Stagioni

di Tenar80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 – ultimi preparativi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 – Il corto della prova a squadre ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 – La sera della Cerimonia d'Apertura ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 – Il libero della prova a squadre ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - contraccolpi ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 – Ricerca d'equilibrio ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 – il corto della gara individuale ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 – Dopo il programma corto ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 – Conseguenze ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 – Prima del Libero della gara individuale ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 – Il libero della gara individuale ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Rieccomi qui, per quello che, per certi versi è il cuore narrativo del tutto il mio pellegrinare nell'universo di Yuri on Ice. 
Sin dall'inizio volevo portare tutti loro alle Olimpiadi, quelle vere, di Corea 2018, con tutte le caratteristiche che hanno avuto, in primis lo scandalo doping che ha investito la Russia.
Quando mi ci sono messa non avevo la più pallida idea del guaio in cui mi stavo cacciando, anche considerato la mia scarsa attitudine a leggere bene l'inglese, figuriamoci il coreano. Mi sono persa tra mappe del villaggio olimpico e i calendari gare, spaccandomi la testa nel cercare di capire il funzionamento dei turni di allenamento, la logistica degli spostamenti, della mensa, degli altri luoghi ristoro. Scrivere questo racconto è stato, per molti versi, un incubo. Ho cercato di attenermi il più possibile al reale o al plausibile, ma in parte di mi sono resa conto solo dopo di aver frainteso alcune informazioni, in parte erano incompatibili con la mia storia. Per questo, ad esempio, pur scrivendo con il calendario gare alla mano, non ho suddiviso i capitoli in giornate con tanto di date. In generale, se ho scritto che una cosa avviene in un determinato modo è perché è così, se sono stata un po' sul vago, che il dio della coerenza interna abbia pietà di me.
Le ElinaFD sono state sprone, supporto, spalle su cui piangere in tutto questo percorso e, per altro, hanno nei loro cassetti storie che a livello di documentazione stanno diversi passi avanti a questa.

L'universo narrativo dello mie storie in questo fandom è unico, quindi questa è il seguito diretto de "Negli occhi degli amanti". Tuttavia, dalla fine di quel racconto all'inizio di questo è passato circa un anno, con una serie di eventi che ora, spero, Yuri vi racconterà.

Non mi resta, quindi, che augurare a chinque voglia impegolarsi in questa lunga storia buona fortuna. Con un enorme grazie a chiunque vorrà recensire.



YURI ON ICE – STAGIONI

 

 

    Faceva freddo. Anche per chi, come Yuri, era abituato agli inverni russi. Il paesaggio, se non fosse stato tutto così pulito e nuovo, quasi finto, gli avrebbe ricordato certe periferie di Mosca e questo non era certo un complimento. Peggio ancora, il tutto aveva un’aria spettrale e desolata. 

    La gara di pattinaggio a squadre iniziava ancora prima della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi e gli atleti impegnati in quella competizione erano tra i pochi ad aggirarsi in un villaggio olimpico ancora per lo più spopolato. O, meglio, in quel momento l’unico a non avere il buon senso di starsene rintanato in una camera squallida, ma almeno riscaldata, era Yuri. Stava seduto al centro di una piazzetta, sotto la statua dell’orsetto bianco, la mascotte dell’evento, che, nel buio della notte, sembrava una sorta di fantasma, un qualche spirito orientale inquieto e irritato per la sua presenza. Beh, meglio lì a congelare che in camera a sentire il proprio compagno di squadra, quello che in teoria avrebbe dovuto essere l’adulto, parlare col proprio peluche.

    Rumore di passi. 

    Fossimo in un film sarebbe il maniaco o l’assassino.

    E in effetti, col cappuccio calato, il fare deciso e un oggetto non identificabile in mano, chi si stava avvicinando aveva un fare intimidatorio. Yuri si trovò, suo malgrado, a sorridere.

    – Signor vice campione del mondo – lo salutò.

    – Prossimo oro olimpico – rispose Otabek.

    – Che fai, sfotti?

    – Faccio prognostici – replicò l’altro, serio. – Tieni.

    Gli lanciò l’oggetto che aveva in mano, che Yuri prese al volo. Era una bottiglietta.

    – Birra? – chiese il russo.

    – The kazako. Dovrebbe essere ancora tiepido.

    Yuri ne bevve un sorso. Non era certo un esperto di the, ma aveva un buon sapore, in qualche modo ricordava l’estate. Sapeva di ozio, una delle cose di cui il ragazzo aveva meno esperienza in assoluto.

    – Io non ci sto qua a congelare – borbottò Otabek. – Dove possiamo rifugiarci?

    Yuri si strinse nelle spalle.

    – Il nostro palazzo è mezzo vuoto. Ci sarà di certo uno stanzino per noi.

    Dire che la spedizione russa era stata decimata non era esatto. Non c’era alcuna squadra russa. Solo una deprimente delegazione di «Atleti olimpici russi». Lo scandalo del doping aveva spazzato via molte certezze e moltissimi atleti. Il pattinaggio, se non altro, era stata una delle discipline meno colpite, nessuno degli atleti seguiti da Yakov, il che voleva dire la quasi totalità dei russi competitivi a livello internazionale, era stato escluso. Putin in persona aveva voluto incontrare gli atleti sopravvissuti, giusto per non far sentir loro la pressione. Yuri ricordava la carezza troppo confidenziale che il premier aveva dato a Mila e la rigida stretta di mano a Victor, che aveva tutto il sapore di una tregua armata. A lui aveva messo una mano sulla spalla. «So che tu non mi deluderai» aveva detto. Rimarcando chiaramente quel «tu». Arrivati al villaggio olimpico, gli atleti russi ammessi alle competizioni si aggiravano in un palazzo semi deserto e ogni stanza vuota ricordava loro che avevano il dovere di salvare la faccia al proprio paese portandosi a casa più medaglie possibili.

    Otabek si limitò ad annuire e i due si avviarono in silenzio.

    – Va meglio col pattinaggio? – chiese il kazako, quando furono all’interno.

    Il salottino era appena meno spettrale della piazza con la mascotte.

    Yuri sbuffò.

    – Meglio rispetto alle gare che non ho fatto l’anno scorso o meglio dello schifo che ho fatto quest’anno?

    – Meglio in generale.

    – Meglio, in generale – bofonchiò, laconico.

    L’ultimo anno era stato tra i peggiori e dire che in fatto di brutte annate Yuri aveva già una certa esperienza. Uscire dall’infortunio dell’anno precedente, il primo di una certa importanza, era stato un incubo. Da che Victor aveva girato a Yakov i risultati delle sue analisi aveva dovuto sospendere quasi tutti i farmaci che quel tizio gli aveva dato e fermarsi. E, sì, una parte di lui era consapevole che quella che gli stavano dando era porcheria, il fatto che gli fossero recapitati a casa del medico in persona, mai fatturati e avesse dovuto promettere di non parlarne con nessuno era in effetti un indizio, ma, cavolo, lo facevano stare meglio. Senza era stato un susseguirsi di fatica, dolore, noia e paura, il tutto variamente mischiato. Aveva saltato tutte le gare della stagione precedente che avevano seguito la finale del Grand Prix, compresi i mondiali. Quando era tornato a pattinare aveva scoperto di non riusciva più a fare neppure i salti  più semplici, quelli che aveva imparato a dieci anni. Aveva sbattuto la faccia sul ghiaccio più al termine della  scorsa stagione che nei precedenti quindici anni. E non è che in quella in corso stesse andando poi tanto meglio. Il tutto con l’aggiunta della solitudine. Al termine del Grand Prix dell’anno precedente, Victor aveva avuto la brillante idea di dichiarare in conferenza stampa che mister Cotoletto era il suo compagno. Cosa che aveva causato un smottamento all’interno della federazione russa da cui lui aveva rischiato di essere travolto come danno collaterale. Era andato a un passo da perdere Yakov come allenatore, cosa che lo aveva gettato in uno stato di panico che lui stesso non si aspettava. Aver paura della propria paura. Che cosa stupida. Eppure… 

    – E adesso Victor dice pure che il mio libero fa schifo – ringhiò, a conclusione di un discorso mai pronunciato.

    Una parte di lui, quella di cui si vergognava, pregava che l’amico lo smentisse.

    – Beh, potresti farti aiutare da lui per migliorarlo – disse invece il kazako.

    – Non ci penso neanche! Quello che è successo è tutta colpa sua!

    Otabek inarcò un sopracciglio.

    – Non saresti qui, senza di lui – fece notare.

    A Yuri uscì un soffio da gatto arrabbiato. Il medico che gli aveva fatto prendere tutte quelle schifezze al momento era sotto processo, proprio al centro dello scandalo doping. Yakov era tornato al comando della squadra di pattinaggio perché aveva dimostrato di averlo allontanato al minimo sentore di proibito. E se Yakov, messo sull’avviso da Victor, non avesse fatto sparire tutta la documentazione relativa al suo infortunio e alla sua partecipazione alla finale del Grand Prix, forse Yuri stesso sarebbe finito nell’elenco del banditi. Saperlo non migliorava la situazione.

    – Sarà, ma con quella sua bella uscita dell’anno scorso non ha fatto che creare tensioni in squadre e fuori. Pensa che mio nonno non voleva farmi venire. Non voleva assolutamente che frequentassi una checca, figurati se gli dicevo che ci divido la camera! Non ridere… Al momento sono ancora minorenne, ho davvero rischiato di stare a casa!

    Era la prima volta in assoluto che litigava con suo nonno.

    – E non si era mai accorto prima di quel che succede nel nostro sport? – domandò Otabek.

    Era divertito.

    – Lo hai visto anche tu, vive nel suo mondo. E finché non sono entrato nei senior eravamo tutti ragazzini – si difese Yuri, imbronciato. – Gli unici pattinatori professionisti che mio nonno aveva in mente erano Georgi e Victor. E fino a che non è arrivato mister cotoletta entrambi uscivano per lo più con delle ragazze.

    – Per lo più – rimarcò Otabek.

    Yuri sbuffò. Il fatto era che neppure a lui era stato del tutto chiaro, almeno fino a che non aveva visto il modo in cui Victor guardava Yuuri, durante l’esibizione alle Terme di Ghiaccio, in Giappone. Per qualche motivo il contraccolpo era stato tale che era scappato via, con un vago rimpianto per il fatto che nessuno, tranne Yuko, gli fosse corso dietro per fermarlo. E tuttavia le piene implicazioni della cosa, comprese quelle sociali, al momento gli erano sfuggite. Di certo aveva già visto in precedenza Victor soffermarsi a guardare qualche bel ragazzo e Yakov si era limitato dirgli di non fare sciocchezze per cui non valeva la pena. Suo nonno, invece, ne aveva fatto un caso nazionale. Cosa che, per qualche motivo, lo aveva fatto sentire colpevole, come se fosse stato lui stesso a tradirne le aspettative.

    – Beh, è stato un casino quello che ha combinato – sbuffò. – Yakov ci ha quasi rimesso il posto,  Victor non è più tornato a San Pietroburgo e se non succedeva tutto questo caos col doping poteva scordarsi di venire alle Olimpiadi. Invece, dopo tutto questo questo, lo hanno praticamente implorato. 

    – Con te, lui e Mila l’oro a squadre possiamo già fare che darvelo – commentò Otabek. Non sembrava più divertito. – Ed è uno dei pochi ori certi che porterete a casa, ci credo che l’hanno rivoluto. Ma non sarà il portabandiera e se lo sarebbe meritato.

    – Poteva tenersi per sé certe cose, allora.

    – A me piacciono le persone che chiamano le cose col loro nome – ribatté Otabek. – È coraggio anche quello.

    Terminò il proprio the e gettò la bottiglia nel cestino. Lo sguardo era di nuovo cupo.

    – Sarà meglio che torni alla mia palazzina, prima che mi diano per disperso. Domani ho il primo turno di allenamenti.

     E adesso, pensò Yuri, che cosa diavolo gli era preso?

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ed eccoci al secondo capitolo, in cui scopriamo che ne è stato di Victor e Yuuri nell'ultimo anno... Buona lettura!


 – Ed eccoci qui, per la quarta volta – disse Victor, rivolto al peluche a forma di barboncino posato sulla trapunta blu del letto.

    Trent’anni suonati e ancora si portava appresso un peluche. Si concesse di sorridere di se stesso. Non poteva immaginare di essere lì, in quel momento, senza il pupazzo.

    A Torino lo aveva stretto quando si era chiuso in bagno a piangere, furibondo per la peggior gara della propria vita, a neppure vent’anni si sentiva un atleta finito. Di Vancouver aveva ancora una foto, lui e Chris mezzi ubriachi, mentre festeggiavano il suo argento, e il pupazzo tra loro, posizionato in modo che sembrasse bere un cocktail. A Soci, dopo l’oro, non aveva trovato di meglio, per festeggiare, che mettere la medaglia al collo del barboncino, con la certezza che il suo cane, al proprio rientro a casa, sarebbe stato l’unico a gioire davvero.

    Aprì la finestra e lasciò che l’aria gelata gli schiaffeggiasse il viso. Cercò di assaporarla, per imprimerla nella memoria. Questo misto di freddo e cemento, con un sentore del mare lontano, l’odore della sua ultima olimpiade. Voleva viverne ogni istante, senza pensare al futuro. E il futuro, comunque, era Yuuri e gli faceva infinitamente meno paura di quattro anni prima.

    Chissà se anche Yuuri in quel momento era alla finestra, la sua di certo chiusa e non aperta. Chissà se davvero si trovava bene con i compagni di squadra e i tecnici della nazionale, come continuava a dire, o se in realtà aveva la vitalità sociale di un geco attaccato alla parete. Il campione del mondo in carica, terrorizzato all’idea di scambiare quattro chiacchiere con atleti che lo idolatravano. Victor sorrise.  Come sempre, quello che agli altri sembrava follia, era stato la sua salvezza. Ci aveva provato, ci aveva provato davvero a essere il volto atletico della Russia, impeccabile fuori come dentro il palaghiaccio. Fingere che non ci fosse davvero nulla più che un interessamento professionale per quel giapponese dai risultati sempre più eclatanti. Ogni volta che prendeva l’aereo per tornare a San Pietroburgo, senza Yuuri, gli sembrava che qualcuno lo prendesse a pugni dentro. Come avere un gatto che si facesse le unghie all’interno del suo stomaco. Alla fine era diventata una scelta necessaria. Dopo la finale del Grand Prix dell’anno precedente, Yuuri primo, finalmente, e lui secondo, dichiarare di essere felice per la vittoria del proprio compagno di vita era stata la cosa più naturale. Era convinto, in quel momento, di aver perso per sempre la propria nazione. Eppure, tra la frustrazione di non poter stare con Yuuri e la rabbia di aver scoperto che lo stesso medico che aveva cercato di spacciare medicinali proibiti a lui aveva contattato Yuri all’insaputa di Yakov, il prezzo da pagare, in quel momento, gli era sembrato equo. La possibilità di disputare quell’ultima Olimpiade se non proprio per la Russia, almeno per qualcosa di simile, era stato un dono del destino. In ogni caso, nessuna felpa con sopra il nome di una nazione valeva Yuuri. Nessun altro avrebbe potuto sopportarlo a lungo, tollerare la sua competitività e quell’istinto insopprimibile a mettersi in mostra. A volte, al mattino, si svegliava col terrore che Yuuri si fosse accorto della propria forza e che lo guardasse per quello che era, un residuato di atleta, mediocre come tecnico e di nessun valore come individuo.

    Sorrideva ancora, Victor, mentre il vento gli gelava il naso e le guance, ma più si sforzava di non pensare al futuro e meno ci riusciva. Quel freddo gli piaceva. Lui era una creatura del ghiaccio, ma come quell’inverno ancora gelido, ma già rivolto alla primavera, anche il suo tempo stava finendo. E dopo il suo, non subito, ma inevitabilmente, sarebbe finito anche quello di Yuuri. Il fatto di essersi sbloccato così tardi era un vantaggio per lui, ora. Aveva una resistenza e una scioltezza che Victor invidiava e tuttavia quanto ancora avrebbe potuto andare avanti prima di rischiare di farsi male sul serio? Victor lo amava troppo spingerlo oltre i suoi limiti fisici, per vederlo su una barella o scorgerlo ogni mattina stringere i denti per il dolore di tutte le lesioni pregresse, come capitava a lui. Eppure, quanto arida sarebbe stata la loro vita, senza il ghiaccio?

    – Cazzo, Victor! Chiudi quella finestra!

    – Ancora di buon umore, eh, Yuri?

    E lui che aveva sperato che Otabek lo addolcisse e, sopratutto, lo tenesse un po’ di più fuori dai piedi!

    Non più l’età per dividere la stanza con un diciassettenne.

    – Vado a farmi la doccia non provare a entrare di nuovo in bagno, vecchio pervertito.

    – Stavo solo cercando una cosa. Non sei il mio tipo, Fata di Russia.

    – Lo so. Tu dormi con i cani. Lo sa Yuuri che è il sostituto del tuo peluche?

    – Senti, sfoga la tua rabbia adolescenziale come vuoi, ma lascia fuori Yuuri.

*    

       Yuuri guardava fuori dalla finestra, cercando di capire se dalla sua camera si vedesse la palazzina dei russi.

    Il cellulare trillò.

    «Se la serata continua così, dovrai aiutarmi a occultare un cadavere».

    A quanto pareva convivere con Yurio non era una passeggiata. Ma faceva troppo freddo per tentare un’azione di salvataggio.

    – Io vado giù con gli altri, magari vediamo un film tutti insieme, ti va? – chiese Kenjiru.

    – Sì, dammi un attimo e ti raggiungo – rispose Yuuri al compagno di stanza, con ancora un occhio al telefono.

    – Che effetto fa essere praticamente sposati?

    – Quello di essere divisi in due, a volte.

    Si arriva persino a sentirsi in colpa per non essere depressi. Che strana cosa, l’amore…

    Ma in effetti la cosa straordinaria era quella. Yuuri, dopo essere stato in panico per settimane al solo pensarci, si sentiva in realtà del tutto a suo agio. 

    Tutti erano stati terribilmente gentili con lui, fin dal ritiro pre olimpico. Durante il viaggio, poi, aveva parlato a lungo con il tecnico della nazionale, Tamura, e Yuuri era rimasto sbalordito nello scoprire che era l’allenatore a sentirsi inadeguato. «Ho seguito pattinatori per tutta la vita, ma mai del tuo livello». Per la prima volta si era reso conto che tutti i membri della squadra di pattinaggio giapponese quando lo guardavano vedevano Yuuri Katsuki, il campione del mondo. Non quel mediocre atleta per cui il grande Victor Nikiforov si era complicato la vita ed era andato a un passo dal saltare le olimpiadi. Yuuri non era certo di quale versione di se stesso fosse quella più vera. Probabilmente lo erano entrambe ed era la prima volta che se ne rendeva conto. Non ci avrebbe creduto a lungo, conoscendosi, ma si godeva il momento. Era l’unica olimpiade a cui avrebbe partecipato e voleva viverla fino in fondo.

    Il cellulare trillò di nuovo.

    «Domani mattina vieni a vedere il mio allenamento? Hai il permesso di Yakov».

    «Se non hai ancora ucciso Yurio. Il terreno è gelato e a scavare ci metteremmo ore».

    Aspettò la successiva emoticon con la linguaccia.

    Sapere Victor lì rendeva tutto più bello. Sapere di poterlo vedere l’indomani era ancora meglio.

 

    – Sei venuto a porgere il tuo collo per fartelo tagliare? – gli disse Mila, appena Yuuri entrò nel palazzetto.

    Iniziamo bene.

    – Non morderlo, l’ho chiamato io! – la fermò Yakov.

    Non che questo risolse la situazione. Gli sguardi di tutto il team russo su di lui andavano dal disprezzo all’odio, con varie sfumature del mezzo. Tranne uno. Che, però, era l’unico che gli interessasse.

    Victor pattinava al centro della pista. Quando lo vide alzò un braccio per salutarlo, buttò la testa all’indietro, lasciando che l’espressione concentrata lasciasse il posto a un sorriso, con gli occhi azzurri che si illuminavano, del colore dell’alba sul ghiaccio.

    Com’è che mi fa sentire ancora così? Del tutto inadeguato ad esserne il destinatario.

    – Ributtante – sentì alle proprie spalle.

    – Ciao Yurio – disse Yuuri, riconoscendo la voce.

    Il ragazzo più giovane boffonchiò qualcosa che si perse nelle parole di Yakov.

    – Ragazzi, tutti fuori tranne Victor e i due Yuri.

    Gli altri atleti russi lanciarono degli sguardi interrogativi, ma obbedirono, limitandosi a scuotere il capo.

    – Voi due, Yuri, venite qui – li chiamò l’allenatore russo, quando Victor era rimasto l’unico sulla pista.

    Yuuri, avvicinandosi, cercò di valutare le condizioni del compagno. Sapeva che la caviglia destra, ormai, gli faceva male sempre, mentre la schiena era una questione altalenante. Ma Victor, al contrario di lui, era nato per gareggiare, più si avvicinavano le competizioni e meglio sarebbe stato.

    – Che cos’è che sta per succedere? – gli chiese Yurio, avvicinandosi.

    – Ora lo vedi – replicò Yuuri.

    – Coraggio, Victor, fai quello che fai meglio: pavoneggiati – disse intanto Yakov.

    Il giapponese e il russo si appoggiarono al bordo pista. Yuuri si rese conto che non riusciva più a respirare normalmente.

    Voglio vedertelo fare.

    Il compagno, intanto stava prendendo velocità. Lo vide fare la mezza torsione, caricare sulla gamba sinistra…

    – Ma cosa… – mormorò Yurio.

    Yuuri sentì il cuore che perdeva un colpo a ogni avvitamento.

    Una. Due. Tre…

    – Cazzo – boccheggiò Yurio.

    Quattro. E mezzo.

    Atterrò. L’inclinazione non era ottimale.

    – Cazzo – fu il turno di Yuuri.

    Ti prego, no…

    Victor appoggiò una mano sul ghiaccio, prima di riprendere l’equilibrio e venire a fermarsi proprio davanti a loro.

    – Cerca di farlo meglio, in gara – commentò Yakov.

    – Poteva uscire anche peggio – replicò Victor.

    Aveva una luce nello sguardo… Una luce, pensò Yuuri, che nulla, neppure lui, poteva dargli, se non il pattinaggio.

    – Chiudi la bocca, Yuri, sembri scemo – borbottò Yakov.

    – Era un quadruplo Axel – mormorò il ragazzo, trasognato.

    – Cosa pensavi fossimo venuti a fare alle Olimpiadi, una scampagnata? – replicò il tecnico.

    – Tu sei ancora intero? – chiese poi Yakov a Victor, che in quel momento si stava massaggiando la caviglia destra.

    – No, non credo, ma non dovrei andare in pezzi prima della fine.

    Victor si avvicinò a Yuuri e gli strinse la mano. Prima che potessero baciarsi, Yurio li interruppe.

    – Lo farai già nella gara a squadre?

    L’atleta più anziano lanciò a Yuuri uno sguardo di scuse e poi scosse il capo.

    – Non siamo messi così male da aver bisogno di un quadruplo Axel per vincere la gara a squadre – si inserì Yakov.

    – E invece dovresti proprio, così, dimostrare per una volta che ti importa di qualcun altro oltre che di te stesso – sbottò Yurio.

    Yuuri strinse un poco di più la mano del compagno, per trasmettergli calma.

    Victor, tuttavia, non si scompose.

    – Faccio il corto per la gara a squadre – disse, calmo. – Considerato che ogni salto potrebbe essere l’ultimo della mia carriera, mi sembra di dare parecchio. La maggior parte di voi mi guarda come se avessi un’orribile malattia contagiosa.

    – Ringrazia che te l’abbia lasciato vedere, Yuri – disse Yakov. – Qualsiasi altro atleta al mondo dovrà imparare a farlo guardando delle registrazioni, ammesso che ce ne saranno. Con questo vantaggio tu dovresti riuscirci per la prossima stagione.

    Yurio scosse il capo. C’erano troppe emozioni contrastanti che gli balenavano nel fondo negli occhi. 

    – Ho finito, per il momento? – chiese a Yakov.

    – Hai finito – rispose l’allenatore.

    Senza altra parola, Yurio si voltò e si allontanò con lunghe falcate irate.

    – Ah, l’adolescenza, che bella età! – commentò Victor, prima di permettersi di baciare Yuuri.

    Yakov finse di non vederli e sospirò.

    – Io non ce la posso fare ancora a lungo con lui. Tu non eri così.

    – Ero peggio, ma è stato tanto tempo fa.

    – Forse è vero, ma lui è troppo giovane e io troppo vecchio.

    – Yakov, seriamente, dobbiamo fare qualcosa per il suo libero. Fa schifo.

    L’allenatore sospirò.

    – È vero. Puoi aiutarlo?

    Victor scosse il capo.

    – Non se mi graffia appena faccio un passo verso di lui… Ma, sinceramente, l’Ave Maria di Schubert?

    – Sul momento sembrava una buona idea. I giudici lo ricordano per Agapé, volevamo riportarlo a quel tipo di eleganza, ma niente, lo esegue come una marionetta. E poi cade. Il problema non è tecnico, è mentale.

    – Non posso farci niente se non si fida di me – replicò Victor. – Credo che si senta tradito dal mio comportamento, dal suo punto di vista ha ragione.

    Yakov scosse il capo.

    – Proverò a parlarci… Vuoi farlo tu il libero della prova a squadre? Possiamo ancora invertire…

    Victor scosse il capo.

    – Lo farò se me lo chiedi, ma vorrei arrivare sulle mie gambe alla cerimonia di chiusura, Yakov.

    Questo allarmò Yuuri, perché Victor doveva essere proprio con le spalle al muro per ammettere una debolezza.

    Quanto ti fa male la caviglia?

    Anche Yakov doveva pensarla allo stesso modo.

    – Beh, vediamo. In ogni caso quel libero è un problema che va risolto.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 – ultimi preparativi ***


Eccoci con il terzo capitolo.
Tanto per cambiare, quando ho scritto questa storia non ho pensato a una divisione in capitoli, ma questa volta abbiamo delle scansioni temporali abbasatanza nette.
L'olimpiade vera e propria non è ancora cominciata. Eccoci all'ultimo giorno di preparativi, prima della partenza della gara a squadra e della cerimonia di apertura (che per qualche follia organizzativa è avvenuta a gare già iniziate).
Il capitolo è breve, ma è il respiro prima del grande tuffo.



   – Vai pure a pranzo con i tuoi compagni di squadra – disse Victor.

    Non lo voleva. Voleva mangiare con lui, sentirsi guardare come fosse il centro dell’universo e poi andare da qualche parte, soli, sdraiarsi con la testa sulle gambe di Yuuri e sentirlo leggere ad alta voce qualche poesia giapponese che non capiva. In modo da avere la scusa per chiedergli spiegazioni e sentire ancora il suono della sua voce.

    Passare anni nel cercare di aprilo al mondo e rimpiangere di esserci riusciti… L’amore non pensavo potesse rendermi meschino.

    – Ma figurati, poi possiamo andare un po’ in camera mia, Ken starà dal massaggiatore per un po’ – replicò Yuuri.

    – Grazie.

    Gli lasciò un bacio leggero sulle labbra.

    – Evitiamo di farlo davanti alla mensa, ti va? – gli chiese Yuuri.

    Victor seguì il suo sguardo.

    C’erano alcuni atleti russi che non conosceva, forse della squadra di hockey, a giudicare dalla stazza, che li stavano guardando come fossero due insetti orribili. Sospirò.

    – Non è solo per questo che ce l’hanno con me – disse. – Ma potresti aver ragione.

    – Come va la caviglia? – gli chiese Yuuri.

    – Zoppico?

    – Un po’, quando pensi che non ti stia guardando.

    Victor sospirò. 

    – Due microfratture – non era ancora del tutto abituato a questo aspetto della vita di coppia. Non essere  obbligato a mostrarsi sempre forte. – Ma è tutto ancora al suo posto e sembra reggere.

    – Stai scherzando?

    No, non avrebbe dovuto dirglielo. Yuuri sembrava sconvolto.

    – Te l’ho già detto. È il tuo fisico che non è umano. Alla mia età è il minimo. Dopo le olimpiadi dovrò fermarmi, tutto qui. Sono queste le mie ultime gare, invece che il mondiale. A Milano sarò al cento per cento il tuo allenatore.

    Yuuri sembrava sul punto di piangere. In mezzo alla mensa. Victor non aveva idea di come rassicurarlo. Abbracciarlo non era una buona idea, considerato il contesto.

    – Come posso aiutarti? – chiese invece il giapponese, cercando di recuperare il controllo su di sé.

    – Standomi vicino e non facendomi sentire troppo vecchio e ridicolo.

    – Victor, ti ho appena visto fare un salto che si riteneva impossibile, vecchio un corno.

    – Però non riesco a caricare bene sulla gamba destra…

    – Victor, sarai meraviglioso in gara.

    – Mah… Potrei essere davvero imbarazzante, domani, nel corto della prova a squadre. Forse per una volta dovrei preparare il piano b, nel caso sbagliassi un salto.

    – Non sbaglierai nessun salto, domani. E non cercare scuse per non far vincere l’oro alla tua squadra.

    Victor sorrise. Era bello crogiolarsi nell’ammirazione di Yuuri. Avrebbe voluto, però, che fosse un poco più giustificata.

    Proseguirono verso il pranzo. La logistica non era l’aspetto migliore di quell’olimpiade. Per carità, funzionava tutto ed era anche giusto, entro certi limiti, non dare un’impressione di opulenza agli atleti. Ma quel tipo di organizzazione finiva per ricordare troppo a Victor alcuni momenti della propria infanzia.

    Non ce la farei, senza Yuuri.

    Il cibo non era male. O, almeno, dopo l’allenamento era abbastanza affamato per non badarci. Si trovarono un posto tranquillo.

    – Qui non va bene – disse qualcuno, in russo, mentre Victor stava per sedersi. – L’odore di checca traditrice arriva fino al nostro tavolo.

    Victor si girò sforzandosi di sorridere e allo stesso tempo di mettersi tra Yuuri e l’interlocutore. Certo che quelli dell’hockey erano delle montagne umane. Quello, in particolare, era quasi dieci centimetri più alto di lui e a occhio pesava almeno il triplo.

    – Scusa? – disse.

    – Vai con la tua amichetta da qualche altra parte, Nikiforov.

    Ecco, quella era una situazione interessante…

    La verità è che non ho idea di come dovrei reagire.

    – Venite a sedervi, prima che si raffreddi tutto – si inserì qualcun altro, in inglese.

    Era Otabek, apparso chissà come proprio al suo fianco. Rispetto all’energumeno dell’hockey era comunque uno scricciolo, ma aveva quel fare da soldato che ha visto la morte in faccia in grado di mettere soggezione.

    – Arriviamo – gli disse.

    Salvato come una ragazzetta…

    – È per il bacio di prima? – mormorò Yuuri, mortificato, mentre seguiva Otabek.

    – No. Hanno le loro ragioni per avercela con me – sospirò Victor.

    Prima o poi dovrò imparare a pensare alle conseguenze dei miei colpi di testa…

    – Però fammi un favore, Yuuri. Non girare da solo per il villaggio olimpico.

    Se dovesse succederti qualcosa per colpa mia ne morirei.

     Otabek li scortò fino al tavolo che occupava insieme a Yuri. Da come questi li guardò non era per nulla contento del loro arrivo.

    Appestato. Bello scoprire il pieno significato di una parola…

    – Secondo me vogliono davvero tagliarti la gola, Victor, stessi in te starei attento – commentò Otabek, sedendosi.

    Victor si strinse nelle spalle.

    – Mi sono perso un passaggio – disse Yuuri.

    Il suo omonimo, invece, si era chiuso nel mutismo e mangiava come se non conoscesse i suoi compagni di tavolo.

    – Il casino del doping da quale laboratorio medico è partito? – domandò il kazako.

    Victor guardò intensamente il proprio piatto di riso.

    Potevi anche tacere, Otabek.

    – Da quello del medico che mi ha riempito di schifezze – disse Yuri, suo malgrado, quasi ragionando tra sé. – E la stessa persona che ha passato le mie analisi a Yakov…

    Alzò lo sguardo di colpo e Victor si preparò a una sfuriata.

    Invece il ragazzo aveva gli occhi spalancati, come se lo guardasse per la prima volta da tempo.

    – Ti ha quasi ucciso come atleta. – replicò Victor, rivolto al riso. – Hai fatto delle gare talmente imbottito di antidolorifici da non renderti conto del male che ti facevi. Ne ho visti abbastanza di fenomeni del pattinaggio costretti a ritirarsi dopo un paio di stagioni e non volevo che capitasse a te. Yakov non poteva esporsi, ma io ormai cosa avevo da perdere? Quindi ho denunciato il laboratorio all’antidoping… Certo non ho causato io tutto questo e non mi aspettavo che la Federazione Russa venisse di fatto esclusa dalle olimpiadi… Metà dei titolari dell’hockey non hanno potuto partecipare e il loro era un oro sicuro…

    Victor scosse il capo e tornò a guardare il proprio piatto di riso.

     Quella era solo una parte della storia. Quella che voleva, al limite, che gli altri conoscessero. Quella del Victor migliore. Che non era del tutto falso, ma era solo una parte del Victor reale. Con un brivido, ripensò alla sua casa di San Pietroburgo in quei terribili giorni dopo il mondiale. Alle fiale sul tavolo della cucina. Al se stesso diviso in due. Quello che fotografava e registrava le telefonate, curando di archiviare tutto e quello che pensava a come assumere quegli stessi farmaci senza che Yakov potesse sospettare… Allo sforzo di dirottare entrambe le parti di sé verso il frigorifero e una scelta alcolica che sembrava ancora la più sicura… 

    Erano stati quei documenti, le prove che quel medico aveva cercato di spacciare farmaci proibiti a lui, non a Yuri, che Victor aveva passato all’antidoping. Quello che aveva detto era vero. Yuri era stato avvicinato all’insaputa di Yakov, proprio come era successo a lui, ma Yuri era un ragazzo di sedici anni, terribilmente solo, la cui vita ruotava interamente intorno al pattinaggio e senza neppure le basi per capire i danni che stava procurando al proprio fisico. Ma sarebbe stato altrettanto vero dire che la sua era una vendetta personale nei confronti della federazione. Una vedetta in cui esiti erano diventati imprevedibili.

    – Victor… – la voce di Yuuri lo riportò al presente.

    – Si?

    – Ricordami di non farti mai arrabbiare davvero.

    Questo lo fece sorridere.

    – Non credo sia possibile – rispose.

    Che cosa ne sarebbe stato di me, se non ti avessi trovato al termine di quella strada?

    –Victor… – disse invece Yuri. – Mi aiuteresti con il libero?

*

    – Credo che il concetto che dovresti esprime sia la fiducia. L’affidarti in modo totale a qualcuno o a qualcosa, come un neonato con la madre.

    – Io non mi fido di nessuno – replicò Yuri.

    Che situazione del cavolo. Lavorare ancora in quel modo con Victor, come quando aveva quindici anni, era umiliante. Era troppo grande per aver bisogno d’aiuto. E poi Victor, che lo volesse o no, gli complicava sempre la vita. Persino con Otabek.

    – Si può sapere perché ci hai messo tanto a chiederglielo? Ha sempre voluto esserti amico – era sbottato il kazako, dopo pranzo.

    Lui aveva sbuffato, mentre uscivano dalla mensa. Gli scocciava dire che in realtà lo ammirava. E lo metteva a disagio. E lo faceva sentire inadeguato. E che le effusioni che si scambiava con Yuuri lo rendevano troppo consapevole del proprio corpo. E…

    – Non ti è ancora passata la cotta che avevi per lui? – aveva continuato Otabek.

    E lui era rimasto per alcuni secondi a guardarlo inebetito.

    – Eh? …Io non sono come lui.

    – Russo? Biondo?

    – Gay.

    Otabek lo aveva guardato come se avesse appena detto una barzelletta di pessimo gusto e Yuri aveva avuto l’istinto di graffiargli quella faccia troppo bella e sarcastica. Se ne era andato per non esplodere. Ed era finito a sentire il pippone sulla fiducia di Victor…

    – Non mi fido di nessuno – ripeté.

    Neppure di Otabek.

    – Infatti si vede come pattini – sospirò Victor. – Devi anche tornare anche a fidarti di te stesso e del ghiaccio, non puoi saltare avendo paura di cadere.

    Questo era un colpo basso.

    – Io non pattino…

    – Sì, lo fai. Ma ci siamo passati tutti, dopo il nostro primo infortunio serio.

    – Non è vero che capita a tutti.

    Ma a lui sì. C’era un momento preciso, nel programma libero, quando iniziava ad essere stanco, in cui era sicuro che avrebbe sbagliato l’atterraggio del salto. C’era una cosa che Yakov diceva sempre, in allenamento. Non si può aspettare di capire se il salto è venuto per preparare l’atterraggio. Se ci pensi, se ti fai prendere dal panico, sei già caduto. E il panico, nel libero, arrivava sempre. Se lo sentiva in tempo, semplificava il salto. Se arrivava un istante dopo, cadeva.

    – Ero nella stessa situazione durante la mia prima olimpiade – disse Victor. – A settembre mi ero rotto la caviglia, la prima volta che mi facevo male sul serio, ma ormai avevo recuperato del tutto. Avevo anche pattinato decentemente, ma arrivato a Torino non mi sono più sentito all’altezza delle mie prime vittorie, avevo il terrore di osare e farmi male di nuovo, paura di perdere Yakov. Ho pattinato da schifo, prego Dio che non ci siano i video su internet, e sono tornato a casa pensando di mollare tutto. 

    Yuri lo guardò scettico. Lo stava dicendo solo per farlo sentire meno male. Perché diavolo lo faceva? Non sarebbe stato più facile se Victor lo avesse trattato male e lui avesse potuto incolparlo di tutto?

    – Come ne sei uscito? – chiese, suo malgrado.

    – Ci ho messo un po’ – ammise Victor. 

    – E sei finito a letto con qualcuno per migliorarti l’umore – sbuffò Yuri.

    Se c’era una cosa sicura, con Victor, era che cercava sempre di risolvere tutto con sesso.

    – Sì, anche. Quello aiuta – ammise infatti l’atleta più anziano, con un lampo di divertimento negli occhi. – Sopratutto se è qualcuno di cui abbiamo stima a ritenerci desiderabili. Ma ho ragionato su me stesso e alla fine ho preso il cane. A lui non importa niente se pattino bene o male. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si fidi di noi e di fidarci di qualcuno.

    Io ho perso anche la fiducia di mio nonno. O forse lui ha perso la mia. Perché persino lui può sbagliare. Ma, anche se sbaglia, non voglio comunque deluderlo.

    – E il qualcuno migliore che hai trovato è stato un cane? – la buttò sul sarcastico.

    Victor si strinse nelle spalle.

    – Mai detto di essere l’esempio migliore che puoi trovare. Solo che ci sono passato anch’io. Iniziamo?

    Yuri sbuffò. Ma il suo libero faceva schifo. Era una cosa oggettiva da cui non poteva nascondersi.

    – Ok.

    – Iniziamo con un esercizio semplice – propose Victor. – Ti lasci cadere all’indietro e io ti prenderò. Sai che lo farò. Tu intanto dovrai pensare a chi potresti affidarti, se dovessi cadere davvero.

    Yuri lo guardò scettico.    

    – Sicuro di reggermi?

    – Devi fidarti.

    Yuri sospirò.

    Si mise in piedi davanti al compagno di squadra. Chiuse gli occhi e… Rimase immobile.

    – Sto aspettando – disse dopo un attimo Victor.

    Lasciarsi cadere con la sicurezza di essere salvato… Ci sono persone che vogliono salvarmi. Yakov, il nonno… Ma io non voglio essere salvato… Forse preferisco essere solo…

    Senza pensarci davvero, si buttò all’indietro, ma di lato. Al diavolo tutto.

    Sentì una mezza imprecazione, ma due mani forti lo afferrarono sotto le ascelle.

    – Non ti lascerò cadere – gli disse piano Victor, all’orecchio.

    Perché, nonostante tutto, sento il bisogno di sentirmelo dire?

    

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 – Il corto della prova a squadre ***


E finalmente, con l'inizio delle gare e l'arrivo del cast completo, si entra nel vivo!

PICCOLA NOTA TECNICA CHE POTETE TRANQUILLAMENTE SALTARE
Da questo punto mi si è presentato un dilemma etico. Fin dall'inizio volevo calare Yuri on ice nella realtà, ma come si fa con i punteggi? Se nel free al momento delle olimpiadi il record mondiale reale aveva superato quello di Yuuri, nel programma corto il divario realtà/anime è enorme. Con il sistema di punteggio usato alle olimpiadi (che è già diverso da quello attuale) Yurio non poteva prendere il punteggio che gli abbiamo visto assegnato.
Alla fine ho scelto la realtà, assegnando punteggi di poco superiori a quelle che si sono visti davvero alle olimpiadi. Questo perché in un  caso, nel singolo, è stato necessario (grazie M.!) calcolare, regolamento alla mano, il punteggio tecnico di una prova per rendere la narrazione credibile.
Quindi da qui in poi, esclusivamente per lo short, troverete dei punteggi nettamente inferiori a quelli dell'anime. Calcolate però che il record del mondo vigente al momento delle olimpiadi era intorno a 113 punti. Nella gara a squadre, in cui l'importante non è tanto il punteggio in sé, ma fare più punti dell'avversario, gli atleti tendono a presentare programmi con una difficoltà tecnica un po' inferiore a quella del singolo (se vuoi il record del mondo, ci tenti nel singolo). Questo per spiegare perché leggerete di atleti soddisfatti per punteggi che nell'anime giudicavano bassi.
Per altre piccole questioni tecniche, invece, le esigenze di trama hanno prevalso sulle logiche della realtà (nessuna speranza, nel mondo reale per Otabek di disputare questa gara e Yuuri avrebbe presumibilmente gareggiato nel corto).
Un grazie di cuore a chi ha avuto la pazienza di leggere questa nota. Non mi resta che lasciarvi al racconto.


C’era qualcosa di profondamente ingiusto e sbagliato in un programma gare che faceva iniziare le competizioni prima della cerimonia di apertura. Andava contro a tutte le fantasticherie che Yuuri si era fatto su come dovesse essere un’olimpiade. Ma tant’era. La gara a squadre di pattinaggio iniziava con il programma corto maschile la mattina del giorno della cerimonia d’apertura, in un clima ancora di preparativi in corso e con il villaggio olimpico pieno di atleti che arrivavano in quel momento con le valige al seguito. Se non altro non avrebbe dovuto gareggiare lui quella mattina. La competizione a squadre del pattinaggio prevedeva tutte le specialità, figura e danza, con i due programmi. Uno stesso atleta poteva eseguirli entrambi, come faceva Otabek per il Kazakistan, oppure potevano essere affidati a due persone differente. Quella mattina, nel programma corto, avrebbero gareggiato Ken per il Giappone e Victor per la Russia, mentre sia lui che Yurio avrebbero fatto il libero due giorni dopo.

    Lui avrebbe potuto seguire la gara insieme al team giapponese, ma aveva preferito mescolarsi al pubblico. Non poteva uscire un tifo troppo sfacciato per l’atleta russo dalla squadra giapponese ed era lieto che i compagni di squadra avessero capito.

    E così evito di mostrami prima del tempo in piena crisi di panico.

    Fino alla sera prima si era sentito tranquillo. Ma adesso era diverso. Era come assistere al cambiare della marea. Qualcosa di inarrestabile e su cui non aveva alcun controllo. Poteva sentire l’ansia salire quasi di minuto in minuti. Il Giappone, lo sapeva, aveva delle possibilità di andare sul podio nella gara a squadre. Se lui avesse fatto bene. Con quel libero che tanto gli piaceva, ma che non era, non lo era nel modo più assoluto, un programma da podio olimpico.

    Yuuri si costrinse a respirare. Non era il momento di andare in panico per se stesso. Non poteva permetterselo, durante l’olimpiade. E sopratutto non poteva permettere che Victor lo vedesse insicuro. Aveva già abbastanza problemi con la sua caviglia, senza dover pensare anche alle preoccupazioni del proprio compagno.

    La sera prima erano riusciti a passare un po’ di tempo insieme, rintanati nel McDonald del villaggio olimpico, come una coppia di fidanzatini adolescenti che debba nascondersi dai genitori. Victor era sempre calmo prima della competizione e tuttavia Yuuri aveva visto la preoccupazione filtrare attraverso i suoi modi rilassati.

    – È l’ultima volta, davvero non vorrei fare brutta figura – aveva ammesso alla fine.

    Yuuri si era sentito stringere il cuore. Entrambi sapevano che Victor non poteva chiedere di più alla propria carriera. Quattro olimpiadi. Con due medaglie nel singolo e tre a squadre, era già nella storia del pattinaggio. Ma una fine, per quanto gloriosa, è pur sempre una fine. 

    E io sono qui, a sperare che tu non ti faccia male, piuttosto che vincere e già per questo mi sento un mostro.

    – Yuuri!

    Sentendosi chiamare, il giapponese si girò.

    – Phichit!

    L’atleta tailandese era stato per anni compagno di allenamenti di Yuuri, a Detroit, ed era uno dei suoi pochi veri amici. Era sorridente come sempre, orgoglioso nella felpa della propria nazionale e accompagnato da una ragazza talmente esile e graziosa da sembrare una bambolina.

    – Ti presento la mia fidanzata, Janine.

    – Questo è davvero un piacere. 

    Lei arrossì, cosa notevole, considerata la carnagione già scura.

    – Sto davvero stringendo la mano al campione del mondo? – chiese.

    – Così dicono – borbottò Yuuri. Non è che ne fosse tanto convinto. – Ma è successo solo perché mancavano alcuni atleti.

    – Non ti fidare – commentò Phichit. – Io c’ero e sono arrivato ottavo, alla faccia degli assenti. E J.J., che è arrivato terzo, non si è ancora ripreso dallo choc.

    Yuuri scosse il capo.

    – Tra me e lui c’erano solo quattro punti.

    – E Otabek in mezzo. Hai sentito che vuole fare il quadruplo Axel?

    D’istinto, Yuuri si girò verso la pista, dove Victor si stava già scaldando. 

    Non fartelo rubare. Non ucciderti per prendertelo…

    – No. Ma sapevo che qualcuno lo avrebbe tentato. Già oggi?

    Anche J.J., come Otabek, faceva entrambe le prove della gara a squadre.

    – Immagino che lo tenga per il singolo, individualista com’è…

    Lo penseranno anche di Victor? Che si è risparmiato per egoismo?

    – Il tuo fidanzato è quello biondo? – chiese Janine, sporgendosi a guardare gli atleti.

    Yuuri arrossì. Gli sembrava ancora così strano sentirselo dire. Nella squadra Giapponese era risaputo, naturalmente, ma in generale in patria non erano finiti sulla bocca di tutti come «la coppia di atleti che fa outing durante la conferenza stampa», come nel resto del mondo. Fuori dalle loro frequentazioni abituali tenevano un basso profilo e il massimo che aveva detto la stampa, presentando Yuuri come membro della quadra olimpica, era che aveva un’intesa particolare con un famoso atleta russo che era anche suo allenatore. Questo rendeva agli occhi di Yuuri il loro legame ancora vagamente irreale, parte di un sogno da cui avrebbe potuto svegliarsi in qualsiasi momento. Sentire parlare così una ragazza tailandese che non aveva mai visto prima faceva prendere alla cosa una dimensione diversa che Yuuri non era sicuro di sentire comoda. Si limitò ad annuire.

    – Beh, è carino – approvò Janine. – E mi sembra anche che se la cavi bene con i pattini.

    – Ehm… Cara, ha vinto più lui che tutti gli altri che ci sono in pista messi assieme – spiegò Phicthit, imbarazzato.

    – Ehi, ma qui c’è una ragazza meravigliosa! Phic, non vorrai tenertela tutta per te?

    – Chris!

    L’atleta svizzero salutò i due avversari con una sonora pacca sulle spalle e Janine con una strizzata d’occhio.

    – Niente gara a squadre per la Svizzera? – chiese Phic.

    Lui scosse il capo.

    – Colpa di quelli della danza che hanno litigato. Meglio così, sono troppo vecchio per gareggiare quattro volte – sospirò. – Questa volta sono venuto praticamente per turismo.

    – Non sei così vecchio – gli ricordò Yuuri.

    – Sto per fare i ventotto e, credimi, li sento tutti… Mentre quel disgraziato, laggiù, volteggia come un ragazzino – commentò Chris, indicando Victor. – Le ultime gare del grande Nikiforov… Valeva la pena di venire solo per questo, suppongo. Yuuri, hai già ordinato gli antidepressivi per quando tornerete a casa?

    Pich rise.

    – Sono sicuro che Yuuri saprà tenerlo occupato, sia come allenatore che come compagno.

    Yuuri però non disse nulla, girandosi a guardare le ultime fasi dell’allenamento.

    Chris aveva ragione. Salvo che per l’infanzia, di cui non parlava mai, la sua vita di Victor si era sempre svolta sul ghiaccio della pista, ad eccezione della prima stagione in cui l’aveva allenato. Quello, però, era stato un momento magico in cui la scoperta dell’altro, dell’amore, oltre che l’adattarsi al nuovo ruolo di allenatore avevano rappresentato sfide sufficienti.

    Io non ti basterò, Victor. Ti amo abbastanza da saperlo…

    Gli atleti uscirono dalla pista, la competizione stava per cominciare.

    Otabek era il primo. Il Kazakistan non aveva grandi speranze, dal momento che il livello delle coppie era scarso, ma il giovane pattinatore entrò in pista con il suo abituale sguardo concentrato, da soldato prima dell’azione. Yuuri notò una minima esitazione, mentre si preparava ad assumere la posizione di partenza. Cercava qualcosa nella squadra russa. Yurio, ovviamente. Il ragazzo sembrava ignorarlo deliberatamente, ma all’ultimo momento gli gridò un incoraggiamento in russo. 

    La musica iniziò. Presentava lo stesso programma che Yuuri aveva fatto così fatica a battere, ai campionati del mondo. Tuttavia, dovendo gareggiare quattro volte, aveva necessariamente alleggerito le difficoltà. Niente quadruplo Lutz, una combinazione in meno, una trottola più semplice. Nel complesso, comunque, un ottimo programma, con un più che dignitoso 91 di punteggio. Il problema, con Otabek, era sempre quello. Sapeva cosa poteva fare e non sbagliava mai. Nel singolo sarebbe stato un osso duro.

    Anche Ken pattinò bene, ma il suo programma non aveva quadrupli. Era un peccato, pensò Yuuri, che alla fine contasse così tanto la capacità di ruotare su se stessi in aria. Ken era un piacere da vedere, un tutt’uno con la musica, ma con un triplo Loop che valeva meno della metà del quadruplo, sarebbe stato fuori dai giochi nel singolo. Se tutti facevano il proprio dovere al suo stesso modo, invece, nella competizione a squadre potevano davvero sperare nel bronzo, dietro a Russia e Canada. Al pensiero Yuuri si sentì mancare il respiro.

    Fu poi la volta della Cina e della Corea, esibizioni con alcune cadute che fecero sobbalzare Yuuri. Qualunque fosse l’atleta in gara, finiva a tifare per lui e certe cadute gli facevano sentire un contraccolpo di paura nel fondo dello stomaco. 

    Victor non deve saperlo mai che ogni volta che vedo qualcuno cadere immagino che sia lui.

    J.J. entrò in pista con l’abituale sicurezza. Yuuri non aveva nulla di personale contro di lui, eppure sentì di odiarlo. Per il solo fatto di voler togliere a Victor l’ultima conquista. 

    Perché lui e nessun altro aveva visto Victor alla sera, così stanco da non riuscire a muoversi. Lo aveva visto piangere di dolore per la caviglia o la schiena, quando pensava di non essere visto. Lo aveva visto trattenersi dall’urlare mentre si legava i pattini. Lo aveva visto smarrito, all’uscita del pronto soccorso, la volta che era caduto così male da rimanere alcuni istanti svenuto sul ghiaccio per il colpo alla testa. Lo aveva trovato furibondo contro la propria federazione, a cui aveva dato così tanto, che voleva cancellarlo, battere i pugni contro il computer, nel leggere notizie in russo che lui non avrebbe capito. Chiudere il telefono in faccia ai giornalisti. Ricevere mail e in un caso una lettera che erano nel migliore dei casi insulti, nel peggiore intimidazioni. Solo lui lo aveva visto il giorno di Natale, il giorno del proprio compleanno, stupirsi per attenzioni a cui non era abituato. Aveva spiato il modo strano, quasi curioso, con cui lo guardava rapportarsi ai genitori. Solo lui si era sentito stringere nella notte da un corpo che tremava, alla ricerca di un conforto senza parole. 

    Ogni sport era una battaglia in cui contava solo il risultato ottenuto sul campo. Ma in nessun modo un ragazzo viziato che quando perdeva si faceva consolare da mamma e papà aveva più diritto di Victor di tentare quel salto.

    J.J. non provò il quadruplo Axel, ma saltò il triplo con un’elevazione e una naturalezza tali che era come urlare a squarciagola: «posso farlo quando voglio». Fece 95 punti.

    Per ultimo pattinava Victor. Yuuri sapeva che quella posizione non lo metteva in difficoltà, come invece capitava a lui. Il suo compagno riusciva, chissà come, a tenere una parte della mente concentrata sui punteggi da raggiungere e l’altra su quello che voleva esprimere pattinando. Il poeta e il calcolatore. 

    Si esibiva sulle note di Verdi, il Brindisi della Traviata. Rispetto all’anno precedente aveva cambiato il programma corto, tenendo invece La saga della primavera, il programma più bello che Yuuri gli avesse visto fare, nel lungo. Non aveva dichiarato quale fosse il tema conduttore, ma Yuuri lo sapeva fin troppo bene. L’ultimo giro di danza. Il fatto che avesse scelto due storie che terminavano con la morte era una cosa che lo terrorizzava. 

    Ma quella non era ancora la danza finale. 

    Victor sapeva esattamente come avevano pattinato i suoi avversari e cosa doveva fare. Il triplo Axel, che sarebbe diventato quadruplo, era uno dei primi salti e il russo lo eseguì con meno potenza, ma infinita più classe di quanto avesse fatto il canadese. Victor danzava col ghiaccio, più che sul ghiaccio, consapevole che la fine sarebbe arrivata, ma che c’era ancora del tempo. Il Loop… Yuuri vide subito che non era riuscito a caricarlo a dovere… In qualche modo riuscì a renderlo comunque elegante. Sottoruotato, ma elegante. Qualche punto in meno di tecnico, quindi. Quanto, Yuuri in quel momento non avrebbe saputo dirlo, anche se i punteggi dei salti era una di quelle cose che ai pattinatori si imprimeva nel DNA. Ma Yuuri non riusciva a dividere la mente in due.

    Cos’è successo alla tua caviglia, mentre caricavi quel salto?

    Impossibile capirlo in quel momento. Victor avrebbe continuato imperterrito il proprio programma anche con le ossa che andavano in pezzi…

    Spero di non vederlo mai.

    Arrivò in fondo e Yuuri dovette tenersi al proprio sedile per combattere l’impulso a correre da lui. Aveva Yakov e anche Yurio che se ne sarebbero presi cura. L’importante era vedere quanto zoppicava… Abbastanza, sembrò al giapponese.

    – Maledetto vecchio, spero che J.J. gli mandi il conto della psicoterapia – commentò Chris.

    Yuuri si riscosse. Non aveva tenuto a mente il punteggio, in realtà non aveva idea di cosa avrebbe portato a casa Victor.

    – Non è un po’ vecchio per abbracciare un peluche in attesa del responso? – domandò Janine.

    – Neppure lui è sicuro di come sia andato – spiegò Yuuri. – Qualcosa bisogna pur stringere, in questi momenti.

    – Io di solito ho un criceto invece del cagnolino – ammise Phichit.

    Janine lo guardò stupita.

    – Pensavo fosse solo per educazione nei confronti dei fan – commentò.

    Esiste tutto un mondo fuori dal ghiaccio. Ma io non saprei che farmene.

    Uscì il punteggio.

    98.5

    La parte artistica aveva compensato senza problemi la sbavatura. Il re era ancora lui. 

    Almeno per il momento.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 – La sera della Cerimonia d'Apertura ***


Quindi era questo che significava essere un atleta olimpico.

    Yuri aveva ripetuto a tutti che era solo una gara come le altre. Anche Yakov lo aveva ripetuto un milione di volte, in allenamento. Quella mattina, mentre assisteva al corto della prova a squadre, a Yuri era sembrato che fosse davvero così, una gara come le altre, solo in un posto più ventoso e scomodo del solito, con quel senso generale da vacanza organizzata per bambini dei quartieri disagiati che aleggiava sul villaggio olimpico.

    La cerimonia d’apertura era un’altra cosa.

    Anche se non voleva, anche se cercava di rifugiarsi in quella pozza di rabbia e cinismo del suo animo a cui poteva quasi sempre attingere forza, gli faceva effetto. Gli faceva effetto essere lì, uno dei centossessantotto atleti russi ammessi alle competizioni dopo gli scandali, nella sua giacca a vento grigia, la sciarpa bianca e i pantaloni blu. Gli faceva effetto essere uno di quella massa di atleti che sfilava, ognuno con i propri sogni, ognuno consapevole di essere solo polvere nell’universo, ma di avere, in quel momento che forse mai nella vita si sarebbe ripetuto, la possibilità di fare la storia. Dava, suo malgrado, l’idea di quanto fosse immane l’impresa di vincere una medaglia olimpica. Solo pochissimi di quelle centinaia e centinaia di atleti avrebbe terminato le competizioni con qualcosa al collo. Ancora meno con qualcosa d’oro al collo. Un numero ancora più piccolo avrebbe portato a termine davvero un’impresa degna di essere ricordata. Per quasi tutti loro si trattava dell’unica occasione per farlo. Con i suoi diciotto anni non ancora compiuti e i suoi sessanta chili scarsi, per la prima volta Yuri si sentiva piccolo.

    Anche se non voleva, gli faceva effetto non vedere, davanti alla loro delegazione, la bandiera della Russia, ma solo una con i cinque cerchi, portata da una volontaria.

    Beh, in nessun caso avrebbe potuto farlo Victor.

    Victor che in quel momento se ne stava in camera, con l’obbligo tassativo del medico di muoversi il meno possibile, se voleva recuperare per il singolo.

    Anche se non voleva, gli spiaceva che non fosse lì, a farlo sentire meno piccolo e meno solo, o a sventolare la bandiera. Vanitoso com’era, se la sarebbe proprio goduta. E, anche se non voleva, Yuri sapeva che aveva ragione Otabek, se lo sarebbe meritato.

    Chris, davanti alla delegazione della Svizzera, si pavoneggiava con la bandiera in mano, dando proprio l’aria di divertirsi da matti e di godersi ogni foto che gli veniva scattata. Yuri dalla sua posizione non poteva vederlo, ma era sicuro che Phichit stesse compiendo lo stesso dovere con più serietà, a capo della sparuta delegazione tailandese. Vedeva invece Otabek, serio e marziale come sempre, un passo indietro rispetto al proprio portabandiera, come se ne fosse la guardia del corpo. Yuri proprio non capiva come il kazako potesse avere sempre le idee così chiare su tutto, un piano della propria vita già definito. Arrivare nei primi cinque in quell’olimpiade e a medaglia a quella successiva, con possibilmente un titolo mondiale nel mezzo. E come una persona che sbagliava così poco i propri calcoli avesse fatto quell’uscita, poi era un mistero. Neppure lo voleva offendere, come avrebbe fatto Mila o un altro qualsiasi della squadra russa con la stessa frase. Ma quello che gli piaceva o non gli piaceva non erano fatti di Otabek, come non lo erano di nessuno. A tradimento, tornò il ricordo di quell’estate, quando il kazako era stato suo ospite per una delle rare settimane di vacanza che Yuri trascorreva a Mosca. Lo rivide nella propria camera, intento a guardare il poster appeso all’armadio, che si era dimenticato di togliere.

    – Balletto? – aveva chiesto, con un mezzo sorriso quasi divertito.

    – Mi hanno fatto piroettare così tanto che alla fine dovevo pur capirci qualcosa – aveva bofonchiato lui, stringendosi nelle spalle. – Alla fine non è così male da vedere.

    – Perché non una ballerina?

    – E che me ne faccio del poster di una ballerina?

    E Otabek lo aveva guardato, sul punto di dire qualcosa, mentre lui si era sentito teso in ogni parte del corpo, di cui era all’improvviso troppo consapevole. Ma Otabek aveva scosso il capo, sorridendo e poi erano usciti a prendere un gelato, ciascuno con le mani nelle tasche.

    E allora? Lui adesso doveva pensare solo al pattinaggio, a fare meno schifo possibile. A essere tra quei pochi che avrebbero portato a casa qualcosa. Per se stesso, per Yakov, per suo nonno, che era sempre più vecchio e più dolorante e aveva bisogno di un nipote di cui poter andare orgoglioso, non di uno di cui vergognarsi.

*

    Victor stava seduto sul proprio letto, con il portatile sulle cosce e la caviglia destra, fasciata stretta, appoggiata sopra un cuscino. Suo malgrado, Yuuri pensò che con i capelli tanto chiari da sembrare già bianchi e le rughe da stanchezza nel volto smagrito, sembrava più vecchio dei suoi anni. Non meno bello o desiderabile, ma maltrattato del tempo.

    – Non dovresti essere qui – gli disse Victor, alzando gli occhi dal monitor.

    – Mi importa più di te che della cerimonia d’apertura.

    – È il tuo momento, io l’ho già avuto, dovresti godertelo appieno.

    – È il nostro momento. L’unica Olimpiade che vivremo assieme.

    Victor annuì, accettando la sua presa di posizione.

    – Come va la caviglia? – chiese Yuuri.

    Il compagno sospirò.

    – La teniamo insieme, in qualche modo.

    Yuuri non riusciva fino in fondo a capire cosa l’altro stesse passando. Era stato fortunato. Si era lussato una spalla, una volta, cadendo veramente male, e aveva avuto la sua parte di distorsioni e infiammazioni. La schiena iniziava a risentirsi di tutti gli anni passati a saltare sul ghiaccio e per precauzione in quella stagione aveva saltato delle competizioni. Nonostante quello al mattino spesso iniziava a sentirsi irrigidito e dolorante, ben consapevole del tempo che passava. Ma non si era mai rotto niente. C’erano dolori che semplicemente non conosceva.

    – Ne vale la pena? – chiese

    Dovendo gareggiare ancora due volte la caviglia non sarebbe certo migliorata. Quel pomeriggio Victor aveva ammesso di mettere in conto di potersela rovinare in modo definitivo. Glielo aveva scritto in un messaggio, come se lo informasse dei propri orari di allenamento. Era una cosa che Yuuri sentiva ancora all’altezza dello sterno, come un sprangata.

    L’altro, invece si limitò a un sorriso storto.

    – Certo che ne vale la pena. È la mia ultima gara. Per che cosa dovrei risparmiarmi?

    – Per noi.

    Gli uscì con più freddezza di quanto avesse voluto, con lo stesso suono di uno schiaffo e vide gli occhi azzurri di Victor dilatarsi come se in effetti ne avesse appena ricevuto uno.

    Non voglio litigare. Anche la mia rabbia, alla fine, è solo amore.

    – Vieni qui – sussurrò Victor.

    Con cautela, Yuuri si sistemò sul letto al suo fianco.

    Ho l’impressione che sia di vetro, nell’anima e nel corpo. Non ho mai avuto tanta paura di spezzare qualcosa.

    – Firenze o Venezia? – chiese Victor, mostrando le finestre aperte sul proprio pc.

    – Per cosa? 

    C’era un’affasciante fotografia di un edificio antico che si affacciava sull’acqua, a Venezia, senza dubbio. Victor stava visualizzando una pagina scritta in russo, ma le cinque stelline gialle in alto davano a Yuuri l’impressione che si trattasse un albergo che non si sarebbe mai potuto permettere.

    – La nostra vacanza, dopo i mondiali di Milano – replicò Victor. – Vuoi andare prima a Firenze o a Venezia? Quella che sto rischiando è solo una caviglia. Al peggio verrò con un bastone, come il vecchietto che sono.

    È solo una caviglia… La cosa peggiore è che lo pensa davvero.

    La cosa che più destabilizzava, in Victor, era la sua quasi totale onestà. Ometteva, sin troppo spesso, ma non mentiva mai. E sì, una caviglia era un prezzo onesto da pagare, per lui, per dimostrare di avere il diritto di essere lì, contro tutto e tutti. Ancora una volta, Yuuri si chiese da che esperienze provenisse, per aver appreso nel profondo quella noncuranza. Quali prezzi avesse già dovuto pagare per raggiungere i propri obiettivi. È solo una caviglia…

    – Sarebbe bellissimo – ammise Yuuri, guardando le foto dell’hotel. – Ma possiamo permettercelo?

    –  Sì, ma è un mio regalo. Agli sponsor europei piaccio ancora.

    Anche questa non era ostentazione. Era la soddisfazione di chi viene dal nulla e si è guadagnato ogni cosa.

    – Venezia allora. Ho sempre sognato di vederla.

    – Bene. A Milano andremo all’opera, alla Scala, ho già i biglietti per la sera dopo la finale. Sperando di festeggiare il tuo secondo titolo.

    Victor continuò a illustrare l’itinerario che aveva progettato. 

    Semisdraiato sul letto, con il viso tra il suo collo e la spalla, con l’odore buono dei suoi capelli nel naso, Yuuri era quasi felice. Quasi. Una parte di lui avrebbe voluto che non ci fosse nulla fuori da quella porta, nessuna olimpiade, nessuna gara, nessuna maledetta nazione a cui rispondere. Invece, anche se cercava di non darlo a vedere, ciò che stava fuori da quella porta premeva per entrare, come il mostro in un film horror. Una parte di Yuuri si sentiva inseguito da un’ansia non ancora soverchiante ma che, lo sapeva, alla fine lo avrebbe travolto.

    – Non mi hai raccontato niente dei tuoi allenamenti – disse Victor, quando ebbe terminato il modulo di prenotazione dell’hotel di Venezia.

    – Vanno bene, direi – rispose Yuuri, cercando di stare sul vago.

    Doveva alzare il punteggio tecnico. Quella era la verità. Ma non sapeva ancora come. Né sapeva come dire a Victor, che quel programma l’aveva costruito, che intendeva modificarlo in modo sostanziale.

    – Il tecnico della nazionale… Ti trovi meglio che con me?

    La domanda spiazzò del tutto il giapponese. Si alzò dalla propria posizione, per guardare il compagno negli occhi.

    – Sei impazzito? – chiese.

    Ma non era una provocazione o una ripicca per l’inizio teso della serata. Quello che trovò nel viso di Victor sembrava davvero insicurezza.

    – Ci sto pensando molto… – disse ancora il russo. – Ha più esperienza di me…

    – Victor, tu sei cresciuto con Yakov, che è riconosciuto come il miglior tecnico del mondo e sei il pattinatore che ha vinto più di tutti. Non c’è nessuno che abbia più esperienza di te… Tamura fa il suo lavoro ed è una brava persona, ma continua a chiedermi come ti comporti tu in questa o quella situazione. Come allenatore, non come atleta.

    Il russo si rilassò appena sul cuscino.

    – È che a volte ho paura…

    – Victor, si può sapere che cosa ti hanno fatto prendere? Sono io quello insicuro.

    Questo produsse un vero sorriso nel viso dell’atleta russo, il primo della serata.

    – Reggo gli antinfiammatori più o meno come te il vino, lo sai – disse. – Se vuoi estorcermi qualche torbido segreto credo sia il momento.

    Ne sarei tentato. Ma non lo farei mai.

    – È per il mio libero che non sei tranquillo? – chiese Yuuri.

    – No lo so.

    Yuuri aveva odiato cordialmente il libero della stagione precedente, La tempesta. Aveva un punteggio tecnico mostruoso, o, meglio, lo stesso di quello che Victor aveva preparato per se stesso, La saga della primavera, con cui gli aveva strappato il record del mondo. Yuuri non lo aveva eguagliato, ma pattinandolo al meglio ci andava davvero vicino. Era un programma pensato per superare il 220 di punteggio. Al mondiale, tuttavia, Yuuri era stato a un passo dal farsi male davvero. Aveva recuperato senza cadere e aveva vinto, ma si erano spaventati entrambi. Victor forse più di lui. Così, quando Yuuri aveva insistito per cambiare programma, il russo lo aveva assecondato. Quell’anno Yuuri pattinava sulle Quattro Stagioni di Vivaldi, con un costume che adorava e una coreografia che raccontava il cambiare delle stagioni della propria vita. Riusciva a esprimere al cento per cento se stesso. Ma, salvo miracoli, non sarebbe andato oltre il 205 di punteggio. Non era, non sarebbe più stato, il migliore. L’atleta che Victor meritava di allenare. Né poteva essere un atleta da podio olimpico, come invece tutto il Giappone sembrava aspettarsi.

    – Il libero va bene, credo – continuò Victor. Teneva gli occhi chiusi, come se faticasse a mettere insieme i pensieri. – Sei tu che devi decidere cosa ti senti di fare e alzare o abbassare la difficoltà. Questo, in ogni caso, ti esprime meglio… Sono io… Egoista. Avrei dovuto insistere perché fossi tu a tentare il quadruplo Axel.

    – Victor, tu non tenti il quadruplo Axel. Tu lo fai. Con una caviglia rotta o quasi. Io e Yurio lo abbiamo visto – replicò Yuuri. Gli antidolorifici lo rendono davvero incoerente. – Io spesso ho problemi con il triplo anche quando sto benissimo.

    – Io…

    Yuuri gli impedì di proseguire con una bacio.

    Io non sono all’altezza delle tue aspettative atletiche.

    Victor lo scostò con delicatezza.

    – Non tentarmi. Non ne ho la forza fisica. E Yurio ormai potrebbe rientrare da un momento all’altro.

    – Yurio… Ecco, quello sarebbe imbarazzante – ammise Yuuri.

    *

    – Stai ancora scappando? – la voce di Otabek colse Yuri alla sprovvista.

    – Io non scappo mai – rispose, ostile.

    In realtà tergiversavo. Ho il terrore di arrivare in camera troppo presto e trovarci un giapponese nudo.

    – Cosa ci fai ancora in giro? – chiese al kazako. – Fa freddo, è tardi, hai gareggiato questa mattina e la tua palazzina è dall’altra parte.

    Otabek si strinse nelle spalle.

    – Domani… Già oggi in realtà, è il giorno di riposo, posso starmene tutto il giorno o quasi in camera a poltrire.

    Che poi, conoscendolo, poltrire per lui significava leggere o studiare quelle robe piene di calcoli che faceva all’università di cui Yuri non capiva niente.

    Il ragazzo sospirò. Poteva accampare una scusa qualsiasi e andarsene. Erano proprio sotto la palazzina russa.

    Il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome…

    – Perché pensi che io sia gay? – chiese Yuri.

    Forse nel buio della notte non lo si sarebbe visto arrossire.

    Otabek si strinse nelle spalle.

    – Hai il cellulare pieno di donne nude? – chiese.

    – Ma questo cosa vuol dire? – soffiò Yuri.

    – Neppure io – replicò il kazako.

    Poi, come se fosse la cosa più normale del mondo, gli mise una mano sulla spalla, lo accostò al muro, con decisione, ma senza rudezza. E lo baciò.

    Cosa…

    Sa di the e d’estate. Quindi è questo che…

    Cazzo!

    Quando la lingua dell’altro toccò la sua, Yuri sentì un calore che non poteva in nessun modo controllare e fu troppo.

    Si divincolò, scalciando d’istinto, in preda a qualcosa di troppo simile al panico.

    – Che cazzo credi di fare! – ringhiò, cercando di riprendere fiato.

    Anche Otabek aveva il respiro accelerato, nessuna traccia della sua abituale calma negli occhi dalle pupille dilatate.

    – Vai a limonare Mila o una qualsiasi delle brave ragazze russe, se preferisci – ringhiò. – Rovinanti pure la vita come vuoi.

    E se ne andò correndo.

    Yuri rimase un secondo immobile e poi tirò un pugno contro il muro.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 – Il libero della prova a squadre ***


  – Si può sapere che cos’hai fatto a quella mano? – borbottò Yakov, mentre Victor aiutava il compagno di squadra a infilare il guanto grigio del costume sulla mano ancora gonfia e abrasa.

    Con lo sguardo, l’atleta più anziano cercò di avvisare l’allenatore che era meglio cambiare discorso. 

    – Non pattino con la mano – ribatté Yuri, scontroso.

    – Me lo auguro.

    Erano tutti di pessimo umore, constatò Victor.

    Yakov, per la prestazione disastrosa della coppia russa, che con due cadute aveva messo in serio dubbio una medaglia d’oro data per certa. Yuri, per qualsiasi cosa fosse successo durante o dopo la cerimonia d’apertura. La stessa cosa, presumibilmente, che spiegava la serie di passi del tutto scoordinata che Otabek stava eseguendo in quel momento. Quanto a lui, si sentiva inutile.

    Non gli era capitato spesso di assistere a una gara della propria categoria dal bordo pista, senza un ruolo definito. Non partecipante, certo non tecnico, non propriamente spettatore. Yakov lo aveva voluto per dare un po’ di respiro a Dimitri, il suo vice, che aveva seguito le coppie e poi sarebbe stato accanto a Mila. La prova a squadre, pensò Victor, doveva essere più massacrante per gli allenatore che per gli atleti, che al massimo gareggiavano una o due volte. Dopo il corto di tutte le discipline, le squadre in gara si erano ridotte a cinque e i piazzamenti nel libero dei vari atleti avrebbero completato la graduatoria finale. Il terzo posto della coppia russa, quindi, era stato un mezzo disastro. E adesso Victor ne intravedeva un altro di fronte al compagno di squadra e sentiva di non poter far nulla per fermarlo.
     Litigare con qualcuno prima di una gara importate poteva non essere un male assoluto, Yuuri glielo aveva dimostrato fin troppo bene, ma di certo quella non era la condizione d’animo per pattinare sulle note di un’Ave Maria. Se anche il lavoro che avevano iniziato insieme aveva portato un qualche miglioramento, era stato spazzato via dal pugno che il ragazzo doveva aver tirato contro il cemento.

    – Prova i passi e gli avvitamenti – ordinò Yakov.

    Victor sospirò. Avrebbe preferito di gran lunga gareggiare. Quando era sul ghiaccio, fin tanto che la musica suonava, si dimenticava di tutto, persino del dolore alla caviglia che ora, stretta nel tutore rigido, nascosto sotto i pantaloni, sentiva pulsare come non mai. Così come sentiva una sorta di sanguinamento all’altezza del petto, per la distanza che doveva tenere da Yuuri.

    Il giorno prima non si erano quasi visti e quella mattina, prima che gli atleti scendessero in pista, erano riusciti giusto a lanciarsi un saluto da lontano. Non aveva idea di quale fosse la condizione mentale di Yuuri. E quello era sempre un problema. Il giapponese ormai era un atleta esperto sotto ogni punto di vista, con un palmares importante e l’età a cui la maggior parte dei pattinatori si ritira, eppure non c’era un metodo sicuro per evitargli una crisi di panico prima di una competizione, né un modo sicuro per farlo uscire. Era enormemente migliorato rispetto a quando si erano conosciuti, tuttavia le ricadute erano sempre dietro l’angolo. Victor ricordava ancora l’assurda paranoia che aveva tirato fuori la mattina della finale dei mondiali, sul fatto che senza lui e Yurio la competizione era sfalsata e che quindi la propria performance mediocre sarebbe stata ancora più ingiusificabile. Il russo si sentiva sempre del tutto impotente in quei momenti e in quell’occasione non aveva trovato di meglio da fare che uscire sbattendo la porta per evitare di prenderlo per il bavero e dargli una scrollata. Il risultato era  stato che Yuuri era sceso in pista nervoso. Era atterrato male da un salto. Di fatto aveva recuperato appoggiando una mano sul ghiaccio, ma Victor aveva visto l’angolo assurdo della sua caviglia. Aveva dovuto attaccarsi con entrambe le mani al bordo della pista, mentre si sentiva svenire. Yuuri era Yuuri e se l’era cavata con una distorsione, ma l’episodio aveva creato un terrore del tutto nuovo in Victor, attraverso cui si era insinuato il dubbio di non essere adatto ad allenare la persona che amava. Adesso, tuttavia, avrebbe dato qualunque cosa per tornare ad occupare quel ruolo. Yuuri non si stava scaldando, parlava con il tecnico della nazionale, troppo lontano, troppo velocemente e troppo in giapponese perché il russo potesse capirne le parole. Dai gesti, tuttavia, gli pareva che stessero discutendo di cambiare l’ordine dei salti. Perché? Si erano detti qualcosa a proposito del libero la sera della cerimonia d’apertura? Gli antidolorifici lo lasciavano sempre in uno stato quasi evanescente e non ricordava bene  i fatti tra la prenotazione dell’albergo e il momento in cui Yurio aveva fatto irruzione con la mano sanguinante…

    – Ricordati di quale squadra sei parte – lo rimproverò Yakov. – Quel ragazzo non è un cucciolo indifeso. È il nemico da battere.

    – Dici?

    In qualche modo sarà sempre, per me, un cucciolo indifeso.

    L’allenatore sbuffò.

    – Siete stati fortunati – ammise poi. – L’amore è quasi sempre un problema, dal mio punto di vista. Se è appagante toglie motivazione, se è infelice concentrazione… È questo che è successo a Yuri?

    Victor sospirò, senza togliere gli occhi da Yuuri, che adesso iniziava ad allenarsi.

    – Non so se siamo ancora allo stadio dell’amore infelice… Yakov, in questi ultimi tempi, che tu sappia, ha avuto qualche storia?

    – Mah… L’ho mandato a fare un corso di lingue ed è uscito qualche volta con una compagna, ma lei si è tolta di mezzo presto e lui non mi pare l’abbia rimpianta.

    I passi di Yuuri andavano bene, anche l’avvitamento… Forse, per una volta, non era nel panico.        

    – Ecco – rispose a Yakov. – Allora siamo al primo, tragico innamoramento.

    – Che il Cielo ci aiuti – sospirò il tecnico.

    Quasi in risposta alle sue parole, vi fu l’inconfondibile suono di qualcuno, più di uno, che impattava in modo decisamente brusco col ghiaccio. 

    Yakov e Victor si girano all’unisono. Sia Yuri che Otabek erano caduti dopo essersi scontrati.

    Si rialzarono entrambi, anche se il kazako si massaggiava una spalla e Yuri una gamba. Si scambiarono anche qualche parola che non arrivò al bordo pista, ma che non aveva l’aria di essere una scusa. Victor vide Otabek stringere una mano e per un istante temette di veder partire un pugno. Il kazako, però, si limitò a scuotere la testa e ad allontanarsi verso il proprio tecnico, mentre Yakov richiamava Yuri.

    – Vado a vedere come sta Otabek – disse Victor a Yakov.

    In realtà non voleva assistere alla sfuriata che attendeva il ragazzo.

    – Non famigliarizzare troppo col nemico.

 

    Otabek si stava ancora massaggiando la spalla, lo sguardo così cupo che persino il suo tecnico si teneva a distanza.

    – Che cos’è successo? – chiese Victor.

    – Tu cosa hai visto?

    – In quel momento? La trottola di Yuuri.

    Questo sortì un mezzo sorriso nel viso del kazako.

    – Mi è venuto addosso, apposta. Potevamo farci male sul serio. Entrambi.

    – Lo so, ora Yakov lo sta sbranando. – disse Victor. – Tu sei tutto intero?

    – È solo una botta. Ho preso di peggio.

    Il russo annuì.

    – In bocca al lupo, allora – Otabek pattinava per primo e entro pochi minuti avrebbe iniziato il proprio programma. – Non dovrei dirtelo, ma… Vendicati in gara, se lo merita.

    – Non ho bisogno che sia tu a dirmelo – sbuffò il giovane.

 

    No, pensò Victor qualche minuto dopo, mentre assisteva all’esibizione del kazako, la seconda delle cinque previste, persino Otabek non ha cuore di vendicarsi in gara. Oppure, persino lui, aveva i nervi scossi. La rabbia, in generale, migliorava sempre le performance di Victor, mentre Otabek pattinò in modo non disastroso, ma impreciso. Sbagliò una delle combinazioni che aveva in programma e sembrava sempre in anticipo sulla musica. Terminò con un 164 che gli fece gettare a terra i guanti in gesto di pura stizza. L'americano che aveva gareggiato per primo aveva preso 189.10
 

    – Non gli sono andato addosso – continuava a protestare Yuri, mentre J.J. terminava la sua, impeccabile, esibizione. – La precedenza era mia e lui non si è scostato. Voi stavate guardando la fidanzatina di Victor e non avete motivo di credere a lui e non a me.

    – Salvo per il fatto che di solito è affidabile – rimarcò Victor.

    Stava cercando con tutto se stesso di dimenticare la frecciatina su Yuuri. Erano sempre più frequenti e tanto più fastidiose quanto più ostentate. Non era nulla che il ragazzo pensasse davvero, sapeva benissimo quanto in realtà fosse affezionato a Yuuri. 

     Quindi è proprio il fatto che stiamo assieme a dargli fastidio.

    – In ogni caso non ho nessuna intenzione di scusarmi – ringhiò ancora Yuri.

    Nel costume bianco, azzurro e argento, che doveva evocare una bellezza angelica, la sua rabbia era quasi ridicola.

    – Delle vostre schermaglie non me ne importa niente, ma se per colpa tua perdiamo l’oro ti impicco con la medaglia che ci danno – ringhiò Yakov. – E adesso concentrati, tocca a te.

    Una preghiera alla Madonna, pensò Victor, era proprio l’unica cosa che avrebbe potuto salvarlo. Faceva persino pena, Yuri, con gli occhi carichi di lacrime di rabbia e lo sguardo che, quasi suo malgrado, continuava a correre all’atleta kazako.

*

    Ok. Gli era andato addosso. Più o meno. La precedenza era del kazako, ma Yuri aveva fatto in modo di farsi vedere per bene. Otabek avrebbe potuto scansarsi o cambiare traiettoria. Stava solo provando dei passi. Terribili, oltre tutto. La peggior sequenza che il russo gli avesse mai visto fare. Ma questo era non era un problema suo. La musica che ormai era iniziata invece lo era.

    L’inizio andava via facile, almeno da un punto di vista tecnico.

    Che cosa avevano in mente quando hanno scelto questa musica?

    Cosa avevo in mente io, quando l’ho accettata?

    Affidarsi a un amore più grande. Che emerita cazzata.

    Dio non esiste, la Madonna probabilmente era una bagascia e l’amore, in generale, è una fregatura.

    Affidarsi come un bambino a una madre? La mia era ubriaca, quando si è fatta mettere incinta ed è scappata appena ha scoperto che io ero una rottura di palle.

    Quando mai ci si può davvero affidare all’amore?

    Un ricordo tornò a tradimento. Victor, in Giappone, che gli mostrava il programma corto, Agapé, che rappresentava, a suo dire, l’amore puro.

    Non mi ha mai detto a cosa stesse pensando.

    Al signor cotoletto, ovviamente, che al momento neppure si faceva fottere eppure, in qualche modo, a lui stava bene così. Che assurdità.

    Eppure, in qualche modo, si sono sorretti a vicenda.

    Il respiro si era fatto affannoso. Come se non ci fosse nel mondo abbastanza ossigeno per lui. Come un pesce, tolto dall’acqua e appoggiato a dibattersi sul ghiaccio. Era quel momento. Quello del panico, del disperato tentativo di cercare una via d’uscita che non esisteva.

    Combinazione con triplo Axel.

    Come diavolo fa Yakov a pensare che possa fare il quadruplo per l’anno prossimo?

    Come diavolo fa Victor a farlo?

    Iniziare il salto era come gettarsi nel vuoto.

    Non ti fidi più del ghiaccio. Diceva Victor.

    Il ghiaccio è duro, i muscoli si lacerano, il pattino, quando ci finisci sopra, ti entra nella carne…

    Cadde di sedere, quasi addosso al bordo pista.

    Intero? Pareva di sì. 

    Niente combinazione, ovviamente. Cercò di recuperare il ritmo della musica, ma ormai era in ritardo. Anche la trottola risultò più breve. E l’ultimo salto lo iniziò già sapendo che sarebbe caduto. Pregando, questa volta sì, con tutto il cuore, di non farsi troppo male.

*

    Che diavolo era successo a Yurio? Neppure con un muscolo strappato Yuuri lo aveva visto pattinare così male.

    Mentre il russo attendeva il punteggio, lui si stava già scaldando, dato che si esibiva subito dopo, ma poteva vederlo nel maxi schermo, imbronciato, con Victor a fianco.

    Perché c’è lui e non Yakov?

    Razionalmente sapeva che probabilmente Yakov aveva mandato Victor per evitare di strozzare il proprio atleta. Eppure… C’era un sentimento sgradevole e meschino che si faceva largo a partire dal suo stomaco.

    È lì che vuole stare Victor. A fianco di un atleta che gli dia più soddisfazioni agonistiche.

    Non oggi, certo, in generale.

    160.

    Se fosse sopravvissuto a Yakov o a se stesso, dato che guardava il punteggio con lo stesso sguardo con cui un suicida prepara il cappio.

    Bene, toccava a lui.

    Con il suo 193 J.J. aveva spinto il Canada parecchio in alto. Per la Russia tutto era nelle mani di Mila e della coppia della danza, che Yuuri non conosceva. Pur con tutta la sua buona volontà, Otabek non poteva portare il suo kazakistan a medaglia. Era già un miracolo che fosse nei primi cinque e nella prova libera già disputate la coppia di artistico era arrivata ultima. Ma Giappone e Usa potevano giocarsi il bronzo, in fin dei conti. Dipendeva anche da lui.

    Il pensiero gli chiuse lo stomaco in una morsa.

    Si portò nella posizione di partenza con l’abituale sensazione di avere una voragine sotto i propri piedi.

    Respira. Immagina che Victor abbia occhi solo per te.

    Invece che essere intento a consolare il suo omonimo.

    Posso farlo. Dimostrargli che non ho paura di osare.

    Aveva cambiato i salti del programma. Non li avrebbe eseguiti tutti nella prova a squadre, ma aveva aggiunto un quadruplo Luzt nella parte finale e aveva tutta l’intenzione di provarlo quel giorno. In quel modo, con un’esecuzione perfetta nel singolo avrebbe potuto ottenere un 219 di punteggio, che era il valore ipotetico del libero dell’anno precedente.

    Si comincia.

    Gli piaceva, quel programma. Mescolava le quattro stagioni di Vivaldi, secondo la propria visione della vita. Una primavera incerta che non era sbocciata in estate, ma si era cristallizzata in un inverno inatteso di solitudine e potenzialità inespresse. Poi di nuovo un temporale primaverile, l’arrivo di Victor nella sua vita, a suo modo traumatico, e infine l’esplosione dell’estate.

    E questa inaspettata paura dell’autunno?

    Si trovò prima del tempo con il fiato corto.

    Era resistente. Glielo dicevano tutti. Ma gli anni passavano. Due anni prima non avrebbe avuto alcun problema. L’anno precedente era stato quasi sopraffatto dall’incalzare degli elementi. Adesso…

    Devo farlo. Devo provare a Victor che posso.

    Capì subito di essere partito male. Cercò comunque di completare le rotazioni, cadere per cadere tanto valeva salvare in parte il punteggio, ma questo non gli diede alcuna possibilità di controllare l’atterraggio. 

    Vide il ghiaccio venirgli addosso e sentì qualcuno gridare il suo nome.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - contraccolpi ***


Non si è fatto nulla. Lo so che non si è fatto nulla.

    Victor attendeva Yuuri fuori dal palazzetto. Irrompere nello spogliatoio facendosi largo nel team giapponese non gli era parsa una buona idea.

    Che cosa gli è saltato in mente di cambiare in questo modo i salti? Da come hanno pattinato tutti devono aver spruzzato una qualche droga negli spogliatoi.

    Se vedere cadere Yurio gli aveva fatto male, però, vedere Yuuri perdere il controllo del salto in quel modo lo aveva paralizzato. Nei decimi di secondo che il giapponese ci aveva messo ad impattare col ghiaccio, Victor aveva visualizzato una serie di scenari, che andavano dalla frattura alle lacerazioni muscolari. Era stato pronto a entrare in pista senza pattini per raggiungerlo prima di qualsiasi altro. Yuuri, però, aveva quel buon senso istintivo che saltava fuori nei momenti più impensabili. Era riuscito a ripararsi il viso con le braccia e a estendere le gambe, evitando di ricadere sui propri pattini. Lui stesso non ce l’avrebbe fatta, da quella situazione sarebbe uscito solo in barella. Finire stesi sul ghiaccio in quel modo, invece, era umiliante, ma l’ego era l’unico che ne usciva in frantumi, cosa che, in quelle circostante, era tutt’altro che scontata. Yuuri si era rimesso in piedi, ormai in ritardo sulla musica, aveva perso gli ultimi elementi e aveva comunque portato a casa un punteggio migliore di quello di Otabek e di Yuri, un 170 che era comunque vergognoso, ma, tutto considerato, si poteva considerare quasi un miracolo.

    – Ehi, Victor!

    Si girò, sentendosi chiamare, e uno sputo gli arrivò quasi sui piedi.

    – Una puttana traditrice come te non dovrebbe starsene così sola soletta!

    Il tipo della mensa.

    Ci mancava solo questo.

    – Quando astio! Che sia solo bisogno d’amore, il tuo? – replicò, tentando una voce il falsetto.

    L’altro fece un gesto eloquente sul tagliare la gola.

    Pur stando del tutto immobile e ostentando lo stesso tipo di sorriso finto che di solito riservava ai giudici dopo una performance pessima, con la coda dell’occhio spiava l’arrivare di altre persone.

    Cosa dovrei fare? Scappare? Con una caviglia quasi rotta?

    La porta del palazzetto da cui uscivano gli atleti si aprì e ne uscì il team canadese.

    Non sono mai stato tanto felice di vedere J.J.

    – Ehi, Victor, certo che senza di te a fargli da balia il tuo giapponesino è proprio perso!

    – Goditi il momento, J.J., perché nel singolo non si ripeterà – replicò Victor, mentre ancora spiava il  connazionale allontanarsi.

    Yuuri uscì un attimo dopo, con uno sguardo cupo come quello che Victor gli aveva visto addosso dopo la prima finale del Grand Prix. Proprio come allora, l’allenatore tentava di consolarlo, senza riuscirci. Victor si concesse un sorriso di comprensione alla volta del tecnico che, vedendolo, disse qualcosa all’orecchio di Yuuri e si allontanò.

    Victor voleva corrergli incontro. Ma non era una buona idea. Né per la sua caviglia, né per l’energumeno che forse era ancora lì in zona. Poteva almeno tendergli le braccia? Yuuri gli sarebbe corso incontro?

    – Come stai? – si limitò a chiedergli.

    – Non mi sono fatto niente – replicò l’altro, scontroso.

    Victor scosse il capo, frustrato dal non sapere cosa fare. Voleva abbracciarlo. Non solo per rassicurare lui, ma anche se stesso. Gli mancava il contatto fisico, quelle delicatezze minime che avevano sempre caratterizzato il loro rapporto, lo stingersi le mani, i baci leggeri, lo sfiorarsi nella notte. Era stato solo per così tanto tempo che aveva dato per scontato che lo stile di vita quasi monacale che gli sarebbe toccato durante le olimpiadi non gli sarebbe pesato. Eppure, adesso il non abbracciarlo gli risultava insopportabile.

    – Ho chiesto come stai, non cosa ti sei fatto – replicò, più dolce.

    Yuuri alzò lo sguardo. Dietro le lenti, gli occhi scuri erano pronti a riempirsi di lacrime.

    – Un fallito. Il Giappone ha perso il bronzo per colpa mia.

    – Questo non puoi ancora dirlo – anche se, in tutta onestà, era probabile. 

    Per la squadra giapponese era vitale rimanere davanti agli americani. Invece quel ragazzetto insulso, Leo Qualcosa, si era piazzato secondo. Da che Victor conosceva Yuuri non era mai capitato che lo statunitense lo superasse.

      – Non sei stato certo il peggiore – provò. – Come dovrebbero sentirsi gli altri?

    – A giudicare dall’espressione di Yurio, a un passo dal suicidio.

    – In effetti, sì. È ancora vivo solo perché Yakov ha capito che neppure lui era tanto arrabbiato con Yuri come Yuri stesso.

    – Ecco.

    – Perché hai cambiato i salti?

    Yuuri alzò lo sguardo con fare di chi ritenga del tutto idiota una domanda.

    – Non è ovvio?

    – Ne abbiamo parlato l’altra sera?

    Che cosa diavolo ti ho detto sul libero?

    – In parte.

    Yuuri si infilò le mani in tasca e si avviò a passo veloce.

    Victor strinse i denti. Non doveva sforzare la caviglia. Ma certo non poteva lasciarsi scappare Yuuri in quel modo.

    – Aspetta. Non so cosa ti ho detto, sono già pessimo di solito su questo punto, figurati sotto antidolorifici.

    – Non volevo che pensassi che sono un atleta finito o che ho paura di alzare la difficoltà.

    – E questo da cosa viene fuori? – chiese Victor.

    Iniziava a sentirsi esasperato. 

    Non ce la faccio a reggere anche una delle sue assurdità da gara.

    – Da quello che hai detto sul non essere sicuro di voler continuare a essere il mio tecnico.

    – E questo cosa ha a che fare con quello che hai detto?

    – Non sono più l’atleta di due anni fa.

    – No. Adesso sei il campione del mondo.

    – Lo sono diventato con un libero che non ho più il coraggio di fare.

    – No. Adesso ne fai uno con il quale, se non ti metti a fare cazzate del tipo cambiare i salti senza consultarti con quello che in fin dei conti è pur sempre il tuo allenatore e il tuo coreografo, puoi vincere l’oro olimpico.

    – Mi hai detto tu che dovevo alzare e abbassare le difficoltà a seconda di come mi sentivo!

    Lo aveva detto?

    – Sì, ma consultando il tuo allenatore.

    – E l’ho fatto. Al momento è Tamura il mio allenatore.

    – Allora evidentemente io sono di troppo, qui – disse Victor, piatto.

    Non voleva litigare, ma aveva i nervi troppo tesi per evitarlo.

    – Del resto, forse tu preferisci allenare un atleta di maggior talento, come Yuri.

    – È per questo che ci stiamo urlando contro, perché ero con lui per il punteggio?

    – No, perché è lui che vuoi allenare.

    – Ma dove le trovi tutte queste idiozie che tiri fuori durante le gare? – sbottò Victor. – Perché io davvero inizio a non sopportarle più!

    Davvero vorrei allenare Yuri? Davvero vorrei abbracciare Yuuri. Perché gli urlo addosso? Per questa maledetta caviglia. Per quel maledetto gorilla…

    Ecco, ora Yuuri stava piangendo come un ragazzino con la metà dei suoi anni.

    Victor mise le mani avanti. Voleva scusarsi. Voleva afferrarlo e stringerlo a sé. Voleva…

    Ma Yuuri scosse il capo, si girò e corse via.

    E Victor, semplicemente, non poteva seguirlo.

*

    Aveva ragione il nonno. Non avrei dovuto venirci proprio, qui.

    Era terribile starsene così da schifo in un posto in cui era impossibile stare da soli.

    Quello era, senz’ombra di dubbio, il giorno peggiore della sua vita. Peggiore di quello in cui aveva capito che sua madre non sarebbe mai più tornata. Peggiore di quello in cui i compagni di scuola, quando aveva otto anni, avevano trovato una foto di lui durante una gara e lo avevano preso in giro per il costume, dandogli della femminuccia. Peggiore dei terribili primi giorni a San Pietroburgo, quando Yakov sembrava una divinità malevola e lontana e lui non aveva altra possibilità che lottare o morire nel tentativo. Allora aveva sempre avuto la rabbia su cui contare. La rabbia verso qualcuno o qualcosa.

    Adesso invece si faceva schifo. In modo totale.

    E in tutto il giorno non aveva trovato un posto per sbattere ripetutamente la testa contro uno spigolo o per impiccarsi.

    La cosa peggiore di tutte era stata la premiazione.

    Lo sguardo di Yakov, di Victor, di Mila per non parlare di quello di tutto il team russo la diceva lunga su cosa pensassero di quell’argento, dietro al Canada. La Russia era abituata a scalare la classifica del medagliere, ma, decimata com’era, ogni medaglia era preziosa. E la gara a squadre del pattinaggio era considerato un oro sicuro. Sicuro. Se non che quel cretino del diciassettenne aveva fatto tutta la pista di sedere. Se fossero arrivati anche dietro agli Stati Uniti, avrebbero dovuto portare a Mosca la sua pelle. Non che non l’avessero rischiato. Ma Mila, al contrario di lui, aveva pattinato bene. Anche così Yakov aveva dovuto giustificarlo davanti ai giornalisti dicendo delle emerite cazzate sulla giovane età e la tensione emotiva. A Victor avevano chiesto se fosse deluso e se non avrebbe preferito eseguire entrambi i programmi. Lui aveva più o meno eluso la risposta, ma il suo sguardo sulla medaglia diceva tutto.

    – Adesso ti tocca impegnanti davvero nel singolo – gli aveva detto Yakov.

    – Siamo sinceri, era la mia ultima possibilità di portare a casa un oro – aveva risposto Victor, laconico.

    Lo stesso Victor che per tutta la sera Yuri aveva cercato di ignorare in una camera grande poco più di un loculo. Di cui aveva cercato così ostinatamente di evitare lo sguardo. Perché, maledetto vecchio, aveva ragione. Non si fidava più del ghiaccio, di se stesso e degli altri…

    Rigirandosi nel letto, Yuri cercava con tutto se stesso di dare la colpa a Otabek.

    Beh, è colpa sua.

    Hai il cellulare pieno di donne nude?

    Il che modo questo ti fatto sentire autorizzato a cacciarmi la lingua in bocca?

    Non ce n’erano, ovviamente. Ma quello che gli piaceva guardare o pensare mentre si faceva una sega erano fatti suoi e di nessun altro. A lui non interessava il resto. Stare con qualcuno. Avere una relazione. Voleva pattinare nel miglior modo possibile e rendere fiero suo nonno. E basta. Non gli serviva altro. Non gli serviva Otabek. Non certo un Otabek impazzito che lo baciava.

    In realtà, una parte di lui, quella profonda e che il più delle volte non voleva ascoltare, stava piangendo. Non per quella stupida medaglia d’oro perduta. Per il sorriso che il kazako faceva sempre quando lo vedeva, così prezioso perché tanto poco abituale per lui. Per i posti seri in cui finivano per andare e le cose che Otabek gli raccontava, che Yuri non capiva del tutto, ma non aveva importanza, era comunque bello sentire il suono della sua voce. Per la sensazione che provava quando lui gli posava una mano sulla spalla. Per la solitudine che sentiva ora al pensiero di averlo perso. Per il ricordo della più bella settimana della sua vita, pur in un anno di merda. Per quella sensazione traditrice e vigliacca che gli aveva lasciato il suo ultimo messaggio.

    «Dammi pure tutte le ginocchiate che vuoi, ma non pattinare mai più così».

    Di colpo sentì un urlo.

    D’istinto, accese la luce e saltò in piedi.

    Nell’altro letto, il compagno di squadra era seduto, con il respiro affannoso e il sudore che gli colava alle tempie.

    – Victor? – chiese Yuri, incerto.

    L’altro si guardò intorno, spaesato, e poi si prese la testa tra le mani, cercando di regolarizzare il respiro.

    – Victor…?

    – Un incubo… Scusa – Faceva ancora fatica a respirare. – Ti ho svegliato? Che ore sono?

    – Le due, ma non dormivo… Stai bene? – chiese.

    Non sembrava proprio. Anzi. Pareva sul punto di svenire.

    E adesso che  faccio?

    – Un attimo e sarò a posto… Era parecchio che non mi capitava. Mi spiace.

    – Non sembri un tipo da incubi.

    – No? – adesso era vagamente ironico.

    Un buon segno, sperò Yuri.

    Aveva il cuore che ancora martellava per lo spavento. 

    – Che incubi ha un atleta come te? – chiese invece.

    Nella testa di Yuri c’erano due Victor. Il tipo dal curioso mix di fascino e stranezza con cui potevi chiacchierare a fine allenamento, quello che si dimenticava cosa aveva detto il giorno prima e girava con un peluche, e l’atleta che non sbagliava mai. Yuri lo aveva visto gareggiare depresso, arrabbiato, dolorante, giù di forma, non l’aveva visto vincere sempre, ma non l’aveva mai visto buttare via una competizione. Quali incubi poteva avere durante un’olimpiade un atleta così?

    Ma sull’altro letto, con ancora le mani che stringevano la trapunta come se ci si volesse aggrappare, Victor si limitò a scuotere il capo.    

    – Cadere. Continuare a cadere, per sempre.

    – Tu non hai paura di cadere.

    – Tutti noi che ci sforziamo di volare abbiamo paura di cadere, Yuri.

    Anche Yuri scosse la testa, perplesso.

    – Spengo la luce? – chiese.

    – Sì.

    Nel buio, tuttavia, lo sentiva rigirarsi nel letto.

    – Victor… – provò.

    Tanto non sarebbe riuscito a dormire comunque.

    – Sì?

    Forse, pensò Yuri, certe cose era meglio dirle al buio.

    – …Sei arrabbiato per oggi? – chiese.

    Sentì un sospiro.

    – Mi piace vincere. Ma non potevi pattinare bene, oggi, nello stato in cui eri. E, dopo tutto, sei tu quello pieno di lividi, adesso.

    Yuri si aspettava una domanda sul cosa gli fosse successo. Yakov gliela aveva urlata contro e lui si era limitato a dirgli che aveva litigato con un amico. Victor non se la sarebbe bevuta. Ma non arrivò nessuna domanda.

    Forse si è addormentato.

    Però continuava a sentirlo muoversi.

    Forse poteva osare un’altra domanda. Dopo tutto Victor aveva di certo esperienza in quel genere di… Di cose, ecco.

    – …Victor?

    – Sì?

    – Ti è mai capitato… Ecco, tu sei stato più o meno single per parecchio…

    – Più o meno?

    – Ecco… Ti è mai capitato che qualcuno… Una persona volesse qualcosa… Di più, mentre tu avresti preferito fermarti all’amicizia?

    Ecco. Era riuscito a formulare il tutto senza accennare al genere o, peggio, a Otabek. Nel buio, in quel modo vago, faceva tutto meno paura.

    – Sì, certo.

    Ah.

    – E ci sei riuscito? A rimanerci amico.    

    – Direi di sì. È Chris.

    – Chris?

    Quel maniaco. C’era da aspettarselo. E in effetti non è che ci fossero molti altri candidati. Victor, che sapesse Yuri, aveva molti conoscenti e pochissimi amici.

    – Come ci sei riuscito? A rimanerci amico.

    – Dicendoglielo. Non ci sono davvero altre vie che funzionino, a parte l’onestà, nei rapporti tra le persone.

    – E… Gli hai spezzato il cuore?

    – Il suo? No, di certo non il suo.

    Bene. Questo era rassicurante. Lo era?

    – Però… – la voce di Victor tornò, incerta, nell’oscurità. – Io e Chris volevamo cose diverse. Se però capitasse… Una persona che davvero ti piaccia e voglia il tuo bene… Ecco… Siamo creature piuttosto solitarie, noi atleti di sport individuali, e non molto trattabili. Quindi non è poi così facile incontrare quella persona. E i rimpianti, alla lunga, fanno più male dei vecchi infortuni.

    Che voglia il tuo bene.

    Dammi pure tutte le ginocchiate che vuoi. Ma non pattinare mai più così.

    – Victor…

    – …

    – Se tu avessi incontrato Yuuri in un altro momento, a inizio carriera, ti saresti comportato diversamente?

    – Mollare tutto per scappare in Giappone e fare quell’uscita in conferenza stampa? Probabilmente no… E sarebbe stato un peccato… A volte è quando senti di non avere più nulla da perdere riesci a fare le scelte giuste, anche se da fuori possono sembrare folli. Ma, insomma, ci sono anche altri modi, più discreti, per vivere una relazione.

    Questo fece sogghignare Yuri.

    – Tu e la discrezione non andate molto d’accordo.

    – No, temo di no.

    – Però non la capisco.

    – Cosa?

    – Questa fissazione dell’amore. Non si potrebbe…

    – Scopare e basta?

    – Sì… No! Bastare a se stessi?

    Yuri sentì l’altro ridere.

    – Decidere di fidarsi significa accettare la possibilità di essere feriti e non è facile – disse dopo un poco Victor, serio. – Ma alla lunga la solitudine diventa il peggiore degli avversari. Finisci per pensare di poterla sconfiggere solo con un salto, dove non ci sia il ghiaccio su cui atterrare.

    Era a questo quello a cui pensavi, Victor, dopo il tuo ultimo titolo mondiale, quando non sorridevi più neppure mentre pattinavi?

    – … Yuri?

    – Sì?

    – Grazie.

    – Eh?… E di che cosa?

    – Di avermi fatto parlare. Non è stato un bel momento, per me, prima.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 – Ricerca d'equilibrio ***


ANGOLINO DELL'AUTRICE: anche se su livelli infinitamente più bassi rispetto a questi e in una disciplina del tutto diversa, sono stata un'adolescente atleta, di quelle che si devono allenare tutti i giorni, incastrando scuola e vita sociale tutto intorno ad allenamenti e gare. Non sono mai riuscita a qualificarmi per una gara internazionale e la migliore delle mie amiche ha partecipato a dei campionati europei (tra l'altro, volendo, io avevo un Victor come allenatore, un bel ragazzo che aveva appena abbandonato le competizioni, e lei decisamente uno Yakov). Tutte sognavamo le Olimpiadi, pur sapendo che era un sogno impossibile per me e improbabile per la migliore di noi. Ebbene, scrivendo questa storia mi sono accorta che le Olimpiadi, sopratutto per chi, come me, ha un po' il carattere di Yuuri, sono un incubo. Sono almeno quindici giorni di tensione, magari dividi la camera col tuo peggior avverario o con qualcuno che non sopporti, con una tensione che, chi pratica sport minori, non conosce in altri momenti, perché anche un campionato mondiale avrebbe giusto un trafiletto sul giornale, mentre ogni medaglia olimpica è da apertura del telegiornale. Per la serie, a volte la scrittura porta via anche i rimpianti...
Una cosa curiosa accaduta durante la prima stesura, invece, è questa, a riprova che questi personaggi, più di altri che mi sono trovata a trattare, hanno più controllo di me su ciò che accade. Avevo completamente dimenticato che Chris compie gli anni durante le Olimpiadi. Lui no, evidentemente, e invitava qualcun altro a pranzo proprio il 14 febbraio...
Grazie di avermi sopportato e buona lettura!




    Poteva andare peggio.

    Dal corto della gara a squadre fino a quella mattina Victor si era allenato solo in palestra e in piscina per non sovraccaricare la caviglia. A quanto pareva, però, riusciva ancora a pattinare. Saltava anche decentemente, a parte il terribile atterraggio del Lutz che quasi aveva fatto concorrenza a quello di Yuuri. Il fatto che Yakov fosse stato più preoccupato che arrabbiato la diceva lunga. Beh, la caviglia non poteva certo migliorare, ma poteva ancora sperare che reggesse, più o meno, fino alla fine.

    Adesso la parte facile è andata. Ora devo parlare con Yuuri.

    Il giorno prima avevano comunicato solo via chat. Chi aveva organizzato le loro giornate con gli incontri tecnici, fisioterapisti, massaggiatori e medici doveva essersi impegnato per evitare che si potessero incontrare. E Victor, che su certe cose si sentiva ormai un dinosauro, non riusciva davvero ad aprirsi davanti a uno schermo di cellulare. 

    La verità è che questo posto inizia ad essere oppressivo e io non ho più l’età per reggere quindici giorni di tensione.

    Sospirò. 

    Vorrei scappare. Ci sarà pure un posto dove rifugiarci…

    Prima di aprire la porta che dava sull’esterno del palazzetto di scoprì ad esitare.

    E se c’è di nuovo quel tipo?

    Al diavolo, anche vigliacco sono diventato, adesso.

    Non c’era nessun energumeno ad aspettarlo fuori.

    C’era Yuuri. Dietro di lui c’era un taxi con la portiera aperta.

    – Sali – disse il giapponese. – Ti rapisco.

    Come fa a sapere sempre quello di cui ho bisogno?

*

    Yuuri si concesse di rimanere ancora nel letto e osservare Victor.

    Il compagno guardava il mare, fuori dalla finestra. Aveva ancora la schiena nuda. C’erano attaccati quei grossi cerotti che rilasciavano calore, per il di dolore, e si vedeva un livido che parlava di un atterraggio infelice, quella mattina. A Yuuri faceva male vedere quei segni, eppure, in qualche modo, era tutto perfetto.

    Quello era un momento fuori dal tempo e dallo spazio, che andava assaporato come tale. Come se non fossero in una località marina dal nome impronunciabile nel bel mezzo di quella follia sportiva chiamata olimpiade. Andava assaporata senza neppure pensare a quella medaglia mancata di cui, alla fine, Yuuri aveva avuto pochissima colpa, dato che la migliore pattinatrice della nazionale giapponese aveva finito per lasciare il menisco sull’atterraggio sbagliato del primo salto, finendo ultima e portando con sé ogni velleità che la propria nazione poteva aver avuto.

    L’idea gliela aveva data Phichit. Del resto, con la fidanzata che alloggiava fuori dal villaggio olimpico insieme alla sorella, aveva più o meno i suoi stessi problemi e con fare cospiratorio gli aveva passato l’indirizzo di quel quattro stelle proprio sul mare dove si poteva prendere una camera per mezza giornata. 

    Dopo più di una settimana di villaggio olimpico, quel minimo di comodità era sembrata loro quasi opulenza. 

    Yuuri si era fatto prestare una stampella. Aveva il terrore che Victor si sarebbe offeso, invece era sembrato davvero felice di poter saltellare sul lungo mare ventoso senza dover far finta che andasse tutto bene. Una volta accertatosi che non vi fossero giornalisti in agguato aveva claudicato gioioso tra le bancarelle e la spiaggia, entusiasmandosi per ogni sciocchezza. Per la prima volta da che erano arrivati in Corea, Yuuri aveva visto il fidanzato rispolverare quel lato infantile del proprio carattere che, in fin dei conti, era uno dei motivi per cui lo amava. Del resto non poteva aspettarsi niente di diverso. Con Yurio così evidentemente in crisi e Yakov sotto pressione, Victor non aveva altra scelta che mostrarsi forte. Se poi ci si metteva anche lui con le sue crisi di insicurezza, non c’era da stupirsi che avessero finito per litigare. Ma non era difficile far pace con Victor. Una stampella, una spiaggia…

    A volte, quello che ci serve è così poco… 

    Eppure è così difficile che qualcuno lo capisca…

    Avevano mangiato nel ristorante dell’hotel e finalmente avevano avuto una stanza tutta per loro, senza nessun diciassettenne in piena crisi adolescenziale che rischiava di entrare da un momento all’altro.

    C’era una parte di Yuuri che era un po’ offesa con se stesso per il fatto che il sesso migliorasse in modo così evidente il suo umore. Gli sarebbe piaciuto essere un po’ meno dipendente dalla parte meramente fisica dell’amore. Ma tant’era, e si godeva il momento.

    Il camera c’era il necessario per farsi un the. Victor ne aveva una tazza in mano e l’aroma si spandeva nell’ambiente.

    Vada come vada la gara, questo rimarrà uno dei ricordi migliori dell’olimpiade.

    – Yuuri… C’è qualcosa che devo dirti… Dal mondiale dell’anno scorso, credo.

    Il giapponese inarcò un sopracciglio.

    Non era mai un buon segno quando Victor parlava senza guardarlo.

    Che cosa c’è che non va?

    – Io… – iniziò Victor, incerto, sempre guardando il mare. – Mi sono reso conto di non essere del tutto onesto con te, come tecnico.

    – Non valgo abbastanza come atleta.

    – Cosa? No!… Ti prego, lasciami parlare… 

    Adesso Yuuri era davvero teso. Sembrava una cosa maledettamente seria.

    – Io… Dal mondiale… Come tecnico so perfettamente quali siano le tue potenzialità e dovrei spingerti a esprimerle tutte. Un allenatore dovrebbe sempre portare un atleta un po’ oltre rispetto a quello che lui ritiene il proprio limite. Dovevo allenarti per il quadruplo Axel. E hai ragione sulla difficoltà del libero. Ma non puoi provarlo in gara, con quel quadruplo Lutz finale. Perché è vero che non sei più un ragazzino e non quindi non puoi più improvvisare. Dovevamo parlarne e dovevo fartelo fare in allenamento. La tua caduta di ieri è colpa mia…

    – Victor, ero io sul ghiaccio…

    Non era davvero quello che Yuuri si era aspettato. Cosa…

    – Sono egoista, Yuuri. In parte volevo tenere quel maledetto salto per me. E in parte… Ho il terrore che tu ti faccia male. Un allenatore dovrebbe mettere in conto, entro certi limiti, la possibilità di un infortunio. Ma io non voglio vederti arrivare a fine carriera come me. Non voglio vederti piangere di dolore o non riuscire ad alzarti, al mattino… Non voglio essere io a spingerti a questo, anche se dovrei… Non credo di poter essere più il tuo tecnico.

    Yuuri scese dal letto e corse ad abbracciarlo. 

    Victor appoggiò la testa contro la sua e il giapponese si rese conto che c’erano delle lacrime sulle sue guance.

    – Non penso che nessuno mi abbia mai detto «ti amo» con questa intensità – disse Yuuri, sincero. – Ma non posso pensare a nessun altro come mio allenatore.

    Non aveva mai pensato a quell’aspetto del loro rapporto. Al fatto che un allenatore, per spingere un atleta al massimo debba necessariamente esporlo a dei rischi sul piano fisico. E che Victor, che aveva fatto così tanto per portarlo al top, si scoprisse a preferire la sua incolumità piuttosto che le sue vittorie. Per tutto quel tempo, nel profondo di se stesso, Yuuri aveva pensato che Victor non lo avrebbe potuto amare se non vincente. Che, forse, una volta ritiratosi, avrebbe perso di fascino ai suoi occhi.

    – Ti prego, resta il mio allenatore – sussurrò, come aveva fatto anni prima, in aeroporto, dopo la tappa russa del Grand Prix.

    – Però promettimi di essere sempre onesto su come ti senti. Promettimi di ritirarti prima che il tuo fisico ne sia compromesso per sempre.

    – Te lo prometto.

    In realtà Yuuri aveva pensato di ritirarsi dopo il mondiale. Non era pensabile per lui mantenere a lungo il livello di quelle ultime stagioni. Non senza rischiare di farsi male sul serio.

    È che ho il terrore di cosa ne sarà di noi, dopo. Sapremo davvero vivere senza tutto questo?

*

    Il McDonald del villaggio olimpico non era proprio il posto migliore per parlare con Otabek. Ogni volta che avevano gareggiato insieme in giro per il mondo, da che erano diventati amici, Yuri aveva finito per entrare in qualche locale storico di cui l’altro sapeva tutto, per sentirsi raccontare che cos’era successo lì, quale congiura era stata ordita o quale opera che lui mai avrebbe letto vi era stata scritta. A Mosca era stato il kazako a fare a lui da guida turistica.

    E adesso non accadrà mai più.

    Otabek guardava con intensità la propria bevanda nel bicchiere di quella carta plastificata che dava a qualsiasi cosa il proprio sapore. Se fosse stato un gatto, sarebbe stato del tutto immobile, salvo per la coda, che avrebbe continuato a ondeggiare nervosa.

    – Io… Possiamo rimanere amici?

    Yuri lo disse tutto d’un fiato, senza guardarlo, fissando le proprie mani appoggiate sul tavolo di plastica rossa.

    – Quindi non vuoi più ammazzarmi?

    Yuri alzò lo sguardo. Otabek aveva quella capacità di rendersi impenetrabile, con la sua espressione decisa che poteva voler dire qualsiasi cosa.

    – Eh?

    – Mi tiri calci nelle palle. Mi butti giù in allenamento. La mia era una deduzione logica.

    Non che tu non ci abbia messo del tuo, però.

    – Io voglio solo che tutto torni come prima.

    Otabek bevve un sorso del suo the.

    – Dipende. Sei innamorato di un’altra persona?

    Io non sono innamorato. Punto. Rivoglio il mio migliore amico.

    – No.

    – E allora temo che non sia possibile.

    – E perché mai?

    – Perché è passato un certo tempo tra quando ho iniziato a baciarti a quando tu hai iniziato a scalciare. Quindi ho il sospetto che ti sia piaciuto. Di certo è piaciuto a me. E questo, in un’amicizia, è un problema. Grosso.

    Otabek terminò di bere. Accartocciò il bicchiere e lo gettò nell’apposito cestino.

    – Stammi bene, Yuri – aggiunse, prima di andarsene.

    E io cosa dovrei dire o fare adesso?

*

    Victor batteva il tempo con le mani, mentre Yuuri si allenava.

    Certo, non avrebbe dovuto essere lì. Una delle cose che aveva promesso, prima dell’olimpiade, era che avrebbe pensato solo a se stesso e alla propria squadra, senza favorire alcun atleta straniero, quali che fossero i suoi rapporti professionali o personali. In fin dei conti, però, nessuno del team giapponese aveva interesse a rivelarne la presenza. Era evidente che volevano tutti bene a Yuuri e volevano per lui la migliore performance possibile. Il giapponese aveva anche ragione quando diceva che il tecnico federale, Tamura, era una brava persona, ma era del tutto impreparato a gestire atleti di quel livello. Anche il compagno di stanza di Yuuri, Kenijrou, aveva dei buoni margini di miglioramento, se solo qualcuno si fosse degnato di dirgli cosa fare.

    Beh, non posso essere io.

    Dare una sistemata al libero di Yuuri era un conto, aiutare un atleta avversario a cui non doveva nulla era quasi tradimento.

    Da quando mi piace così tanto dire agli altri come pattinare?

    – Allora, come ti sembra? – disse Yuuri, venendo a fermarsi davanti a lui.

    Aveva il viso arrossato e grondante di sudore, ma gli occhi brillavano di soddisfazione.

    Una risposta sincera su come gli sembrasse Yuuri avrebbe comportato delle azioni del tutto fuori luogo.

    – Bene. Adesso abbiamo la giusta successione di elementi tecnici e riesci ad arrivare in fondo senza temere un infarto – sorrise Victor. – L’ultimo salto dovrai decidere al momento come farlo, se rischiare o no. Spesso alle olimpiadi le prestazioni sono imbarazzati. La tensione c’è per tutti. A volte non vale la pena di forzare A Soci ho fatto 185 nel libero. Da vergognarsi, ma ho vinto lo stesso.

    – Negli ultimi quattro anni, però, il livello si è alzato. Anche per colpa tua.

    – Per colpa nostra – rettificò Victor. – Una volta solo io e Chris, in una giornata particolarmente buona, superavano il 300 di totale, adesso per te è la norma, per Yuri e J.J. è solo una questione di testa farlo o no e anche Otabek ci si avvicina spesso.

    Yuuri arrossì al complimento. 

    Victor ne avrebbe approfittato volentieri per rubargli almeno un bacio, ma si avvicinò Tamura.

    – Con questo si va sicuro a medaglia – disse.

    – Con questo, e un po’ di fortuna, si vince – rettificò Victor.

    Tamura lo guardò non del tutto convinto.

    Come molti altri, lo considerava ancora l’avversario da battere e lui odiava doverli contraddire con i fatti.

    – Si dice anche che il canadese tenterà il quadruplo Axel – continuò l’allenatore.

    Ecco. Perfetto.

    Distruggersi una gamba solo per essere il secondo al mondo ad essere riuscito a fare quel salto in gara. Che patetica fine di carriera.

    – Tentare è una cosa. Riuscirci è un’altra – si limitò a dire. Meglio pensare ad altro. – Vai a cambiarti, Yuuri, Chris ha scoperto un ristorante decente fuori dal villaggio olimpico e su questo aspetto è sempre affidabile. Ci ha invitato a mangiare con lui.

    – È il suo compleanno – disse Yuuri, sorridendo.

    – Davvero?

    Come diavolo faceva la gente a ricordarsi tutte quelle informazioni inutili come i compleanni? Dall’occhiata che gli lanciò il compagno, però, ricordarsi quelle assurdità era considerata una competenza di fondamentale importanza.

    – Beh, non credo che gli faccia piacere ricordargli che sta invecchiando – cercò di recuperare.

    Cos’è che si faceva in simili occasioni? Auguri? Regali? Di sicuro Chris non poteva aspettarsi niente di simile. Non da lui, almeno. L’unica cosa che importava era che il posto fosse decente.

 

    Lo era. A loro si erano uniti anche il tailandese e la sua fidanzata e il ragazzino cinese dallo sguardo sperduto, Guang-hong Ji. Tra tutti, riuscirono a far sembrare anche Yuuri rilassato. In allenamento aveva pattinato divinamente, ma la tensione era sempre la sua bestia nera e le Olimpiadi, in ogni caso erano le Olimpiadi. Nessuno, neppure il più esperto degli atleti, poteva sapere come avrebbe reagito. Lo stesso Victor sapeva solo cosa non poteva fare.

    – Ehi, Vecchio, non ti immalinconire – lo riscosse Chris. – Hanno del vero vino italiano, assaggia.

    – No, meglio di no.

    Con tutti i farmaci che stava prendendo non era proprio il caso.

    L’amico lo guardò con attenzione.

    Gli altri tre si erano messi d’impegno a spiegare a Janine le differenze tra un salto e l’altro, ognuno portando come esempio dei video con le loro prestazioni. Yuuri sembrava stupito di trovarne in rete più degli altri.

    – Cosa c’è che non va? – gli chiese Chris, a bassa voce.

    Victor voleva solo scuotere la testa, ma poi si trovò a parlare suo malgrado. Di certo, se lo avesse saputo, Yuuri lo avrebbe sgridato. Non è così che ci si comporta con il festeggiato.

    – Ci sono dei tizi, nella squadra russa, che stanno cercando di innervosirmi o anche di spaventarmi e un po’ ci stanno riuscendo. Ho una caviglia rotta. Devo in qualche modo dimostrare a Yakov che ha avuto senso lottare così tanto per portarmi, sopratutto dopo che abbiamo perso l’oro a squadre. Se crollo io crolla anche Yuuri… Ci sono già andato vicino…

    Chirs sorseggiò un po’ del proprio vino, serio.

    – Il tuo ragazzo è forte – disse. – Sinceramente, all’inizio non capivo perché anziché limitarti a portartelo a letto volessi anche allenarlo, sembrava una causa persa e invece… Guardalo lì, il campione del mondo. Pensa un po’ a te stesso e alla tua gara, adesso. Non rischieresti una gamba se tu non avessi un asso nella manica, sbaglio?

    – Potrei, dipende…

    – Victor, sono l’unico qui, ad averti visto pattinare male in gare importati, ma è successo molto poco e molto tempo fa. Prima di scendere sul ghiaccio pensa a qualcosa che ti fa arrabbiare e stendili tutti.

    Questo fece sorridere Victor. Chris aveva ragione. C’erano state delle volte in cui prima di esibirsi aveva pensato a quanto gli sarebbe piaciuto dargli un pugno in faccia. All’ultima olimpiade, ad esempio. Lo aveva mai detto a Chris che quel suo oro era colpa sua?

    – Per l’altra questione dipende da quanto è seria – aggiunse lo svizzero.

    Victor si strinse nelle spalle.

    – Non c’è una squadra russa alle olimpiadi. Metà degli atleti sono a casa. Fai un po’ te.

    – Tu hai a che fare con quello che è capitato?

    Victor sospirò…

    – Ho passato dei documenti alla commissione d’inchiesta. Dovrò anche testimoniare a uno dei processi, più avanti.

    Chris si concesse una sorta di basso fischio.

    – Lo sanno, quelli che ti stanno minacciando, che devi testimoniare?

    – In teoria no, ma in Russia basta pagare per ottenere informazioni.

    – E allora gareggia e poi torna subito in Giappone. Che cosa mai potrà succedere dentro il villaggio olimpico? …Aspetta, voi russi siete quelli col servizio segreto che avvelena i potenziali traditori?

    Quella di Chris voleva essere una battuta, ma nel momento stesso in cui la pronunciava nella sua voce si era fatta strada la preoccupazione.

    – Non sono io l’unico che testimonierà – buttò lì Victor. – Non valgo certo il veleno di una spia.

    Ma non ne era più tanto sicuro.

    Cosa mai potrà succedere nel villaggio olimpico?

*

    Affidarsi a qualcuno…

    Sapere che comunque vorrà il tuo bene…

    Yuri stava provando per la millesima volta i movimenti e i passi del libero.

    Stammi bene, Yuri.

    Perché diavolo continuava a sentirsi in testa la voce di Otabek?

    – Yuri! – sbraitò Yakov. – Vedi di darti una svegliata o ti faccio fare a pedate nel sedere tutta la strada da qui a San Pietroburgo.

    – Non è che non mi stia impegnando! – replicò il ragazzo, arrabbiato.

    Io non ce l’ho proprio questa cosa che serve.

    O, se ce l’ho, non la voglio avere.

    – Ah… Vieni qua – borbottò l’allenatore, in tono più calmo.

    Perplesso, Yuri si avvicinò al bordo pista.

    Si sentiva maledettamente in colpa nei confronti di Yakov. Non aveva ricevuto neppure la metà degli insulti che sentiva di meritare. Quella, per certi versi, era la cosa peggiore.

    – Ascolta – disse l’allenatore, serio, ma senza un filo di rabbia. – L’olimpiade fa paura a tutti. Nessuno di loro sa cosa combinerà sul ghiaccio, domani.

    – Lo so – replicò Yuri.

    Lo sapeva davvero. Persino Victor si svegliava urlando nella notte. Non era lui ad essere debole.

    – Bene. Nessun altro di loro ha fatto un record del mondo prima dei sedici anni. Neppure Victor. Tu sei forte. 

    – Lo so di essere forte.

    – No, non lo sai. Essere forte significa anche sapere quando affidarsi agli altri.

    E questo cosa vuol dire?

    «Pensa alle mani che vorresti ti afferrassero, se stessi cadendo davvero» aveva detto Victor.

    «Tutti abbiamo paura di cadere».

    – Un’ultima cosa, Yuri, prima di farti provare di nuovo – aggiunse Yakov. – Io sono forte. Ma mi sono esposto molto per portarvi, tutti quanti. Con le tue ultime prestazioni non eri certo una scelta sicura. Ma mi fido di voi. Tu, Victor e Mila non mi lascerete cadere.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 – il corto della gara individuale ***



ANGOLINO DELL'AUTRICE.
Ed eccoci finalmente arrivati all'inizio della gara individuale: che fatica! Il capitolo è lungo, ma spezzarlo non mi sembrava la cosa migliore, spero abbiate la pazienza di leggerlo, percependo tutta la tensione e la trepidazione che provano i nostri protagonisti.
Come già detto in occasione della gara a squadre, dovendo dare conto dei punteggi ottenuti sulla base dei programmi svolti ho dovuto seguire più la realtà che l'anime. Durante l'olimpiade 2018 il record del mondo vigente per il programma corto era intorno ai 113 punti, ben lontano quindi da quello di Yuri nell'anime. I punteggi che troverete qui, quindi sono basati sui risultati reali delle Olimpiadi. Diciamo che il principio è stato: se una cosa non l'ha fatta neppure Yuzuru Hanyu, allora non la possono fare neppure i miei personaggi (c'è da dire che nel tempo Hanyu ha gareggiato infortunato, rotto, ferito, malato, dandomi un'ampia casistica di riferimento...)
Buona lettura!



Come la prima sera, Yuuri guardava fuori dalla finestra. Adesso quasi tutti gli atleti, lui e Ken compresi, avevano appeso fuori dalla propria camera la bandiera della propria nazione. I tristi palazzoni grigi si erano trasformati in coperte colorate fatte di pezze multicolore. Questo riusciva a rendere il paesaggio almeno un poco meno spettrale. In compenso si sentiva quasi l’aria che trasudava delle tensioni e delle aspettative delle persone che in quei palazzi erano stipate. Ognuna con i propri sogni e le proprie paure.    

    E domani tocca a noi. La mia unica olimpiade. L’ultima gara di Victor. In ogni caso, la nostra vita cambierà per sempre.

    La scorsa olimpiade l’aveva guardata in tv, da Detroit. Lui e Phic, in un momento improbabile della giornata dovuto al fuso orario. Per non perdersi niente lui aveva saltato tutte le lezioni universitarie.

    Era strano tornare a quei ricordi con la consapevolezza dell’oggi.

    …

    – La prossima volta saremo lì noi, insieme – aveva detto Phic, sedendosi al suo fianco e passandogli una confezione di popcorn, come se fossero al cinema.

    Lui non aveva risposto. Dentro di sé aveva scosso la testa. Aveva ventidue anni. Il momento di essere all’olimpiade era quello. A quella successiva, a ventisei anni, sarebbe stato vecchio. I pattinatori hanno la stessa aspettativa di vita agonistica di una falena che danza con la luce.

    E invece avevi ragione.

    Phic si era seduto di fianco a lui sulla poltrona, facendosi largo con il proprio corpo. Per la prima volta Yuuri era stato consapevole della fisicità del suo compagno di allenamento. Esile come un folletto e a suo modo bello. Il giapponese era arrossito e aveva guardato con estrema attenzione i suoi chicchi di mais esplosi, mentre il tailandese, ignaro di tutto, si metteva comodo. Senza in alcun modo volerlo, Yuuri aveva fantasticato per un attimo di allungare una mano ad accarezzargli i capelli e poi si era alzato con la scusa di andare a prendere qualcosa da bere per entrambi.

    – Iniziano – lo aveva chiamato l’amico che in quel momento aveva smesso completamente di esistere nella testa di Yuuri.

    Adesso, Yuuri non aveva idea di cosa ne fosse stato della maggior parte di quei pattinatori. Atleti che, proprio come sarebbe capitato a lui, per la maggior parte avevano preso parte solo a un’olimpiade. Avevano gareggiato bene un anno o due e poi erano spariti. Adesso molti di loro si erano ritirati. Alcuni, pochi, erano rimasti nel mondo del pattinaggio. Altri facevano vite del tutto ordinarie da cui era impossibile capire che una volta avevano volato dentro una notte olimpica. 

    Solo la parte alta della classifica comprendeva nomi che avevano ancora un senso per Yuuri. Gli ultimi tre ad esibirsi erano stati Georgi, Victor e Chris.

    Georgi… Per Yuuri, all’epoca, era semplicemente «l’altro russo». Doveva essere stato «l’altro russo» per un sacco di persone e per un sacco di tempo. Doveva essere stato terribile essere per tutta la carriera «l’altro russo». Fosse nato in qualsiasi altro stato stato sarebbe stato per anni il campione nazionale. Invece aveva avuto la sfortuna di essere russo e coetaneo di Victor. Aveva pattinato bene, molto bene, eppure, per quanto Yuuri ne ammirasse la tecnica e l’interpretazione gli aveva augurato con tutto il cuore di fare meno punti di Victor. Chissà quanti altri glielo avevano augurato.

    Povero Georgi. Non avevo mai capito…

    Non aveva mai capito neppure quanto doveva essere stata dura per Victor tutta quella, giustificata, invidia. Non c’era stato nessun Phic, per lui, pronto a festeggiarne con sincerità i successi. A ogni allenamento, per anni, Victor era sceso in pista con gente che lo voleva morto. E condurre una carriera di quel livello per così tanto tempo voleva dire non avere una vita fuori dal ghiaccio. A Yuuri si strinse il cuore al pensiero di quanto fosse stato solo Victor, in quel periodo.

    Eccolo in pista. Yuuri ricordava come il cuore gli si era fermato quando lo aveva visto sul ghiaccio, col costume nero e rosso. C’erano stati dei sogni, poi, in cui Victor appariva con quel costume, mentre lui non aveva nulla addosso, il cui ricordo fece arrossire Yuuri.

    Non avevo capito niente di lui, allora.

    Si esibiva sulle note di Ivan il Terribile. Un tiranno che schiaccia gli avversari con la violenza.

    In realtà è da allora che hai iniziato a sentirti vulnerabile, vero? Quello che volevi raccontare era la solitudine del tiranno, non la sua rabbia. E un po’ ti scusavi per continuare a seguire la tua natura. Non hai mai voluto sconfiggere nessuno, solo essere il migliore, ma non si può vincere una guerra senza caduti…

    Era vero, non aveva pattinato benissimo, almeno per i suoi standard. Una mano sul ghiaccio, un quadruplo diventato un triplo, ma in realtà non se ne era accorto nessuno. Né Yuuri né Phic ci avevano davvero fatto caso. La forza interpretativa di Victor era tale che le imprecisioni sparivano.

    – Chissà cosa direbbe se vedesse pattinare noi? – aveva mormorato Phic.

    – In realtà dicono che sia sempre gentile con tutti.

    – Sì, come no. Secondo me guarda tutto il resto del mondo come se fosse fatto di scarafaggi.

    Era così raro che Phic esprimesse un giudizio negativo con qualcuno che Yuuri si era voltato a guardarlo. Come osava parlare così di Victor? Del suo Victor!

    Quanto ero patetico!

    – Perché dici una cosa del genere su una persona con cui non hai mai parlato?

    – Neppure tu ci hai mai parlato. Se lo facessi probabilmente ti deluderebbe tantissimo.

    – Non è possibile! Sono sicuro che Victor non potrebbe mai deludermi. Mai.

    Phic lo aveva guardato in modo strano, poi aveva scosso la testa e gli aveva sorriso.

    – Ti meriteresti davvero un abbraccio da parte sua, Yuuri – aveva detto. – Attraverseresti il fuoco per lui. È un peccato che non lo sappia.

    C’era una sorta di commiserazione affettuosa nello sguardo dell’amico.

    Eppure avevo ragione.

    Adesso sei una persona vera, Victor. E a volte sei snervante. A volte ti chiudi in te e non c’è modo di raggiungerti. A volte sei di un’ingenuità disarmante. Eppure non mi hai mai deluso. Mai.

    Un altro ricordo si sovrappose, più recente. 

    La prima volta che avevano fatto sesso, con quel lampo di panico che aveva attraversato gli occhi di entrambi. E se, dopo tutto il tempo che avevano aspettato, si fosse rivelato deludente? 

    Non lo era stato, naturalmente.

    Più tardi erano usciti dalla doccia insieme. Victor gli aveva tamponato i capelli con l’asciugamano, un gesto così intimo e delicato che aveva fatto sentire Yuuri del tutto protetto.

    – Avrei preferito farlo ad Hasetsu, in camera tua – gli aveva sussurrato Victor all’orecchio.

    Il sottotesto era anche «avrei preferito farlo mesi fa».

    Un brivido di disagio aveva attraversato Yuuri.

    – Dove tenevo tutti i poster che ti ritraevano? Sarebbe stato terribile.

    – Sei deluso, adesso, che io non sia il Victor che viveva nella tua mente?

    Yuuri si era appoggiato all’accappatoio morbido e poi al petto solido di lui.

    – Vuoi scherzare? Il Victor nella mia mente era noiosissimo, come tutte le cose perfette. Tu sei una persona vera.

    E Victor aveva emesso quel suo sospiro soddisfatto che Yuuri avrebbe imparato a conoscere e amare, di quando era insieme felice e vulnerabile.

    Una persona vera, sì, con tutti i difetti che abbiamo noi esseri umani, ma che non potrebbe mai deludermi.

    Due anni prima di quel momento, tuttavia, Victor esisteva ancora solo come perfetta idea platonica nella sua mente o come immagine in uno schermo televisivo.

    Era uscito il punteggio.

    Sul viso di Georgi si era dipinta un’espressione di puro odio di cui Victor non si era per nulla reso conto. Invece, era deluso per la propria prestazione.

    Ed eravate compagni di stanza. Vaglielo poi a spiegare, a quello a cui hai soffiato la medaglia, che ritieni di aver pattinato da schifo… E poi ti stupisci di essere così disperatamente solo…

    Per ultimo era sceso in pista Chris. Dallo sguardo di Victor, i loro rapporti non erano dei migliori. Yuuri non sapeva cosa fosse accaduto tra loro durante quell’olimpiade. Il fatto di ignorarlo voleva dire, probabilmente, che non era stata una cosa da poco, almeno agli occhi del russo.

    Chris aveva pattinato bene. Se non avesse sbagliato l’ultimo salto avrebbe soffiato l’oro a Victor. Così, invece, si era insinuato in quei tre punti che c’erano tra lui e Georgi.

    In fondo è proprio una brava persona, Chris. Pattinare sul filo del proprio limite e arrivare comunque secondo. Dietro a uno che ha tutta l’aria di volersi fustigare per quanto ha fatto schifo…

    Victor era rimasto freddo anche dopo, quando Chris era andato a stringergli la mano. Decisamente non era un problema solo sportivo. La faccia di Chris aveva quella tipica espressione che faceva lo svizzero quando cercava di ricordarsi dove avesse sbagliato.

    E poi eccoli sul podio.

    – Ci arriveremo mai? – aveva chiesto Phic.

    – Sul podio olimpico? Tu magari, io no di certo.

    Ci arriveremo mai?

    Che strano porsi ora quella stessa domanda. Che strano pensare a quanto fosse diversa la sua percezione, quattro anni dopo.

    Ci posso arrivare?

    Tamura ne era convinto. Ken ne era convinto. Victor ne era convinto.

    E Yuuri?

    Quello non era il Grand Prix, i Quattro Continenti o il Mondiale. Erano le Olimpiadi. Al solo pensiero gli tremavano le mani. Eppure… C’era un’altra parte di sé, una di cui quasi si vergognava e che tuttavia non poteva ignorare del tutto.

    Ci arriveremo mai?

    Insieme no, Phic. Mi spiace.

    Questa però può essere la mia occasione.

    L’unica.

 

    *

    – Andiamo a fare colazione? – chiese Yuri.

    – Inizia a scendere. Arrivo – rispose Victor.

    Eccoci qui. La mattina della mia ultima gara.

    Mattina… Con la gara che iniziava alle dieci, la sveglia era suonata molto prima dell’alba. 

    Meglio così.

    Se deve essere l’ultima, voglio viverne ogni istante. Anche quelli peggiori. Anche questo dolore un giorno mi mancherà.

    La caviglia gli faceva male. Avrebbe fatto in modo che il massimo effetto degli antidolorifici coincidesse con la propria esibizione, a costo di perdere un po’ di lucidità. Parecchia lucidità, probabilmente. Però la verità era che faceva male e che aveva fatto uscire Yuri perché non lo vedesse mentre si metteva la scarpa. Non avrebbe fatto bene a nessuno dei due.

    Sospirò.

    È la prima volta in una gara del genere che mi auguro che qualcuno pattini meglio di me

    Di fatto, l’unica gara importante a cui sia lui che Yuuri avevano partecipato entrambi era stata la finale del Grand Prix dell’anno precedente, poi Victor si era limitato a ottenere la qualificazione per le olimpiadi partecipando a una gara in Germania. A quella finale del Grand Prix, da egoista qual era, aveva pattinato per sé, per la propria rabbia, per la frustrazione che provava nel farsi tenere al guinzaglio dalla federazione russa.

    Adesso mi accontento di uscire di scena in maniera dignitosa.

    Se non posso vincere, voglio almeno che mi ricordino.

    Me ne andrò, ma non certo in silenzio. Non oggi.

    Qualcuno bussò alla porta.

    Yuri avrà dimenticato qualcosa.

    – È aperto – disse.

    Era Mila.

    Victor la guardò perplesso.

    Mila apparteneva a una generazione diversa dalla sua, non erano mai stati davvero amici e Victor sapeva che lo riteneva responsabile dei guai che aveva passato Yakov negli ultimi mesi. 

    – La caviglia ti fa male? – chiese la ragazza, vedendo il bendaggio rigido.

    – Sì, un po’.

    – Bene, mi sembra un’ottima scusa.

    – Per cosa?

    – Per pattinare male.

    – Eh?

    La ragazza si passò una mano nei capelli rossi.

    – Senti, Victor, io non dovrei essere qui – esordì, a disagio. – Il mio ex è nella squadra di hockey, ricordi? Metà dei titolari non è qui e stanno avendo dei problemi nel torneo. Inizia a girare voce che tu ne sia in parte responsabile. Già non avevano molta simpatia per quelli come te.

    – Quindi? – chiese Victor, duro.

    Sentiva tutti i muscoli che iniziavano a tendersi.

    – Quindi servivi per la gara a squadre e non sei stato abbastanza.

    – Non è stata colpa mia.

    Mila sospirò.

    – Io lo so. Per loro, un ragazzino ha dovuto portarsi un peso insostenibile perché tu volevi risparmiare le forze per il singolo.

    – Ah, sì?

    – Sì. Quindi se pattini male va tutto bene, ma se andrai bene… Victor io non posso farci niente, ma forse non vale la pena di pattinare bene, oggi.

    Victor si alzò e la abbracciò.

    – Grazie, Mila – disse. – Adesso so esattamente cosa fare.

    Prima di scendere sul ghiaccio pensa a qualcosa che ti fa arrabbiare e stendili tutti.

    Grazie anche a te, Chris.

 

*

    Otabek era solo, appoggiato al muro di fianco all’ingresso degli atleti del palazzetto, col cappuccio in testa e le cuffie nelle orecchie.

    Conoscendolo, era arrivato per primo, aveva allontanato in proprio allenatore e si era piazzato lì ad ascoltare e riascoltare la musica della propria esibizione.

    – Arrivo subito – disse Yuri agli altri.

    Non che lo considerassero.

    Anche se nessuno lo diceva, erano tutti preoccupati per la caviglia di Victor. In realtà, anche se non lo avrebbe ammesso neppure sotto tortura, era preoccupato anche lui. Era arrivato al villaggio olimpico augurando il peggio a Victor, ma quella mattina, quando poi era sceso a colazione e ci aveva messo tutto il tempo di un caffè per passare da uno sguardo cupissimo all’abituale sorriso che esibiva sempre quando aveva del pubblico, Yuri si era sentito pieno di qualcosa che poteva definirsi solo pena. Che lo volesse o no, non solo suo nonno era sinonimo di famiglia. Lo erano anche Yakov, Mila e Victor. C’era poi il fatto che tutti, in Russia, si aspettavano almeno una medaglia da quella gara. Quindi, se non avesse potuto essere Victor, toccava a lui. E se pattinava come aveva fatto nella gara a squadre, a forma di medaglia avrebbe avuto solo il buco che Yakov gli avrebbe fatto in fronte. Con un trapano a mano, in tutta calma.

    – Non stare fuori tanto e non fare cazzate – si limitò a dirgli Yakov.

    Cazzate?

    Un brivido di panico gli attraversò la schiena.

    Cazzate del tipo di quelle che Victor ha fatto con Yuuri. Baciarsi davanti alle telecamere, per dire.

    È questo che Yakov crede che potrei fare?

    Lo potrei fare?

    E come gli parlo adesso, con questo pensiero?

    Lo potrei fare?

    Non era quella la domanda più spaventosa.    

    Lo vorrei fare?

    … Forse è il caso di entrare…

    – Ah, Yuri…

    Troppo tardi, Otabek lo aveva visto.

    Sembrava… Tra l’incuriosito e l’infastidito. C’era anche qualcos’altro, che Yuri non sapeva decifrare.

    – Io… Cerca di pattinare nel migliore dei modi possibili, oggi – disse Yuri, tutto d’un fiato.

    Sul viso del kazako apparve l’ombra di un sorriso.

    È bello. L’ho sempre pensato. Ma me ne accorgo solo adesso.

    – Se cadi, ti riempio di pugni – replicò Otabek.

    – Ti piacerebbe?

    – Non sai quanto.

    Otabek si passò la lingua sulle labbra. Un gesto di certo studiato, ma così poco abituale per lui che provocò uno smottamento tra lo sterno e lo stomaco di Yuri.

    – Devo entrare. Se no Yakov mi uccide – borbottò il russo.

    E fuggì.

 

*

 

    – Come va la caviglia? – chiese Yuuri.

    – Scaldati, pattini per secondo, subito dopo Chris, vorrei che tu pensassi a te stesso – rispose Victor.

    Yuuri aveva le mani che tremavano, per la tensione e la preoccupazione. La sera precedente erano riusciti a parlarsi appena, giusto il tempo che Yuri ci aveva messo a fare la doccia. Il giapponese non si era sentito di far fare neppure un passo al proprio compagno. 

    Anche quella mattina l’unico momento che potevano usare era quello, durante i preziosi minuti di allenamento.

    – Non hai provato i salti – provò.

    – Non ho bisogno di provare i salti – replicò Victor, tagliente.

    C’è qualcos’altro, oltre alla caviglia?

    – Scusa – disse Victor, subito dopo. – Sono teso anch’io. Dovrei essere più…

    – Non devi essere nulla di più, Victor. Voglio solo che tu stia il meglio possibile.

    – Pattino dopo di te. La cosa che davvero potrebbe farmi stare meglio è vederti pattinare benissimo. Fonditi con la musica, pattina per me e tutto andrà bene.

    L’assoluta sicurezza e sincerità con cui il russo parlò, guardandolo con quei suoi occhi chiari, sciolse qualcosa in Yuuri. Non solo, in modo del tutto romantico e metaforico, nel cuore, ma nei muscoli e nello stomaco. Il giapponese sentì un grumo di tensione che si scioglieva. L’olimpiade svaniva e tutto tornava una questione privata. Pattinare per Victor. Per vederlo emozionare. Per farlo innamorare ancora una volta di sé. Questa era una cosa che poteva fare. Che voleva fare, con tutto se stesso.

    – Contaci – disse. – E non staccarmi gli occhi di dosso un solo istante.

    – Neppure per il tempo di un respiro.

    Voleva baciarlo, ma non era il caso. Meglio così. Non avrebbe pattinato per una medaglia, ma per meritare un bacio. Si poteva desiderare qualcosa di più?

    Sorrise e vide anche il compagno si apriva in un sorriso del tutto sincero.

    Se basta un mio sorriso per farti sorridere, stai sicuro che farò in modo che la mia esibizione non possa che procurarti gioia.

 

*

 

    Chris, il primo pattinatore dell’ultimo gruppo, entrava in pista. Nessuno nei gruppi precedenti aveva supero il 100 come punteggio. La gara incominciava davvero in quel momento.

    Victor gli gridò un incoraggiamento in francese, sperando di aver azzeccato la pronuncia.

    Gli antidolorifici iniziavano a fare effetto e la mente prendeva a vagare.

    Speriamo che poi l’adrenalina dovuta alla competizione basti a compensare.

    Dovette ammettere che il costume di Chris, verde e oro, era bello, più sobrio di altri che aveva avuto modo di vedere, e di criticare. E anche Chris, in verde e oro, era ancora bello.

    Era una fortuna che Yuuri su alcuni aspetti fosse così maturo. Se ci fosse stato un Chirs nella vita del giapponese, Victor ne avrebbe voluto la testa su un piatto d’argento. Invece Yuuri era solo contento che avesse un amico, qualsiasi cosa fosse stato per lui in precedenza.

    E anch’io sono contento di averti come amico, Chris. E di condividere anche questa gara con te.

    Anche Chris si sarebbe ritirato a fine stagione. Un’epoca che si chiudeva. Cos’è che gli aveva detto che avrebbe fatto dopo? Collaboratore per testate sportive e marketing di qualcosa. Lo avrebbe fatto bene. A Chris piaceva giocare al ragazzaccio, ma era un lavoratore serissimo. 

    Dev’essere bello avere un’idea così chiara del dopo…

    Ecco, aveva cominciato.

    Col cavolo che era lì per fare turismo.

    Alla terza olimpiade era ancora lì che lottava per una medaglia.

    Non sarò io a negarti l’oro, questa volta.

    Non che l’altro gliene avesse mai fatto una colpa. Con tutte le volte che era arrivato subito dopo di lui avrebbe dovuto odiarlo… 

    Senza averne l’intenzione, erano i farmaci, senza dubbio, per una volta si era fidato del medico e di Yakov e chissà cosa gli avevano dato, si ritrovò a pensare alla vacanza che si erano presi in Canada, dopo la prima olimpiade che avevano condiviso.

    L’aria umida e salmastra sul viso, il giorno che erano andati a vedere le balene… Il sole troppo forte nonostante il freddo, alla sera sarebbe diventato di un colore imbarazzante, la barca che tremava sotto i piedi e non gli dava alcun affidamento. Ma le balene, lontane, erano la cosa più bella che avesse mai visto, con la loro saggezza inumana. Victor tentava allo stesso tempo di sporgersi e di avvinghiarsi alla paratia e Chris  rideva di lui senza cattiveria, solo perché era buffo… Poi una megattera si era alzata di colpo, vicinissima, enorme rispetto a loro e alla loro barca. Tutto gli era parso così effimero, la stupida medaglia, di cui, in fondo, era così deluso, tutta la sua inutile vita chiusa in una bolla di ghiaccio… La balena era ricaduta in mare, lo spruzzo li aveva investiti in pieno e Victor aveva perso l’equilibrio e aveva pensato che sarebbe finito nell’oceano, dove del pattinaggio e delle medaglie non importava a nessuno e sarebbe sprofondato per sempre… Ma Chirs lo aveva afferrato e rimesso in piedi.

    – Che schiappa – aveva detto, mentre lo aiutava ad asciugarsi il viso. – Ha fatto solo mezzo avvitamento.

    Per molto tempo, quello era stato il suo ricordo più bello.

    Combinazione… Dai Chirs… Non ottimo… Bene lo stesso…

    Chiuse gli occhi.

    Negli ultimi due anni aveva collezionato abbastanza ricordi da fargli quasi dimenticare quella mattina sul mare…

    Il suo preferito in assoluto era il più semplice di tutti.

    Lui e Yuuri seduti fianco a fianco sulla spiaggia, in Giappone, in una sera di maggio. I muscoli stanchi dopo un allenamento bel riuscito. Il braccio di Yuuri intorno alla sua spalla. Poi il ragazzo gli metteva, piano, una cuffia in un orecchio per condividere la musica che stava ascoltando, come ragazzini all’uscita da scuola. Infine, con quella delicatezza esitante che era così tipica, Yuuri gli appoggiava la testa sulla spalla e allora era tutto davvero perfetto.

    Grazie, Chirs, per avermi aiutato a raggiungere Yuuri.

    Lo svizzero aveva finito.

    E in realtà non ho proprio idea di come sia andato… Cosa guardo adesso? Il suo punteggio o il riscaldamento di Yuuri?

    Non poteva perdere di vista i punteggi degli avversari.

    105

    Turismo un corno!

    Dovevi scegliere proprio oggi per fare lo sbruffone?

    Yuuri, 111, lo puoi fare 111, vero?

 

    Eccolo.

    Come faceva a essere così bello anche in costume che in teoria doveva essere quello di un corvo?

    Yuuri pattinava sulla colonna sonora di un film animato giapponese, Il castello errante di Howl. Lo avevano visto insieme e, nonostante il costume scelto dal giapponese, Victor non aveva mai avuto dubbi sul fatto di essere Howl. Era lui il mago che in realtà doveva essere salvato. E Yuuri aveva tutta la timida saggezza della protagonista. Victor si era quasi commosso, quando lo avevano guardato. Che cosa sciocca, alla sua età, commuoversi per un cartone animato… Yuuri non gli aveva chiesto il perché. Yuuri non aveva mai bisogno davvero di chiedergli le cose, non era di quelle asfissianti persone che sentono la necessità di farti parlare e farti rivelare tutto, sopratutto gli argomenti che non vuoi affrontare. Ci sono cose che si possono ascoltate solo nei silenzi e osservare negli angoli bui. Yuuri era una di quelle rare persone in grado di farlo. 

    – Voglio usare questa musica per il corto – aveva detto invece. – Perché voglio proprio quel tuo sguardo su di me.

    Eccolo. 

    Ma non esagerare.

    Controlla in tuo volo, Yuuri.

    Salto, combinazione, trottola.

    Bene.

    Passi.

    Salto… Troppa rotazione…

    Bastava un triplo, maledizione…

    Ne era stato innervosito?

    Un po’. Anche il salto seguente fu impreciso. Non da buttare, certo, ma impreciso. Eppure, l’esibizione…

    Voliamo insieme, Yuuri.

    Quale sia il futuro che ci aspetta, va bene. 

    Mi fido di te.

    …

    104.58

    Maledizione.

    Come l’hai presa?

    Victor ne cercò con avidità lo sguardo. 

    Yuuri guardava il tabellone un po’ sperso. Tamura, al suo fianco, gli stava facendo una marea di complimenti. Con ogni probabilità non aveva mai accompagnato qualcuno che prendesse un punteggio simile.

    Al diavolo tutto. 

    Non posso restare qui.

    – Victor! Torna da Yakov, prima che ti fucili!

    – Yuuri… Come stai?

    – … Io…  Non sono andato così male, vero?

    – Non sei andato male per niente.

    Yuuri sorrise.

    Ed era tutto quello di cui Victor aveva bisogno.    

*

    – Yuri, guardami.

    Il ragazzo sbuffò. 

    – Sono pronto, davvero – disse.

    Il corto non gli faceva paura. Non più di tanto.

    – Lo so che sei pronto – replicò il tecnico.

    Con un sospiro, Yuri si obbligò a guardarlo.

    Era vecchio. Era la prima volta che Yuri lo pensava. Quanti anni aveva Yakov? Non se lo era mai chiesto. Yakov esisteva da sempre e sarebbe esistito per sempre. La divinità suprema del pantheon del pattinaggio russo. Pare ci fosse stato un tempo, prima degli eroi, quando le divinità camminavano sulla terra, in cui anche Yakov aveva pattinato. Una volta, anni prima, Victor aveva fatto circolare un vecchissimo video sfocato in cui si vedeva un tizio che pattinava piano e faceva salti ridicoli. A quanto era stato detto quel tipo era Yakov e quei salti erano il top dell’epoca. Ma Yuri non ci davvero creduto.  Nella sua mente Yakov era eterno, sempre uguale a se stesso, signore e padrone della pista di San Pietroburgo. Adesso, però, che ne vedeva il volto pieno di rughe, c’era qualcosa, nella posa delle spalle, nella curva del naso, che ricordavano il tizio sul video. E se Yakov era stato giovane, allora poteva davvero essere vecchio e…

    – Yuri! Tra un istante tocca a te, a cosa stai pensando?

    A te, che sembri vecchio come mio nonno. A Otabek, che sembra bello. Al mondo che non è più quello a cui sono  abituato.

    – Puoi fare meglio di quel vecchio svizzero, lo sai.

    – Lo so.

    – Yuri…

    – Sì?

    – Tu non cadrai – scandì Yakov con la granitica sicurezza degli dei.

    Era tornato sull’Olimpo.

    E Yuri gliene fu grato.

    Andò al centro della pista.

    Il corto gli piaceva molto più del libero, anche se quando glielo avevano proposto gli era sembrato di pessimo gusto. Si esibiva sulle note de La Voliera del Carnevale degli Animali e le piumette sul costume davano a intendere che fosse ancora un pulcino che stava appena imparando a volare. Beh, anche se gli scocciava, era esattamente come si sentiva.

    Per tutto l’allenamento aveva sentito lo sguardo di Otabek guizzare verso di lui, di tanto in tanto. A volte scocciato. E questo era comprensibile. A volte curioso. E anche questo era comprensibile.  A volte duro, proiettato alla gara imminente. E questo era tipico. A volte malizioso. E questo non era tipico per nulla. Questo era del tutto… Inaccettabile?… Elettrizzate?… Angosciante?

    Angosciante come il quadruplo loop che doveva fare in quel momento?

    Grazie al Cielo la combinazione veniva dopo…

    Era come cadere…

    Tu. Non. Cadrai.

    Tutti noi che proviamo a volare abbiamo paura di cadere.

    Non cadde.

    Non fu perfetto. Di certo non da record del mondo, ma non cadde.

    Si stanno chiedendo tutti che ne è stato di quel ragazzo.

    Che ne è stato? Non lo so.

    Ma so che questo Yuri arriverà in piedi in fondo. E avrà imparato a volare.

    Aveva il fiato corto. 

    Maledetto maialino. Con l’età che hai come sei arrivato alla fine così fresco?

    Combinazione.

    E uno. Impreciso, ma fatto.

    E… Poca rotazione… Fatto.

    Fanculo la perfezione. Sono qui.

    Sulle mie gambe.

    Mi spiace, Otabek, niente pugni.

    E smettila di leccarti le labbra dentro la mia testa!

    Qualcuno aveva una stramaleddetta bombola d’ossigeno? Gli sembrava di averne un bisogno impellente. Ma niente. Gli lanciavano gattini di peluche, non strumenti per aiutarlo a respirare.

    Meglio di niente, suppongo.

    Il viso di Yakov era una maschera indecifrabile. Impossibile capire come fosse andato. Adesso, in compenso, avrebbe saputo tutto quello che non era andato. Yakov non risparmiava mai nessuno a fine esibizione, l’unica volta che si era limitato a grugnire aveva fatto il record del mondo.

    Yuri abbassò la testa, in attesa.

    E sentì la mano dell’allenatore che si posava sui suoi capelli.

    – Bravo ragazzo – disse. – Andiamo a scoprire la sentenza.

    Eh?

 

    99.80

    Prima dell’infortunio avrei sputato per terra per la rabbia.

    Adesso… Da quant’era che non andavo sopra il 95?

    Ora toccava a Otabek.

    Era una sua impressione o aveva sorriso, mentre veniva scandito il punteggio?

    Era una sua impressione o era ancora nervoso, come nel libero a squadre? Beh, forse non come quel giorno. Nessuno di loro poteva pattinare altrettanto male, vero? Però non era del tutto concentrato.

    Di solito Otabek aveva quel suo sguardo duro da cecchino, serio, pronto ad uccidere. Invece adesso il suo sguardo non si fermava mai davvero. Come se non riuscisse a mettere a fuoco qualcosa.

    Di certo, se era nervoso, non lo era per colpa sua. Vero?

    Erano le olimpiadi la cosa importate. Lui cosa poteva essere? Al massimo un’incidente di percorso.

    – Mettiti la felpa che prendi freddo! – brontolò Yakov.

    – Eh…

    In effetti aveva addosso solo il costume, ed era tutto sudato, attaccato alla balaustra. Pronto per fare il libero con la polmonite. E Yakov era in piedi di fianco a lui con la felpa in mano. Si prospettava una giornata di cose mai viste.

    Gridò un incoraggiamento e poi si rivestì.

    Intanto Otabek aveva incominciato. Il suo programma era bello. Molto marziale, come piaceva a lui. Su una musica che raccontava un qualche evento storico, come piaceva a lui. Molto, quasi troppo Otabek. Per questo stonava di più il suo non essere perfettamente a tempo. Era come se fosse di appena qualche secondo sfasato, ora troppo indietro, ora troppo avanti.

    E se cadi cosa dovrei farti? Dovrei essere io a picchiare te?

    Non cadde, ma neppure saltò come avrebbe dovuto. Il primo salto uscì sottoruotato. La combinazione… Otabek si era reso conto di non riuscire a dare il massimo. Stava riportando il programma al livello di difficoltà di quello della gara a squadre.

    Io non riuscirei ad avere questo lucidità. 

    Invece Otabek aveva ripreso il controllo. Stabilita una linea d’azione, era tornato anche a pattinare a tempo.

    Qual è la tua linea d’azione, con me?

    86.80    

    Il che lo portava, al momento, in sesta posizione con ancora due atleti e non proprio quelli capitati lì per caso, J.J. e Victor, che dovevano esibirsi.

 

*

    Stava per esibirsi J.J. e poi, per ultimo, Victor.

     Da quello che il giapponese aveva sentito mentre si rimetteva la tuta, Yuri se l’era cavata benino, mentre Otabek aveva fatto un po’ peggio che nella prova a squadre, evidentemente il litigio con il russo non si era ancora risolto.

    Questi russi! Com’è che finiamo per dipendere così tanto da loro?

    Il che non era sempre un male. Al momento a Yuuri importava pochissimo della sua seconda posizione temporanea. Quattro anni prima avrebbe chiamato il servizio medico per far ricoverare chiunque gli avesse detto che avrebbe affrontato la finale olimpica da una delle prime quattro posizioni. Adesso aveva in mente Victor che calcolava e ricalcolava al centesimo i punteggi potenziali.

    «Tra 109 e 112» era stato il suo prognostico.

    Beh, non aveva fatto neppure 109. Ma al momento non gliene importava molto. La parte della sua mente che, nonostante tutto, lavorava sulla propria gara era relativamente soddisfatta di un potenziale quarto posto che lo avrebbe comunque messo in condizione di lottare per il podio. La parte di lui che viveva in una situazione di panico costante era sicura che il giorno dopo sarebbe stato un disastro. Entrambe, però, erano quasi del tutto tacitate dalla preoccupazione per Victor.

    A vederlo così non sembravano essercene motivi. Mentre Otabek attendeva il punteggio e J.J. si scaldava, il russo si stava preparando sotto la supervisione di Yakov. A quanto pareva riusciva a sorridere. Ma la cosa non voleva dire molto. Per qualche motivo Victor era del tutto incapace di mascherare il proprio stato d’animo quando accompagnava Yuuri in qualità di allenatore, ma come atleta vestiva con tale naturalezza il suo abito da re del pattinaggio che quei sorrisi potevano voler dire qualsiasi cosa. 

    Molto sarebbe dipeso da J.J. Se il canadese fosse riuscito a portare a termine il quadruplo Axel, Yuuri non aveva idea di come Victor avrebbe reagito. Quell’ordine di esibizione era stata una beffa. 

    Il giapponese scosse il capo. Non poteva farci nulla. Salvo che tifare contro a J.J.. Cosa che per altro lo faceva sentire un mostro.

    Iniziava.

    Anche il canadese, come lui, si esibiva su una colonna sonora. Un film che Yuuri non conosceva e una musica che riteneva banale. Il problema erano le sue doti atletiche. Tutt’altro che banali. 

    Era appena un po’ in anticipo sulla musica. Cosa voleva dire? Era nervoso?

    Come Victor, l’avrebbe fatto come primo salto.

    Yuuri lo vide prepararsi, caricare… 

    Perfetto…

    Una… Due… Tre… E mezza.

    Atterrò.

    Un triplo Axel perfetto. Ma comunque triplo.

    Cosa gli era mancato? Il coraggio? La concentrazione? O semplicemente il suo corpo si era rifiutato di obbedire?

    Passi. Ancora un filo in anticipo. C’era forse un po’ di stizza… Ma era una questione di frazioni di secondo, forse i giudici non se ne sarebbero neppure accorti.

    Quadruplo Luz. Fatto con arroganza, per urlare al mondo che sapeva fare tutto meglio di chiunque altro.

    Meglio di me, sicuramente. Io non ce l’ho tutta questa elevazione.

    Sicuramente non riesce ad averla Victor.

    Però Victor è ancora il più elegante.

    La combinazione…

    Questa è un po’ imprecisa. È partito male con il secondo salto…

    Sta andando meglio di me, però… 

    Meglio di Chris?

    Gli applausi scroscianti che accolsero J.J. alla fine dell’esibizione sembravano dimostrarlo.

    Yuuri scosse il capo. Ancora una volta non sapeva calcolare il punteggio.

    J.J. andava a vedere il risultato, Victor iniziava a scaldarsi.

    Yuuri si sbracciò per farsi vedere.

    Come stai? Quanto male ti fa la caviglia? Quanto sei lucido, nonostante tutto quello che ti hanno dato? Mi vedi? Tu, al mio posto, mi diresti che siamo solo noi due. Ma tu non sei me. Tu hai bisogno di vedere tutti. Tutto il mondo che ti guarda, per la tua ultima gara. Io pattino per te. Tu pattini per il mondo. È un peso che io non potrò mai portare, ma tu sì. Non deluderci tutti. So che non lo farai.

    Era uscito il punteggio di J.J.

    106.32

    Victor si mosse verso la posizione di partenza. Con calma, senza esibirlo né nasconderlo, lo cercò con lo sguardo e si portò l’anello alle labbra. Poi però cercò qualcun altro. 

    Chi?

    Mila? 

    Perché? 

    Eppure era a lei, inequivocabilmente, e senza l’ombra di un sorriso, che alzava il calice immaginario. 

    Si comincia.

    Victor quando pattinava era ipnotico. Non ci si poteva fare molto, gli bastava un movimento della mano o del capo per catalizzare l’attenzione su di lui. Non era una cosa studiata. Yuuri sapeva meglio di chiunque altro che mentre pattinava Victor si fondeva con la musica e i sentimenti che questa gli trasmetteva, teneva in qualche modo le redini della parte tecnica, ma non aveva idea di come sembrasse da fuori.

    Eccolo lì.

    – Vieni a ballare con me – sta dicendo. – Danziamo sull’orlo dell’abisso, bellissimi sulla fine del mondo. All’alba bruceremo. Dimentichiamoci dell’alba.

    Balliamo ancora.

    Eccolo.

    Per fortuna caricava il salto sul sinistro, la gamba che sentiva più sicura.

    Il problema è l’atterraggio sul destro…

    Ma non c’era tempo per pensare.

    Una rotazione, due, tre… 

    Quattro.

    E mezzo.

    Atterrò.

    Lo aveva fatto con una tale naturalezza che nessuno sembrava aver realizzato. 

    O, forse, nessuno osava applaudire o fiatare per non rompere l’incantesimo.

    Se Yuuri non avesse saputo che la caviglia gli faceva male non lo avrebbe mai sospettato.

    Balliamo ancora.

    Combinazione.

    Yuuri ebbe l’istinto di chiudere gli occhi.

    Andata.

    Iniziava a essere stanco. Lui se ne accorgeva, gli altri probabilmente no.

    La trottola è meravigliosa.

    Non fermati. Balliamo ancora.

    L’ultima sequenza di passi e poi l’ultimo salto.

    Il quadruplo Toeloop. 

    Perfetto… No…

    In un attimo di puro terrore, Yuuri vide Victor annaspare nel tentativo di non finire sulla caviglia con tutto il peso del proprio corpo e di salvare comunque la situazione.

    Cadde all’indietro, facendo in tempo ad attutire l’impatto con le mani e a rialzarsi subito.

    Poco dopo era nella posizione di chiusura, di nuovo col calice levato.

    L’applauso del pubblico, tutto in piedi, era come l’infrangersi delle onde del mare.

    Yuuri, però, era ancora immobilizzato, con le mani strette l’una nell’altra e la circolazione bloccata. 

    Sulla pista stavano piovendo fiori e peluche a forma di cagnolino.

    Azz… Ci riempiremo un’intera stanza… Questi di certo non me li lascerai buttare.

    – Cosa stai aspettando, corri da lui – gli disse Tamura.

    Yuuri non se lo fece ripetere due volte.

    Arrivò all’uscita quasi in contemporanea a Yakov, che lo guardò truce, ma non disse nulla.

    Zoppicava?

    Sì, Victor fece quegli ultimi metri dopo i saluti trascinando quasi il piede destro. Però, vide Yuuri, sorrideva.

    – C’erano abbastanza rotazioni nell’ultimo salto? – fu la prima cosa che chiese. – Non capivo più nulla a quel punto.

    – C’erano – borbottò Yakov. – Ma questa volta il record te lo scordi.

    – Posso sopravvivere.

    L’allenatore gettò uno sguardo alla caviglia.

    – Sicuro?

    – Quasi.

    Yuuri riuscì ad afferragli una mano. Victor gliela strinse subito e il giapponese si accorse che tremava. Era il dolore o solo la tensione?

    – Andiamo – borbottò Yakov. Poi si accorse che i copripattini erano ancora nelle proprie mani – Riesci a metterteli?

    Victor li guardò come se non ne avesse mai visti prima.

    – No, temo di no – disse.

 

    Ma quanto ci mettono…

    Yuuri si tormentò il pollice con un’unghia fino a farsi uscire del sangue.

    Però ci stavano davvero impiegando molto.

    Non sono abituati a inserire il quadruplo Axel…

    112.60

    No, non era il record del mondo, ma era comunque di gran lunga il punteggio più alto della giornata.

    Ed ecco, quindi, la classifica definitiva del programma corto.

1

Victor Nikiforov

112.60

2

Jean-Jaques Leroy

106.32

3

Christophe Giacometti

105

4

Yuuri Katsuki

104.58

5

Yuri Plisesky

99.80

6

Phichit Chulanont

90.50

7

Lee Sung-il

88.30

8

Otabek Altyn

86.80

9

Michele Crispino

85.10

10

Emil Nekola

83.50

11

Leo de la Inglesia

83.40

12

Guang-Hong Ji

83.19

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 – Dopo il programma corto ***


Rieccoci qui! Il programma libero è andato, il peggio sarà alle spalle?
Al contrario di quanto accadeva settimana scorsa, questa volta (e anche la prossima), il capitolo è breve. Credo capirete il perché.
Colgo l'occasione per ringraziare di cuore chi sta leggendo (i lettori sono aumentati esponenzialmente in questi ultimi giorni! Gioia e gaudio!) e chi ha voluto o vorrà spendere qualche minuto per commentare.
Da qui in poi i nostri hanno bisogno di tutto il vostro appoggio!  

Come va? 

    Victor si vergognò nello scoprire l’esitazione nella propria voce.

    Il medico si limitò a grugnire a tastargli la caviglia, mentre l’atleta stringeva i pugni per il dolore.

    Almeno era in buone mani.

    La posizione di Yakov si era ribaltata dopo lo scoppio dello scandalo doping. Prima era stato a un passo dall’esonero, poi di colpo era diventato l’allenatore più presentabile di Russia. Aveva avuto carta bianca sia sulle convocazioni, il che spiegava la presenza di Victor e di Yuri, sia sullo staff tecnico e quindi si era fatto accompagnare dal medico che ormai da anni seguiva i pattinatori della pista di San Pietroburgo. 

    – Quindi? – riprovò Victor.

    – Certo non poteva migliorare… – sospirò il medico. – Domani, appena dopo la gara facciamo una lastra e vediamo in che condizioni è… Se la vedo adesso finisce che devo chiederti di ritirarti ed è un’esperienza che non voglio rifare.

    Victor abbozzò un mezzo sorriso.

    Quella era la terza volta che la caviglia destra si fratturava. Prima del libero dei mondiali del 2013, durante l’allenamento pre gara, un altro atleta gli aveva tagliato la strada. Anche col senno di poi, Victor non avrebbe saputo dire se era stato un incidente o un tentativo deliberato di toglierlo dalla competizione. In ogni caso, per non finirgli addosso, con esiti potenzialmente drammatici per entrambi, lui si era sbilanciato, aveva piegato male il piede e la caviglia aveva ceduto. Ne era risultata un’estenuante discussione telefonica con il medico e una peggiore dal vivo con Yakov, al termine della quale Victor era tornato in pista tra i grugniti di disapprovazione per andare a prendersi quel maledetto oro. Poi era stato fermo parecchio, certo, e la riabilitazione era andata per le lunghe, ma il viso di entrambi, quando aveva terminato l’esibizione era stato impagabile.

    Ma aveva cinque anni e parecchie gare sulle gambe in meno.

    – Adesso, per favore, usa le stampelle – continuò il medico. – Questa sera controlliamo quanto si è gonfiata e vediamo cosa possiamo fare.

    – … Victor…?

    L’atleta russo alzò la testa di scatto, sentendo la voce di Yuuri. Il viso del giapponese fece capolino dalla porta degli spogliatoi.

    Ed era proprio quello di chi avevo bisogno… Anche se…

    – Yuuri, non sei andato con Tamura?

    Il compagno scosse il capo.

    – Ho chiesto a Yakov se potevo restare.

    – Vieni qua, non abbiamo bisogno di giustificarci o chiedere il permesso a nessuno.

    Victor voleva alzarsi per abbracciarlo, ma non era il caso. E comunque era bello anche venir abbracciato.

    – Hai visto il messaggio di Chris? – chiese Yuuri, dopo avergli posato un bacio leggero sulla fronte.

    – No.

    – Chiede se vogliamo mangiare qualcosa tutti insieme, alla mensa

    Victor guardò le stampelle che il medico aveva appoggiato vicino alla panca su cui era seduto. Non aveva voglia di essere visto così dagli avversari, prima della gara. Ma Chris, Yuri, Otabek o anche Phichit non erano propriamente avversari. Non potendo passare quello che restava del pomeriggio ad amoreggiare con Yuuri era forse, davvero, ciò che voleva fare. E poi c’erano le parole di Mila. Non voleva che una cosa meschina come la paura si insinuasse nella sua ultima finale olimpica, ma forse era meglio non farsi trovare da solo.

    – Certo – rispose. – Una mezz’ora e possiamo essere lì.

 

*

    – Al quadruplo Axel! – disse Chirs.

    – Al quadruplo Axel! – risposero in coro gli altri.

    Yuuri era felice.

    Certo, brindare con delle tazze di the, alle cinque e mezza del pomeriggio in una mensa deserta era quasi imbarazzante. Senza neppure un giorno di riposo tra il corto e il libero, the con i biscotti era proprio il massimo della trasgressione che dei pattinatori potessero permettersi. Solo Chris si era rifiutato e aveva preteso almeno una cioccolata, per sentenziare subito dopo che la Corea poteva avere anche tanti pregi, non che a lui fossero evidenti, ma chiamare quella brodaglia cioccolata era un insulto a lui e alla Svizzera tutta.

    Questo non rendeva il tutto meno perfetto. 

    Il viso di Victor aveva un’espressione che Yuuri cercava in ogni modo di imprimersi nella memoria. Lo guardo era un po’ vacuo per via degli antidolorifici, ma per il resto esprimeva una soddisfazione rilassata e persino un po’ stupita.

    Non eri sicuro neppure tu che ce l’avresti fatta.

    Cinque ori mondiali. Un altro argento olimpico già al collo. Il primo al mondo a completare il quadruplo Axel in gara.

    Non è solo questo.

    È il renderti conto che ti vogliamo bene. Non solo io o Chris. Tutti… Certo, non J.J., forse, che infatti non c’è. Ma per tutti noi oggi non sei un avversario da battere. Sei qualcosa di più. Sei qualcuno di cui andiamo fieri.

    Yuuri notò che il suo omonimo russo guardava con nervosismo il cellulare.

    – Otabek non viene? – gli chiese.

    Oltre a loro, Victor e Chris c’erano Phic, Guang-hong e Ken. Non la compagnia che Yurio preferiva.

    – Aveva il massaggiatore alle quattro e mezza. La loro spedizione è un po’ a ranghi ridotti.

    Yuuri annuì. In quanto possibile medaglia olimpica veniva riempito di attenzioni dalla federazione giapponese in un modo che lo imbarazzava e, nonostante i modi ruvidi, anche Yakov e tutto il suo staff si prodigavano per gli atleti russi. Il Kazakistan aveva meno fondi e Otabek non aveva, ad esempio, possibilità di scelta sugli orari degli appuntamenti.

    Forse anche per questo è teso e si è comportato in modo così strano per tutta l’olimpiade.

    – Quindi vi siete chiariti? – chiese Yuuri.

    Uno scontro deliberato durante un allenamento meritava ben più di un chiarimento, in effetti.

    Yurio sbuffò.

    – Bah… Non… Tu e Victor non litigate mai? Eppure lui a volte è così insopportabile!

    Insopportabile?

    – Certo che litighiamo. È così che funziona un qualsiasi rapporto a cui tieni… Rimanere in equilibrio è come… Esercitarsi in un programma difficile? Si finisce per forza per cadere, ma di solito sono solo lividi che passano in fretta.

    Quindi ha ragione quella malalingua di Victor? Non è proprio un’amicizia quella di cui stiamo parlando?

    Yurio scosse la testa, poco convinto.

    Di colpo ricordò a Yuuri il ragazzo più giovane con cui aveva condiviso qualche settimana di allenamento in Giappone. A volte aggressivo, a volte fragile come un micetto.

    – Sai… – ricominciò Yurio. – A volte mi manca l’allenarci insieme. Da che Georgi si è ritirato e Victor non viene più, non ho nessuno con cui confrontarmi.

    – Anche a me pesa l’allenarmi da solo – disse Yuuri.

    Strano, non lo aveva mai detto a Victor. Eppure era vero. Gli mancava Phic. O comunque avere un amico in pista. C’erano cose che non si potevano condividere neppure con un fidanzato-allenatore-avversario. Parlar male dell’allenatore, ad esempio, aveva delle difficoltà intrinseche. E tutti gli atleti qualche volta avevano il bisogno di farlo.

    – A volte essere solo in due è un po’ asfissiante – ammise. – Persino con Victor.

    – Figurati con Yakov.

    Il rumore di passi fece voltare Yurio in un millisecondo.

    Ma non era Otabek. Era J.J. E l’abituale sorriso del canadese aveva una piega sarcastica.

    – Hai proprio una bella corte di lecchini, Victor – esordì.

    Il russo si limitò a inarcare un sopracciglio.

    – Sei stato invitato a unirti a noi, mi pare – disse Victor, in tono abbastanza cortese.

    – Per far cosa? Unirmi al coro adorante?

    – Potevi esserci tu al mio posto. Bastava avere il fegato di fare quel salto.

    Yuuri intercettò lo sguardo preoccupato di Chris. Non era facile portare Victor allo scontro verbale, ma la sua rabbia, come aveva imparato il giapponese, era sempre pericolosa.

    J.J. provò a rispondere, ma quello che gli uscì fu solo un soffio rabbioso.

    – Il fatto è che pensavi di aver già vinto – continuò Victor. – Ma non bastano i muscoli per diventare un grande campione. Ci vuole anche la testa. 

    Yuuri vide i pugni del canadese stringersi e lui sentì l’impulso di mettersi davanti al fidanzato.

    È la prima volta che penso di poter essere io a proteggere lui.

    Ma non ce ne fu bisogno, J.J. emise un altro verso stizzito.

    – Domani sarà tutta un’altra storia – grugnì.

    – Sognalo pure – ribatté Victor, serafico.

    Poi tutti rimasero a guardare il canadese allontanarsi.

    – Dite che ho esagerato? – chiese Victor, quando J.J. fu uscito.

    Chris scosse il capo.

    – Se l’è cercata – sentenziò. – Hai ragione tu. Se poteva farlo, doveva farlo e poche storie.

    Victor lanciò un’occhiata di sbieco alle stampelle.

    – Domani, però, mi spianerà – sospirò.

    – Sarebbe carino, davvero, se per una volta tu concedessi un’opportunità anche a noi comuni mortali – replicò lo svizzero. – Ma se ti fai mettere i piedi in testa da quel bambinone ti spacco l’altra gamba.

    – Vedremo… – mormorò Victor. Poi guardò il cellulare – Sarà il caso di andare. Io e Yuri tra poco abbiamo la riunione tecnica.

    Gli altri annuirono.

    I due programmi così ravvicinati erano un problema per tutti e tutti dovevano rivedere le strategie con i rispettivi allenatori.

    – Se mi sbrigo riesco almeno a chiamare Janine – mormorò Phic, avviandosi in tutta fretta con Guang-hong e Ken.

    Victor terminò il proprio the e poi con un grugnito recuperò le stampelle e si misi in piedi.

    – Sono proprio imbarazzante – disse, scuotendo il capo.

    – Parla mister 112.60 – replicò Chris, finendo con calma un biscotto.

    Yurio si mise in piedi di malavoglia, sempre guardando il cellulare.

    Eh, sì, potrebbe proprio essere un caso di innamoramento.

 

    Yuuri stava ancora pensando all’amico, quando, poco fuori dalla mensa, si accorse che qualcosa non andava.

    Non c’era nessuno in giro, ad eccezione di cinque uomini che avanzavano verso di loro. Due avevano la maglia della squadra di hockey degli Atleti Olimpici Russi, gli altri tre delle tute anonime. Tutti sembravano ubriachi e tre di loro avevano in mano delle bottiglie di birra in vetro. Impossibile equivocarne le intenzioni.

    – Andatevene! – disse Victor. – Ce l’hanno solo con me.

    – Sei matto! È dai tempi della scuola che non partecipo a una rissa – replicò Chris.

    – Sono grossi il doppio di noi – fece notare Yurio.

    Yuuri si trovò a concordare con il ragazzo russo, mentre un panico del tutto diverso da quello abituale lo invadeva. Non si era mai picchiato con nessuno, neppure ai tempi della scuola. E quella aveva tutta l’aria di essere una trappola organizzata.

    – Vattene, Yuuri – gli ringhiò Victor, mentre tre degli uomini si avvicinavano.

    Lui scosse il capo e si tolse gli occhiali.

    È qui che voglio stare.

 

*

 

    Perché non ho detto niente a Yuuri? Come pensavo di proteggerlo? O a Yakov? Perché mi sentivo patetico e paranoico? Sono un idiota e mi merito esattamente questo. Ma Yuuri no, maledizione. Yuuri no.

    Non aveva mai avuto così tanta paura.

    Anche fosse stato in piena forma, non avrebbe avuto idea di come reagire. 

    Pateticamente, mentre correvano verso di loro, provò a puntellarsi sul piede sinistro per usare in qualche modo la stampella…

    – Quella dalla a me! – sibilò Chris, strappandogliela di mano.

    Il primo colpo fu loro. 

    Brandita come una clava, la stampella andò a impattare contro la testa di uno degli aggressori.

    Sono due riserve e tre non so chi. Gente sacrificabile. E non sembrano per nulla ubriachi.

    Non ci fu più il tempo per pensare. 

    Un pungo, dato da una mano protetta da un guanto che nascondeva qualcosa di metallico, lo colpì alla zigomo, buttandolo a terra.

    Victor non riuscì a fare null’altro che raggomitolarsi e proteggersi la testa con le mani.

    – Yuuri, vattene! – gridò, mentre un calcio lo colpiva.

    – Non c’è quasi gusto, contro una checca simile – sibilò il suo aggressore.

    Ma la cosa peggiore fu sentire Yuuri gridare e intravedere uno degli energumeni con quello che restava di una bottiglia rotta in mano. 

    C’era del sangue. Di chi?

    Arrivò un altro calcio.

    Se almeno fosse svenuto in fretta…

 

    *

    Yuri era rimasto paralizzato.

    Non aveva capito davvero quello che stava succedendo fino a che non aveva visto Chris prendere una delle stampelle di Victor e darla in testa a uno di quei gorilla ubriachi.

    Perché diavolo ce l’hanno con noi?

    … No. Perché diavolo ce l’hanno con loro?

    Lo stavano bellamente ignorando. 

    Era appena due passi indietro, ma era come se non esistesse. 

    Victor cadde a terra con un gemito da cucciolo. 

    Anche in condizioni normali Victor era del tutto impreparato di fronte alla violenza fisica, ma colpire un uomo che si reggeva su delle stampelle e continuare a farlo una volta a terra era una delle cose più vigliacche a cui Yuri avesse assistito.

    Yuuri, con l’aria di chi non sapeva assolutamente cosa fare, si mise tra lui e un tizio che aveva in mano un coccio di bottiglia. 

    Yuri lo vide ripararsi d’istinto la faccia e poi lo sentì gridare.

    Basta! Ci sono anch’io!

    – Lasciate stare i miei amici! – gridò, correndo in avanti.

    Una parte della sua mente gli ricordò che pesava cinquantotto chili, contro gli almeno ottanta di ciascuno degli aggressori.

    Fanculo!

    – Vattene, ragazzino, non ce l’abbiamo con te – gli gridò in russo uno dei gorilla.

    – Sono io che ce l’ho con te!

    Si allenava da tutta la vita a saltare. Farlo per cacciare un dito in un occhio a un tizio di un metro e ottanta non gli mai capitato, prima.

    Però non mi è uscito così male.

    Il pensiero successivo fu bloccato da un colpo proprio al centro della fronte, dato da qualcosa di maledettamente duro che doveva stare sulla mano di quel tipo.

    Yuri cadde all’indietro.

    Giusto in tempo per vedere qualcun altro che si gettava sul suo aggressore con una mossa da giocatore di rugby.

    Era Otabek.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 – Conseguenze ***


L'ANGOLINO DELL'AUTRICE: eccoci qua, saranno ancora tutti vivi? Abbiamo lasciato i nostri amati pattinini in una pessima situazione, aggrediti da dei gorilla ubriachi. Ammesso che fossero davvero ubriachi e non si trattasse invece di una spedizione punitiva bella e buona.
A quello punto della storia urge dire, ovviamente, che tutti i personaggi sono stati rubati da un anime o frutto della mia immaginazione, non ho nulla contro gli atleti russi dell''hokey o contro chiunque in questo racconto per ragioni di trama abbia un ruolo non positivo. È una storia e, come tale, ha anche bisogno di antagonisti. Detto questo è chiaro che nelle ultimi olimpiadi invernali la tensione legata allo scandalo doping c'è stata realmente e davvero non avrei voluto essere nei panni degli atleti russi. La storia dello sport, inoltre ci ha riservato anche una serie di pessime pagine e togliere di mezzo un avversario per tanti motivi scomodo con un aggressione è qualcosa che non è venuta in mente solo agli scribacchini. Il caso più famoso viene proprio dal pattinaggio, immortalato anche dal recente film "Tonya", cioè l'aggressione subita dalla pattinatrice statunitense Nancy Kerrigan e organizzata dall'ex fidanzato della sua rivale Tonya Harding. In quel caso eravamo prima delle olimpiadi del 1994 a cui comunque hanno partecipato entrambe le atlete, anche se poi la Harding è stata squalificata a vita. Come dire, va bene tutto, ma quando ci sono le olimpiadi si chiudono occhi, orecchie e quant'altro pur di non buttar via opportunità di medaglie. Nel pattinaggio, poi, ogni tanto avversari vengono "affettati" con i pattini in modo più o meno accidentale (un'accusa di questo genere c'è stata anche durante i mondiali appena conclusi) o gli si taglia la strada in allenamento sperando che cadano. Tutto questo per dire che siamo in una storia di fantasia, in cui però si cerca di restare nei limiti del plausibile.
Spero di non avervi ucciso con questo spiegone.
Vi lascio a un capitolino breve, ma, spero, intenso.
Un grazie infinito a tutti i lettore e i commentatori.
Un augurio speciale di buon compleanno a Crystal, anche da parte del mio Otabek.
Buona lettura!




Yuuri guardava i punti che l’infermiera gli stava mettendo sull’avambraccio come questo appartenesse a un’altra persona. Non sentiva nulla, neppure il pizzicare a cui lei lo aveva preparato. Solo rabbia. Più rabbia di quanta ne avesse mai provata prima.

    Non si era mai sentito così impotente. Miope, davanti a un uomo armato, con Victor a terra e un altro che continuava a tirargli calci.

    I gemiti di Victor… Continuavano a risuonare nella sua testa. Erano quelli, non certo i punti, a fargli male.

    E dopo, quando era arrivati Otabek e poi gli uomini della sicurezza e lui lo aveva abbracciato, gridando il suo nome… Victor tremava, ma non rispondeva…

    Lo shock, gli antidolorifici, il colpo in faccia… Forse è vero, è meno peggio di quanto sembri… Quanto ci vuole ancora a ricucire questo stupido braccio?

    – Ecco – disse finalmente l’infermiera. – Domani, prima della gara, un’iniezione di antidolorifico locale e sarai a posto.

    La gara… Già… Come sembra inutile, adesso…

    Eppure, una parte della sua testa ci pensava ancora.

    – Preferisco che faccia male, piuttosto che sia intorpidito.

    La donna annuì.

    – Cercheremo di evitare entrambe le cose – disse. – In faccia basta il cerotto. Con un po’ di trucco si vedrà pochissimo e non dovrebbe restare chissà che segno, dopo… Sei stato fortunato.

    Yuuri annuì, tastandosi la medicazione.

    Era riuscito a ripararsi quasi del tutto il viso. Quel tipo, ne era certo, mirava a sfigurarlo. Era riuscito comunque a fargli un taglio di mezzo centimetro sotto l’occhio sinistro, oltre che quello da venticinque punti sul braccio. Yuuri non voleva pensare a cosa sarebbe successo se avesse colpito appena più in alto.

    – Sì – ammise. – Io sono stato fortunato.

    La porta dell’ambulatorio si aprì. Yuuri si girò subito, sperando che fosse…

    Era Tamura, scuro in volto e preoccupato.

    – Come stai? – chiese l’allenatore.

    – Bene. Dobbiamo parlare con i giornalisti – disse Yuuri.

    Non era mai stato così determinato.

    – Stanno uscendo delle notizie, ma parlano di una rissa tra atleti ubriachi – disse in fretta, mostrando il cellulare. – Non c’era nessuno di ubriaco, lì, è stata un’aggressione bella e buona. Volevano spaccare le gambe a Victor.

    E la faccia a me.

    – Lo so – annuì il tecnico. – Ho parlato con i dirigenti… Devi pensare bene a cosa dire,  però, vorrebbero che certe… Tematiche non venissero affrontate.

    Ah…Per la stampa giapponese io e Victor non stiamo insieme, abbiamo solo, com’era? «Un’intesa particolare».  E così deve restare…

     Ecco come si è sentito Victor l’anno scorso in Russia. Ora lo capisco, questo irrefrenabile bisogno di dire le cose davanti alle telecamere, con più pubblico possibile. Ma non è quello il problema, adesso.

    Yuuri scosse il capo.

    – Non centra niente il fatto che io e lui stiamo insieme o comunque non è questo il punto – rspiegò. – Victor ha inviato dei documenti alla commissione d’inchiesta per lo scandalo sul doping di stato russo. Dovrà testimoniare a un processo. È per questo che siamo stati aggrediti. 

    Dall’espressione dell’altro, Tamura era del tutto all’oscuro di quel retroscena.

    – Ah… Questo cambia decisamente le cose. Erano organizzati, quindi?

    – Sicuramente.

    – E ci sono andati di mezzo atleti di altre nazionalità… Questo è inaccettabile.

    Perché invece se si ammazzavano tra russi andava tutto bene?

    – Devo sentire i dirigenti e anche Yakov… – ragionò il tecnico. – Te la senti di parlare a una conferenza stampa, tra un paio d’ore?

    – Dipende da come sta Victor…

    – Si sta riprendendo. Quando vuoi puoi andare da lui.

 

*

    – Stai fermo un attimo! 

    – Se premi così fa male! – protestò Yuri.

    Per aver preso la sua dose di pugni, almeno tre prima che intervenisse la sicurezza, Otabek era stranamente sorridente.

    – Ammettilo, è quello che hai sempre sognato, vedermi al pronto soccorso dopo essere stato pestato – borbottò il russo.

    – No, quello che avevo sempre sognato era tenerti il ghiaccio sulla fronte, forse.

    E adesso come dovrei rispondere?

    Il suo corpo decise per lui.

    Senza volerlo, Yuri si sentì emettere un sospiro, come fanno a volte i gatti prima di addormentarsi in grembo al padrone, e si rilassò completamente, appoggiandosi al corpo del kazako. Si stava bene, lì, nonostante le sedie del centro medico del villaggio olimpico non fossero esattamente comode. Ma il corpo di Otabek, in qualche modo, era la cosa giusta a cui appoggiarsi. Aveva un odore buono, che copriva quello del disinfettante. Con cautela, come se avesse paura di osare, il kazako passò il braccio libero sopra le spalle di Yuri e lui lo lasciò fare.

    Da quant’è che non stavo così bene?

    Rimasero così per un poco, dimenticati da tutti sulle sedie del corridoio, poi Otabek si arrischiò a togliere il ghiaccio dalla fronte di Yuri.

    – Ha ragione l’infermiera. Ti verrà un bel bernoccolo – sentenziò. – Starà benissimo con tuo costume da angioletto.

    Yuri sbuffò e poi si tastò con cautela la fronte.

    – Sembrerò un unicorno.

    – Senza dubbio originale.

    – Non credo che tu dovresti ridere, adesso.

    – No? E che cosa dovrei fare, invece?

    Dovresti baciarmi… Oddio, l’ho pensato davvero!

    – Ehi, piccioncini! 

    La voce di Chris arrivò nel momento meno opportuno.

    Yuri scattò sull’attenti, mentre anche Otabek riprendeva la sua abituale rigidità marziale.

    – Mica dovete vergognarvi! – disse lo svizzero, peggiorando la situazione.

    Yuri cercò di dirsi che saltargli alla gola non era una buona idea. Senza di lui e il suo modo di mulinare la stampella ne sarebbero usciti tutti peggio. Lo svizzero, però, non si era fatto quasi niente, anche se, secondo Yuri, si era lamentato parecchio solo per farsi visitare dall’infermiera più carina.

    – I grandi capi ci vogliono parlare, pare che Yuuri voglia scatenare un mezzo ciclone – disse Chris.

    – Yuuri? – chiese il russo, perplesso.

    – Toccagli il suo cagnolino e scopre di avere gli artigli anche lui.

    – Come sta Victor? – chiese Otabek.

    Chris scosse il capo, più serio.

    – Lo zigomo è rotto. Per i calci stavano ancora cercando di capire…

    – Avevano un maledetto tirapugni e con noi ci sono andati leggeri – disse il kazako.

    – Me ne sono accorto anch’io – replicò lo svizzero, tastandosi un fianco. – Ma non avevano fatto i conti con noi. A quanto pare i pattinatori non sono fanciulle indifese come immaginavano.

 

*

    – … Yuuri…

    Qualcuno gli parlava in un pessimo inglese. Ma non era la voce di Yuuri. Era una donna.

    Vattene, Yuuri!

    Con questo pensiero Victor riaprì gli occhi, per trovarsi abbagliato dalla luce troppo bianca tipica degli ambulatori.

    Strano, la caviglia non gli faceva male. Gli faceva male tutto il resto. 

    – Yuuri?

    Intanto si era accorto di essere adagiato su un letto d’ospedale non del tutto reclinato, con due flebo attaccate al braccio. Impossibile capire cosa gli stessero iniettando dalle scritte in coreano.

    – Yuuri…? – riprovò.

    – Gli altri stanno bene – disse la voce femminile nel suo inglese a stento comprensibile.

    Era un’infermiera coreana, che si avvicinò col proprio miglior sorriso professionale.

    – Bentornato tra noi, signor Nikiforov, cosa ricorda?

    Più di quello che mi piacerebbe.

    Ricordava se stesso a terra, rannicchiato. Consapevole che quella era la cosa migliore da fare. Il bersaglio era lui e la resistenza che poteva opporre era nulla. Poteva solo cercare di limitare i danni. E sentirsi un mostro, per l’urlo di Yuuri.

    Cosa ti hanno fatto, Yuuri?

    Ricordava vagamente Yurio che gli saltava davanti. Un ragazzino neppure maggiorenne che correva in suo soccorso. Non ne era del tutto sicuro, ma quell’intervento poteva essere stato provvidenziale. Aveva pensato che non avrebbe retto un altro calcio. E non ne erano più arrivati.

    Poi c’era un buco.

    Dopo non c’era un’immagine. Dei suoni, delle sensazioni.

    Voci concitate che parlavano, qualcuno che lo chiamava.

    E poi Yuuri che lo abbracciava e gli diceva che sarebbe andato tutto bene, che stavano arrivando… Chi?… Aiuti? Medici?… E lui non riusciva a guardarlo. Sentiva odore di sangue, e ne era terrorizzato. Perché Yuuri non avrebbe dovuto, mai, trovarsi in una situazione del genere. Perché era tutta colpa sua. Perché aveva il terrore di scoprire cosa gli avevano fatto. Da vigliacco qual era, si era lasciato abbracciare, senza neppure aprire gli occhi.

    Poi si era sentita una sirena, il rumore di un veicolo, forse più di uno. Era stato sollevato. Aveva provato a muoversi, ma era stato subito adagiato su una barella. Forse allora si era concesso di svenire davvero, o forse il mix di botte e antidolorifici aveva preso il sopravvento. Da allora non aveva più ricordi. 

    Quanto tempo era passato?

    – È tutto un po’ confuso – provò. 

    Si sentiva la bocca impastata.

    Qualcosa gli impediva di articolare normalmente le parole, come dopo un’anestesia odontoiatrica.

    – Direi che è normale – lo rassicurò l’infermiera. – Ricorda di essere stato aggredito all’uscita dalla mensa?

    – Certo che lo ricordo.

    Anche se preferirei di no.

    – Allora direi che è tutto normale.

    Victor sbuffò, poco convinto… E… Cos’aveva in faccia? Provò a toccarsi la guancia destra e trovò una medicazione.

    – Ha uno zigomo rotto – spiegò l’infermiera. – Guarirà alla perfezione, resterà appena l’ombra di una cicatrice.

    Meraviglioso…

    – E il resto? 

    – Non ci sono danni agli organi interni. È stato davvero fortunato o, come hanno detto i suoi amici, ha saputo proteggersi.

    – Come un vigliacco.

    Raggomitolato nel tentativo di proteggere testa e gambe mentre gli altri venivano pestati al posto mio.

    – Come un uomo della sua corporatura con un problema a una caviglia contro gente simile! Comunque, ha ulna e radio sinistro incrinati e questa poteva essere la sua testa. L’altro braccio non ha un bell’aspetto, ma non c’è niente di rotto. Cosa che non si può dire di una costola, mentre un’altra è solo incrinata. Ha contusioni ovunque. Ma da quanto mi hanno raccontato poteva andarle molto, molto peggio.

    – Sì.

    Mentre era a terra, rannicchiato, pregando solo che non gli facessero troppo male, che non facessero del male a Yuuri, non pensava di poterne uscire così.

    – Posso dirle anche un’altra cosa. Ha dei buoni amici. In due settimane di olimpiade qualcosa inizio a capire. Se la stessa cosa fosse capitata ad altri sportivi, anche con dei compagni di squadra, sarebbero stati abbandonati. Lei ha degli avversari che il giorno prima della finale hanno preso pugni e colpi per difenderla.

    E non penso proprio di meritarli.

    La porta della stanza si aprì e entrò Yuuri.    

    – Victor! 

    Era in piedi, sulle proprie gambe, senza stampelle o medicazioni evidenti… Poi Victor vide il taglio proprio sotto l’occhio. Ricordò il tipo con la bottiglia di birra, che la spaccava contro un muro per tenerne il collo dai margini taglienti… Guardò gli occhi, gli splendidi occhi di Yuuri, che lo avevano guardato fermi, mentre lui gli gridava di andarsene, e sentì qualcosa che si rompeva dentro di lui.

    Iniziò a piangere, singhiozzando, come non gli capitava da anni. Per il rischio che Yuuri aveva corso. Per la propria stupidità. Il suo ridicolo orgoglio che non gli aveva permesso di ammettere di avere paura, neppure dopo l’avvertimento di Mila. Per la propria ultima olimpiade buttata così. 

    Yuuri corse ad abbracciarlo e gli sembrò una cosa così ingiusta, lui che non era neppure riuscito a guardarlo, mentre arrivavano i soccorsi, eppure non trovò di meglio da fare che appoggiare il lato sano del viso al suo petto e continuare a piangere.

    – Non doveva andare così… – mormorò.

    – No – disse Yuuri. – Ma adesso andrà tutto meglio.

    Victor cercò di far appello a tutto l’autocontrollo imparato in oltre vent’anni di agonismo. Yuuri aveva ancora la propria gara. Di quello che era successo a lui non sarebbe rimasta traccia nella memoria di nessuno, se non nella sua. Ma la medaglia che Yuuri poteva vincere, quella se la sarebbero ricordata tutti.

    – Devi pattinare benissimo, domani – sussurrò, senza riuscire a smettere di piangere. – Stai sicuro che farò in modo di vederti.

    – Stai sicuro che la vedrai la gara, ma di certo non da un lettino – a parlare era stato Yakov, che entrava in quel momento nella stanza seguito da Tamura.

    In mano aveva la cartelletta con i referti.

    Victor lo guardò senza capire.

    – Tu domani pattinerai – disse Yakov, con il suo tono da divinità.

    Sia l’atleta russo che il giapponese lo guardarono come se fosse pazzo.

    L’allenatore sbuffò.

    – Tu pattinerai. Puoi fare quel che vuoi, girare in pista senza neppure un salto, prendere un punteggio da far arrossire un bambino di sei anni, non mi importa. Ma andrai in pista. Non ci nascondiamo. Il coraggio non è pestarsi all’uscita della mensa come ragazzini di scuola. Il coraggio è andare avanti comunque, senza nascondere quello che è accaduto. Ho pensato molte cose di te, Vitya, in questi anni, ma mai che tu fossi un codardo.

    Nonostante tutto, le parole del tecnico avvolsero Victor come poco prima aveva fatto l’abbraccio di Yuuri.

    – Io sono un codardo, Yakov. E comunque non mi reggo in piedi – disse.

    – La tua testaccia dura è a posto. La caviglia sta come questa mattina. Non devi cadere di faccia o sul braccio sinistro, certo – replicò l’allenatore. – Adesso sono sicuro che tu non ti regga in piedi. Ma domani? Domani tu pattinerai.

    Poi si avvicinò al letto e sussurrò in russo all’orecchio di Victor:

    – Domani sarà anche la mia ultima gara come tecnico della nazionale russa, non vorrai lasciarmi solo, Vitya.

    – Non mollerai per questo, spero – replicò Victor, sempre in russo.

    Era impossibile immaginare il pattinaggio russo senza Yakov. L’idea stessa che lui lasciasse era qualcosa di destabilizzante, come doveva essere stato vedere all’improvviso Atlantide inabissarsi nel mare.

    – E cosa dovrei fare, portare atleti che vengono pestati a sangue dalla nostra federazione sportiva? Dovrei prestare la mia faccia per cosa? Immagine? Denaro? Pagato con sangue tuo e di Yuri? Domani andiamo, facciamo vedere di che pasta siamo fatti e la chiudiamo qui. A modo nostro.

    Victor annuì.

    Non si meritava Yakov. Così come non si meritava Yuuri. Come non meritava che altri avessero preso colpi destinati a lui.

    – A modo nostro – disse.

    Yakov gli sorrise e gli mise una mano sulla spalla.

    Poi si girò verso Yuuri.

    – Tu mi sembri abbastanza saldo sulle gambe, ragazzo – gli disse, in inglese. – Domani non ti stacchi di un millimetro da lui se non per gareggiare. E vedi di prenderti una medaglia. Se lo fai, dopo, per quel che mi riguarda, potete anche baciarvi in mondovisione.

    Tamura mise una mano sulla spalla di Yuuri.

    – Ecco, magari questo no – disse.

    Ma Yuuri, leggermente arrossito, guardava solo Yakov e Victor.

    – Farò il possibile – disse.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 – Prima del Libero della gara individuale ***


L'ANGOLINO DELL'AUTRICE: eccoci. Ci siamo quasi, il libero della gara individuale maschile sta per cominciare. Prima, però, c'è ancora tempo per qualche chiarimento e forse per qualche sorpresa.
Per me, prima del prossimo, conclusivo, capitolo fiume, c'è lo spazio per ringraziare tutti i lettori che sono giunti fin qua e tutti coloro che dedicano qualche minuto del loro tempo per una recensione, che è sempre graditissima. Un ringraziamento speciale a Syila, che mi ha preso per mano fin dal mio ingresso in questo fandom e trova sempre un momento per queste mie siocchezze.


     La mattina, anzi, ancora la notte, ben prima dell’alba, del giorno della finale.

    Yuuri non aveva quasi chiuso occhio, ma non si era aspettato di farlo.

    Eccomi qui. E nulla è come me lo ero immaginato.

    Si passò la mano destra a qualche centimetro dall’avambraccio sinistro. Al momento i punti tiravano e pizzicavano, ma l’infermiera aveva assicurato che sarebbe passata al palazzetto subito prima della gara, per l’anestetico locale. Anche così non era davvero un problema. Che pattinasse bene o male, non sarebbe dipeso da quello. Dal resto, non sapeva dirlo.

    Quanto sono diverso dalla persona di quattro anni fa. O anche da quella che ha guardato fuori da questa stessa finestra, la prima sera. E questa nuova determinazione. Non sono certo che mi appartenga, ma neppure che mi dispiaccia.

    La conferenza stampa, la sera prima, era stata un’esperienza strana. Istruttiva, sotto molti aspetti.

    Alla fine erano andati lui, Yakov, Tamura e Chris, accompagnato da un dirigente svizzero. In quanto minorenne, Yurio era stato tenuto fuori. Otabek, invece, aveva avuto da ridire con la propria dirigenza, ma la federazione sportiva kazaka non se la sentiva di attaccare quella russa e Yuuri era contento che alla fine avesse accettato di rimanerne fuori. Sperava solo che la rabbia non gli impedisse una buona prestazione. Se c’era qualcuno che si meritava una grande gara, quel giorno, era sicuramente Otabek. Anche se il modo in cui Yurio lo aveva guardato per tutta la sera prima era, forse, già la medaglia che voleva.

    Le domande, alla conferenza stampa, erano state sgradevoli.

    I giornalisti russi volevano avvalorare la tesi della rissa tra atleti ubriachi. Avevano chiesto dei problemi con l’alcool che Victor aveva avuto in passato. Quello era un argomento di cui Yuuri non parlava volentieri neppure col proprio compagno, e di cui in realtà sapeva poco, ma immaginava parecchio, e che di certo non amava affrontare davanti alle telecamere. Oltre tutto Chris non era la persona più adatta per smentire simili voci. Con molta più praticità, Tamura aveva esibito il resoconto di ciò che era stato servito ai pattinatori in mensa. Non contento, un giornalista aveva commentato che non c’era motivo perché le bottiglie di birra trovate sul luogo dell’aggressione non fossero state in mano ai pattinatori.

    – E io ho venticinque punti sul braccio per un taglio che mi sono fatto da solo con la bottiglia che era in mano mia? – aveva replicato Yuuri.

    In quel momento aveva pregato con tutto se stesso che non saltasse fuori alcuna foto della cena di gala della finale del Grand Prix in cui per la prima volta, ubriaco, aveva ballato con Victor. A quanto gli aveva detto dopo, anche Chris aveva avuto quell’identico pensiero.

    Poi Yuuri era passato a parlare dei veri motivi dell’aggressione. Che Victor avrebbe testimoniato al processo era un’informazione facilmente verificabile.

    – E quali sarebbero i documenti che ha passato alla commissione d’inchiesta? Perché erano in mano sua? Riguardano forse qualche altro pattinatore russo presente alle olimpiadi che, magari, non dovrebbe essere qui?

    – No – aveva replicato Yuuri, consapevole che Yurio doveva essere lasciato del tutto fuori. – Riguardano lui stesso. Farmaci che gli erano stati passati da un medico federale attualmente sotto inchiesta e che Victor Nikiforov non ha mai assunto.

    Dallo sguardo di Yakov, Yuuri aveva capito che non ne aveva mai saputo niente.

    Per la prima volta, si era reso davvero conto di quali fossero state le condizioni di Victor, quando era arrivato in Giappone. Dopo il suo ultimo titolo mondiale, consapevole dei problemi fisici e dell’impossibilità di mantenere quel livello di prestazioni e quel numero di competizioni, Victor era stato avvicinato da un medico che gli aveva offerto quella che ai suoi occhi era la soluzione. Questo Yuuri lo sapeva. Quello che non sapeva, prima, era che Victor non ne aveva mai parlato con Yakov. Questo voleva dire che nella sua solitudine e nel suo disperato agonismo, Victor presto o tardi avrebbe ceduto. E Yakov, di certo, preso o tardi se ne sarebbe accorto. E questo lo avrebbe distrutto. 

    In qualche modo era riuscito a capirlo in tempo. 

    Appena in tempo. Quando ormai la fuga era l’unica altra opzione.

    Non sei venuto da me.

    Sei scappato dalla Russia e da te stesso.

    Se avessi mentito a Yakov saresti arrivato ad avere talmente orrore di te stesso da…

    Non è mai stata una battuta, quella tua frase di non volere un appartamento in alto, con un balcone.

    Quanto seriamente ci hai pensato, a San Pietroburgo?

    Me lo hai detto, una volta. Stavi cadendo e io ti ho afferrato. 

    Non lo sapevo, non del tutto. 

    Ma sono contento di averlo fatto.

 

 *
  

    In effetti sto in piedi.

    Cosa diavolo mi hanno dato?

    Victor era abbastanza sicuro che un funzionario dell’antidoping fosse già passato a controllare la sua cartella clinica e avesse parlato a lungo con il loro medico. Il fatto che alla fine lo stesso uomo fosse passato per raccomandarsi di non strafare, in gara, doveva voler dire, supponeva il russo, che fosse tutto a posto.

    O forse sono io che non sento di meritarmi questa gara.

    Beh, lo zigomo sarebbe rimasto un bel monumento alla sua stupidità. Aveva metà faccia coperta dalla medicazione, in cui era stata inserita anche una protezione rigida. Se ci fosse caduto sopra, però, avrebbe potuto salutare per sempre al suo bel viso.

    Le braccia erano un altro problema. Anche la mano destra era gonfia. Non era rotta, a quanto pareva, ma non gli sembrava per nulla la sua mano. In tutto questo la caviglia era la cosa che gli dava meno fastidio.

    Basterà atterrarci sopra una volta e anche lei avrà da ridire.

    Sospirò, perché non c’era molto altro che potesse fare.

    La porta si aprì e entrò Yakov.

    Anche lui sembrava stupito di vederlo in piedi.

    – Vedi che puoi farlo – borbottò.

    – Sì.

    C’era qualcos’altro. 

    Ovvio che ci fosse qualcos’altro.

    Dopo due anni, era una cosa non poteva più aspettare.

    Al peggio, finisce lui il lavoro di quelli di ieri.

    – Ho letto le dichiarazioni di Yuuri alla conferenza stampa… Avrei dovuto parlartene…

    – Avresti dovuto, sì.

    – Era complicato…

    – Perché, Vitya?

    Il solo fatto che Yakov usasse quel diminutivo dava la misura di quanto lo avesse deluso e ferito.

    – Perché tu sei Yakov Feltsman, il dio sovrano del pattinaggio russo e a volte non è facile essere all’altezza delle aspettative degli dei.

    Yakov scosse il capo.

    Non era arrabbiato. Era passato troppo tempo per la rabbia. Sarebbe stato più facile affrontare un Yakov arrabbiato.

    – Eri così disperato? – gli chiese l’allenatore.

    – Sì… Hai visto tu stesso quante gare sono riuscito a portare a termine, dopo, e in che condizioni ne sono uscito… Dopo quell’ultimo titolo mondiale il mio corpo mi imponeva di fermarmi, almeno per un po’… Ma come potevo farlo a San Pietroburgo? Guardando tutti gli altri pattinare, con tutte le aspettative che c’erano su di me… Neppure tu eri pronto a lasciarmi andare…

    Quello era un colpo basso e Victor si pentì immediatamente di quell’ultima frase. Ma era la verità. Yakov credeva così fermamente nelle possibilità atletiche di Victor che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per non deluderne le aspettative. Anche vendersi l’anima.

    L’allenatore rimase un istante in silenzio. Senza dubbio, stava riconsiderando i tanti particolari a cui non aveva fatto caso, due anni prima.

    – Eri l’ombra di te stesso… Pesavo fosse solo la stanchezza, o la storia con quella Ludmilla finita male…

    – Non ero l’ombra di me stesso. Ero quello che rimaneva di me… Ma ero anche Victor Nikiforov, l’unico al mondo ad aver vinto cinque titoli mondiali, e volevo disperatamente rimanere quel Victor per tutti voi… Non avevo nient’altro a cui tenessi, se non l’idea che avevate di me.

    Non aveva mai avuto nient’altro di prezioso, prima dell’amore di Yuuri, che la stima di Yakov.

    – E quando non hai più potuto farlo sei scappato.    

    – Sì. A volte scappare è l’unico modo per salvarsi.

    Inaspettatamente, Yakov sorrise.

    – Sei stato un bastardo fortunato, se quel ragazzo non fosse stato…

    – …Yuuri

    – …Non ne saresti uscito vivo.

    – No.

    – Fammi un favore, Vitya, se mai quel ragazzo dovesse accorgersi di chi si è portato a casa e scappare a gambe levate, prima di fare qualsiasi cosa, chiamami. Così invece di buttarti da un ponte, ti ammazzo io con le mie mani. Anche adesso un po’ vorrei farlo.

    Invece, con un gesto che non faceva più da che Victor era un ragazzino, gli passò una mano tra i capelli, spettinandoglieli tutti.

    Quanto lo odiavo, allora.

    – Andiamo a fargli vedere chi siamo – gli disse Yakov, proprio come quando lo accompagnava in gara le prime volte.    

    – Andiamo.

    

*
   

    – Adesso ci diamo appuntamento nei bagni come dei ragazzini a scuola? – chiese Otabek, ma con un sorriso.

    – Non ho mai dato appuntamento a nessuno, a scuola – sbuffò Yuri.

    Neppure fuori da scuola.

    C’erano stati degli appuntamenti che delle ragazze gli avevano dato e a cui lui non era riuscito a sottrarsi. A tradimento, si ripresentò il ricordo dell’ultimo, con la ragazza del corso di francese (perché diavolo Yakov aveva tanto insistito perché imparasse il francese?), Anna. Che non era brutta, ma appiccicosa come una cicca appena masticata. Che, a sorpresa, durante il pessimo film a che aveva voluto a tutti i costi andare a vedere, gli aveva cacciato la lingua in bocca.

    Yuri era davvero, davvero stufo che la gente lo baciasse quando lui non se lo aspettava.

    Prese un respiro.

    – Io non ho idea di come andrà oggi, né di che umore sarò dopo – disse, di fretta. – E quindi sarà meglio che questa cosa la faccia prima.

    Voleva spiare la faccia di Otabek, ma gli sarebbe mancato il coraggio.

    Non poteva essere peggio di certi salti, no?

    Proprio come se si preparasse a un salto, inspirò e poi fece quegli ultimi due passi.

    Senza guardare, mise una mano dietro la testa di Otabek e lo avvicinò a sé.

    Non incontrò alcuna resistenza.

    Lasciarsi cadere, nella speranza che qualcuno ci sostenga… Sì…

    Otabek sapeva ancora di the e di estate.

    E quando le loro lingue si incontrarono, Yuri sentì di nuovo il calore avvolgerlo, ma questa volta lasciò che accadesse.

    Al diavolo tutto, al diavolo le olimpiadi. È qui che voglio stare.

    Invece fu Otabek a staccarsi.

    Questa volta, però, Yuri lo guardò in faccia.

    Non aveva mai visto nulla di tanto bello. Otabek aveva le pupille dilatate negli occhi scuri, le guance arrossate e un sorriso che non era per niente da lui. Gli faceva venire un’espressione un po’ idiota. Deliziosamente idiota.

    Otabek prese un respiro e si allontanò di un passo.

    – Adesso basta. Ho bisogno di un minimo di lucidità per la gara – disse.

    Già, la gara…

    – Devi pattinare benissimo oggi – gli disse Yuri.

    Voleva che Otabek si riscattasse da quella terribile ottava posizione ben più di quanto desiderasse pattinare bene lui stesso.

    – Solo se tu arrivi a medaglia – replicò l’altro.

 

*
 

        Era la mattina della finale olimpica e Yuuri non ci pensava per nulla. Non che non fosse preoccupato, certo, ma neppure una un pensiero ansioso era rivolto alla propria gara.

    Quindi il trucco è farsi quasi tagliare a pezzi il giorno prima?

    Dopo una lunga contrattazione tra allenatori, gli era stato permesso di stare il più possibile insieme a Victor. Era stato quindi stato fatto salire sull’auto con cui Yakov sarebbe andato a prendere il suo compagno, che in via precauzionale aveva passato la notte al centro medico. L’allenatore era sceso da solo e Yuuri non aveva davvero idea delle condizioni in cui sarebbe arrivato Victor. Al momento, nell’auto vuota, avrebbe dato tutte le sue possibilità di medaglia per vedere il proprio compagno sorridere.

    Eccoli.

    Non sorrideva. Con quella medicazione che copriva metà faccia non poteva proprio farlo. Però camminava, zoppicando appena. E non sembrava neppure essersi azzuffato con Yakov.

    Yuuri prese il respiro che si rese conto di aver trattenuto.

    Con cautela, il russo aprì la portiera e si sedette al suo fianco.

    – Victor…

    Il compagno mosse la mano destra, la sua splendida mano, gonfia, abrasa, con due dita legate insieme, e sfiorò il minuscolo cerotto trasparente sulla guancia di Yuuri.

    – Come stai? – chiese Victor.

    Il giapponese non sapeva se potesse abbracciarlo, dove esattamente potesse toccarlo senza fargli male. Solo con pollice e indice gli prese il polso destro.

    – Ora che ti vedo, bene. Tu?

    – Meglio – la voce di Victor era roca ed esausta, ma gli occhi guizzavano attenti, appena più lucidi del solito. – Riesci a muovere il braccio?

    – Sì. Tu?

    – 221.

    – Eh?

    – È quello che puoi fare con la sequenza di elementi che abbiamo provato l’ultima volta. Non è il record del mondo, ma dovrebbe permetterti di vincere con un buon distacco.

    Yuuri fece un mezzo sorriso.

    – Dimmi come stai – disse.

    – Non posso fare 221 – rispose Victor. – Ma direi che va bene così.

    Yuuri non riusciva a togliersi da davanti agli occhi il momento in cui erano arrivati i paramedici, con Victor a terra, che tremava e lui che lo chiamava, con il loro sangue che si mescolava e il giapponese che non riusciva a capire da dove venisse esattamente, tutto quel rosso.

    Davvero va bene così, ma io non riesco a smettere di tremare.

    Victor se ne accorse.

    – Grazie – mormorò.

    – Per cosa?

    – Per tutto quello che hai fatto per me ieri. Per quello che hai detto alla conferenza stampa. Senza di te non sarei mai riuscito a…

    – Io… Avevo paura che ti arrabbiassi.

    Victor chiuse gli occhi e scosse piano la testa.

    – Sei sempre stato più coraggioso di me. Io sono un vigliacco. Tra me e quelli che sono rimasti a casa c’è… Un niente, un attacco di panico e una fuga in silenzio… Ma ormai lo hai capito… Mi tieni lo stesso?

    – Victor… Non riuscirai mai a liberarti di me.

    Il russo emise un respiro esausto e soddisfatto, come accadeva, a volte, dopo che avevano fatto l’amore.

    – Grazie – disse ancora.

    Erano arrivati al palazzetto. Yakov aveva avuto il permesso di accompagnarli in auto fino alla porta dell’entrata degli atleti. Yuuri non voleva sapere davvero se era per non far stancare Victor o se avesse paura che qualcuno portasse a termine il lavoro del giorno prima. C’erano state denunce e un bel caos a livello diplomatico. Il giapponese voleva rimanerne fuori il più possibile. Aveva seriamente pensato di tornare a casa con Victor il giorno seguente. Ma se avesse pattinato decentemente c’era il galà e Tamura aveva ventilato l’idea di farlo diventare il portabandiera nella cerimonia di chiusura. Di certo, però, quello che desiderava Yuuri era tornare ad essere un semplice atleta. Non un caso diplomatico e di certo non un bersaglio. 

    Senza che lo volesse, sentì lo stomaco stringersi, quando vide che c’era qualcuno fuori dalla porta con tutta l’aria di aspettarli. 

    Non era un sicario, era J.J.

    – Io con quello non ci parlo – disse Victor.

    – Iniziate a entrare, vedo io cosa vuole – disse Yuuri.

    – Vedi di fare in fretta – borbottò Yakov. – Se il tuo allenatore sapesse fare il suo lavoro ti direbbe che hai bisogno di provare tutto, per vedere come risponde il braccio e bilanciare di conseguenza.

    – Se il suo allenatore avesse saputo fare il suo lavoro, niente di tutto questo sarebbe successo – replicò Victor.

    – No – lo contraddisse Yakov. – Senza di te il ragazzo non sarebbe qui, ora. Ma oggi è tanto se stai in piedi, il tecnico fallo fare a me.

    – Finite di battibeccare dentro, arrivo subito – disse Yuuri.

    In realtà sorrideva.

    Dalla faccia che aveva Yakov la sera prima, dopo la conferenza stampa, Yuuri aveva sospettato la possibilità di trovarsi con un fidanzato con entrambi gli zigomi rotti. 

    – Tutto bene? – chiese Yuuri a J.J., quando gli altri furono entrati.

    Non aveva la faccia di uno che stava bene.

    – Victor gareggerà? Io… Ho letto di quello che è successo…

    Yuuri si strinse nelle spalle.

    – Gareggerà. Forse non farà un quadruplo Axel, ma arriverà in fondo.

    In realtà con Victor non si poteva mai dire.

    – Io… Ieri, quando sono uscito dalla mensa, dopo aver parlato con voi… Mi ha avvicinato un russo e mi ha chiesto chi ci fosse dentro… E io… Non pensavo…

    Yuuri sentì la rabbia invaderlo. Una rabbia che non aveva mai provato prima

    Gli tornò alla mente il pomeriggio precedente. J.J. che arrivava solo per provocare. Era troppo, anche per lui. A meno che non fosse entrato apposta per riferire chi c’era dentro…

    – Non potevi non capire…

    – Yuuri, ti giuro, io…

    – J.J., tu c’eri, alla finale del Grand Prix, a quella conferenza stampa, hai visto come hanno reagito quelli della federazione russa. Hai visto che Victor non ha più partecipato ad alcuna competizione con la maglia della sua nazionale prima dello scandalo doping. Un altro avrebbe potuto non sapere, ma tu no!

    J.J. scosse il capo.

    – Yuuri, te lo giuro… Di certo non volevo che ci andaste di mezzo…

    Perché se era solo Victor, l’uomo che ti ha scippato il quadruplo Axel, poteva anche morire, vero?

    Yuuri non si accorse bene di quello che stava facendo, finché non vide il suo pugno, caricato col destro, il braccio sano, che finiva contro la bocca di un allibito J.J.

    Non pensavi che ne sarei stato capace, vero?

    Beh, neppure io.

    La porta del palazzetto si aprì e ne uscirono Yurio e Otabek.

    Yuuri fece in tempo a considerare la scena che i due avevano davanti.

    J.J. appoggiato al muro, che si tastava con una mano il labbro spaccato che perdeva sangue, mentre lui guardava con una certa sorpresa la propria mano.

    – Che cosa succede? – chiese il kazako.

    Anche Otabek, notò Yuuri, aveva un aspetto strano. Non era possibile che avesse assunto droghe prima di una finale olimpica. Quindi forse aveva a che fare col fatto che Yurio, nonostante la situazione, continuasse a sorridere.

    – Ha parlato con i tizi che ci hanno pestato – disse Yuuri. Tremava, ma la sua voce era ferma. – È entrato apposta, per vedere in quanti eravamo.

    – Non avevo idea di che cosa volessero fare – si difese ancora J.J.

    – No? – replicò il kazako.

    Se fa arrabbiare Otabek scende in pista conciato come Victor…

    J.J. ebbe la saggezza di non dire altro.

    – Lo hanno quasi ammazzato – disse Yuuri, freddo.

    È la prima volta che riesco ad ammetterlo. Victor, ieri, poteva davvero morire. Ci è mancato pochissimo.

    Sia Otabek che Yurio guardarono J.J. come se fosse uno scarafaggio.

    Il kazako mise una mano sulla spalla di Yuuri e una su quella del russo. Il giapponese non sapeva se lo stava facendo per tenere calmi loro o se stesso. 

    Per quanto fosse stato terribile per lui e Victor, nessuno degli altri si era divertito.

    – Adesso noi entriamo – disse Otabek piano, scandendo le parole. – Ti sei rotto il labbro da solo, decidi tu come. E vedi di non parlare con nessuno di noi. Per un bel po’.

    J.J. annuì e corse dentro il palazzetto.

    – Glielo hai spaccato tu il labbro? – chiese Yurio.

    – Così pare – rispose Yuuri, un po’ sorpreso di se stesso.

    – Wow – fece il russo.

    – Adesso entriamo, Yakov ci ha mandato a cercati, non vuole che tu rimanga sa solo – disse Otabek. – Non credo, però, che pensasse che fosse il caso di salvare qualcuno da te.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 – Il libero della gara individuale ***


L'ANGOLINO DELL'AUTRICE: ...E siamo arrivati in fondo.
Quando sono arrivata a scrivere la fine di questa storia ero stremata come se le olimpiadi le avessi fatte io e se avessi appena terminato una gara. L'ho amata, questa storia, quasi quanto l'ho odiata e mi sono tremate le mani nel momento di condividerla qui.

Vedere il numero dei lettori che cresceva via via, con qualcuno che andava a recuperarsi anche le mie storie precedenti, quindi, è stato il regalo più bello che poteste farmi. Vorrei ringraziare ad uno a uno coloro che hanno letto fin qui, anche se non conosco i vostri nomi. E un GRAZIE ancora più infinito ai miei commentatori. A Siyla, che è stata con me fin dall'inizio, a Chrystal, che si è aggiunta in corsa e a tutti gli altri. Ogni commento è stata una mano tesa a cui aggrapparsi e ha dato un senso a questo mio scrivere.

Un GRAZIE ENORME va alla persona che ha permesso a questa storia di esistere: ElinaFD (correte a leggere le sue storie, svelti!). Lei ne sa millemila volte più di me di pattinaggio, ma mi ha sempre offerto consulenza senza farmelo pesare, rispondendo alle mie domande praticamente a qualsiasi ora del giorno e della notte. In modo particolare, a lei devo il contenuto tecnico del programma libero di Victor, che è stato soppesato in ogni dettaglio ed è diventato il famoso "pizzino del pattinaggio". La sua consulenza tecnica, infatti, è arrivata come messaggio vocale in apparente codice segreto nel bel mezzo di una sessione di gioco di ruolo. E quindi, mentre in un mondo immaginario, ma assai tangibile, degli eroi stavano ammazzando orde di orchi, io trascrivevo cose come "3t+2S, passi...". Le altre persone intorno al tavolo hanno iniziato a fare le ipotesi più disparate, fino a che un giocatore ha esclamato "ma sono salti di pattinaggio!". Dal momento che non ho assolutamente voluto rivelare a cosa mai servissero, aleggia su di loro ancora il mistero del "pizzino del pattinaggio". 



Yuri non era mai stata tanto preoccupato per la gara di qualcun altro. O, meglio, era stato spesso preoccupato per le prestazioni degli altri, per la paura che facessero un punteggio migliore del suo. Non aveva mai desiderato con tanta forza che qualcun altro pattinasse bene. No, non bene, neppure benissimo. Meglio di qualsiasi altro.

    Con quel suo terribile ottavo posto nel corto, Otabek non era nel loro scaglione. Faceva quasi male vederlo riscaldarsi in pista con con il cinese e l’americano, ragazzi simpatici, per carità, ma che a livello atletico non avevano nulla a che spartire con il kazako. Oltre tutto tutto lo staff del Kazakistan aveva una faccia… Se fosse andato male cosa avrebbe passato? 

    Yuri sapeva che Otabek non aveva un gran rapporto con la dirigenza della nazionale. In realtà, da quel che ne sapeva il ragazzo, Otabek non era stato un gran che fortunato con gli allenatori. Si era allenato a lungo con il padre di J.J., in Canada, salvo poi essere più o meno messo alla porta nel momento in cui rischiava di scavalcare il figlio.

    Fino a che non ho rischiato di perderlo, ho dato sempre per scontato Yakov, senza capire quanto sia fortunato ad averlo…

    Adesso Otabek era tornato a fianco del suo allenatore che, a quanto pareva, gli stava dando un bella strigliata. Il Kazakistan non aveva molti atleti con cui potesse ben figurare alle olimpiadi. Dopo l’argento ai mondiali, ovviamente, c’erano delle aspettative su di lui. Ma non era piaciuto il suo terribile 86.80 nel corto, né il suo coinvolgimento nell’aggressione del giorno prima né, sospettava Yuri, la sua amicizia con il ragazzetto russo. Gli veniva chiesto di essere un soldatino devoto, senza sentimenti e, forse per la prima volta, durante quelle olimpiadi Otabek non ci era riuscito.

    Fregatene di loro, pattina per me.

    Come diavolo facevano Yuuri e Victor a reggere quel tipo di tensione? Non era una cosa piacevole tenere così tanto a una persona.

    Non è per niente bello. Io non so se la voglio questa cosa. Sarebbe meglio, davvero, bastare a se stessi. 

    Ma ne ho bisogno.

    Il riscaldamento del penultimo gruppo era finito.

    Il cinese fece una prova talmente incolore da finire dietro all’altro giapponese, il compagno di stanza di Yuuri, che aveva pattinato nel gruppo prima. Il coreano fece un pochino meglio, ma il suo  totale di 270.20, per quanto accolto da un boato del pubblico, del resto gareggiava in casa, era lontanissimo dal limite dei 300 punti che solo un pugno di atleti era in grado di raggiungere.

    E, maledizione, tu sei tra questi, Otabek.

    Certo, serviva un mezzo miracolo, partendo da 86.80. Il suo punteggio migliore, fino a quel momento, era stato il 214.30 con cui aveva preso l’argento mondiale dietro a Yuuri. Probabilmente, se Yuuri, Chris e J.J. avessero mantenuto il livello del giorno precedente, non sarebbe bastato per portarlo in zona medaglia…

    E io?

    Cosa diavolo mi hai fatto se neppure me ne frega di batterti?

    È proprio una cosa stupida questa dell’amore…

    Eccolo.

    Aveva il suo sguardo duro e concentrato. 

    Bene.

    O forse no, perché appena Yuri alzò un braccio per farsi vedere, ecco ricomparire il sorriso un po’ ebete, così fuori posto nella sua faccia.

    Iniziò la musica. 

    Pattinava su una musica kazaka che raccontava di sacrificio e di guerra.

    Smettila di sorridere! Non ci azzecca niente con quello che stai raccontando!

    O forse sì. Forse era quello che sentiva di essere. Un soldato in una guerra che non voleva più combattere. Il quadruplo Loop iniziale fu una delle cose più belle che Yuri avesse mai visto. Un salto fatto con la gioia selvaggia di chi si oppone all’orrore che lo circonda.

    Vai così, Otabek.

    Yuri sentì la preoccupazione che si scioglieva, sostituita da qualcosa di nuovo, un misto di gioia per l’altro e carica per se stesso.

    Allora forse sì, ne vale la pena.

    Cambiò leggermente il finale.

    È proprio un’altra storia, questa.

    Non era più il sacrificio eroico di un soldato per la propria patria. Era una fuga personale nel sogno interrotta da una pallottola. 

    Con una sorta di terrore, Yuri si rese conto che quello poteva non essere solo un finale recitato.  Aveva lui, in qualche modo, la pallottola che poteva abbattere Otabek.

    Ti sei esposto così tanto con me? Sì, suppongo di sì. Non è che in Kazakistan certe cose funzionino in modo diverso che in Russia. E la tua famiglia, da quel che mi hai raccontato, non la pensa in modo così diverso da mio nonno.

    Yuri scosse il capo, per reagire alla forza di quei pensieri.

    Sono così importante per te?

    Non c’era altro tempo per pensare a quello. 

    Otabek era già andato con il proprio allenatore a scoprire il punteggio. Yuri aveva tenuto il conto… Lo aveva fatto?… 210 come minimo…

    216

    Il che lo portava a un totale di 302.80

    Il sorriso del kazako, nel maxischermo, non aveva più quella nota un po’ ebete. Era il sorriso del cacciatore soddisfatto. Adesso lo avrebbero portato nell’area dove i primi in classifica guardavano le esibizioni degli altri da comodi divanetti.

    Sarebbe stato maledettamente difficile schiodarlo da lì.

 

*
 

    Otabek aveva pattinato benissimo. Victor era contento sia del risultato che dello sguardo estasiato con cui il suo compagno di stanza aveva seguito l’esibizione. Quanti anni aveva il kazako? ventuno? Ventidue? Eppure sembrava aver già capito quello che lui ci aveva messo così tanto a realizzare…

    Ancora due esibizioni, Crispino e Nekola, e in qualche modo avrebbe dovuto affrontare il ghiaccio. Per l’ultima volta.

    Non era certo così che se l’era immaginata. 

    Eppure, erano senza dubbio gli antidolorifici, si sentiva leggero. Il sapere, per una volta, che non era umanamente possibile mantenere i propri standard gli toglieva del tutto il peso della prestazione. Lo aveva portato per così tanto tempo da non farci più caso, quasi. Eppure in quel momento sentiva la differenza.

    Quindi ci sarà anche questo, dopo… Un senso quasi di liberazione.

    Non dover più essere, ad ogni costo, Victor Nikiforov, il più grande di tutti.

    Con la coda dell’occhio, cercò Yuuri. Stava parlando con Tamura. Chissà se si rendeva conto di quanto fosse stato in realtà fortunato ad essere cresciuto atleticamente solo negli ultimi anni. Raggiungere il successo quando ormai aveva la maturità per reggerlo. Yuuri viveva ogni vittoria come un dono inatteso, non come un dovere da assolvere.

    E forse per questo esprimi meglio di come mai ho potuto fare io lo spirito di questo sport.

    – Guarda qui – la voce brusca di Yakov lo riscosse dai propri pensieri.

    L’allenatore gli mise sotto gli occhi un foglio con degli appunti che Victor guardò un istante senza capire.

    – Lo schema dei salti aggiornato alle tue possibilità. Pensi di riuscire ad arrivare in fondo?

    La gara, giusto…

    Victor non aveva davvero pensato a cosa fare sul ghiaccio. Non aveva fatto l’allenamento pre gara, limitandosi a qualche esercizio per sciogliere i muscoli. Il suo libero, La saga della primavera, era in potenza il programma più forte, con l’aggiunta del quadruplo Axel sarebbe stato inarrivabile. Non aveva mai pensato di poterlo eseguire al meglio, ma, come sempre, non aveva preparato un piano di riserva.

    – Non possiamo permetterci una caduta – disse Yakov.

    In linea generale, Victor preferiva cadere, salvando le rotazioni di un salto, piuttosto che abbassare le difficoltà. Se avesse giocato al ribasso, non sarebbe mai diventato quello che era. Era buffo constatare come da allenatore dicesse a Yuuri l’esatto contrario. E Yakov aveva ragione.

    Non c’era un punto del suo corpo che potesse permettersi un impatto col ghiaccio. Da una caduta, quel giorno, non si sarebbe rialzato. Era stato portato via in barella il giorno prima, ma dalla pista voleva uscirne con le sue gambe. Si guardò le mani. Meglio evitare anche doverle usare come sostegno. Doveva proprio guardare quel foglio, quindi.

    – Yakov, posso farli tre quadrupli! – protestò.

    – No, non puoi. Dimmi se puoi fare questo, in tutta sincerità, in caso contrario abbassiamo ancora le difficoltà.

    Una parte di lui voleva contraddire l’allenatore. Negare ogni oggettiva difficoltà, sorridere e andare avanti. Ma non poteva. Ormai, non poteva essere altro che se stesso.

    Combinazioni triplo e doppio. Da quanto tempo era che non faceva più dei doppi in una gara internazionale? Eppure la sua caviglia li avrebbe sentiti tutti. Il respiro affannoso, alla fine, sarebbe stato una sofferenza, con le costole rotte. E in caso di caduta si sarebbe letteralmente frantumato.

    – Ascolta, Vitya – aggiunse Yakov. – Tutti qui hanno letto di quanto è accaduto e vedono la tua faccia. Quelli che hanno qualche notizia più precisa si dividono in due gruppi. Quelli che non si capacitano del fatto che tu non ti sia ritirato e quelli che non vedono l’ora di vederti cadere. Io non voglio dare soddisfazione né agli uni né agli altri. Il pattinaggio non è solo muscoli e salti. È grazia e interpretazione. E per quanto bravi siano gli altri, su questo piano, persino adesso, tu sei ancora il migliore. Io voglio che tutti si dimentichino dei salti, della tua faccia coperta dalla medicazione, di quello che hanno letto. Voglio che ti guardino pattinare e pensino solo a quanto sia bello farlo. Puoi riuscirci per me, Vitya? È la nostra ultima gara.

    Victor annuì.

    – Posso farlo.

    Non solo per te, Yakov. 

    Per Yuuri. Mi esibisco prima di lui, se cadessi e mi facessi male non potrebbe mai scendere sul ghiaccio sereno. Per Yuri, che non lo ammetterà mai, ma ieri si è spaventato tantissimo e deve avere la prova che il suo coraggio non è andato sprecato. Per Chris, che è da questa mattina che mi manda messaggi scemi per farmi sentire meglio, lui che più di tutti aveva cercato di mettermi in guardia. Per me stesso. Non so nulla del coraggio. Ma forse posso ripartire da qui, dall’ascoltare chi è più saggio di me.

    – Allora corri a scaldarti e fai le tue prove tenendo a mente questo programma – disse Yakov.

    – Sì – annuì Victor, alzandosi.

    Appena le lame iniziarono a scorrere sul ghiaccio, da tutto il palazzetto si levò un applauso. Aveva ragione Yakov, naturalmente, quel giorno non poteva nascondersi. Non erano solo gli spettatori. Yuuri, Yuri, Chris, Phic e J.J., che si sarebbero esibiti nell’ultimo gruppo, ed erano già pronti a scaldarsi, si erano tutti fermati per applaudirlo.    

    Non sono solo. In realtà non lo sono mai stato. 

    Se solo lo avessi capito prima…

    Fece per provare almeno la sequenza di passi, ma dopo un istante tornò da Yakov.

    – Cosa…

    – Grazie – gli sussurrò.

    – Torna a scaldarti, idiota!


*
 

    Yuuri attese di sentire il punteggio di Phic.

    201.20

    Bene. Era stata un’ottima prestazione per lui. Con un totale di 291.70 era improbabile che andasse sul podio, ma da come sorrideva ne era soddisfatto. Yuuri avrebbe voluto avere la sua capacità di godersi le cose. C’era anche da dire che la sua sarebbe stata la migliore prestazione di sempre di un atleta tailandese in un’olimpiade invernale. 

    Lui non ha in casa, per dire, uno che considera normale vincere cinque titoli del mondo.

    Yuuri sorrise di quel pensiero. Il solo fatto che l’avesse formulato voleva dire che tutto stava andando per il meglio. Victor aveva pattinato bene nel riscaldamento. Certo, sembrava un po’ spento, con uno sguardo sperso che non era proprio da lui e che Yuuri supponeva non fosse dovuto solo ai farmici, eppure il semplice fatto di riuscire a muoversi sul ghiaccio aveva contribuito a farlo tornare un poco se stesso. E se Victor riusciva a pattinare, lui non poteva essere da meno.

    Il costume copriva del tutto i punti che aveva sul braccio. Era strano come un evento durato meno di cinque minuti cambiasse del tutto la prospettiva. Ieri mattina Yuuri, per quanto infinitamente più sicuro di se stesso di due anni prima, aveva comunque sentito tutto il peso del palazzetto olimpico, delle reti televisive di tutto il mondo, dei dirigenti giapponesi venuti a vederlo. 104 poteva essere un punteggio dignitoso, in termini assoluti, ma per l’impegno che aveva profuso in quel corto per tutto un anno, era piuttosto deludente. Adesso nulla di tutto ciò che lo circondava lo intimoriva. Che lo guardassero. Era lì per quello, no? Farsi ammirare. Quel mediocre pattinatore giapponese che avrebbe lottato per una medaglia olimpica. Perché alla fine era lì per quello, no? Non era venuto in Corea per farsi tagliare un braccio e vedere pestare il proprio fidanzato. Non aveva più senso nascondersi, a quel punto. E neppure avere paura.

    J.J. stava per iniziare.

    Yuuri non aveva mai provato sentimenti tanto violenti e negativi nei confronti di qualcuno. Anche quella era una cosa del tutto nuova. La rivalità agonistica, prima, non era mai sfociata in rancore personale. Forse era per quello che gli faceva così male. Non era pronto a qualcosa di tanto meschino da parte di uno di loro. Avevano gareggiato insieme, mangiato insieme, si erano fatti i complimenti a vicenda. Maledizione.    

    Lo sapevo che volevi vincere. Ma non così. Maledizione, non così.

    Quando durante il riscaldamento Victor era entrato in pista, J.J. si era fermato come tutti gli altri e aveva applaudito. Yurio era stato sul punto di saltargli alla gola. Di tutti quelli sul ghiaccio in quel momento, ad eccezione di Phic, che non era stato coinvolto per pura fortuna, il canadese era l’unico a non avere dei lividi da tirapugni sotto il costume. 

    Come fa a far finta di niente?

    Aveva iniziato.

    Yuuri spiò Victor. Non gli aveva detto niente del coinvolgimento del canadese e il giapponese sperò che fosse troppo intontito per arrivarci da solo.

    Intanto J.J. si preparava al primo salto. 

    Il suo quadruplo Axel, ovviamente.

    Partì bene.

    Una rotazione, due, tre… C’era un motivo per cui era un salto che fino al giorno prima nessuno aveva mai eseguito in gara. Yuuri si accorse che non lo stava controllando prima di lui.

    Cadde senza riuscire a minimizzare i danni, con il pattino sotto al proprio corpo.

    Nonostante tutto, Yuuri fu sollevato nel vederlo rialzarsi subito. 

    Ormai, però, aveva perso ritmo e concentrazione. E una parte di Yuuri sperava che avesse un livido enorme sulla coscia, dove aveva picchiato contro il pattino. Cadde di nuovo, meno rovinosamente, sul secondo quadruplo, anche se riuscì a completare le rotazioni.

    Non si può pattinare bene con l’anima sporca.

    Fece 179.68, del tutto insufficiente a far alzare Otabek dalla propria poltrona. 

 

*
 

    Le note di Schubert riempirono il palazzetto. In qualche modo, era come se facessero risuonare il ghiaccio. Davano un senso di pienezza. Come una coperta da cui si può essere avvolti.

    Yuri non ci aveva mai pensato. Non aveva mai provato il libero pensando che il realtà quella musica, così diversa da lui, gli piaceva.

    Chissà se si vedeva il livido sulla sua fronte? Quando si era alzato era di un bel blu violaceo. Poi era passata Mila ad aiutarlo a truccarsi, ma supponeva che un simile capolavoro, come l’aveva definito Otabek? Astratto, non potesse sparire del tutto.

    Il primo quadruplo. Partiva con un Flip. Quanto lo aveva odiato!

    Ma, insomma, non poteva essere più difficile che cacciare le dita negli occhi a un tizio che pesa il doppio di te e ti vuole pestare? O di baciare Otabek. No?

    No, non lo era.

    Atterrò perfettamente. Il miglior atterraggio che avesse fatto da mesi a quella parte. Ora combinazione, poi passi e trottola.

    Questa cosa di cui stanno cantando, io non ce l’ho.

    Che ne so io di religione? Mio nonno ha ancora i busti di Lenin e di Stalin in salotto. Yakov, se prega, lo fa davanti a un altare a forma di pattino.

    Ho sempre pensato di non poter credere in altri che me stesso. Non è vero. Nessuno di noi è solo.

    Sono caduto un sacco di volte negli ultimi due anni. In ogni modo possibile. Ma c’erano sempre braccia pronte a sostenermi. Il nonno, Yakov, ma anche Victor, Yuuri, Mila… E Otabek, naturalmente…

    Combinazione.

    Non è perfetta.

    Il ragazzino che sono stato, che non era consapevole di poter cadere, pattinava meglio. Era la gioia dell’incoscienza.

    Ma poi si cresce. Cos’era quella stupida storia? L’albero della conoscenza del Bene e del Male?

    Non potrò mai più essere quel ragazzino.

    Si cresce. Si cade. Si scoprono le mani pronte a sorreggerti.

    Questo Loop ha un altro valore ora che so quanto male fa cadere.

    Questo sono il me stesso di adesso. E devo ancora scoprire fin dove posso arrivare.

    Arrivò in fondo al proprio programma, con le ginocchia sul ghiaccio e i polmoni che sembravano voler spaccare la gabbia toracica. Aveva chiuso gli occhi e non riusciva ad aprirli. Ma sentiva gli applausi. Anche il pubblico aveva mani tese per lui.

    Con uno sforzo di volontà si rialzò a salutare.

    Era un gesto che aveva sempre fatto malvolentieri. Non ne aveva mai capito il senso. Ma erano gli sguardi del pubblico, le grida degli ammiratori, la soddisfazione delle persone che credevano in lui le mani che lo avevano sostenuto. Il minimo che potesse fare era ringraziarli.

    Sia Yakov che Victor lo attendevano all’uscita ed entrambi stavano sorridendo.

    – Non sono mai stato tanto fiero di un mio compagno di squadra – gli disse Victor.

    Per la prima volta, Yuri si rese conto che era da quando aveva undici anni che attendeva che l’altro glielo dicesse.

    221.60

    Il che portava il totale a 321.40. Aveva staccato Otabek di quasi venti punti.

    Un po’ si sentiva in colpa. Ma in realtà non riusciva a smettere di sorridere.

 

*

 

    Chris si esibiva subito prima di Victor e la cosa gli dispiaceva.

    Il russo aveva l’assoluta necessità di sciogliere e scaldare il più possibile il suo corpo maltrattato se voleva riuscire a portare a termine il programma da esordiente che Yakov gli aveva imposto. Perché peggio dell’idea di chiudere la propria carriera con delle combinazioni con dei doppi c’era solo quella di cadere su un salto doppio. Ipotesi tutt’altro da scartare. Eppure avrebbe proprio voluto fermarsi a guardarla, l’ultima esibizione olimpica di Chris.

    Quanto duro doveva essere stato essere per così tanto tempo il secondo al mondo?

    Ognuno di loro, lì, in qualche modo meritava di vincere. Nessuno arrivava nei primi posti di una finale olimpica senza dedizione e sofferenza. Ognuno era consapevole, lui solo, delle proprie lacrime versate, dei propri dolori e delle proprie rinunce. Eppure il pubblico si sarebbe ricordato solo del vincitore, a malapena del secondo e quasi per nulla del terzo. E nel giro di pochi anni anche gli eroi di un tempo sarebbero stati dimenticati, sostituiti dalla nascita di nuovi dei. Si erano votati a un mondo crudele, che esigeva più di quanto non desse in cambio. E che tuttavia sarebbe mancato loro come una parte di loro stessi.

    Interruppe gli esercizi almeno per vederlo entrare in pista e gridargli un incoraggiamento.

    Lo rivide con la sua stampella in mano, che intercettava uno degli aggressori prima che potesse arrivare fino a lui.

    Se era lì, più o meno in grado di gareggiare, lo doveva a Chris, Yuri e Otabek, ma sopratutto a Chris. Quanti pugni si era preso al posto suo? Quella mattina lo svizzero aveva minimizzato, dicendo che non era in grado di distinguere i lividi dovuti all’aggressione da quelli causati dalle cadute in allenamento…

    Adesso, pensò Victor, il rancore che provava per lui Max, il compagno di Chris, aveva molto più senso di esistere. A proposito, dov’era Max? Possibile che si perdesse l’ultima finale olimpica di Chirs? Eccolo lì, in uno dei posti migliori, a sventolare la bandiera della Svizzera. Victor gli sorrise, anche se di certo Max non stava guardando lui. Li aveva sempre invidiati. Per la naturalezza con cui potevano vivere il loro rapporto, per l’indulgenza che avevano l’uno nei confronti dell’altro… 

    Quanto si era arrabbiato quattro anni prima, quando, dopo una serata di follia, Chris gli aveva detto che avrebbe dovuto sentirsi lusingato, perché in fin dei conti era stato lui lo sfizio che Max gli aveva concesso? La colpa non era di Chris. Il problema era stato ammettere con se stesso che il massimo che poteva essere per qualcuno, e per qualcuno che gli era caro, era lo sfizio di una sera. Constatare che, pur con tutti i suoi difetti, Chris aveva trovato qualcuno che gli si adattasse perfettamente, mentre in tutto il mondo non sembrava esserci nessuno disposto a tenersi Victor per più di un paio di notti bollenti o che lui fosse disposto a tollerare più a lungo… 

    Adesso, però, augurava loro, di cuore, una serata più interessante della sua… No, forse interessante non era la parola giusta. Anche l’incontro che Victor avrebbe avuto con l’ortopedico sarebbe stato interessante. Quello che  augurava loro era una serata piacevole.

    Con un sospiro, Victor staccò gli occhi dalla pista, dove Chris aveva preso a muoversi, per tornare a concentrarsi su se stesso. Prese un respiro, che gli fece dolere le costole.

    – Tutto bene? – chiese Yuuri.

    La sua presenza, lì al suo fianco, gli infondeva calma. 

    – Sì… Dimmi come sta andando Chris.

    – Bene… Non precisissimo, ma bene.

    Era strano vivere quella situazione a ruoli invertiti, come se l’allenatore fosse Yuuri e lui quello da rassicurare. In qualche modo, aveva l’impressione che facesse bene a entrambi. Yuuri era più calmo di quanto mai l’avesse visto, come se la finale olimpica fosse il suo ambiente naturale.

    Lo è. Bisognava solo che se ne rendesse conto.

    – Ahh…

    – Cosa? – si allarmò Victor.

    – Niente, stava per… Ma ha recuperato. Continua con gli allungamenti.

    – Sembri Yakov.

    – Dici? Lo prendo per un complimento. Come va il braccio sinistro?

    – Non lo sento per niente. Non so cosa mi hanno iniettato, poco fa, penso che andrà dove vorrà lui… Che cosa imbarazzante…

    – Victor?

    – Sì?

    – Sarai bellissimo lo stesso.

    – Non farmi sorridere. Mi fa male la faccia.

    – Ha finito, sei pronto a scendere in pista?

    Victor prese un respiro.

    – Sì… Quanto ha preso Chris, secondo te?

    Yuuri ci pensò su, mentre lo svizzero salutava il pubblico. C’erano moltissimi applausi anche per lui. Che arrivasse o meno primo, era impossibile non apprezzarlo.

    – Sui duecento, credo – rispose il giapponese. – Secondo me come totale se la gioca con Otabek sul filo dei trecento punti.

    Victor annuì.

    – Tu puoi fare di meglio.

    – In realtà anche tu, anche con i salti che ti ha suggerito Yakov. Che ti piaccia o no sei ancora uno dei protagonisti, qui.

    Victor non sapeva bene come prendere quell’affermazione. Aveva fatto i suoi calcoli, naturalmente. C’era una parte della sua mente che lavorava ancora, nonostante tutto, in funzione della gara. Nella sua carriera, ovviamente, non aveva sempre vinto. Aveva perso la sua buona dose di primi posti. Per lui non arrivare primo era sempre e solo stata una sconfitta. In alcuni casi anche il primo posto, raggiunto con un livello che non lo soddisfaceva, era stato una sconfitta. Non aveva mai lottato davvero per un secondo o un terzo posto. Quella era una prospettiva del tutto nuova. Beh, a quanto pareva era ora di provare.

    Si avvicinò Yakov.

    – È ora di andare in scena – disse.

    – Sì – annuì Victor.

    – Vitya?

    – Sì?

    – Non cadere. Non ho alcuna voglia di perdermi la premiazione di Yuri per correre con te all’ospedale e il ragazzo, qui, deve ancora gareggiare. Non cadere.

    Victor annuì.

    – Farò del mio meglio.

    Si comincia. Per l’ultima volta.

 

    Si mosse con cautela sul ghiaccio, mentre l’altoparlante annunciava il terzo posto temporaneo di Chris. Le gambe andavano. La caviglia lo reggeva, per il momento. Respirare era una brutta faccenda che sarebbe peggiorata andando avanti. Le braccia e le mani erano dei pezzi di legno pronti a farlo urlare di dolore se solo avesse sfiorato… Beh, qualsiasi cosa. La medicazione allo zigomo gli toglieva parte di visuale e lo faceva sentire ancora più goffo e sbilanciato di quanto non fosse, oltre che orribile.

    Ma sono qui.

    Del resto è questo che sto mettendo in scena. Oggi si muore sul ghiaccio. Era questa la vicenda, no? La ragazza che balla fino a morire di sfinimento per propiziare la primavera. Io, però, non sono un’innocente vittima sacrificale. Com’era quella storia che mi ha raccontato Yuuri? I vecchi re del nord Europa, non ricordo di dove, che accettavano di venire uccisi in sacrificio perché un altro, più degno potesse regnare. Ecco. Un altro, più degno… Yuri o Yuuri? Quanta differenza nell’allungare una vocale. Chi lo avrebbe mai sospettato, una volta… Vorrei tanto che fossi tu, Yuuri, ma immagino che neppure quei sovrani potessero scegliere.

    Basta. È ora di andare.

    Facciamo vedere a tutti come muore un re.

    Con calma, raggiunse il centro della pista. Lo stavano già applaudendo. In realtà, suppose, nessuno pensava che potesse pattinare. 

    Fare il contrario di quello che pensa la gente. Beh, questo è sempre stato il mio modo di stare sul ghiaccio.

    Sempre con calma, nonostante le proteste di braccio e mano, si portò alle labbra l’anello, anche se questa volta era Yuuri a non poterlo guardare. Di certo si stava scaldando… No?

     Maledizione, Yuuri, è la finale olimpica! Pensa a te stesso, non a me.

    Beh, non poteva farci molto.

    Cercò Yakov con lo sguardo e annuì al suo cenno. L’allenatore aveva in mano il suo portafazzoletti a forma di cagnolino e lo stava sventolando. Era dall’ultima gara da juniores di Victor che Yakov rifiutava di farlo.

    Le note di Stravinskij presero possesso del palazzetto, del ghiaccio e della sua mente.

    Senza un pensiero consapevole, Victor iniziò a muoversi.

    No. Non posso semplicemente lasciare fluire la musica. Non questa volta. 

    La mia esibizione migliore con il minor punteggio tecnico degli ultimi dieci anni. Se non è una sfida questa.

    Il quadruplo Axel però lo avrebbe fatto. Dopo tutto, era ora o mai più.

    Dimostriamo che non è stato un caso.

    Poca elevazione.

    Fatto comunque.

    Lo faranno altri. Lo faranno meglio. Ma per adesso è mio.

    Anche la sua caviglia se n’era accorta. Adesso le due combinazioni. Quelle le avrebbe sofferte. 

    Si danza fino alla fine. Senza che nessuno possa togliermi gli occhi di dosso.

     Triplo Toe Loop e poi un doppio. Passi, trottola. Respirare stava diventando un affare complicato. Ma la musica lo teneva stretto. 

    Ripensò alle vecchie illustrazioni che Yuuri gli aveva fatto vedere, la danza come l’aveva pensata il compositore. Selvaggia e bellissima anche se votata alla morte. Quella era l’ultima volta, l’ultima volta davvero davanti a tutti quegli sguardi puntati su di lui, con il palazzetto intero e chissà quanta altra gente a casa che tratteneva il respiro. Triplo Luzt e doppio Flip.

    Non guardate le rotazioni. Dimenticatevene. Guardate me.

    Da quando l’aria si era fatta così densa, così difficile da attraversare? Yakov aveva ragione, come sempre. La prima parte sarebbe stata facile. Una combinazione con due doppi. Non importava, non finché la musica lo sosteneva. Iniziava a non avere più idea di cosa sarebbe accaduto dopo. Triplo Axel e doppio Salchow. L’aveva fatta da juniores quella combinazione. Eppure adesso sentiva il sudore e le braccia iniziavano a non rispondere più. Adesso l’ultima parte coreografica e poi la combinazione e il salto finale. Il re stremato che attendeva l’ultimo colpo. La ballerina che stava per cedere, ma che ancora danzava. L’ultima combinazione… Tremava. Aveva pensato, ancora pochi minuti prima, di riuscire a chiudere con un quadruplo. Il Salchow non era davvero difficile… Ma era troppo. Poteva reggere le rotazioni, ma non l’atterraggio. Anche il triplo… Sentì il piede scivolargli sul ghiaccio, in condizioni normali avrebbe appoggiato una mano sul ghiaccio… Con uno sforzo si rimise in posizione. La fitta che gli arrivò dalla caviglia, nonostante gli antidolorifici, gli disse che qualcosa aveva ceduto. Non importava. Quello che doveva essere fatto era stato fatto.

    Il programma terminava con lui accasciato sul ghiaccio. Non fu parte della coreografia. Qualche centesimo di secondo in anticipo sulla musica, si piegò sulle ginocchia. Non poteva lasciarsi cadere. Si afflosciò, mentre ogni respiro era una fitta che andava in sinergia con quelle alla caviglia.

    Io da qui non mi rialzo più.

    Vagamente, sentiva gli applausi. Aveva una vaga percezione dei peluche e dei fiori che venivano lanciati sulla pista.

    Sto per vomitare. Questo sì che sarebbe imbarazzante.

    Provò ad alzarsi, ma non c’era un punto del suo corpo dove potesse fare forza. Il piede sinistro, da solo, non bastava a metterlo in piedi.

    No… Se qualcuno non mi viene a prendere non posso muovermi.

    Beh, anche quella era un’esperienza nuova.

    C’era un modo di avvisare del problema senza allarmare tutti?

    Dopo un certo tempo, che a lui parve infinito, ma che probabilmente non era neppure un minuto, una delle ragazze che raccoglievano i fiori arrivò da lui per chiedergli qualcosa in un inglese incerto.

    – Prendimi al polso destro – sussurrò.

    In qualche modo si rimise in piedi. La ragazza era uno scricciolo, ma fece del suo meglio per trainarlo all’uscita.

    Yakov dovette afferrarlo.

    – Fai piano – sussurrò Victor. – Come sono andato? Yuuri?

    – Beh, ne hai ancora di fiato… Qual è il braccio messo meglio?

    – Il destro.

    – Ok, allora così dovremmo riuscire a farcela.

    – Dimmi il resto.

    – Il ragazzo si sta scaldando, è quasi svenuto un paio di volte, ma questa è colpa tua.

    – Come sono andato?

    – Allora davvero non stai così male… Il quadruplo Axel deve insegnarlo più presto a Yuri, al mio Yuri, anche al tuo, se vuoi. Perché come lo hai fatto tu è piuttosto imbarazzante. Non che qualcuno se ne sia accorto, giudici compresi. Erano troppo stupiti dal fatto che stavi pattinando, ma quando ti rivedrai nelle registrazioni vorrai morire.

    Victor sorrise. Per dare una scusa anche alla guancia di lamentarsi.

 

    190.80

    – Come diavolo hanno fatto a darmi 98 di punteggio artistico?    

    – Consideriamolo un premio all’incoscienza – borbottò Yakov.

    Poi il vecchio allenatore sorrise.

    – Hai il bronzo assicurato. Neppure questa volta sono riusciti ad abbatterti.

    Victor non replicò. C’erano due problemi da considerare. Non sapeva come alzarsi da dov’era seduto. E Yuuri stava per iniziare.


*

 

    Ed eccomi qui. Quel mediocre pattinatore giapponese che alla fine ha raggiunto quel sogno così grande che neppure riusciva a formulare. Lottare per una medaglia olimpica.

    Aveva rischiato di non arrivare sul ghiaccio. Per infarto. Nella la seconda metà del programma di Victor era invecchiato di dieci anni. L’ultimo salto, con quell’atterraggio incerto salvato all’ultimo gli era quasi stato fatale. Ma ce l’aveva fatta. Ce l’avevano fatta. Mancava solo la sua esibizione. Un’inezia.

    Amava quel programma. Amava il costume. Mentre studiava la coreografia, Victor gli aveva fatto vedere il video di un’esibizione del 2006 di Lambiel, sempre sulle Quattro Stagioni di Vivaldi. Il costume tigrato del pattinatore svizzero era entrato nei suoi incubi. Yuuri si era fatto ricamare sul proprio una decorazione di rami e di foglie che si avvolgeva intorno al suo busto e alle sue braccia, passando dall’arancione dell’autunno al verde dell’estate piena. L’albero che rimaneva, nel tempo che cambiava. Il suo tempo e quello di Victor sarebbe inevitabilmente cambiato dopo quel giorno, ma rimaneva l’albero, l’amore e la vita. Era a quello che voleva pensare, mentre pattinava.

    No. Voleva pensare solo all’esibizione. Alla velocità. All’estasi dei salti. A quanto amasse pattinare.

    E poi, dopo quello che ha appena fatto Victor, devo essere più che splendido, per catturare l’attenzione di tutti.

    Yakov aveva ragione. Non gliene è importato nulla a nessuno della difficoltà dei salti, dopo il primo. Nessuno riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Beh, io dovrò anche saltare.

    Guardatemi. Io solo il tempo che cambia. Sono la tempesta d’inverno e l’alba d’estate. Guardatemi.

    Era facile. Adesso che era sicuro di cosa doveva fare, della giusta successione degli elementi, non doveva neppure pensare. Lui era l’albero che attraversava le stagioni, scosso dai venti, doveva solo assecondare l’aria.

    Il quadruplo Flip iniziale, poi la combinazione. Il vento improvviso che gelava la nascente primavera. Si inarcò all’indietro, fino a toccare il ghiaccio con la punta delle dita. Improvviso, il clima cambiava. Trottole come fiori che si aprivano. E poi i salti della tempesta dell’estate. Questo rappresentava l’anno precedente, con tutte le sue tensioni. Era liberatorio poterlo mettere in scena. Sperò che lo stessero guardando tutti. I dirigenti federali che avrebbero voluto la testa di Victor. Quelli che avevano organizzato l’agguato del giorno prima. No, non lo sperava. Lo stavano guardando, proprio come lo guardava J.J.

    Guardate. L’unica cosa che avete ottenuto è farci pattinare così.

    Era nella seconda parte, ma non era così stanco. Yuri quando aveva terminato era a un passo dall’infarto. Ma lui poteva dare ancora qualcosa. Victor aveva avuto ragione. Era una questione di bilanciamento. Una combinazione non troppo complicata. Una parte coreografica. E terminare con il quadruplo Lutz. Non lo aveva fatto nessuno quel giorno.

    Terminò con un ginocchio sul ghiaccio e le mani protese verso l’alto.

    Com’era andato?

    Tutti erano in piedi ad applaudirlo.

    Questo doveva essere un buon segno, no?

    Dov’erano le persone che gli interessavano?

    Tamura lo aspettava. Stava applaudendo. Yakov era al suo fianco e anche lui applaudiva. Nel maxi schermo si vedeva l’area riservata agli atleti primi in graduatoria. Anche Yuri era in piedi e applaudiva. Victor no, ma sorrideva e si passava l’indice della mano destra, una delle poche dita sane, sugli occhi. Era un buon segno, no?

        

*
 

    Yuri si alzò in piedi per applaudire il suo omonimo con un istintivo moto di ammirazione. E capì che mister cotoletto gli aveva appena portato via l’oro olimpico.

    Va bene così.

    Non lo so se è stato più bravo di me, oggi. Ma di sicuro lo è stato ieri. Lui è il più forte, adesso. Ma io… Io lo sono di nuovo.

    Quell’argento che ancora non aveva al collo, ma che presto sarebbe arrivato, aveva un sapore del tutto diverso rispetto a quello della gara a squadre. Quanti giorni erano passati? Cinque giorni. Gli sembrava che fosse passato un anno o un secolo. Che si fosse risvegliato di colpo da un lungo incubo iniziato quando il muscolo della sua coscia si era lacerato. Negli ultimi cinque giorni aveva accettato il fatto che sarebbe caduto, ancora e ancora, ma che ci sarebbe stato sempre qualcuno pronto ad aiutarlo a rialzarsi. Aveva scoperto di avere il coraggio di cacciare le dita negli occhi a un tizio che pesava il doppio di lui e di avere anche il coraggio di baciare la persona che gli piaceva davvero. E aveva vinto la medaglia d’argento alle olimpiadi. Poteva essere soddisfatto da quello che aveva fatto in cinque giorni, no?

    – Ha fatto il record? – chiese Victor.

    Non si era alzato ad applaudire, quello era chiedergli troppo, ma si stava sforzando di non scoppiare a piangere. E che male c’era se l’avesse fatto? Yuri pensò che non sarebbe stato brutto essere accolti, dopo un’esibizione, da lacrime di gioia.

    Otabek scosse il capo.

    – Secondo me te lo tieni per mezzo punto. Però non mi ci affezionerei troppo, al mondiale se lo prende – disse. Poi considerò Yuuri, ancora in attesa del risultato – Io però devo lasciarvi. È evidente che sono arrivato quarto.

    Lo disse sorridendo e Yuri pensò che aveva visto poche cose belle come quel sorriso, che non conteneva un briciolo di astio, il sorriso di un uomo del tutto soddisfatto di ciò che aveva fatto e di ciò che aveva visto. Senza pensarci, Yuri superò con un balzo i pochi metri che li dividevano e gli afferrò ciascun polso con le mani.

    – Resta! – disse. – Chissenefrega del protocollo. Queste medaglie non le abbiamo vinte oggi, ma tutti e cinque ieri, davanti alla mensa.

    – Sì – annuì Victor. – Dobbiamo chiamare anche Chris.

    Sotto la soddisfazione e la gioia iniziava a farsi strada la stanchezza e di secondo in secondo aveva un aspetto sempre più esausto.

    L’attenzione di Yuri, però, era tutta per Otabek che, con ancora i polsi stretti nelle sue mani, avvicinò il viso al suo per sussurragli all’orecchio.

    – Avrai la camera libera tutto il pomeriggio. Credi che potremo riprendere il discorso che abbiamo iniziato in bagno?

    Yuri sperò con tutto se stesso che le telecamere di mezzo mondo non stessero inquadrando lui, perché era sicuro di essere color porpora.

    – Sì – sussurrò.

    – È uscito il punteggio – li richiamò Victor.

 

POS

ATLETA

PUNTEGGIO TOTALE

PROGRAMMA CORTO

PROGRAMMA LIBERO

1

Yuuri Kastsuki

326.68

104.58

222.10

2

Yuri Plisetsky

321.40

99.80

221.60

3

Victor Nikiforov

303.40

112.60

190.80

4

Otabek Altyn

302.80

86.80

216

5

Christophe Giacometti

301.90

105

196.90

6

Phichit Cualanont

291.70

90.50

201.20

7

Jean-Jacques Leroy

286

106.32

179.68

8

Lee Sung-il

270.20

88.30

181.90

9

Michele Crispino

268.18

85.10

183.08

10

Emil Nekola

262.30

83.40

178.90

11

Kenjirou Minami

259.72

81.20

178.52

12

Guang Hong Ji

257.80

83.10

174.70

 

*

    Mentre sui maxischermi appariva il punteggio e poi la graduatoria finale, Victor sentì l’ultimo nodo di tensione sciogliersi del tutto.

    Perché possa regnare un sovrano più degno… Sì. 

    È il re che volevo.

    Yuuri, inquadrato subito dopo, aveva quel suo particolare sguardo tra lo stupito e il sognante di chi non riesce ad accettare del tutto che stia capitando a lui. Una parte di Yuuri si identificava ancora con il ragazzo che si chiudeva nel bagno per piangere dopo una sconfitta. Egoisticamente, Victor sperò che non cambiasse mai del tutto. Non solo egoisticamente. Lui non aveva mai guardato un punteggio con quella sorpresa felice. Il punteggio della scorsa olimpiade, quello del suo oro, lo aveva guardato con odio.

    Anche il mio sguardo è cambiato, in questi anni.

    Sentì il suo corpo che si afflosciava. Gli faceva male tutto. Per il momento un dolore sordo, diffuso, ma di sottofondo, con la notevole eccezione della caviglia. Non erano male quelle poltrone. Magari gli avrebbero permesso di restare lì per sempre.

    – Victor…

    Doveva aver chiuso gli occhi. 

    Quando li riaprì c’era davanti a lui lo sguardo preoccupato di Yuuri. Era un peccato. Il giapponese era bellissimo, con ancora le guance arrossate, i capelli sudati e la bandiera giapponese sulle spalle. Era così che aveva sempre sognato di vederlo. 

    – Sei stato bellissimo… Bravissimo. Ma anche bellissimo.

    – Anche tu.

    – Non è vero.

    – Dobbiamo andare.

    Cosa si faceva se si vinceva una medaglia olimpica? Sì… Il giro di pista con le bandiere.

    – Io da qui non mi alzo. Neppure per i tuoi begli occhi.

    Da dietro le spalle di Yuuri fecero capolino le teste di Otabek e di Chris.

    – A quanto pare questa volta siamo invitati anche noi alla festa – disse Chris. – Ce la fai a stare in piedi?

    Victor scosse il capo.

    – Non ne ho idea.

    – Tu cerca di farlo e noi ti portiamo in giro per la pista.

    Qualche minuto dopo Victor scoprì, con sorpresa, che era divertente. 

    Yuuri pattinava davanti a tutti, con la bandiera che sventolava sulle spalle, come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Yuri era subito dietro, con la bandiera olimpica. Qualcuno aveva provato a passargli quella russa, ma lui aveva scosso il capo. Dopo quanto era accaduto il giorno prima, il ragazzo aveva un’idea assai meno romantica della propria patria. Infine arrivava lui, con Otabek che lo teneva per il braccio destro e Chris dietro, pronto a prenderlo nel caso fosse caduto. Tutto il palazzetto li stava applaudendo, in piedi. Stavano dicendo qualcosa in inglese sul perché fossero in cinque sulla pista, ma nessuno ne aveva bisogno. Era il suo ultimo giro di pista. Era così strano. Eppure era bello.

    Se avessi potuto scegliere, avrei scelto un finale diverso?

    Beh, forse uno con meno fratture.

    Di certo questo è memorabile. Nessuno qui se lo dimenticherà.

    Si fermarono tutti e cinque. Era ora di sistemarsi prima della premiazione. Yuuri aveva gli occhi che brillavano così tanto… Era inappropriato baciarlo proprio in quel momento?

    – Victor, Yuri, devo dirvi qualcosa – iniziò il giapponese. – Tutto sommato credo che questo sia il momento giusto.

    No, pensò Victor, non lo era. Anche Otabek si stava chiedendo se fosse un buon momento per un bacio… Forse, però, proprio per quello era il momento giusto.

    – Victor, tu hai bisogno di agonismo. È una parte di te – disse Yuuri. – Io… Non voglio ritirarmi adesso, ma prima o poi dovrò farlo. Yuri ha davanti a sé almeno dieci anni di gare. Io penso che tu voglia allenare anche lui. E io lo vorrei come compagno di allenamento. E se Yakov, come ha detto, vuole prendersi un periodo di riposo, mi sembra per tutti la soluzione migliore.

    Victor sbatté le palpebre.

    Adesso però non potevano pretendere che non piangesse.

    – Yuuri, ne sei sicuro? Non pensavo che volessi che allenassi qualcun altro.

    Il giapponese si strinse nelle spalle.

    – Non volevo. Ero stupido. Ma in realtà mi piacerebbe. Penso che potrebbe essere stimolante.

    – Yuri? – chiese Victor.

    – Se Yakov vuole andare per un po’ a pescare salmone, qualcuno devo trovarmi – replicò il ragazzo. – Al momento, dai risultati del tuo allievo, sei il meglio sulla piazza. Ma guarda che ti mollo, se non ottengo quello che voglio.

    – Sono io che ti caccio a pedate, se entro sei mesi non fai il quadruplo Axel come si deve. Perché ti avviso, Yuuri ci riuscirà in quattro.

    Yuri si girò un istante verso Otabek, ma il kazako mise le mani avanti.

    – Non posso permettermi di venire ad allenarmi in Giappone. Devo stare con la mia famiglia, adesso. Però, se Victor organizzasse qualche sessione intensiva in estate…

    – Ragazzi, per quanto sia divertente stare qui a chiacchierare in mondovisione, tre di noi devono andare verso quella formalità della premiazione – si inserì Chris. – E bisogna pensare qualcosa per il galà…

    Otabek sorrise e poi scosse il capo.

    – A cosa stai pensando? – chiese Yuri.

    – Pensavo… Potremmo far fare una sorta di slitta a forma di cagnolino e metterci su Victor.

    L’idea era tanto assurda e tanto incongrua con i soliti modi marziali e seri di Otabek che tutti scoppiarono a ridere.

 

*

Eccomi qui. Quel mediocre atleta giapponese che ha vinto un oro olimpico.

    La mia unica olimpiade.

    Ci sono stati momenti in cui mi sono odiato per essere venuto qui.

    Ho vissuto il momento peggiore della mia vita. Non mi ero mai spaventato tanto. Ma alla fine non è andata così male, no?

    In piedi sul blocco più alto, Yuuri cantava il proprio inno nazionale, mentre la mente vagava. Strano. Aveva sempre pensato che gli atleti fosse del tutto concentrati sul proprio dovere, in quel momento. Al mondiale, in effetti, era stato così. Ma l’olimpiade era un’altra cosa. E poi… Una parte di Yuuri continuava a controllare Victor, che era in piedi, dritto, con la faccia metà coperta dalla medicazione, ma il giapponese non aveva idea di quanto potesse ancora reggere. Quando erano venuti a consegnare la medaglia, l’autorità coreane preposta aveva fatto per stringergli la mano, poi l’aveva vista e aveva desistito. Non importava. Stando lì, in piedi, con una medaglia di bronzo che si era guadagnato al cento per cento, Victor stava dimostrando a tutti, anche a se stesso, di essere più forte di chiunque avesse provato ad abbatterlo. E Yuuri era fiero, estremamente fiero, di essere al suo fianco. 

    Non poteva esserci un momento migliore per suggellare il ricordo della sua unica olimpiade.

    Unica?

    Aveva promesso a Victor di ritirarsi prima di portare il proprio corpo al limite. E, in tutta sincerità, non ci teneva a provare lacerazioni muscolari, fratture, articolazioni che andavano in pezzi. I prossimi mesi si prospettavano interessanti da un punto di vista ortopedico. Aveva il sospetto che la caviglia di Victor andasse rimessa letteralmente insieme e la riabilitazione non sarebbe stata divertente per nessuno dei due. Gli avrebbe ribadito la necessità di ascoltare il proprio corpo e di fermarsi in tempo. Ma al momento stava bene. Alla sua età Victor si era già rotto la caviglia due volte. Aveva  quattro anni più di lui e, con l’aggiunta di quanto era accaduto il giorno prima, aveva vinto un bronzo che nessuno gli aveva regalato. Tra quattro anni Yuuri poteva essere a Pechino. Magari a lottare per una medaglia. Perché no?

    E dopo?

    Beh, Victor era un agonista nato. Viveva per la competizione. Avrebbe allenato, sempre, atleti potenzialmente vincenti per spingerli a dare il massimo. In cambio, avrebbe dato loro tutto ciò che aveva da dare, come aveva fatto Yakov. Quanto a lui… Yuko aveva iniziato a seguire i bambini, al palazzetto. Non gli sarebbe dispiaciuto, più avanti, quando si fosse ritirato dalle gare, occuparsi dei più promettenti. Non poteva farcela con gli adolescenti, ma gli sarebbe piaciuto davvero lavorare con i ragazzini. E andare nelle scuole a raccontare cosa fosse il pattinaggio. E girare per i tanti palazzetti del Giappone per individuare i ragazzi più promettenti e fare modo che non dovessero andare dall’altro capo del mondo per migliorarsi. 

    Non era una brutta idea di futuro.

    Le cose cambiano. Ci sono tempeste inevitabili. Non si può cercare di volare senza cadere.

    A volte, però, si può assecondare il cambiamento, farsi portare dal vento.

    Perché non è detto che domani debba per forza essere peggiore di oggi.






ULTIMISSIME NOTE: grazie di essere arrivati fin qui. Spero che vi sia piaciuto il viaggio, che la gara vi abbia emozionato. Le avventure dei miei "pattinini", però non sono venute. Chi vorrà potrà ritrovarli in un momento non ancora definito dopo il 25 aprile (spero non troppo dopo, però) con la FINALE DEL GRAND PRIX 2018. Il 2018 è decisamente un anno di cambiamento per tutti, che vale la pena di essere raccontato.
A presto.
Nel mentre, tra le tante belle fic del fandom, mi sento di consigliarvi di cuore Marsiglia 2016 di ElinaFD. I suoi personaggi sono diversissi dai miei (curiosamente tranne Otabek, quello di cui si sa meno), ma le emozioni che regalano sono vivide ed estremamente realistiche.

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