Anime di luce e di ombre

di QueenVictoria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




NOTA IMPORTANTE: Questa storia è accessibile a tutti, anche da chi non conosce l’universo di Saint Seiya. Durante il racconto verrà spiegato tutto ciò che è necessario sapere per comprendere i vari avvenimenti. Anzi, sarò molto felice di ricevere riscontri e suggerimenti da chi è estraneo a questo fandom per rendere il tutto più comprensibile. ^_^

Alla fine del capitolo vi lascio una piccola scheda con immagini e qualche dato sui protagonisti, in modo da facilitare l’inquadramento dei personaggi anche a chi non li conosce.


 
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Capitolo I




“SCAPPA!”

Il grido improvviso, la voce del Maestro nella testa. Spavento. Senso di vuoto. “Scappare? Dove? E con chi se ho solo Voi, Maestro?” Ansia. Paura. Voci lontane nella notte. “Ha rapito la bambina!” “Sta scappando!” “Voleva ucciderla!” “UCCIDETELO!” Angoscia. Affanno. La lunga scalinata sembra non finire mai. “Maestro, dove siete?” Rumore. Frastuono. Voci. Il Tempio affollato, il fuoco nei bracieri. Grida. Spinte. Dolore. Lacrime. Il piccolo Aiolia piange accanto a quel corpo senza vita.

Silenzio.

Singhiozzi nel silenzio.

È arrivato il Maestro.

“Stai piangendo un traditore!”

Voce fredda, distaccata. Nessuna pietà per quel bambino disperato.

Panico.

Vertigine.

Quell’uomo non era il Maestro.



Mu aprì gli occhi svegliandosi di soprassalto, il battito del cuore accelerato, gli occhi umidi, i capelli incollati alla fronte madida di sudore. Un altro incubo.

Si passò una mano sul viso come a scacciare quei grovigli di immagini confuse che gli si affollavano nella testa. Quante volte aveva rivissuto l’angoscia di quella maledetta notte? Sembrava che quei ricordi fossero destinati a tormentarlo in eterno. Ma è sempre così, con ciò che non si vuole affrontare.

Rimase qualche minuto immobile, cercando di calmare il respiro, la mente ancora annebbiata dallo stato confusionale del sogno. Ogni volta quell’incubo gli riportava alla memoria i sentimenti provati quella notte, ed era sempre come riviverli di nuovo. La stessa paura, lo stesso smarrimento. Lo stesso dolore.


Un calore familiare lo riportò alla realtà. Sorrise tra sé. Il piccolo Kiki si era infilato di nuovo nel suo letto. Si girò di fianco spostandosi lentamente per non svegliarlo e rimase a guardare quel visino addormentato; la guancia appoggiata sul dorso della mano, il respiro tranquillo, i capelli rossicci e spettinati sparsi sul cuscino.
Non c’era proprio niente da fare con lui. Gli aveva costruito un lettino in legno simile al suo, si era assicurato avesse un materasso morbido e abbastanza coperte. Ogni sera il bimbo si coricava sorridente e sembrava addormentarsi sereno ma, poche ore dopo, nel dormiveglia, lo sentiva entrare furtivo nel suo letto e stendersi accanto a lui. “Avevo freddo…” “Mi sentivo solo…” “Forse mi sono teletrasportato nel sonno…” si giustificava con il disarmante candore dei bambini. Non si era mai sentito di rimproverarlo davvero.

Erano ormai trascorsi diversi mesi da quando aveva accolto quell’orfanello nella sua casa. Si era chiesto spesso cosa avrebbe potuto offrirgli, lui, cavaliere eremita che viveva riparando armature nascosto tra le montagne del Jamir. A dire il vero non era in grado di vedersi né come padre né come fratello maggiore, ma non voleva che quel bambino rimanesse solo.

Mu aveva pressappoco la sua età quando quegli avvenimenti avevano stravolto la sua vita, sapeva bene cosa volesse dire vivere da soli senza potersi fidare di nessuno. Voleva dargli almeno una casa, qualcuno vicino e quella sicurezza che a lui era mancata.

Anche lui era orfano. Era stato Shion, il suo Maestro, a trovarlo nel bosco ancora neonato e prendersi cura di lui. Gli aveva fatto da padre e, data la veneranda età, forse anche un po’ da nonno, ma se n’era andato troppo presto.
Rammentava ancora il giorno in cui era tornato da solo in quella casa; mai gli era sembrata così grande e così vuota.

Scostò lentamente le coperte e si alzò dal letto. Dalla finestra, assieme al primo chiarore dell’alba, entrava un venticello leggero e fresco; la breve estate del Jamir stava volgendo al termine. Scese al piano inferiore dove attraversò le camere ancora immerse nel buio raggiungendo la stanza adibita a bagno. Versò un po’ d’acqua in un catino di metallo e iniziò a lavarsi con cura.
Mentre si asciugava si fermò a osservare la sua immagine riflessa nel piccolo specchio incorniciato in legno appeso al muro. Cosa vedeva in quel volto? Cosa leggeva in quegli occhi? Insicurezza? Rassegnazione?

Per molto tempo si era sentito un vigliacco.

In quella notte di undici anni prima qualcuno aveva ucciso Shion, ex cavaliere d’Oro dell’Ariete, suo Maestro e Sommo Sacerdote del Santuario, prendendone il posto.

Prima di morire il Maestro era riuscito a mandargli un messaggio attraverso il loro canale telepatico. Una parola sola, gridata nella mente con le ultime forze rimastegli. “Scappa!” Il suo ultimo pensiero era stato metterlo in salvo. Svegliato di soprassalto da quel grido nella testa, Mu era rimasto immobile nel suo lettino, guardandosi attorno sperduto, cercando di capire cosa stesse accadendo. Il ricordo dell’angoscia di quella notte era il suo incubo più ricorrente.

Il Maestro era stato assassinato, ma lui non aveva mai potuto dimostrarlo. Aveva sette anni, all'epoca; chi avrebbe mai dato ascolto alle parole di un bambino? Sarebbe stato accusato di tradimento e condannato a morte dallo stesso Sacerdote impostore; come avrebbe potuto schierarsi contro colui che ora governava il Santuario?

Ma Shion non era stato l’unico a perdere la vita, quella notte. Anche Aiolos, Cavaliere del Sagittario, era stato ucciso. Era stato accusato di tradimento, di aver attentato alla vita del Sacerdote, di aver rapito la bambina che si pensava essere la reincarnazione di Athena.

Lo ricordava bene, Aiolos. Era più grande di lui, doveva avere 14 o 15 anni e aveva appena ricevuto l’investitura di Cavaliere. Quanta fierezza, nei suoi occhi limpidi, quando indossava quell'armatura d’Oro...
Quell'accusa di tradimento, arrivata totalmente inaspettata, era di certo collegata con l’assassinio del Sacerdote e, sinceramente, Mu non ci aveva mai creduto.

Mu aveva trascorso parecchio tempo ad Atene presso il Santuario. In quel periodo c’erano altri ragazzini che si allenavano per entrare nell'ordine dei Cavalieri di Athena; alcuni vivevano lì in pianta stabile, altri erano stranieri che soggiornavano per brevi periodi e poi tornavano ai rispettivi luoghi di addestramento.

Aiolos era sempre gentile e incoraggiante verso gli allievi più piccoli che lo consideravano un fratello maggiore; non poteva dimenticare l’amore che dimostrava per il fratellino Aiolia e quanta fiducia avesse in lui e nelle sue capacità. Mu gli si era molto affezionato; forse per qualche affinità particolare, forse perché vedeva quanto anche il Maestro Shion lo preferisse agli altri, o forse senza un preciso motivo, come spesso capita con i sentimenti. Quell'affetto, di conseguenza, lo aveva portato ad avvicinarsi anche ad Aiolia.
Questi era suo coetaneo e, anche se avevano temperamenti completamente differenti, andavano abbastanza d’accordo; Aiolos ci teneva in maniera particolare che fossero amici, superando le diversità di carattere, e ripeteva spesso che i Cavalieri d’Oro dovessero essere come dei fratelli. E lui li aveva veramente amati come due fratelli, sia Aiolos che Aiolia, e il suo rimpianto più grande era stato separarsi da quest’ultimo, lasciandolo solo in un momento come quello. Ma all'epoca non era stato in grado di fare altrimenti.

Cercò di sforzarsi di ricordare gli altri apprendisti che aveva conosciuto in quegli anni. Il primo che gli venne in mente fu Saga, coetaneo di Aiolos e già Cavaliere dei Gemelli, anche lui era gentile e amato da tutti, ma aveva un carattere molto chiuso. Poi Shura, che doveva avere al massimo due o tre anni più di lui; era di origine spagnola, ed era già riuscito a ottenere l’armatura del Capricorno. Gli altri li ricordava piuttosto vagamente, a parte Aldebaran del Toro, l’unico con il quale era rimasto in contatto e che aveva avuto modo di incontrare diverse volte durante gli ultimi anni.

Possibile che nessuno di loro si fosse accorto che, dopo quella notte, il Sacerdote fosse una persona diversa? Le ampie vesti e la maschera ne nascondevano il corpo e il volto, e in fondo erano in pochi ad avere il permesso di avvicinarlo, ma gli sembrava incredibile che nessuno avesse notato il cambiamento.


Scosse la testa, allontanando quei pensieri, conscio del fatto che fosse assolutamente inutile continuare a rimuginarci sopra.

Si vestì e scese al piano inferiore, dove si trovava la cucina, per preparare qualcosa per colazione; Kiki si sarebbe svegliato di lì a poco, affamato come sempre. Guardò nel vaso di latta in cui teneva la farina e vide che ce n’era ancora abbastanza, la versò in una ciotola di legno mescolandola con un po’ di acqua e iniziò a impastare il tutto con una mano.

Per undici lunghi anni si era tenuto lontano dal Santuario, undici anni di dubbi e stati d’animo contrastanti, trascorsi a chiedersi cosa avrebbe potuto fare, a cercare una soluzione e a sentirsi frustrato per non riuscire a trovarla.

Qualche giorno prima era giunta la convocazione per una riunione straordinaria dei Cavalieri d’Oro. Non aveva partecipato alla precedente giustificandosi con il lavoro di riparazione delle armature, ma questa volta aveva deciso di andare.

Sapeva di non essere in grado di affrontare l’impostore che si nascondeva dietro la maschera del Gran Sacerdote, voleva però capire cosa stesse succedendo. Sarebbe stata un’occasione per incontrare gli altri cavalieri, e capire il loro eventuale coinvolgimento nella situazione. Erano davvero in pochi quelli che abitavano al Santuario, gli altri stavano ancora finendo il loro addestramento in varie parti del mondo e vi tornavano di rado; non era facile si ripresentasse un’altra occasione di trovarli tutti assieme.

Coprì la ciotola con l’impasto per lasciarlo riposare, si sciacquò le mani e uscì sul balcone.

Il sole iniziava a fare capolino da dietro le montagne tingendo di un rosa tenue tutta la valle, lasciò che il suo sguardo vagasse tra quelle delicate sfumature. Aveva atteso quel giorno quasi con ansia, adesso però era di nuovo assalito da dubbi; faceva davvero bene ad andare?

 
La casa di Mu (dalla serie classica)


Appena Mu rimise sul fuoco la padella per cuocere l’ultima pagnotta, Kiki si materializzò accanto la tavolo con aria assonnata.

“Hai sentito il profumo del pane e ti sei svegliato?”

Il bambino ridacchiò.

“Ti sei lavato almeno il viso?”

“Certo!” mentì il piccolo sfoderando uno dei suoi candidi sorrisi.

Mu scosse la testa. “Lo farai dopo, adesso mangia.”

“Partirai oggi?” chiese Kiki intingendo un pezzo di pane ancora caldo nello yoghurt.

“Sì, appena fatta colazione.”

“Devo proprio andare al monastero?”

“Sì. Te l’ho già detto. Questa volta non posso portarti con me e non voglio che tu stia troppo tempo qui da solo. Sei sempre stato bene al monastero.”

“Sì, lo so,” sbuffò il piccolo.

Mu sorrise. Si era affezionato davvero tanto a quel bambino.



Kiki aveva sei anni ed era molto in gamba per la sua età; cresciuto per la strada assieme agli altri orfanelli dei villaggi vicini, era capacissimo di badare a se stesso. Mu però non se la sentiva di lasciarlo da solo per lunghi periodi e quando si allontanava per più di qualche giorno da casa lo affidava ai monaci che conosceva fin da bambino in modo che fosse al sicuro.

Finito di sistemare la cucina, Mu preparò i bagagli. Scese al piano terra, nei locali dove abitualmente svolgeva il suo lavoro di riparazione delle armature. Si avvicinò a uno scaffale colmo di scatole e vasetti, ne prese alcuni contenenti materiali che sarebbero potuti tornare utili in caso di riparazioni di emergenza e li mise nella borsa assieme a pochi essenziali strumenti. Infine, da un vecchio baule, estrasse una grande gerla dalla forma cubica dove era solito nascondere lo scrigno contenente l’armatura dell’Ariete, per tenerlo al riparo da occhi indiscreti, e se la caricò sulle spalle. Undici anni di auto-esilio dal Santuario gli avevano insegnato prudenza e discrezione, neppure Kiki era a conoscenza del fatto che fosse un Cavaliere d’Oro.

Il piccolo Kiki preparò in fretta la sua sacca e lo aspettò seduto sulla balaustra del terrazzo al primo piano. Assieme saltarono giù e si incamminarono lungo il sentiero. La casa di Mu era una strana costruzione molto più simile a una torre che a un’abitazione: aveva una pianta relativamente stretta ed era alta cinque piani, al piano terra non esistevano vie di accesso, l’ingresso più facilmente raggiungibile era al primo piano. Probabilmente sarebbero state necessarie le capacità di uno scalatore per abitarvi, ma per Mu, dotato fin dalla nascita di telecinesi e teletrasporto, era il luogo ideale per vivere e sentirsi al sicuro. Kiki, discendente della stessa stirpe, aveva le stesse abilità.

I due giunsero allo stretto ponte sospeso che attraversava il burrone nel il cui fondo giacevano scomposti gli scheletri di nemici che avevano cercato invano di attraversarlo in passato. Dopo aver dato un’occhiata in giro, si teletrasportarono dall'altro lato e si diressero verso il monastero poco distante.

Lasciato Kiki presso i monaci, Mu si avviò lentamente lungo le strade sterrate che portavano verso i centri abitati. Prima di recarsi ad Atene voleva far visita al vecchio Dohko, caro amico suo e del defunto Shion, che viveva in uno sperduto villaggio della Cina. In realtà avrebbe potuto teletrasportarsi direttamente a destinazione, ma aveva voglia di passeggiare un po’ per quei luoghi ancora avvolti nella luce tenue del mattino. In fondo non aveva fretta e camminare respirando quell'aria fresca lo avrebbe aiutato a chiarire i pensieri che gli si agitavano dentro.

Era giorno di mercato giù al paese, i commercianti arrivavano alla spicciolata, alcuni con dei furgoncini dall'aria poco sicura e altri con carri trainati da robusti asini. Ai lati delle strade si stavano montando le prime bancarelle sulle quali spiccavano le tinte della frutta e della verdura.
Camminando lungo sentieri che costeggiavano la montagna li osservava dall'alto, era bello guardare quel brulicare di persone e di colori. In lontananza si potevano scorgere alcuni pastori condurre il loro gregge al pascolo, macchie bianche e marroni lungo l’altipiano coperto d’erba e arbusti.

Continuò a camminare per un paio di ore seguendo il percorso che si estendeva lungo la valle, poi, giunto ai piedi del passo, si fermò a guardare il panorama. Quanto amava quei luoghi segreti sul tetto del mondo… montagne altissime sembravano incastrarsi tra loro creando valli apparentemente senza fine, a ogni curva il paesaggio poteva cambiare a sorpresa mostrando laghi, vasti prati o pareti di roccia scoscese. In inverno il colore della neve sembrava uniformare ogni cosa, nella breve bella stagione invece, ogni angolo si accendeva di colori.

Dopo un ultimo sguardo alla valle, chiuse un momento gli occhi per concentrarsi e si teletrasportò lontano.



 
***



Il sole era già alto nel cielo di Goro-Ho. Il vecchio Dohko stava seduto sullo spuntone di roccia davanti alla cascata. Shiryu, il suo giovanissimo allievo, si allenava nell'equilibrio sulla riva del fiume a qualche decina di metri da lui. Shunrei, la piccola orfanella che abitava con loro, intrecciava un cestino di vimini seduta sull'erba poco lontano.
Dohko si stiracchiò sentendo tendere tutti i muscoli della schiena. Si alzò in piedi e fece qualche esercizio di allungamento poi tornò a sedersi compiaciuto; non era messo così male per il suoi duecentocinquant'anni abbondanti. Quasi duecentosessanta, a dire il vero.

Quanto tempo era passato da quando, diciottenne, faceva parte dell’esercito fedele alla dèa Athena che aveva combattuto l’ultima Guerra Sacra contro Hades! Era un’altra epoca, praticamente.
Dei dodici Cavalieri d’Oro, solo in due erano sopravvissuti: lui, Cavaliere della Bilancia, e Shion, Cavaliere dell’Ariete. Athena aveva donato a loro una vita più lunga del normale poiché fossero in grado di svolgere due missioni per lei. Dohko sarebbe dovuto rimanere in pianta stabile in quel luogo a sorvegliare i sigilli che tenevano intrappolati gli antichi nemici e Shion, a tempo debito, avrebbe riorganizzato l’esercito e raccolto i nuovi Cavalieri presso il Santuario di Atene.

Fin dall'era mitologica infatti, in vista di una Guerra Sacra, i Cavalieri consacrati alla dèa Athena rinascevano per combattere contro il Male. La stessa Athena, reincarnata anch'ella in un essere umano, li aveva sempre guidati in battaglia. Era un ciclo di reincarnazioni che riportava lo stesso gruppo di guerrieri a combattere assieme fin dai tempi del mito; fratelli d’armi, anime legate tra loro in eterno in nome della giustizia.

Poco più di vent'anni prima, Shion gli aveva fatto sapere di aver riconosciuto i primi due bambini predestinati. Da quel momento, uno dopo l’altro, gran parte dei futuri Cavalieri erano stati individuati e avevano iniziato il loro addestramento. Questo significava che una nuova Guerra si stava avvicinando e tutto il meccanismo della preparazione della difesa poteva iniziare.

Il Santuario era situato vicino ad Atene in un luogo nascosto raggiungibile solo attraversando un passaggio segreto nel cuore di Rodorio, piccolo paese anonimo situato all'ingresso della Valle Sacra. In quel luogo, un nutrito numero di persone lavorava continuativamente anche nelle epoche di pace, in modo da avere sempre la situazione sotto controllo ed essere pronti in caso di improvvisa necessità.

Una mattina di settembre di undici anni prima, una neonata era stata trovata ai piedi della statua di Athena, nei pressi del Santuario. Era stata accolta al Tempio con il massimo riguardo, in attesa che dimostrasse di essere davvero la tanto attesa reincarnazione della dèa. La sicurezza della bambina era stata affidata ad Aiolos del Sagittario e Saga dei Gemelli che, seppure solo quattordicenni, erano all'epoca i due più grandi di età tra i Cavalieri d’Oro. Erano due bravi ragazzi benvoluti da tutti.

Poi, quella maledetta notte, qualcuno aveva ucciso Shion e preso segretamente il suo posto mentre Aiolos era stato trovato morto accusato di tradimento. Si diceva avesse tentato di uccidere il Sacerdote, che tutti credevano essere ancora Shion, e di rapire la bambina. Si diceva fosse stato inseguito dai soldati e fosse stato ucciso da Shura, il giovanissimo Cavaliere del Capricorno. Si dicevano un sacco di cose, in verità; dei fatti accaduti quella notte c’erano versioni diverse e contraddittorie. Le cose certe erano pochissime: Aiolos era morto, nessuno aveva più visto la bambina, né era più stata ritrovata l’armatura del Sagittario. Anche Saga dei Gemelli non si era più visto da quel giorno e sulla sua assenza correvano le voci più disparate.

Quella notte aveva sentito chiaramente che il cosmo di Shion era venuto a mancare, quella sua forza interiore che era sempre stato in grado di percepire a distanza era scomparsa all'improvviso lasciando il posto a quel vuoto che non era più stato colmato. Il buon vecchio Shion, compagno d’armi e caro amico, dopo duecento anni, se n’era andato così.

Il piccolo Mu era arrivato da lui il mattino successivo, visibilmente sconvolto, portando sulle spalle lo scrigno dell’armatura dell’Ariete. Ricordando quel momento, provava ancora una grande tenerezza. Lo aveva visto spuntare dal fitto bosco di bambù e guardarsi attorno spaesato. Era anche piuttosto malconcio, spettinato, gli abiti sporchi di fango. Al tempo i suoi poteri non erano ancora perfettamente sviluppati, non poteva essersi teletrasportato direttamente da Atene; probabilmente aveva dovuto fare qualche tappa intermedia e doveva anche essersi perso più di una volta.

“Maestro Dohko...” Aveva detto, quasi sussurrando, guardandolo con i suoi occhioni verdi lucidi e spaventati “Il Maestro Shion mi ha detto di scappare, ho pensato di venire qui.”

A un suo cenno lo aveva raggiunto davanti alla cascata e gli si era seduto accanto, con le gambe raccolte al petto, le ginocchia circondate con le braccia. Erano rimasti in silenzio per qualche minuto, osservando l’acqua cadere senza sosta.

Per quanto fossero passati tanti anni, il vecchio Dohko ricordava ancora perfettamente il loro dialogo di quel giorno.

“È morto, vero?” aveva chiesto il bimbo con un filo di voce.

Non aveva potuto fare altro che annuire tristemente.

“Io… Voglio vendicarlo!”

“E come pensi di fare?”

“Non lo so...” Aveva risposto il piccolo con la voce rotta dal pianto “Come posso dimostrare che il Sacerdote è un impostore? È lui che adesso comanda al Tempio. Non ho prove, non mi crederà nessuno.”

Lo aveva visto appoggiare la fronte sulle ginocchia, tentando inutilmente di soffocare i singhiozzi. Ricordava di avergli accarezzato i capelli cercando di calmarlo.

“Quella bambina sarà ancora viva? Sarà davvero Athena? Forse dovremmo cercarla!” aveva continuato il bambino tra le lacrime.

“Non possiamo fare niente, piccolo. Non ne saremmo in grado, e forse non ne abbiamo neppure il diritto. Questa è una prova per quella bambina, più che per noi. È lei che deve dimostrare di essere la reincarnazione di Athena. L’unica cosa che possiamo fare è aspettare, se è davvero la nostra dèa troverà il modo di manifestarsi. Allora, avremo la certezza della verità. Nel frattempo tu devi crescere e diventare forte, così quando arriverà quel momento sarai in grado di combattere dalla parte dei giusti.”

Il piccolo Mu era rimasto qualche minuto in silenzio, poi si era asciugato le lacrime con il dorso della mano.

“Il Maestro Shion mi ha detto di scappare. Poteva dirmi anche il nome del suo assassino, ma non lo ha fatto.” Lo aveva guardato dritto negli occhi, come aspettando una spiegazione.

“Forse, prima di morire, non ha avuto tempo di fare entrambe le cose e ha ritenuto più importante dirti di scappare. La cosa che più gli stava a cuore era allontanarti dal Santuario e metterti in salvo. O forse non te lo ha detto di proposito. Non ti ha chiesto di vendicarlo ma di andare avanti poiché ti riteneva destinato ad altre cose.”

“Ma se quella bambina era veramente Athena, perché non ha salvato il Maestro? Perché non ha salvato Aiolos? Perché ha permesso tutto questo?”

A quelle parole, non del tutto inaspettate, il vecchio si era sentito stringere il cuore. Si era posto anche lui la stessa domanda, quando, quasi duecento anni prima, nel mezzo della guerra, aveva visto i suoi compagni d’armi cadere uno dopo l’altro. Tutti loro, probabilmente, avevano un ruolo preciso nella storia e dovevano compiere il loro destino; questa era l’unica risposta che era riuscito a darsi. L’unico modo per andare avanti era avere fede.

“Non lo so,” si era visto costretto a rispondere “forse la vita di tutti noi fa parte di un disegno più grande che non ci è ancora stato rivelato.”

Mu era rimasto in silenzio ancora a lungo prima di rincominciare a parlare, lo sguardo perso sulla cascata a pochi metri da lui, il respiro ancora un po’ affannato dalla crisi di pianto di poco prima.

“Aiolia è rimasto solo. Ha appena perso suo fratello. Io sono suo amico, dovrei essere lì con lui.”

“Chi ha ucciso Shion sa anche che tu te ne sei accorto, potrebbe vederti come una minaccia e cercare di uccidere anche te. Vedrai, Aiolia se la caverà anche da solo. Adesso come adesso non puoi fare niente per lui.”

“Posso rimanere un po’ con voi?” aveva chiesto allora il piccolo dopo qualche minuto.

“Finché vorrai.”

Ricordava di aver ammirato davvero quel bambino che, così piccolo, si sforzava di accettare quella realtà così dura e incerta. In quel momento aveva deciso di rinunciare alla vendetta per onorare l’obbedienza al suo amato Maestro e lavorare su sé stesso fino a essere veramente pronto a combattere. Pur tenendo stretto nel cuore il rimpianto di aver abbandonato un amico in quello che forse era stato il momento più duro della sua vita, cercava di andare avanti.



Dohko era ancora immerso in quei ricordi quando vide il ragazzo avvicinarsi camminando lentamente lungo la riva del fiume. Sorrise vedendolo spuntare dal bosco di bambù come tanti anni prima. Quel bambino era ormai diventato un giovane uomo e adesso camminava sicuro e con aria fiera portando sulle spalle una grande gerla che celava certamente lo scrigno della sua armatura.

Shiryu interruppe il suo allenamento e guardò il maestro con aria interrogativa. Dohko gli fece cenno di continuare ed egli obbedì dopo aver salutato con un piccolo inchino il nuovo arrivato.

Mu andò a sedersi accanto al vecchio, davanti alla cascata, come aveva fatto tante volte in passato.

“Oggi è il grande giorno, tornerò al Santuario,” gli disse.

“Sei proprio sicuro di voler andare?”

“Sì. Devo… capire.”

“Capire chi si nasconde dietro la maschera dell’attuale Sacerdote?”

“No. Non ora, e anche volendo non credo potrei riuscirci uscendone vivo. Ma non è così importante, lo sapete, non voglio lasciarmi trasportare dal desiderio di vendetta. Non l’ho fatto tanti anni fa, non lo farò adesso. Voglio soltanto capire se io e voi siamo gli unici a essersi accorti di qualcosa. Voglio sapere cosa ne pensano gli altri. Li voglio osservare.”

“Mmm…” il vecchio annuì lentamente.

“Sono nato per servire Athena,” continuò il giovane “Se noi Cavalieri siamo rinati in questa epoca, significa che presto avrà luogo una nuova Guerra; voglio sapere chi sono i miei compagni, visto che prima o poi dovrò combattere assieme a loro. Se devo morire combattendo al fianco di qualcuno, almeno voglio sapere chi è e cosa gli passa per la testa. Voglio sapere di chi mi posso fidare.”

“Sì. Condivido il tuo punto di vista. Però…”

“Non ne siete molto convinto, vero?”

“Rischi di metterti in pericolo. Non conosciamo l’identità del Sacerdote, ma lui sa che legame forte avevi con Shion. Sa che tu hai percepito immediatamente la sua morte. In altre parole, sa che tu sai che lui è un impostore. Di certo ti vedrà come una minaccia.”

“Sì, lo so. Me lo avete detto molte volte. Ma non credo avrà il coraggio di farmi qualcosa all’interno del Santuario. Anzi, sono sicuro che non lo incontrerò nemmeno.”

“Sì, questo è possibile. Cerca però di essere prudente, la situazione al Santuario sembra essere molto tesa.”

“Lo sarò.”

Un tonfo improvviso richiamò la loro attenzione. Il piccolo Shiryu era caduto nel fiume.

“Ho perso l’equilibrio, maestro. Risalgo subito!” Lo sentirono gridare mentre usciva dall’acqua. Mu e Dohko si guardarono e risero entrambi.

“Vai ad asciugarti subito o prenderai un raffreddore!” disse il vecchio sporgendosi verso di lui.

“Ma… Maestro, fa caldo!”

“Ah, la giovinezza…” mormorò sorridendo il vecchio.

Mu sorrise a sua volta, non potendo fare a meno di pensare ai giorni che aveva trascorso in quel luogo da bambino. Dohko aveva un grande cuore, era stato il suo secondo Maestro e anche un secondo padre. Nel periodo in cui era vissuto assieme a lui aveva recuperato un po’ della serenità che gli era venuta a mancare con la perdita di Shion. Anche negli anni successivi era sempre stato per lui un punto di riferimento, non solo un saggio insegnante ma anche un amico al quale confidare dubbi e paure e al quale rivolgersi per ricevere consiglio.

Shion gli aveva permesso di scappare, ma forse era stata la presenza di Dohko a salvarlo davvero.




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Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra Cina e India)
Età: 18 anni
Particolarità: Telecinesi, teletrasporto
Dohko - Cavaliere della Bilancia
Paese di Origine: Cina
Età: 260 anni circa
Kiki
Paese di Origine: Jamir (tra Cina e India)
Età: 6 anni
Particolarità: Telecinesi, teletrasporto







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Angolo di quella che scrive:

Innanzitutto, grazie a chi è arrivato fin qui! ^_^

Questo capitolo è un po’ un prologo alla storia, per forza di cose è molto descrittivo e poco avvincente, prometto che mi rifarò in quelli successivi. ^_^’’’

Come ho scritto nell’introduzione, vorrei che questa storia fosse accessibile anche a chi non conosce Saint Seiya quindi in questo capitolo iniziale mi sono dilungata a spiegare alcune cose che probabilmente ai frequentatori del fandom sono note, dal prossimo andrò avanti più spedita.
Anche per questo motivo, cercando di inquadrare meglio la situazione, ho fatto ricordare gli avvenimenti della Notte degli Inganni sia da Mu che da Dohko, personaggi che hanno per forza due punti di vista diversi; mi rendo conto che il risultato sia un po’ ridondante, magari più avanti ci darò una sistemata.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




Capitolo II



 
Marin scendeva correndo lungo la strada sterrata che si allontanava nel terreno brullo e sassoso.
 
“Fermati!” gridava, mentre il suo giovane allievo continuava ad allontanarsi a passo spedito. Finalmente lo raggiunse e riuscì ad afferrarlo per un braccio costringendolo a fermarsi.
 
“Che ti prende, Seiya?!” gli chiese con voce più preoccupata che severa.
 
“Perché dovrei restare qui!? Perché dovrei continuare ad addestrarmi? Spiegamelo!” rispose il ragazzino gridando con tutta la voce che aveva in corpo, gli occhi lucidi dalle lacrime trattenute a stento, i pugni serrati fino a sbiancare le nocche delle dita.
 
Si voltò di scatto per andarsene ma si trovò a sbattere contro qualcuno. Si ritrasse alzando gli occhi, la rabbia quasi già sbollita per l’imbarazzo; riconobbe Aiolia che lo guardava sorridendo, era talmente arrabbiato che non lo aveva sentito avvicinarsi.
 
“Ehi Seiya, calmati. Cosa succede?” chiese questi.
 
“Tutti continuano a ripetermi che solo i greci possono diventare cavalieri, gli stranieri come me non hanno speranze. Non ha senso che rimanga qui!”
 
Aiolia gli posò entrambe la mani sulle spalle e si chinò leggermente su di lui.
 
“Non so chi ti abbia detto queste cose ma non sono affatto vere. Le potenzialità di un Cavaliere non dipendono dalla sua nazionalità. Quello che importa è avere la capacità di dominare il proprio cosmo. È già un po’ di tempo che sei consapevole del tuo cosmo, vero? Ormai stai cominciando a dominare questa grande forza racchiusa dentro di te.”
 
Il ragazzino annuì.
 
“È questa l’unica cosa che conta, dovrai solo imparare a usarla fino in fondo. Guarda Marin, per esempio, anche lei è giapponese come te ed è un Cavaliere. E sia tra i cavalieri d’oro che tra quelli d’argento ci sono diversi stranieri. Non devi lasciarti influenzare dalle persone attorno a te. Abbi fiducia in te stesso e nella tua maestra.”
 
Aveva parlato lentamente, Aiolia, con una voce calda e carica di sincerità. Seiya sembrò calmarsi, rincuorato da quelle parole.
 
“Hai ragione, non devo mollare!” disse poco dopo.
 
“Bravo, così mi piaci!” rispose l’altro scompigliandogli affettuosamente i capelli.
 
Marin, il volto celato dietro la maschera d’argento obbligatoria per le donne al servizio di Athena, lo ringraziò con un cenno del capo.
 
Aiolia si trattenne ancora qualche minuto a parlare con loro, poi si congedò, non prima di aver detto al piccolo Seiya ancora qualche frase di incoraggiamento.
 
La ragazza si soffermò a guardarlo mentre si allontanava lungo la strada polverosa.
 
Aiolia aveva sofferto molto nella sua vita, il dolore però non lo aveva indurito o indisposto verso gli altri come spesso accade, al contrario, lo aveva reso molto empatico e sensibile agli stati d’animo delle persone attorno a lui. Non parlava mai spontaneamente della morte del fratello ma, agli occhi attenti di un’amica come Marin, era evidente quanto quella tragedia avesse segnato la sua vita. Era una persona cordiale, assisteva spesso agli allenamenti degli allievi più giovani dispensando pareri e consigli. In questo, oltre che nell’aspetto fisico, assomigliava molto ad Aiolos.
A vederlo affiancare gli altri istruttori, con addosso abiti da allenamento con le semplici protezioni in cuoio, l’atteggiamento umile e cordiale, lo si sarebbe potuto scambiare per una persona qualsiasi; nessuno avrebbe detto appartenesse alla cerchia dei Cavalieri d’Oro. Ma era anche in quel rifiuto inconscio di indossare la sua armatura, se non quando strettamente necessario, che si leggeva il suo disagio interiore nei confronti del Santuario.
 
 
 
 
Erano ottantotto i guerrieri dell’esercito di Athena, ognuno protetto da una diversa costellazione. Erano chiamati indifferentemente Cavalieri o Santi, a seconda della tradizione.
 
I più alti in grado della gerarchia erano i Cavalieri d’Oro così chiamati per il materiale che componeva gran parte delle loro armature, dette anche Vestigia, a sottolinearne l’antichità. I Cavalieri d’Oro erano in tutto dodici, protetti delle costellazioni dello Zodiaco, prendevano ordini direttamente e solo dal Grande Sacerdote, o da Athena stessa, e la loro mansione principale era svolgere missioni su loro richiesta. Nei periodi di presenza presso il Santuario erano tenuti a vivere nelle Dodici case dello Zodiaco disposte lungo la ripida scalinata che portava al Tempio di Athena. Le Case, oltre che loro dimore, erano considerate presidi di difesa che ogni Cavaliere doveva proteggere a costo della vita.
 
Più bassi in grado erano i Cavalieri d’Argento che, oltre a difendere il Santuario e la Valle Sacra, si occupavano dell’addestramento delle nuove reclute e custodivano le armature non ancora assegnate. E ultimi, la casta inferiore, i Cavalieri di Bronzo che diventavano in gran parte assistenti di quelli d’Argento.
 
 
 
 
Aiolia si diresse verso l’arena, dove i ragazzi più giovani si stavano ancora allenando, la costeggiò lentamente e imboccò la strada in salita che conduceva alla piazzola da cui partiva la lunga gradinata che portava al Tempio, attraversando una a una le Case dello Zodiaco.
 
Raggiunta la Quinta Casa, entrò nelle stanze private. I pezzi dell’Armatura d’Oro del Leone erano accatastati in malo modo sul pavimento esattamente dove li aveva lasciati la sera precedente prima di andare a dormire. Li raccolse uno alla volta e li indossò meccanicamente. Il diadema invece era stato appoggiato sul ripiano di un vecchio mobile, accanto a un ritratto incorniciato; lo prese e lo infilò tra i capelli castani e riccioluti, facendolo ben aderire alla fronte e ai lati della testa.
Si soffermò a guardare il ritratto, lo prese un momento in mano, lasciando scorrere le dita lungo la cornice di legno. Era un disegno a matita: lui e il fratello Aiolos, tanti anni prima. Sorridenti. Sereni. Alla sua morte tutti gli effetti personali erano stati sequestrati, quel ritratto, ricordo di un giorno felice della sua infanzia, era tutto ciò che gli rimaneva di lui.
 
Ancora pensieroso, uscì dalla Casa e si sedette stancamente in cima ai gradini davanti al suo ingresso, il busto piegato in avanti, i gomiti appoggiati sulle gambe. Mezzogiorno era passato ormai da un pezzo ma il sole batteva ancora forte sulla pietra circostante, qualche nuvola di passaggio, schermandolo temporaneamente, offriva un po’ di ombra.
 
Ripensò a ciò che era accaduto poco prima, alla crisi di pianto del piccolo Seiya, sperava di essere riuscito a tranquillizzarlo e non soltanto per essere di aiuto a Marin, che era forse l’unica vera amica che aveva, ma perché in quel ragazzino, in più di un’occasione, aveva avuto la sensazione di rivedere se stesso.
La stessa grinta, la stessa fragilità nascosta, lo stesso disagio verso l’ambiente circostante dove cercava di lottare pur sentendosi un pesce fuor d’acqua.


Greco in terra greca, Aiolia, non aveva mai avuto a che fare con il razzismo che spesso nasce verso gli stranieri, ma aveva avuto comunque modo di rendersi conto di quanta cattiveria gratuita si nascondesse dentro le persone. Dal giorno della morte di suo fratello, avvenuta undici anni prima, la sua vita al Santuario era cambiata radicalmente. Non soltanto aveva perso l’unico familiare rimastogli, ma sembrava che tutti gli avessero voltato le spalle. Per ordine del Sommo Sacerdote gli era stato possibile rimanere al Santuario e continuare il suo addestramento; secondo qualcuno per l’estrema generosità del Sommo, per qualcun altro solo per essere sorvegliato.

Non era stato facile crescere come il fratello del traditore, che secondo qualcuno aveva ereditato il suo sangue maledetto e non sarebbe stato degno neppure di vivere in quel luogo sacro né tantomeno di diventare un Cavaliere. E qualcuno si era opposto davvero alla sua investitura, ma fortunatamente erano le stesse armature a scegliere la persona che ritenevano alla loro altezza; il giorno in cui aveva superato l’ultima prova, lo scrigno contenete le Sacre Vestigia d’Oro del Leone si era aperto davanti a lui riconoscendolo come nuovo custode. Questo fatto aveva messo a tacere molte persone, ma non tutte.

Nel frattempo anche nel suo cuore era cambiato qualcosa. Al dolore per la perdita del fratello si era affiancato il rancore verso quella situazione. Aveva cominciato a sentire il bisogno di riscattarsi, di dimostrare di essere diverso da lui. Quel tradimento che non era mai riuscito a comprendere e accettare era ormai divenuto un’onta da lavare per riabilitare il suo nome. Era vissuto così, negli ultimi anni, diviso tra l’amore per Aiolos e il desiderio, non libero da sensi di colpa, di non essere più paragonato a lui.  
 
 
Ancora assorto nei pensieri, venne distratto da una figura che si avvicinava salendo lentamente la scalinata. Il riflesso del sole rifulgeva sull’armatura d’Oro che indossava mettendone in risalto i dettagli. Riconobbe le grandi corna che ornavano le spalle delle Vestigia dell’Ariete; doveva trattarsi di Mu, da quello che aveva sentito era stato lui a divenirne custode. Mu, da quanto tempo non lo vedeva?
 
Dopo quella maledetta notte in cui era morto Aiolos, sembrava essere svanito nel nulla. Lo aveva cercato dappertutto, nei giorni successivi, prima di rendersi conto che aveva lasciato il Santuario.
Per un momento, gli sembrò di sentire ancora nel cuore la delusione provata allora, appena aveva realizzato se ne fosse andato. Mu, che si era sempre mostrato così affezionato sia ad Aiolos che a lui, lo aveva lasciato solo come tutti gli altri.
 
All’epoca aveva immaginato che il Sacerdote, che era il suo Maestro, lo avesse mandato altrove per allontanarlo da lui. E forse era stato proprio così. In fondo, al tempo, erano solo dei bambini che dipendevano dagli adulti, tutori o maestri che fossero. Ma tutto sommato non aveva importanza; nel giro di pochi giorni tutti coloro che  aveva considerato amici lo avevano abbandonato. Con alcuni di loro, negli anni successivi, era riuscito in un modo o nell’altro a riallacciare i rapporti, Mu invece non si era fatto più sentire.
 
In quegli anni erano giunte voci che vivesse in qualche luogo sperduto tra le montagne tra l’India e la Cina. Era molto conosciuto e rispettato per la sua abilità di riparare le sacre armature ma veniva allo stesso tempo criticato per la sua continua lontananza dal Santuario. Esattamente come Dohko della Bilancia che se ne stava chissà dove per, si diceva, compiere una segretissima missione affidatagli da Athena stessa duecento anni prima. Qualunque fosse il motivo della loro continua assenza, dal canto suo poteva solo invidiarli. Quante volte aveva desiderato scappare da quel luogo, lontano da tutto e da tutti. Forse era stato solo il suo orgoglio a trattenerlo dal fuggire.
 
 
 
Mu ormai lo aveva raggiunto e si fermò a pochi passi da lui, accennando un sorriso quasi imbarazzato. Non era cambiato molto negli anni; gli stessi occhi profondi color malachite, i lineamenti delicati tipici della sua stirpe e quelle piccole e buffe sopracciglia dalla forma tonda. I capelli, diventati lunghissimi, avevano mantenuto i riflessi rosati e il suo portamento era divenuto piuttosto elegante.
 
“Sono passato per la Casa dell’Ariete qualche ora fa e non ti ho visto. Sei arrivato adesso?” chiese Aiolia, più per rompere il ghiaccio che per vero interesse.
 
“Sì,” rispose l’altro parlando con la sua consueta voce tranquilla “sto andando al Tredicesimo Tempio per avvisare del mio arrivo. Sei la seconda persona che incontro; a parte quella del Toro, le altre Case erano deserte.”
 
“Sì. Al momento contando anche te siamo in cinque, gli altri dovrebbero rientrare entro questa notte...”
 
Non fece in tempo a finire la frase che percepì qualcosa di strano attorno a loro. Nell’aria. Nella luce. Se ne accorsero entrambi. Rimasero immobili, in silenzio, cercando di capire di cosa si trattasse.
 
Alzarono lentamente gli occhi. Le nuvole avevano un aspetto più tetro, pur non essendo diventate davvero più scure. L’aria improvvisamente sembrava pesante, impregnata di piombo. Istintivamente si voltarono verso l’inizio della gradinata, luogo da dove ora sembrava provenire quella tensione.
 
“Vado a vedere cosa succede,” disse risoluto Mu iniziando a scendere.
 
“Vengo con te!”
 
“NO! La prima casa è una mia responsabilità.”
 
Aiola annuì, un po’ contrariato ma ben conscio del fatto che quelle fossero, in effetti, le loro disposizioni.
Quanto odiava le regole del Santuario! Sbuffando, si sedette di nuovo sugli scalini e rimase a guardare Mu che scendeva correndo, maledicendo mentalmente la potenza del Sacro Cosmo che regnava in quel luogo costringendo chiunque, e qualsiasi cosa, a muoversi solo passando obbligatoriamente attraverso tutte le dodici Case. Questo, in linea di massima, era sempre stato un buon metodo di controllo, ma in casi come questo diventava uno svantaggio per loro. Mu, che aveva il dono del teletrasporto e avrebbe potuto raggiungere direttamente la Prima Casa, stava perdendo parecchio tempo percorrendo di corsa l’intera scalinata e attraversando tutte le Case una a una. Per uno come Aiolia, pratico e impulsivo, era una cosa incomprensibile.
 
L’Ariete scese di volata attraversando la Quarta e la Terza Casa, entrambe deserte, e raggiunse la Seconda, dove trovò Aldebaran del Toro, in piedi con le braccia conserte che guardava verso il basso.
 
 “Passa!” gli disse questi senza nemmeno volgersi verso di lui “ti guardo da qui, hai le spalle coperte.”
 
Quando arrivò finalmente alla Prima Casa dell’Ariete, ne attraversò correndo il porticato, fermandosi a pochi passi dall’ingresso. Mentre riprendeva fiato si guardò attorno, e poi verso il piazzale ai piedi della scalinata, cercando qualcosa di anomalo. Apparentemente non c’era niente di strano, ma attorno si era formata una strana quiete, tutto sembrava sprofondato in un silenzio innaturale, come avvolto da qualcosa. Non si udiva nessun rumore, nemmeno il ronzare di un insetto. Cosa stava accadendo?
 
Dopo alcuni minuti l’atmosfera sembrò cambiare, la luce tornò quella di prima e furono nuovamente udibili gli abituali rumori del circondario; il frinire delle cicale, il cigolio delle ruote di un carro che risaliva la strada lastricata dietro alla collina. Qualcuno esultava nell’arena non lontana.
 
La tensione nell’aria sembrava svanita. Tutto pareva essere apparentemente tornato alla normalità, ma non per i Cavalieri, che rimasero in guardia. In particolare Mu, dotato di poteri soprannaturali come la capacità di teletrasportare se stesso e altri da un luogo all’altro e aprire varchi dimensionali, si rendeva perfettamente conto di cosa stesse accadendo. Qualcuno, venuto da lontano, era in agguato a pochi passi da loro.
 
Un’improvvisa luce accecante lo abbagliò per una manciata di secondi. Quando fu in grado di riaprire gli occhi vide tre guerrieri in piedi al centro della piazzola. Dovevano essere alti più di due metri, di corporatura decisamente robusta e rivestiti con delle armature molto spartane indossate sopra una cotta di maglia. Sembravano sbucati dal nulla.
 
 
I tre uomini avanzarono lentamente e si fermarono a pochi metri dall’inizio della gradinata. Uno di loro fece qualche passo avanti rispetto agli altri.
 
“Dobbiamo salire al Tempio!” gridò “Lasciaci passare.”
 
“Non posso lasciarvi passare. Andatevene!” rispose Mu, con voce calma ma allo stesso tempo decisa.
 
“Al tempio c’è una pietra che ci appartiene! È la Giada Rossa che ci è stata sottratta. Non ce ne andremo finché non l’avremo recuperata.”
 
“Non vi lascerò passare.”
 
“Ripeto che non ce ne andremo finché non l’avremo recuperata. Se non ci lascerai passare saremo costretti a ucciderti.”
 
“E io ti ripeto che non posso lasciarvi passare!” rispose ancora Mu, che cominciava a seccarsi per quel dialogo inutile. Ma pensavano davvero di poterlo convincere così?
 
Il guerriero più vicino congiunse le mani, le tenne per qualche secondo immobili davanti al petto e le riaprì rivolgendo i palmi in avanti. Mu fece appena in tempo a scansarsi quando sentì esplodere i gradini accanto a lui. Una vortice di luce accompagnato da una frana di pietre acuminate come punte di freccia vi si era scagliata contro con una forza tale da distruggerli.
 
Il nemico rimase immobile ma dalle sue mani uscì quasi immediatamente un altro fascio di luce ad accompagnare un’altra ondata di schegge. Mu riuscì a materializzare davanti a sé il Crystal Wall, l’invisibile muro protettivo in grado di riflettere l’attacco del suo avversario ritorcendoglielo contro. Sorrise soddisfatto appena vide il vortice luminoso e le schegge rimbalzare verso il guerriero.
 
Ma… un momento. Non lo avevano colpito! Lo avevano attraversato lasciandolo indenne! Inoltre erano rimbalzate un po’ da tutte le parti, avrebbero dovuto raggiungere anche i suoi compagni pochi passi dietro a lui, ma tutti e tre erano rimasti impassibili. Com’era possibile?
 
Il guerriero continuò a incalzarlo lanciando i suoi colpi e sembrava gli ci volessero solo pochi secondi per riprendere le forze tra uno e l’altro. Spostandosi continuamente, nel vano tentativo di rendergli le cose un po’ più difficili, continuava a respingere i suoi attacchi con il Crystal Wall, ma non riusciva mai a colpirlo.
 
Perché? Perché mai? Calma, forse semplicemente aveva poteri come i suoi, era capace di smaterializzarsi e riapparire evitando di essere colpito. O forse era talmente veloce da riuscire a spostarsi e tornare a posto senza che lui se ne accorgesse. In entrambi i casi un avversario così non si poteva certo battere semplicemente riflettendone i colpi di cui conosceva potenza e direzione; andava colto di sorpresa!
 
Respinto l’ultimo attacco lasciò dissolvere il muro e contrattaccò con lo Stardust Revolution: materializzò una grande quantità di polvere di stelle e meteoriti e la scagliò contro il nemico. Mentre enormi lampi illuminavano il cielo, rimase a guardare soddisfatto quella pioggia di dardi luminosi abbattersi sul guerriero.
Questi non si preoccupò neppure di spostarsi, evidentemente sicuro di non essere raggiunto, e lanciò un altro dei suoi attacchi. Questa volta i due compagni lo imitarono. Mu, per spostarsi più velocemente, cercò di usare il teletrasporto ma non vi riuscì. Perché? Perché no? Non poteva usarlo per coprire il percorso tra una Casa e l’altra, ma nell’area tra il piazzale e la sua lo aveva sempre fatto. Qualcosa lo inibiva? Faceva parte del potere dei nemici? Troppe domande. In meno di un secondo venne investito in pieno da un’altra frana di pietre e luce che lo scagliò con forza contro la parete rocciosa alle sue spalle.
 
L’impatto con la pietra fu talmente forte da sgretolarla; non avesse avuto l’armatura d’oro, sarebbe morto sul colpo. Scivolò a terra rotolando un paio di metri lungo la scalinata, stordito, assieme ai frammenti di roccia ricaduti su di lui. L’onda di energia che lo aveva investito era calda e potente; portava l’eco di qualcosa di lontano, ebbe la sensazione di sentire granelli di sabbia tra i denti e sulla pelle. Una fitta al braccio sinistro gli fece capire di essere stato ferito.
 
Lo avevano attaccato tutti assieme. Tre contro uno; che ne era dell’onore? Non esisteva più? Ma che razza di cavalieri erano? Forse non lo erano proprio. In ogni caso questo non faceva molta differenza, anche questa volta la sua offensiva sembrava averli attraversati come niente fosse. Non riusciva a crederci. E non era più nemmeno in grado di usare il teletrasporto.
Inoltre c’era qualcosa di strano nella traiettoria di quell’attacco, quelle schegge erano ricadute su di lui con una traiettoria leggermente diversa da quella che si era aspettato.
 
Aprì gli occhi con fatica, la vista era leggermente annebbiata. Cosa c’era accanto? Altri cavalieri uguali a lui in tutto, compresa l’armatura identica alla sua, erano distesi lungo la scalinata. Chi erano quelle persone? Aveva battuto la testa così forte da avere allucinazioni?
 
Mu! Cavaliere della Prima Casa!” una voce lontana, qualcuno cercava di raggiungerlo attraverso il canale telepatico.
 
Chi sei?”
 
Sono Shaka, custode della Sesta Casa della Vergine. Voglio esserti d’aiuto. Ho creato delle illusioni, delle copie di te in modo da confonderli. Sei ferito?”
 
Sì, era quello che ci voleva.
 
Grazie Shaka! Ho qualche ferita ma non grave.
 
Il guerriero in effetti, al diradarsi della polvere alzata, si trovò davanti decine di cavalieri dall’aspetto identico ed ebbe un attimo di esitazione cercando di identificarlo in mezzo a essi. Mu ne approfittò per riprendere fiato per qualche istante, sapeva di non avere molto tempo prima che il nemico decidesse di attaccare a caso nel mucchio. Dando fondo alle ultime forze si alzò all’improvviso e lanciò ancora lo Stardust Revolution scagliandolo con tutta la sua forza contro l’avversario, questa volta cercando di concentrarla in un unico punto. Un altro fascio di luce si affiancò al suo, era Aldebaran che dalla Seconda Casa lanciava l’enorme potenza del suo Great Horn.
 
I nemici vennero attraversati da entrambi gli attacchi, come fossero fatti di aria e non si scomposero minimamente, ma anzi contrattaccarono ancora tutti e tre assieme, facendo contemporaneamente gli stessi movimenti con le mani lanciando contro Mu un altro vortice di luce e schegge. Anche questa volta venne centrato in pieno, sentì il corpo schiacciarsi contro la scalinata per effetto dell’onda d’urto; l’impatto con la pietra fu durissimo, sentì la pelle lacerarsi sotto l’armatura. Le punte affilate delle schegge gli trafissero braccia e cosce nelle uniche parti non protette dalla corazza; il dolore lo lasciò senza fiato.
 
Shaka ebbe l’accortezza di muovere e far ricadere a terra tutte le copie di Mu in modo che il nemico facesse ancora fatica a identificarlo; questi infatti restò qualche secondo fermo cercandolo con gli occhi.
 
L’Ariete rimase immobile cercando, con le ultime forze, di usare i suoi poteri psicocinetici per trattenere il sangue nelle ferite. Shaka era troppo lontano per vederle e riprodurle nelle immagini delle sue copie; se avesse lasciato colare il sangue lungo il corpo i nemici probabilmente lo avrebbero identificato subito. Inoltre non aveva intenzione di dare così tanta soddisfazione ai suoi avversari mostrandosi ferito né, tantomeno, di morire dissanguato. Era ancora stordito dal colpo subito, non aveva abbastanza forza per richiudere le ferite con i suoi poteri, ma il sangue sì, quello lo poteva ancora trattenere.
 
Faticava a respirare. Il cuore batteva forte. Tossì ripetutamente, aveva la gola secca, il sapore ferroso del sangue nella bocca. Osservò le varie copie di sé costruite da Shaka, erano davvero perfette. Si trovò a pensare quanto potente dovesse essere quel ragazzo per generare illusioni così precise standosene alla Sesta Casa. Fu così che notò un particolare di cui prima non si era accorto. Come aveva fatto a non rendersene conto?
 
Guardò la sua ombra che si allargava verso sinistra, lo stesso era per le copie di lui che aveva creato Shaka. Il guerriero nemico non aveva ombra. Com’era possibile? Semplicemente non era reale ma un’illusione creata da qualcuno, meno attento e meno abile del Cavaliere della Vergine, che si era dimenticato di disegnargli un’ombra.
 
Si sentì colpito nell’orgoglio, era stato battuto da persone così ingenue e impreparate?
 
Quel qualcuno doveva essere ben nascosto nei paraggi, era lui che in realtà scagliava gli attacchi mentre li distraeva con quelle immagini. Si era lasciato ingannare come un principiante.
 
Ancora disteso sulla scalinata si guardò attorno cercando di individuare il luogo in cui si trovava il suo nemico, non c’erano molti posti dove potesse nascondersi: doveva essere al riparto ma poter avere una buona visuale della piazzola e della scalinata, visto che doveva fingere che gli attacchi venissero da lì. Sì, poteva essere solo lungo la strada che risaliva la collina, dove il percorso faceva una curva; era l’unico luogo coperto della zona. Adesso comprese il motivo della strana traiettoria dei colpi del nemico, non venivano dai guerrieri davanti a lui ma da qualche centinaio di metri più lontano. Se ne sarebbe dovuto rendere conto subito, pensò con grande rammarico.
 
Mu! Mu! Rispondi! Ti ha colpito! Sei ferito?” la voce di Aldebaran gli risuonava nella testa.
 
Comunicò la sua scoperta ai compagni tramite il canale telepatico.
 
Devono essere lì. Non ho la forza di attaccare, non sarei abbastanza veloce.
 
Ci penso io!” rispose Aldebaran.
 
Mu strinse i denti. Aveva dolori dappertutto, le forze lo stavano abbandonando.
 
Vide la scia luminosa del Great Horn stagliarsi contro il cielo, passare qualche metro sopra a lui e abbattersi oltre la curva della strada. Subito dopo arrivarono delle scariche elettriche e un raggio di luce scarlatta; i suoi compagni stavano attaccando assieme. Le immagini dei tre cavalieri sparirono dal piazzale. Delle grida si udirono dalla strada.
 
Colpiti!” pensò Mu con un po’ di sollievo.
 
I Cavalieri d’Oro continuarono a lanciare i loro attacchi dall’alto delle loro Case, cercavano di respingere i nemici ma anche di impedire che colpissero ancora l’Ariete. Mu, ancora disteso, guardava quelle onde di luce e di energia passare sopra di lui che andavano a schiantarsi poco lontano. Era proprio in mezzo alla battaglia ma non aveva la forza di muoversi.
 
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi. Una delle schegge aveva colpito l’arteria femorale. Non ci voleva! Non era tranciata, ma aveva un bel taglio che andava riparato. Per i suoi poteri telecinetici richiudere una ferita non era difficile, ma in quel momento gli mancavano le forze. Si sentiva svenire. No. No. Doveva rimanere cosciente, sennò avrebbe ripreso a sanguinare e sarebbe morto in pochi minuti. Doveva rimanere sveglio, trattenere il sangue, non doveva perderne ancora attraverso le ferite. E doveva riparare quella maledetta arteria, sarebbe bastato qualche minuto. Come gli aveva insegnato il Maestro: concentrarsi, ignorare tutto ciò che era attorno e prendere coscienza del suo organismo, le singole cellule, i singoli atomi.
 
Uno schianto a pochi passi da lui, alcune schegge lo colpirono ancora di striscio. Aprì gli occhi e guardò in quella direzione; gli altri Cavalieri non lasciavano respiro ai tre nemici, questi però riuscivano ancora a contrattaccare e qualche frammento di roccia poteva ancora a raggiungere le scalinate.
 
Non lasciarti distrarre!
 
Di chi era quella voce che gli parlava direttamente nella testa? Gli era sembrata quella del Maestro. Da quanti anni non la sentiva più? Era davvero lui? Percepì un leggero calore sulla spalla, come qualcuno vi avesse posato una mano come era solito fare lui quando era bambino.
 
Non distrarti! Non hai molto tempo.
 
Sì. Non doveva distrarsi, ma fidarsi dei compagni che lo proteggevano e darsi da fare. Strinse i denti.
Piano piano riuscì a prendere coscienza della composizione del sangue, lo sentiva scorrere vivo con ancora l’eco delle pulsazioni del cuore. Doveva formare piccoli coaguli sui quali ricostruire la struttura delle cellule. Ecco, così. Lentamente il corpo rispondeva, i tessuti ricostruiti ne fagocitarono altri, le piccole fibre si riallacciarono.
 
Forse aveva chiuso gli occhi, o forse in quel momento non era in grado di vedere, avvolto nei colori del buio e del sangue. Stava perdendo il contatto con il mondo esterno, era come immerso nel lavoro delle cellule. Il battito cardiaco, diventato quasi assordante, gli martellava nelle orecchie, nello stomaco, in gola.
 
Con immensa fatica riuscì a ricostruire la parete della vena. Sì. Ce l’aveva fatta. L’aveva saldata, così doveva essere sufficiente. Lo sforzo lo aveva stremato. Non sarebbe riuscito a fare altro, ma tutto sommato, le altre ferite non erano così gravi. Forse. Si sentì mancare definitivamente le forze, tutto attorno cominciò a girare vorticosamente.
 
“Resisti, vengo a prenderti!” gridò Aldebaran precipitandosi verso di lui.
 
Mu però non lo poteva sentire. Aveva già perso i sensi.

 
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Marin - Cavaliere dell’Aquila
Paese di Origine: Giappone
Età: 14 anni
 
e il suo allievo Seiya

 
 


Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra Cina e India)
Età: 18 anni
Particolarità: Telecinesi, teletrasporto
Colpi che gli vedremo usare:
Crystal Wall (muro di cristallo che lo protegge e riflette gli attacchi dei nemici)
Stardust Revolution (pioggia di polvere di stelle e meteoriti)
 


Aldebaran - Cavaliere del Toro
Paese di Origine: Brasile
Età: 18 anni
Particolarità: Grande forza fisica
Colpi che gli vedremo usare:
Great Horn (forte esplosione di energia cosmica)




(L'immagine a destra è una fan art di Marco Albiero)
Aiolia - Cavaliere del Leone
Paese di Origine: Grecia
Età: 18 anni
Particolarità: capacità curative
Colpi che gli vedremo usare:
Lightning Volt (fulmine alla velocità della luce)
 


Shaka - Cavaliere della Vergine
Paese di Origine: India
Età: 18 anni
Particolarità: Reincarnazione di Buddha, raggiunge l’illuminazione all’età di sei anni. È considerato l’uomo più vicino agli dei.
Colpi che gli vedremo usare: Capacità di creare illusioni

 



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Angolo di quella che scrive:
 
Dunque... è la prima volta che scrivo una scena con un combattimento… e temo che si veda. ^_^’’’
Tra descrizioni e considerazioni del povero Mu spero non sia tutto troppo lento e noioso, o almeno spero si capisca cosa succede. Prometto che per un po’ di capitoli non ne scriverò altre! ^_-
 
Grazie a tutti quelli che sono a leggere fin qui. Come sempre sarò felice se mi lascerete qualche commento con pareri e consigli.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Capitolo III




 
Com’era difficile emergere dal mare caldo e buio che lo avvolgeva. Dov’era? Si sentiva completamente stordito. Cos’era successo?
 
All’improvviso le immagini della battaglia gli tornarono alla mente nitide in tutta la loro violenza: il Santuario, i tre guerrieri, il combattimento. Era stato ferito, ricordò l’urto contro la parete rocciosa, le pietre che gli franavano addosso. Lo sforzo del richiudersi le ferite principali, la sensazione della mano del Maestro sulla spalla a fargli coraggio. Poi nulla, doveva aver perso i sensi steso sulla scalinata.
 
In seguito, solo sensazioni confuse. Un vento gelido gli aveva sferzato il viso, qualcosa lo aveva pizzicato in diverse parti del corpo provocandogli un forte dolore. Ricordava di essersi svegliato per qualche momento, adagiato sulla pietra. Un ragazzo dai lunghi capelli blu gli parlava, ma la sua voce arrivava ovattata. Era sicuro di conoscerlo. Ma chi era? Sopra di loro le travature del soffitto della Prima Casa, pulviscolo nell’aria. Da fuori, le grida e il rumore della battaglia. Poi di nuovo il buio.
 
Ma dov’era, adesso? Si rese conto di essere adagiato su un letto morbido, coperto da lenzuola pulite. Qualcosa di fresco sulla fronte gli dava sollievo, un leggero profumo di rose aleggiava nell’aria. Attorno, un confortante silenzio.
 
Aprì gli occhi cercando di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Non riconosceva quel luogo.
 
“Ben svegliato. Come ti senti?”
 
Un giovane era seduto sul bordo del letto e, chino su di lui, gli tamponava il viso con un panno bagnato.
 
Ancora imbambolato guardò il volto di quello sconosciuto; i lineamenti delicatissimi che lo rendevano perfettamente androgino, i lunghi capelli indaco, gli occhi di un turchese quasi irreale.
 
“Mi chiamo Aphrodite,” disse questi precedendo la sua domanda “e questa è la Dodicesima Casa dei Pesci della quale io sono custode. Quando hai perso i sensi si è pensato che questo fosse il luogo più adatto per lasciarti riposare, in quanto più lontano dall'inizio della scalinata. In caso di un nuovo attacco qui saresti stato al sicuro.”
 
Una bacinella era posata su un basso comodino accanto al letto, era piena di acqua sulla cui superficie galleggiavano alcuni petali di rosa vermigli. Il giovane vi immerse il panno e lo strizzò.
 
“Chiudi gli occhi, ti sciacquo il viso.”
 
L’Ariete obbedì, un po' intimidito dalla situazione. Non era abituato a quelle attenzioni.
 
Aphrodite gli passò delicatamente il panno bagnato sugli occhi, il volto e il collo.
 
“Ecco qui, non hai fatto altro che agitarti e sudare. Un po' di fresco ti farà stare meglio.”
 
Mu cercò di muoversi. Una fitta di dolore gli attraversò il corpo.
 
“Chi mi ha portato qui?” chiese con un filo di voce.
 
“Quando sei svenuto gli altri erano ormai arrivati vicino a te. Mentre lo coprivano, Aldebaran, ti ha portato in braccio lungo la scalinata per metterti al sicuro nella Casa dell’Ariete. È lì che hai ricevuto le prime cure. Dopo il combattimento ti hanno portato qui e ti hanno vegliato a turno. Io sono rientrato poco fa da una missione.”
 
“Capisco… ma… quanto ho dormito?”
 
“Solo poche ore, stai tranquillo,” sorrise l’altro, comprendendo il suo disagio.
 
“Devo farti i miei complimenti,” continuò poco dopo il Cavaliere dei Pesci “ho saputo che hai sostenuto un bel duello. Mi hanno detto che hai materializzato polvere di stelle. È vero?”
 
Mu annuì lentamente, confuso da quel discorso.
 
“Che cosa elegante! Sai, io adoro la bellezza, in tutte le sue forme.”
 
“Capisco…” mormorò un po’ spiazzato da quell’affermazione di cui non era molto convinto di aver afferrato il senso.
 
“Non spaventarlo con questi discorsi o penserà che siamo tutti fanatici come te.” Una voce arrivò dalla stanza vicina.
 
Aphrodite alzò gli occhi al cielo per un momento e, voltandosi verso la porta, fece un gesto teatrale con la mano come per scacciare quelle parole.
 
Mu guardò in quella direzione, due Cavalieri erano fermi sulla soglia.
 
“Mi chiamo Camus,” disse il ragazzo che aveva appena parlato, mentre entrava nella stanza “sono Cavaliere dell’Aquario e custode dell’Undicesima Casa. Vedo che ti sei svegliato.”
 
Muovendosi con cautela, l’Ariete si mise a sedere, fu colpito da un improvviso giramento di testa che lo fece quasi ricadere all'indietro. Sostenendosi con le braccia, chiuse gli occhi un momento per riprendersi, poi li riaprì lentamente verso i due nuovi arrivati.
 
“Quell'ustione sulla guancia è colpa mia, mi dispiace,” continuò Camus.
 
Mu si toccò istintivamente il viso in corrispondenza di quella piaga, della quale, in verità, non si era ancora accorto.
 
“Il bruciore diffuso che senti è invece colpa mia,” disse l’altro cavaliere avvicinandosi anch’egli al letto. Era il ragazzo dai capelli blu che aveva visto appena aperti gli occhi nella Prima Casa.
 
“Sono Milo, Cavaliere dello Scorpione e custode dell’Ottava Casa. Ci siamo conosciuti tanti anni fa,” si presentò questi prima di continuare “Sembrava che con il freddo non ti svegliassi e ho punto i tuoi punti vitali pensando che quel dolore forse ti avrebbe scosso. Temo di averli infiammati un po’.”
 
“Non dovete scusarvi, anzi, sono io a dovervi ringraziare. Mi avete salvato la vita. Vi ho sentiti entrambi, anche se non vi avevo riconosciuti; è grazie a voi se ho ripreso i sensi.” Sì, la sensazione di freddo e della morsa di dolore che lo avevano scosso erano davvero opera loro.
 
“Quando siamo arrivati alla Prima Casa eri privo di coscienza e perdevi molto sangue. Aldebaran ha detto che durante il combattimento sei riuscito a trattenere da solo l’emorragia, ma ovviamente una volta svenuto non eri più in grado di farlo. Per questo abbiamo cercato di svegliarti. Aiolia comunque è riuscito a curati le ferite più gravi, ha detto che ti eri già richiuso l’arteria femorale da solo.”
 
“Sì, con i miei poteri non è difficile. Ma ero preso un po’ male e mi sono mancate le forze per fare altro. Temo di non aver combinato molto, oggi.”
 
“Beh, non direi, sei riuscito a dirci dove si nascondevano i nemici e permetterci di colpirli. Mi è piaciuta la freddezza con la quale ti sei battuto,” disse Camus “essere attaccati da tre persone contemporaneamente non è uno scherzo.”
 
L’altro scosse leggermente la testa, un po’ mortificato per dover ammettere una sua mancanza “Non so come, ma hanno inibito il mio teletrasporto. Me ne sono accorto all’ultimo momento e non sono riuscito a muovermi abbastanza in fretta. Mi sono fatto cogliere di sorpresa. È stato un mio errore, in realtà.”
 
“Ciò non toglie che ti abbiano attaccato in tre assieme, erano persone senza onore.”
 
Mu annuì, ancora avvilito ma grato per quella comprensione.
 
Guardò le braccia dove era certo di aver avuto delle ferite, erano perfettamente chiuse e quasi non se ne vedevano le cicatrici. Doveva essere opera delle proprietà curative di Aiolia.
 
“Ci sono stati altri feriti?”
 
“Niente di grave. Aldebaran e Aiolia hanno delle leggere contusioni. Aiolia è stato colpito di striscio ma gli hanno solo staccato un pezzo del diadema,” disse Milo.
 
“Cosa è successo dopo che ho perso i sensi? Siete riusciti a catturarli?”
 
“Non hanno voluto arrendersi” rispose Milo “hanno continuato ad attaccare fino all’ultimo. Sono morti tutti e tre, i loro cadaveri sono stati portati su al Tredicesimo Tempio per tentarne l’identificazione. Hanno delle armature piuttosto rozze. Shaka ha riconosciuto delle iscrizioni che vi sono incise sopra, ha detto che erano delle preghiere verso … boh, qualche dio che conoscono in Asia.”
 
“Indra, il dio si chiama Indra,” intervenne Camus mentre l’altro alzava le spalle “in ogni caso,” continuò “non c’è stato nessun modo di dialogare con loro. Hanno voluto solo combattere. Shaka ha accennato a qualcosa che aveva scoperto in una missione recente, poi è andato a riferire al Sommo Sacerdote. Credo sia ancora lì. La nostra riunione avrà luogo domani mattina come previsto; allora verremo aggiornati sulle Sue decisioni.”
 
Mu annuì ancora, meditando su tutte quelle informazioni; si rese conto però che il solo tenere gli occhi aperti per quei pochi minuti lo avevano stancato terribilmente.
 
“Adesso è meglio se ti riposi,” disse Aphrodite avvicinandosi di nuovo al letto “per questa notte abbiamo dei turni di guardia, ma ne sei stato dispensato. Penso sia meglio tu rimanga direttamente a dormire qui.”
 
“A dire il vero preferirei tornare alla Prima Casa” replicò l’Ariete appoggiando la testa sul cuscino “però… in effetti vorrei riposare ancora un po’.”
 
“Ti lasciamo tranquillo, se ti serve qualcosa io sono nel giardino qui fuori,” disse l’altro mentre gli sistemava le lenzuola.
 
Gli altri Cavalieri lo salutarono e uscirono dalla stanza. Mu chiuse gli occhi e, senza quasi accorgersene, sprofondò immediatamente nel sonno.
 
 
 
 
 
Quando, dopo poche ore, si svegliò, sentì di aver ripreso in gran parte le forze e che i dolori erano diminuiti considerevolmente. Lentamente si mise a sedere sul letto, le mani strette sul bordo, i piedi scalzi a contatto con il pavimento freddo. Bene, la testa non girava più.
Si guardò attorno; la luce rossastra del tramonto entrava dalla finestra e una leggera brezza muoveva le sottili tende che la ornavano. La porta della camera era stata lasciata aperta, forse per creare un po’ di corrente per contrastare il caldo della giornata estiva.
 
Sentì delle voci lontane provenire dall’esterno. Si alzò e uscì nella stanza attigua già immersa nella penombra. La struttura dell’edificio non era dissimile da quella della Prima Casa ma l’arredamento era di gusto decisamente diverso, semplice ma molto raffinato. Attraversò la sala, nella quale si respirava un leggero profumo di cannella, dirigendosi verso una portafinestra incorniciata da due lunghe tende.
Le voci tacquero nel preciso istante in cui uscì, ma fu talmente stupito da ciò che vide davanti a sé che quasi non se ne accorse.
 
Il giardino era molto più grande di quanto si fosse aspettato, lungo il perimetro, crescevano rigogliosi diversi rosai creando quasi delle pareti di foglie e di fiori.
 
Aphrodite li stava innaffiando con cura soffermandosi di tanto in tanto ad ammirarli.
 
Sulle gocce d’acqua rimaste tra le foglie e sui petali, brillava l’ultima luce del sole.
 
“Ti sei alzato, finalmente!” disse all'improvviso una voce alle sue spalle.
 
Mu, colto di sorpresa, si girò di scatto. Un Cavaliere, in piedi con le braccia conserte, lo guardava con un sorriso molto più simile a un ghigno che altro.
 
“Lui è Death Mask del Cancro, custode della Quarta Casa.” Lo presentò Aphrodite avvicinandosi con ancora l’innaffiatoio in mano.
 
“Finalmente ho il piacere di conoscerti” continuò il Cavaliere del Cancro “non ti ho mai visto qui prima d’ora.”
 
“Piacere mio. Effettivamente manco da diversi anni,” rispose Mu.
 
“Sei tornato proprio nel momento giusto per prenderti una bella bastonata, eh?” Disse l’altro ridendo sguaiatamente.
 
Aphrodite si lasciò sfuggire un sospiro e dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio chiese a Death Mask di accendere le lampade a olio ai lati della porta.
 
“Sono belle, vero?” disse poi a Mu indicando le sue rose “quelle di questi rosai non sono pericolose, puoi anche toccarle se vuoi. Non avvicinarti a quelle che crescono nel giardino là in fondo, oltre l’angolo della casa. E se dovessi vederne lungo la scalinata che porta da qui al Tredicesimo Tempio, tienitene assolutamente lontano.”
 
L’Ariete annuì. Tanti anni prima, Shion gli aveva raccontato della capacità del Cavaliere del segno dei Pesci di materializzare rose tanto belle quanto letali; alcune erano semplicemente avvelenate e uccidevano chiunque ne inalasse il profumo, altre erano come piranha e divoravano tutto ciò con cui venivano a contatto, altre ancora risucchiavano il sangue delle sue vittime attraverso lo stelo. Gli aveva anche parlato del Cavaliere dei Pesci che aveva combattuto al suo fianco nell’ultima Guerra Sacra; questi era stato talmente tanto tempo a contatto con quei fiori avvelenati da averne assorbito il veleno nel sangue e nei tessuti della pelle, diventando anch’egli un’arma pericolosa ed essendo costretto a vivere isolato dagli altri. Aphrodite per fortuna non sembrava avere questo problema.
 
“Mi fa piacere vedere che stai meglio.” La voce dell’altro lo distolse dai sui pensieri.
 
“Grazie. Sì, sto decisamente meglio. Ti ringrazio ancora per l’ospitalità. Adesso credo che dovrei tornare alla Prima Casa.”
 
“Sei sicuro di non volerti fermare qui?”
 
“Ti ringrazio, ma davvero, penso di averti già dato troppo disturbo.”
 
“Nessuno disturbo, ma fai come preferisci. Vorrei regalarti qualche rosa da portare giù da te ma credo sia meglio aspettare ancora un paio di giorni, quando inizieranno a sbocciare. Domani o dopodomani sarà il momento ideale per coglierle, te ne darò qualcuna da portare alla tua Casa, se ti fa piacere.”
 
“Non disturbarti… ” cercò di rifiutare.
 
“Ci tengo. Davvero. Accettalo come regalo di bentornato. Tra qualche giorno te le porterò.”
 
Mu si arrese davanti a quella cordialità, troppo ostentata per non sembrare falsa, che suo malgrado era costretto ad accettare.
 
Ringraziò ancora Aphrodite e si accinse a salutare entrambi i Cavalieri.
 
“Vengo giù anch’io,” disse inaspettatamente Death Mask “che se succede ancora qualcosa è meglio che ognuno sia al suo posto.”
 



Veduta notturna delle Dodici Case dello Zodiaco.




I due lasciarono la Casa dei Pesci e cominciarono a scendere verso le rispettive dimore. Anche se il sole era ormai quasi completamente tramontato, dalla pietra saliva ancora il calore del sole pomeridiano.
Il buio stava già iniziando a inghiottire il versante più lontano della valle e, lungo la scalinata delle Dodici Case dello Zodiaco, i soldati stavano accendendo una dopo l’altra numerose fiaccole a illuminare il percorso. Presso i templi venivano accesi i bracieri che ne avrebbero illuminato ingresso e deambulatorio per tutta la notte.
 
Milo e Camus, seduti sugli ultimi gradini davanti alla Casa dell’Aquario, chiacchieravano sottovoce attendendo il fresco portato dal vento della sera. Appena Death Mask e Mu si avvicinarono, i due cavalieri si alzarono e andarono loro incontro per informarsi sulle condizioni di quest’ultimo. Rimasero a chiacchierare per alcuni minuti e poi si salutarono.
 
Death Mask e Mu continuarono la loro discesa lungo la scalinata silenziosa. Giunti davanti alla Casa del Capricorno, l’Ariete si fermò sulla soglia ma l’altro entrò direttamente facendo segno di seguirlo.
 
“Vieni, vieni, Shura non è ancora tornato,” disse mentre si addentrava nel colonnato “possiamo passare senza chiedere a nessuno.”
 
Attraversare la Casa del Sagittario mise una grande malinconia nel cuore di Mu; l’ultima volta che vi era entrato, tanti anni prima, Aiolos lo aveva aspettato sulla porta sorridendo mentre guardava lui e gli altri bambini salire di corsa gli ultimi scalini. Il Cavaliere del Cancro, che lo guardava di sottecchi, percepì il mutamento del suo stato d’animo.
 
“La casa del traditore, eh?” borbottò, forse per vedere una sua reazione.
 
“Questa mattina, quando sono arrivato, ho visto che molte Case erano deserte,” disse l’Ariete dopo qualche minuto per spezzare il silenzio.
 
“Sì beh, immagino,” rispose l’altro “in realtà alcune lo sono sempre; la Casa del Sagittario è rimasta vuota undici anni fa, il Cavaliere dei Gemelli è in una lunga missione per conto del Sacerdote, quello della Bilancia se ne sta imboscato da duecento anni da qualche parte in Cina a fare non si sa cosa per Athena, in pratica qui non l’ha mai visto nessuno, e anche tu sei mancato per anni. Poi a periodi il Sacerdote ci spedisce in giro, nell’ultima settimana non c’eravamo neanche io e Aphrodite. Shura credo torni ‘sta notte.”
 
Nel frattempo avevano raggiunto la Sesta Casa.
 
“Anche qui non c’è nessuno,” constatò Death Mask “Shaka è stato a lungo a parlare con il Sacerdote e poi si è rintanato in biblioteca, si vede che è ancora lì. Scommetto che anche la prossima Casa sarà deserta, Aiolia lascia sempre la postazione quando non è di guardia. Se questo è l’impegno che ci mettiamo nel difendere il Santuario… siamo proprio a posto!” concluse ridendo nella solita maniera un po’ rozza.
 
Mu accennò un sorriso di circostanza, rammaricato di non poter incontrare i due Cavalieri e ringraziarli per l’aiuto ricevuto nel combattimento.
 
Quando arrivarono alla Casa del Cancro, Death Mask lo accompagnò fino all’uscita attraversando il lungo corridoio quasi totalmente immerso nel buio. I due camminavano fianco a fianco in silenzio quando a un tratto si udì un lieve lamento. Mu d’istinto si fermò guardandosi attorno.
 
“Ti consiglio di venire avanti,” disse l’altro tirandolo in malo modo per un braccio “a meno che tu non voglia intrattenerti con i miei souvenir,” continuò con tono canzonatorio.
 
L’Ariete obbedì ma, ora che gli occhi si erano abituati alla poca luce, iniziò a distinguere dei volti che spuntavano dalle pareti, come appartenessero a persone immerse nella pietra. In gran parte tenevano gli occhi chiusi, ma alcuni sembravano seguirlo con lo sguardo. Alcune teste spuntavano anche dal pavimento, subito dietro al fitto colonnato che fiancheggiava il percorso. Un senso di angoscia lo invase, erano dunque vere le voci che aveva sentito su di lui? Conservava davvero le teste delle sue vittime impedendo alle loro anime di raggiungere l’aldilà? Possibile che il Santuario permettesse a uno dei suoi cavalieri di fare una cosa del genere?
 
Arrivarono finalmente all’uscita, dove incontrarono quattro soldati che avevano appena terminato di accendere la fiaccole davanti alla facciata della Casa. Il Cancro fece loro segno di passare e questi obbedirono addentrandosi nell’edificio con passo sostenuto per poi iniziare a correre dopo solo pochi metri.
 
A Death Mask scappò un’altra risata “Guarda come se la fanno sotto! Quando passano di qua, attraversano sempre di corsa.”
 
Dopo aver salutato il Cavaliere del Cancro, Mu si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Quel ragazzo gli aveva dato una sensazione sgradevole, facendolo sentire a disagio per tutto il tempo.
 
Continuò a scendere da solo quella scalinata che sembrava non voler finire mai e, dopo pochi minuti, raggiunse la Casa dei Gemelli. Attraversare quell’ambiente semibuio gli infuse un senso di inquietudine, ci fu un momento in cui ebbe anche la netta sensazione di essere osservato, come se qualcuno, nascosto tra le colonne, lo stesse spiando. Quella sensazione svanì appena uscito dall’altro lato della Casa.
 
Finalmente raggiunse la Casa del Toro.
 
“Amico mio! Che piacere rivederti in piedi!” esclamò Aldebaran andandogli incontro non appena lo vide. Avrebbe voluto abbracciarlo ma temeva che le corna e gli spuntoni che ornavano le due armature non lo avrebbero reso molto piacevole, quindi si limitò ad appoggiargli affettuosamente una mano sulla spalla. L’Ariete ricambiò il gesto, sorridendo.
 
“Ti devo la vita,” disse Mu “sei sceso per venirmi a prendere rischiando di essere colpito anche tu.”
 
“Figurati. Lo avresti fatto anche tu se fossi stato al mio posto. Stai bene?”
 
“Si. Grazie. Mi sono rimesso perfettamente.”
 
“Hai mangiato qualcosa?”
 
Mu scosse la testa, mentre il suo stomaco gli ricordò all’improvviso di essere a digiuno dall’alba, quando aveva fatto colazione assieme a Kiki.
 
“Vuoi fermarti da me? Alle ancelle è scivolato un po’ di spezzatino in più nella pentola…” propose il Toro, strizzando un occhio.
 
L’Ariete accettò con piacere, sapeva che l’amico era stato in pena per le sue condizioni e, soprattutto, che quella porzione eccessiva di cena era stata in realtà preparata apposta per lui.
 
I due cenarono assieme nella piccola cucina della Seconda Casa, chiacchierando come non facevano da molto tempo.
 
Aldebaran era l’unico dei Cavalieri d’Oro con il quale Mu era rimasto in contatto negli ultimi anni. Questi amava molto viaggiare per l’Asia soprattutto in Paesi come India, Cina e Tibet. Per questo motivo gli venivano affidate spesso missioni in quelle zone, avevano avuto quindi molte occasioni per incontrarsi lontano dagli occhi indiscreti del Santuario.
 
“Posso chiederti cosa ti porta qui dopo tanti anni?” domandò a un certo punto il Toro mentre prendeva dalla credenza una bottiglia di liquore. “Pensavo mi avresti affidato la solita lettera di scuse per l’assenza alla riunione, assieme a quella di Dohko. Hai sempre detto di sentirti un pesce fuor d’acqua, qui.”
 
Mu si aspettava quella domanda e sorrise, pensando alla risposta che avrebbe dato.
 
I Cavalieri d’Oro erano obbligati a rispondere sempre alle chiamate del Santuario, in caso contrario sarebbero stati passibili di accusa di tradimento. Quelli davvero impossibilitati a presenziare dovevano inviare una lettera di scuse al Sommo Sacerdote spiegando dettagliatamente il motivo della loro assenza. Dohko si era sempre detto impegnato nella sua missione segretissima affidatagli da Athena stessa e Mu aveva ogni volta risposto di essere troppo occupato dai lavori di riparazione delle sacre armature.
L’impegno in missioni affidate dal Santuario o dalla Dèa, era l’unica motivazione accettata, ogni altra giustificazione non sarebbe stata presa in considerazione e avrebbe portato direttamente all’accusa di tradimento con la conseguente pena di morte.
 
Le leggi del Santuario erano molto chiare; ai membri dell’esercito di Athena, fossero Cavalieri o semplici soldati, era richiesta la più completa devozione oltre all’obbedienza assoluta. Numerose persone erano state condannate a morte in quegli anni; i casi di tradimento e disobbedienza erano stati talmente tanti da far sorgere il sospetto si trattasse spesso di accuse fatte con troppa leggerezza. Inoltre, tutto si consumava in un eccessivo silenzio.
 
Per questo motivo Mu non aveva mai ritenuto di raccontare ad Aldebaran ciò che sapeva e, ancora meno, ciò che sospettava. Mettere una pulce del genere nell’orecchio a qualcuno equivaleva a metterlo in pericolo, soprattutto se si trattava di una persona onesta come lui.
 
Era un bravo ragazzo, Aldebaran, sincero e discreto; lui e Dohko, erano gli unici amici fidati che aveva. In quegli anni gli aveva chiesto una sola volta il motivo del suo allontanamento dal Santuario e Mu aveva risposto con quella frase “mi sento un pesce fuor d’acqua”. Il Toro aveva compreso non si sentisse di parlare delle vere motivazioni, si era accontentato di quella risposta apparentemente evasiva. Sì, solo apparentemente, perché una risposta come quella era invece di per sé piuttosto significativa. E di molte cose.
 
Con quella frase Mu gli aveva rivelato che la sua assenza non era veramente motivata da un impegno lavorativo, ma da una volontaria disobbedienza; sapevano entrambi che condividere un’informazione del genere con la persona sbagliata avrebbe potuto costargli la vita. Aldebaran aveva preso atto di quella grande fiducia nei suoi confronti, che mai avrebbe tradito, e ne era stato lusingato. Non era contento del fatto che il suo amico gli nascondesse qualcosa, ma aveva compreso si trattasse di una motivazione personale molto delicata.
 
Ora, a distanza di anni, gli aveva ripetuto in qualche modo la stessa domanda, anche se senza pretese.
 
“Questa volta ho deciso di partecipare, per quanto continui a sentirmi un pesce fuor d’acqua,” aveva risposto Mu “ho deciso di incontrare gli altri Cavalieri e conoscerli. Per quello che ne so, sei l’unico di cui mi possa fidare. Diciamo che vorrei capire come stanno andando avanti le cose qua dentro. E poi era anche ora che mi facessi rivedere, no?”
 
Il Toro sorrise, annuendo leggermente con il capo. Soppesò per qualche minuto quelle parole e poi rispose con quella che sembrava essere una frase di circostanza.
 
“Capisco.”
 
In quelle poche parole avevano rinnovato la loro reciproca fiducia.
 
 
***

 
 
Era ormai notte quando Mu raggiunse la Prima Casa. Una volta entrato, si tolse l’armatura e si distese sul letto. Per quanto avesse dormito diverse ore nel pomeriggio, cominciava a sentirsi di nuovo stanco.
 
Cercò di riordinare i pensieri e riflettere sugli avvenimenti della giornata.
 
Dopo undici anni era tornato al Santuario, e un nemico aveva scelto proprio quel giorno per attaccare. Per quanto l’avvenimento potesse sembrare una coincidenza un po’ strana, non riusciva a immaginarlo come frutto di un complotto nei suoi confronti. Altri Cavalieri lo avevano affiancato in combattimento, si erano adoperati per aiutarlo durante lo scontro e si erano presi cura di lui quando non era cosciente. Inoltre aveva trascorso il pomeriggio dormendo alla Dodicesima Casa, senza nessuno che lo sorvegliasse realmente. Se il falso Sacerdote avesse voluto la sua morte, avrebbe avuto molte occasioni per farlo uccidere senza problemi. Al momento doveva avere altre intenzioni.
 
In proposito ripensò ad Aphrodite e Death Mask. Il Cavaliere dei Pesci era stato molto cortese con lui ma non gli aveva dato l’idea di essere una persona molto sincera, anche se non aveva percepito niente di minaccioso da parte sua. Death Mask invece gli aveva fatto una pessima impressione, aveva anche la netta sensazione che avesse voluto scendere dalla Dodicesima Casa assieme a lui più per controllarlo che altro. Ma, d’altra parte, un po’ di diffidenza nei confronti di qualcuno che era mancato dal Santuario per anni, era del tutto normale.
 
 
Si mise seduto, incrociando le gambe davanti a sé. Concentrandosi, attivò leggermente il cosmo, cercando di tenere un livello basso per non farlo percepire dagli altri Cavalieri; usò giusto il minimo indispensabile per raggiungere Dohko, a Goro-Ho, tramite il canale telepatico. Il vecchio maestro, che era sempre all'erta, rispose subito. Mu gli raccontò gli avvenimenti della giornata, le impressioni sugli altri cavalieri e il suo rammarico per il combattimento dove, per un errore da principiante, aveva rischiato di rimetterci la vita.
 
Dohko, pur stando sempre seduto davanti alla cascata, era in grado di percepire a distanza molti avvenimenti e, per quanto non ne conoscesse i dettagli, era già al corrente della battaglia. Anche il vecchio era convinto che quell’attacco fosse solo una coincidenza, e non una cospirazione contro di lui, ma gli raccomandò lo stesso molta prudenza in quell’ambiente dove non poteva fidarsi di nessuno. Parlarono ancora per qualche minuto, scambiandosi le loro considerazioni personali, poi si salutarono.
 
Mu si stese di nuovo sul letto, questa volta con l’intenzione di dormire. La chiacchierata con Dohko lo aveva rincuorato, e mentre si addormentava, ringraziò gli dèi per aver vicino una persona che, per quanto lontana, cercasse di prendersi cura di lui.
 
 
 
 
 
Quanti anni aveva quando era successo? Sei, forse sette.
 
Per la prima volta era riuscito a materializzare il Crystal Wall. Era troppo rigido, in verità, discontinuo e imperfetto. Probabilmente non sarebbe stato in grado di reggere neppure all’attacco di un altro bambino. Ma era stato un grande traguardo per lui che, finalmente, era riuscito a dare una forma fisica a quella forza che sentiva bruciare dentro di sé, quel cosmo di cui parlava sempre il Maestro e che finora aveva usato solo per tirare pugni ad alberi e rocce. Quello era stato il primo passo per diventare un vero Cavaliere.
 
Con il cuore gonfio di orgoglio aveva guardato Shion, il quale si era avvicinato sorridendo e gli aveva posato una mano sulla spalla. Non aveva mai dimenticato quel sorriso a mezza via tra il sorpreso e il soddisfatto, e l’emozione di quel momento.
 
“Bravo,” gli aveva detto con uno sguardo compiaciuto.
 
Quella sera stessa gli aveva mostrato lo scrigno che conteneva l’armatura dell’Ariete; un cubo perfetto e dorato sul quale erano incise l’immagine della testa dell’animale e diverse decorazioni.
 
“Non devi mai aprire questo scrigno,” si era raccomandato “sarà lui a dischiudersi quando sarà il momento giusto e ti riconoscerà suo custode. Ma anche allora non dovrà mai essere aperto né da te né da nessuno altro. Dovrai lasciare che sia l’armatura stessa a decidere di essere indossata, ti verrà in aiuto nei momenti in cui ti troverai in pericolo o dovrai combattere per Athena.”  
 
 
 
 
 
Mu si svegliò. Aprì stancamente gli occhi mentre quei ricordi svanivano nella sua mente. Perché aveva sognato il Maestro?
 
Era ancora notte fonda, una luce fioca entrava dalla finestra. Sorrise, riconosceva quella luce. Poteva sentirne la presenza senza nemmeno il bisogno di guardarla, ma si alzò lo stesso e si affacciò alla finestra.
 
Nel cielo, la costellazione dell’Ariete brillava in tutta la sua bellezza. Rimase qualche minuto a contemplare le sue stelle protettrici, le stesse che per tanti anni avevano vegliato sul Maestro Shion e che ora vegliavano su di lui ed anche sul piccolo Kiki. Fin da bambino, guardarle gli dava un senso di sicurezza.
 
Tornò a stendersi sul letto e si girò su un fianco, cercando di riaddormentarsi.
 
Portò istintivamente una mano sulla spalla destra. Ripensò alla battaglia di quella mattina; quella che aveva sentito sulla stessa spalla, era davvero la mano di Shion. Quel modo di posare il palmo e poi stringere leggermente le dita. Sì, era lui. Era stato troppo reale per essere frutto della sua immaginazione.
 
Com’era stato possibile? Forse il suo spirito dimorava ancora in quei luoghi dove aveva perso la vita, o forse era ancora in parte racchiuso nell’armatura dell’Ariete, della quale prima di lui era stato custode.
 
Si raggomitolò su se stesso, mentre sentiva gli occhi inumidirsi e un piccolo nodo formarsi nella gola.
 
Ovunque fosse, nel suo primo combattimento difficile, il Maestro gli era stato vicino.

 
 


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Vi lascio le schede dei personaggi apparsi nel capitolo, io intanto vi aspetto a fondo pagina.






Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra India e Cina)
Età: 18 anni
Particolarità: Psicocinesi, teletrasporto



Aldebaran - Cavaliere del Toro
Paese di Origine: Brasile
Età: 18 anni
Particolarità: Grande forza fisica



Death Mask - Cavaliere del Cancro
Paese di Origine: Italia
Età: 21 anni
Particolarità: Colleziona le anime delle sue vittime impedendo loro di raggiungere l’aldilà.



Milo - Cavaliere dello Scorpione
Paese di Origine: Grecia
Età: 17 anni



Camus - Cavaliere dell’Aquario
Paese di Origine: Francia
Età: 18 anni



Aphrodite - Cavaliere dei Pesci
Paese di Origine: Svezia
Età: 20 anni
Particolarità: Esteta, ama la bellezza in ogni sua forma



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Angolo di quella che scrive:

Eccomi qui. Ci tengo a precisare che alcune delle immagini dei Cavalieri "in borghese" sono fanart che ho trovato in giro. Se le riconoscete come vostre o ne conoscete l'autore vi prego di segnalarmelo in modo da poter indicare i giusti crediti.

Questa volta ho introdotto un bel po' di personaggi tutti assieme, spero di non aver creato confusione ma d'altra parte i Cavalieri sono tanti e ci servono tutti! :D

Grazie per aver letto anche questo capitolo!



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




Capitolo IV




 
 
 
Quando Mu e Aldebaran giunsero al Tredicesimo Tempio, trovarono buona parte dei Cavalieri nella sala dove erano temporaneamente custodite le armature dei nemici.
 
“Se non mi fido di Aiolia, che bene o male ho quasi sempre potuto sorvegliare, come posso fidarmi completamente di Mu?” stava dicendo Milo in quel momento, in piedi accanto a Camus con le braccia conserte. “Cosa sappiamo di lui e di cosa abbia fatto in tutti questi anni?”
 
Quando li vide, tacque all’improvviso ma fissò l’Ariete dritto negli occhi, per niente pentito delle sue parole o seccato per il fatto che lui le avesse udite. Anzi, lo guardava come se pretendesse una risposta.
 
“Ho portato a termine il mio addestramento come tutti voi e poi mi sono dedicato alla riparazione delle armature,” rispose Mu con tranquillità, accennando un sorriso.
 
“E in questi anni non hai mai trovato il tempo per fare ritorno qui?” chiese lo Scorpione con una chiara aria provocatoria nella voce.
 
“No,” rispose lui con aria impassibile.
 
“È un lavoro che ti tiene molto occupato se non hai risposto neppure alle chiamate del Santuario.”
 
“Sono l’unica persona al mondo in grado di riparare le Sacre Armature, è normale che sia molto occupato,” disse ancora Mu “Adesso però sono qui,” aggiunse poi, con fare conciliatorio.
 
Milo annuì, con un piccolo cenno del capo.
 
Non c’era vera belligeranza in quell’aggressività. Per quanto fosse stato educato fin da piccolo a contenere, se non direttamente nascondere, le sue emozioni, Mu aveva imparato a tollerarle negli altri. Non gli dispiaceva quel carattere focoso che nasceva dalla spontaneità; probabilmente quell’atteggiamento era il suo modo per dimostrare la fedeltà al Santuario.
 
“Non siamo qui per discutere tra noi. Abbiamo dei problemi da risolvere e dobbiamo concentrarci su quelli,” la voce glaciale di Camus suonò come un rimprovero verso lo Scorpione.
 
“Vado a vedere le armature dei nostri nemici,” disse l’Ariete avviandosi verso l’altro lato della stanza.
 
Mentre si allontanava, si ritrovò a pensare a un aspetto paradossale della situazione; era tornato al Santuario per sondare il terreno e capire di chi potersi fidare, ma solo ora si era reso conto che, effettivamente, nessuno degli altri Cavalieri aveva motivo di aver fiducia in lui.
 
 
 
Delle armature dei tre nemici non era rimasto molto, l’impatto degli attacchi dei Cavalieri ne aveva sbriciolato la maggior parte. I pezzi rimasti erano stati posati sulla pavimentazione cercando di ricostruire le forme originarie.
 
Mu si inginocchiò per osservarle meglio. I pettorali erano composti da diversi piccoli elementi rettangolari in ferro saldati tra loro, che ricordavano molto quelli in cuoio che formavano le armature lamellari. La struttura finale era rigida, in quanto effettivamente fatta di un unico pezzo, ma esteticamente ricordava quelle degli antichi eserciti asiatici. Non erano comunque niente di eccezionale, semplici corazze di ferro opaco, composte di atomi immobili, costruite senza una vera devozione e assolutamente prive di qualsiasi traccia di vita.
 
Quegli uomini avevano combattuto da soli, con le loro forze, rivestiti solo con dei pezzi di metallo, niente di più. Non c’era stato nessun dio a prendersi cura di loro.
 
Prese in mano quella che doveva essere stata la parte posteriore di un elmo, sulla superficie interna erano incise delle scritte in devanagari; vi passò sopra le dita come per verificarne la profondità.
 
“Sono un misto di preghiere e di inni al dio Indra tratti dal Rig Veda (1),” disse Shaka entrando in quel momento nella sala.
 
“Vedo,” rispose l’Ariete “e queste sono normalissime armature in ferro, non hanno niente di sacro.”
 
“È quello che immaginavo,” continuò il Cavaliere della Vergine “basandosi sul modo in cui hanno combattuto sembrano dei dilettanti; avevano un discreto controllo del loro cosmo ma non riuscivano a usarlo pienamente.”
 
“Allora non sono davvero i Cavalieri di questo dio Indra?” chiese Milo.
 
“Pare di no. D’altra parte, a volte capita di avere degli impostori che agiscono in nome di un dio senza averne il minimo diritto,” rispose Mu. Quale soddisfazione pronunciare questa frase, apparentemente innocente, proprio all’interno del Tredicesimo Tempio! Con la coda dell’occhio cercò qualche reazione da parte degli altri; nessuno sembrava aver colto il doppio senso della frase, solo Death Mask si lasciò sfuggire una veloce occhiata verso di lui, e percepì un momento di perplessità anche in Aphrodite.
 
“Se vuoi vedere i corpi dei tre nemici, sono da questa parte,” lo invitò Shaka facendo strada.
 
L’Ariete lo seguì, constatando che anche il Cavaliere della Vergine non era cambiato molto negli ultimi anni; i capelli, sebbene ora lunghissimi, avevano mantenuto il colore biondo oro, i lineamenti del suo volto avevano conservato la loro delicatezza. Non aveva perso l’abitudine di disegnarsi un bindi rosso al centro della fronte, come da tradizione indiana, e, soprattutto, di tenere sempre gli occhi chiusi.
 
Già. Quegli occhi chiusi. Sorrise tra sé, ricordando che la prima volta che lo aveva incontrato, tanti anni prima, aveva pensato fosse cieco. Non vedeva altri motivi perché una persona non aprisse mai gli occhi. Shaka gli aveva invece spiegato di vederci benissimo e di tenerli chiusi intenzionalmente per accrescere le sue capacità. Aveva imparato a percepire il mondo attorno a sé attraverso suoni, odori, tatto e sensazioni; diceva di essere in grado di sentire i sentimenti delle persone e leggere dentro il loro cuore. Privandosi di un senso, era riuscito a sviluppare maggiormente gli altri, compreso il sesto e soprattutto il settimo, necessario per diventare un Cavaliere d’Oro. Inoltre, in quel modo, accumulava una grande quantità di cosmo che poteva rilasciare in combattimento semplicemente aprendo gli occhi.
Gli aveva detto anche di voler servire Athena, ma allo stesso tempo seguire la strada del Buddha del quale si riteneva una reincarnazione, ed elevarsi il più possibile verso gli dèi. Poteva sembrare un obiettivo un po’ ambizioso, per un bambino di quell’età, ma ne aveva parlato in modo deciso, e come fosse la cosa più naturale del mondo. A vederlo adesso, sembrava piuttosto vicino a ottenere quel risultato.  

Camminarono qualche minuto attraversando alcune stanze e poi arrivarono a destinazione. Le salme erano state adagiate sul pavimento di una stanza sotterranea, in attesa delle esequie. Due servitori spostarono i teli che li ricoprivano per permettere ai Cavalieri di vederle.
 
Si trattava di tre ragazzi molto giovani, forse loro coetanei. Due di loro avevano i caratteri somatici delle popolazioni dell’Asia Centrale, uno era leggermente più alto di statura rispetto agli altri, aveva i capelli biondissimi e, dagli occhi semichiusi, si intravedevano le iridi azzurre. A vederli così, sembravano tutto tranne che guerrieri.
 
“Siete riusciti a indentificarli in qualche modo?” chiese Mu.
 
“No, non abbiamo indizi di nessun tipo, a parte i loro caratteri somatici e quelle incisioni sulle armature,” rispose l’altro scuotendo leggermente la testa.
 
 
 
***
 
 
 
La Sala d’Oro, utilizzata per le riunioni straordinarie dei Cavalieri d’Oro era situata all’interno della Torre della Meridiana. Al centro, si ergevano dodici colonne disposte in cerchio e alte circa tre metri sulla cui sommità erano posate delle sculture raffiguranti i dodici segno dello zodiaco, rivolte verso l’interno. Davanti a ogni colonna vi era una sedia in legno con braccioli e schienale finemente intagliati. Man mano che i Cavalieri entravano nella sala, ogni scultura sembrava entrare in risonanza con la rispettiva Armatura emanando una luce dorata.
 
Quando Mu entrò si accorse della presenza di Shura del Capricorno, che doveva essere rientrato appena in tempo dalla sua missione. Questi sorrise e lo salutò cordialmente, anche se i suoi modi tradivano una certa freddezza.
 
Tutti presero posto, sedendo sotto il rispettivo segno zodiacale. I Cavalieri presenti erano nove, le uniche sedie vuote erano quelle del Sagittario, della Bilancia e dei Gemelli.
 
“Anche quest’anno il vecchio della Bilancia non si è fatto vedere,” brontolò Milo.
 
“Ha la scusa della missione segretissima…” gli rispose Death Mask ridacchiando.
 
“Non dovreste permettervi di criticare un Cavaliere impegnato in un incarico,” li interruppe Camus, con aria seccata.
 
“Ma dai… una missione che dura da duecento anni…” sbuffò il Cancro.
 
 
Shaka entrò per ultimo, si sedette al suo posto, e iniziò subito a parlare. “Ci siamo tutti,” disse “il Sommo Sacerdote ha ricevuto le lettere di giustificazione da parte dei Cavalieri della Bilancia e dei Gemelli, assenti perché impegnati in missione. Non arriverà più nessuno. Quindi la riunione può avere inizio.”
 
“Il Sommo Sacerdote mi ha incaricato di informarvi sulla situazione e sul motivo per cui siamo stati tutti convocati qui,” continuò “Andiamo con ordine. Durante gli ultimi mesi è stato percepito diverse volte un cosmo molto forte in un territorio desertico vicino alla parte settentrionale del lago di Aral, in Asia Centrale. I nostri collaboratori dicono che questa… attività, passatemi il termine, inizialmente sporadica, è diventata più frequente in diverse aree lì attorno. Seguendo i rilevamenti sembra si sia spostata lungo un tragitto abbastanza tortuoso attraverso parte dell’Asia Centrale fino all’India per poi fare il percorso inverso.”
 
“Fammi capire,” lo interruppe Shura “questo significa che un Cavaliere, o comunque qualcuno in grado di usare il cosmo, si è spostato lungo questo percorso ed è tornato indietro?”
 
“Sì, l’idea che ci siamo fatti è quella. E lungo il percorso ha avuto diverse occasioni per bruciare il suo cosmo in maniera notevole. Come sapete, io sono originario dell’India, il Sommo mi ha quindi inviato a indagare sulla situazione. Attraverso i miei contatti ho scoperto che in quello stesso periodo è stata rubata un’importante reliquia che era conservata al National Museum di Nuova Delhi, ovvero la collana del dio Indra.”
 
Shaka, guardando i Cavalieri da dietro i suoi occhi perennemente chiusi, si rese conto che metà di loro non aveva idea di chi fosse questo dio. Sospirando con malcelata alterigia, iniziò a spiegare.
 
“Si tratta di una delle divinità induiste adorate nell’antichità in alcune aree dell’Asia, in particolare in India. Con il tempo questo culto si è trasformato in una religione animista e questi dèi sono stati parzialmente dimenticati, ormai vengono considerati parte della mitologia dalla maggioranza della popolazione e non vengono più pregati come prima. I nostri contatti in Asia non hanno riportato notizie sul ritorno del culto di Indra o delle antiche divinità vediche e non ci risultano organizzazioni simili alla nostra a essi dedicate. L’unica spiegazione è che si tratti di un gruppo isolato di persone interessato alla reliquia di questo dio per qualche motivo personale.
 
“La collana di cui parliamo è formata da un unico elemento d’oro nel quale originariamente erano incastonate cinque gemme che sono state perdute nel tempo: si tratta di quattro giade verdi e una rossa.”
 
“Una giada rossa è proprio quella che hanno nominato quei tre guerrieri! Ma perché la cercavano qui? Cosa c’entriamo noi?” chiese Milo.
 
“La pietra della quale parliamo è realmente custodita al Santuario,” rispose Shaka “è stata rinvenuta qualche anno fa negli scavi di Ai Khanum, una città ellenica ritrovata sotto la sabbia in Asia, precisamente in Afghanistan vicino al confine con l’Unione Sovietica (2). Un nostro collaboratore in loco ne ha riconosciuto la particolarità e ce l’ha portata.
 
“Da quanto si legge negli antichi scritti, queste cinque gemme, essendo rimaste per secoli al collo del dio, hanno assorbito una piccola parte del suo cosmo che ha istillato in loro qualcosa di simile alla vita oltre a un forte legame con lui. In altre parole è come fossero vive ma dormienti; nel momento in cui si trovano tutte assieme possono essere usate per mettersi in contatto con Indra.
 
“In passato, Indra ha aiutato le popolazioni degli Ari nelle loro conquiste in Asia, ma solo in un limitato periodo di tempo, in seguito si è distinto soltanto in diverse guerre tra dèi.
Da quello che sappiamo, sembra che non si curasse troppo del destino degli uomini, ma che fosse disposto a difenderli dalle divinità sue nemiche. Vinta l’ultima guerra, dopo qualche centinaio di anni di noia, decise di riposare. Prima di addormentarsi prese la sua armatura e altre quattro appartenute ai suoi più fedeli guerrieri e le nascose in un luogo segreto tra le montagne; promise poi al sacerdote che curava il suo Tempio che, in caso di necessità, sarebbe tornato a difendere i suoi fedeli. Gli consegnò anche la collana insegnandogli a usarla per risvegliarlo e richiamare le cinque armature.
 
“Da allora saranno passati due migliaia di anni e il culto di questo dio si è perso nel tempo, quella collana probabilmente è stata rubata e le gemme smontate e rivendute chissà dove. In qualche modo comunque è arrivata al National Museum e vi è rimasta fino a quando è stata rubata qualche mese fa.”
 
“Visto che sono venuti qui decisi a recuperare la giada rossa, è abbastanza verosimile che abbiano anche le altre quattro verdi, oltre alla collana,” disse Camus, quasi parlando tra sé e sé.
 
“Temo di sì,” rispose Shaka “Il Sommo Sacerdote ordina che qualcuno di noi vada a vedere cosa sta succedendo attorno al lago di Aral e recuperare la collana che d’ora in avanti sarà custodita qui al Santuario.”
 
“Un momento, ma con che diritto prendiamo la collana?!” chiese Aldebaran.
 
“Non siamo qui per discutere gli ordini del Sommo,” rispose Milo, con tono seccato.
 
“Non è questione di discutere gli ordini,” continuò il Toro “la collana non appartiene ai fedeli di Indra? Se qualcuno si impossessasse di una reliquia di Athena cosa faremmo? Lo lasceremmo fare o cercheremmo di recuperarla? Lo stesso farebbero loro. Sono certo che il Sommo non vorrebbe iniziare una guerra, almeno se non fosse necessario.”
 
“Ci hanno attaccato loro per primi!” incalzò Shura.
 
“Sì, ma noi abbiamo qualcosa che appartiene a loro.”
 
“Avrebbero potuto chiederla prima di attaccarci. In fondo è stata trovata durante degli scavi archeologici, non l’abbiamo mica presa con la forza,” rispose allora Death Mask “sarebbe una buona occasione per rafforzare l’immagine del Santuario. Dobbiamo dimostrare la nostra forza a tutto il mondo!”
 
“Ma se il mondo non sa neppure che esistiamo! Te lo sei dimenticato?” gli ricordò Aiolia sbuffando “La nostra è un’organizzazione segreta.”
 
“Non parlo dei comuni cittadini. Dobbiamo apparire forti davanti alle altre organizzazioni.”
 
Mu si appoggiò stancamente allo schienale, infastidito da quelle reazioni. Si rese conto però che momenti del genere, pur non essendo piacevoli, non erano del tutto inutili. In silenzio, la testa appoggiata su una mano, il gomito sul bracciolo della sedia, iniziò a osservare i Cavalieri. Per quanto fossero in contrasto tra di loro, nessuno sembrava mancare di fedeltà al Santuario.
 
Shura e Death Mask ripetevano che contro gli aggressori si sarebbe dovuto tenere un pugno duro, dovevano essere da esempio semmai qualcun altro pensasse di attaccare il Santuario.
 
Camus, l’unico apparentemente calmo, si diceva più preoccupato per il fatto che dei nemici fossero arrivati indisturbati nei pressi del Tempio; che ne era della sicurezza di quel luogo nascosto e raggiungibile solo tramite passaggi segreti?
 
La conversazione prese una brutta piega, qualcuno si chiese dell’utilità dei Cavalieri d’Argento che avrebbero dovuto sorvegliare la valle, qualcun altro sospettava la presenza di spie. Infine la discussione degenerò in litigio, alcuni si alzarono in piedi quasi si volessero affrontare.
 
Mu perse il filo di quei discorsi che sembravano non avere più senso; i cavalieri erano troppo in competizione tra di loro per riuscire a instaurare un dialogo e, di certo, non erano abituati a lavorare assieme.
 
Shaka batté rumorosamente le mani per richiamarli all’ordine.
 
“Cavalieri, non siamo qui per discutere ma per prendere decisioni. Non credo sia il caso di parlare adesso della riorganizzazione della sicurezza del Santuario.”
 
“Ma se ci sono spie o persone che hanno rivelato la strada…” gridò Aiolia.
 
“Nessun se. Ci sono di sicuro!” lo interruppe Milo, anch’egli con il tono di voce alterato “Come sarebbero arrivati sennò? La Valle Sacra è inaccessibile. Solo chi conosce i passaggi segreti può raggiungerla.”
 
“Non è necessario conoscere i passaggi,” disse Mu.
 
Tutti tacquero.
 
L’Ariete sorrise divertito, l’unica voce con tono normale stonava così tanto in mezzo alle urla da aver attirato l’attenzione di tutti.
 
“Se hanno modo di percepire la presenza della pietra,” continuò “e identificarne la posizione anche a una certa distanza, non servono spie. Il fatto che abbiano inibito temporaneamente i miei poteri telecinetici significa che ne hanno anche loro; una volta identificata la posizione della pietra, possono essersi teletrasportati nel posto raggiungibile più vicino.”
 
“Ma questo luogo è protetto dal cosmo di Athena…” rispose Shura.
 
“Infatti hanno raggiunto la piazza davanti all’inizio della scalinata, mica il Tredicesimo Tempio. E noi siamo lì per quello.”
 
“Beh, se ci sono le Dodici Case come difesa lungo la scalinata che parte da quel piazzale, significa che è un luogo che  il nemico può raggiungere,” convenne Adelbaran.
 
Dopo qualche istante di silenzio, nel quale i Cavalieri riflettevano sulla situazione, Shaka prese di nuovo la parola.
 
“Dobbiamo decidere come agire. L’idea iniziale era di spedire uno o due di noi a fare qualche indagine su questo cosmo percepito in quelle aree e scoprire di più sul furto della collana, ma ora che il Santuario è stato attaccato le cose sono cambiate e c’è la possibilità concreta di dover affrontare nuovi nemici.
Il Sommo Sacerdote ha disposto che almeno metà di noi rimanga qui a difendere questo luogo da eventuali attacchi, gli altri partiranno. Non è ancora chiaro se decideremo noi chi partirà e chi resterà qui di guardia, ma credo che il Sommo preferisca avere nostre proposte da valutare. Ci sono concessi alcuni giorni per documentarci e riflettere sulla situazione.”
 
La discussione durò ancora qualche decina di minuti, dopodiché i Cavalieri iniziarono a lasciare la Sala d’Oro.
 
Ancora durante la riunione, Mu aveva notato che al diadema di Aiolia mancava un elemento; si era ricordato quindi che Milo aveva raccontato come lo avesse perso durante il combattimento. Appena uscito dalla Sala gli si avvicinò e si offrì di ripararglielo. Il Leone esitò un momento.
 
“Si è staccato un pezzo, ma non compromette il resto,” disse.
 
“Ogni piccolo pezzo ha la sua precisa funzione nell’insieme,” rispose l’Ariete “soprattutto nel caso delle Armature come la tua, dove la parte posteriore della testa non è protetta da un elmo chiuso ma dal cosmo del diadema. Posso vedere il pezzo che si è staccato?”
 
Aiolia accettò e i due si incamminarono verso la Quinta Casa.
 
 
 
Qualche metro più indietro Death Mask, Shura e Aphrodite camminavano affiancati, osservandoli.
 
“Che facciamo?” chiese il Cancro.
 
“Che vorresti fare?” rispose Aphrodite “Lui ci ha detto di tenerlo d’occhio, non di fare qualcosa.”
 
“Sì. Ma ci ha ordinato anche di capire cosa gli passa per la testa.”
 
“Direi di osservarlo nei prossimi giorni. Ho cercato di instaurare un buon rapporto con lui, in caso proverò a parlargli e vedere se ne ricavo qualcosa.”
 
“Uno così mi sembra pericoloso, fosse per me lo farei fuori subito,” disse Death Mask ridacchiando.
 
“Ti ricordo che è l’unica cosa che Lui ci ha raccomandato di non fare,” si intromise Shura.
 
“Vero,” sbuffò l’altro.
 
 
 
***
 
 
 
Mu aveva imparato a riparare le Sacre Armature fin da piccolo, sotto la guida del suo Maestro Shion. Come tutti i discendenti degli alchimisti dello scomparso Continente di Mu, che nell’antichità avevano forgiato le Vestigia dei guerrieri di Athena, era perfettamente in grado di entrare in sintonia con esse.
 
Durante l’era mitologica, questi alchimisti, avevano creato delle complesse leghe di materiali: una base che poteva essere oro, argento o bronzo, veniva mescolata a oricalco, germanio e polvere di stelle; in esse Athena aveva istillato direttamente la scintilla della vita tramite il suo immenso cosmo.
 
Queste Armature, quindi, erano vive; per ripararle era necessario far entrare in risonanza il proprio cosmo con la vita che si trovava dentro esse. Mu era sempre riuscito a farlo con facilità. Gli veniva naturale concentrarsi e dialogare con loro; era come se le singole molecole di quegli elementi iniziassero a chiamarlo tutte assieme, chiedendo di essere riunite, ripristinando la discontinuità che aveva interrotto la loro armonia.
 
A volte le Armature gli raccontavano qualcosa di esse; gli bastava chiudere gli occhi per sentirne le voci che parlavano direttamente al suo cuore, o vedere addirittura immagini formarsi nel buio delle palpebre abbassate. Il più delle volte si trattava solo di semplici sensazioni, stralci di sentimenti, frammenti di ricordi rimasti imbrigliati nella polvere di stelle e nelle molecole di oricalco; solo in pochi i casi era riuscito a percepire qualcosa di più concreto.
 
Gli era stato sufficiente prendere in mano il diadema di Aiolia per capire che quell’oggetto aveva qualcosa da raccontargli. E ora, nel cuore della Prima Casa, sapeva che non avrebbe potuto fare a meno di ascoltarlo.
 
Prese dalla borsa i materiali e gli strumenti necessari, si sedette sul pavimento e incominciò a lavorare. Le molecole che formavano il ricciolo staccato erano ancora vive, per cui non ci volle molto a ricongiungerlo con il resto; ma appena il suo cosmo entrò in risonanza con quello del diadema, Mu venne investito da un’ondata di sentimenti dolorosi, e delle immagini, sfocate come fossero lontane, si formarono nella sua mente.
 
 
 
Quel diadema era stato posto vicino al ritratto di Aiolos. Aiolia, bambino, pregava inginocchiato davanti a quel disegno, non avendo un altro luogo per farlo; ad Aiolos non era stata concessa una sepoltura.
 
“Il corpo del traditore non può riposare accanto a quello degli altri cavalieri.” aveva detto il Sacerdote.
 
Era stato lasciato solo, in mezzo a chi lo disprezzava soltanto. Dov’erano finiti quelli che si dicevano suoi amici?
 
Aveva trascorso ore inginocchiato davanti a quel ritratto, in preda a un tumulto interiore che aveva rischiato di consumare il suo animo, e lo aveva portato ad allontanarsi da tutto e da tutti. Nel suo cuore si erano alternati sentimenti contrastanti e il diadema, vivo come il resto dell’Armatura, ne era rimasto impregnato.
 
Dentro di lui si erano alternati l’odio contro chi aveva ucciso Aiolos e contro chi lo aveva lasciato morire; perché nessuno, in realtà, aveva fatto niente per impedirlo. Non vi era soltanto Shura, al centro del suo malessere, ma anche gli altri Cavalieri, che non riusciva a non ritenere almeno in parte responsabili della morte del fratello.
 
Molte persone sembravano averlo abbandonato, ma anche lui si era allontanato da tutti. Non frequentava gli altri Cavalieri se non quando obbligato, e in generale cercava di incontrarli in meno possibile.
 
La reazione più dura era stata il cercare di riscattarsi, prendere distanza da quel tradimento non suo per il quale veniva ingiustamente giudicato. Aveva vissuto per anni diviso tra l’amore per il fratello e il desiderio di non essere mai più paragonato a lui. Aveva cercato di rinnegare i suoi sentimenti e seppellirli nel profondo del cuore, per nasconderli anche a se stesso.
 
Ma i sentimenti non si possono rinchiudere, e quell’amore riaffiorava continuamente a tormentarlo.
 
 
 
Mu riaprì gli occhi, cercando di allontanare quel vortice di ricordi dolorosi nel quale aveva finito involontariamente per immergersi. Deglutì con fatica, cercando di sciogliere il nodo che gli era formato in gola, si accorse delle lacrime che gli erano scese lungo le guance.
 
Si distese sul pavimento di pietra, gli occhi coperti dai palmi delle mani.
 
Sapeva bene quanto avesse sofferto Aiolia in quegli anni, lo aveva sempre immaginato. Ma percepire quel dolore in maniera così diretta, era tutta un’altra cosa.
 
Quando sono scappato dal Santuario io avevo un posto dove andare. E avevo Dohko, che per me è stato come un secondo padre. Tu sei rimasto davvero solo.
 
 
 
 
 
 
----- NOTE -----
 
(1) Il Rig Veda è uno dei più antichi e importanti testi religiosi, letterari e mitologici dell’induismo. È composto da diversi inni, elaborati in varie regioni dell’Asia in epoche diverse, che riflettono le idee religiose delle popolazioni indo-arie, ispirate al politeismo naturalistico. Quasi un quarto degli inni del Rig Veda è dedicato al dio Indra.
 
(2) Vi ricordo che la storia è ambientata nei primi anni ’80. Ai Khanum è situata in Afghanistan vicino al confine con il Tagikistan, il quale all’epoca era parte dell’Unione Sovietica.
Gli scavi di questo sito archeologico si svolsero tra il 1962 e il 1979 e portarono alla luce una città ellenica che completò il vuoto sulle conoscenze dell'influenza greca in Asia centrale. Si pensa che nel II e III secolo a. C. questo avamposto della civiltà ellenica controllasse i territori degli attuali Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan; ho pensato che poteva essere il luogo ideale per trovare una cosa del genere. ;)
 
 




 
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Vi lascio come sempre le schede dei personaggi apparsi nel capitolo, io vi aspetto a fondo pagina. :)





 
Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra India e Cina)
Età: 18 anni
Particolarità: Psicocinesi, teletrasporto


 
Aldebaran - Cavaliere del Toro
Paese di Origine: Brasile
Età: 18 anni
Particolarità: Grande forza fisica


 
Death Mask - Cavaliere del Cancro
Paese di Origine: Italia
Età: 21 anni
Particolarità: Colleziona le anime delle sue vittime impedendo loro di raggiungere l’aldilà.


 

(L'immagine a destra è una fan art di Marco Albiero)
Aiolia - Cavaliere del Leone
Paese di Origine: Grecia
Età: 18 anni
Particolarità: Capacità curative.


 
Shaka - Cavaliere della Vergine
Paese di Origine: India
Età: 18 anni
Particolarità: Reincarnazione di Buddha, raggiunge l’illuminazione all’età di sei anni. È considerato l’uomo più vicino agli dèi.


 
Milo - Cavaliere dello Scorpione
Paese di Origine: Grecia
Età: 17 anni


Shura - Cavaliere del Capricorno
Paese di Origine: Spagna
Età: 21 anni
 

 
Camus - Cavaliere dell’Aquario
Paese di Origine: Francia
Età: 18 anni


 
Aphrodite - Cavaliere dei Pesci
Paese di Origine: Svezia
Età: 20 anni
Particolarità: Esteta, ama la bellezza in ogni sua forma


 
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Angolo di quella che scrive:

 
Questo capitolo stava diventando troppo lungo quindi l’ho diviso in due, per non creare confusione lasciando discorsi in sospeso ho diviso in due parti anche la riunione. Quindi nel prossimo capitolo vedremo i cavalieri approfondire la situazione e prendere qualche decisione.
 
Ringrazio tutti quelli che sono arrivati a leggere fin qui, chi ha aggiunto la storia nelle preferite, seguite ecc. Come sempre, sarò felice se vorrete lasciarmi qualche commento con pareri e consigli. ^_^
 
A presto!!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***





V
 
 
 
Death Mask sbadigliò rumorosamente, richiuse il libro che stava sfogliando e lo spinse in là. Raccolse le braccia sul tavolo davanti a sé e ci appoggiò la testa in mezzo. Le sale private della biblioteca, silenziose e non sempre ben illuminate, da sempre gli ispiravano più il sonno che la lettura.
 
“Mi sembrava strano vederti su un libro per più di dieci minuti...” ridacchiò Shura, seduto accanto a lui davanti a una raccolta di quotidiani che stava esaminando assieme a Camus.
 
Il Cancro alzò la testa e voltandola verso di lui fece una smorfia. Poi appoggiò il mento sulle mani e guardò Aphrodite, davanti a sé, intento nella sua lettura; il giovane sembrava molto affascinato.
 
“Ma stai leggendo o guardi solo le figure?” lo punzecchiò.
 
“Oh, finiscila una buona volta. Non sono mica come te, sai?” rispose l’altro fingendosi seccato “Senti qua, invece. Indra si spostava cavalcando un elefante bianco chiamato Airavata, che era il re di tutti gli elefanti. Airavata è noto con diversi nomi, uno dei quali significa Colui che tesse le nuvole. Immergendo la sua proboscide nel sottosuolo ne succhia l’acqua e la vaporizza creando le nuvole, che poi Indra usa per causare le piogge, unendo così le acque del cielo a quelle del sottosuolo. Non è bellissima questa cosa?”
 
“Bah,” sbuffò Death Mask “lascio a te queste cose poetiche. Io piuttosto mi preoccuperei di non dover combattere anche con l’elefante”.
 
“Beh, se Indra venisse davvero risvegliato di sicuro arriverebbe a cavallo del suo elefante. Quindi la possibilità, in effetti, c’è,” li interruppe Shaka srotolando assieme a Mu una grande mappa fisica dell’Asia sul tavolo vicino.
 
I Cavalieri si radunarono tutti attorno a loro.
 
“Questa cartina,” iniziò a spiegare il Cavaliere della Vergine “ci permette di esaminare per bene il corso delle rilevazioni di quel cosmo sconosciuto di cui abbiamo parlato questa mattina. Come vi ho detto, è un viaggio dai territori vicini alla parte settentrionale del Lago di Aral fino all’India che segue un percorso piuttosto tortuoso. Il ritorno è stato molto più lineare.”
 
“Possiamo dedurre che nel viaggio di andata abbiano trovato quello che cercavano e al ritorno siano andati dritti a casa?” chiese Camus, in piedi di fronte a lui con le braccia conserte.
 
“Così sembrerebbe, ma se è stato rilevato utilizzo del cosmo cosa significa? Che avevano fretta e lo hanno usato per essere più veloci?” domandò a sua volta Milo.
 
“Pare di no,” rispose Mu mostrando un quaderno “leggendo le date delle rilevazioni sembra si siano mossi più o meno alla stessa velocità dell’andata. Se hanno bruciato continuamente il loro cosmo era perché gli serviva per qualcosa, forse hanno dovuto combattere o forse hanno solo cercato di farsi notare.”
 
“Beh se è per quello ci sono riusciti,” disse Shaka “comunque per il momento concentriamoci sul viaggio di andata.”
 
“Questi cerchi” continuò indicando dei segni a matita lungo il percorso “indicano resti di antichi edifici e scavi archeologici più o meno terminati. Vicino a essi è stata rilevata un’attività molto forte, queste croci rosse segnalano i luoghi dove sono stati riscontrati danni o segni di passaggio. In particolare, in questi tre punti sono state trovate tre grandi voragini nella roccia.”
 
Aprì un piccolo album di fotografie e le mostrò agli altri Cavalieri. Le tre voragini erano state documentate con cura, con scatti panoramici, che ne mostravano le dimensioni, e altri più vicini che si soffermavano sui dettagli. Per quanto spettacolari, ai loro occhi non sembravano niente di eccezionale, chiunque di loro sarebbe stato in grado di farne di uguali tirando un semplice pugno dopo aver caricato un po’ il cosmo.
 
“Di che luoghi si tratta?” chiese Milo.
 
“Essenzialmente vecchi scavi già quasi completamente saccheggiati da sedicenti archeologi europei nel secolo scorso. In tutti e tre i casi, sono stati aperti dei passaggi nella roccia che hanno rivelato la presenza di stanze segrete delle quali non si era accorto nessuno. Da quello che sappiamo sono le uniche aperture di questo tipo trovate lungo questo percorso.”
 
“Non può essere una casualità,” intervenne Aiolia “già tirare un pugno a caso e scoprire una stanza segreta è sperare un po’ troppo. Qui ne hanno trovate addirittura tre.”
 
“Già,” annuì Shaka “Sapevano esattamente dove cercare e c’è un’altra cosa importante. Nessuna di quelle stanze è stata trovata vuota; tutte contenevano oggetti di valore come sculture, gioielli, antichi testi ma sembra che queste persone non abbiano toccato quasi niente. Volevano qualcosa e non erano interessati ad altro, diciamo che sono stati molto rispettosi con il resto. Inoltre, i nostri collaboratori ci hanno segnalato una cosa interessante ritrovata in uno dei tre luoghi.”
 
Sfogliò qualche pagina di un altro album e mostrò agli altri le foto in questione. Si trattava di diversi scatti ravvicinati di una statuetta in basalto.
 
“Guardate qua,” disse indicando un piccolo foro circolare tra gli occhi della scultura “vedete questo segno? Qui c’era qualcosa che è stato staccato di recente, la pietra è visibilmente danneggiata. In genere su queste riproduzioni vengono applicate piccole giade.
Questa stanza non era del tutto sigillata, minuscole fessure nella roccia hanno lasciato passare parecchia sabbia che ha ricoperto ogni cosa con un sottile strato; se avessero messo le mani in giro si vedrebbe qualche segno, invece hanno toccato solo questa scultura. Negli altri due casi non si è riuscito a capire cosa sia sparito, ma secondo me già questa è una cosa significativa.”
 
“Quindi, ricapitolando,” disse Milo “abbiamo tre stanze segrete aperte in maniera sospetta, da persone che hanno lasciato lì tutti gli oggetti preziosi e che l’unica cosa che siamo certi abbiano rubato è una giada. E sono giusto nelle zone dove si è sentito quel forte cosmo. Detto così sembra tutto collegato, ma come facevano a sapere dove trovare le gemme?”
 
“Se sono giunti fin qui seguendo il cosmo della giada rossa,” rispose Mu “possiamo immaginare abbiano fatto la stessa cosa anche lì con le altre pietre; se erano in grado di percepire la loro presenza hanno localizzato gli ambienti dove erano nascoste.”
 
“Sì, ne sono convinto anch’io,” rispose Shaka “qualche giorno fa ho avuto modo di vedere la giada rossa, non ha esattamente un cosmo proprio ma è facile percepire quello che ha assorbito. Probabilmente lo stesso vale anche per quelle verdi. Mettiamo ne avessero già una, trovata chissà dove, gli è bastato cercare qualcosa con le stesse affinità.”
 
“Da quello che sappiamo” continuò il Cavaliere della Vergine “questo forte cosmo viene sentito tutt’ora nell’area a sud est del Lago di Aral e ultimamente, durante la notte, sono state avvistate in lontananza luci simili a fulmini. Abbiamo rilevazioni anche di questa mattina.”
 
“Potrebbero aver percepito la morte dei loro compagni… e forse stanno davvero cercando di attirare la nostra attenzione,” disse Aldebaran.
 
“Vorranno annunciare un altro attacco? O cercano di attirarci là?” chiese Camus.
 
“A questo punto è probabile che cerchino di attirarci da loro. E noi dovremo andarci,” disse Milo con decisione.
 
“Ma abbiamo idea di quanti siano?” domandò Camus con aria pensierosa.
 
“Temo di no,” rispose Shura “penso che dovremmo considerare i tre guerrieri dell’altro giorno come un’avanguardia che è venuta per sondare il terreno. Io non ho assistito al combattimento ma da quello che ho capito non erano eccessivamente forti, giusto?”
 
“No, non lo erano,” disse Mu “hanno inibito parte dei miei poteri telecinetici, significa che hanno determinate capacità per le quali dobbiamo stare in guardia ma non che sono più forti di noi. Anzi, mi hanno colpito tutti e tre assieme e sono sopravvissuto, direi che tre di noi sarebbero in grado di fare danni peggiori.”
 
“Sono d’accordo. Inoltre combattendo tre contro tre li abbiamo sconfitti facilmente,” aggiunse Milo.
 
“Anche troppo facilmente,” disse Camus “C’è una cosa che non riesco a capire” continuò “durante il combattimento non sono mai riusciti a scansare i nostri attacchi. Immagino non fossero in grado di muoversi alla velocità della luce come noi, ma se potevano teletrasportarsi perché non lo hanno fatto per salvarsi?”
 
“Boh, ma a questo punto siamo sicuri che siano arrivati teletrasportandosi?” chiese Shura.
 
“Sì, ne sono sicuro,” rispose Mu “ho sentito chiaramente aprire un varco dimensionale, un po’ in malo modo, a dire il vero. Ma sono arrivati così.”
 
“Ma allora perché non hanno cercato di evitare i nostri colpi? Gli sarebbe bastato spostarsi.”
 
Seguì un breve silenzio.
 
“Forse non erano proprio in grado di farlo da soli,” disse Aiolia “Magari qualcun altro li ha trasportati qui. È possibile, no?”
 
“Sì, è possibile,” rispose Mu. Già, a questo non aveva ancora pensato. Ma che razza di persona poteva averli mandati lì e abbandonati al loro destino?
 
“In ogni caso,” continuò Shaka “il Sommo Sacerdote ci ordina di andare a vedere di persona la situazione, quando saremo là potremo decidere nel dettaglio come agire. Più o meno metà di noi dovrà partire, dobbiamo raccogliere delle adesioni e sottoporle al Sommo. Io ho viaggiato abbastanza in quei luoghi e le mie conoscenze sulle divinità vediche ci potranno essere utili, quindi mi propongo. Chi altro?”
 
“Verrò anch’io, per gli stessi motivi,” disse Mu.
 
“Domani mattina devo partire per una missione programmata da tempo che non posso spostare,” disse Aldebaran “mi richiederà un paio di giorni ma presumo partirete prima. I miei viaggi mi hanno portato spesso da quelle parti e vi ho svolto alcune missioni di ricerca per conto del Santuario, se avete bisogno di aiuto vi raggiungerò volentieri.”
 
“Voglio venire anch’io!” esclamò Aiolia “voglio sconfiggere chiunque abbia attaccato il Santuario.”
 
Milo lo fulminò con uno sguardo “Verrò anch’io,” aggiunse “il deserto è il luogo ideale per uno Scorpione.”
 
“Vi accompagnerò anch’io,” disse Camus.
 
“Aspettate. E se fosse uno stratagemma per allontanarci e attaccare il Santuario approfittando dell’assenza di alcuni di noi?” domandò Shura.
 
“Dobbiamo portare con noi la giada rossa, è quella che vogliono,” rispose Milo “se veramente sono in grado di percepirne il cosmo, sentiranno che l’abbiamo con noi e non avranno motivo per attaccare il Santuario.”
 
“No, è pericoloso. Se riuscissero a prenderla? E poi siamo perfettamente in grado di difendere questo luogo!” chiese Aiolia.
 
“E perché mai dovrebbero riuscire a prenderla? Hai intenzione di consegnargliela tu?”
 
“Questa decisione verrà presa dal Sommo!” li interruppe Shaka “E' inutile discuterne tra noi.”
 
“Siete già in cinque,” disse Aldebaran “se i nemici sono tutti come quelli che hanno attaccato ieri non avrete problemi. Però…”
 
“Però?” lo incoraggiò Milo.
 
“Pensavo… e se questi riuscissero davvero a risvegliare Indra?”
 
“Le probabilità sono minime. Anche se il Sommo deciderà di lasciarci portare la pietra con noi certo non gliela consegneremo per nessun motivo,” disse Aiolia.
 
“Ma non possiamo escludere a priori che non riescano a svegliarlo,” replicò Aldebaran.
 
“Anche se fosse? Gli dèi non hanno padroni,” rispose Shaka “anche se risvegliato tramite quella collana, non starà necessariamente dalla loro parte.”
 
“Beh, neanche dalla nostra,” disse Mu “dagli antichi scritti si legge che in passato Indra ha dato parecchio filo da torcere ad Hades, ma il fatto di avere un nemico comune non significa per forza essere alleati.”
 
“Indra è ricordato come dio dei fulmini e delle tempeste, temo non sia molto socievole,” aggiunse Aldebaran “siamo Cavalieri d’Oro, ma siamo umani e abbiamo dei limiti. Non possiamo metterci al pari di un dio.”
 
“Forse ci basterà affrontarlo tutti assieme,” disse Shaka, dopo qualche attimo di riflessione “Mu, tu hai il dono della telecinesi. In caso di necessità potresti teletrasportare qualcuno fin lì?”
 
“Certo,” rispose l’Ariete “però non posso prelevare nessuno dal cuore del Santuario, il cosmo che lo protegge non me lo permette. Chi vuole raggiungerci dovrà allontanarsi un po’, basterebbe farsi trovare ai piedi della scalinata.”
 
Seguì un breve silenzio, i quattro Cavalieri che sarebbero rimasti al Santuario non sembravano molto entusiasti di questa soluzione.
 
“Nel tardo pomeriggio, il Sommo mi darà udienza,” concluse Shaka “e gli riferirò le nostre proposte, vediamo cosa ci ordinerà di fare. Nel frattempo direi di documentarci un po’ sulla zona.”
 
Gli altri annuirono, consapevoli che la decisione su come agire sarebbe comunque spettata al Sacerdote.
 
Nelle ore successive i Cavalieri continuarono a cercare informazioni utili a comprendere meglio la situazione; studiarono la conformazione geografica del luogo sugli atlanti disponibili ed esaminarono riviste e quotidiani locali giunti in prestito dall’emeroteca della Biblioteca Nazionale di Atene.
 
Verso sera Shaka lasciò la sala per conferire con il Sacerdote.
 
“Ma il Sacerdote riceve soltanto lui?” chiese Mu ad Aldebaran, che gli era seduto accanto.
 
“Mah, aveva svolto lui la missione iniziale di ricerca per indagare su questo strano cosmo, credo sia per questo che gli ha affidato la direzione di questa. Comunque sì, in genere gli dà spesso udienza. Il Sacerdote non si comporta con tutti allo stesso modo. Io per esempio non l’ho mai incontrato, sono stato incaricato di svolgere diverse missioni di ricerca ma ho sempre comunicato con lui tramite suoi collaboratori diretti.”
 
“Capisco,” rispose l’Ariete. Così gran parte dei Cavalieri non aveva praticamente mai incontrato il Sacerdote, non era così strano che non si fossero accorti di nulla.
 
“Forse per te potrebbe fare un’eccezione,” aggiunse poi.
 
Mu rimase un momento stupito, preso alla sprovvista. Già, Aldebaran non sapeva dell’assassinio, credeva che il Sacerdote fosse ancora il suo vecchio Maestro.
 
“No, non lo chiedevo per quello,” rispose semplicemente, sorridendo grato per quella premura.
 
 
 
***
 
 
 
Mu si fermò davanti all’ingresso della Casa del Sagittario, il solo trovarsi in quel luogo gli infuse un senso di malinconia. Si rese conto che era la prima volta che vi entrava da solo, da quando era tornato. Per un motivo o per l’altro c’era sempre stato qualcuno ad accompagnarlo.
 
Aveva sentito il bisogno di stare un po’ da solo con se stesso, salutati gli ultimi cavalieri rimasti in biblioteca e aveva iniziato a camminare senza pensare, fino a che non era giunto lì.
 
Spinse la porta ed entrò nelle stanze private avvolte nell’ombra. Attraversando quegli ambienti deserti, venne assalito da ricordi che credeva ormai persi nella memoria. Era stato lontano così tanto tempo.
 
Rivide se stesso assieme agli altri bambini, tanti anni prima, rincorrersi lungo le strade dell’Acropoli immaginando di essere già cavalieri e assomigliare ai compagni più grandi. Sogni e speranze che aveva quasi dimenticato.
 
Aiolos, pur non avendo con lui un legame di sangue, gli aveva insegnato cosa fosse l’amore fraterno. Insisteva perché i ragazzini legassero tra loro, superando le diversità di carattere, in vista del giorno in cui sarebbero stati chiamati a combattere guardandosi le spalle l’uno con l’altro.
 
E Mu, immaginando quel futuro, aveva sempre pensato si sarebbero protetti a vicenda. Ma quando Aiolos ne aveva avuto bisogno, lui non era stato in grado di aiutarlo. Era solo un bambino, allora; non era ancora abbastanza grande per essere in grado di fare qualcosa. Lo era adesso, forse. Ma adesso era troppo tardi.
 
Cosa avrebbe potuto fare, ora? Solo salvare se stesso non rivelando a nessuno ciò che sapeva. Forse anche proteggere indirettamente Aiolia, che se avesse saputo la verità si sarebbe senz’altro messo in pericolo. Avrebbe potuto contribuire soltanto a mantenere il delicato equilibrio che si era creato, in attesa che i tempi fossero maturi per realizzare davvero qualcosa.
 
Strinse i denti. Una vendetta avrebbe avuto tutto un altro sapore.
 
Quante volte si era immaginato di parlare, nella speranza di essere creduto dagli altri Cavalieri; si sarebbero ribellati tutti assieme e ottenuto giustizia per Aiolos e il Maestro Shion. Ma poi era sempre subentrata la paura, anzi la certezza, che in quel modo avrebbe potuto solo peggiorare le cose. Perché gli altri Cavalieri avrebbero dovuto credergli? Inoltre, si sarebbe trovato a fare i conti con gli alleati del Sacerdote causando una guerra interna con conseguenze pericolose per tutti.
 
Sospirò, sentendosi in colpa per quei pensieri.
 
Il Maestro, volutamente, non gli aveva rivelato il nome del suo assassino. Come aveva detto il vecchio Dohko, non gli aveva chiesto di vendicarlo ma di andare avanti. Si era imposto di obbedire, doveva fidarsi di chi aveva duecentocinquant’anni di esperienza più di lui.
 
Eppure nel suo cuore rimanevano tanti dubbi, e la tentazione di parlare si faceva strada dentro di lui. Doveva davvero lasciare che un impostore continuasse a esercitare al posto del Sacerdote?
 
 
 
Uscì dalle stanze private e mosse alcuni passi davanti all’ingresso. Appoggiò una mano su una colonna, lasciando scivolare le dita lungo la scanalatura. Quella Casa era assolutamente vuota. Cosa si era aspettato di trovare?
 
Dalla notte in cui era morto Aiolos, nessuno aveva più visto le Sacre Vestigia del Sagittario. Si diceva che le Armature fossero in grado di trovare da sole la strada per il Santuario, in un modo o nell’altro. Questa però, nonostante la morte del suo custode avvenuta undici anni prima, non era ancora tornata. Chissà cosa la tratteneva lontana; forse questo luogo non piaceva nemmeno a lei.
 
L’eco di passi che si avvicinavano leggeri lo distolse dai suoi pensieri. Si voltò in quella direzione, Aphrodite avanzava di buon passo lungo l’androne portando un mazzo di rose.
 
Eccolo. Pensò tra sé e sé. Chissà perché il suo arrivo non lo stupiva per niente.
 
“Ah, sei qui?” disse il Cavaliere dei Pesci quando lo raggiunse “Stavo scendendo alla Prima Casa per portarti le rose che ti avevo promesso.”
 
Gliele porse con grazia, raccomandandosi di fare attenzione alle spine. Mu le accettò ringraziandolo; già quando gliele aveva promesse aveva capito non si trattasse di un gesto sincero, quanto di un modo per avere una scusa per avvicinarlo da solo. Non erano molti i motivi per cui Aphrodite avrebbe potuto volerlo fare; cercare di estorcergli qualche informazione o, semplicemente, indagare un po’ su di lui. E tutta quella curiosità nei suoi confronti non doveva essere proprio sua, quanto piuttosto del Sacerdote.
 
“Cosa fai qui tutto solo?” chiese Aphrodite.
 
“Ma… niente di particolare in realtà. Riflettevo su alcune cose e speravo che questa casa mi desse qualche risposta,” disse Mu.
 
“Speri in qualche voce dal passato?”
 
“In un certo senso sì. Ogni tanto mi faccio qualche domanda. Mi piacerebbe sapere dov’è finita l’Armatura del Sagittario. Da quel giorno non se n’è avuta più notizia, vero?”
 
“Sembra di no,” rispose Aphrodite.
 
“E la bambina che si diceva potesse essere la reincarnazione di Athena?”
 
“Pare che viva al sicuro all’interno del Tredicesimo Tempio,” disse l’altro “ma, a dire il vero, nessuno di noi l’ha mai vista.”
 
Seguirono un paio di minuti di silenzio. Mu contemplava le rose che aveva tra le mani, assorto nei pensieri.
 
“Ti chiedi mai quando Athena si manifesterà a noi?” chiese poco dopo.
 
“Dopo tutti questi anni l’aspetti ancora?” rispose Aphrodite con tono quasi canzonatorio.
 
“Pensi che quella bambina fosse veramente la nostra dèa?” continuò l’Ariete ignorando l’atteggiamento dell’altro.
 
Seguì un altro breve silenzio. Il Cavaliere dei Pesci distolse lo sguardo, spostandolo sul pavimento. Sembrava cercasse le parole per rispondere. O forse si chiedeva quale atteggiamento tenere con lui.
 
Mu sorrise tra sé. Fosse stato presente Milo, sarebbe andato in escandescenze dandogli del traditore solo per aver posto quella domanda. Ma Aphrodite non lo aveva fatto. Lui sapeva.
 
Il Cavaliere dei Pesci rimase in silenzio ancora per qualche momento, riflettendo sul da farsi. Scelse di non nascondersi, ormai non ne valeva la pena.
Ogni cavaliere era in grado di sentire il cosmo dei compagni e lui, come tutti al Santuario, era al corrente del profondo legame che Mu aveva con il suo Maestro. Quando questi era stato assassinato, doveva aver percepito all’istante la sua morte. L’Ariete sapeva che il Sacerdote era un impostore e probabilmente aveva capito che anche lui ne era al corrente. Non aveva più senso recitare, adesso, dopotutto erano soli e nessuno poteva ascoltare i loro discorsi.
 
“No. Non lo credo,” disse “Aiolos ha cercato di rapirla, no? Fosse stata veramente Athena non lo avrebbe permesso, si sarebbe difesa.”
 
“Ma era così piccola! Come avrebbe potuto?”
 
“Pensi che una dèa si metterebbe del tutto in mano a dei comuni mortali? Vedendosi in pericolo si sarebbe certo risvegliata. Parliamo di una divinità che esiste fin dall’era mitologica, il corpo mortale è solo un guscio temporaneo che ne ospita la reincarnazione.”
 
Mu non era così ottimista riguardo alla lucidità di una neonata.
 
“Forse non sentiva Aiolos come una minaccia,” ribatté “in fondo era stata affidata a lui, in un certo senso lo conosceva.”
 
“Una dèa legge nel cuore degli uomini, Aiolos era un traditore, se n’è accorta per forza. In caso contrario non lo avrebbe lasciato morire, no?”
 
Già. Era il dubbio che lo attanagliava da anni. Era sempre stato sicuro dell’innocenza di Aiolos, ma questa certezza derivava per lo più dalla sua personale fiducia in lui e da qualche sospetto sul vero andamento delle cose durante quella notte. Troppo poco per sostenerla.
 
“E se fosse stata una prova per noi? Per la nostra fedeltà?”
 
“Lo escludo,” disse ancora Aphrodite “dovremmo essere fedeli a qualcuno che neppure sappiamo chi sia? A che scopo? Non sarebbe stato meglio manifestarsi in modo che la riconoscessimo? Così si sarebbe comportata una vera dèa. Il risultato di tutto questo è che un cavaliere è morto ucciso da un compagno. Che senso ha ucciderci tra di noi? È con un esercito forte e numeroso che si vince una guerra… No, non era sicuramente Athena. E anche se lo fosse stata, avrebbe dimostrato di non essere all’altezza del suo compito.”
 
“A dire il vero non mi importa nemmeno,” aggiunse dopo qualche istante, “di lei non c’è più traccia, anche questo vuol dire qualcosa, no? Il Sacerdote invece è qui, il suo cosmo è forte e immenso. È di lui che ha bisogno questo mondo. Ho giurato fedeltà a lui e al Santuario, a questo dedicherò la mia vita.”
 
Aveva parlato senza nessuna esitazione, guardandolo dritto negli occhi, lo sguardo turchese infiammato di orgoglio.
 
“Tutti noi abbiamo giurato fedeltà ad Athena e al Santuario,” rispose Mu, come volesse correggerlo.
 
 
 
 
 
 
Aphrodite salì gli ultimi scalini che lo separavano dalla Casa del Capricorno. Shura lo aspettava in piedi sullo stilobate, una mano appoggiata a una colonna, mentre con gli occhi seguiva la discesa di Mu verso la Prima Casa.
 
“Allora?” chiese.
 
“Penso che il Sommo potrà stare tranquillo,” rispose  Aphrodite “Non ho percepito ombra di rancore in lui. Mi ha stupito, in una situazione del genere io farei di tutto per vendicare il mio maestro. Forse non gli era affezionato come il Sommo credeva.”
 
“O forse ha solo imparato ad aspettare,” intervenne Death Mask che se ne stava seduto davanti alla porta, le braccia appoggiate sulle ginocchia, nascosto nella penombra disegnata dalle ultime luci del tramonto. “sono anni che manca dal Santuario volontariamente. Pazienza il vecchio della Bilancia che la fa franca da duecento anni con la sua missione, ma lui non ha scuse. O vorrete davvero credere che ripari armature dalla mattina alla sera? Quanti Cavalieri ci saranno al mondo? E soprattutto, le vostre armature si sono mai danneggiate? Tutte balle. Quello sta aspettando il momento buono per vendicarsi; è venuto a tastare il terreno.”
 
“Può essere,” rispose il Cavaliere dei Pesci “ma per il momento direi che non dobbiamo considerarlo una minaccia. Il Sommo era preoccupato anche per il fatto che il Santuario fosse stato attaccato subito dopo il suo arrivo, ma da quello che abbiamo visto le cose non sembrano collegate.”
 
“Sì,” annuì Shura “sono d’accordo. Possiamo rassicurare anche su questo il Sacerdote.”
 
“Sono d’accordo anch’io,” disse Death Mask “anche perché, se avesse architettato lui quell’attacco, si sarebbe almeno riservato di fare una figura migliore,” concluse ridacchiando.
 
“Questa sera gli parlerò,” continuò Aphrodite, “spero di convincerlo e, soprattutto, che lo lasci andare in missione con gli altri senza mandare uno di noi tre a sorvegliarlo.”
 
“Per carità,” rispose il Cancro “non ho proprio voglia di rischiare di farmi ammazzare per una collana!”



 
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Vi lascio come sempre le schede dei personaggi apparsi nel capitolo, che anche questa volta sono tanti. Dal prossimo capitolo prometto che torneremo ad averne una quantità più gestibile. Io vi aspetto a fondo pagina. :)



 
Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra India e Cina)
Età: 18 anni
Particolarità: Psicocinesi, teletrasporto

 
Aldebaran - Cavaliere del Toro
Paese di Origine: Brasile
Età: 18 anni
Particolarità: Grande forza fisica

 
Death Mask - Cavaliere del Cancro
Paese di Origine: Italia
Età: 21 anni
Particolarità: Colleziona le anime delle sue vittime impedendo loro di raggiungere l’aldilà.

 
(L'immagine a destra è una fan art di Marco Albiero)
Aiolia - Cavaliere del Leone
Paese di Origine: Grecia
Età: 18 anni
Particolarità: Capacità curative.

 
Shaka - Cavaliere della Vergine
Paese di Origine: India
Età: 18 anni
Particolarità: Reincarnazione di Buddha, raggiunge l’illuminazione all’età di sei anni. È considerato l’uomo più vicino agli dèi.

 
Milo - Cavaliere dello Scorpione
Paese di Origine: Grecia
Età: 17 anni

 
Shura - Cavaliere del Capricorno
Paese di Origine: Spagna
Età: 21 anni

 
Camus - Cavaliere dell’Aquario
Paese di Origine: Francia
Età: 18 anni

 
Aphrodite - Cavaliere dei Pesci
Paese di Origine: Svezia
Età: 20 anni
Particolarità: Esteta, ama la bellezza in ogni sua forma

 
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Angolo di quella che scrive:
 
Prima di tutto, ci tengo a precisare che la missione di Aldebaran non fa davvero parte della storia, è solo una banale scusa per non farlo partire con il gruppo. Nei capitoli precedenti ho già detto che ha viaggiato spesso in Asia, non avrebbe senso partire per una missione di questo tipo senza di lui, ma per motivi tecnici (non posso diventare pazza a gestire nove cavalieri in tutti i capitoli XD) ho dovuto fare delle scelte e lasciarlo momentaneamente a casa. Non me ne vogliano i suoi fan, lo avrei portato in viaggio volentieri, (e soprattutto Mu avrebbe avuto molto piacere di avere un amico vicino XD) ma non preoccupatevi, lo rincontreremo ancora. Idem per gli altri che rimarranno al Santuario.
 
Come sempre ringrazio chi continua a seguirmi, vedo che siete tanti e mi fa davvero molto piacere. <3 Se anche questo capitolo vi è piaciuto, vi invito a mettermi un “mi piace” o lasciarmi qualche commento.
 
Un caro saluto e al prossimo aggiornamento! ^_^

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


VI
 
 
 
 
Il vecchio fuoristrada procedeva veloce sul terreno desertico scricchiolando e sobbalzando continuamente su sassi e piccoli dossi, facendo saltare sui sedili i sette passeggeri e i loro bagagli. Il paesaggio, una distesa arida e brulla cosparsa di cespugli seccati dal sole troppo caldo dell’estate, sembrava scorrere sempre uguale. Di tanto in tanto si intravedevano uomini che camminavano assieme a cammelli, piccoli carri carichi di arbusti rinsecchiti trainati da asini o altri automezzi dall’aria malandata.
 
Mu soffocò a fatica uno sbadiglio; era pomeriggio inoltrato e la stanchezza del viaggio cominciava a farsi sentire. La notte precedente i suoi incubi erano tornati a tormentarlo rovinandogli il sonno. All’alba, mentre si preparava per la partenza, aveva contattato telepaticamente Dohko per informarlo delle novità. Il vecchio gli era sembrato un po’ preoccupato per quella missione e aveva rinnovato le sue raccomandazioni di prudenza.
 
Il Sommo Sacerdote aveva approvato il gruppo che si era proposto per intraprendere la missione. Anche se non con lo stesso entusiasmo, aveva permesso loro di portare via la giada rossa. Inizialmente si era mostrato incerto sulla scelta della persona alla quale affidarla, poi aveva deciso che i Cavalieri l’avrebbero tenuta a turno, un giorno a testa. La gemma quindi era stata consegnata quella stessa mattina all’alba nelle mani di Shaka, che ne sarebbe stato il primo custode.
 
Entrare in un Paese dell’Unione Sovietica richiedeva sempre una serie di permessi, documenti e controlli, ma un’organizzazione come quella del Santuario aveva agganci ovunque, per cui tutto il necessario era stato ottenuto molto velocemente.
I Cavalieri, sfruttando le loro capacità, si sarebbero potuti introdurre facilmente nel Paese in maniera clandestina ma avevano ricevuto il divieto assoluto di farlo; non dovevano mettere in difficoltà i collaboratori che operavano nel territorio o attirare l’attenzione su di essi. Inoltre, gli era stato raccomandato di passare il più impossibile inosservati, almeno nei primi giorni, fino a che non fossero stati in grado di valutare come agire.
 
Non che atterrare con un aereo cargo su una delle piste dell’aeroporto di Aralsk, ormai quasi dismesso, fosse un esempio di discrezione, ma tutte le alternative prese in considerazione avrebbero richiesto chilometri in treno e mezzi di fortuna che avrebbero fatto perdere troppo tempo.
Appena scesi dall’aereo erano stati accolti da due collaboratori del Santuario che li avrebbero accompagnati come guide nel percorso aiutandoli negli spostamenti: Erkut, un ragazzo alto e magro con almeno tre o quattro anni più di loro, e la sorella Aleksandra, all’apparenza loro coetanea. I due ragazzi erano venuti a prenderli con un fuoristrada a sette posti, un vecchio UAZ ricoperto di polvere e dalla carrozzeria un po’ ammaccata e graffiata dalla sabbia. Avevano caricato i Cavalieri con i bagagli e gli zaini di tela che nascondevano gli scrigni delle Sacre Armature, e si erano diretti verso est per raggiungere un villaggio a un centinaio di km dove avrebbero passato la notte per poi iniziare le ricerche il giorno successivo.
 
 
Milo sbadigliò a sua volta e si strofinò gli occhi, osservare quel paesaggio uniforme gli aveva fatto venire sonnolenza.
 
“Cosa sono quelle?” sentì chiedere da Aiolia che indicava un punto aldilà dei finestrini. Guardò verso quella direzione e vide delle sagome scure stagliarsi in lontananza, ricordavano la forma di una nave.
 
“Vecchi relitti di barche e pescherecci,” rispose Aleksandra “sono lì da quando il lago si è ritirato. Ormai, come vedrete, sono in gran parte arrugginiti.”
 
“Vuoi dire che una volta il lago arrivava fin qui?” esclamò il Leone “Come è possibile che adesso neanche si veda in lontananza?”
 
“Eh, ormai sarà a una cinquantina di chilometri da qui,” intervenne Erkut, seduto al posto di guida “da quando hanno deviato i fiumi che lo alimentavano si è ridotto di quasi un terzo.”
 
“È successo una ventina di anni fa” continuò, vedendo l’espressione stupita dei Cavalieri “hanno convogliato l’acqua dei fiumi emissari in canali di irrigazione per le coltivazioni di cotone e il lago ha iniziato a prosciugarsi. Quando le persone che abitavano qui se ne sono rese conto, era troppo tardi. Tra l’altro, quei canali sono fatti malissimo e metà dell’acqua si perde durante il percorso. Già abbiamo poca acqua, la buttiamo via così…”
 
Aleksandra, seduta accanto a lui, lo guardò per un momento con aria pensierosa.
 
“Tranquilla” le disse lui sottovoce “sono stranieri, con loro possiamo parlare liberamente. E poi nel loro Paese sono abituati a criticare quello che non va bene.”
 
“Nostro padre era un pescatore” continuò a raccontare Erkut “qui la gente viveva di pesca e c’era un grande commercio. Una volta si arrivava qui dai villaggi nel deserto e all’improvviso ci si trovava davanti il lago, con la sua spiaggia, le barche. Adesso non c’è più niente.”
 
“Quindi adesso stiamo viaggiando su quello che era il fondo del lago…” mormorò Aiolia, quasi parlando a se stesso.
 
“Esattamente,” rispose la ragazza “se guardate bene vi accorgerete che in alcuni punti il terreno è quasi bianco. Era un lago di acqua leggermente salata, quando si è prosciugato tutto il sale è rimasto sul fondo. Il vento lo sparge continuamente in giro così tutta la zona è diventata ancora più arida. In estate ci sono tempeste di sabbia terribili che arrivano ai villaggi circostanti.”
 
I Cavalieri guardarono fuori dal finestrino, in effetti in alcuni tratti la terra era davvero imbiancata dal sale e qua e là si vedevano pezzi di conchiglie. Sembrava incredibile anche solo che riuscissero a crescere quei ciuffi d’erba che si vedevano di tanto in tanto.
 
 
 
 
(Relitti sul fondo del lago di Aral)
 
 
Viaggiarono per alcune ore attraversando una vasta area desertica e sabbiosa, verso sera finalmente raggiunsero un piccolo paese che sembrò apparire all’improvviso in mezzo alla polvere.
Lungo la via principale si alternavano edifici alti uno o due piani fatti di mattoni e ricoperti da intonaco spesso scrostato e ingiallito. Alcuni avevano accanto una stalla in legno e un piccolo pollaio. L’aspetto generale era piuttosto trasandato.
 
Il loro arrivo destò una grande curiosità, appena il fuoristrada si fermò i vicini di casa si avvicinarono per salutare. Aleksandra li presentò come studenti, spiegando che erano in viaggio per visitare alcuni siti archeologici più a est. La storia sembrò convincere tutti che si affrettarono a incoraggiare i cinque ragazzi e congratularsi con loro; sembravano tutte brave persone, abiti semplici, sorrisi sinceri e mani indurite dal lavoro.
 
La moglie di Erkut e i suoi due figli diedero loro un caloroso benvenuto invitandoli a entrare in casa. All’interno, l’abitazione era arredata in maniera modesta ma curata, i pavimenti in legno erano quasi interamente coperti da tappeti, le pareti imbiancate erano spoglie fatta eccezione per qualche stampa incorniciata.
 
Ai Cavalieri venne mostrata la loro camera per la notte, una stanza alla quale si poteva accedere direttamente anche dall’esterno. Non era molto grande, ma c’era abbastanza spazio per tutti. Il pavimento era stato ricoperto da spessi tappeti variopinti sopra i quali erano stati preparati cinque giacigli, formati ognuno da due materassi messi uno sopra l’altro e ricoperti da lenzuola e copriletto.
 
Appena ebbero finito di sistemarsi vennero avvisati che la cena era pronta e si spostarono nella piccola sala da pranzo dove, stretti attorno a un tavolo coperto da una tovaglia in plastica, mangiarono assieme ai loro accompagnatori e i membri della loro famiglia. Il pasto era molto più abbondante di quello che si sarebbero aspettati; su grandi piatti di portata in metallo smaltato vennero serviti spiedini di carne di pecora arrostita, cipolle e peperoni cotti in pentola, pane ancora caldo e della frutta. I Cavalieri, stanchi e affamati dopo il lungo viaggio, fecero onore al banchetto. Shaka fu l’unico a mangiare poco, assaggiò appena un pezzo di carne e si accontentò di una piccola porzione di verdure e qualche pezzo di pane.
 
Dopo la cena, qualche chiacchiera con la famiglia che li ospitava, e una breve riunione per organizzare la giornata successiva, i Cavalieri uscirono per una breve passeggiata. Mu e Shaka si allontanarono un po’ per dare un’occhiata al paese mentre gli altri tre rimasero nei dintorni della casa.
Ormai il sole stava tramontando, lunghe ombre si allungavano sulla strada mentre, uno dopo l’altro, si accendevano i pochi lampioni presenti nella via principale. Alcuni uomini chiacchieravano a gruppetti di tre o quattro seduti sulle panchine accanto alle porte di casa, dei bambini giocavano con un pallone.
 
I due ragazzi percepirono abbastanza serenità in quel luogo. Gli abitanti di quel paese non si potevano dire ricchi, ma sembravano avere comunque un tenore di vita accettabile malgrado l’aspetto degradato del luogo. Il prosciugamento del lago aveva certamente creato gravissimi danni all’economia della zona ma, almeno in questo paese, sembrava che gli allevamenti e la poca agricoltura possibile permettessero ancora una vita dignitosa.
 
Quando tornarono alla casa di Erkut era ormai buio, le strade erano deserte e il paese ormai si preparava per la notte. Giunti a pochi metri di distanza sentirono Milo discutere animatamente con Aiolia, bastò sentire il solo tono della voce per capire di cosa stessero parlando.
 
“Ci risiamo...” mormorò Mu. Cominciava ad essere stanco di quell’atteggiamento e di quei discorsi tanto inutili quanto ripetitivi. Shaka si limitò ad alzare un sopracciglio rimanendo in silenzio, sembrava piuttosto infastidito anche lui.
 
Vedendoli avvicinarsi, Milo si voltò distrattamente verso di loro per poi tornare a parlare rivolto agli altri. “Dico solo che il Sommo non dovrebbe considerarci tutti allo stesso modo” disse.
 
“Non dovresti permetterti di criticare una Sua decisione,” rispose Camus con tono di rimprovero.
 
“Lo so. Non voglio criticarla, dico solo che non la capisco. Siamo in una situazione incerta e domani sarà lui a custodire la pietra. Tra tutti e cinque è l’unico nelle cui vene scorra il sangue di un traditore. Io non gli avrei neppure permesso di unirsi al gruppo.”
 
“Ma il Sommo lo ha fatto e queste sono le nostre disposizioni,” disse l’Aquario.
 
Aiolia a pochi passi di distanza lo guardava in silenzio, gli occhi infiammati dalla rabbia, le braccia lungo i fianchi, i pugni chiusi.
 
“È così importante quale sangue scorre nelle sue vene?” la voce di Mu, che aveva pronunciato quelle parole con studiata lentezza, sembrò rimanere sospesa nell’aria per qualche secondo.
 
“Stai scherzando?” esclamò spiazzato Milo.
 
“No,” rispose calmo l’Ariete “non hai argomentazioni diverse dall’ereditarietà? Non puoi giudicare qualcuno dalla sua discendenza, cosa dovresti dire di te stesso e di noi? Se non sbaglio qui siamo tutti orfani e non sappiamo che persone fossero i nostri genitori o i nostri parenti.”
 
Lo Scorpione lo guardò con l’aria di chi sente mancare il terreno sotto i piedi, messo all’improvviso davanti a quell’evidenza per un momento non seppe cosa rispondere.
 
“Forse è vero,” disse con voce incerta “ma io vorrei che prendesse almeno una posizione. Non l’ho mai sentito rinnegare suo fratello.”
 
“Non parlare di mio fratello!” ringhiò Aiolia.
 
“E poi ne ho anche per te,” continuò rivolto a Mu “sei stato assente per anni, e quasi neanche ti conosciamo. E a volte ti comporti in modo strano. Per esempio, cosa sei andato a fare l’altro giorno nella Casa del Sagittario? La Nona Casa è vuota da anni, cosa ci hai fatto dentro in tutto quel tempo?”
 
“Niente di segreto,” rispose l’Ariete con un mezzo sorriso “volevo capire dove fosse finita l’Armatura del Sagittario. Speravo che quella casa mi rivelasse qualcosa. Ma purtroppo non ho trovato niente, neppure una traccia del suo cosmo.” Non gli piaceva mentire, ma non era certo il caso di spiegare i sentimenti che lo avevano portato lì quella sera.
 
“Aiolia ha sempre servito il Santuario come tutti noi,” intervenne allora Shaka “ha mai fatto qualcosa di equivoco? Qualche azione che potesse far dubitare della sua fedeltà?”
 
“No” rispose Milo con voce seccata, poi alzò le spalle e si allontanò camminando con le mani in tasca.
 
“Temo che Milo sia un po’ troppo nervoso, oggi” disse Shaka.
 
“Lui è sempre troppo nervoso” rispose Camus mentre si accingeva a seguire lo Scorpione.
 
Aiolia rimase in silenzio qualche istante poi, senza dire una parola, si voltò e si diresse all’interno dell’abitazione.
 
 
Mu si lasciò sfuggire un sospiro. Tutto sommato non se la sentiva di rimproverare Milo; si trovava in un Paese a lui sconosciuto per compiere una missione assolutamente incerta, con una squadra composta per metà da persone di cui non si fidava. Probabilmente si comportava così per scaricare la tensione, anche se con quell’atteggiamento otteneva solo di crearne altra all’interno del gruppo.
 
Il vecchio Dohko aveva ragione ad essere preoccupato, erano tutti ancora troppo giovani e impulsivi, schiavi delle loro insicurezze, di quel bisogno di schierarsi a tutti i costi dalla parte giusta. Non avevano ancora imparato a gestire le loro emozioni e riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni. Lui per primo non era ancora riuscito a sopire del tutto il desiderio di vendetta, nonostante avesse deciso di rinunciarvi anni prima.
 
“Sarebbe anche ora di andare a dormire. Faccio io il primo turno di guardia, vai a riposare” disse Shaka distogliendolo dai suoi pensieri.
 
L’Ariete obbedì ed entrò nell’edificio utilizzando l’ingresso che portava direttamente alla loro camera. Nella stanza la lampada era spenta, ma dalla finestra entrava un po’ della luce del lampione posto sull’altro lato della strada. Entrò cercando di non fare rumore, Aiolia era già sul suo giaciglio, steso di fianco con il viso rivolto verso il muro. Mu si distese su quello accanto, dove aveva sistemato in precedenza le sue cose.
 
Rimasero a lungo in silenzio. Il respiro del Leone non era né lento né regolare, di certo era ancora sveglio e stava ripensando all’accaduto.
 
Nel cielo sorse la prima stella della costellazione del Sagittario, se ne accorsero subito entrambi. Era normale che i Cavalieri percepissero la presenza della loro costellazione protettrice ma, in alcuni casi, era possibile sviluppare la stessa sensibilità anche nei confronti di altre, purché ci fosse un legame, anche solo emotivo, con esse.
 
“La senti? Sta sorgendo adesso,” disse sottovoce Mu.
 
“La… senti anche tu?” rispose dopo qualche istante Aiolia, voltandosi verso di lui.
 
“Beh, certo,” rispose l’Ariete “penso sia per via della nostra promessa. Te lo ricordi?” aggiunse dopo un po’, vedendo il suo volto perplesso. “Se ci proteggeremo tra di noi, lo faranno anche le nostre costellazioni.”
 
Vide gli occhi dell’altro illuminarsi per un momento. Sì, adesso ricordava.
 
La memoria di entrambi tornò indietro nel tempo, a tanti anni prima. Loro due, bambini, seduti sulle gradinate dell’Acropoli a notte fonda a guardare le stelle.
 
 
 
 
“Sta sorgendo la costellazione dell’Ariete, è quella che mi protegge. Ecco, lì c’è la prima stella!” stava dicendo Mu, indicando un puntino luminoso nel cielo.
 
“La mia non si vede in questo periodo” aveva risposto Aiolia un po’ imbronciato.
 
“È vero…”
 
 “Lì però c’è il Sagittario, è la costellazione che protegge mio fratello!”
 
“Una costellazione può proteggere tante persone, sai?” aveva detto allora Mu “L’Ariete protegge sia me che il mio Maestro. Forse può pensare anche te, almeno quando la tua non si vede.”
 
“Beh… sì, forse potrebbe farlo anche il Sagittario.”
 
“Cosa ci fate ancora alzati voi due?” La voce gentile di Aiolos li aveva colti di sorpresa, si era avvicinato senza che lo sentissero arrivare.
 
“Fratello, il Leone non si vede!” aveva detto Aiolia con voce triste.
 
“È vero” aveva risposto Aiolos “in questa stagione è illuminato dal sole e durante la notte non si vede. Ma è proprio il periodo in cui si sta ricaricando di luce, se ti concentri la puoi sentire in tutta la sua forza.”
 
“Mmh…” Aiolia non sembrava troppo convinto. “Ma fino a che non torna nel cielo puoi chiedere al Sagittario di proteggere anche me?”
 
Il fratello maggiore aveva sorriso intenerito. Si era seduto in mezzo ai due bambini e allargato le braccia per posare le mani sulle loro spalle.
 
“Il Leone veglia sempre su di te, anche se non lo vedi,” aveva detto “comunque, finché ci proteggeremo tra di noi, lo faranno anche le nostre costellazioni. I Cavalieri sono come dei fratelli e ciò che li lega sono l’amore e la lealtà che provano gli uni per gli altri e la devozione per la dèa Athena.”
 
“Da grandi diventeremo anche noi Cavalieri d’Oro come te. Vero, Mu?”
 
Il piccolo Ariete aveva annuito e poi, un po’ intimidito, aveva chiesto “E allora sarete anche un po’ miei fratelli?”
 
“Ma certo,” aveva risposto Aiolos “e sono sicuro che entrerete anche voi nelle fila dei Cavalieri d’Oro; allora capirete l’onore di sposare una causa meravigliosa per la quale donare corpo e anima.”
Aveva parlato sorridendo, il suo stato d’animo si leggeva chiaramente in quegli occhi limpidi, due pozze verdi colme di orgoglio e amore incondizionato.

 
Li aveva stretti entrambi a sé baciandoli uno alla volta sulla fronte, i due bambini si erano rannicchiati contro di lui, il viso e le mani appoggiate sul pettorale della sua armatura. Mu non avrebbe mai potuto dimenticare il calore di quell’abbraccio, dove sembravano essere racchiusi i sentimenti più puri che un cuore potesse provare, e di quel momento in cui si era sentito completamente sereno e al sicuro, lontano da ogni male.
 
Aveva sentito le loro anime intrecciarsi tra loro; in nome di Athena, sarebbero stati fratelli per l’eternità.
 
Un movimento quasi impercettibile oltre le spalle di Aiolos, gli aveva dato la sensazione che le ali dell’armatura del Sagittario si fossero ripiegate verso di loro, come per avvolgerli in quella promessa.
 
 
 
 
Mu sentì gli occhi inumidirsi, da quei ricordi nascevano troppe emozioni contrastanti che si accavallavano nel suo cuore.
 
Aiolia era perso nei pensieri, stava certamente ricordando anche lui quella notte.
 
Dall’esterno si udì per un momento la voce di Milo, stava ancora discutendo con gli altri. Sentendola, il Cavaliere del Leone sbuffò e si passò nervosamente una mano sul viso.
 
“Non devi ascoltare le sue provocazioni,” disse l’Ariete “alcune persone parlano senza motivo, alcune denigrano le altre per sentirsi più forti. Altre…” Altre tacciono perché hanno paura delle conseguenze delle proprie parole.
 
 
“Ti prego, non difenderlo.”
 
“Non lo sto difendendo. Sto dicendo che non lo devi ascoltare.”
 
“Mio fratello ha tradito il Santuario, è normale che non si fidi di me.”
 
“Non intendevo quello...” disse Mu voltandosi verso di lui “Si può non avere fiducia in una persona anche senza punzecchiarla continuamente.”
 
“Sì, questo è vero. In ogni caso ti ringrazio per avermi difeso, prima.” Il modo in cui si era rivolto a Milo, le parole con cui lo aveva messo a tacere, lo avevano colpito.
 
“Ho solo detto ciò che pensavo. Può avercela con Aiolos finché vuole, ma la sua rabbia non deve ricadere su di te,” rispose l’Ariete.
 
“Immagino che per te sia dura,” continuò poco dopo “era tuo fratello, è normale che il tuo cuore sia diviso tra l’amore per lui e… questa situazione.” Non aggiunse altro, temendo di essere stato già troppo invadente.
 
Aiolia rimase in silenzio per un po’, infine, forse commosso da quella dimostrazione di empatia, forse per i sentimenti che gli aveva risvegliato quel ricordo legato al loro passato comune, sentì di potersi aprire un po’ con lui.
 
“A volte penso che avrei potuto evitarlo,” disse, quasi sottovoce.
 
“Cosa intendi dire?” chiese Mu.
 
“Quella notte, prima di scappare, Aiolos mi disse una cosa. Camminavo per le strade dell’Acropoli stordito dalla confusione, quando sentii il suo cosmo vicino a me. Mi guardai attorno e capii che era nascosto dietro a un colonnato, feci per raggiungerlo ma mi disse di allontanarmi. Disse che aveva una missione da compiere e che se ne doveva andare. Non volle darmi spiegazioni, mi chiese solo di non seguirlo. Obbedii. Poche ore dopo arrivò la notizia della sua uccisione,” fece una piccola pausa, come dovesse riprendere fiato. “non avrei dovuto lasciarlo andare. Avrei dovuto seguirlo.”
 
“No. Non avresti dovuto farlo. Era un suo desiderio che non lo facessi.”
 
“Sei sempre così… obbediente!” sbuffò il Leone “Anche da piccolo eri così. Obbedivi a qualsiasi ordine senza farti mai domande.”
 
“È sempre un piacere parlare con te…” sospirò Mu. Non era sorpreso per quelle parole, avevano sempre avuto caratteri così diversi, anche da bambini spesso non riuscivano a capirsi fino in fondo. “Non si tratta di essere… obbedienti. Non pensi sia stato giusto rispettare la sua volontà? E poi se ti ha detto di non seguirlo è perché voleva proteggerti.”
 
Lo ha fatto per salvarti. Come Shion ha fatto con me. È per rispetto alle loro volontà, almeno, che dobbiamo sopravvivere.
 
 
“Se lo avessi fatto, adesso lui forse sarebbe vivo.”
 
“O sareste morti tutti e due. Eri solo un bambino, non avresti potuto difenderlo dall’esercito e dagli altri Cavalieri…”
 
Eravamo due bambini, cosa avremmo potuto fare?
 
 
“Ma almeno avrei capito cosa stava facendo, lo avrei visto agire con i miei occhi. A volte…” Aiolia esitò qualche secondo “a volte mi chiedo cosa sia successo veramente quella notte, se davvero ci abbia traditi.”
 
L’Ariete sentì mancare il respiro per un momento.
 
Cosa dovrei dirti adesso, Aiolia? Che il Sacerdote non è chi dice di essere e che, di conseguenza, ciò che si racconta di quella notte è sicuramente falso? Che Aiolos molto probabilmente è innocente? Ma se te ne parlassi ora, cosa faresti? Come reagiresti?
 
 
Lo vide socchiudere gli occhi e stringere i pugni.
 
“Non hai idea di quante volte ho sognato di scoprire che era innocente, e di gridarlo in faccia a Milo, a tutti quelli che hanno offeso la sua memoria e mi hanno insultato in questi anni, e a tutto il mondo.” Aiolia parlava sottovoce, ma non riusciva a nascondere la sua rabbia. Quanta sofferenza traspariva da quelle parole.
 
Mu strinse i denti, era quella infatti la sua paura più grande.
 
Già. Se parlassi adesso, si scatenerebbe l’inferno. Correresti al Santuario per affrontare il Sacerdote e saresti accusato anche tu di tradimento. Ti faresti uccidere in nome di eventi che non potremmo assolutamente dimostrare. Nessuno ci crederebbe, ci faresti uccidere entrambi. Come reagirebbero gli altri Cavalieri? Forse, finiremmo addirittura per ucciderci tutti combattendo gli uni contro gli altri.
 
 
“In realtà… non possiamo sapere il motivo delle sue azioni, né cosa sia accaduto esattamente quella notte” disse l’Ariete e si morse immediatamente le labbra, forse aveva parlato troppo.
 
“Perché mi stai dicendo queste cose? Tu, sempre obbediente e ligio al dovere stai difendendo qualcuno che è stato accusato di tradimento dal Sacerdote in persona?”
 
“No. Non voglio difendere nessuno, dico solo che non abbiamo certezze. Ma lui ti amava, questa è la cosa più importante. L’amore di un fratello è la cosa più bella che si possa ricevere. Non soffocare i tuoi sentimenti per lui a causa di un’azione che, oltretutto, nessuno gli ha visto fare. Non sarebbe giusto.” Mu aveva parlato in maniera quasi concitata, cosa rarissima per lui. Ma aveva sentito improvvisamente il bisogno di sputare quelle parole, e quello era l’unico modo in cui era riuscito a farlo.
 
Rimasero in silenzio a lungo, distesi l’uno di fronte all’altro, gli occhi socchiusi, persi ognuno nei propri pensieri.
 
Una stella dopo l’altra, la costellazione del Sagittario si levò nel cielo nella sua interezza. Lo percepirono chiaramente tutti e due. Complici forse i ricordi riaffiorati nelle loro menti poco prima, la sua sola presenza ebbe il potere di infondere loro una sorta di tranquillità, come se qualcuno si stesse prendendo cura di loro.
 
“Ogni volta che la vedo nel cielo, penso che lui stia ancora vegliando su di noi,” sussurrò Mu, quasi senza rendersene conto.
 
Aiolia lo guardò abbozzando un sorriso. “Sei davvero stato alla Nona Casa per cercare l’Armatura?”
 
“No,” rispose Mu scuotendo leggermente la testa “ci sono stato perché… cercavo un po’ di lui.”
 
Chiuse gli occhi che sentiva riempirsi nuovamente di lacrime, adesso non era in grado di incrociare il suo sguardo. Non sarebbe riuscito a nascondergli la sua angoscia.
 
Aiolia, che non poteva conoscere la causa del suo tumulto interiore, vi immaginò un riflesso del proprio. Sapeva quanto Mu fosse stato affezionato ad Aiolos e pensò fosse quello il motivo della sua sofferenza.
 
“Ti voleva molto bene, sai? Ci teneva tantissimo che noi due fossimo amici,” gli disse appoggiandogli una mano sulla spalla.
 
“Anch’io gliene volevo” rispose l’Ariete continuando a tenere gli occhi chiusi.
 
Aiolia lo attirò leggermente a sé, fino a posare la fronte contro la sua, Mu gli cinse istintivamente un fianco. Rimasero a lungo in silenzio, immersi nei ricordi, cullati dall’amore che percepivano venire da quelle stelle.
Immobili, fronte contro fronte, le ciglia umide dalle stesse lacrime, lasciarono che quell’abbraccio innocente li riportasse indietro nel tempo, a quella notte di tanti anni prima quando, bambini, si erano sentiti fratelli in nome di Athena, e immaginavano le loro gesta da cavalieri in una guerra ancora lontana. Quando nel cuore del Santuario si sentivano davvero al sicuro. Quando Aiolos era ancora con loro, e si erano ripromessi di proteggersi a vicenda per sempre.
 
Il Leone fu il primo ad addormentarsi. Mu, nel dormiveglia, rimase ad ascoltare il suo respiro regolare, il battito del cuore ora tranquillo. Fu in quel momento che comprese quale fosse il suo ruolo. Doveva tacere, non rivelare a nessuno ciò che sapeva e i conseguenti sospetti. Shion e Aiolos avevano fatto il possibile per metterli in salvo; avrebbe seguito la loro volontà, cercando di mantenere il delicato equilibro di quella situazione fino a quando fosse stato necessario.
 
Aiolia si mosse nel sonno, mugolando qualcosa. Mu aprì gli occhi per guardare il suo volto vicino; crescendo aveva iniziato ad assomigliare sempre di più al fratello, mantenendo però parte dei lineamenti che aveva da bambino. Con un gesto istintivo gli posò le labbra sulla fronte, sfiorandola appena.
 
Fratello mio, un giorno saprai la verità e allora mi odierai per avertela nascosta. Ma questo è l’unico modo che conosco per salvarmi. E per salvare anche te.
 
Ti proteggerò, Aiolia. Ti proteggerò come avrebbe fatto Aiolos, come avrebbe fatto con entrambi. E come non ci è stato concesso di fare con lui.
 
Richiuse gli occhi e si lasciò scivolare a sua volta nel sonno. Mentre si addormentava ebbe la sensazione di percepire un qualcosa di tiepido e delicato che si posava su di loro, avvolgendoli in un abbraccio. Come se le ali di piume dorate del Sagittario si fossero chiuse attorno a loro.




 
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Vi lascio come sempre le schede dei personaggi apparsi nel capitolo, che questa volta sono tornati ad essere un numero gestibile. XD
Io vi aspetto a fondo pagina.




 
Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra India e Cina)
Età: 18 anni
Particolarità: Telecinesi, teletrasporto

 
(L'immagine a destra è una fan art di Marco Albiero)
Aiolia - Cavaliere del Leone
Paese di Origine: Grecia
Età: 18 anni
Particolarità: Capacità curative.

 
Shaka - Cavaliere della Vergine
Paese di Origine: India
Età: 18 anni
Particolarità: Reincarnazione di Buddha, raggiunge l’illuminazione all’età di sei anni. È considerato l’uomo più vicino agli dèi.

 
Milo - Cavaliere dello Scorpione
Paese di Origine: Grecia
Età: 17 anni

 
Camus - Cavaliere dell’Aquario
Paese di Origine: Francia
Età: 18 anni

 
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Angolo di quella che scrive:


Finalmente i Cavalieri hanno iniziato il loro viaggio in Asia Centrale, ho cercato di descrivere al meglio l'ambiente per dare l'idea del luogo dove si stanno muovendo, spero di non aver appesantito troppo il capitolo.
Ricordo inoltre che la storia è ambientata nei primi anni '80 quindi tutto fa riferimento a quest'epoca; negli ultimi anni le autorità si sono mosse per salvare ciò che resta del lago di Aral, quindi la situazione adesso è un po' migliorata.

Mu ha infine trovato un senso in quello che sta facendo, il che lo porta a mettersi un po' l'animo in pace. Più o meno.
La scena contenuta nel piccolo flashback e il conseguente abbraccio a tre tra Aiolos, Aiola e Mu, è l'idea dalla quale poi è nata tutta la storia. Ovviamente non era mia intenzione shippare Mu e Aiolia, ma solo raccontare quanto da bambini fossero affezionati ad Aiolos e come questo sentimento si fosse riflesso sul loro legame. Spero quindi che il loro riavvicinamento non sia inteso in questo modo, anche perché come coppia ce li vedrei malissimo. XD

Ancora una volta voglio ringraziare tutte le persone che stanno seguendo questa storia, vedo che siete sempre in tanti questo mi fa davvero piacere. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate nei vostri commenti.

A presto!! <3

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


VII
 
 
 
Quando Mu aveva aperto gli occhi, il cielo si stava già tingendo delle prime luci dell’alba. La stanza che divideva con gli altri cavalieri era ancora avvolta nel buio. Il giaciglio di Aiolia, accanto a lui, era vuoto; il suo turno di guardia copriva le ultime ore della notte. Gli altri sembravano ancora addormentati tranne Shaka che, seduto a gambe incrociate con le mani raccolte in grembo, era assorto in meditazione. L’Ariete si era alzato piano, cercando di non disturbare nessuno. Si sentiva riposato, come ci si sente dopo un lungo sonno, o dopo essersi tolti un grosso peso.
 
Il viaggio era ripreso di buon mattino; dopo un’abbondante colazione a base di pane caldo, frutta e yoghurt, il gruppo era ripartito a bordo del fuoristrada. Tutti si erano disposti nello stesso ordine del giorno precedente: Erkut alla guida, Aleksandra seduta al suo fianco, Mu, Aiola e Shaka sui sedili posteriori e Camus e Milo negli ultimi due rivolti verso l’interno, in fondo erano accatastati gli zaini contenenti gli Scrigni con le Armature, alcune provviste e pochi altri bagagli. 
 
Aleksandra aveva indossato un abito di cotone pesante, lungo fino alle caviglie, di colore rosso scuro ornato con fitti ricami in nero e giallo oro, attorno alla testa aveva avvolto un foulard della stessa tinta annodato sotto la nuca dal quale spuntavano le lunghe trecce nere. 
 
“Ci allontaniamo dalle città,” aveva detto “vestita all’occidentale darei troppo nell’occhio.”
 
Nella breve riunione di quella mattina avevano esaminato tutti assieme i possibili percorsi da intraprendere. Avrebbero continuato ad avanzare per qualche giorno seguendo le strade principali, certi che molto presto il nemico si darebbe fatto vivo. Non c’era molta scelta, l’unica strada asfaltata attraversava il deserto dirigendosi verso est, e altre due, sterrate, scendevano verso sud per poi ripiegare a est dopo qualche centinaio di chilometri. 
 
Le mappe fornite da Erkut erano più aggiornate di quelle che avevano consultato al Santuario e indicavano paesini e strade secondarie, percorsi sicuri in pianura e punti di valico tra le montagne. Shaka aveva fatto diverse domande sulla conformazione del terreno di alcune zone, i due fratelli si erano mostrati un po’ impressionati dal fatto che, pur tenendo gli occhi chiusi, osservasse quelle carte leggendo perfettamente ogni nota scritta. Ma erano entrambi al corrente di avere davanti persone particolari e, pur non riuscendo a nascondere la loro inquietudine, non avevano fatto domande.
 
 
 
*
 
 
 
“Quindi, adesso dovremmo andare a zonzo aspettando che qualcuno si faccia vivo?” sbuffò Milo.
 
“Non ci vorrà molto,” rispose Camus “se si sono presi la briga di attaccare il Santuario, non si lasceranno certo sfuggire l’occasione di averci qui in numero ridotto. Appena sentiranno la presenza della pietra ci saranno addosso.”
 
Aiolia, istintivamente, strinse il sacchettino di cuoio che portava al collo nascosto sotto la maglia; oggi era lui a dover custodire la pietra. Erano in strada da parecchie ore e quel viaggio, che ormai era diventato una lunga attesa, stava diventando snervante. Cercò di distrarsi lasciando vagare lo sguardo fuori dal finestrino, il paesaggio monotono e il fruscio sommesso e continuo della ricetrasmittente dell’auto non erano molto d’aiuto.
 
Dovettero attendere il pomeriggio, per vedere un segno della presenza del nemico. Percepirono all’improvviso una grande forza lontana. Qualcuno, a diversi chilometri più a sud, stava bruciando il cosmo in maniera più che sostenuta, un’azione che per loro sarebbe stata ancora accettabile ma per un Cavaliere di rango inferiore rasentava il massimo possibile. Inoltre, c’era qualcosa di fastidioso in quel cosmo, una brutta sensazione, come se avesse qualcosa di malvagio in sé.
 
“Sentito?” mormorò Shaka.
 
Gli altri annuirono.  
 
“Cosa succede?” chiese Aleksandra allarmata, i due fratelli non erano in grado di sentire il cosmo del nemico.
 
“Succede che tra circa centocinquanta chilometri verso sud troveremo qualcosa di interessante,” rispose Mu cercando di fare un calcolo approssimativo della distanza che li separava dal nemico.
 
Milo aprì una mappa cercando di orientarsi, dopo qualche istante trovò il luogo che stava cercando, alla distanza calcolata da Mu verso sud c’era un paese abbastanza grande. 
 
“Abbiamo capito dove sono, possiamo raggiungerli” disse Aiolia
 
“Andiamo! Che stiamo aspettando?” esclamò Milo gettando la mappa.
 
“Un momento, che volete fare?” chiese Camus “Se corriamo bruciando il cosmo ci sentono arrivare, sarebbe meglio coglierli di sorpresa, per quanto possibile,” continuò “se davvero sentono la presenza della pietra si accorgeranno subito cha siamo lì, ma fino all’ultimo momento cerchiamo di non fargli capire quanti siamo.”
 
“Sì, hai ragione, in effetti non sappiamo quanti sono lor,.” rispose lo Scorpione “e in più ci stanno attirando là, dobbiamo essere cauti.” 
 
“L’ideale è avvicinarsi il più possibile senza dare nell’occhio,” continuò l’Aquario “Mu, tu non hai bisogno di bruciare il cosmo per teletrasportarti, vero? Potresti portarci laggiù in modo che non se ne accorgano?”
 
“Certo,” rispose l’Ariete “non è una gran distanza. Devo solo capire dove andare.” Chiuse gli occhi per qualche secondo mentre cercava di identificare il luogo esatto dove portarsi.
 
 “Vi stanno attirando da qualche parte?” chiese timidamente Aleksandra, che iniziava ad agitarsi non afferrando bene il senso dei loro discorsi “Vi portiamo noi. Ma… non sarà una trappola?”
 
“Certo che lo è, ma dobbiamo comunque affrontarli,” rispose Aiolia “voi continuate a guidare in questa direzione, troveremo il modo per ricongiungerci.”
 
“Ho trovato il posto. Andiamo!”
 
Erkut e Aleksandra videro i cinque ragazzi sparire all’improvviso assieme a gran parte dei bagagli.
 
“Che… cosa è successo?” chiese la ragazza sbigottita guardando i sedili vuoti.
 
“Parlavano di teletrasporto... non credevo si potesse fare veramente…” rispose il fratello con un filo di voce mentre cercava di non perdere il controllo del fuoristrada. Mu aveva detto centocinquanta chilometri a sud, l’unica cosa da fare era proseguire in quella direzione. 
 
 
 
 
 
Un momento dopo, i cinque Cavalieri si materializzarono dietro a un edificio diroccato alla periferia del paese che Milo aveva identificato sulla mappa. 
 
Shaka e Mu sembravano gli unici perfettamente a loro agio, gli altri tre riaprirono cautamente gli occhi, che avevano istintivamente chiuso al momento della partenza, e si guardarono attorno inquieti. Non erano abituati a essere trasportati all’istante da un luogo all’altro.
 
Si concessero qualche minuto per osservare l’ambiente attorno; vicino a loro c’erano diverse costruzioni piuttosto vecchie e dall’aspetto fatiscente. Sembrava non ci fosse anima viva, tutto era avvolto in un silenzio desolato interrotto solo dal sibilo del vento che veniva dal deserto.
Presi in spalla gli zaini che nascondevano gli Scrigni delle Armature, decisero di dividersi alla prima occasione per raggiungere il centro del paese da strade diverse. Aiolia, che custodiva la pietra, si sarebbe incamminato per la via principale, gli altri lo avrebbero seguito inoltrandosi per le quelle secondarie tenendo gli occhi ben aperti e pronti ad agire in caso di necessità.
 
Non passò molto tempo che gli edifici si fecero via via più fitti e si incominciarono a intravedere segni di vita; finestre aperte, persone sedute a chiacchierare su piccole panche accanto alla porta di casa, bambini che si rincorrevano ridendo. Si stavano avvicinando al cuore del paese.
 
 
 
La piazza principale era occupata dal mercato, Mu e Aiolia vi entrarono quasi contemporaneamente da strade diverse e si immersero in quell’ambiente rumoroso. I venditori cercavano di attirare l’attenzione dei clienti, gran parte della merce era esposta in recipienti posati su tappeti o direttamente sul terreno. Solo in pochi casi era sistemata su banchi di legno, che erano poi gli stessi carretti con i quali era stata trasportata, con le ruote bloccate da piccole pietre, gli animali da tiro in piedi a pochi metri dietro il venditore. Sembrava che per comprare qualsiasi cosa si dovesse contrattare, le persone discutevano animatamente anche il prezzo di un singolo frutto. 
I due cavalieri, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, camminavano avvolti dal profumo di frutta e spezie, ascoltando quel piacevole vociare. Sembrava tutto tranquillo, tanto che si faticava a immaginare un pericolo in agguato.
 
Il mercato non era molto grande, né particolarmente ricco; Mu si chiese se non fosse anche clandestino, girava voce che ce ne fossero diversi e in un luogo così lontano dalle città non si sarebbe stupito di trovarne uno.
 
Guardandosi attorno si rese conto che Aleksandra aveva ragione; tutte le donne indossavano abiti tradizionali più o meno rivisitati, era così anche per circa metà degli uomini, gli altri vestivano all’occidentale come Erkut, con semplici camicie su pantaloni da lavoro e l’immancabile cappello a semisfera o di forma leggermente più schiacciata.
 
Un mendicante stava seduto per terra in un angolo, all’ombra di una casa, una mano tesa per raccogliere le offerte, le gambe incrociate, la testa bassa sotto il cappello di panno. Appena Aiolia gli passò davanti, alzò gli occhi e seguì con attenzione il suo percorso. Quando fu abbastanza lontano si mise lentamente in piedi e, avanzando con fatica aiutandosi con un bastone, lo seguì cercando di rimanere nascosto tra la folla.
 
L’uomo poteva confondersi con le persone che riempivano la piazza, ma non ingannare il sesto senso del Cavaliere, che realizzò subito di essere seguito. Anche l’Ariete, che fingeva di ammirare le decorazioni delle pagnotte tonde e piatte esposte su una bancarella poco lontana, si accorse subito di lui.
 
Il Leone indugiò ancora qualche minuto per il mercato, poi svoltò a un incrocio e, dopo aver superato gli ultimi banchi, si allontanò dalla piazza inoltrandosi in una via laterale. Facendo un percorso leggermente differente, per non farsi notare, il mendicante lo seguì nei suoi movimenti.
 
Aiolia iniziò a guardandosi attorno, mostrandosi interessato alle forme delle case che, attaccate l’una all’altra, si affacciavano sulla strada. Qualunque cosa stesse per succedere, preferiva allontanarsi il più possibile dalle zone affollate.
Man mano che avanzava in quella direzione, la natura della strada cambiava. Le case divenivano di nuovo più brutte e trasandate, per poi scomparire del tutto, sostituite da costruzioni più simili a magazzini e stalle circondate da reti coperte di ruggine. Dopo una ventina di minuti pensò di essersi allontanato abbastanza dal centro e decise di rallentare il passo, in attesa di vedere cosa accadeva.
L’uomo lo stava seguendo ancora, avanzando lungo una via parallela e cercando di nascondersi dietro gli ultimi edifici; Aiolia aveva visto bene, non si era reso conto che fossero in cinque, non lo avrebbe seguito da solo, in quel caso. A meno che non ci fossero suoi compagni nascosti nei paraggi; per quanto attorno sembrasse tutto tranquillo, non era un’idea da scartare.
 
Era ancora assorto in queste considerazioni quando, all’improvviso, sentì qualcosa muoversi sul petto: la giada rossa aveva iniziato a tremare per poi sollevarsi nell’aria assieme al sacchettino nella quale era custodita, sfilandosi da sotto la maglia. L’afferrò al volo, stringendola con foga tra le dita. Cosa stava succedendo? Riconobbe il cosmo percepito poche ore prima, la sensazione sgradevole che avevano sentito divenne più nitida e forte, vibrava ancora come mosso da qualcosa di malvagio.
 
Si voltò, il mendicante era a pochi metri da lui, in mezzo alla strada, gli abiti tradizionali sporchi di polvere, il viso contratto in una smorfia carica di odio. Si prese un momento per osservarlo; doveva avere una trentina d’anni, non di più, aveva la pelle molto chiara, gli occhi azzurri, dal cappello spuntavano lunghi capelli biondi raccolti in una coda fatta alla meno peggio.
 
L’uomo alzò un braccio e strinse il pugno avvicinandolo a sé, come stesse tirando qualcosa.
 
“Finalmente ti fai vedere! Pensavamo di doverti cercare fin chissà dove!” disse Aiolia.
 
“Dammi quella pietra!” rispose l’uomo.
 
“Cosa hai intenzione di farne?”
 
“Non sono affari che ti riguardano!”
 
“Quelli che hanno attaccato il Santuario di Athena qualche giorno fa sono tuoi compari, giusto?” disse il Leone “Dopo un’azione del genere direi che sono affari che ci riguardano eccome. Comunque, non posso dartela, spiacente.”
 
“Quella pietra non vi appartiene!” gridò l’altro.
 
“Non appartiene nemmeno a te. A meno che tu non possa dimostrare il contrario, s’intende”.
 
Sentiva la pietra tremare e spingere, come cercasse di divincolarsi per volare verso quell’uomo.
 
“Ti decidi a rispondere? Cosa vuoi farne di questa pietra?” Aiolia cercava di parlare con voce decisa ma ferma, per non tradire lo sforzo che stava facendo.
 
“Me la voglio riprendere. Appartiene a noi Cavalieri di Indra, non ai seguaci di Athena.”
 
“I Cavalieri di Indra? Perché non ne abbiamo mai sentito parlare?” la voce di Shaka risuonò alle sue spalle.
 
L’uomo si voltò e si guardò attorno; senza che se ne accorgesse, erano giunti altri quattro ragazzi. Si erano avvicinati in silenzio e adesso lo guardavano con aria di sfida, mentre lentamente gli si disponevano attorno circondandolo. Non ci voleva molto a capire che non si trattava di semplici ragazzi; il modo silenzioso di muoversi, i sensi all’erta, lo sguardo attento con cui lo tenevano sotto controllo, rivelava si trattasse di altri Cavalieri.
 
Milo lo superò alla sua sinistra e si avvicinò lentamente ad Aiolia, Mu fece lo stesso dall’altro lato e allo stesso tempo adoperò i suoi poteri telecinetici per rinforzare la presa della mano del Leone.
L’uomo si voltò verso l’Ariete, gli occhi puntati dritti nei suoi. Si guardarono per un lungo momento, poi le labbra di Mu si piegarono in un mezzo sorriso; aveva riconosciuto quell’uomo dal modo di usare la telecinesi, così diverso dal suo. Era stato lui, quel giorno, a inibire i suoi poteri davanti alla scalinata che portava al Santuario. Anche adesso aveva cercato di farlo, ma questa volta era all’erta e se n’era accorto appena in tempo per contrastarlo.
 
“Forse è come dici,” continuò Shaka, interrompendo quei pensieri “ma noi abbiamo delle responsabilità. Per il momento questa pietra deve rimanere a noi.”
 
“Maledetti!” gridò l’uomo “È questa la sete di potere del Santuario!?” mosse qualche passo indietro, sembrava reggersi in piedi con fatica, appoggiandosi al bastone. Conscio di non poter avere la meglio combattendo contro cinque Cavalieri, imprecò sottovoce e lasciò la presa sulla pietra.
 
Aiolia fu costretto a fare un passo indietro per bilanciare il contraccolpo, continuando a stringere in maniera spasmodica il sacchettino che conteneva la giada.
 
Rimasero in silenzio per lunghi attimi, squadrandosi a vicenda, poi l’uomo sembrò rassegnarsi all’idea di trattare.
 
“Quella pietra ci appartiene!” ripeté con tono brusco. Riaprì la bocca per rincominciare a parlare, quando accadde qualcosa.
 
Un improvviso bagliore si sprigionò da sotto la sua camicia. Sobbalzò per la sorpresa, poi spostò cautamente i lembi dell’indumento scoprendo la collana che indossava, dalla quale veniva quella luce abbagliante.
 
I Cavalieri la osservarono con attenzione: era composta da un unico pezzo d’oro, una sorta di anello piatto con incastonate delle pietre; quella centrale mancava, attorno c’erano quattro giade verdi, due per ogni lato. Era identica all’immagine di quella rubata mesi prima al National Museum di Nuova Delhi, era la collana del dio Indra!
Le pietre si erano illuminate di una luce verde brillante e avevano iniziato a pulsare tutte assieme; era come se qualcosa di vivo si accendesse e spegnesse dentro di loro, sembrava quasi un segnale o una sorta di richiamo.
 
Aiolia gridò, vedendo la giada rossa illuminarsi tra le sue dita, ed emettere una luce quasi accecante prima di iniziare a pulsare come le altre. La sentì muoversi, tremare, cercò di trattenerla con tutte le sue forze, chiudendo entrambe le mani attorno a essa. Non servì a nulla, la pietra sembrò attraversare le sue mani alla velocità di un lampo dirigendosi verso il mendicante. Milo allungò il braccio per afferrarla al volo, ma questa attraversò anche le sue dita raggiungendo rapidamente la collana per poi, con un ultimo bagliore, incastonarsi al suo posto assieme alle altre gemme.
 
L’uomo sgranò gli occhi, lui stesso era stupito dell’accaduto. Con aria incredula passò le dita sulle cinque pietre come per verificare ci fossero davvero. La forte luce di prima era scomparsa e le pietre avevano ripreso il loro aspetto, sembravano essersi calmate dopo essersi riunite.
Il suo sguardo si illuminò di un sorriso di grande soddisfazione, guardò i Cavalieri e scoppiò in una fragorosa risata.
 
“Vi ammazzerò tutti! Tutti quanti!” gridò infine. 
 
I ragazzi non ebbero il tempo di reagire, l’uomo chiuse gli occhi per un momento come cercasse di concentrarsi, lo sentirono bruciare il cosmo al massimo digrignando i denti per lo sforzo. Improvvisamente un bagliore circondò nuovamente il suo corpo e l’aria attorno sembrò diventare pesante.
 
“Sta scappando!” gridarono all’unisono Mu e Aiolia, che riconobbero il fenomeno percepito al Santuario poco prima dell’arrivo dei guerrieri nemici.
 
L’Ariete protese le mani cercando di usare la telecinesi per fermarlo, lo Scorpione gridò qualcosa, il suo cosmo sembrò esplodere all’improvviso, il Leone fece un salto in avanti ma arrivò troppo tardi, cadendo in ginocchio sul terreno. Nessuno di loro fu abbastanza veloce, in un attimo l’uomo era scomparso.
 
I cinque ragazzi rimasero a fissare il suolo, cercando di realizzare cosa fosse appena accaduto. Si guardarono tra loro come inebetiti per qualche istante, immobili, il respiro affannato, il cuore in gola.
 
“Dov’è andato?” gridò Aiolia rivolto a Mu “Dobbiamo inseguirlo!!”
 
“Non lo so...” rispose l’Ariete con un filo di voce.
 
“Cosa è successo?” gridò Milo.
 
“No. No. No!!” gridò fuori di sé il Leone, ancora in ginocchio, picchiando i pugni sul terreno.
 
“Non può esserci scappato così!” fece eco lo Scorpione avvicinandosi.
 
“Calma. Calmiamoci tutti!” il tono della voce di Camus non era distaccato come al solito, per quanto cercasse di dominarsi anche lui tremava dalla rabbia.
 
“La pietra mi ha… attraversato la mano,” disse allora Aiolia.
 
“L’ha teletrasportata lui?” chiese l’Aquario.
 
“No. È stata la pietra a spostarsi,” rispose il Leone “è stata richiamata dalle altre, ho sentito la traccia di cosmo che era rimasta in lei. È stata… viva per un momento, si è mossa quasi per volontà propria e si è ricongiunta alla collana. O forse è tutto l’insieme ad avere vita propria. La collana con tutte le pietre, intendo.”
 
“Non sono riuscito a fermarla,” disse Mu rispondendo alla tacita domanda che leggeva negli occhi degli altri. “non… potevo raggiungerla. La stessa cosa vale per lui, è sgusciato via.”
 
“Ero io ad averla in custodia,” mormorò Aiolia “era una mia responsabilità.”
 
“Era un responsabilità di tutti noi, Aiolia,” disse Camus “anche se oggi la portavi tu, la pietra era stata affidata all’intero gruppo.”
 
“Abbiamo visto chiaramente la pietra attraversare le tue mani e poi quella di Milo, nessuno di noi è stato in grado di fermarla,” aggiunse Shaka.
 
“Sì, mi è passata tra le mani ma non l’ho sentita, sembrava quasi un’illusione,” disse Milo continuando a guardarsi la mano che aveva usato per cercare di afferrare la giada. “Ho cercato di fermare almeno lui, di paralizzarlo ma era come se fosse stato protetto da qualcosa.” La voce tremava ancora, e quella frase suonava come un rimprovero verso se stesso.
 
“Era la collana a proteggerlo, aveva deciso di restare con lui. È un oggetto sacro, non possiamo raggirarlo facilmente,” rispose Mu.
 
Camus interruppe quei discorsi facendo notare che la forte luce di prima aveva attirato un po’ troppo l’attenzione.
 
Si guardarono attorno, alcune persone stavano guardando incuriosite nella loro direzione: uomini in piedi in mezzo alla strada, bambini improvvisamente spuntati dalle viuzze laterali, donne e persone anziane affacciate a porte e finestre. Quel luogo che fino a poco prima era sembrato disabitato, ora si rivelava decisamente troppo affollato.
 
“Allontaniamoci.”
 
Si incamminarono a passo veloce verso il deserto, dove le strade sparivano nel terreno brullo. Continuarono ad avanzare in silenzio, soli con loro pensieri, avviliti, lo stomaco ancora stretto dalla rabbia.
 
Dopo alcuni minuti rallentarono il passo, ormai si erano allontanati abbastanza dal paese, anche dalle ultime abitazioni. Milo calciò dei frammenti di ghiaia davanti a sé facendoli volare in aria assieme alla sabbia. Quel posto era talmente desolato da non offrire neppure un sasso decente da prendere a calci.
 
Non c’era un solo albero in vista, solo una distesa piatta, brulla e spoglia. La strada principale che usciva dal paese portava diritta nel deserto, all’orizzonte la linea azzurra del cielo terso combaciava perfettamente con quella bianca del terreno. Erkut e Aleksandra sarebbero arrivati da quella direzione, tra qualche ora.
 
Verso est, in lontananza, si intravedevano delle montagne.
 
Un colpo di vento alzò un misto di polvere, sabbia e sale che irritava la gola e gli occhi. In lontananza si stagliavano i profili di altri relitti di barche, anche quel luogo faceva parte del vecchio fondo del lago.
 
Camminarono per quasi un’ora sotto il sole, incuranti del caldo soffocante, non avevano davvero la necessità di spostarsi, ma erano troppo arrabbiati e scossi per rimanere fermi in un punto ad aspettare. Raggiunsero uno dei relitti più vicini; i resti arrugginiti di quello che doveva essere stato un peschereccio stavano immobili con lo scafo incastrato sulla sabbia.
 
Mu si tolse lo zaino e lo lasciò cadere sul terreno, si sedette vicino ad esso appoggiando la schiena sul relitto, abbracciò le ginocchia e rimase in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto. Shaka e Camus fecero lo stesso, Milo e Aiolia invece restarono in piedi camminando su e giù davanti a loro; erano troppo nervosi per stare fermi.
 
L’Ariete appoggiò la fronte sulle ginocchia e chiuse gli occhi, cercando di calmarsi. Erano arrivati convinti di combattere, chiedendosi quanti avversari avrebbero dovuto affrontare. Avevano trovato un uomo soltanto, che li aveva raggirati.
No, a dire il vero, era stata la pietra stessa a raggirarli. Era letteralmente scappata assieme al nemico, come stesse dalla sua parte. Tutto era accaduto talmente in fretta…
 
Già dal secondo giorno la loro missione era un fallimento; non avevano capito cosa stava succedendo da quelle parti, né ottenuto alcuna informazione, e avevano perso anche la giada.
 
Ma in fondo, cosa si erano aspettati di fare? Erano partiti senza un minimo di preparazione, senza un vero piano, portandosi dietro una pietra della quale non sapevano quasi niente, e che non si erano resi conto di non essere in grado di custodire.
 
Quel fallimento era la conseguenza della loro inesperienza, pensò rialzando la testa e scostandosi i capelli ricaduti sul viso. Anche colui che si fingeva il Sacerdote aveva dimostrato una certa ingenuità, permettendo una cosa del genere; chiunque fosse, non era tanto più preparato di loro.
Il vecchio Shion, dai suoi duecentocinquant’anni di esperienza, li avrebbe certamente messi in guardia dal fare un errore simile. Ma non era il momento di pensare a queste cose, adesso dovevano rimediare al guaio che avevano combinato.
 
 
“Cosa facciamo adesso? Dobbiamo ritrovare quell’uomo,” sospirò Aiolia mettendosi finalmente a sedere di fronte agli altri.
 
Nessuno rispose. Nessuno sapeva da dove cominciare.
 
“C’è una cosa che mi fa pensare...” disse Shaka dopo qualche minuto “anche quell’uomo era sorpreso di vedere la pietra muoversi da sola.”
 
“Sì, l’ho notato anch’io,” ribatté Mu “probabilmente non conosce nemmeno lui le potenzialità di quell’oggetto.”
 
“Quella che ha usato per sparire è una forma di telecinesi?” chiese Milo “Ha bruciato il cosmo quasi al massimo per farlo, Mu non lo fa. E non mi pare che abbia creato luce mentre ci portava qui.”
 
“Sì, è qualcosa di molto diverso,” rispose l’Ariete “ho perfezionato la mia con lo studio, ma la base è un dono naturale, una caratteristica della mia stirpe. Posso…” fece una pausa, cercando le parole adatte per spiegare la differenza.
 
“Tu smaterializzi il tuo corpo fisico e lo materializzi di nuovo in un altro luogo,” disse Shaka “lui invece ha aperto un varco dimensionale e vi è passato in mezzo come fosse un portale. È questa la differenza, giusto? E il motivo per cui lui ha usato il cosmo”.
 
L’Ariete annuì, non avrebbe saputo spiegare meglio quella situazione.
 
“Io, grazie alla meditazione, non ho difficoltà a separare l’anima dal corpo,” continuò il Cavaliere della Vergine “non sono ancora riuscito a smaterializzare il mio corpo fisico ma, se mai ci riuscirò, avrò certo bisogno dell’aiuto del cosmo. Lui non ha le capacità innate della tua stirpe, ha conquistato questo potere con l’addestramento.”
 
“Già. Inoltre ha bruciato il cosmo all’inverosimile, per lui è stato uno sforzo terribile,” ribatté Mu “e ho la sensazione che si tratti di una tecnica che non sia in grado di padroneggiare pienamente.”
 
“Concordo. Poi ha parlato dei Cavalieri di Indra, ma mi sembrava un po’ impacciato per essere lui un Cavaliere,” disse Aiolia “Appena si è visto circondato ha mollato la presa sulla giada. Come avesse capito di non essere abbastanza forte.”
 
“Vero. E avete sentito il suo cosmo?” intervenne Camus “Aveva qualcosa di malvagio, come intriso di odio. E prima di andarsene ha detto che ci ucciderà tutti. Come se ce l’avesse con noi.”
 
“La storia non descrive Indra come una divinità tranquilla,” rispose Shaka “ma mi pare inverosimile che, adesso come adesso, muova guerra contro Athena o altre divinità. È più probabile siano solo le intenzioni di quell’uomo, anche se non ne capisco la motivazione.”
 
 
Il vento si alzò di nuovo per qualche minuto soffiando polvere e sabbia verso di loro costringendoli a ripararsi il volto con le mani. Poi sparì com’era venuto, lasciando al suo posto il silenzio più assoluto.
 
Un uomo che camminava seguito da una fila di cammelli passò a qualche centinaio di metri di distanza; avanzava lentamente, quasi fondendosi con il paesaggio brullo e deserto. Il sole cominciava ad abbassarsi nel cielo azzurro.
 
 
“Non capisco però la faccenda della giada rossa,” disse Milo grattandosi la testa “si è svegliata all’improvviso sentendo la vicinanza delle altre?”
 
“Sì, io credo di sì,” rispose l’Ariete “quando vi ho trasportati fino al paese non ho avuto nessuna difficoltà, era un oggetto inanimato come gli altri. Adesso era diverso, non si lasciava prendere, era come se riuscisse a respingermi.”
 
“Ammetto di non aver pensato a questa possibilità,” disse Shaka dopo un lungo momento “non avevo immaginato che la giada potesse fare una cosa del genere.”
 
Nessuno di loro lo aveva immaginato.
 
 
 
Qualche ora dopo il fuoristrada con a bordo Erkut e Aleksandra apparve in una nuvola di polvere. Aiolia lanciò una scarica elettrica verso il cielo, formando un lampo luminoso che venne avvistato subito dai loro collaboratori che ripiegarono verso di loro. I due fratelli fermarono la macchina accanto al relitto e scesero per andare loro incontro. Vedendoli scuri in volto preferirono non fare domande sull’accaduto.
 
“State tutti bene?” si limitò a chiedere Aleksandra, ricevendo come risposta solo alcuni cenni di assenso.
 
“Tra qualche ora sarà buio,” disse Erkut “sarebbe meglio trovare un posto per dormire qui nel paese vicino, preferirei non guidare di notte. A meno che non vogliate andare più avanti. Conosco un affittacamere che ha anche il telefono, nel caso abbiate bisogno di  comunicare con i vostri.”
 
I Cavalieri chiesero di proseguire ancora un po’ almeno per allontanarsi dal paese; ora che il nemico aveva portato via la giada non avevano motivo di temere nessun attacco, ma avevano solo bisogno di andarsene da quel luogo, come se in quel modo avessero potuto prendere distanza dal loro errore.
 
“Va bene,” rispose l’uomo. “In caso ho in macchina la radio, se avete comunicazioni da fare ci possono fare da ponte fino in città.”
 
I ragazzi annuirono e salirono sul fuoristrada, in quel momento comunicare con il Santuario in era l’ultimo dei loro pensieri.
Viaggiarono per ancora un paio di ore verso est allontanandosi dal centro abitato fino a raggiungere un’area collinosa. Era quasi buio quando Erkut si fermò presso i resti di un vecchio caravanserraglio dove si sarebbero accampati per la notte. L’edificio era abbandonato da almeno un centinaio di anni, il muro di cinta in parte crollato, ma la parte centrale era ancora utilizzabile e offriva un valido riparo ai viaggiatori di passaggio.
 
I Cavalieri aiutarono Erkut a scaricare i bagagli e preparare la sistemazione per la notte, poi uscirono in quel che restava del cortile guardandosi attorno con aria stanca. Il sole era ormai tramontato all’orizzonte lasciando solo un’ultima luce cremisi nel cielo, il deserto stava sprofondando nel buio e così le colline circonstanti.
 
Aleksandra aveva trovato il modo di accendere un fuoco dentro un vecchio forno e stava preparando la cena riscaldando le provviste che le aveva previdentemente dato la cognata. Un buon profumo di carne e pane si stava diffondendo nell’aria.
 
“Non possiamo stare qui con le mani in mano, dobbiamo fare qualcosa,” disse Aiolia battendo un pugno contro il muro. Non riusciva a darsi pace. Nessuno di loro ci riusciva.
   
Già. Avrebbero dovuto fare qualcosa. Nessuno di loro aveva però la più pallida idea di cosa.







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Vi lascio come sempre le schede dei personaggi apparsi nel capitolo, anche se ormai li conoscete benissimo. ;)
Io vi aspetto a fondo pagina.




Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra India e Cina)
Età: 18 anni
Particolarità: Telecinesi, teletrasporto

(L'immagine a destra è una fan art di Marco Albiero)
Aiolia - Cavaliere del Leone
Paese di Origine: Grecia
Età: 18 anni
Particolarità: Capacità curative.

Shaka - Cavaliere della Vergine
Paese di Origine: India
Età: 18 anni
Particolarità: Reincarnazione di Buddha, raggiunge l’illuminazione all’età di sei anni. È considerato l’uomo più vicino agli dèi.

Milo - Cavaliere dello Scorpione
Paese di Origine: Grecia
Età: 17 anni

Camus - Cavaliere dell’Aquario
Paese di Origine: Francia
Età: 18 anni

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Angolo di quella che scrive:


Dopo un sacco di tempo finalmente riesco ad aggiornare. Questa volta i nostri amici si sono presi un po’ una badilata sui denti, ma un incidente di percorso può capitare, no? ^_-
L’importante è sapervi porre rimedio, vediamo cosa combineranno nei prossimi capitoli!!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate. Ciao e grazie di essere arrivati a leggere fin qui!!





 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


VIII
 
 
 
I Cavalieri si erano radunati all’esterno del caravanserraglio, chi seduto su ciò che restava del vecchio muro di cinta, chi direttamente sul terreno. Avevano cenato controvoglia, quasi solo per riconoscenza verso Aleksandra che si era adoperata a cucinare per loro, e adesso se ne stavano in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, cercando una soluzione per l’accaduto.
Mu guardava le stelle senza davvero vederle, il suo sguardo vagava stancamente tra quei puntini luminosi che illuminavano il cielo. Era inquieto, avvilito, provato e scoraggiato. Ma non rassegnato, quello mai.
 
“Sapete…” la voce di Shaka, dal tono come sempre basso e pacato, sembrò riecheggiare nel silenzio pensate che si era formato “L’aspetto di quell’uomo mi hanno fatto pensa a una cosa.”
 
“Cosa?” chiese Camus.
 
“Quell’uomo aveva capelli biondi e occhi chiari, come uno dei guerrieri che hanno attaccato il Santuario. Non aveva caratteri somatici tipici di questi luoghi, e non mi sembrava neppure russo. Descrivevano così l’antica popolazione degli Ari, ho sentito dire spesso che alcuni dei suoi discendenti vivono ancora in questa parte dell’Asia. Non li ho mai incontrati, ma credo che non siano leggende.”
 
“Vicino al luogo dove abito c’è un monastero induista,” rispose Mu “quando ero bambino, uno dei monaci anziani mi ha parlato più di una volta di questa popolazione. Se esistono ancora dei loro discendenti, sono sicuro che saprà anche dove trovarli.”
 
“Forse è più semplice di quanto pensassimo,” disse Camus “anche se adesso gli Ari non esistono più, non sarebbe così strano che dei loro discendenti fossero devoti a Indra. Se scopriamo dove vive qualche loro comunità, forse potremo capirci qualcosa.”
 
Gli occhi degli altri si illuminarono per un momento. Forse avevano ancora una speranza di recuperare la pietra.
 
 
***
 
 
 
Quando Mu si materializzò davanti all’ingresso del Monastero era ormai sera tardi. Il monaco di guardia al portone lo riconobbe e lo fece entrare. Tutte le luci erano spente, ad eccezione dei bracieri posti sul terreno per illuminare i percorsi esterni, e l’enorme complesso di edifici era completamente avvolto nel silenzio. Una piacevole aria fresca soffiava dalle montagne, in lontananza si sentiva qualche grillo frinire; c’era sempre un’atmosfera tranquilla in quel luogo che sembrava lontanissimo dal resto mondo.
 
Il vecchio Yun, dopo cena, si ritirava sempre a leggere nel suo studio; prima però aveva l’abitudine di fare il giro del monastero per verificare che tutto fosse in ordine. Non fu difficile trovarlo.
Mu lo accompagnò nella sua breve perlustrazione. Dopo aver controllato tutti gli ingressi lungo il muro di cinta, e che ogni cosa o persona fosse al suo posto, risalirono assieme il breve pendio che portava agli alloggi dei monaci. Si trattava di una piccola collina affollata di costruzioni minuscole dal tetto piano, apparentemente tutte uguali, le pareti bianche scrostate e drappi votivi appesi alle finestre.
 
Arrivati a un bivio il vecchio Yun si fermò tendendo l’orecchio, poi scosse la testa sorridendo e gli fece cenno di seguirlo verso un edificio vicino. Mu riconobbe il padiglione dove solitamente dormivano gli ospiti; anche Kiki doveva essere lì. In pochi passi coprirono la distanza che li separava dalla costruzione, camminavano a passo veloce tra le ombre create dal riverbero dei bracieri. Ad un tratto si udirono delle voci provenire dall’interno.   
 
“Come immaginavo...” Sussurrò il monaco con aria divertita mentre si dirigeva verso l’ingresso dell’edificio.
 
Man mano che si avvicinavano le voci divenivano sempre più distinguibili, sembravano bambini intenti in chiacchiere.
 
“Mio nonno mi vuole tanto bene,” stava dicendo una bambina.
 
“Beh, ma anche mio fratello mi vuole un sacco di bene!”
 
Mu trasalì; ma era la voce di Kiki! Ma… fratello!? Gli aveva detto di essere solo al mondo!
 
Istintivamente si fermò, spiazzato, mentre il monaco proseguiva lungo il ballatoio di pietra. Fratello… Perché quel monello gli aveva mentito?
 
“E allora perché ti ha portato qui?” chiese un’altra voce di bambino.
 
“Perché è in viaggio per lavoro. Io me la cavo anche da solo ma lui si preoccupa sempre tanto, allora ogni volta mi porta qui,” rispose Kiki.
 
“E che lavoro fa?”
 
“Ah, ripara armi vecchie, armature, robe così. Deve viaggiare spesso.”
 
Un momento. Aveva capito bene? Mu sentì una stretta al cuore. Il fantomatico fratello di cui il piccolo stava parlando, in realtà era lui.
 
“Ma dai, non si usano più quelle cose...” continuarono i bambini “Non è che ti ha lasciato qui con una scusa e non torna più?” seguirono delle risate.
 
“No!” rispose la voce di Kiki “Torna sempre a prendermi. E ogni volta che torna da un viaggio mi porta dei dolci.”
 
Il vecchio Yun intanto era arrivato vicino alla porta. Si fermò, fece due rumorosi colpi di tosse e batté ripetutamente il bastone sul pavimento.
 
Le voci tacquero all’improvviso. Poco dopo si udì un sussurro. “È il vecchio Yun… era ancora sveglio!”
 
Il monaco, sempre sorridendo, tornò sui suoi passi e fece cenno a Mu di seguirlo nella sua abitazione pochi metri più avanti. 
 
“È sempre così a quest’ora,” spiegò mentre camminavano affiancati “Come si sveglia uno, si svegliano tutti, e se non li rimetto subito a letto stanno alzati a parlare e giocare tutta la notte, come se non lo facessero già tutto il giorno... Ah, beata gioventù!”
 
Era un uomo buono, il vecchio Yun; il passare degli anni lo aveva reso colto e saggio, ma non gli aveva fatto dimenticare di essere stato anche lui un bambino.
 
“Spero che Kiki non vi dia troppo disturbo,” disse Mu.
 
“No, figurati. È decisamente vivace, ma anche molto buono. Qui poi va d’accordo con tutti,” rispose il monaco “anche se credo senta la mancanza del suo… fratello maggiore” aggiunse strizzando un occhio.
 
“Già, ho sentito. Ha raccontato agli altri bambini che sono suo fratello.”
 
“Beh, in un certo senso lo sei. No?”
 
L’Ariete annuì, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse vera quell’affermazione.
 
Lo studio del monaco era esattamente come se lo ricordava, piccolo e con le pareti ricoperte di scaffali zeppi di libri e rotoli antichi. Il vecchio gli fece cenno di sedersi su dei cuscini che circondavano un basso tavolino al centro della stanza, prese da una mensola una teiera e due tazze e si sedette di fonte a lui.
 
“A cosa devo questa visita notturna?” chiese versando della tisana fredda al suo ospite.
 
Il monaco Yun, di origine cinese, viveva in quel monastero da quasi settant’anni; grande studioso e vecchio amico di Shion, era l’unica persona che lui e Dohko, avevano messo al corrente della sua morte. L’Ariete sapeva di poter parlare liberamente con lui di qualsiasi cosa, descrisse quindi l’uomo che avevano incontrato nel pomeriggio spiegando il sospetto collegamento con la stirpe degli Ari, e di aver bisogno di tutte le informazioni possibili.
 
“Ci sono molte leggende attorno alla stirpe degli Ari, che si dice discenda direttamente dagli dèi,” rispose il vecchio “Sull’Altopiano del Pamir ne vivono ancora intere popolazioni, si distinguono molto bene dalle altre locali per i loro caratteri somatici diversi, che sono quelli che avete notato voi.”
 
Fece una pausa e sorrise ancora, vedendo la luce di speranza che si accendeva negli occhi di Mu ad ogni sua parola.
 
“Se mai abbiano avuto una natura divina però, l’hanno persa da un pezzo,” continuò “tuttavia hanno potenzialità assolutamente superiori agli esseri umani.
Da quello che si legge nelle antiche cronache, centinaia di anni fa, tra le caratteristiche della loro stirpe c’erano anche la telecinesi e la capacità di trasportarsi da un luogo all’altro.
 
“Hai detto che quell’uomo usava una sorta di telecinesi e aveva la capacità di aprire varchi dimensionali. Bene, in via teorica, con tantissimi anni di studio e impegno, una persona con piena padronanza del proprio cosmo dovrebbe poter ottenere questi risultati. Prima però dovrebbe lavorare molto anche sulla sua anima, imparare a distaccarsi da gran parte dei sentimenti terreni, insomma non è un obiettivo semplice da raggiungere.
Gli Ari invece, e di conseguenza i loro discendenti, sono di molto avvantaggiati in questo campo. Anche se adesso non nascono più con queste capacità, hanno molta più facilità a conquistarle rispetto agli altri.”
 
“Quell’uomo aveva dentro una quantità di odio spaventosa,” disse l’Ariete “anche il suo cosmo ne sembrava contaminato. Insomma, non dava l’idea di possedere un grande equilibrio interiore. Inoltre sembrava che trasportarsi gli richiedesse un grande sforzo.”
 
“Motivo di più per pensare che sia uno di loro che ha imparato queste cose grazie alla predisposizione e con poco studio. In ogni caso i suoi caratteri somatici sono rarissimi da queste parti, già questo è di per sé significativo.”
 
Il monaco si alzò e, dopo aver rovistato per qualche minuto tra gli scaffali, tornò al tavolo con alcune mappe che srotolò con cura.
 
“Da quello che so io, gran parte di loro vive in quest’area” disse, indicando la parte meridionale dell’Altipiano del Pamir. Studiarono assieme i percorsi più convenienti per raggiungere quei luoghi; si trattava percorrere lunghe strade che risalivano per chilometri lungo i lati delle montagne fino a raggiungere le terre in quota, sembrava possibile avanzare con il fuoristrada fino quasi a destinazione.
 
 
 
Salutato e ringraziato il monaco Yun, Mu si incamminò lungo la strada per raggiungere l’uscita. Giunto davanti all’edificio dove dormivano i bambini si fermò tendendo l’orecchio per sentire se erano ancora svegli. C’era assoluto silenzio, dovevano essersi finalmente addormentati. Fece per allontanarsi ma si fermò per un momento, si guardò attorno per accertarsi che nessuno lo vedesse e si avvicinò alla porta, poi si teletrasportò all’interno.
 
La camera non era completamente buia, il riverbero del fuoco dei bracieri posti all’esterno filtrava attraverso le tende che coprivano le finestre; ci volle sono un momento perché gli occhi si abituassero a quella poca luce, ma individuò subito i giacigli che fungevano da lettini.
Kiki era steso supino, le braccia e le gambe abbandonate come sempre in una strana posizione scomposta, quasi del tutto scoperto. Gli rimboccò con cura il lenzuolo e la coperta di lana grezza sistemandola alla meno peggio. Controllò gli altri bambini, erano tutti ben coperti. Sorrise. Evidentemente erano più tranquilli di lui che riusciva a distinguersi anche dormendo. Tornò a guardare Kiki.
 
Fratello, eh?
 
Non si era mai reso conto di quanto quel bambino sentisse il bisogno di una famiglia, di un semplice legame affettivo. Eppure anche lui era solo al mondo, avrebbe dovuto capirlo subito.
Anche il suo legame con Shion era stato speciale; il Maestro lo aveva trovato nel bosco ancora in fasce e lo aveva cresciuto come un figlio. Già. Shion non gli aveva dato soltanto una casa, ma anche un punto di riferimento, per i pochi anni che gli era stato concesso di restargli accanto.
Non era un uomo molto affettuoso, forse per la veneranda età, forse per il suo ruolo che lo aveva portato a vivere una guerra e ad attenderne un’altra per più di duecento anni. Lo aveva amato come un padre ma con la reverenza e la devozione di un allievo; c’era sempre stata una grande distanza tra loro, in un certo senso. Non ricordava di aver mai ricevuto tante attenzioni o tenerezze, ma sapeva di essere stato amato.
Forse per Kiki era diverso, sentiva il bisogno di qualcosa di più tangibile.
 
E ogni volta che torna da un viaggio mi porta dei dolci…”
 
Con che tono lo stava raccontando agli altri bambini? Sembrava fiero, orgoglioso. Come se quel semplice fatto fosse una risposta sicura a qualcosa.
 
Quando Mu era piccolo, era capitato spesso che Shion rimanesse lontano per lungo tempo. Al suo ritorno gli portava sempre qualcosa, in genere dolci o piccoli regali. Quei doni lo rendevano felice, lo facevano sentire importante perché dimostravano che il Maestro aveva pensato a lui. Senza rendersene conto aveva fatto la stessa cosa con Kiki.
Ora però gli faceva uno strano effetto pensare che qualcuno potesse sentirsi legato a lui, tanto quanto lui stesso lo fosse stato al Maestro.
 
Quando aveva accolto Kiki nella sua casa lo aveva fatto per tenerlo al sicuro, lontano dai pericoli che avrebbe incontrato vivendo per la strada. Credeva di avergli semplicemente dato un rifugio, ma forse aveva fatto davvero qualcosa di più, se quel monello gli si era affezionato tanto.
Soltanto adesso si stava rendendo conto di avere così grande importanza nella vita di quel bimbo, e anche di quanto ormai lui ne avesse nella sua. Non riuscì a trattenersi dall’accarezzargli i capelli, quella nuvola di riccioli rossi sempre arruffati.
 
Tornerò presto a prenderti.
 
Rimase ancora qualche minuto a guardarlo, accucciato vicino al suo giaciglio, abbracciando le ginocchia. Poi si trasportò fuori dal monastero.
 
 
 
Riapparve a qualche centinaio di metri di distanza, nel mezzo di una piccola radura. Non se la sentiva di tornare subito dagli altri, aveva bisogno di restare da solo per riordinare le idee e riprendersi dalla batosta di quel pomeriggio. Sentiva anche la necessità di riposarsi almeno un po’; il fatto che per teletrasportarsi non dovesse bruciare il cosmo, non significava che non gli richiedesse un certo sforzo.
 
Adesso aveva quasi la certezza che quell’uomo fosse discendente del popolo dei Ari, e sapeva dove viveva la maggior parte di loro, ma sarebbe servito davvero a qualcosa? Avevano pochi elementi per trovarlo e inoltre non doveva per forza vivere lì.
 
Cercò di pensare a mente fredda a ciò che era accaduto quel pomeriggio. Tutto sommato, le cose erano andate nell’unico modo in cui potevano andare; la pietra si era ricongiunta alla collana, nessuno di loro era in grado di contrastare la volontà di un oggetto sacro. No, no, questa cosa non poteva essere usata come scusa, anzi, era un’aggravante! Avevano chiesto di portare lontano dal Santuario un oggetto sul quale non avevano il minimo controllo. Avrebbero dovuto tener conto di quella possibilità. Cosa avevano creduto di fare? Sbuffò. Si sentiva così stanco...
 
Aveva bisogno di parlare con il vecchio Dohko; le informazioni fornite dal monaco Yun erano molto utili, ma voleva il consiglio di qualcuno con la sua esperienza, anche se non era troppo felice di raccontargli della loro sconfitta.
 
Bruciando leggermente il cosmo, lo raggiunse attraverso il canale telepatico.
 
Il Vecchio Maestro, pur rimanendo sempre seduto davanti alla cascata, era in grado di percepire tantissime cose dal mondo esterno ed era al corrente di quello che era accaduto, ma volle ascoltare comunque la sua versione dei fatti.
 
“Siete proprio dei giovani ingenui e presuntuosi...” sospirò poi, non appena Mu ebbe finito di spiegargli l’accaduto.
 
“Lo so, avete ragione,” rispose l’Ariete. Quanto gli bruciava ammetterlo.
 
Dohko però non aveva usato un tono di rimprovero, la sua era stata più che altro una constatazione.
 
“Non so davvero consigliarti in questo frangente, ma ricorda che gli oggetti come quello non hanno davvero una vita propria come per esempio hanno le nostre armature. Hanno solo assorbito parte del cosmo che le rende in parte reattive. Possono riconoscersi e richiamarsi tra loro, ma non fare molto altro. Non sarà la semplice presenza della collana a richiamare le armature degli adepti di Indra. Ci sarà bisogno di una grande forza per risvegliare il suo potere.”
 
“Una grande forza?” ripeté Mu.
 
“Sì, anche per entrare veramente in contatto con il dio ne avranno bisogno. Il cosmo contenuto in quelle pietre potrà solo fare loro da tramite. Se sono abbastanza forti gli basterà bruciare il loro cosmo, ma ne dubito, in quel caso comunque ve ne accorgerete.”
 
“Sì, in quel caso sì. Riconoscerei il cosmo di quell’uomo anche se lo sentissi a centinaia di chilometri di distanza, era talmente carico di odio… sembrava avvolto da un’ombra.”
 
Il vecchio attese qualche momento prima di rispondere.
 
“Certe persone lasciano che il male cresca dentro di loro,” disse come stesse parlando tra sé e sé “e si lasciano divorare da esso.”
 
 
 
***
 
 
 
Quando si teletrasportò al Caravanserraglio, Mu trovò i Cavalieri ancora nel giardino. Shaka si era allontanato dagli altri continuando la sua meditazione, Milo e Camus parlavano a voce bassa tra loro seduti sui resti del muro di cinta mentre Aiolia, steso sul terreno a pochi passi la loro, guardava le stelle in silenzio.
 
Un attimo dopo essere arrivato, si accorse che Aleksandra era a un paio di metri da lui, pallida in viso che reggeva un vassoio sul quale erano posate quattro tazze fumanti. Le mani le tremavano così tanto che le tazze tintinnavano leggermente toccandosi tra loro. Doveva essersi spaventata nel vederlo materializzarsi all’improvviso dal nulla.
 
“Vi ho… preparato qualcosa di caldo…” balbettò la ragazza.
 
Mu sorrise e le prese il vassoio dalle mani.
 
“Grazie, lo porto io agli altri” le disse sorridendo.
 
Lei fece un rapido inchino e si avviò con passo veloce, quasi correndo, all’interno dell’edificio.
 
Sì. Si era decisamente spaventata. Si sentì un po’ in colpa, avrebbe dovuto usare più accortezza.
 
Erkut e Aleksandra li stavano ricoprendo di attenzioni; sentì il cuore pieno di riconoscenza verso quei due ragazzi che, senza neppure conoscere i dettagli della loro missione, li assistevano con tanta devozione.
Shion in effetti gli aveva spiegato che, in diverse parti del mondo, c’erano un gran numero di collaboratori del Santuario che da secoli si tramandavano il compito di assistere i  Cavalieri nelle loro missioni. Sembrava incredibile ci fossero tanti seguaci di Athena in luoghi così lontani dalla Grecia.
 
 
 
Raggiunti gli altri Cavalieri raccontò loro le sue scoperte attribuendo tutte le informazioni al monaco Yun; non volendo rivelare di essere in continuo contatto con il vecchio Dohko.
 
“Una grande forza…” mormorò Camus dopo che l’Ariete ebbe finito il suo racconto.
 
“Allora ci sono buone speranze di riuscire a identificare la loro posizione quando lo faranno, sempre che usino il cosmo e non facciano appello a qualche altra forza a noi sconosciuta.”
 
“Sì, così potremmo raggiungerli giusto in tempo per vederli richiamare le Armature o addirittura risvegliare il dio?” esclamò Aiolia, al quale evidentemente bruciava ancora lo smacco subito. “Non possiamo permetterlo! Dobbiamo trovarli prima che lo facciano!”
 
“Sono d’accordo. Dobbiamo stanarli prima!” ribadì Milo.
 
Camus alzò un sopracciglio, quasi sorpreso di vedere i due ragazzi d’accordo in qualcosa.
 
“E cosa vorreste fare?” rispose sospirando.
 
“Raggiungeremo l’Altopiano e setacceremo quella zona finché non lo troveremo. Non potranno nascondersi per sempre!”
 
“Non è così semplice,” rispose l’Aquario “fino ad ora sapevamo che sarebbero stati loro a cercarci, adesso penseranno solo a nascondersi.”
 
“Vero, ma ci sarà qualcuno che avrà sentito parlare di loro? Quel tizio ha parlato dei Cavalieri di Indra, se esiste un ordine del genere qualcuno lo conoscerà,” ribadì Milo.
 
“Non possiamo certo chiedere e tutte le persone che incontriamo. Dobbiamo essere discreti, se fiutano la nostra presenza faranno di tutto per sparire.”
 
Le parole di Camus zittirono immediatamente i due ragazzi che non trovarono niente per ribattere. Aveva ragione, non potevano andare in giro sbandierando ai quattro venti le loro intenzioni.
 
“Temo che l’unica cosa che possiamo fare sia avvicinarci all’Altopiano e sperare di trovare qualche indizio, sempre che ce ne sia qualcuno da trovare, ovviamente,” convenne Mu “sappiamo che quell’uomo appartiene a una popolazione che vive prevalentemente in quell’area, questo non significa che si trovi lì anche lui. Se cercheranno di risvegliare il potere della collana probabilmente lo percepiremo, almeno in quel caso avremo la possibilità di identificarli. Fino a quel momento dovremmo guardarci attorno, ma se non vogliamo farli scappare dobbiamo fare attenzione.”
 
“Vuoi arrenderti così?” disse Aiolia, che non accennava a calmarsi.
 
“Non mi sto arrendendo, cerco solo di essere razionale,” rispose l’Ariete “dobbiamo prendiamo in considerazione il fatto che per un po’ non potremo fare altro che ad attendere.”
 
Il Leone tacque e tornò a sedersi sul muretto, i pugni stretti, lo sguardo in fiamme.
 
Mu sorrise tra sé. Non c’era niente da fare con il carattere impulsivo di Aiolia. Tutto sommato poteva capirlo, l’idea di rimanere ancora in attesa avrebbe snervato chiunque.
 
Per quanto, esternamente, non lo dessero a vedere tutti allo stesso modo, i cinque ragazzi erano ugualmente preoccupati. Quella che nel pomeriggio era sembrata una sconfitta su tutta la linea, ora si era trasformata in una situazione che aveva perlomeno un barlume di speranza. Forse. In realtà ciò che avevano in mano era un pugno di informazioni riguardanti la popolazione a cui quell’uomo probabilmente apparteneva, ma non avevano certezza che potessero davvero portarli a lui.
 
Aspettare era, di nuovo, l’unica cosa che potevano fare.
 
 
“Dite che dovremmo avvisare al Santuario di quello che è successo?” chiese Camus dopo qualche minuto di silenzio.
 
“No,” rispose Shaka, dopo aver lasciato trascorrere qualche secondo “il Sommo non mi ha chiesto di fargli pervenire aggiornamenti durante la missione. Gli racconteremo tutto al nostro ritorno.”
 
Gli altri parvero sollevati. Mu rifletté stancamente su quella situazione. Il Sacerdote era una figura da temere, più che una a cui chiedere consiglio. I Cavalieri erano davvero lasciati a loro stessi senza una vera guida? Il vecchio Dohko, che li seguiva nell’ombra, sembrava essere l’unico a preoccuparsi di loro.
 
Alzò lo sguardo verso il cielo; era pieno di stelle e limpido come quando lo guardava dalle sue montagne. Cercò la costellazione dell’Ariete, la sola vista di quei puntini luminosi riuscì a rasserenarlo un poco.
 
Le stelle vegliavano ancora sui Cavalieri, almeno loro, non li avrebbero mai abbandonati.

 
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Angolo di quella che scrive:

Finalmente riesco ad aggiornare questa storia, ho avuto un periodo di blocco che non potete immaginare. Anche un capitolo come questo, semplice e descrittivo, ha richiesto una fatica assurda. Il peggio sembra passato, quindi sono fiduciosa nel futuro. Devo ancora finire di revisionarlo quindi se trovate qualche errore di ortografia portate pazienza, tra qualche giorno sistemo tutto.

Veniamo ai nostri Cavalieri, sono stanchi e avviliti ma in qualche modo sono riusciti a raccogliere alcune informazioni che forse saranno utili per rintracciare il misterioso uomo e soprattutto la collana, speriamo sia davvero un passo avanti! Sennò chi lo sente il Sommo Sacerdote? ^_-

Grazie a chi continua a leggere questa storia, mi fa davvero felice vedere la vostra presenza e i vostri feedback. Ciaoo!!




 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


IX





Il fuoristrada correva sulla sabbia bianca del deserto alzando continue nuvole di polvere e sobbalzando malamente ogni volta che incontrava una pietra. Il vento aveva cominciato a soffiare forte fin dalla mattina, anche se non abbastanza da formare una tempesta, portando la sabbia con sé. Tutto attorno pareva avvolto da una nebbia grigia, il profilo delle montagne a pochi km da loro sembrava emergere da essa.

La strada era costeggiata da piccole colline irregolari dove spuntavano di tanto in tanto radi cespugli rinsecchiti, la polvere e la sabbia riducevano terribilmente la visibilità. In lontananza vecchie costruzioni e antiche rovine emergevano di tanto in tanto dalla sabbia, resti di abitazioni, templi e piccoli edifici non riconoscibili.

Dopo qualche ora finalmente il paesaggio cambiò cogliendo di sorpresa i viaggiatori. Il terreno tornò a essere solido e brullo, ma qua e là spuntavano cespugli e piccoli arbusti, in lontananza una pianura ricca di alberi risaliva lentamente le montagne rivelando qualche piccolo corso d’acqua. Sullo sfondo sorgevano altissime cime innevate; l’Altipiano del Pamir si apriva davanti a loro.

Poco dopo mezzogiorno si fermarono per pranzare. Seduti su una vecchia coperta posata sul terreno consumarono un piccolo pasto. Erkut improvvisò una piccola tenda per ripararli dal sole che, impietoso, batteva su tutti loro.

“Nostra cugina abita in un villaggio poco distante,” disse poi il ragazzo “possiamo chiederle di ospitarci, dovremmo arrivare tra qualche ora.”

Controllarono la posizione del villaggio sulla mappa e, visto che non si allontanava di molto dal loro percorso, i Cavalieri acconsentirono, sollevati all’idea di non dover passare un’altra notte accampati nel deserto.

Dopo mangiato Aleksandra preparò del tè su un fornellino a spirito e lo offrì ai ragazzi.

“Quando volete ripartiamo, intanto riposatevi,” disse, salì in macchina e iniziò a leggere un libricino che aveva in borsa. Erkut stava già schiacciando un pisolino disteso sul bordo della coperta.



Mu bevve l’ultimo sorso di tè e appoggiò la tazza davanti a sé, lo stress della situazione cominciava pesargli, ma con qualcosa nello stomaco si sentiva già molto meglio. Guardò gli altri, anche loro sembravano più rilassati. Shaka rimaneva in silenzio, gli occhi sempre chiusi come d’abitudine, la tazza vuota ancora stretta tra le mani; dal suo volto non traspariva nessuna emozione. Milo e Aiolia stavano commentando la bontà di quel piccolo pasto. L’Ariete sorrise, sembrava che piano piano cominciassero ad andare d’accordo. Camus sorseggiava in silenzio il suo tè, assorto nei pensieri.

Accadde all’improvviso. I Cavalieri percepirono un’enorme forza, come se diverse persone si stessero sforzando di bruciare il proprio cosmo al massimo possibile. Sì guardarono tra loro. Finalmente il nemico si era fatto vivo!
Mu richiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Sì, era il cosmo di diverse persone; quante erano? Quattro? Forse cinque? Certamente uno di loro era l’uomo che avevano incontrato, aveva riconosciuto immediatamente il suo cosmo.

“Staranno cercando di risvegliare la collana?” chiese Aiolia dando voce ai pensieri di tutti.

Gli altri annuirono. Doveva essere così per forza.

Si udì in lontananza il rombo di un tuono seguito immediatamente da uno scoppio simile alla caduta di un fulmine. Erkut si svegliò di soprassalto, Aleksandra sussultò e interruppe la sua lettura.

I Cavalieri cercarono di identificare la posizione del nemico. A giudicare dall’intensità della forza che percepivano non doveva essere troppo lontano… Trovato! Era a qualche decina di km a est, dove la pianura iniziava a risalire verso le montagne.

Si alzarono in piedi e si caricarono in spalle le gerle contenenti le Armature e corsero in quella direzione, bruciando il cosmo raggiunsero la velocità della luce e un attimo dopo apparvero al centro della pianura.

Erkut e Aleksandra li videro sparire all’improvviso in una nuvola di polvere.



I Cavalieri si guardarono attorno; la pianura era molto più vasta di quanto non sembrasse da lontano, a qualche centinaio di metri davanti a loro una serie di colline movimentavano il terreno brullo. Qua e là spuntavano timidi fili d’erba, piccole piante e cespugli bassi e radi. A solo un paio di km di distanza si vedevano decine di tende a base circolare. Un uomo pascolava alcune pecore a poca distanza da loro.

Dov’era il nemico? Che fosse fuggito sentendoli arrivare? Trascorsero parecchi minuti in silenzio, aspettando qualche segnale.

Il vento si alzò improvvisamente formando un turbinio di sassi e foglie secche, non ci volle molto per capire ci fosse qualcosa di anomalo in quel moto prolungato. Qualcuno stava cercando di alzare più sabbia possibile per nascondersi.
Finalmente quella piccola tempesta terminò. Non appena la polvere iniziò a diradarsi, quattro figure apparvero a poche decine di metri dai Cavalieri. Erano piuttosto alte di statura e dall’aspetto imponente, i corpi nascosti da armature di ferro e cotta di maglia identiche a quelle dei guerrieri che avevano attaccato il Santuario giorni prima.

Passarono alcuni minuti, i ragazzi rimanevano in silenzio ad osservare il nemico.

“Arrendetevi e non vi attaccheremo!” gridò improvvisamente uno dei guerrieri. La voce aveva uno strano suono, come fosse portata da lontano.

Milo sorrise sornione. “Abbiamo sconfitto facilmente i vostri compagni,” gridò di rimando “perché dovremmo aver paura di combattere con voi?”

“Noi siamo più forti di loro!” rispose poco dopo la stessa voce.

Fu solo l’abitudine a non abbassare mai la guardia che permise ai Cavalieri di non scoppiare a ridere.

“Davvero? Avete mandato avanti i più deboli ad attaccare il Santuario mentre voi più forti ve ne stavate qui?” rispose lo Scorpione con il suo abituale tono canzonatorio.

I Cavalieri rimasero spiazzati davanti alla candida ingenuità dei guerrieri che avevano davanti. Possibile fosse davvero quello, il loro nemico?

“Sentiamo una voce ma nessuno di loro sta muovendo la bocca,” fece notare Camus, “saranno illusioni anche queste?”

“E neanche questa volta hanno un’ombra...” Aggiunse Aiolia osservando il terreno.

“Evidentemente non è così facile creare illusioni perfette nei minimi dettagli,” rispose Shaka con malcelato orgoglio.

I nemici non persero altro tempo e attaccarono tutti assieme lanciando l’ormai nota e prevedibile pioggia di schegge e luce accompagnata, questa volta, dai lampi di scariche elettriche.

Mu materializzò il suo Crystal Wall che, pur inarcandosi leggermente, resse senza problemi all’impatto e respinse il colpo. L’immagine dei quattro guerrieri venne attraversata dall’attacco respinto, ma questo non stupiva più i Cavalieri che iniziarono a guardarsi attorno per identificare il nascondiglio dei loro avversari.

Data la conformità del terreno, c’era un solo posto in cui potevano essere nascosti per riuscire a lanciare quell’attacco frontale, ovvero dietro a una bassa collina coperta di arbusti rinsecchiti a qualche centinaio di metri da loro.

“Ci penso, io” disse Camus. Alzò le braccia tese sopra la testa e unì le mani intrecciando le dita tra loro, rimase un secondo immobile, come per raccogliere le forze e poi protese in avanti le mani unite come stesse sparando con una pistola. La temperatura attorno si abbassò di qualche grado, un turbine di luce azzurra e schegge di ghiaccio uscì dal suo corpo scagliandosi oltre la collina.

Le illusioni scomparvero all’improvviso. I Cavalieri corsero verso la collina, adesso quasi ricoperta di ghiaccio, e la oltrepassarono con un balzo. I quattro guerrieri giacevano sul terreno, i corpi ricoperti da un sottile strato di brina. L’impatto aveva fatto volare via i loro rudimentali elmi e rovinato parte delle armature. Erano tre ragazzi poco più giovani di loro e una ragazzina che aveva l’aria di avere qualche anni in meno degli altri.

I giovani guerrieri riuscirono a scuotersi quasi subito dal torpore e si rialzarono faticosamente. Rimasero in silenzio a guardarli. Non sembravano spaventati anzi, i loro sguardi carichi di odio erano tutt’altro che rassegnati.

“Chi di voi ha ucciso mio fratello?” ringhiò la ragazzina.

Mu ricordò le salme che aveva visto al Santuario, uno dei guerrieri aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, come la ragazzina che gli stava davanti. Come l’uomo che avevano incontrato nel deserto. Come i discendenti degli Ari.

“Siete solo degli assassini!” gridò ancora.

“Ehi, guarda che sono stati loro ad attaccare il Santuario,” rispose Milo.

“Volevano solo indietro la pietra che ci è stata rubata!”

“Non è stata rubata, e in ogni caso non sarebbe stato meglio chiederla in altro modo? Li abbiamo invitati a parlare ma non hanno voluto farlo, hanno preferito combattere.”

“Sarebbe stato inutile parlare con voi!”

“Chi li ha trasportati fino a lì?” si intromise Mu “È stato l’uomo che adesso ha la collana, vero?”

La ragazzina rimase in silenzio.

“Sì. È il nostro maestro.” rispose uno dei ragazzini, muovendo qualche passo fino a fermarsi di fianco a lei.

“Possiamo avere l’onore di incontrarlo di nuovo o vi ha abbandonati qui a combattere da soli come ha fatto con i guerrieri mandati al Santuario?”

“Ma cosa stai dicendo?!” gridò la ragazzina.

Il suo sguardo era carico di odio, ma c’era qualcosa di limpido in lei, come se la sua anima non ne fosse ancora stata intaccata. L’uomo che chiamavano maestro non li aveva ancora influenzati del tutto.

“Lui non è come voi, non lo farebbe mai!” gridò ancora.


Accompagnato da un lieve bagliore l’uomo apparve accanto ai ragazzini.

“Eccoli, i Cavalieri di Athena,” disse guardandoli con aria beffarda “mi avete seguito fin qui?”

“Chi sei?” chiese Shaka.

“Il mio nome è Jaman, il vostro Sacerdote mi conosce bene.”

“Cosa significa?”

“Tanti tempo fa, ho avuto il… piacere di trascorrere diversi anni al Santuario,” continuò l’uomo “da bambino sono stato irretito e strappato dalla mia terra per essere soggiogato dalla crudeltà e dall’ipocrisia di quell’ambiente governato dall’odio.”

Quanta rabbia in quelle parole.

“Credevo sarei diventato un Cavaliere, che avrei conosciuto persone virtuose e vissuto in un luogo sacro, ma non è stato così. Sono rimasto profondamente deluso dal Santuario. Athena non merita i miei servigi.”

Fece un passo avanti, aiutandosi con il bastone.

“Indra saprà apprezzare la mia devozione. Sarò cavaliere al suo servizio.”

“È per questo che vuoi impossessarti della sua armatura?” chiese Shaka.

“Non me ne voglio impossessare, la custodirò fino al suo risveglio. Fonderò il suo nuovo ordine, in attesa del suo ritorno.”

“Chi ti dice che Indra ti vorrà tra i suoi cavalieri?” continuò la Vergine “Anzi, perché dovrebbe aver bisogno di cavalieri, visto che dorme pacifico da almeno un migliaio di anni? Sei davvero sicuro di voler disturbare il suo sonno?”

Quell’uomo stava letteralmente vaneggiando, ma sembrava convinto delle proprie parole. I quattro ragazzini stavano in silenzio in piedi accanto a lui, pronti a supportarlo.

“Nessuno lo vuole disturbare!” gridò la ragazzina “Si sveglierà da solo e aiuterà la nostra gente. Queste terre torneranno ricche e fertili come un tempo!”

L’uomo le fece cenno di tacere.

“Perché mai dovrebbe farlo?” chiese Shaka.

“Adesso basta!” gridò l’uomo. Alzò un braccio sopra la testa e sopra di lui si formò un enorme vortice di aria che raccolse sabbia e decine di sassi dal terreno.

“Andatevene o non avrò pietà di voi!” gridò ancora, mentre il vortice continuava a ruotare e a crescere a pochi metri dal suo braccio.

“Ridacci la collana e ce ne andremo.”

“Lo avete voluto voi!”

Protese il braccio e il vortice di sassi e sabbia si trasformò in una piccola tempesta che scatenò addosso ai Cavalieri.

Mu alzò il Crystal Wall che rifletté prontamente l’attacco contro l’uomo, questi si teletrasportò a qualche metro di distanza per evitarlo, i ragazzini alzarono tutti assieme un muro di vento per stemperare la forza che li avrebbe colpiti.

“Ma che bravo! Ti sei preoccupato di scappare ma hai lasciato i tuoi allievi in balìa del riflesso del tuo attacco,” lo punzecchiò l’Ariete.

“Non hanno bisogno di me per ripararsi!”

“O forse tu non sei capace di trasportare anche loro?” continuò Mu “Per te è molto faticoso muoverti in questo modo, vero? È per quello che hai lasciato morire i tre ragazzi che avevi mandato al Santuario? Li hai portati fin lì sapendo di non avere la capacità di riportarli indietro.”

“Non è vero! Siete voi che lo avete impedito!” si intromise la ragazzina.

“Nessuno di noi ha fatto niente di simile,” rispose Mu guardandola negli occhi.

L’uomo digrignò i denti, il suo cosmo ormai cominciava bruciare e attaccò ancora, questa volta con più forza, subito seguito dai ragazzini. I Cavalieri si trovarono loro malgrado a respingere quei colpi che pur non avendo una forza eccessiva cominciavano a diventare pericolosi.

Milo alzò la mano destra, l’unghia dell’indice si deformò fino a diventare un artiglio scarlatto, con un grido protese la mano in avanti. Un fascio di luce rossastra carica di veleno uscì e colpì l’uomo forandogli il braccio. Questi gridò indietreggiando di un passo e puntando il bastone sul terreno per non perdere l’equilibrio. Camus alzò una mano davanti a sé. Uno schiaffo di polvere di ghiaccio investì i ragazzini facendoli cadere di nuovo a terra.

L’uomo arrivò a bruciare il cosmo con tutta la forza che aveva, scagliando un colpo dopo l’altro verso i Cavalieri, questa volta i ragazzini unirono le loro forze per aiutarlo. Mu alzò di nuovo il Crystal Wall, gli attacchi vi rimbalzarono sopra e vennero rispediti al mittente e, scontrandosi con quelli appena lanciati, crearono una strana reazione di luce e una forte energia. Il combattimento continuò in maniera confusa, tutti combattevano contro tutti.

Improvvisamente un grande bagliore si sprigionò da sotto le vesti di Jaman, i Cavalieri lo riconobbero subito: era la luce della collana di Indra. L’uomo la portava ancora al collo.
Il bagliore divenne una luce accecante che costrinse tutti a ripararsi gli occhi con le mani.

“Cosa sta succedendo?!” gridò Aiolia. Anche se, come gli altri, lo aveva già intuito.

Il cosmo bruciato durante in combattimento, la somma di quello di tutti, aveva sprigionato una forza sufficiente per risvegliare la collana. Come avevano fatto a non pensarci?

La luce si fece via via meno violenta e cambiò colore, prendendo dei toni dorati. Quando i Cavalieri riaprirono gli occhi videro l’uomo stringere la collana con una mano, guardandola con aria incredula.

Un vento freddo si levò all’improvviso sollevando polvere e foglie secche, si udì il boato di un tuono. Poi tutto divenne calmo e cinque armature apparvero nel cielo sopra di loro. Avevano un colore a mezza via tra l’oro e il rame e, lucidissime, brillavano sotto la luce del sole.
Una di esse spiccava per la sua particolarità; elmo e pettorale erano decorati con incisioni e pietre preziose, ma soprattutto aveva una forma tale da poter essere usata da un uomo con quattro braccia. Come il dio Indra.

“Ce l’abbiamo fatta!” gridò Jaman “Avete visto? Avevamo bisogno della forza di un combattimento tra diverse persone!”

Mu strinse i denti, quello che avevano sentito poco prima nel deserto era il tentativo di Jaman e i suoi guerrieri di svegliare la collana, una volta capito di non avere forza sufficiente avevano pensato di provare usando anche la loro. Sapevano che i Cavalieri avrebbero percepito il loro cosmo e li avevano aspettati al varco per ingaggiare quella battaglia. In quella situazione non avevano avuto altra scelta che difendersi, così avevano finito per fare il loro gioco.

Le armature scesero lentamente fino a posarsi sul terreno vicino a Jaman e i suoi giovani guerrieri. L’uomo posò una mano su quella che aveva intuito essere di Indra e chiuse per un breve momento gli occhi mormorando alcune parole. L’armatura si illuminò leggermente e si sistemò sul suo corpo adattandosi alla sua forma, due dei quattro bracciali si dissolsero trasformandosi in una decorazione del pettorale.
Le altre quattro armature si posizionarono sui corpi dei ragazzini; erano di fattura più semplice ma ugualmente eleganti, anche se prive di pietre preziose erano ricoperte di incisioni che rappresentavano motivi floreali e iscrizioni in qualche lingua antica.

“Aspetta!” disse Shaka “Pensi di avere davvero il diritto di indossare l’armatura di un dio?” parlava con tono pacato, dal quale però traspariva una certa preoccupazione.

“È stata lei a venire da me, quindi ho permesso del suo possessore,” rispose l’uomo. Gettò il bastone a terra e mosse con cautela alcuni passi in avanti, sembrava che la sua gamba si muovesse perfettamente, come se l’armatura l’avesse guarita.

“Adesso anch’io sono un Cavaliere!” gridò “Sono un Cavaliere del grande Indra!”

“Tu sei pazzo...” mormorò Milo “Stai sfidando un dio…”

“Bene, Cavalieri di Athena. Chi è il più forte tra noi, adesso?”

Fece ancora alcuni passi in avanti, poi si fermò e scoppiò in una forte risata.

“Adesso ve la farò vedere!” gridò “Non siete niente in confronto a me! Sono io a indossare l’armatura di un dio!”

Mu osservò i ragazzini; guardavano in silenzio il loro maestro, sembravano perplessi, la boria di prima era scomparsa. Negli occhi di uno di loro, quello che sembrava un po’ più grande degli altri, vide per un momento uno sguardo carico di rabbia.

“Bene Cavalieri!” gridò ancora Jaman “Questa sarà la vostra fine.” Alzò entrambe le braccia e di nuovo un vortice di vento si formò qualche metro sopra di lui. Questa volta sembrava essere più potente, impiegò qualche secondo a caricarsi, sollevando un’enorme quantità di sabbia e gradi massi dal terreno; l’armatura lo aveva reso più forte.

All’improvviso l’uomo gridò, portandosi una mano sugli occhi, il vortice continuava a girare sopra di lui. “Che succede?”

“Ti ho privato della vista,” rispose Shaka, la voce tranquilla, le mani giunte all’altezza del petto, “vuoi scegliere tu quale sarà il prossimo senso che perderai?”

“Credi di potermi fermare così facilmente?!” gridò l’uomo scagliando il vortice di aria e fulmini verso i Cavalieri “Non ho bisogno di vedervi per percepire la vostra presenza.”

In una frazione di secondo le gerle che i ragazzi portavano sulle spalle si aprirono mostrando il loro contenuto; avvolte in una luce dorata, le Sacre Armature d’Oro uscirono dai rispettivi scrigni e si sistemarono sui corpi dei Cavalieri per proteggerli.

Mu alzò nuovamente il Crystall Wall che anche questa volta respinse il colpo. I quattro ragazzini attaccarono tutti assieme, ma i Cavalieri furono più veloci, Mu scaricò loro addosso il suo Stardust Revolution seguito da Camus che li ricoprì di ghiaccio. I ragazzi riuscirono a liberarsi frantumando il ghiaccio ma vennero investiti da un’onda di energia lanciata da Shaka che li fece volare tutti per qualche metro.

Le Sacre Armature di Indra avevano reso i nemici decisamente più forti ma i Cavalieri, pur con una certa fatica, riuscirono comunque ad avere la meglio. Le punture velenose di Milo e un’ultima scarica elettrica lanciata da Aiolia misero finalmente gli avversari in ginocchio.


Passarono diversi minuti prima che Jaman e i ragazzini si rialzassero.

“Queste armature hanno amplificato i vostri poteri, ma vi abbiamo battuti comunque. Non è l’armatura a fare un cavaliere.” La voce di Shaka ora suonava severa.

“Non accetto prediche da adepti del Santuario di Athena,” disse l’uomo mentre si rialzava con fatica.

“Perché ce l’hai tanto con il Santuario?” chiese Mu.

“Perché è governato da dei bastardi idioti.”

“Non osare parlare del Santuario in questo modo!” sbottò Milo.

“Volete sapere perché disprezzo quel luogo? Vi accontento. Sono stato portato lì da bambino, prelevato con l’inganno dal mio Paese di origine. Sono stato costretto ad affrontare un allenamento durissimo, ho visto morire diversi coetanei e più di una volta ho rischiato anch’io la morte.
Dopo pochi anni ero già un guerriero devoto e promettente, ma mi sono rovinato una gamba in un incidente subito durante l’allenamento. Per questo motivo sono stato cacciato. Non ero più… perfetto. Con addosso un’armatura avrei potuto compensare la mia menomazione, ma non mi è stato concesso di continuare l’addestramento. Ho chiesto di poter svolgere altre mansioni presso il Santuario per continuare a servire Athena, ma non ho potuto fare nemmeno questo. Sono stato cacciato e basta. Nessuno ha avuto pietà di me, né per nessun altro… se penso a quei poveri ragazzi morti inutilmente…”

Fece una pausa, guardando il terreno di fronte a sé, il volto contratto in una smorfia di disgusto.

“Ho deciso allora che avrei dedicato ad altri i miei servigi,” continuò “sono vissuto anni in povertà poi Indra mi ha indicato la via da seguire e ha apprezzato la mia devozione. Ho deciso che avrei fondato il suo ordine e ne sarei stato a capo. Sono dovuti passare ben quindici anni, ma adesso sono anch’io un cavaliere. E avrò la mia rivincita.”

Quindici anni? Mu non poteva credere a quelle parole. Questo fatto risaliva a quindici anni prima. Il Maestro Shion era ancora vivo, a quel tempo. Era stato lui a cacciarlo? Le regole del Santuario erano dure, ma non al punto di mandare via un uomo che, pur non essendo in grado di concorrere per un’armatura, si era proposto per altre mansioni. Quel discorso non lo convinceva molto.

“Era questo il tuo piano, vero?” gridò ad un tratto il ragazzino più grande, “Volevi risvegliare Indra per la tua vendetta personale! Non ti è mai importato niente di noi!”


Jaman non fece in tempo a rispondere che il cielo si fece improvvisamente scuro. Tutti alzarono gli occhi chiedendosi cosa stesse succedendo. Banchi di nuvole scurissime si stavano addensando sopra di loro estendendosi lentamente fino alle montagne. In pochi attimi la metà del cielo venne coperta e un rombo assordante, come di decine di tuoni, riecheggiò per tutta la pianura.

I Cavalieri rimasero immobili osservando quel cupo spettacolo, i ragazzini si strinsero tra loro.

Si alzò un vento freddo e violento, caddero diversi fulmini a poche centinaia di metri di distanza. Poi tutto si calmò e le nuvole rimasero a volteggiare nel cielo nel più assoluto silenzio.

Dopo qualche minuto si udì un rumore simile a tuono, un brontolio che piano piano divenne sempre più forte fino a trasformarsi in una voce profonda che sembrava uscire dalle nuvole stesse.

“Chi ha osato disturbare il mio sonno?!”


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Angolo di quella che scrive:

Ben ritrovati amici e grazie per aver letto anche questo capitolo che, tanto per cambiare, esce con un po’ di ritardo sulle previsioni. 9_9 Bene, i Cavalieri hanno finalmente trovato il loro nemico e scoperto qualcosa in più su di lui. Jaman è riuscito a recuperare l’armatura di Indra, ma siamo sicuri che il dio in questione sarà d’accordo?

Grazie a tutti quelli che continuano a seguire questa storia, sono felice di vedere che siete ancora in tanti.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, vi prego di perdonare sviste ed errori perché è stato pubblicato un po' di fretta, prometto che al più presto sistemerò ogni cosa.
Un saluto a tutti e a presto!!! ^_^




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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


X

 
 
 
 
“Chi ha osato disturbare il mio sonno?!”
 
Le nuvole si muovevano prendendo varie forme, sembravano quasi ribollire mentre si espandevano sempre di più nella superficie del cielo.
 
Mu alzò prudentemente lo sguardo verso l’alto cercando di muovere il meno possibile la testa. Gli sembrò quasi di intravedere un volto prendere forma nel gioco di chiaroscuri violacei. No, forse era solo autosuggestione.
 
“Chi mi ha svegliato?”
 
“Io… io, mio Signore,” disse Jaman inginocchiandosi, subito imitato dai ragazzini.
 
I Cavalieri rimasero immobili tenendo il capo chino. Cosa dovevano fare?
 
“Perché hai disturbato il mio sonno?”
 
“Ho trovato la Vostra collana e Vi ho risvegliato. I tempi sono maturi per il Vostro ritorno, renderò di nuovo grande il Vostro nome.”
 
“Chi sei tu, per rendere grande il nome di un dio?” tuonò in risposta la voce.
 
Jaman aprì la bocca ed esitò a rispondere
 
“E come osi indossare la mia armatura?” incalzò la voce, impedendogli di parlare.
 
“Signore… l’ho presa in custodia fino al vostro ritorno.”
 
“Toglila immediatamente!”
 
Jaman si portò una mano al petto, stringendo le dita. Gli occhi sbarrati.
 
“Aspettate mio Signore, posso continuare a custodirla per Voi…”
 
“TOGLILA!”
 
L’uomo strinse le braccia attorno a sé, come volesse trattenere l’armatura. Iniziò a tremare.
 
“No, a… aspettate! Io…”
 
Mu lo guardò contrariato. Ma cosa stava facendo? Perché non obbediva? Non si rendeva conto del pericolo che stava correndo? Restituisci quella maledetta armatura!
 
“Io… sono… il suo custode. La… custodirò io fino a che non Vi rincarnerete di nuovo, la userò per combattere i Vostri nemici.”
 
“L’armatura di un dio non ha bisogno di un custode!”.
 
La voce si trasformò nel rombo di un tuono assordante che sembrò rimbalzare sulle montagne. Si formò un rimbombo spaventoso, la voce divenne un insieme di infinite voci assordanti.
 
Un fulmine cadde sull’uomo carbonizzandolo all’istante.
 
 
I ragazzini gridarono dal terrore, i Cavalieri rimasero immobili cercando di valutare il da farsi. Il fulmine era stato così veloce che nemmeno loro, in grado di distinguere movimenti alla velocità della luce, avrebbero potuto schivarlo. Ancora storditi da quella voce cercavano di vincere la paura che si stava impadronendo di loro. Sì, paura. Per quanto si fingessero impassibili, erano terrorizzati da quell’essere superiore che in un attimo aveva cancellato la vita di una persona. Fino a quel momento erano stati abituati a combattere contro nemici alla loro portata, ma adesso davanti a loro c’era qualcosa che non erano nemmeno in grado di comprendere fino in fondo.
 
I banchi di nubi gorgogliarono sopra le loro teste per dei lunghissimi minuti, prima di ritirarsi lentamente verso le cime delle montagne. La tensione si allentò pian piano, l’ira di Indra sembrava stesse scemando. La nubi erano ormai piuttosto lontane.
 
La ragazzina fu la prima a muoversi, si avvicinò lentamente a ciò che restava del cadavere di Jaman, un mucchio di cenere scura le cui polveri si stavano lentamente disfando al soffio del vento. Cadde in ginocchio accanto a lui e iniziò a singhiozzare. Strinse con forza i pugni, deglutendo rumorosamente, poi li riaprì e avvicinò le mani al corpo dell’uomo. Lo sfiorò appena e la cenere si sbriciolò sotto le sue dita. Si guardò le mani sporche di quella polvere nera, poi fu distratta da un luccichio improvviso; qualcosa brillava in mezzo alla cenere.
 
La collana! Il dio non si era curato di riprenderla.
 
La ragazzina mosse una mano per toccarla ma Shaka fu più veloce di lei, la afferrò e la sollevò con la dovuta cautela. Sembrava aver perso ogni potere, nelle pietre non c’era più alcuna traccia di cosmo.
 
“La collana ha ormai svolto il suo compito. Indra non verrà certo a reclamarla,” mormorò mentre la osservava.
 
“Bene,” disse poi riponendola con cura nella piccola borsa che portava attaccata alla cintura “la nostra missione può ritenersi conclusa.”
 
“Non sono sicuro che l’ira del dio Indra si sia placata così in fretta,” rispose Mu guardando preoccupato verso le nubi violacee che, pur essendosi allontanate, non accennavano a dissolversi.
 
“È stato disturbato durante il suo sonno e ha visto un uomo indossare la sua armatura” disse la Vergine “possiamo sperare si ritenga soddisfatto dopo averlo eliminato.”
 
L’Ariete non ripose, e continuò a osservare le nuvole. Era davvero così semplice?
 
 
Gli altri ragazzini rimanevano in silenzio con occhi vuoti. Sembravano ancora molto scossi. Era bastato un gesto di quella creatura per annientare il loro maestro. Era apparsa all’improvviso e ora se ne stava nascosta tra le nuvole, senza nemmeno mostrare il suo reale aspetto.
 
La ragazzina guardò Shaka mettere via la collana, poi abbassò di nuovo lo sguardo. “Maestro...” Sussurrò con voce strozzata dal pianto.
 
“Non devi piangere per lui, Malika” disse il ragazzino che sembrava più grande degli altri. “ci ha imbrogliati. Ve lo avevo detto!”
 
“Smettila!” gridò lei.
 
“E invece è vero, ha sempre pensato solo a se stesso.”
 
“Adesso basta Dimitri!” intervenne un altro ragazzino avvicinandosi, sembrò voler dire qualcosa, poi tacque.
 
Rimasero qualche altro minuto in silenzio.
 
 
“Adesso cosa avete intenzione di farci?” chiese Dimitri rivolto ai Cavalieri.
 
“Cosa mai vi dovremmo fare?” ripose Mu “Siamo venuti a riprendere la collana, questa era la nostra missione. Niente altro.”
 
“In ogni caso… vi basta la collana? Noi… ci lascerete andare?”
 
I cavalieri annuirono, colpiti da quella domanda. Quei ragazzi li vedevano ancora come dei nemici pericolosi.
 
“Non dovete fidarvi di loro!” gridò Malika “Hanno ucciso i nostri compagni! Hanno ucciso mio fratello!”
 
Dimitri si voltò verso di lei. “Il maestro ci ha mentito,” disse “vuoi fidarti ancora di lui?”.
 
“Vi prego…” uno degli altri ragazzini si avvicinò. “Calmatevi” disse piano, appoggiando una mano sul braccio di Dimitri, “vi prego…” ripeté guardando verso le nuvole.
 
Il pericolo non era ancora passato; non era certo il momento di litigare.
 
Malika si alzò in piedi e si asciugò gli occhi con il dorso della mano. Rimase in silenzio guardando per terra.
 
“Cosa succederà?” chiese Dimitri rivolto ancora ai Cavalieri.
 
“Ormai sembra essersi abbastanza calmato,” rispose Milo “probabilmente voleva solo riavere la sua armatura.”
 
I ragazzini si guardarono tra loro incerti sul da farsi.
 
“Davvero ci lascerete andare?”
 
“Non abbiamo motivo di trattenervi” rispose Mu “Io però vorrei sapere qualcosa in più su di voi e il vostro maestro, e su come siete arrivati a trovare la collana.”
 
I ragazzini si guardarono ancora tra loro, come per consultarsi.
 
“Io mi chiamo Dimitri, lei è Malika e loro sono Rahmon e Abaj,” disse indicando i compagni.
 
Dimitri raccontò brevemente come avevano incontrato Jaman. Dopo essere stato cacciato dal Santuario, l’uomo era vissuto a lungo in povertà, anche a causa della sua menomazione. Alcuni anni trascorsi tra l’India e il Pamir lo avevano portato a convertirsi all’induismo. Era arrivato al loro villaggio quattro anni prima, durante un periodo molto duro causato da una grande siccità. Aveva parlato loro di Indra, che in passato aveva portato l’acqua agli uomini. Aveva detto di voler ricostruire l’ordine dei suoi cavalieri ed evocare il suo ritorno. Il suo arrivo fu visto come un’ancora di salvezza per quella popolazione che viveva in così grandi difficoltà.
 
Dopo aver raccolto un gruppo di discepoli aspiranti guerrieri, li aveva addestrati selezionando i migliori. Un giorno aveva mostrato loro una piccola pietra di giada, diceva di averla trovata per caso durante un viaggio in Cina, in un vecchio edificio abbandonato. Questa gli aveva svelato la storia della collana tramite una visione. Era stato un segnale da parte di Indra, aveva detto, e aveva deciso così di compiere la sua volontà.
 
“Il cosmo del maestro era così forte da entrare in risonanza con la giada e ritrovare le altre pietre e la collana,” disse Dimitri l’unica pietra che mancava era quella che avevate preso voi del Santuario, il maestro lo considerò un sabotaggio da parte vostra. Ci disse che lo stavate ostacolando.”
 
 
“Nessun sabotaggio, nessuno di noi sapeva cosa stavate facendo,” rispose Shaka.
 
“Il maestro odiava il Santuario, più di una volta ho avuto la sensazione che cercasse prima di tutto una vendetta…” non riuscì a finire la frase, stava cercando di non piangere, ma dallo sforzo gli stava mancando il respiro.
 
“Abbiamo litigato più di una volta per questo, avremmo dovuto crederti,” disse Rahmon.
 
“In realtà speravo che ci volesse aiutare lo stesso, nonostante tutto…”
 
 
“Perché non è tornato di persona al Santuario invece di mandare quei tre ragazzi?” chiese allora Camus.
 
“Ci è venuto, assieme ai nostri compagni più grandi. Quando ha cercato di teletrasportarsi via assieme a loro per scappare, qualche vostro telecineta si è messo in mezzo e gli ha impedito di salvarli. È tornato solo lui.”
 
Mu strinse i denti. Quindi era questo che aveva raccontato? Proprio l’opposto di quanto era successo. I tre ragazzi avevano combattuto da soli e alla fine lui era scappato lasciandoli morire. Ma sarebbe stato inutile cercare di spiegarlo a quei ragazzini spauriti che si trovavano davanti a loro. Per quanto cercassero di farsi forza, erano visibilmente sconvolti dall’accaduto e non erano certo in grado di sopportare una discussione simile.
 
“È andata davvero così?” chiese Dimitri dopo un breve silenzio.
 
“Perché lo chiedi a loro?” gridò improvvisamente Malika “Non vorrai fidarti dei Cavalieri di Athena?”
 
“Il maestro ci ha imbrogliati,” rispose Dimitri “ha detto che ci voleva aiutare, ma pensava solo alla sua vendetta. Non voleva svegliare Indra per noi, ma solo per la gloria e la sua battaglia personale contro il Santuario.”
 
“Non è vero...” singhiozzò lei coprendosi il viso con le mani.
 
 
“Dov’è la vostra casa?” chiese Aiolia cercando di cambiare discorso, la vista di quella ragazzina disperata per la morte del fratello gli stringeva il cuore.
 
“Abitiamo in un villaggio non molto lontano” rispose Dimitri indicando un punto nella pianura.
 
“Davvero possiamo andarcene?” aggiunse poco dopo.
 
I cavalieri annuirono.
 
I ragazzini, dopo qualche incertezza, si incamminarono lentamente, voltandosi continuamente verso di loro.
 
Mu li guardò allontanarsi. Nei loro occhi vide il vuoto lasciato dall’improvvisa scomparsa di Jaman; non tanto dalla sua morte quanto dalla consapevolezza del suo tradimento. Si erano preparati per anni per compiere la loro missione, convinti di poter aiutare il loro popolo, ma erano stati raggirati. Tutto ciò in cui avevano creduto si era rivelato una menzogna. Tre loro compagni avevano pagato con la morte. Malika aveva perso suo fratello.
 
 
Quando i ragazzini furono abbastanza lontani, i Cavalieri si incamminarono a loro volta.
 
“Erkut e Aleksandra saranno ancora dove li abbiamo lasciati?” domandò Milo.
 
“Forse ci stanno venendo incontro,” rispose Camus.
 
Iniziarono a correre percorrendo a ritroso la strada fatta poche ore prima, non avevano bisogno di raggiungere la velocità della luce, ma tennero un’andatura che li rendeva ugualmente invisibili all’occhio umano. Dopo pochi secondi erano di nuovo nel deserto. Riconobbero subito il fuoristrada con a bordo Erkut e Aleksandra che avanzava verso di loro; i due avevano intuito la direzione giusta vedendo le tracce lasciate sulla sabbia alzata alla partenza e li avevano seguiti.
 
Il viaggio a bordo del fuoristrada rincominciò. I Cavalieri, seduti ai loro posti, guardavano fuori dal finestrino il paesaggio desertico che si estendeva a perdita d’occhio. La cugina di Erkut e Aleksandra abitava sull’Altipiano, a pochi km dal luogo dove avevano combattuto. Mu si ritrovò a sorridere; usando le loro capacità avevano impiegato pochi secondi per tornare nel deserto, adesso stavano ripercorrendo la stessa strada a ritroso con una lentezza snervante. Che situazione assurda… Ma d’altra parte non c’era scelta, se fossero apparsi dal nulla nel villaggio, avrebbero messo in difficoltà i loro accompagnatori.
 
Arrivarono nel tardo pomeriggio, l’automezzo rallentò mentre procedeva nella zona abitata. Il villaggio non era molto grande, le case di argilla dalle forme squadrate quasi si confondevano con il terreno su cui erano costruite, non fosse stato per le vecchie automobili parcheggiate vicino ad alcune di esse, non sarebbero sembrate molto diverse dalla rovine delle costruzioni abbandonate viste qualche ora prima nel deserto.
 
Solo a poche centinaia di metri si trovavano delle yurte, le tende a base rotonda caratteristiche del luogo.
Erkut parcheggiò a pochi metri da una di esse; vista da vicino aveva l’aria di essere un po’ malconcia ma abbastanza robusta, dall’apertura sulla sommità usciva un sottile filo di fumo bianco, forse qualcuno all’interno stava cucinando.
 
Scostando il pesante telo davanti all’ingresso, una ragazza alta di statura e dai lineamenti molto simili a quelli di Aleksandra, uscì per correre loro incontro.
 
“Ecco Aimira!” esclamò Erkut.
 
I due fratelli presentarono i Cavalieri alla cugina, sempre facendoli passare per studenti in viaggio, e ai vicini di casa che si erano avvicinati incuriositi dal loro arrivo. Anche in questo luogo le persone si dimostravano aperte e cordiali, tutti vollero salutali e dare loro il benvenuto. Finiti i convenevoli, Aimira li invitò a entrare nella sua abitazione.
 
L’interno era composto da un unico ambiente e si rivelò molto più spazioso di quanto non potesse sembrare da fuori; il pavimento era ricoperto di tappeti di diverse misure ricamati con fantasie di gusto locale, i pochi mobili erano sistemati lungo il perimetro. Al centro erano situati una stufa, che terminava con un lungo camino che raggiungeva un’apertura alla sommità della tenda, e un tavolo basso circondato da cuscini. Aimira fece accomodare gli ospiti, offrì loro tè e pane caldo e poi si ritirò per preparare qualcosa per cena.
 
Quei gesti gentili, il sapore del pane caldo fatto in casa, il sorriso genuino delle persone che avevano appena incontrato, diedero ai Cavalieri la sensazione di un’accoglienza spontanea e familiare che li aiutò a riprendersi dopo gli avvenimenti di quella lunghissima giornata.
 
 
***
 
 
Era quasi mezzanotte, ma nessuno sembrava voler andare a dormire. Il banco di nubi violacee create da Indra gorgogliava ancora a ridosso delle montagne lontane, una macchia scura nel cielo pieno di stelle. Di tanto in tanto qualcosa brillava al suo interno, come se piccoli fulmini si spostassero da un capo all’altro.
I Cavalieri, seduti su un tappeto steso sul terreno a pochi metri dalla yurta, ascoltarono alcuni abitanti del villaggio raccontare a Erkut di quello strano fenomeno che era comparso in mattinata. Avevano visto quelle nuvole scure, e in lontananza si erano uditi tuoni molto forti, come ci fosse un grande temporale ed era caduto anche un fulmine, forse più di uno. Sembravano più incuriositi che preoccupati, e continuavano a porsi domande su questa strana situazione.
 
“Mi sembra incredibile quello che è successo...” mormorò Milo quando gli uomini si furono allontanati. “Indra è comparso e un attimo dopo ha ucciso Jaman.”
 
“Già, con tutto quello che ha fatto per evocarlo… tutto quanto è finito in quel modo,” disse Camus “mi spiace per quei poveri ragazzi, è riuscito a convincerli a fare il suo gioco con delle false promesse. Che persona ignobile.”
 
“Io avevo capito che Indra fosse un dio iroso e dedito alla guerra,” disse lo Scorpione “ma Jaman aveva promesso a quei ragazzi che avrebbe riportato l’acqua dopo un periodo di siccità. Ma come ha fatto a convincerli? Indra ha a che fare con queste cose?”
 
“Indra è noto come l'uccisore di Vritra,” spiegò Shaka “le antiche scritture narrano che Vritra era un demone malvagio con la forma di un enorme serpente, che impediva alle acque dei fiumi, dei torrenti e anche a quelle dei cieli di scorrere liberamente. Indra lo uccise e liberò così tutti i corsi d’acqua e li restituì agli uomini. Ma questo è successo ancora ai tempi del mito, Indra non si è mai più occupato di queste cose. Ma che ne sanno gli abitanti di questi luoghi?”
 
 
I Cavalieri rimasero in silenzio per qualche minuto, contemplando l’orizzonte. Le stelle nel cielo limpidissimo sembravano illuminare la notte, in lontananza si leggevano perfettamente i profili delle montagne.
 
“Mi preoccupano quelle nuvole,” disse ad un tratto Aiolia.
 
“Anche a me,” rispose Milo “significa che Indra è ancora lì. Non credo sia una buona cosa. E se attaccasse di nuovo?”
 
“Non ha mai avuto un bel carattere” replicò Shaka “nelle sacre scritture si parla spesso della sua ira. Tuttavia credo possa considerarsi soddisfatto della sua vendetta; ha riavuto la sua armatura e punito chi l’ha presa.”
 
“In ogni caso non me la sento di andare via lasciando questa situazione. Dobbiamo rimanere qualche giorno,” disse Aiolia.
 
“La nostra missione è finita; ci è stato chiesto di portare al Santuario la collana, non di occuparci della popolazione locale.”
 
“Ma come puoi parlare così! Inoltre siamo in parte responsabili della comparsa di Indra!”
 
“Sinceramente non credo si sia risvegliato del tutto,” rispose Shaka “la sua è solo una manifestazione, non si è rincarnato in un corpo mortale. Probabilmente se ne tornerà a dormire presto.”
 
 
Mu raccolse le ginocchia al petto e le circondò con le braccia. Non aveva voglia di ascoltare quella discussione.
 
Era ancora scosso dagli ultimi avvenimenti. Nei giorni precedenti aveva immaginato di combattere, riprendere la collana, evitare l’evocazione di Indra con tutti i pericoli che poteva portare. Ma le cose erano andate diversamente e tutto ciò che gli restava dentro era un senso di incompiuto.
 
Come se qualcosa fosse rimasto in sospeso.
 
Guardò verso le nuvole, sembravano gorgogliare ancora in lontananza. Il villaggio dove abitavano i quattro ragazzini non era lontano. Poveri ragazzi, si erano allenati per anni convinti di poter servire un dio che avrebbe aiutato il loro popolo, per poi scoprire di essere vittime di un raggiro.
 
Rivide per un momento quei volti tesi e spaventati; erano talmente sconvolti da non riuscire quasi a reagire.
 
Era bastato un attimo e la vita di Jaman era stata spazzata via. Un fulmine era caduto da quelle nuvole violacee e l’uomo era stato carbonizzato all’istante. In quel momento si era sentito impotente. Non aveva potuto evitare quello che è successo. Nessuno di loro avrebbe potuto farlo.
 
La tensione che aveva provato in quel momento, davanti a quella creatura superiore, gli stringeva ancora lo stomaco. Potevano davvero degli umani, per quanto forti fossero, contrastare un dio?
 
Forse era normale sentirsi impotenti di fronte a un dio. Ma erano pur sempre dei Cavalieri, avrebbero dovuto essere in grado di gestire quella situazione. Invece erano rimasti immobili, spaventati, senza sapere cosa fare.
 
Sembrava che l’unico risultato di quella missione fosse mettere in luce la loro debolezza, la loro inesperienza.
 
Dobbiamo farne ancora di strada…
 
 
Lo schianto di quel fulmine aveva una violenza tale, che veniva da chiedersi se almeno l’anima di Jaman fosse sopravvissuta.
 
Ora provava quasi pena per quell’uomo.
 
La vendetta non porta a niente di buono; aveva ragione il vecchio Dohko.
 
Jaman si era lasciato consumare dall’odio verso il Santuario, aveva lasciato che quel sentimento prendesse il sopravvento e diventasse l’unica cosa per lui importante, il motivo di ogni sua scelta.
 
Aveva cercato un altro ordine di cui fare parte, aveva agognato per anni l’armatura di Indra solo per raggiungere il suo scopo. E quell’armatura era ormai diventata un’ossessione, tanto che una volta indossata non aveva voluto separarsene. Restituirla non gli avrebbe permesso di attaccare il Santuario, e il motivo per cui aveva lavorato tanti anni sarebbe venuto a meno.
 
Decise di non chiedersi cosa fosse davvero accaduto tanti anni prima, da convincere il Maestro Shion ad allontanarlo dal Santuario, tanto non lo avrebbe mai saputo, ma di riflettere sulle mancanze di quell’uomo. Un fallimento doveva essere motivo di riflessione, non di vendetta. La sua incapacità di gestire i sentimenti era stata la sua rovina. Forse era stata proprio questa particolarità del suo carattere a non piacere al Maestro Shion; un uomo dall’animo così influenzabile non può essere un cavaliere.
 
Voglio che la mia anima non sia mai prigioniera di rancori o desideri di vendetta. È questo che mi hanno insegnato i miei due maestri. È questa la giusta strada da percorrere.
 
 
 
“In ogni caso, vedremo cosa accadrà domani. Poi decideremo cosa fare,” la voce di Shaka riportò Mu alla realtà.
 
Aiolia sbuffò. “No. Non basta. Dobbiamo sorvegliare questa faccenda per un po’ di giorni. Quell’essere ha dimostrato di essere pericoloso.” Si alzò ed entrò nella yurta.
 
L’Ariete lo guardò mentre varcava la soglia della tenda, scostando in malo modo il telo all’ingresso, poi  lasciò vagare ancora lo sguardo lungo l’Altopiano illuminato dalla luce delle stelle.
 
A guardare la bellezza di quella pianura incorniciata dalle montagne non si sarebbe detto quanto difficile fosse vivere in quei villaggi. In estate la temperatura superava i 40 gradi, in inverno scendeva sotto i -20 e l’altitudine rendeva difficoltosa la coltivazione. In certe stagioni era necessario camminare per chilometri per trovare un posto dove pascolare gli animali.
 
Eppure la popolazione di quel luogo era ospitale, ben disposta verso il prossimo. Viveva con semplicità, in sintonia con la sua terra, prendendo ciò che di buono poteva offrire e dividendolo senza egoismo.
 
Mu sentiva ancora nelle mani e nelle braccia il calore di quelle strette e quegli abbracci ricevuti al loro arrivo. Quella cordialità spontanea, la premura di Aimira nell’accoglierli, preparare il tè e scaldare il pane, gli aveva toccato il cuore. In quel momento quel piccolo villaggio prese l’aspetto di un luogo prezioso, da preservare ad ogni costo.
 
Aiolia aveva ragione; quelle persone andavano protette.





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Angolo di quella che scrive:



Grazie per aver letto anche questo capitolo. Mi scuso per il ritardo imbarazzante con cui ho aggiornato anche questa volta e con cui ho risposto a recensioni e messaggi, diverse cose mi hanno tenuta lontana da efp ed è passato un sacco di tempo senza che quasi me ne rendessi conto.

Durante e dopo la quarantena ho iniziato un periodo un po’ strano, ho fatto molta fatica a ritrovare la concentrazione sia nel leggere che a scrivere. Adesso sono tornata in forma quindi spero di non fare più ritardi del genere!!!
Un abbraccio a tutti e a presto! ^_^




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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


XI
 
 
Poco prima dell’alba, un enorme boato proveniente dalle montagne svegliò gli abitanti del villaggio. I Cavalieri uscirono dalla yurta e sgranarono gli occhi davanti allo spettacolo spaventoso che si mostrava ai loro occhi. Le nuvole violacee prodotte da Indra, persino più dense rispetto al pomeriggio precedente, si erano avvolte nuovamente attorno alle montagne più alte nascondendone le cime. Il loro profilo, illuminato continuamente da lunghissimi lampi, si stagliava nel cielo nero. Tuoni e fulmini si alternavano creando un gioco psichedelico di frastuono e luci che sembrava sgretolare la montagna stessa; pezzi di rocce rotolavano verso la pianura sottostante formando delle piccole frane.
 
Anche Erkut e Aleksandra erano usciti dalla loro tenda e parlavano animatamente con i vicini. Tutti erano molto spaventati.
 
I Cavalieri guardarono preoccupati i piccoli centri abitati sparsi sull’altopiano.
 
 “Il villaggio dove abitano i ragazzi è lì vicino, giusto?” chiese Aiolia indicando un punto a pochi chilometri dalle montagne.
 
Gli altri annuirono; quando avevano chiesto loro dove abitassero, Dimitri aveva indicato quel luogo.
 
“Se sono lì potrebbero essere in pericolo, vado a cercarli!” disse iniziando a correre in quella direzione.
 
“Aspetta, Aiolia!” gridò Shaka con tono secco e severo.
 
“Cosa c’è?” rispose il Leone dopo essersi fermato a pochi passi da loro. “Laggiù ci sono persone che hanno bisogno di noi!”
 
La Vergine rimase qualche momento in silenzio, come avesse bisogno di riflettere. “Sì, hai ragione. Noi siamo in parte responsabili del risveglio di Indra,” disse poco dopo come fosse questa l’unica ragione a convincerlo a combattere. “Andiamo!”
 
I Cavalieri in pochi minuti coprirono la distanza che li separava dalla loro destinazione.
 
 
 
Il villaggio era molto più piccolo di quello in cui abitava Aimira, era formato da una dozzina di yurte, altrettante costruzioni in mattoni di argilla e qualche piccola area recintata che raccoglieva delle pecore. Un ruscello, poco più di un rigagnolo di acqua, scorreva lentamente a poche centinaia di metri. Anche qui le persone erano molto spaventate; alcuni bambini piangevano, i pastori cercavano di calmare gli animali che scalpitavano all’interno dei recinti, molti se ne stavano semplicemente davanti all’ingresso della propria abitazione con lo sguardo rivolto verso quelle spaventose nuvole.
 
I Cavalieri si guardarono attorno cercando i ragazzini in mezzo alla confusione.
 
“Guardate là!” gridò Milo indicando tre figure lontane che correvano lungo la strada che risaliva lungo la montagna.
 
“Sì! Sono loro!” gridò Aiolia riconoscendo i tre allievi di Jaman e iniziò a correre in quella direzione subito imitato dagli altri.
 
Vedendosi inseguiti, i tre ragazzini si fermarono e attesero che i Cavalieri li raggiungessero.
 
“Non dovete salire sulla montagna! È pericoloso!” gridò Aiolia fermandosi a pochi metri da loro.
 
I tre rimasero in silenzio a guardarli senza rispondere. Evidentemente non si fidavano ancora di loro.
 
“Tornate al villaggio” disse Milo.
 
I ragazzini si scambiarono uno sguardo, come incerti sul da farsi.
 
“Stiamo andando a cercare Malika” disse Dimitri “ieri sera diceva di voler convincere Indra ad aiutarci, non pensavamo lo avrebbe fatto sul serio… ma sua madre non riesce a trovarla… pensiamo sia salita…”
 
“Tornate al villaggio!” lo interruppe Aiolia “Andiamo a prenderla noi!”
 
Senza attendere risposta i Cavalieri ripartirono correndo lungo la strada che, facendosi sempre più ripida, si arrampicava con curve sinuose lungo la parete rocciosa.
 
Improvvisamente, un fulmine partì dalle nuvole e colpì la roccia poche centinaia di metri sopra di loro facendola franare sulla strada. I ragazzi si fermarono cercando di appiattirsi contro la parete per evitare di essere colpiti. Appena quella caduta di schegge e pietre sembrò terminare, ripresero a salire correndo lungo la strada.
 
Finalmente avvistarono Malika, era rannicchiata per terra, rivolta verso di loro, con un fianco appoggiato alla parete rocciosa. Sembrava molto spaventata.
 
“Malika! Stai bene?!” chiese Aiolia inginocchiandosi accanto a lei.
 
La ragazzina annuì.
 
“Volevo chiedergli di aiutarci…” disse con voce incerta “come aveva promesso il maestro…”
 
Un altro fulmine cadde a pochi metri di distanza facendo tremare il terreno sotto i loro piedi. Malika gridò riparandosi la testa con le mani.
 
“Devi andartene” disse il Leone aiutandola ad alzarsi, “parleremo noi con Indra. Ma voi dovete tornare al villaggio, qui ci sareste solo di intralcio.”
 
Malika cercò di parlare, ma le parole le morirono in gola. Cercò inutilmente di trattenere i singhiozzi.
 
Dall’ultima curva della strada spuntarono i tre ragazzini correndo. Milo sbuffò seccato nel vedere che non avevano obbedito.
 
 “I tuoi compagni sono venuti a cercarti,” disse Aiolia indicando i tre giovani “siete tutti in pericolo. Non avete le forze per contrastare Indra, lasciate che ce ne occupiamo noi. Piuttosto, cercate di proteggere il villaggio.”
 
Malika sembrò finalmente convincersi, si asciugò le lacrime con il dorso delle mani e si alzò in piedi, mormorò un “va bene” con voce rassegnata, e corse verso i suoi compagni.
 
Mu la guardò mentre scendeva lungo la strada. La vide raggiungere i suoi compagni e fermarsi per qualche minuto a parlare con loro. Dimitri le posò le mani sulle spalle e anche gli altri due quasi la abbracciarono, dovevano essere stati molto in pena per lei. L’Ariete sorrise tra sé; erano una squadra molto affiatata.
 
I quattro ragazzini si voltarono un momento verso di loro, poi cominciarono a correre scendendo verso il villaggio.
 
I cinque giovani li guardarono allontanarsi.
 
“Bene,” disse Milo guardando il cielo con aria preoccupata “adesso cosa facciamo?”
 
Bella domanda. I cavalieri si scambiarono un’occhiata incerta. Cosa potevano fare?
“Saliamo un altro po’” propose Aiolia, “quando saremo più vicini proveremo a comunicare con lui.”
 
Dopo poche centinaia di metri la strada si allargò formando una piccola zona pianeggiante, una sorte di sella tra le cime. I Cavalieri si fermarono un momento a riprendere fiato.
 
Le nubi create da Indra avevano ormai coperto completamente il cielo. Il sole doveva essere sorto dietro quella spessa coltre, ma di esso traspariva solo una debole luce diffusa che tingeva tutto di un colore rosato e uniforme.
 
Per lunghi minuti non si udì nessun rumore, eccetto quello del vento che soffiava leggero verso l’altipiano. I Cavalieri, tesi come corde di violino, stavano immobili e all’erta pronti a reagire a un eventuale attacco. Cosa stava facendo Indra? Si era accorto di loro? Li stava osservando dall’alto?
 
“Attenti!”
 
All’improvviso, con un enorme schianto, un fulmine cadde a pochi metri da loro; una grossa porzione di roccia si staccò dalla montagna frantumandosi in diversi pezzi. I Cavalieri si coprirono gli occhi con le mani per evitare la polvere e le schegge di pietra di cui l’aria si era riempita. La frana passò vicina, rotolò verso la strada e continuò la sua discesa precipitando verso la pianura.
 
Mu si voltò guardando verso il basso. Dov’erano i ragazzini? Eccoli! Stavano ancora scendendo, correndo e scivolando sul terreno ripido. Alcuni massi stavano cadendo nella loro direzione, rotolando e rimbalzando sulla roccia.
 
Il più piccolo - come si chiamava? Rahmon? - inciampò e cadde disteso sul terreno. Abaj tornò indietro e lo aiutò a rialzarsi ma ormai la frana li aveva quasi raggiunti. Malika e Dimitri fermarono la loro corsa e tornarono indietro di alcuni passi. Poi, in piedi fianco a fianco, le mani rivolte verso l’alto, alzarono un muro di vento per proteggere i loro compagni.
 
L’Ariete li guardò stupito. Dimitri aveva evocato una corrente di aria fredda e Malika una di aria calda, i due flussi avevano creato una tempesta abbastanza forte da deviare la frana; in una frazione di secondo avevano preparato quell’attacco perfettamente coordinato. Era quella la loro forza. Presi singolarmente non erano molto potenti, ma unendo le loro capacità erano in grado di ottenere grandi risultati. Forse era per quel motivo che in combattimento attaccavano sempre tutti assieme; non si trattava di vigliaccheria, era l’unico modo che conoscevano per affrontare nemici più forti di loro. In ogni caso, era così che doveva lavorare una squadra.
 
Ad un tratto, la porzione di strada sotto i piedi dei ragazzini franò rovinosamente e questi, colti di sorpresa, non furono in grado di reagire.
 
Mu, istintivamente, alzò una mano verso di loro e con i suoi poteri telecinetici li sollevò tutti assieme per evitare finissero stritolati dalla frana, poi li depositò qualche centinaio di metri più in basso, dove la strada era ancora intatta. I ragazzini impiegarono qualche secondo per realizzare l’accaduto, guardarono per un momento in alto verso i Cavalieri e poi ripresero la loro discesa.
L’Ariete li osservava con apprensione. Ormai erano quasi arrivati alla fine della strada, una volta raggiunta la pianura sarebbero stati più al sicuro.
 
“Mmm… telecinesi?” la voce di Indra, profonda e metallica come nascesse direttamente da un tuono, risuonò sopra di loro.
 
I cavalieri sentirono gelare il sangue nelle vene, il dio li stava davvero guardando.
 
“Mmm … divertente…” continuò la voce.
 
Divertente? Cosa stava dicendo?
 
Seguì un lungo momento di silenzio; i cinque ragazzi rimanevano immobili e in attesa.
 
Un altro fulmine improvviso si schiantò a pochi metri sopra di loro sgretolando ancora la parete di roccia. I Cavalieri si spostarono e cominciarono a correre per evitare la frana che li avrebbe investiti in pieno, avanzarono di alcune decine di metri sperando di mettersi in salvo ma non fu sufficiente perché un altro fulmine era già pronto a cadere davanti a loro. Si spostarono di nuovo, tornando indietro. Altri fulmini caddero uno dopo l’altro staccando pezzi di roccia e danneggiando la piccola pianura, costringendoli a muoversi continuamente per evitare di essere colpiti.
 
La risata di Indra riecheggiava tra uno schianto e l’altro, il dio sembrava divertirsi.
 
Dopo pochi minuti l’attacco sembrò fermarsi. I Cavalieri, con molta prudenza, si guardarono attorno. Le frane causate dalla caduta di fulmini avevano aperto delle insenature nella parete di roccia e creato delle grandi crepe. Continuando così, il dio avrebbe distrutto completamente la montagna.
 
“Si sta prendendo gioco di noi?” sussurrò Milo cercando di riprendere fiato, per evitare i fulmini si erano dovuti spostare alla velocità della luce e lo sforzo cominciava a farsi sentire.
 
“Sì, sembra si diverta a farci correre su e giù…” rispose Camus.
 
“Mmm…” La voce cavernosa di Indra risuonò di nuovo sopra di loro.
 
“Siete veloci per essere umani… interessante. Mmm...”
 
I cinque ragazzi rimasero in silenzio, di nuovo in attesa.
 
“Mmm… Ho già sentito questo cosmo… ci siamo già incontrati?” chiese dopo qualche istante.
 
I Cavalieri si guardarono tra loro indecisi su cosa fare, di cosa stava parlando il dio?
 
“Chi siete!?” tuonò la voce.
 
Shaka fece un passo avanti. “Siamo Cavalieri di Athena,” disse con tono solenne.
 
“Ohh, Athena! Brava ragazza...” rispose il dio con un tono che sembrava quasi cordiale “sì, mi ricordo bene di lei, ha ancora l’abitudine di reincarnarsi in una donna umana ogni… quanti erano? … duecento anni?”
 
“S… sì...” rispose la Vergine, un po’ infastidito dal fatto di vedere qualcosa che aveva ritenuto sacro considerato come una banale abitudine.
 
“E perché siete qui, cavalieri?”
 
“Siamo venuti qui per una missione ora conclusa…” rispose. Poi, vedendo che l’altro non replicava, continuò. “Vi prego divino Indra, comprendo la vostra ira, ma facendo a pezzi la montagna arrecherete danno al vostro popolo…”
 
“Il mio popolo? Dov’è? Dove sono i guerrieri Ari pronti alla conquista?” esclamò il dio quasi gridando.
 
“In quest’epoca non ci sono guerre, il vostro popolo ora è pacifico. Allevano animali e coltivano la terra.”
 
“Solo pastori e contadini? No… Allora il mio popolo non esiste più.”
 
Le nuvole sembrarono gonfiarsi, la voce si trasformò in un ruggito che culminò in un tuono.
 
“Sono stato svegliato senza motivo, allora?” La rabbia mostrata fino a quel momento sembrava essere stata sostituita da una sorta di frustrazione.
 
Seguirono degli strani versi, come se il dio stesse sbadigliando.
 
“Beh, potrei anche tornarmene a dormire… Però prima mi voglio divertire un po’.”
 
I cinque ragazzi si irrigidirono, pronti a ricevere un’altra scarica di fulmini.
 
“Siete forti,” continuò “vale la pena combattere con voi per divertirsi un po’.”
 
Le nuvole si mossero lentamente, dal gioco di chiaroscuri sembrò emergere qualcosa; una piccola porzione di quella fitta coltre si staccò dal resto e scese verso di loro. Quando raggiunse il terreno mutò la sua forma prendendo quella di un corpo umano.
 
I Cavalieri istintivamente indietreggiarono di qualche passo davanti a quello strano essere. Aveva la forma di un uomo alto e dalla corporatura massiccia dotato di quattro braccia, ma sembrava fatto di nuvole scure all’interno delle quali brillavano ancora piccoli lampi.
 
“Non mi sono reincarnato in un corpo umano,” disse la voce metallica “ne prenderò comunque le forme per rendervi le cose più facili, e per indossare la mia armatura.”
 
Alzò un braccio, le dita della mano protese verso l’alto e richiamò un fulmine che scagliò verso i Cavalieri.
I ragazzi si spostarono velocemente di lato, evitandolo di pochissimo; l’impatto del fulmine aprì una grossa crepa nella roccia e causò un’altra frana. Si era formato così una sorta di scalino alto meno di due metri che portava a una porzione di terreno piano, come una piccola terrazza scolpita nella parete rocciosa.
 
“Siete veloci, ma non vorrete scappare per sempre, vero?” ridacchiò il dio. “Su, avanti! Combattete! Non potete vincermi, naturalmente, ma se mi colpirete abbastanza forte mi dirò soddisfatto.”
 
I ragazzi si tolsero le gerle dalle spalle, gli scrigni in esse contenuti si aprirono da soli lasciando uscire le Sacre Armature che si sistemarono sul corpo dei rispettivi padroni.
 
“Dovremo attaccarlo davvero?” chiese Camus, aveva un’aria poco convinta.
 
“Lo farò io,” disse Shaka avanzando di qualche passo “voi state indietro”.
 
Congiunse le mani all’altezza del petto, rimase qualche secondo immobile mentre strane ombre si materializzavano dietro di lui; sembravano fantasmi, spiriti, ma erano anche avvolti dall’aura misteriosa che caratterizza i demoni. Aprì le braccia rivolgendo i palmi delle mani verso il nemico; come obbedendo a un ordine i fantasmi iniziarono a volteggiare qualche metro più in altro per poi scagliarsi contro il nemico riempiendo l’aria di grida assordanti. Infine spalancò gli occhi, dalle iridi azzurre vennero liberati due raggi luminosi intrisi di una carica di energia spaventosa che accompagnò l’assalto. I Cavalieri percepirono il suo cosmo bruciare fino al limite, raccogliendo la forza dagli estremi della sua costellazione.
 
Indra non si scompose, alzò le mani e raccolse quegli spiriti e quei fasci di luce trasformandoli in una sfera luminosa che lasciò fluttuare nell’aria.
 
“Mmm… niente male…” ridacchiò.
 
Shaka cadde in ginocchio ansimando. Aveva usato tutta la sua forza, scaricato il cosmo che aveva accumulato tenendo gli occhi chiusi in anni di addestramento, mentre Indra non aveva mostrato nessuna sofferenza e aveva raccolto quell’energia con tranquillità, come non fosse niente di speciale.
 
“Non… non è possibile…” sussurrò mentre cercava di riprendersi dallo sforzo.
 
Indra scoppiò in una fragorosa risata, riprese la sfera di luce come fosse una palla e la divise in due parti “intera ti farebbe troppo male” e ne lanciò una contro Shaka. Mu alzò il Crystal Wall per proteggerlo; la sfera colpì lo scudo scaricando la sua energia, questo si inarcò ma non si ruppe, facendola rimbalzare al mittente. Il dio la schivò con un rapido gesto della mano, e lasciò che si perdesse nel cielo.
 
“State bene?” Chiese Milo avvicinandosi.
 
I due annuirono, pallidi in viso per lo sforzo.
 
“Tutto qui?” la voce del dio adesso aveva un tono canzonatorio.
 
“Provo io!” gridò Aiolia
 
“Aspetta!” disse Mu.
 
Ma il Leone stava già caricando il suo attacco; un groviglio di fulmini uscì dal suo pugno chiuso diretto verso la sagoma di Indra.
 
Con un gesto repentino, il dio alzò entrambe le mani e richiamò a sé alcune nuvole, queste si gonfiarono e assorbirono i fulmini emessi da Aiolia per poi gettarli di nuovo verso i Cavalieri, accompagnati da una tempesta di pioggia e di vento. Mu questa volta non fece in tempo ad alzare il Crystal Wall, Camus riuscì a creare una barriera di ghiaccio che attutì il colpo, spezzandosi però subito dopo. I Cavalieri caddero sul terreno pietroso e vennero scaraventati alcuni metri più indietro.
 
 
“Non possiamo farcela così, dobbiamo unire le nostre forze,” disse Mu rialzandosi. “nessuno di noi può farcela da solo.”
 
“Sì, hai ragione. Dobbiamo attaccare tutti assieme,” rispose Camus.
 
I Cavalieri, con fatica, si rialzarono in piedi, si schierarono l’uno accanto all’altro e lanciarono il loro attacco tutti assieme; ognuno usò il colpo che riteneva più adatto, Indra venne così investito da un miscuglio caotico di forze: fulmini, veleno, ghiaccio, polvere di luce e di stelle, l’energia del cosmo di cinque persone bruciato al massimo. Alzò entrambe le braccia per ripararsi ma, ancora una volta, con un semplice gesto schivò l’attacco rimandandolo indietro. I cinque ragazzi non riuscirono a evitarlo e furono colpiti in pieno, l’impatto fu dolorosissimo, i ragazzi vennero colpiti dai loro stessi attacchi la forza dei quali era stata smorzata solo in minima parte; vennero sbalzati indietro e ruzzolarono sul terreno roccioso, Mu e Shaka caddero oltre lo scalino di roccia che si era formato con la frana di poco prima, gli altri si fermarono appena accanto al bordo.
 
Ci volle qualche minuto perché i Cavalieri si riprendessero. Quando Mu riuscì a riaprire gli occhi fu colto da una piccola vertigine; il corpo tremava per i brividi di freddo e le ultime scariche elettriche, qualcosa gli rallentava i movimenti, doveva essere il veleno di Milo. Si accorse di avere la vista leggermente appannata. L’ultima cosa che aveva visto erano alcune visioni che aveva prodotto Shaka, immagini di morte e demoni, sempre che fossero davvero soltanto visioni e non demoni veri evocati da lui. In quel momento non faceva differenza, era più importante riuscire a muovere gli arti intorpiditi dal veleno dello Scorpione.
Shaka si era già messo a sedere vicino a lui, la schiena appoggiata alla parete di roccia, la testa tra le mani. Aiolia, lo sguardo stravolto, li guardava dall’alto.
 
“Tutto bene”? chiese
 
L’Ariete annuì, quel salto di meno di due metri non era niente in confronto alla botta che avevano appena preso.
 
“Mettiamoci al riparo…” suggerì Milo e assieme a Camus e Aiolia si lasciò cadere raggiungendo gli altri.
 
Un’altra risata fragorosa riecheggiò nell’aria.
 
“Dove siete scappati, Cavalieri? Vi siete già arresi? Non volevate salvare la montagna? Coraggio, vi do un’altra possibilità. Vi concederò un po’ di tempo per rimettervi in sesto. Quando il sole sarà sorto completamente, mi attaccherete di nuovo.”
 
Poi la voce tacque e Indra o meglio, la figura umana fatta di nuvole sotto la cui forma si mostrava, rimase ferma e in silenzio.
 
“Maledetto…” ringhiò Milo “aspettate che riprenda le forze e gliela la faccio vedere io.”
 
La coltre di nuvole lasciava trasparire poca luce e in maniera uniforme ma i ragazzi erano in grado di capire che il sole era sorto solo per metà e avevano ancora un po’ di tempo per riprendersi.
 
“Abbiamo sbagliato tutto,” disse Camus.
 
“Cosa?” Milo e Aiolia risposero quasi all’unisono.
 
“Abbiamo disperso le nostre forze attaccando ognuno per conto proprio,” Continuò l’Aquario.
 
“È vero,” rispose Mu “avremmo dovuto unire le nostre forze coordinandoci tra noi…”
 
“No,” lo interruppe Shaka “avrebbe dovuto attaccare solo uno di noi, raccogliendo l’aiuto degli altri. Sarà solo unendo le forze dei nostri cosmi che riusciremo ad essere alla sua altezza.”
 
“In ogni caso non ce la faremo mai da soli, siamo troppo pochi,” disse l’Ariete.
 
“Sei in grado di trasportare qui gli altri?”
 
Mu annuì.
 
“Li chiamo,” concluse Shaka.
 

 
***
 
 
Il vecchio Mitsumasa Kido chiuse il giornale e lo posò sul basso tavolino accanto a lui. Si alzò e si avvicinò alla finestra che dava sul giardino della villa, un piccolo paradiso di fiori e piante scelti con cura per la loro bellezza. Nessuno avrebbe detto che oltre la fitta barriera di alberi scorresse l’intenso traffico della città di Tokyo.
Erano appena le otto, ma come tutti gli uomini d’affari del suo calibro, aveva già letto i principali quotidiani concedendosi solo la distrazione una tazza di caffè. Il vecchio Kido però non saltava mai la colazione, anzi per lui era il pasto più importante della giornata che consumava sempre in compagnia della nipotina Saori.
 
“Buongiorno nonnino! Hai finito di leggere i giornali?” la voce squillante della bambina riecheggiò nel corridoio.
 
“La colazione è pronta, c’è la nuova torta!” continuò la piccola affacciandosi alla porta dello studio.
 
“Come sarebbe a dire la nuova torta?” replicò Kido fingendosi stupito.
 
“Ho chiesto alla cuoca di farla perché la volevo assaggiare. Tra due settimane sarà il mio compleanno, se è buona la farà anche per la mia festa.”
 
Il vecchio sorrise mentre seguiva la nipotina nella sala da pranzo.
 
“Ti sei presa per tempo,” disse.
 
“Beh, undici anni sono una data importante. Voglio fare una grande festa!” ribadì Saori.
 
“Eh, sì. Ci vorrà una bellissima festa,” rispose lui continuando a sorridere.
 
 
 
Già. Erano trascorsi quasi undici anni da quando, durante un viaggio in Grecia, aveva trovato quella bambina. L’incontro con lei aveva cambiato radicalmente la sua vita.
 
Aveva ancora un ricordo ben nitido di quel giorno. Era mattina presto, il sole non era ancora sorto, e lui camminava solitario tra delle antiche rovine non lontane da Atene. Aveva scelto di farlo a quell’ora per tanti motivi; stare tranquillo senza altri turisti, utilizzare al meglio il poco tempo libero che aveva in quel viaggio di lavoro, la curiosità di vedere le prime luci dell’alba illuminare i resti di quegli edifici. Tante motivazioni e in fondo nemmeno una, il che più di una volta gli aveva fatto pensare di essere lì solo per il volere del destino. Vagava in quel luogo immerso in una quiete solenne, la luce della luna piena prossima al tramonto scivolava lungo la pietra bianca diffondendo un riverbero che rendeva tutto quasi irreale.
 
All’improvviso il silenzio era stato spezzato da uno strano verso, dapprima gli era sembrato quasi un miagolio, poi aveva riconosciuto un vagito. Era corso in quella direzione, più sorpreso che altro.
 
Un ragazzo giaceva a terra ferito, il corpo e gli abiti sporchi di sangue, stringendo tra le braccia una neonata. Accanto a lui c’era quello strano cubo dorato.
 
“La prego…” aveva mormorato il ragazzo con un filo di voce “porti in salvo questa bambina…”
 
Dalla sua bocca erano usciti discorsi confusi; la bambina era la reincarnazione della dea Athena, qualcuno la voleva uccidere, andava nascosta assieme a quello scrigno che conteneva un’armatura sacra.
 
Kido era stato colpito dalla limpidezza di quegli occhi, sui quali si leggeva ormai l’ombra della morte. C’era qualcosa di strano in lui che non sarebbe stato in grado di spiegare, ma aveva avuto la certezza che fosse sincero e che quelle informazioni, seppur apparentemente senza senso, fossero vere.
Aveva cercato di soccorrere il giovane, ma era ormai troppo tardi, la vita lo stava già abbandonando. Poi era stato assalito dalla paura: se qualcuno stava veramente cercando la bambina con l’intenzione di ucciderla, era in pericolo anche lui! Aveva preso in fretta la sua decisione e aveva portato via la piccola e l’armatura.
 
Non era stato difficile, data la sua posizione, adottare immediatamente la bambina per poi presentarla in pubblico come sua nipote.
 
Dopo le numerose ricerche che i suoi mezzi gli avevano permesso, investendo tempo e denaro della sua fondazione, era riuscito a scoprire che un ordine di Cavalieri di Athena esisteva davvero, seppur senza riuscire a identificare la gerarchia di tutta l’organizzazione aveva scoperto alcuni luoghi di addestramento sparsi in diversi Paesi del mondo.
 
 
“Allora? Ti piace la torta?” la voce di Saori lo distolse da quei ricordi.
 
“Sì. È molto buona,” rispose rendendosi conto suo malgrado di averla mangiata sovrappensiero senza neppure sentirne il sapore.
 
“Allora posso farne fare una grande per la mia festa?”
 
“Certo, cara.”
 
“Evviva! Adesso posso andare a leggere un po’ in giardino?”
 
“Vai pure, ti raggiungo dopo.”
 
“Accompagnami, Tatsumi!”
 
Kido sorrise, mentre guardava la nipotina prendere per mano il maggiordomo e trascinarlo con lei. A vederla così, sembrava una bambina come tutte le altre, allegra, vivace, assolutamente normale.
 
Non le aveva mai raccontato la verità sulle sue origini, la piccola era convinta di essere davvero sua nipote e non era al corrente del lavoro di ricerca della fondazione. Saori sapeva che il nonno possedeva un’armatura sacra e che la fondazione aveva raccolto un centinaio di orfanelli, che erano stati inviati i posti lontani per addestrarsi a diventare cavalieri, ma non se ne era mai chiesta il motivo. Aveva dato per scontato dovessero entrare a servizio del vecchio Kido o della fondazione stessa. Non sapeva che a quei bambini erano stati imposti degli allenamenti durissimi e che non tutti avevano accettato volentieri, alcuni erano stati costretti o ricattati.
 
Quando Kido si metteva in testa una cosa, doveva assolutamente ottenerla. Voleva fare di quei ragazzi dei veri guerrieri e metterli a servizio di Saori per la sua protezione. Un giorno, era sicuro, la dea che dormiva in lei si sarebbe risvegliata e i suoi Cavalieri dovevano essere pronti a difenderla.
 
Ora, a distanza di quattro anni dalla partenza, Kido aveva perso le tracce di gran parte di quei bambini. Alcuni erano probabilmente morti durante l’addestramento, altri sembravano spariti nel nulla, forse scappati. Ma almeno una decina stava facendo grandi progressi, tanto da sperare si sarebbero guadagnati presto un’armatura di bronzo.
 
Si alzò da tavola e si accostò alla finestra. Saori correva spensierata in giardino. Era davvero la reincarnazione di Athena? Sì, lui ne era convinto. E presto avrebbe avuto a fianco i suoi Cavalieri.
 

 
***
 
 
Aphrodite posò la tazza e si portò una mano sulla tempia.
 
“Lo sentite anche voi?” chiese.
 
“Sì, è Shaka che ci sta chiamando,” rispose Shura.
 
Death Mask sbuffò.
 
“Hanno bisogno di noi, come temevamo,” disse seccato il Cavaliere dei Pesci.
 
“Andiamo!” esclamò il Capricorno. Dobbiamo correre,” ricordò “l’appuntamento è nel piazzale sottostante la Prima Casa.”
 
“E proprio oggi dovevamo venire a fare colazione alla Dodicesima…” commentò Death Mask afferrando due focaccine dal vassoio prima di seguirli.
 
I tre Cavalieri iniziarono a scendere di corsa la lunga scalinata.
 
 


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Vi lascio un'immagine dei due personaggi nuovi e vi aspetto a fondo pagina. :)
 
 
Il vecchio Mitsumasa Kido


Saori
 
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Angolo di quella che scrive:
 
 
Innanzi tutto, grazie per essere arrivati fin qui. E soprattutto per continuare a seguire questa storia nonostante la lentezza con cui ho pubblicato gli ultimi capitoli.
Alla fine anche questo capitolo è uscito con enorme ritardo, quindi è bene che non faccia più promesse… XD
 
I nostri cavalieri si trovano finalmente faccia a faccia con Indra, il dio è stato svegliato dal suo sonno millenario e non sembra di ottimo umore. Ho sempre pensato che gli dèi possano considerare gli umani solo come essere inferiori dei quali disporre a loro piacimento, vedendo questi ragazzi decide di giocarci un po’. Poveri cavalieri, anche il dio capriccioso devono trovarsi. ^_-
 
A presto!
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


XII





“Sono pronti, li porto qui,” disse Mu chiudendo gli occhi per concentrarsi.
 
Accompagnati da un leggero bagliore, Aldebaran, Death Mask, Shura e Aphrodite apparvero davanti ai loro compagni. I quattro Cavalieri si guardarono attorno stupefatti, osservando le montagne, l’altipiano sottostante e la strana luce rosata che filtrava dallo spesso strato di nuvole scure che copriva il cielo.
 
Un tuono ruppe improvvisamente il silenzio, seguito dalla voce metallica di Indra.
 
“Avete chiamato i rinforzi? Bravi, bravi… ” ridacchiò.
 
“Che cosa sta succedendo?” chiese Shura osservando i compagni seduti per terra con l’aria decisamente malconcia.
 
Shaka spiegò brevemente l’accaduto.
 
“Mhm… così adesso dovremmo combattere con lui?” mormorò Aldebaran meditando su ciò che aveva appena appreso.
 
“Nel mio braccio destro c’è la forza di Excalibur…” cominciò il Capricorno.
 
“Io fisicamente sono il più forte…” lo interruppe il Toro.
 
“No,” intervenne l’Ariete “il nostro avversario è una divinità, non possiamo far conto sulla forza fisica.”
 
“E tu cosa vorresti fare? Teletrasportarlo da un’altra parte?” lo canzonò il Cancro “I tuoi giochetti non sono riusciti neanche contro i guerrieri che hanno attaccato il Santuario…”
 
“Io posso generare scariche elettriche,” si intromise Aiolia “tra tutti noi sono quello che ha poteri più simili ai suoi!”
 
“E vorresti lasciassimo tutto nelle tue mani?” rispose Milo.
 
“Cavalieri!” Shaka prese la parola, per la prima volta il suo tono di voce sembrava leggermente spazientito “Per favore non abbiamo tempo per discutere. Mu… tu sei in grado di creare una tempesta e Aiolia può generare di fulmini, in effetti credo che voi due siate quelli con i poteri più adatti. Se riusciste a fare un attacco coordinandovi, noi potremmo supportarvi. Riusciremmo combattere quasi ad armi pari. Pensate di essere in grado di farlo?”
 
I due annuirono immediatamente senza neppure consultarsi.
 
Seguì un breve silenzio.
 
“Sì, è la cosa migliore da fare,” disse Camus.
 
Un altro tuono, questa volta più prolungato, confermò ai Cavalieri che il tempo a disposizione era ormai agli sgoccioli. Indra si stava stancando di aspettare.
 
Con un paio di balzi si arrampicarono agilmente lungo i due metri della parete di roccia che li separava dalla pianura dove il dio li stava aspettando.
 
“Oh, oh… avete chiamato i vostri compagni…” disse Indra vedendoli spuntare dal basso. “Mmmh … nove. Non dovreste essere dodici?” continuò “Mmmh… non importa, tanto non fa differenza…” e scoppiò in un’altra sonora risata.
 
I ragazzi avanzarono di qualche metro nella sua direzione e si fermarono l’uno accanto all’altro.
 
“Allora? Vi siete decisi ad attaccarmi? Vediamo se in nove riuscirete a farmi per lo meno il solletico.”
 
Mu e Aiolia si scambiarono un rapido sguardo di intesa e fecero alcuni passi avanti distanziandosi leggermente dagli altri.
 
Mu alzò le braccia sopra la testa, richiamò tutta la sua forza e materializzò sopra di sé una piccola galassia dalla quale prese meteoriti e polvere di stelle e le fece roteare creando una tempesta. Percepì accanto a sé l’elettricità prodotta da Aiolia, e il cosmo del Cavaliere bruciare quanto il suo.
Cercarono di coordinare il loro attacco, i cosmi dei due ragazzi ardevano già allo stesso modo, tempesta ed elettricità si mescolarono formando un’unica grande forza. La sentivano guizzare sopra le mani, viva e sempre più potente; il cosmo degli altri cavalieri si unì al loro aumentandone la vastità fino a portarla sull’orlo di un’esplosione.
 
Mu e Aiolia lanciarono quell’attacco assieme non appena lo sentirono raggiungere il limite oltre il quale ne avrebbero perso il controllo. Vento, meteore, luce, fulmini, la forza dei nove Cavalieri si abbatté su Indra.
 
Il dio venne colpito in pieno, indietreggiò di parecchi metri gridando, e faticò a non perdere l’equilibrio.
 
“Ah, allora siete davvero forti!! Bravi!” disse. Armeggiò in aria con le braccia, come per raccogliere i residui dell’attacco subito. Dopo pochi istanti un’altra tempesta di fulmini si era formata sopra di lui.
 
“Vi rimanderò indietro il vostro attacco, unito a un po’ della mia la forza… vediamo come ve la cavate!” gridò scagliandola contro i Cavalieri. La sua voce aveva un tono deciso ma divertito, stava davvero giocando con loro.
 
I ragazzi questa volta non si fecero cogliere di sorpresa; Mu alzò il Crystal Wall, dalla bocca di Shaka uscì un suono - Kaan che si tramutò in una barriera pronta a rinforzarlo, il ghiaccio di Camus consolidò quell’unione. Il cosmo dei tre giovani si intrecciò creando un’unica barriera.
 
Ma non fu abbastanza.
 
L’impatto distrusse quello scudo come fosse fatto di vetro. Mu e Aiolia, di qualche passo più avanti dei compagni, se lo sentirono crollare addosso. I nove Cavalieri vennero trascinati in alto da un fortissimo vento e sbattuti violentemente sul terreno, su di loro si abbatté poi la tempesta. Si trovarono avvolti da un tuonare assordante e vennero colpiti dalle meteore e la polvere di stelle evocate da Mu, dalle scariche elettriche prodotte da Aiolia, dalla forza che loro stessi avevano usato nel loro attacco e da quella aggiunta dal dio.
 
Mu sentì il corpo bruciare dal dolore e, per la prima volta, percepì la sofferenza della propria armatura. Sembrava gridare aiuto, come non fosse più in grado di proteggerlo e nemmeno di sopravvivere lei stessa. Sentì la sua vita affievolirsi a poco a poco; quella che per lui era stata come una seconda pelle, stava morendo.
 
Calò improvviso il silenzio. La tempesta era terminata. I ragazzi, storditi e doloranti cercarono di rialzarsi.
 
Indra era ancora in piedi dall’altra parte della piccola pianura.
 
L’Ariete si mise a sedere con grande fatica e guardò la propria armatura, aveva un colore spento, quasi grigio e la sua superficie era piena di crepe. Non percepiva alcuna traccia di vita in essa. Provò a toccarla, questa si sbriciolò sotto le sue dita. Sentì una morsa stringere lo stomaco. La Sacra Armatura dell’Ariete, affidatagli dal suo Maestro, era distrutta. Morta.
 
Si guardò attorno, anche quella di Aiolia era nelle stesse condizioni, le altre invece sembravano ancora intatte. Probabilmente, essendo stati alcuni passi più avanti dei compagni, erano stati colpiti per primi e avevano assorbito gran parte dell’impatto. Le Armature li avevano protetti fino all’ultimo.
 
Il Leone si era appena messo a sedere e guardava con aria interrogativa la sua corazza distrutta.
 
“Siete ancora vivi?” ridacchiò ancora il dio, “bene, adesso assaggerete la mia vera forza.”
 
I Cavalieri lo videro alzare nuovamente le braccia sopra la testa e richiamare un’enorme tempesta, molto più grande delle precedenti.
 
L’Ariete cercò di richiamare a sé le forze per creare un'altra barriera, ma non vi riuscì. Era stremato. Anche gli altri ragazzi, alcuni ancora tramortiti, non erano in grado di difendersi. Guardò la tempesta volteggiare sopra Indra pronto a vederla partire. Questa volta non sarebbero sopravvissuti.
 
 
Invece…
 
Preceduta da un battito di ali, una luce bianca e accecante illuminò improvvisamente il cielo. Avvolta in essa apparve quella che sembrava una figura femminile.
Cercando di ripararsi gli occhi con le mani, attraverso le palpebre socchiuse, Mu intravide appena la forma del corpo, aveva lunghi capelli e abito bianco, teneva le braccia aperte come in loro protezione. La luce era troppo forte, dovette distogliere subito lo sguardo. Quella figura emanava un cosmo forte, caldo, quasi materno.
 
Lo percepì solo per un breve momento, poi lo sentì lasciare il posto ad un altro cosmo, anzi no… erano due! Diversi dal precedente ma ugualmente luminosi; un’aura cremisi e una dorata, caldi e forti come il fuoco e la luce del sole. Cosa stava succedendo? Chi era accorso in loro aiuto?
 
 
 
***
 
 
 
“Signor Kido! Corra, la prego!” la voce concitata dalla cameriera lo distolse dal suo lavoro. “La signorina Saori ha avuto un malore! Tatsumi è rimasto con lei.”
 
Saori era stesa sull’erba, le braccia aperte, gli occhi spalancati verso il cielo, lo sguardo vitreo perso nel vuoto.
 
Il fedele maggiordomo le era inginocchiato accanto e continuava chiamare il suo nome.
 
“Signor Kido, chiamo un dottore!?” esclamò Tatsumi.
 
“No, aspetta un momento,” rispose il vecchio. C’era qualcosa di strano, attorno alla bambina, come un’aura candida leggermente luminosa.
 
“Vedi anche tu questa luce?”
 
“Sì…” mormorò il maggiordomo che solo in quel momento si accorgeva di quel bagliore che, in preda alla paura, non aveva notato.
 
Saori chiuse lentamente gli occhi poi, altrettanto lentamente, li riaprì.
 
“I miei cavalieri... Sono in salvo...” mormorò come stesse parlando a sé stessa “Qualcun altro si sta prendendo cura si loro...” La voce che udivano non era la sua, pur avendo lo stesso timbro sembrava più adulta e pacata. Anche lo sguardo era diverso da prima, come se ci fosse un’altra persona dietro le sue iridi.
 
I due uomini si guardarono increduli. La dea si stava davvero risvegliando in lei?
 
Saori chiuse gli occhi. Dopo un momento li riaprì di scatto e si mise a sedere, guardando con aria interrogativa il nonno e il maggiordomo inginocchiati accanto a lei.
 
“Che c’è? Mi sono addormentata sull’erba?” disse strofinandosi gli occhi.
 
“Pare di sì,” rispose Kido aiutandola a rialzarsi, sollevato dal vedere che non ricordava niente dell’accaduto. “Che ne dici di andare a fare merenda?”
 
La bimba annuì e corse all’interno della villa.
 
“Sembrava quasi in uno stato di trance,” azzardò Tatsumi.
 
“Già,” disse il vecchio “ha detto che i suoi cavalieri erano al sicuro. E poi non era la sua voce quella, sembrava di una donna adulta. E quello sguardo…” Un sorriso si allargava sulle sue labbra. Sì, allora Saori forse era davvero la reincarnazione di Athena, come aveva detto quel giovane tanti anni fa…
 
 
 
***
 
 
 
“Ti diverti a fare il bullo con i mortali, fratello?” disse una voce dal timbro caldo e profondo.
 
“Voglio solo divertirmi un po’. Sono stato svegliato senza motivo.” Rispose Indra. Le braccia ancora tese in alto, mentre la tempesta continuava a girare vorticosamente sopra di lui, pronta ad essere lanciata contro gli avversari.
 
“Non è questo il nostro compito, lo sai bene amico mio,” aggiunse una seconda voce.
 
“Oh, finitela...”
 
I Cavalieri, che cautamente iniziavano ad alzarsi da terra, ascoltavano confusi quelle voci delle quali non capivano la natura... Nel cielo erano apparse un’aura cremisi e una dorata, sembrava che le voci provenissero da esse. Ma a chi appartenevano?
 
“Hai sempre questo caratteraccio…” continuò la prima voce, “ma te la stai prendendo con i cavalieri di Athena, che è stata nostra alleata. Due di loro non hanno neppure l’armatura…”
 
“Non è colpa mia se sono così fragili…”
 
“Però così non vale…” disse la seconda voce.
 
Indra sbuffò.
 
“Va bene, ve bene,” rispose la prima voce con tono divertito “finisci la tua sfida, ma poi torniamo a dormire, non era ancora il momento di svegliarci.”
 
Un bagliore cremisi apparve davanti a Mu.
 
“Ariete,” continuò la prima voce mentre il giovane sobbalzava, “indossa la mia armatura. Ti proteggerà nel segno del fuoco.”
 
“Co… cosa?” si lasciò sfuggire il ragazzo, guardando la strana corazza che si era materializzata davanti a lui. Dalla forma sembrava fatta per essere indossata da un uomo con quattro braccia e due teste. La superficie, lucidissima, riportava i colori brillanti del fuoco. L’armatura si posò delicatamente sul suo corpo aggiustandosi nella forma; i due bracciali in più si appiattirono lungo i fianchi confondendosi con le decorazioni, i due elmi si fusero in uno solo. Quel contatto gli diede una sensazione inaspettata, percepì in essa una forza familiare. Anche quell’armatura era viva, impregnata di un cosmo che ardeva nel profondo.
 
“Chi siete?” chiese quasi con timore.
 
“Io sono Agni, dio del fuoco e lui è Surya, dio del sole,” rispose la prima voce, che in qualche modo doveva voler indicare la seconda “mio fratello Indra si è svegliato di pessimo umore, con lui non c’è niente da fare.” Parlava ancora con tono divertito, per niente preoccupato.
 
Agni, il dio del fuoco! Sì, era il potere del fuoco quello che aveva sentito nell’armatura; l’elemento dal quale traeva forza anche la costellazione dell’Ariete.  Posò le mani sul pettorale come per assaporare quel calore.
 
 
“Leone, tu indossa la mia. Ti proteggerà nel segno del sole,” disse la voce di Surya.
 
Un’altra armatura apparve davanti ad Aiolia. Dorata e lucida, pareva contenere davvero la luce del sole. Si adattò immediatamente al corpo del Leone che la accettò guardandola stupefatto.
 
“Bene,” disse Agni “adesso siete in grado di combattere con lui. Buona fortuna.”
 
Indra scoppiò nella sua solita fragorosa risata.
 
“Pensate che li aiuteranno tanto le vostre armature? Sono dei semplici mortali!”
 
Senza perdere altro tempo fece roteare ancora la tempesta sopra le sue mani e protese le braccia in avanti lanciandola verso i Cavalieri.
 
 
In una frazione di secondo un muro di protezione si alzò davanti ai ragazzi. Questa volta non era il semplice Crystal Wall creato da Mu, ma una solida barriera costruita da lui e rinforzata dal cosmo di tutti i Cavalieri assieme. Era bastato un momento e avevano coordinato le loro forze ottenendo quel risultato; i nove giovani avevano finalmente lasciato da parte i loro screzi e le loro insicurezze per agire tutti assieme, dando ognuno il massimo che potesse dare.
 
Il muro resse all’impatto, la tempesta di fulmini di Indra non riuscì a distruggerlo ma continuò a spingere sulla sua superficie. I ragazzi reagirono bruciando il cosmo con tutta la forza di cui erano capaci, questo fu appena sufficiente a fermare quell’attacco ma non a respingerlo. Si trovarono subito in una fase di stallo, la tempesta che spingeva sulla superficie del loro scudo e loro dall’altra parte a sostenerlo, senza cedere ma nemmeno riuscire a contrattaccare.
 
Mu cercò aiuto nella nuova armatura, della quale cominciava a prendere coscienza. Il giovane sentì amplificare la propria forza e per un momento ne ebbe quasi paura, ben conscio di aver a che fare con un potere più grande di quello a cui era abituato.
 
Voltò il viso verso Aiolia, cercando il suo sguardo. Lesse nei suoi occhi lo stesso tumulto che stava accadendo in lui. L’armatura di Surya, dio del sole, gli stava conferendo una nuova forza inaspettata.
 
Forza. Potere. Esaltazione. Paura. Un equilibrio fragilissimo che poteva spezzarsi in qualsiasi momento.
 
“Ce la faremo!” ringhiò tra i denti il Leone.
 
L’Ariete chiuse gli occhi e diede fondo a quella nuova energia, diviso tra l’euforia e il timore di perdervisi nel mezzo. Percepì la forza di Aiolia come complementare alla sua, i loro cosmi erano entrati completamente in risonanza l’uno con l’altro. Il potere del fuoco e quello del sole si univano in una sola cosa.
 
 
 
***
 
 
 
Quando i quattro ragazzini raggiunsero il villaggio trovarono gli abitanti che, radunatisi tutti assieme, guardavano verso la montagna.
 
Le persone erano spaventate; avevano udito il boato dei tuoni e visto cadere fulmini talmente violenti da sbriciolare la parete di roccia. Poi c’era stata una specie di tempesta e subito dopo si erano accorti di alcune persone sulla piccola pianura vicino alla cima. Qualcuno, la stessa entità che stava distruggendo la montagna, lanciava delle sfere luminose che sembravano fatte di fulmini contro di loro. E poi c’erano stati ancora quei terribili tuoni…
 
“Ormai è mattino inoltrato ma c’è pochissima luce…” commentava qualcuno.
 
“È a causa di queste nuvole…”
 
“C’è qualcosa lassù che vuole distruggere tutto…!”
 
 
“Malika! Grazie al cielo sei qui!” gridò una donna avvicinandosi ad abbracciarla.
 
“Mamma!” rispose la ragazzina. “Non preoccuparti, stiamo bene.”
 
“Eravate sulla montagna? Avete visto cosa succede?” chiese un uomo accanto a loro.
 
“Chi sono le persone che stanno combattendo?” incalzò un altro.
 
“Sono… persone che ci stanno aiutando,” rispose dopo qualche istante Dimitri. Né lui né gli altri avevano raccontato a nessuno della morte del maestro, e il ragazzino non aveva intenzione di spiegare in quel momento come stessero le cose.
 
Uomini e donne si erano affollati attorno a loro e la sua riposta fu udita da tutti.
 
“Quelle persone stanno difendendo la montagna!” disse qualcuno.
 
Tutti tacquero per qualche minuto osservando cosa stava accadendo. Si vedeva chiaramente che una sfera luminosa lanciata da quell’entità era rimasta a fluttuare nell’aria, come se quelle persone fossero riuscite a bloccarla in quel modo, ma non ancora a respingerla.
 
“Stanno combattendo anche per noi! Come possiamo aiutarli?” chiese un uomo.
 
La madre di Malika si inginocchiò e congiunse le mani. “Preghiamo per loro,” disse, “è l’unico modo in cui possiamo aiutare.”
 
Malika strinse i denti.
 
Stai pregando per quelli che hanno ucciso tuo figlio…
 
Dimitri le posò una mano sulla spalla.
 
“Anche a me non piacciono” sussurrò “ma adesso sono gli unici che possono fare qualcosa per noi.”
 
La ragazzina rimase in silenzio guardando per terra. Altre persone accanto a loro si inginocchiarono a pregare.
 
 
 
***
 
 
 
I Cavalieri stavano dando fondo alla loro forza; in piedi l’uno accanto all’altro, le mani portese in avanti, consumavano il loro cosmo per contrastare la tempesta che Indra aveva scagliato contro di loro. Erano al limite, non erano in grado di fare più di così. Aiola e Mu cercarono ulteriore aiuto nelle nuove armature, ma non ottennero altro. Quelle vestigia potevano offrire loro più protezione e veicolare meglio i loro poteri, ma potevano conferire loro solo la forza che erano in grado di gestire. I ragazzi sentivano i loro corpi cedere lentamente allo sforzo. La tempesta spingeva per avvicinarsi a loro.
 
Ma proprio nel momento in cui temevano di non farcela, sentirono delle nuove forze unirsi alle loro. Da dove venivano? Chi li stava aiutando ancora?
 
Riconobbero il cosmo dei quattro ragazzini allievi di Jaman. Li stavano certamente osservando dal loro villaggio, e stavano cercando di aiutarli come potevano.
 
Piano piano si aggiunsero altre forze di cui non riuscirono a capire la natura, non sembravano nascere da un cosmo ma veicolavano un grande potere.
 
“Sono preghiere,” disse Shaka, la voce rotta dallo sforzo “gli abitanti dei villaggi qui attorno ci stanno supportando pregando per noi.”
 
Non erano solo gli abitanti del villaggio degli allievi di Jaman, ma di tutti quelli sparsi per l’Altipiano che, assistendo da lontano, mandavano il loro aiuto. Quella sfera luminosa doveva essere visibile a chilometri di distanza, e anche i tuoni precedenti dovevano essersi sentiti in lontananza. I Cavalieri si resero conto in quel momento che centinaia di persone avevano seguito da lontano il loro combattimento e, anche se probabilmente non erano stati in grado di capirne esattamente le dinamiche, parteggiavano per quel qualcuno che cercava di contrastare la divinità che sembrava voler distruggere la montagna.
 
Quell’aiuto rincuorò i Cavalieri, sentirono quella forza rinnovata scorrere dentro e attorno a loro e da essa attinsero per reagire.
 
Tutti assieme, riuscirono finalmente a respingere la tempesta, l’enorme sfera di lampi e di luce tornò al mittente colpendo il corpo di nuvole di Indra che si dissolse completamente. Caddero in avanti, chi in ginocchio e chi disteso sul terreno, sfiniti.
 
La voce metallica di Indra si fece sentire di nuovo.
 
“Bravi, ce l’avete fatta. Con un po’ di aiuto… ma ce l’avete fatta.” E scoppiò in un’altra risata.
 
“Adesso mi sono divertito abbastanza, posso anche tornare a dormire,” aggiunse.
 
“E per fortuna…” rispose la voce calda di Agni, con un tono palesemente canzonatorio.
 
Le armature addosso a Mu e Aiolia si illuminarono per un momento prima di sparire. I due ragazzi si rialzarono con grande fatica.
 
“È stato un piacere rincontrarvi dopo tanto tempo, Cavalieri di Athena,” disse Agni.
 
“Ci… ci siamo già incontrati?” chiese Mu.
 
“Sì, forse un migliaio di anni fa. Ma immagino che la vostra mente mortale non possa conservare questi ricordi.”
 
Un intenso bagliore si sprigionò dalla piccola borsa che Shaka portava legata in vita.
 
“Questa è meglio se la prendiamo noi,” aggiunse il dio del fuoco.
 
“La collana!” esclamò la Vergine posando la mano sulla borsa vuota.
 
“L’hanno presa?” chiese Milo, pur sapendo perfettamente quale sarebbe stata la risposta.
 
In quel momento le nuvole si diradarono completamente lasciando il posto al sole e al cielo azzurrissimo attorno a esso.
 
“Sono andati via così?” la voce di Aiolia suonava incredula, ma allo stesso tempo sollevata.
 
“Sembra di sì…” commentò Camus.
 
“Voleva davvero soltanto divertirsi?” intervenne Milo “Ha combattuto con noi…. per sgranchirsi un po’… e poi è tornato a dormire?”
 
“Gli dèi sono superiori a noi mortali, molti di loro ci vedono come esseri privi di valore,” rispose Shaka “lui ha riconosciuto la nostra forza e ha pensato fossimo all’altezza per lo meno di divertirlo.”
 
“Abbiamo rischiato la vita per una cosa del genere?” sospirò Death Mask grattandosi la testa.
 
Si erano sentiti forti a resistere alla forza di un dio, e anche fieri di essere finalmente riusciti a capire cosa significasse combattere assieme. Senza di loro, forse Indra avrebbe davvero distrutto la montagna. Forse sarebbero morte delle persone. Non potevano dire di non aver fatto il loro dovere.
 
Indra aveva ucciso Jaman senza esitazione, poiché si era impossessato della sua armatura e soprattutto si era rifiutato di restituirla. Aveva però ignorato i suoi piccoli seguaci. Forse non li aveva ritenuti degni di importanza, anche se indossavano le armature dei suoi guerrieri. O forse non aveva percepito alcun male in loro e li aveva risparmiati. No. Molto più probabilmente, non li aveva trovati abbastanza interessanti. Era stata la telecinesi di Mu ad attirare la sua attenzione, quando si era accorto della forza dei Cavalieri aveva deciso di intrattenersi con loro.

Indra non li aveva sfidati a batterlo, bensì a colpirlo abbastanza forte. Aveva giocato con loro come di solito si fa con i bambini, ovviamente senza preoccuparsi della loro incolumità. Non lo avevano sconfitto; semplicemente lui si era stancato di giocare.
 
L’atteggiamento del dio li aveva fatti sentire infinitamente piccoli. Aver rischiato la vita per un suo capriccio momentaneo era frustrante.
 
Seguì un lungo silenzio in cui tutti cercarono di scuotersi dallo stato confusionale in cui erano piombati.
 
 
Mu rimase qualche minuto a fissare la profondità del cielo. Era ancora stordito dall’accaduto, stanco per il combattimento e confuso dalle parole di Agni. Sì, un migliaio di anni fa.
 
“Tutto bene?” chiese Aldebaran avvicinandosi a lui.
 
“Sì. Pensavo ad Agni e Surya che ci hanno aiutati.”
 
“Nei sacri testi dei Veda la costellazione dell’Ariete è collegata ad Agni, il dio del fuoco,” spiegò Shaka “quella del Leone è invece collegata a Surya, il dio del sole. Non è strano che ci sia un legame tra voi.”
 
“Hanno detto che ci siamo già incontrati…” disse allora Mu “Noi siamo la reincarnazione dei primi guerrieri che Athena scelse per stare al suo fianco, deve essere successo in qualcuna delle nostre vite precedenti. Agni ha parlato di Athena come un’alleata, devono aver combattuto assieme in qualche occasione e probabilmente noi ci siamo battuti fianco a fianco con i loro cavalieri.”
 
“Sì, deve essere per forza così,” rispose la Vergine “anche se nella nostra memoria non riusciamo a leggere i ricordi delle nostre vite passate, questi rimangono scritti nella nostra anima. Li porteremo dentro di noi per l’eternità.”
 
Mu annuì, e tornò a guardare il cielo. Sì, era così e lo aveva sempre saputo. Ma solo adesso ne era divenuto veramente consapevole.
 
Aiolia si era già inginocchiato sul terreno per raccogliere ciò che restava dell’armatura del Leone, Mu gli si avvicinò radunando i pezzi della sua. Quei frammenti di metallo ingrigito sembravano semplici rottami, erano freddi e senza più nessuna traccia di vita. Eppure, fino a pochi minuti prima vi dimorava un cosmo vivo e forte, nato dalla scintilla di vita che vi aveva immesso Athena migliaia di anni prima, una sorta di anima che era sempre stata accanto a loro, arrivando a sacrificarsi per proteggerli. Il vuoto rimasto al suo posto era talmente grande da essere quasi tangibile.
Lasciarono cadere quei resti metallici all’interno dei rispettivi scrigni, anche questi sembravano aver perso anch’essi buona parte della loro lucentezza.
 
“Appena rientrati le riparerò tutte e due,” disse Mu “torneranno come nuove.”
 
“Grazie,” rispose grato Aiolia. Per quanto si sforzasse di sorridere, si vedeva quanto fosse provato da quell’esperienza, per un Cavaliere di Athena l’armatura era come una seconda pelle, vederla distrutta era come aver perso una parte di sé stessi.
 
Anche Mu si sentiva un po’ in colpa per quello che era accaduto, come non fosse stato in grado di custodire adeguatamente l’armatura affidatagli dal Maestro.
 
 
 
Improvvisamente i Cavalieri sentirono il terreno tremare sotto i piedi, a poche centinaia di metri da loro le crepe causate da uno dei fulmini di Indra si allargarono e la parete di roccia cedette franando.
 
“Che succede ancora?” gridò Milo.
 
“Credo sia una sorta di assestamento della montagna, dopo i crolli che ci sono stati,” rispose Camus.
 
Dalla ferita nella pietra cominciò a uscire dell’acqua che, scivolando lungo la parete di roccia, scese verso l’altopiano. Dopo pochi minuti, raggiunse il ruscello che scorreva verso il villaggio facendone quasi raddoppiare la portata.
 
“Non ci posso credere…” mormorò lo Scorpione guardando il corso d’acqua ingrossarsi lentamente man mano che si avvicinava al villaggio. “Alla fine in qualche modo ci sono riusciti.”
 
“Già,” aggiunse Camus “non potranno farci grandi cose, ma non avranno più problemi di acqua.”
 
I ragazzi si ritrovarono a sorridere, tutta quella storia almeno un risvolto positivo lo aveva avuto.
 
“Credo che adesso dovremmo scendere al villaggio,” disse Shaka “Dimitri e gli altri forse vorranno qualche spiegazione.”






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Angolo di quella che scrive:



Rieccomi. I nostri eroi ne hanno prese un po’, ma alla fine se la sono cavata bene. E soprattutto hanno imparato a combattere tutti assieme lasciando da parte screzi e rivalità come dei veri Cavalieri dovrebbero fare. Non sono ancora in grado di fronteggiare un dio, ma per fortuna Indra aveva solo voglia di divertirsi un po’. ^__-
 
Un piccolo appunto. Agni riconosce il cosmo del Cavaliere dell’Ariete, visto che in passato ha conosciuto Athena e i suoi Cavalieri. Essendo lui un dio, ho immaginato potesse riconoscere un’anima anche dopo ogni sua reincarnazione. Sappiamo che i Cavalieri di Athena si rincarnano ogni duecento anni circa e che ogni cavaliere dovrebbe essere la reincarnazione di quello della generazione precedente… Kurumada si è preso però una “licenza poetica” nel caso di Mu e Shion, entrambi Cavalieri dell’Ariete; essendo questi allievo e maestro, non possono essere l’uno la reincarnazione dell’altro. Essendo un problema creato dall’autore, non ho intenzione di risolverlo io, quindi lasciamo stare tutto così che va bene lo stesso. XD Immaginiamo che ci siano due anime legate alla costellazione dell’Ariete che si danno il turno nei secoli e andiamo via lisci. :P
( Non vi nascondo di essermi immaginata anche potesse essere un’anima divisa in due, vedrete che prima o poi ci scriverò qualcosa. ;) )
 
Grazie a chi è arrivato a leggere fino a qui, questi ultimi aggiornamenti sono stati davvero molto lenti. Sono veramente felice di vedere che ci sono ancora tante persone che seguono questa storia. <3
 
A presto!!!




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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


XIII

 
 
 
 
“Quindi fatemi capire,” ricapitolò Death Mask grattandosi la testa “avete scoperto di essere stati attirati da un cavaliere mezzo pazzo che ha irretito dei ragazzini, promettendo loro di svegliare un antico dio per… irrigare questa zona?”
 
“Sì, più o meno è andata così,” sospirò Milo.
 
“E alla fine a svegliarlo ci sono riusciti davvero,” continuò il Cancro “e per poco non ci ammazzava tutti e siamo stati salvati da altri due dèi, mai sentiti prima, che si sono svegliati per l’occasione e se ne sono tornati a dormire subito dopo. Fregandosi la collana.”
 
“Diciamo che raccontato così non sembra molto credibile,” rispose Shaka con tono leggermente seccato, “ma oggettivamente è quello che è successo.”
 
I Cavalieri continuarono a camminare in silenzio lungo la strada che scendeva sinuosa lungo la parete della montagna.
 
“Forse la situazione non è del tutto negativa,” disse poco dopo Aldebaran “la gemma è tornata nella sua collana addosso a Indra, e adesso è nascosta chissà dove tra le montagne più alte del mondo. In via teorica sarà piuttosto difficile che cada in mani sbagliate. Almeno questo tranquillizzerà il Sommo Sacerdote.”
 
“Sì, forse hai ragione,” convenne Mu, anche se non troppo convinto. In realtà nessuno di loro aveva capito il motivo per cui i Sommo Sacerdote volesse quella collana. Inoltre, non faceva parte delle reliquie di proprietà del Santuario e appropriarsene non sarebbe stato molto corretto. Probabilmente era un pensiero che aveva toccato anche gli altri Cavalieri, ma nessuno al Santuario aveva l’abitudine di discutere gli ordini del Sommo.
 
 
 
I tre giovani allievi di Jaman li aspettavano ai piedi della montagna, dove la strada raggiugeva la pianura.
 
“Grazie per aver salvato il villaggio,” disse Dimitri appena i Cavalieri li raggiunsero.
 
“Ma… Se ne è andato davvero?” domandò Abaji.
 
“Sì, non dovete più preoccuparvi,” sorrise Aiolia.
 
Seguì qualche momento di imbarazzato silenzio.
 
“Malika sta bene?” chiese ad un tratto Mu, non vedendola assieme ai compagni.
 
“Sì. È nella sua yurta con la madre,” rispose Dimitri “non è voluta venire a salutarvi… In ogni caso, vi è grata anche lei per averci aiutati.”
 
A qualche centinaio di metri da loro l’acqua che sgorgava dal crepaccio creatosi poco prima scendeva velocemente lungo la parete rocciosa e si riversava sulla pianura fino a raggiungere il ruscello già esistente. Il letto del piccolo corso d’acqua non aveva la portata sufficiente per accoglierne di nuova, e questa si stava spandendo lungo l’Altipiano. In lontananza si udirono delle grida, alcuni uomini cercavano di coordinarsi tra loro per scavare il terreno su più punti per gestire quella nuova quantità d’acqua che stava trasformando il ruscello in un vero e proprio fiume.
 
“Da dove arriva quest’acqua?” domandò Dimitri.
 
“È uscita da una crepa della roccia poco dopo la fine del combattimento,” rispose Mu.
 
“Una crepa?” chiese timidamente Abaj.
 
“Sì, una delle tante che si sono aperte a causa dei fulmini di Indra.”
 
“Davvero?” una luce di speranza attraversò per un momento gli occhi del ragazzino “Indra ha creato la crepa da dove adesso esce acqua? Forse il maestro non ci ha mentito su tutto…”
 
Dimitri gli mise una mano sulla spalla guardandolo con aria malinconica.
 
Abaj abbassò lo sguardo sul terreno davanti a lui.
 
 
“Vi servirà aiuto?” chiese Aiolia osservando le persone che scavavano in lontananza.
 
“No, no davvero...” si affrettò a rispondere Dimitri, “la pianura è vasta e l’acqua si può spargere senza creare problemi a nessuno. Non c’è nessun pericolo, ci vorrà solo un po’ di tempo per scavare il nuovo letto del fiume.”
 
“So che meritate un ringraziamento” aggiunse poco dopo con aria imbarazzata “Ma… in questo momento il villaggio non è in grado di accogliervi, c’è molto trambusto per questa storia dell’acqua improvvisa e…”
 
“E se si scoprisse che veniamo dal Santuario di Athena sarebbe un problema,” continuò Mu.
 
Il ragazzino arrossì leggermente.
 
“Non abbiamo avuto il tempo di raccontare cosa è accaduto ieri al Maestro… e… tutta la situazione.”
 
“Non preoccuparti, avrete tempo per farlo,” disse comprensivo l’Ariete.
 
I tre guerrieri che erano morti solo pochi giorni prima nel tentativo di assaltare il Santuario provenivano da questo villaggio; nessuno avrebbe accolto con calore i cavalieri di Athena, nemmeno in quelle circostanze.
Avevano salvato il villaggio dall’ira di Indra, avevano salvato la montagna, ma allo stesso tempo erano i nemici che avevano ucciso tre dei loro ragazzi.
 
“State tranquilli,” li rassicurò Aiolia immediatamente dopo.
 
L’Ariete si voltò verso di lui incrociando per un momento il suo sguardo. Ebbe la sensazione di leggervi i suoi stessi pensieri. Erano stati dispiaciuti fin da subito della morte di quei tre guerrieri, ma l’avevano trattata con freddezza. Ora nei loro cuori si stava agitando qualcosa, come se si fossero resi conto solo in quel momento che i tre guerrieri non erano soltanto dei nemici che avevano minacciato il Santuario, ma delle persone reali.
Uno era il fratello di Malika, gli altri erano figli di persone che abitavano in quel luogo, le stesse persone che ora scavavano di buona lena il letto del ruscello a poche centinaia di metri da loro, le stesse che avevano pregato per la loro incolumità durante la battaglia. E non erano certo diverse da quelle che abitavano nel villaggio di Aimira, che li avevano accolti con il calore che si riserva per gli amici più stretti. Per la prima volta i Cavalieri si sentirono in colpa per quella situazione, come se il non essere riusciti a impedire la morte dei tre guerrieri fosse stata una loro mancanza.
Jaman aveva convinto quei ragazzi che combattere fosse l’unico mezzo per recuperare la giada, e loro non avevano neppure provato a comunicare. Ma forse anche i Cavalieri di Athena avevano agito con troppo zelo. Errori erano stati fatti da entrambe le parti.
 
Dopo qualche altra frase di circostanza, i ragazzini ringraziarono ancora e si congedarono. Sembravano aver fretta di andarsene e togliersi da quella situazione per loro difficile.
 
I Cavalieri rimasero a guardarli mentre si allontanavano lungo la pianura.
 
In poche ore la loro vita era stata sconvolta. L’uomo nel quale avevano riposto tutta la loro fiducia si era rivelato un impostore e con il suo comportamento aveva rischiato di distruggere tutto ciò che avevano. Avrebbero impiegato molto tempo per accettare quella situazione. Che ne sarebbe stato di loro?
 
 
“Non dobbiamo preoccuparci per loro, troveranno la loro strada,” Sentenziò Shaka, come avesse letto il pensiero degli altri.
 
 
“Bene” disse Milo poco dopo, “penso sia giunto il momento di andarcene.”
 
“Sì, allontaniamoci senza dare nell’occhio, prima che si accorgano di noi.”
 
Gli abitanti del villaggio, in realtà, erano troppo occupati nel loro lavoro per notare il piccolo gruppo di persone che si era radunata all’inizio del pendio. Continuarono i loro scavi senza accorgersi dei Cavalieri.
 
I nove ragazzi si incamminarono nella direzione opposta al centro abitato, lungo la strada che si snodava lungo l’altopiano.
 
 
 
Mu si accorse che Aphrodite non si era ancora unito al gruppo, ma era rimasto indietro a osservare la lontano le persone intente nell’arginare la piccola inondazione.
 
“Cosa guardi?” gli chiese avvicinandosi.
 
“Guardo gli abitanti di questo luogo,” rispose il Cavaliere dei Pesci “gli uomini che lavorano tutti assieme, i bambini che sguazzano nell’acqua e si rincorrono. E quelle donne laggiù, che cercano di trascinare via gli animali che invece hanno deciso di bere e stare con le zampe a mollo. Hanno passato dei momenti di paura, ma adesso sono tranquilli.
 
“La vedi, la bellezza del sorriso di quei bambini? La serenità tornata sul volto di questa gente? Pensi ci possa essere qualcosa di più bello e prezioso? È per questo che voglio combattere. In momenti come questo sono fiero di ciò che sono, di ciò che siamo tutti noi.
 
“Voglio vivere per questa bellezza. La voglio proteggere, ed è solo con la forza che posso farlo.”
 
“Ho riflettuto sul nostro discorso dell’altro giorno,” aggiunse poco dopo voltandosi a guardarlo “non credo di essere dalla parte del torto. Dov’è Athena? Dov’era quando era il momento di aiutarci a proteggere noi stessi e gli abitanti di questo villaggio?”
 
Lo guardava da dietro i suoi grandi occhi turchesi che sembravano brillare illuminati dall’orgoglio.
 
In quel momento, Mu ricordò quella figura femminile avvolta dalla luce che aveva intravisto, per un attimo, prima dell’arrivo di Agni e Surya. Dopo tutte quelle emozioni se ne era quasi dimenticato. Quel cosmo così caldo e forte…? Lo aveva sentito davvero o lo aveva immaginato? Non ne era più sicuro. Era accaduto tutto troppo in fretta. Si trattava di un ricordo troppo confuso, non avrebbe avuto senso parlarne adesso.
 
“Se un giorno Athena si manifesterà,” continuò Aphrodite “mi dovrà dimostrare il suo valore. Solo allora avrà la mia obbedienza. Non posso giurare fedeltà a qualcuno in cui non ho fiducia. Sarebbe come tradire me stesso e tutte queste persone.”
 
“Capisco,” si limitò a dire Mu. Aveva compreso quello stato d’animo ma non lo poteva approvare. Un Cavaliere di Athena non avrebbe dovuto nemmeno pensare una cosa del genere. Ma Aphrodite non era veramente devoto alla dea, preferiva seguire il più forte anche se, almeno apparentemente, per un giusto fine. Ci sono davvero strade così diverse che portano alla giustizia? No, non poteva accettare un punto di vista simile.
 
 
 
I Cavalieri continuarono a camminare lungo la pianura fino a quando non si furono allontanati a sufficienza dalla zona abitata. Dopo una rapida consultazione decisero che Aldebaran, Aphrodite, Shura e Death Mask sarebbero stati teletrasportati da Mu direttamente al Santuario, mentre gli altri sarebbero tornati ad Aralsk per prendere un aereo per la Grecia, in modo da uscire dal Paese senza destare sospetti nelle autorità e creare problemi ai loro collaboratori.
 
 
Anche questa volta, Erkut e Aleksandra avevano cercato di raggiungerli a bordo del fuoristrada, li avevano intercettati mentre camminavano lungo l’Altipiano e trasportati al villaggio di Aimira.
 
Qui le persone stavano ancora parlando animatamente dell’accaduto; avevano seguito da lontano uno strano scontro avvenuto su una delle montagne più alte, avevano visto dei fulmini e una strana sfera di luce. Realizzato che qualche strano essere stava cercando di distruggere la montagna, avevano pregato per supportare chi la stava difendendo. Ad un certo punto quella strana battaglia si era fermata, la montagna era ancora lì quindi probabilmente era andato tutto per il meglio e quello era sufficiente per renderli sereni. Quel luogo era troppo distante perché si rendessero del cambiamento del corso d’acqua.
 
I Cavalieri ascoltavano in silenzio quei discorsi osservando le persone, nei loro occhi leggevano sentimenti sinceri, dopo i momenti di preoccupazione per quella strano fenomeno visto sulla montagna, stava tornando la tranquillità.
 
Aimira li invitò a entrare nella sua yurta e offrì loro latte e pane caldo, mentre cucinava qualcosa di più consistente. Seduti su morbidi cuscini, confortati da quel ristoro, i Cavalieri riflettevano sulla situazione.
 
Anche gli abitanti di quel villaggio avevano pregato per loro, era anche grazie alla forza delle loro preghiere che ce l’avevano fatta.
Non potevano non essere riconoscenti verso quelle persone che, pur non conoscendoli, avevano pregato per la loro incolumità. Avevano visto che qualcuno era in pericolo, e quello era bastato perché si preoccupassero. Se si può aiutare qualcuno, non è necessaria una motivazione per farlo. Quegli uomini non erano maestri d’arme o cavalieri, ma semplici pastori; eppure, con grande garbo, avevano impartito loro una sublime lezione.
 
I pensieri di Mu furono interrotti dalla voce di Aiolia.
 
“Ma che roba è?” sussurrò il Leone a denti stretti, per non farsi sentire da Aimira che lavorava sull’altro lato della tenda. “Sembra alcolico…”
 
“È dannatamente amaro…” aggiunse sottovoce Milo, cercando di nascondere una smorfia schifata.
 
“È latte di cammella,” rispose impassibile Camus “è il suo sapore normale.”
 
Aiolia e Milo si guardarono l’un l’altro con un’aria piuttosto sconsolata e poi, con un sorriso sforzato, buttarono giù ciò che rimaneva di quella strana bevanda.
 
Mu nascose il viso nella sua tazza per non scoppiare a ridere. Quei due erano davvero uguali…
 
 
 
All’alba del giorno dopo, a bordo del fuoristrada, incominciava il viaggio di ritorno. Mu, dal finestrino, guardava le yurte del villaggio allontanarsi lentamente man mano che il veicolo scendeva verso il deserto.
L’esperienza che avevano vissuto in quegli ultimi giorni lo aveva fatto riflettere su molte cose, non ultime la natura degli dèi e il rapporto che gli uomini avevano con loro. Un migliaio di anni prima, Indra aveva consegnato quella collana al suo sacerdote per permettergli di evocarlo in caso di necessità; il dio adesso si era svegliato ma non aveva riconosciuto il suo popolo. Seppure dopo essersi divertito un po’, aveva scelto di riaddormentarsi.
Ormai erano davvero poche le persone che si riferivano agli dèi come nell’antichità ed erano ancora meno quelle che li pregavano aspettandosi qualcosa da essi. Probabilmente questi dèi sentivano che, almeno per il momento, il loro compito era terminato e perciò dormivano il loro sonno tranquillo in attesa che qualcuno avesse di nuovo bisogno di loro.
 
Questo almeno, era quello in cui voleva credere.
 
Gli dèi riposavano in qualche luogo segreto tra quelle montagne, c’era qualcosa di malinconico in questo, ma anche di rassicurante. In qualche modo vegliavano ancora sulle loro genti, come certamente anche Athena faceva con loro.
 
 
 


***
 
 
 
“Allora noi andiamo,” disse Aldebaran “passo più tardi a vedere come stai.” E iniziò a salire la lunga scalinata.
 
“Grazie ancora,” aggiunse Aiolia prima di seguirlo.
 
Mu, sulla soglia della Casa dell’Ariete, li guardò salire lentamente verso le rispettive Case. Lo scrigno dell’Armatura del Leone, sulle spalle di Aiolia, era ancora più bello e lucente di prima. Mu lo osservava con soddisfazione mentre brillava agli ultimi raggi del sole.
 
Ripararla era costato una grande fatica, ma ne era valsa la pena. Si strofinò gli occhi stanchi con le mani, mentre ripensava a ciò che era accaduto quel pomeriggio.
 
 
 
L’Armatura del Leone e quella dell’Ariete non erano solamente ridotte in pezzi, avevano perso la loro vita diventando così due rottami inanimati. Soltanto un lungo e complicato procedimento, possibile solo utilizzando una grande quantità di sangue, sangue contenente un cosmo, le avrebbe riportate in vita.
 
Nelle prime ore del pomeriggio, Mu aveva deciso di occuparsi dell’Armatura del Leone; un rapido taglio su entrambi i polsi gli aveva permesso di versare la giusta quantità di sangue necessaria. Aveva fermato l’emorragia alla buona, contando di sistemare la ferita più tardi e aveva iniziato il suo lavoro.
 
Aveva già affrontato la riparazione di corazze ridotte in quello stato ma questa volta, più per un fattore emotivo che altro, era stato più stancante del previsto. Appena terminata la lavorazione, si era sentito mancare le forze e aveva fatto appena in tempo a stendersi sul pavimento prima di addormentarsi, o forse svenire. Chissà.
 
Le voci di Aiolia e Aldebaran lo avevano destato solo qualche ora dopo. Aprendo faticosamente gli occhi, e con un po’ di imbarazzo, li aveva trovati inginocchiati accanto a lui mentre, con sguardo apprensivo, lo scuotevano chiamandolo ripetutamente.
 
“Si, state tranquilli,” aveva risposto cercando di liberarsi dal torpore “sto bene, mi stavo solo riposando…”
 
“Questi cosa sono?” aveva chiesto Aiolia prendendogli in mano i polsi. “Tagli?”
 
Non aveva fatto in tempo ad aprire bocca che il Leone aveva già trovato nella sua memoria la risposta.
 
“Ti serviva del sangue? Hai usato il tuo!?”
 
Si era messo faticosamente a sedere, un po’ stordito da quella raffica di domande.
 
“Va tutto bene,” gli aveva risposto, mentendo “pensavo ne bastasse meno, quando ho capito che me ne sarebbe servito di più ormai stavo già lavorando e non volevo interrompermi. Ma non preoccuparti, non era comunque una gran quantità.”
 
“Come no, sei pallidissimo!”
 
Aiolia non era sembrato contento di quella risposta. Con aria seccata gli aveva ripreso i polsi con le mani e aveva iniziato a curargli le ferite. Mu avrebbe voluto rifiutare, era una cosa che era perfettamente in grado di fare da solo, ma si era reso conto che Aiolia sentiva il bisogno di aiutarlo in qualcosa ed era rimasto ad osservarlo in silenzio. Attorno alle dita del Leone, che si muovevano sulla pelle sigillando la ferita, era comparsa un’aura dorata. Era incredibile come fosse in grado di passare velocemente dagli scoppi di rabbia alla più totale concentrazione.
 
“Per riparare la tua allora userai il mio sangue!” aveva detto alla fine Aiolia con un tono che non ammetteva repliche.
 
Solo allora aveva guardato l’armatura accanto a loro.
 
“Sembra ancora più bella di prima...” aveva mormorato guardandola. La corazza aveva assunto la forma del totem, le varie parti si erano riunite formando un leone rampante, il segno zodiacale che rappresentava; era talmente lucida che brillava anche nella scarsa illuminazione della Casa dell’Ariete. Sembrava viva. E in effetti, in qualche modo, lo era.
 
“Sei sicuro di stare bene? Non ti sarai indebolito troppo?” aveva chiesto Aldebaran. In quel momento Mu aveva capito il motivo della sua presenza. Aveva saputo della riparazione ed era venuto a mettere a disposizione il suo sangue, adesso con rammarico si era accorto che fosse troppo tardi.
 
 
 
Ormai i due cavalieri d’oro erano giunti alla Seconda Casa, si voltarono entrambi a salutarlo con la mano, poi Aldebaran entrò nella sua dimora e Aiolia proseguì la salita verso la Quinta Casa.
 
Mu si staccò dallo stipite della porta ed entrò in Casa. Si sentiva stanchissimo, aveva bisogno di riposare ancora un po’.
 
Entrato in camera, si guardò allo specchio. Era davvero pallidissimo, le occhiaie leggermente scavate, le labbra violacee. Non si stupiva che quei due si fossero spaventati.
 
Lo scrigno ingrigito dell’armatura dell’Ariete era posato sul pavimento.
 
“Tu dovrai aspettare ancora qualche giorno,” sussurrò accarezzandolo.
 
 
Si stese sul letto con l’intenzione di riposare solo qualche minuto; aveva dormito già abbastanza. Inoltre, Aldebaran aveva promesso di passare più tardi a vedere come stava; conoscendolo sarebbe arrivato all’ora di cena con due bistecche e del vino dicendo che lo avrebbero rimesso in forze.
 
Ora che aveva promesso di usare il sangue di Aiolia per riparare l’armatura dell’Ariete, era costretto a trattenersi ancora al Santuario; avrebbe dovuto attendere almeno un paio di giorni per tornare in forze.
E poi finalmente sarebbe potuto tornare nel Jamir. Prima però sarebbe stato meglio passare a Goro Ho per parlare un po’ con il Maestro Dohko, aveva tantissime cose da raccontargli. Infine sarebbe andato a prendere Kiki e per tornare assieme nella sua casa nascosta tra le montagne.
 
Per il momento, sembrava che la sua avventura in Asia Centrale fosse terminata. Anche se il suo sesto senso gli diceva che non era davvero così.
 
Erano rientrati al Santuario la mattina precedente e Shaka era stato subito ricevuto dal Sommo Sacerdote per informarlo sull’esito della missione. Era tornato dopo quasi un’ora, spiegando agli altri Cavalieri, che lo attendevano al di fuori del Tredicesimo Tempio, che per il momento la missione doveva intendersi terminata. Il Sommo era piuttosto seccato per la perdita della giada rossa, ma non avrebbe preso provvedimenti verso i Cavalieri d’Oro. Si sarebbe però riservato di comunicare una sua decisione in merito in un secondo momento. Nel frattempo, i Cavalieri potevano tornare alle loro abituali mansioni.
Lo stesso Shaka era un po’ confuso, aveva detto che il Sacerdote sembrava aver cambiato atteggiamento più di una volta durante il loro colloquio, dapprima era andato in escandescenze, poi si era calmato.
La buona notizia era che, almeno per il momento, non ci sarebbero state conseguenze per nessuno.
 
Sembrava tutto troppo semplice. Chissà cosa passava per la testa di quell’uomo…
 
Per il momento, comunque, aveva altro di cui preoccuparsi. Innanzi tutto, doveva riprendere le forze, la mancanza di sangue lo aveva davvero indebolito.
 

Anche la sua missione personale era finita; trascorrendo questi giorni assieme agli altri Cavalieri si era fatto un’idea abbastanza chiara di loro. Erano tutti devoti ad Athena e al Santuario ad eccezione di Aphrodite, che gli aveva spiegato le sue ragioni, e molto probabilmente Death Mask. Non aveva avuto modo di approfondire la conoscenza con il Cavaliere del Cancro ma aveva la forte sensazione che la sua fedeltà fosse solo una facciata. E sicuramente entrambi erano al corrente del fatto che il Sacerdote fosse un impostore. Non era ancora riuscito ad inquadrare Shura, ma probabilmente avrebbe avuto tutto il tempo di farlo in futuro; tutta questa storia non era certamente finita.
La cosa che gli aveva fatto più piacere era stato rincontrare Aiolia, e aver trovato un equilibrio interiore riguardo al rapporto con lui.

Non poté fare a meno di sorridere ripensando a quanto era accaduto prima. Quanto era orgoglioso, Aiolia! Non accettava l’aiuto di nessuno, il solo pensiero lo indispettiva. Non doveva stupirsi della sua reazione, d’altra parte non vi era un motivo apparente che giustificasse l’aver usato il proprio sangue e non quello del diretto interessato.
 
Sì, in effetti avrebbe dovuto chiedere ad Aiolia di fornirgli il sangue per la riparazione. Ma…
 
Quando, giorni prima, aveva riparato il ricciolo del diadema dell’armatura del Leone, aveva percepito chiaramente la sofferenza di Aiolia causata dalla sua situazione. Sapeva che entrando in contatto con l’intera corazza sarebbe accaduta la stessa cosa.
 
Appena si era immerso nella lavorazione, era stato accolto da immagini che gli mostravano cose che inizialmente non era riuscito a comprendere. Memorie confuse, ricordi frammentari. Aveva visto il Santuario, ma in un’altra epoca. Un cavaliere sconosciuto che sorvegliava la Quinta casa assieme a un enorme leone anch’esso in armatura. Chissà chi era. Quanto tempo prima era accaduto.
 
Poi, entrando nel vivo della riparazione, mentre raggiungeva le molecole della struttura d’oro con il miscuglio di polvere di stelle e oricalco, aveva ritrovato i sentimenti di Aiolia, il tumulto interiore che lo tormentava da anni. L'amore per il fratello, il dolore per averlo perduto, la frustrazoine del vederlo considerato un traditore. Aveva voluto mescolarvi il suo sangue, come per legare sé stesso a quella sofferenza e quell’amore che sentiva anche suoi.
In quel momento l’armatura aveva parlato al suo cuore, riportandolo agli anni dell’infanzia di Aiolia, che erano indissolubilmente legati ai suoi, mostrandogli i suoi sogni e la fiducia nel futuro.
 
Oltre al dolore di Aiolia, adesso aveva rivisto anche il sorriso di Aiolos. Ed era bastato quello a ridargli un po’ di speranza.
 
Se ci proteggeremo tra noi, anche le nostre costellazioni lo faranno.
 
 
 
Quando Mu riaprì gli occhi, il sole era già sorto da un pezzo e la luce del mattino aveva ormai illuminato la stanza. Doveva essere quasi mezzogiorno.
Avrebbe voluto riposarsi qualche minuto, ma alla fine si era proprio addormentato, constatò con una punta di delusione. Si mise a sedere stiracchiandosi. Era ancora debole a causa dell’anemia ma si sentiva già meglio rispetto alla sera precedente.
Si accorse di essere scalzo. Sorrise tra sé. Doveva essere stato Aldebaran; era venuto a trovarlo come promesso. Vedendolo addormentato, non aveva voluto disturbarlo, gli aveva quindi tolto i calzari e messo accanto una coperta di cotone leggero nel caso avesse avuto freddo durante la notte.
 
Si alzò e si diresse in cucina. Aldebaran era seduto accanto alla finestra assorto nella lettura di un giornale, appena lo vide lo salutò con un radioso sorriso.
 
“Ben svegliato!” disse mentre ripiegava il quotidiano “Stavi ancora dormendo e mi sono permesso di entrare.”
 
“Hai fatto bene,” rispose Mu.
 
“Tra poco è ora di pranzo, ci facciamo una bella bistecca? Devi rimetterti in forze,” disse il Toro indicando un pacchetto posato sul ripiano della credenza accanto a un fiasco di vino.
 
Mu sorrise di nuovo, Aldebaran era davvero il migliore amico che si potesse avere. Una persona capace di essere sempre al suo fianco per sostenerlo. Che non gli avrebbe mai chiesto di rivelargli i suoi segreti, ma lo avrebbe aiutato a sopportarli.
 
 
 
***
 
 
 
Dopo qualche giorno nuvoloso, il sole splendeva di nuovo nel cielo di Goro-Ho. L’erba profumata era ancora intrisa della rugiada del mattino.
 
Mu e Dohko sedevano assieme davanti alla cascata. Shiryu e Shunrei erano usciti di prima mattina per raccogliere funghi; attorno regnava l’assoluto silenzio interrotto solo dal rumore dell’acqua e dal ronzio di qualche insetto.
 
“Sapete una cosa, Maestro?” disse ad un tratto l’Ariete “Questa esperienza mi ha insegnato molte cose, ma non sono sicuro di rendermi conto di quante.
Indra ha voluto combattere con noi, voleva distrarsi un po’ prima di tornare al suo sonno. Ho avuto la sensazione che stesse giocando… così, per divertirsi. Dubito abbia usato la sua vera forza, ma ha rischiato ugualmente di ucciderci. Non credo avesse molta importanza per lui.
 
“Agni invece si è dimostrato più misericordioso nei nostri confronti. Ma forse… solo perché ci ha riconosciuto. Ho sempre saputo che noi Cavalieri di Athena ci reincarniamo per combattere assieme ogni volta ci sia bisogno di noi, ma fino a questo momento non ero completamente consapevole di cosa questo significasse.
Un migliaio di anni fa, quest’anima che ora è dentro di me, già combatteva al fianco di Athena. Agni l’ha riconosciuta, ma io non ero in grado di ricordare nulla. Mi sono sentito infinitamente piccolo. In ogni caso, anche se non sono in grado di leggere i suoi ricordi, sono sicuro che qualcosa di essa ora sia dentro di me.
 
“Tanti anni fa, mi avete detto che facciamo parte di un disegno molto grande che non siamo in grado di comprendere. Ecco, forse adesso comincio a capire cosa intendeste dire. Anche il Maestro Shion un giorno mi disse qualcosa del genere.”
 

“Io… spero solo di essere all’altezza di tutto questo,” aggiunse poco dopo.

Il vecchio sorrise, continuando a guardare la cascata.
 
“E poi c’è il fatto di quell’uomo, Jaman,” continuò il giovane, “ha raccontato una storia riguardo al Santuario alla quale non so se credere. In ogni caso, era una persona orribile. O forse solo troppo debole.”
 
“Debole?” chiese Dohko.
 
“Sì, forse sì. So solo che aveva troppo rancore dentro di sé, e non è riuscito a gestirlo. Si è lasciato sopraffare dall’odio che non riusciva a domare. Credo che tutto sia nato da questo. Incontrarlo però mi ha fatto capire un’altra cosa. Come mi avete detto voi stesso, il Maestro Shion non voleva che lo vendicassi, ma che andassi avanti. Forse aveva paura che mi succedesse la stessa cosa. Voleva che la mia anima fosse libera dal rancore e dal desiderio di vendetta. Voglio seguire il suo insegnamento, voglio percorrere la giusta strada senza perdermi mai.”
 
 “Al tuo maestro è stato concesso di starti vicino per pochi anni,” mormorò il vecchio, quasi stesse parlando con sè stesso “ma è riuscito a trasmetterti molte cose. Fai tesoro di ogni suo insegnamento.”
 
“Sì, lo farò. A dire il vero però, … devo tantissimo anche a voi. Che siete il mio secondo maestro.”
 
Il vecchio sorrise ancora. Era un sorriso malinconico, ma estremamente sincero.
 
Mu lo guardò con la coda dell’occhio.
 
Sì, devo tantissimo anche a voi. Il mio secondo maestro. Il mio secondo padre.  
 
 


***



Mentre Mu si allontanava nel bosco, Dohko rimaneva seduto a contemplare la grande cascata di fronte a sé. A volte quel ragazzo gli ricordava così tanto Shion…
 
Amico mio, il tuo allievo sta crescendo in fretta. In alcuni momenti ti somiglia molto. Nel poco tempo in cui hai potuto stargli accanto, sei riuscito a trasmettergli i valori più importanti.
 
Ma è ancora giovane, e ha bisogno di certezze. Nel suo cuore ho letto una profonda fedeltà alla nostra Dea, ma anche il bisogno di una prova, per riconoscerla. Poco prima che Agni e Surya intervenissero a difenderli da Indra, ho avuto la sensazione di percepire per un momento il cosmo di Athena. Sono certo che se ne sia accorto anche lui. Non me ne ha parlato, credo che lo stia ancora meditando dentro di sé. Ha bisogno di tempo.
 
Per tutta la durata della missione, ho seguito lui e gli altri cavalieri da lontano, non li ho lasciati soli per un momento. Ma non ho voluto intervenire. Ho preferito lasciarli agire in libertà lasciando che facessero i loro errori, perché è solo sbagliando che si impara; è solo con l’esperienza che si cresce. Posso dire che se la sono cavata egregiamente.
 
Ho riconosciuto il cosmo del tuo allievo Jaman appena lo ha usato per teletrasportare i suoi tre guerrieri ai piedi della scalinata del Santuario. Non me ne sono preoccupato più di tanto, sapevo che non era abbastanza forte per dare problemi ai ragazzi. La tua decisione di cacciarlo dal Santuario tanti anni fa si è rivelata giusta, avevi visto bene, la sua anima si stava perdendo nell’ombra. Come Sacerdote avevi le tue responsabilità, non potevi permettere che un’armatura sacra finisse nelle mani di qualcuno che non fosse in grado di contrastare neppure il proprio rancore. Dentro di me sapevo che si sarebbe fatto di nuovo vivo, prima o poi.
 
I ragazzi, dopo un fallimento iniziale, hanno capito cosa fare. Hanno imparato a combattere assieme; mi auguro che, quando verrà il momento, almeno buona parte di loro lo faccia davvero.
 
Le stelle sono inquiete. Temo che la guerra sia ormai vicina.
 
 
 
***
 
 
 
Kiki camminava di buon passo tenendo stretto contro il petto il sacchettino dei dolci. Avrebbe potuto riporli nella borsa e sarebbe stato molto più comodo, ma non aveva la minima intenzione di farlo. Continuava a tenere stretto quel sacchetto di carta, come fosse troppo prezioso e importante per separarsene anche solo per un momento.
 
 
Mu era arrivato al Monastero nel pomeriggio, subito dopo aver fatto visita al vecchio Dohko. Appena entrato nel cortile aveva incontrato Kiki che giocava con gli altri bambini e gli si era avvicinato porgendogli un sacchetto con dei dolci che aveva comprato in Grecia per lui.
 
“È lui tuo fratello?” aveva chiesto allora uno dei bimbi.
 
Kiki era arrossito visibilmente e aveva abbassato lo sguardo.
 
“Mangiane un po’ assieme ai tuoi amici,” gli aveva detto facendo finta di niente “io intanto vado a salutare il monaco Yun.”
 
Il piccolo aveva annuito e si era allontanato, subito circondato dagli altri. I dolci avevano avuto molto successo tra quei bambini.
 
 
Ormai erano lontani dal monastero, camminarono ancora per qualche centinaio di metri lungo la strada principale e poi imboccarono una strada secondaria che si arrampicava lentamente sulla montagna. Dopo qualche minuto, Kiki divenne leggermente pensieroso.
 
“Sei arrabbiato?” chiese con voce incerta.
 
“Dovrei?” rispose Mu.
 
“Beh… Prima hai sentito che mi chiedevano se eri mio fratello. E… beh… Sai perché?”
 
“Non ne ho idea,” rispose l’Ariete fingendosi sorpreso.
 
“Beh, gliel’ho detto io.”
 
“Vedi…” continuò dopo qualche momento “Quasi tutti loro hanno qualcuno, magari il nonno o un fratello o sorella. Io ho pensato… che non avevo nessuno da dire… E allora ho detto a loro che eri mio fratello.”
 
“Mmm… capisco.”
 
Kiki arrossì un po’.
 
“Dici sempre che non devo raccontare bugie,” disse “ma questa non è proprio una bugia. Cioè… i fratelli sono come noi, vero?”
 
Mu non riuscì a non sorridere davanti a quella frase.
 
“Sì, suppongo di sì,” rispose.
 
Anche Kiki sorrise e continuò a camminare stringendo il sacchettino con i dolci.
 
 
 
 
( FINE, PER IL MOMENTO )
 
 
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Angolo di quella che scrive:
 
Per il momento? Che vuol dire? Ve lo spiego subito.


Vi svelo un segreto. La storia che avevo in mente di scrivere, era focalizzata su altre cose. Avendo un’ambientazione, diciamo, un po’ strana, mi serviva un “antefatto”, che è quello che avete letto finora, ehm… sì, doveva essere una sorta di introduzione che doveva svolgersi in quattro o cinque capitoli… mi sono fatta prendere un po’ la mano… ed eccoci qua. ^_^’’’

Adesso inizia quella che doveva essere la storia vera e propria, ma a questo punto diventerebbe quasi un “sequel”, tanto che ho deciso di rendere le due cose separate. Quindi per il momento questa storia finisce qui, ma presto arriverà un seguito! ^_^

Un sentito grazie a chi è arrivato fin qui continuando a seguirmi nonostante gli aggiornamenti irregolari, vedo che siete sempre tanti e mi fa tantissimo piacere. Grazie per le vostre recensioni, i vostri commenti e il sostegno che non mi avete mai fatto mancare.
Un abbraccio a tutti e a presto, con tante sorprese! ^_^



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