J'adoube

di MadLucy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo atto ***
Capitolo 3: *** Secondo atto ***
Capitolo 4: *** Terzo atto ***
Capitolo 5: *** Quarto atto ***
Capitolo 6: *** Quinto atto ***
Capitolo 7: *** Sesto atto ***
Capitolo 8: *** Settimo atto ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1.
Sotto la sua testa c'era un cuscino. Sul suo corpo una coperta. Due spiegazioni possibili, pensò Harry: o l'aldilà era una specie di dormitorio, oppure il veleno del Basilisco non l'aveva ucciso. Era stato salvato? Drizzò rapidamente il torso, infliggendosi un giramento di testa. Non si trovava più nella Camera dei Segreti. La stanza era grande, un salotto elegante provvisto di caminetto e scaffali con libri. Harry si massaggiò la fronte, perplesso. Tutto gli faceva pensare di trovarsi a Hogwarts, ma perchè non c'era nessuno? 

Si stava ancora guardando intorno, quando una persona apparse. L'ultima che avrebbe voluto vedere. Era il ricordo di Tom Riddle, con la sua pettinatura pulita e rifinita anni cinquanta, l'onda del ciuffo scolpita sulla fronte. Non indossava più la divisa, ma un abito di sartoria che gli calzava a pennello e un mantello che ne avviluppava la figura slanciata. 
«Ben svegliato» gli augurò, l'ombra di un ghigno sulle labbra. 
Harry sgranò gli occhi, spaventato. «Ginny? Lei-»
«È morta, Harry» rispose Tom, dolcemente, con un tono d'ovvietà. «Ricordo di averti avvisato che sarebbe successo.»
Harry sentì una fitta di rabbia nel petto, subito affievolita da un'improvvisa stanchezza. «Tu...» 
«Risparmia le energie» consigliò il ragazzo, facendogli cenno di restare disteso. «Non è stata una gran perdita, ammettilo. Cercheremo di tirare avanti anche senza di lei.» I suoi occhi blu acciaio sembravano godere della breccia di dolore che avevano appena aperto, e titillarla, nella speranza di infettarla ancora di più. Si sedette sul bordo del materasso, vicino a lui. Harry cercò di spostarsi, ma era così intorpidito. 
«Mi dispiace per averti minacciato di morte» esordì Tom, portandosi una mano al cuore in un gesto di affettata, retorica contrizione. «È stato molto... scorretto da parte mia. Sono stato io a crearti, dopotutto. Sono stato io...a indicarti come mio eguale. Ho creato un nemico su misura per me. La solitudine gioca brutti scherzi.» Si concesse persino un sorriso divertito, come se quella tra loro fosse una normale conversazione tra amici. «Io ho fatto di te quello che sei più di quanto abbia fatto il sangue dei tuoi genitori. Devo confessare che il risultato è eccellente. Un mago così giovane e talentuoso, già in grado di affrontare prove molto difficili... Proprio com'ero io» concluse, soddisfatto. 
«Tu non sai niente di me!» sbottò Harry, mentre le lacrime cominciavano a stillare al pensiero di Ron e la famiglia Weasley, del loro dolore per la perdita di Ginny. 
Tom gli rivolse un'occhiata di sfida. «Non hai mai conosciuto la tua famiglia. I bambini babbani ti hanno emarginato. I tutori che avrebbero dovuto proteggerti ti hanno umiliato. Ti è stato fatto pagare come una colpa il fatto che fossi speciale, soltanto per paura e invidia. Hai dovuto badare a te stesso. Hogwarts è stata la tua prima e unica vera casa. La magia ti ha salvato la vita. Hai scoperto di essere mezzosangue, e la tua vicinanza -sfiorata appartenenza- alla casa di Serpeverde. Ma persino lì non hai mai smesso di chiederti perchè fossi diverso dagli altri. I serpenti ti parlano. Hai una predisposizione prematura per un certo tipo di magia inaccessibile ai più.» I lineamenti delicati e armoniosi creavano ombre sul suo viso, prima indaco, poi olivastre. «Sto parlando di te, ma tutto questo si applica perfettamente anche a me. Nessuno al mondo può capirti meglio. Tuttavia...» Le sue labbra si socchiusero. «Ugualmente m'incuriosisci. Se il nostro destino è completarci a vicenda, dev'esserci per forza qualcosa di tuo che mi manca.»
«Il nostro destino non è completarci a vicenda» lo contraddisse Harry, tra i denti. «Io devo-»
«-distruggermi?» suggerì Tom, gentilmente. 
«Sconfiggerti» lo corresse, distogliendo lo sguardo. 
Lui sorrise. «Harry, dolce Harry. C'è un motivo se non sono riuscito a ucciderti. Un motivo se c'è un legame tra noi.» Allungò l'indice, scostò una ciocca di capelli corvini e gli sfiorò la cicatrice, pianissimo, scottandosi appena il polpastrello. «E va al di là della protezione di tua madre, al di là della profezia. Eravamo destinati ad incontrarci. Perchè noi due siamo uguali.»
Harry non riusciva a far emergere la rabbia dalla spossatezza, ma ci provava. «Non siamo affatto uguali! Tu hai scelto di diventare un assassino!»
Tom lo ignorò. «Conoscendoti ho provato quello che hai provato tu. La sensazione di vedersi riflessi in uno specchio. Non puoi ignorare che ci sia un disegno più grande. Come spiegare i nuclei gemelli delle nostre bacchette, ad esempio? Ad ogni modo, una cosa è certa: una parte della mia anima si cela dentro di te, e non posso riaverla indietro.» Il suo sorriso divenne scaltro. «Non mi resta che tenerti da conto.»
«Che cosa stai dicendo?!»
Tom fece una smorfia altera. «Non fare quella faccia. Ti sto dando una buona notizia. Non ti ucciderò» lo rabbonì. «Tutto quello che io intendo fare, lo potrò fare soltanto se tu sarai con me.»
Harry ricambiò il suo sguardo ferocemente, bruciando d'odio. «Puoi tenermi qui quanto vuoi, ma io non ti appoggerò mai.»
Tom lo ignorò ancora una volta. «Io ti ho dato una parte di me. Ti ho trasmesso dei miei poteri. Adesso tocca a te darmi in cambio qualcosa che ti appartiene» lo informò, con voce suadente. «Mi darai il tuo sangue, di tua spontanea volontà. Non è paradossale che la magia originata per respingermi mi proteggerà?»
«Io non ti darò il mio sangue» gemette Harry. Tutto cominciava a vorticargli intorno.
«Non ancora» puntualizzò Tom. «Insieme possiamo fare cose straordinarie, te l'ho detto. Tu non sei semplicemente il Prescelto. Sei il mio Prescelto.» Un gigantesco rettile iniziò ad avvilupparsi alle gambe del letto. Era di spropositata lunghezza, corazzato di scaglia color zaffiro e smeraldo. «Ti presento Nagini» aggiunse Tom, ghignando. «Ti veglierà durante il tuo riposo. Avete molte cose in comune. Sarà contenta di avere qualcun altro con cui parlare.»
Harry lanciò uno sguardo truce alle pupille verticali del serpente, poi si lasciò ricadere sul cuscino. 
«Non hai vinto tu, Voldemort» bisbigliò, sfinito. «Silente mi troverà.»
Tom si avviò alla porta. Si voltò a guardarlo un'ultima volta, beffardo. 
«Oh, andiamo, Harry. Tu odi quel nome. Chiamami Tom.»

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Capitolo 2
*** Primo atto ***


Primo atto.

Harry si risvegliò in un luogo diverso dal solito salotto con camino. Era una vera e propria camera da letto, e il letto era persino provvisto di baldacchino di velluto granata; la carta da parati era grigio perla con una fantasia d'edera nera; appariva antica. Il lampadario era imponente, a otto bracci. Si rese conto di avere ancora una fascia stretta al polso. Tom era al suo fianco, come sempre.
«Cos'è questo posto?» domandò con voce impastata, recuperando gli occhiali sul comodino. 
«Casa mia» disse Tom, con semplicità. «Ti piace?» 
Harry non sapeva dirlo. L'illuminazione era un po' sinistra, nonostante lo sfarzo. «Quando potrò tornare ad Hogwarts?»
«Quando sarà di nuovo un posto sicuro per te» ripetè Tom, per l'ennesima volta, ma senza il minimo segno d'irritazione, come se fosse la prima. «La questione della Camera dei Segreti non è ancora stata risolta, e tu sei in pericolo. Per questo Silente ti ha affidato a me.»
Harry non capiva perchè soltanto lui avesse dovuto lasciare Hogwarts. «Io potrei aiutare...»
Tom scartò l'idea con un cenno della mano. «Non dire sciocchezze. Credi di saperne più di Silente, adesso?» lo rimproverò scherzosamente. 
«No, ma... Ginny è amica mia.» Harry aggrottò la fronte. Ricordare era complesso. La sua mente sembrava invasa di fango. «E lei... era sparita. Mi sembra.»
Tom scoppiò a ridere. «Ma che dici, Harry? Che idee! Ginny sta benissimo!» Cavò dal mantello frusciante un mazzo di buste di pergamena. «Guarda, ti ha scritto una lettera. Tutti i tuoi amici te ne hanno scritte. Ron, e Hermione, e Neville.»
Harry sentì scoppiettare nel petto la gioia per quella sorpresa inaspettata. «Davvero?» Spalancando gli occhi, ci mise subito le mani sopra, e Tom glie le cedette sorridendo. 
«Naturalmente. Edvige è arrivata questa notte, ora sta riposando.» Gli toccò appena i capelli, affettuosamente. «Sei solo in trasferta, dopotutto. Presto li rivedrai.» 
Era un'ottima notizia. Harry sollevò lo sguardo sul ragazzo più grande. «Grazie per tutto quello che stai facendo per me, Tom.»
Lo sguardo di lui era carezzevole ma torbido. «Non mi devi ringraziare.»
La porta della stanza s'aprì. Era una donna, con una matassa di ricci neri lunghi fino alla vita, una mascella pronunciata e occhi grandi, tondi, bulbosi. Nel fissarlo, uno spasmo parve distorcerle aspramente il viso. «Harry Potter.» La sua voce era ridotta ad un sussurro, fioco e stridulo. 
Tom l'ammonì in silenzio, le labbra strette in una linea di disapprovazione. «Lei è Bellatrix. Una mia... amica. Anche lei si è offerta di proteggerti.»
La donna spostò lo sguardo su Tom. Un lampo incomprensibile vi era acceso all'interno. «Mio Signore, siete... sicuro?»
«Sarai gentile con Harry» sibilò Tom, minaccioso. «Tutti quanti lo sarete. Il nostro ospite deve sentirsi a casa.» Fece una pausa, con riluttanza. «E non essere così ridicolmente formale. Io sono Tom, ricordi?» Inarcò le sopracciglia, con imperativa eloquenza.
La donna sembrò ancora più provata. Deglutì in un singulto fremente. «... Tom.» Pareva sul punto di crollare a terra, tanto era magra e febbricitante.
«Ora lasciamo che Harry riposi» decise Tom. «Il trasferimento è stato faticoso per lui. Ricordati soltanto di bere il tuo decotto.» Quando Harry si svegliò le lettere erano sparite, ma lui non le ricordava già più. 
Le giornate si susseguivano tutte simili. Harry stava praticamente sempre nella stanza che gli era stata assegnata, spostandosi dal letto alla scrivania. Tom gli faceva spesso compagnia: giocava a scacchi con lui, gli portava i suoi dolci preferiti, gli raccontava storie ed eventi del mondo magico di cui lui non sapeva nulla, per alleviare la sua perenne convalescenza e la sua assoluta noia. Era un ottimo narratore, abile nel comporre fluidi discorsi ricchi d'informazioni, meglio di qualsiasi professore Harry avesse mai avuto. Era colto e appassionato. Tutto quello che diceva era sentito come assolutamente fondamentale e solenne. Il suo serpente, Nagini, era piuttosto laconica, a dispetto di quanto Tom aveva detto. Sembrava animarsi davvero soltanto in presenza del padrone. Però finalmente arrivò il giorno in cui Tom non si limitò a mandargli un elfo domestico con un carrello imbandito per la cena, ma lo invitò al piano inferiore, a sedersi a tavola con quella che definì "la sua famiglia". Appena lo sentì dire questo, Harry ricordò confusamente che Tom Riddle avrebbe dovuto essere il ricordo racchiuso in un diario; come poteva avere una famiglia? Un minuto più tardi aveva smesso di chiederselo. 
La sala da pranzo era maestosa, con una tavolata adorna di argenteria rifinita dai folletti e coppe ricavate dal cristallo. Però, così come la camera, era semibuia. Le candele proiettavano lunghe ombre spettrali alle pareti. Quasi tutte le persone sedute al tavolo indossavano mantelli scuri, e a parte Bellatrix non c'erano altre donne. I pochi visi che Harry scorgeva sotto i cappucci erano pallidi e ostili. Solo uno gli parve familiare: un uomo algido dai lunghi capelli biondi, che lo fissava con manifesto sgomento. Notò, sconcertato, che l'unica persona a cui l'elfo servì il cibo era lui. Tutti gli altri piatti rimasero immacolati. Non sembrava per niente una cena di famiglia. Harry sedeva alla destra di Tom, che era a capotavola. Gli sguardi di tutti erano polarizzati da lui. 
Tom presentò ufficialmente Harry agli altri, che si limitarono a tacere e scrutarlo. Il ragazzino si sentiva sempre più a disagio. Tom cominciò poi a snocciolare nomi, chiedendo notizie su tutta quella gente, e ogni tanto asseriva se era il caso di "intervenire" oppure no. 
«Cosa farete a queste persone?» si azzardò a domandare infine Harry, curioso. 
«Visita» sorrise Tom. «Faremo loro visita.» Poi, rivolto ai suoi familiari, ingiunse con fermezza: «Le visite vanno raddoppiate.»
Lucius Malfoy assisteva a quella scena ripugnante, il Signore Oscuro accanto a Potter, che dondolava le gambe senza nemmeno toccare il pavimento, quieto e docile come un agnellino. Un bambino innocente, all'apparenza. Ma non lo era. Era l'unica minaccia concreta che poteva stagliarsi contro il Signore Oscuro, a detta della profezia. Ciò che andava fatto era ucciderlo, tutti i Mangiamorte lo pensavano. 
Non Tom. 

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Capitolo 3
*** Secondo atto ***


Secondo atto.

«Buongiorno» esclamò Tom, spalancando le tende con un tocco di bacchetta, non appena vide che Harry aveva aperto gli occhi. 
«'giorno» mugugnò Harry, stropicciandosi il viso con le nocche. Si concesse di rimanere ancora un po' lì, disteso indolente nel letto a baldacchino. «Quali sono i piani per oggi?»
«Temo che dovrò assentarmi fino a stasera» rispose Tom, accostandosi al letto. «Sono passato solo a salutarti.»
Harry non riuscì a trattenere completamente la delusione. «Ancora quella missione per Silente?»
Tom annuì. «Ho chiesto a Bellatrix di passare per un allenamento. Ti andrebbe?»
A Harry Bellatrix non andava a genio, sentimento pienamente ricambiato, ma gli piaceva esercitarsi e applicarsi in qualcosa di utile. Quando usava la magia era l'unico momento in cui si sentiva vigile e capace. «Magari, grazie.»
«Allora verrà da te quando avrai finito la tua colazione.» Tom agitò la bacchetta. Uno schermo molto grande comparve sul muro, come quello di un televisore, ma che si rivelò più simile ad un modellino tridimensionale: gli spalti dei tifosi si ergevano olografici dentro la stanza da letto. «Ho pensato che volessi vedere la Coppa del Mondo di Quidditch. Bulgaria contro Irlanda.»
Harry saltò su per l'entusiasmo. Era da un sacco di tempo che non assisteva al Quidditch -o almeno, gli pareva. «Davvero?»
«Perchè no. Nagini, tu resta con lui» intimò in serpentese.
Harry esitò. Sapeva che quello che stava per dire non sarebbe stato accolto granchè bene. Lui non poteva uscire da quella casa: non poteva lasciare la propria stanza, figuriamoci l'abitazione. «Tom, mi chiedevo se... uno di questi giorni potessi venire con te. Insomma, lo so che Hogwarts è stata chiusa per colpa del Basilisco eccetera, ma sono certo che Silente potrebbe-»
«Sei ancora troppo debole» lo interruppe Tom, imperturbabile. «Ma presto. Quando sarai nel pieno delle forze.»
Harry corrugò le sopracciglia. «Da quanto tempo sono a letto?» La sua percezione del tempo era alquanto alterata.
«Un paio di settimane» ribattè lui. «Non è niente di grave, non temere.»
Harry non temeva. D'altronde, da quando viveva con Tom, si sentiva come se non dovesse preoccuparsi più di niente. Sapeva infondergli sicurezza, più di qualsiasi altra persona che si fosse mai occupata di lui. Dava l'impressione di poter mantenere tutto sempre sotto controllo. Con Tom a gestire il susseguirsi degli avvenimenti, un imprevisto non avrebbe mai osato manifestarsi. Gli aveva offerto tutto: una quotidianità regolare e serena, un rifugio veramente protetto, un riposo da tutte le stranezze e le responsabilità che avevano popolato la sua breve esistenza. Faceva piccole cose per lui, mirate e personali, sorprese e regali, che dimostravano quanto bene lo conoscesse, quanto ci tenesse a farlo contento. Al fianco di Tom, aveva riscoperto la possibilità di vivere la propria età, senza interferenze da quel mondo che pretendeva perennemente di essere salvato da lui. 
C'era un'altra cosa da segnalare, questa molto privata. Ma lui non aveva segreti con Tom, giusto? Non aveva motivo di averne. 
«Volevo anche raccontarti che in sogno vedo spesso... alcuni ragazzi, sempre gli stessi» titubò Harry. «Un ragazzino coi capelli rossi... una ragazzina bruna. Credo siano miei amici... Ma non ricordo di averli mai incontrati. Ho per caso battuto la testa, quando il Basilisco mi ha attaccato?»
Tom scrollò le spalle. «Non saprei dire. Potrebbero anche essere delle premonizioni.»
«Quindi li incontrerò?» s'illuminò Harry. L'idea gli piaceva. I loro sorrisi erano così cordiali, e le loro risate lo facevano sentire parte di qualcosa di memorabile. 
«È possibile.»
Dopo averlo salutato, Tom si diresse da Bartemious Crouch Junior, che si occupava dell'Intruglio Confondente e della Pozione Obliviosa per Harry. 
«Il ragazzo recupera dei ricordi attraverso i sogni. Bisogna aumentare la dose. E...»
«Sì, Mio Signore?»
«È giunta l'ora di iniziare con l'Amortentia.»
Mezz'ora più tardi, nella stanza di Harry, Bellatrix non si faceva scrupoli a scagliare Schiantesimi ravvicinati. «Non sono qui per allenarti a nasconderti sotto il letto, Potterello... Vieni fuori, razza di idiota.» Tendeva ad essere sempre più scortese con lui, quando Tom non era nei paraggi.
Harry si sporse da dietro la testata del letto quel poco sufficiente a urlare «Protego!» e neutralizzare il raggio di luce rossa. Bellatrix ghignò, non senza asprezza.
«Il bimbo si è svegliato. Sei fortunato che il Signore Oscuro non ti voglia danneggiato. Altrimenti non saresti ancora lì a guardarmi con quegli occhioni rintronati, in quei vestiti che appartengono a lui... Non ti dico dove saresti, perchè non mi è concesso.» 
Harry battè le palpebre. «Il Signore Oscuro, intendi Tom?»
Sapeva di farla arrabbiare. Forse lo voleva.
Non sapeva perchè lo voleva.
Le pupille di Bellatrix si sgranarono in silenzio nel buio delle sue iridi. Il pugno si chiuse intorno alla bacchetta. Il suo respiro s'interruppe a fior delle labbra piene. Un secondo.
Sarebbe bastato un secondo. Harry rimase immobile dov'era, senza ritrarsi.
Non accadde nulla. Bellatrix inclinò la testa a destra, sorridendo. «Sai fare incantesimi non verbali, Potter?»

***

Al suo ritorno, Tom trovò Harry seduto a gambe incrociate sul pavimento. Davanti a lui era spalancato un libro di scuola che aveva richiesto e che giorni fa gli aveva procurato. Non voglio restare indietro, spiegava. Tutt'intorno lo circondava Nagini, le spire flessuose morbidamente arrotolate, il collo inarcato in modo da parlare con Harry a quattr'occhi. Quando si accorse del suo arrivo, il ragazzino gli rivolse un ampio sorriso. 
«Nagini è gelosa di Bellatrix» disse a mo' di saluto, con l'aria di chi sta spifferando una confidenza.
«Femmine» commentò Tom, freddamente, mentre sfilava il cappotto e lo appendeva. Ormai erano sempre più frequenti le serate che trascorreva in camera di Harry, senza mai lasciarlo solo. 
«Il ragazzo è sfrontato, mio signore» lo denunciò Nagini, seccata. 
Harry ricordò una domanda che si era ripromesso di fargli, prima o poi. «Perchè ti chiamano tutti "mio signore"? Tutti tranne me, intendo.» 
Tom parve soppesare la risposta, pur senza essere in difficoltà. «Perchè provano rispetto per me» scandì attentamente. 
«Il rispetto è una cosa diversa» obiettò Harry, pensando a Silente: lui sì, ispirava rispetto e lo otteneva. «A me sembra... terrore.» Ecco cosa accomunava le facce sotto i cappucci: erano tutte terrorizzate.
Ci fu uno scambio di sguardi. Tom entrò in contatto con quel qualcosa di Harry che era ancora attivo, ancora presente. Una fiamma. Un lampo che sbugiardava qualsiasi artificio evocato da una pozione. So chi sei, so cosa hai fatto, verrò a prenderti. Quel qualcosa che non sarebbe mai riuscito a domare, e che quindi poteva soltanto spegnere. 
Harry sostenne il suo sguardo, con ingenuità. 
Non sapeva di avere quattordici anni. Non sapeva di essere lì da due anni. Non se lo domandava nemmeno.
«È ciò che proverà chiunque tenterà di farti del male» dichiarò Tom. «Terrore.»
Harry pensò che era la prima volta che sentiva dire qualcosa del genere nei propri confronti. Pensò anche che era stato detto in modo strano. Lo fece comunque sentire a casa, però. 

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Capitolo 4
*** Terzo atto ***


Terzo atto

Harry credeva che avrebbe pranzato insieme ai familiari di Tom, come ogni tanto accadeva, e che per questo fosse stato fatto vestire di tutto punto e accompagnato al piano inferiore della casa; invece non era questo lo scopo. 
«Harry, il tuo amico Draco è venuto a trovarti» annunciò Tom, enfatico, indicandogli l'atrio: stavano lì impalati in piedi Lucius Malfoy, che aveva avuto modo di conoscere durante le varie cene, e un ragazzino circa della sua stessa età, fisicamente simile a quello che doveva essere il padre. 
Harry tentennò, sforzandosi di ricordare e prendendo tempo. «Draco...?»
Il ragazzino non assomigliava affatto ai suoi amici che vedeva nei sogni. Il suo volto gli era del tutto ignoto. Aveva un'espressione non di riconoscimento o di affabilità, ma di assoluto attonimento e turbamento. Lo fissava quasi con orrore. Ad un certo punto alzò il mento per guardare il padre, un muto, disperato interrogativo negli occhi. Lucius gli diede un brusco buffetto, come azzittendo la sua protesta.
«Voi due vi siete conosciuti a Hogwarts» affermò, gelido. «Non ti dice niente?»
Harry si sentiva in colpa. «Ho qualche problema a ricordare ciò che è collegato a Hogwarts... Mi dispiace. Non è colpa tua» garantì, rivolto a Draco. 
Draco si affrettò ad annuire con la testa, quasi spaventato. Tom e Lucius si rivolsero una breve occhiata a vicenda. Harry trovava l'intera situazione abbastanza incomprensibile.
«Lasciamoli un po' soli» propose Tom. «Magari chiacchierare aiuterà la memoria di Harry.»
Draco sembrava gradire poco la proposta -al punto che Harry si chiese che razza di amici fossero stati- ma non protestò, e permise che venissero lasciati soli nella sala principale della casa. 
Harry era molto in imbarazzo. «Allora... com'è che ci siamo conosciuti io e te, esattamente?»
Draco lo guardò con fare ora schietto, diffidente. «Potter?» pronunciò, con una voce diversa, dubbiosa ma più ruvida, come se temesse di stare venendo preso in giro. «Fai sul serio?»
Harry strinse gli occhi, confuso. «Scusa, non capisco cosa intendi.»
Draco strabuzzò i suoi. «Sei ancora là dentro?» chiese allora, sbigottito, con una punta di timore. 
Fu la prima volta che Harry provò sincera paura per la propria condizione.
«Noi non eravamo amici prima, vero?» indovinò. «Ti prego, dimmi tutto quello che sai. Nomi. Mi servono nomi. Non riesco a recuperarli. Dei nomi... potrebbero aiutarmi molto.»
Draco parve estremamente combattuto. «Non lo so, Potter, io non posso... non so se...» Si morse il labbro inferiore, voltandosi a guardare la porta che li divideva dal padre e da Tom. «Non credo che io sia stato mandato ad aiutarti.»
Harry si spazientì. «E perchè non dovresti farlo? Su, avanti, devi sapere un nome! Un mio amico, un mio vero amico! Un professore, qualcosa-»
«-Ron Weasley» fiatò Draco. La sua bocca ora era secca. «... quella feccia di Weasley. E... Granger. Hermione Granger.» Si voltò di nuovo, inquietato. «Basta così. Hai avuto i tuoi nomi. Adesso lasciami in pace. Non posso dirti altro.»
Harry sentì un brivido percorrergli il cammino delle vene nelle braccia. Ron Weasley, Hermione Granger. Il suono era vuoto, ma produceva qualcosa, una scintilla. Ron Weasley, Hermione Granger. Non c'erano immagini associate, però... C'era come un sapore sulla lingua. Qualcosa di indefinito e potente. Sapeva che avrebbe dovuto ricordarseli.
Tom lo ricondusse con preoccupazione in camera sua, congedando in fretta gli ospiti. «Mi dispiace tu non ricordi nulla del giovane Malfoy. Sarebbe stato una buona compagnia per te. Devi annoiarti molto, sempre chiuso qui, senza nessun coetaneo con cui confrontarti...»
Harry non rispose. Era taciturno. Stava riflettendo. Era come quando voleva esprimere chiaramente un concetto, ma la parola esatta ed esaustiva sfuggiva. Restava nella lingua senza spiccare il volo. Ron Weasley, Hermione Granger. Era un indovinello con una risposta elementare ma esasperatamente irraggiungibile.
Tom si era messo ad ordinare i suoi libri sul comodino. «Basta che mi dici cosa preferisci mangiare stasera, ordinerò all'elfo di-»
Libri. Hermione Granger. E Ron Weasley. La risposta giunse fluida e immediata, come un rubinetto che si apre e scorre. La realtà tornò al suo posto. 
Voldemort.
Harry sbarrò gli occhi.
A Tom fu sufficiente un'occhiata per cogliere al volo la situazione in atto. Harry si lanciò sulla bacchetta, e Tom gli saltò addosso cercando di immobilizzarlo sotto di sè, sul letto. Ci fu un breve combattimento. Harry si divincolava convulsamente, consapevole che un fallimento avrebbe significato ricadere nell'oblio. Le mani di Tom erano come tenaglie bianche intorno ai suoi polsi. Scalciò selvaggiamente, boccheggiando. La rabbia, il panico, l'impotenza. 
«Lasciami andare, lasciami, ti odio» sputò, piangendo e urlando e ruggendo. 
Tom riuscì, con uno scatto fulmineo, a mollare un suo polso ma raggiungere la bacchetta nella tasca senza lasciarlo sfuggire. Glie la puntò sotto il mento, premendo forte. 
«Non puoi sfuggirmi, piccolo bastardo. Ti ho Incantato in un modo tale che, qualora l'effetto della pozione venisse meno, io sarei il primo a saperlo» lo informò, in un sibilo. «Approfitterò di questo inconveniente per sfogarmi un po', prima di tornare a recitare quella ridicola commedia. Crucio!»
Harry gridò e singhiozzò. Il dolore non era niente, era la punta dell'icerberg. L'idea di dimenticare nel giro di pochi minuti di dover scappare lo caricò di furia. 
«Quello non sono io! Quello non sono io!» sbraitò, contorcendosi sotto l'effetto della maledizione. «Tu non hai ottenuto niente. Capito? Niente!»
«Tu credi?» sussurrò Tom. «Crucio! Questo è quello che ti conviene pensare, caro Prescelto. Ti si rizzano i capelli in testa se realizzi quanto ti diverti a vivere con me. Non temere, mi premurerò affinchè il tuo amato Silente lo venga a sapere... quanto lo hai deluso. Ma adesso è il momento di tornare a nanna. Buonanotte, Harry. Oblivion
Quando Harry si svegliò, era ora di scendere per la cena. Le tracce del passaggio di Draco Malfoy erano state dissolte. 

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Capitolo 5
*** Quarto atto ***


Quarto atto

«... la Sala Grande, ovviamente» cominciò Harry, lo sguardo rivolto verso il soffitto della stanza, come se potesse magicamente animarsi come quello di Hogwarts. «E il cibo. Non ho mai mangiato qualcosa di così buono. Il primo sorso di succo di zucca... me lo ricordo ancora. E poi la Galleria delle Armature, la Guferia, la Torre di Astronomia...»

«... ci andavo sempre, durante il plenilunio» rammentò Tom, rivolgendogli un sorriso strano, quasi distorto da una punta di amarezza -non semplice malinconia, qualcosa di più vicino al rimpianto. «Il laboratorio di pozioni...»
«Persino la biblioteca» si stupì di se stesso Harry. «Persino quella mi manca.»
«Soprattutto la biblioteca, vorrai dire» lo bacchettò Tom, fingendo di rimproverarlo. «In nessun'altra parte del mondo in cui io sia stato il palpito della magia è così distintamente percepibile... Come se le mani di tutti i maghi della storia si tendessero da quelle pagine per toccarti.» Parve riscuotersi da quelle fantasie per restituire alla propria voce il solito tono pedante di quando impersonava il professore. «Non puoi nemmeno immaginare quanto potere sia sopito lì dentro, in attesa di essere scatenato.»
Harry sorrise trasognato. «Mi sembrava l'unico posto al mondo dove potessi essere me stesso. Voglio dire, quando varcavo le sue porte mi sentivo diverso. Come...»
«... come se al di fuori non fossi nessuno, ma una volta dentro fossi esattamente chi volevi essere» completò Tom, atono, assorto.
Harry annuì con il capo, colpito. Quelle parole sembravano essere state lette nella sua mente. 
«Beh, non c'è nessun bisogno di imbronciarsi. Presto ci tornerai» promise Tom, pazientemente. 
«E mi manca tanto salire su una scopa. La sensazione che mi dà è indescrivibile» raccontò Harry, ormai sulla cresta dell'onda dei ricordi. «Tu non hai mai volato?»
Tom inarcò il sopracciglio, come se trovasse quella domanda segretamente esilarante. «Avevo interessi prioritari a terra, diciamo.»
«La mia passione è ereditaria. Anche mio padre era Cercatore... Era molto bravo, sai? Aveva vinto delle coppe.» Ora Harry aveva abbassato gli occhi, sconfitto dalle proprie stesse parole. «Avrei tanto voluto che mi vedesse volare, almeno una volta» confessò, con un sospiro. 
Tom non rispose subito. «Forse è meglio perdere i genitori prima di averli conosciuti. Altrimenti la nostalgia sarebbe più forte» osservò, senza lasciar trasparire nessuna emozione. 
«Però non sapere com'erano fatti mi fa male» spiegò Harry. «Cerco di... visualizzarli nella mia mente. Di immaginarli mentre mi parlano, quando sono in difficoltà, o quando ho bisogno di conforto.» Tirò un sorriso imbarazzato, come se avesse appena detto una cosa molto stupida. «Forse me li sono in parte inventati. Ma aiuta. È meglio di niente.»
Tom lo scrutò a lungo, mentre il suo volto s'oscurava, lo sguardo attraversato da un pensiero sgradevole. 
«I tuoi genitori sono morti per te. Ti amavano incondizionatamente, a quanto pare» gli ricordò. «Dei miei non si può dire lo stesso. Mio padre abbandonò mia madre prima che partorisse, e lei ebbe la faccia tosta di darmi il suo nome, come se fosse qualcosa di cui andare fieri. Nessuno dei miei parenti, maghi o babbani che fossero, mi cercò mai. Non c'è mai stata alcuna dignità nella mia nascita, nessuna storia che valesse la pena raccontare. Certe storie hanno più valore della realtà, Harry Potter.»
Ma le storie non hanno un corpo con cui scaldarti, pensò Harry. 
«Mi ricordo quando zio Vernon e zia Petunia si inventavano storie per screditare i miei genitori. Mi dicevano che ero il figlio inutile di due falliti. Ti senti... così condannato. Come se ormai quello che fai non contasse più niente, e fosse tutto già deciso come un... errore.» Le sue labbra scandirono quell'ultima parola con una masochistica precisione, e Tom gli sfiorò il braccio, nel punto in cui era bendato. 
«Cercavano di distruggerci perchè avevano compreso la nostra superiorità» dichiarò, con acuto disprezzo. «Perchè li abbiamo costretti a realizzare la mediocre insulsaggine che è la loro vita.»
Harry trovò che fossero parole un po' troppo spietate. «O semplicemente la gente teme ciò che è diverso.»
«La nostra diversità non è qualunque. È molto speciale» lo corresse Tom, come avrebbe fatto con un bambino. «Quella dei maghi in generale, e quella che io e te condividiamo in particolare.»
Harry stava per chiedergli cosa volesse dire, ma un rumore prodotto da scarpe con tacco lo distrasse. I passi proseguirono fino davanti alla porta della sua stanza, poi fecero il percorso al contrario, allontanandosi nervosamente. Non era la prima volta. La più fidata amica di Tom vigilava quasi sempre, quando non le erano affidati altri compiti. 
«Dimmi, Tom» lo interpellò, vivacemente. «Bellatrix è la tua fidanzata?»
«No» negò lui immediatamente, con una lieve smorfia di disgusto. 
«Però le piacerebbe» lo canzonò Harry. Per tutta risposta ottenne una scrollata di spalle. 
«Penso di sì. Non sono motivato ad indagare in proposito.»
«Non dovrebbe essere così ossessiva. Con tutto il tempo che abbiamo passato insieme, mi sembra evidente che ormai non ti ucciderò» scherzò. Tom però non sorrise. 
«Potrebbe trattarsi di banale gelosia per quello che c'è tra noi.»
Le ciglia di Harry frullarono, di genuina meraviglia. «Quello che c'è tra noi?»
«Sì» ribadì Tom, come se niente fosse. «Perchè saresti qui, altrimenti?»
Harry non aveva una risposta pronta. Inesorabilmente, puntualmente, il suo sguardo scivolò sulle labbra di Tom. Lisce, algide, accomodate l'una sull'altra in un incastro carnoso ma asciugato di ogni legame con il sudiciume dell'umanità, come neve solida. Non era come immaginare di baciare una vera persona. Era etereo, sfuggente, e tutto quello che diceva era così esatto, così armonizzato sulle note corrette, quasi fosse appositamente studiato allo scopo di essere giusto per Harry. 
Lo guardò. I loro visi erano vicini, adesso. Chi sei? avrebbe voluto chiedergli. Cosa ho fatto per meritare di essere raccolto da te?
«Perchè dobbiamo spostarci in continuazione?» chiese invece.
Tom serrò quelle labbra bellissime. «Lascia che ci pensi io. Tu devi solo aiutarmi ad aiutarti.»
Harry lasciava sempre che fosse Tom a pensarci. 

***

Nel bel mezzo della notte, Tom entrò nella sua stanza. Le sue urla lo avevano destato. Harry era invischiato nella pece di un incubo. Si dibatteva tra le lenzuola, la fronte lucida, tentando di sottrarsi ai morsi della febbre. Gemeva un pianto senza lacrime, solo rantoli.
Tom sedette sul letto e si prese il suo capo in grembo, con fermezza. Cominciò a mormorare parole che non sapeva di conoscere -non così, in quell'ordine, in quella melodia. Va tutto bene, Harry. Non aveva idea di cosa intendesse con tutto. Forse intendeva se stesso. Va tutto bene perchè sono qui. Fa' il bravo, dormi. Lambì la sua pelle con la bocca. Ormai ci riusciva. Il bruciore si era ridotto a un tenue formicolio. Il sangue di Harry scorreva nelle sue vene, forte e pulsante. Scollò delle ciocche appiccicate dal sudore alle sue tempie con le dita. Le falangi lavoravano su di lui come se stesse tessendo una tela. Riposa, piccolo Harry. Riusciva a ricordarlo, ad un anno, nella sua culla, con quegli occhi spalancati e senza pianto anche allora. Occhi aperti su ciò che lui stava facendo, su ciò che lui era. Lo aveva sempre interpellato così, muto, provocatorio e intransigente, a mento alto. Con i suoi giudizi puri. 
Tom gli sfiorò la testa con la punta della bacchetta. Gli plasmò nella mente dei sogni pacifici, dorati, Ron e Hermione insieme a lui nel cortile interno di Hogwarts. Visioni di partite di Quidditch che aveva vinto, di pasti in Sala Grande, di fotografie in cui i suoi genitori volteggiavano, lo salutavano cento volte. Gli restituì tutto quello che gli aveva tolto per qualche ora. 
Al mattino, tutto si era sciolto al sole del giorno, come la nenia bianca dalle labbra di neve di Tom.

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Capitolo 6
*** Quinto atto ***


Quinto atto

«Expecto Patronum.»
 La prima cosa che Tom vide, appena entrò nella stanza, era un cervo d'argento che saltellò con grazia intorno a lui, prima di svanire in uno scintillio.
Il ragazzo approvò con un sorriso. «Molto bravo, Harry. Chi ti ha aiutato?»
«Nessuno» replicò Harry, indicando il libro su cui stava studiando sulla scrivania. «Imparo velocemente, te l'ho detto.»
«Questo lo vedo.» Tom lo valutò con uno sguardo d'apprezzamento. L'idea di fare di Potter una specie di arma ai suoi ordini era molto allettante, e per ora non avrebbe tarpato le ali al suo talento magico, in quanto sempre e comunque inferiore al proprio. «Devo darti una notizia che non ti piacerà» lo avvisò. 
Harry si sedette, per recuperare le forze dopo l'allenamento. «Di che si tratta?»
«Dobbiamo trasferirci.»
«Ancora?» si lamentò.
«La casa non è più completamente sicura.» Degli Auror erano stati avvistati nei paraggi, e Tom non intendeva correre alcun rischio.
Harry sbuffò. «Come potrò mai stare tranquillo, se non so nemmeno da cosa stiamo scappando?»
Tom ne aveva parlato con Crouch. È il momento giusto, gli aveva detto, la pozione è stata assunta da abbastanza tempo. Non restava che verificare. Alla peggio c'erano le modificazioni di memoria, ormai innumerabili.
«È giunto il momento che ti spieghi cosa sta succedendo» decise Tom, ottenendo la sua completa attenzione. Si sedette accanto a lui, sul letto. Finse di essere così angustiato da quel pensiero da avere difficoltà a parlarne. «Un mago di nome Albus Silente ti sta cercando, insieme ai suoi accoliti.»
La fronte di Harry s'increspò. «Me? E perchè?»
«Perchè intende dividerci» argomentò Tom, con gravità. «Sa che separati siamo più deboli. È un uomo incredibilmente malvagio, Harry. Pare abbia giocato un ruolo... nella morte dei tuoi genitori.» Nel notare l'allarme di Harry, gli posò una mano sulla guancia. «Naturalmente non gli permetterò mai di arrivare a te. Non ha nessuna speranza, finchè ci sono qui io. Te lo prometto. Però non possiamo restare. Mi dispiace.»
Harry sospirò. «Odio lasciare un posto a cui sono affezionato. Ma suppongo che sia quello che va fatto.»
«Proprio così. Non te lo chiederei se non fosse necessario.»
Prima che potessero dirsi altro, Bellatrix entrò nella stanza.
«Il traditore del suo sangue che avete richiesto, Mio Signore» annunciò, con la sua voce infantile e spezzata. «Avery lo ha trovato mentre stava scappando.»
Quelle parole avrebbero fatto accapponare la pelle a Harry, in circostanze normali, ma non stava ascoltando. Si limitò ad assumere un'espressione dispiaciuta.
«Pensavo che stasera potessimo restare un po' soli» si oppose. Esercitò con timida delicatezza il suo potere, e Bellatrix non potè che trattenere il fiato e sperare che non l'avesse vinta per l'ennesima volta. Il Signore Oscuro non aveva mai disatteso al suo operato per passare del tempo con Potter, finora. 
Silenzio.
Tom ci pensò su per un attimo, poi le sue labbra s'incurvarono in un sorriso quasi sarcastico.
«Certo. Giusto. Bellatrix?»
«Sì, Mio Signore?»
«Da quanto tempo non hai una giornata libera?» le chiese. 
La donna s'irrigidì, come se fosse stata colpita da una scossa. «Mi perdoni?»
«Stasera puoi tornare a casa insieme a tuo marito» sottolineò Tom, salacemente, notando con piacere il lampo di disdegno nel suo sguardo. «Io e Harry ce la caveremo.»
Tom rimase nella sua camera fino a tardi, fino a che le parole si consumarono come cerini troppo corti e si ridussero a bisbigli, a carezze sul collo. Ormai il corpo di Harry si era sviluppato, assumendo gli attributi tipici dell'interregno tra adolescenza ed età adulta. La crisalide piena di promesse dei suoi dodici anni si era schiusa. Tom bevve il suo fresco stupore come sangue di unicorno. Esplorò con perizia i meandri del suo corpo, affondando nel suo odore come se intendesse colonizzarlo. Sapeva cosa andava fatto, aveva già usato se stesso in passato per stregare e manipolare, anche se finora non l'aveva mai fatto con piacere. Harry fremeva come uno strumento musicale, era la cassa di risonanza perfetta per il suo ego. Tom ingaggiò una zuffa con gli arti goffi di quell'uomo-bambino, come ricordò di aver fatto molte volte bloccandolo quando ritrovava la memoria. Incolonnò piccoli tocchi di lingua lungo le linee delle sue membra, su quella carne reattiva, tesa, sensibile. I bassi e gli acuti del sesso vibravano sottili a fior di pelle, dentro le cosce, come un ritmo esotico. Qualcosa di ipnotico, qualcosa di violento. Tom lo sospinse al di là della soglia, e fu sangue che si riunisce, che riconosce se stesso, che brucia di vittoria, l'uguale con l'uguale, il pezzo della sua anima che rispondeva, i loro capelli confusi insieme, sangue vergine sacrificale sul materasso come un rito. Si fermò per lasciare che Harry godesse di lui, che si muovesse da solo sul suo sesso. Quando finirono, Tom gli morse il lobo dell'orecchio, possessivo e compiaciuto. L'orgasmo lo colse di sorpresa, un tuffo al cuore brusco come un malore, sgranandogli inspiegabilmente la bocca in un soffio musicale. Valutò il sentore di quella sensazione con interesse. Non sapeva cosa potesse significare, ma era accettabile. Harry rimase immobile sotto di lui, respirando a bocca aperta, come uno appena salvato dall'annegamento, con quella nuova consapevolezza. Si era lasciato divorare e invadere, arrendevole ma resistente, non aveva protestato, e ora aspettava prima di ricomporsi. Si era immerso ed era tornato incolume. Ad occhi aperti. 
La mattina dopo, scese per colazione nel salone di sua iniziativa, non più recluso nella sua stanza. Indossava una vestaglia cremisi di Tom. 
«Sparite» ordinò secco, quando i Mangiamorte cominciarono ad affluire.
Tom lo assecondò, infiammato da quell'alterigia. «Lo avete sentito. Via.»
Harry si lasciò accarezzare dallo sguardo di lama di Bellatrix, lungo lo strascico della vestaglia, socchiudendo gli occhi. Ormai era intoccabile. 
Quando Tom gli disse che gli serviva il sangue per un incantesimo di protezione, si squarciò la pelle lui stesso con il pugnale. 
Non c'erano segreti tra lui e Tom.

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Capitolo 7
*** Sesto atto ***


Sesto atto

«... mi rendo conto.» Silente soppesò con lo sguardo i visi scavati dei ragazzi che aveva davanti. Hermione e Ron rimasero in silenzio. La fatica delle ricerche e l'angoscia del fallimento li aveva estenuati, anche se erano stati ben attenti a non farsi sfuggire nemmeno un lamento. Silente li aveva visti l'ultima volta sei mesi prima, e le persone che aveva davanti ora erano altre. 

«Un incantesimo di protezione di potenza inimmaginabile» concluse Hermione, definitivamente, come se ogni parola che pronunciasse le raschiasse la gola. «Tutti gli Auror l'hanno detto. L'Ordine della Fenice non ha niente in mano. Abbiamo tentato. Con i suoi oggetti, con i suoi capelli, persino con la sua saliva. La sua saliva.» Si dovette interrompere per strizzare le palpebre ed impedirsi il pianto. Ron le toccò una spalla, ma fiaccamente. Non aveva forza da infondere. «Se dovessimo dare retta al verdetto magico, Harry sarebbe sparito. Non morto. Volatilizzato
Silente la ascoltava senza che la sua espressione cambiasse. 
«Che cosa dovremmo dire al mondo?» proseguì Hermione, accalorata. «Che cosa dovremmo dire a noi stessi? Che Harry non esiste più? Che non è mai esistito, che abbiamo sognato?!»
Ron intervenne, facendo segno all'amica di fermarsi. «Soltanto lei ha qualche speranza di trovarlo, se questa speranza c'è, signore.»
Silente riflettè, le dita intrecciate sulla scrivania. Trascorse qualche istante soltanto a fissarle, come se non le riconoscesse come proprie.
«Mi rendo conto,» riprese, «che avete affrontato ben più di quanto sarebbe ragionevole aspettarsi da due studenti di Hogwarts di diciotto anni. I recenti avvenimenti non hanno lasciato indifferente nessuno, ma voi avete subito il contraccolpo più doloroso.» 
«Non siamo qui per discutere dei nostri sentimenti, signore» sottolineò Hermione, furiosa. «Ha intenzione di aiutarci, oppure no? Che cosa ha fatto lei, mentre noi eravamo là fuori a cercarlo?!»
«Hermione» gemette Ron.
«Oh, santo cielo! Persino il professor Piton si è messo a disposizione sempre e instancabilmente, lui che Harry lo odiava! Perchè lei invece non ha mai fatto un tentativo?!»
«Il ritorno di Lord Voldemort attraverso uno dei suoi Horcrux, la scomparsa di Harry Potter, avvenuta ormai cinque anni fa,» continuò Silente, come se nessuno l'avesse interrotto, «per non parlare dell'evasione da Azkaban di un allarmante numero di Mangiamorte, tra i quali Bellatrix Lestrange, e i più prossimi sviluppi, che lasciano ad intendere che molte creature magiche si stiano muovendo in massa per unirsi all'esercito di Voldemort.» Sollevò gli occhi azzurri su Ron e Hermione. «La vostra decisione dell'anno scorso di interrompere gli studi per partecipare alle ricerche di Harry vi ha reso onore, signor Weasley, signorina Granger. Ma mi vedo costretto a farvi una richiesta.»
I due ragazzi rimasero in ascolto, tesi. 
«Devo chiedervi di sospendere le ricerche» scandì Silente.
Hermione s'indignò. «Questo non ha il diritto di pretenderlo!»
«Hermione!» esclamò Ron, esasperato. «Lascialo... lascia che ci spieghi. Ci sarà un motivo se ce lo chiede, no? Io l'ho sempre pensato. Lei ha un piano, giusto?» lo incalzò. La sua voce era quasi supplichevole. 
Silente spostò lo sguardo dall'uno all'altra, lentamente. «Se vi capitasse al di là di ogni previsione di trovare davvero Harry, i rischi che correreste sarebbero superiori al beneficio che apportereste. A lui come a tutti noi.» Frenò la protesta di Hermione sul nascere. «Questo è buon momento per riprendere i vostri studi ed avere fiducia.»
«Come posso stare seduta su un banco a imparare incantesimi mentre Harry è là fuori prigioniero di Tu-sai-chi?!»
«In cosa bisogna avere fiducia, signore?» esitò Ron, afflitto.
Silente chiuse gli occhi. «In Harry» concluse. «Dovete avere fiducia in Harry.»

***

Harry osservava il bagliore degli smeraldi del medaglione di Serpeverde, riflessi sul quarzo di una coppa. Le luci verdi non lo spaventavano più. La maledizione che lo impastoiava nella paura era stata sciolta. 
«Le sono sempre stato fedele, Mio Signore, ho confessato sotto Veritaserum» singhiozzava un uomo a terra. Tom, seduto come sempre a capotavola al fianco di Harry, lo guardava annoiato.
«Ti sembra sincero, Harry?» gli domandò, come se gli interessasse davvero una seconda opinione. Parlavano sempre in Serpentese tra loro. Ormai facevano parte di un nucleo elitario, inscindibile, una razza a parte. Harry alzò le spalle, privo di alcun interesse per quello sconosciuto. Il calore del medaglione contro il petto gli piaceva, era una bella sensazione. Ormai era abituato a dormire tenendolo contro la pelle, come un amuleto. 
Tom fece un cenno della mano. «Sbarazzatevene.»
Bellatrix fu rapidissima, un gesto istantaneo, uno schizzo di verde. «Avada Kedavra.» L'uomo si afflosciò come un sacco di sabbia.
Anche i miei occhi sono verdi, pensò Harry.
Tom esibì una smorfia di disappunto. «Bellatrix! Non davanti al ragazzo» sibilò, con una severità da precettore, come se avesse sbadigliato senza mettere la mano davanti alla bocca. 
«Che c'è?» replicò la Mangiamorte, voltandosi verso Harry. «Potteruccio non ha ancora lo stomaco abbastanza forte?»
Lui non le rivolse attenzione, ostinatamente intento a giocherellare con il medaglione. Seguiva con il dito la s formata dal corpo del serpente che vi era intarsiato. 
Non appena furono soli, Tom gli sorrise. «Gli artefatti magici appartenuti a Serpeverde in persona esercitano una certa influenza su di te.»
«È perchè c'è la tua anima dentro» spiegò Harry. «È come se tu non ti allontanassi mai da me.» Lui non voleva che Tom si allontanasse mai. Era facile trovarlo così, la testa reclinata sulla sua spalla, con Nagini arrotolata in parte in grembo, quasi inconsciente, a metà tra il sonno e la veglia, preda di un costante, dolce torpore, in cui il battito cardiaco di Tom, nel medaglione, lo cullava, impartendo il ritmo al suo. Quando Tom lo lasciava per andare a fare cose orribili, lo rendeva così triste. Non per le vittime, per se stesso. Dove devi andare? Sei sempre così di fretta. Dove vai? Resta qui con me. Fermati. Stiamo qui insieme, fermi. Sulle macerie di tutto quanto. Ad aspettare un destino migliore. Non avere paura del tempo. Lascia andare. 
«Ne ho uno nuovo per te» accennò Tom, «di artefatto magico. Perchè ti stai dimenticando qualcosa di importante.»
«Cosa?» Ormai per Harry ricordare qualsiasi cosa era così difficile.
Tom gli baciò un orecchio, languidamente. «È il trentun luglio» sussurrò. «Buon compleanno, Harry.»
Harry non provò niente in particolare. Non aveva memoria di nessun altro compleanno prima di allora. «... compleanno?»
«I diciotto anni sono un traguardo importante» ghignò Tom. «Ci voleva un bel regalo, ma c'era solo uno possibile.»
Harry rispose al suo sguardo, incerto. Il ragazzo ordinò: «Chiudi gli occhi e apri la mano.» Lui obbedì.
Un istante più tardi -un solo istante, un piccolo segmento di tempo in cui si riversò tutto: la pioggia, una torta su cui qualcuno si era accidentalmente seduto sopra, qualcuno ha visto un rospo?- avvertì un minuscolo peso sul palmo. Aprì gli occhi. Era una pietruzza traslucida, color fumo, di forma piramidale. 
Tom si alzò, mentre Harry lo cercava con lo sguardo, confuso. «Ti lascio un po' solo», propose. «Tutto quel che devi fare è rigirarla tre volte.»
Harry osservò la schiena di Tom Riddle. La stessa schiena che avrebbe dato a lui, bambino di un anno, dopo averlo ucciso. L'illuminazione che aveva avuto ad occhi chiusi, ad occhi aperti non riusciva a trattenerla. 
Un giro. Il controllo era qualcosa di aeriforme, rarefatto, un gas letale che s'addensa così gradualmente che hai il tempo di abituarti, non percepirai mai la soglia dell'allarme: Harry sapeva come ci si sentiva ad essere lacausa di ciò che Tom provava. Essere la mano che fa leva sul tasto. 
Due giri. Aveva imparato tutto di lui, l'andamento del suo bacino, i tempi del suo fiato, le variazioni cromatiche dei suoi occhi. Come una preghiera. Aveva riscoperto, senza sorpresa, di aver già avuto tutto questo dentro di sè. Una notte Tom, quasi in segno di gratitudine per i suoi servigi, gli aveva puntato la bacchetta contro l'interno del braccio e l'aveva Marchiato. Aveva battezzato la sua carne, per la seconda volta. Sei mio adesso. Harry lo aveva lasciato fare. Combattere era sempre stato inutile. Così tanta fatica era stata sprecata. Tom era il suo passato, presente e futuro.
Tre giri. 

***

Tom faceva quell'errore, di continuare a lasciarlo solo. Harry si ritirava in lunghe passeggiate durante le quali nessuno poteva seguirlo. Questa volta usarono lo specchio d'acqua di uno stagno per comunicare.
«Ti vedo stanco» commentò Silente, scrutando il ragazzo. «Tu lo sai, Harry, che se fosse tuo desiderio interrompere il tuo soggiorno-»
«Il mio posto è qui» dichiarò Harry, subito, senza incertezze. 
«Ne sei sicuro?»
Annuì.
Silente sapeva già che ne era sicuro. Poteva immedesimarsi fin troppo bene nella sua situazione. 
«Lo sai» proseguì, «che salvarlo non è un tuo dovere.»
«Non lo è» confermò Harry. «È una mia scelta. Nessun altro può farlo. Io sono la chiave. Io lo so, Voldemort lo sa.»
Silente vide una versione più sgangherata, e più pronta, di sè da giovane. Quasi lo invidiò.
«E sai anche che quello che stai facendo, probabilmente, avrà conseguenze soltanto all'interno di Tom Riddle, e non nel mondo? Il numero di vittime potrebbe restare immutato. Non abbiamo prove consistenti della loro potenziale diminuzione. Però tu, ragazzo mio... tu non ne uscirai illeso» gli predisse, invaso da una tristissima tenerezza. «Sei pronto a sacrificare una parte di te per una parte di lui?»
Sorprendentemente, Harry sorrideva.
«Eppure non sarebbe la stessa cosa nemmeno per il mondo, professore» obiettò. «Lei una volta mi disse che non si poteva fare niente per Voldemort. Ma se qualcosa verrà fatta, come potrebbero le cose non cambiare?»
Silente sorrise. Non poteva mostrare le sue lacrime al ragazzo. Non sarebbe stato giusto. «Fai quello che devi, Harry. Non avere rimpianti. Troverai sempre qualcuno a sostenerti dall'altra parte.»

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Capitolo 8
*** Settimo atto ***


Settimo atto

«Dolohov» esclamò Harry, interrompendo il suo procedere nel corridoio. «Una parola.»
L'uomo gli rivolse un'occhiata di aperta ostilità. «Che vuoi?» Proprio come Bellatrix, la maggioranza dei Mangiamorte tendeva a trattarlo con sgarbo in assenza di Tom. Più il tempo passava, più l'avversione cresceva. 
Harry non si lasciò scalfire. «Devi fare una commissione per mio conto.» Il tono non lasciava adito a potenziali rifiuti. 
Dolohov non battè ciglio. «Richiedilo all'Oscuro Signore e sarà lui a comandarlo a me, se ne avrà voglia. Non prendo ordini da un Potter.» 
«Oh, a Tom dispiacerebbe molto sapere che mi hai infastidito» insinuò Harry. «Non vuoi che gli vada a riferire questo, vero?»
Lui non rispose. «Il Signore Oscuro deve essere informato» ripetè, fissandolo con odio. 
Harry sfoderò la bacchetta, impaziente. «Imperius!» Fu talmente rapido e determinato che non ci fu modo per il Mangiamorte di respingere la Maledizione. «Ho bisogno di una pozione.»
Le cene di Harry e Tom erano sempre più simili a comizi elettorali. Popolate di Ministri corrotti, lupi mannari convertiti, maghi oscuri da tutte le parti del mondo. Tom discuteva, impeccabile, perfetto, muoveva sempre le corde giuste in tutti. Indovinava i loro interessi ed elargiva equilibrati premi in cambio. Si era conquistato mezzo mondo magico, e non c'era mai stupore sul suo viso, nè espresso compiacimento. Tutto era andato nell'unico modo possibile: come doveva andare. Sale sempre più grandi per accogliere tutti, quelli che avevano cambiato idea, quelli che erano stati torturati per cambiare idea, quelli che avevano ceduto alla paura. Ogni livello dell'umanità sfilava sotto gli occhi di Harry. Poi si immaginava come lui stesso dovesse apparire agli altri. Il primo venduto, l'esempio. Un ragazzo pallido e smilzo, involto in una tunica nera troppo larga, il medaglione di Serpeverde al collo, lo sguardo assorto, la bocca chiusa, una sposa e una prigioniera di guerra al contempo. Sembrava un bozzetto dell'artista che aveva disegnato Voldemort. Non era più un bambino, e il modo in cui stanziava nell'ombra di Tom aveva un nuovo, cupo significato. Le sue ricerche erano state interrotte: Harry Potter si era schierato dalla parte di Voldemort, Hogwarts lo sapeva, Ron e Hermione lo sapevano e non ci credevano, Silente lo sapeva e taceva. Come poteva una resistenza nascere da un fallimento simile? Se non poteva farcela nemmeno il Prescelto, chi avrebbe potuto? 
Non sopportava più il suo umorismo, il Prescelto.
«Il mio sangue e quello di Harry, insieme, fanno quello di un mago purosangue» aveva affermato, sferzante, ad un Lucius Malfoy bianco come un lenzuolo, atterrito all'idea di pronunciare la parola sbagliata.
«E quello di un Babbano intero» aveva aggiunto Harry, impassibile. 
Tom teneva d'occhio i suoi sbalzi d'umore. Il ragazzo passava da giornate di ostinato silenzio a quelle uscite, improvvise, rabbiose, come se tutto il rancore che accumulava fosse infiammabile quand'erano insieme. Non erano vere ribellioni... Era come se volesse fargli capire che nonostante tutto era ancora vivo. 
Tom aveva cominciato a mangiare quello che mangiava lui, più per fargli compagnia che per altro. Cercava di avvicinarsi quando Harry si allontanava.
Tossicchiò. «Mi dicono che hai liberato un prigioniero oggi.» Non c'era rimprovero nella voce, solo freddezza.
Harry masticava a testa bassa. «Sì.» 
Tom lo studiò, inclinando il capo. Non aveva mai smesso di suggestionarlo, un gentile incantamento che gli solleticava i sensi dolcemente. «Perchè lo hai fatto, Harry?»
Harry gli sorrise. Era così bello sorridergli. Tom era sempre così carino con lui. Gli aveva dato una casa, gli aveva dato delle carezze, gli aveva persino fatto conoscere i fantasmi smunti dei genitori che gli aveva ammazzato. «Perchè tutto quello che fai mi disgusta» rispose, affabilmente. 
Tom sogghignò, come se prevedesse quella risposta da lungo tempo. «Capisco. E perchè fino ad ora sei stato tutto tranne che riluttante ad aderirvi? Dev'esserci qualche ragione meno nobile che non faresti bella figura a comunicarmi.» Sgranò le dita e indicò il tavolo, in un gesto ampio. Tutto ciò che li circondava. «Cos'è che non ti va più a genio? Il cibo? Il sesso?»
«Tu non mi vai più a genio, Tom» concluse Tom, semplicemente. «Adesso che l'ho detto puoi cancellarmi la memoria e infilarci dentro quel che vuoi, come fai sempre, visto che sono di tua proprietà. Per te è più comodo pensarlo così.» La sua voce distruggeva, avanzando. «Tu riesci ad amare solo gli oggetti, vero, Tom? Così puoi chiuderli in una scatola, incantarli e romperli quanto vuoi. Quando si tratta di persone, con intenzioni, idee, valori, diventa tutto complicato, vero?»
Tom non appariva ancora scosso. «Tu sei l'unica persona al mondo che ha il coraggio di parlarmi in questo modo, Harry» osservò, divertito. «È questo che apprezzo di te. Il fatto che sei un mio eguale e non un mio sottoposto qualunque. Sei una parte di me. Il mio piccolo Horcrux.» La sua voce sarcastica si fece di nuovo pungente. «Danneggiare il tuo spirito non mi piace, ma se è l'unico modo per averti con me lo farò. Non mettermi alla prova, le conseguenze sarebbero prevedibili e sgradevoli per entrambi.»
«Sei ancora in tempo per lasciar perdere tutto» disse Harry, improvvisamente. La sua espressione era imperscrutabile. 
«Lasciar perdere?» ripetè Tom, grondando di ironia. «E perchè? Per te
Harry non si fece scoraggiare dal suo tono. «Prima non avevi niente per cui valesse combattere. Adesso sai cosa significa avere qualcuno. Ti è stata offerta una possibilità, probabilmente l'unica.»
Il ghigno di Tom svanì. «L'eternità sarebbe nulla per cui valga combattere?» 
«Un'eternità di cosa? A cosa ti serve l'eternità se non hai nessuno con cui condividerla?»
Per un attimo sembrò incapace di rispondere. «Ho te. Te lo sei scordato? Io e te non possiamo dividerci più.»
«E se fossi costretto a scegliere?» lo incalzò Harry, alzandosi in piedi e poggiando i palmi sul tavolo. «Tra l'Horcrux che ho dentro e ci terrebbe in vita per sempre, e me
Il viso di Tom era chiuso e duro. «Resteresti deluso dal verdetto. Credi davvero di essere diventato così indispensabile?»
La voce di Harry si ammorbidì. «La morte diventa soltanto un semplice passaggio se la vita è stata vissuta amando delle persone e lasciando loro qualcosa di tuo. Saresti davvero invincibile, se comprendessi questo.»
«Non venire da me, che l'ho data mille volte, a insegnare cos'è la morte» sputò Tom, furioso. «Tu sei stato il primo ad aggrapparti pateticamente alla vita, la notte in cui provai a ucciderti. Perchè non ti sei lasciato ammazzare, se la morte non è niente di che, come dici?»
Harry scosse il capo. «Piantala di parlare come se fossi quello di prima, Tom. Non ci credi nemmeno tu.»
Nagini risalì la gamba di Tom, come se percepisse il suo stato d'inquietudine. Il ragazzo iniziò ad accarezzarla, distrattamente. «Sei sopravvissuto per me. Fai così tanta fatica a ficcartelo in testa? Il tuo futuro sarà al mio fianco. Non c'è niente che tu possa fare per cambiare questo.» Era brusco e stizzito.
«Io al contrario tuo sono in grado di ricredermi. È questo che fanno le persone sagge. Ammettono i loro errori e vi pongono rimedio» affermò Harry.
«Oh, Harry, piantala» sbottò Tom, con derisione. «A te piace tutto questo, anche se non vuoi ammetterlo con te stesso. Ti piace oltrepassare i confini, rompere le regole. Ottenere quello che desideri senza curarti degli stupidi limiti imposti dai deboli. Ti piace perchè condividiamo la mente, perchè io ti ho contagiato di ciò che sono, perchè mi appartieni da molto prima di ricevere il marchio» ed indicò il suo braccio, dove c'era il Marchio Nero, poi spostò l'indice verso la sua fronte, «da quando hai ricevuto quella. Tu rimani con me perchè sei come me.»
«Io rimango con te perchè sono innamorato di te.» Harry avvertì delle lacrime di compassione per se stesso negli occhi. «Sono condannato a sperare per la tua anima, e a lottare fino alla fine. Ti amo perchè non posso fare a meno di vedere la persona che saresti stato, se le cose fossero andate in modo diverso. Ed è una persona che merita amore, Tom. Tutti meritiamo amore. Non è mai troppo tardi.»
Tom evitava il suo sguardo. «Non essere melenso, Potter. Mangia. Sarò magnanimo, fingerò che questa conversazione non sia mai avvenuta.»
Harry liberò una risatina amara, di sprezzo. «Quasi dimenticavo che tu semplicemente rimuovi ciò che si oppone ai tuoi piani, senza un minimo di buonsenso. L'opposizione ti darà anche un brivido sessuale, ma alla fin fine non la tolleri. Invece di superare l'ostacolo, lo aggiri, e fingi che sia tutto come prima. Se tu rimani dei tuoi propositi e io divento una marionetta vuota che ti segue ovunque, per te questo è un successo assoluto.» Lo costrinse a rispondere al suo sguardo. «Non è tutto come prima. Tu mi ami, Tom Riddle. Devi fare i conti con questo sentimento nel modo giusto, per una volta. Altrimenti, fai pure, continua a ripetere i soliti errori del cazzo.» Spalancò le braccia, con insolenza. «Cosa devo fare adesso per compiacerti? Lanciare qualche Maledizione Senza Perdono? Chiamarti Mio Signore?» Simulò la parodia di un inchino profondo. «Ti sentirai contento e realizzato? Il grande Signore Oscuro che è riuscito a convertire un orfano solo al mondo?»
Tom tornò al piatto. Faceva finta di nulla, ma il suo sguardo era un po' più vitreo. «E io cosa devo fare per risparmiarti la vita? Fingere che tu non sia mai cambiato?» sibilò a voce bassa.
Harry si sedette a sua volta. Fissò il vino nel calice. Il loro sangue mischiato, sangue puro e sangue sporco, sangue di lupo e di agnello. Non era cambiato. Era tornato ad essere l'unica persona che poteva diventare. Quella di cui il mondo aveva bisogno.

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Avvenne il giorno in cui Tom si decise a modificare la sua memoria. Era andato in camera sua proprio per questo. Harry agì con una puntualità che faceva presumere che avesse guardato nella sua mente. Era seduto su quel letto in cui Tom lo aveva accolto facendolo sentire a casa, in cui si era concesso a lui.
«Che odore ha l'Amortentia per te?» domandò, apatico. «Te lo sei mai chiesto?»
Tom si fermò sulla soglia, diffidente. L'intuizione che Harry avesse intuito il modo che inizialmente lui aveva usato per tenerlo con sè diventò certezza, quando il ragazzo gli mostrò una fialetta quasi vuota, sfaccettata. «L'hai mai annusata, prima di somministrarmela? No?»
«Io non posso provare amore, Harry Potter» ribattè Tom, spazientito. «Solo senso di appartenenza verso ciò che mi appartiene.»
«Oh, ma l'amore può solo provocato anche controvoglia, non è così?» Harry agitò la fialetta, con aria provocatoria. 
«Se la somministrazione della pozione viene interrotta e l'individuo non perde l'innamoramento, significa che il sentimento è stato solamente sollecitato e non forzato dal nulla, altrimenti scomparirebbe completamente nella vittima» spiegò Tom, che ben conosceva l'umiliante storia della madre. Ghignò. «Non sei stato ingannato poi così tanto, Potter. Pare che io ti piaccia. Ho smesso di somministrarti quella pozione mesi fa.»
«Certo, anch'io» confermò Harry, tranquillo.
Tom rispose al suo sguardo, con orrore. «Cosa intendi dire? Cosa-»
«Ci siamo avvelenati a vicenda, Tom» concluse Harry, con un sorriso amaro. «Ho giocato sporco, come te, d'altronde. Puoi biasimarmi? Nemmeno i tuoi sentimenti sono scomparsi, o sbaglio?»
«Stai zitto!» Tom estrasse la bacchetta e glie la puntò contro, furioso. «Tu e Silente avete complottato per mandarmi fuori di testa, non è così? È da settimane che sospetto che siate in comunicazione...»
«Lascia perdere Silente» lo zittì Harry. «Questa è una faccenda tra me e te.»
«E lo sa Silente che cosa hai fatto?» sputò Tom, velenoso. «Lo sa, che cosa è arrivato a fare il suo protetto? Non sei più puro come il bambino che eri quando ti ho rapito. Meriti ancora quella protezione? Un Mangiamorte come te?»
Harry non cedette alle frecciate. «Sono ciò che mi hai reso. Non sono chi ero, nè chi sarei stato altrimenti. L'ho scelto, e no. Ma a chi importa? Sì, sono dovuto diventare in parte un mostro per farti diventare in parte umano. Ma dovevo farlo. Perchè è come dicevi tu, Tom. Era il nostro destino.»
L'uno di fronte all'altro, l'uno dentro l'altro.
Tom scosse il capo. Tutto era iniziato nel modo giusto e poi si era annodato storto, sempre di più, fino a imprigionarli in un bosco di rovi. «Sciocchezze. Il nostro destino era prenderci tutto, insieme.»
«Io non posso più tornare indietro, ma nemmeno tu.» Harry spalancò le braccia, dimostrando la propria vulnerabilità. «Sono così saturo della tua magia che non funziona più su di me. Quindi, che cosa farai? Mi ucciderai, finalmente?»
Non si sarebbe dovuti arrivare a questo. Tom strinse i denti. Era il suo Horcurx, non poteva ucciderlo, e Potter lo sapeva.
«Io ti ho dato tutto. Ti ho restituito i tuoi genitori, ti ho restituito una vita! Questa è la tua dimostrazione di gratitudine?!» sbottò. 
Quelle parole accesero l'indignazione di Harry. «Tu non mi hai restituito una vita, hai rubato quella che mi ero creato!» Lo spettro di un'altra risata gli deformò le labbra. «Tipico tuo... Hai persino l'arroganza di pretendere riconoscenza da me. Devi essere al centro di tutto... del mio odio, del mio amore. Non ti fai mai da parte, tu, Tom.»
«Sarei io ad avere manie di protagonismo nei confronti della tua vita, è così?» replicò Tom, sibilando. «Ti ricordo che nessuno ti ha imposto di sacrificare la tua integrità per me. Lo hai fatto di tua spontanea volontà. Perchè?»
Harry fece un passo verso di lui. 
«Perchè questa è l'unica vera vittoria possibile» scandì. «Il male non va annientato, va sconfitto. Io non sono come te, non aggiro gli ostacoli.»
Tom non si accorse nemmeno di aver fatto un altro passo verso di lui. «E credi di esserci riuscito?» La sua voce intendeva essere sarcastica, ma era soltanto arrochita della deleteria passione che l'aveva spinto fino a quel punto.
Harry si limitò a sorridere. «Credo che tu abbia bisogno di un'ultima lezione.» Estrasse un'altra fiala dalla tasca del mantello, piena per metà. «Questa pozione invece la conosci?»
Tom la scrutò attentamente. Il liquido era grigio perla, pallido ma con una sua luminescenza. «Cos'è?»
«Una pozione del sonno. Le funzioni vitali restano attive, il tuo Horcrux non ne sarà danneggiato. Ma io dormirò, e non mi sveglierò» spiegò Harry, limpidamente. «Ne basta una goccia.» La stappò con il pollice. 
Tom sgranò gli occhi. «Aspetta... aspetta. Perchè dovresti farlo? Hai detto che è tuo dovere-»
«-insegnarti qualcosa. Tu ancora non conosci la perdita, Tom» rispose Harry. «E in fondo mi hai tolto tutto. Non sono più nemmeno me stesso. Persino ai miei genitori apparirei detestabile, per quello che ho acconsentito a diventare, figuriamoci a quelli che consideravo miei amici. Adesso cosa mi è rimasto? Niente. Che cosa dovrei fare?»
Tom si sforzò disperatamente di trovare delle parole. «... non puoi, Potter. Tu... tu appartieni a me, tu... devi rimanere al mio fianco... Potter!» Interruppe il suo gesto, appena fece per portare la fiala alle labbra. «Noi lo faremo insieme» ruggì sottovoce. «Così come avevo previsto... così com'è stabilito dalla profezia. Tu sei la chiave. Niente di tutto questo può succedere senza di te... Io e te, Harry. Come all'inizio.»
Harry sorrise. Permise alla fiala di scivolargli dalle dita e infrangersi al suolo. Quel ricordo lo intenerì, per un attimo. All'inizio. Quando tutto era finto e in magico equilibrio. Lo baciò.
«Tu non potresti mai capire, vero?» mormorò contro le sue labbra, distaccandosene subito. «Non fa niente, Tom. Posso sistemare tutto.»
Tom lo fissò, pieno di confusione. Poi portò una mano alla bocca, improvvisamente raggiunto da una terribile consapevolezza. 

***

Quando Silente arrivò, Smaterializzandosi, Harry aveva adagiato Tom sul letto. Così, innaturalmente dormiente, la sua bellezza aveva avuto modo di dare il meglio di sè: era una scultura di alabastro, i lineamenti finemente sfaccettati, gli zigomi pronunciati, le labbra piene intinte della pozione di cui il loro bacio le aveva bagnate. Qualcuno che è impossibile baciare, pensò Harry. Che può essere sognato, amato, avvelenato, ma mai raggiunto.Tom Riddle era un'utopia, la sua utopia, la condizione di possibilità del fallimento di Voldemort. 
Silente gli posò una mano nodosa sulla spalla. «Era sufficiente che tu lo facessi, Harry. Nulla t'imponeva di farlo volentieri. Non biasimare te stesso per ciò che provi.»
Harry non accettò la consolazione. «Era l'assassino dei miei genitori, e io l'ho amato. Io ho sofferto uccidendolo.»
«Non lo hai affatto ucciso» lo corresse Silente. «Non si sveglierà, certo. Ma avrà l'occasione di vivere tutto ciò che sognerà, possibilità che non avrebbe mai avuto in vita. Era imprigionato tra l'odio e l'amore. Tu lo hai liberato dal giogo del suo passato. Hai salvato il mondo da Tom, e Tom dal mondo, in un certo senso.»
Ho salvato il mondo, Tom, sentito? pensò Harry. Ma io, mi sono salvato? No. Io sono rimasto fermo qui, con te. Ovunque tu sia. Non c'è andare oltre per me. Aveva l'impressione che Tom potesse sentirlo. O peggio, che parlare con lui avesse senso anche al termine della farsa. 
«Sei troppo giovane per imprigionarti nel passato, Harry» mormorò Silente. «I tuoi amici capiscono bene che tu-»
«Lei ce l'ha fatta?» lo interruppe Harry, schietto. 
Calò qualche istante di silenzio.
«Gentile da parte tua paragonarci» concluse il mago, sospirando, «ma tu sei molto più forte di quanto fossi e mai sarò io.»
È confortante pensare questo, vero? Che ci sarà sempre qualcuno di forte, pronto a tirare avanti. Harry non rispose. Prese la mano di Tom nella sua. Non gli aveva restituito una vita, ma per un po' di tempi, brevi sprazzi, lunghe ore, l'aveva reso felice. Questo era vero. Avevano sognato insieme per tanti anni, e ora Harry aveva dovuto svegliarsi. «Lo custodirò io.»
«Ne sei sicuro?»
Annuì. Doveva vegliare su ogni suo sogno. Era la sua condanna, e il suo dovere. 
Puntò la bacchetta alla sua tempia e formulò il primo. Ci pensò intensamente. Infine, una visione sopraggiunse. 
La prima cosa che Tom Riddle sognò fu di incontrare, nei corridoi di Hogwarts, un ragazzino del primo anno di nome Harry Potter, dalla fronte liscia e gli occhi verdi di sua madre. 

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