Tu sei me.

di Bloody Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mission 1 ***
Capitolo 2: *** Mission 2 ***



Capitolo 1
*** Mission 1 ***


Questa storia nasce senza alcuna pretesa, con un'ispirazione che si è esaurita ma che sono certa torni prima dell'anno prossimo XD Si spera!
Così come spero di riuscire a trovare il tempo di scrivere alias, non sarà per nulla regolare l'aggiornamento ma vi inviterei a lasciarmi un commento, anche breve, a questa storia per farmi sapere che vi piace, davvero mi fareste un immenso piacere <3
Come sempre la grafica è mia >.<

 



Missione 1.

“Dante Tony Campbell è lei?”

L’uomo sorrise allargando le braccia e corrugando le sopracciglia, infastidito da quelle sei persone che avevano osato entrare nel suo ufficio armate e senza alcun riguardo per la sua amata porta. 

“Sì, detective, sono io in carne ed ossa… perchè?”

Il detective guardò quell’uomo e annuì ai compagni armati ordinandogli di afferrare quel pregiudicato e di non lasciarselo sfuggire per nessun motivo.

“Ti dichiaro in arresto per l’uccisione di ventisei persone nell’arco di questi ultimi cinque anni. Ogni cosa che dirai potrà essere usata contro di te, conosci la procedura.”

Dante si ritrovò ad imprecare stranito da quella situazione, era un poliziotto, uno di quelli che veniva mandato in quei luoghi dove nessuno voleva andare, era un cecchino di tutto rispetto e venir prelevato in modo così formale non era concepibile, soprattutto per qualcosa di così assurdo...

“Ci deve essere un errore, capitano, sono Tony avanti abbiamo lavorato assieme per anni!”

Le manette si strinsero sui suoi polsi serrandosi con il classico rumore metallico e lui gemette ridacchiando divertito; invece di seguire quegli uomini si sedette con una mossa veloce ed elegante sulla propria scrivania accavallando le gambe con maestria.

“Per grazia posso sapere che ho fatto di sbagliato? Accusarmi di omicidio mi sembra eccessivo anche per lei che mi odia…”

L’uomo lo fulminò con lo sguardo e, dopo essersi avvicinato con prepotenza al corpo statuario di Dante, parlò con tono basso e minaccioso a pochi centimetri da quel volto perfetto incorniciato da quei capelli candidi.

“Eccessivo? Figlio di puttana che non sei altro, abbiamo una compatibilità del novantacinque per cento con il killer che in questi ultimi anni sta facendo impazzire tutta la nazione: capelli bianchi, occhi azzurri e una strepitosa bravura con qualsiasi arma che si ritrova ad impugnare. Casualmente tutti i pezzi del puzzle combaciano eh?”

Gli occhi dell’albino si spalancarono mostrando quello stupore che stava serpeggiando nella sua testa e nelle sue vene, si lasciò afferrare dagli uomini della SWAT e si lasciò condurre per tutto il distretto, tenne gli occhi bassi, incapace di guardare in volto quelle persone che, di sicuro, ora stavano pensando male di lui: aveva vissuto e combattuto con loro, aveva riso e sofferto con essi e dentro di sè aveva la sensazione di averli ingannati in qualche modo a lui sconosciuto.

Era semplicemente impossibile, deleterio quell’arresto.

“Non sono stato io, sono stato con voi per svariate missioni, non farei mai del male a qualcuno di innocente, mi conoscete.”

Il detective guardò Dante sbuffando e, togliendogli le pistole dalle fondine dietro la schiena e ponendole in una busta che un collega gli stava porgendo per analizzarle con calma, si ritrovò a negare con il capo sicuro di sè.

“Perquisiremo la tua casa, che tu lo voglia o meno… ti porteremo in carcere e lasceremo che gli avvocati analizzino le prove e le controprove fino a quando decideranno se tu sei innocente o colpevole. Fino a quel giorno tu sei un killer e rimarrai in prigione, dove è giusto che tu stia.”

Dante fece per aprire bocca ma si ritrovò a sbuffare e a socchiudere gli occhi, era consapevole della procedura perchè lui in primis si divertiva ad acciuffare i malviventi e spedirli in prigione… ma sentirla, avvertirla su di sè era una follia.

“Parlerò solo con il mio avvocato.”

Credo, era così che si chiamava quel maledetto detective, annuì lasciandosi scappare un leggero sorriso ad incrinare quel volto serio e conosciuto.

“Abile mossa, Tony.”

Dante si ritrovò ad annuire, come diavolo era possibile quella percentuale di compatibilità così alta? Era incredibile, non gli era mai successo nulla di simile, erano ormai dieci anni se non di più, che lavorava all’interno del corpo di polizia speciale e non aveva mai avuto nessun problema, forse qualche rissa da ubriaco e qualche denuncia per la velocità con cui guidava ma null’altro…

Non aveva mai imbracciato un fucile o una pistola verso qualcuno di innocente ed era certo che mai l’avrebbe fatto perchè era consapevole del motivo per cui era diventato un poliziotto.

“Erano innocenti?”

chiese a bruciapelo, il suo subconscio poteva davvero avergli fatto quello scherzo meschino portandolo ad uccidere senza che lui se lo ricordasse?

Stava forse impazzendo senza accorgersene?

Quel silenzio era pesante, insopportabile per quella situazione che meritava ed esigeva delle risposte.

“Rispondimi!”

Sferrò un calcio alla parete del vagone creando un rumore metallico e sordo, tutti e cinque gli uomini lì presenti impugnarono le armi e gliele puntarono contro senza alcuna remora.

“Fermo dove sei o siamo obbligati a sparare!”

Ringhiò quasi mentre guardava negli occhi calmi di quell’uomo che si trovava di fronte a lui che, senza emozione alcuna, rimaneva fisso a guardarlo negli occhi come se avesse di fronte il peggiore dei criminali mai esistiti.

“Credo, non starai pensando davvero che sia stato io….”

L’uomo ridacchiò nuovamente, per nulla spaventato da quella reazione violenta che l’albino aveva appena mostrato, era forte ed era consapevole che quegli uomini sarebbero stati in seria difficoltà se quel “mostro” avesse deciso di liberarsi da quelle manette.

“Calmati. Credo in ciò che vedo e fidati che le due foto che sono riusciti a rubare a quell’essere ti ritraggono in maniera perfetta.”

+++

“Queste sono le sue foto e queste sono le foto delle vittime che lei ha brutalmente ucciso.”

Dante era seduto su quella scomoda sedia di metallo, era stato ammanettato a quel tavolo affinchè il suo avvocato potesse parlargli in completa libertà senza correre alcun rischio ma la consapevolezza di quelle foto faceva male, era logorante.

“Non sono io.”

Tre parole, una negazione impassibile mentre davanti ai suoi occhi si mostrava in maniera parziale la fotocopia di se stesso in quella foto, un pò sgranata certo ma con i dettagli principali in mostra: un uomo sulla trentina con i capelli bianchi calati sul volto in maniera disordinata e il corpo inguantato in un completo nero.

Nella seconda immagine gli occhi erano fissi su quella telecamera mentre quell’uomo sparava con il braccio teso verso di essa mostrando quegli occhi perfettamente identici ai  suoi: ghiaccio fuso.

Tra le mani quello sconosciuto reggeva una pistola, aveva del sangue che gli macchiava la parte sinistra del volto ma nonostante quello aveva un’espressione soddisfatta, come se quello che stesse facendo fosse del tutto normale, giusto nell’intero complesso.

“Dante non negare ciò che è palese! Se confessi possiamo ancora giocare con la gravità della pena!”

Si ritrovò ad imprecare senza alcuna remora per quel dio che sembrava essersi volatilizzato per lui in quel momento, per quell’entità che, a quanto pareva, aveva appena deciso di voltargli le spalle per sport o forse per divertimento.

Era sempre così difficile avere a che fare con quegli odiosi avvocati che, forse, era l’unica parte del suo lavoro che non aveva mai sopportato.

“Su che pena dovrebbe lavorare se alle spalle ci sono ventisei omicidi? Forse invece di cinque ergastoli me ne daranno tre? Ottimo lavoro avvocato, continui così.”

Ridacchiò mentre lo diceva accavallando le gambe ed poggiandole sul tavolo in una posizione estremamente indecente e menefreghista, usando i talloni come un appoggio sul piano.

L’avvocato si sistemò gli occhiali con due dita prima di parlare nuovamente con tono serio e politicamente sbagliato.

“Dante, non dovrei dirtelo ma quelle ventisei persone erano tutte collegate alla mafia e alla camorra, erano qualcosa di più vicino all’Ordine del Cavaliere che alla malavita... ”

Nell’udire quelle parole l’attenzione e l’odio dell’uomo verso quella situazione si placarono amplificando la sua attenzione su di essa; conosceva quella setta e non solo per il nome, erano dei folli che spacciavano droga e armi facendoli passare come cimeli di un immenso valore, non c’erano prove concrete ma sacrificavano anche umani a delle ipotetiche divinità demoniache.

Ogni volta che pensava di essere vicino a saperne qualcosa in più su di loro o era vicino a smascherare qualche loro mossa, si ritrovava a scontrarsi con un vicolo cieco, erano tre anni che gli dava la caccia ma erano anche tre anni che non ricavava assolutamente nulla da quelle ricerche…

Sembravano quasi fantasmi, loro non esistevano.

“Giuro che non c’entro nulla, ma se mi dici questo vuol dire che gli sta solo che bene.”

L’avvocato spostò la testa come per ammonirlo di quella frase irrispettosa e meschina che le sue labbra sorridenti si erano lasciate sfuggire.

“Tony cosa ci guadagni da tutto questo?”

Ammanettato e prigioniero per qualcosa che non aveva mai fatto e al quale non si era mai nemmeno avvicinato per sbaglio, sembrava un enorme scherzo organizzato dal migliore dei trickster [1].

“Ci guadagnerò quando vedrò quella tua bellissima faccia da culo quando si accorgerà che io non c’entro nulla.”

Ridacchiò lasciando l’altro infastidito e con un’espressione piccata sul volto, Dante sapeva essere fastidioso e strafottente, non lo aveva mai negato e mai lo avrebbe fatto.

“Stai giocando con il fuoco, stai attento, non sei nella posizione del favorito questa volta.”

Cercò di spalancare le braccia ma le catene lo obbligarono a fermarsi da quel semplice quanto strafottente gesto, si leccò le labbra e, con una passata tra i fili albini, si portò i capelli all’indietro con fare teatrale.

“Allora giochiamo, avvocato dei miei stivali, non senti caldo anche tu?”

+++

“Come si sta in prigione, piedi piatti di merda?”

Dante ignorò quel commento socchiudendo gli occhi e ridacchiando quasi divertito per l’intraprendenza di quell’essere che aveva catturato qualche mese prima e al quale aveva spaccato il setto nasale con il calco del fucile.

“Jester è un piacere rivederti, dico sul serio, avevo giusto bisogno di qualcuno da prendere a pugni.”

Le guardie si mossero nervose nel sentire quel breve quanto mirato commento, era da nemmeno quarantotto ore che era in cella e avevano già dovuto sedare ben due risse da lui provocate.

“Dante, Dante, Dante, qui non comandi tu anzi, sei al nostro stesso livello e la cosa mi fa godere da matto e sai il perchè?”

Dante si portò le mani al petto incrociando le braccia e assumendo una posa molto virile che portò quell’uomo dal naso adunco ad arretrare, impaurito ma con il sorriso di chi pensava di avere la vittoria tra le mani, si portò dietro ad un paio di grossi uomini in divisa e ridacchiò. Alzò gli occhi al cielo l’ex poliziotto prima di sbuffare e portare quelle braccia al bacino, si mosse facendo un paio di passi e muoversi con finto menefreghismo, osservando con la coda degli occhi quegli energumeni che si avvicinavano a lui con aria torva.

Bloccò il pugno che venne scagliato con forza verso il suo volto con maestria prima di sorridere e schivare anche il ginocchio che si era diretto verso il proprio stomaco; spostò il peso verso destra portando con sè, con un leggero movimento, il braccio di quella guardia, fece pressione al di sotto della spalla fino a  far uscire dalla propria postazione l’articolazione con un rumore sordo seguito da un leggero urlo.

“E io che pensavo di divertirmi…”

Il secondo uomo si avventò su di lui stringendolo al proprio petto dal dietro, si ritrovò a spingersi indietro fino a far collidere le spalle del gorilla contro le sbarre di ferro per poi ribaltarlo con prepotenza mandandolo K.O. ruotandogli il polso e il braccio fino a spaccarglieli senza alcuna fatica.

“Prigioniero numero 021, faccia a terra o sarò obbligato a spararti del tranquillante.”

Dante alzò le mani in bella vista e indietreggiò con passo lento, appoggiò le spalle al muro e, una volta che una delle guardie gli fu vicino, allungò i polsi verso di lui lasciandosi ammanettare con relativa calma.

“Sono stati loro ad attaccarmi per primi, mi sono solo difeso…”

Era stato militare prima di diventare un semplice poliziotto e se l’era sempre cavata egregiamente nel difendersi, non avrebbe smesso proprio in quel momento in cui aveva bisogno.

“Se qualcuno dei prigionieri ha voglia di fare a botte, che si faccia avanti, mi manca un pò di sana palestra.”

 

“Si può avere dello Stawberry Sundae?”

Il cuoco guardò Dante con uno sguardo interrogativo e quasi schifato, il volto dell’uomo era illuminato da una luce strana, come se il richiedere quel semplice dolce ricco di zucchero fosse la sua unica ragione di vita ma alla negazione da parte dell’uomo, l’albino sospirò sconfitto da quella mancanza.

“Potrei procurartelo, Tony. Dicono che eri un poliziotto…che ci fai qui?”

Sorrise con la malinconia a colmargli l’anima prima di grattarsi il capo con calma e rispondere a quell’uomo che gli stava parlando con una voce pacata nonostante tutto.

“Sì, sono in carcere per qualcosa che non ho mai fatto ma che casualmente è qualcosa che stavo cercando di fermare da anni.”

Il cuoco si lasciò scappare un leggero sorriso, quella frase era ambigua, non chiara ma si ritrovò a parlare mentre si toglieva il camice con movimenti conosciuti e stanchi.

“Io sono dentro da dodici anni perchè ho vendicato l’uccisione di mia figlia…”

Dante si ritrovò ad appoggiare una mano sulla spalla di quell’uomo e stringerla in maniera affettuosa come se fosse un modo carino per dirgli che lo capiva, che gli dispiaceva con il cuore.

“Sono diventato poliziotto solo per riuscire a catturare e massacrare di botte il capo della banda che uccise mio padre… devo dire che la soddisfazione nel fracassargli qualche osso quel lontano giorno è stata impagabile.”

Ridacchiarono di quelle sue ultime parole, consapevoli che quello fosse solo un modo come un altro di sorvolare quella situazione spinosa che era la prigione.

“Comunque mi chiamo Peter.”

L’albino annuì facendogli l’occhiolino e afferrando il proprio vassoio che aveva momentaneamente appoggiato lì vicino.

“Conto su di te per lo Strawberry! Mi raccomando, Pete!”

+++

“021 hai una chiamata.”

La guardia si era fermata sulla soglia della sua cella, aveva aperto quel cancello e lo stava guardando con un sopracciglio alzato, in attesa di una qualche risposta.

Il carcerato si ritrovò a continuare quella serie di addominali che aveva iniziato e, con noncuranza, continuò senza alcuna esitazione contando ad alta voce.

“Cinquecentododici. Cinquecentotredici. Cinquecentoquattordici.”

Si schiarì la voce l’uomo in divisa, sospirò e tornò a parlare con voce sicura e piccata.

“Vorrei un poco di considerazione, Dante.”

Finalmente lo aveva chiamato con il suo nome, non era un numero e non lo sarebbe stato.

“Ed io vorrei dello Strawberry Sundae, comunque sia finisco la serie e sono tutto tuo.”

Camminò con passo pacato fino a raggiungere quel telefono che era ancorato al muro, sembrava quasi una di quelle vecchie cabine telefoniche riutilizzate e riadattate lì in quel posto dimenticato da dio.

“Pronto?”

Dopo un attimo di silenzio una voce giunse all’orecchio di Dante con malcelata preoccupazione, tremava quasi quella leggera voce femminile che lo stava chiamando per nome…

“Tony… Tony che diavolo è successo? Sono venuti anche qui a cercare qualcosa e mi hanno detto ciò che hai fatto… Tony io ti conosco e…”

Non era vero, era tutto un grande equivoco e lui lo sapeva, sua madre lo sapeva, glielo leggeva nella voce che non poteva crederci perchè lo conosceva fin da quando aveva deciso di adottarlo da quell’orfanotrofio salvandolo dallo schifo della strada.

“Non è vero mamma, non sono stato io, te lo giuro.”

Il sospiro della donna raggiunse il cuore e l’anima di Dante, gli fece ripartire quel battito che nemmeno si era accorto che si fosse fermato, chiuse gli occhi appoggiando la testa sul metallo freddo di quel telefono, quanto poteva essere bello sentire la voce di qualcuno che ti ama e che ti crede solo perchè ti conosce meglio di chiunque altro?

Quando poteva lenire quel vuoto nell’anima?

“Sei mio figlio, la mia unica gioia e non crederò mai ad una cosa simile, ti ho visto crescere e diventare ciò che sei, non un mostro ma una creatura con più cuore che testa… Ti tireremo fuori di lì, Tony.”

Un sorriso dolce e carico di quel sentimento si mostrò sulle labbra dell’albino, lei gli credeva e questo bastava a rialzare quel morale che, di tanto in tanto, si lasciava cadere nel baratro più oscuro.

“Tony, vedrai che andrà tutto bene… Io devo dirt... Chiamata interrotta, fine tempo.”

Gemette rimanendo per alcuni preziosi secondi appoggiato con la fronte contro il muro, lei lo conosceva, lei lo aveva capito fin dal primo giorno e i risultati erano lì, palesi per come lei attraverso il telefono era riuscita a capire che sotto lo strato di strafottenza e di menefreghismo, c’era ancora quel bambino che piangeva durante la notte urlando qualcosa che nemmeno in quei lunghi venticinque anni aveva compreso.

[To Be Continued..] 

[1] Trickster = è una figura mitologica che rispecchierebbe l’imbroglione, un essere che non segue le morali ed è al di fuori delle regole.

 

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Capitolo 2
*** Mission 2 ***


Salve a tutti ed eccomi qui a pubblicare questo secondo capitolo!
T.T Bhe mi fa tutto schifo ciò che pubblico quindi auguri a chi legge T.T


Missione 2.

Giorno quattordici di prigione.

“Dante, oggi il direttore ha chiesto di poter parlare con te. Mani sulla testa, devo ammanettarti, non fare storie.”

Ubbidì, lasciandosi limitare quei movimenti che non intendeva fare, sapeva quanto era importante il direttore in quella prigione, forse perchè il destino aveva fatto in modo che finisse in una delle prigioni più controllate della città, là dove i tre quarti dei prigionieri venivano da raid o da fermi capitanati da lui stesso, forse perchè aveva sempre saputo cosa succede a chi si ribella agli ordini o forse perchè il suo gradasso modo di fare stava scemando assieme a quella voglia di rivalsa...

Era lui, solo contro tutti: le guardie lo odiavano, i prigionieri organizzavano battute di caccia per andargli contro nonostante, il più delle volte, si ritrovavano gonfi di botte facendolo andare nei casini…

Come stai? Gli aveva chiesto sua madre tre giorni prima quando era venuta a trovarlo, lui aveva sorriso ma dentro di sè aveva solo oscurità…

 

Aveva portato le mani ad incrociarsi dietro la testa giocando a fare l’equilibrista seduto su quella sedia di plastica, si stava dondolando con un sorriso falso stampato su quel volto circondato da una leggera peluria bianca. Doveva fingere affinchè lei non si preoccupasse...

“Puoi ingannare chiunque con quell’aria da mascalzone, Tony… ma non me, sono tua madre.”

Dante spostò lo sguardo dalla figura materna e si ritrovò a fissare le fronde degli alberi che si muovevano al di fuori da quelle sbarre e da quel luogo che somigliava fin troppo ad un ospedale con i suoi muri bianchi e quelle divise patetiche.

“Non devi preoccuparti per me, so cavarmela.”

La donna ridacchiò annuendo a quelle parole, aveva gli occhi lucidi carichi di quella sensazione spregevole che l’aveva accompagnata fino a lì.

“Non si fermeranno alle botte, figliolo… i poliziotti non fanno mai una bella fine in carcere, ho paura per te.”

Chiuse gli occhi smettendo di dondolarsi su quella sedia, poggiò i gomiti sulle ginocchia e semplicemente rimase immobile, fermo ad attendere altre parole provenire da quella donna che lo aveva amato forse più della sua stessa vita.

“Non abbandonarmi anche tu, ti prego....”

Spalancò gli occhi Dante, alzò il capo e fissò quello sguardo, carico di lacrime malinconiche e addolorate, in quello della madre che sapeva di disperazione e di rammarico.

“Costi quello che costi, ti prometto che tornerò da te, non sono più un ragazzino che si lascia picchiare, mamma.”

 

Lo legarono al muro quel giorno, il primo pugno se lo aspettava, lo aveva visto arrivare con foga, fu violento e diretto contro il suo stomaco, si ritrovò a mordersi la lingua per trattenere qualsiasi imprecazione che la sua mente stava elaborando.

Il secondo gli colpì lo sterno e, per alcuni secondi, Dante andò in apnea dalla forza che quel colpo aveva avuto su di lui, annaspò prima di riuscire a percepire nuovamente l’ossigeno raggiungere i propri polmoni.

“Confessa che sei stato tu! Il direttore ci ha chiesto di andarci giù pesante con te, ci divertiremo…”

Un altro colpo arrivò, secco e ricoperto da ferro, l’impatto con il suo zigomo fu feroce, aggressivo e lo portò a sanguinare; lente le goccie di sangue iniziarono a scorrere sul suo viso, goccia dopo goccia, tormento dopo tormento.

Aprì la bocca e mosse di poco quella carne lesa per capire se ci fossero stati dei danni all’osso ma, oltre all’indolenzimento facciale, sembrava stesse bene.

Il ginocchio di quell’uomo si conficcò nel suo fegato con violenza inaudita, si ritrovò privo di sensi.

Si riprese solo quando dell’acqua fredda gli finì in faccia, fece fatica ad aprire un occhio, forse gonfiatosi dopo uno dei primi pugni che aveva avvertito su di sè, rantolò un poco prima di iniziare a ridere con la faccia pesta e il petto dolorante che si lasciava scuotere da quella risata amara ma crudele, sembrava folle in quel preciso istante e quelle guardie, difatti, si guardarono incuriositi e spaventati da quel risvolto.

“Non sono io l’uomo che cercate, potete picchiarmi quanto volete ma sappiate che mi vendicherò.”

Strattonò le catene che stridettero in maniera sinistra, si tesero e produssero un rumore sordo quasi che esse stessero per cedere sotto quella furia inaudita…

“Riportatelo in cella.”

 

Giorno diciassette.

“SMETTILA DI RIDERE!”

Il volto di Dante era una maschera di sangue, alcuni tagli si aprivano sugli evidenti ematomi, grondavano linfa rossa ma lui, incurante di quella sofferenza che si auto infliggeva con quella risata meccanica e soddisfatta, continuava infastidendo quelle guardie con tutto se stesso.

“Signore cosa dobbiamo farne? Sembra fuori di sè.”

L’uomo valutò le pessime condizioni in cui il prigioniero 021 versava, lo avevano ridotto male, doveva avere qualche costola incrinata e di sicuro andava messo qualche punto qua e là per suturare le ferite.

“In infermeria, se fanno domande mandatele da me.”

 

Aprì gli occhi gemendo di dolore, si portò subito una mano al costato cercando di alzarsi intorpidito e incapace di capire dove fosse.

“Prigioniero 021 stai nel tuo letto.”

Dante si ritrovò ad osservare quella donna che gli aveva parlato, sorrise allargando i lati delle labbra cercando anche di emettere un leggero fischio di apprezzamento ma una fitta dolorosa lo obbligò a cedere nel suo intento.

“Se sapevo che c’era una graziosa fanciulla come te qua dentro avrei finto prima di svenire, infermiera mi curi ho un leggero male…”

La donna sbuffò, scuotendo la testa divertita da quell’espressione da cucciolo che l’uomo era riuscito ad indossare nonostante quei lividi e quelle ferite che aveva dovuto curare sui tre quarti del corpo.

Aveva i lunghi capelli rossi legati in una coda bassa che le ricadeva mollemente sulla spalla, aveva un bel corpo e degli occhi verdi che sembravano trasmettere tutta la bontà che essi contenevano.

“Ti hanno conciato proprio male eh… hanno detto che non hai detto nulla, forse ti conveniva mentire no?”

Dante la guardò serio, sbuffò e senza nemmeno pensarci troppo negò con il capo facendo dei piccoli movimenti che da destra andavano a sinistra.

“Non gli permetterò di rovinarmi la vita.”

Il sorriso della donna si mostrò timido e accogliente in quel posto che sapeva solo di grigio e di sporco, sospirò prima di appoggiargli sul volto una confezione di ghiaccio istantaneo facendolo immediatamente gemere di dolore.

“Io sono Lucia e devo dire che ammiro la tua caparbietà anche se il tuo volto ne sta risentendo…”

 

Giorno diciannove.

Dante tornò nel braccio dei detenuti con passo sicuro e con la testa alta, aveva un ematoma a colorargli la zona offesa dello zigomo, aveva una ferita che da sopra al sopracciglio scendeva fino sopra alla palpebra che rimaneva ancora leggermente gonfia obbligandolo a tenere l’occhio socchiuso.

“Prigioniero 021, non ci sono andati giù leggeri con te eh…. Devi avere una capacità tutta tua di farti odiare.”

Le due guardie che lo stavano scortando non avevano assistito al suo pestaggio ma era certo che tutti, all’interno di quelle mura, sapessero cosa facevano in quella sala degli “interrogatori”, se  così potevano essere chiamate quelle brutalità.

“Sai, guardia, è un’abilità preziosa la mia e gli è andata bene che ero legato con delle catene, volevo divertirmi anche io che ingiustizia eh.”

L’uomo si ritrovò a guardarlo con occhi per nulla stupiti, sbuffò e lasciò che Dante entrasse nella cella prima di parlare con tono basso mentre guardava attorno a sè per evitare di essere ascoltato da terzi.

“Questo carcere è una merda, succedono cose che non dovrebbero accadere, non mi stupisce che ti abbiano cercato di estorcere una confessione in questo modo… davvero avrebbe bisogno di una ripulita questo posto.”

 

Giorno ventisette.

Si era seduto a giocare a carte con alcuni carcerati, aveva le gambe poggiate sull’angolo del tavolo e in testa aveva calato un cappello che aveva appena “vinto”, era un logoro cappello in stile western ma ne andava davvero fiero...

“Avanti, Joshua, vediamo chi vince tra noi quattro, cosa mettiamo in palio questa volta?”

L’uomo ridacchiò estraendo dalla tasca un coltellino a serramanico e poggiandolo nel centro di quel tavolino, alzò le sopracciglia fischiando in approvazione per quella violazione di regole.

“Accetto il gioco, amo le sfida dopotutto.”

Peter si fece strada tra gli spettatori di quella partita e, una volta giunto alle spalle di Dante, si sporse per parlargli nelle orecchie con tono agitato.

In quei lunghi giorni avevano avuto modo di parlare, di conoscersi meglio e di sapere ognuno la storia dell’altro ascoltandone ogni singola sfumatura.

“Dante… devi vedere una cosa al notiziario, il killer per cui ti hanno intrappolato qui ha colpito ancora.”

L’attenzione dell’albino venne calamitato da quell’amico che era corso da lui per dirgli quella cosa che, vista da fuori, poteva sembrare irrilevante.

Si alzò dal tavolo con un gesto meccanico, non chiese nemmeno scusa per quell’improvviso e brusco cambio di idea, si mise a camminare con passo deciso fino a raggiungere la televisione che le guardie tenevano perennemente accesa e si piantonò lì davanti in attesa di quel servizio.

“Le forze dell’ordine hanno risposto ad una chiamata di soccorso ma, giunte sul luogo indicato, si sono trovati di fronte ad uno scenario impressionante e sconfortante: il famigerato killer che sembrava essere stato arrestato quasi un mese fa ha colpito ancora.”

Dante si ritrovò a stringere i pugni con forza, quella reporter stava registrando in diretta mentre alle sue spalle i coroner [1] stavano facendo foto e supposizioni riguardo a quel caso.

“Un’intera banda è stata trucidata durante la notte, si contano circa tredici vittime, l’arma del delitto sarebbe stata riconosciuta come una lunga lama, forse si parla di una spada giapponese...”

La donna tornò a commentare i vari nomi che erano stati certificati dai morti, Dante poggiò il capo al muro lì vicino, aveva il respiro corto e le lacrime gli avevano colmato gli occhi, era davvero così difficile iniziare a pensare che, forse, qualcosa stava ricominciando a girare per il verso giusto?

“La domanda che le persone si stanno iniziando a fare è se questo assassino sia davvero un mostro oppure se sia un salvatore silenzioso…”

Si lasciò cadere sul pavimento lasciando che le proprie mani andassero ad accarezzarsi i capelli come se quello fosse un antistress più che efficace. Sarebbe arrivato in fondo a quella storia, non sarebbe solo uscito da quella prigione ma avrebbe indagato su quel killer a tutti i costi.

Si poteva davvero considerare libero oppure qualcosa lo stava forse incatenando maggiormente a quell'uomo misterioso che gli assomigliava?

“Tutto bene Dante?”

Peter gli era di fianco, gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, il suo tocco era tiepido e pesante.

“Cosa farai ora?”

L’albino si ritrovò a sorridere verso quell'uomo che aveva semplicemente accettato tutto quello schifo e che, grazie a lui, Dante aveva accettato quella prigionia con maggior trasporto.

Negò con il capo e sospirò.

“Voglio trovarlo… voglio guardarlo negli occhi e tirargli un pugno dritto in volto.”

Il sopracciglio del cuoco si inarcò, non era molto sicuro di ciò che aveva sentito, aveva davvero dichiarato “guerra” ad un serial killer? Quanto era folle quel giovane dai candidi capelli?

“Non mi toglierai dalla testa questa idea, devo restituirgli quello che mi hanno fatto qui dentro… è colpa sua dopotutto.”

Incrociò le braccia al petto e sorrise soddisfatto di sé mentre Peter scuoteva il capo e alzava gli occhi al cielo sicuro che al giovane mancasse qualche rotella.

“Ti farai uccidere, prima o poi.”

 

Giorno trentuno.

“Sei libero… una delle telecamere ha ripreso quell'assassino quindi per legge non possiamo incriminarti. Sappi che ti terremo d'occhio.”

Dante indossò il suo amato cappotto rosso e, una volta afferrato anche il piccolo sacchetto con i suoi effetti personali, si incamminò verso l'uscita, alzando la mano in segno di saluto verso quell’uomo.

“Sarà un piacere lasciarsi guardare allora… adios.”

Una volta fuori dalla centrale, camminò per qualche isolato prima di accendere il proprio cellulare e, dopo aver fatto scorrere la rubrica, fece partire una chiamata.

“Klaus, sono appena uscito e avrei bisogno che tu mi recuperi quei file sull'assassino…”

L’uomo inizialmente si rifiutò ma, successivamente, memore dei mille favori che Dante gli aveva fatto, si ritrovò ad accettare…

“Dante dovrai tenerteli per te, non dovrà saperlo nessuno, chiaro?”

Si chiuse così quella conversazione breve e concisa, con un monito come avvertimento per quella sciocchezza che stava facendo, un monito che sapeva che sarebbe stato ignorato.

 

Aveva recuperato quei documenti qualche giorno dopo quella telefonata, era rientrato nel suo appartamento serrandosi dentro, abbassò le persiane e, una volta afferrata una birra dal frigorifero, si sedette a terra iniziando a spulciare quei fascicoli.

Ogni singolo cadavere aveva un fascicolo abbastanza corposo, pagine e pagine di crimini dai più innocui fino a quelli più perseguibili tra cui spiccavano maggiormente: spaccio di droga, spaccio di organi umani, omicidio e pedofilia.

Incrociò le gambe e sbuffò, li aveva sfogliati tutti ed era rimasto sorpreso dal fatto che, nel fascicolo di questo famigerato killer, non ci fosse nulla…

C’era un semplice foglio con scritte quelle tre o quattro righe che i detective avevano percepito da quelle foto rubate dalle telecamere di sicurezza.

Afferrò una di quelle foto e la guardò, come diavolo era possibile che quell’uomo fosse così identico a lui?

Dante sapeva di essere stato adottato quando era piccolo ma non ricordava nulla di quel periodo, l’unica cosa che ricordava con certezza era che si sentiva solo in quel periodo ma null’altro…

“Fanculo.”

Si alzò da quel pavimento bestemmiando tra i denti stretti, si fece una doccia rinfrescante e si ritrovò a sdraiarsi sul letto con i capelli umidi e il petto nudo.

Lasciò che la propria mano scorresse sugli addominali e si toccò distrattamente una di quelle lievi cicatrici che non ricordava come si era fatto, si girò sul fianco e con lo sguardo guardò quelle foto di quello sconosciuto che gli sembrava, così a pelle, quasi familiare.

“Chi diavolo sei tu?”

Un lieve sussurro stanco prima di allungarsi ad afferrare uno di quei pezzi di carta che lo raffiguravano in quel modo così diverso ma uguale a sè, stessi occhi, stessi lineamenti, stesso modo di muoversi e stesso colore di capelli…

Chiunque fosse aveva dovuto studiare bene per imitarlo così bene eppure…

nel suo quadro aveva dimenticato che era riuscito a mandarlo in prigione, a scagionarsi, perchè mai avrebbe colpito nuovamente dopo averlo fatto catturare? Quella non avrebbe dovuto essere la mossa finale, lo scacco matto? La fine dei giochi?

Aveva anche visionato il breve video che ritraeva quello sconosciuto che, dopo aver ucciso due di quegli uomini con una spada, afferrava la pistola dal cadavere e sparava allungando il braccio lungo il corpo in un’armoniosa movenza che lo aveva fatto rimanere scioccato da tanta bravura nell’usare un’arma appena trafugata ad un morto.

Sembrava adattarsi a qualsiasi arma, a qualsiasi situazione come se fosse un professionista, come se lo facesse da sempre e gli riuscisse esattamente come riusciva a respirare.

Era tutto così sbagliato e vago che gli stava venendo mal di testa, sentiva il bisogno fisico di una bella pizza e di una bella dormita, avrebbe sistemato quel bordello dopo.

 
[To Be Continued...]

[1] Coroner = sono medici oppure avvocati che agiscono da ufficiali giudiziari, indagano su casi di morti sospette. Sono coloro che indagano e che studiano sia la causa del decesso e sia le circostanze di esso.

 

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