Becca and Tommy - Two Peas in a Pod

di Ghostclimber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vestitino Rosa ***
Capitolo 2: *** Tommy Can You Hear Me? ***
Capitolo 3: *** Definizioni ***
Capitolo 4: *** Riflessi ***
Capitolo 5: *** Fanfiction ***
Capitolo 6: *** Scegli! ***



Capitolo 1
*** Vestitino Rosa ***


Becca era sempre stata una bambina un po' mattacchiona.

Per prima cosa, parlava da sola, ma guai a farglielo notare: secondo lei, stava parlando con i suoi amici invisibili, uno a caso tra i personaggi dei suoi cartoni animati preferiti.

L'ultimo era Alvin Seville, quello scoiattolo canterino alto come un bambino umano che parlava con quella vocetta assurda.

E poi, aveva una sola amica femmina. Quando la nonna le aveva fatto notare che avrebbe dovuto stare un po' di più con le femminucce invece di fare il maschiaccio, Becca aveva fatto spallucce e non l'aveva degnata di una risposta.

Innanzitutto, nel cortile di casa della nonna, dove Becca passava i pomeriggi, c'era un'allarmante carenza di bambine, se si escludeva la nipote dei dirimpettai, che però aveva un anno e non era di molta compagnia, a meno che non si adorasse stare ferma sul divano a farsi sbavare addosso, o la nipote della signora che stava di sopra, che però quell'anno avrebbe cominciato il liceo e non aveva tempo da perdere con Becca, anche se fino all'anno prima si erano scambiate libri e disegni.

Restavano Pietro e Giacomo, che anche se avevano un paio di anni in meno di lei sapevano come divertirsi: giri in bicicletta fino a farsi venire la nausea per le curve troppo strette, pantagrueliche torte di terra guarnite da foglie di nespolo, gare a chi arriva primo sul ramo più alto della quercia (di nascosto, ovviamente, se i genitori e i nonni avessero saputo li avrebbero segregati in casa, appena superata la sincope), infinite partite a calcio e gare a chi riesce a correre più in alto sul muro.

E va bene, Becca lo ammetteva: durante le estati al lago, il parco giochi sarebbe stato un ottimo terreno di caccia per accalappiare un'amica femmina. Ma le femmine erano così noiose! Si portavano le bambole anche al parco, quando c'erano proprio lì altalene e scivoli, e oltretutto non erano neanche interessate a mettere in scena le complicate trame che Becca inventava per far vivere alle loro noiose figliolette di plastica delle straordinarie avventure.

Becca aveva quasi dato di matto una mattina, quando dopo aver pettinato e finto di cambiare il pannolino alle bambole le sue amichette avevano detto “adesso devono fare il pisolino”: avevano mollato le bambole sul prato e si erano sedute a guardarle.

Forse, rifletté Becca mentre la nonna la inseguiva per casa con un vestitino nuovo, era stato in quel momento che aveva cominciato a diventare matta.

Finalmente, la nonna riuscì a catturare Becca: aveva settant'anni ma era tenace e coriacea, e non ci metteva né uno né due a prenderla per la collottola come un gattino e sollevarla di peso. Becca rimase sollevata a mezz'aria, provò a scalciare una o due volte poi si arrese: era inutile cercare di vincere una guerra contro la nonna, il massimo che fosse mai riuscita a strappare era qualche compromesso comunque svantaggioso.

Ma un compromesso è meglio che niente.

Per quieto vivere, come diceva una delle sue canzoni preferite: Becca non avrebbe saputo dire cosa voleva dire alla lettera, ma coglieva alla lontana il senso generale della faccenda.

-Becca, oggi ti metti il vestitino, e niente storie!- sentenziò la nonna.

-Ma nonnaaa!!!- protestò Becca, già subodorando una sconfitta di quelle massicce.

-Niente “ma nonna”! Hai promesso che avresti messo una gonna almeno una volta a settimana, e oggi è già venerdì.- dannazione! La nonna aveva ragione, era il patto che avevano stretto per evitare almeno alcune delle loro tremende litigate.

-Ma oggi tocca a me e Ricky fare i pirati, non posso mettere la gonna!- si lamentò Becca. Erano tre giorni che si lavoravano Nico e Vale per convincerli a scambiarsi di ruolo almeno una volta, perché si erano rotti di fare sempre Peter Pan e Wendy, e alla fine Ricky aveva dovuto giurare sul proprio onore che Becca sarebbe stato un pirata fantastico.

Già.

Un pirata con un bel vestitino rosa a quadretti e la gonna con le balze.

Certo che però quel vestitino era così bello...

Ma totalmente inadatto al suo ruolo di pirata più cattivo dei Sette Mari, nessuno le avrebbe dato un soldo bucato con quello addosso.

Però andare in bici con la gonnellina che le accarezzava le gambe e l'aria fresca che si intrufolava dappertutto e la rinfrescava era sempre bello. Forse avrebbe potuto accantonare i pirati.

No, cavoli, no che non poteva! Ricky non le avrebbe più rivolto la parola, le avrebbe detto che era come tutte le altre femmine e che faceva schifo, e le vacanze sarebbero state rovinate!

La nonna era rimasta a fissare Becca per tutto il tempo del suo ragionamento, e per una volta, forse vedendo che la bambina non si stava mettendo ad urlare come suo solito, ebbe la bontà di cedere un po' di terreno: -Metti sotto il costume, così anche se si alza la gonna non fa niente.- Becca stava per ribattere che non capiva che differenza c'era tra le sue mutandine con i coccodrilli e il costume con le fragole, e aveva già aperto la bocca per rispondere quando si rese conto che così dicendo si sarebbe giocata la possibilità di essere un pirata, di giocare con gli amici e forse addirittura le sarebbe stato vietato di andare al parco, in spiaggia e magari anche di guardare i cartoni animati.

La nonna sapeva essere molto, molto severa.

Richiuse la bocca con un colpo secco che quasi riecheggiò nel corridoio, annuì convinta e strappò il vestitino dalle mani della nonna.

Certo che era davvero, davvero bello.

Becca si concesse di rimirarsi di nascosto nello specchio della camera da letto grande, felice di come il vestito la facesse sembrare più sbarazzina e più grande; sembrava quasi carina, nonostante quella massa informe di paglia scura che teoricamente avrebbe dovuto essere il classico taglio a paggetto, ma che grazie ai suoi capelli crespi somigliava molto di più a una via di mezzo tra un nido di avvoltoio e un fungo atomico. Prese un bel respiro, gonfiando il petto su cui già facevano capolino due boccioli di seno, poi sostituì le mutandine di cotone con quelle del costume da bagno, indossò i sandaletti e uscì, seguendo la nonna.

 

Arrivate al parco, subito Becca corse dai suoi amici, che scoppiarono a ridere nel vederla con addosso un vestitino.

-Ma allora sei femmina davvero!- ululò Ricky, puntando il dito in maniera vaga verso quel piccolo accenno di seno che si intravedeva sotto al busto stretto dell'abito.

-Solo quando la nonna mi costringe...- borbottò Becca di rimando, incrociando le braccia. Si sentiva la faccia molto calda.

-Beh, se cominci a venire in spiaggia con noi invece che al lido te ne accorgi, ha il costume intero.- puntualizzò Vale, il più pragmatico del gruppo e quello che si era sempre fatto meno problemi sul fatto che Becca fosse femmina: quel che importava a lui era che la ragazzina correva come un fulmine, non si faceva il minimo problema a giocare a calcio a piedi nudi sui sassi e si tuffava a bomba dal molo grande. Evidentemente, il fatto che le stessero spuntando le tettine e che fosse costretta a portare un costume intero o un due pezzi era per lui una questione del tutto irrilevante.

-E comunque, ieri ti ha stracciato a calcio.- rincarò la dose Nico, un altro di quegli elementi che per scegliersi gli amici puntava a quelli che potevano tenergli dietro sul campo da calcio o in acqua, e chi se ne frega se sono maschi o femmine.

-Se non vuoi fare il pirata con me, puoi fare il Bambino Sperduto con uno di loro due.- disse Becca, sprezzante, ritrovando il suo fiero contegno da maschiaccio nonostante l'umiliante (ma bellissimo) vestitino rosa.

-No, no, voglio fare il pirata con te!- rispose in fretta Ricky.

-Bene, allora. Ciurma... ALL'ARREMBAGGIO!- con l'agilità di una lepre, Becca si arrampicò sulla corda e raggiunse il “ponte”, un piccolo spiazzo su cui i bambini potevano sedersi brevemente prima di scendere dallo scivolo.

Ben presto, Becca aveva dimenticato di indossare un vestitino rosa. Non c'erano dubbi, il pirata più cattivo dei Sette Mari era proprio lei, e quei Bambini Sperduti lo avrebbero imparato a proprie spese. Estrasse una spada immaginaria e si mise a duellare con Vale sul ponte di prua, cioè un piccolo spiazzo in terra battuta dove prima c'era una panchina, scomparsa misteriosamente un paio di settimane prima.

Il duello si infiammò, e presto Becca e Vale cominciarono a prendersi a spintoni e calci, senza l'intenzione di fare del male. Dal patio sul quale si erano accomodate le nonne giunse un urlo: -REBECCA! COMPORTATI DA FEMMINUCCIA O TI SCORDI I CARTONI!- terrorizzata, Becca mollò la presa sulla testa di Vale, che ne approfittò per sollevarla di peso e caricarsela sulle spalle. Stavolta fu la sua, di nonna, a sbraitare: -VALERIO! NON SI PICCHIANO LE FEMMINE!- Vale depositò Becca a terra, sconvolto. E quando mai s'erano fatti problemi del genere? Si inginocchiò davanti all'amica, mentre la nonna ancora urlava: -E CHIEDI SCUSA!

-Stai bene?- chiese a bassa voce. Becca smise di giocherellare con il tulle che sbucava da sotto la splendida gonnellina, alzò su di lui un paio di occhioni verdi colmi di lacrime e sentenziò: -Essere femmina fa schifo.




Ciao a tutti!
Spero vi sia piaciuta la piccola Becca, Terrore dei Sette Mari, l'Indossatrice di Vestitini Rosa, *aggiungere altri nomi a caso tipo Daenerys Targaryen*.
Non so ancora come proseguirà questa storia, so solo che ho bisogno di far uscire certe sensazioni che per troppo tempo mi sono tenuta dentro, credendo di essere pazza, e che ora mi hanno assalita tutto d'un tratto, grazie all'inconsapevole intervento di un amico conosciuto per caso (non è Alvin Seville!).
Battete un colpo se vi va di farmi sapere che avete gradito, alla prossima!

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Capitolo 2
*** Tommy Can You Hear Me? ***


Becca scese dalla bicicletta e la lasciò cadere senza curarsene.

Quindici anni, un bel corpo per quanto piccolino, un bel seno, un bel viso.

Odiava tutto di se stessa.

Se avesse potuto, sarebbe tornata indietro nel tempo per non nascere, o per rendere reale quell'errore dei medici, che inizialmente avevano decretato che il feto fosse maschio.

Se fosse nato Tommy, invece di Becca, non ci sarebbe stato tutto quel dolore.

Becca guardò il suo ramo preferito, poi scosse il capo, arrendendosi alle pulsazioni di dolore che provenivano dalle sue parti intime e si rassegnò a sedersi tra due radici, sulla terra morbida.

Se non fosse stato per il suo corpo da femmina, Stefano non le avrebbe mai spezzato il cuore, sarebbero rimasti solo amici e lui non avrebbe smesso di farsi vivo dopo averla baciata.

Se non fosse stato per il suo corpo da femmina, quei due sconosciuti non l'avrebbero aggredita sulla pista ciclabile, palpeggiandola senza che lei potesse opporre più di una simbolica resistenza.

Se non fosse stato per il suo corpo da femmina, Alessio non l'avrebbe approcciata e poi umiliata per la sua inesperienza con i contatti intimi.

Se non fosse stato per il suo corpo da femmina, Mirko non l'avrebbe stuprata.

 

Becca si concesse un po' di quella commiserazione che non avrebbe avuto da nessun altro, perché si vergognava a dire di aver fallito nel difendere se stessa, il suo stupido orgoglio le diceva che almeno parte della colpa era sua, per essere nata femmina, per non essere stata in grado di difendersi come avrebbe fatto un maschio.

Si rannicchiò su se stessa, odiandosi, odiando tutte le persone che le avevano detto “Becca, devi smetterla di fare il maschiaccio, sei una signorina, comportati come tale”, odiando le amiche che la forzavano a stupidi passatempi da rammollite invece di fare qualcosa di salutare come una corsa in bici, una partita a basket, qualcosa che fortificasse i muscoli.

Se avesse seguito il proprio istinto, sarebbe stata in grado di andare a casa di Stefano, aspettare che lui uscisse e rifilargli una manica di botte per essersi comportato da stronzo.

Se avesse seguito il proprio istinto, sarebbe riuscita a pedalare abbastanza in fretta o a buttare almeno uno dei due sconosciuti giù dal parapetto.

Se avesse seguito il proprio istinto, avrebbe avuto il coraggio di strizzare le palle ad Alessio e fargli rimpiangere di essere nato.

Se avesse seguito il proprio istinto, Mirko non si sarebbe sentito attratto da lei, non sarebbe riuscito a portarla in quell'angolo appartato del parco, non sarebbe riuscito a tenerle la mano sulla bocca per non farla urlare, non sarebbe riuscito a strapparle brutalmente la verginità.

Non avrebbe osato dirle: “Sta' zitta, mi deconcentri”.

Non avrebbe osato dirle: “Sei la peggior scopata della mia vita”.

Sola nel parco deserto, ora che il sole stava cominciando a calare e il freddo della sera stava cominciando a mordere, Becca ricordò i tempi felici in cui il suo corpo aveva ancora tratti indefiniti, quando bastava una maglietta larga a nascondere il fatto che il Terrore dei Sette Mari stava cominciando a mostrare chiari sintomi di seno, quando la vita era più semplice e i maschi non erano una manica di pezzi di merda con il solo scopo apparente di infilarsi nelle mutande di qualche ragazza. Momenti in cui nessuno ancora la costringeva troppo spesso a comportarsi da femmina.

Ma c'era dell'altro, qualcosa che la tormentava.

Se si fosse trattato solo di quello, se in lei ci fossero stati solo ed esclusivamente istinti maschili, riteneva che avrebbe potuto venirne a capo, in una maniera o nell'altra: alla peggio, capelli corti, pantaloni e magliette larghe, una fascia per comprimere il seno, scarpe da basket e manga shonen.

Ma non c'era solo quello.

Una parte di lei adorava mettersi scarpe col tacco, si sentiva perfetta quando indossava la sua gonna a pieghe, ed era del tutto a suo agio in abiti eleganti dal taglio più che femminile.

Adorava cucire, ricamare, addirittura le piaceva stirare, e non c'era una volta in cui nelle sue infinite fantasticherie si era immaginata di impersonare un maschio.

Una parte di lei amava quel corpicino tascabile, i suoi seni morbidi e le acconciature elaborate.

Era come se dentro di lei convivessero due persone: Becca, femmina fino all'osso, e Tommy, un maschio con un gran paio di palle.

“Tommy, can you hear me...?” canticchiò con voce umida. Pensare al nome che le avrebbero dato se quel pene non si fosse rivelato essere il cordone ombelicale le faceva sempre tornare in mente il musical degli Who.

Qualcosa, dentro di lei, alzò la testa.

(Becca fammi uscire)

Era una cosa da matti. Roba da biglietto di sola andata per il manicomio e la camicia di forza. Becca sapeva di parlare da sola, ma di solito parlava con qualche persona immaginaria, non con una versione maschile di se stessa, non con il feto abortito di se stessa.

(Becca posso proteggerti)

Ok, ok, ok, fermi tutti. Stava svalvolando o cosa? Era la sua voce, quella che le prometteva protezione, una voce chiaramente femminile, persino un po' acuta, cosa diavolo le stava succedendo? Pensieri angoscianti su qualche virus a trasmissione sessuale che intaccavano il ragionamento le attraversarono la mente, poi svanirono: di certo, anche se Mirko avesse avuto qualcosa, innanzitutto sarebbe stato troppo presto per mostrare sintomi, e inoltre le aveva fatto la grazia di utilizzare un preservativo.

(Becca fidati ascolta)

Becca ascoltò.

 

Negli anni successivi, Becca non sentì più la voce di Tommy.

Non ce n'era bisogno, quella era solo la sua mente stressata che cercava un modo di fuggire.

E Becca era fuggita: da se stessa.

La nonna del vestitino rosa non c'era più, non poteva rimproverarla di comportarsi da maschiaccio, e all'altra nonna non poteva fregare di meno dell'abbigliamento di Becca: l'importante era che mangiasse.

E Becca mangiava.

E poi pedalava per ore e ore, avanti e indietro, scolpendo un corpo sempre femminile ma non più debole, e correva sul campo da basket, e faceva faville nel getto del peso.

Non si vergognava di leggere manga shonen e di guardare DragonBall, leggeva libri a palate e perdeva un'amica dopo l'altra.

Non gliene importava granché, era sempre stata dell'opinione che non si poteva costringere nessuno a restare o a cambiare contro la sua volontà. Con lei rimase infine solo Vale, una biondina timida che dava confidenza solo a lei e che non si soffermava troppo in questioni come reggiseni, trucco o ragazzi. Insieme parlavano di manga e di libri, di musei e di disegni, tanto che finirono per inventare un manga tutto loro, con due protagoniste cazzutissime che... beh, per la trama si sarebbero organizzate poi.

 

Ma Becca non aveva rinnegato la propria femminilità. Il giorno della consegna dei diplomi si presentò nel cortile della scuola in abitino bianco e sandali dorati col tacco, i capelli pettinati alla perfezione e un discreto smalto perlaceo sulle unghie.

Si avvicinò al tavolo del buffet, seguita a breve distanza dal fidanzato, Johnny, e da Vale, davvero splendida in un vestito color cipria che ne metteva in risalto il candore della pelle.

Chiacchierò con i professori, con i bidelli e con un paio di compagni di scuola selezionati tra quelli con cui non aveva mai fatto a botte, un bicchiere di Fanta retto con la mano piegata per mostrare la catenina d'oro che portava al polso, sorrise e si sentì perfettamente a suo agio.

Con il diploma arrotolato in mano, mentre con l'altra cercava di allontanare vestito e mutandine dalla tavoletta del gabinetto, ebbe un fremito di angoscia: cos'era, lei, esattamente?

Come poteva passare dalle gare di rutti alle disquisizioni sulle norme del galateo?

Come faceva a indossare con pari naturalezza pantaloni privi di forma e abitini chic?

-Becca, ci sei?- sussurrò Vale, dopo un'unica, delicata bussatina alla porta. Becca finì di orinare, si risistemò tenendo il diploma fra i denti e rimandò la riflessione ad un altro momento.

In quel luogo e in quel momento era solo felice di essersi diplomata, felice di essere con la migliore amica e con il fidanzato, felice di cominciare un nuovo cammino...

...felice di indossare un abitino bianco.






Ciao a tutti!
Rieccomi con un altro slice of life del pirata con il vestitino! Lo so, è un po' crudo, ma alcune cose in me dovevano trovare una via d'uscita quindi... eccomi qui.
Grazie a tutti quelli che hanno lasciato un commento al primo capitolo e a chi legge in silenzio.
XOXO

 

 

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Capitolo 3
*** Definizioni ***


Ciao a tutti!
Rieccomi con un capitolo un po' più leggero del precedente... Grazie a tutti voi che commentate o leggete in silenzio, se vi va fatemi sapere se gradite anche questo piccolo excursus universitario (in tema col periodo della sessione estiva, che grazie al cielo non è più un mio problema).
Massima solidarietà a chi si sta spaccando testa e palle sui libri in questi giorni, e un iper mega abbraccio a Nicholas, il mio irrinunciabile supporto durante gli anni dell'università e la causa scatenante di quell'esplosione di blu che regna nel mio armadio. Ti voglio bene, Nick.
XOXO







-Ciao, ti disturbo? Hai mai sentito parlare della comunità LGBT?- Becca alzò la testa dal libro di testo che stava leggendo e fissò la ragazza che le stava davanti, china su di lei, pericolosamente vicina al limite estremo del suo spazio personale.

-Ehm... sì, in effetti, mi...- “disturbi” era la parola con cui Becca intendeva terminare la frase, ma la ragazza lo prese come un “sì, ne ho sentito parlare, ti prego impediscimi di ripassare per l'esame di oggi, tanto sono preparatissima e il professore non è assolutamente pignolo”.

-Sei d'accordo che anche noi della comunità LGBT meriti pari diritti rispetto a voi eterosessuali?

-Beh, sì, ma...- “un po' arrogante da parte tua decidere a priori che io sia etero”

-Allora DEVI venire al Gay Pride sabato prossimo, assolutamente!

-No, guarda, io...- “odio la folla”

-COME NO?! Se ci supporti, dovresti scendere in piazza con noi per difendere i nostri diritti!

-Guarda, io sinceramente...- “trovo più utile dimostrarlo ogni giorno piuttosto che colorarmi la faccia e poi avere un attacco di panico in piazza Duomo”

-Il tuo supporto è importante, DEVI venire! Tu puoi fare la differenza!- “ma per piacere, non l'ho mai fatta neanche nella mia cazzo di vita”, -Avere un'eterosessuale che manifesta al nostro fianco...

-Sara, molla l'osso.- disse una voce alle spalle della ragazza, e Becca sospirò di sollievo. Un bel ragazzo dai capelli dello stesso colore del miele di castagno si avvicinò con passo sensuale e le disse: -Becca, diamine! Vestita di blu davvero risplendi! Come va, cara?

-Nicky! Morirò di ansia prima di sera.- rispose Becca, alzandosi per salutare con un colpo di zigomo il suo migliore amico dell'università.

-Sara, hai puntato all'etero sbagliata.- ridacchiò Nicholas, -A Becca piace anche la patata!

-Nick!- protestò Becca, non tanto per l'infrazione della privacy, quanto perché l'unica cosa che desiderava, a parte un pacco regalo con dentro una laurea, era mettere fine alla conversazione con quella sconosciuta insistente.

-Oh, cara, non lo sapevo, scusami!- pigolò Sara, e Becca indietreggiò di un passo. Cominciava a sospettare che la tizia si calasse qualcosa di strano, allucinogeni, anfetamine, funghetti...

-Non c'è da scusar...

-Allora DEVI PROPRIO venire al Pride! A maggior ragione!

-Guarda, io...

-Sara, fly down,- si intromise Nicholas, -Il giorno che vedrò Becca infilarsi volontariamente in un bagno di folla comincerò a credere agli alieni. E comunque, oggi ha un esame, quindi lasciala concentrare, altrimenti il suo fidanzato avrà sopportato una signorina stressata per niente.

-Come, un ragazzo, ma non eri bi?

-Eccallà...- Becca disconnesse il cervello in via definitiva dalla conversazione e ripeté a se stessa la cronologia della Prima Guerra Mondiale, lasciand a Nicholas il compito di arginare i danni da lui stesso fatti. Con in programma un'interrogazione con un professore pignolo e scassacazzi, una diatriba sul tema “non puoi essere bisessuale se hai un partner dell'altro sesso” era la penultima cosa di cui aveva bisogno. L'ultima, probabilmente, un clistere al peperoncino.

-Scusami, Becca, sono un po' agitato anch'io.- la voce di Nicholas riuscì finalmente a far breccia tra una battaglia e l'altra.

-Eh? Niente, Nick, avevo già capito che era una spaccapalle.

-Lasciala perdere.- Nicholas tirò Becca per la manica della camicia e insieme si sedettero sulla panchina sotto al ciliegio che Becca aveva occupato dal primo mattino.

-Dai, che cazzo, solo perché incidentalmente Johnny ha un cazzo non vuol dire che io sia etero.- sbottò Becca, in parte anche felice di aver trovato una valvola di sfogo per il nervosismo. Non era mai una bella idea mettersi a parlare di quanto era stronzo il prof con cui stavi per sostenere un esame, non con i suoi assistenti e i suoi lecchini in giro per il cortile e la facoltà.

-Lo so, cara, e poi Johnny è davvero un bel ragazzo.- rispose Nicholas con un sorriso. Becca appoggiò i piedi sul bordo della seduta e si trasse le ginocchia al petto, meditabonda. Sapeva di essere bisessuale, nonostante convivesse con un ragazzo: dopo Mirko, c'era stata Veronica. E oltre a Manuel e Gabriele, c'era stata anche Matilde. E Becca aveva voluto bene a tutti alla stessa maniera, e aveva avuto piacere a toccare e farsi toccare da ognuno di loro, indistintamente dalla forma dei loro genitali. Poi, era arrivato Johnny e Becca aveva trovato una stabilità, ma restava fermamente convinta che se lui si fosse chiamato Jennifer sarebbe stata la stessa cosa.

-Sigaretta?- Nicholas ne accese una e la porse a Becca, che aspirò senza fretta. Con Nicholas era così, non c'era bisogno di stare a parlare, la sua sola presenza bastava a darle calma: sarà che tutto, dal suo tono di voce all'abbigliamento al portamento, urlava “GAY!”, quindi il ragazzo non aveva un'esistenza tanto facile in un'università statale fatiscente e piena di stronzi. Poteva capire alla perfezione la lotta tra il cercare di uniformarsi e la vera spinta del proprio io.

-Sara è la dimostrazione che essere queer non significa necessariamente non essere stronzi.- ridacchiò Nicholas, buttando fuori un soffio di fumo.

-Beh, non vedo perché la cosa dovrebbe essere automatica.

-Ma come, non lo sai? I gay sono tutti gentili!

-Sì, e hanno un gran senso estetico.- Becca cominciò finalmente a sorridere, mentre con Nicholas snocciolava una serie di cliché privi di senso sugli omosessuali, sulle persone basse, sulle bionde e sui palestrati.

-Avanti, adesso dimmi che cos'hai. E non spararmi cazzate sull'ansia per l'esame, perché lo vedo che non c'entra.- disse infine Nicholas, quando si riprese dal lungo e circostanziato discorso sulle dotazioni naturali dei patiti di fitness.

-Non lo so, Nicky, è che...- Becca sospirò. Non aveva mai parlato con nessuno di certi argomenti, e per quanto sapese che Nicholas era un ragazzo comprensivo e non sarebbe scappato a gambe levate, temeva di sembrare pazza. Perché la verità era che quella parte di Becca che lei chiamava Tommy non era affatto scomparsa col passare del tempo.

Becca aveva pensato al bipolarismo, alla schizofrenia, ma nessuna definizione psichiatrica sembrava essere proprio calzante per quella sua strana doppia personalità. Negli ultimi tempi, Tommy aveva prevalso spesso, semplicemente perché era più facile essere pendolare con un paio di jeans e una felpa, piuttosto che con una gonna e le scarpe col tacco, tuttavia Becca era più che presente: non usciva mai senza almeno un po' di trucco per uniformare il colorito da morto vivente, e c'era sempre un velo di mascara sulle sue ciglia e un filo di lucidalabbra colorato sulle sue labbra, i capelli erano sempre ben pettinati e spesso decorati da qualche fiorellino di stoffa o da qualche nastro vivace.

Si sentiva sempre più in conflitto con se stessa: da un lato, emergeva naturalmente un maschiaccio che prediligeva pantaloni e scarpe da ginnastica, mentre dall'altro una principessa degna dei peggiori film Disney aggiungeva paillettes, nastri e glitter a tutto quanto.

-Dai, Becca, puoi parlare, mica ti mangio.- la incitò Nicholas.

-A volte, credo che “bisessuale” non sia la definizione adatta. Cioè, sono bisessuale, non dico di no. Però, a volte penso che ci sia qualcosa di diverso. Hai presente Chocolat, il film con Johnny Depp?

-Certo che ce l'ho presente, sono ingrassato di un chilo per la voglia di cioccolato che mi ha fatto venire quel film!

-Ecco, nel film c'è Vianne che indovina sempre qual è il dolce al cioccolato preferito delle persone, ma con Roux non ci riesce fino alla fine. Lui continua ad assaggiare, apprezzare, ma poi dice sempre: “Buono... ma non il mio preferito”. Ecco, io...

-Ti sei spiegata alla perfezione, Becca.- la interruppe Nicholas con un sorriso, forse intuendo che per lei era difficile parlarne, non per senso del pudore, ma perché non era ancora venuta a capo della faccenda e non poteva spiegare ciò che non capiva. -Troverai la tua tazza di cioccolata calda, vedrai.- le disse, battendole una mano sul ginocchio. Becca gli sorrise, grata.

-A proposito di cioccolata, vuoi qualcosa dalle macchinette?- aggiunse Nicholas, alzandosi.

-Non saprei... hanno del rum o dello Xanax?

-Stamattina non c'erano, ma è passato l'omino che le riempie. Quindi, se c'è, un Cuba Libre?- Becca rise, mentre Nicholas indietreggiava per continuare a parlarle mentre si dirigeva verso l'edificio.

Fu così che non vide un tale dal fisico bovino che usciva, palesemente infastidito, e andò a sbattergli addosso. Cordiale come sempre, si girò e disse: -Oh, scusa amico, sono un imbranato!

-Ehi, frocio di merda, guarda dove vai!- Nicholas incassò la testa nelle spalle, spaventato. Pigolò: -Scusami, io...

-Sei sempre in giro a fare il finocchio, dammi solo una scusa per spaccarti quella faccia di cazzo.

-EHI!- urlò Becca, vedendo che la situazione si faceva incandescente e nessuno accennava ad intervenire, -Ti ha chiesto scusa, che problemi hai?

-I froci come lui mi fanno vomitare.- rispose il tale in tutta calma. La tacca della rabbia di Becca raggiunse il punto critico, lo varcò, poi rimase nella zona di allerta rossa.

I libri vennero abbandonati sulla panchina, mentre Becca si alzava e si avvicinava all'energumeno e lo prendeva per il collo della maglietta: -Ti avverto, merda, se hai un problema con lui hai un problema con me.- gli sibilò.

-Becca, vieni via, lascia sta...- tentò Nicholas, ma Becca lo interruppe dando uno scossone al tizio.

-Mi hai capito?- chiese in un ringhio minaccioso. Il tizio pareva imbarazzato, e forse nei suoi occhi faceva capolino una punta di timore, non tanto per la minaccia fisica rappresentata da quella piccoletta in camicetta blu, quanto per l'evidente squilibrio mentale che l'aveva portata a minacciare uno che avrebbe potuto comodamente sollevarla con una mano e lanciarla sul tetto di un edificio vicino, senza neanche impegnarsi.

Si tolse senza sforzo la mano di Becca dalla maglietta, scoccò un'occhiata disgustata a Nicholas e poi le disse: -Non faccio a botte con le femmine.- e se ne andò.

-Becca, ma sei fuori? Quello poteva distruggerti con una mano legata dietro la schiena! Te lo giuro, apprezzo che tu mi abbia difeso, ma non era il caso, davvero! E se quello ti prendeva a pugni?- Becca si lasciò trascinare da Nicholas verso la panchina.

Si lasciò accendere un'altra sigaretta e la fumò distrattamente, mentre i rimproveri di Nicholas si facevano più sporadici.

Non aveva ancora detto una parola.

Nicholas le diede un bacio sulla tempia, disse qualcosa che Becca non recepì e si allontanò, stavolta stando bene attento a dove metteva i piedi, e Becca rimase sola con i libri e un pensiero fisso.

Ci aveva messo un attimo a capire cosa le aveva detto quel tale.

Perché per qualche minuto si era completamente dimenticata di essere femmina.
 

 

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Capitolo 4
*** Riflessi ***


Ciao a tutti!
Rieccomi con un altro capitolo.
Grazie a tutti voi che leggete e soprattutto ad alessanroago_94, Jonghyun88 e Ste_exLagu, che mi hanno regalato minuti della loro vita per esprimermi le loro opinioni su questa storia.
XOXO





-Cosa vuoi? Cosa vuoi ancora?- chiese Becca, disperata, al proprio riflesso che si deformava nello specchio a figura intera, ancora un po' appannato dalla doccia.

Nel tentativo di riprendere in mano le fila della propria vita, si era messa a fare attività fisica agonistica; grazie a quella e ad una dieta mirata, aveva perso quindici chili e aveva scolpito quel che restava del suo corpo in una sagoma sinuosa e muscolosa.

Ma ogni volta che guardava nello specchio, ecco rispuntare la pancia molle, il seno enorme, le cosce grosse, il doppio mento, le spalle cadenti.

Si prese i seni tra le mani, sollevandoli a mostrare l'ombra delle costole sottostanti, cercò le linee degli addominali e le trovò, la curva delle ossa delle anche, i quadricipiti ben in evidenza. Si mise di profilo, inarcando la schiena all'indietro, e fissò l'attenzione sulle natiche quasi prive di cellulite, sull'assenza di maniglie, sulla convessità del ventre che rientrava appena sotto le ultime costole. Sollevò il viso, e la linea del mento era dritta, i muscoli del collo tesi.

Ma il suo sguardo pareva cogliere quei particolari solo nel momento in cui ci si soffermava: non appena passava oltre, ecco riapparire strati e strati di grasso che soffocavano i muscoli e le ossa.

Trattenne il desiderio di spaccare lo specchio con un pugno, cercando di ripetersi che sarebbe stato stupido visto che era a piedi nudi e le ciabatte erano in un'altra stanza.

Trattenne anche le lacrime.

Aveva lavorato un anno, senza requie, per ottenere quel corpo, ancora non perfetto ma ormai più che dignitoso, eppure le capitava spesso di guardarsi e di avere la forte impressione che non fosse cambiato nulla, anche se i vestiti nell'armadio e la bilancia dicevano tutt'altro.

Dismorfofobia, credeva si chiamasse.

Dismorfofobia, e anni di bullismo subito a scuola: sulla soglia dei trent'anni, ancora rispondeva ai complimenti con sorrisi di circostanza, e riusciva a credere veramente solo a Johnny, che dopo dieci anni di relazione ancora la trovava sexy, e dopo lo smaltimento di quei chili di troppo spesso non le resisteva.

Ogni volta che qualcuno le diceva che era bella, che era in forma, che stava bene vestita in una data maniera, Becca sorrideva, ringraziava come il galateo comandava, e poi si allontanava con la schiena contratta e le orecchie tese a cogliere qualunque commento che confermasse la sua ipotesi: che il complimento appena fatto altro non era che un modo per attirare l'attenzione di una terza persona, con cui poter malignare sull'aspetto fisico oggettivamente strano o deforme di Becca.

Solo con le mani di Johnny a percorrere le sue curve, a cingerle la vita mentre facevano l'amore, e con le sue labbra sul collo, e con il suo respiro affannoso nei capelli, Becca riusciva a sentirsi davvero bella. Ma durava solo fino all'orgasmo.

Adottò una tecnica di auto-affermazione suggerita da un'amica: si sistemò le sopracciglia, eliminò tutti i peli superflui che riusciva a raggiungere, si diede una mano di smalto, mise un completo intimo carino e aprì l'armadio in cerca di un bell'abito.

Ne trovò cinque, e dopo averli provati li scartò sistematicamente uno ad uno.

Le stavano bene, doveva riconoscerlo, eppure si sentiva strana ad indossarli: era bella, ora, nel riflesso, ma non una bella ragazza. Una bella drag queen.

Nonostante i capelli lunghi, il velo di mascara, il rossetto, le forme chiaramente femminili, a Becca sembrava di essere un uomo che per sbaglio o per divertimento avesse deciso di indossare i vestiti della fidanzata o della sorella.

Ritirò i vestiti, reprimendo un irrazionale senso di colpa, come se stesse nascondendo le prove di qualche crimine orrendo, sostituì la scomoda brasiliana di pizzo con un paio di slip di cotone e il reggiseno a balconcino con un top sportivo, avendo cura che le bretelle incrociate non le solcassero i trapezi, già tesi e induriti per il nervosismo.

Pescò un paio di jeans da arrampicata, larghi anche se sagomati per avere una forma più accattivante, simile un po' ai vecchi bootcut che andavano di moda una quindicina di anni prima, e se li abbottonò senza sforzo: anche quelli stavano diventando decisamente troppo spaziosi per il suo corpo in rapida diminuzione di dimensioni.

Aprì un cassetto e scelse una maglietta dei Mötorhead, con il teschio meccanico simbolo del gruppo sul davanti e la lista di una tournée a cui Becca non aveva partecipato sulla schiena.

Si struccò, cancellando le tracce colorate dell'ombretto e riportando le labbra al loro naturale rosa, si sciacquò il viso e optò per un semplice velo di crema viso coprente e giusto un tocco di mascara.

Si ravviò i capelli con le dita, smontando la perfetta stiratura che le aveva fatto perdere un buon quarto d'ora farcito di minacce, grugniti e parolacce, e li raccolse in una treccia morbida, infine trovò il coraggio di alzare gli occhi verso il tanto temuto specchio.

Le ricambiò lo sguardo una creatura androgina, il seno appena intuibile sotto la maglia larga e pressato dal reggiseno sportivo, i fianchi nascosti dalla tela spessa del jeans, qualche ciocca di capelli che scendeva ribelle a circondarle il viso che poteva quasi definirsi “acqua e sapone”.

Becca rivolse a se stessa un sorriso sornione, lo stesso che si scambiava con gli amici in palestra dopo qualche battuta sconcia, e questa volta il grasso non tornò.

Indossò le scarpe da basket con l'immancabile logo di Michael Jordan, si gettò sulle spalle uno zainetto e uscì di casa.

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Capitolo 5
*** Fanfiction ***


Alla veneranda età di ventotto anni e mezzo, complice un post su Facebook e la temporanea assenza di Johnny, che aveva accettato un lavoro da trasfertista, Becca si ritrovò ad approdare su un sito di fanfiction che aveva frequentato assiduamente anni prima.

Spostatasi dal fandom di Harry Potter, ormai assurdamente caotico e polemico, al semi defunto fandom di Slam Dunk, aveva scoperto il fascino delle fanfiction yaoi e non solo ne leggeva a palate, ma aveva anche cominciato a scriverne.

Un giorno, loggandosi nella quasi vana speranza di trovare nuove fanfiction da leggere, trovò un commento ad una sua storia: “Allora, che dire, mi sono bevuto la tua fic in un fiato. L'ho trovata carina e molto divertente.” il commento proseguiva con un piccolo appunto per cui Becca non se la prese minimamente, anche lei aveva pensato di aver lavorato troppo poco su un certo particolare, ma la cosa che la colpì fu quel participio passato coniugato al maschile.

Nella casa vuota esclamò: -Un maschio che commenta una fic yaoi? Oh, cazzo!- la curiosità di scoprire qualcosa di più sull'autore del commento la spinse nel suo profilo.

Fu lì che con stupore scoprì che di un maschio si trattava, ma che non era di quelli che avevano scoperto la propria identità sessuale guardandosi tra le gambe.

“Se siete transfobici girate alla larga”, scriveva nelle informazioni personali, e per un attimo Becca ricordò il suo vecchio amico Nicholas e le battutacce che aveva subito (e che probabilmente continuava a subire) sulla sua omosessualità, poi fece spallucce.

Le sue basi di conoscenza sulla transessualità erano scarne e molto da cortile della scuola, più sul genere “nelle fogne di New York ci sono i coccodrilli” piuttosto che vere informazioni, ma Becca ritenne di non potersi certo definire transfobica, quindi ignorò l'avvertimento e spulciò tra le opere scritte da Stephen, questo era il nickname dell'autore del commento, colui che inconsapevolmente di lì a poco avrebbe quasi azzerato la capacità neuronale di Becca.

Diede un'occhiata a un paio di one-shot, ma si parlava di suicidio e lei non era molto incline a leggere di morte, almeno non quella sera, per cui soprassedette, poi il suo sguardo fu attirato dall'avvertimento sotto ad una long: “gender bender”.

Il dito di Becca rimase fermo per un po' sul touchpad del pc, indeciso. Dopo un paio di tentativi, aveva cominciato ad evitare come la morte le gender bender: tendevano ad essere ripetitive, tutte variazioni sul tema “mi sono svegliato e avevo la vagina” o viceversa, ma dopotutto... chi meglio di Stephen avrebbe potuto trattare quel tema da un punto di vista diverso e magari anche intenso?

Becca cliccò.

Inizialmente covò qualche dubbio: pareva che il protagonista fosse un membro della squadra di basket, nato con un corpo femminile ma che aveva deciso di farsi passare per maschio per competere con elementi al suo livello e perché, comunque, aveva in programma di diventarlo nel minor tempo possibile. Becca aggrottò la fronte, chiedendosi se fosse plausibile che nessuno dei compagni di squadra se ne fosse mai accorto, poi trovò nel testo la giustificazione che cercava: in effetti, anche nel manga quel personaggio sembrava restare in palestra più a lungo dei compagni. E poi, si disse con una risatina, erano un branco di imbecilli a priori, gente che mandava in campo un principiante senza nemmeno avergli spiegato le regole; bevve un sorso d'acqua e proseguì la lettura.

Intenzionata a commentare capitolo per capitolo, si ritrovò invece a leggerne uno via l'altro con occhi sempre più sgranati e la trachea chiusa.

Lasciò qualche recensione qui e là, per gentilezza, poi finì su un capitolo in cui il protagonista ricordava quando, da bambina, i suoi lo costringevano ad indossare abitini da femminuccia (tale era, dopotutto, almeno agli occhi altrui), e ricordò un vecchio vestito, ormai finito chissà dove: era rosa, ricordò, rosa a quadrettoni, con una lampo sul davanti e una gonna a palloncino con i volant.

Il protagonista ricordava la sofferenza nel dover portare quel dato tipo di abiti, e il petto di Becca si alleggerì: via via che proseguiva la lettura, infatti, aveva scoperto di ritrovarsi in molte delle considerazioni di genere del protagonista, e di conseguenza dell'autore, ma questo proprio non poteva condividerlo. A tratti, certo, ma lei adorava i vestiti.

Lasciò una recensione che non rilesse, per metà turbata e per metà sollevata, poi proseguì la lettura.

 

Ore più tardi, a luci spente, sola nel letto che pareva vuoto e immenso senza Johnny, che sarebbe tornato solo nel fine settimana, si ritrovò a pensare di nuovo a quella fanfiction e al suo autore.

Giacque sulla schiena, gli occhi fissi nel buio e addosso una maglietta da uomo con il logo di Superman, e finalmente trovò il coraggio di porsi la domanda più grossa della sua vita: -Merda, e se fossi trans?- Il sonno svanì del tutto.

Becca cominciò a sperimentare uno stream of consciousness che era più una cacofonia di voci mentali:

“Pensare come una femmina non pensi come una femmina. Ti sarà capitato cosa, tre volte negli ultimi cinque anni?”

“Sì, ma non mi piacerebbe avere il cazzo, tranne che per fare pipì in piedi, e per quello c'è comunque lo She Wee. Per le volte che devo far pipì nei boschi mi accontento anche.”

“Non sarebbe una figata, però, liberarsi di queste due poppe malefiche che non trovano un reggiseno che vada bene e che sbattono dappertutto quando arrampichi?”

“Touché. Ma vuoi mettere quanto stanno bene con i vestiti scollati?”

“Intendi che sono belle da vedere o che ti fanno sentire bella?”

“Ma che cazzo, non lo so! Tutt'e due le cose?”

“Porca troia, ridi alle battute misogine di Sacha Baron Cohen anche dopo che hai visto Ali G trenta volte!”

“Ok, ok, non scherziamo, Ali G è un cazzo di capolavoro del sarcasmo e lo sai!”

“Quante femmine conosci che non si siano offese almeno per una battuta di quel film?”

“Tutte le casalinghe puttane facciano yo-ho!” *

“Ecco, appunto.”

“Dai, Ali G è una presa in giro ai montati che si fanno fighi fingendosi rapper che vengono dal ghetto, le battute sono da interpretare nel loro contes...”

“Stai facendo muro perché pensi di essere femmina in tutto e per tutto o perché hai paura?”

 

L'altra voce tacque.

 

-E va bene.- disse Becca l'indomani, rivolta alla tazza di tè verde della colazione, -Tentar non nuoce, no? Proviamoci. Diamo carta bianca a Tommy.- si alzò di scatto, decisa anche se molto, molto spaventata. Se avesse concluso di essere transessuale, avrebbe dovuto innanzitutto dire addio a Johnny, affrontare (almeno stando al film The Danish Girl, la sua principale fonte di informazioni anche se, come dire, al contrario) una serie di operazioni chirurgiche agghiaccianti, proprio lei che aveva vomitato nel vedere la scena di Pulp Fiction in cui piantano una siringa di adrenalina nel petto di Mia Wallace e, cosa non meno terrificante, spiegare alla sua cattolicissima famiglia chi era veramente. Se riteneva che la mamma e il suo zio preferito non sarebbero stati un problema, altrettanto non si poteva dire di sua cugina, degli altri zii e degli altri parenti.

Quanto agli amici... beh, sarebbe stato un modo per capire chi le voleva bene davvero e chi no.

Si infilò nel suo più stretto reggiseno sportivo, infilò un paio di jeans privi di forma e una t-shirt larga, si legò i capelli lasciando bene in vista la parte inferiore della testa, rasata quasi a zero in un undercut che non smetteva di lodare per la sua praticità, trasferì il contenuto della borsa in uno zainetto sportivo e uscì di casa.

Andava tutto bene.

 

 

 

 

 

* citazione dal film Ali-G Indahouse. Se non l'avete mai visto, innanzitutto guardatelo. La trama a grandi linee: Ali G, un coglione che si fa figo fingendosi rapper con amici più sfigati di lui, fa una protesta davanti al Parlamento inglese per fermare la costruzione di un aeroporto che avrebbe distrutto un centro ricreativo della sua città, e il vice primo ministro decide su due piedi di coinvolgerlo nel partito, sperando di rovesciare così il primo ministro e prendere il suo posto. Le cose non vanno come si aspettava, e Ali G si ritrova a fare una propaganda folle e misogina che inaspettatamente riceve consensi. Con questa citazione comincia il comizio all'Associazione Femministe di Staines. (adesso sto ridendo di nuovo, la scena è questa)

 

Un grazie a tutti voi che state leggendo o commentando questa storia, alessandroago_94, Jonghyun88 e Ste_exLagu (punta un dito accusatore).

Come sempre, se vi va battete un colpo!

XOXO

 

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Capitolo 6
*** Scegli! ***


Tre giorni dopo, tutto andava... com'è il contrario di “bene”?

Da schifo, atrocemente, una merda, niente sembrava rendere appieno l'idea di quanto Becca si sentisse a disagio in quei vestiti informi e quel look maschile.

Si guardò allo specchio, i capelli non stirati e raccolti in una crocchia piatta che li faceva sembrare corti, la t-shirt slavata e larga, il seno quasi invisibile sotto allo strato di stoffa morbida e al reggiseno sportivo.

Un conato di vomito le salì alla gola.

Ecco di nuovo il riflesso deformarsi, ingrassarla, imbruttirla, quel brufoletto sul mento che diventava enorme, i capelli flosci e privi di piega, né lisci né mossi, le spalle grosse e cadenti, il punto vita invisibile.

Becca cadde in ginocchio e per puro miracolo riuscì a centrare il gabinetto con i resti della colazione che avevano evidentemente deciso di abbandonarla per puntare a lidi migliori, tipo le fogne.

-Non ce la faccio. Non ce la posso fare.- disse al cestino della spazzatura, che la fissò di rimando con la sua faccia di maialino sorridente, la ribaltina un po' storta che lasciava intravedere qualche fazzoletto e dei cotton fioc al suo interno.

-Voglio mettermi una gonna!- pigolò.

-Senti, qualcuno te lo impedisce o cosa?- chiese a se stessa. -Qual è il problema? Esperimento fallito, fine della storia, evidentemente non sei trans. Meglio così, no, una serie di interventi chirurgici in meno e la zia continuerà a rivolgerti la parola.

-Oh, quest'ultima cosa proprio mi consola, eh.- ironizzando con la propria voce interiore, Becca si alzò tremante, si spogliò e, in mutande davanti al lavandino, si lavò i denti pensierosa. Non aveva poi chissà quale scelta di vestiti, giusto un paio di prendisole e un paio di abiti da sera, niente di intermedio da poter mettere in un giorno qualunque.

Prese il cellulare, ancora con lo spazzolino elettrico in bocca, e digitò un messaggio: “Silvy, emergenza! Ho bisogno di vestiti, mi fai da consulente?” la risposta arrivò dopo meno di trenta secondi. “DIO, sono mesi k spero k me lo kiedi! Andiam al china del polo commerciale? C sn 1 sacco d vestiti bellissimi!”

“Andata! Quando?”

“Posso esser lì in 1\2 h!”

“Mi vesto e arrivo!” reprimendo un singulto di fastidio alle abbreviazioni da sms che la sua amica più fighetta usava ancora, nonostante su WhatsApp fossero perfettamente inutili, e chiedendosi se davvero fosse una buona idea chiedere consiglio a qualcuno che scriveva “k” al posto di “che”, Becca indossò un reggiseno normale, si buttò addosso una canotta e infilò una gonna pantalone lunga, che quando tirava un po' di vento la faceva sempre sentire come Eowyn che scruta l'orizzonte sulla scalinata di fronte al palazzo di Edoras, saltò in auto e si diresse verso il polo commerciale.

Parcheggiò di fianco alla Ford di Silvia, scese e subito l'amica propose: -Caffè?

-Sì, ma niente buongiornissimo!- rispose lei, sorridendo.

Di fronte a quella che da un caffè era diventata una seconda colazione, con cappuccino e croissant, Silvia disse: -Guarda come stai bene vestita così, hai un bel fisico, dovresti metterlo in mostra!

-Eh, lo so... ma non so che vestiti scegliere.- rispose Becca, mesta.

-Ci penso io...- ribatté Silvia, portandosi la tazza alle labbra. Per un attimo, Becca la invidiò: era in jeans e camicetta a quadri, eppure riusciva a mantenere una femminilità così accesa che già quattro uomini si erano girati a guardarla, mentre nessuno tranne il cane di una cliente aveva riservato un secondo sguardo a Becca.

Si consolò pensando che lo stesso cagnolino che da lei aveva preteso un mare di coccole aveva ringhiato minaccioso a Silvia.

Finita la colazione, si diressero nel negozio di fianco al bar, e neanche tre minuti dopo Becca era sommersa di vestiti da provare: sembrava che Silvia fosse posseduta da un demone dell'abbigliamento. -Mh, questo non saprei, forse per te è un po' troppo elegan...

-Oh, mio Dio, è bellissimo! Da' qua!- Becca ghermì l'abito lungo a fiori che Silvia stava contemplando e lo mise in cima alla pila di vestiti.

-Dai, cominciamo ad andare in camerino così, poi vediamo altro.- Becca provò un abito dopo l'altro, facendo passerella dopo ognuno di essi, in punta di piedi per simulare un paio di tacchi, e Silvia diede il proprio giudizio su ognuno di essi. Alla fine, furono promossi a pieni voti un tubino di jeans e l'abito lungo a fiori.

In coda alla cassa, Silvia pareva pensierosa. -Tutto ok?- domandò Becca.

-Sai, non capisco. Ci sono giorni in cui sembri un uomo, ti vesti come il peggio buzzurro di sempre... giuro su Dio che ti ho vista andare alle feste con i pantaloni da arrampicata.

-Beh, ho messo quelli belli, non quelli con le toppe sul culo.

-Sempre pantaloni da arrampicata sono...- Silvia la guardò storta, -E poi vai a mettere un vestito e lo scegli elegantissimo, e lo metti su e sembri perfettamente a tuo agio... conosci anche più regole del galateo di me! Passi dall'essere il cafone più cafone del mondo alla donna più chic che conosco.

-Eh...- sospirò Becca, sul punto di confessare tutto il suo tormento, dall'esigenza di vestirsi da maschio all'ultimissima esperienza e al suo naufragio disastroso. -Ecco, io...

-Cazzo, Becca, scegli!- sbottò Silvia, -O cerca una via di mezzo!

-Ma... anche tu metti pantaloni da arrampic...

-In palestra li metto, in palestra! Becca, non puoi andare in giro conciata come uno sfollato e il giorno dopo vestirti come Kate Middleton!

-Ma perc...

-Trova una via di mezzo! Jeans aderenti, ballerine, una camicetta! Una magliettina aderente, qualcosa che faccia vedere quelle belle tette che hai!

-Silvy, so che lo dici con le migliori intenzioni, ma vestita così...

-Quando siamo andate al cinema eri vestita così e hai detto che eri a tuo agio, no?

-Sì, ma...

-E allora vai di via di mezzo! Non puoi essere tutte e due le cose!- Becca, ormai arrivata al proprio turno, digitò il pin del bancomat con un dito che tremava all'inverosimile.

Non era in grado di arginare il fiume di parole con cui Silvia, certo armata delle migliori intenzioni, la stava sommergendo. Non sapeva spiegare che certi giorni era così chic che avrebbe potuto presenziare ad una cena di gala e si sentiva perfettamente a suo agio così, mentre altri giorni non c'era altro che un paio di jeans, del sano rock'n'roll, una palla da basket e una parete da scalare. L'outfit intermedio che aveva scelto per il cinema, ridacchiando all'idea dei loro amici di fingere per tutto il tempo che Silvia e Becca fossero una coppia dato che la prima era single e la seconda aveva il fidanzato in trasferta, era una rarissima eccezione: forse un giorno su cento si sentiva a proprio agio in casual chic.

Si salutarono fuori dal negozio, Becca improvvisando un sorriso che, almeno dall'interno, sembrava falsissimo, e Silvia si congedò con un ultimo: -E mi raccomando... scegli!

-Sì... certo.- rispose Becca, poi salì in auto.

“Scegli”. Certo, come se fosse facile. Come se non fossero quasi trent'anni che cercava di scegliere. O meglio, si era sempre presa per quello che le veniva meglio nel momento in cui si alzava dal letto, salvo alcune occasioni in cui era d'obbligo un certo tipo di abbigliamento, ma di recente la questione era sembrata diventare più pressante.

Forse era l'avvicinarsi dei trent'anni, traguardo che per una donna era sempre il primo trauma dell'età che avanza, forse era il fatto che dopo essere dimagrita così tanto ancora non era a suo agio con se stessa, forse... chissà.

Tornando a casa, con gli Ark a fare da colonna sonora, pensò alla fanfiction che le aveva messo il tarlo nell'orecchio, mentre le parole di Silvia ancora le rimbombavano in mente.

Thoughts... is it right to feel this way?”

“Ti vesti come il peggio buzzurro di sempre!”

Is my posture ok?”

“...vestita come Kate Middleton!”

Am I straight or gay?”

“CAZZO, BECCA, SCEGLI!”

 

-Posso cercare di morire, se ti creo problemi.- sussurrò lieve la voce di Tommy, mentre Becca tirava il freno a mano dopo aver parcheggiato sotto casa. I suoi occhi si riempirono di lacrime, mentre il cuore cominciava a battere frenetico.

Da un lato, sollievo.

Dall'altro, terrore.

Becca abbracciò il volante e scoppiò a piangere.






Ciao a tutti!
Grazie, come sempre, a voi che commentate. Questo capitolo è ispirato ad un episodio realmente accaduto, ancora la cinese del negozio mi guarda di traverso quando entro, credo si ricordi benissimo la piazzata isterica che Silvia mi ha fatto un mese fa di fronte al reparto cappelli.
PS: compro cinese consapevole che ciò uccide l'economia del nostro paese, ma raga non c'ho soldi neanche per Oviesse.
PPS: la canzone degli Ark è Let Your Body Decide.
XOXO

 

 

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