MELTDOWN - a necessary break

di L o t t i e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anger ***
Capitolo 2: *** Depression ***
Capitolo 3: *** Crisis ***
Capitolo 4: *** Looking Forward ***



Capitolo 1
*** Anger ***


deliri note dell'autrice:
𝗈𝗄𝖺𝗒, è 𝗅'𝗈𝗋𝖺 𝖽𝖾𝗅𝗅𝖾 𝗆𝗂𝖾 𝗇𝗈𝗍𝖾- 𝗊𝗎𝖾𝗌𝗍𝖺 𝗌𝗍𝗈𝗋𝗂𝖺, 𝗌𝖾𝗉𝗉𝗎𝗋 𝖼𝗈𝗋𝗍𝖺 (𝗊𝗎𝖺𝗍𝗍𝗋𝗈 𝖼𝖺𝗉𝗂𝗍𝗈𝗅𝗂 𝗂𝗇 𝗍𝗈𝗍𝖺𝗅𝖾) 𝗅𝖺 𝗌𝖾𝗇𝗍𝗈 𝗆𝗈𝗅𝗍𝗈 𝗉𝖾𝗌𝖺𝗇𝗍𝖾 𝖾 𝗂𝗇𝗍𝗂𝗆𝖺. 𝗅'𝗁𝗈 𝗅𝖾𝗍𝗍𝖺 𝖾 𝗋𝖾𝗏𝗂𝗌𝗂𝗈𝗇𝖺𝗍𝖺 𝗂𝗇𝖿𝗂𝗇𝗂𝗍𝖾 𝗏𝗈𝗅𝗍𝖾, 𝗋𝗂𝗌𝖼𝗋𝗂𝗍𝗍𝖺 𝖺𝗅𝗆𝖾𝗇𝗈 𝖽𝗎𝖾 𝖾 𝗌𝗈𝗇𝗈 𝗀𝗂𝗎𝗇𝗍𝖺 𝖺𝗅𝗅𝖺 𝖼𝗈𝗇𝖼𝗅𝗎𝗌𝗂𝗈𝗇𝖾 𝖼𝗁𝖾 𝗇𝗈𝗇 𝖺𝗋𝗋𝗂𝗏𝖾𝗋ò 𝗆𝖺𝗂 𝖺𝖽 𝖾𝗌𝗌𝖾𝗋𝖾 𝗌𝗈𝖽𝖽𝗂𝗌𝖿𝖺𝗍𝗍𝖺. 𝗅𝖺 𝗌𝗍𝗈 𝗉𝗎𝖻𝖻𝗅𝗂𝖼𝖺𝗇𝖽𝗈 𝗉𝖾𝗋 𝖽𝗂𝗌𝗉𝖾𝗋𝖺𝗓𝗂𝗈𝗇𝖾, 𝗉𝖾𝗋 𝗇𝗈𝗇 𝗏𝖾𝖽𝖾𝗋𝗅𝖺 𝗉𝗂ù 𝗇𝖾𝗅𝗅𝖺 𝖼𝖺𝗋𝗍𝖾𝗅𝗅𝖺 𝖽𝖾𝗅𝗅𝖾 𝗌𝗍𝗈𝗋𝗂𝖾 𝖼𝗁𝖾 𝗁𝗈 𝖽𝖺 𝖿𝗂𝗇𝗂𝗋𝖾 (𝗌𝗈 𝗀𝗂à 𝖼𝗁𝖾 𝗆𝖾 𝗇𝖾 𝗉𝖾𝗇𝗍𝗂𝗋ò, 𝖺𝗂𝗎𝗍). 𝗉𝖺𝗋𝗅𝖺 𝖽𝗂 𝖼𝗈𝗆𝗂𝗇𝗀 𝗈𝗎𝗍 𝖾 𝗎𝗇𝗈 𝖽𝖾𝗂 𝗉𝗋𝗈𝗍𝖺𝗀𝗈𝗇𝗂𝗌𝗍𝗂 è 𝖺𝗎𝗍𝗈𝗅𝖾𝗌𝗂𝗈𝗇𝗂𝗌𝗍𝖺 (𝗇𝗎𝗅𝗅𝖺 𝖽𝗂 𝗍𝗋𝗈𝗉𝗉𝗈 𝖽𝖾𝗍𝗍𝖺𝗀𝗅𝗂𝖺𝗍𝗈, 𝖻𝗎𝗍 𝗌𝗍𝗂𝗅𝗅) 𝗊𝗎𝗂𝗇𝖽𝗂 𝗌𝖾 𝗌𝗂𝖾𝗍𝖾 𝗌𝗎𝗌𝖼𝖾𝗍𝗍𝗂𝖻𝗂𝗅𝗂 𝖺 𝖼𝖾𝗋𝗍𝖾 𝖼𝗈𝗌𝖾 𝗏𝗂 𝖼𝗈𝗇𝗏𝗂𝖾𝗇𝖾 𝗍𝗈𝗋𝗇𝖺𝗋𝖾 𝗂𝗇𝖽𝗂𝖾𝗍𝗋𝗈 𝖺𝖽𝖾𝗌𝗌𝗈.
𝘲𝘶𝘪𝘯𝘥𝘪, 𝗅𝗎𝖼𝗂𝖿𝖾𝗋𝗈 𝖾 𝗆𝗂𝖼𝗁𝖾𝗅𝖺𝗇𝗀𝖾𝗅𝗈. 𝗂𝗅 𝗉𝗋𝗂𝗆𝗈 è 𝖾𝗌𝖺𝗌𝗉𝖾𝗋𝖺𝗍𝗈 𝖽𝖺𝗅𝗅𝖺 𝗍𝖾𝗌𝗍𝖺𝗋𝖽𝖺𝗀𝗀𝗂𝗇𝖾 𝖽𝖾𝗅 𝗌𝖾𝖼𝗈𝗇𝖽𝗈, 𝖽𝖺𝗅 𝗇𝗈𝗇 𝗉𝗈𝗍𝖾𝗋 𝗇𝖾𝖺𝗇𝖼𝗁𝖾 𝗍𝖾𝗇𝖾𝗋𝖾 𝗉𝖾𝗋 𝗆𝖺𝗇𝗈 𝗅𝖺 𝗉𝖾𝗋𝗌𝗈𝗇𝖺 𝖼𝗁𝖾 𝖺𝗆𝖺 𝗉𝗎𝖻𝖻𝗅𝗂𝖼𝖺𝗆𝖾𝗇𝗍𝖾, 𝗌𝖼𝗁𝗂𝖺𝖼𝖼𝗂𝖺𝗍𝗈 𝖽𝖺𝗅 𝖽𝗎𝖻𝖻𝗂𝗈 𝖾 𝗅'𝖺𝗅𝗍𝗋𝗈 è 𝖻𝗅𝗈𝖼𝖼𝖺𝗍𝗈, 𝗂𝗇𝗍𝗋𝖺𝗉𝗉𝗈𝗅𝖺𝗍𝗈 𝗇𝖾𝗅𝗅𝖺 𝖿𝖺𝖼𝖼𝗂𝖺𝗍𝖺 𝖽𝗂 𝖿𝗂𝗀𝗅𝗂𝗈 𝗆𝗈𝖽𝖾𝗅𝗅𝗈 𝖾𝗍𝖾𝗋𝗈 𝖼𝗁𝖾 𝗌𝗂 è 𝖼𝗈𝗌𝗍𝗋𝗎𝗂𝗍𝗈 𝗇𝖾𝗀𝗅𝗂 𝖺𝗇𝗇𝗂, 𝗂𝗆𝗉𝗂𝗀𝗋𝗂𝗍𝗈 𝖽𝖺𝗅𝗅𝖺 𝗌𝗂𝖼𝗎𝗋𝖾𝗓𝗓𝖺 𝖽𝗂 𝗉𝗈𝗍𝖾𝗋 𝖼𝗈𝗇𝗍𝗂𝗇𝗎𝖺𝗋𝖾 𝖺 𝗏𝗂𝗏𝖾𝗋𝖾 𝗎𝗇𝖺 𝖽𝗈𝗉𝗉𝗂𝖺 𝗏𝗂𝗍𝖺 𝗇𝖺𝗌𝖼𝗈𝗇𝖽𝖾𝗇𝖽𝗈 𝗅𝖺 𝗌𝗎𝖺 𝗋𝖾𝗅𝖺𝗓𝗂𝗈𝗇𝖾 𝖺𝗅𝗅𝖺 𝖿𝖺𝗆𝗂𝗀𝗅𝗂𝖺. 𝗂𝗇 𝗊𝗎𝖾𝗌𝗍𝖺 𝗌𝗍𝗈𝗋𝗂𝖺 𝗂 𝖽𝗎𝖻𝖻𝗂 𝖽𝗂 𝗅𝗎𝖼𝗂𝖿𝖾𝗋𝗈 𝗌𝖾𝗆𝖻𝗋𝖺𝗇𝗈 𝖼𝗈𝗇𝖿𝖾𝗋𝗆𝖺𝗍𝗂 𝖾 𝗅'𝖾𝗊𝗎𝗂𝗅𝗂𝖻𝗋𝗂𝗈 𝖽𝗂 𝗆𝗂𝖼𝗁𝖾𝗅𝖾 𝗏𝖺𝖼𝗂𝗅𝗅𝖺𝗋𝖾.








Anger




It's seeming more and more
Like all we ever do is see how far it bends
Before it breaks in half and then
We bend it back again

Billie Eilish, When I Was Older





Guardò l'orologio da polso, segnava le sette e mezzo di sera.
Lucifero fece un veloce calcolo mentale: per arrivare a casa dei genitori di Michelangelo avrebbero impiegato almeno un quarto d'ora in auto e, se fortunati, sarebbero arrivati in anticipo per la cena. Sempre se fossero riusciti a cenare: il cibo era l'ultimo dei loro interessi, in primo luogo quella cena era stata organizzata da Michele come pretesto per far finalmente coming out e presentare lui ufficialmente come suo ragazzo, anche se i suoi genitori ancora non lo sapevano. Lucifero li conosceva già, in un certo senso, religiosi fino al midollo - aveva colto fin dall'inizio il disgusto che provavano nei suoi confronti, non c'era da meravigliarsi. Quindi se fosse andato tutto bene avrebbero cenato, altrimenti sarebbero stati buttati fuori a calci. Ma almeno il suo ragazzo si sarebbe tolto quel peso e lui sarebbe stato lì a sostenerlo.
L'appartamento era silenzioso e quasi totalmente buio, ad eccezione della camera da letto dove il moro stava finendo di vestirsi e la luce soffusa che arrivava dal corridoio.
«Sei pronto?», urlò Lucifero rompendo il silenzio. Un sorriso a trentadue denti gli ornava il viso radiante felicità. Agguantò il giubbotto in pelle, l'euforia nelle vene ed un leggero sudore ad imperlargli i palmi delle mani.
L'ansia gli pizzicava piacevolmente il petto, inspirò a pieni polmoni per scrollarsela un po' di dosso e si diresse verso l'ingresso, dove il suo ragazzo, Michelangelo, lo stava aspettando immobile verso il muro con lo sguardo fisso sull'appendi abiti. «Ehi, persona bellissima», miagolò abbracciandolo da dietro, allungandosi per poggiare il mento sulla spalla dell'altro. «Tutto bene? Sei ansioso?», domandò con genuina premura cingendogli il torace.
Un sospiro sfuggì dalle labbra di Michele, l'aria gli sfiorò la guancia. «Luci...», iniziò il biondo. «Non ne sono più sicuro», mormorò poi, con la paura di farsi sentire.
Il sorriso di Lucifero vacillò. «Mh? Che vuoi dire?», chiese cercando di mantenere il tono di voce disinvolto.
«Lo so che te l'ho promesso, ma non me la sento.»
«Ehi... ci sono io con te, qualsiasi cosa accada. Va bene?»
La nausea, come due mani forti, strinse le budella di Michelangelo, lo stesso strizzò gli occhi, le sopracciglia abbassate, quasi provasse dolore. «Lo so, ma... non capisci. Luci-»
«Cosa dovrei capire?», la domanda lo interruppe in modo brusco. Scottato, il moro si allontanò di un passo, forse troppo. Entrambi sull'orlo di un burrone.
Michelangelo si voltò, si guardarono e i loro visi sembravano essersi improvvisamente trasformati in maschere tese e pronte a sfaldarsi da un momento all'altro, dipinte di mille colori: rabbia, dubbi, dolore. «I miei genitori, sai come sono», iniziò il biondo incespicando. Si passò una mano sul viso, sentiva la gola secca, il sangue ronzargli fastidioso nelle orecchie. «Sono loro che pagano i miei studi, la mia metà d'affitto, non so cosa potrebbe succedere.»
«Ci sono io con te», ribatté prontamente la voce piena di frustrazione di Lucifero, rimarcando per l'ennesima volta quel concetto. Era stremato, esasperato. “Non è abbastanza? Non sono abbastanza?”, erano le sue domande inespresse, galleggiavano tra quello spazio così piccolo ma abbastanza grande. Una piccola crepatura.
«Dobbiamo aspettare un altro po'», sentenziò l'altro.
«Abbiamo aspettato già due anni! Guardami. Michele, non sei stanco di vivere nell'ombra, con la paura di camminare per strada insieme a causa dei tuoi genitori, della tua famiglia?» gli chiese l'altro sperando di smuovere qualcosa.
Però Michelangelo esitò a rispondere, un attimo di troppo per i gusti di Lucifero. «Ah», continuò, la voce incrinata, «ma forse a te non pesa affatto. Solo quando ci provano con me, vero?»
«Lucifero, smettila: ne abbiamo già parlato.»
«Forse non abbastanza!»
«Senti, stiamo facendo tardi alla cena.»
«Vacci da solo a quella cazzo di cena!» urlò Lucifero. Lo spazio sembrò spandersi, poi contrarsi pronto ad implodere da un momento all'altro. La mente di Michelangelo non riuscì dapprima a comprendere quelle parole, non aveva mai sentito urlare il suo ragazzo in quel modo. Il silenzio li avvolse ancora per qualche attimo, prima di scostarsi come un sipario, i riflettori su Lucifero con il respiro ansante, continuò: «ma sappi che se esci da quella porta mi hai perso, è finita.» Deglutì, poi si umettò le labbra. Gli occhi verdi - torbidi e lucidi - erano assottigliati in segno di sfida. Il cuore gli pulsava nelle orecchie.
«Stai scherzando, spero. Smettila.»
A quel punto il moro sbottò una bestemmia, poi una risata nervosa, si strofinò velocemente il mento. «Sono serissimo.»
Michelangelo era impallidito visibilmente, sembrava marmo spruzzato di lentiggini, rigido, dai lineamenti duri, freddi. Aveva perso calore e osservava Lucifero con estremo disappunto, un pizzico di delusione dentro gli occhi celesti. Oscillò leggermente il capo, un movimento inusuale, come quello di una marionetta a cui cedono temporaneamente i fili. «Luci», il nomignolo assunse improvvisamente un sapore amaro. «N-non... non puoi chiedermi qualcosa del genere.»
«Avrei dovuto farlo prima. Scegli. Me o loro, se vuoi entrambi sai cosa devi fare», l'espressione e la voce non tradirono Lucifero, eppure il dolore di sputare quelle parole stava corrodendogli ogni organo e quell'ansia che prima gli pizzicava piacevolmente il petto adesso sembrava stringergli il cuore in una morsa, una dannata tortura. E per Michele?, si chiedeva, era per caso lo stesso? Iniziò a pensare che forse no, per Michelangelo quella era solo una liberazione. Già, Lucifero era solo un peso che lo allontanava dalla perfezione della sua vita, una macchia da pulire via.
«Ho capito», vi era una stonatura nella voce angelica del biondo.
Un'incrinatura nella vista di Lucifero mentre osservava la porta chiudersi.




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Capitolo 2
*** Depression ***









Depression




Lovin' what I'm tastin'
Venom on my tongue
Dependant at times
Poisonous vibration
Help my body run

Twenty One Pilots, Chlrorine





Il silenzio che seguì il litigio era assordante, peggiore di qualsiasi grido o frastuono. Lucifero era rimasto fermo, come congelato nel tempo, ad osservare quella porta. La osservò per dei minuti, troppi, cercando di dare un senso a quello che era appena successo prima di scoppiare in lacrime, prima che la consapevolezza di essere rimasto solo lo schiaffeggiasse in viso, prima di recarsi in bagno e... e a quel punto non piangeva più, le lacrime gli si erano già asciugate in viso. Aprì l'armadietto. Quel processo era automatico, calcolato, valutò in silenzio se usare il rasoio che utilizzava per radersi, poi scartò quell'idea e prese una nuova lametta, quindi se la rigirò tra le dita un paio di volte, pregustando il momento.
Un momento effimero, davvero, sottile proprio come quel frammento di metallo eppure così assuefacente. Una scarica di adrenalina, poi vuoto.
Si rilassò poggiato al muro, per poi scivolare pian piano sul pavimento, nel torpore, rimanendoci per chissà quanto. Il tempo era una incognita a quel punto. Quando poi si destò da quello stato di catalessi il sangue era già asciutto, sfiorò con le dita i tagli e si rese conto di ciò che aveva fatto, di quanto si odiava per aver ceduto... Ironicamente quel senso di colpa era il carburante più pregiato per alimentare quella macchina autodistruttiva che era lui stesso, lo istigava a continuare; quel circolo vizioso era così maledettamente facile da innescare, Lucifero ne era consapevole: ci era passato infinite volte. Già è fatta, gli sussurrò una vocina, cosa ti costa continuare? Andare un po' più a fondo?
Si tirò su, le mani tra i capelli ricci, irrequieto - non voleva stare da solo, non con quei pensieri per la testa.

Lucifero inspirò deglutendo quel veleno: il fumo gli inondò la gola, i polmoni si espansero, bruciando. Quando Eva tornò aveva il kit di primo pronto soccorso tra le mani, gli riservò un'occhiata pregna di preoccupazione - forse per gli occhi arrossati e gonfi di altre lacrime che, oh Dio, pregavano di essere versate o forse per la moltitudine di sottili tagli che gli decoravano l'avambraccio. Decisamente.
A dire la verità Lucifero non sapeva come era riuscito a guidare fino alla casa della donna senza andare a schiantarsi contro qualche muro, inghiottendo così tante lacrime e superando i limiti di velocità un paio di volte. Eva era l'unica persona che gli era venuta in mente, l'unica oltre Michelangelo che era a conoscenza del suo autolesionismo, che non lo aveva mai trattato come un folle. Lui la faceva sempre incazzare quando succedeva, ma non c'era giudizio nelle sue parole.
Espirò, non fumava da molto e l'aria grigia davanti al viso non era piacevole come un tempo. O forse le sue emozioni erano già state completamente lavate via dall'adrenalina seguita dai tagli. Eva aveva lavato via il sangue con un panno soffice e acqua tiepida e adesso bruciavano, pulsavano.
Almeno è piacevole, fu il primo pensiero.
No, non lo è.
Stremato, drenato da qualsiasi forza, abbandonò la testa pesante sullo schienale imbottito del divano.
«Saresti dovuto venire subito da me, invece di tagliarti. O andare da tua madre», lo rimproverò la trentenne. «Non risolvi nulla così, lo sai.»
«Mh», si limitò a commentare l'altro.
«Non voglio rivederti nella merda di cinque anni fa», continuò, «sempre a causa di quel biondino del cazzo, poi.»
Il moro la fulminò con lo sguardo, facendosi un altro tiro. Lungo.
Eva non si scusò, non sarebbe stato da lei. Dopotutto aveva ragione, anche se Lucifero non lo avrebbe mai ammesso: Eva lo aveva aiutato e sostenuto quando l'amore non ricambiato per Michelangelo lo stava divorando, mentre il matrimonio dei suoi genitori era definitivamente caduto in rovina, e anche lui avrebbe voluto farlo, disintegrarsi. Qualcuno lo avrebbe considerato strano, Eva era la sua ex, eppure anche dopo la rottura del legame romantico che li aveva uniti lei continuò a tenerlo ancorato a terra, ascoltarlo, consolarlo.
«Disinfettiamo questi tagli, dài», sospirò lei, interrompendo i pensieri di Lucifero, riportandolo alla realtà. Lui le porse il braccio, disinteressato, continuando ad osservare il soffitto, il fumo che aleggiava a mezz'aria, una piccola nuvola.
Quel soffitto... non era difficile confonderlo con quello della loro camera da letto, sua e di Michelangelo. I suoi baci soffici e dolci...
«Cazzo», sibilò colpito da una fitta al petto. In un movimento involontario aggrottò le sopracciglia, le labbra contratte in una smorfia indefinita e le lacrime pericolosamente vicine dal cadere.
Eva se ne accorse, lo osservò con la coda dell'occhio senza parlare, picchiettando con un batuffolo sulle ferite. Quando finì, mise da parte il kit di primo pronto soccorso e gli si sedette vicino.
«Sono sicura che non è finita» disse cauta poco dopo, carezzandogli il dorso della mano.
Il ragazzo scosse il capo, il respiro leggermente tremante. È colpa mia, pensò, ho sbagliato.
Era tutto ingarbugliato, là dentro, nel suo petto. Ed il mezzo pensiero di usare quella sigaretta per bruciarsi era l'unica cosa chiara; inspirò, ancora.




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Capitolo 3
*** Crisis ***









Crisis




Do you ever think how this life could've been?
If you never took the chance
A leap of faith and dance
With losing it all

MARINA, End of the Earth





L'atmosfera era tesa.
Avrebbe potuto disdire quella schifosa cena con i suoi genitori invece di presentarsi da solo, con una faccia terrificante per di più: la sua espressione tradiva il tormento interiore che cercava di tenere a bada. Ogni volta che gli rivolgevano uno sguardo confuso ed interrogatore saltavano fuori scintille, nessuno riusciva ad iniziare una qualche conversazione - e forse è meglio così, pensò Michelangelo, preferiva essere divorato nel silenzio dei suoi pensieri. Almeno poteva considerarsi fortunato: suo fratello e sua sorella non erano presenti. Gabriella non avrebbe perso occasione per tempestarlo di domande cercando di cavare un ragno dal buco; oltretutto quella ragazzina non gliela raccontava giusta, Michele era quasi certo che lei fosse a conoscenza della sua relazione con Lucifero. Il compito di animare la cena era stato riservato, quindi, alla televisione in sottofondo, accompagnata dal suono delle posate sui piatti.
Passarono attimi interminabili prima che sua madre cominciò a parlare: «Michelangelo», lo chiamò e quella voce gli sembrò... estranea. Aveva un piccolo sorriso sulle labbra, blando tentativo di nascondere la preoccupazione perfettamente leggibile negli occhi celesti come i suoi. «Io e tuo padre pensavamo che stasera avremo conosciuto la tua ragazza, ma credo sia evidente che sia successo qualcosa.» Maria continuò a guardare il figlio cercando di esortarlo, un'occhiata al marito. «Vuoi parlarcene?»
Michelangelo sentì pizzicare gli occhi, “la tua ragazza” una bugia senz'anima. Ad un certo punto era diventato indispensabile mentire e sempre più difficile cercare di tenere sua madre lontana dalla sua vita privata, cercare di allontanarla dal voler conoscere questa fantomatica ragazza che gli aveva rubato il cuore: erano già passati due anni, le cose sembravano serie e suoi genitori volevano almeno vederla. Si era trovato con le spalle al muro. Michele strinse le posate, il viso di Lucifero sull'orlo delle lacrime gli campeggiò di fronte, in silenzio, un vecchio film senza audio. «Abbiamo... avuto una discussione.»
Le parole uscirono a fatica, a piccoli bocconi. Il suo ragazzo potrebbe essersene andato per sempre mentre lui era lì, aggrappato con unghie e denti alla sua fragile immagine di figlio modello, cristiano e etero. Perché la paura, il rifiuto dei suoi genitori lo aveva sempre fermato dal vivere appieno gli ultimi due anni della sua vita, aveva trascinato con sé Lucifero come se fosse un masso, chiudendo a chiave la loro relazione in quella scatola che era il loro appartamento, confinandola agli angoli scuri dei locali. Il ragazzo che amava si era costretto ad una vita mozzata, si era tappato le ali per lui. Il moro sarebbe stato lì a sostenerlo, adesso. Lo sapeva, probabilmente gli avrebbe stretto la mano sotto il tavolo per rassicurarlo e dargli forza.
Era terrorizzato Michele, mentre addentava tutto il coraggio che credeva di avere e avvertiva il tremore alle mani aumentare. Osservava i suoi genitori. Erano... splendidi, avevano cresciuto tre figli con tutto l'amore possibile, il calore di una fede, un Dio dove trovare rifugio. Un Dio che, per definizione, è bontà pura e perdono.
«Oh», l'espressione di sua madre si fece comprensiva. «Mi dispiace.»
«Le donne sono così, se è quella giusta tornerà da te», abbaiò con la solita, sfacciata sicurezza suo padre.
«Sei sempre stato tu a tornare da me, ti ricordo», aggiunse sua madre, pungente, con quel sorriso d'intesa che c'è tra due persone che stanno insieme da tanto tempo.
«È un uomo.»
Michelangelo sentì la testa improvvisamente leggera. Gli erano letteralmente scappate, quelle parole flebili come un soffio. Perché l'aveva detto? Salvatore e Maria non sembrarono capire subito, Michele sperò che non avessero capito affatto, un attimo di stordimento e silenzio gelido anticipava il precipitoso declino di quella cena in famiglia.
Poi la sua bocca si mosse nuovamente, in completa autonomia. «Il mio ragazzo, è un uomo.» Il mondo di Michelangelo fece una capriola e continuò a cadere, rovinosamente, senza sosta. Con la coda dell'occhio riuscì a cogliere il viso infuocato di suo padre comprimersi in una smorfia. «E... lo amo.»
«Hai finito?», cercò di zittirlo - lo sguardo del genitore non prometteva nulla di buono.
«Michelangelo, che vuoi dire? Sei...»
«Se sono gay?», ormai rallentare era impossibile. Non riusciva a smettere di guardare suo padre, le posate sbattute in malo modo sulla tavola. Sua madre che richiamava il marito. Ogni rumore, ogni suono si ridusse ad un ronzio.
«Fuori.»
La vista gli si annebbiò.
No, pregò Michele. Ti prego, no.
«Fuori! Non voglio sentire nient'altro!»
E il pavimento sembrò liquefarsi, sempre più, ci stava affogando con tutta la sedia mentre la vergogna gli chiudeva la gola. Sua madre dovette prenderlo per un braccio, incitandolo velocemente ad alzarsi, per farlo in qualche modo destare e muovere.
Sulla soglia della porta lo abbracciò, «figlio mio, cosa abbiamo sbagliato?» la domanda era un'eco infinita, continuava a rimbombargli nella mente anche quando la porta gli venne chiusa in faccia, mentre scendeva le scale stordito come se avesse appena assistito a qualche esplosione.
In strada sedette sul marciapiede, osservò l'asfalto: sembrava un mare scuro e denso. E avrebbe voluto affogarci dentro.




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Capitolo 4
*** Looking Forward ***









Looking Forward




We're all living in the same universe
Where the stars collide as the planets turn
But I'll give my love, I don't care if it hurts
'Cause I'll love you til the end

If we're torn apart, then I won't let go
'Cause wherever we are, it feels like home
MARINA, End of the Earth





Quasi le dieci di sera.
Michelangelo aveva impiegato più del previsto ad arrivare all'appartamento: era come l'avevano lasciato, congelato nel tempo. L'unico spazio in cui si sentiva al sicuro in quel momento. Entrò e gettò le chiavi sul mobiletto all'ingresso - quelle di Lucifero mancavano, notò. Avanzò velocemente di qualche passo, fuggendo dal riflesso dello specchio verticale, disgustato. Sbagliato. Cosa avevano sbagliato, i suoi genitori?
Schiuse le labbra, esitò, non aveva senso chiamare Lucifero, era evidente che fosse davvero andato via. Nessuna chiamata sul cellulare. Niente di niente.
La solitudine fece tremare le pareti, il corridoio sembrava asfissiarlo mentre si dirigeva nella loro camera da letto. Venne inondato dal profumo della sua colonia, quella che doveva essersi messo mentre si preparava per uscire. Sedette sul letto con uno sbuffo prima di rannicchiarsi con tutti i vestiti e le scarpe, il materasso sembrava più scomodo del solito, ma in qualche modo rassicurante. Spense le luci, rimanendo in compagnia di quelle giallognole dei lampioni che filtravano dalla finestra.
Lo schermo del cellulare gli illuminò il viso. Solo adesso si rendeva conto di quanto era stato arido nei confronti del suo ragazzo, mentre leggeva in rubrica il suo nome, la tentazione di chiamargli: non un nomignolo, nessun cuore a renderlo più intimo, più… suo. Perché sarebbe stato strano avere un cuore vicino al nome di un ragazzo.
Sospirò e chiuse gli occhi, spossato. Gettò l'apparecchio sul comodino: non voleva più pensarci, non voleva pensare a niente.
Li riaprì al suono della prima sveglia: le cinque e mezza del mattino; sentiva gli occhi gonfi, aridi come una prugna, sicuramente arrossati. Si voltò, osservando inespressivo l'altro lato del letto: Lucifero non era lì vicino a lui e questa consapevolezza lo uccideva, la sua mancanza lo uccideva.
Michelangelo avrebbe dovuto alzarsi, lavarsi, andare in accademia. Si preparava ogni mattina allo stesso modo, era un processo automatico ormai, allora perché non riusciva a muoversi?


*


«Sicuro di voler andare via? Sai che puoi restare quanto vuoi, non devi farti problemi.»
Eva era sulla soglia di casa, stretta in una vestaglia di flanella, la luce del sole ancora tenue. Lo guardò un po’ apprensiva.
«Tranquilla», Lucifero le sorrise appena, come una piccola fiamma che faticava a rimanere accesa. Aveva rifiutato l'invito di dormire insieme a lei nel letto preferendo il divano, seppur più scomodo. «Grazie per tutto.»
«Luci.»
«Mh?»
«Se posso darti un consiglio», esitò, portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Sembravano più biondi a contatto con i primi raggi del sole. «non fare vedere i tagli al tuo ragazzo, potrebbe sentirsi in colpa. Va bene?»
«Non l'avrei fatto a prescindere.»
Silenzio.
«Guida con prudenza e non fare cazzate, le cose si aggiusteranno.»

Quando fu di fronte alla porta del loro appartamento, Lucifero non sapeva ancora se Michelangelo fosse in casa o meno: sapeva solo che sarebbe dovuto essere in accademia a quell'ora, ma non aveva nulla a dargli quella sicurezza. Neanche un'auto, perché Michelangelo non aveva la patente. Quindi dopo svariati minuti di osservare la serratura, indeciso se inserire la chiave o meno, aprì piano la porta nel modo più silenzioso che riuscì e se la richiuse alle spalle con altrettanta delicatezza.
Stette così, immobile, per qualche secondo stringendo le chiavi. Fin quando sentì chiamarsi e sussultò.
«Lucifero..?»
Vide Michele affacciarsi dalla cucina e letteralmente corrergli incontro per abbracciarlo in modo tanto ferreo da fargli perdere il respiro. Il braccio fasciato sotto la manica del giubbotto in pelle bruciava, schiacciato contro il suo torace.
Il biondo non sembrava intenzionato a lasciarlo, o a parlare, e lui non sapeva esattamente da dove iniziare perché troppe parole, tutte annodate tra loro, gli stavano affollando la testa.
«Ti amo. Non voglio perderti.»
Michelangelo sussurrò quelle parole tra i suoi ricci e l'ultimo briciolo d'aria che gli era rimasto nei polmoni si disperse, probabilmente gli era salita in testa, lo inebriò. Lucifero si morse le labbra: non voleva sciogliersi subito, ma le lacrime erano già agli angoli degli occhi pronte a tradirlo.
«Dove sei stato? Questa mattina ho provato a chiamarti, ma-»
«Ah», disse monotono. «Il mio cellulare…», non lo sentiva in nessuna tasca.
«L'hai lasciato qua. Poi ho chiamato Liv, ma non sapeva dov'eri. Ha perfino chiesto a tuo padre.»
«Hai… Hai chiamato mia madre?», sussurrò sorpreso. Cavolo, ci mancava poco che contattasse l'FBI. «Ero… Dovevo prendere una boccata d'aria. Scusa.» Era consapevole di quanto suonasse ridicolo, una boccata d'aria che durava un intera notte, eppure Michelangelo non fece questioni, rimase in silenzio. Lucifero pensò distrattamente che adesso avrebbe anche dovuto chiamare sua madre e rassicurarla. Suo padre… a lui probabilmente neanche importava. «Scusa per tutto, ti ho parlato in modo orribile.»
«Mh… È tutto okay. Mi sei mancato.»
«Anche tu. Puoi lasciarmi adesso?» Michele scosse piano il viso. «Va bene», sospirò l'altro. «Com'è andata la cena?», s'azzardò quindi a chiedere.
Passarono secondi interminabili di silenzio, riusciva a sentire il cuore gli pulsargli nelle orecchie. Era insopportabile, lo stava ignorando? Allora Lucifero tentò di divincolarsi, alzò lo sguardo e se prima avvertiva i battiti del cuore martellargli nei timpani in quel esatto momento, per un piccolo fatale istante, smise di colpo, fece una capriola. «A-Angelo…»
«È andata…», iniziò Michelangelo con voce malferma. Inspirò tentando di racimolare una qualche stabilità prima di scoppiare in lacrime. Non riusciva neanche a parlare, ogni volta che cercava di aprir bocca le parole gli morivano in gola, affogate nei singhiozzi. Si coprì il viso e Lucifero cercò di farsi strada tra quel muro di dita, gli prese il volto tra le mani, tentò di afferrare lo sguardo celeste in tutte quelle lacrime. Sentì il cuore spezzarsi, a vedere il suo ragazzo tanto devastato. Gli posò un bacio leggero e timido sulle labbra e lo abbracciò nuovamente: non sapeva cos'altro fare, o dire.
Una volta che l'altro fu più tranquillo riuscì a chiedergli cosa era successo.
Si spostarono in cucina e mentre Michele parlava i fazzoletti s'impilavano sulla tavola, uno alla volta, perché le lacrime continuavano a scivolare senza permesso sul suo viso. «Sei arrabbiato», notò Michelangelo alla fine. Lo capì dal silenzio dell'altro che non si era pronunciato neanche una volta, aveva notato la rabbia crescere e fiorire rigorosa in Lucifero mentre stringeva le labbra in una linea dura e serrava la mandibola.
«Ma va? Posso non esserlo? Nessuno merita un trattamento del genere, cazzo, neanche avessi la peste. Ma vaffanculo. 'Sti omofobi di m-»
«Lucifero!»
«Cosa?!»
«Sono sempre mia madre e mio padre, calmati. Sapevo che sarebbe andata così, per questo cercavo di evitarlo il più possibile. Solo...», sospirò massaggiandosi le tempie, gli occhi chiusi e le sopracciglia aggrottate. «Adesso non so cosa fare.»
«Credo che per il momento sia meglio aspettare. Se sono intelligenti capiranno e tenteranno di avvicinarsi.»
Michelangelo lo osservò incredulo, quelle parole erano inaspettatamente... giuste. Annuì, poi cercò la mano dell'altro, per qualche motivo sentiva di aver bisogno di un contatto fisico, quando la trovo la strinse.
Per il momento avrebbero aspettato.




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