Never too late

di Anya_tara
(/viewuser.php?uid=921611)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Lo sguardo di Midoriya è concentrato. La fissa, gli zigomi in fiamme, la voce flebile. Trema e deglutisce nervosamente, riabbassa ogni due secondi gli occhi sul tavolo.
Sono usciti a cena insieme. Tra poco sarà un anno che hanno conseguito il diploma, e quel giorno stesso, forse approfittando dell’ondata di adrenalina nelle vene ha preso coraggio e le ha chiesto se voleva essere la sua ragazza.
Ora Ochaco non riesce proprio a capire cosa gli prenda. Vero, forse sono una coppia un po’ atipica, rispetto ad altre. Ma stanno bene, c’è stato feeling fin dal primo giorno ed è andato aumentando di settimana in settimana, raggiungendo l’apice nel corso del terzo anno.
E’ stata felice di sentirglielo dire. Quasi con quello stesso tono, quella stessa ansia e insicurezza, quel bagliore lucido nelle iridi verdi.
<< Uraraka –san … Io … io … io devo … devo dirti … una cosa … >>.
 Il cerca persone trilla, nella sua tasca. Non era di turno stasera, ma è comunque sempre reperibile. Come anche Deku, d’altronde.
Che raggela. La sua espressione è avvilita, incredula.
<< Devo andare. Scusami >>. Si rimette in piedi, riprende il cappotto dalla spalliera dove il cameriere l’ha sistemato con accortezza, quasi fosse un capo firmato e non un semplice rimpiazzo in saldo preso in un grande magazzino.
Il sogno di aiutare economicamente i suoi genitori è ancora al di là dal realizzarsi. Essere un eroe non vuol dire guadagnare un patrimonio da un giorno all’altro, c’è ancora tanta strada da fare e lei si sente stretta, troppo stretta come in quel cappotto che ora abbottona sul seno.
Ma la taglia è giusta. E’ il petto che le si è gonfiato, di inquietudine e amarezza.
Ogni sera nel suo appartamento vuoto accarezza come un gattino quel sogno. E lo sente fragile e bagnato, troppo debole in certi giorni, per poter sopravvivere ancora a lungo.
<< Scusa, Deku-kun >>. Si avvicina, si china su di lui ancora seduto, impalato e gli posa un breve bacio sulle labbra che si è morsicato tutto il tempo.
<< Non … non importa >>, mormora Izuku, annuendo con la testa. << Siamo Eroi, no? E’ la nostra missione >>.
Ochaco sorride piano. << Sì >>.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


Quando arriva sul luogo del disastro con addosso l’uniforme da Hero il primo impulso è rimanere immobile, pietrificata.
Sembra sia esploso qualcosa. Un ordigno nucleare, tipo.
Il tono serio del suo capo l’ha inchiodata quando le ha detto dove recarsi.
<< Ma … non è zona di nostra competenza … >>, ha balbettato confusa.
<< Lo so bene, Uravity. Ma ci sono numerosi feriti e la squadra sul posto non è in grado di aiutare tutti. Inoltre, diverse persone sono rimaste intrappolate nel crollo di alcuni edifici e il tuo quirk potrebbe essere prezioso, se non assolutamente necessario, per liberarle e soccorrerle in tempo utile >>.
E Ochaco si era vergognata di quella lieve protesta.
In realtà non era sicura del perché l’avesse mossa.
<< Uravity-san … >>, balbetta l’agente che le si è avvicinato, un uomo basso e tachiato sulla quarantina con due occhi da spiritato.
Sembra abbia visto un fantasma. Eppure non pare uomo dedito ai facili isterismi.
<< Ma cos’è successo? >>, domanda.
<< Un attacco simultaneo. Alcuni Villan si sono riuniti e hanno deciso di attuare diversi colpi nei maggiori negozi del quartiere, mentre altri di loro erano impegnati con dei diversivi per distrarre l’attenzione della squadra di Hero >>.
<< E hanno fatto tutto questo? >>.
<< Be’, ecco, vede … >>. Il rimbombo di un’esplosione li fa trasalire entrambi, il povero poliziotto ammutolisce d’impulso.
<< Allora, pezzo di merda? Ti sei stancato di rompere i coglioni, uh? >>. E il rumore secco di un colpo, seguito da un lamento.
Uraraka porta una mano alle labbra, spalanca gli occhioni. Quella voce, quel tono seccato, incazzato sono inconfondibili.
Bakugō.
Ma certo, lavora con Scarlet, è la sua zona.
Non lo vede dal giorno del diploma, più o meno.
Non è certo una persona che mantiene i contatti, lui.
Lo vede avanzare trascinandosi due Villan dietro, uno per mano. Senza far caso se sbattono la faccia contro i sassi, i vetri infranti.
Non è cambiato per niente. E quando se lo ritrova a pochi metri di distanza, gli occhi rossi che si puntano su di lei attraverso la maschera, scopre che non lo ha fatto in nulla.
<< Uh >>, mugugna, riconoscendola.
<< Buo … buonasera, Ba … ehm, Ground Zero >>.
Lui stira le labbra in una smorfia. << Buona, dici? >>, sbotta, gettando quei due davanti ai piedi dell’agente come fossero sacchi dell’immondizia maleodoranti. << Un cazzo. Due di questi stronzi se la sono battuta, e solo perché ho dovuto fermarmi >>.
<< Ma, Ground Zero, quell’edificio era giù pericolante, sarebbero potute esserci gravi conseguenze se per caso … >>, interviene l’uomo accanto ad Uraraka.
Lui lo trafigge con un’occhiata assassina. << Cazzate. Potevo sistemarli in un attimo >>. Posa la suola dello stivale sul petto di uno dei nemici a terra, ci preme finché quello non geme debolmente.
Uraraka distoglie lo sguardo, e così il poliziotto. La crudeltà gratuita su un avversario già impossibilitato a reagire è una cosa che la riempie di orrore, va bene lottare per difendere gli innocenti ma questo non c’entra nulla.
Bakugō stira un mezzo sorriso obliquo, feroce. Alza il piede, e quello tira il fiato.
Solo per abbassarlo di nuovo, con forza. << Ahaaaaa! >>.
<< Zitto, rifiuto. Ti va già bene che la politica degli Hero mi impedisca di farti fuori, altrimenti … ti avrei strappato le budella a mani nude >>. Finalmente libera il Villan dalla sua morsa, e si rivolge al poliziotto tramutato in una statua di gesso.
Effettivamente non è il modo di comportarsi di un eroe, questo.
<< Ora … ora li ammanetto >>, mormora l’agente, quasi non osando avvicinarsi.
Ma non certo per paura dei due stracci umani abbandonati lì davanti.
Per Bakugō. Che continua a guardarli entrambi con le sue iridi rosso sangue. << Be’, ti muovi, cazzo? Non ho tutta la notte >>.
L’uomo sussulta come avesse preso una scarica elettrica. << S… sì, signore >>.
<< Dicevo a te >>. E indica Uraraka.
Ochaco sente la gola chiudersi. << Ti vuoi dare una mossa, dannazione? Se non levi di mezzo gli idioti bloccati sotto le macerie io non posso tornarmene a casa. Quindi svegliati, Faccia Tonda >>.
Tocca a lei trasalire adesso.
Da mesi non sentiva più quel soprannome. Non troppo offensivo in realtà, rispetto agli altri che aveva coniato per i loro compagni di classe.
Capelli di merda. Quattrocchi. Faccia da Scemo.
E Nerd di merda. Deku. La sua vittima preferita.
Uraraka sente d’un tratto un anelito dell’antica irritazione salirle alle labbra. << Non sono idioti. Sono persone che hanno bisogno di noi! >>, ribatte chiudendo il pugno davanti al viso.
Bakugō fa un’espressione disgustata. << Tsk. Sono idioti. Se non sei in grado di tirarti fuori dai guai da solo non meriti di salvarti. Fine della questione. E’ selezione naturale, pura e semplice >>. Gira sui tacchi, balzando su un cumulo più alto. << Ehi, schifosi! Sto venendo a prendervi! >>, grida. E con una nuova esplosione si dà slancio, come un fuoco d’artificio.
Di quelli pericolosi, però. Che se non stai attento a maneggiarli ti strappano una mano, o ti fanno perdere un occhio.
Ochaco è sconvolta. Non l’aveva mai visto in azione sul campo, nonostante tutto sperava, se non altro per amore dell’uniforme che indossa, che avesse migliorato almeno in parte il suo atteggiamento.
E invece no.
Il poliziotto nel frattempo ha preso coraggio, ammanettato i Villan ormai neutralizzati e chiamato i colleghi per portarli via. La guarda incuriosito. << Ma … vi conoscete? >>.
Uraraka sospira. << Sì >>. Purtroppo.
Solleva il pugno, un’aria decisa sul viso. << Bene. Diamoci da fare >>.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


Più tardi.
Si volta nel letto. E’ stanca, le fanno male i polmoni e la gola per tutta la polvere che ha respirato e ha lo stomaco sottosopra per tutto il quirk che ha utilizzato nella missione di recupero.
Nella stanzetta che si degna del nome di appartamento, fissa il soffitto.
Quei suoi occhi taglienti, iniettati di sangue tanto che non si capiva dove finiva l’iride e cominciava la sclera. Quel suo tono terribile come di chi non pregia la vita in alcun conto, né quella dei nemici né quella dei civili.
Uraraka è inorridita. Un lungo brivido le attraversa la schiena, quegli attimi sono stati duri già di per sé, e la presenza di Bakugō in loco non è servita certo ad alleggerire l’atmosfera.
Un’aberrazione. Come lo è il numero Uno, il padre di Todoroki.
Anche se quest’ultimo è molto migliorato negli ultimi tempi.
Forse un giorno lo farà anche Ground Zero, chissà.
Chiude gli occhi. Pensa a Izuku, a quella frase rimasta in sospeso. Alla cena rimasta in sospeso, anche.
Non ha praticamente mangiato nulla, ma non ha fame. Le si è chiuso lo stomaco.
Kacchan, lo chiama Midoriya ancora adesso. Come fosse qualcosa di grazioso, di carino.
Ma non c’è nulla di grazioso e carino in Bakugō Katsuki.
Anzi. Se non conoscesse il suo ragazzo, lo prenderebbe per un insulto sottile, un’ironia affilata quel soprannome.
E si è lasciato soprannominare Deku. Fino a farne il suo Hero name.
Pensieri che non le hanno mai sfiorato prima la mente ora danzano e roteano intorno alle lame di luce che provengono da fuori, attraverso le lamelle delle veneziane un po’ aperte.
Fa freddo. Si tira addosso la coperta, se la avvolge meglio intorno al corpo.
Tante volte ha sperato che ci fosse Izuku a tenerla al caldo.
Ma lui non ha mai osato restare lì a dormire. Da un lato Ochaco ne è felice: se la rispetta vuol dire che tiene a lei, che vuole aspettare perché vuole costruire qualcosa di serio, di importante per il loro futuro.
Eppure .. dall’altro, in nottate come questa lo vorrebbe accanto, in quella stanzetta troppo misera. Che la abbraccia e la stringe e la bacia, le fa sentire meno il peso delle aspettative deluse, dei pii desideri troppo alti e delle brutture che sono costretti ad affrontare.
Respira a fondo. l’aria sa ancora di polvere. Di sangue. Anche se ha fatto la doccia le pare le sia rimasto tutto attaccato addosso.
Anche lo sguardo di Bakugō.
               
Il giorno dopo trova una sorpresa ad attenderla, al lavoro.
E no. Non si tratta del mazzo di peonie rosa cipria profumatissime che ha ricevuto in ufficio, a nome dei civili che provveduto a salvare la sera prima.
Un gesto carino. Anche se ha soltanto compiuto il suo dovere.
Quei fiori così belli stonano quasi con la secchiata di acqua gelata che le è piovuta sulle spalle tra capo e coda, così.
<< Hai svolto un ottimo lavoro, Uravity >>, la informa Ryukyu. << La squadra di Roppongi ha richiesto la tua collaborazione per qualche tempo. Stanno subendo parecchi attacchi nelle ultime settimane. Tu sei un elemento prezioso, e loro hanno … dei piccoli problemi per quanto riguarda il fattore soccorso e salvataggio >>. Si schiarisce la voce.
Non serve chiarire quale sia il “piccolo problema” in questione.
O meglio, “chi”.
<< So che sei stata una compagna di classe … di Ground Zero >>, continua, mentre Ochaco si stringe al petto la giacca da giorno.
<< Magari … esiste la possibilità che lavorare insieme … lo possa indirizzare su una strada migliore >>. Si alza, fa il giro della scrivania. << Quindi, da stasera sei dislocata a Roppongi >>.
Lo stomaco di Uraraka si serra tanto che le torna in gola il riso al vapore mandato giù in fretta e furia a colazione. << Per … quanto tempo? >>.
<< Facciamo due settimane. Poi vedremo. C’è … qualche problema, Uraraka? >>.
Averla chiamata per nome, invece che con l’Hero name è un segnale importante.
Ochaco tace, abbassa piano il capo.
Non è quello che le hanno insegnato alla Yuuei. Esitare. Arrendersi.
Avere timore.
In fondo è comunque un Eroe, no? Non può sentirsi tanto a disagio per un collega.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


Ha avuto torto marcio.
Sono stati giorni tremendi, pesanti. A dispetto del suo quirk in grado di azzerare la gravità le pare di avere un macigno sulle spalle.
Collaborare con Bakugō è praticamente impossibile. Sbraita, insulta, distrugge qualunque tentativo di rapporto di solidarietà e rispetto si possa provare ad instaurare con i colleghi.
L’aria è irrespirabile. E non soltanto per via dei fuochi accesi ad ogni angolo di strada da senzatetto, donne di malaffare, presumibili spacciatori e adescatori.
Ma di Villan nemmeno l’ombra.
Stasera la ronda le è toccata con lui. Il capo gliel’ha chiesto come favore personale, massaggiandosi le tempie come se avesse un gran mal di testa, poveretta. A quanto pare la maggior parte dei danni della sera in cui hanno chiesto aiuto a lei li ha provocati proprio Bakugō; e Uraraka non ne è stata per nulla sorpresa.
In effetti Tsuki Akane, the Scarlet Hero pare alquanto seccata del comportamento del suo sottoposto. Per non dire esasperata. E ha tutte la ragioni di questo mondo. Più d’una volta è stata tentata di usare il suo potente quirk sul ribelle, o quanto meno di togliersi la soddisfazione di buttarlo fuori dalla sua agenzia a calci nel sedere.
Almeno così le ha riferito Ishihara Sewari, uno dei suoi colleghi temporanei durante la ronda della sera precedente, fortunatamente tranquilla. Nessuno degli altri è contento di lavorare insieme a lui: il quartiere è una zona difficile, instabile e mantenere la calma necessaria ad agire nel migliore dei modi è complicato già di per sé. Figurarsi con una bomba a mano senza sicura che si aggira per i corridoi dell’ufficio come una fiera in gabbia.
Stasera è arrivato sbattendo le porte, imprecando e bestemmiando che lui “ i piedi in testa non se li fa mettere da nessuno, tanto meno da una “ pazza con un costume da Halloween”. Scarlet ha perso la pazienza, gli ha detto chiaro e tondo che al prossimo casino lo mette in mezzo alla strada.
Il resto della lite Ochaco non l’ha sentito, è uscita fuori a prendere un attimo di tregua prima di essere riconvocata dalla donna con l’ordine del giorno. 
Lancia un’occhiata a Bakugō accanto a lei, che si guarda intorno come volesse spazzare via tutto con un solo sguardo. E’ evidente che non gli va a genio quella situazione, essere obbligato da una donna a lavorare con una donna.  
Veramente le ha sempre dato l’impressione che fosse un po’ misogino, Bakugō. Certo, non sottovalutava le avversarie femmine solo perché portavano una gonna, però ignorava le compagne di classe neanche fossero tutte invisibili come Hagakure e se per caso si ritrovava ad avere a che fare con una di loro fuori dal campo di allenamento non le rivolgeva quasi la parola, a differenza dei compagni maschi che tormentava e molestava continuamente con le sue manie di onnipotenza.
A dirla tutta più che misogino forse dovrebbe definirlo misantropo. “ Asociale ed egocentrico”, l’aveva definito educatamente Ishihara. Aruimi Nami, “ Wave Hero” invece lo ha bollato senza mezzi termini come “ stronzo figlio di puttana convinto che tutto giri intorno a lui”, e si è rifiutata di lavorare con lui, altrimenti avrebbe preso e fatto fagotto per trovarsi un’altra agenzia.
Ecco il triste stato dei fatti.  
Nonostante tutto però Izuku lo ammira. Lo temeva forse un po’, quanto meno nei primi tempi, cercava sempre di non misurarsi con lui a meno che non fosse strettamente necessario.
L’ha chiamata il giorno prima, il corso di aggiornamento per cui è dovuto partire due giorni prima, senza che potessero salutarsi di persona procede alla grande. Uraraka ha sospirato quando le ha chiesto se ci fossero novità.
<< Sì >>. Gli ha raccontato quel che è successo la sera in cui è dovuta scappare via di corsa. Poi gli ha detto … il resto.
E Izuku era tornato per un secondo il ragazzino di inizio liceo. << Ka – Kacchan? >>, ha domandato, sconvolto.
<< Già >>.
<< E … come sta? >>.
<< Oh, bene. Impreca e distrugge tutto come al solito. Direi che sta bene, quindi >>.
<< Oh. Ti direi di salutarmelo, ma … >>.
Per un attimo Ochaco ha serrato il pugno.
Possibile che debba essere sempre così … accondiscendente, con lui, Izuku? Ancora adesso?
Perché non dimostra un po’ di spina dorsale e lo mandava al diavolo, accidenti?
Lui non ha chiesto affatto di Deku. Si sono incrociati quasi ogni giorno nei locali dell’agenzia e non l’ha salutata neppure una volta; ha solo fatto un cenno con la testa ed emesso un grugnito, infilando le mani in tasca e tirando dritto.
Come adesso. non tiene le mani in tasca per via dei pesanti bracciali; ma cammina con lo sguardo dritto davanti a sé e l’aria di chi fiuta la battaglia, irritandosi nel non trovarla.
D’un tratto apre bocca per la prima volta in tutta la serata. << Mi sono rotto i coglioni di stare a vagare in questo schifo. Vado a mangiare >>, sbotta di colpo.
Uraraka trasale. << Ma … non possiamo abbandonare la ronda e … >>.
<< Senti, Faccia Tonda, qui non succede niente. Vuoi che ci mettiamo a menare i papponi? Cazzi tuoi, divertiti pure. Io me ne vado >>, conclude, senza neanche voltarsi e degnarla di una misera occhiata.
Uraraka suo malgrado lo segue. Per favore. Cerca di dargli un’occhiata, è stata la preghiera estenuata di Scarlet.
Lo yakitori è pieno di gente, di vapore di cucina e di profumi stantii, odori di sudore e lacca per capelli mescolati. Uno di quei locali in cui cenare a poco prezzo. << Questo quartiere è una vera merda. Non c’è neppure un posto decente >>, sentenzia ad alta voce Bakugō.
Ochaco dietro di lui avvampa. E quando tutti gli sguardi dei presenti si fermano su di loro, sgranandosi nel vederli in tenuta da Hero, vorrebbe scavarsi una fossa a mani nude nel pavimento dalle piastrelle sbreccate e saltarci dentro a nascondersi.
Continuando ad ignorarla sistematicamente va a sedersi ad un tavolo d’angolo libero. Lei si sistema di fronte,
lo sguardo basso sulle mani.
Un ragazzo lentigginoso e svogliato si avvicina immediatamente. << Buonasera signori. Cosa posso portarvi? >>.
<< Qualcosa che non mi attacchi l’influenza aviaria >>, ribatte Ground Zero, col suo solito tono sgarbato.
Uraraka arrossisce ancora più violentemente e infila le mani tra le ginocchia, curvandosi. << Del … pollo alla piastra va bene >>.
<< Certo, signora >>.
<< Fa’ due, sgorbietto >>.
Il ragazzo si stringe nelle spalle. << E da bere? >>.
<< Dell’acqua, per favore >>.
<< E per lei … signore? >>.
<< Quello che ti pare >>.
<< Ehm … sì, signore, certo >>. Il cameriere si allontana in tutta fretta, correndo a rifugiarsi in cucina, più che a portare l’ordine. 
La peste. Sembra che appena arrivi da qualche parte gli si aprano le acque davanti, la gente cerca di scansarsi e di sparire quanto più velocemente possibile.
Che gusto c’è a comportarsi così? Nessuno, dev’essere solo nato male, perché non c’è una spiegazione razionale a quell’atteggiamento.
Il giovanotto torna rapidissimo con l’ordine. Posa tutto sul tavolo e se la svigna di nuovo, senza neppure augurare loro “buon appetito”.
Ma considerato Bakugō, è già tanto che non gli abbia augurato di strozzarsi con qualche osso.
Inizia a piluccare con lentezza, scoprendosi un certo appetito.
C’è da dire che nonostante l’aspetto del locale non sia un granché il cibo è ottimo. La carne è soffice, tenera e cotta alla perfezione; sta ormai mangiando di gusto quando ad un tratto Katsuki  le scocca una domanda a tradimento. 
<< Be’, allora? >>.
Ochaco ingoia, beve un sorso d’acqua. << Allora … cosa? >>.
<< Stai ancora con quella merda di Deku? >>.
L’irritazione la porta a mettere giù il boccone che stava per prendere. Se non altro per evitare di infilzargli in gola le bacchette. << Ti prego di smetterla. Non siamo più a scuola, ormai >>, si sforza di replicare in tono pacato.
Bakugō le scocca il suo solito sorrisino crudele. << E che cazzo cambia? Se sei una merda lo rimani anche fuori dai banchi >>.
<< Basta! >>. Picchia le mani sul tavolo, che comincia a fluttuare a mezz’aria.
Avvampa, unisce le mani a guglia davanti agli sguardi più o meno attoniti degli altri avventori. << Release >>.
Il tavolo batte a terra con forza, i bicchieri e le ciotole tintinnano.
Katsuki la fissa di sottecchi, le bacchette ancora strette tra le dita. Ochaco deglutisce, si siede di nuovo, cercando di farsi piccola piccola nello spazio ristretto tra tavolo e sedia.
Quegli occhi rossi che la scrutano attentamente, vigili come quelli di un predatore la mettono a disagio.
Infila una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre quello riprende a mangiare come nulla fosse.
Lei non ha più fame. Ma si sforza comunque di continuare a cenare, anche perché non vuole dargli questa soddisfazione.
Non gli permetterà di metterla in difficoltà, a nessun costo.
Deve soltanto ignorarlo, e rispondergli a tono. E altri dieci giorni passano in fretta.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. ***


 
Ci sono cose impossibili da prevedere.
Per tredici sere non è accaduto assolutamente nulla, tanto da far sperare ad Uraraka di poter tornare prima del tempo alla propria agenzia.
La quattordicesima però è stata un inferno. Un nuovo attacco, più potente e crudele del precedente è stato sferrato mentre era di ronda con Aruimi; sono dovute accorrere ad incontrarsi con Bakugō e Ishiwara, nel mezzo degli scontri.
E’ arrivata giusto nel momento in cui un Villan spaventoso stava per sopraffare Ishiwara. Lei gli si è avvicinata alle spalle, ricorrendo al quirk si è sospesa in aria dandogli un colpo di piatto dietro la nuca per stordirlo e con un tocco l’ha sollevato; ci ha pensato poi Ground Zero a fargli passare la voglia di massacrare il collega, sbattendogli in faccia un’esplosione così violenta che ad Ochaco ancora fischiano le orecchie.
Si chiede se non si sia procurata qualche danno ai timpani, quando circa un’ora dopo sta ancora aiutando i terrorizzati passanti a mettersi in file ordinate per farsi visitare dai paramedici giunti insieme alla polizia, che ha assicurato le manette ai polsi dei criminali.
E’ stanchissima. La pelle sotto la tenuta Hero è madida di sudore, ha le gambe molli e sta per piegarsi in ginocchio lì in mezzo a tutti.
<< Ehi, Faccia Tonda >>. Bakugō si avvicina, anche lui ha degli sbaffi neri in viso e ha perduto più di qualche pezzo della divisa durante gli scontri. E’ stracciata in più punti: quello più evidente è lo squarcio sul petto, da cui s’intravedono i muscoli scolpiti e il brutto livido sulla pelle.
Senza volerlo davvero Uraraka sente il sangue salire alle guance. Va bene la preoccupazione ma fissarlo così le pare scortese, in fondo se è in piedi vuol dire che è tutto intero. << Ti senti bene? Hai la faccia di una che sta per crollare >>.
<< No, sto … sto bene >>. Come a contraddirla i legamenti cedono, si porta una mano alla fronte imperlata di sudore gelato. 
Forse ha solo preso troppo freddo. In fondo c’è un’aria gelida e tagliente, il vento le sbatte in volto come uno schiaffo.
Una mano le si posa sulla spalla. Piano, con gentile fermezza. << Ehi, tirati su. Avanti >>.
<< Grazie >>. Distoglie lo sguardo, sente gli zigomi avvampare ancora di più.
Non ha mai posto caso a che buon odore abbia Bakugō. << Immagino di sentirmi un tantino esausta, adesso. E’ come se tutto d’un tratto … mi fossi riscoperta fragile >>.
<< Non sei affatto fragile >>, la contraddice pronto lui.
Uraraka si volta, lo guarda. << Cosa? >>.
Per un attimo si aspetta che le risponda: << Niente >>. Che la mandi al diavolo o grugnisca come al suo solito. 
Invece no. La fissa dritta in volto e con voce insolitamente limpida lo ripete. << Non sei affatto fragile. Ne sono sempre stato convinto, e ora lo sono ancora di più >>.
Subito il sangue le sferza il viso, il collo. << Gra … ehm, grazie >>. Distoglie di nuovo gli occhi, piega il viso quasi per sfuggire alla presa di quegli occhi rossi.
Per una volta non sono ridotti in due fessure cattive, diffidenti e rabbiose.
Sembrano quasi … grandi. La scrutano tra le lunghe ciglia scure senza tutta quella furia.
E sono … belli. Davvero. << Io … vado. Penso … che abbiamo finito per stasera >>.
<< Faccia Tonda? >>.
<< Uhm? >>.
<< Io … passo a prendermi una pizza. Ti va … di … ecco … se ne vuoi una fetta, be’, puoi venire con me >>.
Ochaco tace per un istante. << Io non credo sia il caso >>, mormora.
<< Okay. Vabbé. Allora buonanotte >>.
<< Aspetta. Forse … be’, una fetta … potrei anche mangiarla >>.
Qualcosa di simile ad un mezzo sorriso storto si forma sulla bocca di Katsuki. Che subito svanisce. << Come vuoi >>.
 
<< Così, questa è casa tua … >>. Ochaco si guarda intorno.
Non è quello che si aspettava. Un ordine quasi asettico regna in quelle due camere intonacate di fresco. L’odore freddo della pittura si stende sulle narici come un telo di plastica su un prato fiorito.
Somiglia un po’ alla sua. Piccola, popolata solo di un tavolo, qualche mobile.
E freddo. Tanto freddo. Anche se il riscaldamento è acceso al massimo.
Katsuki posa il cartone sul tavolo, sfila la giacca. La lascia su una sedia, la guarda. << Dico, fai pure, eh >>, col suo solito tono indifferente.
Uraraka toglie il cappotto, lo appoggia su una sedia anche lei. E’ intimorita, si sfrega le mani sulle braccia, senza smettere di volgere gli occhioni di qua e di là.
<< La metto due secondi nel microonde, così si scalda. Che freddo di merda, sembra quasi ci sia passato quel bastardo del cazzo a metà, fuori >>.
Stavolta Uraraka stira un angolo della bocca. Anche Todoroki è stato sempre bersaglio dei suoi insulti, delle sue rappresaglie.
Per un istante prova una sorta di nostalgia per quei giorni pieni a modo loro di gioia, di speranza. E questo buco grigio tra il passato e il futuro sembra vuoto, d’un tratto.
Chiude gli occhi, mentre sente il rumore dello sportello del frigo che si apre. << Vuoi una birra? >>.
<< Eh? No! >>.
Katsuki ridacchia. Ne apre una, porta la bottiglia alle labbra.
Il leggero movimento che fa il suo pomo d’Adamo nel deglutire attira involontariamente lo sguardo della ragazza. << Serviti, eh. Non fare complimenti >>.
Si avvicina all’elettrodomestico, lancia un’occhiata dentro mentre tira fuori una lattina di soda.
E’ il frigo di una persona abituata a stare da sola, che non riceve visite spesso e forse neppure ne vuole ricevere.
Ma possibile? Eppure Kirishima era suo amico. Kaminari anche. Vero, Red Riot lavorava in un’altra prefettura e Chargebolt addirittura a Shikoku, ma possibile che non vedesse mai nessuno di loro?
D’altro canto anche le pianelle per gli ospiti pare non siano mai state usate. Sono nuove, le sente dure sotto le piante dei piedi.
Così solo era rimasto davvero, Bakugō Katsuki?
Lui torna in soggiorno, accende la tivù. Le voci di sottofondo la rassicurano, il silenzio sembra sempre troppo quando si è in casa da soli.
Lei ha smesso da poco di andare a dormire col televisore acceso.
Si siede a terra, davanti al divano. << Oh, cazzo. Danno “ Godzilla” >>. La sua voce rauca, sempre irritata per un attimo si illumina di entusiasmo infantile.
Quasi che la serata abbia consumato tutta la sua brama di menare, provocare, infastidire. Ora ch’è a gambe incrociate sul tappeto consunto i suoi occhi rossi brillano di eccitazione, davvero come quella di un bimbo.
Non l’ha mai visto così. Pare quasi si sia scordato anche di lei.
O forse è solo troppo stanco per continuare con quella sua parata di furia e superbia. 
Il microonde suona. E subito quella gioia concentrata svanisce, riaggrotta la fronte.  
<< Fa … faccio io >>, mormora Ochaco, ancora in piedi sulla soglia tra le due stanzette.
<< No >>. Si rimette in piedi, le va vicino. Il suo alito caldo, leggermente sapido di malto la sfiora come una carezza. << Sei un’ospite in casa mia. Va’ a sederti. Torno subito >>.
Ochaco non ha la forza di opporsi a quell’ordine. Gli obbedisce subito, entra in soggiorno e si mette comoda sul divano basso, accanto a dov’era seduto lui.
Fa davvero freddo, ma forse lo sente solo lei. anche se ha fatto la doccia e si è cambiata, indossando un maglione pesante e dei pantaloni imbottiti rabbrividisce, adocchiando la trapunta ripiegata sul cuscino accanto a lei.
Ma non osa prenderla. Potrebbe seccarsi, Bakugō. E’ così … lunatico, ora è quieto ma potrebbe d’un tratto voltargli di nuovo il cervello e sbatterla fuori in uno schiocco di dita.
Torna con due piatti su cui ha adagiato due fette di pizza per ciascuno. Quando le ha chiesto come la preferisse lei, Ochaco ha detto soltanto: << Andrà bene comunque >>. E l’ha visto rabbuiarsi.
<< O … okay. Allora … una doppia mozzarella con salsiccia piccante e funghi. Può … andare bene? >>, aveva domandato.
Lui non le aveva risposto, si era limitato a ripetere l’ordinazione senza battere ciglio.
Che strano ragazzo, Bakugō Katsuki.
<< Tieni >>. Le porge il piatto, tenendo il proprio nell’altra mano.
Ferme. Salde. Dure e distruttive.
Tuttavia è stato un tocco delicato quello con cui le ha sfiorato la spalla, prima. E anche adesso è un gesto gentile, educato quello con cui le avvicina il cibo, sedendosi poi per terra e iniziando a mangiare.
Ochaco dà un morso anche lei, lanciando distrattamente un’occhiata allo schermo su cui il rettile gigante abbatte grattacieli enormi con un solo colpo di coda.
Le viene da sorridere. Anche a Izuku piace questo genere di film. Sono andati diverse volte al cinema insieme, prima di iniziare a lavorare entrambi per agenzie diverse.
Forse è per questo che si sente così a disagio. Le pare di fare una cosa sbagliata, essere lì in casa di un uomo che detesta il suo fidanzato, da sola con lui, in una situazione così … intima, insomma.
<< Vuoi un’altra soda? >>, le domanda Katsuki mentre stava per allungare una mano alla lattina.
<< Oh … no, no, grazie >>.
<< Guarda che non ingrassi, sai? >>.
Ochaco inarca un sopracciglio. << E’ proprio l’ultima delle mie preoccupazioni, quella >>. E dovrebbe essere anche l’ultima delle tue, sta per rimbeccarlo.
Ma si ferma, notando la curiosa espressione di Katsuki nella penombra. Per un attimo si sarebbe aspettata che la fissasse con aria di strafottenza, o anche di sfida, magari percorrendole il corpo imbacuccato negli indumenti invernali quasi soppesandolo, o peggio spogliandolo con le iridi come ai bei tempi faceva quel pervertito di Mineta.
Non era preparata a vederlo distogliere lui lo sguardo, mugugnare quasi in imbarazzo e … cos’era quell’ombra sugli zigomi?
<< Hai ragione >>, mugugna piano. << Scusa. Non ci so fare con le femmine >>.
Ochaco resta di sale. Questa è davvero una novità: non che non sappia trattare con le ragazze, ma che si scusi con qualcuno.
<< Non … fa niente. E … sì. Gradirei un’altra soda, grazie >>.
Subito vede un sorriso storto affiorare alle labbra di Katsuki, che abbandona senza rimpianti lo scontro tra Godzilla e Mothra a cui sembrava interessatissimo e si alza, tornando in cucina.
Che bella bocca che ha, però. Quanto non è sfigurata da quel ghigno sarcastico o crudele ha dei contorni pieni e netti, leggermente più rosei della carnagione ambrata.
Si dà della stupida, subito. Non è cosa da pensare questa. << Grazie >>.
<< Uh >>. Si siede di nuovo, riprende a mangiare e guardare il film come nulla fosse.
Ma Ochaco non riesce a non meditare su quelle parole sincere, quasi indifese.
Non ci so fare con le femmine.
Eppure, tanto tempo prima al Festival Sportivo con lei aveva saputo farci, e bene anche. Non l’aveva sottovalutata, aveva intuito la sua strategia e aveva usato le sue forze per sconfiggerla. Non l’aveva trattata come una fanciulla indifesa, ma come una degna avversaria – per quanto quel “degno” possa valere per Katsuki, che non considerava forse nessuno alla sua altezza, tranne Midoriya o Todoroki- e le aveva inflitto una sonora sconfitta, senza però comportarsi con lei come faceva coi maschi, esasperandoli.
Aveva lottato in modo pulito, onesto. E Uraraka era rimasta colpito, ancor prima che dalle sue esplosioni, dal suo atteggiamento.
Riguardo. Rispetto. Entrambi perfettamente bilanciati.
Le fa male lo stomaco. Forse ha mangiato troppo in fretta, oppure è per colpa di tutto il freddo che ha preso.
Si alza per portare il piatto vuoto in cucina, ma non fa in tempo a puntare il piede che Katsuki la blocca, afferrando la stoviglia e sfiorandole le dita.
Sono calde. Tanto. << Lascia, faccio io >>.
Lo raccoglie dalla sua mano. << Grazie >>, mormora.  
Bakugō si alza di nuovo, portando via entrambi i piatti. << Se hai freddo prendi pure la coperta >>, le dice dalla cucina.
Uraraka si serra nella trapunta, fissa il pavimento.
Sa di essere arrossita, per quel semplice contatto casuale.
Quando torna non ha il coraggio di rialzare gli occhi su di lui. Continua a fissare la punta dei suoi piedi, quando lui si risiede per l’ennesima volta a terra.
Lo sente respirare al suo fianco, abbastanza rumorosamente.
Come stesse meditando qualcosa.
Non osa muoversi. Trattiene il fiato, le dita artigliano la coperta.
Non da Bakugō vuole difendersi.
Non lo teme. Accanto a lui si sente quasi … al sicuro.
Sa che non funziona come le persone normali. Gli Eroi “normali”.
Eppure, è questo che prova adesso.
E paradossalmente è questa la cosa che più le fa paura.
Appena il film termina, si rialza di scatto. << Allora, grazie, Bakugō >>.
Lui annuisce gravemente. << Mhmm >>.
Uraraka toglie la trapunta, la ripiega o più che altro ci lotta. Katsuki gliela leva dalle mani. << Lascia stare. Ci penso io >>.
<< Grazie >>. Ha perso il conto di quanti ne ha detti.
Non riesce ancora a guardarlo in faccia. Le mani le tremano, per questo non è riuscita a ripiegare la trapunta.
Sta tremando tutta in realtà. << Ti accompagno >>, dice bruscamente Bakugō.
<< Ma no, non serve … >>.
<< Non te l’ho chiesto >>.
Lei tace. Recupera il cappotto, lo infila e aspetta lui.
Camminano in silenzio. La notte è un momento difficile e semplice insieme.
Stare da soli, in quell’aria ovattata e gelida, pare quasi irreale. Ogni tanto un ragazzotto allegro passa loro accanto, fa un cenno ma subito fila con la coda tra le gambe, ad un’occhiata di Katsuki.
Sì, fa tanto freddo stanotte. Nevicherà, forse.
Davanti alla porta di casa sua, sfila le chiavi dalla tasca dei jeans. << Vuoi … ehm, vuoi entrare? >>.
<< No. Non serve >>.
Uraraka si morde la lingua. Ha fatto un passo falso, c’era da aspettarselo che l’avesse accompagnata soltanto per puro senso del dovere, una cortesia che quella notte sembra aver messo fuori tutta insieme.
<< Allora … buonanotte >>. Fa per voltarsi ma il polso viene stretto in una morsa delicata.
Anche i palmi sono incredibilmente caldi.
La fa girare, lentamente la avvicina a sé.
Non c’è fretta, brutalità. La tiene a distanza di un respiro, la fronte leggermente abbassata, la guarda negli occhi. Le dita intorno al polso le scaldano l’intero braccio, quella corrente risale fino alla spalla, allo sterno.
Ochaco non ce la fa a tirarlo via, impedirgli di toccarla in quel modo. Perché è una cosa innocente, non c’è nulla di sbagliato, di scorretto.
Non fa nulla, non si ribella mentre si china piano sopra di lei. Le posa piano le labbra sulla fronte, un bacio casto, quello che si darebbe ad una sorella, ad un’amica.
Non c’è nulla di sbagliato.
Però il cuore le batte forte. Tanto.
Anche le sue labbra sono calde, oltre che morbide. Quel lieve contatto basta a scaldarla nel profondo. << Allora … arrivederci >>.
<< No … notte >>. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. ***


 
<< Uravity, questo è per te! >>, trilla Ran, una delle tirocinanti del terzo anno della Yuuei che sta facendo pratica da Ryukyu come anche Ochaco ha fatto prima del diploma.  
Ochaco rialza gli occhi dai resoconti della polizia che stava studiando con apparente attenzione.
Da quattro giorni è rientrata nella sua agenzia.
Da quattro notti non fa altro che domandarsi se arriverà qualche altra chiamata per lei da Roppongi.
Si sente strana. Inadeguata.
Non riesce a scacciare il pensiero di Bakugō dalla sua mente. Non può smettere di domandarsi se stia bene, se qualche volta di sfuggita in quel suo appartamento solitario e vuoto pensi anche distrattamente a lei, alla sera in cui è stata lì.
A quel tocco così puro e gentile da farla commuovere, quasi.
Potrebbe chiamare Scarlet con una scusa qualsiasi, e gettare lì qualche domanda quasi casuale.
E poi chiedere di lui.
Ma sa che non riuscirebbe a tenere fino in fondo. Al solo immaginare di comporre quel numero si sente avvampare, tutta la sua determinazione evapora come una nuvola di fumo.
Ora fissa la piccola bruna con aria perplessa. Più che la ragazza in effetti fissa il mazzo di fiori che la nasconde, eccettuate le braccia e la coda alta sulla sommità della testa. << Per … me? >>.
<< Già >>. Ran posa il fascio con cautela sulla sua scrivania, riprende fiato. << Accidenti, chi l’avrebbe mai pensato che fosse tanto faticoso, portare dei fiori >>.
Peonie rosa cipria, anche stavolta. Bellissime e profumatissime, ancora cariche di piccole gocce di rugiada sui petali di seta.
Uraraka abbozza un sorriso. << Chi li manda? >>.
<< Non lo so. Quello che li ha consegnati non ha detto nulla, e non so se ci sia un bigliettino >>.
Ochaco si alza, si tende sul piano frugando tra i rami verdi, le foglie con attenzione, per non gualcire i capolini delicati.
Tu non sei affatto fragile.
Con uno sforzo di volontà ricaccia indietro quel pensiero. Avvampa senza volerlo, però; sente gli zigomi caldi, proprio come le sue mani, le sue labbra.
<< Non c’è nessun biglietto >>, osserva a voce bassa, avvertendone il tremito. << Sicuro che non abbiano detto nulla, alla consegna? >>. Nemmeno la volta scorsa c’era il bigliettino, ma il ragazzo delle consegne aveva riferito che li avevano mandati coloro che aveva soccorso la sera precedente.
<< Non sarà qualche ammiratore segreto, no? >>.
<< Macché. Forse stavolta il fattorino andava di fretta, e si è scordato di riferire >>, taglia corto d’un tratto a quell’ipotesi sciocca. << Okay, vado a cercare il vaso dell’altra volta >>.
 
La sera quando torna a casa la prima cosa che fa è accendere la tivù. Prima ancora di togliere il cappotto, il silenzio è qualcosa di soffocante, non più perché le faccia pesare la solitudine ma bensì perché i pensieri prendono il sopravvento ed allontanarli diventa impossibile.
Da sola in quelle due stanze non riesce a smettere di risentire la sua voce suonare limpida, le sue dita sfiorarle piano la spalla per sostenerla.
Sfiorare le sue, anche se inavvertitamente. E quel suo vago rossore, assurdo eppure … tenero.
Ora comincia a comprendere da dove sia venuto quel nomignolo affettuoso che gli ha dato Midoriya.
Kacchan.
Lo conosce, Izuku, quel lato timido di Bakugō? Era così da bambino? Ed è cambiato dopo, diventando la peste che tutti temono e scansano, pronto a scattare per un nonnulla?
Peccato, però.
Entra nel bagno, anche se ha già fatto la doccia in ufficio ne fa un’altra prima di infilare il pigiama e infilarsi nel letto.
Domani torna Deku. Le ha inviato un messaggio, appena è uscita per la ronda; le ha chiesto un altro appuntamento fuori, nello stesso ristorante in cui sono andati due settimane prima.
Strano che non le abbia telefonato. Ma forse era impegnato e non poteva parlare.
Effettivamente negli ultimi giorni si sono sentiti soltanto così. Con quegli stringati messaggini in cui si augurano il buongiorno, la buonanotte.
Le pare strano che Midoriya non protesti per la sinteticità di quei messaggi. Cioè, insomma, non che quando non possano vedersi sia molto differente: ricorrono sempre a quei mezzi per parlarsi, scambiarsi le impressioni della giornata.
Ma adesso ha tagliato ancora di più le frasi. Diminuito i caratteri. Forse lui crede che sia stanca e non le vada di parlare, chissà.
La ragione però Uraraka la conosce.
Gli sta nascondendo qualcosa.
In teoria non ha fatto nulla di male, ne è consapevole. Un bacio fraterno di congedo non è qualcosa di tanto grava da meritarsi l’appellativo di “ tradimento”.
Ma sono le sensazioni che Ochaco prova nel ripensarvi, anzi nel non sapere evitare di ripensarci, che la fanno sentire sporca. A disagio, e non ha il coraggio di afferrare quel cellulare e comporre il numero di Izuku.
Si mette a sedere sul letto, affonda il viso nelle ginocchia raggomitolate al seno.
E’ una stupidaggine. Non può davvero … essersi … no. no.
Lo conosce. L’ha visto e sentito anche più di quanto avrebbe voluto, per tre anni interi.
Quelle due settimane, non sono forse state uno strazio?
Un’ora e qualcosa di quiete non possono cancellare tutto il resto, come per magia. E’ semplicemente un lunatico, egocentrico e testardo, impulsivo e sboccato che probabilmente era solo troppo stanco e troppo poco interessato a dare il peggio di sé davanti a lei, proprio perché lo conosceva già.
Sì. E’ così.
Ma la pelle serba una memoria tutta sua e la mente non può far nulla per contrastarla.
Sente ancora quel calore, quella dolcezza e può alzare tutti i paletti che vuole.
Senza rendersi conto che invece di tenerli fuori, quei pensieri, li sta chiudendo dentro insieme con lei.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. ***


Izuku l’ha avvisata che sarebbe arrivato alle otto all’appuntamento.
Lei aveva già chiesto di spostare un turno, scambiandolo con un altro collega.
<< Esci col tuo ragazzo? >>, le aveva chiesto.
<< Ehm … sì >>.
<< Quello che ti manda quegli splendidi fiori? Allora non puoi assolutamente mancare! >>.
Ochaco si era sentita avvampare, ma non l’aveva corretto.
Non ce n’era alcun bisogno.
Ha pranzato poco, ma con calma. Ha messo un po’ in ordine casa, senza fretta, poi è andata a fare un giro in centro, a scegliere un vestito nuovo.
Era stata in quello stesso ristorante solo due settimane prima. Non le sembrava il caso di andarci di nuovo con quello dell’altra volta.
Mentre si guardava nello specchio, però, si è resa conto di una cosa.
Non era del genere che indossava di solito. Quegli abitini sbarazzini, spesso con dei fiori, in toni pastello. 
Era un abito del tutto differente. Nero, aderente e con una delicata stampa di un fiore stilizzato che risaliva dal fianco destro alla spalla sinistra.
Arancio vivido.
Era arrossita, e subito era tornata nel camerino, slacciandoselo di dosso alla svelta, col cuore in gola.
si era portata la mano al petto, dal lato del cuore, che le pulsava nel palmo.
Non stava bene. Forse avrebbe dovuto chiamare Deku … chiedergli di rimandare … almeno finché quella strana fascinazione non fosse passata.
Ma no. Lui tornava da un viaggio, e il giorno dopo sarebbe tornato in servizio attivo.
Non sarebbe stato giusto fargli questo.
Sembrava piuttosto agitato. Sicuro … non vedeva l’ora di riabbracciarla.
Sulle sue labbra dolci avrebbe riacquistato il senno, di certo.
Ma mentre si aggrappava a quel pensiero come all’ultima speranza era il calore di tutt’altra bocca che percepiva addosso.
Alla fine non ce l’aveva fatta. Aveva scelto la prima cosa che le era capitata tra le mani, senza nemmeno guardare il colore, il modello. Aveva pagato avvertendo una fitta allo stomaco nel sentire il tintinnio della carta strisciata nel lettore, l’affitto era in scadenza e aveva anche qualche bolletta in arretrato.
Doveva tornare a concentrarsi sulle cose serie.
La vita vera. Non la stupida impressione di un istante, che come in quelle sfere di vetro innevate inizia appena scossa, ma dopo un attimo torna a depositarsi giù, facendo svanire l’incanto.
Lei è sempre stata una persona razionale. Decisa. Con la testa sulle spalle. Ha scelto di diventare Eroe per aiutare la sua famiglia.
Le fantasie non sono parte del suo cammino.  
E’ tornata a casa, ha fatto la doccia, sistemato i capelli. Li ha tirati su, sulla nuca, lasciando alcune ciocche intorno al volto. Si è truccata – poco, non è cosa che ami, e non crede le si confaccia- e ha tirato fuori dalla busta di cartone l’abito che aveva acquistato.
Rosa cipria. Delicato, morbido.
Come i petali delle peonie.
L’ha infilato, stupendosi quasi di come le stia addosso. E’ … incredibile, se gliel’avessero cucito addosso non sarebbe potuto andarle più alla perfezione di così.
Mica ingrassi, sai?
Stupido, stupido Bakugō.
Ma subito l’irritazione era finita per sfumare nelle parole che erano seguite.
E quella tenerezza, quell’impressione di timidezza che l’avevano presa allora le si erano avvolte di nuovo addosso, calde come quella coperta.
Snervata, ha preso le scarpe, il cappotto, la borsa. Chiusa la porta a chiave è uscita in strada.
Fuori il crepuscolo annegava rapido nel buio metallico di una notte di pioggia. Si è stretta i lembi del cappotto alla gola, mentre il vento le scompigliava i capelli.
Dopo quella che le è parsa una corsa interminabile arriva, finalmente. Midoriya è già dentro, appena la vede si fa violentemente rosso, balza in piedi per scostarle la sedia.
Ma non la sfiora. Non la abbraccia nè la bacia.
E forse per questo la gioia che si attendeva nel rivederlo si è un po’ attenuata.
Subito però si riprende. D’altronde non è sua abitudine lasciarsi andare ad effusioni in pubblico. L’unica è il bacio della buonanotte, davanti a casa.
E’ persino più teso dell’ultima volta. Ma il suo tono era affettuoso. << Come stai? >>.
<< Bene. Grazie. Tu? Tutto bene? >>.
<< Sì >>.
<< E’ stato … interessante il corso? Hai imparato qualcosa di nuovo? >>.
<< Oh, sì. E …. Tu? Hai finito … di lavorare … insieme a Kacchan? >>.
<< Sì >>. Risponde tranquilla. Forse un po’ troppo.
E troppo in fretta. << E’ sempre lo stesso, allora >>.
<< Persino peggio. La povera Scarlet ha la pazienza di una santa. Io al suo posto non avrei retto, penso >>.
Izuku stira un sorriso comprensivo. Che la infastidisce in realtà.
Ancora quella sorta di devozione, nei riguardi del rivale.
Non è certo andata lì per parlare di lui. Anzi, tutto il contrario. 
<< Ma … racconta. Avrai incontrato Eroi nascenti, tante persone … dev’essere stato stimolante >>, lo incita.
Deku sembra nuovamente a disagio. E pare riservare una gratitudine tutta particolare al cameriere che si avvicina garbato e pettinato al tavolo, chiedendo se i signori desiderano ordinare.
No, non somiglia affatto al ragazzetto dello yakitori.
Sarà una cena molto, molto lunga.
Quando terminano Izuku le propone di accompagnarla a casa. Escono fuori, camminano vicini.
Alla fine ha iniziato a piovere per davvero.
Distratta com’è ultimamente ha scordato anche di prendere l’ombrello.
E’ ancora nervoso, anche mentre la metro li riporta nel quartiere dove Ocahco abita.
Davanti al palazzone dove si trova il suo appartamento si fermano.
All’improvviso nota Deku fissarla con convinzione. I suoi grandi occhi le scrutano il viso, gli zigomi cosparsi di lentiggini infocati mentre il piccolo pomo d’Adamo sale e scende nella curva della gola.
Per un istante Ochaco si era sente venire meno il respiro.
Per questo l’ha guardata così tutta la sera? Era … desiderio quello che lo teneva così a disagio, sulle spine?
Ora … l’avrebbe fatto. Gliel’avrebbe chiesto sul serio.
Di entrare in casa sua. Di …. restare con lei, quella notte.
E’ davvero arrivato il momento giusto?
Lo spera tanto.
Cerca di trattenere il tremore delle mani. Un lieve rivolo di sudore le imperla la spina dorsale, il cuore pulsa forte nelle tempie.
<< Uhm  … Ochaco >>, esordisce, il tono vibrante come una fiamma al vento.
<< Sì? >>.
<< Io … ecco, io … c’è … una cosa che devo …. Che devo chiederti >>.
Anche la sua voce è un anelito sottilissimo mentre gli risponde. << Sì, Izuku >>.
Lui china un attimo il capo color smeraldo, come i suoi occhi. Tende la mano a cercare quella di lei.
Sono gelide entrambe. E tremano entrambe.
La vista le si era sfoca. Sì, è la cosa giusta, di sicuro quel lieve sbandamento è stato dettato dal desiderio di affetto che le stringe il cuore, e nulla più.
Izuku è quello giusto. Lui … è l’uomo con cui deve stare.
Il ragazzo posa un ginocchio sul marciapiede. Poi l’altro.
Rimane così per qualche secondo, in silenzio mentre la pioggia gli appesantisce i ricci.
<< Uraraka – san >>, mormora, stringendole più forte le dita.
E rialza finalmente lo sguardo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. ***


Che cazzo.
Piove. Come se chi è di turno lassù avesse deciso che “sì, porca troia, dobbiamo annegarli gli stronzi là sotto”.
Gli viene da tirar via tutti i santi che gli capitano sotto mano. Si è inzuppato da capo a piedi, e di pessimo umore.
Neanche i Villan sono così idioti da uscire a far casino col temporale, purtroppo. E dopo cinque giorni che non si sfoga a dovere ha dovuto trattenersi nel non far volare per aria qualcosa in ufficio, che già Scarlet gli sta col fiato sul collo e non vede l’ora di levarselo dalle palle.
Se avesse potuto avrebbe spedito lui via a calci in culo e si sarebbe tenuta stretta Uraraka.
Sono cinque giorni che non sente altro che sospirare tra i corridoi, quella stronza di Aruimi e soprattutto quel coglione di Ishiwara oltre che la stessa Scarlet. Si sono presi tutti una cotta per lei, altro che no.
Ma d’altronde Ochaco è così. Ovunque passi lei è come una ventata di primavera, illumina le persone: la sua sola presenza è stata sufficiente a placare gli animi di quelli ritrovatisi coinvolti qualche sera prima nel panico totale.
Anche se … gli è parso di intravedere come un’ombra nel fondo di quegli occhioni nocciola caldi, liquidi.
Chissà perché.
Gli è venuto spontaneo quel gesto. Non sa neppure lui stesso perché l’abbia fatto: non è una sua consuetudine, è qualcosa che non gli appartiene fare certe cose.
Come anche invitare gente in casa propria. Da quando ci abita nemmeno i suoi ci hanno mai messo piede, nessuno, non vuole nessuno intorno.
Non è cattiveria, anzi. E’ solo che si è stufato della gente che invade il suo territorio, il suo spazio vitale. Aria, gli serve aria, anche da quel lavoro del cazzo, in un’agenzia che l’ha accolto solo perché si trova in un quartiere di merda e tenere a bada i criminali è qualcosa per cui un paio di braccia in più fanno sempre comodo.
Mica come Deku, preso in una delle migliori, quel nerd di merda.
Ma d’altro canto è così da quando ha magicamente ottenuto il quirk.
Si è preso tutte le cose migliori. Tutte quelle che sarebbero toccate a lui, senza quel pidocchio a rompere il cazzo.
Tutte, nessuna esclusa.
Ha un curioso senso dell’onore, Bakugō Katsuki. E’ un ambizioso bastardo, non lo ha mai nascosto ed è disposto a passare sulla testa di chiunque pur di prendersi ciò che vuole, sgomitando e spintonando.
Ma deve conquistarla. Non si accaparrerebbe mai qualcosa senza lottare, non è un ladro o un volgare approfittatore.
Lui vuole guadagnarsele. Col sudore, col sangue se occorre. Deve essere certo di averle ottenute coi suoi sforzi, non con raggiri o bruschi colpi di mano.
Svolta l’angolo di casa. Dannazione, deve decidersi a prendere un cazzo di mezzo di trasporto. Non gli spiacerebbe qualcosa di figo, magari una motocicletta. Ma con lo stipendio da fame che prende a stenti riesce a pagare l’affitto, e poi non avrebbe dove metterla, quella topaia non ha un box e se la parcheggiasse in strada il giorno dopo, anzi la notte stessa non la troverebbe più.
Appena arriva sotto il portone trova una sorpresa, seduta sui gradini.
Forse ha preso troppa pioggia e gli si è fuso il cervello. D’altronde tutto è possibile, e che a lui difetti qualcosa in testa non è certo una novità.
Lei sembra rendersi conto che non è più sola. Si volta e rialza la testa, per un attimo sembra spaventata, poi si rende conto che è lui e si placa un poco. 
<< Uh? E tu che ci fai qui? >>, sbotta Katsuki.
<< Scusami. Ma ero qua vicino e … ha iniziato a piovere forte e … non sapevo dove altro andare >>, mormora timidamente.
E’ bagnata di pioggia fino all’osso. I capelli le stanno tutti appiccicati intorno al viso un po’ pallido, gli occhi sembrano enormi nella debole luce biancastra del neon poco distante.
Si tiene stretto addosso quel cappotto gocciolante. Si prenderà un malanno, così.
<< Entra. Sennò ti viene una polmonite >>, borbotta aprendo la porta.
Lei lo segue, sfila le scarpe continuando a serrarsi il giaccone.
<< Ti conviene toglierti di dosso quel cappotto >>, osserva.
Uraraka pare azzardare il gesto di slacciarlo. Poi arrossisce, e se lo stringe di nuovo addosso.
Ma che le prende? Neanche sia nuda, sotto.
Non è il pensiero più sano che possa avere in questo momento. Se ne rende conto ma non lo tocca più di tanto, in fondo. << Va’ in bagno, fatti una doccia calda. Ti lascio qualcosa di asciutto sul letto … se non è un problema >>.
Gli occhioni che rialza ora su di lui sono lucenti di gratitudine. Distoglie in fretta i propri, gli dà noia quello sguardo. << Grazie, Bakugō >>.
<< Uh >>. Le scocca un’occhiata bassa, obliqua. << Vuoi mangiare? >>.
<< Oh, io … in realtà ho già cenato, grazie >>.
<< Vabbé. Come ti pare >>. Aspetta che sia entrata nel bagno, nel frattempo mette fuori qualche un paio di uova e della carne e un wok dal pensile. Lo posa sul fornello, lo accende e ci adagia dentro le fette di manzo.
In realtà cucinare gli piace, e se la cava anche bene. Ma quando torna a casa non gli va proprio di improvvisarsi lo chef di ‘sto cavolo; tanto meno per una persona sola, così si arrangia come può e pace amen, basta riempirsi lo stomaco nel più breve tempo possibile.
Quand’è sicuro che sia sotto la doccia passa in camera, apre un cassetto e prende una delle sue tute e una maglia. Le lascia sul letto e torna di là ad occuparsi della cena.
Anche se in realtà non è che abbia tutta questa fame.
Quel cappotto … e le scarpe con il tacco. Anche i capelli, malgrado fossero sfatti dalla pioggia, sembrava fossero stati appuntati in qualcosa da femmine.
Non gli quadra. Non gli quadra per niente.
Che sia uscita senza che il Nerd lo sapesse? O magari, proprio con lui?
E allora perché è andata a cercarlo? Cosa può volere da lui che il suo uomo – oddio, uomo è una parola grossa- non può darle?
Che abbiano litigato? Aveva qualche piccola macchia nera sugli zigomi. Potrebbe aver pianto, se non è opera della pioggia.
Ah, chi cazzo se ne fotte. << Bakugō? >>.
Riappare, sulla soglia della cucina, esitante, un asciugamano sulla testa. La sua tuta le sta lunga e larga, sembra quasi sia raggoffata in un sacco a pelo tre taglie più grande. << Do … uhm, dovresti … cambiarti … tu >>, mormora piano.
E avvampa di nuovo, più evidentemente stavolta.
Ma no. Neppure adesso appare fragile. Forse a disagio, questo sì.
Ma fragile mai. << Posso … badare io alla tua cena, se vuoi. Se … ti fidi di me >>.
<< Mhmm >>.
Volta la carne con aria indifferente. In effetti comincia a dargli fastidio tutta quell’umidità addosso. << Okay. Se il nerd è ancora in circolazione allora penso tu non sia così male ai fornelli >>, replica lanciandole un’occhiata obliqua.
La vede mordersi un labbro. E chinare il capo avvolto nell’asciugamano.
Le passa davanti, il profumo dei capelli e la pelle ancora umida gli arriva dritto al naso e glielo sfiora con dolcezza. << Prendi qualcosa dal frigo, se ti va. Torno subito >>.
<< Grazie >>.
Entra nel bagno, si infila nella doccia. E’ ancora tutto appannato di vapore, inspira con forza quando l’acqua bollente impatta contro la sua nuca strappandogli un ansito.
Non è l’odore del suo solito bagnoschiuma. E’ qualcosa di dolce, di femminile.
L’impronta del profumo che le ha sentito addosso.
E’ lei che sa così.
Era rimasto anche sulla trapunta che si era avvolta addosso la sera in cui è stata da lui.
Esce, si asciuga alla buona e si infila una canotta e un paio di calzoni. Si accorge solo adesso del cappotto appeso all’anta della finestra, nel tentativo –inutile- di asciugarsi almeno un po’.
Ma c’è solo quello.
E gli altri abiti?
Bah. Fatti suoi.
Torna in cucina, l’odore che avverte adesso è quello del cibo. Ma non della semplice carne che stava preparando lui.
C’è … qualcosa di speziato, dolce e pungente insieme. << Ho … pensato di improvvisare un po’. Scusami, forse avrei dovuto chiedertelo prima … >>.
<< No. Va bene >>. Si siede, crolla la testa all’indietro ruotando il collo e chiudendo gli occhi.
Si sente infinitamente stanco. Come se l’avessero picchiato.
Ma non gli hanno alzato addosso un dito. E forse è anche questo parte del problema.
Tutta quell’aggressività repressa lo sta corrodendo dall’interno. Se non trova qualcosa con cui sfogarsi finirà col dare di matto e distruggere qualcosa.
<< Tieni >>. Riapre gli occhi, incrociando quelli di Ochaco che gli porge una birra. Ha svolto l’asciugamano e ora i capelli sono tornati ordinatamente lisci a circondarle il volto arrossato per la doccia e il calore della cucina.
<< Grazie >>.
Cena in silenzio, in cucina, con Uraraka seduta di fronte a lui che sorseggia una soda.
Sembra assorta, adesso. Persa in qualche suo pensiero. << Puoi andare ad accendere la tivù, se ti va >>.
<< Credevo … preferissi il silenzio >>.
<< Per la verità comincia a darmi sui nervi. Il rumore della pioggia >>.
<< Oh. Allora … vado >>. La vede spostarsi in soggiorno, sedersi sul divano, accendere il televisore e tirarsi addosso la trapunta.
Il suo profilo nella flebile luce è delicato. Le lunghe ciglia castane sfiorano gli zigomi ad ogni battito di palpebre, i denti mordicchiano le labbra mentre dall’apparecchio provengono le voci di due donne che battibeccano su qualche cazzata.
E’ delizioso.
Forse troppo. Anche se non aveva appetito improvvisamente gli si è aperto lo stomaco, e spazza via tutto rapidamente, rammaricandosi di non poterlo gustare con calma.
Ma quel gioco non gli piace.
Si alza, sciacqua il piatto nel lavello e lo posa su quelli che Uraraka ha già lavato e messo a scolare.
Tutte le fortune, quel cazzo di Nerd di merda.
<< Senti … a me non va per nulla di mettermi a scarpinare sotto questa cazzo di alluvione. Dormi qui >>.
<< Qui? >>.
<< In camera mia. Io sto sul divano >>, spiega, con voce stranamente incolore.
Lo guarda da laggiù, facendosi piccola piccola. << Guarda che non ti tocco, se è di questo che hai paura >>.
Le guance assumono un rosso vivace, << Che cosa??? Oddio, no! No! Solo … posso stare io sul divano >>.
<< Non dire cazzate >>. Rotea una spalla, la sgranchisce tirandola indietro. << Be’, allora? Vorrei dormire, se non ti dispiace >>.
<< Sì >>. Si svolge di dosso la trapunta, la posa su uno dei braccioli. << Allora … buonanotte, Bakugō >>.
<< Uh. Buonanotte >>.
 
Le manca l’aria.
E’ una stanza tremendamente simile alla sua. Anche nel gelo che vi regna.
O quanto meno dovrebbe esserlo.
Lei sente un caldo tremendo. Continua a mordersi le labbra, voltandosi ora sul fianco, ora a pancia in giù in cerca di requie.
Ma l’odore di Bakugō, denso e caldo come l’impronta dei suoi palmi non la lascia dormire.
Ce l’ha addosso, intorno, dappertutto. Si tira su a sedere, allontana i capelli dalla faccia.
Per un attimo pensa di liberarsi dalla maglia. Ma sotto non ha nulla, e non sarebbe proprio il massimo se durante la notte magari Katsuki avesse bisogno del bagno, entrasse e la trovasse mezza nuda nel suo letto.
Oggesù.
Inspira a fondo nel tentativo di calmarsi. Ma è peggio.
E’ una pugnalata ai polmoni.
Si alza, striscia piano fino al bagno. Apre l’acqua e si sciacqua la faccia, passa una mano bagnata dietro la nuca.
Se batte le palpebre rivede Deku in ginocchio sotto la pioggia …
E’ scappata. Come una ladra, una vigliacca.
E’ fuggita via nonostante portasse i tacchi, piantandolo lì.
Non è riuscita a rispondergli. Ha aperto la bocca per lo shock, perché aveva bisogno di ossigeno, che pareva non affluisse più abbastanza sangue al cervello e al cuore e dovesse accasciarsi come una bambola di pezza.
A casa sua non voleva tornare. Non voleva essere trovata.
Forse per questo era andata da lui. Per nascondersi, ha pensato. Impossibile che Midoriya potesse recarsi lì in cerca di lei.
O per qualsiasi altra ragione. L’ombra di Kacchan è ancora troppo lunga su di lui, perché si metta ad affrontarla con tanta leggerezza.
Ma adesso che è lì, realizza.
Non per questo è andata lì.
Ma per capire.
Quello che la mente respingeva, il corpo bramava. Non c’era modo di sbagliarsi, poteva essere inesperta, ma non stupida.
E’ follia e lo sa.
Ma continuare a ripeterselo non la farà sentire meglio.
Per quello occorre solo una cosa.
Socchiude piano la porta, uscendo in soggiorno.
Sta dormendo. Il televisore è rimasto acceso, ma il volume è al minimo.
Si ferma per un attimo a guardarlo.
Dio. Ricordava bene allora.
Quand’è incosciente, è tremendamente dolce. Sono passati anni, e l’aveva visto una sola volta.
Ma non così da vicino.
Il desiderio di avvicinarsi si fa ancora più forte. E’ un dolore fisico, quasi, una morsa allo stomaco.
Si china piano sul suo volto. Socchiude le palpebre anche se non vorrebbe, è così bello che le spiace doverselo negare.
Ma le viene spontaneo.
Non può farsi indietro adesso. Trattiene il fiato e colma la distanza che separa la sua bocca da quella di Katsuki.
Le labbra di lui si muovono appena contro le sue, un riflesso involontario sicuramente; ma tanto basta a darle una fiammata ardente dietro la schiena, nella pancia.
Dio, cosa non è. Si sente sciogliere dentro, tutto quel calore si fa insostenibile; il suo profumo è ancora più intenso, quella morbidezza vellutata sembra chiedere solo di essere assaporata a fondo.
Se soltanto ricambiasse … anche solo un istante …
Sembra l’abbia ascoltata, miracolosamente. Le schiude, e Ochaco allunga delicatamente una mano a sfiorargli la nuca.
Non riesce più a respirare. Le sembra di essere sott’acqua, ha i polmoni in fiamme, la gola arde.
Mai ha provato nulla di simile.
Qualcosa le sfiora la mascella. S’insinua tra i suoi capelli, lambisce l’orecchio.
Il cuore le perde un colpo. Si allontana un solo istante, per riprendere fiato.
Lo vede sollevare lentamente le palpebre. Leccarsi le labbra ancora umide del contatto con le sue.
Poi le iridi rosse la fissano, mettendola a fuoco.
E un attimo dopo, sembra essersi destato del tutto. << Ma … che cazzo fai? Sei impazzita, per caso? Ma che ti dice il cervello? >>, sbotta, mettendosi a sedere.
Uraraka muove un passo indietro, quasi inciampa nel tavolino alle sue spalle. << Io … io … mi dispiace, non … volevo … >>.
<< Non volevi? Ora verrai a raccontarmi che sei sonnambula, per caso?  >>.
Negare non servirebbe a nulla. << No >>.
Ma a Katsuki non interessano le spiegazioni, a quanto pare. Non le chiede nulla a parte quelle domande puramente retoriche.
Ordina e basta. << Tornatene a dormire, e non azzardarti più a fare nulla del genere >>. I suoi occhi ora sono duri, malgrado il colore fiammeggiante hanno la freddezza tagliente del ghiaccio. << E per inciso, se ti sei ficcata in testa qualcosa di strano, vedi di levartela all’istante. Non mi interessi affatto, in quel senso >>.
Il petto di Uraraka si contrae in una morsa.
Fa più male di un ceffone. Di un’esplosione in piena faccia.
<< O .. okay. Va bene. Scusami >>. Torna in camera, prende la borsa in cui ha infilato la biancheria bagnata, il cappotto un po’ meno gocciolante.
Quando riattraversa il soggiorno, diretta all’ingresso lui non la ferma. Resta immobile, sul divano, a fissare lo schermo della tivù. Le previsioni danno pioggia anche il giorno dopo.
Sbatte la porta, corre fuori incontro alla pioggia, al vento, alla notte.
Pioggia.
Ce ne vorrà per un anno almeno, per lavare via la vergogna che sente adesso.
Tutta insieme.
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. ***


Il messaggio è breve, conciso.
“ Scusa se mi sono comportata così. Possiamo parlare? Solo cinque minuti. Posso spiegarti”.
Midoriya non è incline a dire di no. Tanto più se prova senso di colpa, come adesso.
Si tira su dal letto su cui si è sdraiato vestito.
Il modo in cui Ochaco è scappata via, sotto la pioggia … Dio. E’ stato troppo brutale, ne è consapevole; ma non sapeva come altro dirglielo, doveva farlo, ormai non poteva più nascondersi.
Non si aspettava una reazione del genere. E’ rimasto sconvolto.
Quindi è con un certo sollievo che le risponde. “ Sì, certo che sì”.
Appena bussano alla porta, va ad aprire.
Il primo istinto è di sorpresa. Indossa una tuta larga e lunga, sicuramente non sua.
E quell’espressione. Diversa dal solito. << Ciao … Izuku >>.
E’ fradicia di pioggia. Quasi avesse trascorso metà nottata sotto l’acquazzone che viene impietoso giù dal cielo nero.
Ha un profumo strano. Particolare. Familiare, ha già sentito quell’odore prima. << Ciao … Ochaco. Entra >>.
Non se lo fa ripetere due volte. I suoi piedi nudi lasciano impronte bagnate sul pavimento. I capelli gocciolano, zuppi come i vestiti.
<< Sei … stata in giro, finora? >>, domanda.
<< Sì, più o meno >>. Si guarda intorno, sembra timida.
Quasi … non fosse mai stata lì in precedenza.
O fosse spaesata. << Vuoi qualcosa di caldo? Un tè magari? >>.
Lei si volta, gli sorride appena. << Sì. Grazie >>.
Midoriya va alla cucina, prende bollitore e tazze. La segue però con la coda dell’occhio.
C’è qualcosa che non gli torna.
E’ troppo quieta. Nulla a che vedere con la fuga di nemmeno qualche ora prima. << Stai bene, Ochaco? >>.
<< Sì. Penso di sì >>.
Accende il fornello, posa il barattolo della mistura accanto al vassoio. << Senti … scusa se sono stato così … diretto. Ma non sapevo come altro dirtelo, sinceramente. Non credevo la prendessi in quel modo. Insomma … in fondo, mi pare anche giusto. Lo sai anche tu, vero? Non … potevamo rimanere in eterno in quella situazione d’indeterminatezza. Bisogna … dare una direzione alla propria vita, presto o tardi >>.
Gli occhioni di Ochaco si dilatano. Lo fissano, e un sorriso si allarga sul suo viso. << Oh, ma certo, Deku-kun … non chiedo di meglio che essere tua. Fino in fondo >>. Gli si fa sotto, abbassando la zip della felpa fradicia-
<< O-Ochaco … tesoro, abbiamo … abbiamo deciso di … aspettare, non ricordi? Pensavo fossimo d’accordo che … fosse la cosa migliore, a questo punto >>.
Lei mette su un broncio adorabile, da bimba. << Hai ragione. Scusami. Ma vedi … ho così … tanta voglia di te che … mi riesce difficile >>, ammette, scuotendo la testa.
Midoriya non si perde d’animo. Infila la mano in tasca, ne trae un sottile filo argenteo intrecciato coronato da una sorta di assicella di metallo. << Ochaco >>, la chiama, in tono dolce.
<< Sì? >>.
<< Io … ho una cosa per te >>. Glielo mostra, lasciando che scintilli in piena luce. << Come pegno dei miei sentimenti. Te l’ho portato dal corso … ma sei scappata prima che potessi dartelo >>. Tende il braccio e lei fa altrettanto, glielo allaccia al polso sottile. << Così forse ti sentirai meno incerta >>.
Gli occhi nocciola luccicano nell’ammirare il monile. << Oh, Deku-kun … è bellissimo. Grazie! >>. Gli balza al collo, abbracciandolo.
Izuku ricambia l’abbraccio. La stringe forte a sé, inspira forte dalla sua gola.
Sì. Ha già sentito quel profumo in precedenza. E adesso sa anche … a chi appartiene.
E riduce gli occhi verdi in due fessure, adesso che non può vederlo.
Okay. Ora so a che gioco stai giocando. << Ochaco … dovrei preparare il tè >>, dice, notando che l’abbraccio si sta protraendo un po’ troppo a lungo.
Lei si stacca, subito vergognosa. << Scusami. Scusami, Izuku >>.
Midoriya continua a sorridere, facendo finta di niente. Versa il tè nelle tazze, ne porge una alla ragazza che l’accetta con gratitudine.
Ma non abbocca al suo trucco.  
Il suo odore gli ha detto tutto quello che c’era da sapere.
Bugiarda. Falsa e traditrice. << E’ buono? >>, le chiede, in tono pacato.
<< Oh sì. Grazie, Deku-kun >>.
<< Di niente >>.
Bevono in silenzio, lei che scruta di sottecchi il bracciale, lui che scruta lei.
La voglia di metterla di fronte alla realtà è fortissima.
Ma deve essere più furbo.
<< A-allora … forse dovrei andare, adesso >>.
<< Ti accompagno >>.
<< Oh, no, non serve … sono una Hero, ricordi? So badare a me stessa >>, gli fa presente. << Tornerò domani sera. Se … ti sta bene >>.
<< Ma certo. Anzi, domani sera andiamo al cinema. E’ tanto che non ci andiamo … vediamo un bel film, e poi andiamo a mangiare da qualche parte. Vuoi? >>.
Gli occhi nocciola scintillano. << Oh, sì! Conosco un  posto fantastico, giù a Roppongi. Fanno un pollo alla piastra sublime >>.
<< Bene. Allora … a domani >>. La accompagna fino alla porta, e appena lei si avvicina per baciarlo vince anche la repulsione istintiva che gli suscita e ricambia.
E’ un tocco caldo, appassionato che gli dà il voltastomaco; si trattiene a stento, sa che non può smascherare il suo sordido inganno adesso.
Prima deve avere la certezza. E soltanto dopo potrà sbatterle in faccia il suo misfatto.
Pazienza. La dote grazie a cui è divenuto Eroe.
Non può gettare tutto al vento per l’impulso di un istante. << Allora … buonanotte, Ochaco >>.
<< Notte, Deku-kun >>.
La guarda allontanarsi nella notte. aspetta che sia fuori vista per trarre il cellulare dalla tasca dei calzoni.
E comporre un numero. << Qui è Deku. Abbiamo … un problema >>.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. ***


 
Molle. Il tempo, è molle.
Materia duttile. Plasmabile. Senza unità di misura a trattenerlo, le ore si fondono ai minuti e questi ai giorni.
E’ disgustoso. L’odore è disgustoso.
Sangue rappreso. Metallico e fruttato man mano che va in decomposizione, le cellule ematiche che si fanno crosta, diventano rosso ruggine.
Il suo stesso sangue. Scorre lungo le braccia, assicurate a due strette catene che le hanno lacerato i polsi.
Non sa da quanto è lì. secoli, le pare.
L’ultimo ricordo che ha è di uno sprazzo maleilluminato di strada. Lei che correva, sotto la pioggia.
Poi, il buio. Un dolore sordo alla testa, quando ha riaperto gli occhi.
E quella forzata condizione di immobilità. Il freddo dilagante nelle ossa e nelle viscere.
Il calore del bacio rubato a Bakugō è l’unica cosa che ancora riesce a darle sollievo.
Non vuole ricordare gli attimi seguenti. Quelle parole sferzanti.
“ Non mi interessi affatto, in quel senso “.
Quel tono gelido, tagliente. Così in contrasto con le sue labbra morbide e calde.
Con il suo profumo, che ancora ha addosso nonostante l’immersione in quello schifo.
Un’ombra si fa strada attraverso il buio.
Lo stomaco le si serra in un nodo. E’ … angoscia, la sensazione che il suo tempo stia per scadere.
Quella donna è pazza. Da legare. I suoi occhi sono cattivi, crudeli, si nutre del suo terrore come di un cibo delizioso, prelibato.
<< Oo-chacoooo … >>, la chiama, cantilenando.
Uraraka trema. Dietro la schiena si forma un leggero rivolo di sudore anche se non ha nulla addosso, e il freddo morde le carni.
Sembra contenta. E questo non indica nulla di buono.
Le ha rubato il cellulare. Lo sa il cielo cosa ci avrà combinato. << Ciao, tesoro, sono a ca-saaaa… >>, cinguetta in quel tono fastidiosamente zuccheroso.
La disgusta, anche lei. E’ una sociopatica, efferata assassina.
E lei è in sua balia. << Guarda, guarda Ochaco! >>. Trotterella in giro per l’angusto scantinato buio e maleolente di muffa e sangue.
<< Guarda!!!! >>. E le sbatte sotto il naso il braccio.
Lei si sforza di vedere. Ma in quell’oscurità non coglie nulla.
Tanto non importa. Sarà lei stessa a dirle cosa le preme che veda. << Non è bellissimo? Me l’ha regalato Deku. Il mio Deku!!!!! Lo sai? Me l’ha dato lui. Come pegno dei suoi sentimenti >>. Accende la luce, una lampada mezza scoppiata come lei.
E giocherella con il cerchietto al suo polso. Identico a quello di lei, copiato grazie al suo quirk maledetto.
<< Sei contenta, Ochaco? Lui ti ama … >>. Sospira, il corpo che lentamente torna al suo aspetto originario.
<< Ti ama tanto … oh oh oh! Scommetto che tu invece sei una cattiva bambina. Di chi sono questi, ehhh? Non sono di Deku … >>, osserva, tirandosi via la maglia dal torso, denudando i seni.
Uraraka ha una fitta di nausea. Vedere quel corpo impudicamente esposto, il suo, le fa ribrezzo.
Toga si avvicina. Ha in mano qualcosa … una lama.
<< Tu non te lo meriti … >>, dice.
La sua voce è quella di una bimba.
Una bimba fuori di testa.
Il primo affondo è nello sterno. Brucia.
Come l’inferno.
<< Ora mi divertirò un po’ con te … >>, mormora. E si tende a leccarle via il sangue che cola, rapido e bollente.
Ochaco riesce a stento a trattenere il conato che le piega lo stomaco.
La lama scivola, senza ferire. E’ fredda, sulla pelle dell’addome.
Potrebbe squartarla come nulla. In un solo istante.
Già sente venire meno la vita, dalla ferita appena inferta.
La sua unica speranza … è che quell’inganno sia stato svelato. E che il senso del dovere richiami gli Eroi ovunque ci sia necessità di loro.  
E’ troppo desiderare altro.
Non lo merita. Lo sa.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. ***


 
L’allerta è stata diramata come sommersa, non ha lo stridio fendente d’una sirena ma piuttosto la cupa profondità di un sasso gettato in acqua, i cerchi concentrici che si allargano dal centro sfiorando e facendo vibrare tutto ciò che riescono a vibrare.
Ryukyu non può fare a meno di essere in angoscia. Una delle sue migliori sottoposte è stata presa in ostaggio dai Villan, si mangia le unghie pur sapendo che è sceso in campo uno dei più promettenti Hero a salvarla, o quanto meno a tentare di farlo.
Ran, davanti a lei, coccola ossessivamente uno dei capolini rosei sulla scrivania di Ochaco. << Dovremmo intervenire. Non possiamo … restare qui a girarci i pollici >>.
<< Ran, no. Deku- san è stato chiaro, lui ha già avuto a che fare con Toga Himiko e la sua accozzaglia di criminali, ha già elaborato un piano e gli occorre agire in solitaria perché funzioni con il minor rischio possibile per Uraraka. So che sei in pena, anch’io lo sono, ma dobbiamo pensare innanzi tutto alla sua incolumità >>. Si mordicchia il labbro, cogitabonda.
<< Ha detto di fare attenzione a qualsiasi visita o chiamata potremmo ricevere da lei. Quindi vuol dire che le ha preso anche il cellulare >>, osserva Ran.
Lo stesso pensiero colpisce entrambe con forza. << Scarlet >>.
<< Brava, Ran >>, commenta Ryukyu componendo veloce il numero della rossa incantatrice. Anche se l’espressione della ragazzina non è quella fiera e orgogliosa di chi ha dato un ottimo suggerimento ad un suo superiore, ma quella affranta nel timore di non rivedere più una collega con cui sperava di condividere ancora il periodo del proprio tirocinio.
E un’amica.
 
Devo farcela.
Gli occhi verdi di Izuku sotto la pioggia. In ginocchio davanti a lei.
Merita una risposta.
Quelli ardenti di Katsuki che la fissano con furia e shock, increduli.
Anche lui si merita una spiegazione per quel gesto.
E i suoi genitori. I suoi amici, anche quelli adesso lontani per questo o quel corso post-diploma che li tiene impegnati, come Asui o Yaoyorozu.
Il suo capo e Ran, tutti i suoi colleghi.
Per loro deve farcela. Per loro … deve …
Resistere.
Le dita sono un unico cumulo di fitte e macerie. Non le sente più quasi nemmeno per il dolore tanto sono intorpidite, senza circolazione.
Nell’angolo buio, la mazza da baseball della ragazza. Ne ha già fatto conoscenza, anche se solo sulla schiena: per un istante ha temuto volesse dargliela in testa, o sulle ginocchia.
L’ha vista agghindarsi davanti allo specchio. Dopo aver preso il suo sangue, per garantirsi altre ore con il suo aspetto.
Ricorda con un ribrezzo e un orrore profondo le sue mani su di lei. Se non si dà una calmata soffocherà con la sua stessa bile.
Le ha sfiorato la bocca con la propria e Uraraka è stata solo grata che non fosse il suo primo bacio.
Anche se probabilmente sarà l’ultimo.
Però è stata la prima a toccarla. Non solo per picchiarla purtroppo: ha alternato squarci, pugni e calci dolorosi a carezze ripugnanti, persino peggiori di quei colpi impietosi.
Le dita che le stendevano il sangue sulla pelle. La lingua che lo leccava con cura, prima di tornare ad affacciarsi alla soglia delle sue labbra.
L’ha ripetutamente molestata.
Oddio, Ochaco non ha problemi con certe cose: non ha pregiudizi ed è sempre stata convinta che l’amore, se è vero, non conosce sesso così come non conosce buon senso.
Ma questa era un’altra cosa. Si è sentita violata, contro la sua volontà; e il fatto che fosse una donna a toccarla è valso solo in parte a rassicurarla.
Se avesse voluto farle ancora più male di così non nutriva dubbi che avrebbe trovato comunque un modo.
E poi … chissà quanto sangue aveva rubato nel corso degli anni. Sarebbe bastato un niente ad assumere sembianze maschili.
Soprattutto alcune.
Quando l’aveva sentita fare il suo nome, Uraraka era sbiancata.
Deve averla spiata. Seguita, anche se non ha idea del motivo.
Né di come ci fosse riuscita senza farsi vedere. Forse ricorrendo a quello stesso metodo, trasformarsi in qualcun altro per controllarla senza essere vista.
Forse sperava la conducesse a Deku, e invece aveva finito con lo scoprire tutt’altro.
E adesso l’aveva salutata con una promessa atroce.
Prima di andare ad incontrare lui.  
Sapeva che era malata ma non aveva compreso quanto davvero profondamente lo fosse.
Adesso era fuori, a caccia.
E loro non lo sapevano, che non era lei.
O forse Midoriya ci è arrivato, ma non esiste speranza che lo dica anche a Bakugō.
L’angoscia aumenta fino a raggiungere livelli insostenibili.
Due uomini a cui è legata indissolubilmente più che a quelle catene si trovano in grave pericolo a causa di una pazza assassina.
Deve trovare il modo di liberarsi.
Subito.
Non finirà nella tomba con i tocchi delle luride mani di Toga Himiko addosso.
Non al momento, quanto meno.
 
 
La porta che sbatte fa sussultare Ishiwara, quel coglione.
<< Be’, che cazzo le prende a quella pazza isterica? >>.
<< Shhh >>, fa Aruimi, l’orecchio appiccicato al battente della porta dell’ufficio di Scarlet chiusa a chiave.
<< Zitto, idiota, sto cercando di capire >>.
<< Ti sei ridotta a fare l’origliona, adesso? >>.
<< Vuoi chiudere il becco, Zero? >>. Glielo fa apposta quella stronza, dimezza il suo Hero Name per usarlo come un insulto.
<< Oh oh, calma. Shh! >>. La ragazza scosta i capelli blu ciano dall’orecchio, si attacca con ancora più forza.
E sgrana gli occhi indaco, sbiancando. << Che cazzo succede? >>, ringhia Katsuki sottovoce, suo malgrado.
<< No … no, no. Cazzo >>. Si stacca dal battente con aria terrorizzata, inverosimile su una dura come lei.
<< Vuoi parlare, Aruimi? >>. E’ così agitato anche lui che non pensa neppure ad insultarla di rimando.
La porta si apre. E Scarlet, con aria afflitta, si materializza sulla soglia con la faccia di chi ha appena ricevuto un’orribile notizia.
<< Salve, ragazzi >>. Espira con forza. << Ho … da darvi … un avviso. In caso vediate Uravity, o tenti di mettersi in contatto con voi dovete immediatamente segnalarlo. Perché … non è lei. Non è Uraraka >>.
Katsuki sente il sangue defluire dalle membra, raccogliersi nel petto e restare lì, ghiacciato. << Cosa cazzo … >>.
<< Pare che la Villan Himiko Toga abbia preso il suo posto, oltre che il suo aspetto; ed ha anche il suo cellulare. Uraraka Ochaco è al momento dispersa. Ryukyu mi ha appena telefonato per mettermi in allerta, sapendo che ha svolto servizio presso di noi di recente >>.
I pugni nei bracciali si serrano. << Ma ha … ordinato di non fare nulla >>.
<< Come sarebbe?! >>, sbottano Ishiwara e Aruimi in sincrono.
<< Un Hero è già sulle sue tracce. E il nostro dovere è di non interferire. L’incolumità di Uravity è tutto ciò che conta in questo momento. Dobbiamo continuare a comportarci come nulla fosse e fare attenzione ad un’eventuale apparizione della suddetta Toga nell’aspetto di Uraraka >>.
<< E’ assurdo! E chi sarebbe questo Hero? >>, sbotta Nami; per un secondo Bakugō le è quasi grato, a quella stronza, dacché lui non riesce a muovere nemmeno la lingua.
Uraraka, nelle mani dei Villan.
Com’è toccato a lui tanto tempo prima.
Sa che non è fragile, gliel’ha anche detto. Ma è sola, di certo spaventata e con il suo quirk non è che possa fare granché, se quelli si mettono tutti insieme di concerto mentre quella troia bionda bacata nel cervello se ne sta a spasso usufruendo della sua pelle.
Ed è una ragazza. Non è difficile immaginare a quante orrende torture e manipolazioni possa andare incontro.
A lui è andata di lusso. Non sono stati così pazzi da provarci, quei porci perversi; ma lo volevano con loro, non potevano spaventarlo a quel modo se intendevano tirarlo dalla loro parte.
Ma Ochaco … Oddio.
Non può pensarci. Gli viene da tremare e vomitare, il sangue in gola si è fatto grumo di cemento.
<< Deku si è già attivato per cercarla. Ha un piano, e ha chiesto anche all’agenzia presso cui Uraraka lavora di tenere gli occhi aperti e basta, in caso si presentasse lì. E’ tutto. Andate a lavoro >>.
Katsuki prova a deglutire.
Deku. Cristo Santo. << Col cazzo >>.
Tsuki gli scocca un’occhiata obliqua con gli occhi viola, simili a nembi temporaleschi. << Ground Zero, hai qualcosa da aggiungere? >>.
<< Sì. Col cazzo che me ne starò qui a rigirarmi i pollici guardando spacciatori e papponi di merda mentre lei chissà dov’è, e cosa le staranno facendo … voi non immaginate minimamente quanto quei dannati siamo fottuti nel cervello. Io ci sono stato dov’è lei adesso. E non gliela lascio, fosse l’ultima cosa che faccio in questa merda di vita >>.
I colleghi tacciono, impietriti. << Bakugō … >>, sussurra appena Ishiwara.
<< Chiudete il becco. Senti, se mi vuoi sbattere a calci in culo fuori dall’agenzia, ecco, ti aiuto io. Mi licenzio, così non dovrai rispondere di alcuno dei danni che combinerò. Perché non posso garantirti che ne usciranno tutti vivi, se ci metto le mani addosso >>. Rialza lo sguardo, tira fuori il portafoglio col tesserino di riconoscimento dalla tasca e glielo getta per terra, davanti ai piedi. << Non lavoro più per te >>. Gira sui tacchi avviandosi all’uscita.
<< Aspetta, Bakugō! >>, fa anche Scarlet, allarmata.
Ma lui prosegue sbattendosi dietro la porta con tale forza che uno dei cardini cedere. 
Aruimi e Ishiwara si guardano, attoniti. Poi si voltano a fissare Tsuki che non proferisce verbo, la chioma fiammeggiante rende il suo volto quasi livido.
<< Do … Dobbiamo … seguirlo? >>, chiede piano Nami, sconvolta da quella scenata per una volta diversa dal solito.
<< No. Ufficialmente non lavora più per noi >>. Si china, raccoglie il tesserino e lo posa sul banco all’entrata. << Ha … appena dato le dimissioni. Non abbiamo … alcuna responsabilità in questa missione, non siamo stati chiamati ad agire quindi non possiamo intervenire. Lui lo fa a titolo proprio, con tutte le conseguenze del caso >>. Fa per muovere un passo ma vacilla, porta una mano sul banco.
Aruimi e Ishiwara si sentono stringere il cuore.
Hanno avuto tra loro Uraraka per sole due settimane, ma tanto è bastato perché divenisse cara ad ognuno.
E in fondo tengono a Bakugō, per quel gran testa di cazzo che sia è pur sempre uno dei loro.
Inoltre hanno appena scoperto che sotto quella facciata da strafottente testacalda ha un animo generoso e indomito. L’ha messo fuori adesso chiaramente, ha tenuto stretti i denti fin qui sottostando più o meno alle regole, recalcitrando davanti ai rimbrotti di Akane pur di non perdere il posto di lavoro ma ora non se n’è fregato nulla, pur di non farsi legare le mani ha preferito mandare tutto all’aria pur di non lasciare un’ex-compagna di classe, un’amica al suo destino.
<< Ho sempre pensato fosse solo un arrogante figlio di puttana. Mi rendo conto adesso che ho sbagliato a giudicarlo >>, mormora Nami stringendosi le braccia al petto velato d’azzurro.
Ishiwara, il gigante buono la cinge con una delle sue. << Dai, avanti, non fare così. Quando tornerà potrai chiedergli scusa >>. Poi torna a fissare la boss, che si morde le labbra tirandosi via il rossetto scarlatto e sbavando i contorni.
Sa tanto di cattivo presagio, adesso. << Cosa facciamo allora, capo? >>.
<<  Uscite, come al solito >>. Annuiscono, fanno per avviarsi anche loro alla porta quando Scarlet li richiama. << Ma … ragazzi. Tenete occhi e orecchie aperte. E se per caso giungesse … qualche richiesta, non esitate. Mi assumo io la responsabilità per voi. Andate >>.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. ***


Un lento, quieto gocciolio.
Un affannarsi di voci. Rumori. Suoni metallici, come quelli delle catene.
L’impossibilità, di muoversi.
E quello stillicidio continuo. Assordante, più di tutto il resto messo assieme.
Il suo stesso sangue.
<< Presto! >>. Una voce vagamente familiare, sfocata, come un’eco del passato.
Le lambisce appena le orecchie.
Tic. Tic. Tic.
Qualcosa che va in pezzi. Esplode, senza lasciarsi dietro traccia.
Il suo cuore, nel petto. << Presto, dannazione, presto! >>.
Il buio. Il freddo. Luci bianche che le balenano davanti alle palpebre appena socchiuse.
Un sapore di metallo tra i denti, di ruvido.
E quelle mani. Ancora su di lei. Che la spogliano, la frugano, la palpano impunemente senza che lei possa opporre resistenza.
Delle grida. Un calore intenso che si spezza come un filo, insieme al senso della realtà.
Si sente leggera, anche senza quirk. Sta fluttuando, nell’aria, sospesa, troppo in alto perché possano riprenderla.
Cos’è successo? La mente è troppo oltre per metterlo insieme a parte quei rari frammenti.
Scorrono a singhiozzo come fotogrammi di un film.
<< Avanti, rispondi. Rispondi! >>. Quella voce … su tutte le altre.
Delle dita gentili che la sfioravano, un battere accelerato che sembrava volesse tenerla in vita.
Un cuore che sa comprendere e perdonare. Anche senza dover chiedere scusa.
<< Non preoccuparti, ci siamo noi qui con te adesso >>, mormora ancora quella voce, e lei non sa se fidarsi oppure no.
Ma non può occuparsene da sola. Non può fare diversamente.
Tende la mano alla cieca. Non vede nulla, non sente più niente oltre la vita che scorre via da sé, in quel gocciolio.
Deku… 
E poi d’un tratto vede.
Quegli occhi rossi che la fissano. Il loro sguardo, così … così …
Che parola potrebbe usare?
Nessuna.
Il buio se la prende, quell’ultima parola. La sprofonda nell’oblio, lontana.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. ***


<< Nessuno? >>. La mocciosa bassa va e viene ogni due minuti, sta cominciando a dargli sui nervi.
Non dovrebbe essere lì. Non sa neppure lui perché sia rimasto, per quale ragione ora sia buttato, esausto, impolverato, su quella sedia del cazzo che gli sta spezzando le reni.
Con ventisette punti di sutura alla schiena, la gamba sinistra bloccata in un tutore, la tenuta da Hero ridotta a brandelli e …
Il nerd di merda.
Oggesù.
Meno male che è si è levato dalle palle ed è uscito a fare una chiamata. Manca da … sì, dalle ultime quattro volte che è entrata quella ragazzina.
Ma anche loro erano così, qualche anno prima? Così … innocenti? Così … ingenui?
No. Non lui.
Lui non lo è stato mai.
<< No. Piantala di rompere il cazzo e siediti. Mi dai ai nervi >>, sbotta.
E’ andata male. Malissimo.
Fin da quando è uscito dall’ufficio di Scarlet ha commesso un errore dietro l’altro. La sua abilità strategica è andata a farsi fottere e benedire dal primo istante in cui ha sentito che Uraraka era stata dichiarata ufficiosamente dispersa.
E che Deku era l’unico in campo per recuperarla.
E’ uscito nella notte senza sapere neppure lui dove andare. Non aveva idea di dove abitasse il nerd di merda; così tanto per cominciare era andato a casa di lei. Aveva sfondato la porta con un calcio, aggirandosi tra quelle due mezze stanze fredde e vuote come le sue.
Il senso di colpa si era fatto divorante. Glielo diceva il cervello toccato che era accaduto dopo che se n’era fuggita da casa sua.  
E non l’aveva fermata. L’ha vista chiaramente sconvolta, angosciata e sì, anche umiliata, perché testa di cazzo com’è non è stato capace di dirglielo in altro modo, più educato, gentile.
Non mi interessi, in alcun senso.
Cosa sperava di trovare lì? Nulla, non c’era nulla a parte qualche piccola cosa fuori posto in camera da letto. Una busta di cartone con sopra il marchio di una catena di abbigliamento posata sulla trapunta, una ricevuta che portava la data dell’ultima volta in cui l’aveva vista. Delle mollette per capelli dimenticate sparse sulla specchiera del bagno, insieme a dei trucchi impilati accanto.
Un lieve filo castano dorato era rimasto impigliato nel pettine. L’aveva preso, guardandolo in controluce senza una vera ragione.
Sì, sicuramente doveva uscire con il nerd di merda. Ma qualcosa era andato storto e si era rifugiata sui gradini di casa sua, sotto la pioggia.
Stava male, e lui non era stato in grado di aiutarla.
Perché aveva scoperto di tenere a lei più di quanto gli piacesse pensare e quella cosa gli faceva male. Era troppo facile immaginarla tra le sue, di due stanze e mezzo ad aggirarsi tra le sue cose, con il suo sorriso e il suo profumo.
Non la voleva perdere, e si era reso conto che non poteva accadere perché non era sua. Non gli spettava di diritto, se aveva scelto Dekumerda c’era un motivo e anche se lui non era tipo da arrendersi senza lottare in questa battaglia sentiva di doverne uscire sconfitto in partenza.
Per Katsuki, tutto è bianco o nero. Non si può conquistare il cuore di una persona con cure e attenzioni, no; se sta con qualcun altro è perché vuole, perché lo desidera e non gli sarebbe mai venuto in mente di corteggiarla, a parte che lui non è proprio buono a certe cose, e poi anche perché non riesce a credere che un sentimento possa sbocciare e sostituire quello provato in precedenza per un altro.
O ci sei o no. Punto. Non è come la graduatoria Hero che pensionato un numero Uno se ne fa un altro.
E non era capace di essere amico di qualcuno, lui. A parte Kirishima, e forse quello stronzo di Kaminari non poteva dire di averne mai avuti, oltre il discorso complicato di Midoriya.
Lo chiamavano, altro che no. Gli mandavano messaggi, non si erano dimenticati di lui.
Ma non è bravo a mantenere i contatti, specialmente se sente di essere in difetto. La carriera gloriosa che si aspettavano tutti da lui una volta diplomato non era arrivata, era rimasto bloccato in un’agenzia da quattro soldi e non aveva speranza di uscirne a breve.
Si … vergognava. Anche se loro due erano pure impelagati in gavette amareggianti, ChargeBolt addirittura a fare le pulizie nell’ufficio in cui lavorava, lui … si vergognava di non aver nulla da raccontare loro.
E si vergognava anche davanti ad Uraraka, che l’aveva visto e aveva lavorato al suo fianco.
Di sicuro doveva aver fatto i giusti confronti con Deku e concluso che sì, aveva fatto la scelta più sensata.
Una scelta che forse non sapeva neppure di aver effettuato, dacché mai lui le aveva fatto cenno ai propri sentimenti. Mai. Non glieli aveva mai dimostrati, eccetto forse in qualche timido sguardo obliquo di cui Ochaco non si era mai accorta.
E una volta messasi con Midoriya, aveva smesso anche di guardarla.
Perché era così testardo da non poter ammettere di aver sbagliato lui, di non averci nemmeno provato. La testa gli diceva che se davvero l’avesse voluto, avrebbe potuto fare il primo passo lei.  
Se non era andata così, allora non le importava nulla di lui e pace amen.
Pensieri sterili, a cui non sapeva dare forma e direzione. Il tempo scorreva e non sapeva da dove cominciare a cercarla.
Finché non si era rassegnato a fare una cosa davvero fuorimisura.
Aveva mandato un messaggio ad una persona che non vedeva e sentiva dal giorno del diploma, ma di cui conservava ancora il numero, quasi come un talismano. Aveva cambiato diversi cellulari ma quel numero, l’aveva tenuto sempre.
Quasi come se sapesse che un giorno gli sarebbe servito.
Quel giorno era oggi.
Pochi minuti dopo era arrivata la risposta. Un altro numero, che aveva chiamato direttamente stavolta. << Pronto? >>.
<< Dove cazzo sei, stronzo di merda? >>.
<< Kacchan?! >>.
<< Zitto. Dimmi dove ce l’hanno e basta >>.
<< Ma … ma …>>.
<< E piantala con queste stronzate! Vuoi dirmi dov’è?! >>.
<< Non posso, è una faccenda delicata e … >>.
<< Dimmi dove cazzo è!! >>.
Un breve silenzio era calato sulla conversazione.
Poi Midoriya aveva ceduto, come faceva sempre davanti a lui. Gliel’aveva dato.
Un buco di merda infimo a Shinjoku, un seminterrato in una palazzina in disuso.
Non aveva posto tempo in mezzo. Era accorso come un dannato e aveva mandato tutto in pezzi, con un’esplosione micidiale per aprirsi un varco subito invece di esplorare con cautela la palazzina per trovare l’ingresso in modo più silenzioso.
L’aveva trovata subito. Con addosso un lenzuolo malamente avvoltolato al corpo nudo, piagato, che reggeva una mazza da baseball con le mani arrossate da lividi e rivoli di sangue ormai secco.
Solo un istante. Aveva potuto incrociare i suoi occhi nocciola, così dolci e grandi e ora lucidi e vacui un attimo appena.
Poi si era scatenato l’inferno.
La sua bravata aveva richiamato l’attenzione degli altri Villan a poca distanza. Erano arrivati in frotta e lui da solo si era ritrovato a dover combattere per la propria salvezza, non per quella di Uraraka.
Che era stata portata via da qualcuno di quei bastardi dopo essere stata stordita. Nello stato pietoso in cui si trovava non c’era voluto niente.
Si era preso parecchi colpi, prima di metterli tutti al tappeto, erano in troppi per uno soltanto anche se quell’uno era lui.
Il suo quirk si era talmente indebolito che non avrebbe più potuto far saltare in aria neanche un vaso da fiori. Uno squarcio dietro la schiena sanguinava copiosamente e non poteva far nulla per arrestare l’emorragia; la maglia termica lo teneva al caldo e non poteva toglierla, se voleva avere speranze di recuperare tanta forza da usare di nuovo il suo potere.
Ma d’altro canto rendeva la circolazione più fluida, rapida mentre il freddo avrebbe potuto rallentarla.
Inoltre si era presumibilmente lussato una rotula. Non poteva fare granché strada in quelle condizioni.   
Ed era stretto in una morsa di angoscia e disperazione.
Quando erano arrivati gli Hero del posto, lo avevano soccorso alla meno peggio; ma insisteva che lo lasciassero fottersi, che pensassero a recuperare Ochaco.
Era entrato e uscito dall’incoscienza un paio di volte, prima che i paramedici giungessero sul posto assieme alla polizia e si portassero via quei maledetti. Gli si rivoltava lo stomaco dal freddo, dal dolore e dal pensiero che chissà dove l’avrebbero nascosta adesso, cosa le avrebbero fatto.
Se sarebbe sopravvissuta
E poi l’aveva visto arrivare.
Deku, impolverato, ferito, con un paio di graffi in faccia e la tuta stracciata in più punti.
E lei in braccio. Coperta da una trapunta malmessa, esangue.
Non sembrava neanche più viva. Solo l’espressione allarmata del nerd di merda rivelava che sì, anche se in quello stato il suo cuore batteva ancora.
L’aveva salvata. Aveva … svolto la sua missione da Eroe.
E lui invece aveva rischiato di farla ammazzare.
Aveva fatto davvero la scelta migliore, Uraraka. Si era preso l’uomo che poteva proteggerla.
Non occorre aggiungere altro a questo punto.
Quella troia di Toga è scappata, Midoriya è stato costretto a lasciarla andare pur di accorrere da lui. Gli altri bastardi sono finiti al Tartaro, la prefettura avrebbe addebitato un po’ di danni: la palazzina era fatiscente ma si sa, quei maledetti tendevano a gonfiare le cifre sulla carta e visto che non lavorava più per Scarlet, e che questa missione non era stata approvata toccherà a lui rifondere di tasca propria.
Probabilmente dovrà tornare a vivere dai suoi. E sì, gli toccherà lavare le scale del palazzo del Municipio per anni, nel frattempo.
Pensieri schifosi, questi. Per distrarsi guarda ancora l’orologio.
Ma quanto ci mette quel coglione? Chissà con chi cazzo è al telefono. Forse col suo capo, e sta ricevendo un elogio via cellulare in attesa che gliene arrivi uno scritto nero su bianco.
Fanculo.
Tanto vale prendersi un caffè. L’adrenalina in corpo è scemata paurosamente, e anche se si sente il cuore tamburellare in petto, complice lo sfinimento e la perdita di sangue è inerme, stanco e minaccia di addormentarsi.
Si alza, zoppicando malamente va al distributore automatico. Prende un espresso e di ritorno, coglie il movimento della testa verde in fondo al corridoio.
La curiosità è più forte del resto. Si mette in ascolto, nascondendosi dietro la parete. << Sì, è salva. Ma è molto, molto malmessa. E’ ancora in sala operatoria. No, non ti preoccupare, te l’ho detto. Non è il caso che tu venga fin qui adesso. E poi … capirai bene che non è … la situazione più normale del mondo. Lo so, non è facile. In fondo è anche una tua amica e … devo ancora ringraziarti per quel braccialetto localizzatore. Sì, purtroppo però è andato perso. Sei fantastica. Grazie. Grazie davvero. Io … non so cos’avrei fatto senza di te >>.
Ah, guarda. E’ venuto fuori com’è che lo stronzo di merda sapeva dov’era Uraraka. << Sì. Anche tu … mi manchi. Tanto. Spero di rivederti prestissimo. Una lieve pausa. << Ti amo anch’io >>.
Gli occhi di Katsuki si iniettano del sangue rimastogli nelle vene con un impeto tale che vede tutto rosso per qualche istante.
Non ci vuole credere, che quel figlio di puttana … abbia detto qualcosa di simile.
Ad una che non è Uraraka.
Che è ancora in sala operatoria e non sanno se e come ne uscirà.
<< Ciao >>. Neanche mette via il cellulare e si volta che Bakugō anche se azzoppato gli è addosso, gli afferra la gola tirandolo per la tuta.
<< Mhgpf … >>, esala in un respiro strozzato dalla sorpresa.
<< Lo sapevo, dovevo ammazzarti allora! >>. Lo scuote brutalmente, tanto da far risuonare tutte le applicazioni metalliche mezzo staccate della sua tenuta. << Che cazzo fai, si può sapere, ah? La tua donna è da ore sotto i ferri e tu … >>.
<< Non è la mia donna! >>, protesta Deku ritrovando d’un tratto la voce, sia pure soffocata. Poi la abbassa, diventa quasi roca. << Non è più … la mia ragazza. Ci siamo lasciati >>.
<< Uh? >>. Bakugō lo mette giù, come colpito da un fulmine. << Che … accidenti stai … >>.
<< Abbiamo rotto. Io … l’ho … lasciata >>.
Katsuki lo fissa come se fosse l’ultimo pezzo di merda a questo mondo. << Ma davvero? Ti prendi anche di questi lussi, adesso? >>.
<< Non è colpa mia se mi sono innamorato di un’altra persona >>, prova a giustificarsi Midoriya, tenendogli puntati in faccia gli occhioni verdi determinati. << Ma tu cosa ne puoi capire >>.
Per un attimo Bakugō lo scuote di nuovo, pronto a farlo saltare in aria come un fuoco d’artificio. << Stronzo del cazzo … >>.
<< E’ uscita! >>, trilla la nanetta affacciandosi dalla porta girevole.
Katsuki lo lascia cadere giù, come fosse un sacco dell’immondizia dimenticato all’angolo della strada.
Adesso ha faccende più importanti che pensare a lui.
Strisciando la gamba raggiunge la porta, scansando la ragazzina che si toglie immediatamente dai piedi.
Deve avere una faccia per nulla rassicurante.  
<< Ka – Kacchan … >>, prova a chiamarlo Deku.
Ma lui nemmeno si gira a guardarlo. << Va’ a farti fottere >>. 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. ***


La prima cosa che rivede tornando alla realtà sono quegli stessi occhi che ha lasciato nello staccarsi da essa.
La fissano. Ancora.
Non sa se rallegrarsi o preoccuparsi dell’essere ancora stordita.
Ha addosso ancora la tenuta da Hero.
Non dev’essere neppure tornato a casa a cambiarsi.
Perché? Solo per dovere?
Izuku che le puntava addosso i suoi occhioni, senza sapere di dove prendere le parole. Che si inginocchiava davanti a lei, prendendole la mano nella propria.
E quel senso di sopraffazione che aveva provato Ochaco. Ora aveva capito cosa volesse chiederle la sera che l’aveva invitata fuori a cena.
<< Ecco, io … io … Uraraka-san … io … devo chiederti … perdono >>.
Le aveva detto di Melissa, di come si erano incontrati di nuovo al corso, lei ormai ricercatrice diplomata. Di quella strana emozione provata nel rivederla, di come senza volerlo l’ultima sera prima di tornare a casa si fossero baciati, così, quasi senza rendersene conto.
Ma non era di questo torto che Izuku le chiedeva scusa.
Era del fatto che volesse tornare da lei, da Melissa. Si era reso conto di essere innamorato della bionda figlia di David Shield, e per lei provava solo affetto, come per una sorella.
E Ochaco si era sentita morire a quel punto. Perché non aveva il coraggio di tornare da Katsuki, era terrorizzata dall’idea che pensasse di essere solo un rimpiazzo, o peggio una vendetta.
Quando lei aveva già deciso, ma non osava confessarlo neanche a se stessa e Izuku le aveva solamente fornito la possibilità di non sentirsi colpevole, di non essere lei la cattiva in quella storia.
L’avrebbe capito, questo, Katsuki?
No.                 
Per questo aveva taciuto. Per questo aveva … sperato che quel bacio lo destasse e lo convincesse della bontà dei suoi sentimenti, prima che gli confidasse com’erano andate le cose. Che era libera, che … lo desiderava, che non smetteva di pensare a lui, al tocco dei suoi palmi, a quello delle sue labbra; che il solo ricordare quell’accenno così lieve e delicato la mandava in fiamme, e non poteva impedirsi di volerlo risentire addosso.
Che quel bacio che gli aveva rubato mentre dormiva le aveva acceso la fame dentro l’anima e le carni. Che il suo odore continuava a riempirle i polmoni, stordendola.
Ma non era andata così.
Ed era finita a lottare su un tavolo operatorio tra la vita e la morte. Aveva perso un sacco di sangue, aveva un’infinità di ferite che solo il freddo aveva impedito cominciassero ad infettarsi e le catene da cui si era liberata a costo di enormi sforzi, anche quello di rompersi da sola i pollici delle mani per farle passare attraverso i ceppi, le avevano lacerato diversi tendini.
Senza contare il trauma subito.
Ora si sentiva violata, sporca. Il ricordo della bocca lasciva, dei tocchi impuri di Toga la riempivano di nausea.
Non sapeva come Bakugō avesse fatto a trovarla. Come Deku, avesse fatto a raggiungerla.
Era viva per miracolo e lo sapeva.
Avrebbe dovuto sentirsi grata.
Invece si sente solo vuota.
Si aggrappa disperatamente ad un ricordo. Le peonie bellissime sulla sua scrivania in ufficio. Chissà se avranno cominciato ad ammaccarsi, ad appassire.
Così si sente lei. Ammaccata e appassita.
Se l’avesse toccata Tomura col suo quirk polverizzante non avrebbe potuto sentirsi più inconsistente di così. 
<< Ba .. >>. Dio, che voce roca e flebile. << Bakugō … >>.
<< Hai perso più di un litro e mezzo di sangue. Hanno dovuto farti tre trasfusioni durante l’intervento. Hai un sacco di punti addosso, ma per fortuna le ferite non erano profonde, altrimenti non ci sarebbe stato nulla da fare. Hai subito un lieve trauma alla milza e hanno stimato opportuno asportarla chirurgicamente. Hai i valori bassissimi e ti stanno facendo delle flebo di soluzione salina per idratarti, antibiotici per le infezioni, antidolorifici. Sei rimasta incosciente per ventidue ore e tre e mezzo in sala operatoria. Dalla visita generale non è emerso nulla di preoccupante, per cui verrai ascoltata dalla polizia non appena sarai in grado di sostenere una conversazione. Nel pomeriggio sarà qui Recovery Girl per aiutarti a ristabilirti prima. Per cui, fino ad allora, risparmia le forze >>.
<< Bakugō … gra … grazie >>.
<< Ringrazia Dekumerda. Lui ti ha trovato col braccialetto localizzatore >>.
Ochaco trattiene il poco fiato che le resta.
Ecco cos’ha dato a Toga. Con quello l’aveva localizzata e probabilmente aveva subito pensato ad una strategia per tenere lontana la Villan e permettergli di liberarla.
Questo spiegava anche l’appuntamento dato alla falsa Ochaco.
Ma non il fatto che Katsuki fosse arrivato lì anche lui, per primo. Che l’avesse chiamato Midoriya? Perché andasse lui a riprenderla mentre Izuku teneva occupata quella maledetta?
<< Il tuo capo ha chiamato il mio per dirle di tenere gli occhi aperti e basta. Ma io non ci sono stato, li ho mandati a fottersi e mi sono fatto dare il suo numero di telefono da All Might. Poi ho chiamato lui e mi sono fatto dare l’indirizzo di dove ti tenevano rinchiusa. Sono venuto a prenderti. Quanto meno ci ho provato. E questo è tutto >>. Si alza, quando le dà le spalle Ochaco sgrana gli occhioni nel vedere la maglia completamente aperta sulla schiena e la fasciatura bagnata di rosso, di sangue e disinfettante, al di sotto.
<< Ba … kugō … >>.
<< Pensa a rimetterti in piedi >>, è il saluto che le dà prima di uscire dalla camera, zoppicando.
<< Bakugō … no … aspetta >>. Il braccio fasciato ricade giù, come un fiore stanco.
Ha da dirgli tante cose.
Non ha potuto dirgli niente.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. ***


Sono passati in tanti a trovarla.
I suoi amici.
Ran e Ryukyu che le hanno portato un enorme cesto di frutta.
I suoi genitori.
Deku. Con Melissa, che l’ha abbracciata e a cui Ochaco ha detto grazie, perché senza quel braccialetto probabilmente non sarebbe uscita viva da lì.
E’ stata contenta di vederli felici.
E Scarlet con Aruimi e Ishiwara. Che le hanno detto che Bakugō si è licenziato, ha piantato l’agenzia quella sera stessa e non si è più fatto vedere.
Nemmeno da lei.
Dopo aver varcato quella soglia, dieci giorni prima, non è più tornato.
Così Uraraka ha capito che tocca a lei fare il primo passo.
Appena esce dall’ospedale, va da lui.
Si fida.
Non le farà del male. Non potrebbe, neanche se lo volesse.
La sua stessa natura glielo impedirebbe.
Al massimo potrebbe mandarla via. E anche se si sente andare il cuore in frantumi al solo pensiero, deve rischiare.
Bussa. << Sì, un attimo >>. Apre la porta senza nemmeno vedere chi è, volta subito le spalle. << Aspetta che ti prendo i soldi. Sono sempre i soliti, no? >>.
<< Ciao, Bakugō >>.
Lui si gira finalmente, resta con la giacca a mezz’aria in una mano, il portafogli nell’altra.
Ha l’espressione confusa di chi non se l’aspettava.
Le fa tenerezza. << Pensavo … fosse il padrone di casa. Oggi scade l’affitto, uh. Ma è pure probabile che non venga, tanto settimana prossima sbaracco e lo pago quando gli ridò le chiavi >>.
Ochaco si dà un’occhiata intorno. In effetti ci sono scatole un po’ ovunque. << Hai … trovato qualcosa di meglio? >>.
<< No, per niente >>. Fa una smrofia amara. << Torno dai miei >>.
<< Ah ah >>. L’aveva supposto. Se non ha più un lavoro, al momento, non ha di che mantenersi e quindi è costretto a fare quella scelta.
Anche se Scarlet le è parsa alquanto … affettuosa, nel dirle che se avesse voluto tornare, la porta era sempre aperta. E anche i suoi colleghi le erano sembrati … bendisposti verso quell’ipotesi.
Cos’era successo, che aveva cambiato tanto l’opinione che avevano di lui? << Tu che ci fai qui? >>, le chiede poi, rimettendo a posto giacca e portafogli.
<< Mi hanno dimessa oggi >>.
<< Sì, questo lo vedo >>.
Non l’ha invitata ad entrare.
Ma che cavolo. Nemmeno lei l’ha invitato ad entrarle in testa, nel cuore.
Però l’ha fatto comunque.
Non può incazzarsi se lei lo fa con la sua casa. Tanto più che tra poco non lo sarà più. << Volevo parlare con te >>, annuncia venendo avanti e chiudendo la porta.
Di riflesso, lui va all’acquaio e inizia a lavare i piatti.
Contrariamente al suo solito non le propone di sedersi, non le offre nulla.
Vuole che se ne vada in fretta.
E se Ochaco lo conosce quanto immagina, adesso, sa anche perché.
<< Nessuno te lo vieta >>, ribatte Bakugō senza voltarsi, impilando le tazze sul ripiano.
<< Voglio che mi ascolti. E che mi guardi in faccia >>.
Lui sbuffa, chiude l’acqua. Si asciuga le mani semplicemente facendo evaporare l’umidità dai palmi. Si gira e incrocia le braccia al petto. << Contenta? >>.
Ochaco sospira brevemente. << Senti … io ho sbagliato. Avrei dovuto dirtelo subito, che io … e Midoriya … avevamo rotto. Ma quando sono arrivata qui d’un tratto ho avuto paura. Temevo pensassi … fosse per ripicca, perché volevo vendicarmi, prendermi una rivincita. Ma non è così. Io … io non so perché … è successo. Ma è successo. E quando Izuku mi ha detto … che … insomma, che si era reso conto … di non … provare quel che credeva per me, ho capito che … che … oddio >>. Inspira, serra le manine in due piccoli pugni, che farebbero sorridere se non sapesse quanto sanno picchiare duro. << Che ero sollevata. Che … potevo essere libera senza dovermi far carico di spezzargli il cuore, perché … perché … volevo … stare con te >>. E’ tutta rossa, gli occhioni lucidi, ma non esita. << Scusami, Bakugō >>.
Vedendo che lui non accenna a dire, o fare nulla si avvicina, deglutisce a forza. Uno di quei piccoli pugni si apre come i petali di un fiore, si tende verso il suo braccio come quella sera.
Katsuki rimane fermo a fissarla, guarda appena di sfuggita le dita che gli stringono il polso. << E quindi ora cosa vuoi da me, Uraraka? >>, sbotta in tono non duro, ma amaro.
Lei sgrana ancora di più gli occhi. E’ incredula. Esterrefatta. << Io non ho fatto nulla per salvarti, anzi, ti ho solo messa in casini ancora peggiori. Se non ci fosse stato … Deku, saresti finita male. E io non avrei potuto fare niente >>.
<< E questo cosa c’entra? Katsuki non … >>. Si morde un labbro, improvvisamente conscia di averlo chiamato per nome.
Dura solo un istante. Ormai è andata, non può rimangiarselo e neanche vorrebbe. << Non ho bisogno di un uomo che mi protegga. Non sono fragile, ricordi? Sono una Hero, non una fanciulla indifesa. Mi ero già liberata quando sei arrivato tu, ed ero pronta a spaccare il culo a chiunque si fosse messo in mezzo tra me e la via d’uscita >>.
<< Avevi i pollici fratturati … >>.
<< Sta’ zitto e fammi finire, per favore >>, lo interrompe di rimando. << Non mi occorre un babysitter, io voglio un uomo che mi stringa a sé e mi faccia volare più in alto di quanto riesca io col mio quirk. Voglio un uomo che stia al mio fianco, soprattutto la notte, quando torno a casa. Che mi abbracci, mi baci e mi dica che si fida di me, che sa che quando esco da quella porta tornerò sana e salva anche senza di lui e questo non sia un problema. Capisci? Non voglio un cavalier servente. Io voglio te >>. Si tende, piano, sulla punta dei piedi.
Lui resta immobile, la fissa con occhi vacui mentre gli sfiora le labbra con le proprie.  
Ma Ochaco non abbassa i suoi. Nemmeno mentre torna giù, guardando quegli occhi scarlatti riprendere lentamente vita, luce, aprirsi stupiti e metterla a fuoco, per davvero, finalmente. << Io … voglio te, Katsuki >>.
D’un tratto si ridesta. Le prende il volto tra le mani e le cattura le labbra, premendovi sopra le sue. Con forza, senza risparmiarle nulla.
E poi gliele schiude, infilandovi dentro la lingua. Saccheggiandole l’interno della bocca fin negli angoli più remoti; ma Ochaco non resta immobile a trattenere il fiato mentre sente il fuoco inondarle le vene, no: si solleva di nuovo sulla punta dei piedi e gli porta le manine dietro la nuca, attirandolo a sé con altrettanta veemenza.
Quando si staccano hanno entrambi il fiato corto. Le guance in fiamme.
<< Katsuki … >>, sussurra morbidamente lei accarezzandogli l’arco della mascella.
 
Cazzo.
Brucia. La bocca gli brucia, è stato un impulso insopprimibile e adesso, farsi indietro è difficile come voler spegnere un incendio con la benzina.
Fa per lasciarla andare, anche se gli costa. Ha fatto un passo falso, avrebbe dovuto essere più razionale, ora gli brucia il sangue dentro le vene, solo a quel lieve assaggio di lei si è infiammato e … << … non dobbiamo per forza aspettare che torni a casa dalla ronda, sai? >>, continua Ochaco, in tono di invito.
<< Oh, Cristo >>. La afferra per i fianchi e la tira su, a sedere sul tavolo. Le allarga le cosce e si pianta nel mezzo, stringendole le ginocchia ai propri fianchi, smaniando per sentirla quanto più vicina possibile.
Lei gli carpisce l’orlo della maglia, alzandogliela sulla schiena e incistandovi le piccole unghie affilate nella pelle. Basta tanto così a fargli perdere del tutto il senno, slacciarle con foga la zip della felpa e tuffarsi nel soffice spiraglio candido scoperto dalla gola alla sommità dei seni.
Se non si dà una calmata, la divorerà. Ma non riesce a trattenersi, l’istinto gli urla in testa quasi fosse un territorio da marchiare, una preda da ghermire e far sua, subito, senza indugio.
Non riesce nemmeno a pensare ch’è stata dimessa solo poco fa.
Ochaco ansima, s’inarca all’indietro per dargli più spazio di manovra. Si regge con una mano al bordo del tavolo, l’altra è ancora saldamente artigliata alla sua spalla sinistra.
Appena le morde un seno la sente sussultare. Lo succhia attraverso il sottile strato di pizzo, poi infila le dita e lo abbassa rivelando il piccolo capezzolo rosato, irto contro l’areola vellutata.
Vi passa intorno la lingua, prima di mordicchiarlo con cautela, per poi riprendere a succhiarlo con delicatezza, fino a farla gemere e graffiargli il collo. La sdraia sul tavolo scivolando sull’addome piatto, tra i muscoli guizzanti ma affusolati che spiccano tra i fianchi morbidi mentre le sfila i pantaloni.
E lei non lo ferma. Anzi. Alza il bacino per permettergli di liberarla.
L’odore caldo e fragrante del suo sesso in boccio sotto gli slip gli dà al cervello. Scende a baciarle l’interno di una gamba fino alla caviglia soltanto per avere il tempo di riprendere un certo vago controllo prima di fiondarsi lì come un selvaggio, senza alcuna premura.
Ma appena risale fino all’attaccatura dell’inguine è impossibile resistere. Porta lì la bocca, muovendola contro la stoffa leggera e bagnata.
Le gambe snelle e tornite gli si chiudono intorno alla testa. Non ha nessuna remora, Uraraka: non lo teme, non si preoccupa e cazzo, gli piace. Gli piace da morire, soprattutto quando porta le dita sulla sommità del suo cranio, trattenendolo contro di sé.
Non ha nessuna paura di chiedere ciò che vuole. D’altronde, per parafrasare Kirishima, è una donna con le palle: ovviamente metaforiche, perché ciò che sta assaporando adesso è dolcissimo nettare, inequivocabilmente femminile.
Dolce e forte. La donna giusta per lui.
L’unica che abbia mai desiderato.
<< Katsuki … >>. Il suo nome sulle labbra di lei è una preghiera spezzata, lo riempie di brama quasi animale; d’impulso afferra l’orlo delle mutandine e gliele tira via dalle gambe con una sola mano, mentre l’altra le scosta la gamba per permettergli di esplorarla più a fondo, più da vicino.
E’ in fiamme, laggiù.
Lo sono entrambi.
E’ bellissima. Delicata e perfetta, come i boccioli delle peonie. Morbidi petali rosati, dal cuore umido e lucente di rugiada.
Malgrado la fame la lambisce appena, a fior di labbra. La sente tremare sotto di sé e lo fa ancora, stavolta insinuando la lingua nel mezzo. Si sofferma più a lungo, baciandola come ha fatto con la sua bocca, con ardente desiderio ma attento a non gualcirla.
I suoi gemiti soffocati sono meravigliosi. Si dimentica di tutto mentre la assapora, la mano la sfiora e si insinua tra le pieghe bagnate.
Non può trattenersi più di così, o esploderà.
Sono anni che aspetta questo istante senza sapere se sarebbe mai arrivato.
Le dona un ultimo lieve tocco mentre slaccia i jeans, li abbassa quanto basta: non ha il tempo né la pazienza di spogliarsi adesso; poi se la serra addosso puntandola contro il bordo del tavolo, anche se gran parte del suo lieve peso è retto da lui. Altrimenti chissà dove andranno a finire: quelle fragili assi – sì, loro lo sono senza dubbio- non sopporterebbero.
E si fa strada in lei. Lentamente, ma inesorabilmente. Le rinfodera dentro il proprio sesso come fosse stata creata apposta per avvolgerlo, mentre le unghie di Ochaco gli incidono le spalle e si tende tutta, davvero come un fiore in cerca della luce.
Quando arriva in fondo si ferma un istante a riprendere fiato, e controllo.
Anche se non è per niente facile.  
E’ stretta. Dio, quanto è stretta, è una morsa sulla sua carne, gli fa venire una vertigine tremenda, tanto che a stento riesce a tenersi in piedi.
Il tavolo diventa improvvisamente superfluo. Con una spinta della mano lo allontana e tenendola contro di sé la mette giù, sul pavimento, sollevandole una gamba e portandosi il piede sulla spalla.
Oh, porca miseria. Quando affonda di nuovo gli pare di sentirla aprirsi fino all’anima per lui. In quel gemito roco, pieno, che fa vibrare entrambi fin nei più intimi recessi dei loro esseri fusi in uno soltanto.
Si china ancora su di lei, ingabbiandola con le mani accanto alla testa, tra i capelli sparsi, scintillanti di quel caldo castano dai riflessi dorati.
Ma non gli basta. Vuole ancora qualcosa, da Ochaco.
La mano torna dietro la sua schiena inarcata, l’altra dietro la nuca e la tira su, a sedere sul suo grembo.
Uraraka gli posa la testa sulla spalla, il suo respiro è rovente sulla pelle della gola. Gli cinge le spalle e immediatamente, inizia a muoversi sopra di lui, che si tiene con una mano per terra.
Scivola lenta, ma a fondo. Strappando muti gemiti di gola ad entrambi, che si perdono e si sfilano tra le loro bocche avvinte, scambiandosi aria e calore.
Sembra sul punto di piangere quando la guarda negli occhi. Il suo bel viso si contrae, ad ogni spinta che riceve dal basso lei risponde con una contraria e lo fa impazzire, non gli concede tregua e sente montare in entrambi le fitte dentro, inequivocabili, del culmine.
Stringe i denti. Deve farcela, deve tenere duro almeno finché non …
<< Katsuki! >>. La sua carne si serra intorno a quella di lui, una morsa ritmica e pulsante che gli risucchia via la lucidità, strappandogli il cuore dal petto e il fuoco liquido dell’orgasmo dai lombi.
Riesce appena a metterla giù, sfilarsi rapidamente. Le rimane sospeso sopra, ansimante, a guardarla come la vedesse per la prima volta.
Le braccia però non lo reggono più. Le si sdraia accanto, voltandosi su un fianco.
Ochaco fa altrettanto, guardandolo coi suoi occhioni, il volto ancora arrossato dalla vampa della passione. Ha un sorriso appena accennato, bellissimo. << Grazie … >>, sussurra, la voce ridotta ad un filo sottile.
<< Mhmm >>. Le accarezza la guancia, fissandola pensieroso.
Si sente un po’ a disagio, in realtà. Perché di sicuro lei si aspetta di sentirsi dire qualcosa di tenero, romantico e … ecco, non è che sia proprio un asso in questo, lui.
Ma per bello che sia quel silenzio dopo l’amore, non gli pare giusto protrarlo.
Così apre la bocca. Ma quel che ne viene fuori non è proprio il massimo. << Avremmo dovuto fare più attenzione. Non sono sicuro di aver fatto in tempo >>.
<< Oh. Dici per … >>.
<< Uh. Già >>.
<< Non importa. Io … te lo darei volentieri >>, mormora convinta. Poi notando la sua espressione sconvolta aggiunge:  << Cioè … se tu lo volessi >>.
Bakugō continua a guardarla a bocca aperta. << E sennò? >>.
<< Altrimenti me ne prenderei cura io soltanto. Non farei mai del male ad una creatura innocente >>. Il suo sguardo è fiero, mentre lo dice. << Tanto meno se tua >>.
Cazzo. Che femmina. Quella sua determinazione lo fa sciogliere ed eccitare insieme, quanto il sapore della sua pelle, della sua carne. << Con un po’ di fortuna non è una decisione che dovremmo prendere adesso >>, dice, sorridendo. << Tanto più che … non penso di essere proprio tanto segnata da restare incinta la prima volta … >>. Si raddrizza a sedere, tirando su i capelli. I seni si sollevano sul torso scolpito, coi piccoli capezzoli ancora irti che sembrano invitare le sue dita a stuzzicarli di nuovo.
Basterebbe poco così per riaccendergli il sangue nelle vene, se non si fosse ghiacciato di colpo.
Lo stupore di Bakugō si fa shock. << Che hai detto? >>.
<< Che … non penso di … cioè, insomma, so che è possibile, però >>.
<< Era la prima volta? >>.
Lei annuisce, con semplicità. << Sì >>.
<< Oh, merda. Merda, merda … >>.
<< Katsuki, che c’è che non va? >>.
<< Non pensavo fossi … così. Ancora. Cazzo >>. Si rimette a sedere anche lui, si tira su.
Si sente improvvisamente troppo nudo. Davanti ad una ragazza innocente che ha … ha …
Ma che cazzo aveva nel cervello quel nerd di merda?
Più buon senso di lui, probabilmente. << Cambia qualcosa? Io lo volevo. Tu lo volevi. E’ stato fantastico, quindi che c’è che non va? >>.
<< Avrei … avrei dovuto andarci più piano. Ecco >>, mugugna infine mettendo il broncio, nemmeno fosse stato lui a ricevere un torto. 
Ochaco sorride ancora. Lascia andare i capelli che stava provando a tenere raccolti, impresa impossibile dacché sono leggermente umidi di sudore; si rimette in piedi, nuda, bellissima. << Io non voglio andare piano >>. Lo afferra per la nuca attirandoselo nuovamente addosso.
E’ così irresistibile, nella sua brama innocente.
La stringe tra le braccia, forte, la tira su allacciandosi le sue gambe ai fianchi e la porta in camera.
Sa di dover aspettare prima di essere pronto a ricominciare, almeno un po’.
Ma lei no.
Ed è questo tutto quello che importa.
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. ***


 
Uscire in giardino e trovare la propria compagna, incinta di sei mesi e mezzo, in bilico su una scaletta a tre gradini che stende il bucato.
Esattamente quello che non ci vuole dopo una mattinata passata a borbottare seduto in mezzo ad pile di documenti da rileggere e firmare.
Sarebbe stato meglio lavare le scale. Senza scherzi. Quando mai, gli sarebbero venuti i calli alle ginocchia, non al culo.
Di tanto in tanto il suo capo glielo affibbia come incombenza. Lo sa, che ancora dopo tanto tempo si diverte a imporglielo come castigo: lui impreca a mezza voce, alza gli occhi al soffitto e poi si siede cominciando a sentire già i crampi alle dita e al cervello, ma non si ribella. Se ne sta zitto e quieto a rincoglionirsi tra le scartoffie, i verbali degli interventi, con Ishiwara che gli porta un caffè e Aruimi che passa, ghigna e poi gli chiede come sta Uraraka, togliendogli anche la voglia di risponderle per le rime.
E ora si rischia l’embolo.
Non può neanche mettersi ad urlare altrimenti la fa spaventare. Deve aspettare con calma che si accorga di lui, e solo dopo potrà cantargliene quattro.
Quasi per proprietà telepatica lei si volta, gli sorride. << Ehi, Katsuki! Quando sei arrivato? >>.
<< Da abbastanza per vedere quello che stai combinando! >>.
<< Cioè, scusa? Stendere il bucato? >>.
Bakugō non ci vede più. Come può essere tanto incosciente? << Tu sei pazza! Scendi da lì, subito! >>.
<< Ah, falla finita, Katsuki >>. Inverosimilmente non è dalla bocca di Uraraka che viene fuori questa frase, ma da quella di sua madre, Mitsuki. Che gli passa accanto, con fare tranquillo.  
<< E tu dove cazzo eri, che glielo lasci fare?! Siete impazzite tutt’e due?! >>.
<< Guarda che quando ero incinta di te facevo molto peggio. E guarda come sei venuto fuori tu >>.
<< Col senno di poi non è che la cosa mi rassicuri molto >>.
Mistuki lo fissa allibita. << No, ma stai cominciando a mettere buon senso? La paternità comincia a darti alla testa fin d’ora? >>.
<< Fanculo >>.
<< Ma che tenero, il mio paparino … Non vedo l’ora di diventare nonna. Sarà bellissimo ricominciare con tutte quelle adorabili cose da neonati … >>, mormora estasiata, strizzandolo come un peluche.
Katsuki se la stacca di dosso, brusco. << Ma non eri tu che ti incazzavi perché ti chiamavo “vecchia”??? E poi non te lo sognare proprio. Non ti permetterò di cominciare a rompere i coglioni a mio figlio già dalla culla >>.
Mitsuki alza le spalle, ridacchiando. << Okay. Vado a fare la spesa. Vi serve qualcosa? >>.
<< Sì, che non torni per le prossime due ore almeno >>.
<< Oh >>. Lo sguardo della donna si fa sapiente. << Ohhhh … D’accordo >>.
L’embolo minacciato prima ora è in circolo. Se lo sente, che gli prenderà un accidente a breve. << Ma la vuoi finire???? Era per dire! >>.
Lei scuote la mano in aria, con disinvoltura. << Certo, certo … divertitevi, piccini! Ciao, Ochaco, a più tardi! >>.
<< Ciao, Mitsuki-san! >>, trilla lei, continuando imperterrita a stendere il bucato.
Bakugō scuote la testa. Un giorno o l’altro la fa saltare in aria sul serio, sua madre.
Probabilmente se non si sbrigano a trovare una casa tutta loro avrà uno sbrocco per davvero.
Invece di tornarsene a casa dei suoi subito, si era trasferito da lei. Era rassegnato a dover soltanto contribuire, e non pagare per intero l’affitto: Ochaco non gliel’avrebbe mai permesso. Se voleva vivere insieme a lei, doveva sottostare alle sue regole, e basta.
Trattarla da sua pari. Non da fanciullina indifesa.
Né a letto, né fuori.
Era durata circa tre mesi. Poco dopo avevano scoperto che era rimasta incinta sul serio, e nel frattempo il padrone di casa aveva deciso di far fare dei lavori di ristrutturazione alla palazzina; così erano andati a stare dai suoi per qualche tempo.
Originariamente doveva essere per circa quattro settimane, il tempo che rimettessero tutto a posto.
Ma Mitsuki e Masaru avevano tanto insistito dell’opportunità che restassero da loro fino a dopo che fosse nato il bambino, così avrebbero anche potuto mettere da parte qualcosa, “ che i figli costano”, che alla fine aveva ceduto, mugugnando.
In realtà sono settimane che fa finta di cercare su Internet, ma immancabilmente le boccia tutte quante. Troppo piccola, troppo lontana, quartiere di merda, troppo cara. Lui ha avuto un aumento di stipendio, Ochaco è in aspettativa, in teoria non ci sarebbero problemi a prendere un appartamento un po’ più grande, più decoroso.  
Tuttavia … non lo confesserà mai, ma si sente più tranquillo se sa che lei non è da sola in casa. Non che non si fidi, anzi. Ma i casi della vita sono imprevedibili e quanto meno, se accadesse qualcosa mentre lui è in azione, saprebbe che interverrebbero immediatamente.
Anche se sua madre non è che sia questo modello di sanità mentale, insomma. Quanto meno è lì, si fida della sua capacità di giudizio, anche se stramba.
Nel frattempo lei finisce di stendere i panni, scende dalla scaletta e lo raggiunge. 
E’ bellissima. La lieve rotondità ha accentuato quella sua aria femminile, dolce e determinata insieme. << La smetti di fare cose pericolose? Sei senza ritegno! >>, grida togliendole di mano la vasca ora vuota.
Ochaco lo guarda come l’ha guardato sua madre. E scoppia a ridere. << Se avessi cento yen per ognuna delle cose assurde che ti sento dire negli ultimi mesi, non mi servirebbero gli assegni di maternità che passa l’agenzia >>.
<< Uh. Spiritosa. Comunque sei una spericolata >>.
<< Ah ah. E non è forse questo che ti piace, di me? >>.
<< Gli ormoni ti stanno dando al cervello, mi sa >>.
<< Oh sì. Non sai quanto >>. Senza alcun pudore gli porta una mano sul ventre, la fa scorrere verso il basso.
La blocca un attimo prima che arrivi laggiù. << Ferma, dannazione! >>.
<< Katsuki. Il sesso fa bene, in gravidanza … >>.
Inarca un sopracciglio. Ma che, si sono messe d’accordo, per caso? << La pianti di dire scemenze? >>.
<< Solo se cominci tu per primo >>. Lo attira a sé per i lembi della maglia, gli infila la lingua in bocca, smaniosa, eccitata.
Il suo odore è più rotondo adesso. Ancora più caldo. Ancora più … invogliante, se possibile. << Portami dentro, Ground Zero >>.
Lo chiama col suo nome da Eroe, quando vuole stuzzicarlo.
Ma nelle sue mani magiche, è davvero il caso di dirlo, non è più che un uomo.
Molla la vasca per terra, la prende in braccio, rientra con lei in casa e sbarrata la porta con due giri di chiave, la posa sul letto, in quella che era la sua camera.
<< Katsuki … >>, sussurra morbidamente Uraraka, allacciandogli le braccia al collo.
Bakugō la libera in fretta dai vestiti, sfila la maglietta e slaccia i calzoni.
Ma subito si ferma, si placa. Le sfiora appena il ventre ingrossato con un tenero bacio, i palmi caldi. << Sei … bellissima, Pancia Tonda >>.
Lei sorride, gli accarezza teneramente il volto. E a tradimento lo tocca con i polpastrelli.
Zero gravità. << Così non devi preoccuparti di pesarmi addosso >>, dice, ridendo.
Lui la guarda male. Uraraka rilascia, e appena plana di nuovo giù si sdraia sul fianco, alle spalle di lei.
In realtà non è così complicato. Farlo in aria insomma, ci hanno provato un sacco di volte prima che scoprissero che era incinta e …
Cazzo, è favoloso. Alla faccia dei tre metri sopra il cielo, tsk.
Ma ora non vuole che sforzi il quirk, oltre che il corpo anche.
E poi … nemmeno farlo adesso lo è così tanto. Basta solo fare attenzione, nulla di speciale.
Così, ad esempio, è perfetto. Né sopra né sotto. Comodi entrambi.
E può tenerle le mani sulla pancia, mentre è dentro di lei. Per far sentire a quel piccolo miracolo che cresce giorno per giorno che papà c’è, lo ama quanto ama la sua mamma e che sì, lo aspetta con impazienza, che non vede anche lui l’ora di tenerlo tra le braccia.  
Ora finalmente risponde ai messaggi dei suoi amici, anzi è lui a chiamarli ogni volta che Ochaco ha una visita, o fa un’ecografia. Comincia a parlare e non la smette più, devono pensare che sia impazzito.
Ma non gliene frega un cazzo.
Non si sarebbe mai aspettato di diventare padre a vent’anni.
Eppure adesso non riesce a smettere di pensarci, ogni istante.
Deve avere un talento naturale anche per questo, probabilmente.
Ancora non sanno se è maschio o femmina, non hanno voluto. Preferiscono che sia una sorpresa, tanto va bene uguale.
Sa soltanto che dovrà cominciare fin d’ora a escogitare tutti i modi possibili ed immaginabili per sottrarlo alla tirannia dei “ picci picci” e “tesoruccio” della “nonna.”
Oggesù. Sarà una dura lotta.
Per fortuna manca ancora un po’ di tempo. Può dedicarsi ancora a cose più piacevoli.
Finito l’amore, le scosta i capelli dal collo, le bacia la nuca continuando ad abbracciarla. << Ochaco … >>.
 
La chiama per nome soltanto quando sono soli.
Ed è dolcissimo. Come un segreto che custodiscono tra loro due.
Sente le sue mani calde sulla pancia. Le piace anche quel nuovo soprannome che le ha dato.
D’altronde è vero, è tondissima, e se deve dar retta a Mitsuki, dovrebbe essere femmina.
A lei va bene comunque, l’importante è che sia sano.
E bello come suo padre.
Si volta tra le sue braccia. Quel petto forte la accoglie immediatamente, la serra a sé con cautela. 
Le piace sempre. Sia quand’è così delicato e attento, sia quando si lascia andare alla passione davvero esplosiva.
Non scorderà mai il giorno in cui è andata a trovarlo appena uscita dall’ospedale. Quando avevano fatto l’amore per la prima volta e aveva creduto di dovergli morire addosso, tant’era stato bello.
Era esattamente come se l’immaginava, e al tempo stesso non era per niente così.
Era molto, molto di più. Sul pavimento della sua cucina ingombro di scatole aveva conosciuto il suo fuoco, la sua fame insaziabile di giovane uomo.
Poi l’aveva portata in camera da letto e le aveva mostrato un altro lato di sé, dolce e premuroso.
Solo più tardi, una volta che avevano completamente dato sfogo al desiderio, e la pelle aveva iniziato a raffreddarsi insieme alle lenzuola, aveva ripreso a connettere col cervello.
Katsuki si era alzato, aveva fatto la doccia ed era andato in cucina. Lei era rimasta da sola nel suo letto, e mille pensieri avevano preso a frastornarle la mente ancora invasa dal piacevole sfinimento dopo il sesso.
E quelli no, non lo erano per niente.
Adesso aveva timore. Che si sentisse obbligato a … qualcosa perché era stato il suo primo uomo.
Non avevano parlato d’amore. Gli aveva detto “voglio stare con te” tuttavia questo non implicava nulla, il fatto che la desiderasse carnalmente non voleva dire che si sentisse pronto ad impegnarsi in una relazione stabile. Forse aveva soltanto voluto placare gli istinti e in parte, pagare il debito che sentiva di avere nei confronti di lei, non essendo riuscito a salvarla come avrebbe voluto.
L’aveva messo con le spalle al muro. Non era stato giusto, lo sapeva.
Si era alzata anche lei, entrando nel bagno.
Lì aveva avuto la prima sorpresa.
Aveva ritrovato l’abito che aveva lasciato lì. Quello che portava la sera in cui poi era stata rapita, quando aveva fatto la doccia e infilato la sua tuta, quella che le aveva fregato Toga.
Nemmeno di quelle cose che le aveva fatto lei, gli aveva detto nulla. Era andata lì con l’intenzione di parlare ma aveva mandato tutto all’aria, quando aveva avuto addosso le sue mani calde, la sua bocca non aveva più capito niente, quei tocchi sembrava avessero il magico potere di cancellare tutto come una spugna e vi si era abbandonata subito, facendole dimenticare il terrore, la ripugnanza che aveva provato in balia di quella pazza.
Ma comunque, anche se adesso non faceva più male, doveva dirglielo.
Insieme a tutto il resto.
Si era avvicinata alla gruccia, con un moto di stupore.
Era in una busta di plastica della tintoria. Appeso con cura, pulito e stirato di fresco.
Aveva ancora l’odore delicato dei prodotti con cui era stato lavato.
Eppure ricordava di averlo appallottolato con furia e ficcato umido dentro un cassetto dell’armadio. Avrebbe voluto gettarlo fuori dalla finestra, ma all’ultimo non ce l’aveva fatta.
Forse era venuto fuori nei preparativi del trasloco. E immaginato fosse il suo, anche se non gliel’aveva lasciato vedere addosso a lei quella sera.
E non solo perché la pioggia gliel’aveva appiccicato alle forme come un guanto.
Avrebbe immaginato si fosse vestita bene per andare da qualche parte. Magari gliel’avrebbe chiesto e sarebbe venuto fuori tutto.
L’ultima cosa che voleva in quell’istante.
Ma adesso no. Adesso doveva confidargli ogni cosa, a qualsiasi costo.
Aveva fatto una breve doccia, studiandosi poi nello specchio appannato per quanto poteva.
Grazie a Recovery Girl non le erano quasi rimaste cicatrici addosso. La sua pelle adesso era nuovamente segnata di rosso e un leggero violaceo, ma erano stati i baci e le mani di Katsuki a lasciarle quei marchi e non le botte di una dannata Villan.
E l’unico leggero dolore che sentiva era qualcosa che aveva desiderato con tutte le sue forze, la conseguenza di un atto indescrivibilmente meraviglioso e non di una brutalità gratuita e spietata.
Stava bene. Sì, davvero bene.
Adesso era al sicuro.
Si era avvolta in un telo e aveva zampettato fino alla cucina.
Un buon odorino di cibo le aveva subito invaso le narici e fatto ruggire lo stomaco.
Non si era accorta fosse quasi ora di pranzo, in realtà.
Né di quanto fosse affamata. In ospedale l’avevano tenuta digiuna per un paio di giorni, nutrendola con le flebo; e quando aveva ricominciato a mangiare, quell’assenza l’aveva così afflitta da farle perdere quasi del tutto l’appetito e si era limitata a piluccare quanto basta a non mettere in allarme i suoi cari e i medici. << Katsuki? >>.
Le aveva rivolto uno sguardo radioso, i suoi profondi occhi scarlatti la lambivano con tenerezza. << Oi. Ti sei alzata. Pensavo volessi restare a letto ancora un po’ >>.
<< Ehm … sì >>. Era avanzata, sedendosi piano. Non perché faceva male ma perché le tremavano le ginocchia. << Ho … visto … l’abito, in bagno >>.
<< Uhm. Sì, l’ho portato in lavanderia. Pensavo di fartelo riavere una volta fossi uscita dall’ospedale. Anche se non mi sembrava … fosse nelle tue intenzioni, visto dove l’ho trovato. Non fosse stato per il trasloco sarebbe rimasto lì anni, penso >>.
<< In realtà … me ne volevo sbarazzare >>.
<< Peccato. E’ un bel vestito. Ma ehi, è tuo, fanne ciò che ti pare. Io non posso metterlo di certo, per cui >>.
D’un tratto era scoppiata a ridere. Lui aveva stirato un mezzo sorriso storto, aveva aperto il frigorifero e le aveva porto una lattina di soda.
<< Ehm … no, grazie. Preferirei … una birra, se non ti spiace >>.
Era sembrato stupito. << Oh. Okay >>. Ne aveva tirate fuori due, stappandole e porgendogliene una. << Sesso, alcol … non mi comincerai pure a fumare, spero >>.
Lei aveva sorriso brevemente. Le spiaceva rovinargli il buonumore, sembrava così sereno, ora, appagato.
Ma doveva farlo, subito. << Katsuki. Devo dirti una cosa. Vabbé, più di una in realtà >>.
<< Certo. Dimmi >>.
<< Vorrei ti sedessi, per favore >>.
<< Va bene >>. Aveva spento il fornello e avvicinato una sedia a quella di lei. << Ti ascolto >>.
Era così disponibile, che le si scioglieva il cuore.
Aveva mandato giù un sorso. Due. Si augurava entrasse prestissimo in circolo e le si sciogliesse anche la lingua.
Poi aveva preso fiato. E gli aveva raccontato tutto.
Lo aveva visto avvampare, fremere, impallidire, masticare mezze imprecazioni tra i denti, finché non aveva concluso, biascicando a denti stretti.
<< Troia. Le conviene sperare che non mi capiti mai tra le mani o le spezzo il collo >>. Poi era tornato a fissare lei, serio. << Senti, non è che … no? >>.
Ochaco aveva subito alzato le manine, scuotendole in aria. << No, oddio, no. No. Va … bene. E’ tutto okay. E’ stato … bellissimo, Katsuki. Ho scordato tutto appena mi hai baciata. Mi ha fatto bene, più che bene. Volevo soltanto che lo sapessi, tutto qui. Niente segreti >>.
Lui era tornato a sorridere. Le aveva preso le mani nelle sue, stringendole forte. << Okay. Niente segreti >>.
Rassicurata, aveva ripreso a parlare. << Ascoltami. Io … non … voglio che tu ti senta … obbligato, in qualche modo. Quello che c’è appena stato … insomma, ci siamo fatti prendere dal momento e io questo lo capisco, non pretendo che … >>.
<< Ochaco. Tu mi vuoi? Cioè, non solo per fare sesso >>.
<< Oddio … io … >>.
<< Mi vuoi o no? Non è una domanda difficile >>.
<< Sì, Katsuki >>.
<< Allora non vedo dove sta il problema. Se … tu mi vuoi, e io … ti amo … è tutto qui >>.
Uraraka aveva sgranato gli occhioni, la gola secca. << Tu … mi ami? >>.
<< Cazzo, sì. Da un secolo, forse. Già passato il primo Festival sportivo ho iniziato a guardarti con occhi diversi. Non so di preciso quando … me ne sia reso conto, forse a metà del secondo. Ma poi tu ti sei messa con Deku e … be’, ho pensato che allora non avevo speranze >>.
<< Dio mio >>, aveva esalato in un filo di voce. << Perché non me l’hai mai detto? >>.
<< Perché speravo te ne accorgessi tu. Nella mia cazzo di testa … contavo sul fatto che dovessi essere tu a cercarmi. Credevo di ispirarti solo timore e antipatia, e non volevo … insomma, metterti in difficoltà >>.
<< Katsuki >>. L’aveva abbracciato, forte. << Mi dispiace. Santo cielo … non ho mai … pensato che provassi qualcosa per me. Mai. Se l’avessi anche solo sospettato … che fossi capace di sentimenti così profondi, io … >>. D’un tratto tace, chinando il capo.
Paradossalmente di tutte le brutture che gli ha narrato non ha provato tanta vergogna quanto di questa semplice frase.
Mettere in dubbio che lui fosse in grado di amare qualcuno.
Ma Katsuki non se l’era presa. Al contrario, le aveva sorriso. << Be’, sì. Sono bravo a nasconderli. Quanto meno lo ero >>.
Lei aveva rialzato lo sguardo, posandogli l’indice sulla punta del naso. << Niente più segreti >>.
<< No. Niente più segreti, tra noi >>. L’aveva baciata teneramente, infilandole le dita nei capelli. << E quando ho detto che non mi interessavi in alcun senso, intendevo che io non tocco le donne degli altri >>.
<< Sì, adesso lo so >>. Gli aveva preso la mano nella propria, portandosela alle labbra.
<< Prima di te non ne avevo mai toccata nessuna >>.
Uraraka si era sentita un tantino mancare adesso. << Oh. Oh, mamma. Ma sul serio? >>.
<< Mhmm mhmm >>.
<< Cazzo >>, le era sfuggito, e subito si era morso il labbro. << Oddio, scusa. E’ la birra, credo >>.
Katsuki si era messo a ridere. E lei lo aveva ascoltato con un brivido. << Cioè … non l’avrei mai detto. Non sembrava … fosse … anche per te. Sei … così bravo >>.
<< Talento naturale >>. Si era allungato sul suo orecchio, sussurrando piano e dandole un brivido ancora più intenso. << Ce l’hai anche tu, Faccia Tonda >>.
<< Ehm … >>. Era avvampata, ma subito gli aveva sorriso. << Posso … finire io di preparare il pranzo? >>.
<< Sì >>. L’aveva tirata su, stringendola e baciandola ancora. << Stasera però andiamo fuori. Metti su quel vestito, e ti porto in un bel posto >>.
<< Veramente … preferirei tornare dove siamo già stati. Mi piace >>.
<< Ma se è un buco di merda … >>.
<< Però cucinano benissimo, e sono gentili. Spontanei. Non sarà un ristorante raffinato nell’aspetto, forse, ma a me piacciono questo genere di sorprese >>.
Lui aveva fatto una smorfia divertita. << A questo punto avrei dovuto capirlo >>.
<< Scemo >>.
<< Non sarà che è per i soldi, vero? >>.
<< Ma no, mi piace davvero. A proposito, penso che Scarlet sarebbe contenta di riaverti con loro. Li ho visti … speranzosi, quando sono venuti a trovarmi. Anche Aruimi. Cosa hai fatto, per .... >>.
<< Me ne sono andato urlando e sbattendo la porta. Un’uscita di scena proprio nel mio stile. Solo … che questa volta … era per te >>.
Ochaco era arrossita. E quando la mano calda di Katsuki le aveva sfiorato la guancia, scivolando a sfilare il lembo del telo infilato nell’orlo perché stesse su, aveva subito capito che quel fornello sarebbe rimasto spento ancora per un po’.
Dopo aver pranzato – in ritardo, ovviamente- l’aveva riaccompagnata a casa propria. Stavolta non aveva provato a protestare; gli aveva preso la mano nella sua e lasciato che portasse la gruccia fin sotto il suo appartamento.
Al momento di salutarsi, lo aveva guardato di sottecchi.  << Vuoi entrare, Katsuki? >>.
<< Stasera. Se lo faccio adesso, non andiamo da nessuna parte io e te. Tranne che a letto >>. Le aveva mordicchiato la curva del collo, facendola sorridere. << Non … sarà troppo, però? >>.
<< Tranquillo. Ti dico io quando basta >>.
Mai, in realtà.
Non sarebbe bastato mai.
Quando era andato a prenderla, quella sera, Uraraka si era aspettato di vederlo in jeans e felpa, o al massimo in maglione.
Per cui era rimasta un tantino stranita a vederlo così.
Più che stranita forse avrebbe dovuto dire “stordita”. Incantata, anche se le era già capitato di vederlo vestito “bene”.
Anche se la sua preferita sarebbe rimasta senza dubbio la tenuta Hero.
E … quella adamitica. Appena si era spogliato davanti a lei per la prima volta, quel mattino, rimanendo in boxer prima di tornarle addosso le si era mozzato il respiro.
Era più scolpito che ai tempi della scuola. Più alto e virile, anche se aveva mantenuto la freschezza dell’adolescenza nella morbidezza della pelle.
Ma anche così non sfigurava affatto, oh no.
Il bianco ed il nero erano perfetti per lui. O tutto o niente, così era Katsuki Bakugō.
In giacca e cravatta sottile. Lo sguardo altrettanto incantato del suo.
E uno splendido mazzo di fiori tra le mani calde. Morbide, delicate peonie rosa cipria.
Le sue peonie. << Allora eri tu a mandarmele >>.
<< Già. Avrei voluto farlo anche mentre eri in ospedale, ma … avevo troppa paura che stavolta non ce l’avrei fatta a non farti sapere che ero io. Scusami >>.
Si era avvicinata, prendendogli i fiori dalle mani. Erano ancora umidi di rugiada. << Niente più segreti >>.
Lui aveva sorriso, i palmi ora liberi avevano colto le sue guance, carezzandole coi pollici. << Niente più segreti >>. Si era chinato su di lei, catturandole le labbra in un morbido bacio.
Come adesso.
Rialza lo sguardo nel suo, gli occhi scarlatti sono appannati, le palpebre pesanti.
Ma ancora non cede.
Dev’essere stanco morto. Sta lavorando come un matto, per il loro bambino. Giorno e notte.
Per questo ha insistito perché restassero dai genitori di lui. Non vuole che sia in pensiero anche per lei, che Dio non voglia si distragga in azione.
E poi lì ci sta più bene. Non saranno i suoi familiari di sangue – che comunque vengono a trovarla spessissimo, e sono estasiati anche loro all’idea di diventare nonni- ma Mitsuki si occupa di lei come una madre, la accompagna a fare i controlli quando Katsuki è in ufficio, ogni volta che torna dai suoi giri le porta qualcosa per il nascituro, ora una bavetta, ora un sonaglino e le dà consigli utili per fronteggiare qualsiasi eventuale piccolo disturbo, per quando il piccolo sarà nato o semplicemente le narra aneddoti sull’infanzia di Bakugō, che fanno ridere lei e mettere il broncio a lui.
Curioso ma vero non ha avuto mai una nausea. Coi problemi che le ha sempre dato il suo quirk le pare paradossale, ma è così. 
Ha così tanta roba che non basterebbe un magazzino a farcela entrare tutta. Ha perfino rispolverato la culla appartenuta a Katsuki; con un sospiro commosso l’ha tirata fuori dal ripostiglio continuando a raccontarle di quand’era neonato lui, con un trasporto così vivido che le sembrava di doverlo vedere dormire in quella piccola gabbia di legno dipinto rimasta inalterata nel tempo, per la cura amorevole con cui era stata custodita.
Le fa così strano che tra qualche mese lo renderà padre.
Si accarezza la pancia, in ascolto. Si muove poco, sembra essere così tranquillo. O tranquilla. Tanto che le verrebbe da preoccuparsi, se il medico non l’avesse rassicurata che tutto sta procedendo benissimo e Mitsuki non le avesse detto che anche Katsuki era così, prima di venire al mondo.
<< E poi guarda tu com’è diventato. Deve aver preso qualche botta in testa quando l’hanno tirato fuori >>, aveva osservato con uno scuotimento di testa che aveva fatto scoppiare a ridere Ochaco, e tirato fuori una serie di imprecazioni smozzicate al suo compagno, con il povero Masaru che tentava imperterrito di continuare a spiegare perché la musica classica era una manna dal cielo, per i bambini nella pancia.
Se l’ha fatta ascoltare anche a Katsuki, Ochaco ci crede. Sul serio.
Improvviso dà un calcetto. Forte. << Oh! >>. Si azzittisce subito per non destare Katsuki che nel frattempo si è addormentato, povero caro.
Ma appena rialza gli occhi lo trova sveglio. Gli occhi ch’erano velati dalla stanchezza ora brillano, ben aperti.
<< L’hai sentito? >>.
<< Sì >>. Si abbassa sulla dolce collina del ventre arrotondato. << Ehi, tu. Sì, tu >>, comincia, con quella sua voce dolce e roca. << Vedi di non fare casino, sono stato chiaro? Tua madre ha già un sacco da brigare con la vecchia e con me, è un miracolo se non è ancora uscita pazza. Quindi … comportati bene, altrimenti quando verrai fuori tireremo i conti. E se puoi cerca di prendere tutto da lei, che non esiste un’altra donna così, a questo fo … ehm, ingrato mondo >>.
Ochaco ride. Ma sente le lacrime pungerle gli occhi.
E’ la prima volta che gli parla quasi fosse già lì, e possa comprenderlo.
Il bambino dà un altro calcetto. Anzi no, stavolta la nitida forma di un pugnetto si tende sotto la pelle chiara, percorsa da vene azzurrine simili a fiumi.
Katsuki serra il suo pugno, lo batte piano contro la piccola protuberanza. << Allora siamo intesi. Bravo. O brava >>. Poi torna su, la guarda.
Anche i suoi occhi rossi sono lucidi. Emozionati. << Però. Ha ragione il vecchio. Capisce tutto >>, mormora con voce strozzata, riaprendole i palmi sul ventre.
Uraraka non riesce a parlare. Le si è stretto un nodo in gola, può solo alzare una mano ad accarezzargli i capelli mettendoci tutto l’amore e la gratitudine che prova per lui.
Sarà un padre fantastico. Anzi lo è già.
Non è mai troppo tardi, per rendersi conto di quale sia il proprio destino. 
Di chi sia davvero la persona con cui vogliamo condividerlo. 
Uraraka lo sa. 
Non avrebbe potuto desiderare di più.<< Ochaco? >>.
<< Sì? >>.
<< Ti amo >>.
<< Anch’io, Katsuki >>. Adesso sorride, porta le mani sulle sue. Intreccia le dita. << Anch’io >>.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3834487