The girl from the other side

di Morella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Del giorno in cui Sakura decise di guardare al mondo come le mutande di una certa signora ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Passi stanchi, sordi e pesanti riecheggiavano lungo il vialetto di una casa ubriaca posta nel punto più alto della cittadina. Una ragazza, dall'atteggiamento affranto e abbastanza bislacco, si trascinava letteralmente lungo quel selciato. Inciampò un paio di volte, senza però mai alzare il capo e lo sguardo da terra. Il suo abbigliamento non andava certo in aiuto a quello che sembrava essere il suo tetro umore: vestiva interamente di nero, fatta eccezione per un'ingombrante sciarpa rossa che le copriva la parte inferiore del viso. Quel passo difficile si arrestò dinnanzi al portone dell'abitazione e, con fiacca pronunciata, quella ragazza acciaccata cercò di suonare il campanello, destreggiandosi con le borse ingombranti che teneva in entrambe le mani.
 
Dlin dlon
 
Attese.
Attese ancora.
Non udì passi, rumori o risposta alcuna.
 
Sbuffò.
 
Lasciò scivolare una delle capienti borse di cuoio a terra e iniziò a cercare, con fare circense, le chiavi nella borsa penzoloni sull'altra spalla. L'esile mano si fece spazio tra le mille cose contenute – incredibilmente – in quello spazio circoscritto, trovando e tirando fuori la qualunque. Si fermò un istante, sbuffando di nuovo e bofonchiando qualche imprecazione tra i denti.
 
“Evidentemente si divertono a giocare a nascondino”
 
Assestò un altro colpo di mano, andando finalmente a segno e pescando il mazzo di chiavi. Le rigirò tra le dita, sussurrando un birbantelle. Le infilò nella serratura, non mancando di barcamenarsi tra il continuo impaccio di quelli che sembravano veri e propri bagagli. Richiuse la porta alle sue spalle e, veloce, salì su per le scale a chiocciola, arrivando a una sorta di piccola mansarda. Entrata nella stanza, lanciò letteralmente tutti gli impicci sul pavimento, saltandoli poi con passo felino.
 
Casa. Camera mia. Sola. Salvezza. Finalmente.
 
Piroettando, si fermò davanti al lungo e stretto specchio adagiato su una parete. Con grazia – ma nemmeno troppa – srotolò l'ampia sciarpa, tirando però un po' troppo; il risultato fu la creazione di un simpatico cappio auto-realizzato. Tossicchiò, liberatasi. Da quel groviglio di stoffe ne uscì fuori un visetto armonioso e una massa di lunghi capelli rosa; il tutto impreziosito da un paio di enormi occhi smeraldo. Le ampie e lunghe ciglia, truccate delicatamente, regalavano a quello sguardo qualcosa di ipnotico; al contempo però, il brillio insito in esso non poteva che rendere quegli occhi estremamente dolci e fieri. Rimirando il suo riflesso, iniziò a stropicciarsi la faccia, incurvando le labbra carnose. Gonfiò le guance e, senza la minima grazia, le fece sgonfiare con due schiaffi secchi. Rimase in quella bislacca posizione, contemplandosi.
 
“Come sei ridotta, cara mia”
 
Parlò al suo riflesso con vocina stridula e un po' isterica, come se quella che rimirava nello specchio non fosse in realtà lei stessa. Come un automa lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e si guardò rapidamente intorno.
 
Dovrei sistemare quelle pratiche... dovrei sistemare il macello che hanno lasciato gli altri... dovrei studiare per gli imminenti esami... dovrei cercare l'ennesimo lavoro... dovreidovreidovrei!
 
Volse la testa in direzione del letto. Passi lunghi e ben distesi ed eccola a un centimetro da quel morbido e caldo paradiso. Gli occhi chiari a mezz'asta. Aprì entrambe le braccia lateralmente.
 
“Dovrei ma... voglio morire. Qui. Ora”
 
Così dicendo, con tono lugubre e perentorio, si lanciò a peso morto sul materasso, rimanendo rigida e immota a testa china, con il viso riverso su quella superficie accogliente.
 
Tutti questi imperativi e doveri... mi hanno proprio scocciata.
 
 
*
 
 
Si suol dire che la mattina abbia l'oro in bocca. Siffatto modo di dire però, non si addiceva propriamente a quella ragazza stropicciata.
L'alba si era affacciata timida su quella cittadina di periferia; e i primi raggi di sole, birichini, le si erano stanziati in pieno viso, svegliandola senza indugio. Se comunemente le serrande venivano tirate giù al calar della sera, in quella mansarda, in quel suo piccolo mondo a sé, quest'ultime non esistevano affatto. Non sopportava il buio; a suo dire esso non aveva ragion d'essere. Ne aveva paura, paurissima; e l'idea di risvegliarsi in piena notte, completamente nell’oscurità, le faceva provare un senso di soffocamento e angoscia infinito. Dicasi claustrofobia, invero. Proprio a fronte di questo quel sole impudente ogni giorno andava a disturbarne il sonno, dandole il primo assaggio di fastidio della giornata.
 
Pessimismo e fastidio.
 
Lo pensò quella mattina, esattamente come aveva fatto per quasi ogni risveglio negli ultimi anni. Una fugace grattata di nuca e via, in piedi come un soldatino. Mentre infilava una maglia più spessa sopra il pigiama a canotta, l'occhio le cadde su qualcosa ben riposto sulla scrivania adiacente: una sorta di diario-agenda, con una morbida copertina color verde mela. Su di esso un nome, scritto in ottima grafia.
 
Sakura Haruno.
 
Lesse e rilesse quel nome, rimuginando.
 
“Ehhh... Sakura, inizia l'ennesima giornata tipo
 
Sbadigliò, lisciandosi il collo e continuando a masticare qualche mugugno. Poi, un altro blando schiaffetto sulla povera guancia.
 
“Forza Sakura, non essere sciocca. Meno lamenti e più produttività! Shannaro!”
 
Alzò le braccia al cielo, in segno di ritrovato entusiasmo.
 
“La vita va affrontata con entusiasmo... quindi...”
 
Stette in quella posizione per qualche istante, con un sorrisone fintissimo stampato in volto.
 
“...sono SUPER depressa!! Evviva!!”
 
Saltellò sul posto, mimando l'entusiasmo che tutti andavano decantando ogni volta che tentava di spiegare quanto non si trovasse a suo agio in quella vita così standardizzata. Dopotutto alle genti bastava rispondere con odiose frasi fatte, ergendosi al livello dei grandi saggi d'altri tempi. A loro dire era tutto nella sua testa; era lei sbagliata a farsi troppi problemi.
 
“Eh sì, ora mi sento decisamente meglio... col ca###!”
 
Ultimamente la ragazza stropicciata, tale Sakura, si era lasciata andare in prodezze linguistiche un po' scurrili; tanto per allentare la tensione accumulata, insomma. Abbassò le braccia, tornando nel mood di partenza, forse con un tantino di cattivo umore in più. Con un sonoro colpo di tallone iniziò a marciare verso la cucina e quel nuovo giorno, masticando un mavaffanculo contro l’universo.
 
 
*
 
 
Al calar dell'imbrunire, la consueta ragazza stropicciata si apprestava, stanca e ancora decisamente giù di corda, a rientrare in quella sua casa dalle tinte pesca. Salì, come ogni giorno, quelle scale a chiocciola verso il rifugio che da anni le concedeva almeno un minimo di serenità. In quella mansardina dai colori pastello vi era tutto il suo essere; poteva permettersi di sognare, sospirare, ritrovare la speranza – perdendola nuovamente un secondo dopo – e in ultimo, ma non per importanza, poteva sfogarsi. Saltava, ballava, urlava e cantava a squarciagola; e poi, scriveva. Lo faceva fin da piccola, con la convinzione che solo in questo modo si sarebbe potuta aprire davvero. Era complicato da spiegare, ma quelle pagine bianche la invitavano a non aver paura di raccontarsi; la cullavano, con dolcezza, a sussurrarle che, alla fine, sarebbe andato tutto per il meglio.
Sedette alla scrivania, penna in mano. Davanti a sé quel diario verde mela, che riportava il suo nome, quasi a ricordarle chi fosse in realtà. Sfogliò velocemente le pagine già utilizzate, arrivando a quelle immacolate. Un sorriso le nacque sul viso. E via, di getto.
 
 
Sakura Haruno.
22 anni (ancora per poco).
Siamo ormai a metà marzo, e la nefasta data della mia comparsa in questo mondo tutto uguale è quasi giunta. Ahimè, al solito, non mi aspetto nulla di particolare. Benché sia tradizione riferirsi al ventitreesimo anno d’età con uno spicciolo “23buciodeculo”, non ho molte speranze a riguardo. In fondo al cuore penso che mi sia rimasto un barlume di speranza, di cambiamento e novità; ma temo che questa mia voglia di iniziare a vivere veramente venga nuovamente infranta. Sono abbastanza disillusa, nonostante la giovane età. E di questo tu, mio scrigno delle memorie, sai bene. Penso di essermi persa di vista; persa in un mare di preconcetti e aspettative che il mondo mi vomita addosso di continuo. La contemporaneità va talmente veloce che credo di non riuscire più a star dietro a nulla. Nonostante il mio impegno per essere “in timing”, sento di perdere invece terreno a ogni passo. Cerco costantemente di essere una perfetta figlia, studentessa, lavoratrice e, soprattutto, una perfetta abitante di questo mondo. Puntualmente però mi vengono rinfacciati tutta una serie di difetti – mie caratteristiche caratteriali che mi rendono in qualche modo unica, io credo – e questo lo trovo assai indigesto. Chi sono tutti per riempirsi la bocca di giudizi? Cos’è la normalità? La verità è che non esiste; solo loro, i benpensanti, sono convinti di avere in mano il senso tutto della vita. E invece l'esistenza dev'essere costituita di varietà, da diversi modi di sentire e approcciarsi al creato. Ma no, pensare e desiderare questo è troppo. Quindi bisogna farsene una ragione e rimanere attaccati a questa assurda e svilente vita dagli standard predefiniti.
Ma io, non smetterò mai di chiedermelo: possibile che la mia vita debba ridursi solamente a questo? È possibile che esista solo questa realtà così spoglia e triste?
Forse sono io, invero, quella sbagliata e sognatrice. Il mio più grande rammarico risiede proprio nel sentirmi troppo spesso sbagliata, come mi additano gli altri. Un senso di abnorme fastidio mi percorre al sol pensiero di dar loro inconsciamente e implicitamente ragione.
Mi sento ogni giorno morta dentro. Nulla riesce a destarmi da questo mio incubo perenne.
Nulla più mi fa palpitare il cuore.
Esiste una via d’uscita?
 
 
Una lacrima le rigò il viso, calda e salata. Quegli occhi color prato si inumidirono, divenendo stropicciati quanto la loro proprietaria.
 
Richiuse il diario, sconsolata.
 
Un'altra giornata era volta al termine; un'altra giornata senza speranza. E a Sakura non rimase che andare a dormire, nell'illusione, forse, di risvegliarsi il più tardi possibile.
 
 
*
 
 
“Chiedo tanto nel volere un po' di tempo per me? Un po' di pace? È un delitto anche questo? Spero sempre che voi capiate che non sono la bambolina perfetta e ubbidiente che volete che io sia... perché non avete rispetto per me? Per la mia persona indipendentemente dal mio essere figlia? Non merito questo trattamento... non lo merito proprio!!”
 
Sakura serrò i pugni, indignata dall'egoismo della sua famiglia e alquanto esasperata dall'immagine che loro tutti si erano fatti di lei.
I problemi, i dissapori, le malinconie erano sempre i medesimi. Come si fa a vivere quando la vita, in realtà, un senso non ce l'ha? O almeno, quando della vita non si riesce a scorgerne il senso; magari c’è, esiste, è tangibile, ma non è semplicemente uguale e giusto per tutti.
 
Prese il suo cappotto rosso e fuggì via, a perdifiato.
 
Camminò e camminò, in lungo e in largo, percorrendo quelle vie che piano piano si preparavano a sbocciare a nuova vita. I vialoni erano ricolmi di vegetazione e, lungo le strade, una moltitudine di meravigliosi ciliegi allietavano, da sempre, i suoi dolori. La primavera era alle porte e i colori, gli odori e i sapori della nuova stagione si preparavano letteralmente a esplodere, donando a quel mondo grigio e avvilito dall'inverno nuove ondate di puro colore e calore.
Quel pomeriggio, Sakura si spinse ben oltre il perimetro che era solita percorrere. Senza accorgersene si trovò davanti a una lunga e maestosa scalinata, alla cui base stanziava un imponente torii vermiglio, eroso dal tempo.
 
Un santuario? Da queste parti?
 
Come attirata da quel luogo, cominciò a percorrere la scalinata.
 
Ma quando finisce?! Non sembravano così infinite... uscirò in cielo, magari su una nuvola?!
 
Distrutta, alla fine riuscì a salire e oltrepassare l'ultimo scalino. All'entrata, trovò un bislacco benvenuto, inciso su una pietra, erosa anch'essa, sintomo che doveva trovarsi lì da molto, molto tempo. Eppure di quel luogo, lei, non ne aveva mai udito menzione.
 
 
In ogni dove ti potrai recare.
 
Oh, visitatore, di una sola cosa ti dovrai ricordare:
 
la realtà non è quella che tu definisci tale.
 
 
 
Alquanto interdetta, alzò un sopracciglio e passò oltre.
Quel santuario doveva avere centinaia di anni, era davvero malmesso e non sembrava esserci anima viva. Si inoltrò in un sentiero adiacente al rudere, attirata dal rumore di uno scroscio d'acqua. La vegetazione era talmente fitta che non mancò di procurarsi qualche graffio; incurante di ciò però proseguì, sinceramente decisa ad andare fino in fondo. Non ne capiva il motivo, ma lei doveva andare, continuare quel cammino.
Libera dagli artigli boschivi, ecco palesarsi un piccolo stagno, nettamente in contrasto con la fatiscenza delle strutture precedentemente incontrate. Esso brillava, come di luce propria. Una distesa infinita di fiori di loto la fece meravigliare come una bambina; e intorno a essi, tantissime e coloratissime carpe koi nuotavano soavi. Tutti i colori dell'arcobaleno si riflettevano in quel limpidissimo specchio d'acqua.
Fece per avvicinarsi, quando una voce la prese alla sprovvista facendola letteralmente sobbalzare sul posto.
 
“C-Chi è?! C’è qualcuno?!”
 
Si guardò intorno, in preda ai brividi.
 
“Benvenuta signorina”
 
Sakura si girò lentamente, totalmente rigida. Si trovò dinnanzi una vecchina alquanto minuscola, con lunghi capelli bianchi, degli occhi semplicemente scuri ed enormi, e con indosso un kimono decisamente variopinto.
 
Pffff... era solo un'anziana signora...
 
“Mi scusi, mi ha terrorizzata”
 
“Lo so, l'ho fatto di proposito. Sa cara, di qui non passa mai nessuno e non è esattamente uno spasso”
 

 
“Eh-eh... capisco...”
 
Che vecchina bricconcella. Forse dovrei darmela a gambe levate...
 
“Per farmi perdonare le farò scegliere una pietra. Quale vuole? Che colore? Forma?”
 
La vecchina aprì un sacchetto ricolmo di pietruzze di ogni colore e forma.
 
“E cosa dovrei farci?”
 
“Intanto sceglierne una. Poi pensare intensamente a qualcosa e lanciarla nello stagno”
 
“Tutto qui? E a cosa mai servirebbe?”
 
“Forse a nulla. Chi può saperlo?”
 
Sakura aggrottò la fronte, rimirando l'anziana con cipiglio. Perché mai una donna così anziana si aggirava in quei luoghi, da sola, e per di più con delle pietre nelle tasche?
Decise di farla contenta in modo tale da sollevarsi dall'impaccio di quella strana situazione.
 
“Scelgo questa qui, ambra, a forma di... niente, invero”
 
“Quanta scarsa fantasia, non vede che quella è una volpe?”
 
Una volpe?! Ma dove la vede?!
 
“Ah certo, ha ragione, mi scusi”
 
“Lanci cara”
 
Sakura fece un segno d'assenso e si diresse nuovamente verso lo stagno. Si concentrò, visualizzando una determinata parola nella mente.
 
Pronti. Via. Lanciare!
 
L'ambra piombò perfettamente nell'acqua, senza farla minimamente increspare.
 
Che talento, shannaro!!
 
Si sfregò le mani, in segno di ben fatto, poi tornò nella direzione della signora.
 
“Perfetto signora, è ora che me ne torni a casa, si è fatto tardi! È stato molto divertente lanciare sassi in acqua... ehm, sì, davvero!”
 
“Sassi? Pietre
 
“Fa lo stesso!” disse continuando a camminare, sorpassandola e apprestandosi a immergersi nuovamente nella fitta boscaglia. “Davvero è stato un piacere conoscerla signora, buona serata!”
 
Così dicendo svanì nel verde, scappando letteralmente da quella stramba vecchietta.
 
“Oibò... arrivederci, Sakura
 
 
*
 
 
In un qualche dove...
 
Sbam
 
Una pietra color ambra, catapultata dall'alto del soffitto, impattò violentemente contro una testa corvina, per poi rimbalzare sul malcapitato capo e rotolare, veloce, a terra.
 
“Tsk”
 
L'individuo si portò una mano a massaggiare il cuoio capelluto, bofonchiando con mugugno sommesso.
Sul pavimento, quella pietra venuta da lontano portava marchiata su di essa una singola, inarrestabile, parola.
 
 
SPERANZA.

~
 
Questo è il primo AU in cui mi cimento.
Sarà una storia prevalentemente incentrata - come mio solito - su Sakura e Sasuke, ma ho intenzione di provare a rendere partecipi tutti i personaggi con ogni coppia annessa.
Spero di non fare un totale pastrocchio.

Un saluto
!

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Capitolo 2
*** Del giorno in cui Sakura decise di guardare al mondo come le mutande di una certa signora ***


Del giorno in cui Sakura decise di guardare al mondo come le mutande di una certa signora

 
Che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non si possono cambiare,
 
la forza di cambiare quelle che possono essere cambiate,
 
ma soprattutto l'intelligenza per saper distinguere le une dalle altre.
 
 
 
Il padre di Sakura masticava bestemmie e improperi di sorta mentre le si rivolgeva.
 
Un padre, nel senso comune, dovrebbe essere colui atto a ricoprire un ruolo di guida per la propria famiglia, soprattutto per la prole. Guida di sane e buone cose, di comportamenti leciti e di un più che soddisfacente modo di stare al mondo. Succede però, in contrasto con questa idilliaca idea del cosiddetto capofamiglia – se si vuole per forza considerare una determinata società in chiave patriarcale – che le vicende non vadano sempre esattamente in questa maniera. Sebbene in molti credano che esistano solo papà come si deve, la realtà è ben altra. Al mondo vige un'altra terribile verità: come esistono donne in cui l’istinto materno è assente, esistono anche padri divenuti tali solo per nomea, perché quando si va a letto con una donna e la si mette incinta si diviene “padre” per causa di forza maggiore. C’è chi riscoprirà il senso della vita divenendo genitore e chi, in maniera opposta, considererà l'avvento di una nuova vita come una disgrazia, o più semplicemente come una cosa di poco conto. Gli individui appartenenti al secondo e terzo gruppo, per un motivo o per un altro, non saranno che insipidi padri biologici. Limitatisi a generare, nessuno vieterà però loro di distruggere l'esistenza del malcapitato figlio.
Sakura Haruno faceva proprio parte di quella classe di malcapitati figli. Suo padre era un uomo verbalmente violento, dalla sbronza facile, dalle male parole a fiume e caratterizzato dal completo non rispetto verso quella che era sua figlia. Non sapeva nemmeno lei quante volte il prossimo le avesse detto che non si rispondeva al proprio padre; sempre il già citato senso comune sanciva quanto il rispetto per i genitori da parte dei figli fosse sacrosanto. Ma qualcuno si era mai soffermato a pensare a quanto fosse ugualmente importante il medesimo rispetto a parte invertite? Perché mai una figlia, continuamente vessata e trattata male, avrebbe dovuto passare la vita subendo senza reagire? Sakura aveva trascorso un'adolescenza pessima per colpa di quella persona, come era solita definirlo. Certe figlie non sono delle principesse; bensì solo delle stronze. Conscia della considerazione che il padre aveva di lei, Sakura si era ripromessa di rispondere sempre e comunque a quell'uomo che amava definirsi cattivo, quando in realtà non rasentava che l'inettitudine massima. Per molti anni ne aveva avuto paura: aveva avuto paura dei suoi scatti d'ira improvvisi, dei suoi cambi di umore repentini; aveva avuto soprattutto paura che un giorno avesse potuto fare del male a lei e sua madre. Gli anni erano però passati e due alternative erano andate delineandosi: la prima era quella di perire dinnanzi a quell'orco, accettando di fare la buona e persuadendosi che forse quel suo comportamento fosse una sua diretta colpa; la seconda consisteva nel convincersi di quanto fosse ingiusto dover pagare per una persona ignobile solo perché si arrogava il diritto di schiacciarla in qualità di suo padre. Infine aveva quindi deciso di percorrere la seconda via, che sicuramente non si era rivelata la più semplice. La sua situazione odierna e il suo essere così stropicciata erano perlopiù frutto del suo passato e delle sue decisioni. Affrontare gli anni con il nemico direttamente in casa era stato un calvario, ma aveva promesso a se stessa che non avrebbe mollato, avrebbe continuato a resistere a oltranza, perché lei meritava di avere una vita e un trattamento migliore. Forse non avrebbe ottenuto nessuna delle due cose, ma almeno si sarebbe battuta per far sì che fosse possibile. Molte volte l'aveva minacciata di buttarla fuori di casa o, peggio, di farla volare di sotto; ancora, dopo aver proferito la sua frase tipo, ossia se mi incazzo davvero io poi vedi che succede, Sakura gli aveva risposto che non conveniva continuare quella pantomima perché a quel punto avrebbe chiamato aiuto. Risposta lapidaria e degna di quell'uomo fu se fai in tempo. Ella ricordava bene l'immonda rabbia che aveva provato nell'udire l'ennesima minaccia che assolutamente non meritava; ricordava lo stomaco contorcersi e le lacrime salire agli occhi piene d'ira e tristezza, e i denti stringersi in un digrigno infinito. Anche quella volta gli aveva risposto urlando, perché no, quel tipo di comportamento non poteva farlo passare inosservato. Così era riuscito a rovinarle l'ennesima giornata. Forse non faceva il suo bene continuando a sbattere contro quel muro granitico nel tentativo di farlo rinsavire, di insegnargli lei, figlia, come si stesse al mondo; ma, ahilei, non riusciva a evitarlo, complice il profondo senso di ingiustizia per quella condizione che l’accompagnava ogni singolo istante. Capitava che avesse delle perplessità anche su sua madre. Con lei aveva un rapporto magnifico, ed era lontanissima dal modo di essere del marito. Nonostante questo c'erano delle situazioni in cui interveniva poco o, almeno per la visione di Sakura, lo faceva con troppo poco polso. Sakura più di una volta aveva pensato che, se fosse stata lei la madre, al primo urlaccio del marito contro i figli si sarebbe alzata ammonendolo duramente; questo sua madre non lo faceva, se non qualche volta. Si giustificava dicendo che non voleva alzare troppo i toni perché poi sarebbe stato peggio; forse aveva ragione, ma il senso di “tradimento” e solitudine che provava Sakura rimanevano belli che intatti. Nella sua mente aveva come credo di salvare se stessa ma anche sua madre; però più passava il tempo e più arrivava alla conclusione di non poter in verità salvare tutti, salvare gli altri. Questo atteggiamento di eterna protettrice dei suoi affetti la stava pian piano rosicchiando, portandola ad allontanarsi dai suoi veri desideri e piaceri; la stava portando verso l'annientamento del suo sé. In ventidue anni non aveva praticamente vissuto. Aveva sempre e solo provato a fare la cosa giusta, a essere una brava e diligente ragazza; pochi amici, pochi aneddoti da raccontare. Poco tutto. Non riusciva a ricordare nulla che la riempisse di gioia, riuscendo in questo intento solo scavando nei ricordi dell'infanzia. Perché l’infanzia, almeno quella, era stata davvero un periodo d’oro. La faceva sempre sorridere il ricordo di lei bambina che, sdraiata piedi al muro sul pavimento del suo vecchio appartamento, decantava ad alta voce come fosse la bambina più felice del mondo. Nell'oggi invece si era più volte ritrovata a piangere schiena al muro, rannicchiata in un angolo della sua mansarda mentre, ascoltando gli altrui schiamazzi gioiosi provenire dalla finestra, si sentiva una delle ragazze più infelici del mondo.
 
Quel pomeriggio, l'ennesimo litigio. L'ennesimo litigio senza senso. Si era permessa di fermarlo mentre abbassava le serrande della cucina togliendo respiro a quella luce calda che ancora allietava il soggiorno. Non sopportando il buio, le ore di luce erano per lei fonte di vita; tapparsi in casa nell’oscurità ancora prima del tempo non aveva alcun senso. L'aver avanzato questa necessità, portò quella persona a sbottare oltremodo, imperterrito nell'indugiare nei suoi comportamenti totalmente sconnessi e nonsense. Le aveva urlato addosso, prendendola a male parole, dicendole che le aveva proprio rotto il cazzo. Ed eccola di nuovo quella rabbia ribollirle nelle viscere: aveva solo detto di aspettare ad abbassare le serrande, che crimine era mai questo? A sua volta gli rispose a tono, urlando qualche impropero, per poi girare i tacchi continuando a maledire il giorno in cui era nata in parentela con lui. Salì le scale a chiocciola letteralmente in fuga; si buttò sul letto, coprendosi velocemente con un piumone leggero a rombi colorati, chiudendosi in esso come a protezione.
 
Sulla scrivania il diario aperto, due pagine riportavano il medesimo pensiero:
 
 
IO ME NE ANDRÒ.
 
IO MI SALVERÒ.
 
 
*
 
 
“Ciao Sakura! È un po' che non ci incrociamo! Come va?”
 
Gli occhi stanchi di Sakura si alzarono svogliati dal libro di Anatomia. Un gruppetto di sue compagne di corso se ne stava imbambolato a fissarla con aria divertita, in attesa di risposta. Gli occhi chiari incorniciati dal violaceo delle occhiaie guizzarono sui volti di ognuna, portandola a corrugare impercettibilmente la fronte. Sapeva bene cosa stavano pensando; sapeva bene di essere quella strana e solitaria, per loro. Cercò di abbozzare un sorriso per dissimulare la punta di fastidio.
 
“Ragazze! È vero, è da un po' che non ci vediamo. Ho molte cose da fare e seguire le lezioni e le scadenze è davvero impegnativo, e quando posso mi metto in qualche angolo a studiare. Ma va tutto bene”
 
Sapeva di mentire spudoratamente in merito, ma mai e poi mai avrebbe dato loro soddisfazione, mettendole nella posizione di compatirla. Sapeva che già lo facevano, considerandola la sfigata della situazione, per questo preferì cercare di sembrare il più tranquilla e serena possibile.
Una biondina, tale Sachiko, prese la parola. Le se rivolse in tono assai beffardo e difficilmente sopportabile.
 
“Effettivamente sembri stanca e un po' più spenta del solito! Ti trovo un po' smunta e sciupata, dovresti cercare di prenderti più cura di te!”
 
Sakura poté sentire la risatina divertita nei loro pensieri. Nonostante avesse semplicemente riportato un dato di fatto piuttosto comune – ossia che star dietro alle lezioni e allo studio era cosa assai difficoltosa – e l'aver asserito che stesse bene, quelle piccole arpie avevano comunque tratto le loro conclusioni, buttando nel discorso frasette velenose per sminuirla. Non c'era nulla da fare, la tendenza a etichettare le persone alla buona rimaneva fuorviante e deleteria.
 
“Sachiko, hai ragione, sono davvero stanca! Devi sapere che il mio uomo è molto esigente... recitare il Kamasutra non è proprio una passeggiata!”
 
Il gruppetto rimase stizzito e interdetto per qualche secondo, portando la Sakura “interna” a ridere di gusto. Le aveva fregate ben bene con quella risposta inaspettata; non era certa che cadessero nel tranello, ma in ogni caso aveva instillato in loro il dubbio.
 
“Il tuo uomo? Sei fidanzata? Tu?”
 
Io? Ma sentile... come se fossi un povero derelitto e non una comune ragazza!
 
“Già, proprio io. Ora scusatemi ma devo proprio andare, penso proprio che stasera ci dedicheremo alla seconda parte”
 
“Ma non ti vergogni a parlare ai quattro venti di queste cose?”
 
Sumi, un’altra del gruppo, pensò bene di tentare di riportare il gioco a loro favore puntando sulla “scabrosità” degli argomenti trattati.
 
“Sono una ragazza disinibita, non posso farci nulla! È tutta natura, non mi dite che voi non lo fate!”
 
Raccolse così i vari libri, mise la borsa in spalla e, salutandole lestamente con la mano senza dar loro la possibilità di parola, se ne andò lasciandole zittite e a bocca aperta.
 
 
*
 
 
Ovviamente, non c'era nessun uomo con cui impersonare il Kamasutra tutto. Sakura era alquanto disincantata e sfiduciata nei riguardi di una possibile vita amorosa; complice il rapporto con il padre e il non sapersi adeguare ai tempi, fin dall'adolescenza non aveva praticamente sperimentato nulla. Aveva avuto qualche piccola cotta platonica, sviluppatasi poi in un nulla di fatto; aveva avuto spasimanti totalmente folli che non avevano fatto altro che allontanarla dall'universo maschile ancor più. C'erano stati un paio di baci “bavosi”, ricordati con abnorme raccapriccio. A conti fatti non aveva mai intrecciato una relazione con qualcuno, che fosse un ragazzo o una ragazza. In un periodo della sua vita aveva anche ipotizzato che fosse lesbica e che quello fosse il fondamentale problema nel trovare un partner, ma anche questa ipotesi andò scemando in poco tempo. Diede corda ad alcune ragazze che la trovavano carina, accettando di uscirci insieme e magari trovare e provare un nuovo universo: una volta viso a viso però, in procinto di scambiarsi una minima effusione, le fu chiaro il suo non provare la benché minima attrazione. Le piacevano gli uomini, ma nessuno mai era riuscito a catturarne il cuore. Era una ragazza anacronistica rispetto ai tempi anche in quella sfera della sua vita, tanto da essere stata apostrofata più volte come “Sakura la verginella”.  Ricordava bene il profondo imbarazzo nel sentirsi “diversa” dagli altri che, scioccamente, l'avevano presa in giro fin dai tempi della scuola, mettendola in ridicolo più volte. In verità era conscia che ogni persona era fatta a suo modo e doveva maturare e fare esperienze secondo il proprio tempo interiore, ma non poteva fare a meno di sentirsi enormemente in difetto. Un giorno, durante una conversazione in treno con due sue vecchie compagne di classe, era venuto fuori l'argomento sesso e, una di queste due saccentelle, raccontava alla sua interlocutrice come una ragazza avesse ancora “le ragnatele” a 19 anni. A quel punto Sakura l'aveva vista girarsi verso di sé, paonazza in viso e in preda alla ridarella, e ne aveva ricevuto delle bislacche scuse: “scusa, non volevo offenderti!” Quelle ragazze avevano dato per scontato che lei avesse “le ragnatele” anche non sentendola e vedendola da tempo. L’etichetta le era rimasta attaccata addosso senza il minimo garbo, e quella volta volle davvero poter sprofondare. Un uomo, seduto poco più in là, aveva ascoltato l'intera conversazione e l'aveva guardata, con occhi sgranati e un sorrisetto stampato sulle labbra. In quel momento si sentì brutalmente mortificata, soprattutto perché non fu in grado di rispondere a tono. Arrivata alla sua fermata non fece altro che alzarsi e salutare mestamente. A casa pianse, e lo fece ancora. Il mondo, le persone, sapevano essere davvero crudeli. Nonostante sapesse che il difetto era nell'altrui pensiero, non riusciva a staccarsi di dosso l'esigenza di volersi sentire “normale”, così da non dare la possibilità a nessuno di canzonarla. Era un desiderio rimasto chiuso nel cassetto, perché l’utopistica e contraddittoria normalità lei non l'aveva conquistata.
 
Sakura Haruno, sulla soglia dei 23 anni, era ancora sola, stropicciata e molto, molto lontana dall'essere felice.
 
 
*
 
 
Alla tua età sei ancora ridotta così, non hai concluso niente, non hai fatto e non fai mai niente. Io, a mio tempo, avevo già figli.
 
Sakura camminava, nera in volto, con queste parole che le rimbombavano in testa. Le parole urlate con occhi di fuori dal padre, come al solito erano riuscite ad avvelenarla. Ogni volta tentava con tutte le sue forze di non farsi intaccare da quella bestia, da quel senso di repressione che quel tale si divertiva a buttare su di lei. Alla fine, però, nulla cambiava. Come sempre si ritrovava a scoppiare a piangere, più per rabbia che per tristezza, e scappava via. Quante volte aveva espressamente desiderato di fuggire via, in un posto lontano in cui tutta quella negatività non avrebbe potuto trovarla? Tante, tantissime volte; ma era solo un desiderio, un sogno, perché quella era la sua vita. Era la sua, non quella degli altri.
 
Un gatto nero con una strana macchiolina sulla fronte ne catturò l'attenzione, facendo svanire dai suoi pensieri l'immagine del genitore.
 
Dev'essere lei... sì, è proprio lei, ne sono sicura...
 
“LUNA!! Sei tu Luna, non è vero?! Dimmelo, sono la prescelta, sono pronta a essere la nuova Sailor Moon, la combattente che veste alla marinara!! Luna, scegli me!”
 
Il povero gatto, ovviamente, sgranò gli occhi e si premurò di allontanarsi il prima possibile da quella bislacca umana urlatrice. Sakura rimase in attesa nella tipica posa da guerriera Sailor mentre vedeva allontanarsi sempre più la supposta possibilità di dare un senso diverso alla sua esistenza. Sempre in quella posizione da cosplayer dei poveri, giurò al vento che avrebbe aspettato anche per cent'anni. Tornata in una posizione accettabile, alzò svogliatamente gli occhi al cielo, scrutandolo e localizzando la flebile immagine della luna in quel cielo ancora terso e pregno di luce. Con la voce a un sussurro, diede vita a una delle sue citazioni preferite, quasi fosse una sconsolata preghiera.
 
“Sailor Moon... chi ci difende sei ancora tu...”
 
 
*
 
 
Non ne capiva il motivo ma, esattamente come la scorsa volta, si era ritrovata ai piedi della grande scalinata che portava al santuario che aveva scoperto giorni addietro. Percorse nuovamente le scale con gran fatica, valicando i torii vermigli erosi dal tempo, e stanziò dinnanzi alla somma pietra all’ingresso. Qualcosa, però, non le tornava: ricordava tutt'altra frase incisa su di essa, ed era sicura di non essersi rincoglionita fino a quel punto.
 
 
Il fiore che sboccia nelle avversità è il più raro e bello di tutti*
 
 
Scosse il capo e passò oltre, immergendosi nella rigogliosa vegetazione che l'avrebbe condotta al piccolo stagno; più luminoso che mai, brillava sotto la meraviglia dei raggi solari. Il dolce profumo dei fiori che si risvegliavano e il canto degli uccelli le solleticarono l'olfatto e l'udito, procurandole un senso di pace che non provava da fin troppo tempo. Si accostò al ciglio dello specchio d'acqua, rimirando il suo riflesso. Quello che vide la fece rabbrividire, ma mai quanto lo spavento che le fece prendere una certa vocina gracchiante.
 
“ODDIO UNA VECCHIA!!”
 
Sakura fece un balzo all’indietro, urlando e portando le mani a coprire il viso.
 
“Quanto mi diverto. Bentrovata cara”
 
Sakura scostò lentamente le dita, finché una certa vecchina non comparve nel ristretto campo visivo.
 
Mi ha fatto prendere un infarto. DI NUOVO.
 
“Si può sapere perché ogni volta deve fare così?! Ma che problemi ha?!”
 
“I più disparati. Mi diverto tanto, che posso farci? Vuoi forse mettere a disagio una povera anziana?”
 
“In realtà è lei a mettere a disagio me!!”
 
La vecchina assottigliò lo sguardo.
 
“A metterti a disagio dovrebbe essere il tuo riflesso. Ti sei chiesta come mai tu sia all'apparenza una giovane fanciulla ma “allo specchio” appari come una vecchia signora?”
 
In realtà l'essersi riconosciuta sotto il grigiore di quelle rughe nello stagno l'aveva fatta inorridire. Dove si trovava? Che razza di posto era quello? E soprattutto, chi era costei?
 
“Ma si può sapere chi è lei?”
 
“Una vecchia. Come te, a quanto pare”
 
Lo sgomento si impadronì di Sakura. Quella signora era imperscrutabile, non sembrava altro che una povera pazza.
 
“Almeno il suo nome posso saperlo?”
 
“Mi chiamo Chiasa. Ora sei più contenta Sakura?”
 
Interdetta, la ragazza alzò un sopracciglio.
 
Sakura? Mi ha chiamata Sakura? Come accidenti fa a sapere il mio nome?! Non mi sembra proprio di essermi presentata...
 
“Il tuo nome lo sapevo di mio. Smetti di fare quella buffa faccia pensierosa”
 
Ma cos...
 
“Cos’è quello stagno?”
 
“Va bene. Ti dirò qualcosa... ma prima...”
 
Sakura deglutì.
 
“Sei vergine, cara?”
 
La rosa avvampò, facendosi sfuggire un gridolino tra l'isterismo e la sofferenza.
 
“M-Ma sono domande da fare queste?! E cosa c'entrerebbe oltretutto?!”
 
Chiasa rimase impassibile.
 
“Nulla. Sono una signora curiosa e mi è balenata in mente questa domanda. In ogni caso considerando la tua reazione, la risposta è un sonoro SÌ. Ma tranquilla mia cara, la giovinezza nasconde meraviglie, non sei propriamente brutta, vedrai che la retta via si aprirà anche a te!”
 
Non sono propriamente brutta? Retta via? Ma...
 
“Ascoltami, Sakura. Devi ricordare chi sei veramente, eliminando le influenze esterne. Correggi il tiro dei tuoi pensieri, rinnova i tuoi punti di vista. Inverti il processo, smettila di invecchiare, morire all'interno. Vedila come...”
 
Sakura rimase a bocca aperta, Chiasa aveva cambiato atteggiamento in un batter d'occhio, divenendo seria e protettiva. Quella signora così strana e piccola nascondeva qualcosa dietro quella sua aria strampalata; qualcosa da cui lei era disperatamente attratta.
 
“...le mie mutande”
 
No. Forse si era sbagliata. Era solo una comune matta.
 
“Le sue mutande? Cosa sta cercando di dirmi?”
 
“Le mie mutande sono colorate, con disegnini, fiocchetti e merletti. Sono allegre, ne ho un paio con tante piccole banane. Sai, il frutto dell'amore”
 
Mutande succinte indossate da un'anziana signora... banane... frutto dell'amore... io non posso farcela.
 
“Devi iniziare ad approcciarti al mondo come le mie mutande. Con entusiasmo, ragazza mia. Banane e tanti fiocchetti colorati, mi capisci?”
 
“Io...”
 
“Vuoi vederle?” le chiese con vocina arzilla, iniziando a scostare il kimono.
 
“NO, GRAZIE”
 
“Oibò... peggio per te”
 
In quel momento si guardarono dritte negli occhi. Quella vecchina era una macchietta in tutto e per tutto, ma per la prima volta dopo tanto tempo Sakura provò la sensazione di avere qualcuno umanamente vicino. Rilassò il viso e pensò che forse Chiasa aveva ragione: doveva cambiare punto di vista, e doveva farlo per se stessa. Doveva ricominciare a fiorire e smetterla di appassire.
Continuò a rimirare gli occhi enormi di Chiasa, per poi soffermarsi ancora sulla questione “mutande”. Così iniziò a ridere di gusto, a crepapelle, talmente forte da far dolere la pancia.
In quel momento, dopo un tempo sembrato interminabile passato in un mondo cupo, riuscì a sentirsi davvero libera, spensierata e, probabilmente, vagamente felice.
 
 
 
*Citazione presa da Mulan
 
~

La prima metà di questo capitolo era pronta da molto, ma poi il tempo è decisamente venuto meno ed eccomi qui a pubblicare solo ora.
Ammetto di essere stata abbastanza cattiva con la povera Sakura, ma questa storia si scrive praticamente da sola; è più un provare qualcosa di nuovo, di diverso da tutte le storie che ho pubblicato in precedenza. 
Siamo ancora ai capitoli introduttivi, e in questo caso ho iniziato a dare un'idea della vita che deve affrontare Sakura e del suo approccio un po' bislacco. Riuscirà un certo bel tenebroso a catturarle il cuore?
Sull'ultima parte ho qualcosa da dire: probabilmente è totalmente folle, ma è stata uno spiraglio di luce in questo momento. Quella piccola gag è dedicata a mia nonna, che purtroppo ci ha lasciati da poco. Provo un'immonda tristezza, ma di contro sono grata di averla avuta finora (sono ormai più vicina ai 30 che ai 20 anni). 
Che dirvi, la vita va avanti, deve andare avanti.
Spero che questa follia vi abbia fatto un poco sorridere.

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