La Teoria del Tutto

di Lisaralin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Love Letters ***
Capitolo 2: *** The Four Seasons ***
Capitolo 3: *** Romance Addiction ***
Capitolo 4: *** If I Stay ***
Capitolo 5: *** Dolls ***
Capitolo 6: *** Good Riddance ***
Capitolo 7: *** Secret Wishes ***
Capitolo 8: *** Fortune Telling ***
Capitolo 9: *** The Martyr ***



Capitolo 1
*** Love Letters ***


Se pensate che Vexen sia un maniaco-disgustoso-pervertito-sadico-malvagissimo etc., o che sia il personaggio più deprecabile di Kingdom Hearts, questo non è il posto per voi.

Se pensate che non meritasse di redimersi in Kingdom Hearts III, o peggio che la sua redenzione sia out of character, questo non è il posto per voi.

Se appartenete alle due categorie sopra citate e ancora non avete chiuso questa pagina, allora avete una flebile speranza di diventare persone migliori, ed estendo anche a voi il mio umile benvenuto.

Da tempo immemore sul fondo del mio computer giace una lista di 365 (!!) prompt. Purtroppo non ricordo minimamente dove l'abbia trovata, quindi non mi è possibile linkare la fonte (chiedo venia!). Ho sempre desiderato usarla per regalare al mio personaggio preferito di sempre il tributo che merita, ma ho aspettato con (molta) pazienza l'uscita di Kingdom Hearts III per avere il quadro più completo possibile della storia. Adesso manca ancora il DLC Re:Mind, ma penso che i tempi siano abbastanza maturi per iniziare. Anche perché se continuo ad attendere morirò di vecchiaia.

Ogni capitolo sarà una breve storia a sé stante, ma con un filo conduttore comune. Non posterò in ordine cronologico (perché nemmeno io ho ancora chiari tutti i pezzi del puzzle, diciamo che è un magma in evoluzione continua), ma di volta in volta modificherò l'ordine dei capitoli nel precario tentativo di contrastare l'effetto confusione. Oltre al protagonista unico e indiscusso compariranno diversi personaggi ricorrenti, sia di KH che del mondo Disney e di Final Fantasy. Nulla, tuttavia, contradirrà la convoluta e psichedelica trama canonica della saga di Kingdom Hearts.

Per onestà intellettuale devo avvertire che esiste un'altissima probabilità che questa raccolta rimanga incompiuta, ma ho intenzione di godermela al massimo finché dura.

Grazie a tutti coloro che si fermeranno anche solo a dare un'occhiata.
 

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#174 - Love Letters

 

Luce liquida
Scivola tra la seta
Dei tuoi capelli.

 

Even fissava il foglietto come se potesse prendere fuoco da un momento all'altro, o innescare una reazione nucleare in grado di polverizzare all'istante l'intera Radiant Garden. Un bigliettino anonimo, seminascosto tra le cartelline sulla sua caotica scrivania da stagista indaffarato. Poche righe in una grafia ignota, ma il contenuto. ..
Disgustoso.
Alla fine dovette decidersi a toccarlo. Un bel respiro e lo afferrò rapidamente tra il pollice e l'indice, scaraventandolo nel cestino. Poi ci ripensò. Qualche addetto alle pulizie particolarmente impiccione avrebbe potuto trovarlo, dopotutto. Solo quando lo ebbe metodicamente ridotto in brandelli finissimi poté ritenersi soddisfatto.
Vorrei proprio sapere chi si diverte con questi scherzi da due soldi.

 

Per parecchi giorni non ci ripensò. Era uno degli ultimi arrivati al Castello, e gli scherzi alle matricole erano un classico di qualsiasi corso di studi. Soprattutto quando venivi selezionato per il prestigioso apprendistato reale e la concorrenza era spietata. Poco male. Presto avrebbe dimostrato con i fatti di essere migliore di tutti loro.
O almeno così credeva fino a quando, con suo sommo orrore, non gli capitò tra le mani il secondo biglietto.

 

Ombra che danza
La tua snella figura
Nei miei sogni svegli.

 

La situazione iniziava a farsi inquietante.
Alla seconda poesia fece seguito una terza, poi una quarta, tutte nel giro di una settimana. Even cominciava a guardarsi intorno con sospetto ovunque andasse. Non sapeva cosa lo irritasse di più, se l'idea di un apprendista più anziano che da qualche parte sghignazzava sonoramente di lui, oppure l'improbabile ma sempre più concreta ipotesi che qualcuno provasse, come dire… interessi romantici nei suoi confronti.
Considerò persino l'idea di parlarne con Tiana, l'unica persona che escludeva con certezza dalla lista dei sospettati (insieme a Re Ansem, ovviamente ). La capo cuoca del castello era troppo pragmatica e troppo carica di lavoro per perdere tempo con scherzi idioti. Inoltre non avrebbe mai giocato un tiro così infido al suo più fedele compagno di lamentele. Nel breve lasso di tempo tra quando chiudeva la cucina e il momento in cui collassava sul letto priva di forze, ovvero ogni sera dalle undici e mezzo a mezzanotte, Even si recava nella mensa ormai deserta per celebrare con lei il rito a cui avevano dato il nome di Liquore & Lamentele. Tiana sosteneva di averne bisogno per scaricare lo stress della giornata. Consisteva biecamente nello sfogarsi in modo colorito contro qualsiasi cosa o persona li avesse infastiditi durante la giornata.
Il rischio di restare a corto di argomenti era inesistente.
"... e poi quel cretino di Braig ha rovesciato la caffettiera e si è alzato lasciando tutto così, il signorino… "
Even continuava a pensare a quei versi agghiaccianti, e per tutta la sera non spiccicò parola.

 

Quella mattina, sul presto, il capitano Cristophe aveva radunato nei giardini le nuove reclute delle guardie reali per un allenamento intensivo. Sulla terrazza sovrastante Even sorseggiava il primo caffè della giornata, appoggiato alla balaustra, e osservava.
Il colpevole poteva essere tra loro.
Braig, il nemico giurato di Tiana, era in testa ai pronostici. Lo vide sfoggiare un sorriso divertito mentre schivava con una piroetta l'affondo di Beatrix.
"Gli svantaggi di avere un occhio solo, dolcezza!"
Decisamente il tipo da scherzo cretino.
La sua avversaria non disse nulla, ma l'affondo successivo mandò Braig a gambe all'aria e Even dovette trattenersi dall'applaudire. Dal lato opposto del cortile, oltre una fila di roseti, Celes Chere teneva testa da sola alle due reclute più massicce. Dilan sembrava fuori forma, le sue parate arrivavano sempre con un istante di ritardo e i suoi fendenti goffi si guadagnarono più di un urlo di rimprovero dal capitano Cristophe. Aeleus, in compenso, si muoveva con la precisione di una macchina da guerra malgrado la mole da golem.
Se il colpevole è lui dovrò cambiare emisfero.
Celes era un altro punto interrogativo. Tiana sosteneva che fosse un'appassionata di opera lirica, giurava di averla sentita cantare sottovoce passando accanto alla sua stanza dopo Liquore & Lamentele. E se oltre a cantare in segreto si fosse dilettata anche nello scrivere poesie anonime? In quel caso, però…
Imprecò quando il caffè bollente gli bruciò le dita, rovesciato fuori dal bicchiere di carta che aveva stretto con troppa forza.
Memore delle lamentele di Tiana tornò dentro a prendere uno straccio e ripulì meticolosamente la balaustra.

 

"Secondo te nel castello c'è qualcuno che scrive poesie o… cose simili?"
"Perché me lo chiedi?"
"Curiosità. Ne ho trovata una in un cestino, qui a mensa."
Tiana lo squadrò con aria critica da sopra il bicchiere di liquore di paopu.
"Tu non sei il tipo che fruga nei cestini, Even."
"E tu non stai rispondendo alla mia domanda."
"Ah, adesso facciamo i misteriosi."
Even attese in silenzio, senza distogliere lo sguardo. Il liquore scivolava leggero nella gola, lasciandosi dietro una scia di calore dolciastro e piacevole. Da qualche parte, nella mensa deserta e altrimenti silenziosa, si udiva un flebile ronzio, forse un refrigeratore.
"Spiacente, ma non ne ho idea comunque." si arrese infine Tiana. "Cioè, Braig sostiene che Dilan sia un poeta, ma lo sai com'è Braig, il novanta per cento di quello che dice è spazzatura e… "
"Aspetta, aspetta… Dilan?"
Come una folgorazione, all'improvviso i pezzi del puzzle andavano al loro posto.
"Gli piace scrivere ma si vergogna a dirlo. Solita storia. Ma se vuoi il mio parere, sono solo voci messe in giro da Braig per divertirsi alle spalle degli ultimi arrivati."
Even poggiò il bicchiere vuoto. Lo sguardo perforante di Tiana lo informò che aveva appena creato un alone sul tavolo immacolato.
"Ti ringrazio. Mi sei stata molto d'aiuto."
"Ne sono certa. Adesso però tocca a te raccontarmi cosa sta succedendo."
Tiana si alzò stiracchiandosi e afferrò uno strofinaccio dal bancone, lanciandoglielo senza troppe cerimonie.
"Dopo che avrai pulito quell'obbrobrio, ovviamente. Col cavolo che faccio ancora straordinari non pagati."

 

Ancora più difficile che affrontare Dilan fu resistere all'impulso di fare a pezzi il bigliettino successivo. Lo serrò nel pugno cercando di guardarlo il meno possibile e si diresse a grandi passi verso i quartieri delle reclute. Ebbe la fortuna di imbattersi nel giovane soldato con i dreadlock nella saletta comune delle guardie. Era seduto su un divano, e quando lo sentì entrare sollevò lo sguardo da un libro piuttosto voluminoso di cui Even non riuscì a leggere il titolo.
Non c’era nessun altro nella sala. Inutile tergiversare.
"Suppongo questo sia tuo."
Si sentì subito meglio non appena abbandonò la presa sul mefitico foglietto. L'altro impiegò una frazione di secondo a rendersi conto di cosa avesse di fronte, poi il suo viso si colorò in rapida successione di tutte le tinte cromatiche percepibili dall'occhio umano, confermando senza bisogno di parole i sospetti di Even. Il libro cadde a terra con un tonfo quando Dilan scattò in piedi con l'aria di un soldato sorpreso a poltrire sul posto di guardia dal capitano Cristophe.
"Temo di doverti informare che nessuno dei tuoi… messaggi ha raggiunto Celes Chere."
La faccia di Dilan sembrava sul punto di staccarsi e cadere a terra.
"Come… come hai fatto a… ?"
Even si sorprese a provare una certa solidarietà per il soldato. Se ricordava bene era stato assunto al Castello più o meno nello stesso periodo in cui era arrivato lui. Dovevano essere quasi coetanei. Visto da vicino sembrava molto meno terrificante di quando si allenava insieme a Aeleus. I dreadlock e le sopracciglia importanti non riuscivano a mascherare i tratti ancora immaturi del viso, e in quel momento i suoi occhi viola esprimevano uno sguardo di pura mortificazione.
"Ci sarei arrivato prima, se avessi letto con più attenzione gli indizi. Alta, snella, giovane, lunghi capelli biondi… c'è una sola persona in tutto il castello che corrisponda a questa descrizione."
Oltre al sottoscritto, si intende.
"La stessa persona che trasforma una delle reclute più promettenti in un pupazzo incapace di maneggiare una spada ogni volta che si trovano a combattere insieme."
Lo sguardo di Dilan si accese di un'improvvisa consapevolezza. Le dita avvolte nel guanto bianco delle guardie di Radiant Garden strinsero il foglietto fino allo spasmo, riducendolo a una microscopica pallina inoffensiva. I denti serrati, pronunciò una sola parola in tono feroce:
"Braig."
"Chissà perché ci avrei scommesso."
"Quel bastardo frequenta il corso di tiro insieme a Celes, e mi aveva garantito che poteva farle arrivare le poesie senza… io lo ammazzo. Lo strangolo. Lo riduco in briciole e lo faccio mangiare al gufo di Merlino."
"Ti prego, garantiscimi un posto in prima fila quando lo farai."
Dilan tirò un lunghissimo sospiro poi, finalmente, trovò il coraggio di guardarlo negli occhi.
"Ti devo delle scuse. Non c'entravi nulla con questa storia e ci sei finito in mezzo perché mi sono fidato delle persone sbagliate. Ti devo da bere da qui fino alla fine dei tempi."
"Niente scuse. L'idiota ha fregato anche me, dopotutto."
C'era qualcosa di stranamente confortante nel sapere di non essere l'unica vittima degli scherzi alle matricole. 'Mal comune mezzo gaudio' era un proverbio infame, ma incredibilmente accurato.
"Per quanto riguarda l'offrire da bere, puoi cominciare stasera. Mensa, undici e mezza. Liquore e lamentele a volontà. E chissà, magari Tiana saprà darti qualche dritta per Celes."


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Note: Celes Chere e Leo Cristophe sono personaggi di Final Fantasy VI. Beatrix viene da Final Fantasy IX e Tiana è la principessa Disney di "La Principessa e il Ranocchio". Ho voluto popolare di vita l'enorme castello di Radiant Garden, perché non crederò mai che prima dell'arrivo di Ienzo (che qui al massimo sarà un neonato) e di Xehanort fossero solamente in quattro. Un Re deve avere la sua corte.

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Capitolo 2
*** The Four Seasons ***


Se siete arrivati qui c’è una buona probabilità che Vexen non vi faccia troppo schifo.

Se Vexen non vi fa troppo schifo e masticate bene l’inglese, vi consiglio di dare un’occhiata alle fanfiction di Perosha su Archive of Our Own.

Io non ci guadagno nulla a farle pubblicità, se non contribuire a contrastare l’odio verso Vexen nel mondo.

Qualcuno dovrebbe inoltrare una petizione alle Nazioni Unite per far dichiarare i fan di Vexen minoranza etnica.



Upadate perché vedo un po' di gente confusa dal tono onirico della storia (scusate, nella mia testa era tutto chiarissimo, ma si vede che non sono capace di renderlo su carta '^^): la storia è ambientata prima del risveglio di Even in KH3 e si svolge interamente nel suo inconscio. Consideratelo un lungo sogno in varie parti :)



#091 - The Four Seasons

 

Il viaggiatore non riconosce il giardino in cui si trova. Non sa nemmeno come ci sia arrivato. È sicuro di non avere mai visto quel castello in lontananza. Incombe sul giardino come un presagio nefasto, un concerto di torri e guglie conficcate nel cielo grigio, gonfio di pioggia.
Il viaggiatore però si rende conto che i suoi passi non producono alcun rumore calpestando le foglie secche, i suoi stivali non lasciano tracce sulla terra morbida. E questo è un segnale di allarme.
Perciò non si stupisce troppo quando l'uomo che sbuca di corsa dagli alberi avanza verso di lui e gli passa letteralmente attraverso.
Questo mondo è un'illusione, oppure io sono un fantasma.
Certo, sapere chi sia io sarebbe molto d'aiuto.
L'uomo che lo ha attraversato indossa un qualche tipo di divisa militare ed è di corporatura robusta. Il viaggiatore si rende conto con un attimo di ritardo che lo sguardo dello sconosciuto è puntato su una seconda figura, apparsa come per incanto nel giardino. Non lo aveva notato subito perché sembra confondersi con i tronchi spogli e sottili degli alberi: ha il viso scavato e si regge in piedi con difficoltà, ondeggiando nel vento insieme ai rami secchi.
"Non dovresti essere qui."
La voce dell'uomo robusto è un rombo basso, quieto ma inesorabile. O forse si confonde con i tuoni in lontananza.
"Aeleus, ti prego. Vorrei solo parlargli una volta."
La seconda voce invece è simile al lamento del vento tra i rami spogli. Fragile come la persona a cui appartiene.
“Ienzo ha sofferto abbastanza. E tu lo hai deluso troppe volte, Even.”
Le spalle del secondo uomo - Even - sembrano incurvarsi sotto il peso di ogni parola.
Aeleus lo incalza senza muovere un muscolo, senza nemmeno alzare la voce:
“Dov’eri mentre lui passava giorni in laboratorio per aiutare l’Eroe del Keyblade? Quando si è caricato sulle spalle la responsabilità di Radiant Garden, dei nostri, dei tuoi errori?”
L’odore di pioggia si fa sempre più forte, i tuoni più vicini. Nessuno dei due sembra curarsene. Even tiene lo sguardo incollato a terra, e le sue spalle tremano.
Il viaggiatore vorrebbe provare pena per lui, ma la verità è che gli sembra patetico.
“Lo so, Aeleus, lo so. È solo colpa mia. Io… ho avuto paura. Ma se adesso… “
“No.”
Il soldato si limita ad incrociare le braccia, ma l’altro sussulta come se lo avesse schiaffeggiato.
“Hai avuto la tua seconda possibilità, come tutti noi. Ma hai scelto di scappare.”
Non c’è altro da dire. Il viaggiatore vorrebbe attirare la loro attenzione, chiedere cosa stia succedendo, ma capisce che non possono sentirlo. Even si lascia scivolare in ginocchio, spezzato e inutile.
La pioggia picchietta leggera sulle foglie secche.


gli anni di follia

le persone che hai tradito

è il momento di pagare

 

sei solo


La luce lo acceca.
Il giardino è lo stesso, ma inondato di sole.
Fa un caldo afoso, eppure l’uomo davanti a lui indossa un maglione azzurro, appoggiato sulle spalle come un mantello.
Il viaggiatore lo riconosce: Even. Come il giardino, anche lui è lo stesso, ma allo stesso tempo diverso. Più anziano, ma meno fragile. Siede su una panchina dipinta di verde e il suo viso, attraversato da una fitta rete di rughe sottili, è sollevato a godersi il sole. Sorride con evidente beatitudine.
Nell’aria si sente profumo di gelsomini.
Questo Even deve essere importante. Forse è la chiave per uscire di qui.
Ovunque sia qui.
Il viaggiatore indugia all’ombra di un albero, certo ormai di non essere visto. Un istinto che non saprebbe spiegare gli dice che il suo compito in quel momento è soltanto osservare. Analizzare con attenzione tutto quello vede. Per imparare cosa, non lo sa ancora.
Non deve attendere molto: presto un uomo più giovane appare da un sentiero nascosto da una volta di rampicanti in fiore e si siede accanto a Even. Il viso dell’anziano si illumina di gioia.
“Ienzo.”
Verdi. Gli occhi di Even sono verdi.
I due scambiano qualche battuta irrilevante. Commenti sul tempo, sulle ginocchia di Even che sembrano trarre giovamento dal clima caldo, sul risultato di un esperimento che sta dando filo da torcere al giovane.
Poi lo sguardo di Ienzo si perde nella distanza. Si sporge in avanti, le mani intrecciate sulle ginocchia. I suoi capelli sono strani, un taglio asimmetrico con un ciuffo argentato che copre quasi completamente l'occhio sinistro.
Il calore del pomeriggio sfuma i contorni della vegetazione, e tutto intorno si solleva, uniforme e rilassante, il frinire delle cicale.
"Sei sicuro della tua decisione?"
"Non vedo perché dovrei avere dubbi."
Per qualche misterioso motivo, la serenità nella voce di Even rassicura l'animo inquieto del viaggiatore.
"Potresti regnare ancora molti anni."
L'anziano ride di gusto. "Oh, ho intenzione di vivere ancora a lungo! Non me ne vado certo perché penso di essere sull’orlo della tomba. Ma io e Tiana ci meritiamo un po' di riposo e di tempo solo per noi, non credi?"
"Lo so, Even. Hai ragione. È il mio egoismo a parlare per me."
Lentamente, Even posa una mano sul braccio del giovane. Le sue dita sono sottilissime e la pelle chiara lascia trasparire ogni piccola vena azzurra al di sotto, ma la presa è salda e gentile. Paterna.
"Di cosa hai paura?"
"Even il Saggio. Colui che ha capito le intenzioni di Xehanort e Braig, fermato i loro piani, salvato il suo maestro, difeso i suoi compagni e protetto Radiant Garden dall'oscurità. Un grande scienziato e un eroe. Come potrò mai essere all'altezza?"
Il viso di Ienzo è rivolto verso il basso, e adesso entrambi gli occhi sono nascosti dal ciuffo argentato. Il viaggiatore deve sporgersi per ascoltare le parole successive, poco più che un sussurro annegato nel canto degli insetti estivi.
“In questa storia ero solo un ragazzino da proteggere.”
Even posa la mano libera su quella del giovane. Ogni suo gesto è carico di una dolcezza piena di grazia che fa salire al viaggiatore le lacrime agli occhi.
“È semplice. Non devi mai dimenticare che senza quel ragazzino Even il Saggio non sarebbe mai stato quello che è stato.”


l’unico disegno è nella tua mente


Le torri del castello sono spezzate. Le loro macerie si distinguono appena nella landa ricoperta di ghiaccio. Il viaggiatore fatica a distinguere i contorni delle cose: il cielo è scuro, non a causa di nuvole o nebbia, ma perché qualcuno o qualcosa ha obliterato il sole. Una luminosità violacea, fredda e spettrale, è tutto ciò che ne resta. Si riflette nel cielo e sulle rovine senza provenire da una fonte precisa. Il buio completo, forse, sarebbe meno inquietante.
Il vento tagliente penetra fin dentro le ossa, ulula parole malvagie alle orecchie del viaggiatore.
La parodia di luce accarezza anche le guglie acuminate di una piramide di ghiaccio. Deve lottare contro il vento per avvicinarsi, ma alla fine il viaggiatore riesce a scorgere una figura umana prigioniera tra le stalagmiti. Gli ricorda un’offerta sacrificale: le braccia e le gambe divaricate, inghiottite dal ghiaccio fino ai gomiti e le ginocchia. Ha i capelli lunghi e arruffati, il viso tumefatto. Quando solleva a fatica lo sguardo, il viaggiatore vede che l’uomo ha un occhio solo. L’altro, il destro, è coperto da una benda.
L’unico occhio si dilata di paura e il viaggiatore per un attimo pensa che lo sconosciuto stia guardando lui. Alza le mani in un gesto conciliante.
Non voglio farti del male.
Ma ovviamente l’uomo nel ghiaccio non può vederlo. L’oggetto della sua attenzione è una figura incappucciata che sembra essere appena stata sputata fuori dalle tenebre. Si avvicina senza fretta, le vesti nere scosse dal vento, e il viaggiatore viene percorso da un brivido che probabilmente non ha nulla a che vedere con il freddo di quel mondo senza vita.
Vorrebbe fuggire, ma le gambe lo inchiodano al terreno ghiacciato.
“Tu non… sei… Xeha... nort.”
Parlare costa uno sforzo immenso al prigioniero, che stringe i denti per soffocare un gemito di dolore. Chissà da quanto tempo è lì.
La figura nera arriva fino alla base del blocco di stalagmiti e incrocia le braccia. Le dita avvolte in un guanto nero accarezzano pensierose il mento: non ha fretta di rispondere.
Infine, quando si ritiene soddisfatto da qualsiasi ragionamento si sia svolto nella sua mente, solleva lentamente le braccia e abbassa il cappuccio.
Lunghi capelli argentati scivolano liberi sulle spalle, spettrali nel chiarore violaceo.
Il viaggiatore sussulta e dalla sua bocca fuoriesce un grido senza suono.
Conosce quell’uomo.
Negli altri sogni non aveva gli occhi color ambra e quel sorriso spaventoso che gli attraversa il viso come una lama, ma non può non riconoscerlo.
È sbagliato. Tutto il suo essere si ribella contro quello che ha appena visto. Even ha gli occhi verdi.
“Diciamo piuttosto che adesso Xehanort è me. O una parte di me, se vogliamo essere precisi.”
La risata di Even-che-non-è-Even stride come due blocchi di ghiaccio che sfregano tra loro. Si protende leggermente in avanti per esaminare il prigioniero, assottigliando quegli occhi gialli così innaturali. Per un attimo uno dei due sembra diventare più grande dell’altro.
“Devo concedervelo, il vostro piano era ambizioso e meritevole, Braig.”
Il prigioniero sussulta quando le dita della cosa che indossa il corpo di Even gli serrano il mento, obbligandolo a guardarlo.
“O forse dovrei dire Luxu?”
“No… come… non… è… “
Luxu (o Braig?) soffoca nelle sue parole e nel suo stupore. Difficile capire se il suo viso appaia bluastro per la luce strana o perché è sul punto di morire congelato. Ma il viaggiatore sa di non poter fare niente per lui.
“L’Oscurità rivela molte cose.” prosegue l’Even dell’incubo. “Il prezzo è stato alto, ma ben commisurato al guadagno. Uno scambio equivalente, tutto sommato. Come dicevo, il piano di Xehanort era di tutto rispetto. Solo un punto non mi convinceva.”
Di nuovo quel sorriso, di nuovo quella luce negli occhi spaventosi. Come se l’anima dentro di essi fosse stata rimpiazzata da una scintilla di follia.
“Perché sarei dovuto diventare un contenitore per l’anima di Xehanort, quando lui poteva diventarlo per la mia?”
“Cosa… vuoi… da me?“
“Oh, stai tranquillo.” Questo Even ama ridere, ma la sua risata è più fredda dell’ululato del vento. “Ho già trovato i contenitori che mi servono. Radiant Garden è… era popolosa, fortunatamente. Per te ho un altro scopo, mio caro Luxu. Ci sono ancora degli stralci di conoscenza che mi eludono, e vorrei rimediare al più presto a questa orribile mancanza. Perciò ora rispondi alla mia domanda.”
Non farlo, prega il viaggiatore. Non dargli modo di cadere ancora più a fondo nell’Oscurità.
Perché gli interessava più salvare Even che quel pover’uomo prigioniero dei ghiacci?
“Dimmi tutto quello che sai di una certa Scatola Nera.”


non è da te arrenderti


hai sempre avuto il controllo

mai un’esitazione


nel tuo cuore di ghiaccio


I fiori appena sbocciati sono già sporchi di sangue.
Al viaggiatore, però, sembra un dettaglio poco rilevante. Gli occhi di Even sono tornati verdi, e questa è l’unica cosa che conta.
Vorrebbe piangere di gioia.
Non lo preoccupa che Even sia in ginocchio in mezzo al prato, il volto contratto dal dolore e le mani premute sul petto su cui si allarga una ferita spaventosa.
Non lo preoccupa che dal suo corpo si sollevino filamenti di oscurità e brandelli di luce, gocciolando silenziosamente verso il cielo azzurro.
Non lo preoccupa nemmeno l’uomo con il viso attraversato da una cicatrice a forma di croce che incombe su di lui.
Even ha di nuovo gli occhi verdi, e ogni cosa è come dovrebbe essere.
“I traditori vanno eliminati.”
L’uomo con la cicatrice lo dice come se stesse enunciando un teorema. Non c’è rabbia nella sua voce, e il suo viso è disteso. Impassibile.
Anche la natura tutto intorno non sembra curarsi del dramma. I fiori oscillano pacifici nella brezza, nuvole bianche si stiracchiano nel cielo. Gli uccelli cantano, e a nessuno importa della vita che si sta spegnendo piano piano.
“Perché, Vexen?” Appena un’ombra di curiosità nella voce piatta dello sconosciuto. Il suo nome è Even, idiota.
“Xemnas stimava il tuo lavoro. Ti aveva dato carta bianca. E tu getti al vento la possibilità di continuare la tua preziosa ricerca per liberare quella… cosa.”
“Lei non è… una cosa.”
Even - perché il suo nome è Even - incontra lo sguardo dell’altro senza paura. Nonostante il dolore trova la forza di piegare le labbra in un debole sorriso.
“Mi fai pena, Saïx. Noi possiamo… possiamo riavere il cuore. Non c’è bisogno di Kingdom Hearts o… dei piani di Xemnas.”
“E lo hai capito studiando quello scarto di laboratorio.”
“Lei è… la cosa migliore che io abbia mai fatto. Vorrei… averlo capito prima.”
Even svanisce lentamente, avvolto dalle spire di oscurità.
Sul prato, dove il suo corpo era stato fino a un attimo prima, rimangono soltanto fili d’erba sporchi di sangue e una conchiglia colorata.


io sono il più forte di tutti

e ti aiuterò sempre a rialzarti

 

non sei solo


Il viaggiatore apre gli occhi e si alza a sedere di scatto.
Deve calmare i respiri affannosi prima di rendersi conto di dove si trova. Un letto, la luce del mattino che si insinua in una stanza ordinata. Lenzuola che profumano di pulito. Fiori sul davanzale.
No, non un letto. Il suo letto. La sua vecchia stanza, nel castello di Radiant Garden.
È sicuro di aver fatto dei sogni, ma più cerca di afferrarli e più quelli sfuggono alla sua comprensione. Si prende la testa fra le mani. Gli sembra che un martello gli stia sfondando le tempie.
Quanto ho dormito?
Pian piano, brandelli di ricordi affiorano dalla massa incoerente dei suoi pensieri.
Addio!”
L’odore disgustoso della carne bruciata, la sua. Il calore impossibile delle fiamme, il dolore, il terrore cieco e assoluto.
Istintivamente Even circonda il proprio corpo con le braccia e serra gli occhi, supplicando con tutte le sue forze che i ricordi lo lascino in pace.
Non voglio…
“Axel… “
Ma è ancora vivo, contro ogni logica.
No.
Non sono ancora vivo.
Sono di nuovo umano.


Note: universi alternativi? Sogni? Possibilità mai realizzate? Interpretate come volete le visioni nella mente di Even.
Le citazioni tra un paragrafo e l’altro sono traduzioni (molto libere) dalla canzone “Day 02: Isolation” di Ayreon, di cui io ABUSO in più o meno qualsiasi cosa che scrivo. Ma per me quella è la canzone di Even prima del risveglio, e lo penso da molto prima di KH3.

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Capitolo 3
*** Romance Addiction ***


Warning: questa storia si prende poco sul serio.

Stavolta siamo dopo il finale di KH3, ma prima del filmato dell'ending in cui Naminé finalmente si risveglia.

In un mondo ideale avrei scritto tutte le storie in ordine cronologico, partendo dalla giovinezza di Even pre-BBS fino ad arrivare al post KH3. Ma chiaramente non viviamo in un mondo ideale.


#081 - Romance Addiction 

 

"... e poi, proprio mentre stavo per uscire allo scoperto, ecco che arriva lui. Alto, capelli neri, camminata sicura da padrone della spiaggia. Beh, in effetti potrebbe benissimo essere il padrone della spiaggia. Un principe, a quanto pare. La mia solita iella."
La fase successiva del procedimento era cruciale, e Even gettò uno sguardo critico al monitor su cui lampeggiavano i parametri vitali della replica. Decisamente non uno dei modelli più avanzati, oltretutto arrivato in laboratorio in pessime condizioni (stando al racconto di Riku, era rimasto abbandonato in mezzo a tempeste di sabbia e sommovimenti tettonici per quasi tutta la battaglia tra le Sette Luci e le Tredici Oscurità. Oggigiorno erano tutti bravi a far roteare un Keyblade, ma appena c'era bisogno di un lavoro di perizia e finezza eccoli là, puntuali come gli orologi del Bianconiglio, in fila a piagnucolare davanti agli scienziati).
Solo un generosissimo 10% della sua attenzione era sintonizzato sul blaterare di Demyx.
"... ma quando l'ho sentita pronunciare il nome del principe, ho capito che per me non c'erano chance. 'Eric…' . Giuro, si sentivano i brillantini rosa nella voce. E io che pensavo nuotasse fino alla spiaggia perché le piaceva la mia musica!"
"Non si chiamava Eric pure quell'altro?"
Aveva risposto per automatismo, ma i suoi occhi setacciavano la scrivania invasa di schemi e diagrammi alla ricerca del fascicolo che gli serviva. Pur avendo a disposizione tecnologie come il DTD o i sistemi avanzati del Castello dell'Oblio, Even aveva sempre preferito lavorare su carta. Gli trasmetteva quella sensazione di tangibilità e certezza che aveva sempre reso la scienza così affascinante ai suoi occhi. 
Eccola, la relazione completa dei primi sette giorni di vita di No. i. Il frutto più prezioso delle ricerche di una vita. Di tre vite, per l'esattezza.
Even. Vexen. Even che aveva accettato di ridiventare Vexen.
Tre vite che potevano salvarne molte altre.
"Ora che ci penso è vero. Deve essere una maledizione!"
Un odore improvviso e inconfondibile lo informò che, ai margini del suo campo visivo, Demyx aveva appena aperto un pacchetto di patatine nel suo laboratorio. Si voltò e fece per strapparglielo di mano, ma l'ex numero IX dell'Organizzazione fu più rapido, disimpegnandosi con un balzo all'indietro.
"Facciamo che se mi permetti di mangiarle te ne offro la metà. Ti preeeeego!"
Even lo inchiodò con uno sguardo omicida.
"Purché tu non faccia cadere neanche una briciola." concesse infine. Raddoppiò l'intensità dello sguardo omicida per essere sicuro che Demyx recepisse correttamente il messaggio.
“Grazie! Sei il migliore, Even!”
Saltellando come un bambino felice, il Notturno Melodico si lasciò cadere su una poltrona con lo schienale reclinabile e iniziò ad aggredire le patatine con l’implacabilità di un rullo compressore.
“In effetti anche quell’altro si chiamava Eric” commentò a bocca piena. Even continuava a sfogliare il fascicolo, ma la voce di Demyx aveva una qualità stridula e trapanante che tendeva a reclamare in modo decisamente violento l’attenzione delle sue sinapsi.
“Quello inquietante che viveva dietro lo specchio. Un altro rivale imbattibile.” Le labbra sporche di briciole si aprirono in un sospiro teatrale, e il ragazzo sprofondò ancora più a fondo nella poltrona. “Giuro, pensavo che fosse uno stalker da due soldi, ma poi l’ho sentito cantare. Roba dell’altro mondo. Ci credo che Christine era stregata da lui. Morale della favola: diffidare dei tizi di nome Eric. Ti fregano le ragazze.”
“Perché qualcuno possa ‘fregartele’ devono prima essere tue.”
“Ehi! Questo era un colpo basso!”
Una spia rossa lampeggiò sul monitor. Even richiamò sullo schermo alcuni parametri, poi studiò la capsula di sospensione con le sopracciglia aggrottate. La replica, ancora totalmente priva di tratti somatici, fluttuava placida nel liquido al di là del vetro senza mostrare segni di agitazione. I valori di temperatura e pressione all’interno della capsula erano nella norma. Eppure, il battito cardiaco risultava inspiegabilmente accelerato.
Ancora quella strana anomalia.
“Dì la verità, sei solo geloso perché io mi godo la nostra nuova, meravigliosa libertà mentre tu stai tutto il giorno chiuso qui dentro a lavorare.”
“Io… “
Dovrei parlarne con il Maestro Ansem e con Ienzo. Se Ienzo si degnerà di rivolgermi la parola, s’intende.
“... sono esattamente dove dovrei essere.”
"Ma troppo tardi", aveva dichiarato Ienzo. "Ti eri stancato di giocare all'eroe?" 
Non importava quanto avesse rischiato per sottrarre una replica agli sgherri di Xehanort, o che fosse riuscito a riportare il Maestro Ansem sano e salvo a Radiant Garden. Ienzo non gli aveva perdonato il suo ritorno all’Organizzazione, anche se era stato per uno scopo nobile. Roxas lo aveva accolto con gratitudine, Xion continuava a chiamarlo sul Gummiphone per bombardarlo di domande su come era stata creata, persino Lea aveva biascicato delle scuse per "quel brutto incidente", trovando addirittura il coraggio di offrirgli un gelato al sale marino.
Even si era redento agli occhi di tutti, tranne che del ragazzo che aveva amato come un figlio.
“Ehi, non è che per caso sai preparare filtri d’amore?”
“Sono uno scienziato, non una fattucchiera da due soldi.”
Distolse lo sguardo dalla capsula e fissò Demyx con severità. Non sapeva quanti anni avesse, né gli era mai interessato chiederlo, ma non doveva essere troppo più grande di Ienzo. Per il resto, i due non potevano essere più diversi.
“Cos’è questa improvvisa fissazione? Ti infatui di qualcuno in ogni mondo in cui metti piede.”
“Per la prima volta dopo anni ho un cuore e la libertà. È tanto strano?”
Cristallino. Semplice. Puro, a suo modo. Per la prima volta, Even rimase a corto di risposte.
Si chiese se fosse quello il vero motivo per cui, una volta risvegliato, aveva accettato di infiltrarsi nell’Organizzazione. Una missione folle e per certi versi suicida. Perché non aveva fatto in tempo ad aprire gli occhi che un macigno di emozioni gli era piombato addosso, rotolando dalla vertiginosa altezza di dieci anni da Nessuno.
Improvvisamente gli tornarono alla mente altre parole di Demyx, riecheggiate anni prima nel vuoto freddo dell’Area Grigia, ai tempi in cui entrambi erano privi di cuore:
“Ti viene mai voglia di fare qualcosa di stupido… ma semplicemente FANTASTICO?”
Dubitava che Ienzo avrebbe mai accettato una spiegazione simile. Mi dispiace Ienzo, ma le emozioni mi hanno sopraffatto e ho deciso di fare qualcosa di stupido ma semplicemente  fantastico.
Eppure, la scienza insegnava che spesso le soluzioni più semplici sono anche quelle esatte.
“Suppongo di no” ammise infine. “Dopotutto sei giovane.”
“Hai appena ammesso di essere vecchio.”
Stava prendendo in considerazione l’idea di strangolarlo, ma l’altro allungò il pacchetto di patatine nella sua direzione con un sorriso da combinaguai impenitente, e Even ricordò all’improvviso di aver saltato colazione e pranzo per tenere sotto controllo la replica. Accettò l’offerta con un mugugno di ringraziamento.
“Dato che io sono vecchio, perché non vai a raccontare i tuoi patemi amorosi a qualche coetaneo invece di infestarmi il laboratorio?”
Si pentì immediatamente della domanda. Dannazione, era ovvio.
“Chi altri potrebbe darmi buoni consigli se non il mio fedele complice?”
Tradotto: sono solo come un cane. Non conosceva il passato di Demyx, non sapeva neppure il suo vero nome. Ma un ragazzo così giovane, totalmente privo di ambizioni di potere o conoscenza, che si ritrova invischiato per ben due volte in un’Organizzazione votata a seminare caos nei mondi, difficilmente poteva provenire da una famiglia stabile, o avere una folla di amici fedeli pronti a supportarlo.
Il sorriso del ragazzo, tuttavia, sembrava sincero. Aveva reclinato lo schienale all’indietro, e ora fissava il soffitto con aria sognante. Il pacchetto di patatine era rimasto tra le mani di Even, che si decise finalmente a riporre il fascicolo e a sedersi a sua volta su uno sgabello per spazzolare quello che era rimasto. In passato non avrebbe mai consumato pasti in laboratorio, tantomeno avrebbe permesso ad altri di farlo. Forse stava davvero diventando vecchio.
Basso e regolare, il ronzio del sistema di alimentazione della capsula cullava i suoi pensieri.
Non mi sono scordato di te, Naminé. Dammi solo il tempo di recuperare energie.
“Sai una cosa?”
Demyx aveva storto il collo per arrivare a incontrare il suo sguardo. Ora che i segni della possessione di Xehanort erano spariti, i suoi occhi erano tornati chiari come uno specchio d’acqua, con appena una punta di verde. Even non gli aveva mai visto in faccia un’espressione così seria.
“Dicevano che tu eri un rompiscatole, e io un idiota. Ci hanno sbattuti tra le riserve senza guardarci due volte. I deboli, gli scarsi. Eppure li abbiamo fregati alla grande.”
Suo malgrado, Even sentì le proprie labbra distendersi in un sorriso. Avrebbe potuto fargli notare che Vexen era stato messo tra le riserve perché la sua ricerca era fondamentale per i piani dell'Organizzazione, e Xehanort non poteva rischiare di perderlo spedendolo in prima linea come uno scagnozzo qualunque. Ma il sorriso di Demyx era così pieno di orgoglio che non se la sentì di rovinare il momento con le sue constatazioni da vecchio disilluso. Una parte di lui avrebbe davvero voluto credere alla storia dei due eroi venuti dal nulla che avevano unito le forze e assestato un duro colpo al male senza nemmeno bisogno del potere del Keyblade.
Suonava sicuramente meglio di un musicista solo al mondo finito tra i cattivi per puro caso e uno scienziato disperato alla ricerca di una redenzione impossibile. 
“Io credo che noi due, amico mio, abbiamo fatto qualcosa di fantastico.”


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Note: ho cercato di essere il più vaga possibile riguardo la storia di Demyx, ma sono sicura che Re:Mind o KHUX smentiranno alla grande anche il poco che ho scritto. Più che altro, temo che Demyx avrà un destino diverso che girare per i mondi a caccia di avventure amorose per poi riversare il suo male di vivere su un certo scienziato di nostra conoscenza. Tuttavia, a me piacerebbe se alla fine venisse inglobato nella famiglia allargata di Radiant Garden, visto che per il momento condivide più trascorsi con loro che con i suoi presunti "compagni" dei tempi di KHUX. 

La citazione di Demyx nell'Area Grigia è una frase che dice realmente in Days se Roxas interagisce con lui a un certo punto del gioco; non sono sicura che avvenisse prima della morte di Vexen, ma direi che ha poca importanza. Ricchi premi per chi indovina da che opere provengono i due Eric che fregano le ragazze a Demyx XD (vabbè, uno è anche comparso in KH, quindi è facile).

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Capitolo 4
*** If I Stay ***


Warning: se non vi piacciono le ship tra personaggi Disney e personaggi che non hanno niente a che fare con le loro opere di provenienza, evitate come la peste questo capitolo.

Avevo scritto che avrei modificato di volta in volta l’ordine dei capitoli per seguire la cronologia, ma mi sono accorta che confonderei solamente le idee, quindi penso che mi limiterò a dare volta per volta indicazioni sulla collocazione temporale. In questa storia ci troviamo di nuovo nella giovinezza di Even, nel pieno splendore di Radiant Garden, un periodo imprecisato di tempo dopo la prima storia della raccolta, “Love Letters”.



#358 - If I Stay

 

“... e lì a destra ci sarà l’angolo gourmet. I tavoli con i separé in cima alle scale. E, ovviamente, il pianoforte. L’accompagnamento musicale non può mancare in una serata che si rispetti.”
“Abbiamo le idee chiare, vedo.”
Ovvio che aveva le idee chiare. Davanti ai loro occhi si estendeva solo un vasto stanzone polveroso, illuminato a stento dai pochi raggi di sole che riuscivano a filtrare attraverso le travi di legno inchiodate alle finestre, ma Tiana sognava il suo ristorante da quando aveva cinque anni e vedeva tutto senza ombra di dubbio, lucido e scintillante come sarebbe stato un giorno. Sentiva il profumo dei piatti spargersi dalle cucine e dai tavoli, ammaliante come il canto di una sirena, e il chiacchiericcio dei clienti fare da sottofondo alle note del piano. La gente sarebbe venuta da ogni angolo di Radiant Garden per assaggiare le sue creazioni.
“Non ti piace?”
“Diciamo che… personalmente, la parete di destra mi sembra perfetta per il tavolo degli strumenti ottici, mentre laggiù starebbero benissimo una centrifuga e l’autocla… “
Tiana zittì Even con una gomitata nel fianco.
“Giù le mani dal mio ristorante. Hai già un laboratorio in cui divertirti.”
“Tecnicamente non è mio.”
Even sollevò il mento e cerco di simulare un’aria altezzosa, ma la linea delle sue labbra virava incontrollabilmente verso sinistra, segno che stava per scoppiare a ridere.
“Nemmeno la cucina del castello è mia. E non somiglia neanche lontanamente alla mia definizione di ristorante di classe.”
“Neanche la clientela lo è, in effetti.”
Le piaceva il suono della loro risata che rimbalzava tra il soffitto e le pareti del magazzino semivuoto. Le sembrava un ottimo auspicio per il futuro.
“Te lo immagini Braig in un ristorante a cinque stelle?”
Tiana avrebbe invitato l’intero plotone delle guardie di palazzo, con tanto di stivali fangosi e divise sudate dopo un allenamento, se fosse servito a tramutare il suo sogno in realtà.
“A dire il vero, io speravo che un certo apprendista di successo si sarebbe offerto per essere il mio primo cliente.”
“Sono uno scienziato, non una cavia!”
Stavolta, Even ebbe la prontezza di schivare la gomitata.
“Ma potrei ripensarci in caso di sconto per gli amici di vecchia data.”
“Sei peggio del signor De’ Paperoni!”
“A proposito di De’ Paperoni… non è che stai comprando da lui questo posto? Quel papero possiede mezza Radiant Garden. Ma, dalla fama che ha, non ti concederà nemmeno mezza giornata di proroga se dovessi tardare con le rate… “
Tiana scosse la testa. Even era così… tenero, alle volte. Se scrostavi per bene la patina di battutine, ironia e sorrisetti dal suo viso sottile, ecco scintillare, in tutta la sua purezza, la preoccupazione per un’amica che rischiava di venire sommersa dai debiti nel tentativo di realizzare il proprio sogno. Ma stavolta Tiana era sicura. Mancava così poco.
“No, niente De’ Paperoni. Un certo signor Grazia. Anziano, modi burberi ma con una certa cavalleria da gentiluomo di altri tempi. Non troverò di meglio per un prezzo del genere.”
“Mai sentito nominare.”
“Né io né te siamo famosi per la sfolgorante vita sociale, Even.”
In effetti, da quando lavorava per Re Ansem, tutta la vita sociale di Tiana si riduceva a quell’unica mezz’ora di chiacchiere con Even prima di strisciare verso la sua stanza e crollare a letto senza neanche la forza di sfilarsi le scarpe. Qualche volta si univa a loro anche Dilan delle guardie reali, ma lo vedevano molto meno da quando si era fidanzato con la collega Celes dopo un lungo e travagliato corteggiamento.
Non che sentisse la mancanza di altri tipi di divertimento. I suoi momenti liberi erano pochi ma preziosi, e la aiutavano a riprendere il respiro prima di continuare il lavoro con gli occhi ben saldi sulla meta. Non aveva bisogno di altro.
Tuttavia, in un angolino nascosto del suo cuore, sapeva che quelle sere passate a condividere chiacchiere e liquore di paopu con Even, una volta aperto il ristorante, le sarebbero mancate immensamente.


Erano le sette in punto e Tiana ancora si crogiolava nel letto.
La sera precedente non aveva caricato la sveglia, ma la sua stanza si affacciava su un’ala dei giardini del castello e, in quel momento, il vetro della finestra incorniciava gli allegri getti d’acqua della fontana che si spegneva ogni sera a mezzanotte e si accendeva ogni mattina alle sei e mezza, scandendo il ritmo ferreo della sua routine.
Una parte del suo cervello, nel profondo dove risiedevano gli istinti più ancestrali, suonava campanelli d’allarme e mandava incessanti segnali al corpo allo scopo di iniziare le attività della giornata: alzarsi, buttarsi sotto la doccia, indossare divisa e grembiule e raccogliere i capelli in un impeccabile chignon. Se accorciava a cinque minuti il tempo della colazione poteva ancora aprire la mensa in perfetto orario per l’arrivo dei membri della guardia che staccavano dal turno di notte.
Ma quella non era una giornata come le altre.
Sotto il letto la valigia era pronta, in attesa solo delle aggiunte dell’ultimo minuto come spazzolino da denti e pantofole. E, anche se avesse voluto indossare la divisa da lavoro, non avrebbe potuto farlo comunque, perché l’aveva restituita il giorno prima quando era passata nell’ufficio di Re Ansem per consegnare la lettera di dimissioni.
Non era più la cuoca del palazzo di Radiant Garden.
Socchiuse gli occhi, perdendosi a rincorrere il gioco di ombre e riflessi che la luce delicata del mattino dipingeva sul soffitto. Fuori dalla finestra le chiome degli alberi ondeggiavano pigramente nel venticello primaverile, accompagndosi allo scroscio della fontana in un tentativo quasi riuscito di cullarla nuovamente nel sonno. La gummiship sarebbe partita soltanto tra due ore. Per la prima volta in vita sua, Tiana aveva tempo.
Accanto a lei, il respiro profondo e regolare di Even era quello di una persona felicemente addormentata, lontana dai pensieri del mondo.
Tiana tirò con delicatezza il lenzuolo, rivendicando la parte che lui le aveva inavvertitamente rubato durante la notte, e si girò sul fianco per guardarlo. La metà del viso che non giaceva seppellita nel cuscino alto e morbido era distesa in un’espressione serena, tagliata a metà da una ciocca di capelli chiari con cui Tiana prese a giocherellare distrattamente, facendosela scivolare tra le dita.
Doveva ammettere che non era affatto male risvegliarsi in quel modo.


Non era stata particolarmente furba a nascondersi in cucina e così, quando non l’aveva vista arrivare alle undici e mezza precise come al solito, Even aveva impiegato pochi minuti per scovarla.
Tiana non avrebbe mai voluto che lui la vedesse ridotta in quel modo, con lo chignon mezzo crollato e gli occhi ingloriosamente gonfi di pianto. Aveva usato il grembiule per asciugarsi il viso e adesso il quadrato di stoffa giaceva stropicciato ai piedi dei fornelli. Sollevò appena la testa quando sentì la porta della cucina richiudersi e i passi di Even avvicinarsi lentamente allo sgabello su cui si era accasciata come un sacco vuoto.
Gli occhi di lui registrarono ogni dettaglio della scena impietosa. Spostò il peso da un piede all'altro, si schiarì la voce, poi aprì la bocca e la richiuse subito, risparmiandole qualsiasi osservazione brillante gli fosse passata per la mente. Tiana gliene fu grata.
Infine Even incrociò le braccia e si appoggiò contro un surgelatore, in attesa.
"Sono stata un'ingenua."
Detestava sentire la propria voce così roca e fragile.
"Il signor Grazia? Un truffatore. Un ladro. Un criminale. Voleva vendermi il locale per depistare le indagini sul suo conto. Nel seminterrato hanno trovato merci rubate che non era ancora riuscito a trasferire. Tutto confiscato, locale compreso. A tempo indeterminato."
Una volta rotta la diga, le parole si accatastavano l'una sull'altra come una valanga.
"Aspetta… e la rata che già gli avevi pagato?"
"Secondo te? Quel ladro ha sperperato tutto fino all'ultimo munny. Gioco d'azzardo, attrezzi da scasso e informazioni logistiche per un progetto di furto ai danni di De' Paperoni. Non è rimasto niente. Anni di lavoro, il sogno di mio padre… tutto andato in fumo."
Even allargò le braccia. "Ma lui deve risarcirti! Forse ci vorrà un po' di tempo, ma i giudici sicuramente… "
Lo sgabello si rovesciò sul pavimento con uno schiocco fragoroso quando Tiana si alzò di scatto. "Risarcirmi? Per risarcirmi dovrebbe possedere qualcosa! Il suo patrimonio ammonta a una misera roulotte che divide con i nipoti. Non posso certo aprire il ristorante in una roulotte!"
Si coprì gli occhi con le mani. Even non meritava tanta durezza, ma in quel momento Tiana sentiva un vulcano esplodere nel petto e avrebbe fatto a pezzi chiunque le capitasse a tiro soltanto per placare la rabbia.
Si aspettava che anche lui le urlasse contro, o che se ne andasse sbattendo la porta. Aveva esagerato. Lottò per reprimere le lacrime che pizzicavano spietate agli angoli degli occhi.
Dopo qualche attimo di silenzio sentì la mano di Even stringerle con delicatezza la spalla.
“Mi dispiace tanto, Tia.”
Quello che era successo dopo era stato… inaspettato, e imbarazzante, e decisamente poco professionale per due persone adulte che condividono gli stessi ambienti di lavoro, ma le aveva fatto dimenticare, seppure solo per poche ore, l’orrendo vicolo cieco in cui era andata a incappare la sua vita. Era stata lei ad abbracciarlo per prima. Aveva sentito le sue spalle irrigidirsi di colpo, poi rilassarsi gradualmente finché anche lui non aveva aperto le braccia per stringerla a sé. Il suo camice profumava ancora di qualche strana pianta esotica che doveva avere usato per un esperimento quel giorno.
Per la prima volta dalla morte di suo padre, Tiana non si era sentita più sola.


Avere tempo significa anche rimanere in balia dei propri pensieri, come Tiana scoprì a proprie spese quella mattina.
Si lavò e vestì con gesti lenti e metodici, ma le sembrava che quel corpo non fosse il suo. Si sentiva uno spettro intrappolato a osservare la realtà attraverso un velo ovattato. Quando Even aveva iniziato a rigirarsi nel letto era corsa a tirare le tende, facendo piombare la stanza nella penombra, e si era avvicinata per sussurrargli: “Dormi. L’alba è ancora lontana.”
Scorretto da parte sua, soprattutto sapendo che Even aveva trascorso le due nottate precedenti quasi in bianco per portare a termine un progetto di ricerca da presentare a Re Ansem. Ma i propri pensieri erano una già una presenza abbastanza ingombrante da riempire totalmente la stanza. Un Even sveglio e in grado di parlare avrebbe solo complicato le cose.
Even l’avrebbe aiutata a rimettere insieme la somma per il ristorante. Non glielo aveva mai chiesto, ma ne era sicura. I suoi genitori erano benestanti e i suoi risparmi riposavano quasi intoccati nel caveau della Moogle Bank. La borsa di studio da apprendista copriva tutte le sue necessità, e lui non aveva mai manifestato intenzione di aprire un’attività in proprio.
Ci avrebbe messo di più, ma avrebbe ancora potuto aprire il ristorante a Radiant Garden. Cos’era ancora qualche anno da sopportare come cuoca e cameriera factotum? Avrebbe restituito a Even fino all’ultimo munny. Nel frattempo anche lui sarebbe avanzato di carriera, e avrebbero potuto pensare persino a una casa tutta loro.
E poi chi lo sa, tante voci di corridoio davano Even come un probabile successore di Re Ansem, in un futuro lontano.
Potremmo essere re e regina di Radiant Garden.
Immaginò il viso di suo padre rabbuiarsi per la delusione di fronte a quel pensiero da adolescente sciocca. Si vergognò come se l’idea di derubare De’ Paperoni fosse stata sua. Avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
Da quando aveva cominciato a credere alle fiabe della buonanotte?


Tutti sapevano che De’ Paperoni era in affari con Re Ansem, ma Tiana non aveva idea che il re-scienziato di Radiant Garden avesse regalato al vecchio papero una tessera per consumare gratis alla mensa del castello.
“Sicuramente mangia qui per risparmiare” aveva commentato Even. “Dilan mi ha raccontato che una volta lo ha sentito ordinare una ‘crosta di formaggio piccola’ in un ristorante di lusso.”
“Wow. Il cliente dei miei sogni.”
Eppure l’anziano multimiliardario si era dimostrato davvero educato e cordiale.
“Questi bignè sono eccellenti, signorina” si era complimentato una mattina a colazione, leccandosi il becco con gusto. Aveva appoggiato il suo classico cilindro al pomello della sedia, accanto al bastone da passeggio, e si era rimboccato le maniche prima di fare fuori una quantità di dolci che avrebbe sfamato Dilan ed Aeleus per una settimana.
“E parola mia, non assaggiavo un porridge così buono da quando ho lasciato la mia bella Scozia!”
Tiana aveva sorriso con educazione anche se non aveva la minima idea di cosa fosse una “scozia”.
“Lei è molto gentile, signore.”
“Oh, non lo dico per gentilezza, mi creda. È la pura verità. Ma mi permetta una domanda, se non sono indiscreto.”
Tiana aveva già raccolto la pila di vassoi e si dirigeva spedita verso la cucina, ma indietreggiò di un paio di passi, convinta che l’inossidabile papero volesse ordinare l’ennesimo round di leccornie.
“Non ho potuto fare a meno di notare che lei qui lavora sia come cuoca che come cameriera. È la prassi qui al castello?”
“Oh, no signore.” Non capiva dove volesse arrivare il papero con quella domanda, ma rispose con un sorriso e la cortesia che riservava a tutti i suoi clienti. “Ma quando il nostro precedente cameriere si è licenziato ho chiesto io di poter ricoprire entrambi i ruoli.”
“Capisco. Immagino sia una fatica non da poco.”
“Il trucco è sapersi organizzare.”
De’ Paperoni batté il palmo della mano sulla tovaglia con improvviso entusiasmo. “Ben detto, signorina… come ha detto che si chiama?”
“Tiana, signore.”
Fortunatamente era abituata a portare pesi, così le bastò spostare la pila di vassoi da un braccio all’altro per non far trapelare la stanchezza all’eccentrico cliente. Si rimproverò mentalmente per essersi attardata così a lungo con Even, la sera prima.
“Doppia fatica, doppio guadagno, è quello che dico sempre. Sono sicuro che lei abbia grandi progetti in mente. Glielo leggo negli occhi.”
Tiana non poté impedire all’orgoglio di fare capolino nella sua voce.
“Sogno di aprire un ristorante tutto mio, signore. Un locale a cinque stelle.”
“Ah, la fiamma dell’ambizione dei giovani! Un ristoro per le mie vecchie piume.” De’ Paperoni sfilò gli occhialini a pince-nez e li pulì con il lembo della palandrana. Gli occhi di Tiana caddero istintivamente sulle mani del papero: le piume sui palmi erano quasi consumate, le dita indurite dai calli. Non erano le mani di un ricco nullafacente, ma di una persona che aveva lavorato duramente per gran parte della sua vita. Un nuovo senso di rispetto la pervase.
“A tal proposito, signorina Tiana, vorrei farle una proposta d’affari.”


Ne aveva parlato con Even, ovviamente.
Non perché si sentisse in obbligo di farlo: non si erano scambiati promesse, non erano una coppia come Dilan e Celes e, dopo la fatidica sera, i loro rapporti erano tornati esattamente come prima. D’accordo, quasi come prima. Diciamo che adesso le loro serate non si limitavano solo a chiacchiere e liquore. Ma la mattina successiva lui indossava di nuovo il camice e lei il grembiule da cucina, e andavano per le loro vie separate. Ciascuno a caccia del proprio sogno.
Tiana, però, aveva sentito il bisogno di un consiglio sincero.
Mentre chiudeva la zip della valigia per l’ultima volta, rivide come in un sogno quella conversazione di pochi giorni prima.
“Dice sul serio? Un altro mondo?”
Gli occhi di Even erano sgranati e verdissimi e lei aveva cercato disperatamente di concentrarsi su altro. Ma il suo entusiasmo era contagioso; aveva divorato i bignè che Tiana aveva messo da parte per lui in due bocconi e portava dipinto in faccia lo stupore dello scienziato di fronte alla scoperta più sensazionale della sua carriera.
A palazzo, le voci sulla fantomatica nave di De’ Paperoni in grado di oltrepassare il vuoto tra i mondi circolavano da anni. Si diceva che avesse un amico potente in grado di aprire i varchi tra un pianeta e l’altro, e che questo amico fosse il re di un mondo straniero, un guerriero difensore della pace e della Luce. Si diceva che De’ Paperoni stesso provenisse da quel lontano reame, e in effetti il suo accento dalle “erre” molto marcate non ricordava nessuno dei dialetti in uso a Radiant Garden, nemmeno quelli della periferia più profonda da cui Tiana proveniva. 
Fino a quel momento, aveva creduto che fossero soltanto un cumulo di dicerie.
“Me lo ha confermato Re Ansem in persona.”
Da bravo uomo d’affari che offre e pretende certezze, De’ Paperoni le aveva procurato niente meno che un colloquio personale con il sovrano per confermare la veridicità delle sue affermazioni. Le avevano fatto promettere di mantenere il segreto, ma Tiana non se la sentiva di mentire a Even. Inoltre lui era un apprendista del re, perciò prima o poi lo avrebbe saputo comunque. Probabilmente, a giudicare dal fatto che non l’aveva ancora bombardata di domande, già ne era a conoscenza.
“L’offerta è eccezionale. De’ Paperoni sta espandendo il suo giro di affari e vuole aprire una catena di ristoranti fuori Radiant Garden. Avrei carta bianca. Piena autonomia decisionale, dall’arredamento alla selezione gastronomica.”
Even di solito non si faceva troppi scrupoli a dire ciò che pensava, e alle volte sapeva essere brusco ai limiti della maleducazione, ma quel giorno la certezza cristallina della sua risposta lasciò senza parole persino lei.
"Devi accettare."
Ricordava di aver preso tempo, dandogli le spalle con il pretesto di passare la spugna sul piano cucina. Che cosa si era aspettata? Che la supplicasse? Che le gridasse non partire, ti amo? Se avesse voluto sentirsi dire frasi smielate sarebbe andata da Dilan.
Even le piaceva perché era come lei. Pragmatico, capace di compiere sacrifici e senza paura di andare fino in fondo per realizzare ciò in cui credeva. Una persona con i piedi per terra e senza troppi grilli per la testa.
“Occasioni del genere sono da prendere al volo. Non puoi sapere quando e se capiteranno di nuovo. E… ammetto di provare una certa invidia. Vedrai un altro mondo. La stragrande maggioranza delle persone nasce e muore nello stesso luogo.”
Tiana decise di concedersi un attimo, solo un attimo, per essere debole. Lo raggiunse dall’altro lato della cucina e allungò le dita, sfiorandogli la guancia e sollevando il mento per guardarlo negli occhi. Era così maledettamente alto.
“Non sentirai la mia mancanza?”
“Non ho mai detto questo.” La mano di Even circondò la sua, stringendola dolcemente, mentre con l’altro braccio la attirava ancora più vicina a sé. “Ma so che al tuo posto, se rifiutassi, passerei la vita a rimpiangerlo.”
E così aveva preso la sua decisione.
Non c’era stato bisogno di parlarne ancora: si erano detti tutto il necessario. Si erano salutati, avevano concordato di scriversi e affidare la corrispondenza ai viaggi di De’ Paperoni. Tiana gli aveva promesso di raccontargli tutto sul nuovo mondo, e Even di aggiornarla sulle vicende del castello. 
Avevano trascorso l’ultima notte insieme.
Per questo era inutile svegliarlo prima di andarsene. Tiana aveva indossato le scarpe e caricato in spalla la valigia. Un ultimo, rapido controllo alla stanza per essere certa di non aver dimenticato niente. Malgrado il caldo, dopo qualche ripensamento decise di infilare anche i guanti, in parte per nascondere le mani che tremavano. Non voleva fare brutta figura con il nuovo datore di lavoro già il primissimo giorno. Si sentiva nervosa ed emozionata come mai in vita sua.
Con il cuore che le martellava nella gola, Tiana aprì la porta e mosse i primi passi verso la sua nuova vita. Sul retro dei giardini del castello, una gummiship aspettava solo lei per librarsi in volo.
Destinazione New Orleans.



---

Note: il “signor Grazia” altri non è che Nonno Bassotto delle storie a fumetti Disney, che io ho sempre chiamato così per via del cartellino sulla maglietta (anche gli altri Bassotti prendono il nome dal numero di matricola sulla maglia, mentre su quella del Nonno c’è appunto scritto “Grazia”). Anche l’aneddoto di Zio Paperone e la” crosta di formaggio piccola” viene da una storia a fumetti che purtroppo non ho più ritrovato, ma quella in particolare è rimasta una delle mie vignette preferite in assoluto XD

Riguardo Tiana, mi sento un po’ in imbarazzo per aver violato la sacralità delle principesse Disney e averla fatta andare a letto con un personaggio che non ha nulla a che vedere con il suo film di provenienza, ma avevo in mente il suo ruolo in questa raccolta da tantissimo tempo. Ho scelto lei non tanto perché le sia particolarmente affezionata, ma per due motivi principali: 1) né lei né il suo mondo sono apparsi in KH, cosa che mi ha lasciato campo libero nel modellare la sua storia; 2) il suo carattere da grande lavoratrice e persona pragmatica che dà tutta se stessa per realizzare il proprio sogno, anche al punto di venirne ossessionata e trascurare tutto il resto, mi ha ricordato per certi versi Even (lei per la cucina e il ristorante, lui per la scienza e la ricerca). Per questo ho immaginato che potesse esserci intesa tra i due. La Tiana che appare in questa storia è quella dell’inizio del film, che considera Naveen un buffone scansafatiche e le fiabe solo fantasie per bambini. Ho dovuto modificare le sue origini per adattarle al contesto di questa storia (farla provenire da New Orleans sarebbe stato complicato), ma spero di non averla resa eccessivamente out of character nel complesso.

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Capitolo 5
*** Dolls ***


Pensavate di esservi liberati di me? La mia ispirazione è un debole ruscello continuamente minacciato dalla siccità, ma non ho dimenticato questo progetto.

Questa storia in particolare partecipa al contest per i dieci anni del XIII Order Forum, ed è ambientata durante KH1.



 

#158 - Dolls


“Un fallimento. Totale e senza appello. Un esecrabile spreco di tempo.”
Vexen atteggia le labbra a un’espressione di gravità, sforzandosi di annuire vigororsamente ai sospiri teatrali del collega. La poltrona dallo schienale alto, foderata di velluto consunto che un tempo doveva essere stato di un bel colore rosso brillante, esala scricchiolii sofferenti quando tenta di spostare il peso e accavalla le gambe alla vana ricerca di una posizione più confortevole. Gli sovviene troppo tardi che un vampiro, abituato a dormire per secoli tra le assi rigide di una bara, non dovrebbe provare tutto quel fastidio per una semplice poltrona sgangherata. Un cadavere non può sentirsi “scomodo”.
Fortunatamente, il dottor Finkelstein è troppo occupato a lamentarsi dell’insuccesso del suo ultimo esperimento per farci caso.
“Stavolta ero certo di aver radunato tutti gli ingredienti necessari. Battito. Emozioni. Terrore. Paura. Speranza e disperazione. Persino i ricordi. Nulla di fatto! L’ennesimo buco nell’acqua!”
La creaturina sulla sedia a rotelle allunga una mano guantata di nero verso la propria calotta cranica e la spalanca come se fosse il coperchio di uno scrigno, dando una vigorosa grattata alla materia cerebrale al suo interno. Come ogni volta, Vexen si ritrova ad osservare la singolare operazione con un misto di fascino e raccapriccio. Durante la sua prima ricognizione alla Città di Halloween aveva accarezzato l’idea di rubare in qualche modo il cervello del dottore per sottoporlo a esperimenti, ma in seguito aveva deciso che lasciarlo dov’era sarebbe stato molto più utile ai suoi scopi. Finkelstein è una delle rarissime creature, in tutti i mondi conosciuti, con cui si possa affrontare una discussione scientifica di livello ragguardevole. Inoltre, da un po’ di tempo a questa parte, i loro studi si muovono nella stessa direzione.
“Non capisco. Cos’altro occorre per creare un cuore? Che cos’è un cuore?”
Il motore della sedia a rotelle geme e stride, e gli occhietti di Finkelstein, sormontati da un paio di occhialini neri e lucidi come capocchie di spillo sopra il becco appuntito, saettano nella sua direzione.
“E voi cosa ne pensate? Avete nuove teorie da sottopormi, dottor Strauss?”
Se avesse un cuore, Vexen sarebbe molto fiero del suo travestimento nella Città di Halloween. Maximilian Strauss è un nome che ha letto su una lapide del cimitero, e la scusa del vampiro anziano che ha bisogno di lunghi periodi di sonno nella sua tomba è perfetta per giustificare le sue visite poco frequenti e discontinue. Gli abiti che la magia gli cuce addosso per mescolarlo agli abitanti di quel mondo lugubre non sono il massimo della comodità - più di una volta ha rischiato di inciampare in quel maledetto mantello lungo foderato di seta rossa - e sospetta anche che gli donino un aspetto leggermente ridicolo, ma fortunatamente nessuno degli altri membri dell’Organizzazione ha mai dovuto vederlo in quelle condizioni.
“Avete letto la mia ultima relazione.”
Sarebbe stato più corretto dire “una porzione accuratamente selezionata della mia ultima relazione”. Vexen crede nell’importanza della condivisione delle idee nella ricerca scientifica, ma è certo che Lord Xemnas non perdonerebbe una fuga di informazioni sensibili dell’Organizzazione verso abitanti di altri mondi.
“Le brevi notti di veglia di cui posso godere non mi consentono di indagare a fondo come vorrei, ma in linea essenziale concordo sull’importanza cruciale dei ricordi. Ritengo siano un ingrediente chiave nella costruzione di un cuore. Sono convinto che dovremmo ripartire da lì.”
“Ripartire dai ricordi… “
Le dita corte di Finkelstein tormentano ancora la materia grigia nella calotta cranica, irrequiete. Il ronzio della sedia a rotelle serpeggia di nuovo lungo la stanza male illuminata, arrestandosi davanti a un tavolo operatorio che è poco più che un collage di lastre di ferro saldate da bulloni arrugginiti e ha tutta l’aria di essere uscito da un manuale di torture medievali piuttosto che dal laboratorio di uno scienziato che si rispetti. Ha sempre pensato che a Zexion prenderebbe un colpo di fronte agli standard igienici decisamente precari di quel laboratorio. Vexen stesso non ammetterebbe un simile caos nel proprio ambiente di lavoro, ma sa riconoscere il genio quando lo vede ed è disposto a sorvolare sui particolari sgradevoli in nome di un risultato soddisfacente.
“Per simulare i ricordi nell’esperimento abbiamo usato un non-ti-scordar-di-me” prosegue Finkelstein. “Ma è chiaro che si tratta di un collegamento troppo labile. Del resto, l’idea è stata di quella buona a nulla di Sally… a proposito, dove ho dimenticato le buone maniere? Saaaally? Dove sei finita, pelandrona? Porta da bere al nostro ospite!”
Anticipando quanto sta per succedere, lo stomaco di Vexen si contorce in segno di protesta.
Subito l’odore metallico del sangue gli aggredisce senza pietà le narici, proveniente dal calice che la sollecita assistente del dottor Finkelstein sta accorrendo a porgergli, i piccoli piedi che picchiettano il pavimento di metallo come i rimbalzi di una palla di stoffa.
“Grazie, signorina Sally. “
Fa roteare il liquido scuro all’interno del calice, simulando un’aria da enologo intenditore mentre i suoi occhi saettano per il laboratorio alla ricerca di un modo per sbarazzarsi della disgustosa bevanda. Maledizione, qualcuno ha rimosso quella pianta carnivora rinsecchita della volta scorsa. Non è escluso che sia stato lui a darle il colpo di grazia rifilandole il suo cocktail vampirico.
Come sempre, non trascorre molto tempo senza che il suo sguardo venga inesorabilmente attratto da Sally.
“So cosa state pensando, Strauss” gracchia la vocetta stridula di Finkelstein. “Come ho fatto quando ho creato lei, vero? Perché lei ha un cuore, è fuor di dubbio. Dovreste vedere gli occhi dolci che fa al nostro Re delle Zucche! E come si torceva le mani per l’angoscia mentre lui era là fuori a dare una lezione al Babau con quei tre visitatori sconosciuti! La cosa bizzarra… è che non ne ho idea! Non ho idea di come ho fatto!” I piccoli pugni del dottore si abbattono impotenti sui braccioli della sedia a rotelle.
Alla menzione del suo amato Sally china leggermente il capo, e Vexen potrebbe giurare di averla vista arrossire. Per quanto una simile manifestazione di emozione possa essere possibile in una bambola di pezza.
Perché Sally non è che una bambola. Il suo corpo è artificiale. Nient’altro che un patchwork di pezzi di stoffa crudamente cuciti insieme nella parodia di un essere umano, gli arti percorsi da una rete di fili neri macabri come cicatrici. Nulla a che vedere con le bambole bianche e lisce, dalle proporzioni perfette, allineate nelle capsule di contenimento nei sotterranei del Castello dell’Oblio, in attesa che Vexen doni loro la scintilla della vita.
Quei corpi artificiali sono il frutto di lunghi anni di ricerche. Notti interminabili di studio ed esperimenti al solo scopo di costruire l’involucro perfetto per ospitare una replica. Vexen ritiene di essere pronto a passare alla fase successiva del progetto, l’impianto dei ricordi.
Eppure, la sola esistenza di Sally basta a far vacillare le sue certezze.
Quella bambola assemblata in fretta e furia con materiali di scarto, probabilmente per capriccio, esiste in un modo che non è ancora possibile per le sue bambole. Parla, pensa, spera, teme, sogna.
Ama.
E non è la copia di nessuno.
“La vostra Sally è un autentico paradosso. Il metodo scientifico ci insegna che un esperimento deve essere replicabile perché l’ipotesi alla sua base possa essere dichiarata valida. Eppure, Sally è un caso unico.”
“Se è per questo, non c’è nemmeno chissà quale teoria alla sua base. Volevo un’assistente più affidabile di Lock, Shock e Barrell, tutto qui.”
Creata per caso. Per pura coincidenza, come è avvenuto per tante grandi scoperte nella storia dell’umanità.
In silenzio, Vexen fissa il calice tra le sue mani. Sangue. La vita che pulsa nelle vene, sospinta da un cuore. Un essere privo di cuore che si traveste da creatura morta per andare alla caccia di quel segreto.
Forse, a pensarci bene, i paradossi sono più d’uno in quella stanza.


Alla fine della visita è la diligente Sally ad accompagnarlo alla porta.
“Mi chiedevo, signor Strauss… “ la voce della bambola risuona con un tremolio nell’anticamera in penombra. Gli restituisce il mantello con un breve inchino cortese, e Vexen se lo allaccia pensando che a quest’ora Saïx starà già girando come un cane rabbioso nel suo laboratorio in attesa del rapporto settimanale sul Progetto Replica. Si è attardato troppo.
“Cosa, signorina Sally?”
“Con il dottore discutete sempre di… esseri artificiali, e come costruire un cuore. Anche voi volete creare… una persona come me?”
“È proprio così, signorina.”
“Posso chiedervi perché?”
Non c’è malizia nella sua voce. Solo curiosità innocente che si riverbera negli occhi enormi, facendo scintillare le piccole pupille nere. Socchiude la porta d’ingresso davanti a lui e un rivolo di aria gelida gli accarezza il viso, piacevole dopo le ore nel chiuso odoroso di ruggine del laboratorio di Finkelstein.
“Per il progresso della scienza, è ovvio.”
Le sue scarpe lucide muovono qualche passo sul selciato di marmo, lasciandosi alle spalle la bambola che ha fatto crollare tutte le sue teorie come un castello di carte. La variabile impazzita. L’eccezione alla regola.
La voce di lei lo rincorre lungo la scalinata.
“È davvero questo, signor Strauss? È davvero ciò che desiderate?”
“Cos’altro dovrebbe essere?”
Il mantello si gonfia con un fruscio drammatico mentre Vexen si gira a fronteggiare di nuovo la ragazza. Lei non lo ha seguito giù per le scale, ma continua a fissarlo dall’alto del pianerottolo, pallida e sottile contro il cielo livido della Città di Halloween.
“Voi e il dottor Finkelstein… siete simili.” Sally parla a voce bassa, ma il venticello freddo fa rotolare con facilità le parole fino a lui. Vibrano di qualcosa che forse, in un’altra vita, Vexen avrebbe potuto definire come dolcezza.
“Parlate allo stesso modo. Vi muovete, gesticolate allo stesso modo. Vi fanno infuriare le stesse cose. Vi emozionate per le stesse cose.”
Sta quasi per replicare che lui non può infuriarsi né emozionarsi, ma si limita ad aggrottare le sopracciglia, incrociando le braccia sul petto.
“Non capisco dove vuoi arrivare.”
“Anche il dottor Finkelstein parla sempre di progresso della scienza. Ma io lo sento quando borbotta e crede che non ci sia nessuno intorno ad ascoltarlo… ” 
Dal basso gli sembra che lei stia sorridendo, anche se potrebbe benissimo trattarsi dell’effetto delle cuciture attorno alla bocca.
“Lo so che in fondo ha sempre desiderato una figlia.”




Note: ovviamente, l’aver postato a pochi giorni da Halloween una storia perfettamente adatta all’occasione è un purissimo caso.
Maximilian Strauss, l’alias vampiresco di Vexen, è una citazione al mio personaggio preferito della mia storia di vampiri preferita, il videogioco Vampire: The Masquerade - Bloodlines 2.

 

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Capitolo 6
*** Good Riddance ***


Questa storia partecipa al contest per i dieci anni del XIII Order Forum, ed è ambientata durante Chain of Memories.

Per la seconda volta in questa raccolta utilizzo un punto di vista femminile, ma stavolta non aspettatevi cuori e fiori come con Tiana.

Warning: presenza di turpiloquio. Generalmente non amo usare linguaggio scurrile nelle storie su Kingdom Hearts, ma questo personaggio in particolare (insieme a pochi altri) me lo ispira moltissimo.



 

#354 - Good Riddance


Recita un antico proverbio della Terra dei Dragoni: “siediti sulla riva del fiume e aspetta. Prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico.”
Cazzate.
A furia di atrofizzarsi le chiappe aspettando sul suo trono, l’Imperatore della Terra dei Dragoni si è ritrovato un’armata di Unni ammassata ai suoi confini. Stavo per soffocare dalle risate sul mio divano preferito dell’Area Grigia quando Xigbar ce lo ha raccontato.
Se hai un nemico devi attivarti, farlo fuori prima che lui faccia fuori te. È semplice.
Vexen questo lo aveva capito, devo concedergli l’onore delle armi (solo ed esclusivamente questa volta, e solo perché tanto ormai è morto e non potrà mai sapere che ho detto una cosa positiva su di lui). Il suo giocattolo a forma di Riku era palesemente un tentativo di metterci i bastoni tra le ruote e ostacolare i nostri piani.
Patetico, ma pur sempre un tentativo.
Come quello che ha fatto non molto tempo fa per convincere Xemnas a buttarmi fuori dall’Organizzazione. O peggio, a trasformarmi in un Simile. Il bastardo.
Noi Nessuno abbiamo perso il cuore, ma la nostra memoria è temprata nell’acciaio come la corazza delle astronavi dello Spazio Profondo. E io mi sono annotata ogni insulto, ogni sorrisino sarcastico, ogni digrignare di denti, nella speranza - no, nella ferma intenzione - di poterlo ripagare un giorno con la stessa moneta. 
Quel giorno, finalmente, è arrivato.



***

 

All’attenzione del Superiore.

Rapporto n. 213

Obiettivo della missione: ricognizione.
Obiettivi secondari: addestramento n. XII.

Mondo: New Orleans.
Membri coinvolti: n. IV e n. XII.

Analisi preliminare: 
Città di media estensione ma densamente popolata, livello tecnologico all’incirca intorno all’era industriale pre-informatica. Il centro abitato si sviluppa in modo disordinato e caotico sulla riva di un vasto delta fluviale. In alcuni punti, fuori dai confini della città, il corso d’acqua ristagna in una palude che gli autoctoni chiamano “bayou” [sospetta attività magica di natura sconosciuta, si raccomandano ricognizioni più approfondite]. A una prima osservazione risultano evidenti marcate differenze sociali tra il centro in cui risiedono i proprietari abbienti e le periferie povere dei lavoratori. La vita sociale e culturale della città appare tuttavia vivace e variegata, con una netta predilezione per l’intrattenimento musicale [facile passare inosservati, inutile ricorrere alla magia di illusione per camuffarsi].

Criticità:
È risultato impossibile raccogliere ulteriori dati a causa della condotta inqualificabile della n. XII. La nuova arrivata si è mostrata immediatamente refrattaria a qualsiasi tentativo di istruzione e del tutto priva di considerazione e rispetto per le regole dell’Organizzazione, rivolgendosi al sottoscritto con un tono e parole che sarebbe eufemistico definire irriverenti. 

Incurante dell’obiettivo della missione, ha approfittato della folla raccolta intorno a un artista di strada per sgattaiolare via, costringendomi a sprecare gran parte della giornata a inseguirla e tamponare i danni causati dalla sua sconsideratezza.
Nello specifico, la n. XII ha commesso le seguenti azioni ad alto rischio di compromettere la segretezza dell’Organizzazione:

  1. furto di un’automobile decappottabile di proprietà di un magnate locale, tale Mr. La Bouff [probabile che abbia utilizzato il suo nuovo potere elementale del fulmine per far partire l’autovettura bypassando il meccanismo di accensione];

  2. danni del valore di 12.500 munny per aver schiantato suddetto veicolo sulla facciata del ristorante di lusso “Tiana’s Palace”.

  3. coinvolgimento in una dubbia “lettura del futuro” da parte di uno stregone dall’aria sospetta e dall’ancora più losco soprannome di “Uomo Ombra” [possibile candidato per la trasformazione in Heartless/Nessuno? Da tenere sotto controllo], fortunatamente interrotta dal tempestivo intervento del sottoscritto e dalla conseguente procedura di RTC.

Conclusioni:
La n. XII appare un soggetto instabile, incontrollabile e potenzialmente nocivo all’attività dell’Organizzazione. Si sollecita urgentemente la riconversione in Simile.
NON si ritiene necessario invece un intervento dei Nessuno inferiori per eliminare testimoni scomodi a New Orleans: il sottoscritto è intervenuto di persona per sistemare la questione con la proprietaria del “Tiana’s Palace”, che ha rinunciato a qualsiasi pretesa di risarcimento [copertura della studentessa con problematiche psichiche fuggita dal collegio, già collaudata con successo da Xaldin quando il n. VIII diede fuoco alla villa di M.me Adelaide a Parigi].
Si raccomanda tuttavia un intervallo di almeno due mesi prima della prossima ricognizione a New Orleans.

--- Vexen



***



Assenza di cuore o no, io penso che il vecchio avesse una scopa permanentemente infilata su per il sedere già quando era umano. Una ragazza che vede un nuovo mondo per la prima volta nella sua breve e grigia vita da Nessuno giustamente ha voglia di divertirsi. Io penso che ritroveremmo il cuore molto prima se ci tuffassimo senza riserve in quelli che un tempo erano i nostri piaceri da umani, invece di perdere tempo a fare la raccolta punti per vincere il jackpot da Kingdom Hearts. 
A cosa serve sparare fulmini dalle dita e aprire portali oscuri se tutto ciò che ti è permesso di fare è morire di noia facendo ricognizioni e poi farti colare il cervello dalle orecchie a furia di compilare stupidi rapporti?
Al Castello Che Non Esiste c’è una sala intera riservata ai rapporti, pile e pile di fascicoli incasellati fino al soffitto dalla compulsione maniacale del n. VII. Io la chiamo Stanza delle Scartoffie. Una notte mi ci sono introdotta di nascosto per scoprire cosa Vexen avesse scritto di me. Se volevano trasformarmi in un Simile non mi avrebbero presa senza combattere. Spillato al resoconto falso e tendenzioso del n. IV c’era soltanto una striscia di carta sottile, con poche righe tracciate in una grafia elegante:

 

“Ogni membro dell’Organizzazione ha uno scopo e un motivo per essere tra di noi.
Nessuna scelta è casuale. Ciascuno porta dentro di sé un’eredità unica, secondo il volere di Kingdom Hearts.”

 

Criptico, insensato, riferimenti gratuiti a Kingdom Hearts. Palesemente opera del Superiore.
Ironico che mi abbia risparmiato la vita quando saremo proprio io e Marluxia a privarlo della sua. Penso proprio che glielo farò notare quando gli infilerò l’ultimo kunai nel petto.
Manca così poco.
Vexen è ridotto a un simpatico mucchietto di cenere e Xemnas e il suo pitbull da guardia lo seguiranno prestissimo. L’Eroe del Keyblade danza come una scimmietta ammaestrata al richiamo di Naminé e noi non dovremo fare altro che sorseggiare del buon champagne e brindare alla vittoria.
È tutto perfetto.
L’unico rimpianto? Non aver potuto far fuori Vexen con le mie mani. Magari sbattendogli in faccia quello stupido rapporto su New Orleans e dando fuoco a entrambi. Il tutto scandendo qualche bella frase a effetto da gangster, tipo “hai mai fatto caso che talvolta si incontra qualcuno che non va fatto incazzare? Ecco, quella sono io.”

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Capitolo 7
*** Secret Wishes ***


Questa storia partecipa al contest per i dieci anni del XIII Order Forum, ed è ambientata durante Kingdom Hearts II.




#137 - Secret Wishes

 

“Genio, i miei tre desideri.”
Il Mercante si sfrega la mani, gli occhi scintillanti. 
Il trionfo, nella sua immaginazione, ha il sapore dello sciroppo di jellab che sua nonna gli preparava da bambino per tenere a bada la calura dei lunghi pomeriggi trascorsi dietro il banchetto dei datteri, le ginocchia indolenzite dall’immobilità e le labbra contratte in un crampo perenne a furia di sorridere alla fiumana di clienti. Ha il profumo dell’uva passa e dell’acqua di rose, promesse fugaci di un futuro con le vesti di seta e la pancia sempre piena.
“Il primo: desidero essere l’uomo più ricco di tutta Agrabah!”
Sua nonna diceva sempre che la fortuna aiuta gli audaci, e che chi lavora duramente prima o poi finisce inevitabilmente per essere premiato dalla sorte. La vecchia non è arrivata ad assistere a quel trionfo con i propri occhi, pace all’anima sua, ma adesso persino il sultano si sarebbe inchinato di fronte al nipote della proprietaria del banchetto più umile e sgangherato di tutto il bazar. Lui che con pochi datteri, la sua astuzia sopraffina e il fiuto innato per gli affari è arrivato ad aprire una bottega tutta sua, gettando sul lastrico decine di concorrenti. 
Ma non è ancora abbastanza.
“Il secondo: desidero che il sultano mi nomini suo nuovo gran visir!”
La carica è rimasta vacante da quando il vecchio Jafar era stato accusato di tradimento e cacciato con ignominia. Il genio non poteva capitargli tra le mani in un momento più propizio.
Certo, quando aveva rinvenuto quello strano scudo a forma di goccia in mezzo alla sabbia del retrobottega non avrebbe mai immaginato che si trattasse della prigione di uno djinn. Secondo le leggende, quegli spiriti di solito sono intrappolati in contenitori come giare o lampade; tutti i racconti, però, concordano anche nell’affermare che basta strofinare l’oggetto in questione per diventare automaticamente padroni delle potenti entità al loro interno. E lui stava giusto scrostando la sabbia dallo scudo, nella speranza di poterci ricavare un bel gruzzolo una volta messo in vendita, quando puff! un lampo di luce lo aveva catapultato in quella strana oasi lussureggiante dominata da un edificio dai colori del tramonto, costruito in uno stile che non ricordava per nulla né le dimore dei nobili di Agrabah, né le casse basse e squadrate dei quartieri poveri.
Al suo posto, una persona meno ambiziosa avrebbe perso la lucidità. Questo genio non somigliava affatto al buffone blu al servizio del nuovo marito della principessa, né ai giganteschi e colorati djnn nelle illustrazioni dei volumi di fiabe che ogni tanto capitavano nella sua bottega. Anzi, aveva un aspetto decisamente umano e ordinario, sebbene fosse straordinariamente pallido e avesse gli occhi di un verde intenso, reso profondo dai segreti dell’universo che doveva aver scrutato nel corso di lunghissimi millenni di solitudine. I suoi piedi levitavano a qualche palmo dal terreno ricoperto d’erba.
Per di più, il genio era ostile. Nella mano sinistra impugnava uno scudo identico a quello che il Mercante aveva trovato nella sabbia, e lo brandiva come se fosse pronto a respingere un attacco diretto contro di lui.
Il Mercante, però, non aveva sferrato alcun attacco fisico. Aveva affrontato lo spirito millenario con l’arma che sapeva usare meglio: le parole. La sottile e sublime arte del negoziato.
E il genio, senza proferire alcun suono, era rimasto immobile ad ascoltare il volere del suo nuovo padrone.
“E infine il terzo desiderio… “
Il terzo desiderio è il suo capolavoro diplomatico, nonché il sugello ad un futuro di prosperità senza limiti. Ci ha riflettuto a lungo ed è giunto alla conclusione che, se è vero quello che si racconta in città, il nuovo principe di Agrabah aveva fatto una mossa molto astuta liberando il suo buffone blu.
“Poiché sono un padrone molto magnanimo, ho deciso di donare il terzo desiderio a te, genio. Potrai usarlo per essere libero, se vorrai.”
Accompagna le parole con un mezzo inchino e il suo miglior sorriso da offerta-che-non-si-può-rifiutare. La sua non è generosità, chiaramente. Un vero mercante non fa mai beneficienza. Gli piace pensarlo come un accordo tra gentiluomini, un contratto di mutuo beneficio, vantaggioso per entrambe le parti. In fondo, cosa conviene di più: tre desideri subito, o due desideri seguiti da una lunga sfilza di favori da parte di un genio grato al suo liberatore?
Però, ecco, si sarebbe aspettato una reazione più sentita al suo grande annuncio. Invece il genio continua a fluttuare come se niente fosse. I lineamenti inespressivi, lo stesso sguardo algido con cui lo ha accolto nella sua oasi segreta. Intorno alla sua figura alta e sottile baluginano delle flebili scintille azzurrine, e il Mercante di colpo si accorge di stare tremando di freddo.
Forse deve formulare il concetto in maniera più chiara. Quando si stila un contratto, in fin dei conti, non si può lasciare spazio alle ambiguità.
“Genio, desidero che tu sia libero!”
L’unica risposta è la brezza della sera che serpeggia tra le fronde degli alberi, gonfiando la veste nera dello djinn e facendogli penetrare il freddo sin dentro le ossa. E oltretutto… il sole non dovrebbe essere già tramontato da un pezzo? Il cielo era già rosa e arancione quando è arrivato nell’oasi.
A parte il vento, nulla si muove.
Adesso persino il consumato uomo d’affari inizia a percepire una lieve punta di nervosismo.
“Insomma, genio… non ti importa nulla? Capisco che tu abbia visto tutto nella tua esistenza immortale… ma è la libertà che ti sto offrendo! Un futuro migliore, per me e per te!”
Il Mercante è certo che le labbra del genio non si siano mosse. Eppure, per la prima volta, ne sente le parole. Rimbombano direttamente nella sua testa, provenienti da tutte le direzioni e da nessuna.

 

non esiste

 futuro 

per me

 

“Cosa vai blaterando?”

 

domani 

è solo 

un sogno

 

Di colpo, come abbattuto da un fulmine, il Mercante cade in ginocchio e si stringe le tempie tra le mani. Ogni parola dello djinn incide una scia di fuoco nel suo cervello e lo fa urlare di dolore, incenerendo ogni pensiero di gloria, obliterando tutti i sogni e le ambizioni e i desideri ad eccezione di quello di fuggire il più rapidamente possibile da quel luogo infernale.
Infine, anche quello si infrange sotto il peso di immagini aliene che si aprono a forza la strada tra le pieghe della sua mente. Sente il corpo squassato da sussulti di nausea, avvelenato da ricordi che non gli appartengono, infettato da rimpianti non suoi.
L’occhio azzurro di un bambino lo trapassa da dietro una cortina di capelli d’argento. Non conosce il suo nome, ma sa che avrebbe dovuto proteggerlo. Che ha fallito. Che è colpa sua se…
“Desidero… desidero salvarlo, genio! Il mio terzo desiderio!”
Perché ha perso tempo a esprimere desideri inutili quando l’unica cosa che conta è chiara e limpida come quello sguardo colmo di fiducia tradita? E lui che non pensava altro che a moltiplicare il giro d’affari, che siglava l’accordo per l’acquisto della bottega mentre sua nonna gemeva e tossiva nella sua casetta sudicia, coperta da quattro stracci…

 

non c’è

alcun 

domani

 

Il Mercante si rannicchia nell’erba, sopraffatto. Stringe al petto le braccia che tremano e serra gli occhi come si fa negli incubi, pregando di risvegliarsi di soprassalto nel proprio letto.
Non esiste djinn abbastanza potente da riscrivere un futuro già segnato. 
Non può salvare nessuno. 
Sua nonna giace sul fondo di una fossa comune fuori le mura di Agrabah. 
Il bambino dall’occhio azzurro è svanito per sempre nell’oscurità.

 

Quando riesce a svegliarsi il dolore alla testa è scomparso, il corpo non è più scosso da tremiti. Sopra di lui, la vista familiare del soffitto della sua amata bottega.
“Che sogno bizzarro…”
Deve aver lavorato troppo ed essere crollato per la stanchezza o un colpo di calore. E forse anche mangiato qualcosa di strano, perché altrimenti come spiegare quel senso di oppressione che gli attanaglia la bocca dello stomaco?
Mentre si rialza in piedi, con cautela per non sforzare le sue povere giunture, scopre con una certa meraviglia di sentire il bisogno di piangere. Assurdo. Piangere, lui? Non aveva versato mezza lacrima nemmeno quando gli era toccato sfrattare quella stracciona con il suo moccioso urlante dal suo nuovo magazzino, figuriamoci se si faceva impressionare da un brutto sogno.
Poi però ripercorre con la mente le scene di quell’incubo senza senso, e si rende subito conto del perché.
Anche quel bellissimo scudo di zaffiri dal valore di almeno diecimila munny era stato soltanto un sogno.




Note: nel Final Mix di Kingdom Hearts II, durante la seconda visita ad Agrabah, si può affrontare la Absent Silhouette di Vexen,il cui portale si trova proprio nella bottega del Mercante. Nel gioco, le Absent Silhouette sono descritte, citando più o meno a memoria, come “armi lasciate indietro dai loro padroni scomparsi, in cui risiede ancora un residuo della loro volontà”. Come lo scudo di Vexen (o quel che ne resta) sia finito nella bottega del Mercante è un mistero, ma in KH abbiamo assistito a fenomeni ben più inspiegabili.

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Capitolo 8
*** Fortune Telling ***


Questa storia partecipa al contest per i dieci anni del XIII Order Forum, ed è ambientata durante Birth by Sleep. In tutto ciò è uscito Re:Mind e non ha sconvolto nulla di quanto avessi già scritto, Bene così.


#163 - Fortune Telling

 

Il castello aveva tutta l’aria di essere disabitato, ma Even sapeva meglio di chiunque altro che le prime impressioni possono ingannare. I suoi occhi allenati avevano colto delle anomalie già dal cortile, prima ancora di varcare l’imponente portone di quercia a doppio battente che conduceva nella sala dello specchio.
“I roseti sono curati, Dilan. Il giardino è in ordine, neanche una foglia secca di troppo sui vialetti. E guarda questo braciere: la cenere è ancora calda.”
“Strano.” Le folte sopracciglia del soldato di Radiant Garden erano congiunte in un arco diffidente. La mano guantata di bianco stringeva saldamente l’impugnatura della lancia mentre gli occhi saettavano da un lato all’altro della stanza, cercando di penetrare oltre le macchie d’ombra negli angoli e intorno ai pesanti tendaggi di velluto ai lati della breve scalinata che conduceva allo specchio. Sembrava la postazione perfetta da cui tendere un agguato.
“Mi aspettavo come minimo un assembramento di guardie. Il vecchio Cristophe ci avrebbe fatto correre fino alla Cascata Inversa con gli zaini carichi di pietre se avessimo permesso a un intruso di entrare così nello studio di Re Ansem.”
Da dietro la sicurezza delle larghe spalle dell’amico, Even valutava l’ambiente. Da una sovrana che tutte le cronache definivano ossessionata dalla bellezza si sarebbe aspettato qualcosa di più raffinato ed elegante. Quell’oscuro mondo di periferia era quanto di più lontano si potesse immaginare dalle piazze lastricate di mosaici di Radiant Garden o dai saloni scintillanti del Regno di Corona . Le pareti e le colonne di pietra ai lati della scalinata erano grigie e spoglie, emanavano freddo e puzzavano di oscurantismo e superstizione. I tendaggi, unico ornamento presente nella sala, erano decorati con motivi di lune e stelle che facevano pensare più al tendone di un cartomante da quattro soldi che alla dimora di una potente adepta della magia.
 “Ricorda che la Regina è una strega. Potrebbe aver disposto altri tipi di difese.”
La paura di finire arrostito da un incantesimo vagante non era l’unico motivo che spronava Even alla massima cautela. Non era semplice, per gli apprendisti di Radiant Garden, ottenere un permesso per visitare altri mondi. Occorreva che diverse condizioni si verificassero simultaneamente: il vecchio De’ Paperoni doveva mettere a disposizione la sua Gummiship, Re Ansem doveva concedere l’autorizzazione, cosa che faceva solamente in presenza di una motivazione scientifica ben documentata, e almeno un membro della guardia reale doveva partecipare alla spedizione per ragioni di sicurezza. 
Even non si capacitava che un vecchio papero taccagno avesse più libertà di movimento delle persone più importanti della città dopo il Re, ma Ansem giustificava la circostanza con l’argomentazione che De’ Paperoni, non essendo un vero e proprio suddito di Radiant Garden, era estraneo alla sua giurisdizione, mentre i suoi apprendisti, al contrario, non potevano e non dovevano ignorare l’importanza di mantenere l’equilibrio tra i mondi e preservare il segreto tra i loro abitanti. Invano Even si era sgolato a furia di proporre la costruzione di una Gummiship che rimanesse permanentemente in dotazione degli abitanti del castello. Il sovrano restava arroccato sulle proprie posizioni, inamovibile come un golem a guardia degli appartamenti del suo padrone.
Se adesso lui e Dilan fossero rimasti feriti o avessero causato un incidente diplomatico con gli autoctoni, si sarebbero potuti dimenticare i viaggi interdimensionali per i successivi dieci anni.
“Se lo Specchio è davvero onnisciente, forse ce lo saprà dire lui” propose Dilan, muovendo un altro paio di passi verso la scalinata. Nessun dardo infuocato sbucò dalle tenebre per trafiggerlo.
Lo specchio era rotondo e di fattura semplice come il resto della stanza, racchiuso in una cornice di bronzo in cui erano rozzamente incisi i simboli dei dodici segni zodiacali. Nella penombra, la superficie di vetro non rifletteva alcuna immagine
Lo zodiaco, rifletté Even assottigliando le labbra. Un archetipo comune a decine di mondi diversi, legato alla divinazione, all’astrologia e alla predizione del futuro. Se mondi che non avevano alcun contatto tra loro presentavano simboli e mitologie comuni, non era forse segno di un passato condiviso, seppur lontano nel tempo? E alla luce di questo, che senso aveva affannarsi per tenere separate realtà che erano nate per essere una sola?
Giunto ai piedi degli scalini, Dilan gonfiò il petto e fece prorompere la sua voce potente fino alla sommità del piedistallo.
“Specchio, fa’ che la mia domanda non sia vana: che fine ha fatto la tua sovrana?”
“Sicuro che occorra parlare in rima?” sussurrò Even.
“Tutti i resoconti che ho letto concordano su questo punto.”
Era stato Dilan a scoprire l’esistenza dell’artefatto magico e a fare richiesta di studiarlo a Re Ansem. Come molte persone con l’hobby della scrittura, il soldato divorava pile di volumi di miti, saghe e leggende, ma era anche abbastanza accorto da rendersi conto che, quando troppe fonti diverse cominciano a citare un certo elemento, dietro alla leggenda deve celarsi necessariamente un brandello di verità. E uno specchio presunto onnisciente era esattamente il tipo di verità in grado di solleticare la curiosità dei due apprendisti.
Anche in questo caso, i resoconti non mentivano. Una fiammata scintillò improvvisa dietro la lastra di vetro, facendo sobbalzare Dilan e Even e accendendo le pareti di bagliori rossastri. Tra le lingue di fuoco si materializzò un volto privo di corpo, una faccia smorta dagli occhi vuoti come quelli di una maschera di teatro. Quando lo spirito dello specchio iniziò a parlare i due apprendisti videro le labbra muoversi, ma la voce sembrava provenire da tutte le direzioni, un’eco incorporea dal timbro piatto e monotono.


Dai prodi nani per i suoi crimini inseguita,
sul fondo di un burrone ha perduto la vita.


“Direi che questo elimina il problema” commentò lo scienziato, facendosi coraggio e poggiando il piede sul primo gradino. Recitata la sua battuta lo spirito rimase in attesa, fluttuando placidamente tra le ombre al di là del vetro. Le fiamme si erano estinte.
“Dicci, è vero che… “ Even si accarezzò il mento con le dita, frugando nel cervello alla ricerca di una rima. “... è vero che sei onnisciente? Che… puoi parlarci del passato, del futuro, e del presente?”


La sapienza perfetta non è che una chimera,
e uno specchio riflette ciò che di fronte gli è posto;
se avete forza di leggere nella vostra anima più nera,
chiedete: e vi sarà risposto.


“Molto… sfuggente.”
“Non puoi aspettarti che uno spirito del genere risponda in maniera diretta, Even.”
L’apprendista sospirò. “Capisci perché preferisco le certezze chiare e univoche della scienza?”
“Eppure sei qui.”
Dilan era salito sul piedistallo, e ora si trovava a pochi centimetri dallo specchio. Allungò una mano e sfiorò la superficie con le punte dei guanti bianchi, ma dall’altro lato del vetro non ci furono cambiamenti. La maschera spettrale continuava a fluttuare, inespressiva.
“E va bene. Proviamo.” Si passò la lancia da una mano all’altra, prendendo tempo. Even lo vide lisciarsi con gesti lenti e metodici le pieghe della divisa, segno che in lui indicava sempre un momento di imbarazzo. Attese in silenzio, tre gradini più sotto.
“Specchio, sii per me… messaggero d’amore. Tornerà, lei che possedeva il mio cuore?”
Stavolta la risposta si fece attendere più a lungo.
“Santo cielo Dilan. Non dirmi che siamo venuti fin qua per questo. Tanto valeva scrivere a La Posta di Rinoa a questo punto, no? Il valore scientifico è più o meno lo stesso.”
“Che male c’è? Non sto mica sprecando uno dei tre desideri di un genio. Dopo avrai tutto il tempo di chiedergli la quadratura del cerchio o anche la teoria del tutto, se lo desideri.” Il tono del soldato era risentito, ma i suoi occhi non si spostarono verso l’amico, rimanendo invece incollati sullo specchio.
Ma era difficile far tacere Even quando si metteva in testa di esprimere tutto il suo disappunto: “Guarda, non ti risponde neanche lo spirito. È andato in panne peggio del DTD quando Braig ci scarica i suoi… “


Giovane e bella, una fanciulla stringi tra le braccia,
ma non per amore, giacché del cuore non v’è traccia.
La scelta della Bestia è tra lei e la rosa,
ma attento: le sue spine ti pungeranno senza posa.


“Mi sta… mi stai dando del maniaco, stupido spirito senza cervello?”
Prevedibilmente, poiché la domanda non era formulata in rima, lo specchio non si degnò di fornire ulteriori risposte.
“Lascia perdere, Dilan.” Even infine era salito sul piedistallo al fianco del soldato. Lentamente gli poggiò una mano sulla spalla, una stretta decisa malgrado le dita sottili. “Non vale il tuo tempo. Non vale la tua preoccupazione. Il passato è passato.”
Dilan stritolava tra le dita l’impugnatura della lancia, e lo scienziato riusciva a immaginare il colore bianco e teso delle nocche anche sotto la stoffa del guanto. Dopo qualche istante, tuttavia, Even sentì i muscoli irrigiditi rilassarsi sotto il suo palmo, e un borbottio riluttante si fece strada tra i denti stretti del soldato fino alle sue orecchie.
“Come consulente fai più schifo della Posta di Rinoa.”
“Ah, dunque stai ammettendo che l’hai provata?”
Iniziò con un lampo divertito negli occhi violetti e un’increspatura lievissima delle labbra. Poi le spalle di Dilan furono scosse da un tremito, e un attimo dopo la sua risata tonante rimbalzava in ogni angolo della piccola stanza immersa nella penombra.
La maschera nello specchio continuava a fluttuare, imperturbabile di fronte all’inedito spettacolo di due amici che ridevano.
“Tocca a te, adesso” disse Dilan una volta ripreso fiato. “Tanto abbiamo capito che risponde un po’ come gli pare. Prendiamola come una seduta dal cartomante.”
“Non uso frequentare indovini, lo sai.”
“Quanto sei noioso. Ci penso io, allora. Rispondi, brutto spirito bavoso: Even sarà mai Re del giardino radioso?”
“Questo è un colpo bassissimo, Dilan.”
Di nuovo, lo spirito rimase in silenzio a lungo prima di proferire il suo oracolo. Visto da vicino era ancora più inquietante: lungo il suo viso cadaverico, dalle sfumature violacee, la bocca svettava come un taglio netto e crudele, oltre il quale si intravedeva solo oscurità. Even trasalì per un attimo quando notò i suoi stessi occhi osservarlo dal riflesso, annegati nel pozzo senza fondo di quelli dello spirito.


Un orgoglio smisurato, un padre assassinato
Due nomi, due vite e due destini
Tre figli senza madre
Quattro è la morte e la rinascita.


“L’abbiamo mandato in tilt. Ora non fa più neanche rima.”
Even sentì un brivido discendergli giù per la nuca, conficcandosi fino al centro delle scapole. La voce dello spirito era neutra, enunciava quei versi criptici con la chiarezza priva di giudizio con cui si dimostra un teorema. Erano palesemente tutte sciocchezze, l’ultimo trucco di una strega morta, l‘ultimo insulto ai suoi nemici prima di venire immolata sul rogo della scienza e del progresso. Eppure, mentre cercava di inumidirsi le labbra improvvisamente aride, si vergognò di aver deriso la reazione di Dilan. Anche l’amico doveva aver visto i propri occhi nella maschera senza corpo, e sentito lo stesso brivido scorrergli gelido lungo la pelle.
Lo spirito, però, non aveva ancora terminato.


Re potrai essere, se lo vorrai
o ospite di un cuore oscuro, più forte che mai.
Tanti inseguiranno la scintilla che agli dèi hai rubato
ma solo tu potrai plasmarne il significato.
Dal fuoco rinascerai come la fenice
di fronte a due strade: la notte crudele o l’alba felice.


Meccanicamente, mentre lo spirito parlava, Even aveva fatto due passi indietro, e solo i riflessi di falco di Dilan lo avevano salvato dal ruzzolare giù dagli scalini.
“Hai ragione tu” mormorò infine, ancora appoggiato al braccio dell’amico. Il suo sguardo continuava a dirigersi verso lo specchio come attratto da una forza magnetica, ma si impose di non guardarlo, certo che vi avrebbe trovato solo la maschera dagli occhi vuoti a farsi beffe di lui. Con notevole fatica, ordinò alle labbra di distendersi in un sorriso noncurante. “È davvero uno iettatore figlio di… “
“A me non è sembrato tanto male.”
“Dici?”
“In pratica ti ha detto che sei padrone del tuo destino. Che puoi essere qualsiasi cosa tu voglia.”
“Un’interpretazione… curiosa.”
Dilan ridacchiò, scrollando le spalle.
“Posso vantarmi di conoscerti meglio di quello stupido specchio. E se c’è qualcuno che può fare grandi cose e costruirsi un destino sfolgorante, quello sei tu, Even."

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Capitolo 9
*** The Martyr ***


Questa storia partecipa al contest per i dieci anni del XIII Order Forum, ed è ambientata durante Kingdom Hearts III.
Nell’introduzione alla storia precedente avevo scritto che Re:Mind non aveva sconvolto nulla di ciò che avevo scritto, ma in realtà ciò non è esatto: mi sono accorta che in Romance Addiction Even diceva che la Replica usata per Naminé era rimasta per ore nel Keyblade Graveyard durante la battaglia tra i Sette e i Tredici, mentre invece in Re:Mind scopriamo che Demyx è andata a prenderla subito dopo il combattimento tra Riku e Repliku, e l’ha portata immediatamente a Radiant Garden. E’ una piccolezza, ma mi piace essere precisa!
In tutto ciò hanno annunciato Kingdom Hearts: Melody of Memory e pare che nel trailer compaiano Even, Ienzo e Ansem il Saggio! Oh yes!



 

#101 - The Martyr

 


I rumori della battaglia non arrivavano fin lassù. L’ululato del vento era assordante, risucchiava suoni e manciate di sabbia nel suo vortice senza fine. Sul Cimitero dei Keyblade stava calando lentamente la notte, ma persino dalla sua postazione elevata Vexen riusciva a scorgere nel cielo soltanto un debole alone perlaceo, unico segno che tradiva la presenza della gigantesca sagoma di Kingdom Hearts dietro la spessa coltre di nubi. Cielo e terra erano annegati in un’atmosfera livida, sospesa.
Lo scienziato si era tirato su il cappuccio per proteggere il viso dalle folate, e aspettava. Le sue dita, incapaci di rimanere oziose troppo a lungo, tormentavano senza sosta la stoffa pesante della tunica dell’Organizzazione.
A intervalli regolari provava a gettare lo sguardo verso il terreno, ma da quell’altezza non c’era modo di capire chi stesse vincendo. Gli occasionali lampi di Thundaga oltre le pareti aguzze di un canyon a sud lo informarono che probabilmente Larxene si era unita alla battaglia, e un paio di volte fu quasi certo di aver intravisto gli inconfondibili proiettili color ametista di Xigbar saettare tra le guglie del Cimitero.
Non richiesto, il ghigno guercio di Braig lampeggiò nel buio dietro le sue palpebre. Per un istante il fruscio della sabbia portata dal vento gli ricordò il raspare beffardo della voce del n. II: ronzava accanto al suo orecchio come una zanzara fastidiosa, grassa del sangue rubato alle sue vittime. Lo derideva, ricordandogli il destino dei traditori dell’Organizzazione. In un moto di stizza lo scienziato sfregò a terra la punta dello stivale, facendo volare una manciata di sassolini oltre il bordo della piattaforma rocciosa. Vennero inghiottiti da una nube gravida di sabbia, e non li vide toccare terra.
Si era chiesto varie volte perché Xehanort si ostinasse a far riunire i suoi Tredici sulla cima di quei sottili pinnacoli rocciosi, in piedi tra folate di vento e ogni genere di intemperie. Il vecchio Maestro aveva qualcosa del teatrante nella gestualità e nei modi, perciò forse riusciva ad apprezzare i meriti scenici di quel luogo singolare. Dal canto suo, Vexen rimpiangeva i tempi della vecchia Organizzazione, quando almeno avevano diritto a una comoda stanza al chiuso e a pratici sedili dotati di schienale.
Non che la cosa importasse granché, a quel punto. Lo scontro tra i Sette e i Tredici stava per giungere al culmine e, chiunque ne uscisse vincitore, le riunioni tra i membri dell’Organizzazione erano ufficialmente giunte al termine.
Il trillo acuto proveniente dalla sua tasca gli strappò un sussulto, facendolo riemergere dai suoi pensieri. Imprecando si affrettò ad estrarre il Gummiphone, che ora strombazzava ai quattro venti un’odiosa marcetta da Castello Disney vibrando con l'insistenza di una bomba in procinto di esplodere.
Lo scienziato più geniale tra i mondi, e non sono neanche capace di cambiare la suoneria di questo affare.
“Ehilà, amico!”
Dall’altro lato del piccolo schermo scintillò il sorriso a trentadue denti di Demyx. La sua voce squillante, se possibile, era ancora più fastidiosa della suoneria del Gummiphone o dell’ululare del vento. Ma non era quella la ragione per cui Vexen era improvvisamente impallidito, serrando le labbra in una linea tesa e sottile. Riconosceva il luogo da dove l’ex n. IX lo stava chiamando. La stanza del DTD nel palazzo di Radiant Garden.
“Mi pareva di ricordare che non fossimo amici.”
Tentò di infondere nella voce una sfumatura sarcastica, ma la sua mente era distante anni luce, risucchiata in un tunnel spaziotemporale di ricordi e rimorsi. Con ogni secondo che passava temeva di veder sbucare da dietro le spalle del n. IX il familiare ciuffo argenteo di Ienzo.
Prima o poi avrebbe dovuto affrontare il ragazzo, lo sapeva. Ma non in quel modo. Non per mezzo di uno schermo microscopico, nella sua forma imperfetta di Nessuno. Vexen voleva chiedere perdono al figlio adottivo guardandolo con i suoi veri occhi, non attraverso le sinistre orbite color ambra dietro cui baluginavano frammenti dell’anima di Xehanort.
Dopo tutti gli errori commessi e le menzogne raccontate, gli doveva almeno quel piccolo gesto di onestà.
“Oh, ma quello era prima!” esclamò il giovane musicista con un’alzata di spalle. Il suo sorriso ormai valicava i confini dello schermo. “Adesso siamo complici!”
Vexen alzò gli occhi al cielo. “Non fa una piega, suppongo. Ascolta… sei da solo?” Detestò la sfumatura apprensiva che malgrado i suoi sforzi di controllare la voce riuscì comunque a penetrare nella domanda.
“Certo! Regola numero uno della spia perfetta: le comunicazioni devono essere supersegrete!”
Considerando che Vexen era circondato da rabbiose folate di vento e la voce di Demyx riusciva a sovrastarle tranquillamente, il concetto di “supersegreto” del n. IX era sicuramente da rivedere. Lo scienziato tuttavia esalò un sospiro di sollievo. Il confronto con Ienzo era fortunosamente rimandato.
Sollevò lo sguardo dal Gummiphone appena il tempo di dare una rapida occhiata intorno. I pinnacoli di roccia si stagliavano silenziosi in cerchio, scarnificati dall’eterno lavorio del vento. Nessuno dei Tredici era ancora stato allertato della sua presenza. Vexen prese un respiro profondo.
“Come procede il lavoro sulla Replica?”
Demyx si grattò la nuca e fece una smorfia pensierosa: “Bene… credo. I cervelloni ci stanno lavorando giorno e notte. Non che io ci capisca qualcosa, eh! In realtà ti chiamavo per avvisarti che sono in partenza. Sta per avere inizio l’Operazione Recupero Replica: Parte Due!”
“Eccellente. Ricorda che… “
“Lo so, lo so. Devo fare attenzione, non mi devo far vedere, bla bla bla. Anche Zexy mi ha fatto una testa così. Ma non temete, sono il primo a non avere nessunissima voglia di farsi acciuffare da Boccia Pelata e i suoi cloni malvagi!”
Vexen percepì un angolo delle proprie labbra contrarsi involontariamente in un inizio di risata, ma riuscì eroicamente a dominarsi. Raddrizzò la postura e indirizzò all’ex n. IX il più glaciale dei suoi sguardi, sperando che bastasse a inchiodargli nel cervello la basilare nozione che in quel frangente gli errori non erano ammessi. Non ci sarebbero state altre occasioni per impadronirsi della seconda Replica.
“Molto bene. Da qui in poi sei da solo, io non potrò più seguirti. Tieni gli occhi aperti e non fare sciocchezze.” 
Il tono severo doveva aver sortito il suo effetto, perché Demyx una volta tanto non replicò con una battuta delle sue, ma si limitò ad annuire con un cenno del capo. I suoi occhi splendevano del colore dell’anima di Xehanort, ma la determinazione che vi brillava dentro apparteneva solo e soltanto a lui. 
Vexen non era mai stato un grande diplomatico, non aveva talento nel convincere le persone ad agire come lui avrebbe voluto. Le sue parole, la prima volta che aveva chiesto l’aiuto di Demyx, erano scaturite dalla pura forza della disperazione. Ricordava di averlo praticamente afferrato per un braccio per impedirgli di andarsene, ed era arrivato a un soffio dal mettersi a supplicare (ma questo era bene che il n. IX non lo sapesse). Adesso si stupiva di quanto una semplice manifestazione di fiducia fosse sufficiente a trasformare un codardo scansafatiche in un agente doppiogiochista pronto a rischiare la vita. Aveva il sospetto che nessun membro dell’Organizzazione prima di lui avesse mai insignito Demyx di un incarico importante.
“Buona fortuna” aggiunse lo scienziato, dopo una breve pausa. Forse, senza nemmeno volerlo, aveva davvero fatto del bene a quel ragazzo.
“Anche a te! Qui Demyx, passo e chiudo!”
Lo schermo si spense con un debole click e Vexen ripose con cura il dispositivo nella tasca della tunica. Quando sollevò di nuovo lo sguardo, una figura vestita di scuro si stagliava sul pinnacolo di fronte al suo, fragile e minuta contro la vastità del cielo plumbeo.
Un nodo improvviso gli serrò la gola, risucchiandogli l’aria dai polmoni.
La figura era immobile, la tunica nera che ondeggiava nel vento, e anche se il cappuccio le nascondeva completamente il volto, Vexen riusciva a sentire l’intensità del suo sguardo bruciargli sulla pelle.
Conosceva bene quegli occhi. Vasti e azzurri come il cielo. Puri. Era presente quando si erano aperti per la prima volta. Al di là del vetro della capsula di contenimento li aveva visti sgranarsi dalla meraviglia, per poi specchiarsi nei suoi.
La voce di lei - Vexen aveva sempre saputo che era una lei - era fragile e minuta come il suo corpo, ma in qualche modo il vento fece rotolare le parole fino alle sue orecchie.
“Traditore… “
Lo scienziato chiuse gli occhi solo per un momento. Si sforzò di prendere un respiro profondo e calmare i battiti forsennati del suo cuore. Lei non poteva riconoscerlo. Era incompleta, come lo era stata allora, quando possedeva a malapena la coscienza per mettere un piede davanti all’altro senza cadere a gambe all’aria nel tentativo di camminare.
“Vedo che Saïx ha esaudito la mia richiesta” disse infine Vexen, e la voce suonò secca e gracchiante persino alle sue stesse orecchie.
“Saïx” Xion ripeté il nome in tono monocorde, come un automa a cui venga presentato un dato da elaborare.
Ai tempi della prima Organizzazione Saïx si riferiva sempre a No. i con appellativi come “fantoccio”, “cosa”, “pupazzo rotto”. Vexen invece, da sempre abituato a fare i conti con la superficialità degli ignoranti che lo circondavano, riusciva a vedere oltre gli sguardi vacui e i monosillabi inespressivi della sua creazione. La seconda volta che erano stati a Twilight Town per una ricognizione di prova aveva notato che la Replica era stata capace di memorizzare il percorso compiuto durante la prima visita, e che aveva iniziato a difendersi dai Rapsodia Blu utilizzando l’incantesimo Fire senza che lui avesse bisogno di ricordarglielo.
Aveva sorriso allora, affascinato da quel magma ribollente di infinite potenzialità. Vedeva No. i come una tabula rasa, la tela su cui avrebbe composto l’opera maestra di una vita spesa a servizio della scienza.
L’intervento di Axel aveva troncato bruscamente i suoi sogni di gloria, ma No. i era cresciuta anche senza di lui. Aveva forgiato se stessa senza diventare la marionetta di nessuno.
Non avrebbe potuto esserne più orgoglioso.
“Saïx ha detto… che qui avrei trovato un traditore. E tu… parlavi con il nemico. Perciò sei un traditore.”
La voce di Xion era del tutto priva di astio o di accusa. Enunciava un dato di fatto.
Alle sue spalle, una colonna di luce divampò all’improvviso dalla terra fino a trafiggere il cielo. Lo strato di nubi si dissipò, e per un attimo la Replica e il suo creatore si fronteggiarono avvolti dalla luce eterea e spettrale di Kingdom Hearts. Poi il cielo si richiuse, e gli ultimi filamenti della colonna luminosa si dispersero oltre l’orizzonte.
Xion non si voltò neppure, incurante del fatto che uno dei suoi dodici compagni aveva appena incontrato la propria fine per mano di un Custode del Keyblade. La macchia scura sotto le pieghe del cappuccio continuava ad essere rivolta solo e soltanto verso di lui.
“Mi dispiace.” Un sorriso mesto affiorò sulle labbra di Vexen, malgrado la paura continuasse ad attanagliargli le viscere. L’istinto di conservazione gli gridava di aprire un portale e scappare. Lo ignorò.
“È egoista da parte mia, me ne rendo conto. Ma perché Even possa tornare una volta per tutte, Vexen deve morire. La sua missione è finita, non c’è più bisogno di lui. Volevo soltanto… “ deglutì, provando l’improvvisa urgenza di abbassare lo sguardo. Le parole successive furono inghiottite dal rombo del vento. 
“Volevo che fossi tu a farlo.”
“I traditori vanno eliminati” rispose lei, senza dare segno di averlo ascoltato.
Vexen represse un sospiro. “Sono qui per questo.”
Un battito di ciglia, e Xion non era più sul pinnacolo. Vexen si irrigidì e fece un paio di goffi passi indietro, guardandosi intorno con scatti frenetici della testa malgrado sapesse benissimo cosa stava per succedere.
“Ti prego, fai in fret… “
Lei lo esaudì, sebbene lo scienziato non fu certo che lo avesse fatto di proposito. Il dolore esplose al centro del petto insieme a una luce accecante, ma durò solo un attimo. Vexen strinse i denti, soffocò un grido, pensando che non era nulla, nulla in confronto all’ultima volta, quando il fuoco gli aveva consumato le viscere e l’odore della sua stessa carne bruciata era esploso nell’aria.
Scivolò lentamente in ginocchio, circondato dai filamenti di oscurità che si innalzavano dal suo corpo come candele nel vento.
Xion era di fronte a lui adesso, il Keyblade già scomparso dalle sue mani. Non lo aveva neanche visto.
Da quella distanza, sollevando a fatica la testa, riusciva a scorgere i tratti del suo viso nella penombra del cappuccio.
“Ascoltami. Cerca… Sora. Lui custodisce… ciò che è tuo.”
La sagoma di Xion divenne sfocata mentre l’oscurità si addensava tutta intorno a Vexen. Ma udì chiaramente la voce di lei pronunciare una sola parola.
“Sora.”
“Esatto… “ sorrise, ma dubitava ormai che Xion potesse vederlo. Lui stesso non vedeva più nulla. Il dolore aveva lasciato posto al vuoto, ma era un abbraccio confortevole, come scivolare serenamente nel sonno.
“Quando ci rivedremo… tu ed io… “
La sua missione era finita. Poteva riposare, lasciare il resto del lavoro agli eroi. A Demyx.
A Ienzo.
“... saremo di nuovo noi stessi.“

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