Tralci di vite

di Urban BlackWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sirena ***
Capitolo 2: *** Radici spezzate ***
Capitolo 3: *** Tempesta ***
Capitolo 4: *** First delight ***
Capitolo 5: *** Un mistero svelato ***
Capitolo 6: *** Luci ed ombre ***
Capitolo 7: *** Giano ***
Capitolo 8: *** Uno spirito guida ***
Capitolo 9: *** Chi sei Michiru? ***
Capitolo 10: *** Scacco alla regina ***
Capitolo 11: *** Rottura ***
Capitolo 12: *** Deflagrazione ***
Capitolo 13: *** Fratelli ***
Capitolo 14: *** Un proiettile schivato ***
Capitolo 15: *** La piuma della libertà ***
Capitolo 16: *** Le reazioni che non ti aspetti ***
Capitolo 17: *** Azzerare per ricominciare ***
Capitolo 18: *** Il prezzo di una scelta ***
Capitolo 19: *** Patto d'amore ***
Capitolo 20: *** In assenza di te ***
Capitolo 21: *** Gelosia ***
Capitolo 22: *** Epilogo - Presente e futuro ***



Capitolo 1
*** Sirena ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Mamoru Kiba, Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Sirena

 

Si concentrò. Prese bene la mira. L’avambraccio destro leggermente inclinato all’indietro. Il deltoide nudo contratto. Le dita salde alla gomma dura. Le tre ali colorate di giallo immobili davanti a due fessure verde scuro. Un lungo respiro. Poi la fissità nello sterno. Uno scatto nei muscoli e via. Un secondo dopo, il consueto suono del bersaglio ligneo penetrato dalla punta metallica unito al frastuono del pub gremito.

Un fine settimana come tanti in quel piccolo scorcio di provincia. Una televisione appesa al muro sintonizzata sull’immancabile programma sportivo del sabato. Due giovani baristi indaffarati con pinte e piatti di hamburger. Gente che mangia, beve, si diverte seduta alle panche di castagno levigato o al bancone. Comunelle accese in conversazioni leggere al fumo denso di qualche sigaretta appena fuori dalla porta d’ingresso. L’aria carica degli odori di un’estate afosa, lenta, scandita dal lavoro dei viticoltori, dal tic ritmato degli innaffiatori meccanici che ai lati delle strade danno refrigerio alle giovani coltivazioni e dai pochi turisti che gironzolano tra le gelaterie del centro.

Un mondo intenso fatto di gente dura, abituata al lavoro e a molte privazioni. Cuori divisi tra colline e mare, ma che per scelta d’amore e d’anima, rimane arpionata alla sua terra, accettando non senza qualche imprecazione a Dio, tutte le bizze che madre natura lancia loro contro ad ogni anno.

Haruka ghignò al suo quasi centro andando con fare sicuro verso il bersaglio rotondo. Estraendo le tre freccette che aveva appena lanciato si girò verso i suoi sfidanti cercando di mantenere il decoro dell’umiltà.

“Allora? Il mio punteggio?” Chiese inarcando le sopracciglia chiare come un neofita al suo primo giro di poker.

“Santa Pace Tenou… Che beneamato culo che hai questa sera!” Si sentì dire da uno dei ragazzi che stavano gareggiando con lei.

“Tzs… chiamalo come vuoi, ma anche questa volta berrò gratis. E si che ci cascate ogni volta. - Lasciando le freccette nel palmo calloso di uno dei suoi avversari, afferrò la birra dimenticata sul bancone appoggiandovi la schiena. - La solita scommessina persa ed io che godo anche questo sabato. Come da copione.”

“Come farai poi ad avere tanta precisione in quel braccio …” Se ne uscì il proprietario del locale, vecchio amico della famiglia della ragazza e che in pratica aveva visto lei e le sue sorelle nascere e venir su come giovani viticci irrequieti.

“Eh Max… E’ un dono di natura. - Rispose sbirciando l’orologio a muro mentre allungava goduriosa la colonna vertebrale con fare sornione. - Piuttosto… le mie zavorre? Le hai viste in giro?”

L’uomo sulla sessantina, addome da bevitore, leggera stempiatura, ma due occhi azzurri che in un tempo non troppo lontano avevano fatto girare gran parte delle teste femminili della provincia, voltandosi a mezzobusto indicò con il mento rasato una delle finestre che davano sullo spiazzo esterno. - Usa è fuori in dolce compagnia… Mina non saprei.”

Perdendo di colpo la solarità della vittoria, la ragazza schizzò verso l’uscita non prima d’aver sbattuto il bicchiere sul piano. Con le mani occupate da un vassoio di pinte, l’uomo cerco di fermarla. “Tenou… vedi di non iniziare l’ennesima rissa… Haruka!”

Urlò con pochissima convinzione vedendola sparire tra la folla. Quanto sei testarda benedetta figliola. Tutta tua madre, pensò lui riprendendo il lavoro pronto a servire l’ennesimo tavolo.

Cercare di far riflettere quel puledro biondo dalla scorza dura come il granito, era sempre stato un azzardo, fin da ragazzina, ma con l’età adulta ed i calci sui denti che la vita le aveva riservato, sembrava che quella testa matta avesse finalmente trovato un suo equilibrio, una dimensione fatta di responsabilità e di crescita personale, di lavoro duro ed amicizie preziose. Tutto fino a quell’inverno, quando la più giovane delle sorelle Tenou, la diciassettenne Usagi, non si era trovata un bravo ragazzo di qualche anno più grande, dedicandosi anima e corpo a quel primo vero balzo di cuore. Per la protettiva Haruka era stato un colpo violentissimo, perché pur conoscendo la famiglia Kiba, il suo primogenito, ed essendo stata per qualche tempo con sua cugina, pur sapendo quanto quella storia fosse la normalità per un’adolescente ed Usagi una ragazza comunque coscienziosa, pur capendo quanto dovesse sforzarsi di essere elastica per non rischiare d’incrinare il già barcollante rapporto che aveva con lei dalla morte dei loro genitori, nonostante tutto, da capo famiglia qual’era, suo malgrado non riusciva proprio ad essere lucida quel tanto per non cedere nell’errore di essere soffocante. E così discussioni interminabili avevano iniziato a riecheggiare per le stanze della masseria Tenou, soprattutto nel fine settimana o dopo la consegna di qualche nota scolastica all’indirizzo della scarsa concentrazione dell’innamorata diciassettenne.

Una volta all’aperto, Haruka svoltò a sinistra e non prestando troppo caso ad alcuni saluti, iniziò a camminare a pugni stretti verso il parcheggio poco dietro la struttura. Nella testa il solito ronzio fastidioso che montava ogni qual volta sapeva con certezza che la sorellina e Mamoru Kiba stavano insieme. I motori della provinciale in sottofondo, la musica pompata di qualche nuovo cantante emergente ed il brusio provenienti dall’interno del locale, non riuscirono a coprire quella zanzara interiore. Poi, improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, una voce femminile alle sue spalle e tutto si fermò.

“Cos’è Tenou? Non si saluta più?”

Un passato vissuto solamente qualche anno prima, un paio per l’esattezza. Un timbro anglofono apparentemente docile, ma che nascondeva nelle pieghe di quella musicalità, forza, determinazione ed una certa dose di cattiveria.

Bloccandosi di colpo la bionda si voltò riconoscendo Bravery alla luce di un lampione di strada. La sua ultima fiamma, una storia burrascosa, ma travolgente, nata e sviluppatasi nell’arco di un’estate al termine della quale, una sera molto simile a quella, in un posto molto simile a quello, Haruka aveva guardato negli occhi scuri come la pece quella moretta tutt’ossa uscendosene con un semplicissimo finiamola qui.

Non che Bravery non le piacesse ancora, o che una curiosa e celebrale bionda non trovasse più stimolante la sua compagnia. Era solo che Haruka Tenou era fatta così, non riusciva ad innamorarsi veramente e fino in fondo di qualcuna ed il problema era che pur se non lo faceva apposta, a lungo andare questo suo limite portava al ferimento della partner di turno. Qualche settimana, al più due o tre mesi, fino a quando non subentrava la prima difficoltà o la stanchezza di un cuore non più cadenzato dall’aritmia. Ed ormai per tutta la zona si sapeva che se non si voleva incappare in una sonora batosta o avere un’avventura più lunga di una notte, si doveva stare lontano da quella bionda trentenne fascinosa; che guidava la sua moto come un asso, che amava la solitudine ed il respiro del vento, che sapeva far crescere viti anche dalla terra più arcigna e che amava la sua famiglia forse anche più di se stessa.

“Allora Tenou? Neanche un sorriso dei tuoi per bentornato?!”

“Bravery…” Soffiò rimanendo colpita a freddo. Non si aspettava di rivederla, anzi, credeva fermamente che non si sarebbero mai più incontrate.

“Che ci fai qui? Ti sapevo a Portland per il dottorato.”

Soddisfatta della riuscita di quell’improvvisata, la moretta dai capelli corti e scarmigliati da un sottile strato di gel, alzò lievemente le spalle nude e con fare ammiccante le andò incontro. “Una visita di cortesia alla famiglia di mia madre. Vedo che mio cugino non ti ha avvertita.”

“No, anzi… - Ritornata in se dopo la sorpresa e facendo come se non avesse avvertito il colpo, la bionda si girò verso la piazzola del parcheggio mettendo nel mirino l’automobile di Kiba. - Non vorrei essere scortese, ma ora ho da fare Bravery. Scusami.”

Capita l’antifona l’altra le fu subito addosso. “Aspetta Haruka! Lasciali in pace.” E a quell’implorazione lo sguardo di Tenou si accese come invasato.

Guardando prima la mano della ragazza serrata al suo braccio destro, poi il retro della macchina di Mamoru ferma a qualche decina di metri, a fari spenti, immersa in una romantica melodia di sottofondo, comprese e la fantasia iniziò a correre veloce.

“Cos’è, torni dagli States per venire a reggere il gioco a tuo cugino!?”

“Cosa?”

“Levati!”

“Hai completamente travisato la cosa Haruka. Ero convinta che sapessi che stessero insieme.” Cercò di spiegarsi.

“Certo che lo so! Cosa credi che viva sugli alberi! E’ da prima di Natale che non fanno altro che starsene appiccicati, ma lui è troppo grande per mia sorella. Si mettesse con quelle della sua età!”

“Se non lo avessi notato Usagi è abbastanza adulta per poter decidere da sola con chi stare e chi frequentare e la tua iper protettività non porterà altro che al suo staccarsi da te, non da lui!”

Stralunata da quelle parole Haruka se la guardò un'ultima volta prima di mollarle uno spintone allo sterno che in pratica la lanciò alla sua sinistra. “Ma come cazzo ti permetti di pontificare quando sono due anni che te ne sei tornata in America. Che ne vuoi sapere tu della mia famiglia!”

“Guarda che Mamoru mi ha parlato di Usagi! So tutto della loro storia. So di te che remi contro e di Minako che cerca di fare da paciere tra te e lei. Mio cugino ha intenzioni serie! - E scorgendo con apprensione la testa del ragazzo spuntare da fuori l’auto continuò rincarando la dose. - Devi metterti in testa Tenou che non sono tutti come te! Non tutti usano le persone per i loro porci comodi illudendole per poi mollarle alla prima difficoltà.”

Puntandole l’indice contro, Haruka fece due passi avanti schiumando collera. “Difficoltà? Il volere andare a studiare a Portland tu la vedi come una difficoltà?! Bè io no! Io la vedo come una scelta ben pensata che non lascia molto spazio ad un rapporto a distanza!”

“Ipocrita! Sei stata tu a lasciarmi!”

Scoppiando in una fragorosa risata l’altra reputò terminata la conversazione e voltandosi di scatto vide Kiba venirle incontro calmissimo. Oltre al fatto che appartenesse ad una famiglia da sempre in gara per la leadership della zona, che fosse un ragazzo facoltoso e che in pratica potesse permettersi cose che lei non riusciva a dare alle sue sorelle, era quella calma a mandare spesso Haruka sui nervi. Mai una parola fuori posto o una reazione scomposta. Sempre pacato, razionale, mai esagerato. Tutto l’opposto di lei. Se non avessero avuto gli stessi gusti in fatto di donne avrebbero potuti essere una coppia perfetta.

“Haruka…” Sembrò salutarla, ma conoscendola si preparò al peggio.

“Dov’è Usagi?!”

“Sai benissimo dov’è, altrimenti non avresti questa faccia. Tranquilla… l’accompagno a casa tra una mezzoretta.”

“No! Usa viene via con me! E’ tardi.” Ordinò sentendo la portiera del lato passeggero aprirsi.

“Mezz’ora in più o in meno cosa vuoi che…”

“Ma sei sordo Kiba!? Ti ho detto che Usa viene via con me e la questione è chiusa! - Sottolineò a denti stretti arrivando con il viso a pochi centimetri dal suo. - A casa portaci tua cugina e la prossima volta, vedi di srotolare la lingua per cose serie. Potevi anche dirmelo che sarebbe tornata.”

“Un’improvvisata. Starà con noi fino alla fine dell’estate.”

Un tempo che ad Haruka parve lunghissimo e che, ne era sicura, sarebbe stato difficile da gestire. Le aziende vinicole delle famiglie Kiba e Tenou erano confinanti. Le divideva solamente un fossato, un piccolo rivolo d’acqua che fungeva da confine naturale. Improbabile non incontrarsi. Impossibile nascondersi. E lei comunque non lo avrebbe mai fatto.

Respirando pesantemente scorse la sorella dietro alle spalle del ragazzo e ritenendo la questione chiusa la richiamò con uno scatto del mento. “Vai alla moto e aspettami lì.”

“Haru, per favore. Non stavamo facendo nulla di male.”

“Vai ho detto!”

“Non trattarla sempre come una stupida.” Puntualizzò l’uomo.

“Non l’ho mai trattata da stupida.”

“Lei mi dice il contrario ed anche se non te ne accorgi lo fai spesso e volentieri Haruka.”

“Stai zitto! Fino a prova contraria Usagi è mia sorella e non sei certo tu o la tua cuginetta qui presente a potermi dare lezioni su come si fa il genitore!”

Abbaiò, ma invece d’impressionarsi, Mamoru fece un mezzo passo in avanti lasciando aderire il proprio petto a quello della ragazza. Haruka era molto alta ed in pratica avevano quasi la stessa stazza.

“Non sei sua madre e tra meno di un anno lei sarà maggiorenne.”

Un brivido corse lungo la schiena della bionda mentre lui proseguiva. “Ti ricordo Tenou che quando si è trattato della mia di famiglia io non mi sono schierato lasciandoti fare con mia cugina il porco comodo tuo. E lo sai, come lo so io, che le hai fatto un torto. Ora… gradirei la stessa cortesia. So che vuoi bene ad Usagi, ma…” Sentendosi afferrato per la T-shirt sbatté le palpebre non muovendo un muscolo.

“Ti consiglio di finirla qui se non vuoi che te le suoni un’altra volta.”

“Non abbiamo più quindici anni Haruka e per quanto tu sia insopportabile, cafona ed arrogante, non picchierei mai una donna!” E questo ebbe il potere di atterrarla peggio che se avesse preso un pugno in pieno viso.

Cercando di reprimere l’incommensurabile voglia di fracassargli il setto nasale con una testata, la bionda serrò la mascella stringendo il tessuto fino al bianco delle nocche, poi, sentiti i palmi caldi della sorella premuti sulla spalla, puntò gli occhi al cemento dello spiazzo mollando la presa. Sapeva che quelli di Usagi erano umidi, ma volesse Iddio non riusciva proprio a comportarsi diversamente.

“Andiamo.” Non aggiungendo altro evitò saluti, sguardi o formalità sia con l'uomo che con sua cugina.

Camminando a passo svelto verso la Ducati rosso fuoco parcheggiata all’imbocco della strada, arpionò il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e scorrendo la rubrica innescò la chiamata attendendo un paio di squilli.

“Dove sei? - Masticò bile fermandosi accanto alla carena. - Torna presto, domani mattina dobbiamo andare in banca.” Ed aspettando una mezza risposta chiuse sospirando pesantemente.

Aprendo la sella prese i caschi e porgendone uno alla sorella le guardò la camicetta perfettamente abbottonata. Almeno hanno evitato di farlo in macchina, pensò afferrando il chiodo di pelle nera.

Haruka sapeva, capiva che il suo atteggiamento le stava dividendo, ma conosceva anche i rischi ai quali poteva andare incontro una giovane ragazza senza una madre ed un padre. Lei e Minako non potevano darle tutte le attenzioni che avrebbe meritato ed Haruka, che stava al mondo da più tempo e che di gente ne aveva conosciuta tanta, aveva una gran paura che quella relazione non avrebbe portato a nulla di buono, che l’infatuazione per un uomo navigato come Mamoru fosse solo l’ovvia conseguenza della prematura perdita dei loro genitori.

“Sali. - Disse inforcando la moto mentre l’altra si allacciava il casco. - Domani dovrai pensare tu alla casa.” E non sentendo risposta calciò il cavalletto con il tacco dell’anfibio aspettando che le cingesse la vita.

 

 

Quando l’acqua la inghiottì, si stupì di quanto fosse fredda. Non lo avrebbe mai immaginato. La giornata afosa era stata asfissiante e lunghissima, tanto che quel piccolo lago artificiale l'era sembrato la conclusione più ovvia per porre fine a tutto quel calore. Al sudore. Alla pesantezza che sentiva sulle ossa e nel cuore. Ma mai si sarebbe aspettata questo; il respiro che si spezza, la pelle che per reazione si ghiaccia, la mollezza nelle gambe. Nessun dolore, solo voglia d’ossigeno ed il liquido viscido che le entra nella gola, le invade la carotide per poi correre giù, verso i polmoni.

E’ finita, pensò aspettandosi di avere quanto meno il sentore della cosa, di iniziare a vedere scorrere quelle famose immagini della vita terrena che ogni individuo scampato ad una morte improvvisa e violenta dice di aver visto. Un’esistenza intera concentrata in un battito di ciglia e che grazie ad impulsi neurali sembra durare minuti. Ma nulla di tutto ciò; solo freddo, crampi alle gambe e tanta, tanta voglia d’aria.

Mentre annaspava cercando di combattere la presa dell’acqua, si ritrovò a pensare, come se avesse aspettato solo quel momento per farlo. E se fosse stato tutto inutile? Se la sua vita, per gran parte passata a calcare i palcoscenici di mezzo mondo, fosse stata tutta inutile? Se l’impegno per costruirsi una carriera, la costanza per rimanerne ai vertici, la caparbietà di una donna forte, determinata a raggiungere e superare barriere e confini, non avessero portato a nulla di realmente importante?

Inutile, le rimbombò nella testa sentendosi maledettamente stanca di lottare, sono inutile e smise di divincolarsi iniziando l’inesorabile discesa verso il basso. Le braccia alzate verso il pelo dell’acqua che pian piano si allontana dai palmi delle mani ed una strana sensazione di pace che soppianta la paura che le aveva fatto battere all’impazzata il cuore fino a quel momento.

L’abbandonarono prima la vista, poi l’udito. Tutti i sensi fino ai pensieri stessi in una completa assenza di se. Poi, d’un tratto, qualcosa che alla pelle del polso sembrò bollente a strattonarla verso l’alto in una violenta emersione e nuovamente la brezza del vento sul viso, le tinte scure della notte e quella benedetta voglia d’ossigeno. Di vita.

“Tieni duro! Tieni duro!“ Un eco impaurito e poi la vita arpionata da una stretta fortissima ed il fiato che torna convulso. Il contatto con il freddo dell’acqua che svanisce per ritrovarsi sospesa e raccolta in un abraccio.

“Ecco… Siamo quasi a riva… Usa… il cellulare! Chiama Minako svelta! - Ordinò Haruka mentre le piante dei piedi affondavano nella melma della riva. - E’ tutto apposto, tranquilla!.“ Rassicurò facendo l’ultimo sforzo.

Un paio di passi e la bionda crollò sulle gambe poggiando l’altra sull’erba. “Per tutti i Santi… Stai bene?” Chiese iniziando a massaggiarle energicamente la schiena in modo che potesse rimettere l’acqua bevuta.

Appena inquadrata quella Mercedes ferma sul ciglio della strada aveva intuito subito che qualche cosa non andava. La ruota anteriore sinistra piantata dentro un dosso, le quattro frecce accese che grazie al cielo l’avevano distratta sulla via di casa. Attratta come una falena, aveva voltato per quella strada sterrata rischiando le ruote della sua Ducati sul terreno spaccato dalla calura estiva, mentre urlando al rombo del motore la sorella le chiedeva il perché.

“Haru, che succede?”

“Guarda laggiù. Probabilmente qualcuno rimasto in panne.”

E quell’intuizione le aveva dato ragione ed una volta spenta la moto, scesa e controllato se nella vettura non ci fosse stato nessuno, attirata da un anomalo tonfo acquatico, si era precipitata verso le sponde di quello sputo innaturale che tanto conosceva bene e li aveva scorto la sagoma di una persona illuminata a stento da una luna non ancora formata. Ad una manciata di metri dalla riva, si muoveva convulsamente senza però emettere un fiato, senza urlare o chiedere aiuto, come una sirena muta indecisa sull’essere salvata o meno. Atterrita, Haruka era corsa istintivamente ai lacci degli anfibi e dopo essersene sbarazzata lasciandoli accanto alla giacca, si era immersa fino alle cosce per poi slanciarsi verso l’acqua.

Una fortunosa coincidenza o la mano del destino, ma sta di fatto che ora era li, alla ricerca di un cenno, uno qualunque. “Hei… Tutto bene?” Chiese mentre la ragazza si teneva la bocca con la mano cercando di tossire.

“Haru…”

Correndo lo sguardo alla sorella le chiese se fosse riuscita a mettersi in contatto con Minako. “Si. Stava tornando a casa… Grazie al cielo era ancora raggiungibile. Sarà qui tra una decina di minuti.”

“Bene, ci serve un’auto. La sospensione sinistra della Mercedes è andata.”

“Vuoi portarla a casa nostra?” Chiese accovacciandosi accanto alle due iniziando a studiare i bei lineamenti della donna che nel frattempo sembrava stare riprendendosi. Non l’aveva mai vista. Non era del luogo e vista la classe dell’auto, neanche della zona.

“Hai un’idea migliore? Ha bisogno di calore… E’ un pezzo di ghiaccio.” Rispose stizzita continuando a sfregare i palmi sulla schiena fradicia della donna.

Portava un vestito da sera nero, semplice, ma di alta moda, un pendaglio a forma di tridente al collo, due piccoli cerchi alle orecchie ed un gran bel bracciale al polso. I capelli era lunghi e mossi nonostante fossero zuppi e la carnagione delle braccia leggermente abbronzata. Ma furono gli occhi a colpire Haruka; un blu profondo, compatto, di una tristezza sottile, nitida, che le rizzò la peluria della schiena non appena la forestiera riuscì ad inquadrarle il viso.

“Io non… Non riuscivo più a… respirare…”

“Lo immagino, ma ora stai calma. E’ tutto passato.”

“Ci sono altre persone?” Intervenne Usagi iniziando a guardarsi intorno mentre l’altra scuoteva la testa.

“No. Sono sola.”

“Riesci ad alzarti?” Incalzò la bionda facendo leva sulle gambe.

“Si… Credo.” E si lasciò aiutare a rimettersi in piedi.

“Che ne dici Haru; forse sarebbe meglio portarla al Pronto Soccorso.”

“No! - Si rianimò la forestiera inspirando profondamente. - Non ce n’è bisogno. Grazie.”

Stupita dalla reazione e dall’immediata compostezza, la bionda fece un passo indietro abbandonando finalmente il contatto. “Va… bene. - Accettò accondiscendente alzando leggermente spalle e sopracciglia. - Ma la tua macchina è ko, perciò… o si chiama qualcuno che ti venga a prendere o dovrai accontentarti di pernottare da noi.”

Sospirando l’altra sembrò pensarci su qualche secondo incatenando poi gli occhi in quelli di Tenou. “Vi ringrazio… accetto volentieri, tanto più che sono esausta e non potrei comunque rimettermi in viaggio.”

“Ottimo!” Esclamò Usagi colta da un’improvvisa vampata di entusiasmo.

“Mia sorella si eccita per poco, ma vista la situazione mi sembra la scelta più saggia, signorina?”

“Michiru.”

“Michiru… e basta?”

“Michiru e basta.”

“Ok... dammi subito del tu che qui siamo gente semplice.- Sogghignò la bionda a quell’insolita richiesta di privacy. - Io sono Haruka e lei è mia sorella minore Usagi. La nostra masseria dista una ventina di chilometri da qui e non appena arrivate, mangerai e riposerai a dovere. Poi domani, con calma, penseremo alla tua auto.“

 

 

Usagi non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Immobile, piantata schiena al muro della camera degli ospiti, se la stava guardando da più di dieci minuti ormai, quando Michiru, la forestiera venuta da chissà dove, aprì gli occhi al mondo iniziando a guardarsi intorno. Erano riuscite a portarla a casa, a svestirla e ad infilarla a letto. Non le avevano chiesto nulla, ne da quale parte del paese provenisse, ne dove stesse andando al momento dell’uscita di strada della sua auto, ne tanto meno perché si fosse messa in testa di farsi un bagno a quell’ora, in un lago per nulla illuminato e soprattutto, sconosciuto. Avvallando l’intuizione di Usagi, le sorelle Tenou avevano però capito quanto quella donna fosse diversa da loro, quanto le movenze pacate ed aggraziate del suo corpo stridessero con il caos della loro casa e quanto il suo linguaggio pulito cozzasse soprattutto con l’irruente lingua di Haruka. Non che Michiru avesse parlato un gran che, ma la decisione con la quale aveva rifiutato gli avanzi della cena e la ferma determinazione di potersi fare una doccia da sola, avevano sottolineato una riservatezza che, per quella famiglia, era a dir poco fuori dal comune.

Sentendosi di troppo, la biondina cercò di defilarsi quando la voce calma dell’altra la raggiunse chiedendole che ore fossero. Bloccandosi come colta sul fatto, la diciassettenne le rispose quasi balbettando.

“Un quarto alle dieci, signorina.” Speranzosa che bastasse tornò a muoversi verso la porta.

“Sei solita fissare la gente mentre riposa, piccola Usagi?”

Serrando le spalle ed abbassando di colpo la testa l’altra fece prontamente un mea culpa. “Scusate, non era mia intenzione e che…” Siete così bella, avrebbe voluto dire, ma per non cedere alla sfacciataggine ammise solo che era entrata per portarle un cambio di vestiti.

“Le mie sorelle maggiori sono uscite questa mattina presto per una commissione piuttosto importante ed hanno affidato a me il compito di farla sentire a suo agio. - Grattandosi la buffa capigliatura che raccoglieva i lunghi e lisci fili d’orati in due codini piuttosto folti, continuò ammettendo di stare fallendo. - Vi prego, non dite ad Haru e Mina che mi avete trovato nella sua camera. Da queste parti teniamo molto all’ospitalità.”

Tirandosi su a sedere Michiru iniziò a sciogliersi i muscoli delle spalle ravvivandosi poi i capelli con le mani. “Figuriamoci. E poi dimmi, non è stata tua sorella… Haruka, ha dirmi di darvi del tu? Gradirei che facessi altrettanto, piccola Usagi.”

“Ssss… si, signorina, cioè, Michiru.”

“Bene, così va meglio. So in quale località siamo, ma… ho come dei buchi di memoria. Puoi aiutarmi?” Chiese appoggiando le mani al grembo una volta invitatala a sedersi.

E l’altra lo fece, non senza soggezione, ma con gioia, perché nonostante la forestiera fosse spiccatamente altolocata e dai suoi modi trasudasse una certa vena di nobiltà, qualcosa nel suo sguardo blu sembrava sofferente e voglioso di aiuto.

“Dunque, mentre ieri sera sul tardi mia sorella maggiore ed io stavamo rientrando a casa, abbiamo notato le luci intermittenti di un’auto verso la strada della masseria vecchia e sembrandoci una cosa strana siamo passate a vedere. In verità è stata un’intuizione di Haru e meno male, perché siamo arrivate appena in tempo altrimenti saresti annegata.”

“La macchina… ha sbandato, ha preso una cunetta e si è piantata. Faceva così caldo. Non c’era campo per chiamare il soccorso auto, così ho iniziato a camminare verso il gracchiare della rane.” Specificò puntando lo sguardo alle tende di mussola bianca inondate dalla luce del sole.

“Certo, i laghi artificiali sono molto pericolosi, ma con un caldo come quello di ieri anche io avrei pensato quanto meno di bagnarmi i piedi per avere un po’ di refrigerio.” Ne convenne l’altra prima di spegnere il sorriso e guardarla quasi con severità.

“Perché volevi solo rinfrescarti un poco, non è vero Michiru?”

“Mmmm, come? - Tornando alla giovane si accorse di come le sue azzurrissime iridi la stessero fissando. - Certo. Avevo solo bisogno di rinfrescarmi un po’. E così è stata tua sorella Haruka a salvarmi…”

“Si! Haru è grandiosa! E non solo per ieri sera. Lei è in gamba su tutto. Sa sempre cosa fare nei momenti no. Certo, è testarda oltre ogni dire, possessiva e quando decide di metter su il broncio non c’è torta al cioccolato che tenga, ma per il resto… è una donna eccezionale.”

Michiru sorrise a quella serie di elogi fraterni tornando a guardare lontano. Non ricordava molto della sera precedente, ma gli occhi della sua salvatrice, quelli si, le erano rimasti incisi dentro. La forza con la quale l’aveva strappata all’acqua. Il calore delle sue braccia nude mentre la portava in salvo. Non appena erano arrivate alla masseria, Haruka aveva ordinato qualcosa alle atre defilandosi e da quel momento non l’aveva più vista. La stanchezza per la lunga giornata ed un ospite non atteso, l’avevano spinta tra le lenzuola e di lei non aveva sentito altro che un leggero parlottare al telefono e nulla più.

Improvvisamente il suono di un clacson proveniente dallo spiazzo fuori la porta d’ingresso ed Usagi spezzò il momento alzandosi di scatto dal bordo del letto. “Finalmente! - Esclamò con fare entusiasta serrando tra loro i palmi delle mani. - Era ora che Yaten portasse il latte, così potrò preparare un bel dolce per l’occasione!”

“Quale occasione?!” Riuscì appena a chiedere l’altra stupita di tanta energia.

“Quella di averti qui con noi Michiru. Ti ho lasciato dei vestiti di Mina sulla sedia. Il tuo è ancora umido. Ah..., mi sono permessa di recuperare il tuo cellulare. Era sul sedile lato passeggero. Qui non prende niente, ma alla bisogna c’è il fisso nello studio. Approfittane pure se vuoi. Ora vado, a dopo.” E chiudendo la porta come un ciclone si dileguò correndo verso l’esterno.

Rimasta sola Michiru si rituffò nei suoi pensieri accorgendosi ben presto di quanto fosse rilassante quell’ambiente. I colori di una stanza semplice dal mobilio antico e i suoni completamente diversi da quelli sentiti da sempre provenienti invece da fuori. Infilandosi le pantofole si vestì di una vestaglia trovata ai piedi del letto ed aprendo la porta finestra uscì sullo spiazzo privato che dava sul retro della grande struttura bianca che era la masseria Tenou e li, di fronte a lei, come in un rigurgito di imperiosa bellezza, una distesa sconfinata di viti. Filari e filari tutti uguali ed allo stesso tempo tutti diversi, in un sali e scendi collinare fatto di chiaroscuri, di contrasti tra il verde scuro delle foglie picchiettato dal giallo dei giovani grappoli e il castano della terra polverosa.

Rimase di sasso. In lontananza il brontolio del motore di un trattore unito a quello delle Cince Allegre appollaiate tra il rampicante che faceva ombra dal gazebo di legno proprio accanto a lei. Il vento che soffiava tra i cipressi che si ergevano come soldati oscillanti ai lati della strada che portava al cancellone in ferro battuto dell’ingresso della tenuta, unito al nitrito di un paio di cavalli che stavano pascolando chissà dove.

“Che meraviglia.” Soffiò inondando i polmoni di quell’aria buona immergendosi completamente in quell’esperienza sensoriale fatta di leggeri odori dolciastri portati dal vento.

Mosto? Si chiese distratta dal vociare di Usagi proveniente dal lato opposto della struttura.

Rientrando nella stanza ritrovò il suo cellulare, il bracciale e gli orecchini sul comodino accanto al letto. Prendendo il primo si accorse di quanto la piccola Usagi avesse ragione; non c’era campo per telefonare o riceve qual si voglia comunicazione e questo, in un certo senso, la confortò, perché se da una parte la sua latitanza avrebbe portato problemi enormi a colui che attualmente stava lavorando con lei, da l’altro le avrebbero dato quanto meno un po’ di tempo per ricaricare le batterie.

Meglio così. Tanto cosa potremmo dirci in più di quanto non ci siamo già urlati contro? Si disse spegnendolo definitivamente.

Guardandosi decise di cambiare radicalmente abbigliamento ed andando verso il bagno iniziò a spogliarsi. Non era solita rimanersene con le mani in mano e se proprio si sarebbe dovuto festeggiare l’avvenimento di averla come ospite, avrebbe dato il suo contributo.

Un paio d’ore più tardi un fuoristrada piuttosto provato si fece strada sul brecciolino del vialone d’ingresso arrivando a parcheggiarsi al lato della struttura, proprio vicino alla porta della cucina. Ne scesero due donne scure in volto ed Usagi, che grazie anche alla collaborazione di Michiru aveva già finito d’infornare il dolce che aveva deciso di preparare per pranzo, annusò l’aria mefitica di una cattiva notizia prima ancora di sentir sbattere lo sportello lato guidatore. Sulla soglia della porta a vetri guardò Haruka avanzare come se avesse appena pestato a sangue qualcuno e capì.

“Non ce l'hanno concesso, vero?” Le chiese spostandosi per lasciarla passare.

“Che si fottano! Banchieri del cazzo!” Furono le uniche parole concesse.

“Mina?”

“Lascia perdere amore. Era solo l’ultimo disperato tentativo per cercare di salvare il salvabile. - Intervenne Minako accarezzandole il viso. - Ma non preoccuparti. In qualche modo faremo.”

“Si, ma come?! Quel prestito ci serviva.”

“Vedrai che ci inventeremo qualcosa. Ora dimmi… cos’è questo buon profumo che viene dal forno?” Entrando vide la forestiera con il viso rivolto al soggiorno dov’era appena sparita la bionda. Haruka non l’aveva degnata neanche di un saluto. Forse non l’aveva neanche vista.

“Buongiorno Michiru. Come ti senti oggi?” Domandò freddamente inginocchiandosi davanti al forno.

“Bene, grazie. Colgo l’occasione per ringraziarti ancora. Ieri sera non credo di averlo fatto a dovere.”

“Ieri sera non eri in te!” Piatta la fulminò costringendola sulla difensiva.

“Probabilmente. Grazie comunque. Anche per questo.” Sottolineò alzando un poco le braccia per mostrarle un vestitino verde acqua deliziosamente calzante sulle sue forme.

“Da queste parti siamo soliti fare così. A proposito, un nostro amico andrà a prendere la tua macchina in tarda mattinata. Haruka le darà un’occhiata.”

“Non vorrei darvi troppo disturbo.”

Ripeto…, qui si fa così. E poi mia sorella smania per metterci le mani sopra. Non potresti farla più felice.”

Corrugando le sopracciglia Usagi la guardò alzarsi, perchè Mina non era solita essere tanto brusca.

“A meno che tu non abbia altri progetti Michiru.”

“No. Per la verità io…”

“Bene.” Così dicendo non lasciò all’altra alcun diritto di replica.

Un comportamento gelido al limite dell’astioso che non apparteneva al suo carattere solare. Sempre aperta con tutti, in particolar modo con chi non conosceva, le piaceva mostrare subito uno dei lati di se più positivo ed accattivante; il buon carattere.

Forte al pari di Haruka, Minako sapeva dare il giusto equilibrio alle cose riuscendo a farcire la vita con quel buonumore che alla maggiore, per esempio, mancava completamente.

L’appuntamento deve essere andato proprio male, rifletté Usagi mentre la sorella usciva dalla cucina seguendo Haruka nello studio. Cosa diavolo si sarebbero inventate ora?

Tornando al suo da fare, la ragazza richiamò l’attenzione di Michiru rimasta immobile accanto al grande tavolo di legno.

“Continuiamo?”

 

 

Verso il tardo pomeriggio Michiru uscì dalla sua stanza con fare circospetto. Quasi in punta di piedi. A differenza delle altre, la sua camera si trovava al piano terra, proprio di lato al grande ingresso che fungeva anche da sala da pranzo. Vi si era rifugiata subito dopo un pranzo ferale, fatto di mezzi monosillabi strappati a forza da una taciturna Haruka, degli sguardi astiosi di Minako e dalla pazienza casalinga della povera Usagi, che aveva cercato in tutti i modi di farla sentire a suo agio.

E meno male che l’ospite è sacro, aveva pensato la forestiera che dell’educazione aveva fatto il puntiglio di tutta una vita, ritrovandosi così a snocciolare per forza di cose la destrezza nel dialogo affinata in anni ed anni di cene di gala, vernissage ed incontri diplomatici. Così, approfittando della vita laboriosa di quella che aveva saputo essere una delle aziende vinicole della zona, appena terminato l’ultimo piatto di portata si era defilata sparendo in camera per distendersi sul letto, sonnecchiare ed aspettare che il via vai della casa si quietasse un poco.

Ora, avvertito un certo silenzio, costretta dalla sua coscienza a mettersi in contatto con il mondo esterno e vogliosa di recuperare alcuni oggetti personali lasciati nel portabagagli dell’auto trainata a gancio del trattore del famoso Yaten, si ritrovò a cercare il telefono fisso del quale tanto orgogliosamente le aveva accennato Usagi.

Arrivata davanti l’anta semiaperta di quello che era lo studio, bussò chiedendo se ci fosse qualcuno e non avendo risposta entrò dirigendosi alla scrivania. Il fisso era li, tra la tastiera del computer ed il monitor, una pila vergine di postite gialli ed una foto incorniciata d’argento che ritraeva una coppia sulla trentina vestita con sgargianti tute da rally. Sospirando di malavoglia prese la cornetta componendo prefisso e numero.

 

 

“Ma insomma, si può sapere dov’è?! Guardi che la penale per una data cancellata da tutto esaurito non è uno scherzo e a me non piace perdere soldi!” Scese a gamba tesa l’uomo vestito Armani accendendosi l’ennesima sigaretta per poi sprofondare sulla seduta del divano in pelle nera.

“Non si preoccupi signor Stërn, Michiru è una professionista. Non salterà mai un concerto contravvenendo al contratto firmato con la sua casa discografica.”

“Me lo auguro! Ma a quel che ho potuto vedere ieri sera, la discussione che avete avuto non è stata per niente piacevole e mi lasci dire che oltre a dare spettacolo, è stata anche di pessimo gusto!”

Il giovane moro, trentacinquenne ex cantante pop di un certo successo ed attuale manager, nonché compagno di una delle più talentuose regine della classica, capelli corti sapientemente arruffati, piccola coda di cavallo alla torero spagnolo e sguardo di uno scuro intenso, digrignò la dentatura tornando a guardare il display del cellulare per poi provare l’ennesima chiamata.

Utente al momento non raggiungibile. La stessa solfa da quando ore addietro aveva iniziato a cercarla.

Ma cazzo Kaiou… Dove sei finita!? Si chiese guardando lo sky line del centro città dalla vetrata del suo studio al quarantunesimo piano della sede centrale della Union Artists Foundation del quale era azionista nonché Direttore Artistico.

Mai possibile che una donna come te possa aver commesso l’incredibile follia di scappare dopo una banalissima discussione?! Continuò arrovellandosi il cervello al ricordo della festa danzante alla quale avevano partecipato. Coppia vincente nella vita come nel lavoro, idolatrati dal mondo delle riviste patinate e da quello musicale. Professionisti esemplari; lui del pop giovanile, soprattutto grazie alla luce riflessa di lei, orifiamma scintillante della classica ad arco, ricercati dalle etichette più in voga, ricchi, famosi, discreti nel far trapelare della vita privata solo lo stretto necessario e per questo misteriose entità particolarmente invidiate.

Qualcosa, però, era cambiato da mesi, qualcosa in Michiru si era spezzato, un malessere, soprattutto fisico che la portava a periodi di forzata inattività rinchiusa in qualche località lontano dai pettegolezzi e dalla vita stressante del palcoscenico. E senza la sua costante presenza, lui si era scoperto vulnerabile nella carne e soprattutto nel lavoro, ritrovandosi ad essere più portato per la scrivania e le segretarie, che per un plettro e uno spartito.

La sera precedente, esasperata per l’ennesima richiesta di prolungamento della turnè che la vedeva primo violino per la Filarmonica di Vienna ed intuita la nuova relazione clandestina di colui che, in tutta onestà, non considerava più il suo uomo già da molto tempo, Michiru aveva ceduto all’alcol e alla pressione. Con troppi bicchieri di Champagne nelle vene, forse per non pensare, non vedere cosa era diventata la sua vita nei pochi anni nei quali erano stati insieme, aveva compiuto l’unico gesto irrazionale al quale lei per prima non si sarebbe mai aspettata di dar vita; una fuga.

E tutto questo perché non riesci più ad esibirti con la stessa gioia e cadenza di un tempo e non mi accetti più nel tuo letto, sospirò ormai vinto quando il cellulare che ancora stringeva nel palmo della sinistra non vibrò mostrando una chiamata anonima.

Fa che sia lei… “Kou…” Ed attese sperando.

“Seiya…”

“Grazie a Dio… Michiru, stai bene? Dove sei?!”

Dall’altra parte della cornetta lei si appoggiò alla scrivania chinando la testa. “In un bel posto.”

“Torna, ti prego. - Abbassando la voce per escludere il signor Stërn, continuò cercando di mantenere la calma che non sentiva di avere. - Qui è un casino. “

Sorridendo tristemente lei incrociò le braccia al petto bloccando la cornetta nell’incavo del collo. Era veramente un meschino donnaiolo arrivista come l’aveva apostrofato al ballo prima di schiaffeggiarlo di fronte a mezza sala. “Credevo che la tua priorità fossi io, non il mio archetto. Hai paura delle penali? Le pagherò io, stai pur tranquillo.”

“Non si tratta di soldi Kaiou, ma di reputazione. - E rialzò il tono perché apparisse chiaro all’altro dirigente lo sforzo per farla rientrare. - Tua, mia e della U.A.F.”

“Chi c’è li con te? Il signor Stërn!? - Sogghignò stirando le labbra. - Sempre pronto a farmi passare per una squilibrata, vedo.”

“Michiru…”

“Basta! Quello che avevo da dirti te l’ho già detto. Mi dispiace solo di non essere riuscita a controllarmi dando di me un’immagine indegna.”

“Si… Hai mancato di stile!”

Sentendo la solita fitta allo sterno preludio di un dolore più acuto, la donna iniziò a massaggiarsi il petto. “Non è un’ammissione di colpe che non ho Seiya. Non ne ho professionalmente, ne tanto meno umanamente.”

“Ah, quella di abbandonare la turnè per scappare come una ragazzina viziata non la reputi una colpa, Michiru?!”

“La turnè è finita un mese fa! Sei tu che continui a voler aggiungere date su date prorogando all'infinito quello che io reputo ormai un supplizio! Ho fatto il mio dovere fino alla fine, sorridendo come una brava scimmietta ammaestrata. Da ora in avanti intendo interfacciarmi solo con il signor Stërn ed alle mie condizioni. Sia economiche, che lavorative. Non voglio più che curi i miei interessi, il nostro sodalizio artistico è finito, anzi, pur riconoscendo la vigliaccheria di farlo per telefono, ritengo finita anche la nostra relazione. Da ora in avanti potrai portarti a letto chi ti pare e piace alla luce del sole.”

“Stai scherzando? Ti ricordo che hai ancora due anni di contratto!” Disse mettendosi sull’attenti.

"Ti ho già detto che pagherò le penali, ma per ora basta. Non ce la faccio più e se ieri sera mi avessi prestato un po’ più d’interesse lo avresti capito da solo!”

Tornando ad abbassare la voce l’uomo si diresse verso la vetrata mettendosi una mano in tasca con fare sicuro. “Lascia perdere la sfera privata Kaiou. Lo sappiamo entrambi che ormai tra noi è finita, ma una separazione sul piano lavorativo non potrebbe che penalizzarti. Con il tuo carattere orgoglioso e l’idealismo che in questo ambiente di merda ancora riesci a portarti dietro, non potrai mai farcela da sola. Sarai anche brava, la migliore, ma i contratti che hai firmato fino ad oggi te li ho fatti avere io e a peso d’oro. Se non sei più che scaltro, questo mondo è pronto a divorarti per poi sputarti nel dimenticatoio. E tu ne hai bisogno Michiru; hai bisogno di sentirti amata tramite la musica.”

Quanto era maledettamente vero e quanto le bruciava quel lato squallido di se. “Al diavolo la musica, il denaro, l’idolatria dei fans e… te!” Urlò alla cornetta prima di pronunciare un definitivo addio e mettere giù.

“Michiru… Michiru…” Ma gli rimase solo il vuoto di una linea interrotta.

Merda, pensò mentre le parole del signor Stërn gli arrivavano all’udito come un suono lontanissimo.

“L’ennesima crisi, Kou?!”

Rimanendo con lo sguardo all’oscurità del monitor l’altro scosse la testa incapace di pensare. Questa volta Michiru faceva sul serio. Non si trattava di un malessere da curare con un paio di settimane di riposo, ma di una vera presa di posizione di una donna ferita.

“Non si preoccupi… Farò in modo di scoprire dove diavolo è e di riportarla in città il prima possibile.”

Rimasta con entrambe le mani sulla cornetta ormai al suo posto, Michiru intravide dalla frangia chiara la luce esterna proveniente dalla finestra parzialmente aperta e nonostante il cuore le andasse a mille, provò comunque a calmarsi. Il ticchettio metallico della pendola a muro, la brezza esterna, le cicale. Da quanto non ascoltava le cicale.

Provata, ma liberatasi da un peso, si sfiorò ancora una volta lo sterno vogliosa d’aria. Così si mosse uscendo dallo studio ed oltrepassando la sala da pranzo, aprì il portone d’ingresso ritrovandosi fuori. Alla calura estiva.

Era una masseria abbastanza grande e ben curata quella dei Tenou, immersa nel verde dei meli e nei colori tenui dei mazzi di lavanda che crescevano qui e la senza apparente ordine. Un complesso massiccio, di fine ottocento, dall’intonaco un poco scrostato, il tetto dai coppi rossi, i comignoli bianchi, le grondaie dalla ramatura ossidata e le finestre con le persiane di noce scuro. Al suo arrivo Michiru non si era certo fermata a guardarsi intorno, troppo infreddolita e scioccata, ma una cosa nel chiaro scuro della notte l’aveva notata; una specie di torre di forma circolare con un tetto a punta incastrata nell’angolo destro della struttura che lei aveva pensato essere un vecchio silos. Invece, attratta dai suoni tipici di un’officina, camminando piano sul vialetto che costeggiava il fronte, capì ben presto di essersi sbagliata ritrovando il muso della sua Mercedes e una tuta da lavoro blu e rossa seminascosta tra le ruote anteriori.

Scorgendo un anfibio dondolare al suono di un fischiettio stirò le labbra intuendo chi fosse. Un leggero colpo di tosse seguito da un saluto ed il suono cessò.

“Haruka?!”

“Michiru…” Scivolando fuori la bionda se la guardò sorridendo. In effetti Minako aveva detto il vero; grazie alla sua macchina l’umore del capofamiglia era drasticamente cambiato virando dal tempestoso al bello stabile.

“Il danno è più grave del previsto. Mi dispiace.”

“Non si può proprio far nulla?” Chiese tremando al pensiero di dover già andare via.

“Non ho i pezzi di ricambio per un’auto tanto costosa. E poi non ho il tempo. Devo preparare la vendemmia.”

Più che delusa l’altra sospirò mentre le veniva consigliato un altro mezzo di trasporto. “Non è questo Haruka.”

“E allora cos’è?! Un fidanzato abbandonato da cui scappare? Capita spesso alle belle donne.”

Senza vergogna la bionda se la guardò poggiando gli avambracci alle ginocchia penetrandola con il fascino dei suoi occhi. Ci sapeva fare Haruka, anche se il carattere non l’aiutava.

Vero solo per metà ed anche se volessi, ora come ora non saprei proprio dove andare per non essere rintracciata, pensò la violinista desolata.

“Se avessi i pezzi che ti servono sapresti ripararla?”

A quella domanda l’altra si strinse nelle spalle con l’aria più furbesca di questo mondo. “Naturalmente.”

“E se ti chiedessi di lavorarci a pagamento?”

“Michiru non si tratta di soldi… - Confessò alzandosi dal carrellino sfilandosi i guanti in lattice inzuppati di sudore. - Devo mandare avanti un’azienda. Non ho proprio il tempo ed il cielo mi è testimone se non mi piacerebbe aggiustare questa bambina.”

“Capisco…”

Vedendo la delusione dipinta sul bel volto della forestiera Haruka iniziò a sospettare qualcosa. “Dimmi un po’, questa frenesia è la logica conseguenza di un amore sviscerato per questa macchina, del voler tornare a casa o… l’esatto contrario?”

Titubante, ma non intimorita, l’altra ne sostenne lo sguardo non rispondendo.

“Non sei un tipo che si sbottona e questo lo apprezzo. Non voglio certo impicciarmi degli affari tuoi, ma purtroppo l’unica cosa che ora posso fare per te è quella di darti ospitalità per qualche giorno.”

“Pagherò! Non voglio essere un impiccio.” Sottolineò prontamente avendo intuito il brutto momento finanziario della casa.

“Ti ho detto che non si tratta di soldi e poi non siamo un B and B. Qui si produce vino, Michir....

“Allora lavorerò!”

“Chi… tu?!”

“Si, io!”

E la risata della bionda riecheggiò tra le travature lignee della copertura tanto che un paio di tortore fino a quel momento bellamente appollaiate si alzarono in volo uscendo.

“Scusa perché staresti ridendo?!” Chiese sentendosi le mani afferrate da quelle dell’altra.

Studiandole Haruka continuò a sghignazzare scaldandole i nervi già abbastanza tesi. “Ammetto di vedere dei calli, ma avanti, non scherziamo. Un tipo altolocato come te non è fatto per il lavoro dei campi.”

Scansandole in malo modo Kaiou si accese come una miccia. “Non puoi giudicare solo dal vestito che porto o dalle mani che ho Haruka. Non è giusto!”

“Va bene, hai ragione, ma non prender su d’aceto. - Si scusò alzando le braccia in segno di finta resa. - La stagione della vendemmia sta per partire, ma purtroppo non posso assumere altra gente.”

“Vitto e alloggio.”

“He?”

“Vitto e alloggio!”

“Ma dai, cosa siamo nel Medioevo?!”

“Vitto, alloggio e …in più ti lascerò giocare con la mia auto per tutto il tempo che vorrai provvedendo io a tutti i pezzi di ricambio che mi chiederai.”

Ed Haruka iniziò a pensarci. E Michiru a sperare.

“Avanti, cosa ti costa. Dammi un’opportunità Tenou. Vedrai che saprò stupirti.” Incalzò avvicinandosi tanto che la bionda se la ritrovò praticamente ad una manciata di centimetri dal viso.

“Certo che se lavori quanto chiedi.” Disse indietreggiando un poco il collo. Quella donna le faceva battere il cuore. Era un fatto.

“So essere molto testarda se voglio.”

“Questo non depone a tuo favore. Qui si obbedisce e si lavora in squadra.”

“Non è un problema. Sono stata abituata alla disciplina sin da piccola e so lavorare in gruppo.”

Spezzando improvvisamente il contatto visivo, Haruka cedette. “In prova per una settimana... Poi vedremo.”

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau, ben trovate/i. Ci ho messo un po’ per ritrovare l’ispirazione, poi, come alcune di voi mi ripetevano quasi giornalmente, è arrivata così, di getto. Questa nuova avventura, che si svolge nel presente, non ha una vera e propria collocazione geografica come tutte le altre che ho scritto. E’stata una scelta voluta e ben ponderata, così che ognuno (a parte gli USA da dove proviene Bravery) possa avere la possibilità di ambientarla in posti che conosce e che ama. Me inclusa.

Per tutte coloro che amano la stirpe Kuo, questa volta ho voluto inserire anche Seiya e Yaten. Mi servivano delle figure maschili oltre a Mamoru. Perciò vedremo qualche altra coppia oltre a quella cool per eccellenza e a tal proposito, remando distante dalle ultime ff, l’incontro tra Kaiou e Tenou c’è stato subito e visto i rispettivi caratteri, è stato anche piuttosto freddino. Proverò a fare in modo che i due personaggi evolvano man mano che la storia prende piede. Ora come ora vedo una Michiru lontana anni luce da Haruka. Altro che bianco e nero. Caratterialmente, emotivamente, culturalmente, sono agli antipodi in tutto.

Prometto colpi di scena al sole delle viti. Parola d’onore.

Buona lettura. Spero di appassionarvi un po’.

U BW

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Radici spezzate ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Mamoru Kiba, Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Radici spezzate

 

Erano trascorsi sette giorni da quando la padrona di casa, Haruka, aveva stretto con lei un patto ben preciso. Una semplicissima stretta di mano che aveva dato vita alla stipula di un contratto verbale che legava Michiru Kaiou all’azienda vinicola Tenou. Il suo lavoro, la costanza, la forza delle sue braccia, la dedizione nel volere imparare, in cambio di vitto, alloggio, della riparazione della sua auto, per un meccanico come la bionda vero e proprio punto nodale di quell’equo scambio e la cosa che alla forestiera premeva di più; la discrezione. E quella c’era stata sin da subito. Nessuna componente della casa aveva infatti contravvenuto a quella richiesta, nonostante si fossero impegnate a dare ricovero e lavoro ad una perfetta sconosciuta.

Haruka aveva accettato la cosa come se il non sapere neanche il cognome di quella bella donna venuta da chissà dove e trovata come un randagio sul ciglio della strada, fosse una normalità. Da par suo, Usagi aveva visto in quella buona azione un viatico per il costante nervosismo della sorella maggiore nei confronti del suo rapporto con Mamoru Kiba. Erano infatti calate e di molto, le discussioni giornaliere in merito alla cosa, come se la bionda non volesse far capire a Michiru, che invece aveva compreso benissimo, il disagio che sentiva forte nei confronti di un rapporto per lei tanto squilibrato.

E di questa sorta di tregua, che poi tanto tregua non era, Usagi era grata. La simpatia immediatamente riversata sull’estranea si era presto tramutata in un’alleanza dove Michiru figurava come una spalla silenziosa che pur non permettendosi di metter bocca in faccende familiari che non la riguardavano, remava dalla sua parte con sguardi e sorrisi dolci. A tavola, in cucina ed in qualsiasi altro posto il nome dell'uomo saltasse fuori, Michiru le dava coraggio con la semplice presenza, come se capisse il suo disagio emotivo, come se avesse lei stessa, in prima persona, affrontato quelle logoranti discussioni.

“Haruka non riesce ancora a capire, piccola Usagi, ecco perché cerca in tutti i modi di proteggerti. - Le aveva sussurrato dopo il primo divieto di uscire al quale la forestiera aveva assistito. - Credo sia il suo modo di volerti bene. Non sono affari miei, ma vista da fuori sembra proprio così e l’unico consiglio che ora posso darti, è quello di non punzecchiarle troppo i nervi parlando sempre di lui.”

Un discorso semplice, maturo, che però non convinceva assolutamente una diciassettenne innamorata. Usagi ascoltava, sospirava, la guardava come un cucciolo per poi tornare a fare come le pareva innescando la bionda a nuove occhiatacce, grugniti, divieti e punizioni completamente inutili.

L’unica a non vedere di buon occhio la decisione del capo famiglia di prendersi in casa quell’estranea, era Minako. La questione non toccava la sfera affettiva, perché a differenza di Haruka, l’altrettanto bionda non aveva mai sofferto di gelosia, anzi, non le dispiaceva affatto che la piccola di casa Tenou vedesse in Michiru uno sfogo, una prospettiva meno provinciale con la quale approcciarsi, ma per il resto, quella donna proprio non le piaceva. In merito aveva persino discusso con Haruka e la sua decisione di prenderla a servizio.

“Avresti anche potuto consultarti con me! Ti ricordo che l’azienda è anche mia Haru!”

“Su Mina, non farla tanto lunga.”

“Ma di un po’, hai gli ormoni impazziti o cosa?! Ti rendi conto che non conoscendone neanche il cognome non possiamo farle un contratto o assicurarla? E l'Ispettorato del Lavoro? E se dovesse farsi male? Vuoi sulla schiena anche una denuncia?!”

“Oddio e non vedere sempre tutto nero! Perché poi dovrebbe farsi male?!”

“Perché le cose accadono Haruka e non possiamo farci proprio niente! A volte sei proprio come la mamma.”

“Minako piantala! Pensa al fatto che ci servono braccia e che con i conti in rosso non possiamo più assumere. Pur priva d’esperienza Michiru lavorerà per noi non volendo in cambio nulla!”

Avvicinandosi tanto da sentirne il calore del viso, la minore aveva accettato la cosa dandole però un’avvisaglia. “L’ultima parola spetta a te, ma lascia che ti dica una cosa: stai attenta a quella donna o finirai per farti male Haru.”

Yaten, il suo attuale ragazzo, aveva invece pensato che l’antipatia di Minako dipendesse dalla pura gelosia. La pietra dello scandalo era stato un apprezzamento alla classe della forestiera e da li la ferma convinzione della biondina nel non giudicare come oro tutto quello che riluce.

“Sei forse invidiosa?” L’aveva canzonata lui addentando il cremino che gli aveva portato come goloso spuntino tra un carico di terra e l’altro.

“Non essere sciocco! E di cosa poi? Mi fa piacere che Usa le ronzi sempre intorno, mi scarica la coscienza sul fatto che con la vendemmia alle porte non possa farlo con me. Oppure credi che debba preoccuparmi della sua bellezza?” Aveva chiesto maliziosa scansandosi con un gesto secco una ciocca dorata dal collo.

“Per quanto m riguarda tu non devi preoccuparti di niente, ma… c’è sempre Haruka.”

“Non è il suo tipo! Ed anche se lo fosse credo che a differenza di Usagi, sia grande e vaccinata per poter decidere da sola se farsi male o meno.

“Stavo solo scherzando Mina e poi credi davvero che possa esserci una donna al mondo capace di far soffrire il nostro capo?”

Lei aveva allora sorriso tristemente. “O Yaten, ti ho già detto di non far caso a tutte le voci che circolano sul conto di Haru e dai retta a me, quella Michiru è proprio la donna che potrebbe polverizzarle la corazza e stritolarle il cuore. Chi non ha rispetto per la sua vita, non l’ha neanche per quella degli altri.”

“Cosa intendi dire?” Sputando il legnetto del gelato in mezzo ad una frasca aveva riacceso il motore non capendo.

“Nulla, non farci caso. Ora torna al lavoro o il capo ti striglierà a dovere.” Così issandosi sul mezzo l’aveva baciato sulle labbra e dopo un occhiolino era saltata sullo sterrato polveroso inforcando la bicicletta pronta a tornarsene a casa.

Già; il rispetto della vita altrui. Minako era fermamente convinta che gente del calibro di Michiru, ricca, a suo modo potente, fascinosa quanto basta per irretire le persone, fosse pericolosa al pari di un’inondazione o una siccità prolungata e non vedeva l’ora che si togliesse dai piedi.

Non reggerà ancora per molto il peso di questo lavoro. Pensava con una punta di sadismo ogni volta che la vedeva gironzolare come una mosca impazzita tra i viottoli della masseria con i suoi vestiti addosso. Sempre più stanca. Sempre meno reattiva.

Ma Minako Tenou non aveva messo in conto il carattere granitico di una musicista abituata alla ferrea disciplina della classica. E come avrebbe potuto non conoscendola e fermandosi solamente all’apparenza. Ed infatti, se pur devastata da dolori muscolari nati in varie parti del corpo per lei completamente sconosciute, la forestiera arrivò a passare indenne la prima settimana di lavoro, tanto che Haruka iniziò a pensare d’istruirla in qualcosa di più impegnativo che il fare avanti ed indietro con cassette di legno tra le mani.

All’alba del settimo giorno, come in una biblica profezia, la bionda la chiamò all’aperto infilandosi i guanti da lavoro.

“Oggi vorrei farti guidare.” Iniziò pragmatica fissando il cielo bluastro.

“Va bene. Vedrai che non andrà come l’ultima volta.” Sorrise riferendosi alla sua Mercedes.

Stringendo le labbra in quella smorfia che Kaiou aveva imparato a riconoscere come un chiaro segno di scherno, la bionda non raccolse la battuta. Indicandole il suo garage le ordinò di andarsi a prendere un paio di guanti. “Sul banco di sinistra c’è una scatola gialla. Prendi pure quelli che ti stanno meglio. Io ti aspetto dietro l’orto.”

“Ma servono proprio per guidare?” Chiese mentre la vedeva allontanarsi.

“Se non vuoi rischiare di perdere un dito… Fai come ti dico Michiru!”

Rabbrividendo ed arpionandosi d’impulso le mani, l'altra obbedì dirigendosi verso il silos. Non amava essere comandata, ma quel lavoro le serviva come, se non più del pane che aveva preso a trangugiare con avidità ogni sera, quando avvertiva lo stomaco aprirsi come una voragine senza fondo. Si sentiva fisicamente stanca, ma emotivamente vuota e rilassata come non le accadeva da tempo. Nessun concerto, nessuna telefonata, niente responsabilità. Via i sorrisi condiscendenti regalati alla dirigenza della Union Artists Foundation. Via i rospi ingoiati a forza per un compagno traditore. Perciò che importanza poteva avere lo stare sull’attenti di fronte ad una donna che non voleva far altro che mandare avanti l'attività di famiglia?

Arrivata alla porta di legno borchiato del mondo Tenou la spinse sporgendosi un po’ verso l’interno ombrato. La sua Mercedes era ancora li, proprio fronte uscita. Alla sua destra una Ducati rossa e poco oltre due moto da cross inzaccherate di fango solido. Era con quelle che Haruka e Minako si muovevano per andare e venire dalle vigne.

“Dunque, il banco di sinistra.” Si disse scansando un poco l’anta per entrare.

Si avvicinò al bancale di truciolato notando l’infinità di cose che c’erano sopra. Pezzi di cavi elettrici, scatoline con dadi e bulloni di varia grandezza, pile e fusibili. Inchiodata al muro, una piastra metallica dov’erano appese chiavi inglesi e cacciaviti dal manico colorato. Michiru sorrise al caos controllato che rappresentava perfettamente la bionda. Spostando le iridi sulla superficie, scannerizzò tutto non vedendo però il contenitore giallo dove avrebbe dovuto trovare i guanti. Guadò allora al di sotto del pianale, ma notò solo scarpe, calosce e due scatoloni pieni zeppi di parti meccaniche. Scuotendo la testa iniziò a guardarsi intorno spostandosi verso il posteriore della sua auto.

“Tieni tanto alla puntualità, ma dovresti mettere in conto il disordine che regna qui dentro.” Borbottò come se avesse avuto Haruka presente mentre arrivava al portabagagli accarezzarlo con la mano.

Al suo interno c’era ancora un oggetto che amava portarsi sempre dietro, come una sorta di rete di sicurezza, ma che per assurdo era diventato ormai la sua zavorra. Restò per qualche secondo a fissare il bianco lucido della carrozzeria per poi spostare la testa in direzione di un grosso telo cerato che ricopriva una sagoma schiacciata sul finire dell’ambiente. Incuriosita gli si avvicinò tanto da notarne la patina di polvere che vi si era formata sopra. Evidentemente qualsiasi cosa ci fosse stata sotto non vedeva la luce da un infinità di tempo.

Come attratta allungò la mano quando la voce di Minako irruppe nell’ambiente. “Cosa stai facendo?!”

Bloccandosi di colpo l’altra voltò di scatto il busto dilatando gli occhi. “O Mina, sei tu! Mi hai spaventata.”

“Perché sei qui? Chi ti ha dato il permesso di entrare?” Tagliente vide la forestiera riemergere dall’ombra.

Sentito il tono Michiru raddrizzò la postura preparando le difese. “Haruka. Dovevo prendere dei guanti.”

“E li cerchi li?” Chiese indicando con il mento la cerata grigia.

“Li cerco ovunque possano essere.”

“Non li, te lo assicuro… - Andando verso l’anta aperta la spostò rivelando la scatola gialla dimenticata a terra. - … e per il futuro ti pregherei di non ficcanasare più qui dentro.”

Afferrando un paio di guanti glieli porse. “Siamo intesi?”

Respirando profondamente la donna più grande li prese stringendoli tra le dita. Era ad Haruka che doveva obbedienza, non alla sorella e al suo assurdo modo di porsi. Sin da subito aveva avuto l’impressione di starle antipatica e quello poteva essere il momento giusto per mettere le cose in chiaro.

“Dato che ci siamo Minako, vorrei farti una domanda… Ti ho forse fatto qualcosa?”

“Non so a cosa tu voglia alludere.”

“Al fatto che mi tratti da cani ogni volta che ci troviamo vicine.”

La biondina sembrò divertita della cosa. “Non essere assurda! Ti ho solo pregato di non entrare più qui dentro. Ricordati che sei una dipendente ed è già una concessione grande il fatto che Haruka ti abbia dato un letto nel quale dormire. Perciò non ti sembra di doverle almeno la privacy che tu per prima hai richiesto?!”

Minako non era calma per carattere, ma con la crescita aveva capito che più si rimaneva freddi e meglio si riuscivano a controllare le discussioni ottenendo così il massimo. E l’altra accusò il colpo vacillando per qualche secondo.

“Ora se vuoi scusarmi…” Tagliò corto andando verso la prima moto da cross pronta ad afferrare il casco dimenticato penzolante sul braccio del manubrio.

“Non ti conosco, ma non ci vuole certo un genio per capire quanto ti stia sullo stomaco e se avessi un minimo di forza di carattere, lasceresti quel casco, ti volteresti e mi spiegheresti il perché!”

“Il perché? - E la voce le tremò leggermente. - Gente come te proprio non riesce a capire quella come noi, vero?”

“Cosa diamine vuoi dire?!”

L’altra sentì di stare sul punto di esplodere e non voleva. Provando a finirla li le ribadì di non entrare più nel silos.

Michiru continuò non volendo cedere. “Questo l’ho capito e ti chiedo scusa per l’ENORME errore appena commesso.”

L’aver sottolineato enorme con l’aiuto di una mano spezzò la corda e Minako partì in quarta. Abbandonando il casco sulla sella in due passi le fu addosso.

“Voi impaccati di soldi fate parte di una razza disgustosa. Vi ergete puri sopra di noi…, con i vostri bei vestitini, il parlare pulito, le auto di classe. - Un indice puntato alla maglietta della forestiera e sentì incontrollato un rigurgito di rabbia, come se le parole appena dette avessero avuto il potere di ascenderla. - Non pensate mai che c’è gente che sputa sangue per guadagnarsi il pane! Che scruta il cielo tutte le mattine sperando di arrivare a raccogliere ciò che gli servirà per vivere degnamente un altro anno! Che vive onestamente, con dignità e che magari arriva anche a morire per i vostri errori! Tu Michiru sei l’esempio più chiaro di tutto ciò che disprezzo e non riesco proprio a capire cosa diavolo ci trovino le mie sorelle in tutto quell’ammasso di falsità che sei!” Terminò quasi urlando ormai presa dalla foga.

Stordita per tanta acredine Kaiou rimase di sasso. Le mani serrate dimenticate lungo la piega dei pantaloncini di cotone che usava per lavorare. Le labbra in una posa amara. La fronte aggrottata.

“Si può sapere che state facendo voi due?! Mina a quest’ora avresti già dovuto essere sulla strada per la vigna del Bel Vedere e tu Michiru…, sono dieci minuti che ti aspetto! Non ho tempo da perdere!” Haruka entrò fissando prima l’una poi l’altra.

Senza rispondere la sorella riprese il casco infilandoselo ed inforcando la sella accese la moto con un gesto secco del tacco. Un ultimo sguardo di sfida alla forestiera poi sgasando un paio di volte schizzò all’aperto sparendo in una nuvola di fumo acre.

Arpionandosi i fianchi la bionda cercò spiegazioni. “E allora? Perché stavate discutendo? Vi si sentiva da fuori.”

Ma Michiru non rispose anzi, portandosi la mano libera dai guanti allo sterno, iniziò a prendere grosse boccate d’aria.

“Che c’è? Stai male?”

“Nulla. Non volevo metterci tanto, ma la scatola non era sul ripiano e così…” Lasciò cadere la frase mentre Tenou prendeva a maledirsi per avere una sorella tanto disordinata.

“E’ tipico di Mina non rimettere mai nulla dove l’ha trovato. Comunque sei pallida. Sicura di star bene? Guarda che se ti ammali non sei assicurata.” Concluse sorridendo, ma non cogliendo l’umorismo Kaiou la guardò scuotendo energicamente la coda di cavallo.

“E’ tutto apposto Haruka! Non mandarmi via!” E le si mozzò il fiato nella gola tanto che la bionda non potè fare altro che poggiarle una mano sulla spalla per rassicurarla.

“Hei… stavo solo scherzando! Non fare quella faccia.”

“Scusami.” Soffiò vinta.

“O Santo cielo, credevo fossi un tipo tosto ed invece basta una iena come Mina per affossarti?”

“No… è che…”

“Su dai, non prendertela. Dobbiamo andare in un posto e voglio che sia tu ad accompagnarmici. Coraggio!”

 

 

“No… No, no, no… No, io…. No!” Facendo un passo indietro Michiru scavò il brecciolino con il tallone come un piccolo somarello sulla strada di un mercato.

“Ti ho detto di fidarti… Non è più difficile che guidare una Mercedes.”

“Si… lallero!” Esplose guardando le scalette metalliche del cabinato che portavano al posto di guida.

In vita sua aveva messo le mani su parecchi tipi di volante; barche a vela, motoscafi, macchine sportive, ma mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe trovata davanti a quello. Di fronte agli occhi della sua incredulità un Landini Rex blu notte dalle borchie arancioni. Accanto alla sua spalla sinistra una bionda per lei completamente fuori di testa.

“Haruka non posso! Non so neanche come si accenda un trattore!”

“Con la chiave! - Disse issandosi allungando poi il braccio per invitarla a salire. - La guida su strada di questi gioiellini è tale e quale a quella di un’automobile. La differenza sta sul campo di lavoro, dove l’acceleratore a pedale si integra con quello a mano. Ma per adesso non ci interessa. Su, coraggio!”

“Non ti sembra azzardato? Perché proprio io che non ho esperienza?!”

“L’esperienza si fa sul campo e non certo rimanendo qui ferma come un’allocca. E poi non si era detto che avresti solo eseguito senza far domande? Ho bisogno che tu impari e alla svelta. Quando inizieremo la vendemmia ci servirà gente capace di manovrare questi bestioni. Io dovrò pensare alla coordinazione del lavoro e abbiamo solamente Yaten e Mina per coprire tutti gli ettari. Non vorrei, ma di Usagi ancora non mi fido e poi deve stare in amministrazione. Perciò…”

Per niente convinta la forestiera si avvicinò provando una mediazione. “Potrei starci io in amministrazione! Sono brava con i conti sai?! Ho già fatto danno con una semplice macchina, cosa pensi che accadrebbe se perdessi il controllo di questo?”

“Perché dovresti perderlo?! Avanti, non abbiamo tutta la mattina.”

Afferrata per la destra dalla salda mano di Haruka, Michiru si ritrovò seduta sul sedile di comando in una frazione di secondo. “Oddio. Come è alto.”

“Be, non ti sembra fantastico poter guardare tutto e tutti da quassù? E’ divertente non trovi?” E la faccia dell’altra, che in quel momento era tutto un programma, la fece ridere di gusto.

Fu la prima volta e Michiru ne rimase contenta. Allora anche quella bionda tutta d’un pezzo sapeva sciogliersi ogni tanto.

“Non offenderti, ma hai un concetto del divertimento tutto tuo Haruka.”

“Avanti, basta scherzare. La prima cosa è la comodità, perciò alza o abbassa la poltroncina come meglio credi.”

“Va bene così, grazie.” Sempre meno convinta Kaiou si schiacciò le mani al grembo.

“Bene. Allora i comandi base sono i due pedali del freno…”

“Due?”

“Si, due e si possono usare singolarmente, il che è una gran cosa soprattutto quando sei sotto tiro e devi effettuare una svolta con un raggio ristretto e questo capita spessissimo nelle vigne.”

“Perciò se spingo il pedale di sinistra vado a sinistra e viceversa?”

“Brava. Degli acceleratori ti ho già accennato mentre queste sono le leve idrauliche per azionare gli attrezzi trainanti.”

“Attrezzi trainanti?!” La guardò dilatandole contro il cobalto degli occhi e per reazione l'altra arretrò un poco il collo.

“S…sssi. Concentrati Michiru… - Voltandole la testa con mani le indicò un pedale più piccolo alla loro destra. - Questo è presente solo sui gommati ed aziona il bloccaggio del differenziale.”

“Che cos’è un differenziale?”

“Una cosa da non usare quando si svolta.”

“Perché... se no?”

“Se no ti ribalti tu con tutto il Landini… Il che non sarebbe carino!” Sentenziò alzando gli occhi al cielo mentre l’altra girava il sedile pronta ad uscire.

“Non se ne parla!”

“Dove vai?!”

“Scendo!”

“E no! - Afferrandola per la vita la rimise a sedere. - Mi serve aiuto e TU me lo darai! Se ti dico che puoi farcela devi credermi Michiru. Mina ha imparato a quindici anni… Perché non dovresti farcela tu che ne hai il doppio o giù di li?!”

Al sentire il nome di colei che poco prima l’aveva trattata come se non peggio di una pezza da piedi, la forestiera sentì nascere lo spirito della sfida ed afferrando il volante alle 10-22 ingoiò alzando il mento.

“Ok, adesso va meglio. Noto con gioia che sei un tipetto competitivo.”

“Ed io credo che tu lo sapessi già e te ne sia approfittata.”

“Scoperta.” Ammise grattandosi il naso.

Una volta messo in moto ed abituatasi al rumore e all’oscillazione dell’abitacolo, Michiru provò l’ebbrezza di far muovere il mezzo e guidata dalla bionda, iniziò a dirigersi verso il cancello secondario che dall’azienda si apriva sulla valle sottostante. Il sole stava sorgendo quando lentamente iniziarono a costeggiare il torrente che separava i terreni dei Tenou da quelli dei Kiba.

“Dove stiamo andando?” Urlò Michiru non osando staccare gli occhi dallo sterrato polveroso.

“Al ciclo di produzione, ovvero il cuore pulsante di questa attività. - Le rispose l’altra avvicinandole le labbra all’orecchio. - Sei troppo tesa. Cerca di rilassare le spalle o domani sarai tutta un dolore.”

Ti assicuro che non è facile, pensò l'altra quasi con stizza avvertendo subito dopo le dita di Haruka ai lati del collo.

“Ti piacerà vedrai. E’ li che nasce la magia.”

Sentendo la pressione esercitata sui suoi muscoli, per reazione Kaiou li contrasse ancora di più. Non era abituata ad essere toccata e meno che mai da una donna. Avvertendo un disagio Haruka stirò le labbra togliendo le mani.

“Dai un po’ più di gas.” Le sussurrò all'orecchio.

Serrando la mascella Michiru obbedì non riuscendo però a controllare l’aumento delle vibrazioni sul volante. “Trema tutto!”

“Se così non fosse staresti guidando una Lamborghini… - Sfotté sporgendosi in avanti per serrare le mani sulle sue. - Stringi meno. Sei tu che comandi, non lui.”

Se soltanto Haruka avesse immaginato che realmente quella donna aveva guidato una Lamborghini non avrebbe usato quell’esempio. Comunque funzionò. La presa della bionda le diede sicurezza e pur se non a pieno regime, il Landini fece il suo dovere portandole a destinazione. Immettendosi su per una breve salita, dietro ad un gruppo di giovani robinie cresciute al lato dello sterrato, apparve il famoso ciclo di produzione, ovvero la struttura che accoglieva la cantina dell'azienda vinicola Tenou; dal punto vendita all’amministrazione, dal vinificatore agli enormi cilindri metallici per la fermentazione del novello, dalla cantina vecchia dove si tenevano a riposo le bottiglie di rosso al piccolo studio di grafica dove si creavano le etichette.

Una volta spento il mezzo le due scesero dirigendosi all’entrata. “Lo so, non è grandissima, ma basta per dare parecchio filo da torcere ai pezzi grossi del settore. - Senza mascherare l’orgoglio Haruka le aprì l’anta lasciandola passare. - Ed eccoci qui!”

Kaiou sorrise all’entusiasmo quasi materno dell’altra. In effetti era un gran bel posto anche se piccolo rispetto alle case vinicole che aveva avuto modo di visitare in Florida o nel meridione francese. L'ingresso si snodava su due livelli; il primo a tutt’altezza, dedicato all’accoglienza e alla vendita al dettaglio, il secondo, un ballatoio metallico, era invece occupato dagli uffici.

Quello che la colpì non fu l’estrema pulizia o la disposizione ordinata degli spazi, consuetudine ovvia per un’attività come quella, ma la luce. Il bianco delle pareti e del pavimento erano enfatizzati da grandi lucernari che si aprivano sul tetto a doppia falda e da finestroni ad arco alle pareti. Una cosa che non aveva mai visto e che le fece nascere una domanda.

“Cos’era questo posto prima?”

Già con un piede sulla scala dai gradini completamente vetrati, la bionda la guardò stupita. “Una fabbrica di laterizi…”

“Acciaio, vetro…, mattoni a vista… - Indicò con il mento un degli imbotti dei finestroni. - Mi piace molto Tenou.”

Schiudendo le labbra in un sorriso Haruka l’aspettò contenta come una ragazzina. “I miei genitori acquistarono questa struttura una trentina d’anni fa, trasformandola in quello che è oggi.”

“L’attività di famiglia.” Sottolineò Kaiou lasciandosi guidare verso l’amministrazione.

“Esattamente! Vieni, devo prendere alcuni documenti, poi ti faccio fare un giro.”

”Da quanto tempo fate questo lavoro?”

“Da poco. Non pensare che tutto questo sia il frutto di generazioni di viticoltori, perché non è così. Quello che vedi è stata una visione di mio padre. Prima di metter su l’azienda lui e mia madre facevano altro.” Disse aprendole la porta di un ufficio.

“Pensavo il contrario.”

“Be, ti ringrazio. Abbiamo faticato tutti moltissimo per imparare questo mestiere.” Ammise richiudendo per poi dirigersi verso i cassetti metallici di un porta documenti.

Fu allora, guardando quell’ambiente tipicamente lavorativo fatto di mensole e plichi, che Michiru notò una cornice a muro riconoscendo le due persone ritratte. Erano le stesse viste in una foto nello studio di Haruka. Avvicinandosi per guardarli meglio ritrovò in quei visi estranei moltissimo delle sorelle Tenou.

“Sono i tuoi?”

L'altra confermò alzando un istante lo sguardo dalle etichette. “E’ stata scattata cinque anni fa.” Disse afferrando ed aprendo la cartellina che stava cercando.

Michiru si perse in quell’immagine. Un uomo ed una donna in maniche di camicia, abbracciati. Sorridenti. Felici. Sullo sfondo le colline ammantate dai vigneti. Rivide negli occhi chiari di lei lo stesso azzurro di quelli di Minako ed Usagi e nel verde di lui, quelli di Haruka. I capelli chiari, la carnagione abbronzata di chi è abituato a lavorare sotto al sole.

“Bella coppia, vero?” La voce calda della bionda le arrivò alle spalle facendola quasi sobbalzare.

“Molto...” Non aggiunse altro rimanendo in silenzio fino a quando non fu l’altra a spezzarlo.

“Ti prego…, cerca di soprassedere sulle botte di testa di Minako. Anche se può sembrare non ce l’ha direttamente con te.”

Voltandosi di scatto la forestiera corrugò la fronte. “Allora hai ascoltato?”

“Te l’ho detto che vi si sentiva da fuori.” Ammise alzando leggermente le spalle.

“E nonostante tutto quello che mi ha vomitato addosso credi che non ce l’abbia con me?!”

“Non solo lo credo, ma ne sono sicurissima.”

Michiru diede cenni d’indolenza che l’altra bloccò subito. “Non sono solita affrontare questo argomento e per di più con una perfetta estranea, ma visto che dovrete lavorare insieme per il resto della stagione…” Sospirando le rivelò la profonda lacerazione della sorella.

“Prima di fondare questa azienda i nostri genitori erano due piloti di rally. Due piloti professionisti. Allora mia madre era ancora una delle poche donne che gareggiavano in quell’ambiente e per dimostrare di essere in gamba come, se non più dei suoi colleghi, in gara troppo spesso tendeva a prendersi dei rischi inutili. Fu così che durante una corsa forzò troppo andando fuori pista. La sua auto prese fuoco e mio padre fu il primo a prestarle soccorso riuscendo a tirarla fuori dall’abitacolo appena in tempo. Si conobbero così e s’innamorarono praticamente subito, diventando in pochissimo tempo pilota e co pilota, nonché marito e moglie. Ma la velocità cozza e di brutto con l’allargarsi di una famiglia, così quando dopo un rally in Africa mia madre si accorse di essere rimasta in cinta di me, decisero di smettere. Forse è per questo che ho la velocità nel sangue. - Sorrise guascona. - Mio padre si trovò d’accordo e ripensando ai vigneti che avevano visto durante il loro viaggio di nozze, si ricordò di una serie di terreni messi in vendita ed una vecchia fabbrica di mattoni ormai abbandonata da più di cinquant’anni.”

Andando verso uno scaffale dov’era una coppa dorata, la bionda la sfiorò con l’indice. “Hanno lavorato sodo per due lustri prima di avere uno straccio di raccolto decente ed altrettanti per riuscire ad essere competitivi con le aziende della zona. Ma con costanza e dedizione, privazioni e tanto coraggio ce l’hanno fatta.”

“Ma qualcosa deve essere successo…”

“Già… Una sera di tre anni fa, al ritorno da un congresso, verso la strada di casa un Suv li prese in pieno…”

Michiru trattenne il respiro avvertendo il colpo mentre la bionda continuava. “Mio padre morì sul colpo, mentre mia madre ebbe in sorte quattro giorni d’agonia prima di raggiungerlo. Avevano lasciato il mondo delle corse per proteggere le loro figlie, per non rischiare di lasciarle sole se fosse successo loro qualcosa in gara e invece è proprio sulla strada che hanno trovato il loro destino. Grottesco, non trovi?!”

“Ma…” Quel tristissimo epilogo cosa aveva a che fare con lei?

Intuita la domanda Haruka proseguì. “Alla guida di quel Suv c’era un ragazzo appena ventenne; il figlio di uno dei più quotati e ricchi avvocati della provincia ed era ubriaco. - Tornandole davanti la guardò fredda. - Proprio come lo eri tu la notte nella quale ti abbiamo trovata Michiru.”

“Haruka io non…” Cercò di difendersi sentendo gli occhi bruciare di colpo.

“Lo so, eri ancora abbastanza lucida, come so che con questa storia tu non c’entri nulla, ma cerca di capire mia sorella. Il fatto che grazie ai soldi della sua famiglia ed agli agganci del padre quel ragazzino non si sia fatto neanche un giorno di galera, ha portato Minako ad una grandissima diffidenza nei confronti delle persone benestanti come te. Il vederti in abito da gran gala ed il sentirti addosso odore d’alcol, ha riaperto una ferita che scioccamente io per prima credevo guarita. Mi dispiace. Non avrebbe dovuto reagire così.” Concluse scusandosi e lasciando l’altra ancora più sconvolta.

Non pensate mai che c’è gente che vive onestamente, con dignità e che magari arriva anche a morire per i vostri errori! Si ricordò. “E’ stata un’imprudenza, lo so, ma ti assicuro…, era la prima volta che mi mettevo alla guida dopo aver bevuto… Devi credermi Haruka!”

“Michiru ho capito. Anche io torno a casa in moto dopo una birra e so che non dovrei, perciò per quanto mi riguarda stai tranquilla.”

“Voglio provare a parlarle…”

“Conoscendola ti consiglio di lasciarla sbollire. Si sfogherà con Yaten, rimarrà a dormire un paio di notti da lui e poi tornerà a casa. Sai, quel ragazzo è l’unico che riesca a calmarla. Per me ed Usagi il dopo è stato più semplice. A me è sempre piaciuta questa vita e Usa era ancora troppo giovane per voler scegliere qualcosa di diverso, ma per Mina la questione è stata diversa. Oltre a perdere i suoi genitori ha visto sfumare anche i propri sogni. Avrebbe voluto diventare una designer ed andare a vivere in una grande città, ma ha scelto di restare accanto ad Usa ed aiutare me a mandare avanti l’attività. E’ una brava sorella e cerca d’impegnarsi al massimo anche se lavorare a così stretto contatto con il vino non la fa star bene.”

Nella mente di Kaiou tutto sembrò più chiaro. Aveva notato quanto a differenza delle sorelle, Minako fosse frivola, amante dei bei vestiti, delle serate in discoteca e poco avvezza alla vita campagnola, ma mai l’aveva vista arrivare in ritardo ad una comanda di Haruka, borbottare o rifiutarsi di fare qualcosa. Con molta probabilità il concentrarsi su mille cose le impediva di pensare. Improvvisamente sentì una strana empatia con lei, come se, sotto sotto, fossero simili.

“Senti Michiru, cercherò di evitare di farvi lavorare insieme, c’è talmente tanto da fare qui che non sarà certo un problema.”

Tornando ad aprire la porta le fece cenno di seguirla. Aveva ancora molto da mostrarle.

 

 

Camminarono fianco a fianco per gli ambienti della cantina. Haruka mostrò ad una Michiru segnata da quella pesantissima rivelazione, tutta l’attività; dagli enormi cilindri argentati per la fermentazione, allo studio grafico dove si creavano e stampavano le etichette per le bottiglie. Scesero persino nelle viscere della cantina vecchia, ovvero gli spazi dalla temperatura controllata dove s’invecchiava il vino dei pochi ettari ad uva rossa che l’azienda aveva scelto di coltivare.

“Questi sono vini da competizione. I più pregiati che possediamo. Qui si predilige il bianco, ma il rosso e' sempre il rosso."

Presentata al personale come nuovo acquisto stagionale, la forestiera aveva sorriso comportandosi in maniera impeccabile, notando quanto quelle mani callose abituate al lavoro fossero diverse da quelle che era solita stringere nel suo ambiente. Pur se estranea, si sentiva stranamente a suo agio, a casa, come se facesse da sempre parte di quel complesso ingranaggio bene oliato dove tutto era armonia. Nella sua testa però, il tamburo battente provocato dalle parole di Haruka. Una pesantezza d’anima che neanche il sole brillante di quel giorno riuscì a mitigare.

Una volta tornate sul piazzale, la bionda si stiracchiò la schiena. “Sarà il caso che per il ritorno guidi io. Sei talmente lenta…” Canzonò intimamente soddisfatta. Ci teneva a far vedere a Michiru una parte del suo mondo. Ci teneva e non voleva scoprirne il motivo.

“Fai pure.” Grata la lasciò salire per prima tornando poi ad issarsi su quel bestione metallico.

Per tutta la strada del ritorno Kaiou non fece altro che pensare alle parole della bionda, agli sguardi ostili di Minako e a come, grazie anche al comportamento inaccettabile di Seiya, aveva finito per dare spettacolo la sera della festa.

Rivedeva il viso volgare della sciacquetta di turno alla quale l’ex compagno aveva appena sfiorato con la mano il bordo del seno, il suo intercedere furioso dopo averli visti appartarsi dietro ad una colonna del Gran Hotel Palace, al consiglio di lui di stare calma ed allo schiaffo che le era partito subito dopo.

Sei uno schifoso! Non ti accontenti più di farlo di nascosto! Adesso vuoi anche umiliarmi in pubblico!" Aveva ringhiato sentendo un’esplosione d’adrenalina alla tempia.

Michiru cerca di non dare in escandescenza, ci guardano tutti! Posso spiegarti…”

Ma cosa diavolo avrebbe potuto spiegarle che lei non avesse già capito?! Accortasi degli infiniti occhi puntati contro e dell’impossibilità di bloccare la valanga che aveva provocato con quel gesto, ai primi brusii aveva ceduto scappando all’aperto e poi giù, lungo le scale che portavano al parcheggio. Richiamando l’attenzione dell’addetto si era fatta riconsegnare le chiavi salendo al posto di guida pur avendo la testa ovattata e li, con i finestrini abbassati, si era lasciata alle spalle il mondo che conosceva da sempre, premendo sull’acceleratore mentre il crepuscolo serale calava su quel giorno estivo.

Sospirando si sorresse alla maniglia lato tettuccio guardando le acque scintillanti del torrente. Che spettacolo, pensò prima d’intravedere una figura dietro un roveto a circa una decina di metri sopra la strada che stavano percorrendo.

Michiru ebbe l’impressione che il cuore le scoppiasse nel petto e serrando la mano libera alle spalle di Haruka urlò senza quasi rendersene conto.

“Fermati!” Ordinò continuando a tenere gli occhi fissi sui cespugli.

“Che?”

“Ferma il trattore!”

La bionda obbedì tirando il freno a mano mentre lei saltava letteralmente giù dall’abitacolo.

“Cosa succede?! Michiru… - E la seguì raggiungendola in un niente. - Insomma… si può sapere che t’è preso?”

Seiya! Aveva visto Seiya fermo dietro l’ammasso di rovi e more. Abbarbicandosi sulla salita puntando i piedi ed aggrappandosi all’erba, salì per poi aggirare le frasche, ma nel punto deve le era sembrato d’intravederne la sagoma dell’uomo non trovò nessuno. Scattando il collo a destra e a sinistra notò un sentiero che serpeggiava fino a perdersi tra gli alberi.

“Allora?”

“Dove porta questo?” Indicò cercando la calma.

La bionda alzò le spalle con sufficienza. “Alla tenuta dei Kiba, perché?”

“Dei Kiba?” Fece eco non capendo.

Non aveva alcun senso. Devo essermi fatta suggestionare dai ricordi…

 

 

Yaten chiuse la porta lanciando le chiavi sul tavolo da pranzo del suo monolocale. “Sono a casa amore… e ho portato due belle pizze con tutto sopra!” Urlò sorridendo ai cartoni che stringeva nelle mani.

Minako lo aveva chiamato verso l’ora di pranzo raccontandogli dell’alterco avuto con la forestiera, ma non avrebbe mai immaginato di ritrovarsela all’imbrunire seduta sui gradini di casa con una sacca accanto.

“Mi ospiti per un po’?! - Aveva chiesto sparandogli contro due occhi da cucciolo bisognoso di coccole. - Io sotto lo stesso tetto con quella stronza non ci rimango!”

Ecco; la sua dolce ed irruenta ragazza era finalmente esplosa e adesso spettava a lui cercare di riportarla sull’asse di galleggiamento.

"Mina, hai fame?" Ma lei non rispose.

Immersa nella penombra di un appartamento completamente lasciato al buio, con il corpo vestito solamente di un paio di pantaloncini abbastanza succinti ed una canottiera, se ne stava zitta zitta a fissare il nulla. Illuminata dallo schermo della televisione accesa, allungata sul divano in preda all’apatia, dopo qualche istante lo guardò come se fosse appena riemersa da un sogno.

“Hai dormito?” Chiese lui andando in cucina per posare i cartoni.

“No…”

“E allora hai pianto.”

“No…”

“Bè, qualcosa avrai pur fatto perché hai una faccia …”

“Sarà bella la tua.” Si difese prendendo il telecomando per spegnere.

“Dai, vieni a mangiare o si freddano.” Alzando la persiana della finestra per permettere agli ultimi raggi della giornata d’illuminare l’ambiente, Yaten prese due bicchieri, della limonata ed un paio di coltelli.

Chiedendo notizie delle sorelle Minako apparve sulla porta appoggiandosi pesantemente allo stipite.

“Haruka non l’ho vista, ma mentre stavo staccando ho incontrato Usagi. Dovresti chiamarla per dirle che dormi da me.”

“Lo farò.” Soffiò obbediente.

“Bene. Allora buon’appetito!” Porgendole il coltello le sorrise come solo lui sapeva fare. Un misto di complicità ed erotismo che riusciva a tirare fuori quando erano insieme e voleva da lei qualcosa di più che semplice compagnia.

Afferrato il messaggio Minako si sfilò dai capelli la matita che aveva messo su per toglierseli dal collo e stare così più fresca e muovendo la testa un paio di volte lasciò che ricadessero con voluttà sulle spalle. “Hai fame?”

“Non puoi neanche immaginare quanta.” Rispose lui richiudendo il cartone.

“Allora credo di avere qualcosina per te…” Invitò con un sorriso ammiccante sparendo poi nella penombra.

 

 

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Capitolo 3
*** Tempesta ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Tempesta

 

Al bing Usagi sorrise prendendo il cellulare. Sapeva chi fosse e alla conferma visiva gongolò come un cucciolo accarezzato sul pancino. Il suo Mamoru non latitava, non dimenticava mai d’inviarle anche solo un semplice messaggio per farle sapere quanto la pensasse. Quanto ci tenesse a lei. E anche in quell’afosa mattina d’estate, puntuale, era apparso al cuore della sua biondina come un cavaliere dall’armatura scintillante pronto a tirarle su il morale per l’ennesima cattiveria scaturita dal cuore avvizzito di quella Strega del Nord che era sua sorella. Una nuova lite. Un nuovo divieto.

Il tempo delle feste serali stava entrando nel vivo e la piccola di casa Tenou non capiva proprio perché, pur sgobbando tutti i giorni della settimana, non potesse svagarsi almeno il sabato sera. O per meglio dire, lo aveva capito benissimo, ma proprio per questo lungi da lei accettarlo! Mai e poi mai avrebbe lasciato ad Haruka l’ultima parola sulla sua storia con Mamoru e, mai e poi mai, le avrebbe permesso d’intralciarla in quel rapporto, avesse dovuto fare una scelta per portarlo avanti.

Rispondendo con smile e cuoricini vari, la ragazza tornò a fissare il computer riflettendo sull’enorme fortuna di avere accanto un uomo come il suo. Il bello del loro rapporto era che pur conoscendo tutte le fragilità e l’immaturità che Usagi ancora dimostrava per via della giovane età, lui l’amasse comunque, anzi, da quando si erano messi insieme sembrava che Kiba non avesse occhi che per lei nonostante il fascino lo portasse ad avere intorno un copioso ronzio femminile. La spronava, la coccolava, le suggeriva, guidandola a suo modo attraverso il periodo dell’adolescenza, ascoltandola nei limiti di un lavoro sfiancante come il loro e provando spesso e volentieri a disinnescarne l’astio che la biondina nutriva nei confronti della rigidità dimostrata dalla sorella. Ma era solo una questione di tempo, un anno per l’esattezza e al raggiungimento della maggiore età, lei sarebbe scappata dalla masseria di famiglia a gambe levate.

Stiracchiandosi la schiena tornò a digitare velocemente le lettere sulla tastiera quando il vecchio fax dimenticato al lato della stampante su una delle mensole della libreria, iniziò a vibrare provocandole un brivido. Il tempo di quei macchinari era passato da un pezzo, ma in assenza di ripetitori che garantissero una connessione stabile, era l’unico mezzo di comunicazione affidabile dove far passare tutte le comunicazioni urgenti, soprattutto quelle preziosissime sul tempo.

Usagi fissò il foglio uscire scattoso dal carrello e dopo un sospiro si alzò dalla sua scrivania per andare a prenderlo. L’intestazione in capo non lasciava dubbi; Istituto Meteorologico Nazionale.

“Porca miseria, quando ci segnalano qualcosa non sono mai belle notizie.” Disse prendendolo tra le mani.

E di fatti il grafico allegato confermava i suoi timori. Correndo al telefono fece il numero del fisso di casa sperando di trovarci qualcuno.

“Tenou…” Sentì dalla parte opposta del cavo.

“Haru…”

“Usa che c’è? Problemi?”

“E’ appena arrivato un avviso dell’I.M.N. Sembra che un fronte d’aria fredda si stia avvicinando.”

“Quanto fredda?” Chiese trattenendo il fiato.

“Vicino allo zero…”

“Merda… Quanto tempo abbiamo?”

Leggendo velocemente la prima delle due pagine, la minore rispose frenetica. “Meno di sei ore… Haru, che facciamo? - Ma dall’altra parte della cornetta il silenzio. - Haru?”

“Un attimo!… Sto pensando!” Un’esplosione d’adrenalina e la donna vide tutto nero per una frazione di secondo.

“Haruka…” La sorella cercò il contatto lamentosa.

Respirando a fondo per dominare il panico, la bionda agì. “Allora... intanto mandami la mappa meteo, poi inizia a chiudere tutto! Avverti gli operatori presenti in sede di spegnere l’interruttore generale baipassando solo il blocco dei silos. Una volta chiuse le porte fai andare via tutti e torna immediatamente a casa.”

“Ok…” Obbedì con poca convinzione tanto che la maggiore si vide costretta a spronarla rendendo più duro il timbro.

“Hai capito Usa!? Te la senti? Mina non c’è e devi pensarci tu!”

In moto Haruka non ci avrebbe messo niente per arrivare al ciclo di produzione, ma in tutta onestà la notizia della possibile nascita di un violento temporale la costringeva a non perdere tempo. In più credeva nelle capacità della piccola di casa e quella poteva essere l’occasione per sensibilizzarla sulle responsabilità che la loro attività richiedeva.

“Va bene Haru…, ci penso io.”

“Perfetto! Fai attenzione e torna prima che puoi. A… Usa… Non preoccuparti d’accordo? Lo sappiamo tutti come sono i temporali estivi, no? Magari è tutto fumo e niente arrosto.”

“Speriamo.. Faccio presto.” Concluse sentendo la linea interrompersi mentre, come se stesse vivendo una scena al rallentatore, posava la cornetta sul corpo grigio del telefono dell’ufficio fissando apaticamente la foto dei suoi genitori che teneva come un amuleto sulla sua scrivania.

 

 

Michiru lo vedeva dappertutto. Che si trattasse dei dintorni dell’azienda o al pub dove la famiglia Tenou era solita andare nelle sere del fine settimana, non faceva differenza, tanto che ormai la cosa stava assumendo contorni inquietanti. E non poteva sfogarsi con nessuno. Non poteva certo dire di vedere il suo ex compagno spuntare fuori ad ogni dove come il più classico dei fantasmi scespiriani. I suoi capelli corvini, i suoi occhi scuri come pozze di petrolio, il suo sorrisetto poco rassicurante. No, non poteva e pur se non avvezza a parlare di se con terzi, il sapere a priori di non poterlo fare la faceva sentire sola e confusa, regalandole dopo ogni apparizione un profondo senso d’ansia.

Abbandonando la foglia di vite che stava tenendo nella destra strinse le labbra inalando ossigeno caldo. Quel posto riusciva comunque a regalarle anche sprazzi di una serenità che a causa della vita frenetica da musicista non aveva da tempo. Certo, la situazione famigliare delle sorelle Tenou non era delle più tranquille, con Minako che a causa sua aveva deciso di trasferirsi per qualche tempo da Yaten ed Haruka sul piede di guerra al solo pensiero che la piccola Usagi potesse stare con un uomo con quasi il doppio dei suoi anni. In più non serviva un mago delle finanze per capire che l’azienda stesse vivendo un momento difficile e che sul raccolto autunnale si puntasse tutto. Eppure quegli odori, quei sapori, quei colori e quelle persone, tutte, inclusa Minako Tenou, erano talmente veri e semplici che difficilmente avrebbe potuto trovarli nel suo ambiente.

Cercherò di dare sempre il massimo. Glielo devo, pensò Kaiou investita da un’improvvisa folata di vento e terra.

Coprendosi gli occhi aspettò che passasse guardando di soppiatto il cielo lattiginoso. Una delle tante bolle di calore che non accennava ad allentare la morsa, ma che di contrappasso prometteva un vino formidabile.

“Grappoli piccoli, uva succosa.” Affermò sicura dirigendosi verso le scale in pietra che coprivano il dislivello che dalla Prima portavano al retro della masseria.

La Prima rappresentava il lembo di terra che Michiru era solita vedere dall'affaccio della sua camera e che dallo stesso nome, rappresentava la prima vigna da dov’era partito tutto, quella mano gentile che sembrava difendere dalle fondamenta gran parte dell’attività e che, pur dando pochissimo vino, era l’indicatore della bontà e della qualità di ogni annata.

Non appena aveva un po’ di tempo le piaceva camminare su e giù per quei tralci nodosi. Chiudendo gli occhi cercava di captare con l’olfatto le varie sfumature odorose che correvano lungo i viticci. Quando Haruka l’aveva portata nella cantina, le aveva fatto assaggiare del vino chiedendole cosa ne pensasse e lei, pur non essendo del ramo, aveva cercato parole del tipo; corposo per il rosso e abboccato per il bianco.

“E no Michiru, così sono buoni tutti. Cerca di andare oltre.”

“Cosa intendi?” Si era difesa.

Ma ben presto lo aveva capito e lo aveva fatto proprio camminando su quel piccolo spicchio schiacciato tra un boschetto di castagni e le pietre inverdite dal muschio del muro che sorreggeva il giardino sul retro della masseria.

La fragranza della terra umida di rugiada che saliva dal bosco ad ogni alba, i funghi tra le radici degli alberi, i licheni sui sassi, le campanelle e i ranuncoli odorosi. Era incredibile, ma Michiru aveva ritrovato tutto questo in ogni singolo sorso consumato nei pasti, nel legno delle botti lasciate ad asciugare al sole dopo il lavaggio, fin dentro la sua camera da letto, tanto che una volta fattolo notare alla bionda, quest’ultima se l’era guardata con un misto d’orgoglioso compiacimento.

“Ora si, va meglio! Sai, amo l’odore del vino al pari di quello della benzina.” Le aveva confessato e notando quanto stridessero quei due aromi erano scoppiate a ridere finalmente complici.

A Michiru iniziava a piacere quel rapporto. Haruka era una persona estremamente affascinante, sia per il carattere complesso, sia dal punto di vista puramente fisico. Tutte e tre le sorelle Tenou erano state dotate dalla natura di visi graziosi dai corpi agili e ben proporzionati, ma la vena androgina propria della maggiore le rendeva ancor più giustizia. Di tanto in tanto a Michiru capitava di soffermarsi a guardarla scoprendo ogni volta un qualcosa di nuovo, che fosse una vertigine in più all’attaccatura dei capelli lasciati ribelli, un neo sulle spalle quasi sempre nude, una ruga d’espressione quando metteva su il cipiglio della concentrazione o un versetto mentre sgranocchiava qualcosa di zuccheroso. Aveva scoperto come Haruka amasse mischiare il dolce con il salato o l’odore del fumo delle braciolate serali appiccicato ai vestiti. Come la sua apparente rudezza fosse un chiaro sintomo di un’innata timidezza e quanto quest’ultima stridesse con il sorriso guascone dalle fossette impertinenti che stampava sulle labbra dopo aver puntato qualche bella ragazza. Già, Michiru aveva anche saputo dell’ultima storia avuta dalla bionda con una certa Bravery e perciò della sua comprovata omosessualità.

Lo scegliere di essere se stessa fregandosene del giudizio degli altri deve aver reso complicata la vita di Haruka, pensò iniziando a salire i gradini. Non che la notizia avesse particolarmente scioccato una Kaiou abituata a conoscenze di ogni tipo, ma per assurdo che fosse, quel microcosmo che era la provincia, sembrava più propenso all’accettazione di un rapporto apparentemente squilibrato come quello tra Usagi e Mamoru Kiba rispetto alle tendenze saffiche di una donna. Ed era anche per questo che Haruka era una solitaria. Prima d’imparare a sfruttare la sua altezza e la forza che aveva nelle braccia, era stata oggetto di scherno per gran parte degli anni scolastici.

Michiru si fermò a metà della salita voltando il busto verso i campi. La bellezza della natura cozzava in maniera stridente con la chiusura mentale di molti abitanti della zona. Lei stessa, la prima volta che era stata accompagnata in città dalla bionda per delle compere, aveva ricevuto occhiatine divertite e sorrisetti che l’esperienza le aveva insegnato a riconoscere come falsi ed ipocriti.

“Pensano tutti che tu sia la mia nuova fiamma. Mi dispiace.” Aveva detto sorseggiando il caffè che stavano prendendo sedute al bar della piazza centrale.

“Non importa. Non sono mai stata un tipo che presta attenzione a ciò che la gente può pensare di me.” Aveva risposto mentendo.

Si, perché se da una parte l’essere scambiata per l’amichetta di turno della bionda non le arrecava alcun disturbo, dall’altra sapeva benissimo quanto Minako avesse detto il vero; Michiru Kaiou era sempre stata solo apparenza.

Fino alla sua entrata in casa Tenou, tutta la sua vita aveva ruotato intorno ad un susseguirsi di scene teatrali imparate ad arte per piacere agli altri. Tutta. Sin da quel giorno di marzo, quando al compimento del suo settimo compleanno aveva accidentalmente scoperto di essere stata adottata. Da quel momento e per tutti i giorni avvenire, il suo obbiettivo era diventato la perfezione, inconsciamente indotta dalla gratitudine verso il padre e la madre che l’avevano comunque sempre amata, ma anche dalla paura di poterli deludere. Così alla voglia di primeggiare già insita in un carattere di per se molto competitivo, si era aggiunta la necessità di piacere al prossimo, di essere un esempio di compostezza, eleganza, bravura, in ogni situazione e per tutto, fosse questo l’obbligo scolastico o la passione musicale. Forse il lasciarsi corteggiare da Seiya era stata l’unica vera scelta d’impulso fatta senza riflettere, una sorta di ribellione alla scarsa fiducia che suo padre aveva dimostrato sin da subito nei confronti del giovane Kou. Un’avversione cancellata in men che non si dita dalla destrezza che il compagno aveva avuto nell’ammaliare la sua famiglia.

A passo lento, un piede dopo l’altro, Michiru continuò a salire i gradini avvertendo un caldo asfissiante. Arrivata in cima si passò il dorso della destra sulla fronte imperlata di sudore.

“Anche se sono solo le dieci già non si respira.” Sentenziò appena in tempo per vedere Haruka aprire il cancelletto semi nascosto dal muro d’edera che divideva la strada dallo spiazzo privato dove Kaiou poteva accedere dall’esterno alla sua camera.

“Michiru! Ho bisogno di te. Muoviti!” Urlò per poi sparire così com’era apparsa.

Allargando le braccia l’altra obbedì uscendo per ritrovarsi davanti ad una donna piuttosto agitata.

“Che succede?!” Ma invece di una risposta ricevette una squadrata da capo a piedi.

Serrando la mascella ad Haruka venne spontaneo chiederle se fosse normale vestirsi così.

“E’ solo un vestito e precisamente quello che mi hai aiutato a scegliere l’altro giorno e che secondo il tuo modesto parere mi stava così bene.” Punzecchiò leggermente orgogliosa.

“Credevo l’avresti usato per uscire, non per lavorare.”

“Mi avevi detto che oggi sarei dovuta restare a casa ad aspettare il fornitore del gasolio.”

“E giustamente volevi accoglierlo in gonna.”

“Lo volevo accogliere vestita decentemente, ecco tutto! - Mimò due virgolette a mezz'aria. - Comunque se serve non ci metto niente a cambiarmi.” Concluse indicando con il pollice il cancelletto smaltato.

“No…” E non riuscì a dire altro rimanendo ferma con gli occhi incollati alla stoffa blu che le fasciava leggermente fianchi e petto.

“Ma cosa ti prende?”

Scuotendo la testa la bionda tornò in se. “Non abbiamo molto tempo. Un fronte d’aria fredda sta puntando dritto dritto su di noi e con molta probabilità finirà per schiacciare al suolo la bolla di calore che sta stazionando da giorni sulla zona. Questo sicuramente innescherà un potente temporale. In questi casi dobbiamo pensare prima di tutto alla sicurezza avvertendo tutti gli operatori che sono fuori di rientrare e poi a mettere al riparo i mezzi.”

“E le viti?”

“Le bombe d’acqua non mi preoccupano. Abbiamo un’eccellente sistema di drenaggio, ma per la grandine il discorso è diverso.”

“I suoi chicchi sono come proiettili.”

“Già.”

“Siamo sicure che colpirà proprio noi? So che in questi casi non è detto che piova da per tutto.”

Iniziando a camminare Haruka le diede ragione ribadendo però la necessità di prepararsi al peggio.

“Con la radio chiamerò tutti al rientro. Tu pensa alla rimessa. - Fermandosi le mise le mani sulle spalle fissandola negli occhi. - Michiru… ogni porta, finestra e cancello deve essere chiuso. Appena torno inchioderò con le assi le aperture che non hanno gli scuri, ma fino a quel momento ci devi pensare tu. Mi raccomando. Un’altra cosa; Usagi è alla cantina, ma se non dovesse rientrare entro l’ora di pranzo ti prego di chiamarla. Se non dovesse essere raggiungibile al cellulare ha il cerca persone sempre con se. I numeri sono vicino al telefono del mio studio.” Concluse prendendo un grosso mazzo di chiavi dalla tasca anteriore dei kombat verdi per lasciandoglielo nelle mani.

“E tu dove vai?!”

“A casa di Yaten! Ci serve Minako. Non ci metterò molto.” Così dicendo iniziò a correre verso il fuoristrada di famiglia.

 

 

Ringraziando la fruttivendola e prendendo il resto, Minako tornò a camminare tra i banchi affollati del mercato rionale. Anche se la dimensione provinciale le stava stretta, le era sempre piaciuta quell’atmosfera colorata fatta di voci e sorrisi mesciuti alle fragranze del basilico fresco e delle spezie, dei fiori e del pane appena sfornato. Un po’ meno sopportava l’odore della carne e del pesce crudi, ma in sostanza bastava starne alla larga per evitare i conati che erano soliti stritolarle lo stomaco sin da bambina.

Era trascorsa quasi una settimana dal suo alterco con la forestiera e al conseguente allontanamento da casa, ed iniziava a chiedersi quando Haruka sarebbe venuta a piagnucolarle sulla spalla chiedendole di tornare a darle una mano. Non era la prima volta che succedeva. In un altro paio d'occasioni le due sorelle avevano discusso spingendo la più giovane ad andarsene. Allora però non stava ancora con il suo Yaten ed il bivaccare sul divano dell’amica di turno non era durato che pochi giorni. Questa volta era diverso. Lei lo era. La vita di coppia le piaceva, era appagante su tutti i fronti, la rilassava permettendole di tornare ad avere dei ritagli di tempo solo per se che altrimenti a casa non aveva. Stando fuori tutto il giorno, del suo ragazzo prendeva solo il meglio ed una volta finito di rassettargli la casa e cucinargli i pasti, Minako si sentiva libera come se stesse vivendo una vacanza.

Portandosi il sacchetto sopra la testa si stiracchiò uscendo dall’ombra del portico. Fermandosi ad osservare il cielo aggrottò le sopracciglia chiare. Non mi piace. C’è aria da temporale, pensò incupendosi di colpo. Per quanti sforzi potesse fare e per quanta colpa addossasse alla maggiore per aver accolto quella Michiru in casa, a Minako pesava lo stare con il cuore arrabbiato. Amava le sue sorelle. TUTTE le sue sorelle.

“Sarà il caso che chiami almeno Usa. Tanto per sapere se quella grande zucca gialla gonfia d’aria le abbia ancora imposto la castità del fine settimana.”

“Minako!” Scattando il collo a destra se la vide fronte strada.

Occhiali da sole a celare un viso poco rassicurante, quella stessa zucca gialla se ne stava ad aspettarla bellamente appoggiata al cofano della loro auto a braccia conserte, mimando più la figura di un boss della mala che quella di una giovane donna.

Oltrepassando la carreggiata la minore si fece forte nel sentirsi ancora il coltello dalla parte del manico. “Che fai, mi spii?!” Inquisì venendo parzialmente coperta dal rumore del traffico.

“Lungi da me, ma… - Alzando lo sguardo al cielo la invitò a guardarlo con attenzione. - … sono sicurissima che sai già del perché sia qui.”

“Che palle Haru… “ Sbuffò con rassegnata indolenza.

“Che palle un cazzo!” Sibilò l’altra a denti stretti tirando fuori dalla tasca posteriore la mappa meteo inviatale da Usagi.

Sventolandogliela in faccia la costrinse ad aprire il foglio ripiegato.

“Non ci vuole un esperto… Giusto Mina?!”

La sorella sbiancò mentre gli occhi correvano alle frecce che mostravano come la direzione presa dalle linee ondulate blu scuro della bassa pressione puntassero al rosso della vasta sacca di calore che stava stazionando sopra la provincia. “Caspita se è grande…” E bastò quel grafico a riportare a casa il suo spirito di dedizione.

“Se come penso butterà giù grandine, tutto il lavoro di un inverno potrebbe andare a puttane nel giro di due ore.”

Restituendole il foglio Minako la guardò complice, ma ancora sulle sue. “Se dovesse accadere, ne io, ne te potremmo fermare la cosa, perciò che diavolo vuoi!?”

Haruka sospirò quasi con rabbia. Le pesava quello che stava per chiederle. “Ho bisogno di te. Anche solo di saperti a casa.”

Accarezzandole allora lieve una guancia con l’indice, l’altra sentì di colpo il nervosismo scemare. “Da troppo tempo stai gestendo l’azienda da sola Haru. Per quanto possiamo cercare di aiutarti, non sarà mai come averla al tuo fianco. Ci hai imposto di non parlarne mai, ma lo so io come lo sa Usa che ti manca da morire. Perché non provi a contattarla e a farla torn…”

“No!” Scattando da un lato il viso la maggiore mandò un’imprecazione spezzando la dolcezza del momento.

Voltandosi ed afferrando la cromatura della maniglia aprì lo sportello intimandole di salire e stare zitta. “Non dire assurdità e muoviti! Lo sai che con me questo discorso non lo devi fare!”

 

 

Ci vollero meno di due ore perché il cielo da biancastro iniziasse a tingersi di un caratteristico azzurrino e all’orizzonte le prime nuvole montassero come cavalloni velati. Usagi si sporse dal davanzale arpionandolo con le dita. Guardando quella specie di panna montata socchiuse gli occhi tornando ad elencare mentalmente le azioni appena compiute. Aveva adempiuto ad ogni singolo ordine impartitole dalla sorella facendo tutto con cura. Ora, alla luce di quanto stava vedendo arrivare, non restava altro che chiudere la cantina e tornare a casa.

Stirando le labbra si sentì intimamente soddisfatta di se. Questa volta Haruka non avrebbe avuto nulla da ridire. Serrando scuri e vetri bloccò la serratura e prendendo la borsa iniziò ad afferrare cose a caso dal piano della scrivania.

“Tenou, ci sei?” Sentì giù da basso distraendosi.

“Si, andate pure, qui finisco io.” Urlò uscendo e richiudendosi la porta alle spalle.

“Sei sicura?” Le chiese uno dei due tecnici rimasti per aiutarla.

“Si, grazie. Non so se domani apriremo, ma sicuramente Haruka ve lo farà sapere.” Sporgendosi dalla balaustra in acciaio del ballatoio li vide vicino la reception.

“Va bene. Allora aspettiamo comunicazioni.” Salutando uscirono per dirigersi alle rispettive auto ferme sul piazzale antistante.

Guardando l’ambiente rimasto deserto la ragazza avvertì un brivido correrle lungo la schiena ed affrettando il passo scese le scale chiavi alla mano. Inserì l’allarme, uscì dalla grande vetrata a due ante chiudendola a quattro mandate ed a passo svelto imboccò la strada sterrata che portava alla masseria discendendo la collina direzione fondo valle.

Il vento iniziò ad alzarsi a circa metà del percorso ed una volta arrivata al bivio per i terreni dei Kiba, guardò il ponticello domandandosi a che punto fosse il suo Mamoru con i preparativi per il temporale. Fu un attimo e portandosi una mano alla bocca la ragazza dilatò gli occhi ricordando.

“O Dio… Il loro fax potrebbe essere ancora rotto!”

“Non ne posso più di questo aggeggio! Possibile che dobbiamo ancora affidarci alla tecnologia obsoleta degli anni novanta?” Si era sfogato lui proprio la mattina precedente.

Se non dovessero averlo riparato è probabile che non abbiano ricevuto alcuna comunicazione dell’I.M.N.! Pensò cercando il suo cellulare nella borsa e non trovandolo perchè bellamente dimenticato con il cerca persone sul piano della scrivania, iniziò a correre come una furia.

In quello stesso momento una contrariata Kaiou abbandonò la cornetta guardando dalla finestra davanti a lei la luce esterna farsi improvvisamente meno brillante. Le prime nuvole stavano rapidamente coprendo il cielo ed ormai superata ampiamente la mezza, di Usagi nessuna traccia. Iniziava a preoccuparsi.

“Accidenti, perché non rispondi?”

Sospirando riprovò anche al fisso del suo ufficio non ottenendo nulla di diverso. “Ma dove sei?! - Si chiese allungando il cavo per sbirciare dai vetri le foglie sbattute dal vento. - Sta diventando tutto nero. Sarà il caso che le vada incontro.”

Afferrando un ombrello e mettendosi delle comode calosce, Michiru uscì dalla porta sul retro della cucina proprio mentre il fuoristrada di Haruka faceva ritorno con un carico di assi che si erano fermate a prendere lungo la strada.

“Appena in tempo. Guarda che cielo.” Disse Mina aprendo la portiera.

“Yaten dovrebbe aver già messo all’asciutto i macchinari. Vai a controllare, io intanto inizio ad inchiodare queste.”

“Ok. Non appena lo trovo veniamo a darti una mano.” Lasciandola scaricare le assi prese lungo la strada corse verso il grande spazio coperto dov’erano soliti parcheggiare i veicoli da lavoro.

 

 

Il ticchettio prodotto dallo scuotersi del pennone con il cavo metallico dove una bandiera arancio e verde sanciva l’inizio dei terreni che Mamoru era riuscito ad acquistare qualche mese prima dal padre, l’accompagnò fino a vedere la sagoma dell’uomo abbarbicarsi su di un pendio mentre sgassava sul suo quad. Sbracciandosi e gridandone il nome ne attirò l’attenzione vedendolo cambiare strada per puntare verso di lei.

“Usa!” Urlò a sua volta alzandosi in piedi sulla pedana.

“Ciao amore!”

“Perché sei qui?!” Spegnendo per togliersi poi il casco da cross l’accolse tra le braccia lasciandole un bacio sulle labbra.

“C’è un allarme meteo!”

“Quelli della Cooperativa mi hanno appena avvertito.”

“Volevo accertarmi che lo sapessi. Mi sono ricordata del vostro fax rotto solamente a metà strada, altrimenti ti avrei fatto uno squillo. Ho anche scordato il cellulare in ufficio!”

Stringendosela forte le confessò quanto fosse stato un bene. “Sia benedetta la tua testolina sempre tanto distratta! Era da domenica che non ti vedevo.”

“Ma sei tutto solo? E gli altri dove sono?”

“Ad aiutare mio padre. Ha il quadruplo dei miei terreni… Non posso essere egoista.”

Usagi se l’abbracciò di rimando offrendo le sue giovani braccia. "Posso rimanere con te?"

“Ma le tue sorelle?”

“Ho già adempiuto ai miei compiti. E poi c’è Yaten con loro, tranquillo.”

“Allora va bene. Dai Sali, avvertiremo Haruka non appena tornati a casa.”

Calzatole il casco in testa, aspettò che salisse e una volta avvertite le sue mani alla vita, partì mentre le prime gocce iniziavano a cadere.

 

 

Il telaio dell’ombrello non durò molto. Forzato già dopo le prime raffiche, si piegò irreparabilmente a metà della salita tanto che Michiru lo chiuse abbandonandolo al lato della porta vetrata della cantina una volta trovatala chiusa.

“Avremmo dovuto incontrarci lungo la strada. Con molta probabilità Usagi si sarà fatta accompagnare in macchina da qualcuno.” Ipotizzò voltando l’angolo per dare un’occhiata.

Non le piacevano i posti deserti e con quel tempo, la luce sempre più scarsa, l’ululato del vento tra le fronde e dei tuoni in lontananza, quella che ai suoi occhi era una bellissima struttura, ora le sembrava lo scenario di un thriller.

Meglio tornare, pensò capendo con un brivido quanto la temperatura stesse rapidamente scendendo ed iniziando a correre lungo il declivio sperò di riuscire ad arrivare alla masseria prima di bagnarsi completamente. Non vi riuscì. Proprio verso il bivio per i terreni dei Kiba, più o meno dove si era fermata la stessa Usagi, uno scroscio la colpì violento.

“Ma porca miseria!” Urlò cercando inutilmente di ripararsi il viso con una mano per riuscire quanto meno a vedere la strada. Ed invece vide lui.

Inchiodandosi con il respiro mozzato nella gola, lo scorse proprio dalla parte opposta del ponte, seduto su un quad nero con in dosso pantaloni e giubbotto imbottito dello stesso colore.

“Seiya…” Allibita fece due passi in avanti per guardarlo meglio non capacitandosi della cosa.

Portava un casco, ma la visiera era alzata e non lasciava dubbi. Quegli occhi scuri erano i suoi. Quel codino adagiato sulle spalle era il suo. Allora non era stato il frutto della sua immaginazione. Lo aveva visto davvero!

“Seiya…” Chiamò questa volta usando tutta la voce che aveva, ma lui partì e a Michiru non rimase che inseguirlo passando il ponte.

“Aspetta!”

 

 

Scrollando le mani all’aria, Haruka si guardò la camicia a scacchi grigi che come una seconda pelle le stava fasciando il petto. “Ci saremo anche bagnati, ma abbiamo fatto un lavorone ragazzi!”

Richiudendo la porta d’ingresso Minako la fulminò con lo sguardo mentre Yaten prendeva a riderle dietro. “Sarà sorella, ma io ho bisogno di una doccia!”

“Anche io!” Si accodò il ragazzo mentre si toglievano le scarpe.

“Si, ma non nello stesso bagno!” Sottolineò la bionda finalmente un poco più rilassata.

“Uuuu… quanto siamo pignoli. Dai Mina, sbrighiamoci. Ho una fame… Haru mi presteresti qualcosa?”

“Nell’armadio al piano di sopra troverai tutto quello che ti serve. Mina ci pensi tu?”

“Si, ma togliti quella roba fradicia… Sei indecente!” Scherzò venendo raggiunta sulle scale da uno Yaten compiacente.

“No, no, che se la tenga. E’ un bel vedere…”

“Tu zitto e fila via!”

“Ha ragione Mina… Sono uno schianto." Abbandonando i calzini zuppi al lato della porta, la maggiore sogghignò andando verso la cucina convinta di trovarci Usagi, Michiru ed un piatto sostanzioso con il quale tacitarle lo stomaco.

Ragazze, ci siete?” Ma affacciandosi non trovò nessuno, anzi, non c’era neanche l’ombra di un qualcosa di cucinato.

“Ma dai…” Borbottò prima di andare a bussare alla stanza della forestiera.

“Michiru? - Non avendo risposta iniziò a spazientirsi. - Usa è al piano di sopra?”

“No.” Sentì dal corridoio puntando al suo studio e li, in bella mostra sopra la sua scrivania accanto al telefono, un messaggio di Kaiou che l’avvertiva della sua intenzione di passare alla cantina per prendere una Usagi in netto ritardo.

Un tuono e la bionda strinse il foglietto nel pugno schizzando verso la porta di casa.

Minako non la vide neanche uscire. Sentì solo lo sbattersi violento dell’anta dell’ingresso ed un paio di minuti dopo il rombo di una moto allontanarsi verso la valle sottostante.

 

 

Visto la pericolosità sempre dimostrata da quello che sembrava un innocuo torrente, ma che alimentato a monte da altri corsi d'acqua, spesso e volentieri si trasformava in un vero e proprio turbine liquido, il ponte tra le due case vinicole era stato dotato di sbarre, una per argine, collegate mediante sensori ad una palina idrometrica piantata a qualche chilometro di distanza. Una volta superata la soglia di sicurezza, questa inviava un segnale d’allarme facendo abbassare in automatico le aste metalliche. Era un sistema ingegnoso, anche se così facendo l’unico cordone ombelicale che collegava le aziende veniva momentaneamente reciso.

Michiru l’oltrepassò senza neanche rendersene conto. “Seiya!”

Imboccata la salita si fermò ansimando per la corsa incurvando la schiena arpionarsi con le mani le ginocchia. Doveva capire, sapere. Anche se le sembrava la cosa più assurda del mondo. Possibile si trattasse di lui?! Possibile che l’avesse trovata in un posto dove non c’era neanche l’ombra di un ripetitore?! E perché allora non era venuto a parlarle giocando invece al gatto col topo? Cosa stava succedendo?!

“Ti vuoi fermare!” Urlò serrando occhi e pugni.

Ed in effetti arrivato sulla sommità della collina, il quad si fermò e l’uomo prese a fissarla dal casco.

Con il petto cadenzato dalla velocità dei respiri, Michiru scosse la testa provando a riprendere un po’ d'ossigeno quando un fulmine impressionante e pericolosamente vicino saettò nel torrente seguito da un boato assordante. Spaventata si coprì le orecchie accovacciandosi tra i rivoli d’acqua nati tutti intorno a lei.

Non appena riaprì gli occhi il mezzo e il suo proprietario erano scomparsi. Avvertì nell’aria il rombo del motore fondersi con il suono dello scrosciare della pioggia e di un secondo mezzo che stava sopraggiungendo alle sue spalle. Voltandosi vide una delle moto da cross delle sorelle Tenou riconoscendo la figura di Haruka tagliare in tutta velocità la battuta del ponte. Un ultimo sguardo al punto dove l’uomo in nero si era fermato per poi girarsi definitivamente verso la bionda.

“Che stai facendo qui?! Dov’è Usa?” Inquisì non riuscendo a capire il perché avesse sconfinato nella proprietà dei Kiba.

Non sapendo come giustificarsi, Michiru ammise solamente di non aver trovato la ragazza. “La cantina è chiusa. Credo abbia accettato uno strappo da qualcuno.”

“Probabile. Ma non devi stare qui. - Ne convenne facendo fatica a tenere in equilibrio la moto. - Mettiti il casco di Mina e torniamo a casa prima di rimanere impantanate.”

Ancora notevolmente scossa, la forestiera lo prese guardandola frastornata. “Dimmi Haruka, il dispositivo di localizzazione presente sotto la mia Mercedes è ancora attivo?”

“Cosa?”

“Ti prego… E’ importante.”

“No! Quando sei andata fuori strada si è staccato.”

Allora Seiya non può avermi rintracciata, pensò mentre il suono acuto di una sirena iniziava a diffondersi per tutta la valle. Non capendo guardò Haruka scattare la testa in direzione del torrente.

Le due paline metalliche bianche e rosse poste a protezione delle sponde stavano iniziando ad abbassarsi. Evidentemente il letto non era più in sicurezza.

“Cazzo il ponte! Porca puttana Michiru muoviti. Sali, dai!”

Ubbidendo l’altra s’infilò il casco e con qualche difficoltà a causa della gonna bagnata riuscì ad inforcare la sella.

“Tieniti ben stretta!” E la voce si perse nell’ennesimo tuono.

La terra resa viscosa dalla pioggia, il peso della moto e la velocità con la quale le sbarre si stavano chiudendo, impedirono alle due di passare dalla parte opposta. Haruka imprecò frenando la moto a meno di un metro dal greto.

“E adesso? - Chiese Michiru indicando la strada sterrata che portava alla masseria dei Kiba. - Non possiamo fare altro che passare per le vigne dei tuoi vicini per poi prendere la Provinciale e tornare a casa facendo il giro largo.”

Ma la bionda sembrò non ascoltare. La cosa non era fattibile e non soltanto perché così facendo si sarebbe ritrovata a dovere un favore al padre di Mamoru o al figlio stesso, ma conoscendo i ripidi sterrati che solcavano le loro vigne, sapeva che con il terreno in quelle condizioni neanche una moto potente come la sua avrebbe potuto farcela.

“Siamo troppo pesanti! Finiremo con l'impantanarci rimanendo a piedi esposte ai fulmini. No! Ho un’idea migliore. Reggiti!”

Dando gas la bionda puntò il muso del mezzo ad una sporgenza che si trovava a circa una ventina di metri dopo il ponte. Era un ammasso roccioso che con il passare degli anni era stato talmente eroso dalla forza del torrente da formare come una sorta di trampolino. Sin da ragazzina lei e Mamoru lo avevano scelto per le loro folli sfide, scendendo a tutta velocità dalla collina dei Kiba con le loro BMX per poi fermarsi a pochi centimetri dal bordo. Un gioco di coraggio talmente idiota che un giorno aveva finito per sfuggirgli di mano vedendo Haruka saltare il letto del torrente per andarsi a schiantare dalla parte opposta. Un braccio rotto, parecchie ammaccature e la bici da buttare, ma quella botta d’adrenalina le era servita per capire quanto bella fosse l’ebbrezza del librarsi in volo ed una volta imparato come atterrare, aveva finito per non usare neanche più il ponte.

“Michiru adesso devi chiudere gli occhi e stringerti forte a me. Intesi?!” Disse una volta valutata la distanza ed aver colto un gran boccone d’aria.

“Cosa vuoi fare?!”

“Tu fidati e chiudi gli occhi!” Rassicurò serrando per una frazione di secondo la sua destra sopra quella con la quale l’altra le stava stringendo la vita, poi arpionando il manubrio dalla gomma fradicia cercò il grip migliore e partì ingranando la marcia scodando verso il greto.

 

 

Mamoru guardò con soddisfazione la lampadina accesa penzolare dal soffitto stuccato di fresco. “Funziona!” Giubilò permettendo alla biondina di entrare in quello che era a tutti gli effetti l’ingresso.

“O amore, è bellissima! Sta venendo proprio bene!”

“Già! Sono molto contento. E pensare che quando ho comprato questo posto mio padre mi ha riso in faccia. Il settembre scorso era solo un mezzo rudere. Adesso con il nuovo tetto e l’allaccio della corrente, inizia ad assomigliare ad una casa vera.”

“La nostra casa.” Osò lei sentendo le braccia dell’uomo avvolgerla da dietro.

“Esatto! La nostra. Appena gli operai finiranno d’istallare il riscaldamento e i nuovi infissi, potrò trasferirmi ed uscire finalmente dall’ombra di mio padre. E quando avrai compiuto diciotto anni… tu verrai a vivere qui.”

Girandosi nell’abbraccio Usagi lo guardò ardente di gioia. “Davvero?!”

“Certo! Non era questo che volevamo? Svincolarci dalle nostre rispettive famiglie per poter vivere in pienezza il nostro amore?”

“Ma tuo padre non mi aveva accettata nonostante l’età?”

Sospirando lui l’abbandonò per andare verso il tavolo improvvisato dove gli operai erano soliti mangiare. “Lui si, anche se fa ancora fatica nel capire come possa aver declinato la corte di una delle donne più ricche della Provincia. Ma tua sorella no e lo sai che non voglio assolutamente essere la causa dei vostri continui litigi.”

Prendendo una felpa gliela porse invitandola a raggiungerlo. “Se vedrà che facciamo sul serio sono sicuro che si convincerà del nostro rapporto e non ti asfissierà più.”

Momoru amava talmente quella ragazza che avrebbe fatto qualunque cosa per vivere con lei, anche andare contro suo padre. E così era successo. Gli aveva forzato la mano rinunciando ad un matrimonio combinato con una donna che lo attirava si, ma che non gli faceva battere il cuore, lavorando come un cane per potersi permettere d'acquistare dal genitore qualche ettaro e quel piccolo casolare fatto di sassi e legno, sperando capisse quanto le sue intenzioni nei confronti di Usagi Tenou fossero concrete. Alla fine il vecchio Kiba aveva dovuto arrendersi all’evidenza di quel legame. Ma Haruka era diversa. Le famiglie lo erano. Mamoru era un uomo fatto che sapeva cosa volere dalla vita, che aveva viaggiato andando a prendersi negli Stati Uniti i master necessari per portare avanti il sogno di vigneti totalmente biologici, mentre Usagi era solo una ragazzina inesperta ancora impegnata con il liceo.

“Mia sorella è testarda e possessiva. Non credo basterà questa casa per convincerla della nostra buona fede.”

“Dai tempo al tempo Usa e fidati. Non voglio che tu debba trovarti a scegliere tra me e la tua famiglia, perciò farò di tutto per convincerla che nonostante la differenza d’età l’amore che nutro per te è sincero.”

Un brivido le squassò la pelle. Non sapeva se dipendesse dal vento freddo che il temporale aveva portato con se o da quelle parole cariche d’amore e speranza, ma quando lui si avvicinò per scaldarla, lo accolse felice e grata baciandolo come solo un’adolescente consapevole del suo cuore sa fare. Con ardore e voluttà.

“Senti, dovremmo andare, bagnarci ancora un po’ per riuscire ad arrivare alla masseria e chiamare le tue sorelle per dirgli che ti fermerai da noi fino alla fine del temporale.”

“Non c’è fretta…” La sua idea era un’altra e lo mise in chiaro iniziando a slacciarsi lentamente la camicetta.

 

 

Non aveva chiusi gli occhi. Non era una vigliacca ed aveva sempre cercato di affrontare la vita guardandola bene in faccia. Ed anche questa volta Michiru non si era smentita ed indomita, o quasi, aveva guardato la linea del declivio avvicinarsi sempre più pensando che fosse proprio da Haruka compiere una follia del genere. Serrando la mascella si era stretta alla sua vita talmente forte da riuscire ad artigliarle la pelle con le dita prima di avvertire le ruote della moto staccarsi dal suolo ed una potente folata d’aria investirle in pieno. Era riuscita a sbirciare tra le pieghe del suo terrore i vortici d’acqua marrone sotto di loro, mentre il fragore della corrente le impediva quasi di pensare. Aveva trattenuto il respiro per tutta la durata del salto sentendo all’atterraggio il contraccolpo prodotto dal terreno con la ruota posteriore irradiarsi lungo tutta la colonna vertebrale. Infine si era svuotata i polmoni cacciando fuori l’aria mentre il grido liberatorio della bionda prendeva a riecheggiarle nelle orecchie ovattate dalla spugna del rivestimento del casco.

La difficoltà più grande non era stato il santo in se, quanto quella di mantenere in equilibrio la moto domandola sulla viscosità del terreno una volta atterrate dalla parte opposta. “Michi tutto a posto?!” Urlò Tenou fermandosi.

“Credo… di… si.” E tornò a respirare liberamente.

“Sei stata brava! Ora torniamo a casa.” Ma prima di ripartire si concesse di sfiorarle la pelle ghiacciata dell’avambraccio destro.

Riuscirono ad arrivare alla masseria un quarto d’ora più tardi. Entrando nel silos lasciato colpevolmente aperto, Haruka parcheggiò accanto alla Mercedes lasciando a Michiru il tempo di scendere. La sentì tremare leggermente e si scusò per aver compiuto un’azione tanto pericolosa.

“Spero tu capisca che passare per il torrente era l’unico modo di tornare.” Disse sguainando il cavalletto per togliersi poi il casco. Era esausta.

Con la stoffa del suo bel vestitino blu incollata addosso, le calosce riempite d’acqua fino alle caviglie, un freddo assurdo a squassarla, Kaiou si guardò il seno turgido provando improvvisamente vergogna. “Ora come ora non so neanche come mi chiamo.”

“Allora siamo in due.” Sfotté l’altra stemperando con una risata l’imbarazzo di quella eccitantissima visione.

Forzando gli occhi ad andare altrove si avvicinò al portone certa che la buriana fosse in procinto di calmarsi, ma una volta lasciata passare Michiru e chiusa la serratura, il cielo la smentì mandando giù chicchi di grandine grossi come noci.

 

 

Sospirò sentendo nell’anima una pesantezza ed uno sconforto che raramente aveva provato prima. Soppesando nel palmo il giovane grappolo quasi del tutto divorato dal maltempo, cercò di non piangere. Non poteva crollare. Lei era il capofamiglia, l’ancora alla quale le due sorelle potevano e dovevano appoggiarsi con incondizionata fiducia nei momenti difficili come quello. La resa non era contemplata. Non sarebbe stato da Haruka Tenou lo scorarsi, il cedere, l’abbattersi sotto il peso della vita. Eppure nell’angolo più profondo del suo io sapeva che il coraggio stava scivolando via, proprio come aveva fatto la terra intorno alle radici delle sue vigne. Sapeva che sarebbe crollata come i rami degli alberi del castagneto che si apriva sotto la sua adorata casa. Sapeva che questa volta non ce l’avrebbe fatta da sola.

Sola. Già, Haruka si sentiva ed era sola. Minako aveva al suo fianco un salice come Yaten, che si piegava, si lasciava trasportare dal vento, si adattava alle circostanze e proprio per questo era resiliente, tenace, caparbio. Usagi aveva Mamoru, ed anche se era difficilissimo per lei accettare quell’amore, se la faceva infuriare il viso che alle volte la sorellina metteva su come la più matura delle donne, come a voler dire; guardami, sono io che ho un rapporto duraturo e non tu, non era certo tanto ottusa da non vedere come l’uomo fosse per lei una roccia, un totem granitico pronto a proteggerla in qualsiasi circostanza. E lei, l’indomita bionda, che in fondo aveva sempre sorriso dell’amore allontanandosene scientemente al primo sentore di vincolo, su chi avrebbe potuto contare ora per superare indenne quella devastazione?!

Se soltanto non fossi scappata via lasciandomi questo fardello, ora avremmo potuto affrontarla insieme questa cosa, maledì sentendosi persa, perché Minako aveva ragione e nonostante tutto, nonostante quella che continuava a vedere come una fuga, nonostante il rancore per quell’abbandono, sentiva di provare ancora affetto per lei.

“Questa volta non ci rialzeremo tanto facilmente.” Si disse lasciando il grappolo tornando a camminare lungo il filare mani nelle tasche.

Il temporale che si era scatenato tre giorni prima era stato quasi apocalittico e c’era chi aveva subito anche danni peggiori dei loro, come il vecchio Kiba, la cui casa aveva visto il tetto scoperchiato quasi fino all’orditura, o il centro abitato più vicino, completamente tagliato fuori dal mondo da una frana che aveva occupato parte della Provinciale. Coltivazioni, strutture, ricoveri. Praticamente ogni attività aveva subito almeno un danno, lieve o pesante che fosse.

Ma si poteva perdere una copertura, un capanno, anche un mezzo agricolo, ma le viti no, le viti erano il motore di un’attività come la loro e ritrovarsele danneggiate equivaleva ad azzerare tutto il resto. Se le cantine della zona erano colossi in grado di poter tenere a bilancio un anno negativo, per i Tenou il discorso si faceva inevitabilmente più complicato. Non era certo la prima grandinata che colpiva quella zona. Nubi cariche di pioggia si sarebbero sempre addensate all’orizzonte, faceva parte del gioco, come la siccità o le malattie funginee, ma da una decina d’anni i periodi di buon raccolto stavano diventando sempre più rari e una piccola casa vinicola non poteva non pensare al fallimento.

Sedendosi sul primo gradino della scala che portava al retro della masseria alzò il viso al sole serrando gli occhi. E adesso cosa m’invento?! Come possiamo uscirne?

Avevano perso circa la metà del raccolto e con i debiti che avevano accumulato negli anni passati e la banca che non concedeva loro altri prestiti, Haruka non sapeva proprio cosa fare.

Arpionandosi la testa con le mani poggiò i gomiti alle ginocchia rimanendo immobile a pensare per minuti, fino a quando una voce non la raggiunse da dietro.

“Haruka…”

“Michi! Mi hai fatto prendere un colpo!” Si difese sperando di non essere apparsa agli occhi della donna tanto patetica come invece stava apparendo ai suoi.

Ma Kaiou era dotata di una sottile sensibilità. Tenou le piaceva, era una brava ragazza, onesta, leale e avrebbe tanto voluto fare qualcosa per lei senza però invadere i suoi spazi e sembrare un’impicciona.

“Scusami. Tutto bene?” Chiese accovacciandosi accanto alla sua spalla.

“Potrebbe andare meglio.”

Si fissarono. I loro visi vicinissimi, poi la forestiera distolse lo sguardo puntandolo ai filari della Prima.

“Volevo chiederti di venire con me al Pub questa sera, così…, tanto per distrarti un po’.”

La voce afona della bionda la colpì dilatandole il cuore. “No… Grazie.”

“Sei sicura? Sono tre giorni che cerchi di star dietro a tutto dormendo pochissimo. Te la meriti una pinta.”

Haruka sorrise tristemente. Avrebbe dovuto vedere gran parte dei figli dei viticoltori della zona e proprio non le andava di essere compatita.

“Lo sai che mi sono già arrivate due offerte d’acquisto? Per quanto piccola la cantina dei Tenou fa gola a molti sciacalli!”

“E tu?”

“E io cosa?!”

“Intendi vendere?”

Stancamente la bionda si rimise in piedi seguita dall’altra. “Non vorrei, credimi, ma se non trovo i soldi necessari per ripianare il bilancio…” Lasciò cadere.

“Non puoi arrenderti! Ci sarà pur qualcosa da fare!”

“Certo! Una fideiussione aggiungendo debiti ai debiti. Peccato che non abbia nessuno che garantisca per me! - E ci andò giù pesante anche se non avrebbe mai voluto con lei. - Cosa credi che non ci abbia già provato?! Di non aver bussato a centomila porte prima di oggi?! Ma il mio nome non ha più credito, perché devo ancora estinguere il mutuo che accesero i miei trent’anni fa per comprare questo posto. Perciò non venirmi a dire di non arrendermi! Non puoi neanche lontanamente immaginare come mi stia sentendo adesso!”

“Non volevo offenderti Tenou. Cercavo solamente di starti vicina.”

E il tono pacato che la donna usò ebbe il potere di spezzarle i nervi ancora di più. “Be…, grazie tante, ma non sono affari tuoi!”

A quelle parole il respiro di Kaiou morì e desolata si rese conto di avere calpestato l’orgoglio della bionda e di avere azzerato in quello scambio di battute, tutta la strada compiuta fino a quel momento per avvicinarsi a lei. In effetti non poteva capire, perché era sempre stata circondata dal lusso e dal denaro. Forse non aveva usato il tatto che sapeva di possedere, ma con la storia di Seiya stava perdendo lucidità. Non aggiungendo altro che l’ennesima scusa, prese la strada della salita con l’intenzione di lasciare l'altra sola con i suoi pensieri.

Stringendo i pugni Haruka scattò raggiungendola e bloccandola per un braccio la costrinse a fermarsi. “Aspetta Michi! Io… Scusa, non volevo prendermela con te che tanto stai faticando per aiutarci, ma devo già giustificarmi con Mina e con me stessa… Non prendertela a male. Ho un carattere di merda, lo so.”

Cosa diamine stava facendo!? Si stava scusando con una perfetta sconosciuta? Per giunta una donna che possedeva un’auto che valeva tre volte la sua migliore macchina agricola. Teneva forse al suo giudizio? Alla sua considerazione?

Kaiou riuscì a sorprenderla ancora una volta perché scambiato con lei un nuovo sguardo, le sorrise piegando la testa leggermente da un lato. “Mi piace sai, quando mi chiami Michi.”

Sbattendo le palpebre Tenou ebbe la sensazione di essersi presa un pugno in pieno stomaco mentre si lasciava accarezzare la pelle della spalla.

“Vedrai Haruka, in qualche modo ce la farai. Ne sono sicura.”

Michiru, pensò non riuscendo a dar vita alla voce. Erano così dolci le sue parole, così profondamente carico il blu dei suoi occhi, così morbido il suo sorriso, che improvvisamente avvertì la gola serrarsi e gli occhi pizzicare e se non fosse stato per Yaten che la chiamava dal parapetto in pietra sopra di loro, con molta probabilità avrebbe finito per esporsi e piangerle davanti.

“Hei capo! Vieni su.”

Facendogli cenno di stare calmo si affiancò alla forestiera salendo speditamente la scala ed una volta arrivate in cima lo vide tutto agitato indicarle lo spiazzo sul fronte.

“Perché sbraiti tanto?! Non ti avevo detto di portar via di detriti con la benna del…”

Una macchina verde scuro si era ferma a qualche metro dal portone di casa. La portiera lato guidatore aperta. Minako con la schiena scossa dai singulti abbracciata al collo di una giovane donna di qualche anno più grande ed Usagi poco oltre, a stropicciarsi gli occhi bagnati dalle lacrime. La scena si dilatò nel suo cervello come una deflagrazione violentissima.

“E’ tornata.” Disse pianissimo sgranando gli occhi.

 

 

 

Note: Scusate il ritardo, ma pur avendo il tempo ho incolpevolmente latitato. Non riesco a concentrarmi e a scrivere ciò che vorrei. Credo che il mio stile ne stia risentendo. Come faccio sempre, cercherò di correggere una volta pubblicato.

Volevo rendere questo capitolo un tantino movimentato. Siete abituate a ben altro, ma non so se ho raggiunto il mio scopo. Qualche salto, una mezza apocalisse, un paio di colpi di scena, qualche domanda del tipo; chi diavolo è il centauro misterioso che ha visto Kaiou? Si tratta davvero di Seiya e di un suo giochetto mentale bene architettato? E questa fantomatica donna presente nella vita di Haruka? Ma nulla di più.

Confido nel nuovo personaggio che sta per entrare in scena e nella bastardaggine dei parenti di Mamoru.

Ciauuu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** First delight ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kuo e Yaten Kuo, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

First delight

 

Spegnendo la radio si accostò al posto di blocco sporgendosi dal finestrino. Un uomo in divisa la salutò portandosi la mano alla visiera del berretto d’ordinanza invitandola a stare attenta.

“Da qui in avanti la strada è ad un unico senso, signora.”

“Com’è la situazione verso il torrente?”

“Non buona. E’ esondato in tre punti. Le tenute a valle sono parzialmente isolate.”

“Anche quella dei Tenou?” Chiese guardando oltre il parabrezza.

“Si signora. Proceda con prudenza.” Consigliò alzando la paletta lato verde per lasciarla passare.

Sorridendo forzatamente la donna lo ringraziò ingranando la prima. Sapeva che con molta probabilità il suo ritorno non sarebbe stato proprio del tutto festoso, ma non si sarebbe mai immaginata di farlo dopo una devastazione come quella. Percorrendo lentamente la carreggiata si guardò intorno riconoscendo strutture, alberi e campi che l’avevano vista crescere al sole della Provincia. La cappella protettrice, le querce secolari, il rudere del vecchio mulino abbandonato, filari e filari di pali bianchi uniti fra loro da corde dove adagiate crescevano le viti. Poi, in lontananza, il bivio per la masseria Tenou, la strada che andava restringendosi sempre più fino al cancellone in ferro battuto divenuto elettrico solo da pochi anni. I cipressi guardiani, le aiuole gentili, il brecciolino scuro arroventato dal sole ed infine, come una maestosa torre d’altri tempi, il silos dal tetto cilindrico incastonato nel fronte chiaro di casa sua.

Frenando proprio prima dell’ingresso, concesse al suo cuore qualche istante. Stava correndo all’impazzata e sapeva che una volta varcato quel confine non avrebbe fatto altro che accelerare sempre più. Si sentiva eccitata. Viva. Negli ultimi anni aveva viaggiato molto e visto tanto. Posti, luoghi così diversi da quello. Culture, lingue, suoni, colori, sapori. Aveva fatto fatica per cercare di portare a termine quella folle idea nata da ragazzina e cresciuta in lei durante gli anni passati tra i grappoli delle viti di famiglia. Aveva lottato contro se stessa per non abbandonare tutto e tornare, ma più dell’essere una straniera in cerca di un sogno, quello che le era pesato più di tutto era stata la mancanza dello sguardo chiaro di coloro che amava, i sorrisi, i bronci e le risate intorno ad una tavola, le discussioni e le riconciliazioni, l’affinità elettiva e la complicità che solo in quel posto aveva trovato.

Respirando forte affondò piano la suola sull’acceleratore oltrepassando i pilastri in pietra che segnavano l’inizio della masseria. Non è cambiato nulla, pensò stirando le labbra mentre ombra e luce si alternavano dalle chiome al suo viso. Passando la rimessa delle macchine agricole arrivò allo spiazzo parcheggiando accanto ad una moto da cross che conosceva bene. Un’energica tirata di freno a mano e rimase qualche secondo con le mani arpionate al volante improvvisamente incapace di muoversi.

Poi le vide; la piccola di casa Tenou, mentre camminava goffamente con un collo di cartone tra le braccia e la più grande, Minako, a spronarla da dietro nel darsi una mossa.

“Usa cammina! Se rallenti finirò per pestarti un tallone!”

“E allora passa avanti! Questa roba pesa!”

Usagi non se la cambierà mai quell’assurda acconciatura, rise tra se la donna nell’abitacolo sentendosi finalmente pronta ad aprire la portiera. E così fece, uscendo e compiendo qualche passo al sole si godette lo spettacolo per poi parlare attirando la loro attenzione

“Serve una mano, ragazze?”

La prima ad inquadrarla fu la più giovane che frenando di colpo, costrinse la sorella a franarle addosso. “Usa, ma che cavolo fai?!”

Poi solcando la fronte con una profonda ruga, anche Minako guardò in direzione dell’auto dimenticando le due damigiane che stava tenendo nelle mani.

“Mina guarda, c’è gente…”

In un primissimo momento le due sembrarono non riconoscere la nuova arrivata sulla trentina che stava sorridendo loro, poi, togliendosi gli occhiali da sole e riponendoli con cura nel taschino della camicia, l’altra si portò le mani ai fianchi smorfiando il viso.

“Oddio! Che fate, ora non mi riconoscete più?” Disse contando mentalmente il tempo necessario perché la minore lasciasse tutto in terra e corresse ad abbracciarla.

“Sei tornata!” Riecheggiò nello spiazzo mentre anche Minako posava le damigiane. Lentamente, come a non voler credere a quello che stava vedendo.

Con Usagi premuta al petto, la donna ricambiò la stretta iniziando ad accarezzarle la testa. “Ora va meglio. D’accordo che non ci vediamo da un po’, ma non sono cambiata poi molto. - Alzandole il mento se la guardò per bene. - Tu invece sei cresciuta piccoletta! Come stai?”

Un mugolio indecifrabile per poi sentirsi spingere dalla veemenza delle braccia di Minako. “Piano, piano Mina. Non ti ricordavo tanto forte!”

“Sei tu ad essere moscia! - Controbatté ridendo e piangendo insieme.- Resti… vero?!”

“Bè questa sarebbe l’idea, ma… - Accorgendosi di Haruka ferma sul bordo della scala che portava alle vigne, la nuova arrivata la fissò socchiudendo gli occhi. - … non dipende solo da me, lo sai.”

Serrando i pugni la bionda iniziò a camminare a passo svelto verso le tre lasciando Michiru e Yaten a guardare la scena.

“Non mi piace…” Soffiò lui facendo un passo in avanti.

“Ma chi è?” Chiese Kaiou non capendo.

“E’ Giovanna… Giovanna Tenou.- Rispose non sapendo bene cosa fare. - Porca puttana Haru…, dove vai?!” Chiamò lasciando trasparire apprensione nel tono della voce.

Ma non fece in tempo a scattare verso la bionda che lei aveva già scaraventato Minako da un lato sferrando un pugno micidiale sul viso della sorella maggiore.

 

 

Azienda vinicola Tenou – Dodici anni prima

 

Gettando lo spazzolino nel bicchiere Haruka mostrò la dentatura allo specchio. Le piaceva quello che la superficie le stava dando di rimando; una diciottenne dagli occhi brillanti pieni di sogni.

“Secondo te esiste davvero?" Chiese alla sorella seduta sul bordo della vasca intenta ad allacciarsi i bottoni della parte superiore del pigiama.

“Io penso di si. Quell’uomo era così convinto mentre parlava con nostro padre.”

“Stz.. potrebbe essere solo un visionario fuori di testa.” Sentenziò stiracchiando la colonna.

“Se ti sei già fatta un’idea, allora perché me lo domandi?”

“Perché un giorno sarai tu a prendere le redini dell’azienda… - Spiegò guardandola furbescamente dalla frangia bionda mentre apriva la porta del bagno. - … e voglio essere certa che non combinerai qualche casino indebitandoti fino al collo per cercare un’utopia.”

“Ma quanta premura, Haru.” La seguì affiancandola nel corridoio.

“Non e' premura, ma pragmatismo. E’ un fatto che tu sia matta come un cavallo.”

“A si?! - Piazzandole una spallata, Giovanna la spinse iniziando a correre. - Ma senti chi parla?! La futura vincitrice di un titolo di Formula Tre!”

“Chiaro!” Confermò la bionda scoppiando a ridere seguendola con lunghe falcate.

“Mai senza il tuo secondo!”

Iniziando a lottare come due erinni in un campo di grano, fecero tanto di quel baccano da costringere la madre a far capolino dalla stanza di Minako e Usagi. “Ragazze fate piano! Le vostre sorelle si sono appena addormentate.”

Alba aveva fatto più fatica del solito a far prendere sonno alla più piccola ed ora era esausta. Sospirando si richiuse la porta alle spalle fissandole con finta severità.

“Si, scusaci mà.” Le sorrise Haruka che tra le sorelle Tenou era quella che fisicamente e caratterialmente le assomigliava di più.

Spirito ribelle dal temperamento fuori dalla portata per gran parte degli uomini, Alba stravedeva per ognuna delle sue quattro figlie; per Usagi, l’ultima perla nata in una famiglia quasi tutta al femminile, per Minako e la sua dolcissima voglia di protagonismo e per la maggiore, la riflessiva Giovanna, identica in tutto e per tutto al padre Sante. Ma con Haruka sentiva di avere un feeling particolare. Spesso si rivedeva nel suo giovane puledro tutto gambe e voglia di strafare, riconoscendo nella ragazza l’audacia e la spavalderia propria del genio.

Voglio correre mà, le aveva rivelato un giorno, quando poco più che undicenne non arrivava ancora neanche ai pedali di un’auto. E lei invece di cercare di smorzarne la veemenza, mettendosela sulle gambe l’aveva assecondata insegnandole addirittura a guidare.

Tu sei nata sulle piste, mia bellissima dea del vento. Corri se vuoi e punta anche al cielo se credi, perché sono sicura che un giorno lo raggiungerai.”

Così aveva fatto. In pochi anni Haruka aveva, non soltanto imparato, ma iniziato a gareggiare sulle piste da go kart di mezzo paese sognando il salto verso il mondo del rally che avrebbe compiuto al raggiungimento della maggiore età. La giusta conseguenza delle cose insomma. Ma ne Alba, ne Sante si sarebbero mai aspettati che anche in Giovanna regnasse la voglia di velocità e se pur meno audace della sorella, finisse con l’affiancarla diventandone il co pilota. L’affinità dimostrata in pista da quelle due ragazze, diventate un tutt’uno con la macchina che anni prima tante soddisfazioni aveva dato ai genitori, le aveva fatte delle vincenti, tanto che qualche casa automobilistica di Formula Tre ultimamente aveva iniziato ad interessarsi alla carriera della più giovane.

“Avete dato la buona notte a vostro padre?” Chiese la donna accarezzando il viso della maggiore che muovendo affermativamente la testa le regalò un bacio per sgattaiolare nella stanza che divideva con l’altra.

“Quel signore non è ancora andato via?”

“No Haru. Anzi, è meglio che vada giù da basso.” Baciata sulla guancia anche dalla sua secondogenita si sentì chiedere se, come stava facendo il padre, anche lei lasciasse aperta la possibilità che il viticoltore straniero dicesse la verità.

Tirando su le spalle la donna si diresse verso le scale stirando un sorriso affine. “Proprio non saprei. Faremo delle indagini e poi si vedrà. Ora corri a dormire. Domani avete scuola.”

“Va bene. Notte mà.”

 

 

“Ma sei impazzita?! Mi hai fatto male idiota!” Tenendosi la guancia con la destra, Giovanna guardò la bionda con sfida mentre Minako si piazzava tra le due cercando una mediazione.

“Haruka no!”

“Togliti dalle palle Mina e tu… vienimi sotto che ti do il resto!”

“Quando vuoi!” Raddrizzando la postura quella che per tutti era Giò, la maggiore della quattro sorelle Tenou, serrò i pugni come un boxer dopo un uppercut mal digerito.

“Finitela voi due!” Intervenne Yaten trascinando letteralmente la bionda all’indietro mentre Usagi tentava di fare altrettanto con l’altra.

“E lasciami! Ho da dirle un paio di cose!”

“Ti ascolto Haruka. Avanti!” Incoraggiò beffarda facendo dondolare i polsi avanti e indietro.

“Basta! - Pregò Mina con le braccia aperte come un Santo in croce. - Haru guardami! Guarda me!” Ordinò con uno stranissimo timbro nella voce.

Posandole le mani sul petto la costrinse a spostare l’attenzione su di lei e come un animale rabbioso, una volta tolta dalla vista la causa di quella condizione, la bionda sembrò improvvisamente calmarsi ed ammorbidendo le spalle incatenò lo sguardo a quello della più giovane.

“E’ nostra sorella! Non puoi reagire come se fosse un nemico.”

Scrollandosi di dosso Yaten, Haruka tornò a fissare Giovanna ancora arpionata dalle braccia di Usagi.

“Perché cazzo sei tornata!?”

“Perché fino a prova contraria questa è anche casa mia!”

“Te ne ricordi solo ora!? Dopo tre anni!?” Ringhiò gonfiando nuovamente i muscoli.

“Sempre pronta a giudicare vero?! Ad etichettare tutto e tutti. Con te o è bianco o tutto l’opposto!”

Haruka scattò in avanti trovando il corpo di Minako come sbarramento. “Anche la paternale?! - Urlò boriosa. - Ma stiamo scherzando?!”

“Lo sai perché sono partita…”

“Perché sei una lurida vigliacca!”

“Ho detto BASTA!” Esasperata Minako sovrastò le voci delle altre due con la propria prima che altre parole potessero diventare coltelli affilati.

“Massacratevi di pugni se volete, ma state attente a ciò che osa uscirvi da quella fogna dentata che avete sotto al naso!” L’indice destro alzato prima contro una, poi al petto dell’altra, ed il silenzio scese tra il gruppo neanche fosse stata sancita la fine di una guerra.

Solo i singulti disperati di una Usagi in lacrime smorzarono la rabbia spingendo Giovanna a voltarsi per abbracciarsela forte al seno.

“Va bene Mina… Ma non finisce qui!” Minacciò la bionda spingendo Yaten pronta per rientrare in casa, quando la maggiore riuscì a bloccarle il passo affermando seria di averla trovata.

Vedendo la schiena della sorella irrigidirsi di colpo, Giovanna capì d'aver fatto centro.

“Scusami?!” Voltando il busto lentamente Haruka socchiuse gli occhi rendendoli due fessure verdi.

“Hai capito benissimo. L’ho trovata… Ho trovato la First delight!”

 

 

Era li, davanti a loro, in una cassetta di legno dai sigilli stranieri marchiati a fuoco. Le radici avvolte in un panno umido di canapa, lo stelo arcuato ed ancora incerto, le foglie tenere dai colori brillanti, inequivocabile segno di un ottimo stato di salute. Era davanti a loro in tutta la sua magnificenza, sul tavolino del giardino d’inverno ricavato accanto alla stanza ora occupata da Michiru. Seduti su due divani posti l’uno fronte l’altro c’erano Haruka, Minako e Yaten, semi abbarbicato sul bracciolo, Giovanna, Usagi e poco oltre, ferma in piedi accanto allo stipite della porta, la forestiera.

“Haruka... forse è meglio che io vada.” Disse Kaiou che come il ragazzo sentiva di essere dannatamente fuori posto.

“Si è meglio. E’ una questione di famiglia.” Le rispose acida Minako attirandosi contro l’occhiata distorta dell’altra bionda.

“Lei resta qui, se desidera! Neanche Yaten è una Tenou!”

“Ma…”

“Ho detto che lei resta!”

“No Haru, Minako ha ragione. Preferisco così. A quel che ho capito avete bisogno di parlare di cose importanti. Ho ancora parecchie faccende da sbrigare. Con permesso.” E sparendo discretamente Michiru lasciò sola una Haruka che in quel momento avrebbe tanto voluto appoggiarsi a lei.

Dopo aver calmato i nervi l’aveva cercata con lo sguardo quella donna aggraziata dalle mani serrate al grembo e l’espressione di chi non sta capendo assolutamente nulla, non volendo ammettere a se stessa di stare iniziando a provare qualcosa per lei. Attrazione o puro bisogno di stabilità, questo Haruka ancora non riusciva a capirlo.

Anche Yaten fece altrettanto e dopo aver lasciato un bacio sulla testa della sua ragazza si congedò seguendo la forestiera.

“E così alla fine ti sei messa con il nipote di Max? Gran bella scelta. Approvo Mina. - Se la rise sotto i baffi Giovanna vedendola arrossire leggermente. - E quella Michiru? Cos’è… , la tua nuova fiamma, Haru?” Continuò non avendo la stessa reazione.

Un fulmine glaciale la schivò costringendola a serrare la mascella. La sorella sapeva come usare il suo sguardo.

“Ma che fiamma! Ci mancherebbe! E’ solo una randagia che lei e Usa hanno raccattato per strada meno di un mese fa.” Disse Minako.

“Be, una randagia di razza. E’ molto bella.”

“State zitte!” Abbaiò Haruka come se avesse avuto tra le zampe un osso da difendere.

Eppure Giovanna aveva come l’impressione di averla già vista. Quel viso gentile, ma soprattutto il colore e il taglio di quegli occhi blu, non erano per lei una novità. Non appena la forestiera le si era presentata con una stretta di mano, si era stupita di quanto fini fossero i suoi modi e quanto discreta fosse la sua presenza e più passavano i minuti e meno capiva che cosa ci facesse una donna come quella in un ambiente come il loro.

Minako alzò le braccia in segno di resa. Il cuore è il tuo. Fanne quel che vuoi, pensò deformando il viso in una smorfia.

“Cerchiamo di parlare di cose serie... Credi davvero di aver trovato la First delight ?” Chiese la bionda osservando la scatola.

“La sola e unica. In realtà una discendente, ma ti assicuro che ha le stesse caratteristiche e prestazioni dell’originale.” Più che sicura spinse la cassetta in avanti lasciando che Haruka ne prendesse il contenuto.

Rigirandosi con delicatezza la piantina tra le mani, la bionda ebbe un fremito ricordando quanto il padre avesse cercato quel piccolo miracolo genetico. Anche se frutto di un immenso lavoro di drenaggio e fertilizzazione, i terreni in possesso della famiglia Tenou erano, a differenza di altri, molto acidi e questo aveva condizionato sin dall'inizio la quantità di vino stagionale. Raggirati perché non del settore, una volta acquistati gli ettari, Alba e Sante si erano ritrovati a dovere investire il triplo di fatica e denaro per sperare di restare quantomeno ai margini del settore. Quella sera di dodici anni prima, un esperto viticoltore sudamericano presentato da Max, il proprietario del pub di zona, zio acquisito di Yaten, nonché vecchio amico di scuderia dei Tenou, aveva garantito alla coppia di avere la soluzione del problema. Secondo lui era oltremodo sbagliato intervenire sul suolo.

“Ragazze, cosa diceva sempre nostro padre?” Chiese Giovanna poggiando il mento sulle nocche.

Haruka passò la piantina a Minako che rispose per tutte. “Se non puoi cambiare il terreno, cambia la vite.”

“Esattamente!”

“E dove saresti andata a sbatterti per trovarla?” Chiese ironica la bionda sprofondando tra i cuscini per appoggiare entrambi gli avambracci allo schienale.

“Nella Terra del Fuoco, meridione cileno e ti assicuro… non è stato facile.”

“Lo abbiamo visto tutte! Hai impiegato tre anni per andare a fare l’Indiana Jones dei poveri.”

Esasperata dalla chiusura mentale di Haruka, Giovanna cominciò a difendersi. “Fai poco la spiritosa. Ho impiegato più del previsto perché dieci anni fa la vigna madre della delight è stata sdradicata per far posto al più fiorente campo della ricerca aurifera. E’ stata una vera botta di fortuna trovarne la discendenza, credimi.”

“Quante ne avresti acquistate?”

“Una cinquantina. Se alla dogana sono rapidi dovrebbero arrivare al massimo tra una decina di giorni.”

Schioccando la lingua l’altra continuò a scavare nella piaga. “Botta di fortuna o meno, credo proprio che tu abbia speso soldi inutili mia cara Giovanna. Questa piantina non potrà risolvere i problemi che abbiamo, almeno non nell’immediato. Va fatta crescere e innestata. Un processo talmente lungo che non so proprio come diavolo ti sia saltato in mente.”

“Problemi?” Una rapida occhiata a Minako che riponendo la piantina nella cassetta sospirò confermando con un sibilo mozzato.

“Quando chiamavo non mi hai mai accennato a nulla.”

“Chiamavo?!” Intervenne Haruka corrugando la fronte.

“Si Haru, anche se sporadicamente Giovanna ha sempre cercato di tenersi in contatto. Non te l’ho mai detto perché non si poteva parlare di lei.”

“E brava la nostra dea del vento… Hai addirittura segato il mio ramo dall’albero genealogico!”

“Non fare la vittima e comunque ne avrei tutto il diritto!”

“Non gettarmi merda addosso Haruka! Il fatto che non ti sia andata giù la mia scelta non deve darti il diritto di…”

“Ne avevamo parlato! Ne avevamo parlato e si era deciso di rimanere unite per cercare di portare avanti il lavoro dei nostri genitori! E invece dopo pochi mesi dalla loro morte hai fatto armi e bagagli e sei sparita!” Si sporse in avanti stringendo alle ginocchia mani ancora vogliose di lotta.

“Rivitalizzare le viti con la delight era il nostro sogno…”

“No! Era il tuo, tuo e di nostro padre. - Alzandosi cedette puntandole l’indice contro. - Il mio era un altro e tu lo sai benissimo!”

Imitandola anche la maggiore si alzò. “Aspetta Tenou. Rallenta. Mi stai forse incolpando del tuo mancato ingresso in Formula Tre?! No, perché se così fosse staresti prendendo la più grossa cantonata della tua sfolgorante carriera.”

“Mi sto sbagliando forse?!”

“Credo proprio di si! Non è perché i nostri genitori sono morti e non è neanche per il mio viaggio. Eri semplicemente troppo vecchia per iniziare una carriera in una categoria tanto competitiva!”

“Che bastarda!”

“Insulta pure, ma sai che è la verità, sai che è stata solo colpa tua se arrivato il momento di provare il grande salto ti sei tirata indietro!”

“Sarebbe a dire?” Chiese piatta scavalcando il tavolino per arrivarle a pochi centimetri.

“Haru…” Cercò d’intromettersi Minako immediatamente zittita da un gesto.

Un boccone d’aria più copioso e Giovanna fece partire una fulminea stilettata. “Sarebbe a dire che hai avuto paura. - Sentenziò sostenendone lo sguardo, anzi, avvicinandosi talmente al viso dell’altra da percepirne il calore del fiato. - Paura di non essere all’altezza, di non riuscire a gareggiare da sola in un ambiente duro come quello della velocità su pista, perché un conto è farlo nel rally, con il tuo secondo affianco e un altro è domare una macchina da trecentottanta cavalli, da sola, in un mondo pronto a giudicarti al più piccolo errore. Paura di deludere i nostri genitori, ma soprattutto la mamma e sotto sotto, anche te stessa. Hai accampato centomila scuse per non accettare le proposte che ti venivano offerte nonostante tu fossi una donna. Prima la scuola, poi l’Università e una volta uscita da Agraria era passato troppo tempo!”

Haruka ascoltò continuando a fissarla. Le dita torturate nei pugni stretti. I denti cozzati gli uni sugli altri. La salivazione completamente azzerata.

“A diciotto anni eri una promessa, un vero e proprio talento, polvere di stelle, come titolavano i giornali locali, ma poi ti sei adagiata sugli allori e ne hai pagato lo scotto. Ora non puoi venirmi a dire che è stata colpa mia! Non te lo permetto!”

Altro che coltelli. Minako abbassò la testa mettendosi le mani tra i capelli preparandosi al peggio. Sapeva che sarebbe andata a finita così, che Haruka avrebbe vomitato fuori tutto l’astio covato per anni e Giovanna le avrebbe risposto per le rime, ma sperava che il ritrovarsi di nuovo tutte e quattro sotto lo stesso tetto avrebbe ricordato a quelle due cosa volesse dire per le sorelle Tenou la parola famiglia.

Dopo quell’ultimo ferale scambio però, inaspettatamente per l’ambiente vetrato non volò più una mosca fino a quando non fu Usagi, estraniatasi come forma di difesa da quella discussione, a parlare con voce sommessa una volta messasi la cassettina sulle gambe.

“Tu e le tue sorelline avrete bisogno di terra, sole e acqua buona, ma sono certa che attecchirete. Haru dove possiamo piantarle?”

Fissata dalle altre continuò come in trance. “Potremmo trovar loro un posticino in un angolo della Prima. Che ne dici?”

Strofinandosi il collo Haruka scosse la testa. Non era certo quella la stagione adatta. “Dobbiamo aspettare l’autunno Usa. Sai meglio di me che adesso non si può far nulla.”

“Io pensavo che avremmo potuto costruire una serra per poi piantarle a tempo debito.” Optò Giovanna con tenera condiscendenza.

All’idea Usagi scattò la testa fissandola euforica. “Davvero?! Sarebbe fantastico! Che ne dici Haru?”

Alla maggiore non sfuggì quella specie di richiesta di permesso. Haruka aveva preso in tutto e per tutto il suo posto alla guida della casa e dell’azienda. Sorridendo un po’ amareggiata continuò proponendo il terreno che secondo lei era il più adatto.

“Se non ricordo male abbiamo mezz’ettaro proprio dietro la cantina. La lavorazione dei laterizi ha reso il terreno ancora più acido e le viti messe a dimora li, non danno che uva da tavola. In primavera potremmo provare ad innestare quelle. Se prendono li, prenderanno ovunque."

Deformando le labbra in una smorfia, la bionda si diresse verso la porta e con un ampio gesto del braccio sentenziò. “La terra è anche la tua e quelle viti le hai comprate con i tuoi soldi, perciò fai come credi Giovanna, ma una cosa la vorrei mettere subito in chiaro… - Voltandosi un’ultima volta le fissò alternativamente tutte e tre. - Non voglio saperne niente. Ora abbiamo dei conti da far tornare ed un bilancio da ripianare, perciò scusate tanto se Haruka Tenou, la dea del vento, non si presterà a questo gioco al massacro.” E con una zampata di puro sarcasmo sparì.

“Mina…”

“Si Giò…”

“Adesso devi spiegarmi per filo e per segno com’è messa l’azienda. Domani mattina voglio vedere conti e movimenti bancari.”

“Ok.”

 

 

Dopo una cena al limite del paradossale, dove alla giovialità frizzantina di Usagi e Minako, eccitate per il ritorno della maggiore, era andato contrapponendosi il mutismo di una Haruka svelta nel desinare ed ancor più nello sparire, Michiru aveva deciso di fare altrettanto defilandisi in camera sua. Com’era già accaduto al suo arrivo, il trovarsi in una situazione famigliare dove lei era incolpevolmente un’intrusa, l’aveva spinta alla condizione più gestibile della solitudine.

Scegliendo a caso tra i testi della piccola libreria accanto all’armadio, decise che per quella sera i suoi amici sarebbero stati; Heathcliff e Catherine di cime tempestose, pensò guardando la copertina in pelle scura del celebre romanzo di Emily Brontё.

“Oddio, non è certo una commedia, ma è sempre un classico.” Sorridendo alle lettere dorate si sedette sul bordo del letto sfilandosi i sandali.

Sfogliando distratta le prime pagine si rese però immediatamente conto di non essere concentrata a sufficienza, anzi, più la carta ingiallita le scorreva tra le dita e più il pensiero di quell’inattesa giornata le soffocava la mente non lasciando spazio ad altro.

L’apparizione di Giovanna, la reazione violenta di Haruka e quella molto più normale delle altre due sorelle Tenou, l’avevano portata a riconsiderare tutto il contesto nel quale stava ormai vivendo. Non aveva assistito alla loro conversazione, ma subito dopo la sua uscita dal giardino d’inverno si era ritrovata all’aperto con Yaten il quale le aveva accennato del malessere che aveva colpito quella casa. Michiru aveva così capito perché nelle stanze principali della masseria non ci fossero foto o tracce di una quarta sorella. Il viaggio intrapreso da Giovanna per andare a cercare un sogno chiamato First delight aveva finito per distruggere una famiglia di per se già duramente provata dalla sorte. E vista da fuori la cosa aveva dell’assurdo, sia per lei, ma soprattutto per uno Yaten che conosceva da sempre l’amore che legava la maggiore alle altre, soprattutto ad Haruka.

”Quella testa bacata del nostro capo è convinta di essere stata abbandonata, ma per Mina non è affatto così e a dirla tutta, ne sono convinto anch’io.”

Forse la verità sta nel mezzo. - Pensò Michiru sapendo di non potersi ancora fare un’idea più precisa dell’accaduto. - Forse Haruka ha frainteso le reali intenzioni della sorella o forse Giovanna ha scelto di allontanarsi per metabolizzare la perdita dei loro genitori ed il fatto di aver preso il loro posto. So cosa si prova ad avere addosso le aspettative degli altri.

Richiudendo il libro Michiru decise di gustarsi un po’ di fresco serale e a piedi nudi saltellò sulle lastre di cotto arrivando alla portafinestra. Aveva scoperto di amare da impazzire il sentire sotto le piante dei piedi le foglioline del manto erboso di Dichondra che ricopriva tutto il giardino sul retro. Uscita e serratasi le mani dietro la schiena, iniziò a passeggiare avanti e indietro come ormai le capitava sempre più spesso. Da quando aveva iniziato a vedere Seiya, il sonno notturno dei primi giorni era scomparso e così non mancava mai di attenderlo scrutando l’orizzonte al chiarore della luna. Poteva riflettere e calmarsi, razionalizzando sul fatto che fosse impossibile che l’uomo l'avesse trovata e che non essendo una pazza visionaria, dovesse esserci per forza di cose un’altra spiegazione.

Inarcando la schiena al cielo stellato sorrise della sua paranoia. Ti devi dare una calmata Kaiou o finirai con l’ammalarti, si disse sfiorandosi lo sterno. Aveva avuto l’ennesima palpitazione proprio durante la cena, quando ad uno sguardo più insistente della nuova arrivata, si era fatto strada in lei il pensiero che potesse essere stata riconosciuta.

E se Giovanna mi avesse visto su qualche rivista? Dandosi dell’idiota si avvicinò al parapetto poggiandovi gli avambracci. Se così fosse non potrei che negare la cosa, rifletté poco convinta. In un certo senso le pesava quella situazione, non tanto la scelta di non avere un cognome, quanto il doverlo tacere ad Haruka. Lei era Michiru Kaiou, attualmente una delle dieci violiniste più quotate sul mercato internazionale, ed il tenerlo nascosto alla bionda le sembrava una mancanza di rispetto. Una specie di tradimento.

E mentre stava rimuginando sulla cosa perdendo lo sguardo al il chiaro scuro della Prima, la vide seduta su uno dei gradini della scala. Fu un attimo e il desiderio di sentire quel timbro profondo che era mancato quasi del tutto a cena, s’impadronì di lei portandola a raggiungerla.

Guardandole le spalle ricurve in una posa pensierosa parlò pianissimo. “Questa volta non voglio spaventarti.”

Rimanendo voltata Haruka sogghignò alzando una mano per invitarla a sedersi. In verità la stava aspettando. “Da qualche tempo sei solita passeggiare un po’ prima di andare a dormire. E’ forse per Mina?”

Sistemandosi la gonna Michiru si mise comoda sul gradino ancora leggermente tiepido dall’arsura giornaliera. “Non ti sfugge proprio niente. - Ne convenne leggermente stupita. - Ma no, tua sorella non c’entra. Non ho sonno, tutto qui.”

“Sicura? Mi sembra strano che tu non ne abbia visto l’impegno che metti nel lavoro quotidiano.”

Il velato complimento portò l’altra a scuotere la testa. “Mi sono semplicemente abituata ai vostri ritmi. Tranquilla Haruka, va tutto bene.” E odiò il mentirle ancora.

Alzando le spalle la bionda accettò la scusa offrendole la bottiglia di birra che si stava gustando. “Ne vuoi un pò? E’ artigianale.”

“Grazie, ma lo sai che non mi piace.”

“Ma questa è quella di Max. Fatta con le sue manine sante. Un peccato mortale non assaggiarla.” Insistette e alla smorfia di mal celato disgusto che ne seguì il sorso, scoppiò a ridere.

“Va bene, dai qua. Mamma mia che palato delicato.”

“Colpa dell’azienda vinicola Tenou e del suo eccellente vino.”

“Già… L’azienda vinicola Tenou… - Ripeté tornando seria. - A proposito, mi rincresce che tu abbia dovuto assistere alla scenata di questa mattina.”

“Non è un problema. Mi dispiace solo che essendo figlia unica non possa riuscire a capirti fino in fondo.”

“Un’altra piccola informazione sulla donna misteriosa che tutti dicono viva sotto il tetto di questa tremenda bionda. Attenta Michiru…, ti stai esponendo.”

Kaiou non se la prese, ma non sapendo come affrontare un discorso tanto delicato, non fece domande e Haruka rimase in silenzio a sorseggiare la sua birra tra il canto dei grilli, il richiamo dei rapaci notturni appollaiati sui rami del castagneto poco oltre e le macchine agricole che stavano lavorando al fresco della notte.

“Sai, fa male il sentirsi traditi da una persona che ritenevi incapace di farlo, una persona che amavi e dalla quale ti sentivi amata.”

Serrando le labbra Michiru respirò appena. Haruka si stava aprendo.

 

 

Circuito Comunale – Undici anni prima

 

Primo classificato il team Tenou, con il tempo di 12°13’ e 34”!”

Haruka serrò il pugno indirizzandolo al cielo. L’annuncio stentoreo appena dato dall’altoparlante non faceva altro che confermarle quanto forti fossero diventate.

“E vai!” Urlò sentendo improvvisamente la schiena caricata dal peso della sorella.

“Haru! Siamo grandi!” Giovanna si strinse forte alle sue spalle ridendole nel collo.

“Non ci ferma più nessuno! Il terzo posto in classifica generale è ad un passo!”

Scendendo l’altra le strattonò le braccia arpionandole euforica la tuta. “Poi arriverà il secondo…”

“Ed infine il primo!” Concluse la bionda abbracciandola.

“Hei, piano piano, andateci piano! - Sante riemerse dall’ombra del box tenendo stretta nella mano la cartellina con gli appunti di gara. - Avete fatto degli errori e per recuperare, all’ottava e decima curva siete andate fuori giri, perciò prima di sparar alto con proclami di vittoria io…” Guardandole negli occhi non riuscì più a fingere.

“E va bene… Siete state grandi ragazze!” Confessò spalancando loro le braccia e con un sorriso enorme le accolse orgoglioso come non mai.

“Per festeggiare questa sera andremo tutti a cena fuori, ma prima… Haru, ci sono due signori che vorrebbero parlarti. Datti una ripulita e vieni. Ci stanno aspettando al bar.”

La bionda corrugò la fronte liberando il busto dalla tuta. “Chi sarebbero?”

“Agenti. E non fare come al tuo solito. Questa volta stalli a sentire per favore.”

Sbuffando improvvisamente insofferente precisò al genitore di avere prima una coppa da ritirare.

“C’è tempo per la premiazione! Avanti andiamo.”

Ma la figlia non si mosse. “Lo sai come la penso pà; voglio finire la stagione!”

Sempre la solita storia e Sante era sinceramente stanco di quella sorta di blocco mentale che le aspettative di quella ragazzina sembravano aver preso. Una mano dietro al collo per attirarla a se e le parlò cercando di essere il più chiaro possibile.

“Stammi bene a sentire, queste occasioni capitano raramente nella vita. Sei brava, sei dotata, ma sai quanti ragazzi e ragazze sono pronti a prendere il tuo posto?! Hai diciannove anni… E’ l’età giusta per provarci. Da retta a tuo padre e per una volta cerca di pensare alle conseguenze delle tue azioni.”

“Ha ragione Haru… Qui si sta parlando della Formula Tre…” Lo appoggiò Giovanna.

“Dovrei ritirarmi a metà campionato e privare anche te della possibilità di vincere?”

“I punti che ci dividono dal team primo in classifica sono tanti…”

“Ma possiamo ancora farcela Giò!”

“Haru…”

“Vuoi davvero che molli tutto? Abbiamo lavorato tanto per arrivare dove siamo!”

L’altra scosse la testa. “Io voglio solo la tua felicità. Nient’altro.”

Soddisfatta la bionda tirò su il mento. Quella era la sua felicità. Che si fottesse tutto il mondo delle corse. “Allora il discorso è chiuso! Pà, lasciami fare. Se quei signori sono svegli aspetteranno, altrimenti ne verranno altri com’è già successo.”

“Non condivido Haruka, ma la vita è la tua e non posso certo costringerti a fare ciò che non vuoi. Spero solo che questo tuo stupido atto di superbia non ti costi la carriera.”

 

 

“Ed invece mi costò, proprio come mio padre Sante aveva predetto.” La bionda poggiò gli avambracci alle ginocchia iniziando a far dondolare lentamente la bottiglia di birra che ancora aveva fra le dita.

“Quella stagione riuscimmo ad afferrare la scuderia che si trovava al primo posto, ma in virtù di un miglior minutaggio la vittoria finale andò a loro. Ci rimase comunque la soddisfazione di aver spaccato di brutto azzittendo a suon di punti le voci che ci volevano solamente due ragazzine fortunate.”

Michiru la guardò chinare la testa. “E dopo?”

“Dopo finì tutto. Sai, una cosa è vincere ed un’altra è confermarsi. Per via dell’azienda i nostri genitori non potevano dedicare troppo tempo alla scuderia e correre costa, così non appena l’anno successivo i risultati iniziarono a scarseggiare, fummo costrette a ritirarci. Giovanna ed io scegliemmo di iscriverci all’Università e come aveva detto mio padre nessun agente venne più a bussare alla mia porta.”

Alzando nuovamente il viso al cielo stirò le labbra ammettendo la sua insulsa stupidità. “Mio padre ha sempre creduto che il mio temporeggiare fosse dettato dalla presunzione, dal credersi chi sa chi, ma mia madre no, lei aveva capito tutto ed una sera come questa, proprio su questi gradini, mi disse una frase che non scorderò mai; so cosa vuol dire rinunciare ai propri sogni, ma l’amore che si sceglie di seguire rimarrà sempre il trionfo più grande.”

“I tuoi si ritirarono dalle corse per la vostra famiglia.” Ricordò.

“Esattamente. Lei sapeva come lo so io che il rinunciare alla scalata in Formula Tre non dipese dalla superbia, come credeva mio padre, o dalla paura, come pensa Giovanna, ma da ben altro. In quel momento il mio mondo era quello; gareggiare con mia sorella per la scuderia di famiglia con una macchina tramandataci che aveva morso le strade di mezzo mondo e che portava sulla fiancata la scritta TENOU. Non volevo altro. Non puntavo ad altro. Amavo farlo e non ci avrei mai rinunciato. E lei non l’ha capito e mi da della vigliacca per questo." Terminò incrinando la voce rabbiosa.

“Ma tu… glielo hai mai detto?” Chiese vedendola alzarsi.

“Non sono cose che si dicono Michiru, si sanno e basta.”

“Haruka…”

“Ci dividono solo dieci mesi. Siamo cresciute facendo praticamente le stesse cose, frequentando le stesse classi scolastiche, gli stessi amici. Eravamo una cosa sola. Lei era la sorella migliore che avrei mai potuto desiderare. La mia migliore amica. Quella che mi è restata a fianco quando ho capito di essere omosessuale, che si è battuta per me difendendomi dall’ignoranza della gente. Avrebbe dovuto sapere. Avrebbe dovuto capire. Come avrebbe dovuto restare. No! Non le dirò mai nulla e pensasse ciò che vuole, perché arrivate a questo punto… non me ne frega più niente di niente!”

E la conversazione fini li, la bionda si richiuse a riccio e a Michiru non rimase altro che guardarla risalire le scale. “Buona notte. Non fare troppo tardi ok?!”

“Notte Haruka.” Disse piano sentendosi triste.

Certo che sapeva cosa si provava nel dover essere costretta ad infinite riconferme, all’obbligo di rimanere sempre sulla cresta dell’onda, ma ancor più sapeva cosa si sentisse nell'anima a subire un tradimento. Indubbiamente le scappatelle di Seiya non erano certo paragonabili a quello che era successo tra quelle due sorelle, ma per lungo tempo oltre ai suoi genitori, quell’uomo era stato un punto di riferimento, il suo migliore amico, colui che si era battuto per lei contro le critiche e le gelosie del loro mondo, proprio come aveva fatto Giovanna con Haruka. Il sospetto e poi la certezza che oltre ad umiliarla come donna, Kou l’avesse sfruttata come professionista bivaccando all’ombra del suo successo perché troppo banale per potercela fare da solo, l’aveva devastata.

“A Michi…”

“Si…”

Voltando il busto Haruka la guardò quasi sardonicamente. “Vedrai, riuscirò a tirare fuori la mia azienda da questa brutta situazione.”

“Cosa intendi fare?”

“Stai a guardare Michiru. Ho imparato a mie spese come si faccia a correre da sola.”

E tornando a salire sparì presto tra il chiaroscuro della sera lasciando su Kaiou un vago senso d’ansia ed una voglia matta di sentire i suoi genitori.

 

 

Sorridendo di rimando ad Usagi, Giovanna prese l’ultimo piatto dalle mani di Minako asciugandolo con cura. Nei mesi passati tra villaggi sud americani e biblioteche, la sua casa, la sua vita, le erano mancate come l’aria, ma più di tutto le erano mancate le sue sorelle e la quotidianità di quel rapporto. Ora anche il semplice fatto di rassettare la cucina dopo aver cenato tutte insieme, le infondeva allegria e un profondissimo senso di pace.

“Ci racconterai le tue avventure, vero Giò?” Le chiese la biondina stringendole la vita da dietro.

“Certo tesoro, anche se non credere che il mio viaggio sia stato poi tanto avventuroso.”

“Come sono le vigne andine?” Le chiese Minako gettando l’acqua del catino.

“Fantastiche. Paragonabili alle nostre, ma non avendo molta disponibilità di acqua ii viticoltori hanno un modo di gestire il territorio totalmente diverso. Ma lasciando perdere il lavoro… - Guardando l’azzurro delle iridi della più piccola le accarezzò la guancia con un dito. - Mi è giunta voce che ultimamente tu e Haru non andiate molto d’accordo.”

Fulminando Minako, l'altra alzò leggermente le spalle minimizzando. “Non è colpa mia. Da quando sei partita è diventata intrattabile. E’ testarda, dittatoriale e vuole sempre aver ragione!”

“Mi sembra la normalità.” Ci scherzò su la maggiore.

“Usa, adesso sei ingiusta. E’ vero che Haruka ha il carattere che ha, ma anche tu non sei da meno. Chi si è fermata a dormire dal suo ragazzo quando nel pieno del temporale dell'altro giorno avrebbe dovuto tornare a casa?”

“Tu hai fatto lo stesso restando da Yaten per una settimana!”

“E’ diverso! Io ho avvertito e comunque ho quasi dieci anni più di te!”

“E allora?!”

“Ragazze… - La maggiore le azzittì sovrastandone la voce. - Credo che per oggi si sia discusso anche troppo!”

Un grugnito da parte della minore che si trasformò per incanto in un urletto gioioso al primo squillo telefonico.

“E’ per me!” Sentenziò uscendo come un colibrì dalla cucina tanto che Giovanna ebbe il dubbio di essersi persa un passaggio.

“E ora che le prende?”

“Tranquilla è Mamoru. Puntuale come un orologio. Parlano per ore. Che avranno poi da raccontarsi…”

Mamoru. A Giovanna continuava a far strano pensare alla sorellina far coppia con quell’uomo. Da quando Minako l’aveva messa al corrente della loro relazione non era ancora riuscita a capire se fosse una cosa seria o un pericoloso gioco.

“Ora che siamo sole, dimmi cosa ne pensi Mina. Ok che ad Haru sia partito l’embolo, ma tu? Come li vedi?”

L’altra aprì il freezer prendendovi del ghiaccio, poi una volta strettolo in uno straccio glielo porse andando a sedersi al tavolo. “Mettilo sulla guancia. E’ un po’ gonfia. Quella pazza poteva anche evitare di prenderti a pugni.”

“C’è andata leggera fidati. Sa fare di meglio. Allora? Per telefono non ti sei mai sbottonata più di tanto, ma immagino che ti sia fatta un’opinione ben precisa su di loro.”

La sorella ammise che all’inizio anche a lei era venuto un colpo, ma che poi, guardandoli insieme, si era convinta della bontà della loro relazione. “Usa è persa, ma la cosa che mi rassicura è che lo sia anche lui.”

Mamoru Kiba perso. A Giovanna sembrava una cosa impossibile. Sedendosi anche lei, ricordò il liceo e quel compagno mietitore dei cuori femminili di mezzo istituto. E pensare che durante l’arco di una gita scolastica anche lei era crollata sotto il peso del fascino di quel giovane scavezzacollo. Poi Haruka lo aveva preso a pugni ed era finita li.

“Per quanto li riguarda, solo il tempo potrà dirci se la loro storia avrà un futuro. Ora quello che però mi da pensiero è la testardaggine di Haru. Usagi ha ragione… è diventata intollerante a qualsiasi forma di dialogo tanto che non appena sente il nome dei Kiba non ragiona. E ormai lo fa anche sul lavoro.”

“Con il vecchio Kiba?”

“Già. Pensa che in primavera, quando stavamo cercando un trattore in più per potenziare la preparazione dei terreni, ci aveva proposto di affittarci uno dei suoi. Un prezzo simbolico, praticamente regalato e lei ha detto no grazie. Abbiamo dovuto forzare il Landini facendo i doppi turni. Yaten era esausto. Lo eravamo tutti.”

Strofinandosi il ghiaccio sul viso Giovanna sospirò dispiaciuta. Così non andava. Un conto era la sfera privata ed un conto erano gli affari.

“Giò... dobbiamo fare qualcosa. Il suo atteggiamento sclerotizzato inizia a preoccuparmi. Non voglio certo giudicarla, perché da quando sei partita Dio solo sa quanto si sia data da fare per l’azienda, ma ammetto che un paio di scelte sulla gestione del programma di rivitalizzazione dei terreni non le abbia portate avanti come avrebbero fatto i nostri genitori e questo ci ha portato in perdita.”

“Nessuno nasce imparato Mina. Non sbaglia mai chi non si mette in gioco. Ci sta qualche errore nel portare avanti un'azienda come questa.”

“Sono d’accordo, ma non quando si tratta di scartare piani di lavoro che avevate concordato prima della tua partenza e ai quali lei ha voluto rinunciare solo perché fondamentalmente ancora non te la perdona Giovanna.”

“So che non sarà facile riconquistare la sua fiducia, ma non avrei mai pensato che la mia scelta avrebbe minato anche il suo giudizio negli affari.”

“E’ sempre stata molto intuitiva, ma ha bisogno di stabilità ed io non riesco a dargliela.”

“Non esagerare, Haruka è impulsiva, ma anche molto matura. Si è ritrovata alle redini di un’azienda dall’oggi al domani e credo abbia solo bisogno di un tempo.”

“Per stabilità non intendo solo la sfera lavorativa. - Sporgendosi in avanti abbassò di colpo la voce. - Nel giro di tre anni si è portata a letto mezza Provincia. Non la riconosco più. Certo non è mai stata un tipo romantico e sono la prima a dire che ogni tanto un po’ di sano divertimento ci vuole, ma alle volte sembra uno di quegli uomo che se ne fregano dei sentimenti altrui. Guarda con Bravery com’è finita…”

“Bravery era una palla al piede! Ha perso anche troppo tempo con lei!”

“Sarà, ma e' stata Haru a farle del male. E di Michiru che mi dici? Guidata dagli ormoni, se l’è presa in casa senza neanche sapere chi fosse e da dove venisse, accettando questo giochino per me molto pericoloso della donna misteriosa.”

“Ok, quella forestiera l’attrae e allora? E’ una gran bella donna…, La nostra testa dura è grande abbastanza per potersi sbattere chi vuole. Io non mi preoccuperei per così poco e soprattutto, non mi impiccerei.” Tentò di stemperare sorridendole sorniona.

“Altro che sbattersela… Haruka è innamorata persa e quella è l’ultima donna che oserebbe toccare anche solo con la punta di un dito, dai retta a me.”

“Mina deciditi! Se salta di letto in letto non va bene. Se s'innamora non va bene… “

“Io voglio solo che Haru sia coerente e soprattutto trovi un equilibrio!”

A quelle parole la maggiore spense la piega divertita che aveva disegnata sulle labbra mentre l’altra continuava piatta. “Ho paura che questa volta sarà lei a farsi male! Quella figlia di papà non è tipo da mettersi con una come lei, anzi, sono convinta che si stia solo nascondendo da qualcosa e quando la vita bucolica l’avrà stancata, troverà un nuovo passatempo per saziare i suoi appetiti e nostra sorella soffrirà come un cane!”

“Dio del cielo Minako, stai descrivendo Haruka come una schizzata!”

“Guarda che sono io che da tre anni cerco di capirla e starle dietro! - Se ne uscì pentendosene subito dopo. - Scusami…”

“No Mina… , almeno tu non farmi sentire un verme. Lo so che avresti voluto farti vita e carriera in una grande città, viaggiare e poter godere di tutte le bellezze che si trovano oltre le nostre vigne, ma ti prego, almeno tu credimi se ti dico che quando decisi di partire mi sembrava la cosa più giusta da fare.”

Resasi conto di aver parlato troppo, l’altra stava per alzarsi ed abbracciarla quando il portone d’ingresso si aprì e richiuse piano. Qualche istante ed Haruka comparve sulla soglia della cucina fissandole per poi andare a gettare la bottiglia di vetro della birra nel contenitore dedicato.

“Andrò a dormire nello studio. Vedete di non far troppo casino per favore.” Tagliò corto avvicinandosi a Giovanna.

Scansandole lo strofinaccio gelato ne scrutò la pelle arrossata facendo una smorfia indolente per poi riuscire e all’altra non rimase che sbuffare adagiandosi sullo schienale della sedia.

“Non vuole neanche dividere la camera con me! Ha del miracoloso che si sia degnata di cenare respirando la mia stessa aria.” Si lagnò mentre Minako aggrottava la fronte presa da tutt’altro pensiero.

“Giò…”

“Mmmm…”

“Usa è nello studio…”

“E dunque?” Domandò mentre voci di lotta prendevano ad alzarsi.

“… Al telefono con Mamoru.” E scattò verso l’uscita pronta a sedare l’ennesima baruffa.

Ma porca loca…, pensò la più grande scuotendo la testa. Tutto il caos trovato al suo ritorno non poteva certo dipendere solo dalla sua scelta, ma in quelle ultime ore Giovanna si stava rendendo conto che con la sua partenza aveva contribuito involontariamente a dividere i membri della sua famiglia.

 

 

 

 

Note dell’autrice: E pur ritornano! In verità all’inizio la figura di Giovanna non c’era e non avrei voluto neanche inserirla; troppo ridondante la sua presenza in ogni singola storia prodotta fino ad oggi. Poi però, man mano che strutturavo la trama, mi mancava una figura che chiudesse il cerchio e grazie anche al desiderio di molte che la volevano nuovamente come co-protagonista, mi sono convinta a buttarla nella mischia. Ma questa volta con un carattere più ombroso.

Ammetto che in questo capitolo le figure di Yaten, Mamoru e soprattutto Michiru, non siano state trattate a dovere proprio per far spazio ad alcune regressioni esplicative sulla famiglia Tenou, ma si rifaranno alla grandissima.

Spero di avervi fatto nascere una certa simpatia anche per Alba e Sante.

Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Un mistero svelato ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kuo e Yaten Kuo, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Un mistero svelato

 

Quando spense il motore si ritrovò a fare i conti con un potente senso di nausea, come se la decisione che aveva preso andasse a cozzare contro qualcosa d’indecifrato o profondamente conflittuale. Sfilandosi il casco lo tenne qualche secondo tra le mani per poi smontare dalla sua Ducati e dirigersi verso l’entrata del Pub di Max.

Non essendo orario d’apertura, agirò la struttura puntando decisa alla porta sul retro ed una volta trovatala aperta, vi entrò chiamando a gran voce il proprietario.

“Capo, ci sei?” Domandò retorica sapendo che non avrebbe potuto essere da nessun’altra parte.

E di fatti lo trovò dietro al bancone, con il consueto grembiule da lavoro a protezione della T-shirt bianca con il logo di un grifo alato irlandese, intento ad asciugare dei bicchieri Altglass.

Riconoscendone la voce l’uomo stirò le labbra in un ghigno strano, forse presagendo l’alone di mefitica rogna che quell’insolita visitina portava con se. “Sono qui Haru.”

Svoltando una colonna la bionda sfoderò un poco rassicurante sorriso a trentadue denti. “Che me la offriresti una birra?” Chiese sfacciata sedendosi su uno degli sgabelli ed abbandonando il casco sul bancone.

“Siamo chiusi.”

“Si, lo so, ma io sono… speciale.”

“Niente di meno?!” Ed alzando le sopraciglia finalmente la guardò.

“Dai su, non fare il pignolo.”

“Che c’è? Mio nipote ha combinato qualche casino o sei venuta a lagnarti per il ritorno di tua sorella?”

“No, Yaten è come sempre un eccellente lavoratore, anche se vedo che ha la lingua più lunga di quella di un ramarro.” Fissandolo piccata poggiò i gomiti sul legno attendendo la spillatura della sua chiara.

“Cosa vuoi che ti dica… E’ solo un ragazzo.” Ci scherzò su.

“Un ragazzo fin troppo chiacchierone.” Borbottò iniziando a giocherellare con il cartoncino del sottobicchiere.

Lui non commentò servendola e guardandola bere avidamente tornò a chiederle il perché di quell’improvvisata. “Allora? Perché sei qui a quest’ora?”

“Non certo per parlare di Giovanna!”

“Dunque?”

Posando il vetro lo guardò seria tanto che all’uomo formicolò la peluria delle braccia. “Ho necessità di soldi, ma… forse sai anche questo.”

“Certo che lo so. Dopo l’ultima grandinata qui tutti hanno subito danni e chi più chi meno stanno con le chiappe ammollo. Comunque… se hai bisogno di liquidi, sarò ben felice di prestarteli io.”

“Sei gentile e soprattutto generoso, ma non si tratta di una cifretta, Max.”

“Quanto ti serve Tenou?” Chiese sporgendosi in avanti.

“Troppo.”

“Siete messe tanto male?” Si permise e lei rispose con un laconico si.

“Quel temporale ci ha praticamente stese. Se non m’invento qualcosa sono cavoli.”

“E sono convinto che hai già qualcosa in mente, vero?” Quella ragazza era risolutiva come la madre.

Fissandolo negli occhi Haruka parlò chiaro come solo un capo famiglia sa fare. “Vorrei che mi organizzassi un incontro.”

“Un incontro?”

“Si.”

“E di grazia, con chi?”

Masticando un mezzo sfondone la bionda bevve altri due sorsi sbuffando poi sonoramente. “Con chi di dovere Max!”

“Tenou, io questa cosa per te non la faccio!”

“O si che la fai!” Sfidò guardandolo tornare ad asciugare i suoi bicchieri.

Dandole le spalle l’uomo cercò di farle comprendere come l’entrare nel lato più oscuro della Provincia equivalesse ad un carpiato dritto dritto nello Stige. “Tornatene a casa, dormici su e vedrai che domani sarà tutto più chiaro. Lascia perdere quell’uomo. E’ un Giano bifronte. Un tipo pericoloso.”

“Lo so, credi forse sia stupida!?”

“Non dico questo.”

“E allora almeno tu cerca di darmi un po’ di fiducia!”

“In questo caso non posso aiutarti.”

Sbattendo un pugno sul bancone lo fece voltare di scatto. “E basta con questo paternalismo non richiesto Max! Ho trent’anni e sono in grado di badare a me stessa ed alla mia famiglia. Non ho bisogno di essere protetta da nessuno. - Abbassando la voce continuò in tono più calmo. - Devo procurarmi un aggancio e tu sei l’unico che negli anni sia riuscito a conquistarsi la sua stima.”

Voltandosi piano lui tornò a fissarla in quelle iridi tanto compatte. “Stima e' una parola grossa, ragazza mia. Comunque per entrare in quel giro ci vogliono delle credenziali che tu non hai. - Sottolineò riferendosi indirettamente al denaro necessario per pagare una sorta di quota d’ammissione al giro clandestino delle corse automobilistiche che da sempre si svolgevano nella loro zona. Tutti sapevano, condannavano, ma nessuno diceva o faceva niente. - In più non hai una macchina, ne un secondo e se pensi di tirare dentro anche Giovanna sei completamente fuori di testa.”

A quell’ultima frase, dove c’era tanta apprensione ed un esplicito riferimento alla sorella, Haruka cercò di non sbottare e rimanendo di un serio quasi preoccupante, rivelò all’amico del padre di essere più che pronta. “Per l’auto non ci sono problemi e un secondo non mi serve.”

Intuendo a cosa la ragazza si riferisse questa volta fu lui a cercare di mantenersi serio, ma il tono scherzoso gli prese comunque la voce irritandola ancora di più. “Vorresti correre con quel catorcio? L’ossatura di quella macchina è andata.”

“L’ossatura sta benissimo!” S’impuntò.

“Ok…, anche fosse…, per le credenziali?” Tagliò corto sempre più agitato asciugandosi le mani alla stoffa del grembiule.

“Quelle le troverò. Ho ancora qualcosa di mio.”

“Vendere la moto non basterà Tenou. Ci vogliono più di quattro zeri per convincere Giano a chiudere uno dei suoi occhi sul fatto che tu sia una donna.” Disse mentre lei si alzava per andarsene.

“Tu non preoccuparti per questo. Davanti ad una mazzetta di soldi siamo tutti asessuati. Organizzami un incontro. Gira voce che alla fine del mese si correrà sulle alture ad est della costa e vedrai che per allora sarò pronta.”

Lasciandolo prima che potesse fermarla o aggiungere scuse che in tutta franchezza lei non voleva sentire, Haruka uscì dal Pub passando le perline colorate della tenda con l’idea di andare in paese a parlare con il notaio di famiglia e fu allora che alzando lo sguardo alla piazzola dove aveva parcheggiato la Ducati, vide Bravery, la sua ex, poggiata sulla sella con le braccia incrociate al petto ed il solito ghigno sul viso.

E che cazzo… , pensò la bionda di malavoglia.

“Tenou!” Esplose l’altra rimanendo inchiodata alla moto. Di per se gesto poco intelligente conoscendo lo spasmodico amore di Haruka per quel bolide a due ruote conquistato anni addietro con tanta fatica.

Avanzando come se nulla fosse Haruka la saluto invitandola a spostarsi. “Cortesemente…”

“Ops… Scusa…” Inarcando il petto le chiese come stesse.

“Benissimo.”

“Stavo andando da mio cugino e ho riconosciuto la tua rossa. Allora ho deciso di farti un salutino. - Iniziando a toccare con l’indice la scritta della casa italiana, enfatizzò il sorriso civettuola. - Certo che ne abbiamo fatte di corse su questo splendore.”

Ed il cielo ne era testimone. Inforcando quella sella erano andate dappertutto, spingendosi verso ogni curva come fosse un traguardo ed inseguendo quella successiva come una necessità di fuga; Bravery dal mondo della Provincia che non le era mai appartenuto ed Haruka dalla tragedia che aveva colpito la sua famiglia. Ogni occasione da cogliere al volo per far rombare il motore, divorando chilometri e paesaggi, l’una incollata all’altra come a formare un’unica persona, un’unica anima fino alla rottura.

Haruka sentì la birra appena bevuta tornarle su. “Cosa fai, mi segui?!”

“Lungi da me Tenou.”

“E allora scusami, ma ho da fare.”

“Con la tua nuova fiamma? - Arpionandole ratta l’avambraccio fece finta di pensarci un attimo. - Aspetta…, come dicono si chiami? … Michiru?”

Non cadendo nella tela del ragno la bionda guardò lontano. “Dovresti conoscermi per sapere quando è ora di fermarsi Bravery.”

“Dal far che?” Domandò avvicinandosi pericolosamente al suo orecchio.

Il solito toppino succinto che sorreggeva il seno piccolo e dannatamente turgido, gli shorts attillati ricavati da un vecchio paio di jeans, non un filo di trucco, ma in compenso tanta di quella bigiotteria da sembrare un albero di Natale. Quanto poteva essere diventata volgare quella donna o forse lo era sempre stata e solo ora, dalla comparazione con un’altra figura femminile entrata improvvisamente nella sua vita, che al sole di una giornata estiva, Haruka ne prendeva piena coscienza. Afferrando l’estemporaneità di quel pensiero non controbatté, anzi, vogliosa di togliersela dai piedi la scansò un poco pronta ad infilarsi il casco.

“Dal provocarmi.”

La moretta stirò le labbra. Conosceva fin troppo bene gli istinti più carnali di quella donna per non rendersi conto di quanto ancora il suo corpo l’attraesse e volendo conferme, tornò ad avvicinarsi, questa volta in maniera più sfacciata.

“Senti, perché non molli tutto e non ci rilassiamo per un paio d’ore? In memoria dei vecchi tempi. Senza pensieri o aspettative. - Solleticandole il lobo sinistro con il calore del fiato continuò abbassando la voce. - Sappiamo entrambe cosa ci piace e se non ricordo male da quel punto di vista abbiamo sempre avuto una gran bella affinità.”

Un leggero squasso nella carne ed Haruka iniziò a vacillare. Serrando gli occhi con violenza si ritrovò proiettata in un passato fatto di sensazioni tattili ed olfattive condite da una leggera perversione, fino a quando le labbra di Bravery arrivarono a saldarsi alle sue.

 

 

Zigzagando tra i tralci, Minako cercò stabilità sulla sella. Sgasando solo un po’, superò una collina fermandosi ad osservare la vigna del Bel Vedere che si estendeva sotto di lei, scandagliando lentamente filare dopo filare.

“Accidenti a te Yaten, ma dove sei?! Ogni volta che devo portarti il pranzo perdo un’infinità di tempo!”

Spegnendo il motore estrasse il cavalletto e scavallando la sella si slacciò e tolse il casco. La giovane Tenou aveva come l’impressione che quella giornata fosse iniziata male e stesse proseguendo peggio. A colazione il viso di sua sorella Haruka era stato tutto un programma, nero, nerissimo, basso come la più ostinata delle creature nordiche, i silenzi di Giovanna ed Usagi la conferma della tensione che stava serpeggiando in casa e la presenza costante di Michiru, la ciliegina sulla torta della sua esaurita pazienza. Una volta terminato quel supplizio, Minako era stata costretta ad accompagnare la maggiore alla cantina, dove aveva cercato di spiegarle la gestione aziendale degli ultimi tre anni e dove, suo malgrado, si era ritrovata ad ammortizzare l’esplosione di sincera incredulità avuta dall’altra per la loro situazione.

Strofinandosi il mento Giovanna aveva lanciato un’imprecazione dopo l’altra, passando e ripassandosi tra le mani carte bancarie, conti, fatture, entrate ed uscite, sempre più convinta che lo spettro di un fallimento fosse dietro l’angolo.

“E se questi figli di puttana la facessero finita di ronzarci intorno come sciacalli su una carcassa, mi sentirei un pochino meglio.” Le aveva detto prendendo l’ultima offerta di acquisizione giunta alla cantina proprio quella stessa mattina.

Minako l’aveva guardata desolata. Ricevere quelle raccomandate era l’ovvia conseguenza della loro disgraziata situazione. Era inutile che anche Giovanna prendesse ad imitare Haruka latrando contro chiunque avesse voluto fare solo un buon affare.

“Figuriamoci se avessimo messo in vendita. Cosa avrebbero fatto, portarci l’acqua con le orecchie?! - Tornando a scorgere i conti, aveva scosso allora la testa lanciando con rabbia i fogli sul piano. - Sai per caso cosa intenda fare Haruka?”

“Non so, non ne abbiamo ancora parlato, ma sono certa che per ora non intenda vendere, anche se detto tra noi, senza la possibilità di un investimento economico per far partire il progetto della First delight, la vedo l’unica soluzione Giovanna.”

“No! - Aveva stirato fuori dai denti l’altra alzandosi dalla poltrona ed iniziando a gironzolare per l’ufficio come un’anima in pena. - Non possiamo arrenderci così! Ci deve essere qualcosa che possiamo ancora fare per non colare a picco.”

“Si, ma quale?!”

“Non lo so Mina! Non lo so! Ma dobbiamo metterci tutte intorno ad un tavolo per cercare dei liquidi. Ma prima di tutto devo parlare con Haruka… Non riesco a capire se il non accettare l’idea della delight dipenda dall’astio che nutre per me o dalla convinzione che ormai, arrivate a questo punto, sia soltanto una perdita di tempo.” E lo aveva detto più a se stessa che alla biondina seduta sul piano della scrivania accanto a lei.

“Buona fortuna allora…”

“Non fare così!”

“Così come, Giò?! La nostra casa, i vigneti, le macchine…, tutto il nostro passato, presente e futuro sono in bilico ed io non dovrei sorridere sul fatto che le mie due sorelle maggiori non soltanto non sappiano che pesci prendere, ma non si parlino neanche?! Ma andiamo! Siete ridicole… e fino a quando non deciderete di comportarvi da adulte, io non intendo farvi da balia!” Sbottando aveva fatto per uscire.

“Dove vai adesso?!”

“A casa. Ho da fare!” Necessitava d’aria e del sorriso del suo uomo.

Camminando velocemente era scesa per le scale intravedendo Usagi porgere dei documenti a Michiru e richiamando l’attenzione della più piccola le aveva annunciato che avrebbe mangiato nei campi con Yaten.

Ma ora, con il sole in faccia, il vento tra i capelli lasciati finalmente sciolti e la pace delle sue vigne, si ritrovava a guardarsi intorno non riuscendo a vederlo.

“Io lo sapevo che oggi avrei dovuto rimanermene a casa.” Disse nascondendosi all’ombra di una quercia venendo attratta da un motore in lontananza. Portandosi una mano alla fronte notò la scia polverosa di un mezzo percorrere velocemente la riva del torrente sul lato dei possedimenti dei Kiba e convinta fosse il suo ragazzo, riprese la moto sperando d’intercettarlo verso il ponte.

 

 

In tarda mattinata uscì dal ciclo di produzione sorridendo di se stessa. Non avrebbe mai pensato che una musicista come lei si sarebbe ritrovata a cimentarsi con l’organigramma di un’azienda vinicola. Da qualche giorno aveva preso ad aiutare Usagi in amministrazione e doveva ammettere che anche se lontano anni luce dal suo io artistico, quel lavoro iniziava a piacerle e poteva dire senza peccare di presunzione di esserci anche piuttosto portata. Ma era soprattutto per merito della piccola di casa Tenou che Michiru stava riuscendo a dare il massimo. L’essere affiancata ad una persona tanto solare e spensierata rincuorava lo spirito rendendo tutto più leggero. Quasi giocoso. E di leggerezza in quel momento ne serviva tanta. Infatti con il ritorno di Giovanna in ufficio tutto era diventato più complicato, soprattutto i rapporti interpersonali all’interno della cantina e fino a quando lei ed Haruka non si avessero deciso di remare dalla stessa parte, i dipendenti avrebbero avvertito solamente incertezza.

Respirando l’aria tornata sahariana, Kaiou iniziò ad avvertire il suono delle acque del torrente pensando di fare una capatina al roveto vicino al ponticello. Minako andava matta per le more e visto con quanta ostinazione continuava a non volerla accettare, magari l'avrebbe addolcirla un po’ con l’aiuto del fattore gola. Accarezzando l’erba alta del greto stava per aggirare i rovi quando l’ormai famigerato quad nero del centauro vestito del medesimo colore, apparve dalla parte opposta del torrente, vicino, vicinissimo e a motore spento.

Braccia incrociate alla giacca a vento, casco integrale dalla visiera questa volta abbassata, ma con l’inconfondibile lunga coda di cavallo adagiata su una spalla. Sembrava un’inquietante sentinella pronta alla difesa di un ponte levatoio.

“Seiya…” Disse cambiando rapidamente direzione.

Decisa, non l’avrebbe lasciato scappare. Sarebbe riuscita a capire cosa diavolo stava succedendo.

 

 

Il fuoco che sentiva di avere ancora sulla pelle non si era spento, così, una volta arrivata a casa dello zio Kiba e cambiatasi di tutto punto, aveva deciso di farsi una bella corsa per i vigneti domando un motore potente. Con l’eco olfattivo di Haruka ancora nelle narici, confuse i suoi respiri al rombo del quad provando a non pensare a quanto il sapore delle sue labbra le fosse mancato. Da quando conosceva Tenou, o per meglio dire, da quando erano diventate una coppia, Bravery era sempre riuscita ad ottenere soddisfazione da lei, fosse un capriccio come un vestito o qualcosa di più serio. La bionda era un tipo tosto e con sanissimi principi morali, ma quanto alle più istintive voglie sessuali, era una donna emancipata ed abbastanza arrendevole. Ed era per questo che anche questa volta la moretta era riuscita a portare il punto, appagando, anche se solo in parte, quel folle prurito che da quando l’aveva rivista era riapparso nella solitudine delle sue notti come un’indomabile necessità. Non che volesse ricucire uno strappo ormai troppo grande, aveva la sua bella vita a Portland e sinceramente non le interessavano rapporti a distanza con caratteri complicati e taglienti come quello di Tenou, soprattutto dopo essere stata lei a soffrire per quella rottura, ma voleva divertirsi un po’. Haruka l’aveva sempre eccitata e costi quel che costi sarebbe riuscita a portarsela a letto prima della fine della sua vacanza.

Il primo passo era stato fatto; un bacio prolungato anche se non profondissimo come avrebbe sperato. Tutto il resto sarebbe poi venuto di conseguenza.

“Senti, perché non molli tutto e non ci rilassiamo per un paio d’ore? In memoria dei vecchi tempi. Senza pensieri o aspettative…” E con quella sensibilità accresciuta in anni di conoscenza, aveva visto quanto Haruka fosse stata sul punto di cedere.

Lentamente, ma senza nessuna riserva, Bravery le si era avvicinata, insinuando le dita della destra tra la giacca e le pieghe della maglietta, con l’obbiettivo di arrivarle al calore della pelle del fianco. E per qualche secondo c’era anche riuscita. Le aveva visto socchiudere gli occhi ed un brivido folgorarla, la mascella serrarsi e la resistenza sciogliersi man mano che l’audacia del suo tocco avanzava verso i bottoni dei jeans. Infine il bacio.

Dopo quel tentennamento, la bionda aveva improvvisamente scansato il viso spezzando il contatto. Arpionandole la mano con forza rabbiosa l’aveva fulminata riappropriandosi dello spazio spingendola via da se. Infine aveva inforcato casco e sella e senza dire una parola aveva messo in moto fuggendo via come se si fosse sentita in colpa. La causa di quella reazione? La misteriosa forestiera.

Se Bravery voleva togliersi quella soddisfazione, doveva prima soffocare il sentimento che Haruka nutriva per Michiru, perché ora come ora quella donna era un ostacolo, un intralcio bello e formoso dagli occhi blu, un impedimento che era riuscito ad arrivare nel luogo che la bionda aveva sempre precluso alle altre; ovvero il suo cuore. Tenou si stava innamorando ed era stata questa consapevolezza a dare alla moretta lo stimolo per tornarle sotto. Più di una volta, protetta dalle fioche luci del Pub, le aveva viste chiacchierare sedute ad un tavolo, occhi negli occhi, come due vecchie amiche. Una che raccontava, l’altra che rideva. Un duetto come ce ne sono tanti, tranne per il fatto che a Bravery non era passato inosservato lo scintillio che si accendeva nello sguardo della bionda ogni qual volta la forestiera le sorrideva.

E’ ora di alzare l’asticella, mia cara Michiru, si disse arrivando al ponte. Aveva giocato con lei per giorni, come un gatto col topo. Un insperato gingillo piovutole dal cielo in quella noiosissima estate di provincia e si era divertita da matti. Ma era arrivato il momento di calare gli assi e strapparla da quella casa e dalla testa di Haruka. Non avrebbe avuto remore a farlo e proprio come nei giorni precedenti si preparò all’entrata in scena. Spegnendo il quad nero attese al fresco del torrente il suo arrivo e quando la intravide puntuale come sempre scendere dalla strada sterrata che portava alla cantina Tenou, incrociò le braccia al petto pregustandosi la nuova partita. La seguì con lo sguardo affossare la cadenza dei passi nel terriccio polveroso con leggiadra eleganza, come se stesse danzando, ammettendo senza non poco disturbo quanto fosse una bellissima donna.

 

 

“Seiya…”

Nel sentire quel nome Bravery provò un sentimento strano e rimanendo in stallo attese che le fosse sufficientemente vicina.

“Sei tu?” Chiese la forestiera tra lo stupore e il terrore puro.

Emettendo un ghigno ovattato dalla gommapiuma, il centauro si sfilò il casco scuotendo la testa. “E no, mi dispiace, ma non sono l’uomo che cerchi.” Le rispose guardando con infinita soddisfazione la fronte di Michiru aggrottarsi.

“Ma sono convintissima che per te sia più una fortuna che un dispiacere… o sbaglio forse?”

Ancora un attimo di disorientamento e sentito il tono Kaiou passò alla difesa, forte di aver scoperto di non essere una pazza visionaria.

“Ci conosciamo?!” E alzando il mento formicolò i nervi dell’altra.

Come un crotalo pronto al morso, Bravery scese dalla sella sovrastandola in l’altezza.

“Altezzosa come sempre vedo. Comunque direi proprio di si… signorina… Kaiou.”

Una frustata in piena carotide le avrebbe lasciato più fiato in gola. Nel sentir pronunciato il suo cognome con tanta naturalezza a Michiru vacillarono le gambe.

“Chi… sei?!” Domandò cercando di mantenere la calma.

“Chi sono? - Rigirandosi il casco nelle mani stirò un sorriso sghembo pieno di significati. - O su… Pensavo che vedendomi ci saresti arrivata da sola. Guardami meglio… Michi.”

A quel nomignolo che erano soliti usare in pochi, la forestiera scattò come una molla intimandole di farla finita.

“Non scaldarti tanto kaiou…”

“Basta con questo gioco! Dimmi chi diavolo sei e perché mi conosci!”

“Non sono una tua fans, se è questo che pensi, piuttosto…, una parente?” E sbottò a ridere.

“Cosa significa?!”

“Già… detto così può suonare ambiguo. Evidentemente non ti ha mai fatto vedere una mia foto. In effetti non è solito raccontare della sua famiglia, anche se credevo che con la sua donna, prima o poi si sarebbe sbottonato almeno un po’. - Posando il casco sulla sella si allontanò di qualche metro. - Devo confessarti che la cosa mi ferisce, ma forse ti ha parlato di me usando un altro nome. Il nome che predilige e che ha sempre amato di più… Il nome di Stella…”

Michiru rabbrividì guardandola voltarsi.

“Tu saresti… Stella?”

“Bravery Stella … Kou.”

Nei ricordi di Michiru la voce di Seiya che le raccontava di lei. “Adoro la mia Stella e mi dispiace che sia andata a vivere tanto lontano da me.”

“Esatto mia cara Michiru! Io sono Stella, la sorella gemella di Seiya, il tuo compagno, nonché manager.”

Fu solo dopo quella scioccante rivelazione che, in una frazione di secondo, Michiru riconobbe tutte le affinità tra il volto del suo ex e quello della donna che ora le stava davanti. Entrambi mori, con la stessa acconciatura tanto in voga sulla West Coast statunitense. Gli occhi neri come pece, le labbra e il naso sottili. I lineamenti regolari. Entrambi alti e molto magri. Lo stesso Seiya non aveva mai avuto interesse per un corpo muscoloso, ecco perché con una giacca ed un paio di Kombat, da lontano e su un quad, si era confusa. Si spiegava così l’arcano delle visioni che Michiru stava avendo da settimane.

Ma c’era dell’altro; il primo nome di quella donna era …

“Bravery?! Allora tu saresti anche…”

“L’ex della nostra Haruka. Già… Piccolo il mondo, vero? Immaginati che faccia ho fatto io quando ti ho vista entrare la prima volta al Pub di Max con la bionda accanto. Michiru Kaiou, la grande musa dell’archetto, venutasi a sbattere in uno sputo di posto come questo! Sai, all’inizio ho pensato solo ad un’impressionante somiglianza. Cosa poteva farci qui il Primo Violino della Filarmonica di Vienna? Poi…, dopo una più che esaustiva telefonata fatta al mio fratellino… - divertendosi come non mai le tornò davanti avvertendone il panico. - … sono venuta a sapere tante cosucce. Per esempio della scenata che una sempre compostissima Kaiou ha fatto una sera davanti a mezza dirigenza della Union Artists Foundation, la sua fuga e la rottura con quello che, ha tutti gli effetti, è ancora l’uomo che la ama!” Quest’ultima frase la caricò d’astio, perché se bene i due fratelli avessero scelto strade diverse, vivessero in continenti diversi e non si sentissero poi così tanto spesso, continuava ad avere con lui un legame gemellare molto forte.

Un passo indietro e Michiru dovette forzarsi dal non scappare via. Stava vivendo un incubo ancor più agghiacciante dell’essere stata trovata dall’uomo e dal mondo dai quali si stava nascondendo.

“Ascolta… - Ansimò prima di schiarirsi la voce e farla tornare salda. - Se parli così evidentemente il buon Seiya ti ha raccontato solamente la sua versione dei fatti e per quanto tu possa amarlo, questi non sono affari tuoi. Mi dispiace di averti conosciuta in questo modo, ma l’essere sua sorella non ti autorizza a metter bocca nelle nostre faccende professionali e soprattutto, personali.”

“Mi aveva detto che eri stronza, ma non credevo fino a questo punto…”

Ma Michiru non rispose alla provocazione. Era troppo intelligente per non capire di dover stare in guardia. Non avere alcuna arma; ne di offesa, ne tanto meno di difesa e per questo scelse di calare subito le carte in tavola.

“Vediamo un po’ se indovino, Stella…”

“Bravery! Solo Seiya può chiamarmi così!”

Alzando le mani la violinista si corresse prontamente.” Bravery… Intesi. Sono settimane che sono qui, che ti vedo gironzolarmi attorno saltarmi davanti quando meno me lo aspetto. Dunque perché ti saresti presentata solo ora? Ti ha stancato il gioco?”

“No Kaiou… , Il gioco mi piaceva tantissimo.”

“Allora?!”

“La posta è cambiata.”

“Posta?! Quale posta?”

La mora le si avvicinò al viso sussurrandole il nome di Haruka.

“Haruka? - Ripeté l’altra indietreggiando il collo per fissarla negli occhi. - Cosa c’entra lei con me?”

“Oh, c’entra e come. Sai… rivedendola mi sono resa conto che mi attrae ancora.”

Kaiou si perse. “Continuo a non capire…”

“Forse devo essere più esplicita. Con te che le vivi in casa, ora come ora mi risulterebbe difficile, se non impossibile, riallacciare con lei un qualsiasi tipo di rapporto.”

Rimase ancora sul vago. Sapeva che la compagna del fratello non aveva mai guardato o desiderato il corpo di un’altra donna, ma non voleva certo rischiare di gettare Michiru nelle braccia della bionda rivelandole sentimenti che Kaiou non aveva notato o che non erano ancora stati espressi dalla stessa Haruka.

Leggermente interdetta Michiru dovette guardarla in uno modo irritante perché Bravery esplose. “Ma di, sei cieca!”

“Non sono cieca, sono esasperata! Insomma, dimmi cosa vuoi!”

“Che tu te ne vada! - Le urlò contro. - Vattene! Torna da Seiya o vai all’inferno, non m’interessa, ma sparisci dalla vita di Haruka!”

Allontanarsi da Haruka? Da quella masseria che era diventata ormai la sua fortezza, il suo punto fisso, il suo equilibrio? Scuotendo la testa Michiru stirò le labbra come se avesse appena ascoltato la cosa più assurda del mondo.

“Tu sei pazza. Non ho nessuna intenzione di…”

“Vuoi che lo chiami?! Vuoi davvero che dica a mio fratello dove cazzo sei finita? Che lo sappia il signor Stërn o il responsabile artistico della Filarmonica? Vuoi davvero questo, Kaiou?!”

Un sussulto cardiaco e Michiru capì di essere stata messa con le spalle al muro.

“Un ricatto!?”

“Un patto. Tu alzi le tende e sparisci dalla vita di Tenou ed io ti prometto che questa tua breve pausa di riflessione rimarrà fra noi.”

Scese allora un silenzio assordante. Per interi secondi restarono l’una nelle iridi dell’altra, senza cedere ed abbassare lo sguardo, poi fu Bravery a chiudere la partita.

“Hai fino alla fine della settimana, poi se non ti saprò partita, farò quella telefonata e sai meglio di me come andrà a finire. In un modo o nell’altro ti farai male.”

Con molta probabilità si sarebbe trovata Seiya davanti all’uscio di casa Tenou in meno di mezza giornata, ma visto con quale assurda cattiveria quella donna prometteva di agire, Michiru non si sarebbe stupita di vedersi sbattuta sulla prima pagina di qualche giornale scandalistico con un titolone forviante del tipo; dal crine di un archetto alla nodosità di una vite. Quale fine per la grande Michiru Kaiou!

I miei genitori, pensò iniziando a sudare.

Li aveva sentiti e rassicurati. L’eco della sua fuga era stato abilmente soffocato dalla U.A.F. e neanche loro sapevano il vero motivo della momentanea sospensione dell’attività concertistica della figlia. Una pausa per riprendersi dalla sua ultima turnè. Nulla più.

“Mio fratello è un uomo docile, ma se stuzzicato può diventare cattivo e tu con questa alzata di testa l’hai ferito nel suo orgoglio di uomo. Potrebbe non far nulla, come potrebbe montar su un casino pazzesco. Sta a te scegliere. Rischiartela rimanendo o andartene e salvare il tuo bel faccino.” Concluse risalendo in sella.

“Fino alla fine della settimana!” Rimarcò mostrandole l’indice della destra per poi girare la chiave, far rombare il motore e partire gettando sulle gambe dell’altra una nuvola terrosa.

E Michiru iniziò a sentirsi mancare.

 

 

Aveva intravisto uno dei quad della famiglia Kiba allontanarsi dalla sponda sinistra del torrente e non potendo certo trattarsi di Yaten, stava per cambiare direzione quando una figura nei pressi del ponte la fece fermare. Provando a mettere a fuoco riconobbe uno dei vestiti leggeri che Michiru portava adesso che stava affiancando Usagi in amministrazione. Un sospiro scocciato e decise di andare a vedere il perché quella figlia di papà stesse perdendo tempo inchiodata come un fuso sotto al sole. Faceva un gran caldo e mossasi a pietà l’avrebbe tirata su per darle un passaggio fino a casa.

Arrivata a qualche metro dalla donna suonò il clacson gettandole una voce per farla voltare.

“Hei Michiru!” Urlò provando improvvisamente uno strano senso d’ansia.

Le spalle scosse da un respiro affannoso, la destra poggiata al petto, la sinistra stretta a pugno dimenticata lungo il fianco e ancor prima che l’altra si voltasse con un’espressione che era tutto un programma, Minako riconobbe i sintomi purtroppo per lei già noti di una crisi di panico.

Cercando un punto abbastanza in piano per bloccare la moto sul cavalletto, scese fiondandosi appena in tempo per sentirsela scivolare contro. “Stai calma. - Ordinò bloccandole la fronte gelata nel palmo aiutandola a sedersi all’ombra. - Respira Michiru, cerca di respirare.”

“Non… ci riesco… Mina…”

“Non è niente. Ti aiuto io. Aspetta un attimo…” In due balzi raggiunse il manubrio della moto prendendo dalla busta di plastica contenente il pranzo suo e di Yaten, il sacchetto di carta dove aveva messo dei tramezzini.

“Ecco… Respira qui dentro. - Tornando la costrinse a metterci su naso e bocca. - Dai, brava. Respiri profondi. Forza che non è niente.”

“Non voglio… andare via. Mi troverà. Mina… , mi troverà…”

“Ssss… Respira ho detto! - Tenendosela premuta al petto la sentì arrendersi. - Così… Sei bravissima.”

E pian piano Michiru si calmò. Abbandonando la testa sulla spalla di Minako chiuse gli occhi trovando sollievo.

Ma guarda che cazzo mi tocca fare, pensò la biondina iniziando ad accarezzarle i capelli mentre l’altra continuava a tenere con avidità il sacchetto sul viso.

Un paio di minuti più tardi la più grande lo scansò rassicurandola. “Va meglio, grazie.”

“Mmmm… Sicura?”

Soffiando un si, Kaiou tornò a chiudere gli occhi rimanendo però accoccolata tra le sue braccia. “Come lo hai capito?”

“Cosa? L’attacco di panico? Bhe, devi sapere che dopo la morte dei nostri genitori Usa ne ha sofferto per mesi.”

“Allora è stata una doppia fortuna che stessi passando di qui e che sapessi cosa fare.” Ammise esausta.

“Diciamo di si. Senti un po’ Michiru…, perché dovresti andare via? Hai discusso con Haruka o Giovanna?”

“No.” Ancora sofferente la sentì spostarsi per rialzarsi ed andare al sacchetto che penzolava ancora al lato del manubrio.

“Allora questo attacco è colpa del centauro vestito di nero che ho visto salire su per la collina dei Kiba. - Ed aprendo la borraccia termica le porse il te freddo portato come accompagno per il pranzo. - Chi era?”

Sentendosi ancora le gambe molli, Michiru la prese cercando di minimizzare. “Ti ringrazio per il tuo aiuto, ma non è stato niente, davvero.”

“Come ti pare. Ma adesso sarà meglio tornare a casa. Hai bisogno di una doccia e di stenderti un po’. Vedrai che tra qualche ora sarai tutta un dolore.” Disse aiutandola a rialzarsi notando quanto ancora il viso fosse bianco come un cencio.

“Va bene. E… Minako…, ti prego di far si che questa cosa rimanga tra noi.”

Già vicino alla moto la biondina la guardò quasi con sufficienza. “Far finta di nulla non cancellerà il fatto che ci sia qualcosa che ti rode dentro Michiru. Ma ribadisco… Fai come credi.”

 

 

La giornata era trascorsa laboriosa come al solito. Dopo essere tornata dal notaio, Haruka aveva avuto bisogno di farsi una doccia per lavarsi di dosso il disagio che il bacio di Bravery le aveva lasciato. Non sopportava il fatto che il suo corpo avesse reagito al suo tocco. Come non sopportava che, anche se per pochissimi istanti, quella donna avesse avuto il controllo su di lei. Ed infine non sopportava di sentirsi in colpa nei confronti di Michiru.

Non si erano viste per tutto il giorno. Con una scusa la forestiera non aveva pranzato e la bionda aveva dovuto mangiare sola come un cane. Invece a cena, grazie alla complicità tra Yaten e Giovanna, in casa c’era stata anche più confusione del solito. Si era alzato un po’ troppo il gomito e per questo il ragazzo era stato invitato a dormire da loro. E proprio grazie a quell’intermezzo cabarettistico fatto di battute, risate incontrollate e buon vino, che Haruka aveva potuto non pensare alle labbra della moretta, al suo sentirsi un verme nei confronti di una Michiru taciturna che non aveva scambiato con lei neanche uno sguardo e al fatto che, come al solito, Usagi si fosse eclissata nello studio a cicalare con il suo principe azzurro.

Verso le ventitré, quando ormai tutti avevano guadagnato i loro letti, Haruka uscì di casa per dirigersi al silos ed aprendo piano una delle ante sgattaiolò all’interno richiudendosela alle spalle. Accendendo la luce agirò la Mercedes di Michiru gettandole un’occhiata desolata. Avrebbe dovuto aspettare ancora un po’ per essere riparata, perché adesso le sue attenzioni sarebbero andate ad un altro progetto, molto più ambizioso e dannatamente importante. Sospirando afferrò la cerata grigia tutta impolverata che da anni giaceva nell’angolo più nascosto del garage e con un gesto secco ne rimosse una parte. Il muso di una Peugeot 205 turbo 16 la guardò di rimando come una conoscenza ritrovata.

“Devo chiederti un ultimo favore mia vecchia amica. - Disse piano poggiando entrambe le mani sul cofano bianco. - E questa volta non avremo margini d’errore.”

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau.

Scusate il ritardo, ma questo caldo mi a steso e scrivere è difficilissimo. Comunque, il primo colpo di scena l’ho fatto partire. Mi sono sempre chiesta il perché si scriva molto su Seiya uomo e molto poco sulla famosa sorella gemella del coraggio, come da “antico” adattamento anni novanta. Così ne ho approfittato creando Bravery, coraggio, ed affiancandola ad Haruka, intrecciandola poi con Michiru tramite Kou stesso. Insomma, un gran macello hahaha.

Non ho ancora le idee chiare su cosa sceglierà di fare Kaiou, non ce la vedo cedere ad un ricatto, ma la situazione potrebbe spingerla ad una nuova fuga. Come non so se, vistala in difficoltà, Minako inizierà ad abbassare la diffidenza che nutre per il mondo della bella vita. Però una cosa la so; Tenou farà danno come al solito.

A presto.

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Capitolo 6
*** Luci ed ombre ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Luci ed ombre

 

Cacciando pesantemente l’ossigeno fuori dai polmoni, estrasse la destra dalla tasca dei pantaloncini portandosela alla fronte e socchiudendo gli occhi iniziò a torturarsi il labbro inferiore con gli incisivi. Non staccando l’attenzione dalla strada che correva sotto la collinetta dove si era appostata, vide la sorella scarabocchiare qualcosa su un blocco prima di riprendere a camminare al lato della massicciata. Scuotendo la testa Giovanna fece altrettanto tornando a seguirla dall’alto.

Era più di mezzora che aveva iniziato quella specie di pedinamento e più osservava le movenze della bionda e più si faceva largo in lei la consapevolezza che Haruka si fosse cacciata in un’incommensurabile casino. O forse non lo aveva ancora fatto, chi poteva dirlo?! Erano due giorni che stava cercando di parlarle ed altrettanti che quella testa di piombo faceva di tutto per evitare il confronto. Così la maggiore aveva deciso che per ottenere qualcosa, avrebbe dovuto prendere il così detto toro per le corna e costringerla quanto meno a starla a sentire.

Si ritrovava ora in una zona della Provincia che non conosceva affatto, a ridosso della costa, dove alle pinete si sostituivano dune, colline sabbiose ricoperte da vegetazione ed una lunga strada, in parte battuta in parte asfaltata, piena di curve e saliscendi. Location spettacolare per una corsa di rally.

“Perché stai rilevando la strada, brutta testa a pera?! Dimmi che sono solo paranoica. Dimmi che sei venuta a sbatterti in questo posto solo per farti una passeggiata.” Si disse sconsolata saltando una pendenza.

Praticamente Haruka era sparita di casa, il che per Giovanna poteva benissimo dipendere dal suo ritorno o molto più probabilmente dalla pericolosa idea di far velocemente cassa partecipando ad una delle tante gare clandestine che in quella stagione si correvano in Provincia. Non la si vedeva che durante la prima colazione e la cena, sporadicamente andare e venire da vari punti delle vigne, sempre con il muso lungo e sempre come se si sentisse una furia alata incollata sulla schiena. La sera poi si chiudeva nel silos fino a notte fonda, ufficialmente per aggiustare la macchina di Michiru, ufficiosamente per verificare le condizioni della Peugeot dei loro genitori. E Giovanna che la conosceva bene, aveva capito tutto.

Questo comportamento da istrice del deserto aveva preso ad andare di pari passo con la comparsa in casa Tenou di una vecchia conoscenza; ovvero Bravery Kou. L’invadenza di quella moretta stava ormai toccando livelli da stalkeraggio spinto, tanto che la stessa Usagi, unica tra tutte ad averla sempre accettata sia prima che durante il rapporto con Haruka, aveva iniziato a nascondersi ogni volta che la vedeva arrivare alla masseria. Erano così palesi le sue intenzioni nei confronti di Haruka, che a vederla gironzolare nella vaga speranza d’incontrarla metteva quasi tenerezza. Ma se soltanto una Giovanna alla quale piaceva molto la presenza in casa di una figura come Michiru, avesse immaginato che per arrivare a soddisfare le proprie voglie Bravery stesse minacciando quella povera donna, l’avrebbe presa a calci fino al cancello d’ingresso.

Anche la forestiera aveva iniziato a comportarsi stranamente. La serenità comparsale sulla pelle del viso qualche giorno dopo il suo arrivo era sparita, così come i suoi sorrisi generosi. Solo la produttività sul lavoro sembrava essersi amplificata di colpo, portandola a veri e propri tour de force non richiesti che avevano iniziato a preoccupare.

Sbuffando all'aria calda Giovanna continuò a seguire la bionda con lo sguardo.

Quella che era a tutti gli effetti una sorella maggiore, sentiva di aver perso completamente il contatto con la sua famiglia, con i ritmi dell’azienda e le sue dinamiche. Era stata una girovaga per anni e questo l’aveva maturata di colpo. Aveva dovuto imparare a cavarsela da sola e per un carattere casalingo come il suo era stato un inferno. Ma questo lo avevano fatto anche le sue sorelle e così ora non riconosceva più la piccola Usagi, l’esuberante Minako o la sua coriacea Haruka. Ed era inutile che continuasse a rodersi l’anima domandandosi cosa sarebbe successo se fosse rimasta a casa. Inutile e stupido.

Era pronta a pagare lo scotto emotivo del suo allontanamento dalla masseria e dai cuori delle sue sorelle, ma non lo era altrettanto per la questione della First delight. Puoi anche sputarmi in faccia e non parlarmi più per il resto dei miei giorni Haruka, ma per quanto riguarda gli innesti devo saperti dalla mia parte. Non credo di essere in grado di portare avanti un progetto tanto impegnativo da sola.

Rimuginando tra se tornò alla piazzola dove sia lei che la sorella avevano parcheggiato i rispettivi mezzi e sedendosi in macchina aspettò il ritorno della bionda fino a quando non la scorse saltar fuori da un cespuglio quasi un’ora più tardi. Nervosa si alzò come prima di uno scontro armato.

Tornando con le suole sull’asfalto, Haruka se la ritrovò ad un passo in men che non si dica corrugando la fronte in una smorfia di sorpresa. “Giovanna?”

“Ciao…” E gli occhi della maggiore caddero sulla piantina della zona.

Come colta a copiare, l’altra richiuse il blocco stringendoselo al fianco. “Perché sei qui?”

“E da questa mattina presto che ti sto seguendo.” Ammise candidamente alzando un poco le spalle.

“Anche tu?! Non basta quell’imbecille di Bravery? Cos’è una moda estiva?” Passandole accanto cercò di schizzar via. Sapeva che prima o poi avrebbero dovuto confrontarsi, ma proprio non era quello il momento.

“Haru, dobbiamo parlare.”

“Non ora Giò!”

“E quando?” Chiese rimanendole incollata.

“Non ora! - Sentendosi bloccata per un avambraccio si voltò sovrastandola come un cane pronto al morso. - Dì…, sei sorda?!”

“Mi dici che stai combinando o devo chiedere a Max?!”

Ammettendone intimamente la sagacia, Haruka scoppiò a ridere tornando a camminare. “Cosa c’entra Max?”

“Credo di ricordare come si preparano gli appunti per una gara e visto che questi qui sotto sono terreni troppo isolati per delle corse ufficiali…, vien da se che o stai lavorando per qualcuno, e volesse il cielo, oppure…”

“Visioni Giovanna! Tu hai le visioni!”

“Un cazzo. - Strappandole il blocco da dietro lo aprì e da buon navigatore corse con occhio esperto ai numeri espressi in gradi scritti compostamente al lato di ogni curva, dosso, terrapieno e rettilineo. - Oddio…, speravo di essermi sbagliata e invece sei davvero stupida come credevo!”

“Fottiti!” E si riprese il blocco mollandole uno spintone.

“No bella mia, sarà lui a fotterti se ti invischi nel giro delle corse clandestine.”

“Apri bene le orecchie... Haruka Tenou non si è mai fatta fottere da nessuno. Chiaro!?”

Gli occhi, gli occhi che parlano da soli e rivelano paura, sbandamento. Giovanna se la guardò provando un’immensa pena. Quanto poteva essere testarda sua sorella.

Incassando il collo e facendo spallucce, stirò le labbra montando improvvisamente una faccia buffa. “Metaforicamente parlando… Vero Haruka?!”

Da sempre sapeva come prenderla ed anche quel giorno Giovanna riuscì a ritagliarsi un pertugio in quella corazza granitica che era la bionda. Qualche secondo ed Haruka cedette e per la prima volta da quando aveva rivisto l’altra sogghignò alla battuta scemando i nervi.

“Non posso fare altro Giò. - Ammise abbassando la testa scuotendola un poco. - Non mi viene in mente altro. Non so proprio come uscirne.”

“Entrando a piene mani nell’ennesimo casino?”

“Hai un’idea migliore per far soldi? Una rapida, indolore e che ci apra le porte di una Disneyland con Pluto, Pippo e Paperino? E comunque non hai alcun diritto di venirmi a giudicare!”

“Non ti sto giudicando.”

“Si che lo stai facendo! Avanti, dimmi che in questi anni ho fatto un errore dopo l’altro nella gestione dell’azienda! Dimmi che se ci fossi stata tu non saremmo arrivate al punto di dover scegliere se dichiarare fallimento o metterci nelle mani di un porco come Giano!”

“Haru… ascoltami.. Gli errori ci sono stati, è vero, ma io avrei fatto le tue stesse scelte. Te lo assicuro.” Guardando i conti dell’azienda, Giovanna aveva capito che se fosse stata al posto della bionda avrebbe fatto gli stessi passaggi e perciò anche le stesse valutazioni sbagliate.

Serrando la mascella l’altra ebbe un fremito di rabbia. “In ogni caso non avresti dovuto andartene… In due sarebbe stato più facile.”

“Quando sono partita credevo veramente di stare facendo il bene di tutte. Come credevo che il mio viaggio sarebbe durato molto meno, ma ogni volta che pensavo di poter tornare con un successo, mi ritrovavo con un pugno di mosche e basta. Un vigneto dopo l’altro. Sempre in viaggio. Sempre con quella voglia di casa che non mi abbandonava mai. Sempre da sola, con la paura di fallire e di ritrovarmi ad ammettere di aver sacrificato tutto per un’utopia. E allora andavo avanti, perché non potevo avervi lasciato sole per niente. Puoi anche non crederci, ma è così. Ero fermamente convinta che trovando quella pianta di vite la nostra azienda avrebbe potuto triplicare la produzione primeggiando finalmente con le altre. Sono una brava persona, anche se con questo gesto sono diventata la cattiva della famiglia e so di chiederti un enorme sforzo di fiducia, ma se anche tu partecipassi a questo progetto sono sicura che insieme potremmo farcela. - Sfiorandole la pelle del braccio continuò. - Non mi pento di essere partita, ma per averti lasciata sola per tutto questo tempo…, per questo si. Ti chiedo scusa.”

Vacillando Haruka continuò a tenere la testa bassa. “Perché mi stai dicendo tutto questo?!”

“Perché te lo devo e perché non voglio che tu faccia una stupidaggine colossale!”

“Dobbiamo ripianare il bilancio!”

“Lo so.”

“E sai anche che se vogliamo veramente buttarci nel progetto della delight abbiamo bisogno di ancora più liquidi?”

Dilatando le pupille Giovanna le fece capolino da sotto il mento. “Dunque non la ritieni un’idea stupida!”

“Mmmm…”

“Allora sei con me! E guardami…”

“Si dannazione! Non è un’idea del tutto campata per aria, anzi, se fossi riuscita a trovare quella pianta anche solo due anni fa, allora forse… E poi era il sogno di papà.”

“Senti Haru, un modo per far soldi legali forse c’è. Devi darmi solo un po’ di tempo.”

“Dici sul serio?” E le sembrò di rivedere la luce fuori dal tunnel.

“Credo. Spero. Non dipende da me, ma posso provarci.”

Distogliendo lo sguardo improvvisamente pensierosa, la bionda sembrò accettare la cosa. “Quanto tempo ti serve?”

“Poco. Già questa sera ti saprò dire. In ogni caso questa volta non ti lascerò sola.”

Un sorriso sghembo e la sorella tornò a chiudersi riprendendo la strada verso la sua rossa.

 

 

“Lo sai che se Haruka dovesse beccaci a far roba nel capanno sarebbero guai… Vero amore?!”

“Non stiamo facendo nulla che lei stessa non faccia ogni volta che la sera sparisce in città.” Si difese Minako afferrando la canottiera per coprire la procacità del suo seno.

“Sarà, ma la prossima volta preferirei farlo a casa.” L’imitò lui poco convinto.

“Da quando in qua ami i confort? E poi non sei stato tu a dirmi che avevi una voglia allucinante?!” Piccata lo guardò alzarsi da terra ammettendo al suo essere femminile quanto Yaten fosse dannatamente sexy. Sudato, sporco di terra, la sua fragranza di uomo ancora a formicolarle le narici.

“Meglio uscire di qui prima che ti salti addosso un’altra volta.” Disse la biondina aprendo alla luce la porta metallica della piccola struttura seminascosta sul confine tra i terreni di Giovanna e quelli di Usagi.

Bloccandola per i fianchi proprio sull’uscio lui le ridacchiò sulla spalla. “Allora ammetti di essere stata tu a sedurmi!?”

“Stai fermo, mi pizzichi! - Rannicchiandosi nel suo petto si sentì cullata come una bambina. - Con questa barbetta sembri una grattugia. Sei sciatto!”

“Ma sentitela…” Ed iniziò a farle il solletico proprio mentre l’eco di un motore andava perdendosi lungo la valle.

Bloccandosi entrambi scorsero il quad nero di Bravery transitare velocemente lungo le pendici della collina.

“Ancora la nipote del vecchio Kiba?! - Il ragazzo richiuse la porta continuando a guardare la leggera nuvola di polvere prodotta dalle ruote dentate del mezzo. - Ma quanto rompe! Non si sarà mica rimessa con il capo.”

“No, ma ha qualcosa sta mirando.” Confermò la ragazza esasperata da quelle continue visite a sorpresa.

“Se vuole portarsela a letto lo facesse e basta! Così si sta rendendo ridicola.” Improvvisamente fissato storto, deglutì sorridendo furbescamente.

“Voi uomini siete tutti uguali! Non è solo una questione di sesso.”

“A no?!”

“No. La mente femminile è molto più sottile, credimi. Il suo sembrare ridicola nasconde molto di più. Si sta divertendo e questo mi da fastidio.”

“Credi sia perché si dice in giro che Haru se la faccia con la bella forestiera?” Chiese scettico continuando a fissarle gli occhi celesti mentre camminava a ritroso verso il Landini parcheggiato poco oltre.

“E per chi altro? Le rode da morire che quella donna viva da noi ed anche se non tornerà mai con Haruka, il solo fatto che una come Michiru le ronzi intorno ha riacceso in lei qualcosa di perverso. E sono sicura… “ Lo guardò arpionare le scalette per issarsi al posto di guida.

“Sei sicura?”

Un sospiro pensieroso e Minako ritornò con la mente alla crisi di panico avuta dalla forestiera. “Sono sicura che stia giocando carte sporche. Quella è infida come lo zio.”

Sistemandosi sulla poltroncina del trattore Yaten la guardò orgoglioso. Se così fosse stato allora sarebbe spettato a lei il compito di proteggere la bella forestiera.

“Ma non ci penso proprio! Non la sopporto e di lei me ne frega il giusto! Che si difenda da sola!” Disse sentendolo ridere.

“E’ inutile che fai la burbera amore. Ti conosco da sempre e lo so come sei fatta. Puoi passare sopra a molte cose, ma non ad una come questa.”

E se la rivide a dieci anni, caschetto biondo, sguardo fiero, la siluette magra e longilinea cinta da una salopette rossa, a spaccar la faccia a chiunque osasse fare il bullo con le bambine più piccole. Una piccola Haruka in miniatura che diventata adolescente, era poi sbocciata in tutta la sua prorompente femminilità. Il corpo ed i gusti nel vestire erano cambiati, così come i modi di vedere ed affrontare la vita, ma quella parte di Mina era rimasta e Yaten ci avrebbe scommesso l’osso del collo che anche questa volta, al solo sentore d’ingiustizia verso un’altra donna, la sua ragazza sarebbe intervenuta.

“Mi piace quando fai la guerriera, mio amore.” Terminò lanciandole un bacio mettendo in moto.

“Stupido.” Borbottò lei allontanandosi di qualche passo per lasciargli spazio di manovra.

“Cosa?” Urlò per farsi sentire.

“Nulla! Vai a lavorare! Cammina!”

Sospirando Minako iniziò a discendere la parte opposta della collina pronta per tornare alle sue faccende. In effetti il suo uomo la conosceva bene, perché nonostante a pelle Michiru non le fosse mai piaciuta, il solo fatto di saperla in una possibile difficoltà a causa del comportamento di una bulletta come Bravery Kou, le faceva saltare i nervi. Così decise che quanto meno avrebbe dovuto vederci chiaro, capire se e perché la mora stesse prendendo di mira la donna.

Un’ora scivolò lenta prima che Minako arrivasse al ciclo di produzione. Parcheggiando la sua moto accanto all’entrata, guardò curiosa la sorella maggiore siglare un paio di bolle d’accompagno stringendo poi la mano all’addetto di un servizio di trasporti.

“Allora signora Tenou, dove vuole che scarichiamo i profilati?” Domandò lui infilandosi la penna nella tasca dello scamiciato.

“Dietro la struttura, grazie.” E con la coda dell’occhio Giovanna vide Mina salutarla da lontano e nel frattempo Michiru ed Usagi cicalare uscendo sul piazzale per la pausa pranzo.

“Aspetti. Vi faccio accompagnare.” Disse all’uomo chiamando le biondine.

“Ragazze avete un briciolo di tempo prima dell’una? - Chiese avendo risposta affermativa. - Bene, allora fatemi una cortesia. Assicuratevi che i profilati per la serra siano abbastanza lontani dallo spiazzo dove gli operai stanno gettando il cemento. Io devo tornare un attimo a casa.”

Tutta contenta Usagi obbedì senza farsi troppi problemi, mentre Minako continuò a fissare la maggiore abbastanza interdetta. Giovanna era quel tipo di persona che preferiva non delegare, soprattutto per cose di una certa importanza.

“Mina? C’è qualcosa che non va?”

“No, ma sei riuscita a parlare con Haru?”

“Più o meno. Pare che per la delight sia dei nostri. Ora devo fare una cosa, ma ti racconterò tutto quando saremo a casa. Pensa tu al materiale, ok?” Non dandole altre spiegazioni sorrise a Kaiou invitandola a tornare insieme a lei alla masseria.

“Vieni Michiru, ti accompagno in macchina.” Incoraggiò lasciando la sorella a guardarle salire e partire dopo una breve manovra.

Ritrovandosi sull’asfalto che portava alla Provinciale, Giovanna cercò di rompere subito il ghiaccio. “Allora come ti trovi a lavorare al ciclo di produzione?”

Alla giovane Tenou piaceva quella donna, eppure, nonostante un carattere assennato e facile alle conoscenze, stava trovando difficoltà nel relazionarsi con lei. Michiru faceva di tutto in casa, non tirandosi mai indietro davanti ad alcun lavoro, indossando abiti semplici, bruciandosi la pelle sotto al sole o passando ore ed ore in amministrazione. Ma nonostante questo, Giovanna provava una sorta di soggezione davanti a tutta la grazia e l'eleganza che trasudavano dai modi di quella forestiera.

“Molto bene. E’ piacevolissimo lavorare fianco a fianco con la piccola Usagi.” Ammise ridacchiando.

“Già, è una persona solare. Certe volte tende a distrarsi, ma devo ammettere di averla trovata molto maturata.”

Superando in scioltezza un altro mezzo tornò sulla carreggiata guardandola di sfuggita. “E’ ancora un cucciolo, ma credo abbia molte potenzialità. Mi dispiace che Haruka non se ne renda conto.”

“O lo sa benissimo invece, è solo che non vuole ammettere che la vostra testolina buffa stia crescendo tanto in fretta. Credo sia tipico delle sorelle maggiori non cedere allo sbocciare di un nuovo fiore per casa.” Ammise posando le mani sulle gambe.

“Parli come se avessi una certa esperienza. Hai fratelli?”

Li aveva? “In verità no, ma Usagi si confida spesso e a guardandovi da fuori è quello che sembra.”

“Credo tu abbia ragione. Allora al tuo arrivo, tutto il casino che regna in casa nostra deve averti fatto una certa impressione.” Svoltando a sinistra verso la strada per la masseria decelerò sorridendole.

“All’inizio si, ma ora lo trovo quasi normale.”

“Sai, devo ammettere di essere rimasta sorpresa quando ho saputo di come sei entrata a far parte dei nostri collaboratori.”

Michiru sospirò piano stirando le labbra al ricordo della sera nella quale Haruka l'aveva letteralmente ripescata dalle acque di un laghetto artificiale. “Già, questa esperienza mi ha salvata in molti sensi.” E si rese conto troppo tardi di essersi esposta.

Prendendo la così detta palla a balzo Giovanna le chiese a cosa alludesse. “Da quello che mi hanno detto le mie sorelle non credo che per vivere ti servisse un lavoro come questo.”

Contraendo il viso Kaiou intuì che parlando tra loro, l’astio di Minako per la sua condizione sociale aveva colpito ancora. “Il fatto che provenga da una famiglia molto benestante e che in vita mia abbia sempre fatto un lavoro completamente diverso da questo, non vuol dire che non avessi bisogno di sporcarmi le mani sotto al sole, perché alle volte un lavoro non serve solamente per portarsi un guadagno a casa, ma per … - cercò la parola giusta - … tornare a sentirsi liberi.”

Dilatando i polmoni l'altra strinse il volante così forte da rendere le nocche bianco latte. “Non ti sentivi libera in casa tua? Nel tuo ambiente? Facendo ciò per cui hai lavorato tanto?! - Decidendo che era arrivato il momento di fermarsi per guardarla negli occhi, accostò parcheggiando nel piccolo spiazzo davanti all’ingresso della tenuta, tra il cancellone d’ingresso ed un parapetto in pietra. - Quello che intendo dire è che… non riesco proprio a capire come tu possa aver deciso di lasciare tutto. Tu eri… , no, tu SEI una dea con il tuo Stradivari nelle mani, Michiru.”

Scattando la testa verso la donna, alla forestiera fu chiaro l'essere stata scoperta e guidata dall’istinto aprì la portiera catapultandosi fuori dall’abitacolo.

“No aspetta! - Imitandola Giovanna la raggiunse cercando di mettere subito le cose in chiaro. - Resterà fra noi se è questo che ti preoccupa.”

“E’ stata Bravery a dirtelo, non è vero?!” Inquisì con rabbiosa veemenza.

“Chi? Bravery Kou? No!"

“E allora come… “

“Ti ho vista suonare. In Sud America. Tre anni fa.” E guardando quelle iridi cobalto cariche di angoscia ricordò quel giorno che tanto aveva influito sulla sua scelta.

Santiago del Cile. Una città caotica, con più di sei milioni d’abitanti. Così tanto diversa dalla Provincia alla quale apparteneva da soverchiare l'ordine di ogni cosa avesse conosciuto fino a quel momento. Tentacolare, sorniona, colorata e dispersiva. Appena scesa dal volo intercontinentale che l’aveva portata lontano anni luce da casa sua, Giovanna si era sentita risucchiata in un vortice di puro terrore, tanto che aveva sentito la necessità di fermarsi un attimo per riprendere fiato.

Cosa mi è saltato in testa?! Haruka aveva ragione; non ce la posso fare da sola. Voglio tornare indietro, ma non posso, aveva continuato a ripetersi forzando gambe e cuore per rimanere seduta sull’acciaio di quella panchina invece che correre a fare il biglietto di ritorno.

E quella lotta intestina era andata avanti, ancora e ancora, per giorni, fino ad una sera, dove nell’hall del suo albergo era stata affissa una locandina pubblicizzante un evento musicale di notevole importanza, perché di beneficienza. Ferma davanti a quelle scritte spagnole delle quali poteva intuirne solamente il senso, Giovanna aveva sospirato affranta. Forse quel concerto le avrebbe ridato un briciolo di quello stesso coraggio che baldanzosa l’aveva portata al gate per le partenze dopo aver salutato le sue sorelle.

Non era mai stata un’amante della classica, men che mai degli strumenti ad arco e non avrebbe mai pensato di spendere un solo pesos per andare a sentir suonare una perfetta sconosciuta, ma quel nome, Michiru Kaiou, l’aveva colpita. Un nome delle sue parti, che forse per un paio d’ore le avrebbe fatto dimenticare la paura e la voglia di rientrare in patria.

E così era stato. Composta al centro di un palco con un migliaio di spettatori in religioso silenzio, la violinista aveva eseguito da solista alcuni brani di repertorio, dialogando con il suo strumento, uno Stradivari d’inizio 800, come una regina con il suo principe. Una fusione perfetta tra anima e suono, tanto che la stessa ignoranza di una Giovanna completamente rapita, era riuscita ad afferrare come l’artista riuscisse, tramite quel binomio, a donarsi interamente al pubblico.

Un pubblico che alla fine della performance era balzato in piedi osannando ed applaudendo per minuti, tanto che la giovane Tenou era uscita fuori dalla sala e con pazienza aveva deciso di aspettare la violinista per ringraziarla di persona per quello stato di grazia scesole nel petto dopo giorni d’angoscia. Spalle al marmo di una colonna, con alcuni giornalisti a farle compagnia, era stata con lo sguardo fisso alla porta scura che portava ai camerini impietosendo persino i due energumeni della sicurezza e quando a tarda sera l’entourage dell’artista aveva iniziato ad uscire, fattasi coraggio aveva iniziato a cercarla con lo sguardo.

Sorriso radioso, sguardo morbido, un gusto nel vestire talmente sobrio e raffinato che era apparso quasi toccante agli occhi di una anche troppo sportiva Giovanna. Guardando quella donna muoversi tra giornalisti improvvisamente pressanti ed addetti ai lavori, non aveva potuto che pensare ad una sola parola; femminilità. Questo l’aveva bloccata e costretta ad una fulminea ritirata.

“Non sono mai stata molto fisionomista Michiru e così ci ho messo un po’ per collegare la donna che vidi quella sera su un palcoscenico di Santiago, con l’ultima collaboratrice arrivata alla masseria Tenou. E come darmi torto?! Sei così diversa da allora, diversa, ma allo stesso tempo… uguale.”

Kaiou stirò le labbra sconsolata. Diversa, ma uguale. “Cosa intendi fare adesso?”

“In che senso?”

“Sono sicura che dopo il mio riconoscimento tu abbia fatto delle ricerche su di me.”

“Si. - Ammise poggiandosi al muretto. - Anche perché a tutt’oggi mi sembra pazzesco che la grande Michiru Kaiou stia vivendo in casa mia, guidi un Landini e vada a fare la spesa in un mercato rionale. Non trovo altre spiegazioni se non quella che sia stata un’idea del signor Kou. Lui conosce fin troppo bene questa località.”

“Seiya…”

“Già, Seiya. Non puoi capire come ci rimasi quella sera a vedertelo accanto, stringerti un braccio mentre chiedeva ai giornalisti accorsi per intervistarti di lasciarvi tornare in albergo. Pur legato alla famiglia Kiba da parte di madre, non ha mai passato troppo tempo a casa dello zio. Qualche vacanza estiva da ragazzino, nulla più. Ho fatto fatica a riconoscere anche lui… Il tuo compagno.”

Come al sentir pronunciato il nome di un fantasma, la forestiera prese a scuotere la testa correggendola immediatamente. “Le nostre strade sono divise ormai, anche se non è ancora ufficiale e non viene riportato da nessuna testata, anzi, lui non sa che io attualmente stia vivendo nella masseria accanto a quella dello zio e Giovanna…, non deve assolutamente venirlo a sapere.”

“Fammi capire bene; è un caso che tu sia venuta da queste parti?”

“Si…”

“E Seyia non c’entra nulla.”

“Esattamente. - Quella sorta d’interrogatorio iniziava a disturbarla. - La spiegazione perciò è un’altra; ovvero un semplice, puro e direi anche abbastanza distorto, scherzo del destino.”

Incrociando le mani al petto Tenou seguì il filo del discorso. “Pazzesco.”

“Già, pazzesco.” Rimarcò Michiru seguendola sul muretto nella spasmodica attesa di sapere quale sarebbe stato il successivo passo. Giovanna avrebbe parlato con Haruka? L’avrebbe tradita schierandosi con Bravery o semplicemente avrebbe lasciato tutto scorrere senza una vera e propria intromissione?

“A vederla con una risata, siamo quasi parenti.”

“In che senso?”

“Tu sei stata la compagna di Seiya per svariato tempo ed essendo lui il cugino dell’uomo che attualmente sta con Usagi… In più Bravery, che è la sua gemella, tempo addietro ha avuto una fugace relazione con Haruka… Insomma…, curioso no?!” Per non coinvolgere la bionda non le disse che per concludere quel cerchio amoroso stile soap opera, la sorella si era presa una bella cotta per lei.

Curioso? Michiru lo stava trovando agghiacciante. “Perdonami se non condivido affatto la tua stravagante euforia.” Tagliò glaciale perdendo lo sguardo tra il verde tutto intorno a loro.

“Non c’è bisogno di reagire in questo modo. Ti ho già assicurata che non rivelerò a nessuno chi sei.”

Rendendosi conto di essere stata maleducata, Kaiou cercò di calmare i nervi provando a respirare. “Ti chiedo scusa, non volevo attaccarti è che…” Prendendo una grossa boccata d’aria cedette alla pressione che aveva addosso da settimane raccontandole della sua ultima serata con Seiya. La festa, l’affronto dell’uomo che aveva amato per anni nel dedicare troppe attenzioni a quella che Michiru aveva intuito essere la sua ultima amichetta, la crisi, lo schiaffo, la fuga ed il ritrovarsi per una strada di campagna in cerca di un qualche punto fisso nella sua vita.

“Ora capisci perché ho sentito una necessità quasi fisica di evadere da quella situazione? Il comportamento di Seiya mi ha lentamente tolto la dignità di donna e se aggiungi che l’ambiente della classica è abbastanza stressante, se non si ha un più che valido appoggio in famiglia si rischia d’impazzire. Ribadisco che quella sera incontrare le tue sorelle sia stata la mia salvezza, ma devo confessarti che fino a qualche giorno fa, pensavo che l’attrazione che ho sempre provato per il palcoscenico prima o poi mi avrebbe riportata indietro. Sono praticamente cresciuta con l’archetto fra le dita e ho sempre provato giovamento dal calore del pubblico. Per un artista il sentirsi apprezzati fin quasi all’idolatria può diventare una droga ed allontanarsene è pressoché impossibile.”

“Eppure sei ancora qui.”

Michiru sorrise cambiando completamente espressione del viso. “Già… Sono ancora qui. Quello che ho trovato in questo posto, pur nella sua diversità con la mia vecchia vita, è qualcosa di altrettanto appagante, che mi ha sorpresa e coinvolta.”

“Perché hai detto fino a qualche giorno fa?”

“Perché ho avuto un incontro che mi ha fatto capire quanto ci tenga a rimanere qui. - Guardandola le parlò di Bravery. - Che per assurdo, pur essendo la gemella del mio ex compagno, conoscevo solo per i pochi accenni fattimi da un Seiya sempre molto restio a parlare del suo passato. Mai una foto. Mai un invito a stare da noi per qualche tempo.”

“E’ sempre stata una famiglia strana quella. A che so, dopo il divorzio dei loro genitori avvenuto quando erano adolescenti, quei due fratelli sono cresciuti divisi. Solo Bravery ha voluto mantenere un certo legame con la famiglia materna. Fino a quando un paio di anni fa non è andata a studiare a Portland, quasi ogni estate veniva a trovare lo zio.” Disse Giovanna rendendosi conto di quanto quell’intreccio fosse complesso.

“Mi è tutto chiaro tranne il perché vedere quella moretta tutt’ossa ti abbia fatto capire di non avere più la necessità di suonare.”

“No Giovanna, non ho detto questo. E’ il mondo della classica che non sopporto più, non il suonare. Soffro nel non poterlo fare. Mi manca la musica. Mi manca il far scorrere l’archetto sulle corde. Mi manca la voce del mio violino. Hai mai suonato uno strumento? - E al sentirla negare cercò di spiegarsi. - Allora c’è qualcosa che hai amato o ami fare più di ogni altra cosa al mondo? Una passione che ti spinge ad alzarti la mattina e a vivere nonostante le difficoltà?”

Correre con Haruka, pensò tristemente. “Credo di seguirti Michiru.”

“Bene, perché non toccare più il mio strumento è qualcosa di così doloroso che alle volte mi ci vuole un grosso sforzo di autocontrollo per non mettermi a piangere. Il parlare con Bravery mi ha fatto capire quanto inizi ad amare tutti voi e quanto non vorrei separarmi da questo posto.”

“Ribadisco che nessuno ha intenzione di mandarti via Kaiou e comunque potresti suonare anche qui.” Sottolineò con forza tanto che l’altra, non volendo parlarle del ricatto della mora, glissò con un lo so.

Il vento fra le fronde degli alberi a movimentare l’ombra su di loro e per qualche minuto nessuna delle due parlò. Michiru era una persona complessa, dalla vita affascinante, ma anche molto tormentata e pur avendo scoperto di lei solo la punta dell’iceberg, Giovanna iniziò ad sentire sgretolarsi quella soggezione che aveva provato fin da subito. E fu un bene perché aveva da chiederle un enorme piacere.

Iniziando a torturarsi la bocca provò a far mente locale cercando le parole adatte per non essere giudicata male. Come non le piaceva quello che stava per fare. Non era solita chiede e men che mai ad estranei.

“Cosa c’è Giovanna?” Anticipò l’altra piegando la testa da un lato.

“Padre cielo… è tanto evidente?!”

“Tu ed Haruka siete molto simili. Avete lo stesso modo di massacrarvi le labbra.”

Schiarendosi la voce Tenou si giocò l’ultimo asso rimastole in mano. “Michiru… ormai è palese che senza una copiosa liquidità l’azienda andrà in banca rotta prima della fine dell’anno.”

Kaiou sembrò sorpresa. “E la First delight? Avevo capito che le piantine della vite andina che hai portato dal Cile potessero risolvere alcuni problemi aumentando la produzione. O almeno è quello che ha cercato di spiegarmi Yaten.”

“Certo, ma ci vuole tempo; di norma almeno cinque anni prima che un nuovo vino possa essere messo sul mercato e renda abbastanza per poter ripagare tutta la fatica fatta per produrlo. Sempre che l’innesto riesca e sia competitivo. Perciò nel frattempo... ci sono tanti altri conti da pagare.”

“Giovanna, se potessi fare qualcosa la farei…”

“Ma puoi!” L’interruppe serrando i pugni speranzosa.

“Ti manca il suonare? Allora fallo Kaiou. Fallo qui, per noi! - Voltandosi verso di lei mostrò tutta l’enfasi per un’idea che aveva preso a formicolarle nel cervello subito dopo aver riconosciuto la violinista su Internet. - A Santiago ti esibisti per beneficenza, ricordi? Per una minoranza andina, non ricordo…”

“I Mapuche.”

“I Mapuche, si! Perché non si potrebbe fare una cosa simile anche qui?! Un concerto. Con il tuo nome raccoglieremo una vagonata di denaro. Lo so, detto così sembra squallido, paragonare un popolo che da anni si batte contro i cambiamenti climatici con una delle tante imprese vinicole piegate dall’economia globale, ma…”

“Non posso farlo Giovanna!” E il colpo fu durissimo.

Alzandosi dal muretto la musicista fece qualche passo respirando l’odore intenso della natura. “Credi non ci abbia già pensato? In fin dei conti sarebbe l’unico, vero aiuto che Michiru Kaiou potrebbe dare alla masseria Tenou.”

“E… allora….”

“Sai che cos’è un contratto di esclusiva? E’ quello che per altri due anni mi lega sia alla Filarmonica di Vienna sia alla U.A. F.. Non posso esibirmi per denaro, ne incidere tracce musicali o vendere opere mie. Posso pagare le penali per concerti che ho deciso che non darò più con loro, ma rescindere contratti tanto vincolanti mi costerebbe un capitale che non ho.”

“O… cazzo… Scusami, sono stata un’idiota a non pensarci.”

“Sono andata a guardarmi ogni postilla di quel maledetto contratto e devo dire che sia stato redatto molto bene.” Ammise ricordando le ore notturne passate alla scrivania dello studio di Haruka a spulciare le mail che aveva chiesto al suo avvocato con tutti gli incartamenti che avrebbe potuto usare per uscirne illesa, ma nulla La stessa delusione che ora vedeva sul volto dell’altra, l’aveva avuta lei una volta capito di avere letteralmente le mani legate.

“Perciò, l’unica cosa che posso fare per voi è lavorare cercando di fare sempre meglio, anche se so perfettamente che rappresenti solo una goccia nel deserto.”

“Non considerarmi meschina Michiru, è solo che dovevo provarci.”

“Hai fatto bene. E’ normale pensarle tutte quando si è in difficoltà.”

Dandosi un’energica manata sulle cosce Giovanna si alzò regalandole uno stranissimo sorriso. “Vuol dire che faremo alla maniera Tenou.”

“Ovvero?”

“Veloce e sporca. - Rise cercando di controllare l’enorme delusione ricevuta. - Senti, ho bisogno di camminare un po’. Ti va di fare l’ultimo tratto di strada a piedi?”

“Volentieri.”

Passandole accanto l’altra le regalò un pugnetto sulla spalla. “Comunque lasciami dire che sei piuttosto bravina con l’archetto. Pur se più zappa di me, scommetto che Haruka adorerebbe sentirti suonare.”

“Davvero?”

“Davvero e lascia che ti riveli un segreto Michiru; se quella sera non ti avessi sentita suonare sarei tornata a casa il giorno dopo con tanti saluti alla delight. Se ho avuto il coraggio di rimanere in Cile è stato grazie all’energia che attraverso le note sei riuscita ad infondermi. Perciò se un giorno la casa vinicola Tenou avrà un nuovo vino di punta, be… sarà anche merito tuo.”

Rimanendo ferma mani nelle mani Kaiou raddrizzò tutta la postura mentre Giovanna iniziava a dirigersi verso il cancellone.

“Pensa ad un nome Kaiou e ti prometto che diventerà quello del bianco migliore di tutta la Provincia.”

 

 

Dopo cena la cercò e la trovò li, impegnata come negli ultimi giorni a lavorare alla macchina dei loro genitori. Aprendo la porta del silos, Giovanna entrò nel mondo di Haruka. La vide poggiata pesantemente sul bordo del cofano aperto della loro Peugeot, con le spalle curve, le mani serrate alla guarnizione di chiusura, le braccia leggermente tremanti semicoperte dalle maniche arrotolate di una camicia di lino nera, a testa bassa, quasi ciondolante, segno certo di qualche piccolo, grande guaio.

“Che cos’è che non ti convince?” Domandò richiudendo piano l’anta.

“Tutto. E’ rimasta ferma troppo allungo.”

Passando accanto alla Mercedes di Michiru e alla cerata che aveva protetto la macchina dei loro genitori dalla sporcizia del tempo, accarezzò con lo sguardo la grande scritta rossa del loro cognome sulla fiancata e i colori ancora brillanti del giallo e del blu che ne sottolineavano l’inclinazione a destra fino ad arrivare a disegnare sul cofano due fasce oblique che spezzavano l’uniformità del bianco. Erano anni che non ne ammirava i parafango neri, le cromature delle borchie e le tinte marroni della pelle dei suoi interni.

“E’ sempre una gran bell’auto.” Ammise fiera annusando l’odore del passato uscire lieve dai finestrini abbassati.

Non badando troppo al momento catartico della sorella, la bionda iniziò a staccare il cavo della batteria sbuffando sonoramente. “Novità?” Chiese e Giovanna non poté che ammettere il suo fallimento.

“Nulla di fatto.”

“Come da copione.” Tossica sogghignò fissando lo spinotto.

“Questa volta ci toccherà fare a modo tuo.”

Fare?!”

“Si, fare! Ti ripeto che non lascerò che t'imbarchi in questa cosa da sola.”

Spostando l’attenzione dal cavo al viso di Giovanna, le penetrò le iridi come a volerle oltrepassare l’anima. “Preferisco gareggiare da sola. Qualche settimana non potrà ridarci l’armonia nella corsa che avevamo da ragazze!”

“Stupidaggini.” Poggiandosi all’apertura del cofano si piantò le mani nelle tasche dei pantaloncini distogliendo lo sguardo da quello gelido dell’altra. Doveva cercare di mantenere il punto.

“Un cazzo e se non fossi tanto piena di rimorso lo capiresti da sola.”

“Meglio di rimorso che di troppa fiducia in se stessi! Cerca di essere lucida; gareggiare con un bravo navigatore è sempre meglio che farlo da soli, soprattutto se ci si deve misurare con gente come quella. Ed io sono ancora la migliore su piazza!”

Abbassando la guardia Haruka iniziò a considerare la cosa. Giovanna non aveva tutti i torti. Sicuramente non era più la migliore su piazza, ma sempre meglio di niente. In due avrebbero forse potuto colmare il gap che l’inattività aveva scavato tra loro e gli altri team.

“Approposito…, chi sarà ad introdurci nel giro?”

“Un amico fidato.”

Max, pensò l’altra sorridendo. Le dava tranquillità.

“E sarà sempre questo tuo amico a prestarci il denaro per partecipare?”

“Si. - Mentì. - Contavo di far fruttare la vendita della mia moto, ma evidentemente per il mercato non ha lo stesso valore sentimentale che ne ha per me.”

“Meglio. Non mi avrebbe fatto piacere.”

“Bisognerà comunque sacrificare qualcosa.” Sibilò talmente piano che la sorella non riuscì a sentirla.

“Ma siamo proprio sicure che quel porco di Giano ci pagherà una volta vinto?”

Ridendo Haruka se la guardò guascona. “Cerchiamo prima di vincere, ok?" E porgendole la mano aspettò che la sorella gliela stringesse per stipulare così il loro patto segreto e dar nuovamente vita al team Tenou.

 

 

 

Note: Ciau a tutti. Corto e mala calato, questo capitolo ha cercato di mettere un po’ di ordine nella storia dei fratelli Kou. Spero di esserci riuscita. Inaspettatamente Giovanna ha “affrontato” Michiru e magari, altrettanto inaspettatamente, la violinista si ritroverà un’alleata in più.

Ne approfitto per augurare buone vacanze a tutti. Io rimango a difesa del fortino.

A prestissimo!

 

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Capitolo 7
*** Giano ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Giano

 

Poggiato al cofano del Pick Up che da circa venti minuti aveva lasciato parcheggiato all’ombra di una grossa quercia che gettava i suoi rami proprio sul ciglio della strada, l’uomo si accese una Laramit aspirandone il fumo con una prima decisa boccata.

“Quella roba finirà con l’ucciderti.” Sentenziò la giovane donna curvata in avanti con gli avambracci dimenticati sul bordo del cassonato.

“Lo sai che ho smesso da anni. Me ne faccio solo una di tanto in tanto.”

“E allora non hai smesso affatto. - Sogghignò sicura del fatto suo. - Sono in ritardo.”

“Arriveranno Tenou, tranquilla. Piuttosto, ricordami il perché di questa stratosferica stronzata.”

“Perché non ho altra scelta. I conti li hai visti, no?” Ribadì lei andando a strappare uno stelo d’erbaccia bloccarlo tra le labbra. E a dare il pilotto a quel poveruomo ci si era messa anche Giovanna, tanto che alla luce dei fatti, Max non aveva potuto che arrendersi all’evidenza di una situazione estremamente compromessa.

Era giunto il momento di fare la fatidica mossa e pur con il cuore a sobbalzarle nel petto, Haruka aveva preso ormai piena coscienza dell’importanza di quell’incontro. Max era riuscito ad organizzare il tutto con una certa velocità e come aveva suggerito la donna, il legame di stima che univa il proprietario del pub della zona al fantomatico e poco raccomandabile Giano, era stato risolutore. Ora non restava che aspettare e vedere come sarebbero andate a finire le cose.

Alcuni minuti ancora ed un Suv scuro dalla notevole potenza si accostò immerso in una nuvola di polvere.

“Lascia parlare me.” Le impose l’uomo andando verso il mezzo aspettando che il finestrino oscurato del lato guidatore si abbassasse. Due parole ed Haruka lo vide ritornare facendole cenno di entrare in macchina.

“Chiudo il Pick Up e andiamo.” Lanciò laconico scuro in viso.

“Ma come, non con il nostro mezzo?”

“Ben venuta in questo mondo, Tenou.”

Così la bionda e l’amico si sedettero sulla pelle posteriore non proferendo parola. Due facce da galera li accolsero con un grugnito e quello fu l’unico cenno d’umanità che venne concessero loro per tutto il resto del tragitto. Haruka notò subito che i vetri posteriori erano oscurati anche dalla parte della superficie interna e questo le diede ansia. Per la prima volta iniziò a capire in cosa si stava cacciando.

Svariati chilometri e salito un ripido sterrato, il Suv si fermò. “Scendete.” Intimò il guidatore.

Dopo quel breve preambolo da film camorristico, l’angoscia crescente della bionda la spinse a scannerizzare la natura circostante in cerca di un qualsiasi punto di riferimento. Avevano parcheggiato in una specie di piazzala erbosa circondata da roveti e cespugli dove in pratica non si vedeva oltre in fogliame incolto. In lontananza solo l’eco degli automezzi che transitavano su una probabile tratta autostradale.

“Andiamo.” Max la riportò con i piedi per terra. Al contrario di lei, lui sembrava l’uomo più calmo del mondo così cercando di darsi un tono, la bionda si piantò le mani nelle tasche nascondendo l’agitazione dietro le lenti dei suoi Ray ban.

Camminando per un sentiero arrivarono ad una vecchia struttura abbandonata che Haruka non conosceva, dalla vegetazione infestante, ma ancora saldamente in piedi. Tutto intorno a loro il nulla, solo il canto delle cicale ed il frusciare del vento tra le fronde.

Appena entrati li accolse il fresco dei muri in pietra e il suono di passi provenienti dalla prima della due stanze che si affacciavano sull’ingresso. Dalla porta comparve un uomo vestito in abito scuro, camicia, cravatta e scarpe firmate, ben curato nel viso, dall’apparente età di cinquant’anni.

Ci siamo, pensò Haruka guardando il viso inespressivo dell'amico.

“Benvenuti. - Esordì cordialissimo stirando le labbra in un sorriso accattivante indicando l’entrata della stanza più piccola. - Prego.”

Max si mosse per primo, ma non appena arrivato davanti all’altro questo lo bloccò poggiandogli una mano sul petto. “Solo la signora.”

“Come... solo la signora?!”

“Non vuole parlare con te, ma con LEI.” E guardando Haruka l’invitò con un gesto garbato.

Respirando profondamente lei ubbidì e mentre la nausea montava, diede un ultimo sguardo al compagno prima di entrare.

Al centro dell'ambiente s’intravedeva un vecchio tavolo da cucina, un paio di sedie e nient’altro. Le finestre erano ancora in buone condizioni ed erano aperte, forse per camuffare il leggero odore di muffa che avvolgeva tutta la stanza dagli scuri chiusi.

“Benvenuta.” La salutò una voce profonda.

“Non pensa che con me tutte queste accortezze siano inutili?” Alzandosi gli occhiali da sole sulla testa, intravide nella semi oscurità la sagoma robusta di un uomo tranquillamente adagiata sulla sedia dietro al tavolo.

“Oggi non devo vedere solo lei. Ho altri piloti da… valutare.”

“Bene, allora facciamo presto. Non voglio farle perdere troppo tempo.” Disse sentendolo ridere.

“Irruenta come al solito. Devo dire che sono rimasto sorpreso quando Max mi ha riferito del suo voler partecipare ad una delle mie gare. Credevo scherzasse.”

“E perché? Pensa forse che non possa vincere?”

“O… e perché no?! Il talento non si brucia con l’età.”

“Dunque siamo d’accordo!”

“Piano, piano. Non tanto in fretta, almeno con me signora Tenou. Credo che Max le abbia già detto che non ho piacere far correre una donna e nel suo caso… “ Si fermò lasciando che fosse l’altra a proseguire.

“… Nel mio caso entra in gioco anche un altro fattore, giusto?”

“Giusto.” Ammise con tono baritonale.

Era il momento di fare la sua mossa. Estraendo una busta dalla tasca posteriore, la bionda fece due passi raggiungendo il tavolo. “Forse questo riuscirà a convincerla a… chiudere un occhio.” E lasciandola sul piano gliela passò strisciandola sul legno forzando indice e medio.

“Cosa sarebbe?”

“La mia… quota d’iscrizione.”

Scettico prese la busta aprendola e dopo una rapida scorsa Haruka capì dall’improvviso irrigidirsi della postura di aver fatto centro.

“Credo basti, non trova?”

“E’ proprio sicura che sarà in grado di portare avanti un azzardo tanto personale?”

“Sicurissima.”

Lui sembrò pensarci su ingolosito, poi chiamando il collaboratore rimasto fuori con Max gli affidò la busta sorridendo. “Allora ben venuta tra noi, signora Tenou. Come garanzia, questo documento rimarrà in mio possesso fino allo svolgersi della gara.”

“E se dovessi vincere? Quali saranno le mie di garanzie?”

Ghignando lui si sporse in avanti lasciando intravedere il viso. Porgendole la destra attese che lei gliela afferrasse. “La mia parola.”

Riportati al punto dell’incontro, Max ed Haruka salirono sul loro mezzo per tornare a casa e per tutto il tragitto l’uomo provò in tutti i modi a far sbottonare la bionda sul come e dove avesse racimolato le garanzie necessarie per poter partecipare alla gara. Sperava infatti che essendo messa economicamente tanto male, non sarebbe riuscita a trovare gli appigli giusti per convincere Giano a farla correre. E invece quel diavolo biondo aveva estratto il così detto coniglio dal cilindro ed ora era preoccupato come un padre per le azioni scellerate di una figlia.

“Come cazzo hai fatto?”

“Max… fermati.”

“Cosa gli hai promesso per farlo accettare?”

“Fermati…”

“Avrei dovuto capirlo che avevi in mente qualcosa. Tu non molli mai, non è vero Tenou?!”

“FERMATI ho detto!” Ed appena il veicolo accostò, aprendo lo sportello Haruka rimise sul ciglio della strada tutta la tensione accumulata.

Guardando dritto davanti a se l’amico scosse la testa. “Tutto bene?” Chiese come proforma.

“Portami a casa. Devo iniziare ad allenarmi.” Ordinò passandosi il dorso della destra sulle labbra.

 

 

Le vide parlare e per l’ennesima volta quel senso di bruciore alla bocca dello stomaco risaltò fuori. Non sopportava Michiru, è vero, ma ancor meno tollerava la presenza di Bravery Kou alla masseria e negli ultimi giorni sembrava che la donna avesse preso a starci in pianta stabile. Le due si guardarono ancora una volta poi la mora accese il quad che ormai usava per andare e venire tra loro e i Kiba e partì imboccando lo sterrato che portava al torrente. Al leggero incurvarsi delle spalle della forestiera, Minako sbuffò lasciando quello che stava facendo nella rimessa per uscire al sole del tardo pomeriggio.

“Hai solo fino a domani per decidere come comportarti Kaiou.” Aveva detto la mora sapendo di avere ormai nella rete quel tenero pesciolino tropicale.

“Lo so! Non c’è affatto bisogno che ogni giorno tu venga a ricordarmelo.”

“Non si sa mai. Sai, è risaputo che voi artisti viviate con la testa fra le nuvole e non vorrei che tali voli ti distogliessero dalla tua decisione.”

“Non c’è pericolo. Stai tranquilla.”

“Bene allora. Ti aspetto al Bel Vedere domani alla stessa ora. Vedi di essere puntuale.” E sgasando l’aveva lasciata intimamente soddisfatta per essere riuscita a tener testa a quella solita espressione superba di chi è sempre stata abituata ad un mondo altolocato al quale, al pari del fratello, Bravely avrebbe tanto voluto far parte.

Non potrei dimenticarmi il tuo ricatto neanche se volessi, pensò Michiru non accorgendosi della presenza di Minako che stava sopraggiungendo alla sue spalle.

“Ti credevo con Usagi al ciclo di produzione.” Se ne uscì vedendola sobbalzare.

“Mina…”

“Nervosetta vedo.”

No, in quel momento anche l’ostracismo della biondina non riusciva proprio a sopportarlo, così glissando con un leggero allungarsi delle labbra le spiegò che era tornata a casa per prendere dei documenti.

“E ti sei imbattuta in Bravery? Ma che fortuna.”

Michiru lasciò correre. Per via dell’attacco di panico, aveva già fatto con Minako una figuraccia e non voleva inanellarne altre ammettendo che gli scambi verbali all’acido appena avuti con la mora non fossero affatto il frutto di una disgraziata coincidenza.

“Un caso. Ora scusa, ma devo andare.” Cercò di tagliar corto pronta a dileguarsi.

“Aspetta Michiru! Non credere sia tanto sempliciotta da non essermi accorta che tra te e Bravery non corre buon sangue e non me ne fregherebbe niente se non fosse per il fatto che sono convinta ti stia facendo qualcosa di male.”

L’altra cercò di mantenere il controllo. “Ti stai sbagliando. Non mi sta facendo nulla, non la conosco nemmeno. L’ho semplicemente incontrata…”

“…Per caso, si, lo hai già detto.”

“Bene, allora non vederci strani complotti.”

“Ascoltami. - Fronteggiandola cercò di essere chiara. - C’è una cosa che più di tutto mi urta da morire ed è quella di essere presa per stupida quando non lo sono affatto. Perciò, ti prego di non farlo! Non vorrei che tu mi fraintendessi, perché davvero di voi due non me ne frega un benemerito, ma certi giochetti io proprio non li sopporto, soprattutto in casa mia e Bravery Kou è una di quelle persone che di giochetti ne ha sempre fatti tanti. Lavori bene e le mie sorelle ti adorano, perciò è mio interesse che tu sia tranquilla e concentrata. Non so cosa ti leghi a quella iena o cosa sappia di te, ma questa cosa deve finire e se non avrai il coraggio tu, allora ci metterò un punto io. Sono stata chiara?!"

Cos’era quella? Una minaccia, un armistizio o addirittura un’offerta di protezione? Solcando la fronte con una ruga, la forestiera arretrò leggermente il busto non sapendo come agire. “Minako…”

Afferrando e portandole il polso sinistro davanti al viso, la biondina proseguì con maggior sicurezza. “Non vedo catene qui! E tu!? Ne vedi?”

Allora Kaiou capì. Sospirando profondamente scosse la testa. “No.”

“Bene. Allora cerca di uscire da questa situazione e mandala a fanculo quella, perché di casini qui ne abbiamo già abbastanza.” Ordinò lasciandole la pelle.

A quell’esortazione la forestiera si trovò costretta ad ammettere di essere stata scoperta. “Non è così facile.”

Voltandosi per tornare a fare ciò che aveva interrotto ed intimamente soddisfatta della sua uscita da paladina d’altri tempi, Minako alzò le spalle. “E quando mai lo è. Metti fine a questa storia. Ti sentirai meglio dopo.”

L’ennesimo ultimatum. L'ennesima croce. L'ennesimo pensiero. Michiru doveva agire e l’indomani lo avrebbe fatto iniziando a giocare sulla stessa scacchiera di Bravery.

 

 

“Attenzione… ponte stretto, destra, due, chiudi.”

Haruka sbatté il palmo sul volante fissandola in cagnesco. “Era tre, non due!”

“No cara. E’ DUE! - Indicando le note di navigazione Giovanna tornò a fissare i fogli. - Vogliamo schizzare nel fosso affrontando la strettoia in terza o preferisci portare la pelle al traguardo? Mi devi stare a sentire. Tu guidi, IO navigo!”

Gonfiando le guance la bionda tornò a chiudere gli occhi. Odiava le tecniche di visualizzazione. “Continuiamo.”

“Ok. Dopo la chiusura deceleri in SECONDA, poi una curva a sinistra e andiamo di terza.”

Mimando la svolta sulla pelle del volante e lo scalo della marcia sul cambio, la bionda tornò ad ascoltare. Sedute nella loro macchina, rigorosamente all’insaputa delle altre sorelle e rigorosamente a tarda sera, avevano iniziato ad allenarsi cercando quella confidenza tra loro e con l’auto che avevano perso da anni. Il loro Peugeot era lontano dall’essere pronto, proprio come loro, così non rimaneva che imprimersi il tracciato della gara alla vecchia maniera, ovvero stando sedute a ripetere per ore ed ore ogni impercettibile cambio di pendenza, curva, ostacolo, dosso o incrocio.

“Sinistra, al centro… , apri.” Ordinò la maggiore e l’altra spinse il piede sull’acceleratore.

“A manetta Haruka. Stacca!”

“Stacca?” Domandò confusa riaprendo gli occhi.

“Stacca che? Non siamo ancora arrivate al quinto rettilineo. Vuoi farci schiantare contro gli alberi o … preferisci portare la pelle al traguardo?” Le fece il verso.

“Merda, ho saltato un passaggio. Scusa.”

Coprendosi gli occhi con una mano la bionda scosse la testa. “Siamo stanche. Così non va!”

“Non possiamo lavorare di giorno e prepararci di notte. Dovremmo dirlo alle ragazze.”

“No! Non sono d’accordo!”

“Hanno il diritto di sapere cosa stiamo facendo!”

“E per cosa? Farle preoccupare inutilmente? Lascia che vivano serene almeno fino al giorno della gara.”

“Con tutto quello che sta succedendo, serene è una parola grossa. Mina non ama sentirsi esclusa. Non la prenderà bene.”

“Le passerà.”

“Ci potrebbero aiutare sgravandoci di alcuni lavori in vigna. Ripareremmo la macchina alla luce del sole, con più precisione e soprattutto senza sentirci due ladre.”

“Stanno già dando il massimo, soprattutto adesso che la serra è montata e le nuove piante stanno riposando. Cosa vuoi di più dalle nostre sorelle?!”

Stringendo le labbra Giovanna non insistette e per la buona riuscita della gara abbassò la testa per l’ennesima volta. Non potevano permettersi passi falsi, perché in gioco c’era tutto. Dovevano rimanere concentrate. Niente discussioni o domande che non si potessero procrastinare. Come quella del dove Haruka avesse trovato le garanzie per poter partecipare alla gara. Neanche Max ne sapeva niente e arrivate a questo punto alla maggiore non rimaneva che fidarsi della sorella.

“Nel pomeriggio mi ha telefonato il fornitore. Sono arrivati i pezzi di ricambio. - Svicolò la bionda accarezzando il volante. - Domani vorrei andarli a prendere, perciò fammi il piacere di sostituiscimi alla vigna del Bel Vedere. Ci sono dei tralicci da sostituire.”

“Ok, basta che mi prometti che non venderai la moto per pagare tutta la roba che hai ordinato.”

Nacque un ghigno particolare sulle labbra di Haruka e Giovanna capì di aver fatto centro. “Haru…”

“Haru uno stramaledetto cavolo! Ho il conto a secco e dopo l’ultimo assegno che hai staccato per la serra, lo è anche il tuo. E non esiste che si vada ad intaccare il piccolo gruzzolo che i nostri genitori hanno messo da parte per Usagi e Minako!”

“Ovvio…”

“E allora?! Dobbiamo cambiare il filtro dell’aria, il carburatore, le candele e l’intera trasmissione. Stavo pensando d’installare due prese per l’aria fredda e montare un sistema di scappamento a flusso maggiorato e per far tutto questo non possiamo svaligiare il negozio. La moto basterà per pagare tutto.”

“Non mi piace!” Quella Ducati era tutto per Haruka. C’era una storia dietro quelle ruote.

“Sapessi a me.”

“Almeno saremo competitive?”

“Non credo. Come noi anche i team che partecipano a questo tipo di gare hanno fame di soldi facili e potrebbero giocare sporco, perciò, non essendoci limitazioni ne regolamenti da seguire, avremmo bisogno di una spintarella per dar più gas nei rettilinei.”

“E il nostro turbocompressore?”

“E’ andato anche quello e nuovo costa l’ira di Dio. Inoltre ho notato delle crepe vicino l’albero a canne.”

“Ma che meraviglia! Praticamente siamo nella merda ancor prima di aver messo le ruote sulla strada!”

“Non preoccuparti Giò, in qualche modo faremo.”

“Quando dici così sembri proprio la mamma. - Disse dolcemente. - Ma purtroppo questa macchina è vecchia e di chilometri ne ha fatti tanti.”

“E ne farà ancora!” Poggiando la fronte sul volante la bionda si sentì improvvisamente fragile.

“Haru, non mollare.”

“Non sto mollando! Ma c’è così tanto da fare e così poco tempo per farlo…”

Scese il silenzio in quel silos riadattato ad officina. Un silenzio carico d’angoscia, di segreti, ma anche d’incoscienti speranze.

“E’ una gran bell'auto. - Se ne uscì la maggiore guardando la Mercedes GT di Michiru. - Con quello che costa potremmo comprarci un trattore, un pezzo di terra e tutti i ricambi che vuoi.”

“Ricambi? Potremmo comprarci un’auto nuova e spaccare il culo a Giano e a tutta la sua banda di mafiosi.”

“Quanto fa’?”

“Ti bastano 639 cavalli?”

“E’ un biturbo!”

“Già…” Ed improvvisamente Haruka ebbe un’idea, si riaccese ed uscì dall’abitacolo.

“Finiamola qui per questa sera!”

“Dove vai?”

“A fare una cosa. Allora è deciso; ci vai tu in vigna domani?!”

“Si, ma…”

“Allora buonanotte.” E sparì dietro l’anta della porta più veloce della luce.

Mettendosi comoda sul sedile Giovanna tornò a studiare gli appunti crollando venti minuti dopo e risvegliandosi all’alba del giorno successivo.

 

 

Si sentì chiamare dal vialetto, oltre la siepe d’edera. Riconoscendo la voce di Haruka s’infilò la vestaglia uscendo sullo spiazzo esterno.

“Michiru, sei sveglia?” Un bisbiglio delicato che tanto cozzava con la sua solita irruenza.

E come avrebbe potuto dormire con tutti i pensieri che aveva per la testa. “No Haruka. Ti serve qualcosa?”

“Si. Posso entrare?”

“Be, sarebbe casa tua.” Ridacchiò mentre la vedeva far capolino dal cancelletto in ferro con quell’aria furbetta che tanto le piaceva.

“Speravo proprio di trovarti ancora in piedi. Ci vieni con me a guardare le stelle cadenti?”

“Le stelle cadenti? - In effetti era stagione. - Ma sono in vestaglia.” Disse allargando le braccia.

“E allora? Chi vuoi che ti veda e poi… sei bellissima lo stesso. Dai!”

Un momento d’ovvia sorpresa per poi accettare volentieri. Michiru non badò al leggero sobbalzo del cuore avvertito a quel dolce complimento e seguendola andarono in quello che era ormai il loro posto, ovvero le scalette che portavano alla Prima. Qui si sistemarono comode puntando gli occhi ad una stellata che quella notte era particolarmente nitida.

“La brezza di oggi ha portato via tutta l’afa dei giorni scorsi. Guarda, si vedono il Dragone, Pegaso ed Andromeda.” Puntando l’indice al cielo la forestiera continuò identificando altre costellazioni.

“Mi sorprendi, io riesco a malapena a riconoscere il Grande Carro.” Ammise la bionda sentendola ridere.

“Ma come, mi inviti a guardare le stelle e poi dici di non saperne niente?”

“Io ho detto cadenti.”

“Ah, giusto.” Esplose divertita.

Tornando a guardare la volta Haruka ammise che se pur bellissime, per lei le stelle erano solo un’insieme di puntini luminosi ai quali dei pippati visionari del passato avevano dato loro dei nomi. “Passi per i due carri, ma per me rimane un mistero come possano averci visto delle forme.”

“Ecco perché trovi difficoltà nel riconoscerle. Non puoi aspettarti delle vere e proprie figure antropomorfe. Devi andarci un po’ di fantasia. - Avvicinandosi le prese il braccio alzandolo verso la Via Lattea. - Se è l’Orsa Maggiore che riconosci, allora parti da li. Proprio sopra, alla sua sinistra, c’è il Dragone. Lo vedi? Ha la forma di una S con la testa rivolta verso il basso. E sotto c’è il possente Ercole. Non credere, ci si mette un po’, ma una volta fattoci l’occhio…” Disse fissandole le iridi ombrate dalla semioscurità.

Dio quanto era bella Michiru. L’odore dei suoi capelli, della sua pelle, il calore del suo corpo addosso al suo, la spallina della camicia da notte che s’intravedeva da sotto la vestaglia. Era la prima volta che si trovavano tanto vicine ed Haruka dovette fare un enorme sforzo per non prenderle le labbra e farla sua su quelle scale.

“Mmmm… Se lo dici tu.” Cercando di togliersi da una situazione che con altre donne avrebbe dichiarato benedetta, ma con quella di donna stava diventando pericolosa, fece finta che le fosse andato un corpuscolo in un occhio domandandole di… Tantalo.

“Tantalo? - Kaiou tornò a guardare il cielo spiazzata e la bionda ne approfittò per spostarsi un poco. - Mi cogli in fallo.”

“Eh… C’è sempre un Tantalo da qualche parte.” Ghignò maliziosa, ma l'ingenuità della violinista non le fece afferrare la finezza.

Haruka era molto brava nel gestire l’emisfero femminile, sia che si trattasse di nascondere i propri sentimenti, sia che puntasse ad un corteggiamento spietato a suon di carinerie. Ma quello non era il momento e non perché Michiru non le piacesse, tutt’altro, aveva semplicemente il terrore che per l’ennesima volta la sua scarsa propensione a donarsi ad un’altra persona, avrebbe potuto portare allo sfascio di un potenziale rapporto. Amore o amicizia che fosse. Così preferiva rimanere a distanza, volteggiando di tanto in tanto nel cielo di quella splendida creatura come un timido rapace. Anche se quella sera, vuoi la pressione, vuoi la sua bellezza, stava facendo fatica.

“E da un po’ che non parlavamo noi due. Mi sei mancata.” Se ne uscì la forestiera con disarmante sincerità.

“Il momento è quello che è. Scusa. Ti senti sola?”

Michiru scosse la testa. La solitudine era sempre stata un’amica preziosa e non ne aveva paura. “Sono rimasta qui per lavorare, non per cicalare come durante una vacanza.”

“A tal proposito dovrei parlarti di una cosa.” Ammise la bionda vedendo il viso dell’altra cambiare drasticamente espressione.

“Avevamo fatto un patto, non l’ho dimenticato. La tua Mercedes in cambio del tuo aiuto, ma non è ancora pronta o meglio, lo sarebbe…” Come chiederglielo senza dirle tutto.

“Vai dritta al sodo Tenou.” Disse piatta aspettandosi il peggio.

“Mi servirebbero dei pezzi di ricambio per il Landini. - Sputò tutto d’un fiato rincarando la dose con una balla colossale che non avrebbe mai voluto dirle. - E’ vecchio, ma se riuscissi ad adattargli alcune parti della tua auto potrei tranquillamente usarlo fino alla chiusura della stagione.”

Prendendo un boccone d’aria Kaiou tornò a respirare. “E vorresti prenderli dalla mia Mercedes?”

“Allora? Posso? Ti assicuro che dopo la vendemmia te la riconsegnerò anche più bella di prima.”

"Ma si può fare?"

"Certamente, se si e' bravi come la sottoscritta!"

Che tipo che era. “La dea dei motori sei tu, perciò prendi pure ciò che ti serve. Anzi… Vendila Haruka, è tua e con il ricavato compra un altro trattore, paga alcuni fornitori o metterli a bilancio, non so, fa come credi, ma fallo… ti prego, mi farebbe un piacere enorme!”

“Michiru io…”

Afferrandole le mani la violinista gliele strinse con forza. “Sono una stupida, non ci avevo pensato! Che me ne faccio di una macchina come quella!” Non poteva suonare per loro, ma poteva sempre dar via ciò che era suo.

“Sei generosa, ma sai quanto costa un’auto come quella? Non potrei mai accettare.”

“Certo che lo so. Non è la prima volta che lavoro sai? Ma è proprio perché so quanto vale che ti dico che potrebbe darvi un po’ d’ossigeno. Non fare la sciocca! Accetta.”

Il viso della bionda si ammorbidì improvvisamente. “Non ho parole e ti ringrazio tanto, ma per mettere sul mercato una classe così alta ci vuole tempo e io ho bisogno di quei pezzi ORA, perciò… - Sciogliendosi dalla stretta le sorrise spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. - … lascia che prenda solo ciò che mi serve, ok?”

“Sei sicura?”

“Sicurissima. - Disse alzandosi seguita dall’altra. - E’ già tantissimo, credimi. Ora vado. Domani bisogna alzarsi presto.”

“Come sempre.” Sfotté rimproverandola per non aver visto neanche una stella cadente.

Allora si voltarono all’unisono verso il cielo che proprio in quell’istante venne attraversato da una piccola scia luminosa.

“Visto.” Rispose Haruka guascona alzando un poco le spalle.

“Dobbiamo esprimere un desiderio!”

“Io ne avrei troppi Michi, perciò ti lascio il mio. Consideralo un piccolo acconto come ringraziamento.” Ed iniziò a salire le scale.

“Certo a ripensarci Tenou, la cosa è curiosa…; ti chiedo di ripararmi l’auto e tu me la smembri.”

E scoppiando a ridere arrivarono al retro della masseria augurarsi un buon riposo. Quella notte Michiru espresse due desideri e pregò con tutta se stessa che il cielo li realizzasse. Il giorno dopo, all’ora stabilita, sarebbe andata a giocarsi il suo futuro contro Bravery Kou.

 

 

Seiya parcheggiò sul vialetto la sua Lamborghini Uracan blu notte spegnendone il motore potente. Era esausto e non soltanto per il lavoro, triplicatosi dopo la scomparsa del Primo Violino della Fisarmonica di Vienna, ma anche e soprattutto per la preoccupazione che quello stesso Primo Violino era riuscito a regalargli dopo quella maledetta sera. Scendendo dall’abitacolo e respirando profondamente l’odore d’erba bagnata proveniente dal giardino antistante, guardò la villa in stile classico che da qualche anno era la sua casa. Quanto fortemente l’aveva voluta Michiru. E’ nostra amore, le aveva detto lui il giorno che togliendole le mani dagli occhi gliela aveva mostrata. E quella dea bizzosa gli si era stretta al collo felice come poche volte l’aveva vista, perché quell’insieme di mattoni, legno e vetro rappresentava l’inizio della loro vita di coppia.

Era preoccupato per lei, questo si, ed era un fatto. Quattro anni di vita in comune, una casa, una collaborazione artistica e la pianificazione concreta di una gravidanza, volevano pur dire qualcosa. Ma lo era ancor di più per la bomba di proporzioni apocalittiche che quella donna era riuscita a far deflagrare nel pertugio più profondo della Filarmonica e della stessa Union Artists Foundation, del quale lui era il Direttore Artistico e perciò il primo responsabile al quale dare la croce. Ed era questo che stavano facendo tutti; dargli la croce addosso come il ladrone più corrotto delle Sacre Scritture. Critiche a pioggia, soprattutto da parte del signor Stërn, il quale non credeva assolutamente al fatto che realmente l’uomo non sapesse dove fosse finita l’artista.

“Io vi faccio causa! A lei e alla sua compagna!” Aveva tuonato proprio la mattina precedente catapultandosi per l’ennesima volta nel suo ufficio.

E avrebbe potuto farlo e nessuno gliene avrebbe dato torto.

Seiya riusciva ancora a bloccarlo a catena solo perché in quel momento uno scandalo avrebbe fatto più male che altro. Il calo delle vendite riscontrato nei primi due trimestri dell’anno imponeva un profilo basso, ma ogni giorno era sempre più difficile tenere nascosta la sparizione della grande Michiru Kaiou. I paparazzi, avvoltoi dall’olfatto fine, avevano già iniziato a volteggiare intorno alla sede centrale della U.A.F., ritenendo molto strano che la violinista avesse personalmente disdetto tutte le date londinesi da li a fine anno. Tramite il suo avvocato, Michiru aveva fatto sapere a Kou di aver già pagato le penali, ma non c’era stato verso di farsi dire dall’uomo dove stesse attualmente risiedendo. Il moro aveva persino provato a corromperlo non ricevendo altro che una querela.

Salendo stancamente le scale e dandosi dell’idiota, si ritrovò a guardare la sua immagine stravolta riflessa nei vetri colorati del portoncino d’ingresso. Avrebbe dovuto immaginarselo che prima o poi l’anima inquieta di Michiru non avrebbe più tollerato le sue continue scappatelle. Avrebbe dovuto aspettarsi un rigurgito d’orgoglio da parte di un carattere tanto coriaceo. Come avrebbe dovuto capire che ad ogni cedimento fisico dovuto al troppo stress, il disamore crescente nei riguardi di quel lavoro frenetico l’avrebbe portata alla ribellione. Sia sul piano fisico che professionale, Seiya era sempre stato troppo sicuro di se per vedere nitidamente i segnali d’insofferenza lanciatigli dalla compagna ad ogni data aggiunta sul carnet degli imprevisti voluti da un manager mai sazio come lui. Una data, una ancora e Michiru accettava, perché in fin dei conti la ribalta l’inebriava così come il palcoscenico e le ovazioni di un pubblico sempre dannatamente esigente. Era stato un egoista e suo malgrado se ne stava pentendo. Ma per quanto riguarda le sue scappatelle, Be, non era mai riuscito a resistere troppo allungo alle tentazioni, anche se al suo fianco aveva una dea come quella.

Se n’era innamorato subito, facendo forse il passo più lungo della gamba per averla. Seiya era riuscito a farsi da solo e per questo andava rispettano, ma proprio per non essere nato in una condizione agiata, era facile preda dei tipici appetiti pacchiani di un’arrivista. Era costruito negli atteggiamenti, eccessivamente incline al compromesso e al servilismo. La scena del Pop giovanile l’aveva reso avido ed arrogante. Ancor di più l’aveva fatto il sodalizio con la musa della classica.

Ma la vita per Seiya andava vissuta attimo per attimo. Si voleva provare il brivido di sentirsi il padrone del proprio destino? Bene, nulla che il rombo di una fuoriserie non potesse dare. Fin dalla nascita si aveva la necessità di sentirsi rispettati nel mondo? Ottimo, perché non scalarne le vette sociali intrufolarsi in una ricca casata e finire per comprarselo quel rispetto. Ci si sentiva soli tra le pieghe di un letto ormai troppo freddo? Una donna avrebbe scaldato quelle stesse lenzuola che ormai la compagna guardava con gelida inappetenza.

Si fottano tutti, era il suo mantra, il principio ispiratore di tutta la sua esistenza. Si fottano i genitori che l’avevano diviso dalla gemella sfasciando di fatto una famiglia. Si fottano i cantanti rivali, più giovani e che se pur più dotati di lui, non avevano la stessa bravura nel sapersi conquistare l’appoggio di un clan come quello dei Kaiou. Si fottano i manager invidiosi della sua folgorante ascesa ai vertici della Union Artists Foundation.

Michiru dovresti fotterti anche tu dopo tutto quello che mi stai facendo passare, pensò mentre apriva la porta.

Una volta disinserito l’allarme e gettata la giacca sul corrimano della grande scala che portava al livello superiore, guardò con desiderio il divano posto al centro del salone. Era stanco morto. Allentata la cravatta stava per crollare sopra una seduta quando il cellulare che usava per i contatti privati squillò e nel vedere l’immagine comparsa sul display sentì il cuore tremare.

 

 

Ferma in piedi sotto ad alcuni impalcati che davano ombra al piccolo colle chiamato Bel Vedere, Michiru attese per svariati minuti l’arrivo di Bravery costatando con rammarico ed un certo nervosismo, quanto quella donna le ricordasse le cattive abitudini del gemello. In fatto a puntualità erano praticamente identici. Poggiando la schiena ad un tronco perse lo sguardo ai filari di viti che correvano lungo le colline. Un’immagine ormai consueta. Consueta e rassicurante. Non aveva mai avuto un carattere bucolico ed in vita sua aveva sempre preferito il mare alla campagna, ma quel posto era speciale e più i minuti dell’attesa passavano e maggior forza prendeva il suo spirito di combattente. Si sarebbe battuta per restare in quello che era diventato il suo nido.

Ancora un poco ed intravide Bravery forzare la potenza del suo quad lungo la collina. Tornando composta si arpionò le mani al grembo facendo un profondo respiro. Meno di due minuti e la mora le era davanti con la sua solita sfacciata strafottenza.

“Ben trovata Kaiou.” Disse sfilandosi il casco e smontando di sella.

“E meno male che avrei dovuto essere io a non far tardi.”

“Bando ai convenevoli… Hai dunque deciso cosa fare?”

“Non mi hai dato tutta questa gran scelta.” La sentì ridere ritrovandosela occhi negli occhi.

Le sembrava di guardare le iridi di Seiya e questo le diede un gran fastidio.

“Dunque? Hai deciso di toglierti di torno?”

Fu allora che Kaiou calò le carte e forte dei suoi assi iniziò la battaglia piegando la testa da un lato. “Oltre a dirti che sono una stronza, tuo fratello avrebbe anche dovuto spiegarti due cosette sul carattere di quella che è stata la sua compagna per anni. Vedi, mi ritengo una donna dall’indole abbastanza pacifista, ma se minacciata non sono tipo da rimanere inerme ad un attacco.”

“Cosa vorresti dire, che hai deciso di rimanere?”

“Ho deciso di battermi.” Ed era stata Minako a ricordarle come si facesse.

Estraendo dalla tasca del vestito il suo cellulare, Michiru ne controllò il segnale disegnando sulle labbra un sorriso indecifrabile.

“Non capisco, vuoi che dica tutto a mio fratello? Vuoi davvero che venga qui!?”

“Non è un mio problema. - Le rispose scorrendo la rubrica, scegliendo il nome ed innescando la chiamata. - Perché tra non molto diventerà il TUO.”

Attese tre squilli e lo sentì rispondere.

Michiru?!”

“Ciao Seiya.”

Al nome del fratello, Bravery sbiancò. “Cosa stai facendo…”

L’altra le fece cenno di tacere rispondendo all’uomo che intanto le aveva chiesto come stesse. “Bene. Meglio. Ascoltami, hai ricevuto la chiamata del mio avvocato in merito al pagamento delle penali?”

Si. E devo dirti di esserci rimasto di merda. Ma lo sai che razza di casino hai combinato?!”

“Cerca di stare calmo e ricordati di stare parlando con una signora. - Lo zittì freddamente. - Conosco la legge e so come muovermi, perciò se hai paura che gli avvocati della Union Artists Foundation possano querelarci, bè… puoi stare tranquillo.”

Non è questo! E’ l’immagine che stiamo dando come coppia artistica a farmi uscire dai gangheri.” Masticò tra i denti.

“Senti, non ho intenzione di discutere con te. Ti ho soltanto chiamato per sapere se i pagamenti fossero in ordine. Sono in un posto dove si fa fatica a telefonare e lo sai che per cose tanto importanti non mi piace interfacciarmi con le E mail.”

Lo sentì più arrendevole. “Sei all’estero?”

“No. Sono in patria, ma… - E partì il colpo di sciabola di una donna troppo intelligente per entrambi i fratelli Kou. - … in tutta onestà credevo che STELLA te lo avesse accennato.”

Michiru guardò le labbra della mora schiudersi e capì di averla colpita.

Cosa c’entra mia sorella?”

“So che nell’ultimo mese avete preso a sentirvi spesso. Mi sorprende non ti abbia parlato del mio soggiorno alla masseria accanto a quella della tua famiglia materna.”

Sei in Provincia?!”

“Si, ma se fossi in te non mi scervellerei troppo a pensare sul come o perché sia capitata da queste parti. E' stato solo frutto del caso. Devo ammettere che i posti incantevoli che ci sono qui e la vita sana mi hanno spinta a rimanere per un po’.”

Non posso crederci. E Stella lo sapeva?””

“Be…, si. Ultimamente ho occasione d’incontrarla spesso.” E si fermò, anche se avrebbe potuto affondare la lama più in profondità e con maggior cattiveria.

La mora rimase impietrita ad ascoltare la fine della telefonata e quando Michiru attaccò, la fissò capendo di essere stata ferita con la stessa arma che fino a quel momento aveva creduto di tenere saldamente stretta dalla parte del manico.

Rimettendosi il cellulare nella tasca l’altra non manifestò emozioni. Non c’era soddisfazione sul suo volto. “Adesso hai capito di quale pasta sono fatta.”

“Tu sei veramente una stronza.” Riuscì ad articolare mentre la violinista prendeva a scuotere la testa.

“No Bravery, se lo fossi stata veramente avrei potuto rigirarmi Seiya e lo sai, ti si sarebbe scaraventato contro. Perciò soppesa le parole, calmati, respira e torna al tuo posto.”

La partita tra Bravery Kou e Michiru Kaiou era così tornata in perfetta parità.

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau e ben tornate/i. Devo ammettere che mi è piaciuto molto scrivere quest’ultima reazione di Michiru, come mi piace l’idea che sia stata proprio Minako a darle la scossa. Credo proprio che il buon Yaten avesse ragione nel dire che la sua donna è una paladina hahaha.

Spero di avervi un po’ incuriosito con la figura di Giano e vedrete che avrà un bel ruolo nella storia, ad oggi totalmente inimmaginabile.

Spero di far spiccare quanto prima il binomio Mamoru/Usagi, colpevolmente lasciati in disparte. Abbiate pazienza. Ci sarà posto anche per loro.

In ultimo, ma non ultimo, vorrei ringraziare Ferra10 per avermi aiutata a capire le dinamiche e l'importanza dei turbocompressori nelle macchine come quella di Haruka. Con quel barattolino ne vedremo delle belle. No, scherzo. E' una signora macchina.

Un abbraccio e a prestissimo!

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Capitolo 8
*** Uno spirito guida ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Uno spirito guida

 

Guardando severamente la figlia le indicò con il mento di fermarsi e senza alcuna pietà l’abbandonò per entrare nell’officina della famiglia del suo amico Max. Era imbestialito come un toro e questa volta neanche le moine di Alba sarebbero riuscite a stemperargli i nervi. Non poteva credere che stesse accadendo sul serio, che la sua autorità genitoriale fosse messa tanto alla prova da una quattordicenne tutt’ossa con gli occhi verdi così spavaldi da fargli prudere le mani ad ogni sguardo. Cosa aveva mai fatto di male per meritarsi quell’enorme croce sulla schiena, lui, anima semplice che tutto stava cercando di fare per le donne della sua famiglia? Nulla! Sante Tenou era stramaledettamente convinto di non aver fatto nulla per indispettire una qual si voglia divinità cosmica! Eppure era successo; una delle sue figlie stava crescendo troppo in fretta e ne lui ne sua moglie riuscivano più a starle dietro.

“Rose?!” Chiamò sulla soglia della saracinesca quasi del tutto aperta.

Un leggero eco e la vide uscire fuori dal retro di una macchina. Serena come sempre. Indaffarata come sempre. Vestita come sempre di una delle sue tante magliette metal con la parte superiore di una tuta da lavoro blu allacciata alla vita. I capelli portati rasta ad incorniciarle un viso maturo, ma pulito e bello come quando aveva trent’anni. Gli occhi castani, caldi e profondissimi, le braccia forti, abituate al lavoro faticoso, impreziosite da due vistosi tatuaggi in stile Old School. Un’amica, la sua più cara amica, sua e di Alba, che l’aveva voluta a tutti i costi come madrina al battesimo di tutte e quattro le sue figlie. Meccanico valente che insieme al fratello Max era riuscita a portare al successo la scuderia dei Tenou negli ultimi anni della loro carriera.

“Ma guarda tu che sorpresa! Sante, quanti mesi saranno passati dall’ultima volta che ci siamo visti?!” Punzecchiò sfilandosi i guanti in lattice per offrirgli la mano.

Lui la prese stringendogliela forte ed ammettendo, soprattutto a se stesso, che fossero davvero troppi. “Scusami, ma con l’arrivo dell’ultima piaga d’Egitto la nostra masseria sembra diventata un campo di battaglia. Ma garantisco un prossimo invito a cena, parola.”

“Tranquillo. Con la nuova piccolina è ovvio che siate molto presi. Ma sappi che ogni tre per due mio fratello si lamenta perché non ha più il quarto a poker.”

“Non credere, si lagna solo perché non ha più un pollo da spennare e non certo perché gli manchi un amico.” Disse ghignando.

“Potrebbe anche essere. Allora, qual buon vento ti riporta in questo mondo?” Chiese sentendolo sospirare pesantemente.

“Più che di vento io parlerei di… tempesta…” Ed indicando con il pollice un punto all’esterno, la spinse a sporgersi per mettere a fuoco.

Agli occhi della donna comparve una ragazzina dall’aria cupa, seduta non troppo compostamente sulla gomma dura di un paio di pneumatici di un autoarticolato, sguardo torvo sbattuto in faccia al mondo in una delle più classiche pose del menefreghismo adolescenziale. Rose fece fatica a riconoscerla.

“Ma chi è, Haruka?!”

“Già…”

“Non era così l’ultima volta che l’ho vista al battesimo della sorellina!”

“Adesso è una liceale dalla testa ai piedi, come dice lei e guai a darle torto!” Rincarò disperato fissando l’assurda capigliatura che in un impeto di follia la figlia si era fatta fare dal primo barbiere convenuto.

“Non ti offendere Sante, ma più che una liceale direi che assomiglia ad una panca bestia.”

“Io non so più dove sbattere la testa.”

“Cosa ne pensa Alba?” Chiese portandolo verso la macchinetta per il caffè.

“E che vuoi che dica! E troppo indaffarata con Usagi per riuscire a starle dietro come vorrebbe e quando non è tra pannolini, pappe o la gelosia dilagante di Minako, è al ciclo di produzione. - Scorato prese il bicchierino perdendosi nel denso liquido scuro. - Anche Giovanna non è tenera, ma è sicuramente meno problematica di Haruka.”

“Addirittura problematica? Su, non esagerare! E’ solo un’adolescente al primo anno di liceo che sta crescendo. Le passerà.”

“Non credo che mia figlia stia facendo un classico percorso di crescita, ed è per questo che sono venuto qui da te. Ho bisogno di un consiglio Rose.”

Non capendo le richieste dell'uomo tornò a guardare il vestiario mascolino della biondina. Non era certo un’esperta nel saper decifrare usi e costumi del mondo giovanile, ma era abbastanza lampante che la figlia di Sante covasse dentro un certo disagio.

Pur se dall’aspetto piacevole, Rose non aveva mai voluto legarsi, ne metter su famiglia, preferendo la solitudine a mocciosi petulanti bisognosi di troppe cure. Aveva scelto la libertà ed appena aveva potuto farlo, era partita per girare il mondo e vedere così più cose possibili. Affamata come chi non mangia da giorni, aveva fatto tutte le esperienze possibili ed anche se alcune di esse non erano state positive e le avevano lasciato strascichi fisici anche pesanti, non era pentita. Era cresciuta come donna e come individuo ed una volta spento quel fuoco gitano, aveva fatto ritorno come una rondine. Ora lavorava con un paio di dipendenti nell’officina lasciatale dal padre e finalmente appagata, viveva tranquilla in quel piccolo spicchio di provincia.

“Se non può aiutarti Alba, cosa ti dice che possa farlo io?”

Imbarazzatissimo Sante iniziò a torturarsi la zazzera. “Non prendertela a male, ma credo che per Haruka questa volta ci voglia più di una madre premurosa. Le serve l’esperienza di una donna…, be si, insomma. Una donna come te.”

“Vuoi intendere una donna che ama… altre donne?” Chiese maliziosa avvicinandosi al viso dell’amico.

“Porca puttana, lo sapevo che ti saresti offesa.”

Scoppiando a ridere Rose gli strinse forte una spalla domandandogli se fosse stata di Alba l’idea di…consultare l’oracolo.

“Non sa nemmeno che ho capito quanto a nostra figlia non piacciano i ragazzi.”

“E allora perché prima non ne parlate insieme? Haruka ha un carattere molto simile a quello della madre e credo non ci sia nessuno che possa capirla meglio di lei.”

“Hai ragione, ma è pur vero che quando si tratta della nostra secondogenita, Alba non è lucida a sufficienza per imporsi. Non ero d’accordo quando quel soldo di cacio ha iniziato a stressarci sul volere imparare a guidare, ma la madre l’ha assecondarla e ora ha in testa solo i motori con tanti saluti alla scuola. E passi, anche io non ero un fulmine di guerra sui banchi, ma quando l’altro giorno è tornata a casa con la testa simile a quella di un cantante punk rock e le braccia piene di lividi dopo l’ennesima zuffa a scuola, ho capito che dovevo fare qualcosa.”

“I compagni la stanno mettendo sotto?”

“Si, o almeno ci stanno provando. Figurati, è la più giovane della classe, ma anche se grazie al cielo ho una figlia forte ed orgogliosa, credo sia anche molto confusa e spaventata. La conosci…, fino a qualche mese fa non si sarebbe mai fatta stuprare la testa a quel modo e sono sicuro che l’abbia fatto per ripicca verso quei quattro imbecilli che la stanno prendendo in giro. - Guardando Haruka camminare avanti ed indietro per lo spiazzo come un leopardo in una gabbia immaginaria, scosse la testa solcando la fronte. - Non m’importa se le piacciono le donne, vorrei solo che fosse serena. Ma purtroppo ora vedo in lei solo tanta rabbia e frustrazione.”

Buttando giù il suo caffè amaro, l’amica iniziò a riflettere. Vivere in provincia non era tutta una passeggiata e questo l’aveva capito sulla sua pelle, ecco perché aveva voluto ampliare i propri orizzonti culturali viaggiando. “Cosa potrei mai fare io?”

“Rose, lo so che non ami molto i ragazzini di oggi, ma so anche che tieni alle mie figlie, perciò ti prego… dacci una mano. Haruka ha bisogno d’impegnarsi in qualcosa che le piace veramente e di avere vicino…”

“… una persona che riesca a capire cosa le stia urlando il suo cuore.” Proseguì guardandolo seria.

“Esattamente. Come genitori noi l’amiamo alla follia, ma non possiamo aiutarla tanto quanto potresti fare tu. Mi capisci?”

Certo che capiva. I tempi erano cambiati, ma la gente, nel profondo, era sempre la stessa; un’accozzaglia di perbenisti ipocriti e sempliciotti, attaccati alle tradizioni e votati al pregiudizio sociale.

L’amica accettò anche se sentiva forte l’odore della rogna. “Va bene, facciamo una prova, tanto più che essendo la sua madrina sono tenuta ad occuparmi di lei.”

“Una madrina molto ganza. - Esultò sollevato ringraziandola con un colpetto sulla spalla. - Grazie Rose! Vado a dirglielo. Te la porterò qui tutti i pomeriggi dopo scuola per venirla a riprendere prima di cena.”

“Essere la madrina di una figlioccia quattordicenne in piena tempesta ormonale più che una cosa ganza mi sembra una tragedia.” Borbottò lei arpionandosi i fianchi aspettando di sentire le trombe dell’Apocalisse.

E l’Apocalisse arrivò. Cavalieri, sigilli spezzati, angeli mietitori e fiamme ardenti, tutti concentrati in un unico, secco, perentorio NO, gridato a gran voce dalla figlia di un uomo ormai giunto al limite della sopportazione maschile. “Piantala di fare la bambina! Sono mesi che non fai altro che ripeterci che vuoi correre! Ebbene, ora te ne do la possibilità.”

“Cosa diavolo c’entra il lavorare in un’officina con il correre?!”

“Ragazzina abbassa i toni! Si da il caso che un bravo pilota debba anche sapersi prendere cura della propria auto e qui potrai imparare a farlo. Sai quanto Rose sia brava nel suo campo, no?”

“Io so già TUTTO sui motori! Siete stati proprio tu e la mamma ad insegnarmelo!” Fissandolo negli occhi la biondina lo sfidò apertamente. Un aggettivo che nelle intenzioni più tracotanti di quel puledro non lasciava alcuno spazio all’umiltà.

“Non è abbastanza Haruka! Il tuo tutto è solo una goccia nel mare e fino a quando non imparerai ad abbassare la cresta non arriverai mai da nessuna parte.”

“Dilla tutta pà, mi volete fuori di casa per potervi occupare in santa pace di Usa!” E i decibel salirono vertiginosamente.

“Adesso non ti ci mettere anche tu! Abbiamo già la gelosia di Minako e l’intolleranza di Giovanna. Almeno tu dammi requie!”

“Ma…”

“Basta così! Ora vai dentro, saluti Rose, la ringrazi e ti metti a sua disposizione. Farai tutto ciò che ti dice di fare e lo farai bene. Io verrò a prenderti prima di cena. Hai capito?”

“E i compiti?!”

“Ah, ora smani per studiare?! Li farai quando tornerai a casa.”

“Ma dai…”

Fine delle trasmissioni. Sante neanche le rispose. Un ultimo sguardo alla penombra dell’officina dove ancora s’intravedeva la figura longilinea dell’amica, poi facendo dietro front si diresse verso la sua auto cercando di non badare ai mugolii di rabbia che intanto stavano uscendo dalle labbra della figlia.

Che meraviglia. Andiamo bene, pensò Rose guardando il mezzo dei Tenou immettersi sulla Provinciale.

 

 

Haruka sorrise da dietro i suoi Ray ban. Estraniatasi da tutto, se ne stava appoggiata al muretto che divideva il parcheggio esterno del pub di Max dall’officina subito accanto, ripensando a quella parte della sua adolescenza che l’aveva vista sentirsi sola e confusa, derisa e parzialmente rifiutata, ribelle, eppure incatenata dalle sue stesse paure. Allora non aveva capito quanto il padre ci avesse visto giusto nel cercare di farla legare con una donna tanto simile a lei da sembrarne uno specchio proteso verso il futuro. Non aveva capito ed inizialmente non aveva neanche accettato la cosa. Troppo testarda ed orgogliosa per ammettere di aver bisogno di fermarsi un attimo ad ascoltare chi era già passato nell’inferno che l’aveva fagocitata. Lei, troppo saccente ed ottusa da capire quanto ancora dovesse masticarne di vita per cercare di tenere testa a tutti i calci che le sarebbero piovuti addosso.

Non aveva capito e non aveva accettato, tanto che in quel primo pomeriggio di lavoro, ci aveva messo dieci minuti per darsela a gambe davanti alla titolare di allora e tagliando per i campi, in due ore e mezza era riuscita a tornare a casa. Inzaccherata e sfinita si era presentata sulla soglia dell’ufficio di Sante appena in tempo per vederlo mettere giù la cornetta del telefono e lanciarle un laconico; era Rose. Gran bella figura che mi hai fatto fare. Complimenti.

Ma se la testa di Haruka era dura come il granito quella di Sante lo era anche di più. Così, il giorno successivo il copione era andato ripetendosi. Prelievo da scuola, scarico davanti alla saracinesca dell’officina, scuse di rito. Questa volta la ragazzina aveva resistito poco più di un’ora. Due il giorno appresso.

La bionda rise incrociando le braccia al petto. “Quanto potevo essere stupida.” Si disse scuotendo la testa.

E Rose, con i nervi sempre più tesi ed una voglia matta di prenderla a sberle, aveva aspettato che Haruka fosse stata pronta ad abbassare le difese e a farsi guidare. “Se non fossi la figlia di due cari amici, ti assicuro che qui dentro non ci metteresti più piede!”

“Tanto meglio! Cosa devo fare per farvi capire che non voglio stare qui?!” Aveva ringhiato il pomeriggio del quarto giorno.

“Ma come, credevo di aver capito che la grande Haruka Tenou amasse i motori. Questo per te dovrebbe essere come il paese dei balocchi!” Non sapendo più come prenderla, Rose aveva allora allargato le braccia scorata.

“Non c’è niente qui dentro che io non sappia già riparare! - Aveva contrattaccato l’altra lagnandosi isterica. - Ho capito cosa vuole fare mio padre, ma con me questo trucchetto non funziona. Tenermi chiusa qui dentro non spingerà quei quattro dementi a non prendermi più per il culo ogni volta che passo per i corridoi o scendo nel cortile della scuola.”

Ma la donna non si era impietosita, perché più del bullismo scolastico che era certa, Tenou un giorno avrebbe superato da sola, quello che le dava fastidio era la saccenza con la quale quella ragazzina sembrava aspirare ossigeno e sparare a zero su tutto quello che aveva intorno. Ecco perché non ho avuto figli. Li avrei mangiati come fanno le Mantidi, aveva pensato socchiudendo il castano degli occhi al verde strafottente della più giovane. Poi, colta da un puro lampo di genio, l’aveva afferrata per un braccio trascinandola verso un angolo buoi dell’officina. Dietro ad un mezzo meccanico era apparsa ad Haruka la magnificenza e la potenza di una Ducati ST4. Guardando la faccia attonita della biondina, Rose aveva capito di aver colto nel centro.

“Me l’ha portata un cliente più di un anno fa, ma non avendo ne denaro, ne interesse a rimetterla su strada, me l’ha lasciata. Io non ho tempo per starle dietro, perciò se davvero sei tanto brava con i motori, talmente brava da non dover imparare più nulla, allora… aggiustala.”

“Come? Io non… E’ una moto.”

“Ma brava, sono stupita da tanta arguzia e spirito d’osservazione.”

“No, intendevo dire che so aggiustare le auto, non le moto.” E magicamente l’arroganza dimostrata fino a quel momento era stata scalfita da una vena d’umiltà.

“Oh, ma se io fossi una regina dei motori come te non sarei tanto selettiva. Ha un telaio. Ha le ruote. Ha un motore. Perciò…, aggiustala Tenou. Prenditi tutto il tempo che vuoi. Non ho fretta!”

Game, set e partita. Da quel momento Rose ebbe Haruka praticamente incollata addosso. Sulle prime, la ragazzina aveva provato a cavarsela da sola, ma l’evidenza di non averne le basi l’aveva spinta a piegarsi.

“Ma guarda chi torna strisciando sul pancino.” L’aveva colpita quando se l’era vista davanti con un pezzo al quale la biondina non avrebbe neanche saputo dare un nome.

Da li le prime indicazioni, il primo libro di testo per imparare più velocemente, le finezze tecniche e i trucchi del mestiere di una donna che nel suo campo era veramente una professionista. Interi pomeriggi passate fianco a fianco, dove Rose aveva iniziato a provare piacere della compagnia di quella giovane panca bestia, che man mano si sgrezzava, sorrideva e si arrendeva al fatto di avere la necessità e la voglia di una mentore che l’aiutasse a crescere anche come persona. Così passarono i giorni, le settimane, i mesi. L’autunno rincorse il Natale e al freddo dell’inverno subentrò il tepore della primavera e poi il caldo torrido dell’estate successiva. Ed intanto Haruka cresceva capendo quante fossero le cose che ignorava, sia sui motori, sia della vita. Al fianco di Rose aveva compreso come a dei compagni di scuola che si portavano l’indice e il medio alle labbra per formare una V e sfotterla sulla sua omosessualità, si poteva benissimo rispondere con una battuta, un’alzata di spalle o con il semplice silenzio. Che la loro era solo ignoranza e che se si fosse fatta conoscere per la splendida ragazza che era, tutto sarebbe andato a posto senza l’aiuto dei pugni o della chiusura in se stessa.

Ci volle un po’, ma alla fine dell’anno scolastico Haruka si era già fatta degli amici e passata in seconda classe era finita addirittura per diventarne una dei leader. E ci volle un po’ anche per aggiustare quella capricciosa Ducati rosso fuoco, che proprio come quella testarda ragazzina, sembrava non volerne sapere di dare il massimo delle sue potenzialità.

“Otto mesi, ma alla fine ce l’ho fatta! E tu fosti avara di complimenti come sempre, anche se si vedeva che eri orgogliosa. Non è vero Rose?!” Ricordò Haruka guardando i campi all’orizzonte.

Il sole caldo la costrinse a sfilarsi la giacca a vento mentre distrattamente, colse alcuni scambi verbali che l’attuale proprietario dell’officina stava avendo con Yaten. Al ragazzo non aveva dato alcuna spiegazione in merito ai pezzi di ricambio per il suo Peugeot, ma era venuta a prenderli in moto e aveva bisogno di lui per il ritorno. Non volendo far preoccupare le sorelline e convinta da Giovanna che lavorare alla macchina a notte fonda sarebbe stato più faticoso e meno produttivo, aveva deciso che l’avrebbe preparata in uno dei capanni più lontani dalla masseria. Con più libertà di movimento sarebbero riuscite anche a fare qualche prova su strada. Era agitata, perché erano anni che non guidava ad un certo livello e lo smalto che aveva da giovane con la sorella non sarebbe certo tornato nei pochi giorni che mancavano alla gara.

Posando la giacca sul muretto tornò comoda a guardare la sua bella Ducati parcheggiata ad un paio di metri da lei. Già, era venuta su due ruote e sarebbe tornata su quattro. Non aveva scelta e si sentiva in colpa per questo, ma sapeva anche che colei che un giorno le aveva affidato le chiavi di quel fulmine rosso avrebbe approvato e magari, avrebbe anche sorriso alla cosa.

Rose, ora che l’ho aggiustata cosa intendi farne?”

Non saprei. Non sono certo un tipo da Ducati.”

Tu e le tue Haeley.”

Hei ragazzina, posta rispetto. Sono sempre un classico!”

Tzs… Però è un peccato darla via.”

Mai affezionarsi agli oggetti. - Un rapido sguardo a quel viso pulito che tanto le ricordava il suo da ragazza. - Ti ha fatto penare più del dovuto, perciò non credo che la venderò.”

Sarebbe un peccato anche il lasciarla sotto un telo.”

Lo credo anche io ed è per questo che da ora in avanti sarà tua.”

“Ci rimasi come un’imbecille quando mi lanciasti le chiavi sorridendomi dolce come solo mia madre sapeva fare e dovetti promettere sia a lei che a te che non l’avrei guidata fino al conseguimento della patente. Quasi quattro anni di tormento. Quattro anni nei quali sono sviluppata rafforzandomi per non venirne schiacciata dal peso e dalla potenza. Quattro anni nei quali tante cose sono cambiate.” Voltando la testa lesse l’insegna che campeggiava sopra la palazzina a due piani che anni addietro Max e Rose avevano ereditato dai genitori. Un’insegna che ora portava un altro cognome.

“Quando quel giorno mi dicesti che dopo le vacanze estive non avresti più riaperto la serranda, non ti credetti. Pensavo fosse solo uno dei tuoi soliti scherzi. Non sto bene, devo andare a curarmi. Tu però aspettami e non fare quella faccetta preoccupata. Ed io lo feci. Ti aspettai venendoti anche a trovare in clinica. Ma fu tutto inutile…”

“Tenou, abbiamo caricato tutti i colli.” Il proprietario dell’officina, un uomo tranquillo ed abbastanza onesto, le si avvicinò porgendole la fattura della merce.

Era arrivato il momento. Senza tentennamenti Haruka la prese controllandone il contenuto, poi andando verso il manubrio della sua moto, si riprese il casco lasciato agganciato alla manopola del gas. “Questo me lo porto via. Le chiavi le ho lasciate inserite e i documenti per il passaggio di proprietà sono dentro la sella. Mi raccomando…, trattala bene.”

“Hai fatto un affare Tenou. Quella due ruote non vale tutta la merce che hai preso.” Le disse tornando verso l’entrata dell’officina dando un cenno di saluto a Yaten.

“Si, certo.” Rispose lei con ironia accorgendosi solo in quel momento che fermo accanto alla porta principale del suo locale, Max la stava fissando.

Un viso di pietra dall’espressione dura, non giudicatrice, ma comunque di qualcuno che non approva. Haruka provò a non farci caso. Ancora uno sguardo alla sua dolce amica che aveva voluto chiamare come la sua mentore. Una carezza gentile, un sorriso mesto ed un ultimo saluto.

Ora la corsa è proprio finita Rose e senza guardarsi indietro Haruka Tenou abbandonò anche l’ultimo ricordo che la legava al suo passato di ragazzina.

 

 

Adesso hai capito di quale pasta sono fatta!”

Una frase quella, che da quando le era stata lanciata continuava a ronzarle nella testa come la più fastidiosa delle mosche e faceva male, penetrando e lacerando quello che rimaneva del suo orgoglio. Uno smacco che non avrebbe mai creduto di subire, perché troppo forte della posizione di dominanza acquisita in giorni e giorni di logoramento ai fianchi. Aveva lavorato bene, intessendo la rete pian piano, non mettendo in conto però, la totale ignoranza che aveva sul carattere di quel piccolo pesciolino tropicale. Ed il repentino capovolgimento di fronte era stato talmente violento da lasciarla a terra senza fiato costringendola ad una fulminea ritirata. Per un paio di giorni era rimasta rintanata in una delle stanze degli ospiti della casa di suo zio, rimuginando ed inveendo contro la fine arguzia di quella stramaledetta donna, ascoltando gli sfoghi del gemello e meditando una vendetta di egual misura.

Seiya ci era andato giù pesante. Com’era solito fare non aveva urlato ne gli aveva sbraitato contro, ma la delusione nel pensare di non essere stato aiutato dalla sorella che sapeva dove fosse Michiru non avvertendolo, lo aveva reso freddo come il ghiaccio. E non era bastato il negare l’evidenza, le scuse o le moine lacrimose. Per tornare nella considerazione del gemello, Bravery avrebbe dovuto lasciar passare tanto tempo.

Questa cosa, unita alla gelosia nei confronti del rapporto che Michiru stava consolidando con Haruka, la stava facendo impazzire. Poteva tollerare come la bionda la guardasse, ma non poteva assolutamente accettare il contrario. Bravery aveva tanti difetti, ma non si poteva negare una certa sensibilità nel saper percepire sfumature che altri non notavano e negli ultimi tempi era lampante che Kaiou avesse iniziato a provare per Tenou una certa attrazione. E poco importava se era l’inevitabile conseguenza dell’attrattiva che una figura come Haruka esercitava sugli altri, perche' questa cosa doveva finire.

Il colpo di coda che Michiru era astutamente riuscita a sbatterle in faccia con un coraggio ed una classe che la mora non si sarebbe mai aspettata, era stato destabilizzante. “Tutto sommato è stato solo un piccolo errore di calcolo. - Si disse forte della voglia che ancora sentiva di provare verso le labbra della bionda. - Se vuoi giocare pesante Kaiou, sappi che posso farlo anche io e ti assicuro che ti riserverò la stessa moneta.”

Continuando a rifletterci su decise di schiodare dalla sedia metallica di uno dei tanti tavolini che accoglievano quotidianamente gli avventori del bar più conosciuto di quella cittadina adagiata tra le colline. Il prossimo passo sarebbe stato il mettere in pratica una contromossa. Con il cuore pesante per via delle parole del fratello ed il nervoso che quella strimpellatrice riusciva a darle, pagò la sua consumazione aspettando un infinità di tempo prima di ricevere il resto. Dio come odiava i tempi lenti della provincia. Se non fosse stato per Haruka sarebbe ritornata a Portland già alla fine di luglio. Tanto cosa ci stava a fare ospite in una casa con uno zio latitante ed un cugino sempre indaffarato. Per di più con Mamoru non aveva mai legato un gran che ed ora che sembrava avere per testa solo il piccolo spicchio di terra riscattato dal padre e quell’insulsa Usagi, il dialogo fra loro si limitava a qualche scambio verbale a cena prima di vederlo sparire dietro la porta della sua camera da letto.

Quanto mi manca lo sballarmi all’Hot Breast. Il rimorchio facile. Il leccare piano le gocce del mio ultimo Long Island sulla pelle di qualche bella donna prima di portarmela a letto per tutta la notte. Invece me ne sto qui, a passare i pomeriggi a bere un caffè che neanche mi piace e le serate in quel pub deprimente pieno di bifolchi, ad aspettare di vedere Haruka entrare con quel suo incedere spavaldo che, maledetta me, ancora mi fa impazzire. Sono un’imbecille! Dovrei tornarmene a casa e togliermi questa dannata voglia di lei con le labbra di un’altra. Ma ormai ci sono troppo dentro per cederla a quell’insulsa donnetta piena di se. Ho troppo prurito e troppa rabbia per battermela con la coda fra le gambe e costi quel che costi riuscirò a fartela pagare, Kaiou.

Pensieri nati molto probabilmente dalla consapevolezza di non avere una vita appagante e sentimenti certi, spinsero Bravery ad uscire al sole ormai spento del tramonto quando un brusio proveniente un po’ da tutti gli angoli della piazza, la riportarono alla realtà e proprio come ogni copione che si rispetti, il fulmine a ciel sereno squarciò l’aria rombando con il motore potente di una Lamborghini.

 

 

Usagi la guardò con la classica espressione di chi vuole chiedere qualcosa, ma non ha il coraggio di farlo e Michiru, che ormai aveva imparato a riconoscere i segni tipici della ricerca di un aiuto nella piega espressiva della biondina, smise di leggere togliendosi gli occhiali che usava per non sforzarsi troppo la vista. Alzando le sopracciglia l’incoraggiò a parlare.

”Vuoi forse chiedermi qualcosa… piccola Usagi?” E andava tutto ripetendosi; la biondina che tergiversava e lei che prendeva a guardarla creandole ancora più ansia.

“Ho paura che nel farlo tu possa giudicarmi male.”

O perbacco, questa era una novità. Nel silenzio di una casa del tutto vuota immersa nel tepore del tardo pomeriggio, Kaiou si ritrovò a sorridere alla cosa.

“Non potrei anche se volessi.” Ed era vero.

Attese dunque che il coraggio arrivasse ascoltando non senza una punta di divertimento quella specie d'inconfessabile richiesta. “Dovrei andare a prendere una cosa nel sottotetto, ma… non mi è mai piaciuto andarci da sola… Mi accompagneresti?”

“Tutto qui?” Chiese l’altra chiudendo lentamente il libro.

“Tutto qui.” Convalidò sentendosi una stupida bambinetta fifona.

Ma senza battere ciglio, senza chiederle spiegazioni e senza rimarcare il fatto che a diciassette anni, con un uomo ed un lavoro, anche se stagionale, sarebbe stato il caso per Usagi di crescere, Michiru scavallò le gambe alzandosi dalla sua seduta e poggiando testo ed occhiali sul suo comodino, le passò accanto accarezzandole una spalla. “Va bene. Andiamo.”

“Davvero?” Rimanendo sullo stipite della porta la guardò con un’espressione sollevata.

“Non vedo perché no, tanto più che la cena è già pronta e le tue sorelle non sono ancora tornate. Però dovrai farmi strada.”

Muovendo affermativamente la testa la biondina iniziò a sciogliere la lingua mentre salivano su per le scale. Così Michiru seppe della fobica paura che Usagi aveva sempre avuto del buio e degli spazi angusti.

“Quando entro in ambienti con altezze molto basse e con me non c’è nessuno, ho sempre paura che mi venga una crisi di panico. - Rivelò candida mentre arrivate alla botola seminascosta sul soffitto del corridoio, iniziava ad armeggiare con il comando della scala retrattile che portava al sottotetto. - Ma quando lo dico alle mie sorelle invece che cercare di capirmi, mi spingono a trovare una soluzione. Che poi secondo loro sarebbe il forzarmi a farlo da sola! Da qualche anno poi va sempre peggio.

Nell’ascoltarla Michiru ricordò ciò che le aveva detto Minako e collegò l'acuirsi di quella fobia alla prematura morte dei loro genitori.

“So di essere una ragazzina piagnucolosa, ma è difficile per me vincere queste paure.”

Come poteva giudicarla se lei per prima, da anni, soffriva di picchi acuti di stress? Certo, il contesto era diverso; lei era una violinista professionista ormai schiacciata dalla fama che il suo grande talento le aveva portato in dote, ma il succo del discorso le sembrava incredibilmente somigliante.

“Non sei piagnucolosa, ma fragile e come tale vai capita e protetta fino a quando non avrai la forza di reagire da sola.” E forse dicendolo alla ragazza parlò anche con quella piccola parte di se che non riusciva ad accettare perché troppo debole.

Sentendosi capita come solo Mamoru riusciva a fare, l’altra esplose un sorriso enorme mentre la botola si apriva con sinistri cigolii metallici lasciando scendere piano la scaletta metallica. Usagi fece strada accendendo velocemente la lampadina centrale inchiodata ad una delle capriate. Si ritrovarono in un ambiente tutto sommato ordinato e pulito, nulla a che vedere con le inquietanti soffitte che si vedevano in certi horror e che visto il preambolo, Michiru si aspettava di vedere. La colpì solo un leggero odore di muffa che la spinse a socchiudere gli occhi ad un’enorme chiazza scura che campeggiava su una parte dell’orditura lignea del tetto.

“E già, anche il tetto ha iniziato a darci noia. All’inizio dell’estate Haruka aveva garantito che ci avrebbe pensato lei, ma come vedi è ancora la.” Sottolineò Usagi rivelando una certa punta di scettica freddezza.

“Avete ancora discusso, he?!”

“No, perché? Ti do forse l’impressione di avercela con lei?”

“”Il tuo sarcasmo mi suggerisce di si.” Disse stando attenta a non urtare con la testa le parti più basse delle catene di castagno.

“Io non ne posso più! Non vedo l’ora di compiere diciotto anni ed allontanarmi anni luce da lei.”

Michiru sembrò perdersi. “Avevo capito che saresti andata a vivere con Mamoru nella casa oltre il ponticello.”

“Appunto! Anni luce! Almeno per me.”

Alzando le sopracciglia l’altra cercò di far finta di niente, ma da girovaga qual’era sempre stata il sentir parlare la ragazza a quel modo non poteva che farla sorridere. Cercando di cambiare discorso le chiese cosa dovesse cercare.

“Un libro di cucina. Dentro ci sono gli appunti di nostra madre su un paio di piatti che Minako vorrebbe preparare come ben tornato per Giovanna.”

“Mi sembra un ottima idea!” Puntualizzò convinta iniziando a guardarsi intorno. Poi lo vide. Un astuccio lungo pressappoco una cinquantina di centimetri, dalla linea talmente famigliare da lasciarla di sasso nel vederlo in un posto simile.

“Usa, ma quella è la custodia di un violino?” Chiese attratta dalla pelle scura come una falena alla luce.

Distratta da uno scatolone l’altra confermò.

Impaziente Kaiou forzò il metallo delle clip in ottone dando luce ad un vecchio violino. “E tu? Cosa ci fai qui?” Disse prendendolo delicatamente tra le mani.

“Da quando ho memoria è sempre stato li. I miei lo trovarono all’acquisizione della masseria e da allora è diventato una sorta di porta fortuna. Ma visto gli ultimi tre anni, credo che avremmo fatto meglio a trattarlo con maggior cura.”

“Gli oggetti non portano sfortuna. - Sospirò accarezzandolo gentile. - Ti dispiace se gli dedico un po’ di tempo? Vorrei pulirlo ed accordarlo. Il legno mi sembra ancora in buone condizioni,”

“Sai suonarlo?” Chiese staccando finalmente gli occhi dallo scatolone.

“Un po’.”

“Non credo ci siano problemi, tanto più che nessuna di noi è stata o mai sarà interessata ad uno strumento musicale e visto l’umidità che c’è qui, prima o poi finirà con il rovinarsi.”

Michiru non si era mai staccata dal suo strumento, anche in quelle settimane sapeva che avrebbe potuto toccarlo in qualsiasi momento avesse voluto prenderlo dal portabagagli della sua auto, ma pur se composto con il miglior legno della Val di Fiemme, il suo Stradivari non le aveva mai dato la stessa sensazione di calore che le stava infondendo ora quel vecchio violino.

“O ecco, lo trovato!” Esultò Usagi stringendo il libro fra le mani. Ma Kaiou non sembrò ascoltarla, continuando ad accarezzare quella scoperta meravigliosa, sentì nel petto il coraggio fin li sopito di tornare a suonare.

 

 

Haruka era esausta. Comminando lentamente sul ciglio del sentiero che portava dal capanno alla masseria, guardò l’ultimo quarto di una luna grande e ben definita. Aveva mandato avanti Giovanna per cercare di non fare mangiare la foglia alle sorelle sul fatto che avessero preso a cenare tardissimo e a coricarsi in orari inconciliabili con la vita di un’azienda agricola. E per ora sembrava andare tutto bene, almeno su quel fronte. Per la messa appunto della macchina il discorso era diverso. L’asportazione del pacchetto biturbo dalla macchina di Michiru avrebbe garantito un surplus di potenza al loro peugeottino, ma di contro se non fosse stata sufficientemente attenta avrebbe rischiato paurose perdite di aderenza sia sui rettilinei che in curva.

“Devo risolvere il problema prima che si presenti.” Rimuginò calciando uno dei tanti sassi di fronte al suo passo.

Al ritorno dall’officina e fatto promettere a Yaten di non spifferare la vendita della sua Ducati a Minako, aveva iniziato subito facendo un check sull’elettronica e sulle parti meccaniche che aveva deciso di tenere. Giovanna era arrivata ad aiutarla verso le diciotto buttando giù il programma degli allenamenti su strada. Con meno di venti giorni di tempo avrebbero dovuto tirare fino all’inverosimile per cercare di essere competitive. Ma non sarebbe bastato tutto il sudore speso, le notti insonne, la testardaggine e la tenacia del redivivo team Tenou, se non avessero portato a casa la vittoria. Ed anche in quel caso, chi avrebbe garantito loro che il fantomatico e poco raccomandabile Giano le avrebbe saldate?

Se una volta vinta la corsa si azzarderà a giocare sporco con me, quanto è vero Iddio gli innescherò tra i denti la bomba che da mesi tengo in tasca. Ho puntato tutto su questa gara e sarà meglio per lui tenere fede alla parola data, pensò affondando le suole nel terreno molle già proiettata sulla linea del traguardo. Haruka aveva un asso nella manica che per quieto vivere famigliare non aveva mai voluto estrarre. Fin da quella sera, quando tornando da una passeggiata era accidentalmente venuta a sapere chi in realtà si celasse sotto il nome di Giano. Da allora aveva dovuto convivere con un segreto pesante e mal digeribile, tra la necessità di proteggere chi amava e la coscienza di una donna onesta. Aveva così optato per un’insolita e molto precaria posizione d’attesa, forzando tutto il suo essere a starsene buona in un angolo nonostante bruciasse di rabbia.

Ultimamente non c’era più un solo punto fermo nella sua vita. Amava talmente tanto la sua azienda che avrebbe fatto di tutto per proteggerla, eppure si era ritrovata ad offrire ad un poco di buono parte del suo futuro come garanzia per un azzardo. La speranza o la troppa fiducia in un lontanissimo passato nel quale era stata un talento, la spingevano a credere di avere già la vittoria in tasca, ma la realtà era diversa e lei doveva imporsi nel vedere le cose come realmente erano, ovvero difficilissime. Voleva salvaguardare il futuro di Usagi, ma con il suo comportamento soffocante la stava solamente allontanando da lei. Sapeva Minako insofferente e non del tutto realizzata, ma non poteva permettersi di lasciarla andare e con Giovanna…, con Giovanna era tutto così strano. Aveva capito il perché della sua partenza, ma sotto sotto non riusciva ancora a perdonarla e conoscendosi, forse non lo avrebbe mai fatto. E poi c’era lei, l’oggetto dei suoi desideri più intimi, quello scuotimento interiore che la terrorizzava e allo stesso tempo l’attraeva da morire.

Adesso non ho il tempo per innamorarmi, si ripeteva come un mantra giorno dopo giorno e quando non cadeva sfiancata tra le pieghe del suo letto, notte dopo notte, ingannando il suo cuore forzandolo a battere per qualcos’altro che non fosse la bella forestiera venuta da chi sa dove.

Soffiando all’aria della tarda sera, si strinse nelle spalle avvertendo la fastidiosa umidità estiva che anche dopo il calar del sole continuava a rendere l’aria pesante ed appiccicaticcia. Affondando tra il terriccio smosso dei filari della Prima, s'infilò le mani nelle tasche dei pantaloni socchiudendo gli occhi per vedere meglio dove stesse mettendo i piedi, quando il suono di uno strumento musicale a corda le bloccò il passo. Voltando la testa in direzione delle scale che iniziavano a scorgersi in lontananza, intravide una figura ritta in piedi a circa tre quarti della discesa. Avvicinandosi un po’ riuscì a riconoscerne le fattezze. Michiru. Con il corpo esile cinto da un semplicissimo abito bianco, i capelli mossi dal vento, la compostezza propria di una donna dall’animo gentile e fiero, un violino appoggiato nell’incavo del braccio sinistro, il viso inclinato verso la mentoniera e la destra salda ad un archetto. Haruka si sentì improvvisamente intorbidita, come se quell’immagine baciata dai lievi raggi della luna e quel suono così poco conosciuto, fossero uno scherzo della sua mente, una proiezione di un sogno fantastico.

Come se potesse in qualche modo spezzare quella visione, la bionda prese a respirare pianissimo non muovendo neanche un muscolo. Per minuti interi restò fossilizzata nella sua posizione, fino a quando con un ultimo movimento del crine, Michiru non terminò di suonare abbandonando lungo i fianchi violino ed archetto. Mostrando il viso alla luna, la donna serrò gli occhi mentre due sottilissime lacrime sgattaiolavano dalle ciglia per andarle a rigare le guance. Un sorriso ed un leggero brivido a scuoterle la pelle.

Non ricordavo quanto fosse meraviglioso il suono di un violino e quanto fosse appagante dargli vita, pensò avvertendo un rumore ai piedi della scalinata. Immediatamente riaprì gli occhi ritrovandosi la bionda ai piedi della scala.

“Haruka?!”

“Michiru, perché stai piangendo?” Chiese l’altra aggrottando la fronte.

Non se n’era neanche accorta. Stupita si asciugò le guance con il dorso della mano. “Che sciocca.”

“Va tutto bene?”

“O si. Scusami, spero di non aver svegliato nessuno. Questa sera salendo nel sottotetto con Usagi ho trovato questo. - Mostrandole lo strumento non riuscì a smettere di sorridere. - Ha ancora un bellissimo timbro, non trovi?”

Haruka riconobbe il vecchio nume tutelare della masseria ed iniziando a salire i gradini si accorse di stare tremando. L’immagine di lei unito a quel suono tanto estraneo alle sue orecchie, l’avevano colpita. “Non avrei mai pensato che sapessi suonare. Sei brava.” Ed accorgendosi di un fremito nella voce se la schiarì.

“Era un po’ che non lo facevo.”

“E’ per questo che ti sei commossa?” Chiese sfiorandole la guancia ancora umida una volta raggiuntala.

“Credo di si.” Una nuova lacrima, questa volta più prepotente ed Haruka, da sempre incapace di fronteggiare situazioni tanto delicate, s’irrigidì come un vecchio soldato.

“Ti avverto che di fronte a queste cose non so proprio che fare.”

“Non c’è nulla da fare. Mi sono solo emozionata, tutto qui.”

“A… bene. Perciò tutto a posto.”

Kaiou inspiegabilmente rise. “Si Tenou. Tutto apposto.”

Visibilmente sollevata la bionda si sedette seguita dall’altra. “Cosa ci sei andata a fare nel sottotetto?”

“Usagi voleva prendere un libro di cucina. A proposito, hai saltato la cena.”

“Già.” Ma il pensiero andò alla paura per lei irrazionale, che la sorella continuava ad avere di quel posto.

“Come procede la revisione del Landini?”

“Come? A si, il trattore. - Doveva essere stata la scusa utilizzata da Giovanna per giustificare il fatto di non essersi presentata a cena. - Benone. La tua Mercedes è un portento.”

“Ottimo. Minako ti ha lasciato qualcosa nel forno.”

“Magari domani. Ora non ho fame.”

Michiru la guardò negli occhi e vi lesse tristezza. “Che cosa c’è, Haruka?”

“Nulla. Sono solo molto stanca Michiru. Vorrei che fosse tutto diverso.”

“In che senso?” Chiese sentendo la fronte della bionda poggiarsi pesantemente alla sua spalla. E non avendo risposta iniziò ad accarezzarle lentamente la base della nuca provando un’infinita tenerezza.

 

 

 

 

Note dell’autrice: Scusate il ritardo osceno con il quale pubblico questo capitolo. Mi è entrato un lavoro e non ho la testa per scrivere. Credo che in queste pagine si noti e mi dispiace. Cercherò di fare meglio la prossima volta. Mi domando solo se lo spirito guida sia nel ricordo che Haruka ha della sua amica Rose, che poi si rifletteva nella sua Ducati o nel violino che Michiru ha trovato nel sottotetto, vera e propria rappresentazione della musica che l’ha sempre guidata. Forse entrambi.

Un abbraccio grande

 

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Capitolo 9
*** Chi sei Michiru? ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Chi sei Michiru?

 

L’aria tersa dell’alba sgocciolò tra il sottobosco e l’inizio delle prime dune. Nel silenzio del nuovo crepuscolo mattutino, i primi passeri laboriosi iniziarono a librarsi nella leggerissima brezza proveniente dalla vicina costa, quando il rombare alieno di un motore quattro cilindri irruppe con la forza di un tuono. Sbucando da dietro una collinetta, le ruote morsero la polvere della strada fino allo staccarsi in un unico, lungo salto. Il successivo contraccolpo portò il posteriore del veicolo a scodare e a perdere aderenza.

“Dannazione!” Urlò Haruka nel microfono della radio avvertendo il manubrio vibrare e tendere verso sinistra.

Evitando la controsterzata la bionda rilasciò un poco il gas frenando con il piede sinistro, quello più dolce per un rallista, riuscendo così a riposizionare l’auto prima che la potenza data dal biturbo non la sbattesse contro gli alberi.

“Haruka?!”

“Ci sono! Ci sono!” Rassicurò a Giovanna seduta sul sedile accanto, ma un altro paio di curve e dando impulso all’acceleratore, il problema dell’aderenza si presentò nuovamente. Il telaio sobbalzò costringendo ad un’immediata decelerazione.

Fermando il Peugeot la pilota sbatté con rabbia i pugni sul volante. “Maledizione!”

Dopo giorni di febbrili modifiche ed una stanchezza ormai cronica a bruciarle i muscoli di spalle e schiena, Haruka aveva deciso che fosse arrivato il momento di mettere su strada l’auto e come aveva ipotizzato, il biturbo innestato garantiva si, maggior potenza, ma rendeva la guida esponenzialmente più pericolosa e meno gestibile.

“Stai calma, non va poi così male.” Disse freddamente la sorella gettando un occhio sugli appunti del circuito stretti tra le mani guantate.

“Un accidente! L’alettone… Devo modificarlo altrimenti il biturbo è inutilizzabile.”

“Va bene, ma adesso prendi fiato. Dai tempo al tempo. Prima cerchiamo di memorizzare il circuito. Per esempio, a cinquanta metri da qui c’è un dosso seguito da una curva a destra. - Nessun cenno. - Haru, ci sei?”

L’altra guardò lontano, oltre la piega degli alberi. Nella testa solo l’immagine di un uomo che tiene fra le braccia la sua dolce Michiru e una confusione nel cuore che non aveva mai provato in tutta la sua vita.

 

 

Due giorni prima

 

La mattina successiva al suo riportare le dita sulla consistenza lignea di un violino, Michiru si svegliò in uno strano stato di grazia. La musica generata da quel vecchio strumento l’aveva riportata indietro nel tempo, all’infanzia, alle prime lezioni, alle prime sfide, alle sconfitte e alle successive vittorie di una carriera difficile, performante, ma indubbiamente ricca di soddisfazioni, fama e benessere. Un susseguirsi d’emozioni che l’avevano lasciata libera di piangere, allo svuotare l’anima, ad azzerare tutto e perché no, a pensare di ricostruire, ma questa volta in maniera più sana e consapevole. La professione di violinista, pur se un dono, l’aveva spinta ad uno stress talmente alto da farla in qualche modo disinnamorare della musica, così che dalla sua entrata in casa Tenou, non aveva mai sentito la necessità d’impugnare l’archetto del suo Stradivari. Anzi, quando Giovanna l’aveva invitata a farlo, pur avvertendo una nostalgia struggente, ne aveva quasi provando disgusto. Psicologicamente era chiaro che Michiru avesse in qualche modo unito il piacere del suono a quello di un lavoro che ormai le andava stretto. Ora grazie al ritrovamento di quel violino sembrava tornata in lei la passione. Il desiderio.

Ma in quella mattina di fine agosto c’era un’altra cosa a sfarfallarle nello stomaco. Haruka si era nuovamente aperta, ma questa volta non era stato il racconto di un ricordo, ma una semplice e profondissima richiesta d’aiuto. Gli occhi verdi di quella donna l’avevano guardata con talmente tanto sentimento e bisogno d’amore che la riservata Kaiou aveva ceduto. Le sue mani si erano fatte gentili ed avevano accarezzato la nuca della bionda fino a quando Haruka stessa non aveva deciso di alzarsi e tornare la solita guascona di sempre. Sorridendo beffarda l’aveva salutata alzando una mano chiudendo di fatto, cuore e serata.

Aprendo le palpebre al mondo, Michiru si stiracchiò tra le lenzuola puntando gli occhi al soffitto di calce bianca. Cosa stai provando, pensò girandosi sul fianco destro. Cosa c’è che non va Haruka?

Forse era la preoccupazione per il momento economicamente sfavorevole che stava vivendo la masseria o forse la stanchezza per la preparazione dell’imminente vendemmia, ma sta di fatto che la coriacea Tenou era cambiata. La sua presenza al ciclo di produzione era drasticamente diminuita tanto che anche Minako ed Usagi avevano iniziato a farsi delle domande, soprattutto durante i pasti, dove la latitanza della sorella era diventata inquietante. Cascasse il mondo, ma Haruka ci teneva che almeno per cena si ritrovassero tutte attorno ad un tavolo ed ora dava da pensare che fosse proprio lei a lasciar vuoto il suo posto a capotavola. E più le sorelle minori s’interrogavano sulla cosa e più le maggiori glissavano accampando scuse su scuse. Giovanna era l’unica ad essere apparentemente tranquilla.

“Lasciatela stare. Ha da fare!” Diceva alzando vagamente le spalle.

Controllando la sveglia, Kaiou sorrise alle lancette in procinto di segnare le cinque. Ormai non ne aveva più bisogno. Come un passero riusciva a svegliarsi da sola, conscia che il suo fisico provato da anni di Jet lag, turnè ed esibizioni, stesse finalmente ritrovando un suo equilibrio. Ed anche la mente era sempre più salda. La depressione che l’aveva colpita alla prima scappatella di Seiya sembrava soltanto un ricordo lontano, tanto che ormai quasi ne sorrideva. Solo una cosa continuava a darle fastidio; la consapevolezza di avere investito sul rapporto con quell’uomo troppa fatica ed amore. E c’era persino stato un tempo nel quale aveva giurato vendetta contro i cieli, perché nonostante tutti gli sforzi profusi non era riuscita a dare a Seiya un figlio.

Mettendosi a sedere sul bordo del materasso, Michiru si concesse qualche altro secondo per scrollarsi definitivamente il sonno dalla pelle, quando l’occhio le cadde al pavimento dove un foglietto ripiegato in quattro parti faceva capolino da sotto l’anta della porta. Alzandosi curiosa lo prese aprendolo. Una calligrafia nervosa, tutta schiacciata verso destra. GRAZIE PER IERI SERA. TI HO SENTITA TANTO VICINA. H.

Sbattendo le palpebre per la sorpresa crollò nuovamente seduta. Questa era Haruka. Sembrava non concederti nulla più del dovuto ed invece riusciva a dare tanto in poco meno di due righe. Solo con un paio di frasi. Disegnando un sorriso sulla bocca, la giovane donna si ritrovò impulsivamente a stringersi la carta al petto ed una nuova voglia di fare la spinse a dare finalmente vita a quella giornata di lavoro.

Così si lavò indossando i consueti abiti semplici che in quella mattina l’avrebbero portata a lavorare all’aperto. Sempre con il sorriso uscì dalla sua camera dirigendosi verso la cucina che si apriva sul lato opposto della sala da pranzo e lì vi trovò Usagi, acquattata dietro la tendina della portafinestra.

“Buongiorno!” Esplose la forestiera facendo sobbalzare la ragazza.

“Sssss….” Sibilò l’altra fra le labbra portandosi l’indice destro verso la punta del naso.

“Cosa c’è?!”

“Vieni qui.”

“Non dovremmo preparare la colazione?” Chiese assecondandola.

“Non ora. Guarda… Credo che Mina e Yaten stiano litigando.”

Forzata a guardare attraverso il vetro, Michiru scorse i due vicino il retro del silos. “Usa..., non ti sembra di esagerare?”

“No! Se conoscessi Yaten come lo conosco io, sapresti che non è solito gesticolare così. Deve essere successo qualcosa.” E sotto lo sguardo contrariato della più grande la biondina aprì leggermente la porta per riuscire a sentire.

“Non so che dirti Mina. E’ inutile che continui a farmi il terzo grado. Non lo so! Punto e basta!” Disse il ragazzo con esasperazione.

“Non puoi non saperlo visto che sei stato TU ad accompagnarla. Possibile che Haruka non ti abbia detto niente?!”

“No! Devo scrivertelo in aramaico?!” Rispose dandole poi le spalle.

“Yaten! - Strattonandolo per un braccio Minako lo costrinse a guardarla negli occhi. - La questione è seria. Mia sorella teneva a quella moto…”

“Lo avrà fatto per i soldi!”

“Guarda che qualcosina di motori ne so anch’io e sul mercato attuale quella vecchia Ducati non vale tanto quanto il ricordo di un’amica!”

Al tirare in ballo Rose, il ragazzo si arrese. Allargando le braccia le rivelò che il dar via la moto era stato solo uno scambio per acquistare dei pezzi di ricambio.

“Per quale mezzo? Il Landini?”

“Non credo proprio visto che sui colli che il capo mi ha fatto caricare c’erano le specifiche di un’auto.”

Un’auto. La Mercedes di Michiru! Completamente fuori strada Minako abbandonò il ragazzo macinando a pugni chiusi i pochi metri che la separavano dalla cucina. Lo sapeva che quella forestiera avrebbe portato solo tempesta nel cuore della sorella. Era solo questione di tempo. La bionda era talmente tanto presa da quella donna da rinunciare ad una delle cose più care che avesse. Minako non si ricordava molto di Rose, ma del dolore provato da Haruka alla sua perdita si e molto nitidamente. Conosceva le lacrime silenziose della sorella ed i suoi sguardi persi nel vuoto.

“Amore… Cosa vuoi fare?!” La domanda di Yaten le arrivò alle orecchie come una leggerissima brezza insignificante mentre apriva di getto la porta costringendo le ragazze che vi stavano nascoste dietro a spostarsi per non venirne travolte.

“Tu! E’ tutta colpa tua!”

Dilatandole contro due occhi interrogativi Michiru cadde letteralmente dal pero. “Che cosa ho fatto?” Chiese non riuscendo a capire quale collegamento ci fosse tra le poche frasi che era riuscita a sentire e quell’improvvisa esplosione di collera.

“C’era bisogno di far pagare ad Haruka i pezzi di ricambio della tua fottutissima macchina?” Urlò andandole contro.

“No Minako. Credo che tu stia prendendo un abbaglio.”

“Un accidente!”

Imperturbabile e forte del favore che le era stato chiesto dalla stessa Haruka qualche giorno prima, la forestiera cercò di spiegarle che la riparazione della sua Mercedes non c’entrava assolutamente nulla, anzi che alcune sue parti stavano servendo alla bionda per potenziare il Landini.

“Impossibile, perché lo sto usando io tutto il giorno.” Intervenne Yaten dalla porta.

“Sentito?”

“Ascolta Minako, questo è quello che mi è stato detto da tua sorella. Della moto o di altri ricambi... io non ne so nulla.”

”Sei una bugiarda!”

“E’ la verità!” Si sentì dall’ombra della seconda porta.

Haruka entrò in cucina con le mani completamente sporche di terra. Andando verso il lavabo come se niente fosse, iniziò a lavarsele riprendendo colei che quel giorno avrebbe dovuto preparare la colazione.

“Usagi… Per favore, avrei fame.”

“Si, scusa.” Ma prima che la piccola di casa fosse riuscita ad andare verso il frigorifero, Minako l'aggirò parlando direttamente con la maggiore.

“Se non sono pezzi di ricambio per la macchina di Michiru, allora per cosa sono?!”

“Per il Landini. Lo sto riparando la sera, ecco perché l’indomani Yaten riesce a metterci il culo sopra!” Ringhiò all’indirizzo di entrambi afferrando uno strofinaccio.

“Sono ricambi per auto.” Se ne uscì lui folgorato da un’occhiataccia.

“Di motori ne vorresti sapere più di me? Ma andiamo! E tu… - Passando dal ragazzo alla sorella cercò di calmare la voglia che sentiva di urlare. - … di quello che faccio delle mie cose a voi tutti non deve interessare. Era solo un pezzo di ferro come ce ne sono tanti. Non vederci sotto nulla di poetico.”

“Ma Haru…”

“Il discorso finisce qui e non ti azzardare mai più a trattare Michiru in questo modo. Dovremmo ringraziarla e non sbatterla alla gogna. Ora per benino… troverai il tempo per chiederle scusa.” Terminò sussurrandole ad un orecchio.

Ma la forestiera alzando le mani scosse la testa arretrando di un passo e prima che al pizzicore che sentiva negli occhi fossero sopraggiunte le lacrime, uscì dalla stanza senza dire una parola.

“Ecco! Brava la nostra Minako e un bravo anche a te Yaten… che non ti fai mai i cazzi tuoi!”

“Haruka… quella moto te l’aveva regalata Rose…” Cercò di difendersi la sorella.

“E allora?! L’averla data via non cancellerà i ricordi che mi porto dentro. Cerca di crescere! - Concluse sbattendo lo strofinaccio contro il piano del lavabo prima di spingere Yaten da un lato ed uscire sul retro. - Cercate di farlo tutti!”

Michiru s’immerse nell’alba di un giorno che prometteva il solito bel sole. Soffiando fuori un grosso sorso d’aria si piantò due dita ai dotti lacrimali aspettando che l’onda emotiva passasse. Quando Minako ci si metteva sapeva essere feroce. Con la questione di Bravery sperava avessero trovato un punto d’incontro, invece niente. L’aveva azzannata senza neanche darle il tempo di spiegarle ed anche se la violinista avesse saputo quanto la biondina fosse rimasta scossa dalla vendita di quella Ducati, questa volta non sarebbe riuscita a scusarla tanto facilmente.

Camminando un po’ vide Giovanna che ignara della granata appena esplosa stava stendendo la seconda lavatrice della giornata. Quella ragazza era solidità. Sempre sicura di se nonostante le avesse rivelato la sua paura più grande, ovvero quella di non essere più accettata dalla famiglia. Soprattutto da Haruka.

Vogliosa di un contatto si avvicinò fino a fermasi a qualche passo da lei. Rimanendo di spalle la più grande le augurò un buon mattino scrollando l’ennesima maglietta. “Buongiorno Michiru.”

“A te Giovanna.”

“Saremo anche tutte donne, ma per la miseria quanta roba sporchiamo.” Voltando un poco il busto non poté non notare lo strano scintillio delle sue iridi. “Tutto bene?!

“Si, posso aiutarti?”

“Magari.”

Afferrando un paio di calzini Michiru li pinzò sul lungo cavo steso tra un palo ed il tronco di un albero. “Hai riconosciuto i miei passi. Hai un ottimo orecchio. Saresti una brava musicista.”

“Quello lo lascio a lei, signora Kaiou. A proposito, ti ho sentita suonare ieri sera ed essendomi già appisolata ho creduto di sognare.”

“Scusami.”

“Ma che scusami! Sai cosa significa addormentarsi con il suono di un violino stretto tra le mani della grande Michiru Kaiou?! E’ una cosa che non capita tutti i giorni.”

“Già, credo di si.”

Una cosa però di Giovanna ancora non era riuscita a capire; se quando parlava in quel modo fosse sincera o la prendesse semplicemente in giro. Come professionista era talmente abituata a sentirsi lodare dagli altri che ormai diffidava di ogni tipo di complimento e così facendo si perdeva gran parte dell’affetto dei suoi ammiratori.

“Hai un viso triste questa mattina.”

Bloccando il gesto dell’appendere, Michiru dovette fare i conti con l’ormai scarsa forza che aveva nel controllare l’espressività del viso. Era stanca di apparire. “Non so più cosa fare per essere accettata da Minako.” Ammise.

“Mi ha detto il perché ce l’ha con te e francamente trovo le sue reazioni abbastanza infantili, ma… - Le sorrise con estrema dolcezza, non potendo certo immaginare quanto l’otre nell’animo di Kaiou fosse ormai colma. - … è fatta così. Tende sempre alla protezione spasmodica di tutto ciò che ama. Ha solo paura che tu possa far soffrire Haruka.”

“In quale maniera?!” Chiese con improvvisa veemenza. Come avrebbe potuto far soffrire una donna per lei tanto speciale?

“Be… diciamo che Haru ti ha preso in simpatia e si è molto affezionata a te. Mina sa, come lo so io, che alla fine della stagione te ne andrai. Tornerai alla tua vita di sempre e comunque, detto fra noi, se non a calcare un palcoscenico, quanto meno all’alta società alla quale appartieni. Ed è giusto così. Perciò ti prego di cercare di capirla quando tende a fare la paladina.”

Ma la violinista questa volta non accettò. Si era sbattuta per settimane cercando di ripagare l’ospitalità con un lavoro non suo, facendo tutto quello che le veniva ordinato e forse anche di più. Non aveva afflitto nessuno con i suoi malesseri, ne con le visioni su Seiya, tanto meno con quella pazza di Bravery, con la Fisarmonica, la U.A.f. o i soldi del suo conto personale che grazie al pagamento delle penali, stavano scendendo paurosamente. Ogni santa mattina si alzava, si lavava, si vestiva e si metteva a disposizione. Non le costava affatto, ma anche un Santo sarebbe esploso nel sentirsi sempre attaccata e non per un lavoro mal svolto, una parola fuori posto o chissà cos’altro, ma per una posizione sociale.

“Cosa ti ha detto? Che quella sera mentre ero alla guida della mia Mercedes ero ubriaca? O che sono in piena fase ludica e quando mi stancherò di vivere tra i fiori e le farfalle mollerò tutto per andare ad impossessarmi di un nuovo gioco? – Avvicinando il viso a quello dell’altra sentì crescere una rabbia folle. - O forse che sto passando un’estate diversa dalle solite fatte di gite in barca a vela o servita e riverita in qualche lussuoso albergo a picco sul mare? Questo ti ha detto tua sorella?! Ebbene, la sera dell’incidente è vero che avevo i sensi rallentati, ma non ero talmente fuori di me da non capire che mi ero persa o che la strada che stavo percorrendo non fosse adatta per la mia auto. Avevo perfetta coscienza di me, del mio sentirmi sola, dell’essere triste ed arrabbiata al tempo stesso, della paura di trovarmi in un posto sconosciuto e a tarda sera! Tutto questo l’alcol non lo fa sentire.”

“Michiru…”

“Ora che conosci la mia identità saprai anche che sono una professionista che non si è mai potuta permettere di perdersi dietro a fasi ludiche o vacanze troppo lunghe e che ha sempre anteposto il lavoro al suo tempo libero. Anche a costo di ammalarsi! E questo lo riporta ogni santa rivista seria del settore!”

“Michiru…”

“Perciò ti prego… Non venirmi a dire che Minako va capita, perché francamente ne ho le scatole piene di essere trattata da cani per cose che non stanno ne in cielo, ne in terra!”

“Ok, va bene, ma ora calm...”

“E lascia che ti dica che questa cosa di proteggere Haruka è una fesseria! Non potrei mai farle del male. Mai! E quando finirà la stagione non ho alcuna intenzione di lasciarla…” E fu un lampo. Una consapevolezza talmente radicata in lei d’averla sempre avuta dentro, nascosta nel pertugio più intimo del cuore.

Spostando lo sguardo dagli occhi di Giovanna al terreno battuto, Michiru ebbe un fremito. In tutte quelle settimane non aveva mai voluto soffermarsi sul dopo. A cosa avrebbe fatto alla fine della stagione.

Al ricatto di Bravery aveva pensato solamente al suo lavoro alla masseria, alla protezione che quella casa le stava dando all’anima, a Seiya, alla U.A.F., alla Filarmonica, ma mai alla bionda, ed invece intimamente, nel profondo, era solo per lei che si era battuta. Era per lei che aveva tirato fuori gli artigli. Certamente quel posto era bello e la vita piacevole, ma senza Haruka sarebbe stato lo stesso? Senza quegli occhi verdi, quel fare brusco, quegli atteggiamenti a volte guasconi a volte scostanti, quel modo di guardarla, di sorriderle, di spronarla, di difenderla, si sarebbe trattenuta alla masseria cambiando radicalmente le proprie abitudini o avrebbe semplicemente pernottato in un posto accogliente per poi chiamare un carro attrezzi il giorno dopo?

Da quanto il suo nascondersi alla sua vecchia vita si era trasformato nella possibilità di aprirsi ad una nuova, dov’era presente una delle donne più incredibili che avesse mai incontrato lungo la propria strada?

Arpionandole le spalle la più grande la scosse un poco. “Michi… Cosa provi per mia sorella?” Incalzò senza darle il tempo di pensare.

A quella domanda Kaiou si ritrasse sciogliendosi dalla presa. “Giovanna…”

“Allora?”

“Di certo l’ammiro. E’ una donna straordinaria.”

“… E?!”

“E basta! - Tornando a fondere lo sguardo con quello dell’altra sospirò scorata. - Cosa vuoi che ti dica Giovanna?”

“Non lo so. Dimmelo tu.”

“Non mi sono mai trovata in una situazione come questa. Qui è tutto così diverso da casa mia, così vero, così duro, che tutte le emozioni sembrano sospese e ho paura di stare prendendo un abbaglio.” Iniziando a strofinarsi la fronte si prese un fianco cercando di controllarsi mentre una voce proveniente dalla porta d’ingresso riecheggiava nell’aria.

“Giovanna! - Chiamò Usagi mostrandole la cornetta del citofono. - C’è qualcuno al cancello.”

A quest’ora? Pensò chiedendole chi fosse.

“A detto di chiamarsi Seiya Kou.”

E a Michiru si fermò il respiro.

 

 

Si sedette nuovamente al posto di guida, questa volta lasciando le suole sul brecciolino dello spiazzo dove aveva fermato la sua fuoriserie. Lo sportello lasciato alzato contro il cielo ancora bluastro, il silenzio rotto solo dai primi uccelli ad invadergli le orecchie. Sapeva di essere già stato in quel posto, davanti a quei cantonali di pietra, ai cipressi che si ergevano oltre il ferro del cancello ancora chiuso, ma nelle pieghe della sua memoria non aveva più di questa consapevolezza. I ricordi di ragazzo li aveva scientemente sepolti in un angolo di se, per proteggersi, per non continuare a farsi del male ad ogni ricorrenza o al sopraggiungere di una nuova estate. Era infatti in quella località che in passato la sua famiglia era solita trascorrere le ultime settimane di agosto, ed era a quel tempo che Seiya aveva deciso di cementare i ricordi più belli della sua giovinezza. La sua famiglia, i genitori e sua sorella Stella.

A differenza della gemella, lui non aveva più voluto far ritorno nei luoghi che avevano visto nascere e crescere sua madre, anzi forse era anche per questo che non amava la campagna ed in particolar modo i vigneti. Quel sali e scendi interminabile fatto di filari apparentemente tutti uguali gli mettevano ansia, lo infastidivano e proprio non riusciva a capire come Stella potesse sopportarli. Adesso per colpa di Michiru doveva forzare se stesso tornando sui passi della memoria di una famiglia che non aveva più. Quella donna tremendamente caparbia dopo più di vent’anni era riuscita a riportarlo a casa.

“Roba da pazzi!” Si disse scuotendo piano la testa mentre una voglia di sigaretta iniziava a torturargli la gola.

Prese allora una Laramie dal pacchetto mezzo vuoto dimenticato nel vano porta oggetti estraendo dal taschino interno della giacca il suo accendino preferito. Accese e rigirandoselo nel palmo della destra, aspirò soddisfatto aspettando che l’effetto calmante del fumo arrivasse a dare un freno al suo cuore. Era agitato. Michiru se n’era andata da più di un mese e francamente era ansioso di vederla e di poterle finalmente parlare così, a quattr’occhi, senza terzi come intermediari.

Un paio di minuti e la vide arrivare camminando piano al centro della carreggiata e si rese conto che il fumo non aveva sortito l’effetto sperato. E già, quella donna tremendamente caparbia, come amava chiamarla, era ancora li, a rodergli le viscere. Sembrava cambiata; uno sguardo più sereno, un corpo più robusto, un viso più rilassato, ancora più giovane dei suoi trent’anni.

Alzandosi aspirò un’ultima boccata buttando il mozzicone a terra mentre faceva per avvicinarsi al cancello.

“Sei il solito. Lo sai che ci vogliono dieci anni perché la natura riesca a distruggere un mozzicone di sigaretta?!” Colpì lei come se si fossero visti il giorno precedente.

Stirando le labbra Seiya riconobbe finalmente l’austera Michiru Kaiou. ”Da quando in qua sei un’ambientalista?”

“Non essere sciocco e dimmi piuttosto cosa ci fai qui.”

Lui sembrò stupirsi. Veramente credeva che una volta saputo dove fosse non sarebbe andato quanto meno a parlarle? Che non gliene avrebbe dette quattro gettando contro quel bel faccino da donna perbene, tutti i guai che la sua fuga gli aveva procurato?

“Che razza di domande fai?! Vedo che oltre ad aver dimenticato il gusto nel vestire, tu lo abbia fatto anche per gli affari.”

A Michiru non sfuggì l’occhiata veloce e marcatamente superficiale che l’uomo diede alle scarpe da ginnastica e ai pantaloncini che aveva deciso d’indossare quel giorno, soffermandosi invece sulla rotondità del seno che spiccava da sotto la canottiera. Questo la infastidì portandola a saltare i convenevoli.

“Ho una giornata impegnativa…, dimmi che cosa vuoi Seiya.”

“A si, mia sorella mi ha poi accennato della parentesi campagnola che sta infervorando l’animo del nostro Primo Violino.”

Quel sarcasmo le punzecchiò i nervi, ma cercò comunque di soprassedere. Voleva che quello spiacevole incontro fosse rapido e soprattutto costruttivo. Se avesse ceduto alla rabbia non ci sarebbe riuscita. “Mi sembrava di aver capito che per i concerti fin qui disdetti e le conseguenti penali ti saresti interfacciato con il mio avvocato.”

“Credi sia qui per questo?”

“Per cos’altro allora?”

“Pensi davvero che la tua assenza mi sia pesata solo sul fronte lavorativo?”

“Perché, l’avresti sentita anche su quello… sentimentale?” E questa volta toccò a lei far nascere l’ironia nel timbro della voce.

Seiya avvertì il colpo. Poggiando una spalla al cancello si sentì improvvisamente vuoto di tutto il veleno che avrebbe voluto sputarle contro. Sospirando ammise di essere stato uno stupido. “Ti conosco da anni e so come sei fatta. Forse con le mie avventure ti ho ferita, forse la nostra storia era già finita da tempo e dovevamo solo avere il coraggio di ammetterlo, ma proverò sempre qualcosa per te Michi.”

“Non chiamarmi così e non dire queste assurdità! Certo che mi hai ferita e si, avremmo dovuto separarci già da molto tempo, ma bada a non scherzare sui sentimenti Seiya. Non te lo permetto!”

Alzando lo sguardo che fino a quel momento aveva lasciato perso nel via vai di una strisciolina di formiche, la guardò serio. “Non credi che ti ami ancora?”

“Amore è una parola complessa e va rispettata. Magari quello che provi è affetto, oppure stima, un bel ricordo di quello che fu, ma non è certo AMORE quello che porta un uomo ad avvilire la propria compagna lasciando che altre donne gli scaldino la pelle!”

“Vorrei ricordarti che è stata la tua freddezza a costringermi ad andare a trovare altrove quello che tu non volevi più concedermi.”

“Ma ti stai ascoltando?! Cosa sei un animale? - Michiru alzò paurosamente la voce. - Se proprio vogliamo rivangare il nostro passato di coppia, allora cerca di ricordare che dopo i miei primi malesseri fisici non avevo proprio la forza per sollazzare il tuo ego maschile!”

Arpionando il ferro Seiya si sporse come a voler far passare il viso attraverso le sbarre. “Certo, sono sempre io il cattivo della situazione. Il mostro da sbattere in prima pagina! Sono io che ti ho portata a vivere troppo freneticamente la tua carriera e sono sempre io ad aver anteposto le sue esigenze ai tuoi malanni. Ma fottiti! Senza di me non saresti diventata quella che sei!” Abbaiò dando una manata al ferro.

“Adesso si… Ti riconosco. Sei venuto qui ad insultarmi solo perché ti servono queste. - Alzando le mani gli mostrò le dita. - E’ di loro che hai bisogno.”

“E’ un peccato mortale gettare al vento un sodalizio artistico come il nostro.”

Nell'ascoltarlo Michiru provò quasi tenerezza per tanta stupida arroganza. Si fece allora più dolce. “Seiya, vorresti fare una cosa per me? Per una volta potresti cercare di essere sincero ed ammettere che mi avrai anche portato contratti milionari, ma il mio talento, il mio orecchio assoluto, la disciplina e la costanza che ho sempre messo nella passione per questo lavoro, mi avrebbero portata sull’Olimpo anche senza di te? Puoi farlo?”

“Michiru…”

“Sei un bravissimo Manager e questo ti va riconosciuto, ma la stella a brillare sul palco ero io.” Non muovendo un muscolo fu più brutale di quanto avrebbe voluto.

“Sei ingiusta.”

“No… realista. E’ vero, probabilmente senza i contatti che in anni sei riuscito a costruirti non avrei ottenuto così tanta visibilità, ma ricordati che Michiru Kaiou era sulla strada verso il successo prima ancora che tu la conoscessi ed è anche per questo che vedendo in te un’arrivista, i miei genitori all’inizio ostacolarono il nostro rapporto.”

“Avrò fatto degli errori, certo, ma è innegabile che lavorativamente parlando siamo sempre stati una coppia d’oro e sarebbe un delitto sfasciare tutto quello che abbiamo costruito.”

“Un peccato per te, non per me.” Puntualizzò sentendolo ridere.

“Vuoi cercarti un altro manager?”

“No. In tutta onestà non credo che da ora in avanti ne avrò più bisogno.”

Aggrottando la fronte il moro sembrò stupirsi. “Vuoi fare da sola?”

“Ammetto che non ne sarei in grado.”

“Allora?”

“Sto pensando ad altro.”

“Un ritiro?!” Chiese quasi scandalizzato.

“Forse.” Questa volta fu un sorriso sincero ad illuminarle il volto.

“Ma piantala Kaiou. Vuoi dire che lasceresti tutta la fama, il successo, l’idolatria dei tuoi fans, per vivere di… questo?” Lo scherno con il quale mosse il braccio verso i vigneti, gli alberi e le colline, indispettirono la donna che continuò piatta nella sua convinzione.

“Fosse anche, la cosa non ti riguarda!”

Colpito da tanta fermezza e non sapendo come controbattere, Seiya poggiò le spalle al cancello mentre i primi raggi solari iniziavano ad accarezzare di luce le colline. Fu allora che Michiru ammise di aver provato disgusto per la musica.

“Per giorni ho tremato al solo pensiero di riportare le dita sulle corde e pur soffrendo intimamente nel non poterlo fare, una parte di me, forse quella più vera, ne aveva il terrore. Non voglio più provare una sensazione così orrenda per quello che amo e che sono. Per una violinista la musica rappresenta il suo io e non si può, non si DEVE arrivare ad averne paura. Mi capisci?”

“Se avevi bisogno dei tuoi spazi allora perché non me lo hai detto?! Sin dal tuo primo ricovero ti chiesi se volevi rallentare, ma tu niente.”

“Come hai detto tu, è oltremodo difficile staccarsi dall’ebbrezza che solo il suono degli applausi sa dare e poi…” Una sospensione che lo costrinse a voltarsi.

“E poi?"

“E poi si cerca di far di tutto per la persona che si ama, a volte andando anche contro se stessi. E io ti ho amato tanto e avrei fatto qualsiasi cosa per vederti emergere. Eri così entusiasta di tutto il rispetto che neanche da cantante avevi ricevuto, che non potevo dirti di no. Devo essere sincera; la colpa è stata anche la mia. Avrei dovuto parlarti, farti capire i miei disagi con più convinzione, invece che sperare che fossi tu a capire.”

“Parlavamo così tanto all’inizio della nostra storia.”

“Già.”

“Michiru…”

“Dimmi.”

“Torna a casa. Le tue cose sono ancora lì. Il tuo mondo, le tue amicizie sono ancora lì. Se non vuoi più esibirti, non importa, ma torna. Cercherò di cambiare, di venirti incontro, di lasciarti spazio. L’amore tra noi non è morto. So che con un po’ di pazienza potremmo tornare ad essere felici come un tempo.”

Ma scuotendo la testa lei ne bloccò la veemenza. “No Seiya. Non si può riportare in vita ciò che non c’è più e non si può cambiare una volta che la luce del cuore si è spenta. Della casa fanne ciò che vuoi. Delle mie cose anche. Tutto quello che ho e che mi serve è qui.”

Un ghigno sardonico e molto pronunciato si fece allora spazio sulle labbra carnose dell’uomo. ”La villa è anche a tuo nome e se fossi in te non sarei tanto frettolosa nel darla via.”

“Cosa intendi dire?” Chiese improvvisamente allarmata. Conosceva quell’espressione e quando appariva non c’era d’aspettarsi nulla di buono. Tale e quale alla sua gemella.

“Sono qui anche per dirti che nonostante le penali pagate, il signor Stern vuole comunque farci causa. Avrai bisogno di parecchi liquidi per uscirne illesa, mia cara Michiru.”

La violinista aveva già messo in conto una cosa del genere e non si scompose. “Parli come se non riguardasse anche te.”

Tornando verso la sua Lamborghini l’uomo mosse la mano con noncuranza. “Lo sai Kaiou, io cado sempre in piedi. Continua pure a giocare alla contadinella felice, ma dai retta a me; presto o tardi ti risveglierai dal sogno e quello che troverai al tuo ritorno alla civiltà non sarà affatto piacevole.

Seiya, pensò vedendolo adagiarsi sul sedile mentre il sibilo elettrico della portiera vibrava attraverso l’aria. Ma perché non capisci.

La fuoriserie partì lasciandosi dietro solo un mozzicone di sigaretta.

 

 

Dio del cielo quanto non sopportava mentire alle sue sorelle. Al pari di sentire Minako inveire contro Michiru e Yaten ad incoraggiarla con la sua incapacità nel sapersi tenere un cecio in bocca. Con l’aggiunta del cervellino troppo attivo del ragazzo, la storia del Landini non avrebbe retto ancora per molto. Quindi doveva sperare di non avere più altri intoppi famigliari fino al giorno della gara. Parcheggiando nello spiazzo accanto alla pompa di benzina, Haruka uscì dall’auto di famiglia riconoscendo il modello del fuoristrada fermo a due macchine di distanza dalla sua. La grande K rossa dei Kiba serigrafata sulla portiera sinistra, fece intuire alla bionda che la giornata sarebbe proseguita anche peggio di com’era iniziata. Prendendo la tanica da venti litri dal portabagagli scannerizzò velocemente fino ad individuarlo fermo sulla porta del negozio adiacente la pompa. Quando i loro sguardi s’incrociarono e lui le sorrise, la bionda capì di non avere molto tempo prima che Mamoru partisse alla carica per attaccar bottone come al solito.

Andando a passo svelto verso il benzinaio per farsi servire sperò di passare inosservata. Non aveva alcuna voglia di sentire il suono profondo della sua voce, tanto meno di sentirlo parlare di Usagi. Ma per nulla intimorito da quel fare brusco, l’uomo le si avvicinò con fare felpato tanto che lei quasi non se ne accorse.

“Mi fai il pieno, per favore?” Chiese al benzinaio mentre un colpetto deciso alla spalla non le faceva alzare gli occhi al cielo. Che stramaledette palle, pensò lei voltando il collo.

“Buongiorno Haruka.”

“A te Kiba.” Rispose chiamandolo per cognome, com’era poco amichevolmente solita fare da quando non erano più ragazzi.

“Nafta?”

“No, benzina.”

“Ah.., invece io sono venuto a comprare un paio di candele.”

“Tutta vita.” Tagliò corto mentre consegnava all’addetto la tanica perché gliela riempisse.

Ma Mamoru non era certo tipo da arrendersi per così poco e sfoderando un sorriso con un’enormità di denti dentro, la invitò a prendere qualcosa al bar. “ Hai un attimo? Vorrei parlarti.”

“In verità… per niente.”

“E’ una cosa importante, Haruka.”

“Che cos’è, vuoi lasciare mia sorella e non hai il coraggio di farlo da solo?”

“Assolutamente NO!”

“E allora non m'interessa!” Sentenziò pagando la benzina per poi iniziare ad avviarsi alla sua auto.

“Aspetta!” Bloccandola per il braccio carico la costrinse a fermarsi e non badò agli occhi di fuoco improvvisamente nati sul viso della bionda, perché la serenità della sua Usagi valeva tutta la fatica che avrebbe fatto per farsi ascoltare da quella testarda di sua sorella.

“Lasciami…” Sibilò minacciosa.

“Non sarebbe stata mia intenzione intromettermi, ma sono giorni che Usa è preoccupata per te. Inizialmente pensavo stesse esagerando, perché lo sai che vede malanni e calamità dappertutto, ma ora che ti guardo e vedo quanto sei sbattuta, penso sia arrivato il momento di chiederti cosa diavolo sta succedendo.”

“Ma come ti permetti! - Un passo di lato e riuscì a sciogliersi dalla presa. - Succede che sto lavorando, ecco tutto!”

“Tua sorella mi ha detto che il vostro trattore da noie e che passi ore a cercare di ripararlo. Ore che a gente come noi servono per dormire e recuperare energie.

”E allora?!”

“E allora perché non prendi uno dei nostri?!”

“Non voglio la tua carità e gradirei che non t’impicciassi degli affari miei!”

“Primo, si chiama gentilezza tra vicini e non carità, secondo, vorrei che Usagi avesse altro per la testa invece che preoccuparsi per un’orgogliosa testa di legno come te!”

Poggiando la tanica a terra Haruka gli andò sotto. Pugni stretti e sguardo fisso cercò di essere il più minacciosa possibile, anche se sapeva che le attenzioni di Mamoru erano da lodare e non da combattere.

“Con te è sempre la stessa storia, non è vero Tenou? Quando non sai che dire ti chiudi ed attacchi.”

“Allora se lo sai, perché continui a punzecchiarmi i nervi ogni volta che ci vediamo?! Cosa sei stupido?”

“Forse, perché sono affezionato ad una testa di legno come te.”

“Finiscila di chiamarmi in questo modo!”

“Comunque sei sempre una delle sorelle della mia ragazza, perciò è ovvio che sia preoccupato anche io.”

“Non ce n’è bisogno.”

Bisbigliandole ad un orecchio Mamoru le consigliò di farci l’abitudine, perché da li a qualche mese sarebbero diventati parenti. ”Inizia a pensare all’allargamento della famiglia.”

“Stai zitto!” Gli ordinò boriosa quando una sorta di canto, un rombo dolcissimo proveniente dalla strada principale, la spinse a spostare gli occhi da quelli dell’uomo alla meraviglia a quattro ruote che stava rombando poco oltre.

“Una Lamborghini Uracan!” Dissero all’unisono tornando poi a guardarsi. Mamoru con un sorrisetto divertito sul viso ed Haruka, tutto l’opposto.

“Che ne capisci tu di macchine sportive!”

“Come vedi… abbastanza.”

Un’occhiataccia mista a scetticismo e la bionda sentì scemare la rabbia. Il suono di un motore, soprattutto uno come quello, aveva il potere di calmarle i nervi neanche fosse una caraffa di camomilla. Era sempre stato così. E sarebbe sempre stato così.

Cacciandosi le mani nelle tasche non calcolò più l’altro iniziando a squadrare ogni centimetro quadrato di quello splendore. La fuoriserie accostò, la portiera ad ali di gabbiano lato passeggeri si aprì e dall'abitacolo uscì una donna vestita in jeans, maglietta ed un paio di zeppe. Un tantino dozzinale per una macchina come quella.

“Allora ci sentiamo quando arrivi.” Disse lei sorridendo al guidatore per poi voltarsi verso i due e salutarli con la mano.

Era difficile sentire Mamoru Kiba sparare una parolaccia, ma il riconoscere la cugina lo portò ad uno sfondone epocale tanto che Haruka se lo squadrò da capo a piedi.

“Ma è mai possibile che ogni volta che vi vedo, voi due stiate sempre tanto vicini? Buongiorno ragazzi! Cuginetto. Mia bellissima bionda.”

“Bravery… - Sospirò Tenou scuotendo la testa. - Ma… “ E non riuscì a dire altro, perché con tutta la buona volontà del mondo vedere quella donna accoppiata ad un'auto sportiva poteva solo far pensare ad uno spot molto trash. Quattro gocce d’acqua, una maglietta di due taglie più piccola, una spugna insaponata ed il gioco era fatto.

“Sorpresi?”

“Direi.” Rispose Mamoru.

“Non fare quella faccia e pensa invece che hai un cugino che è riuscito a farsi da se!”

“Seiya? E’ tornato?”

“Ed è anche ripartito. Non ha ottenuto quello per il quale è venuto a sbattersi in questo posto. Ti ricordi di mio fratello, Haruka?” Chiese rivolgendosi poi alla bionda.

“Poco o nulla, grazie al cielo. Due Kiba insieme non li reggo, figuriamoci tre. Comunque… ha una gran bella macchina. Fagli i complimenti quando lo vedi.” Sentenziò riprendendo la tanica.

“Aspetta! Ti ho portato un regalo!” Fece la moretta divertita.

“Del veleno?!”

“Spiritosa. Invece sono convinta che lo gradirai moltissimo. - Estraendo dalla tasca dei jeans una rivista ripiegata in due, gliela porse sorridendo gioconda. - E’ una rivista di musica. L’ho presa perché si parla di mio fratello, ma credo che non ti dispiacerà affatto darci un’occhiata.”

Guardando la carta patinata con scetticismo, Haruka alzò le sopracciglia per nulla attratta. “Cosa vuoi che me ne freghi di tuo fratello. Non mi ricordo nemmeno che faccia abbia.”

“Oh, invece in questo caso dovrebbe fregartene. Tieni, la troverai interessante.”

A Mamoru non piacque affatto quel gesto e pur se non afferrando il senso di quell’improvvisata, le antenne del suo intuito iniziarono a vibrare.

“Bravery, ho da fare. Lo vuoi capire che di te, tuo fratello o… tuo cugino, non me ne frega un bene emerito c …”

“E di Michiru?” Chiese lei iniziando a sventolarsi il viso con la rivista.

“Adesso cosa c’entra Michiru?”

“Se leggessi, lo scopriresti.”

Entrando nella tela del ragno Haruka si abbassò un poco per abbandonare la tanica e quasi in apnea prese la rivista che l’altra le stava porgendo. Cercando di mantenere la calma la sfogliò arrivando all’inserto centrale, dove un articolo arricchito da svariate foto a colori faceva bella mostra di se con un titolo d’apertura antisonante; la classica e la sua musa. La grande Michiru Kaiou apre ufficialmente la stagione concertistica al Teatro dell’Opera di Vienna.

Michiru, pensò iniziando a leggere mentalmente il catenaccio scritto in corsivo. Il Primo Violino Michiru Kaiou è stata omaggiata ieri sera con quindici minuti di applausi. All’uscita dei camerini assieme al cantante Pop Seiya Kou, attuale manager e suo compagno nella vita, l’artista ha indetto una conferenza stampa per promuovere le prossime date della tornè che la vedrà in giro per il mondo.

Haruka restò di sasso tanto che sfilandole la rivista dalle mani, Bravery sfogliò un paio di pagine arrivando la dove voleva, ovvero alla vita privata della violinista. Leggendo con voce quasi stentorea, caricò, mirò e sparò dritta al cuore della bionda.

Un sodalizio di grande successo quello che vede Michiru Kaiou unita al cantante Saiya Kou, complici sul lavoro come nella vita privata. Anche se coppia molto riservata, ci è stato gentilmente concesso di entrare nella loro villa, in una delle zone più belle della città, dove al buongusto degli arredi si unisce la classe e la cortesia della padrona di casa.”

“Seiya Kou?” Disse Mamoru guardando la foto che ritraeva il cugino accanto ad un camino, presumibilmente di una sala da pranzo, abbracciato ad una donna finemente truccata cinta da un abito da sera rosso scuro.

“Già cuginetto e riconosci anche colei che teneramente gli sta posando una mano sul petto?”

“Non mi sembra… “

“Certo, qui è molto diversa. Devi immaginartela senza trucco, gioielli e con in dosso un vestito da uno zero al posto di uno da tre.”

Qualche istante e l’uomo s’illuminò. Parlando direttamente ad Haruka le chiese se non stesse prendendo un colossale abbaglio. “E’ la stessa Michiru che sta vivendo da voi?” Ma la bionda non rispose.

La saliva completamente azzerata, il cuore asistolico ed uno strano ronzio nella testa. Troppe informazioni tutte insieme, troppe e per nulla piacevoli. Una musicista quotata, lei che si era prestata a rovinarsi quelle dita d’oro su e giù per la masseria. Una donna d’ammirare, lei che se ne andava in giro semplice e per nulla pretenziosa in pantaloncini e maglietta. Una compagna affettuosa, lei che le era entrata dentro come la più sinuosa delle malattie. Una compagna, anzi, LA compagna niente popò di meno che del gemello della sua ex. Ma che cosa stava succedendo?!

Mamoru la vide impallidire di colpo e capì. Strappando la rivista dalle mani di Bravery le si pose davanti intimandole di andarsene. O almeno questo sembrò arrivare alle orecchie di una Tenou con il cervello momentaneamente spento.

“E’ giusto che sappia chi si tiene in casa. Quella donna l’ha sta prendendo in giro ed è il caso che qualcuno le apra gli occhi.”

“E quel qualcuno saresti tu, non è vero cuginetta?!” Grazie alla sua mente maschile tutto era diventato per Mamoru morbosamente chiaro. Bravery voleva Haruka ed era un fatto. Con quella mossa era riuscita a far pendere paurosamente l’ago della bilancia dalla sua parte.

 

 

“Haru, ci sei?” Una gomitata e la bionda sembrò dare finalmente retta alla sorella.

“Che c’è!”

“Che c’è? E’ che devi concentrarti, ecco che c’è!”

“Non ci riesco. Porca puttana!” Slacciandosi la fibbia a clip si liberò delle due cinture che le bloccavano il petto uscendo dalla macchina come una furia.

Togliendosi casco e microfono urlò al cielo tutta la frustrazione che sentiva dentro. Per due giorni e due notti aveva letto e riletto quel maledetto articolo e alla beffa di aver saputo la vera identità di Michiru, si era unita la vigliaccheria che l’aveva portata a non volerle parlare. Così aveva fatto di tutto per rimanerle lontano il più possibile, andando al ciclo di produzione solo quando sapeva che la donna non c’era e cenando al pub di Max, sola in un angolo, per poi rientrare a casa a tarda sera quando tutto era ormai silenzio. L’amico aveva anche provato ad avvicinarsi, ma alla prima occhiata storta aveva battuto in ritirata lasciandola cuocere nel suo brodo. Ma per quanto avrebbe potuto continuare a fuggire?

Raggiungendola la sorella la guardò sconvolta. “Ma che hai?!”

“E’ una violinista famosa! Un talento mondiale che da anni calca i palcoscenici di tutto il mondo! Vive in una villa! - Haruka la guardò con una preoccupante disperazione negli occhi. - E ha un compagno! Giovanna… Michiru ha un compagno…”

 

 

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Capitolo 10
*** Scacco alla regina ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Scacco alla regina

 

Rimasero sedute sul cofano della loro auto senza parlare per un’infinità di tempo. Haruka con le gambe raccolte e la fronte poggiata alle ginocchia e Giovanna a guardare apaticamente il sottobosco indecisa o meno sul da farsi. Lei conosceva perfettamente l’identità di Michiru, come sapeva chi fosse il suo compagno. Sapeva cosa aveva spinto la donna alla fuga e quali fossero i suoi progetti futuri, ma da li a dirlo alla sorella era tutta un’altra cosa. Sempre sul chi vive, la maggiore aveva infatti paura di essere fraintesa e considerata addirittura come una specie di traditrice.

Sospirando pesantemente guardò di soppiatto le spalle ricurve dell’altra. Da quando era tornata alla masseria, con la bionda aveva sempre dovuto camminare sulle uova, muovendosi e parlando il meno possibile per paura che l’acredine che vedeva ancora nei suoi occhi non saltasse fuori alla prima occasione. Era una vigliacca e ne era perfettamente consapevole, ma con la gara alle porte non potevano permettersi discussioni di alcun tipo. Ed ora in questa specie di gioco a due era entrata una terza persona; la bionda. Le carte in tavola erano state totalmente rimescolate e se possibile rese ancora più confuse.

La corsa è fra qualche giorno e se le rivelassi tutto non soltanto mi prenderebbe a pugni, ma cosa più importante, perderemmo la poca affinità che abbiamo ritrovato. In più ho promesso a Michiru che non avrei detto nulla a nessuno, Haruka in tesa, pensò sentendosi stretta fra due fuochi. Da una parte la sorella. Dall’altra la forestiera.

Volendo aiutare la prima cercando di non rivelare cose che intimamente le aveva confessato la seconda, cercò una strada che andasse bene per entrambe. “Senti Haru, mi sembra di aver capito che di tutte le scoperte sconvolgenti che hai fatto sulla nostra ospite, quella che ti infastidisce di più sia riferita al suo presunto compagno.”

“Non è affatto presunto, credimi.” E con una vorace stretta alla bocca dello stomaco la bionda rivide nella piega della mente le foto che ritraevano quella coppia bellissima e perfettamente assortita.

“Penso che prima di fracassarti la testa dovresti chiedere a Kaiou se si considera ancora legata o meno a lui.”

La minore alzò allora lo sguardo aggrottando la fronte. “Cosa intendi dire?”

“Intendo dire che a pensarci su, sembra molto strano che in tutte queste settimane lontano dal suo compagno, Michiru non abbia mai manifestato tristezza o voglia di mollare tutto per tornarsene tra le sue braccia. - Vedendola attenta continuò rimarcando il concetto. - Perché una donna di quel calibro, con una carriera scintillante, una solidità economica invidiabile, il corpo di un uomo a stringerla tutte le sere, ti avrebbe chiesto di rimanere qui, in culo al mondo, a sgobbare tutto il giorno insieme a persone estranee totalmente diverse da lei?”

“Non lo so! Per noia?”

“Oddio, sembri Minako!” Scendendo dal muso dell’auto si sfilò il sopra della tuta per allacciarselo alla vita.

“Dai retta a me! La tua Michiru è una donna con le idee molto chiare! Forte ed equilibrata. Non ha bisogno di un uomo per sentirsi realizzata e sa perfettamente cosa vuole dalla vita, altrimenti non sarebbe diventata un Primo Violino. Ora, lasciamo perdere il perché si sia voluta allontanare dal suo mondo e concentriamoci su quanto si trovi bene nel nostro.”

Tornando a nascondere il viso tra le pieghe della sua tuta, Haruka non rispose subito. In effetti la logica di Giovanna non faceva una grinza. Chiunque sano di mente non lascerebbe mai amore e carriera se non spinto da qualcosa di gravoso.

“Sta di fatto che è quello che è!”

“Cosa? Una violinista di fama mondiale o… una donna impegnata?”

“E’ quello che è, punto e basta!” Tornandole davanti con un balzello, la bionda si diede dell’idiota per aver anche solo pensato ad una dea inarrivabile come quella.

Giovanna conosceva quell’espressione tra l’avvilimento e l’impotenza che grazie al cielo poche altre volte le aveva visto addosso e decise di alzare l’asticella. Accettandone le conseguenze soffiò un laconico e definitivo vigliacca e fece per risalire in macchina.

La reazione non tardò e fu irruenta come sempre. “Sarebbe a dire?!”

“Abbiamo capito tutti che ti sei innamorata di lei e adesso che hai scoperto che è etero e ha una vita totalmente diversa dalla tua, che fai? Scappi?!”

“E cosa dovrei fare, sentiamo!”

“Combattere per quello che vuoi! O devo pensare che quello che provi per Michiru sia solo un fuoco di paglia? L’ennesima Formula tre gettata nel cesso dalla tua paura?” Serrando la mascella si preparò al colpo che però con sua grande sorpresa non arrivò.

Haruka rimase a fissarle le iridi, ma non si mosse. Tremava di collera, ma non alzò un dito. Ardeva come un tizzone, ma non le gettò contro improperi o chissà cos’altro. Questo spinse la maggiore a chiederle se veramente volesse onorare i sentimenti che provava per la violinista.

“Haru… se non fai qualcosa rimarrai con il rammarico di esserti lasciata scappare un’occasione per essere felice. E dai retta a me, sarebbe un peccato mortale.”

“Parli come se Michiru provasse qualcosa per me.” Un tono improvvisamente sottilissimo, speranzoso e delicato, stridente con la durezza che traspariva in quel momento dal suo viso.

“E’ solo che guardo le cose da un punto di vista privilegiato. Da fuori, il vostro rapporto è molto particolare. Non è di lavoro ed è diverso dall’amicizia. Se vuoi la mia modesta opinione… credo che dovresti provarci.”

“E lasciare anche quello che ho? Non ci penso proprio Giovanna!”

“Lo vedi che hai paura!”

Sbottando Haruka calciò il battuto sotto la suola del suo scarponcino. “E anche se fosse?! Si, ho paura! Sei contenta adesso?! Quando sono con quella donna ho paura di muovermi, di respirare, di espormi, perché tengo troppo a lei e non sopporterei di perdere anche il poco che ho ora.”

“La soluzione è dunque darsela a gambe? Sono due giorni che la eviti. Non fa che chiedermi se ha fatto qualcosa di sbagliato, se ti ha offesa, se ce l’hai con lei! Ho cercato di glissare, ma non è stupida e ha capito benissimo che c’è qualcosa che non va. Non dovresti trattarla così. Non è giusto.”

“Ma credi che non lo sappia? Pensi che sia tanto bastarda da non rendermi conto di quello che sto facendo!? Ma io con i sentimenti non ci so fare, lo sai. E’ già un miracolo che con lei mi sia aperta. So che non sarei in grado di gestire qualcosa di più. Faccio già tanta fatica così.”

“Il tuo problema Haruka è che tendi ad essere sempre troppo diffidente e così facendo non fai vedere agli altri la parte più bella e profonda di te. Ma quella donna è diversa. E’ leale ed onesta e non credo ti ferirebbe se ti aprissi.”

A quelle parole l’altra sorrise sardonica. “Forse non mi sono spiegata Giovanna. Sono io che in un rapporto tendo a ferire scappando. E’ sempre stato così e non voglio farlo anche con lei.”

Poggiando gli avambracci sulla parte terminale del tettuccio la sorella se la guardò dalla frangia castano chiara. “Non paragonare lo spessore di Michiru con una Bravery qualsiasi e smettila di dire fesserie. Parlale. Se non ti senti di provarci perché non la ami veramente, va bene, ma rimanere bloccata per paura di un rifiuto o di chissà quale altre conseguenze, non lo posso accettare. Non da te."

Giovanna la vide alzare la testa e guardare il cialo. Era proprio il timore di perdere il rapporto costruito con Michiru in quelle settimane a farle intuire quanto Haruka tenesse a lei. Ma la bionda non aveva ancora capito che anche nel cuore della forestiera era sorto un qualcosa di bello, forse ancora un po’ confuso, ma certamente sincero e profondo.

Sbirciando l’ora sul quadrante del suo orologio la maggiore riportò entrambe all’ordine. “Dopo colazione voglio andare a controllare la serra. Dobbiamo finire il percorso e riportare l’auto al capanno se non vogliamo che le altre si accorgano di qualcosa.”

Mugugnando la pilota si ricompose chiudendosi il colletto della tuta ed afferrando decisa la maniglia aprì la portiera piazzandosi al posto di guida.

 

 

Verso l’una del pomeriggio Michiru uscì dal ciclo di produzione con il cuore pesante. Sedendosi un attimo sul muretto del parcheggio guardò in direzione della masseria che s’intravedeva in lontananza indecisa se tornare per pranzo o meno. Oltre al fatto che Haruka si stesse comportando in maniera stranissima, era riuscita finalmente a parlare un po’ con sua madre, la quale, messa al corrente da quella serpe velenosa di Seiya della loro rottura, aveva dato veri e propri cenni di squilibrio. Conoscendo il desiderio della signora Kaiou di vedersi allargata la famiglia, il moro era stato tanto astuto da evitare di parlare dell’improvvisa battuta d’arresto avuta dalla carriera della figlia, concentrandosi invece sulla fine della loro relazione. Ed erano stati tutti un o figliolo, ti comprendo benissimo, ed incoraggianti stai pur tranquillo caro, parlerò io con Michiru. Così, alla prima telefonata fatta dalla giovane donna alla madre si erano aperte le cataratte del cielo ed una serie di pianti e strepiti l’avevano accolta al primo, ciao mamma, come stai.

Michiru ci aveva messo più di un quarto d’ora per prendere finalmente la parola e sentenziare senza mezzi termini, che la fine del suo rapporto con Kou era stata l’ovvia conseguenza dei suoi continui tradimenti e di tutta risposta aveva trovato una ferrea ed inimmaginabile arringa difensiva a vantaggio dell'ex compagno.

“Ho sempre soprasseduto sulle scappatelle di tuo padre. Sono uomini. Porta pazienza.” Si era sentita dire e Michiru era partita in quarta portando quella che in principio si era prospettata come una delicata conversazione tra madre e figlia, su una vera e propria discussione.

Non mi ero mai permessa di sbatterle il telefono in faccia, si rammaricò socchiudendo gli occhi alla luce mentre un’ombra alla sua sinistra avanzava lambendole le gambe.

“Michiru…” La voce un po’ nodosa di Minako la portò a voltarsi verso il viso contrito della biondina.

“Speravo di trovarti da sola. E’ dall’altro giorno che … - Un sorso d’ossigeno. - ... volevo chiederti scusa.” Non era stato poi tanto difficile.

Ma presa da altri pensieri Michiru non rispose costringendola ad essere un tantino più precisa. “Per l’uscita in cucina. La macchina…”

Già, la macchina. Haruka era stata abbastanza chiara in merito alla spiacevole sparata che Minako aveva avuto nei suoi confronti.

“Spero tu abbia capito che con la storia della moto di tua sorella non c’entro nulla.”

“Si.”

“Allora…, scuse accettate.”

Visibilmente più sollevata, non tanto per essere stata in qualche modo perdonata, quanto per avere adempiuto all’ordine impartitole dalla maggiore, la biondina fece dietro front quando Michiru le bloccò il passo con un’affermazione a dir poco stridente.

“Sai, io ti invidio.” Certo, sembrava assurdo detto da una donna che in vita sua aveva sempre avuto il meglio, ma quando Minako voltò il busto per guardarla, vide una tale sincerità nel suo sguardo che la lasciò continuare.

“Non fraintendermi, non è invidia maligna la mia. E’ solo che alle volte mi piacerebbe avere quello che hai tu.”

Senza parole l’altra scrollò le spalle non capendo e toccando un paio di volte il cemento del muretto, la più grande la invitò a sedersi al suo fianco. Reticente, ma con una curiosità dilagante, Mina accettò. Così Michiru Kaiou, che sotto quel frangente non si era mai aperta con nessuno, nemmeno con lo stesso Seiya, rivelò a quella ragazzetta che mal la digeriva la profonda lacerazione che aveva sin da piccola.

“Non c’è denaro o successo che possa comprare l’affetto di una famiglia e pur amando tantissimo i miei genitori e sapendomi amata, non posso che invidiare quello che hai tu con le tue sorelle. Sai, non l’ho mai detto a nessuno, ma sono stata adottata. Lo scoprii accidentalmente a sette anni e da allora non passa giorno che non mi chieda perché chi mi ha messo al mondo non mi abbia tenuta. Beninteso, ormai sono una donna fatta che può immaginarsi scenari di ogni genere, dalla mancanza di denaro, alla giovane età, ma da qui ad accettare di essere stata scartata come un pezzo di mobilio fallato, be… ce ne corre.”

Minako ingoiò a vuoto. La sua storia era molto simile a quella del suo Yaten. Anche lui aveva alle spalle una situazione famigliare molto complessa che a tutt’oggi lo faceva soffrire. Era stato cresciuto da Max e Rose, che per lui era stati più che zii e da anni aveva trovato nei Tenou una famiglia, ma non era raro, soprattutto sotto le feste natalizie, trovarlo seduto in disparte a rimuginare su qualcosa di oscuro e doloroso.

“Perché mi stai dicendo tutto questo?”

“Francamente non saprei. Forse perché non essendoti molto simpatica vorrei che tu sapessi che il mio modo di fare, spesso freddo e distaccato, non è dettato dalla superbia o dall’arroganza di sapermi chissà chi, quanto dalla scarsa fiducia che ho nelle persone. Non ci vuole certo uno psicologo per capire che il sentire di dover dimostrare sempre più del dovuto, sia la logica conseguenza della paura che provo di non essere accettata e ben voluta. Ecco perché t’invidio; puoi essere te stessa senza inibizioni e il tuo legame con le tue sorelle è talmente forte che faresti di tutto per proteggerle.”

Questa volta Minako afferrò e quasi arrossendo puntò l’azzurro delle iridi a terra. “Mi dispiace, ma lo trovo naturale.”

“Lo so, anzi, lo immagino. Però Mina, quello che vorrei che tu avessi ben chiaro è che non farei mai del male a nessuna di voi ed in particolar modo ad Haruka.”

“Magari non volontariamente e di questo ne sono felice, ma gliene farai. - Togliendosi da quella scomoda situazione la ragazza si alzò aggiustandosi la gonna con un paio di schiaffetti. - Ed io cercherò d’impedirtelo a qualsiasi costo.”

“Pensi davvero che tua sorella sia così fragile?” Chiese seguendola.

“Si! Almeno dal punto di vista sentimentale. Tu non la conosci, non sai quanto possa amare profondamente e quanto questo in passato l’abbia portata a soffrire. Per lei è tutto o bianco o nero. Dà l'anima in qualsiasi tipo di rapporto ed il fatto che tu non le abbia voluto dire chi sei e da dove vieni, mi fa pensare male.”

Michiru sospirò. “Tua sorella ha accettato subito la cosa, ma posso capirti. Questo non depone a mio favore.”

“Esatto. Comunque mi fa piacere che tu abbia cercato di spiegarti. Adesso scusa, ma devo rientrare.”

Il dire tutto ad Haruka. Perché non l’aveva ancora fatto? Guardò le spalle di Minako mentre si allontanava. Forse quella ragazza aveva ragione. Forse era arrivato il momento di aprirsi e tornare ad avere un passato. Anche se scomodo come il suo.

 

 

Mamoru prese il libretto di circolazione ringraziando il corriere. Salutando tornò a guardare l’ennesima macchina agricola acquistata dal vecchio Kiba nell’ultimo anno. Un pezzo costoso. Estremamente costoso. Costoso e a suo giudizio totalmente inutile. Con mezza proprietà ancora provata dai danni dell’ultimo temporale, il giovane non poteva non chiedersi cosa il padre avesse in mente. Non avevano certo problemi economici, ma in un’attività come la loro il denaro andava speso con coscienza. Perché il padre si ostinava ad aumentare il parco macchine invece d’investire riparando lo sfacelo che l’acqua aveva provocato? Ettari ed ettari strappati alle radici di piante ormai indebolite dal sole. Detriti trascinati nelle piane come giocattoli privi di consistenza ancora sparsi sui sentieri. Mine vaganti pronte ad intasare l’alveolo già provato del torrente al prossimo nubifragio di una stagione dal clima ormai fuori controllo.

Cos’è che Mamoru non riusciva ad afferrare? Certo, con quell’uomo non aveva mai avuto un buon rapporto, soprattutto da quando la madre aveva deciso di abbandonare la famiglia per rifarsi una vita con un uomo a suo dire più degno dell’ambizioso Kiba, ma gli affari, il senso vischioso della terra insito in ogni buon viticoltore che si rispetti, li aveva sempre tenuti intrecciati come viticci. Ma se adesso anche questo iniziava a vacillare, cosa sarebbe rimasto della loro famiglia? Niente. Assolutamente niente e Mamoru lo sapeva.

Nervoso rientrò in casa non prima d’aver gettato uno sguardo alla porzione del tetto dove gli operai stavano ancora lavorando. Altre spese. Ma questa volta necessarie. Dirigendosi sparato verso lo studio del padre bussò ed attese. Dalla parte opposta nessuna risposta.

“Papà?” Entrando cercò di smorzare l’urgenza di sapere il perché di quell’acquisto inutile.

Nello studio però non trovò nessuno. Vuota la poltrona dove il genitore era solito accomodarsi con un quotidiano, il sigaro ed un buon bicchiere di rosso. Vuoto il retro della scrivania da dove guidava i suoi affari.

Avevo capito che oggi sarebbe rimasto alla masseria, pensò avvicinandosi al piano in frassino notando alcuni estratti bancari e li, al conto degli zeri, l’uomo ebbe un sussulto.

 

 

Chiudendo l’armadietto dove teneva ripiegata la sua tuta da rally, respirò profondamente l’aria intrisa dell’odore di grasso impastato alla terra della rimessa. Tutto intorno ai suoi piedi le tracce del trattore e del piccolo cingolato dalla benna pesante. Era quello l’oro della sua masseria, quello, la cantina e la terra che si estendeva tutta intorno. Ma vuoi per la gara, vuoi per i suoi problemi personali, Haruka sapeva di non stare prendendosi cura di nessuna di loro.

Sentendo il tubare di un paio di tortore appollaiate sull’acciaio di una delle travi tralicciate che portavano la lamiera della copertura, la bionda provò a scacciare il senso di vergogna che stava provando da quando aveva capito di stare fallendo nella gestione della vigna. Non aveva fatto che sbagliare inanellando casini su casini. In più ci si era messo di mezzo il tempo ed infine… la folle scelta di gettarsi tra le mani di una specie di strozzino. Giano non era altro che questo; uno strozzino maledetto che invece di prestarle del denaro a tassi da capogiro, le aveva chiesto qualcosa di ben più importante, ovvero la vita. Sua e delle sue sorelle. Si, perché se lei e Giovanna avessero fallito, tutto sarebbe andato a puttane e ai guai che già avevano, se ne sarebbero aggiunti altri. Questa volta insormontabili.

Dita arroventate le fasciarono la bocca dello stomaco strizzandoglielo come una spugna umida. Avrebbe voluto svagarsi, ma non parlando. Questa volta Haruka Tenou sentiva d’aver bisogno di una tregua, di uno sfogo molto meno nobile di quattro chiacchiere con un’anima affine. Voleva bere, voleva non pensare e soprattutto voleva la pelle di qualche donna che l’aiutasse a spegnere il cervello per qualche ora.

“Che bestia che sono. - Si disse ridendo di se. - Veramente poco dignitosa se paragonata ad una dea della classica.”

Quanto poteva starci male! Le parole di Giovanna non avevano fatto altro che entrare nella ferita inflittale da Bravery e se possibile allargargliela ancora di più. Ed ora bruciava così tanto pensare a Michiru.

“Mia sorella ha ragione su tutta la linea. Sono una vigliacca e sballarmi con alcol e sesso non farebbe che peggiorare le cose. Ora devo essere concentrata sulla corsa. Ma non lo sono e non lo sarò se continuo a fuggire da Michiru.”

Michiru. Prima di tutto doveva affrontare la forestiera o quantomeno cercare un atteggiamento conciliante.

Rimuginando sul da farsi iniziò a cercare una latta d’olio quando sulla porta comparve una figura alta e longilinea. “Ti stavo cercando!” Esordì mentre la bionda imprecava sfondoni al cielo.

“Mi hai trovata… Pensa che culo!”

“Sempre del tuo solito umore nero, vedo.”

“Che vuoi che ti dica? Sarai tu a farmi questo effetto Bravery!” Trovando la latta fece saltare il tappo con la punta di un cacciavite.

La moretta entrò nella rimessa socchiudendo la porta scorrevole. Gesto che non sfuggì all’altra.

“Cosa vorresti fare?”

“Nulla di quel che pensi e che vorresti. - Avvicinandosi le chiese dove fosse la sua rivista. - Mamoru dice che ce l’hai tu.”

Haruka sogghignò iniziando a ravvivare l’olio con ampi movimenti circolari. “Vuoi iniziare una collezione?”

“Fai poco la spiritosa. E’ mia e la rivoglio.”

“E se l’avessi gettata nella spazzatura? In fin dei conti è quello il suo posto.”

Sussurrandole all’orecchio sinistro Bravery cambiò improvvisamente atteggiamento. “E privarsi dell’opportunità di fantasticare su quella donna mentre ti trastulli fra le lenzuola del tuo letto? Non credo proprio.”

Scattando il collo finalmente la bionda la guardò negli occhi. ”Bada a te Kou e stai attenta a ciò che dici!”

“Ma per carità! Lungi da me offendere l’idea contorta che ti sei fatta di quella donna. - Disse alzando le braccia in segno di resa mentre arretrava di un passo. - Comunque la rivista la rivoglio. Se non ci avessi fatto caso parla anche di mio fratello.”

“Al diavolo te e lui!” Sbottò andando all’armadietto.

Aprendolo di furia estrasse la rivista semi nascosta sotto la tuta e porgendogliela le diede dell’infame.

“E perché scusa? Non ho fatto altro che cercare di far capire ad un’amica che non vale la pena di struggersi per la grande e talentuosa Michiru Kaiou. In più, se permetti volevo tutelare l’unione che mio fratello ha con lei.”

“Che gran brava sorella! - Ma prima che Bravery riuscisse ad afferrare la rivista, Haruka alzò il braccio continuando ferale. - Ricordati bene una cosa; non siamo amiche. Non lo siamo mai state. Tu sei solo una che mi scopavo un paio d’anni fa e non venirmi a dire che tutto d’un tratto t’interessa la vita privata del tuo gemello, perché sappiamo entrambe che non te n’è mai fregato niente!”

La moretta incassò e con altrettanta ferocia restituì il colpo al mittente. Soprassedendo a fatica dal rispondere all’offesa personale, si gettò in acque torbide che sapeva di poter gestire. “A si? Una sorella che non tiene al fratello lo ascolterebbe quando si sfoga perché la sua dolce metà non è in grado di dargli un figlio?”

Haruka ebbe un fremito rimanendo spiazzata. “Che diavolo… Cosa c’entra…”

“Nulla. Era solo per farti capire cosa lega me e Seiya. Che poi sarebbe quello che lega te e le tue sorelle. Perciò evita di sbandierare l’affinità che c’è nella famiglia Tenou, perché come vedi… c’è anche nella mia.”

“Certo.., me lo hai detto solo per questo. Tieni…, riprenditi questo schifo e vattene!” Gettandole la rivista sul petto prese la latta dimenticata sul pianale ed andò verso il piccolo cingolato.

“Voglio sapere una cosa. Ti rode che sia famosa o che mio fratello se la sbatta da anni? - Bravery vide la schiena dell'altra irrigidirsi e proseguì con estrema goduria. - Un uomo dalla testa ai piedi, che le ha sempre saputo dare ciò che la nostra dea dell’archetto gli chiedeva.”

“Finiscila…”

“Mentre tu che cosa sei? Cosa vuoi? Cosa pensi di potere offrire ad una donna come quella?”

“Bravery!” Sbattendo la latta sul mezzo, Haruka le si avventò contro spingendola sul mattonato a vista del muro.

Ma la mora continuò implacabile nonostante la destra dell’altra stretta al collo della maglietta. “Dunque non ti da fastidio l’aver scoperto che sia famosa, quanto che sia etero.”

“Sei una lurida bastarda! Hai aspettato il momento giusto per farmelo sapere, vero?! Cosa credi che non mi sia accorta che questa rivista sia di due anni fa?!”

“Complimenti. Non ti scappa proprio niente vedo.”

“Perché non te ne ritorni a Portland? Che cazzo vuoi da me?!”

Quasi in debito d’ossigeno l’altra stirò le labbra. “O suvvia Tenou. Devo forse farti un disegnino? Io so cosa vuol dire avere le tue mani addosso e so apprezzare quello che puoi offrirmi. Lei… NO.”

“E’ questo quello che vuoi?! - Schiacciandola con maggior forza al muro, Haruka le slacciò con rabbia il bottone dei pantaloncini. - E’ questo che smani tanto?”

“Tu non sai quanto. - Soffiò avvertendo dita estranee infilarsi tra la pelle e la stoffa degli slip. - Lo sapevo che prima o poi ti avrei avuta.”

“Sta zitta.” Ringhiò ansante mentre permetteva alle mani della mora di sbottonarle la camicia.

“Togliti quella donna dalla testa, non fa per te.”

“Zitta…” Ripeté annaspandole nell'invavo del collo mentre con violenza le afferrava i capelli legati alla base della nuca.

Strappatela da cuore Haruka. Cancellala dalla tua vita, pregò Bravery sentendo le labbra calde di Haruka catturare voraci le sue.

 

 

Quando mezz’ora prima Usagi le aveva chiesto la cortesia di cercarle Haruka non avrebbe mai creduto che la cosa sarebbe finita con il prendere contorni epici. Era stata dappertutto; al silos, alla Prima, poi in casa e nuovamente fuori. La biondina le aveva assicurato di averla vista gironzolare sul retro della masseria proprio prima d’iniziare a preparare la cena, ma visto lo scarso risultato con il quale stava svolgendo la sua commissione, Michiru stava sul punto di gettare la spugna.

Non mi stupirei se si stesse divertendo alle mie spalle nascondendosi da qualche parte, pensò ancora offesa per il comportamento omertoso messo su dalla bionda. Camminando lentamente sul brecciolino si guardò intorno. Solo un ambiente non aveva ancora controllato; la rimessa. Non era solita andarci, non le piaceva, ma per scrupolo scrollò le spalle avanzando verso il grande portone scorrevole. Forse avrebbe potuto essere un’occasione per parlarsi e finalmente iniziare a capirsi.

Questi buoni propositi l’accompagnarono alla struttura dai laterizi rossi fino a quando il portone metallico non solcò il binario aprendosi di colpo e di li tutto cambiò. Michiru si fermò di riflesso mentre gli occhi si posavano sulla siluette di Bravery, che uscita madida di sudore come dopo una sauna, se la guardò sorpresa. La mora ebbe un attimo di titubanza prima di esplodere sulle labbra arrossate un sorriso estremamente compiaciuto. Si guardarono: le pozze nere dell’una a fondersi con quelle cobalto dell’altra. Poi una terza figura. Haruka emerse dal buoi della rimessa mentre con lo sguardo basso armeggiava con un’asola della sua camicia. E non ci volle molto perché Michiru capisse quello che era appena successo.

Passandole accanto Bravery le annunciò d’aver chiuso la partita. "Io ottengo sempre ciò che voglio mia cara Michiru."

Impietrita la violinista non rispose. Fissa su Haruka attese che la mora si allontanasse a sufficienza per comunicarle che la sorellina la stava cercando.

“Sembra una cosa abbastanza urgente.” Disse e mossa da un inspiegabile moto di delusione e tristezza, fece per andarsene.

L’altra scattò per bloccarle il passo. “Aspetta Michiru! - Le si parò davanti con un senso di colpa pari a quello di un assassino. - Non…” Ma nel guardare il viso dell’altra il fiato le morì in gola.

Uno sguardo di pietra le strappò il cuore dal petto.Non cosa? Non è successo niente? Non è come credi? Non rappresenta nulla? Non vale nulla? Cosa diavolo poteva dirle per scagionarsi da una colpa che poi colpa non era affatto?

Rendendo gli occhi a due fessure, Kaiou aggiunse a quel non mozzato, il suo pensiero. “Non c’è niente da dire! L’unico mio rammarico e te lo dico con il cuore, è che tu lo abbia fatto con una dona da nulla come quella.”

Scansandola fece un paio di passi quando avvertendo il calore della destra di Haruka che stava per afferrarle il braccio si voltò come una tigre. “Non ti azzardare a toccarmi con quella mano! Non dopo quello che le hai fatto!”

Uno schiaffo morale talmente violento che costrinse la bionda a bloccare il respiro e a stringere i pugni fino al bianco delle nocche.

 

 

Imprecò Haruka. Imprecò, tacque ed imprecò ancora. Stretta nella consapevolezza di avere rovinato tutto, affamata dalla vergogna d’aver ceduto ad un bieco turbine fatto di rabbia, prostrazione ed eccitazione. Imprecò parole amare e ruvide, dolorose al pari di una flagellazione su una pubblica piazza. Imprecò e lo fece da sola, davanti alla sua auto, mentre nel silenzio del capanno finiva di modificarne l’alettone in vista della gara.

Non ti azzardare a toccarmi con quella mano! Non dopo quello che le hai fatto!”

Michiru aveva capito tutto molto rapidamente. Era una donna sveglia e lo avrebbe fatto anche senza il sorrisetto di sfida lanciatole da Bravery o la marcata espressione colpevole che la bionda aveva messo su appena incontrato il suo sguardo. Fino a quel momento il cobalto degli occhi della forestiera l’avevano sempre accarezzata dolci ed affettuosi, dopo quell’episodio invece, erano diventati freddi e scostanti.

Il sesso con Bravery era stato veloce e sotto certi versi brutale. Haruka l’aveva presa senza neanche domandarsi che cosa stesse facendo. Le braci che covavano nel profondo della sua femminilità da quando Michiru era entrata a far parte della sua vita, erano state rivitalizzate dalla mora con estrema furbizia. Premendo sull’eterosessualità della violinista, Bravery aveva costretto Haruka a riflettere sul fatto che tra loro non avrebbe mai potuto esserci altro che una semplice amicizia e questo le aveva gettato addosso un senso d’impotenza che una rubacuori sfrontata come lei non aveva mai avuto se non da ragazzina.

Dalla parte opposta, questo cederle non aveva fatto altro che confermare a Bravery quanto la bionda fosse presa. Faceva male, ma era un fatto che comunque aveva portato al suo scopo. Inoltre il ritrovarsi la violinista davanti agli occhi aveva dato un nuovo senso a tutto quanto. Aveva colto una scintilla di dolore nello sguardo di Michiru che se pur molto brava a dissimulare i propri sentimenti, non aveva saputo chiudere per tempo le porte della sua corazza. Bravery non avrebbe avuto il cuore di Haruka, ma ormai non le importava, perché arrivate a questo punto, l’immaginarsi l’altolocata Michiru Kaiou con l’anima nel fango valeva forse di più del ricordo che aveva della sua passata storia con Tenou. Una vittoria di Pirro che la spingeva ad ipotizzare che dopo quel pomeriggio la violinista non avrebbe più smaniato tanto per trattenersi ancora in quella casa. Se una cosa aveva capito dell’ex di suo fratello, era l’orgoglio smisurato che trasudava da ogni centimetro quadrato di quel bel faccino da schiaffi e quello che la bionda aveva fatto non sarebbe stato perdonato tanto facilmente.

Così passarono i giorni. Bravery ebbe la decenza di sparire dai radar, mentre Haruka continuò ad evitare Michiru. Si sentiva un verme e l’unica cosa che riusciva a mitigare questo stato, era il dedicarsi anima e corpo alla sua auto. Ma per assurdo, più cercava d’estraniarsi da quello che era successo e più finiva per pensarci. Così per sentirsi un poco meglio, la sera prima della gara arrivò a parlarne con Giovanna, che come al solito l’ascoltò lasciandola sfogare.

Nel silos, seduta su una tanica, la maggiore sospirò iniziando a giocherellare con un cavo elettrico. “Dunque hai ceduto…”

“Già… E ora che me la sono fatta mi sento uno schifo.” Ammise allungandole una delle due bottiglie di birra che aveva preso da casa per brindare alla fine dei lavori.

“La sfortuna e' stata quella che Michiru vi abbia beccate. Ecco perché tra voi sembra scesa la cortina di ferro. - Afferrando il collo di vetro posizionò il tappo sul bordo del pianale facendolo saltare con un gesto secco. - Bravery e' stata furba. Erano settimane che ti stava addosso.”

“Ed io cretina ci sono cascata come una polla.” Appoggiandosi al cofano della Mercedes di Kaiou ammise d’aver perso la testa.

“Certo che il fatto della rivista è stata un’azione sottile.”

“Una bastardata.”

“Una bastardata… sottile. Dobbiamo riconoscere che ti conosce molto bene. Ha puntato e sparato proprio là dove sapeva che avrebbe fatto più danno.”

Haruka le diede un’occhiataccia ingoiando avidamente un paio di sorsi. “Se prima non riuscivo a parlarle figuriamoci ora.”

“In fin dei conti non hai fatto niente di male e tu non dovresti sentirti colpevole. Non state insieme e perciò non ha alcun diritto di farti la guerra.”

“Si, ma la sta facendo. Lei mi sta trattando di merda ed io mi sento d’averla tradita, o almeno d’aver tradito l’idea che ho di lei. Di noi. Nella mia testa… Insomma, hai capito, no?”

“Certo che ho capito e posso immaginare che tu ci stia male, perciò dopo la gara dovrai parlarle. Haru non puoi più continuare così. O provi a fartela passare o le confessi tutto…”

“… E mi metto l’anima in pace.” Borbottò pianissimo.

“Non ti tratterebbe da cani se non gliene fregasse niente. Te l’ho già detto il primo giorno che abbiamo messo la macchina su pista; sono convinta che non dovresti avere così tanta paura di un rifiuto.”

“Certo, soprattutto dopo essermi sbattuta un’altra!”

A questo Giovanna non rispose. Non conoscendo affatto Michiru non poteva ipotizzare nulla. Nel lavoro era caparbia e perfezionista, affidabile e puntuale, ma in fatto di sentimenti chi poteva dire se avrebbe o meno soprasseduto al gesto di Haruka.

“E’ ora di andare a dormire. Domani usciremo prima che le altre si sveglino. Ci vestiremo alla rimessa, così da non fare rumore, poi andremo al capanno a prendere la macchina. Max mi ha fatto sapere che ci aspetterà al bivio con la Provinciale.”

“Mi fa piacere che venga anche lui. Mi ricorda il nostro vecchio team.”

“Se papà fosse ancora vivo per vedere che stiamo per gareggiare in una corsa clandestina ci prenderebbe a sberle.”

“Probabile. - Ridacchiò Giovanna alzandosi. - Ma farebbe ugualmente il tifo per noi.”

“Sicuro. - Confermò la bionda allungando verso l’altra il braccio con il quale stava stringendo il collo della bottiglia. - Domani spaccheremo il culo ai passeri.”

“Puoi scommetterci sorella.”

Facendo toccare il vetro finirono di bere, ma quando la maggiore aveva ormai aperto una delle due ante Haruka la richiamò.

“Giovanna…”

“Dimmi.”

“Sono contenta che tu sia ritornata a casa.” E La maggiore non vide più l’acredine nel verde degli occhi di sua sorella.

 

 

Haruka si svegliò con le classiche ossa peste. Era crollata appena appoggiata la testa sul cuscino e aveva sognato. Flash confusi, intrecci di visi, di luoghi indefiniti. Azioni. Gli ansimi di Bravery, gli sguardi contrariati e giudicatori di Michiru, Giano e la sua mano stretta alla sua, l’auto che corre saltando dossi e solcando rettilinei con lei che ne tiene saldamente il volante. Una notte, ma in realtà pochissime ore di sonno che la spinsero fuori dal letto ancor prima di sentire suonare la sveglia.

Guardando in direzione del letto della sorella lo vide vuoto e ricomposto. Grattandosi la zazzera s’infilò le pantofole pattinando verso l’armadio. All’esterno solo il richiamo di un Barbagianni.

 

 

Quando aprì piano l’anta scorrevole della rimessa trovò Giovanna che armeggiava con l’interfono integrato di uno dei due caschi. Era già vestita di tutto punto con una tuta identica alla sua. Stivaletti e parte della tuta neri, rosse e bianche le maniche ed il colletto ancora slacciato. Ad Haruka parve di rivederla a diciotto anni, come se fossero improvvisamente tornate indietro nel tempo. Lo svegliarsi prima dell’alba ed il far piano per non svegliare le sorelle, allora piccolissime. L’ansia pre gara, quella morsa allo stomaco tipica di un avvenimento importante. Giovanna che prepara l’attrezzatura e lei che la testa. Tutto come allora, tranne per il fatto che questa volta erano sole.

Sentita la presenza della bionda, la maggiore si voltò sorridendole. “Buongiorno. Pronta?”

“Si, ma ho dormito da cani.”

“Non hai mai riposato bene prima di una gara. Ricordi i calci che mi davi quando eravamo costrette a dormire in camper?”

Haruka storse la bocca guardando l’attrezzatura. “Me n’ero dimenticata.”

“Solo che allora alla mia domanda avresti detto di essere nata pronta.”

“Sarà che sono invecchiata.”

“Sei maturata. Anche il tuo modo di correre è diverso.” E porgendole il casco le chiese di verificare l’arrivo del segnale.

“Vedrai che sarà altrettanto efficace.”

“Su questo non ho dubbi. Ho preparato la colazione. Mangiala finché è calda.”

“Caffè, uova e pancetta?” Chiese indossando il casco.

“Certo. L’apoteosi del colesterolo! Non capirò mai come faccia a piacerti certa roba. Nel cucinarla ho rischiato di vomitarci sopra. Che dici... avrò appestato tutta la casa?”

“Io non ho sentito niente. Usa non se ne accorgerà nemmeno.”

“Mi preoccupa Yaten. Quel ragazzo ha il fiuto di un segugio.”

“Oggi non viene a colazione. L’ho sbattuto al carico pallet. Ne avrà per tutta la mattina.”

“Invece Minako ha in programma di andare a fare la spesa. Perciò abbiamo campo libero. Andremo e torneremo prima di pranzo.” Evitando di menzionare anche i piani di Michiru riprese il casco tornando ad armeggiarci su mentre Haruka si fiondava sulla sua leggerissima colazione.

Una volta finito di mangiare ed indossata la tuta, la pilota prese le sue cose non trovando però le chiavi. “Le hai prese tu?” Chiese guardandola.

“No!”

“Prova nell’armadietto mentre io mi frugo le tasche.” E fece per uscire.

Siamo agitate, la sfotté mentalmente l’altra controllando i ripiani.

“Guarda che qui non ci sono…” Disse proprio mentre la porta d’ingresso cozzava contro lo stipite ed Haruka faceva scattare il pistoncino del lucchetto chiudendola dentro.

“Cosa cavolo…” Arrivando con due salti al maniglione della porta provò a forzarlo verso destra intuendo cosa fosse successo.

“Haruka che stai facendo?!”

“Non ho bisogno di un copilota. Non questa volta.” La voce le arrivò smorzata dall’anta, ma chiarissima ed inequivocabile nel suo assurdo concetto.

“Non dire idiozie! Aprimi!”

“Vedi di star buona e non fare troppo casino. Le ragazze si sveglieranno tra un’oretta e se hai fortuna per le otto sarai fuori.”

“Aprimi ho detto!” Colpendo l’anta con un calcio la fece vibrare.

“Ti ripeto di stare buona o finirai col romperti un piede.”

“Che cos’è questa sceneggiata!? Quando hai deciso di farmi fuori?”

Haruka raccolse tutta la calma possibile rivelandole che nei suoi piani una sorella del quale non si fidava affatto non era mai stata calcolata. "Mi avresti dato il tormento se ti avessi detto subito di no, ma francamente di una come te non so che farmene.”

“Haruka non scherzare. Dai apri questa porta!”

“Non scherzo mai su queste cose Giovanna. Ora da brava rimani li dentro e non tentare di uscire dai finestroni che non hai più dieci anni.”

“Tenou! Se non apri immediatamente questa porta ti assicuro che appena fuori ti spaccho la faccia! - Due spallate ed una serie d’improperi ancor più inutili. - Haruka… Porca puttana… APRIMI! Non puoi correre da sola.”

Ma Haruka era già lontana. Chiavi strette nel pugno destro e casco nell’incavo dell’braccio sinistro si diresse determinata verso il destino che aveva scelto per lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Rottura ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Rottura

 

Non se lo ricordava così un pre gara. E non perché fosse cresciuta o non avesse più al suo fianco Alba e Sante. Solo quando fermò il suo peugeottino nello spiazzo vicino alla partenza, Haruka si rese conto forse in maniera ancora più marcata, che quella che stava per intraprendere non era una corsa come tutte le altre. Non era tanto per l’assenza di tribune e gente urlante ad incitare i vari team o per il mancato via vai di tecnici e membri delle varie scuderie, l’altoparlante dell’annunciatore di turno a scandire l’ordine delle partenze ed i responsi sui tempi, quanto per l’atmosfera; un misto di clandestinità e pericolo. E poi c’era lui, il silenzio, interrotto di tanto in tanto solamente dal frusciare delle fronde mosse dal vento.

Non aveva mai visto la partenza, perché quello, come cento altre assurdità di una corsa clandestina, era la prima condizione d’accettare per farne parte. Per non destare sospetti ed agire indisturbati alle spalle della legge, gli organizzatori tenevano per loro i primi chilometri di pista, in modo da poter bloccare tutto nell'eventualità molto remota di una qualsiasi soffiata.

Max, che scortato da un ceffo in moto da cross l’aveva preceduta, parcheggiò poco oltre dirigendosi subito dall’uomo che la bionda ricordava di aver visto all’incontro avuto con Giano nella vecchia cascina abbandonata. Già e lui dov’era? Una volta scesa dall’abitacolo, Haruka scandagliò lo spiazzo e le macchine non competitive per vedere dove fosse, ma non lo trovò. Era l’ovvia conseguenza del fatto che per rimanere pulito, meno persone sapevano quale fosse la sua vera identità e meglio era. Come ogni bravo capo gang che si rispetti, amava usare intermediari, come l’uomo che stava ora parlando con Max e quando era costretto a muoversi dal suo castello dorato per andare ad incontrare i piloti che volevano prendere parte alle sue corse, lo faceva sempre assicurandosi di usare luoghi solitari ed ambienti privi di luce diretta. Non era un pezzo grosso, non ancora, non usava società fittizie per riciclare chissà quali somme da capogiro, ma grazie alle entrate poco pulite delle scommesse, negli ultimi anni il suo volume d’affari era cresciuto parecchio e se non fosse stato fermato dalla giustizia, non ci avrebbe messo che un’altra manciata di gare per diventare il re di tutta la Provincia.

Haruka chiuse la portiera sentendosi gli occhi di tutti gli altri piloti appiccicati addosso. La tuta che usava da ragazza le era diventata stretta e si vedeva lontano un miglio il suo essere una gran bella donna. Ma le sue curve non erano certo il male minore. Per via di Giovanna, la giornata non si era messa sul bello stabile e la comparsa dell’ennesima persona non gradita alla bionda le diede lampi di rogna neanche avesse visto corvi neri volare all’orizzonte.

Nella macchina di Max era magicamente apparso Mamoru Kiba. Una volta arrivata al bivio la pilota se l’era visto placidamente seduto sul sedile accanto a quello dell’amico.

“Ma di, sei fuori di testa!” Aveva sbraitato dal finestrino tirando il freno a mano. Per un’infinità di motivi quella era l’ultima persona che avrebbe dovuto assistere a quell’azzardo e Max lo sapeva meglio di lei.

“Abbiamo bisogno di un uomo fidato che prenda il tuo tempo all’arrivo. Io non posso certo stare in due posti contemporaneamente e di un portaborse di Giano non mi fido. Tu piuttosto, dimmi dove diavolo è tua sorella!”

“Indisposta.” L’aveva liquidato notando quanto l'amico si fosse rabbuiato.

“Io fermo tutto! Non puoi correre da sola!”

“No, tu non fermi niente! Passi per lui, ma diamoci una mossa!”

Così l’ennesimo cambio di programma aveva avuto il potere di farle salire la colazione su per l’esofago ed ora si ritrovava in quello spiazzo con un pensiero in più ed una certezza di meno. Era infatti sicura che alla prima occasione Kiba sarebbe andato a spifferare tutto ad Usagi e Minako.

Va bene Haruka, un casino alla volta. Se vincerò avrà poca importanza se le ragazze verranno a conoscenza di questa storia. Vediamo invece con chi abbiamo a che fare.

La Peugeot 205 della famiglia Tenou era indubbiamente una delle vetture più vincenti della storia dei rally, ma tutt’intorno Haruka poteva vedere macchine potenti e dannatamente performanti. Una Subaru, tre Toyota, due Audi ed una Mitsubishi, tutte meno datate e provate della sua. Vetture straordinarie, dalla linea pulita ed essenziale. Nulla a che vedere con quell’alettone stile jumbo jet che aveva messo su per cercare di non decollare al primo utilizzo del biturbo. Si sentì improvvisamente una principiante, come se le vittorie passate con quella stessa auto fossero appartenute ad un’altra vita. Ad un’altra Haruka. Inoltre per mantenere un certo anonimato con gli altri partecipanti, aveva dovuto cancellare dalle fiancate la serigrafia del suo cognome privandola in un certo senso di quel cordone sportivo che la legava ancora ad Alba e Sante.

Cercando di non badare a quanto la cosa le fosse costata, guardò il tracciato che serpeggiava a partire dai ceppi di quercia che sancivano il via. Colline, sottobosco e ancora più lontano le dune sabbiose della spiaggia. Una lingua dorata che s’intravedeva a qualche chilometro di distanza. Poggiandosi al muso della sua auto incrociò le braccia al petto aspettando il ritorno di Max.

Lo guardò parlottare animatamente con l’altro uomo e questo non le piacque e a ragione. Quando con Mamoru poco dietro la raggiunse, ne capì il motivo.

“Rogne?” Chiese.

“Il lacchè di Giano mi ha detto che la gara sarà composta da due prove. La somma dei due tempi fatti decreterà il vincitore. L’intervallo tra un team e l’altro sarà di cinque minuti.”

Haruka non si scompose. “Dunque niente sportellate alla fast e furious.”

“L'avrei preferito. Il percorso è impegnativo, sia per te che per lei. - Indicò con il mento poco rasato la carrozzeria dell’auto. - Sei sicura che il sotto reggerà alle vibrazioni e agli urti di tutti quei chilometri in più?”

“Invece di dire sciocchezze, rispondi tu ad una domanda; arrivati a questo punto credi abbia veramente importanza una mance in più?” Canzonò scansando i due uomini per riaprire lo sportello ed attendere seduta il momento della sua prova.

“Kiba…” Chiamò facendolo sporgere all’interno dell’abitacolo.

“Niente cazzate con Usagi. Statti zitto! Mi sono spiegata?”

“Haruka questa volta credo sia tu a dover stare attenta a non fare cazzate. Ora vado all’arrivo. Buona fortuna.” Rispose piatto ritirandosi per prendere dalla mano di Max le chiavi del pick-up e una delle radio che sarebbero servite per comunicare fra loro.

 

 

Haruka la conosceva bene. Schifosamente bene. Distesa supina a braccia aperte come il Cristo di Rio, Giovanna guardò dolorante il finestrone a nastro che aveva cercato di usare come uscita d’emergenza. La sorella aveva ragione; non aveva più dieci anni. Nel tentare di uscire dalla sua prigione improvvisata, aveva messo un piede in fallo e scivolando dallo stipite di metallo dov’era riuscita faticosamente ad issarsi, si era schiantata schiena a terra come un tordo impallinato. Ed ora era li, nella polvere, imbestialita con il cielo che in quel ventisette gennaio di trent’anni prima, le aveva dato in sorte la più grande testa di legno della storia dell’umanità.

“Appena ti prendo Haruka mia…, o, appena ti prendo…” Masticò cercando di mettersi seduta.

“Ma che cavolo mi è saltato in testa! Come ho potuto credere che il rancore alimentato in tre anni di lontananza potesse scemare in un mesetto di ritrovata vita familiare?! Giovanna sei proprio un’imbecille!” Alzandosi lentamente provò dolore in tutta la spina dorsale.

Mamma mia che volo, pensò guardandosi i palmi escoriati. Serrando la mascella iniziò a massaggiarsi il coccige cercando di bloccare con la rabbia le lacrime che sentiva negli occhi. Non era solo per il dolore fisico che avrebbe tanto voluto liberarsi con un bel pianto, quello non era niente. Giovanna si sentiva tradita, umiliata, abbandonata ed era in pensiero per quella gran zucca vuota che molto probabilmente in quel momento stava già lanciando la loro macchina lungo il primo rettilineo.

Forse è proprio questo che ha provato quando sono partita, ma non credevo che la sua vendetta sarebbe stata tanto fine. Non è da Haruka fare certi giochetti. Eppure sono qui! Mi era sembrato di leggere nuovamente amore nei suoi occhi. Mai possibile che la necessità di voler tornare ad essere la sua migliore amica, sua sorella maggiore, mi abbia accecata tanto? Avvicinandosi all’anta del portone appoggiò l'orecchio sopra il freddo del metallo cercando di captare segni esterni. Sicuramente le sorelle si erano già alzate e stavano in cucina, ma anche se avesse fatto un baccano infernale, come aveva detto quell’idiota della bionda, non l’avrebbero sentita se non quando fossero uscite sullo spiazzo davanti casa.

“Un baccano infernale?!” Disse voltandosi verso il piccolo cingolato parcheggiato a pochi metri di distanza.

 

 

Quando entrò in cucina Minako trovò la piccola di casa a fissare corrucciata il dentro del loro frigorifero. Poco oltre, intenta a finire di apparecchiare la tavola, Michiru se la guardò alzando leggermente le spalle.

“Sono cinque minuti che lo sta facendo.”

“Cosa, guardare il fondo del frigo? Usa te l’ho detto ieri. Appena vestita andrò al mercato.”

“Non è questo. - Le rispose chiudendo finalmente l’elettrodomestico. - E’ che non sopporto quando non mi quadrano le cose.”

“Che poi sarebbero?” Sedendosi alla tavola sorrise di soppiatto a Kaiou che accettò felice. Forse non era stato tutto tempo perso l’aprirsi con la biondina.

“C’era una confezione da quattro di uova. Ne sono sicura!”

“Dunque?”

“Dunque non ci sono più ed io non ho frittelle da preparare! E poi sento odore di cucinato...”

“A me non sembra.” Rise Minako mentre il suono acuto di un clacson tagliava l’aria serena dell’alba.

Usagi se le guardò interdetta andando ad aprire la porta sul retro. “Sarà Yaten.”

“No. Oggi non viene.”

“Haruka o Giovanna?” Optò Michiru seguendo le ragazze all’aperto mentre il clacson continuava disperato a gridare la sua voce.

“Non proviene dal silos.” Indicando la rimessa dei mezzi agricoli Minako iniziò a camminare a passo svelto provando ansia. Il portone era chiuso a chiave, ma dentro c’era inequivocabilmente qualcuno.

“Usagi vai a chiamare Haruka!” Urlò facendo fermare simultaneamente il suono e chi lo stava provocando.

“Mina!” Si sentì dalla parte opposta.

“Giovanna?! Perché sei chiusa dentro?” Chiese appoggiando i palmi al portone.

“E’ stata quell’idiota di TUA sorella! Fammi uscire! Dov’è il doppione delle chiavi?!”

Voltandosi la ragazza fece un cenno verso Usagi che partendo a razzo iniziò a correre verso casa.

“Adesso ti apriamo. Ma dov’è Haru?”

“Non qui, altrimenti te ne saresti accorta! Lascia che le metta le mani addosso! Tutti i denti le faccio saltare. TUTTI!”

Non ci vollero più di una manciata di minuti perché Usagi recuperasse dallo studio le chiavi di scorta e corresse a portarle a Minako. Sbloccato il lucchetto la biondina tirò il maniglione che lentamente si aprì sul viso stravolto di Giovanna. La sorella spalancò gli occhi all’apparizione di una rallista vestita di tutto punto. Lo fecero tutte.

“Che ci fai con la tuta da gara addosso?” Chiese appena in tempo prima di venire spintonata da una furia indemoniata.

“Non ho tempo di spiegarvi! Devo andare!”

“Andare dove?! Giò!”

“Se non fermo quella pazza c’è il rischio che questa volta si faccia male sul serio.” Abbaiò bloccata da entrambe le sorelle.

“No! Adesso ci spieghi!” Pretese Usagi e all’altra non rimase altro che guardarsela per poi far cenno a tutte di seguirla alla sua macchina. Avrebbe rivelato tutto strada facendo.

 

 

La prima mance si era conclusa e tornata allo spiazzo dedicato alla partenza, Haruka attese insieme a Max il riscontro cronometrico dato via radio da Mamoru. La bionda non aveva avuto particolari difficoltà e la tenuta dell’auto l’aveva abbastanza soddisfatta. Non aveva spinto al massimo, non poteva permetterselo con un telaio tanto vecchio e con due mance a sua disposizione doveva giocare un po’ d’astuzia. Tra gli otto partecipanti c’erano piloti che avevano dato tutto il possibile, mentre era palese che altri avessero tirato il freno molto più di lei. Un gioco di equilibri dunque, dove il team più fortunato, capace ed intraprendente, avrebbe ottenuto la vittoria.

A pensarci meglio, il fatto di essersi trovata Mamoru in mezzo ai piedi perlomeno le garantiva che se avesse vinto, Giano avrebbe onorato il pagamento. Era sempre un Kiba e il suo nome valeva pur qualcosa. Leggermente più sollevata e forte della ritrovata affinità con la tensione di una gara, si tolse i guanti guardando il cronometro al lato del cruscotto. 10°12’25”.

Buono, ma non sufficiente, pensò mentre Max le bussava al finestrino e lei lo abbassava.

“Il tempo preso da Mamoru è perfettamente collimante con il tuo e con quello degli organizzatori. - E gli venne da sorridere nell’usare una parola tanto nobile per quei loschi individui. - Perciò è stato giudicato come effettivo. Attualmente sei al terzo posto. Hai usato il biturbo?” Chiese e lei ne fu scioccamente sorpresa.

“Che ne sai tu del mio biturbo!?”

”Guarda che Rose oltre ad essere la tua mentore era anche mia sorella e nostro padre ha cresciuto anche me a pane e motori. Il fatto che dopo il ritiro del team Tenou io mi sia messo a gestire un pub e non un’officina, non vuol dire che mi sia proprio del tutto rincoglionito. Se non avessi montato un biturbo, che senso avrebbe un alettone tanto assurdo?”

Inarcando le sopracciglia la donna se lo guardò compiaciuta. “Lo so che per quest’obbrobrio mi stanno prendendo tutti per il culo, ma vedrai che tra poco non rideranno più.”

Abbassando il tono della voce lui si appoggiò al finestrino con fare guardingo. “Fai poco la spiritosa. L’hai già testato, non è vero?!”

“No.”

“Come no!?”

“Non ne ho avuto il tempo. Ma stai tranquillo, so perfettamente come gestire la cosa.” Sentenziò talmente sicura di se che sistemandosi più comodamente sul sedile, si tolse il casco e calzandosi un paio d’occhiali da sole sul naso, a braccia conserte provò a godersi un po’ di riposo prima della sua seconda chiamata.

Grattandosi la testa lui tornò eretto. Avrebbe dovuto fermare tutto o fidarsi di quel diavolo biondo che in pista non aveva mai deluso le aspettative di nessuno? O Sante, cosa faresti al mio posto? Domandò all’anima del suo caro amico proprio mentre una stilettata dolorosa gli prendeva a calci il fegato. Quella brutta sensazione d’ansia sorta al nascere di quella splendida mattina di sole, non voleva proprio abbandonargli le viscere.

Una quindicina di minuti dopo Haruka e Max iniziarono a prepararsi per la partenza. Lui fermo ad un lato dello spiazzo, binocolo nella sinistra e radio sulla bocca, pronto a comunicare a Mamoru l’inizio della mance. Lei mani saldamente sul volante, nove dita incollate alla gomma dura sagomata mentre il pollice ad accarezzare il pulsante del cronometro. Le cinture a croce allacciate sul petto. Il casco ben calzato sulla testa. Il piede destro dolcemente ritmico sul pedale del gas. Gli occhi fissi sulla bandiera gialla impugnata dall’addetto alla partenza, concentratissima. Il cuore a mille. Il respiro lineare. I secondi interminabili prima del via si dilatarono, come l’adrenalina che schiacciata nella cassa toracica, all’abbassarsi della stoffa le fulminò nel cervello acuendone in un istante tutti i sensi.

“Vai!” Urlò l’uomo e Haruka premette simultaneamente il pedale del gas e il pollice per l’avvio del cronometro.

“Partita!” Comunicò Max e Mamoru fece altrettanto.

Motorsport is dangerous, ogni pilota lo sa, da quando inizia a prepararsi per una gara a quando si pianta dentro l’abitacolo con il suo copilota accanto. E’ una frase che rimbomba nella coscienza di entrambi, sempre, continuamente. Un mantra che con il passare del tempo diventa tanto familiare da non apparire più come un avvertimento, ma come un motto, una sfida alla morte che genera una sensazione di libertà che si può avvertire in poche altre occasioni nella vita. Questa volta Haruka la urlò forte confondendo la voce con i giri del motore.

Sentì immediatamente l’auto aggredire il terreno ed un’enorme mano immaginaria spingerla contro il sedile. Ingranando la seconda iniziò a percorrere il primo rettilineo; una discesa dalla pendenza dolce, una sorta di trampolino di lancio per quello che a breve avrebbe dovuto affrontare. Un paio di curve, niente di particolare, un altro breve rettilineo al termine del quale trovò ad aspettarla un dosso. Infine una serie di covoni di grano abbandonati ad un lato della strada finalmente le indicarono l’immissione nel percorso vero e proprio, quello che conosceva ormai a menadito. Da qui partì la sua seconda mance.

Scendi, terza a sinistra, la voce di Giovanna nella testa, il primo pericolo da superare. Una curva in terza che avrebbe dovuto aggredire giocando di piede per cercare di controllare la sterzata e non perdere secondi preziosi.

“Dai, dai!” Si disse notando con quanta forza stesse stringendo il volante.

“Che ti prende, te la stai facendo sotto?! - Si canzonò provando a rilassarsi prendendo una boccata d’aria più copiosa delle altre. - Respira dannazione! Non lo stai facendo a dovere.”

Dritta, a destra chiudi. Il secondo cambio di direzione in pochissimi metri e si ritrovò controluce imprecando. Dando uno schiaffo al parasole si riparò gli occhi. Appena entrata nel bosco non avrebbe più avuto questo problema.

“Tra meno di un chilometro c’è il ponte. - Ricordò lanciando uno sguardo al cronometro. - Stai andando bene. Coraggio Haruka!”

Quanto diavolo le avrebbe fatto comodo la calma di sua sorella adesso. Fai attenzione… ponte stretto, destra, due, chiudi. Uno dei punti dove nelle prove simulate s’incartavano sempre.

“Si lo so Giovanna. Lo so!”

Il torrente, che poi era lo stesso che passava nella valle proprio sotto casa sua. Che strano, solo in quel momento, quando cioè le ruote solcarono l’asfalto scolorito di quella vecchia struttura ad arco, la pilota ci fece caso. Il suo cervello stava andando a mille. Senza alcuno sforzo avrebbe potuto correre facendo contemporaneamente complicatissimi calcoli matematici. Tutto nella sua percezione si era amplificato. Colori più brillanti. Sensi più acuti. Olfatto più sviluppato. Dal taglio di corrente del finestrino lasciato leggermente abbassato, le sembrò addirittura di avvertire nelle narici l’odore del muschio cresciuto sulle rocce battute dall’acqua e le vennero in mente le estati di svago e le sfide di coraggio messe su da Mamoru per indurla ad abbassare un poco la cresta. I salti con la bici da greto a greto. I salti!

Stacca! La gomma delle ruote si separò da terra continuando a girare nel vuoto per circa una decina di metri.

Il contraccolpo dell’atterraggio non la colse impreparata, ma scalando marcia, attraverso la spessa stoffa dei guanti sentì vibrare il pomello del cambio e non poté che corrugare la fronte. “Non mollarmi proprio adesso.” Disse alla macchina.

I sassi morsi dagli pneumatici schizzati nelle cunette ai lati del tracciato le fecero capire che tra una manciata di metri l’asfalto sarebbe finito e socchiudendo il verde delle iridi, si preparò all’insidiosa curva a gomito che l’avrebbe immessa nella parte più dura della gara; quella voluta personalmente da Giano.

“Adesso ti faccio vedere io chi è Haruka Tenou, brutto bastardo!” Gettò all’aria rimarcando per l’ennesima volta quanto potesse disprezzare quell’uomo e quanto la sua vita fosse stata un inferno da quando aveva scoperto chi fosse.

Il fitto sottobosco cedette il passo alla boscaglia e poi ai primi cespugli marittimi. Davanti alla donna si aprì l’azzurro scintillante del mare con i pescherecci ormeggiati al largo.

Il mare è il mio elemento. Non ci sono molte altre cose che riescano a rilassarmi come il perdermi nel suo blu.”

“Michiru...” Digrignando i denti ebbe un moto di stizza e curvando troppo bruscamente rischiò d’insabbiarsi in una duna.

“Ma che cazzo fai! Non pensare a lei ora! Concentrati!”

I problemi, le mezze verità, il cuore, tutto doveva passare in secondo piano. Almeno per quei velocissimi e pur lentissimi minuti che ancora la separavano dall’arrivo.

Max perse il contatto visivo dietro una nuvola di sabbia. Abbassando il cannocchiale chiamò Mamoru per sapere come stesse andando.

“E’ nei tempi, ma credo debba dare di più se vuole vincere. La Subaru davanti a lei sta andando forte.”

“Lo darà… e che Sante, Alba e Rose l’aiutino.” Ma a Kiba non arrivò risposta. Abbandonando il pollice sul pulsante al lato della radio, l’uomo tornò a scrutare la valle sottostante dove la Peugeot di Haruka non si vedeva più.

Intanto con il rombo del motore nella testa e lo sguardo fisso sulla strada, la bionda aveva già superato metà del tragitto. Stiamo rispettando la tabella di marcia, pensò gettando un’occhiata al cronometro. E’ quasi ora di aprire le danze.

Un altro chilometro annaspando nella mollezza sabbiosa di quel maledetto percorso e la boscaglia l’accolse nuovamente. Altre due curve molto strette e al primo rettilineo utile macchina e pilota si lanciarono all’inseguimento del tempo. La durezza dello sterrato di campagna le spinse il piede sull’acceleratore fino a toccare quasi la quarta. Soffiando forte sfiorò il tasto del biturbo contando mentalmente a ritroso.

Tre, due, uno… “Ora!”

Il suono del motore diventò improvvisamente più acuto, come un ululato nella notte, mentre tutto all’interno dell’abitacolo iniziava a vibrare. Volante, cruscotto, cambio, persino i denti della pilota. Con la coda dell’occhio la donna vide il panorama naturale farsi sempre più confuso, segno che la velocità stava aumentando. Lo constatò anche dalle oscillazioni verso il basso della lancetta del contachilometri.

“Si…, così!” Prese ad incitare se stessa e la sua auto.

Se tutto fosse andato come doveva la vittoria sarebbe stata sua. Niente più debiti. Chiuso con le banche. Ripianato il bilancio. Avrebbero potuto ricominciare tutto da capo.

Frizione, cambio di marcia ed una nuova accelerazione. Questa volta il suono del motore si fece come più rauco ed Haruka sorrise soddisfatta. “Vola bella, vola… In culo a tutto e tutti. IO SONO IL VENTO!”

Riuscì a dire quando una voce le penetrò il cervello ordinarle di abbandonare l’acceleratore. Non era quella di Giovanna, ma di un’altra donna. Un tono profondo e severo non ascoltato da anni. Decelera! Tuonò imperiosa. Fermati!

Rose? Pensò facendo scattare istintivamente i muscoli del piede verso l’alto mentre un tonfo sordo proveniente dal semiasse sotto al suo sedile le faceva gelare il sangue nelle vene.

 

 

Giovanna forzò sull’acceleratore sperando nella tenuta della sua auto. Una volta spiegata a grandi linee la faccenda della corsa clandestina, si era chiusa in un mutismo fatto di tormento e preoccupazione. Sapeva di aver deluso le sorelle, ma era ancor più lacerante sapere Haruka da sola. Non che non conoscesse il tracciato a memoria, o che non se la sapesse cavare più che egregiamente dietro ad un volante, ma in quel particolare momento della sua vita non era ne concentrata, ne sufficientemente serena per guidare in sicurezza. Per quanto un pilota potesse essere bravo, nel rally avere accanto un navigatore era essenziale. Avere una guida, una bussola umana, evitava distrazioni permettendo un’immersione totale nel percorso.

Se le dovesse succedere qualcosa sarà anche colpa mia. Avrei dovuto prevederlo, si colpevolizzò cercando di ricordare la svolta che le avrebbe portate all’arrivo.

“Giovanna dove siamo?” Ma la voce di Usagi fu troppo leggera per poterla prendere in considerazione.

“Tua sorella ti ha fatto una domanda.” Incalzò Minako che seduta sul lato passeggero aveva evitato di vomitarle addosso tutto quello che stava provando in quel momento ripromettendosi però, di farlo non appena fosse stata presente anche Haruka.

All’ascoltare quell’assurda storia fatta di loschi ceffi, scommesse e corse clandestine era rimasta sconcertata. Come tutti nella zona sapeva che di tanto in tanto qualcuno di poco raccomandabile si riuniva in punti isolati della Provincia per gareggiare, era una prassi consolidata ormai, ma che Haruka e Giovanna si fossero volutamente spinte in quei torbidi affari, l’aveva sconvolta. Come sconvolte erano Usagi e Michiru sedute dietro.

“Allora Giò?!”

Un sobbalzo più accentuato degli altri e frenando esasperata l’altra la guardò con le fiamme negli occhi.“Dammi requie Mina! Sto pensando!”

“Cosa c’è da pensare?! Andiamo dove si dovrebbe svolgere questa cosa e fermiamo la partenza di Haru! Non mi sembra tanto difficile.”

“Pensi che se fosse stato possibile non l’avrei già fatto? Ma la partenza è l’unico punto che non viene mai detto ai piloti. Allora non rimane che l’arrivo ed aspettare che tutto sia finito, ma per tutti i Santi del Paradiso, la strada è un casino e la mia macchina non è fatta per questo tipo di terreno. Ci manca solo che sfasci la coppa dell’olio così tanti saluti al tuo bel programmino!" Immettendosi nello sterrato che ricordava di aver già fatto con la sorella, tornò ad accelerare sentendo scossoni dappertutto.

“Ecco perché uscivate sempre prima dell’alba. Bella prova. Bella prova davvero Giovanna! Complimenti”

“E falla finita! Potresti provare a stare un po’ zittina per fav…” Un boato riecheggiò nella valle che si apriva proprio sotto la loro strada.

“Un tuono?” Chiese Usagi stringendo il poggiatesta con le dita simili a degli artigli.

“No…” Soffiò la maggiore contraendo tutti i muscoli.

Una specie di sparo, ma più cupo e potente, poi da dietro una serie di chiome un denso serpente scuro iniziò a salire verso il cielo.

“Oddio…” Lamentò Usagi arpionando la mano di Michiru mentre Giovanna ingranava la marcia partendo a razzo.

“Tenetevi forte! Siamo quasi arrivate.”

Quando Mamoru riconobbe l’auto di Giovanna improvvisamente sbucata da dietro un roveto, si sentì stranamente sollevato. Un po’ meno lo fu quando alla maggiore delle Tenou si aggiunsero le altre. Usagi in testa.

“Mamo?!” Urlò percorrendo in un lampo i pochi metri che li separavano.

“E queste?” Abbaiò uno degli organizzatori che fino a quel momento gli era rimasto incollato per controllarlo.

“Lasci… sono con me.”

“Tutte?”

Sospirando scosse affermativamente la testa bruna. “Si… Tutte.”

“Poi mi dirai che cavolo ci fai qui! Dimmi che Haruka non è ancora partita.” Gli chiese Giovanna strappandogli la radio di mano.

“Si. Circa sette minuti fa. Dovrebbe essere a trequarti del percorso,”

“Venendo qui abbiamo sentito una specie d’esplosione…”

“Lo so. Stavo proprio per mettermi in contatto con lei.”

“Il canale?”

“Il terzo.”

Spostando la manopola da Max a quello del casco della sorella, la maggiore provò a contattarla. “Haruka da Giovanna, Haruka da Giovanna… Mi ricevi?” Come risposta solo il gracchiare sgraziato del nulla. Il canale era aperto, ma dalla parte opposta non si poteva o voleva replicare.

“Haruka! Porca miseria rispondimi!” Ancora niente.

“Mamo....” Pigolò Usagi stringendosi alla sua maglietta.

“Non pensiamo subito al peggio. C’è un’altra macchina prima della sua e un’altra è appena partita.”

“E allora perché non mi risponde?” Chiese laconica una Giovanna sempre più in ansia.

Fissando i visi delle sorelle li vide cambiare improvvisamente colore, poi guardando la parte del sottobosco dalla quale presumibilmente era partito il boato, incrociò la sagoma di Michiru bloccata a scrutarne la penombra e senza apparente motivo capì.

“Michiru… - Riuscì a dire prima che la forestiera non iniziasse a correre verso l’ultima parte del tracciato. - Dove stai andando?!”

Mamoru le fece eco. “Fermati, è pericoloso! Potresti venire travolta!” Ma lei era già sparita dietro ad un grande fusto arboreo.

“Porca… Mamo, con quale mezzo sei venuto?”

“Il pick-up di Max.”

“Bene, allora tieni la radio e chiamalo. Digli di tenersi pronto, lo passeremo a prendere. Mina, tu prendi la mia macchina ed andate tutti nel punto dove ci siamo fermate prima. Ti ricordi dov’è?”

“Si, ma Haruka?”

“A lei penso io. Ora andate.”

Fermandola per una spalla il ragazzo cercò di usare più tatto possibile nel chiederle se non fosse stato meglio chiamare un’ambulanza.

“Non ci troverebbe mai in un posto tanto isolato. Fai come ho detto, ti prego.” E seguendo Michiru in pochissimo sparì anche lei.

 

 

Il casco aveva attutito il boato della deflagrazione, ma le orecchie le fischiavano ugualmente. Aprendo gli occhi intravide il verde degli alberi e il cielo sopra di loro. La gola arsa, i sensi fino a pochi istanti prima acutissimi, ora completamente appannati. Da quanto era stesa nell’erba? Secondi, minuti, ore? Cercando di alzarsi sui gomiti gemette al dolore acuto proveniente dal costato ed arpionandoselo con la destra s’immobilizzò ansimando. Provò allora a muovere piano le gambe, che risposero. Ma non il braccio sinistro. Spostando lentamente il collo se lo guardò e quello che vide proprio sotto le toppe dei suoi vecchi sponsor, fu la dislocazione dell’articolazione del gomito che stava dando all’arto una posa del tutto innaturale.

“O cazzo…” Sussurrò a se stessa rivolgendo gli occhi poco oltre, alla pira rovente nel quale era avvolto il suo peugeottino. Con parte del muso contorto, ardeva come nel più sacro dei funerali celtici e ad Haruka tornò in mente una vecchia immagine vista in un libro di scuola più di vent’anni prima, dove la barca sopra la quale era stato deposto il corpo di un grande re, data alle fiamme solcava le acque di un lago nordico per l’ultimo viaggio verso il Valalla. Immagine poetica se non fosse stato per la drammaticità del momento.

“Devo alzarmi…” Bofonchiò non riuscendoci.

Stretta come in una gabbia si tolse allora il casco per cercare un po’ di sollievo. Lo vide leggermente graffiato sul lato sinistro e provò a capire quale fosse stata la dinamica dell’incidente. Il tremore improvvisamente avvertito sotto l’auto pochi istanti prima di perderne il controllo, non poteva che indicare il cedimento delle saldature fatte sulle crepe accanto al semiasse sinistro. Uscito fuori dal suo alloggiamento questo aveva innescato un effetto domino. Le ruote anteriori ormai inservibili si erano allora bloccate verso sinistra facendo ruotare l’auto su se stessa e portandola ad urtare parte del muso, la fiancata e il serbatoio contro un albero per poi finire la carambola dentro una buca.

Urlando la bionda gettò il casco lontano. Se non avesse rallentato un istante prima della rottura, l’auto avrebbe avuto più spinta, si sarebbe ribaltata e lei non avrebbe avuto scampo. Haruka non credeva a queste cose, era fermamente convinta che ci fosse un dopo e che un essere superiore spesso e volentieri si divertisse a dar noia agli uomini, ma il suo cervello razionale non permetteva alla sua spiritualità di andare oltre. E forse per vivere da brava persona non serviva nient’altro. Ma la voce che aveva sentito l’aveva spinta a decelerare quando invece avrebbe dovuto fare tutto l’opposto. Un comando urlatole direttamente dalla coscienza, dalla paura, da una premonizione o da qualcosa di più profondo? Ma stava di fatto che quell’ordine l’aveva salvata. Riducendo di quel niente la velocità, l’impatto era stato meno violento e aveva permesso all’auto d’incassarsi in quel buco con una posizione che le aveva permesso di aprire la portiera ed issarsi fuori dall’abitacolo.

Barcollando era crollata esausta pochi istanti prima di vedere la macchina prendere fuoco. Non ricordava di aver perso i sensi, ma per innescare una deflagrazione come quella, con molta probabilità era passati svariati minuti.

Era ancora viva e quando sentì il suo nome riecheggiare tra il sottobosco, n’ebbe maggior coscienza.

“Haruka!”

La voce di Michiru strozzata dall’angoscia. Gli occhi fissi sulla macchina in fiamme ed il terrore cieco ad annebbiarle i pensieri. Il cuore impazzito accelerato fino all’inverosimile.

“Haruka!” Urlò ancora più forte provando ad aggirare le fiamme.

E li la vide, distesa ad una decina di metri, con il braccio destro alzato a farle cenno.

“Michiru… Sono qui.”

La bionda si stupì più del fatto che fosse riuscita a sentirla che di trovarsela davanti.

“Sei ferità?!” Chiese accovacciandosi al suo fianco.

“Bene non sto… - Sfotté provando a sorriderle. - Mi spieghi che cosa ci fai qui?” Poi un’espressione improvvisamente seria.

“Ma sei reale?”

“Certo che lo sono, stupida! Non muoverti, presto le tue sorelle saranno qui.”

“Dunque Giovanna si è liberata chiamando la cavalleria.”

“Non fare dello spirito! Non ora! Ma come ti è saltato in mente! Avresti potuto ucciderti.”

L’improvviso moto di rabbia della forestiera spinse Haruka sulla difensiva. “Mi ronzano le orecchie e credo di avere qualcosa di rotto…, Kaiou, non urlarmi contro.”

L’altra spalancò gli occhi spingendola a proseguire. “Si, so chi sei. Immaginavo fossi ricca, ma porca miseria… non credevo fossi anche tanto famosa.”

Perché mi hai tradito Giovanna? Pensò l’altra prima di farfugliarle che la sua posizione, la carriera, il violino, rendevano tutto molto più complesso delle ovvie apparenze.

“Posso spiegarti tutto…”

“Prendimi il polso.”

“Come?”

“Il polso! - Ripeté la bionda accecata dal dolore. - Mi sono lussata il gomito e deve tornare al suo posto!"

“Giovanna sta arrivando. Ti porteremo all’ospedale.”

“Fa un cazzo di male! Forza, prendi il polso, Michiru!

“Non ne sono capace.”

“Hai guidato un Landini e sei un Primo Violino... Puoi fare anche questo! Prendilo e mettimi un piede sotto l’ascella e tira verso di te più forte che puoi.”

Spinta dallo shock che ancora le stava pompando nel corpo una quantità spropositata di adrenalina, non avrebbe avvertito poi tanto dolore. Almeno sperava.

Michiru ubbidì, ma una volta trovata la posizione per lei più comoda, guardò la bionda per niente convinta. “Ti farà male. Le lussazioni sono dolorose.”

“Niente di paragonabile al perdere quello che ho perso oggi!” Ringhiò come un lupo ferito.

“Haruka… non ne ho il coraggio. Aspettiamo Giovan…”

“Tira, porca puttana! Devo forse pensare di avere davanti una bimbetta che si blocca per un non nulla come questo! Avanti donna! Non è poi tanto difficil..!”

L’orgoglio di Kaiou si accese, le mani serrarono il polso della pilota e con un colpo seccò le strattonò il braccio. Il leggero crac che seguì l’infelice uscita di Haruka fece riecheggiare il suo grido strozzato per gran parte del sottobosco.

“Oddio… Scusami. Scusami.” Supplicò Michiru mentre la bionda si copriva gli occhi con l’avambraccio sano.

“Non volevo… Tutto bene?”

“Porco di quel diavolo infame!”

“Scusami.”

“Non… importa. Va bene… Va bene... Sei stata brava…”

“Ora stai tranquilla. Tua sorella sarà qui a momenti.”

“Haruka! Michiru!” Giovanna comparve ansimando a qualche metro da loro.

“Eccola!” Esplose la forestiera sollevata.

Era come se stesse tremando dentro. Una sensazione stranissima, sicuramente dettata dall’ansia di avere immaginato il peggio.

Inginocchiandosi acanto alla minore, Giovanna si sincerò di come stesse. “Riesci a muovere le gambe?”

“Si, ma è lo sterno che mi fa male. Credo di avere qualche frattura. Dopo l’impatto il volante è parzialmente rinculato e mi ha preso.”

“Ha anche una lussazione al gomito sinistro.” Aggiunse Michiru.

“Dobbiamo ridurla.”

“Ci ha già pensato lei.” Disse Haruka sentendo la mano della forestiera improvvisamente serrata alla sua.

Slacciandole la tuta e scansando la T-shirt, Giovanna sospirò al costato della sorella. Neanche quindici minuti e già si stava arrossando. “Adesso ti portiamo al Pronto Soccorso. Le ragazze stanno arrivando.”

“Potevi evitare di portare anche loro!”

“Non sono bambine e hanno voluto sapere cosa stesse bollendo in pentola. Non l’hanno presa bene e ti avverto che Minako è incazzata nera.”

“Lo sapevamo quale sarebbe stata la reazione, ma credevo che vincendo…”

“Già. Vincendo. Cosa diavolo è successo? Perché la macchina è ridotta così?”

“Non ne voglio parlare ora.” Laconica tornò a coprirsi gli occhi con l’avambraccio contraccambiando la stretta di Michiru. Era calda ed accogliente. Aveva un senso di casa, come un camino acceso o lo scialle caldo della nonna.

Quel pensiero le fece nascere una risata isterica. “Nonna…”

“Come?” Chiese Kaiou.

“Lascia perdere, è lo shock.”

“Sei sicura?”

“Più o meno. Comunque sempre meglio ridere che piangere.” E non c’erano dubbi.

Una manciata di minuti e Mamoru apparve saltellando sul declivio che portava alla strada. Bianco come uno spettro cercò di capire come stesse Tenou avvertendo poi con la radio Max che intanto li stava aspettando. Una volta aiutata la pilota a rialzarsi provò in tutti i modi di caricarsela tra le braccia, ma mai che quella testa di legno lo ascoltasse o lo prendesse sul serio.

“Dammi piuttosto qualcosa per bloccarmi il braccio e piantala di voler fare a tutti i costi il cavalier servente con me che hai sbagliato sorella!”

“Hai il cranio più duro di un pezzo di granito! Prenderemo il pick-up di Max così potrai sdraiarti più comodamente. O hai paura che si tramuti in una zucca vuota come la tua testa?!” Disse esasperato tornando sui suoi passi mentre Michiru aiutava una bionda al limite del vaffa.

Era stato trascinato in quel casino per il collo, chiamato la sera precedente da un Max per niente sicuro di quello che le sorelle Tenou stavano per fare. Mi serve un aiuto fidato, gli aveva detto e lui aveva accettato sapendo che da li a qualche ora, qualunque esito avesse avuto la corsa, in quella famiglia si sarebbe scatenato l’inferno. Aveva già i suoi bei problemi con suo padre senza che quella bionda acida e testarda ci mettesse del suo.

“Cammina, cammina pure se vuoi, ma se peggiorerai la situazione sarà solo colpa tua! Testa a vongola!”

“Imbecille…” Gli rispose Haruka sorretta dalla stretta di Kaiou.

Giovanna scosse la testa e prese a seguirli, non prima però di aver detto addio al loro peugeottino con un ultimo tristissimo sorriso.

 

 

Uscendo dalla stanza si richiuse la porta alle spalle e sospirando poggiò la schiena all’anta nel primo, vero momento di tregua avuto dall’inizio di quell’interminabile giornata. Sarebbe potuta andar peggio e Giovanna lo sapeva bene, ma per quanto si sforzasse, ancora non riusciva a scrollarsi di dosso quella brutta sensazione di tragicommedia. Chiudendo gli occhi ripensò alle parole che si erano scambiate lei ed Haruka poco prima di vederla crollare tra le lenzuola del suo letto.

“Giò, non avercela con me. Spero tu capisca che l’ho fatto solo ed esclusivamente per te e le nostre sorelle.” Le aveva detto pianissimo fissando apatica il soffitto lasciandosi rimboccare le coperte.

No che non capiva. Ed incollerita com’era, Giovanna avrebbe fatto fatica a farlo.

Rimanendo in silenzio aveva spinto la bionda a proseguire. “… Arrivaci da sola…”

“Hai detto di non fidarti di me, che di un copilota non sapevi che farne. A me sembra tutto molto chiaro.”

“Non ti smentisci mai. Sei sempre stata ottusa!”

“E certo, perché tu sei il genio della lampada! Credevo che ti fosse passata, invece mi hai detto una marea di stronzate che ti saresti anche potuta evitare.”

La maggiore era finalmente sbottata, ma senza urlare ne dare di matto, aveva semplicemente asserito che Haruka avrebbe dovuto ammettere una volta per tutte che l’acredine che provava per essere stata lasciata sola dopo la morte dei loro genitori. non soltanto era presente, ma avrebbe continuato a dividerle.

“Ancora con questa storia… Vai oltre Giovanna.”

“Sei tu che non riesci ad andare oltre. Quello che però mi fa più male è l’aver creduto in un tuo perdono. Come se poi avessi ammazzato qualcuno! Ma va bene così… Forse hai ragione; sono proprio ottusa.”

“E smetti di fare la vittima. Se ti senti ancora in colpa per la delight il problema è solo il tuo!”

“No, sei tu che da quando sono tornata non stai facendo altro che puntarmi l’indice contro…”

Haruka si era sentita troppo stanca ed intontita dagli antidolorifici per riuscire a starle dietro, ma comunque non aveva voluto lasciarla con la convinzione di essere stata tradita. Tentando di sistemarsi meglio sul cuscino finalmente l’aveva guardata dritta negli occhi.

“Ascolta, lo sai meglio di me che il sotto della macchina era ridotto da far spavento…”

“E allora? Non avevi saldato tutte le crepe?”

“Si, ma dopo le prime prove su strada se ne sono aperte un paio vicino al semiasse sinistro. Ho riparato anche quelle, ma era solo questione di tempo prima che si spaccasse qualcosa.”

Giovanna si era allora accovacciata solcando la fronte con una profondissima ruga. “Fammi capire bene, Haru… Mi avresti chiusa dentro la rimessa solo per paura di trascinare anche me in un possibile incidente?” In realtà era da lei.

“Credi che sia tanto bastarda da pianificare con te una cosa importante come quella di una gara che avrebbe potuto risolvere gran parte dei nostri problemi finanziari, per poi darti un calcio in culo al momento di salire in auto? E per che cosa, una vendetta? Dio del cielo, Giò! Pensi veramente questo di me! “

“Cosa avrei potuto pensare dopo tutte le parole al vetriolo che mi hai gettato contro?!”

“Dovevo essere convincente quanto basta per tenerti buona per un po’ , anche se in effetti mi è scappata un po’ troppo la lingua. Ma si sa, tra sorelle alle volte ci si può far male.”

“Invece di fare sempre di testa tua avresti dovuto parlarmene. Ti sei addossata responsabilità che sarebbe stato più giusto prendere in due.”

“E che cosa avresti fatto… sentiamo? Con le garanzie che ho dato non potevamo ritirarci. - Già, le garanzie. - Cerca di essere onesta e dimmi se al sapere di nuove crepe mi avresti lasciata correre. E se ci fossimo ammazzate entrambe, chi avrebbe pensato a mandare avanti la baracca? E a Minako ed Usagi non ci pensi?”

“Non tirarle in mezzo…”

“Devo tirarcele per forza visto che non vuoi capire. - E rendendo ancora più lieve la voce aveva ceduto al sonno. - Fa come ti pare! Se non vuoi credermi pazienza. Tanto adesso è tutto finito…”

“Cosa intendi dire?” Ma la bionda non aveva risposto. Chiudendo le palpebre rese pesanti dai farmaci e dalla stanchezza, aveva finalmente rilassato il viso sprofondando in un’incoscienza priva di sogni.

L’ennesimo conflitto era terminato così; senza vinti, ne vincitori. Come al solito. Due caratteri estremamente testardi a cozzare l’uno contro l’altro in un cielo carico di puro amore. Ora rimasta sola a rimuginare sull’accaduto, Giovanna non poteva che chiedersi cosa sarebbe successo adesso che il miraggio di un cospicuo premio in denaro era sfumato.

Di quanto si sarà indebitata per partecipare alla gara? Pensò spalancando gli occhi al tocco di una mano sul suo braccio.

“Come sta?”

Michiru le apparve come un angelo misericordioso dallo sguardo cupo.

“Domani starà meglio. Quello che le hanno dato al Pronto Soccorso stenderebbe anche un cavallo. Dormirà per ore e poi tornerà a dettar legge più petulante di prima.”

“La cena è quasi pronta.”

Staccandosi a forza dalla porta Giovanna sorrise sfregandosi le mani. “Meno male. Passata l’ansia mi è venuta una fame…”

“Mi avevi promesso che non glielo avresti detto.” La colpì già verso le scale.

“Detto cosa?”

“Che sono il Primo Violino della Filarmonica di Vienna! Che sono Michiru Kaiou!"

Giovanna scosse la testa mentre la violinista proseguiva. “Mi avevi assicurato che sarebbe rimasto fra noi. Ti sei riempita la bocca di belle parole sull'amicizia ed invece non sei riuscita a tenertelo per te!”

“Kaiou, frena. Ascoltami, avrò anche tanti difetti, ma quello di non sapermi fare gli affari miei non è tra questi! Non sono stata io a dire ad Haruka chi sei, ma Bravery.”

“Stella Kou!”

“Si. Qualche giorno fa ha fatto vedere ad Haruka una vecchia rivista di musica dov’era riportato un articolo che parlava di te. Non lo so, credo l’abbia fatto per ripicca o gelosia, ma sta di fatto che è leggendo quelle pagine che mia sorella è venuta a sapere della tua identità, del tuo lavoro e di parte della tua vita privata.”

Michiru s’irrigidì di colpo. “Vita privata?”

“Seiya.”

Abbassando la testa si sentì improvvisamente in colpa, sia nei confronti di Haruka, che aveva scoperto tutto in maniera tanto bieca, che della donna che ora le stava davanti con il viso più stanco che le avesse mai visto. “Ti ho aggredita ingiustamente non pensando che potesse essere stata colpa di quell’arpia.”

Ma Giovanna non rispose, anzi portandosi due dita agli occhi digrignò i denti trattenendo il respiro. Nel silenzio del corridoio si sentì una specie di singulto strozzato e Michiru capì. Mortificata le fu subito accanto.

“Ti chiedo scusa! Oggi non ne faccio una giusta.” E fece per stringerle le spalle, ma l’altra si ritrasse.

“No! Non farlo! Se mi abbracci mi metterò a piangere e non me lo posso permettere.”

“Scusami…”

“Non è per te…, ma adesso che è tutto finito sto realizzando… che questa mattina stavo per perdere mia sorella … “

“Giovanna…”

“Ho bisogno di un attimo Michiru. Puoi andar giù e dire alle altre che scendo subito? Non devono vedermi così.” E non lasciando all’altra neanche il tempo di rispondere, schizzò in bagno a nascondere al mondo quell’ovvio istante di fragilità.

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau. Non capendone un piffero di motori, spero di aver reso almeno un pochino il patos di una gara. Adesso che i nodi stanno venendo al pettine, scopriremo come si comporterà Michiru in una situazione che la vede finalmente allo scoperto, cosa avrà scommesso Haruka e chi si cela dietro il nome di Giano. Su di lui forse, non lo so se riuscirò a rivelarvelo sin dal prossimo capitolo. Vedremo.

Ringrazio tutti coloro che mi stanno seguendo, anche per le ff passate, chi recensisce e chi aspetta paziente il susseguirsi dei capitoli.

Un grazie grande a Ferra10, che una volta messo on line ha la dedizione di suggerirmi le sviste che tendo a fare.

A prestissimo.

Ciauuu

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Deflagrazione ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Deflagrazione

 

Mamoru se la guardò di soppiatto indeciso se dire o meno qualcosa. Forse aveva sottovalutato la cosa, forse la melma nel quale erano state in procinto di sprofondare Le ragazze Tenou era veramente più densa dell’immaginabile. Prova certa delle elucubrazioni dell’uomo era l’enorme chiazza annerita sul terreno davanti a loro.

“L’hanno fatto sparire.” Sussurrò Giovanna scuotendo la testa.

Il loro peugeottino si era dissolto, mangiato dalle fiamme come fosse stato di legna stagionata. Ma non erano certo state loro a divorarne la consistenza, ma una mano molto meno nobile. Sparita la sua carcassa annerita, sparite le prove di un qualsivoglia incidente. In una manciata di ore quello che era stato, se pur clandestinamente, un tracciato rallistico, era tornato un’insieme caotico di sterrati e spiazzi di un sottobosco come ce ne sono tanti. Sembrava assurdo, ma complice il temporale di calore che aveva spruzzato la terra il pomeriggio precedente, anche le impronte lasciate dagli pneumatici delle varie auto sembravano essersi dissolte.

Così era come se Haruka non avesse mai provato a farcela. Non avesse corso. Non avesse rischiato la vita.

“Non che con quell’ammasso di lamiere ci avrei fatto qualcosa, ma farlo sparire così…”

“Già… E’ gente accorta e molto pericolosa. E’ una fortuna che siano spariti anche loro, o vi hanno contattate?”

“No. Non avrebbe avuto senso riscuotere una cosa che avevano già in tasca prima del via.”

Mamoru le porse il casco di Haruka ritrovato tra le radici di un grosso albero. “Questo però non l’hanno trovato. - Sorrise mesto. - Posso chiederti quanto si sono fatti pagare?”

“Te lo direi se lo sapessi, ma ha fatto tutto lei. Non sai quante volte ho provato a chiederglielo, ma lei ha sempre glissato sfornando quel suo solito sorrisetto ammaliatore rassicurandomi che di questo non dovevo preoccuparmi. E invece …, preoccupata lo sono e parecchio. Saranno dolori se come penso ha chiesto denaro ad un qualche strozzino.”

Prendendo il casco se lo rigirò fra le mani. “Avrebbe vinto, ne sono sicura.”

“Anche io. Avrà anche la testa più dura del granito, ma tua sorella ci sa fare con le macchine.”

“Vero.” Disse lei iniziando ad incamminarsi verso il declivio poco oltre.

“Con il terreno appena comprato da mio padre e la casa che sto finendo di ristrutturare, attualmente non dispongo di molti liquidi, ma se siete in difficoltà posso riuscire a svincolare qualche obbligazione.”

Giovanna fu lietamente sorpresa da quella garbata quanto generosa proposta, ma proprio non era il caso. Aveva infatti saputo da Usagi che per riuscire ad acquistare quel pezzo di vigna ai margini dei terreni del vecchio Kiba, Mamoru aveva dato fondo a tutti i suoi risparmi e la cosa aveva del grottesco se si considerava il fatto che fosse l’unico erede dell'uomo. Quel padre severo ed austero non avrebbe mai dovuto chiedere denaro ad un figlio sempre pronto al lavoro duro, anzi, ci si sarebbe aspettati di vedergli consegnata la terra come anticipo della sua eredità. Nel venire a conoscenza della compravendita, tutte le sorelle Tenou, Giovanna in testa, erano rimaste molto interdette da un simile comportamento.

Come se avesse potuto leggerla nella mente Mamoru cercò di ribadire l’offerta forte della parentela che da li a qualche mese li avrebbe legati. “Passi per la cocciutaggine di Haruka, ma spero che almeno tu capisca che mi farebbe immensamente piacere venirvi incontro. Ci conosciamo da sempre Giovanna.”

“Proprio per questo dovresti sapere che pur non avendo nella testa lo stesso granito, sono anch'io molto caparbia. - Fermandosi già con un piede sullo sterrato si voltò verso l’amico poco dietro. - I buoni vincono sempre e più la situazione si fa disperata e più la salvezza è d’effetto.” Disse sorridendogli con la stessa sfacciataggine che contraddistingueva Haruka dal resto delle sorelle.

Mamoru non approvò. “Ti ho sempre ritenuta la più saggia ed equilibrata di tutte, perché allora mi sembra di stare parlando con Haruka?”

Alzando le spalle Giovanna ammise di non saperlo, ma di essere ancora un’inguaribile ottimista. “Qualcosa accadrà, vedrai.”

“Non fare la sciocca e pensa anche alle più piccole….”

“Non è accettando i tuoi soldi che i nostri problemi spariranno!” Tagliò corto aggirando il Suv che l’uomo aveva usato per accompagnarla sul luogo dell’incidente.

Attendendo il disinserimento dell’antifurto se lo guardò improvvisamente seria. Non sarebbero stati quei due soldi, anche se dati con tutto l’amore ed il rispetto possibili, a risolvere la loro disgraziata situazione. “Inoltre credo tu abbia già i tuoi bei problemi, Mamo.”

“Cosa intendi dire?” Chiese aprendo lo sportello lato guidatore.

Imitandolo Giovanna si sedette comodamente sul sedile in pelle allacciandosi la cintura. “Usagi si è fatta scappare che sei preoccupato per alcune spese fatte ultimamente da tuo padre. Perciò credo non sia il caso che tu dia ad altri del denaro che invece potrebbe servire ai Kiba.”

Bloccando l’atto di accendere l’auto lui voltò di scatto la testa e sgranandole contro il nero dei suoi occhi scoppiò a ridere una frazione di secondo dopo.

“Cosa ci sarebbe di tanto buffo?” Chiese lei leggermente piccata.

“Ma guarda un po’ quella pazzerella della mia testolina buffa!” Riuscì ad articolare tra una risata e l’altra.

“Ha forse capito male?”

“No Giò… Sono stato io a non scendere nei particolari.” E prendendo un grosso respiro le chiarì la situazione.

“Perciò l’azienda Kiba non sta affrontando un brutto periodo.”

“No. Dopo aver calcolato i danni lasciatici dalla tempesta di un mese fa, anche io credevo che avremmo dovuto chiedere un prestito bancario, invece grazie al cielo non è servito. Però pur avendola superata non è certo il momento di spendere e spandere, eppure da quest’orecchio mio padre sembra non volerci sentire. Sta continuando a fare acquisti folli e senza senso come comprare macchine agricole notevolmente costose.”

“Notevolmente quanto?”

“Ti basta una vendemmiatrice semovente nuova di zecca?”

Giovanna serrò la mascella guardandolo inserire la marcia. Una macchina dal costo vertiginoso. Cinque zeri che sul listino di mercato facevano impallidire anche il valore di una Mercedes come quella di Michiru.

“Ha staccato un assegno e tanti saluti?”

“Esatto. E la cosa buffa è che ne abbiamo già due in perfetto stato. Vien da se che pur avendo molti ettari da lavorare quella macchina non ci serve.”

“Magari te la vuole regalare per aiutarti con il raccolto della tua nuova vigna.” Osò e questa volta lui non rise, ma ci andò molto vicino.

“Adesso capisco da quale sorella Usagi ha preso la sua enorme ingenuità.”

Doveva forse prenderla come una critica alla buona fede che stava dimostrando verso il vecchio Kiba?

“Spiegati.”

“Vuoi che un genitore che abbia venduto al figlio una parte dei terreni che in ogni caso gli sarebbero spettati di diritto, pensi a fargli un regalo tanto costoso? In più, con questa nuova aggiunta al parco macchine saremo costretti a lasciare a casa una decina di braccianti stagionali e la cosa mi rende furioso.”

“Magari vuole affittarla a qualche altro produttore della zona.”

“E’ la prima cosa alla quale ho pensato, perciò mi sono attaccato al telefono e ho fatto un giro di telefonate e tutte le aziende della Cooperativa mi hanno detto la stessa cosa; che non sono mai state contattate da mio padre per un ipotetico affitto per una vendemmiatrice. Insospettito sono allora andato a guardarmi tutti i libri contabili degli ultimi mesi e ho scoperto che il denaro per quella macchina non è uscito dal conto dell’azienda.”

“Perciò tuo padre avrebbe pagato direttamente di tasca sua.”

“Esatto. Ben strano, non trovi? Hai un’azienda con la quale puoi scaricarti alcune tasse e invece dai fondo alla liquidità del tuo conto personale.”

“Inoltre acquistare una macchina che sul mercato vale cento volte il salario medio di dieci stagionali, non mi sembra una mossa economicamente furba.” Disse lei dispiacendosene.

Con la sua famiglia il vecchio Kiba si era sempre comportato più che egregiamente, sia prima che dopo la morte dei suoi genitori. Al suo ritorno a casa, Giovanna era stata informata da Minako che spesso l’uomo si era offerto di aiutarle, soprattutto dopo che Mamoru aveva iniziato a frequentare Usagi. Atti di buon vicinato dunque, conditi con il sodalizio del legame che presto avrebbe portato le due famiglie ad unirsi in un matrimonio. Ora sapere queste cose la rendeva inquieta.

“Hai ragione Giovanna, anzi è una mossa che mio padre non farebbe mai.”

“Forse è solo un vezzo molto costoso. Gli uomini arrivati ad un certo punto della loro vita tendono a farsi dei regali.” Disse lei non credendoci per prima.

“Allora ti compri una decappottabile.”

“Tu che idea ti sei fatto?”

In vista dell’immissione con la provinciale, sospirò controllando lo specchietto alla sua sinistra. “Mio padre non è mai stato il tipo da gettar via soldi per un giocattolo. Potrebbe esserci un'altra spiegazione, ma prima d'incolparlo di qualcosa devo vederci chiaro. Ho intenzione di avere un confronto con lui il prima possibile.”

 

 

Quando riaprì gli occhi non provò che uno stranissimo torpore. Nessun dolore o quel senso di nausea che l’aveva accompagnata per tutto il tragitto dal campo di gara all’ospedale. Una volta svanito l’effetto dell’adrenalina, Haruka si era ritrovata spezzata nel corpo e nello spirito. Quattro costole incrinate ed una lussazione non erano niente se paragonate all’avvilimento che provava per aver gettato tutto alle ortiche. E prima o poi sarebbe arrivato il momento di sputar fuori tutta la verità e dire alle sue sorelle cosa aveva messo sul piatto in quell’ultima mano di poker.

“Meglio prima che dopo.” Sospirò decisa ad alzarsi, ma non ricordando il dolore acuto provato fino alla somministrazione dell’antidolorifico, si mosse dal suo letto troppo e troppo rapidamente.

La bionda soffocò nella gola un gemito. Ecco perché non stava provando dolore; era rimasta distesa chissà per quanto, avvolta dall’effetto degli analgesici che le avevano sparato in vena. Ora, a distanza di ore, il suo povero corpo stava iniziando a risentirne.

“O porco…" Soffiò smorzando il respiro come aveva fatto sulla durezza del terreno appena riavutasi dall’incidente.

Istintivamente si toccò il costato e lo sentì gonfio. Spostando le lenzuola alzò la maglietta e lo vide tumefatto. Tornando a chiudere gli occhi iniziò allora ad aprire e chiudere la mano sinistra. A differenza delle costole che non erano state fasciate, il suo braccio sembrava aver ricevuto lo stesso trattamento di una mummia egizia. Bloccato a novanta gradi. Senza possibilità di un qual si voglia movimento.

Sono decisamente all’inferno! E chiunque avesse conosciuto un minimo quella donna tutto argento vivo, avrebbe potuto scommettere che impossibilitata in un letto avrebbe resistito ben poco. Neanche la varicella o il morbillo presi da ragazzina erano riusciti a chiuderla in una stanza per più di due giorni, figuriamoci qualche ammaccatura.

Messo a fuoco che non avrebbe potuto alzarsi per un bel po’, un senso d’ansia iniziò a montarle dentro. “Devo uscire di qui!” Comandò a se stessa e al cielo mentre provando a fare perno sul gomito destro si faceva uscire dalle labbra un altro gemito.

“Vaffan…” Un paio di colpi alla porta le mozzarono anche quel poco sfogo che le rimaneva.

“Haru, sei sveglia?” Si sentì piano dal corridoio.

“Si Usa, entra pure.” Accantonando la frustrazione ed il dolore che pulsante era tornato sincrono ad ogni singolo respiro, si ricoprì alla bene e meglio guardando la sorellina far capolino dall’anta.

“Come stai?”

Una merda, avrebbe voluto dirle, ma si limitò a stirare le labbra e a chiederle che ore fossero.

“Abbiamo appena finito di pranzare. Hai dormito quasi ventiquattro ore. Hai fame?”

In effetti. Corrugando la fronte l’altra scosse affermativamente la testa. “L’erba cattiva non muore mai.” E sogghignando alla sua resilienza si procurò l’ennesima fitta.

“Vuoi che ti porti qualcosa? Mina ha fatto del brodo.”

Brodo? Lei avrebbe mangiato un bue, altro che brodo. “Sarò anche mezza acciaccata, ma quella roba è da ospedale.”

“Ieri ti ci abbiamo portata…” Sottolineò la biondina seria.

Haruka si ricordò che l’ultima volta che Usagi aveva messo piede in quella struttura era stata alla morte dei loro genitori, quando chiamate dal Pronto Soccorso erano accorse tutte e quattro ancora ignare della gravità dei fatti.

“Scusami. Non avrei voluto, ma è andata così. - Un lieve colpo al materasso e la invitò a sedersi. - Vieni qui piccoletta.”

Pur se negli ultimi mesi il rapporto tra le due era andato incrinandosi a causa di Mamoru, Usagi adorava Haruka e la cosa era reciproca. Minako, Giovanna e la piccola di casa, erano per la bionda il microcosmo sul quale ruotava tutta la sua esistenza. Le amava tutte e tre e con tutte aveva un rapporto unico. Giovanna era per lei un’ancora, Minako il sole caldo per riposare le ossa e Usagi l'usignolo canterino che riusciva sempre ed in maniera totalmente innocente, a rasserenare il suo cuore irrequieto.

“Senti male?” Domandò richiudendo l’anta per andarsi a sedere sul bordo del letto. I segni scuri che la maggiore aveva sotto gli occhi non lasciavano troppi dubbi su come si sentisse.

“Solo un po’. - Mentì. - Come va giù da basso?”

“Insomma. Mina e Giovanna sono abbastanza in ansia. A quel che ho capito è a causa della questione della corsa. Non saprei! Qui non mi dice mai niente nessuno.”

Ed era vero. Troppo spesso le altre tendevano ad allontanare dalla sorellina ogni preoccupazione e all’adolescente la cosa iniziava a pesare parecchio.

Haruka soprasedette alla critica che naturalmente includeva anche lei. “Non ricordo assolutamente nulla di quello che hanno detto i medici. Quanti giorni dovrò portare il tutore?”

“Tre settimane. Stesso tempo ti servirà per far guarire le costole. Sempre se farai la brava, s’intende.. Anzi… è quasi ora che tu prenda l’antinfiammatorio.” Disse improvvisamente attiva.

Storcendo la bocca Haruka si sentì gli occhi nuovamente pesanti e pensò vigliaccamente di spostare di qualche altra ora la sua salita sul patibolo. Accarezzando il braccio della sorella le sorrise dolcemente.

“Mi porteresti qualcosa da mangiare che non sia la brodaglia di Mina?”

“Agli ordini!” Scattò in piedi tutta contenta.

“Usa…”

“Si?”

“Michiru?” Chiese vedendo uno strano quanto marcato sorrisetto impertinente nascere sulle labbra dell’altra.

“Hai fatto preoccupare anche lei! Poverina, si vede che cerca di prodigarsi in ogni modo, ma non volendo sembrare troppo invadente non sa bene cosa fare. Dovrai chiederle scusa sai…”

“Certo, chiederò scusa anche a lei. Dovrà mettersi in fila però. E Usa… Appena senti Mamoru ringrazialo da parte mia.”

Già sulla porta la biondina scosse la testa facendo vibrare i lunghi codini. “Questa volta sarai tu a farlo. Non sono il tuo piccione viaggiatore. Non puoi tenermi fuori dalle questioni importanti e pretendere poi che ti tolga le castagne dal fuoco.” E così dicendo uscì lasciandola sola.

Ha ragione. Farò anche questo…, come tutto il resto.

 

 

 

Haruka passò altri due giorni tra il dormiveglia, il nervosismo e la solitudine. Era stata tassativamente ignorante nell’urlare a tutti di starsene fuori dai piedi. Giovanna aveva cercato d’imporsi forte del fatto che stesse male, avesse bisogno di lavarsi e che la stanza fosse anche la sua, ma non c’era stato verso. L’inrascibilità di Haruka avrebbe fatto saltare la vena del collo anche ad un mistico e Giovanna non era certo in odore di santità. Così per quieto vivere aveva deciso di spezzarsi la schiena sul divano dello studio, lasciando a Minako l’onere di portarle i pasti nell’attesa che all’istrice ferito migliorasse l’umore.

“Non ne posso più! La prossima volta che vuole andare in bagno ci vai tu.” Crollando sul divanetto del giardino d’inverno, Mina guardò nervosa la fiamma di una delle candele che all’imbrunire erano solite accendere per tenere lontani gli insetti.

“Da me non vuole neanche farsi cambiare la maglietta. Dice che ho le mani troppo pesanti.” Le rispose Giovanna allungando la colonna dopo l’ennesima giornata di lavoro.

“Allora chiediamo a Michiru. Lo farebbe volentieri. Usagi è troppo mingherlina.”

“Idea che nostra sorella ha già bocciato il primo giorno. Per carità …, dovesse farsi vedere fragile o con un capello fuori posto. Come se a Michiru fregasse qualcosa.”

E guardandosi complici iniziarono a ridacchiare come due collegiali. Non era certo un segreto che ad Haruka piacesse la forestiera, ma dopo lo spavento dell’incidente, anche in Michiru sembrava essere scattato qualcosa. Era nata in lei un’apprensione violenta, stridente con un carattere controllato come il suo. Il veto che Haruka aveva imposto di non farla salire al piano superiore per non rischiare d’incontrarla e farsi vedere tanto fragile, era ridicolo e aveva avuto come effetto quello di portare Kaiou alla nevrosi. La violinista voleva vederla, sentire dalla sua voce come stesse e non tramite le solite frasi che a rotazione le davano le altre.

“Vedrai che prima o poi Michiru si stancherà di questa situazione e butterà giù la porta.” Disse Minako incrociando le braccia al petto lasciandosi ipnotizzare dalla fiammella.

“Probabile.” L’appoggiò Giovanna non immaginando che in quel preciso istante la donna stava realmente per farlo.

Fronte aggrottata, occhi socchiusi, sguardo fisso all’anta di legno scuso della camera della bionda, Michiru strinse il pugno della mano destra portando le nocche a provocare l’inconfondibile suono di un qualcuno che bussa.

“Haruka... Sono Michiru… Posso?” Ma dalla parte opposta nessuna risposta.

Kaiou digrignò i denti fino quasi a farsi male. “Lo so che a quest’ora non dormi. Vuoi cortesemente rispondermi o devo fregarmene dell’educazione ed entrare lo stesso?!” Ancora niente.

Afferrando decisa la maniglia stava per forzarla quando l’ultima porta del corridoio, quella di uno dei due bagni presenti sul piano, si aprì lasciando emergere una bionda piuttosto scoraggiata.

Alzando gli occhi dal pavimento Haruka inquadrò Michiru ferma davanti alla sua camera e fu il panico. Il suo primo impulso fu quello di rientrare nel bagno, ma non lo fece. E non perché in quel momento si sentisse particolarmente impavida o affascinante, ma perché in quei due giorni era stata troppa la voglia di vederla e troppo poco il coraggio per farlo, che nel trovarsela davanti in un certo senso ringraziò il cielo per la cocciutaggine dimostrata da quella splendida dea.

“Ah..., sei tu…” Se ne uscì prima di mordersi la lingua per l’ennesima frase cafona.

Ma l’altra non rispose limitandosi invece ad inclinare leggermente la testa da un lato. Non poteva prendersela con quella bionda irritabile. Proprio non poteva. Così conciata Haruka le ricordava un piccolo falchetto bizzoso bagnato dalla testa ai piedi. Un’ala spezzata ad impedirgli di volare, le penne tutte arruffate e lo sguardo torvo di chi è costretto a restarsene nel nido mentre il resto della famiglia lo ha lasciato per librarsi tra le correnti.

“Ma cosa hai fatto?” Chiese cercando di non ridere mentre la bionda avanzava ciabatte da mare ai piedi inzaccherando il parquet del corridoio.

“Non si vede? La doccia!”

Bagnata fradicia, il tutore stretto al corpo, l’accappatoio messo su in malo modo; una manica si, una manica no. In quel momento per la violinista fu la visione più dolce e tenera del mondo. Proprio quello che Tenou non avrebbe mai voluto.

“Che c’è!? Perché mi guardi così? - Abbaiò entrando nella sua stanza. - Tu non ti lavi mai?”

Kaiou la seguì alzando le sopraciglia alle gocce che come un neo Pollicino stava formando ad ogni passo. “Si, ma di solito dopo mi asciugo.”

“Ha ha, buona questa! Prova a farti una doccia e a lavarti i capelli cercando di non bagnarti il tutore e a non farti male al costato, poi ne riparliamo.”

Richiudendo la porta Michiru le chiese del perché non avesse chiamato una delle sue sorelle.

“Ho tirato troppo la corda, ecco perché. Ho esagerato. Sono stata intrattabile e ho voluto provare a farcela da sola, ma il fatto è che con queste maledette ossa a farmi tanto male ho fatto più fatica del previsto.” Massaggiandosi il fianco destro andò a sedersi sul bordo del letto vedendola fermarsi davanti a lei mani nelle mani.

“Potevi chiederlo a me.”

No! A lei mai! “Non prendertela a male, ma non sono cose che si chiedono tanto a cuor leggero.”

“Non dirmi che ti vergogni? Conosco il corpo di una donna. - Se ne uscì vedendola irrigidirsi di colpo ed arrossire leggermente. - Va bene, ormai il danno è fatto e il trogolo di fuori anche. Ora cerchiamo di rimediare.” Disse afferrando l’asciugamano che Haruka aveva provato con scarsissimo successo ad avvolgersi in testa.

“Cosa fai?!” Terrore.

“Quello che mi hai impedito di fare in questi giorni.” Ed iniziando a frizionarle forte i capelli fradici Michiru li arruffò provando ad asciugarli alla bene e meglio.

“No… No Michi....No...”

“Sei impossibile, ma con me la tecnica della bambina capricciosa non attacca più!”

“Mi fai male!”

“Stai zitta! Dov’è il tutore di riserva che ti hanno dato al Pronto Soccorso?”

“Nel… primo cassetto.” Articolò umiliata con il viso semi nascosto dall’asciugamani.

Andando alla cassettiera, Michiru trovò il peltro asciutto e la biancheria. “Perfetto! Qui c’è tutto!” Ed estraendo l’intimo lo mostrò alla bionda.

“Va bene questo o hai un colore preferito?”

“Patti chiari Kaiou! So vestirmi da sola.” Minacciò alzando l’indice.

“Si, come le bimbe grandi, lo so.” Sfotté arpionando la manica destra dell’accappatoio per sfilargliela subito dopo. Ritraendosi Haruka le dilatò addosso due fari verdi intensissimi.

“La crema?” Incalzo’ la violinista.

Neanche nella fantasia più spinta la bionda si sarebbe mai immaginata una scena simile; lei mezza nuda e nella sua stanza una donna fantasmagorica di tale caratura a farle da infermiera. Ma per la prima volta in vita sua si sentì bloccata in un angolo. Facendole cenno con il mento indicò il piano del comodino accanto a loro.

“Posso mettermela da me!” Pudica si strinse nella spugna provando a coprirsi parte del seno.

Aprendo il tubetto e versandosi una copiosa quantità di gel sulle dita, Michiru s’inginocchiò e guardandola dritta negli occhi avvicinò la mano alla pelle del costato.

“Ora stai ferma, non voglio farti male.”

La violinista aveva capito da tempo di avere un forte ascendente sull’altra, ma non aveva mai avuto il coraggio di sfruttarlo. Ora che nel suo cuore stava iniziando ad essere tutto un po’ più chiaro, era arrivato il momento di servirsene. Incatenando le iridi a quelle dell’altra provò a farle scemare l’imbarazzo non guardando altro che quel bel punto di verde. Appena i suoi polpastrelli toccarono il costato sentì il respiro di Haruka bloccarsi. Imputandolo al dolore cercò di essere ancora più delicata iniziando a massaggiare la parte tumefatta con leggerissimi movimenti circolari.

“Va bene così?” Chiese cogliendo un lieve mugolio d’assenso.

Non osando staccare il contatto visivo, passò a slacciarle il peltro fradicio dal collo liberandole il gomito.

“Ne metto un po’ anche qui.” Ed usò la stessa accortezza sull’articolazione.

Con il cuore a martellarle nel cervello Haruka strinse forte le labbra non distogliendo però lo sguardo e la violinista ne approfittò per afferrare il reggiseno abbandonato sul materasso. Capita la mossa successiva, la bionda scattò all’indietro procurandosi l’ennesima fitta.

“Stai ferma… Non ti guardo. Parola. Eppure con così tante sorelle dovresti essere abituata.”

Si, ma tu non sei una delle mie sorelle, pensò l’altra sospirando piano. Una spallina, poi l’altra e Michiru si avvicinò per allacciarle l'intimo alla schiena concedendo al suo olfatto un paio di secondi. La pelle di Haruka sapeva di menta e mela verde e le salì alle narici spinto da un lieve calore. Sorrise, ma persa nel blu dei suoi occhi l’altra non se ne accorse.

“Bene. Non è stato così drammatico, vero?” Poi alzandole di fronte al viso il paio di slip le chiese candida se volesse una mano anche con quelli.

“Ci mancherebbe.”Avvampò Tenou strappandoglieli letteralmente dalla mano.

“Maglietta e pantaloni?”

“Armadio. Anta sinistra. Secondo e terzo cassetto!” Borbottò pregando che si sbrigasse ad alzarsi prima di rischiare un embolo.

Ma guarda che tipo. E chi se la sarebbe immaginata tanto autoritaria, pensò basita, eccitata e sorpresa al tempo stesso mentre Michiru andava al mobile dandole finalmente le spalle. Sono io che metto in soggezione le altre donne! Sono io che sventolo slip! Sono IO! E mentre armeggiava con quel povero indumento prese a fissarle le spalle, la vita e più giù. Quanto stava bene fasciata da quei vestitini di cotone leggero che si metteva la sera.

“Preferenze?”

“No!”

“Allora scelgo io. - E Michiru si stupì dell’ordine che regnava tra i suoi vestiti mentre afferrava quello che le serviva. - Meglio una camicia... Sei presentabile?”

“Si!”

Voltandosi con una camicia nera in una mano ed un paio di pantaloni avana nell’altra Michiru le sorrise e ad Haruka sembrò che tutta la stanza esplodesse. Dio quanto sei bella! E lo era davvero. Gli anni di nuoto fatti da ragazza avevano plasmato un corpo di per se già molto proporzionato, rendendolo accattivante e formoso proprio come piaceva a lei.

Aiutando quella gran zucca vuota ad infilarsi ed allacciarsi la camicia, questa volta Michiru si permise di sbirciare in punti fino ad allora inaccessibili al suo sguardo, tipo la parte alta del seno ed i capezzoli, che la situazione aveva reso un po’ troppo insolenti nonostante la stoffa bianca del reggiseno. Non poté stare zitta.

“Dovresti valorizzarlo di più e non nasconderlo sempre. Ti stanno così bene le canottiere che metti quando sei in vigna." Colpì con malizia affondando in un nano secondo la portaerei Tenou classe A.

“Non… Non dovevi NON guardare?!”

L’ultimo bottone e Kaiou riportò lo sguardo nel suo. Si stava divertendo da morire. “Hai ragione, ma vedi sono anche una donna ed è risaputo che possiamo resistere a tutto tranne che … alle tentazioni.”

Risoluta afferrò il tutore asciutto lasciato poco prima tra le pieghe del letto ed infilandovi il braccio abbronzato dell’altra, allungò le dita alle clavicole della sua personalissima paziente chiudendole lo stretch.

“Tentazioni?” Chiese Tenou.

“Ho detto tentazioni?”

“Hai detto tentazioni!”

Accovacciandosi ai suoi piedi scrollò le spalle. “Non mi sembra.”

Haruka sentì il tocco delle sue dita alle caviglie e si accorse che le stava infilando i pantaloni.

“Riesci ad alzarti?” Chiese Kaiou con il sorriso più sfrontato che la bionda le avesse mai visto su.

“… si.” Tornando lentamente eretta alzò gli occhi al cielo mentre l'altra lasciava che il lino accarezzasse le gambe della bionda arrivando fino alla vita.

“Li allaccio io?” Soffio’ la violinista.

“No, grazie!” Cercando di afferrare i passanti dei pantaloni Haruka si ritrovò con la mano sopra a quella più minuta di Michiru.

L’eternità in un secondo, poi sospirando rumorosamente Kaiou decise d’interrompere quel gioco che tanto le stava piacendo. “Da quando hai saputo chi sono mi stai evitando. Non credevo che fossi una persona che ne giudica un’altra per il denaro che ha o la vita che conduce.” Disse spostando la mano da sotto quella dell’altra.

“E’ questo che pensi di me?!” Abbaiò improvvisamente Tenou tirando su la zip con un movimento secco.

“Non è questo il motivo che da giorni ti sta spingendo a non rivolgermi neanche una parola?”

“Assolutamente NO! Io conosco ed apprezzo Michiru, una donna trovata in difficoltà in una sera d’estate e che ora lavora per la mia azienda, non so nulla della signora Kaiou, la grande violinista, l’angelo del focolare di una villa stupenda.”

Corrugando la fronte quella che non era mai stata un angelo del focolare rispose alla frase che più l’aveva colpita. “Sono una grande violinista, è vero e forse il cognome che porto mi ha aiutato ad avere delle possibilità in più per emergere, ma ho sudato per diventare quella che sono.”

“Allora cosa ci fa qui la compagna esemplare di un principino del pop giovanile?” Era saltato il dente purulento che da giorni la stava facendo impazzire.

“Cosa?”

“Non stai con Seiya Kou?”

“Non più e da parecchio.”

“Allora perché è venuto qui?”

“Vi siete incontrati?!” Nel chiederlo avvertì una certa punta d'agitazione.

“L’ho visto solo da lontano mentre se ne stava comodamente seduto sulla sua Lamborghini e devo dire che ha un certo gusto in fatto di donne e motori.”

Michiru non la schiaffeggiò solamente perché non era nella sua natura e ne avrebbe perso di stile, ma quella frase di cattivo gusto le fece male. ”Voleva parlarmi. Questioni di lavoro. So direttamente dalla sua gemella che hai avuto alcune informazioni sulla nostra vita di coppia, ma se la cosa ti urtava tanto, avresti anche potuto avere il coraggio e parlarne direttamente con me!”

”Non sono affari miei!”

“Tu per me non sei un’estranea, eppure alle volte ti comporti da ottusa. Cosa vuol dire che non sono fatti tuoi! Come se non avessi capito come sono, come se le settimane passate gomito a gomito non fossero servite a niente. Le chiacchiere serali, le risate al pub. Ti sei chiusa in te stessa lasciandomi fuori a domandarmi cosa diavolo ti avessi fatto e cosa ben più grave, ti sei invischiata in una cosa pericolosa come le corse clandestine e ti ricordo, se mai ce ne fosse bisogno, che ne sei uscita viva per miracolo!” - Il tono della voce divenne più pacato. - Avrei potuto aiutarti a trovare un’altra soluzione che non fosse tanto scellerata.”

“Non c’erano altre soluzioni, Michiru.”

“Fai sempre così; ogni volta decidi per tutti. ”Rimarcò il concetto che era stato di Giovanna prima di lei e che a grandi linee, era nei pensieri di tutti quelli che conoscevano abbastanza bene quella bionda.

“Mi ha dato fastidio sapere di lui.” Se ne uscì distogliendo lo sguardo.

“E a me ha dato fastidio vederti uscire dalla rimessa con Bravery.”

“Perché?”

“Potrei farti la stessa domanda.”

Portandole una ciocca di capelli dietro all’orecchio, Haruka tornò improvvisamente la solita guascona. “Mi piace quando li porti così; legati alla nuca. Ti si vede il collo. Sai. io tengo alle donne della mia famiglia e non mi fa piacere saperle con gentucola come quella.”

La violinista fremette a quel tocco, ma si forzò per non darlo a vedere. “Stessa cosa vale per me.”

“Allora vuol dire che mi vuoi bene!”

“Certo che te ne voglio Tenou.”

Dopo essersi beata le orecchie a quella splendida frase, Haruka avrebbe dovuto essere contenta, sprizzare gioia da tutti i pori, perché la donna che desiderava ed ammirava le aveva detto una cosa bellissima, invece diventando improvvisamente seria tornò a sedersi sul letto. Arpionandosi il ginocchio con la mano destra chinò il capo sfinita. “Non dovresti.”

Michiru aveva sempre fatto affidamento sulla linearità umorale di quella donna, perché ora reagiva in quel modo?

“Haru che cosa c’è?” Sedendosi al suo fianco le prese il mento nel palmo costringendola a guardarla.

“Continuate tutti a volermi bene e io non faccio altro che deludervi.”

“Ma cosa dici!”

“Michi… Per partecipare alla corsa ho dato come garanzia una cosa che mi appartiene da sempre, ma questa volta anche le mie sorelle ne risentiranno.” Armandosi di un coraggio enorme iniziò a raccontarle di quella roulette russa che l'aveva portata al suo personalissimo incubo.

Michiru l'ascoltò senza fiatare, commentare o fare domande, poi, una volta conclusa la descrizione minuziosa di quella follia, portandosi la mano alla bocca scosse piano la testa emettendo un no soffocato. Ora era tutto più chiaro; la tensione, l'essere scostante, la solitudine cercata in tutti i modi e a qualunque costo.

“Chi altro lo sa?”

“Per ora soltanto tu. Adesso sai perché non è il caso che qualcuno mi voglia bene.”

 

 

Accortamente si era fatta accompagnare giù da basso trovando le più grandi a parlare nel giardino d'inverno. Usagi chiusa nello studio per l'immancabile telefonata serale del suo Mamoru, era stata chiamata da Michiru che una volta avvisatala che la bionda aveva indetto una riunione di famiglia, si era defilata nella sua stanza.

Abbastanza stupite dal vedersi davanti Haruka lavata e vestita, Giovanna e Minako la guardarono sedersi aspettando l'arrivo della più giovane.

“Come hai fatto a farti la doccia da sola?”

“Con tanta buona volontà.” Ammise evitando di menzionare il dopo.

“Il bagno sarà esploso.” Se la rise Minako forte del fatto che il prossimo turno per le pulizie non sarebbe toccato a lei.

“Tanto sarò io a dover pulire.” Punzecchiò Giovanna, ma la bionda non raccolse.

Immobile con lo sguardo perso al mattonato in cotto fiorentino sembrava non respirare nemmeno. Una statua di sale che mise in allerta la maggiore.

“Vuoi parlarci di quella cosa?” Chiese sporgendosi dalla seduta opposta al divano.

“Si. Devo mettervi a conoscenza delle conseguenze del mio fallimento dell'altro giorno.”

“Hai riportato a casa la pelle! Io non lo chiamerei fallimento.” Minako, forse non ancora del tutto conscia di quello che la sorella aveva dovuto patteggiare per rischiare quella stessa pelle ora livida e malconcia, le porse un cuscino per farla stare più comoda.

“Mina, se lo chiama fallimento, allora vuol dire che lo è. Giusto Haru?” Ferale Giovanna si fece seria ricordando l’ultima frase di senso compiuto che le aveva sentito dire dopo essere ritornate dall’ospedale; tanto adesso è tutto finito.

Accavallando le gambe attese l’arrivo della più piccola dialogando mentalmente con il cielo.

“Eccomi!” Usagi entrò di corsa e appena vista la bionda le stampò un grosso bacio sulla guancia.

“Che bello, ti sei alzata. Hai male?”

“Sopportabile, grazie.”

“Bando alle ciance. Allora Haruka? Per partecipare alla gara quanti soldi hai dovuto chiedere agli strozzini?”

“Niente denaro Giovanna.”

“Strozzini? Per avere i soldi hai avuto bisogno di rivolgerti a quella gentaglia?”

“Zitta Usa, ha detto niente denaro. Lasciamola parlare.”

“Come garanzia ho dato qualcosa di mio.”

Minako intervenne non capendo. “A tuo nome avevi solo la Ducati e ora sappiamo tutte a cosa ti sia servito darla via. Dunque?”

“Spero tu non ti sia azzardata a toccare masseria ed azienda.” Chiese Giovanna sempre più in ansia.

“Assolutamente no! La casa e il ciclo di produzione sono intestate a tutte e quattro.”

“Dunque? Che altro hai oltre te stessa?!” Incalzò Minako, ma Haruka guardando Giovanna aspettò che capisse. Era esausta e non aveva la forza per ammettere anche quell’ultima idiozia.

Qualche secondo, poi scattando in piedi la maggiore squarciò il velo. “Il tuo quarto! - Esplose serrando i pugni. - Il tuo quarto delle vigne!”

Minako e Usagi guardarono allora la bionda che muovendo affermativamente il capo le diede ragione. “Il mio venticinque percento dei terreni coltivabili. Qualche settimana prima della gara sono passata dal Notaio per verificarne l’attuale valore nonostante abbia ancora un mutuo. Poi vista la buona valutazione, sono riuscita a partecipare alla corsa.”

“Ma non hai vinto, perciò...”

“Perciò Usa..., ho perso tutto.”

La deflagrazione fu imponente e micidiale. Tutte capirono immediatamente la portata di quel gesto. Tutte, inclusa la piccola Usagi, che stringendo la maglietta di Minako cercò un qualche contatto.

“Sono mortificata, veramente, ma vorrei che capiste che arrivate al punto dove eravamo, non sarebbe bastata l’uva di quattro raccolti per salvare l’azienda dai creditori.”

“E giustamente tu hai deciso per tutte!” Retorica Minako si staccò la mano di Usagi da dosso per fronteggiarla. Era confusa, ma ancor di più si sentiva offesa e spaventata.

“E ora la tua parte chi ce l’avrebbe? Quella brava gente?”

“Tranquilla, l’avranno già venduta.”

“Tranquilla un cazzo! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?! Hai tirato giù tutta la famiglia! Con i danni che abbiamo avuto e senza l’uva dei tuoi terreni, non potremmo arrivare neanche alla metà dell’imbottigliamento dello scorso anno.”

“Me ne rendo perfettamente conto e vi chiedo scusa.”

“Tutto qui?! Te ne rendi conto?! Sai che ci facciamo con le tue scuse?”

“Mina finiscila, non serve a nulla inveirle contro.” Giovanna tornò a sedersi tirandosi contro le ire della più giovane.

“E tu perché non l’hai fermata?”

“Minako, Giò non sapeva nulla.” Provò a tirar corto la bionda.

“A certo, non sapeva che avresti voluto gareggiare? Forse ho perso qualche passaggio, ma non avrebbe dovuto farti da copilota?”

“Si, ma non sapeva che avevo puntato tanto forte.”

“Credi sia un’imbecille? Quella è gente che gioca pesante, lo sappiamo tutti. Da anni in città circolano voci su cifre importanti, troppo importanti perché tu Giovanna, non abbia immaginato neanche per un secondo un gesto tanto folle!”

“Minako finiscila! Ho detto che Gio’ non c’entra niente. Come avrebbe potuto sapere di queste voci se è stata via per tre anni.”

La biondina scosse la testa sorridendole beffarda. “Fate sempre così voi due; combinate casini per poi spalleggiarvi e coprirvi a vicenda. Ma questa volta nella merda ci avete trascinato anche Usa e me!”

Haruka era mortificata. Aveva passato giorni a pensare e ripensare a come Minako avrebbe potuto reagire alla cosa, ma forte di un’ipotetica vittoria, aveva sempre cercato di dipingerla rosea. Qualche improperio per essere stata lasciata all’oscuro, un tempo più o meno lungo di bronci e male parole. Poi, una volta estinto il mutuo e ripresa a pieno regime l’attività, tutto sarebbe stato dimenticato. Ma purtroppo non aveva vinto e di roseo ora non c’era assolutamente niente.

“Non so proprio cosa dire Mina, se non che mi dispiace. Ero sicura che avremmo vinto. Ne ero sicura.”

“Lo eri anche dopo aver visto in che razza di stato era il fondo dell’auto?” Se ne uscì Giovanna guardandola feroce.

“Nulla da dire; colpisci sempre dove fa più male.” Soffiò la bionda stirando le labbra in quello che più che un sorriso era un ghigno.

“Scusa Haru, ma sai che ho ragione.”

“Mi sembra di averti già detto che, come innescata la cosa, non potevo tornare indietro.”

“Io invece penso che un modo ci fosse, sarebbe bastato fermarsi un attimo e pensarci un po’ su insieme, ma tu niente, vai sempre avanti per la tua strada come un Panzer d’assalto non ragionando mai a sufficienza sulle conseguenze dei tuoi gesti.” Continuò la maggiore senza tregua.

“Puoi provare ad andare oltre a questa cosa? Il danno ormai l’ho fatto e ora è questo che abbiamo.”

“Certo, fino al prossimo problema, poi ricominceremo tutto da capo; una che propone e l’altra che dispone.”

“In questa cosa non hai mai proposto niente se non quello di chiedermi di aspettare per poi arrivare a mani vuote.”

In quel caso era stata Giovanna a vendere la famosa pelle dell’orso ipotizzando una raccolta fondi tramite l’archetto di Michiru, che però legata contrattualmente alla U.A.F., non aveva potuto accontentarla.

“Almeno sarebbe stata una cosa perfettamente LEGALE…”

”Ma fottiti!”

“Ora basta! - Minako azzittì la diatriba che per l’ennesima volta stava tagliando fuori lei e Usagi. - Non ne posso più del vostro circolo esclusivo! In questa famiglia ci siamo anche noi e non vale solamente quando si tratta di strattonarci dentro qualche fallimento! Ho rinunciato a tutti i miei sogni per rimanere qui a spaccarmi la schiena dietro alla masseria e ora mi dite che siamo… Oddio, neanche ho il coraggio di pensare a dove siamo.”

“Mina…”

“No Haruka, adesso parlo io! Una volta avevo dei progetti, che anche se lontani da qui, mi avrebbero sicuramente arricchito la vita. Poi la morte dei nostri genitori e tu Giovanna, che parti per cercare di salvare l’attività. E io zitta ho accantonato i miei sogni per un po’ continuando a ripetermi che presto saresti tornata, che Haruka avrebbe ritrovato la sua bussola e tutto sarebbe andato a posto. Invece no, sei stata via tre anni ed in tutto questo tempo non ho fatto altro che star dietro ad Usagi che cresceva e andava a mettersi con uno della vostra età, alla casa che invecchiava, al ciclo di produzione che zoppicava, ai fornitori da saldare, alle banche e ad un capo famiglia che non la finiva di trovarsi donne sbagliate e a fare la so tutto io sul lavoro. - La biondina prese un grosso respiro dando fondo alle sue ultime energie. - E ora questo! Venire a sapere che le tue sorelle si sono messe a frequentare il giro delle corse clandestine e che per farlo una di loro ha scommesso il quarto che ci sarebbe servito per chiudere la stagione. Meraviglioso! L' ennesima presa per i fondelli e non voglio essere scurrile, ma sapete che c’è? Anche io avrei i miei cazzi da risolvere!”

Detto ciò imboccò la porta del soggiorno sparendo su per le scale. Mettendosi le mani nei capelli Giovanna s’incurvò sulle ginocchia mentre Haruka prendeva a massaggiarsi la fronte.

“Questa volta il casino è grosso, perciò vedete di metterci una toppa. Non so come, ma se siete veramente a capo di questa famiglia vedete d’inventarvi qualcosa.” Usagi, divenuta tutto d’un tratto gelida, seguì la sorella lasciando le altre nella più totale prostrazione.

“Fosse facile come riparare una camera d’aria…” Se ne uscì la bionda sentendosi le lacrime agli occhi.

“Non credevo che Minako soffrisse così tanto per la scelta di rimanere qui.” Disse Giovanna esausta.

“L’hai sentita no? Non mi sembra che abbia avuto molte scelte con due sorelle come noi.”

 

 

Il pub era affollato come sempre e come sempre Max controllava tutto da un angolo del bancone pronto ad aiutare alla bisogna i suoi dipendenti. Si fidava di ognuno di loro, perché ormai li aveva con se da anni, ma dopo lo spavento per l’incidente occorso ad Haruka, aveva dato a tutti una piccola gratifica tenendo chiuso per un paio di giorni. Si era concentrato sul cercare di cancellare dalla mente l’immagine di Haruka distesa sul retro del suo Pick-up, le pareti verdine della sala del Pronto Soccorso che in tre anni non erano cambiate affatto, le lacrime di Usagi, gli sfondoni di Giovanna, la composta incredulità di Minako. In quei due giorni di perfetta solitudine, aveva provato a non pensare all’impotenza che nuovamente aveva provato quando le porte della sala d’aspetto dell’ospedale si erano aperte costringendolo su una di quelle scomodissime sedie di plastica grigia. Ci aveva provato con tutto se stesso facendo lunghe passeggiate immerso nel verde e stando dietro ai fornelli, cosa che lo rilassava da sempre, ma non era servito a nulla. Avrebbe voluto passare a casa Tenou, ma vista la situazione delicata aveva optato per informali squilli serali. Sapeva che Haruka si stava riprendendo, che aveva appetito e che era nervosa come ogni qual volta era costretta in un letto, ma nient’altro. Era all’oscuro su quale fosse stata la causa che aveva ingolosito Giano a farla gareggiare, ma conoscendo da sempre l’uomo e le sue voglie, Max aveva paura che fosse qualcosa di dannatamente importante

Chiudendo il libro della contabilità lo depose sotto la cassa sorridendo al saluto di un paio di clienti. Era stanco e non fisicamente. Essendo entrato già da un pezzo nell’età della maturità fisica e si spera, intellettuale, in quella questione riusciva a vederci solo nuvole nere. Nessuno sbocco o risoluzione, tanto che sin dalla mattina aveva pensato di andare a parlare con Giano per cercare di salvare il salvabile. Non sarebbe stato facile, ma Max sapeva di avere in mano un asso molto pesante che in quell’ultima partita giocata faccia a faccia con l’uomo, avrebbe potuto regalargli qualche soddisfazione. Erano vent’otto anni che si teneva quella carta nel taschino, ma non aveva mai avuto il coraggio di gettarla sul tavolo del suo personale rapporto con Giano, perché una volta calata, molte cose sarebbero cambiate ed altrettante persone ne avrebbero sofferto.

Pensieroso si soffermò a guardare una delle tante foto di famiglia che tappezzavano senza apparente ordine il muro che portava alla cucina. Dal vetro, una coppia di fratelli sorridenti abbracciati ad immortalare l’inaugurazione del pub. Max stirò le labbra al sorriso luminoso di sua sorella. A differenza sua, Rose avrebbe sbattuto quella carta sul viso di Giano già da molti anni.

Non è giusto! Il ragazzo deve sapere!” Si ostinava a ripetergli ad ogni occasione. Ma a Max era sempre mancata la determinazione della sorella minore e per quieto vivere aveva sempre procrastinato il giorno nel quale quella scomoda verità sarebbe saltata fuori.

Se si rifiuterà di soprassedere sulla garanzia di Haruka, qualunque questa sia, parola d’onore che farò scoppiare la bomba e la sua vita non sarà più la stessa, pensò mentre la voce di una dipendente lo raggiungeva.

“Max, al telefono.”

“Se sono informatori telefonici non…

“E’ una signora. Vuole parlare con te di una cosa parecchio urgente.”

Socchiudendo gli occhi l’uomo si diresse al telefono afferrando la cornetta e riparandosi dietro una colonna, cercò di ovviare alla musica e al chiacchiericcio generale piantandosi il palmo della mano sull’orecchio libero.

“Si?”

Dalla parte opposta una voce che aveva imparato a riconoscere come famigliare.

“O buonasera. Tutto bene? Devo preoccuparmi?... A perfetto, ne sono contento…. Cosa? Si, certo. La mattina dopo le dieci sono sempre qui… Va bene, a domani allora… Arrivederci.”

Riagganciando Max iniziò a strofinarsi la leggera barba incolta del mento. Adesso cosa poteva volere quella donna da lui?

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau. Già mi immagino frasi del tipo - e adesso chi sarà questa donna misteriosa che vuole incontrare l’uomo?- Oppure, - ma sto Giano chi diavolo è e che cosa potrebbe essere la carta tanto pesante che Max ha da anni?-

Dipanerò tutto nel prossimo capitolo, promesso.

Con l’occasione auguro a tutti un buonissimo Natale ed un nuovo anno al top.

Ci vediamo nel 2020! A prestissimo!

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Fratelli ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Fratelli

 

Quando la vide, Max abbandonò totalmente quello che stava facendo. Rimasta sulla porta d’ingresso del Pub, la donna gli sorrise chinando leggermente la testa in segno di saluto. Pochi secondi e scambiandosi una calorosa stretta di mano ruppero subito il leggero imbarazzo che quello strano appuntamento stava dando ad entrambi.

“Prego si accomodi.” Disse lui lasciando il calore del suo palmo per invitarla ad entrare in quel posto che per lei era ormai divenuto familiare.

“Grazie. Mi dispiace d’arrecarvi disturbo, ma avevo bisogno di parlarvi con una certa urgenza signor Max.” Rispose resoluta.

Facendole strada verso una delle panche poste a qualche metro dal bancone, il proprietario le chiese se desiderasse qualcosa da bere. “Posso offrirvi una bibita o un caffè?”

“Un caffè lo accetterei volentieri. Non ho dormito molto questa notte e ho bisogno di essere lucida.” Ammise sedendosi guardandolo poi proseguire oltre il bancone e fermarsi davanti all’enorme macchina per gli espressi.

“Il motivo della sua insogna è forse legato a questa strana visita mattutina?”

“E’ così lampante?” Soffiò mentre il denso liquido scuro scendeva velocemente da uno degli ugelli della macchina.

“Non vi conosco affatto, ma in realtà dopo tutto quello che è successo qualche giorno fa credo di essere riuscito ad inquadrarvi abbastanza bene. Siete preoccupata. Ve lo si legge in faccia. - Prendendo un vassoio ne aggiunse cucchiaino e vari tipi di zucchero portandoglielo lentamente. - Scusate la franchezza, ma sono abituato a parlar chiaro.”

“E’ per questo che mi piacete Max. Non sopporto le persone che si nascondono dietro ad inutili giri di parole.”

Posandole la tazzina davanti si sedette anche lui attendendo il seguito. Da quando aveva riconosciuto nel viso pulito di quella donna sui trent’anni venuta una sera nel suo locale, l’affermata violinista Michiru Kaiou, era rimasto stupito della scelta fatta dalla donna di rimanere a lavorare come stagionale in casa Tenou, come non aveva ben capito perché continuasse a tenere nascosta alle proprietarie la sua vera identità, ma sta di fatto che non appena era riuscito a sovrapporre la donna che ora gli stava seduta davanti con quella raffigurata in uno dei tanti cd di musica classica che teneva religiosamente nascosti sotto al bancone, aveva deciso di farsi gli affari suoi e di guardare da semplice spettatore come quella bizzarra convivenza sarebbe andata a finire. Come amico intimo, ma esterno alla vita famigliare delle quattro sorelle Tenou, non sapeva di preciso che legame ci fosse tra la violinista e le singole componenti della masseria, ma era rimasto comunque piacevolmente sorpreso da come la donna si fosse comportata subito dopo l’incidente di Haruka. Era stata discreta, ma efficiente, riuscendo a dare il suo contributo pur non sconfinando mai nell’invadenza.

Guardandola girare con il cucchiaino il pochissimo zucchero versato nel caffè si ritrovò ad alzare le sopracciglia divertito. "Le piace leggermente amaro o ha paura di rovinarsi la linea?”

“Niente paura. Con quello che brucio giornalmente qui non potrei ingrassare neanche se lo volessi.” E si sorrisero complici.

“Non vi nascondo di essere rimasto abbastanza sorpreso quando ieri sera ho ricevuto la sua telefonata. Spero che non ci siano brutte notizie.” Chiese intuendo già la risposta.

Risposta che Michiru gli diede senza troppi preamboli. “In casa Tenou l’aria è piuttosto tesa, ma non spetta a me parlarne. Non ne ho il diritto, ma sono sicura che Haruka si confiderà con lei quanto prima.”

Raddrizzando la schiena e serrando le dita delle mani le une alle altre, l’uomo la fissò attento. Dunque la bomba era esplosa e finalmente la bionda aveva rivelato alle sorelle cosa e di quale entità fosse la credenziale che aveva dovuto dare a Giano per poter correre.

Senza lasciar trasparire alcuna indecisione la donna proseguì. “Quello che invece sono venuta a chiedervi è un favore personale.”

Lui sbatté le palpebre stupito. “Se posso…, con piacere.”

“Vorrei che mi organizzasse un incontro con l’uomo che qui tutti chiamate Giano.”

A Max sembrò di rivivere un dejavu, solo che davanti a lui non c’era il solito ghigno beffardo di Haruka, ma la solenne serietà di un’altra donna, una donna che con quel posto, quella richiesta, quell’uomo, non c’entrava assolutamente nulla. Quasi gli venne da ridere.

Trattenendosi a stento scosse la testa poggiandosi allo schienale della panca. “Michiru mi stia bene a sentire, le dico quello che già dissi ad Haruka qualche tempo fa, prima che s’imbarcasse in quella follia che le è quasi costata la vita; quell’uomo è un tipo poco raccomandabile e se con quella testa di legno non sono riuscito a spuntarla, mi dispiace, ma con lei non ho intenzione di cedere di un millimetro.”

Michiru si trovò spiazzata. Tutto si sarebbe aspettata tranne un no tanto deciso. Provò allora una contrattazione.

“Vede Max, non le dirò cosa è stata costretta a dar via Haruka, ma le garantisco che io potrei aiutarla e se non mi crede perché non mi conosce, non conosce la mia determinazione, le chiedo almeno di darmi il beneficio del dubbio. Mi accontenti, per favore. Confido nella sua discrezione e nel fatto che per Haruka sia come un secondo padre.”

La violinista voleva forse riscattare Haruka, il suo futuro o qualsiasi cosa fosse stata costretta a scommettere? Max se la guardò mentre evidenziando le piccole rughe ai lati degli occhi, li socchiudeva rendendoli due fessure. Serissimo si ritrovò a riflettere sulla richiesta della donna. Con il denaro accumulato in anni di carriera artistica, Michiru sarebbe certamente riuscita a fare qualcosa, ma con altrettanta facilità avrebbe anche potuto perdere la cosa più importante di tutte; ovvero il suo buon nome. Come personaggio pubblico non poteva permettersi di sporcarlo avvicinandosi in prima persona ad uno come Giano.

Pur essendo la compagna del cantante Seiya Kou, che alcune voci dicevano di aver visto scorrazzare per le strade della provincia su una macchina sportiva soltanto qualche giorno prima, aveva già del miracoloso che nessuno si fosse ancora accorto di lei. Michiru doveva ringraziare il fatto che in un piccolo centro con un contesto sociale dai gusti musicali abbastanza banali, la classica non riscuotesse poi tutto il successo che aveva invece nei grandi centri e che la gente fosse più interessata ad altro che alle frivolezze del bel mondo dorato del palcoscenico.

“Vede Michiru, proprio perché amo Haruka come un padre non potrei mai portare una persona alla quale lei tiene tanto a mettersi in una situazione così scomoda, perciò …, non mi chieda mai più una cosa come questa.”

La giovane sembrò incassare il colpo rifletterci qualche secondo per poi passare a giocarsi la carta pesante che non avrebbe mai voluto tirare in ballo. Sporgendosi in avanti lo fissò intensamente per poi rivelargli quello che Haruka le aveva confessato e che poi, con dovizia di particolari, aveva appreso dalla discussione della sera precedente.

La stanza per gli ospiti che Michiru stava occupando infatti, si trovava proprio accanto al giardino d’inverno, così, pur non volendo, le erano arrivate ben chiare le voci concitate di Minako ed Usagi, quella glaciale di Giovanna e quella vinta di Haruka. Appoggiata spalle alla porta della sua camera, aveva suo malgrado ascoltato tutta la conversazione che la sera precedente aveva coinvolto le sorelle Tenou. Con lo sguardo perso al manto erboso fuori dalla portafinestra ormai immerso nelle ombre della sera, alla donna era venuta in mente una soluzione, ma per metterla in pratica aveva bisogno di tre cose; della disponibilità di Max, della golosità di Giano e di un buon tempismo. Un incastro difficile, ma non impossibile.

Sentendosi dannatamente in difetto verso la bionda, si trovò costretta ad invadere la sacralità della confessione fatta alle sorelle ed una volta detta la frase Haruka ha scommesso i suoi terreni, strinse la mascella chiedendo mentalmente perdono. Non avrebbe dovuto agire così, ma con quel muro granitico davanti che sembrava non voler capire…

“Perciò, adesso che sa la verità… mi dirà dove poterlo incontrare?”

“No.”

Colpita ancora una volta, scosse la testa vedendo sgretolarsi i suoi appigli ad uno ad uno. “Forse non mi sono spiegata bene signor Max…”

“Si è spiegata benissimo Michiru, ma vede, conosco talmente quell’uomo da garantirle che non basterebbe tutto il denaro del mondo per farlo rinunciare ad una cosa che sta puntando da anni e che le è stata addirittura donata gratuitamente su un piatto d’argento.”

Ma non essendo cresciuta in quel posto e perciò non conoscendo molte delle dinamiche innescatesi in anni fra le famiglie della zona, Michiru non afferrò quanti spunti ci fossero in quella frase.

Alzandosi dalla panca l’uomo iniziò a raccogliere gli oggetti sul tavolo. Imperturbabile non incrociò più lo sguardo di lei e come se nulla gli fosse stato detto su Haruka, ritornò dietro al bancone iniziando a lavare la tazzina. Per la prima volta dalla sera precedente Michiru non seppe cosa fare. Aveva programmato tutto sperando di riuscire ad aiutare la bionda credendo che l’osso più duro sarebbe stato Giano ed invece no, con sua grande sorpresa aveva sbagliato.

Tornandogli davanti Kaiou tentò un ultimo assalto. “Non c’è proprio nulla che io possa fare per convincerla?”

“Ritorni alla masseria signora e lasci che siano altri ad occuparsi di questa faccenda. Haruka non è sola.” E come ogni uomo abituato a parlar poco e a contrattare ancora meno, chinò la testa tornando al suo lavoro e a lei non rimase altro che salutare ed uscire dal locale più affranta che mai.

Il sole di settembre le regalò tepore e benevolenza, ma lei quasi non se ne accorse. Stizzita dal suono degli articolati che stavano producendo il classico rumore del viaggio sulla strada davanti al locale, si piantò appena fuori dalla porta di servizio guardando la macchina che Giovanna le aveva prestato per quel colossale buco nell’acqua. E ora cosa faccio? Si domandò mentre una voce la raggiungeva.

“Michiru…”

Trasalendo maledì la cattiva educazione che portava ogni individuo di quel posto a comportarsi come un gatto. “Mi hai spaventata… Cosa ci fai qui?”

“Scusami, credevo mi avessi visto.”

No, aveva altro a cui pensare. “Scusami tu, ma questa mattina non ho la testa.”

“Lo so e forse so come aiutarti. Vuoi incontrare quello che tutti chiamano Giano e Max si è rifiutato di aiutarti? Ebbene, credo che possa accontentarti io.”

 

 

Alzandosi dalla chaise longue in pelle nera che spesso usava per rilassarsi un po’, il vecchio Kiba si diresse al mobile posto proprio tra la sua scrivania e una delle due porte che davano sul suo studio, quella principale, quella che meno di un paio d’ore prima aveva visto andar via una delle creature più deliziose che quella masseria avesse mai accolto. Guardando il vecchio giradischi sorrise soddisfatto abbandonando il bicchiere di scotch che aveva deciso di concedersi per festeggiare. Non era solito bere e soprattutto prima delle sei di sera, ma quella era una giornata da ricordare e cosa poteva esserci di meglio che una piccola scappatella alla vetrinetta degli alcolici mentre deliziava le sue orecchie con dell’ottima musica? Che regalo inaspettato aveva ricevuto quella mattina, inaspettato e graditissimo. Abbandonando il vetro dalle tipiche losanghe graffiate di un granitico bicchiere da whisky, iniziò a scartabellare nella sua personalissima collezione in vinile, convinto che nessuna nuova tecnologia potesse ancora eguagliare la morbidezza ed il fascino sonoro di un trentatré giri. Per fortuna molte case discografiche continuavano a produrre una piccola percentuale di dischi.

Continuando a tenere premuto sulle labbra un sorrisetto beota, arrivò ad afferrare la copertina del primo disco che dieci anni prima un’artista allora ancora sconosciuta aveva pubblicato. Non che amasse particolarmente quello strumento, il violino, senza dubbio apprezzava più la lirica ed il movimento delle sue partiture che quel suono dagli acuti per lui troppo penetranti, ma grazie al padre che un po’ lo sapeva suonare, lo aveva ascoltato fin da bambino e di tanto in tanto gli faceva piacere metter su qualche disco in sua memoria.

Cosa penseresti di me se ti mostrassi il capolavoro che mi hanno portato? Dimmi padre …, ne saresti colpito, ne sono sicuro, pensò spostando lo sguardo scuro dalla copertina che stava tenendo fra le mani al quadro appeso proprio sul muro dov’era addossato il mobile. La raffigurazione di un uomo d’altri tempi gli sorrise di rimando.

Lucas Kiba solo una cosa non riusciva proprio a digerire; l’enorme imbecillità dimostrata da suo figlio Mamoru. La poca scaltrezza negli affari dimostrata dal suo unico erede gli stava stretta, anzi, stava iniziando a dargli sui nervi. Troppo onesto, troppo leale con la Cooperativa del quale facevano parte tutti i viticoltori della zona, troppo per bene per il vecchio Kiba, uomo senza peli sullo stomaco, che in trent’anni aveva saputo prendere la già fiorente vigna lasciatagli dal padre, per trasformarla in un colosso capace di ubriacare mezza Provincia.

“Mio figlio proprio non li sa fare gli affari.” Disse estraendo il vinile scelto, pulendolo con l’apposito panno per poi metterlo sul piatto.

Non appena l’inverno precedente Mamoru gli aveva detto di Usagi, il vecchio Kiba aveva dato di matto, perché altri progetti aveva in mente per lui. Poi, riflettendoci a mente fredda, aveva sperato che il ragazzo avesse visto oltre, ovvero all’acquisizione del venticinque percento che Sante ed Alba avevano lasciato alla figlia. Ci aveva sperato ed aveva accettato quel rapporto facendo sogni sull’espansione del suo impero, fino ad una sera d’inizio primavera, quando quella gran testa di legno gli aveva chiesto di avere come anticipo della sua eredità, una piccola vigna con annesso casale dimenticata ai margini della tenuta, lungo il torrente, facendo così intendere al genitore che non soltanto non avrebbe gestito i terreni della sua futura moglie annettendoli ai loro, ma avrebbe svincolato il suo da quelli della masseria Kiba. Pur se poco redditizio, perché terra acida grazie alle scorie dell’ex fabbrica di mattoni che era ora il Ciclo di Produzione dei Tenou, era pur sempre un terreno e a Lucas era venuto un colpo, capendo definitivamente ed in maniera più che concreta, come quella sorta di scisma intestino rappresentasse l’amore ed il profondo rispetto che Mamoru aveva per la sua piccola Usagi.

“Io spero solo che ora che quell’idiota ha scoperto la verità sui miei traffici privati, non faccia saltare tutto all’aria in nome della sua coscienza di bravo ragazzo. Sarebbe una follia che porterebbe affondo anche lui.” Rimuginò mentre la puntina metallica del giradischi dava vita alle prime note ricordandogli con amarezza la discussione che avevano avuto la sera precedente.

Se lo vedeva ancora suo figlio, dritto davanti a lui, pugni chiusi a mezz’aria ed un viso stralunato mentre gli chiedeva del perché si fosse buttato nelle torbide acque delle corse clandestine, del perché non riuscisse ad accontentarsi mai di quello che aveva e del perché non si comportasse come un padre ed un gestore normale.

“E’ per coprire le vincite che compri macchinari costosi facendo affidamento sul fatto che un’attività come la nostra non ne possa fare a meno?” Gli aveva urlato contro indeciso o meno se prenderlo a pugni.

Ma anche in questo Mamoru era un signore e mai si sarebbe azzardato a mettere le mani addosso a suo padre.

“E’ stato qualcuno a dirtelo o ci sei arrivato da solo?”

“Chiunque sano di mente lo avrebbe capito riconoscendo uno degli organizzatori dell’ultima corsa svoltasi l’altro giorno, come uno dei lacchè che frequentano da tempo questa casa! Da qualche anno ti accompagni a gente poco raccomandabile. Giacca, cravatta, scarpe di marca certo, ma una faccia da galera degna dei migliori film americani e poi compri, compri cose senza senso. - Andandogli sotto si era sentito quasi le lacrime agli occhi. - Riciclare denaro sporco è già di per se illegale, ma farlo mettendo in mezzo anche la nostra masseria…, è uno schifo, papà!”

Uno schiaffo era partito, ma non era stata la guancia di Lucas a riceverlo. Portandosi la mano al viso il ragazzo aveva sgranato gli occhi guardato il genitore.

“Mi hanno informato della bravata dell’accompagnarti al team di Haruka Tenou, ma lascia che ti precisi una cosa; se hai tutto quello che hai il merito è di questo povero padre imperfetto che ti sei ritrovato e di tuo nonno prima di lui, perciò non ti permettere mai più di giudicare il mio operato. Qualunque esso sia! Ma cosa credi che il vino dei Kiba sia diventato quello che è incrociando le dita e sperando che le bizze del tempo non rovinassero il lavoro di un anno? Come fanno le tue amichette dall’altra parte della valle? Grandinate, siccità, funghi, batteri, hanno sempre colpito anche noi, ma a differenza degli altri componenti della Cooperativa, noi siamo sempre stati più scaltri riuscendo, in un modo o in un altro, ad integrare il denaro perso. E’ così che si fanno gli affari ragazzo! Prima lo imparerai e meglio sarà per tutti.”

“Lo so che ti devo tutto ed è per questo che ho accettato di comprare la terra senza batter ciglio. Presto riuscirò ad essere autosufficiente e a staccarmi da te! Ora però voglio sapere una cosa; nel giro delle corse clandestine sei solo un osservatore che di tanto in tanto ci guadagna o…”

“Cosa vuoi che ammetta Mamoru? Di essere io la mente che da tempo muove tutto? In questo il tuo brillante intuito non ti ha aiutato?”

“Forse ho solo paura di una conferma a quello che ormai è lampante e che non riesco ad ammettere papà!”

Così il velo che in anni di vita condivisa aveva lentamente amplificato il divario tra padre e figlio, era caduto e per quel giovane idealista il colpo era stato durissimo. Difficilmente sarebbe riuscito ad accettare la cosa e Lucas lo sapeva bene. Lo conosceva e nel vederlo scappar via si era chiesto se quel gene ribelle così simile alla madre, sarebbe mai stato all’altezza di prendere un giorno il suo posto alla guida dell’azienda. Molto probabilmente no e attualmente il vecchio Kiba non aveva alcun piano di riserva.

Mentre i recentissimi ricordi fluttuavano ancora nella sua mente, alla porta bussò la cameriera che annunciava l’ennesima visita della mattina. “Signor Kiba, c’è il signor…”

“Lasciami passare. Non è il caso che mi si annunci.” E Lucas si vide piombare nella stanza un uomo, per usare un eufemismo, abbastanza adirato.

“Che cazzo hai fatto!?” Esplose standogli addosso con tre falcate.

“Non potete… Signor Kiba, vuole che chiami la sicurezza?” Chiese lei preoccupatissima.

“No, grazie. Può andare. - Rassicurò alzando un poco il braccio. - Max è un vecchio amico, che so come prendere. Ci lasci ora.”

Mentre l’anta andava pian piano chiudendosi i due si fronteggiarono quasi viso a viso. Dalla corporatura molto simile si ritrovarono occhi negli occhi, alla pari, senza che nessuno, almeno fisicamente, potesse sovverchiasse l’altro.

“Come mai sei tanto agitato?” Lucas terminò anche l’ultima goccia ambrata abbandonando il bicchiere accanto al giradischi.

Solo in quel momento, distratto forse dal gesto, Max si accorse del disco che stava girando sul piatto. Per qualche secondo ne ascoltò le note riconoscendone poi l’artista.

“Questa è una composizione giovanile…” Bisbigliò più a se stesso che all’altro, che colpito da tanto orecchio gli fece i complimenti.

“E bravo il nostro Max. Vedo che nonostante tu stia gestendo da anni quel buco coatto pieno di bifolchi, di classica ancora te ne intendi.”

“Vorrei farti notare che tra i bifolchi di cui parli, ce ne sono molti che conosci benissimo, come per esempio tuo figlio.”

Andando alla scrivania, Lucas ci si appoggiò incrociando le braccia al petto. “Poveraccio, Mamoru non è assolutamente fatto per gli svaghi della città. Invece che discoteche e locali di un certo tipo, preferisce passare le sere di libertà tra i figli dei braccianti. Tutto il contrario dei suoi cugini, che invece la vita se la sanno godere.”

“Indubbiamente ha preso i lati positivi dalla madre.” Se ne uscì l’altro affondando il primo colpo.

Colpo che andò talmente a segno da tramutare in un istante il ghigno beffardo di Lucas in una smorfia di sfida.

“Bada Max… Dimmi piuttosto perché ti sei permesso di piombarmi in casa senza preavviso.”

“Un preavviso? Davvero Lucas? Vuoi da me un preavviso? Eccolo. - Sbattendo il pugno sul mobile fece saltare la puntina interrompendo la musica. - Sapevo che nei piani per espandere la tua proprietà era inclusa anche la terra delle sorelle Tenou, ma arrivare ad accettare il quarto di Haruka per farla partecipare ad una delle tue schifosissime corse clandestine…, mi sembra una porcata veramente troppo grossa anche per te mio caro Giano, o forse vuoi che ti chiami… fratello?!”

Lucas non si scompose anche se ogni volta che Max lo chiamava fratello gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Avere avuto rapporti con una domestica poteva anche starci, ma suo padre non avrebbe mai dovuto essere tanto incauto da farci anche un figlio, uno che con le leggi attuali, in ogni momento avrebbe potuto reclamare parte dei beni dei Kiba.

Per alcuni istanti nello studio non si avvertì altro che il sibilo incostante del piatto che ancora stava continuando a girare ormai senza il sonoro. “Vai al sodo, non ho voglia di perdere tempo.”

“Il sodo è che tu renderai il contratto con il quale Haruka ti ha ceduto i suoi terreni e tutti faremo finta che non sia successo niente, che non abbia partecipato ad una corsa e che non si sia quasi spezzata l’osso del collo.”

Abituato alla difesa con la stessa arguzia e maestria con il quale conduceva i suoi attacchi, l’altro alzò leggermente le spalle. “Si, ho saputo dell’incidente. Mi è dispiaciuto, ma vorrei rammentarti che non sei nella condizione di reclamare NULLA per la tua figlioccia. Quella donna ha dato via ciò che era suo e lo ha fatto con coscienza, sapendo perfettamente a cosa sarebbe andata incontro se non avesse vinto.”

“Era con l’acqua alla gola e tu te ne sei approfittato. Se fossi in te mi toglierei quell’espressione arrogante dalla faccia e tirerei fuori quello per il quale sono qui!”

“E io ti ripeto che è tutto perfettamente legale. Il suo notaio ha avvallato l’atto, lei è maggiorenne, perfettamente capace d’intendere e di volere, ergo…, levati dalle palle Max, o ti faccio buttare fuori a calci!”

Invece di sentirsi intimorito l’altro fece un passo in avanti estraendo l’asso che da più di venticinque anni teneva in tasca.

“Ho accettato il volere di mia madre quando da ragazzo mi diceva di stare lontano da quell’uomo al quale lei, povera domestica, aveva dovuto sottostare pur innamoratissima, perché un figlio fuori dal matrimonio avrebbe sporcato l’immagine della grande famiglia Kiba. Ho accettato e con gratitudine, l’unione fra lei e colui che poi mi ha adottato, il padre di Rose. Ho accettato di vivere lontano da qui, lontano da te, mio fratello maggiore. Ho accettato di non avere accesso a tutto questo; ai terreni, ai conti bancari, al rispetto, perché i miei genitori sono sempre riusciti a darmi tutto, ma ora, arrivati a questo punto, ti posso assicurare Lucas che non accetterò più che TUO figlio continui a vivere non sapendo chi è il suo vero padre.”

Tutto d’un tratto Lucas si fece serio. Sapeva che Max, il figlio che suo padre aveva avuto da una relazione extraconiugale con una delle loro domestiche, non stava alludendo a Mamoru, ma ad un altro ragazzo, nato qualche mese dopo che sua moglie Erica aveva abbandonato il tetto coniugale.

“Tu vorresti rovinare la vita di quel ragazzo per salvare Haruka Tenou?!”

“Questo è solo uno dei cento motivi perché Yaten dovrebbe sapere che sei suo padre!”

Lucas ebbe un brivido anche se cercò comunque di mantenere quell’atteggiamento da uomo sicuro che non l’aveva mai abbandonato neanche nelle situazioni più disgraziate. “E lo faresti dopo più di due decadi non avendo in mano uno straccio di prova?”

“Ventisette anni, per essere esatti! E la prova potrebbe fornirla il sangue di Mamoru, anche perché so che tu non avresti mai le palle per fare il test del DNA.”

“Stai bleffando ed è un terreno sul quale contro di me non puoi vincere Max.”

Bleffare? Non poteva farlo perché era la semplice, complicata e tristissima verità. “Non ricordi tua moglie? Erica Kou, una gran bella donna, innamorata persa di te come prima di lei lo era stata mia madre di nostro padre. La donna che un giorno ti diede un ultimatum minacciarti che se avessi continuato ad evadere le tasse e a frequentare certa gentaglia di città, lei ti avrebbe denunciato facendoti togliere la patria potestà su vostro figlio Mamoru?”

“Non vi riuscì!”

“Certo, perché nostro padre, mi dispiace dirlo, ma allora molto più potente di quello che sei tu ORA, alzò un casino tale d’avvocati che quella povera donna dovette rinunciare a suo figlio non sapendo ancora che da te ne stava aspettando un’altro.”

Kiba scoppiò in una fragorosa risata. “O Max, quanto sei ingenuo. La pagammo! Ed anche profumatamente.”

L’altro sembrò stupirsi. “E’ questo che nostro padre ti disse?! Che Erica accettò del denaro in cambio della rinuncia a qualsiasi rivalsa genitoriale su Mamoru?”

“Esattamente! Comunque a parte questo, sai come si dice, no? Madre certa, padre ignoto.”

“Ma andiamo Lucas, hai quasi settant’anni e non riesci ancora ad ammettere che lo sfascio del tuo matrimonio dipese solo ed esclusivamente dalla tua condotta?! Erica amava Momoru più di se stessa e non avrebbe mai potuto accettare un solo centesimo da nostro padre. Ma la cosa che mi fa capire ancor di più quanto siete stati oscenamente deplorevoli è il fatto che di fronte alla famiglia di Erica, ai genitori, ai fratelli, ai nipotini Seiya e Stella, vi siate sempre comportati come i più amorevoli dei parenti. Li facevate venire qui in estate ed aiutavate i gemelli elargendo svariate somme di denaro per farli studiare negli Stati Uniti. E tutto questo per azzittirvi la coscienza e per apparire agli occhi della nostra comunità, quelli che non siete mai stati, cioè brava gente.”

“Sono sempre i parenti di Mamoru.”

“Ma finiscila con questo perbenismo da paese. Ti ha sempre fatto comodo che la gente pensasse a quanto siete stati buoni e generosi con la famiglia di Erica, ma di lei, di tua moglie, della sua fine e di suo figlio, non vi è mai importato nulla!”

“Una moglie dovrebbe seguire il marito in tutto e invece mi si è rivoltata contro come una serpe ed io non potevo non schiacciarle la testa come meritava.”

“Era una donna giusta ed onesta e gliene hai sempre fatto una colpa. Quando la cacciaste da qui, i miei genitori l’accolsero in casa e fu mia madre a badare a lei fino a quando non fu sufficientemente pronta ad affrontare la vita con Yaten. Ma non si riprese mai del tutto dal rimorso per aver abbandonato Mamoru e il suo suicidio non è stato che l’ultimo atto di una storia drammatica alla quale anche tu hai preso parte.”

“Non puoi imputarmi colpe che non ho! E non puoi pretendere che consideri quel ragazzo figlio mio!”

“O… di colpe ne hai e stai pur sereno, perché Yaten è cresciuto bene anche senza il padre, anzi, sono convinto che mia madre dicesse il vero quando m’impediva di venirti a trovare, quando affermava che voi Kiba siete marci dentro! Ma anche mia sorella Rose aveva ragione nel dirmi che non era giusto che Yaten crescesse senza conoscere la verità, che Mamoru non sapesse che quel ragazzo di tre anni più giovane che molto spesso giocava a calcetto con lui, era suo fratello minore.”

“Rose, la tua sorellastra, voleva solo assicurarsi un posto alla mia tavola.” Osò dire facendogli restringere la giugulare.

“Non permetterti!”

“Non m’interessa con chi quel ragazzo sia cresciuto, se ti consideri uno zio pur non sapendo che lo sei veramente, come non credo sia una cosa tanto drammatica se Mamoru non sappia della sua esistenza, ma ti avverto Max, se veramente conosci la tossicità del sangue che mi scorre nelle vene, sai anche che se rivelerai a mio figlio una cosa come questa o accamperai per Yaten pretese su ciò che è mio, te ne farò pentire per il resto dei tuoi giorni.”

“Io non minaccerei sapendo che il manico del coltello è ed è sempre stato nelle mie mani. Non credo che Mamoru te la farebbe passare tanto liscia se venisse a conoscenza della vera fine di sua madre, di avere un fratello e del fatto che da sempre suo padre sapesse di entrambe le cose.” Max avvertì dallo sguardo dell’altro un violento senso di rabbia, ma anche di frustrazione. L’aveva in pugno.

“Da anni Yaten è a conoscenza che per un crollo nervoso sua madre ha posto fine alla sua vita e non credo che accetterà mai del tutto la cosa, ma ti chiedo Lucas; come la prenderebbe Mamoru? Ha sempre creduto che Erica sia scappata dietro ad un altro uomo abbandonandovi, il che ha sempre fatto di te il buono della situazione, ma se le carte sul tavolino di questa storia gli rivelassero un’altra verità? Ovvero che quella donna è stata umiliata, cacciata e defraudata di un figlio fino ad arrivare all’annientamento psicologico, come la prenderebbe? Quale ruolo andresti a ricoprire? Quello del buono o del… bastardo?”

“Non rimarresti illeso neanche tu! Avresti tutti e due i ragazzi contro.”

Max scrollò le spalle. “Sono pronto ad accettarne le conseguenze, ma vedi, mentre Rose ed io abbiamo tirato su Yaten a pane ed amore, Mamoru non ha avuto la stessa fortuna. Non lo hai mai considerato alla tua altezza ed ha torto, perché è mille volte più in gamba di te, ma ora che è un uomo e lo sente, lo percepisce ogni giorno la differenza che c’è tra voi due, non credo che sarebbe tanto pronto a perdonarti per essere cresciuto senza una madre ed un fratello.”

“Tutto questo per quel maschio mancato di Haruka! Tu sei pazzo!”

“L’aver preso per il collo Haruka o il fatto che Mamoru la scorsa primavera abbia dovuto comprarsi un terreno che alla tua morte gli sarebbe comunque spettato di diritto, sono solo le ultime due gocce in un otre ormai colmo da anni. Mi dispiace solo di non avere avuto il coraggio d’intervenire prima. Rose lo avrebbe fatto. Comunque in una cosa hai ragione; la figlia di Alba e Sante ha molte più palle di te, fratello mio.”

Staccandosi finalmente dal piano della scrivania dov’era stato inchiodato fino a quel momento, Lucas andò a versarsi un altro bicchiere di whisky. “Non posso farlo. Non posso restituire a Tenou il contratto di cessione.”

“Allora non mi sono spiegato.”

Versandosi da bere tracannò il liquido tutto d’un fiato. “Ti assicuro che meglio di così non avresti potuto.”

“Dunque!?” Abbaiò tornando a perdere quella sorta di lucidità che l’aveva accompagnato per tutta la conversazione.

“Non posso ridare ad Haruka niente, perché semplicemente non è più in mio possesso.”

“Hai venduto il suo quarto?” Chiese disorientato.

“Esatto. I suoi terreni, come quelli di Usagi, sono i più redditizi di tutta la tenuta Tenou e come hai detto tu li ho sempre avuto nel mirino, ma ho ricevuto un’offerta alla quale non potevo proprio dire di no.”

“Quanto ti hanno dato?!”

“Abbastanza per convincermi che un pezzo di terra con un vigneto sopra non possa competere con un oggetto come questo.” Abbandonando il bicchiere Lucas aprì una delle tante ante che componevano il mobile estraendone una custodia di raso scuro.

 

 

Due ore prima

 

Michiru svoltò a sinistra seguendo le indicazioni del giovane uomo seduto accanto a lei.

“Avresti dovuto farmi strada con la tua macchina invece di lasciarla sul retro del pub.”

“Ti assicuro che non è affatto un problema.“

“Proseguo fino al bivio?”

“Si. Ti sarai fatta l’idea di uno che si nasconde nell’ombra per sentire i discorsi degli altri, ma ho visto la macchina di Giovanna ferma davanti al pub e volevo scambiare quattro chiacchiere con lei.”

La violinista sorrise non distogliendo gli occhi dalla strada. “E’ capitato anche a me di trovarmi accidentalmente in una situazione simile e per giunta pochissime ore fa, perciò non fartene una colpa. Quello che invece mi sorprende è sapere che tu conosca la vera identità di questo fantomatico Giano.”

Guardando fuori dal finestrino Mamoru disegnò una strana smorfia sul bel viso segnato da due insolite occhiaie. “In effetti fino al giorno della gara brancolavo nel buio, come tutti, poi…”

“E’ per questo che non sei riuscito a chiudere occhio?”

“Si nota così tanto?”

“No, tranquillo. Credo sia soltanto una questione empatica. Anche io questa notte ho subito le stesso strazio. La lancetta della sveglia a ticchettarmi nelle orecchie mentre le civette fuori sembravano divertirsi alle mie spalle.” E questa volta Michiru riuscì a strappargli una sorta di risatina isterica.

“Al bivio immettiti a destra.” Indicò lui usando l’indice.

“A destra? Ma su quella strada non si trovano solamente le masserie Tenou e Kiba?”

“Esatto. Svolta e segui la strada.”

Dubbiosa eseguì prendendo spunto da quell’incontro per ringraziarlo di una cosa. “Quando tua cugina Bravery ha dato quella rivista ad Haruka so che c’eri anche tu e perciò sai anche chi sono. Non ho ancora avuto l’occasione di ringraziarti per essere stato tanto discreto.”

“Figurati, anzi… scusa per non averti riconosciuta, ma a dispetto di mio padre, io di classica non ne so niente e della vita di Seiya ancora meno.” Se ne uscì sincero.

“Non c’è nulla da scusarsi. Non sai quanto per me sia stata una salvezza riuscire a vivere qualche settimana lontano dal clamore delle scene o dalla vita frenetica di una grande metropoli.”

“E da Seiya?”

“E da Seiya. - Confermò rallentando in prossimità della masseria Tenou. - Mamoru…, dove stiamo andando?”

“Non volevi incontrare Giano?”

Ancora più confusa la violinista tornò a concentrarsi sulla strada. Dato uno sguardo al cannellone che l’aveva vista uscire meno di un’ora prima, proseguì con la testa piena di domande. Due chilometri scarsi e si ritrovò davanti alla tenuta dei Kiba.

“Cosa ci facciamo davanti casa tua? Dimmi che non è come penso.”

“Purtroppo si Michiru, è come pensi.”

“E’ stato il signor Max a dirtelo?”

“Figuriamoci, per quanto riguarda certi argomenti Max è una tomba. No, ho semplicemente fatto due più due arrendendomi all’evenienza che mio padre sia una di quelle brave persone che lucra e scommette evadendo le tasse. Sono stato cieco per troppo tempo, ho voluto esserlo, perché chi vorrebbe scoprire certe verità sul conto del proprio genitore?”

Si sentiva dannatamente in colpa nei confronti dei lavoratori della sua azienda, della sua Usagi e di Haruka, che aveva sempre mal digerito quell’unione forse anche per colpa di suo padre.

“Dovrò avere un confronto anche con lei.” Disse sfinito.

“A chi ti stai riferendo?”

“Ad Haruka. Sai, una volta, dopo una bevuta più spinta del solito, prese a vantarsi sul fatto che sapesse chi fosse Giano. Allora pensai ad una presa in giro, alla solita goliardica Tenou, invece alla luce di quanto ho visto il giorno della gara, alla sicurezza con la quale è riuscita a destreggiarsi in questa storia e al fatto che Max le sia sempre stato incollato addosso come a volerla proteggere, non tanto dalla gara, ma da quello che c’era dietro, non faccio fatica a credere che quella testarda sapesse dei traffici di mio padre già da diverso tempo. Ho sempre pensato che il non volere accettare l’aiuto dei Kiba dipendesse dal suo orgoglio o dal fatto che non vedesse di buon occhio la mia relazione con Usagi, invece credo che le motivazioni della sua acredine verso di me, verso noi Kiba, siano dipese dall’essere riuscita a capire, Dio sa come, quanto marcio ci sia nella mia famiglia. E se fossi stato più accorto, forse avrei potuto impedirle di commettere alcune scelte sbagliate. - Alzando una mano verso la strada che si apriva dietro al cancello, le fece cenno di proseguire. - Ma ora andiamo. So per certo che il signore del maniero a quest’ora è nel suo studio.”

“Mamoru…”

“Ti prego, non guardarmi con pietà. Ormai quello che è fatto è fatto.”

Come dirgli che la sua non era pietà, che per Michiru il fatto di non essere riuscito ad aprire subito gli occhi, non fosse un’accusa di complicità, ma l’ovvia reazione di un figlio?

Ingranando la prima la donna sospirò soffermandosi ancora qualche istante in quegli occhi molto simili a quelli di Seiya. “Ricordati solo una cosa; i figli non sono sempre lo specchio dei genitori e l’amarli arrivando a non volerne accettare i difetti, non è una colpa Mamoru.”

Un grugnito e lui tornò in quella sorta di bozzolo nichilista ed asfittico che lo stava avvolgendo da quando aveva parlato con Lucas.

A differenza della masseria Tenou dopo circa cinquecento metri al primo cancello se ne aggiunse un secondo, più moderno, dotato di telecamere e video citofono, unica entrata ad un alto muro di cinta dotato di perimetrale. Mamoru lo aprì con un telecomando estratto dalla tasca dei pantaloni, facendo un cenno di saluto al guardiano seduto poco oltre. Michiru si guardò intorno iniziando a notare parecchie dissonanze rispetto alla tenuta dove stava attualmente vivendo. Tralasciando la sicurezza, tutto sembrava meno rustico e famigliare.Mancavano le curatissime aiuole di Usagi, la musica assordante dello stereo di Minako, i panni ad asciugare di Giovanna e le macchine agricole di Haruka. Era tutto molto silenzioso, quasi asettico e di quell’aria pittoresca che aveva fin da subito catturato il cuore di Michiru, non c’era assolutamente traccia.

Parcheggiarono accanto ad un paio di auto di grande cilindrata scendendo all’unisono. Michiru chiuse lo sportello soffermando lo sguardo al bianco latte dei muri che facevano di quel complesso più una villa che una struttura rustica.

“E’ diversa dalla casa delle sorelle Tenou, vero?” Chiese lui avvicinandosi.

“In effetti.”

“Vuoi che ti accompagni?”

“Non offenderti, ma è meglio che questa cosa me la sbrighi da sola.”

“Per il fatto che sia suo figlio?”

“Si e potrebbe essere doloroso.”

“Lascia però che ti metta in guardia.”

“Su cosa?!”

Posandole una mano sulla spalla scosse la testa convinto. “Sul fatto che ad ascoltarti troverai un muro di cemento armato. Qualunque cifra Haruka sia stata in grado di racimolare per gareggiare alla corsa, non gliela restituirà mai.”

Anche lei sorrise, ma con convinzione. Povero Mamoru, non sapeva nulla del quarto di Haruka. Evidentemente Usagi non gliene aveva ancora parlato ed una volta saputolo si sarebbe sentito ancora peggio.

“Forse saprò essere convincente. Con il lavoro che faccio sono abituata a farmi ascoltare da uomini con un certo potere.”

“Come vuoi. Allora vieni, ti accompagno dentro.”

“Grazie, però prima devo prendere una cosa nel portabagagli.”

Così lui attese facendole poi strada in quella che era la sua casa da quando era venuto al mondo. Ambienti molto curati e ricchi di bellissimi oggetti, ma lontani anni luce dalla villa sfarzosa dove vivevano da separati in casa Michiru e Seiya, tanto che mentre ne oltrepassava la stanza d’ingresso, la donna avvertì un certo pudore. Per avere quella villa ai margini di uno dei quartieri più in della città, aveva letteralmente massacrato l’allora compagno, portandolo allo sfinimento come solamente una donna sa fare. A lui quella struttura a due piani dalla calce chiara non era mai piaciuta, la trovava troppo classica e dispersiva per i suoi gusti. Riservata, certo, ma troppo grande per una coppia e poco pratica per due anime frenetiche come le loro. Parco, piscina olimpionica, stanze per gli ospiti che con molta probabilità non sarebbero mai state occupate da nessuno. Una metratura abnorme assolutamente inutile visto che per gran parte dell’anno erano lontani per lavoro. Ma Michiru aveva tanto insistito e lui avrebbe tanto voluto riempire quegli ambienti con un nuvolo di figli, che alla fine aveva ceduto accontentandola. Ora, camminando lentamente al fianco di Mamoru, la violinista stava irrazionalmente tirando le somme di una vita passata alla quale cercava giornalmente di non pensare.

La venderò quanto prima. Non mi serve più tutta quella roba, dovessi andare a vivere in un monolocale, pensò lei mentre la voce del giovane la riportava lentamente alla sua missione.

“Io mi fermo qui. Se serve mi troverai nello spiazzo. - Disse guardandola con gentile reverenza parlando poi direttamente alla cameriera. - Annunci a mio padre che la signora Michiru Kaiou desidera parlargli. Sono sicuro che la riceverà subito.”

<>”Certamente.”

“Grazie Mamoru.” Lo saluto’ lei seguendo poi la ragazza oltrepassando l’ampio ambiente della sala da pranzo, gettando un’occhiata al camino in pietra da una parte e le scale che presumibilmente portavano alla zona notte, dall’altra.

Arrivate davanti ad una massiccia porta in noce, la cameriera bussò attendendo la voce del padrone di casa. “Signor Kiba, mi scusi, ma c’è una visita per lei.”

“Chi è?” Una voce ovattata arrivò alle due e prontamente la ragazza rispose.

Qualche secondo di silenzio, poi la porta si aprì e Lucas Kiba si trovò davanti agli occhi Michiru che con un piccolo movimento del capo lo salutò sfoderando un bellissimo sorriso.

“Signor Kiba… Mi perdoni l’improvvisata.”

“Per tutti i Santi! Ma è proprio lei?!” Esordì scioccato.

“Si, almeno così dicono.”

Liberando la domestica con un cenno, si spostò da un lato per lasciarla passare. “Devo ammettere che non mi sarei mai aspettato una così gradita ospite, ma prego, si accomodi e perdoni il disordine, ma la mattina ne approfitto per sbrigare le pratiche più noiose.”

“Grazie, le ruberò pochissimo tempo.” Sentendosi studiata come ogni qual volta riusciva a far colpo su un uomo, Kaiou non si scompose affatto, anzi, forte della sua femminilità ed esperienza lo guardò dritto in viso sostenendone lo sguardo scuro.

“Io non so veramente cosa pensare; sono un grande estimatore della musica classica, lo sa? E devo ammettere che le foto sulle copertine dei vinili in mio possesso non rendono assolutamente giustizia alla sua bellezza.”

“Vinili?” Chiese lei soprassedendo al complimento. Come essere umano non sarebbe riuscito a darle vibrazioni positive neanche se fosse stato una brava persona, figuriamoci dopo aver scoperto della sua doppia identità.

“Si, ho una modesta collezione che vanta anche il suo primissimo album.”

“Addirittura?” Non troppo alto, robusto, leggermente stempiato, un viso accattivante, ma null’altro.

“Mi sono stupito quando qualche anno fa ho saputo da mia nipote Bravery, che suo fratello gemello aveva allacciato una relazione stabile con la grande Michiru Kaiou e le ho tirato le orecchie, perché avrei voluto conoscerla anch’io.”

“Negli anni nei quali Seiya ed io siamo stati una coppia, non ho mai avuto il piacere di conoscere Bravery personalmente, perciò non se ne faccia un cruccio signor Kiba.”

“Lucas… La prego. - Spostando leggermente una delle due sedie di fronte alla scrivania, la invitò a sedersi mentre faceva altrettanto andando dalla parte opposta. - Perché sta parlando al passato?”

“Semplicemente perché non ho più nulla a che spartire con suo nipote.”

Lui sembrò dispiacersene. “Non ho rapporti con quel figliolo, perciò perdoni la mia invadenza.”

A prescindere dai suoi traffici, Michiru dovette ammettere che fosse un tipo piuttosto educato. Ci sapeva fare e questo la mise in allerta come la luce di un faro nella nebbia.

“Posso offrirle qualcosa?”

“No, grazie. Come ho già detto non voglio farle perdere troppo tempo, perciò verrò subito al dunque. La mia visita le starà certamente sfarfallando delle domande ed io non sono solita cincischiare quando si tratta di affari.”

“Affari?” Chiese ancor più stupito.

“Non l’annoierò raccontandole del come sia arrivata in questa località o del perché stia attualmente vivendo alla masseria Tenou, ma a prescindere dalla stima che ha o meno per la mia musica signor Lucas, sono venuta qui da lei perché mi preme avere una cosa che le appartiene e sono disposta a pagare il giusto.” Al sentire il cognome delle sue vicine, lo vide cambiare espressione e capì di essere riuscita a catturarne l’attenzione.

Si guardarono nuovamente negli occhi, poi una fragorosa risata inondò tutta la stanza, mentre corrugando la fronte lei ne chiedeva il motivo.

“Mi perdoni per l’uscita poco elegante signora, ma devo ammettere che non avrei mai creduto che Haruka si riducesse a tanto.” Dunque voleva giocare a carte scoperte.

Cercando d’ignorare il profondo fastidio che quella frase sulla bionda le aveva procurato ai nervi, Michiru accettò la partita. “Signor Lucas, prima di continuare vorrei che fosse ben chiaro che Haruka e le sue sorelle non sanno assolutamente nulla di questa mia visita e se lei accetterà quello che sto per proporle, vorrei la sua parola di gentiluomo che non verranno MAI a saperlo.”

“L’ascolto.”

“So da fonti più che attendibili che lei sia venuto in possesso di parte dei terreni della masseria Tenou.” Michiru aveva scelto con cura quella frase che di fatto, non indicava ne che fosse lui l’organizzatore delle corse clandestine, ne l’accusava di chissà quale reato.

“Sta continuando a stupirmi signora Kaiou. - Prendendo un sigaro da una scatoletta d’argento dimenticata sul piano della scrivania, lo alzò leggermente per chiederle il permesso di accenderlo. - Posso?”

“Faccia pure.” Dopo aver individuato la spalla, lo vide tagliarne l’estremità usando abilmente una lama.

“Riconosco sempre un buon affare e quello di accettare la terra della signora Tenou lo è stato.”

Accettare, pensò Michiru rabbiosa. “Vede, anche io credo di avere un certo fiuto per gli affari ed è per questo che vorrei che me li cedesse. In cambio di una cospicua contropartita…, s’intende.”

“Mi faccia capire bene; lei vorrebbe acquisire parte delle vigne della famiglia Tenou?”

“Precisamente.”

“Non sono il tipo di persona che si affeziona alle cose, come ho sempre ascoltato un’offerta, ma lasci che le faccia una domanda; perché una donna come lei vorrebbe entrare in possesso di un pezzo di terra in un buco sperduto come questa località?”

Michiru alzò le sopracciglia fingendo ingenuità. “Trovo che possedere una vigna porti più vantaggi di una buona recensione. Sono molti i personaggi famosi che hanno usato questo tipo di escamotage per farsi pubblicità. O forse è solo un vezzo di una donna che nonostante tutto è ancora molto romantica.”

Lui tornò a ridere, anche se questa volta lo fece con più garbo. “Un vezzo che potrebbe risultare molto costoso signora Kaiou. Sa, quei terreni confinano con parte dei miei e ampliare la produzione della mia azienda vinicola è un obbiettivo che ho da tempo. Perciò mi perdoni, ma non credo che potrò venirle incontro.”

Michiru aveva già calcolato quella mossa. Era scontato che un venditore come lui avrebbe fatto di tutto per alzare il prezzo di un’ipotetica offerta. Doveva perciò ingolosirlo ed essendo un amante della musica classica questo non poteva che giocare a suo favore.

“Credo di avere la contropartita giusta, signor Lucas.” Afferrando la maniglia del piccolo contenitore di raso che aveva portato con se e che aveva abbandonato accanto alle gambe, lo posò sul piano per poi aprirlo.

Da quando grazie ad uno sponsor era riuscita ad averlo ad un prezzo ragionevole, non se n’era mai separata. Non la legava niente a quell’oggetto se non la necessità di esprimere al meglio la sua musica. Poteva benissimo privarsene e per arrivare al suo scopo lo avrebbe ceduto anche al più gretto degli uomini.

Con un’ultima occhiata ne accarezzò le venature laccate ringraziandolo mentalmente per tutti gli anni nei quali l’aveva fedelmente servita, poi senza un ben che minimo rimpianto girò la custodia porgendola all’uomo.

“Se è un buon intenditore saprà anche quanto questo oggetto valga, sia in termini di denaro, che di prestigio.”

Ed in effetti appena letta la placca all’interno della custodia il vecchio Kiba cambiò colorito schiudendo leggermente le labbra.

“Sul fondo troverà la polizza assicurativa e le carte che ne attestano l’autenticità. Francamente non so quanto possa valere una vigna, ma credo che questo oggetto soddisfi una qualsiasi richiesta economica. O sbaglio forse?”

 

 

Due ore dopo

 

Riconoscendo l’involucro di uno strumento Max aggrottò la fronte.

“Vedo dalla tua espressione che hai perfettamente capito di cosa stiamo parlando. Mi ha sempre stupito il fatto che pur non avendo mai ascoltato nostro padre suonare, tu abbia comunque ricevuto un certo amore per la classica.” Canzonò Lucas sorridendo vittoriosamente.

“Un violino?!”

“Non un semplice violino, ma il VIOLINO per eccellenza. - Estraendo con cura lo strumento lo mostrò afferrandolo delicatamente per il manico. - Un paio d’ore fa ho ricevuto la visita di una donna incredibile che ha voluto stipulare con me uno scambio equivalente. In tutta onestà non credo che i terreni della tua protetta valgano tanto quanto questo, ma sta di fatto che ora è LEI ad averne pieno possesso.”

Max socchiuse gli occhi non appena letta la targhetta dorata che riportava il nome della ormai storica casa costruttrice.

“E’ uno Stradivari.” Disse pianissimo mentre Lucas confermava orgoglioso.

“Dei primi del diciannovesimo secolo e se aggiungi che è stato in possesso della grande Michiru Kaiou, ne converrai che per un collezionista vale ancora di più.”

“Ecco perché stavi ascoltando il suo primo disco.”

“Un tributo allo strano senso per affari di quella splendida dea. - Spostando gli occhi dallo strumento a quelli di Max stirò un sorriso vittorioso. - Ora fratello mio … sai dove puoi metterti le tue verità!”

 

 

 

 

Note dell’autrice: Beautiful a me fa un baffo hahaha

Se volete che vi disegni un albero genealogico… Credo di avere esagerato.

Ciau

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Capitolo 14
*** Un proiettile schivato ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Un proiettile schivato

 

Nella masseria Tenou la mattina successiva alla bomba H lanciata da Haruka, tutto si svolse come al solito. Un compito per ognuna ed ognuna concentrata sul proprio compito. Tutte tranne la bionda e la sua frustrante impossibilità nel non potere andare e fare ciò che voleva. Mentre l’ora del pranzo si affacciava, Usagi entrò in cucina vestita del suo completino da lavoro rosa convinta di non trovarci ancora nessuno. Ed invece vide il televisore acceso sul telegiornale, Giovanna ai fornelli e il suo sguardo grigio perso oltre i vetri della finestra a nastro che lasciava inondare di luce tutto l’ambiente.

La maggiore quasi trasalì. “Che spavento! Non ti ho sentita rientrare. Come mai già di ritorno? Credevo ti saresti fermata al ciclo di produzione con Michiru e Minako.”

“Michiru è dovuta andare a fare una commissione personale e Mina è intrattabile. Sarà anche nervosa, ma io non sono certo il tipo da starmene buona e zitta troppo allungo, perciò ho preferito andarmene. Lavorerò da casa.”

”Siamo tutte nervose e Mina non è mai stata brava a reggere lo stress.” Ne convenne Giovanna sospirando.

“Lo so. Si è rigirata nel letto tutta la notte non facendomi chiudere occhio.”

“Anche Haruka, o meglio, ha tentato di farlo, ma il dolore alle costole glielo ha impedito. Così ha grugnito come un cinghiale ferito fino a quando verso le quattro non è crollata.”

La biondina non commentò astenendosi da qualsiasi giudizio. Le verità sapute la sera precedente l’avevano scioccata a tal punto che la sua parte irrazionale, quella ancora adolescente, era corsa in suo aiuto per strapparla alla dura realtà, così non appena Minako aveva spento la luce della loro stanza, si era messa alla finestra a guardare il quarto di luna far capolino da dietro l’orizzonte, perdendosi nel fantasticare sulla vita di coppia che presto avrebbe iniziato con il suo Mamo. Tutto questo finché le luci della piccola cascina dell’uomo non si erano accese al di la del torrente rivelandole il perché non lo avesse trovato a casa per la solita telefonata serale. L’impulso di volerlo vedere era stato forte, ma ancor di più lo era stato il sonno ed una volta appoggiata la testa sul cuscino, si era addormentata inanellando una serie di sogni incoerenti e senza senso.

“Hai fame?” Chiese la maggiore.

“Per niente, anzi, ho la nausea. Quello che è successo ieri è stato allucinante.”

“Io qualcosa la preparo lo stesso. Senti; tu e Mina avete parlato di quello che è successo ieri sera?” Indagò guardinga mettendo l’acqua sul fuoco.

“No. Dopo aver sparato frasi non troppo carine su di voi, credo sia andata a telefonare a Yaten e quando è tornata mi ha dato la buonanotte e ha spento la luce. Questa mattina non abbiamo fatto altro che beccarci, perciò......” E le si avvicinò.

Fantastico, pensò ironicamente l’altra.

Abbassando la voce Usagi le si accoccolò sulla spalla. “Io non credo che Mina abbia ragione. Sul fatto della tua partenza intendo.”

“Evidentemente lei l’ha vissuta così. E mi dispiace.”

“Già. Per me è stato più facile; tre anni fa ero ancora una ragazzina.”

Giovanna fece una smorfia divertita che la sorellina non vide. Era. Ma perché adesso di anni ne aveva cento?

“E su Haruka cosa pensi? Sei d’accordo come lei sul darle la croce o pensi qualcos’altro?”

Si guardarono e poi la più giovane ammise che alla bionda una certa colpa la dava. “Quantomeno avrebbe dovuto parlarcene invece di decidere per tutte, anzi per noi due, visto che tu ne sei stata una degna complice.” Spezzando il contatto affettuoso si allontanò per dirigersi verso l’uscita di servizio.

“Se avessi saputo che la posta per gareggiare era il suo quarto, stai pur certa che le avrei impedito di partecipare alla corsa!”

Fermandosi con una mano già sulla maniglia l’altra si voltò sentendosi triste. “Si, ma non è successo! Tu non capisci Giò! Non si tratta dei terreni di Haruka, ma dell’averci tagliate fuori, come se non facessimo anche noi parte di questa famiglia. - Poi guardandola rabbuiarsi, continuò dopo una breve esitazione. - E si…, è anche un po’ per quelli. Un po’ TANTO. Insomma… Come ho già detto ieri, avete fatto proprio un bel casino e se mamma e papà fossero ancora qui, ve le avrebbero già suonate di santa ragione.” Ed aprendo la porta uscì all’aperto.

“Ma dove vai?”

“Alla cascina di Mamo!”

“E per pranzo torni?”

“Non lo so!” Rispose scocciata prima d’iniziare a correre verso il torrente.

Con i palmi dimenticati sull’acciaio del lavabo, Giovanna costatò per l’ennesima volta quanto il rapporto che legava loro quattro si fosse drasticamente sfilacciato. Abbandonando quello che stava facendo sentì la necessità di andare a vedere come stesse Haruka. In passato era già capitato che le loro discussioni avessero portato a crisi e schieramenti, ma mai si era arrivate ad una così netta distinzione; Usagi e Minako da una parte e lei ed Haruka dall’altra.

Salendo le scale ritornò a mettere in discussione la scelta che lei ed Haruka avevano fatto nel tenere le più piccole lontane da quella storia e per l’ennesima volta si diede dell’idiota. Aprendo la camera che da sempre condivideva con la bionda vide che il letto era vuoto e sfatto.

“Evasione in piena regola. Troppo ha resistito.” Disse alzando gli occhi al cielo tornando giù da basso mentre il suono del brecciolino calpestato dagli pneumatici di una macchina arrivava dallo spiazzo antistante.

Forse è Michiru, pensò provando uno strano senso di riconoscenza per l’equilibrio che quella forestiera stava riuscendo a dare a quella loro casa disastrata.

E di fatti, una volta aperto il portone d’ingresso, la vide scendere dalla macchina che le aveva prestato con un sorriso radioso ad illuminarle tutto il viso. In quel preciso istante Giovanna pensò che tutto sommato, pur nella loro estrema diversità, lei ed Haruka avrebbero fatto proprio una gran bella coppia.

“Sei riuscita a sistemare le tue faccende?” Le chiese poggiandosi all’anta fissa inforcando le mani nelle tasche.

“Si e non avrebbe potuto andare meglio!”

“Meno male, almeno una buona nuova.” Si lasciò scappare.

Kaiou smorzò un poco il sorriso. Era venuta a conoscenza del quarto di Haruka riuscendo a porvi rimedio, ma doveva continuare a far finta di niente, perché non era affatto sicura che quell’invasione, se pur fatta a fin di bene, sarebbe stata accettata. Soprattutto da Haruka e Giovanna. Virando su discorsi lavorativi, l’assicurò che dopo pranzo avrebbe raggiunto Usagi e Minako al ciclo di produzione.

“Non ti conviene, oggi sono parecchio nervose. Fammi invece la cortesia di provare a tenere a bada Haruka. Dovrebbe stare a riposo, invece è già uscita.”

“Come uscita!?”

“Hai capito bene; USCITA e prima che al ritrovarmela davanti la prenda a sganassoni, ti prego Michiru…, credo che in questo momento soltanto tu abbia il potere di farla ragionare.”

L’altra voltò allora la testa verso il muro d’edera che divideva lo spiazzo dallo spicchio erboso che si affacciava sopra la Prima e storcendo la bocca accettò la sfida. “Penso di sapere dove possa essere.”

“Grazie e digli che tra mezz’ora si mangia.”

“Va bene.” Soffiò andando a passo svelto verso il cancelletto oltrepassato il quale, si trovò sul letto erboso di Dicondra che tanto amava sentire sotto la nudità dei piedi prima di coricarsi per la notte, arrivando poi al parapetto in pietra per affacciarvisi e riconoscere le spalle della bionda seduta su uno dei soliti gradini.

Sei diventata prevedibile, pensò con una certa punta di soddisfazione. Scendendo lentamente, la violinista sentì il petto scoppiarle d’affetto al pensare a quanto Haruka sarebbe stata sollevata e felice una volta saputo che il problema che tanto la stava affliggendo non era più tale.

“Buongiorno! Qui si evade?! - Se ne uscì raggiungendola. - Posso sedermi?”

“Certo.” Disse l’altra stirando le labbra continuando a fissare le prime piante della vecchia vigna.

“Pensavo che questa mattina saresti scesa per colazione. Mi sei mancata.”

Haruka aggrottò la fronte. “Posso chiederti una cosa?”

“Dimmi.”

“Perché sei tanto gentile con me? Sono ferita, ma non ancora morta. Mi risolleverò! Non so come, non so quando, ma ci riuscirò, perciò se è pietà quella che provi, ti pregherei di lasciarla per…”

Due dita premute sulle labbra e Michiru l’azzittì prima che potesse tirar fuori qualche altra stupidaggine. “Sto iniziando a capire come sei fatta. So che sei sufficientemente forte per tornare in piedi ed intelligente per capire dove hai sbagliato, ma ho anche visto quanto tu sia orgogliosa e caparbia, perciò è meglio che ti fermi subito prima che tu dica un’inutile cattiveria. - Spostando le dita dalle labbra ai capelli disordinati che le stavano coprendo parte della fronte iniziò a sistemarglieli. - La mia non è condiscendenza, ma affetto. Credevo che ieri fossi stata abbastanza chiara. Ho hai già dimenticato tutto?”

Ma l’altra scansò la testa sottraendosi a quel tocco gentile. “E io ti ho detto che in questo momento non merito l’affetto di nessuno.”

A quella sorta di rifiuto Michiru si accese. “Questo nichilismo idiota non ti fa onore Haruka!”

“Ma che ne vuoi sapere tu!” Sbottò poggiando il braccio sano sulla coscia.

“So che ti senti in colpa e lo sarei anch’io se avessi perso tanto. - All’incrociare improvviso del verde dei suoi occhi continuò con più calma. - Scusami, ma non sono abituata a sentirti parlare così..”

“Scommetto che la grande Michiru Kaiou non avrebbe mai compiuto un’azione tanto folle!”

“Guarda che di casini ne ho commessi anche io, perciò finiscila!”

“A si?! Hai mandato a puttane l’attività di famiglia facendoti odiare dalle tue sorelle?”

“No, ma avrei anche potuto se la mia madre biologica non mi avesse scaricata al mio primo giorno di vita! - Le ringhiò contro sentendosi le lacrime agli occhi perché quel tasto era ancora troppo doloroso. - Ma se proprio lo vuoi sapere, anche con i miei genitori adottivi non è sempre tutto rose e fiori, anzi, da quando ho lasciato Seiya mia madre non fà altro che spalleggiarlo dando a me la colpa di tutto, mentre mio padre è convinto che il non avergli ancora sfornato un erede, dipenda solo ed esclusivamente dal mio utero ostile! E lui si che mi guarda con pietà, come se non fossi sufficientemente donna da poter assolvere ad una delle cose più nobili e belle della natura.”

Haruka deglutì a vuoto. “Michiru io… non ne avevo idea, scusami.”

“Non importa, ma non è questo il punto. Devi cercare di capire che anche se hai fatto scelte sbagliate, rimani sempre una brava persona che non deve cadere nell’errore di soppesare un pezzo di terra, anche se prezioso, con l’amore delle sue sorelle.”

Dopo questo sfogo ci furono alcuni secondi di silenzio, poi, perdendosi nella Prima, Haruka ammise che Seiya Kou era un vero cretino. “Come ha potuto lasciarsi scappare una donna come te!? Se fossi la mia compagna avrei piu' rispetto per il tuo cervello e l'empatia che dimostri verso gli altri. Mi ricordo poco di lui. L’unica immagine che ho è di averlo sempre visto con un libro in mano seduto all’ombra di qualche albero durante le estati che da ragazzo passava qui con la sorella, perciò credevo fosse un tipo intelligente.”

Un armistizio. Un armistizio che fece sorridere Michiru a tal punto che il nervoso provato in quel rapido scambio di battute, cedette il posto ad una strana e calda serenità d’anima.

“Lo sai che alle volte sei impossibile?”

“Io sono adorabile…, bisogna solo sapermi prendere.” Ed un sorriso guascone, anche se spezzato da un’immensa tristezza, le velò le labbra mentre l’altra si rialzava.

“Non è il caso che con il costato ancora gonfio tu te ne vada in giro. Devi riposare. La vendemmia è alle porte e non puoi permetterti di non prenderne parte. O sbaglio?”

Emettendo nell’aria calda un profondo sospiro, Haruka tornò ad incurvare la schiena. “Non so che fare.”

“Anche se non potrai essere parte attiva del raccolto non resterai certo con le mani in mano.”

“Non intendevo per la vendemmia. Non so che fare per raddrizzare le cose, Michiru.”

Da qualsiasi punto di vista la si guardasse, perdere il venticinque percento di un’attività come quella avrebbe gettato scoramento in chiunque. Kaiou non poteva fargliene una colpa.

“Troverete una soluzione, ma se questo non dovesse accadere, andrà bene lo stesso, perché siete e rimarrete sempre una famiglia e te lo dico con il cuore Haruka, questa è la cosa più importante di tutte. - Porgendole la mano le sorrise incoraggiandola. - Adesso vieni. Il pranzo è quasi pronto. Credo che Giovanna abbia bisogno di un po’ di compagnia e di saperti al sicuro dentro quattro mura.”

Stringendole il palmo la bionda si rimise lentamente in piedi, forse non soltanto fisicamente, ma anche un po’ emotivamente. Michiru Kaiou non era brava solo a far vibrare un archetto sulle corde, a saper interagire con le persone o a saper chiudere un affare d’oro, ma riusciva a leggerle il cuore come pochi altri.

“Certe volte mi sembra di sentir parlare Rose.” Disse strizzando gli occhi al dolore che continuava a provare al fianco.

“La tua mentore? Per me è un complimento bellissimo, grazie.”

“Non credere, aveva un caratterino dittatoriale, sai?”

“Sempre meglio. Continua, mi piace.”

Haruka si fermò guardandola. Era di una bellezza impareggiabile. “Sei incredibile, ma come fai?!”

“A far che?” Chiese furbescamente.

A farmi provare quello che sto provando ora, pensò. Ma non disse nulla. Non sarebbe stato da lei dire simili smancerie senza averle prima catturato le labbra. Scuotendo leggermente la testa tornò a salire lasciando Michiru a guardarle le spalle.

 

 

 

Yaten la guardò uscire dagli uffici Tenou con un viso accigliato che era tutto un programma. Era bella la sua Minako. Proporzionata, un viso lineare e pulito, impreziosito da due splendide gemme azzurre. E poi c’erano i capelli, lunghi, lisci e biondi come l’oro zecchino, la cosa che, oltre ad un carattere di fuoco e fiamme, l’avevano portato negli anni, prima a volerle bene come amico e poi ad amarla come uomo. Non appena avesse potuto farlo le avrebbe chiesto di andare a convivere, avrebbero preso un appartamento più grande del monolocale nel quale stava accampato da un paio d’anni e avrebbero messo su famiglia, lentamente, senza fretta, facendo le cose per bene.

Questo almeno fino a qualche giorno prima, quando una serie di notizie avevano drasticamente rivoluzionato tutti i sogni che come coppia avevano. Non ultima, la questione della corsa clandestina e dell’incertezza sulla sorte dell’azienda vinicola Tenou che una disperata Minako, tra un singulto rabbioso e l’altro, aveva cercato di spiegargli la notte precedente. Una telefonata a tarda sera che aveva tirato giù Yaten dal suo comodo letto per portarlo a sbiascicare un pronto non proprio del tutto convinto.

“Amore, sei tu?! Ma cos’è successo? Perché mi stai chiamando a quest’ora? Stai bene?” Le aveva chiesto stropicciandosi un occhio non ancora del tutto vigile.

Così quel giovane uomo che aveva fatto del lavoro un rimedio ad un dolore non ancora pienamente accettato e dell’amore verso quella creatura non sempre dolce, la sua stella polare, aveva ascoltato sempre più sconcertato la notizia che a stretto giro avrebbe decretato la fine di molti dei suoi sogni. Haruka aveva dato via il suo quarto e con i terreni rimanenti difficilmente le altre sorelle sarebbero riuscite a concludere in positivo una stagione già colpita dal temporale di qualche settimana prima.

“Novità?” Chiese lui staccandosi dalla sella della moto che faticosamente, ma orgogliosamente, era riuscito a comprarsi l’anno precedente.

“No. Quello che dovevo dirti te l’ho già detto ieri.”

“Non hai parlato con Haruka?”

“E a che scopo?! Dai, portami via. Devo allontanarmi da questo posto. Sto male.”

Corrugando la fronte la guardò improvvisamente preoccupato. “Dovresti andare a farti vedere.”

“So già che cos’è!”

“Quando lo dirai alle tue sorelle?”

“Quando sbollirò. Ora come ora non ho voglia ne di vederle, ne tanto meno di parlarci. Anzi, posso venire a stare da te per un po’?”

Offrendole un casco alzò le spalle divertito. “Lo sai che mi casa est tu casa. Ma prima o poi dovremmo affrontare la cosa.”

Afferrando il casco se lo calzò con rabbia. “Che si fottano!”

Yaten non replicò, troppo bene conosceva quella Erinni. Minako aveva ragione; doveva sbollire e solo dopo, forse, sarebbe stata pronta per affrontare le sorelle maggiori, ed in particolare Haruka, che quanto a caratteraccio era anche peggio di lei.

Inforcando quella vecchia Yamaha che proprio grazie alle mani di Haruka era riuscito a riportare in vita, attese le braccia della sua donna cingergli la vita e partendo la portò lontano dal mondo che Minako stava vedendo disgregarsi davanti ai suoi occhi.

 

 

Passarono altri due giorni e la situazione in casa Tenou non migliorò, ma grazie al cielo non peggiorò nemmeno. Nella fremente attesa di ricevere notizie dal suo Notaio, Michiru cercò di sostituire al meglio Minako, che avvertita Usagi con una breve quanto esaustiva telefonata, si era data malata abbandonando momentaneamente la baracca. La diciassettenne era rimasta talmente male dal voltafaccia della sorella, da rifugiarsi frignando tra le braccia di Mamoru.

“Non può lasciarmi sola proprio adesso! - Aveva urlato la biondina all’indirizzo dell’uomo all’indomani della sparizione di Minako. - Dice di avere un problema, ma anche IO ne ho!”

“Forse ha solo bisogno di un po’ di tempo per digerire il fatto che con molta probabilità questa sarà la vostra ultima vendemmia. Cerca di portare pazienza tesoro.”

“Lo so, ma è proprio per questo che ora più che mai dovremmo essere unite!”

“Già, ma almeno voi potete dire di essere ancora una famiglia.”

“Cosa intendi? Hai nuovamente litigato con tuo padre?” Gli aveva chiesto spostando immediatamente l’attenzione dai suoi problemi a quelli del suo uomo.

Ma Mamoru non le aveva detto nulla del vecchio Kiba e del patto fatto con Haruka e non perché gli mancasse il coraggio o non sentisse la necessità di farlo, tutt’altro, ma perché proprio come Minako, anche lui aveva bisogno di ordinare per bene i suoi sentimenti e capire quale passo successivo fare nei confronti del genitore

Così per la prima volta da quando Alba e Sante avevano iniziato a fare i viticoltori, per tutta l’azienda si respirò un’aria strana, quasi innaturale. La notizia della cessione del quarto di Haruka era naturalmente rimasta tra i più intimi della famiglia Tenou, Max e Mamoru in testa, ma più di un dipendente aveva iniziato a farsi delle domande sul perché proprio su quei terreni non ci fosse ancora una squadra che li stesse preparando per l’imminente raccolto. In più mancava un coordinamento, una testa che riuscisse a gestire tutto quanto, ovvero quello che la bionda aveva fatto negli ultimi tre anni. Così Giovanna, che sempre aveva mal digerito dare comande pur avendone pienamente il titolo e la bravura, chiese a Michiru di aiutarla nella speranza di far quadrare almeno la tempistica delle cose più importanti, come i B and B per gli stagionali, la registrazione dei loro contratti, la revisione delle macchine agricole che sarebbero servite per le varie lavorazioni e il numero preciso di bottiglie da ordinare per l’imbottigliamento del vino.

“Sarà anche una gran zuccona, ma Haruka è sempre stata portata per l’organizzazione.”

In quel sabato pomeriggio dal cielo un po’ velato, Giovanna salvò il file per incrociare gli occhi stanchi della donna seduta accanto a lei.

“Porta pazienza, abbiamo quasi finito. Quante squadre hai detto che servono per il raccolto?” Le chiede Michiru dall’alto della sua efficientissima razionalità.

“Dunque, fammi pensare. Di solito dividevamo la tenuta in quattro parti lavorandone due per volta, Ma visto che la parte che era di Haruka non va più considerata, a questo punto farei lavorare solo una squadra.”

“Questo vuol dire che alcune persone dovranno restare a casa.”

“Già e comunicarglielo con la vendemmia alle porte è una vera carognata.”.

Maledicendo la lentezza del suo Notaio, Kaiou cercò allora di temporeggiare. “Lo immagino, ma dimmi piuttosto…, come sta il Landini?”

L’atra scoppiò a ridere neanche avesse chiesto di un parente. “Ho saputo che quella pazza te lo ha fatto guidare più di una volta.”

“E credo si aspetti che lo faccia ancora.”

“Ci mancherebbe! Le tue dita valgono un patrimonio e non le rischierò per mettere in scena la parodia della bisbetica domata. Dai, cerchiamo i nomi degli stagionali ai quali dovrò dire di non venire.”

“Non puoi aspettare ancora un po’?” Chiese mordendosi il labbro inferiore.

“Prima si fa e meglio è, così forse potranno trovare lavoro altrove. Non dai nostri vicini però, visto i macchinari spettacolari che il vecchio Kiba ha comprato ultimamente.” Canzonò provando una certa punta d’invidia per quelle terre tanto redditizie.

Chissà se Mamoru ha poi avuto occasione di confrontarsi con il padre per la storia della vendemmiatrice semovente, pensò Giovanna scartabellando i fogli sparpagliati sulla scrivania.

“Per favore Michiru, aiutami a trovare quei contatti telefonici. Una volta fatte le telefonate vorrei avere il tempo per passare alla serra a controllare le piantine della First delight.”

La violinista prese l’occasione al volo e sapendo quanto quelle persone sarebbero servite, spinse Giovanna a lasciarle il compito. “Posso pensarci io.”

“Ma sei sicura?”

“Certo, non preoccuparti. Sono stagionali che lavorano con voi tutti gli anni, per me sarà meno gravoso. Vai alla cantina.”

Un tantino interdetta l’altra accettò ringraziandola e schernendosi sul fatto che una volta decretato il fallimento dell’azienda di tutte quelle splendide piantine di vite non ci avrebbero più fatto nulla, uscì dallo studio avvertendo il primo brontolio di un tuono.

“Per fortuna c’è lei. Con Haruka fuori gioco e Minako desaparecidos, quella donna è l’unico appiglio che mi resti.” Si disse uscendo di casa puntando la sagoma della bionda accanto alla porta della rimessa.

“Questa mattina mi avevi promesso che non saresti uscita di casa!” Urlò per farsi sentire ricevendo in cambio un gestaccio.

“Se aspetti che le macchine si revisionino da sole… Invece di sbraitare, perché non vieni a darmi una mano?! Con un braccio solo faccio fatica sai?”

“Voglio andare alla serra.” Tagliò corto imboccando la discesa per la valle.

“Che diavolo ci andrà a fare se tanto presto saremo costrette a svendere?!” Soffiò rientrando nella rimessa non accorgendosi che da una delle finestre dello studio, Michiru la stava guardando con la cornetta del cordless stretta nella mano.

 

 

Giovanna ci mise una vita. Tutto il pomeriggio passato ad annotare dati sulla crescita delle piantine e a parlare della temperatura ottimale per serra con l’agronomo dell’azienda. Nervosa ed abbastanza sicura dell’inutilità di quel lavoro, fece ritorno a casa all’ora di cena, proprio mentre le prime goccioline di una pioggia carica di calore iniziavano a scendere da un cielo ormai plumbeo.

Camminando a passo svelto lungo la pendenza del declivio, inquadrò le luci del loro studio ancora accese. Non le piaceva l’idea che Michiru si fosse soverchiata dell’ingrato compito di avvertire gli stagionali che non avrebbero collaborato con loro, ed ancora meno il sapere che Haruka se ne stava a briglie sciolte con cacciaviti e chiavi inglesi per le mani. Strafava sua sorella, lo aveva sempre fatto e per i più disparati motivi, poi una volta fattasi male, andava a rifugiarsi in qualche tana per leccarsi le ferite. Perciò armatasi di tutta la scarsa pazienza che madre natura le aveva concesso alla nascita, una volta oltrepassato e chiuso il cancello dello steccato, si diresse alla rimessa con l’intenzione di trascinarla a casa.

”Haruka?” Chiamò mentre una chiave inglese faceva un disgraziato carpiato volando fuori dal portone.

“Porca puttana lurida!”

Giovanna la evitò per puro miracolo. “Ma che sei scema?!”

Non essendosi assolutamente accorta dell’altra, la bionda sobbalzò per la sorpresa. “Ah… sei tu.”

Ah, sei tu, un accidente! Per un pelo non mi fracassavi la testa! Vedi di stare più attenta quando ti prendono i cinque minuti.” Raccogliendo l’attrezzo ed entrando al coperto, se lo pulì sui jeans prima di ridarglielo.

“Scusami. Non ti ho sentita arrivare.” Abbastanza frustrata per l’impossibilità di utilizzare anche il braccio sinistro, riprese la chiave abbandonandola sul telaio del trattore.

“Perché stavi smoccolando tanto?”

Smorfiando il viso la bionda indicò il tutore lasciando che si rispondesse da sola. “Posso immaginare che sia dura, ma l’unica cosa che adesso puoi fare è quella di portare pazienza. Ti aiuterò io con le manutenzioni. Devi solo dirmi cosa fare.”

Sospirando Haruka non rispose. Il non poter lavorare concedeva alla sua mente troppo tempo per pensare e facendolo si ritrovava a colpevolizzarsi e questo, giusto o sbagliato che fosse, non andava bene.

“Hai già avvertito gli stagionali che non ci servono?” Le chiese Haruka dopo qualche secondo.

“In realtà lo sta facendo Michiru. Si è offerta e vigliaccamente ho accettato.”

Uno sguardo duro disegnò il bel viso della bionda, ma non giudicò Giovanna. Poteva capirla. “Sono l’ultima persona che possa dire qualcosa in merito. Se Kaiou si è offerta allora vuol dire che se la sentiva..”

“Si, ma la trovo comunque una cosa ingiusta, ed è per questo che ora andrò a…”

“E’ pronta la cena! Haruka, dai, muoviti!” Il richiamo di Usagi riecheggiò per tutto lo spiazzo nonostante il brontolio di tuoni sempre più vicini.

Le due si guardarono stirando le labbra. Con molta probabilità Minako non si sarebbe fatta viva neanche quella sera, ma almeno sarebbero state in quattro. Uscendo corricchiarono verso casa arrivarono appena in tempo per evitare il primo scroscio d’acqua.

Usagi le lasciò passare richiudendo poi il pesante portone d’ingresso. “Ci sei anche tu? Non ti ho visto arrivare.” Disse la minore sorridendo a Giovanna.

Il cuore di Usagi era così; incapace di rimanere per troppo tempo arrabbiato.

“Vado a lavarmi le mani e arrivo.” Baciandole la fronte la maggiore raggiunse Haruka su per le scale ed una volta infilato qualcosa di pulito, entrarono in cucina trovando Michiru ad aspettarle già seduta a tavola.

“Ben tornate.”

“Sei poi riuscita a chiamare gli stagionali?” Chiese Giovanna crollando sulla sua seduta.

Non avrebbe voluto, ma Kaiou continuò a mentire conscia del fatto che fosse a fin di bene. “Ho ricevuto una telefonata dal mio agente, ed è stata piuttosto lunga. Scusami. Sarà la prima cosa che farò domani.”

“Spero nulla di grave.”

“No, ma devo giustificare il fatto che non stia lavorando.” Rispose mentre Usagi poggiava alla sua destra un invitante piatto da prima portata.

“Ma tu sta lavorando.”

“Si tesoro, ma qui…”

Rimanendo con il mestolo a mezz’aria, la biondina la guardò sbigottita tanto che Haruka continuò spiegandole a cosa stesse alludendo.

“Michiru è una violinista. E’ questo che fà per vivere ed essendo anche piuttosto brava, credo che abbia accanto parecchia gente che lavora con lei. Giusto?” Una domanda retorica visto che una volta che le era stata sbattuta in faccia la verità dalla sua ex, si era fiondata su internet spulciando ogni sito parlasse di Michiru.

Un gridolino stile groupie e Usagi andò in visibilio. “Ma dai, davvero?! Ecco perché ti sei immediatamente innamorata di quel vecchio violino in soffitta!”

“Già.” Confermò la donna alzando il suo piatto.

“Ma so che i musicisti dovrebbero esercitarsi tutti i giorni.” Chiese stupendo l’altra.

“In effetti… credo di essermi un po’ arrugginita.”

“Allora perché dopo cena non ci suoni qualcosa?”

“Usa non iniziare a darle il tormento! E poi lo sai che qui in campagna ci si corica presto.”

“No Haruka, non è un problema, anzi, mi farebbe piacere. Ha ragione, dovrei riprendere ad esercitarmi un po’.”

“Tanto più che prima o poi dovrai far ritorno sul palcoscenico.” Rincarò Giovanna guardando prima Kaiou e poi la bionda, che abbassando la testa prese a mangiare non parlando più.

Era vero, prima o poi Michiru sarebbe dovuta tornare alla sua vita ed il fatto che per la prima volta stesse manifestando la voglia di fare esercizio, non era altro che l’ennesima conferma che con quel posto, quei tralci di vite, la grande dea dell’archetto non c’entrava assolutamente nulla.

Haruka s’incupì. Erano ancora vivide in lei le sensazioni forti che la melodia emessa dalle corde di quel vecchio violino le aveva procurato dentro nell’unica volta che l’aveva sentita suonare e la cosa la urtava. Se lo stava ripetendo da settimane; quello non era il momento per pensare all’amore, ne di provare a capire cosa stesse frullando nel cuore di quella donna tanto tremenda e meravigliosa.

Da sole, nella sua camera da letto mentre stava aiutandola a vestirsi, Michiru le aveva lanciato più di un segnale. Allusioni neanche troppo velate che se fossero venute da un’altra donna, Haruka non avrebbe tardato a raccogliere. Sul terreno di caccia non aveva mai avuto esitazioni di nessun genere ed il suo fascino androgino l’aveva sempre aiutata. Se una donna le piaceva era lei la prima a farsi sotto ed etero o meno che fosse la sua preda, mai nessuna si era lamentata dopo aver conosciuto le sue carezze. Anzi. Ma in quel caso, in quello specifico momento, le cose si erano fatte dannatamente complesse. La storia del suo quarto, la stagione compromessa ed il consequenziale fallimento che l’azienda Tenou avrebbe dovuto dichiarare da li a breve, costringevano un’Haruka ormai stanca di tutto, a tentennare davanti ad una possibile ulteriore sofferenza. Sicura che Michiru non stesse giocando, non poteva però altrettanto esserlo sul fatto che non fosse anche lei caduta vittima di una momentanea infatuazione saffica. Non era più il tempo delle storielle da una sera e via, ne tanto meno da una stagione. Se doveva mettere il cuore in discussione, Tenou lo avrebbe fatto solo ed esclusivamente con una donna che l’amava veramente, che condivideva i suoi stessi progetti di vita, cosa che ora come ora la violinista non sembrava poterle dare.

Nonostante il repentino cambio d’umore della bionda la cena si svolse tranquillamente fino alla frutta, quando il rumore di un motore irruppe nel chiacchiericcio femminile istauratosi attorno alle tendenze musicali del momento.

“Chi può essere a quest’ora?” Chiese Usagi alzandosi da tavola per andare ad aprire alla porta.

“Un rompiballe!” Rispose ferale Haruka cercando faticosamente di sbucciarsi una mela.

“Forse è Mina.” La imitò Giovanna mentre saluti entusiasti arrivavano dall’ingresso e la bionda sbuffava di rimando.

“No, è Kiba.”

Ed infatti un Mamoru bagnato dalla testa ai piedi fece capolino da dietro lo stipite della cucina. “Buonasera.”

“Salve Mamo. Qual buon vento? Vuoi favorire o hai già mangiato?”

“Non preoccuparti Giovanna, ho già cenato grazie. Sono passato nella speranza di potervi parlare un attimo. Lo so che l’ora è indecente per gente come noi.”

“Se lo sai allora potevi aspettare domani.” Ruminando come un bue Haruka lo guardò storto sperando di toglierselo dai piedi, anche se sapeva che quando ci si metteva di buzzo buono, quell’uomo era più fastidioso di una zecca sul dorso di un cane.

“Haru non essere acida!” La rimproverò Usagi.

“No, ha ragione, ma vedete…, domani devo andare in Comune per richiedere delle carte e non posso più convivere con questo macigno nel petto.”

A quelle parole la bionda poggiò il coltello e il frutto nel piatto dandogli la più completa attenzione. Quando Mamoru era così serio aveva sempre paura che ci fosse di mezzo anche la sorellina.

“Siamo tutt’orecchi. Sputa il rospo.”

Un respiro più pronunciato degli altri e l’uomo sparò la cartuccia. “Qualche giorno fa ho parlato con mio padre… E’ lui l’uomo che tutti chiamano Giano. Quello che ha organizzato la tua corsa Haruka e perciò anche quello che attualmente ha le tue quote.”

Usagi e Giovanna sgranarono gli occhi per la sorpresa mentre stranamente Haruka riprese a mangiare svogliatamente la sua mela come se nulla fosse.

“O Mamo, ma come… Ne sei proprio sicuro?”

“Si Usa. - Poi rivolgendosi a Giovanna si scusò mortificato per non essersene accorto prima. - Te l’avevo detto che c’era qualcosa che non andava, ma non avrei mai pensato ad un simile giro.”

Haruka guardò storto la maggiore, ma non commentò. Non le piaceva l’idea che Usagi venisse toccata da quell’uomo e men che mai che Giovanna gli fosse amica. Con il suo branco la bionda era un tipo geloso e possessivo, poco importava che si trattava d’amore o d’amicizia. Riusciva a tollerare Yaten forse solo per il fatto che fosse stato cresciuto da Max e Rose e poi Minako non gli stava sempre incollata addosso come invece stava facendo ora la piccola di casa con il suo principe azzurro.

Toccando il cotone fradicio della maglietta di Mamoru, Usagi gli chiese di togliersela. “Giano o non Giano se non ti togli subito questa roba fradicia ti prenderai un malanno.” E con quei piccoli artigli che erano le sue dita riuscì a sfilar via parte del cotone rivelando al pubblico femminile presente una parte dei muscoli dell’addome dell’uomo.

“Usa, fermati!”

“Non essere sciocco, qui siamo tutti una famiglia.”

“Un cazzo! Io sto ancora mangiando! - Sbottò Haruka scattando dalla sedia arpionandosi il costato. - Usagi, vedi di finirla e tu Kiba, ora che hai detto quello che dovevi puoi anche tornartene a casa!”

Il tono fu talmente imperioso e freddo che la diciassettenne si bloccò immediatamente dimenticando le mani sulla pelle dei fianchi di Mamoru.

Giovanna fu lesta a bloccare immediatamente quella che sembrava in tutto e per tutto una pericolosa energia repressa. “Haru basta così! Hai capito cosa Mamo ci ha appena detto? Suo padre è la testa pensante che da anni controlla le corse clandestine della zona.”

“E allora?”

“Ma cosa ti prende?! Mi sembra una notizia più che grave.” E si alzò da tavola anche lei.

“Per noi non cambia niente!”

“Non intendevo dire questo.”

“Dunque finiscila tu! Quel che è fatto è fatto e chi sia Giano a me non frega un emerito.”

“A meno che tu non lo sapessi già. - Tagliò corto l’uomo. - Non è vero Haru?!”

Con tutti gli occhi dei presenti improvvisamente puntati contro, Haruka si bloccò di colpo mentre lui azzerava la distanza con continuando ad incalzarla. “Questo spiegherebbe tante cose.”

E lei ne sostenne lo sguardo. “A si? Illuminami.”

“Ti conosco da sempre e so quanto tu possa essere gelosa nei confronti delle tue sorelle e ci sta, non lo posso capire perché figlio unico, ma ci sta. Come ci sta che al sapere delle mie prime uscite con Usagi, tu possa aver pensato che vista la disparità d’età, l’avrei fatta solo soffrire. Ma sta di fatto che hai continuato a mantenere una certa calma. Non eri troppo soffocante e se pur controllandoci a distanza, non hai mai interferito più di tanto. Poi, da un giorno all’altro sei diventata peggio di un mastino, non hai più visto in me solo un uomo più grande che stava uscendo con tua sorella, ma un vero e proprio nemico.”

“Conclusione?!” Ringhiò sottile stringendo il pugno destro abbandonato lungo il fianco.

“Tu avevi scoperto i traffici di mio padre ed è per questo che volevi che mi allontanassi da Usagi. E ora mi spiego come tu sia riuscita a farti ammettere alla gara.”

“Haru è vero? Sapevi già che questo Giano fosse il signor Lucas?” Le chiese Usagi.

La bionda non rispose subito, ma rilasciando il tremore che aveva nel pugno tornò a sedersi. Quanto aveva avuto paura che prima o poi nei giri disonesti del vecchio Kiba ci sarebbe andata di mezzo anche sua sorella. E ancora ne aveva.

“Si. L’ho scoperto una sera, mentre me ne stavo per i fatti miei a farmi una passeggiata al crepuscolo. Ed è allora che è successo. Riconoscendo una delle macchine della famiglia Kiba ferma sul ciglio della strada e pensando ad un guasto, mi sono avvicinata aggirando un canneto. Ancora seminascosta ho scorto le sagome di due uomini che lavorano per voi ed una terza, quella di uno del Direttivo della Cooperativa. Oltre a vedere sono anche riuscita a sentire. Il poveretto che stavano prendendo a pugni, doveva una grossa cifra al signor Giano, cifra che non era ancora stato in grado di saldare. Non mi è servito altro per fare tutti i collegamenti del caso.”

“Avresti potuto dirmelo!” Se ne uscì lui alzando improvvisamente il tono.

“Che cosa? Che tuo padre è uno strozzino?! Uno che se non pagato fa spezzare ai suoi le ossa della gente?”

“Ma cosa dici…”

“E si, mio caro Mamoru, mettiamo anche questo all’interno del calderone di profondissima merda che ristagna nella tua famiglia. Tuo padre presta soldi ad usura ai viticoltori della Cooperativa e scusami tanto se non ti ho informato subito, ma sai, avevo un tantito paura per me e le mie sorelle.”

Giovanna rabbrividì al solo pensiero di quanto Haruka fosse stata vicina dall’essere risucchiata in quel vortice.

“Credi che se tuo padre fosse stato una brava persona non avrei accettato l’aiuto che voleva darci la primavera scorsa? Lo so che avete pensato tutti che il mio rifiuto fosse dettato solo dalla spocchia, dalla superbia di credermi chissà chi. Ma guarda un po’, non è così!”

Detto ciò Haruka si sentì improvvisamente meglio. Si era appena tolta un piccolo sasso dalla scarpa. Ne aveva combinate tante negli ultimi tre anni di gestione a capo dell’azienda, scelte che se fosse potuta tornare indietro non avrebbe rifatto, ma per alcune di queste, come per esempio il rifiuto di farsi aiutare dal vecchio Kiba, ne sarebbe sempre andata fiera.

Avvicinandosi alla sua sedia Usagi le mise una mano sulla spalla sorridendole. Quanto si erano scontrate e quanto ci erano state male. Ora la piccola di casa ne conosceva il vero motivo.

Perdendosi in quell’azzurro tanto puro, la bionda alzò il braccio sano accarezzandole una guancia. “Questo è un patto fra sorelle; ci si protegge sempre, anche a costo di non essere capite. Giusto piccoletta?”

“O Haru…” E l’abbracciò forte.

“Va bene, va bene, ma resta il fatto che TU sei ancora minorenne e LUI è troppo vecchio!" Rimarcò la bionda con pudore.

Giovanna interruppe l’idillio chiedendo all’uomo cosa intendesse fare ora che sapeva tutta la verità e nuovamente l’attenzione si concentrò su di lui, che alzando le spalle ammise di non saperlo.

“Se lo denunciassi e Dio solo sa quanto vorrei, tutti i nostri collaboratori rischierebbero il posto di lavoro e questo non deve accadere.”

“Ma non puoi neanche esserne complice!”

“Lo so… Praticamente sono nella merda.” E la risatina isterica che gli uscì dalle labbra spinse Uragi a staccarsi dalla bionda per andare a consolarlo.

Proprio in quel momento il video citofono collegato al cancello trillò sul lato sinistro del portone.

“Più che una masseria, questa sera sembriamo una stazione.” Ci scherzò su Haruka mentre Michiru si alzava per andare a vedere chi fosse.

Conosceva già la risposta, meno di tre ore prima si era attaccata al telefono per questo ed una volta aperto al corriere, nel petto provò una gioia indescrivibile.

“Chi è?” Le chiese la bionda dalla porta della cucina.

“Una raccomandata.”

“Oddio… La banca.” Lamentò Haruka mentre la raggiungeva seguita dagli altri.

Il ragazzo arrivò, consegnò, si fece firmare la ricevuta, ringraziò e si dileguò nella pioggia correndo verso il suo furgone. Un plico giallo, affrancato ed indirizzato alla famiglia Tenou venne girato e rigirato tra le mani scettiche di Giovanna fino a quando un’esasperata Haruka non glielo strappò dalle mani.

“Tolto il dente, tolto il dolore. Tanto peggio di così..." Ed aprendo malamente estrasse una decina di fogli ricchi di bolli e firme notarili.

“Che cavolo è?!” Chiese Usagi mentre man mano che leggeva la fronte della sorella si corrugava sempre più.

“Haru… Allora?” Incalzò anche la maggiore.

“Io non vorrei sbagliare ragazze, ma… questo sembra proprio un atto di cessione.”

“Cessione di cosa?!”

“Guarda, leggi qui.”

“Con la presente si prende atto che il terreno di ettari cento, coltivato a vigneto da produzione, sito in località Bel Vedere, è stato ceduto come proprietà esclusiva…- Giovanna si bloccò un istante raddrizzando la spina dorsale. - … alla signora Haruka Tenou."

“Cosa! - Esplose Haruka prendendo il foglio continuando. - Il presente documento è stato autenticato e registrato in data odierna e presenta gli estremi di ... donazione anonima.”

La bionda ebbe nuovamente tutti gli occhi puntati contro quando, scuotendo la testa, iniziò a balbettare parole senza senso all’indirizzo del vecchio Kiba.

“Brutto bastardo, che cos’è uno scherzo?! Un gioco?! Che sono io, il giochino di un cane da masticare e sputare in giro a proprio piacimento?!"

“Calmati e cerchiamo di riflettere. - Disse Giovanna frastornata. - Credo che qualcuno ti abbia voluto salvarti le chiappe.”

“Haru, allora adesso che i terreni sono nuovamente tuoi non saremo più costrette a dichiarare fallimento?” Chiese Usagi.

“Si. I debiti con la banca rimangono, ma se riusciremo a fare un buon raccolto potremmo galleggiare ancora per un po'. Questa volta credo proprio di aver schivato il proiettile.” Ammise illuminando il volto con un sorriso radioso condito da un anomalo luccichio degli occhi.

“Allora faremo una buona vendemmia! Menomale che non abbiamo bloccato l’arrivo degli stagionali.” Sottolineò con entusiasmo l'altra.

E mentre Mamoru cercava di capirci qualcosa e la piccola di casa se l’abbracciava forte, Giovanna ripensò alla frase appena pronunciata dall’amico, un angelo a guardarti le spalle ed istintivamente guardò verso la violinista che se ne stava composta ad un lato del quartetto.

“Già… E’ stata proprio una fortuna non aver fatto quelle telefonate.” Mormorò socchiudendo gli occhi a quelli altrettanto profondi dell’altra.

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** La piuma della libertà ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La piuma della libertà

 

Dopo l’ovvio momento d’euforia seguito alla notizia che il quarto che Haruka aveva perso era ritornato in suo possesso, tutto sembrò prendere i contorni di un vero e proprio rompicapo. Erano veramente poche le persone che avrebbero potuto fare per la bionda un gesto simile, ma nonostante questo a distanza di ore ancora, non se n’era venuti a capo.

Per non lasciare nulla d’intentato, l’indomani la prima cosa che Haruka aveva fatto era stata quella di far visita al signor Lucas Kiba, alias Giano, il quale, sempre parecchio indaffarato, l'aveva liquidata senza mezzi termini con una frase abbastanza criptica condita da una sonora risata di scherno. Pur se i principi ispiratori dei suoi affari non erano mai stati del tutto cristallini, in vita sua non aveva mai contravvenuto alla parola data, così, quando una Tenou sul piede di guerra gli aveva intimato di dirle chi fosse il compratore che aveva rilevato le sue quote, lui freddamente e senza far trasparire alcun cenno di titubanza, l'aveva caldamente invitata a lasciare la sua proprietà.

Così, con ancora quel tarlo nella testa, imbestialita per il trattamento ricevuto e l’arroganza con la quale quel coriaceo bastardo aveva difeso l’identità del compratore misterioso, due ore dopo Haruka si era fatta accompagnare dalla seconda persona che a suo modesto parere, avrebbe potuto essere abbastanza pazza da gettare al vento i suoi soldi, ovvero Max, ed ora era li, presso il suo pub, pronta ad una nuova indagine.

Accendendo la freccia di sinistra, Giovanna attese il passaggio di un autoarticolato prima d’immettersi nella piazzola di sosta che si apriva davanti al locale dell’uomo. “Per me stiamo perdendo solo tempo. Max non avrebbe una cifra del genere neanche se vendesse baracca e licenza.”

“E Dio voglia sia così!” Le rispose la sorella slacciandosi la cintura di sicurezza per poi uscire lentamente dall’abitacolo.

Anche Giovanna, come Haruka, aveva pensato e ripensato a quella storia per gran parte della notte e come unico risultato si era fatta venire solo un gran mal di testa. Oltre a Lucas e poco concretamente Max, solo Michiru avrebbe potuto permettersi di comprare i terreni della sorella. Ma a tal riguardo la donna era ancora alquanto scettica, perché a parte un paio di sguardi riusciti a scorgere nella forestiera ed il suo tergiversare sulla storia delle telefonate agli stagionali, nulla la portava a supporre che dietro la donazione ci fosse proprio la violinista.

Le due trovarono l’amico concentratissimo nell’inventario settimanale. Tra un fusto di birra irlandese ed una di ottima bionda tedesca, le salutò entusiasta nel vedere finalmente Tenou in piedi.

“Chi ti ha detto che potevi andartene in giro!?” Redarguì abbandonando sul bancone la lista che stava controllando.

“Il dottor buonsenso. Non facciamo di un paio di costole un dramma, anzi scusa se siamo venute a disturbarti. Lo so che il giovedì ti arrivano i nuovi carichi.”

“E tu sai che mi fa sempre un gran piacere vederti, ma se sentivi la mia mancanza avresti anche potuto farmi una telefonata.”

“Lo so, ma non potevo aspettare. Devo chiederti una cosa e voglio che tu mi risponda guardandomi in faccia.”

Stupito da quell’improvvisa determinazione, l’uomo fece cenno alle ragazze di sedersi.

Haruka non sapeva come iniziare il discorso e così fece come sempre, ovvero prendendo di petto l’argomento un po’ alla come viene viene ed iniziando a far tamburellare l’indice sul legno del tavolo sputò una frase senza capo ne coda.

“Ti assicuro Max che se hai venduto il pub per fare una stronzata simile, la nostra amicizia è bella che finita.”

Un paio di secondi di assoluto vuoto mentale e l’uomo esplose un cosa che azzerava qualsiasi replica.

“Forse dovresti spiegarti un tantino meglio Haru.” Suggerì la sorella massaggiarsi la fronte.

“Non sei tu il donatore misterioso?!”

“Ma..., donatore di cosa?”

“Del suo quarto. Ieri sera è arrivata alla masseria una raccomandata con un contratto di donazione anonima a suo nome.” Chiarì Giovanna.

“Vuol dire che hai nuovamente il tuoi terreni?”

“Si e visto che non è stata una buona azione di Giano, pensiamo sia stato tu.”

Lusingato, ma rammaricato di non far parte di quel mistero, Max alzò le spalle ammettendo la sua più completa estraneità.

“Anche vendendo tutta la baracca non avrei mai una somma pari ad un terreno come il tuo.”

“O porca e allora chi è stato!”

“Chi se ne frega. Ora l’importante è sapere se le carte che avete sono tutte in regola.”

“Lo sono. Questa mattina, prima di passare dai Kiba, Giovanna ed io siamo state dal nostro Notaio, che già messo al corrente dal collega di questo fantomatico papà Gambalunga, ci stava venendo ad informare della veridicità dell’atto.”

Max guardò Giovanna che lo stava fissando con gli avambracci ben piantati sul piano. “Allora anche tu sai chi sia Giano?!”

“Si e da ieri sera lo sa tutta la famiglia. Incluso Mamoru.”

La reazione dell’uomo fu fulminea. “Haruka non avresti dovuto! Passi per le tue sorelle, ma non avevi il diritto di sbatterlo in faccia anche a quel povero ragazzo.

“Guarda che IO non ho detto niente a nessuno e anche se mi scoccia ammetterlo, quel ragazzo, che poi è un uomo fatto, è stato abbastanza sveglio da capire da solo in che razza di giri stia trafficando da anni suo padre.”

Povero figlio, pensò Max abbassando lo sguardo. E quella dei traffici illeciti era solo la punta dell’iceberg.

“Perfetto! Adesso siamo nuovamente da capo a dodici.” Sbottò la bionda rilassando la schiena sul legno della traversa.

“Hai pensato che potrebbe essere stata un’idea del Presidente dei viticoltori della zona? Non credere che l’identità di Giano sia poi tanto segreta.”

“Non lo credo affatto, anzi sono sicurissima che negli anni molti di noi gli abbiamo chiesto aiuto per tirare avanti. Proverò, ma dubito fortemente che sia stata un’idea dei membri della Cooperativa. Ognuno ha i suoi problemi d’affrontare e con le congiunture economiche attuali, perché aiutare una casa vinicola concorrente?”

“Non essere così cinica Haruka, Max ha ragione. In fin dei conti i nostri genitori sono sempre stati rispettati da tutti e in cooperativa papà ha ricoperto per anni il ruolo di segretario. Potrebbe essere un’idea.”

“E io ho detto che ci proverò Giovanna.” Tagliò corto sentendosi ancora con le spalle al muro. Una sensazione questa che dall’alto del suo spirito libero la bionda aveva sempre mal digerito.

Salutando e ringraziando Max per il tempo loro dedicato, le due sorelle uscirono dal pub puntando dritte al ciclo di produzione. Avevano una vendemmia da far decollare e tante speranze da realizzare. L’amico le vide risalire in macchina e partire. Era felice. La notizia che gli avevano dato non avrebbe potuto essere più bella, anche se avvolta da uno stranissimo alone di mistero.

Riprendendo l’inventario del magazzino anche lui iniziò a riflettere su chi potesse essere stato l’artefice di quel miracolo. C’era sempre Michiru Kaiou e la strana richiesta che gli era venuta a fare qualche giorno prima.

Vorrei che mi organizzasse un incontro con l’uomo che qui tutti chiamate Giano.” Ricordò perdendo lo sguardo alle doghe di legno del pavimento e al leggero pulviscolo che stava danzando tra il chiaroscuro dell’ambiente.

 

 

La fase impegnativa della vendemmia iniziò qualche giorno più tardi. Non appena fu appurato che i chicchi della Prima risparmiati dal temporale erano arrivati ad una completa maturazione, alla masseria Tenou si diede il via al tempo del raccolto dei grappoli su tutti i terreni e finalmente la macchina che avevano tanto faticosamente programmato iniziò a muoversi. Raccolto a mano, trasporto delle cassette alla cantina, separazione degli acidi dal raspo e pigiatura in macchina. Tutto eseguito in tempi abbastanza rapidi per non compromettere la fragranza dell’uva e tutto perfettamente sincronizzato grazie ad anni d’esperienza. Un via vai continuo di gente su e giù per i campi resi fangosi dalle prime piogge autunnali.

Pur essendo stata informata da Giovanna della donazione anonima, Minako non volle ascoltare le scuse di Haruka, ne tanto meno muovere un passo di riconciliazione facendo ritorno a casa. Decisa a rimanere nell’appartamento di Yaten, si limitò ad affrontare con serietà il compito che l’era stato assegnato ai nastri della diraspa montati dietro al ciclo di produzione, mitigando con il lavoro duro i danni che il confronto con la sorella le aveva provocato al cuore. Anche se di carattere estremamente affettuoso e solare, se ferita, Minako poteva arrivare ad un vero e proprio mutismo adolescenziale. Lo sapevano tutte, la bionda per prima, tanto che dopo i primi fallimentari contatti, la più grande aveva deciso di lasciarla in pace.

Le uniche due che avevano la fortuna di scambiare con Mina qualche parola, erano Usagi e Michiru. Agli occhi di Haruka aveva dell’assurdo che proprio la donna che la sorella aveva tanto ostracizzato all’inizio, avesse in un certo senso preso un posto nel suo cuore. Forse quello che la bionda non voleva capire era che, nonostante fosse ormai un’adulta, al pari di Usagi anche Minako necessitava ancora bisogno di una figura femminile di riferimento. A vederle lavorare insieme nessuno avrebbe mai pensato che fino a qualche settimana prima ci fosse stata tra loro una specie di guerra fredda. Affiatate oltre ogni più rosea previsione, le si vedeva parlottare e dirigere il lavoro ai nastri con una sincronia quasi perfetta, tanto da generare nell’animo di Haruka una vera e propria intifada.

“Non fartene un cruccio e pensa a lavorare.” Suggeriva Giovanna conoscendo la sua indole gelosa.

E così Haruka abbassava la testa tornando a guidare il suo Landini nonostante le costole ancora le dolessero e con il sudore, il tutore le prudesse da morire e le rendesse la guida un inferno.

Questo per la prima settimana, superata la quale Haruka iniziò a dare cenni d’insofferenza. Vogliosa di riappacificarsi con la sorella e bramosa di avere dalla violinista un confronto che le facesse finalmente capire come potersi muovere in campo affettivo, dopo l’ennesima giornata sfiancante decise di affrontarle entrambe andando alla cantina. Inzaccherata e stanca le vide salutarsi proprio davanti alla vetrata dell’ingresso.

“Mi raccomando Mina. Non farmi stare in pena. Riguardati.”

“Michiru sarei un’adulta. Non ho bisogno di raccomandazioni.”

“Lo so, ma tu stai attenta lo stesso. Ti stai strapazzando troppo.”

Minako non rispose a quel richiamo per i suoi gusti anche troppo materno, ma comunque sorrise alla gentilezza con la quale l’era stato detto. In fin dei conti le piaceva quella dolcezza che nulla aveva di più diverso degli approcci gutturali di Haruka, quelli militareschi di Giovanna o all’immaturità ancora insita nella piccola Usagi.

Guardando in direzione della strada vide la moto di Yaten alzando istintivamente un braccio. “Ora vado. Ci vediamo domani.”

“Sicura di non voler passare da casa? Alle tue sorelle farebbe piacere.”

“Non me la sento, non ora! Comunque a Usagi telefonerò più tardi.” Facendo un passo indietro aspettò che la moto del suo uomo le si fermasse davanti.

Afferrando il casco penzolante dal manubrio si voltò per un’ultima accortezza. “Mi raccomando Kaiou…, acqua in bocca. Mi fido, non deludermi.”

Anche se a malincuore l’altra la rassicurò muovendo lentamente la testa. Non era certo il tipo da spezzare una promessa e Minako era stata piuttosto chiara; degli affari suoi nessuno avrebbe dovuto sapere nulla, in primis le sue sorelle.

Un saluto di Yaten e partirono entrambi. Respirando profondamente la forestiera li guardò andare via avvertendo la voce affannata di Haruka chiamarla da lontano.

“Hei Michiru!”

“Ciao.” L’accolse stupita, ma contenta perché non l’aveva vista per tutto il giorno.

“Era Mina quella che ho visto andar via?” Domanda inutile, ma che le serviva per affrontare il discorso.

“Si.”

“Non tornerà neanche questa sera, vero?”

Toccandole affettuosamente un braccio la violinista forzò le labbra in un sorriso. “Cercate di portare pazienza.” E il brivido scaturito da quel tocco fu per entrambe fortissimo e totalmente inaspettato.

“E… tu… torni?”

“La mia camera non c’è più?” Chiese scherzando.

“No, non intendevo questo. Volevo dire… se ti va di tornare insieme. O devi esercitarti anche questa sera?”

Indaffarate durante il giorno e troppo stanche la sera, non si vedevano che per cena. Praticamente il tempo di un’oretta prima di andare a dormire. Inoltre con gli esercizi al violino che Michiru aveva ripreso usando come perfetta cassa acustica l’ingresso del ciclo di produzione, dall’inizio del raccolto non riuscivano a scambiarsi nulla di più di un buongiorno e un buonasera. Era ritornata a fare musica, rigorosamente dopo il lavoro alla cantina e in una zona dove sapeva che non avrebbe incontrato o disturbato i lavoratori del turno serale, ma questo iniziava fisicamente a pesarle.

“Dovrei, ma per questa volta non importa. Ho voglia di stare un po’ con te! - Ed infilando il braccio sotto quello dell’altra quasi le si accoccolò addosso. - Prima però devo andare a prendere il violino. L’ho lasciato nell’ufficio di Usagi.”

“Va… bene. Ti aspetto.”

Corricchiando all’interno entusiasta come una ragazzina, Michiru salì velocemente le scale dai gradini di vetro ritrovandosi in men che non si dica sul ballatoio che portava agli uffici e proprio in quel momento la suoneria del cellulare dimenticato in una delle tasche della gonna iniziò a suonare. Da qualche giorno aveva preso a portarselo sempre dietro, come non faceva più dalla sera della festa di gala. Gli ultimi accadimenti in casa Tenou e le sue conseguenti scelte professionali, la stavano pian piano riportando alla sua vecchia vita. Sapeva infatti che prima o poi i doveri che ancora aveva con la U.A.F. sarebbero venuti a bussarle alla porta sotto forma di telefonata. E puntuali…

Mandando un’imprecazione mentale al ponte telefonico dove si era agganciato il suo cellulare, lo prese rispondendo al numero che purtroppo conosceva fin troppo bene. “Ciao… Ti avrei contattato a breve. Possiamo sentirci tra cinque minuti?”

Il tempo di entrare all’interno della reception e Haruka se la vide davanti dopo aver sceso la scala in stile Hollywood. Bella da far paura anche dopo lo sfinimento di una giornata come la loro.

“Pronta?”

“Haruka… Scusami, ma…” Il suo repentino cambio d’umore fecero drizzare le antenne della bionda.

“Che c’è? Hai cambiato idea?!” Le chiese già sul piede di guerra. Con la violinista era tutto così difficile. Mai aveva sudato tanto per capire le intenzioni di un’altra donna.

“No, ma devo fare una telefonata importante.”

“Non puoi farla da casa? Non abitiamo mica nella giungla.”

“Gli uffici del mio agente stanno per chiudere e …”

“Il tuo agente è ancora Seiya Kou?!”

Michiru sbatté forte le palpebre per l’improvvisa freddezza della sua voce. “Per ora… si.”

“A…, capisco. Allora sarà meglio che vada, non vorrei disturbare. Ci vediamo a cena.”

“Haruka, cosa ti prende?! E’ solo lavoro.” Ma la bionda non si degnò neanche di replicare dal tanto nervoso che le stava formicolando nelle mani.

Spingendo forte il telaio metallico della porta d’ingresso, si dileguò verso la valle con la velocità di un fulmine.

Sei impossibile, pensò l’altra tornando a salire i gradini non capendo perché quella benedetta donna fosse sempre tanto impulsiva.

"Va bene, allora dopo aver sentito Seiya mi eserciterò un pò."

Un paio d’ore più tardi, alle ultime note vibrate al crepuscolo che stava ammantando tutti i vigneti di scuro, Michiru si rese conto d’aver fatto tardi. Saltato il ritorno a casa sotto braccio di Haruka e dovuto per forza di cose sentire Seiya, aveva deciso di concentrarsi sulla sua musica, coccolando il vecchio violino di casa Tenou con una dedizione ed un amore straordinari. Dal suono non certo paragonabile al suo Stradivari, quello strumento stava però regalandole un vibrato nuovo, un calore che rendeva la sua musica meno cristallina, ma sicuramente più corposa. Come un buon bicchiere di vino invecchiato con cura. Solo un orecchio assoluto avrebbe potuto notare la differenza, eppure Michiru era soddisfatta e sentiva di avere acquisito un qualcosa di nuovo. Naturalmente sarebbe stato assurdo attribuire una tale evoluzione solamente ad un vecchio pezzo di legno. Anche lei era cambiata, era diventata più calda, più recettiva e sicuramente più empatica con il mondo.

Quando il suono sgraziato del motore della macchina di Giovanna le arrivò alle orecchie, ringraziò il cielo che qualcuno fosse venuto a prenderla. Non le piaceva tornare a casa attraverso i campi con il buio. Non tanto per chissà quale fobia, ma in alcune sere senza luna non si vedeva letteralmente dove si mettevano i piedi.

Scorgendo la sagoma della donna spuntare dalla porta la salutò riponendo il violino nella custodia.

“Meno male che non sei ancora andata via. Ho fatto una corsa.” E se la rise soddisfatta di averla finalmente trovata da sola. Erano giorni che voleva parlarle.

“Ho appena finito.”

“Quella gran zucca vuota di Haruka mi ha fatto intendere che se non fossi venuta a prenderti mi avrebbe pestata.”

“Avrebbe anche potuto farlo lei!” Rispose seccata.

“Avete discusso?”

“Io proprio non la capisco. Ha per me pensieri adorabili e con la stessa facilità s’imbestialisce per un non nulla.”

“Posso chiederti cosa sarebbe questo non nulla?”

“Il mio ex! L’ho dovuto sentire per lavoro.”

“E lei ha girato i tacchi e tanti saluti.”

Michiru alzò allora le sopracciglia fingendosi sorpresa. “La conosci bene.”

“Anche troppo. Comunque cerca di non prendertela. Più Haruka si comporta da schizzata e più vuol dire che tiene ad una persona e lasciamelo dire… , a te tiene molto.”

“Anche io tengo a lei, ma certe volte è talmente irritante. Non farà sempre così, vero?”

“No.” Disse avvicinandosi continuando tra se e se; appena avrà capito cosa provi per lei, sarà tutta un'altra musica vedrai.

Guardando la custodia Giovanna riconobbe a stento il vecchio violino di famiglia. “Come l’hai pulito bene! Come ti sembra il suono?”

“Un po’ pastoso, ma devo ammettere che mi piace.”

“Nulla a che vedere con lo splendido pezzo d’epoca che ti vidi suonare in Cile, giusto?”

Michiru sorrise chiudendo le fibbie a scatto. Erano talmente diversi che a parte tutto, non sarebbero mai potuti essere comparati neanche se quello della famiglia Tenou fosse stato creato da un famoso mastro liutaio.

“Il mio strumento era fatto con un legno diverso e aveva una cassa meno pronunciata.”

“Era? Non lo suoni più?”

“L’ho dato via… Si è fatto buoi. Sarà meglio andare prima che la cena si raffreddi ed Haruka diventi ancora più intrattabile.”

Seguendola Giovanna non demorse sinceramente interessata. “Non mi dire che suoni uno di quei violini moderni dal telaio in carbonio, perché proprio non ti ci vedo.”

“No. In questo sono abbastanza tradizionalista. Solamente una volta mi è capitato di suonare uno strumento moderno, duettando con Seiya in un'apparizione televisiva ed anche se non lo rifarei mai, devo ammettere che è stata un’esperienza piuttosto interessante. - Fermandosi di colpo alzò l’indice della destra. - Ma rimanga tra noi.”

“Puoi scommetterci.” E scoppiando a ridere uscirono al fresco della sera.

La maggiore delle sorelle Tenou non soltanto non difettava d’intuito, ma amava anche moltissimo leggere i romanzi gialli o guardare le serie poliziesche basate sugli intrighi investigativi e se Michiru lo avesse saputo, avrebbe evitato con tutte le forze quell’innocente chiacchierata. Così, appena fuori dalla cantina, Giovanna si trasformò improvvisamente in una detective alla C.S.I.

Decisa a scoprire se fosse l’amica a nascondersi dietro la maschera del donatore misterioso, cambiò improvvisamente discorso esprimendo un sincero e convinto ringraziamento. “Parlo a nome di tutte nel dirti quanto la nostra famiglia ti sia riconoscente Kaiou. Non potremo mai ricambiare ciò che hai fatto.”

Per snidare la verità, perché non servirsi della sottile arte del bluff? Se Michiru fosse stata estranea ai fatti si sarebbe visto subito e al massimo Giovanna avrebbe fatto una gaffe, mentre se fosse stata la vera artefice della donazione, davanti al fatto compiuto non avrebbe potuto che ammettere il gesto.

Ottimo programma, ma Michiru era un tipo tosto, abituata alla dissimulazione in anni di duro esercizio in giro per il mondo, così rispose a quell’affermazione come nel più classico dei copioni. “Non capisco. Io sto solamente facendo il mio lavoro. Come tutti d’altronde.”

“O si e lascia che ti dica che mi hai sorpresa moltissimo. Hai un'innata capacità gestionale che ci sta facendo molto comodo, ma in realtà non mi sto riferendo alla vendemmia.”

“A no?”

“Michiru… - Bloccandola per un braccio la fissò intensamente. - … avanti non prendiamoci in giro. Sappiamo entrambe chi si celi dietro il donatore misterioso.”

A quelle parole l’altra distolse lo sguardo e per una frazione di secondo la vena della fronte le saltò dalla rabbia. Lucas Kiba non era stato di parola! Ora non le rimaneva altro che continuare a fingere.

“Avete scoperto chi sia?” Chiese ingenuamente.

E lo disse con talmente tanto stupore che improvvisamente Giovanna dovette riconsiderare tutti i ragionamenti fatti negli ultimi giorni. E se mi stessi sbagliando? Eppure chi altro se non lei!? Concentrati. Gioca d’astuzia.

Un profondo respiro e mettendo su il tipico sorrisetto proprio della bionda, continuò quell’informale interrogatorio cercando di non scomporsi. “Siamo noi due sole Michiru, senza Haruka, Minako o Usagi. Noi due sole.”

“Non offenderti, ma credo tu stia prendendo un granchio.”

“A si? Mi sto sbagliando anche nel saperti un tipo troppo preciso per anteporre i suoi affari a quattro telefonate?”

“Ti ripeto che per quelle mi dispiace, ma non tutti i mali…”

“… vengono per nuocere? Avanti, non hai chiamato quegli stagionali perché già sapevi che ci sarebbero serviti. E poi c’è lui…”

“Lui, chi?”

“Giano. - La vide serrare la mascella e capì di poter proseguire su quella strada. - Sono poche le persone che possono dire di avergli fatto cambiare idea. Sei stata fenomenale. Incosciente, ma fenomenale.”

Fu allora, sentendosi ormai chiusa in un angolo e consapevole di essere stata tradita dal vecchio Kiba, che Michiru si arrese. Allargando un poco le braccia ammise la sua intromissione.

“Gli avevo chiesto di non far trapelare la cosa, soprattutto con voi. Non è stato di parola e avrei dovuto aspettarmelo da un tipo come lui. Ma ti chiedo di credermi se ti dico che anche se mi sono permessa, l’ho fatto con tutto l’affetto e la riconoscenza che ho verso la vostra famiglia.”

Di colpo l’altra sbiancò arretrando di un passo. Altro che C.S.I.; Giovanna Tenou aveva fatto centro!

“O cazzo Michiru… Ma allora sei veramente TU il donatore.”

“Come, scusa? - Portandosi una mano alla bocca sgranò attonita il cobalto dei suoi occhi. - Fammi capire …; stavi BLEFFANDO?”

“Porco mondo infame, certo che stavo bleffando. Io ci ho solo provato! Avevo dei sospetti, ma mai avrei pensato di aver ragione! Quando è arrivata la raccomandata abbiamo fatto tutti i salti di gioia mentre l’unica che sembrava non essere sorpresa eri tu! Siamo state dai Kiba, da Max, persino al Consorzio dei Viticoltori della Provincia e tutti ci hanno detto di non saperne nulla. Non mi rimaneva che provare con te.”

“Allora il signor Kiba…”

“Quel disgraziato è stato una tomba anche quando Haruka gli è andata sotto a brutto muso. Ma porca puttana Michi! Cosa ti è saltato in testa!”

Colta alla sprovvista Kaiou si sentì un’allocca. Ci era cascata con tutte le scarpe. “Non credevo sapessi bleffare così bene. Ascoltami; io volevo solo aiutarvi.”

“E lo hai fatto e Dio solo sa che te ne saremo per sempre grate, ma la riconoscenza non basterà mai a restituirti quanto hai speso. Ma lo sai quanto stanno all’ettaro i vigneti della nostra zona?!”

“E’ per questo che non volevo che lo veniste a sapere! Non voglio assolutamente che vi sentiate in debito.”

“Ma ci sentiremo sempre in debito e sarà difficilissimo restituirti in tempi brevi tutto quel denaro. Abbiamo ancora i conti in rosso e il mutuo sulla masseria da estinguere.”

Stringendole le spalle Michiru si fece improvvisamente seria. “Non mi dovete nulla! Con il signor Kiba abbiamo solo fatto uno scambio, perciò… finiamola qui Giovanna!”

Anche l’altra si fece seria e socchiudendo gli occhi le chiese quale fosse stato lo scambio.

“So trattare con gente come Lucas Kiba, perciò nulla di compromettente. Solamente un oggetto che per lui avrebbe potuto valere più della vigna di Haruka.”

E l’intuitività di Giovanna tornò ad aiutarla. “Non dirmi il violino che ti vidi impugnare a Santiago?”

“Si. Ma prima di dare nuovi cenni di squilibrio devi sapere che quello Stradivari mi fu pagato da uno sponsor dopo l’incisione del mio secondo album, perciò…”

“Uno STRADIVARI!” Urlò sempre più allucinata.

“Giovanna calmati!”

“Calma cosa! Quegli strumenti valgono una fortuna!”

“Non tutti! Il mio era un ottimo pezzo, ma non tanto antico da stare in un cavò di una banca svizzera. Lo scambio è stato equo e ha soddisfatto entrambe le parti.”

“A bene, allora mi sento meglio!” Sfotté sarcastica andando verso l’auto.

“Giovanna, ti prego.” Un lamento più che una preghiera.

“No! Giovanna niente! Questa volta sarai tu a spiegarlo alle mie sorelle ed in particolare ad Haruka che stai pur certa, orgogliosa com’è non gradirà la cosa.”

“E se rimanesse tra noi?”

A quelle parole l’altra si fermò voltando lentamente il busto. Già con le chiavi della macchina in mano, strinse le labbra leggermente delusa. “Non chiedermi di mentire alle mie sorelle. Mi sono ripromessa di non farlo mai più.”

Dispiaciuta Kaiou capì. Essendo figlia unica non si era mai trovata nelle condizioni d’ingannare il sangue del suo sangue o di omettere un qualcosa di tanto importante per un’intera famiglia. Scusandosi cercò comunque di procrastinare il più possibile la cosa.

“Ho capito. Lo farò se pensi sia utile. Ti prego solamente di aspettare fino alla fine della vendemmia.”

“Perché?”

“Perché allora sarà il momento di lasciare la vostra casa.”

 

 

Non sopportava gli ospedali. Non sopportava quel posto perché le ricordava la fine tragica dei suoi genitori. Non sopportava lo stare ferma ad aspettare i comodi degli altri, guardando il via vai di gente che sembrava fregarsene della quantità sproporzionata di tempo che qualcuno le stava facendo perdere. Non sopportava la calma serafica che sembrava aver messo su Giovanna, che a braccia conserte la guardava dal suo comodo appoggio ricavato in un angolo del muro di una delle stanze del reparto di ortopedia e non sopportava più il medico che stava cercando di liberarla dal supplizio di quello stramaledetto tutore. No, in realtà lui stava solamente facendo il suo dovere, ma non sopportava il fatto che, per ovvi motivi, la stesse palpeggiando dappertutto. Lei, bizzoso cavallo sempre accaldato, iniziava a sentir freddo seduta sul lettino vestita solamente di una canottiera. Freddo e nervi; un binomio al limite della soglia di sicurezza.

Cercando di restare calma e di non piantare un pugno in bocca all'ortopedico, si concentrò sui poster attaccati ordinatamente alla parete che aveva di fronte a se. Raccomandazioni sulla guida. Disegni di ossa, cartilagini, muscoli, tendini e ancora ossa. Poco oltre, proprio dietro le spalle del medico, uno scheletro in resina a figura intera, che dal suo ghigno beffardo sembrava stare sul punto di riderle in faccia.

Ridi pure… Guarda come sei finito… Lo schernì mentalmente tornando a guardare storto l’uomo in camice bianco di qualche anno più grande di lei.

“Abbiamo finito?!” Tirò fuori dai denti fulminandolo.

“Ancora un po’ di pazienza signora Tenou.”

Sto gran cavolo, pensò mentre lui le afferrava il polso sinistro per permettere al gomito di piegarsi e stendersi completamente.

“Prova dolore o fastidio?”

“No, nessuno.”

“E le costole? - Toccando non certo delicatamente sul costato iniziò a spingere. - Mi faccia un paio di profondi respiri, per favore.”

Inalando l’ossigeno richiesto la bionda vide con la coda dell’occhio la sorella sogghignare.

Imbecille anche tu e stupida io che mi sono fatta accompagnare!

“Perfetto. Non sento ematomi, però sarà il caso che le segni le prime cinque sedute di fisioterapia.”

Fu un attimo e dallo sguardo torvo da serial killer la donna passò a quello sorpreso di una bambina. “In che senso? Non mi aveva detto che avrei dovuto fare della fisioterapia.”

“Era scontato. Con una situazione come la sua va sempre seguito almeno un ciclo di fisioterapia. E’ la prassi, ma vedrà, ne troverà giovamento.” E come se la cosa non fosse minimamente messa in discussione, andò alla scrivania iniziando a scrivere sul suo ricettario.

Ad Haruka, stizzita oltre ogni dire, non rimase altro che tornare ad indossare la sua camicia conscia del fatto che con gli ultimi giorni di raccolto, nessuno si sarebbe mai azzardato ad imporle un’assurdità del genere.

Presa la ricetta, ringraziato ed uscite dalla struttura, le due sorelle si diressero a passo svelto verso il parcheggio. Non guardandosi intorno che lo stretto necessario per un urtare qualcuno, sbagliare percorso o finire sotto un’ambulanza, si ritrovarono in men che non si dica di fronte alla loro auto.

“Diamoci una mossa. Max mi aspetta.” Ordinò la più giovane ricordandosi dell’appuntamento che l’amico le aveva dato la sera precedente.

Telefonando a casa Tenou verso l’ora di cena, aveva chiesto ad Haruka di raggiungerlo al pub l’indomani mattina.

“Lo so che sei impegnata con le ultime fasi del raccolto, ma non ti farò perdere troppo tempo. Devo solo restituirti una cosa che hai lasciato qui qualche tempo fa.”

“Non posso venirla a prendere il prossimo sabato sera?”

“Vorrei dartela il prima possibile, o finirò per dimenticarmene. Te la porterei io, ma con l’arrivo degli stagionali ogni sera qui c’è il pienone.”

“Va bene. Domani ho il controllo all’ospedale. Appena finito faccio un salto.” Aveva assicurato salutandolo.

Così imboccando la Provinciale arrivarono al locale dell’amico meno di mezz’ora più tardi. Max se le vide arrivare sorridendo al passo spavaldo che avevano. Ognuna a suo modo assomigliava alla madre e nello specifico Haruka, che nel modo di camminare con le mani ben piantate nelle tasche le ricordava anche un poco Rose.

“Allora me la offri una birra?” Guascona gli porse il palmo della destra salutandolo con la solita stretta generosa.

“No, devi guidare.”

“Mi sono portata apposta lo chauffeur.” Ed indicando con il pollice Giovanna si prese una piccola rivincita sui ghigni che le aveva sentito fare per tutta la visita.

“Se non la pianti, lo chauffeur ti molla qui!”

“Mamma mia, che avrò detto mai!”

“Guarda, meno male che ti hanno tolto il tutore. Francamente mi ero rotta di scorrazzarti dappertutto.”

Seguendo Max sul retro, Haruka continuò a stuzzicare. “Come ho guidato il Landini, avrei anche potuto guidare quel catorcio che ancora ti ostini a chiamare auto.”

“E adesso me lo dici?!”

“Ragazze, se avessi voluto sentire donne battibeccare, avrei preso moglie e sfornato figlie.”

Intuita la sottigliezza le due lo guardarono azzittendosi di colpo.

“Brave. Ora va meglio. Allora Haru, ecco la cosa che ti sei dimenticata.” Fermandosi davanti ad una cerata verde militare l’uomo sorrise afferrandone un lembo.

Era un oggetto voluminoso, dimenticato accanto al mattonato di uno dei muri laterali del pub, che Haruka riconobbe, non si sa come, ancor prima che l’amico ne liberasse la carena. Alla luce del sole, la linea grintosa dal vibrante rosso Ducati scintillò come il più prezioso dei diamanti.

“E vedi di non tradirla più, perché se mancherai ancora di rispetto alla memoria di mia sorella, te le suonerò come avrebbe fatto lei nel sapere il suo regalo dimenticato nel garage del primo meccanico di provincia.”

“Ma è la mia moto…” Soffiò incredula accucciandosi per toccarne il fianco.

“L’ho comprata meno di dieci minuti dopo averti visto venderla. Non potevo saperla in mani diverse che non fossero le tue. Non sarò il donatore misterioso, ma sono comunque riuscito a riportare qualcosa al suo posto, non trovi?”

”Non avresti dovuto… “

“Questo vale per tutti i regali di compleanno che come padrino non ti ho mai fatto. Te l’avrei data anche prima, ma poi ti sei cappottata...” Disse leggermente impacciato nel sentire la voce di Haruka sul punto della rottura.

Poggiando la fronte sul freddo del serbatoio la bionda si prese un attimo. Stava tornando tutto come prima e questo grazie alla generosità. Generosità di un amico. Generosità di uno sconosciuto. Generosità della sua famiglia. Aveva preso delle decisioni, aveva combattuto e aveva perso, ma si era rialzata e grazie all’aiuto degli altri adesso Haruka si sentiva più forte e fiduciosa.

La voce di Giovanna le arrivò come il suono di una zanzara petulante. “Non ti metterai mica a piangere?”

“Idiota!”

Rialzandosi porse la mano all’amico per ringraziarlo, ma lui afferrandola la strattonò a se per soffocandola in un abbraccio. Dopo un primo momento di ovvio stupore, Haruka contraccambiò ricordandosi la dolcezza delle forti strette di suo padre.

 

 

La pace che si respirava in quel posto l’aveva sempre affascinata ed anche se la riteneva una cosa abbastanza macabra, l’andare per i vialetti del piccolo cimitero della loro zona, soprattutto di notte, non l’aveva mai disturbata. Guardare le foto in bianco e nero delle lapidi più antiche, quelle attaccate dai muschi che nessuno per ovvi motivi curava più, la facevano sentire parte di una storia, come se quei volti opachi sbiaditi dai decenni, la potessero in qualche modo capire. Come se provassero compassione per i vivi che ancora si affannavano correndo qui e la sul palcoscenico della vita.

Non appena Rose se n’era andata, aveva passato intere giornate accanto alla sua lapide a parlarle, a raccontarle le giornate di una liceale che cresce, nella vana speranza di sentirsi un po’ meno sola. Questo comportamento umanissimo capitava nelle ore più diverse, tanto che ormai il vecchio guardiano non si spaventava più a trovarsela davanti. Poi le prime gare e i trionfi del team Tenou. La loro Peugeot lanciata a folle velocità sui tracciati, il tempo da battere, le macchine avversarie da inseguire e via via, le visite che Haruka faceva a quella lapide di porfido rosso si erano fatte sempre più rade, scandite dai ritorni a casa, dagli allenamenti e dalla scuola. L’università prima e la morte di Alba e Sante poi, avevano definitivamente spezzato quel legame fatto di parole e pensieri regalati al ricordo di un’amica, così che quel giorno ad Haruka parve strano ritornare a camminare sul basalto scuro di quel piccolo Campo Santo di campagna. La prima cosa che aveva voluto fare non appena inforcata nuovamente la sella della sua Ducati, era stata quella di correre da lei per ringraziarla e per dirle quanto le dispiaceva di non essere più venuta a salutarla.

“Prima di venire ho fatto una capatina sulla costa. Tranquilla non è quella di un piccione, ma di un gabbiano reale.” Posando sul sottile manto erboso tagliato di fresco una maestosa piuma bianca dalle striature nero pece, la guardò soddisfatta e sicura di aver scelto per la sua mentore uno dei suoi simboli preferiti, quello che si era fatta tatuare sul polpaccio qualche mese prima di morire e che rappresentava la libertà e la protezione.

“Non sei mai stata tipo da fiori.” Alzando le spalle poggiò un ginocchio a terra notando quanto la lapide fosse pulita e ben curata. Una volta Max, una volta Yaten, ma mai nessuno dei due lasciava passare più di una settimana senza farle visita.

“Lo so che manco da un po’, ma sai anche come sono fatta. Ti chiedo scusa, ma sei sempre nei miei pensieri anche se non mi sono più fatta vedere. - Respirando l’odore buono della terra si guardò intorno scorgendo solo un paio di persone anziane indaffarate. - Da ragazza mi piaceva tanto venire qui, c’è pace e si può pensare. Ma dopo la morte dei miei non me la sono più sentita.”

Toccando con l’indice il rilievo della lettera R ammise di avere accanto una serie di angeli custodi che non meritava. “Scusa anche per la moto. Se non fosse stato per Max l’avrei persa. E’ stato tanto generoso. Sarà anche una due ruote datata, ma è e rimarrà sempre la nostra moto e nel ricomprarla tuo fratello non può neanche immaginare che regalo mi abbia fatto. Non me ne separerò mai più, te lo prometto.”

Avvicinandosi alla pietra sussurrò. “E grazie. Lo so che sei stata tu a non farmi ammazzare quel giorno. Ho una certa spiritualità ed è per questo che non credo d’essere pazza nel dire di aver sentito la tua voce.”

Decelera! Fermati! Ricordò.

“Se non avessi alzato il piede dall’acceleratore quel tanto, sarei andata all’atro mondo e la cosa mi avrebbe dato un certo fastidio e non soltanto perché credo di avere ancora centomila cose da fare qui, ma anche e soprattutto perché… - Avvicinandosi ancora un po’ sogghignò all’idea. - … mi sono innamorata.”

“Non sarebbe stata il tuo tipo. Non ama i tatuaggi, ne il rock pesante e credo che anche al mio fianco ci perderebbe di stile, ma che vuoi farci? L’amore è l’amore. E’ bella, decisa, testarda ed orgogliosa, ma è anche molto intelligente e ha una classe…, o Rose, la classe che emana ad ogni suo gesto è la cosa che forse mi affascina di più. E poi fisicamente mi attira da morire. Certe volte e non le più caste, penso che vorrei tanto essere un violino per farmi toccare da quelle sue dita perfette.”

Alzandosi per darsi due colpetti sulla stoffa all’altezza del ginocchio divenne seria. “Se soltanto riuscissi a capire cosa vuole, cosa sta cercando da me, tutto sarebbe più facile. Non ho mai provato con nessuna tutto il pudore, la frustrazione, l’incoerenza che ho quando sono con lei. Michiru Kaiou è un tipo faticoso, te lo posso assicurare e sento di stare sbagliando tutto con lei. Chissà che consigli mi avresti dato tu che di donne ne capivi e tanto. Sapevi ascoltare e forse è proprio questo che non riesco a fare con lei. Ascoltare.”

Mettendosi le mani nelle tasche dei jeans, Haruka perse lo sguardo lontano, oltre al muro di cinta in mattoni che si estendeva ad una trentina di metri. “Dovrei concederle più spazio e lasciarla parlare. Ma non ci riesco con il carattere che mi ritrovo.”

Tornando alla lapide sorrise dolcemente alla foto che ritraeva una Rose di circa trentacinque anni. “Mi manchi tanto amica mia. Torno presto, parola.” Ed accarezzando la pietra un’ultima volta si diresse al vialetto principale.

In lontananza, parcheggiata davanti alla cancellata, la sua bella Ducati. Pulita, ben lucidata, come se l’avesse appena ritirata da un concessionario.

Andiamo Rose. E’ ora di tornare a casa, disse mentalmente alla sua moto appena arrivata a lambirle con una mano la sella.

 

 

Quando Yaten uscì fuori dalla doccia trovò la sua Minako con le chiavi in mano pronta ad uscire.

“Dove stai andando?” Domandò languido e conscio della sua quasi completa nudità.

Con il solo asciugamano stretto in vita, le si avvicinò rubandole un profondo bacio.

“Dai…, mi bagni. Abbiamo finito il latte per domattina. Torno subito.” Disse lei spingendolo divertita lontano dalla sua camicetta bianca già schizzettata d’acqua.

“Fai presto.”

“D’accordo.”

Qualche passo ed aperta la porta dell’appartamento vi trovò Max, che indice sul pulsante del campanello stava per suonare.

Entrambi sorpresi scoppiarono poi a ridere.

“Che spavento! Buonasera Max.”

“A te Mina. Mio nipote è già tornato?” Chiese vedendolo poi emergere dalla schiena della ragazza.

“Eccolo qui… In tutta la sua scultorea bellezza. Scusa, devo uscire per una commissione veloce. Vuoi restare per cena? E’ da tanto che non ci vediamo.”

“O grazie, anche se non vorrei disturbare credo sarà una chiacchierata piuttosto lunga.”

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau.

Scusate se ci ho messo tanto, ma non riuscivo a dipanare i nodi che volevo toccare in questo capitolo. Perciò ringrazio tutti per la pazienza. Cercherò di non essere più tanto lenta.

A prestissimo.

 

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Capitolo 16
*** Le reazioni che non ti aspetti ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Le reazioni che non ti aspetti

 

Scansando leggermente il piatto che tanto avidamente era riuscito a trangugiare nel brevissimo tempo di una portata di carne, Yaten guardò la sua Minako soddisfatto. “Tutto buonissimo, tesoro.” Si concesse stirando le labbra in un sorriso tra il malizioso e l’ingenuo.

Alzandosi lei iniziò a sparecchiare accettando la ruffiana carezza sulla vita di quel gatto sornione che si era scelta come ragazzo. Seduto dalla parte opposta del tavolo da pranzo, che poi era anche quello della cucina, se ne stava Max, con sullo stomaco l’enorme peso che aveva deciso di affrontare e tutto l’imbarazzo che come uomo di una certa rudezza, stava provando davanti alla complicità dei due giovani. Si era diretto a casa del nipote senza neanche sapere come avrebbe affrontato la cosa, speranzoso, ma al contempo terrorizzato da una qual si voglia reazione negativa che Yaten avrebbe potuto avere nel sapere la verità su suo padre. Erano passati troppi anni, troppi silenzi e troppe omissioni perché non si profilasse tra loro la possibilità di una rottura. E Max, che a quel nipote cresciuto con tanta pazienza, amore ed una buona dose di maldestra incapacità, teneva come al figlio al quale non si era mai sentito di dare la vita, ad una tale eventualità non era affatto pronto. Se si fosse portato quel segreto nella tomba, se fosse rimasto tutto così com’è, non sarebbe stato meglio per tutti? Per loro, per Mamoru, persino per l’avidità di quel porco di Lucas?

A quei nuovi pensieri di resa e rapida fuga, il viso maturo dell’uomo si contri a tal punto che, tirandogli addosso una mollica di pane, il nipote ne richiamò l’attenzione. “Allora Max, perché sei venuto a cercarmi? Non dirmi che ci sono altri casini alla masseria?”

Riemergendo da quello strano limbo catatonico che in pratica l’aveva avvolto per tutta la durata della cena, l’uomo guardò leggermente disorientato prima il nipote, poi le spalle di Minako ferma al piano del lavabo intenta ad insaponare le prime stoviglie.

“Come? No, tutto bene.”

“Meglio! Anche perché questo pomeriggio ho visto Haruka che sembrava sprizzare energia e buon’umore da tutti i pori.” Prendendo gli ultimi piatti dalla tavola li portò alla sua donna lasciandole un delicato, ma carnale bacio sul collo.

“Smettila.” Rimproverò lei bonaria scansandolo con un leggero movimento d’anca.

“Allora qual buon vento?”

“Adesso ci starebbe bene una sigaretta.” Un’affermazione che non era certo una risposta.

Alzando le sopracciglia chiare Yaten lo guardò come se avesse detto una bestemmia. Era infatti dalla morte di Rose che l’uomo aveva smesso di succhiare quel veleno.

“Il massimo che possiamo offrirti è questo, lo sai. - E versandogli l’ennesimo bicchiere di bianco riformulò la domanda. - Max, perché sei qui?”

Un sospiro e giù, tutto d’un fiato. “Perché sono qui. Bella domanda ragazzo.”

“Sei strano.”

“Ma stai bene? Al pub tutto apposto?” Intervenne Minako asciugandosi le mani in un lembo del grembiule che si era messa per non bagnarsi.

“Si. Questa cosa riguarda me e Yaten. O meglio…, Yaten e i suoi genitori.”

Tornando a sedersi, il ragazzo si tolse la solita espressione serafica propria di un carattere indolente con il destino perché forgiato dallo stesso ad essere coriaceo e fissandolo intensamente scosse la testa chiudendo la bottiglia di casa Tenou con un tappo di sughero.

“E’ storia vecchia, perché vuoi rivangarla?”

“Perché è ora che le paure e l’omertà su quello che realmente accadde più di venticinque anni fa, cadano a favore della verità.”

“Vuoi dirmi che quel giorno d’estate, quando avevo poco meno di un anno, mia madre non si uccise ingoiando un flacone intero di barbiturici?” Crudo come la più cruda delle realtà.

“No.”

“E allora basta! Non vedo perché ricacciare i morti fuori dalla tomba.”

“Per giustizia.”

Yaten si fece allora dannatamente serio. Sporgendosi verso l’uomo strinse forte le mani l’una contro l’altra. “Senti Max, so come andò, furono proprio i tuoi genitori a raccontarmi tutto. Gli stessi che accolsero mia madre durante la gravidanza e gli stessi che mi crebbero dopo la sua morte. Loro, tu e Rose siete stati per me l’unica famiglia d’origine che riconosco, perciò ti prego di non parlare più di giustizia, verità o presunti padri scomparsi chissà dove.”

“E se non fossero scomparsi? Se sapessi chi e dove sia attualmente l’uomo che Erica amò follemente, tu cosa mi diresti?” Ingoiando a vuoto attese non riuscendo più a respirare.

Minako, rimasta in disparte ora, come sempre quando si menzionava quella vecchia storia, andò accanto al ragazzo restando in piedi. Per Yaten, il burbero e bonaccione Max era anche più di un punto di riferimento. Lui e Rose erano stati un supporto psicologico per anni.

Non avendo replica, Max socchiuse gli occhi alla strana calma che stava dimostrando il nipote. “Non mi dici niente? Hai capito cosa ho appena detto?”

Iniziando a giocherellare con il tappo della bottiglia dell’acqua, l’altro finalmente rispose di non essere ne sordo, ne tanto meno stupido. “Cosa vuoi che ti dica! Non ho mai avuto interesse per lui, vivo o morto per me non fa alcuna differenza.”

“E invece dovrebbe!” E quasi urlò.

“Parla piano! Non voglio che i vicini si facciano gli affari nostri!” Disse con talmente tanta severità che d’impulso la mano di Minako andò a sfiorargli i capelli mentre di rimando lui la guardava lasciandole un brivido morbido d’amore.

“Scusate, hai ragione, ma vedi io…”

“Ma perché te ne esci proprio ora?! Ho vissuto in casa vostra per anni e ne tua madre, ne il tuo padrigno, ne tanto meno Rose hanno mai detto nulla, nonostante a volte chiedessi, supplicassi, soprattutto durante gli anni dell’infanzia. Ora ti presenti come se niente fosse, qui, in casa mia, davanti alla mia donna, a sganciarmi in faccia una bomba?!”

“Vedi ragazzo, le cose sono cambiate. - S’interruppe in cerca delle parole giuste. - Forse sono io ad essere cambiato, ad aver preso coscienza di tutto il male che negli anni posso averti provocato tacendoti la verità su tuo padre. Dopo la morte dei miei, Rose avrebbe voluto dirti tante cose, ma per vigliaccheria mi sono sempre opposto convinto di far bene. Ora però, credo sia arrivato il momento che tu abbia ciò che ti spetta.”

“A me non spetta e non voglio niente.”

“Se soltanto sapessi di cosa sto parlando…”

“Ma se sapessi cosa?! Che se volessi potrei avere una parte delle ricchezze di una famiglia importante, una delle più potenti della zona? O che per non tirar fuori un casino di fronte a tutta la Provincia, potrei anche essere liquidato con un gruzzolo abbastanza sostanzioso da riuscire a tirar fuori da questo buco d’appartamento me e l'amore della mia vita?”

“Yaten…” Provò ad articolare l’altro bloccato da un gesto.

“O forse vorresti dirmi che se sapessi che Lucas Kiba è mio padre, la morte di mia madre assumerebbe un significato diverso e tutta l’amarezza provata fino ad oggi sparirebbe in un nano secondo?!”

Di scazzottate in vita sua Max ne aveva fatte tante, per i motivi più disparati ed arrivando a conclusioni non sempre scontate, ma mai avrebbe pensato di ricevere un pugno nello stomaco di tale potenza. Schiarendosi la voce guardò incredulo quel giovane uomo venuto su a pane e lavoro non capacitandosi di come potesse sapere di Lucas.

“Da quanto tempo lo sai?”

“Una diecina d’anni. Più o meno.” Disse muovendo incurante una mano.

“Minako… Anche tu?”

“Si, Max.” Ammise con un filo di voce continuando ad accarezzare lentamente una ciocca dei capelli del ragazzo.

Lo sapeva da quando si erano messi insieme e al principio aveva fato un enorme sforzo per non dire nulla alle sue sorelle. Poi, pian piano, aveva iniziato a conoscere ed apprezzare quel carattere introspettivo e taciturno, capendo il perché Yaten volesse rinunciare a quello che i Kiba avrebbero potuto offrirgli. E forse anche questo volersi distaccare da una famiglia che non sentiva come sua, aveva contribuito a farglielo amare ancora di più. Così lei, che tanto aveva sognato di lasciare quelle terre per dedicarsi al sogno di diventare una designer affermata, aveva finito per accettare un uomo con poche ambizioni e ancor meno soldi nelle tasche, che oltre a quel piccolo monolocale al centro di un paese come mille altri, avrebbe potuto offrirle solo il suo cuore.

“Ma, perché? Perché non me l’hai mai detto?”

“E a che scopo? Ti ripeto che non voglio, ne cerco niente da lui.”

“Come sei venuto a saperlo?!”

Yaten sembrò stupirsi della domanda. Davvero aveva la fama di essere tanto tonto? “Sono cresciuto con la consapevolezza di essere un figlio bastardo. Mi ci hanno chiamato per anni e per anni sono stato convinto, come tutti, che mia madre avesse abbandonato Lucas Kiba per correre dietro all’uomo che l’avrebbe poi messa in cinta di me. - Una smorfia divertita andò a disegnargli il volto dalla peluria leggermente accennata, mentre continuava ricordando gli insulti e le angherie che in un piccolo centro come il loro, l’avevano disegnato per anni come un figlio della colpa. - Poi conoscendo la storia di Seiya e Bravery qualcosa iniziò a non tornarmi. Perché i Kiba continuavano ad avere un legame con i Kou? Perché contro ogni logica, ogni estate Lucas invitava alla masseria i figli di uno dei fratelli della donna che lo aveva cornificato? Perché si diceva che pagasse per loro le migliori scuole degli States? Eppure in giro tutti sapevano che quello dei Kiba era, come a tutt’oggi, un clan pericoloso e vendicativo, dunque perché non esserlo anche con la famiglia di colei che l’aveva sputtanato di fronte a tutti? Così ho iniziato a fare delle domande.”

“A chi?”

“Alle persone più anziane, a quelle che avrebbero potuto dirmi qualcosa di diverso dalla solita storia. Cercando trovai una pensionata che aveva lavorato alla masseria come cameriera proprio prima della fuga di mia madre. Dopo non poche reticenze mi disse la verità, ovvero che Erica aveva abbandonato Lucas, non perché innamoratasi di un altro, ma perché venuta a conoscenza di fatti illeciti e che allontanata a forza dal primo figlio, aveva poi scoperto di aspettarne da Kiba un secondo.”

“Dunque sai anche la causa che portò tua madre al suicidio…”

“Immagino l’abbandono forzato di Mamoru e le chiacchiere sulla sua scarsa condotta come madre e come moglie.”

“Le dicerie alle volte possono uccidere.”

“Già.”

“Ti chiedo perdono. Avresti dovuto saperlo da noi.”

A quell’affermazione contrita,Yaten scoppiò in una fragorosa risata. “Riconosco di essere stato incazzato per parecchio tempo prima di capire che eravate l’unica famiglia che volessi. Addirittura una famiglia del mio stesso sangue. Certo non ti nascondo che ho passato periodi di merda nell’attesa che mi rivelaste qualcosa, ma non importa. Ora ho trovato una stabilità dalla chioma bionda e dallo sguardo azzurrissimo e del passato non voglio più saperne nulla.”

“Ma hai un fratello!”

“E allora? Mi bastano tre sorelle acquisite delle quali una è forse più uomo di lui.”

 

 

Posando l’archetto nella custodia Michiru si sentì soddisfatta. Non aveva assolutamente perso il tocco, ne l’amore per la sua musica. Durante l’ultimo lustro si era semplicemente assopita e ora, da dormiente, stava tornando lentamente a risvegliarsi come un germoglio dopo il periodo invernale. Era serena Michiru, serena come durante i primi anni della sua infanzia, prima di venire accidentalmente a conoscenza della sua adozione.

“Vivaldi è sempre Vivaldi.” Disse riferendosi al brano appena eseguito.

“E Michiru Kaiou è sempre Michiru Kaiou.” Fece di rimando un gran bel timbro di voce.

Voltandosi di scatto la violinista vide Haruka appoggiata ad uno dei pilastri in mattoni dov’era incernierato il telaio della porta della reception del ciclo di produzione.

“Da quanto tempo sei li?” Chiese stupita per non essersi minimamente accorta della sua presenza.

“Abbastanza da godere di un concerto gratis tutto per me.” Sfotté continuando a tenere le braccia legare al petto.

“Lo sai che puoi chiedermi di suonarti qualcosa in qualsiasi momento senza bisogno di acquattarti nell’ombra come uno stolker.”

Punta sul vivo Haruka emise con le labbra un leggero suono di stizza. Proprio non riusciva a farne una giusta, ma prima d’offendersi e di partire in quarta come al solito, respirò affondo ricordando il suo proponimento. Devo ascoltare, si disse.

“Me lo ricorderò. Scusa.”

Parole assai rare per un tipino come lei, tanto che Michiru dette un colpo di spugna alla sua freddezza addolcendosi. “Non è colpa tua, è che non amo essere ascoltata senza saperlo. L’ingresso del ciclo di produzione ha un’ottima acustica, ma a quest’ora è talmente solitario…”

“Si, gli operai stanno lavorando ai silos. Qui non c’è nessuno. Questo t’inquieta?”

Portata alla diffidenza da ammiratori fin troppo invadenti, alzò le spalle rispondendo sincera. “Un po’. Ma dimmi, cosa ci fai qui? E’ ancora giorno.”

“A si, volevo invitarti a cena. Cioè, solo tu ed io. Sempre se ti va, naturalmente.”

Un invito? Certo che quella bionda era proprio un pozzo di sorprese. Quello scrigno di ricami adorabili che tante volte avevano il potere di farle vacillare la voce. Come in quel momento.

Guardandosi il non più fresco vestito che aveva portato per tutta la giornata, Michiru sorrise imbarazzata. “Conciata così?”

“O, sei perfetta. - Disse dall’alto della sua bella doccia rigenerante, del suo paio di jeans scuri, della camicia di lino chiara e del giubbotto di pelle nera che tanto la faceva sentire Peter Fonda in easy reader. - Non credere però che ti porterò in una pizzeria.” E le aprì la porta per lasciarla passare.

“Al pub di Max anche se non è sabato?”

“Kaiou, mi pensi tanto banale? - Ridacchiò iniziando a camminarle a fianco. - Intanto lascia che ti presenti la mia Rose.”

Nel vedersi la Ducati davanti Michiru cercò di non ridere. “La conosco già.”

“E no! Guardare non vuol dire conoscere. Perciò… ti presento la mia bambina. Colei che grazie ai suoi cavalli, è sempre riuscita a farmi schiarire le idee nei momenti complicati e a rendere quelli belli ancora più belli.”

Impressionata dalla solennità del momento la violinista alzò le sopracciglia accennando un leggero inchino. “Piacere…”

“Ottimo. Adesso possiamo andare. - Soddisfatta aprì la sella passandole una felpa dei Dolphin Mariners di Miami. - Mettila o rischi di prenderti un colpo di freddo. E’ di Giovanna. I maglioncini di Usagi ti sarebbero stati meglio, ma…”

“Ma?” Dopo aver passato la custodia del violino all’altra, curiosa iniziò ad indossarla.

“Credo non saresti riuscita a chiuderli… sul davanti.” Già, Usagi non era altrettanto generosa di seno.

“Devo considerarlo un complimento o un dato di fatto?” Chiese sostenendone sfacciatamente lo sguardo.

“Un complimento.”

Inforcando la sella Haruka attese che la sua passeggera si mettesse comoda ed ordinando di arpionarle la vita e di tenere ben salda la custodia tra di loro, accese dando gas. Seguendo la strada interna al ciclo di produzione uscirono sulla Provinciale. La bionda era felice. Aveva portato su quella sella una cifra indefinita di donne ed ogni volta lo aveva fatto con diversi stati d’umore e per i motivi più disparati, avventure per lo più, ma mai con nessuna, inclusa Bravery, aveva sentito il cuore galoppare tanto. Era come se la sfrontatezza tipica del suo sapersi una gran bella donna, magnetica, sapiente, affascinante con gran parte dei cuori che le stavano accanto, in presenza di Michiru cadesse cedendo il posto all’inadeguatezza, ad una timidezza che proprio non le apparteneva.

“Dove stiamo andando?” Chiese la passeggera non riconoscendo più nulla dei soliti panorami ormai familiari.

“Porta ancora un po’ di pazienza. Una ventina di chilometri e siamo arrivate. Devo accelerare un po’ o faremo tardi. Tieniti stretta.” Urlò per farsi sentire attraverso il rombo della corsa e la costrizione del casco.

Michiru non aveva paura della velocità, almeno non con lei alla guida. In passato l’era già successo di vedere Seiya spingere sull’acceleratore della macchina sportiva di turno e non era stato piacevole. Con Tenou invece, l’ebbrezza della velocità stava acquistando contorni totalmente nuovi, inaspettati. Eccitanti.

Uscendo dalla Provinciale, Haruka decelerò permettendo a Michiru di guardarsi intorno. Il paesaggio era drasticamente cambiato. Non c’erano più le interminabili distese di viti, ne gli olivi nodosi, ma una pineta scura dai grandi ombrelli aghiformi seguita dalla macchia, le dune ed infine lui.

“Il mare!” Esplose mentre la bionda fermava la Ducati su uno spiazzo dove qualche campeggiatore ancora stava sostando prima della chiusura della stagione balneare.

“Ti piace?”

“Se mi piace? Haruka, io adoro il mare!” Disse scendendo improvvisamente distratta dalla spuma delle onde che s’intravedevano tra una duna e l’altra.

“Lo so.”

Era riuscita a sorprenderla. Rimanendo a guardarla guardare quell’immensa distesa dalle più disparate sfumature d’azzurro, pensò nuovamente a quanto fosse bella quella creatura, quando uno dei campeggiatori si sporse dalla porta della sua roulotte salutandola. Si era servita di loro facendosi prestare degli elementi per allestire la location che tanto pazientemente aveva preparato già dal primo pomeriggio.

Rispondendo al saluto scavallò la sella.

“Per cosa rischiavamo di far tardi?” Chiese Kaiou corrugando la fronte.

“Per quello.” Indicando con l’indice un promontorio che s’innalzava maestoso alla loro sinistra, Haruka attese sperando nell’uscita ad effetto della sua spalla.

Rocce e vegetazione, pini per lo più, abbarbicati e protesi verso il cielo. Qualche secondo ed una palla vermiglia sbucò dalle chiome più alte iniziando ad inabissarsi nel mare.

“Andando verso l’autunno inoltrato, il percorso del sole si abbassa e solo in questo periodo lo si può vedere tramontare dopo essere sbucato dal promontorio. E’ una cosa piuttosto rara. Sono felice di avertelo mostrato.”

Michiru non replicò. Non poteva. Dalla scorza più dura del granito, Haruka aveva la benedetta capacità di saper colpire dove proprio non ci si aspettava. Si poteva dire con genuina maestria.

“Bello vero? E le nuvole cariche di pioggia che si stagliano all’orizzonte penso lo abbiano reso ancora più particolare.”

“E’ fantastico.” Soffiò stordita dai cumuli nuvolosi dipinti di un'incredibile gradazione violacea.

Restarono ferme ad osservare il sole lasciarsi inghiottire dal male in uno scintillio di colori, immerse nel suono della natura e dal vociare lontano della famiglia di campeggiatori che stava preparando per la cena, poi la bionda si scosse.

“Vogliamo andare?”

Michiru si vide richiedere il casco che andò al posto di una voluminosa sacca termica gialla. “E quella?”

“Ma sei ben curiosa. E’ una parte importante della serata. Dai andiamo. C’è da camminare un po’. Non vorrai mangiare qui?”

“Il violino?”

“Dovrai portarlo con te. Non c’entra nella sella.”

Un po’ confusa l’altra la seguì. Era spaesata. Dove avrebbero mangiato se non si vedeva l’ombra di una qual si voglia struttura? Fidandosi ciecamente imitò la bionda togliendosi le scarpe lasciando affondare i piedi nel tepore della sabbia. Avvertì un brivido correrle lungo la schiena. A quel tocco seguirono una miriade di ricordi, tutti belli, positivi, dove il mare le faceva da compagno, a volte capriccioso, altre domo, altre ancora impetuoso e ribelle. Lei da piccola seduta a far castelli di sabbia, il sole a baciarle la pelle bianca, il vento a formicolarle i capelli sul collo sottile. Le prime uscite da ragazza, gruppetti sparsi di amiche a parlottare sotto un ombrellone. I primi batticuori amorosi. Ogni passo un ricordo. Ogni passo un pezzetto di vita.

“Eccoci qui!” La richiamò Haruka.

Tra due dune, nascosto dalla vegetazione, c’era un tavolino basso ben piantato nella sabbia. Una tovaglia a scacchi rossi e verdi leggermente puntinata dai chicchi di sabbia alzati dal vento e bloccata ai lati da quattro sassi. Sparse un po’ tutto intorno, piccole lampade di coccio non ancora accese.

“Speravo in una presentazione migliore, ma non ho avuto molto tempo. Se non mi avessero aiutata avrei fatto cilecca.” Ammise grattandosi il collo.

Non era certo un tipo romantico e proprio per questo che tutto quel contorno, un po’ pensato, un po’ lasciato all’improvvisazione, stava colpendo Kaiou come un diretto bene assestato.

“Ecco, invece mi sa proprio di aver fatto cilecca. Avrei dovuto portarti in un bel ristorante invece che cercare di fare cose che non so fare.” Borbottò spazientita.

“E’ perfetto! Allora li dentro c’è del cibo!” A bruciapelo Michiru le serrò in braccio con il quale stava tenendo la borsa.

“Eh? S…Ssssi.”

“Tu pensi alle lampade ed io ad apparecchiare?”

“D’accordo…”

Estraendo un accendino dalla tasca dei jeans, Haruka accese una ad una tutte le candele per poi inginocchiarsi davanti al tavolino ed aiutarla ad estrarre tutto l’occorrente per un pic-nic di lusso. Niente panini, ma dono di Usagi, primo, secondo, contorno, dolce, frutta, tutti rinchiusi in contenitori ermetici e tutti accompagnati dalla specialità della casa, ovvero un buon bianco.

“Guarda qui. La prima bottiglia della stagione.” Mostrò orgogliosa.

Mani nelle mani con la sabbia a farle da cuscino Michiru sorrise scuotendo la testa. Sei incredibile, ammise a se stessa mentre la guardava estrarre con velocità il sughero dal collo.

“Un brindisi?”

“Posso farti una domanda?”

“Certo.”

“Perché tutto questo?”

Porgendole il bicchiere, Haruka le rispose se dovesse esserci per forza un motivo.

“No, ma sai, una carineria dopo l’altra…”

“D’accordo Kaiou, un motivo c’è… - Sentendosi sdolcinata da far schifo sospirò dandosi della patetica. - Oggi sono due mesi che sei con noi. Tutto qui.”

Tutto qui! Era inutile che dopo quello che aveva organizzato adesso minimizzasse per pudore. Di fiori e scatole di cioccolatini ne aveva regalati a bizzeffe e non sempre per gli scopi più nobili. Scappando di rimessa ad ogni tipo di rapporto duraturo, si era ripromessa con un tacito accordo con se stessa, che non avrebbe mai permesso a nessuna donna di rubarle il decoro con sentimenti troppo ingestibili. Ma questa volta Haruka n’era sicura; Michiru valeva la resa delle armi, valeva più del sole che avevano appena visto sprofondare nel mare, più dell’oro di solenni promesse o del cielo che pian piano stava iniziando ad ammantarsi di stelle. Ora che le questioni finanziarie erano state momentaneamente messe da parte, la bionda poteva concentrarsi sui sentimenti che aveva iniziato a provare sin dalla prima volta che i loro sguardi si erano incrociati sulle sponde di quel laghetto artificiale. Due mesi prima.

“Due mesi. Sembra un’eternità.”

“Già, ma adesso che la masseria Tenou ha testato la cosa, potremmo veramente tirar su un B and B.” Disse Haruka ridendo.

“Non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me. Che tutte voi avete fatto.”

“O quelle tre sono palle di piombo. La protagonista bellissima e fichissima sono sempre e solo io.”

“Aggiungerei anche… umilissima.” E la sentì ridere ancora.

“Te lo concedo Kaiou.”

“No Haruka, veramente; tu non sai che aiuto possa aver dato al mio spirito tutta la protezione, il calore e l’affetto che ho ricevuto in queste settimane. Non mi ero mai sentita tanto parte di qualcosa. Vedi, un musicista è solo. Sempre. Pur suonando con altri, quando sale sul palcoscenico è costretto ad immergersi in un mondo ovattato fatto di pura concentrazione. E’ con i colleghi, ma al contempo non deve ascoltare nessuno e a maggior ragione se è un Primo Violino. Se non hai affetti concreti a proteggerti le spalle, questo alla lunga può portarti ad un inaridimento sociale.”

“E tu stavi arrivando a questo?”

“N’ero pienamente avvolta.”

“Non riesco a figurarmi la tua vita.”

Contraendo le labbra Michiru minimizzò. “Nulla di particolarmente eccitante. Prove, incontri con gli sponsor, prove, interminabili cene rischiando la paresi facciale con sorrisi di circostanza, prove ed ancora prove. In alcuni momenti dell’anno viaggi per qualche esibizione e per i restanti, veri e propri tour de torce con la Filarmonica per via della stagione concertistica. Così le rare volte che riesco a stare a casa per più di cinque giorni filati sono talmente stanca e stressata che finisco per discutere con tutti.”

“Ecco spiegato perché eri avvolta dall’inaridimento sociale; non avevi la forza della tua famiglia.”

“Esattamente.”

Perdendo lo sguardo allo scintillio che le fiammelle stavano dando al vino nel suo bicchiere, Haruka si permise di esprimere ad alta voce un pensiero, una cosa che proprio non era ancora riuscita a capire. “Passi per Kou; una storia che si sgretola ci sta, ma per quanto riguarda i tuoi, credevo che i figli adottivi godessero di un affetto speciale.”

“E’ molto giusto quello che dici, ma non sempre è così. Per alcune coppie il volere a tutti i costi un figlio non è altro che il sintomo di un enorme egoismo. Con questo non vorrei essere fraintesa, amo mia madre e mio padre come so di essere sempre stata ricambiata, ma certe volte credo che gli esseri umani non dovrebbero accanirsi se la natura non asseconda i loro desideri. Ci sono persone che sono nate per essere genitori ed altre che lo sono meno e pur avendomi dato tutto, i miei fanno parte di questa seconda categoria.”

“E per questo che pur avendoci provato, non hai avuto figli?”

Michiru la guardò come se avesse ricevuto una frustata non vista arrivare, poi ricordando la frase che lei stessa le aveva detto qualche giorno prima riferita al suo utero ostile, storse la bocca tristemente.

“Secondo i miei, pur di averne avrei dovuto seguire la loro strada, ma proprio perché anche io penso che un figlio adottato debba ricevere ancora più attenzioni ed accortezze di uno biologico, con la vita frenetica che faccio non me la sono sentita, ed in questo devo dire che Seiya è stato d’accordo.”

“Dunque non è poi tanto imbecille come credevo.”

“Non saprò mai se il suo spalleggiarmi sia dipeso dal non volere il DNA di un altro uomo per casa, dall’amarmi tanto da assecondare questa mia decisione o dal non sentirsi ancora pronto ad essere padre, ma sta di fatto che non mi ha spinta più di tanto.”

“Allora resta sempre un demente in Lamborghini.”

“Può essere…”

“Dimmi Michiru…, soffri per non essere madre?”

Portandosi il bicchiere alle labbra la violinista si prese qualche secondo, poi con estrema semplicità ammise con un’altra persona ciò che aveva taciuto anche allo stesso Seiya. “All’inizio è stata dura. Molto. Mi sarebbe piaciuto dare la vita o crescerne una, ma poi, guardandomi dentro e sapendo chi sono, ho capito che le cose non accadono per caso e che l’attrazione del palco e l’impegno di una carriera come la mia, poco avrebbero conciliato con la serenità di un bambino.”

Il respiro della bionda si mozzò di colpo. Questo voleva dire soltanto una cosa; che molto probabilmente Michiru Kaiou avrebbe sempre scelto la musica ad una famiglia. Figuriamoci poi all’amore di una donna.

Cercando di non rabbuiarsi, Haruka continuò a chiacchierare virando su discorsi più banali come il lavoro della giornata o la festa che si sarebbe svolta in casa Tenou alla fine della settimana.

“Quale festa?”

“Kaiou, mi deludi. Mina non te ne ha parlato? Eppure da un po’ di tempo siete praticamente culo e camicia.”

Dimenticando la forchetta a mezz’aria l’altra le dilatò contro due occhi interrogativi. “Cosa saremmo noi?”

“Ma si, culo e camicia, indivisibili, insomma… sempre insieme.”

Schiacciando il pugno sinistro alla bocca la violinista scoppiò a ridere. “Tenou, sei unica…”

“Che c’è? E’ vero!”

“Si, certo.”

“Non ridere così. Non puoi negare che da quando è iniziata la vendemmia state appiccicate come la colla.”

Rideva Michiru, perché anche se i fatti davano ragione alla bionda, la verità era assai più complessa. Era vero che Minako aveva iniziato a non considerarla più come un Cerbero a tre teste, ma il definitivo abbandono dell’ascia di guerra c’era stato dopo essere stata soccorsa dalla forestiera durante un violento giramento di testa avuto nei bagni dell’azienda.

“Non ti azzardare a dirlo a qualcuno!”

“No Mina.”

“Promettimelo.”

“Te lo prometto.” E il patto era stato sancito dalla necessità che Minako aveva avuto di rivelare a qualcuno le sue pene.

“Diciamo che abbiamo scoperto di lavorare molto bene insieme, non essere gelosa.”

“Non è gelosia.”

“Si che lo è.”

“Non è vero.”

E come se lo era. L’improvvisa rottura con la sorella le pesava. Per tre anni erano state loro due a mandare avanti l’attività di famiglia e ora le mancava. Ma c’era anche Michiru. Il non riuscire più a vederla quanto voleva la stava mandando fuori di testa. Si sentiva bloccata come un alfiere davanti ad una torre e sapeva di non avere più molto tempo.

“Se sana e ben controllata, la gelosia può essere la spia di un forte amore che fa sentire desiderati, perciò visto il bene che le vuoi, è ovvio che tu senta questo sentimento per tua sorella.”

Ingoiando il suo boccone di cibo la bionda la guardò di sottecchi. “E se non fosse solo verso Minako?”

Anche l’altra donna smise di mangiare intrecciando il cobalto allo smeraldo che le stava scintillando davanti. "Verso di me?"

"Si..."

“Ne sarei lusingata Haruka.” Disse pianissimo.

Dopo questo scambio di battute, intensissime nella loro semplicità, le due ripresero a mangiare non parlando quasi più. Vicinissimo il rombo del mare, diventato un subbuglio d’onde come a voler coprire i battiti del cuore di quella bella forestiera venuta da un mondo alieno e riarso d’oppressione e il vento a sagomare le dune con il suo serpeggiare, degno compagno del respiro pronunciato di quella figlia della fatica, cresciuta sincera e forte come le viti della sua terra.

Finito anche il dolce, una delle chicche culinarie delle quali Usagi andava più fiera, lanciandole un occhiolino Haruka versò nel bicchiere dell’altra due dita di vino. “Non hai bevuto quasi niente. Io devo guidare, tu che scusa hai?”

“Voglio godermi la serata senza che nulla possa alterare le sensazioni che mi sta dando il bel pensiero che hai avuto, anzi, vorrei ringraziarti con una cosa che sto finendo di comporre in questi giorni.” Aprendo la custodia del violino che aveva lasciato poco oltre, afferrò il collo dello strumento e l’archetto alzandosi in piedi raggiante.

“Non sono solita far sentire a nessuno un brano non ancora finito, ma non trovo situazione migliore di questa per fartelo ascoltare. Ma mentre lo eseguo ti chiedo di fare una cosa.”

“Cosa?”

“Vorrei che tu pensassi alla tua famiglia, alla tua terra e alla tua macchina. In quest’ordine. In realtà ci sarebbe anche un ultima cosa, ma è il pezzo che devo ancora comporre..., quando avrò finalmente capito una cosa.”

Non aggiungendo altro si portò la mentoniera al viso posando il crine nulle corde. Il suono uscì semplice come l’atto di respirare e non appena Haruka chiuse gli occhi per eseguire quello che l’era stato detto, le note, o per meglio dire la partitura, iniziarono a muoversi nell’aria frizzante della sera. Tenou non aveva un orecchio allenato e perciò le ci volle qualche momento per capire cosa stesse succedendo. Poi, simile ad un miope dopo avere inforcato i suoi occhiali, tutto le si fece chiaro. Come se stesse leggendo le pagine di un vecchio diario famigliare, dove alle parole corrispondevano descrizioni minuziose di cose e persone, le note si fusero ai suoi ricordi come in un caleidoscopio di suoni. Dolci, dolcissimi, quelli riferiti ai suoi genitori, Alba e Sante a tirar su dal niente quattro figlie tanto diverse l’una dall’altra, con amore, disciplina e cura, la stessa riservata alle loro vigne, immerse nel sole in un susseguirsi di stagioni lente. Al quel suono rilassante carico di sentimento, se ne intrecciò improvvisamente un altro che le toccò le orecchie facendole stirare le labbra in un sorriso sghembo. Un improvviso aumento di velocità nel polso di Michiru fece montare in Haruka una specie di marea sonora, simile all’accelerazione di un motore e rivide il suo peugeottino correre veloce tra dossi ed ostacoli. L’oppressione al torace data dalla spinta di quattro ruote motrici indemoniate, l’adrenalina a pulsarle nelle vene ai lati della fronte, la concentrazione statica, il rilascio della libertà. Socchiudendo gli occhi la bionda si chiese come una persona che non aveva mai provato sensazioni come quelle, riuscisse ad esprimerle così bene in un’armonia. Che dote straordinaria aveva Michiru. Sarebbe stato delittuoso se non si fosse più esibita, se non avesse continuato a condividere il suo talento con il mondo.

Come potrebbe essere solo mia? Sono un’egoista, si disse ricacciandosi in gola un grumo l’aria mentre con un ultimo leggerissimo tocco delle corde, l’archetto le abbandonava per tornare inanimato al fianco della violinista.

“Manca ancora un gran bel pezzo, il più interessante, ma fino ad ora come ti sembra?” Le chiese stranamente ansiosa.

Con gli avambracci posati sul tavolino, Haruka se la guardò in modo strano. Non sapeva proprio come esprimere la torsione che sentiva alla bocca dello stomaco e perciò disse solo un, bellissimo, che poi voleva dire tutto e niente.

Michiru sembrò un po’ delusa. “Dimmelo se non ti piace. In fin dei conti parla di te. Non mi offendo. Veramente. Le critiche rendono migliori.”

“No Michi, no. - Un colpetto di tosse per schiarirsi la voce. - E’ talmente profondo e vero che non capisco come tu sia riuscita a scrutarmi tanto l’anima.”

 

 

Più o meno due ore più tardi, le due donne fecero ritorno alla masseria appena in tempo per non prendersi le prime gocce di pioggia. Chiudendo il portone del silos Haruka seguì Michiru sulla soglia di casa. Visto la gonna leggera e nonostante le sue spalle l’avesse protetta dal vento del ritorno, molto probabilmente avrebbe pagato con un’infreddata quella corsa in moto.

Il suo corpo. La bionda la guardò entrare in casa ripensando all’effetto impagabile di quelle dita sottili allacciate ai suoi fianchi, al petto parzialmente schiacciato contro la sua schiena e alle cosce strette alle sue. Questa notte non riuscirò a chiudere occhio. Se tra noi non ci fosse stata la custodia del violino sarebbe stato meglio.

Aveva vissuto momenti bellissimi e delicati, eppure era stata eccitata per tutta la sera. Bestia! Sono un animale, si colpevolizzò un po’ per gioco, un po’ sul serio.

All’inconfondibile clic della porta d’ingresso la voce di Giovanna le raggiunse dalla cucina con il solito entusiasmo e Michiru contraccambiando al saluto, si voltò verso la bionda congedandosi. “Tieni la felpa e … grazie ancora. E’ stata una bellissima serata.”

“Di nulla. Un’aspirina e di corsa a dormire, ok?”

“Agli ordini. - E oltre alle più rosee previsioni, Haruka si sentì consegnare sulla guancia destra un leggero bacio di commiato. - Notte.”

“Notte.” Sbiascicò mentre l’altra entrava nella sua camera e dopo un ultimo sguardo richiudeva piano l’anta.

No, proprio non sarebbe riuscita a chiudere occhio. Strascinando i piedi andò verso le scale tuffando il viso nella stoffa interna della felpa trovandoci l’odore di lei.

“Com’è andata?” Chiese Giovanna poggiandosi allo stipite della porta con felina soddisfazione.

“Bene.” Rispose non staccando il viso dall’indumento.

“Ho tanto l’impressione che non la rivedrò più quella felpa, vero?”

“Mmmm.” Grufolò iniziando lentamente a salire i gradini di legno mentre la sorella le assicurava che non sarebbe andata ad accamparsi sul divano dello studio per permetterle di sollazzarsi tra i suoi sogni peccaminosi.

“Mmmm…” Ripeté Haruka come un automa.

“Hei, stai bene?” Ma questa volta non le arrivò neanche un grugnito.

Ce la siamo proprio giocata. Peccato, quella felpa mi piaceva tanto e rientrando in cucina tornò a guardare la televisione aspettando nella pace di una casa stranamente silenziosa anche il ritorno di Usagi.

Casa silenziosa fino a quando, una quindicina di minuti dopo, un grido seguito da un susseguirsi d’imprecazioni degne di un forzato riecheggiarono provenienti dal piano di sopra. Ferma come una statua sulla soglia delle scale, Haruka chiamò la maggiore tenendo in mano un piccolo oggetto bianco.

“Che c’è?! Perché stai sbraitando tanto?!”

“Vieni qui! Sbrigati!”

Salendo due gradini per volta, Giovanna si vide sbattuto in faccia un bastoncino di plastica di forma rotonda, lungo più o meno dieci centimetri. La mano con la quale Haruka lo stava stringendo, anche se sarebbe stato meglio dire stritolando, stava tremando talmente tanto che l’altra dovette bloccarne il polso per riuscire a mettere a fuoco.

“Dimmi che è tuo!” Intimò dandoglielo quasi su naso.

Le iridi di Giovanna si dilatarono. “Ma è… Dove l’hai trovato?!”

“Chi se ne frega dove l’ho trovato! Dimmi che è tuo! Giovanna, ti prego... dimmi che è tuo.”

Strappandole lo stick dalla mano, la maggiore guardò attenta il colore della sottile linea che s’intravedeva alla sua estremità. “Dio Santo, è positivo!”

“Sei incinta!”

Piazzandole una manata sulla nuca l'altra si accese come un tizzo di brace. “E con chi cazzo avrei potuto farlo un figlio? Sentiamo, genio!”

“Che diavolo ne so! Con un focoso cileno prima di ritornare?! Un’avventura di un’ora quando te ne vai in città? Non lo so!”

“Ecco brava, rimani nell’ignoranza che dici meno idiozie!”

“Allora non è tuo!?”

“NO che non è mio!”

“Oddio, allora non può essere che di una delle nostre sorelle…”

“Calmati, magari è di Kaiou.”

“Non credo proprio.” E come avrebbe potuto dopo tutto il discorso che la forestiera le aveva rivelato sulla sua vita privata.

“Ragazze…” Sentirono le due girandosi all’unisono verso il finire della scala.

Michiru se ne stava dritta in piedi con ancora il vestito addosso. “Stavo per entrare in doccia quando vi ho sentite urlare. Tutto bene?”

“Michi… - Scapicollandosi giù, Giovanna le afferrò una spalla mostrandole il bastoncino. - E’ tuo, vero?”

Riconoscendo l’oggetto a prima vista lei scosse la testa stirando le labbra. “No, mi dispiace.”

“Ne sei proprio sicura?” Incalzò mormorandole in un orecchio immediatamente ripresa da Haruka.

“Giovanna finiscila!”

“Si. Sicurissima.”

“Sarebbero anche affari suoi. Comunque resta il fatto che non può che essere di Mina.”

“Perché di Usagi no?”

“NO! - Tuonò la bionda mettendosi una mano tra i capelli cercando di scacciare l’idea. - Ci mancherebbe anche questa! A proposito dov’è?!”

“Alla cascina di Mamoru.”

“Cazzo, Giovanna!”

“Che dovremmo fare? Chiuderla nella sua stanza fino a quando non avrà compiuto diciotto anni?!”

Per Haruka sarebbe stata un’idea più che soddisfacente, anche se per ora l’unica cosa che sentiva di voler fare era quella di fracassare la faccia di Kiba.

“Vado a prenderla, così risolviamo la questione.” Se ne uscì afferrando lo stick proprio mentre la sorellina riemergeva bagnata fradicia dalla porta della cucina.

Con i capelli sgocciolanti, la frangetta appiccicata alla fronte spaziosa, gli occhi azzurri velati di lacrime e pioggia, guardò il bastoncino rabbrividendo e lei per prima non seppe capire se per il freddo preso o per il fatto di essere stata drammaticamente scoperta.

 

 

 

 

Note dell’autrice: Ciau. Vi premetto di non averlo corretto più di tanto (e lo farò on line quanto prima), ne di esserci stata molto con la testa. Non sono concentrata a sufficienza e me ne dispiace. In questo momento ognuno di noi ha sicuramente altro a cui pensare, ma ho comunque provato a forzarmi sperando che anche una semplice ff possa aiutare a far passare il brutto momento che stiamo vivendo.

A Presto dunque e avanti così.

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Capitolo 17
*** Azzerare per ricominciare ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Azzerare per ricominciare

 

Come medico di una certa età, l’era capitato più volte nel corso della sua carriera di trovarsi di fronte adolescenti spaurite con familiari inferociti al seguito, ma mai una batteria di persone come quelle che ora aveva davanti. E si che la stirpe delle Tenou la conosceva bene, perché era stata proprio lei a far venire al mondo quelle quattro ragazze una dopo l’altra.

Richiudendo lentamente la cartellina rosa con sopra il logo dell’ospedale, la dottoressa tornò a concentrarsi su di lei; la più giovane di quel sangue coriaceo, una diciassettenne dagli occhi azzurro cielo resi ancor più chiari dall’infinità di lacrime che, n’era certa, aveva versato a fiumi prima di presentarsi nel suo studio. Ora, composta come una donna d’altri tempi, se ne stava seduta davanti alla sua scrivania con un bel moro accanto. Un uomo sulla trentina, dalla carnagione scurita dal sole, gli occhi profondi e l’espressione severa di chi sa che dal responso contenuto in una semplice cartellina di cartone può dipendere tutto il suo futuro. Dietro di loro, due donne sue coetanee. Una dai capelli castani tagliati corti, lo sguardo stravolto reso ancora più cupo dagli occhi di un particolarissimo color grigio e l’altra, più alta e sicuramente meno indulgente, che da quando l’uomo si era seduto non aveva fatto altro che fissargli la schiena con sprezzante astio, tanto che la dottoressa aveva intuito che fosse stata opera sua il lasciargli una tumefazione all’arcata nasale ora coperta da un vistoso cerotto bianco.

La tragedia familiare consumatasi sotto la pioggia della sera precedente, aveva visto Haruka servirsi di una delle loro moto da cross per precipitarsi alla cascina di Mamoru con tutte le peggiori intenzioni del mondo. Arrivata in un lampo, scivolando come una pazza sul sottile strato di fango che era andato formandosi nel corso dei minuti e abbandonato il mezzo a terra, la ragazza si era letteralmente scaraventata contro la porta dell’uomo intimandogli di uscire ed una volta trovatoselo davanti, gli aveva gettato contro lo stick con il quale aveva saputo della gravidanza di sua sorella.

“Io ti ammazzo, bastardo!” Aveva gridato scattando subito dopo.

L’equilibrio incerto e la destrezza di un corpo maschile molto più robusto del suo l’avevano però fermata. Afferrata per il polso, voltata di spalle e chiusa in un abbraccio, la bionda boriosa si era vista costretta all’impotenza.

“Stammi a sentire; non è certo stata una cosa voluta!” Aveva urlato lui a sua volta, ancora scosso dalla notizia datagli da Usagi quella stessa mattina.

Sentendosi bloccata da una stretta che la disgustava e per questo inferocita ancora di più, Haruka aveva allora avuto la più classica delle reazioni e guizzando il collo all’indietro era riuscita a liberarsi colpendolo al volto con la fronte.

“Dovevi starci attento, brutta testa di cazzo! Sei un uomo, non un ragazzino alla sua prima scopata! Gli hai rovinato la vita!” Sull’orlo di un pianto nervoso incontrollato, la bionda era rimasta sotto l’acqua guardandolo appoggiarsi spalle al muro tenendosi il naso con una mano.

“Non credere che non lo sappia!”

“La cosa non mi consola!”

“Bè, dovrai fartela bastare.” Gli aveva detto slanciando la testa all’indietro per impedire al sangue di finirgli in bocca.

Mamoru era sicuro che quelle parole l’avrebbero infervorata ancora di più, invece abbassando i pugni lungo i fianchi, Haruka era rimasta immobile per qualche secondo a lasciarsi bagnare il viso dalla pioggia, poi non facendo ne dicendo altro, era tornata alla sua moto ed alzandola dal fango con uno sforzo immane, aveva dato gas tornando verso il ruscello. Rientrata fradicia a casa e saputo dell’intenzione di Giovanna di portare l’indomani Usagi da una ginecologa che confermasse o smentisse la cosa, non aveva voluto più parlare con nessuna fino al giorno dopo e chiudendosi in camera aveva vigliaccamente lasciato Usagi a singhiozzare tra le braccia di Michiru.

Ora erano tutti e quattro in una stanza con un camicie bianco dalla crocchia argentata a guardarli uno ad uno da dietro due lenti da insegnante. Giovanna e il suo sentirsi per l’ennesima volta inadeguata come sorella maggiore e capo famiglia, Haruka e il suo ringhio sbattuto in faccia al mondo intero, Usagi che avrebbe tanto voluto accanto Alba o Minako, ed un perfetto sconosciuto come il giovane Kiba, forse l’unico che in tutta quella storia sembrava avere piena coscienza di quello che da li in avanti, sarebbero state le sue responsabilità.

“Generalmente non sono solita parlare davanti a tante persone, ma essendo tutti dei famigliari…”

“Allora dottoressa? Di quante settimane è?” Chiese Giovanna stringendo con forza le braccia al petto.

“In realtà dalle analisi non risulta nessuna gravidanza. Per scrupolo farò un’ecografia, ma più che altro per accertarmi che nel bel pancino di questa signorina tutto funzioni a dovere.”

“Come? Non sono incinta? - Usagi fu sorpresa anche più degli altri. - Non è possibile. Non ho mai avuto ritardi e so che i test sono diventati molto attendibili.”

“Estremamente, soprattutto quelli non scaduti e di ultima generazione. Per questo non appena la truppa Tenou ci avrà fatto la cortesia di uscire, ti darò una controllatina.” Amorevole come una madre le sorrise cercando di sdrammatizzare.

Poco convinta Usagi le chiese allora cosa intendesse dire con non scaduti. “Non sono mica dei medicinali.”

“Si tesoro, ma scadono. È ovvio che poi non siano più attendibili. Passi qualche mese, ma…” Presa da un dubbio la donna si sporse in avanti chiedendole quando lo avesse comprato.

“Non l’ho comprato… L’ho trovato in casa.” E guardò di sottecchi l’uomo seduto al suo fianco.

Galeotto il pomeriggio del temporale nel quale Mamoru le aveva fatto vedere i lavori della cascina e il suo sentirsi tremendamente attratta da lui. Avrebbero dovuto stare più attenti.

“In casa, dove?!” S’intromise la bionda incredula che, anche se brulicante di donne, alla masseria potessero girare cose del genere.

“Dentro la madia del corridoio. Sotto i vestiti invernali. In una scatola blu. L’ho trovato la fine dello scorso anno, ma francamente non credevo che mi sarebbe servito tanto presto.” Ammise la minore alzando un poco le spalle.

Haruka sentì una sorta di singulto non bene identificato uscire dalle labbra di Giovanna. Guardandola si accorse di quanto gli occhi le si fossero dilatati. Un’epifania. La sorella maggiore aveva appena avuto un’epifania.

“Non sarà mica stato tuo?” Le soffiò in un orecchio in modo che nessun altro potesse sentire.

“Non ora. Ne parliamo dopo.” Sussurrò di rimando.

Era suo ed erano più di dieci anni che se l’era dimenticato li dentro. Nei primi mesi di Università, Giovanna non era certo stata tutta studio e casa, anzi, aveva fatto le sue esperienze, come la sorella d'altronde, ma grazie a circoli di amicizie diversi, Haruka non era mai venuta a conoscenza di nulla.

A denti stretti l’altra la fulminò socchiudendo gli occhi. “Tu sei più scema di lei! Io di questi problemi non ne ho MAI avuti.”

“Ma và?!”

Visto il battibecco la dottoressa praticamente le cacciò fuori, trattenendo però Mamoru, che grato le sorrise sollevato.

La visita fu accurata ed esaustiva, una piccola cisti ovarica a suggerire il ritardo e un grande spavento grazie al cielo senza conseguenze. Tornarono per cena e dopo aver lasciato proseguire Mamoru sulla strada per la masseria Kiba, le tre donne arrivarono allo spiazzo fronte casa nel più completo mutismo. La più imbestialita tra le sorelle sembrava essere la biondina, che uscendo dalla macchina per ultima ne sbatté lo sportello usando tutta la forza che aveva.

“Hei ragazzina, vacci piano! - La riprese Giovanna. - Non è proprio il caso che tu faccia la scocciata visto l’ansia che ci hai messo su.”

“Siete delle grandissime ipocrite. Tu e tu!” Indicò con l’indice il petto delle due come durante un’inquisizione.

“Usagi!”

“E no, Giò! Voi siete le ultime che dovrebbero giudicare. Non siete certo due novelline del sesso!”

“Prima di tutto non ti stiamo giudicando, perciò non permetterti neanche di pensarle certe cose e secondo, quando ho iniziato a fare le mie esperienze avevo già passato i vent’anni.”

“Ed io non ho, ne avrò mai di questi problemi.” Ribadì Haruka cercando di tirandosene fuori.

Aveva saltato a piè pari tutto un pomeriggio di lavoro, pensando e ripensando a quanto potesse darle fastidio legarsi indissolubilmente alla casata di Lucas Kiba e passato lo spavento per quel gran casino, ora l’era scoppiato un mal di testa feroce. Andando verso il portone di casa lo vide aprirsi. Michiru con le labbra leggermente piegate all’insù sembrava la trasfigurazione vivente del più potente e granitico baluardo della serenità.

“Com’è andata?”

“Un falso positivo!” Apostrofò la bionda sentendo la sorellina richiamarla.

“Haruka! Adesso devi spiegarmi perché ti sei permessa di mettere il naso negli affari miei!” E la deflagrazione che portò quella domanda venne accolta con un cosa, che riecheggiò per tutto lo spiazzo.

 

 

In genere il loro rapporto era sempre stato chiaro e sincero. Tralasciando il vischioso legame dettato dal sangue, ad Haruka era comunque sempre piaciuta la compagnia di Usagi, anche quando quest’ultima era ancora piccola e più che ad una graziosa bambina, assomigliava ad una zavorra cicciosa che voleva sempre fare tutto quello che faceva lei. Così, durante gli anni nei quali il team Tenou aveva solcato le piste da rally, non era raro vedere Usagi aggirarsi per la masseria con il casco di Haruka ben calzato addosso fare strani rumori rombanti con la bocca mimando corse spericolate. Ridendo soddisfatta, la bionda allora se la prendeva in braccio ed alzandola sopra la testa, la guardava assicurandole che quando sarebbe cresciuta le avrebbe insegnato a guidare. E a quella promessa fatta da colei che considerava alla stessa stregua di un supereroe, Usagi urlava di gioia convinta, da bambina qual’era, che tutta la sua vita sarebbe sempre stata così; un balzo sicuro verso il cielo protetta dalle mani di sua sorella.

Sul finire di quella sera carica dei primi odori autunnali, come un’incisione fatta da uno scalpellino fin troppo zelante, Usagi parlò scandendo bene ogni singola parola. “Non ti avrei mai creduta capace di una simile bassezza!”

“Guarda che non gli ho continuato a spaccare la faccia solo perché so che per finire in casini simili bisogna sempre essere in due!”

“Non parlo di Mamo e della solita boria che manifesti quando si tratta di lui, anche se ti assicuro che se gli metterai ancora le tue sudice zampacce addosso te ne farò pentire! Sto parlando del fatto che ti sei sentita in diritto di ficcanasare tra le mie cose come se avessi ancora dieci anni!”

Rimanendo sulla porta, Haruka scosse la testa divaricando un poco le braccia. E no, di quel supereroe e della bambina paffuta sempre attaccata alle sue gambe che veniva lanciata verso il cielo come un uccellino pronto a volare, non era rimasto più nulla. Ora c’erano semplicemente due donne che proprio non riuscivano a capirsi.

“Non so proprio di cosa tu stia parlando Usa. Non ho mai avuto ne il tempo, ne la voglia d'impicciarmi delle tue cose.”

“Bugiarda! Sei un’ipocrita bugiarda!” Le urlò contro quasi fosse stata immersa nel caos di una strada trafficata invece che nella quiete della loro campagna.

Haruka non la prese a schiaffi solo per la provvidenziale stretta di Michiru al suo avambraccio sinistro. Giovanna fece altrettanto con la biondina.

“Usa, cerca di calmarti e spiegati.”

“Vuoi che ti spieghi Giovanna?! Allora sappi che nostra sorella si è permessa di venire a frugare nei miei cassetti. Ecco perché ha trovato il test! Tutto qui! Contenta?” Continuò con i decibel pompati come da un palco rock.

Corrugando la fronte l’altra spostò lo sguardo da quello traslucido di rabbia liquida della più piccola, a quello di pietra della più grande.

Se per Usagi, Haruka era sempre stata un supereroe, per Giovanna la bionda era semplicemente e puramente un’amica che mai, neanche sotto tortura, sarebbe scesa ad azioni di una simile bassezza. Incredula continuò a penetrare il verde degli occhi attendendo senza sapere cosa pensare.

“Allora? Non dici niente?!” Incalzò la biondina aggirando il petto della maggiore per andare addosso all’altra.

“Io non ho proprio nulla da dire. Se veramente pensi che sia tanto meschina da compiere una cosa del genere…” Lasciando la frase in sospeso girò il busto entrando in casa.

Le altre, Usagi in testa, la seguirono ritrovandosi tutte nella grande sala da pranzo che tante battaglie aveva già visto consumarsi all’ombra della sua pietra secolare.

“Non smentisci?!”

“Non ho niente da smentire, ne azioni da difendere!”

“Haru… - Cercò di mediare Giovanna che mai le aveva viste così. - Per favore, cerca di farle capire...”

“Sei dalla sua parte adesso?! Ma hai capito cosa ho detto?”

“Certo che l’ho capito Usa, ma Haruka non farebbe mai una cosa del genere, dai.”

Apriti cielo e scarica giù! A quelle parole, lampante presa di posizione per uno dei due fronti, Usagi sembrò andare su di giri. La mattina era stata lunga, come d'altronde la notte in bianco che aveva trascorso acciambellata sul divano del giardino d’inverno con una perfetta sconosciuta che, nell’accarezzarle i capelli, aveva dimostrato molto più cuore ed affetto di tutte le sue sorelle.

"E mi sembrava strano che non ti schierassi dalla sua parte!"

“Non sto prendendo le difese di nessuna, dico solo che mi sembra assurdo che Haruka…”

“Giò, non t’impicciare! - Abbaiò la bionda avvicinandosi ad Usagi. - Sei proprio sicura di quel che dici?”

“Non prendermi per i fondelli come al tuo solito. Certo che sono sicura. Avevo nascosto quel test nel primo cassetto del mio comodino.”

La voce dell'altra divenne, se possibile, ancora più profonda tanto che Giovanna, conoscendo benissimo quel tono foriero di parole d’amore o di granate devastanti, ebbe un brivido.

Surclassandola in altezza, Haruka ci mise niente a far pentire la piccola per l’accusa appena lanciatale. Le bastarono le frasi; “si, sono entrata nel tuo perfetto mondo di Barbie, ma non per farmi i fatti tuoi, dei quali francamente me ne frega il giusto, ma per cercare il fon che ogni sacrosanta volta che vi fate la doccia, tu o Minako vi portate in camera. L’ho trovato sul tuo materasso con il filo della spina che pendeva fino al pavimento e guardandolo, l’occhio mi è caduto su una delle zampe del letto. Lo stick era li, tra il ferro e un lembo di coperta! Questo per te vuol dire ficcanasare?!”

Balbettando sorpresa, Usagi cercò una difesa che Haruka non le concesse e impietosa riformulò la domanda. “Questo per te vuol dire ficcanasare?!”

“N…noo.” Rispose sentendosi improvvisamente un verme.

“E allora prima di darmi la colpa ricordati bene con chi cazzo stai parlando!” Facendo dietro front la bionda tornò verso le scale immune alle scuse lamentose dell’altra. La scarsa fiducia dimostrata nei suoi confronti l’aveva ferita.

Oddio, ma allora… Pensò Giovanna richiamando l’attenzione delle tre.

“Allora se il test che Usagi ha usato è ancora nel suo cassetto, questo vuol dire che ne girano due!”

Voltandosi di scatto Haruka spalancò gli occhi fissandola quasi con terrore, mentre una voce esterna iniziava a prendersi gioco di loro.

“Bella deduzione Sherlock. - Disse Minalo entrando nella stanza dalla porta della studio. - Ma prima che vi fumino i neuroni, sappiate che il test trovato da Haruka sotto al letto…, è mio.”

Poi rivolgendosi ad Usagi stirò un sorrisetto tra la complicità ed il rimprovero. “L’ho fatto da giorni. Ecco dov’era finito. Certo avresti anche potuto darlo un colpo di scopa al pavimento.”

 

 

Nuovamente li, sedute attorno al tavolinetto di legno piallato ed intagliato nei suoi decori da Sante una vita prima. Nuovamente li, per cercare d’affrontare l’ennesima crisi piombata ad infervorare gli animi di una casa che fino a qualche mese prima aveva quanto meno vissuto in uno stato di tregua. Nuovamente li, Haruka, Giovanna e Minako. Si, perché dopo aver incolpato la bionda della profanazione del suo spicchio privato, Usagi era corsa in camera a piangere tutte le lacrime che ancora aveva dalla notte precedente e visto che Michiru sapeva già della condizione di Mina, era volontariamente tornata a ricoprire il ruolo di consulente seguendo la piccola su per le scale, lasciando così le altre tre libere di confrontarsi. Camminando lentamente sui doghettoni scricchiolanti del corridoio del primo piano, la violinista tirò un sospiro di sollievo, conscia del fatto che se Minako non fosse apparsa dallo studio dove quel pomeriggio aveva deciso di lavorare aspettando il ritorno delle sorelle, sarebbe toccato a lei discolpare Haruka agli occhi di Usagi.

“Mi raccomando Kaiou…, acqua in bocca. Mi fido, non deludermi.” Da quando Michiru aveva accidentalmente scoperto della sua gravidanza, Minako non aveva fatto altro che ripeterglielo e sarebbe stato orribile contravvenire a quella fiducia.

Non mi è mai piaciuto trovarmi invischiata in queste situazioni, pensò bussando discretamente alla porta della biondina mentre giù da basso la calma avvolgeva il giardino d’inverno.

Ora, com’era accaduto alla morte dei loro genitori, per la First delight o la gara di corsa, una parte del clan Tenou si ritrovava a guardarsi negli occhi per cercare di pianificare il passo successivo dell’ennesimo scossone.

“Lo terrai?” Haruka si rese conto troppo tardi di essere stata più piatta di quanto avrebbe voluto.

Scioccata da una serie d’onde di Zunami tanto alte da non riuscire ad intravederne la schiuma in sommità, aveva compreso quanto la sua famiglia, o almeno l’idea che se n’era fatta, negli ultimi anni fosse cambiata e lei, che della velocità aveva per tanto tempo fatto uno stile di vita, al pari di un eterno secondo si ritrovava a rincorrere gli avvenimenti arrivando sempre in ritardo. Avrebbe dovuto prevedere tutto, invece non era stata in grado di riconoscere nulla; la necessità di agire di Giovanna, le avvisaglie del primo vero amore di Usagi, così come l’allontanamento progressivo di Minako.

Sprofondando sui cuscini del divano scosse la testa rettificando la sparata. “Voglio dire…, cosa pensate di fare? Tu e Yaten intendo.”

Allora stirando le labbra, Mina si sporse guardandola dalla seduta davanti alla sua. “E chi ti dice che sia di Yaten?!” Chiese vedendola sbiancare.

“Come, scusa?!”

A quelle parole, a quel viso sempre troppo sicuro di se ora soppiantato da un’espressione stralunata, la sua risata argentina riempì di rimando la stanza vetrata piena di piante dalle larghe foglie. Mettendosi una mano sulla bocca Minako finì letteralmente per grufolare. La sua piccola vendetta per lo scarso tatto della bionda poteva chiudersi li.

“Ma lo sai che sei proprio una tordellona, Haru?! Certo che è suo.”

Un paio di secondi ed un imbecille, uscì dalle labbra dell’altra andando a confondersi con le risa. “Fai poco dello spirito, ragazzina!”

“Scusami, ma me l’ha proprio tirata fuori dai denti. Come se non conoscessi l’amore che mi lega a quell’uomo.”

“Qui tutte crediamo di conoscere tutte, ma nella realtà i fatti sono diversi.” Ammise Giovanna che non aveva affatto voglia di scherzare. Il trascinare Usagi dal medico ed il sentirla poi incolpare tanto violentemente Haruka, non l’era piaciuto affatto, ma non era che l’ennesimo sintomo che quella famiglia, la sua famiglia, si stava dividendo.

Se tutto quello che avevano e stavano vivendo fosse accaduto ad un’altra famiglia, lei, Giovanna Tenou, cosa avrebbe pensato di due sorelle che si arrogano il diritto di scegliere per le più piccole e quest’ultime che, lasciate in disparte a vivere la loro vita, si ritrovano ad affrontare da sole problemi estremamente seri? Dall’alto del suo carattere socratico avrebbe sicuramente giudicato.

Mina le guardò da dietro il biondo della frangia e tornò a farsi seria. Era perfettamente conscia di averle sconvolte, ma anche molto sicura della scelta che lei e Yaten avevano deciso d’attuare. “Intendo portare avanti la gravidanza e spero che sarete dalla mia parte.”

“Naturalmente.” Esplose Haruka.

“Ovvio. - Rincarò l’altra schiudendo le labbra.- Lo avremmo fatto qualsiasi cosa aveste scelto di fare.”

“Ci speravo, anche perché non sarà una passeggiata.”

“Cosa intendi dire? Non stai bene?”

“Ho delle fortissime nausee e il medico che mi ha in cura ha consigliato di andarci piano. Soprattutto per i primi mesi e per questo vorrei che per il momento non diceste niente a nessuno, Max incluso.”

“Tranquilla e poi sei in una famiglia di donne…, meglio di così.”

“Già…”

“Allora torni a casa?” S’intromise Haruka che di quel visetto tra il dolcissimo e l’impertinente sentiva una gran mancanza.

“Questa sarebbe l’intenzione, almeno per ora. A meno che…, voi non abbiate da rimproverarmi qualcosa.”

“A dispetto di Usa, tu sei grande a sufficienza per metter su famiglia.”

“Già, anche se non mi sarebbe dispiaciuto aspettare un altro po’. Ma sta di fatto che è andata così ed ora dovrò abituarmi a vedermi grassa e a sentirmi piena di voglie. A proposito…, cosa ci sarebbe per cena?”

“Questa è una cosa che posso risolvere. - Disse Giovanna alzandosi per lasciarle un bacio sulla fronte. - Ben tornata a casa tesoro e… speriamo che sia femmina.”

“Come se in questa casa non avessimo già abbastanza estrogeni.” Ridacchiò Haruka visibilmente più rilassata.

Non appena la maggiore uscì dal giardino d’inverno, la bionda tornò a guardare l’azzurro degli occhi di Mina chiedendole se l’avesse perdonata.

La risposta non tardò e fu estremamente sincera. “Mi ci è voluto un po’, ma certo che ti ho perdonata. - Poi alzandosi per andare in cucina, socchiuse gli occhi sentendosi improvvisamente più grande di vent’anni. - E credo che dovresti farlo anche tu, Haru.”

Per molti il perdonare i propri sbagli poteva essere la cosa più facile del mondo, ma in persone intransigenti come Haruka non era altrettanto scontato, perciò per uscire dalla fossa che si era scavata ora doveva fermarsi, respirare affondo e cercare di voltare pagina.

“Ci proverò.” Alitò mentre la sorella la lasciava sola.

Una ventina di minuti dopo Michiru fece capolino sulla porta della cucina. “Serve una mano?” Domandò notando la mancanza della bionda.

“No Michi, grazie. Usagi?” Chiese Giovanna con una brocca d’acqua in mano.

”È crollata. Dorme.”

”Grazie per esserle stata di supporto.”

”Per così poco. Vado a chiamare Haruka?”

“Si, grazie. Dovrebbe essere ancora di là. La cena è pronta.” Rispose terminando di apparecchiare.

“Va bene.” Disse la violinista guardando in direzione del giardino d’inverno.

E difatti la trovò seduta sul divano, di spalle, sprofondata nei cuscini di piume come un antico pensatore.

“Non hai fame?” Se ne uscì sporgendosi dallo schienale e qui la vide nell’imperturbabilità di un sonno guaritore, stanca per una giornata piena d’emozioni, ma con il viso finalmente sereno.

Un angelo, di quelli che si ammirano nel misticismo di una pala d’altare o nel silenzio di un affresco centenario. Vicinissimo, tanto da poter essere toccato, ma al contempo talmente etereo da non essere umano. Michiru non si accorse di trattenere il fiato, ma sentì chiaramente un pizzicore infuocato accendersi sul lato destro della fronte.

Stringendo la gommapiuma si ritrasse un poco, come se quella visione fosse troppo anche per una creatura abituata alla bellezza come lei, poi, lentamente, tornò ad accorciare la distanza concedendosi di ascoltare le sensazioni che quella visione le stava dando. Conosceva gran parte di esse, le aveva già provate per Seiya. I tuffi al cuore o l’irrazionale voglia di stare vicini, ma altre erano del tutto nuove, insolite, come la curiosità ed un po’ di paura dell’ignoto.

Logico, si disse, è una donna. Non ho comparazioni. Non so cosa aspettarmi.

Le piaceva Haruka, le piaceva da matti. Fin dal loro primo incontro, anche se stordita dopo essere stata ripescata dall’acqua gelida di quel laghetto artificiale, aveva immediatamente pensato che fosse un tipo affascinante. Era evidente. Alta, bionda, con uno sguardo mozzafiato, un corpo invidiabile ed un sorriso dei più guasconi ed impertinenti che avesse mai visto. Ma poi, con la convivenza, Michiru aveva scoperto anche l’altro lato della luna; il carattere. Alle volte un inferno in terra; impulsivo, testardo, bastiancontrario ed incredibilmente ottuso, altre, una carezza divina, un soffio di leggerezza, d’allegria, di bontà d’animo, d’altruismo, di onestà.

Stirando leggermente le labbra inclinò la testa da un lato avvicinando le dita della destra a quei capelli color dell’oro. Si dice che le bionde siano tipi bizzosi e tu lo sei. Lo sei tanto. E caratterialmente sei così diversa da me, - Guardandosi attorno sospirò. - Tutto quello che ti appartiene è diverso da me.

L’altra si mosse un poco emettendo un leggero mugolio ed immediatamente la mano della violinista tornò ratta a posarsi sullo schienale. “Haru…” Chiamò squarciando il velo del sonno.

Ritrovandosela alle spalle con un leggero disappunto dipinto sulla piega della fronte, Haruka cercò di darsi un decoro passandosi una mano fra i capelli. “Perché fai quella faccia? Devo aver chiuso gli occhi un attimo.”

“E’ pronta la cena…”

“A si?” E con le giunture ancora sciolte dal sonno e lo sguardo perso, la fissò sensuale come dopo una notte d’amore.

Sentendo di stare sul punto di arrossire e dandosi per questo profondamente dell’idiota, Kaiou infilò l’uscita come una scolaretta al primo batticuore. “Vieni.” Riuscì a dire prima di fiondarsi in camera sua per darsi una sciacquata.

Rimasta seduta, Haruka ebbe tanto l’impressione di essersi persa qualcosa.

 

 

In quella domenica di fine ottobre Michiru guardò il grande tino dal diametro di circa tre metri domandandosi in quale secolo fosse stata catapultata. Era stato posizionato il giorno precedente, in un angolo erboso dello spiazzo che si apriva sul fronte della masseria, immediatamente dopo il muro d’edera che nascondeva all’esterno quello che da due mesi era il suo personalissimo giardino segreto, proprio accanto agli alberi che si usavano per stendere il bucato e che davano aggetto sulla sottostante vecchia vigna di famiglia.

Aveva dello straordinario che ci fossero ancora dei luoghi dove si usasse il più antico e tradizionale metodo per estrarre dagli acini il mosto da trasformare in vino. Ecco qual’era il punto nodale della famosa festa che le aveva preannunciato Haruka; la pigiatura dell’uva proveniente dalla Prima e che sanciva la fine della vendemmia. A differenza degli altri vigneti dei Tenou nati per il bianco, questa avrebbe dato il rosso necessario per l’imbottigliamento della pregiata collezione che ogni casa che si rispetti portava all’invecchiamento nelle viscere della propria cantina. Era così ogni anno e ogni anno lo si faceva festeggiando la buona riuscita del raccolto, che forse mai come in quella vendemmia era stato tanto travagliato.

La violinista si avvicinò al contenitore respirando l’odore emanato dalle doghe di castagno strette l’una all’altra da robusti cerchi di ferro, figurandosi a fatica cosa dovesse essere l’entrarci dentro, il sentire la viscosità degli acidi sotto la pianta dei piedi e gli schizzi sui polpacci dati da quella pressatura soffice tanto diversa da quella meccanica. Haruka aveva cercato di spiegarle il mondo che ruotava dietro quell’ancestrale lavorazione, ma non era la parte tecnica a sfuggirle, poteva arrivare a capire perché un mosto estratto a quel modo portasse ad un vino molto meno legnoso del solito, ma era la sensazione tattile a non capire. Era ovvio, visto che per sua stessa ammissione non aveva mai avuto occasione di partecipare, ne tanto meno assistere, ad una cosa del genere.

Sarà una scoperta, pensò eccitata per tutto il contorno che pian piano stava prendendo vita. Da tre giorni vedeva gente correre di qua e di la senza un apparente senso logico, incluse le sorelle Tenou, ognuna indaffarata in compiti precisi. Minako addetta al cibo e alle bevande, Usagi per gli addobbi, Giovanna in vigna a star dietro all’ultimo raccolto ed Haruka… Già, Haruka dov’era? L’aveva intravista quella stessa mattina, di buon’ora, parlottare con un corriere che di gran carriera era poi montato sul suo furgone per dileguarsi verso la Provinciale mentre lei, tutta contenta, si sfregava le mani portando un vistoso pacco sotto al braccio. Appoggiata allo stipite del portone d’ingresso tazzina di caffè alla mano, Michiru aveva pensato di raggiungerla per stare finalmente un po’ insieme, ma poi presa da varie telefonate con gli asfissianti vertici della U.A.F., aveva dovuto abbandonare l’idea.

Chissà se è al silos, si chiese aggirando il tino per dirigersi verso la torre in mattoni dal tetto conoidale. Le sarebbe mancata tutta quella semplice bellezza; dal merlo che ogni giorno si aggirava saltellando tra i rami e le grondaie in cerca di una compagna, alla coppia di upupe che con i loro ricordini schiantati giornalmente ovunque tanto fomentavano l’intolleranza di Haruka. E poi c’era il suono che il vento lasciava tra l’impalcato dei cipressi a fondersi con le campanelle musicali che Usagi aveva appeso alle persiane della sua finestra, il rumore dei trattori nelle valli e quello meno ritmico e costante dei barbagianni che ogni tanto, quando si svegliava nel cuore della notte, ascoltava provenire dalla piccola foresta che si estendeva proprio sotto la masseria.

Affacciandosi all’interno del mondo della bionda, la vide di spalle armeggiare con una parte meccanica ed ebbe la certezza che a prescindere da tutto, la cosa che le sarebbe mancata di più sarebbe stata lei.

“Cosa stai facendo?” Chiese rimanendo appoggiata ad una delle ante, come se quel pensiero fosse talmente insopportabile da non poter essere sorretto da sola.

“Kaiou! Buongiorno.” Voltandosi le sorrise e quelle labbra furono talmente belle ed accattivanti che corrugando la fronte l’altra strinse il legno del portone ancora di più.

Da qualche giorno Haruka si era trasformata. Era palpabile. Le tossine accumulate in uno dei periodi più difficili della sua vita, erano sparite lasciando il posto all’allegria guascona propria del suo carattere indolente ed era talmente bello sentirla finalmente ridere di cuore. Il velo mefitico che le aveva stretto i polmoni non permettendole di respirare a dovere per intere settimane, non c’era più e tutto, dalla perdita di parte del raccolto al suo quarto, dalle discussioni agli schiaffi verbali tra sorelle, sembravano dimenticati. Rimanevano i debiti, certo e il non sapere ancora chi fosse il donatore misterioso, ma erano cose che potevano benissimo essere affrontate un passo alla volta. Con Minako ritornata a casa ed Usagi sulla buona strada per una nuova e più concreta maturità, anche l’unione famigliare sembrava essere migliorata e forse con un po’ di pazienza, la famiglia Tenou sarebbe tornata all’unione di una volta.

“Ti disturbo?”

“Assolutamente no! Sto lavorando per te! Guarda.” Tutta contenta le mostrò un pezzo di metallo di forma pseudo cilindrica, con un paio di grosse ventole nere e qualche cavo colorato ad uscire da piccole flange.

Alzando le sopracciglia Michiru non seppe proprio cosa pensare. “Interessante…”

“Non sai assolutamente cosa sia, vero?” Sfotté avvicinandosi alla Mercedes ormai dimenticata a prendere polvere in un angolo e fu allora che l’altra capì ed ebbe un brivido nel farlo.

“Il… biturbo?”

Schioccando le dita a mezz’aria Haruka se la guardò compiaciuta. “Vedo che oltre ad essere bellissima e schifosamente talentuosa, sei anche un tipino perspicace. E se riferito ai motori, mi eccita ancora di più.”

Troppo presa dalla parola biturbo, la violinista non sembrò curarsi di quell’infilata di complimenti. Una volta montato il pezzo infatti, il ritorno alla sua vecchia vita sarebbe stato molto più vicino.

“Ma conoscendoti non avevo dubbi. - Continuò la bionda inginocchiandosi di fronte all’auto. - E’ arrivato questa mattina. Non credevo ci avrebbe messo tanto, ma vedrai Kaiou, farò un ottimo lavoro. Non temere.”

Perché continuava a chiamarla per cognome. A Michiru non piaceva affatto.

“Con tutti i preparativi per la festa di questa sera non dovresti perderci tempo.” Disse sinceramente sorpresa.

“Te l'avevo promesso ed avrei dovuto farlo già parecchio tempo fa e poi per me è un giochino rilassante. Ho finito tutti i lavori che mi ero imposta di fare prima di mezzogiorno, perciò non preoccuparti. In più non dimenticarti che alla mal parata ho tre sorelle ed un aiutante super.” Voltando il busto e lanciandole un occhiolino tornò a sorriderle. E Michiru tornò ad avere lo stomaco in bocca.

“Sarei io l’aiutante super? Non mi sembra.”

Guardando nuovamente il sotto dell’auto, la bionda se la rise. “E chi altri? Mina mi ha detto che hai aiutato Yaten con i fornitori. Da quando sa che diventerà padre, mi sembra più rincoglionito del solito. Mi rimani solo tu… , Kaiou.”

“Basta! Smettila di chiamarmi così!” Quasi urlò.

Abbandonando il biturbo a terra, l’altra si alzò guardandola stranamente. “E’ il tuo cognome. Non credevo di far danno.”

“No, ma… è tutta la vita che mi sento chiamare per cognome. Almeno qui vorrei essere solo Michiru.”

Ascoltandosi si sentì un po’ patetica, una donna regredita allo stato larvale, eppure Haruka riuscì ad afferrare il senso più intimo di quella frase.

“O capito. - Disse penetrandole le iridi con sicurezza ricordando la sera del loro primo incontro. - Sei entrata in questa casa come Michiru e basta, ed è giusto che continui a chiamarti così anche dopo aver saputo chi sei.”

“Almeno qui non voglio essere la signora Kaiou.”

“Ma prima o poi dovrai tornare ad esserlo.” Disse con un soffio impaurito.

Dolente Michiru guardò altrove. “Si, dovrei, anche se ora vorrei capire una cosa prima.”

“Che cosa?”

“Una cosa estremamente importante.” Stringendo i pugni dimenticati lungo i fianchi fece un paio di passi azzerando la distanza e spiazzando completamente Haruka, le poggiò i palmi delle mani sul viso avvicinando il suo.

Come un soffio gentile la bionda avvertì le labbra dell’altra poggiarsi alle sue per un tempo sufficientemente lungo per poterle assaporare un po’.

Dopo l’ovvia sorpresa per un gesto che aveva bramato un’infinità di volte, Haruka le accarezzò la vita attirandola a se. Con gentilezza. Quello forse era il momento più importante della loro storia, il bivio che avrebbe potuto portare ad un’evoluzione nel loro rapporto o al consolidamento di una semplice amicizia. Un bacio al limite del casto, finito il quale Michiru abbassò la testa poggiando la fronte sulla spalla della bionda.

“Michi…” Sussurrò Haruka non osando muovere un muscolo.

“Dammi solo un attimo.“ Rispose con altrettanta mollezza nella voce.

Le sue labbra erano così morbide e la pelle del viso talmente liscia, che non avrebbe potuto fare comparazioni con quella di Seiya neanche se avesse voluto. E non voleva. Sin dalle prime avvisaglie di un qualcosa d’importante che le stava crescendo dentro, Michiru si era imposta di non fare paragoni di nessun genere. Non voleva assolutamente cadere preda di uno stupido ed infruttuoso dualismo che non avrebbe fatto altro che svilire un fronte rispetto all’altro; la vita che stava attualmente conducendo alla masseria con quella passata a calcare i palcoscenici di mezzo mondo, il carattere di Kou con quello della donna che ora le stava di fronte, il rapporto di coppia che in anni di compromessi era riuscita a costruire con un uomo, rispetto a quello che avrebbe potuto avere con una donna. Ecco, nel calderone emozionale che stava attraversando, quell’ultimo pensiero era forse il confronto che più voleva evitare di fare. Ma come avrebbe potuto non pensarci, i giorni, le notti sveglia a fissare il bianco del soffitto nonostante la stanchezza? Cos’avrebbe dovuto aspettarsi? Sarebbe stata all’altezza o avrebbe rovinato tutto facendo soffrire entrambe?

Per la prima volta in vita sua Michiru Kaiou si sentiva senza bussola o navigatore, spaesata, incapace di perseguire una meta e chissà come la bionda lo capì. Ora spettava a lei guidarla.

Solleticandole il fianco con le dita le sussurrò all’orecchio. “Prova ad abbandonare la tua razionalità e a seguire solo l’istinto. Non pensarci troppo.”

“Non è facile, Haru…”

“Nessuno dice che lo sia, devi solamente lasciarti andare e fidarti di me. - Alzandole il mento l’inchiodò con la forza del suo sguardo. - Mi credi se ti dico che non potrei mai farti del male?”

“Certo…, ma se fossi io a fartelo?”

“Rispondi solo a questo; ti è piaciuto?”

“Sono stata io a volerlo.”

“Non metterti sulla difensiva.”

“Non è il pensiero dell’attrazione verso un’altra donna ad impensierirmi, ma tutto il resto. Non credo che al mondo esistano due esseri tanto diversi.”

“Non è quello che ti ho chiesto.”

Allora Michiru capì che con quella donna non poteva continuare a nascondersi. “Si. - Disse convinta non sapendo come altro esprimere la fucilata al cuore che aveva provato nel baciarla. - Mi è piaciuto e non sai quanto.”

“E allora riusciremo a passare sopra alle differenze. Caratterialmente non siamo poi così diverse.” Questa volta fu lei a prenderle le labbra, ma si frenò, anche se avrebbe voluto essere molto, molto più carnale.

Nel silenzio del silos si avvertì in lontananza la voce di Usagi chiamare la violinista dall’aia dietro la cucina.

“Sto aspettando una telefonata da Vienna.” Sospirò Michiru riaprendo lentamente gli occhi.

“Allora vai… prima che ti salti addosso.”

“Lo faresti?”

“Ti piacerebbe?”

“Sei tremenda.” Ridacchiò la violinista stringendole la mano con la quale le stava ancora tenendo la vita.

“Questa volta Michi sei tu a non sapere quanto.” Disse rispondendo per le rime e quando Michiru uscì con il suo solito intercedere elegante, ad Haruka non rimase che poggiarsi mollemente al cofano della Mercedes e schernirsi del suo scarsissimo senso di sopravvivenza.

“Mia cara Tenou, la vedo brutta. Proprio brutta... Questa volta non basterà una fuga per toglierti dai guai.” E mentre si grattava la zazzera le fu chiaro di aver concesso per la prima volta il suo cuore ad un'altra donna.

 

 

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Capitolo 18
*** Il prezzo di una scelta ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il prezzo di una scelta

 

 

La pigiatura dell’uva della Prima iniziò presto, praticamente subito dopo il frugale pranzo a base di panini che tutta la masseria Tenou, o quasi, si concesse prima d'iniziare l'ultima giornata di lavoro. Massacrata da interminabili telefonate e rimasta chiusa nello studio fin dall'alba, solamente Michiru non era riuscita a sedersi a tavola.

Sempre con gran parte della testa impegnata nel ricordo delle sensazioni tattili provate nel baciare Haruka, la violinista aveva cercato di concentrarsi il più possibile, il che era stato difficilissimo e per nulla redditizio.

Così dopo svariato tempo attaccata alla cornetta del cordless, vinta dall’ennesima discussione con Seiya e vogliosa di mandare tutta la U.A.F. al diavolo, sospirando si arrese all’evidenza di non avere più tempo. Terminato quel supplizio si alzò lentamente dal divano dov’era crollata con un vago senso di nausea. Eppure sia il suo ex compagno, che il signor Stern, non ultimo il Direttore della Filarmonica, negli anni addietro erano stati per lei dei punti fermi, una parte della sua famiglia. Dei colleghi rispettabili. Come poteva ora averne tanto rifiuto?

Dovrò farmela passare, si disse stirando le labbra tornando così ad indossare metaforicamente la sua bella uniforme da bravo soldatino che l'avrebbe accompagnata nei mesi successivi.

Attirata dal vociare gioioso proveniente dall’esterno, la donna cercò di rinchiudere i pensieri angosciosi di un dovere che non voleva più, nel più profondo dei pertugi e corse fuori desiderosa di godersi appieno quelle ultime ora di libertà tra coloro che meritavano veramente il meraviglioso appellativo di famiglia. Sembrava passata un’eternità da quando l’avevano presa con loro ed invece erano solamente poche settimane. Si sentiva diversa e per alcuni versi lo era, ma sapeva anche di essere un pezzo da novanta della classica che non poteva più permettersi di restarsene rintanata in quella bolla ovattata fatta di rispetto e amore. Aveva delle responsabilità, non soltanto verso il suo pubblico, ma anche e soprattutto verso i due contratti capestro ai quale Seiya per primo, tempo addietro, non aveva saputo dire di no. Ed ora era costretta a rivedere tutti i suoi piani di fuga, perché, se prima il vendere il suo Stradivari le avrebbe permesso di pagare le penali sulla rescissione dei contratti che la legavano con la U.A.F. e la Filarmonica, ora il non averlo più la costringeva ad abbassare la testa e a sottostare ai suoi doveri.

Si malediva Michiru, non certo per aver scelto d’impersonificare il donatore misterioso, lo avrebbe fatto altre cento, mille volte, ma tolta la rete di sicurezza che il suo violino le dava, adesso era alla mercé del mercato e quest’ultimo, divoratore d’anime e di vite, richiedeva a gran voce la sua dea sforna denaro e lei, ormai mero burattino senza più possibilità di parola, doveva obbedire. Era cosa di pochi minuti prima l’aver saputo che tutti i concerti improvvisamente sospesi dopo la sua sparizione, erano stati ripristinati dall’inizio di novembre fino a Capodanno. Una turnè dopo l’altra che l’avrebbero portata lontano. Tanto. Troppo.

Uscendo di casa si ritrovò inondata di colori e suoni, canti per lo più, vecchie canzoni che si tramandavano di generazione in generazione e che creavano ogni anno la colonna sonora di quell’ultimo lavoro. Salutando alcune persone, Michiru scorse Giovanna e Minako con gli avambracci poggiati al bordo del grande tino non ancora del tutto riempito d’uva. Parlottavano serene come prima della partenza per una gita e questo la invogliò ad avvicinarsi, quando vide lei, il tarlo che stava pia piano erodendo il suo cuore, venire avanti dalla parte opposta alla sua con passo più che spavaldo. Camminava lentamente e all’altra sembrò quasi che lo stesse facendo in slow motion, come nelle più classiche scene d’autore.

Quell’atteggiamento tra la guascona e la protagonista fichissima di un film, non scappò neanche alle sue sorelle che pronte, iniziarono subito a ridersela. “Giò, guarda Haruka.” Se ne uscì Mina attirandone l’attenzione.

“E si, sembra un pavone mentre sta per metter su la ruota.” Confermò la maggiore spostando lo sguardo dalla bionda a Michiru.

E brava la nostra Haru. Ti sei finalmente decisa a farti sotto sul serio, pensò Giovanna soddisfatta tra se. Era ora ed anche se non sarebbe stato affatto facile far combaciare due pezzi tanto assurdi, era convinta che questa volta Haruka sarebbe riuscita a costruire con un’altra persona qualcosa d’importante e duraturo. Le piaceva molto Michiru e quello che riusciva a dare ad ognuna di loro. Sarebbe stato un acquisto spettacolare per il clan Tenou se fosse entrata a farne parte.

Ravvivandosi la frangia, la bionda inondò i polmoni di aria buona. “Allora Michiru, sei pronta?” Disse fermandosi a un passo.

Era la prima volta che si parlavano da quando si erano baciate e Tenou sembrava aver cambiato marcia. Stirando le braccia sopra la testa sfoderò un sorriso sghembo indecifrabile.

A Michiru non sfuggì nulla; l’atteggiamento, il modo di guardarla, fino alla famosa canottiera che per sua stessa ammissione le valorizzava in maniera pressoché perfetta il seno. “Vedo che li accetti i consigli.” Provoco’.

"Su cosa?”

“Sul vestiario.”

“Hai notato?!” E posandole una mano all’altezza dei reni la bionda guidò l’altra verso il tino.

Alla violinista non rimase altro che scuotere la testa e sogghignare. Conosceva i segnali di un corteggiamento e il manifestarle nel silos di essere attratta da lei aveva portato tutto su un altro piano. Fino a quel momento Haruka era sempre stata molto discreta; le allusioni al suo aspetto fisico, all’intelligenza, alla classe o alla sua bravura nell’apprendere o fare le cose, erano sempre state rafforzate da gesti gentili e delicati, come il portarle da bere al tavolo quando andavano al pub, l’aprirle la porta per lasciarla passare per prima, o il farle un massaggio alle spalle la sera dopo una giornata di lavoro, ma mai aveva osato andare oltre. Quella donna ci sapeva fare ed era un fatto che, almeno nei suoi confronti, in quelle settimane passate sotto lo stesso tetto gomito a gomito, fosse stata anche molto paziente. Ora dopo quella mattina qualcosa era cambiato e Michiru lo aveva capito, ci aveva sperato e adesso, attratta sempre di più da quella nuova avventura, ne provava un gran piacere.

Vedendole arrivare Giovanna manifestò a Minako il sospetto che tra le due fosse accaduto qualcosa.

“Lo credo anch’io. - Confermò alzando una mano per attirare la loro attenzione. - Hei ragazze…”

“Mina…, vacci piano.”

“Ci andrò di velluto. Tranquilla. “ Ma amava troppo sfottere Haruka perché per quanto sua sorella si credesse nostra signora delle lenzuola, era di gran lunga meno maliziosa di lei.

“Michiru… Hai risolto con i tuoi colleghi?” Chiese la biondina affabile.

“Più o meno. Ma non parliamone ora, spiegatemi invece cosa si dovrebbe fare.”

“Non preoccuparti, ci penserà Haru a farti vedere come si fa. Vero?”

“Certo. Per lei è la prima volta.” Alzò il mento sicura di se.

Troppo facile. L’assist fu talmente ingenuo che Mina fece fatica a rimanere seria. “Lo immagino, ma tu… sarai paziente, giusto?”

“Ovvio! E poi per farlo bene, all’inizio bisogna andarci piano.”

“Si dice in giro che in questo… tu sia una grande.”

“Ci vuole poco! Quando uno è preso dalla frenesia, tende a farlo con troppa foga e così stai pur certa che si rischia solo di fare un gran casino.”

“Nessuna che è stata istruita da te nell’arte della… pigiatura ha mai avuto da ridire?”Chiese Minako con finta ingenuità.

“Non mi sembra proprio.”

“Il sapere insegnare è una dote che si dice porti sempre a grandissime soddisfazioni.” Continuò senza pietà prendendosi per questo un calcetto da Giovanna.

“Mina…” Riprese sottovoce.

“Per caso stai alludendo a qualcos’altro?” Non sopportava quando Minako godeva nel tirarla in mezzo a qualche assurdo doppio senso.

“Tu che dici?”

"Dico che dovresti piantarla.”

“Per me sarebbe il caso di insegnare a Michiru come si fa…”

“Credo di averne un’idea.” Intervenne la violinista stando al gioco della più giovane.

“Ma tra il dire e il fare...”

“Già Mina, in alcuni campi manco totalmente d’esperienza, ma imparo in fretta riuscendo a mettere subito in pratica le cose.” E guardando la bionda alzò le sopracciglia come a volerle dire; insegnami.

“Michi…” Dilatando leggermente le pupille Haruka cercò di uscirne illesa.

“Dunque… - Sbattendo energicamente un palmo sul bordo del tino, Minako proseguì con maggior enfasi. - … è il caso che mia sorella si dia una mossa! Avanti Haru, non startene ferma come un’allocca! Fai vedere a Michi quanto ci sai fare.”

Digrignando i denti la maggiore decretò la fine del gioco e prendendo la violinista per un polso la portò verso la pompa dell’acqua dove si sarebbero lavate i piedi. “Glielo farò vedere se e quando sarà lei a volerlo! E ora vai a sfottere qualcun’altro.”

Minako scoppiò a ridere scuotendo la testa. “Si atteggia a gran figa, ma sotto sotto è sempre la solita tordellona.”

“Dai, è tutta sotto sopra e tu non avresti dovuto metterla in difficoltà davanti alla donna che le piace.” Bacchetto’ Giovanna divertita.

"Ma se perfino Michiru è stata allo scherzo.”

“Vero. Non la credevo tanto maliziosa.”

“Meglio! Se Michiru vorrà far parte della vita di Haruka dovrà anche abituarsi ad avere delle sorelle.” Soddisfatta le diede un colpetto d’anca prima di andare a cercare Usagi.

“Tu continua così che al mondo non regalerai un bambino, ma un fauno.”

“Ha ha, buona questa.” Disse alzando l’indice mentre si allontanava verso l’ingresso di casa.

Haruka ha ragione, pensò Giovanna tornando a guardare le due parlottare insaponandosi i piedi in un bacile. Questo posto pullula d’estrogeni.

Seduta su un ciocco di castagno, Michiru prese l’asciugamano che le stava porgendo la sua insegnante personale rendendo gli occhi a due fessure. “Scusa, quante sarebbero poi tutte queste allieve che avresti avuto?”

“Ma dai retta a Mina? Si, ogni tanto capita che ci siano ragazze nuove che non abbiano mai pigiato l’uva alla vecchia maniera, ma farlo non è poi tutta questa gran difficoltà.”

Avvicinandosi ad un orecchio, Kaiou si fece seria. “Non essere elusiva. Tua sorella è stata molto chiara.”

“Già e scusala…  Alle volte tende a mettere le persone in imbarazzo.”

“Non mi ha dato fastidio, anzi, mi sono divertita. So stare agli scherzi.”

"Contenta tu.”

“E allora?”

“Allora cosa?!”

“Non vuoi proprio dirmi con quante ragazze sei stata.”

Haruka sembrò sorpresa. Davvero voleva fare quel discorso con lei? Immerse tra la gente, davanti a tutti e per di più con un calzino in mano?

“Ma ti sembra il momento di parlare delle mie esperienze?” E poi chi se le sarebbe ricordate tutte?!

“E perché non ora? Questa mattina mi hai aiutata a capire una cosa ed ora sto per entrare in un tino pieno zeppo d’uva con una bionda che i più dicono che da un certo punto di vista sia poco raccomandabile. A me sembra un momento perfetto per continuare a conoscerti.” Ammise serafica alzando le spalle.

Avvicinando il naso a quello della violinista, Haruka arrivò quasi a sfiorarlo. “Allora l’hai poi capita quella famosa cosa!?”

“Non cambiare discorso.”

“Parlare di futuro è di gran lunga più bello che rimuginare sul passato.”

“Sono d’accordo, perciò per ora sei salva dal mio terzo grado. Approfondirò in seguito. Comunque si, la cosa che ho capito è che mi piaci tanto anche dal punto di vista fisico, altrimenti… non sarei qui.”

“E non ne hai paura?” Chiese l’altra cercando di non schiudere le labbra in un sorriso beota.

“Non sono mai stata un tipo pauroso.” Mormorò modulando la voce per renderla sensuale come la sua.

Allora poggiando pesantemente gli avambracci sulle pieghe della gonna che stava coprendo le ginocchia di Kaiou, Haruka emise un profondo sospiro di rassegnazione. “Mi sa che mi sto incasinando la vita.”

“Non dirmi adesso che sei tu ad aver paura.”

Non l’avrebbe mai confessato, ma si, ne aveva da morire. “Io non ne ho mai.”

“Bugiarda.” Sussurrò strappandole il calzino monouso ormai dimenticato nella sua mano.

“Perché, non mi credi?” Spostando il busto all’indietro Haruka si batté energicamente il pugno al petto ribadendo di essere lei l’insegnante.

“Sarai anche esperta, ma assolutamente no, non mi convinci. Comunque non è certo un problema. Vuol dire che basterà il mio coraggio.”

“Ma…, sentitela. - Disse colpita a freddo da quell’improvvisa linearità. - Da dove salta fuori tutto questo?”

“Sono pragmatica, lo sai. Mi piace parlar chiaro.”

La bionda annuì. Non si sarebbe presa una tale pezza per lei se le fosse piaciuta solo dal lato fisico. Michiru era attraente da ogni punto di vista, ed il carattere era forse la cosa che le piaceva di più. Aveva il fuoco dentro, un ardore che riusciva a dominare perfettamente, mentre quello che batteva in lei era spesso disperso nel caos della sua irruenza. Aveva già capito da parecchio come quel calore avrebbe potuto soggiogarla ad ogni suo volere.

“Non venirmi a dire che non hai mai trovato una donna che riuscisse a tenerti testa.” Continuò piegando la testa da un lato.

Poche e non me le sono mai portate al letto, pensò prima d’alzarsi per porgerle la mano.

“Mia madre, Rose, Giovanna e Minako. Anche Usa inizia a darmi del filo da torcere, ma riesco ancora a tenerla a bada. Perciò come vedi…, sono un tipo tosto.”

Afferrando con forza il suo palmo, Michiru si tirò su avvicinando il contatto. “Come avrai capito lo sono anch’io ed in più sono anche molto curiosa.”

A quel cobalto tanto intenso la bionda guardò altrove. Era riuscita a tenere a freno l’animale passionale che le ruggiva dentro, a volte anche con una certa maestria e si era complimentata con se stessa per questo. Un autocontrollo degno di un asceta, che aveva sbandato solo con Bravery e nelle ore solitarie della notte, ma per la miseria, ora sentiva di stare perdendo il controllo della sua libido e quella donna terribile non stava facendo nulla per aiutarla a fare la brava, anzi.

“Sembra che tu faccia di tutto per stuzzicarmi, Michiru.”

“Siamo tra adulte… Si gioca… - E se Tenou faceva la galletta atteggiandosi ad arma letale, Kaiou era in grado di smontarla pezzo per pezzo. - Avanti. Andiamo. Vediamo la prima lezione di questa famosa… insegnante.” Disse felice saltellando sull’erba fino alle scalette di legno che portavano al bordo del tino.

Strofinandosi il collo Haruka ribadì a se stessa di esserci cascata con tutte le scarpe.

 

 

Prima delle diciotto iniziarono ad arrivare gli invitati, tutti gli stagionali e gli operatori che lavoravano alla cantina. Anche Max era stato invitato, ma con molta probabilità non sarebbe potuto passare per via del locale pieno. Erano infatti ancora molti gli stagionali che giravano nella zona scegliendo di passare le ultime ore a bere una buona birra in compagnia di un bel pezzo di manzo grigliato prima di ritornare a casa. Ad Haruka dispiaceva, ma ancor di più a Minako, che dopo la rivelazione dell’uomo al nipote, aveva visto un umanissimo raffreddamento nel loro rapporto. Non che Yaten ce l’avesse ancora con lui, ma voleva prendersi un po’ di tempo per se e la famiglia che a breve si sarebbe allargata.

“Ci ha messo ventisette anni per dirmi di mio padre, non può certo avere la faccia di bronzo d’offendersi se non gli dirò subito che diventerà prozio.” Ci aveva scherzato ridendo al disappunto della compagna.

Verso le diciotto e trenta, Yaten, addetto da qualche anno alla musica, iniziò a pompare hip hop a palla mandando Giovanna fuori dai gangheri.

“Ma che razza di musica è?! Metti roba più adatta che non sia da tossici!”

Affacciandosi da una delle finestre del primo piano, Haruka le fece eco urlando neanche si fossero date una voce. “Cambia quella schifezza! Non siamo ad un rave a calarci gli acidi!”

Guardando prima la donna con le mani sui fianchi davanti a lui e poi la sorella affacciata alla finestra con ancora la camicia mezza slacciata ed i capelli bagnati, alzò le spalle sbuffando un sonoro che strazio.

“Siete vecchie! Mi rifiuto di metter su roba da balera!”

“Ci sarà pure una sana via di mezzo, non credi? - Suggerì la maggiore. - Cambia la tua play list o la gente scapperà ancor prima che si cuocia la carne. A proposito, dov’è la tua donna? Aveva detto che avrebbe pensato lei al cibo.”

“Si, l’ho vista andare in dispensa a prendere le bistecche.”

“E tu perché non la stai aiutando? Forza, schiodati da quella postazione e vai a darle una mano. Avrai tutta la sera per divertirti a fare il ragazzino.” Ordinò mentre Haruka la chiamava in casa.

Chinata la testa e lasciati i piatti, Yaten obbedì mentre Giovanna correva verso il portoncino d’ingresso.

“Haru che vuoi?! Devo ancora darmi una lavata ed infilarmi qualcosa di decente. Sono sporca da far schifo.” Si lagnò entrando nel soggiorno.

Dalla balaustra del corridoio la bionda le fece cenno di raggiungerla di sopra. Arrivata nella loro camera chiuse la porta ed ancora mezza nuda le chiese dove fosse Michiru.

“Non saprei. Credo in camera sua a farsi una doccia. Come dovrei fare anch’io.”

“A… ok.”

Vedendola strana Giovanna le chiese cosa avesse. “Mi sembra che tra voi stia andando bene. Dov’è andata tutta la baldanza di questo pomeriggio?”

“Nel cesso. Affondo. Irrimediabilmente persa!”

“Haru…”

Arpionandosi i fianchi la bionda dondolò la testa verso il petto. “Sono nella merda.”

“Equivarrebbe?”

“Ho paura!”

La sorella sorrise. “Tu?”

“Qui non si tratta d’affrontare una curva a centottanta, ne di guidare un trattore durante un temporale o di prendersi le proprie responsabilità di fronte alla famiglia. Qui si sta parlando di sentimenti e tu mi conosci Giovanna, quando è il cuore ad essere in gioco, io scappo. Scappo sempre! - Finalmente ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. - Questa mattina mi ha baciata cercando di togliersi gli ultimi dubbi che come etero aveva nell’essere attratta da una donna e io le ho consigliato di lasciarsi andare e di fidarsi di me. Ma ti rendi conto!? Io che dico ad un’altra di lasciarsi andare quando non mi sono mai impegnata fino in fondo con nessuna. Sono un’ipocrita.”

“No che non lo sei, solo che non hai mai trovato la donna giusta che ti facesse abbassare la corazza che ti porti addosso.”

Poggiandosi all’anta dell’armadio Haruka si diede dell’idiota. “Non so neanche quante donne mi sono portata al letto o con quante ho giocato a fare la seduttrice e per la miseria, non ho rivali in questo!”

“Ma Kaiou ha alzato l’asticella…”

“Esatto! Ha capito che ho paura e mi pungola. Mi sfotte. Mi sfida. E questo mi piace. La voglio da morire, ma non solo fisicamente. Vorrei costruire qualcosa d’importante con lei.”

“E allora fallo.”

Lo sguardo della bionda divenne duro. “Abbiamo già fatto questo discorso Giovanna.”

“Si, quando scopristi che è una violinista famosa e che viveva nell’agiatezza di una villa con un compagno. Ora però quell’uomo non c’è più e la conosci abbastanza bene per sapere che del denaro non gliene frega niente, che non teme il lavoro duro, che la vita che aveva le stava stretta e, soprattutto, che è attratta da te come tu lo sei di lei.”

“Prima o poi partirà vedrai, ed io rimarrò sola senza più la mia corazza.”

Soffiando forte l’aria via dai polmoni la maggiore non controbatté subito. Michiru amava Haruka, perché altrimenti non avrebbe dato via il suo strumento per farle ridare la terra, ma di controparte, Giovanna l’aveva vista esibirsi capendo con quanta dedizione e passione si dedicasse alla sua carriera. Avrebbe davvero rinunciato a tutto per stare con sua sorella? Il palcoscenico, la ribalta, la fama, erano tarli subdoli.

“Purtroppo questo nessuno può saperlo, ma di una cosa sono certa; Kaiou non sta giocando. Tu non sei un capriccio, ne tanto meno un curioso giro a lesbolandia.”

“Praticamente devo buttarmi e stare a vedere che succede?"

“Come in ogni storia. - Si concesse una saggezza iniziando ad allacciarle la camicia. - Non ti ho mai vista rinunciare a qualcosa d’importante e non credo inizierai a farlo adesso.”

“Mmmm. Sai Giò, per me ogni donna dovrebbe avere un gettone gratis per fare un giro a lesbolandia.”

“Ed immagino che tu saresti il capo treno.”

Scansandole le mani dall’asola sorrise divertita. “Ovvio. Su, vai a farti questa benedetta doccia. Presto ci sarà il casino delle solite feste in stile Tenou.”

Pregustandosi l’acqua calda sulla pelle, Giovanna uscì fiondandosi nel bagno principale mentre Haruka finì di prepararsi a dovere. Non indossò nulla di particolare, una maglietta, una camicia, un paio di Gas neri, ma indugiò più del solito davanti allo specchio interno ad una delle ante dell’armadio, indecisa su come sistemarsi i capelli ancora umidi. Un vezzo da ragazze, tipicamente femminile, che la catturava solo se la preda che aveva nel mirino valeva l’ardua impresa di domare la sua capigliatura. Dopo un’infinità di tempo a sbuffare e ringhiare contro la sua immagine riflessa, optò per il gel e lo stile arruffato che meglio di tutti rispecchiava il suo vero io. Poi, ammettendo di essere uno schianto, afferrò un paio di braccialetti di cuoio iniziando la ricerca della bella violinista.

Scendendo giù da basso bussò alla sua porta, ma non avendo risposta e non sentendo scrosci d’acqua provenienti dal suo bagno, fece una capatina nel giardino d’inverno ed infine in cucina. Trovandoli entrambe vuoti non le rimase che uscire dalla porta sul retro. Respirando affondo rabbrividì domandandosi se non fosse stato meglio darsi un'asciugata alla testa.

“Va bene così. Ho bisogno di mantenere il motore al minimo o rischia di andare in ebollizione.” Si schernì prendendo il sentiero per l’aia.

Quella piccola collina era da sempre uno dei suoi posti preferiti, perché quando s’isolava li, in genere le sorelle o chi che sia non venivano a scocciarla. Negli ultimi giorni anche Michiru aveva preso ad usare la panchina che dava sulle valli, per ricaricare un po’ le batterie e riflettere su quella che sarebbe stata la sua vita da li in avanti. La bionda lo sapeva e di fatti la trovò li, seduta compostamente con lo sguardo fisso all’orizzonte, immersa negli ultimi raggi del giorno. Portava un vestito più pesante di quello che aveva usato qualche ora prima e che, per ovvie ragioni, si era macchiato di rosso fino all’inverosimile. Avvicinandosi con passo felpato, Haruka se la rivede ancora li, nel grande catino di fronte a lei, mentre con una mano stretta all’orlo della gonna tirato su fino alle cosce e l’altra arpionata al suo braccio cercando equilibrio, rideva fino alle lacrime.

“Michi non rimanere impalata. Muovi i piedi.”

“E’ viscido… Oddio, ho delle cose tra i calzini e le dita.”

“Sono i pezzettini dei chicchi che in teoria dovresti schiacciare…”

“Fanno il solletico…” E giù una risata inconsulta ed uno strizzar d’occhi al limite del fumettistico.

Tenou se l’era sentita addosso mentre cercava di non farla scivolare e le sue mani, volenti o nolenti, erano andate ad addentrarsi anche più su della vita.

Se soltanto sapessi che fatica l’esser tanto controllata, pensò sbucandole alle spalle.

“Dunque sei qui!” Se ne uscì vedendola sobbalzare.

“Haruka! Ma…, sotto ai piedi hai i gommini come i gatti?!” Ormai non si contavano più le volte che era riuscita a coglierla alle spalle.

Stirando le labbra soddisfatta, la bionda le si sedette accanto notando immediatamente quanto stesse bene. Si era truccata, ma non leggermente come capitava quando andavano al pub di Max, ma con più accortezza. Se possibile era riuscita a valorizzare ancor di più il colore degli occhi già di per se molto intenso, il contorno delle labbra e l’incarnato del viso. Niente da dire, quella sera Michiru Kaiou era proprio d’abbacinare la vista.

“Come mai sei qui tutta sola soletta? Aspettavi forse qualcuno che ti portasse al gran ballo?”

“Vorresti portarmici tu?” Rispose sicura ricominciando quel balletto verbale che ormai era diventata una prassi.

“Alle feste danzanti uso accompagnare solo ragazze molto belle e solo di domenica. - E quando vide Michiru aprire la bocca per controbattere, la spiazzò facendo finta di pensarci su. - E in effetti potresti anche avere avuto fortuna… oggi è domenica.”

“A, dunque lo faresti solo perché…”

“… perché sei troppo bella.” L’interruppe prendendole le labbra.

Michiru si arrese quasi subito lasciandola fare. Spegnendo il cervello ed aprendo i sensi, si lasciò guidare e guidò a sua volta, tanto che galvanizzata per questo, Haruka mandò a farsi benedire i propositi da brava ragazza. Insinuando la sinistra tra i capelli setosi che l’altra aveva deciso di lasciare sciolti, arrivò alla nuca attraendola a se con trasporto. Due mesi erano passati e quanto l’era costato starsene zitta e buona e struggersi nella sua frustrazione. Mille domande e mai una risposta, un balletto che stava continuando comunque a tenerla in tensione, ma che in quel momento, complice una serie di condizioni degne di un lungometraggio  rosa, non considerava più.

O Michiru, fanculo tutto, fu l’unico pensiero di senso compiuto che una piccolissima parte del suo cervello riuscì a partorire prima di far viaggiare l’altra mano lungo la curva della schiena fasciata dal tessuto del vestito.

Non seppe neanche quanto tempo passò prima di sentire le labbra di Michiru staccarsi a forza dalle sue ed emettere un leggerissimo sospiro rassegnato.

“Che c’è? - Riuscì ad articolare la bionda e la sua voce risultò talmente roca da stimolare nell’altra un brivido. - Hai freddo?” Se la profondità di alcuni baci l’avevano portata sulla luna, come sarebbe stato fare l’amore con lei?

Spinta da quel pensiero Haruka tornò a stuzzicarle la bocca, ma posandole delicatamente una mano all’altezza del cuore, Kaiou la fermò.

“Haru aspetta. Devo dirti una cosa.”

 

 

Intanto il casino predetto da Haruka arrivò, così come arrivarono gli invitati. Braccianti per lo più. Ma portati dalle correnti fresche della valle dove scorreva il torrente, arrivarono anche gli echi della festa gemella messa in piedi dallo sfarzo dei Kiba, tanto che a sentire riecheggiare in lontananza musica d’altri tempi, Yaten strinse le labbra concentrandosi sulla consolle che aveva finalmente la libertà di usare.

Se vogliono giocare li accontento subito, pensò come se fosse stata una sfida lanciatagli personalmente da quel padre che non lo aveva mai vouto e modulando la potenza delle casse con le dita di entrambe le mani, alzò i decibel inondando di musica l’aria della prima sera.

“Se va in competizione siamo perdute.” Disse Minako alla sorellina seduta sul muretto accanto a lei.

“Lascia che dia alla spocchia del signor Lucas quello che si merita. Mamo mi ha detto che questa sera da loro ci saranno anche i fuochi d’artificio.” Dopo aver saputo dei loschi traffici nel quale era da sempre coinvolto, la stima che Usagi aveva dimostrato sin da bambina per quell’uomo, era crollata. E non sapeva ancora della triste storia che aveva coinvolto Erika e di contro balzo Yaten.

In più era preoccupata per il suo bel moro. Vedeva come Mamoru rimuginasse praticamente ogni minuto della giornata sul come comportarsi nei confronti del genitore, ed aveva paura che prima o poi l’indole onesta che aveva sempre contraddistinto il ragazzo, lo avrebbe spinto all’ineluttabile denuncia ai danni del padre. Un effetto domino molto pericoloso che avrebbe finito per coinvolgere parecchie persone, inclusa la famiglia Tenou.

Nelle lunghe ore passate tra se e se, Mamoru aveva preso in considerazione tutti gli scenari possibili, persino un suo arresto. Era sempre stato all’oscuro dei giri del padre, perché quest’ultimo aveva sempre trovato più di un escamotage per tenere i libri contabili della masseria Kiba fiscalmente impeccabili, ma ora che sapeva delle coercizioni, dei raggiri, delle corse clandestine e dei prestiti di denaro a tassi da usura elargiti anche a persone che Mamoru conosceva benissimo, per lui si aprivano solo due strade; il silenzio omertoso, che equivaleva ad una complicità che lo avrebbe costretto a vivere nell’illegalità, o l’immediata denuncia alle autorità competenti sperando così di passarla indenne o quasi. Non era tanto sciocco da sperare in una pacca sulla spalla, un sorriso ed una stretta di mano condita da complimenti. A suo carico ci sarebbero state lunghissime e sfiancanti indagini che lo avrebbero strappato al suo lavoro e all’amore della sua piccola perla.

A guardare la cosa da un punto di vista puramente egoistico, tra le pieghe di questa umanissima rosa di scelte, si poteva intravedere anche una terza strada; ovvero la fuga. Sparire. Rifarsi una vita all’estero, magari in sud America, dove le sue competenze come viticoltore biologico sarebbero state certamente apprezzate. Quante volte in quei giorni Mamoru ci aveva pensato e quante volte si era dato dello stupido, ritrovandosi a glissare sul fatto che nonostante la sua situazione fosse al limite del dramma famigliare, non avrebbe mai potuto lasciare tutto così, scappando come un vigliacco, dimenticando le responsabilità, le amicizie, le sue viti e soprattutto Usagi.

Una Usagi che nonostante in quelle interminabili giornate d’autunno avesse avuto la mente fossilizzata su un’ipotetica gravidanza e Mamoru, per cercare di tutelarne la sua serenità, avesse a sua volta sempre glissato sulla questione del padre, aveva perfettamente inteso come qualcosa nel cervello del suo ragazzo stesse ribollendo, che le profonde occhiaie che avevano preso a scavargli il viso erano il segno certo di un disagio. E dall’alto dei suoi diciassette anni non sapeva proprio come aiutarlo.

“Avremmo dovuto portargli le casse fin sotto al sedere a quello li!” Se ne uscì con davanti agli occhi della mente il volto stanco di Mamoru.

Guardandola divertita Minako si portò il bicchiere d’aranciata alle labbra sorseggiandolo piano. Lasciando un po’ di rossetto sul bordo vetrato alzò le sopracciglia. “Alludi al vecchio Kiba?

“E a chi altri?!”

“Mamo saprà cosa fare, vedrai.”

“Speriamo in bene.”

“Avrei dovuto starti più vicina in questa storia.” Confessò con un filo di voce.

Era la prima volta che avevano occasione di parlarne. Quando Usagi le aveva raccontato del vecchio Kiba, del pensiero che Mamoru lo denunciasse e della possibilità che anche lui colasse a picco con il padre, Mina n’era rimasta sconvolta, ma a differenza del solito comportamento da saggia uditrice, aveva scelto di non metter bocca sulla questione continuando a tenersi lontana dalla sorellina. Sapeva che con il suo comportamento egoista l’aveva fatta soffrire, ma non aveva proprio avuto la testa per star dietro anche ai problemi degli altri.

“In più se ci fossi stata avremmo potuto evitare tutto il casino del falso positivo.”

Cambiando improvvisamente umore, l’altra mise su un visetto dei suoi ed avvicinandosi un po’ la guardò dolcemente. “Hai avuto anche tu il tuo bel da farsi.”

“Non mi giustifica.”

“Non pensarci più e cerchiamo invece di ricordare cosa avrebbe detto la mamma.” Suggerì.

“Un pensiero alla volta.” Ricordò guardando lontano, oltre ai balli e le bevute.

“Esatto, un pensiero alla volta.”

“Sai, in queste ultime settimane mi è mancata ancora più del solito. Sarebbe stato tutto più facile con lei al nostro fianco.”

“Vero. Per quanto Haruka e Giovanna s’impegnino a dare consigli, fanno spessissimo cilecca.”

“In effetti... fanno proprio schifo.” Sottolineò divertita.

“Tu non eri presente alla scena, ma quando Haruka ha trovato il test le stava per esplodere la vena del collo. Apriti cielo quando le ho detto che era mio. Avessi visto..." E rise irrispettosa seguita dalla complicità dell’altra.

Felici di aver ritrovato la loro solita affinità, iniziarono a spettegolare su questo e su quello, quando si videro davanti un redivivo Mamoru. Sparito nei meandri della cantina del padre per seguire le ultime fasi della vendemmia dei Kiba, apparve loro vestito da una semplice felpa ed un paio di jeans. Un po’ troppo casual per un tipo come lui. Mani nelle tasche, schiena leggermente incurvata in avanti e cappuccio scuro tirato sulla testa fin quasi agli occhi tanto che aggrottando la fronte, le sorelle si alzarono dalla seduta del muretto quasi all’unisono.

“Mamo, tutto bene?” Chiese Minako non ricordando di averlo mai visto così.

Non soltanto l’espressività del volto era tutto un programma, ma aveva anche un non so che di sciatto nel porsi che non gli era mai appartenuto, nemmeno d’adolescente. Come se non gli importasse. Tutto intorno a lui aleggiava come una sorta d’alone negativo, di sconfitta, di muta rassegnazione che scosse soprattutto Usagi e l’allarmò immediatamente.

“Cos’è successo?” Incalzò mentre gli andava vicino e lui prendeva ad accarezzarle piano il viso.

“Dove sono le altre? Devo parlare a tutta la famiglia.”

“Non fare così, mi spaventi.”

“Mamoru…” Intervenne anche l’altra.

“Mina, ti prego. Dimmi dove sono Haruka e Giovanna.”

 

 

“O mamma, in genere quando una donna dice di volermi parlare vuol dire che ho fatto danno.” Sogghignò Tenou talmente ubriacata dall’eccitazione da non rendersi conto di quanto Kaiou facesse sul serio.

Continuando ad accarezzarle il tronco con leggerissimi movimenti delle dita, Haruka la guardò dritta negli occhi cercando nuovamente le sue labbra che questa volta però si opposero.

“Haru…” Articolò scansando un poco la bocca.

“Mi devi parlare proprio adesso? Non possiamo dedicarci ad altro ancora per un pochino?” E provò a tornare alla carica.

“Haruka…, no! E’ già tutto dannatamente complicato senza che tu me lo renda impossibile.”

Cambiando l’espressività degli occhi in meno di un battito di ciglia, Haruka le chiese cosa dovesse esserci di tanto urgente per interrompere un’attività tanto piacevole. O forse doveva confessarle qualcosa?

“Perché si tratta di questo, giusto? Di una confessione!?"

Anche il timbro della voce era cambiato e questo spinse la violinista a pensare che non sarebbe stata una passeggiata d’alpeggio. Ma d’altronde lo sapeva, perché ormai il carattere di quella donna lo conosceva bene, come conosceva l’ottusità che alle volte la rendeva incapace all’ascolto. Così cercando di raccogliere tutta l’esperienza che aveva esercitato in anni di scontri con Seiya, Michiru provò a restare calma.

“Mi piacerebbe continuare ad approfondire questo tipo di conoscenza, ma non abbiamo più molte occasioni per starcene da sole e …”

“Appunto!” Esplose Haruka seccata.

Kaiou non sopportava di essere interrotta, ne che qualcun altro cercasse d’anticiparle i pensieri. “… e PARLARE.” Sottolineò.

“Da quando ci conosciamo non abbiamo fatto altro!.”

Sospirando pesantemente Michiu prese allora il toro per le corna. Troppe parole avrebbero finito per innervosire entrambe, così fu schietta. “Non t’indorerò la pillola. Non ci girerò intorno. Haru…, devo partire.” Rivelò e quando le parole arrivarono alle orecchie della bionda, quest’ultima impallidì schiacciando i denti gli uni contro gli altri.

“Partire…?!” Disse pianissimo. Un lamento doloroso simile al suono del vento attraverso una fessura.

“Non posso più procrastinare. Mi aspettano a Vienna.”

Austria. Un paese straniero a centinaia di chilometri da lei e in Haruka scattò la rabbia. Il verde delle sue viti abbattute dalla forze del bugnato dei palazzi di una grande città, il suono della natura schiacciato da quello di un violino, il suo amore scansato da quello che Michiru aveva per anni donato agli uomini. Il pensiero di Seiya fu, se possibile, ancora più devastante dell’abbandono in se, tanto che sentendo il tocco della violinista sul braccio, si scansò come se fosse stata scottata.

“Quando?!”

“Un paio di giorni. Tre al massimo.”

“Un paio di giorni?! - Scattando in piedi la guardò incredula. - E me lo dici così?! Da quant’è che lo sai?”

“Da un po’, ma ho avuto la conferma solo oggi.”

La telefonata che le aveva interrotte poco dopo il loro primo bacio.

Haruka lo prese come un affronto personale, una cattiveria gratuita e serrando i pugni glielo urlò dritto in faccia. “Se sapevi che saresti andata via, allora perché mi hai baciata?”

“Ma che domanda è, scusa.“

“A, non capisci la domanda? Mi sembra strano, perché quando ti fa comodo vedo che li sai far bene i tuoi calcoli!”

Allora anche Kaiou si alzò. “Cosa diavolo stai insinuando?”

“Che mi hai preso per il culo!”

“Perché DEVO tornare al mio lavoro?”

“No, perché se non era tua intenzione restare, avresti anche potuto evitare di venirmi sotto! - Abbaiò sentendosi un’imbecille per averle concesso tanto. - Sai, magari a te di questa campagnola non te ne fregherà niente, ma io iniziavo a crederci!”

“Ma come ti permetti! Credi forse che io sia quel tipo di persona che per farsi una…” Ma si bloccò per non cadere nel triviale.

Un’accortezza che l’altra non ebbe nel concluderne il pensiero. “Che per farsi una scopata passa sopra il cuore della diretta interessata come un tritacarne?”

“Non essere volgare.”

“Ma è quello che sono! Una volgarotta paesana lesbica che è stata tanto idiota da prendersi una sbandata per una grande dea della classica!”

“Haruka… siamo troppo grandi ormai per far finta che l’amore vinca su tutto, ma arrivare a credere che possa aver giocato con il tuo cuore dopo tutto quello che ho capito di me, è una carognata che non hai il diritto d’imputarmi. Non è giusto!”

“Non lo hai fatto forse?”

“NO e se abbassassi per un attimo la tua smisurata tracotanza, avresti sentito quando ti ho detto che DEVO tornare a lavorare. Non sei l’unica ad avere delle responsabilità e visto quanto sei brava a sputar sentenze, Dio non voglia che un giorno tu possa arrivare a capirlo! - Troppo tardi Michiru si accorse di avere le lacrime agli occhi e prendendo un profondo respiro cercò di arginare i danni così da poter continuare con più calma. - Non ti ho mai presa in giro e mi dispiace se i miei comportamenti te l’abbiano fatto pensare.”

Fissandola con una fermezza granitica, Michiru ammise che il lasciare la masseria Tenou, il lasciare lei, con molta probabilità sarebbe stata una delle cose più difficili della sua vita. “Credevo che avessi capito come sono fatta, qual è il mio modo d’approcciarmi alle cose. Non ti ho baciata per mera curiosità, non ti sto stuzzicando da giorni perché sono una ricca insensibile con una voglia matta di fare nuove esperienze. Cosa credi che non mi fossi già accorta da settimane che ti piacevo? Che ti stavi prendendo una… sbandata? E’ per questo che ci ho messo così tanto per farmi avanti, volevo essere sicura che tutte le diversità che abbiamo, allo svilupparsi di una storia non avrebbero finito col ferirti. Non sono il tipo di donna che se ne frega dei sentimenti altrui e se avessi saputo che la tua reazione alla mia partenza sarebbe stata questa, ti assicuro che non mi sarei mai esposta tanto.”

Quell’ultima frase la disse con maggior forza e dispiacere. Haruka aveva frainteso tutto ed era riuscita a trasformare una cosa bellissima come l’inizio di un amore, nell’esatto contrario. Il vento iniziò a soffiare un po’ più forte, spettinando i capelli di entrambe. Come in un duello, l’una di fronte all’altra, continuarono a guardarsi per svariati secondi prima che la bionda riuscisse a parlare.

“Non mi sono mai concessa a nessuna. Tu sei la prima a cui io… - La voce rauca la costrinse ad un colpo di tosse. - … dono il mio cuore Michiru e questo mi terrorizza. Se non mi avessi baciata me ne sarei rimasta buona buona nella mia bolla, accontentandomi di donne da poco più di un’ora, una notte o al massimo qualche mese. Invece…”

“Non sarà per sempre. - Disse l’altra avvicinandosi. - Un anno. Contrattualmente ero legata ai miei impegni per due, ma racimolando il denaro necessario, sono riuscita a pagare almeno una parte delle penali dovute per le rescissioni contrattuali che il mio avocato sta portando avanti con la Filarmonica di Vienna e laU.A.F.. Non ho potuto fare di più. Ho ceduto la mia parte di casa a Seiya e ho già un compratore per l'auto. Haruka credimi, ti prego; un anno, poi sarò libera e tornerò da te …, se ancora mi vorrai.”

Tenou sorrise divertita. “Volerti ancora? Per me sei diventata importante come l’aria. Ma in un anno le cose cambiano. Qui il tempo è più lento e di distrazioni ce ne sono poche, ma il tuo lavoro ti riporterà alla frenesia, agli impegni ravvicinati, ai jet lag, ai concerti, alle prove, alla gente. Chi mi garantisce che non mi scorderai?” Avrebbe voluto aggiungere agli uomini, ma l’orgoglio e la decenza le bloccarono la lingua.

“Continui a non ascoltare. Ti sto dicendo che ho il conto in banca azzerato ed in pratica non ho più una casa dove tornare. - Posandole il palmo della destra sulla guancia provò a non badare all’adrenalina che sentiva in circolo. - Dammi solo un po’ di fiducia e comunque vorrei ricordarti che la cattiva nomea di sciupa femmine ce l’hai tu, non io.”

Smorfiando il viso Haruka trattenne una risata. Riusciva a leggerle nella mente? Lo sapeva che lasciarsi fregare da quella donna sarebbe stato per lei un casino apocalittico e puntualmente, come una Sibilla Cumana, la sua più nefasta previsione si stava avverando.

Grattandosi il collo si staccò dal tocco dell’altra facendo un passo indietro. “Credo di aver bisogno di un buon bicchiere di vino.”

“Credo di averne bisogno anch’io.” Disse mentre lo sguardo di Haruka veniva catturato da qualcosa alle sue spalle.

Voltandosi, Michiru vide arrivare una piccola truppa composta dalle tre sorelle Tenou e da un Kiba che ne guidava le fila.

“Che succede?” Urlò la bionda notando i volti tesi di tutti.

“Haru, Mamoru ha da dirti una cosa.” Sentenziò Giovanna.

“Cos’altro è successo?” Chiese allora tra il serio ed il faceto.
Non poteva sempre abbattersi un fulmine non appena il cielo sembrava stare per aprirsi, no? Ed invece…

“Haru… - Iniziò lui spaventosamente serio. - oggi sono andato a denunciare mio padre. Sono desolato, perché con molta probabilità  faranno un controllo anche su di te.”

“La corsa clandestina?!”

“Forse. Non so. Mio padre è piuttosto bravo a nascondere quegli eventi, ma la cessione del tuo quarto è nero su bianco, perciò se fossi in te, penserei a come uscirne illesa.”

 

 

 

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Capitolo 19
*** Patto d'amore ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Patto d’amore

 

Proprio mentre le parole se fossi in te cercherei di uscirne illesa prendevano a comporsi nella mente di Haruka, una retata delle forze dell’ordine incaricate nel verificare i libri contabili di una delle famiglie più potenti della Provincia, entravano nello spiazzo del Ciclo di Produzione dei Kiba. Sarebbero andati li, come alla masseria del vecchio Lucas e dai due notai che da anni si occupavano delle sue faccende. Un’azione progettata con cura, addirittura mesi addietro ed entrata nel vivo di un’azione fisica proprio in virtù dell’ultimo atto; ovvero la denuncia di Mamoru Kiba ai danni del padre.

“Con molta probabilità la Finanza è giù all’opera. - Disse stancamente l’uomo guardando la bionda ferma a qualche metro da lui. - E la cosa grottesca è che ci stanno con gli occhi addosso già dal Natale scorso.”

“Te l’hanno detto loro?”

“Chi altri? Da una parte questo mi scagiona, ma dall’altra mi fa sentire parte di uno schifo. Mio padre ha rovinato tutto.”

“Non hai detto che l’azienda ne sarebbe uscita illesa?”

“Spero. I libri contabili sono in ordine, ma ora come ora chi può dirlo? Mi sento un fantoccio, ma la denuncia andava fatta!”

“E così hai deciso che strada intraprendere.” S’intromise Giovanna intimamente soddisfatta.

In fin dei conti si stava parlando della moralità dell’uomo che presto avrebbe portato all’altare sua sorella e non avrebbe accettato tanto di buon grado una scelta diversa.

“Ti fa onore, ma questo getta nella merda anche la mia famiglia.” Proseguì Haruka continuando a fissarlo negli occhi.

“Lo so e mi dispiace. Sono sicuro che partito l’allarme, gli scagnozzi di mio padre stiano già facendo sparire la contabilità, diciamo occulta, riferita ai suoi traffici, ma l’acquisizione del tuo quarto è una cosa legale e prima o poi salterà fuori.”

“Certo. - Masticò lei iniziando a dondolare un sasso sotto la suola della scarpa. - E dovrò inventarmi qualcosa di plausibile che giustifichi la compravendita della mia proprietà.”

“Ma siamo proprio sicuri che Haruka verrà tirata dentro questa storia? Abbiamo avuto un controllo fiscale proprio tre mesi fa ed è risultato tutto in ordine come sempre.” Chiese Minako con il cuore a mille. Ci sarebbe mai stata nella sua vita una risacca di tranquillità?

“E’ matematico. Anzi, visto che la cessione del mio quarto è cosa fresca, è molto probabile che sarà una delle cose che salteranno fuori per prime.”

“Haruka, io un’idea ce l’avrei. - Disse Mamoru abbastanza convinto di stare per provocare un maremoto. - Potresti dire che la tua cessione è dipesa da un debito pregresso mai saldato.”

“Vecchio quanto?!”

“Dei vostri genitori.”

“Assolutamente NO! - E ci mancò un niente che a quella frase la bionda aggiungesse anche un sonoro vaffa. - Come ti permetti!? Per pararmi il culo dovrei arrivare ad infangare la memoria dei mie!?”

“Ragiona. Anche io li conoscevo e so che non si sarebbero mai indebitati con uno strozzino, ma su casa e cantina avete già un’ipoteca con la banca e alle forze dell’ordine non risulterebbe fantascienza se una coppia d’imprenditori stritolati dai debiti avesse fatto ricorso a vie traverse per avere la liquidità necessaria per portare avanti la loro attività.”

“Tanto più…” Giovanna si fece pensierosa mentre Haruka spostava il suo astio su di lei.

“Tanto più?!” Chiese conoscendo già la fine del concetto.

La maggiore la guardò mentre una scintilla di tristezza le solcava le iridi. “Tanto più che sono morti e nessuno potrebbe interrogarli per sapere la verità.”

“Tzs… Questo è veramente un colpo basso, Giò.”

“Si, lo so, ma Mamoru non ha torto. Cosa dirai quando ti chiederanno il perché della tua improvvisa cessione di un quarto dei terreni dell’azienda? Scusate signori, ma a causa di un brutto temporale ci siamo trovate talmente in difficoltà, che al rifiuto delle banche di concederci l’ennesimo prestito mi sono dovuta rinfilare la tuta da pilota e partecipare ad una corsa clandestina. Ed indovinate cosa ho dato in garanzia?

“Smettila.”

“Ma andiamo, è la verità. Non si arriva a vendere un terreno in fase produttiva se non si ha l’acqua al collo e per quanto m’inorridisca tirare in ballo i nostri genitori, credo possa essere un’idea vincente.”

Stranamente la bionda non partì in quarta, non sbraitò ne diede di matto, ma guardando Usagi e Minako affermò con sicurezza che questa volta la decisione sul come agire l’avrebbero presa tutte e quattro insieme, come la famiglia che erano.

Decisero perciò di rifletterci ognuna per proprio conto, di lasciare passare la festa, di chiudere la stagione e solo dopo, a mente lucida, di discuterne. E così fecero. Per qualche ora si separarono poi, più o meno quando dai Kiba si esplodevano i primi fuochi pirotecnici, il cancello della masseria Tenou si chiuse dietro le spalle dell’ultimo invitato e il silenzio tornò a regnare là dove solo poco prima c’erano stati balli e musica.

Quella notte nessuno si coricò, anzi, in virtù del fatto che ormai erano di famiglia, Mamoru e Yaten furono invitati a rimanere. Ma mentre per il primo non ci furono problemi, per il secondo non fu altrettanto facile. Trovarsi il fratello maggiore tanto vicino e sentir parlare dei guai che presto il vecchio Kiba avrebbe avuto, ebbe il potere di renderlo nervoso. Così, fermo come un gargoyles di un’antica cattedrale gotica, si appollaiò in un angolo del giardino d’inverno rimanendo in silenzio per tutta la discussione. Naturalmente Minako lo lasciò fare. Cosa simile fece Michiru, che partecipò, ma non attivamente.

Verso le due del mattino si ritrovarono tutti insieme, Usagi ai fornelli per preparare del caffè e gli altri nella stanza vetrata. Chi seduto come Giovanna, Mamoru e Minako, chi a rodersi l’anima camminando avanti ed indietro come Haruka.

“Siediti.” Le consigliò la maggiore.

“Anche NO!” Rispose l’altra tornando a massacrarsi le unghie delle mani.

“Allora… - Iniziò Kiba cercando di essere il più lucido possibile. - Ricapitolando, una volta chiamata a testimoniare, Haruka avrà due strade; o quella di ammettere di essere stata coinvolta in una corsa clandestina o quella d’imputare la cessione del suo quarto a saldo di un vecchio debito contratto anni addietro dai vostri genitori.”

“Non ci sono altre via di fuga?”

“No Mina e non credere che prima di denunciare mio padre non ci abbia pensato e ripensato.”

“Scusami Mamo, non volevo alludere a nulla.”

“No, scusa tu. Scusatemi tutte. Non mi fa piacere sapermi il figlio di uno strozzino.”

“Non è colpa tua.” Intervenne Haruka che si sentiva in difetto, perché se Mamoru non aveva alcuna responsabilità per la cattiva condotta del padre, lei visto i casini inanellati, non poteva dirsi altrettanto candida.

“Facciamo pure il caso che si usi la scusa dell’estinzione di un debito ad usura…, non può certo bastare soltanto la nostra parola. - Giovanna rincarò la dose domandando al giovane Kiba forse una delle cose più ovvie, ma essenziali. - Mi spiego meglio; anche se cosa illegale, entrambe le parti non dovrebbero avere uno scritto che stipuli il prestito?”

“E’ vero e la cosa potrebbe essere facilmente risolta. In genere per queste cose si hanno sempre due ricevute; una per chi lo elargisce ed una per chi lo riceve. Questo avviene sia che ci si riferisca ad un istituto di credito, che al mondo dell’usura. Adesso, sicuramente la Finanza rastrellerà a tappeto ogni incartamento posseduto da mio padre e perciò sono sicuro che le ricevute dei prestiti che ha fatto siano state già distrutte. Ergo…, di ricevuta per dimostrare questo prestito ne basterebbe solo una, ovvero la vostra.”

“Copia che potremmo aver trovato in casa.”

“Esattamente. Ci basterebbe solo inventarci due righe e firmarle a nome Kiba-Tenou e l’inganno prenderebbe contorni perfetti. E la cosa che mi darebbe gran goduria sarebbe quella di vedere mio padre con le mani legate.”

Haruka intervenne riuscendo finalmente a fermarsi. “E tu sapresti imitare la sua calligrafia?”

“Quella no, ma la firma… - Stirando le labbra sardonico, la fissò quasi con sfida, perché nelle aziende più grandi capitava spesso che un delegato, in genere un famigliare, avesse la procura per imitare la firma del titolare. - Non dirmi che non hai mai firmato dei documenti per i tuoi?!”

“No!”

Così mentre quei due prendevano a guardarsi in cagnesco, Giovanna iniziò a farsi due conti mentali per convenire poi che il modo per evitare la scrittura olografa fosse racchiusa in una vecchia macchina da scrivere. “In soffitta abbiamo una Olivetti. Dobbiamo solo decidere il periodo del prestito… Haru quanto vogliamo fare?”

“Solo una quindicina d’anni fa ci capitò di navigare in cattive acque come ora. Andavamo ancora al liceo quando ci fu una gelata primaverile che mandò al diavolo tutto il raccolto. - Ricordò la bionda guardando prima la sorella e poi Mamoru. - Anche voi accusaste il colpo.”

“Ma come al solito le mille risorse di mio padre evitarono il peggio.”

“D’accordo. Si scrive un testo con una vecchia macchina da scrivere e poi lo si firma.” Ricapitolò la maggiore mentre Minako alzava il braccio come a scuola.

“E la carta? Non dovrebbe essere datata anche quella?”

“Va be, non si tratta mica di un caso d’omicidio. Non andranno certo ad analizzare la filigrana del foglio.” Sbottò la bionda sempre più acida.

“Tranquilla Mina, qui non si butta mai niente. Vedrai che da qualche parte lo troveremo un vecchio A4.”

“Manca solo la firma di nostro padre e qui alzo le mani, perché non è stata mai mia abitudine prenderlo per il culo firmando al suo posto.” Stilettò Haruka ai danni del moro e annusando l’odore della zuffa, Giovanna bloccò tutto prima che potesse innescarsi la solita rissa tra clan.

“Ok, abbiamo capito, ma in realtà neanche io saprei imitarla.”

“E se fosse della mamma? Andrebbe bene lo stesso?” Con un vassoio bene apparecchiato di tazzine, biscotti e brocca fumante, Usagi fece capolino dalla porta come un coniglietto dal cilindro di un mago.

Titubante entrò posando il tutto sul ripiano del tavolinetto posto tra i divani e la poltrona.

“Perché fai questa domanda? Sapresti falsificare la firma di mamma?” Chiese Giovanna e nel vedere i codini della più giovane fare su e giù affermativamente si maledisse per averglielo chiesto.

“Non voglio neanche sapere il perché tu la sappia riprodurre.”

“Ecco appunto, meglio l’ignoranza.” Haruka si sporse afferrando una manciata di biscotti.

Aveva lo stomaco talmente in bocca che se non avesse masticato qualcosa avrebbe finito per rimettere.

Serrando le labbra in una smorfia la maggiore andò oltre.” I nostri genitori erano soci al cinquanta percento, perciò non dovrebbe esserci nessun problema, giusto Mamo?”

“Si, andrà bene anche la firma di Alba.”

“Perfetto! Allora si vota!” Disse la bionda alle sorelle prima che Michiru chiedesse di parlare.

“Posso permettermi di fare una domanda?”

All’unisono si voltarono tutti verso di lei che scusandosi per l’intromissione attese e ad un cenno di Haruka continuò. “Lo so che non sono affari miei, ma se fossi in voi penserei anche alle conseguenze. Mi spiego; e se la finanza vi chiedesse il perché pagare proprio ora un debito tanto lontano nel tempo?”

“Intimidazione?” Rigettò Haruka.

“Ed in genere funziona così, ma non dimenticarti che pur riferendoci ad una bieca opera di strozzinaggio, senza prove a vostro carico un tipo scaltro e con pezze d’appoggio enormi come il signor Lucas, potrebbe addirittura essere capace di contro accusarvi per diffamazione. - Poi guardando Mamoru cercò di addolcire la frase con l’aiuto di un mestissimo sorriso. - Scusami. In fin dei conti è di vostro padre che stiamo parlando.”

“No, figurati, ma hai ragione. C’è da rifletterci con attenzione.”

Con un gesto del braccio la bionda trangugiò un’altra manciata di biscotti. “Ci mancherebbe anche questa! Mi sono sempre battuta per far si che non ci prestasse neanche una macchina agricola, che arrivare ad un paradosso simile sarebbe il colmo!”

Ma tutti ammisero che quell’uomo avesse una bella batteria d’avvocati.

“E allora?! Lui i prestiti ad usura li fa davvero e perciò per una volta CHISSENEFREGA della correttezza! Ho visto con i miei occhi come tratta la gente che non paga!” Obbiettò ricordando la sera nella quale Kiba si era rivelato essere il famigerato Giano.

Ma un qualcosa nella frase della ragazza solleticò la fantasia di Mamoru che iniziando a sfregarsi le mani propose una rettifica del piano. “Qui non si tratta di correttezza, ma di una vera e propria partita a scacchi e per mettere sotto scacco la regina potreste dire che vi siete convinte a saldare il vostro debito spinte dalla paura dopo aver sentito voci di pestaggi a danno di alcuni membri della Cooperativa.”

“Secondo te potrebbe bastare?” Domandò Haruka drizzando le orecchie.

“Come hai appena detto, hai effettivamente assistito ad un pestaggio, no? Il sapere di avere una pregressa pendenza con il possibile mandante di una violenta coercizione potrebbe avervi spinte a pagare pur non avendo ancora subito precise pressioni.”

Un discorso lineare e molto semplice; quattro figlie si ritrovano senza genitori e con la scoperta di una grossa somma da restituire. Illudendosi di poterla estinguere attraverso la buona riuscita di alcune stagioni, si scontrano però con la realtà di raccolti non più produttivi come un tempo. Infine, un pestaggio a danno di un viticoltore della zona innesta voci locali che spingono le ragazze alla restituzione della cifra per mezzo di una normalissima compravendita terriera.

“A me sembra un buon piano, io ci sto.” Asserì Minako improvvisamente infervorata. Mettere all’angolo il vecchio Kiba le dava entusiasmo.

“Non mi piace, perché Haruka potrebbe comunque essere accusata di complicità e comportamento omertoso.” Disse Giovanna.

“Risolvibile con un buon avvocato. Andiamo avanti Gio’. Cosa voti?” Incalzò la bionda esasperata da tanti giri di parole.

“Se la metti così. Anche per me va bene. - Si pronunciò guardando poi Usagi. - Tocca a te. Cosa ne pensi?”

“Anche io sono sicura che si dovrà prendere un bravo avvocato e come a tutte voi non mi piace far passare i nostri genitori come due poveri sprovveduti costretti a mettersi in mano ad uno strozzino. Ma le banche non ti aiutano mai quando servono, perciò ci sto anch’io.”

“Ottimo! Allora è deciso; quando la finanza mi manderà a chiamare, metteremo in scena questa tragicommedia famigliare.” Concluse Haruka guardando per un attimo Michiru sperando con tutta se stessa di avere ancora qualche momento di pace per poter pensare solo a quello che stavano provando l'una per l'altra.

 

 

La preghiera della bionda non venne ascoltata, perché non passò che mezza giornata prima che una telefonata del notaio di famiglia non l’avvertisse di un mandato di comparizione per chiarire la sua posizione in merito alla cessione di parte dei terreni Tenou al signor Lucas Kiba. Con la scrittura privata falsificata in tempi record stretta in mano e la speranza che quell’inganno potesse in qualche modo tenerla fuori da tutto il fango che ora dopo ora stava arrivando a pioggia sui suoi dirimpettai, verso il tardo pomeriggio del giorno successivo Haruka si avviò in città.

Con gli occhi stanchi a causa della mancanza di sonno ed il cuore pesante per via dell’ennesima balla che avrebbe dovuto mettere in scena, si fermò al pub di Max per gustarsi una bella birra prima di andare. Trovò il locale stranamente pieno per l’ora e salutando con la mano l’amico intento a servire due clienti, si scelse un posticino accanto ad una delle finestre che davano sul parcheggio. Scartabellando la cartellina che aveva preparato, ammine quanto potessero essere bravi Usagi e Mamoru nel falsificare la firma dei rispettivi genitori.

Stai a vedere che quei due sono proprio fatti l’una per l’altro? Si disse mentre un bicchiere sgocciolante di condensa con dentro la sua chiara preferita le veniva servita dal proprietario in persona.

“Questa la offro io, per farmi perdonare di non essere riuscito a passare ieri sera.”

Chiudendo immediatamente la cartellina lei gli sorrise alzando un poco le spalle. “Ma figurati. Il lavoro è lavoro.”

“Allora com’è andata?”

“La solita gente. Il solito casino. Non ti sei perso niente, Max.”

Corrugando le sopracciglia lui la squadrò notando l’umore scuro e il completo del medesimo colore. “Dove te ne stai andando in giacca?”

“Ho un appuntamento.” Glissò facendogli un occhiolino.

“Vestita così? Dove, in chiesa, per un funerale?”

“Si chiama eleganza. Prendi nota.”

Allora lui iniziò ha scrivere sul block notes che usava per le ordinazioni ed una volta strappato il foglietto glielo lasciò accanto alla birra. “Presa.” E se ne tornò dietro al bancone.

Sbirciando la parola che l’uomo le aveva scritto, ridacchiò prendendo un grosso sorso gelato e tornando a guardare gli incartamenti si estraniò per un po’, fino a quando una voce fin troppo famigliare non le ferì le orecchie ricordandole che il passato è più fastidioso se si pensa di esserselo lasciati alle spalle.

“Speravo proprio di vederti.”

Richiudendo nuovamente la cartellina Haruka mandò uno sfondone al cielo e uno alla sete che l’aveva fatta fermare al pub dell’amico. Alzando gli occhi vide la giovane donna fiondarsi agilmente sulla seduta opposta alla sua.

“E pur ritornano. - Se ne uscì la bionda scuotendo la testa. - Ti credevo a Portland.”

“Mio padre mi ha chiesto di fare delle cose e ho dovuto rinviare la partenza. Ma tranquilla…, sentiti in diritto di salutarmi a dovere.”

“Non ci penso proprio, Bravery. Anzi, scusami, ma devo proprio lasciarti.” Cercando di tagliar corto fece per andarsene quando la mora le arpionò rattamente un braccio.

“Aspetta. Riconosco che non mi sarebbe piaciuto tornarmene negli States senza averti rivista un’ultima volta, perciò non scappartene così.”

Scappare? Stirando le labbra Haruka cercò di non cadere nella provocazione, ma comunque tornò a sedersi. Lo fece d’istinto, senza nessun motivo. Non aveva voglia di vederla, ne di ascoltare bieche scuse che le avrebbero strappato altri minuti di vita, ma non voleva certo apparire agli occhi di Bravery come se fosse stata lei ad aver fatto qualcosa di male. Non questa volta almeno.

“E’ da quel giorno che non ci vediamo ed in tutta onestà credevo mi avresti chiamata.”

Stupita Haruka alzò le sopracciglia chiare facendo una smorfia. “E perché, scusa?”

“Bè, se non ricordo male il nostro ultimo incontro non è stato poi tanto freddo.”

“E tu pensavi ad un bis?”

“Perché no?!”

In realtà Haruka provava ancora vergogna per quella stupidaggine. Ritrovarsi Michiru davanti agli occhi, vederla cambiare completamente espressione colta da un lampo di consapevolezza, scorgere il sorrisetto trionfante della mora, sapere di aver fatto del sesso sporco, senza amore, ne attrazione, ne desiderio, contro il mattonato della rimessa, ancora le bruciava e adesso che aveva assaporato almeno un’infinitesimale parte della violinista, avrebbe cercato di cancellare con tutta se stessa quell’esperienza con Bravery.

“Senti, non mi va di essere acida, perché lo sa Dio e io meglio di lui quanto ce la siamo spassate, ma vediamo di darci un taglio. Il nostro tempo è finito due anni fa e quello che c’è stato il mese scorso è stata solo un’infelice parentesi.”

L’altra non si scompose. “Valeva comunque la pena provarci.” Ammise candidamente afferrando il bicchiere.

“Posso?”

“Fai pure. Come ho detto stavo andando via.” E non le sfuggì l’atto dell’altra di girare la parte dove aveva appena appoggiato le labbra per posarci le sue.

Uscendo dalla seduta Haruka la salutò con un lieve movimento del mento. “Immagino che con il casino che sta succedendo da tuo zio non ti si vedrà in giro per un bel pezzo.”

“Immagini bene.”

“Ottimo, allora addio.”

“Haruka… - Già lontana di qualche passo la bionda si voltò vedendo una smorfia marcatamente divertita segnare la bocca di Bravery - E’ troppo per te.”

Ovviamente si riferiva a Michiru e alle voci che l’erano arrivate dagli stagionali a servizio nella masseria secondo i quali la bella straniera non fosse più così immune al fascino della seconda delle sorelle Tenou.

Ricambiando il sorriso Haruka capì e non se la prese. “Credi non lo sappia?! Stammi bene Kou” Ed alzando una mano la salutò ridendosela.

Molto probabilmente non si sarebbero più riviste. Per lo spirito metropolitano di Bravery quelle belle terre non avevano più la stessa attrattiva di quando era una ragazzina e ora, dopo quell’addio, non la legava più niente al verde delle sue vigne.

Con uno stranissimo senso di pace Haruka risalì in macchina tornando a percorrere la strada che l’avrebbe portata in città e arrivando al parcheggio della sede della Finanza meno di mezz’ora più tardi. Con lo stomaco in bocca e le mani stranamente sudate, uscì dall’abitacolo annusando odore di pioggia. Densi nuvoloni si stavano ammassando sulle vette più alte delle montagne vicine e non sarebbero passate due ore prima di un repentino cambio di clima. Stringendosi nella giacca chiuse lo sportello intuendo da un uomo in divisa fermo davanti ad una grande porta a vetri, l’edificio dove avrebbe dovuto dirigersi. Chiedendo al militare dove andare, fece risuonare la suola delle sue scarpe nell’ingresso ed inforcate le scale, arrivò di gran carriera fino al terzo piano.

L’attendevano per le diciannove e visto il colossale anticipo con il quale era arrivata, si sedette in una piccola sala d’aspetto. Cercando di darsi un tono accavallò le gambe atteggiandosi a frequentatrice del luogo. Conosceva alcuni ispettori che con cadenza semestrale venivano a fare i controlli di routine in amministrazione, ma non era mai stata convocata. E questo le dava ansia. Non aveva voluto accanto nessuna delle sue sorelle, ne tanto meno Michiru e comunque anche se avesse voluto non avrebbe potuto chiederglielo, perché l’altra era uscita dalla masseria ancor prima di lei.

E’ già poco il tempo che ancora abbiamo prima che parta e ci si doveva mettere anche questo colloquio, si disse ricordando le raccomandazioni che telefonicamente le aveva detto il suo Notaio.

“Mi raccomando Haruka, risponda con calma e nel farlo si prenda tutto il tempo necessario. Non ha fatto nulla di male, perciò non si preoccupi.”

La faceva facile quel poveruomo tutto casa e lavoro che da vent’anni seguiva le sorti dell’azienda della sua famiglia. Haruka non poteva certo dirgli che di punto in bianco, senza nessun tipo d’avvisaglia o motivazione, aveva ceduto la sua parte di vigna per gareggiare in una corsa indetta da un tizio che nel corso delle ultime ore stava venendo indagato per concussione, riciclaggio e Dio sa cos’altro.

E se sapesse che ho in mano un documento falso del quale non me ne frega un tubo perché troppo impegnata a pensare al bel corpo di un’altra donna, si licenzierebbe seduta stante. Sistemandosi meglio sulla sediola di plastica verde si concentrò su Michiru.

Speriamo di finire presto così da poter tornare a casa. Ho una voglia matta di vederla.

“Signora Tenou.” Un viso noto le sorrise da dietro l’angolo di un corridoio invitandola ad avvicinarsi.

“Buonasera.” Rispose lei riconoscendo l’ispettore.

“Ammetto che con la storia impeccabile che da anni la sua azienda gode con il fisco, non mi sarei mai immaginato di vederla qui da noi. Lei è una degli imprenditori più onesti che conosca.”

Era un tipo schietto, con il quale lei ed i suoi genitori non avevano mai avuto nulla da ridire, ed Haruka poteva capire come per l’uomo potesse essere spiacevole il ritrovarsi una Tenou davanti.

“Ma prego, si accomodi in ufficio, dobbiamo chiarire una cosa.”

Stringendo la cartellina sotto al braccio lo seguì, ma appena svoltato l’angolo da dov’era apparso le sembrò di avvertire nell’aria asettica un sottilissimo profumo di mare. Un odore che conosceva già. Un odore molto particolare.

Michiru? Pensò guardandosi un attimo intorno e non vedendo assolutamente nessuno si diede dell’idiota seguendo l’ispettore all’interno della stanza.

 

 

“Bene signora Kaiou, la sua posizione in merito all’acquisto dei terreni del signor Kiba è abbastanza chiara, anche se ammetto che non mi era mai capitato per le mani un baratto.” Strofinandosi il mento, la responsabile dell’ufficio guardò il faldone che aveva davanti sorridendole affabile.

“Ma le tasse sono state versate, giusto?”

“Si e ribadisco che da questo punto di vista è tutto perfettamente in regola. Il contratto stipulato tra lei ed il signor Kiba per i terreni ad uso vinicolo in località Bel Vedere, è stato depositato così come quello per la cessione di un violino Stradivari stimato in … - Lesse la cifra emettendo una sorta di poco femminile fischio. - Ma davvero?”

“Davvero.” Disse Michiru divertita. Quella donna in uniforme le ricordava un poco Haruka.

Stesso fare mascolino, stessa consapevolezza nei propri mezzi, stessa grinta e sicurezza.

“Mah… E lei dopo aver comprato quel terreno lo ha reso sotto forma di donazione anonima alla signora… Tenou Haruka.”

“Corretto.”

Togliendosi gli occhiali dal naso l’ispettore si sporse un po’ in avanti abbandonando gli avambracci sul piano della scrivania, proprio a cavallo del faldone. “Abbiate pazienza signora Kaiou, ma in virtù di quello che sappiamo sui traffici del signor Kiba è stato doveroso contattarla.”

“E io non ho nulla da obbiettare, ma come personaggio pubblico la pregherei di avere nei miei confronti una certa discrezionalità. Quando il signor Kiba verrà sbattuto in prima pagina vorrei evitare di ritrovarmici anch’io.”

“Questo posso garantirglielo senza problemi. Vede, la sua compravendita è stata solo l’ultimo degli affari di un individuo che stiamo seguendo già da diverso tempo. Ammetto che essendo un uomo scaltro, sono ancora molte le cose di lui che non sappiamo, ma la vostra compravendita è uno dei pochi affari cristallini che Kiba abbia fatto di recente. A suo carico ci sono tanti di quegli anni di malefatte che i giornalisti ci sguazzeranno per mesi. - Buttando in dietro la testa per liberare la fronte dalla lunga frangia castana proseguì quasi divertita. - Perciò se fossi in lei non mi preoccuperei per la sua privacy.”

“E per la signora Tenou? Posso anche contare sul fatto che non verrà mai a conoscenza dell'identità del donatore anonimo?”

“E’ anonimo, giusto?”

“Giusto.”

“Però…, fortunata questa sua… amica.” Disse rimarcando l’ultima parola con uno strano timbro voluttuoso nella voce tanto che Michiru ebbe come l’impressione che conoscesse la bionda, anzi dal sorriso leggermente malizioso che apparve subito dopo aver richiuso il faldone, che lei ed Haruka si fossero addirittura frequentate.

Michi piantala di pensare a queste volgarità e concentrati, si ordinò mentre iniziava ad immaginarsi scenari notturni all’ombra di luci fioche da bar. Le braccia intrecciate, le labbra unite, gli ansimi sempre più marcati.

Piantala ho detto!

“Va bene. Per me può bastare così. La ringrazio molto per averci dedicato il suo tempo.”

“Grazie a lei.” Rispose alzandosi per porgendole la mano.

Uscendo da dietro la scrivania la responsabile andò alla porta aprendola e lasciandola passare la salutò un’ultima volta prima di richiudere l'anta.

Michiru uscì dall’edificio conscia del fatto che anche Haruka, pur se un’ora più tardi, fosse stata chiamata. Era ancora presto ed approfittando dell’ovvio calo di tensione dettato dalla fine di quel colloquio, passò in una pasticceria che aveva visto lungo la strada, acquistò un dolce per cena e percorrendo la scarpinata che la separava dalla sua Mercedes, parcheggiata debitamente lontano dalla piazza principale, tornò alla masseria proprio prima che la pioggia la colpisse.

Entrando a casa trovò Giovanna indaffarata come al solito e scambiando uno sguardo d’intesa le mostro la torta appena comprata.

“Buona sera.”

“Tutto bene Michi?”

“Si.”

“L’hai incontrata?” Chiese la più grande riferendosi alla sorella.

“No. “

“Glielo dirai prima o poi?”

“Lo so che ti avevo promesso che le avrei parlato dopo la fine della vendemmia, ma non voglio rovinare le mie ultime ore qui. Mi capisci?” Consegnandole il dolce Michiru le disse che non avrebbe cenato e che sarebbe andata a dormire una volta finito di preparare il borsone con le poche cose che aveva acquistato in quei mesi di vita parallela.

“Pensavo volessi startene un po’ in famiglia.”

L’altra negò con dispiacere, perché anche se quell’affermazione valeva più dell’oro, proprio non se la sentiva. “Non mi sono mai piaciuti gli addii.”

“Neanche a me, ma non è un addio, Michiru.”

La violinista glissò dolcemente. “Ti dispiace se lascio nell’armadio i vestiti da lavoro. Non credo che a Vienna mi serviranno.”

“E’ la tua stanza, fai quello che credi.”

“Grazie.” Ma già con la mano sulla maniglia della sua camera, Kaiou si voltò per chiederle se la bionda avesse mai avuto rapporti con una donna in uniforme.

“Oddio... è a Minako che dovresti chiederlo non a me. Sono stata via tre anni, ricordi? Ma perché?”

Perché mi sono scoperta un tipo geloso, ecco perché, pensò prima di dire un falsissimo nulla e scomparire dietro l’anta.

Meno di un’ora dopo, a crepuscolo ormai passato e sotto un bel temporale, anche Haruka fece ritorno. Lampi di burrasca annunciarono il suo ben poco trionfale ritorno a casa con un eccomi gridato a gran voce per farsi sentire dal chiacchiericcio proveniente dalla cucina.

Togliendosi la giacca la lanciò sul tavolo del soggiorno iniziandosi a sbottonare la camicia ai polsi.

Preparati ad essere linciata Haruka, si schernì facendo capolino dalla porta sapendo anche troppo lucidamente di aver fatto per l’ennesima volta di testa sua.

“Ben tornata!” Esplose Usagi sempre indaffarata.

Le fecero eco una Minako spaparanzata su una delle sedie e Giovanna, intenta a sparecchiare gli scampoli della cena.

“Allora?” Incalzò la maggiore dimenticando i piatti impilati nel lavandino.

Allora un caz… “Tutto bene.” Ed in pratica crollò sulla seduta come se avesse fatto i cento metri in apnea.

“Bè, raccontaci, dai.”

C’era poco da raccontare, anzi, in realtà c’era un mondo che avrebbe dovuto sputar fuori dalla bocca, ma si limitò ad alzare le spalle iniziando a giocherellare con un pezzo di pane. E fu chiaro a tutte che Haruka aveva compiuto l’ennesimo delittuoso casino.

“Che hai combinato?” Se ne uscì Giovanna a gamba tesa.

“E’ inutile che ci giri in torno. - Buttando la cartellina sulla tovaglia continuò. - Non c’è l’ho fatta!”

“A fare?”

“A far passare i nostri genitori come due poveri cretini costretti a rivolgersi ad un usuraio perché sobbarcati dai debiti. Scusate ragazze, lo so che avevamo votato ed eravamo tutte d’accordo, ma per me era una carognata troppo grande.”

“Haruka…” Esplose l’altra sbattendo sconsolata le mani lungo i fianchi.

“Lo so Giovanna, lo so! Sono la solita testa quadra che dice una cosa e poi ne fa un’altra, ma non me la sono sentita di tirarli in mezzo. Dopo tutto sono stata io a perdere i terreni e mia doveva essere la responsabilità di rimediare.”

“E quindi?” Chiese Minako sgranandole contro l’azzurro degli occhi.

“Quindi ho detto la verità, cioè che a causa di debiti pregressi, dei nuovi danni causati dal temporale e dal rifiuto delle banche di zona nel concederci l’ennesimo prestito, non ho trovato di meglio da fare che partecipare ad una corsa clandestina indetta dal signor Lucas Kiba e che non vincendo, sono stata costretta a cedergli il mio quarto.”

“O madre… E loro?”

“Sono stati abbastanza comprensivi. Mi ero portata dietro tutte le notifiche di rifiuto degli istituti di credito e i conti dei danni di quello stramaledetto temporale. Non che questo mi abbia scagionata, ma almeno mi ha giustificata e quando mi hanno chiesto del perché una volta venuta a conoscenza dell’attività poco lecita di Kiba non l’abbia denunciato, io gli ho detto la verità, ovvero che ho avuto paura per me e la mia famiglia. Che poi è sia la verità, che parte del piano che avevamo già pensato di dire.”

Usagi abbandonò il piano di cottura cercando di capire. “E ora?”

“Ora sarà il caso che nostra sorella si cerchi un legale con le palle.” Sbuffò Giovanna inforcando la mano nella tasca posteriore del blu jeans.

“Non la fare tragica, ti ho detto che sono stati comprensivi.” Si difese vedendola estrarre una banconota pesante ripiegata in due.

“Però…, che palle, Haru. Mai una volta che tu mi dia una soddisfazione! Questa alzata di testa mi è costata un patrimonio.” Disse sbattendo energicamente il denaro sul palmo teso di Minako che ridendo lo nascose nel reggiseno.

“Venite qui tesorini… Mammina ha bisogno di un paio di scarpe nuove!” Giubilò con la voce in falsetto.

A bocca aperta la bionda guardò la scena alla Narcos immediatamente folgorata. “Ma che ci avevate scommesso sopra?!”

“Ovvio, ma sei così prevedibile.” Ghignò Minako più che soddisfatta.

“E stupida io che ci ho anche rimesso!” Borbottò Giovanna tornando a sparecchiare la tavola.

“Ma dico…, si fa così? - E sentendo le mani di Usagi poggiarsi alle sue spalle la guardò cercando un briciolo di comprensione. - Tu non hai scommesso su di me, vero piccoletta?”

“No, Haru.”

“Visto balorde?! Imparate dalla gioventù!”

“Certo, soprattutto quando è stata proprio la gioventù ad avere l’idea.” Ammise Mina.

Una faccia buffa e Usagi ammise la sua colpa. “Scusa Haru.”

“Ma…, fottetevi tutte e tre.”

“Dai, non te la prendere. In fin dei conti il piano non piaceva neanche a noi, quindi va bene così. Ma che sia l’ultima volta che decidi per tutte, intesi?! Dovrai testimoniare contro il vecchio Kiba?” Chiese la maggiore.

“Sicuramente. Quando inizierà il processo a danno del bastardo comparirò come parte lesa nei capi d’accusa a suo carico. E con un bravo avvocato forse mi risparmierò un’accusa per favoreggiamento e saranno più blandi con la multa per aver partecipato ad una corsa clandestina.”

”Speriamo. Chiederemo a Kaiou se conosce qualche legale in gamba. Per oggi basta così. Hai fame? Ti abbiamo lasciato la cena in caldo.”

“No Giovanna, sono stanca. A proposito di Michiru, è rientrata? Vorrei parlarle un attimo.”

“Si, è in camera sua. Non ha cenato neanche lei. Sta preparando il bagaglio.”

 

 

L’aveva sentita rientrare e non aveva fatto altro che sedersi compostamente sul letto aspettandola fissando l’anta e più i minuti trascorrevano e più il cuore di Michiru accelerava, sperando, pregando che prima di andare a dormire, come accadeva ormai ogni sera da qualche settimana, Haruka facesse un salto da lei per darle la buona notte. Sospirando si sentì una stupida ragazzina. L’indomani avrebbe dovuto lasciare quella casa, quella famiglia e non era preparata, non si stava concentrando a dovere per reprimere i sentimenti che albergavano in lei. Sarebbe passato tanto tempo prima di un suo ritorno, tempo perso dietro a cose per lei ormai completamente avulse dalla nuova donna che sentiva di essere diventata. Certo avrebbe riavuto la sua musica, ma di contro anche il ritmo delle esibizioni, i flash, le interviste e i rotocalchi a cui avrebbe dovuto spiegare il perché della sua sparizione. Tutte cose delle quali non sentiva proprio la necessità.

Coraggio…, perché non bussi? Un tormento lamentoso che cessò solamente quando quei tre tocchi benedetti e stranamente lievi, fecero finalmente vibrare la sua porta.

“Michi… Posso entrare?”

“Certo Haruka.” Disse alzandosi.

La bionda aprì ritrovandosela in piedi accanto al letto matrimoniale, spalle alla portafinestra dalle tende in mussola bianca illuminate dai lampi, mani nelle mani ed un leggerissimo sorriso a segnarle l'increspatura delle labbra. “Ti disturbo?”

“No, entra. Spero sia andato tutto bene.”

“In realtà si, ma non come avevamo preventivato. Mi servirà comunque un legale.” E mentre si richiudeva l’anta alle spalle cercò di spiegarle a grandi linee quello che era successo nel pomeriggio e come avevano fatto le altre prima di lei, anche Michiru fu contenta della sua scelta.

“Proprio vero che le donne sono strane. Credevo mi avreste massacrata urlandomi ed inveendomi contro e invece. Mah, chi vi capisce è bravo.”

“Ha parlato il carciofo.” La sfotté la violinista mentre prendendo un grosso respiro, Haruka si beava dell’odore di mare nel quale era ancora avvolta la stanza.

“Mi piace questo profumo. Lo sai che è la seconda volta che oggi ho la fortuna di sentirlo? Ed è strano perché una volta mi dicesti che è un’essenza abbastanza rara. Coste…, turche?”

“Ricordi bene. - Ammise non riuscendo però a capire il senso di quella regressione. - E’ un’essenza difficile da trovare.”

L’altra allora si avvicinò arrivando a posarle le mani sui fianchi. “Tanto introvabile da poter essere colta nel corridoio di un ufficio pubblico di una città come tante?”

“Non capisco…”

“Si che capisci. Dov’è che sei stata oggi pomeriggio? - Soffiò fissandola. - La finiamo con questa commedia?”

"Haruka io… - Ma poi vedendola tanto determinata cedette invitandola a sedersi sul letto accanto a lei. - Anch’io sono stata convocata, ma ho chiesto di essere ascoltata un’ora prima di te.”

“Ecco spiegato l’odore del tuo profumo.”

“Se ci avessi pensato...”

“Ma non lo hai fatto. Ora passiamo alla cosa più importante; cosa c’entri tu con Lucas Kiba?”

Michiru la guardò corrugando la fronte. “Non lo immagini?”

“Forse, ma gradirei che fossi tu a dirmelo.”

Così dopo un boccone d’aria Michiru ammise tutto; l’incontro con il vecchio Kiba, il mostrargli il suo violino, la compravendita ed infine, in forma di assoluta e definitiva donazione, la cessione al suo biondo capo dei terreni del Bel Vedere.

“Sono io il donatore misterioso e spero…, oddio Haruka, spero tu capisca che questa mia intromissione sia dipesa soltanto dall’affetto e dalla stima che nutro per la tua famiglia!”

Haruka la stupì, perché la sua reazione fu del tutto diversa da come si sarebbe immaginata. Semplicemente s’incurvò sulla schiena iniziando a scuotere piano la testa. “Avevo pensato anche a questo scenario, ma poi mi sono data della stupida, perché è da folli spendere tutto quel denaro per delle persone sconosciute.”

“Non siete persone sconosciute! Siete quello che ora ho di più simile ad una famiglia!”

Scattando il collo, l’altra si fece estremamente seria. “Non scherzare su queste cose. Qui stiamo parlando di soldi veri, Michiru.”

“Credi non lo sappia! O pensi stia giocando a comprarmi il vostro affetto? Guarda che se avessi avuto la bravura di muovermi con maggior accortezza non lo saresti mai venuta a sapere, Tenou.”

“E questo mi ferisce ancora di più! - Poi improvvisamente attratta dall’ennesimo tuono, la bionda sospirò rumorosamente. - Il clima del pianeta sta cambiando Michi, hai visto anche tu come in un’attività come questa si sia sotto botta delle bizze del tempo. E’ sempre più difficile per noi imprenditori vinicoli mantenere una produzione costante e passeranno anni prima che la First delight ci garantisca un incremento di produzione. In queste condizioni non possiamo far altro che galleggiare, figuriamoci mettere da parte dei soldi per poter saldare l’ennesimo debito.”

“Debito?! - Scandì l’altra con rabbia. - Ma allora non ci siamo proprio capite Haruka.”

“No, sei tu a non voler capire. Pensi davvero che accetterò una cosa del genere?!”

“Alla luce di quello che abbiamo capito l’una dell’altra, si.”

“Kaiou…”

“Alla luce di quello che abbiamo capito l’una dell’altra, SI.” E faceva dannatamente sul serio tanto che la bionda non si permise di sorridere.

Magari se fossero state una coppia forse avrebbe accettato un aiuto tanto generoso, ma anche in quel caso si sarebbe sentita la parte fragile delle due. Cosa troppo difficile da ingoiare per una come lei.

“Michiru ormai sai come sono fatta. Per me è impossibile soprassedere ad una cosa del genere.”

“E allora mi giocherò l’unica carta che potrebbe farti capire la mia posizione, ma bada Tenou… è una carta pesante gettata sul tavolo da una donna che quanto a orgoglio non ti è inferiore.”

“Che vuoi dire?”

Piantando lo sguardo al comò davanti a se, Michiru si morse le labbra incredula di stare per dire una cosa tanto avvilente. “Ricordi quella sera, quando letteralmente ripescata del laghetto artificiale, ti feci credere che il mio stare per annegare fosse stato causato dalla reazione tra il caldo afoso e il freddo dell’acqua?”

“Si, capita. Dicesti che dopo la rottura della macchina volevi solo farti un veloce bagno.”

“Ed in effetti uscita dall’auto ed intravisto il lago... Ma poi, dopo essermi immersa i polpacci… - Sempre tenendo gli occhi lontani da quelli dell’altra, Michiru snocciolò con lucidità gli istanti prima della sua immersione. - Il fango viscido che mi avvolgeva interamente i piedi e l’immediato senso di benessere provocato da quella frescura, un paio di passi e parte della gonna a galleggiarmi tutta intorno, i grilli e il rumore lontano dei motori a ronzarmi nelle orecchie. Ricordo di aver guardato lo scuro davanti a me stupendomi di non averne paura.”

Toccandosi la fronte iniziò a sentirsi nuda, ma continuò. “Non so per quanto abbia galleggiato, credo solo pochi secondi, ma da che stavo pensando solo a rinfrescarmi nella beatitudine di quel momento, iniziai ad essere surclassata dalle domande. Una miriade di domande. Qual’era lo scopo di tutto il mio correre, esibizione dopo esibizione, incontro dopo incontro, sorriso dopo sorriso, se poi avevo perso me stessa? Dove avevo sbagliato con Seiya per spingerlo a tradirmi? Perché i miei genitori biologici mi avevano abbandonata? Perché avevo bisogno del pubblico per sentirmi completa? Dove finiva il mondo e dove iniziavo io? Un vero e proprio bombardamento sonico interiore che credo mi abbia spezzata dentro e improvvisamente, forse per proteggermi, ho smesso di farmi domande alle quali non avrei mai saputo rispondere e ho mollato. Per un solo secondo, uno solo, ho mollato e ho iniziato ad andare giù. E la cosa che ricordo con maggior sconcerto è che più sentivo il corpo affondare avvolto nell’acqua e meno m’importava. Non sono mai stata un tipo che si arrende, eppure in quel lago ho cercato scientemente o meno, di abbandonare niente di meno che la vita e se non fosse stato per te Haruka…”

Respirando più pesantemente tornò a guardarla affermando senza mezzi termini di essersi vergognata allora come in quel momento. “Tu mi hai salvata e non solo quella notte, perché se sto iniziando a dare delle risposte a quelle domande è solo grazie a te. Aiutarti è stato solo l’atto di una donna riconoscente.”

Così, ormai priva di ogni tipo di difesa, Michiru si consegnò all’altra lasciandosi accarezzare lievemente una guancia.

“Avrei salvato chiunque …”

“Portandotela a casa e permettendole di vivere sotto il tuo tetto? Non facendo mai domande e concedendole spazi su spazi?”

“Bè, non proprio, soprattutto perché a questa persona ho concesso addirittura d’entrarmi nel cuore.”

“Haru…” Rispose a quell’infinita quanto improvvisa dolcezza.

“Avevi gli occhi così tristi…”

“E lo ero.”

“Dimmi una cosa, se non avessi speso tutto quel denaro per tirarmi fuori dalla buca che mi ero scavata, saresti andata via?”

Quella bionda aveva il potere di metterla sempre in difficoltà e Michiru rispose sinceramente di no.

“Già dalla seconda settimana di vita qui, mi era venuta l’idea di vendere il mio violino per riscattare i contratti con la Filarmonica e la U.A.F.. Penali altissime, che però una volta saldate non mi avrebbero impedito di rifarmi una vita altrove.”

“Poi ho partecipato alla corsa e ho mandato tutto il tuo piano alle ortiche.”

“In effetti hai fatto una cosa a dir poco… azzardata, soprattutto perché pericolosa, ma ormai non importa. Con la vendita della mia metà della villa a Seiya e la Mercedes ad un compratore che vedrò la prossima settimana, ho comunque potuto strappare un anno su due. L’altro…, be, lavorerò e darò il massimo come sempre.”

“E poi tornerai?”

“E poi tornerò. - Avvicinando il viso a quello di Haruka bisbigliò soffice. - Non posso più starti lontana.”

“Bada che il denaro te lo restituirò lo stesso, dovessi metterci vent’anni.”

“Non ho fretta. Vuol dire che aspetterò e nel frattempo…” Lasciò in sospeso iniziando a baciarla.

“Michi… sarebbe così bello.”

“Non mi credi? Vuoi una prova?” Annaspò continuando ad assaporarla sempre con maggior passione.

“No, non credo mi serva…” Ma l’essere un po’ rigida nei movimenti sembrò dire tutto il contrario e allora fermandosi per posarle gli avambracci sulle spalle, Kaiou ebbe un’idea.

“Vuol dire che stipuleremo un contratto.”

“Scusami?”

“Si, un contratto o un patto, se ti piace di più.”

Allungandosi fino al cassetto del comodino lo aprì prendendo carta e penna. Nel seguirla con lo sguardo la bionda le chiese se facesse sul serio.

“Assolutamente. Allora… - Ed iniziò a scrivere. - Io Michiru Kaiou dichiaro alla qui presente Haruka Tenou che farò ritorno alla masseria di proprietà della famiglia Tenou fra un anno esatto a partire da domani, dodici del corrente mese, con l’intenzione di rimanerci…, per sempre?” Chiese con aria sbarazzina.

“Oddio… per sempre è un sacco di tempo…” Rispose l’altra fintamente perplessa. Il cuore le stava esplodendo dalla gioia.

“Haruka!”

“Va bene. Va bene. Per sempre.”

Guardandola di soppiatto Michiru scrisse e firmò passandole poi carta e penna. “E questa cosa non è tanto per fare.”

“E’ stranina forte però, ma… va bene. - Continuò a scherzarci su. - Ora?”

“Ora dovrebbe essere vidimato con… qualcosa.”

“Dovrei avere delle marche da bollo nello studio…” Spostando il viso verso la porta stava per alzarsi quando bloccando quel delirio, Michiru la voltò intimandole di stare zitta. “ Baciami scema.”

Ed Haruka capì cosa intendesse l’altra con la parola qualcosa e si lasciò cadere sul materasso portando la violinista giù con se. Si sarebbero lasciate presto, è vero, ma per ora avevano ancora tutta una notte per appartenersi.

 

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Capitolo 20
*** In assenza di te ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

In assenza di te

 

Per non gravarle troppo sul petto si spostò solo un poco, quanto basta per tuffare nuovamente le narici in quell’odore buono che ormai conosceva benissimo. Haruka era li, distesa accanto a lei. Un braccio dimenticato sul cuscino e l’altro ancora saldo a cingerle la vita. Il respiro regolare, le palpebre chiuse vinte dal sonno e il viso rilassato di uno spartano dopo uno scontro. Usando l’indice tornò ad accarezzare il velluto di quel seno tanto simile al suo, sorridendo alla velocità con la quale ci si era abituata. Rotondità talmente diverse se paragonate ai corpi dei partner con i quali fino a quel momento aveva giaciuto, eppure splendide attrazioni per le sue mani scopertesi improvvisamente implacabili e voraci. Michiru non soltanto aveva accettato quelle rotondità, ma a più riprese era addirittura arrivata a bramarle, a volerle addosso con tutta se stessa.

Vuoi l’eccitazione, la sapienza di Haruka e l’amore che sentiva sempre più forte per lei, non aveva avuto paure ne incertezze, ripensamenti o blocchi di alcun tipo. Non conoscendone i meandri, si era lasciata guidare all’interno di un mondo per lei nuovissimo ed affascinante, sapendo benissimo quanta ignoranza avesse e quanto ancora avrebbe dovuto applicarsi per cercare di soddisfare le esigenze dell’altra. Ma nonostante tutto, Michiru si sentiva intimamente soddisfatta per aver visto lo sguardo della bionda perdersi più volte nel piacere.

“Cosa c’è Michi?” La voce di Haruka uscì roca e profondissima provocandole un brivido.

“Pensavo stessi dormendo.”

“E come potrei? Mi tocchi in continuazione.” Se ne uscì sorniona stirando le labbra, ma continuando a tenere le palpebre chiuse.

“Mi piace farlo.”

“E a me piace che tu lo faccia. - In fin dei conti nei suoi sogni più perversi non avrebbe voluto essere il suo violino per essere sfiorata da quelle dita? - Perdonami. Credo di essermi assopita per qualche minuto.”

Svariati minuti, in realtà più di un’ora, dove anche Michiru aveva sonnecchiato, ma soprattutto aveva pensato, beandosi di quella pace fatta di stanchezza, consapevolezza e benessere fisico. Fuori dalla portafinestra, il mondo allagato dalla pioggia e dentro quella semplice stanza, loro due, il ritmo del respiro della bionda finalmente quietatosi dopo gli ansimi dell’amore e lei, conscia coprotagonista di quel meraviglioso spicchio di felicità.

“Non importa. Sei splendida quando dormi. Ma questo lo sapevo già.” Confessò candida facendo aprire le palpebre all’altra.

“Quando…? A si…, nel giardino d’inverno.” Ricordò mal celando imbarazzo.

Tornando ad accarezzarle il seno, Michiru si accoccolò ancora di più al suo fianco.

“Hai freddo?” Chiese Haruka abbracciandola anche con l’altro braccio.

“No, ma il tuo corpo è così caldo. Vorrei restare così… per sempre.”

“Oddio… Per sempre è un mucchio di tempo.” Disse in falsetto e ricordando il loro patto scoppiarono a ridere.

“A parte gli scherzi, Michi… Come ti senti?”

“Benissimo. E’ stato… stupefacente, se è questo che vuoi sapere.”

“In un letto non ho mai avuto bisogno di conferme, ma addirittura stupefacente…” Ghignò.

“Non sfottere e non lodarti troppo.”

“Ok, non sfotto, ma lodarmi è nella mia natura.”

“Questa volta te lo concedo, Tenou.”

“Ben gentile.” Disse baciandole la fronte.

“Non che non conoscessi già la mia intimità, ma sei riuscita a toccare punti, diciamo, inaspettati. Come dicevo ieri a Minako, non ero proprio ignorante in materia di amore fra donne, in più ultimamente ho letto molto, ma non avrei mai creduto potesse essere tanto intenso.”

Haruka si fece fintamente stupita. “Vuol dire che se andassi a guardare la cronologia dei siti sul PC dello studio troverei una bella sorpresa?”

Arrossendo e mollandole un pizzicotto allo sterno, Michiru si difese. “Non avrei mai usato il computer dello studio.”

“Uno della cantina?!”

“Tenou, smettila!”

“No, dai, è divertente. Allora scommetto il tuo cellulare.”

“Te lo dissi già una volta, seduta con le mani sul volante del Landini; tu hai un’idea di divertimento tutta tua!”

Strapazzandola in una vigorosa stretta, Haruka le catturò le labbra. “Ti adoro, lo sai? Riesci a sorprendermi… Sempre.”

“Mi dispiace solo che abbia fatto quasi tutto tu.”

“Di questo non ti devi preoccupare. Sei tu l’allieva, ricordi? - Tornò a ridacchiare forte della sua posizione dinsegnante. - Ci sarà tempo e modo d’affinare questa deliziosa conoscenza.”

Entrambe sapevano che una volta capito cosa l’una desiderava dall’altra non ci sarebbe voluto nient’altro per raggiungere e superare l’apice della complicità di coppia.

“Piove ancora. Che ore saranno?”

Haruka si alzò un poco per guardare la sveglia posta sul comodino alle spalle della violinista. “Ancora notte fonda. Le tre e mezza.” Disse sentendola sospirare stancamente.

“Stai pensando alla partenza?”

“Si.”

“A che ora hai il volo?”

“Ho il check alle dieci.”

“Vuoi che ti accompagni all’aeroporto? Poi posso farmi venire a prendere da Giovanna.”

“No. Non sopporto lo strazio dei saluti e poi devo prima portare la Mercedes al concessionario. Il compratore la verrà a prendere tra qualche giorno.”

“Mmmm… Ok. Come vuoi.” Ma la sentì stringersi, se possibile ancora di più.

“Quello che vorrei sarebbe non andare via.”

“Lo so, ma devi.”

“… Devo.” Rimarcò poco convinta.

“Michiru…, quando ti ho sentito suonare sulla spiaggia ho capito una cosa; tu sei nata per la musica e sarebbe delittuoso non renderne partecipe il mondo. Anche se mi fa fatica ammetterlo, anche se vorrei tenerti stretta a me per tutto il resto dei miei giorni, non posso essere egoista. E non puoi esserlo neanche tu.”

Alla luce di quella confessione, Michiru si tirò su puntellando i palmi delle mani al materasso e guardandola intensamente tra l’oscurità della stanza, fu diretta come al solito. “Ma Haruka, io non smetterò di suonare. A non sopportare più sono lo stress e i ritmi assurdi che detta lo spettacolo. Sono le persone viscide appartenenti ad un mondo ormai corrotto dal business, quelle che non voglio più assecondare. Ma la musica…, lei è e rimarrà sempre una parte del mio essere, il modo che ho per esprimermi. - Cavalcandola sorrise finalmente conscia della strada scelta. - Voglio comporre! Voglio poter suonare a modo mio, con il mio stile e con i miei tempi e per farlo non mi serve che un violino ed una piccola sala di registrazione.”

“Vuoi diventare un’autrice?!”

“Si! In fin dei conti è sempre stato questo il mio grande sogno, sin da ragazzina e per assurdo, ad impedirmelo fu proprio il successo che ebbi con la mia prima pubblicazione. Ora non ho più vent’anni e sono più forte. Ora conosco come aggirare gli ostacoli della ribalta. Ora posso impormi con i producer e se non dovessi venire ascoltata dalle case discografiche, allora vorrà dire che mi aggancerò ad un’etichetta indipendente o ne creerò una mia.”

Arpionandole i fianchi, Haruka ammise che fosse molto ambiziosa.

“Tu non hai un’azienda tutta tua che punta ad una produzione D.O.P.?”

“Bè, in verità ne ho solo un quarto e grazie a te.” Disse iniziando a toccarle l’esterno del seno.

Era bella da far paura e adesso che l’aveva avuta sentiva di volerla ancora di più. Tirandosi su avvertì il calore dell’intimità di Michiru su parte della sua.

“Tenou, basta con questa storia. Non parliamo più dei tuoi terreni, d’accordo?”

“Va bene. Ma solo per un po’.” Rispose iniziando ad assaporarle avidamente il collo.

E fu in quel momento, prima di perdere nuovamente il controllo e ribaltare Michiru sulla schiena per coprirla parzialmente con il calore del proprio corpo, che Haruka si ripromise che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarla a realizzare il suo sogno. Un’etichetta indipendente ed un’azienda vinicola? Perché no? Due cose a primo sguardo totalmente differenti, ma che nel profondo portavano amore, dedizione e umiltà nel perseverare.

“Michi il tuo sogno mi piace.”

“Lo immaginavo. Ma…”

“Ma?” Chiese continuando a sfiorarle con le labbra la pelle delle scapole.

“Ma ora vorrei che svestissi i panni dell’imprenditrice ed indossassi quelli … dell’insegnante.”

Fermandosi un istante Haruka la guardò, poi sorridendo sardonica, le afferrò una mano guidandola verso le zone più nascoste della sua femminilità.

 

 

Si alzò all’alba di una giornata livida ed improvvisamente fredda, si docciò e si preparò con cura, lentamente e con pesantezza d’animo. Lei era li, addormentata nel letto che fino a poche ore prima le aveva viste fondersi insieme, felici e finalmente libere da paure o insicurezze. Lei era li, tra le lenzuola, nuda e splendente come una dea di un cielo ventoso e proprio così voleva ricordarla ora che era costretta a spezzare l’incanto di in amore che nasce.

Seduta sulla sedia accanto alla portafinestra, Michiru sospirò nel silenzio. Neanche i primi uccelli erano ancora usciti spinti dalla pioggia a rimanersene al coperto di un riparo. Invece per lei era arrivato il momento di lasciare il suo nido caldo ed accogliente e chissà quando avrebbe potuto fare ritorno. Certamente non per le vacanze natalizie, uno dei periodi più fruttuosi per la concertistica. Men che mai per la primavera successiva, visto che Seiya le aveva già comunicato un blocco di turnè da fare per la U.A.F. in Asia e Russia. Portandosi una mano al viso si coprì gli occhi concedendosi qualche secondo. Forza. Aveva bisogno di forza e di coraggio per uscire da quella stanza, da quella casa, da quella vita e ne avrebbe dovuta averne ancora di più per rimanerne lontana un anno intero.

Michiru non aveva paura di ricadere preda delle vecchie abitudini. Gli applausi, l’idolatria della gente, le lusinghe degli sponsor, erano ormai solo un ricordo che presto sarebbe tornato attuale, ma estremamente fastidioso. Così come non aveva paura delle tentazioni di nuovi contratti milionari o del fascino di ammiratori maschili. Non aveva neanche paura dello spirito da Don Giovanni che alle volte guizzava fuori dal pur nobilissimo animo di Haruka, perché ormai aveva capito quanto quel comportamento rasentasse il semplice gioco. E non aveva paura dell’amore che sentiva di provare per quella dea del vento che, sfinita e ora addormentata, le aveva consegnato in mano le chiavi del suo cuore arrendendosi all’evidenza di un legame ormai fortissimo, così come non aveva paura di fare outing con i suoi o con chiunque altro le avesse chiesto di chi fosse attualmente innamorata.

“Ho solo paura di uscire da questa stanza.” Soffiò leggerissima nell’aria.

Ora aveva una famiglia, una stabilità, un amore ed avrebbe sofferto a restarne lontana per così tanto tempo. E sarebbe stato difficoltoso anche mettersi in contatto con Haruka visto i rispettivi impegni e i fusi orari. Ecco, ora che aveva scoperto come potesse essere avere delle radici forti, Michiru aveva paura di non poterne più fare a meno come prima.

Alzandosi andò al cassetto del comodino dove sapeva avrebbe trovato carta e penna. Non poteva dirle addio, ma non poteva neanche lasciarla senza il conforto di due righe di commiato. Così, vestita solamente di una camicia e squassata dai brividi, buttò giù due righe, di cuore ed anima, sperando che Haruka capisse ed accettasse.

Una volta finito di comporre l’ultimo pensiero, firmò richiudendo la penna. Lasciò il foglietto sopra al contratto che avevano stipulato la sera precedente e come ultimo gesto, si slacciò la catenina dal tridente d’oro che portava al collo da una vita, abbandonandola poi su quelle righe eleganti. Infine terminò di vestirsi, afferrò la cinghia della borsa, quella più rozza del borsone e guardando un’ultima volta la bellezza straordinaria di quel nuovo amore, uscì dalla stanza richiudendo pianissimo l’anta.

Giovanna, già in piedi per preparare la colazione, la vide con già il soprabito addosso e capì. “Non la vuoi neanche salutare?” Disse intuendo l’idea avuta dalla violinista per la mancanza di Haruka al suo fianco.

“Ti prego…, cerca di non giudicarmi.”

“Non lo sto facendo.”

“Io si. Ma…”

“Proprio non ce la fai.”

“Già.” Disse chinando la testa mortificata.

Prendendo la custodia del violino abbandonata sul mobile dell’ingresso, Giovanna le sorrise avvicinandosi. “Non credere che non sappia cosa voglia dire lasciare questa casa. Ci vuole uno sforzo enorme per restarne lontani, perciò non soltanto ti appoggiamo tutte, ma saremo sempre qui se ne avrai bisogno e quando Haruka finirà di sbraitare al cielo il fatto di non averti potuto salutare, sarà la prima a spalleggiarti.” Disse porgendole la custodia.

“Lo so che non è uno Stradivari, ma portalo con te. Magari non sarà all’altezza di suonare alla Conserts Halls di Vienna, ma ti farà sentire meno sola.”

Trattenendo un groppo in gola, Michiru si mise la cinghia del borsone in spalla afferrando la maniglia d’ottone.

“Grazie.” Riuscì ad articolare.

“Ti chiamo un taxi o vuoi che ti accompagni?”

“No, non serve. Vado con la mia macchina.”

“Va bene.”

Aprendole il portone di casa Giovanna si lasciò abbracciare rimanendo poi ferma sulla soglia. Seguendo con lo sguardo quella che era stata una straniera prima, un’amica con il passare del tempo, ed un membro della sua famiglia ora, la vide aprire le due ante del silos e dopo qualche secondo il rombo della Mercedes invase lo spazio. Sporgendosi all’interno raggiunse con una mano il citofono sbloccandole il cancello che s’intravedeva in lontananza, poi, alzando il braccio, la salutò mentre si allontanava piano.

“Torna presto.” Disse a mezza voce.

Rientrando e richiudendo il portoncino scosse la testa pensando alla reazione che presto avrebbe avuto Haruka.

“Non la prenderà per niente bene. Sarà un inferno.”

 

 

Si, al risveglio della bionda si scatenò un inferno in terra e si, il gesto di Michiru non fu ne capito, ne tanto meno accettato fino alla prima telefonata che la musicista riuscì a farle quella sera stessa da una stanza d’albergo. Fino a quel momento Haruka fu intrattabile. Ostile, contro tutto e tutti. Visto il tempo orribile e l’allentamento del lavoro dovuto all’inizio della stagione fredda, se ne stette rintanata nella stanza al piano terra per tutto il santo giorno, uscendo solo per razziare qualcosa in cucina.

Ringhiò Haruka, sbraitò e tirò sfondoni al cielo e al suo farsi fregare il cuore da quella donna. E pianse. Raggomitolata sul letto, pianse stringendosi al petto quelle quattro righe piene d’amore, sapendo perfettamente che il gesto di Michiru era stato pensato e compiuto solo per evitare uno strazio maggiore. Pianse e lo fece in silenzio, lontano dal pietismo che avrebbe suscitato nelle sorelle, lei, sempre così forte e fiera, indipendente ed immune a quell’umana fragilità che questa volta era arrivata addirittura a gonfiarle gli occhi e a squassarle la pelle.

Ma anche Michiru aveva pianto per tutto il tragitto che la portò al concessionario vicino all’aeroporto. Asciugandosi gli occhi con il dorso della mano aveva iniziato a farlo non appena uscita dal cancello della tenuta, mentre i ricordi, le immagini degli ultimi due mesi prendevano ad affastellarle la mente.

Lei, immersa fino alla vita nelle acque del laghetto artificiale, vinta, spezzata fino alla resa e due braccia venute da chissà dove a riportarla alla luce. I loro sguardi che s’incrociano una prima volta e la sua conseguente richiesta di rimanere alla masseria Tenou. L’ostilità di Minako, l’affetto di Usagi, il ritorno di Giovanna e il capire che quella famiglia aveva molte più cicatrici di quel che poteva immaginare. Il lavoro duro e lo scoprirsi brava anche lontana dal mondo della musica. La faccia tosta di Seiya e quella ancora più subdola di Bravery. La corsa clandestina e la paura di sapere Haruka in pericolo. Il capire di esserne pazzamente attratta, fino ad anteporre la libertà dalla Union Artists Foundation e dalla Filarmonica, in cambio della sua felicità. E l’amore. Le sue mani addosso, il suo fiato caldo ad esplorarle il corpo, la sua voce a sussurrarle all’orecchio parole irripetibili.

Abbandonando la vista delle piante sempre più dormienti, i panorami aperti, i ruderi delle vecchie cascine abbandonate e i filari arborei ordinati, gli occhi di Michiru avevano continuato a lacrimare smettendo solo in prossimità del rivenditore con il quale aveva appuntamento. Immobile al posto di guida, si era ricomposta dandosi una truccata riuscendo così a nascondere al mondo la sua tristezza. Firmato il contratto di compravendita con l’acquirente, consegnate le chiavi e presa la navetta per gli scali internazionali, Michiru Kaiou si era così imbarcata per la sua vecchia vita due ore dopo.

Arrivata a Vienna, ritirato il bagaglio e preso un taxi per l’hotel che sarebbe stata la sua casa per parecchie settimane avvenire, chiamò il signor Stërn ed il Direttore della Filarmonica avvertendoli del suo arrivo. Poi, già stanca, si registrò alla reception, si fece consegnare la chiave magnetica e salì all'ultimo piano. Entrata in quelle quattro mura sconosciute, si spogliò del soprabito, si lavò le mani, si sedette sul letto e crollò in un pianto disperato molto più violento del precedente.

 

 

Riuscì a chiamarla in tarda serata, dopo un’interminabile cena con la dirigenza della Filarmonica, presenziata da tutti i suoi membri, gente più che attempata dai nomi antisonanti, che non avevano dimostrato per lei e la sua stanchezza, il ben che minimo riguardo. Riuscì a chiamarla e la sua voce le sembrò la melodia più caleidoscopica del mondo.

“Sei in collera?” Chiese una volta riconosciutala in un anonimo pronto.

“Si.- Le rispose la bionda. - No. .. Non più…“

“Scusa. E’ stata una vigliaccata, lo so, ma proprio no ce la facevo a guardare i tuoi occhi allontanarsi dallo specchietto retrovisore.”

Haruka sorrise immersa nella penombra dello studio. “Poetica.”

“E’ la verità.”

“Lo so.” Ammise per poi chiederle dove fosse.

“A Vienna. In una suite di un albergo del centro storico.”

Ancora un po’ sulle sue, Haruka emise un fischio complimentandosi. “A però! La signora Kaiou si tratta bene.”

“Smettila. Non sono stata io a sceglierla e se conti che per i prossimi mesi dovrò considerarla come casa mia, non è il caso che tu faccia dello spirito.”

Capendo di essere stata pessima, la bionda si diede una calmata. “ Hai ragione. Anche io da ragazza sono stata spesso fuori casa, ma allora con un padre ed una sorella al seguito non ero certo sola.”

“Grazie della comprensione.”

Mmmmm.”

“Hai nulla da dirmi sul messaggio che ti ho lasciato?” Michiru aveva scritto quelle poche righe come se fossero state note sgorgate direttamente dal suo cuore.

“Posso solo dirti che io non avrei mai saputo esprimermi così.”

Tutto qui? La violinista sembrò un po’ delusa. “Tu sai esprimerti in altri modi.”

“Ci provo.” Rispose, ma evitò di confessarle quanto quello scritto, in un primo momento addirittura odiato, l’avesse poi sorretta in quelle prime ore senza lei.

Sentendola ancora un po’ sulle sue, Michiru cambiò radicalmente discorso. “Hai cenato?”

“No, non avevo fame. Ma ora va molto meglio. Tu?”

“Una cena interminabile con la dirigenza della Filarmonica.”

“Senza pietà! Sei appena arrivata.”

“Domani tocca alla U.A.F.. Questo è il business.”

“Questo è uno schifo!” Rettificò.

A quelle parole l’altra provò una strana sensazione di calore. “Mi stai forse difendendo?” Chiese sapendo già la risposta.

“Sei tu la star! Facessero poco i bulli!”

“Altrimenti?”

“Altrimenti vengo li e gli spacco la faccia!”

“Ecco la mia Haruka!” Esplose divertita sentendo finalmente dissolversi la tensione scaturita dal distacco.

Anche la bionda sorrise sedendosi comodamente sulla poltrona della scrivania. “Il fatto che tu abbia voluto prenderti una pausa di riflessione avrebbe dovuto far capire qualcosa a quelle teste di legno; tipo che bisogna coccolarle le persone di valore, non spremerle.”

“E invece no, anzi, da ora in avanti mi aspettano giorni di svariate rappresaglie. Agli occhi dei vertici della Filarmonica e a quelli della U.A.F., sono passata dall’essere una professionista esemplare ad un’artistoide pazza.”

Haruka sbiascicò un idioti che mise fine al discorso.

“E la catenina? Spero che per uno spirito libero come il tuo non sia stato un gesto troppo soffocante.”

“Assolutamente no. La terrò con cura fino al tuo ritorno.” Non era certo un anello, che sarebbe stata lei un giorno a donare, ma Haruka aveva comunque letto in quel gesto la voglia di Kaiou d’istaurare un legame duraturo.

Michiru teneva molto a quell’oggetto. Non rappresentava nulla di speciale, non le ricordava alcun evento o persone care da onorare, ma, proprio perché sceltolo da lei e per lei, si poteva tranquillamente dire che rappresentasse il suo io; un spirito acquatico libero ed indipendente.

“Sono contenta. Sai, lo porto al collo da anni e non avrei mai pensato che un giorno lo avrei affidato a qualcuno.”

No, Haruka proprio non ce lo vedeva il Seiya di turno con al collo un oggetto tanto delicato.

Mossa ancora da una cocente gelosia per gli uomini che prima di lei avevano toccato e posseduto la perfezione carnale di quella dea, si astenne da qualsiasi tipo di commento avesse potuto rovinare quella conversazione. In fin dei conti anche Haruka aveva un passato fatto di esperienze, anzi, a dirla tutta, con molte probabilità molto più numerose e spinte delle sue.

“Pensavo fosse un tritone.”

“Chi?” La bionda si ridestò senza capire.

“Mio padre. Il mio vero padre. Quando scoprii di essere stata adottata, per molto tempo la mia mente di bambina volle immaginarsi scenari marini e principesse disperse. Mi sarebbe piaciuto che mio padre fosse stato un tritone o addirittura il dio Nettuno in persona. Lo so, è una sciocchezza, ma avevo solo sette anni. - Cercò di scusarsi anche se non c’era proprio nulla di male nella dolcezza di quella fantasia. - E’ stata una fantasia che mi ha aiutata ad andare avanti. Così qualche anno fa, quando ho visto quel ciondolo esposto in una vetrina di un orefice, l’ho acquistato subito.”

Nel sentirla raccontare di quell’ennesimo pezzettino di vita, Haruka corse con le dita al tridente che portava al collo. Quanto doveva essersi sentita sola la sua Michiru e non soltanto da piccola.

“Sai Michi, ti confesso che quella sera, dopo essere scemata l’adrenalina per il tuo salvataggio ed aver visto che stavi bene, con il tuo vestito bagnato appiccicato alle tue forme, i tuoi occhi blu incorniciati dai capelli ancora sgocciolanti, mi sei sembrata una sirena, un po’ frastornata forse, ma bellissima ed eterea come in un quadro fiammingo.”

“E poi dici di non essere romantica!”

“Non è romanticismo, ma quello che ho pensato e che penso tutt’ora.”

“Grazie…”Rispose lusingata.

“E di che?! - Esplose l’altra sentendosi più appiccicosa di un barattolo di melassa. - “Allora…, dimmi. Quali progetti hai per domani?”

“Dunque…, sveglia all’alba e un messaggino da inviarti prima che il tuo cellulare perda il segnale in qualche punto della tenuta, poi doccia, colazione e via alla sede della Fisarmonica per le prove.” E distendendosi sul letto proseguì con il ruolino pseudo tedesco che da li in avanti avrebbe dovuto seguire con diligenza e costanza, che poi era la stessa che la contraddistingueva da sempre.

“E tu Haru, mi scriverai?”

“Certo, anche se non sono brava con queste cose.”

Parlarono del più e del meno per un’altra mezz’ora, fameliche di parole e vogliose di quei baci che per adesso avrebbero potuto solo ricordare, poi, una volta sentito il sonno troppo pesante, a malincuore si salutarono. Haruka non le chiese quando si sarebbero potute risentire, non sarebbe stato da lei, ma si ripromise che la sera non sarebbe più uscita di casa.

Una volta messa giù la cornetta e perso gli occhi al chiaro scuro che avvolgeva lo studio, la bionda sospirò alzandosi lentamente. Avvertiva un vuoto enorme, ma ancor più lo sentiva Michiru, sola, in una suite di un albergo di Vienna, senza sorelle, senza amici. Senza lei.

Uscita alla luce del soggiorno, Haruka trovò Usagi appoggiata al bordo del tavolo. “Ti ho fatto saltare la tua solita telefonata serale.” Disse.

“Non importa. Come sta?”

“Sta!” Rispose grattandole la testa.

Mi dispiace, ma adesso sai cosa vuol dire aspettare davanti ad una cornetta, pensò la biondina guardandola entrare in cucina.

Così passarono i giorni. Michiru riuscì a farsi sentire in maniera costante fino all’inizio della stagione concertistica, poi diventò sempre più difficile ritagliarsi un po’ di tempo tutto per se e la sua bionda. Haruka le mancava da morire, tanto che solo con il lavoro riusciva a mitigare un po’ quel senso di vuoto.

Da un lato fu quasi felice quando dovette imbarcarsi per Mosca. Un’altra aria, altra gente, altri ritmi, l’avrebbero senz’altro aiutata a non pensare troppo al sole, al vento tra le viti, alle risate delle persone alle quali voleva bene e che aveva dovuto per forza di cose lasciare. Il freddo russo, i colori accesi delle cupole del Cremlino, le energie spese tra un evento e l’altro stemperarono leggermente la voglia di lei, del suo sguardo, delle sue mani, del timbro profondissimo della sua voce, dei suoi rari, ma intensissimi sorrisi.

Fu così per qualche settimana, poi, una volta trovata la routine delle giornate, tutto tornò ad essere pesante, con l’aggravante di un fuso orario allucinante.

Era infatti sempre più complicato il chiamarsi. Haruka le aveva garantito che per lei non sarebbe stato un problema dormire sul divano dello studio nell’attesa di un suo squillo a notte fonda, ma Michiru sapeva che, anche se in inverno le aziende vinicole tendevano a rallentare i ritmi lavorativi, anche la sua indomita bionda aveva bisogno di riposo. Così, forse scioccamente, Michiru si ritrovò a limitarsi pur di lasciarla dormire. Naturalmente questo mandò la bionda in paranoia e la sua latente convinzione che prima o poi le luci della ribalta avrebbero impedito alla sua dea di tornare da lei, crebbe a dismisura giorno dopo giorno. Un loop vizioso che Kaiou riuscì a capire e spezzare alla vigilia di Natale, quando mandandole un sms, chiese a tutta la famiglia Tenou di seguire il concerto di beneficienza che si sarebbe tenuto alla Royal Opera House di Londra e al quale lei avrebbe partecipato come rappresentante della Union Artists Fondation..

Immerse nel clima festivo fatto di luci alle finestre e un vistoso abete comparso qualche giorno prima tra le scale ed il camino del soggiorno, le quattro ragazze, Yaten e Mamoru, invitato per l’occasione con un grugnito anche troppo eloquente di Haruka, si gustarono l’esibizione di una Michiru radiosa. Per l’occasione aveva scelto d’indossare un abito da sera nero d’alta sartoria, un paio di guanti del medesimo colore a coprire tutto l’avambraccio ed un collier ad impreziosirne il collo sottile.

“Bella lo è sempre stata, ma questa sera è raggiante. - Disse Minako guardando di soppiatto Haruka. - Tu lo sai per chi è tanto elegante, non è vero sorella?”

“Piantala!” Ordinò l’altra non riuscendo a staccare lo sguardo dallo schermo dove la sua dea stava iniziando l’inedito che aveva preannunciato di voler regalare ai suoi fans per Natale.

Haruka lo riconobbe subito. Era la melodia che Michiru le aveva fatto ascoltare la sera del pic-nic sulla spiaggia. Allora l’aveva terminata!

Non sono solita far sentire a nessuno un brano non ancora finito, ma non trovo situazione migliore di questa per fartelo ascoltare. Ma mentre lo eseguo ti chiedo di fare una cosa. Vorrei che tu pensassi alla tua famiglia, alla tua terra e alla tua macchina. In quest’ordine. In realtà ci sarebbe anche un ultima cosa, ma è il pezzo che devo ancora comporre e ti chiederò d’immaginarla solo dopo che avrò ben capito come fare intrecciare alcune note.”

E Tenou obbedì nuovamente. Chiudendo gli occhi ripensò a parte della sua vita; i suoi genitori, il suo peugiuottino, la corsa. Ma Kaiou aveva compiuto la sua opera inserendo in quella vita parte della sua. Il suo cuore. All’inizio timido, poi via via sempre più netto e maturo. Le frasi azzardate, i primi baci, le paure che si azzerano.

Le labbra della bionda s’incurvarono un poco all’insù quando il cambio di ritmo si fece più morbido e sensuale. La loro prima notte e per adesso anche l’unica, si affacciò ai sensi di Haruka. Note estremamente carnali, che gli altri apprezzarono solo come un ottimo inedito, ma che per lei rappresentavano una dichiarazione di voglia cieca.

Sei una donna incredibile, si disse mentre i primi piani televisivi le rimandavano l’immagine di Michiru.

Quando la performance finì, nel soggiorno ci fu un tripudio generale, molto simile alla standing ovation del pubblico in sala.

“Non ne capisco un tubo, ma a me è piaciuto!” Disse uno Yaten entusiasta abbracciando da dietro Minako, che avvertendo i suoi palmi sul ventre sorrise dolcemente di rimando.

Anche Mamoru, di umore nerissimo per via dei sigilli apposti alla cantina di famiglia che di fatto stroncavano tutta la stagione, sembrò rischiararsi un po’. Almeno per quella sera, una delle più importanti dell’anno, non avrebbe pensato a come pagare i fornitori dell’azienda Kiba e a mandare avanti la sua piccola vigna.

Dopo il baciamano di rito e le congratulazioni degli organizzatori dell’evento, a Michiru fu data la parola per un breve scambio di battute.

“Non ci aspettavamo un inedito. Ci ha piacevolmente sorpresi signora Kaiou.”

“Sono felice che la Union Artists Fondation mi abbia dato l’opportunità di farvelo ascoltare. E’ un’opera alla quale tengo molto e che ritengo essere una delle mie composizioni meglio riuscite.”

“Era da qualche anno che non ci regalava una sua opera. Stavamo iniziando a disperare.”

E per l’esattezza da quando aveva iniziato a tenere il piede in due scomodissime staffe; ovvero la Filarmonica di Vienna e la U.A.F.. Non era certo stata colpa sua se non aveva potuto concentrarsi sulla sua musica, ma naturalmente Michiru si astenne da qualsiasi tipo di commento che avrebbe potuto dar fastidio ai vertici dell’uno o dell’altro colosso. Aveva ancora da onorare parecchi mesi di contratto e non si sarebbe persa in sciocche ripicche interne. Perciò glissò con un bel sorriso dicendo solo che le dispiaceva di aver trascurato i suoi fans confidando nel loro buon cuore.

“Visto l’entusiasmo che c’è in sala, credo proprio che non debba preoccuparsi. Vorrei farle solo due ultime domande signora Kaiou; qual è il titolo della sua composizione e se in questa notte magica, ha una dedica particolare da fare.”

“La dedica è per tutti coloro che mi amano e che credono in me.” Confessò angelica, ma estremamente sicura.

“Una persona in particolare?” Chiese improvvisamente il conduttore con malizia.

“Birichino …, ma le domande non dovevano essere due?” Rispose lei creando ilarità in tutta la sala.

“Sono stato scoperto…”

Allora sorridendo ancora, Michiru confessò che in effetti una dedica speciale c’era e che la persona in questione non soltanto l’aveva ispirata, ma le aveva involontariamente suggerito anche il titolo del brano.

Spostando il microfono dalla bocca della donna alla sua, l’uomo in frac le chiese perciò quale fosse il titolo.

“Sguardo di smeraldo.” Disse lei dopo qualche secondo fissando l’obbiettivo del cameraman che la stava inquadrando.

In casa Tenou tutti si voltarono all’unisono verso Haruka, che staccando lentamente il dito che aveva continuato a tenere premuto alle labbra per tutto il tempo, li guardò ad uno ad uno. “Bè! Che vi prende?!”

“Sguardo di smeraldo?” Gongolò Giovanna innescando la presa per i fondelli.

“Hai capito la nostra Haru…” Si accodò Yaten piazzandole una manata sulla spalla.

“Ma che fai?! Che cos’è tutta questa confidenza?!”

“Le hanno addirittura intitolato un’opera classica!” Rincarò Minako seguita a ruota dalla piccola Usagi, che stringendo forte la bionda le piazzò un bacio sulla guancia.

“Ma che siete scemi?! Finitela!”

Così, vista l’inferiorità numerica e prima che quella massa di cretini potesse metterla con le spalle al muro, Haruka si alzò e con fare strafottente se ne andò in cucina. “Io me ne vado! Ho voglia di bollicine!”

“Anch’io, anch’io” Me ne porti un bicchiere anche a me?” Chiese Yaten alzando il braccio come a scuola.

“Ti è forse diventato il culo di piombo? Prenditelo da solo!” Urlò lei dall’ingresso facendo ridere tutti.

Alla luce del frigorifero aperto, la bionda afferrò il collo di una bottiglia scuotendo la testa. Molto presto la sua povera casa sarebbe stata invasa da due uomini e già se ne avvertivano i danni.

Chiudendo lo sportello si avvicinò al piano del lavabo in cerca di un bicchiere dimenticando le mani poggiate al bordo di porcellana.

Sguardo di smeraldo, soffiò piano all’ambiente volutamente lasciato nell’oscurità.

“O Michiru…, quanto mi manchi.”

 

 

Albeggiava già quando Michiru, scortata a forza da un euforico Seiya, riuscì a mettere piede nell’ascensore del suo Hotel.

“Sei stanca?” Chiese lui forzando l’indice sull’ultimo bottone della pulsantiera.

“Esausta. Non sono più abituata a certi ritmi. Tu invece sembri ancora sprizzare energia da tutti i pori.”

“Sono stato soverchiato da ottime proposte.”

“Lo sai che il farci vedere ancora assieme è solo una facciata che sul piano lavorativo non potrà mai più avere un seguito.”

“Certo che lo so. In merito sei stata molto chiara. Ma vedi, non sempre tutto gira in torno a Michiru Kaiou. Le proposte sono per me!”

Guardandolo leggermente stupita le venne spontaneo alzare le sopraciglia. “Per te?”

“Ben gentile…”

“Non fraintendermi, lo sai che ti considero uno dei migliori manager in circolazione. E’ solo che mi sorprende con quanta disinvoltura tu te ne sia uscito.”

“Questa estate fosti anche troppo esplicita nel non volermi più fra i piedi e perciò mentre giocavi a fare la vignaia, mi sono dato uno sguardo in giro.”

Il sottile astio che Seiya usò non la toccò affatto, anzi quasi ne sorrise. “Allora… buon per te.”

Il ding dell’arrivo al piano le fece emettere un gemito di sollievo. I tacchi la stavano uccidendo e non vedeva l’ora di gettarsi sul letto.

“Torneremo a Vienna fra un paio di giorni. Sei pronta per il concerto del primo dell’anno?”

“Certamente. Come l’anno scorso e quello prima. Una volta tanto vorrei passare le festività natalizie lontano dagli eventi.” Non era sua intenzione lamentarsi, ma si sentiva sola e Seiya, nel bene e nel male, era stato per anni il suo punto di riferimento.

Arrivata alla porta della sua stanza, cercò la chiave nella borsetta a mano inserendola poi nella toppa sotto la maniglia. “Arrivata sana e salva. Sarebbero d’obbligo gli auguri, ma so che non ti è mai piaciuta questa ricorrenza.”

“Se ben ricordo… neanche a te. Ora invece scopro che vorresti passarla in famiglia. Come se noi due non lo fossimo mai stati.”

“Ho detto lontano dagli eventi. Comunque, buon Natale Saiya. Ci vediamo a cena.” E fece per aprire quando la mano dell’uomo le bloccò il braccio.

“Sguardo di smeraldo?” Inquisì facendola irrigidire, sia per il tocco che per l’ovvia provocazione.

Non avevano detto a nessuno del divorzio artistico che si sarebbe consumato alla scadenza dei contratti con la Filarmonica e la U.A.F., ma era lampante che, nonostante una recitazione esemplare, qualcosa nel loro rapporto fosse cambiato anche dal punto di vista strettamente personale, tanto che alcuni giornalisti avevano già iniziato a ricamarci su. Con l’ammissione da parte della violinista di una persona speciale pronta addirittura ad ispirarla, presto si sarebbe aperta la caccia al nuovo amore di Michiru Kaiou.

“Seiya lasciami. Sono troppo stanca per discutere o spiegarti cose che francamente non ti riguardano.”

“Conosco solo una persona con gli occhi di quel colore e che ultimamente potresti aver conosciuto stando rintanata in casa Tenou.”

“E allora?”

Avvicinandosi lui fu quasi brutale. “Anch’io sono un musicista e quella che hai eseguito è stata una melodia d’amore… Sei forse impazzita?!”

Spostando il braccio lei lo fulminò scattando sulla difensiva. “Non mi aspetto che tu capisca, ma non permetterti di giudicarmi.”

“Ascolta Kaiou, non mi frega niente se tu stia provando attrazione verso una donna, volesse il cielo che durante il nostro rapporto ogni tanto mi avessi proposto una cosa simile, ma quella non va bene per te, lo capisci?!”

“Dio del cielo, quanto sei volgare!” Ma non appena fece per entrare nella stanza lui la bloccò nuovamente.

“Michiru, lo sai che mia sorella è stata con quella donna?!”

“Certo che lo so. Stella non ha orgogliosamente mancato di farmelo sapere e comunque piantala di chiamarla quella donna. Ha un nome!”

“E allora saprai anche quanto Haruka non sia fatta per un rapporto stabile.”

Lei quasi gli rise in faccia. “Ma sentite da che pulpito viene la predica.”

“Michiru…”

Sentendolo avvicinarsi troppo lei lo respinse spingendolo lontano. Aveva uno sguardo che non le piaceva affatto. “Seiya, hai bevuto troppo. E’ meglio che tu vada.”

“Scappi?”

“Da cosa? Da te?”

“Da me e dalla verità!” E tornò alla carica cercando di baciarla.

“Ho detto BASTA! Non renderti ridicolo!” Un nuovo spintone e questa volta lui sembrò cedere.

Ritraendosi di qualche passo lui si portò una mano tra i capelli prima di ribadire con forza il suo pensiero. “Siete troppo diverse Michiru e spero per te che tu lo capisca presto.”

Lo vide allontanarsi entrando poi nella sua camera. Poggiando le spalle all’anta ormai chiusa a chiave, restò volutamente al buoi per qualche minuto mentre fuori iniziava a nevicare.

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Capitolo 21
*** Gelosia ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Gelosia

 

In fretta passò il Capodanno, così come le vacanze natalizie e Michiru ringraziò il cielo per i tempi tanto ristretti che non le avevano permesso di pensare, perché mai come in quel periodo, il mondo che l’aveva idolatrata per anni le era apparso tanto spento e ricco di vanità. Aveva retto alla festa indetta dalla Filarmonica per l’ultimo dell’anno, così come aveva retto al concerto del Primo che tanto le piaceva guardare con la madre quando era ragazzina. Aveva retto e lo aveva fatto come sempre con classe ed eleganza, sperando che la maschera che si era così ben calzata sul viso risultasse convincente e soprattutto non s’infrangesse in mille pezzi.

Aveva resistito, era stata brava e lei, orgogliosa e sfiancata protagonista di quella ormai stucchevole pantomima, aveva continuato giorno dopo giorno ad andare avanti barcamenandosi tra prove, concerti ed interviste. Se mai erano state queste ultime ad impensierirla, a causa delle domande che, via via sempre più personali, non riusciva quasi più a tenere a bada con un no comment. Voleva assolutamente tenere nascosta l’identità di Haruka per salvaguardare la sua, come la serenità dell’intera masseria Tenou.

Sul fronte sentimentale Seiya sembrava essersi calmato, relegando al solo giorno di Natale l’assurdo comportamento che lo aveva reso ridicolo e non volendo rimanere ancora sola con lui più del necessario, Michiru aveva iniziato a pianificare ogni singolo minuto delle sue giornate con la Filarmonica, relegando all’ex compagno i pochi spicchi liberi lasciati per assolvere al meglio le esigenze contrattuali della U.A.F.. Era fuor di dubbio che sul piano lavorativo fossero tornati la coppia d’oro di un tempo, ma oltre a questo la donna non avrebbe più concesso altro.

In quel periodo freddo ammantato di magia, Kaiou non uscì molto. Il suo carattere schivo ed introspettivo poco si confaceva alla vita mondana. Declinando inviti serali provenienti da più parti, la violinista si era però resa conto, non senza una punta d’ironia, di quanto negli anni addietro la giovialità e l’allegria di Seiya l’avessero spronata ad uscire dal suo bozzolo. Era grazie a lui se almeno un paio di volte alla settimana uscivano. Il riconoscerlo la spinse a forzarsi, ad avere quasi un moto di rivalsa ed un giorno dal freddo pungente accettò da una vecchia e piacevolissima conoscenza l’invito a prendere un aperitivo. Da sempre suo fan e passando da Vienna per lavoro, le fece un’improvvisata con il solo scopo di farsi due risate e quattro chiacchiere.

Quel pomeriggio nevoso Michiru si preparò con cura, sentendosi finalmente entusiasta dopo un’infinità di tempo. Non indossò nulla di appariscente, ma un semplice vestito bastò a valorizzarle la figura e si truccò pochissimo, conscia che la sua contentezza nel rivederlo dopo tanto tempo sarebbe bastata ad illuminarle lo sguardo. Ma quando lo intravide dall’ascensore aperto, fermo ad attenderla nella reception, non avrebbe mai pensato che quell’incontro avrebbe portato un qualcosa d’inatteso anche nella vita delle sorelle Tenou.

 

 

Staccando gli occhi dal monitor del computer del suo ufficio, Haruka guardò una delle lucine del telefono lampeggiare sul prefisso interno del reparto vendite e sapendo già chi fosse, rispose mollando uno sfondone, “Che vuoi? Ho da fare, Giò!?”

“Io invece sto pettinando le bambole! Alza le chiappe e vieni giù, devi vedere una cosa.” Ordinò l’altra sbattendole il telefono in faccia.

Guardando prima la cornetta, poi il vuoto, la bionda fece una smorfia alzandosi di malavoglia. Era appena riuscita a concentrarsi, ora cosa voleva quella scassa pifferi?!

Scendendo i gradini vetrati che dal ballatoio degli uffici portavano alla reception, notò solo in quel momento quanto stesse piovendo. Speriamo smetta presto, pensò non tanto per le viti, ormai messe a riposo, quanto per il suo povero umore, nerissimo quando era costretta a stare chiusa dentro quattro mura. Un cenno alla receptionist e la donna si diresse a passo lento verso il punto vendite.

Da dietro la sua scrivania Giovanna non la guardò nemmeno.

“Allora, che c’è?” Chiese chiudendo la porta.

Non allontanando gli occhi da alcuni fogli che aveva disseminati davanti, Giovanna gliene passò uno. “Guarda qui.”

“Che cos’è? Altra ingiunzione di pagamento?”

“Grazie al cielo no, tutt’altro. Un ordine d’acquisto.”

Haruka lesse il nome dell’acquirente stupendosi che fosse straniero. “Statunitense?”

“Si.”

“Lo conosci?”

“Mai sentito prima, ma guarda l’importo dell’ordine.”

Pochi secondi e l’altra sgranò gli occhi. “O cazzo.”

“Vero?”

“Ma sarà uno sbaglio. C’è uno zero di troppo!”

“No, ho appena verificato telefonando al suo ufficio… a Sant’Antonio, in Texsas.”

“Dove?”

Muovendo il braccio in aria Giovanna alzò le sopracciglia quasi più stupita di lei. “Solidissima impresa di bestiame che pare abbia esportazioni fino alla west coast.”

“Ma praticamente vorrebbero un terzo di tutta la produzione dell’ultimo anno!” Costatò Haruka tornando a contare le quantità dell’ordine con relativo importo finale.

“Di bianco. Ma guarda un po’ qui. - Porgendole un foglio gemello nei contenuti, la maggiore continuò. - Vogliono anche trenta colli di rosso con invecchiamento decennale.”

Ormai senza parole, Haruka continuò ad ascoltarla scoprendo così che questo fantomatico texano di nome Tomas Harrison, proprietario di un’azienda bovina, aveva espressamente richiesto le bottiglie più pregiate della loro cantina.

“Ma… è assurdo. Perché noi? Come diamine ci conosce?”

“Io questo proprio non lo so, ma spulciando in internet un’idea me la sono fatta. - E voltando il monitor verso la sorella, Giovanna continuò iniziando a leggere un trafiletto scovato su di una rivista on line. - Tralasciando il mio scarso inglese, qui c’è chiaramente scritto che il signor Harrison è un grosso tifoso dei Cowboys Dallas, ama giocare a golf, vendere e comprare cavalli e… la musica classica, nello specifico è un grande estimatore dei violinisti Hedgard Michell, Adolf Stidell e Michiru Kaiou.”

Al sentire il nome della donna che da mesi aveva in pratica occupato gran parte dei suoi pensieri, la bionda ebbe un brivido seguito da una violenta contrazione alla bocca dello stomaco.

“Haru, io credo che anche questa volta il nostro Primo Violino abbia voluto darci una mano.”

 

 

“E’ un uomo molto capace, ma come tutti gli statunitensi spesso tende ad esagerare.” Michiru ridacchiò mentre tenendo il cellulare in una mano, cercava di calzarsi le scarpe con l’altra.

“Allora sei stata tu?!”

“A suggerirgli di svuotarvi la cantina? No. Un paio di pomeriggi fa siamo usciti per un aperitivo e parlando del più e del meno è uscito fuori che la causa del mio momentaneo allontanamento dalle scene era dipeso dal mio essere ospite in una splendida casa vinicola e lui, amando molto il vino, mi ha chiesto qualche specifica sulle vostre produzioni.”

“E ha ben pensato di farci un ordine a cinque zeri?”

“Credo di non essere riuscita molto bene a trattenere l’enfasi nel raccontargli che posto incredibile sia l’azienda Tenou.”

“Forse…”

“Vi ho messe nei guai?” Chiese alzandosi e gettando un occhio alla pendola ottocentesca che faceva bella mostra di se nel soggiorno.

“Assolutamente no, anzi grazie. E’ una bella boccata d’ossigeno.”

“Ne sono felice.”

“Che tipo è?”

“Chi, Tomas?”

Ad Haruka non sfuggì il chiamarlo per nome, un timbro affettuoso e gentile, seguito poi dal suo descriverlo come un uomo alto, ben piazzato, dallo sguardo azzurrissimo e la pelle riarsa dal sole dello Stato della stella bianca, simpatico nella più stretta etimologia della parola, molto irruento, ma estremamente amante delle cose belle.

“Sai, caratterialmente vi assomigliate. Non credo di avere fan più presente. Si è fatto da solo e si vede. Mi piace molto parlare con lui. Stranamente non ha una mente chiusa come gran parte della gente della sua terra, anzi, è di larghe vedute e questo mi ha sempre affascinata.”

“Da quanto tempo è che lo conosci?” Domandò masticando bile.

“Da una decina di anni. Praticamente dall’inizio della mia carriera. Un paio di volte sono stata anche ospite nel suo ranch.” Serafica ed assolutamente innocente, Michiru continuò a parlare di lui e della sua famiglia, della sua casa favolosa in perfetto stile country e di mille altre cose che sinceramente alla bionda poco importavano e più andava avanti e meno Haruka ascoltava, presa da uno strano gioco mentale che la vedeva fantasticare sul viso di questo fantomatico amico, un po’ Paul Newman, un po’ Robert Redford.

Parlare a ruota libera di lui fu un errore in buona fede che Michiru non avrebbe mai commesso se l’avesse conosciuta meglio. Il dirle tutto poteva dirsi un’azione intelligente, soprattutto per un rapporto che si stava momentaneamente vivendo a distanza, ma fu dannatamente controproducente.

Dopo un monologo che la impegnò praticamente per tutto il tempo che le ci volle per prepararsi ad uscire, la violinista sembrò intuire che nelle risposte monosillabate dell’altra covasse un qualcosa.

“Scusa. Ti ho soverchiata di parole. - Ma sospirando l’altra non rispose.- Haruka…, che c’è?”

Stizzita per l’atteggiamento che suo malgrado stava riservando alla violinista e conoscendone perfettamente la causa, la bionda cercò di dissimulare noncuranza. Era gelosa. Gelosa marcia.

“Ma niente è che sono stanca della pioggia e del freddo.”

“Mi era sembrato di capire che l’inverno ti piacesse. Ho visto come diventi intrattabile con le alte temperature… Anche se…”

“Anche se?”

“Anche se sei molto sexy con la pelle tutta sudata.” Rivelò stupendosi di quanto poca fatica avesse fatto nel dirlo.

Una frase che smorzò immediatamente il gonfiarsi di una crisi cubana, riuscendo addirittura a fare apparire sulle labbra di Tenou l’indolenza di un lievissimo sorriso. “Bando alle sciocchezze o non riuscirò a dormire questa sera, vai alle prove?”

“No, devo vedere… “ Bloccandosi di colpo Michiru si portò le dita alle labbra. Questa volta si, si accorse di avere sbagliato.

“Chi? Seiya?!” E l’idillio finì.

“O su Haruka, non fare così! Lo sai che è solo per lavoro. Devi stare tranquilla.”

“Stai facendo tutto da sola, Kaiou. Chi ti ha detto niente?!” Ed invece era come se avesse detto tutto, tanto che anche Michiru iniziò a spazientirsi.

Non amava essere chiamata dall’altra per cognome, perché in genere la bionda lo faceva per sottolineare qualcosa di sbagliato e questo per Michiru era inaccettabile.

“Senti, se lo vuoi capire, bene, altrimenti… non so proprio cosa farci.” Dispiaciuta afferrò il cappotto e la chiave magnetica abbandonata sulla consolle dell’ingresso e una volta inforcata la cinghia della borsa alla spalla, aprì la porta della suite per ritrovarsi nell’anonimo corridoio del piano.

Un breve silenzio ed Haruka cedette. “Hai ragione Michi. E’ solo lavoro.” Disse senza però metterci un briciolo di convinzione.

“Bene, perché ritengo che nella NOSTRA storia la gelosia sia la componente più pericolosa di tutte.” Stilettò risoluta chiudendo anta e questione.

La telefonata terminò così, con un paio di frasi di circostanza ed un commiato che in quei primi mesi di lontananza non era mai stato tanto impersonale. Due caratteri forti come i loro avrebbero sempre dovuto vivere sulla soglia del compromesso. Seiya aveva ragione e Michiru stava iniziando a sperimentarlo con quella forzata lontananza; a prima vista erano due anime incompatibili, ponderata e risoluta la prima tanto com’era passionale ed irruenta la seconda. Michiru mai gelosa, o almeno mai scioccamente, Haruka… tutto l’opposto. In più la vita, i rispettivi retaggi famigliari, gli interessi, le avevano cresciute agli antipodi e se non fosse stato per un incidente in una notte d’estate, non si sarebbero neanche mai incontrate.

Ingoiando amaro, Haruka entrò in modalità istrice per tutto il resto della giornata, barricandosi dietro la solita cattiva educazione, soprattutto nei confronti di Mamoru e del suo gironzolare per casa. Giovanna cercò di ricoprire la figura di mediatrice che dalla partenza di Kaiou spettava a lei, ma fece il solito buco nell’acqua.

 

 

 

Febbraio, mese sterile e statico, portò Michiru a rallentare un po’ e con impegni meno ravvicinati, riuscì finalmente a concedersi qualche uscita. Andò per musei, sempre da sola o al più con qualche collega della Filarmonica e dormì tanto, anche troppo per un tipo come lei, cercando così nei sogni il bellissimo viso della sua Haruka. Sapendo di aver saltato il suo compleanno, girò Vienna in lungo e in largo per cercarle un regalo che rappresentasse tutto quello che stava provando per lei e che ancora non riusciva a dirle, ma non trovò nulla di quanto sperava. Non che avesse le idee chiare, ma contava sul fatto che non appena avesse visto l’oggetto più adatto a far felice la sua bizzosa bionda, l’intuito l’avrebbe aiutata. Il suo girare, il darsi da fare per poi crollare sul cuscino una volta tornata in albergo, erano tutti sintomi di una profonda solitudine.

Con la vita sociale praticamente azzerata, da persona intelligente qual’era, Michiru si accorse della pericolosa involuzione che stava avendo e non accettandola perché non sana, così come aveva fatto per Harrison, un giorno decise di darsi una scossa organizzando una cena post prove con alcuni membri dell’orchestra. Se Kaiou avesse sub dorato anche solo lontanamente l’innesco che quell’innocente uscita avrebbe portato nella relazione che stava nascendo con Haruka, sarebbe rimasta volentieri a guardare un film romantico sul cinquantasei pollici della sua suite.

 

 

Usagi uscì dalla porta salutando il negoziante e giuliva come una Tortorella s’incamminò verso il parcheggio dove sapeva avrebbe trovato Minako ad aspettarla. Era conscia che le nausee che stavano affliggendo la sorella sin dalle primissime settimane di gravidanza non le permettevano grandi sforzi, ed era anche per questo che come un’alacre formichina cercava ogni giorno di darsi da fare anche per lei. In più con Mamoru spesso da loro, aveva finalmente la possibilità di sperimentare quella vita di coppia che presto avrebbe vissuto pienamente.

Il signor Lucas era stato indagato per una valanga di reati, la cantina Kiba posta sotto sequestro e la produzione quasi del tutto fermata e Usagi avrebbe fatto di tutto per rendere il suo moro un po’ più sereno. Incluso invitarlo alla masseria per pranzo praticamente tutti i giorni per poi tutte le sere sgattaiolare per andargli a tenere un po’ di compagnia nella sua cascina.

Naturalmente questo fare, un po’ da bambina, un po’ da mogliettina navigata, mandava Haruka fuori dalla grazia del cielo. Senza la mediazione continua di Michiru, le cose fra le due sembravano essere tornate quelle di sempre. Forse anche peggio.

“Dove vai con questo freddo?” Tuonava la bionda ogni sacrosanta sera ormai conscia che, visto il periodo difficile che stava passando l’uomo e l’avvicinarsi della maggiore età della sorella, non poteva più costringerla a stare incatenata a casa.

“Da Mamo. Torno tra un paio d’ore.” Rispondeva serafica con la sua sciarpona colorata stretta al collo e i due bon bon ai lati della testa nascosti da un caldo cappello di lana.

“Vedi almeno di farti riaccompagnare a casa. Domani hai scuola…”

“Si, si…” Urlava già con un piede fuori dalla porta sul retro della cucina.

“Lasciala respirare.” Consigliava Giovanna, ma niente, ad Haruka quel boccone per lei amarissimo proprio non sarebbe mai andato giù.

Usagi lo aveva compreso anche troppo bene ed apprezzando la libertà negli spostamenti che comunque aveva da quando la turbolenta storia del signor Kiba era iniziata, quel pomeriggio decise di fare alla sorella un pensiero per ringraziarla ed arruffianarsela un po’. Passando in edicola sperò di trovare il nuovo numero del mensile Musica oggi. Era una rivista che parlava prettamente di classica e che a gennaio aveva pubblicato un bellissimo articolo sul ritorno alle scene di Michiru. Spulciando tra gli scaffali non trovò però nulla che non fosse una rivista minore, più popolare e accontentandosi la prese senza soffermarsi troppo sul suo contenuto. Così pagò schizzando fuori per andare al randevu con Minako.

Tornarono a casa una mezzoretta più tardi con la spesa per la settimana e dopo aver parcheggiato di fronte alla cucina, le due sorelle rimpinguarono la dispensa soddisfatte per il lavoro svolto e non appena finito, la piccola si diresse giù per la collina percorrendo il solito mezzo chilometro che divideva la masseria dal ciclo di produzione. Uno sguardo al ponticello che portava alla cascina di Mamo e poi su per la salita terrosa, pronta per fare una bella sorpresa alla sua burbera sorella maggiore.

Con la rivista arrotolata nel palmo della mano e l’altra stretta alla sciarpa, varcò la vetrata salutando alcuni dipendenti.

“Haruka è in ufficio?” Chiese con lo scarponcino sul vetro della prima pedata e ad un accenno positivo, ringraziò salendo i restanti gradini a due a due.

Arrivata davanti alla porta semiaperta e l’asciandovi un paio di colpetti, fece capolino. Con la cornetta del telefono bloccata tra spalla e orecchio ed entrambe le mani sulla tastiera del suo PC, l’altra le fece cenno di entrare.

“All right. Thank you.” E riattaccò grattandosi la fronte.

“Chi era?”

“Una Cooperativa olandese. Ci hanno invitate a partecipare ad un convegno che si svolgerà a Bruxelles in primavera.”

“Bello!”

“Una palla. Ci manderemo Giovanna. A lei piace girare. E tu dimmi, avete fatto la spesa?”

“Yes, off corse.” A differenza delle altre sorelle, Usagi non era mai andata un gran che bene a scuola, ma non si sa perché, per le lingue era portatissima.

“E allora cosa ci fai qui? Non devi fare i compiti per domani?”

Gonfiando le guance la biondina mosse leggermente la testa in segno di assenso. “Lo so, ora vado, ma prima volevo darti questa. - E le porse la rivista, ma badandoci poco l’altra tornò a scrivere. - Ho dato solo una scorsa al sommario, però dentro c’è anche un articolo che parla della Filarmonica e perciò… anche della tua Michiru. Ho pensato ti avrebbe fatto piacere arricchire il tuo personale e segretissimo album di ritagli di giornale ed immagini scaricate da internet.” Concluse sfacciata tanto che afferrando una penna, Haruka gliela lanciò contro.

“Vai a studiare ciuccia, o gli esami di licenza non li passi!”

“Ma che modi.”

“Vai a casa, cammina!”

“Che caratteraccio.” Borbottò uscendo comunque divertita.

Rimasta sola Haruka continuò a battere sui tasti per un altro paio di minuti, convinta che se avesse smesso, Usagi sarebbe saltata fuori per ridicolizzandola.

Imponendosi quel supplizio, terminò quello che stava facendo per poi alzarsi, chiudere la porta a chiave e tuffarsi finalmente a capo fitto sulla rivista.

Dopo lo scherzetto lanciatole da Bravery, ci aveva messo un po’ per riprendere a sfogliare quel genere di riviste, sotto sotto spaventata dal potersi ritrovare di fronte ad un nuovo gossip su Michiru, ma poi la voglia di sapere dalla mano asettica di un giornalista cosa stesse facendo, l’aveva spinta alla ricerca e il suo non più segreto album di ritagli nascosto sotto i maglioni dell’ultimo cassetto dell’armadio, si era fatto sempre più corposo.

Non passando per l’indice, Haruka iniziò a sfogliare la rivista che, pagina dopo pagina, le rimandava volti di gente mai vista in vita sua. Poi, arrivata più o meno al centro, l’occhio le cadde sulla foto che ritraeva un bell’uomo moro che stringeva senza troppo pudore una ragazzotta dall’apparente età di vent’anni. Estremamente carina, ma molto volgare nel vestire, sorrideva guardando fieramente l’obbiettivo con gli occhi spavaldi della sua giovane inesperienza.

Tenou sorrise riconoscendo il soggetto maschile. “Queste sono le donne con le quali ora ti accompagni? Sei un cretino Kou, avevi per le mani il più bello dei diamanti e te lo sei lasciato scappare per robbetta del genere? Buon per me!”

Dando un colpetto con le dita al bordo della pagina, la bionda lesse di sfuggita le prime righe dell’articolo, dove in pratica si attribuiva al manager il nuovo flirt di turno. “Ma come si fa!” Gongolò tronfia abbassando le difese.

La partita contro quell’uomo era stata vinta, anche se in realtà si poteva dire che non ci fosse mai stata. Con un sorriso trionfante a solcarle le labbra, si appoggiò al piano della scrivania continuando a sfogliare trovando finalmente uno speciale sulla Filarmonica, o più precisamente, una serie d’immagini rubate da un paparazzo ad alcuni suoi membri seduti a cena in un ristorante del centro storico di Vienna. Curiosa girò la pagina ritrovandosi Michiru davanti. Mettendo meglio a fuoco si beò della bellezza della sua donna, iniziando poi a leggere il trafiletto descrittivo d’accompagno. Con l’aggettivo languido, questo lasciava intendere che tra il Primo Violino ed il collega sedutole accanto, ci fosse sotto un qualcosa. In effetti lo scatto evidenziava Michiru mentre guardava intensamente negli occhi l’uomo, rafforzando quella piccola intimità con l’aiuto di una mano posata dolcemente sulla spalla di lui.

La gola della bionda si strinse di colpo provando nuovamente quella sensazione di smarrimento natale immediatamente dopo aver letto il titolo dell’articolo con il quale Bravery le aveva fatto sapere l’identità della violinista e la consequenziale relazione con suo fratello Seiya. Identica, pesante, mefitica. Quasi soffocante.

Una foto che ritraeva un gruppo di persone tranquillamente sedute attorno ad un tavolo, era di se per se normalissima, ma tra sorrisi e chiacchiere c’erano loro; un uomo ed una donna che si sfiorano con lo sguardo. Nella consapevolezza di Tenou fu lampante il confronto voluto dall’editore della rivista; da una parte un articolo che parlava di Seiya e della sua nuova fiamma e dall’altra Michiru, che sembrava stare allacciando una conoscenza con un altro uomo. Due strade che finalmente si dividono e poco importava se il collega della Filarmonica della signora Kaiou non aveva gli occhi di smeraldo, come titolava il suo ultimo brano, nell’articolo s’insinuava comunque che fosse LUI l’artefice del ritrovato smalto artistico del Primo Violino.

“E meno male che dovevo stare tranquilla!” Ringhiò.

Haruka era una giovane donna generosa ed altruista, ma il suo punto debole era sempre stata la gelosia, fin da piccola. Quando se per un qualsiasi motivo si vedeva impossibilitata ad avere affetto da chi amava, invece che cercare di capire ed analizzare la situazione, perdeva totalmente il controllo percorrendo tutte le fasi dell’indecenza; dalla nevrosi, al mutismo, dalla collera all’insofferenza contro tutto e tutti.

Se soltanto avesse conosciuto un po’ meglio Michiru, avrebbe avuto sicuramente il distacco e, soprattutto, il sangue freddo per cogliere in quello sguardo rubato il vero senso che aveva spinto la donna ad aprirsi così con il collega. Purtroppo vuoi per lo scarso tempo che avevano potuto passare insieme, vuoi per l’atavico carattere bizzoso di Haruka, questo non stava accadendo.

Richiudendo la rivista e nascondendola in un cassetto della scrivania, uscì come una furia conscia che con tutto la bile che aveva dentro non avrebbe più potuto concentrarsi.

 

 

Rayan le sorrise alzando il braccio in segno di saluto. Dalla parte opposta della carreggiata stradale attese che Michiru lo raggiungesse stringendosi nel suo cappotto nero. In quella domenica mattina era a dir poco scorato. Le prove, almeno per lui, non erano andate bene e questo era un brand che se perpetrato avrebbe costretto il Direttore ad escluderlo dall’orchestra.

Conoscendo la situazione, Michiru cercò di essere il più gentile possibile, ma la musica doveva cambiare. “Ti sei ripreso dalla sfuriata?” Chiese ricambiando il sorriso tirato di lui.

“Insomma… Me la sono meritata, ma il Direttore dovrebbe andarci piano.”

“Un tedesco?!”

“Già. Quell’uomo è più freddo del ghiaccio, ma se conoscesse tutta la situazione…”

“Se conoscesse la situazione saresti già stato espulso. Le conosci le regole, no? Non hai ancora deciso cosa fare? Guarda che così non puoi più andare avanti.”

“Lo so Michiru, ma non so proprio come affrontare la situazione. Mi sento tra l’incudine ed il martello. - Prendendo a camminare verso un caffè, l’uomo le confessò che in quarant’anni di vita non si era mai trovato in una situazione del genere. - Sono sempre stato un tipo risoluto o almeno così credevo fino ad ora.”

“Perciò arguisco che tu non sia ancora riuscito a dirlo a tua moglie.” E nella sua voce suonò un rimproverò che lui colse subito.

“Non giudicarmi, ti prego. Ho dei figli… Non posso mollare tutto così su due piedi.”

“Rayan ti assicuro che sto cercando con tutta me stessa di non farlo, vorrei solo che fosse chiaro quanto il tuo procrastinare renda tutto più difficile.”

Fermandosi ad un semaforo il collega la guardò finalmente negli occhi ed il rimprovero che lesse lo mise immediatamente sulla difensiva. “Lo so Kaiou, ma non è che posso uscirmene con un: sai amore, mi sono fatto l’amante. Lavora con me e adesso sono talmente preso da non riuscire più a concentrarmi.”

Quella parola, amante, le aveva sempre dato fastidio e perciò le risultò umano ricambiare con la stessa moneta. “Invece se vuoi lasciarla dovresti dirglielo proprio così!”

Storpiando il viso Rayan non replicò e come avrebbe potuto. Michiru aveva ragione su tutta la linea, ma era come se non volesse capire che in quel casino non ci era caduto scientemente, era successo e basta. Aveva lavorato molto per arrivare dov’era, come marito, come padre, ed infine come membro stabile di una delle più prestigiose orchestre mondiali. Ma sapeva bene che se la moglie avesse scoperto la sua giovane storia non lo avrebbe perdonato, così come non lo avrebbero perdonato i vertici di un’istituzione secolare come la Filarmonica, che da sempre vietava ai suoi componenti di allacciare intrecci sentimentali.

La mattina passò in fretta e per Michiru fu pesante, perché più che starlo a sentire, non poteva fare per Rayan nulla di più. Quando tornò in albergo aveva l’umore sotto ai tacchi. L’atteggiamento attendista del collega non le piaceva e ne conosceva il motivo. Da sempre intollerante alle situazioni poco chiare, non riusciva a capire come alcune persone riuscissero invece a conviverci benissimo.

Forse sono troppo severa nei suoi confronti. L’amore è amore, però… anche la sincerità ne dovrebbe far parte, si disse mentre assorta attendeva l’arrivo dell’ascensore in un angolo della reception del suo albergo. Michiru era tanto critica con Rayan anche perché s’immedesimava in sua moglie. Per tanto tempo era stata lei la donna tradita ed ora provava per quell’emerita sconosciuta una sorta d’empatia. Il collega non poteva certo essere paragonato al suo ex e la situazione di un amore clandestino appena nato tra i leggii di un palcoscenico, completamente diversa da quella ormai logora che in anni aveva portato lei e Kou a dividersi, ma era più forte di lei giudicarlo.

Ritornando nel suo asettico appartamento pieno zeppo di cose lussuose per lei completamente inutili, la donna provò il desiderio fortissimo di chiamare la sua bionda, anche perché erano giorni che per un motivo o per un altro non riuscivano più a sentirsi. Così abbandonato cappotto e guanti su una sedia ed afferrato il cellulare nella borsa, scorse la rubrica chiamando direttamente il suo numero sperando che fosse raggiungibile. Un paio di squilli ed una voce calda e profonda rispose.

“Pronto…” Un po’ freddino visto che Haruka sapeva perfettamente chi fosse.

“Buona domenica. Disturbo?” Chiese per poi mettersi seduta sul divano del soggiorno.

“No…”

“Sicura?”

“Se ti dico di no è NO!”

Guardando un attimo il cellulare con circospezione Michiru iniziò ad insospettirsi. “Vuoi che ti chiami in un altro momento? Ti sento un po’ nervosa.”

Non sarebbe cambiato nulla, anzi, con il passare dei giorni Haruka avrebbe continuato a montare rabbia fino all’esplosione. Provando a calmarsi, la bionda decise di dare all’altra una chance. Era passata una settimana dall’uscita di quell’articolo e lei aveva fatto di tutto per non sentirla, sapendo che se lo avesse fatto avrebbe finito per darle addosso senza lasciarle il tempo di parlare. Doveva ascoltare e doveva farlo ora. Basta scappare e comportarsi da immatura.

Quanto sarebbe stato più logico e semplice chiamare la diretta interessata e chiederle chi fosse e cosa rappresentasse per lei quell’uomo dalla carnagione chiara e lo sguardo scuro che gran parte dei paparazzi europei stavano già dando per il suo nuovo compagno. Semplice, ma non da Tenou, che quando si parlava della vita sentimentale e dei gusti sessuali di Michiru aveva capito di non avere il coltello dalla parte del manico. Troppo presa e troppo fumantina, Haruka stava vivendo una situazione del tutto nuova, ovvero quella di doversi guardare le spalle dal mondo maschile. Era già stata con donne etero, ma mai per più di una notte e MAI donando cuore ed anima. In più sapeva che la sua infantile gelosia poteva essere benissimo scambiata per mancanza di fiducia.

“Si, sono nervosa, ma lasciamo perdere. Parlami un po’ di te. Quali programmi hai per oggi?”

Pensando che quello strano comportamento dipendesse dalla presenza di Mamoru, Michiru l’accontentò dicendole che non aveva in mente nulla, anzi, che visto il freddo sarebbe rimasta al calduccio in compagnia di un buon libro.

“Non sei uscita neanche questa mattina?”

“Si, ma niente di che.”

“Mmmm.”

“Tu? Sei a casa?”

“Ora si, un paio d'ore fa sono passata al Consorzio per parlare dell’elezione del nuovo Presidente.”

“Allora è per questo che sei di umore no?”

“Più o meno. - Mentì. - I candidati non mi piacciono:”

“Candidati tu.”

“Per carità, con tutto il lavoro che ho da fare, Giovanna che non lascia stare i nuovi innesti, Usagi ed i suoi occhietti amorosi e Mina con la pancia che cresce…” Disse sentendola ridere.

“Come va la gravidanza?”

“Quella bene e Mina che non si regge.” Un’altra risata ed il suono di un campanello.

“Hanno bussato?”

“Si, sarà la cameriera per le faccende. Eppure avevo lasciato detto che non sarei più uscita.” Alzandosi Michiru andò alla porta chiedendo chi fosse mentre dalla parte opposta dell’anta la voce di un uomo allarmava Haruka. “Michiru sono io, ho dimenticato di darti una cosa.”

Rayan comparve sull’uscio paonazzo dal freddo. “Scusami, non so dove ho le testa. Prima al caffè mi è passato di mente. Ieri hai dimenticato questo sul leggio.” E le porse un fazzoletto bianco con ricamare su le sue iniziali.

Sorpresa lei sbatté le palpebre non ricordando neanche di averlo smarrito. “Non dovevi. Sei tutto intirizzito.”

“Sembra che questa notte nevicherà forte, perciò è molto probabile che domani le prove saltino.”

“Allora grazie.”

“Di nulla. Grazie a te per la bella mattina.”

“Vuoi entrare per scaldarti un po’?”

“No, preferisco tornare a casa. Buon proseguimento.”

“A te Rayan.” Ed aspettando che facesse qualche passo sul pianerottolo richiuse la porta della suite.

“Haru, sei ancora li?”

“Prima… al caffè?!” Inquisì sentendo riecheggiare nella testa le frasi, si, ma niente di che e vuoi entrare per scaldarti?

Ritornando verso il soggiorno Michiru confermò la cosa. “Era Rayan, un collega. Questa mattina abbiamo preso una cioccolata insieme, ma poi visto il tempo, ho preferito tornarmene in albergo.”

“Questo vuol dire che se avessero fatto trenta gradi saresti ancora con lui?!”

“Haruka… - Fermandosi al centro della stanza la violinista iniziò a capire. - … non sarai gelosa, spero.”

“Dovrei?”

“Assolutamente no! Posso arrivare a capirlo di Seiya, ma per Rayan.”

“Ci sei uscita a cena?”

“Si, la settimana scorsa, con degli altri membri della Filarmonica. Ma che cos’è questo terzo grado?”

“Be mia cara Kaiou, ti informo che stanno circolando voci su una tua possibile relazione con questo… collega. O almeno credo sia lui.”

Un secondo per recepire l’informazione e Michiru scoppiò a ridere. “O Haruka, non lo avrai letto in qualche rivista!? Ma lo sai quanti flirt mi appiccicano addosso? Ti prego…”

Quell’ilarità ed il sentirsi come una sempliciotta di paese mandarono la bionda ancora più su di giri. “E anche fosse? Non è che mi faccia piacere leggere certe cose su di te!”

“E allora non leggerle, non navigare in internet e quando ti senti insicura sul nostro rapporto, chiamami!”

“Insicura?!”

“Si Haruka, insicura. E’ palese! Lo so che la lontananza è difficile, ma smettila di farti dei film sul come possa condurre la mia vita qui! Questo tuo atteggiamento mi offende e poi sono talmente stanca che non potrei farmi una storia neanche se volessi.”

“Ma a cena ci vai!”

“Ma ti senti?!” I decibel si alzarono.

Michiru era allibita. Aveva capito da subito che Tenou fosse una persona gelosa. Lo era con le sorelle, con la sua azienda, con il pegiouttino di famiglia o la sua Ducati e quando le aveva detto che sarebbe dovuta ritornare a calcare le scene, lo era stata anche nei suoi confronti, ma qui si sfiorava il ridicolo.

“Non è forse vero? Dici sempre di essere esausta, che vivi praticamente da reclusa, tutta casa e prove e poi ti beccano a fare gli occhi dolci al primo venuto.”

“Rayan è un collega che sta vivendo un periodo complicato ed io non sto facendo altro che cercare di aiutarlo.”

“Invitandolo ad entrare da te?!”

“Non ti permettere!” Esplose sapendo solo lei quanta fatica le fosse costata mettere in piedi quella cena o quanto stesse lottando contro i suoi principi per provare a dare a quell’uomo un sostegno.

“Senti Haruka, forse è meglio finirla qui prima che si possano dire altre fesserie. Datti una calmata e riflettici su, poi, quando ti sentirai pronta per imbastire una discussione intelligente, richiamami. Fino ad allora sarà meglio non sentirsi.”

“Michiru…”

“A presto!” Ed imbestialita e delusa interruppe la chiamata spegnendo definitivamente il cellulare per tutto il resto della giornata.

 

 

Era rimasta ferma in piedi a guardare il suo cellulare come una polla, conscia di avere appena fatto un casino epocale, stravolta per aver sentito Michiru tanto determinata nel non volerla più sentire fino ad un suo rinsavimento ed ancora più scioccata dal tono con il quale l’aveva liquidata. Poi un moto di rivalsa le aveva colto l’orgoglio e scattando verso la sua stanza vi si era chiusa a fare su e giù inveendo contro il mondo. Il carattere che aveva ricevuto in sorte non era certo dei più docili, si sapeva, ma proprio di una violinista affermata doveva andarsi ad innamorare? Una donna che fino a qualche mese prima aveva avuto una storia con un uomo dalla testa ai piedi, conosciuto dalla famiglia, con il quale lavorava, aveva messo su una casa e con il quale avrebbe tanto voluto avere dei figli?

“Non è colpa mia, cazzo. Non è colpa mia!” E giù sfondoni e calci all’armadio aperto sui suoi capi invernali.

“Sei troppo bella Michiru, non lo capisci?! Sei troppo TUTTO e fai gola, anche se non te ne rendi conto.” Presi pantaloni e camicia.

“Oppure lo sai e fai solamente la santarellina!” Calzini e maglietta.

Non ti azzardare, dici, ma io i film me li faccio e come. Ma cosa credi, sto facendo una fatica pazzesca a non pensarti nuda tra le braccia di quel porco di Kou. E’ storia vecchia, lo so, ma ci rosico lo stesso! Poi salta fuori il texano e adesso il collega… Sta passando un periodo difficile, dici. Lo sto solo aiutando, assicuri.”

Infilandosi i pantaloni se li allacciò in vita tirando violentemente verso l’alto la zip.” Il collega ha problemi? E chi sene frega!”

Haruka continuò ad inveire vestendosi con l’idea di uscire nonostante avesse promesso alle altre una tipica domenica in famiglia. Riaprendo l’anta per afferrare il giubbotto che in genere usava per andare in moto, vide la sua immagine riflessa nello specchio interno e scosse la testa.

“Sei un’imbecille! Si, tu! - Si urlò contro. - Ti senti tanto figa, vero? Inforchi i tuoi Ray-Ban conscia che le stenderai tutte. Vai a caccia per non fallire mai, giusto? DEFICIENTE! Lo sapevi che se avessi dato via il tuo cuore avresti sofferto! Brava Tenou! Adesso sai che non sei infallibile, che c’è chi ti ha fregata e ora ti tiene per le palle!”

“Ma che fai, parli da sola?” Giovanna la guardò dalla porta fare capolino da dietro l’anta.

“Tutto bene?”

“Fanculo anche a te!” E spostandola da un lato uscì sul corridoio scaracollandosi giù per le scale.

“Ma che cavolo… Haruka!”

Diretta al silos spalancò le porte trovando ad aspettarla la sua Rose. “E’ ora di riappropriarsi di un po’ di dignità!” Disse prendendo dalla tasca del giubbotto i suoi occhiali da sole ed inforcandoli sul naso fece altrettanto con la sella sicura che qualunque cosa fosse successa, quella sera Haruka Tenou avrebbe ritrovato il suo orgoglio.

 

 

 

Note dell’autrice: Salve. Chiedo scusa a tutti per l’enorme ritardo con il quale ho pubblicato. Lo so, non è un capitolo lungo, ma abbiate pazienza. Il caldo mi ha steso ed il lavoro con lui.

Ciau

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Capitolo 22
*** Epilogo - Presente e futuro ***


Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Epilogo - Presente e futuro

 

A braccia conserte stava fissando il locale già da un po’. Con lo sguardo torvo di un rapace appollaiato su un ramo in attesa di una preda, se ne stava appoggiata sulla sella della moto parcheggiata dalla parte opposta dello spiazzo che dava sull’entrata. E si che sapeva già che avrebbe pagato quella sbruffonata con un’infreddata.

Aveva solcato l’aria fredda con la sua Rose decisa a prendersi una rivincita nei confronti di Kaiou, vogliosa di divertimento e di quella trasgressione che tanta cattiva fama le aveva portato nel microcosmo femminile della sua zona. Varcando il territorio della Provincia confinante si era spinta lontano più del solito, vagabondando per ore, poi le luci di un grazioso localino latino americano e la fauna prettamente femminile che vi gironzolava intorno, l’avevano invogliata a fermarsi.

Già, una rivincita, come se poi Michiru le avesse fatto chissà cosa, come se l’avesse tradita o ferita. In quell’occasione Haruka poteva benissimo dire di aver fatto tutto da sola, di essersela cantata e suonata, di aver giocato con un aspide addormentato venendone inesorabilmente morsa a sangue. Non che non lo capisse, altrimenti sarebbe già entrata, ma sentiva ugualmente l’orgoglio urlarle dentro di riprendersi la sua libertà ed anche starsene così, ferma come un’imbecille in attesa di chissà cosa, poteva dirsi una vendetta più che soddisfacente. Sapere che avrebbe potuto abbordare chiunque avesse voluto finendo quella serata con la più classica botta e via, le stava provocando qualcosa di perversamente eccitante.

Potrei, dovrei, vorrei? Erano le tre domande che le stavano rodendo l’anima. Avrebbe davvero potuto fregarsene di tutti i castelli campati per aria fatti per la violinista e tornare quell’essere chiuso all’amore spavaldamente proteso alla sola contemplazione di se? Avrebbe dovuto distruggere tutto in nome di un qualcosa di non ben definito che oscillava tra la pura gelosia e la rabbiosa convinzione di non poter far altro che fidarsi incondizionatamente di una donna che ancora non conosceva? Ed infine, vero punto nodale e chiave di volta di quella miscellanea di sentimenti che stava provando per Michiru, voleva veramente tornare ad essere, anche se solo per una notte, il diavolo biondo che l’aveva portata a varcare spesso e volentieri perversioni più o meno spinte?

Respirando profondamente l’aria della sera, guardò la stellata che stava ammantando il cielo. Neanche a dire di entrare solo per bere qualcosa, perché se avesse oltrepassato quella soglia sarebbe stato dannatamente difficile non combinare qualcosa.

Vorrei un qualcosa di forte, pensò incassando il collo nella sciarpa.

Aveva il sangue infetto Haruka e lo sapeva bene, avvelenato dal blu profondissimo di due occhi splendidi e forse per un tipo come lei era quella la cosa più destabilizzante.

Bene Tenou, ora che sei qui... cosa vorresti fare? - Se li vedeva puntati contro quegli occhi severi e pericolosi come due calibro 64. - Vuoi tradirmi? E per quale motivo? Ho forse fatto qualcosa di sbagliato per meritarmi tanta mancanza di rispetto?”

Eccola li, bella da mozzare il fiato la sua dea dell’archetto, maglio alla gola, corrosione per i nervi, aritmia per un cuore ormai schiavo, ferma in piedi a qualche metro da lei, a fissarla giudicatrice. Il suo vestitino chiaro, i sandali allacciati alle caviglie, l’orologio al polso sinistro, le mani strette l’una contro l’altra sul grembo e i capelli mossi adagiati sulle spalle fiere.

Possibile che una donna intelligente come te non ci arrivi? Il non averti ancora detto che ti amo non ti da il diritto di comportarsi come il più classico stereotipo maschile.”

Haruka chiuse gli occhi e poi li riaprì solo per costatare che quello spettro era ancora li, davanti a lei. Perché non mi lasci in pace?

Pensò e lei le risposte. “Io? Guarda che sei tu che non vuoi farlo.”

“Allora che fai, non entri?” Una voce squillante dall’accento latino la fece voltare di scatto. Alla sua sinistra, proprio accanto alla coda della moto, una moretta dalla carnagione scura le sorrise con simpatia.

“Scusa, non volevo disturbarti, ma vedi dovrei sapere se ho perso una scommessa con loro. - Puntando l’indice verso un punto dello spiazzo indicò tre donne sghignazzanti. - Le mie amiche dicono che stai ferma qui in attesa della tua ragazza, mentre io…”

Inclinando il busto all’indietro Haruka guardò le altre per poi tornare a fissarla. “Tu?”

“Io credo che si, tu stia aspettando qualcuna, ma non la tua ragazza.”

Una frase tra lo sfacciato e l’ingenuo che attirò la bionda molto più del suo fascino esotico.

“A si?” Esplose montando il suo solito sorrisetto sornione.

“Si… Corretto?” Chiese facendo altrettanto.

“Può essere. Cosa ti rende tanto sicura che io non stia aspettando la mia donna? Magari lavora qui.”

Accarezzando Rose con lo sguardo, la moretta affermò che con una serata tanto fredda, se fosse venuta a prendere una persona importante lo avrebbe fatto in macchina.

“Mi sembri un tipo protettivo. La moto va bene in estate, per corse sfrenate verso la costa, non per l’inverno, dove la tua donna potrebbe soffrire il freddo.”

Alzando le sopracciglia, Tenou fece una specie di reverenza con il capo. “Perbacco, che acume.”

“Grazie e poi le moto sono… - Spostando sapientemente gli occhi dalla Ducati alla bionda, proseguì sempre più sicura. - … più per cacciatrici che per mamme chiocce.”

Un paio di secondi ed Haruka sbottò in una fragorosa risata. “Mamma chioccia io?!”

E’ carina e molto spigliata…, sembra il tuo tipo. Cosa aspetti?” Nuovamente la voce di Kaiou sempre rimasta li, ferma davanti a loro, come un ologramma, memento mori della sua coscienza.

Potrei farlo, pensò la bionda fissando lo spiazzo vuoto con un impeto di rabbia.

Allora fallo!”

Bada Kaiou!

“Dunque?”

“Come?”

“Ho vinto la mia scommessa?”

“Mmmm, in un certo senso…”

Smorfiando le labbra carnose l’altra lanciò lo sguardo scuro alla porta del locale e al capannello di fumatrici quasi pronte a rientrare. “Non mi sembri molto convinta.”

“Non è facile.”

“Cosa? Entrare a divertirti un po’?” Osò.

“Già.” E per un tipo pragmatico come lei quella frase aveva il sapore di un’eresia.

Afferrandole il braccio la moretta la strattonò un poco ammiccando convincente. “Allora sarò io a decidere per te! E poi sono di ottima compagnia.” Disse mentre l’immagine di Michiru spariva alle sue spalle e dalla mente di Haruka.

 

 

L’aria del primo mattino era frizzante, ma non fredda come quelle del fine settimana appena trascorso. Il silenzio che stava ancora avvolgendo tutta la masseria Tenou, era rotto solamente dal gracchiare di alcune cornacchie in lontananza e dal martellare metallico proveniente dalla rimessa. Intenta a caricare sulla carriola la legna per la giornata, Giovanna sentì l’avvicinarsi di un motore e fermandosi quasi a ridosso del cancello d’entrata, fissò la strada aspettando. Solo lei ed Haruka erano già attive, perciò visto che le altre due sorelle si stavano ancora aggirando per la casa come due zombie in pigiama, poteva trattarsi solamente di Yaten.

Costretto a pernottamenti lontani da Minako per via del poco spazio e di una casa piena zeppa di donne, andava e veniva dal suo appartamento in paese come un colibrì impazzito. Povero figlio, costatò la maggiore sorridendo all’enorme pazienza che stava dimostrando il ragazzo.

Smentendo però ogni previsione, al posto del mezzo del suo futuro cognato comparve un taxi. Corrugando la fronte la donna abbandonò la carriola aprendo il cancello. Qualche secondo e al fermarsi della macchina sulla piazzola antistante, una delle due portiere posteriori si aprì lasciandola di sasso.

“O Dio del cielo! E tu? Da dove spunti fuori?”

“Da un posto molto freddo. Ciao Giovanna.”

 

 

L’ennesima martellata ed Haruka capì di stare passando il tempo a prendersela con la scocca del suo povero Landini. Un’opera minuziosa ed alquanto sadica che non avrebbe portato a niente.

“Oggi non và, scusami vecchio amico.” Stiracchiandosi si alzò stancamente dalla latta di gasolio che stava usando come sgabello e poggiando il martello sul pararuota, accarezzò la carrozzeria provata da anni di duro lavoro su e giù per i vigneti.

“Avresti bisogno di una bella revisionata, ma proprio non ci sto con la testa.”

Forse se avesse riacquistato un po’ di sonno le cose sarebbero andate meglio, ma da quando aveva discusso telefonicamente con Michiru non era più riuscita a chiudere occhio.

“Sarebbe anche potuta scoppiarmi un’atomica sulla testa e sarei stata in grado di prender sonno lo stesso! E invece… L’ennesima cosa che dovrei mettere in conto a quella mantide religiosa dallo spartito facile.” Borbottò sentendosi tutte le ossa peste.

Per lei era ormai diventato impossibile farsi una bella dormita. Aveva provato ogni tipo di rimedio, dal casalingo fatto delle tisane serali di Minako condito con le chiacchiere di Usagi e Giovanna, a quello più trasgressivo basato sui giri in moto senza una vera meta e se per i primi non aveva ottenuto altro che alzate notturne per andare in bagno ed orecchie fumanti, per il secondo il risultato era stata la frustrazione più totale. E si, nella nuova condizione di Tenou Haruka, dottore in Agraria e giovane imprenditrice vinicola, c’era anche questo; l’aver scoperto di non riuscire più a togliersi dall’anima una donna tanto da non poterne più toccare un’altra.

“E che palle… Chi l’avrebbe mai detto.” Lagnò sentendo Giovanna chiamarla.

“Haruka… esci, c’è una cosa per te.” Urlò la maggiore euforica.

“Che vuoi?” Chiese l’altra sfilandosi il lattice dei guanti dalle dita.

Un bagno nel primo sole del mattino e gli occhi le diventarono due fessure verdi. “Allora?”

“Guarda qui chi ho trovato fuori dal cancello?”

Spostandosi da un lato Giovanna allungò un braccio verso la forestiera che guardando la bionda stirò le labbra arpionando con la mano la cinghia della borsa. “Ciao Haruka.” Disse e a Tenou si fermò il cuore.

“Mi… chiru?” Soffiò abbandonando i guanti in lattice nella destra mentre passandole accanto la maggiore le lanciava un’occhiataccia.

“Vedi di essere gentile o questa volta ti prendo a sberle…” E con quella velatissima minaccia, Giovanna rientrò in casa lasciandole da sole.

“Cosa… - Un colpetto di tosse e su la corazza. - Cosa ci fai qui?”

Kaiou sospirò. Cos’è che le aveva detto l’ultima volta che si erano sentite? “Senti Haruka, forse è meglio finirla qui prima che si possano dire altre fesserie. Datti una calmata e riflettici su, poi, quando ti sentirai pronta per imbastire una discussione intelligente, richiamami. Fino ad allora sarà meglio non sentirsi.”

E con la rabbia a ribollirle dentro, la violinista lo aveva detto con convinzione. Dunque, ora perché era li? Perché diavolo aveva rinunciato al suo orgoglio per correre da lei? Per amore! Amore per quella testarda cronica piena zeppa di assurde fisime.

“Dimmelo tu del perché alla prima occasione abbia dovuto prendere un volo notturno per cercare di capire cosa ti stia passando per la testa.” Mantenendosi fredda più di quanto avrebbe voluto, Michiru attese una risposta che però non arrivò.

“Allora?”

Ma Haruka se ne restò ferma a fissarla con una profonda ruga tra le sopracciglia ciglia chiare e nel corpo tanta, tantissima voglia di stringerla a se.

“Sto aspettando Tenou…”

“Sei… bellissima.” Furono le uniche parole che riuscì ad articolare mentre il cuore le rimbalzava nello sterno come una palla impazzita e nel sentirle, pur provando a non scomporsi, la piega severa che avevano assunto le labbra di Kaiou scomparve.

Notandolo l’altra riacquistò il coraggio per andarle incontro ed arrivata vicinissima si fermò inalando il profumo proveniente dalle onde di spuma che erano i suoi capelli. “Ma come fai ad essere così meravigliosamente perfetta?!”

“No, Haruka! Non si fa così!”

“Così come?” E le sfiorò con le dita il fianco cinto dal cappotto.

“Prima sembri una pazza all’Amleto e ora sciolini complimenti.”

“Lo so…”

“Non mi merito i tuoi continui sbalzi d’umore, i fraintendimenti e le sfuriate all’indirizzo della mia vita privata.”

“Lo so, Michi.”

“Dunque se lo sai… DIMMELO.”

Un respiro più pronunciato e Tenou cedette. “Ti chiedo scusa… Sono stata un’idiota.” Ed abbassando la testa attese nel più completo silenzio.

Scuotendo leggermente la sua Michiru rilasciò un dolcissimo sorriso.

“Sei impossibile, accidenti a te… e a me, che non posso più farne a meno!” Ma questa volta il tono si era fatto dolce, quasi melodioso, ed afferrandole le guance le si buttò addosso prendendole la bocca.

Un po’ sorpresa Haruka ricambiò subito fino a quando l’altra non si scansò un poco per guardarla negli occhi. Fu in quel momento che la bionda ebbe un’epifania e capì finalmente di quale pasta fosse l’amore della violinista. Uno sguardo tanto intenso da stridere se paragonato a quello che aveva visto nella foto che la ritraeva con quel Rayan e che tanto le aveva avvelenato il sangue. Ancor più imparagonabile a quello scuro e voglioso che aveva visto nella moretta sudamericana rimorchiata solamente due sere prima.

Allora sarò io a decidere per te! E poi sono di ottima compagnia.” Le aveva detto trascinandola verso l’entrata del locale e da li, ad uno dei salottini interni.

Una Coca, quattro chiacchiere e non c’era voluto un genio per capire quanto i ruoli si fossero incredibilmente capovolti, quanto ora fosse la moretta la cacciatrice e lei la preda da stanare. Sorridendo incredula e ormai assolutamente conscia del fatto che bramasse solamente un’altra carne da adorare, un altro fiato da respirare, un’altra anima da rispettare, Haruka si era allora scusata ed alzandosi dal divanetto era andata verso il bancone del bar per saldare e poi al guardaroba per riprendere giacca e casco. Uscendo aveva riso fino alla moto ormai conscia che le dita affusolate di una violinista erano riuscite a seppellire, molto probabilmente per sempre, il famigerato diavolo biondo. Rinunciare ad una bella serata non era stato difficile come credeva, ma anzi, liberatorio. Una prova superata che si era auto inflitta senza neanche capirlo. Ora, alla luce di quello sguardo e del gesto che aveva compiuto Michiru nel lasciare tutto per tornare e chiarire di persona, era felice di non esserci cascata, di non averla tradita, di non aver rovinato tutto.

“Si Michi, scusami. E’ inutile che ci giri intorno, che cerchi di fare di tutto per non ammetterlo; ormai mi sei entrata dentro e non posso che arrendermi.”

“Non voglio che tu ti arrenda Haru, è solo una questione di equilibri. L'essere gelosa ci sta, ma con coscienza. E poi… “ Iniziando a riderle sul petto le fece capire a cosa stesse alludendo.

Mi sei dentro... In effetti me ne sono uscita con una frase un po’ ambigua, ma è anche di me tra le lenzuola che non puoi più fare a meno, vero?”

“Non essere sciocca!”

Incassando uno schiaffetto sulla spalla Haruka tornò a sorriderle. “Sei ancora troppo poco maliziosa Kaiou. Dovremo lavorarci su.”

“Mi è mancata anche la tua sfrontata faccia tosta.” Arpionandosi al suo collo si lasciò abbracciare forte ed alzare da terra.

Dal portoncino lasciato leggermente aperto vista la scena Giovanna sguinzagliò le altre. “Ok, pace fatta. Ora si può andare.” E via, verso l’esterno.

“Michi!” Urlarono le altre due in coro.

 

 

Per il ritorno estemporaneo di Kaiou saltarono tutti i lavori della casa. Una giornata piena d’affetto, sorrisi e di quel senso di famiglia che la violinista non aveva più dall’autunno passato. Minako a lagnarsi bonariamente per la sua pancia e ad assicurarle che quando si sarebbe trasformata in uno Zeppelin, l’avrebbe portata a fare un giro fra le nuvole. Usagi a raccontarle tutto sul signor Lucas e di come il suo coraggiosissimo Mamo stesse affrontando la situazione, di come i membri della Cooperativa avessero apprezzato la sua denuncia, ma, nonostante questo, non lo vedessero più di buon occhio. Giovanna euforica per le piantine di First delight, a ricordarle della sua promessa, di quel nome che Michiru avrebbe dovuto dare al nuovo vino che da li a tre, quattro anni, avrebbe visto il primo imbottigliamento e Yaten, affamato di dettagli, a farle centomila domande su Vienna e le altre metropoli dove la donna era stata ad esibirsi. Seduta da una parte, Haruka se n’era stata silenziosa a guardarsela, attendendo il momento nel quale sarebbero finalmente rimaste sole, così quando prima dell’imbrunire quel momento arrivò, decisero di fare una passeggiata seguendo le loro ombre verso il ponticello che divideva la tenuta Tenou da quella dei Kiba.

Fermandosi ed abbracciandola da dietro, Haruka guardò le aste zebrate biancorosse. “E’ grazie a loro che quel giorno di pioggia mi abbracciasti per la prima volta.”

“Ti riferisci a quel salto assurdo? Se ci ripenso ho ancora la tremarella.”

Poggiandole il mento sulla spalla l’altra affermò con matematica certezza che in sua presenza non avrebbe mai dovuto averne.

“Eri fantastica con il vestito tutto aderente. Ti confesso che da li in avanti le mie notti sono state parecchio… agitate.” Un bacio sul collo come antipasto prima di ricevere l’ennesimo buffetto.

“Piantala.” Disse innescando nella bionda una nuova risata sardonica.

“E dai, non fare la bacchettona. Da quel punto di vista… non ti manco neanche un po’?”

O si, ma non le avrebbe detto quanto neanche sotto tortura.

“Può anche darsi.”

“Senti Michi, a proposito di quel giorno, mi sono sempre chiesta cosa ci stessi a fare dalla parte opposta del ponte.”

In effetti la violinista non le aveva mai detto che durante i primissimi giorni di vita alla masseria, Bravery si era divertita a prenderla in giro fingendosi il fratello. Apparendo e scomparendo nei momenti più disparati della giornata, la donna le aveva quasi fatto credere di stare diventando una pazza visionaria.

“Non vedendo tornare Usagi ero andata alla cantina e credendo di vedere Seiya sulla sponda opposta... Sai, non era la prima volta.”

“Kou?!”

“Già. Ci ho messo giorni per capire che il motociclista dal casco scuro che ogni tanto mi compariva davanti era la sua gemella.”

Haruka strinse le labbra. Bella coppia di mamba si erano scelti come compagni. “Ecco perché mi chiedesti se la tua Mercedes aveva un localizzatore.”

“Pensa che sciocca, credevo mi avesse seguita.”

“Avresti dovuto dirmelo subito invece di farti prendere in giro da quell’arpia.”

Sentendosi stringere con più forza si sentì talmente protetta da ammettere di non esserci proprio arrivata. “Lungi da me immaginarmi una storia tanto assurda e poi non avendo mai visto il volto di Bravery, non l’avrei mai potuta associare a Seiya neanche se avessi voluto.”

“E’ strano che pur essendo la sua donna, Kou non te l’abbia mai fatta conoscere, ne tanto meno ti abbia mai mostrato una sua foto.”

“Sul fronte famigliare è sempre stato un uomo molto riservato. A mala pena sapevo che avesse una gemella o che i suoi avessero divorziato dividendoli.”

Respirandole nel’incavo del collo la bionda ebbe come un fremito. “Ora però basta parlare di quei due. Li voglio cancellare dalla nostra vita.”

Ma Michiru voltandosi scosse la testa. “Perché? Faranno sempre parte dei nostri ricordi. Non c’è proprio nulla di Bravery che vuoi tenerti dentro?”

Un po’ sorpresa le disse di no. “Perché Michi…, tu si? Di Seiya hai qualcosa da salvare?”

“Bè…, certo.” Iniziando a pensarci si ricordò delle vacanze in giro per il mondo, i primi successi ottenuti fianco a fianco, le vette raggiunte e quanto la facesse ridere. Agli spicchi di serenità, ai pranzi con i suoi, lo sguardo amorevole di sua madre per quel bel giovanotto bruno dalle radici famigliari spezzate e di quello fiero di suo padre, che forse già lo considerava come un figlio. Non rinnegava neanche il sesso o le discussioni.

“Invece io voglio dimenticare tutto. Azzerare. Ricominciare da capo.”

Haruka era così; gettava tutto in un gran calderone miscelando storie consolidate e piccoli flirt come se fossero la stessa cosa.

“No, io no. Pur non provando più nulla per lui, l’ho amato e anche se in un modo tutto suo, sono comunque stata ricambiata. Non disconosco la nostra storia. Non lo farò mai Haruka.”

“Ma come ragioni?! - Chiese stizzita e sciogliendo l’abbraccio si allontanò di qualche metro mani nelle tasche. - Ti ha tradita con donne che non sarebbero degne neanche di pulirti le scarpe, umiliandoti e poi lavorativamente parlando, lasciamelo dire, ti ha usata…”

“Usata!?”

“Ma secondo te è stato giusto spremerti tanto vivendo per anni all’ombra del tuo lavoro?!”

“No Haruka, aspetta un attimo. Posso convenire con te che i tradimenti continui poteva anche evitarseli, ma sbagli nel dire che Seiya sia vissuto alle mie spalle, anzi, proprio in virtù della sua bravura sono riuscita ad ottenere tanti contratti.”

Il sentire Michiru difenderlo, l’accese. “Guarda…, io proprio non ti capisco!”

“C’è poco da capire. Non mi ha mai puntato la pistola alla testa per farmi firmare per una turnè dopo l’altra. Ho avuto in cambio fama e denaro e il vantaggio è stato per entrambi. Io la vedo così.”

“Forse non ti ricordi quando sei arrivata qui?! Eri distrutta Kaiou e la colpa è stata sua!”

“E con questo?! Ricorda bene quello che sto per dirti; se qualcuno ti fa un qualcosa è anche perché sei tu a lasciarglielo fare.”

Haruka sbatté le palpebre esterrefatta. Eppure quel discorso era di una linearità e di una maturità disarmanti, ma faceva fatica ad accettarlo. “Non ci credo, lo stai scusando!”

Esasperata da quell’ottusità e da una stanchezza fisica sempre più evidente, la violinista abbassò la testa serrando gli occhi. “Ora basta con questa gelosia! Non ne posso più! Non lo sto scusando, ne difendendo. Ma perché con te è sempre tutto bianco o nero!?”

“Mi perdoni tanto signor Primo Violino, evidentemente sono troppo ottusa per capire la complessità del vostro rapporto!”

“Finiscila di fare così!”

“Questo E’ il mio carattere, quello che provo e che sono!”

“Il tuo carattere?! - Quasi urlò. - Se non ti amassi così tanto Haruka, per una fesseria del genere sarebbe da girare i tacchi e andars…” Entrambe dilatarono le iridi mentre Michiru si portava una mano alla bocca.

L’aveva detto, non certo come avrebbe voluto, sperato o immaginato, ma lo aveva fatto. Le aveva detto di amarla e presa piena coscienza di quelle parole, Tenou fece una faccia tra il divertito e l’euforico.

“Come? - Chiese avvicinandosi. - Ho sentito bene?”

“Credo di si…” Camuffando la voce con il palmo, l’altra stirò un mezzo sorriso.

“Facciamo finta che non sia successo niente o ne parliamo?” Sempre più languida continuò ad avvicinarsi lentamente.

“Be, c’è veramente poco da dire. Ti amo…” Ammise vedendola fermarsi a pochissimi centimetri da lei.

“Anche se sono impossibile e ho un caratteraccio?”

“Si.”

“Anche se sono gelosa ed ottusa?”

“Si.”

“Anche se tendo a fare la strafottente coatta?”

“Si…” Trovandosi il viso di Haruka a pochissimi centimetri dal suo chiuse gli occhi cercandole le labbra.

“Anche se sono bellissima e ci provano con me?” Ghignò mentre la violinista li riapriva di colpo.

“Che?!”

Scoppiando a ridere Haruka prese a grattarsi la testa rivelandole quello che era successo il fine settimana precedente ed una volta finito, alzò le spalle mettendo su un’aria da cucciolo colto sul fatto.

“Ecco, è tutta la verità. Ero così arrabbiata, ma più che altro lo ero con me stessa, perché non credere che mi piaccia l’esser gelosa. So che è una mancanza di fiducia verso quello che provi per me.”

“Esattamente…”

“Mi scusi? In fondo mi è servito per capire quanto anche io… ti amo…”

Michiru le penetrò le iridi con le sue. “Ripetilo…” Ordinò trattenendo il respiro.

Allora avvicinando la bocca al suo orecchio l’altra sussurrò lieve. “Ti amo Michiru Kaiou.”

Ed avrebbe provato a farlo con tutta se stessa per il resto della vita.

 

 

Si coccolarono per tutta la notte. Si amarono, parlarono e si amarono ancora, con un’intensità ed un trasporto quasi commoventi, come se non avessero mai amato o vissuto prima di allora.

Il cuore inquieto di Haruka si calmò e non solo perché Michiru ebbe la possibilità di parlarle di Rayan, della sua relazione extraconiugale e della possibilità concreta, se fosse stato scoperto dal Direttore della Filarmonica, di perdere il lavoro portando giù con se anche la sua giovane collega – amante, ma anche per aver finalmente messo a fuoco il perché si fosse spinta fino al limite di una gelosia tanto stupida. Rayan, Seiya, Harrison e ogni uomo gravitasse nella vita della violinista, rappresentava solamente il cieco terrore di perderla, di lasciarsi sfuggire una delle cose più belle che avesse mai avuto in tutta la sua vita.

Fino a quando non se l’era vista davanti, sotto sotto, nella parte più profonda di se, Haruka aveva pensato che nonostante le promesse, l’amore, i sogni in un futuro vicinissimo, Michiru non sarebbe più tornata da lei e non perché i suoi sentimenti non fossero sinceri, ma perché spesso tra il dire e il fare c’è di mezzo un abisso chiamato vita. Haruka stessa lo sapeva bene. Da ragazza aveva avuto la possibilità di diventare una pilota di Formula tre e per sua stessa scelta non l’aveva colta. Fino a pochi anni prima la sua esistenza era stata perfetta e poi un incidente le aveva strappato l’amore dei suoi genitori. Per provare ad andare avanti, aveva allora immaginato l’espansione dell’attività di famiglia assieme alla sorella maggiore, che però improvvisamente l’aveva invece lasciata sola. Avrebbe vinto la gara di rally se la macchina non avesse ceduto e avrebbe ancora accanto Rose se un brutto male non l’avesse strappata ancora giovane al mondo.

Perciò, anche se in quella sera d’autunno le rassicurazioni della violinista su un suo ritorno erano state dette con tutto l’amore e la convinzione possibili, in un pertugio del suo cuore la bionda si aspettava comunque il peggio, l’onda anomala che avrebbe nuovamente spazzato via tutto.

“E non hai più paura che possa succedere qualcosa che m’impedisca di tornare?” Nel farle quella domanda Michiru si strinse a lei con maggior forza avvolgendosi nel tepore meraviglioso che era il suo corpo.

“Certo. Ne ho sempre. Solo uno sciocco può pensare di avere il pieno controllo sulla sua vita. Ma… - Un bacio sulla fronte per tornare a guardare il soffitto della camera da letto che da mesi era ormai dell’altra. - … Ora è diverso.”

“Perché ti ho detto di amarti?”

“Mmmm. Sono una stupida, lo so.”

“No è che pensavo di avertelo già dimostrato.”

“Scusami, ma come avrai capito faccio un po’ fatica con i sentimenti.”

“Che testona che sei.”

“Vero, però devi riconoscere che così facendo sono riuscita a vederti prima del previsto.”

Quel tono giocoso e sfacciatamente strafottente spinsero Michiru a tirarsi su puntellando il gomito al materasso. Fissandola le consigliò di non provarci più.

“Non sarai abituata a fidarti dei sentimenti altrui, ma ricordati Haruka che io sono altrettanto poco avvezza alla mancanza di fiducia, perciò se ti dico una cosa stai pur tranquilla che è quella. Perciò basta con le stupidaggini.”

“Ok…”

“E soprattutto… - Posandole l’indice sulle labbra continuò severa. - …, basta con i giretti in moto. So e saprò sempre darti IO il piacere che brama la tua perversa carne. D'accordo?!”

Imitandola anche Haruka si alzò sul gomito. “A si?”

“Non sto scherzando, Tenou. Se lo farai ancora…” Ma non ebbe la forza di proseguire in quella minaccia perché Haruka l’aveva già afferrata per un fianco schiacciandola sul materasso tornando ad eccitarle i sensi.

 

 

L’indomani, di buon ora, un taxi tornò a strappare Kaiou dalla masseria Tenou. Pur non troppo abituata ai contatti fisici, Michiru si prese tutto il tempo per abbracciare ogni componente di quella che ormai era a tutti gli effetti la sua famiglia. Lo fece con Giovanna, Usagi e persino con Yaten, che forse per il fatto di essere stato accolto prima di lei in quel gran concistoro femminile, si sentiva il più empatico fra tutti. A Minako promise che dopo il parto avrebbe fatto di tutto per essere presente al battesimo e l’amica le assicurò che sarebbero arrivati persino a spostare l’evento pur di essere tutti insieme.

Una volta apertole lo sportello, Haruka se la guardò baciandola delicatamente sulle labbra per poi stringerla a se. “Questo è il tuo nido, il luogo dove potrai sempre essere te stessa. Non dimenticarlo mai.”

“Si.” Soffiò impercettibilmente l’altra prima di sciogliersi a fatica ed entrare in auto.

Il vetro del finestrino a dividerle nell’ ultimo contatto di due palmi contrapposti e il mezzo partì. Le attendeva un nuovo periodo di lontananza, questa volta più lungo del precedente. Così la bionda vide andar via il suo amore e capì quanto il gesto di partire senza salutarla la prima volta era stato benedetto per non far soffrire almeno una delle due. Sorrise pensando a quanto quella dolce creatura, così forte e fiera, fosse anche estremamente lungimirante.

Mentre gli altri tornavano lentamente verso casa, lei si fermò accanto al parapetto in pietra che dava sulla Prima, perdendo lo sguardo all’orizzonte e più lontano; al futuro.

Un futuro dove con gli occhi della certezza vedeva la sua famiglia allargarsi con l’arrivo dell’ennesimo fiocco rosa, una gemma, di nome e di fatto, in tutto e per tutto simile a Yaten, ma civettuola e tenace come Minako. Certo, la sua povera masseria non avrebbe più avuto la stessa quiete di prima, invasa come sarebbe stata di sgrilletti, pianti e giochini vari. L’aspettavano tante notti insonne e sicuramente anche lei avrebbe dovuto prestarsi nel fare su e giù per le scale con un fagotto petulante fra le braccia. Ma tutto sommato quella visione un po’ le piaceva. Almeno avrebbe avuto la soddisfazione di sfottere Max che, n’era certa, per quella nipotina sarebbe andato in brodo di giuggiole.

Un futuro che avrebbe visto Usagi diventare finalmente maggiorenne, prendere l’agognata licenza ed accasarsi accostando il suo nome a quello dei Kiba in una cerimonia nella quale, vedendo la sorellina in abito da sposa, la bionda si sarebbe certamente commossa nel portarla sottobraccio all’altare.

Un futuro dove ci sarebbe stata lei, Michiru, ormai svincolata da ogni tipo di contratto e finalmente libera di sonare la sua musica sotto l’etichetta indipendente da lei stessa fondata e chiamata con lo stesso nome dato al primo innesto ottenuto da Giovanna con la First delight, ovvero Sun Prints.

Inalando aria fredda nei polmoni Haruka poggiò i palmi sul parapetto. Le sue vigne tutte intorno a lei, silenziose guardiane dormienti delle sue speranze più belle e proprio li, tra i loro filari, neanche un anno dopo, due donne talmente diverse da essere straordinariamente complementari si sarebbero guardate negli occhi una con le mani sui fianchi dell’altra.

“Haru…”

“Dimmi Michi?”

“Lo sai? Non ho più bisogno degli applausi di un pubblico per sentirmi amata.”

 

 

 

Note: Eccola qui; l’agognata fine di questa ff, molto sofferta nelle sue ultime uscite e forse meno ricca di colpi di scena delle altre, ma comunque sempre scritta con impegno ed amore. Ho fatto fatica, lo riconosco. Credo che la mia vena “artistica” si sia esaurita, perciò per un po’ proverò a scrivere solamente one-shot.

Ringrazio tutte le persone che mi hanno dedicato parte del loro tempo, sia nel leggere che nel recensire. Un grazie particolare a Ferra 10, Fragile Guerriera, Harukatenoh 10, Fenris e Learco 87, che non hanno mai mancato di farmi avere il loro sostegno, anche in privato.

Un abbraccio a tutti e a prestissimo.

Ps Pensavate che Haruka facesse un casino, vero? E invece no. E’ diventata una “brava ragazza” hahahah.

Ciau U. BW.

 

 

 

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