibili occhi, che neanche pochi minuti prima malcelavano l'odio che provavano per lui e lanciavano lampi e saette, ora lo stavano guardando con gratitudine. Il viso di quell'uomo era una finestra aperta sulla sua anima ed Alec non aveva mai conosciuto nessuno come Magnus Bane.
"Grazie." sorrise raggiante l'uomo con la cresta, abbracciandolo di slancio.
Alec non riuscì a far altro che annuire, impacciato.
Cos'era appena successo? Come era possibile che, nel giro di pochi secondi, era passato dall'essere odiato all'essere abbracciato con entusiasmo? Aveva solo concesso una proroga a qualcosa di inevitabile!
Alec non seppe darsi una risposta concreta, ma una strana sensazione di calore gli si propagò nel petto ed accennò un sorriso sbilenco.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


"E' grande!" esclamò Max.
"Già." concordò il padre.
"Molto grande!"
"Già."
"Davvero, davvero grande!"
"Sì, mirtillo, hai espresso perfettamente il concetto!" sorrise Magnus, al suo fianco, mentre guardavano, ad occhi spalancati, l'enorme tenuta della famiglia Lightwood che si profilava davanti a loro.
"Per quanto dobbiamo restare qui?" chiese Max, continuando a guardarsi attorno, meravigliato.
"Per un po'.." rispose, evasivo, il padre. "Sarà divertente, vedrai!" esclamò, sperando di non lasciar trasparire ansia ed agitazione.
"E' qui che vive il signor Lightwood?" chiese il bambino.
Si rifiutava categoricamente di chiamare papà lo sconosciuto che abitava in quella casa grandissima. Era stato scioccante scoprire che Magnus, in realtà, non era davvero suo padre, ma a Max non importava. Il suo papà era l'uomo che, in quel momento, gli stava tenendo la mano e non uno che non aveva mai visto. Lo amava immensamente e non ne voleva un altro diverso da lui.
"Sì! E ci ha invitati a stare a casa sua per qualche settimana!" gli rispose suo padre. "Pensa a quando lo saprà zio Will! Morirà d'invidia!"
Max ridacchiò, ma un'ondata di nostalgia lo travolse quasi subito. "Mi mancano tanto tanto gli zii, papi!"
Magnus abbassò lo sguardo sul figlio. "Mancano anche a me! Dopo li chiamiamo, mh?" sorrise, arruffandogli i capelli.
Il bambino annuì e seguì docilmente il padre, che si stava dirigendo verso la casa.
Un uomo li stava attendendo ai piedi di una scala che dava su un grande portico.
"Signor Bane, signorino Lightwood.. benvenuti! Sono Hodge Starkweather, maggiordomo di casa Lightwood."
"Salve!" lo salutò Magnus, allungandogli la mano.
"Ciao.." disse Max, osservando l'uomo da dietro la schiena del padre.
Hodge osservò perplesso la mano di Magnus, non sapendo come reagire all'inusuale gesto di cortesia. Per lui, infatti, quella mano tesa, che attendeva pazientemente di essere stretta dalla sua, era una novità. Da quando lavorava in quella casa, non era mai successo che qualcuno, proprietari od ospiti che fossero, gliela stringessero a mo' di saluto.
Magnus, notando l'indecisione del maggiordomo, non si fece problemi ad afferrargli la mano e stringerla saldamente
"E' un piacere conoscerti, Hodge! Ti prego, chiamami Magnus!" esclamò, sorridendo.
Hodge, per la seconda volta, fu preso in contropiede. Anche in questo caso, non aveva mai dato del tu a nessuno in quella casa. Era una confidenza a cui non era avvezzo.
"Oh.. signor Bane.. ecco.. vede.. n-non credo che.."
Magnus lo interruppe, sventolando la mano ed incurante di quelle balbettanti proteste. "Sciocchezze! Lui invece è Max!" sorrise nuovamente.
"Signor Bane, non credo sia il caso.."
Magnus gli sorrise nuovamente e fece spallucce. "Se ti senti più a tuo agio con questo signor Bane.. vada per signor Bane!" scosse la testa divertito.
Hodge si ritrovò inaspettatamente a sorridere ed annuì. Il signor Bane era l'uomo più strano e particolare con cui aveva mai avuto a che fare. Gli piaceva.
"Questi signori si occuperanno delle vostre valigie." li informò, facendo poi un cenno ai due uomini che stavano attendendo di fianco a loro. "Se volete seguirmi, vi mostrerò le vostre stanze!"
Hodge fece far loro un piccolo giro della casa, conducendoli infine nelle loro camere da letto, una adiacente l'altra. Anche queste, proprio come tutto il resto, erano grandi e maestose. Per deformazione professionale, Magnus analizzò minuziosamente ogni dettaglio e annuì compiaciuto al termine dell'ispezione: tutto era impeccabile e di buon gusto.
Prima che Hodge si congedasse, per permettere loro di rinfrescarsi e disfare le valigie, Magnus lo bloccò.
"Ehi Hodge! Iceberg quando torna?" chiese, mentre osservava il panorama che poteva ammirare dalla sua finestra.
"Ehm.. chi?" domandò Hodge, disorientato.
"Il padrone di casa!" spiegò.
Solo i lunghi anni di esperienza accumulati, che gli avevano permesso di crearsi un bagaglio professionale di tutto rispetto, permisero al maggiordomo di non scoppiare a ridere. Sarebbe stato un gesto davvero poco elegante, oltre che sconveniente, visto che il signor Bane stava parlando del suo datore di lavoro.
"Il signor Lightwood dovrebbe arrivare per cena, che sarà servita alle otto."
Magnus annuì, ritenendosi, per il momento, soddisfatto. Aveva tutto il pomeriggio per preparare Max a quell'incontro.

Le nuvole correvano veloci nel cielo, che si stava tingendo, minuto dopo minuto, sempre più di nero. Max sapeva che, tra non molto, si sarebbe scatenato un temporale con i fiocchi, ma non gli importava.
Seduto sul largo davanzale della sua stanza, con la fronte appoggiata al vetro freddo della finestra, il bambino osservava il paesaggio sottostante: un viale, che conduceva fuori dalla tenuta, si snodava oltre un piccolo ponte di pietra, che sormontava un laghetto, e finiva dentro ad un bosco fitto.
Max sospirò, triste. Era arrivato da neanche due giorni, ma erano stati più che sufficienti. La casa era davvero bella, i signori che ci lavorano gli sembravano gentili, ma lui non voleva restare là. Voleva tornare in Inghilterra. Gli mancavano i suoi amici. E gli zii. E la signora Green, l'anziana vicina di casa, che lo accoglieva sempre nella sua piccola cucina e lo rimpinzava di latte e biscotti.  Lì, in America, invece, si sentiva un pesciolino fuori dall'acqua.
Da quando era arrivato, non aveva ancora conosciuto il signor Lightwood. Hodge gli aveva detto che, purtroppo, questo non era stato ancora possibile perchè l'uomo era molto impegnato con il lavoro e quindi arrivava tardi la sera ed usciva prestissimo la mattina. Max però sapeva che era una scusa, non era stupido.
La conferma l'aveva avuta neanche un'ora prima, quando aveva origliato la conversazione telefonica che suo padre stava avendo con zia Tessa: tratteneva a stento la rabbia, ma sapeva che era rivolta verso il signor Lightwood.
Anche Max era arrabbiato. Con il signor Lightwood, ma anche con suo padre.
Il primo perchè non manteneva la parola data. Non che gli importasse, in realtà, ma visto che suo padre sembrava tenerci particolarmente al fatto che lui e il signor Lightwood si incontrassero, allora quest'ultimo era finito direttamente nella lista dei cattivi.
Con il secondo perchè gli aveva mentito e non credeva sarebbe mai stato possibile. Suo padre gli aveva detto che sarebbero rimasti in quella casa per un po', facendogli credere che, prima o poi, se ne sarebbero andati. Invece, mentre suo padre parlava con zia Tessa, aveva scoperto che c'erano alte probabilità che, sì, suo padre se ne sarebbe andato, mentre lui non avrebbe più lasciato quella casa. Odiava l'idea di separarsi dal suo papà. Era una cosa inammissibile.

"Ok, abbiamo ancora due settimane per riuscire a trovare qualcosa, qualsiasi cosa, per vincere questa causa. Non possiamo permettergli di farla franca!" dichiarò Alec, sbattendo un pugno sul tavolo. Gli avvocati, presenti nella stanza, annuirono convinti. "Dobbiamo.."
Maia Roberts, la segretaria di Alec, entrò come un fulmine nella sala riunioni, senza neanche bussare ed interrompendo il suo capo. "Avvocato, la signorina Loss mi ha pregato di consegnarle questo messaggio." gli disse trafelata, allungandogli un foglietto di carta.
"Grazie, signorina Roberts." rispose Alec, scocciato per quell'interruzione.
Tornò a guardare i presenti, pronto a riprendere la riunione, ma Maia si schiarì la gola e proseguì il suo discorso, ignorando apertamente la sua occhiataccia.
"Avvocato.. la signorina Loss si è raccomandata di dirle che è urgente." ribadì la segretaria, notando come l'altro avesse gettato il biglietto sul tavolo, senza dargli alcuna importanza.
Alec alzò gli occhi dalla pagina del fascicolo che stava sfogliando e la guardò, aggrottando la fronte.
"Davvero urgente." continuò Maia, decisa.
L'uomo sbuffò ed agguantò il foglietto, dando una rapida occhiata al contenuto. Una volta letto il messaggio, imprecò con veemenza e si alzò di scatto, sotto lo sguardo incuriosito dei fratelli e degli altri collaboratori.
"Devo andare!" comunicò, senza ulteriori spiegazioni, precipitandosi fuori dalla porta e lasciando tutti attoniti.
Salì velocemente in macchina e partì sgommando, tentando di accelerare il più possibile, per quanto traffico e condizioni meteo glielo permettessero. La pioggia, infatti, scendeva fitta ed Alec faticava a vedere l'asfalto.
Sfrecciò lungo la strada fino ad arrivare alla tenuta e gli bastò un'occhiata per rendersi conto che era in subbuglio: le luci della casa erano tutte accese ed un via vai di gente entrava ed usciva dall'ingresso principale.
Alec scese dall'auto e Hodge lo accolse, scusandosi ed informandolo di cosa era successo.
"Lo abbiamo cercato ovunque, ma sembra scomparso nel nulla. Abbiamo messo a soqquadro la casa e il giardino, ma niente. Sono terribilmente spiacente di averla disturbata, signore, ma quando non l'abbiamo trovato, ho detto a Catarina di avvisarvi."
"Avete guardato nella scuderia?" chiese Alec, togliendosi i capelli bagnati dalla fronte.
"Sì, signore!"
"Nel boschetto?"
"Sì, ma nessuno l'ha visto."
Alec entrò come una furia in biblioteca, pronto a redigere un piano per risolvere la situazione, ma i suoi occhi furono subito catturati dall'immagine sfocata, a causa della pioggia, del lago che si stagliava fuori dalla finestra ed un brivido gli attraversò la schiena.
Hodge seguì il suo sguardo e sussurrò, a disagio, "N-non abbiamo ancora iniziato le ricerche lì.."
"Dov'è il signor Bane? Devo parlare con lui!" ordinò Alec ed Hodge uscì dalla stanza per andare a cercare l'uomo.
L'avvocato tornò a guardare il lago, preoccupato. E se fosse stato là dentro? No, non era possibile. Era appena arrivato.. non poteva essere già morto!
Imprecò. Il cielo solo sapeva se non aveva cercato di rispettare la promessa fatta quasi due anni prima: aveva riportato a casa il ragazzino, salvando apparenze e discendenza. Questo era tutto ciò che era stato disposto a fare, ma, a quanto pare, il destino trovava particolarmente piacevole accanirsi su di lui.
Dei passi concitati lo fecero voltare. Hodge e Catarina Loss, governante di casa Lightwood, erano fermi sull'uscio ed avevano l'aspetto di due che stavano per essere condannati a morte.
"Dov'è il signor Bane?" chiese Alec, accigliandosi.
"A.. a quanto pare è ancora fuori a cercarlo, signore." mormorò Hodge, sbiancando.
"Lì fuori?" si stupì Alec, indicando l'apocalisse che si stava svolgendo all'esterno dalla finestra.
La pioggia, infatti, aveva iniziato a scendere con maggiore intensità, mentre il brontolio di un tuono manifestò la presenza del temporale che si stava per scatenare.
"Gli abbiamo detto di non muoversi.." sussurrò il maggiordomo, dando un'occhiata a Catarina.
La ragazza ricambiò lo sguardo, in modo eloquente. "Non siamo riusciti a fermarlo, signore. Ci abbiamo provato, ma era fuori di sè per l'agitazione e non faceva che correre avanti ed indietro, come impazzito."
"Quando è uscito?"
I due dipendenti si guardarono, preoccupati.
"Poco prima di mezzogiorno.." ammise Catarina.
"Sono passate ore!" tuonò Alec. "Qualcuno sa dove è andato? Qualcuno l'ha sentito da allora?"
Hodge e Catarina scossero simultaneamente la testa.
"Dannazione!" urlò l'uomo. "Hodge, manda qualcuno a controllare nei dintorni fuori dalla tenuta. Catarina chiedi agli altri collaboratori se ricordano qualche luogo che il signor Bane o il ragazzo hanno nominato. Forse sono andati là!" ordinò, dirigendosi velocemente fuori dalla stanza.
"Dove sta andando, signore?" chiese Hodge, perplesso.
"A cercarli!" rispose secco, prendendo un impermeabile asciutto e l'ombrello.
Si diresse senza indugio verso il sentiero che circondava il lago, mentre vento e pioggia gli sferzavano ferocemente il corpo, perchè era l'unico posto che, al momento, gli veniva in mente.
Mentre marciava a passo spedito, sentì invaderlo una rabbia improvvisa. Dannazione! Perchè si stava preoccupando per quell'uomo? Era tutta colpa sua e dei suoi occhioni verdi-dorati! Se non si fosse lasciato convincere, a quest'ora il ragazzino sarebbe stato sotto la stretta sorveglianza dei suoi dipendenti, dopo essere stato a scuola, mentre lui sarebbe ancora nel suo studio, all'asciutto, e non bagnato fin dentro le ossa, alla ricerca di due sciocchi che avevano deciso di sfidare madre natura proprio in uno dei suoi giorni più temibili.
Arrivò finalmente al boschetto e si precipitò sotto le fronde degli alberi, trovando un riparo accettabile. Ansimò pesantemente, scrutando al di là dei tronchi, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse indirizzarlo sulla giusta direzione, ma pioveva troppo per vedere qualcosa.
Un rumore di rami spezzati lo fece voltare su se stesso e si ritrovò davanti Magnus che lo guardava con occhi spiritati. L'uomo era un disastro: la sua pelle caramellata era spenta e opaca, il trucco era stato quasi completamente lavato dalla pioggia ed aveva i capelli e gli abiti appiccicati addosso e che grondavano acqua.
"Signor Bane!" gridò spaventato Alec, facendo un balzo all'indietro.
"Lo avete trovato?" chiese Magnus.
Alec scosse la testa. "Non ancora."
La luce di speranza, che si era accesa negli occhi dell'uomo, si spense nuovamente e si girò in fretta per riprendere la sua ricerca.
"Signor Bane, aspetti! Dove vuole andare?" chiese Alec, sbigottito, agguantandolo per un braccio.
Lo sguardo folle dell'uomo era rivolto verso il prato che si spandeva a vista d'occhio dopo il boschetto.
"Signor Bane, le assicuro che troveremo il ragazzo. Ora, per cortesia, torniamo a casa."
Magnus, ignorando le sue parole, si divincolò con uno strattone dalla sua presa ferrea e ritornò sotto la tempesta.
"Oh per l'angelo! Si rende conto che è pura pazzia?" fece appena in tempo ad urlargli, prima che l'uomo inciampasse e cadesse rovinosamente a terra.
Alec imprecò e si affrettò a soccorrerlo, ma Magnus, nonostante tremasse come una foglia e fosse bagnato fradicio e sporco di fango, ignorò la sua mano tesa e si rialzò da solo.
"Ma è assurdo!" gridò Alec, gettando le mani in aria, esasperato, mentre inseguiva l'altro che era ripartito in quarta, senza degnarlo di uno sguardo. "Signor Bane, per l'amor del cielo! Si fermi!" gli disse, riacciuffandolo per un gomito e facendolo girare verso di lui.
Magnus si scostò malamente i capelli dagli occhi e gli lanciò un'occhiata fulminante. "Mollami!"
"No! Deve tornare a casa! Si prenderà una polmonite!"
"Che ti importa?"
Alec perse la pazienza. "Signor Bane, che le piaccia o meno, è mio ospite e quindi la sua salute e la sua incolumità sono affar mio!" ribattè arrabbiato.
"Ma per favore!" sputò Magnus "Mio figlio è sparito! Ed è tutta colpa tua!" urlò, mentre le lacrime si mescolavano alla pioggia che continuava a bagnargli il viso.
"Mia???"
"Sì, è sparito.."
"E' scappato, vorrà dire."
".. perchè tu, grandissimo imbecille che non sei altro, non hai neanche voluto conoscerlo. E' spaventato, si trova in una nuova casa, circondato da persone sconosciute e con un nuovo padre che non vuole nemmeno vederlo!"
"Non le sfiora minimamente l'idea che forse, in realtà, non ha un minimo di disciplina?" ribattè, acido, Alec.
Gli occhi di Magnus dardeggiarono. "Non osare! L'ho educato come meglio ho potuto e.."
"Magari non così bene, come crede!"
Magnus strinse violentemente i pugni. "Se ti diverte così tanto insultare me e Max, prego! Fai pure! Ma non starò un altro secondo di più ad ascoltarti. Lo troverò e giuro sul mio onore che lo riporterò con me in Inghilterra. E' chiaro che non ti interessa niente di lui. Se l'avessi saputo prima, non l'avrei mai condotto qui!"
L'uomo riprese a camminare verso l'ignoto, lasciando Alec da solo, ad imprecare contro se stesso e contro quell'individuo così testardo e caparbio.
"Signor Bane!" urlò, inseguendolo.
Magnus continuò spedito, come se non l'avesse udito, ed Alec dovette correre per raggiungerlo e riagguantarlo nuovamente per un braccio.
"Signor Bane, le chiedo scusa." disse Alec, piazzandosi di fronte all'altro. "Sono stato davvero scortese."
"Non ho tempo per ascoltare le tue patetiche scuse." ribattè stizzito Magnus, tentando di liberarsi dalla presa ferrea dell'altro.
"E io non ne ho per discutere con lei. Devo cercare il ragazzo!"
"E allora vai!" gridò Magnus, esasperato.
"Non finchè lei sarà qui fuori con il rischio di ammalarsi."
"Non è di me che ti devi preoccupare. Max è.."
"Max è la persona che avrà più bisogno di lei, quando verrà trovato." lo interruppe Alec. "Pensi a come si sentirà, quando verrà riportato a casa e non la troverà ad attenderlo. La prego, signor Bane!"
"Ma.. m-ma io non posso stare con le mani in mano! Devo cercarlo!" rispose Magnus, angosciato.
"Signor Bane, le giuro che lo troverò. Conosco come le mie tasche questo posto. So fin dove può essersi spinto e dove sono i nascondigli dove potrebbe essersi rifugiato, ma ho bisogno di sapere che lei è al sicuro. A casa."
Magnus non rispose ed Alec interpretò il suo silenzio come un assenso. Strinse le dita attorno al suo polso e lo ricondusse nel boschetto, al riparo dalla pioggia, dandogli l'ombrello e togliendosi anche l'impermeabile per metterglielo addosso. Non che sarebbe servito a molto, ma almeno non si sarebbe bagnato più di quanto già non fosse.
"Mi promette che va diretto a casa?" chiese l'avvocato, posandogli delicatamente le mani sulle spalle. "La prego, signor Bane."
Magnus annuì, lo sguardo basso e sconfitto.
Alec lo fece voltare e lo indirizzò verso il sentiero che l'avrebbe ricondotto a casa.
Magnus si voltò un'ultima volta. "Trovalo.." lo supplicò.
"Ho giurato che lo farò ed intendo mantenere la mia parola." gli garantì.
Non aveva mai infranto una promessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il temporale era finalmente cessato quando Alec arrivò, stremato e bagnato fradicio, in prossimità del vecchio capanno che si trovava quasi al confine della tenuta. Aveva cercato ovunque e quello era l'ultimo posto che gli mancava. Non voleva neanche pensare alla possibilità che sarebbe potuto tornare a casa a mani vuote.
Mentre si dirigeva a passo spedito verso la baracca, pensò a quanto tempo era passato dall'ultima volta che era stato là: vent'anni. Aveva la stessa età del ragazzino e sua madre sarebbe morta non molti giorni dopo, lasciandolo in balia dell'autorità paterna.
Nonostante il tempo passato, però, il suo vecchio nascondiglio non sembrava in stato di abbandono. Il tetto di paglia aveva visto tempi migliori, questo era vero, ma era stato rattoppato laddove c'erano dei buchi e le erbacce sembravano essere tenute a bada con una vecchia falce, gettata a terra.
Alec si avvicinò cautamente, osservando l'entrata: dove una volta c'era una vecchia porta di legno, ora poggiava uno spesso pannello che proteggeva l'ingresso. Fece il giro del capanno e sbirciò dall'unica finestra, che si trovava sul lato destro: un bambino dai capelli neri, che tremava visibilmente, era seduto contro il muro e si teneva le ginocchia strette al petto, mentre si abbassava meglio che poteva il cappuccio della felpa sul viso e si stringeva addosso una coperta malconcia. Max.
Si irritò con sè stesso quando si rese conto che si sentiva davvero sollevato per averlo trovato.
Ritornò all'ingresso e valutò come palesarsi davanti al ragazzino. Non voleva spaventarlo ed annunciarsi, prima di entrare, gli parve la soluzione migliore.
Dopo essersi schiarito la gola, urlò "C'è nessuno?".
Non avendo ricevuto riscontro, si diresse verso il pannello, lo spostò ed entrò. Il bambino non era più dove l'aveva visto e l'uomo si guardò attorno: qualcuno doveva aver soggiornato là dentro, perchè il capanno era piuttosto pulito ed in ordine. Fece spallucce e si concentrò nuovamente sul motivo per cui era lì.
L'unico posto dove il ragazzo poteva essersi nascosto era la vecchia cassapanca addossata nell'angolo in fondo al capanno, quindi si avvicinò ed incrociò le braccia al petto. "So che sei lì. Coraggio vieni fuori e torniamo a casa a cambiarci i vestiti, prima che entrambi ci prendiamo l'influenza."
Il bambino fece finta di non averlo sentito ed Alec scosse la testa, leggermente divertito. A quanto pare ignorarlo era lo sport preferito dei Bane.
Alzò il coperchio del vecchio mobile ed incrociò il suo sguardo. Aveva i suoi occhi. E gli stessi capelli neri come l'inchiostro, la stessa pelle di porcellana e gli stessi lineamenti del viso. Ad Alec sembrò di fare un salto nel tempo e ritrovarsi davanti il se stesso di vent'anni prima.
"E' ora di tornare a casa." disse, porgendogli la mano.
Max non si mosse e continuò a fissarlo intensamente. Alec non faticò a riconoscere quello sguardo penetrante: era lo stesso che lui riservava a suo padre, quando tentava di resistergli meglio che poteva.
"Hai fatto preoccupare molte persone oggi. Ti stanno cercando tutti!" gli fece notare, mettendosi le mani sui fianchi. "Forse non ti importerà dei miei collaboratori, ma so che c'è una persona a cui vuoi molto bene e che hai gettato nel panico. Tuo padre è uscito, sotto la pioggia, a cercarti. Sono riuscito a rispedirlo a casa, ma temo che, se non ti riporto indietro subito, lui uscirà di nuovo e rischierà seriamente di ammalarsi."
Max non disse nulla, ma si alzò in piedi ed uscì dalla cassapanca, dirigendosi poi a passo di marcia verso l'uscita.
Alec sospirò pesantemente, scosse la testa e lo seguì.
C'erano tante cose che l'uomo era consapevole di dovergli dire sul suo passato, sul suo presente e sul suo futuro. Una frase di benvenuto o di presentazione sarebbe già stato un inizio, visto che era la prima volta che si incontravano. Anche una bella ramanzina non gli avrebbe fatto male, considerando quanto, con la sua bravata, aveva fatto preoccupare gli occupanti di casa Lightwood. Ma Alec non disse una parola ed il loro tragitto verso casa si svolse nel silenzio più assoluto.

Magnus camminava avanti ed indietro nella sua camera da letto, incapace di dormire e preda delle forti emozioni che aveva provato nelle ultime ore.
Non era mai stato tanto angosciato e sconvolto in vita sua. Nemmeno quando era scappato dalla casa di Morgenstern era stato travolto da tutta quella paura.
Era anche vero che non riusciva a ricordare un momento più bello di quello in cui aveva visto Max corrergli incontro, quando l'aveva scorto sotto al gazebo del giardino. Si era fiondato tra le sue braccia ed aveva affondato il nasino nel suo collo, mentre sussurrava una sequela infinita di scuse. Magnus l'aveva abbracciato stretto stretto e non era riuscito a dire una parola, stravolto com'era dalla gioia di riaverlo con lui.
Solo dopo un numero imprecisato di minuti aveva alzato lo sguardo ed aveva incrociato gli occhi blu di Alec Lightwood. Questo si era limitato ad annuire, dirigendosi poi verso la casa per informare i suoi collaboratori che potevano smettere di cercare il bambino.
Magnus sapeva di essere stato davvero antipatico nei suoi confronti e, mentre attendeva notizie di Max, aveva avuto modo di riflettere su quello che gli aveva detto.
L'avvocato aveva ragione: era colpa sua e di come aveva cresciuto suo figlio. Se Max non aveva minimamente pensato alle conseguenze del suo gesto mattutino, era perchè lui lo viziava senza ritegno ed era troppo permissivo. Aveva cercato di fare del suo meglio, questo sì, ma evidentemente non era abbastanza.
Anche quando si erano ricongiunti, per esempio, Magnus sapeva che avrebbe dovuto sgridarlo, sia per averlo quasi fatto morire di crepacuore, sia per aver fatto preoccupare gli abitanti della casa. Invece non solo non l'aveva fatto, ma l'aveva coccolato e rassicurato che non era successo niente di grave.
Non gli era sfuggito lo sguardo di rimprovero di Alec, ma aveva finto di non notarlo e, anche se sapeva perfettamente di aver sbagliato, era stato più forte di lui e non era riuscito ad evitarlo.
Sospirò. Avrebbe dovuto scusarsi con Lightwood per come l'aveva trattato e avrebbe dovuto ringraziarlo per aver trovato Max. Questo domani, però. Per il momento voleva solo vedere il figlio che, anche se si trovava nella stanza accanto, gli mancava terribilmente.
Si diresse verso la porta ed uscì nel corridoio silenzioso. Arrivato davanti alla camera di Max fu preso da un senso di panico: e se fosse scappato di nuovo? Il suo cuore si calmò solo quando, aprendo la porta, vide il figlio dormire beato nel suo letto nuovo.
La pioggia era completamente cessata, lasciando il posto ad un cielo stellato ed ad una luna splendente che illuminava la stanza, grazie alle tende aperte.
Magnus si avvicinò al figlio e lo osservò a lungo dormire. Era così piccolo, così innocente, che sembrava un angioletto. "Almeno quando dorme!" pensò divertito. Si abbassò per rimboccargli le coperte e, nel mentre, gli accarezzò i capelli e gli baciò la fronte. Il suo dolce Mirtillo.
Nel rialzarsi, il suo cuore gli balzò ferocemente in gola, tanto da mozzargli momentaneamente il respiro. Per poco non gli venne un infarto.
Alec Lightwood era seduto nell'angolo buio della stanza e lo fissava intensamente.
Cosa ci faceva là?
Fece qualche passo indietro e notò come lo sguardo penetrante dell'uomo seguisse ogni suo movimento. Magnus ricambiò l'occhiata, decisamente a disagio. Si sentiva come un bambino, beccato dal genitore, con le mani nella marmellata e, per una qualche ragione assurda che non riuscì proprio a spiegarsi, sentì le sue guance scaldarsi. Per tutti i diavoli! Che gli prendeva? Perchè non riusciva a sostenere quegli occhi, che brillavano così acutamente da sembrare quelli di un rapace pronto ad affondare gli artigli nella sua preda?
Fece dietrofront e, con tutta la calma possibile che riuscì ad imporsi, uscì lentamente dalla stanza.
Aveva già la mano sulla maniglia della sua porta, quando si sentì chiamare.
"Signor Bane!"
Magnus si voltò, con una smorfia. "Sì?"
"Mi dispiace disturbarla, ma, se possibile, le chiedo dieci minuti del suo tempo per discutere di alcune questioni che riguardano il ragazzo. Domani dovrò andare presto in ufficio e non so fino a che ora mi tratterrò."
"Che questioni?"
"Beh.. la fuga di oggi poteva avere conseguenze gravi." ribattè Alec con un cipiglio di rimprovero. "Forse sarebbe opportuno stimolare l'interesse del ragazzo con attività che lo tengano impegnato e che gli evitino di ritrovarsi nuovamente in situazioni analoghe." suggerì.
Magnus annuì. Effettivamente, se Max fosse stato occupato in qualcosa che gli piaceva, era assai improbabile che avesse il tempo di pensare e meditare di fuggire ancora.
"So che è tardi, ma potremmo andare nel mio studio per parlare e forse potrebbe informarmi di altre cose che i miei collaboratori dovrebbero sapere sul ragazzo." propose gentile.
Non aveva idea del perchè, ma Magnus sentì il suo cuore traditore iniziare a battere all'impazzata, mentre il profumo dell'altro gli solleticava dolcemente le narici. Il respiro gli si mozzò in gola e si spalmò sulla porta, mettendo quanta più distanza possibile tra lui ed Alec. La sua mente, nel frattempo, era partita per un viaggio tutto suo in cui braccia forti si posavano delicatamente sulle sue spalle e labbra invitanti si incurvavano in un sorriso accennato. Tutto ciò era semplicemente assurdo. Perchè si stava perdendo in quel blu straordinario, non riuscendo a distogliere lo sguardo e facendo la figura dell'imbecille imbambolato?
"E'.. è stata una giornata impegnativa e preferirei andare a letto." balbettò.
Alec annuì, comprensivo. "Mi scusi! Sono davvero imperdonabile! Non le ho neanche chiesto come sta, dopo la giornata faticosa di oggi!"
"S-sto bene. Beh.. buonanotte!" ribattè Magnus, rifugiandosi in camera ed appoggiandosi contro la porta.
Che diavolo gli stava succedendo? Era la stanchezza, si disse deciso, scuotendo la testa e sbuffando forte. Era sicuramente per quello. Non aveva assolutamente niente a che fare con il fatto che Iceberg indossasse una camicia con i primi tre bottoni slacciati, in cui si intravedeva un invitante lembo di pelle lattea. O che avesse i capelli umidi, per la doccia che doveva aver fatto da poco, donandogli un aspetto eccitante. Proprio no.

"Alec? Ehi Alec? Terra chiama Aleeeec!" ridacchiò Jace, schioccandogli le dita davanti agli occhi.
Alec sbuffò ed abbassò la mano del fratello. "Ci sono, ci sono. Stavo solo pensando."
"A cosa?" chiese Jace. "Hai trovato qualche cavillo a cui possiamo appigliarci per la causa?"
"No." borbottò Alec. "Ma sicuramente deve esserci qualcosa con cui possiamo incastrarlo!"
Jace annuì, poco convinto di quell'affermazione.
Erano su quel caso da mesi ormai e non avevano fatto nessun passo in avanti. Ogni loro istanza era stata rigettata dal giudice e tra non molto ci sarebbe stata l'udienza conclusiva. Se non avessero trovato una qualsiasi prova che riuscisse ad incastrare l'accusato, quel bastardo l'avrebbe fatta franca anche questa volta.
"Secondo te, come si sono conosciuti il signor Bane e Lydia?" se ne uscì improvvisamente Alec, pensieroso.
"Eh?" rispose Jace, cadendo dalle nuvole.
Doveva essersi perso un passaggio. Come erano passati dal parlare del caso a Magnus Bane?
"Bane e Lydia." ripetè Alec, evitando di guardare il fratello.
Jace lo fissò per un lungo momento. Capì dove voleva andare a parare. "No, lo escludo. Appartengono a due mondi paralleli! Ti pare che Lydia la perfettina potesse anche solo pensare di frequentare uno come Magnus?"
"Beh l'hai visto, no? Non trovo così improbabile che fosse l'amante di Lydia." obiettò Alec, battendo nervosamente la penna sul fascicolo aperto davanti a lui.
Jace lo guardò, aggrottando la fronte. "Perchè lo pensi?"
Alec si bloccò, maledicendosi. La sua paranoia gli fece temere di essersi lasciato scappare una frase che poteva essere fraintesa, svelando così il suo segreto. Qualcosa che non aveva mai confidato a nessuno. La reazione di Robert Lightwood, quando l'aveva scoperto, era stata più che sufficiente.
"Ha l'aria di un donnaiolo. Anche se lei apparteneva all'alta società, potrebbe averla sedotta." rispose Alec, facendo spallucce ed ostentando una falsa sicurezza.
Il fratello lo guardò scettico. "Davvero? E quando?" domandò, scuotendo la testa ironico. "Era incinta! Per l'angelo, Magnus è strano ed è parecchio, come dire, disinibito ecco! Ma non credo sia un feticista delle donne in stato di gravidanza!"
"In che senso disinibito?"
"Che non si fa nessun problema a flirtare a destra e a sinistra con una donna."  sorrise Jace. "O con un uomo." disse con noncuranza.
Alec alzò improvvisamente lo sguardo. "Come, scusa?"
Jace annuì. "Non te l'ho detto? E' bisessuale! Passa da una sponda all'altra con una facilità disarmante!"
Alec sbuffò. "Bell'esempio che da al ragazzino." borbottò sarcastico.
"La cosa ti infastidisce?" chiese Jace, squadrandolo.
"Perchè, a te no?"
"Per l'angelo, fratello, non sarai mica come nostro padre, spero! Siamo nel ventunesimo secolo!" si indignò Jace.
Alec arrossì. Non aveva mai toccato quell'argomento con qualcuno, figurarsi con lui. Soprattutto con lui.
"N-non è per quello! Pensavo al ragazzino! Non deve essere un bello spettacolo veder sfilare per casa, ogni giorno, un amante diverso del signor Bane!" ribattè piccato.
"In realtà, la sua amica Tessa mi ha confidato che è sempre molto attento a tenere ben separata la sua vita privata da quella amorosa." rispose Jace, facendo spallucce.
Alec sbuffò. "Vabbè, come vuoi. Resta il fatto che, oltre al suo orientamento sessuale, sappiamo poco o niente di lui. Chi è? Dove è nato? Dove ha vissuto prima di arrivare in Inghilterra?"
Jace alzò le mani. "Deciditi. O mi sguinzagli sul suo passato o ti aiuto con il caso."
"Il caso. Decisamente. Ha priorità rispetto a qualsiasi altra cosa." borbottò Alec, ritornando sulle carte sparse sopra il tavolo.
Il misterioso passato di Magnus Bane poteva aspettare.

Magnus sorrise nel guardare suo figlio che ridacchiava divertito, mentre allontanava la manina dal muso di Phoenix, il cavallo a cui stava dando da mangiare un filo d'erba.
Dopo giorni di tempo ballerino, il sole di agosto aveva finalmente deciso di tornare in tutta la sua potenza e l'uomo gli offrì il volto, ben contento di sentire i suoi raggi scaldargli la pelle. Stiracchiò le braccia ed allungò le lunghe gambe sul plaid che aveva steso sul prato, riportando poi lo sguardo sul figlio che giocava con il suo nuovo amico.
Il padrone di casa aveva proposto di intrattenere Max con delle attività che lo tenessero impegnato ed era stato di parola. Quella mattina, infatti, si era presentato davanti a loro lo stalliere, pronto ad esaudire i desideri del suo capo.
Nei giorni precedenti, complice il maltempo, Magnus si era limitato a girovagare curioso per i corridoi infiniti di casa Lightwood, ignorando così ciò che c'era all'esterno. Durante la concitata ricerca di qualche giorno prima, inoltre, non aveva assolutamente fatto caso alla stalla, un'imponente costruzione in mattoni rossi, né alla lunga staccionata in legno, che si trovava dietro la casa e che arrivava fin quasi al laghetto.
Fu quindi una sorpresa scoprire che non solo Iceberg era un amante dei cavalli, ma ne possedeva addirittura cinque.
Ragnor Fell era l'uomo che se ne occupava e aveva chiesto a Max se gli teneva compagnia, mentre lui svolgeva le varie attività che servivano a prendersi cura degli animali. Il bambino aveva acconsentito con gioia e, fino a quel momento, era rimasto fuori dai guai.
"Papino, questa sera Phoenix può dormire con me?"
Magnus rise. "Credo sia un po' complicato portarlo dentro casa." rispose.
Max sembrò pensarci su. "E un pesciolino? Nel laghetto ce ne sono tanti!" chiese, indicando lo specchio d'acqua poco distante da loro.
"Vedremo. Se fai il bravo, perchè no?"
Max annuì energicamente e si girò verso il lago. "Posso andare a nuotare?" chiese, riportando lo sguardo birichino sul padre.
Magnus scosse la testa. "Non so che bestiacce potrebbero esserci là dentro, topolino."
Il bambino lo guardò con un grande sorriso, prima di corrergli incontro e buttarsi su di lui. Anche se aveva solo otto anni, sapeva nuotare molto bene e aveva una voglio matta di tuffarsi in quell'acqua limpida. Doveva solo convincere suo padre.
"Per favooore!" lo supplicò, saltellandogli addosso. "Senti? Sono tutto sudato! E sono sicuro che non ci sono squali o pesci pericolosi!" esclamò, alzandosi e tirandolo per una mano.
Quando Magnus ridacchiò e lo seguì, Max seppe di aver vinto la sua piccola battaglia.
"Ok!" concesse l'uomo. "Ma non allontanarti troppo, intesi? E stai attento!"
Max annuì, prima di togliersi i vestiti e correre dentro l'acqua.
Magnus ritornò a sedersi sulla coperta e, mentre lo osservava, si chiese per l'ennesima volta dove poteva mai essere stato quando era scappato.
Ogni volta che aveva tentato di toccare l'argomento, Max lo distraeva parlando d'altro e l'uomo non se l'era sentita di insistere. In fondo era solo un bambino e scappare era stata la cosa più naturale che poteva fare in un momento di difficoltà. L'aveva fatto anche lui, otto anni fa!
Un leggero colpo di tosse lo distolse da quei pensieri ed, alzando gli occhi, incrociò quelli di Alec Lightwood in piedi di fronte a lui. Non si era accorto che gli si era parato davanti.
"Buongiorno signor Bane." lo salutò.
"Iceb.. voglio dire, Lightwood! Che ci fai qui?" chiese Magnus, sorpreso ed alzandosi di scatto.
Non lo vedeva dalla sera in cui Max era scappato. Dopo quanto successo, l'uomo si era rifiutato categoricamente di analizzare le sensazioni provate. Le aveva archiviate in un angolo buio della propria mente ed era passato oltre, aiutato anche dal fatto che Alec rientrava sempre tardi la sera ed era più unico che raro incontrarlo. Se non avesse saputo che era il padrone di casa, Magnus avrebbe davvero faticato a credere che l'avvocato abitasse là.
Alec sbuffò. "I miei fratelli mi hanno obbligato a prendere il pomeriggio libero perchè, a quanto pare, sto "impazzendo dietro a questo caso"." borbottò, mimando il virgolettato.
Magnus non potè evitare di sorridere. Nonostante fosse lì da poco, aveva avuto modo di approfondire la conoscenza con gli altri due fratelli Lightwood. Di Jace già lo sapeva, ma ignorava che anche Isabelle fosse un'autentica forza della natura. Non riusciva a capacitarsi di come il biondo e la mora potessero essere imparentati con il tizio serio e accigliato che aveva davanti. Erano l'esatto opposto. Magnus era sicurissimo che quello adottato era Alec, non Jace, come invece era in realtà.
"Potrebbe essere una buona idea. Sgombrare la mente potrebbe esserti utile." ribattè Magnus, facendo spallucce.
Alec scosse la testa. "Hodge mi ha detto che il signor Fell sta tenendo occupato il ragazzo." disse, cambiando argomento.
Magnus sorrise nuovamente. "Sì! Ragnor è davvero un tes.. MAX!!!" urlò improvvisamente, abbandonando l'aria serena e dirigendosi in fretta verso il lago.
Alec seguì il suo sguardo e fissò lo specchio d'acqua, calmo e privo di increspature.
"Max!" ripetè Magnus, entrando con i piedi nell'acqua.
"Dov'è?" chiese Alec, dopo averlo raggiunto ed essersi posizionato al suo fianco.
"Nel lago. Stava.."
La testa del bambino affiorò in superficie per pochi istanti, a circa quaranta metri dalla riva, per poi risparire sotto il pelo dell'acqua.
Alec non esitò un secondo e si tuffò rapidamente. Sentì distrattamente Magnus urlare qualcosa, ma non ci fece caso e nuotò quanto più velocemente possibile verso il punto in cui era sparito il ragazzino. Aveva percorso in lungo e in largo quello specchio d'acqua e sapeva che poteva celare delle insidie pericolose.
Arrivato a destinazione, prese un bel respiro e si immerse. Una volta sott'acqua, si guardò freneticamente attorno, ma del bambino non c'era traccia. Riemerse per respirare e, prima di immergersi, notò uno spruzzo d'acqua a circa trenta metri da lui. Con potenti bracciate arrivò in quel punto e tornò a scandagliare il fondale. Nulla.
Riemerse in superficie e scrutò a destra e a sinistra, temendo il peggio. Il cuore gli martellava nel petto ed aveva il respiro pesante, ma si disse che doveva continuare a cercare.
Lanciò un'occhiata preoccupata verso riva, sicuro di non trovarvi più la figura di Bane che, a quel punto, si era sicuramente immerso per salvare il figlio.
Per poco non si strozzò con la propria saliva. Non solo Bane era sulla riva che si stava sbracciando per attirare la sua attenzione, ma, di fianco a lui, c'era il ragazzino sano e salvo.
Un'ondata di rabbia, mista a sollievo, si impadronì di Alec e sentì il sangue pulsargli nelle tempie. Gli venne una voglia improvvisa di sculacciare il sedere del ragazzino e sapeva che, se fosse già stato a riva, sarebbe stato abbastanza arrabbiato da farlo.
Magnus doveva aver intuito il suo stato d'animo perchè, mentre nuotava verso di loro, lo vide porgere i vestiti al ragazzino e poi spedirlo via da lì.
Quando finalmente arrivò a riva ed uscì dal lago, Alec grondava acqua, le scarpe pesavano almeno una tonnellata l'una e camicia e pantaloni gli si erano incollati addosso.
Guardò il bambino sparire tra gli alberi e grugnì un'imprecazione. Perfetto! Visto che il moccioso era scappato, avrebbe sfogato la sua rabbia sull'uomo con la cresta, che in quel momento aveva un'espressione divertita e si stava mordendo il labbro, sicuramente nel tentativo di non ridergli in faccia, ipotizzò.
Lo fronteggiò, con le mani sui fianchi e gli occhi che sprizzavano scintille. "Perchè lo ha lasciato scappare, anzichè permettergli di assumersi le sue responsabilità?" sibilò, arrabbiato.
"Aveva freddo!"
"Ci sono quaranta gradi all'ombra." gli fece notare Alec, glaciale. "Sapeva che stavo nuotando per raggiungerlo. Perchè non mi ha aspettato per spiegarmi che non era in pericolo?"
"E' un bambino! Ha pensato che fosse un gioco!" tentò di difenderlo Magnus.
"Ha allevato un codardo, signor Bane." sputò Alec, al limite della sopportazione.
"Max non è un codardo!" ribattè Magnus, sollevando il mento in gesto di sfida. "Ha frainteso, tutto qui. Ed è andato a casa a cambiarsi."
"La smetta di difenderlo. Quando è scappato, non ho detto una parola. Le assicuro che un errore del genere non si ripeterà più."
"Oh per l'amor del cielo, non ha mica ammazzato qualcuno! E, poi, a dirla tutta è colpa tua! Di nuovo."
Alec lo guardò sbalordito. "Mia???"
Magnus annuì, deciso. "Ti ho gridato che non serviva che ti gettassi nel lago e che Max sa nuotare, ma non mi hai minimamente ascoltato!" ribattè piccato.
Se la situazione non fosse stata così seria, Alec si sarebbe messo a ridere. Quell'uomo era l'essere più irritante e irrazionale con cui aveva mai avuto a che fare.
Aveva una voglia matta di colpirlo. E di baciarlo.
Scacciò quel pensiero con decisione, indurì i tratti del viso ed, avvicinandosi pericolosamente al suo naso, sussurrò tagliente "Il ragazzo ha bisogno di imparare il significato della parola responsabilità. Visto che lei non è in grado di insegnarglielo, lo farò io."
Si allontanò bruscamente da lui, lo oltrepassò e marciò verso casa, borbottando come una caffettiera.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Max si fermò, ansante, davanti al capanno. Poggiò le mani sulle ginocchia e tentò di regolarizzare quanto più possibile il respiro pesante, causato dalla corsa a perdifiato che aveva fatto per arrivare fin là.
Ridacchiò spensierato e scosse la testa. L'aveva scampata davvero bella, a giudicare dalla fretta che aveva avuto suo padre a passargli i vestiti e a spedirlo via dalla riva del lago.
Si rimise dritto, stiracchiò la schiena e si diresse verso l'ingresso del rifugio, spostando poi il pannello che fungeva da porta.
"Rafe? Ehi Rafe, ci sei?" chiese il bambino.
All'interno della baracca ci fu del movimento e, dopo pochi secondi, Max intravide nella penombra il ragazzino, seduto contro la cassapanca.
"Ciao!" lo salutò piano quest'ultimo, appena lo vide.
Max sorrise. Il giorno in cui era scappato, aveva vagato a lungo sotto la pioggia per il vasto parco della tenuta, finchè finalmente aveva trovato riparo in un vecchio tronco cavo. Era rimasto scioccato nel trovarsi faccia a faccia con un altro bambino. Quando questo si era spostato un po' più in là, facendogli spazio, Max seppe di aver trovato un amico.
Raggomitolati vicini, in attesa che il temporale passasse, i due ragazzini avevano parlato del più e del meno. Max gli aveva raccontato che era arrivato in quella città da poco, ma che era già scappato dalla nuova casa, perchè non gli piaceva vivere là. Rafe gli aveva riferito che il posto in cui stava non lo considerava casa sua, quindi ne stava aggiustando uno che aveva trovato poco distante.
Max gli aveva rivelato che, fino a poche settimane prima, era un bambino molto felice e che viveva in Inghilterra con il suo papà e con i suoi zii. Poi il suo papà gli aveva detto che in realtà non era davvero il suo papà e che quello vero era un avvocato di New York. Lui però non aveva nessuna intenzione di essere il figlio di un estraneo. Voleva stare per sempre solo con il suo papà.
Rafe gli aveva confidato di non aver mai avuto un padre. O una madre. Viveva in una casa con altri bambini, ma non li considerava la propria famiglia. Non era inoltre facile abitare là, soprattutto quando era ora di mangiare ed il cibo non bastava per tutti. Oppure quando, in pieno inverno, faceva davvero freddo ed il proprietario si rifiutava di accendere il riscaldamento.
Max si era offerto, senza indugio, di portargli tutto il cibo che voleva: sarebbe sgattaiolato in cucina e avrebbe sgraffignato qualcosa da sotto il naso della signorina Cat. Anche le coperte non erano un problema, perchè in camera sua ne aveva tantissime ed era sicuro che nessuno si sarebbe accorto se ne avesse presa una o due per darle a lui.
Rafe aveva sorriso grato e, quando il temporale si era calmato, gli aveva chiesto se voleva vedere la casetta che stava sistemando. Una volta arrivati a destinazione, Max aveva deciso che avrebbe aiutato il suo nuovo amico a sistemare quel posto e, visto che non aveva nessuna intenzione di tornare a casa, si era anche offerto di fare da guardia al rifugio, quando Rafe non c'era. Avevano suggellato il patto con una stretta di mano e un grande sorriso.
"Dov'eri finito?" gli chiese Rafe, con una voce flebile. "Sei sparito nel nulla ed iniziavo a preoccuparmi!"
"Mi spiace!" si scusò Max. "E' venuto a cercarmi." sbuffò, entrando nel capanno buio.
Una spessa coperta, appesa alla bel meglio alla finestra, e il pannello, che occupava quasi tutto lo specchio della porta, impedivano alla luce di entrare.
"Chi? Tuo padre?" chiese Rafe.
"No, l'avvocato." lo corresse il bambino dagli occhi blu.
"E' tuo padre anche lui, no?"
"No, non lo è." rispose, testardo, Max.
"Ti.. ti ha fatto domande? Sai.. su questo posto e sul fatto che è più in ordine di quanto dovrebbe essere in realtà. Siamo nella sua proprietà e non potrei stare qui!"
"No, tranquillo. Non gliene importa niente del capanno. O di me." disse Max, facendo spallucce. "Pensavi di fare qualche lavoretto, oggi? Posso darti una mano, sai! Sono sicuro che papi non mi verrà a cercare tanto presto." propose, cambiando discorso e dirigendosi verso la finestra, per togliere la coperta e far entrare un po' di luce.
"No.. non ne ho molta voglia." sussurrò il suo amico.
Max liberò la finestra e fu allora che vide che c'era qualcosa che non andava nel suo amico. Gli si avvicinò di nuovo, notando i capelli scompigliati ed un taglio, sul labbro inferiore, che sanguinava.
"Cosa.. cosa ti è successo?" chiese Max, scioccato.
Rafe fece spallucce, mentre una smorfia di dolore gli contraeva il viso.
Max si accucciò al suo fianco e gli toccò la schiena, in un gesto di conforto. Il suo amico però si ritrasse, gemendo forte.
"Cos'hai? Perchè ti fa male?"
"N-non è niente. Non preoccuparti."
Max non gli credette nemmeno per un secondo e sollevò la maglietta, svelando i lividi sulla schiena.
"Per Lilith! Chi è stato?"
"N-non importa."
"Chiunque sia il colpevole, la pagherà per averti fatto questo!" gridò, oltraggiato, Max. Nessuno doveva permettersi di toccare il suo amico.
Rafe scosse la testa. "E' colpa mia. Ho rotto un piatto." spiegò.
Max lo guardò sconcertato. Lui aveva rotto tante cose in vita sua, ma il suo papà non aveva mai alzato un dito su di lui. Tra l'altro, se mai fosse successo, di certo non l'avrebbe picchiato in quella maniera.
"Chi è stato?" chiese ancora Max, arrabbiato.
"Lascia perdere. E' più grosso e più forte di te."
"Non mi interessa. Lo prenderò a sassate o.. o.. a bastonate! Ecco!"
L'altro bambino scosse di nuovo la testa. "Ti farebbe solo del male. E non voglio."
"Ma non può picchiarti e farla franca." continuò, caparbio, Max.
Rafe si raggomitolò e tentò di stringersi le ginocchia al petto. "Non importa. Ci sono abituato."
"Beh, a me importa" esclamò Max, sedendosi di fianco a lui e posandogli, con gentilezza, un braccio intorno alle spalle.
Rafe tentò un sorriso sbilenco, per poi tamponarsi il labbro sanguinante con un lembo della sua maglietta cenciosa.
"Ecco, usa questo!" disse Max, porgendogli un fazzoletto. "Puoi tenerlo, se vuoi!"
"Oh no, non posso! Mi accuserebbero di averlo rubato!"
"Ma non l'hai rubato! Te l'ho regalato io!" sorrise il bambino.
Rafe prese il pezzo di stoffa e, timidamente, se lo portò al viso. Chiuse gli occhi e ne respirò il profumo. Non aveva idea di che fragranza fosse, ma gli piaceva molto.
"E' sandalo." spiegò Max, leggendogli nel pensiero. "E' il profumo del mio papà!" sorrise.
"Il tuo papà odora davvero di buono." sussurrò Rafe.
A Max veniva quasi da piangere, ma cercò di trattenersi. Strinse un po' di più il braccio attorno alle sue spalle, sempre attento a non fargli male, e posò la testa contro la sua.
"Se il mio papà ti adottasse, ti proteggerebbe dalle persone cattive e nessuno oserebbe più picchiarti."
Rafe sospirò. "Sarebbe bello, ma non succederà mai." bisbigliò, voltandosi poi verso di lui. "Giurami che non lo dirai a nessuno. Se lui viene a sapere che ne ho parlato con qualcuno, si arrabbierà davvero tanto!"
"Lui chi?"
"Non ha importanza." ripetè Rafe.
"Ma se lo dicessi al mio papà, potrebbe aiutarti!" obiettò Max.
"No! Per favore! Se sei mio amico, giurami che terrai la bocca chiusa. Giuralo!" lo pregò con forza.
"Va bene." concesse Max, triste. "Lo giuro."
Rafe annuì e si alzò barcollando. "E' tardi! Devo andare." disse frettoloso. "Ci vediamo presto, ok?"
Max tentò di obiettare, ma il suo amico uscì in fretta dal capanno e sparì tra gli alberi del bosco.

Alec camminava avanti ed indietro per la biblioteca, irritato.
Una volta rientrato a casa, pensava di fare un bel discorsetto al moccioso disubbidiente, ma era sparito. Di nuovo.
Ovvio. Finchè aveva carta bianca in tutto, come ci si poteva aspettare che maturasse? Aveva già otto anni, per l'angelo! Alla sua età, lui aveva dovuto smettere di essere un bambino e diventare direttamente un adulto. Non pretendeva certo che lo facesse anche il ragazzino, ma diamine! Poteva almeno abbandonare i suoi atteggiamenti infantili!
Alec annuì deciso. Quel moccioso aveva bisogno di una bella raddrizzata.
E che dire del signor Bane? Quell'uomo.. per l'angelo, quell'uomo era davvero impossibile! Non solo non educava il figlio, ma addirittura dava la colpa a lui delle sue mancanze. Pazzesco!
Si fermò di botto e guardò fuori dalla finestra, verso il lago. Chissà che fine aveva fatto. Che fosse andato alla ricerca del ragazzino?
"Che cosa volevi dire, prima?" chiese improvvisamente una voce stizzita alle sue spalle.
Alec stiracchiò le labbra, in un accenno di sorriso. Parli del diavolo..
"Sa perfettamente quello che intendevo dire, signore Bane." rispose, senza neanche voltarsi.
"E che cosa avresti intezione di fare, di grazia?" chiese Magnus, con le mani sui fianchi.
"Insegnargli un po' di disciplina."
"Non picchierai mio figlio." disse Magnus, glaciale.
"Per l'angelo, signor Bane, non ne ho nessuna intenzione." ribattè Alec, voltandosi. "Sì può sapere per chi mi ha preso?"
Magnus si morse la lingua per evitare di dargli una risposta appropriata e si limitò a sorridere ironico.
"Suo figlio è sparito un'altra volta. Lo sapeva?" chiese Alec, ignorando la sua faccia da schiaffi.
Magnus fece spallucce. "Sarà qui da qualche parte."
Alec si accigliò. "Non è preoccupato che possa accadergli qualcosa?"
L'altro scosse la testa, sorridendo. "Sono sicuro che non gli succederà niente. E' dentro la tenuta."
"Non era dello stesso avviso l'altro giorno, però." si stupì Alec.
"Era scappato. E' diverso." minimizzò Magnus, sventolando la mano.
Alec alzò ed abbassò le braccia, sconcertato. Per quanto ci provasse, gli riusciva impossibile decifrare quell'uomo bizzarro.
"Quiiindi.." iniziò Magnus, giocherellando con il mappamondo che si trovava vicino alla scrivania, "cosa vorresti fare con Max?"
"Beh, prima di tutto, andare a recuperarlo."
Magnus aggrottò la fronte. "Cosa ti fa credere di riuscire a trovarlo così facilmente?"
"Sono quasi sicuro che si trovi nello stesso posto in cui l'ho trovato pochi giorni fa."
"Davvero? E dov'è?"
"C'è un capanno, quasi al confine della tenuta. Credo che il ragazzino lo veda come un rifugio. Un posto segreto in cui giocare e divertirsi." ribattè Alec. Per lui, quel posto aveva avuto quel significato.
"E una volta che l'hai trovato?"
"Signor Bane, mi dispiace se prima, giù al lago, sono stato sgarbato, ma converrà con me che suo figlio non ha regole. So che lei ha fatto del suo meglio, ma il bambino è un Lightwood e, un giorno, entrerà a far parte dell'attività di famiglia. E' fondamentale, quindi, che si prepari a dovere per questo impegno futuro."
Magnus roteò gli occhi. "E se non volesse diventare avvocato?"
"Come scusi?" chiese Alec, preso in contropiede.
"Dai per scontato che Max segua le tue orme, ma potrebbe voler fare altro nella vita."
"Signor Bane.."
"Ad esempio," lo interruppe Magnus alzando un indice "un po' di tempo fa voleva fare il pirata, mentre ora vuole fare il domatore di draghi!" ridacchiò divertito. "Il mese scorso mi ha supplicato di portarlo in giro per tutta Londra per trovarne uno!"
"E' una fantasia infantile e nulla di più." replicò Alec, scrollando le spalle. "A tempo debito, studierà legge alla Columbia University e, una volta laureato, farà praticantato nello studio e un giorno ne diventerà socio."
"Non obbligherò mio figlio a studiare qualcosa che, magari, neanche gli piace." si inalberò Magnus, incrociando le braccia al petto.
"Con tutto il rispetto, signor Bane, non è lei a decidere del suo futuro." obiettò Alec.
"Hai ragione." concordò inaspettatamente Magnus, fronteggiandolo. "E' prerogativa di Max infatti e diventerà qualsiasi cosa vorrà. Che sia avvocato, pirata o domatore di draghi!"
Si fissarono in silenzio, nessuno dei due disposto a cedere per primo.
"A quanto pare siamo ad un punto morto, signor Bane." disse Alec, interrompendo quell'assurdo momento.
"Già." confermò Magnus.
"Suggerisco di riprendere il discorso in un momento più consono." esortò Alec. "Ora, se non le dispiace, vado a recuperare il ragazzino." concluse, aggirandolo e lasciandolo un'altra volta con un palmo di naso.

Max stava sistemando il pannello dell'ingresso del capanno, quando sentì un nitrito dietro di lui. Si bloccò e si girò velocemente, guardando l'uomo e il cavallo che si stavano avvicinando.
Per tutti i cavolini di Bruxelles! Era stato beccato un'altra volta da quell'uomo. Accidenti!
Fissò lo sguardo sul volto dell'avvocato per tentare di capire di che umore fosse.
E pensare che, in realtà, al lago aveva voluto stupirlo con le sue abilità di nuotatore! Gli era, però, bastata un'occhiata di suo padre per capire che l'altro non solo non era stato felice di tuffarsi, ma era anche arrabbiato. Ma chi gliel'aveva mai chiesto di venire in acqua?
Notando lo sguardo indifferente dell'uomo, però, Max tirò un sospiro di sollievo. Fortunatamente all'avvocato non gli importava abbastanza di lui da arrabbiarsi.
"Sei qui."
Max si rese conto che non era una domanda, ma una semplice affermazione, quindi non rispose. Non che l'avrebbe fatto, in ogni caso. Aveva giurato, infatti, che non gli avrebbe mai e poi mai rivolto la parola.
Il cavallo scosse la testa e sbuffò. Max, anzichè sull'uomo, concentrò l'attenzione sul muso dell'animale che gli si era fermato davanti e lo osservò affascinato. Non riuscì a trattenersi ed allungò una mano, toccando esitante il pelo del collo.
"Ti piacciono i cavalli?" chiese Alec, piegando la testa e studiandolo silenziosamente.
Max avrebbe voluto rispondergli che, sì, gli piacevano, ma tenne la bocca chiusa e continuò a sfiorare la bestia accarezzandogli la criniera.
"Vieni. Ti riporto a casa." parlò ancora Alec.
Max sbuffò e cercò di montare in sella senza l'aiuto dell'uomo, ma non ci riuscì. L'altro non attese oltre, lo afferrò e lo fece volare davanti a lui.
Alec si piegò leggermente, per sussurrare all'orecchio del bambino "D'ora in avanti, voglio che tu avverta sempre qualcuno se decidi di allontanarti per qualche ora. Puoi pensare di essere indipendente quanto vuoi, ma non è così."
Detto questo, fece schioccare la lingua e il cavallo partì al trotto.
Max si aggrappò forte al pomello della sella e fissò lo sguardo davanti a sè, rigido. Evitò, per quanto gli scossoni glielo permettessero, di appoggiarsi all'uomo dietro di lui.
Mentre si allontanava dal capanno, ripensò a Rafe. Soffriva a vederlo in quello stato e la tentazione di dire tutto a suo padre, una volta arrivato a casa, era davvero forte. C'era di mezzo, però, il giuramento che gli aveva fatto e il suo papà gli aveva sempre detto che si dovevano mantenere le promesse che si facevano. Aveva le mani legate, ma doveva trovare un modo per aiutarlo. Non poteva abbandonare il suo amico.

Alec bussò, deciso, alla porta ed attese.
Il fagotto, tra le sue braccia, attirò la sua attenzione muovendosi appena e facendolo sorridere.
Ci aveva riflettuto a lungo e si convinse, una volta di più, che l'idea che gli era venuta fosse valida e potesse soddisfare tutti.
"Avanti!" gridò la voce all'interno della stanza.
Alec aprì la porta ed entrò. "Signor Bane, le posso parl.." iniziò, bloccandosi però di colpo e dimenticandosi di tutto quello che stava per dire.
"Sìììì?" rispose Magnus, osservandolo con un sopracciglio alzato ed un sorrisetto ironico, mentre si asciugava energicamente i capelli, coperto con null'altro che un asciugamano.
Max, che era seduto sul grande letto, intento a leggere un fumetto, alzò lo sguardo e lo osservò incuriosito: Alec era arrossito di botto e sembrava paralizzato.
Per l'angelo era sicuro di non essere diventato improvvisamente sordo. Quell'uomo gli aveva dato il permesso di entrare! Perchè l'aveva fatto, se era praticamente nudo? Non aveva il senso della decenza? Irritato, lo maledisse mentalmente.
Si morse con forza l'interno della guancia e si obbligò a concentrarsi sul motivo della sua presenza in quella stanza.
"Signor Bane," ritentò, dopo essersi schiarito la gola, "mi scusi se la disturbo, ma volevo parlarle."
"Di cosa?" chiese Magnus, continuando a frizionarsi i capelli, per nulla turbato della sua mise.
"Di lui." rispose Alec indicando il bambino, che spalancò gli occhi sentendosi interpellato.
Max osservò sconcertato l'adulto che gli si era parato davanti e che gli aveva posato delicatamente, tra le braccia, qualcosa avvolto in una coperta.
"Cos'è?" chiese Magnus, curioso, avvicinandosi.
"Qualcosa che, spero, farà diventare suo figlio più assennato." rispose Alec, serio.
Magnus lo guardò attento, scostando poi un lembo della coperta e scoprendo un piccolo gatto dal lungo pelo bianco e due luminosi occhi dorati.
"Un micio!" esclamò Max, meravigliato, mordendosi subito dopo la lingua per aver parlato in presenza dell'avvocato.
"Da questo momento ne sei responsabile e dovrai prenderti cura di lui." gli comunicò Alec. "Da solo." aggiunse, lanciando un'occhiata significativa a Magnus.
Magnus roteò gli occhi e sbuffò. "E' davvero carino!" ammise, tornando a guardare il gatto. "Come si chiama?" chiese, grattando un orecchio del piccolo animale.
Alec scrollò le spalle. "Non ha un nome. Può dargli quello che preferisce." disse, mentre arrossiva di nuovo, dopo essersi reso conto di quanto vicino era l'altro. Si scansò impercettibilmente da lui e si schiarì nuovamente la gola. "Ok, vi lascio fare conoscenza. Buona notte." augurò, congedandosi ed uscendo velocemente dalla stanza.
Magnus guardò disorientato la porta chiudersi.
Sì, Iceberg era il nemico, ma trovava bizzarro il fatto che avesse la strana abitudine di "scappare" da lui. Che lo mettesse a disagio? Si appuntò mentalmente di indagare. Magari poteva tornargli utile sapere che, in qualche modo, riusciva ad intaccare la sua fredda corazza.
"Papiiii dobbiamo dargli un nome!" lo riscosse Max.
Magnus riportò lo sguardo su suo figlio e sul nuovo arrivato e sorrise. "Hai ragione! Come lo chiamiamo?"
"Micio!" esclamò il bambino, dopo averci pensato un po'.
"Che dici?" chiese l'uomo, rivolto al gatto. "Ti piace?"
Il piccolo felino starnutì, scuotendo la testa.
"Uhm.. no, non gli piace!" ridacchiò Magnus, sedendosi di fianco al figlio e prendendo il gatto tra le mani.
"Miao?" tentò nuovamente il bambino.
Magnus osservò la palla di pelo tra le mani, girandolo prima verso destra e poi verso sinistra.
"Presidente." decretò infine, fissando l'animale negli occhi. "Presidente Miao." annuì convinto.
Il micio miagolò, come se volesse confermare che, tutto sommato, gradiva quel nome pomposo ed importante e Magnus sorrise raggiante.
Era appena diventato papà per la seconda volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Magnus sbuffò, annoiato.
Con il naso all'insù, guardava senza alcun entusiasmo gli strani ghirigori che adornavano il soffitto della sua camera, mentre le dita tamburellavano senza sosta sui braccioli della poltrona, su cui si era buttato svogliatamente.
Suo figlio anche quel pomeriggio, come ogni giorno, era sparito Dio solo sapeva dove e lui non sapeva cosa fare, con chi parlare, come tenersi impegnato.
Quella casa era in assoluto il posto più noioso del mondo. Non succedeva mai niente di niente.
Se non fosse stato per le persone che vi lavoravano, e con cui chiacchierava meno di quanto in realtà avrebbe voluto, onde evitare di incorrere nell'ira di Iceberg perchè i suoi domestici, anzichè lavorare, si intrattenevano con lui, sarebbe sicuramente morto di inedia.
Doveva fare qualcosa, uscire, vedere persone o, prima o poi, l'avrebbero trovato mummificato su quella stessa poltrona.
Colpì con forza i braccioli e si issò dalla sua posizione scomposta, spaventando Presidente Miao che gli dormiva placidamente in grembo.
Il gatto miagolò contrariato per essere stato svegliato di soprassalto.
"Scusa Presidente! Sei così leggero, che mi ero dimenticato di te." si giustificò l'uomo, sorridendo e grattandogli un orecchio per farsi perdonare.
Si alzò dalla poltrona, posò delicatamente il gatto sul cuscino, dove il suo sedere era rimasto inchiodato fino a quel momento, e si diresse verso l'armadio, spalancandolo.
Fissò, con le mani sui fianchi, i pochi (a suo dire) capi che vi erano all'interno, indeciso su cosa indossare.
Di una cosa era sicuro, però: era ora di smettere di fare il monaco di clausura e di rispolverare il buon vecchio Magnus, idolo delle feste. Gli mancava così tanto!
Per tutti i diavoli, non toccava un goccio d'alcool da quasi due settimane! Tessa l'aveva talmente stressato sul fatto che non era saggio scolarsi qualsiasi bottiglia gli capitasse tra le mani, mentre era nella casa di colui che poteva decidere del futuro di Max, che aveva finito per farsi influenzare dalla sue parole e ci mancava poco che diventasse astemio. Buon cielo, che eresia!
E che dire dell'astinenza? Non voleva neanche calcolare da quanto tempo non si faceva una sana rotolata tra le lenzuola con qualcuno. Sì, si masturbava, ma non era la stessa cosa ed era pure costretto a farlo sotto strati di coperte, mentre moriva per il caldo e per lo sforzo, perchè quella spina nel fianco di Will aveva ventilato l'ipotesi che l'avvocato avesse piazzato telecamere in ogni stanza per assicurarsi che non succedesse niente di strano in sua assenza. Magnus aveva accuratamente controllato la sua camera palmo a palmo, senza trovare nulla, ma non si poteva mai sapere. Di norma non si sarebbe fatto nessun problema, esibizionista fino al midollo com'era, ma l'idea che un Iceberg bigotto e scandalizzato potesse cacciarlo di casa senza se e senza ma, lo bloccava così tanto da rassegnarsi addirittura a non guardare neanche un porno sul suo pc. Stava impazzendo! Era da oltre dieci anni buoni che non era così "casto e puro".
Quella sera, però, cascasse il mondo, avrebbe dato una svolta alla sua routine americana.
"Presidente, che ne dici di questo abbinamento?" chiese al gatto, mentre tirava fuori un paio di pantaloni neri e una camicia bianca.
Il gatto aprì un occhio e miagolò annoiato.
"Dici?" chiese Magnus, dubbioso, guardando quello che aveva in mano. "Hai ragione. Troppo semplice." concordò poi, gettando i vestiti su un poggiapiedi e tornando a rovistare nell'armadio.
Scaraventò alla rinfusa, dietro di sè, un capo alla volta e riemerse dal guardaroba con un paio di jeans e una camicia viola con paillettes.
"E questa?" domandò di nuovo al gatto. "E' perfetta non trovi?"
Il gatto si alzò, si stiracchiò con un enorme sbadiglio e si ributtò sul cuscino, dandogli le spalle ed ignorandolo apertamente.
"Antipatico." lo rimproverò Magnus, leggermente risentito per l'indifferenza felina. "Guarda che è una cosa importante! Devo farmi bello se voglio far colpo. Non posso uscire vestito con la prima cosa che capita!"
Presidente sospirò profondamente, mentre la coda sventolava a destra e a sinistra, sferzando l'aria.
Magnus lo liquidò con un'occhiataccia e si rigirò la camicia tra le mani. Sì, poteva fare al caso suo. Con la luce giusta, gli strass l'avrebbero fatto luccicare come una palla da discoteca e il cielo solo sapeva quanto aveva bisogno di essere notato.
Avrebbe chiesto a Cat se poteva badare a Max e lui sarebbe uscito, finalmente, in qualche locale a divertirsi un po'.
Niente e nessuno avrebbe rovinato il suo piano.

"Sei sicuro che il sangue riesca a circolare?" chiese perplessa Cat, guardando le gambe del suo nuovo amico, fasciate dai jeans più stretti che avesse mai visto.
"Certo! So che non sembra, ma ti assicuro che sono davvero comodi!" la rassicurò Magnus, dandosi un'ultima sistemata ai capelli.
Cat lo guardò scettica. Era un mistero come fosse riuscito ad indossare quei pantaloni, senza morire di asfissia mentre lo faceva.
"Sei davvero bello, papi." si complimentò Max, coricato a pancia in giù sul letto del padre e con le gambe che sgambettavano per aria.
"Grazie fragolina." sorrise l'uomo, osservando il suo riflesso nello specchio da parete, presente nella sua camera, mentre faceva un giro su se stesso. Sì, modestia a parte, era uno schianto.
Ci aveva messo quasi due ore per vestirsi, truccarsi e pettinarsi, ma finalmente era pronto per uscire a fare baldoria e si godette quella sensazione di eccitazione che gli scorreva nelle vene e che gli faceva rizzare i peli delle braccia. Da quanto non la provava!
"Dove te ne vai di bello?" chiese Cat, intenta ad ammirare la quantità industriale di trucchi che possedeva l'uomo.
"Al Pandemonium." rispose Magnus, applicandosi una dose generosa di lucidalabbra sulla bocca.
Aveva fatto una breve ricerca su internet e, a quanto pare, quello era il locale più in voga di tutta New York. Il luogo perfetto, insomma, per festeggiare il suo ritorno a casa.
"Grazie ancora per Max!" le sorrise.
"Non c'è di che." rispose Cat, buttandosi sul letto accanto al bambino. "E poi come si fa a resistere ad un faccino così dolce?" chiese la donna, posando le mani sulle gote di Max. "Vero che sei dolce? Eh? Ma sì che lo sei!"
"Smettila." protestò a fatica il piccolo, con le labbra che sporgevano a causa della pressione che stavano esercitando le mani di Cat sulle sue guance. "Non sono mica Presidente Miao!" sbuffò, allontanando quelle zampacce dalla sua faccia.
"Oh! A proposito di Presidente!" esclamò la donna, battendo le mani, colta da un pensiero improvviso. "Quel gattino non ha regole! Dovete educarlo al più presto!" brontolò, agitando l'indice.
"Presidente è educatissimo!" replicò subito Magnus.
"Davvero? Allora è stato il suo gemello cattivo a fregarsi un intero cosciotto d'agnello questa mattina?" chiese Cat, sarcastica.
"Presidente non lo farebbe mai!" esclamò Magnus, accigliato. "Ma se l'ha fatto, e bada bene che non sto dicendo che è così eh, sia chiaro, è solo un'ipotesi.. comunque se l'ha fatto è di sicuro perchè stava morendo di fame, povero caro!"
"Ma per favore! Avrà messo su dieci chili da quando il signor Lightwood te l'ha dato!"
Magnus la guardò scioccato e si portò teatralmente una mano al petto. "Presidente non è grasso! E tutto pelo e ossa!" rispose, oltraggiato dal fatto che Cat stesse offendendo il suo bimbo peloso.
"Ma se mi viene un'ernia ogni volta che lo prendo in braccio!"
"E' piccolo!" si risentì Magnus. "Ha bisogno di mangiare per diventare grande!"
"Non il mio cosciotto d'agnello!" lo redarguì Cat.
Nessuno dei due fece caso al piccolo Max che, da quando era iniziato quel battibecco, aveva assunto una tinta rosso pomodoro ed osservava le trame della copriletto che erano diventate improvvisamente interessanti.

"Eddai Alec!"
"No."
"E' solo una pausa!"
"No."
"Su, non farti pregare!"
"No."
"Oh andiamo!"
"No."
Jace sbuffò forte. Suo fratello era peggio di un mulo quando si impuntava.
Quella sera, lui ed Izzy avevano programmato di uscire, per divertirsi e, soprattutto, per staccare la mente dal caso e distrarsi un po'. Il piano prevedeva anche di convincere quello zuccone di Alec a seguirli, convinti che fosse lui quello che aveva più bisogno di svagarsi, ma non avevano fatto i conti con la testardaggine del loro fratello maggiore.
"Neanche un bicchiere? Uno solo?"
"No."
Jace alzò le mani, esasperato, e gettò la spugna.
Per un attimo aveva anche pensato di trascinarlo con la forza, ma scartò l'idea quasi subito perchè, nonostante non si notasse, grazie ai completi che indossava, Alec nascondeva, sotto strati di pregiati tessuti costosi, muscoli di una certa consistenza, forgiati grazie ad ore in palestra praticando Jiu Jitsu, che avrebbero potuto scaraventarlo a terra senza alcuno sforzo.
"Ok, ci vediamo domani." lo salutò Jace, sconfitto, girandosi verso la porta per uscire.
"Ok, ciao."
Isabelle fece capolino proprio in quel momento, sorridendo. "Allora? Siamo pronti? Andiamo?"
"Lui non vuole venire." le riferì Jace, indicando con il pollice l'uomo dietro alle sue spalle.
Il sorriso di Isabelle sparì dal suo viso, sostituito da un cipiglio determinato.
Si piazzò davanti alla scrivania del fratello e, con le mani sui fianchi, esibì la sua espressione più truce, sibilando "Alexander Gideon Lightwood alza il culo da quella sedia e vieni subito con noi..
"No."
"..o ti ficco un tacco in un occhio."
"No." continuò impassibile Alec, senza alzare lo sguardo dalle carte che stava leggendo. "E vorrei farti notare che minacciare qualcuno è reato." la informò.
"Alec.."
"No."
"Se non ti dai una mossa, giuro che nascondo un ragno nel tuo ufficio! Uno di quelli grossi e pelosi!"
Alec alzò gli occhi, improvvisamente in allerta.
"Non lo faresti mai." ribattè l'uomo, tentennando.
Un lampo di sfida saettò negli occhi della sorella e questo lo preoccupò non poco.
Izzy alzò un sopracciglio e sorrise misteriosa. "Davvero? Ne sei davvero così sicuro?" gli chiese. "Immagina:" continuò poi, "stai parlando con un cliente e all'improvviso il bel ragnetto ti piomba davanti.. Te la senti di rischiare?" rincarò la ragazza, incrociando le braccia al petto.
"Sai che forte se, prima di saltare fuori, nidifica e poi si fa vedere con tutta la truppa?" sorrise Jace, dandole man forte.
Alec impallidì e rimase in silenzio per qualche secondo, chiudendo gli occhi e deglutendo con forza. Se la sentiva di rischiare? Certo che no, per l'angelo! Quei due erano matti abbastanza da mettere in atto quell'orribile minaccia e sapevano perfettamente che trovarsi faccia a faccia con un numero imprecisato di ragni era uno dei suoi incubi peggiori.
Sospirò e si alzò dalla sua scrivania. "Dove andiamo?" chiese rassegnato, seguendo i fratelli verso l'uscita dello studio.
"Al Pandemonium." dichiarò Izzy, trionfante.
Alec voleva morire. Odiava quel posto: era troppo caotico e soverchiante per i suoi gusti. I suoi fratelli erano riusciti a trascinarlo in quel locale solo una volta, che era stata più che sufficiente, poi aveva sempre declinato i loro inviti con forza e determinazione. Fino ad oggi. Accidenti a loro e alla sua aracnofobia!
"Oh per l'amor del cielo! Non possiamo andare in un locale meno chiassoso?" si lagnò subito.
"No!" rispose Izzy, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Simon questa sera si esibisce con la sua band e non possiamo proprio mancare!"
"Per l'angelo Iz, non ti sei ancora stancata di frequentare quello sciocco nerd?" chiese Alec, alzando gli occhi al cielo.
"Se ti degnassi di conoscerlo meglio, non parleresti così!" brontolò lei, stizzita.
"Se mi degnassi di conoscerlo meglio, morirei affogato a causa della fiumana di parole che escono dalla sua bocca." rispose acido il fratello.
"Sei davvero antipatico!" si offese Izzy. "Quasi quasi riconsidero l'idea del ragno! Solo che, anzichè in ufficio, te lo infilo nel letto!"
"Non pensarci nemmeno!" urlò Alec, spaventato all'idea di sentire quelle zampette pelose arrampicarsi lentamente sulla sua gamba. Rabbrividì e scoccò un'occhiataccia alla sorella. "Sto venendo con voi! Non è abbastanza?"
"Solo se fai il bravo." sorrise lei.
"Posso almeno andare a casa e togliermi questo vestito?" chiese sconfortato, prima di salire in macchina con i fratelli.
Jace annuì ed Alec fu scortato fin dentro camera sua ed, addirittura, sorvegliato a vista affinchè non scappasse dalla finestra.
Tutto ciò era assurdo e ridicolo, ma, considerata la minaccia che aleggiava ancora nell'aria, si obbligò a vestirsi (con una maglietta nera e un paio di jeans che avevano visto giorni migliori) e mise il broncio fino a quando arrivarono al locale.
Quando entrarono, la smorfia sul suo viso si accentuò ulteriormente. Una cacofonia di suoni gli travolse selvaggiamente i timpani e l'uomo ponderò seriamente l'idea di strozzarsi con uno dei cocktail colorati che stava preparando uno dei barman. Almeno sarebbe uscito da quel posto infernale in tempo record!
Il Pandemonium non era affatto cambiato dall'ultima volta che ci aveva messo piede, anzi, se possibile, era addirittura peggiorato! Sulla pista da ballo c'erano molti più corpi sudati di quanti ne ricordava e l'angolo bar scoppiava di avventori accaldati alla ricerca di qualcosa per dissetarsi, prima di tornare a dimenarsi.
Cosa ci trovasse la gente, in quel posto, non l'aveva mai capito. Non si riusciva a fare una conversazione decente che fosse una, a causa della musica davvero alta, venivi sballottato di qua e di là da maleducati che ti venivano addosso e che neanche si scusavano, se riuscivi a trovare un posto a sedere, era un miracolo, e la fila per andare in bagno era sempre chilometrica.
Rimase stupito quando Isabelle li condusse, sicura, in un angolo del locale dove c'erano un tavolino e dei divanetti che si trovavano su una postazione leggermente rialzata. Si accigliò ed indicò alla sorella il biglietto che campeggiava in bella vista sopra al tavolo.
"Izzy è riservato questo posto!" le fece notare.
"Lo so! E' nostro!" sorrise Isabelle, raggiante. "E' uno dei vantaggi dell'essere la ragazza del bassista!" disse, accomodandosi su un divanetto ed accavallando le gambe.
Prima di rispondere che non la trovava una cosa così fantastica, si morse saggiamente la lingua. La frecciatina di prima, sul nerd occhialuto, era ancora troppo recente per spararne un'altra, senza correre il rischio di trovarsi davvero un ragno in camera da letto.
Sbuffò di nuovo e si sedette pesantemente su un divanetto, incrociando le braccia al petto e rimettendo il broncio.
"Per l'angelo, fratello, sembri Brontolo dei sette nani!" ridacchiò Jace dopo un po', mentre faceva cenno ad una cameriera di portare loro da bere.
"Ah ah ah." rispose Alec, lanciandogli un'occhiataccia. "Posso andarmene?" chiese poi. Era lì da almeno cinque minuti buoni. Trecento secondi di pura agonia.
"Siamo appena arrivati!" disse Isabelle, alzando gli occhi al cielo, esasperata. "Almeno aspetta fino alla fine dell'esibizione della band di Simon!"
Alec sprofondò ancora di più nel divanetto, sbuffando più forte, prima di gridare dal dolore quando la sorella artigliò un suo braccio.
"Oh per l'angelo!" urlò Isabelle. "Ma non è Magnus quello?" chiese, indicando verso un punto imprecisato della pista da ballo.
"Oh sì! E' proprio lui!" confermò Jace, sorridendo.
Alec staccò la mano di Isabelle dal suo braccio e si fece improvvisamente attento, mentre seguiva lo sguardo dei fratelli.
I suoi occhi incontrarono il petto nudo di Magnus Bane, che si stava dimenando, come se non ci fosse un domani, sulla pista da ballo, mentre una ragazza gli si strusciava contro e gli palpava il sedere, senza un minimo di pudore.
Izzy scattò in piedi, eccitata.
"MAGNUS!" gridò a pieni polmoni.
"Izzy cosa fai?!" esclamò scioccato Alec.
"Attiro la sua attenzione!" rispose Isabelle, iniziando a sbracciarsi ed a saltellare come una pazza. "Magnussss! Yuhuuu!"
"Izzy smettila!" ribattè Alec, tirandola giù. "Non vedi che è impegnato?"
"Naaa, sarà l'ennesima conquista di turno." rispose Jace, tracannando, tutto d'un fiato, il suo bicchiere. "BANE!!" iniziò ad urlare ed a sbracciarsi anche lui, tentando di superare il frastuono della musica o, per lo meno, di farsi notare.
Alec ringraziò tutti gli angeli del paradiso quando finalmente il signor Bane si accorse dei suoi fratelli e questi smisero di metterlo in imbarazzo con quelle mosse assurde. Un paio di ragazzi si era pure girati verso il loro tavolo, ridacchiando, e lui aveva tentato di nascondersi inutilmente dietro ad un boccale di birra, arrossendo oltre ogni misura.
Magnus li salutò da lontano, si scollò di dosso la ragazza e si diresse verso di loro, ringraziandoli mentalmente.
Poco prima che il suo sguardo intercettasse Isabelle e Jace, infatti, stava valutando più di una scappatoia per dare il ben servito alla tizia che gli si era attaccata addosso come una piovra e che aveva l'alito che puzzava di fumo. Benedetti Lightwood!
"Ciao ragazzi! Anche voi qui?" li salutò calorosamente, prima che la saliva gli andasse di traverso quando si accorse che c'era anche Alec. "Oh per tutti i diavoli! E lui?" chiese meravigliato, indicando il moro imbronciato e con le braccia conserte.
"Aveva bisogno di distrarsi un po'!" rispose Izzy, sventolando una mano. "E' una fortuna che tu sia qui questa sera! Simon suona con la sua band!" lo informò, battendo le mani entusiasta.
"Sawyer è un musicista?"
"Sembra incredibile, vero?" ridacchiò Jace, mentre si scolava un altro drink.
"La volete smettere? Simon è un ragazzo fantastico!" li bacchettò Isabelle. "Ma parliamo di te!" disse poi, cambiando discorso. "Hai fatto conquiste eh?!" sorrise maliziosa, dandogli una gomitata sul braccio.
"Già amico! E' davvero carina!" rincarò Jace, dandogli una pacca sulla spalla.
"Chi? La ragazza con il posacenere in bocca? Dio me ne scampi!" inorridì Magnus, sedendosi accanto ad Alec. Si girò verso di lui e lo guardò sorridendo.
Alec sbuffò, roteando gli occhi al cielo. "Mi hanno minacciato." rispose laconico, alla sua tacita domanda.
Magnus rise allegro. "Cosa gli avete detto? Lo chiedo per pura curiosità eh." domandò, con gli occhi che scintillavano di interesse.
"Non osate!" li avvertì Alec, guardando i fratelli con aria minacciosa.
Jace rise, aprendo la bocca per rispondere, ma lo stridio del microfono, posizionato su un piccolo palco su un lato del locale, lo bloccò.
"Buonasera gente! Mi chiamo Simon Lewis." disse sorridendo il fidanzato di Isabelle, sistemando l'asta.
Izzy scattò in piedi, applaudendo forte, mentre il ragazzo sul palco si presentava alla platea.
La ragazza, poi, si girò per agguantare Jace e trascinarlo con forza sotto al palco, facendogli notare come il look della band fosse un sua idea.
Rimasti soli, Magnus liquidò tutto e tutti e si girò nuovamente verso Alec, sorseggiando un drink che Jace gli aveva fatto gentilmente arrivare.
Alec non si mosse, ma i suoi occhi sì e notarono lo sguardo canzonatorio dell'altro.
"Che c'è?" gli chiese con un sospiro.
Magnus scosse la testa. "Devo assolutamente scoprire come sono riusciti a convincerti a venire qui!" lo stuzzicò, posando il gomito sullo schienale del divanetto e la testa sul palmo della mano. "Non avrei mai detto di trovarti in un posto del genere!"
"Niente di che." tentò di minimizzare Alec, facendo spallucce. "Sono stati solo più insistenti del solito. Tutto qui."
"Devi scontare una sorta di penitenza?" chiese perplesso.
Alec si girò verso di lui, evitando accuratamente di abbassare lo sguardo sul petto nudo dell'altro. "No, perchè?"
Magnus giocherellò con un buco nella maglietta nera dell'avvocato. "Perchè o hai perso una scommessa o ti piace indossare gli stracci che si usano per pulire! Quale delle due?"
Alec scostò la mano impertinente dal suo indumento. "Cos'ha che non va questa maglietta?"
"Ha i buchi, ecco cosa." rispose serio.
Alec fece spallucce e si sporse per prendere il suo boccale di birra. "A me piace." rispose, bevendo poi una lunga sorsata.
"Davvero? Certo che sei strano! Come puoi girare in giacca e cravatta tutto il giorno e poi indossare volontariamente questa roba?"
"La vuole smettere di insultare i miei vestiti? Io non lo faccio con i suoi!" si indispettì Alec.
"E vorrei ben vedere!" ribattè l'altro, appoggiandosi allo schienale ed alzando una gamba. "Questi" disse, agguantando un lembo dei jeans, "sono di Zegna!"
Alec lo guardò confuso. "Chi?"
Magnus lo fissò allibito, sperando di aver udito male. "Oh.mio.Dio." bisbigliò poi, portandosi una mano alla bocca, quando si rese conto che l'altro l'aveva chiesto davvero. "Sul serio non sai chi è?"
L'avvocato fece spallucce. "No, ma, tirando ad indovinare, direi.. uno stilista?"
"E' uno dei marchi di moda italiani più famosi al mondo! Come fai a non conoscerlo? Izzy non ti insegna proprio niente?" gli chiese scioccato, girandosi per intercettare la figura della ragazza, che stava saltellando come una cavalletta a ritmo della musica, e lanciarle un'occhiataccia.
"Forse perchè sa che trovo la moda un'inutile perdita di tempo." spiegò Alec, scrollando le spalle.
Magnus strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca, come se l'avessero appena schiaffeggiato.
Stava per ribattere, quando davanti ai due si pararono due persone. Una era la bionda che si stava strusciando su Magnus neanche mezz'ora prima, mentre l'altro era un energumeno che li guardava arrabbiato.
"Passerotto è proprio lui!" cinguettò la ragazza, aggrappandosi al braccio dell'uomo al suo fianco, indicando Magnus.
"Sei sicura Passerotta?"
"Sì Passerotto! E' stato proprio lui a palparmi!" sospirò melodrammatica. "E senza il mio consenso!" aggiunse.
Il diretto interessato inarcò un sopracciglio, sorpreso. "Scusa?"
Il fidanzato della ragazza non perse tempo ed agguantò Magnus per i lembi della camicia aperta, tirandolo in piedi. "Sei un uomo morto." sputacchiò furibondo.
"Signore" iniziò Magnus, asciugandosi disgustato la saliva piovuta sulla sua faccia, "vorrei farle notare che è stata la sua ragazza ad incollarsi, peggio di un francobollo, al mio splendido corpo, senza, tra l'altro, mai menzionare il fatto che fosse impegnata!"
Alec si alzò e, tranquillo, posò una mano sul braccio di "Passerotto". "Signore, le chiedo cortesemente di lasciar andare quest'uomo e di fare un passo indietro."
"Non ti immischiare!" sibilò l'energumeno, lanciandogli un'occhiata furiosa. La presa sul suo braccio si fece più decisa.
"Signore, non glielo ripeterò un'altra volta." rispose l'avvocato, glaciale.
Secondo Alec, che analizzò la scena, nella sua mente, in più di un'occasione, quello che accadde dopo fu colpa della stanchezza, accumulata in tutte quelle settimane, e al fatto che si trovasse in quel dannato posto, dove non riusciva a pensare correttamente.
Ripensando all'accaduto, l'uomo tentò di convincersi che, sì, era assolutamente per quello che, in un momento così topico, aveva perso lucidità e prontezza nei riflessi.
Magnus non c'entrava niente.
Così come non significava proprio nulla il fatto che l'uomo con la cresta avesse gridato il suo nome, quel nome completo che lui odiava con tutto se stesso perchè gli ricordava la rigidità anaffettiva paterna, ed Alec si era distratto talmente tanto che il pugno del tizio, anzichè andare a vuoto, come sarebbe successo in una situazione normale, si era incontrato con il suo naso per un appassionato tête-à-tête.
Alec era volato giù dallo scalino del palchetto e, quando il suo sedere aveva sbattuto sul pavimento duro, una scarica elettrica aveva scosso violentemente tutto il suo corpo, facendolo gemere vergognosamente.
Il naso gli faceva un male cane, ma il dolore che provava alla caviglia destra era assai più preoccupante.


***
Nota dell'autrice
A te che stai leggendo e che sei arrivato/a fino alla fine di questo capitolo: tanti auguri di buona Pasqua e grazie per il tempo che dedichi alla mia storia! :D
Un bacio :-*
AthenaKira83

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Alec si svegliò di soprassalto, come se qualcuno l'avesse scosso con una certa violenza.
Ansimò pesantemente e sbattè le palpebre, fissando il buio presente nella stanza silenziosa, mentre il cuore batteva a mille e gli rimbombava nelle orecchie.
Trattenne il fiato quando, improvvisamente, la sensazione che lo aveva fatto destare si ripetè: una fitta acuta partì dal suo piede e si irradiò per tutto il corpo, facendolo tremare.
La caviglia, nonostante gli analgesici presi poco prima di andare a dormire, doleva in modo fastidioso e, come se ciò non bastasse, prudeva da morire. Tutto quello che voleva fare, in quel momento, era grattarsi fino a scorticarsi la pelle, ma la fascia stretta che avvolgeva il piede glielo impediva, facendolo innervosire ancora di più.
Sospirò stanco e subito dopo fece una smorfia seccata: oltre alla caviglia che pizzicava, c'era il problema del naso che bruciava ancora per il colpo ricevuto.
Accese la luce e si mise lentamente seduto, appoggiandosi cautamente alla testiera del letto. Si tastò piano il gonfiore al viso, risultato del gesto cavalleresco messo in atto poche ore prima.
Era tutta colpa di Magnus Bane! Da quando quell'uomo era entrato nella sua vita, tutto sembrava andare storto. Era come se avesse una naturale predisposizione ad attirare guai e contagiasse chiunque gli gravitasse attorno.
Scosse la testa, con un sospiro. Sinceramente non poteva non biasimare anche se stesso: se non avesse agito d'istinto, mettendosi in mezzo alla discussione tra il signor Bane e l'energumeno tutto muscoli e zero cervello, in quel momento starebbe dormendo tranquillamente e, soprattutto, la mattina seguente sarebbe potuto andare in ufficio senza problemi.
Questo, tuttavia, non era possibile per colpa di Izzy che, come al solito, si era intromessa senza che nessuno l'avesse interpellata, comunicando al medico dell'ospedale che aveva battuto anche la testa, oltre al sedere, quando era caduto come una pera matura.
La conseguente, pesante, restrizione non aveva tardato ad arrivare: il dottore, infatti, gli aveva tassativamente proibito di lavorare e gli aveva ordinato come minimo una settimana di riposo assoluto. Una settimana! E chi ce l'aveva il tempo di oziare per sette giorni, con, per di più, una causa importantissima in atto?
Aveva tentato di obiettare, ma era stato tutto inutile. All'inizio era stato anche gentile, poi si era arrabbiato seriamente, ma la sua conseguente sfuriata non aveva sortito alcun effetto. Tutto ciò che avevano ottenuto le sue urla era stato quello di spaventare a morte un'infermiera volontaria che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Quell'irritante tappetta rossa dagli occhi verdi, con evidenti problemi di coordinazione, gli aveva versato addosso un vassoio carico di materiale sanitario, rovinandogli irrimediabilmente la maglietta.
Se la sarebbe mangiata viva se non si fossero messi in mezzo i suoi fratelli! Quell'invadente di Izzy l'aveva ringraziata, con esagerato entusiasmo, perchè finalmente Alec avrebbe gettato quello straccio vecchio, mentre Jace.. per l'angelo Jace si era rincretinito totalmente ed aveva tentato di abbordarla con tecniche a dir poco imbarazzanti, mentre la pel di carota arrossiva come una scolaretta delle medie ai suoi complimenti stomachevoli! Uno spettacolo a dir poco agghiacciante.
Con l'ennesimo sbuffo, si domandò ancora una volta perchè diavolo si fosse intromesso nella lite alla discoteca. Perchè non aveva lasciato al signor Bane il compito di risolvere la situazione in cui lui stesso si era cacciato? Era vero che, essendo suo ospite, era sotto la sua responsabilità, ma trasformarsi nella sua guardia del corpo era stata una decisione davvero davvero stupida, oltre che avventata. E non era proprio da lui agire in questo modo.
Quello che era successo dopo la caduta, poi, era stata la classica ciliegina sulla torta. Se ci ripensava, sentiva ancora le guance scaldarsi per l'imbarazzo.
Quando l'aveva visto a terra, infatti, il signor Bane non aveva perso tempo: aveva spinto via il "Passerotto" con una forza tale da stupire sia l'uomo, che preso alla sprovvista era finito a gambe all'aria, che Alec ed era poi corso al suo capezzale, guardandolo accigliato.
Se le fitte di dolore non gli avessero tolto il fiato, impedendogli di pronunciare anche solo mezza parola che non fosse un gemito di sofferenza, Alec avrebbe minimizzato il tutto, asserendo che non fosse niente di grave. Corpo e mente, però, erano entrati in sciopero ed erano stati talmente poco collaborativi che l'avvocato si era ritrovato, inaspettatamente, tra le braccia dell'uomo con la cresta. Alec era rimasto così scioccato da non riuscire neanche a protestare, mentre il signor Bane lo sollevava senza sforzo apparente, trasformandolo, agli occhi dell'intera discoteca (che a quanto pare non aveva niente di meglio da fare che guardare avidamente nella loro direzione), nella principessa in pericolo che prontamente veniva soccorsa dall'eroe di turno.
In quasi trent'anni di vita, nessuno l'aveva mai preso in braccio (non era successo quando era bambino, figurarsi ora che era adulto!), ma era dannatamente sicuro che gli sarebbe piaciuto continuare a rimanere nell'ignoranza per altri trent'anni almeno, piuttosto che scoprire cosa si provava. Era un miracolo che non fosse morto di combustione spontanea!
Non pago di avergli fatto fare la figura più imbarazzante della sua intera esistenza, il signor Bane l'aveva trasportato fuori dalla discoteca, incurante dei suoi balbettii sconclusionati e delle occhiate inopportune che continuavano a lanciare loro gli altri avventori (sul serio, perchè continuavano a fissarli? Non potevano pensare a spomparsi sulla pista da ballo, piuttosto che guardare lui?). Il signor Bane aveva poi attirato l'attenzione di un taxista, che si trovava fuori dal locale, urlandogli di portarli subito in ospedale.
Alec avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno di andare in ospedale (aveva preso una semplice storta alla caviglia, che cavolo!), ma il suo cervello continuava a rimanere scollegato dalla sua bocca e tutto quello che era riuscito a fare era stato fissare imbambolato l'uomo con la cresta mentre dirigeva le operazioni di "salvataggio".
In tutto ciò, Jace ed Isabelle non erano stati d'aiuto, neanche un po'. Una volta che avevano capito che non stava morendo, avevano cominciato a sorridere e ridacchiare senza sosta. Cosa ci trovassero di divertente, lo sapevano solo loro!
Il display del cellulare, posato sul comodino di fianco al letto, si illuminò silenzioso, attirando così la sua attenzione. Lo prese, scoprendo di avere dieci messaggi non letti e quindici chiamate senza risposta, pervenuti tutti dalla stessa persona. Dannazione! Si era completamente dimenticato di lui. Prima che i fratelli lo trascinassero al Pandemonium, era riuscito ad avvertirlo che sarebbe arrivato tardi all'appuntamento che avevano fissato per quella sera, ma ora avrebbe sicuramente preteso di sapere perchè non si fosse proprio presentato. Come se dovesse rendergli conto dei suoi spostamenti! Scosse le spalle e decise che ci avrebbe pensato più tardi. Ignorò l'ennesima chiamata di quel rompiscatole e riposò il cellulare sul comodino.
Sospirò nuovamente, maledicendo l'intera situazione in cui si era cacciato, e, sicuro che non avrebbe ripreso sonno facilmente, decise di alzarsi per evitare di girarsi e rigirarsi nel letto.
Prese le stampelle, alcuni fascicoli dell'atto in corso e, lentamente, traballò fino alla cucina. Affogarsi di gelato al cioccolato, mentre leggeva per la milionesima volta quelle scartoffie, gli sembrava l'unica cosa sensata da fare in quel momento.
Si fermò di botto sulla soglia della cucina quando si rese conto che c'era già qualcuno là: Magnus Bane stava facendo avanti ed indietro, fermandosi di tanto in tanto per ingurgitare enormi cucchiaiate di gelato, mentre parlava.. da solo.
"Quell'idiota era enorme! Un armadio! Aveva due spalle così!" gesticolò l'uomo con la cresta, infervorato.
L'avvocato lanciò un'occhiata panoramica a tutta la stanza, perplesso. No, non c'era davvero nessun altro, oltre al signor Bane.
"E avresti dovuto vedere com'era vestito! Per Lilith! Come si fa ad andare in giro conciati in quella maniera?" continuò Magnus, scuotendo la testa sconsolato, ficcandosi un'altra generosa dose di gelato tra le sue fauci spalancate.
Onestamente, Alec non era affatto stupito che il signor Bane ciarlasse al nulla. Quell'uomo era la stranezza fatta persona!
"No, non guardarmi così! Quello che è successo dopo non è assolutamente dipeso da me!" dichiarò Magnus, corrucciato, mentre il suo indice si muoveva veloce in segno di diniego.
Alec si chiese se avesse un amico immaginario, come capitava ai bambini. O ai matti.
"Come potevo sapere che quella bionda avrebbe causato un tale putiferio? Eh?" si mise sulla difensiva Magnus, incrociando le braccia al petto. "Non sono un veggente! Le mie magie riesco a farle solo sotto le lenzuola!"
Alec arrossì a quell'allusione tutt'altro che velata.
"Che poi, come fai a darle torto?" continuò l'uomo con la cresta. "Povera cara, ha solo voluto provare, una volta nella vita, l'ebbrezza di palpare un culo come Dio comanda!" disse, girandosi di colpo e sporgendo il sedere all'infuori. "Vedi? Come si può resistere?"
Alec fissò la parte anatomica, rotonda e perfetta, in questione e si ritrovò, senza rendersene conto, ad annuire con convinzione, dando ragione al suo proprietario.
"Te lo dico io! Alexander non sarebbe dovuto intervenire. Potevo cavarmela benissimo da solo!" sentenziò Magnus, battagliero, con le mani sui fianchi.
La strana sensazione che aveva colto Alec, quando aveva sentito il signor Bane chiamarlo con il suo nome intero, tornò, facendogli formicolare la pelle. Ci aveva ragionato su ed aveva concluso che gli faceva quell'effetto solo perchè era da tanto tempo che non lo sentiva. Suo padre era stato l'ultimo (e l'unico) a chiamarlo così perchè per i suoi fratelli era stato sempre e solo Alec, mentre nel mondo del lavoro nessuno aveva abbastanza confidenza con lui da andare oltre il "signor Lightwood" e l'avvocato non aveva nessuna intenzione di modificare quella situazione.
"Miao!" sussurrò una voce bassa e roca.
Alec gridò sorpreso quando, riemergendo dalle sue elucubrazioni, si rese conto di avere il muso di un gatto a pochi centimetri dal suo. Occhi gialli e luminosi lo osservavano intensamente e per poco non gli fecero sfuggire, per lo spavento, le stampelle e i fascicoli di mano, oltre che fargli venire un infarto.
Dopo pochi secondi, quelle pupille verticali si abbassarono lentamente e furono sostituite da un altro paio di occhi, sorprendentemente somiglianti, ma appartenenti a tutt'altra "razza".
"Ciao!" esclamò Magnus, ridacchiando. "Che ci fai sveglio a quest'ora?" gli chiese.
Alec stava per rispondergli, ma fu attirato dal gatto che reclamò l'attenzione su di sè, posandogli una zampetta sul braccio e miagolando.
"Che c'è?" domandò Magnus, notando come lo sguardo dell'avvocato si fosse fissato sul suo bimbo peloso.
"Ha preso un altro gatto?" chiese, di contro, Alec, corrugando la fronte, mentre osservava il felino.
Allungò una mano, accarezzandogli lievemente la testa, e si ritrovò a sorridere quando il gattino si strusciò sulle sue dita, iniziando anche a fare le fusa.
Magnus osservò il tutto, meravigliato. Da quando si erano incontrati (o meglio scontrati), Alexander Lightwood non aveva mai sorriso e scopriva solo adesso che era davvero un peccato mortale. Era semplicemente bellissimo quando gli si illuminavano gli occhi e comparivano le fossette ai lati della bocca.
Quello che lo stupì maggiormente, però, fu sentire Miao che ronfava alla grande per le carezze dell'avvocato. Incredibile! Non si era mai fatto toccare da nessuno, escludendo lui e Max, così facilmente e con quel trasporto.
"Uhm.. no! E' Presidente! Perchè?" disse poi, rispondendo alla strana domanda del ragazzo.
"Presidente?" domandò Alec, continuando a scrutare ed ad accarezzare piano il micio.
"Il gatto che hai regalato a Max! L'ho chiamato Presidente Miao!" spiegò Magnus, lanciando un'occhiataccia al suo cucciolo che non solo continuava a gradire le carezze dell'altro, ma sembrava addirittura che fosse in procinto di balzargli tra le braccia!
L'avvocato guardò sconvolto prima lui e poi il gatto. Il signor Bane stava scherzando, vero? Sì, si stava sicuramente prendendo gioco di lui. Era di sicuro così. Non era possibile che quella piccola palla di pelo obesa fosse il micetto pelle e ossa che aveva dato al ragazzino pochi giorni prima!
Alec scosse la testa, incredulo. "E' sicuro che non se lo sia mangiato, in realtà?" chiese diffidente.
Il micio era davvero dolce, ma, andiamo, era l'unica spiegazione plausibile per quella botticella che c'era al posto del pancino scheletrico iniziale!
"La smettete tutti quanti di insinuare che il mio batuffolo di cotone bianco è grasso?" ribattè stizzito Magnus, tentando di sottrarre Presidente alle grinfie di Alec.
Il gatto, però, protestò con un borbottio rabbioso e conficcò gli artigli nel braccio del suo padrone, offeso per quella improvvisa privazione a lui tanto gradita. Magnus lo guardò malissimo. Pazzesco! Quel traditore si era preso una cotta per il "nemico"!
"Mangia perchè deve crescere!" spiegò poi, alzando gli occhi su Alec e guardandolo severo, mentre ripeteva, come un disco rotto, ciò che aveva detto anche a Catarina. E a Ragnor, a Izzy, a Jace, a Simon e a chiunque altro gli avesse fatto notare che il gatto, più che camminare, avrebbe fatto prima a rotolare quando si muoveva. Quel branco di impiccioni non capiva niente!
Alec gli lanciò un'occhiata scettica, ma non commentò. Non era ancora del tutto sicuro, infatti, che non si trovasse in qualche stramba candid camera.
"Non riuscivo a dormire." disse, cambiando discorso e rispondendo alla domanda del signor Bane.
"Ti fa male il piede?" chiese Magnus, abbassando lo sguardo sulla fasciatura.
"Prude." rispose Alec, scrollando le spalle.
"E' meglio che ti sieda, Alexander!" esclamò l'altro, posando quel doppiogiochista del suo gatto sullo sgabello dell'isola della cucina, ed andando a scostare una sedia del tavolo per far accomodare l'avvocato.
Un nuovo brivido salì lungo la colonna vertebrale di Alec, facendogli accapponare l'epidermide. Ok, era ora di finirla. Non era ammissibile che si trasformasse in un ammasso di gelatina ambulante ogni volta che sentiva quella voce pronunciare il suo nome.
"Alec."
"Eh?"
"Per cortesia, mi chiami Alec." disse, deciso ad interrompere, una volta per tutte, la pessima abitudine che sembrava aver preso il signor Bane. Ne andava della propria sanità mentale.
"Ti da fastidio Alexander?" chiese Magnus, perplesso.
"Parecchio." rispose Alec, mentre un'altra scossa gli fece fremere il cuore e storcere il naso. La situazione stava diventando ridicola.
"Ma è un bel nome." esclamò Magnus, sorpreso. "E' un peccato storpiarlo con un banale diminutivo."
"Preferisco così. Quindi, per favore, utilizzi questo e la smetta di chiamarmi con quell'altro." ribattè Alec, scontroso, superandolo per andare a sedersi.
Un bel nome. Alec non l'aveva mai definito tale, anzi era una delle cose che più odiava al mondo, ed il suo significato era un'ironica presa per i fondelli da parte del destino. "Protettore di uomini".. lui era tutto tranne che un protettore. Quando avrebbe dovuto mettere in pratica quella traduzione, aveva mancato clamorosamente l'appuntamento e non se l'era mai perdonato.
Magnus lo osservò incuriosito e si mise l'appunto mentalmente di scoprire perchè quel particolare lo facesse uscire così dai gangheri. A lui, invece, piaceva davvero molto quel nome!
"Ok, come vuoi.. Alec." concesse, alzando le mani in segno di resa.
L'avvocato annuì, posò i fascicoli sul tavolo e fissò intensamente la vaschetta di gelato: quell'ingordo del signor Bane ne aveva mangiato più della metà! Se non fosse arrivato in tempo, se la sarebbe scofanata tutta, ne era sicuro!
"Uff! Ce n'è ancora!" si giustificò quest'ultimo, leggendogli nel pensiero, mentre gli allungava un cucchiaio.
Alec annuì, soddisfatto di quella rivelazione, e si tuffò sul dolce peccato di gola. Non se lo concedeva spesso, ma, quando accadeva, ne mangiava fino a farsi venire il mal di pancia.
"Prendo anche l'altra vaschetta?" chiese Magnus.
Alec annuì di nuovo ed indicò poi con la testa il gatto che li osservava, placido. "Non dovrebbe occuparsene il ragazzino?"
"Max. Si chiama Max. E sono le tre di notte! E' ovvio che, a quest'ora, non può occuparsene lui, no?" rispose Magnus, alzando un sopracciglio e sfidandolo a trovare qualcosa da ridire, mentre andava a sedersi di fianco a lui con il gelato.
Si guardò bene dal rivelargli che suo figlio, per quanto trovasse adorabile Presidente, preferiva di gran lunga lasciarlo alle sue cure per correre fuori a divertirsi, piuttosto che farsi maciullare le mani e le braccia a suon di graffi e morsi "giocosi".
Alec scosse la testa ed accennò un sorriso storto. Quando era il momento di giustificare le mancanze del ragazzino, il signor Bane aveva sempre la risposta pronta. Era fastidioso e controproducente, ma doveva anche ammettere che era ammirevole come riuscisse sempre a ribattere puntualmente, risultando anche quasi credibile.
"Sai, dovresti farlo più spesso." disse Magnus, improvvisamente, squadrandolo.
Alec lo guardò interrogativo, mentre si ficcava un'enorme porzione di gelato in bocca. "Cosa?" biascicò, con la bocca piena.
Magnus lo guardò divertito. "Sorridere! Sei più carino quando lo fai." rispose.
Alec avvampò e per poco non gli andò il gelato di traverso. Tossì un paio di volte e poi si schiarì la gola. "I-io.. la smetta di dire sciocchezze!" balbettò contrariato. "Come mai lei invece è sveglio?" chiese, tentando di cambiare discorso.
Magnus ridacchiò, contento di aver appena scoperto che i complimenti mettevano in imbarazzo l'uomo tutto d'un pezzo di fianco a lui. Era una preziosa informazione, di cui si sarebbe servito senza alcuno scrupolo, e più ne scovava su Alexander Lightwood, più possibilità aveva di trovare il suo vero punto debole.
"Non riuscivo a dormire." rispose poi, posando il mento sulla mano e ripetendo le parole che l'altro aveva pronunciato poco prima. "Sarà l'agitazione per quanto successo." disse con un sorriso, facendo spallucce.
"Comprensibile." concordò Alec, prima che una fitta gli facesse storcere il naso.
"Ti fa male?" chiese Magnus, accigliato. "Vuoi un altro analgesico?"
"No, grazie" rispose, scattando poi all'indietro quando l'altro, a tradimento, gli sfiorò il naso tumefatto. "Ahia!!!" esclamò.
Magnus scosse la testa e, senza dire una parola, si alzò per prendergli un altro antidolorifico. "Sai.. non saresti dovuto intervenire." lo rimproverò poi, consegnandogli la scatola, e sedendosi di nuovo accanto a lui.
"Mi scusi se l'ho vista in difficoltà!" ribattè Alec, risentito, guardandolo male.
Certo che era davvero un bel tipo! Gli aveva fatto un favore, rischiando la sua incolumità fisica, e quell'ingrato glielo stava rinfacciando senza alcun ritegno! Sì, l'aveva pensato anche lui, ma era tutt'altra cosa sentirselo dire dal signor Bane.
"Non ero in difficoltà."
"No?"
"No. Ero capacissimo di prendere a calci quel tizio con un sedere orribile."
"Mi perdoni, ma non sembrava che fosse sul punto di farlo! Anzi!"
"Tesoro, mi hai solo anticipato. Credimi se ti dico che me la sarei cavata anche da solo!" sussurrò, avvicinandosi a lui, mentre gli occhi brillavano intensamente.
"Alec. Mi chiamo Alec." ribattè severo, sostenendo il suo sguardo. "Cosa pratica?" chiese poi. La baldanza che palesava il signor Bane doveva per forza derivare dalla sicurezza delle sue capacità e quindi Alec era certo che non fosse il primo idiota inerme che passava per strada.
"Krav maga."
"Capisco." annuì comprensivo.
"Tu?"
"Io?"
"Tesoro, nonostante quegli orribili vestiti, bucati e sformati, li nascondessero egregiamente, i tuoi muscoli li ho sentiti tutti quando ti ho preso in braccio!" sorrise malandrino Magnus.
Se fino a pochi secondi prima Alec si era dato il cinque mentalmente per non essere arrossito nè essersi allontanato, quando l'altro gli si era avvicinato pericolosamente, ora l'incendio sulle sue guance divampò incontrollabile.
"A-A-Alec! Mi chiamo Alec! La smetta di chiamarmi tesoro!" balbettò arrabbiato. "E chi le ha dato il permesso di palparmi?"
"Ma non ti ho palp.."
"E chi le ha dato il permesso di prendermi in braccio? Eh? So camminare da solo, per l'angelo!"
Alec pensò che convogliare l'imbarazzo in rabbia era la sua unica ancora di salvezza. Con un po' di fortuna, il signor Bane avrebbe scambiato il suo impaccio per ira repressa.
"Avevi.. o meglio hai un piede fuori uso!" gli ricordò Magnus, iniziando ad innervosirsi.
"Ne ho due e l'altro è perfettamente funzionante."
"E come avresti fatto?"
"Jace mi avrebbe aiutato ad arrivare all'auto! E soprattutto non mi avrebbe fatto fare quella figuraccia!"
"Quale figuraccia?"
"Signor Bane, per l'amor del cielo, se non se ne fosse accorto, l'intera discoteca ci stava guardando!"
"Oh, ma quello è perchè siamo bellissimi!" rispose Magnus, compiaciuto.
"Ma quale belliss.. c-cosa?" domandò Alec, bloccandosi nel pieno della sua sfuriata.
Magnus roteò gli occhi, sorridendo. "Tranquillo, Iceberg, prometto che è l'ultimo complimento che ti faccio." disse, facendogli la linguaccia.
Alec si indispettì. "Signor Bane, non ci stavano fissando perchè siamo bellissimi. Non lo siamo e.."
"Come sarebbe a dire che non siamo bellissimi?" lo interruppe Magnus, sorpreso. "Dico, ma mi hai visto bene? Sono spettacolare!" lo guardò severo. "E, per quanto detesti ammetterlo, ti assicuro che non sei un bidone della spazzatura neanche tu! Non ce l'hai uno specchio in camera tua? O in bagno? Per Lilith, questa casa pullula di specchi! Come fai a non guardarti e non notarlo?"
Alec sentì il viso scoppiare per l'imbarazzo. Cielo, perchè non riusciva a controllarsi?
"S-signor Bane.."
"Va bene, va bene! Sei un bidone della spazzatura! Contento?" chiese Magnus, sventolando la mano per scacciare ulteriori obbiezioni.
L'incendio sembrò attenuarsi ed Alec tornò a respirare correttamente, mentre cominciava seriamente a scocciarsi con se stesso. Doveva smetterla di farsi dominare dalle proprie emozioni ogni qual volta quell'uomo gli faceva anche solo un simil-complimento!
"Che hai qua?" chiese Magnus, allungandosi sul tavolo per prendere le carte che Alec aveva portato con sè.
Fece appena in tempo a leggere il nome della pratica prima che l'avvocato gli schiaffeggiasse piano la mano, togliendogli i fascicoli.
"Non sono affari suoi!" lo rimproverò Alec. "Mai sentito parlare di segreto professionale?"
Magnus gli avrebbe risposto volentieri per le rime, se non fosse stato troppo scosso per quello che aveva appena letto.
La sua testa iniziò a vorticare febbrilmente e una serie di quesiti si fecero strada nella sua mente. Qual era l'oggetto della causa in atto? Quanto era grave la situazione? Alec faceva parte dell'accusa o della difesa? Doveva assolutamente scoprire di più su questa faccenda!
"Signor Bane.. sta bene?" chiese Alec, notando come l'uomo si fosse improvvisamente zittito e sembrasse assente.
Magnus si riscosse. "S-sì. Credo sia ora di andare a letto. Buona notte, Alec." esclamò.
Si alzò velocemente, tolse dal tavolo le ormai vuote vaschette di gelato e, dopo un breve cenno con il capo, si diresse a passo di marcia fuori dalla cucina.
Alec osservò perplesso la "fuga" del signor Bane. Che gli era preso? Si era dimenticato perfino del gatto! Che l'avesse offeso quando gli aveva bacchettato la mano?
"Andiamo a dormire anche noi, Presidente?" chiese il giovane, alzandosi lentamente dalla sedia e riprendendo le sue stampelle e i suoi fascicoli, che aveva portato con sè inutilmente.
Il gatto si stiracchiò e, con un balzo, scese dallo sgabello e raggiunse Alec, strusciandosi sulle sue gambe. L'avvocato ridacchiò e, a passo di lumaca, si diresse verso la sua camera in compagnia del suo nuovo amico.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Alec si svegliò lentamente. Aprì un occhio, poi l'altro e un sorriso sorse spontaneo sulle sue labbra. Ridacchiò piano, guardando Presidente che, appollaiato sul suo petto, lo massaggiava e gli faceva vibrare la cassa toracica a suon di fusa.
"Buongiorno!" biascicò assonnato, grattandogli un orecchio. "Stai comodo?"
Il piccolo gatto rispose ronfando ancora di più, strusciando la testa sulla sua mano ed aumentando l'intensità del massaggio.
Alec rise, poi stiracchiò in alto le braccia, emettendo un lungo sospiro rilassato. Contro ogni pronostico, aveva dormito come un bambino e si sentiva davvero bene.
Mosse cautamente il piede e non sentì nessuna fitta propagarsi per la gamba, alzò e riabbassò piano la testa sul cuscino e anche questa non diede segnali di dolore. Sorrise soddisfatto. Ah! Se i suoi fratelli e quel medico zelante avessero potuto vederlo in quel momento! Era certo che non fosse niente di grave e, ora, gli sarebbe tanto piaciuto sbattergli in faccia un gongolante "Ve l'avevo detto! Ve l'avevo dettooo!".
Accarezzò un'ultima volta Presidente, prima di toglierselo delicatamente di dosso e posarlo sul cuscino di fianco al suo, poi si diede una bella spinta e si alzò di colpo.
Fu una pessima idea. Davvero davvero pessima.
La testa iniziò a girare vorticosamente e il piede prese a pulsare al ritmo del suo cuore impazzito. Si sedette di peso sul materasso e un conato risalì prepotentemente dal suo stomaco.
Ok, forse non era vero che non era proprio niente.
Inspirò ed espirò per un numero imprecisato di volte prima che il senso di nausea diminuisse.
Si accasciò lentamente all'indietro, continuando a respirare a fondo, nel tentativo di calmare il suo cuore imbizzarrito e, con la coda dell'occhio, vide Presidente scrutarlo attentamente.
"Ti prego, non dirlo a nessuno!" sbuffò con un sorriso, girando piano la testa verso di lui.
Il gatto miagolò, come per rassicurarlo che il suo segreto era al sicuro, ed Alec allungò una mano per accarezzarlo e ringraziarlo.
La porta della sua stanza si spalancò di colpo e sbatté violentemente contro il muro, facendo scattare l'avvocato che, spaventato, si mise seduto sul letto.
Neanche questa fu una mossa azzeccata, dato che la sua testa tornò a girare come se fosse sulla giostra delle tazze rotanti.
"Che diavolo.." gemette, portandosi una mano al viso, con la vista momentaneamente annebbiata.
"Ops.. Mi dispiace. Mi è scivolata." esordì una voce roca, in cui non c'era nessun segno di pentimento.
Alec alzò lo sguardo, mettendo a fuoco Magnus che, con le mani sui fianchi, i capelli sparati in tutte le direzioni e mezzo nudo, lo guardava dall'uscio della porta.
"S-signor Bane.. ehm.. bu-buongiorno.." balbettò il giovane, stupefatto, tentando di non concentrarsi troppo sugli addominali in bella mostra dell'uomo.
"Sì sì, ciao ciao! Lui dov'è?" chiese Magnus, sventolando una mano e non degnandolo della minima attenzione, mentre scrutava attentamente la stanza. "Ah-ahhh!" disse poi, localizzando il soggetto del suo interesse.
Si diresse a passa di marcia verso di lui ed Alec, di riflesso, indietreggiò sul letto. Lo fece per allontanarsi da una possibile minaccia, non certo per non avere così vicino quella pelle tentatrice, invitante e caramellata.
Magnus afferrò Presidente e riservò un'occhiataccia all'avvocato. "L'ho cercato ovunque prima di rendermi conto che poteva essere con te!" lo rimproverò.
"Oh.. Mi scusi! Non ne avevo idea."
Magnus stava per ribattere, ma fu interrotto da Presidente che sgusciò via dalla sua morsa per balzare elegantemente tra le braccia di Alec, iniziando poi a strusciarsi sul suo petto, sotto lo sguardo attonito dei due uomini.
"Per tutti i diavoli!" esclamò risentito Magnus, incrociando le braccia al petto. "Ho capito che ti sei innamorato di lui, ma non potresti essere meno spudorato?" brontolò verso il gatto.
L'intera situazione, pensò, sarebbe anche potuta essere divertente, con l'avvocato adorabilmente a disagio, se quest'ultimo non fosse stato il suo nemico giurato e il suo bimbo peloso non fosse passato chiaramente dalla sua parte anziché graffiarlo senza pietà. Cavandogli anche un (bellissimo) occhio blu, magari.
"Ehm.. da bravo micio-micio, v-vai dal tuo padrone." mormorò impacciato Alec, rosso come un pomodoro, tentando di staccarsi gentilmente il gatto di dosso.
Magnus glielo prese dalle mani senza tante cerimonie, ma il piccolo felino non sembrò gradire affatto quella separazione così brusca e gli artigliò il braccio, brontolando nervoso.
"Presidente, te l'ho già detto mille volte, non si graffia papà!" lo rimbeccò Magnus, guardandolo male.
Il gatto girò la testa verso Alec, come per chiedergli aiuto, e questi ridacchiò divertito.
"Per favore, non lo tratti male. L'ha graffiata solo perchè si è spaventato." lo giustificò con un sorriso, allungando una mano per accarezzarlo e rassicurarlo.
"Non ti intromettere Iceberg!"
"E' Alec!" si indispettì il giovane, alzando gli occhi sull'uomo. "Non Alexander, Iceberg o il cielo solo sa quale altro insulto partorito dalla sua mente. Mi chiamo Alec, per l'angelo!"
"Che c'è? Ti sei svegliato con la luna storta, Alexander?" chiese Magnus, ironico.
"Lo sa, il suo atteggiamento è incredibilmente immaturo." continuò battagliero Alec, ignorando l'ormai familiare brivido che gli scuoteva il corpo. "Cos'ha? Cinque anni?"
"Veramente.."
"Che cattiva influenza per il ragazzino." borbottò Alec, scuotendo la testa, pienamente consapevole che quella frecciatina l'avrebbe fatto arrabbiare, nonostante avesse appena finito di fargli la predica su quanto fosse puerile.
"Non osare.." reagì prontamente Magnus, irrigidendosi.
"Mi corregga se sbaglio, ma non dovrebbe essere un esempio per lui, anzichè dargli un ulteriore pretesto per essere infantile?" chiese Alec, sostenendo lo sguardo dell'altro. "Continuare ad essere così dispettoso, appellando un altro adulto con nomignoli sgraditi od offensivi, non solo non è un comportamento corretto, ma è anche controproducente. Dovrebbe insegnargli l'educazione, non praticare del bullismo verbale, che il ragazzino potrebbe tranquillamente emulare in qualsiasi momento!"
Detto ciò si alzò dal letto, afferrò le stampelle e si diresse verso il proprio bagno personale. Non fu un procedimento facile, anzi fu piuttosto doloroso, con il piede e le tempie che continuavano a pulsare freneticamente, ma strinse i denti e fece finta di nulla. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di farsi vedere vulnerabile.
Magnus fissò, sbalordito, prima quell'uscita di scena plateale e poi Presidente Miao che saltò via ancora una volta dalle sue braccia per andare ad accomodarsi sul cuscino di Alec.
"Ti pare possibile?" gli chiese, indicando la porta che l'altro aveva appena sbattuto dietro di sè.
Il gatto socchiuse gli occhi e Magnus si sentì stranamente colpevole sotto quello sguardo fisso e penetrante.
"Che c'è?" chiese l'uomo, a disagio. "Ehi non ho iniziato io!" si difese. "L'hai visto no? Ha dato di matto per un semplice soprannome e.."
L'occhiata ammonitrice di Presidente lo seguì anche quando iniziò a fare avanti ed indietro per la camera, mentre continuava a borbottare tra sè e sè.
"Per Lilith, è permaloso da morire! Si offende se gli do del ghiacciolo, però non si fa problemi a sparlare di mio figlio. E'.. è pazzesco!"
Presidente emise un brontolio sommesso e la coda iniziò ad agitarsi sul cuscino.
Magnus si fermò di botto dal suo andirivieni. "Va bene, va bene! Dopo gli chiedo scusa! Contento?" concesse, esasperato.
Il gatto si acciambellò, emettendo un sospiro soddisfatto, e Magnus scosse la testa, incredulo. Gli si avvicinò e gli grattò un orecchio, sorridendo. Come quel piccolo despota peloso fosse riuscito a farlo pentire delle proprie parole, semplicemente guardandolo, lo sapeva solo lui.
La sua attenzione fu improvvisamente attirata dai voluminosi fascicoli posati sulla sedia al di là del letto.
Diede un'occhiata veloce alla porta del bagno, da cui proveniva il suono di uno scroscio d'acqua, e si diresse poi verso quella documentazione che lo stava chiamando a sè come una sirena incantatrice.
Prese il primo fascicolo, lo aprì e lesse avidamente le prime righe. Sbuffò contrariato quando si rese conto che quello che ci stava scritto era molto più complicato da capire del previsto. Doveva leggersi quelle carte con calma, per scartare tutti quei bla bla bla inutili, ma non c'era tempo! Il rumore della doccia era cessato, non aveva idea da quanto perchè non ci aveva prestato attenzione, e questo significava che doveva rimettere a posto tutto, prima che l'avvocato..
"SIGNOR BANE!!! POSI IMMEDIATAMENTE QUEL FASCICOLO!!!" urlò improvvisamente Alec, a pieni polmoni.
Magnus, per lo spavento, fece cadere le carte, che si sparpagliarono per il pavimento, ed alzò lo sguardo colpevole sull'altro, pronto a giustificarsi per quello che stava combinando.
La sua mente però non fu affatto collaborativa e, anzichè formulare rapidamente una scusa plausibile, partì per la tangente quando vide Alec mezzo nudo e non ancora completamente asciutto dalla doccia che aveva appena fatto.
Immagini nitide e peccaminose iniziarono a vorticargli in testa, mandandogli in subbuglio gli ormoni.
Dannata castità! Gli bastava vedere un po' di pelle esposta di un bel ragazzo e si eccitava come un adolescente!
Per sua fortuna, il giovane era troppo concentrato su quello che aveva fatto, per notare tutto ciò.
Alec avanzò barcollante ed arrabbiato verso di lui, gettò a terra le stampelle, si sedette di peso sul letto ed iniziò a raccogliere i fogli disseminati per il pavimento, borbottando parole incomprensibili.
Magnus abbassò lo sguardo, pronto ad aiutarlo, ma si bloccò notando la schiena del giovane a pochi centimetri da lui. Si poteva essere attratti da un'imperfetta pelle bianca disseminata da una miriade di cicatrici? A quanto pare sì.
Magnus la toccò, ipnotizzato, ed Alec si alzò di scatto non appena sentì il tocco leggero dell'altro.
"Cazzo!" esclamò l'avvocato, subito dopo, quando la vista gli si annebbiò momentaneamente di nuovo, facendogli portare le mani al viso.
"Stai.. stai bene?" chiese Magnus, osservandolo.
Gli sarebbe piaciuto avere un tono fintamente preoccupato, davvero, ma il suo interesse ora si era concentrato tutto sul petto di Alec. Due pettorali sodi e torniti, combinati a degli addominali scolpiti, reclamavano ferocemente i suoi occhi e Magnus non se la sentiva proprio di non dargli la giusta attenzione. Anche qui c'erano delle cicatrici che facevano capolino sulla pelle, ma erano in quantità minore rispetto alla costellazione presente sulla schiena.
"No che non sto bene!" abbaiò Alec, riservandogli un'occhiata glaciale. "Mi fanno male il piede e la testa e, quel che è peggio, lei stava leggendo della documentazione riservata! Che cazzo! Gliel'ho detto ieri sera che non erano affari suoi, ma no! Lei deve sempre fare di testa sua!"
"Senti Alexan.." iniziò Magnus, interrompendosi immediatamente quando l'altro gli lanciò un'occhiata di fuoco. "Senti Alec, non è come pen.."
"Oh no! No! No!" lo interruppe Alec, scuotendo la testa "Non ci provi neppure a trovare una ridicola scusa per il suo comportamento riprovevole!"
"Per Lilith, non ti sembra di esager.."
"Lo sa che potrei passare dei guai se si sapesse che un perfetto sconosciuto ha ficcato il naso su documentazione coperta da segreto professionale?" si alterò ancora di più l'avvocato, mentre si alzava per fronteggiare l'idiota che gli stava davanti. "Ma tanto a lei che gliene importa? Piomba nella vita delle persone, stravolgendogliela. Non le interessa di quello che gli viene detto o raccomandato e va avanti per la sua strada, incurante dei danni che potrebbe provocare. E' egoista e prepotente. Provoca per il puro gusto di irritare il prossimo e sputa offese con una leggerezza tale da far rabbrividire."
"Io ti ho stravolto la vita? IO?" urlò Magnus, affrontandolo a muso duro. "Sei tu che hai sconvolto la mia, quando hai mandato Jace a prendere mio figlio?"
"Non è suo figlio!" puntualizzò Alec, inviperito.
"Oh! Perchè sarebbe tuo? Davvero?"
"Biologicamente.."
"Biologicamente un cazzo! Dov'eri in tutti questi anni? Dove diavolo sei stato per otto anni?" chiese tagliente Magnus, ad un centimetro dal naso dell'altro.
"Non sono affari suoi." sussurrò gelido Alec.
"E invece sono affari miei, Iceb.."
"Coff coff.."
Magnus ed Alec girarono simultaneamente la testa e si ritrovarono davanti Hodge, fermo sull'uscio della porta, che si era appena schiarito la gola, nascondendo il fantasma di un sorriso dietro al pugno che si era portato alla bocca.
Il maggiordomo alzò un sopracciglio, per la vicinanza e la "mise" dei due, ma non fece commenti.
"Buongiorno signori." li salutò. "La colazione è pronta e il signorino Lightwood vi sta già aspettando." li informò, girandosi per andarsene, non prima di aver lanciato loro un'altra occhiata eloquente.
Alec intercettò lo sguardo del suo dipendente, abbassò il proprio sul suo corpo dannatamente vicino a quello dell'altro ed arrossì fino all'attaccatura dei capelli. Fece un vistoso passo indietro, sbattè contro il letto e ci cadde sopra, attirando così l'attenzione di Magnus.
"Che fai? Ti offri a me in segno di pace?" chiese ironico l'uomo, percorrendo il suo corpo con una lunga occhiata lasciva.
Alec arrossì, se possibile, ancora di più. Tentò di rimettersi seduto, racimolando tutta la sua dignità, puntò l'indice verso la porta ed ordinò perentorio "Fuori di qui!".
"Non abbiamo.."
"SUBITO!" esplose Alec, al limite della sopportazione.
"Ma ci sono ancora tutti i fogli per ter.."
"Signor Bane, le giuro che se non se ne va via immediatamente dalla mia stanza, userò tutte le mie conoscenze possibili ed immaginabili per farla buttare fuori dalla mia camera, dalla mia casa e anche dallo Stato!"
Magnus lo guardò a bocca aperta. Aveva sempre creduto di essere l'indiscusso re del dramma, tanto che le sue scenate esagerate erano leggendarie, ma a quanto pare aveva trovato qualcuno che riusciva tranquillamente a tenergli testa!
Mise il broncio, fece il giro del letto, prese il gatto ed uscì senza proferire parola.
Finalmente solo, Alec tentò di regolarizzare il respiro affannato.
"Al diavolo Magnus Bane!" pensò rabbiosamente, chinandosi per raccattare e rimettere a posto i fogli caduti.
Cosa aveva fatto di male per meritarsi un individuo del genere nella propria vita? Non si era sempre comportato bene? Era sempre stato un figlio e una persona esemplare, si era sposato con una perfetta sconosciuta pur di garantire la discendenza della stirpe Lightwood, aveva messo da parte tutto e tutti pur di seguire i sogni e le ambizioni paterne, non aveva grilli per la testa, lavorava sodo e aveva addirittura sistemato la fastidiosa storia del ragazzino.
Perchè, quindi, l'Universo si accaniva così sadicamente su di lui? Non era già stato punito a sufficienza?
Dieci anni prima il destino aveva sicuramente pareggiato i conti con il suo peccaminoso segreto, quindi cosa cazzo voleva ancora da lui? Perchè non lo lasciava in pace e non si riprendeva indietro Magnus Bane?
Sapeva di non poter biasimare se stesso perchè provava attrazione fisica per un bell'uomo, ma il signor Bane era irritante come la sabbia nelle mutande e, soprattutto, l'interesse che provava per lui contrastava ampiamente con i suoi piani per il ragazzino.
Quest'ultimo, tra l'altro, non era affatto come se lo aspettava. Aveva pensato di ignorarlo e di liberarsene mandandolo a scuola, perchè era certo che si sarebbe trovato a suo agio negli irreprensibili alloggi del Trinity School (insomma, quale ragazzo sano di mente non li avrebbe trovati di proprio gradimento?), ma il palese rifiuto del ragazzino e il suo evidente desiderio di indipendenza lo avevano sorpreso. Per questo, il giorno in cui era scappato, era sgattaiolato nella sua stanza, una volta che tutti erano andati a dormire. Voleva guardarlo in viso e rivedere, nei suoi lineamenti, qualunque cosa gli ricordasse Lydia, la sua viltà e la sua mancanza di onore. Gli sarebbe piaciuto disprezzare quel mocciosetto così come disprezzava sua madre, ma, in quel viso addormentato, non trovò alcuna traccia della moglie fedifraga ed Alec si era stupito di non provare astio nei suoi confronti. Il piano di farlo diventare un degno erede Lightwood, quindi, avrebbe potuto avere degli sviluppi migliori del previsto, ma non aveva fatto i conti con Magnus Bane.
Quell'uomo non solo si era messo inaspettatamente sulla sua strada, pronto a parare qualsiasi sua iniziativa pur di proteggere il suo adorato cucciolo, ma era anche incredibilmente testardo e difficile da gestire. Era sfiancante averci a che fare ed Alec, per la prima volta in vita sua, non aveva idea di come gestire l'intera faccenda.
Sospirò, mentre ficcava alla bel meglio i fogli dentro al fascicolo. Il pulsare incessante al piede e alla testa lo stavano facendo impazzire e se non si fosse fatto una doppia dose di antidolorifico avrebbe iniziato a dare di matto.
"Signor Lightwood, va tutto bene?" chiese Hodge, ricomparso sull'uscio della porta della sua stanza. "Non la vedevo arrivare ed iniziavo a preoccuparmi. Vuole che l'aiuti a scendere?"
No, Alec non voleva il suo aiuto perchè, in quel momento, sarebbero dovuti passare sul suo cadavere prima che si convincesse a scendere di sotto, di propria volontà, a mangiare ed ad intrattenere una forzata conversazione con il signor Bane ed il ragazzino.
Si massaggiò lentamente il setto nasale, inspirando a fondo, poi si girò verso il maggiordomo.
"Hodge, questa mattina ho intenzione di fare colazione a letto. Per cortesia provvedi a farmela recapitare qui e fammi portare anche degli analgesici, grazie."
Il maggiordomo lo guardò sorpreso per quell'insolita richiesta, ma, proprio come prima, non fece commenti e si limitò ad un cenno del capo.
"Oh! E Hodge.." continuò Alec, bloccandolo mentre stava uscendo. "Quello che hai visto poco fa non è mai successo. Intesi?"
Il maggiordomo annuì nuovamente, comprensivo, e se ne andò, pronto ad esaudire il desiderio del suo principale.
Alec sospirò di sollievo. Grazie al cielo era stato Hodge a beccare lui e il signor Bane in una situazione che, ad occhi esterni, poteva sembrare tutto tranne che innocente. Se ci fosse stata, ad esempio, qualche cameriera pettegola, al posto dell'uomo, poteva stare tranquillo che, in tempo record, l'avrebbe saputo tutta la casa! Rabbrividì al solo pensiero.
Il vecchio maggiordomo era l'unico a conoscere il suo segreto (tra gli essere viventi, almeno), ma sapeva che poteva fidarsi ciecamente di lui. In tanti anni, non solo non l'aveva mai tradito, ma l'aveva anche coperto tutte le volte in cui si era portato a letto qualsiasi essere di sesso maschile che respirasse.
Alec sorrise amaramente quando ripensò alla fase di ribellione acuta e totale che aveva avuto nei confronti del padre. Fu un periodo confuso, frenetico, ma soprattutto doloroso.
Robert Lightwood aveva scoperto, per puro caso, la sua omosessualità, e fu come scoperchiare il vaso di Pandora. Le aggressioni, verbali e fisiche, divennero una routine quotidiana e più il padre lo massacrava, più Alec cercava conforto tra le braccia di perfetti sconosciuti. Tutto cessò quando sposò Lydia, dando finalmente a Robert una parvenza di essere "guarito" dalla sua condizione.
Se solo avesse potuto prevedere lo scompiglio che sarebbe successo in seguito, si sarebbe fatto fustigare piuttosto che compiere quel passo.

Magnus, una mano a sorreggergli il mento, l'altra impegnata a mescolare svogliatamente il caffè, nella tazza che aveva davanti, e con la testa altrove, fissava suo figlio, seduto dall'altra parte del tavolo, mentre si ingozzava di dolci, senza vederlo veramente.
La piccola manina destra di Max infilzò, con una forchetta, la torre di pancake, farcita da una generosa dose di salsa al cioccolato, che aveva sul proprio piatto e, nel frattempo, con l'altra reggeva un pezzo enorme di crostata di pesche che Cat aveva sfornato da poco. Un morso al pancake, uno alla torta, in un'alternanza che stava sicuramente facendo ballare la samba alla sua glicemia.
Il bambino alzò lo sguardo ed intercettò quello paterno.
"Che c'è?" chiese, con la bocca piena, mentre spargeva briciole ovunque.
Magnus, riscuotendosi, sorrise ed allungò una mano per togliergli un rivolo di confettura dall'angolo delle labbra.
"Niente, fragolina. Allora, che programmi hai per oggi?" gli chiese poi.
"Oh.. giocare.. esplorare qua e là.." rispose Max, evasivo.
Non gli piaceva mentire a suo padre, ma tutto sommato non gli stava proprio dicendo una bugia. Avrebbe davvero giocato con Rafe. O almeno l'avrebbero fatto dopo aver montato la porta e riparato la finestra del rifugio.
"Ci sono cose interessanti qui attorno? Non ti stai annoiando, vero?"
Max scosse la testa. "No papi! Mi piace esplorare! Ieri ho visto uno scoiattolo!" sorrise raggiante.
L'occhio gli cadde poi sull'orologio a muro e balzò in piedi come una molla. Era in ritardo! Rafe lo stava sicuramente aspettando.
"Ok, io vado! Posso prendere altre due fette di torta? Sai.. nel caso mi venisse fame mentre sto giocando!" chiese.
Sua padre annuì e il sorriso di Max si ampliò. Tagliò due fette di crostata talmente grandi che tanto valeva se la portasse via tutta.
"Grazie! Ci vediamo più tardi, papino!" lo salutò, scappando con il goloso bottino che avrebbe regalato al suo amico.
"Ciao pulcino!" rispose Magnus con un sospiro.
Quella mattina, più di tutte le altre, gli sarebbe davvero piaciuto passare del tempo con suo figlio per distrarsi. La litigata con Alec gli aveva lasciato un vago senso di malessere, che non vedeva l'ora di togliersi di dosso. Perchè si sentisse così in colpa, poi, non riusciva davvero a spiegarselo. L'avvocato era stato così melodrammatico! Aveva sbirciato qualche documento. E allora? Cosa aveva fatto di male?
Sospirò nuovamente, dandosi dello stupido perchè continuava a pensarci.
"Avanti, sputa il rospo!" disse improvvisamente Cat, comparendo nella sala da pranzo e sedendosi al posto di Max.
Magnus fece spallucce e tornò a mescolare il caffè, ormai freddo ed imbevibile.
"Mi annoio.." le rispose.
"Hai detto la stessa cosa ieri e guarda come è andata a finire!" sorrise Cat, scuotendo la testa.
"Sì, ma qui non c'è niente da fare! E' tutto così.. così.. così barboso, ecco!" continuò a lagnarsi Magnus.
Cat gli rivolse un sorriso indulgente. "Perchè non sai dove cercare. Hai mai visitato la galleria al terzo piano? E' piena zeppa di dipinti e pensa che c'è gente che arriva persino da altre città per ammirarli! E la biblioteca? Hai visto quanto è grande, no? E' bellissima e contiene un'infinità di libri da leggere."
"Per Lilith, Cat!" la bloccò Magnus, alzando una mano. "Non ho mica ottant'anni! Sono tutte attività vetuste!"
La governante scosse nuovamente la testa, divertita. "La tenuta qui intorno, allora? Ci sono angoli meravigliosi e non mi stupisco affatto che Max passi l'intera giornata fuori a giocare! E ci sono i cavalli!"
"Non so cavalcare." obiettò Magnus. "Almeno.. non equini nel vero senso della parola." precisò, ammiccando verso la ragazza. "E la natura mi piace fino ad un certo punto, cioè fino a quando qualche insetto disgustoso non mi entra nella maglietta o tra i capelli!"
Cat si picchiettò il mento, pensosa. "Il signor Lightwood è un ottimo cavaliere. Potrebbe insegnarti lui!" suggerì, illuminandosi.
"Prima di tutto Iceberg ha un piede fuori uso e, in secondo luogo, no grazie!" si imbronciò Magnus.
"Dovresti smetterla di chiamarlo così! Se mettessi da parte i tuoi pregiudizi, scopriresti che non è affatto male come credi."
"Davvero?"
Cat annuì. "E' gentile, generoso e.."
"Gentile? Come si fa a definire Iceberg gentile?" la interruppe Magnus, sbalordito.
La ragazza sventolò una mano, come a scacciare quella domanda molesta. "Sapevi che possiede parecchi palazzi popolari, abitati da brava gente che però fatica ad arrivare a fine mese, e che negli ultimi otto anni, da quando cioè Lightwood senior si è ammalato e l'amministrazione è passata in mano ad Alec, gli affitti non sono stati più riscossi?" sussurrò, protendendosi verso l'amico. "Sapevi che, nonostante sia uno degli avvocati più in gamba degli Stati Uniti e nonostante il suo studio sia il fior fiore della città di New York, offre i suoi servigi pro bono a chi non può permettersi un avvocato o di sostenere una causa legale? Sapevi che fa più beneficenza lui di quanta ne faccia l'intera città di New York?"
"No, non lo sap.."
"Se qualcuno ha un problema, che sia un suo familiare, un amico o addirittura un semplice dipendente, Alec Lightwood si fa in quattro per aiutarlo a trovare una soluzione, anche a livello economico. Potrà sembrarti incredibile da credere, ma ha molti più amici di quanti tu possa immaginare. Persone che gli vogliono bene e che lo rispettano. Dio solo sa quanti favori potrebbe riscuotere in giro per l'intera città!".
Cat fece una pausa e lanciò una rapida occhiata in direzione del ritratto appeso sopra al camino. Magnus seguì il suo sguardo, osservando l'immagine di un uomo che somigliava molto ad Alec. Robert Lightwood.
"Lightwood senior era tutto tranne che un uomo per bene." gli confidò la ragazza. "Grazie al cielo, Alec passava poco tempo in sua compagnia e, nonostante abbia assecondato parecchie sue volontà, non ha ereditato il suo caratteraccio e la sua malevolenza." continuò, guardandolo poi negli occhi. "So che può sembrare burbero ed austero, ma è solo la corazza che usa per difendersi dal mondo."
Detto ciò, si alzò dal tavolo. Aveva un sacco di faccende da sbrigare che non si sarebbero certo svolte da sole. Mentre stava per uscire dalla stanza, però, si girò un'ultima volta verso Magnus.
"Per favore, prova a dargli una possibilità!" gli disse, sorridendo.
Se prima si sentiva colpevole per il litigio con Alec, ora Magnus si sentiva addirittura peggio. Perfetto. Davvero, davvero perfetto!
Un'espressione accigliata gli increspò la fronte quando si rese conto che scopriva, ogni giorno di più, degli aspetti nuovi di Alec che lo portavano ad apprezzarlo più del dovuto. Era bello, intelligente e, come aveva scoperto poco fa, pure un angelo sceso dal cielo pronto a soccorrere i più bisognosi.
Cielo! Ce l'aveva un difetto, a parte la scontrosità, che sembrava riservare specialmente a lui, e la propensione al dramma (anche se, a dirla tutta, per quest'ultima cosa Magnus non si sentiva proprio di fargliene una colpa. Lui era anche peggio, lo ammetteva candidamente.)?
Quali altre sorprese riservava l'enigmatica figura di Alec Lightwood?

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


"Scusa, ho perso il mio numero di telefono. Non è che mi daresti il tuo?"
Magnus alzò gli occhi al cielo. Si era recato da Starbucks per starsene tranquillo, ma quella era l'ennesima battuta d'abbordaggio che gli veniva rivolta nel giro di un'ora. Cosa doveva fare, uno, per starsene un po' in pace?
Scosse la testa con veemenza, senza nemmeno degnarsi di guardare in faccia la proprietaria di quella vocetta acuta, e continuò a fissare il frappuccino davanti a sè, giochicchiando con la panna con la cannuccia.
Bevve una sorsata della sua bevanda e, nel frattempo, diede anche un'occhiata all'orologio. Stava aspettando Izzy da una mezz'ora buona, ma della ragazza neanche l'ombra. Dove diavolo si era cacciata?
Attendere l'amica non gli sarebbe pesato tanto se non fosse che, quella mattina, Starbucks sembrava invaso da un'orda di invasati che ce l'avevano con lui! La cosa buffa era che non era nemmeno al cento per cento del suo splendore. Indossava una semplicissima t-shirt e un paio di jeans, ma questo non sembrava scoraggiare i vari pretendenti.
Un ragazzo vestito di tutto punto si fermò davanti a lui. "Credi nell'amore a prima vista o devo passarti davanti una seconda volta?" chiese, posandosi al tavolino.
Magnus alzò gli occhi e il ciuffo del nuovo arrivato per poco non gli fece sputacchiare il frappuccino sulla sua camicia: sembrava fosse stato leccato dal cane bavoso con cui Max aveva stretto amicizia una volta sbarcati a New York.
Si schiarì la gola e si sforzò di non essere scortese. "No, non ci credo, ma, anche se esistesse, sono estremamente sicuro che riuscirei a riconoscerlo se ce l'avessi davanti." rispose, abbassando lo sguardo per dedicarsi al suo cellulare, nella speranza di liquidarlo senza ulteriori ciance.
Con gli occhi incollati allo schermo del telefonino, stava cercando la cannuccia con la lingua quando una voce incerta si palesò al suo fianco. "Se ti dicessi che sei assolutamente meraviglioso, lo prenderesti come un insulto?"
Magnus ne aveva abbastanza. "Ok, è uno scherzo?" chiese, posando con forza il frappuccino sul tavolo ed alzando nuovamente lo sguardo sul nuovo sconosciuto. Che tanto sconosciuto non era, visto che si trattava del cameriere del bar. "Avete fatto una scommessa a chi mi rimorchia per primo? Eh.. Richard?" chiese, adocchiando la targhetta con il suo nome.
Una risata sbarazzina si materializzò dietro di lui e l'uomo si girò, sorpreso.
"Scusa, ma non ho saputo resistere." ridacchiò Izzy, dando una pacca sulla spalla al cameriere. "Grazie Richard! Mi porti un Flat White per favore?"
"Sì, signorina." rispose il ragazzo, arrossendo, soddisfatto per il ringraziamento e il tocco della giovane.
"Cielo sei come il miele per le api!" sorrise Izzy, baciando l'amico su un guancia. "Due spasimanti nel giro di pochi minuti! Come diavolo fai?" chiese, sedendosi di fronte a lui.
"Sono bellissimo." rispose Magnus, scrollando le spalle con fare ovvio. "Ci sono abituato."
Izzy rise e gli rubò un sorso del suo frappuccino. "Per l'angelo! E' puro zucchero!" esclamò, nauseata.
"E' buonissimo." la rimbeccò oltraggiato l'uomo, riprendendosi la sua bevanda.
La ragazza scosse la testa ed incrociò le braccia, appoggiando i gomiti sul tavolo. "Allora, per cosa avete litigato questa volta tu ed Alec?"
"Come sai che abbiamo litigato?" chiese Magnus, sorpreso.
"Il tuo messaggio era piuttosto eloquente e.. oh, grazie Richard." rispose Izzy, interrompendosi per ringraziare con un sorriso il cameriere che gli aveva servito l'ordine.
"Ma ti ho semplicemente chiesto se andavamo a fare shopping!" esclamò Magnus, una volta che il ragazzo se n'era andato.
"Io riesco a capire anche i sottintesi." rispose Izzy, compiaciuta, evitando di dirgli che Cat le aveva fatto la soffiata. "Allora che è successo questa mattina?" lo sollecitò.
Magnus fece spallucce. "Ho sbirciato i documenti di una causa e si è arrabbiato."
"Oh Magnus." sospirò la ragazza, scuotendo la testa e guardandolo con fare paternalistico.
"Cosa?" chiese l'uomo, allargando le braccia. "Ho solo dato un'occhiata, per Lilith!"
"L'ultima volta che uno stagista si è permesso di leggere un fascicolo, che non avrebbe neanche dovuto toccare, Alec l'ha fatto piangere." gli confidò, sporgendosi verso di lui. "E non in senso figurativo. Lacrime vere e copiose!"
Magnus la guardò, scettico. "Ma per favore!"
"Ti giuro!" annuì freneticamente la ragazza. "Piangeva così tanto che temevo gli sarebbe venuta una crisi isterica da un momento all'altro!"
Magnus rise, scuotendo la testa. "Notevole il fratellone." replicò.
Izzy sorrise, scrollando le spalle. "Alec ci tiene a fare le cose per bene e si arrabbia quando la gente non rispetta le regole. Dura lex, sed lex. E tu hai infranto una regola." puntualizzò, battendo l'indice sul tavolo.
Magnus roteò gli occhi, sbuffando. I Lightwood erano davvero esagerati, santo cielo!
"So che può sembrare arrogante ed orgoglioso.."
"Non è che sembra."
"Sì, a volte lo è." concesse Izzy, sorseggiando la sua bevanda. "Ma c'è un motivo. Nostro padre non era affatto affettuoso con lui e il suo comportamento ha influenzato la personalità di Alec. Lo trattava duramente perchè diventasse il degno erede delle tradizioni e del patrimonio della famiglia Lightwood. So che non ha un carattere facile, ma cerca di comprenderlo."
Magnus tornò a giochicchiare, pensieroso, con il suo frappuccino. Izzy era la seconda persona, quella mattina, che gli diceva di andare oltre l'apparenza dell'irritante avvocato.
"Ah!" esclamò l'amica, alzando un indice per attirare la sua attenzione. "Gli piace quando una persona riconosce i propri errori." gli suggerì, fissandolo.
Magnus sospirò. "Dopo gli chiederò scusa, va bene?"
"Bravo bambino." annuì la ragazza, terminando di bere tutto d'un fiato la sua bevanda. "Ok, andiamo a fare compere!" esclamò poi, battendo le mani contenta.
...
"Che ne dici di quelli?" chiese Izzy, riferendosi ad un paio di stivali posti dietro ad una vetrina.
Magnus guardò nella direzione indicata dalla ragazza. "No, troppo ordinari." sbadigliò annoiato, continuando a camminare a braccetto con lei.
"Cosa cerchi esattamente?"
"Non lo so." rispose Magnus, facendo spallucce. "Quando lo vedrò, lo saprò."
"Che ne dici se andiamo da Barney’s e li facciamo impazzire, mettendogli sottosopra la boutique?" si illuminò Izzy, stringendosi di più a lui e posandogli la testa sul braccio.
Magnus le sorrise, grato, e le baciò una tempia. Apprezzava davvero molto i tentativi di quella deliziosa ragazza di tirargli su il morale.
Dopo la litigata con Alec, uscire e distrarsi, facendo shopping, gli era sembrata un'idea geniale. Rimpinguare il suo armadio era sempre stata una delle sue attività preferite, ma quella mattina gli sembrava tutto estremamente noioso. Anche se erano già entrati in cinque negozi, la frenesia tipica dell'acquisto compulsivo faticava ad entrargli in circolo e si sentiva apatico.
"A cosa pensi?" chiese Izzy.
"A perchè non facciamo sesso." rispose l'uomo, sorridendo.
Izzy ridacchiò. "Parla per te! Io non sono affatto in astinenza."
Magnus sbuffò, divertito. "Non dico in generale, ma in questo momento."
La ragazza lanciò un'occhiata alla strada gremita di gente. "Probabilmente perchè non è il posto adatto?" chiese sorridendo.
"Dolcezza, non intendevo nemmeno questo. Perchè tu ed io non facciamo sesso insieme?"
"Oh! Allora è sicuramente perchè non credo riusciresti a tenere il passo." rispose maliziosa la mora, dandogli una pacca sulla pancia e guadagnandosi uno sbuffo incredulo da parte dell'altro.
"No, ma fate pure con comodo." protestò una voce affaticata. "Vi siete forse dimenticati che io sono proprio qui?"
"Tranquillo, Spencer! Sei sempre nei nostri pensieri!" replicò Magnus, lanciando un'occhiata divertita al ragazzo che arrancava dietro di loro, carico di sacchetti, mentre il sorriso di Izzy si ampliava.
"Si può sapere perchè devo portare io tutta questa roba, mentre tu amoreggi con la mia ragazza?" borbottò Simon, spossato ed un tantino offeso di essere stato raggirato da Izzy quando gli aveva proposto una passeggiata insieme.
"Stuart, ne abbiamo già parlato tre negozi fa. Gli eventi di ieri sera mi hanno provato, ho bisogno di distrarmi e, soprattutto, di un ragazzo forte e robusto che mi aiuti a portare i miei acquisti." spiegò Magnus, sorridendo.
"Ma se non stai portando un tubo!" replicò Simon, che ormai aveva rinunciato a ricordare a quell'uomo come si chiamava veramente. "E non capisco perchè continui a posare le tue manacce su di lei." protestò piccato, indicando la giovane con il capo e lanciando ad entrambi un'occhiataccia che non sortì il minimo effetto.
"Non sto posando niente su di lei.. altrimenti ti assicuro che se ne sarebbe accorta!" esclamò Magnus, ammiccando alla ragazza.
Izzy rise di gusto, mentre il suo fidanzato lanciò un'occhiata tagliente all'uomo con la cresta.
"Sei la volgarità fatta persona, lo sai?"
"Dio, Sylvester, era una battuta!" rispose Magnus, alzando gli occhi al cielo. "Come fai a sopportarlo?" chiese poi, rivolto all'amica.
"Ha moltissime qualità." rispose Izzy, guardando il suo fidanzato con occhi innamorati e sorridendogli dolcemente.
Simon ricambiò e le scoccò un bacio volante, che la ragazza fece finta di acchiappare e che poi ricambiò.
Magnus osservò quello scambio amoroso, sentendosi improvvisamente il terzo incomodo. Lui non aveva mai avuto un rapporto simile con un'altra persona. Adorava la sua libertà, sia chiaro, ma, a volte, gli sarebbe davvero piaciuto avere qualcuno accanto che lo guardasse come si guardavano i due piccioncini lì presenti. Il problema era che non aveva ancora incontrato nessuno che potesse fare al caso suo. Cielo, al suo ultimo amico di letto piaceva urlare "Mamma ti amo!" ogni volta che arrivava all'orgasmo! Come poteva pensare di avere una relazione seria quando aveva a che fare con gente mentalmente instabile?
"Allora, andiamo da Barney’s?" chiese Izzy, facendolo tornare alla realtà.
L'uomo annuì e ripresero a camminare, in direzione del lussuoso negozio.
"Ehi!" esclamò all'improvviso Simon. "Quella non è Clary?" chiese, indicando la ragazza dai capelli rossi che, al di là della strada, stava entrando dentro ad una farmacia.
"Credo di sì." rispose Izzy, dubbiosa, alzandosi sulle punte per guardare meglio.
"Sì, sì! E' lei!" confermò Simon, entusiasta, sistemandosi meglio i sacchetti sulle braccia e muovendosi per raggiungerla, seguito dagli altri due.
Aspettarono che il semaforo consentisse loro di attraversare la strada e di diressero davanti alla porta dietro cui era sparita la giovane.
Clary per poco non si lasciò scappare il sacchetto che aveva in mano quando, una volta uscita, si trovò il trio davanti a lei.
"Ciao Clary!" la salutò Simon con la mano, un grande sorriso ad illuminargli il volto.
"C-ciao." balbettò la ragazza, stringendosi il sacchetto al petto.
"Che bella coincidenza ritrovarci anche questa mattina! Sei in giro per commissioni anche tu?"
Clary annuì, tesa, lanciando occhiate guardinghe attorno a loro. Quando si rese conto di non avere nulla da temere, si rilassò un poco e sorrise al vecchio amico.
Era stata una sorpresa, la sera precedente, ritrovare Simon. New York era una città talmente popolosa che mai si sarebbe aspettata di incontrare nuovamente il suo amico d'infanzia, dopo tutti quegli anni di separazione.
"Però! Ne hai fatte di spese." ridacchiò piano la ragazza.
Simon scosse la testa. "E' tutta roba sua." esclamò stanco, indicando con la testa l'uomo dietro di lui.
"Ciao dolcezza. E' un piacere rivederti." ammiccò Magnus, baciandole il dorso della mano.
"Ciao Magnus." ridacchiò lusingata la ragazza. "E ciao.. Isabelle giusto?" chiese, dando la mano anche alla giovane che, se ricordava bene, era la fidanzata di Simon. "Come sta tuo fratello?"
"L'ho sentito prima. Gli fa ancora un po' male, ma non rischia di perdere il piede." sorrise Izzy. "E ti prego di scusare il suo comportamento di ieri sera!"
Clary rise allegramente, ma la risata le morì in gola quando si accorse della macchina nera che aveva appena accostato di fianco al marciapiede.
"Signorina Morgenstern." disse un uomo, scendendo dall'auto. "Suo padre la sta attendendo." la informò, tenendole aperta la portiera.
La ragazza sospirò e si limitò ad annuire. "Devo andare." disse, rivolgendosi agli altri. "E' stato bello rivedervi. Ciao!" li salutò, salendo poi in macchina.
"Che peccato che se ne sia già andata." esclamò Simon. "Però è simpatica non trova.. Magnus stai bene?"
L'uomo sembrava sul punto di svenire. "S-s-sì.. Deve.. deve essere il caldo." bisbigliò, continuando a seguire con lo sguardo la macchina nera che si allontanava sempre più da loro.
"Tesoro, vuoi che ci sediamo da qualche parte?" chiese Izzy, preoccupata.
Magnus scosse la testa, tentando di ritornare in sè. "No, tranquilla!" la rassicurò. "Barney’s?" chiese, sorridendo debolmente.
La ragazza annuì e ripresero a camminare.
I due fidanzati iniziarono a parlare del più e del meno, ma la testa di Magnus era altrove.
Morgenstern. Era la figlia? O un semplice caso di cognome in comune?
Avrebbe indagato quella sera stessa, decise, guardando intensamente un ignaro Simon. Se, come era saltato fuori il giorno prima, i due si conoscevano fin da bambini, sarebbe stato facile spillare al ragazzo le informazioni che gli servivano. E sapeva già come fare.

Jace lanciò distrattamente la sua ventiquattrore sul pavimento dell'ingresso ed esaminò attentamente il suo aspetto nello specchio. Dopo essersi ravvivato, con un gesto, i folti capelli biondi, fece un passo indietro, sollevò la testa ed annuì al suo riflesso, soddisfatto di ciò che gli restituiva.
Si girò con un sorriso verso Hodge, ma il maggiordomo stava fissando severo la valigetta gettata a terra. Alzò lo sguardo su di lui e scosse la testa con disapprovazione. Il ragazzo, con un sospiro, la raccolse e la posò diligentemente su un mobiletto lì accanto.
"Contento?"
Hodge si limitò ad un laconico "Il signor Lightwood è nella sua stanza, signore."
"Magnus e Max?"
"Sono usciti, signore."
Jace annuì e seguì il maggiordomo. Insieme salirono una delle eleganti scalinate che si incurvavano come enormi braccia di marmo intorno all'immenso salone d'ingresso.
"Alec ha avuto difficoltà a dormire?"
"No, signore."
"Vuole che l'aiuti a scegliere un qualche obbrobrio con cui vestirsi oggi?
"No, signore."
"Oh andiamo! Sappiamo perfettamente entrambi che, se non fosse per i completi che indossa a lavoro, mio fratello potrebbe essere tranquillamente scambiato per un barbone!"
Hodge non rispose e continuò a camminare lentamente.
"Non ti va proprio di darmi un aiutino?"
"No, signore." rispose Hodge, nel suo tono immutabile e monotono.
"Gli serve un mulo umano per spostarsi da una stanza all'altra?"
"No, signore."
"Devo fare qualche commissione per lui?"
"No, signore."
"Ohhh ho capito!" esclamò improvvisamente Jace, battendo un pugno sul palmo della mano. "Gli serve qualcuno che l'aiuti a lavarsi!"
"No, signore."
"Vuole che ingaggi qualche bella ragazza pronta a fare questo.. e magari dell'altro?" scherzò il ragazzo, ammiccando.
"No, signore."
I due si fermarono in cima alle scale e Jace scosse la testa, sconsolato. "Dimmi Hodge, c'è qualcosa che ti fa mai sorridere?"
"No, signore." Beh, oddio, ogni tanto i due Bane ci riuscivano, ma non gli pareva il caso di farlo sapere al presuntuoso ragazzo davanti a lui.
Jace si girò ed entrò nella camera da letto del fratello. Mentre chiudeva la porta alle sue spalle, vide Alec a letto, con la schiena appoggiata alla testiera, intento a leggere i fascicoli del caso in corso.
"Per l'angelo!" cominciò, senza salutarlo, "Hodge è l'uomo più deprimente che io abbia mai avuto occasione di conoscere in tutta la mia vita. Lo giuro."
Alec sollevò lo sguardo dalle carte e sorrise al fratello. "Beh, Hodge è Hodge. Nessuno può pensare di cambiarlo. Neanche tu."
"E' una sfida?" chiese Jace, indicando poi con un cenno del capo la porta. "Quell'uomo mi conosce da una vita. Non credi che potrebbe salutarmi con un "Buongiorno bellissimo Jace!"? O "Bella giornata oggi, signore. Non quanto lei, ma comunque gradevole."? Oppure, meglio ancora, potrebbe chiedermi "Signor Jace, oggi splende più del sole in cielo! Qual è il suo segreto?". Il problema, fratello, è che, al giorno d'oggi, nessuno fa le domande giuste! Capisci?"
"Lodare la tua vanità renderebbe il mondo migliore? Davvero?" chiese Alec, fintamente sorpreso.
"Quello degli altri non lo so, ma il mio di sicuro!" sorrise malandrino il biondo, andando a sedersi accanto a lui sul letto. "Come stai?" chiese poi, indicando il suo piede.
Alec sospirò. "Bene.. dopo una tripla dose di antidolorifico."
"Fa così male?" chiese Jace, preoccupato.
"All'inizio no, ma poi l'ho sforzato un po' quando sono andato a farmi la doccia."
"Te la sei fatta da solo? Avresti dovuto farti aiutare!" brontolò Jace, scuotendo piano la testa. "Clary mi ha detto che non dovresti camminarci sopra!"
"Chi?" chiese Alec, guardandolo perplesso.
Il volto del fratello si illuminò. "L'infermiera volontaria dell'altra notte. Clary. Ci siamo scambiati il numero di telefono e mi ha raccomandato di dirti che devi tenere a riposo il piede e non fare movimenti brus.. che c'è?" si bloccò, notando lo sguardo stupefatto del fratello.
"Ti piace l'infermiera?" chiese sorpreso Alec.
"Eh? Cosa? No.. sì.. forse.. un pochino, ecco."
"Oddio ti piace! Ti piace davvero!" esclamò sbigottito l'altro, mentre le guance di Jace si coloravano di un leggero color ciliegia.
"E' carina, non trovi?"
Alec scosse la testa, troppo scioccato per parlare. Prima Izzy, che si era innamorata di un nerd logorroico, ora Jace, che si era preso una cotta per un disastro scoordinato. Dio santo, ma che problema avevano i suoi fratelli?
"Jace.." iniziò, con tutta l'intenzione di dissuadere suo fratello dal proseguire una relazione con la pel di carota.
"Cosa?" chiese questo, sulla difensiva.
Qualcosa, nei suoi occhi, bloccò Alec prima che potesse pronunciare altro. Conosceva quello sguardo. Era lo stesso che aveva Izzy quando parlava di Simon e, anche se lui non aveva mai provato quel tipo di felicità, non aveva alcuna intenzione di far soffrire i fratelli disapprovando le loro relazioni. Era la loro vita ed era giusto che se la gestissero come meglio credessero. Brontolare e sparare frecciatine, una volta ogni tanto, era il massimo che si concedeva per stuzzicarli, ma non sarebbe mai diventato come suo padre.
Alec sospirò, poi posò una mano sulla spalla del fratello. "Solo.. ti prego, risparmiami i dettagli intimi e sconci." disse infine, facendo ridere di sollievo Jace.
"Neanche quando andrò in terza base?"
"Sei fastidiosamente volgare, lo sai?"
Jace rise di gusto e gli diede una spallata giocosa. "Andiamo! Vivi con Magnus e lui non è certo migliore di me!"
A Jace non sfuggì la smorfia che fece capolino sul viso di Alec.
"Per l'angelo, che ha combinato ancora?" chiese sorpreso.
Li aveva lasciati da soli per poche ore! Come potevano essersi già saltati alla gola in quel lasso di tempo?
Alec fece spallucce, posando poi la testa alla testiera del letto e guardando il soffitto. "Abbiamo litigato."
"Oh." rispose Jace. Gli sarebbe piaciuto dare una risposta più articolata, sul serio, ma dov'era la novità? Quei due bisticciavano di continuo e per qualunque cavolata. "E' stato così terribile?" chiese accigliato.
Alec fece nuovamente spallucce. "No, abbiamo battibeccato come al solito."
"Per cosa avete litigato questa volta?"
"Ha letto le carte dell'atto quando gli avevo detto chiaramente di non farlo!"
"Ah.."
"Come sarebbe a dire ah..? Jace, questi documenti sono coperti da segreto.."
"..professionale, sì lo so, ma li ha solo letti no? Non li ha danneggiati o chissà che altro! Sono certo che non spiffererà niente a nessuno."
"Tu come lo sai?"
Jace alzò un sopracciglio. "Ma con chi vuoi che parli?"
"Potrebbe spettegolare con i domestici o.."
"Come se a loro potrebbe mai interessare qualcosa della nostra causa." lo interruppe Jace, sventolando una mano.
"Potrebbe raccontarlo alla controparte!"
"Ma se questi documenti sono gli stessi che hanno anche loro!" tentò di farlo ragionare Jace.
"Si può sapere da che parte stai?" chiese Alec, mettendo il broncio. Come faceva suo fratello a non capire la gravità della cosa?
Jace scosse la testa divertito. "Ma dai! Dalla tua faccia, pensavo avesse combinato di peggio. E sai benissimo che ne sarebbe capace!"
"Tipo cosa?"
"Che ne so!  Potrebbe uscire a fare una passeggiata, rimorchiare una, portarla qui e fare sesso con lei sul tavolo da pranzo! Oppure potrebbe tranquillamente girare nudo per casa, vanesio com'è! O.. bruciare il tuo orrendo guardaroba, che usi nel tempo libero, ecco! Sai, ora che ci penso, è strano che non l'abbia ancora fatto, visto quanto si lamenta di questo aspetto."
"Il mio guardaroba non è orren.. aspetta! Cosa? Lui si lamenta di cosa?" chiese Alec, stupito.
"Del tuo guardaroba. Ci ha scritto più di una volta che gli ferisci gli occhi ogni qual volta ti vede girare per casa con una tuta o una maglietta dell'anteguerra."
"Ci?"
"Io ed Izzy."
"Scrive a voi due del mio guardaroba?" chiese Alec, sempre più sorpreso.
"L'ha fatto in più di un'occasione, sì."
"Ma non è normale tutto ciò, te ne rendi conto?"
Jace fece spallucce. "E' Magnus. Tutto ciò che lo riguarda non è normale!" ridacchiò.
Alec era sbigottito. Ed offeso. Come si permetteva quell'arcobaleno ambulante di oltraggiare i suoi vestiti? Ah! Ora che gli veniva in mente, l'aveva fatto anche la sera prima!
Doveva rimetterlo in riga. Ma come?
"Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso, ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia." sussurrò Alec, pensieroso.
"Che roba è? Confucio?" chiese Jace, perplesso da ciò che aveva appena sentito e non avendo la minima idea di dove volesse andare a parare il fratello.
"No, L'arte della guerra di Sun Tzu, un generale cinese vissuto tra il sesto e quinto secolo Avanti Cristo." rispose distrattamente l'altro.
"E l'hai citato, perchè.."
"Perchè, se voglio vincere la guerra, devo conoscere il mio nemico!" rispose Alec, perso nei suoi pensieri.
"Ma di cosa stai parlando?" chiese Jace, spaesato.
Alec alzò improvvisamente lo sguardo su di lui. "Mi passi il telefono per favore?"
"Che ci devi fare?" domandò, porgendoglielo.
"E' ora di far scendere nuovamente in campo Aline." rispose Alec, sorridendo trionfante.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


1
Aline non fu affatto sorpresa della telefonata di Alec. L'avvocato l'aveva convocata solo quel sabato, ma la ragazza aspettava da tempo quella chiamata ed era pronta a rispondere a tutte le sue domande.
Quando, seduta comodamente in una delle poltrone della spaziosa biblioteca, vide l'amico, entrare con le stampelle, le sfuggì una risata divertita.
"Che ti è successo? Ti sono saltati a piè pari sul piede per dispetto?"
"Ah. Ah. Ah." ribattè Alec, andando a sedersi lentamente sull'altra poltrona, accanto a lei.
"Seriamente, Lightwood. Cosa hai combinato?"
"Un incidente in discoteca." rispose, con una smorfia, il giovane.
"Un incidente. In.. in discoteca." replicò Aline, seria, mordendosi con forza l'interno delle guance per non scoppiare a ridergli in faccia.
"Non è divertente." la fulminò Alec, intuendo i suoi pensieri. "Fa male e mi impedisce di lavorare!"
"Povero piccino." lo punzecchiò l'amica, sporgendosi per arruffargli la chioma nera. "Ma come è successo?"
Il ragazzo sbuffò, togliendosi di dosso quella mano fastidiosa. "Un idiota mi ha spintonato, io sono caduto all'indietro, ho messo male il piede e ho preso una storta." riassunse sbrigativo. Non era il caso che sapesse tutti i dettagli, altrimenti quella chiacchierona l'avrebbe tormentato da qui all'eternità!
"Ti ha spinto?" chiese sorpresa. "Ed è ancora vivo?"
"Per il momento sì, ma avrà presto mie notizie." le rivelò Alec, deciso. L'energumeno avrebbe rimpianto presto di aver messo piede al Pandemonium quella sera e di aver avuto a che fare con lui!
Aline scosse la testa, sorridendo. "Allora, capo, cosa posso fare per te?" chiese poi, passando alle cose serie.
"Lo sai benissimo perchè ti ho chiesto di venire." rispose Alec, alzando gli occhi al cielo.
"Certo che lo so!" replicò prontamente la ragazza. "Ma mi stupisco che tu l'abbia fatto solo ora!"
Alec sospirò. L'amica aveva ragione, ma non aveva avuto davvero tempo di star dietro anche a quella faccenda. La causa in corso era molto più importante ed aveva precedenza su tutto.
"Bando alle ciance, dimmi tutto quello che sai." la esortò, impaziente.
Aline aprì la sua borsa, tirò fuori un taccuino ed iniziò a leggere i propri appunti.
"Ok, partiamo dall'inizio. Vuoi sapere dove si è nascosta Lydia quando fuggì quasi nove anni fa?"
Alec annuì.
"Ad Oheka*!" gli rivelò l'amica, dopo una pausa per creare la giusta suspense.
Alec la guardò, sorpreso. Erano secoli che non sentiva nominare quel posto!
Il Castello di Oheka si trovava sull'isola di Long Island ed una delle sue suite apparteneva alla famiglia Lightwood da generazioni. Si narrava addirittura che Christopher Lightwood (bis-bisnonno di Alec) avesse contribuito, con una generosa donazione, al completamento del castello, eretto dal suo amico Otto Hermann Kahn. Quest'ultimo, per ringraziarlo, gli donò quindi la camera più grande e bella dell'intero edificio.
Robert Lightwood ne aveva fatto il suo eremo, vietando a chiunque l'accesso se non su invito personale. Dio solo sapeva cosa combinava in quella stanza! Neanche ai suoi figli era permesso soggiornarci.
Alec si era praticamente dimenticato di quel posto ed ecco, dunque, perchè non gli era mai venuto in mente di cercarla là, ma, ora che Aline gli aveva rivelato il nascondiglio della defunta moglie, si diede dello stupido per non averci pensato prima. Era così logico!
"Poi che è successo?"
"Lasciò la suite il 30 giugno di otto anni fa e, quello stesso giorno, si imbarcò sulla Queen Mary 2. Con un uomo."
"Il signor Bane?"
Aline annuì. "Secondo l'ufficiale di bordo che ho interrogato, Bane si adatta perfettamente alla sua descrizione e si ricorda ancora molto bene di lui."
"Addirittura? Dopo ben otto anni? Non gli ispirava fiducia?"
"Non posso dirlo con certezza, ma, se era carino anche solo la metà di quanto lo è ora, chi si dimenticherebbe mai di Bane?" ridacchiò la ragazza. "Credo però che l'abbia aiutato molto anche il fatto che non avesse il biglietto!" ammise.
"Non ce l'aveva? E come ha fatto a salire a bordo?"
"Lydia supplicò l'ufficiale. L'uomo mi ha detto che, a quel tempo, anche sua moglie era incinta e non aveva saputo resistere davanti ad una donna stravolta dalle lacrime. Che cuore generoso, non trovi?" replicò la ragazza, ironica.
"Credi che abbia mentito?"
"Ovvio che è una palla colossale, Alec!" trillò Aline, sganciandogli una pacca decisa sulla spalla che lo fece sussultare visibilmente. "Dai retta a me, scommetto il mio tanga leopardato nuovo di zecca che Lydia, in realtà, abbia comprato il suo silenzio con una cospicua mancia." terminò, mimando le virgolette sull'ultima parola.
"Questo significa che lei e il signor Bane si conoscevano." esclamò Alec, aggrottando la fronte, pensieroso, mentre si massaggiava la spalla dolorante.
"L'ufficiale mi ha detto che lei l'ha presentato come il suo ragazzo."
Alec alzò lo sguardo, stupefatto. "Erano.." il giovane interruppe, incerto, la domanda che stava per porre.
"Amanti?" concluse per lui l'amica. "Mi sentirei di escluderlo. Conosci il mondo al quale apparteneva tua moglie, no? Bane non mi da l'idea di essere un membro all'alta società newyorkese."
"Perchè allora disse che era il suo fidanzato?"
"Tirando ad indovinare, credo che le facesse comodo farlo passare in quel modo." ipotizzò, picchiettandosi il mento con l'indice.
"Sai, anche Jace è convinto che i due non stessero insieme, ma non riesco davvero a capire come potete essere così certi che i due non avessero una relazione."
Aline tirò fuori, dalla sua borsa, una foto di Magnus e la osservò. "E' davvero bellissimo." ammise. "Ed ammetto che, se non fossi felicemente fidanzata e un "filino" lesbica, ci proverei spudoratamente." sorrise, leccandosi le labbra. "Sapevi che era bisessuale?" chiese, inarcando un sopracciglio.
"Jace l'ha ritenuta una notizia importantissima e me l'ha detto, sì." rispose Alec, liquidando quel discorso con una scrollata di spalle.
"Pettegolo!" ridacchiò Aline, tornando a guardare la foto. "Credi che Helen protesterebbe se le proponessi una cosa a tre con Bane?"
Alec si schiaffò una mano in faccia. "Aline!! Per l'angelo, lascia perdere il tuo appetito sessuale e concentrati!" esclamò, battendo le mani con uno schiocco secco, richiamandola all'ordine.
"Uff! Non c'è gusto a parlare con te di queste cose." ribattè l'amica, facendogli la linguaccia. "Comunque, prima della fuga, Lydia è passata dalla sua famiglia alla tua ed era praticamente sorvegliata a vista, quindi è improbabile che si fossero incontrati in quel lasso di tempo. Dopo la fuga, stando ad uno degli addetti alla sicurezza dell'hotel del Castello, che sono riuscita a corrompere ed ad interrogare, Lydia soggiornava nella suite da sola, usciva solo per passeggiare nella tenuta e non riceveva mai visite. Ad esclusione di due persone."
"Due?" chiese Alec, sorpreso. Uno era sicuro che fosse il signor Bane, ma l'altro?
Aline annuì e lo fece ricredere delle sue certezze. "Tuo padre le ha fatto visita parecchie volte. L'ultima risale al giorno in cui Lydia si imbarcò."
Alec la fissò, a bocca aperta. Quel figlio di buona donna, dunque, sapeva dov'era Lydia! Fino a quel momento era sempre stato convinto che nessuno sapesse dove si trovasse la moglie ed, invece, suo padre non solo era a conoscenza del nascondiglio, ma, ed Alec era pronto a scommettere qualsiasi cosa, l'aveva sicuramente aiutata! Se ripensava alla sceneggiata che l'uomo aveva messo in piedi per trovarla e tutto il resto, gli veniva da ridere ora. Robert Lightwood non si smentiva mai, neanche da morto.
"Chi era l'altra persona?" chiese poi.
"Un medico. Probabilmente ne seguiva la gravidanza e si assicurava che stesse bene." gli rivelò l'amica. "Come vedi, quindi, è impossibile che i due avessero una tresca." continuò.
Alec scosse la testa. "Non credo si possa però escluderlo completamente."
"Ohhh andiamo, Alec! Quando si è rintanata sull'isola era incinta!" esclamò con foga l'altra.
"E quindi? Una donna gravida diventa improvvisamente invisibile e non attira più le attenzioni di un uomo, manco a pagarlo oro?" chiese il ragazzo, ironico.
"Questo magari no." ammise Aline. "Ma il fatto che tuo padre l'andasse a trovare spesso rende praticamente impossibile il fatto che Bane ne fosse l'amante!"
"Ma quindi come si sono conosciuti?" chiese, pensieroso.
Aline si massaggiò il mento, meditabonda. "Deve essere successo qualcosa tra quando Lydia ha lasciato il Castello e quando si è imbarcata."
"Cosa?"
"Dio, Lightwood! Non ho mica la sfera di cristallo!" ironizzò Aline. "Ma è piuttosto facile da scoprire, sai?"
"Davvero? E come?" chiese Alec, alzando un sopracciglio.
"Chiedilo a Bane, no?!" rispose ovvia l'altra, tirandogli un'altra pacca sulla spalla.
"La smetti?" esclamò, il giovane, dolorante. "E non chiederò mai al signor Bane una cosa del genere!" puntualizzò, scandalizzato.
"Perchè no?"
"Perchè no. Punto."
"E' così antipatico?" chiese Aline, sorridendo, tornando a guardare la foto. "Ma se i tuoi fratelli lo adorano!" lo canzonò. Izzy ne aveva parlato in termini entusiastici, ed anche Jace, sotto sotto, lo aveva in simpatia, nonostante con lei si fosse limitato a borbottare che era sopportabile.
"Oh sì! Certo! Ne riparliamo quando dovrai conviverci anche solo per una settimana!" grugnì Alec, incrociando le braccia al petto.
Aline ridacchiò. Non aveva ancora avuto il piacere di conoscere personalmente Bane, ma, stando ai pareri contrastanti dei fratelli Lightwood, doveva essere proprio un bel tipetto.
"Aline.."
"Sì?" rispose lei, alzando gli occhi dalla foto.
"Voglio che tu scopra tutto su Magnus Bane. Tutto." ordinò Alec, serio.
Aline inarcò un sopracciglio. "Ci vorrà del tempo, lo sai." lo avvisò. Fin'ora, infatti, non aveva individuato neanche un indizio che potesse condurla al passato dell'uomo.
"Ho fiducia in te." le sorrise Alec, dandole un buffetto sulla guancia.

"Scommetto dieci dollari che non ce la fa." lo sfidò Jace, posando il mento sulle mani intrecciate.
Alec lanciò un'occhiata nella direzione dove stava guardando il fratello. "Tanto vale che te li dia subito. E' ovvio che non ce la farà mai." replicò, bevendo una lunga sorsata della sua birra. "E, anche se gli parlasse, non andrebbe oltre."
Jace annuì. "Uno come quello non riuscirebbe neanche a tentare una mossa."
"Ma puoi bere, se prendi le medicine?" si intromise Simon, sistemandosi l'ombrellino del suo quarto cocktail dietro l'orecchio.
"Sì, Simon." sospirò Alec, finendo ciò che restava del suo terzo boccale di birra.
"No che non potresti." ridacchiò Jace, posando la testa sul tavolo e ficcandosi goffamente una manciata di noccioline in bocca. Lui, fin'ora, era a quota cinque bicchieroni di birra.
Simon scrollò le spalle, poi osservò anche lui l'uomo seduto in fondo al bar, oggetto di scommessa tra i due fratelli. "E' carino, però." osservò.
Jace si alzò di scatto e si girò verso di lui, con la bocca spalancata. "Steven!" esclamò con un certa dose di dramma, portandosi la mano al petto. "Sei fidanzato con mia sorella!" gli ricordò. "E da quando in qua ti piacciono anche i ragazzi?" biascicò, spintonandolo con una mano.
"Prima di tutto, mi chiamo Simon." precisò l'altro, alzando l'indice. "E guarda che non serve essere gay o bipolare.."
"Bisessuale." lo corresse Alec, scuotendo la testa ed alzando gli occhi al cielo.
"Bisessuale! Grazie Alec." rispose Simon, sorridendogli esageratamente, prima di tornare a guardare Jace. "Comunque non serve essere gay o bisessuale per ammettere che un uomo è carino." replicò, appoggiandosi a lui ed alitandogli in faccia.
Jace lo scostò con un gesto poco convinto ed assottigliò lo sguardo. "Ti tengo d'occhio, Sigmund!" lo minacciò, puntando indice e medio contro i suoi occhi e poi contro quelli di Simon, alternando il gesto un paio di volte.
Simon ribattè con il dito medio ed un potente rutto.
"Quanti bicchieri si è già scolato?" chiese Alec, riportando l'attenzione dei due sullo sconosciuto.
"Due." rispose Jace, posando la testa sulla mano. "Non credo che bastino per fargli alzare il culo da quella sedia."
Era da tre quarti d'ora che il tizio, di cui stavano parlando, fissava Magnus, il quale stava ballando con un paio di ragazze al centro della pista. Era così anonimo che si sarebbe confuso senza problemi con il mobilio del locale. I capelli neri sembravano essere stati pettinati con un petardo e la barba non veniva tagliata da un bel pezzo. La maglietta bianca, poi, era macchiata vistosamente dal vino che l'uomo stava bevendo e che si era versato addosso più di una volta, neanche fosse stato un bambino che imparava a bere dal bicchiere.
"Ti assomiglia!" esclamò improvvisamente Simon, girandosi verso Alec e guadagnandosi un'occhiata di fuoco.
"Solo perchè è moro con gli occhi azzurri?" chiese Jace, in soccorso del fratello. "Sunny, sei proprio un idiota!"
Alec concordò e fece poi segno alla cameriera di portargli un altro boccale di birra.
Visto che il malefico trio era riuscito, per la seconda sera di seguito, a trascinarlo in un locale, contro la sua volontà ci teneva a precisare, tanto valeva darci dentro.
Come fossero riusciti a spuntarla, era un mistero, ma Alec era segretamente convinto che fosse colpa dei farmaci. Quegli odiosi analgesici avevano degli effetti collaterali davvero sgradevoli, tra cui quello di fargli fare cose che, di norma, non avrebbe mai fatto. Come farsi convincere da Bane e dai suoi occhioni magnetici ad andare in un locale a divertirsi. Maledetto. Lui ed i suoi occhi da gatto.
Quel pomeriggio infatti, dopo avergli chiesto scusa (in modo davvero convincente, va detto), aveva iniziato a parlare a raffica, riuscendo ad intortarlo talmente bene che si era ritrovato ad annuire frastornato quando gli aveva proposto di uscire insieme quella sera. Era una tecnica che usava anche lui in tribunale e ora capiva quanto potesse essere fastidiosa. Senza rendersene conto aveva abbassato la guardia ed, in un attimo, si era ritrovato in un locale a bere ed a guardare un idiota che sbavava per l'uomo con la cresta, mentre l'altro se la spassava con chiunque gli capitasse a tiro.
Alec sospirò, rassegnato. Per lo meno il locale che avevano scelto non era il Pandemonium.
"Dieci no, ma scommetto cinque dollari che si alza almeno dalla sedia e si dirige verso Magnus." scommise d'un tratto Simon, quando vide lo sconosciuto posare il suo bicchiere.
"Andata." replicò entusiasta Jace, battendo la mano sul tavolo.
Il trio osservò l'uomo che si lisciava la maglietta sporca e faceva il gesto di alzarsi.
"Va!" esclamò trionfante Simon, alzando le braccia in segno di vittoria. "Mi devi cinque.."
"Ah-ah. Non così in fretta." lo contraddisse Jace, muovendo l'indice in segno di diniego, raddrizzando la schiena.
Lo sconosciuto infatti si era immobilizzato nel momento esatto in cui Magnus cominciò ad esplorare, con un certo entusiasmo, la gola di una moretta procace con cui si stava muovendo a ritmo di musica.
"A quanto pare sarai tu a dovermi dare i cinque bigliettoni." osservò Jace, quando lo sconosciuto riparcheggiò il posteriore sulla propria sedia. "Paga, Sheldon!"
Simon lo guardò malissimo. Tirò fuori la banconota dal suo portafoglio e, quando il cognato fece per prenderla, gliela tolse di mano. "Se non la smetti di chiamarmi con nomi che non mi appartengono giuro che ti riempio la casa con un esercito di anatre." sibilò.
Jace spalancò gli occhi liquidi. "Non oseresti."
"Ssssì invece!" lo minacciò Simon, annuendo freneticamente, mentre tentava di ficcargli un dito in un occhio.
"Idiota." lo apostrofò Jace, spostando bruscamente la mano ed agganciandogli il naso con due dita.
"Stronzo." replicò Simon, tirando fuori la lingua e leccandogli goffamente la mano.
"Mezza cartuccia." disse Jace, con una smorfia disgustata, mentre si asciugava sulla maglietta la mano bagnata di saliva.
"Segaiolo!"
"Oh, perchè tu fai tanto sesso ver.."
"Sì, mi sbatto tuo sorella!" rispose Simon, compiaciuto, mentre gli tirava un calcio alla caviglia.
"Ora basta." sibilò Alec, stizzito. "Se non la smettete di comportarvi come due bambini, vi tratterò come tali e vi sculaccerò entrambi, qui davanti a tutti. Chiaro?" li minacciò con l'indice.
I due annuirono energicamente, per poi farsi la linguaccia nel medesimo istante e tirarsi addosso qualche nocciolina.
Alec posò la testa sul braccio, esasperato, e sbuffò forte. Stava per passare alle maniere forti, ma qualcuno gli posò davanti un altro boccale di birra.
"Ehiii! Perchè a me niente?" si lamentò subito Jace, sporgendo il labbro inferiore come un bambino.
"Perchè non te lo meriti." rispose Magnus, sedendosi accanto ad Alec. "Guardate come avete ridotto questo poveretto!" li sgridò, indicando un Alec sull'orlo di una crisi di nervi.
Jace gli fece una pernacchia e tornò a tormentare Simon.
"Per cosa stanno litigando Adelina e Guendalina Bla Bla?" chiese piano Magnus, avvicinandosi all'avvocato.
Alec sbuffò una risata dal naso. Ringraziò mentalmente Izzy, che una sera l'aveva obbligato a vedere il film d'animazione Gli Aristogatti permettendogli, così, di capire la battuta dell'altro. "Su chi è più idiota.. e grazie." rispose, alzando poi il bicchiere verso di lui.
"Ah!" esclamò Magnus, alzando un sopracciglio. "Tortorelle!" chiamò i due litiganti, battendo le mani per attirarne l'attenzione. "Non serve litigare per questo. Lo siete entrambi, tranquilli!" li rassicurò, raggiante.
"Eh?" chiesero i due, che non avevano prestato la minima attenzione allo scambio di battute tra Alec e Magnus.
Alec nascose un sorriso dietro il boccale di birra.
"Oh Magnus!" saltò su Simon, spintonando via Jace, che per poco non cadde dalla sedia. "C'è uno che ti fissa da quando sei andato a ballare!" lo informò, accennando col mento allo sconosciuto, che ora stava guardando nella loro direzione. Il castano gli fece ciao-ciao con la mano, mentre l'altro distoglieva velocemente lo sguardo da loro.
"Abbiamo scommesso." gli comunicò Jace, serio.
"Scommesso?" chiese Magnus, sorseggiando il suo drink e lanciando un'occhiata allo sconosciuto.
"Jace crede che non ci proverebbe con te neanche se si scolasse un'intera cantina di vini, mentre io ho scommesso che almeno ti viene vicino." lo ragguagliò Simon. "E' carino, vero?" gli confidò, protendendosi verso di lui e bisbigliando come se fosse un segreto di stato.
Magnus studiò il tizio in questione. "Ha bisogno di avere un incontro urgente e ravvicinato con un buon barbiere. E di uno stylist che gli consigliasse dei vestiti decenti." rispose, con occhio critico. "Detto questo, se si va oltre l'aspetto neanderthaliano, non me la sento di cestinarlo completamente visto che è moro e con gli occhi azzurri. La mia combinazione preferita!" esclamò, passandosi la lingua sulle labbra, al ricordo dei deliziosi bocconcini che aveva avuto modo di assaggiare in passato.
Simon sbattè le palpebre un paio di volte, poi guardò alternativamente Alec e lo sconosciuto. "ALEC!" gridò, improvvisamente, a pieni polmoni. "Anche tu sei moro e con gli occhi azzurri!" esclamò eccitato, battendo le mani, contento di aver espresso ad alta voce un'osservazione così intelligente.
"L'hai già detto primaaa!" berciò Jace, alzando gli occhi al cielo.
Alec lanciò al cognato un'occhiata omicida. Non aveva mai desiderato tanto ucciderlo come in quel momento. Ed era dannatamente certo che nessuna giuria avrebbe potuto dargli torto.
Magnus si volse verso l'avvocato e ridacchiò, scuotendo la testa. "Tranquillo. Anche se corrispondi alla descrizione, tu non sei affatto il mio tipo." lo rassicurò, dandogli una pacca sulla spalla ed ingollando il suo bicchiere tutto d'un fiato. "Non ho intenzione di attentare alla tua virtù etero." rincarò, facendogli l'occhiolino.
Alec arrossì e si limitò ad annuire. Una parte di lui, però, fu infastidita da quel commento. Sbuffò. Perchè doveva sentirsi così contrariato? Prima di tutto il signor Bane non aveva idea che lui fosse gay, ma poi, anche se l'avesse saputo, di certo Alec non aveva intenzione di essere corteggiato da quell'uomo. No?
Le luci soffuse del locale si ravvivarono improvvisamente e la voce squillante di uno speaker sormontò il vociare degli avventori. "Bene, signori, ma soprattutto signore! Siamo arrivati al momento della serata che tutte voi stavate aspettando. La gara di ballo maschileeee!" annunciò stentoreo. "Chiedo ai concorrenti, che vogliono partecipare, di avvicinarsi alla nostra postazione dove potranno decidere la base della canzone sulla quale esibirsi. Alle gentili signore ricordo invece che, per motivi di sicurezza, è vietato salire sul bancone e lanciare oggetti e/o indumenti sul palco. Grazie e buona visione!" concluse, con un inchino.
"Che roba è?" chiese Simon, la voce appena udibile a causa delle grida entusiaste delle donne presenti nel locale.
"La mercificazione del corpo maschile." spiegò Alec, con una smorfia, mentre il primo concorrente iniziava a dimenarsi per la gioia femminile.
Jace scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo. "Non stare a sentire questo bacchettone qui!" consigliò al castano. "In realtà dei ragazzi ballano sul bancone, mentre le donne lanciano loro dei soldi. Chi ne racimola di più, ottiene il doppio della vincita che ha raccolto." affermò, esperto.
"Ed io che ho detto?" chiese Alec, sorseggiando la sua birra, mentre Jace sventolava una mano per liquidarlo.
"Deduco, quindi, che tu non l'abbia mai fatto." si intromise Magnus al suo fianco, mescolando con la cannuccia il contenuto di un nuovo drink.
Alec si girò verso di lui. "No. Perchè, lei sì?" chiese, con un sopracciglio alzato, pentendosene un attimo dopo. Davvero aveva appena posto una domanda del genere a Magnus-non-so-cosa-sia-il-pudore-Bane? Davvero? Alec si diede, mentalmente, una sberla sulla nuca.
"Tesoro, sono il re dello striptease." gli confermò infatti l'altro, compiaciuto. "E poi è divertente e guadagni dei soldi!" terminò, con un enorme sorriso.
Jace annuiva freneticamente, concorde. "Eeee rimorchi! Rimorchi tantissimo! Tipo cooosì!" esclamò, allargando le braccia.
"Quindi, vedi che ho ragione io?" replicò soddisfatto l'avvocato, tornando a guardare il fratello. "Questa gara è una mercificazione del corpo maschile."
"Sì-sì-sì! Hai ragione tu!" sbuffò Jace. "Sapete, modestamente parlando, ho raggranellato un bel bottino con queste gare!" si vantò verso gli altri due, ammiccando.
"Ma se quando ti muovi, sembra che un ragno ti cammini sotto i vestiti!" si meravigliò Simon.
Jace assottigliò lo sguardo. "Ti piacerebbe saper ballare come so farlo io!"
"Scommetto che non riusciresti a fare neanche 100 dollari." replicò Simon, protendendosi verso di lui con aria di sfida.
"Accetto Lewis!" rispose Jace, battendo la mano sul tavolo. Si alzò oscillando pericolosamente e fece appena un passo che incespicò nella sedia di Alec e si spiaccicò a terra. "Sto beneeee!!" urlò, rialzandosi quasi subito, mentre Simon rideva di gusto. "Sto beneeee!" ripetè, alzando le braccia, e dirigendosi con passo incerto verso la postazione.
"Ti conviene seguirlo per assicurarti che arrivi almeno fino al bancone." ghignò Magnus, rivolgendosi ad Alec.
Il moro sospirò, si alzò e, traballante, seguì il fratello che camminava a zig-zag e salutava a destra e a sinistra manco fosse la regina d'Inghilterra.
Magnus posò il mento sulla mano e non scollò lo sguardo da loro fino a quando non si furono allontanati. Poi si girò verso la sua preda.
"Un altro giro, Simon?" chiese sorridente al castano, che stava leccando il bordo del bicchiere che aveva appena finito.
"Sì, graz.. aspettaaaa!" esclamò meravigliato, spalancando gli occhioni resi liquidi dall'alcool. "Mi hai chiamato Simon! Mi hai chiamato Simon!" esplose, abbracciandolo di slancio.
"Oh per l'amor del cielo, Lewis, staccati!" lo rimproverò Magnus, tentando di togliersi di dosso quella piovra che aveva iniziato anche a sbaciucchiarlo su una guancia.
"Ohhhh Magnus, ti amo così tanto! Ma tanto tanto tanto eh!" dichiarò Simon, guardandolo languido. "Ssssei bellissimo! Te l'ho mai detto che sei bellissssimo?" chiese, tornando a baciarlo pericolosamente vicino alle labbra.
"Stephen mi stai spaventando. Davvero!" replicò Magnus, spingendo lontano la bocca dell'altro.
Lanciò un'occhiata in direzione dei fratelli Lightwood. Jace era riuscito, in qualche modo, ad arrampicarsi sul bancone e stava ancheggiando come un orso ubriaco, lanciando, di tanto in tanto, dei baci alle ragazze sotto di lui con plateali gesti delle braccia. Alec, invece, sembrava sul punto del suicidio.
Magnus riportò l'attenzione su Simon. Non aveva molto tempo, visto che la canzone su cui si stava muovendo Jace non sarebbe durata ancora per molto.
Il castano aveva appoggiato la testa su un braccio steso sopra al tavolo e fece camminare due dita dell'altra mano sul bicipite di Magnus, arrivando fino al suo collo, dove iniziò ad accarezzare la pelle liscia.
"Solomon giuro che, se non la pianti, ti tiro un calcio nelle palle!" lo bacchettò severo l'uomo, allontanando un'altra volta la sua mano molesta. "E non pensare che non lo dica ad Izzy!"
Simon fece spallucce. "Tu ci hai provato con lei."
"E quindi?"
"Io ci provo con te!" rispose il castano, come se fosse ovvio, arricciando poi le labbra e lanciandogli baci schioccanti.
"E non credi che lei si ingelosisca se ci provi con me?"
"Naaaa!" replicò Simon, con un gesto della mano.
"Non è gelosa?"
Simon si raddrizzò e si mise ad annuire energicamente. "Lo è! Lo è!"
"Anche di Clary?" buttò lì l'uomo, con nonchalance.
Simon lo guardò imbambolato. "Clary?" domandò, spalancando poi la bocca. "La mia Izzy è gelosa di Claaaary?" chiese drammaticamente.
"Non lo s.."
Simon artigliò il braccio dell'amico. "Non c'è niente tra me e Clary! Niente!" singhiozzò. "Devi dirlo ad Izzy. Devi dirglielo!"
"Simon, non.."
"Quando te l'ha detto? E' per questo che oggi flirtava con te? Ah! Sapevo che c'era sotto qualcosa! Me lo sentivo che c'era sotto qualcosa! Per questo flirtava con te! Perchè non me l'ha detto? Del resto perchè avrebbe dovuto flirtare con te, quando ha già me? E' per quello che flirtava con te? Eh? Sapevo che c'era sotto qualcosa! Lo sapevo!"
"Simon.." riprovò Magnus, tentando di fermare quel fiume ubriaco in piena.
L'altro però non lo stava ascoltando e stava già tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
"Che fai?" chiese Magnus, sorpreso.
"Devo dire ad Izzy che non deve essere gelosa di Clary." rispose Simon, corrucciato, tentando di sbloccare il cellulare. "Clary è la mia migliore amica. Ma è solo la mia migliore amica! La mia migliore amica dell'asilo! Quindi adesso non è più la mia migliore amica. Perchè lo era all'asilo. Sai che all'asilo eravamo migliori amicissimi del mondo?" gli confidò, serio.
Magnus si pizzicò la radice nasale. Non era così che aveva pensato di interrogare Simon. Nella sua mente, si era immaginato una conversazione normale, con domande mirate a rivelare la vera identità della bella rossa conosciuta la sera prima. Non aveva tenuto conto dell'inesistente capacità dell'altro di reggere l'alcool.
Alzò lo sguardo e realizzò che l'esibizione imbarazzante di Jace era appena terminata. Il suo tempo stava per scadere.
"Simon, Clary è una Morgenstern?" chiese, pensando che, oramai, era inutile girarci attorno e che fosse meglio andare diritti al punto.
"Cosa?" chiese Simon, distratto, ancora impegnato a mettere la password nel cellulare. "Ohhh cazzo!" esclamò. "Ho sbagliato a mettere la parola e ora devo aspettare per rimetterla di nuovo!" si lagnò, imbronciato.
"Simon, guardami!" lo scosse Magnus, deciso. "Clary è una Morgenstern?" chiese nuovamente.
"Morgenstern?" domandò Simon, imbambolato, sbattendo le palpebre un paio di volte.
"Sì, il cognome di Clary è Morgenstern?"
"Morgenstern." ripetè Simon, come un pappagallo. "Uhmmm.. no! No! Clary.. la mia migliore amica Clary.. te l'ho detto che era la mia migliore amica dell'asilo? La mia amicissima di sempre! Pensa che una volta.."
"SIMON!" urlò Magnus, esasperato. "Qual è il cognome di Clary?" chiese, un attimo prima che Alec e Jace tornassero a sedersi ai loro posti.
"Fray." rispose Simon, lanciando poi un grido di vittoria quando finalmente riuscì a sbloccare il cellulare.
Fray. Clary Fray. Perchè, allora, il tizio vestito di nero l'aveva chiamata signorina Morgenstern? Accidenti a Simon! Anzichè essergli d'aiuto, aveva solo peggiorato la confusione che Magnus aveva in testa.
"Che cos'è un fray?" chiese Jace, curioso.
"Non che cosss'è!" lo contraddisse Simon, muovendo esageratamente la testa in segno di diniego. "Maaaa chi è!"
"Ohhh!" annuì Jace, comprensivo, ondeggiando sul posto. "E chi è?"
"E' Clary! La mia migliore amica Clary! Lo sapevi che era la mia migliore amica di sempre-sempre?" gli chiese entusiasta Simon.
Jace si illuminò. "Io amo Clary!" dichiarò, unendo le mani e portandole alla guancia, come un'adolescente innamorata.
Simon trattenne drammaticamente il fiato. "Non puoi amarla! No-no-no!" disse, serio. "E' la mia migliore amica! La mia amica di sempre! Non puoi amare la mia migliore amicissima del mondo!" lo rimproverò, severo.
"Perchè nooo?" chiese Jace, sul punto di piangere. "Tu ami mia sorella! E se tu ami mia sorella, io posso amare la tua migliore amica, no?"
Simon lo studiò, socchiudendo gli occhi. "Ti permetto di amarla solo se giuri di trattarla benissimissimo!" concesse, magnanimo. "Perchè è la mia migliore amica! La migliore!!"
"Giuuuuro!" promise Jace, baciandosi le dita incrociate davanti alle labbra.
Simon annuì, dandogli una paterna pacca sulla spalla, mentre Magnus ed Alec si scambiarono uno sguardo allibito.
"Ah!" si illuminò poi Jace. "Alloooora, mi avete visto? Eh? Mi avete visto?" chiese, esaltato, salendo quasi sopra al tavolo. "Avete visto quanto ero ficccco là sopra?"
"Stai giù!" esclamò Alec, snervato, facendolo sedere nuovamente al suo posto.
"Mi avete vistooo?" domandò di nuovo il biondo.
Simon annuì, serio. "Stavo per chiamare un dottore sai?"
"Perchè?" chiese Jace, spalancando gli occhi.
"Perchè.." iniziò il castano, protendendosi verso di lui ed abbassando la voce. "Sembravi uno appena colpito da una crisi epinottica.. epilottica.. quella cosa là, insomma." concluse drammaticamente. Poi gli scoppiò a ridere in faccia.
Jace rimase interdetto per un paio di secondi, prima di afferrare una manciata di noccioline e lanciarle al cognato, stizzito. "Vai a quel paese, Lewis! La tua è tutta invidia!" affermò. "Ho raccolto quasi mille dollari! Milleeee!!" si vantò fiero.
"Veramente sono duecento." lo smentì Alec, calmo, bevendo un altro sorso di un nuovo boccale di birra che Magnus gli aveva fatto arrivare. Gli sorrise, grato.
Jace si girò verso il fratello, con sguardo tradito. "Non.è.vero!"
"Jace, li ho contati. Sono 210 dollari." gli rivelò Alec, sfidandolo con lo sguardo a contraddirlo.
"Ohhh quel che è!" replicò l'altro, sventolando la mano. "Ah!" esclamò poi. "Lewis hai perso la scommessaaaa!" rise sguaiatamente. "Ho fatto 200 dollari. Ho fatto 200 dollari." intonò, gongolante, scuotendo il cognato.
"Fanno sempre così?" chiese Magnus, piano.
Alec gli lanciò un'occhiata consapevole e si limitò ad annuire.
"E' per questo che non esci mai con loro?"
Altro accenno affermativo. "Sono fastidiosi. Ed imbarazzanti. E logorroici." spiegò Alec. "Se lo immagina sopportarli, da solo, per tutta la serata?"
Magnus guardò i due ubriachi, inorridito. Riusciva a malapena a tollerarli, e solo perchè c'era anche Alec, che li arginava meglio che poteva! Anche lui era così molesto quando si sbronzava? Sperava ardentemente di no.
"Maaaagnussss!" gridò Jace, comparendo nel suo campo visivo.
L'uomo lo guardò, impassibile. "Che vuoi Giselle?"
Jace aggrottò la fronte. "Gis.. nooo! Guarda che mi chiamo Jace!" gli spiegò, serio.
Magnus alzò gli occhi al cielo. Non c'era neanche gusto a prendere in giro un ubriaco che non capiva le sue battute. "Che vuoi Jace?" gli chiese allora, chiamandolo con il nome corretto.
"Che voglio?" chiese l'altro, sbattendo le palpebre. "Boh. Non lo so." disse poi, facendo spallucce.
Magnus guardò Alec, che ricambiò con uno sguardo che la sapeva lunga.
"Vuole ssssfidarti!" si intromise Simon, spingendo via il viso di Jace che gli bloccava la visuale.
Jace gli schiaffeggiò la mano, stizzito, e poi si girò verso Magnus con un grande sorriso. "E' verooo! E' verooo!" esclamò con enfasi. "Maaaagnuuuussss!! Ti sfido a fare meglio del sottoscritto!" disse poi, ridendo.
"Jace, non credo.." iniziò Alec, tentando di dissuadere il fratello. Davvero era convinto di poter battere il signor Bane in una gara del genere? Non che sottovalutasse la bellezza il fratello, ma l'uomo con la cresta era di tutt'altro livello. Senza contare, poi, che Jace dava il meglio di sè solo da sobrio, quando riusciva ad affascinare tutti con il suo charme, e non certo quando faticava anche solo a reggersi in piedi.
Anche Magnus osservò Jace, stupito. "Sei sicuro di voler sfidare proprio me?" chiese con un sorriso provocatorio, alzando un sopracciglio. "Avresti più speranze con Sinclair!"
"Non è verooo!" rispose Simon, sentendosi chiamato in causa. "Guarda che sono uno stallone e.."
"Sì, sono sicuro!" asserì Jace, dondolando la testa e facendo il verso a Magnus, interrompendo l'altro con una mano sulla faccia.
"La posta in palio?" volle sapere Magnus.
"Se vinco io, sarai il mio schiavo per una settim.. NO!! Un mese! Sarai il mio schiavo per un meseeee!" rispose Jace, battendo le mani contento.
"Jace.." tentò di nuovo Alec, volendo evitare quell'azione suicida.
Il sorriso di Magnus si ampliò, mentre posava una mano sul braccio di Alec per bloccare quello che stava per dire. "Ok, Jeannette, accetto la tua sfida."
"Yeahhh!" esclamò Jace, alzando le braccia al cielo.
"Ma.." lo bloccò Magnus, alzando un dito. "Se vinco io, deciderò in seguito la tua penitenza."
Jace scrollò le spalle. "Oook!" accettò, spingendolo in piedi e sollecitandolo ad andare sul bancone.
Magnus si girò verso Alec. "Non scappi e non mi lasci da solo, quando ritorno, a fronteggiare questi due imbecilli, vero?" chiese l'uomo, leggermente preoccupato. Alec ridacchiò e negò con la testa.
Magnus ancheggiò fino al bancone ed Alec incollò lo sguardo al quel sedere sodo che aveva già avuto modo di ammirare. L'uomo salì agilmente sul legno lucido e, quando la musica iniziò a propagarsi per il locale, iniziò a ballare sinuosamente.
"Sai, non credo sia stata una buona idea." disse Alec, accostandosi al fratello, ma con lo sguardo incollato al corpo dell'uomo con la cresta.
"Oh andiamo!" ribattè Jace. "Non può essere tanto migl.."
La voce del biondo svanì, sormontata dalle urla femminili che esplosero nel momento in cui Magnus iniziò a tirarsi su, con calcolata lentezza, la maglietta sul petto. Una volta tolta, fu il caos. Le mani delle ragazze si protesero disperatamente verso la pelle caramellata dell'uomo, sperando almeno di sfiorarla, e le più intraprendenti riuscirono a salire sul bancone ed a saltargli addosso. Alcune gli lanciarono addosso anche il proprio reggiseno, proprio come in un concerto rock. Gli uomini della sicurezza riuscirono, con difficoltà, a far scendere le ragazze e Magnus continuò a muoversi, sorridendo. Si girò, scese leggermente sulle ginocchia ed inizio a sculettare, mandando ancora più in delirio le ragazze presenti.
"Sei spacciato." esclamò Simon, meravigliato, con un principio di ridarella. "Oddio non vedo l'ora di vedere cosa ti obbligherà a fare Magnus!!" gongolò eccitato, saltellando sulla sedia.
Jace iniziò a sudare freddo. "Alec! Alec salvami!" pregò, aggrappandosi al braccio del fratello e rischiando di scivolare dalla sedia. "Sei un avvocato, no? E' il tuo lavoro!"
Alec, che nel frattempo scoprì di aver involontariamente arpionato il bordo del tavolo quando si era ritrovato a fissare l'ondeggiare del sedere di Magnus, si tolse di dosso le mani appiccicose dell'altro, con una smorfia. Non voleva neanche sapere di cosa erano sporche!
"Lo sei anche tu." gli ricordò, congratulandosi con se stesso per il tono calmo che era riuscito ad utilizzare, ed alzandosi poi in piedi quando notò che Magnus aveva terminato l'esibizione e che stava ritornando da loro.
"Dove vaaai?" chiese Jace, spaventato.
"In bagno." replicò il fratello.
"Vengo con te!"
"No!" lo bloccò Alec, che voleva restare solo, anche per due minuti soltanto, per ritrovare la pace interiore che lo spettacolo di Bane aveva stravolto. "Tu stai fermo lì e ti bevi almeno un litro d'acqua. Capito?"
"Maaa Aleccc! Maaagnus.." gemette, quando vide Magnus avvicinarsi con un sorriso rapace.
"Il signor Bane non ti farà niente." esclamò Alec, esasperato. "State buoni lì, che torno subito." si raccomandò con entrambi.
Jace sembrò un cucciolo abbandonato sull'autostrada, mentre Simon, con un sorriso raggiante, gli fece il saluto militaresco.
L'avvocato sollevò gli occhi al cielo per l'ennesima volta, scosse la testa, e si diresse verso la toilette. Era quasi arrivato quando si sentì chiamare.
"Alec."
Il giovane si girò di scatto, rischiando di schiantarsi al suolo, a causa della presa malferma che aveva sulle stampelle. Non certo perchè la testa gli girava per il numero imprecisato di boccali di birra che aveva bevuto!
Riuscì a rimanere in piedi per un pelo ed, alzando lo sguardo, con sua grande sorpresa si trovò di fronte Raj. I suoi occhi scuri, che conosceva fin troppo bene, lo stavano fissando con sguardo famelico.
"Che ci fai qui?" chiese Alec, sbalordito.
"Potrei farti la stessa domanda." rispose l'altro, incrociando le braccia sul petto e fissando le sue stampelle. "Che ti è successo?"
Alec fece spallucce. "Una storta al piede."
"E' per questo motivo che ieri sera non ti sei presentato?" chiese l'altro.
Alec si limitò ad annuire, stanco.
Lui e Raj si erano incontrati all'incirca due mesi prima, ma se avesse saputo del carattere geloso dell'altro, non l'avrebbe mai frequentato. I loro incontri si potevano contare sulle dita di una mano e per Alec quella parentesi amorosa era stata solo appagamento fisico e nient'altro. Raj, però, non era dello stesso avviso e, durante la loro frequentazione, aveva iniziato a tempestarlo di chiamate e messaggi in cui pretendeva di essere informato sui suoi spostamenti, su quello che faceva, su chi frequentava. Alec aveva chiuso un mese dopo il loro primo incontro, ma l'altro continuava a chiamarlo e a chiedergli un appuntamento per l'ennesimo chiarimento. L'avvocato credeva di essere stato chiaro e conciso, ma a quanto pareva il ragazzo era duro di comprendonio. La sera precedente avrebbero dovuto vedersi per chiarire una volta per tutte, ma poi i fratelli l'avevano trascinato al Pandemonium e ciao.
L'ex gli prese un braccio. "Perchè non usciamo da qui e.."
"No." esclamò Alec, togliendosi la mano di dosso. "Raj, ne abbiamo già parlato. E' finita."
"Non stai uscendo con nessuno, no? E allora perchè non torniamo insieme?" insistette il ragazzo, arpionandogli nuovamente il braccio, questa volta con più forza.
Alec tentò di sottrarsi a quella presa ferrea, ma le stampelle gli impedivano di muoversi come desiderava. Stava seriamente considerando l'idea di sferrargliene una alle parti basse, quando una mano ingioiellata lo liberò dalla morsa.
"Perchè è mio." esclamò una voce roca, rispondendo alla domanda di Raj e congelando sul posto Alec.
Magnus avvolse le spalle dell'avvocato con un braccio. "Sono Magnus, piacere." sorrise, tendendo la mano a Raj, che lo fissava stupefatto.
"E' la verità?" chiese con veemenza quest'ultimo, ignorando la mano tesa dell'uomo e rivolgendosi con astio ad Alec. "Stai con lui?"
Magnus strinse forte a sè l'avvocato e gli baciò una guancia. "Sta con me." confermò, mentre l'altro continuava a non dire una parola.
Alec, infatti, era completamente paralizzato e non riusciva a formulare un pensiero coerente.
Raj studiò l'uomo con la cresta dall'alto in basso, valutando quanto potesse essere pericoloso il nuovo arrivato.
Magnus lo lasciò fare e, una volta finita l'ispezione, gli sorrise amabilmente. "Ora che abbiamo chiarito, ti pregherei di smettere di girare attorno al mio Fiorellino. Sono un tipo piuttosto territoriale."
Raj alzò le mani, in segno di resa, arretrando di qualche passo. "Avrei preferito me l'avessi detto chiaramente, anzichè farmi fare la figura dell'idiota." digrignò i denti in direzione di Alec.
Nonostante la cacofonia di suoni presenti nel locale, il silenzio che calò tra Magnus ed Alec, una volta che Raj girò i tacchi e si allontanò dai due, divenne assordante. L'avvocato faceva perfino fatica a respirare.
"E così.. sei gay." affermò calmo Magnus.
La sue parole si riversarono su Alec come una doccia fredda ed ebbero il potere di ridestare il giovane.
Si tolse di dosso il braccio di Magnus e si scostò bruscamente da lui, guardandolo gelido. "Cosa vuole?"
Magnus lo guardò, stranito. "Come prego?"
"Qual è il suo prezzo?" chiese Alec, glaciale, serrando i pugni sulla presa delle stampelle.
"Il mio prezzo?" chiese Magnus, continuando a non capire.
Alec sbuffò, sprezzante. "Ogni cosa ha il suo prezzo, signor Bane. Cosa vuole, in cambio del suo silenzio?"
Magnus lo guardò, scioccato. Una parola, un'unica parola gli sfuggì dalle labbra prima ancora che potesse fermarla. "Max."
Alec annuì, serio. "Sapevo che non era diverso da tutti gli altri." sorrise amaramente, prima di girargli le spalle ed avviarsi verso l'uscita, per andarsene da quel posto diventato improvvisamente soffocante e sgradevole.
Una strana sensazione di malessere si impossessò di Magnus. Inaspettatamente aveva trovato il punto debole dell'avvocato. Aveva ottenuto quello che voleva. Aveva vinto. Perchè, allora, tutto ciò non gli faceva fare i salti di gioia? Perchè, stranamente, la vittoria non contava più nulla?
Con stupore, si rese improvvisamente conto di tenere al giudizio positivo di Alec, ma di averlo in qualche modo appena perduto. Forse per sempre.


---
Note dell'autrice
*Il meraviglioso Castello di Oheka esiste davvero e fu costruito tra il 1914 e il 1919 proprio da Otto Hermann Kahn, un filantropo di origini tedesche. Dal 2004 è inserito nel Registro Nazionale dei luoghi storici, al suo interno ha un hotel ed un ristorante e viene spesso utilizzato per eventi mondani o come set di show televisivi, soap opera e film (tra cui Il Grande Gatsby). Se avete voglia e tempo, guardatevi le foto sul sito del Castello o su un qualsiasi motore di ricerca, perchè ne vale la pena.
Un bacio e a presto! ;-*

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Da un po' di giorni l'incubo era tornato, come una vendetta.
Ombre sfuggevoli, sagome scure e voci sussurrate turbinavano nella sua testa, confondendolo. Il suo cuore gridò per la disperazione, facendolo sobbalzare sul letto. Aprì gli occhi, quasi senza rendersene conto, per fuggire da quello stato d'incoscienza, ma quel vortice di sensazioni continuava a perseguitarlo ed il suo corpo pareva fatto di piombo, tanto sembrava pesante.
Coperto da uno strato di sudore freddo, ritornò in sé e si voltò, a fatica, sulla schiena, fissando il soffitto ed ansimando. Il dolore al petto gli stava mozzando il respiro, facendolo sentire come se un elefante gli stesse ballando sopra.
Iniziò a respirare lentamente, come gli aveva detto di fare, tempo fa, il medico a cui si era rivolto. Gli aveva spiegato che i suoi attacchi, intensi e che, qualche volta, duravano anche per ore, erano dovuti a degli spasmi muscolari causati dallo stress emotivo. Il dottore gli aveva assicurato che, col tempo, sarebbero diminuiti, per poi cessare definitivamente.
Effettivamente, erano anni che non riviveva, nel sonno, il giorno più nero della sua esistenza.
Dopo quell'episodio, si era sentito morto, per molto molto tempo. Era stato pazzo di dolore per giorni, mesi, anni. Tutt'oggi faticava ancora a credere che lui se ne fosse andato per sempre, che non sarebbe più tornato. A volte, quando il vento si divertiva a giocare con le acque placide del laghetto, increspandole con qualche soffio deciso, gli sembrava addirittura di sentire ancora la sua voce, la sua risata. Lì, dove tutto era finito.
Rimase sdraiato a fissare il soffitto, in attesa che il dolore passasse. Cercò di pensare a cose piacevoli, per affrettare i tempi, ma non funzionò. Anche perché, ultimamente, c'era ben poco che lo rendeva felice.
Si alzò leggermente, per rovistare nel cassetto del comodino e prendere il sonnifero, che non assumeva da tempo. Quando trovò la boccetta, si distese nuovamente sul letto e prese la solita dose, infischiandosene degli antidolorifici e del fatto che poteva essere dannoso mischiare i due medicinali. 'Fanculo. Voleva solo dormire.
"E così.. sei gay."
La voce roca di Magnus Bane spuntò improvvisamente nella sua testa, facendogli spalancare ancora di più gli occhi, mentre il cuore iniziava a pompare violentemente nel petto ed il respiro ritornava a farsi affannoso.
Si strinse addosso il lenzuolo leggero, che lo copriva, con un gesto irritato. Non era giusto, non era affatto giusto. Tra tutte le persone che avrebbero potuto scoprire il suo segreto, proprio il signor Bane. Perché, dannazione? Era riuscito a tenerlo nascosto per anni ed anni alla sua stessa famiglia, a gente che frequentava quasi ventiquattro ore su ventiquattro ed ora arrivava lui che, in neanche un mese, riusciva a stanarlo. L'avrebbe accettato se, a beccarlo, fossero stati Jace od Izzy, ma il signor Bane?! Persino Simon gli sembrava un'opzione migliore dell'uomo con la cresta.
"E così.. sei gay."
Un'ondata di rabbia gli diede una sferzata di energia, facendogli battere un pugno sul materasso.
Perché l'aveva seguito? Che aveva? Un radar che lo avvisava quando lui si trovava in una qualche situazione scomoda? Perché non l'aveva aspettato al tavolo, anziché corrergli dietro? E sì che gli aveva garantito che non l'avrebbe lasciato da solo con i due ubriaconi! Stava solo andando in bagno, per l'angelo!
"E così.. sei gay."
E che diavolo era quella sceneggiata con Raj? Come si era permesso d'intromettersi? Cosa credeva? Che non avesse la situazione sotto controllo? Tzè! Il suo ex l'aveva scampata davvero bella, altroché! Se il signor Bane non si fosse messo in mezzo, Raj avrebbe avuto l'onore di assaggiare la solidità della sua stampella dritta dritta sui suoi gioielli di famiglia! Magnus Bane doveva decisamente smetterla con il fottuto ruolo di principe azzurro, ma, soprattutto, doveva assolutamente smetterla di trattarlo come una dannata principessa in pericolo! Era capacissimo di badare a se stesso, cazzo!
Ed il braccio attorno alle spalle od il bacio sulla guancia? Come si era permesso di toccarlo? E, santo cielo, da dove diavolo si era preso tutta quella confidenza? Ohhh che stesse calmo eh! Mica erano amici loro due!
"E così.. sei gay."
Sì, lo era. E quindi? Cosa cavolo gliene fregava? E come si permetteva di dare per scontato il fatto che si interessasse esclusivamente agli uomini? Poteva essere bisessuale come lui, per quel che ne sapeva! Solo perché non organizzava un'orgia mista un giorno sì e l'altro pure, doveva essere etichettato come gay senza se e senza ma? Era anche stato sposato, cavolo!
"E così.. sei gay."
E come si permetteva non solo di scoprire il suo segreto, ma anche di ricattarlo? Che gran faccia tosta! Certo, quando gli aveva chiesto qual era il prezzo del suo silenzio, non si era affatto stupito di ricevere una risposta, né che quella risposta fosse il ragazzino. Ahhh ma non finiva qui! Affatto! Nessuno avrebbe mai sfidato Alexander Gideon Lightwood senza pagarne le conseguenze. Magnus Bane poteva aver trovato il suo punto debole, ma lui avrebbe trovato il suo e l'avrebbe usato senza nessuna pietà per piegare quell'uomo una volta per tutte.
"Magari a novanta.. sul tavolo della cucina o, meglio ancora, sul letto.." sussurrò una vocina maliziosa nella sua testa.
Arrossì violentemente a quel pensiero e scosse la testa per scacciarlo via. Erano sicuramente la stanchezza e il miscuglio sonnifero-antidolorifici a farlo sragionare. Decisamente.
"Eppure.." sussurrò nuovamente la vocina.
Corrugò la fronte. "Eppure, cosa?" le domandò curioso.
"C'è stato un momento, un momento soltanto, in cui avevo sperato che.."
"Sperato? Sperato cosa?" la interruppe, seccato.
Cosa c'era da sperare? Che Magnus Bane non usasse la sua omosessualità contro di lui? Gli veniva quasi da ridere. Davvero una parte di lui aveva posto un briciolo di fiducia in quell'uomo? Ma per favore! Il signor Bane non era speciale. Era esattamente come tutti gli altri, niente di più niente di meno.
"Stupido, illuso, Alec.." pensò, scuotendo la testa, compatendo la sua parte sognatrice.
Un sorriso amaro di trionfo gli spuntò sulle labbra quando si rese conto di aver zittito, definitivamente, la voce.

E ora come diavolo avrebbe fatto a togliersi quell'immagine dalla mente? si chiese Magnus, per la milionesima volta, sbuffando sonoramente verso il soffitto, mentre se ne stava stravaccato sul letto, a braccia spalancate.
L'espressione sul viso di Alec, quando lui aveva pronunciato il nome del figlio, continuava a tormentarlo e non avrebbe mai pensato che la situazione fosse peggiore di quanto avesse immaginato. Tre semplici lettere, infatti, avevano cambiato tutto. Era da tre giorni che Alec lo evitava come la peste bubbonica e se, per una qualche congiunzione astrale, si incrociavano in casa, l'avvocato zampettava via il più velocemente possibile, senza degnarlo di uno sguardo o di una parola, facendo annegare Magnus in un oceano di sensi di colpa.
Che poi, perché si doveva sentire così in difetto? Eh? Aveva fatto tutto Alec, cazzo! Sì, lui aveva prestato il fianco, dicendo il nome di Max, ma, per tutti i diavoli, non aveva neanche avuto il tempo di dirgli quello che pensava che l'altro l'aveva già etichettato come uno stronzo, pronto a spifferare il suo segreto ad ogni essere vivente! E che diamine!
Quando si era ripromesso di trovare il punto debole di Alec, non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe stato servito su un piatto d'argento, ma, soprattutto, che non avrebbe mai potuto usarlo contro di lui. Se gli avesse dato modo di parlare, infatti, Magnus gli avrebbe assicurato che non avrebbe mai rivelato a nessuno il suo orientamento sessuale. Per Lilith, sarebbe stato disposto a giurarlo persino su Max! Neanche all'inizio, quando ancora non conosceva l'avvocato e lo odiava da morire, gli avrebbe fatto una porcheria simile. Era sempre stato dell'idea che, su una cosa così privata e personale, la gente dovrebbe farsi una padellata di cavolini di Bruxelles suoi, come diceva sempre suo figlio.
E invece no! Alec era partito in quarta, giungendo direttamente alla conclusione che lui non si sarebbe fatto nessuno scrupolo a divulgare quella notizia. Ma come si permetteva? Eh? Lo conosceva da poco tempo, ma già si prendeva la libertà di sputare giudizi affrettati, senza neanche starlo a sentire! Era Alec lo stronzo, non lui!
Magnus era decisamente offeso. Stava sprofondando nel pentimento, ma era anche offeso. E che cazzo!
Si alzò dal letto ed iniziò a camminare su e giù per la camera, mentre nella sua mente risuonavano le ultime parole che Tessa gli aveva detto al telefono, prima di salutarlo, quando le aveva raccontato cosa era successo: "Presto o tardi, mio caro, dovrai affrontare le conseguenze delle tue azioni."
Ma quali azioni, santo cielo? Lui non aveva fatto niente! N.I.E.N.T.E.!!
Scosse la testa con arroganza, cercando di scacciare le parole moleste dell'amica.
"Che vadano tutti al diavolo! Tornerò in Inghilterra con Max e non rimetterò mai più piede a New York!" esclamò a voce alta. "O potrei procurarmi documenti falsi per entrambi e fuggire da qualche parte. In Indonesia, ad esempio." annunciò alla stanza vuota, picchiettandosi il mento con fare pensoso. Erano secoli che non ci tornava!
Il sorriso di trionfo svanì di colpo, non appena realizzò l'assurdità di quello che aveva detto.
"Cos'altro posso fare?" chiese alla propria immagine, riflessa nello specchio a muro presente nella sua stanza. "Gli chiedo scusa? Ma per che cosa? E poi dovrebbe essere lui a chiedermi scusa. E ringraziarmi anche! L'ho salvato da quel ragazzo, cazzo!" disse, illuminandosi improvvisamente per aver ricordato quel dettaglio. "Ah! Che ingrato! Sono io che dovrei essere offeso ed evitarlo quando ci incrociamo!" esclamò spazientito. "Ohhh per Lilith! Perché ci sto pensando così tanto?" chiese, arruffandosi i capelli.
Si fissò negli occhi per interi minuti, ma, non ricevendo alcuna risposta, volse le spalle al proprio riflesso e si trascinò a letto, sperando di trovare pace in una buona dormita.
Si girò e rigirò tra le lenzuola, per quella che gli parve un'eternità, ma finalmente il sonno lo colse.
"Max!!" chiamò una voce, con urgenza. "Sto arrivando, Max!!"
Magnus si rizzò a sedere sul letto, gli occhi dilatati per l'agitazione e il cuore che gli martellava nel petto. Qualcuno aveva chiamato il nome di suo figlio. O era solo un sogno?
"Max! MAX!!" ripetè la tormentata voce maschile.
No, non si era sbagliato, qualcuno stava davvero chiamando suo figlio.
I suoi piedi nudi toccarono il pavimento, reagendo d'istinto all'angoscia che sentiva in quella voce. Spalancò quindi la sua porta e si precipitò in fondo al corridoio, arrivando davanti a quella di Alec. Era sicuramente lui che gridava.
Alzò la mano, pronto a bussare, ma poi trovò la cosa ridicola. Entrò quindi senza indugi e, favorito dalla pallida luce proiettata dalla luna piena, che riusciva a fare capolino dalle tende leggermente aperte, si fece strada fino al grande letto. A tastoni, riuscì a trovare il pulsante per accendere la lampada sul comodino e vide il viso dell'avvocato, completamente stravolto da una pena che gli alterava i lineamenti del volto e che gli faceva affondare, sul materasso, i pugni stretti lungo i fianchi.
Magnus lo scrollò delicatamente per le spalle. "Alec!" sussurrò. "Alec, svegliati! Hai un incubo!"
Il giovane però non lo udì, troppo coinvolto, forse, in quello che stava vivendo e con la mente intrappolata in qualche luogo infernale che la voce dell'altro non riusciva a raggiungere.
Di nuovo, Magnus non pensò. Agì. Si infilò nel letto ed abbracciò stretto quel corpo che continuava a sussultare, premendo la guancia sui suoi capelli. Iniziò ad accarezzargli lentamente la schiena, in lunghi movimenti circolari, ed a cullarlo dolcemente. Quando suo figlio faceva un brutto sogno, quella era l'unica cosa che riusciva a calmarlo.
"Max.." bisbigliò Alec. "Dov'è Max? Devo trovarlo." Le mani si alzarono per aggrapparsi a qualcosa. Afferrarono l'aria e poi trovarono la schiena all'altro. "Lasciami. Jace, lasciami andare! Devo trovare Max!" continuò, mentre tentava di spingere via Magnus da sé. I suoi muscoli si irrigidirono e l'altro se lo strinse contro, ancora più forte. "Mi dispiace tanto. E' tutta colpa mia. Mi dispiace.. Max.." rantolò Alec, con una sofferenza indicibile nella voce. Lente lacrime iniziarono a bagnargli le guance.
Magnus era sconvolto. Non aveva idea del perché continuasse a chiamare il nome di suo figlio o perché temesse fosse in pericolo, ma il dolore era così lampante che si sentì angosciato lui stesso. Stava succedendo qualcosa di terribile nel sogno dell'avvocato e Magnus sentì il bisogno di strapparlo da esso il prima possibile.
"Alec. Alec, svegliati!" lo chiamò nuovamente, scrollandolo piano. "E' un incubo. E' solo un incubo." bisbigliò preoccupato, quando l'avvocato spalancò gli occhi e li puntò, inespressivi e vuoti, verso di lui.
Magnus lo osservò con ansia, mentre batteva le palpebre una, due, tre volte, ed infine sembrò mettere a fuoco il suo viso. Le sue mani, che si erano conficcate spasmodicamente nella carne di Magnus, si allentarono ed il suo petto iniziò ad alzarsi ed ad abbassarsi velocemente, mentre respirava nel tentativo di riprendere il controllo del proprio corpo.
"Era un incubo, Alec. Hai fatto un brutto sogno." sussurrò Magnus, posandogli una mano sulla guancia ed accarezzandogli uno zigomo con il pollice.
"Ho.. ho sognato.." esalò Alec, prendendo un altro bel respiro e rilasciandolo subito dopo. "Un sogno. Soltanto un sogno." ripetè, come un pappagallo, scuotendo il capo per schiarirsi le idee. I pensieri, però, continuavano ad essere nebulosi. "Un brutto sogno.. e.. e tu sei venuto a svegliarmi ed a scacciare i fantasmi?" chiese, sorpreso, aggrottando la fronte e continuando a fissarlo. "Grazie, Magnus." sorrise infine.
L'uomo lo osservò, stupito. Da quando si erano conosciuti, non l'aveva mai chiamato per nome né si era mai preso una tale confidenza. All'improvviso fu acutamente consapevole di essere lì, da solo con lui, fianco a fianco nello stesso letto, abbracciati. E, per l'amor del cielo, cosa gli provocava quel sorriso!
"Prego.." rantolò, con la gola improvvisamente secca, leccandosi le labbra che parevano essersi disidratate in un lampo.
Alec seguì ipnotizzato quel movimento e, senza pensarci due volte, calò la bocca sulla sua.

Magnus era in paradiso. Un paradiso caldo e dolce.
Strusciò il naso su un collo morbido, emise un lungo sospiro appagato e si raggomitolò meglio in quell'abbraccio confortevole che lo stava stringendo. Sorrise contento, mentre si crogiolava negli ultimi istanti di beatitudine, e riemerse dal dormiveglia solo parecchi minuti dopo. La sua mano era posata su un'ampia superficie che gli ultimi residui del sonno gli impedirono di riconoscere. Aggrottò la fronte e, ad occhi chiusi, tastò quella pelle. Era decisamente maschile, calda e solcata da svariate cicatrici.
Fu come un lampo accecante. L'immagine del petto nudo di Alec si materializzò nella sua mente, facendogli spalancare di scatto gli occhi verde-dorati. Si irrigidì, mentre gli eventi della notte appena trascorsa irrompevano nella sua mente.
"Per.tutti.i.diavoli." sussurrò sbigottito.
Piegò piano la testa all'indietro, finché non riuscì a vedere il viso dell'avvocato, che dormiva ancora. Se solo la sua fortuna fosse durata un altro po', avrebbe potuto sciogliersi dall'abbraccio e svignarsela in camera sua, senza che l'altro si accorgesse di nulla.
Con movimenti lenti e calcolati, puntò il sedere in direzione del bordo del letto matrimoniale e sporse un piede verso il pavimento, che, nonostante le sue gambe chilometriche, sembrava terribilmente lontano. Tolse delicatamente le proprie braccia dal corpo di Alec e scivolò via, con esasperata lentezza, da quelle muscolose dell'avvocato, spingendosi oltre l'orlo del materasso. Dopo un tempo che gli parve infinito, l'alluce toccò finalmente una piastrella fredda e Magnus trattenne, a stento, un sospiro di sollievo. Ancora un altro po' e sarebbe stato del tutto fuori dal letto.
Alec si mosse nel sonno e Magnus si paralizzò, col cuore in gola, smettendo addirittura di respirare. "Non svegliarti! Non svegliarti! Non svegliarti!" pregò silenziosamente l'uomo, mentre anche l'altro piede toccava il pavimento.
Ok, era fatta! Ora, tutto quello che doveva fare, era arretrare lentamente, quatto quatto, verso la porta ed uscire da lì, senza farsi beccare da Alec o da un qualsiasi altro abitante di quella casa. Raccattò le mutande, infilandosele in fretta e, un passo dopo l'altro, con lo sguardo puntato sull'avvocato per controllare che non si svegliasse, arrivò alla maniglia, la girò ed uscì come un razzo dalla stanza, sentendosi come un delinquente che, furtivamente, scappava dalla scena del crimine.
Una volta fuori, rilasciò un lungo sospiro e rise, appoggiando la fronte alla porta. Adesso doveva solo andare in camera sua, dove avrebbe potuto fingere che non fosse successo niente e..
"Ciao papino!" lo salutò una vocina allegra.
Magnus si spalmò sulla porta, riuscendo a trattenere per un pelo un grido di sorpresa.
"M-Mirtillo! Ciao!" esclamò Magnus, con voce stridula.
"Cosa fai?" chiese Max, con le mani dietro la schiena e la testa piegata di lato.
"C-cosa.. niente! Non sto facendo proprio niente!" si affrettò a rispondere l'uomo.
"Che ci facevi in camera del signor Lightwood?" domandò Max, curioso, alzandosi in punta di piedi e guardando la porta chiusa dietro il padre.
"Niente! Volevo.. dovevo chiedergli una cosa, ecco!" ridacchiò Magnus, isterico.
"Alle otto di mattina?"
Magnus annuì freneticamente.
"In mutande?" chiese Max, scrutandolo dall'alto in basso.
Magnus deglutì ed a momenti si strozzò con la propria saliva. Accidenti a lui e alla sua abitudine di dormire e girare svestito!
"E-era un cosa davvero urgente."
"Cosa sono quei segni?"
"S-segni?"
Max puntò l'indice sul suo petto e Magnus abbassò lo sguardo, osservando, sorpreso, i marchi che gli aveva lasciato Alec la notte precedente. Incrociò le braccia, tentando di coprirsi il più possibile.
"Zanzare! So-sono stato punto dalle zanzare!" pigolò, iniziando a grattarsi per dare enfasi alla sua bugia.
"Le zanzare lasciano delle punture così grosse?"
Magnus annuì, nervoso, continuando a sfregare la pelle.
Max si avvicinò di più al padre, guardando i segni con genuino interesse. "Ma le zanzare mordono?"
"A-alcune! Le più.. le più aggressive!" rispose l'uomo, arrossendo lievemente.
Oddio, suo figlio non aveva niente di meglio da fare che fargli il terzo grado? Prendendolo in contropiede, impedendogli di formulare dei pensieri e delle bugie coerenti, per giunta!
Tra l'altro dovevano assolutamente allontanarsi da lì perché, con il loro vociare, rischiavano di svegliare Alec ed era l'ultima cosa che voleva fare.
"Tu.. tu cosa fai?" chiese al figlio, incamminandosi verso la sua camera, con tutta la disinvoltura di cui era capace.
"Sto uscendo a giocare!" sorrise Max.
"Oh." annuì Magnus. "Ma non è un po' troppo presto?"
Il bambino scosse la testa, con forza. "No, affatto! E sono anche in ritardo!"
"In ritardo? Per fare cosa?" chiese Magnus, confuso.
"Per giocare, no?!" rispose Max, con fare ovvio.
"Ah.. gius.."
"Buongiorno signor Bane. Buongiorno signorino Lightwood." li salutò una voce profonda.
Magnus rischiò l'infarto per la seconda volta, nel giro di pochi minuti.
"Ho-Hodge! Bu-buongiorno!" esclamò Magnus, senza fiato, appoggiandosi alla porta della sua camera.
"Ciao Hodge!" lo salutò Max, con la mano. "Ok papino, io devo proprio andare! Ci vediamo più tardi!" disse poi, rivolgendosi al padre ed abbracciandolo stretto, prima di correre via.
Magnus lo seguì con lo sguardo prima di sentire, su di sé, due occhi che lo fissavano con insistenza. Girò di scatto la testa verso il maggiordomo, che lo stava analizzando dalla testa ai piedi.
"Z-zanzare." sussurrò, sentendo l'impellente bisogno di giustificarsi, mentre incrociava le braccia al petto per coprirsi. "S-sono stato punto dalle zanzare."
Hodge si limitò ad alzare un sopracciglio, senza fare commenti. L'ombra di un sorriso ironico fece capolino sulle sue labbra.
"Cosa?" chiese Magnus, notando l'espressione dell'altro.
Il maggiordomo scrollò le spalle, girandosi ed incamminandosi lentamente lungo il corridoio.
"Cosaaa?" chiese nuovamente Magnus, allargando le braccia e lasciandole ricadere lungo i fianchi.

Max alzò, titubante, gli occhi sul grande edificio che si profilava davanti a lui.
Nonostante le indicazioni ricevute da una signora, che gli aveva mostrato la strada, il bambino non era affatto sicuro di essere giunto alla destinazione corretta. La costruzione al di là di un imponente cancello in ferro battuto, infatti, aveva una facciata carina e colorata, che ispirava simpatia. Come poteva essere, quindi, quello il posto tetro e spaventoso di cui aveva tanto sentito parlare?
Doveva per forza essersi sbagliato, pensò Max, guardandosi attorno sconsolato. Tutta colpa dell'anziana donna, che gli aveva addirittura pizzicato le guance! Quell'antipatica! Se, anziché tormentarlo con inopportune domande, gli avesse fornito le giuste informazioni, a quest'ora Max si sarebbe trovato davanti all'orfanotrofio di Rafe e non ad uno qualsiasi della città. Ma no! Piuttosto che focalizzarsi su quanto le aveva chiesto, quell'impicciona doveva per forza chiedergli "Piccolo, dove sono i tuoi genitori? Eh? Ti sei forse perso?". Piccolo? Lui, piccolo? Aveva già otto anni, cavolo! Era grande ormai!
Sbuffò forte, pronto a fare marcia indietro, quando, con la coda dell'occhio, gli parve di scorgere qualcuno nell'angolo che si riusciva a vedere del giardino, che si trovava dietro l'edificio. Il suo cuore prese a scalpitare quando realizzò che, forse, si trattava di un bambino che conosceva bene. Corse verso il cancello e vi si appiattì contro, nel tentativo di guardare meglio, ma l'altro era già sparito. Che si fosse trattato di un'allucinazione?
Attese ancora qualche minuto, non distogliendo lo sguardo neanche per un secondo, ma, non vedendo più nessuno, si convinse che la sua immaginazione gli avesse giocato un brutto scherzetto. Il bambino, però, un istante dopo ricomparve nella sua visuale e Max non ebbe più alcun dubbio. Rafe!
Saltellò felice sul posto, pronto a gridare il suo nome, ma si bloccò subito, ricordandosi dove si trovava e che non doveva dare nell'occhio. Era già nei guai per essere sgattaiolato fuori dalla tenuta, ci mancava solo che lo beccassero e chiamassero suo padre o, peggio, l'avvocato!
Si scostò leggermente dalle sbarre e guardò in alto: il cancello, purtroppo, era troppo alto e non sarebbe mai riuscito a scavalcarlo. L'unica soluzione, per entrare nella proprietà, era quella di trovare il passaggio nel muro che utilizzava Rafe. Dovette fare ben tre giri, prima di scovare il buco, ben nascosto, nella parete che l'avrebbe condotto dentro.
Una volta entrato, si nascose dietro ad un grosso tronco d'albero, prendendo dei bei respiri profondi per regolarizzare il respiro affannato. Quando il suo cuore smise di battere come un tamburo, prese coraggio e sbirciò da dietro la corteccia.
Dopo una prima occhiata, Max iniziò a prendere in considerazione l'idea di essere davvero stato preso in giro dal suo amico. Seriamente, cos'aveva quel posto che non andava? Il giardino non era molto ampio, ma era grazioso: c'erano delle aiuole, con tanti fiori colorati, un'altalena ed un grande scivolo. E poi c'erano i bambini! Tanti bambini con cui giocare e divertirsi. Anche se c'era una ragazza dai capelli rossi, che li controllava e li teneva costantemente d'occhio, quei bambini erano davvero fortunati, altroché! Nella tenuta dei Lightwood, a parte lo spazio erboso e sconfinato su cui correre, non c'era nient'altro. Non un gioco, non un ragazzino con cui svagarsi, niente.
Solo quando, mentre guardava i visi dei bambini alla ricerca di quello dell'amico, iniziò a scrutarli con più attenzione, una sensazione di disagio cominciò a farsi strada in Max. Quei ragazzini avevano decisamente qualcosa di strano. Alcuni avevano evidenti lividi su braccia o gambe, ma, quello che stupì maggiormente Max, fu la lampante tristezza che traspariva dai loro occhi spenti e il fatto che giocassero con gesti meccanici e privi del tipico entusiasmo infantile.
Continuò a far vagare lo sguardo per tutto il giardino, fino a quando, finalmente, localizzò Rafe poco distante da lui. Raccolse un sassolino e lo lanciò fra i piedi dell'amico, che alzò la testa di scatto. Il suo viso portava ancora i segni delle percosse subite e gli occhi saettarono a destra e a sinistra, nervosi ed impauriti, fino a quando si spalancarono sorpresi nel momento in cui incrociarono quelli blu di Max, che lo salutò con la mano, mentre si portava l'indice dell'altra davanti alla bocca.
"Cosa ci fai qui?" chiese Rafe, inquieto, una volta che l'ebbe raggiunto dietro l'albero.
"Rafe!" lo salutò Max, abbracciandolo di slancio. "Sono giorni che non ti fai vedere! Ero preoccupato!"
Quella mattina, infatti, come tutte le altre, era andato al rifugio sperando di incontrarlo, ma il suo migliore amico non c'era ed era già da qualche giorno che non si presentava. Max iniziava seriamente a temere che gli fosse successo qualcosa ed aveva preso, quindi, la decisione di fare un "giretto" in città, passando per lo stretto passaggio che Rafe utilizzava per andare e venire nella tenuta, ed arrivare "casualmente" all'orfanotrofio per dare un'occhiata.
Rafe lo scostò piano da sé e si guardò oltre le spalle, per accertarsi che nessuno l'avesse visto o seguito. "Non saresti dovuto venire! Se ti trova qui.."
"Mi prenderò io la colpa!" lo rassicurò Max, nonostante non avesse la più pallida idea di chi stesse parlando.
"Max.." sospirò l'altro, scuotendo la testa. "E' pericoloso!"
"Sul serio?" chiese Max, sorpreso. "Io invece trovo questo posto molto carino!" gli sorrise, guardandosi attorno. "Hai un'altalena, uno scivolo e ci sono tanti bambini con cui puoi giocare!" continuò, entusiasta. "Anche se sono un po' strani eh!" sussurrò, accigliandosi leggermente. "Sembra quasi che qui non si divertano.."
Rafe fece una smorfia, pronto a replicare, ma una voce arrabbiata lo zittì. I bambini si guardarono stupiti e poi, quasi simultaneamente, si girarono per sbirciare cautamente da dietro l'albero.
Un uomo osservava arrabbiato la ragazza dai capelli rossi, che Max aveva visto prima, insieme ai bambini. Era accasciata a terra e si copriva il volto con le mani. Max si accorse che stava piangendo.
"Perché piange?" chiese, girandosi verso Rafe.
L'amico, però, non rispose, anzi sembrava quasi che non l'avesse sentito e continuava ad osservare, paralizzato, la scena.
"Rafe.." lo chiamò Max, scuotendolo piano.
L'amico si girò verso di lui, con gli occhi color nocciola spalancati. "Devi andartene!" ordinò, prendendolo per un braccio ed iniziando a trascinarlo verso il muro, senza tante cerimonie.
"Ma Rafe.." iniziò a protestare l'altro.
"Niente ma." lo zittì il più grande. "Devi andartene!!" ripetè, una volta giunti vicino al muro. "Subito!!"
"Rafe.."
"Bene, bene, bene.." disse una voce maschile che gelò Rafe. "E chi abbiamo qui?"
I due bambini alzarono gli occhi sull'uomo alto e biondo, che prima era con la donna e che ora, invece, sovrastava loro, guardandoli in cagnesco e con le braccia incrociate sul petto.
"E' un tuo nuovo amico, Rafael?" chiese l'adulto, accarezzando la guancia del bambino che spalancò gli occhi ancora di più, iniziando a tremare.
Ad occhio esterno, quel gesto poteva sembrare una carezza gentile, ma Rafe sapeva bene quanto l'apparenza potesse ingannare. Era un avvertimento. Con te facciamo i conti più tardi diceva.
Max guardò alternativamente Rafe e l'uomo biondo, intuendo che ci fosse qualcosa che non andava. Assottigliò lo sguardo ed esaminò attentamente l'adulto di fronte a lui. Quell'uomo stava chiaramente mettendo paura al suo amico, che sembrava sul punto di svenire, e questo poteva voler dire solo una cosa: quello era la persona cattiva che aveva picchiato Rafe!
L'istinto di Max lo portò ad agire e si frappose, quindi, tra il suo amico e l'adulto, mettendosi le mani sui fianchi e squadrando quest'ultimo con cipiglio arrabbiato.
"Chi è lei?" pretese di sapere.
"Chi sei.. tu?" replicò, gelido, l'altro.
Max alzò il mento, in segno di sfida. "Io sono Maxwell Michael Lightwood-Bane!" tuonò, battendo il piede a terra, per dare più enfasi alla sua presentazione. Suo padre ne sarebbe stato orgoglioso, ne era certo.
"Lightwood?" esclamò, sorpreso, l'uomo.
Max annuì, guardandolo torvo. Aveva imparato il suo nome completo il primo giorno che aveva messo piede nella tenuta, quando Hodge gliel'aveva ripetuto cinque volte perché lo memorizzasse, e, mai come in quel momento, gli tornò utile. Quell'uomo di certo non poteva conoscere il suo papà, ma l'avvocato sì, cavolo! Hodge e Cat gli avevano detto che era parecchio famoso in tutta la città, quindi gli parve saggio sfruttare quell'informazione a proprio vantaggio.
L'uomo getto la testa all'indietro e rise di gusto. "Cazzo! Sei il figliol prodigo!"
Max lo guardò, sbalordito da tale reazione, ma si riprese in fretta. "Lei chi è?" chiese nuovamente.
"Io, piccolo pidocchio fastidioso," sibilò, abbassandosi al livello del viso del bambino, "sono il padrone di questo posto." gli rivelò, afferrandolo per un braccio. "Cosa ci fai nella mia proprietà, moccioso? Come sei entrato? Eh? Parla!" ordinò, scuotendolo bruscamente.
Un principio di panico iniziò a farsi strada in Max, che strattonò l'arto, nel tentativo di liberarsi. La presa dell'uomo, però, divenne ancora più stretta e il braccio iniziò a fargli male.
"Lascialo stare!" intervenne Rafe, in suo aiuto, con l'unico risultato di ricevere un manrovescio in volto.
"No! Non fargli del male!" urlò Max, sull'orlo delle lacrime. "Lo dirò al mio papà! Hai sentito brutto bestione! Glielo dirò e ci penserà lui a conciarti per le feste!" lo minacciò, dimenandosi e riuscendo finalmente a scivolare via dalla morsa ferrea dell'adulto. Corse verso Rafe, che era caduto a terra, per sincerarsi delle sue condizioni.
"Oh che paura!" replicò l'uomo, portandosi le mani alle guance e spalancando la bocca in una finta smorfia di terrore. "Sono davvero spaventato all'idea che quel damerino dagli occhi blu arrivi qui a farmi la bua, pidocchio!"
Max stava per replicare che il suo papà non era l'avvocato, ma un uomo forte e coraggioso che gli avrebbe fatto passare un brutto quarto d'ora, non appena avesse scoperto cosa aveva fatto a lui ed al suo amico, ma si zittì, terrorizzato, quando vide che l'adulto si preparava a tirare un calcio nella loro direzione. Chiuse gli occhi e nascose il viso nel collo di Rafe, stringendolo forte a sé e riparandolo col proprio corpo, in attesa del colpo.
"JONATHANNNN!!" urlò una voce femminile.
Max alzò la testa e guardò, sorpreso, la ragazza dai capelli rossi che si era parata davanti a lui ed a Rafe, a braccia spalancante, per proteggerli dalla violenza dell'uomo.
"Togliti dai piedi, Clary!" le intimò quest'ultimo.
"Sei totalmente impazzito?" urlò, fuori di sé, la giovane.
"Quel pidocchio non è dei nostri! Voglio assicurarmi che non metta più piede qui dentro!" sibilò, lanciando un'occhiata cattiva ai due bambini.
"Vattene immediatamente." gridò la ragazza. "E' un ordine!"
Gli occhi dell'uomo brillarono sinistramente. "Tu che dai ordini al sottoscritto?" ghignò, scuotendo la testa. Si avvicinò a lei e l'agguantò per un braccio. "Togliti dai piedi!" ripetè, gettandola a terra.
I bambini spalancarono gli occhi, spaventati, quando l'uomo biondo, avvicinatosi nuovamente a loro, calò la mano per afferrarli.
"Forse io non posso ordinarti niente, ma vediamo cosa ne pensa nostro padre." disse Clary, ansando, nel tentativo di fermarlo. Prese velocemente il cellulare ed iniziò a premere i tasti sul display. "Mi passi il signor Morgenstern." ordinò all'interlocutore, alzandosi ed allontanandosi dall'uomo, perché non le impedisse di parlare con la persona in questione.
Jonathan si bloccò, guardandola in cagnesco. "Non finisce qui." minacciò, abbassandosi poi nuovamente verso Max. "Tu racconta a qualcuno quello che è successo oggi e io lo uccido." gli sussurrò all'orecchio, indicando con un impercettibile cenno del capo il bambino più grande. "Lo uccido e sarà solo colpa tua!" terminò, raddrizzandosi ed andandosene.
Max spalancò gli occhi e, angosciato, strinse Rafe ancora più forte a sé. L'amico ricambiò l'abbraccio e gli si abbandonò contro, esausto.
Quando finalmente l'uomo fu lontano, la ragazza che li aveva salvati si tolse il cellulare dall'orecchio e, tremante, si diresse verso di loro. Il numero composto risultava occupato, ma, grazie al cielo, Jonathan aveva creduto alla messinscena.
"State bene?" chiese dolcemente.
La sberla ricevuta aveva riaperto il taglio sul labbro di Rafe ed a Max faceva male il braccio, ma entrambi annuirono.
La giovane prese un fazzoletto dalla tasca dei jeans e tamponò il labbro del bambino più grande. "Mi dispiace non essere arrivata prima." sussurrò.
Il ragazzino fece spallucce. "Non si preoccupi, signorina Morgenstern. Sto bene!" la rassicurò, con un sorriso incerto.
"Oh tesoro." esclamò la ragazza, abbracciandolo e baciandogli una tempia. "E tu chi sei?" chiese poi, girandosi verso il bambino dagli occhi blu. Osservandoli, ebbe come uno strano senso di déjà-vu.
"Sono Max!" le sorrise il bambino, tendendole la mano, grato.
"Ciao Max, io sono Clary." si presentò, stringendogliela.
"Chi era quell'uomo orribile?" chiese il bambino, accigliandosi. "E' davvero il padrone di questo posto?"
Clary scosse la testa. "No, non lo è."
"Perché è venuto qui, allora? E perché non chiami la polizia? E' cattivo e ha fatto del male a Rafe!"
"Oh tesoro.." sussurrò, sconsolata, la ragazza.
Come poteva spiegare, a quel bambino, che aveva le mani legate? Che non poteva chiedere aiuto alle forze dell'ordine, perché c'era il rischio di peggiorare ulteriormente le cose?
"E' meglio che tu vada, Max." disse Rafe, ben consapevole che la signorina Morgenstern non potesse fare molto per lui e gli altri orfani. "Il tuo papà sarà preoccupato." gli sorrise dolcemente.
Max lanciò un'occhiata a Clary, prima di avvicinarsi all'orecchio dell'amico, affinché lei non sentisse. "Verrai al rifugio, domani?" sussurrò.
"Vedrò cosa posso fare." gli promise, abbracciandolo.
Max annuì, ricambiandolo, e Clary gli fece strada fino al cancello. "Ti accompagno a casa." gli disse, tirando fuori le chiavi della sua auto.
Il bambino scosse la testa, deciso. Se la ragazza l'avesse condotto fino alla tenuta, suo padre avrebbe scoperto la fuga e tutto il resto. Già in quei giorni era più strano del solito, se avesse anche saputo cosa era successo quella mattina, l'avrebbe segregato in casa fino alla maggiore età! Non era proprio il caso.
"No, grazie! Vado da solo." affermò, salutando lei e l'amico con la mano.
"Stai attento!" si raccomandò la ragazza, chiudendo il cancello.
Max annuì e, dirigendosi verso casa, tentò in tutti i modi di trovare una soluzione per aiutare il suo amico. Gliene veniva in mente solo una, ma questo significava rompere la promessa e, soprattutto, rischiava di mettere in pericolo Rafe.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


"Prego.." rispose Magnus, leccandosi le labbra.
Seguì, ipnotizzato, quel movimento e, senza pensarci due volte, posò le labbra sulle sue. Magnus non si ritrasse, ma nemmeno approfondì il bacio.
Si staccò appena, temendo che quel contatto non solo non fosse gradito, ma che addirittura l'avesse irritato. Fissò Magnus negli occhi, pronto a leggervi del risentimento, ma si stupì di trovarvi tutt'altro. Sorpresa, eccitazione, euforia.
Perché, allora, non l'aveva ricambiato?
Si morse il labbro inferiore, di colpo preda di mille dubbi e mille paranoie. Che avesse esagerato? Doveva chiedergli scusa per quel gesto avventato? Doveva baciarlo di nuovo per vedere se, questa volta, avrebbe contraccambiato? Doveva gettarsi su di lui come un affamato che non tocca cibo da giorni? E se l'avesse respinto? E se un bacio fosse tutto quello che era disposto a tollerare? Stava parlando di Magnus, per l'angelo! Per quel che ne sapeva, a causa della sua sfrontatezza, quell'uomo poteva benissimo tirargli una testata sul naso da un momento all'altro!
Iniziò ad agitarsi. Magnus era la persona più imprevedibile che avesse mai incontrato in vita sua e non era uno dei tanti uomini che rimorchiava in qualche bar per un'avventura da una notte e via, per soddisfare un'esigenza fisica con del sano e disinteressato sesso. Era colui che si era preso cura di Lydia e del ragazzino, che aveva allevato quest'ultimo nonostante non fosse biologicamente suo figlio, che aveva affrontato un lungo viaggio per riportarlo a casa anche se questo poteva voler dire separarsi definitivamente da lui. In un certo senso, e in un modo assai contorto, Magnus faceva parte della famiglia. Era saggio, quindi, continuare quello che aveva iniziato poco fa?
Si rese conto, però, che il vero problema era che si erano scontrati sin dal loro primo incontro e così tante volte che, se avesse proseguito quell'approccio audace, avrebbe potuto complicare ulteriormente un rapporto già abbastanza difficile.
Magnus intrecciò le gambe alle sue e gli si accostò ancora di più, fissandolo con un sopracciglio alzato, in una muta domanda. Ohhh se solo avesse potuto leggere il caos di pensieri che gli stava affollando la mente in quel momento!
Tra l'altro trovava il suo comportamento un tantino ambiguo. Si stava spalmando addosso a lui, quando fino a pochi secondi prima non aveva ricambiato il bacio. Chi lo capiva, era bravo!
Magnus gli schioccò le dita davanti al naso, sbuffando una risatina divertita, interrompendo così le sue elucubrazioni, e gli piantò una mano sul coccige, spingendogli il bacino contro il suo, in un chiaro invito a darsi una mossa.
Spalancò gli occhi, sorpreso, e fissò quei diamanti color smeraldo guardarlo languido. Fu in quel momento che capì. Lo stava aspettando. Magnus lo voleva, tanto quanto lo voleva lui, e gli stava lasciando la possibilità di prendere l'iniziativa e di sedurlo. Quella scoperta lo eccitò oltre misura ed il fuoco che sentiva dentro, soffocato sotto una coltre di buonsenso, scoppiò e divampò in un incendio indomabile.
Gli si strinse contro, afferrandosi alle sue braccia muscolose, e si protese nuovamente verso di lui, sfiorandogli le labbra con le proprie. Nonostante il tocco fosse leggero, quel contatto lo fece tremare.
Gli afferrò la testa, affondando le dita tra i suoi capelli neri e setosi, congiungendo con forza le loro bocche e smettendo definitivamente di pensare razionalmente.
Magnus sorrise sulle sue labbra e, finalmente, ricambiò il bacio con decisione e trasporto, schiudendo la bocca per accogliere la sua lingua. Se il bacio a fior di labbra gli aveva fatto vibrare la pelle, sentire la propria lingua giocare a rincorrersi con la sua gliela fece definitivamente esplodere.
Lentamente, gli accarezzò le spalle e le braccia, quasi volesse imprimersi nella mente la forma di ogni più piccola parte del suo corpo. La sua mano scivolò lungo la schiena di Magnus, esplorando quella pelle di seta, così diversa dalla sua. Scoprì che gli piaceva toccare la sua epidermide, avvertirne la morbidezza ed il calore, respirarne il profumo. Sfiorò con l'indice la sua colonna vertebrale, facendogli soffiare un gemito di piacere ed arcuare la schiena, come un gatto.
Un sorriso storto sbocciò sul suo viso e lo strinse di più a sé, premendo l'inguine contro la sua gamba. Un'ombra di consapevolezza attraversò gli occhi verdi-dorati di Magnus, facendogli premere le labbra sulla sua bocca con più slancio.
Si strusciò contro di lui, sfregando il basso ventre contro il suo ed esplorando con le mani la sua schiena e le natiche sode, strappandogli un mugolio gutturale.
Gli sfiorò un orecchio con la lingua e sentì, sotto le dita, la pelle di Magnus venire attraversata da un lungo brivido d'eccitazione. L'uomo con la cresta affondò la testa sul suo collo bianco e marchiò la gola con un morso deciso.
Trattenne il fiato quando sentì la mano caramellata di Magnus infilarsi sotto la sua maglietta, per accarezzarlo dal petto al ventre in lunghe carezze voluttuose, le dita che si modellavano seguendo il leggero rilievo del costato, mentre la bocca continuava a torturargli il collo.
L'aria gli sfuggì completamente dai polmoni quando la mano dell'altro superò la barriera dei pantaloni del pigiama e si intrufolò dentro i suoi boxer, iniziando ad accarezzarlo con tutta la calma del mondo, in netto contrasto con il tumulto di emozioni che gli si agitava dentro.
Il suo corpo rabbrividì in risposta, quando la presa si fece più pressante, e le labbra calde ed il fiato tiepido di Magnus gli fecero accelerare il battito del suo cuore, che già scalpitava ad un ritmo forsennato.
Ebbe un attimo di tregua solo quando l'altro tolse la mano, per farlo alzare leggermente e spogliarlo dei fastidiosi ed ormai inutili indumenti che indossava.
Lo sguardo di Magnus lo scrutò avidamente e richiese un notevole sforzo non agitarsi sotto quell'attento esame. Nonostante si tenesse in forma e sapesse di avere un discreto fisico, asciutto e scolpito, non si era mai ritenuto particolarmente bello, non con tutti quei segni che gli solcavano la pelle o con quel colore latteo che sfiorava il cadaverico. Cielo, sua sorella Isabelle, per prenderlo in giro, lo chiamava addirittura Edward mani di forbice!
Si schiarì la gola, arrossendo vistosamente, e questo portò Magnus ad incatenare nuovamente gli occhi ai suoi ed a fissarlo per quella che gli sembrò un'eternità, mentre si leccava le labbra con deliberata lentezza, come se stesse saggiando il sapore che gli aveva lasciato con le sue.. o come se fosse un predatore che sta per piombare sulla sua prossima vittima! Scoprì che desiderava essere quella preda e che si sarebbe fatto sbranare volentieri da quella belva, ancora ed ancora ed ancora.
Senza staccare gli occhi dai suoi, Magnus si liberò delle proprie mutande, gettandole da qualche parte oltre il bordo del letto, e, anche lui, non poté fare a meno di esaminarlo a sua volta, in silenzio.
Era bello. Per l'angelo, se lo era. Nonostante non stesse vedendo niente di nuovo, vista l'attitudine di quell'uomo sfacciato a girare praticamente nudo per casa, con addosso indecenti mutande attillate che non lasciavano alcuno spazio all'immaginazione e che erano decisamente "illuminanti", si godette quello spettacolo in versione integrale.
Magnus ritornò accanto a lui e i loro corpi si avvinghiarono nuovamente l'uno all'altro. Se all'inizio aveva lasciato a lui l'opportunità di iniziare l'approccio, ora era passato decisamente all'azione. Iniziò, infatti, a succhiare senza sosta lembi di pelle ed a tracciare, con la lingua, scie di fuoco sul suo torace, fino a quando le labbra non si chiusero su un capezzolo.
Quando Magnus ritenne soddisfacente il tempo che aveva dedicato al suo petto e proseguì la discesa, si chiese distrattamente se non gli desse fastidio leccare e toccare le cicatrici che tempestavano il suo corpo, ma anche quel pensiero divenne confuso una volta che l'uomo arrivò al suo ombelico, tracciandone il contorno.
Quando poi lo sentì indugiare, con le labbra, sulle proprie cosce, ansimò, in attesa di quello che sarebbe successo.
Sussultò quando Magnus usò le proprie dita, le proprie labbra e la propria lingua per trascinarlo in una spirale di desiderio e di eccitazione.
Si aggrappò al lenzuolo, arcuandosi, sentì la propria voce gridare il suo nome e fu sopraffatto da un piacere intenso, simile a scariche elettriche, che dal ventre si espanse in tutto il corpo.
Ricadde sul cuscino, senza fiato e spossato, e chiuse gli occhi, appagato.
Sorrise appena quando il fiato caldo di Magnus gli solleticò l'orecchio per sussurrargli, malizioso, "Non addormentarti! Abbiamo appena cominciato, Fiorellino."

Un deciso bussare alla porta fece trasalire Alec, che per poco non rovesciò il caffè sui documenti.
Si aggrappò con una mano alla scrivania, con il fiato corto, schiacciando i polpastrelli sul legno lucido, sperando che il contatto freddo e solido con il tavolo lo facesse ritornare completamente in sé.
Nitide immagini di Magnus Bane, nudo e perfetto, che gemeva e si contorceva sopra di lui, continuavano però a danzargli davanti agli occhi e scosse quindi energicamente la testa per scacciarle e sgomberare la mente.
"A-avanti!" esclamò, posando attentamente la tazza e riordinando il casino di carte che aveva davanti a sé.
"Quando me l'hanno detto, non ci volevo credere." esordì una severa voce femminile, quando la porta si spalancò. "Cosa ci fai qui?" chiese Imogen Herondale, con una mano su un fianco ed una ancora sulla maniglia, mentre lo guardava con un cipiglio arrabbiato.
Senza aspettare l'invito di Alec ad accomodarsi, entrò nella stanza ed andò a pararsi davanti alla sua scrivania. Non che avesse comunque bisogno di un'esortazione a non rimanere sulla porta, visto che, per Alec, quella donna era praticamente il suo mentore. Era stata il braccio destro di Robert Lightwood per quasi vent'anni, prima che questi si ammalasse, e, anche dopo il ritiro dell'uomo, aveva continuato a mandare avanti lo studio con successo. Era stata lei che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva del suo mestiere ed era sempre lei che Alec si sforzava di impressionare positivamente, anche ora che, tra i due, c'era stima reciproca e una specie di sentimento molto simile all'amicizia.
Imogen si sporse verso di lui e gli posò rudemente una mano sulla fronte. "Santo cielo, Alec! Hai anche la febbre!" constatò seria, sedendosi poi con calma sulla poltroncina posta di fronte alla scrivania.
"Signora." la salutò Alec, con un sorriso sghembo ed un lieve cenno del capo.
"Non chiamarmi signora, giovanotto!" lo rimbrottò Imogen, accavallando le gambe e sistemandosi la gonna. "Perchè sei qui? Dovresti essere a casa a riposare!"
Alec alzò gli occhi al cielo. Oltre che mentore, Imogen, per qualche strana ragione, si sentiva in dovere di redarguirlo a suo insindacabile giudizio e bacchettarlo come fosse un bambino.
"Il caso non può aspettare." rispose Alec, tentando di imprimere nella voce una sicurezza che, in quel momento, non gli apparteneva affatto.
"Poteva pensarci Jace!" ribattè Imogen, scuotendo piano la testa. "Tu saresti dovuto rimanere a letto!" insistè. "Ma guardati!" continuò, indicandolo con un plateale gesto della mano dall'alto in basso. "Hai un aspetto orribile! Sei tutto rosso e sudato!"
Alec, per tutta risposta, arrossì ancora di più. Ringraziò mentalmente il cielo che non riuscisse a leggergli la mente, scoprendo così che non era la febbre la causa della sua pessima condizione fisica, ma due occhi di gatto e un fisico scultoreo che sembravano essersi impressi a fuoco nella sua testa e che non ne volevano proprio sapere di sparire.
Imogen scosse la testa, lanciandogli una lunga occhiata di rimprovero, ed il giovane abbassò lo sguardo, iniziando a giochicchiare con una penna, nervoso. Sotto quell'occhiata penetrante, iniziò poi a muoversi a disagio, allentandosi leggermente la cravatta, accomodandosi meglio sulla poltrona, sistemandosi i polsini della camicia. Nonostante sapesse perfettamente che era una tecnica che la donna utilizzava per farsi dire cose che, normalmente, una persona avrebbe preferito tenere per sé, e nonostante ormai ci fosse abituato, quando lo guardava così, gli sembrava sempre di avere come la sensazione di essere stato beccato con le mani nella marmellata. Non era affatto piacevole.
"Cosa posso fare per te?" chiese, sperando di distrarla abbastanza affinché smettesse con quel suo interrogatorio silenzioso fatto di sguardi ed alzate di sopracciglia.
"Quando la signorina Roberts mi ha detto che eri qui non ci volevo credere, così sono venuta a vedere se eri davvero così sciocco da ignorare le raccomandazioni del medico. A quanto pare, sì, lo sei." replicò Imogen, scuotendo nuovamente la testa con disapprovazione e non abbandonando, nemmeno per un secondo, l'aria di rimprovero che si era instaurata sul suo viso da quando era entrata nell'ufficio.
"A parte che sono quattro giorni che sono a casa a non fare niente. Quattro. Non uno o due. Quattro, Imogen! Quattro!!" ribattè con foga Alec.
"Puoi ripeterlo un'altra volta, che non ho capito da quanto sei a riposo?" chiese Imogen, impassibile.
Alec le lanciò un'occhiataccia. "Sono stato fuori dai giochi per quattro giorni.." disse, calcando la voce sul numero, "..e siamo quasi alla fine, Imogen! Non posso starmene a casa con le mani in mano, a non fare niente!" ribattè stizzito, sperando di fare leva sul senso di responsabilità della donna.
"Ripeto: poteva pensarci Jace!" commentò Imogen, per nulla toccata, incrociando le braccia al petto.
"Non hai affidato questo caso a lui, ma a me." replicò serio Alec, senza più alcuna traccia di tentennamento negli occhi.
Imogen sospirò, pizzicandosi la radice del naso. "Come sta andando?"
Alec allentò nuovamente la cravatta, si schiarì la gola, fattasi improvvisamente di carta vetrata, e sfogliò i documenti davanti a sè.
"Me la cavo." mormorò, ben consapevole di essere molto lontano da quell'affermazione.
Tuttavia non aveva nessuna intenzione di mollare. Poteva gestire quella causa. Doveva gestire quella causa.
Mesi prima, Imogen Herondale era entrata nel suo ufficio, esordendo con l'allettante frase "Ho una nuova opportunità che potrebbe interessarti. Una specie di sfida." ed Alec aveva drizzato la schiena, guardandola attentamente e con interesse, pronto ad ascoltare qualsiasi cosa la donna era venuta a proporgli.
"Valentine Morgenstern." aveva sputato Imogen, faticando a trattenere una smorfia anche solo nel pronunciare quel nome. "Ti dice niente?"
Alec aveva annuito. Chi non conosceva quell'uomo? Era una delle persone più squallide con cui aveva avuto il dispiacere di parlare e lo evitava come la peste, quando si trovavano insieme nello stesso posto, in qualche occasione mondana a cui lui era costretto a presenziare.
"E' partita una denuncia a suo carico, circa una settimana fa, da una donna di nome Jocelyn Fray."
"Il motivo della denuncia?" aveva chiesto Alec, curioso.
"Violenza ed abuso su minori." aveva risposto Imogen, rabbuiandosi.
Alec l'aveva fissata, pietrificato. Tra tutti i crimini che aveva ipotizzato, mai avrebbe pensato ad una simile mostruosità.
"Il signor Morgenstern, ovviamente, respinge tutte le accuse e ha querelato la signora Fray, che si è rivolta al nostro studio." aveva spiegato la donna.
Alec aveva annuito. "E' una proposta davvero interessante. Ma perché proprio io? Non mi è mai capitato un caso di abuso, fino a questo momento."
Imogen aveva sventolato una mano, come se ritenesse quell'obiezione una mosca fastidiosa. "Sei un ottimo avvocato Alec, uno dei migliori, ed è importante che, per un caso del genere, se ne occupi una persona capace e brillante. Proprio come te." aveva dichiarato, convinta. "Probabilmente vorrai pensarci bene, perciò, per il momento, ti chiedo solo di studiare il fascicolo che riguarda una violenza su un bambino. Leggilo e poi sappimi dire."
"Imogen non ho bisogno di pensarci." aveva risposto Alec, deciso. "Sono in grado di svolgere questo compito."
"Oh, ne sono certa. Non metto affatto in dubbio la tua abilità, ma ritengo che tu debba predisporti mentalmente a lavorare a questo caso, a confrontarti con quelle atrocità, giorno dopo giorno, prima di impegnarti definitivamente. Sono cose che possono segnarti l'anima per sempre."
Alec aveva annuito, meditabondo. "Grazie." le aveva detto, poi, sorridendo.
"Di niente. Anzi sono molto contenta che tu sia interessato!" aveva risposto Imogen, con un cenno del capo. "Quando hai un attimo di tempo, vieni nel mio ufficio a prendere la documentazione."
Quando la donna era uscita, Alec ricordava di aver posato i gomiti sulla scrivania e di essersi poi arruffato i capelli, tenuti faticosamente a bada da una generosa dose di gel, con un sorrisetto incredulo. Poi, con un movimento brusco, aveva girato la poltrona verso la vetrata dietro di sé e si era messo a fissare le vie affollate di New York, sovrappensiero.
Morgenstern. Valentine Morgenstern. Nonostante fosse uno degli uomini più influenti della città, Alec si era sentito elettrizzato all'idea di scontrarsi con lui e, perché no, magari vincere la causa.
Quel caso, nonostante mettesse a dura prova i suoi nervi e la sua pazienza, era diventato fin da subito una questione personale, perché l'opportunità di mandare dietro le sbarre chi commetteva quel tipo di violenza era uno dei motivi predominanti che l'avevano spinto ad intraprendere la carriera di avvocato. Oltre la pressione paterna, si intende.
Ora, però, iniziava a temere che non sarebbe riuscito a vincere contro quel demonio. La mancanza di prove concrete, infatti, era uno dei problemi principali che lo affliggevano. I bambini avevano la bocca cucita e non c'era alcun testimone che potesse sostenere l'accusa. O meglio, una persona c'era.. peccato che la teste numero uno, nonché la principale accusatrice dell'uomo, fosse sparita.
"Ci sono novità?" chiese Imogen, speranzosa.
Alec scosse la testa, quasi rassegnato. "Abbiamo chiesto a chiunque, ma niente. Sembra scomparsa nel nulla."
"I parenti e gli amici non sanno proprio niente? Non c'è un posto dove magari si rifugiava quando voleva tagliare i ponti con tutto e tutti, anche solo per un po'?"
Alec scosse nuovamente la testa. "I genitori sono morti da tempo, non ha figli e gli amici non hanno idea di dove possa essersi cacciata."
"Hai chiesto a Morgenstern?" chiese prontamente Imogen, per nulla ironica.
Alec alzò lo sguardo e la fissò in modo eloquente. Anche lui aveva vagliato quell'ipotesi, ma, anche in questo caso, non c'era uno straccio di indizio che provasse che l'uomo l'avesse rapita per farla tacere, forse per sempre. La polizia brancolava nel buio, nessuno aveva visto niente e la donna non aveva lasciato nessun appunto scritto che magari potesse condurre a lei. Semplicemente, Jocelyn Fray, era sparita una calda sera d'agosto, inghiottita dall'oscurità, e Dio solo sapeva cose le era successo.
"Nessuna nuova testimonianza?"
Per la terza volta, Alec negò col capo. "I bambini non parlano e quando gli chiedi dei lividi o delle escoriazioni, uno ti dice che è caduto dall'altalena, un altro dallo scivolo, un altro ancora che si è sbucciato il ginocchio correndo in giardino." sospirò amareggiato.
Era orribile vedere come quei bambini fossero talmente terrorizzati da inventarsi bugie di sana pianta pur di non peggiorare la loro condizione, già precaria.
Quando aveva accettato il caso, Alec era convinto che si sarebbe confrontato con quel dolore solo al lavoro e che, una volta chiusa la porta del suo ufficio, tutto sarebbe rimasto al suo interno, mentre lui sarebbe potuto tornare tranquillamente a casa.
Non avrebbe mai pensato che si sarebbe preso a cuore quei bambini in modo così feroce, né che avrebbe mai dimenticato la risposta di Jonathan Morgenstern, il figlio di Valentine e gestore dell'orfanotrofio, quando gli aveva chiesto spiegazioni per quei lividi. "Sono bambini distratti!" aveva detto, con una risata raccapricciante.
Ma, soprattutto, Alec non aveva previsto Rafael. Quel bambino l'aveva sconvolto più di tutti gli altri. Non solo perché, apparentemente, era il più distratto tra gli orfani, ma anche perché sembrava un adulto intrappolato nel corpo di un bambino. Quando gli aveva parlato, non aveva scorto nessuna luce giocosa ed infantile nei suoi occhi, solo consapevolezza e rassegnazione, come se avesse accettato di vivere una vita fatta di violenze fisiche e verbali senza poterla cambiare. Ed era una cosa terribile a dieci anni.
"Insomma sei ad un punto morto." constatò Imogen, riportandolo alla realtà.
Alec annuì, sconfortato, mentre un silenzio pesante piombava nella stanza. La sua unica speranza era che uno dei bambini cominciasse a parlare ed a raccontare ciò che davvero succedeva dentro le mura di quell'orfanotrofio, ma sapeva che era quasi un'utopia. Gli ci sarebbe voluto un miracolo.
"Sto cercando un altro modo per incastrare quel bastardo." la informò Alec. "Anche se i bambini potrebbero fornirci le prove per sbatterlo in prigione, non ho alcuna intenzione di forzarli a fare o a dire qualcosa contro la loro volontà."
"E hai trovato niente di interessante?"
"No." sbuffò il giovane, irritato. "Quell'uomo apparentemente sembra un fottutissimo santo!"
Un lieve bussare alla porta gli impedì di pronunciare altri insulti più o meno coloriti contro quell'essere immondo.
"Scusate il disturbo! Alec ti ho portato quei documenti che volevi!" esordì Isabelle, facendo il suo ingresso nella stanza e porgendo al fratello un faldone pieno zeppo di fogli.
"Grazie, Iz." sospirò.
La ragazza annuì distrattamente, troppo impegnata a lanciare un'occhiata preoccupata in direzione della Herondale che la stava guardando malissimo.
"E' così che lo aiuti? Dandogli ulteriore lavoro da fare?" chiese la donna, in modo burbero.
"Oh.. ehm.. ecco.. sì.. cioè.. sì.. me-me l'ha detto lui!" si giustificò la ragazza, congelandosi.
"Sciocchezze! Perché non l'avete ancora rispedito a casa? Non vedi che è mezzo moribondo?"
Isabelle scrutò il fratello. Sì, aveva il viso leggermente arrossato, ma, sinceramente, non le sembrava che stesse là-là per schiattare.  "Ehm.. ok?"
"Santo cielo, Isabelle, non si risponde ad una domanda con un'altra domanda!" esclamò la donna, scuotendo gravemente la testa.
"Sto bene, Imogen!" borbottò Alec, alzando gli occhi al cielo.
La donna fece per aprire bocca, ma il suo cercapersone iniziò a suonare, salvandolo da una sicura lavata di capo. "Devo andare." li informò, alzandosi. "Ma sappi che ti voglio fuori di qui entro un'ora!" lo minacciò con l'indice. "Mi sono spiegata?" sibilò poi ad Isabelle, prima di andarsene.
La ragazza annuì freneticamente, per poi accasciarsi, senza fiato, sulla poltroncina dove la Herondale era rimasta seduta fino ad un attimo prima. "Oh mio Dio! Come fai a sopportarla? Eh? Come ci riesci?" chiese, stravolta. "Per l'angelo, quella donna ti mette addosso un'agitazione assurda! Sono rimasta solo un minuto in sua compagnia e sto già sudando come un maiale al forno!" gli confidò, facendosi aria, con le mani, sotto le ascelle. "Dio santo, mi ricorda nostro padre!"
Alec ridacchiò ed iniziò a sfogliare le carte che la sorella gli aveva portato.
"Alec?"
"Uhm?" chiese distrattamente il fratello, continuando a leggere.
* "Hai qualcosa sul collo." osservò Isabelle, dopo un lungo, lunghissimo, momento di silenzio.
"C-cosa?" domandò Alec, alzando di scatto la testa.
Isabelle si sporse verso di lui, per osservarlo meglio, e piegò la testa. "Sembra.. per l'angelo, Alec, è il segno di un morso quello?" chiese sorpresa, spalancando gli occhi. "Cosa hai combinato ieri sera?"
"Cos.. Niente!!" si affrettò a rispondere Alec, andando a coprirsi immediatamente, con una mano, la zona incriminata.
"Ti ha morso un vampiro?" chiese la sorella, tra il curioso e il divertito.
"C-cosa? No! Sono caduto!" pigolò Alec, assumendo una vistosa tinta color rosso pomodoro maturo.
"Sul collo?" chiese Isabelle, arcuando un sopracciglio perfettamente curato. *
Alec aprì e richiuse la bocca un paio di volte, in una perfetta imitazione di un pesce fuori dall'acqua.
Il viso di Isabelle si illuminò lentamente. "Oddiooo!" squittì, battendo mani e piedi contemporaneamente. "E' successo, non è vero?"
"Successo? Cosa.. cosa doveva succedere?" balbettò Alec, alzando alla bel meglio il colletto della camicia per coprire il segno.
"Tu e Magnus!" esclamò con naturalezza Isabelle, agitandosi contenta sulla sedia.
Alec la fissò, sbigottito. "Io.. io e Magnus? Izzy cosa diavolo stai dicendo!" domandò, iniziando a sudare freddo.
"Beh di sicuro ieri sera, nelle tue condizioni, non sei uscito e quindi sei rimasto a casa." rispose Isabelle, con una logica di ferro, picchiettandosi il mento. "E, in quel mausoleo, chi potrebbe averti lasciato un segno simile, se non lui?" continuò, con aria saputella. "Sapevo che era il tuo tipo! Lo sapevo!" gongolò elettrizzata. "Secondo Jace, Mags è un po' troppo logorroico ed eccentrico per i tuoi gusti, ma io gli ho detto.."
"Frena! Frena! Frena!" gridò Alec, agitando le mani davanti al viso.
Per tutti gli angeli, cosa stava succedendo? Cosa diavolo stava accadendo? Perché sua sorella era convinta che il signor Bane fosse il suo tipo, mentre Jace riteneva che avesse altri standard?
Alec fissò pietrificato la sorella. C'era un'unica ipotesi, ma si rifiutava di credere a quella spaventosa eventualità. Iniziò improvvisamente a mancargli l'aria, sentì un fastidioso ronzio alle orecchie, la testa prese a vorticare. Stava per svenire? Dio, gli mancava solo quello!
"Tu.. tu.." tentò di chiederle, ma la voce non voleva proprio saperne di collaborare ed uscire dalla sua bocca.
Isabelle gli sorrise dolcemente. "Sai, sei un avvocato davvero in gamba, il migliore che conosco, ma ti assicuro che non sei affatto capace di tenere un segreto." ridacchiò, scuotendo affettuosamente la testa.
"Come.. quando.." balbettò il giovane, sempre più sconvolto.
"Oddio.." disse Isabelle, piegando la testa per osservare il soffitto, meditabonda. "Se non sbaglio il primo che ho beccato è stato quel tizio con la erre moscia, che a scuola ti stava appiccicato peggio di un francobollo. Come si chiamava?" gli chiese, riportando lo sguardo su di lui.
Alec però era troppo stravolto per pronunciare anche una sola sillaba, quindi si limitò a fissarla, scuotendo la testa.
Isabelle fece spallucce. "Poi c'è stato il figlio del signor Collins, il ragazzo delle consegne.." cominciò ad elencare, indicando ogni nome con un dito della mano. "Oh! Ed il modello!! Quello della pubblicità del profumo! Lui era senza dubbio il mio preferito. Grande bel sedere!" esclamò, con un sospiro sognante, posando la testa sul palmo della mano.
"Quindi tu.. tu e.. e Jace.." balbettò Alec.
"Sì, lo sappiamo." confermò per lui la sorella, regalandogli un sorriso enorme. "Non sei affatto discreto come pensi di essere." ridacchiò.
"E.. e.. no-non.."
Isabelle alzò una mano, bloccandolo. "Non osare chiedermi se ci importa, perché potrei seriamente offendermi!" replicò, fissandolo severa. "Sei nostro fratello. E' ovvio che per noi non è affatto importante che tu sia etero, gay o addirittura bisessuale, Alec!! Ti vogliamo bene comunque."
Alec si sentì sollevato e colpevole allo stesso tempo. In tutti quegli anni aveva sempre temuto di confidare la sua omosessualità ai fratelli ed, invece, loro non solo lo sapevano, ma avevano anche avuto il tatto e la delicatezza di non pressarlo o costringerlo a raccontare niente, aspettando i suoi tempi. Il che era un vero miracolo visto quanto era discreti quei due messi insieme!
Un sorriso tremulo sbocciò sul suo viso. "Grazie." bisbigliò piano.
Isabelle scosse la testa, ridendo, si alzò di slancio dalla poltrona, fece il giro della scrivania e lo stritolò in un abbraccio. "Ti voglio bene, stupido." sussurrò, stringendolo un po' di più, mentre gli baciava la fronte e gli arruffava i i capelli.
"Iz-Izzy! N-non respiro!" riuscì a dire Alec, sotto la sua presa ferrea.
"Scusa, scusa!" ridacchiò la sorella, lasciandolo andare. "Allora.. racconta! Racconta! Racconta!" disse poi, sedendosi di slancio sulla scrivania e lanciandogli un'occhiata maliziosa. "E' così bravo come si vanta di essere?"
Alec arrossì vistosamente. "I-Izzy.." iniziò, palesemente in difficoltà. Si allargò, senza pensarci, il colletto della camicia perchè la sensazione di soffocare era ritornata prepotentemente. "Non.. non è successo niente!" tentò di sviare.
"Sì, certo, ed io sono la regina Cleopatra!" sospirò esageratamente Isabelle, alzando gli occhi al cielo. "Dio, è un morso enorme." constatò poi, abbassandosi per esaminare il segno con più attenzione. "Ommioddddio!! E guarda qua!! C'è anche un succhiotto gigantesco!" esclamò sorpresa, abbassando il colletto ancora di più per scrutare meglio la nuova scoperta. "Ma che è? Una sanguisuga umana?"
"Izzy!!" pigolò Alec, assumendo una tinta color vermiglio ed allontanando le sue manacce da lui.
"Ok, ok. Ti lascio in pace." disse la sorella, alzando le mani come in segno di resa. Scese con un saltello dalla scrivania e si diresse velocemente verso la porta. "Vorrà dire che chiederò a Magnus i particolari piccanti." esclamò, prima di uscire.
Rise di gusto vedendo lo sguardo allarmato di Alec e la nuova tonalità di rosso che aveva raggiunto il suo viso.

---
Note dell'autrice
*..* Scusate, ma non ho saputo resistere! Per questo dialogo ho preso spunto dalla conversazione che si tiene tra Alec e Jace nel libro "Città di cenere" scritto da Cassandra Clare. Adoro quello scambio di battute e ho pensato quindi di aggiungerlo alla mia storia. :D

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


"Prego.." rantolò, con la gola improvvisamente secca, leccandosi le labbra che parevano essersi disidratate in un lampo.
Alec aveva seguito quel movimento con lo sguardo ed aveva poi posato, inaspettatamente, la bocca sulla sua. Quel gesto lo aveva preso completamente in contropiede, sia perché non si sarebbe mai aspettato di ricevere un bacio dall'avvocato, sia perché la sua pelle fu percorsa da un'intensa quanto inspiegabile scarica elettrica.
Quando Alec si staccò da lui, cercò di respirare, improvvisamente incapace di farlo naturalmente, troppo sorpreso per parlare o per muoversi. Non era neanche riuscito a ricambiare il bacio, troppo scosso dal fiume di sensazioni che gli percorreva il corpo e che lo travolse senza dargli scampo.
Sentiva le sue labbra bruciare e le sfiorò involontariamente, con la punta delle dita, per accertarsi che quelle fiamme immaginarie non stessero davvero ardendo sulla sua bocca, tanto sembrava vivida quella percezione.
Dei del cielo, cosa gli stava succedendo? Mentre la sua mente si rifiutava di formulare una risposta coerente, una strana sensazione di euforia si impossessò di lui. Il calore che lo attraversò gli incendiò il sangue e le ossa, trasformandole in cera fusa, e scoprì che desiderava continuare ciò che Alec aveva iniziato.
L'avvocato, però, sembrava perso in un mondo tutto suo, assorto in chissà quali pensieri. Si avvicinò maggiormente a lui ed allacciò le gambe alle sue, guardandolo interrogativo. Cosa frullava in quella testolina? Che ci stesse ripensando?
Personalmente, non era ancora pronto a lasciar andare tutto quel ben di Dio, quindi gli schioccò le dita davanti agli occhi, in modo che Alec riportasse l'attenzione su di lui, e, quando vide l'espressione confusa dell'avvocato, ridacchiò divertito. Era adorabile.
Posò una mano sul fondo della sua schiena e se lo spinse addosso, sperando di riuscire a fargli capire che voleva proseguire la loro "conoscenza" ed attese che fosse lui a prendere l'iniziativa. L'ultima cosa che voleva era costringerlo a fare qualcosa contro la sua volontà. Era capace di farne un puntiglio e rinfacciarglielo da qui all'eternità!
Grazie al cielo, Alec si risvegliò dal suo torpore e tornò a posare le labbra sulle sue. Fu un tocco delicato, addirittura quasi impalpabile, che lo portò a sorridere, ben contento che l'altro avesse finalmente preso una decisione e, soprattutto, che quella decisione comportasse il continuare quello che avevano iniziato poco fa.
La pressione della sua bocca di fece più insistente e le labbra di Alec di schiusero, permettendogli così di far scivolare la sua lingua all'interno e di farla danzare con la compagna. Fu esaltante sentire la reazione che quel gesto riuscì a provocare nell'avvocato.
Il desiderio gli infuriò dentro come una tigre in gabbia. Quell'urgenza divorante di stare con qualcuno, di sentire il suo corpo caldo e morbido contro il proprio.. non aveva mai provato nulla di simile prima d'ora.
Spalancò gli occhi quando l'avvocato premette l'inguine contro la sua gamba e sorrise, consapevole, baciandolo poi quasi con violenza. La testa prese a vorticargli come se fosse su una giostra. Avvinghiò le braccia attorno al suo collo e si strinse maggiormente ad Alec, come se fosse l'unica forza stabile di tutto l'universo.
Un gemito di piacere risuonò nel profondo della sua gola quando le mani dell'avvocato si fecero impazienti, accarezzandolo e stringendolo a sé con tanta forza da non lasciare un soffio di distanza tra i loro corpi.
La sua pelle fu attraversata da un lungo brivido quando Alec gli mordicchiò l'orecchio e, non resistendo oltre, scese con la bocca sulla sua gola e morse la sua pelle diafana, quasi volesse imprimere il proprio passaggio sul corpo del giovane.
Infilò la mano sotto la sua maglietta, perché voleva sentire, sotto le mani, la sua pelle calda e solcata dalle cicatrici. Un giorno avrebbe mai scoperto qual era il doloroso segreto di quel corpo segnato permanentemente? Quel pensiero fu rapido tanto quanto era venuto. Aveva decisamente di meglio da fare, in quel momento, che porsi un interrogativo del genere.
Sentì i capezzoli di Alec inturgidirsi e si strofinò, deliberatamente, a lui finché non lo sentì gemere forte e decise che era ora di dedicare la sua attenzione ad una parte anatomica del corpo dell'avvocato che, almeno per quanto riusciva a giudicare da quello che percepiva attraverso la stoffa dei pantaloni del pigiama, sembrava essere davvero interessante.
Infilò la mano dentro ai boxer e sorrise compiaciuto. Adorava avere ragione, soprattutto in occasioni come quella.
Il suo sorriso si ampliò quando l'avvocato tremò visibilmente, a causa delle sue carezze, e, non resistendo oltre, si alzò per sfilargli tutta quella stoffa che ostacolava ciò che bramava con ingordigia.
Lo fissò in silenzio e constatò che non aveva semplicemente ragione. Aveva assolutamente ragione, diavolo! L'aveva già visto mezzo nudo, questo sì, ma la visione integrale di quel corpo statuario fu sufficiente a fargli perdere completamente la ragione.
Quando sentì Alec schiarirsi la gola, alzò lo sguardo, notando orgoglioso il rossore che era riuscito a provocare con la sua occhiata, che aveva colorito le guance pallide dell'altro e che aveva fatto schiudere le sue labbra in un sospiro.
Si tracciò, lentamente, con la lingua, il contorno delle proprie labbra, pregustando il momento in cui l'avrebbe fatto suo e, senza smettere di guardarlo, si tolse le mutande.
Si lasciò guardare volentieri da quegli incredibili occhi blu, accostandosi poi nuovamente a lui per tornare a baciarlo ed accarezzarlo.
La sua bocca e le sue mani gli sfiorarono il petto, scesero sul ventre, disegnando disegni astratti, e toccarono e vezzeggiarono i suoi fianchi, seguendo la linea della vita e delle anche. Gli baciò e mordicchiò la coscia, mentre le sue dita si muovevano sulle curve del suo corpo, che vibrava e si tendeva in un lungo e continuo sobbalzo. Scoprì che gli piaceva parecchio sentirlo gemere sotto i suoi baci.
Si dedicò all'erezione di Alec fino a quando questi inarcò la schiena di scatto, scosso da un violento spasmo, e poi tornò a rilassarsi e sospirare profondamente.
Si leccò le labbra soddisfatto e ritornò a coprire il corpo di Alec con il proprio. Seguì con le labbra la linea della mascella fino ad arrivare al suo orecchio per sussurrargli, piano, "Non addormentarti! Abbiamo appena cominciato, Fiorellino."

Una risata alta e sguaiata lo distrasse dai suoi pensieri, portandolo ad osservare la coppietta che camminava a braccetto, davanti a lui, e che parlava fitto fitto, ridacchiando spensierata. Magnus guardò i due, corrucciato, quasi infastidito, sia per la loro palese felicità sia perché lo stavano bellamente ignorando da parecchi minuti, persi in un mondo tutto loro.
Era dura da ammettere e non credeva che sarebbe mai stato possibile, ma lui, Magnus Bane, il meraviglioso, favoloso, unico Magnus Bane, stava reggendo il moccolo. Assurdo. Inconcepibile. Come era arrivato a quel punto? Non era mai stato il terzo incomodo. Mai!
La risposta arrivò con l'ennesima risata esagerata di Jace. Magnus fissò imbronciato il centro esatto della nuca del giovane, così intensamente che sperò di aprire un cratere in quella chioma bionda. Era tutta colpa di quella sottospecie di Shirley Temple!
Dopo aver scoperto che Clary era una pittrice e visto che, fin'ora, i suoi tentativi di scoprire la sua vera identità avevano fatto un grosso buco nell'acqua, Magnus le aveva chiesto di accompagnarlo ad un'asta, perché era interessato all'acquisto di un quadro. Era un banalissima scusa, ne era consapevole, ma gli sarebbe servita a stare un po' con la ragazza per tentare di carpire qualche informazione.
Peccato che non avesse messo in conto Jace, dannazione! Una volta scoperto con chi sarebbe uscito quel pomeriggio, infatti, quel polipo tinto di biondo si era autoinvitato all'appuntamento e si era appiccicato alla rossa peggio di una cozza alla scoglio, restandole a fianco per tutto il tempo ed impedendo così a lui di intavolare una qualsiasi conversazione volta a svelare il mistero dei cognomi.
Che diamine, Alec non aveva niente da fargli fare? Di solito lo spediva di qua o di là perché doveva incontrare qualche cliente o parlare con qualche loro collega sanguisuga.
Alec. Il cuore traditore di Magnus iniziò a pompare più veloce non appena la mente formulò quel nome e sentì un brivido caldo corrergli per tutto il corpo. Sapeva di essersi comportato in modo immaturo, quella mattina, quando se ne era andato alla chetichella dalla sua stanza, anziché aspettare che lui si svegliasse per parlare di quanto era successo la notte prima, ma non era riuscito a farne a meno. Poche volte gli era capitato di venire preso in contropiede da una persona. Alec ci era riuscito in pieno e lui si era ritrovato completamente spiazzato, incapace di affrontare la situazione. Tutto quello che era riuscito a fare era fuggire a gambe levate, cosa che gli riusciva piuttosto bene.
"Sono contento che tu abbia suggerito di tornare a piedi. E' una giornata così bella! E poi almeno smaltiremo qualche caloria di quella deliziosa fetta di torta.. non che tu ne abbia bisogno, ovviamente! Sei splendida così come sei." proclamò Jace, ad alta voce, interrompendo, per la seconda volta, i suoi pensieri.
Clary arrossì e un sorriso timido spuntò sul suo viso. "Anche tu." disse piano, arrossendo ancora di più.
Il sorriso di Jace si ampliò oltre ogni misura e gonfiò il petto, orgoglioso. Cielo, ci mancava solo che si facesse comparire improvvisamente una coda e, proprio come un pavone, la spalancasse in tutta la sua gloriosa vanità per mostrare al mondo intero quanto bello si ritenesse.
Magnus sbuffò. Erano disgustosamente dolci ed iniziò a pensare seriamente che se fosse stato un altro po' in loro compagnia gli sarebbe venuto il diabete. Stava per interrompere momentaneamente il loro idillio comunicando loro un finto appuntamento, come scusa per sganciarsi, quando Jace si arrestò improvvisamente e lui rischiò di andargli addosso. "Ma che cavolo.." protestò.
"E' quello?" berciò Jace, ignorandolo. "E' così bello quello che fai." si complimentò con Clary, guardandola con adorazione. "E' davvero encomiabile da parte tua!"
"Come sai quella parola?" si intromise Magnus, affiancandosi alla coppia. Non aveva idea di che cosa stessero parlando ora, ma stuzzicare il biondino era uno dei suoi hobby preferiti e gli aveva servito la battuta su un vassoio d'argento.
Jace si girò di scatto verso di lui, sorpreso, come se si fosse dimenticato della sua presenza. Si riprese comunque subito e lo fulminò con lo sguardo. "Sono un avvocato, Bane. Nel caso te ne fossi dimenticato!" rispose, trattenendosi per un soffio dal fargli la linguaccia e il dito medio.
Magnus scosse la testa, con un sorriso ironico, ed osservò l'edificio con la facciata colorata che i due stavano guardando e che si trovava di fronte a loro, al di là di un enorme cancello.
"Cos'è?" chiese a Clary, indicando l'immobile con un cenno del capo.
"Un orfanotrofio." rispose Clary.
Magnus notò lo sguardo pensieroso, quasi preoccupato, della ragazza, e, ritornato a guardare lo stabile, si chiese il motivo di quello strana occhiata. Cosa la impensieriva?
"Non è un orfanotrofio qualunque." si sentì in dovere di specificare Jace. "E' l'orfanotrofio dove Clary fa volontariato." lo informò, tornando poi a guardare la ragazza come se fosse un angelo sceso in terra.
"Ah!". Magnus fischiò in segno di approvazione. "Fai volontariato in ospedale, in orfanotrofio.. davvero encomiabile, dolcezza." disse poi, sorridendole e facendole l'occhiolino, calcando sulla penultima parola più di quanto fosse necessario.
Clary ridacchiò, rilassandosi visibilmente, mentre Jace gli lanciò l'ennesima occhiataccia. "Vieni Clary." disse poi, prendendo a braccetto la ragazza e continuando a guardare in cagnesco Magnus. "Continuiamo la nostra passeggiata. Da soli."
Magnus avrebbe tanto voluto replicare e rimettere Shirley al suo posto con una rispostaccia, ma si trattenne, permettendo loro di allontanarsi. La sua attenzione, infatti, ora era tutta sull'orfanotrofio.
Clary faceva volontariato là dentro e, forse, se ci avesse fatto un salto, avrebbe potuto scoprire qualcosa sulla ragazza. Un orfanotrofio doveva per forza essere ospitato da persone gentili e caritatevoli, che non avrebbero trovato niente da ridire o di sospettoso se lui avesse fatto una domanda o due. No?

"Se vuole visitare l'istituto, deve prendere un appuntamento."
Magnus si rifiutò di cedere allo sguardo gelido del mastino che si trovava al di là del cancello. Anche se aveva vaghe sembianze femminili, non era sicuro che fosse una donna quell'essere alto due metri, infagottato in abiti informi e dozzinali, che lo fissava torvo e che si rifiutava categoricamente di farlo entrare nell'orfanotrofio. Erano baffi quella leggera peluria che si intravedeva sotto il naso? Reputò saggio non avvicinarsi ulteriormente per averne conferma o meno.
"E io le ripeto che l'ho preso giusto ieri." rispose, piazzandosi le mani sui fianchi e guardandola battagliero. Se il mastino pensava di liquidarlo così facilmente, ohhh aveva proprio sbagliato persona!
"Ci sono problemi?" chiese ad un tratto una voce maschile, alle spalle di Magnus.
Quest'ultimo si girò e si trovò faccia a faccia con un uomo biondo che, Magnus avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco, nel tempo libero si dilettava sicuramente nella poco nobile arte del crimine. Cielo, quel tizio era davvero inquietante. Aveva frequentato ed era entrato in contatto con parecchie persone strane, ma questo le superava tutte abbondantemente. Aveva un che di familiare, ma non riusciva ad afferrare il volto della persona a cui quel tizio assomigliava.
"Buongiorno, signor Verlac." rispose il mastino. "No, nessun problema. Il signore vuole visitare l'orfanotrofio, ma gli ho già riferito che deve fissare un appuntamento."
Magnus alzò gli occhi al cielo e tirò fuori la sua miglior faccia di bronzo. "Buongiorno signor Verlac, sono Magnus Bane.." esordì, porgendogli la mano. "..e stavo giusto comunicando alla signora che ho già fissato un appuntamento, ma deve esserci stato un disguido." mentì, incrociando le dita dell'altra mano dietro la schiena, come faceva sempre suo figlio.
"Ma davvero?" chiese l'uomo biondo, guardandolo scettico, senza ricambiare la stretta.
Magnus annuì, leggermente risentito che quel damerino non avesse scambiato il gesto di cortesia. "Ho parlato.. oh cielo.. aspetti.. uhm.. com'è che si chiamava quella gentile signora che ha risposto al telefono? Ce l'ho proprio sulla punta della lingua.. uhm.." disse, picchiettandosi il mento con fare pensoso, mentre fingeva di richiamare alla memoria un'immaginaria conversazione telefonica con un'altrettanto immaginaria segretaria. Ogni orfanotrofio aveva qualcuno che gestiva la parte amministrativa, no? E di certo non poteva essere la donna antipatica al di là del cancello!
"Non abbiamo nessuna impiegata." lo bruciò, però, il mastino.
Magnus imprecò mentalmente, ma non si scoraggiò. "O forse era un uomo? Sapete, la linea era parecchio disturbata ed ho faticato non poco a sentire quello che la persona mi stava dicendo e.."
"Non abbiamo neanche un impiegato." rispose impassibile la donna, incrociando le braccia al petto.
"Davvero? Beh, qualcuno ha risposto e mi ha fissato un appuntamento per oggi." replicò Magnus, stizzito. Come si faceva a prendere un appuntamento se non c'era nessuno che li prendeva? Era ridicolo!
La donna aprì la bocca, pronta a replicare, ma l'uomo biondo alzò una mano, bloccandola. "Me ne occupo io."
Magnus si girò completamente per fronteggiare il tizio inquietante, mentre il mastino li lasciava da soli.
"Ha detto che si chiama Bane, giusto?" chiese l'uomo biondo che, all'accenno affermativo di Magnus, si grattò il mento. "Bane.." sussurrò, pensoso.
"Sì e.."
"Bane.. Bane.. Bane.." continuò l'altro, ignorandolo, mentre si picchiettava una tempia ad occhi chiusi.
"Sì, è il mio cognome.." sbuffò Magnus, iniziando a spazientirsi. "..e ho preso appun.."
"Bane.. Bane...... BANE!!" esclamò l'uomo improvvisamente, spalancando gli occhi di un verde talmente chiaro da sembrare due pezzi di ghiaccio.
Sembrava sorpreso. Perché sembrava sorpreso? Che cosa prendeva adesso a quel tizio?
"Sì e, come le dicevo, ho preso appuntamento per.."
"Sei ospite nella tenuta dei Lightwood."
Magnus lo fissò, sbalordito. Come sapeva quell'informazione? Era certo di non aver mai incontrato quell'uomo prima d'ora. E chi gli aveva dato il permesso di prendersi tutta quella confidenza, dandogli del tu?
"Sì, è esatto." rispose cauto, guardandolo guardingo.
L'uomo gli si avvicinò di più ed un vago odore d'alcool e sudore arrivò alle narici di Magnus. Per tutti i diavoli, quel tizio oltre che inquietante, era anche una persona sudicia ed alticcia! Resistette all'impulso di fare un plateale passo indietro per allontanarsi da lui e dal suo olezzo nauseabondo, non volendo risultare sgarbato.
"Quindi tu sei un.. uhm.. un amico dell'illustre avvocato?" chiese l'uomo con un tono sgradevole, quasi provocatorio, appoggiandosi con una mano ad una sbarra del cancello.
"Sì, diciamo di sì." rispose Magnus, circospetto.
Uno strano ghigno comparve sul volto dell'uomo. "Perché non entriamo?" chiese improvvisamente. "Qui fuori fa un caldo infernale." disse, aprendo il cancello ed invitandolo con un gesto della mano.
L'istinto di Magnus scattò sull'attenti, bloccandolo sul posto ed impedendogli di fare anche solo un accenno di passo in avanti. Scosse la testa, in segno di diniego. "No, se non vi dispiace preferisco fissare un altro appuntamento.. sa, per non sbagliare come è successo oggi e.."
"Oh, ma a me dispiace. Molto." rispose l'uomo, ammiccando nella sua direzione e fissandolo dall'alto in basso.
Magnus conosceva bene quel tipo di sguardo e trovò quell'occhiata estremamente fastidiosa ed irritante. Non gli piaceva quell'uomo né impazziva per come lo stava guardando. Gli trasmetteva cattive vibrazioni e, di norma, il suo istinto non sbagliava mai. Fece discretamente un passo indietro, pronto ad allontanarsi il più possibile da quel posto e da lui.
L'uomo biondo, però, gli agguantò un gomito e sorrise. "Perché non viene dentro per bere qualcosa in compagnia? Mh?"
Magnus scosse il capo. "Non amo bere così presto." rispose, strattonando piano il braccio per liberarlo dalla presa dell'altro.
"Così presto?" chiese l'uomo, ondeggiando lievemente sui talloni. "Bah! Vorrà dire che berrò da solo e brinderò alla tua bellezza inebriante." dichiarò, sorridendo lascivamente e facendo poi scorrere la sua mano dal gomito fino al polso di Magnus. "Sai.." sussurrò, protendendosi verso di lui, "..se accettassi di entrare, potremmo parlare un po'. So che sei arrivato da poco in città e potresti trarre molti vantaggi dall'essere mio amico."
"Apprezzo l'offerta, ma non sono in cerca di quel tipo di amicizie." ribattè Magnus, squadrandolo torvo.
"Davvero? Neanche se ti dicessi che conosco un segreto sul passato di Alec Lightwood.." confessò l'uomo biondo, facendogli scorrere un dito lungo il petto. "Un segreto che condividerei più che volentieri con te.. se capisci cosa intendo."
Magnus ne aveva abbastanza. Gli afferrò la mano, stritolandogliela quasi, e la spostò bruscamente da sé. "Signore, tenga le mani al proprio posto, per cortesia." sibilò, osservando soddisfatto la smorfia dell'altro. Cielo, la tentazione di fratturargli le dita, una ad una, e poi girare i tacchi ed andarsene era altissima, tuttavia qualcosa lo trattenne dal farlo. Quel viscido aveva delle informazioni che potevano interessargli e doveva ascoltarle. Per il bene di Max. Mica perché era curioso come una scimmia. Assolutamente no.
Il sorriso dell'uomo si ampliò quando si rese conto di aver ottenuto l'attenzione di Magnus. "Sapevi che il moccioso, quel pidocchio che ha dichiarato di chiamarsi Maxwell Michael Lightwood Bane.." disse, scimmiottando il bambino che aveva visto quella mattina, ".. a proposito, perchè ha anche il tuo cognome?"
Magnus serrò le labbra ed aggrottò la fronte. Di che cosa diavolo stava parlando? Suo figlio era andato lì quella mattina? Non era possibile. Sapeva bene che non doveva uscire dalla tenuta! E poi perché si era recato in quel posto? E perché aveva sentito l'esigenza di utilizzare il suo nome completo? Cosa diamine era successo?
Verlac scrollò le spalle e continuò il suo monologo. "Comunque, sai che il pidocchio non è il figlio di Alec Lightwood?". Si portò poi un dito alle labbra e sussurrò un divertito "Shhhh!".
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso e sconvolto allo stesso tempo, mentre il ghigno dell'uomo aumentava a dismisura.
"Già, già. Sapevi che Alec Lightwood sa a chi ha aperto le gambe quella sgualdrina di sua moglie, mentre lui giocava a fare il Robin Hood dei poveri in stupidi tornei? Mh?" chiese l'uomo, fissando con un'espressione di malvagio compiacimento il suo viso stravolto. "Vuoi provare ad indovinare chi era l'amante?" chiese, ridacchiando.
Magnus scosse la testa, a corto di parole.
"No? Vuoi che te lo dica io, allora?" domandò, tornando ad accostarsi a Magnus. "Il pidocchio non è altro che il bastardo del vecchio Lightwood!" gli sussurrò all'orecchio, mordicchiandogli poi il lobo.
A Magnus mancò il respiro e quando trovò la forza per parlare sembrò che fosse passato un secolo. Non era tanto sciocco da credere a tutto ciò che quell'uomo gli stava dicendo, ma qualcosa, nella sicurezza compiaciuta con cui gli aveva parlato, l'aveva fatto rimanere di stucco. Non sapeva praticamente niente di Alec e del rapporto che aveva con suo padre perciò non poteva scartare completamente le parole del signor Verlac. C'era solo un posto dove avrebbe forse potuto trovare le risposte alle sue domande, ma prima c'era una questione da risolvere.
Riportò lo sguardo sull'uomo biondo e gli afferrò la maglietta, sbattendolo con forza contro le barre del cancello. "Ora tu mi dici cosa ci faceva mio figlio qui questa mattina." pretese di sapere, arrabbiato.

Magnus si mordicchiò l'unghia del pollice, nervoso.
Andare alla ricerca di risposte era più stressante di quanto avesse immaginato e, data la natura delicata della questione, aveva evitato di rivolgersi ad Izzy e Jace. Mica poteva piombare su di loro e chiedere "Ma Max è vostro nipote o vostro fratello? Eh?".
Alla tenuta, aveva evitato di porre molte domande alle persone che vi lavoravano, per non insospettirli, ed anche Catarina e Ragnor non erano stati utili alla sua causa, perché sapevano ben poco della defunta signora Lightwood. Abbandonata ogni speranza di ottenere informazioni da loro, decise quindi di concentrare i suoi sforzi sull'unica persona che sicuramente avrebbe potuto dissipare ogni suo dubbio. Hodge.
Lo trovò mentre esaminava attentamente il lavoro di un cameriere e nascose un sorriso quando vide lo sguardo riconoscente di quest'ultimo nel momento in cui chiese ad alta voce "Hodge, saresti così gentile da accompagnarmi a visitare le gallerie?"
L'uomo acconsentì di buon grado ed iniziarono il giro dalla galleria inferiore, passando davanti ad una moltitudine di dipinti e foto degli antenati Lightwood e dei familiari più recenti.
Una foto, in particolare, attirò l'attenzione di Magnus: una donna bellissima e dai lunghi capelli neri lo osservava da un'elaborata cornice dorata. Aveva un neonato in braccio ed altri tre bambini circondavano la poltrona su cui era seduta: la più piccola aveva i capelli pettinati in due code sbarazzine e sorrideva accanto ad un bambino biondo, che si era messo in posa come Superman, ed ad un piccolo ometto dai capelli neri e due abbacinanti occhi blu che fissava serio l'obiettivo. Sorrise nel riconoscere i tre fratelli Lightwood, ma chi era il bambino in braccio alla donna?
"La signora Maryse Lightwood." spiegò Hodge, mettendosi di fianco a Magnus ed osservando, con lui, l'immagine.
"Assomiglia tantissimo ad Isabelle." sussurrò Magnus, incantato. Non gli fu difficile notare che, in quei tratti, c'era anche molto di Alec: gli zigomi alti, la linea del naso, le labbra carnose, gli occhi blu. Quelli della donna erano diversi dalla sorprendente tonalità che caratterizzava gli occhi di Alec e di suo figlio, ma erano comunque notevoli. "Cosa le è accaduto?"
"Un incidente. E' successo molti anni fa." rispose, laconico, Hodge.
Se c'era una cosa che Magnus aveva capito del maggiordomo era che, per spronarlo a dire più di quanto già non dicesse, non bisognava pressarlo con continue domande. Rimase quindi in silezio, in paziente attesa, sperando che l'altro continuasse il racconto.
"Quello tra la signora Lightwood ed il defunto signor Lightwood era quel che si definisce, volgarmente, un matrimonio combinato." mormorò, dopo un po', Hodge. "Mi dispiace dirlo, ma non c'era affetto tra marito e moglie e, col tempo, non erano neppure diventati amici. Se posso parlare con sincerità, nessuno le avrebbe mai fatto una colpa se se ne fosse andata via. Malgrado i suoi lati positivi, infatti, il signor Lightwood senior era un uomo difficile e col passare degli anni.. beh è diventato quasi impossibile. Tuttavia la signora rispettò il volere della famiglia e rimase accanto al signor Lightwood fino al giorno della sua morte. Fu una grave perdita. Per tutti." concluse, girando le spalle alla foto e proseguendo lungo il corridoio.
Magnus diede un'ultima occhiata all'immagine, per poi seguire il maggiordomo, continuando ad ammirare i quadri e le foto della galleria. C'erano un mucchio di domande che lo tormentavano, bruciandogli le labbra, e che moriva dalla voglia di fare, ma non sapeva né come porle, senza risultare troppo indiscreto, né da quale iniziare.
Si fermò davanti ad un'altra foto che gli diede il là per cominciare a soddisfare la sua curiosità. Raffigurava un bambino dai capelli neri ed una spessa montatura di occhiali, che sorrideva timido e che assomigliava moltissimo ad Alec ed Isabelle.
"Chi è?" chiese, piegando la testa.
"Maxwell Lightwood, il terzogenito di Robert e Maryse Lightwood." mormorò Hodge.
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso. Quel bambino doveva essere era il neonato in braccio a Maryse Lightwood. C'era un quarto fratello, quindi, di cui aveva ignorato l'esistenza fino a quel momento, e portava il nome di suo figlio. Perché nessuno gliene aveva mai parlato? Una cattiva sensazione iniziò a strisciargli dentro, lasciandogli un insolito malessere addosso. Isabelle e Jace non l'avevano mai menzionato e, persino non guardandolo negli occhi, Magnus aveva percepito chiaramente il velo di tristezza che era sceso sul maggiordomo. Temeva la riposta della domanda che stava per porre.
"Cosa.. cosa gli è successo?" bisbigliò, preoccupato, girandosi verso di lui.
"Un incidente." rispose, piano, Hodge.
Un incidente. La stessa sorte della madre, quindi. La sfortuna si era davvero accanita su quella famiglia. Che fossero deceduti nella stessa tragedia?
"Che tipo di incidente?" chiese quindi, trattenendo quasi il fiato.
Hodge scrollò le spalle e passò oltre la foto incorniciata. Magnus intuì che non avrebbe saputo nulla di più del piccolo Maxwell. Riportò lo sguardo sulla foto e, con un sorriso triste, lo salutò con un cenno della mano, prima di ritornare a seguire il maggiordomo.
Mentre continuavano ad esplorare la galleria, Magnus notò che, proprio come nel resto della casa, anche in quel posto non c'era niente che ricordasse Lydia. Non una foto, non un dipinto, niente. Doveva capire perché.
"Credo che a Max piacerebbe vedere tutte queste foto." iniziò, prendendola alla lontana.
"Oh, ma l'ha già visitata." lo informò Hodge, con approvazione. "L'ho trovato un paio di giorni fa che gironzolava qui dentro e mi sono offerto di fargli da guida, per raccontargli chi sono le persone raffigurate nei dipinti e nelle foto, ed ha accettato."
"Davvero?" chiese Magnus, sorpreso. Suo figlio non gliel'aveva detto.
Hodge annuì. "E' proprio un bravo ragazzino. Spero che accetterà le mie congratulazioni, signor Bane, per il modo in cui l'ha cresciuto."
"Ohhh il merito è tutto suo. E' un bambino intelligente e dal cuore grande." sorrise Magnus. "Cercava qualcosa in particolare?" chiese, curioso.
"Sì, signore. Un ritratto od una foto di sua madre." rispose il maggiordomo, guardando esitante nella sua direzione.
"Più che comprensibile." commentò Magnus, osservando un dipinto di una città lambita dal mare, con le mani dietro la schiena. "E' curioso di capire chi era la sua mamma."
Non aveva mai scattato una foto a Lydia, nel brevissimo tempo in cui erano stati insieme, ed era riuscito a soddisfare la curiosità di suo figlio solo con i pochi frammenti che la sua mente riusciva a ricordare. Magnus si chiese, non per la prima volta, se si fosse comportato correttamente nei confronti di suo figlio, ma sapeva già qual era la risposta. Non aveva mai indagato sul passato di Lydia, non si era mai posto il problema di scoprire chi fosse in realtà, né da dove venisse o perché scappasse. Niente. Si era limitato a rispettare il patto ed a prendersi cura di Max, senza tenere conto che, forse, c'era anche un altro lato della medaglia. Non aveva mai minimamente preso in considerazione che forse c'erano due famiglie in ansia per la scomparsa di quella ragazza prossima al parto, che forse un uomo cercava disperatamente la propria compagna e suo figlio (anche se non si poteva certo dire che fosse il caso di Alec, visto com'era andata all'inizio). Era stato davvero egoista.
"Non c'è comunque un ritratto od una foto di Lydia che Max potrebbe vedere?"
Hodge scosse il capo. "Non nella tenuta, signore. Le foto purtroppo sono andate perdute e non è mai stato fatto un ritratto. Vedete si sposarono nove anni fa ed un mese dopo il signor Lightwood iniziò il college alla Columbia University, che impegnò quasi tutto il suo tempo. Sa che se lo contesero le migliori scuole? Stanford, Yale, Princeton, Harward.." elencò, con orgoglio, il maggiordomo. "Ma lui scelse la Columbia per restare più vicino alla famiglia ed aiutare, nel poco tempo libero che aveva, il padre con lo studio legale. Era anche uno sportivo, lo sa?"
"Davvero?" chiese Magnus, sorpreso. Ignorava anche questo e lo aggiunse alla lunga lista di cose che non conosceva di Alec.
"Era un arciere fenomenale. Non sbagliava un colpo e centrava sempre il bersaglio." gli confermò Hodge, con un sorriso.
Un arciere. Quel viscido di Verlac aveva detto che Alec "giocava" a fare il Robin Hood dei poveri, quindi, almeno su questo, non aveva mentito. "Perché ha smesso?" chiese poi.
"Lo studio e l'attività di famiglia venivano prima di tutto." sospirò Hodge.
"E Lydia?"
"La signora Brandwell-Lightwood rimase qui nella tenuta solo per pochi mesi. Sa ci accorgemmo subito che non stava bene e che passava molto tempo ritirata nelle sue stanze, spesso a letto, ma nessuno, ad eccezione del signor Lightwood senior e del dottore da lui convocato, era autorizzato ad occuparsi di lei. Si presero cura della signora per quattro mesi e poi una mattina la casa fu sconvolta dall'agitazione. Durante la notte la signora Lightwood era sparita! Quando scomparve, abbiamo persino temuto un gesto estremo ed inconsulto per via della sua salute cagionevole." continuò Hodge, serio, scuotendo poi la testa. "Per rispondere alla sua domanda iniziale, sono certo che la famiglia Brandwell abbia delle foto della signora Lightwood."
Magnus ebbe un tuffo al cuore. Le menzogne che avvolgevano il concepimento di Max gli affollarono la mente e iniziò a formulare un'ipotesi su cosa fosse successo realmente. Il padre di Alec doveva aver isolato Lydia per non far sapere a nessuno della gravidanza e, prima che questa si iniziasse a notare, inscenò la fuga per nasconderla chissà dove. Il solo pensiero, di ciò aveva architettato quell'uomo subdolo, disgustò Magnus.
"Non lo sapeva."
Le parole che Jace gli aveva riferito, quando si era presentato a Londra per riportare a casa Max, finalmente ora avevano un senso. Magnus aveva sempre pensato che ad Alec non importasse niente di Lydia e Max, ma anche quella verità, che lui credeva assoluta, si frantumò miseramente.
Si fermarono di fronte al ritratto di Robert Lightwood. Era un uomo attraente, il portamento emanava fierezza ed autorità e solo i capelli lievemente brizzolati ne rivelavano l'età. Magnus si chiese, per un momento, se Lydia avesse davvero trovato l'amore tra le braccia di quell'uomo o se fosse più che altro solo un effimero conforto, in conseguenza alla freddezza e all'indifferenza che la circondava.
Fissò il dipinto minuziosamente e notò la somiglianza di Alec anche con suo padre: il portamento elegante, la linea del mento, la forma delle orecchie.
"Un anno dopo che il ritratto fu completato, il signor Lightwood senior cadde da cavallo e perse l'uso delle gambe. Mi spiace dire che questo incidente peggiorò il suo carattere, già di per sè piuttosto complicato. Ogni anno era sempre più infuriato ed aggressivo.. a volte sfiorava addirittura la pazzia."
"Quando è morto?" chiese Magnus, voltandosi verso il maggiordomo.
"Quasi due anni fa."
Due anni. Jace gli aveva detto che ci era voluto circa un anno e mezzo per rintracciarli.. La morte del padre aveva dato quindi inizio alla ricerca del figlio.
Magnus riportò lo sguardo sul dipinto, vergognandosi di se stesso. Il senso di colpa, che già provava nei confronti di Alec, in quel momento arrivò a livelli quasi insopportabili.
Non era stato menefreghista nei confronti di Lydia e Max, né era il mostro che aveva sempre pensato che fosse. Ora sapeva. Alexander Lightwood era leale e devoto e, per salvare l'onore della famiglia, si era fatto carico di tutti gli errori commessi dal padre, tentando di porvi rimedio.
Tutto ciò rendeva le cose più difficili. Continuare ad odiare Alec, infatti, stava diventando più complicato del previsto.

---
Note dell'autrice
Con questo capitolo ne approfitto per augurare a tutti voi BUON 2019!! :-*
Un bacio e a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Il sole del mattino inondava, con i suoi raggi, il verde prato del parco della tenuta. Era una bellissima giornata e una lieve brezza scompigliava i capelli di Magnus, mentre se ne stava appoggiato alla finestra della propria camera, osservando il panorama e tamburellando senza sosta le dita sul liscio marmo del balcone.
Prese il cellulare posato accanto a lui e diede un'occhiata al display, ma, proprio come per le altre venti volte in cui l'aveva guardato in quei dieci minuti, non c'era nessuna notifica di messaggio in arrivo. Gli venne il dubbio che magari si fosse bloccato, che quel vecchio rudere non stesse affatto funzionando a dovere e quindi lo riavviò. Quando si riaccese, gli diede giusto il tempo di riattivare tutte le funzioni, prima di sbloccare lo schermo. Niente. Zero messaggi o chiamate.
Per tutti i diavoli, cosa diamine stava combinando Cat? Perché non lo aggiornava?
Prese un bel respiro e poi lo rilasciò lentamente, ma fu del tutto inutile e, mentre le dita si muovevano sempre più veloci, iniziò a battere anche il piede sul pavimento.
Cinque minuti. Avrebbe dato a Cat altri cinque minuti, poi sarebbe sceso di persona a vedere che cosa stavano combinando quei due.
Dopo aver parlato con Hodge, aveva riflettuto a lungo. Ciò che aveva scoperto il giorno prima l'aveva fatto vergognare di se stesso, come mai gli era capitato in vita sua. Aveva vomitato addosso ad Alec i peggiori insulti, l'aveva evitato, per quanto possibile, e trattato alla stregua di un appestato, per poi scoprire che, effettivamente, quel benedetto ragazzo non sapeva davvero dell'esistenza di Max, che non l'aveva ignorato per tutti quegli anni perché di lui non gliene importava niente.
Non che comunque lui avesse tutte le colpe di questo mondo, eh! Anche Alec aveva la sua bella fetta di responsabilità per come si era comportato fin dall'inizio. Aveva quel caratteraccio che.. Ed era così scorbutico! E saccente. E pedante. E puntiglioso.
No, non era comunque questo il punto. Il punto era che Magnus era una persona matura. Ed un persona matura sa riconoscere i propri errori, ponendovi rimedio. Già. Lui, Magnus Sono Una Persona Davvero Matura Bane avrebbe chiesto scusa ad Alec, nonostante questi sembrasse avere sempre un manico di scopa ficcato nel didietro.
Sissignore, Magnus gli avrebbe chiesto scusa. Perché lui era una persona matura.
Oltre alle sue mature scuse, aveva anche deciso che Alec e Max dovevano creare assolutamente un legame. Qualunque fosse il loro grado di parentela, quei due si erano ignorati più che a sufficienza ed era venuto il momento che si rendessero conto l'uno dell'esistenza dell'altro.
Quella mattina, quindi, aveva chiesto ad Hodge di informare l'avvocato e Max che continuava a non sentirsi troppo bene e che non sarebbe sceso a fare colazione con loro. Era una scusa fiacca e banale, ma era servita a far cenare i due insieme la sera prima.
Non aveva idea, però, di come fosse andata e stava letteralmente morendo dalla curiosità! Che cosa si erano detti durante quei lunghi minuti che avevano passato da soli? Di cosa avevano parlato? Aveva provato a chiederlo ad Hodge, quando era venuto a portargli la cena in camera, ma, santissima pazienza, quell'uomo era peggio di una tomba quando ci si metteva! Non gli aveva rivelato un tubo!
Non si era fatto comunque scoraggiare ed aveva quindi sguinzagliato Cat perché captasse qualche discorso, ma Hodge, l'uomo più guastafeste del mondo, doveva aver fiutato qualcosa e l'aveva spedita lontano dalla sala da pranzo. Che persona malfidente, santo cielo!
La sua amica gli aveva però garantito che gli avrebbe fatto rapporto su quanto sarebbe accaduto durante la colazione. Il problema era che Cat, fino a quel momento, non l'aveva ragguagliato su niente. Neanche un messaggio striminzito per dirgli, chessò, che si erano sputati in un occhio. Niente. Silenzio assoluto.
Magnus fu colto da un pensiero improvviso. Che Hodge le avesse confiscato il cellulare e l'avesse segregata in cucina? Quell'uomo era capace di tutto!
Sbuffò, stizzito, diede un pugno secco al marmo e si diede poi slancio con le braccia per staccarsi dal balcone. "Presidente, io vado!" esclamò, deciso, rivolgendosi al gatto che se ne stava acciambellato ai piedi del suo letto, mentre si dirigeva a passo svelto verso la porta.
Il micio registrò l'informazione aprendo appena un occhio e, quando sentì la porta chiudersi dietro all'umano che aveva il compito di servirlo e riverirlo, tornò al suo sonnellino.

Max era arrabbiato. No, quell'aggettivo non rendeva giustizia a quello che provava. Era di più, molto molto di più. Era furioso.
Come aveva potuto, suo padre, pugnalarlo in quella maniera? Si fidava ciecamente di lui e l'aveva tradito in quel modo! Mai si sarebbe aspettato un tiro mancino del genere. Mai! Lasciarlo solo con l'avvocato.. ma era impazzito per caso? Come aveva potuto lasciare il suo unico figlio, anche se non era sangue del suo sangue, in quella situazione? Senza neanche avvertirlo, per giunta!
Lasciato da solo in balia di quell'uomo antipatico, senza neanche poter dire la sua.. no, non ci si comportava così!
Rimestò, con stizza, i cereali nella sua tazza, mentre pensava a quello che il suo papà avrebbe dovuto fare per farsi perdonare. Qui in gioco non c'era il perdono per un'inutile sgridata. Oh no, no, no! L'aveva combinata davvero grossa e, se voleva di nuovo i suoi abbracci, le sue coccole e i suoi "Ti voglio tanto bene, papino!", avrebbe dovuto trovare un modo molto carino per chiedergli scusa! Un regalo, una sorpresa, qualcosa di spettacolare insomma.
Un nitrito catturò la sua attenzione e alzò la testa dai suoi cereali, ormai ridotti in poltiglia, sorridendo in direzione dei cavalli che si trovavano nel loro recinto. La colazione, fortunatamente, veniva servita sotto il patio, che si trovava dietro casa, e Max adorava quel posto, fuori all'aria aperta. Non poteva dire lo stesso della deprimente sala dove pranzavano e cenavano, perché gli metteva addosso sempre una certa inquietudine. Quella casa era strana.. a volta gli sembrava addirittura di avvertire strane presenze!
"Ti piacciono?" gli chiese l'avvocato, prendendolo alla sprovvista.
Max spostò lo sguardo su di lui, sorpreso. Non si era accorto che l'uomo lo stava fissando perché, fino a quel momento, nessuno dei due aveva ancora rivolto la parola all'altro e non si aspettava quindi di sentire la sua voce.
Ricordò che gli aveva già posto una domanda simile, ma, proprio come allora, decise di non rispondergli e scrollò le spalle.
"Forse ti piacerebbe cavalcarne uno, da solo. Se vuoi, chiedo al signor Fell di trovarti un pony docile e poi puoi cominciare quando vuoi." proseguì l'avvocato.
Max voleva cavalcare. Voleva davvero davvero davvero imparare a cavalcare un pony. "No!" pensò ad un tratto. Non un pony. Voleva cavalcare un cavallo grande e bello come quello dell'avvocato. Il suo giuramento gli impedì tuttavia di mostrare entusiasmo e si limitò quindi ad annuire piano, nascondendo l'accenno di un sorriso dietro al bicchiere di succo che stava bevendo.
L'avvocato fece un breve cenno del capo. "Bene, dirò allora al signor Fell di procedere." disse, alzandosi poi dalla sedia ed avviandosi verso l'interno della casa.
A momenti rischiò di scontrarsi con il suo papà, che era sbucato come un razzo sulla soglia della porta, e poi, quest'ultimo, fece la cosa più bizzarra, più strana, più incredibile, più assurda, più sbalorditiva che gli aveva mai visto fare da quando era nato. Il suo papà arrossì! Certo, non era diventato bordeaux come l'avvocato, il cui viso sembrava sul punto di prendere fuoco, ma le sue guance assunsero il colore delle ciliegie che stavano nel cestino della frutta posto sopra al tavolo. Max era certissimo di non aver mai mai mai, ma proprio mai, visto quel leggero rossore sulle gote di suo padre. Mai!
Fissò a bocca aperta quello che sicuramente doveva essere il sosia del suo papà, non credendo ai propri occhi, ed alternando poi lo sguardo da lui all'avvocato, strabiliato ed incredulo. Cosa capperi prendeva a quei due?
"S-s-signor Bane.." balbettò l'avvocato, accennando un leggero inchino.
Il suo papà fece appena in tempo ad alzare la mano, in un debole saluto, prima che l'altro si volatilizzasse all'interno della casa.
"C-che c'è?" gli chiese suo padre, quando si accorse che lo stava fissando intensamente.
Max scosse la testa, incapace di dare una spiegazione a quanto aveva appena visto. Di una cosa era certo, però: gli adulti erano strani. Molto molto molto strani!
"Mirtillo, dobbiamo parlare." annunciò Magnus, andando a sedersi di fianco a lui.
Max si riscosse ed incrociò le braccia al petto. "Sì, dobbiamo. Sappi che sono molto molto moooolto furioso con te." lo informò, guardando suo padre con un cipiglio arrabbiato.
"Addirittura? Beh, se proprio lo vuoi sapere, anch'io sono furioso con te." ribattè Magnus, alzando il mento e reprimendo un sorriso.
Max lo guardò con circospetto. "Perché?"
Suo padre scosse la testa. "Ahn ahn! Prima tu. Perché sei furioso con me?"
"E me lo chiedi?" domandò Max, spalancando le braccia, esasperato. "Mi hai lasciato da solo con il signor Lightwood! Da solo, papi! Ho dovuto cenare e fare colazione da solo con lui!" ribadì indignato.
"Mi pare che sei sopravvissuto, no?" gli chiese Magnus, sorridendo e dandogli un buffetto sul naso.
"Ma papi!" ribattè Max, allontanandogli la mano dal suo viso e scuotendo energicamente la testa. "Non puoi lasciarmi da solo con il signor Lightwood!"
"Perché no? Se lo conoscessi un po' meglio, magari potresti scoprire che è una persona simpatica."
Max spalancò la bocca, sorpreso. La tentazione di darsi un pizzicotto sul braccio, per capire se stava ancora sognando o meno, era forte e l'ipotesi del sosia tornò a farsi strada nella sua mente. Era l'unica soluzione plausibile.
"Chi sei tu?" lo accusò, sgomento. "E che ne hai fatto del mio papà?"
Magnus ridacchiò. "Ohhh smettila, principe del dramma!" disse, premendogli l'indice sulla fronte e facendogli indietreggiare la testa. "Ti assicuro che il signor Lightwood non è così male."
Questa poi! O il suo papà stava delirando oppure.. Max strabuzzò gli occhi, folgorato da un'idea che gli era balzata all'improvviso nella mente. No, non poteva essere. Eppure..
"Ti.. ti piace il signor Lightwood?" gli chiese, incerto.
"Cos.. NO!" ribattè Magnus, indietreggiando col busto. "Santo cielo, Mirtillo, come ti viene in men.."
"Ohhh per tutti i cavolini di Bruxelles!" esclamò Max, sorpreso, portandosi le mani alla bocca. "Ti piace! Ti piace il signor Lightwood!"
"Mirtillo smettila! Alec non mi piace in quel senso e.."
"Ohhh per Lilith! Ti piace! Ti piace davvero!" sorrise incredulo Max, agitandosi sulla sedia.
Magnus gonfiò le guance e poi sbuffò sonoramente. "Ma parliamo di te. C'è niente che mi devi dire?" chiese, imbronciato, incrociando le braccia al petto.
Max ridacchiò. "Non cambiare discorso, papi! Ti piace il signor Lightwood! Ti piace il signor Lightwood! Ti piace il signor Lightwood!" cantilenò, muovendo la testa a destra e a sinistra.
Magnus gli mise una mano sulla bocca. "Piantala!" protestò, puntandogli l'indice contro. "Ripeto: c'è niente che mi devi dire?" chiese nuovamente, alzando un sopracciglio e posando la testa su una mano.
Max si fece pensieroso. "Uhm.. no!"
"Sicuro?"
"Uhm.. sì!"
"Ne sei davvero sicuro? Al cento per cento? Pensaci bene."
Max fissò suo padre. Dove voleva andare a parare? "Uhm.. sì.. sono.. sì, sono sicuro." rispose, facendo spallucce.
Magnus annuì. "Allora era un bambino che ti somigliava in modo sorprendente quello che si è recato nell'orfanotrofio Il Circolo ieri mattina." disse, picchiettandosi il mento con l'indice, fingendo di pensarci su.
Max sbiancò. Come faceva il suo papà a sapere della sua "scappatella" mattutina? Chi aveva fatto la spia? Rafe? No, impossibile. La signorina Morgenstern? Forse. L'uomo biondo e cattivo? No, lo escludeva. Che motivo avrebbe avuto di chiamare suo padre? Era svantaggioso anche per lui, visto come l'aveva trattato.
"Chi.." iniziò Max, preoccupato.
Magnus scrollò le spalle. "Non è importante chi è stato a dirmi della tua visita. Mi interessa sapere cosa sei andato a fare là."
Max si morse con forza il labbro inferiore. "Non posso dirtelo."
"Perchè no?" gli chiese suo padre, sorpreso.
"Perchè ho fatto una promessa e tu mi dici sempre che le promesse si devono mantenere!" rispose Max, torturandosi le mani.
"E' vero, ma quando mio figlio sgattaiola fuori dalla tenuta, cosa che gli è tassativamente proibito fare," cominciò Magnus, alzando un indice per ammonirlo, "per attraversare l'intera città ed intrufolarsi in un orfanotrofio.. beh, devo sapere il perchè!"
Max strinse le labbra. "Ho promesso.."
"Non voglio costringerti ad infrangere una promessa." disse Magnus, alzando le mani. "Ma pretendo di sapere chi ti ha fatto questo." sibilò, alzando leggermente la manica della maglietta di Max per scoprire il livido attorno al suo braccio, lì, dove l'uomo cattivo l'aveva afferrato.
Il labbro inferiore di Max tremò, poi si tuffò tra le braccia di suo padre e, tra le lacrime, gli raccontò tutto.

Un respiro, poi un altro ancora. Chiuse gli occhi ed espirò profondamente, svuotando lentamente i suoi polmoni ed alzò la mano, pronto a bussare alla porta. Incanalò, per precauzione, un altro po' di ossigeno. Metti mai che andasse in iperventilazione..
Che poi, perché doveva sentirsi così agitato? Doveva semplicemente parlare con un uomo, santo cielo. Sì, era affascinante, ora riusciva a vederlo ed ad ammetterlo chiaramente, ma era pur sempre un normale essere di sesso maschile. Ok, magari non lo si poteva propriamente descrivere come una persona nella norma, visto quanto era carino, ma vabbé, erano dettagli. Oltretutto aveva una discreta esperienza in fatto di bei fusti, per non dire particolarmente promiscua, quindi non c'era davvero motivo per agitarsi tanto.
E poi mica dovevano parlare di quello che avevano fatto, sentendosi entrambi a disagio ed in imbarazzo. Assolutamente no. Non stava andando nella sua camera, nel luogo del delitto, per quello! Erano altri i suoi piani.
Non si era preparato nessun discorso, sarebbe andato a braccio, ma aveva ben in mente lo scopo di quella imminente chiacchierata e non sarebbe uscito da quella stanza fino a quando la sua richiesta non sarebbe stata esaudita.
Quindi, con tutte quelle belle premesse, ordinò al suo cuore di smettere immediatamente di battere così all'impazzata. Che si desse un contegno, per Lilith!
Bussò alla porta e, quando la voce di Alec dire "Avanti.", entrò nello camera.
Alec era seduto alla sua scrivania e stava scrivendo qualcosa su un bloc-notes. Quando lo vide, si bloccò immediatamente ed arrossì subito dopo.
Ok, poteva farcela. Potevano farcela. Non c'era niente di complicato no? Era solo una semplicissima, banalissima chiacchierata tra due adulti. Semplice.
"Ciao.. posso.. ti disturbo?" chiese Magnus, adocchiando, incerto, la mole di carte e fascicoli sparsi sopra la scrivania, sul letto ed addirittura per terra.
"S-signor Bane, buon.. buongiorno." balbettò Alec, mentre anche le orecchie cominciavano a tingersi di rosso.
Magnus alzò gli occhi al cielo. "Ma per favore! Smettila con questo signor Bane! Dammi del tu e chiamami Magnus, per Lilith!" pretese, sbuffando sonoramente.
"S-signor Bane.. Magnus!" si corresse Alec, all'occhiataccia dell'altro. "Cosa.. cosa posso fare per le.. per te! Cosa posso fare per te?"
Magnus annuì, avanzò silenzioso nella stanza, andò a sedersi sul bordo del letto e prese l'ennesimo respiro profondo. Poi sganciò la bomba. "Voglio adottare un bambino. Puoi aiutarmi?"
Alec si girò completamente sulla sedia, verso di lui, e strabuzzò gli occhi. Di certo, tra tutte le cose che Magnus avrebbe potuto dire, quella probabilmente non gli era neppure passata per l'anticamera del cervello. Comprensibile. Non sapeva neanche lui di voler adottare un bambino fino a trenta minuti prima!
"Puoi.. puoi ripetere?" chiese Alec, a bocca aperta.
"Voglio adottare un bambino." ripetè Magnus, pronunciando, questa volta, la frase con più calma.
"Un bambino." disse Alec.
Magnus annuì, accavallando le gambe.
"Vuoi adottare un bambino."
Magnus annuì nuovamente.
"Un.. un bambino vero?" chiese Alec, cauto.
Magnus aggrottò la fronte. "Perché? Esistono bambini finti?"
"Beh.. sì."
"Davvero?" domandò Magnus, piegando la testa di lato.
Alec prese il telefonino, digitò qualcosa sullo schermo e, dopo pochi secondi, girò il cellulare a favore di Magnus, per mostrargli le foto della sua ricerca.
Magnus si sporse verso di lui, curioso di quello che gli voleva far vedere. "Ohhh quanto è carina!" disse, osservando la foto di una bella bambina dalla carnagione rosea e dai capelli biondi.
"E' finta." lo informò Alec, asciutto.
"Non è vero." esclamò Magnus, stupefatto, prendendogli il telefonino dalla mano per fissare meglio l'immagine.
"E' una bambola Reborn."
"Una che?" chiese Magnus, tornando a guardarlo, stranito.
"Sono bambole estremamente somiglianti a bambini veri."
"Dio sembra davvero vera. E' inquietante tutto ciò!"
Alec annuì, comprensivo.
"E' legale?" chiese Magnus, dubbioso.
Alec sorrise. "Per quanto ne sappia, sì."
"Pazzesco." borbottò Magnus, scuotendo la testa.
"Quindi.." iniziò poi Alec, titubante. "il bambino che vuoi adottare.."
Magnus sgranò lo sguardo, quasi inorridito. "Ommioddio Alec! No! Il mio bambino è decisamente vero!"
"Ok." disse Alec, cauto. "E questo bambino.. è un bambino specifico o vuoi metterti in lista per adottarne uno?"
"Rafe. Il bambino che voglio adottare si chiama Rafe ed attualmente si trova all'orfanotrofio Il Circolo."
Alec spalancò gli occhi, sorpreso. "Come.. come conosci questo bambino?"
"Non lo conosco, lo conosce Max." gli rivelò Magnus, scuotendo le spalle. "E, se quello che nostro figlio mi ha detto corrisponde al vero (e non ho alcun motivo di dubitare di quello che mi ha raccontato), ho ragione di credere che quel bambino sia in pericolo e devo assolutamente tirarlo fuori da quel posto infernale. L'unico modo che mi viene in mente quindi, per farlo, è adottarlo."
Alec scattò in piedi, come una molla, ed arrivò di fronte a Magnus, afferrandolo per le spalle con decisione. "Cosa ti ha detto il ragazzino? Ti prego dimmi quello che ti ha detto! Devo saperlo, Magnus!" lo implorò, scuotendolo leggermente.
"Non posso dirtelo." rispose Magnus, scuotendo piano la testa.
"Cos.. COSA???" urlò Alec, incredulo. "Perché?"
"Perché l'ho promesso a Max!"
"Ma vai a quel paese!" tuonò Alec, esasperato, mettendosi le mani tra i capelli. "Non mi interessa quello che hai promesso al ragazzino! Dimmi cosa ti ha detto!"
Magnus si accigliò. "Primo, datti una calmata perché, se continui così, ti viene un colpo apoplettico e ci lasci le penne, lo dico per te. Secondo, si può sapere perché ti interessa così tanto? E, terzo, concentrati su quello che ti ho chiesto. L'adozione. Ricordi?"
"Ommioddio! Lo vedi come sei? Tu sei.. oddio.. tu sei.. argh!!" sbottò Alec, sull'orlo di una crisi di nervi, gettando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi con forza. "Sei.. sei impossibile! Ecco cosa sei! DIO!!!" terminò, tornando a guardarlo.
Magnus fissò Alec, sgomento. Ma per tutti i diavoli del cielo e della terra, che tipo di problemi aveva quel ragazzo? Si alzò con calma e lo fissò, glaciale. "Bene, visto che non vuoi aiutarmi, chiederò a qualcun altro. Scusa se ti ho disturbato."
"Oh per l'angelo, Magnus!" esclamò Alec, afferrandogli il braccio. "Mi servono quelle informazioni, cazzo!"
Magnus spostò la mano con stizza. "Buona giornata, Alec." disse, girandosi poi verso la porta per andarsene.
"Bene! Se non vuoi dirmelo tu, torchierò il ragazzino!" lo avvertì Alec, puntandogli l'indice contro.
Magnus si girò di scatto, scuotendo la testa. "Non osare."
Alec alzò il mento ed incrociò le braccia al petto. "Prova ad impedirmelo." lo sfidò.
Magnus strinse i pugni lungo i fianchi e, con calma, tornò da lui, parandoglisi davanti. "Non provarci." sibilò.
"Altrimenti?" sussurrò Alec, alzando un sopracciglio e sorridendo ironicamente.
La tentazione di toglierli quel sorriso strafottente travolse Magnus come un'onda anomala e conosceva un unico modo per riuscire nella sua impresa.
"Ho sculacciato raramente nostro figlio, ma è capitato." bisbigliò Magnus, avvicinando il volto al suo e fissandolo intensamente negli occhi. "Non ho alcun problema a farlo anche con te, Alexander."
Gli afferrò poi la nuca e schiacciò la propria bocca contro la sua, prima che riuscisse a replicare. Alec esitò un solo istante, poi aprì le labbra spontaneamente e Magnus capì che non c'era più possibilità di staccarsi da lui e tentare, magari, di fare del sarcasmo. Quella che era iniziata come una possibile punizione, si trasformò, ben presto, in tutt'altro.
Si baciarono con feroce avidità, accordi e contrasti s'incenerirono nel calore del loro desiderio. Tutto calò su di loro impetuosamente e Magnus sentì il sangue pulsargli violento nelle vene.
Approfondì il bacio ed affondò le mani nella massa setosa dei capelli di Alec, arretrando con lui verso il letto e cadendovi sopra. Si staccò dalle sue labbra solo quando la necessità di respirare si fece impellente e nascose il volto nel morbido incavo del suo collo, baciandogli la pelle morbida ed accaldata della gola, mentre le mani lasciavano i capelli per scivolare giù, accarezzando le sue spalle e seguendo tutta la linea della schiena.
Dovette frenarsi per non strappargli la maglietta, tanto che le mani gli tremarono per lo sforzo di controllarle, e si congratulò con se stesso quando riuscì semplicemente a sfilargliela, lasciandola intatta.
Ad ogni tocco delle sue labbra avvertì Alec venire percorso da un lungo fremito, mentre sentiva sotto la bocca le cicatrici del suo petto, il battito del suo cuore, il movimento rapido del suo respiro. Era disarmante rendersi conto di essere dotato di un simile potere.
Il tempo si dissolse in un susseguirsi di movimenti, di frenetici sussurri e in un piacere che sfiorava quasi l'agonia, ma quando Alec bisbigliò il suo nome, con quel suo accento cantilenante, timido ed incredibilmente erotico, l'autocontrollo di Magnus andò a farsi benedire.
Desiderava il possesso completo e caddero entrambi in un ritmo incalzante che li catturò in una tensione bruciante, finché lo sentì tremare sotto di sé ed esplodere in gemiti affannosi della soddisfazione. Subito dopo anche lui sentì il calore, il lampo e l'esplosione del massimo piacere.
Si abbassò contro il suo collo e nascose il viso nella curva del suo collo, tenendolo stretto tra le braccia. Rimase immobile a lungo, assaporando la sensazione delle dita di Alec che disegnavano piccoli lievi cerchi sulla sua schiena con effetto ipnotico, finchè non si sentì affondare in un piacevole stato letargico.

Alec capì che l'aveva legato. Di nuovo.
Un principio di panico si insinuò, infido, sotto la sua pelle, ma lo ricacciò indietro, impedendogli di continuare ad espandersi per tutto il corpo. Non si sarebbe piegato alla paura. Avrebbe lottato.
Sentì le cinghie di cuoio stringersi attorno ai suoi polsi e si divincolò così tanto che riuscì a romperle. Una volta libero, scattò da un lato con un movimento brusco e rotolò sul pavimento, pensando solo alla fuga. Ma poi tutto si trasformò, cambiò. Era nella sua stanza, non c'era suo padre e quello che pensava essere il pavimento era in realtà il suo materasso.
Si sedette sul letto, disorientato, e battè le palpebre a causa della luce accecante che entrava dalla finestra. L'unico rumore che sentiva era il suo respiro affannoso. Sentì un lieve fruscio alle sue spalle e voltò di scatto la testa. Quando lo vide, ricordò tutto.
Magnus era seduto dall'altra parte del letto e lo fissava tra lo sgomento e l'incuriosito.
Alec immerse le mani tra i propri capelli, gemendo. "Pensavo.. Credevo che mi avesse legato un'altra volta.."
Magnus alzò un sopracciglio e scosse lievemente la testa. "Ero io. Avevo le braccia attorno a te." disse piano, avvicinandosi a lui e toccandogli la spalla. "E' stato solo un incubo." tentò di consolarlo.
"Ti ho.." sussurrò Alec, respirando forte ed alzando la testa per guardarlo negli occhi. "Ti ho fatto del male?"
Magnus gli sorrise. "Naaa." rispose, tirandogli un pugno leggero sulla spalla. "Ci vuole ben altro per sconvolgermi." concluse, gonfiando il bicipite e facendogli l'occhiolino.
Alec ridacchiò quando l'altro gli diede un buffetto sul naso, mentre un po' della tensione accumulata gli scivolava via dal corpo.
Magnus si distese nuovamente sul letto, trascinandosi sopra Alec e stringendolo tra le braccia. C'era qualcosa, una sensazione bruciante, un'impellente desiderio che smaniava nel suo petto. Nonostante fosse un avvocato affermato e un uomo fatto e finito, in quel momento Alec gli appariva come un ragazzo smarrito, fragile e vulnerabile e Magnus sentiva la necessità di proteggerlo da qualunque demone continuasse a perseguitarlo nei suoi sogni.
Alec si mosse nel suo abbraccio, impacciato. "Scusa." sussurrò piano, appoggiando il viso all'altezza del cuore di Magnus ed ascoltandone il rimbombo.
"Per cosa? Per essere stato così bisbetico prima del sesso o per avermi dato un calcio mentre sognavi?" chiese Magnus, irriverente.
Alec si alzò di scatto su un gomito, guardandolo male. "Cos.. non sono stato bisbetico. Io."
Magnus roteò gli occhi e gli fece la linguaccia. "Sì che lo sei stato, ma accetto comunque le tue scuse." lo perdonò, facendo spallucce. "In entrambi i casi."
"Guarda che sei tu quello che si è comportato male tra i due." esclamò Alec, puntandogli l'indice contro. "Fin dall'inizio."
Magnus spalancò gli occhi e si alzò anche lui sui gomiti. "Iooo?!?! Guarda che sei tu quello si è posto in maniera sbagliata fin da subito."
"Oh ma per favore! Sei tu quello che ha urlato per primo quando non avevo idea che stessi parlando del ragazzino!"
"Perchè tu non sapevi il nome di nostro figlio!" replicò Magnus, scandalizzato. "E piantala di chiamarlo ragazzino!"
"Non è che non lo sapessi." si difese Alec. "Solo non avevo idea di chi fossi tu e quindi non ho collegato la cosa!"
"Beh, ma quando l'hai saputo non ti sei comportato meglio! Sei stato uno stronzo totale!" lo accusò Magnus, sdegnato.
"Cosa?!?! Non sono stato uno stronzo totale! Tu lo sei stato!" sbottò Alec, indignato. "Sei tu quello che è stato sgradevole fin da subito. E fastidioso! E seccante! E indisponente! E.."
"Ohhh sta zitto!" esclamò Magnus, appropriandosi delle sue labbra e rivoltandolo sulla schiena per tornare a schiacciarlo col proprio corpo.
"Ecco! Hai visto?" chiese Alec, con il respiro affannato, quando si staccarono. "Sei davvero irritante!"
Magnus sorrise e tornò ad appoggiare la bocca sulla sua, rubandogli quel poco d'aria che ancora gli circolava nel corpo.
"Sei irritante e prepotente!" confermò Alec, con un sorriso storto, quando si staccarono nuovamente.
Magnus ridacchiò e nascose il viso nel suo collo, accomodandosi meglio nella nicchia calda del suo abbraccio.
"Perchè te ne sei andato l'altra mattina?" chiese Alec, dopo un po', sfiorando la spalla dell'altro con un tocco leggero.
Ricordava bene la sensazione che aveva provato quando, al suo risveglio, aveva steso una mano e, anzichè la pelle calda di Magnus, aveva toccato un lenzuolo freddo. In un istante si era svegliato del tutto ed era scattato a sedere: la stanza era vuota e dell'uomo non c'era alcuna traccia. Aveva fatto spallucce, dicendosi che non gli importava, ma la realtà era ben diversa. Per punizione (non sapeva dire se più verso Magnus, che se n'era andato alla chetichella, o più verso di lui, che aveva ceduto ai piaceri della carne) aveva evitato l'uomo con la cresta per un numero imprecisato di giorni, evitando di parlargli o di incrociare anche solo il suo sguardo.
Magnus alzò la testa per guardarlo. "Volevo far finta che non fosse successo." rispose con sincerità.
Alec alzò un sopracciglio. "E ha funzionato?" chiese, sperando di essere riuscito a celare la delusione che, stranamente, si era fatta strada dentro di lui.
"Ti pare che abbia funzionato?" gli chiese Magnus, indicando con un gesto della mano il corpo, celato dal lenzuolo, dell'altro.
Alec arrossì. "Beh.. se è per il sesso, puoi trovare decisamente di meglio in giro e.."
"Ohhh sta zitto!" replicò Magnus, scuotendo la testa, tornando a stringerlo. "Volevo far finta che non fosse successo perchè ti odiavo per tutta la storia di Max."
Sentì Alec trattenere il respiro. "Non mi odi più?" chiese piano.
Magnus sorrise sulla sua pelle. "No, non ti odio più."
"Perchè?" chiese Alec, incerto. "Cosa.. cosa è cambiato?"
Magnus tornò a guardarlo, malizioso. "Diciamo che hai notevoli doti nascoste che mi hanno fatto cambiare idea." scherzò, stringendogli una natica per rafforzare il concetto.
Alec divenne paonazzo. "S-smettila. Sii serio." balbettò, lanciandogli un'occhiataccia che non era minacciosa neanche la metà di quanto sperava.
Magnus gli accarezzò il petto, sfiorando, sovrappensiero, le cicatrici. "Come te le sei fatte?" chiese, dopo che ne ebbe tracciato i contorni.
Sentì Alec trattenere il respiro ed irrigidirsi. "Non cambiare discorso." lo ammonì poi.
"Non devi dirmelo se non vuoi." lo rassicurò Magnus, battendogli affettuosamente sul petto.
Alec sbuffò, fissando il soffitto, e parlò dopo quella che parve un'eternità. "E' successo molto tempo fa. Niente che non meritassi."
Magnus aggrottò la fronte, alzandosi su un gomito per guardarlo meglio. "Cosa diamine puoi aver mai fatto di così grave da meritare una cosa del genere?" chiese, indicando il reticolo di cicatrici che spiccavano sulla sua pelle bianca.
Alec lo fissò negli occhi, con rabbia. "Non hai idea di chi io sia, di quello che ho fatto. Prenderesti Max e scapperesti alla velocità della luce se conoscessi il mostro che hai di fronte a te." bisbigliò, scuotendo piano la testa.
Alec voleva scioccarlo, disgustarlo, farlo allontanare da sé. Magnus, però, non sembrava né scioccato né disgustato. Lo stava guardando con pazienza, in attesa di una spiegazione, come se non credesse ad un briciolo di quello che gli aveva appena detto. Chiuse gli occhi per non guardarlo. Lui non poteva sapere, non poteva capire. Non importava dove andasse o che cosa facesse. La sua colpa l'avrebbe perseguitato fino alla sua morte e non c'era modo di sfuggirle.
"Mettimi alla prova." lo sorprese Magnus, appoggiando la testa su una mano.
Alec sospirò profondamente, tornando a guardare il soffitto. "Ho ucciso mio fratello." sputò fuori, a denti stretti.
Sentì Magnus trattenere il respiro e gli venne da ridere. Già. Quel pover'uomo non sapeva che stava abbracciando un lurido assassino di bambini.
"E' successo circa dieci anni fa." cominciò. "Max.. mio fratello si chiamava Max. Ironico, non trovi?" chiese a Magnus, guardandolo brevemente con uno sguardo fisso e vuoto. Poi continuò, senza attendere risposta. "Max aveva appena otto anni. Era un ragazzino dolcissimo ed intelligente."
Magnus fu spinto in un mondo di ricordi dolci-amari e più Alec raccontava di quel bambino mai conosciuto, più Magnus lo trovava simile a lui, ad Izzy ed a Jace. Si morse il labbro inferiore ed ascoltò. Sapeva che doveva seguirlo per poterlo riportare nel proprio mondo, al sicuro una volta per tutte.
"Adorava nuotare nel laghetto davanti casa, era piuttosto bravo. Il suo sogno era quello di praticare il nuoto a livello agonistico e vincere quante più medaglie possibili. Si tuffava in acqua ogni volta che ne aveva occasione, ma aveva il permesso di farlo solo se c'era qualcuno con lui e, quindi, mi trascinava sempre con lui." proseguì Alec, mentre l'ombra di un sorriso compariva sul suo volto.
Magnus chiuse gli occhi per un momento, immaginando la scena, poi li riaprì. Non voleva più sentirlo, perchè sapeva dove sarebbe andato a parare. Ora lo sapeva. Non era pronto a vedere quello che Alec vedeva nella sua mente. Ma si impose di farlo. Doveva farlo. Strinse la presa sul fianco dell'altro, nel tentativo di fare forza ad entrambi.
"Quel giorno mi era stato affidato il compito di badare a lui. Stava colorando sul tavolo di questa stessa camera quando mi chiese se potevamo fare una pausa ed andare al laghetto. Mi pregò per interminabili minuti di andare a nuotare insieme a lui, ma io dovevo studiare. Il giorno dopo avrei avuto un esame importante e non potevo permettermi distrazioni. Gli avevo promesso che sarei andato con lui più tardi, ma sapevamo entrambi che era una bugia, perché lo studio mi avrebbe assorbito per tutto il pomeriggio e.. oddio.." gemette Alec, portandosi un braccio sugli occhi, come se volesse nascondersi.
Il tono del suo racconto era incerto e Magnus capì che non ne aveva mai parlato con nessuno, forse, addirittura, neanche con i fratelli. Aspettò, ma Alec non disse altro. Sapeva, però, che non poteva permettergli di fermarsi, non prima che avesse finito di raccontare l'intera storia. Era il solo modo di guarire.
"E poi? Che cosa è successo?" bisbigliò.
Al suono della sua voce, Alec si tolse di colpo il braccio dal viso e si irrigidì. "Max mi disse che sarebbe andato a giocare nella sua stanza e io ho annuito senza neanche alzare la testa dal libro. Izzy entrò a metà pomeriggio, circa, chiedendomi se Max era con me. Ricordo che scrollai le spalle e le risposi che, se non era in camera sua, era sicuramente fuori, a giocare in giardino. Scrollai le spalle. Ti rendi conto?" chiese Alec, gracchiando una risata aspra. "Non me ne preoccupai minimamente, troppo egoista com'ero, concentrato solo su me stesso e sul mio dannatissimo libro."
L'angoscia e il rimorso alterarono i lineamenti del suo viso, ogni movimento del suo corpo. Magnus avrebbe voluto cercare di consolarlo, dirgli di fermarsi, ma sapeva di non doverlo fare e smise quasi di respirare pur di non infastidirlo con la sua presenza.
"Solo quando anche Jace venne da me, per dirmi che Max non si trovava, decisi di cercarlo anch'io. Abbiamo perlustrato l'intera casa, stanza dopo stanza, ma Max non era in nessuna di esse, così ci siamo recati in giardino. L'abbiamo cercato per minuti, che poi sono diventate ore, ma era come sparito nel nulla. Poi.." proseguì, ingoiando il nodo che gli stringeva la gola. "Qualcosa.. qualcosa attirò il mio sguardo sul laghetto. Una macchia rossa che stonava con l'azzurro limpido delle sue acque."
"Alexander.." sussurrò Magnus, angosciato.
Alec girò la testa e lo guardò. L'espressione era disperata, il volto una maschera di sofferenza. "Quando hanno recuperato il suo corpo non hanno voluto farmelo vedere. Li ho pregati, li ho scongiurati, ma i paramedici l'hanno portato via e non ho potuto vederlo." gemette, con la voce incrinata.
"Alexander.."
"Ecco, ora lo sai. Ora sai con chi hai a che fare. Con un mostro. Un assassino." terminò Alec, mentre il viso assumeva un'espressione dura, granitica. Si alzò a sedere sul letto e si appoggiò alla testiera. "Le cicatrici non sono altro che la mia giusta punizione per aver ucciso mio fratello, per non aver saputo proteggerlo. E, in tutta sincerità, mio padre ci è andato anche troppo leggero. Avrei meritato torture ben peggiori."
Magnus percepì il suo odio verso se stesso, il suo rimorso, la sua pena infinita e rabbrividì di rabbia nei confronti di Robert Lightwood per quello che aveva fatto al figlio.
"Alexander non è stata colpa tua." sussurrò con dolcezza.
"Sì, invece! Era sotto la mia responsabilità!"
Magnus si mise a sedere e si accostò lentamente a lui, parlandogli a voce bassa. "Alexander, ascoltami. E' stato un incidente."
Alec non lo guardò. Fissava, a testa bassa, i lenzuolo che stringeva tra le mani. "Se gli avessi dato retta, se l'avessi accompagnato a nuotare, a quest'ora sarebbe ancora vivo." "Questo non puoi saperlo e non puoi continuare a torturarti per una cosa che di certo non potevi prevedere. Non sei un mostro e non sei un assassino. Non è stata colpa tua."
"Sai cosa significa il mio nome?" gli chiese, con un ghigno. "Protettore di uomini. Non lo trovi assurdo?"
"Alexander.."
"Sono un mostro." disse Alec, con decisione.
"No, non lo sei." rispose Magnus, altrettanto determinato.
Gli posò una mano sulla guancia, piano, quasi avesse il timore di vederlo andare definitivamente in pezzi. Alec sussultò, ma non si ritrasse e questo incoraggiò Magnus. Con lentezza infinita si sedette con cautela sulle sue gambe per avvicinarsi a lui ancora di più e lo abbracciò stretto.
"E adesso.." sussurrò. ".. aggrappati a me. Sarò la tua àncora. Aggrappati a me."
Alec fece un sospiro strozzato, spaventato, e si scostò dal suo corpo, tanto che Magnus pensò che l'avrebbe respinto, che si sarebbe rinchiuso di nuovo nella prigione che si era costruito attorno a lui e dal quale sembrava non essere più in grado di uscire.
All'improvviso, però, lo abbracciò, stringendolo forte, come se fosse un boa di salvataggio in un mare in tempesta, e sentì il suo corpo massiccio scosso da un tremito.
Magnus lo cullò e gli accarezzò i capelli, baciandogli la fronte, come se volesse fargli uscire fuori tutta l'angoscia accumulata nella sua giovane vita e sostituirla con pace e tranquillità. Sperò che bastasse, ma che, soprattutto, funzionasse.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


"Ti devo delle scuse."
"Davvero?"
Anche se non lo stava guardando, Magnus sentì chiaramente la nota divertita e sorpresa nella voce di Alec.
Si alzò dal suo petto e lo guardò con finto ammonimento. "Non gongolare. Ti sto chiedendo scusa solo perché sono una persona molto matura che sa ammettere i propri sbagli."
Il sorriso radioso che Alec gli restituì gli fece alzare gli occhi al cielo e scuotere leggermente la testa. "E va bene." concesse, ributtandosi su di lui con un sospiro. "Gongola quanto vuoi."
La sua testa venne scossa dalla risata che si propagò nel petto di Alec e sorrise a sua volta. Era felice di sentire quel suono, dopo tutto quello che gli aveva raccontato. Si accoccolò meglio addosso a lui, contento, quando l'altro strinse maggiormente la presa attorno alle sue spalle.
"Allora? Queste scuse?" chiese Alec, dopo un po', tracciando disegni leggeri sulla schiena dell'altro.
Magnus aggrottò la fronte e si alzò su un gomito. "Te le ho fatte poco fa."
Alec lo guardò, alzando le sopracciglia. "Quelle erano delle scuse? Sul serio?" chiese, scettico. "Erano in assoluto le peggiori che sono mai state formulate nell'intero universo." lo criticò, scuotendo la testa con fare paternalistico. "Le peggiori Magnus. Le peggiori!"
Magnus inspirò bruscamente. "Guarda che erano delle scuse sentite." replicò, sdegnato.
"Davvero? Sono sicuro che sai fare di meglio." lo punzecchiò Alec. "Avanti." lo incoraggiò poi, sorridendo e battendogli affettuosamente una mano tra le scapole.
Magnus lo fissò per un lungo secondo, poi gonfiò le guance e ritornò a posare la testa sul suo petto, espirando rumorosamente. "E va bene! Ti chiedo scusa per essermi comportato male con te. Mi dispiace."
"Non male come inizio." concesse Alec. "E poi?"
Magnus si alzò, per l'ennesima volta, per guardarlo in volto. "Che altro dovrei dirti ancora? Ti ho detto che mi dispiace!"
Alec sorrise, furbo. "E' vero." ammise. "Ma potresti anche dire che ti addolora avermi ferito con i tuoi insulti o.."
"Che esagerazione." borbottò Magnus, a bassa voce.
"Come?"
"Niente."
"Potresti scusarti per avermi urlato contro la prima volta che ci siamo incontrati oppure di come hai continuato ad essere antipatico nei miei confronti ogni qual volta ci siamo relazionati. O puoi dire che ti dispiace di esserti messo in mezzo quando dovevo punire Max." continuò Alec, elencando ogni affermazione con le dita di una mano. "O per avermi fatto fare quell'oscena figuraccia in discoteca." si animò improvvisamente. "Per l'angelo, per questo sì che dovresti proprio chiedermi scusa!" lo bacchettò, inorridendo al solo ricordo.
"Ma se ti ho aiutato!" obiettò Magnus, a bocca aperta. "Eri lì, per terra, dolorante. Cosa avrei dovuto fare?"
"Di sicuro non dovevi prendermi in braccio!" si indignò Alec, infervorato. "Ti pare normale? Non sono una fottuta principessa in pericolo! Sono capacissimo di badare a me stesso!"
"La prossima volta non solo ti lascio lì, a terra, agonizzante, ma ti scavalco pure e ti faccio il dito medio, così impari." replicò Magnus, imbronciato, scostandosi da lui e buttandosi nella sua parte di letto.
Gli angoli della bocca di Alec si piegarono all'insù ed ingoiò la risata che gli salì in gola. "Ah! Potresti scusarti per quella volta che sei entrato come un tornado in questa stanza perché Presidente ha osato dormire con me." proseguì poi, punzecchiandogli il fianco con l'indice. "O potresti chiedere scusa per avermi affibbiato nomignoli ignobili ed infantili o.."
"Chiamarti col tuo nome per intero non è un nomignolo ignobile ed infantile." sbuffò Magnus, battendo i palmi delle mani sul materasso.
"Ma Iceberg lo è." chiarì Alec.
"E' un bel nome, per Lilith!" continuò Magnus, ignorandolo. "Non riesco davvero a capire perché tu te le sia presa così tanto quel giorno. Sul serio, i tuoi scatti d'ira saranno la tua morte, un giorno o l'altro."
"Da che pulpito."
"Da che pulpito cosa?" replicò Magnus, guardandolo male. "Io non mi faccio venire il sangue al cervello per idiozie simili. Io."
"Davvero?"
"Davvero! E quanto al tuo nome.."
"Mio padre mi chiamava così." lo interruppe Alec, piano.
"Oh." esclamò Magnus, ammutolendosi di colpo. "Scusa." bisbigliò poi, pentito.
Alec gli fece un sorriso storto e scrollò le spalle. "Perdonato."
"Peccato, però." si rammaricò Magnus, tornando a posare la testa sul suo cuore, per sentirne il rimbombo. "Penso davvero che sia un bel nome e che ti si addica." disse, abbracciandolo e sentendo poi il battito sotto al suo orecchio farsi più frenetico.
"Non mi si addice per niente, invece."
"Sta zitto. So quello che dico." lo contraddisse Magnus, secco, intrecciando le gambe alle sue.
"Mi piace quando lo pronunci tu." confessò Alec, dopo un po', in un sussurro, accarezzandogli lievemente la spalla.
Magnus sorrise, orgoglioso, e gli baciò un pettorale. "Alexander."
Alec sorrise a sua volta e posò il mento tra i suoi capelli, sereno. Da quando aveva confessato a Magnus la sua ignobile colpa si sentiva un po' meglio. Il peso c'era ancora, ma si era fatto più leggero, più sopportabile. Non sapeva se fosse merito dell'uomo che giaceva tra le sue braccia, che l'aveva ascoltato senza giudicarlo e che gli aveva fatto coraggio, esponendo una verità che lui non aveva mai preso in considerazione, o se fosse perché aveva finalmente sputato fuori un rospo che lo soffocava da quasi dieci anni. Forse entrambe le cose, pensò.
Non riusciva ancora a spiegarsi, concretamente, come fosse possibile che fosse riuscito a raccontargli ciò che lo tormentava da così tanto tempo. A lui. Non ai suoi fratelli o a qualche amico intimo. No, aveva aperto il suo cuore a Magnus Bane, l'ultima persona con cui pensava di confidarsi. In maniera del tutto imprevedibile, aveva finito col fidarsi di quell'uomo strambo e vulcanico, che aveva la seccante mania di prevaricare su tutto e tutti, che non accettava mai un no come semplice risposta e di cui non sapeva praticamente nulla.
Già. Magnus era un grosso, enorme, punto interrogativo. Chi era? Dove era nato? Che scuola aveva frequentato? Che lavoro faceva? E la sua famiglia? Ne aveva una, da qualche parte? A parte Max, non si era mai lasciato scappare nulla su possibili genitori, fratelli o parenti vari.
Inspirò bruscamente, colto da un pensiero improvviso che quelle domande gli avevano fatto balzare in mente, e Magnus, sentendosi scuotere la testa, alzò lo sguardo e lo guardò con un sopracciglio alzato.
"Che c'è?" gli chiese, curioso.
"Niente." minimizzò Alec, in difficoltà.
Cazzo. Cazzo. E ancora cazzo. Aline! Si era completamente dimenticato del compito che aveva affidato ad Aline! Il suo nome lampeggiava, ora, a caratteri cubitali nella sua mente, quasi sbeffeggiandolo.
"Sai che, per essere un avvocato, sei un pessimo bugiardo?" lo informò Magnus, sfiorandogli una clavicola con l'indice. "E' così grave?" gli chiese poi, con interesse.
Alec si torturò il labbro inferiore, agitato. Come l'avrebbe presa, se glielo avesse detto? Dei del cielo, quell'uomo era così imprevedibile! Era capacissimo di schiaffargli una cinquina in faccia ed andarsene da quella stanza alla velocità della luce, indignato ed arrabbiato, per quel che ne poteva sapere.
"Forse." tentennò, continuando a mordersi le labbra.
"Spara." disse Magnus, seguendo ipnotizzato il lavoro di quei denti candidi su quelle labbra piene e rosee.
"Non sono sicuro che tu lo voglia sapere."
"Perché?"
"Perché.. no."
Magnus inspirò platealmente. "E' qualcosa di sconcio? Cielo, Alexander, da te non me lo sarei mai aspettato!"
"Non è qualcosa di sconcio!" si affrettò a rispondere Alec, arrossendo come un peperone.
"Allora di cosa si tratta?" gli chiese Magnus, sorridendo.
"Ho.. ho chiesto ad un'investigatrice privata di indagare su di te." bisbigliò Alec, tutto d'un fiato, chiudendo gli occhi con forza, in attesa della reazione dell'altro.
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso, poi si morse con forza l'interno delle guance. Il tic alle sue labbra, però, divenne incontrollabile e scoppiò a ridere di cuore. Alec riaprì gli occhi e lo guardò, sorpreso. Quella era l'ultima reazione che si sarebbe aspettato.
"Sei serio?" chiese Magnus, tra le lacrime.
Alec annuì, impacciato. "Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso, ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia." citò.
"L'arte della guerra di Sun Tzu." sorrise Magnus, divertito. "Astuto. Volevi ricattarmi con qualche mio sporco segreto?"
"Forse." rispose Alec, intimamente sollevato che l'altro non fosse suscettibile a tal punto da trasformarlo in un pungiball.
"E che cosa ha scoperto, questa investigatrice, su di me?" chiese Magnus, curioso.
"Ancora niente." ammise Alec, sorridendo lievemente. "Sei peggio di un fantasma."
Magnus ridacchiò, compiaciuto e confortato allo stesso tempo. Era consapevole che, a New York, non ci fosse niente di importante che potesse ricondurlo a lui, a parte un conto corrente, che era stato chiuso appena aveva messo piede in Inghilterra, e una camera da letto, con pochi oggetti ed una montagna di vestiti, che il suo amico Raphael gli aveva gentilmente messo a disposizione nel suo appartamento, ma aveva vissuto per oltre un anno con il timore di ritrovarsi faccia a faccia con Morgenstern o con uno dei suoi scagnozzi. Quel pensiero, fortunatamente, aveva iniziato a sbiadire giorno dopo giorno ed aveva condotto la sua vita serenamente. L'arrivo di Jace, però, aveva riaperto quel cassetto della memoria che credeva sigillato per sempre. Sapere, quindi, che una professionista stava faticando non poco a reperire notizie su di lui lo rincuorò.
"Chi sei tu?" gli chiese Alec, riportandolo alla realtà.
Magnus lo fissò, reprimendo un sorriso e porgendogli la mano. "Magnus Bane. Piacere di conoscerti."
"Lo so come ti chiami, sciocco." sorrise Alec, roteando gli occhi e scacciando la mano. "Quello che intendevo dire è: chi sei? Dove sei nato? Hai fratelli e sorelle? Insomma, tu sai praticamente tutto di me e.."
"No so tutto di te. Esagerato!" lo interruppe Magnus.
"Beh, sai chi sono i miei fratelli, dove abito, che lavoro faccio. Sei decisamente in vantaggio rispetto al sottoscritto."
"E lo vuoi sapere sempre per ricattarmi o per altri motivi?" chiese Magnus, con genuino interesse, appoggiando la testa sulla mano e disegnando disegni astratti sul suo petto.
Alec fece spallucce. "Non devi dirmelo se non vuoi." disse, ripetendo le stesse parole che l'altro aveva pronunciato poco prima. "Ma, ad esempio, non so neanche che lavoro fai! Non so niente di te, tranne che abiti a Londra, che sei la persona più logorroica ed impossibile che conosca e che hai una passione smodata per le cose futili." lo stuzzicò, sorridendo, ben consapevole che la frecciatina non sarebbe passata inosservata.
Magnus interruppe le carezze e gli tirò uno schiaffo sul petto, come da copione. "Non dire eresie! I miei trucchi e i miei vestiti non sono cose futili!" esclamò, indignato. "Solo perchè tu hai evidenti difficoltà a vestirti e sei socialmente un disastro, quando non si tratta di lavoro, non significa che il resto del mondo debba seguire la tua disastrosa ed orribile linea di pensiero!"
"Fino a prova contraria, sei tu quello che insulta i miei vestiti e.. Oh! Ecco un'altra cosa per cui puoi chiedermi scusa." replicò Alec, con un sorriso divertito. "Ah! E smettila di spettegolare con i miei fratelli di quello che ho nell'armadio o che indosso!"
Magnus spalancò gli occhi, cogliendo l'allusione. "Te l'hanno detto?"
"Certo che l'hanno fatto! E, se proprio lo vuoi sapere, trovo terribilmente inopportuno il fatto che li tempesti di messaggi per lamentarti delle mie magliette."
"Non li tempesto di messaggi! E non mi lamento delle tue magliette!" chiarì Magnus, puntandogli l'indice contro. "Critico lo stato in cui si trova il tuo guardaroba! E' diverso. Per Lilith, è un pugno in un occhio ogni volta! Ma li vedi i buchi e i colori stinti che hanno quegli stracci o devo iniziare a credere che tu abbia seri problemi di vista?"
"A me piacciono."
"Come fanno a piacerti? Me lo spieghi?"
"Sono comodi e pratici."
"Hai gusti davvero terribili in fatto di moda, lasciatelo dire." borbottò Magnus, scuotendo piano la testa con disapprovazione.
"Sopravvivrò lo stesso." sorrise Alec, scrollando le spalle. "Allora.. chi sei tu?" chiese nuovamente.
Magnus sospirò, accantonando, solo per il momento però, la sua missione di infilare a forza un po' di buon senso estetico in quella zucca retrograda. "Beh, vediamo.." iniziò poi, battendosi l'indice sul mento. "Sono nato a Bali, in Indonesia, e sono figlio unico. Ho vissuto lì per cinque anni, poi, a causa del lavoro di mio padre, abbiamo iniziato a trasferirci."
"Che lavoro faceva?"
"Era un diplomatico. Siamo stati un po' ovunque: Asia, Europa, Africa e, infine, ci siamo trasferiti in America."
"America? Davvero?"
Magnus annuì. "Ho vissuto qui a New York per sette anni, prima che.."
"Prima che?" chiese Alec, curioso.
"Prima.. beh.. prima che mi trasferissi in Inghilterra."
"Sempre con i tuoi?"
Magnus scosse la testa. "Sono morti in un incidente stradale quando avevo diciotto anni."
"Mi dispiace." si scusò Alec, accarezzandogli una mano.
Magnus scosse le spalle, deciso a non lasciarsi andare a quel ricordo doloroso. "E' successo molto tempo fa."
"Quindi ti sei trasferito in Inghilterra dopo la morte dei tuoi genitori?"
"No, dopo. E' successo, più o meno, circa otto anni fa. Già." rispose Magnus, titubante.
Otto anni. La stessa età di Max, pensò Alec, sorpreso.
"Sei andato a Londra per motivi di studio?" gli chiese poi.
Magnus scosse la testa, lo fissò per un lungo momento, poi si buttò sull'altro cuscino, fissando il soffitto, mentre Alec lo seguiva con lo sguardo.
"Stavo scappando." sussurrò dopo un po'.
"Scappando?" chiese Alec, corrugando la fronte. "Da un'orda di ragazze assatanate? O da un gruppo di ragazzi vogliosi?"
Magnus ridacchiò. "No. E'.. è complicato." rispose poi, con un sospiro, passandosi una mano tra i capelli.
"Più complicato dell'aver ucciso un fratello?" chiese Alec, con un filo di voce, con l'intenzione di rassicurarlo che il suo segreto non poteva essere più grave del suo.
Magnus girò di scatto il volto verso di lui. "Non hai ucciso tuo fratello. E' stato un incidente. Smettila di colpevolizzarti."
Alec scrollò le spalle. Conviveva con quella convinzione da dieci anni. Di certo non l'avrebbe abbandonata in dieci minuti solo perchè l'altro, per quanto convincente fosse, asseriva il contrario.
Magnus gli sorrise dolcemente. "Cosa devo fare, con te, Fiorellino?"
"Smetterla con questo insulso soprannome sarebbe già un buon inizio." brontolò Alec. "Lo odio."
Magnus ridacchiò. "Smettila di dire bugie. Lo adori."
Alec roteò gli occhi ed attese, pazientemente, che l'altro continuasse la sua storia.
Magnus tornò a guardare il soffitto e prese un bel respiro. Alec si era fidato e confidato con lui. Doveva trovare il coraggio di fare altrettanto.
"Otto anni fa ero un ragazzino che voleva solo divertirsi, andare in giro per locali, vivere alla giornata e che voleva scoparsi qualsiasi essere vivente respirasse e che trovasse appetibile." raccontò, sorridendo al ricordo.
"Hai descritto Jace, te ne rendi conto, sì?" gli chiese Alec, che sorrise divertito quando vide la faccia orripilata di Magnus nel sentirsi associato al biondino. "Se può consolarti, lui è ancora così.. cioè, era così, fino a quando non ha incontrato l'infermiera dai capelli rossi."
"Clary. Sì, l'ho notato. Sono disgustosamente cotti l'uno dell'altra." disse Magnus, con una smorfia buffa. "E no, non mi consola affatto." replicò poi, ironico.
Alec rise e si girò con il busto di lato, per guardarlo meglio. "Poi cosa è successo?"
"Poi ho incontrato Camille." continuò Magnus. "Bellissima, bionda e con un seno così!" e sorrise quando, mimando il gesto, vide il viso di Alec adombrarsi. "Sì, lo so, non è il tuo genere, ma per uno come me era un sogno che si realizzava. Aveva circa il doppio dei miei anni ed ero diventato una specie di eroe, tra i miei amici, quando raccontai loro di essere riuscito a rimorchiare una donna più grande." si pavoneggiò, ridacchiando. "Il sesso con lei era grandioso. Abbiamo fatto cose che neanche in un film porno e.."
"Magnus, non serve che mi racconti proprio tutto tutto." lo interruppe Alec, piccato.
"Sei geloso, Fiorellino?"
"Geloso? Io? Di te? Ma per favore!" controbattè Alec, sventolando una mano.
Magnus rise, girandosi di lato anche lui per fronteggiarlo. "Ti sentiresti meglio se ti dicessi che il sesso con te è decisamente di un altro livello rispetto a quello con lei?"
"No, perché non mi interessa." replicò Alec, sostenuto. "Va avanti e, per favore, evita di scendere troppo nei dettagli, grazie."
Magnus ridacchiò e proseguì. "La nostra era una storia basata puramente sul sesso, almeno da parte mia." specificò. "Ci incontravamo negli hotel di lusso o, quando voleva essere davvero trasgressiva e giocare con il fuoco, mi invitava a casa sua."
"Che aveva di particolare casa sua da essere considerato un luogo trasgressivo?"
"Camille era sposata."
Alec svirgolò le sopracciglia. "Hai avuto una relazione con una donna sposata?" esclamò scandalizzato.
Magnus fece spallucce. "Lei era insoddisfatta del suo matrimonio, cercava qualcuno per evadere dalla sua routine ed io sono stato più che felice di accontentarla."
"E non ti disturba il fatto di esserti intromesso in un matrimonio?" domandò Alec, sempre più indignato.
"Perché dovrebbe disturbarmi?"
"Perché essere l'amante di qualcuno è degradante, oltre che estremamente scorretto!"
Magnus roteò gli occhi. "Oddio quanto sei palloso." sbuffò forte. "Essere l'amante di qualcuno non è degradante. Al contrario, è estremamente eccitante. Lei era insoddisfatta e io ho appagato le sue voglie." spiegò, con ferrea logica.
"Già, ma dopo tornava da lui." lo contraddisse Alec, asciutto. "Non restava con te. Le avrai anche fatto toccare il cielo con un dito, per un'ora o due, ma non ha lasciato il marito. E' rimasta con lui."
"Beh, ma a me andava bene così, non volevo una relazione seria." chiarì Magnus. "E poi non lo avrebbe mai lasciato. Mai."
"Perché? Ti ha rifilato la solita frottola che lo amava troppo o che lui non poteva vivere senza di lei?" chiese Alec, scettico.
"No, perché Camille è.. era.. ohhh non lo so.. comunque suo marito è Valentine Morgenstern."
Alec scattò a sedere. "Tu eri l'amante della moglie di Valentine Morgenstern?" gridò, sgomento.
Magnus gli tirò un pugno su un fianco. "Perché non lo urli un po' più forte? Non sono sicuro che ti abbia sentito tutta New York, sai?!"
"Oddio.." gemette Alec, tornando a stendersi lentamente di fianco a lui. "Tu.. lei.."
Magnus annuì.
"Per l'angelo, come fai a trovare eccitante il fatto di essere l'amante della moglie di una delle persone più pericolose della città? Sei masochista per caso?"
"Il rischio di essere scoperti è uno degli afrodisiaci più potenti, non lo sai? Te l'ho detto che il sesso era grandioso e.."
"Tu non stai bene!" sentenziò Alec, secco, scuotendo la testa.
Magnus roteò, per l'ennesima volta, gli occhi. "Sarai normale tu, che il massimo del rischio che affronti è quello di bere una tisana energizzante, anziché rilassante, prima di andare a letto!"
Alec, per tutta risposta, gli fece il dito medio.
"Volgare." ribattè Magnus, sorridendo, poi gli raccontò tutto. E più andava avanti con la storia, più gli occhioni blu di Alec si sgranavano, increduli.
"Non hai chiamato la polizia?"
"No."
"Perché no?" chiese Alec, sconcertato.
"Stiamo parlando di Valentine Morgenstern. Hai presente? Hai anche una causa aperta con lui, no?" chiese Magnus, sarcastico.
"Certo che ho presente il soggetto." rispose Alec, guardandolo malissimo. "Ma non chiamare la polizia ti ha reso complice di un possibile reato. Era tuo dovere denunciarlo!"
Magnus sbuffò. Quel benedetto ragazzo aveva tanti bei pregi, davvero, era leale, era sincero, si assumeva responsabilità che non gli competevano, ma, seriamente, era anche il più grande rompicocomeri che avesse mai incontrato eh. Non gliene faceva passare una, per Lilith!
"E sentiamo, signor So Tutto Io, cosa avrei dovuto dire alla polizia? - Buongiorno agente! La chiamo per dirle che mi sono appena introdotto illegalmente nella casa di Valentine Morgenstern per recuperare il portafoglio che ho perso mentre mi sbattevo sua moglie, sulla sua scrivania, e volevo segnalarle che c'è un'enorme, gigantesca, pozza di sangue che fa bella mostra di sé sul tappeto persiano dello studio e che prima, invece, non c'era! - ?" domandò Magnus, sarcastico.
Alec lo fulminò con lo sguardo. "Poteva essere una conversazione valida, sì."
"Ma per favore!" esclamò Magnus, sbattendo la testa sul cuscino. "Avrebbero arrestato me, non Valentine! Poi mi avrebbero spedito dietro le sbarre e Morgenstern mi avrebbe fatto uccidere da uno dei suoi! Ecco come sarebbe andata!"
"Questo non puoi saperlo."
"Davvero, Alexander? Sul serio? Saresti pronto a metterci la mano sul fuoco? Seriamente pensi che questa ipotesi sia folle ed avventata?"
Alec aprì la bocca, pronto a replicare, ma poi la richiuse bruscamente.
"Ecco, appunto." disse Magnus, serio.
"Quindi cosa hai fatto?"
"Sono scappato a gambe levate! Cosa avrei dovuto fare? Ed è stato mentre scappavo che.."
"Che?"
Magnus lo guardò, esitante. "Ero nel panico, correvo come un disperato e.. una ragazza.. lei.. lei stava prendendo un taxi e io le sono piombato addosso come un treno ad alta velocità. Quando l'uomo, che mi stava rincorrendo, urlò di nuovo, non ricordo cosa, devo esserle sembrato davvero disperato perchè mi ha afferrato per il braccio e mi ha gettato dentro al taxi. Ancora oggi sono fermamente convinto che se lei non avesse avuto la prontezza di spintonarmi nel taxi, forse a quest'ora non sarei qui, ma sotto metri di terra o a far compagnia ai pesci." deglutì Magnus, chiudendo per un attimo gli occhi, al ricordo. "Le devo la vita. Capisci?"
Alec annuì. "Deve essere una persona molto importante per te."
"Lo è.. lo era."
"Oh.. mi dispiace, Magnus." sussurrò Alec, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice.
Magnus deglutì, distogliendo lo sguardo. "Lydia." bisbigliò.
"Cosa?" chiese Alec, bloccando le sue carezze.
"La.. la ragazza. Era Lydia." confessò piano, tornando a guardarlo. "Quel giorno.."
"Il 30 giugno." commentò Alec, asciutto.
"Come lo sai?" chiese Magnus, sorpreso.
"Aline."
"Chi?"
"E' l'amica che ho incaricato di investigare su di te."
"Oh. Quindi.. quindi sai come è andata quel giorno."
Alec scosse piano la testa. "So solo che, quel giorno, siete saliti entrambi sulla Queen Mary 2."
Magnus annuì. "Era sola e si vedeva chiaramente che non stava affatto bene. Il pancione era enorme e lei era sofferente." ricordò. "Era bisognosa d'aiuto tanto quanto lo ero io e ci siamo dati una mano a vicenda. Pagò il mio biglietto, permettendomi di lasciare la città, e durante la traversata siamo diventati amici. Non ha mai voluto dirmi chi era il padre del bambino e io non l'ho mai forzata a parlarne. Non mi sembrava giusto, non dopo che lei non fece commenti su come ero conciato o su quello che mi era successo, capisci? Quando sbarcammo in Inghilterra è entrata in travaglio e, prima di entrare in sala parto, mi fece giurare che mi sarei preso cura di Max, che l'avrei protetto sempre. Morì dandolo alla luce." sussurrò triste.
Alec non disse una parola e si girò per guardare il soffitto.
"Quando Jace si è presentato alla mia porta mi è crollato il mondo addosso." continuò Magnus.
"Non ti è mai venuto in mente che Lydia aveva una famiglia? Che il bambino aveva una famiglia?" chiese Alec, duro.
"Anche se le cose fossero state diverse, non avrei mai riportato Max qui. Non sarei mai tornato se tu non avessi mandato qualcuno a cercarlo. Sono un grandissimo egoista, lo so, ma Max è tutto il mio mondo. Crescerlo mi ha insegnato molte cose, mi ha cambiato, mi ha aiutato. E' stato il regalo più bello che la vita mi abbia mai donato e sapere che avrei dovuto dividere il suo amore con qualcun altro.. beh, non è stato affatto facile." rispose Magnus, con sincerità. "Ti ho odiato dal primo secondo in cui sono venuto a conoscenza della tua esistenza. Nella mia mente, tu non eri mai stato preso in considerazione. Non esistevi."
Magnus sapeva di rischiare moltissimo, con quelle parole, perché Alec poteva benissimo alzarsi da quel letto, girargli le spalle e spazzare via quel fragile legame che avevano costruito in quella mattinata, ma non voleva più mentire. Non a lui, almeno.
Alec voltò la testa per guardarlo a sua volta. "Non devi dividere niente con nessuno, visto che mi odia." replicò sarcastico.
Magnus roteò gli occhi. "Non ti odia." lo rassicurò. "Non ti conosce. E' diverso."
Alec gracchiò una risata. "Sì, certo." rispose, tornando a fissare il soffitto.
"Se iniziaste a parlare l'uno con l'altro, magari questo clima di indifferenza, che avete instaurato tra di voi, cambierebbe." esclamò Magnus. "La tua mancanza di interesse nei suoi confronti lo scoraggia a cercare un approccio. Smettila di fare il bambino e comportati da adulto!" lo bacchettò, spintonandogli il braccio.
"Io faccio l'adulto." rispose Alec, piccato. "Gli ho anche rivolto la parola in più di un'occasione eh!"
"Ma davvero?" replicò Magnus, scettico.
"Gli ho chiesto se gli piacciono i cavalli." ribattè Alec, indignato, massaggiandosi il braccio. "Ma tuo figlio.."
"Nostro figlio." lo corresse Magnus.
Alec alzò gli occhi al cielo. "Nostro figlio non ha emesso una parola o un suono. Niente."
"Perchè lo metti in soggezione!"
"Ma fammi il piacere! Mi odia. Semplice."
Magnus si ributtò sul suo cuscino, allargando le braccia, esasperato. "Per Lilith! E poi dicono che sono io il re del dramma!"
"Lo sei." confermò Alec, annuendo energicamente.
"Beh, tu mi stai battendo alla grande!" replicò, tirandogli un calcio.
"Ma la smetti di picchiarmi?"
"Ma se ti ho appena toccato!"
Alec roteò gli occhi, poi sospirò. "Ho chiesto al signor Fell di procurare un pony per Max. Lo porterà nelle scuderie oggi stesso e potrebbe anche dargli la sua prima lezione, se lo vuole."
Magnus si alzò di scatto sui gomiti. "Davvero?" chiese, guardandolo con gli occhi carichi di gratitudine.
Alec fu colpito, ancora una volta, da quanto la felicità di quell'uomo dipendesse da quella del bambino. Se Max era contento, automaticamente lo era anche Magnus.
"Max sarà felicissimo! Ha sempre amato i cavalli, ma, vivendo a Londra, non ha mai avuto occasione di imparare a cavalcare." si entusiasmò Magnus.
"Bene, sono contento di aver finalmente fatto una cosa giusta." esclamò Alec, leggermente divertito. "E tu? Cavalchi?"
Magnus stava per scuotere la testa, ma ci ripensò e sorrise malizioso. Si alzò piano, andando poi a sedersi sul bacino di Alec. "Sì, so cavalcare. E, modestia a parte, lo so fare anche piuttosto bene." rispose, ammiccando.
Alec arrossì. "N-non intendevo questo." balbettò, impacciato.
"Questo cosa?" chiese Magnus, con finta innocenza.
Alec boccheggiò quando l'altro iniziò a strusciarsi, piano, su di lui.
"Ho una domanda ed una richiesta da farti." sussurrò poi Magnus.
Alec gli arpionò il sedere. "Q-quali?"
"Come sta il tuo piede?" chiese Magnus, continuando a scontrare il suo bacino con quello dell'altro.
Alec gemette, inarcando la testa.
"Alexander!" lo ammonì Magnus, schiaffeggiandogli piano una coscia con un sorriso divertito. "Concentrati."
"C-cosa?" domandò Alec, iniziando a sentire il respiro affannoso.
"La tua caviglia. Riesci a muoverla bene?"
"S-sssì!" esalò Alec, con un sospiro strozzato.
"Tanto da poter cavalcare?"
"C-cosa?" chiese Alec, tentando di stare davvero attento a quello che gli stava dicendo l'altro.
"Poi cavalcare?" domandò, di nuovo, Magnus.
"Ca.. per l'angelo!" gemette Alec, stringendo con più forza le natiche dell'uomo. "C-cavalcare sul.. sul serio?" biascicò senza fiato.
"Cavalcare un cavallo vero, sì." ridacchiò Magnus, piegandosi per mordicchiargli il mento.
"S-sì. Credo.. credo di sì."
"Bene." annuì soddisfatto Magnus, allungandosi per prendere il lubrificante. "Allora passiamo alla richiesta. Voglio due ore al giorno del tuo tempo."
Alec serrò gli occhi quando il bacino di Magnus strusciò con più decisione su di lui. "Non.. non è una richiesta! E'.. cazzo.. è.. è un ordine!" riuscì a dire, faticando, non poco, a restare lucido. "E per.. per fare cosa poi?"
"Per stare con Max."
Alec spalancò gli occhi. "Cosa?" chiese, dimenticando per un momento il piacere che l'altro gli stava procurando.
"Voglio due ore al giorno del tuo tempo per stare con Max." ripetè Magnus, aprendo il lubrificante ed iniziando a toccarlo nella sua zona erogena.
Alec gemette forte. "S-sei sleale." riuscì poi ad esalare.
Magnus sorrise, orgoglioso. "Grazie. Mi impegno parecchio per esserlo." replicò, baciandolo profondamente. "Ho la tua parola?" gli chiese, quando si staccò, dopo un po', dalle sue labbra.
"Va.. va bene." rispose Alec, senza fiato.
Magnus sorrise trionfante, prima di dedicarsi totalmente a lui e portarlo verso le cime del piacere.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


"Un'ora."
"Due."
"Una!"
"Ma me ne hai promesse due neanche quaranta minuti fa!"
"Non posso dedicargli due ore." protestò Alec, con le guance imporporate al ricordo di come l'altro era riuscito a strappargli la promessa. "Primo, perchè mi hai estorto quell'impegno con la forza e.."
"Esagerato!" sbuffò Magnus, roteando gli occhi. "E poi non mi pare che ti sia dispiaciuto così tanto, soprattutto quando hai urlato "Lì, Magnus, ohhh sì! Proprio lì!", eh!" lo punzecchiò con un sorriso a trentadue denti.
"E secondo.." lo ignorò Alec, con il viso completamente in fiamme, mentre gli lanciava un'occhiataccia. "..il processo sta per terminare e non ho tempo da perdere."
Magnus inspirò bruscamente, portandosi la mano al petto. "Ritira subito quello che hai detto!" si indignò, spalancando gli occhi. "Non è affatto tempo perso!"
"Sai cosa voglio dire." si giustificò Alec, con un sospiro, mettendosi seduto sul letto. "Magnus, sul serio, posso concederti un'ora. Non di più."
"Due."
"Una. E, se posso permettermi, ti suggerisco di non forzare le cose per creare un legame tra me a Max." lo esortò Alec, in tono gentile. "Abbiamo bisogno di tempo. Entrambi."
"Appunto!" esclamò Magnus, schiaffeggiandolo su un fianco. "Avete bisogno di passare del tempo insieme ed è quello che sto cercando di realizzare!"
Alec scosse la testa. "In tua assenza abbiamo consumato dei pasti a dir poco silenziosi. E ti giuro che mi sto trattenendo per non descriverli in maniera più offensiva." lo informò, lanciandogli un'occhiata eloquente. "Max si rifiuta di dire anche solo una parola o di alzare lo sguardo dal piatto. Il suo ostinato silenzio non è piacevole, ma forzarlo, a fare qualcosa che detesta, difficilmente migliorerà le cose."
"Gli parlerò io." ribattè Magnus, determinato. "Un'ora comunque non è sufficiente. E che cavolo, non fai neanche in tempo a sellare il cavallo e a salirci in groppa!"
"Primo, i cavalli saranno sellati dal signor Fell e, secondo, quanto tempo pensi che ci voglia per montarci sopra?" chiese Alec, incredulo. "E' un cavallo, santo cielo. Non stiamo mica parlando di scalare una montagna!"
"Solo perché ci sei abituato, la fai facile." si imbronciò Magnus, incrociando le braccia al petto. "Max non ha mai cavalcato! Potrebbe cadere, potrebbe avere paura di avvicinarsi a quel bestione, potrebbe.."
"Magnus.." lo interruppe Alec, massaggiandosi il setto nasale. "Stiamo parlando di un pony alto un metro e mezzo. Il peluche che ha in camera, a forma di orso, è molto più grande. Per dire." spiegò, calmo. "Prende uno sgabello e ci salta su!"
"E se cade mentre ci salta su? Eh?" lo scimmiottò Magnus. "Ci hai pensato?"
Alec alzò gli occhi al cielo. "Lo faccio sedere io sulla sella, va bene mamma chioccia?"
Magnus gli lanciò un'occhiataccia, mentre si drizzava anche lui.
"Per l'angelo, Magnus! Non è che partiremo al galoppo, mentre il vento ci sferza il viso e ci scompiglia i capelli, eh!" sbuffò Alec. "Anzi è già tanto se lasceremo il recinto!"
Magnus assottigliò lo sguardo, per nulla convinto. "Tu sai, vero, che se gli succede qualcosa ti strapperò il cuore dal petto e me lo mangerò con un bel piatto di fave ed un buon bicchiere di Chianti?"
Alec lo guardò, per nulla impressionato. "Ti stai davvero paragonando ad Hannibal Lecter? Sul serio?" gli chiese, con un sorriso storto. "E, comunque, lui si era mangiato il fegato, non il cuore."
Magnus scrollò le spalle. "Il risultato non cambia. Mentre sorseggerò del buon vino, ti osserverò morire lentamente, guardando con soddisfazione lo squarcio sanguinolento nel tuo petto."
"Re del dramma.. e pure piuttosto macabro!" rispose Alec, alzando nuovamente gli occhi al cielo e scuotendo piano la testa. "Lo terrò a mente, ok? Riferiscigli che dovrà alzarsi presto. Passeremo un'ora, insieme, al mattino. Fai in modo che domani, alle sette, si presenti alle scuderie."
Magnus lo fissò a bocca aperta, troppo sconvolto per contestare nuovamente l'esiguo lasso di tempo che i due avrebbero passato insieme. "Alle.. alle sette? Ma è notte fonda!"
Alec lo guardò, alzando un sopracciglio, con un sorriso divertito. "Il sole, a quell'ora, è già sorto da un pezzo, sai?"
"Ma.. ma.."
"Niente ma. Alle sette o non se ne fa niente." lo avvertì Alec, puntandogli l'indice contro.
"Così mi uccidi, Alexander." gemette Magnus, ributtandosi a peso morto sul letto.
Alec ridacchiò. "Che c'entri tu?" chiese, con finta innocenza.
Magnus lo incenerì con lo sguardo. "Sai perfettamente che dovrò svegliarlo io perché nessuno, tra i tuoi domestici, lo farebbe al posto mio."
Alec sorrise. "Davvero?"
"Vai a farti fottere." esclamò Magnus, facendogli il dito medio.
"Ci hai già pensato tu." replicò Alec, con soddisfazione.
Magnus lo fissò a bocca aperta. "Chi sei tu e che fine ha fatto tutta la tua timidezza?"
Il viso di Alec si illuminò. "E' andata a farsi fottere anche lei."
"Scurrile." sentenziò Magnus, chiudendo gli occhi e scuotendo piano la testa.
Alec sorrise. "Che ne dici se ti faccio una controproposta?"
Magnus aprì gli occhi e girò il volto per guardarlo, attento.
"Cavalcheremo insieme per tutte le ore che vorrai non appena il processo sarà terminato e, nel frattempo, potremmo passare un'ora insieme, mentre gli insegno a tirare con l'arco."
Magnus lo osservò, sorpreso. "Sei un arciere?"
"Arciere è una parola grossa. Diciamo che me la cavo."
"Davvero?" sorrise Magnus. "Ok accetto la tua controproposta, ma ad una condizione."
"Quale?"
"Che gli impartirai queste lezioni nel pomeriggio. La mattina è un grande, immenso, stratosferico NO!"
Alec scoppiò a ridere di gusto. "Ok, ci sto." acconsentì, stringendogli la mano. "Ma ad una condizione."
Magnus assottigliò lo sguardo. "Quale?"
"Che tu mi dica cosa ti ha detto Max."
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso. "No! Scordatelo! Non posso fare la spia. Gliel'ho promesso." si indignò, imbronciando le labbra.
"Ok, allora cancella tutto quello che ti ho detto." rispose Alec, gesticolando con le mani. "Cavalcheremo, insieme, un'ora dalle sette alle otto del mattino e basta." concluse, scrollando le spalle e muovendosi per alzarsi dal letto.
"Aspetta!!" lo agguantò Magnus.
"Sì?"
Magnus si torturò il labbro inferiore. "E' davvero necessario?"
"Te l'ho già detto, Magnus, il processo sta per terminare e non ho molto tempo da dedicargli, quindi, sì, un'ora è tutto quello che sono disposto a concedere."
"Non quello." sbuffò Magnus, roteando gli occhi. "Quello che mi ha detto Max. E' davvero così importante?"
Alec annuì. "Lo è. Non ti chiederei mai di infrangere una promessa, se non fosse una cosa seria."
"A cosa ti serve?"
"Potrebbe essere utile per la causa che sto seguendo."
Magnus aggrottò la fronte, perplesso. "Ma la tua causa è contro Morgenstern."
Alec gli lanciò un'occhiataccia severa. "Già, anche se tu, questo, non lo dovresti sapere."
Magnus roteò gli occhi, sventolando una mano come per scacciare una mosca fastidiosa. "Il fascicolo era proprio lì, chiunque avrebbe potuto leggerlo."
"Entrambe le volte?"
"Beh.. sì!"
Alec si passò le mani tra i capelli, gemendo.
"Che c'è? E' vero, per Lilith! E, giusto per amore di cronaca, sappi che è un pregio essere curiosi, nella vita." si giustificò Magnus, perorando con fervore la sua causa. "E' qualcosa di fondamentale, di essenziale, se si vuole vivere una vita piena e soddisfacente."
Alec sbuffò un verso strozzato, guardandolo incredulo.
"Ohhh ma che ne vuoi sapere tu!" esclamò Magnus, spintonandolo e facendogli la linguaccia. "Allora, cosa c'entra Morgenstern con l'orfanotrofio?" gli chiese poi, curioso.
"C'entra perché quel posto appartiene a lui e se c'è una possibilità, anche piccola, di mandarlo dietro le sbarre con le informazioni che ti ha raccontato Max.. beh devo sfruttarla!"
Magnus si alzò a sedere di scatto. "Cosa?" urlò. "Quell'essere gestisce un orfanotrofio? Ma non può!"
"Può e lo fa." replicò Alec, con una smorfia. "Quindi, per favore, puoi dirmi cosa ti ha detto Max?"
Magnus sospirò, tentennò un attimo, ma poi vuotò il sacco. "Può esserti utile?" gli chiese, quando terminò il racconto.
"No, purtroppo no." rispose Alec, sospirando deluso. "Il verme che ha spaventato Max è Jonathan, il figlio di Morgenstern." lo informò, con voce spenta.
Per un momento si era illuso, davvero illuso, di avere qualcosa da poter usare contro Valentine, ma, come al solito, aveva fatto un grosso buco nell'acqua.
"Suo figlio? Ma ha detto di chiamarsi Verlac." esclamò Magnus, perplesso.
"Usa quel cognome fittizio per evitare di venire continuamente associato al padre." rispose Alec, scrollando le spalle. "E' del tutto inutile, comunque. E' impossibile non farlo, visto che hanno la stessa indole subdola e cattiva."
"Ho notato. Ha messo le mani addosso a Max e gli ha lasciato un livido enorme sul braccio." sibilò Magnus, appuntandosi mentalmente di farla pagare a quell'individuo che aveva osato toccare il suo bambino.
Alec chiuse gli occhi ed appoggiò la testa al muro, battendola poi piano alla parete. "Posso far partire una denuncia nei confronti di Jonathan, ma con Valentine ho le mani bloccate, dannazione! E' suo figlio che ha strattonato Max e ha minacciato di morte Rafe, non lui. E, tra l'altro, le minacce a quest'ultimo saranno sicuramente smentite."
"Perché?" chiese Magnus, incredulo.
"Perché la controparte affermerà che si tratta di fantasie infantili e, soprattutto, che ci stiamo accanendo sulla famiglia Morgenstern per via della causa in corso."
"Ma non è vero! L'ha minacciato e i bambini lo possono testimoniare!"
"Vorrei che fosse così semplice, davvero, ma non lo è." disse Alec, con un sospiro. "Sono mesi che sto dietro a questo caso, Magnus. Mesi. E, fin'ora, non ho niente di concreto in mano che mi faccia pensare di avere anche solo una possibilità di vincere contro Morgenstern."
Magnus si rabbuiò e si ributtò sul letto. Cosa c'era di così complicato? Quel verme di Verlac aveva minacciato due bambini e solo l'intervento di Clary aveva evitato il peggio. Il suo viso si illuminò lentamente e si alzò di nuovo di scatto, arpionando il braccio di Alec.
"Ahio!" si lamentò Alec, staccando i lunghi artigli smaltati dell'altro dalla sua pelle.
"Clary!" esclamò Magnus, a gran voce.
"La ragazza di Jace? Che c'entra?" chiese Alec, confuso.
"Max ha detto che era all'orfanotrofio e che ha bloccato Verlac prima che tirasse un calcio a lui ed a Rafe." il volto di Magnus si fece tempestoso al ricordo del racconto del figlio.
Alec aggrottò la fronte. "Cosa ci faceva là?"
"Prima non ne avevo idea, ma da quando mi hai detto a chi appartiene l'orfanotrofio.. tutto torna, cazzo!" urlò, battendo il pugno sul palmo della mano.
"Di cosa stai parlando?" chiese Alec, stranito.
"Sapevi che il suo cognome è Morgenstern?"
Alec lo fissò, sorpreso. "La tappetta rossa è imparentata con Valentine?"
"Colgo un certo risentimento nei suoi confronti." indagò Magnus, con un sorriso, socchiudendo gli occhi. "Ma sì. Anzi, ti dirò di più, credo che Clary sia sua figlia!" asserì, con convinzione.
Alec scosse la testa. "No, non lo è. Dalle informazioni che abbiamo sulla famiglia Morgenstern, sono certo che Valentine, oltre a Jonathan, non ha altri figli. Sicuramente è solo un caso di cognome in comune."
"E' sua figlia. Ne sono quasi sicuro!"
"E' quel quasi che non mi convince." esclamò Alec, scettico.
Magnus sbuffò. "Se non è sua figlia, comunque ha sicuramente un legame con Morgenstern!"
Alec indurì improvvisamente i tratti del viso. "Se Jace lo sa, questa è la volta buona che lo uccido e faccio sparire il suo cadavere! C'è in ballo un conflitto d'interessi grande così, cazzo!"
"C'è un'unica cosa che ancora non quadra." borbottò Magnus, massaggiandosi il mento, pensieroso.
Alec però non lo stava ascoltando. "Lo uccido. Giuro, sull'anima di mia madre, che questa volta lo uccido!" digrignò a denti stretti. "Ohhh no! No, sarebbe troppo facile. Non soffrirebbe abbastanza! Gli tingo i capelli di verde fluorescente! No! Lo rapo a zero! No! Gli brucio il guardaroba e.. NO!!! Lo lego e gli scaglio addosso un esercito di anatre!" urlò trionfante, stringendo un pugno, con un luccichìo diabolico negli occhi.
"Ohhh tipregotipregotiprego, se decidi di punirlo con le anatre, voglio esserci anch'io!" lo scongiurò Magnus, con un sorriso enorme, congiungendo le mani.
"Non c'è niente da ridere, Magnus. Jace è in una situazione gravissima! Frequentare la figlia o la nipote (o quel cavolo che è) di Valentine è una cosa inammissibile!"
"E' innamorato." lo giustificò Magnus, scuotendo le spalle. "E poi, finché non parli con lui, non puoi sapere se sa che Clary è una Morgenstern e.." disse, interrompendosi bruscamente, mentre gli occhi diventavano due enormi pozze verdi-dorate. "Oh.mio.Dio. Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima?" esclamò poi, battendosi una mano sulla fronte.
"Pensare a cosa?" chiese Alec, aggrottando la fronte.
"Cazzo! E' così ovvio!" si entusiasmò Magnus, saltellando sul letto.
"Che cosa è ovvio?" chiese Alec, sempre più confuso, mentre veniva sballottato dall'irruenza dell'altro.
"Sapevi che Sheridan la conosce fin da quando sono bambini?" gli chiese Magnus, anziché rispondere alla sua domanda.
Alec lo fissò stranito. "Chi diavolo è.. Ah! Simon?" chiese con un sorriso. "Credo.. sì, credo di aver captato qualcosa quando siamo andati al pub, ma non gli stavo prestando molta attenzione. La musica era davvero alta e poi.. era lui a cianciare!" rispose poi, scrollando le spalle. "E con questo?"
"Sono andato a fare shopping con tua sorella e Stanley nei giorni scorsi ed abbiamo incontrato Clary che usciva da una farmacia."
"Ripeto: e con questo?" chiese Alec, allargando le braccia e faticando non poco a stare dietro al pensiero contorto dell'uomo.
"Beh, sappi che, ad un certo punto, mentre stavamo chiacchierando amabilmente del più e del meno.. davvero, come puoi non adorare Biscottino? E' così deliziosa e gentile. Ha questo visetto dolce che.. e sapevi che sa disegnare davvero bene? E.."
"Magnus!!" lo interruppe Alec, sbuffando ed alzando gli occhi al cielo, esasperato. "Ne abbiamo già parlato. Sii conciso, cazzo! Conciso!" esclamò, gesticolando con le mani.
La mania di quell'uomo di iniziare un discorso per poi perdersi in un altro, e poi un altro ancora, finendo col disquisire di un argomento totalmente estraneo a quello con cui aveva iniziato, era snervante.
"Uff! Che noiosone che sei! Che stavo dicendo? Ah sì, ad un certo punto ha accostato una macchina nera da cui è uscito un tizio che l'ha chiamata signorina Morgenstern e che l'ha informata che suo padre la stava aspettando."
"E quindi?" chiese Alec, al limite della sopportazione, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare l'altro.
"Quando siamo andati al pub e ho chiesto informazioni a Stewart, lui mi ha detto che, in realtà, il cognome di Clary è Fray, non Morgenstern. Fray! E' strano, non trovi? Però poi ho pensato, e questo è merito tuo, te ne do atto, cioccolatino, che se Jonathan si fa chiamare Verlac, per non essere associato continuamente a Valentine, potrebbe farlo anche Clary, no? Che ne pensi?" chiese Magnus, entusiasta, sentendosi improvvisamente il nuovo Sherlock Holmes. "Deve essere per forza così e.. ehm.. Alexander? Stai.. stai bene?"
L'uomo si era accorto solo in quel momento che il volto di Alec era sbiancato e tendeva pericolosamente al cadaverico.
"Non stai per svenire, vero?" gli chiese Magnus, preoccupato, parandosi davanti a lui. "Alexander? Alexander sei ancora con me?" domandò, schioccandogli le dita davanti al viso.
"Ripeti." sibilò Alec, agguantando in una morsa ferrea i bicipiti di Magnus.
"Alexander.." gemette Magnus.
"Ripeti." disse Alec, di nuovo, allentando la presa.
"Cosa?"
"Quello che ti ha detto Simon."
"Che il vero cognome di Clary è Fray e non Morgenstern?" chiese Magnus, perplesso.
Alec scattò come una molla verso la sua scrivania e poi, zoppicando, tornò verso il letto con l'enorme faldone contenente tutte le carte del caso. Posò il tutto sul lenzuolo e sfogliò, come un forsennato, i vari fascicoli, fino a quando non trovò il plico che voleva. Sapeva praticamente a memoria ogni dannata parola scritta là dentro, ma volle comunque verificare quel dettaglio, per togliersi ogni dubbio. Trovò il dossier della donna e lo scorse velocemente.
"Come ricordavo. Eppure hanno lo stesso cognome. Che sia una coincidenza?" chiese, girandosi verso Magnus, ma con la mente altrove. Prese poi in mano una fotografia e la osservò a lungo, in silenzio. "Come ho fatto a non notare la somiglianza?"
"Di cosa stai parlando?" chiese l'altro, tentando di sbirciare la foto.
Alec sospirò, posandosi la fotografia sul petto. "Giurami che quello che sto per confidarti non uscirà da questa stanza." disse poi, guardandolo intensamente negli occhi.
Magnus annuì, si chiuse le labbra con un gesto della mano, girò un'immaginaria chiave e se la gettò dietro le spalle.
"Il caso che sto seguendo ha avuto inizio con l'accusa di una donna nei confronti di Valentine Morgenstern." gli confidò Alec, serio.
"Che tipo di accusa?"
"Violenza ed abuso su minori."
Magnus spalancò gli occhi, gemendo. "Per Lilith.." sussurrò.
"Non è una bella causa, no." ammise Alec, scuotendo piano la testa. "I bambini, oggetto dell'indagine, fanno tutti parte dell'orfanotrofio Il Circolo." continuò poi. "Ho parlato con tutti loro, incluso Rafe, ma fin'ora nessuno ha mai aperto bocca, nonostante abbiano lividi e bruciature, che sono un chiaro segno di maltrattamenti e violenze. Non c'è uno straccio di prova, però, che lo testimoni e la controparte giustifica il tutto come esuberanza infantile. Secondo le loro deposizioni, infatti, i bambini si fanno male cadendo dall'altalena o correndo come forsennati su quel misero prato che si trova dietro l'istituto. Ci crederesti?" chiese, con amaro sarcasmo. "Il problema è che i ragazzini sono troppo spaventati per mettersi contro i loro aguzzini, quindi non parlano e noi non abbiamo nessuna valida testimonianza che possiamo usare contro Morgenstern." disse, girando il volto per guardarlo, mentre Magnus lo ascoltava, attento.
"Dio.. è.. deve essere davvero orribile." bisbigliò Magnus. "Quei bambini.. L'unico luogo che ritieni sicuro, solitamente, è casa tua, ma per loro.. Per Lilith, deve essere un incubo per loro!"
Alec rimase in silenzio a lungo. Alla fine si limitò ad un laconico "Già.", sussurrato con voce roca.
Magnus sentì una stretta al petto. Era certo che anche l'infanzia e l'adolescenza di Alec non erano state affatto un periodo felice. Per tutti i diavoli, ne portava ancora i segni, indelebili, sulla pelle! Non osava, inoltre, neanche immaginare di quali efferate violenze si doveva occupare ora che era cresciuto. Se lui avesse dovuto confrontarsi, tutti i giorni, con quel tipo di abusi di sicuro avrebbe oscillato tra lacrime e rabbia continuamente. Fece scivolare la mano lungo il suo braccio, intrecciò le dita con le sue e gliele strinse rassicurante, tentando di trasmettergli quanto più conforto possibile.
Alec accennò il fantasma di sorriso. "Vuoi sapere come si chiama la donna?"
Magnus annuì energicamente.
"Jocelyn Fray."
"Fray?" chiese Magnus, sorpreso. "Credi possa avere qualche parentela con Clary?"
"Giudica tu." ribatté Alec, girando la foto che aveva in mano per mostrarla finalmente a Magnus.
Una donna dai capelli rossi sorrideva all'obiettivo ed assomigliava in modo impressionante alla giovane che avevano conosciuto all'ospedale, ma con qualche anno di più.
"Oh sì. Sono decisamente parenti." commentò Magnus, prendendogli la fotografia di mano.
"Eppure, secondo le nostre informazioni, la signora Fray non ha né figli né parenti in vita. Quindi, qual è il suo legame con la ragazza?" chiese Alec, rivolto più a se stesso che all'altro, tamburellando le dita sul materasso.
"Perché non lo chiedi alla signora?" chiese Magnus, riportando lo sguardo sulla sosia di Clary.
"Perché é sparita nel nulla! Il giorno prima è venuta nel nostro studio per discutere, come sempre, del caso ed il giorno dopo, puff, di lei si sono perse le tracce. Abbiamo sporto denuncia per la sua scomparsa, ma, ad oggi, è come se si fosse dissolta nel vento."
"Non è che, invece, si è dissolta nell'acido?" chiese Magnus, con macabra ironia.
"Sì, abbiamo pensato anche a questo, ma, anche in questo caso, non c'è uno straccio di prova che Valentine le abbia fatto del male!"
"Ecco! Hai visto?! Eh? E poi ha rotto gli zebedei al sottoscritto perché volevi che denunciassi Valentine!" esclamò Magnus, lanciandogli un'occhiataccia e tirandogli uno schiaffo sulla spalla. "Col cavolo! Non è arrivato al vertice della criminalità, così, per caso!"
Alec sospirò, massaggiandosi la fronte.
"Perché non chiedi a Jace? Potrebbe domandarlo a Clary." propose Magnus.
"Lo escludo." rispose Alec, categorico.
"Perché?"
"Perché devo seppellire il suo cadavere quando tornerò da lui dopo il passaggio dell'esercito di anatre!"
Magnus rise. "Chiediglielo." gli consigliò, colpendogli piano la spalla con la propria.
Alec sbuffò forte. "Va bene, dopo lo chiamo."
Il volto di Magnus si animò. "Aspetta! Mi è venuta un'idea geniale!" esclamò eccitato, saltellando nuovamente sul letto.
"Quale?"
"I bambini difficilmente si fidano degli adulti, specie quelli maltrattati. Perché dovrebbero fidarsi di uno di loro, quando vengono picchiati da un suo simile?" iniziò a blaterare Magnus.
"E quindi?"
Magnus gli rivolse un sorriso enorme. "Max."
"Max?" chiese Alec, perplesso. "Cosa c'entra ora?"
"E' amico di Rafe! Non ho idea di come si conoscano, perché ha completamente saltato quella parte durante il racconto, ma nostro figlio potrebbe scoprire cosa succede all'orfanotrofio, se Rafe si confida con lui, no?"
Alec lo fissò, scettico. "Non credo funzionerà.."
"Ma certo che funzionerà!" esclamò Magnus, orgoglioso, tirandogli un altro schiaffo sulla spalla.
"Magnus.."
"Fidati di me! Funzionerà! Quando c'è l'udienza?"
"Venerdì."
Magnus si picchiettò il mento, pensoso. "Sì, abbiamo qualche giorno di vantaggio."
Alec sospirò, alzando lo sguardo al soffitto. Poteva funzionare? Lo escludeva, ma non aveva niente da perdere, quindi perché non tentare?
"E va bene." concesse con un cenno della testa.
"Perfetto!" esclamò Magnus, battendo le mani soddisfatto. "E ora.. andiamo!"
Alec lo guardò, stranito. "Dove.. dove dobbiamo andare?"
"A farci una doccia." rispose Magnus, come se fosse ovvio, adocchiando l'ora sul display dell'orologio posto sopra al comodino dell'avvocato. "E' quasi mezzogiorno e io muoio di fame! Fare sesso mi mette appetito!" lo spintonò sorridendo, facendolo scendere dal letto senza tanti complimenti. "Su! Muoviti!"
Alec sbuffò, pronto a rifilargli una rispostaccia per quei modi bruschi, quando incespicò nei suoi stessi vestiti e, per non cadere faccia a terra, si ritrovò inginocchiato ai suoi piedi.
"Ommioddio!" cinguettò Magnus, inspirando bruscamente e sventolandosi una mano in volto. "Così? Su due piedi? Abbiamo fatto sesso riappacificatore solo questa mattina!" asserì, fingendosi stupito ed asciugandosi false lacrime. "Ohhh al diavolo. Faremo del gran sesso riparatore ogni volta che bisticceremo!" blaterò, con un sorriso enorme. "Sì, accetto! Dai, sgancia il brillocco!" concluse, porgendogli la mano per farsi mettere un ipotetico anello al dito.
Alec divenne paonazzo. "Cosa.. no.. io.. no.. cioè.. io.. non.." balbettò.
Magnus rise, scuotendo la testa. "Dai, andiamo." ripetè, afferrandolo delicatamente per le braccia ed aiutandolo ad alzarsi.
Alec si rimise in piedi, ma non fece in tempo a ricomporsi che si ritrovò, inaspettatamente, sollevato tra le braccia dell'altro.
"Uhm. Abbiamo preso un po' di peso dall'ultima volta eh?" chiese Magnus, irriverente.
Il viso di Alec prese fuoco. "Mettimi subito giù!" ordinò, con voce stridula.
"Domani devi insegnare a nostro figlio a tirare con l'arco e non voglio assolutamente che tu sforzi inutilmente la tua bella caviglia." replicò Magnus, dirigendosi verso il bagno.
"MAGNUS!!! Cazzo!! Non sto scherzando!" esalò Alec, a corto di fiato. "Mettimi giù immediatamente!"
"Non discutere, principessa." rispose Magnus, facendogli l'occhiolino e chiudendo, con un calcio, la porta del bagno dietro di loro.

Presidente fece un balzo scomposto, poi, una volta posate nuovamente le zampe a terra, schizzò via alla velocità della luce, non prima di aver esternato tutto il suo disappunto arruffando il pelo e soffiando in direzione dei tre umani che si trovavano ad una decina di metri da lui.
"Ok. Hai quasi infilzato il gatto, ma almeno ti stai avvicinando al bersaglio." sospirò Alec, grattandosi una guancia con la punta dell'indice.
Max gli lanciò un'occhiataccia, mentre incoccava un'altra freccia. Alzò faticosamente l'arco e rilasciò senza neanche concentrarsi sulla mira. La freccia si conficcò nel terreno a pochi metri da lui.
"Mirtillo, pasticcino di papà, sei sicuro che non sia troppo pesante quell'arco?" chiese Magnus, dubbioso, osservando preoccupato l'attrezzo in mano al figlio, che sembrava avere tutta l'aria di essere un macigno pronto a spezzargli il braccio.
Max scosse la testa. Non era colpa dell'arco, era lui ad essere totalmente negato per quell'attività! Nonostante gli piacesse tenerlo in mano e si fosse sentito elettrizzato all'idea di usarlo, aveva scoperto che scoccare una freccia non era affatto facile come aveva sempre pensato. Aveva visto centinaia di film (di cui uno la sera prima, su consiglio di suo padre, il quale aveva blaterato come fosse necessario essere sempre preparati, anche solo mentalmente, ad ogni tipo di attività, ed in cui c'era un arciere bravissimo di nome Legolas) e di cartoni animati in cui il protagonista centrava il bersaglio con una facilità disarmante, ma lui faticava anche solo ad avvicinarsi a quel coso di paglia! Per non parlare delle regole che servivano sia per non farsi male che per tirare! L'avvocato ci aveva impiegato una buona mezz'ora per spiegargli il tutto, ma tra l'imbracatura, la postura da tenere a mente e la difficoltà di alzare l'arco senza che il braccio tremasse in modo incontrollabile, neanche fosse fatto di gelatina, Max era esausto.
"Vuoi riprovare?" lo incoraggiò Magnus, baciandogli una tempia.
Max annuì e tirò di nuovo su l'arco.
"Fermati." gli ordinò Alec, osservandolo. "Se non ti concentri, non arriverai mai vicino all'obiettivo. Ricordati cosa ti ho detto sulla posizione. Perpendicolare al bersaglio ed alla linea di tiro."
Max sbuffò, ma seguì le direttive.
"Incocca la freccia e posiziona le tre dita per tenerla appoggiata sulla corda." continuò Alec, andandogli vicino e controllando che eseguisse correttamente quanto gli stava dicendo. "Alza le braccia e tendi l'arco. Ecco, così." disse, annuendo quando il bambino compì il gesto corretto. "Ok, mira al bersaglio e poi rilascia la freccia rilassando le dita della mano."
Max scoccò e, questa volta, la freccia centrò il cerchio più esterno del bersaglio.
"Bravo Mirtillino!" esclamò Magnus, saltellando e battendo le mani, entusiasta.
"Non male." concordò Alec, con le mani sui fianchi.
Max sorrise, soddisfatto, e riprovò, ripetendo mentalmente tutti i passaggi ed andando a segno nuovamente.
"Non male? Ma hai visto che roba? Il mio cuore di panna è fantastico!" dichiarò Magnus, orgoglioso, congiungendo le mani e portandosele al viso, mentre le guance di Max si coloravano per l'imbarazzo.
Alec alzò gli occhi al cielo, poi guardò il suo orologio. "Ok, tempo scaduto. Continueremo domani, va bene?"
"E' già passata un'ora?" protestò Magnus, aggrottando la fronte.
"Sì ed io devo tornare al lavoro."
"Altri dieci minuti?"
"Magnus.."
"Ma sono solo altri dieci minuti! Non ti sto mica chiedendo un'altra ora." si lamentò Magnus. "Anche se me ne avevi promesse due." borbottò in un sussurro.
Alec lo fulminò, incrociando le braccia al petto.
"Oh per tutti i diavoli. Sono solo altri dieci minuti e.." continuò Magnus, interrompendosi poi di botto, sorpreso, quando Max gli mise in mano l'arco. "Che.. che fai?"
Max, per tutta risposta, gli sorrise, lo salutò con la mano e poi corse a perdifiato verso il boschetto.
Il padre fissò, a bocca aperta e con sguardo offeso, quel traditore del figlio che l'aveva lasciato là, come un baccalà, nonostante si stesse battendo per lui ed il suo diritto di passare del tempo con Alec. Quella piccola pulce dispettosa! Gli avrebbe fatto una ramanzina più tardi, questo era poco, ma sicuro!
Alec si morse l'interno delle guance per non sorridere. "Allora, vuoi provare anche tu?" chiese, indicando, con un cenno della testa, l'arco che l'altro teneva in mano.
Magnus assottigliò lo sguardo. "Non dovevi tornare a lavorare?"
Alec scrollò le spalle. "Se non sei in grado, basta dirlo." lo stuzzicò.
Magnus si morse il labbro inferiore, indignato. "Certo che sono capace! Che ci vuole?"
Incoccò, con non poca difficoltà, una freccia, alzò l'arco e tirò di getto, convinto che fosse un gioco da ragazzi. La freccia, però, andò a conficcarsi nella corteccia di un albero che non si trovava neanche vicino al bersaglio.
Alec, dietro di lui, premette con forza le labbra una sull'altra e tossì per mascherare la risata che gli era salita in gola.
"E' stato un tiro sfortunato." minimizzò Magnus, senza neanche voltarsi a guardarlo. "Posso riprovare?"
"Sicuro." annuì Alec, passandogli un'altra freccia.
Il secondo tiro si afflosciò ad una manciata di metri da lui.
"Nei film sembra più facile." borbottò Magnus, imbronciato, girandosi per fronteggiare l'altro.
Alec sorrise e, senza dire una parola, prese una freccia, la incoccò e, con un movimento fluido ed esperto, tirò su l'arco e prese la mira. Prima di rilasciare guardò Magnus e scoccò, lasciando lo sguardo incatenato al suo.
Magnus voltò repentinamente il viso per vedere dov'era finita la freccia, convinto che si fosse conficcata in qualche albero o che avesse sorvolato il bersaglio per poi sparire nei cespugli che si trovavano dietro di esso. Spalancò gli occhi, incredulo, quando vide che, invece, si trovava nel centro esatto del bersaglio.
"Come ci sei riuscito?" gli chiese, sbalordito.
Alec scrollò le spalle. "Te l'ho detto. Me la cavo."
"Sapresti rifarlo?"
Alec ripetè il gesto e, di nuovo, la freccia andò a conficcarsi nel centro.
"Cazzo!" sussurrò Magnus, ammirato. "Sei bravo." si complimentò. "Ma scommetto che non sei in grado di metterne a segno tre su tre."
Alec alzò un sopracciglio, scuotendo piano la testa. "Non dovresti scommettere su questo genere di cose."
"Perché no? Ansia da prestazione, Lightwood?" lo stuzzicò Magnus, con un sorrisetto.
Alec scrollò le spalle, per poi dare un'occhiata all'orologio. "Sono in ritardo.." constatò.
"Se non sei in grado, basta dirlo." lo scimmiottò Magnus, ironico.
Alec alzò gli occhi al cielo, prima di scoccare la terza freccia che andò ad infilarsi in una delle frecce già presenti nel centro del bersaglio.
"E che cazzo!" urlò Magnus, sgomento, spalancando le braccia. "Chi diavolo sei? Robin Hood?"
Alec ridacchiò. "Ok, devo proprio andare. Ci vediamo più tardi, Bane." lo salutò, mentre si dirigeva verso casa.
Magnus accennò un debole saluto, mentre ancora non riusciva a staccare gli occhi dal bersaglio.
"Oh.. Magnus?"
"Cosa?" si rianimò l'altro, guardando l'avvocato.
"Preparati alla penitenza." lo avvisò Alec, facendogli l'occhiolino, per poi allontanarsi.
Magnus trattenne il fiato, per quella velata (ma neanche tanto) minaccia, dilatando poi gli occhi quando la sua mente ricordò nuovamente il dettaglio della conversazione avuta con Verlac.
Sapevi che Alec Lightwood sa a chi ha aperto le gambe quella sgualdrina di sua moglie, mentre lui giocava a fare il Robin Hood dei poveri in stupidi tornei?
Quello stronzo! L'aveva ingannato! Gli aveva fatto credere che non era granchè nel tiro con l'arco ed, invece, partecipava ai tornei! In un lampo gli tornò alla mente la conversazione avuta con Hodge. Cazzo! Se n'era completamente dimenticato!! Solo ora gli tornava alla memoria che il maggiordomo aveva elogiato le doti da arciere di Alec. Cazzo! Cazzo! E ancora cazzo! Si era fatto fregare come un pivellino!
Ma, quel che era peggio, ora avrebbe dovuto affrontare una penitenza partorita dalla mente contorta di Alec che, da quanto aveva potuto appurare dal giorno prima, non era affatto l'angioletto che poteva sembrare.

Alec ridacchiò, mentre si dirigeva lentamente all'interno della casa.
La vendetta è un piatto che va servito freddo diceva qualcuno e lui aveva tutta l'intenzione di seguire alla lettera quel consiglio.
Se Magnus Bane pensava di averla fatta franca, per quanto successo il giorno prima, quando l'aveva portato in bagno senza tante cerimonie, nonostante le sue accese proteste, si sbagliava di grosso. Sapeva già quale punizione infliggere all'uomo con la cresta, ma non avrebbe scoperto subito le sue carte. Oh no. L'avrebbe lasciato cuocere un po' nel suo brodo, per poi rivalersi su di lui quando meno se lo aspettava.
Un sorriso diabolico gli illuminò il volto, mentre si dirigeva nel suo studio dove, ad attenderlo, c'era suo fratello.
"Perché stai sorridendo?" chiese Jace, sbalordito, quando lo vide entrare.
Alec scrollò le spalle, sentendo che quel sorriso si rifiutava di lasciare le sue labbra.
"Sei inquietante, lo sai?" continuò Jace, faticando a riconoscere il fratello nel tizio sorridente e con gli occhi luccicanti che aveva davanti. "Che hai combinato? Cosa ti è successo?"
Alec sbuffò. "Niente."
"Ohhh adesso sì che ti riconosco." annuì Jace, con un sorriso, quando il fratello si imbronciò. "Allora di cosa volevi parlarmi?"
Alec andò a sedersi dietro la scrivania, fissando poi lo sguardo in quello del ragazzo biondo. "Se ti chiedo una cosa, prometti che sarai del tutto sincero con me?"
Jace fece spallucce. "Certo." rispose, tranquillo. "Cioè.. a meno che non mi chiedi quanto misura il mio p.."
"JACE!" urlò Alec, scandalizzato, interrompendolo.
"Naaa, te lo direi lo stesso." continuò il biondino, come se non l'avesse sentito. "Lo vuoi sapere?"
"Per l'angelo! Perché mai dovrebbe interessarmi una cosa del genere?" gli chiese Alec, con una smorfia disgustata.
"Ma che ne so." sorrise Jace. "Magari vuoi paragonare le mie misure con le tue! E non fare quella faccia! Il mio soldatino è fenomenale!"
"Dio mio." gemette Alec, spalmandosi le mani in faccia. "Cos'hai che non va? Sul serio, cosa c'è che non va in quella tua testa bacata?!"
"E' una domanda o un'affermazione?"
"Lasciamo perdere." esclamò Alec, liberandosi il viso e scacciando quel discorso con un gesto della mano. "Devo farti una domanda seria e mi aspetto una risposta altrettanto seria. Intesi?"
"Signorsì, signore!" rispose Jace, con un gesto militare.
Alec lo guardò malissimo. "Hai bevuto? Sono.." si interruppe, per guardare l'orologio da polso. "..sono solo le cinque del pomeriggio, ma non trovo altra spiegazione."
Jace ridacchiò ed Alec si irritò ancora di più, nonostante sapesse perfettamente quanto il fratello adorasse stuzzicarlo.
"Non riderai più quando vedrai la mole di lavoro che ti sto per affidare." sibilò, per vendetta. "Verrai seppellito da così tante scartoffie che, se il cielo lo vorrà, rivedrò il tuo brutto muso tra un mese. Ecco."
Jace si fece improvvisamente serio. "Ho un appuntamento con Clary, questa sera. Eddai, Alec, non puoi farmi questo!"
Alec sospirò. "Devo chiederti una cosa e mi piacerebbe che tu fossi assolutamente sincero."
Jace annuì, energicamente. Avrebbe fatto di tutto, anche saltare nei cerchi di fuoco, purchè Alec non attuasse la sua punizione.
"Quanto conosci Clary?"
Jace aggrottò la fronte, sorpreso dalla domanda del fratello. "Beh, ci frequentiamo da poco.." rispose, vago.
Alec annuì, sovrappensiero. "Ti.." si interruppe, per schiarirsi la voce. "Ti ha mai parlato della sua famiglia?"
"Perché lo vuoi sapere?"
"Per favore, rispondi alla domanda."
"Non ha una famiglia." rispose Jace, sempre più perplesso. "E' orfana di entrambi i genitori e non ha né fratelli né sorelle."
"E ti ha detto qual è il suo cognome?"
"Alec, si può sapere cosa ti prende?" chiese Jace, iniziando leggermente a spazientirsi per quelle domande senza senso.
"Jace.."
"Uff. Sì! Si chiama Clary Fairchild. Contento?" rispose infine il biondo, sostenendo lo sguardo fisso ed intenso del fratello. Sembrava che lo stesse sondando, quasi si stesse sincerando che gli avesse detto la verità.
Alec iniziò a giochicchiare con una penna, pensieroso. La tappetta rossa, dunque, si era inventata un terzo cognome che le garantiva l'anonimato. Era scaltra. L'avvocato si chiese, non per la prima volta da quando era venuto a conoscenza del vero cognome della ragazza, se non fosse una spia di Morgenstern, se non stesse prendendo in giro suo fratello al fine di carpire informazioni sulla causa in corso, per tentare di scoprire a che punto era il suo lavoro o se c'era qualche remota possibilità che lui riuscisse a vincere contro Valentine. Se da un lato era contento che Jace fosse estraneo ai fatti e non stesse frequentando consapevolmente la probabile figlia del nemico, dall'altro era preoccupato per come sarebbe andata a finire quella storia. Non voleva che suo fratello soffrisse a causa della ragazza dai capelli rossi.
"Alec?" lo chiamò Jace. "Si può sapere perché mi hai fatto tutte queste domande strane su Clary?"
Alec scrollò le spalle, deciso a tenere, almeno per il momento, i suoi dubbi per sé, sui suoi sospetti e sulla presunta vera identità della ragazza.
"Volevo solo sincerarmi che fosse una tipa a posto, tutto qua." minimizzò, con un sorriso storto. "Nonostante tu sia un perfetto imbecille, sei pur sempre mio fratello e non voglio che ti faccia star male." gli rivelò, sincero.
Jace ridacchiò, facendogli poi una linguaccia. "Tranquillo, fratellone. E' perfetta!" rispose, con un sorriso sognante. "Tutto qui? Posso andare?"
Alec annuì, mascherando la preoccupazione con un sorriso.
"Ok, allora torno a lavoro. Stacco un po' prima perché.. sai.. come ti dicevo, ho un appuntamento con Clary e.."
"Vai, Casanova." sorrise Alec, scacciandolo con un gesto della mano. "E salutamela." concluse, per pura cortesia.
Mentre il fratello ricambiava il gesto di saluto, uscendo poi dallo studio, la sensazione che aveva colto Alec si fece più pressante. C'era qualcosa che non quadrava in quella ragazza, lo sapeva, lo sentiva. Non sapeva ancora cosa fosse, ma l'avrebbe scoperto molto presto. Prese in mano il telefono e compose il numero di Aline.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


L'odore del fieno e dei cavalli usciva dalle porte aperte delle scuderie, mescolandosi all'aria fresca del mattino. Max inspirò profondamente, gustandosi il profumo oramai familiare di quel posto che gli penetrava le narici e gli si attaccava alla pelle. Adorava tutto ciò.
Da quando, dopo pochi giorni dal suo arrivo nella tenuta, il signor Fell gli aveva chiesto di aiutarlo ad accudire i cavalli, ogni giorno, prima di recarsi al capanno nel bosco, Max correva nelle scuderie per salutarli e dargli da mangiare.
Qualche giorno prima, inoltre, era arrivato un pony destinato a lui e Max aveva seriamente pensato che, da un momento all'altro, sarebbe scoppiato dalla felicità per quel dono inatteso. Il signor Fell gli aveva detto che avrebbe dovuto attendere un po' prima di cavalcarlo, ma a Max non importava perché, nel frattempo, avrebbe imparato a spazzolarlo senza fargli male, a controllare che gli zoccoli fossero a posto, a sistemare la sella sulla schiena e ad agganciare correttamente le cinghie. Era elettrizzante tutto questo.
Diversi, invece, erano i sentimenti che provava nei confronti dell'autore di tutta quella felicità. Prima il tiro con l'arco, poi il pony e le lezioni di equitazione. L'avvocato, con tutti quei regali inaspettati, lo stava confondendo non poco e Max non sapeva più cosa provare nei suoi confronti.
Aveva il vago sospetto che ci fosse lo zampino di suo padre, dietro a tutto ciò, ma non ne aveva le prove. Era pur vero che Magnus Ti Tolgo L'Anima Bane era piuttosto convincente (per non dire esasperante) quando voleva qualcosa e difficilmente mollava l'osso prima di veder realizzato un suo desiderio. Non si sarebbe affatto stupito, quindi, di scoprire che, proprio come lui, anche l'avvocato era stato leggermente costretto a praticare quelle attività.
La cosa che lo turbava maggiormente, però, era che l'avvocato sembrava comunque interessarsi davvero a lui e, anche se si erano completamente ignorati fino a pochi giorni prima, Max, per qualche strana ragione, ci teneva a fare bella figura ai suoi occhi. Se all'inizio sentiva una profonda irritazione nei suoi confronti, ora non era più così tanto sicuro di quel sentimento. Forse si stava facendo influenzare troppo da suo padre! L'uomo, infatti, aveva iniziato ad elogiarlo e a parlarne bene sempre più spesso e se piaceva al suo papà, significava che, tutto sommato, l'avvocato non era così malaccio come aveva sempre pensato.
Il problema era che non sapeva da dove iniziare, come fare il primo passo per farsi accettare da lui, cosa dire per piacergli o quale atteggiamento tenere per non sembrare un bambinetto sciocco o addirittura fastidioso.
Con le idee confuse salutò il signor Fell, che stava preparando il cavallo del signor Lightwood, e si diresse poi verso il suo pony.
"Oggi è il grande giorno." gli sussurrò, baciandogli il muso ed accarezzandogli il collo.
Quella mattina l'avvocato gli avrebbe dato finalmente la sua prima lezione di equitazione e Max non stava più nella pelle.
Con un sorriso, preparò l'animale per la cavalcata, mettendogli le redini e la sella, proprio come gli aveva insegnato il signor Fell. Una volta terminata l'operazione, chiese all'uomo se aveva eseguito tutto correttamente. Al cenno affermativo del signor Fell, Max fece schioccare la lingua ed il pony lo seguì docilmente verso l'esterno.
"Lui ed i suoi orari del cazzo!" sibilò una voce stizzita, non appena varcò il grande portone della scuderia. "Giuro che questa me la pag.. Oh! Sei qui, Mirtillo." esclamò Magnus, quando lo vide.
Max tossicchiò, nascondendo un sorriso dietro il pugno, mentre osservava il padre che, con aria stralunata, reggeva precariamente, tra le mani, una tazza ricolma di caffè. In pigiama e con i capelli sparati in tutte le direzioni e gli occhi spiritati ed iniettati di sangue, Magnus Bane, alle sei e cinquantasette del mattino, sembrava l'ombra di se stesso.
Max sapeva di essere leggermente ingiusto nei suoi confronti, ma non poteva fare a meno di trovare la cosa estremamente divertente. Era raro, infatti, vederlo conciato in quella maniera.
Max non aveva mai avuto problemi a svegliarsi presto, anzi le prime ore del mattino erano la parte della giornata che preferiva di più. Suo padre, invece, era l'esatto opposto. Era più un animale notturno che, quando spuntava l'alba, si rintanava nel bozzolo caldo del suo letto per uscirne solo verso mezzogiorno, bene che andava. Da quando erano arrivati a New York, forse perché non usciva più la sera per andare per locali, era migliorato parecchio e riusciva a svegliarsi ad orari accettabili, ma quella mattina.. quella mattina era diversa da qualunque altra! Primo perché, effettivamente, era davvero presto e, secondo, perché l'avvocato, con una certa dose di sadismo, aveva tirato giù dal letto suo padre solo mezz'ora prima di quella cavalcata, quindi lui non aveva avuto il tempo né di prepararsi psicologicamente a quella levataccia né di mettere in moto completamente il cervello. Il risultato era quell'essere davanti a lui, che borbottava parole incomprensibili e che sembrava uno zombie appena emerso dal sottosuolo.
"Hai tutto, scimmietta?" gli chiese suo padre, spalancando poi la bocca in un enorme sbadiglio che gli fece lacrimare gli occhi semichiusi.
Max annuì energicamente. "Il caschetto ce l'ho." disse, picchiettando il cap sulla sua testa. "I guanti ce li ho, la tenuta da equitazione pure ed anche gli stivali." concluse alzando un piede per mostrargli la calzatura. "Sono a posto, papino."
Magnus annuì con un altro enorme sbadiglio. "Promettimi che starai attento e.."
"Vedo con piacere che siamo mattinieri." lo interruppe una voce ironica alle loro spalle.
I due si girarono di scatto e videro Alec dirigersi verso di loro, con passo cadenzato ed in tenuta da cavallerizzo.
L'abitudine impedì a Max di parlare, ma lo salutò con un cenno della testa, mentre suo padre, invece, socchiuse gli occhi e gli lanciò un'occhiata che il bambino reputò esageratamente omicida.
"Alec." ringhiò Magnus, a bassa voce, portandosi la tazza alla bocca e continuando a fissarlo torvo.
"Ci si rivede, Magnus. Ciao Max." li salutò Alec, con un cenno della testa ed un angolo della bocca che si piegava all'insù.
Max fissò quella specie di sorriso a bocca aperta. Da quando l'aveva incontrato, non aveva mai visto l'avvocato sorridere. Mai.
Alec incrociò il suo sguardo e Max notò l'espressione curiosa sul suo viso. Proprio come quando gli insegnava il tiro con l'arco, pareva quasi che l'avvocato lo stesse guardando davvero e non con finto interesse. Era una sensazione stranissima.
Max si chiese, non per la prima volta in quei giorni trascorsi insieme in reciproca compagnia, cosa gli fosse capitato, ma il pensiero passò in secondo piano perché, in quel momento, lo impensieriva molto di più il fatto che suo padre sembrasse sul punto di saltargli alla gola per sbranarlo. Non gli aveva mai visto quello sguardo assassino negli occhi! Ma la cosa ancora più bizzarra era che l'avvocato sembrava non dare alcun peso alle occhiatacce di suo padre, anzi pareva quasi che trovasse il tutto addirittura divertente! Robe da matti!
Alec osservò il pony e poi di nuovo Max. "Il signor Fell mi ha detto che è un pony piuttosto focoso. Ci vuole una certa dose di coraggio per salire in groppa ad un animale così vivace, se non hai ancora imparato a cavalcare."
Max non lo guardò, ma avvertì uno strano senso di orgoglio scaldargli le vene. Pensò addirittura se fosse il caso di ringraziarlo o meno per il complimento, ma gli sembrò strano dire qualcosa e più a lungo si rifiutava di parlare con lui, più difficile diventava iniziare a farlo.
"Bene." esclamò Alec, dopo un momento, battendo le mani. "Vogliamo andare?" gli chiese poi.
Max annuì, mentre suo padre borbottò una parolaccia. Il bambino lo fissò, sbalordito: il suo papà non diceva mai le parolacce! Mai! Beh.. quasi mai. Solo quando era molto molto arrabbiato, ma non lo faceva mai in sua presenza e gli scappavano solo quando pensava che Max non fosse nei paraggi.
Anche in questo caso l'avvocato ignorò il suo papà ed il suo sorriso si fece perfino più ampio. Ok, seriamente, cosa era capitato all'uomo serio e taciturno con cui aveva sempre avuto a che fare?
Il signor Fell uscì dalla scuderia per porgere ad Alec le redini del suo bellissimo cavallo nero e l'uomo lo ringraziò, per poi girarsi nuovamente verso Max. "Sei capace di salire in sella? Hai bisogno di aiuto?"
Max scosse la testa e con un gesto impacciato, ma determinato, salì in groppa al suo pony. Si era preparato anche per quello, facendo decine e decine di prove con il suo orsacchiotto gigante, che si trovava in camera sua. Riuscire al primo colpo lo inorgoglì ancora di più.
Alec annuì, non prima di aver rivolto un sorriso compiaciuto verso l'uomo con la cresta. "Davvero bravo." si complimentò. "Ci vediamo più tardi." disse poi, in direzione di Magnus, che continuava a guardarlo in cagnesco.
Magnus si avvicinò a Max, gli accarezzò i capelli e gli strinse piano una mano. "Stai attento, caramellina." si raccomandò nuovamente, per poi rivolgersi al cavallo, afferrandogli dolcemente il muso. "Muffin, per favore, sii gentile con lui, ok?"
"Muffin?" chiese Alec, mordendosi l'interno di una guancia, mentre il pony sbuffava, quasi avesse capito le parole dell'uomo.
Magnus gli lanciò l'ennesima occhiata truce. "L'abbiamo chiamato così. Perché? Qualcosa in contrario?" abbaiò, stizzito.
Alec scrollò le spalle e mascherò la risata con un colpo di tosse. Si girò, pronto a montare in sella, quando Magnus si avvicinò a lui per sussurrargli qualcosa.
Una volta salito agilmente in groppa al suo cavallo, Max notò che il sorriso dell'avvocato gli inghiottiva l'intero volto. Cosa diavolo gli aveva detto suo padre per scatenare una tale reazione?
Alec tirò le redini e fece voltare l'animale verso l'uscita dal recinto. "Andiamo Max?" chiese al bambino, che annuì. "Oh.. eeee Magnus?" esclamò d'un tratto, bloccandosi. "Non hai un bell'aspetto. Forse dovresti riposare un po' di più." lo stuzzicò, scuotendo la testa con fare paternalistico.
Max lanciò un'occhiata perplessa ad entrambi, poi spalancò gli occhi, sbalordito, quando suo padre urlò una sequela di insulti coloriti e fantasiosi in direzione dell'avvocato, che scoppiò a ridere di gusto.
Il pensiero che Max aveva degli adulti si rafforzò ulteriormente. Erano strani, c'era poco da fare. Davvero davvero strani.

Alec non riusciva a smettere di sorridere. Se avesse continuato così gli sarebbe venuta una paresi facciale, ne era consapevole, ma c'era poco che poteva fare. Il suo viso non ne voleva proprio sapere di tornare ad un'espressione neutra, specie se ripensava a quanto successo quella mattina.
In un colpo solo aveva avuto la sua vendetta, per l'incresciosa faccenda della principessa, ed era anche riuscito a riscuotere la vincita della sua scommessa. Era davvero valsa la pena aspettare pazientemente per tutti quei giorni, prima di mettere in atto il suo piano, poiché lo sguardo criminale che Magnus gli aveva lanciato, quando aveva realizzato cosa stava succedendo, sarebbe rimasto impresso nella sua memoria per sempre.
Alle sei e mezza del mattino, si era presentato in camera dell'uomo con la cresta per comunicargli che aveva mezz'ora di tempo per svegliare ed avvertire Max che quella mattina, alle sette in punto, doveva recarsi alle scuderie per la sua prima lezione di equitazione. Magnus aveva sbattuto le sue lunghe ciglia più e più volte, guardandolo confuso, poi, quando il suo cervello assonnato aveva recepito appieno le sue parole, aveva fatto partire una sfilza di insulti, che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto, ed aveva cacciato la testa sotto al cuscino. Alec aveva sorriso ancora di più e gli aveva fatto presente che, avendo perso una scommessa pochi giorni prima, era venuto il momento di pagare pegno. Non poteva proprio sottrarsi alla sua richiesta. Eh già. Doveva alzare il suo bel sedere, senza fare tante storie, ed andare a preparare Max.
"Sono arrabbiato." aveva sibilato Magnus, quando lui ed il ragazzino stavano per partire. "Ne pagherai le conseguenze." aveva concluso con voce roca, agguantandogli con forza una natica. Alec non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, cielo quasi faticava ad ammetterlo tra sé e sé, ma era davvero impaziente di scoprire cosa si sarebbe inventato per avere la sua rivincita.
Uno sbuffo del suo cavallo lo fece ritornare al presente. Battè gli occhi, mettendo a fuoco il paesaggio davanti a sé, e si morse il labbro inferiore, tentando di contenere il più possibile l'eccitazione che sentiva crescergli dentro.
Lanciò un'occhiata furtiva al bambino di fianco a lui, quasi temesse che potesse leggere i suoi pensieri, ma notò che era troppo assorto in un mondo tutto suo per prestare attenzione a lui. Alec si concesse di osservarlo meglio. Era la terza volta che rimanevano da soli e, come al solito, Max non aveva aperto bocca. Era confortante che, almeno, non sembrasse ostile come le altre volte. Non sapeva se fosse merito di Magnus o meno, ma era già qualcosa.
"Pensavo di andare verso il vecchio capanno." buttò lì, per rompere il silenzio, mentre i cavalli camminavano tranquilli lungo il viale che portava oltre il laghetto. "Non vado spesso da quelle parti, ma l'ultima volta che sono venuto a cercarti mi è sembrato il tuo nascondiglio preferito."
Max annuì, distratto. L'uomo non poteva saperlo, ma lui stava tentando strenuamente di rimanere concentratissimo per ricordare alla perfezione quanto gli aveva detto il signor Fell su come governare il cavallo. L'ultima cosa che voleva fare era esibirsi in una figuraccia davanti all'avvocato e ritrovarsi con le gambe all'aria, dopo un'imbarazzante caduta da cavallo.
"Devi tenerlo con mano leggera." lo avvisò Alec, osservandolo. "Sii deciso, quando vuoi che risponda, e non tollerare capricci. Ecco, così." annuì, con un cenno della testa. "Hai un talento naturale, Max."
Max sorrise con timidezza ed arrossì. Grazie al cielo, l'avvocato aveva ripreso ad osservare davanti a sé e non lo stava guardando!
Dopo un po' il sentiero iniziò a snodarsi attraverso gli alberi ed il bambino riconobbe l'ormai familiare strada che li avrebbe condotti al capanno.
"E' sorprendente che tu abbia trovato il cottage poco dopo il tuo arrivo nella tenuta." si complimentò Alec. "Sai, quel capanno in rovina era anche il mio nascondiglio quando avevo la tua età."
Max alzò le sopracciglia, sorpreso, poi lo guardò di sottecchi. Doveva nascondersi anche lui? Da chi? E perché?
"Ho notato che, quando sono venuto a prenderti la volta scorsa, qualcuno ha fatto dei lavori al capanno."
Max serrò le labbra, preoccupato. Non voleva che l'avvocato scoprisse il suo segreto e se la prendesse con lui o con Rafe.
"Ne sono felice." continuò Alec, come se gli avesse letto la mente. "Se conosci la persona che l'ha fatto, o se ti capita di incontrarla, per favore, puoi ringraziarla da parte mia?"
"Va bene." rispose Max, sollevato.
Quando sentì l'avvocato trattenere il fiato, girandosi poi sorpreso verso di lui, si rese conto di aver formulato la risposta ad alta voce. Max arrossì di botto, mentre l'uomo tornava a guardare il sentiero, schiarendosi la gola. Erano le prime parole che gli rivolgeva, se si escludeva quell'imbarazzantissima volta che gli aveva portato Presidente e si era lasciato andare all'esclamazione ovvia ed infantile "Un micio!". Ancora adesso, quando ci ripensava, si tirava una manata in fronte.
Cavalcarono in silenzio per un po' e Max cercò di pensare al modo migliore per tornare a parlare del capanno, indirizzando poi, indirettamente, l'argomento su Rafe. C'erano un sacco di domande, infatti, che avrebbe voluto fargli, visto che era un avvocato. Suo padre gli aveva detto che Alec era uno dei più bravi, nel suo lavoro, e che mandava sempre la gente cattiva in galera, quindi Max voleva tanto chiedergli perché l'uomo biondo e cattivo, che si trovava all'orfanotrofio, non veniva punito per la sua crudeltà. O perché il suo amico Rafe veniva continuamente maltrattato senza che nessun adulto intervenisse e lo aiutasse.
Quando uscirono dal bosco, vide in lontananza il tetto del capanno e pensò che, forse, una volta arrivati a destinazione, avrebbe potuto fargli vedere le migliorie che lui e Rafe avevano apportato a quel posto e parlargli, in qualche modo, del suo amico e della sua situazione.
"Sai.." disse Alec, dopo un po'. "..visto quanto sei bravo a cavalcare, magari potremmo chiedere a tuo padre di unirsi a noi la prossima volta e.."
Un grido acuto trafisse l'aria del mattino, ammutolendo Alec e gelando il cuore di Max.
"Rafe." sussurrò atterrito il bambino, affondando, senza pensarci, i talloni sui fianchi del pony e galoppando verso il capanno, mentre risuonava un altro grido. "RAFE!!" urlò allora, a pieni polmoni, mentre si teneva spasmodicamente alle redini dell'animale.
Il cavallo dell'avvocato lo superò, tuonando, diretto verso la vecchia costruzione e, quando Max riuscì finalmente a raggiungerlo, l'uomo era già smontato per perlustrare il capanno.
"Non c'è nessuno qui." ansimò Alec, andandogli incontro, mentre scandagliava attentamente, con lo sguardo, il panorama attorno a loro.
Quando sentirono il terzo grido, Alec scattò e si inoltrò tra gli alberi. Max scese malamente da cavallo e corse dietro all'avvocato, bloccandosi quando lo vide tirare un pugno poderoso ad un uomo che non riuscì subito ad identificare. Quando lo sconosciuto spinse, con violenza, l'avvocato lontano da sè, gettandoglisi poi addosso, Max finalmente lo riconobbe. Era l'uomo biondo e cattivo dell'orfanotrofio! Cosa ci faceva lì?
Alec schivò un pugno, spostandosi di lato, per poi spingere, con una mossa strana, l'uomo contro un grosso albero. Max non aveva mai assistito ad una rissa vera e propria, ma sperò ardentemente che l'avvocato desse una lezione con i fiocchi a quel mostro. Raccolse da terra un grosso bastone e lo alzò, sopra la testa, pronto ad usarlo nel caso l'uomo avesse bisogno di aiuto. Fu allora che vide Rafe.
Il suo amico era steso a faccia in giù. La maglietta era strappata e si intravedeva la pelle lacerata e sanguinante. Il cuore di Max si fermò, poi iniziò a battere talmente forte da rimbombargli anche nelle orecchie ed una vampata di calore gli percorse l'intero corpo. Gridò disperato e corse da lui, accovacciandoglisi accanto. Lo scosse piano e le lacrime iniziarono a rigargli le guance quando l'amico non solo non rispose, ma sembrava addirittura che non respirasse.
"NO!!" urlò, disperato.
La sua furia esplose e raccolse il bastone, che aveva lasciato cadere quando aveva raggiunto Rafe, girandosi poi verso i due uomini. L'uomo biondo era in ginocchio, sopraffatto dalla forza dell'avvocato.
"L'hai ucciso! L'hai ucciso!" gridò Max, straziato dal dolore e con le lacrime che gli offuscavano la vista.
Si alzò e corse verso l'uomo biondo, abbattendo, con forza, il bastone sulla sua spalla. Mentre sollevava il bastone per colpirlo di nuovo sentì che le braccia forti dell'avvocato lo cingevano, sollevandolo da terra. L'uomo biondo colse al volo quell'opportunità di fuga, si alzò velocemente e scappò, barcollando, nel bosco.
"Lasciami! Lasciami andare!" gridò Max, tentando di divincolarsi dalla morsa d'acciaio dell'avvocato, che gli tolse anche il bastone dalle mani. "L'ha ucciso! Ha ucciso Rafe!"
Le lacrime scorrevano a fiumi sul suo viso e la rabbia e la tristezza gli ribollivano nel petto a tal punto che faticava addirittura a respirare.
"Non la passerà liscia." disse Alec, con voce determinata, ma calma. "Te lo prometto." Lo strinse un po' di più a sé, nel tentativo di calmarlo. "Per favore, ora rimani qui e lasciami guardare il ragazzino." gli sussurrò all'orecchio, posandolo dolcemente a terra.
"No!" rispose Max, scuotendo con forza la testa ed asciugandosi con stizza le lacrime. "Rafe è mio amico! Ha bisogno di me!"
Alec lo guardò, con un'espressione preoccupata. Forse temeva una crisi isterica, ma a Max non importava.
"Va bene." acconsentì l'uomo, girandosi poi verso il corpo inerme di Rafe.
Insieme si diressero verso di lui e Max gli si accoccolò vicino, prendendogli la mano, mentre l'avvocato premeva le dita sul suo collo.
"E' ancora vivo." mormorò Alec, scrutando attentamente il viso ed il corpo del bambino. "Credo che sia svenuto a causa di un colpo alla testa e potrebbe avere anche qualche osso rotto." dichiarò, tastando delicatamente il corpicino di Rafe.
"N-non è la prima volta che lo picchia!" lo informò Max, con voce tremante. "Anche la scorsa settimana aveva dei lividi e.."
"Lo sai da tempo e non l'hai detto a nessuno?" lo interruppe Alec, severo.
Lo sguardo di ghiaccio dell'avvocato fece salire un nuovo groppo in gola a Max. "Io.. io.. m-mi d-dispiace tanto.." balbettò, piangendo. "Rafe mi ha fatto promettere di non dire nulla e p-pensavo che raccontarlo a qua-qualcuno avrebbe peggiorato le cose per tutti e.. M-mi dispiace! Ho detto a papà che R-Rafe era in pe-pericolo e.. mi dispiace." gemette, disperato. "Non sapevo cosa fare.. come aiutarlo.. non potevo dirlo.. non sapevo come.. io.. m-mi dispiace!"
Alec se lo strinse contro il petto, cullandolo. "Va tutto bene, Max." sussurrò, accarezzandogli i capelli ed abbracciandolo stretto. "Non è colpa tua." concluse, baciandogli la testa. "Ma ora devi fare una cosa per me, ma soprattutto per Rafe. Ci riesci?" gli chiese, asciugandogli il viso con un fazzoletto.
Max annuì, tirando su con il naso.
"Corri a casa ed avvisa papà che deve chiamare subito l'ambulanza." disse Alec, prendendolo dolcemente per le spalle. "Corri più veloce che puoi!"
Max guardò prima Rafe, poi di nuovo l'uomo, mordendosi il labbro inferiore. Voleva aiutare il suo migliore amico, ma, al tempo stesso, non voleva lasciarlo.
"Ti prometto che mi prenderò cura di lui finchè non arriverà l'ambulanza." lo rassicurò Alec, guardandolo intensamente negli occhi. "Va bene?"
Max diede un'ultima occhiata a Rafe, poi posò di nuovo lo sguardo sull'uomo ed annuì, deciso.
"Ok, vai!" disse Alec, dandogli un bacio sulla fronte.
Max gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte. "Ti prego, fa che non muoia!"
Alec ricambiò l'abbraccio. "Te lo prometto."
Max si staccò da lui e poi corse via, lasciandolo da solo con il ragazzino. Alec decise di toccarlo il meno possibile, per non recargli ulteriori danni, e gli strinse delicatamente una mano, pregando che Max raggiungesse casa il prima possibile e che i soccorsi arrivassero presto.
Un lieve fruscio alle sue spalle destò la sua attenzione. Girò di scatto la testa, pronto a lottare con le unghie e con i denti pur di difendere il bambino inerme accanto a lui. Giurò che, se fosse stato ancora Verlac, gli avrebbe spezzato gambe e braccia.
Spalancò gli occhi, sorpreso, quando vide la persona che, sporca e tremante, strisciò fuori da dietro un enorme tronco d'albero.
"S-signora Fray?" domandò Alec, attonito.

Magnus si destò, per l'ennesima volta, dal suo sonno agitato ed aprì gli occhi, battendo le palpebre e fissando la semi-oscurità della stanza. Non aveva idea di che ora fosse, ma un tenue raggio di sole illuminava debolmente il fondo del letto ed il silenzio era rotto solo dal leggero respiro di Max, che dormiva profondamente tra le sue braccia. Era arrivata mattina finalmente.
Gli avvenimenti della giornata precedente non erano stati facili per nessuno, anzi erano stati piuttosto sfiancanti, soprattutto per suo figlio, e Magnus fu felice di vedere che, nonostante questo, stesse ancora dormendo sereno. Lui, invece, aveva riposato malissimo e gli sembrava di non aver dormito affatto.
Baciò la testa del bambino, protendendosi poi verso il comodino per cercare, a tentoni, il cellulare appoggiato sopra di esso. Diede un'occhiata all'ora e fece una smorfia. Lei sei del mattino. Per Lilith, doveva assolutamente tornare a dormire! Non poteva alzarsi così presto per due mattine di seguito. Ne andava della sua salute!
Chiuse di nuovo gli occhi ed impose alla sua mente di riaddormentarsi, ma il sonno non ne voleva proprio sapere di tornare. La tentazione di girarsi e rigirarsi e rigirarsi ancora, tra le lenzuola, era forte, ma con Max al suo fianco se ne stette immobile a fissare il soffitto, completamente lucido e sveglio.
Dopo un paio di minuti, imprecò tra sé e sé e, con uno sbuffo spazientito, alzò delicatamente il braccio del figlio, che gli cingeva la vita, e si liberò dal suo abbraccio. Max si mosse appena quando lui gli rimboccò meglio il lenzuolo.
Si fece una doccia veloce e poi uscì, silenziosamente, dalla sua camera. Visto che non riusciva a prendere sonno, tanto valeva andare a fare una passeggiata per tentare di sgombrare la mente dai pensieri che continuavano ad assillarlo dal giorno prima.
Si chiuse dolcemente la porta alle sue spalle e buttò inconsciamente, quasi fosse diventata un'abitudine, un'occhiata alla porta di Alec che trovò leggermente aperta. Aggrottò la fronte e si diresse verso quella direzione. Che anche lui non riuscisse a dormire? Comprensibile, visto che, quel giorno, ci sarebbe stata la sentenza definitiva.
"Alec?" chiamò piano, bussando appena e scostando un po' di più la porta, giusto per riuscire ad infilare la testa e sbirciare all'interno della stanza. Fu davvero per un soffio che non gridò, quando si trovò, inaspettatamente, il viso dell'altro davanti al naso.
"Che ci fai qui?" bisbigliò Alec, aggrottando la fronte.
Magnus si portò una mano al petto, inspirando ed espirando profondamente, e poi tossì, cercando di ricomporsi. Non gli stava affatto per venire un infarto. Assolutamente no.
"N-niente!" borbottò, col fiato corto. "Avevo.. ho visto la tua porta aperta e volevo vedere se stavi bene."
Alec sorrise. "Sto bene, grazie."
"Come mai sei già sveglio? Anche tu hai difficoltà a dormire?"
Il sorriso di Alec si fece più ampio. "Magnus, mi sveglio sempre presto. Piuttosto dovrei essere io a chiederti se stai bene, visto che sono le sei."
Magnus fece spallucce. "Non riuscivo a dormire."
"Com'è che ieri mattina non eri così pimpante?" domandò Alec, ridacchiando.
Magnus lo fulminò con lo sguardo. "Non sfidare la sorte, pasticcino. Sono ancora arrabbiato con te!"
Alec rise, scostandosi dalla porta della sua camera, per chiudersela alle spalle.
"Uhm..." biascicò Magnus, dondolando sui talloni, mentre pensava velocemente a qualcosa da dire per restare un altro po' in sua compagnia. "Eccooo.. io.. che ne dici di scendere in cucina con me? Potremmo fare colazione insieme."
Alec scosse piano la testa. "Grazie, ma devo fare una cosa."
"Cosa?" chiese Magnus, curioso.
Alec scrollò le spalle. "Niente di importante."
"Ha a che fare con quella chiave?" continuò Magnus, piegando la testa, quando notò l'oggetto che l'altro teneva in mano.
"No." rispose velocemente Alec, nascondendo la mano dietro la schiena.
"Perché non vuoi dirmelo?" gli chiese Magnus, assottigliando lo sguardo.
"Perché non sono affari tuoi." rispose Alec, calmo.
"Antipatico." borbottò Magnus, offeso. "Ok, allora ci vediamo più tardi." lo salutò, girandosi per andarsene.
Alec sospirò, alzando gli occhi al cielo. "E va bene. Puoi venire con me, ma non fare rumore." concesse.
"No, grazie. Non vorrei disturbarti con la mia presenza." rifiutò Magnus, altezzoso, sventolando una mano.
"Ok, allora ci vediamo più tardi." lo scimmiottò Alec, divertito, scrollando le spalle e sorpassandolo per incamminarsi lungo il corridoio.
Magnus lo fissò, a bocca aperta. Per Lilith, quell'uomo era davvero impossibile quando ci si metteva. Poteva anche insistere un po' di più eh, anziché accettare, senza battere ciglio, il suo palese finto rifiuto di seguirlo.
"Aspettamiiii." grugnì, stizzito, mentre lo raggiungeva.
Alec sorrise e rallentò il passo, fino a quando l'altro non gli si affiancò.
"Dove andiamo?" chiese Magnus, seguendolo in un'ala della casa che non aveva mai visitato prima.
"Ti ho detto di non fare rumore, ricordi?"
"Ma non sto facendo rumore." ribattè Magnus, indispettito.
"Parlare è fare rumore."
"Va a quel paese." sibilò Magnus, acido. Incrociò le braccia, mise il broncio e non fiatò più.
Dopo un paio di minuti si fermarono davanti ad una grande porta chiusa. Magnus si girò, per interrogare silenziosamente l'altro su dove si trovassero, e notò l'espressione cupa e glaciale sul volto di Alec. Avrebbe tanto voluto chiedergli se stesse bene, dove erano, cosa ci facevano lì, ma tenne le labbra sigillate, quasi temesse di irritare maggiormente l'altro con le sue parole.
Alec inspirò profondamente, poi aprì la porta ed entrò nella stanza, dirigendosi verso la finestra per spalancare le tende ed aprire la finestra.
Magnus lo seguì, guardandosi attorno: era una camera da letto enorme, con un letto a baldacchino che era circondato da cortine che sembravano pesanti. La stanza era pulita e sui mobili lucidi non c'era traccia di polvere, ma sembrava inoccupata da tempo.
Alec guardò Magnus, con un sopracciglio alzato, in attesa di una sua reazione, poi sorrise. "Avanti. Puoi chiedere. So che muori dalla voglia di farlo."
Magnus rafforzò la presa delle braccia sul suo petto e negò energicamente con la testa, imbronciando le labbra.
Alec ridacchiò. "Sei proprio un bambino." lo punzecchiò.
Magnus, per tutta risposta, lo guardò malissimo e gli mostrò il dito medio.
"Siamo nella stanza di mio padre." disse Alec, l'espressione che mutò radicalmente, mentre dava un'occhiata a tutta la stanza. "Solitamente è Hodge che viene qui per aprire la finestra e dare una rinfrescata alla stanza, ma oggi.. oggi ho voluto farlo io."
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso, tornando a guardare meglio la camera in cui si trovavano. Effettivamente, ora che glielo aveva fatto notare, colse l'austerità dell'arredamento e intravide anche l'enorme quadro di Robert Lightwood appeso sopra al letto a baldacchino.
"Questa è stata la sua prigione per quasi cinque anni." spiegò Alec, con voce piatta. "Prima di morire, cadde da cavallo, perdendo l'uso delle gambe. Da allora giacque tra le lenzuola di questo letto, rifiutandosi di lasciare la stanza. Allontanò tutto e tutti, figli compresi. Solo Hodge aveva il permesso di entrare qui dentro."
Magnus sentì il cuore stringersi ed avvertì l'impellente bisogno di abbracciarlo stretto, per tentare di alleviare la pena che gli leggeva in volto, ma si impose di non farlo. Proprio come quando gli aveva confidato del fratellino, sentì che Alec aveva bisogno di sputare fuori il veleno che provava per suo padre e che continuava ad avvilupparlo come un serpente velenoso.
"Per cinque anni è rimasto qui, crogiolandosi nella commiserazione e nei sensi di colpa. Poi, un bel giorno, mi ha convocato e mi ha rivelato i suoi peccati." ringhiò, aprendo, con un gesto brusco, le tende del letto.
Magnus si avvicinò, notando come lo sguardo dell'altro si fosse fatto tempestoso.
"Max.. non so se Max è davvero mio figlio." sussurrò colpevole, girandosi verso Magnus. "Non.. io.. ecco.. io e Lydia ci siamo sposati giovanissimi e.. Una volta. E' successo solo una volta, ma.. non lo so." Alec scosse la testa, incapace di formulare una frase coerente. Degluttì, stringendo nervosamente i pugni lungo i fianchi e continuò. "Il nostro è stato un matrimonio combinato, io non l'amavo e.. Dio, come avrei potuto?" chiese, con una risata aspra. "Ero uno stupido, succube, ragazzino gay che non aveva la più pallida idea di cosa fare, cosa pensare, come agire. Quando mio padre ha saputo del mio orientamento sessuale, ha iniziato a tormentarmi, a picchiarmi, ad instillare in me dubbi e rimorsi. Poi, un bel giorno, mi ha presentato Lydia. Credevo.. pensavo che se avessi esaudito il suo desiderio di sposarla, forse.. non lo so.. forse la mia vita sarebbe potuta migliorare, forse mi avrebbe lasciato in pace, forse avrei potuto non dico essere felice, ma almeno vivere un'esistenza decente." gli confidò, con un sorriso triste. "Effettivamente mio padre smise di perseguitarmi. Per l'angelo, ero così cieco, così.... Non avevo capito niente." si biasimò, alzando lo sguardo al soffitto e chiudendo gli occhi. "Allora non lo sapevo, ma ho sposato l'amante di mio padre, così che lui potesse averla sempre accanto a sé, senza destare sospetti di alcun tipo." espiò, tutto d'un fiato.
Magnus spalancò gli occhi, incredulo. Quella parte della storia gli era del tutto sconosciuta e rimase scioccato quando sentì quelle parole.
"Max potrebbe essere mio figlio.. o mio fratello. Non lo so. Dovrei fare il test del DNA per esserne certo." continuò Alec, scuotendo le spalle. "Mio padre era convinto che fosse suo. Mi parlò delle lunghe ore che lui e Lydia avevano passato insieme, di come si fossero innamorati, di come avevano sognato di fuggire e lasciarsi alle spalle tutto e tutti. La gravidanza di Lydia, però, arrivò come un fulmine a ciel sereno e sconvolse entrambi. Mio padre non aveva mai preso in considerazione un'eventualità del genere e credo che andò ancora più nel panico quando Lydia gli confidò di non sapere di chi fosse, quindi, per evitare lo scandalo, decise di passare all'azione. Per mesi si assicurò che Lydia facesse vita ritirata, col pretesto di una salute cagionevole, e tagliò tutti i suoi contatti. Poi, una notte, lei sparì. Solo ora so che fu mio padre ad inscenare una finta fuga, per nasconderla al mondo, per celare la gravidanza." Alec si passò le mani tra i capelli, spettinandoli ancora di più di quanto già non fossero. "La portò al castello di Oheka, a Long Island, dove la nostra famiglia ha una suite da generazioni, e la confinò in quella stanza fin quasi la fine della gravidanza. Era così sicuro del suo piano, così certo che le sue bugie non sarebbero mai venute a galla, che non si preoccupò minimamente di aver gettato nel panico un sacco di persone, primi fra tutti i familiari di Lydia. Non gliene importava, capisci? L'importante erano le apparenze."
Magnus si strinse una mano al petto, sempre più sconcertato. Nemmeno nelle sue fantasie più sfrenate, avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile. Che razza di persona era Robert Lightwood? Fin'ora nessuno gli aveva mai parlato bene di lui, questo era vero, ma non avrebbe mai pensato che fosse un essere così spregevole.
E Lydia? Che ruolo ebbe, in tutto ciò? Gli salì un groppo in gola ripensando a lei. Era d'accordo con quel piano assurdo o fu costretta ad assecondare i desideri di quell'uomo malvagio? Magnus non lo sapeva, ma provò un'enorme pena per lei.
"La cosa buffa è che pensavo mi avesse raccontato tutto, che avesse confessato tutta la sua colpa. Invece ho dovuto scoprire da Aline questa parte della storia. Non solo, infatti, non mi ha mai detto che era stato lui a farla sparire, ma ha pure messo in piedi una sceneggiata degna di un film, coinvolgendo persino la polizia, per ritrovarla!" disse Alec, girandosi poi verso di lui con un'espressione grave. "Sai perchè Lydia stava fuggendo, il giorno in cui vi siete incontrati?" gli chiese, a bruciapelo.
Magnus scosse la testa. Qualcosa, nel tono di voce dell'altro, gli fece venire la pelle d'oca.
"Perché mio padre voleva uccidere Max." svelò Alec, tetro. "Le aveva chiesto di abortire, ma Lydia non lo fece e, temendo che un giorno il bambino potesse diventare un problema, per evitare un possibile futuro scandalo, decise che doveva essere eliminato, cancellando così, per sempre, la prova vivente del suo comportamento riprovevole."
Magnus sentì le gambe diventare improvvisamente molli e dovette appoggiarsi, sconvolto, ad una delle colonne del letto per non cadere.
"Ho.. ho trovato una busta, ieri sera, mentre ero nel mio studio. Stavo cercando un vecchio libro di mio padre, che potrebbe tornarmi utile nell'arringa finale di oggi, e quando l'ho trovato e l'ho aperto.. lei era lì. Nascosta tra le pagine di quel vecchio tomo, con il mio nome inciso a caratteri cubitali sopra di essa. Ho trovato strano che ci fosse della corrispondenza proprio lì dentro, ma poi, quando l'ho aperta, e ho letto la lettera al suo interno, ho capito perché. Non so per quale motivo mio padre l'abbia conservata o perché non mi abbia mai detto tutto questo. Lui e la sua mezza confessione del cazzo." disse Alec, ridendo amaramente.
"Cosa.. cosa c'era scritto?" chiese Magnus, in un sussurro.
"Una confessione." rispose Alec, guardandolo. "L'ennesima." mormorò, ironico. "Fu Lydia a scriverla. Ci crederesti?" domandò, sarcastico. "Ha scritto tutto quello che era successo tra lei e mio padre. Tutto. Anche quello che voleva fare al bambino. Non so perché l'avesse indirizzata proprio a me. Forse voleva alleggerirsi, anche lei, la coscienza, proprio come ha tentato di fare lui quando ha confessato i suoi peccati, o forse sperava che, in qualche modo, l'aiutassi. Non lo so. Comunque, quel famoso giorno di otto anni fa, mio padre andò da lei e le disse che, una volta partorito, si sarebbe sbarazzato del bambino. Forse l'istinto materno di Lydia prevalse sull'amore che provava per lui, forse quello che le disse le fece finalmente aprire gli occhi su che genere di persona fosse, forse.. non lo so.. forse semplicemente si rese conto che non poteva permettere tutto ciò. Fatto sta che fuggì, nel tentativo di salvarlo. Credo fu la prima volta, in tutta la sua vita, che quella ragazza dimostrò un briciolo di coraggio." scosse la testa, con un sospiro. "Mio padre intercetto la lettera e la nascose prima che arrivasse a me."
"E'.. è terribile." sussurrò Magnus, con un filo di voce.
Alec chiuse gli occhi, sospirando profondamente. "Qualche giorno fa mi hai confessato che, se non avessi mandato Jace a recuperare Max, tu non saresti mai tornato né l'avresti mai riportato qui." mormorò, aprendo poi gli occhi e guardandolo. "Io avrei fatto lo stesso. Non avrei mai cercato Max o Lydia se mio padre, sul letto di morte, non mi avesse implorato di perdonarlo, facendomi inoltre promettere di cercarli e di riportarli a casa."
"Perché?" chiese Magnus, aggrottando la fronte ed allargando le braccia. "Perché rivoleva indietro Max, se voleva sbarazzarsene?"
Alec scrollò le spalle. "Negli ultimi anni era diventato un fervente timorato di Dio e forse, rendendosi conto di che mostro era stato, ha fatto un ultimo tentativo, nella speranza di guadagnarsi un biglietto per il paradiso."
"Spero che ovunque sia, se la passi da schifo." ringhiò Magnus, pestando un piede.
Quanto dolore aveva provocato quell'uomo? Quanto ancora ne causava, nonostante fosse morto? Guardò Alec ed, ancora una volta, fu colpito dal suo senso dell'onore. Un altro, al posto suo, avrebbe mandato al diavolo il padre moribondo e sarebbe andato avanti con la propria vita. Alec no. Quel ragazzo aveva anteposto, ancora una volta, il bene della sua famiglia a se stesso, riportando a casa quel bambino che gli ricordava, ogni giorno, il tradimento del padre e della moglie e continuando a vivere in quella dimora piena di fantasmi e ricordi dolorosi. Non poteva cambiare il suo passato, ma, forse, poteva fare qualcosa per lui adesso.
"Ti voglio fare una promessa." disse Magnus, deciso, afferrandogli dolcemente il viso tra le mani.
"Quale?" chiese Alec, curioso, aggrottando la fronte.
"Quando tutto questo sarà finito, prometto che ti porterò via da qui." sussurrò Magnus, posando le labbra sulle sue e stringendolo a sé.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


"Alexander.." sussurrò Magnus, con aria preoccupata, mentre accarezzava la testa del figlio addormentato sulle sue ginocchia. "Per favore, vieni a sederti."
Alec lo ignorò, continuando nervosamente a fare avanti ed indietro, nella piccola saletta d'attesa dell'ospedale. Rafe era in sala operatoria da diverse ore ormai e nessuno si era ancora degnato di dir loro se l'operazione stava procedendo bene o meno. Non erano suoi parenti, questo era vero, né lui era il tutore legale del bambino, ma, per l'angelo, che qualcuno gli dicesse qualcosa! Qualsiasi cosa!
"Papi.. Rafe sta bene?" chiese Max, dopo essersi svegliato, mentre si strofinava gli occhi con il dorso della mano.
"Il dottore lo sta ancora operando, Mirtillo." gli rispose Magnus, sistemandogli i capelli con le dita.
"E quando finirà?" domandò il bambino, impaziente.
"Non lo so, tesoro."
Max sospirò profondamente, poi tornò a farsi cullare dal padre, abbracciandolo stretto.
Alec lo osservò: non glielo aveva ancora detto, ma era molto orgoglioso di lui. Il bambino aveva corso come il vento per arrivare a casa e far sì che i soccorsi si attivassero velocemente. Aveva spiegato al padre, in modo conciso, ma chiaro e preciso, cosa era successo e Magnus aveva chiamato subito il 911. Grazie al suo prezioso contributo, l'ambulanza era arrivata in breve tempo e Rafe era stato prontamente trasportato in ospedale.
La prognosi, però, era più grave di quanto si pensasse: il ragazzino aveva due costole rotte, il braccio fratturato ed un trauma cranico, con conseguente emorragia cerebrale, causato dalla botta in testa. Il dottore che lo aveva preso in cura, prima di entrare in sala operatoria, aveva detto loro che era un autentico miracolo che, in quel corpicino martoriato, il cuore battesse ancora. Alec sorrise appena al ricordo di come Max si fosse intromesso, tra gli adulti, sibilando "Non è grazie ad un miracolo, se è vivo. E' merito di Rafe!", mentre guardava il medico con un'espressione mortalmente seria.
"Rafe ce la farà, vero papino?" chiese Max, con voce flebile.
"Ma certo, scimmietta." lo rincuorò Magnus, baciandogli la testa ed appoggiando poi le guancia sulla sua fronte.
Alec sospirò, pronto ad andare a sedersi di fianco a loro, quando sentì dei passi concitati provenire dal corridoio. Jace arrivò come una furia nella saletta, ansando e sbuffando come una locomotiva.
"Per la miseria, che hai fatto?" gli chiese Alec, sorpreso.
"Ho.. ho corso!" ansimò il fratello, con aria trafelata e rosso in viso.
"Lo vedo." disse Alec, squadrandolo dalla testa ai piedi. "Perché?" gli chiese, sempre più curioso. "La signora Fray sta bene?" domandò subito dopo, preoccupato.
Jace annuì, alzando un indice per dirgli di aspettare, poi mise le mani sui fianchi ed inspirò ed espirò profondamente, piegando leggermente il busto e tossendo più di una volta.
"Non stai per sputare un polmone, vero?" gli chiese Magnus, alzando un sopracciglio, con un sorrisetto canzonatorio, mentre Max si rizzava, improvvisamente interessato ad una tale eventualità.
Jace liquidò entrambi con un'occhiataccia, poi tornò a guardare Alec. "Morgenstern è qui." lo informò, secco. "Si trova nell'ufficio del primario."
"Ah." mormorò Alec, assottigliando lo sguardo.
"E' venuto per avere informazioni sul ragazzo e.."
"Certo che ha davvero una faccia tosta incredibile!" si intromise Magnus, arrabbiato, incrociando le braccia al petto.
"..mentre il primario lo conduceva nel suo ufficio, ho sentito che gli diceva che è molto preoccupato per Rafe perché è uno dei suoi bambini, che è terribile ciò che è successo e bla bla bla." continuò Jace, scuotendo la testa con una smorfia di disgusto.
"Non gli lascerò portare via Rafe!" gridò Max, battagliero, alzandosi in piedi con un movimento brusco e stringendo i pugni.
Magnus e Jace annuirono con approvazione, mentre Alec si massaggiò il mento, pensieroso.
"A cosa stai pensando?" gli chiese Magnus, guardandolo.
"Che più che per il ragazzo, credo che sia qui, in realtà, per la signora Fray. Verlac deve avergli sicuramente detto cosa è successo!" constatò Alec, preoccupato. "Jace, assicurati che ci sia sempre qualcuno con lei."
Il fratello annuì. "Dico alla sicurezza di buttarlo fuori a calci?"
Alec scosse la testa. "Con quale giustificazione? La mia è solo un'ipotesi e non voglio che la situazione degeneri." rispose, appoggiando poi una mano sulla spalla di Max e stringendogliela appena. "Stai buono qui con tuo padre, va bene?"
"Perché? Tu dove vai?" gli chiese il bambino, alzando lo sguardo su di lui.
"Nell'ufficio del primario." gli sorrise, arruffandogli i capelli. "Jace, per favore, tu vai dalla signora Fray!" ordinò al fratello, con un cenno della testa. "Torno subito." disse poi, rivolgendosi a Magnus.
L'altro annuì, alzandosi ed avvicinandosi a lui. "Fai attenzione, d'accordo? Non mi fido di quell'uomo." gli sussurrò, prima che uscisse dalla saletta.
Alec sorrise. "Promesso. Ma tu, per favore, sii gentile e tieni a freno il tuo cucciolo arrabbiato. Non vorrei che piombasse nell'ufficio del primario per dare una lezione anche a Morgenstern."
Magnus gli rivolse un sorriso enorme. "Vedrò cosa posso fare." promise, ridacchiando. "Sai che è molto orgoglioso di te?"
Alec scosse la testa. "Sono io ad essere molto orgoglioso di lui. Verlac è più grande e più forte di lui, ma non ha avuto paura di attaccare quel verme per difendere Rafe. E' davvero un bambino coraggioso!" si complimentò.
Magnus gli baciò una guancia, con slancio. "Fai quello che devi fare e poi torna da noi. Sai dove trovarci."
Alec annuì, dandogli un buffetto sul naso ed allontanandosi, subito dopo, lungo il corridoio.

Valentine Morgenstern strinse, con forza, le dita sul bracciolo della sedia su cui era seduto, furioso. Le nocche sbiancarono e le mani iniziarono a tremare a causa dello sforzo che stava facendo per trattenere la rabbia ed evitare di esplodere nel bel mezzo di quello squallido ufficio in cui il primario l'aveva condotto.
Niente stava andando come previsto. Niente.
Era lì dentro da una mezz'ora buona. Aveva urlato, aveva sbraitato, aveva reclamato a gran voce i propri diritti, ma non aveva concluso nulla. Si era scontrato con un insopportabile ed irritante muro di gomma.
In poche ore era successo quello che era riuscito ad evitare da una vita intera ed ora si trovava nella merda fino al collo. E tutto per colpa di Jonathan.
Gli aveva dato un incarico semplice, per non dire elementare, qualcosa che perfino il più insulso dei suoi scagnozzi poteva portare a termine. A quanto pare, però, l'aveva sopravvalutato. Lui e gli altri due stronzi a cui aveva affidato il compito di sbarazzarsi di quella cagna di Jocelyn.
Ma si poteva essere più incapaci di così? Si poteva, santo Iddio? Sì, a quanto pare si poteva. Cazzo!
Era stato davvero un grandissimo, fottutissimo, pezzo di idiota a credere che suo figlio fosse in grado di combinare qualcosa di decente nella vita e più ci pensava e più non riusciva ancora a capacitarsi di come fosse potuto succedere. Ed alla vigilia dell'udienza conclusiva, per giunta!
Perché non aveva dato retta a quel vecchio proverbio che diceva "Se vuoi una cosa fatta bene, fattela da solo"? Perché? Cazzo!
Lo tormentava l'idea che, forse, era troppo tardi per correre ai ripari. Cazzo! Cazzo! Ed ancora cazzo!
Quando Jonathan gli aveva raccontato per telefono, in modo concitato e confuso, ciò che aveva combinato, Valentine aveva fatto un giro di telefonate, per scoprire dove erano stati portati la donna ed il bambino, e, una volta scoperto qual era l'ospedale, aveva alzato il culo dalla sua costosa sedia di pelle, deciso a risolvere personalmente la faccenda. Avrebbe ucciso entrambi, facendolo passare per un incidente.
Quando era arrivato, però, aveva scoperto che il moccioso era ancora sotto i ferri ed aveva quindi indirizzato il suo interesse su Jocelyn, rintanata chissà dove, sicuramente sorvegliata a vista e pronta a spifferare tutto quello che le era successo. Avrebbe dovuto ucciderla quando ne aveva avuto l'occasione. Perché, dannazione, non l'aveva fatto? Perché?
Con una calma, che non provava minimamente, aveva chiesto informazioni ad un'infermiera, spacciandosi per un parente, ma quella stronza non solo non aveva aperto bocca, ma aveva addirittura chiamato il primario!
La sua unica possibilità, ora, era intercettare il piccolo, lurido, figlio di puttana, prima che raccontasse tutto alla polizia, e minacciarlo di ucciderlo, come a momenti riusciva a fare la settimana prima, o fargli passare le più atroci sofferenze se solo avesse osato dire una parola di troppo e non avesse, invece, raccontato la sua versione dei fatti.
Sì, poteva ancora salvarsi e Jocelyn poteva ancora essere scambiata per una pazza da rinchiudere in manicomio! Doveva solo giocare bene le sue carte.
Fissò, truce, l'uomo davanti a sé. Sì, il suo piano poteva funzionare.. peccato che Luke Garroway, ex migliore amico ed attuale primario del New York Presbyterian Hospital, si stesse rifiutando ostinatamente di dargli informazioni sul vermiciattolo. Quello stronzo! Sapeva perfettamente perché glielo stava nascondendo! Il marmocchio aveva salvato Jocelyn e l'altro, che aveva sempre avuto un debole per lei, ora che ne aveva l'occasione, poteva diventare l'eroe della situazione ed averla tutta per sé! 'Fanculo! Non glielo avrebbe permesso!
"Dannazione, Luke!" urlò, con enfasi, mentre batteva un pugno sul tavolo. "C'è uno dei miei bambini in questo ospedale e non puoi impedirmi di vederlo!"
Il primario sospirò. "Valentine.."
"Valentine un cazzo!" sbraitò Morgenstern, inviperito. "Voglio vedere il bambino!"
"No."
Quel secco rifiuto, inaspettatamente, non era arrivato dal primario, bensì dall'uomo seduto al suo fianco e la parola era stata pronunciata con un tale distacco che la sua rabbia crebbe ancora di più.
"Non si intrometta, avvocato Lightwood!" lo apostrofò Morgenstern, girandosi di scatto verso di lui e fulminandolo con il suo sguardo di ghiaccio.
Uomini della peggior specie avevano tremato sotto quell'occhiata penetrante, ma Alec Lightwood sembrava sorprendentemente non subirne l'effetto. Il suo viso pareva scolpito nel marmo e non aveva mosso un muscolo od emesso un suono durante tutta la sua scenata e questo infastidiva Valentine ancora di più. Cosa cazzo era venuto a fare lì? Cosa cazzo voleva?
"Valentine.." ritentò il primario. "Sai perfettamente che c'è un'indagine in corso e che non puoi né vedere né tantomeno avvicinarti al bambino."
"Luke, porca puttana, non osare dirmi quello che posso o non posso fare!" gridò Valentine, alzandosi bruscamente dalla sedia e puntandogli l'indice contro. "E' tutto un terribile fraintendimento e.."
"No." si intromise di nuovo l'avvocato, duro. "Quello che è successo nella mia proprietà non può essere frainteso in alcun modo."
"Avvocato Lightwood le ho detto di.."
L'avvocato alzò una mano, interrompendolo nuovamente. "Signor Morgenstern non mi interessa quello che ha da dire. In questo momento c'è un bambino che lotta tra la vita e la morte e lei dovrebbe avere la decenza di fare un passo indietro ed evitare di disturbare, con le sue chiassose ed inutili lamentele, il lavoro del personale di questo ospedale."
Valentine divenne paonazzo. Come osava quel pezzente rivolgersi a lui in quella maniera? Strinse violentemente le mani a pugno, accecato dalla rabbia, ed iniziò a tremare. Dio, quanto avrebbe voluto ucciderlo a mani nude!
"Signori.." esclamò il primario, attirando la sua attenzione. "Ho appuntamento con la polizia tra cinque minuti, quindi mi trovo costretto a congedarvi entrambi."
"Cosa?" sputò Valentine, incredulo, tornando a sedersi lentamente.
Il primario scrollò le spalle. "Valentine, sono spiacente, ma non ho proprio tempo di assecondare le tue richieste. Come ti ho già detto, c'è un'indagine in corso e, di conseguenza, un protocollo da rispettare." gli comunicò, alzando una mano per bloccare ogni eventuale protesta. "Ora, se volete scusarmi, devo ragguagliare la polizia sugli ultimi aggiornamenti. Avvocato Lightwood, le auguro una buona giornata. Valentine.. beh.. ciao." lo salutò, con un sorriso sarcastico.
Valentine imprecò mentalmente, stritolando il bracciolo della sedia, mentre l'avvocato salutava con un cenno della testa il primario.
Rimasero in silenzio per diversi minuti, ognuno fissando davanti a sé, poi la voce di Alec Lightwood lo sorprese come una fucilata in pieno petto.
"E' finita." mormorò, a bassa voce. "Lo so io. Lo sa lei. Questa volta, non la passerà liscia. Glielo prometto." concluse, girandosi lentamente per guardarlo con uno strano luccichìo negli occhi.
Valentine non fece in tempo a replicare che l'altro si era già alzato e, senza ulteriori parole, aveva abbandonato la stanza lasciandolo solo con la sua rabbia ed i suoi pensieri.


"Signore e signori della giuria, i bambini dell'orfanotrofio Il Circolo non hanno né una mamma né un papà e, come se questo non fosse già traumatico e doloroso di per sé, sono stati anche picchiati, molestati e rinchiusi in una cantina sporca e buia, senza cibo né acqua, quando osavano ribellarsi. Qualunque sia la vostra decisione, oggi, porteranno per sempre con sé il trauma di questa esperienza. Valentine Morgenstern, l'uomo che li aveva accolti in quell'orfanotrofio e che avrebbe dovuto vegliare su di loro, amandoli e proteggendoli, è responsabile della loro sofferenza. Signore e signori della giuria, vi prego di farvi una sola ed unica domanda: il futuro di quest'uomo merita di essere migliore di quello di questi bambini?"
La sua arringa si era conclusa poche ore prima e, in quel momento, i giurati erano rinchiusi in una stanza, isolati dal mondo, intenti a decidere le sorti di quella lunga, sfiancante, causa.
Alec fissò, con determinazione, il piano del tavolo in legno massiccio, davanti a lui, concentrato, nel tentativo di controllare le emozioni.
Agognava e, al tempo stesso, temeva il momento del verdetto. Nonostante avesse passato interminabili giorni ed interminabili ore chiuso nel suo studio, chino sulla sua scrivania, a studiare fogli su fogli, parole su parole, scervellandosi ed esaurendosi pur di inchiodare quel bastardo di Morgenstern, più i minuti passavano e più dubitava di essere stato sufficientemente persuasivo e di aver fatto tutto il possibile per convincere i giurati a salvare i bambini dall'inferno in cui avevano vissuto fino a quel momento.
Si torturò le mani, nervoso, tentando di regolarizzare il battito del cuore ed il respiro. Non era proprio il caso di farsi venire un attacco di panico nel momento clou, no?
Alzò lo sguardo solo quando udì i giurati rientrare in aula e studiò la loro espressione, alla ricerca di un qualsiasi indizio che gli potesse rivelare l'esito della loro decisione.
Quelle persone, quei dodici, perfetti, estranei, avevano racchiuso il futuro di venti bambini in un foglietto che il giovane portavoce teneva in mano. Lo tenne bene in vista per un lungo momento, prima di consegnarlo al commesso che lo avrebbe poi passato al giudice.
Alla sua destra, Jace era in silenzio, ma aveva iniziato a battere nervosamente la punta del piede sul pavimento ed a tamburellare, senza sosta, le dita sul bracciolo della sedia, mentre sul viso di Imogen Herondale, seduta accanto a suo fratello, non c'era la minima traccia di ansietà e le mani erano appoggiate tranquillamente sul tavolo. Per l'angelo, quanto gli sarebbe piaciuto avere la sua freddezza!
Un leggero senso di nausea iniziò a risalirgli lungo l'esofago, ma lo ricacciò indietro, deglutendo con forza. Se un attacco di panico poteva essere considerato inopportuno, vomitare come la bambina dell'Esorcista era decisamente fuori luogo.
Il giudice, accomodandosi, si sistemò meglio la toga ed Alec si irrigidì. Era venuto il momento della verità.
"La giuria ha raggiunto il verdetto?" chiese il giudice.
"Sì, Vostro Onore." rispose il portavoce.
La temperatura, nell'aula, divenne improvvisamente soffocante ed Alec allargò, con gesto meccanico, il colletto della camicia che pareva soffocarlo e si sistemò meglio sulla sedia. Un rivolo di sudore gli scivolò lungo la schiena e non volle neanche immaginare in che stato erano le sue ascelle. Il cuore iniziò a battere come un forsennato e lui ne ebbe abbastanza. Ordinò al suo corpo di smetterla immediatamente, di darsi una calmata e di tornare ad un bioritmo normale perché, se non era il caso di avere un attacco di panico o rigettare anche il pranzo di Natale, farsi venire un infarto era assolutamente fuori questione!
"Nella causa Stato di New York contro Valentine Morgenstern, la giuria ha riconosciuto l'imputato.."
Alec trattenne il fiato.
"..colpevole." concluse l'uomo.
Il silenzio che ne seguì fu, per certi versi, assordante. Sembrava che il tempo si fosse fermato e che il verdetto aleggiasse nell'aria, quasi fosse un'entità animata di vita propria. Poi fu il caos.
Valentine Morgenstern si alzò in piedi, sbraitando ed inveendo contro giudice e giurati, mentre veniva trattenuto a stento dai suoi avvocati. Il pubblico presente iniziò ad urlare ed ad applaudire, i fotografi scattarono senza sosta foto che, di sicuro, avrebbero rivenduto al miglior offerente già quella sera stessa, il portavoce invece proseguì, come se niente fosse, con la lettura dei diversi capi di imputazione, mentre il giudice continuava a battere il martelletto gridando "Ordine! Ordine!".
Alec non fece in tempo a capire cosa era successo che Jace lo inglobò nel suo abbraccio.
"Abbiamo vinto!" gli urlò nell'orecchio.
Alec si lasciò strattonare dal fratello, come se fosse un pupazzo senza vita, continuando a fissare la bocca del portavoce della giuria che continuava a proclamare "Colpevole." per ogni capo di imputazione. Proseguì a lungo, finché la maggior parte dei presenti smise di ascoltare e si accinse a lasciare l'aula.
Fu solo quando sentì che suo fratello, con un gemito animalesco, gli venne strappato malamente di dosso al suono imperioso di "Togliti dai piedi, Giselle!", venendo sostituito da un altro paio di braccia muscolose, attorno al collo, e da un profumo di sandalo, che gli inondò le narici, che finalmente realizzò appieno l'enormità della situazione.
"Hai vinto, Fiorellino! Hai vinto!" esclamò Magnus, abbracciandolo stretto. "Lo sapevo! Lo sapevo!"
Alec non sapeva se ridere o piangere, quindi fece l'unica cosa che il suo istinto gli disse di fare. Strinse forte Magnus, tra le proprie braccia, ed affondò il viso nel suo collo, inspirando profondamente e lasciando che l'uomo gli arruffasse i capelli e lo sballottasse di qua e di là. Gli stava salendo nuovamente la nausea, ma andava bene così.
Riemerse dal suo nascondiglio solo quando fu sicuro che la sua voce non si sarebbe messa a tremare come una foglia e sorrise raggiante. "Rafe?"
"Non si è ancora svegliato, ma il dottore dice che le funzioni vitali sono buone e che sta rispondendo bene alla terapia." lo rassicurò Magnus, battendogli affettuosamente una mano sul petto. "Max ed Izzy sono con lui."
Alec annuì, desideroso di ringraziare quanto prima quel bambino speciale. Rafe ancora non lo sapeva, ma era grazie a lui se quel giorno avevano vinto la causa e Morgenstern, finalmente, era stato sconfitto. Se non fosse stato per il suo coraggio, infatti, la verità, molto probabilmente, non sarebbe mai venuta a galla.
Quando, il giorno prima, la signora Fray era apparsa come una sorta di fantasma davanti ai suoi occhi, pallida, tremante, sporca e sanguinante, svenendogli poi tra le braccia, ad Alec era schizzato il cuore in gola.
Ricoverata nello stesso ospedale di Rafe, fortemente debilitata nel fisico, ma non nello spirito, Jocelyn Fray aveva raccontato tutto quello che le era successo, aiutando Alec ad incastrare definitivamente Morgenstern.
La donna aveva raccontato di essere stata rapita e tenuta prigioniera dal criminale, che ne aveva ordinato l'uccisione prima dell'udienza definitiva. Per sua fortuna, il furgone, su cui era stata brutalmente caricata, si era fermato momentaneamente all'orfanotrofio per far salire anche Verlac, incaricato di procedere con l'esecuzione. Nel brevissimo momento, in cui nel veicolo non c'era nessuno, Rafe l'aveva vista ed era riuscito a liberarla. Verlac, però, li aveva sorpresi proprio nel momento in cui il bambino era riuscito a togliere i lacci che legavano le mani della donna ed aveva tentato di ucciderli, sparandogli. Rafe aveva afferrato saldamente la mano della signora Fray, trascinandola via e i due erano riusciti a fuggire attraverso lo stretto passaggio nel muro di cinta dell'orfanotrofio, correndo come forsennati fino alla tenuta, dove il bambino l'aveva nascosta nel capanno, assicurandole che quel posto era speciale e che nessuno le avrebbe mai potuto fare del male. Purtroppo, però, non erano riusciti a seminare Verlac che era piombato su di loro come un falco sulla propria preda. Quando era arrivato, aveva scatenato tutta la sua furia sul ragazzino, giurando che poi sarebbe toccata la stessa sorte anche alla donna. Per loro fortuna, come un angelo sceso al cielo, era arrivato Alec, salvandoli da morte certa.
La polizia era riusciva a scovare Verlac e ad arrestarlo con l'accusa di tentato omicidio, rapimento ed aggressione. In attesa del processo, attualmente si trovava nel carcere di massima sicurezza di New York, sotto stretta sorveglianza. Quando l'avevano prelevato dal suo appartamento, dove stava tentando di fare le valigie per scappare, la polizia aveva scoperto, con orrore e disgusto, il macabro hobby dell'uomo. Nel salotto, infatti, troneggiavano diverse teche di vetro in cui si trovavano esposte delle ossa umane disposte in raccapriccianti figure astratte. Le indagini per scoprire a chi appartenevano quei resti erano ancora in corso, ma, memore di quanto gli aveva confidato Magnus, Alec aveva informato la polizia che sospettava che, tra essi, vi fossero quasi sicuramente anche quelli della matrigna di Verlac, Camille Belcourt, scomparsa più di otto anni prima e di cui nessuno aveva più avuto notizie.
Durante il racconto della signora Fray, Alec aveva inoltre scoperto diverse cose, come, ad esempio, che il vero nome della donna era Jocelyn Fairchild e che era niente di meno che l'ex compagna di Morgenstern. I due avevano addirittura avuto una figlia: Clary. Gli venne da ridere al ricordo della faccia di Jace, quando aveva realizzato, con orrore, che suo "suocero" era uno dei criminali peggiori di tutta New York.
Insieme alla sua confessione era arrivata anche quella di Clary, che aveva confidato a Jace i loschi traffici del padre a cui aveva assistito con i propri occhi, la cattiveria del fratello e le violenze nell'orfanotrofio, che aveva sempre tentato strenuamente di fermare. Venuta a conoscenza, per puro caso, del rapimento della madre, però, non aveva mai osato chiedere aiuto a nessuno, temendo le ritorsioni paterne.
La sua testimonianza, insieme a quella di Jocelyn Fray, erano state decisive per l'arringa finale di Alec e fondamentali per le indagini della polizia.
I bambini, nel frattempo, erano già stati tutti affidati ad un altro orfanotrofio, nella speranza di donare loro, finalmente, la gioia di una famiglia amorevole.
Imogen Herondale batté una mano sulla spalla di Alec, attirando la sua attenzione e riportandolo alla realtà. "Ottimo lavoro, ragazzo!" si complimentò, con un sorriso accennato. "Ora puoi rilassarti e prenderti qualche giorno di vacanza. Ne hai davvero bisogno!"
Alec le fece un sorriso storto ed annuì, osservando poi Valentine Morgenstern che veniva condotto, a forza, fuori dall'aula, mentre strascicava i piedi e continuava ad urlare a pieni polmoni ingiurie e frasi sconclusionate.
Questo era il momento che aveva sognato da tutta una vita, che aveva sperato ad ogni esame che aveva dato all'università, ad ogni testo di legge che aveva consultato, ad ogni passo in avanti che aveva fatto nella sua carriera. Era per un momento come questo che si era impegnato come un dannato, che aveva dormito poco o niente, che aveva mangiato quello che gli capitava a tiro, che aveva quasi rischiato di impazzire. Vedere assicurato alla giustizia un criminale di tale portata, e con una colpa del genere, era qualcosa di unico ed Alec si godette appieno quella meravigliosa sensazione.
"Andiamo in ospedale?" chiese poi a Magnus, sorridendo.
L'uomo annuì, prendendolo per mano ed intrecciando le dita alle sue. "Andiamo."

"Non capisco. Sono morto e mi trovo in paradiso?" mormorò Rafe, quando, aprendo gli occhi, vide tutto bianco.
"Solo se ci sono anch'io." replicò Max, saltando sul letto e sedendosi a gambe incrociate. "Ciao!" lo salutò, sorridendo.
"Ciao." sussurrò Rafe. "Dove.. dove siamo?"
"In ospedale!"
"In ospedale?" ripetè Rafe, stupito. "Perché? Cosa è succ.. oddio, devo tornare in orfanotrofio prima che si accorgano della mia assenza!" si agitò.
Max gli strinse piano la mano. "Sanno già che sei qui." lo informò, dolcemente. "Probabilmente non lo ricordi, perché hai preso una gran bella botta in testa! Sei al sicuro, comunque. Nessuno ti farà più del male. I miei papà non lo permetteranno!" lo rassicurò. "Papà Alec non solo ieri ha mandato via il signor Morgenstern, che era venuto a prenderti, ma oggi l'ha spedito anche in galera! Lo so perchè zia Izzy ha appena parlato con zio Jace, che le ha detto tutto! E hanno arrestato anche l'uomo biondo e cattivo!" lo ragguagliò, senza quasi respirare.
"Cosa?" chiese Rafe, stranito.
Max annuì. "Nessuno ti farà più del male, Rafe! Mai mai più!" ripetè, con enfasi.
Rafe si agitò leggermente, incapace di credere a quanto gli aveva appena comunicato l'amico.
"Stai comodo? Vuoi un altro cuscino? Hai fame? Vuoi che ti faccia portare qualcosa? Zia Izzy è andata a prendere qualcosa da bere al distributore. Vuoi qualcosa anche tu? Uhm.. ma puoi bere? O mangiare? Ti fa male da qualche parte? Vuoi che chiami l'infermiera così ti da altre medicine per sentire meno dolore?" domandò Max, parlando a raffica.
Rafe scosse piano la testa, per interrompere quel bombardamento di domande. Il signor Morgenstern ed il signor Verlac era in prigione? Faceva davvero fatica a crederci. Era così malridotto da non sentire altro che dolori lancinanti, ma, nonostante tutto, uno strano senso di benessere iniziò a percorrergli il corpo, come se fosse un balsamo che andava a curare le sue ferite.
"L'avvocato mi ha salvato la vita." constatò, con un filo di voce.
Max annuì. "Avresti dovuto vederlo!" esclamò esaltato, saltando sulle ginocchia. "E' stato grande! Ha tirato un pugno all'uomo biondo e cattivo e poi un altro e poi un altro ancora! Gli ha dato proprio una bella lezione! E se quel verme non fosse fuggito, papà Alec l'avrebbe di sicuro mandato in ospedale!"
Max l'aveva detto per ben due volte. Papà Alec. Rafe avrebbe voluto sorridere e dirglielo, ma pensò che il suo amico sapesse già di aver cambiato opinione nei riguardi dell'avvocato. Senza contare che sorridere gli causava troppo dolore e si sentiva molto molto stanco.
"E.. e adesso?" chiese, con voce impastata.
Max scosse le spalle. "Non so cosa succederà agli altri bambini dell'orfanotrofio, ma so per certo che tu verrai a casa con noi! Papino ha detto che vuole adottarti." esultò, raggiante.
"Adottarmi?" domandò Rafe, stupito.
"Già." confermò Max. "Diventeremo fratelli." esclamò, gettando le braccia in alto e ridendo felice.
Fratelli. Rafe non aveva idea di cosa significasse avere dei fratelli. O una famiglia. I bambini dell'orfanotrofio erano quanto di più vicino a quella definizione, ma non li aveva mai considerati tali.
"Ma.. ma può farlo?" chiese, con un filo di voce, non osando neppure sfiorare un'idea così bella.
"Certo che posso!" esclamò una voce profonda, che fece girare entrambi. Magnus era appoggiato allo stipite della porta, le braccia conserte ed un enorme sorriso sul volto. "Vero che posso?" chiese, girandosi verso Alec, che si trovava di fianco a lui.
"Vedrò cosa riesco a fare." si limitò a rispondere l'avvocato, con un sorriso, alzando gli occhi al cielo.
Magnus gli diede una spallata leggera ed entrò nella camera. "Finalmente ci conosciamo." disse sorridendo, sedendosi sul letto. "Ciao, topolino. Io sono Magnus, il papà alla moda di Max." si presentò, prendendogli la mano e stringendola piano. "Il papà con zero senso dello stile, invece, so che lo conosci già!" ironizzò, indicando con il pollice l'uomo dietro le sue spalle, che stava scuotendo piano la testa ed alzando gli occhi al cielo per l'ennesima volta.
"S-salve, signore." mormorò Rafe. "B-buongiorno signor Lightwood."
Alec lo salutò con la mano, mentre Magnus sventolava la sua, come per scacciare una mosca fastidiosa. "Ohhh per favore. Chiamami Magnus! Signore è per i vecchi ed io non lo sono affatto. Sono giovane e bello!"
Alec si morse l'interno della guancia e si avvicinò al letto. Si piegò e baciò la fronte di Rafe, per un lungo, interminabile, momento. "Grazie." sussurrò grato, quando si staccò.
"P-p-per cosa?" balbettò il ragazzino, rosso come un peperone per l'imbarazzo.
"Per aver salvato la signora Fray e i bambini dell'orfanotrofio. Se non fosse stato per te ed il tuo immenso coraggio, a quest'ora la signora Fray sarebbe morta e io non sarei riuscito a mandare in galera il signor Morgenstern ed il signor Verlac." gli spiegò, con voce incrinata. "Grazie di cuore, mio piccolo, grande, eroe."
Rafe sentì le lacrime pungergli gli angoli degli occhi e tentò di trattenerle con tutte le sue forze, mordendosi forte il labbro inferiore.
"Sei felice?" gli chiese Max, dolcemente, accoccolandosi accanto a lui.
"E' molto vicino." sussurrò Rafe, serio, mentre le lacrime iniziavano a scendere.
"Cosa, tesoro?" chiese Magnus, curioso, scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte.
"Il paradiso." rispose il bambino, sorridendo.


New York, 1 anno dopo

La lieve brezza serale scompigliò dolcemente i suoi capelli.
Alec sorrise, mentre osservava il sole che, in un tripudio di colori caldi e rossastri, stava tramontando dietro lo skyline di Brooklyn, dando il meglio di sè, prima di ritirarsi per lasciare il posto alla luna.
Quella vista impagabile era il motivo principale per cui Magnus aveva insistito così tanto per l'acquisto di quell'appartamento e lui, ancora un volta, non poté fare altro che concordare con lui. Era spettacolare.
Appoggiato alla terrazza, con una mano a sorreggergli il mento, sospirò contento, in pace con il mondo, mentre si godeva, tranquillo, quello spettacolo mozzafiato che si stagliava davanti a lui.
Era felice. Totalmente, completamente, felice. Se qualcuno, anche solo un anno prima, gli avesse detto che, un giorno, sarebbe arrivato a quel punto, Alec gli avrebbe riso in faccia. E di gusto anche!
Prima di tutto questo, si era reso conto di essere stato malato a lungo, anche se non lo sapeva, ed aveva accettato ed imparato a convivere con un vuoto affettivo che, simile ad un buco nero, gli aveva risucchiato ogni energia positiva. Poi tutto era cambiato con l'arrivo di Magnus.
Magnus, che parlava sempre troppo. Magnus, che era sfacciato oltre i limiti della decenza. Magnus, che lo metteva in imbarazzo continuamente e che poi, per rabbonirlo, gli dava un bacio sulla guancia e gli sussurrava all'orecchio "Sei delizioso quando arrossisci come un pomodoro maturo!". Magnus, che riusciva a capirlo con uno sguardo. Magnus, che aveva curato la sua anima straziata e che aveva rimesso in sesto il suo cuore dilaniato. Magnus, che l'aveva portato via dalla casa in cui era vissuto per quasi trent'anni, strappandolo da quei ricordi che continuavano a tormentarlo, nonostante lui tentasse di ignorarli. Magnus, che l'aveva costretto a guardare la bellezza di una vita che non conosceva e che non aveva mai neanche osato sognare. Magnus, che gli aveva donato quella vita, insieme al suo cuore.
Prima di conoscere lui, Alec aveva avuto una discreta esperienza amorosa, ma non aveva mai capito cosa fosse l'amore, quello vero. Non aveva mai davvero saputo cosa si prova quando la terra si ferma, il tempo si arresta ed il respiro rimane imprigionato nel proprio petto in attesa di uno sguardo o di una parola del proprio amato.
Perso in quei pensieri, giocò distrattamente con la fede che aveva all'anulare, girandola con il pollice, mentre Presidente si strusciava con energia contro le sue gambe, ronfando a più non posso e miagolando.
"Tranquillo, saranno qui tra poco." gli disse, guardando brevemente l'ora sul suo orologio ed abbassando lo sguardo per sorridergli.
Erano andati a prendere il gelato, da mangiare dopo cena, e sicuramente sarebbero arrivati di lì a poco, spazzando via la pace e la quiete di quel momento. Perché i suoi uomini erano così. Chiassosi, rumorosi ed estremamente chiacchieroni, ma Alec li amava immensamente. Tutti e tre.
Quando sentì il baccano provenire dalla tromba delle scale, sorrise ancora di più. "Parli del diavolo.." pensò, ridacchiando. Si girò, appoggiando i gomiti alla balaustra, e fissò impaziente la soglia della porta di casa. Presidente lo imitò, osservando attentamente nella stessa direzione, con la coda che si muoveva sinuosa.
Magnus spalancò la porta, con foga, proprio nel momento in cui stava sbuffando sonoramente ed alzando gli occhi al cielo. "No. No. E ancora no." sentenziò, categorico.
"Ma papiii!" esclamò Max, sbuffando più del padre e roteando gli occhi.
"Per favore papino!" lo supplicò Rafe, facendogli gli occhioni dolci.
"Ohhh risparmiatevi il papi ed il papino! Non mi incantate, carini!" rispose Magnus, muovendo l'indice in segno di diniego. "N.O. No!" continuò, scuotendo energicamente la testa. "Su, mettete quel gelato in congelatore, prima che si sciolga."
"Ma perché no?" protestò Max, pestando i piedi. "La mamma ed il papà del mio amico James Townsend glielo lasciano fare!"
"Quando a James Townsend cadranno tutti i denti, perché i suoi genitori gli permettono di mangiare dolci dalla mattina alla sera, non solo mi ringrazierete, ma mi costruirete una statua come miglior papà del mondo!" ribattè Magnus, alzando il mento, compiaciuto.
"Ne dubito." si imbronciò Max, incrociando le braccia al petto. "E per il film?"
"No!"
"Ma dici sempre noooo!" rispose Max, esasperato, gettando la testa all'indietro ed allargando le braccia.
"Perché mi fate domande a cui devo rispondere sempre no!" ribattè Magnus, con un sorriso astuto.
"Daddyyyy!" strillò Max, per nulla scoraggiato da quel secco rifiuto, correndo verso l'altro genitore, per afferrargli saldamente un braccio. "Papi non vuole vedere il film Coco." si lagnò, tirandolo e scuotendolo.
"Oh per l'angelo!" sbuffò Magnus, stizzito, chiudendo la porta di casa. "L'abbiamo già visto cinquanta volte! Cinquanta!" esclamò, con esagerata enfasi. "Non si può vedere qualcos'altro? E che è? State tentando di battere il record?"
Rafe ridacchiò, grattandosi il naso. "Veramente l'abbiamo visto solo dieci volte." lo corresse, con un sorriso divertito.
Magnus gli lanciò un'occhiata fintamente severa. "Shhh, pulce! Non essere così pignolo!" lo apostrofò, facendogli il solletico su un fianco e facendolo ridere.
"Daddyyyy!" gridò di nuovo Max, ignorando Magnus. "Possiamo vedere ancora Coco questa sera? Eh? Possiaaaamoooo?" lo pregò, abbracciandolo in vita.
Alec rise e gli accarezzò i morbidi capelli neri. "Va bene." acconsentì, divertito.
"Sìììì!" gridarono i due bambini, alzando le braccia al cielo, dandosi poi il cinque e saltellando verso la cucina.
Magnus emise un gemito strozzato. "Perché?" gli chiese, allibito, mentre lo guardava con uno sguardo offeso e tradito, prima di inciampare in Presidente Miao, che si era intromesso tra le sue gambe. "Presidente!" lo sgridò, abbassando lo sguardo. "Quante volte ti devo dire che non devi attentare alla vita di papà? Eh?" lo ammonì.
Il micio miagolò, indispettito, e sgusciò via, dirigendosi dentro casa, alla ricerca di coccole e cibo che sicuramente i due piccoli umani gli avrebbero elargito, a dispetto dei due adulti che non lo stavano neanche degnando di uno sguardo. Che affronto!
Alec fece un pigro sorriso e osservò il compagno, mentre lo raggiungeva sulla terrazza, senza lasciarsi sfuggire un solo dettaglio di quel magnifico uomo che era solo ed esclusivamente suo.
Indossava dei jeans neri ed attillati, che Alec aveva bocciato, ma che, intimamente, apprezzava davvero molto perché gli fasciavano il sedere in modo divino, ed una maglietta bianca ed esageratamente scollata, che lasciava scoperta buona parte del suo petto, su cui spiccava un'infinità di collane e da cui si vedeva la pelle caramellata, resa ancora più scura per via dell'abbronzatura presa durante la loro vacanza a Bali.
Nonostante l'adorabile broncio, gli occhi di Magnus si posarono su di lui, dolci, carezzevoli ed innamorati e ad Alec si mozzò il respiro, come ogni altra volta che l'altro lo guardava in quel modo.
"Perché, mentre loro si guardano per l'ennesima volta quel film, noi ce ne andiamo in cucina a preparare i pop-corn." mormorò Alec, rispondendo alla domanda, mentre gli arpionava i passanti dei jeans per avvicinare quel corpo tentatore al suo.
"Che c'è di così interessante nel fare i pop-corn?" chiese Magnus, indignato, allargando le braccia con una smorfia buffa.
Alec ammiccò e sorrise, furbo.
"Che c'è?" chiese Magnus, aggrottando le sopracciglia. "Davvero, non vedo cos... Ohhhh." si illuminò, consapevole, quando capì il sottinteso del marito. "Mi piace quello che hai in mente." sussurrò poi, leccandosi le labbra.
Alec ridacchiò e, mentre osservava rapito quel movimento, gli si avvicinò ancora di più. Magnus infilò una mano nei suoi capelli avvicinando il proprio viso al suo.
"Dadd.. Oh per l'angelo!" esclamò Rafe, roteando gli occhi con un sorriso, dopo essere sbucato dalla porta finestra insieme a Max. "Ancora?" domandò, quando li vide così vicini.
"Sparite." grugnì Magnus, senza staccare gli occhi da quelli di Alec e pressando con più decisione il suo petto contro quello del marito. "Non lo vedo da ben venti minuti. Ho tutto il diritto di baciarlo!"
"Beh.. potremmo sparire.." sorrise Max, scaltro. "O potremmo restare qui. Per un po'. O per un tempo un po' più lungo. Molto, molto lungo." rincarò, sbattendo le lunghe ciglia e scrollando le spalle.
Magnus girò repentinamente lo sguardo, alzando un sopracciglio. "Cosa volete?"
"Cioccolata!" si illuminò Rafe.
"E caramelle!" aggiunse Max, battendo le mani, felice.
"Solo un pezzetto. E solo una." concesse Magnus, ammonendoli con l'indice. "E ora, sciò! Via!"
I bambini ridacchiarono, dileguandosi nuovamente dentro casa.
Alec alzò gli occhi al cielo, divertito. "Non avevi detto niente dolci?"
"Shhh, Fiorellino." lo rimbeccò Magnus, con occhi languidi. "Non metterci anche tu."
Alec rise. "Scusa. Dove eravamo rimasti?" chiese poi, afferrandogli la nuca.
"Che ne dici di un viaggio?" domandò Magnus, inaspettatamente.
"Un viaggio?" ripetè Alec, ad un soffio dalle sue labbra, aggrottando la fronte.
Magnus annuì.
"Ma.. siamo appena tornati dal viaggio di nozze." disse Alec, confuso.
Si erano sposati neanche un mese prima, con una romantica e deliziosa cerimonia nell'isola dove era nato Magnus, che l'aveva sorpreso con quella proposta durante la loro vacanza, la prima che trascorrevano loro quattro insieme, dopo la lunghissima e per nulla semplice riabilitazione di Rafe, che era durata mesi.
I suoi fratelli gli tenevano ancora il muso per questo. Alec aveva spiegato loro, più di una volta, che era stata una cosa non programmata e del tutto inaspettata (e che, forse, addirittura non aveva nessuna valenza legale), ma a Jace ed a Izzy non importava e glielo rinfacciavano ogni volta che si vedevano.
Magnus scosse le spalle. "Voglio portarti in un posto. E non è proprio un viaggio.. diciamo una gita fuori porta, ecco." precisò, cingendogli il collo con le braccia.
Alec lo abbracciò in vita. "Dove andiamo?"
"Ad Oheka!" esclamò Magnus, sorridendo.
"Perché?" chiese Alec, sorpreso.
"Beh, da quando hanno ripreso ad andarci, i tuoi fratelli non la smettono più di dire quanto sia meravigliosa quella suite, quanto sia bello il castello, quanto sia spettacolare il parco. E quindi, ho pensato, perché non andiamo a profanare l'eremo di tuo padre, facendo del sesso sfrenato ed assolutamente proibito sul suo letto alla facciaccia sua?"
Alec scosse la testa, incredulo. "Perverso." sentenziò, iniziando a ridere di gusto. Era così tipico di Magnus fargli quelle proposte.
Il sorriso di Magnus si allargò e gli si strinse maggiormente contro, baciandogli la punta del naso. "Aku cinta kamu, malaikatku*."
Alec sorrise, radioso, poi cercò le sue labbra, baciandolo di slancio e sentendo Magnus che rispondeva con lo stesso impeto. Era perfetto.
"Papiiii! Daddyyyy! Presidente ha vomitato sul tappetoooo!" urlò Rafe, dal salotto.
Sì, era davvero tutto perfetto.. o quasi.



---
Note dell'autrice

* Malaikatku = angelo mio (tradotto con Google, quindi spero sia la parola corretta!)

E dopo oltre un anno, la fine della storia.. è quiiii! Carramba, che sorpresa! :D

Prima di tutto, chiedo scusa per i tempi biblici che ho impiegato per pubblicare i vari capitoli, ma a causa di impegni e problemi familiari, sorti lo scorso anno, ad un certo punto ho proprio dovuto abbandonare momentaneamente la scrittura e quindi ci ho messo un'eternità per concluderla.

Seconda cosa, dedico la mini-mini-mini, ma davvero mini, scena del matrimonio a Sammynaa91. So che probabilmente non era quello che ti aspettavi, ma prometto che aggiungerò un capitolo extra solo ed esclusivamente per questo momento. Quando, non lo so, ma arriverà! Giurin giurello! ;D

Ed ora permettetemi di dirvi GRAZIE! *___*
Grazie a chi ha commentato, scrivendo parole gentili e recensioni positive. Vi ringrazio per i suggerimenti, i consigli, ma, soprattutto, perché siete stati talmente carini da non farmi notare gli strafalcioni che mi sono sfuggiti (che c'erano e che, probabilmente, ci sono ancora XD) o addirittura le incongruenze (che c'erano, eccome se c'erano, e di cui mi sono accorta solo dopo aver riletto, per l'ennesima volta, la storia dall'inizio per vedere se filava come volevo io! XD Quindi portate pazienza se, dopo aver letto un capitolo, trovate delle aggiunte o delle modiche che prima non ricordavate!) ;D
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite.
Grazie ai lettori silenziosi.
Grazie a chiunque ha perso del tempo per leggere questa fanfiction.
Grazie grazie e ancora grazie.

Un bacio e a presto! ;-*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3734448