Red right hand

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'alba di un nuovo giorno ***
Capitolo 2: *** Guerra senza fine ***
Capitolo 3: *** Spaccaossa ***
Capitolo 4: *** Lividi, sangue e caramelle ***
Capitolo 5: *** Bel e Thomas ***
Capitolo 6: *** Ricordi sepolti ***
Capitolo 7: *** Figli della violenza ***
Capitolo 8: *** Voci feroci ***
Capitolo 9: *** Salvami di nuovo ***
Capitolo 10: *** Pioggia di desiderio ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'alba di un nuovo giorno ***


1. L’ALBA DI UN NUOVO GIORNO.

“He's a god, he's a man
He's a ghost, he's a guru
They're whispering his name
Through this disappearing land
But hidden in his coat is a red right hand.”

(Red Right Hand, Nick Cave)
                                                      
 
Marzo 1916, Verdun (Francia)
Amabel osservava con attenzione la situazione che si presentava ai suoi occhi. I soldati appena rientrati dalla ronda serale si preparavano per la successiva perlustrazione notturna. Le nuove reclute sistemavano i loro sacchi a pelo nelle nicchie della grande stanza, alcuni erano terrorizzati, altri piangevano in modo sommesso, e altri ancora fissavano il vuoto. Gli unici che ridevano rumorosamente erano gli scavatori di gallerie, una squadra di soldati-minatori specializzati con il compito di assaltare i nemici con le bombe. La Guerra imperversava ormai da due anni, da quando era stato assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, tra i maggiori Paesi divisi in fazioni. Il conflitto non stava risparmiando nessuno, uccideva chi combatteva sul campo, ma anche chi restava a casa in attesa di uomini che non sarebbero tornati o che sarebbero tornati ma con gravi traumi.
“Amabel, va tutto bene?”
Emily, il capo delle infermiere, le sorrideva con fare affabile. Era una ragazza molto dolce e una gran lavoratrice.
“Sì, va tutto bene. Stavo solo riflettendo.”
La porta della mensa si spalancò e un manipolo di soldati entrò tra schiamazzi di ogni genere: erano sopravvissuti ed era motivo di gioia. Un soldato si inchinò davanti a Amabel goffamente.
“Dottoressa Hamilton, per vostra sfortuna sono ritornato!”
“Per mia fortuna siete ritornato! E’ sempre un piacere rivedervi, sergente Jones.”
Amabel era il medico assegnato all’accampamento inglese Numero 170 in Francia. Era il suo primo incarico ed era stata inviata nelle campagne francesi con l’equipe dell’ospedale centrale di Londra.
“Avanti, Jones, smettetela di importunare le belle ragazze!” lo rimbeccò uno degli scavatori alzandosi in piedi per farsi vedere. Il sergente Jones si avvicinò a lui, lo trucidò con lo sguardo e l’attimo dopo si abbracciarono tutti contenti.
“Siete un vero mascalzone, Shelby.” Gli mormorò Jones, dopodiché salutò Amabel con un altro precario inchino e lasciò la mensa.
Amabel era sul punto di rifugiarsi in camera a leggere quando una figura l’affiancò. Era un uomo alto, dal fisico tonico, i capelli neri facevano contrasto con gli occhi azzurri.
“Vi serve qualcosa?” domandò gentilmente.
“Volevo solo presentarmi. Thomas Shelby, al vostro servizio.” Disse, afferrandole con delicatezza la mano per posare un bacio leggero sul dorso. Amabel arrossì, era il primo che si comportava così, gli altri soldati in genere la ignoravano.
“Io sono la dottoressa Amabel Hamilton.”
“Devo dare una lezione a Jones perché non vi dia più fastidio?”
“Non siete un cavaliere ed io non sono una donzella in pericolo. Non preoccupatevi.”
La riposta piccata della ragazza fece sorridere Thomas, adorava le donne in grado di tenergli testa. Da qualche tempo aveva notato la dottoressa, i capelli castani erano lievemente mossi, aveva due grandi occhi marroni, il portamento di un membro di buona famiglia, ma ciò che lo colpiva di più era il carattere determinato e irremovibile.
“E chi vi dice che io non sia un cavaliere? E voi, voi siete sicura di non essere una donzella in pericolo?”
“In pericolo vi ritroverete voi se non terrete quella bocca chiusa, sergente maggiore Shelby. Sono una donna, mica una stupida.”
“Siete una splendida donna.”
Amabel alzò gli occhi, non era il primo che cercava di farle la corte, ma era l’unico che lo faceva con tanta schiettezza.
“E voi siete uno sciocco se credete che cederò ad un banale complimento.”
“E’ risaputo che io sia uno sciocco, soprattutto in presenza di una bella donna.” Replicò Thomas con un sorriso sghembo, uno di quelli per cui Arthur e John lo avrebbero deriso. Amabel chiuse con enfasi una cartella medica e gli diede le spalle.
“Peccato che io non sia una bella donna e che voi, dunque, rimaniate comunque uno sciocco.”
“Tommy, noi stiamo andando a ubriacarci. Vieni con noi o continui a fare il cascamorto con la signorina?” gridò un suo compagno dal fondo della mensa, scatenando una risata da parte di tutti gli altri. Thomas scosse la testa con un sorriso divertito e si mise le mani in tasca.
“I vostri amici vi reclamano, dovreste andare.” Gli disse Amabel altrettanto divertita.
“Dovrei ma non voglio.”
“Andate, sergente maggiore Shelby. Le risate non dureranno ancora per molto.”
 “Ci incontreremo ancora, dottoressa?”
Amabel sospirò e, senza voltarsi, si incamminò.
“Chissà.”
 
Agosto 1916, Somme (Francia)
Le urla si mescolavano alle lacrime, al sudore e al sangue senza concedere la possibilità di respirare. La guerra stava mietendo vittime senza alcuna pietà, gli uomini cadevano come tasselli del domino, risucchiati in una spirale di infinita tragedia. Amabel dovette reprimere i conati di vomito quando si accorse delle macchie rosse che le imbrattavano il camice. Da qualche mese era stata trasferita al presidio inglese Numero 387, nel cuore dello scontro. Era l’inferno in terra quella notte: i soldati arrivavano dal campo dilaniati, privi di arti, sanguinanti, in preda a pene indicibili, e soprattutto morti. Mentre si sciacquava accuratamente le mani per evitare la diffusione di batteri, la tenda si aprì e una coppia di soldati fece irruzione trascinando un corpo afflosciato.
“Aiuto! Aiutateci!” strillò uno di loro.
 Tre soldati caricarono il corpo e lo distesero su un lettino. Amabel indossò i guanti e si fiondò da lui.
“Aiutatelo! Aiutate il mio amico!”continuava a ripetere nel panico l’altro, portandosi le mani sporche in testa. Amabel gli bloccò i polsi prima che potesse letteralmente strapparsi i capelli.
“Ehi, guardatemi! Guardatemi! Come vi chiamate?”
“Mi chiamo Freddie Thorne e lui è Danny Owen.”
“E il vostro amico come si chiama?”
“Tommy. Aiutatelo!” rispose Danny passandosi uno straccio sulla ferita alla testa.
“Sì, sì, adesso ci penso io a Tommy. Voi dovete essere medicati, seguite l’infermiera.”
Un’infermiera fece accomodare Freddie e Danny su una brandina per medicare i tagli e fare un controllo completo delle ferite. Amabel tornò a concentrarsi sul suo paziente. La diagnosi era critica: una parte del volto era ustionata e l’intensa infiammazione cutanea che gli arrossava la pelle aveva generato la formazione di vescicole piene di liquido. L’uomo si lamentava a stento, i polmoni dovevano essere gonfi di fumo e la gola di conseguenza faceva fatica ad emettere suoni.
“D’accordo, Tommy, fidati di me. Andrà tutto bene.”
Gli occhi azzurri di Tommy, che spiccavano in mezzo al sangue e alle vescicole, la supplicarono tacitamente.
“Andrà tutto bene.” ripeté Amabel per rassicurarlo. Dopodiché si mise al lavoro: impregnò un asciugamano nell’acqua ghiacciata e la depose sul viso arrossato, al che il paziente sbatté i piedi per il dolore. Amabel, sebbene non sopportasse infliggere quella sofferenza, benché necessaria, reiterò l’azione più e più volte, fino a quando Tommy si abituò al freddo. Il camice oramai era bagnato e lercio di sangue, così come le sue mani e il suo collo. Quando ebbe terminato di raffreddare la pelle per interrompere l’effetto distruttivo della pelle, somministrò al paziente della morfina per attenuare il dolore. Quando la medicina incominciò a placare la sensazione di bruciore, procedette a fasciargli il viso con delle garze imbevute di aloe e calendula in modo da lenire la pelle.
Un’ora dopo Amabel fece la solita visita notturna per accertarsi che stessero tutti bene e in particolare si trattenne a controllare il paziente ustionato. Freddie, l’amico, era stato ferito da un proiettile ed era stato operato prima che prendesse infezione, mentre Danny aveva riportato un grave trauma cranico e numerosi lividi. Ora i tre soldati occupavano le brande una vicina all’altra. Amabel si assicurò che Tommy dormisse prima di proseguire.
“Resta.” Sussurrò debolmente Tommy.
“Non dovresti parlare. Devi solo pensare a riposare, questo aiuterà la guarigione.”
Tommy riuscì a fare un mezzo sorriso prima di avvertire una scarica di dolore. Strinse piano la mano di Amabel e lei sorrise a sua volta.
“Ora dormi. Io resterò qui con te.”
 
Settembre 1916, Parigi, Ambasciata inglese.
Amabel sedeva in corridoio in compagnia del sergente maggiore Shelby in attesa che i superiori deliberassero sul suo ritorno a casa.
“Credete che mi congederanno?” chiese Tommy grattandosi la guancia ancora arrossata per via dell’ustione in via di guarigione.
“Smettetela di toccarvi il viso, non vorrei che la pelle si infiammasse. Comunque, sono sicura che vi congederanno e vi conferiranno anche una medaglia al valore. Fidatevi, ho fatto il possibile per farvi tornare a casa. La guerra non fa più per voi, signor Shelby.”
In quel mese di convalescenza presso l’ospedale militare era stata lei ad occuparsi del sergente, gli medicava la pelle e gli cambiava le bende, lo aiutava a mangiare e a vestirsi, e ogni notte gli sedeva accanto aspettando che si addormentasse.
“Grazie per il vostro impegno, dottoressa.” Disse Tommy accennando un sorriso. Amabel gli strinse teneramente la mano e ricambiò il sorriso.
“Non ringraziatemi. Tornate a casa e vivete al meglio la vostra vita. Desidero solo che voi e i vostri amici ritroviate la serenità.”
“Tommy!” esultò una donna correndo verso di lui. Si gettò su di lui per abbracciarlo e baciargli tutto il viso.
“State attenta al viso.” Disse Amabel ridacchiando per l’espressione imbarazzata di Tommy.
“Sì, scusatemi. Io sono Elizabeth Gray, la zia di Thomas. Siete voi che mi avete chiamata?”
“Sono la dottoressa Hamilton e, sì, vi ho inviato io la lettere per invitarvi qui. Vostro nipote deve tornare a casa immediatamente, la Francia non fa più per lui.”
La porta del tribunale si aprì e ne uscì il superiore della loro unità, recava in mano una pergamena e una scatola.
“Sergente maggiore Shelby, siete congedato con onore con effetto immediato. Potete tornare a casa oggi stesso.” Annunciò l’uomo consegnandogli la licenza per il congedo e la medaglia.
“Grazie, signore.”
Non appena il superiore fu lontano, Elizabeth scoppiò in un pianto liberatorio e abbracciò di nuovo il nipote.
“Adesso ti riporto a casa, Tommy. E’ tutto finito.”
Tommy notò gli occhi lucidi della dottoressa Hamilton, e non capì se fosse vero o fosse una conseguenza della morfina che gli iniettavano quotidianamente per alleviare il dolore.
“Grazie di tutto, dottoressa Hamilton. Senza di voi ora sarei morto.”
“Siate felice, signor Shelby. Ah, vi lascio questo come ricordo perché non vi dimentichiate di me.”
Tommy intascò il fazzoletto della dottoressa e lasciò l’ambasciata insieme a sua zia. Non ebbe il coraggio di voltarsi.
 
 
Birmingham, 1923.
Quando si svegliò, la prima cosa che Amabel notò fu il soffitto bianco, leso dagli anni, e terribilmente familiare. Era ritornata a Birmingham, la sua città natale, la sera prima intorno alle ventidue e tutti stavano dormendo, allora si era coricata senza disturbare nessuno. Quella casa, però, sembrava ormai vuota da quando suo padre era morto due anni prima. La madre, invece, era morta dando alla luce sua sorella minore. Erano tre figlie femmine: Amabel di ventisette anni, seguiva Evelyn  di venti e Diana di sedici. Il padre, il dottor Oswald Hamilton, le aveva cresciute da solo con tanto amore e senza far mancare loro nulla. La sua dipartita aveva proclamato Amabel il nuovo capo-famiglia. Ecco perché aveva fatto ritorno quando l’ospedale di Birmingham le aveva offerto un posto. Era necessario che si prendesse cura delle sue sorelle, lo aveva promesso a sua madre sul letto di morte. La porta della camera si aprì e il viso rotondo di Bertha sbucò nella penombra. Era la governante che lavorava per loro dalla nascita di Amabel, l’unica che si occupava della casa.
“Amabel, come sono contenta di vedervi!” esclamò la donna per poi stringerla tra le braccia.
“Anche io sono contenta, Bertha.”
Bertha si scostò e la esaminò come fa uno scienziato con la propria cavia.
“Fatevi guardare un po’. Siete troppo magra, signorina! Andiamo, vi aspetto in cucina per una colazione abbondante.”
“Non prepararmi il thè, lo detesto!” si raccomandò Amabel, poi si dedicò ad un bagno caldo e si vestì.
Quando raggiunse la cucina, due esili braccia si avvinghiarono alla sua vita. Diana la stava abbracciando con la guancia premuta sul suo petto.
“Mi sei mancata tanto, Bel.” mormorò la ragazzina mentre la sorella le baciava la testa.
“Mi sei mancata anche tu. E Evelyn dov’è?”
“Eccomi qui!” esordì una voce allegra alle sue spalle. Evelyn era minuta, ma aveva i capelli più lunghi e più chiari adesso, era cresciuta. Le tre sorelle di abbracciarono e si baciarono, finalmente erano tornate insieme.
“Allora, Evelyn, un uccellino mi ha detto che frequenti un ragazzo.” Disse Amabel, sorseggiando il suo caffè caldo. Diana addentò un biscotto e ghignò.
“Su, Evelyn, raccontale tutto!”
“Taci, piccola peste!” rispose l’altra, colpendo la più piccola col tovagliolo. Amabel sorrise per quei battibecchi che stranamente le erano mancati.
“Sì, raccontami tutto. Sono curiosa di sapere chi ha conquistato il tuo cuore.”
“Si chiama Jacob Cavendish, è il figlio del sindaco. Suo fratello Dominic veniva a scuola con te. Ci siamo incontrati in chiesa, lui mi ha porto il libro dei canti che mi era caduto di mano e due settimane dopo mi ha invitato a fare una passeggiata. Stiamo insieme da quattro mesi. Oh, Bel, sono follemente innamorata!” disse Evelyn  con fare sognante, portandosi le mani sul cuore e sbattendo le ciglia. Amabel ricordava bene Dominic, ai tempi era un ragazzo spocchioso, superbo e maleducato, sempre pronto a tuffarsi in una rissa. Per il bene della sorella simulò un sorriso, non c’era motivo di farla preoccupare.
“Bene. Mi fa piacere. Avrò di certo modo di conoscerlo nelle prossime settimane. E sentiamo, come procedono gli studi?”
Bertha di colpo sussultò come se quella domanda fosse stata letale come un proiettile. Evelyn e Diana si scambiarono l’occhiata fugace di chi condivide un segreto.
“Oh, no. Che cosa avete combinato?”
“Ecco … zia Camille mi ha consigliato di interrompere l’università e di iscrivermi ad una scuola di buone maniere. Dice che, ora che sono impegnata con Jacob, devo imparare a comportarmi come una vera donna.” Spiegò Evelyn .
“E noi da quando ascoltiamo i consigli di zia Camille? Per la miseria, Evelyn ! Papà ci ha insegnato ad essere donne indipendenti, astute, capaci di cavarsela senza un uomo, e soprattutto ci ha insegnato che è fondamentale essere noi stesse. Una vera donna è questo, è libertà, intelligenza, rispetto per se stessa, è coraggio.”
“Zia Camille ha ragione. Jacob non mi sposerà mai se mi comporto come una zingara!”
“E cosa c’è di male nel comportarsi come una zingara? Ti ho sempre detto che devi rispettare le persone a prescindere dalla loro origine e dalla loro condizione sociale.”
Amabel aveva sbattuto le mani sul tavolo e un po’ di caffè si era rovesciato sulla tovaglia bianca. Evelyn teneva il capo chino sul piatto e giocava nervosamente con l’orlo del vestito.
“Tu e le tue folli idee sulla donna siate maledette! Non perderò Jacob per colpa tua. Non studierò per diventare insegnante, non mi importa. Io voglio essere una brava moglie e una brava madre!” strillò Evelyn , dopodiché corse nella sua stanza.
“I miei studi, invece, vanno bene.” Mormorò Diana. Amabel prese un respiro e le sorrise, almeno lei non era cambiata.
“Questo mi rende molto felice. Vuoi ancora imparare a suonare il pianoforte?”
“Sì! Mi insegnerai?”
“Certamente. Ti allenerai due ore al giorno ogni sera. Vedrai, ci divertiremo.”
“Non vedo l’ora. Adesso vado a prepararmi per la scuola. Ci vediamo più tardi.” Disse Diana, le baciò la guancia e andò a vestirsi.
“Io vado allo studio di papà. Non torno per pranzo. Ci vediamo a cena. Buona giornata, Bertha.”
“Buona giornata a voi, signorina.”
 
 
Una delle tante cose che Thomas Shelby odiava era l’alba. Gli rammentava che un nuovo giorno era cominciato e di conseguenza doveva prepararsi per una nuova battaglia. Camminando per Small Heath con una sigaretta in bocca e il capello in testa, faceva ritorno al suo ufficio. Da quando la loro attività era diventata legale i guadagni erano raddoppiati e c’era sempre molto lavoro da svolgere. Quella mattina c’era qualcosa di diverso, si sentiva giù di morale più del solito, e la Francia sembrava un ricordo assai vivido che neanche l’oppio era riuscito a lenire durante la notte. Tirò fuori dal taschino della giacca un fazzoletto bianco con due lettere incise, ‘AH’, e lo annusò, gli pareva di poter ancora avvertire la dolce fragranza di cedro. Quello era un cimelio della Guerra, glielo aveva regalato la dottoressa che si era presa cura di lui quando si era ustionato il volto a causa di un’irruzione dei tedeschi nella galleria. Non ricordava il nome della donna e aveva un vago ricordo delle sue fattezze fisiche. Freddie gli ripeteva sempre che lei era stata un angelo inviato per salvarli da quell’inferno. Negli anni Thomas aveva conservato quel fazzoletto e lo portava con sé ogni giorno come la prova che era vivo, che sarebbe sopravvissuto a tutte le sfide che Birmingham e la vita stessa gli avrebbero posto sul suo cammino. Thomas Shelby ce l’avrebbe fatta a qualunque costo.
“Tommy, vieni a farti un goccio con noi!” lo invitò Arthur non appena mise piede in casa. Mentre i suoi fratelli bevevano, Polly fumava e Ada leggeva uno dei suoi libri da patita del comunismo.
“Solo un goccio. Dobbiamo restare lucidi, abbiamo del lavoro da fare.”
In quel momento Michael entrò nella stanza con espressione tetra. Era tanto giovane eppure così determinato da essere un elemento fondamentale della società.
“Avete saputo la novità?”
“Di che parli?” domandò Thomas con il sopracciglio inarcato, svuotando il bicchiere in un sorso solo.
“Meyer ha comprato altri tre edifici in centro.”
“Quello svizzero del cazzo inizia davvero a darmi sui nervi!” sbottò Arthur, seduto sulla scrivania intento a fumare un sigaro.
Noah Meyer da mesi stava tormentando gli affari di Thomas. Stava acquistando innumerevoli immobili in tutta Birmingham con il solo scopo di strappare il potere agli Shelby. In meno di un anno aveva conquistato mezza città.
“Non capisco quale sia il suo cazzo di problema! Che cazzo vuole? I soldi? Paghiamolo e leviamocelo di torno.” Propose Arthur lisciandosi i baffi. Polly emise una risatina e spense la sigaretta nel posacenere.
“Meyer è ricco e dei nostri soldi non se ne fa niente. C’è sotto qualcos’altro. Magari uno di voi è andato a letto con sua sorella o con sua moglie.”
“No, - disse allora Thomas – nessuno è stato con sua sorella e Meyer non è sposato. Hai ragione a dire che sotto c’è qualcosa ma il problema è capire cosa sia. Dobbiamo fare qualche ricerca prima che il bastardo ci fotta altri edifici.”
“I nostri hanno preso tre bar in centro e stamattina occuperanno lo studio medico in fondo alla strada.” Comunicò Michael, che aveva pattuito con Thomas la strategia migliore. Tommy annuì e poi si riversò in strada.
 
Dopo aver parcheggiato, Amabel rimase in auto per qualche altro minuto. Respirava a fondo con gli occhi chiusi nella speranza di darsi coraggio. Non entrava nello studio medico di suo padre da quando era partita per la guerra e sentiva il cuore in gola per l’emozione. A passo svelto si diresse verso il palazzo presso cui era ubicato lo studio. Fu travolta dai ricordi: la prima volta che suo padre l’aveva portata lì, i pomeriggi trascorsi a svolgere i compiti nella sala di aspetto, e le prime nozioni di medicina che aveva imparato. Giunta davanti allo studio, anziché essere contenta, il suo viso si contrasse in una smorfia. Due uomini sostavano all’esterno e un terzo stava sigillando la porta con un catenaccio.
“Scusatemi, che state facendo? Quella è proprietà privata!”
I due non le prestarono ascolto, continuavano imperterriti nelle loro azioni.
“Per la miseria! Chi siete e cosa volete?” sbraitò, battendo un piede a terra.
“Vattene, donna.”
“Quello studio appartiene a me! E se non ve ne andate, chiamo la polizia!”
“Hai sentito, Ben? Chiama la polizia?”
I tre uomini scoppiarono a ridere come se le lamentele di Amabel fosse chissà quanto spassose.
“Signorina, questo posto è requisito.”
“Requisito? Chi diamine lo ha deciso?”
“Sì, requisito. Per ordine dei Peaky Blinders!”
Amabel sollevò le sopracciglia e spalancò la bocca.
“E chi sono i Peaky-qualcosa?”
 
Thomas era il tipo di persone che inglobava i pensieri, li accantonava in un remoto angolo della mente e non gli dava più peso. Si concedeva, però, una sola eccezione, un solo pensiero che ogni anno gli balzava alla memoria involontariamente: il medico che l’aveva salvato dalle ustioni in Francia. La degenza era stata lunga, circa un mese durante il quale quel medico era stato con lui giorno e notte. Per più di sessanta giorni aveva dovuto tenere il viso completamente fasciato e il dolore del cambio delle bende bruciava ancora sulla pelle, ma quel medico era in grado di alleviare quelle terribili sofferenze. Vi lascio questo come ricordo perché non vi dimentichiate di me, gli aveva detto il medico per poi regalargli il suo fazzoletto ricamato. Quel suo flusso di pensieri fu interrotto da una donna che irruppe nella stanza con un diavolo per capello. Alle sue spalle Arthur e Michael se la ridevano.
“Siete voi Thomas Shelby?”
Era giovane, con i capelli castani che arrivavano alle spalle, un esuberante cappello rosso e quella che aveva tutta l’aria di essere una valigetta da medico.
“Sono io. Voi siete?”
“Amabel Hamilton, figlia del dottor Oswald Hamilton, nonché proprietaria dello studio in fondo alla strada che per vostro ordine mi è stato requisito! Chi diamine siete voi per appropriarvi di qualcosa che è mio?”
“Sono Thomas Shelby, tesoro.” Rispose Thomas con nonchalance, sfoggiando tutto il suo charme. Anziché restarne affascinata, Amabel aggrottò le sopracciglia.
“Tesoro? E’ così che avete intenzione di giocarvela? Non siete affatto divertente e nessuno vi ha concesso una confidenza tale da affibbiarmi nomignoli affettuosi. Inoltre, il vostro nome non vi autorizza a prendervi il mio studio!”
Thomas rimase interdetto per qualche istante, la dialettica di quella donna lo aveva messo a tacere. Capitava raramente che si facesse togliere la parola da qualcuno.
“D’accordo, vorrà dire che lo comprerò. Quanto volete?”
“Non vi venderò lo studio, signor Shelby.”
“Suvvia, abbiamo tutti un prezzo. Il vostro qual è?”
Amabel drizzò la schiena e strinse le mani intorno ai manici della valigetta un tempo appartenuta a suo padre.
“Lo studio non ha un prezzo perché non è in vendita. Ha un valore sentimentale per me. Mio padre ha lavorato lì dentro per oltre venti anni e adesso lo prendo in gestione io. Se volete, vi pago la somma che avreste speso voi se l’aveste comprato. Qual è il vostro prezzo?”
Thomas si prese un attimo per guardarla bene. Era una donna bellissima, ma c’era dell’altro in lei che lo incuriosiva. Aveva la sensazione di averla già vista diversi anni prima. Dovette elaborare una contro offerta ragionevole per non perdere anche quell’immobile, altrimenti Meyer avrebbe avuto la meglio.
“E se stringessimo un patto? Vi prego, sedetevi, discutiamone.”
Amabel si sedette con fare circospetto, la strana gentilezza dell’uomo ora la stupiva. Doveva ammettere che era un uomo attraente, capelli neri, accattivanti occhi azzurri, e quell’espressione rilassata che tradiva un non so che di meschino.
“Un patto? Ebbene, vi ascolto.”
“Se voi diventaste il nostro medico, lo studio rimarrebbe a voi e io avrei una proprietà in più. Nessuno spende soldi, nessuno perde l’immobile, e nessuno smette di badare ai propri affari. Che ve ne pare?”
“Chi mi assicura che rispetterete il patto, signor Shelby?”
“Depositerò una somma consistente sul vostro conto bancario, quella sarà la vostra assicurazione. Prendere o lasciare, signorina Hamilton. Prendere o lasciare.”
Amabel si passò una mano sulla fronte, era stata messa all’angolo e doveva prendere una decisone in fretta.
“Una somma consistente di denaro non mi assicura che voi rispetterete l’accordo.”
Thomas ghignò, appoggiò la schiena contro la poltrona e iniziò a fumare.
“Infatti. Ciò vuol dire che dovrete fidarmi di me, nonostante non mi conosciate. Vi ripeto: prendere o lasciare.”
“Accetto la vostra offerta.”
Thomas sorrise compiaciuto e allungò la mano destra verso di lei, che titubante la strinse.
“Benvenuta a bordo, dottoressa.”
 
 
Bertha servì il dolce in soggiorno ma Amabel non si unì alle sorelle, rimase in sala da pranzo in piena meditazione. La domestica, che l’aveva vista crescere, sapeva che qualcosa la turbava, lo leggeva nella linea che le aggrottava la fronte.
“Che succede, signorina? Vi vedo preoccupata.” Disse Bertha, riservandole un piattino di torta, che Amabel rifiutò con un cenno della testa.
“Tu sai chi sono i Peaky Blinders?”
Il volto della domestica fu attraversato dalla paura e la solita espressione bonaria cedette il passo ad una più oscura.
“Perché mi fate questa domanda? I Peaky Blinders sono un argomento che deve restare fuori da questa casa.”
“Bertha, per favore, rispondi. Chi sono?”
“Gli Shelby regnano su Birmingham dalla fine della guerra. Controllano, manipolano, razziano, uccidono. Il capo dei Peaky Blinders è Thomas, poi vengono sua zia Polly e il fratello Arthur. Ultimamente si è unito anche il cugino Michael, mentre la sorella Ada si gode perlopiù i loro sporchi soldi.”
“Quindi sono pericolosi.” Concluse Amabel, le mani incrociate sotto il mento, lo sguardo fisso nel vuoto. Bertha annuì, ancora terrorizzata.
“Sono molto pericolosi. Voi dovete stare lontana da loro, portano solo guai e disseminano morte ovunque vadano. Promettetemi che non avrete mai a che fare con loro.”
Gli occhi di Amabel si inumidirono e la gola si inaridì, era come se avesse percorso il deserto a piedi per mesi interi senza un goccio d’acqua. Si era invischiata in un brutto affare e non poteva tirarsi indietro. Udì le risate allegre delle due sorelle e una freccia invisibile le trafisse il cuore. Si rinsavì quando Bertha le toccò la mano.
“Promettete, signorina.”
“Sì, sì. Lo prometto.”
 
 
Salve a tutti!
Questa è il mio primo tentativo di scrivere qualcosa su questa serie tv, perciò spero di essermela cavata più o meno.
La storia non segue l’ordine cronologico né tantomeno degli eventi, spero che non sia un problema per voi.
Questo è solo l’inizio di un viaggio nelle strade di Small Heath.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
PS. Tutte le citazioni sono prese dalla colonna sonora della serie.

 

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Capitolo 2
*** Guerra senza fine ***


2. GUERRA SENZA FINE
In the bleak midwinter
Frosty wind made moan,
Earth stood hard as iron,
Water like a stone;
Snow had fallen.”

 (Christina G. Rossetti, In the Bleak Midwinter)
 
 
Tre settimane dopo.
Amabel quella mattina si trascinò in bagno, si dedicò a un bagno caldo, e poi iniziò a spazzolarsi i denti. Era terribilmente stanca. Di mattina lavorava in ospedale e il pomeriggio si dedicava allo studio medico a Small Heath. Il problema non erano i doppi turni, ma erano le continue medicazioni che più volte al giorno doveva offrire ai Peaky Blinders. Era incredibile la quantità di ferite che riuscivano a collezionare gli uomini degli Shelby nel giro di due ore. Thomas Shelby aveva apportato un cambiamento al loro accordo: settimanalmente le consegnava una somma di denaro per comprare il materiale per curare i suoi sottoposti, oltre ai soldi che aveva già accreditato sul conto in banca di Amabel. Nelle tre settimane passate lo aveva incontrato raramente, si erano limitati ad un saluto di cortesia, e ognuno aveva ripreso la propria strada. In un attimo la porta del bagno si spalancò e Evelyn e Diana invasero la stanza.
“Ritira quello che hai detto, brutta strega!” sbraitò Evelyn, in camicia da notte, con i capelli scompigliati. Diana scoppiò a ridere e scosse la testa.
“Non ci penso proprio. Resto della mia posizione.”
“Io ti strozzo!”
Quando Evelyn tentò di afferrare la più piccola, Amabel si mise fra le due con ancora lo spazzolino in bocca.
“Che state facendo?”
“Diana dice che le bomboniere che ho scelto per il mio matrimonio sono orribili!”
“Perché è vero! Guarda, Bel, e dimmi se non è orribile.”
Diana le passò uno strano oggetto pesante e luminoso, e Amabel storse le labbra.
“Esattamente che cos’è?”
“E’ una farfalla di cristallo. E’ fine ed elegante, come dice la madre di Jacob.” Spiegò Evelyn portandosi le mani ai fianchi con fare altezzoso.
“Una farfalla di cristallo? Andiamo, Evelyn, lo sai che costano troppo. Non puoi scegliere qualcos’altro?”
“Io cosa? Scegliere qualcos’altro? Amabel, sei impazzita?!”
Amabel si risciacquò e si pulì la bocca dal dentifricio, quindi ospitò le sorelle nella sua camera.
“No, sto solo riflettendo sui costi. Dobbiamo già comprarti un vestito costoso, dobbiamo pagare i fiori e ora come ora le bomboniere di cristallo non rientrano nel budget. Lo sai che papà ha lasciato una dote a ciascuna di noi e non possiamo sforare.”
“Non farò la parte della miserabile per colpa tua! Cosa penserà di noi la famiglia di Jacob? Penserà che siamo delle poveracce e non vorrà più sposarmi.” Si lamentò Evelyn, i capelli biondi simili a quelli della madre erano lunghi fino alla schiena e le ondeggiavano intorno come un mantello.
“Sii ragionevole, Evelyn. Il matrimonio inizia a costare davvero troppo per le nostre tasche.”
“E’ tutta colpa tua, Amabel! Tutta colpa tua. Non saresti mai dovuta ritornare!” urlò la sorella per poi voltarsi e nascondersi in camera sua. Diana, che era rimasta in silenzio sino ad allora, sospirò gettandosi sul letto.
“Io sono dalla tua parte.”
Amabel fece un mezzo sorriso, almeno non era da sola. Baciò la fronte di Diana e l’abbracciò.
“Grazie. Adesso va a prepararti, ti accompagno a scuola.”
 
 
Michael scrisse velocemente un paio di note sul suo taccuino, le rilesse e poi consegnò i fogli a Amabel. Si era recata dagli Shelby per avere una consulenza del contabile circa le spese del matrimonio di Evelyn.
“Allora, qual è la situazione?”
“Questo matrimonio verrà a costare più di quanto costi attualmente la tua casa e lo studio insieme. Dall’abito alle bomboniere, dai fiori al menù, è tutto molto costoso.”
Amabel sospirò e si passò una mano sulla fronte nel totale sconforto.
“Non c’è modo di arginare le spese?”
“Dovreste risparmiare su tutto. Facendo scelte diverse, si abbassano le spese. Questo è l’unico consiglio che posso dare.” Disse Michael, richiudendo il taccuino.
“D’accordo. Beh, ti ringrazio molto. Adesso vado. Buona giornata, Michael.”
“Buona giornata a te.”
Amabel si alzò, gli strinse la mano con un sorriso educato e uscì in strada. Michael per ora era l’unico degli Shelby con cui aveva legato, era un ragazzo cortese con lei e l’aiutava con i conti. Quando imboccò il viale, andò a sbattere contro qualcuno.
“Dottoressa Hamilton.” Pronunciò la profonda voce di Thomas Shelby. Amabel si sistemò il soprabito e alzò lo sguardo su di lui.
“Salve, signor Shelby.”
“Che ci fate qui? Mi auguro che non abbiate nessun problema.”
“Oltre ai vostri uomini che affollano il mio studio tutti i giorni, non ho problemi con voi. Ero qui per discutere di economia con vostro cugino Michael.”
“Avete difficoltà economiche?”
“No.” Ripose secca Amabel, facendo ridacchiare Thomas.
“Suvvia, dottoressa, adesso siamo collaboratori e una chiacchierata non fa male a nessuno.”
Thomas tirò fuori dalla giacca il contenitore delle sigarette, ne accese una e se la portò alle labbra.
“Il matrimonio di mia sorella è molto costoso. Lei pretende il massimo perché sta sposando il fratello del sindaco ma io non ho tutta la disponibilità economica che lei esige. Mi sa che la deluderò.”
Iniziarono a camminare verso lo studio, ubicato in fondo alla strada, mentre il distretto di Small Heath si svegliava.
“Potreste usufruire del denaro che ho depositato sul vostro conto.”
“Non potrei mai, signor Shelby. Vedete, quel denaro è l’unica assicurazione che ho perché non vi prendiate il mio studio medico. Non sarò tanto sciocca da giocarmelo.”
Thomas piegò l’angolo della bocca verso l’alto, in un ghigno divertito dalla sincerità della donna. Quella mattina indossava un capello verde acqua sormontato da una piuma, esuberante come suo solito.
“Voi non vi fidate di me? Mi ritengo offeso.”
“Neanche voi vi fidate di me, il che è plausibile. Non ci conosciamo e non c’è garanzia che non ci tradiremo.”
Thomas si fermò, spense la sigaretta e le si parò davanti.
“Avete intenzione di tradirmi, dottoressa Hamilton?”
Amabel per qualche istante si perse ad ammirare i suoi grandi occhi azzurri, erano belli, ma tanto tormentati.
“E voi volete tradire me, signor Shelby?”
“Voi non lasciate mai agli altri l’ultima parola.” Rise Thomas, colpito dal coraggio con cui quella donna lo affrontava. Amabel fece spallucce.
“Non vedo per quale motivo voi dobbiate avere l’ultima parola. Sarete anche temuto e rispettato dalla vostra gente, Thomas Shelby, ma con me non funziona il vostro carattere intimidatorio. Ho vissuto la guerra e non ho paura di un uomo che teme di essere interdetto da me.”
Thomas aggrottò le sopracciglia mentre rifletteva sulle parole di Amabel.
“Avete vissuto la guerra?”
“Ho lavorato come medico in Francia, in due accampamenti. Era l’inferno.”
Amabel aveva notato che Thomas era passato da un atteggiamento sereno all’essere turbato, i suoi occhi si erano fatti più scuri come se qualcosa di negativo navigasse in essi.
“Già. Devo tornare a lavoro. Vi auguro una buona giornata.” Le disse, e un secondo dopo si stava già allontanando. Amabel sbuffò, non aveva tempo da perdere perché doveva iniziare il turno in ospedale.
 
 
Erano le cinque e mezzo del pomeriggio quando Diana raggiunse Small Heath. Il tanfo di fumo e di benzina era insopportabile per lei che abitava nella villetta di un altolocato quartiere lontano dalle fabbriche e dai treni. Aveva da poco finito le lezioni e si era ricordata di dover comunicare una notizia a Amabel. Aveva frequentato poche volte lo studio di suo padre e quando era una bambina, pertanto non sapeva bene dove fosse. Adocchiò due ragazzi ben vestiti per strada, nei pressi di un pub, e si avvicinò a loro con cautela.
“Scusate, spero di non disturbare.”
Il ragazzo più alto si girò e spalancò gli occhi, non capitava tutti i giorni che una ragazza per bene si trovasse da quelle parti. Aveva i capelli castani acconciati in due trecce, il viso non riportava tracce di trucco, e indossava una divisa scolastica.
“Ti serve qualcosa?”
“Sto cercando lo studio medico hamilton ma credo di essermi persa.”
“Finn, accompagnala tu. Io vado da Arthur.” Disse uno dei due, quello che sembrava essere il più grande, poi andò via.
“Seguimi, ti ci porto io. Io sono Finn Shelby.” Disse il ragazzo, alto e magro, con una spruzzata di lentiggini sul viso pallido. Era molto carino.
“Io mi chiamo Diana Hamilton.”
“Quindi lo studio è tuo?”
“Oh, no. Era di mio padre in passato e adesso è di mia sorella. Si chiama Amabel, forse la conosci.”
“La conosco. Mi ha curato un tremendo dolore alla spalla settimana scorsa. Mi piace, è molto simpatica.” Disse Finn con un alone di rossore sulle gote. Diana sorrise, lo trovava tenero.
“Sì, lei è davvero una bella persona.”
Proseguirono per qualche altro metro, finchè Finn non si arrestò davanti alla porta chiusa dello studio.
“Ecco qui, siamo arrivati.”
“Però mi toccherà aspettare.” Si lamentò Diana, indicando col dito il cartello sulla porta. Finn parve confuso.
“Di che parli? La dottoressa è dentro.”
Diana sollevò le sopracciglia con fare interrogativo.
“No, Finn. Il biglietto dice un’altra cosa.”
“Ah, sì. Il fatto è che io … beh … io non so leggere.” Ammise il ragazzo, abbassando lo sguardo sull’asfalto consunto. Diana aprì e chiuse la bocca, era scioccata. Non aveva mai conosciuto un analfabeta, ma era anche vero che aveva a che fare solo con gente ricca e colta da quando era nata. Ripensò ai ragazzi della sua scuola, a come si comportavano da bambini viziati sebbene avessero sedici anni, e la intenerì l’umiltà con cui Finn si era confidato.
“Te lo insegno io, se vuoi.” Propose allora con un sorriso imbarazzato. Gli occhi di Finn saettarono su di lei quasi fosse un fiocco di neve caduto in estate.
“Dici davvero?”
“Certo! Nello studio c’è uno stanzino per le scope, ma potremmo adattare un paio di sedie e ricavare un posticino tranquillo. Io il martedì esco da scuola alle quattro e potrei venire qui a insegnarti.”
“E io in cambio cosa dovrei darti?”
L’ingenuità di Finn colpì Diana, era un ragazzo molto timido e sensibile, era evidente.
“Non dovresti darmi nulla. Non lo farei per un mio tornaconto, vorrei solo aiutarti. Che ne dici?”
“Dico  che va bene. Qua la mano!” disse Finn con un sorriso, quindi sigillarono l’accordo con una stretta di mano.
“Diana! Finn! State bene?” esordì la voce di Amabel alle loro spalle, era affannata e aveva i capelli in disordine. La sorella annuì e l’abbracciò velocemente.
“Stiamo bene. Tu, piuttosto, sembri sconvolta.”
“Ho appena fatto nascere un bambino, sono sfinita. Sette ore di travaglio, un vero incubo!”
“Allora la tua giornata non migliorerà. Sono qui per ricordarti che stasera andiamo a cena con i suoceri e il cognato di Evelyn, alle venti al White Rose.” Disse Diana, grattandosi la nuca. Amabel si sedette sugli scalini dello studio e si mise la mani in faccia, quella giornata stava andando a rotoli.
“Perfetto. Una meraviglia. Che orrore!”
Finn rise e Diana con lui, era comico vedere Amabel borbottare.
“Dobbiamo andare a casa a prepararci, altrimenti Evelyn ci assillerà a vita. Andiamo, forza!”
Amabel si assicurò che la porta dello studio fosse chiusa, aggiustò gli strumenti medici nella borsa e si infilò la giacca.
“Andiamo.”
“Noi ci vediamo settimana prossima, Finn. Ciao!”
“Ci conto!” la salutò Finn con un sorriso, poi le diede la schiena e se ne tornò a casa. Amabel arricciò il naso.
“Perché vi vedrete settimana prossima?”
“Perché insegnerò a Finn a leggere e a scrivere. Abbiamo fatto un accordo.”
“Bene.”
Amabel pensò che con gli Shelby le cose si stessero soltanto ingarbugliando. Più cercava di tenerli distanti e più si accordava a loro. Era entrata in un circolo vizioso e aveva trascinato anche Diana.
 
Evelyn continuava imperterrita a ridere come una donna pettegola a qualsiasi cosa dicesse suo cognato Dominic. Erano ormai arrivati a fine cena, attendevano soltanto il dolce. Amabel era stanca, non ne poteva più di tutto quel futile chiacchiericcio e il vestito viola che era stata costretta a indossare le faceva venire il prurito. Barbara, la madre di Jacob, parlava con Diana di seta e pizzo, mentre il padre Phil fumava un sigaro.
“Evelyn mi ha detto che sei stata in guerra. Deve essere stato terribile.” Esordì Dominic in direzione di Amabel, che sbatté le palpebre più volte per risvegliarsi.
“Ehm, sì, è stato terribile. L’unica cosa che la guerra insegna è che non dobbiamo fare la guerra.”
“Sciocchezze! La guerra ci permette di imprimere la nostra egemonia sui deboli.” Disse con fermezza Phil, accarezzandosi i baffi. Evelyn colpì Amabel alla caviglia prima che reagisse in malo modo, al che la dottoressa si limitò a bere un po’ d’acqua per schiarirsi la voce.
“Allora, Jacob, so che ti occupi della fabbrica di famiglia. Quali sono le tue mansioni?”
Jacob era un bel giovanotto di ventitré anni, capelli ricci neri e sguardo verde smeraldo sempre inclinato in un ammiccamento. Sedeva accanto a Evelyn e le stringeva la mano sul tavolo. Sebbene apparisse come un bravo ragazzo innamorato, c’era qualcosa in lui che non piaceva a Amabel.
“Io dirigo la fabbrica. Do gli ordini, assumo, licenzio e firmo scartoffie. Nulla di che. La vera stella della famiglia è Dominic.” Disse il ragazzo con un sorriso rivolto al fratello.
Dominic, stessi occhi verdi del fratello ma con i capelli lisci e ben pettinati, era stato da poco eletto sindaco e aveva lasciato gli affari di famiglia per dedicarsi alla città. Ovviamente era lo scapolo d’oro a cui tutte le fanciulle di buona famiglia aspiravano, però sembrava che lui non volesse sposarsi né avere figli.
“Non sono una stella, sono semplicemente il sindaco.” Rispose Dominic sfoderando un sorriso raggiante, quello che conquistava le donne. Amabel avrebbe voluto vomitare l’anatra arrosto per tutta la superbia che serpeggiava nella famiglia Cavendish, e dello stesso parere era Diana, che annuiva senza prestare davvero ascolto. Eppure, da brave sorelle, rispettavano la felicità di Evelyn e tentavano di fare del loro meglio.
“E tu oltre a curare gli ammalati, cosa fai? Hai un amore?” le chiese Barbara, accollandosi meglio lo scialle sulle spalle. Amabel sorrise sorniona perché si aspettava quella domanda, ma aveva un risposta che non ammetteva repliche.
“Il mio unico amore sono il lavoro e le mie sorelle. Non ho tempo per altro.”
“Mi piace il tuo modo di ragionare.” Si complimentò Dominic e le riservò un’occhiata maliziosa.
 
Quando Thomas arrivò al White Rose, la gente si spostò di lato per farlo passare. Si accese una sigaretta e prese qualche tiro prima di fare il suo ingresso nella sala principale. Arthur e Michael erano rimasti a casa, ignari del suo piano. Prese posto al bancone e ordinò un whiskey irlandese. Perlustrò la stanza e individuò Noah Meyer in compagnia della sorella Lena. I Meyer avevano comperato altri due edifici e stavano guadagnando terreno a discapito degli Shelby. Thomas non capiva quale fosse il loro scopo e doveva scoprirlo prima che la sua famiglia venisse spodestata. Birmingham era una città diversa dopo la guerra, adesso inseguiva l’onda del successo e si inginocchiava ai piedi di chiunque le promettesse un briciolo di pietà. Noah e Lena si spacciavano per due semplici svizzeri in vacanza nella cittadina inglese, nessuno sospettava di loro e si muovevano nell’ombra. Vagando tra i volti, i suoi occhi riconobbero Amabel Hamilton. Era al tavolo con i Cavendish, ed era evidente che si stesse annoiando.
“Desiderate altro?” gli domandò il cameriere, chino sul bancone.
“Vedi la signorina vestita di viola con i Cavendish? Dille di recarsi in giardino perché un uomo ha avuto un malore.”
 
 
Quando Amabel sopraggiunse in giardino con il fiatone, si guardò intorno stranita. Nessuno si stava sentendo male. Il cameriere era rientrato e l’aveva lasciata da sola.
“Dottoressa.”
Riconobbe all’istante quella voce bassa e roca, logorata dal fumo e dall’alcol. Voltandosi lentamente, vide Thomas Shelby accomodato su una panchina di marmo bianco. Al chiaro di luna i suoi occhi sembravano brillare, oppure era l’effetto del whiskey che stava bevendo.
“Siete serio? Avete interrotto la mia cena con una scusa banale. Siete davvero incredibile, signor Shelby.” Disse lei con stizza, incrociando le braccia sotto il seno.
“Più che altro vi ho salvata dalla vostra cena, sembravate annoiata. Mi sbaglio?”
“Per caso mi state seguendo?”
Thomas rise, mandò giù l’ultimo goccio di alcol e si mise in bocca una sigaretta.
“Non vi seguo, dottoressa. Sono qui per affari che esulano dalla vostra persona. Mi dispiace aver interrotto la cena con la vostra futura famiglia.”
Amabel sospirò, si sedette affianco a lui e si lisciò le pieghe della gonna.
“Avete ragione, la cena mi annoiava. Anzi, mi stavo irritando. Il padre di Jacob ha asserito che la guerra è utile a imprimere la nostra egemonia sui deboli. Disgustoso!”
Thomas cacciò il fumo che si dissolse tra di loro in modo graduale, quasi volesse nasconderli l’uno dall’altra.
“Stamattina avete detto di aver servito come medico in Francia. Siete una donna e siete giovane, perché siete partita?”
“Mi  stavo laureando quando scoppiò la guerra. Tutti andarono nel panico e il mondo si preparò a combattere. L’università convocò tutti gli studenti di medicina prossimi alla laurea per chiedere chi volesse intraprendere la carriera da medico di guerra, ma nessuno ebbe il coraggio di farsi avanti. Mi proposi io dopo qualche minuto di silenzio, lo feci perché ero una donna e volevo dimostrare a tutti il mio valore. Mio padre non si oppose, sapeva che avevo ragione, e lasciai Birmingham l’indomani. Fui inviata in Francia e mi assegnarono come medico principale in entrambi gli accampamenti. Ero una bambina che gestiva la vita di centinaia di uomini. Sapete, signor Shelby, ne ho salvati molti e altrettanti sono morti, però le vittorie non compensano mai le perdite.”
“Non esiste vittoria in guerra, tutti perdono miseramente.” Replicò Thomas, accendendosi l’ennesima sigaretta. Amabel annuì piano, e sembrava quasi che nel silenzio del giardino riecheggiassero le urla dei soldati che non era riuscita a salvare.
“Nella vita in generale non esiste vittoria alcuna, signor Shelby. La vedete quella gente nel locale? Beve, mangia, ride e difende la guerra, eppure non hanno la minima idea di cosa sia davvero la vita. Non hanno idea di cosa sia la cruda sofferenza. Hanno perso proprio come abbiamo perso la guerra. C’è chi combatte sul campo e chi per le strade di una bella città, ma siamo tutti perennemente in conflitto.”
Thomas deglutì, Amabel aveva tremendamente ragione. Lui era in guerra con sé stesso ancora prima di andare in Francia e al ritorno le cose erano solo peggiorate, adesso era in guerra con il mondo intero.
“Non parlate in questo modo davanti al suocero di vostra sorella, oppure vi odierà.”
“Già mi odiano, lui e sua moglie.” Rise Amabel.
“Le personalità forti generano sempre disappunto, dottoressa.”
“State ammettendo che ho una personalità forte?”
Thomas sollevò un angolo della bocca e scosse la testa, quella donna lo incalzava sempre.
“Lo sto ammettendo.” Disse, poi si alzò e bevve in un solo sorso il resto del whiskey. Amabel lo vide abbottonarsi la giacca proprio come tutti i gentiluomini della città, ma nei suoi occhi azzurri riluceva una nota di ribellione che palesava le sue origini zingare.
“Fate attenzione a ciò che dite, signor Shelby, oppure crederò che proviate una certa simpatia nei miei confronti.”
“Io faccio sempre attenzione a ciò che dico, dottoressa Hamilton. Non vi preoccupate per me, oppure crederò che proviate una certa simpatia nei miei confronti.”
Thomas allora le prese delicatamente la mano e si chinò a baciarne il dorso. Amabel ritrasse il braccio con uno scatto e sorrise divertita.
“Quando e se mi preoccuperò mai per voi, pioveranno lingue di fuoco dal cielo.”
Thomas ridacchiò e si incamminò verso il locale, fermandosi solo per un breve instante a guardarla ancora una volta.
“Ad un prossimo incontro, dottoressa.”
 
Salve a tutti!
Pian piano si stanno formando amicizie e collaborazioni, chissà come finirà.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

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Capitolo 3
*** Spaccaossa ***


3. SPACCAOSSA

“I can take the pitchfork, from the devil
Keep a super suit like I'm incredible
From the deep blue sea, to the dark blue sky
I'm the baddest man alive.”

(The Baddest Man Alive, The Black Keys)
 
Due settimane dopo
Amabel osservava le persone entrare e uscire dall’ospedale simili a minuscole formiche indaffarate. Scrollò la testa e tornò a concentrarsi sulla cartella di un paziente che aveva bisogno di un’immediata trasfusione di sangue. Un minuto dopo chiuse la cartella con uno sbuffo, la sua mente era altrove e non era in grado di focalizzarsi sul problema. Sobbalzò quando la porta dell’ufficio si aprì all’improvviso e sbucò il viso paffuto di un’infermiera.
“Perdonate il disturbo, dottoressa. In sala d’attesa c’è una visita per voi.”
“Chi è?” chiese Amabel, alzandosi e sistemandosi la cartella sotto il braccio.
“Si tratta di vostra zia Camille. Dice che ha urgenza di conferire con voi.”
Amabel rimase delusa, sperava invece che fosse Thomas Shelby a farle visita. Dopo la chiacchierata nel giardino del White Rose non si erano più visti. Quando lei si andava a Small Heath, lui non c’era mai, ma Amabel sapeva che qualcosa bolliva in pentola perché nel quartiere tutti i suoi tirapiedi erano indaffarati.
“Adesso arrivo.”
Non aveva nessuna voglia di affrontare sua zia, già immaginava la predica che le avrebbe rivolto e non era dell’umore per essere insultata. Si ritagliò qualche minuto per bere una tazza di thè, sebbene non le piacesse, pur di ritardare l’incontro. Quando raggiunse la sala d’attesa, riconobbe la silhouette alta e magra di Camille, i capelli grigi raccolti in uno chignon, e il completo elegante color blu scuro.
“Amabel!” esclamò la donna sollevando la mano per salutarla. Si diedero due baci sulle guance e si strinsero in un debole abbraccio, un saluto molto formale.
“Zia Camille, come mai sei qui? Lo sai che è l’orario di lavoro.”
“Quando mai hai lavorato tu?! – ridacchiò la donna riavviandosi una ciocca dietro l’orecchio – Fatto sta che sono qui per Evelyn. Mi ha detto che non vuoi acquistare le bomboniere di cristallo per il suo matrimonio. Sei per caso impazzita, Amabel?”
“Questo matrimonio ci costa una fortuna, ed è questa la vera pazzia. La dote che papà ha lasciato ad Evelyn non riesce a coprire le spese e i soldi di Diana non ci penso neanche a toccarli.”
Amabel affondò le mani nelle tasche nel camice e sospirò, quella donna era capace di farla sempre innervosire.
“E la tua dote che fine ha fatto? Deduco che tu abbia sperperato tutti i soldi.” La rimbeccò Amabel con alterigia, schioccandole un’occhiataccia.
“Sì, ho speso i soldi della dote per una buona ragione. Ho viaggiato molto nell’ultimo anno e ho appreso nuove scoperte mediche che mi sono di grande aiuto. Non ho sperperato, ho usato i soldi con estrema intelligenza.”
“Io la definirei piuttosto una stupidaggine. Non possiamo fare una pessima figura con i Cavendish! Sono la famiglia più ricca della città e hanno scelto tua sorella, perciò è tuo dovere provvedere al massimo delle tue possibilità per organizzarle un matrimonio stupefacente. Vuoi che ci vedano come gli zingari di Small Heath?”
Amabel intuì che Camille facesse riferimento al suo studio a Small Heath, il quartiere più degradato di tutta Birmingham, e si irrigidì.
“Noto che Evelyn ti ha parlato dello studio, non ci si può fidare di nessuno al giorno d’oggi. Il mio lavoro a Small Heath non ha a che vedere con il matrimonio. Se Jacob ama davvero Evelyn, ridimensionerà le spese pur di sposarla.”
“Jacob Cavendish ridimensionare le spese? Hai davvero perso il senno! Amabel, sii realista. La gente ricca sposa solo la gente ricca.”
“La gente ricca non si innamora?” scherzò Amabel, ma sua zia non rise affatto.
“Evelyn si sta piazzando bene nell’alta società, non rovinare tutto con le tue idee rivoluzionarie. Pensa anche alle tue sorelle, non essere sempre la solita egoista!”
“Io sono egoista? Forse non conosci il significato del termine. Sono io che pago la casa enorme dove vivono le mie sorelle, pago Bertha, pago la loro istruzione, i loro vestiti, e i loro vizi. Sarò anche una rivoluzionaria, e lo accetto, ma non sono di certo egoista. Sei tu che riempi le loro teste di stupidaggini!”
Una coppia di infermiere sussultarono per il tono di voce alto di Amabel, e Camille arrossì per l’imbarazzo.
“Sei una selvaggia, proprio come gli zingari che frequenti! Siamo donne, Amabel, e abbiamo dei doveri a cui adempiere. E’ questo che la società si aspetta da noi.”
“Siamo donne, non schiave della società! Non ti lascerò inghiottire le mie sorelle nella tua folle società. Sono tornata, zia Camille, e adesso sono io che comando.”
Amabel intravide Finn in fondo al corridoio, il ragazzo le stava facendo cenno di raggiungerlo in mensa.
“Hai perso la ragione.” Le disse Camille in tono perentorio. Amabel, però, le aveva già dato le spalle e si stava allontanando.
Non appena Amabel raggiunse la mensa, la mano di Finn la trascinò al riparo da occhi indiscreti.
“Che succede, Finn?”
Il ragazzo si guardò intorno prima di parlare, era così che gli avevano insegnato i suoi fratelli.
“Tommy ha bisogno di te stasera.”
“Ha bisogno di me per cosa?”
“Non posso dirti altro. Tommy sarà in ufficio questo pomeriggio, è meglio che tu vada a parlare con lui.”
Amabel sospirò, non poteva prendersi un attimo di pausa tra la sua famiglia e quella degli Shelby.
“D’accordo. Lo vedrò nel pomeriggio.”
 
Thomas non aveva dormito molto negli ultimi tempi e di conseguenza il suo umore era più instabile del solito. Quella mattina, mentre si faceva la barba, il suo sguardo ricadde sul fazzoletto che si portava dietro come cimelio della guerra. Non che volesse ricordare la guerra, ma voleva ricordare a se stesso di essere ancora vivo nonostante tutto. Le due lettere incise, AH, lo tormentavano da giorni. Era casuale che esse corrispondessero alle iniziali di Amabel Hamilton? Infondo entrambi erano stati in guerra in Francia e negli stessi accampamenti, pertanto le coincidenze erano troppe per essere casuali. Dopo essere uscito di casa, infatti, si recò presso l’ufficio militare di Birmingham. Lui e i suoi fratelli, e tutti gli altri giovani uomini, si erano iscritti nel registro per partire e lo stesso avevano fatto i medici e gli infermieri, perciò si aspettava di trovare un collegamento con Amabel.
“Buongiorno. Come posso esservi utile?” Lo accolse con un sorriso la segretaria dell’ufficio, un’anziana donna dall’acconciatura intricata e gli occhiali sul naso aquilino.
“Salve. E’ possibile controllare i registri dei medici che sono partiti per la Francia tra il 1916 e il 1918?”
“E’ possibile a patto che sia un militare a richiedere la visione dei registri. Voi avete una qualche qualifica?”
“Sì, sono un ex soldato della corona inglese.”
“Il vostro nome?”
La donna recuperò un foglio dalla sua scrivania, impugnò una penna e alzò gli occhi consumati dall’età su Tommy.
“Thomas Michael Shelby, nato il venticinque maggio del 1890, e ho combattuto in qualità di sergente maggiore nella divisione degli scavatori di tunnel.” Disse Tommy con un nodo alla gola che gli procurava dolore nel parlare. Non si identificava più con quel Thomas, quello che aveva servito il proprio paese, quello dai mille sogni e le mille speranze. Quel ragazzo era morto in guerra come gli altri.
“Firmate in basso a destra, poi potete andare al primo piano e richiedere il registro. Buona giornata, sergente.”
Thomas storse le labbra a quel titolo, ma abbozzò un sorriso alla gentile signora e firmò in fretta.
La sala dei registri era un enorme stanzone arredato da lunghe e alte file di armadietti di legno al cui interno si conservavano numerosi libri. L’aria stantia costrinse Tommy a tossicchiare, quel posto sembrava ricoperto dalla stessa polvere sotto cui erano caduti i soldati in battaglia.
“Thomas Shelby, vecchio lupo!” esclamò una voce facendo voltare Tommy con la fronte aggrottata. Quando riconobbe il sergente Aaron Jones, si lasciò sfuggire un sorriso sollevato. Si erano incontrati per l’ultima volta al funerale dei loro compagni d’armi, poi si erano separati.
“Aaron, come stai? E che ci fai qui?”
“Sto come te, cerchiamo di andare avanti. Sono stato inviato da Londra per riportare ai grandi capi l’elenco completo dei soldati di Birmingham morti in guerra. Pare che vogliano edificare un momento in loro onore. Come se un monumento renda giustizia all’orrore che abbiamo sopportato!”
Tommy ridacchiò per la solita aria accigliata dell’amico. Si reggeva su un bastone da quando gli aveva amputato il piede.
“Neanche tutto l’oro del mondo ci ripagherà di quello che abbiamo perso.” Disse Tommy, sfiorandosi le cicatrici che gli deturpavano le mani.
“Già. E tu, vecchio lupo, perché ti trovi qui? Avevi giurato di non mettere mai più piede in un ufficio militare.”
“Sono qui per fare delle ricerche. Cerco la dottoressa che mi ha salvato in Francia.”
Aaron con un cenno del capo lo invitò a seguirlo mentre zoppicava malamente.
 “Cosa sai di questa dottoressa?”
“Non so nulla. Ho solo il suo fazzoletto. Ho un ricordo confuso di quel periodo, ero imbottito di morfina e dormivo per la maggior parte del tempo.” Rispose Tommy raccattando una sigaretta, ma Aaron gliela tolse di mano.
“E’ vietato fumare qui dentro. Comunque, non hai mai chiesto a nessuno il suo nome?”
“No, volevo dimenticare la guerra e tutto quello che ad essa si collegava, inclusa lei.”
“E perché la cerchi proprio adesso?”
“Puoi darmi una mano o no?” replicò Tommy, non voleva spiegare le ragioni per cui cercava la dottoressa. Aaron sghignazzò per il solito temperamento riservato dell’amico.
“Dammi qualche indizio utile perché possa aiutarti.”
“Francia 1917, accampamento numero 387.”
Aaron con una chiave aprì uno degli armadietti la cui targhetta riportava la sigla ‘’Fr.,1917, num. 380-390’’. Si chinò e iniziò a frugare tra le svariate cartelle che riempivano il mobile. Estrasse un paio di cartelle, richiuse l’armadietto e si mise la chiave in tasca.
“Ecco a te. Andiamoci a sedere, la mia gamba è troppo malandata per tenermi in piedi.”
Tommy lo aiutò a prendere posto ad uno dei lunghi tavoli di legno scuro collocati sotto le finestre e si accomodò al suo fianco. Le due cartelle contenevano i registri dei medici e dei pazienti dislocati in Francia nel 1917.  Aaron colse l’esitazione di Tommy e gli diede una pacca amichevole per incoraggiarlo.
“Sei sicuro, Tommy? Non devi per forza rivivere quei momenti.”
“Devo farlo.”
Tommy consultò dapprima il registro dei medici e una sfilza di nomi gli annebbiò la mente. I documenti non erano in ordine alfabetico, pertanto dovette leggerli tutti. Sgranò gli occhi quando lesse il nome di Amabel Hamilton. Recuperò la sua scheda e venne a sapere che la dottoressa aveva lavorato nel presidio 387 nello stesso mese in cui lui era stato ricoverato. Trovò anche il proprio nome nel registro dei pazienti e trovò il nome di Amabel Hamilton alla voce ‘medico curante’.
“Allora?” gli chiese Aaron sporgendosi per sbirciare i fogli. Tommy glieli lasciò leggere, convinto di essersi sbagliato, ma lo sguardo allibito di Aaron erano la conferma che aveva capito bene.
“Amabel Hamilton ti ha salvato la vita! Assurdo! Non pensavo a lei da anni!”
Tommy inclinò la testa in direzione dell’amico con l’incredulità stampata in faccia.
“Tu conosci Amabel Hamilton?”
“La conosciamo entrambi! – rise Aaron – Non te lo ricordi? Era la dottoressa in servizio quando eravamo insieme in Francia? Era il presidio Numero 170!”
Tommy di colpo ricordò tutto, come se si fosse appena risvegliato da un lungo sonno. Ricordò la dottoressa a cui faceva la corte al presidio Numero 170, l’infermiera Emily, e ancora le urla di Freddie, la voce di Amabel che gli ripeteva che sarebbe andato tutto bene. Trasalì quando Aaron gli toccò il braccio.
“Tommy, stai bene?”
“L’ho trovata.” Sussurrò Tommy.
“Stai peggio di quando ti ho lasciato. Hai la zucca ammaccata!” gli disse Aaron picchiettando l’indice contro la sua testa. Tommy si infilò il foglio in tasca, sebbene fosse proibito, e rise di cuore.
“Sì, sono peggiorato. Andiamo a bere, amico mio. Dobbiamo festeggiare!”
 
Amabel arrivò a Small Heath intorno alle quattro di pomeriggio. Aveva da poco terminato il turno in ospedale e si apprestava ad iniziare quello nello studio di suo padre, ma prima doveva incontrare Thomas Shelby. Quando imboccò la stradina dell’ufficio, vide Lizzie e Polly fumare sulla soglia.
“Buon pomeriggio.” Disse in modo cordiale. Polly sollevò il sopracciglio con fare altezzoso e studiò la figura della dottoressa avvolta in un costoso cappotto color crema.
“Avete finito le bende, dottoressa?” la schernì Lizzie, ma Amabel era troppo esausta per replicare a quel sarcasmo.
“Devo vedere il signor Shelby, pare che io abbia un appuntamento con lui.”
“Tommy vi aspetta. – le disse Polly indicando la porta con il pollice – Attenta a non imbrattarvi il bel cappotto con le strisce di neve!”
Lizzie e Polly si misero a ridere mentre Amabel passava tra di loro per entrare. Amabel puntò direttamente all’ufficio di Thomas, non voleva attirare l’attenzione dei presenti, e bussò un paio di volte.
“Avanti.”
Thomas stava fumando, nella mano destra reggeva un bicchiere di whiskey.
“Signor Shelby.” Lo salutò Amabel con un certo imbarazzo. Gli occhi di Tommy si illuminarono quando videro la dottoressa.
“Prego, dottoressa, sedetevi.”
Amabel, incerta, si sedette e abbandonò la borsa ai piedi della sedia. La stanza puzzava di fumo e alcol e affondò il naso nella sciarpa per evitare quel tanfo.
“Finn ha detto che dovete parlarmi. Qual è la questione tanto urgente?”
“Per questa sera è stato fissato un incontro di box tra mio fratello Arthur e un certo Stanley nella palestra di Small Heath. Arthur ha bisogno di un medico dal momento che il nostro è venuto a mancare due settimane fa.”
“Avete ucciso il vostro medico?” domandò Amabel facendo ridere Tommy.
“No, è morto per cause naturali, aveva più di settanta anni. Ho bisogno che voi siate il medico di Arthur per questa volta. Solo per questa volta.”
Amabel strinse le dita intorno ai braccioli e represse un sussulto, non voleva mostrarsi spaventata.
“Io non ho mai fatto una cosa del genere. Non ne sono capace.”
“Io credo che voi siate capace di tutto, dottoressa.”
“E io cosa ci guadagno, signor Shelby?”
Tommy sorseggiò il suo drink e prese un altro tiro dalla sigaretta.
“Beh, vi darò la somma di denaro che serve per il matrimonio di vostra sorella. Ho parlato con Michael e mi ha spiegato come stanno le cose, e Finn vi ha sentita discutere con vostra zia stamani. Mi sembra un equo scambio.”
“Non voglio i vostri soldi sporchi.” Disse risoluta Amabel. Ormai non era più un segreto che gli Shelby fossero dei criminali e che, dunque, i loro soldi fossero macchiati di sangue.
“Non c’è bisogno di offendere, dottoressa.”
“Non era un’offesa, era una costatazione. Fatemi un’altra proposta, signor Shelby. Le vostre tattiche di negoziazione sono alquanto scarse.”
Tommy, anziché arrabbiarsi, ridacchiò e bevve un altro sorso di whiskey. Ci voleva dell’alcol per affrontare Amabel e il suo caratteraccio.
“Mi dispiace deludervi, ma non ho altro da offrirvi.”
Amabel si alzò e incominciò a curiosare tra le foto alle pareti e le scartoffie disseminate qua e là nell’ufficio.
“Allora ho io una proposta: voi comprate i vaccini per i bambini di Small Heath e io sarò il medico di vostro fratello per questa sera.”
Tommy strabuzzò gli occhi.
“Avete detto ‘vaccini’?”
“Esatto. Il vaiolo sta infestando le strade di Birmingham e, mentre i ricchi vengono curati con i vaccini degli ospedali, i bambini poveri di questo quartiere stanno tragicamente morendo. Il prezzo dei vaccini è molto elevato e per questo l’ospedale si rifiuta di consegnarmeli per aiutare Small Heath. Se voi mi date i soldi per acquistarli, io questa sera sarò al fianco di vostro fratello.”
Amabel non aveva tentennato mentre parlava, era rimasta ferma, con la schiena dritta e la voce controllata. Tommy si appoggiò allo schienale della sedia e si accese un’altra sigaretta.
“Affare fatto. Michael domattina si occuperà dell’acquisto dei vaccini.”
La ragazza sorrise trionfante, aveva avuto la meglio su un criminale con la semplice arte della dialettica. Suo padre sarebbe stato fiero di lei.
“I bambini di Small Heath e i loro genitori vi saranno riconoscenti. Ebbene, dove e a che ora si terrà l’incontro?”
“Alle dieci, a due isolati da qui, nelle vicinanze del canale. Allora ci sarete, dottoressa Hamilton?”
Tommy allungò la mano e Amabel gliela strinse con vigore annuendo.
“Ci sarò, signor Shelby.”
“Un avvertimento, dottoressa: indossate abiti neri in modo che il sangue non si noti troppo.”
 
Finn si massaggiava le tempie dopo un tremendo pomeriggio alle prese con Diana. Si erano incontrati nello studio di Amabel a Small Heath e lei aveva deciso di iniziare le loro lezioni con lo studio dell’alfabeto.
“Dai, ripetilo un’ultima volta.” Lo incitò Diana con un sorriso di incoraggiamento. Finn sbuffò esausto, forse non era stata una buona idea imparare a leggere e a scrivere.
“Non ce la faccio più, Diana. E poi devo essere a casa tra venti minuti, i miei fratelli non sanno che sono qui.”
“E dove credono che tu sia?”
“Al bar con gli amici. La mia famiglia non vuole che io impari a leggere e a scrivere, secondo loro non è importante.” Ammise Finn con un certo rammarico. Diana fu dispiaciuta per lui, doveva essere terribile non poter essere se stessi in famiglia.
“E’ bello che tu voglia imparare, Finn. E se per farlo devi mentire, allora menti. Ti assicuro che leggere e scrivere sono due potenti armi.”
“A casa mia le armi sono di un altro genere!” scherzò Finn, però lo sguardo allibito di Diana lo fece arrossire.
“I tuoi fratelli vendono armi per la corona?”
Finn sorrise per l’ingenuità dell’amica, era palese che fosse un membro dell’alta società.
“Sì, diciamo di sì.”
“E tu cosa vorresti fare da grande?”
“Non lo so, non ci ho mai pensato. Farò quello che fanno i miei fratelli. E tu?”
“Io vorrei diventare veterinaria. Beh, la medicina è chiaramente l’ambito della mia famiglia, e in più mi piacciono molto gli animali. A te piacciono gli animali?” indagò Diana richiudendo i libri e l’astuccio delle penne.
“Sì, più o meno. Mi piacciono i cavalli, anche se il vero appassionato in famiglia è Tommy. Qual è il tuo animale preferito?”
Diana ridacchiò e si scostò dagli occhi una ciocca che era sfuggita al nastro che le legava i capelli.
“I cavalli sono i miei preferiti. Sono sensibili, di grande compagnia, e corrono veloci. Io e le mie sorelle avevamo un cavallo quando eravamo piccole, il mio era bianco e si chiamava Stormy. Li abbiamo venduti dopo la morte di nostro padre perché per Evelyn e Amabel erano un ricordo triste.”
“Un giorno potresti cavalcare uno dei nostri cavalli.” Disse Finn, e l’attimo dopo desiderò potersi rimangiare la parola. Michael gli ripeteva sempre che con le ragazze non doveva essere troppo diretto, doveva lanciare il sasso e nascondere la mano, ma lui non ne capiva molto.
“Davvero? Sì, mi piacerebbe! Ci possiamo organizzare per il mese prossimo, aprile è sempre un ottimo periodo per cavalcare.”
L’entusiasmo di Diana fece sorridere anche Finn.
“Non vedo l’ora.”
 
Amabel tornò a casa solo per mangiare qualcosa e cambiarsi i vestiti. Erano le nove di sera, perciò doveva sbrigarsi per arrivare in tempo a Small Heath. Mentre si raccoglieva i capelli in una treccia, udì la porta aprirsi e chiudersi piano. Si insospettì dato che Diana e Bertha erano andate a teatro per assistere al concerto di una famosa orchestra italiana, e si precipitò in corridoio con una brocca di vetro in mano nel caso si fosse trattato di un malintenzionato.
“Evelyn!” esclamò sollevata, abbassando la brocca. La sorella strabuzzò gli occhi come un animale spaventato dai fari.
“Oh, Amabel, sei a casa. Credevo che saresti uscita con Diana e Bertha.”
“No, più tardi devo assistere una donna durante il parto. – mentì Amabel – E tu come mai sei già a casa? Credevo che la cena con i parenti di Jacob durasse di più.”
Evelyn si morsicò l’interno della guancia mentre con le mani torturava l’orlo del cappotto, era particolarmente tesa. Amabel si era resa conto dei suoi occhi rossi e gonfi, un chiaro segno delle lacrime.
“Ehm, ecco, non mi sento molto bene. Sai, è quel periodo del mese.”
“Hai pianto perché hai le mestruazioni?”
“No, non ho pianto. E’ solo un po’ di allergia, c’erano fiori dappertutto a casa dei Cavendish.”
“Sono un medico, Evelyn. Non prendermi in giro. Che cosa è successo?”
Evelyn deglutì e rimandò giù le lacrime, non voleva piangere davanti a sua sorella. Cercò di scappare di sopra ma Amabel l’afferrò per il polso.
“Lasciami!”
“E’ stato Jacob? Piangi per colpa sua?”
Evelyn si liberò con uno strattone e spinse Amabel contro il muro in un raptus di rabbia.
“E’ colpa tua! Se lui si innervosisce è colpa tua!” gridò, poi corse in camera sua. Amabel respirava a fatica, troppo sconvolta dall’atteggiamento della sorella. Nella fuga Evelyn aveva perso un fazzoletto e, raccogliendolo, Amabel si accorse che era sporco di sangue. Qualcosa stava capitando a sua sorella ed era sicura che fosse colpa di Jacob. Non ebbe tempo per rimuginare sull’accaduto perché Finn aveva appena bussato alla sua porta per accompagnarla a Small Heath.
 
Tommy stava fumando l’ennesima sigaretta della giornata, ormai aveva perso il conto. Molta gente si era riunita per assistere all’incontro di box e tutti si accalcavano all’ingresso per scommettere sui lottatori. Arthur era già entrato insieme a Michael per prepararsi, e lui aspettava che Finn portasse la dottoressa. Faticava ancora a credere che Amabel fosse la donna che lo aveva salvato in Francia, la stessa con cui lui aveva flirtato nei primi mesi di sosta nell’accampamento. Il destino gli stava comunicando qualcosa che lui ancora non riusciva ad afferrare, ma era certo che fosse qualcosa di buono. La sua riflessione fu interrotta dall’arrivo dell’auto guidata dal fratello minore. Amabel era completamente vestita di nero, sembrava in procinto di combattere chissà quale battaglia. Anche i suoi occhi erano scuri, in essi Tommy scorse un forte senso di smarrimento.
“Dottoressa Hamilton, buonasera.”
“Buonasera a voi. E’ tutto pronto?”
“Sì, Arthur vi aspetta dentro. State bene? Sembrate turbata.”
Amabel fece un sorriso tirato e annuì.
“Certo, sto bene. Ho discusso con mia sorella come al solito. Non preoccupatevi per me, sono in grado di occuparmi di vostro fratello.”
Tommy voleva insistere ma al tempo stesso non voleva mostrarsi troppo apprensivo. Non aveva intenzione di svelare la propria identità ad Amabel, era meglio per la sua incolumità.
“Mi fido di voi, in fondo mi siete costata cara.”
Amabel rise seguendo Tommy e Finn dentro la palestra.
“Magari tutte le persone costassero quanto me, signor Shelby!”
Tommy si morse le labbra per non sorridere, preferiva mantenere la sua solita apparenza stoica.
“Avete ragione. Il mondo sarebbe un posto migliore se tutti in cambio volessero dei vaccini per salvare i bambini.”
Finn aggrottò le sopracciglia allo scambio di sguardi tra Tommy e Amabel, era strana l’atmosfera che si era creata tra di loro. Attraversarono un lungo corridoio e risalirono una rampa di scale per arrivare da Arthur.
“Amabel.” Disse Michael a mo’ di saluto, le mani in tasca, una sigaretta tra le labbra. Amabel ricambiò il saluto con un cenno del capo, poi si tolse la giacca e la lanciò tra le mani di Tommy.
“Prendetevi cura della mia giacca, signor Shelby.”
“Questa dottoressa già mi piace!” disse Arthur ghignando per l’espressione irritata del fratello. Amabel affidò anche la sua valigetta a Tommy, che inarcò il sopracciglio per il fastidio, facendo ridacchiare gli altri Shelby presenti.
“Avete qualche patologia, Arthur? Qualcosa degno di nota medica? Devo farvi restare in vita sul ring.”
“Nah, sto bene. Sono d’acciaio.”
“Non siete qui per una visita, siete qui per farlo vincere.” Le disse Tommy, che nel frattempo aveva consegnato gli oggetti della dottoressa a Finn.
“Sono io il medico, pertanto fareste bene a tacere tutti. Però se a voi non interessa la salute di vostro fratello, a me sta bene. Io sono qui solo per i vaccini.” Replicò Amabel, risoluta come suo solito. La gara di sguardi tra Amabel e Tommy fu arrestata dall’intrusione di un uomo nello spogliatoio, uno dei Peaky Blinders a giudicare dal cappello.
“Stanley è arrivato. E’ tutto pronto.”
“Andiamo a vincere.” Disse Arthur incamminandosi per raggiungere il ring. La palestra era gremita di persone, uomini e donne di ogni età, tutti provenienti dai quartieri più malfamati della città. Il barista del Garrison aveva allestito un banco per vendere alcolici e sigarette, mentre al suo fianco si era sistemato il ragazzo delle scommesse. Dall’altra parte dello stanzone stava Stanley, un omone alto due metri, con le spalle larghe e le mani grosse. Il suo medico, probabilmente un omuncolo poco esperto di medicina, gli controllava la vista.
“Dite a vostro fratello di colpire l’avversario allo stomaco e al polpaccio sinistro.” Disse Amabel a Tommy, intento a scolarsi un bicchiere di whiskey.
“Siete esperta di combattimenti?”
Tommy trasalì quando Amabel lo prese a braccetto per avvicinarsi al suo orecchio in modo che nessun altro ascoltasse.
“Stanley si massaggia di continuo lo stomaco e il polpaccio, ciò vuol dire che sono i suoi punti deboli. Se già prova dolore, i colpi di Arthur lo sfiancheranno. Questo rientra nelle mie mansioni per farlo vincere?”
Le labbra di Amabel gli sfiorarono il lobo e Tommy socchiuse gli occhi per un instante.
“Siete sorprendete, dottoressa.”
“Ah, signor Shelby, tenetevi per voi le adulazioni. So di essere brava da me.”
Tommy si scostò il giusto per guardarla negli occhi e vedere il suo sorriso compiaciuto.
“Vi posso offrire da bere più tardi?”
Amabel rise, si aspettava quella proposta da quando aveva messo piede in palestra.
“Sono un medico, io non bevo e non fumo. E soprattutto non vado a letto con il primo che capita.”
“Non era mia intenzione offendervi.” Disse Tommy, e i suoi occhi azzurri emanarono una strana dolcezza.
“Non mi avete offesa. Volevo solo rendere chiara la mia posizione. Non sono una donna che si fa conquistare facilmente, signor Shelby.”
Tommy bevve ancora senza smettere di guardarla, quella donna lo incantava sempre di più.
“Tommy, Amabel, venite!” li richiamò Michael. Mentre Tommy aiutava Arthur a indossare il paradenti, Amabel gli fasciava le mani meglio che poté. Avevano stabilito di non usare i guantoni e quindi di scontarsi a mani nude, ma entrambi i dottori optarono per coprire loro le mani almeno con le bende per limitare i danni.
“Ti fai cullare da una femmina, Shelby?!” disse Stanley con un ghigno sulle labbra. Amabel stava per rispondere per le rime quando Tommy le fece scivolare un braccio intorno alle spalle per trattenerla.
“Sta attento a quello che dici, Stanley. Io sono uno che non perdona.” Gli disse Tommy in tono intimidatorio. Amabel si sentiva bene tra le sue braccia, inondata dall’odore di alcol, fumo e dopobarba. Prese le distanze non appena realizzò quel pensiero. Non era consono fare certi pensieri, non quando l’uomo in questione era pericoloso e spietato. Eppure in lui c’era qualcosa che rassicurava Amabel, che le dava la sensazione di protezione. L’arbitro, un ragazzino di circa sedici anni, invitò tutti a liberare il ring. Amabel e gli altri Shelby si sedettero in prima fila accanto al team di Stanley.
“Buonasera, bella signorina.” Esordì un uomo alle spalle di Amabel facendola sobbalzare. Era ubriaco marcio e si leccava le labbra.
“Sta a cuccia. Lei sta con noi.” Gli disse Tommy, e l’uomo si ritirò dimostrando quanto temesse i Peaky Blinders.
“Grazie.” Bisbigliò Amabel. L’attimo dopo Tommy stese il braccio sullo schienale della sua sedia, e lei poteva sentire la stoffa pesante del cappotto toccarle le spalle.
“Mi costate proprio, dottoressa.” Scherzò Tommy richiudendo la mano sulla spalla di Amabel in una debole presa, un gesto che impediva agli altri di avvicinarsi a lei.
L’incontro ebbe inizio quando l’arbitro agitò una campanella in aria. Stanley e Arthur si studiavano saltellando in cerchio. Erano predatori e prede al contempo. Stanley sferrò il primo pugno e Arthur riuscì a pararlo.
“Gli avete suggerito di colpire i suoi talloni d’Achille?”
Finn si sporse oltre la sedia per rivolgere un’occhiata interrogativa a Amabel.
“Che c’entra questo Achille adesso?!”
Michael, che aveva frequentato la scuola fino all’età di diciassette anni, si mise a ridere. Amabel gli diede una leggera gomitata nelle costole, non era carino deridere il cugino.
“E’ un modo di dire, Finn. Chiedilo a Diana.”
Tommy indirizzò lo sguardo su Finn e inarcò il sopracciglio con fare canzonatorio.
“Perché dovresti chiederlo a Diana?”
Amabel colse il disagio di Finn e capì che non aveva detto ai suoi fratelli dei suoi incontri con Diana per imparare a leggere e a scrivere, e si sentì in colpa per averne parlato.
“Perché a Finn piace mia sorella.” Disse allora per distrarre Tommy. Finn annuì poco convinto, ma perlomeno la sua copertura reggeva. L’attenzione tornò a concentrarsi sul combattimento. Arthur stava effettivamente colpendo Stanley allo stomaco. Amabel sorrise vittoriosa e Tommy le strizzò la spalla.
“Io vi ascolto, dottoressa.”
“Dunque posso andare a scommettere ora. Punterò sulla vittoria di Arthur.” Disse lei, alzandosi e frugando nella tasca per prendere due banconote. Tommy diede un colpo al braccio di Finn.
“Finn, accompagnala.”
“Perché io? Voglio guardare come Arthur fa a pezzi quello stronzo di Stanley.”
“Ci penso io. Vado anche a prendere da bere.” Disse Michael abbottonandosi la giacca come un vero gentiluomo. Gli Shelby erano gli unici ben vestiti, sebbene le loro origini fossero uguali agli altri, e Amabel li trovava ridicoli. Un bel vestito non poteva di certo nascondere il loro sangue di zingari e le loro malefatte.
Dopo aver scommesso, Michael guidò Amabel verso il banco degli alcolici e ordinò una bottiglia di whiskey irlandese.
“Io lo so che stanno combinando Finn e Diana.” Disse Michael stappando la bottiglia per versarsi direttamente in gola il liquido ambrato.
“Non dirlo a Thomas e ad Arthur, per favore. Finn vuole solo leggere e scrivere, nulla di più. Mia sorella Diana ha la cattiva abitudine di aiutare tutti quelli che si trovano in difficoltà.”
“E’ un difetto comune nella vostra famiglia.”
“Sì, credo di sì.” Disse Amabel con un sorriso.
“Amabel Hamilton.”
Amabel ghiacciò sul posto quando si sentì chiamare. Alle sue spalle Dominic Cavendish la fissava con sguardo truce. 
 
 
 
Salve a tutti!
Beh, Tommy ha ricordato e chissà come si evolveranno le cose con la dottoressa.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 4
*** Lividi, sangue e caramelle ***


4. LIVIDI, SANGUE E CARAMELLE

“The world was on fire and no one could save me but you
It's strange what desire will make foolish people do
I never dreamed that I'd meet somebody like you
And I never dreamed that I'd love somebody like you.”

(Wicked game, Chris Isaak)
 
Amabel lentamente si voltò verso Dominic, che si era fatto accompagnato da un amico.
“Sì, è così che mi chiamo.” Disse lei abbozzando un sorriso. Michael al suo fianco ridacchiò per quella risposta. L’espressione di Dominic era furente, fissava la ragazza con insistenza.
“Cosa ci fa una donna della tua levatura in un posto del genere?”
“Sono qui in qualità di medico. Inoltre, se fossi qui per divertirmi, non sarebbero di certo affari tuoi.” Ribatté Amabel con stizza drizzando la schiena.
“Solo le donnacce frequentano certi luoghi e certa gente.” Disse Dominic rivolgendo uno sguardo disgustato a Michael. Il ragazzo, però, sorrise strafottente.
“Beh, vorrà dire che con certa gente ci si diverte di più.”
Frattanto l’arbitro era salito sul ring per suonare la campanella che segnalava la fine del primo round. Amabel vide Arthur accasciarsi sullo sgabello con il sangue che gli colava copioso dal naso, accanto a lui Tommy cercava di tamponargli le ferite.
“Devo andare.”
Le dita di Dominic si serrarono con forza intorno al suo braccio, le unghie quasi si conficcavano nella pelle, e Amabel era certa che avrebbe lasciato un livido.
“Lasciala.” Disse Michael. Schiaffeggiò la mano di Dominic ma questi non si spostò. L’amico del sindaco bloccò le braccia di Michael in modo che non potesse intervenire. Amabel si divincolava invano, la presa di Dominic era troppo salda.
“Sei impazzito, Dominic? Lasciami immediatamente!”
“Sei tu che hai perso la ragione, Amabel. Te ne vai in giro in luoghi abbietti con i Peaky Blinders? Sono dei bastardi col sangue zingaro che si divertono a fare i criminali. Non posso permettere che le tue amicizie infanghino il nome della mia famiglia. La reputazione è tutto, mia cara.”
“E tu perché sei qui? Nei salotti si vocifera della tua dipendenza dal gioco. Sei venuto per scommettere, dico bene? Non riesci a resistere alla tentazione di una sfida.” Disse Amabel, soddisfatta del controllo perfetto della sua voce. Sua madre le aveva insegnato che mantenere un equilibrato tono di voce durante le discussioni era un buon mezzo per prevalere sull’interlocutore. Dominic, dopo un primo momento di shock, emise una breve risata.
“Se tu e quella piagnucolona di tua sorella volete far parte della famiglia Cavendish, vi conviene imparare a stare al vostro posto.”
Amabel fu colpita dall’uso della parola ‘piagnucolona’ perché era proprio lo stato in cui Evelyn era rincasata.
“Che cosa avete fatto a mia sorella?”
Dominic e il suo amico si scambiarono un’occhiata complice.
“Le abbiamo semplicemente ricordato il suo posto.”
Amabel stava per sbraitargli contro quando avvertì una presenza alle sue spalle.
“Quella che vedo è la tua fottuta mano schifosa intorno al polso della dottoressa? Così non va bene, sindaco Cavendish.” Esordì Tommy, artigliando il polso di Dominic per allontanarlo da Amabel. Dominic sussultò per il dolore e si massaggiò la pelle arrossata. I suoi occhi si piantarono su Amabel, erano neri e minacciosi.
“Questo avrà serie ripercussioni sul matrimonio.”
Dopodiché lasciò la palestra insieme al suo amico. Michael scrollò le spalle come a volersi togliere di dosso le mani si quel tipo e si aggiustò la giacca. Tommy passò dolcemente le dita sul braccio di Amabel, dove Dominic aveva stretto la mano, e lei sussultò per il dolore.
“State bene?”
“No, signor Shelby. Non sto bene.”
Amabel si scansò da lui e si precipitò a recuperare i suoi effetti personali.
“Che cazzo è successo?” domandò Tommy a Michael.
“Dominic ha fatto qualcosa alla sorella di Amabel.”
Amabel era salita sul ring per ripulire i tagli di Arthur, per fasciargli le mani con delle bende pulite e per farlo bere. Una volta iniziato il secondo round, l’arbitro la costrinse a scendere.
“Dottoressa.” Disse Tommy, però lei non gli dava retta. Le sue mani tremavano mentre richiudeva le asole del cappotto.
“Devo tornare a casa.”
“Dottoressa, guardatemi. Per favore.”
“Mi dispiace. Devo tornare a casa.” Ripeté lei, gli occhi lucidi, le labbra tremolanti.
“Amabel.” Disse allora Tommy, e la ragazza finalmente sollevò gli occhi su di lui.
“Non posso restare, signor Shelby.”
“Parlate con me. Ditemi che cosa è successo.”
“Dominic ha picchiato mia sorella.”
In quel momento Tommy si immedesimò in lei, comprendendo appieno la sua agitazione. Anche lui si sarebbero infuriato se qualcuno avesse fatto del male ad Ada.
“Finn, accompagna la dottoressa a casa. Qui ci penso io.”
Finn svogliatamente abbandonò la sua postazione, anche se in fondo sperava di poter rivedere Diana per augurarle la buona notte.
Amabel e Tommy si guardarono ancora per qualche istante, uno perso negli occhi dell’altro, fino a quando lei non uscì dalla palestra.
 
Amabel non aveva chiuso occhio ma non era stanca. Dopo che Finn l’aveva riaccompagnata a casa, si era diretta in camera di Evelyn per parlare. La sorella dormiva serenamente e lei non aveva avuto il coraggio di svegliarla, perciò si era tolta il cappotto e le scarpe e si era distesa accanto a lei. Le aveva accarezzato i lunghi capelli biondi per tutta la notte, alternando qualche lacrima a qualche sospiro. Non riusciva a parlare, era piombata in un silenzio tremendo. Era delusa da se stessa per non aver inseguito Evelyn prima, per non aver approfondito la causa del suo pianto, per averla abbandonata al suo dolore. La pallida pelle di Evelyn riportava diversi lividi sulle braccia, altri lividi le deturpavano l’occhio, e un piccolo taglio aperto le lacerava il labbro. Niente, Amabel non si era accorta di niente. Era troppo impegnata ad avercela con lei per le spese del matrimonio per fermarsi a guardarla bene.
“Amabel?” sussurrò Evelyn con la voce ancora assonnata. Era diventato giorno, i raggi del sole penetravano attraverso le tendine azzurre della camera. Ad Amabel sembravano trascorsi solo pochi minuti, invece aveva vegliato sulla sorella per ore.
“Ciao.” Disse Amabel scostandole una ciocca di capelli con fare materno. Se Evelyn somigliava fisicamente alla madre, Amabel era quella che aveva ereditato il suo carattere determinato e forte.
“Che ci fai qui?”
“Dobbiamo parlare. Vado a svegliare anche Diana e Bertha. Aspettami in cucina, per favore.”
Dieci minuti tutte le donne di casa Hamilton sedevano intorno al tavolo della sala da pranzo con una tazza di the in mano. Amabel odiava il the, ma il calore emanato dalla tazzina era rassicurante. Diana e Bertha guardavano con occhi sbarrati i lividi e il taglio di Evelyn.
“Che cosa vi è capitato, signorina?” domandò Bertha con le lacrime agli occhi. Evelyn di colpo scoppiò a piangere e si rifugiò tra le braccia di Amabel, che la cullò come aveva fatto nelle ore precedenti.
“Evelyn, devi raccontarci la verità. Non tralasciare neanche un singolo dettaglio.” Disse Diana, e Amabel si chiese quando fosse diventata già così grande.
“Non è stata colpa loro. E’ stata colpa mia.” Mormorò Evelyn, la gola secca, il viso bagnato. Amabel le strinse le mani sulle spalle e la guardò dritto negli occhi.
“Non ti azzardare a pensare che sia colpa tua, chiaro? E’ colpa di quelle bestie.”
“Che cosa è successo, Evelyn?” domandò ancora Diana.
“Dominic e Jacob l’hanno picchiata.” Confessò Amabel, e Evelyn ricominciò a piangere. Diana, anziché mettersi a piangere come Bertha, rimase inflessibile.
“Stai scherzando? Evelyn, maledizione, parla!”
La rabbia di Diana sconvolse Amabel, l’aveva lasciata che era una bambina e la stava ritrovando che era una donna ormai.
“Signorina, parlate. Vi prego.” Disse Bertha, il fazzoletto tra le mani, la fronte segnata da rughe profonde. Evelyn si sedette e prese un sorso di the per inumidirsi la gola.
“Ieri a cena la madre di Jacob mi ha chiesto se avessi prenotato le bomboniere e io le ho detto che avevo intenzione di cambiarle perché le farfalle di cristallo costano troppo. Ha iniziato a insultarmi, a darmi della pezzente, a dirmi che Amabel mi stava facendo il lavaggio del cervello. La discussione si è placata quando sono arrivati gli ospiti e la serata è proseguita bene. Dopo cena, però, Dominic ha convocato me e Jacob in salotto. Lì ha convinto Jacob che io mi stavo tirando indietro e che non volevo più sposarlo. Ha detto che sono la feccia che si attacca sotto la suola delle sue scarpe, poi mi ha tirato il primo schiaffo. Jacob, invece di ribellarsi, ha imitato il fratello. Mi ha schiaffeggiato mentre con le dita mi artigliava le braccia. Sono riuscita a scappare solo grazie all’intervento del maggiordomo che mi aveva sentita gridare.”
Mentre Diana e Bertha consolavano Evelyn con parole dolci, Amabel se ne stava in piedi e serrava le dita attorno allo schienale della sedia. La sua espressione era fredda, distaccata, e aveva gli occhi puntati di fronte a sé.
“Devi annullare il fidanzamento. Non c’è nessuna possibilità che il matrimonio si celebri.”
“No! – obiettò Evelyn – non posso annullarlo! Che cosa penserà la gente di noi? Non se ne parla proprio.”
“E a noi cosa importa dell’opinione altrui? Ti hanno picchiata, Evelyn! Dannazione!” disse Diana sbattendo le mani sul tavolo; il suo the si rovesciò sul tavolo.
“Diana ha ragione. La gente avrà sempre da ridere, che tu sposi o meno Jacob. Devi pensare alla tua vita.” Aggiunse Amabel. Evelyn scosse la testa e riprese a singhiozzare.
“Non potete chiedermi una cosa simile. Non lascerò Jacob. Mi ha fatto male questa volta e non lo farà mai più.”
“E’ zia Camille che ti mette queste idee in testa. Anche zio Marcus la picchiava e lei ha accettato trent’anni di soprusi pur di mantenere una bella facciata in società. E’ inammissibile!” ribatté Amabel, le labbra erano contratte in una linea dura.
“Non importa. Jacob non è zio Marcus, lui non farà mai più. Forse le botte me le sono meritate perché sono una stupida mocciosa che non vale niente.”
“Evelyn, ma che diamine stai dicendo?!” gridò Diana, era fuori di sé dalla rabbia. Bertha le accarezzò le mani per calmarla. Soffriva nel vedere le bambine a cui aveva badato per tutta la vita litigare tra di loro.
“Non ti lascerò sposare Jacob, costi quel che costi.” Sentenziò Amabel. Poi lasciò la stanza, raccattò il cappotto e uscì di casa ignorando le urla di Evelyn che la supplicava di non fare sciocchezze. Salì in auto e guidò per un paio d’ore senza meta per meditare sul da farsi, in seguito si recò in comune.
 
Un cielo plumbeo inglobava la città di Birmingham, con molta probabilità sarebbe venuto a piovere nel pomeriggio. Amabel parcheggiò e si prese qualche minuto per fare dei respiri profondi. Un’auto si fermò davanti all’ufficio comunale e l’autista corse ad aprire lo sportello al sindaco. Dominic salutò alcuni passanti, poi si trattenne sulle scale per chiacchiere con due colleghi. Amabel attraversò la strada senza fare caso ai cavalli e alle altre auto, era concentrata sul bersaglio.
“Dominic.” Disse, e il sindaco si girò con un sorriso cordiale.
“Amabel, che bello vederti!”
“Io, invece, non sono contenta di vederti.”
“Non mi sembra il caso di discutere delle nostre divergenze.” Disse Dominic, la voce piatta, le spalle rigide. Amabel rise senza divertimento.
“Le nostre divergenze? Oh, no. Non si tratta di semplici divergenze, Dominic. Si tratta di te e di tuo fratello che pestate mia sorella.”
I colleghi di Dominic sussultarono a quelle parole mentre lui cercava di restare fermo nella sua posizione. Dominic fece loro cenno di entrare, e i due obbedirono.
“Non so di cosa parli. Scusami, ma in ufficio mi aspettano.”
Amabel lo afferrò per il bavero della giacca e lo strattonò costringendolo a scendere di un paio di gradini in modo che fossero alla stessa altezza.
“Tu sai bene di cosa parlo. Evelyn è sconvolta, è ferita, e crede di essersi meritata le botte.”
“Forse è così. – disse Dominic – Le puttane come te e le tue sorelle meritano di essere messe in riga.”
Fu allora che Amabel, colta da una furia cieca, gli tirò uno schiaffo tanto forte da lasciargli il segno delle dita sulla guancia. I dipendenti che stavano salendo e alcuni passanti osservavano la scena con espressione allibita.
“Credi che uno schiaffo possa camb …”
Dominic fu interrotto da un altro schiaffo, questa volta più forte. Amabel lo spintonò facendolo ruzzolare sulle scale e lo riempì di schiaffi. Dominic non si difendeva neanche, voleva che tutti lo vedessero come la vittima. Una guardia accorse per bloccarla ma Amabel lo spinse di lato.
“Signorina, basta!”
Dominic urlò di dolore quando Amabel gli graffiò il volto con le unghie, diversi rivoli di sangue gli imbrattavano il colletto della camicia.
Michael e Polly stavano passeggiando quando si accorsero della calca che accerchiava due figure. Polly assottigliò gli occhi e riconobbe il profilo della dottoressa.
“Quella non è la dottoressa Hamilton?”
Michael si affrettò a raggiungere l’altro marciapiede, poi si fece strada tra la folla a gomitate. La prese per il braccio e l’allontanò da Dominic. Amabel si divincolava e Michael dovette caricarla quasi di peso per spostarla.
“Io ti ammazzo! Hai capito? Non avrai lunga vita, Dominic!”
“Amabel, basta! Andiamo! Andiamo!” le disse Michael tirandola giù per le scale. Amabel si agitò tra le sue braccia fino a liberarsi e si sistemò il cappotto. Polly ghignava per il temperamento della dottoressa che sembrava tutto fuorché una capace di fare a botte.
“Venite, dottoressa, vi offro una tazza di the.”
 
Amabel mandò giù un sorso di the controvoglia. Detestava quella bevanda ma non voleva essere scortese nei confronti di Polly. Michael era tornato a lavorare, pertanto loro due erano rimaste da sole.
“Siete stata coraggiosa ad assalire il sindaco in pieno giorno. Voi mi piacete!” esordì Polly accendendosi una sigaretta. Amabel tossicchiò a causa del fumo. L’intera casa odorava di fumo e alcol.
“Non riesco a controllarmi quando toccano la mia famiglia. Devo proteggere le mie sorelle a tutti i costi.”
“Gli Shelby sono d’accordo con voi. La famiglia prima di tutto.”
“Già. Adesso dovrei andare, devo aprire lo studio. Oggi iniziano le vaccinazioni.”
Tommy aveva mantenuto la promessa: in poche ore avevano reperito i vaccini e li aveva già depositati nello scantinato dello studio medico. Polly sorrise da sopra il bordo della tazza.
“Tommy sembra molto affezionato a voi.”
“Di certo nutre un grande rispetto dopo che gli ho concesso la proprietà dello studio, dopo che ho permesso ad Arthur di vincere, e adesso che cerco di salvare i bambini del suo quartiere.”
“Io sono convinta che sotto ci sia dell’altro, mia cara dottoressa.” Disse Polly con quel suo tono di scherno. Amabel si alzò e si lisciò le pieghe della gonna, un modo per sottrarsi allo sguardo inquisitorio della donna.
“Ringrazio Michael per essere intervenuto e ringrazio voi per il the. Salutatemi Thomas e Arthur. Buona giornata, signora Gray.”
 
Diana preparò un’altra siringa di vaccino mentre Amabel chiamava il prossimo bambino. Avevano iniziato le vaccinazioni alle quattro di pomeriggio e ormai era diventata sera, ma loro continuavano senza pause. Il vaiolo stava dilagando in Inghilterra e le pessime condizioni di vita di Small Heath erano di sicuro terreno fertile per la malattia, perciò i bambini andavano vaccinati il prima possibile. Diana dopo la scuola aveva deciso di aiutarla pur di non tornare a casa e vedere Evelyn ricoperta di lividi. Bertha aveva il compito di tenere Evelyn chiusa in camera per non darle nessuna possibilità di incontrare Jacob, era meglio per tutti.
“Hai paura dell’ago?” domandò Amabel alla bambina che guardava con orrore la siringa.
“S-sì.”
“Ti prometto che non sentirai nulla. Sei una bambina coraggiosa. Dopo potrai anche scegliere il gusto di una caramella.”
Il viso della piccola di illuminò e scoprì il braccio per l’iniezione. Amabel sapeva che offrire caramelle era un’ottima soluzione. Diana applicò un cerotto sulla pelle della bambina, poi l’aiutò a scendere dal lettino e le allungò il cestino di caramelle.
“Quale preferisci? Io ti consiglio quella alla fragola, è davvero buona.”
“Posso averne due? Una per me e l’altra per la mia mamma?”
Amabel stava per rispondere quando la finestra esplose in una miriade di schegge. Fortunatamente nessuna delle tre si fece male dato che la finestra era collocata in alto. I bambini e le loro mamme nella sala d’attesa gridavano. Una donna irruppe nella stanza con i propri figli in braccio.
“Il Garrison è esploso! L’hanno fatto saltare!”
“Finn!” disse Diana. Amabel la bloccò prima che avesse la malsana idea di uscire.
“Resta qui con i pazienti. Non uscite per nessuna ragione!”
“Ma Finn …”
“Ci penso io a Finn! Ci penso io.”
Amabel si tappò il naso per il fumo eccessivo e la polvere che si mescolavano nell’aria. Il pub era completamente distrutto, i vetri si erano sparpagliati sull’asfalto, il legno bruciava rapidamente e le bottiglie di alcolici rotte alimentavano le fiamme.
“Dottoressa!”
Il sollievo investì Amabel quando vide Finn correre verso di lei.
“Stai bene, Finn?”
“Sì, solo qualche graffio. Dentro il pub c’erano anche Michael e i miei fratelli. Non riesco a trovarli.”
“Vai nel mio studio e fatti curare i graffi da Diana, poi resta con lei e badate ai bambini. Li trovo io i tuoi parenti. Vai!”
Finn lanciò uno sguardo triste alle sue spalle prima di rifugiarsi nello studio. Amabel rimosse travi, pietre e sedie in cerca degli Shelby. Trasalì quando udì la voce di Michael che abbaiava ordini ai Peaky Blinders.
“Michael!”
Il ragazzo aveva la giacca e i pantaloni strappati ma non riportava gravi ferite, eccezione fatta per qualche semplice taglio sulle mani.
“Dottoressa, qui è l’inferno.”
Amabel ricordò i tempi della guerra, quando la tenda si riempiva di feriti, di morti, di moribondi.
“Lo so. Dove sono Arthur e Thomas?”
“Arthur sta bene, sta cercando Tommy dove le fiamme non sono ancora arrivate.”
“Aiuto! Aiutatemi, cazzo!” strillò la voce di Arthur. Amabel e Michael lo videro recuperare il corpo di Tommy da sotto un pesante calcinaccio.
“Lasciatemi controllare.” Disse lei, scansando Arthur e Michael dal corpo di Tommy. Il polso c’era ma i battiti del cuore erano lenti, inoltre il respiro era debole. Una macchia di sangue si estendeva sulla camicia e Amabel, strappandogliela, notò un pezzo di legno conficcato nel fianco.
“Portatelo a casa, il mio studio è occupato dai bambini. Michael, vai a prendere la mia valigetta.”
Amabel seguì Arthur a casa di Polly con la testa che le doleva e lo stomaco si attorcigliava. Ada sobbalzò sul divano quando Arthur depositò Tommy sul tavolo.
“Che cazzo è successo?”
 “Quei bastardi hanno fatto esplodere il Garrison con noi dentro. Volevano ucciderci, cazzo!” sbraitò Arthur passandosi le mani tra i capelli.
“Adesso dobbiamo pensare a Thomas, perciò dovete fare come vi dico.” Disse Amabel, legandosi i capelli in una coda alla rinfusa. Ada strinse la mano di Tommy e gli accarezzò la fronte.
“Che vi serve?”
“Ho bisogno di una bacinella di acqua calda, di una bottiglia di alcol, di molti asciugamani e di un paio di forbici o pinze. Presto!”
Mentre gli altri si affaccendavano per trovare l’occorrente, Amabel liberò Tommy dalla giacca e dalla camicia per avere più facile accesso alla ferita. La pelle era nivea, costellata da diverse cicatrici e da due tatuaggi sul petto che risalivano alla guerra.
“Disgustoso.” Commentò Ada posando sul tavolo la bacinella di acqua.
“Sì, signorina Shelby, è disgustoso. Se non reggete la vista del sangue, vi consiglio di andarvene.”
Ada, sebbene fosse incerta, decise di restare. Non appena Arthur e Polly le consegnarono ciò che aveva chiesto, si sistemò i guanti che aveva indossato per i vaccini. Intinse l’asciugamano nell’acqua calda e ripulì il sangue per avere una visuale migliore della ferita.
“Dovete estrarre il pezzo di legno.” Disse Arthur ispezionando la ferita. Amabel inarcò il sopracciglio.
“Lo so, sono io il medico. Qualcuno vada a cercare Michael perché ho bisogno della mia valigetta.”
Polly fece un cenno ad Arthur e lui corse fuori dall’abitazione. Amabel disinfettò le pinze con il whiskey un paio di volte prima di afferrare la parte del legno che fuoriusciva.
“Una di voi due dovrà versare il whiskey sulla ferita mentre tiro fuori il legno. Chi si candida?”
Ada scosse energicamente la testa e chiuse gli occhi per non guardare, al che Polly iniziò a rovesciare l’alcol sulla ferita. Amabel lentamente estrasse il pezzo di legno, poi con due asciugamani tamponò il sangue che sgorgava. Trasalì quando Tommy spalancò gli occhi in preda al dolore.
“Cazzo!”
“Tommy, sta buono!” gli disse Polly, mettendo da parte la bottiglia vuota. Tommy, però, era lacerato dai dolori e cercò di mettersi seduto. Il sangue imbrattò del tutto le mani e i vestiti di Amabel, ma a lei poco importava. Tommy catturò la sua esile mano e la stritolò forte. Benché Amabel soffrisse, lo lasciò continuare.
“Signor Shelby, guardatemi. Concentratevi sulla mia voce. Non pensate ad altro. Pensate solo a me.”
La porta si aprì e un secondo dopo Michael piazzò la valigetta sul tavolo.
“E adesso?”
Avendo le mani impegnate, una a stringere quella di Tommy e l’altra a tamponare il sangue, Amabel dovette dare loro istruzioni.
“Nella tasca interna c’è una boccetta di morfina. Riempite una siringa e iniettategliela nel braccio. Sbrigatevi!”
“Amabel.” Mormorò Tommy con i denti digrignati per il dolore, accasciandosi contro la spalla della dottoressa.
“Andrà tutto bene, signor Shelby. Fidatevi di me.”
Quando la morfina fu in circolo, Tommy a poco a poco richiuse gli occhi crollando nel sonno. Amabel aveva la mano intorpidita a causa della stretta eccessiva di Tommy ma non aveva tempo per lamentarsi. Prese ago e filo e ricucì la ferita.
 
Tommy sbatté le palpebre un paio di volte prima di svegliarsi. Si trovava nella sua vecchia stanza a casa di Polly, riconobbe subito le pareti e il soffitto ingiallito. Avvertì una fitta intensa di dolore all’addome e imprecò a bassa voce. Rimase colpito quando vide la dottoressa Hamilton sonnecchiare sulla poltrona accanto al letto. Fuori era ancora buio, pertanto doveva essere notte fonda. Aveva ricordi confusi delle ore precedenti, ricordava il rumore dell’esplosione, il sangue, e la voce di Amabel che gli ripeteva di fidarsi.
“Signor Shelby, come state?”
Amabel sbadigliò strofinandosi gli occhi rossi di stanchezza.
“Sto bene, presumo.”
Tommy fece ricadere la testa sul cuscino e si morse le labbra per il dolore pungente. Amabel si sedette sul letto per controllare la ferita.
“Beh, vi ho iniettato una dose abbondante di morfina per mettervi fuori gioco. Comunque, la ferita ha un bell’aspetto, non era profonda e l’abbiamo curata in tempo. Fra tre giorni sarete come nuovo.”
“La vostra mano, dottoressa. Devo avervi fatto male prima.”
Amabel gli mostrò la mano perfettamente sana con un sorriso, era gentile da parte sua preoccuparsi per lei.
“Le mie mani sono abituate ad essere stritolate. Sapete, noi medici lavoriamo con le mani!”
“Allora avete bisogno di qualcuno che vi accarezzi le mani ogni tanto, anziché stritolarle.” Replicò Tommy sfiorando le mani di Amabel quasi impercettibilmente.
“Dovrei tornare a casa, è molto tardi.” Disse lei cambiando discorso, anche se le sue mani formicolavano dopo quella lieve carezza. Il pendolo accanto alla porta segnava le due del mattino.
“Capisco. Siete stata fin troppo gentile ad intrattenervi tanto a lungo con me.”
“E’ il dovere di un medico, signor Shelby.”
Quando Amabel si alzò per infilarsi il cappotto, Tommy vide il proprio sangue macchiare i suoi abiti. Gli venne in mente la notte in cui lei gli salvò la vita, e dovette deglutire per non parlarne.
“I vostri abiti sono sporchi del mio sangue, mi impegno a pagarvi la lavanderia.”
“Non importa, li butterò.”
Tommy avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, pur di farla restare, ma non gli sembrava il caso. Non poteva complicare ulteriormente la sua vita per una donna.
“Grazie per avermi aiutato stasera.”
“Prego, signor Shelby. Cercate di riposare. Buonanotte.”
“Buonanotte a voi, dottoressa.”
Amabel era sul punto di uscire quando maledì sé stessa per quello che stava per fare. Diana era stata accompagnata a casa da Finn, e lei poteva spendere qualche minuto in più.
“Devo parlare con voi di una questione.”
Tommy si sedette sul bordo del letto con qualche difficoltà e tese una mano per invitarla ad accomodarsi sulla poltrona.
“Di che si tratta?”
“Dominic e Jacob Cavendish hanno maltratto mia sorella ieri sera. Questa mattina ho aggredito Dominic sulle scale del municipio e mi sono fermata solo grazie all’intromissione di vostro cugino.”
“Lo so. Michael me lo ha raccontato. Volete che i Peaky Blinders diano una lezione al sindaco e a suo fratello? E’ una richiesta rischiosa.”
“Non vi sto chiedendo questo.”
Tommy aggrottò le sopracciglia, non gli piaceva la serietà di quel discorso. Amabel era visibilmente tesa e questo era un cattivo presagio.
“E cosa mi state chiedendo?”
“Io vorrei che Michael si fingesse interessato a mia sorella. Evelyn vuole ancora sposare Jacob per colpa dell’influenza di nostra zia Camille, ma voi capite bene che non posso permetterglielo. Se Michael facesse innamorare Evelyn, allora ci sarebbe una speranza che lei annulli il matrimonio.”
“Voi volete che vostra sorella si innamori di Michael? Mi prendete in giro.”
Tommy scavò nel comodino alla ricerca di una sigaretta, però la mise in bocca senza accenderla.
“Sì, esatto. E’ l’unico modo che ho per non perdere Evelyn. Michael dovrà semplicemente recitare, fingere di essere innamorato di lei, nulla di più. Vi supplico, signor Shelby. Non ve lo chiederei se non fossi disperata.” Disse Amabel, gli occhi umidi, le labbra frementi.
“E se vostra sorella finisse per provare dei veri sentimenti per Michael? Questo le spezzerebbe il cuore.”
“Meglio un cuore spezzato che mia sorella in una bara.”
La fermezza di Amabel scosse Tommy, non aveva mai visto nessuno tanto risoluto.
“Ne parlerò con Michael e vi farò sapere. Non vi assicuro nulla per ora.”
“Che cosa volete in cambio?”
“Mi avete salvato stasera, il vostro debito con me è già saldato.”
“Bene.” disse Amabel, alzandosi nuovamente per andarsene. Si arrestò con la mano sulla maniglia quando Tommy parlò.
“Sarà sempre così tra di noi due, dottoressa? Uno scambio continuo.”
“Chissà cosa ha in serbo per noi il futuro, signor Shelby. Chissà.”
Detto questo, rivolgendogli un ultimo sguardo, svanì nel corridoio buio.
 
 
Salve a tutti!
Beh, sembra proprio che Tommy sia il paziente preferito di Amabel. Chissà se Michael accetterà l’offerta riguardo ad Evelyn.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Colgo l’occasione per ricordarvi che qualsiasi forma di violenza contro le donne, sia fisica sia verbale, non è concepibile. La violenza non è mai amore, è solo una malattia e va debellata.

 

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Capitolo 5
*** Bel e Thomas ***


5. BEL E THOMAS

“You're the only story that I never told
You're my dirty little secret, wanna' keep you so
Come on out, come on over, help me forget
Keep the walls from falling on me.”

(This is love, PJ Harvey)
 
Un mese dopo.
Amabel mangiava distrattamente i biscotti che Bertha si era premurata di preparare per il ventunesimo compleanno di Evelyn. Il salotto ospitata lei, Diana, Evelyn e Jacob. Il ragazzo sorrideva e chiacchierava come se nulla fosse successo. Bertha sbucò dalla cucina con un secondo vassoio di dolciumi.
“Desiderate altro?”
“No, grazie. Sei molto gentile.” Disse Jacob, e Amabel tossì sputacchiando pezzettini di biscotto sul divano. Diana rise sotto i baffi. La gentilezza fasulla di Jacob era esilarante. Thomas Shelby era sparito da un mese, non si era più fatto sentire dalla sera dell’esplosione, e Amabel doveva trovare un modo per separare Jacob e Evelyn. Si era sparsa la voce di una faida tra i Peaky Blinders e un gruppo di svizzeri, quindi fu subito chiaro che Thomas non l’avrebbe mai aiutata. Era talmente coinvolto nella faccenda che Amabel non lo aveva nemmeno più visto tra le strade di Small Heath. Finn ogni tanto aveva seguito le lezioni con Diana ma, quando Amabel gli aveva posto alcune domande, si era chiuso in un silenzio tombale.
“E’ tardi! Diana, prendi la borsa per la scuola.”
“Posso accompagnarla io a scuola.” Si offrì Jacob sorridendo esageratamente. Amabel gettò il biscotto mangiucchiato nel piatto e roteò gli occhi.
“Non lascerò Diana nelle tue luride mani. Hai già Evelyn tra le tue grinfie, non ti basta?”
“Amabel!” la rimproverò Evelyn, ma la sorella fece spallucce.
“Oggi evita di farti picchiare, Evelyn.” Disse Amabel, dopodiché uscì di casa con Diana.
“Davvero non hai un piano per aiutare Evelyn?” domandò Diana, i capelli in due trecce perfettamente simmetriche.
“Troverò un modo, te lo prometto. Aiuteremo Evelyn.”
 
Thomas irruppe in casa di Polly facendo spaventare Lizzie e Ada. Al suo seguito, come sempre, c’erano Arthur, Finn e Michael.
“Riunione di famiglia. Ora!”
In pochi minuti si riunirono nel piccolo salotto, e l’ambiente si riempì ben presto di fumo e odore di whiskey. Polly si accomodò sul divano con gli occhi puntati sul figlio, voleva assicurarsi in ogni momento che stesse bene.
“Ci sono novità?”  
“Sì. – incominciò Tommy – Abbiamo saputo da un nostro contatto che quegli stronzi dei Meyer questo weekend si troveranno a Londra. Alloggeranno all’Athenaeum, il club per ricconi che ogni anno ospita eventi di questo genere.”
 “E qui sta il problema. Si può entrare solo con l’invito, è un posto esclusivo e riservato.” Continuò Michael bevendo un sorso di whiskey. Ada si accese una sigaretta e buttò il fumo in faccia a Finn, il quale sbuffò.
“Non potete corrompere nessuno?”
“Non questa volta. Se corrompiamo qualcuno, è probabile che i Meyer lo scoprano. Non possiamo fallire. Dobbiamo entrare in quel fottuto club del cazzo!” disse Arthur, che frattanto fumava un sigaro. Tommy si accorse del sorriso felino di Polly e seppe per certo che nella testa della zia frullava qualcosa.
“Avanti, Polly, esponici la tua idea del cazzo.”
“La mia idea del cazzo include la tua bella dottoressa. Amabel fa parte di una delle famiglia più ricche e in vista di Birmingham, sono sicura che riceva l’invito del club.”
“E’ fottutamente geniale! – esclamò Arthur – Abbiamo risolto il problema: entriamo in quel club di merda grazie alla dottoressa.”
Tommy spense nervosamente la sigaretta sul mobile della credenza. Non voleva mettere in mezzo Amabel, non dopo quello che si era ripromesso: niente sentimenti. Coinvolgerla significava avvicinarsi sempre di più a lei e lui non poteva permetterselo.
“No. La dottoressa resta fuori da questa storia.”
“Hai paura che si scheggi un’unghia?” domandò Lizzie, spinta da un pizzico di gelosia. Tutti si misero a ridere alimentando la rabbia di Tommy. La sua famiglia si prendeva gioco di lui perché si stava mostrando debole.
“Va bene, cazzo. Andrò a parlare con la dottoressa e la convincerò a darci una mano.”
“Sì, cazzo! Quei bastardi hanno i giorni contati!” disse Arthur abbracciando Michael e Finn. Polly scorse un’ombra negli occhi di Tommy ma non fece nulla per fermarlo, era giusto che affrontasse il suo passato. Ada, invece, era abbastanza scettica.
“Come pensi di convincerla? Portandola a letto?”
“No. Ho una proposta che la dottoressa non potrà rifiutare.”
 
Amabel si infilò il camice e raccolse i capelli con un vecchio fermaglio di sua madre. Quanto avrebbe voluto che i suoi genitori fossero vivi per sostenerla nella crociata contro i Cavendish. Invece adesso era lei il capofamiglia e doveva risolvere tutti i problemi da sola, nonostante i suoi soli ventisette anni. Quando uscì dalla sua stanza, si imbatté in una delle infermiere.
“Scusatemi, dottoressa Hamilton.”
“No, non preoccuparti. Mi cercavi?”
“Sì. Le vostre visite iniziano alle nove e mezzo, ma all’ingresso ci sono due signori che chiedono di voi.”
Amabel per un momento ipotizzò che fossero Dominic e Jacob, ma nessuno dei due aveva l’audacia di trarla in trappola in un luogo pubblico; per loro la reputazione veniva prima di tutto.
“Vado subito. Grazie mille.”
L’infermiera chinò il capo e si inoltrò nell’ampio corridoio. Amabel con tutta calma scese al primo piano, non aveva intenzione di mostrarsi agitata a chiunque fosse venuto a cercarla. Sollevò le sopracciglia quando riconobbe Thomas e Michael nella sala di aspetto.
“E’ uno scherzo?!”
Tommy alzò le mani in segno di resa.
“Salve, dottoressa.”
“Io me ne vado.” Disse Amabel voltando le spalle ai due uomini, non sarebbe stata ai loro comodi. Emise un sospiro frustrato quando sentì la mano di Tommy sulla spalla, era grande e calda.
“Devo parlarvi con urgenza. Si ricorda la nostra chiacchierata la sera dell’esplosione? Beh, c’è stato un cambio di programma.”
Amabel guardò Michael che annuiva con la sua solita sicurezza e si arrese, opporsi agli Shelby era impossibile.
“Va bene. Parliamo in cortile.”
Il cortile dell’ospedale era spoglio, ornato da due scarne aiuole e da una panchina in pietra mezza rotta. Due infermiere sgattaiolarono via quando videro i due membri dei Peaky Blinders, in fondo era quello il rispetto e il timore che infondevano negli altri. Mentre Tommy e Michael occuparono la panchina, Amabel rimase in piedi con le braccia incrociate.
“Qual è il cambio di programma?”
“Sedetevi, dottoressa.”
“Non ho tempo da perdere con voi e i vostri ordini. Allora, di che si tratta?”
Tommy tirò fuori dalla tasca una sigaretta e se la mise in bocca per poi accenderla. Amabel doveva ammettere che c’era qualcosa di sensuale in lui quando fumava. Scosse la testa come a voler scacciare quel pensiero. Fu Michael a prendere parola.
“Tommy mi ha parlato della tua richiesta: vuoi che faccia innamorare tua sorella per allontanarla da Jacob Cavendish. Sono disposto a concederti il mio aiuto.”
“E scommetto che in cambio volete qualcosa.” rise Amabel, amareggiata da quel continuo gioco tra le e gli Shelby.
“Dite bene. – disse Tommy cacciando una nuvola di fumo che si dissolse nell’aria – Io personalmente ho bisogno di voi. Voi ogni anno ricevete un invito dal club Athenaeum, giusto?”
“Sì, i miei genitori erano iscritti al club. Ogni anno celebrano l’inizio della primavera con un weekend esclusivo per i membri. Perché?”
“Dobbiamo entrare nel club e ci serve il vostro invito.” Spiegò Michael senza troppi preamboli. Amabel si grattò il mento nella totale confusione.
“Voi volete entrare all’Athenaeum? Perdonatemi, ma non capisco. Non siete il tipo di persone che frequentano club per ricchi.”
Tommy inarcò il sopracciglio buttando a terra la sigaretta.
“Perché siamo zingari?”
“Perché voi odiate quella gente.” Replicò stizzita Amabel, che non li giudicava affatto per le loro origini. Michael si lasciò scappare una risatina.
“Li odiamo ma ci serve quell’invito.”
“Posso procurarvelo. E’ un invito per due persone, perciò permette a entrambi di entrare. Ve lo farò recapitare entro stasera.”
“Non è così facile, dottoressa.” Disse Tommy, che stava fumando già un’altra sigaretta. Amabel si sentì a disagio perchè si aspettava dell’altro dalla loro visita.
“Immaginavo che non fosse facile. Con voi è tutto difficile. Che altro c’è?”
“Non sarà Michael ad accompagnarmi a Londra perché susciteremmo troppi sospetti e il nostro obiettivo è mantenere un profilo basso. Sarete voi ad accompagnarmi.”
Amabel quasi si strozzò con la saliva.
“Eh?! Oh, no, non verrò con voi. Potete chiedere a qualsiasi altra donna, signor Shelby.”
La dottoressa indietreggiò quando Tommy si alzò. Lui mise di nuovo le mani in alto per farle capire che non voleva farle del male. Tutto in lui, gesti e parole, era minuziosamente calcolato.
“L’invito è a vostro nome, sarebbe strano se mi presentassi con un’altra donna. E’ necessario che voi fingiate di essere mia moglie.”
“Vostra moglie? Questo è un incubo. Non potete chiedermi una cosa simile. Quel club è frequentato da tutti gli amici della mia famiglia e non posso fingere di essere sposata.”
“Vorrà dire che Michael non vi aiuterà con Evelyn.”
Amabel rise, più per l’assurdità della situazione che per vero divertimento, e si portò le mani ai fianchi.
“Ecco il gangster che minaccia la sua povera vittima. Non siete mai stato tanto uno dei Peaky Blinders come in questo momento.”
“E’ uno scambio equo. – intervenne Michael – Io aiuto Evelyn e tu aiuti Tommy. La farsa durerà solo tre giorni, poi domenica sera tutto tornerà alla normalità.”
“E chi mi assicura che voi aiuterete Evelyn? Non mi fido di voi.”
Tommy si avvicinò e questa volta Amabel non si scostò, anzi fissò i suoi occhi scuri in quelli chiari di lui.
“Mi avete salvato la vita un mese fa, sono in debito con voi. Onorerò la mia promessa: Michael allontanerà Evelyn dai Cavendish. Fidatevi di me come io mi sono fidato di voi.”
Amabel ripensò ad Evelyn, terrorizzata, imprigionata in una relazione tossica, destinata ad una vita infelice. Non poteva abbandonare sua sorella, doveva fare tutto il possedibile per salvarla, anche a costo di mentire e di agire contro ogni morale.
“Va bene.”
Michael diede una pacca sulla spalla di Tommy in segno di vittoria, finalmente erano un passo avanti ai Meyer dopo mesi. Tommy tese la mano verso Amabel e lei la strinse con vigore.
“Chiamami Tommy.”
 
Due giorni dopo
Amabel osservava il paesaggio scorrere in maniera scomposta attraverso il finestrino del treno. Lei e Tommy stavano andando a Londra per il weekend e avevano scelto di prendere il treno perché l’auto di lui non fosse riconoscibile dagli eventuali tirapiedi dei Meyer. Amabel aveva detto alle sue sorelle che andava nella capitale per seguire un convegno di medicina, e si era sentita male a mentire, però lo faceva per una giusta causa. Mentre loro partivano, Michael metteva in atto il suo piano per sedurre Evelyn.
“Tutto bene?” chiese Tommy sfogliando il giornale. Amabel non staccò gli occhi dal finestrino, non era in vena di reggere il suo sguardo.
“Sì.”
Tommy si prese qualche istante per ammirarla. Indubbiamente era una bella donna, i capelli castani sulle spalle, le ciglia lunghe, le labbra carnose, e quel vestito che metteva in risalto il suo fisico formoso. Però era il suo carattere ad attrarlo di più.
“Questo è per te.” le disse posando un cofanetto sul tavolino della loro cabina di prima classe. Aprendolo, Amabel vide due fedi e un diamante.
“Cosa sono?”
“Essendo sposati dobbiamo portare la fede, e tu dovresti anche portare l’anello di fidanzamento.”
“Hai pensato proprio a tutto.” ridacchiò Amabel, divertita all’idea di lui che architettava anche i minimi dettagli.
“Dobbiamo essere credibili. Dai, dammi la mano.”
Amabel gli diede la mano e Tommy le fece scivolare il diamante e la fede all’anulare, dopodiché indossò la propria fede.
“E’ un bell’anello, mi auguro che tu non l’abbia rubato.”
“Non ho rubato nulla. Le fedi erano dei miei genitori e l’anello è di Polly, glielo ha regalato uno dei suoi tanti spasimanti.”
Amabel rise, la mano ancora aperta sul tavolino per avere ampia visuale del luccichio emanato dal diamante.
“Li hai riciclati, non male.”
Tommy, sebbene stesse leggendo la sezione dedicata all’ippica, sollevò un angolo della bocca.
“Non sono terribile come credi, Bel.”
“Io non credo che tu sia terribile, Thomas.”
“Nessuno mi chiama così.” Disse lui abbassando il giornale per guardarla. Amabel giocava con gli anelli e sembrava più rilassata rispetto a prima.
“Thomas è un bel nome, preferisco chiamarti così. Spero che non ti dispiaccia.”
“Non mi dispiace. E io ho il permesso di chiamarti ‘Bel’?”
“Solo le mie sorelle mi chiamano così.”
“Adesso anche tuo marito.”
Amabel sorrise senza smettere di studiare la pietra che decorava l’anello.
“Ottima osservazione, Thomas.”
“Grazie, Bel.”
Tommy si morse le labbra per non sorridere come un ragazzino alle prime armi. La mezz’ora successiva trascorse in silenzio, con lui che leggeva i giornali e lei che completava le parole crociate. Tommy fu contento quando Amabel si degnò di intavolare un dialogo, sarebbe stato un tormento proseguire il viaggio senza parlarsi.
“Hai ragione quando dici che dobbiamo essere credibili, sai. Una semplice fede non basterà.”
“Ah, no?”
Amabel mise da parte il giornaletto e si rilassò contro la poltrona del vagone.
“Devi sapere che i club sono un covo di pettegolezzi, bugie e tradimenti. Tutti capiranno subito che non siamo davvero sposati perché amano le grandi manifestazioni d’affetto. Dovremo recitare alla perfezione la parte. I ricchi hanno delle vite noiose e in queste occasioni cercano di vivere attraverso gli altri ficcando il naso dappertutto. Per loro saremo uno spettacolo, una distrazione, e vorranno vedere i veri sentimenti.”
A quel punto anche Thomas aveva deposto i giornali per affrontare quell’argomento.
“Cosa proponi?”
“Dobbiamo inventarci una storia credibile su come ci siamo conosciuti e su come mi hai chiesto di sposarti, sul nostro matrimonio, su come viviamo. Dovremo fingere di amarci come nei film e nei romanzi. Un amore forte, passionale, accattivante per il pubblico.”
Tommy si scolò in un solo sorso il whiskey che aveva ordinato nella speranza che l’alcol placasse i nervi. Non immaginava che fosse così arduo avere a che fare con i ricchi dell’alta società.
“Cazzo, sarà più difficile del previsto.”
“Prima avvertenza: smettila di dire parolacce.  Noi ricchi dell’alta società non le diciamo, almeno non davanti agli altri.”
“Cazzo.” Ripeté Tommy, e Amabel si mise a ridere.
“E dovresti anche limitare le sigarette e l’alcol.”
“I ricchi non fumano e non bevono?”
Amabel sorrise timidamente, sembrava molto giovane nella luce pomeridiana che la illuminava.
“Sono io che non sopporto il fumo e l’alcol, mi dispiace.”
Tommy, anziché opporsi, le consegnò il pacco di sigarette e la borraccia di whiskey che teneva nella tasca interna della giacca.
“Ecco a te. Tutto per mia moglie.”
“Che maritino premuroso.” Lo schernì Amabel.
“Ora devo darti io qualche avvertenza.”
Amabel accavallò le gambe e poggiò i gomiti sul tavolino, il sorriso non abbandonava le sue labbra.
“Ti ascolto.”
“Non dovrai mai starmi lontana, devo sempre sapere dove sei. Non parlare con nessuno, non sappiamo se qualcuno sia lì per farci del male. Qualsiasi cosa accada, dalla più banale alla più grave, voglio che tu me lo dica. Intesi?”
“Intesi, farò come dici. Altro?”
Tommy ingobbì le spalle come se si sentisse in colpa per qualcosa.
“Sì. Ho prenotato una sola camera matrimoniale per non destare sospetti. E’ un problema?”
Amabel rimase spiazzata ma tentò di non darlo a vedere, perciò si sforzò di sorridere.
“Non è un problema. Hai fatto bene. Dormire nello stesso letto non implica essere intimi.”
Tommy notò le gote arrossate dalle dottoressa e nascose un ghigno di puro divertimento.
“Posso dormire sul pavimento, se vuoi.”
“Non dirlo neanche per scherzo. Non ti farò dormire sul pavimento per uno stupido capriccio. Condivideremo il letto da amici.”
“Bene.”
Da lì in poi ricaddero in silenzio, una sensazione piacevole e non un silenzio pesante. Tommy spesso gettava un’occhiata alla dottoressa che, dopo aver terminato le parole crociate, si era immersa nella lettura de ‘I fiori del male’ Charles di Baudelaire. Fuori il cielo si era dipinto di blu e le stelle iniziavano a lampeggiare debolmente, dovevano essere circa le otto di sera.
“Deve essere proprio un bel libro.” Esordì Tommy facendo sussultare Amabel che si era persa nelle pagine del libro staccandosi dalla realtà.
“Ehm, sì. E’ un libro davvero bello. Tu l’hai letto?”
Amabel avrebbe voluto rimangiarsi quella stupida domanda, era ovvio che lui non perdesse tempo con i libri. Tommy rise, le reazioni della dottoressa erano ilari.
“Non ho tempo per i libri. A stento so leggere e scrivere.”
“E’ un peccato. – ammise Amabel – Se ti appassionassi alla lettura, sono sicura che saresti il tipo di lettore che divora numerosi libri in poco tempo.”
Tommy rimase colpito dalla leggerezza con cui Amabel non aveva dato peso alla sua ignoranza, ma gli aveva addirittura fatto una sorta di complimento.
“Riponi troppa fiducia in me, Bel.”
“Mi fido di te come tu ti fidi di me.” disse lei facendogli l’occhiolino. Tommy distolse lo sguardo, si stava facendo risucchiare da lei quando era importante restare focalizzati sull’obiettivo.
“Posso avere una sigaretta, per favore? Andrò a fumare nel vagone predisposto ai fumatori.”
Amabel rimase ferita dal suo atteggiamento freddo quando poco prima chiacchieravano allegramente. Gli restituì le sigarette e lo vide lasciare la cabina. Ritornò un’ora dopo con il contenitore vuoto e l’alito che sapeva di whiskey. Non la degnò di uno sguardo, si sedette e sfogliò ancora il giornale, sebbene avesse letto e riletto le notizie.
“Ho preso il dessert e l’ho fatto mettere sul tuo conto, ti dispiace?” disse Amabel indicando la mousse di cioccolato che stava mangiando. Tommy non la guardò neanche, aveva bisogno di non distrarsi.
“No. Puoi prendere quello che ti pare.”
“Va bene. Qual è il tuo colore preferito, Thomas? Il mio è il rosso, ritengo sia un colore molto vivace.”
“Il blu.” Rispose secco Tommy, imperterrito nella finta lettura del giornale.
“Il blu è un colore carino. Vuoi assaggiare la mousse? E’ deliziosa!”
Tommy abbassò il giornale con fare irritato, i suoi occhi erano severi e la mascella era rigida.
“Che stai facendo, Amabel?”
“Adesso sono Amabel? Capisco. Sto cercando di farti innervosire così magari mi spiegherai che diamine ti è preso. Sei cambiato nell’arco di due minuti. Ho fatto qualcosa di sbagliato? E’ per la storia dei libri? Mi dispiace, non volevo offenderti.”
“Non è colpa tua. Dovevo riflettere sul da farsi una volta arrivati a Londra.”
“Non importa, tranquillo.” Disse Amabel, poi ingoiò l’ultimo boccone di mousse. Tommy sospirò quando notò una macchia di cioccolato sulla guancia di Amabel.
“Quanti anni hai, Bel? Non sai nemmeno mangiare un dolce senza sporcarti.”
Amabel spalancò gli occhi per l’imbarazzo, imbrattarsi di cioccolato era una pessima figura da fare con un gangster.
“Somiglio a quei bambini che rubano la marmellata e poi negano di averla mangiata, però si sono sporcati e sono stati scoperti.”
Cercò invano di pulirsi non sapendo dove si fosse sporcata. Tommy le tolse di mano il fazzoletto e si protese sul tavolino per pulirle la guancia. Erano talmente vicini che il loro odore si mescolava.
“Fatto.” Sussurrò Tommy rimettendosi seduto. Amabel annuì distrattamente.
“Grazie.”
 
Due ore dopo il treno arrestò la corsa alla stazione di Londra. Erano le dieci, fuori era buio, e quello era l’ultimo treno a rientrare. Amabel e Tommy scesero per recuperare i bagagli, e lui si offrì di portare anche quello della dottoressa. Mentre Tommy si chinava a raccogliere le valige, Amabel intravide la fondina della pistola nella giacca.
“Santo cielo, Thomas! Sei armato.” Disse a bassa voce imboccando l’uscita della stazione.
“Dobbiamo essere preparati qualsiasi evenienza. Ti ripeto che non sappiamo cosa ci aspetta.”
Tommy fischiò a un taxi, una lunga macchina gialla e nera, e aprì lo sportello per Amabel. La ragazza salì a bordo sbuffando, odiava essere all’oscuro del motivo per cui lui si trovava lì.
“Devo sapere la verità, Thomas.”
Tommy si tolse il cappello per sistemarsi un ciuffo di capelli dando le indicazioni al taxista.
“La verità è che io faccio brutte cose, ma questo tu già lo sai.”
 “Siamo sposati adesso, dovresti essere più espansivo nei miei confronti.” Gli disse Amabel mettendo il broncio come una bambina.
“Siamo sposati per finta, ricorda.”
Tommy sussultò quando le dita di Amabel premettero sulla ferita causata dall’esplosione al Garrison. Rabbrividì quando lei gli parlò all’orecchio.
“Come ti ho chiuso questa ferita posso benissimo riaprirtela. Ti conviene dirmi la verità, oppure il nostro matrimonio avrà breve durata.”
“Ti racconterò tutto quando saremo in camera.”
 
L’Athenaeum si stagliava contro il cielo nero ricoperto da nuvoloni carichi di pioggia. Il club, che risaliva al 1824, era stato realizzato in pieno stile neoclassico, con un portico dorico munito di colonne, e ricordava un edificio greco. L’interno era suddiviso in quattro piani, era dotato di statue che replicavano le divinità greche e di iscrizioni dedicate ai proprietari. Quando il taxi li lasciò davanti all’entrata, un facchino immediatamente si prodigò per prendere i loro bagagli. In quel momento incominciò a piovere e loro si inoltrano nel club prima che divampasse il diluvio. Sulla sinistra un uomo dietro ad un leggio accoglieva gli ospiti.
“Buonasera, signori. Siete dei membri?”
“Salve. Sì, siamo membri. Ecco la carta.” Disse Amabel mentre l’uomo ispezionava accuratamente la carta fedeltà che apparteneva a suo padre.
“Benvenuti all’Athenaeum Club, dove ogni desiderio diventa realtà. Il vostro nominativo per la stanza, prego.”
Amabel stava per rispondere quando Tommy la precedette.
“La stanza è prenotata a nome di Thomas e Amabel Shelby.”
Amabel inclinò il capo in direzione di Tommy che si limitò a fare spallucce. Erano sposati agli occhi di tutti e la farsa doveva essere ben interpretata. L’uomo allora consegnò loro una chiave.
“La vostra chiave. Vi auguro un’ottima permanenza nel nostro Club. Per qualsivoglia richiesta, potete riferire a me.”
“Grazie mille.” Disse Amabel con un sorriso gentile. Tommy diede un’occhiata in giro, davanti a lui si ergeva una lunga scalinata ornata da un tappeto nei colori rosso e oro e in cima, sistemata in una nicchia, stava la statua di un giovane con elmo e scudo. Era chiaramente un ambiente per la gente ricca dell’alta società, quel posto faceva a pugni con le sue umili origini.
“Non ti piace, vero?” gli chiese Amabel intanto che raggiungevano il secondo piano al seguito del facchino.
“E’ un posto per ricchi. Insomma, è un posto del cazzo.”
“Niente parolacce, Thomas!”
Tommy si beccò una gomitata nelle costole e rise, la dottoressa aveva un braccio forte per essere tanto esile. Il facchino li scortò alla camera 201 del secondo piano, aprì la porta per loro e depose i bagagli a terra, infine riconsegnò la chiave ad Amabel. Tommy si liberò della giacca e si sedette sul letto, finalmente poteva riposarsi. Amabel scavò nella valigia per trovare il foglio con le indicazioni dettatele da Bertha.
“Io devo spedire un telegramma alle mie sorelle per far sapere che sono arrivata sana e salva. Ti posso prendere qualcosa?”
“Ti accompagno. Ricordi? Non ti devi allontanare da me per nessuna ragione.”
Amabel fu sollevata, in fondo non si trovava male in compagnia di Tommy. Una decina di minuti dopo Amabel raggiunse la reception e Tommy fece una sosta al bar per ordinare da bere. La ragazza che si occupava dei telegrammi era molto giovane, indossava un paio di occhiali da vista e uno sgargiante vestito giallo.
“Cosa volete che scriva nel telegramma?”
“Scrivete: mie care sorelle e mia cara Bertha, sono da poco arrivata a Londra. Il viaggio è durato molto ma è stato anche piacevole. Nei prossimi giorni cercherò di contattarvi ancora, nel frattempo badate a voi stesse. Con affetto, la vostra Bel.”
“Lo spediremo tra poco insieme agli altri telegrammi.” Disse la ragazza togliendosi gli occhiali per massaggiarsi gli occhi stanchi.
“Grazie. Ah, dovete applicare del collirio a base di aloe sugli occhi in modo da idratare la pupilla e lenire la sensazione di stanchezza.”
“E’ lo stesso suggerimento del mio medico. Grazie a voi!”
Amabel si incamminò per andare al bar e andò a sbattere contro la spalla di qualcuno.
“Amabel Hamilton!”
L’uomo sorpreso di vederla era Clive Macmillan, il migliore amico del suo ex fidanzato di New York.
“Clive! Che ci fai qui? Non sapevo fossi un membro del club.”
“Infatti non lo sono. E’ mia moglie Grace il membro del club.”
Amabel avvertì una mano calda tra le scapole e poi incontrò gli occhi azzurri di Tommy, il quale si era avvicinato non appena l’aveva vista parlare con uno sconosciuto.
“Tutto bene, Bel?”
“Sì. Questo è Clive Macmillan, un amico di New York.”
“Piacere, Clive.”
“Thomas Shelby, il marito di Amabel.”
Clive spalancò la bocca alla notizia rifilando uno sguardo allibito ad Amabel.
“Sei sposata?! E’ surreale!”
“E’ una cosa recente. Siamo sposati da un mese.”
Tommy captò il disagio di Amabel e si sentì un po’ in colpa per averla messa nella condizione di mentire, soprattutto ora che si erano imbattuti in un suo amico.
“Mia  moglie sarà stupita almeno quanto me di sapere che sei sposata. Venite, mi sta aspettando al ristorante. Le farà un gran piacere rivederti e conoscere Thomas.”
Thomas e Amabel seguirono Clive nel lussuoso ristorante del club, un ampio spazio con numerosi tavoli rotondi, lampadari di cristallo e un pianista che suonava Mozart. Una donna dai capelli biondi sventolò la mano per comunicare la sua posizione e Clive si diresse verso di lei con un sorriso raggiante.
“Amabel!” esclamò la donna, una collana costosa intorno al collo, le labbra tinte di un rosa tenue. Amabel l’abbracciò e si diedero due baci sulle guance. A New York avevano passato del tempo insieme tra shopping e serate di gala.
“Grace, voglio presentarti mio marito Thomas.”
Il sorriso di Grace si spense quando vide Tommy indurire la mascella.
“Tommy.”
“Grace.”
 
Amabel non osava dire neanche una parola da quando avevano fatto ritorno in camera. Tommy si era seduto sul balcone a fumare e a bere whiskey, perso in chissà quali pensieri. La moglie di Clive in passato era stata con Tommy quando si era trasferita a Birmingham per un periodo di tempo e, a quanto pareva, era stata una storia che lo aveva lasciato col cuore infranto. Era mezzanotte e faceva anche piuttosto fresco, e Amabel non riusciva a prendere sonno. Si coprì con la vestaglia e si affacciò sul balcone per testare l’umore di Tommy.
“Sta piovendo, fa freddo e c’è molta umidità. Devi entrare, Thomas.”
“Sto bene qui. Va a dormire.”
Amabel non tornò a letto ma prese posto accanto a lui sulla panca.
“Non stai bene. Sei stravolto dall’incontro con Grace. Ti va di sfogarti?”
“Ti sembro uno che si sfoga? Non dire stronzate.”
Tommy, aspettandosi che Amabel se ne andasse, si stupì quando lei gli mise una mano sulla spalla per rassicurarlo.
“Non chiuderti in te stesso. Non nascondere le tue emozioni, Thomas. Io sarò qui, quando e se avrai voglia di parlarne.”
Tommy annuì piano scrollando la cenere della sigaretta, non era pronto a raccontarle quello che si celava nel suo cuore.
“Prima volevi sapere perché siamo qui, ti interessa ancora?”
“Ovviamente.”
Amabel si rannicchiò dentro la vestaglia ma il freddo la pungolava lo stesso. Si fece più vicina a Tommy per farsi scaldare dal calore che emanava per via dell’alcol e della rabbia.
“Siamo qui per George Walsh, l’avvocato di Noah Meyer. Noah e sua sorella sono arrivati circa sei mesi fa a Birmingham e da allora stanno comprando tutti gli immobili di mia proprietà. Io e la mia famiglia non sappiamo perché lo stiano facendo, fatto sta che per colpa loro stiamo perdendo potere e denaro. L’avvocato Walsh è un membro del club e ogni anno presenzia a questo weekend del cazzo, perciò mi è sembrata l’occasione giusta per indagare meglio sui Meyer. Sono convinto che nella valigetta di Walsh ci sia qualche fottuta informazione su quegli svizzeri del cazzo.”
“Allora ci serve un’idea per prendere la valigetta. Sarà una lunga notte di riflessione.”
Tommy allora la guardò, tremava per l’aria fresca e la vestaglia era troppo leggera per darle calore.
“Stai congelando, sarà meglio entrare.”
Si mise in piedi e la prese per mano, dopodiché Amabel si rintanò sotto le coperte e lui le si stese accanto.
 
 
Salve a tutti!
Come al solito Tommy e Amabel hanno stretto l’ennesimo accordo. Grace è balzata fuori insieme al marito e ne vedremo delle belle adesso.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

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Capitolo 6
*** Ricordi sepolti ***


6. RICORDI SEPOLTI


“Then I looked over just in time to see you smiling back at me
And saying everything's okay
As long as you're inside my blue veins.”

(Blue veins, The Raconteurs)

 
Amabel quel sabato mattina, invece di essere assalita dagli abbracci delle sorelle, si svegliò a suon di imprecazioni. Tommy in bagno stava borbottando contro la cravatta. Aveva dormito poco poiché avevano passato la notte a elaborare un modo per avvicinare George Walsh, mentre Amabel era riuscita a chiudere gli occhi per qualche ora. Uscendo dal bagno, Tommy vide Amabel infilarsi la vestaglia.
“Buongiorno. Hai smesso di bisticciare con quella povera cravatta?”
“Questa fottuta cravatta non ne vuole sapere di collaborare stamattina.” Disse lui spegnendo la sigaretta nel posacenere sul comodino. Amabel doveva ammettere che, ora che lo guardava bene alla luce del giorno, era davvero un bell’uomo. La camicia nascondeva un fisico tonico, la pelle era nivea, ed era possibile intravedere il guizzare dei muscoli a ogni movimento.
“Thomas, le parolacce! Per favore.”
Tommy fece roteare gli occhi e sbuffò, si sentiva come uno scolaretto rimproverato dalla maestra.
“Sì, sì.”
Respirò a fondo quando Amabel gli mise le mani sulle spalle, le sue dita affusolate erano calde e morbide.
“Calmati, Thomas. Capisco che la presenza di Grace ti distragga ma siamo qui per un motivo preciso.”
“Hai paura che vada tutto in fumo e che Michael smetta di aiutarti con Evelyn?”
“Non puoi biasimarmi. Lo sai che la famiglia viene prima di tutto per quelli come noi.”
Tommy si riconobbe in quelle parole appieno, era vero che per loro il legame famigliare era la cosa più importante.
“Lo so. Adesso mi aiuti con questa cravatta?”
Amabel rise, quell’uomo non sarebbe mai cambiato, neanche per due giorni. Sciolse il nodo sbagliato e lo annodò nel verso giusto, abituata ad allacciare la cravatta di suo padre dopo la morte della madre.
“Se la smetti di dire le parolacce, ti prometto che ti lascerò fumare tutto il giorno.”
Tommy d’istinto si fece più vicino a lei tanto da fare combaciare i loro corpi, e nessuno dei due osò spostarsi.
“Ah, sì? Che gentile concessione, signora Shelby.”
“Visto? So essere buona anche io.” disse Amabel lasciando scorrere le mani sull’ampio petto di Tommy per lisciare le pieghe della camicia bianca. Non stavano fingendo, sembravano davvero una coppia sposata, ed entrambi ne erano consapevoli.
“La presenza di Grace mi preoccupa, hai ragione. Non perché io provi qualcosa, ma perché lei può far saltare la nostra copertura. Non ci crederà mai che siamo sposati.”
“Vorrà dire che dovremo impegnarci il doppio. Fingi di amarmi come ami lei.”
Tommy non disse nulla, incapace di formulare una frase sensata, e semplicemente annuì.
 
Il cameriere servì loro la colazione che avevano ordinato, una tazza di the e una di caffè, e si allontanò con una specie di inchino. Tommy leggeva il giornale e sorseggiava la bevanda calda mentre Amabel girava il cucchiaino nel caffè pigramente.
“Chi li scrive questi giornali? Non ci capisce niente.” Disse lui, riponendo il quotidiano sul tavolino. Amabel lo fissò per qualche minuto, studiando i suoi occhi e poi il giornale.
“E’ da parecchio che trovi difficoltà a leggere il giornale?”
Tommy inarcò il sopracciglio bevendo l’ultimo goccio di the.
“Mi stai dando dell’analfabeta?”
“No. Credo che tu non ci veda bene. L’occhio sinistro ha un lieve spasmo quando leggi, l’ho notato anche ieri in treno.”
Tommy si spaventò quando Amabel gli afferrò il mento per guardarlo dritto negli occhi.
“Di nuovo! E’ di nuovo comparso lo spasmo!”
“Qual è la diagnosi, dottoressa?”
“Ti servono gli occhiali da vista. Il mio parere ovviamente è relativo, perciò dovresti farti visitare da un oculista che ti saprà meglio indicare.”
Amabel, china su di lui, odorava di caffè e camomilla, un mix contrastante. Lo sguardo di Tommy indugiò sul reggiseno bianco visibile attraverso lo scollo della camicetta. Si leccò le labbra per poi mordersi l’interno della guancia per restare concentrato.
“Non metterò dei cazzo di occhiali da vista.”
“Testardo come un mulo, eh. Segui il mio consiglio prima che la vista peggiori in maniera irreparabile.” Disse Amabel tornando a sedersi per finire il caffè. Il ghigno di Tommy si esaurì quando Grace e Clive fecero il loro ingresso nel ristorante. Amabel li vide prendere posto mano nella mano.
“Ti serve una sigaretta, Thomas?”
“No. – disse Tommy scuotendo la testa – Sto bene così. A te il fumo dà fastidio, non è giusto da parte mia infastidirti.”
Amabel voleva sorridere ma sapeva che quella gentilezza era dovuta alla recita e non ad una reale volontà, pertanto rimase in silenzio.
“Amabel!” esultò una voce dal fondo del ristorante. Era Melanie Whitehouse insieme al marito Peter e al figlio Edward. Erano i migliori amici dei genitori di Amabel, Melanie e sua madre erano cugine di secondo grado e suo padre aveva lavorato con Peter in America. La donna la stritolò in un abbraccio e le baciò le guance in preda all’euforia.
“Che piacere rivedervi!” disse Amabel stringendo la mano di Peter. Melanie spinse suo figlio in avanti facendolo quasi inciampare. Amabel era stata la sua babysitter quando aveva quindici anni.
“Ti ricordi di Edward? Adesso è un giovanotto!”
“Certo che mi ricordo di Edward, soprattutto mi ricordo dei suoi capricci.”
“Ciao, Amabel.” Disse Edward dandole un breve abbraccio. Amabel si sentì avvolgere la vita dal braccio di Tommy e si ricordò della loro farsa.
“Questo è Thomas Shelby, mio marito.”
“Ti sei sposata e non ci hai invitati? Mi ritengo offesa!” strillò Melanie attirando l’attenzione di alcuni clienti. Era una donna decisamente esuberante.
“Io e Bel ci siamo sposati senza fare festa. Io la amo e non vedevo l’ora che diventasse mia moglie, non potevo aspettare di organizzare le cose per bene.” spiegò Tommy sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori.
“Che romantico! – disse Melanie – Beh, allora vi perdono per non aver comunicato il lieto evento. Sapete cosa possiamo fare per rimediare? Stasera sarete nostri ospiti per la cena, si uniranno anche Clive e Grace e i coniugi Anderson. Sarà incredibile!”
Amabel stava per rifiutare, non poteva affrontare quella cena ma Tommy accettò.
“E’ una splendida idea! Io e Amabel saremo felicissimi di partecipare. Vero, mia cara?”
Tommy le pizzicò il fianco per convincerla a reggergli il gioco.
“Verissimo!”
 
Il giardino del club era costellato da diversi gazebo sotto i quali si svolgevano svariate attività: il gruppo degli intellettuali, il gruppo di ballo, il gruppo di golf e di cricket, e c’era anche chi si dilettava con la pittura. Amabel da bambina aveva preso parte a tutti i gruppi, era sempre stata curiosa e aveva voluto provare ogni attività per capire quale fosse quella adatta a sé; alla fine, però, aveva scelto di iscriversi a tutti i gruppi.
“Bel?”
La voce di Tommy la richiamò e sbatté le palpebre per mettere a fuoco il viso dell’uomo.
“Sì, dimmi.”
“Sei distratta. Qualcosa non va?”
“No, va tutto bene. Mi stavo perdendo nei ricordi di infanzia.”
La mano di Tommy andò a stringere la sua facendo incastrare le loro dita alla perfezione, sembravano fatte per essere unite.
“Erano ricordi belli?”
“Sì. Da bambina ho partecipato a tutte le attività del club. Evelyn spettegolava con le amiche e Diana stava con mio padre perché era ancora piccola. Quando mia madre era ancora viva, io e lei seguivamo le lezioni di ballo, eravamo un vero disastro.”
Amabel ridacchiò al ricordo di sua madre che ballava e le pestava i piedi di continuo. Tommy si accorse dei suoi occhi umidi e avvertì una strana stretta allo stomaco che gli fece desiderare di asciugare tutte le lacrime della ragazza.
“Io e i miei fratelli da ragazzini rubavamo le bottiglie dal Garrison e ce le scolavamo nelle stradine di Small Heath.”
“Non avevo dubbi!” disse Amabel ridendo, e automaticamente rinsaldò la presa sulle sue dita. Tommy l’attirò a sé per baciarle la guancia quando un’ombra entrò nel suo campo visivo.
“Clive, Grace, salve!” disse Amabel, e Tommy le mise il braccio intorno alle spalle.
“Io e Grace vi abbiamo visti passeggiare e abbiamo pensato di venire a salutare. Vi va una partita a golf? Warren diceva sempre che sei un’ottima giocatrice!” disse Clive, beccandosi un’occhiataccia da Grace per aver menzionato Warren.
“Thomas non sa giocare a golf e non mi va di lasciarlo da solo, quindi mi devo costretta a declinare l’invito.”
“No, dai. Neanche Grace sa giocare bene, potrebbe fare compagnia a Thomas!” propose Clive con il suo solito entusiasmo. Amabel si girò verso Tommy per capire come svignarsela, ma lui la sorprese con un sorriso.
“Clive ha ragione, io e Grace ricorderemo i vecchi tempi in cui frequentavamo i salotti di Birmingham. Voglio vederti stracciare tutti gli altri giocatori.”
Grace era evidentemente contrariata, però sorrise lo stesso per non insospettire il marito. Anche Amabel sorrise per mascherare la tensione.
“Sì, bene, andiamo a giocare!”
Amabel si ritrovò a giocare contro Clive, Edward e Rita, una ragazza in vacanza con la famiglia. Tommy stava in piedi alle loro spalle e fumava placidamente, anche se i suoi occhi osservavano ogni singola persona in cerca di George Walsh. Sospirò quando Grace lo affiancò, i capelli biondi erano più corti e coperti da un cappello rosa cipria.
“Tu lo sai che io non credo alla storia del tuo matrimonio, vero?”
“E tu lo sai che non mi importa più quello di quello che credi, vero?” replicò lui con tono piccato, non sopportava quella loro vicinanza. Saperla accanto a sé gli procurava male fisico.
“Scommetto che sei qui per affari e che ti sei servito della dottoressa per accedere al club. Non sei così furbo come credi. Io ti conosco bene, Tommy.”
Edward aveva segnato un punto e tutti stavano applaudendo, eppure Amabel non sembrava particolarmente partecipe.
“E’ ovvio che sono qui per affari, però non devi sapere nient’altro.”
“Tommy, lo sai che posso aiutarti.” Disse Grace. Dopo un anno non riusciva ancora a liberarsi di lei.
“Piantala con questa sceneggiata, Grace. Non ho più bisogno di te.”
“Perché adesso ti porti a letto la dottoressina?”
Tommy la fulminò con lo sguardo, avrebbe voluto baciarla e respingerla al tempo stesso.
“Lascia Amabel fuori da questa faccenda, mi sta solo aiutando.”
Amabel centrò la buca e si mise il bastone sulla spalla con fare altezzoso.
“Sei fenomenale in questo gioco.” Le disse Clive, che stava drasticamente fallendo.
“E sono fenomenale anche nel resto, amico mio!”
“Tuo marito è un bugiardo.”
Amabel smise di sorridere e aggrottò le sopracciglia, temeva di essere stata scoperta.
“A cosa ti riferisci?”
“E’ ovvio che Thomas e Grace non si sono conosciuti nei salotti di Birmingham, lui è troppo povero per frequentare certi ambienti.”
“Da cosa lo deduci che è povero?”
Clive guardò Tommy con un sorrisetto maligno.
“Potrà anche indossare abiti costosi ma ha l’atteggiamento di uno zotico.”
“Mi deludi, Clive. Non sei il tipo di persona che giudica gli altri senza conoscere.”
“Divento il tipo di persona che giudica quando scopro che mia moglie frequentava i bassi fondi di Birmingham.”
Amabel tentò di attirare l’attenzione di Tommy ma lui era impegnato nella conversazione con Grace.
“Se hai dei problemi con Grace, è con lei che devi parlarne. Non puntare il dito contro mio marito.” Disse lei con un tono che non ammetteva repliche. Tommy si accese una sigaretta per scaricare i nervi. Grace stava chiacchierando con Edward e Rita e lui era libero di tornare a respirare. Notò Amabel e Clive parlare fitto a pochi metri, lei sembrava offesa e lui era decisamente irritato. Quando incrociò gli occhi di Amabel, lesse un grido di aiuto. Andò da lei e le diede un bacio leggere sulla tempia. Clive era in evidente imbarazzo e fece un sorriso tirato.
“Vuoi giocare, Thomas?”
“Sì, mi va. Bel può insegnarmi almeno le basi.”
“Vado a prenderti una delle mie mazze.” Disse Clive raggiungendo la sua sacca da golf con l’attrezzatura. Non appena fu lontano, Amabel buttò fuori il fiato che aveva trattenuto.
“Clive ha dei sospetti su di te e su Grace. Ha capito che non provieni dall’alta società.”
“La crisi matrimoniale tra Clive e Grace non deve crearci rogne. Stiamo già perdendo troppo tempo. Dobbiamo fargli credere che stiamo davvero insieme.” Disse, buttando la sigaretta tra i fili d’erba.
“Come?”
“Fidati.”
Amabel iniziava a odiare la fiducia reciproca che si reclamavano a vicenda, era diventato un brutto vizio. Bertha le ripeteva che fidarsi significa consegnarsi all’altro sfidandolo ad essere all’altezza del dono, e lei si stava donando a Tommy senza remore. Clive tornò da loro a braccetto con Grace, voleva dimostrare a tutti che erano una coppia solida. Tommy accettò la mazza e serrò le dita intorno al materiale freddo, una vocina nella sua testa gli suggeriva di spaccare la faccia di Clive ma dovette reprimerla.
“Avanti, Amabel, insegna a tuo marito a fare un bel tiro.”
Anche Edward e Rita si erano raccolti intorno a loro per assistere. Amabel avrebbe voluto darsela a gambe, ma finse un sorriso e trascinò Tommy alla postazione del golfista.
“Il trucco è semplice: divarica leggermente le gambe, piegati di poco sulle ginocchia e cerca di prendere bene la mira. Prova!”
Tommy fallì miseramente e tutti si misero a ridere, eccetto Clive che se ne stava a braccia conserte con espressione lugubre. Era necessario agire prima che i loro piani andassero in fumo.
“Bel, fammi vedere come si gioca.” Disse Tommy facendo gli occhi dolci, e Amabel non seppe se ridere o piangere per quell’espressione così insolita per uno come lui. Gli tolse la mazza dalle mani e simulò il lancio.
“E’ così che devi fare. Riprova, su.”
Stava per spostarsi quando Tommy l’afferrò per i fianchi premendosela contro. Amabel poteva sentire il calore del petto di Tommy sulla propria schiena e le sue braccia sfiorarle i fianchi.
“Non è che mi faresti rivedere, cara?”
Amabel era consapevole che si trattava di una messa in scena, però in piccola parte desiderava che fosse vero. Trasalì quando Tommy si fece più vicino tanto da sentire il freddo metallo della fibbia della cintura contro la base della schiena. Amabel lo aiutò nel lancio e la pallina cadde nella buca segnando un punto a suo favore.
“Ce l’hai fatta, Thomas!” esultò lei, poi lo abbracciò di slancio.
“E’ tutto merito tuo.” Ribatté lui, e un secondo dopo le diede un bacio a stampo sulle labbra. L’espressione di Clive, dapprima cupa, si rilassò; era contento che tra Amabel e suo marito ci fosse quell’intesa perché voleva dire che non doveva preoccuparsi della vita passata di Grace a Birmingham.
 
Tommy chiuse a chiave la porta della camera, una manovra preventiva, e si liberò della giacca.
“Bel?”
La testa della ragazza sbucò da dietro il separé, quattro tavole di legno rivestite dal velluto rosso, con i capelli appuntati sulla nuca e il trucco perfetto.
“Mi sto vestendo. Hai scoperto qualcosa?”
La mente di Tommy immaginò il corpo nudo di Bel e gli vennero i brividi. Si schiarì la voce per mantenere un tono neutrale.
“L’avvocato stasera cenerà con un tizio al tavolo accanto al nostro. Potrebbe essere la nostra occasione per avvicinarlo.”
“E come intendi agire?” chiese Bel, ormai del tutto vestita. Indossava un abito bordeaux dallo scollo a cuore e le maniche corte, una cintura di velluto nero le circondava la vita, e calzava un paio di scarpe di vernice nera col tacco. Tommy corrugò le sopracciglia e assunse il suo tipico atteggiamento indispettito con la sigaretta all’angolo della bocca e le mani in tasca.
“Tu non indosserai questo vestito alla cena.”
Amabel lo trucidò con lo sguardo e si portò una mano sul petto in segno di offesa.
“Scusami?! Io non prendo ordini da nessuno, né tantomeno da te. Questo vestito è stato cucito su misura per me dalla sarta migliore di Berlino, mi è costato una fortuna, e lo indosserò.”
“Quale uomo sano di mente farebbe andare in giro la propria moglie conciata così? Si vede tutto.” ribatté Tommy prendendo un tiro rabbioso dalla sigaretta. Amabel incrociò le braccia sotto il seno sbuffando sonoramente.
“Thomas, ti rendi conto delle stupidaggini che stai blaterando? Non si vede niente!”
“Non va bene, cazzo. A me non va bene, eh? Mi dà fastidio che qualche stronzo possa guardarti.” Ammise Tommy, arrendendosi alla sua improvvisa gelosia per una donna per cui non avrebbe dovuto provare niente.
“Questo è il tuo bizzarro modo di dirmi che sto bene?”
Un silenzio tremendo piombò su di loro, la tensione si poteva tagliare col coltello. Tommy fece cadere la cenere sul pavimento incurante dei danni che avrebbe procurato, ma almeno evitava lo sguardo fisso di Amabel.
“E’ il mio modo di dirti che non devi attirare l’attenzione. Siamo qui per affari, tienilo a mente.”
Amabel rimase delusa ma non lo diede a vedere. Si aspettava davvero che Tommy si complimentasse per l’abito, invece lui era stato distaccato come sempre.
“Dobbiamo andare. Ci aspettano per la cena.”
 
Quando Amabel e Tommy scesero al ristorante, i Whitehouse e gli Anderson si erano già accomodati al tavolo. In quello stesso momento anche Clive e Grace raggiunsero la sala.
Tutti presero posto in fretta, e Amabel capitò in mezzo a Tommy e Edward Whitehouse. Alla destra di Tommy sedeva Grace, poi Clive, e infine gli altri.
“Questo club sente molto la mancanza della tua famiglia.” Disse Joseph Anderson, uno dei notai più ricchi d’Inghilterra.
“Anche noi sentiamo la mancanza del club, ma dopo la perdita dei nostri genitori venire qui era fonte di tristezza.” Disse Amabel, dunque bevve un sorso d’acqua per sciogliere la gola nodosa. Tommy aveva steso un braccio lungo lo schienale della sua sedia e le loro ginocchia si sfioravano, era una vicinanza strana dopo la breve discussione avuta in camera.
“Stasera nessun argomento malinconico toccherà la nostra tavola. – disse Melanie, un boa di piume rosa al collo – Stasera ci sarà solo divertimento, e soprattutto gossip! Allora, Amabel, tu e Tommy come vi siete conosciuti?”
Amabel vide Grace abbassare gli occhi sul piatto vuoto, deve essere doloroso sopportare la vista dell’uomo che ami insieme ad un’altra donna. Tutti si erano focalizzati su di loro come fossero animali al circo da ammirare. Amabel guardò Tommy e gli accarezzò il polso.
“Ebbene, caro, glielo racconti tu?”
Tommy non si fece prendere dal panico, anzi annuì e sorrise.
“Io e Bel ci siamo conosciuti in guerra. Lei era il medico del mio accampamento. Il nostro legame è nato giorno dopo giorno nella disperazione della guerra, tra le bombe e gli spari. Mi ha salvato la vita, sapete? Stavo per morire ma lei è riuscita a riportarmi a casa. Penso che il destino ci abbia voluti insieme sin da subito. Io a lei non potrei mai rinunciare, né in questa vita né nella prossima.”
Tommy non aveva staccato gli occhi da lei, e Amabel era senza parole. Lui ricordava. Ricordava la Francia, gli accampamenti, e ricordava anche il suo salvataggio.
“Thomas. Il mio Thomas.” Sussurrò lei. Il mondo circostante era svanito, esistevano solo loro due e i loro ricordi.
“Che storia smielata!” scherzò Edward spezzando l’atmosfera. Sua madre lo colpì con il ventaglio.
“Figliolo, sei un vero insensibile. Non vedi come si amano profondamente?”
Grace si asciugò una lacrima prima che qualcuno se ne accorgesse, era sconvolta dall’intensità con cui Tommy stava dedicando sguardi ad Amabel. Il momento fu interrotto dall’arrivo del cameriere che segnò sul taccuino le ordinazioni.
“Scusatemi, vado a incipriarmi il naso.” Disse Amabel con un mezzo sorriso. La signora Anderson ricambiò il sorriso come a darle il permesso di lasciare il tavolo. Però Amabel non si recò in bagno, bensì andò in giardino per una boccata d’aria fresca. Camminò lungo il lago nella speranza di placare i battiti del cuore.
“Bel!” la chiamò Tommy, che si era defilato dal gruppo con la scusa di aver finito le sigarette. La zona era isolata, scarsamente illuminata da un lampione, e gli alberi apparivano assai sinistri.
“Torna dentro, Thomas. Arrivo tra qualche minuto.”
Tommy l’agguantò per il braccio e la costrinse a voltarsi. Era bella da fare male.
“Cazzo, Bel. Non avrei mai dovuto dire quelle cose. Non avresti dovuto ricordare niente.”
“Io ricordo tutto, ogni singolo giorno e ogni singolo soldato di quegli accampamenti. Eri il sergente maggiore Thomas Michael Shelby a capo degli scavatori. Ti ho curato le ustioni, sono stata notti intere al tuo capezzale, ho contatto Polly perché venisse a riprenderti. Ho sempre saputo chi fossi, ma non ho avuto il coraggio di dirtelo quando ho capito quello chi sei diventato. Sei così ferito e fragile che temevo di farti rivivere gli orrori della guerra.”
Tommy era stravolto, felice, triste, furioso. Le emozioni gli ribollivano nel sangue senza alcun controllo. Amabel Hamilton era lì tra le sue braccia, bella e pura come lo era anni prima, e lui era così sporco e crudele.
“Il Thomas che non conoscevi non esiste più. E’ morto in Francia.”
“Lo so. – disse Amabel, un sorriso amareggiato dipinto sulle labbra – Su quel campo, su quel sangue e su quei proiettili, sono morta anche io. Non sono la stessa Amabel che è partita. Sono tornata diversa, in meglio o in peggio, chissà.”
Tommy respirava con affanno, come se avesse corso per chilometri, eppure non si era mosso di un centimetro.
“In tutta quella merda tu eri l’unica cosa che mi faceva andare avanti. Tu mi hai riportato a casa dalla mia famiglia. Tu mi hai permesso di vivere.”
“A quale costo, Thomas? Ti ho salvato perché volevo una vita diversa per te, una vita genuina e tranquilla, e invece sei finito a fare il gangster. Ho fallito con te.”
“Tommy!”
Grace camminava a passo spedito verso di loro, lo scialle di seta ondeggiava intorno a lei come un’onda intorno ad uno scoglio. Amabel si staccò da Tommy e indietreggiò, mentre lui rimaneva immobile.
“Che c’è?”
“Al tavolo si stanno domandando che fine abbiate fatto e mi hanno mandata a cercarvi. Inoltre, abbiamo un altro ospite, un tale avvocato Walsh che è amico di Peter.”
Amabel e Tommy si scambiarono un’occhiata loquace: era giunta l’ora di agire.
 
Amabel rise forzatamente ad una delle tante battute squallide del signor Anderson circa il colmo per un falegname, e si riempiva la bocca di torta alle mele pur di sottrarsi a quel supplizio. Tommy, invece, non si sforzava neanche di sembrare interessato. Per il resto della cena aveva tenuto la mano sul ginocchio di Amabel, spesso le sue dita avevano azzardato qualche carezza, e l’aveva osservata con la coda dell’occhio per tutto il tempo. L’avvocato era effettivamente George Walsh, e aveva mangiato e bevuto a sbafo, tanto pagavano i Whitehouse. Amabel si chinò su Tommy per mormorargli all’orecchio, e per sbaglio gli accarezzò il lobo con le labbra.
“Hai notato la valigetta ai piedi del tavolo?”
Tommy in risposta si girò e le loro labbra si ritrovarono a una manciata di millimetri, erano una vera tentazione.
“Sì. Come la prendiamo?”
“Guarda e impara.”
Amabel tirò un calcio a Edward e il ragazzo sobbalzò sulla sedia. Il suo bicchiere di vino si rovesciò sulla giacca dell’avvocato.
“Perbacco, Edward!” lo rimproverò la mano picchiandogli il dorso della mano con il tovagliolo.
“Oh, no, non è stata colpa di Edward. E’ stata colpa mia.” Disse Amabel con voce melliflua. Walsh sorrise ben lieto che una bella donna si stesse rivolgendo a lui.
“Non vi rammaricate, signora Shelby. Sono cose che capitano.”
Grace sollevò un sopracciglio in direzione di Tommy e lui fece spallucce, una certa intesa li univa ancora.
“Mi sento davvero in colpa. Che ne pensate se chiediamo aiuto in lavanderia? Sono sicura che smacchieranno la vostra camicia facendola tornare come nuova!”
Amabel rise della sua stessa recitazione, era davvero brava ad impersonare una sciocca donna pentita per una stupida camicia.
“Sono d’accordo con mia moglie. Dovreste andare in lavanderia.” Disse Tommy indicando la macchia di vino rosso stampata sul petto di Walsh.
“Le macchie di vino sono difficili da eliminare. La vostra è una così bella camicia, sarebbe un vero peccato perderla.” Aggiunse Grace.
“Beh, se la signora Shelby ci tiene tanto, allora la seguirò.” Disse Walsh, i baffi neri che nascondevano un sorriso storto. Tommy controvoglia lasciò Amabel da sola con l’avvocato, odiava non avere il comando della situazione. Adocchiò la valigetta che Walsh aveva dimenticato perché troppo rapito dalle attenzioni di Amabel. Se la portava con sé anche ad una cena di svago, stava a significare che conteneva documenti importanti. Quando gli altri ripresero il loro futile chiacchiericcio, ne approfittò per spostare la valigetta sotto il proprio cappotto.
 
Thomas si infilò una manciata di fogli nella giacca e lasciò finalmente il ristorante. Clive e Grace si stavano intrattenendo al bar insieme agli Andersen e ai Whitehouse, mentre Amabel era seduta in un angolo della reception in compagnia di Walsh.
“Bel, mia cara! Credo sia ora di salire in camera.”
Amabel fu sollevata quando la mano di Thomas la invitò ad abbandonare il divanetto che condivideva con Walsh. L’avvocato parve chiaramente infastidito da quella interruzione.
“Perdonatemi, signor Shelby, se mi sono intrattenuto tanto a lungo con vostra moglie ma è una creatura assai deliziosa, molto intelligente e bellissima.”
“Sì, Bel è straordinaria. Non a caso è mia!” disse Tommy con un sorriso fasullo, e Amabel sentì la sua mano calda sul fianco.
“Bene, - disse Amabel – questa serata mi ha letteralmente privata delle forze. Sarà meglio andare a dormire. Buonanotte, signor Walsh.”
Walsh le baciò il dorso della mano con quei suoi baffi sudici.
“Buonanotte a voi, splendida madama!”
Tommy portò via Amabel in fretta, non avrebbe sopportato ancora lo sguardo malizioso dell’avvocato su di lei. Amabel sospirò pesantemente quando le porte dell’ascensore si chiusero.
“Hai preso i documenti?”
“Sì. Ho lasciato la valigetta al tavolo per non insospettirlo.”
Tommy se ne stava con la testa reclinata contro la parete, era più esausto di quanto avrebbe voluto ammettere.
“Speriamo che non si accorga che mancano alcuni documenti.”
“E’ troppo brillo per accorgersene. E poi immagino che passerà la notte a sognarti. Cazzo, ti divora con gli occhi.”
Amabel sorrise per la gelosia che traspariva da Tommy.
“Oh, ma io ho occhi solo per te, caro marito.” scherzò, schioccandogli un bacio sulla guancia. Tommy ridacchiò e le diede un pizzico giocoso sul fianco.
“Ti conviene, dottoressa.”
 
Amabel stava spaparanzata sul letto e Tommy sedeva al piccolo tavolino della loro camera. Stavano esaminando i fogli rubati dalla valigetta di Walsh.
“Non si capisce un cazzo. Sembrano scritti in codice.” Disse Tommy portandosi alla bocca l’ennesima sigaretta. Amabel picchiettò il materasso e gli fece un cenno con la testa.
“Vieni qui. Credo di aver trovato qualcosa.”
Tommy si distese al suo fianco reggendo il bicchiere di whiskey nella mano destra e la sigaretta nell’altra.
“Che cosa ha capito la nostra riccona?”
Amabel gli tirò uno scappellotto sulla nuca  facendo rovesciare qualche goccia di alcol sulle lenzuola, e poi si mise seduta con le gambe incrociate.
“Nei documenti che ho letto io ci sono delle iniziali connesse a indirizzi e conti bancari. Io conosco uno dei conti bancari, è di Dominic Cavendish. L’ho segnato nella mia agenda quando ho dovuto versare metà somma per le spese del matrimonio. Il conto, infatti, corrisponde alle iniziali D-C e al suo indirizzo. Hai idea del perché Meyer possa essere in contatto con Dominic?”
“No. Non sapevo che Meyer e il sindaco fossero amici. Nei mesi in cui abbiamo seguito quegli svizzeri del cazzo non è mai saltato fuori.”
“Cosa potrebbe mai legare il sindaco di Birmingham a un francese? C’è qualcosa di bizzarro.” Rifletté Amabel massaggiandosi le tempie pulsanti. Indossava ancora l’abito, però si era struccata e si era sciolta i capelli.
“Sicuramente si tratta di soldi. Penso che ci sia dell’altro, qualcosa di sporco. Non è un caso che un francese ricco abbia contatti con i Cavendish.”
Amabel stava per replicare quando qualcuno bussò. Tommy sbarrò gli occhi e la sua mano scattò sulla pistola che giaceva nel comodino. Erano le tre del mattino, pertanto era insolito che uno degli ospiti o la servitù li disturbassero.
“Signor Shelby, lo so che ci siete. Non fate il timido, suvvia.” Disse una voce femminile condita da un marcato accento francese. Amabel smontò dal letto nonostante le proteste di Tommy, non si sarebbe relegata in un angolo come una donnina spaventata.
“Signorina Hamilton, so che ci siete anche voi. Non siate sgarbata e aprite la porta. Vengo in pace.” Aggiunse la voce vagamente velata dal divertimento. Tommy aprì la porta e incontrò il viso rotondo di una bella ragazza dai capelli biondi e dai grandi occhi blu.
“Buonasera, amici miei! Il mio nome è Lena Meyer!”
“Volete un applauso per la bella presentazione?” chiese Amabel in tono cinico, e Tommy rimase sbalordito da quella audacia. Amabel all’apparenza era una donna equilibrata ma nel profondo del suo animo ardeva una fiamma.
“Sì, un applauso sarebbe molto gradito. – disse Lena, le labbra dipinte di rosso piegate in una ghigno – Sono qui per conto di Noah. Vuole invitarvi per una partita di poker che si svolgerà domani sera intorno alle nove al The Albert in Victoria Street.”
“Ci dispiace ma domani sera torneremo a casa.” Disse Tommy, le dita serrate intorno alla pistola nascosta dietro la schiena.
“Non potete rifiutare, signor Shelby. Voi e la vostra amichetta siete obbligati a giocare. E’ questo che vuole Noah.”
La ragazza fece un mezzo chino e svanì nel corridoio buio mentre la sua risata stridula rimbombava.
“Siamo fottuti.”
 
 
Salve a tutti!
Amabel si ricordava di Tommy e ora sembrano più uniti che mai.
Chissà come si evolverà il loro rapporto adesso che c’è di mezzo anche Grace.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

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Capitolo 7
*** Figli della violenza ***


7. FIGLI DELLA VIOLENZA

“Razorblades in our peaky hat, everyone is scared of us.
We are the Peaky Blinders,
we are the sons of violence.
We put snow in our nose, drinking blends, and we’re smoking.”
(Peaky Blinders, Foxlane)
 
Quando si svegliò, Amabel per prima cosa cercò Tommy. Non c’era traccia di lui, i vestiti mancavano, il comodino era aperto (si era portato la pistola), e l’ambiente non odorava di fumo. Doveva essere uscito molto presto. Amabel si fece un bagno caldo per sciogliere i muscoli tesi, indossò un semplice abito blu a maniche corte e si raccolse i capelli con un fermaglio. Due linee scure le contornavano gli occhi ma non aveva voglia di truccarsi, era troppo stanca per pensare al proprio aspetto. Si recò al ristorante per bere una tazza di caffè nella speranza di mantenersi sveglia. Vide Clive leggere il giornale seduto da solo.
“Buongiorno.” Lo salutò prendendo posto. Clive abbozzò un sorriso triste e mise da parte il giornale, quindi mangiò l’ultimo pezzo di torta nel piatto.
“Buongiorno a te, Amabel. Dov’è tuo marito?”
“Credo che Thomas sia andato a chiamare la sua famiglia. Sai, è molto legato ai suoi fratelli. E la tua Grace?”
“Non lo so. E’ uscita all’alba e non è ancora rientrata.”
Amabel deglutì e bevve un sorso di caffè per schiarirsi la voce. Se i suoi calcoli erano giusti, Tommy e Grace erano insieme da qualche parte nel club. Si sentì come se Tommy l’avesse tradita, sebbene non fossero davvero sposati, e odiò quella bizzarra morsa di gelosia.
“Magari è andata a fare una passeggiata. Sono sicura che tornerà presto.”
“Oppure lei e Thomas sono scappati. L’ho capito che sono stati insieme quando lei era Birmingham.” Disse Clive con rabbia. Amabel abbassò gli occhi, aveva mentito a tutti per Tommy, alle sorelle, a Bertha, a Clive, e in cambio aveva avuto solo una scappatella con l’ex.
“Immagino che alcuni amori siano difficili da dimenticare.”
“Però tu hai dimenticato Warren in fretta.” Replicò Clive, gli occhi ridotti a fessure.
“La situazione con Warren era diversa. Thomas è il tipo d’uomo che ti risucchia nella propria vita e poi diventa difficile uscirne.”
Clive si passò le mani tra i capelli, era nervoso e sconsolato com’era giusto che fosse.
“Credo che Grace sia incinta.”
Amabel fece cadere la tazzina sul tavolo e il caffè imbrattò la candida tovaglia.
“Non è possibile, Clive. Tu sei sterile.”
Era stato proprio Warren a diagnosticare la sterilità a Clive subito dopo il matrimonio di Grace, quando Amabel lavorava ancora al suo fianco a New York.
“Infatti non ho detto che il bambino è mio. Penso sia Thomas.”
“Sei forse impazzito?! Come ti viene in mente?” disse lei a voce alta, e alcuni clienti si girarono a guardarla.
“Tre mesi fa Grace è venuta a Londra per incontrare una sua zia, ma ho scoperto che non esiste nessuna sua parente qui. Sono sicuro che abbia visto Thomas e che loro abbiano … beh, hai capito.”
Amabel avvertì un dolore bruciante al petto, come se il cuore potesse liquefarsi. Era delusa, anche se non aveva alcun senso, ed era infuriata con Tommy. In quel momento Tommy e Grace fecero il loro ingresso insieme, entrambi erano molto scossi. Accadde in un attimo che Clive si scagliò contro Tommy con un gancio destro che lo fece ruzzolare a terra.
“Clive!” gridò Grace, poi si chinò su Tommy per aiutarlo.
“Non c’è nulla da guardare, signori. Non preoccupatevi.” Disse Amabel sorridendo in modo da placare la curiosità dei presenti. Clive frattanto si era allontanato, e Amabel avrebbe voluto seguirlo, ma la sua indole di medico la spronava a soccorrere Tommy. L’occhio destro si stava gonfiando ed era arrossato.
“Qual è il parere medico?”
“Andiamo in camera, qui ci sono troppi spettatori. Ci vorrà solo del ghiaccio.”
“Appoggiati a me, Tommy.” Disse Grace, la voce farcita di ansia per l’accaduto. Tommy, orgoglioso com’era, si alzò da solo.
“Va da tuo marito e cerca di risolvere le cose. Forse puoi ancora salvare il tuo matrimonio.” Le consigliò Amabel. Tommy annuì e Grace corse in giardino per raggiungere Clive.
Tommy ricadde pesantemente sulla sedia con l’occhio semichiuso. Si tolse la giacca e il panciotto, dopodiché si libero della cravatta e si sbottonò un poco la camicia.  Sussultò quando Amabel gli premette con irruenza un cubetto di ghiaccio contro l’occhio.
“Ah, cazzo.”
“Te lo meriti. Comunque, sopravviverai. Domattina avrai un brutto occhio nero, nulla che l’oppio non possa guarire.” Disse Amabel. Tommy si scansò per accendersi una sigaretta, e digrignò i denti per il dolore quando la mise in bocca.
“L’oppio? Immagino che tu abbia frugato nella mia stanza la notte dell’esplosione al Garrison.”
“Già. Tu eri incosciente e io mi annoiavo, perciò frugare nei tuoi peccatucci mi sembrava divertente.”
Amabel non sorrideva, era distaccata, e Tommy si allarmò.
“Che succede? Non sei tu oggi.”
“Clive lo sa. – disse puntando gli occhi su di lui – Lo sa che Grace aspetta un figlio da te.”
Un silenzio tetro piombò tra di loro. Si guardavano senza dire nulla, come se le parole fossero in grado di ferirli. Tommy emise un sospirò prima di parlare.
“Me lo ha detto stamattina, ecco perché sono uscito presto. Clive sembra stupido ma, a quanto pare, non lo è.”
“E’ orribile quello che tu e Grace gli avete fatto. Clive è mio amico, lo conos …”
“Ah, ah, Clive è amico del famoso Warren di cui non mi ha detto nulla. Cos’è che nascondi?” domandò Tommy con un sorriso felino sulle labbra. Amabel, sopraffatta dalla rabbia, gli tirò uno schiaffo in pieno volto. Immediatamente si coprì la bocca con le mani in segno di pentimento.
“Diamine! Scusami! Io di solito non faccio queste cose, a parte l’episodio con Dominic. Sono mortificata, Thomas! Mi dispiace!”
Tommy si mise a ridere per la preoccupazione della ragazza che appariva tenera mentre si giustificava. Spense la sigaretta sul comodino, una sua pessima abitudine, e camminò verso di lei. Amabel, spaventata dallo sguardo ora serio di lui, indietreggiò fino alla parete.
“Thomas, scusami. Non sono una pers …”
Le scuse di Amabel furono interrotte dalle labbra di Tommy che si scontravano con le sue. Amabel, dapprima intontita, si abbandonò al bacio senza pensarci troppo. Circondò il collo di Tommy con le braccia mentre lui le stringeva i fianchi in una presa salda. Non era finzione, questa volta si trattava di un bacio vero che entrambi avevano cercato. Tommy sapeva di fumo e di whiskey ma ad Amabel non interessava, anzi lo attirò a sé per perdersi nel suo odore. La tensione che si era creata tra di loro negli ultimi tre mesi si stava riversando in quel bacio. Tommy la spinse contro la parete senza smettere di baciarla, amava la morbidezza delle labbra curate della ragazza.
“Tutto questo è sbagliato, Thomas.” Mormorò Amabel tra un bacio e l’altro, ansimando.
“Proprio per questo è eccitante.”
Amabel si lasciò scappare una risata. Sebbene fosse sbagliato, al tempo stesso non si era mai sentita tanto nel giusto. Sbottò la camicia di Tommy del tutto e gli accarezzò i pettorali per poi scendere verso l’addome. Tommy gemette per l’attenzione con cui Amabel lo toccava, era leggere ma decisa al contempo. Le baciò il collo mentre le sollevava il vestito per toccarle le cosce. Amabel rabbrividì per le sue dita fredde e ruvide, segnate da cicatrici e macchiate di sangue, ma non riusciva a ragionare lucidamente. Tommy stava per sfilarle il vestito quando furono interrotti da bruschi colpi alla porta.
“Fanculo.” Borbottò Tommy abbottonandosi la camicia.
“Tommy, apri. Sono Grace.”
Amabel velocemente si ricompose, anche se il cuore batteva a mille e le labbra erano arrossate dai baci. Si pentì di ciò che aveva fatto. Lei non era così, era di buona famiglia ed era stata cresciuta secondo principi che vietavano certi comportamenti impudichi. Lo sguardo di Grace rimbalzò tra Amabel e Tommy con fare circospetto, era evidente che fosse successo qualcosa.
 “Perché sei qui?” chiese Tommy.
“Noah Meyer si è appena registrato alla reception e al suo seguito ha circa una decina di uomini. In quale guaio vi siete cacciati?”
“E’ colpa sua.” Disse Amabel indicando Tommy, che roteò gli occhi.
“Ricordati che noi abbiamo un patto, dottoressa.”
Amabel sbuffò, improvvisamente l’adrenalina di qualche attimo prima aveva lasciato spazio di nuovo alla rabbia. Grace tossì per attirare la loro attenzione.
“Comunque, ho fatto quello che mi hai chiesto. Sono riuscita a prendere i biglietti.”
Amabel rimase stupita, non si aspettava che Clive perdonasse sua moglie tanto facilmente.
“Tu e Clive tornate a Londra?”
“No. – disse Tommy – Tu e Grace prendete il treno per tornare a Birmingham.”
“Scusami?! L’invito dei Meyer è esteso anche a me. Non essere sciocco, Thomas.” Disse amareggiata Amabel.
“Non me ne frega un cazzo di quel fottuto invito, Bel. Tu fai quello che ti dico io.”
Amabel emise una risata nervosa, era più arrabbiata di prima.
“E’ questo il tuo problema. Sei un manipolare schifoso! Usi le persone fino a quando ti fa comodo e poi le getti vie quando non ti servono più!”  
Tommy non si scompose affatto, la sua espressione stoica non fu scalfita dagli insulti.
“Bene. Ora fa le valige e partite il prima possibile.”
“Amabel, per favore.” Sussurrò Grace in una preghiera. Amabel la trucidò con lo sguardo e la fece zittire.
“Io non prendo ordini da nessuno!”
“Sto cercando di proteggervi, cazzo! Voglio vedervi morte come John? No, cazzo! Adesso prepara le tue fottute valige e sparisci dalla mia vista!” gridò Tommy in risposta, furioso come poche volte. Amabel si sentì pungolare nell’orgoglio, detestava essere considerata una donzella in pericolo. Con disappunto lanciò nella valigia i suoi effetti personali senza tener conto del disordine, e in circa dieci minuti fu pronta. Si mise il cappotto, raccattò la borsa e impugnò il cappello. Prima di andare, si voltò verso Tommy con la furia negli occhi.
“Va all’inferno, Thomas Shelby.”
 
Tommy alle nove in punto arrivò in Victoria Street, uno dei punti nevralgici di Londra. Il The Albert era il locale dove si sarebbe tenuto l’incontro con i Meyer. Tastò la tasca della giacca in cerca di una sigaretta, se la fece passare sulle labbra e poi l’accese. Un’auto si fermò e l’autista fece scendere una figura vestita da un lungo abito nero da sera, era Lena.
Guter abend, Tommy. Wie geth es dir?”*
“Mettiamo da parte i convenevoli e andiamo al sodo.” Disse Tommy, intuendo che la ragazza lo avesse salutato in tedesco. Lena sorrise, sembrava un felino sul punto di accaparrarsi la preda.
“Che uomo deciso! Mi piaci, Tommy. Seguimi.”
Lena, invece di condurlo nel locale, lo guidò verso una porticina secondaria della sala principiale. Percorsero due rampe di scale, attraversarono un lungo corridoio, e infine si ritrovarono davanti ad una porta arcuata sorvegliata da due omoni. Questi si spostarono non appena riconobbero Lena. All’interno Tommy fu accolto da una miriade di volti che lo fissavano mentre stava dietro a Lena. Alcuni uomini fumavano, altri bevevano al bar, e altri ancora aspiravano strisce di cocaina con le banconote arrotolate. Lena si girò con un sorriso compiaciuto tenendo la mano intorno alla maniglia del privè, uno dei tanti del sottolocale.
“Eccoci. Fa attenzione a Noah, ha un carattere particolarmente irascibile.”
Tommy si limitò ad annuire, non era in vena di scherzare. Una volta entrato, studiò la situazione per sondare il terreno. Al centro della piccola stanza si collocava un tavolo rotondo a cui sedevano Lena, l’avvocato Walsh, Hans, uno dei lacchè di Meyer, e un signore dai capelli corti grigi e due vispi occhi neri. Era Noah Meyer. Però il suo sguardo fu attratto da una persona che non si sarebbe dovuta trovare lì: Amabel stava alle spalle di Noah, era illesa in apparenza, ma il suo pallido esprimeva il suo stato d’animo.
“Che ci fa lei qui?” chiese Tommy irrigidendo la mascella.
“Sta buono, Shelby. – disse Noah, la pronuncia contaminata dal forte accento tedesco – La tua ragazza pensava di scappare ma io l’ho portata qui prima che ci riuscisse. Sono un uomo saggio, vero?”
Tommy cercò di avvicinarsi a lei ma Hans scattò in piedi per impedirglielo.
“Lei non c’entra con questa storia. Gli affari sono affari, Meyer.”
Noah sorrise mostrando i denti, c’era qualcosa di terribilmente tetro nella sua faccia lunga e scarna. Tommy, un uomo da sempre impaziente, tirò fuori la pistola e la puntò alla testa di Hans.
“Lascia andare la ragazza oppure infilo un proiettile dritto nel cranio del tuo fottuto tirapiedi. Sono stato chiaro?”
Noah allora strattonò una corda e Amabel fu sbalzata in avanti. Tommy si rese conto che la ragazza aveva i polsi legati e che Noah la portava a spasso come fosse un cane.
“Io ho i soldi, io ho i tuoi immobili, e io ho la ragazza. Sono io che ho il potere, Shelby. Sono stato chiaro?” lo schernì Meyer, dopodiché strattonò ancora Amabel per enfatizzare il concetto. Tommy odiava essere sotto scacco, lui che dettava le regole e non rispettava mai quelle degli altri, lui che ammazzava prima di essere ammazzato. Lo sguardo atterrito di Amabel, però, lo convinse a rimettere a posto la pistola e a sedersi al tavolo.
“Esattamente cos’è che vuoi dalla mia famiglia? Sono mesi che ci soffi gli immobili e che ingrassi con i nostri soldi, ma non riesco a capirne la ragione.”
Noah lasciò la corda che legava Amabel alla sorella e puntellò i gomiti sul tavolo per essere più vicino a Tommy.
“Se tu e la tua ragazza conosceste il tedesco, a quest’ora avresti capito tutto leggendo i documenti che hai rubato dalla valigetta dell’avvocato.”
“Che cazzo vuoi, Meyer?”
“Billy Kimber. Derby Sabini. Padre Hughes. Vincente e Luca Changretta. Alfie Solomons. Questi sono i nomi dei miei clienti. Questi sono i nomi degli uomini che i Peaky Blinders hanno ucciso.” Disse Noah con voce controllata, sembrava stesse recitando un monologo. Tommy di colpo comprese tutto, era stato così cieco nei mesi precedenti a non vedere l’ovvio.
“Le banche svizzere. Tutti quei bastardi tenevano i loro soldi nelle banche svizzere e tu ti assicuravi che fossero al sicuro. Ora che sono morti la grana è diminuita e hai pensato di venire a Birmingham per vendicarti rubandomi gli immobili.”
“Perspicace.” Sussurrò Lena ridendo.
“E che c’entra Dominic Cavendish?” disse Amabel, che non era riuscita a trattenere la curiosità. Tommy la fulminò con gli occhi perché non voleva coinvolgerla più del dovuto, ma al tempo stesso capiva la sua preoccupazione per Evelyn. Noah bevve un sorso di scotch e si portò alla bocca un sigaro senza accenderlo; in lui tutto era calma apparente.
“Quando sono arrivato a Birmingham avevo bisogno di acquisire le informazioni che mi servivano sui Peaky Blinders in modo da fregarli meglio. Dominic e suo fratello sono due idioti e con una bella mazzetta mi hanno raccontato quello che c’era da sapere. Ah, a proposito, congratulazione per le nozze di vostra sorella.”
Amabel si scagliò in avanti con le dita protese per graffiare il volto di Noah, ma Lena la tirò indietro in tempo.
“Sta calma, cagna.” La minacciò Lena, e Amabel con un sospiro tornò al suo posto. Tommy nel frattempo aveva messo mano ad un’altra sigaretta e scrollava la cenere sul bel tavolo di mogano.
“Perché siamo qui, Meyer? Sono certo che tu voglia qualcosa da me per ripagarti delle perdite.”
Noah si alzò e camminò in tondo per la stanza, era visibilmente nervoso anche se cercava di mascherarlo.
“Corretto. Voglio che tutti i soldi dei Peaky Blinders vengano depositati nella banca presso cui lavoro. Inoltre, voglio essere pagato ogni mese per il resto della mia vita come forma di risarcimento. Devi farmi recuperare i soldi che ho perso, Shelby.”
“E che succede se rifiuto?”
Lena emise una risatina stridula, un segno di cattivo presagio, e Walsh al suo fianco trasalì. Noah sollevò un angolo della bocca rivolgendo un’occhiata ad Amabel.
“Succede che uccido la tua ragazza, uccido la tua famiglia e mi prendo tutta Birmingham. Ho molte risorse a mia disposizione, Shelby, e non ti conviene sottovalutarmi.”
Tommy guardò Amabel, stava tremando a causa del freddo che penetrava nel sottile vestito di cotone e si sfregava i polsi per massaggiare la pelle indolenzita. La guerra in Francia poteva anche essere finita, ma in quel momento si ritrovarono entrambi di nuovo sul campo di battaglia in lotta per la vita.
“Però, se accetto, la metà dei miei guadagni vanno a te, Meyer. Noi Shelby siamo restii a dare i nostri soldi a dei fottuti stronzi che vengono nella nostra città credendo che sia loro. Pensi davvero che io possa darti i miei cazzo di soldi nella mia cazzo di città?”
Noah, colpito nel vivo, spinse la canna della pistola contro la tempia di Tommy, ma tutto quello che ottenne fu un sorriso strafottente.
“Non sfidarmi, Shelby. Potrei scaricarti addosso i proiettili della mia cazzo di pistola!” gridò Meyer in preda alla rabbia. Tommy mosse gli occhi nella sua direzione con quel suo fare menefreghista.
“Inizia a sparare.”
Un boato distrasse Noah, che fece ricadere la mano con la pistola lungo il fianco. Lena aprì la porta del privè, trascinandosi dietro Amabel, e fu investita da un acre odore di polvere. Quando la nebbia polverosa pian piano si diramò, Amabel scorse Arthur e Michael camminare in testa ad un nutrito gruppo di uomini. I Peaky Blinders avevano fatto irruzione. Noah osservò il caos dilagare nell’altra stanza e sbatté un pugno contro la parete.
Flunch!*”
Hans puntò ancora la pistola contro Tommy, ma lui fu più veloce e gli tirò un pugno allo stomaco. Raccolse l’arma e la indirizzò verso Lena. La svizzera aveva lo sguardo atterrito ma non mollava la presa sulla corda che legava Amabel.
“Lasciala andare, oppure ti sfracello il corpo con questa cazzo di pistola.”
Amabel vide negli occhi di Tommy un baluginio perfido, l’oscurità si diramava in lui come i fili di una ragnatela. Per la prima volta ebbe paura di lui. No, non era più il Thomas che lei aveva conosciuto e salvato, questo era un diavolo con indosso un completo costoso. Intanto Arthur si era issato sul bancone del bar e stava calciando bicchieri e bottiglie che si frantumavano in un’infinità di vetri. Strinse la mano destra a pugno a mo’ di microfono e si lisciò i baffi mentre si schiariva la voce.
“Questo posto adesso appartiene a noi per ordine dei fottuti Peaky Blinders!
Gli altri membri della gang ulularono come lupi assetati di sangue.  I clienti del locale erano nel panico, correvano, tentavano di recuperare il denaro, ma i più sfortunati venivano picchiati dai Peaky Blinders. Amabel chiuse gli occhi per non dover assistere a quella violenza. Aveva vissuto la guerra e quella brutalità, eppure non si abituava mai. Tommy notò la sua reazione, gli occhi serrati e la curva disgustata delle labbra, e per la prima volta desiderò non essere il capo di una gang. Per la prima volta si vergognò di se stesso, del proprio atteggiamento violento, e desiderò di essere un uomo migliore. Un uomo degno di lei. Smarrito com’era nei suoi pensieri non si rese conto di Hans che gli si lanciava addosso. Tommy picchiò la testa contro il pavimento e imprecò per il dolore. Dal naso gli colava il sangue. Lena lo salutò con la mano prima di chiudersi nel privè con Amabel. Tommy aveva la vista appannata, sputò il sangue a terra nel tentativo di rialzarsi. Hans stava per colpirlo di nuovo quando una mazza lo tramortì al suolo. Arthur, con il viso sporco di sangue, gli sorrideva.
“Fratello.”
Tommy prese la sua mano per mettersi in piedi. Si appoggiò alla parete per respirare, e si tolse il sangue dal naso lasciando una striscia rossa.
“Quella mazza riesce ad aprire questa cazzo di porta?” chiese indicando con il mento la porta bloccata del privè. Arthur esaminò la porta e arricciò il naso.
“Nah, è fottutamente blindata. Cosa ti importa di una cazzo di porta? Abbiamo preso Meyer, andiamo a dargli una cazzo di lezione!”
“Amabel è lì dentro con Lena. Devo aprire questa cazzo di porta, Arthur.”
I due fratelli fecero scattare la testa verso la porta quando uno sparo rimbombò nella piccola anticamera del privè. Tommy subito tirò un calcio contro la maniglia nella remota speranza che si aprisse, ma quella restò chiusa.
“Fanculo!”
La risata di Lena riecheggiò e Tommy in risposta diede un pugno al muro.
“Lena, apri questa porta. Se non la apri, ti faccio saltare la testa!”
“Sta buono, Tommy. La tua ragazza sta bene, è solo … indisposta al momento.” Disse Lena, la cui voce arrivava ovattata a causa della porta. Arthur sputò a terra in un gesto di disprezzo.
“Facciamo saltare questa cazzo di porta. Ti ricordi ancora come funziona una bomba, Tommy? Eh, te lo ricordi?”
La mente di Tommy ricordò la Francia, i tunnel, le bombe, il fuoco, le urla di Freddie.
“Sì. Me lo ricordo. Sbrighiamoci prima che quella sociopatica del cazzo faccia qualche stronzata.”
Arthur saltellò sul posto, lieto di poter mettere sottosopra quel posto. Lui e Michael recuperarono due ordigni esplosivi che i Peaky Blinders trasportavano ogni volta che si muovevano in branco, una delle loro strategie per creare il caos. Tommy si spogliò della giacca e del panciotto restando solo in camicia, quindi si arrotolò le maniche ai gomiti e si mise una sigaretta in bocca per allentare la tensione. In venti minuti le sue mani esperte assemblarono i due ordigni in modo che esplodessero in contemporanea per abbattere la porta in fretta.
“Tommy, sei ancora là fuori? La tua ragazza sta perdendo molto sangue!” disse Lena, battendo il calcio della pistola per attirare la sua attenzione. Tommy si fermò per un istante, gli tremavano le mani e gli girava la testa, ma il pensiero di Amabel lo incitò a continuare. Come lei lo aveva salvato in Francia, adesso lui ricambiava il favore. Scacciò tutte le sensazioni negative che gli procurava assemblare le cariche, non aveva tempo di andare nel panico.
“Fatto.” Disse, e Michael gli diede una pacca sulla spalla. Arthur e un altro della gang sistemarono gli ordigni ai lati della porta e si allontanarono.
“Sfondiamo questa fottuta porta!” disse Arthur tirando su con il naso, una conseguenza dell’assunzione di cocaina che gli aveva consumato le narici. Tommy tese le sottili corde collegate alle bombe innescando l’esplosione. I cardini della porta furono divelti ma la superficie resisteva ancora, perciò Tommy afferrò la mazza dalle mani di Arthur e la martellò per indebolire la porta. Era accaldato, il sudore gli inzuppava i vestiti, e il respiro era affannato, però non demorse. Quando la porta si aprì il giusto perché una persona potesse entrare nel privè, Tommy vide Amabel seduta in un angolo con le ginocchia al petto e Lena che la minacciava con la pistola. Lo sparo di prima aveva conficcato il proiettile nel muro, era stata una farsa. Amabel osò guardarlo e lo vide sudato, bianco come un cadavere, e col viso rosso di sangue. Lena fece una giravolta e puntò la pistola contro di lui.
“Ah, Tommy, finalmente sei arrivato. Io e la tua ragazza ci stavano annoiando.”
“Lasciala andare. Non lo ripeterò una seconda volta.” Disse Tommy, le dita premute attorno alla mazza, gli occhi neri di rabbia. Lena rise.
“Sennò che fai? Mi punisci?”
“Sennò ti sfracasso le cervella con questa fottuta mazza fino a quando di te non rimarrà altro che poltiglia.”
Amabel sussultò, ora vedeva Tommy per quello che era: un uomo spezzato, ispirato dall’odio, incurabile. La maschera di coraggio di Lena si crepò, adesso era impaurita.
“Dov’è mio fratello Noah? Lo avete ucciso?”
“Non ancora. Dopo faremo una lunga chiacchierata con lui. Però, se tu lasci libera Amabel, io ti lascio andare. Hai la mia parola.”
Lena era come Tatiana, entrambe ad intascare il vantaggio migliore per se stesse. La ragazza ci pensò su, dopodiché sorpassò Tommy e andò verso l’uscita. Nessuno la inseguì. Tommy fece cadere la mazza e cinse le spalle di Amabel con le mani per farla alzare.
“Grace sta bene. Dovrebbe essere già arrivata a Birmingham. Gli uomini di Meyer per fortuna hanno preso solo me.” disse Amabel a bassa voce, ancora scossa da quanto era successo. A Tommy sfuggì un ghigno.
“Sei incredibile. Pensi sempre agli altri anche quando la tua vita viene minacciata.”
“Beh, lei aspetta un bambino e i bambini vanno sempre protetti, anche a costo della propria vita.”
Amabel trattenne il respiro quando si sfiorò i polsi. Tommy avvertì un estremo senso di protezione nei suoi confronti, e automaticamente le strinse le mani.
“Ti aiuto io.” le disse, e delicatamente sciolse i nodi attorno ai polsi. La pelle era rossa e gonfia e alcune stille di sangue spiccavano sulle vene. Tommy le ripulì le piccole ferite con un fazzoletto ricamato. Amabel strabuzzò gli occhi: quello era il fazzoletto che Bertha aveva ricamato per lei come portafortuna per la guerra. Difatti un lembo del cotone riportava le lettere AH.
“Thomas.” Sussurrò a corto di fiato, pareva aver corso per ore. Tommy sorrise mostrandole meglio il fazzoletto.
“E’ il tuo. E’ quello che mi hai regalato quando mi hanno dimesso dall’ospedale. Da allora lo porto con me tutti i giorni, in ogni occasione, per ricordarmi che sono vivo e che c’è una luce in fondo al tunnel.”
Amabel trovò azzeccato quel riferimento al tunnel, proprio lui che era stato maledetto dalle gallerie che aveva scavato.
“Il tunnel è buio. Non hai ancora trovato la tua luce, Thomas.”
 
Amabel salutò i Whitehouse e gli Anderson prima di abbandonare l’Athenaeum. Michael l’aveva riaccompagnata al club per darle la possibilità di farsi un bagno e indossare abiti puliti, mentre Arthur e Tommy erano rimasti al The Albert per cavare da Meyer le ultime informazioni. Però, quando Amabel uscì dal club, vide Tommy appoggiato alla portiera dell’auto con la sigaretta in bocca. I suoi abiti erano ancora polverosi e la sua pelle ancora sporca di sangue, ma tutto sommato sembrava illeso.
“Abbiamo recuperato le vostre valige in stazione, dottoressa.” Disse un uomo barbuto porgendole i bagagli. Prima che lei riuscisse a prenderli, Michael si fece avanti e li caricò in macchina. Amabel passò in rassegna i volti di tutti i Peaky Blinders, che dovevano essere circa una decina, inclusi quelli degli Shelby.
“Grazie. Ecco, vorrei ringraziare tutti voi per essere accorsi in mio aiuto. Non mi conoscete e non eravate obbligati a salvarmi, ma lo avete fatto comunque.”
“Siete la dottoressa di Small Heath! Avete salvato la vita dei nostri figli con i vaccini e vi prendete sempre cura dei nostri malati senza chiedere denaro. Siete una Peaky Blinders!” disse Arnold, il padre di uno dei bambini a cui Amabel aveva prestato soccorso. Gli uomini si misero a ridere per il rossore che tingeva le gote della dottoressa, era come una rosa in un campo di pietre.
“Siete una di noi adesso.” Aggiunse Arthur mettendole in testa il proprio cappello. Amabel rise e gli restituì il cappello, non era pronta ad essere un membro della gang.
“La festa è finita. – disse Tommy, le mani in tasca, l’espressione dura – Si torna a Birmingham.”
Rapidamente i Peaky Blinders salirono nelle auto, e Amabel fu costretta a compiere il viaggio insieme ad Arthur, Tommy e Michael. Il tragitto su silenzioso, eccezione fatta per le sporadiche battute di Arthur, e Amabel fissò gli occhi sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. Tommy, invece, non staccò gli occhi da lei.
 
Diana andò in cucina per bere e, accendendo la luce, vide Amabel seduta sulla sedia a dondolo della madre.
“Amabel.”
La sorella alzò il capo, aveva gli occhi stanchi ed era molto pallida, ma sorrise comunque.
“Ciao, bellezza.”
Diana si gettò tra le sue braccia e Amabel fu grata per il calore che stava ricevendo da quell’abbraccio. Arthur l’aveva accompagnata sino a casa e Michael l’aveva aiutata a portare e valige, mentre Tommy si era limitato a scendere dall’auto per fumare. Quando era arrivato il momento dei saluti, Tommy le aveva fatto un semplice cenno del capo e lei aveva sospirato. Poi si era seduta in cucina a luce spenta per sgomberare la mente da quello che era successo.
“Come mai sei già tornata? Ti aspettavamo per domani mattina. Il convegno è finito prima?”
“Sì. – mentì Amabel – E’ finito prima del previsto e ho deciso di rientrare perché tu, Evelyn e Bertha mi mancavate.”
Diana si accorse degli occhi umidi della sorella e l’abbracciò più forte.
“Bel, stai bene? Sei turbata. E’ successo qualcosa?”
Amabel simulò una finta risatina e scosse la testa, non voleva che la sorella appena sedicenne venisse risucchiata dai suoi guai.
“A Londra ho rivisto Clive e ho pensato a Warren, e questo mi ha resa un po’ triste. Nulla di cui preoccuparti. Lo sai come sono, ripenso sempre al passato.”
“Allora ti serve un po’ di riposo. Dai, puoi dormire con me stanotte.”
Diana le fece spazio nell’ampio letto e Amabel si accoccolò contro la sua spalla, almeno per una volta voleva smettere di essere una adulta e lasciarsi cullare.
 
Tommy sorseggiava in tutta calma il suo whiskey mentre guardava la luna piena risplendere nel cielo di Birmingham. La casa era immersa nel silenzio, i ragazzi erano andati a bere per festeggiare, ma lui aveva deciso di restare da solo. Da poco Arthur aveva fatto ritorno dopo aver scaricato il corpo di Meyer sulla barca di zio Charlie che poi l’avrebbe buttato in mare aperto. Finalmente si era riappropriato di tutti gli edifici che lo svizzero gli aveva sottratto e poteva tirare un sospiro di sollievo, eppure c’era qualcosa che gli rimbombava nelle ossa.
“Come mai tutto solo?”
Polly stava poggiata contro lo stipite della porta e fumava, era l’unica che non si era unita ai festeggiamenti.
“C’è una cosa che devo dirti, Polly. Arthur e il resto della famiglia non lo dovrà mai sapere.” Disse Tommy voltandosi con la fronte aggrottata.
“Cazzo.” Commentò Polly, dunque si sedette sulla scrivania in ascolto. Tommy bevve il whiskey direttamente dalla bottiglia, era troppo esausto per mettere in pratica le buone maniere.
“Prima che conficcassi un proiettile nel cuore di Meyer, mi ha confessato un segreto. Dominic Cavendish ha detto a Changretta dove trovare John il giorno del suo assassinio. Quello stronzo ha contribuito alla morte di mio fratello.”
Polly non disse nulla, fissava con gli occhi iniettati di sangue la superficie di legno su cui sedeva. Ripensare a John faceva male, e ancora più doloroso era la consapevolezza di non averlo salvato in nessun modo. La loro famiglia aveva affrontato nemici di ogni genere ma un nemico in particolare non poteva essere sconfitto: la sorte.
“Devi fargliela pagare, Tommy. Giuralo sulla vita del figlio che sta per nascerti.”
Tommy spostò lo sguardo fuori dalla finestra sulla strada popolata da ragazzi e bambini sorridenti.
“Lo giuro.”
Era iniziata l’ennesima guerra.
 
 
Salve a tutti!
I Peaky Blinders hanno mostrato di cosa sono capaci tra esplosioni, sangue, e proiettili. La dottoressa ormai è un membro della gang, volente o nolente.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
*’Buonasera, Tommy. Come stai?”
*’Dannazione!”

 

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Capitolo 8
*** Voci feroci ***


8. VOCI FEROCI

“I know that you know this life is shit but maybe I could keep you company.
This may killing us, but at least it kills the pain.”
(All the Black, Cat Clyde)
 
Due settimane dopo
Il cielo di Birmingham era di un azzurro limpido che invogliava tutti a uscire e a godersi i primi giorni di maggio. Le strade erano affollate, e alcuni carretti di gelati servivano nutrite folle di bambini. Amabel beveva placidamente il suo caffè mentre Evelyn e Diana dividevano un pasticcino coperto di glassa alle fragole. Quella mattina aveva deciso di portare le sorelle fuori a colazione, lasciando a Bertha un po’ di tempo per se stessa, per ritrovare la pace che era venuta a mancare nei giorni precedenti. Dopo Londra non aveva avuto più notizie di Tommy, non l’aveva nemmeno incrociato a Small Heath, e né tantomeno aveva chiesto di lui in giro. Se Tommy non voleva essere disturbato, lei lo avrebbe rispettato. Era un uomo riservato, sempre invischiato in qualche malaffare, e soprattutto era impegnato con Grace. Immaginava che fossero tornati insieme per via della gravidanza ma non aveva visto nemmeno lei, pertanto era possibile che si fossero isolati per ritrovarsi.
“Bel, ci sei?”
Diana le scosse il braccio per risvegliarla dai suoi pensieri.
“Sì, ci sono. Scusatemi. Di che stavate parlando?”
“Del nuovo spasimante di Evelyn.” Disse Diana dando una lieve gomitata nelle costole alla sorella. Evelyn avvampò, i capelli biondissimi in netto contrasto con le gote rosse.
“Non è vero. Ehi, vi ricordo che sono fidanzata ufficialmente!”
Amabel sorrise compiaciuta, il suo piano stava andando a gonfie vele. Evelyn era testarda come il padre, ma era anche molto romantica e avrebbe ceduto al fascino di un misterioso ragazzo.
“I fidanzamenti si posso sempre sciogliere. Dunque, qualche ragazzo ti fa la corte?”
“Forse.” Rispose laconica Evelyn, poi scoppiò in una risatina nervosa. Diana rise del suo imbarazzo mentre si abbuffava di dolci.
“Avanti, diglielo!”
“Beh, si chiama Michael. L’ho incontrato per caso dal fioraio, stava comprando dei fiori per la madre malata. E’ molto cortese, educato ed è … oh, è semplicemente bellissimo!” disse Evelyn con occhi sognanti, portandosi le mani sul cuore come la protagonista di un romanzo rosa. Amabel represse una risata al pensiero di Michael che si fingeva un ragazzo preoccupato per la madre malata.
“L’altro giorno le ha spedito cento rose rosse. Audace!” disse Diana muovendo su e giù le sopracciglia. Evelyn la fulminò con lo sguardo per poi ridere ancora. Amabel fu sopraffatta da una sensazione negativa, si era persa molti pezzi della vita delle sorelle tra un viaggio e l’altro per evitare di tornare a casa. Si sforzò di sorridere per non apparire amareggiata.
“Cento rose rosse sono una chiara dichiarazione d’affetto, Evelyn. Sta attenta, oppure questo giovanotto in un batter d’occhio ti ruberà il cuore.”
“A proposito di amore, tu non hai nessun uomo tra le mani?” chiese Evelyn, la testa poggiata su una mano e il sorriso divertito.
“No, nessun uomo nella mia vita. C’è spazio solo per voi, le mie donne preferite!” replicò Amabel con tono canzonatorio. Per un attimo sentì le mani di Tommy addosso, le sue labbra screpolate, il suo respiro sul collo, e rabbrividì. Non poteva permettersi di pensarlo, non dopo la brutalità con cui lo aveva visto agire. Diana captò la sua improvvisa tristezza e le sfiorò la mano sotto il tavolo.
“Sono sicura che Bel troverà qualcuno che la amerà con tutto il cuore, proprio come merita.”
“E che la sopporterà!” aggiunse Evelyn ridendo. Amabel le diede un buffetto sulla testa, sebbene ridesse insieme a lei.
“Sei davvero terribile, Evelyn!”
Il clima allegro fu spezzato da un urlo agghiacciante che risuonò in tutta la piazza della città. Diana ed Evelyn sussultarono e si strinsero intorno ad Amabel.
“Che succede?” disse la più piccola, che stava tremando come una foglia.
“Evelyn resta con Diana, e non muovetevi per nessuna ragione. Vado a controllare se qualcuno ha bisogno di un medico.”
Amabel si fece strada tra i passanti che si erano riuniti davanti al municipio. Le madri coprivano gli occhi dei figli, altre persone mantenevano lo sguardo basso, e altri ancora si allontanavano a passo spedito.
“Sono un medico! – gridò lei, sollevando le mani per farsi vedere – Spostatevi.”
La sua bocca automaticamente si spalancò per l’orrore della scena. Sulle scale, afflosciato come un fiore, stava Dominic Cavendish. Aveva il volto ricoperto da piccole ferite e gli avevano amputato le mani. Sulla fronte era stata deposta una piccola lametta. Amabel tastò il polso e il collo ma non c’era più battito e, date le condizioni, Dominic doveva essere morto almeno cinque ore prima. 
“Io lo so chi è stato. Quella gente è spietata!” esclamò una donna dalla folla, teneva il viso del figlio premuto contro la spalla.
“Sono dei mostri!” disse un uomo con indignazione.
Amabel capì al volo: la lametta era un evidente segno che erano stati i Peaky Blinders ad assassinare Dominic. La vettura della polizia parcheggiò lungo il marciapiede e due agenti si precipitarono sulla scena. Mentre uno allontanava i curiosi, l’altro si chinava sul corpo.
“Dovete allontanarvi, signorina.”
“Sono un medico. Mi chiamo Amabel Hamilton.”
L’agente aggrottò la fronte con sguardo pensoso.
“Vostra sorella era la fidanzata di Jacob Cavendish?”
Amabel si mise in piedi con uno scatto, terrorizzata da quella domanda. Temeva che lei e sua sorella fossero capitate in qualche brutto guaio.
“Sì. Aspettate, avete detto ‘era’?”
“Ecco, signorina Hamilton … Jacob Cavendish è stato trovato morto questa mattina all’alba nell’azienda di famiglia. E’ morto per le stesse cause che hanno ucciso Dominic, mani mozzate e ferite multiple al viso. Voi avete qualche idea di chi possa essere stato?”
Amabel si passò le mani tra i capelli, era nel panico totale. Bertha aveva avuto ragione sin dall’inizio: non avrebbe mai dovuto stringere un patto con i fratelli Shelby. Però era assurdo che Tommy avesse compiuto un’azione che avrebbe potuto mettere lei e le sue sorelle in pericolo, pertanto doveva essere successo qualcosa di terribile di cui non sapeva nulla.
“No, no. Non ho nessuna idea. Io sono tornata dall’America più o meno tre mesi fa. Conoscevo poco i Cavendish.”
Amabel si morse l’interno della guancia quando si accorse di avere in mano ancora la lametta che avrebbe incriminato gli Shelby, e iniziò a sudare più del dovuto. Se la infilò in tasca senza pensarci troppo. Sebbene quegli omicidi fossero barbari, nel profondo era contenta di essersi liberata dei Cavendish. La morte di Jacob annullava il matrimonio ed Evelyn poteva finalmente chiudere quel capitolo della sua vita.
“Dovremo parlare con vostra sorella. Volete che una vettura vi accompagni in questura?” chiese l’agente.
“No. – disse subito Amabel – Ho bisogno di privacy per comunicare la sventura a mia sorella. Tra un’ora saremo in questura, non vi preoccupate.”
“Certo, capisco. Potete andare. Ah, signorina, condoglianze.”
Amabel annuì e rapidamente svanì dalla vista degli agenti. Diana e Evelyn si alzarono non appena la videro ritornare.
“La tua faccia la dice lunga.” Bofonchiò Diana, ed Evelyn si avvinghiò ancora di più al suo braccio. Amabel era seria come mai prima d’ora, la tensione era stampata sul suo viso tanto da distorcerle i tratti.
“Abbiamo un problema. Un grosso problema.”
“Sarebbe?”
“Dominic e Jacob sono morti. Qualcuno li ha assassinati.”
Evelyn ricadde sulla sedia della pasticceria e l’attimo dopo stava piangendo a dirotto. Diana, benché non provasse simpatia per i Cavendish, aveva gli occhi umidi.
“Non è il momento di piangere, ragazze. So che è brutto ma …”
“Sei stata tu. E’ colpa tua, non è vero?” disse Evelyn tra i singhiozzi. Amabel spalancò la bocca per la sorpresa.
“Pensi davvero che io possa uccidere due persone? Sono un medico, perbacco! Io salvo le persone!”
Evelyn pianse più forte mentre Diana le asciugava invano le lacrime.
“Ah, sì? Tu odiavi Dominic e Jacob per quello che mi aveva fatto, è un movente perfetto.”
Amabel sapeva di essere colpevole in parte. Era stata lei a coinvolgere Tommy nelle sue faccende di famiglia e doveva aspettarsela una mossa del genere. Le mani di entrambi, quelle con cui avevano picchiato Evelyn, erano state tranciate come una punizione.
“Evelyn … io … mi dispiace.”
“Non puoi parlare così. – intervenne Diana con voce ferma, inconsueta per i suoi sedici anni – Se dici alla polizia che i Cavendish ti picchiavano, tu e Amabel sareste le prime sospettate. Devi fingerti la fidanzata perfetta. So che è difficile, ma devi farlo.”
Amabel la ringraziò con gli occhi. Era necessario restare lucide.
“Evelyn, per favore.” Sussurrò Amabel con voce esasperata dall’ansia. Evelyn alzò lo sguardo su di lei e annuì piano. Nonostante tutto, non era più prigioniera di un fidanzato violento e poteva tornare e vivere come una ragazza normale.
“Va bene. Dimmi esattamente cosa devo fare.”
 
Il sorriso di Bertha svanì quando le ragazze rincasarono con le facce scure e gli occhi lucidi.
“Per carità del cielo, che cosa vi è capitato?”
Evelyn scoppiò di nuovo a piangere e Diana prontamente la sorresse. Erano state interrogate tutte e tre dalla polizia per circa due ore. Amabel aveva finto di singhiozzare e ora le faceva male la gola, dunque andò in cucina per versarsi un bicchiere di acqua fresca. Bertha le mise le mani intorno ai gomiti come quando era bambina e voleva convincerla a sfogarsi.
“Signorina, cosa è successo? Sapete che con me potete parlare.”
Amabel d’istinto infilò la mano in tasca e la lametta le graffiò il palmo, ma non trasalì per il dolore, anzi era un modo per distrarsi dallo sguardo penetrante della governante.
“Dominic e Jacob sono stati assassinati. Io e le ragazze siamo state interrogate in questura.”
Bertha si portò le mani sulla bocca aperta per lo stupore e scosse la testa. In quel momento con il viso corrucciato e i capelli grigi sciolti sembrava molto vecchia.
“Oh, povera Evelyn. E voi come state? So che non provavate particolare simpatia per i Cavendish, ma immagino che la notizia vi abbia turbata.”
“Già. Sì, è così.” Mentì Amabel, poi bevve altra acqua per porre fine alla conversazione. Diana entrò in cucina con le lacrime agli occhi.
“Evelyn è a pezzi. Smetterà mai di piangere?”
Bertha l’abbracciò e le baciò la testa, in fondo era la piccola di casa e andava ancora coccolata.
“Andrà meglio col tempo, bambina mia. Il dolore prima o poi si placherà.”
Amabel serrò le mani intorno al bicchiere e quasi sentì il vetro scricchiolare. Oppure era la sua coscienza che stava andando in frantumi? Non seppe dirlo con certezza.
“Devo parlare con voi. Aspettatemi in salotto.”
Bertha e Diana eseguirono e, dopo aver aiutato Evelyn a sedersi sul divano, attesero l’arrivo di Amabel. La ragazza fece dei lunghi respiri, il cuore batteva forte e le pulsavano le tempie. Quando raggiunse le altre, si sentì di colpo spinta dal coraggio. Evelyn aveva smesso di piangere e adesso si asciugava le lacrime meglio che poteva con le maniche del vestito. Amabel non si sedette, anzi rimase in piedi davanti a loro con postura dritta e rigida. Come le diceva sempre sua madre, doveva affrontare ogni avversità con il giusto portamento.
“Negli ultimi mesi vi ho mentito in continuazione. Mi sono comportata come non avrei dovuto e ogni giustificazione è inutile. Lo studio medico di papà si trova a Small Heath, che ai suoi tempi era un quartiere importante, mentre oggi è un covo di criminali che sguazzano nell’illegalità. Rischiavo di perdere lo studio per colpa di una faida di Small Heath ed è stato allora che ho avuto i primi contatti con i Peaky Blinders. Si tratta di una gang e sono guidati dalla famiglia Shelby. Tutte noi conosciamo un membro della famiglia: Thomas, Michael e Finn. Ho stretto un patto con Thomas qualche tempo fa: io lo avrei accompagnato a Londra per un affare se lui avesse permesso al cugino Michael di sedurre Evelyn. Volevo che Evelyn si invaghisse di Michael e lasciasse Jacob dopo quello che lui e il fratello le avevano fatto. Le cose, però, non sono andate come avevo previsto. Non credevo che i Cavendish sarebbero morti. E’ colpa mia, Evelyn ha ragione. Ho portato io i Peaky Blinders nella nostra vita, ho lasciato che si prendessero ogni diritto, che ammazzassero per conto mio. Le mie mani sono sporche del sangue di Dominic e Jacob.”
La voce di Amabel non aveva mai tentennato, ma nei momenti cruciali del racconto si era un poco incrinata.
“Io lo sapevo.” Ammise Diana con un sospiro. Bertha la guardò incredula.
“Come fai a saperlo?” domandò Amabel, che frattanto aveva preso posto sullo sgabello del pianoforte. Diana si morse le labbra tirandosi una ciocca castana di capelli.
“Finn mi ha confessato tutto. All’inizio mi aveva detto che i suoi fratelli si occupavano di cavalli, ma non mi convinceva il fatto che lui fosse analfabeta. Gli Shelby sono ricchi, vanno vestiti bene, frequentano locali lussuosi, ma sono mezzi analfabeti e vivono in quartiere degradato? Era strano! Finn alla fine ha ceduto e mi ha detto chi è veramente la sua famiglia. Mi ha anche detto che eri a Londra con suo fratello e che Michael era rimasto per Evelyn.”
“Io vi avevo espressamente detto di non immischiarvi con i Peaky Blinders!” sbraitò Bertha verso Amabel. La ragazza inarcò le sopracciglia come una bambina che veniva rimproverata.
“Beh, avevo già stretto un altro patto con loro quando mi hai dato quel consiglio. Mi dispiace. Io … io ho combinato un disastro. Però non vedevo altre vie d’uscita! Non potevamo perdere lo studio di papà e non potevamo perdere Evelyn!”
“Smettila di parlare di me come se fossi la principessina idiota di una favola!” gridò Evelyn alzandosi dal divano come una furia. I capelli biondi ondeggiavano intorno a lei ad ogni passo come fossero un mantello dorato.
“Ascoltate, so di aver commesso un grave errore. E so anche che tenervi all’oscuro di tutto è stato anche peggio, ma dovete capire che non c’erano altre soluzioni.”
“Ah, quindi far sì che tua sorella venisse sedotta da un criminale è l’unica soluzione che ti è venuta in mente? Tu hai perso la ragione, Amabel!”
Evelyn non era mai stata tanto arrabbiata come in quel momento. Zia Camille le ripeteva sempre che una donna della loro levatura non deve mai lasciar trapelare la rabbia in quanto è un sentimento che non si addice alle signore per bene. Amabel si lisciò nervosamente le pieghe della gonna e tornò a sedersi, altrimenti le gambe non avrebbero retto tutta quella tensione.
“Sì, era l’unica soluzione. Se non avessi conosciuto Michael, avresti mollato Jacob? No, lo avresti sposato e ti saresti lasciata pestare a sangue da lui e da suo fratello. Saresti stata la loro bambola di pezza con cui divertirsi. Forse gli Shelby non sono gli unici criminali di questa città, non credete?”
“Bel non ha tutti i torti.  – disse Diana beccandosi un’occhiataccia da Bertha – In fondo gli Shelby non sono così male. Cioè, almeno Finn è un tipo apposto.”
“Noto che quegli zingari hanno fatto il lavaggio del cervello anche a te!” disse Evelyn scrollando la testa.
“Ehi, il fatto che siano zingari non significa niente. Non essere razzista.” La riprese Amabel, che detestava i pregiudizi di quel genere. Evelyn incrociò le braccia sotto il petto con fare indispettito.
“Io li chiamo come mi pare quegli schifosi malavitosi! Hai capito, sorella? Non mi importa di te e di loro, né tantomeno delle tue stupide ragioni!”
“C’è molto di più, vero? Ditelo, signorina.” Intimò Bertha, e Amabel si sentì pungolare nel vivo.
“Sì, c’è molto di più. Vi ricordate il soldato che ho curato in Francia? Quello ustionato a causa di un esplosivo piazzato male? Ebbene, quel soldato è Thomas Shelby.”
Il silenzio di colpo investì il salotto. Sembrava che il tempo si fosse fermato per qualche minuto. Amabel sentiva tutti gli occhi puntati addosso e abbassò lo sguardo in imbarazzo.
“Tu sette anni fa hai salvato l’uomo che oggi regna su Birmingham? Oh, santo cielo!” esclamò Evelyn, la cui rabbia sembrava scemata di poco. Diana, invece, era totalmente allibita.
“Thomas è il Tommy di cui ci hai sempre parlato? E’… incredibile. Il destino vi ha voluto insieme a tutti i costi!”
“Questa è una visione troppo romantica di considerare la situazione.” Disse Amabel con un mezzo sorriso. Evelyn si soffermò davvero sulla sorella maggiore per la prima volta da quando era tornata da New York: i capelli castani erano più lunghi, le guance più scavate, i polsi più sottili, e i suoi occhi apparivano più tristi del solito. Amabel era sempre stata quella forte della famiglia, quella con il carattere d’acciaio e il cuore di una leonessa, eppure ora sembrava tanto stanca.
“Hai ragione, sai. Mi sarei lasciata picchiare da Jacob e Dominic perché zia Camille dice che una buona moglie accetta ogni comportamento del marito e lo rispetta comunque.”
Amabel guardò Evelyn e l’attimo dopo corse ad abbracciarla.
“Evelyn, perdonami. Sono stata meschina, però l’ho fatto solo per proteggerti. Scusami. Scusami. Scusami.”
“Non importa, Bel. Ti capisco. A mali estremi corrispondono estremi rimedi.”
Diana sorrise nel vedere le sorelle riappacificarsi e si unì all’abbraccio. Amabel le baciò la testa e la strinse forte.
“Io farei qualsiasi cosa per voi. Sacrificherei la mia vita per farvi stare bene. Siete le mie ragazze e devo difendervi sempre.”
Bertha si asciugò col grembiule una lacrima perché, se c’era una cosa che desiderava, era quella che le tre sorelle rimanessero insieme.
“Però lo sai che non possiamo restare qui. Non dopo tutto che è successo.” disse Evelyn staccandosi dall’abbraccio. Amabel aggrottò la fronte.
“In che senso?”
“E’ meglio se io, Diana e Bertha ci trasferiamo a Londra. Io potrei continuare gli studi universitari e Diana potrebbe iscriversi in un’ottima scuola. Birmingham non è un posto sicuro per noi. Inoltre, tu dovresti venire con noi o tornare a New York.”
Gli Hamilton possedevano una piccola casa a Londra in un quartiere benestante, nella stessa strada dove abitavano i Whitehouse.
“Evelyn!” disse Diana, gli occhi sgranati, la bocca semiaperta.
“Evelyn ha ragione. – disse Amabel – Questa città non fa più per noi. Siamo coinvolte negli affari sporchi di Small Heath, il matrimonio è stato annullato, e lo studio di papà ha ormai perso la sua funzione originaria. Non c’è più niente per noi a Birmingham.”
“E questo che vuol dire?”
“Questo vuol dire che settimana prossima lasceremo la città.”
 
 
Erano all’incirca le undici di sera quando squillò il telefono. Amabel, che stava leggendo il terzo libro delle Elegie di Properzio, sobbalzò per lo spavento. Si diresse in cucina, dove era stato impiantato l’apparecchio, e alzò la cornetta.
“Casa Hamilton. Pronto?”
“Bel.”
La voce di Tommy era affannata, respirava in modo concitato, e Amabel ghiacciò sul posto.
“Thomas, non è un buon momento.”
“I-io ho bevuto molto e … e ho anche fumato roba pesante … Bel, ho bisogno di te.”
“Thomas …”
“E’ la guerra, Bel. Vieni.”
Tommy non era il tipo da supplica e questo mise Amabel in allarme. Se c’era in ballo la guerra, allora era urgente.
“Dammi l’indirizzo. Sto arrivando.”
 
Bel parcheggiò nel vialetto e aprì l’ombrello poiché, mentre guidava, era venuto giù un temporale spaventoso. Era la prima volta che vedeva casa di Tommy, era fuori città, sontuosa e rustica, proprio come piaceva a lei. Bussò e attese qualche istante, poi la porta si aprì e sbucò il volto atterrito di una giovane ragazza.
“Ehm, scusatemi … io sto cercando il signor Shelby. Forse ho sbagliato indirizzo.”
“E’ questa sua. Io sono la sorella Ada.” Rispose la ragazza, e nei suoi occhi esplose la stessa determinazione dei fratelli. Ada si fece da parte per farla accomodare. Il calore della casa fu ristoratore.
“Thomas mi ha chiamato poco fa dicendo di aver bisogno di me.”
“E’ nel suo studio. Ho provato a entrare ma si è chiuso dentro. Sono davvero preoccupata per lui.”
“Non dovete. Sono un medico, adesso ci penso io. Sarà meglio per voi tornare a casa, signorina Shelby.”
Ada annuì infilandosi il cappotto mentre Amabel abbandonava l’ombrello bagnato all’entrata.
“Il mio autista mi aspetta dall’altra parte della strada. Tommy ha il mio numero scritto in rubrica, vi prego di chiamarmi appena le acque si saranno calmate. Zia Polly dice che ci possiamo fidare di voi.”
Amabel rimase spiazzata, Polly non sembrava averla particolarmente in simpatia ma ora addirittura le affidava la vita del nipote. Posò le mani sulle spalle di Ada e annuì.
“Potete fidarvi di me. Vi darò notizie di Thomas non appena starà meglio.”
Ada gettò un’occhiata pensierosa alle sue spalle, quasi tentata di non lasciare il fratello, e poi sgattaiolò fuori dalla casa. Amabel bussò piano alla porta dello studio e appoggiò l’orecchio sulla superficie per captare qualche suono.
“Thomas, sono Amabel. Sono qui. Aprimi.”
Trascorsero circa dieci minuti prima che Tommy si facesse vedere. Era pallido e aveva gli occhi cerchiati di nero, emanava un pessimo odore di sudore e oppio misto ad alcol e tabacco.
“Bel.” disse Tommy a bassa voce, sembrava non riuscisse neanche a parlare.  Quando Amabel gli toccò le guance, avvertì un intenso calore.
“Thomas, hai la febbre. Devi metterti a letto.”
Tommy sprofondò il viso nelle mani fredde della ragazza in cerca di refrigerio per l’anima e per il corpo. Amabel notò tre bottiglie vuote di whiskey, una pipa per fumare l’oppio giaceva sul tappeto, e svariati fogli erano rovesciati sul pavimento.
“Dov’è la tua camera? Hai bisogno di riposare. Ti accompagno.”
Lentamente, incespicando più volte sulle scale, raggiunsero la camera padronale. Era una grande stanza ammobiliata da un letto, uno scrittoio, pesanti tende azzurre e con un lampadario lucente al soffitto. Tommy cadde sul letto con un gemito di dolore, sentiva il corpo andare a fuoco.
“Bel …”
“Sono qui.” disse lei, aiutandolo a togliersi le scarpe e il panciotto, dopodiché lo aiutò a sistemarsi contro i cuscini. In bagno riempì una tinozza di acqua fredda e si sedette accanto a lui sulla sedia dello scrittoio. Intinse un panno nell’acqua e glielo pose sulla fronte accaldata.
“Ada dov’è?”
“E’ andata a casa. Le ho promesso di avvisarla quando ti sarai ripreso.”
“Io non mi riprenderò mai. La guerra è rimasta con me, me la porto dentro come un proiettile che non può essere estratto.” Disse Tommy, la voce roca per la gola secca, gli occhi socchiusi. Amabel gli accarezzò l’occhio livido per colpa di Clive con tenerezza.
“Che cosa è successo? Parla con me, Thomas.”
“Le voci. Sento le voci. Durano tutte la notte, e io me ne sto da solo e sento le pale cozzare contro queste fottute pareti. E prego. Prego che il sole sorga prima che irrompano nella stanza. E poi sento le urla, il fuoco, il sangue che mi imbratta le mani, e sento la terra sotto le unghie. Vedo infiniti tunnel davanti a me che non mi lasciano scampo. Grido, mi dimeno, corro, ma resto sempre fermo. E ancora sento la morte che incombe su di me senza prendermi, e io supplico che mi prenda.  Voglio solo che il mondo smetta di girare. Voglio la pace intorno a me. Allora mi stordisco con l’alcol e l’oppio per mettere a tacere la mente, e a poco a poco tutto svanisce e io resto inerme aspettando un nuovo giorno.”
Amabel rabbrividì a quelle parole, pesavano come macigni sul cuore e le schiacciavano lo sterno soffocandola. Ripensò alla notte in cui lo aveva salvato, erano seduti vicini, le mani unite, mentre in mondo attorno a loro andava a rotoli.
“Perché questa volta l’alcol e l’oppio non hanno funzionato? Forse sei arrivato ad un punto di non ritorno.” Gli disse, imbevendo di nuovo il panno nell’acqua. Tommy afferrò la sua mano e se la mise sul cuore che batteva veloce.
“Non hanno funzionato perché adesso ho bisogno di te più che mai. Solo tu puoi guarirmi, Bel. Solo tu.”
Amabel si tirò indietro con un sospiro e distolse lo sguardo. Era stata una giornata faticosa e sembrava non voler finire più, ma lei era tanto stanca e non aveva più la forza di lottare.
“Non è così facile.”
Gli occhi di Tommy erano arrossati e il sudore gli colava lungo il collo finendogli dentro la camicia. Era febbricitante come lo era stato solo durante la convalescenza di ritorno dalla Francia.
“Tu rendi tutto più sopportabile, Bel.”
Amabel gli scostò una ciocca dalla fronte e d’istinto gli baciò la guancia.
“La temperatura sta aumentando. Vado a recuperare la mia valigetta all’ingresso.”
Amabel cercò di alzarsi ma Tommy l’agguantò per il polso costringendola a sedersi.
“Non te ne andare. Resta con me.”
Era la stessa richiesta che le aveva rivolto la sera dell’incidente sette anni prima. Amabel deglutì e avvertì un pizzicore alla gola, era il segno che le lacrime volevano fuoriuscire, ma si trattenne per il bene di Tommy.
“Resterò con te.” promise, e si distese accanto a lui sul letto. Le lenzuola odoravano di lui, di whiskey e colonia. Tommy aveva la pelle d’oca e tremava, al che lei lo coprì meglio con la coperta.
“Placa i miei demoni, Bel. Fammi sentire solo la pace.” sussurrò Tommy portandosi la mano della ragazza sulla fronte cocente. Fu allora che Amabel sfidò la ragione. Si chinò su di lui e gli baciò a stampo le labbra ma Tommy approfondì il contatto spingendo la testa verso di lei. La bocca di lui era secca e screpolata per via delle febbre, la dolcezza del whiskey si miscelava all’amarezza dell’oppio. Amabel si staccò e passò il pollice sulle labbra di Tommy per togliere i residui dello stupefacente. Tommy le baciò il palmo della mano e sorrise, per un secondo sembrò il ragazzo di sette anni fa.
“Ora hai davvero necessità di rimetterti in forze. Ti preparo qualcosa da mangiare. Posso lasciarti per un po’?”
“Vengo con te.” disse lui. Si mise in piedi a fatica e la ragazza lo aiutò a scendere di sotto, dunque lo fece distendere sul divano e accese il caminetto. Amabel raccattò del pane dalla dispensa e lo farcì con il miele.
“Non ho trovato di meglio.” Si scusò quando gli mise il piatto in mano. Tommy depose il piatto sul tavolino di vetro al lato del divano e affondò la guancia nel cuscino.
“Non ho fame.”
Amabel si inginocchiò al suo fianco, prese la fetta di pane e ne staccò un pezzo.
“Devi mangiare. Dai, fallo per me.”
“E va bene.”
Tommy spalancò la bocca e Amabel lo imboccò, era imbarazzante ma intrigante al tempo stesso. Dopo che ebbe mangiato, Amabel continuò con gli impacchi freddi. L’effetto dell’oppio e dell’alcol era ancora in circolo e non poteva fargli assumere alcun medicinale.
Prese posto sul divano e Tommy poggiò la testa sulle sue gambe. Lei gli accarezzava i capelli nel tentativo di farlo rilassare
“Prova a dormire. Io resto qui.”
Tommy dopo pochi minuti crollò in un sonno profondo, e Amabel si alzò per andare in cucina a prepararsi un the, sebbene non amasse in modo particolare la bevanda. Fece un giro della casa, curiosò nello studio e nella camera di Tommy, frugò nell’armadio e nei cassetti, ispezionò la credenza degli alcolici. Dovevano essere trascorse almeno un paio d’ore quando Amabel udì un grido proveniente dal soggiorno. Trovò Tommy rannicchiato sul pavimento che si teneva la testa fra le mani, strillava e piangeva.
“Basta! Basta! Cazzo! No! Freddie, no!”
Amabel scivolò sul pavimento di fronte a lui e gli prese le mani ma lui non mollava la presa sui capelli.
“Thomas! Guardami! Sei a casa. Sei a casa!”
Thomas durante il sonno era stato catapultato in una serie di incubi mostruosi: i tunnel; l’accampamento; l’esplosione; la sensazione di soffocare; la morte di John; il sangue sulle mani; la testa che martellava.  Amabel gli prese il mento e lo obbligò a guardarlo. Era stravolto, tremava, balbettava cose incomprensibili, e respirava in maniera sofferente. Stava avendo un attacco di panico. Amabel lo baciò per farlo distrarre, era un semplice bacio ma efficace. Tommy tornò pian piano a respirare regolarmente e si accasciò contro il petto della ragazza.
“Bel …”
“Va tutto bene, Thomas. Sei a casa con me. Va tutto bene.”
“Mi sono ritrovato in quel fottuto tunnel di nuovo. Ho risentito le voci e le urla dei soldati, e il battere delle pale contro le pareti. E ho rivisto il corpo di mio fratello.” Disse Tommy premendo la fronte sul cuore di Amabel per farsi calmare dai battiti del suo cuore. Lei gli baciò la nuca e gli massaggiò le spalle. La stanza era buia, solo il fuoco nel camino emanava bagliori rossastri.
“E’ normale. La guerra nella nostra testa non è mai finita. Cambia solo il modo di reagire.”
“E tu come hai reagito?”
“Io sono partita, ho visitato le maggiori città del mondo. Sono stata in viaggio per tre anni, poi mi sono fermata a New York e ho lavorato con il famoso Warren.”
Tommy emise una debole risata che fece ridacchiare anche lei.
“Sei fuggita.”
“Beh, ognuno sfugge al dolore come meglio crede.”
Tommy sollevò lo sguardo liquido su di lei, la febbre e il panico lo aveva privato delle forze, e si avvicinò al suo viso.
“C’è silenzio adesso. C’è calma ora che sei qui.”
“Thomas …”
Ogni tentativo di replica di Amabel si arrestò quando Tommy si sporse per baciarla. Le loro labbra si sfiorarono soltanto, era più che altro una carezza consolatrice.
“Devo confessarti una cosa, Bel, ma ho paura che ti allontanerai da me.”
“Lo so. Avete ucciso Dominic e Jacob.”
“Lo abbiamo fatto per vendicare John. I Cavendish hanno contribuito alla morte di mio fratello. Inoltre, quegli stronzi hanno picchiato tua sorella e hanno trattato male te.”
“All’inizio ero furiosa per quello che avete fatto, però nelle ore successive mi sono ricreduta. Ora mi dici che lo avete fatto per John e dunque capisco meglio. Grazie per aver salvato mia sorella, altrimenti sarebbe stata alla mercé di quella famiglia.”
Amabel odiava l’idea dell’assassinio, ma al tempo stessa era grata perché Evelyn poteva riprendere in mano le redini della sua vita.
“Posso baciarti di nuovo?” chiese Tommy in un sussurro. La dolcezza con cui le aveva posto quella domanda la spinse ad annuire. Quando si baciarono, lui si aggrappò a quel bacio come se da esso dipendesse la sua vita. Amabel se lo tirò contro e approfondì il bacio cingendogli il collo con le mani. Si separarono dopo chissà quanto tempo, entrambi in cerca di aria, ma entrambi un po’ più tranquilli. Tommy poggiò di nuovo la testa sul petto di Amabel e si crogiolò nel suo odore di sapone e the.
“Resta con me, Bel.”
“Resto con te.”
 
Salve a tutti!
Tommy e Amabel hanno fatto progressi, direi.
Ci tenevo a inserire il disturbo di cui Tommy soffre a causa della guerra perché ci mostra il personaggio in tutta la sua fragilità
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

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Capitolo 9
*** Salvami di nuovo ***


9. SALVAMI DI NUOVO

“We can hold hands till the sun goes down
‘cause I know that you and I can be together .”
(Babe I’m on fire, Nick Cave)

 
Una settimana dopo
Tommy stentava a credere a quello che stava leggendo. Michael gli aveva consegnato un documento: lo studio medico Hamilton era ufficialmente proprietà della Shelby Company Limited. Amabel gli aveva ceduto lo studio.
“Perché mai ci avrebbe ceduto lo studio di suo padre?”
“Non lo so.” Disse Michael accendendosi una sigaretta. Stranamente si fissava con troppa insistenza le scarpe e Tommy capì che stava mentendo.
“Ah, no, no. Tu lo sai eccome. Sicuramente ne avrete parlato quando ti ha portato le carte firmate. Perché cazzo ci ha lasciato lo studio?”
Tommy proprio non riusciva a comprendere quel cambio di rotta. Solo sette giorni prima si erano consolati a vicenda tra teneri baci e ricordi di guerra, davanti al camino, stretti in un abbraccio. Poi lei era diventata distaccata, non avevano fatto parola di quella notte, e ognuno aveva continuato per la propria strada. L’uno aveva odiato mostrarsi vulnerabile all’altra.
“Le sorelle di Amabel si trasferiscono a Londra e lei andrà con loro.”
Michael vide l’espressione di Tommy tramutarsi in una maschera di rabbia. Era evidente ormai che si fosse affezionato alla dottoressa in modo particolare.
“Puoi andare, Michael. Me la sbrigo da solo.”
 
Amabel sigillò l’ultimo scatolone e si sciacquò le mani per togliere la polvere. Aveva passato l’intera mattinata a smantellare lo studio e a imballare i libri e gli strumenti medici. Sarebbe dovuta anche andare in ospedale per rassegnare le dimissioni. Era tutto pronto per la partenza: Bertha era partita prima per rimettere a lucido la casa londinese, Diana aveva consegnato l’iscrizione nel nuovo liceo, e Evelyn si era iscritta ai corsi di letteratura inglese ad Oxford. Amabel probabilmente avrebbe aperto un proprio studio medico, ma l’idea era ancora campata in aria. Si ridestò dalle sue riflessioni quando si accorse di colpi ripetuti alla porta. Affacciandosi alla finestra, scorse il profilo di Tommy.
“Bel, apri la porta. Avanti, ho bisogno di parlarti!”
Amabel aprì la porta il giusto per guardarlo in faccia.
“Sì?”
Tommy inarcò il sopracciglio e irrigidì la mascella.
“Che cazzo fai, Bel? Te ne vai e nemmeno me lo dici.” Disse lui, la voce nervosa.
“Thomas, ho le mie ragioni. Devo pensare alla mia famiglia e questa città non è più sicura per loro. Ho commesso un errore e devo rimediare.”
Amabel fu sbalzata all’indietro quando Tommy spinse la porta per entrare. Lo studio era spoglio, era tutto finito negli scatoloni, e lui aggrottò la fronte.
“L’errore sarei io?”
“L’errore sono i Peaky Blinders. Non mi sarei mai dovuta immischiare nei vostri affari.” Disse Amabel, le braccia conserte, le labbra tra i denti. Tommy rise senza divertimento.
“Quindi sei stata dalla nostra parte fino a quando ti ha fatto comodo? Poi eliminiamo i tuoi problemi e finalmente pensi di esserti liberata di noi.”
“Thomas …”
Tommy alzò la mano per farla stare zitta camminando verso di lei che indietreggiava.
“Non funziona così, dottoressa. Non puoi andartene senza il mio permesso.”
“Non farmi questo. Non a me.” ribatté Amabel con tono perentorio.
“E perché? Tu chi sei?”
“A che gioco stai giocando, Thomas? Non sarò il topo del tuo gatto. Non mi divertono certi giochi.”
Tommy scavò nella tasca della giacca e si accese una sigaretta gettando il fumo in faccia alla ragazza. Amabel tossì senza distogliere lo sguardo.
“Dato che il gatto e il topo non ti piacciono, che ne dici se io sono il lupo e tu l’agnellino indifeso che supplica di non essere sbranato?”
Amabel nei suoi occhi azzurri riconobbe quel baluginio meschino che aveva mostrato con Meyer. Il Thomas che si era cullato fra le sue braccia per colpa degli incubi non c’era più.
“Sei tu quello che supplica. Da sempre mi supplichi di aiutarti. Le tue minacce con me non funzionano, Thomas.”
“Mi rinfacci il tuo aiuto adesso, eh? Non credevo fossi quel tipo di persona.”
“Divento quel tipo di persona quando minacci di sbranarmi.”
Erano così vicini che Amabel sentiva il familiare odore di alcol e tabacco. Tommy si attorcigliò intorno all’indice una ciocca castana della ragazza con fare annoiato.
“Divento uno stronzo quando le cose sfuggono al mio controllo.”
“Io non sottomessa al tuo controllo.” Disse lei puntando gli occhi nei suoi. Tommy sorrise, adorava quella sua capacità di tenergli testa.
“Volente o nolente, sei sotto il mio controllo da quando hai rimesso piede a Small Heath . Nessuno se ne va mai per davvero da questo fottuto quartiere.”
“Non voglio che il nostro ultimo momento sia così, Thomas. Voglio salutarti come fossi un amico fidato.”
“Devo dedurre che baci tutti i tuoi amici fidati? Non immaginavo che ti facessi scivolare sotto il vestito le mani dei tuoi amici.”
Amabel gli tirò uno schiaffo, ma questa volta non si scusò come aveva fatto in precedenza. L’espressione severa di Tommy non cambiò.
“Non ti permetto di offendermi! Ho una dignità che va rispettata!”
Tommy, mosso dalla furia, le afferrò i polsi e la fece sedere sulla scrivania vuota.
“Nessun rispetto per chi mi pianta in asso.”
“Io devo andarmene, Thomas! Lo vuoi capire? Devo allontanarmi da te, da noi, da questo quartiere. E’ tutto talmente tossico che sento di starci affogando dentro!” disse lei dimenandosi invano, lui non la lasciava andare. Tommy sapeva che Amabel aveva ragione, fuggire da Birmingham era l’unica occasione di salvezza per loro che dalla Francia non erano mai davvero tornati. Per quanto ferito, dovette accettare quella condizione. Le cinse il collo con la mano e fece scontrare le loro labbra in un bacio impetuoso, fatto di morsi e ansimi. Amabel lo prese per il bavero della giacca e se lo premette contro per quello che era il loro ultimo saluto.
“Thomas.”
“Vattene, Bel. Vattene.” Sussurrò Tommy sulle sue labbra, poi la baciò sulla fronte e uscì dallo studio. Amabel si toccò le labbra bollenti per il bacio e avvertì il cuore più pensate di prima.
 
Tre mesi dopo

Diana ed Evelyn si preparano in fretta prima che la sorella e Bertha si svegliassero. Abitavano a Londra da tre mesi, a scuola e a casa andava tutto bene, ma c’era una nota storta in quell’apparente serenità. Evelyn tornava dall’università nel week-end e le ragguagliava sulla sua vita da studentessa tra libri, feste, e amiche. Anche Diana si trovava bene a scuola, aveva stretto amicizia con un paio di ragazze e spesso durante la settimana si incontravano per il the. Amabel, invece, non era felice. Lavorava nella clinica privata di Peter Whitehouse, partecipava ogni tanto a qualche salotto letterario, ma la maggior parte delle volte stava in casa a leggere o a scrivere articoli medici. Diana ed Evelyn sgattaiolarono fuori casa e presero un taxi che le accompagnò in stazione. Volevano tornare a Birmingham per parlare con Tommy. Il viaggio in treno fu tranquillo, e Diana ebbe il tempo di appuntarsi sul diario le questioni che avrebbe dovuto discutere con Tommy mentre Evelyn sonnecchiava. Quando il treno arrestò la corsa, Diana si mise la borsa in spalla e scese. Malgrado fossero soltanto le otto del mattino, Finn la stava aspettando davanti alla biglietteria con un mazzolino di margherite raccolte per strada.
“Finn!” strillò Diana sbracciandosi per farsi vedere, dopodiché corse verso di lui. Si strinsero in un caldo abbraccio, e il ragazzo affondò il viso nei capelli di lei per annusarne l’odore.
“Mi sei mancata.”
“Anche tu. Londra non è divertente senza di te.”
“Questi fiori sono per te. Fai attenzione alla terra intorno al gambo, le ho strappate dal terreno mentre venivo.” Disse Finn grattandosi il collo per l’imbarazzo. Diana arrossì per quel gesto che nessuno le aveva mai rivolto.
“Grazie. Sono bellissimi, e la terra li rende ancora più veri.”
“Avete finito o devo portarvi una tazzina di the?” si intromise Evelyn, stizzita e scontenta di quel viaggio. Aveva seguito la sorella minore in quell’impresa per non lasciarla da sola. Finn si mise il cappello e si aggiustò la cravatta.
“Andiamo, forza. Tommy non resterà in ufficio per molto.”
 Finn entrò nell’ufficio della Shelby Company Limited con la testa china, quasi si vergognasse di fare da accompagnatore a due ragazze dell’alta società. I lavoratori, infatti, iniziarono a indicarlo e a ridacchiare. Arthur, che stava rientrando in quel momento insieme a Michael, scoppiò in una grossa risata.
“Ehi, Finn, non è il momento per divertirsi con le donne!”
Evelyn, infastidita da quel commento e dalla presenza di Michael, assottigliò gli occhi.
“Come, prego? Avete insinuato che io e mia sorella siamo delle poco di buono?”
“Arthur, loro sono le sorelle Hamilton.” Spiegò Michael senza staccare gli occhi da Evelyn. Era incantevole come sempre, i lunghi capelli biondi erano raccolti in una treccia ordinata e indossava un abito che metteva in risalto il suo fisico slanciato. Arthur si lisciò i baffi nel totale imbarazzo.
“Cazzo. Ehm … perdonatemi, signore.”
“Siamo qui per vedere Thomas.” Disse Diana allungando il collo oltre Arthur, laddove si trovava l’ufficio di Tommy. Arthur si congedò con un cenno del capo per andare ad avvisare il fratello, mentre Michael si era avvicinato ad Evelyn.
“E’ bello rivederti. Sei splendida.”
“Misericordia! Risparmiati le lusinghe, Gray. Non sono qui per te.” replicò lei con tono piccato. Finn e Diana ridacchiarono per la faccia da pesce lesso di Michael.
“Sei ancora arrabbiata con me per la faccenda della seduzione? Ricorda che ti ho salvato la vita.”
Evelyn lo guardò con disgusto e roteò gli occhi.
“Ah, sì? E sai che me ne importa? Assolutamente niente!”
Dal corridoio emerse un uomo ben vestito, capelli neri e occhi azzurri, e Diana lo riconobbe come Thomas Shelby. Stava fumando e nella mano destra reggeva un bicchiere di whiskey.
“Diana ed Evelyn Hamilton, che sorpresa. Seguitemi.”
Le ragazze si sedettero davanti alla scrivania e Tommy si mise in bocca l’ennesima sigaretta, incurante del tossicchiare delle due.
“Allora, come mai di ritorno a Birmingham? Ero convinto che fosse diventata una città pericolosa per voi.”
“Siamo qui per Amabel.” Disse Diana, mentre Evelyn dava un’occhiata al pessimo arredamento. Tommy si morsicò la guancia e bevve un altro goccio per inumidirsi la gola.
“Mmh.”
Il solo pensiero che Amabel potesse stare male gli faceva venire la pelle d’oca per la paura. Da tre mesi non aveva sue notizie, da tre mesi non faceva altro che pensare a lei.
“Amabel è triste. Lei è sempre stata un po’ malinconica, ma ora lo è di più. Non esce mai di casa, legge oppure scribacchia articola di pediatria che non interessano a nessuno, e l’unico momento di svago è il lavoro.” Disse Diana, e la sua sicurezza nell’esprimersi ricordava tanto quello della sorella maggiore.
“E io che ci posso fare? Se Amabel è triste, può trovare un mondo per non esserlo più.” Rispose Tommy. Evelyn storse le labbra in una smorfia di irritazione.
“E’ proprio degli zingari essere scorbutici oppure voi siete un’eccezione, signor Shelby?”
“Evelyn!” la rimproverò Diana fulminandola con lo sguardo. Di certo Evelyn aveva preso il coraggio e la spavalderia da Amabel. Tommy, anziché offendersi, rise.
“E’ proprio degli Shelby essere scorbutici, signorina Hamilton. Sta di fatto che io non posso fare nulla per vostra sorella.”
“Voi tenete ad Amabel?” chiese Diana, le mani nervose in grembo. Tommy assunse la sua tipica espressione menefreghista, quella con cui cercava di tagliare corto su ogni conversazione.
“Era un valido aiuto per i miei uomini.”
“Diana non vi ha chiesto se fosse un bravo medico, perché è certo che Amabel sia in gamba. Vi ha chiesto se ci tenete a lei.” Disse Evelyn, spalle dritte, sguardo fisso su di lui.
“Ammesso che ci tenga a vostra sorella, che cosa potrei mai fare? Lei ha deciso di trasferirsi a Londra per la vostra sicurezza.”
Tommy aveva passato notti intere a domandarsi che cosa avrebbe potuto fare, però le risposte non erano mai sopraggiunte. Se lei era scappata, chi era lui per rimetterla in gabbia?
“Io dico che voi tenete molto ad Amabel. – disse Diana con un piccolo sorriso – E Amabel tiene molto a voi. Sappiamo che siete il soldato che nostra sorella ha salvato in Francia e sappiamo anche che vi ha aiutato nei vostri attuali affari. La guerra ha avuto atroci effetti anche su di lei, sapete. Amabel è tornata dalla Francia solo per due giorni, poi ha riscosso la dote che nostro padre le aveva lasciato ed è partita. Viaggiare, portare sostegno agli ammalati, stare lontano da casa le ha permesso di superare in parte il trauma. Amabel ama l’avventura e il pericolo, è uno spirito libero che non sottosta a nessuna regola.”
Tommy deglutì, ogni parola era come un boccone amaro da inghiottire.
“Perché me lo state dicendo?”
“Perché questa città è giusta per Amabel.” Disse Evelyn.
“E voi accettereste la vita spericolata di vostra sorella? Non sapete quello che state dicendo.”
“No, non lo accetteremmo, però lei merita la libertà. Siamo qui per chiedervi di convincerla a tornare a Birmingham.” continuò Diana. Gli occhi di Tommy saettarono sulle sorelle, era come avere a che fare con le due personalità di Amabel, l’una gentile e l’atra determinata.
“Per quale assurdo motivo dovrei riportarla qui? E’ fuggita da questa città e io non ce la riporterò contro la sua volontà.”
“Amabel ha bisogno di prendersi cura dei bambini poveri di questo quartiere, è il motivo per cui ha intrapreso gli studi di medicina. Pensate che lavorare in una clinica privata per soli ricchi sia il posto giusto per lei? No, non lo è. Lei vuole solo mettere la propria vita al servizio degli altri. Sin da quando era bambina nostro padre le ripeteva che gli Hamilton non avrebbero mai dovuto abbandonare Small Heath, che, malgrado fosse un quartiere degradato, andava risollevato e che i suoi abitanti andavano curati anche se non avevano i soldi. Amabel ama stare in mezzo alla gente semplice, ama darsi da fare per dare una mano, e soprattutto ama il ricordo dell’uomo che ha salvato in Francia.”
Tommy istintivamente infilò la mano nella tasca dove conservava, come ogni giorno, il fazzoletto ricamato. Era ancora sporco del sangue dei polsi di Amabel, voleva che fosse un ulteriore prova di quanto la Francia lo avesse ucciso e resuscitato al tempo stesso.
“Se Amabel vorrà tornare, Small Heath sarà felice di accoglierla. Però io non posso convincerla.”
Pochi minuti dopo Diana ed Evelyn si diressero di nuovo in stazione, questa volta senza speranze che la sorella tornasse a sorridere. Diana salutò Finn con un lungo abbraccio, dopodiché le sorelle rientrarono a Londra.
 
Tre mesi dopo
Amabel non avrebbe mai pensato di tornare a Birmingham in tali circostanze. Pochi giorni prima le era stata recapitata una lettera che conteneva una triste notizia: il Sergente Aaron Jones era morto. Aveva fatto i bagagli, era tornata in città, e si era sistemata nella loro vecchia casa. Adesso camminava verso il cimitero seguendo il corteo funebre, tutta la città e i vecchi amici di Jones si erano uniti al lutto. La moglie e la figlia appena adolescente piangevano senza dare troppo spettacolo, il loro dolore era silenzioso e raccolto. La bara fu calata nella terra mentre i presenti la circondavano, i soldati si erano tolti il cappello e la moglie aveva depositato sul legno la bandiera inglese.
“Qualcuno vuol dire qualcosa?” disse il prete adocchiando i parenti di Jones, ma nessuno di loro osò fiatare. Amabel si fece avanti, accarezzò la mano della figlia di Jones e si avvicinò al prete, che le lasciò il posto. Fu allora che vide Tommy in fondo alla folla, con la sigaretta in bocca e il cappello in mano. La fissava come se condividessero un grande peso. Amabel si asciugò in fretta le lacrime e abbozzò un sorriso tirato.
“Ho conosciuto Aaron durante la guerra. Eravamo nello stesso accampamento in Francia. Sapete, lui rendeva tutto più sopportabile. Quando ogni soldato a fine giornata rientrava sano e salvo, Aaron batteva le mani complimentandosi per la vittoria quotidiana. Lui aveva la capacità di farci ridere con le sue stupide battute, teneva il nostro morale alto, e ci consolava quando la notte avevamo gli incubi. Mi ripeteva sempre ‘’dottoressa Hamilton, per vostra sfortuna sono tornato!’’ e io ridevo, lui mi metteva di buon umore. Oggi vorrei averlo qui e dirgli che, sì, ero davvero fortunata ad avere un uomo come lui in quell’inferno. E oggi, Aaron, sono qui per ringraziarti, per salutarti come meriti. Vorrei che tutti noi ricordassimo Aaron come uomo, e non come soldato. Che ricordassimo il suo umorismo, la sua forza, e la sua smisurata capacità di amare. Ad Aaron Jones, che il suo ricordo resti con noi per sempre.”
Tommy buttò fuori l’aria che aveva trattenuto durante il monologo di Amabel, eppure il peso sul suo cuore non si alleggeriva. Non aveva avuto il coraggio di andare a Londra a riprendersela, ma era disgustoso pensare che fosse stata la morte a riunirli dopo sei mesi. La moglie e la figlia di Jones si gettarono piangenti tra le braccia di Amabel, che faceva di tutto per trattenere le lacrime, e poi i soldati che avevano servito con loro in Francia le strinsero la mano ringraziandola per le belle parole. Quando un’ora dopo la funzione si concluse, Amabel imboccò la via di casa perché si sentiva incredibilmente stanca.
“Bel!” la richiamò quella voce roca, consumata dal fumo e dall’alcol, che conosceva bene. Non si voltò, non ne aveva la forza.
“Non è il momento, Thomas. Voglio solo tornare a casa.”
Amabel trasalì quando la mano di Tommy si avvolse alla sua, era fredda e callosa ma piacevole. Tommy la fece girare per guardarla in faccia e le scostò una ciocca che il vento stava facendo svolazzare. Il cielo era solcato da nuvole nere, presto sarebbe venuto a piovere.
“Aaron meritava di più, hai ragione. Sono state molto belle le tue parole.”
Amabel si perse nei suoi occhi azzurri, erano una combinazione di cielo e ghiaccio, freddi e calcolatori. Si liberò dalla sua mano e si aggiustò nervosamente la giacchetta.
“Grazie. Adesso devo proprio andare. Stammi bene, Thomas.”
“Tommy! Tommy!” strillava Curly mentre correva tenendosi il cappello sulla testa a causa del vento.  Tommy imprecò per l’intrusione dell’amico ma si limitò a sollevare il sopracciglio.
“Che c’è? Avevo detto che ogni fottuto problema è rinviato a domani.”
“Grace! Grace! Sta avendo il bambino ora! Corri!” disse Curly agitando le mani, le guance erano rosse per la fatica. Tommy rimase imbambolato. Quasi sembrava che tutti gli organi avessero smesso di funzionare. Curly continuava a incitarlo ma lui lo vedeva muovere le labbra senza ascoltarlo; era in totale trance. Si riscosse quando i tacchi di Amabel picchiarono sulla strada come proiettili.
“Andiamo, Thomas!”
“Bel … ma che diavolo …?”
Amabel lo colpì alla nuca con uno schiaffo facendogli sgranare gli occhi.
“Tuo figlio sta  per venire al mondo, idiota! Secondo te non ti aiuto anche questa volta?!”
Tommy non sapeva se ridere, piangere, camminare o restare immobile. Era smarrito, però Amabel riuscì a trascinarlo con sé.
 
Amabel si sciacquò le mani con l’acqua calda e poi le disinfettò con cura. La stanza pullulava di donne, Grace con il bambino appena nato in braccio, Polly e Ada che già lo riempivano di attenzioni, e la cameriera. Era stato un parto lungo e faticoso, circa sette ore di travaglio, e ormai si era fatta sera. Aveva anche cominciato a piovere e adesso Birmingham era avviluppata in un temporale furioso. La porta della stanza da letto si aprì e Tommy entrò con gli occhi spalancati.
“E’ nostro figlio, Tommy.” Disse Grace con un sorriso radioso, nonostante fosse esausta. Amabel sorrise soddisfatta perché far nascere un bambino era la parte migliore del suo lavoro. Tommy delicatamente accarezzò la piccola mano del figlio e gli sfiorò la fronte con le labbra.
“Come lo chiamiamo questo giovanotto?” chiese Polly chinandosi sul nipote per baciargli la guancia. Tommy e Grace si scambiarono un’occhiata eloquente, al che Amabel distolse lo sguardo. Per quanto fosse contenta, una terribile morsa le attanagliava lo stomaco.
“Si chiama Charles Shelby.” Annunciò Tommy con un sorriso compiaciuto. Amabel si infilò la giacca e raccolse la sua valigetta, poi si avvicinò al bambino per salutarlo con una lieve carezza sulla testa.
“Beh, benvenuto al mondo, signorino.”
“Grazie di tutto, Amabel. Davvero.” Le disse Grace stringendole la mano. Amabel sorrise e fece spallucce.
“E’ sempre una grande emozione far nascere i bambini, quindi grazie a te per avermi dato la possibilità di esserci. Adesso devo andare, domattina prenderò il primo treno per Londra. Chiamami per qualsiasi dubbio riguardo al bambino, sarò sempre a tua disposizione.”
“Vi accompagno alla porta.” Intervenne Polly, e Amabel la seguì dopo aver brevemente salutato tutti. Mentre scendevano le scale, era possibile udire gli schiamazzi degli uomini della famiglia e di alcuni membri dei Peaky Blinders.
“Siete stata brava, e non mi riferisco solo al parto.” Disse Polly rivolgendole un ghigno sghembo. Amabel rafforzò la presa intorno al manico della valigetta in uno stato di tensione, Polly era sempre in grado di metterla in soggezione.
“E a cos’altro vi riferite? Io l’ho solo spronata, è Grace che ha fatto il lavoro duro.”
“Aiutare la madre del figlio dell’uomo per cui si hanno dei sentimenti è abbastanza difficile, non credete?”
“Cosa vi fa ipotizzare che io abbia dei sentimenti per Thomas?”
Polly si girò verso di lei di scatto e rise, tutta quella situazione la divertiva.
“Gli avete regalato il vostro fazzoletto, e noi sappiamo che un tale gesto nasconde un profondo affetto.”
Era risaputo che donare il proprio fazzoletto ad un uomo era una sorta di pegno d’amore, ma Amabel all’epoca non lo aveva affatto considerato.
“Gli ho regalato il fazzoletto perché volevo che si ricordasse di me e di essere un sopravvissuto della guerra, non aveva nessuna intenzione amorosa.” Replicò lei ostentando una falsa sicurezza. Polly si mise una sigaretta tra le labbra coperte di rossetto senza mai smettere di sorridere.
“Tommy non vi ha mai dimenticata, dottoressa, e rivedervi non ha fatto altro che rinsaldare quel pensiero. Ha portato con sé quel fazzoletto come se fosse lo scoglio a cui aggrapparsi per restare a galla durante la tempesta.”
“Perché mi state dicendo queste cose, signora Gray?”
“Perché so che mio nipote ha bisogno di voi. Glielo leggo negli occhi che gli mancate, che aspetta il vostro ritorno, che spera in un vostro ripensamento.”
Amabel stava per ribattere quando Tommy comparve alle spalle di Polly. La zia gli rivolse uno sguardo complice, dopodiché si dileguò nel corridoio semibuio. Amabel, che non sopportava la sua presenza, aprì la porta e sgusciò fuori. Sebbene piovesse a dirotto, non se ne curò. Preferiva che la pioggia fredda si abbattesse su di lei per scacciare qualsiasi pensiero.
“Bel, dannazione, sta piovendo!” disse Tommy rincorrendola con l’ombrello.
“Un po’ d’acqua non ha mai ucciso nessuno.” Disse lei camminando velocemente per allontanarsi. Si fermò solo quando Tommy le artigliò il braccio facendola voltare. Erano entrambi bagnati, le gocce di pioggia inzuppavano i loro vestiti e li faceva rabbrividire per il freddo.
“Voglio solo ringraziarti. Grazie per tutto quello che hai fatto.”
“Thomas …”
“No, lasciami parlare. Grazie per avermi salvato la vita più e più volte. Grazie perché ci sei sempre quando ho bisogno di te. Bel, io ….”
Amabel gli tappò la bocca con ambo le mani, non voleva ascoltare altro, non era in grado.
“Non dire niente. Hai una famiglia, una donna splendida che ti ama e un figlio meraviglioso. Hai quello che ti meriti, Thomas, e io sono felice per te. In Francia ti ho salvato perché era questo che volevo per te. Volevo che tu avessi una famiglia, che fossi amato, e che amassi.”
Tommy la guardava con quel suo sguardo allucinato e incredulo. Amabel stava tremando per la pioggia che si insinuava nei vestiti ma continuava a sorridere in quel suo tipico modo gentile.
“E tu che cosa vuoi, Bel? Smettila di pensare sempre al bene degli altri! Cazzo! Pensa anche a te stessa!”
“Sono fatta così, Thomas, e non posso cambiare. Mi dispiace.”
Amabel scrollò le spalle per liberarsi dalla sua presa e salì in auto con Michael che l’avrebbe riaccompagnata a casa.
 
Tommy fissava Charles sonnecchiare nella culla mentre sorseggiava whiskey. Pioveva ancora, adesso lampi e tuoni squarciavano il cielo.
“Tommy.” Mormorò Grace nel buio della stanza. Tommy si alzò dalla poltrona con un sospiro e si riempì ancora il bicchiere.
“Ti serve qualcosa?”
“Io sto bene. Sei tu quello che non sembra stare bene.”
Grace conosceva bene Tommy e sapeva che qualcosa gli dava il tormento più del solito.
“Oggi sto bene, è nato nostro figlio. Non c’è spazio per altro oggi.”
“Non c’è spazio neanche per Amabel? Lo vedo come la guardi, come pendi dalle sue labbra, e lo sento che ti sei legato a lei.” Disse Grace, e nella sua voce non c’era rabbia, era tranquilla. Tommy si scolò in un solo sorso il whiskey e lasciò che l’alcol gli bruciasse la gola. Si sedette sul bordo del letto e si passò le mani tra i capelli.
“E’ così evidente?”
Grace ridacchiò e ricadde con la testa sul cuscino, ancora senza forze per via del parto.
“Per essere uno che ha in pugno tutta la città e rischia di morire ogni giorno, hai il cuore che parla attraverso gli occhi. Diamine, ti illumini ogni volta che lei entra in una stanza. Tommy, io lo so che non mi ami più e lo accetto, in fondo è stata tutta colpa mia. Avere un figlio insieme non include essere una coppia, tanto meno per noi che non facciamo mai le cose secondo le regole.”
Tommy inarcò il sopracciglio ridendo.
“Mi stai dando una specie di permesso?”
“Più o meno. Non sentirti in obbligo nei miei confronti, capito? Tu sei e rimarrai il padre di Charles a prescindere dalla donna con cui stai. Però Amabel è davvero una brava persona e tu meriti qualcuno così.”
Tommy trovava ilare che tutti sapessero cosa lui meritava, sembrava che per trentadue anni non si fosse mai preso la briga di conoscere i propri sentimenti. Eppure Grace aveva ragione, Amabel era un brava persona. E lui chi era per rovinare la sua bontà?
“Posso lasciarti da sola? Ho un conto in sospeso.”
“Va pure. Io e Charlie staremo bene.”
 
Amabel era da poco rincasata in un’abitazione silenziosa e vuota. Non c’erano più i mobili, né i letti, e neanche i quadri; tutto era stato spostato nel nuovo appartamento di Londra. Il temporale non accennava a scemare, perciò accese il camino con la legna che era rimasta. Malgrado fosse maggio, il maltempo aveva congelato la città. Anche nella capitale pioveva la maggior parte delle volte e faceva freddo, ma Birmingham appariva stranamente più fredda. Quando bussarono alla porta, la ragazza trasalì. Che Lena avesse deciso di vendicarsi? Che i Cavendish l’avessero denunciata?
Tramite lo spioncino riconobbe il viso di Tommy e trasse un sospiro di sollievo.
“Thomas, che ci fai qui? Stai grondando acqua, potrebbe venirti un malanno!”
“Devo parlarti.”
“Non mi sembra il caso. Torna a casa.”
Nonostante lei tentasse di chiudere, Tommy riuscì ad intrufolarsi in casa.
“Adesso devi ascoltare ogni mia fottuta parola, Bel.”
“A patto che tu venga a scaldarti al camino. Non vorrei che ti ammalassi per colpa mia.”
Amabel lo guidò attraverso la casa spoglia e lo fece accomodare davanti al camino. Il fuoco si rifletteva negli occhi di Tommy affibbiandogli un non so che di oscuro.
“Amabel, tu mi vuoi?”
La ragazza si strozzò con la saliva e tossì per riprendere a respirare. Non si aspettava una domanda tanto diretta. Tommy ora la guardava mordendosi le labbra.
“Non risponderò a questa bizzarra domanda.”
“Sono stanco di giocare. – riprese lui mettendosi le mani in tasca – Sono uno di poche parole e non dico mai tutto quello che penso, ma questa situazione è insostenibile. E’ palese che tra di noi ci sia qualcosa.”
“Non c’è nulla tra di noi. Semplicemente ci sentiamo presi l’uno dall’altro perché ti ho salvato la vita sette anni fa. La tua è riconoscenza nei miei confronti.” Disse Amabel, le braccia incrociate, gli occhi puntati sul fuoco. Tommy l’affiancò e le spostò il mento con l’indice per farsi guardare in faccia. Era bella con le guance arrossate per il calore, i capelli ancora umidi, e quello sguardo determinato.
“Qual è il vero problema? Lo sento che c’è qualcosa che ti trattiene. Voglio sapere cosa.”
“Le nostre vite mi trattengono. Io non posso immischiarmi negli affari dei Peaky Blinders perché ho tre donne di cui devo prendermi cura. Siamo diversi, Thomas. Proveniamo da classi sociali diverse, frequentiamo posti diversi, viviamo in modo diverso. Se solo osassi avvicinarmi a te, la mia famiglia rischierebbe di essere minacciata dai tuoi nemici. E tu ne hai fin troppi di nemici. Vorrei che tu capissi davvero il mio punto di vista.”
Tommy fece un passo indietro sospirando per la frustrazione. Lui non era il tipo che si apriva e che sfogava i sentimenti, e la reazione della ragazza non era d’aiuto.
“Io non sento le differenze quando siamo insieme. Anzi, da te ho molto da imparare. Sai cosa? Noi, in realtà, siamo simili. Entrambi mettiamo la famiglia al primo posto e ci dimentichiamo di noi stessi. Certo che provo riconoscenza per la dottoressa che mi ha salvato in Francia, ma adesso sono interessato alla nuova Amabel. Anche io non sono più il soldato che hai conosciuto, sono un nuovo Thomas, con difetti e pregi, e non posso cambiare.”
“Cos’è che vuoi da me, Thomas? Non capisco. Vuoi portarmi a letto, toglierti lo sfizio e poi abbandonarmi? Non funziona così con me.”
Le parole di Amabel erano velenose, cosparse di rancore e rimpianti. Tommy accusò a fatica il colpo.
“Tu pensi di essere un numero della lista, vero? Oh, dottoressa, io posso farmi una scopata quando voglio. Ma non è quello che voglio con te. Voglio qualcos’altro per noi.”
“Ah, e cosa vorresti? Dimmi, sono tutta orecchi.” Disse lei a sfottò.
Tommy avvertì il bisogno di smontare l’espressione altera di Amabel, pertanto la intrappolò in un bacio furioso. La ragazza non si oppose, anzi si lasciò andare contro di lui. Il bacio si infiammò, era fatto di lingua e di morsi, di ansimi. Amabel sussultò quando le mani di Tommy le arpionarono i fianchi per attirarla perché voleva sentire i loro corpi schiacciati l’uno contro l’altro. Quando si staccarono, nessuno dei due indietreggiò, anzi rimasero vicini.
“So che ho bisogno di te nella mia vita, nei miei affari sporchi, nei miei fottuti casini. E so che voglio tornare ogni sera da te per dimenticare quanto cazzo sia miserabile il mondo esterno. Voglio che tu mi consoli quando ho gli incubi, che tu calmi la mia mente disturbata, e che mi faccia ridere. E voglio renderti felice perché te lo meriti dopo tutto quello che fai per gli altri. Oh, Bel, io posso darti tutto quello che desideri se solo me lo chiedi.”
Amabel stavano tremando senza controllo, forse per il freddo o forse erano le intense parole con cui Tommy si era professato, non seppe con certezza.
“Non posso. La mia famiglia ha bisogno di me.”
“Troverò una soluzione. Farò piantonare casa tua e ogni spostamento della tua famiglia per assicurare loro protezione assoluta. E farò anche sorvegliare te. Non lasciarmi ancora. Non ora che ci siamo ritrovati.”
“Thomas …”
“Terremo la nostra relazione segreta in modo da non compromettere troppo la tua vita. Staremo attenti agli occhi indiscreti. Ci vedremo in una casa fuori città. Farò il possibile per proteggerti.”
“Thomas …”
“Salvami di nuovo, Bel. Salvami ogni fottuto giorno della mia fottuta vita.”
Amabel era stordita dagli occhi accattivanti di Tommy, dalla sua voce roca e profonda, dalle sue mani sui fianchi, dal suo odore di alcol e tabacco. Tutto di Tommy la confondeva e le faceva desiderare di più. Da sempre era la classica brava ragazza che si tiene alla larga da chi può corromperla, eppure lui inibiva ogni suo tentativo di fuga. Più cercava di scappare e più tornava da Tommy. Stava per commettere una follia. Stava per superare ogni limite. Stava per gettarsi nelle fauci del lupo. No, non le importavano più i rischi. Voleva essere consumata dal pericolo e dai sentimenti. Voleva sentirsi viva.
“Dammi tutto quello che desidero, Thomas.”
“Ti darò questo e molto di più.”
 Amabel gli cinse il collo con le mani per attrarlo in un bacio impetuoso. Tommy reagì approfondendo il contatto premendosi contro di lei per captare ogni sua curva. Sorridevano tra i baci, si mordevano le labbra, gemevano, e il mondo fuori era scomparso.
 
 
 
 
 
Salve a tutti!
Alla fine Tommy e Amabel hanno trovato un punto di accordo ma non è tutto rose e fiori, il pericolo è sempre dietro l’angolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 10
*** Pioggia di desiderio ***


10. PIOGGIA DI DESIDERIO

“You got the tenderness that I been searchin’ for.
You got sweet lips like I did never taste before,
Everything you’ve got is just what I’ve always wanted.
I am just a kid and you are a walkin’ candy store,
Oh, I want some more.”
(I Want Some More, Dan Auerbach)
 
Un mese dopo
Amabel camminava in direzione di Small Heath con un sorriso dipinto sulle labbra. Il solo pensiero della reazione di Tommy la faceva ridere. Aveva da poco ritirato gli occhiali da vista per lui ed era certa che si sarebbe opposto, e tutto ciò la divertiva. Era tornata a Birmingham in pianta stabile, aveva arredato di nuovo casa e aveva riaperto lo studio. Le sue sorelle e Bertha, invece, erano rimaste a Londra, lontane dai Peaky Blinders. Lei e Tommy stavano cercando un modo per stare insieme che fosse il più discreto possibile, non volevano che la loro relazione fosse soggetta a minacce e pericoli. Sebbene Amabel all’inizio avesse faticato ad accettare la nuova situazione che si era creata con Tommy, al tempo stesso era entusiasta all’idea di aver ritrovato l’uomo a cui non aveva smesso mai di pensare negli ultimi anni. Sarebbe stato difficile ma ne sarebbe valsa la pena.
“Dottoressa!” la salutò Isaiah con un cenno del capo. Lui e Finn si erano appostati fuori dal Garrison, che era in via di ricostruzione, per controllare il procedere dei lavori.
“Buongiorno, ragazzi. Thomas è in ufficio?”
I due ragazzi si lanciarono un’occhiata complice, entrambi sospettavano che tra la dottoressa e Tommy ci fosse qualcosa.
“Sì, lo trovi in ufficio. Sbrigati perché tra poco parteciperà ad una delle sue corse di cavalli.” Le disse Finn.
“Grazie. Ah, Finn, questa è da parte di Diana.”
Amabel gli consegnò una lettera al cui interno Diana gli faceva il resoconto delle sue giornate. Ogni fine settimana si spedivano lettere per tenersi aggiornati e vicini in qualche modo. Finn si infilò la lettera in tasca con le gote arrossate per l’imbarazzo.
“Risponderò non appena mi sarà possibile. Quando la senti, dì a Diana che Birmingham non è la stessa senza di lei.”
Amabel annuì facendogli l’occhiolino per poi proseguire verso la Shelby Company Limited. L’ufficio brulicava di gente che lavorava senza sosta per riscuotere le scommesse per la corsa odierna.
“Amabel! Vieni a scommettere!” le disse un Arthur leggermente brillo.
“Non mi fido di voi Shelby, mi fareste perdere un sacco di soldi!” replicò lei ridendo. Michael uscì dall’ufficio di Tommy in quel momento e la salutò con un gesto della mano.
“Nah, posso darti qualche dritta circa il cavallo su cui puntare.” Continuò Arthur mettendole un braccio intorno alle spalle.  Amabel scosse la testa ridendo insieme a Lizzie che stava seduta alla sua scrivania.
“Non mi piace vincere facile. Dai il consiglio ad uno di quelli che sovvenzionano la vostra attività illecita.”   
“Amabel uno, Arthur zero.” Disse Michael. Quel clima di divertimento fu interrotto dalla voce di Tommy.
“Abbiamo finito di ridere? Forza, tornate a lavorare. Michael, Arthur, tra mezz’ora vi voglio pronti per andare all’ippodromo.”
Arthur scherzosamente alzò le mani in segno di resa scatenando le risate di tutti. Tommy, invece, rimase impassibile.
“Smettetela di fare gli stronzi e concentratevi sulle scommesse. Amabel, vieni.”
Amabel si defilò dagli altri con un sorriso cortese e raggiunse l’ufficio del capo chiudendosi la porta alle spalle. Tommy si era seduto alla sua poltrona e fumava scrollando la cenere sul pavimento con noncuranza. Era visibilmente stanco.
“Da quanti giorni non dormi, Thomas? Sei uno straccio.” Disse Amabel appoggiandosi alla scrivania, proprio vicino a lui. Tommy alzò gli occhi su di lei e sorrise.
“Non ho bisogno di un parere medico.”
“Qui ti sbagli, Shelby! Ho una cosuccia per te.” disse Amabel scavando nella borsa alla ricerca di una custodia rigida di colore nero. Tommy l’accettò e, non appena l’aprì, corrugò la fronte.
“Non metterò un fottuto paio di occhiali. Te lo scordi!”
“Sei tu che ti scordi di continuare a vederci bene se non li usi. Non fare il bambinone e mettili, saranno utili per leggere il giornale e contare i soldi sporchi.”
“Noto che ti diverti ad insultarmi.”
“Oh, non sai quanto! Dai, prova gli occhiali, su!”
“Ti accontento, riccona.”
Tommy con uno sbuffò fece scivolare gli occhi sul naso e li sistemò in modo che gli stessero comodi. Doveva ammettere che ci vedeva decisamente meglio.
“Sei davvero attraente con gli occhiali, signor Shelby. Ti donano un’area intelligente.”
“Stai dicendo che non sono intelligente?” chiese Tommy mascherando una risata. Infilò le mani in tasca e si avvicinò a lei che gli mise le mani sulle spalle.
“Sì, è quello che sto dicendo.” Ripose Amabel ridendo. Tommy tentò di baciarla ma lei si scansò prontamente.
“La porta è chiusa, Bel. Non ci può vedere nessuno.”
“Lo so, ma si staranno domandando come mai siamo chiusi nel tuo ufficio.”
Tommy si sedette sulla poltrona e si accese una sigaretta, era infastidito da quella ritrosia dovuta al timore di essere scoperti.
“Sono Tommy Shelby, faccio quello che mi pare e nessuno mi fa domande. Devi stare tranquilla.”
“Ne abbiamo già parlato, Thomas, e non voglio ritornare sulla questione. Non prendertela.”
“Come preferisci.”
Amabel captò la sua irritazione e sospirò, sebbene non fosse contenta neanche lei di quella situazione. Si sedette sulla scrivania in mezzo alle gambe di Tommy e si chinò a baciargli a stampo le labbra, ma lui la trattenne approfondendo il bacio.
“Contento adesso? Hai avuto il premio per aver indossato gli occhiali.”
Tommy sorrise compiaciuto, in fondo lui vinceva sempre. Amabel lo osservò e lo trovò bello da fare male con la sigaretta all’angolo della bocca, gli occhi azzurri puntati su di lei e le labbra increspate in un ghigno. Si ridestò quando la mano di Tommy le sfiorò per sbaglio il ginocchio.
“Domani sei libera? Voglio portarti in un posto.”
“Sono liberissima dal momento che non ho un lavoro fisso. L’ospedale sta ancora valutando la mia assunzione dopo che me ne sono andata. Dove mi porti?”
“E’ una sorpresa. Ti piacerà, vedrai.” Disse lui con una nota enigmatica nella voce. Amabel sorrise di rimando.
“Mmh, mi voglio fidare di te. Adesso vado ad aprire lo studio. Ci vediamo domani al solito posto?”
Il ‘solito posto’ era un rudere alla periferia di Birmingham dove si incontravano per stare insieme lontani da tutti e tutto.
“Al solito posto.”
Tommy la vide lasciare l’ufficio con un sorriso e d’istinto sorrise anche lui. Quella donna riusciva a smuovergli l’animo.
 
Amabel fischiettava un motivetto che aveva appreso in Germania mentre Tommy guidava verso chissà quale meta.
“Che canzone è?” indagò lui senza staccare gli occhi dalla strada.
“Non lo so. La canticchiava sempre una infermiera quando sono stata in Germania per collaborare con una equipe di pediatri. Fischietto perché non so cantare, sono tremendamente stonata. Però suono il pianoforte, me lo ha insegnato mia madre. Tu sai cantare?”
“Ti sembro uno che sa cantare?”
Amabel rise per l’espressione allibita di Tommy e gli diede una leggera gomitata.
“Magari hai dei talenti nascosti, oltre a ordire piani e usare la pistola.”
“Smetterai mai di fare allusioni ai miei affari?”
“No. La criminalità fa parte di te e non parlarne è stupido. Sei un pacchetto completo, Thomas Shelby.”
“E a te sta bene il pacchetto completo?”
“Sono qui, giusto? E’ già una risposta.”
Tommy non volle sapere altro, la presenza di Amabel era sufficiente a fugare ogni dubbio. Il viaggio proseguì tra le solite chiacchiere, parlarono di Charles, della loro infanzia, e di come il tempo stesse cambiando. Quando l’auto di fermò, Amabel vide una villa enorme in mezzo alla campagna.
“Perché siamo qui?”
Tommy rise per l’incertezza nella voce della ragazza mentre chiudeva la portiera.
“Che c’è, hai paura?”
“Dovrei avere paura?” ribatté lei muovendo le sopracciglia in modo bizzarro.
“Chissà.” Disse Tommy tenendole la mano, ma lei fece spallucce e si incamminò da sola verso la villa. Lui fece ricadere la mano e si tastò la tasca interna della giacca in cerca di una sigaretta.
“Andiamo, Shelby, non startene lì impalato!”
Tommy la raggiunse e smanettò con la serratura per aprire la porta, nel frattempo lei si guardava intorno. Era una giornata di sole ma sembrava che le nuvole fossero cariche di pioggia.
“Prego, dottoressa, accomodati.”
Amabel subito si mise ad ispezionare la casa, ogni mobile era coperto da una sottile coltre di polvere, il camino era ancora sporco di cenere, e le tende erano schiuse dappertutto.
“E’ qui che porti le tue conquiste?”
Tommy, che stava appoggiato allo stipite con la sigaretta in bocca, inarcò il sopracciglio in quel modo che indicava la sua irritazione.
“Nessuno mette piede in questa casa, eccetto io e Curly. Neanche i miei fratelli sanno di questo posto.”
“Ah, quindi è il tuo harem segreto.” Disse lei ridacchiando. Malgrado avesse ventisette anni, girava su se stessa come una bambina. I capelli castani, più lunghi di qualche mese fa, seguivano ogni giravolta creando una sorta di mantello intorno a lei. Anche il vestitino verde che indossava si gonfiava mettendo in mostra le gambe. Tommy sorrise inconsapevolmente. Amabel era una macchia di colore nella sua vita grigia come il fumo che invadeva Small Heath.
L’afferrò per i fianchi ponendo fine alla sua giravolta e la resse per non farla cadere. La risata di Amabel era cristallina e risuonava nella stanza.
“Vieni con me.”
Tommy la trascinò in giardino, un vasto spazio verde sul retro della villa, e Amabel adocchiò subito le stalle. Due cavalli, uno nero e uno bianco, mangiucchiavano paglia placidamente.
“Sono i tuoi cavalli?”
“Sì. E’ Curly che se ne occupa ogni giorno. Li tengo lontani da Small Heath per evitare ogni tipo di vendetta.”
Amabel scorse un lampo di dolcezza nel modo in cui Tommy guardava i cavalli. Per un attimo le parve di rivedere il soldato che aveva conosciuto sette anni prima.
“Diana adora i cavalli. Mio padre aveva comprato tre cavalli per me e le mie sorelle, però gli abbiamo venduti a Ian Carleton e a sua moglie May. Perché stai ridendo?”
Tommy, infatti, stava reprimendo una risata mentre si accendeva un’altra sigaretta.
“Non sto ridendo per la storia di tuo padre.”
Amabel fece roteare gli occhi sbuffando, aveva intuito il motivo della sua risata.
“Conosci May, vero?”
“Sì. – ammise lui senza preamboli – Lei allenava un mio cavallo.”
“Io non penso che allenasse solo il tuo cavallo.” Disse Amabel con una smorfia disgustata. Tommy la trucidò con gli occhi.
“Sei solo gelosa?”
“Perché dovrei essere gelosa? Devo dedurre che ti presenti in piena notte da tutte le donne con cui sei stato per dire che hai bisogno di loro. Signor Shelby, è così che conquistate le donzelle? Patetico!”
Tommy non seppe che dire, era stato appena zittito da una donna. Amabel rise dandogli un pugno sul braccio.
“Lo senti? Questo è il suono del silenzio procurato da un Thomas Shelby che non sa come replicare. Che suono piacevole!”
“In soli due minuti mi hai riempito di insulti. Sei una persona davvero orribile!” scherzò Tommy fingendosi offeso. Mentre Amabel gettava la testa indietro tra le risate, lui prese il secchio d’acqua, che Curly aveva riempito poco prima per annaffiare i fiori, e glielo versò addosso. Amabel ghiacciò sul posto, l’acqua che grondava lungo i capelli e il vestito, con la bocca spalancata per la sorpresa.
“Thomas, ma che diamine!”
“Oh, scusa, devo aver sbagliato mira.” Disse lui con un finto sorriso dispiaciuto. Amabel, anziché offendersi, scoppiò a ridere e Tommy rise con lei. Non si sentiva tanto leggero e spensierato da anni ormai.
“Hai una bella risata, Thomas.” Disse lei strizzandosi l’orlo del vestito. Tommy smise di ridere tornando alla sua solita maschera di freddezza. Non doveva mostrarsi troppo vulnerabile, oppure i sentimenti lo avrebbero schiacciato.
“Entriamo, dai. Devi asciugarti.”
Amabel sospirò per quel suo cambiamento repentino, non voleva che lui reprimesse la gioia con lei. Mentre stava per rientrare, Amabel lo spinse nella vasca da cui lui aveva preso il secchio. Tommy si ritrovò bagnato da capo a piedi in pochi secondi.
“Devi sempre guardarti le spalle, Shelby.”
Tommy si rimise in piedi e si riavviò i capelli con le mani, al che Amabel deglutì. La camicia bianca gli si era appiccicata addosso sottolineando il profilo dei muscoli e le linee dei tatuaggi. Era l’uomo più bello che avesse mai visto. Tommy ghignò notando Amabel che si mordeva le labbra.
“Quali pensieri impuri si aggirano nella tua testolina, signorina Hamilton?”
Amabel arrossì di colpo, colta in flagrante, e distolse lo sguardo. Tommy la reputava innocente con le gote arrossate e l’espressione di una bambina beccata a fare una marachella, ma al tempo stesso era sensuale con quel vestito che si era incollato al corpo facendo risaltare le sue forme e le goccioline d’acqua che dai capelli si immergevano nello scollo.
“Thomas, i miei occhi sono più in alto!”
“Io stavo ammirando altro, tesoro.”
Amabel si morsicò l’interno della guancia per l’imbarazzo, non essendo abituata a quella spontaneità. Faceva parte dell’alta società e, secondo il galateo, non erano ammissibili apprezzamenti espliciti sul corpo di una donna (o di un uomo).
“Smettila di mettermi in imbarazzo, Thomas. Su, fammi vedere altro!”
Tommy si levò la giacca e il panciotto, lasciandoli a terra senza preoccuparsi, e si sbottonò un poco la camicia.
“Andiamo.”
Amabel lo seguì verso il boschetto che circondava la villa, era fitto, rigoglioso di alberi e fiori.  I raggi del sole venivano schermati dalle fronde e tutto intorno a loro era semibuio. Arrivarono  nei pressi di un laghetto e Tommy si sdraiò  sull’erba con le mani sotto la testa, poi fece un cenno alla ragazza perché prendesse posto. Amabel prontamente si sedette a gambe incrociate e iniziò a tirare alcuni fili ancora freschi di rugiada.
“Non credevo che ti saresti seduta davvero.” Esordì Tommy dopo un lungo silenzio interrotto solo dal frinire delle cicale. Amabel ridacchiò spostandosi una ciocca che era sfuggita dalla treccia.
“Perché, le ragazze dell’alta società non si siedono sull’erba? Beh, hai ragione, ma io non sono come loro.”
“Tu sei una matta, Amabel Hamilton.”
“Lo prenderò come un complimento. Ora mi dici perché mi hai portata qui?”
Tommy si mise seduto e strappò una manciata di fili d’erba mentre Amabel si portava le ginocchia al petto.
“Non posso voler trascorrere del tempo con te lontano da tutto?”
“E mi porti in una casa in cui non hai mai portato nessuno? E’ ovvio che vuoi dirmi qualcosa. Lo capisco che qualcosa bolle in pentola. Va sempre a finire così tra di noi, uno chiede un favore e l’altro accetta per poi scendere a patti.”
“Non deve sempre finire così. Voglio dire, io …”
Amabel notando la sua difficoltà nel continuare la frase, abbozzò un sorriso malinconico.
“Non importa, Thomas. Non sei bravo né a parole né con i sentimenti. Allora, che ti serve?”
Tommy sospirò, frustrato com’era dall’intera situazione, e tastò invano le tasche in cerca di una sigaretta; aveva abbandonato la giacca in giardino.
“Lo ammetto, devo parlarti. Però si tratta di una cosa che ti farà molto piacere. In fondo, lo sto facendo soprattutto per te.”
“Sono curiosa. Vai avanti, Shelby.”
“Voglio aprire una clinica insieme a te. Tuo padre era molto stimato, tu sei un ottimo medico e tutti ti apprezzano. Tu non dovresti spendere un soldo, pagherei tutto di tasca mia. La clinica sarebbe privata, quindi riusciremmo a ricavare dei guadagni dai ricconi che vogliono farsi visitare e dagli sponsor che vogliono il loro nome su qualcosa di utile alla comunità. Però verrebbero curati anche  i bambini poveri, sia quelli di Small Heath sia quelli degli altri quartieri, e ogni visita, medicina e intervento per loro verrebbe pagato da me.”
Amabel aveva la bocca spalancata per la sorpresa, quasi non riusciva a respirare.
“Thomas … è un progetto troppo ambizioso … io non so se noi …”
Tommy subito le strinse la mani a mo’ di supplica.
“Ascoltami, Bel. Tu hai il bisogno vitale di prenderti cura degli altri e sono sicuro che saresti perfetta come capo di una clinica. Potresti salvare innumerevoli persone, specialmente i bambini. Lo hai detto anche tu che non hai un lavoro fisso e io ti sto offrendo una possibilità.”
“Thomas … è assurdo! Sii realista. La clinica entrerebbe nel mirino di coloro che ce l’hanno con la tua famiglia, i pazienti sarebbe in costante pericolo. Noi due soci? No, sarebbe scontato il nostro coinvolgimento personale!” disse Amabel, ora scusa in volto. Tommy si alzò di scatto mettendosi le mani in tasca con fare rabbioso.
“Non entreremmo in società io e te. Entreresti in società con Ada e quindi con la Shelby Company Limited. Sarebbe tutto lecito, secondo le regole, alla luce del sole. Ada userebbe anche il cognome di Freddie pur di mantenere l’attività pulita. Sì, la clinica sarebbe un bersaglio per chi mi odia, ma farei di tutto per difenderla.”
Amabel si mise in piedi pulendosi il vestito in modo da non incrociare i suoi occhi furenti.
“Se io acconsentissi, tu cosa vorresti in cambio? Sì, immagino che il favore debba essere ripagato perché non metteresti mai in piedi una clinica solo per me!”
“Infatti. – disse Tommy calciando un sassolino – Avrei bisogno della clinica per riciclare i soldi delle scommesse e di altre attività illegali. Mettendo Michael come contabile della clinica, le finanze sarebbero nelle nostre mani.”
“Ma certo, per te è una mera questione di soldi!” disse afflitta Amabel, che per un attimo aveva creduto alla sua bontà di cuore. Gli diede le spalle e si avviò verso la villa con l’intenzione di andarsene, ma Tommy le sbarrò la strada.
“Senti, la cosa può funzionare. Entrambi avremmo quello che vogliamo: tu la clinica e io i miei affari. E avremmo anche una scusa per vederci più spesso.”
Amabel rifletté con attenzione su quella proposta. Non era malvagia, sebbene il vero intento di Tommy fosse mascherare le sue malefatte. Poteva finalmente avere quello che aveva sempre voluto: una clinica tutta sua, un posto dove aiutare gli altri, ricchi e poveri senza distinzione. Le parve di essere tornata indietro al loro primo incontro, quando aveva pattuito una somma per lo studio, e ora avevano fatto dei passi in avanti discutendo di una clinica. Si passò nervosa una mano fra i capelli castani, poi sospirò.
“E va bene. Accetto la tua proposta.”
Un sorriso raggiante si fece largo sul volto di Tommy.
“Benvenuta nella Shelby Company Limited, dottoressa Hamilton.”
Stavano facendo ritorno alla villa quando cominciò a piovere. Nel giro pochi minuti venne giù un temporale spaventoso.
“Sbrighiamoci.” Disse Tommy asciugandosi gli occhi meglio che poteva. Amabel, invece, aveva aperto la braccia con il viso rivolto verso l’alto per farsi bagnare dalla pioggia.
“Bel, che diamine fai? Andiamo!”
“Mia madre diceva che la pioggia è piena di ricordi e desideri!” strillò Amabel facendo una lenta giravolta su se stessa. Tommy pensò di non aver mai visto nulla di più puro. Il suo cuore guizzò nel petto invadendogli lo sterno di una insolita felicità. Tommy allora l’afferrò per i fianchi e la strinse a sé. I loro corpi erano freddi ma nessuno dei due sembrava accorgersene.
“Esprimi un desiderio, Thomas.” Sussurrò Bel. Tommy le disegnò il contorno delle labbra con il pollice per poi accarezzarle il collo.
“Desidero essere tuo in tutti i modi possibili.”
Amabel fu spiazzata da quel desiderio. Non aveva mai provato dei sentimenti così forti per un uomo, eppure lui sembrava ribaltare ogni certezza.
“Thomas …”
Tommy fu scosso dai brividi, il modo in cui lei continuava a ripetere il suo nome gli faceva perdere la testa.
“Fammi tuo, Bel. Fammi tuo adesso.”
 
Non appena rientrarono, Tommy agguantò Amabel per i fianchi abbracciandola da dietro. Erano bagnati e infreddoliti, ma ridevano a crepapelle. La ragazza gli si abbandonò totalmente contro mentre lui rafforzava la presa intorno alla vita.
“Adesso tocca a te esprimere un desiderio.” Mormorò Tommy sulla sua spalla. Amabel rabbrividì, e non seppe se per la loro vicinanza o per il freddo. Si girò tra le braccia di Tommy e gli circondò il collo con le mani.
“Desidero un bacio da voi, signor Shelby.”
Tommy, senza perdere tempo, l’attirò in un bacio passionale. Era tutto un gioco di labbra, lingue, e morsi. Si avvinghiavano per baciarsi con foga sempre maggiore. Tommy aveva agognato quel contatto nei mesi precedenti e, ora che aveva la ragazza tutta per sé, poteva dare sfogo ai sentimenti. Amabel si allarmò quando Tommy si staccò.
“Qualcosa non va, Thomas?”
Tommy emise una risata nervosa passandosi le mani tra i capelli bagnati.
“Mi fa impazzire il mondo in cui pronunci il mio nome, Bel. Tutto di te mi manda fottutamente fuori di testa. E vorrei soltanto trascinarti di sopra e fare l’amore con te nel modo più sconvolgente.”
Per un attimo Amabel rimase rigida. Lui la guardava con quegli occhi azzurri capaci di trivellarle l’anima, e respirava con affanno, e deglutiva. Ed era terribilmente bello. Tommy quasi sobbalzò quando lei gli prese dolcemente le mani.
“Vieni con me, Thomas.”
Tommy eseguì l’ordine meccanicamente lasciandosi portare lungo le scale, in direzione della camera padronale.
“Bel.” disse lui con incertezza, ma la ragazza non cedeva.
“Lasciamoci solo andare, Thomas. Io e te.”
Tommy la strinse di nuovo a sé, cullandola come fosse un bene prezioso. Le loro bocche si incontrarono in un bacio rovente. Amabel ansimò per il desiderio che l’attraversò. Barcollarono all’indietro, finendo sul letto. Tommy la sovrastava ma il suo sguardo, di solito accattivante, era ricolmo di una rara tenerezza. Fece scattare le mani verso l’orlo del vestito sollevandolo per avere accesso alla pelle fredda e bagnata, e Amabel trasalì per il calore delle sue dita. Tommy gemette quando la bocca carnosa di Amabel disseminò baci voglioso sul suo collo. Poi fu la ragazza a sospirare quando Tommy si curvò a baciarle l’interno coscia. Nessun uomo era stato mai in grado di farla sentire tanto in subbuglio. Amabel allora gli sbottonò la camicia facendola cadere sul pavimento, e in risposta Tommy le abbassò la zip del vestito sulla schiena. Quando l’indumento non ci fu più, il corpo della ragazza fu alla mercé degli occhi di lui.
“Ti voglio, Bel.”
Amabel, dunque, ingaggiò l’ennesimo bacio di fuoco. Aiutò Tommy a togliersi i pantaloni, trovandosi entrambi in intimo. Tommy era passato a tempestarle il collo di baci famelici, scendendo a baciare le clavicole e poi le spalle. La ragazza ansimò quando le corde del reggiseno furono scostate perché lui potesse baciarle altra pelle.
“A-aspetta.” Disse Amabel scostandosi il giusto per guardarlo negli occhi. Tommy inarcò il sopracciglia dapprima infastidito, poi il suo sguardo si addolcì.
“Che c’è?”
“Non voglio che questo momento sia dominato dalla tua solita rabbia, dalla tristezza, o da un semplice sfogo. Non voglio che tu ora sia Tommy Shelby, il capo dei Peaky Blinders, il re di Birmingham. Voglio che tu ora sia solo Thomas, il mio Thomas.”
“Non è così facile. Non sono più solo Thomas da troppo tempo.” Replicò lui accarezzandole la guancia.
“Però puoi provarci. Fallo per me.”
“Bel …”
“Sii solo il mio Thomas.”
E Tommy, che non riuscì a restare indifferente agli occhi ingenui di lei, annuì.
“Sarò solo il tuo Thomas.”
Amabel sorrise, e dopo gli allacciò le braccia al collo per baciarlo. Fu un bacio lento, assaporato, dato ad occhi chiusi. Uno voleva perdersi nell’altro senza esitazioni. Tommy le baciò la gola succhiando e leccando laddove pulsava il battito del cuore. Amabel allora gli strinse le gambe intorno ai fianchi per avvicinarlo. Sebbene bagnati dalla pioggia, i loro corpi erano caldi a contatto.
“Un desiderio.” Biascicò lei tra i sospiri, e Tommy le rivolse un’occhiata lussuriosa.
“E sarebbe?”
“Voglio fare l’amore lentamente, voglio sentire ogni minimo dettaglio. Puoi accontentarmi?”
Tommy rimase meravigliato da quella donna, riusciva a sorprenderlo sempre. Non era mai stato il tipo che andava piano a letto, e non ne aveva nemmeno mai sentito l’esigenza, ma ora voleva solo esaudire quella richiesta.
“Ogni tuo desiderio è un ordine.”
Sorrisero nel bacio, ormai ebbri e sull’orlo della perdizione. Tommy le dedicò baci caldi e umidi sulle mani, sui polsi, sulle spalle, sul seno, e giù sullo stomaco e la pancia. Amabel si dimenava a quelle attenzioni mentre le lenzuola si disfacevano sotto il suo corpo contratto dalle emozioni. La bocca di Tommy era audace ma gentile, sicura ma anche accorta, era il mix perfetto. Un ghigno soddisfatto si dipingeva sul suo volto ogni volta che Amabel ansimava. Frattanto fuori il temporale imperversava tra fulmini e tuoni, ma loro a stento udivano i boati del cielo perché rapiti da quell’abbraccio peccaminoso. Quando Tommy era sul punto di sfilarle il reggiseno, Amabel annuì concedendogli il permesso. Tommy ebbe altra porzione di pelle calda da baciarle, succhiare, mordere, e Amabel non si ritraeva a nessun tocco. Lui era uno che andava di fretta nel sesso, prendeva quello che voleva subito rispondendo ai bisogni del corpo, però adesso stava procedendo con calma e si rendeva conto di quanto fosse migliore prendersi l’oggetto del desidero lentamente. Era come sorseggiare whiskey goccia dopo goccia per ottenere il massimo piacere a fine bevuta. Amabel picchiettò piccoli baci sui tatuaggi che gli sporcavano la pelle nivea, quello sul petto e quello sua spalla; lei conosceva bene quei segni, li aveva osservati ogni giorno mentre lo aveva curato. Tommy ansimò quando lei scese a baciargli l’ampio petto disseminato di cicatrici, e per la prima volta non si vergognò di quei marchi che lo deturpavano. Trascorsero chissà quanto tempo a baciarsi, ad accarezzarsi, a scoprirsi. Quando anche gli ultimi indumenti finirono sul pavimento, Amabel sembrò quasi spaventarsi.
“Bel, affidati a me.” le sussurrò Tommy all’orecchio, e la sua voce trasudava malizia e gentilezza al tempo stesso. Amabel si limitò ad annuire, fidandosi di lui ancora una volta. Tommy si fece spazio tra le sue gambe senza smettere di guardarla e di accarezzarle i capelli. Lei era preziosa e meritava di essere tratta nel modo più avveduto possibile. Entrambi tremarono  quando i loro corpi si unirono. Dopo qualche istante, Amabel gli diede un bacio a stampo e Tommy iniziò a muoversi adagio. Tutti e due avvertirono l’ondata di piacere giungere gradualmente, ogni spinta si sommava all’altra in un climax di estasi che li invogliava a continuare. Tommy gemeva senza ritegno nella bocca di Amabel, e lei accoglieva ogni suono con un bacio. Tommy sorrise contro la sua spalla nuda quando la sentì fremere sotto di sé.
“Thomas.” Esalò lei in preda al piacere. Tommy avvertì le unghie di Amabel corrergli lungo la schiena e mugugnò dal profondo della gola, scosso com’era da quella azione. Stava per emettere un gemito gutturale quando Amabel lo intrappolò in un nuovo bacio passionale.
“Bel … Bel … Bel …” farfugliò Tommy incalzando il ritmo delle spinte. Il piacere li colse entrambi in un brivido di puro appagamento. Amabel si strinse a lui lasciandosi travolgere. E Tommy, dal canto suo, le morse le labbra prima di baciarla.
 
Tommy si svegliò che fuori pioveva ancora. Benché fosse giugno, il clima piovoso di Birmingham non si smentiva mai. Allungò un braccio verso l’altra parte del letto ma non trovò nessuno. Sbirciò nella stanza trovando Amabel appollaiata sulla poltrona con addosso la sua camicia, che le stava decisamente larga, a scrivere su un piccolo taccuino.
“Bel.”
 Lei si voltò con un sorriso.
“Ehi.”
“Torna qui.” disse Tommy con voce assonnata massaggiandosi gli occhi stanchi. Amabel prese posto al suo fianco giocando con una ciocca di capelli.
“Hai dormito per tre ore di fila, sono molto contenta. Un po’ di sano riposo ti fa bene.”
Tommy ridacchiò contro il cuscino, lei faceva il medico anche quando non era necessario.
“Ho dormito perché c’eri tu.”
Le gote della ragazza arrossirono e abbassò il viso per non darlo a vedere, ma Tommy stava già ridendo. Mettendosi seduto, Tommy digrignò i denti.
“Stai bene?” chiese preoccupata Amabel.
“Sì. Sono solo queste fottute cicatrici che fanno male.” disse lui stiracchiando le braccia. La sua schiena esibiva numerose cicatrici, così come il petto e le mani.
“Beh, è colpa del tempo. Il tessuto cicatriziale è più sensibile di quello sano alle variazioni climatiche.”
“Grazie per la spiegazione, dottoressa.”
Amabel si torturò le labbra tra i denti in imbarazzo mentre lui la guardava vagamente divertito.
“Posso fare qualcosa per alleviare il fastidio? A parte l’oppio, ovviamente.”
“Ovviamente. – ripeté lui imitandola – Comunque, di solito sopporto senza pensarci. Però oggi sembrano più dolorose.”
“Questo perché sta piovendo da una settimana e il dolore si sta accumulando. Forse posso aiutarti.”
“Come?”
“Voltati e sdraiati, per favore.”
Tommy scivolò sul materasso a pancia in giù sorridendo in modo provocante.
“Accomodati, dottoressa.”
La sua schiena era tesa e muscolosa, rigata dalle linee rosse lasciate dalle unghie della ragazza, e la sua pelle era incredibilmente fresca. Tommy boccheggiò quando avvertì la bocca di Amabel baciargli le cicatrici. Alcune erano informi, alcune più spesse e altre frastagliate. Nessuno in vita sua si era mai premurato di baciargli quegli orribili segni. Ciascuna lesione era un ricordo delle guerre che aveva combattuto, sia quelle in Francia sia quelle a Birmingham.
“Ti faccio male?” domandò lei con la bocca su una delle cicatrici. Tommy fu percosso da una caterva di brividi.
“Continua.”
Amabel sorrise, poi riprese quella dolce tortura. Le sue labbra calde erano fuoco sulla pelle di Tommy,  e ogni bacio corrispondeva ad un gemito sommesso. Quando ebbe terminato il lavoro, Amabel carezzò ogni segno con l’indice.
“Voltati.”
Tommy, dunque, si distese sulla schiena dandole pieno accesso al petto. Era in balìa di Amabel, catturato dai suoi modi di fare, dalla sua anima pura. Non si era mai sentito tanto amato come in quel momento.
“Bel.”
Gli scappò un sospiro di godimento quando Amabel si chinò a baciargli le altre cicatrici. Più scendeva verso il basso e più Tommy godeva. Gettò la testa all’indietro quando lei gli sfiorò gli addominali bassi che creavano una linea a ‘v’. D’istinto impugnò le lenzuola emettendo quasi un grugnito.
“Cazzo.” Borbottò lui senza fiato. Amabel gli stampò un bacio sulla cicatrice che esibiva la guancia sinistra.
“Va meglio adesso?”
“Va decisamente meglio.” Disse Tommy facendola sedere sul proprio bacino. Sentire le ginocchia della ragazza premere contro i fianchi era piacevole. Amabel fu attirata in un bacio ardente, e si inarcò contro di lui per avvicinarsi. I baci di Tommy erano travolgenti, viziosi, quasi proibiti, ed era per questo che erano magnifici. Amabel trasalì quando le dita di lui le accarezzarono i seni da sotto la camicia.
“E’ troppo?” le chiese Tommy staccandosi per assicurarsi che lei stesse bene. Di solito non si poneva problemi di quel tipo, anche perché dopo il sesso non preferiva restare a letto per molto, ma fare l’amore con Amabel lo spronava a non abbandonare mai più quelle lenzuola.
“No, credo di no.”  Disse lei con quel suo fare innocente che mandava Tommy in visibilio.
“Non voglio approfittare di te, Bel. Continueremo solo se tu lo vorrai.”
La ragazza sorrise per quella dolcezza tanto dissonante in uno distaccato come lui.
“Tu lo vuoi?”
“Oh, Bel, io farei l’amore con te fino allo sfinimento.”
“E allora facciamo l’amore.”
In un battito la stanza si riempì di calore, gemiti e risatine.
 
 
Salve a tutti!
Se Amabel prima voleva scappare dagli affari degli Shelby, adesso ne è stata del tutto risucchiata. Chissà come si evolveranno le cose.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


11. EPILOGO

“There’s a devil waiting outside your door
He’s weak with evil and broken by the world
He’s shouting your name and asking for more
There’s a devil waiting outside your door.”
(Loverman, Nick Cave)
 
Sei mesi dopo.
Tommy si aggirava nel salotto di casa Hamilton curiosando tra le foto mentre fumava. Aveva passato la notte a casa di Amabel, era arrivato circa verso mezzanotte e si era premurato di assicurarsi che nessuno lo avesse visto. Una delle foto ritraeva Amabel prima di partire per la Francia, aveva i capelli lunghi e quella sua solita aria da bambina.
“Non ti impicciare.” Biascicò lei sbadigliando. Tra una chiacchiera e un’altra erano finiti a dormire sul divano senza spostarsi in camera da letto.
“Com’eri carina da piccola.” Disse Tommy indicando una sua foto con i codini e un vestito pomposo. Amabel rise, poi strabuzzò gli occhi quando si accorse che erano le sette del mattino.
“Da quanto sei sveglio? Hai bisogno di riposare, Thomas. E devi diminuire le sigarette, i tuoi polmoni stanotte si lamentavano.”
Tommy alzò gli occhi al cielo, odiava quando faceva la dottoressa. Si frequentavano da sei mesi di nascosto, tra sguardi fugaci e sorrisi complici, tra baci rubati e nottate di passione. Stavano bene, avevano trovato il loro equilibrio e non si facevano alcuna pressione a vicenda. Tommy, per la prima volta dalla guerra, si sentiva libero con lei. Amabel era l’unica persona con cui si mostrava vulnerabile quando aveva gli incubi e voleva essere consolato, e lei era sempre pronta a cullarlo per ore pur di calmarlo. Ed era l’unica con cui si mostrava affettuoso, con cui lasciava trasparire il Thomas di una volta, quello dolce e allegro.
“I miei polmoni stanno bene, dottoressa.” Disse dandole un bacio a stampo. Amabel gli tirò uno schiaffo giocoso sul petto nudo ridacchiando. La tiepida luce mattutina delineava perfettamente i muscoli tonici del suo corpo rendendolo simile ad una statua dalle perfette proporzioni.
“Stanno bene? Respiri male, hai l’affanno, e l’alcol non fa altro che peggiorare le cose.”
Tommy, annoiato da quella conversazione sul suo stato di salute, fece spallucce.
“Non ti libererai di me facilmente, Bel.”
“Come hai scoperto il mio piano malvagio? Sono scioccata!” disse lei fingendosi sorpresa. Tommy cercò di attirarla tra le proprie braccia ma Amabel scappò in cucina con la sua risata cristallina che risuonava in tutta la casa.
“Non funziona questo gioco, tesoro. Io ti troverò sempre.” gridò Tommy andando in cucina.
“Puoi provarci!” replicò lei correndo di sopra. Tommy, però, riuscì ad afferrarla prima che raggiungesse le scale e la sollevò per riportarla sul divano. Amabel rise ancora di più quando Tommy iniziò a farle il solletico sulla pancia, e lui rideva di rimando.
“Presa.” Mormorò lui, poi la baciò. Amabel gli avvolse le gambe intorno ai fianchi per avvicinare i loro corpi. Tommy le baciava il collo mentre con le mani le accarezzava le cosce sotto la camicia da notte. E loro erano proprio così, erano risate, baci, carezze, speranze e ricordi. Amabel si preoccupò quando vide Tommy aggrottare le sopracciglia.
“Thomas?”
“Le tue mutandine sono sporche di sangue.”
Amabel di colpo avvampò nell’imbarazzo più totale. Si era dimenticata dell’appuntamento mensile che caratterizza la vita di ogni donna. Tommy, invece, strava trattenendo una risata.
“Scusami.” Borbottò lei fiondandosi su per le scale in direzione della sua stanza.
Una decina di minuti dopo Amabel tornò in salotto e trovò Tommy a sorseggiare una tazza di the placidamente stravaccato sul divano, con addosso ancora solo i boxer. La ragazza si sedette sul divano di fronte a lui guardandosi intorno con le guance in fiamme. Un istante dopo sospirò.
“Mi dispiace per l’incidente di prima. Che dici, mi sono resa abbastanza ridicola per i prossimi dieci anni?!”
Tommy scoppiò a ridere rovesciandosi sulle gambe alcune gocce di the mentre posava la tazzina sul tavolino di cristallo. L’espressione di Amabel era esilarante.
“Vieni qui.” le disse picchiettandosi la coscia destra. Amabel si sedette con i capelli che le coprivano il volto. Sussultò quando Tommy le baciò dolcemente il collo mentre la stringeva a sé.
“Come ti senti?”
Amabel trovava insolita quella tenerezza, in netto contrasto con i suoi soliti modi di fare bruschi. Eppure a lei riservava una delicatezza incredibile che la faceva sentire importante.
“Sto bene. E tu? Voglio dire, non deve essere stato piacevole.”
“Bel, sei un medico e sai meglio di me che certe cose sono normali.”
“Lo so, ma è stato imbarazzante lo stesso. Ci stavamo baciando e stavi per spogliarmi … e poi … è successo … e io non mi ricordavo che fosse oggi.”
Tommy le diede un bacio a stampo sulle labbra contratte in una smorfia dispiaciuta. Era talmente pure in quel momento che il suo cuore quasi smise di battere.
“Non importa che non lo ricordavi e nemmeno cosa stavamo facendo. Se stiamo insieme, di sicuro capiterà altre volte. Ti ricordo che ho una sorella e, sebbene cercasse di nascondersi, era palese quando si trovava in quel periodo del mese.”
Amabel si sentiva una ragazzina alle prime armi, e sbuffò. Le mestruazioni erano normali, ma essere beccata impreparata da Tommy le metteva una certa agitazione. Però lui la stava stupendo con quella disinvoltura.
“Va bene.” disse Amabel accoccolandosi sul suo petto. Tommy le lasciò un bacio sulla fronte abbracciandola più stretta. Era meravigliato da se stesso per tutte quelle attenzioni che le dedicava. Amabel si rannicchiò contro di lui lasciandosi coccolare, e Tommy non si oppose affatto.
“Questo fine settimana ci possiamo vedere?”
“Temo di no. Nel pomeriggio arriverà il mio amico Oliver da Boston e domattina arriveranno Bertha e le ragazze. Saranno tutti qui per l’inaugurazione.”
Quel sabato, infatti, la clinica Hamilton sarebbe stata inaugurata. Gli Shelby avevano comprato un vecchio edificio in centro, lo avevano ristrutturato, e in pochi mesi era stato preparato tutto. Alcuni medici avevano addirittura già fatto richiesta di assunzione, in fondo la famiglia Hamilton era rinomata in tutta l’Inghilterra e oltre. Amabel aveva trascorso quasi tutti i giorni con Ada in cerca di sponsor, ricchi finanziatori, e bambini bisognosi di aiuto. Aveva anche aperto un’ala per i soldati di guerra a nome di Aaron Jones e Freddie Thorne, mentre l’ala chirurgica era stata dedicata ad Oswald Hamilton.
“Devo preoccuparmi di questo Oliver?” chiese Tommy pizzicandole il ginocchio. Amabel scosse la testa ridendo.
“Ehm, no, direi proprio di no.”
Tommy lesse nei suoi occhi un certo divertimento che gli fece arricciare il naso.
“Cos’è che non mi dici? Lo sai che non mi piace chi mi tiene le cose nascoste.”
Amabel sospirò quando la mano di Tommy si spostò dalla pancia verso il basso ventre, era pericolosamente vicino all’orlo dell’intimo. La sta piacevolmente torturando.
“Non posso dirtelo.” Disse Amabel con una serietà che lo fece preoccupare.
“Ci sei andata a letto?”
“Thomas!”
“E allora puoi dirmelo. Non ti fidi di me?”
Amabel lo vide irrigidire la mascella, tipico indizio che si stava innervosendo, e gli baciò il tatuaggio sul petto.
“Mi fido di te, perciò te lo dirò. Però devi promettermi che non ne farai parola con nessuno.”
“Te lo prometto. Allora?”
“A Oliver piacciono gli uomini.”
Tommy sgranò gli occhi, non si aspettava un segreto di tale portata. L’omosessualità in molti paesi, come l’URSS, era considerato un reato e in generale era considerata una sorta di malattia.
“Capisco. E come mai tu conosci questo tizio?”
“Dopo che la mia unità è tornata in Inghilterra, prima ancora di far ritorno a Birmingham, a Londra siamo stati assistiti da medici e psicologi per riadattarci dopo la guerra. Oliver era stato assegnato a me e, giorno dopo giorno, è nata la nostra amicizia. Lui sa di te, è stata la prima cosa che gli ho raccontato.” Disse Amabel con un sorriso malinconico. Tommy poggiò la fronte nell’incavo del suo collo e con la punta del naso le accarezzò la pelle.
“Il tuo Thomas.”
“Il mio Thomas.”
La ragazza annuì passandogli le dita tra i capelli e le spalle di Tommy crollarono a quella sensazione di pace che gli dava quel tocco. Lui sollevò la testa per guardarla sorridere.
“Mi piace come suona detto da te. Mi piace essere tuo.”
Amabel gli accarezzò gli zigomi lentamente, avvertendo sotto i polpastrelli la barba che stava per ricrescere e la cicatrice, mentre Tommy non stacca gli occhi da lei. Per un momento tornarono gli Amabel e i Thomas di sette anni fa, giovani, spensierati, pieni di sogni. Era incredibile che si fossero ritrovati, sembrava quasi che l’universo, nonostante mille giri, li avesse voluti insieme a tutti i costi.
“Allora vedi di smettere di bere e fumare in modo da restare mio ancora per molto!”
Tommy sbuffò per quell’ennesimo ammonimento facendo ghignare Amabel.
“Sta zitta e baciami, Bel.”
L’attimo dopo si stavano baciando appassionatamente. Amabel si sistemò a cavalcioni mentre Tommy le arpionava i fianchi per tenerla stretta. Bastava un semplice bacio per infiammarli. Continuarono a baciarsi con maggiore trasporto fino a quando non uscirono di casa separandosi per non destare sospetti.
 
Una settimana dopo.
Diana si allacciò la sciarpa al collo per impedire al vento fresco di farla rabbrividire. Al suo fianco c’era Finn e a pochi metri dalle loro spalle camminava Bertha. Il ragazzo era andato a prenderla a casa in modo da arrivare insieme all’inaugurazione, e la domestica si era accodata per badare che lui non facesse mosse azzardate.
“Come va a Londra?” chiese Finn accendendosi una sigaretta. Diana abbozzò un sorriso per gli occhi inquisitori dell’amico.
“Beh, va abbastanza bene. Vado a scuola, prendo lezioni di pianoforte e di equitazione. E qui come va?”
“Va come sempre. Ehm, domattina sei libera? E’ domenica, perciò … non so… potrei farti vedere i cavalli dei miei fratelli.”
Diana arrossì, era la prima volta che Finn parlava di una sorta di appuntamento.
“Certo, è una splendida idea.”
“Va bene.”
La ragazza si avvicinò a lui facendo sfiorare le loro spalle.
“Finn, sei strano. Qualcosa non va?”
“E’ solo che mi manchi. Prima avevo una scusa per allontanarmi dai casini della mia famiglia grazie alle tue lezione, invece ora me ne sto sempre da solo.”
A Diana fece male vedere l’espressione abbattuta di Finn, in fondo era l’unica amicizia vera della sua vita. Finn era diverso dai ragazzi spocchiosi e ricchi che frequentava, lui era molto dolce e sensibile, e anche galante per appartenere ad una bassa classe sociale.
“Anche tu mi manchi. Io vorrei tornare a Birmingham ma le mie sorelle non me lo permettono.”
“Lo so, Tommy mi ripete sempre che vi siete allontanate per il vostro bene. Però perché Amabel è qui?”
“Perché il suo posto è tra i bisognosi. Amabel ha questa missione nella vita, vuole prestare aiuto a tutti senza alcun pregiudizio. Non so, penso che sia una conseguenza della guerra.”
Finn annuì poco convinto. Era ingiusto che la ragazza più carina di Inghilterra, nonché sua unica amica, si fosse trasferita lasciandolo solo.
“Posso sentirti in qualche modo? Io non sono molto ancora bravo a scrivere, quindi le lettere non fanno al mio caso.”
“Potresti chiamarmi la domenica mattina, dato che sono a casa, e potrei chiedere ad Amabel il permesso di tornare a Birmingham almeno un weekend al mese.”
Gli occhi di Finn si illuminarono e Diana sorrise, forse per loro c’era una speranza. Il ragazzo si fermò costringendo lei a fare lo stesso, e si assicurò che Bertha fosse abbastanza lontana.
“Diana, devo dirti una cosa a cui sto pensando da un po’.”
“Dimmi.”
“Ecc … sì … beh … il fatto è che … tu mi piaci, Diana. Cioè, mi piaci più di un’amica.”
Diana, che non aveva mai avuto dichiarazioni simili, abbassò il mento arrossendo a dismisura. Evelyn una volta le aveva detto che un ragazzo avrebbe dovuto corteggiarla con modi raffinati prima di dichiararsi, ma Finn non avrebbe mai rispettato il galateo dell’alta società.
“Perché vi siete fermati?” intervenne Bertha allungando il collo con fare circospetto. Finn, deluso dal silenzio di Diana, sospirò.
“Andiamo, l’inaugurazione ci aspetta.”
 
Evelyn attendeva sulla scalinata della nuova clinica l’arrivo di Diana e Bertha. Avvolta in un lungo abito color argento, si sistemava lo scialle di pizzo sulle spalle per ripararsi dalla frescura. La sala centrale della clinica era già gremita di gente, tutti i ricchi che avevano finanziato l’opera pur di fare bella figura, e altri ospiti si accalcavano all’entrata.
“Buonasera.” Esordì una voce dietro di lei facendola sobbalzare. Michael sorrideva con le mani in tasca e la sigaretta in bocca. Evelyn fece roteare gli occhi sbuffando.
“Oh, sì che adesso la mia serata è rovinata!”
“Sei sempre così gentile? Credevo che Londra avesse migliorato il tuo carattere.” Disse lui con una certa vena di irritazione nella voce. Evelyn incrociò le braccia sotto al seno assumendo un’espressione disinteressata.
“Che peccato aver disatteso le speranze di un criminale.”
“Sei ancora arrabbiata per la faccenda del tuo matrimonio? Sei davvero una ingrata, Evelyn. Tua sorella è scesa a patti con i Peaky Blinders pur di salvarti la vita, ma tu non te ne rendi conto perché sei troppo impegnata a fare la stronza.”
Evelyn si sentì ferita nell’orgoglio e distolse lo sguardo da lui. Era consapevole del rischio che aveva corso Amabel e le era riconoscente, però forse non aveva mai davvero compreso fino in fondo quanto fosse stata fortunata ad essersi liberata di Jacob.
“Non farmi la predica, Michael. Non sono una bambina!”
“Però ti comporti come se lo fossi.” Disse lui, dopodiché si avviò verso l’interno. Evelyn, che in quei mesi di lontananza aveva pensato a lui, si sentì in colpa. Alla fine era stato anche grazie a lui che aveva avuto il coraggio di volare pagina.
“Michael, aspetta.”
Michael si girò buttando fuori il fumo, era visibilmente nervoso.
“Che c’è, vuoi insultarmi ancora?”
 “No. Voglio ringraziarti. Lo so che tu e Amabel mi avete salvato da un matrimonio tossico che probabilmente mi avrebbe spezzato, e sono stata una sciocca a trattarvi male per questo. Non condivido il tuo modo di vivere ma ti sono debitrice. Come posso sdebitarmi?”
Evelyn era talmente bella che il proposito di Michael di essere arrabbiato si dissolse. Il modo in cui i capelli biondi le ricadevano sulla schiena in una cascata dorata e i suoi occhi scuri erano una combinazione letale.
“Puoi sdebitarti ballando con me, signorina Hamilton.” disse lui offrendole la mano. Evelyn allora sorrise accettando l’offerta.
“Con molto piacere, signor Gray.”
 
Ada stava dando un ultimo ritocco al rossetto quando Amabel irruppe in quello che era diventato il loro ufficio.
“I tuoi fratelli non sono ancora arrivati, ma gli ospiti sono tutti qui. Direi che possiamo scendere. Sei pronta?”
Sebbene avessero due personalità opposte, erano diventate molto amiche negli ultimi mesi. Ada era una semplice ragazza che voleva evadere dalla corruzione della sua famiglia ma che puntualmente ci si ritrovava avviluppata. Per lei la clinica era un nuovo inizio, un mezzo per dimostrare a tutti quanto valesse. Si aggiustò le pieghe del vestito blu che indossava prima di prendere Amabel a braccetto.
“Pronta. Andiamo, amica mia!”
Non appena fecero il loro ingresso nella grande sala, tutti i presenti applaudirono. Polly sorrideva soddisfatta nel vedere sua nipote occupare finalmente una posizione di potere, era quello che meritava. Grace, Finn e Michael fischiarono per elogiare Ada. Bertha, Evelyn e Diana applaudivano più forte degli altri facendo commuovere la sorella. Zia Camille mancava, non aveva più voluto avere contatti con le nipoti dopo la morte dei Cavendish.
Gli ospiti attorniarono le due padrone di casa per complimentarsi, stringere le mani, elargire consigli e sorrisi. Sul viso di Amabel si dipinse un sorriso radioso quando scorse Oliver in fondo alla sala. Corse da lui per abbracciarlo.
“Sono così felice che tu sia qui!”
Oliver Ross era un bell’uomo di circa trenta anni, con i capelli castani e grandi occhi verdi, e quella faccia simpatica che catturava tutti.
“Sono felice anche io, Amabel. Sei favolosa!”
Amabel per l’occasione aveva indossato un abito nero di pizzo con le bretelle sottili e una fascia di perline in vita. I capelli erano legati in uno chignon ordinato, il trucco era leggero, e ai lobi portava gli orecchini di perle di sua madre.
“Anche tu stai davvero bene!”
Oliver seguì lo sguardo dell’amica che continuava a lanciare occhiate fugaci alla porta.
“I tuoi occhi stanno cercando qualcuno?”
Amabel stava per replicare quando i fratelli Shelby entrarono. Mentre Arthur e Linda andarono da Polly, Tommy fece vagare gli occhi nella stanza. Sorrise non appena riconobbe Amabel, meravigliosa nella sua solita eleganza. Rimasero a fissarsi per un po’, in quella sala esistevano solo loro due, il resto del mondo era svanito.
“Lui è Thomas.” Disse, e Oliver capì subito a chi si riferisse.
“Quel Thomas? Quello della guerra?”
“Il solo e unico.” Rispose Tommy sbucando alle sue spalle. Oliver sollevò le sopracciglia per la sorpresa. Amabel rise e gli diede una gomitata nelle costole.
“Oliver, lui è Thomas Shelby. Thomas, lui è Oliver Ross.”
“Piacere di conoscerti.” Disse Tommy stringendo la mano dell’uomo. Amabel era lieta che si stesse comportando bene sebbene sapesse il segreto di Oliver.
“Il piacere è tutto mio, credimi! Amabel mi ha parlato tanto di te ed è come se ti conoscessi!”
Tommy d’istinto mise una mano tra le scapole di Amabel come aveva fatto all’Athenaeum, e la ragazza si crogiolò nel calore della sua pelle.
“Spero che la nostra dottoressa ti abbia detto solo cose belle su di me.”
Oliver sorrise sornione notando il feeling tra l’amica e Tommy, di sicuro erano più che amici.
“Sì, mi ha parlato bene di te. E’ bello che vi siate ritrovati dopo sette anni.”
“Dipende dai punti di vista.” Replicò Amabel scoccando un’occhiata complice a Tommy.
“Ti ho dato una clinica tutta tua e mi tratti ancora male? Non andiamo bene, dottoressa. I nostri affari sono in crisi.” Disse lui facendo scivolare la mano verso la base della schiena della ragazza. L’espressione divertita di Oliver si tramutò in una maschera di preoccupazione.
“Amabel, abbiamo un problema.”
Amabel si voltò e aggrottò le sopracciglia alla vista di un uomo che camminava nella sua direzione. Era alto, fisico atletico, lucenti capelli biondi e un sorriso affascinante. Tommy sentì la ragazza irrigidirsi e si allarmò all’istante. Quando l’uomo fu vicino, le baciò la mano come richiesto dalle buone maniere.
“Amabel, sei uno splendore.”
“E voi siete?” domandò Tommy, la mascella indurita, le mani che prudevano.
“Sono Warren Emerson.”
La mano di Tommy che stava sulla schiena di Amabel ricadde, e la ragazza avvertì dolorosamente l’assenza del suo tocco.
“Warren, che diamine ci fai qui? Non ti ho spedito l’invito.”
“Bertha è stata così gentile da spedirmene uno. Voleva che fossi qui a tutti i costi. Non potevo perdermi il tuo grande momento!”
“Vieni con me.”
Trascinò Warren in giardino per avere maggiore privacy, malgrado lo sguardo furente di Tommy.
“Non sei contenta di vedermi, Amabel?”
“No! Non sono contenta di vederti, Warren! Devi andartene. Devi lasciare la città stasera stessa.” Gli intimò Amabel tentando di mantenere un tono basso di voce per non attirare l’attenzione. Warren rise della sua agitazione.
“Non posso andarmene. Sono stato assunto come docente di chirurgia presso l’università di Birmingham. Resterò qui per un anno.”
Amabel si portò le mani tra i capelli, incurante di rovinarsi l’acconciatura, e mormorò un ‘maledizione’.
“Come hai fatto ad essere assunto? Ma è ovvio, hai chiesto a tuo cugino di intercedere.”
“Sono qui per te, Amabel. Perché non lo capisci?”
Amabel indietreggiò di scatto quando Warren le accarezzò la guancia, non voleva essere toccata da lui.
“Va tutto bene?” si intromise la voce profonda di Tommy, che li aveva raggiunti per accertarsi che andasse tutto bene. Teneva la sigaretta all’angolo della bocca e le mani in tasca, il segno palese della sua presa di posizione. Amabel lo affiancò e annuì. Si sentì sollevata quando la mano calda di Tommy le sfiorò la schiena.
“Va tutto bene, Thomas. Devo parlare con Bertha.”
Warren voleva inseguirla ma Tommy gli mise una mano sulla spalla per fermarlo.
“Allora, dottorino, cos’è che vuoi?”
“Ho per caso un conto in sospeso con voi, signore? Non mi sembra. Pertanto sono libero di andare.”
La presa di Tommy sulla sua spalla si rinforzò e gli fece digrignare i denti per il dolore.
“Stammi bene a sentire, dottorino. Lascia in pace Amabel. Fossi in te, mi guarderei le spalle attentamente.”
“Sono qui perché la amo. Sono in questa città degradata per riprendermi Amabel. Niente e nessuno mi fermerà, neanche il diavolo.” Sibilò Warren ad una spanna dal viso di Tommy.
“Tu non hai idea di quanto sia fottutamente pericoloso il diavolo da queste parti.”
“Amabel sarà mia entro la fine dell’anno.”
Warren si scrollò di dosso la mano di Tommy e indietreggiò per rientrare in sala, però Tommy lo richiamò.
“Il diavolo verrà a cercarti se non starai lontano da lei. Hai capito, dottorino? Sta per venirti a prendere.”
 
“Mi dispiace, signorina, ma non mi pento della mia decisione.” Disse Bertha con gli occhi lucidi. Amabel l’aveva condotta in un anfratto nascosto del giardino per affrontarla.
“Tu non decidi proprio nulla, Bertha. Io sono il capo della famiglia Hamilton, io prendo le decisioni, e io scelgo chi invitare nella mia clinica! Sei come una madre per noi, ma stasera hai superato ogni limite. Come ti è venuto in mente di invitare Warren? Lo sai che non voglio vederlo!”
“Io … io non voglio che voi frequentiate gli Shelby, signorina. Vi avevo avvertita, eppure ci siete cascata. Voi siete di buon cuore e avete un’anima innocente, non posso permettere che vi intratteniate in compagnia di certa gentaglia. Tommy Shelby è un ladro, un allibratore, un assassino spietato, e vi sta solo usando. Immagino che abbia già approfittato del vostro corpo, vero? Oh, bambina mia, che dolore!”
“Sì, Tommy non è la persona migliore di questo mondo. E sì, fa delle cose orribili, è spietato, ma non è quello che tutti credono. E’ un uomo buono nel profondo, deve solo ricordare a se stesso che può farcela, che può superare ogni giorno senza ricorrere alla violenza. E non ha approfittato di me, non lo farebbe mai. Ti prego, Bertha, lasciami vivere la vita secondo le mie regole. Conosco la soglia da non valicare, e non lo farò. Sono Amabel e lo sarò per sempre, però sono una donna adesso e devi lasciarmi andare.”
Bertha ormai stava piangendo sommessamente senza controllo. Aveva cresciuto quelle tre bambine come fossero figlie sue, le aveva sempre supportate, aveva curato ogni loro ferita, ma era arrivato il momento che le colombelle spiccassero il volo.
“Non sono felice di come avete scelto di vivere, ma non sono nessuno per biasimarvi. Io e le vostre sorelle vi aspetteremo a Londra sempre a braccia aperte. E mi dispiace per Warren, non avrei dovuto invitarlo. Vi voglio bene, mia piccola donna.”
Amabel abbracciò la governante con una nuova leggerezza nel cuore. Era consapevole di rischiare tutto con gli Shelby, ma era proprio quel tipo di pericolo che cercava per mantenersi viva.
“Ti voglio bene anche io, mia governante brontolona.”
 
Erano circa le dieci di sera quando Amabel si mise alla ricerca di Tommy. Dentro non c’era, non era con la sua famiglia, e Oliver lo aveva visto lasciare l’ospedale.
“E’ andato via.”
Amabel si voltò verso Polly ed emise un sospiro frustrato.
“Le cose stasera si sono complicate il doppio di quello che mi aspettavo. L’arrivo di Warren è stata la ciliegina sulla torta.”
“Tommy ha bisogno di te. Lui ha perso la testa per te sin dai tempi della Francia. Per un po’ ha dimenticato il tuo volto, il tuo sorriso, la tua voce, ma non hai mai scordato quello che gli facevi provare. Tu lo hai conosciuto quando era ancora Thomas, lo hai accettato allora e lo accetti anche oggi. Grace è stata importante per lui, un grande amore senza dubbio, ma non il tipo di amore che gli serve.”
“E quale tipo di amore gli serve?”
Polly si attorcigliò una ciocca di Amabel intorno all’indice con fare materno.
“Quel tipo che lo tiene a galla quando il mondo affonda. Un amore che lo sappia curare, che calmi le sue tempeste, e che gli ricordi ogni momento che esiste il buono nella vita. Vai da lui, Amabel, e salvalo.”
 
Tommy si stava scolando l’ennesimo drink quando il suo momento di solitudine fu interrotto da ripetuti colpi alla porta. Aprendo, inarcò il sopracciglio alla vista di Amabel.
“Disturbo? No? Fantastico!” disse lei entrando senza permesso.
“Che ci fai qui? Hai degli ospiti da intrattenere.”
“Ada è decisamente più brava di me ad intrattenere gli ospiti. Io avevo bisogno di vederti.”
“Mi hai visto.” Disse Tommy allargando le braccia in modo teatrale. Amabel lo seguì nello studio e si sedette, era stranamente stanca.
“Perché hai abbandonato la festa? Pensavo volessi celebrare l’attività di riciclaggio di denaro sporco.”
“Me ne sono andato per non vederti insieme al tuo amichetto. Non volevo rovinarmi l’umore.” Ribatté lui versandosi altro whiskey. Se ne stava seduto con i gomiti sui braccioli e la sua tipica espressione distaccata.
“Il tuo umore è sempre rovinato, Thomas. Sta di fatto che Warren non è il mio amichetto e non ero con lui. Gli ho parlato solo per cacciarlo da Birmingham, anche se non è servito a nulla dato che è stato assunto come docente.”
“Bene, dovrò sopportare quel fottuto dottorino ancora per molto.” Disse lui contraendo la mascella. Amabel si alzò per prendere posto sulle sue gambe, sebbene lui la ignorasse.
“Non fare così. Warren è solo una mia rogna, capito? E’ solo un ex fidanzato che vedrò più spesso in giro.”
“La cosa non mi piace, sappilo.”
“Tu vedi Grace ogni giorno ma io non te lo faccio pesare perché per me non è un problema. Io mi fido di te.”
Tommy osò guardarla e si morse le labbra per quanto appariva bella sotto i raggi lunari che penetravano dalla finestra.
“Io e Grace abbiamo un figlio, è ovvio che ci vediamo tutti i giorni. E non puoi paragonare Grace a quel cazzone di Warren.”
“Giusto, Grace è molto più bella di Warren!” disse lei ridendo. Tommy, che non resisteva mai con lei, si fece scappare un sorriso.
“Sono un fottuto disastro, Bel. Sono egoista, ambizioso, un manipolatore, un bugiardo e tu … tu sei così pura! Non voglio trascinarti a fondo con me. Tu non appartieni alla mia gente, né al mio mondo, e neanche a Small Heath.”
Amabel fu attraversata dai brividi, quasi certamente era timore. Timore che lui potesse rifiutarla.
“Sì, sei un dannato disastro. Però non sarei qui se tu non lo fossi. Io ti conosco meglio degli altri, so chi eri prima della guerra e so chi sei ora, ed è per questo che non riesco ad allontanarmi da te. Sei molto più di uno zingaro, di un gangster, di un uomo senza scrupoli. Tu hai fin troppo cuore, ma lo nascondi per paura che qualcuno possa vederlo e svelare la tua fragilità. Io non te lo spiegare cos’è che continua ad attirarmi a te e ai tuoi guai, ma so che non posso farne a meno. Io sento che senza di te non posso stare.”
Tommy guardò fuori per sottrarsi agli occhi di Amabel che gli scavavano fin nelle ossa in cerca di chissà cosa. Si sentiva scoperto, messo a nudo nella sua vulnerabilità, e amava il fatto che lei riuscisse a farlo sentire ancora umano.
“Mi sei entrata nelle vene, Bel, e da lì non te ne andrai mai.”
Poi accadde in un attimo. Tommy la prese in braccio facendola sedere sulla scrivania e buttò a terra i fogli che ricoprivano la superficie di legno. Amabel gli avvinghiò le gambe intorno al bacino attirandolo in un bacio vorace. Le sue mani le alzarono il vestito mentre le tempestava il collo di baci. Amabel gli circondò il collo ansimando ad ogni tocco. Erano due fiamme che davano vita ad un incendio ogniqualvolta stavano insieme. Tommy ghignò quando le dita della ragazza scattarono a sbottonargli i pantaloni, era una novità quella intraprendenza.
“Lo vuoi davvero?” le chiese tra un bacio e l’altro, e Amabel si staccò solo per accarezzargli gli zigomi. Gli prese la mano e se la poggiò sul petto dove batteva il cuore.
“Davvero.”
Tommy la baciò ancora, e questa volta con maggiore passione. Infilò le mani sotto il suo vestito per toglierle l’intimo senza mai smettere di baciarla. Amabel, che non aveva mai consumato un rapporto su una scrivania, avvertiva una certa adrenalina. Stare con Tommy era immorale in tutti i sensi e lei non desiderava altro. Lo studio ben presto si riempì di gemiti e respiri irregolari, mentre i loro corpi si fondevano senza esitazioni. Tommy scostò con urgenza le spalline del vestito di Amabel per blandire le spalle e le clavicole di baci, e lei gli baciava il collo ansimandogli all’orecchio. In quell’istante il mondo sarebbe anche potuto crollare e loro non si sarebbero staccati perché il bisogno di stare vicini era superiore a qualsiasi catastrofe. Dopo che ebbero raggiunto l’apice, Tommy poggiò la fronte contro quella di Amabel con il respiro mozzato. Lei sorrideva tentando di riprendere a respirare normalmente.
“Adesso ascoltami, Bel – disse Tommy accarezzandole il collo – Voglio che tu vada ad aspettarmi di sopra, nel mio letto, perché con te stanotte non ho ancora finito. Voglio fare l’amore con te e farti sentire tutto, proprio tutto.”
Sul viso di Amabel balenò un sorriso malizioso e scese dalla scrivania sistemandosi il vestito.
“Ti aspetto. Però non metterci troppo, già mi manca il tuo corpo.” disse Amabel dandogli un bacio a stampo sulle labbra, dopodiché svanì su per le scale. Tommy si assicurò che fosse salita per digitare il numero di casa di Arthur.
“Qui Arthur Shelby. Chi parla?”
“Sono Tommy. Devi fare una cosa per me.”
“Chi devo ammazzare?” replicò Arthur tirando su col naso, e Tommy lo immaginò già stordito da qualche striscia di neve.
“Non devi ammazzare nessuno. Devi mandare due dei nostri a fare visita ad un certo Warren Emerson. Non gli devono fare troppo male, devono solo spaventarlo.”
“Lo fai per la tua bella dottoressa?” lo canzonò Arthur, ma Tommy non aveva voglia di ridere.
“Tu dai l’ordine e basta. Buonanotte.”
 
Amabel osservava il soffitto mentre scorreva le dita tra i capelli di Tommy. Avevano da poco finito di fare l’amore e si stavano cullando l’uno nel calore dell’altro. Tommy stava sdraiato in mezzo alle sue gambe con la guancia posata sul suo stomaco e la mano destra a stringere la sua. Una sensazione di pace pervadeva la stanza.
“Prima, mentre tornavo a casa, ho lanciato una monetina. Lo faccio sempre quando devo prendere una decisione importante.” Disse Tommy baciandole l’interno del polso. Amabel in risposta gli accarezzò le cicatrici sulle spalle.
“E qual è la decisione importante che dovevi prendere?”
“Riguarda una donna.”
“La moneta è stata d’aiuto?”
Tommy le baciò la pancia e sorrise contro la sua pelle. Si sentiva vulnerabile ma non lo preoccupava perché sapeva che Amabel avrebbe preservato quel suo lato debole.
“Non ho avuto il coraggio di guardare se era testa o croce.”
“Allora fai un altro lancio, magari trovi la soluzione.” Gli consigliò lei passandogli le mani sugli zigomi. Allora Tommy si alzò dal letto in tutta la sua gloriosa nudità, ottenendo uno sguardo ammirato da parte di Amabel, e si infilò i boxer. Raccattò i pantaloni e scavò nella tasca in cerca della moneta. Quando la ebbe trovata, se la rigirò tra le dita.
“La testa è sì, la croce è no.”
Amabel si sedette sul bordo del letto e si coprì il corpo nudo lasciando scoperte solo le gambe e le spalle. Entrambi fissarono la moneta volteggiare in aria e piombare sul parquet con un tonfo sordo. Tommy si abbassò a leggere il responso con una certa agitazione. Testa.
“Ebbene?” chiese lei morsicandosi l’interno guancia.
“E’ testa, è un sì.”
“Sì a cosa, dunque?”
Amabel corrugò la fronte quando Tommy si inginocchiò di fronte a lei prendendole le mani.
“E’ un sì a dirti cosa provo.”
“Thomas, non ti sto capendo.”
Tommy deglutì, e Amabel nei suoi occhi azzurri vide una nuova luce.
“Ti amo.”
Amabel sgranò gli occhi scuri a quelle parole che non credeva le sarebbero mai state rivolte. Eppure Thomas Shelby, il soldato prima e il gangster ora, aveva professato il proprio amore per lei. Nell’ultimo anno erano stati uniti, si erano aiutati a vicenda, si erano salvati, avevano riso e litigato, e alla fine si erano ritrovati. Amare un uomo come Tommy era un rischio, ma uno di quelli che vale la pena rischiare.
“Ti amo anche io, Thomas.”
Tommy la baciò senza perdere tempo, non c’era nessun motivo per indugiare ancora. Polly aveva avuto ragione quando gli aveva detto che dopo Grace sarebbero arrivate altre donne, ma per lui adesso esisteva una sola donna ed era Amabel. Nessuno meglio di lei conosceva il suo cuore, con lei poteva essere se stesso senza preoccuparsi, era libero.
 
La prima cosa che Tommy vide aprendo gli occhi fu il letto vuoto accanto a sé. Il vestito e le scarpe di Amabel non c’erano più e le lenzuola erano fredde, quindi doveva essersi svegliata parecchio tempo prima. Per un secondo la paura che se ne fosse andata si impossessò di lui. Di certo non era un uomo aperto, ma pensava che rivelarle i propri sentimenti l’avrebbe convinta ancora di più a restare.
“Bel! Bel!” gridò scendendo velocemente le scale in preda all’agitazione. Sorrise raggiante quando la ragazza sbucò dalla cucina.
“Stai bene, Thomas? Ero in cucina per mangiare qualcosa ma sembra proprio che la tua dispensa sia vuota.”
Tommy di colpo l’abbracciò affondando il viso nell’incavo del suo collo. L’odore di Amabel era rassicurante.
“Ti amo. Ti amo. Ti amo.” Sussurrò contro la sua pelle, le labbra che si muovevano sulla vena pulsante della gola. Amabel si intristì nel vederlo così insicuro, così affamato di affetto e di attenzioni. Perché Tommy poteva fare il duro quanto voleva, ma nel profondo serbava un animo gracile e ferito.
“E io amo te.” gli disse baciandogli la guancia, quasi fosse una madre che culla il proprio bambino. Quella tenerezza fu troncata dal suono del telefono. Tommy, turbato dalla probabilità che i suoi uomini avessero ucciso Warren, accettò subito la chiamata.
“Pronto?”
“Riunione di famiglia. – ordinò la voce di Ada – Polly ha un brutto presentimento.”
Amabel notò la faccia di Tommy adombrarsi e un moto di ansia le attanagliò lo stomaco.
“Thomas?”
“Preparati, Bel.”
“Per cosa?”
Tommy le stampò un bacio sulle labbra.
“Per la tua prima riunione di famiglia.”
 
Arthur e Michael avevano riso sotto i baffi quando Tommy aveva raggiunto Small Heath insieme ad Amabel. La dottoressa indossava ancora l’abito della sera precedente, il trucco si era un poco rovinato e i capelli erano ormai sciolti sulle spalle. Polly quasi si strozzò con il the alla vista della ragazza.
“Che ci fa la dottoressa qui?”
“Fa parte dei Peaky Blinders  e di conseguenza fa parte della famiglia. Ci possiamo fidare di lei come se fosse sangue del nostro sangue.” Disse Tommy accendendosi una sigaretta. Non voleva dire alla sua famiglia che stava con Amabel, lo avevano stabilito insieme, ma la voleva comunque nella ristretta cerchia degli Shelby.
“Qual è il brutto presentimento, Pol?” indagò Arthur bevendo whiskey direttamente dalla bottiglia, sebbene fossero solo le otto del mattino. Polly scrutava i presenti mentre il fumo della sua sigaretta l’avvolgeva in una cortina di fumo bianco. Amabel immaginava che fosse un retaggio del loro sangue zingaro.
“Qualcosa di molto brutto è arrivato in città. Stanotte non ho chiuso occhio, ero nervosa e stamattina il crocifisso era storto.”
“E quindi?” disse Finn, e Amabel abbozzò un sorriso verso di lui. Prima che Polly proferisse ancora, qualcuno bussò con veemenza.
“E’ qui.” disse Polly con voce assente, sembrava in uno stato di trance. Tutta la famiglia, Amabel inclusa, accolse il nuovo arrivato. Al di là della porta c’era un uomo snello ben vestito, con i baffi curati e i capelli nascosti da un capello di buona fattura.
“Oh, ma che fortuna trovarvi tutti insieme.”
Tommy si fece avanti con le mani in tasca e lo sguardo di sfida.
“Voi chi siete?”
L’uomo sorrise togliendosi il cappello, era giovane nonostante l’abbigliamento austero.
“Mi chiamo Bruno Schmid e sono qui per conto della signoria Lena Meyer. Mi manda a Birmingham perché ha un regalo per voi.”
Al suo cenno due uomini scesero da un camion trasportando un sacco pesante. Un terzo uomo teneva in braccio Charlie. Arthur e Tommy sguainarono le pistole immediatamente.
“Che cazzo di gioco è questo?” chiese Tommy con la rabbia che gli macchiava la voce. Amabel e Polly si strinsero la mano per darsi sostegno.
“Aprite il sacco e vedrete il regalo. Lena spera che sia di vostro gradimento.”
Non appena Bruno e i suoi uomini si furono allontanati, Amabel si gettò in strada per prendere Charlie e affidarlo a Finn perché lo portasse dentro. Tommy aprì velocemente il sacco che emanava un tanfo terribile. Amabel lo vide sbiancare poi accasciarsi in ginocchio per vomitare. Mentre Arthur e Polly si chinavano per aiutarlo, Amabel sbirciò nel sacco e represse un conato. Il corpo di Grace stava rannicchiato con un proiettile nel cuore.
“Cazzo.” Disse Michael al suo fianco. Amabel per abitudine controllò il battito, ma ormai non c’erano più speranze.
“Grace è morta.”
Tommy si ripulì la bocca strisciando sino al corpo freddo di Grace per abbracciarlo.
“Mi vendicherò. Giuro su nostro figlio che mi vendicherò.”
 
 
Salve a tutti!
Beh, come avrete notato ho stravolto gli eventi e spero che non vi dispiaccia. Ovviamente ho dovuto adattare ogni evento della serie alla mia storia.
Amabel e Tommy credevano di averla fatta franca, però i guai a Small Heath non finiscono mai.
Tornerò per una seconda parte, perciò restate con me.
GRAZIE a tutti per aver seguito la storia.
Alla prossima.
Un bacio.
 
 

 

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