Viaggio nella Storia

di HistoryFreak_91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 79 a.C. - Pompei ***
Capitolo 3: *** 1517 - Wittenberg ***
Capitolo 4: *** Genesi 22, 1-18 ***
Capitolo 5: *** 1349 - Londra ***
Capitolo 6: *** 65 a.C. - Baia ***
Capitolo 7: *** 1666 - Londra ***
Capitolo 8: *** 1010 c.ca – Malmesbury ***
Capitolo 9: *** 1530 - Spagna ***
Capitolo 10: *** 4003 a.C. - Israele ***
Capitolo 11: *** 1914 - Ypres ***
Capitolo 12: *** 1606 - Roma ***
Capitolo 13: *** 1 Samuele 17, 48-51 ***
Capitolo 14: *** 1431 - Rouen ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Il progetto riguarda le varie interazioni di Crowley ed Aziraphale durante vari eventi storici oppure di crescita per i loro personaggi. Nella realtà, questa non è che una raccolta di oneshot su base storica che si può leggere in ordine sparso. Non ho creato un piano preciso, ho semplicemente messo giù idee per creare storie chiuse che appartengono ad uno stesso universo che, spero con tutto il cuore, avrà un senso generale coerente. Da questo si evince che i frammenti non saranno in ordine cronologico ma li posterò così come li avrò completati. La lunghezza sarà variabile. È possibile anche che ci siano flashfic o persino drabble dipendentemente da quanto c’è da dire su un determinato evento.

 

Le oneshot seguiranno il canon sia del libro che della serie TV, maggiormente della serie TV. Dio lo abbiamo ancora uomo come nel libro, dal libro prendiamo il “mio caro” detto con nonchalance da Aziraphale ma dalla serie prendiamo l'"angelo" come appellativo da parte di Crowley od il fatto che al primo piaccia mangiare ed al secondo dormire. Cercherò comunque di mantenere i caratteri più canonici possibile. Se trovate tracce di ooc vi prego di dirmi come migliorarle perché mi piacerebbe molto riuscire a sistemare le cose e, se non sono riuscita a capire l'errore da sola, ho bisogno del vostro aiuto. 

 

Ho visto la serie e letto il libro solo in lingua originale. Se ci sono delle incongruenze, fatemi sapere anche quello.

 

Vuoi partecipare? Leggi qui:

Sono anche aperta ad elaborare le vostre idee: c'è un particolare momento storico o momento caratterizzante che vi piacerebbe esprimere ma non sapete come metterlo su carta? Scrivetemi in privato e ne potremo parlare insieme e la vostra idea verrà realizzata e sarete citati come coautori all'inizio del vostro capitolo.

 

Grazie mille della vostra collaborazione e vi auguro vivamente una buona lettura. 

HistoryFreak_91

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Capitolo 2
*** 79 a.C. - Pompei ***


Aziraphale si trovava lì quando il vulcano aveva eruttato: aveva sentito la terra tremargli sotto i piedi, il cielo coprirsi di nuvole minacciose che si erano riversate sulle sponde dell'alta montagna facendosi sempre più nere, come se Satana in persona stesse regurgitando l’Inferno sulla Terra. E poi era giunta la cenere, fitta e soffocante, incandescente, a coprire i tetti delle case, a soffocare uomini ed animali riversati per le strade, incapaci di comprendere l'entità di ciò che stava accadendo mentre i tetti ai sgretolavano causando orrendi incidenti a cui l'angelo non era sempre pronto ad ovviare. Altri fuochi divampano accessi da schegge impazzite ed il cielo iniziò a tuonare, come se si spaccasse in due, nero di fumo e cenere. 

 

Passarono le ore ed il tramonto bruciava il cielo rendendolo tutt'uno con l'orrendo spettacolo che si stava riversando sulla Terra. Ormai non c'erano che rovine tutto attorno, rovine, fuoco e fumo. L'angelo aveva fatto il possibile per soccorrere le gli innocenti abitanti ma cosa sperava di poter far senza avere i mezzi per farli allontanare abbastanza velocemente da permettere loro la salvezza? Alcuni li aveva miracolati, tenendoli in vita fino al mattino successivo, ma solo in pochi erano riusciti ad evacuare la città ed allontanarsi abbastanza da evitare la terribile onda di cenere che si era riversata tutta attorno al vulcano Il mattino dopo dell'eruzione: l'urto era stato così potente, incontrollato, impossibile da bloccare che aveva raso al suolo la città già in rovina e ricoperto ogni cosa, animali e persone compresi. Aziraphale era sopravvissuto per miracolo ma quando aveva aperto le ali per scuoterle dalla cenere si era ritrovato dinanzi ad un orrendo spettacolo fatto solo di morte e distruzione. 

 

Senza parole, aveva cominciato a camminare sulle ceneri incandescenti per poi librarsi nuovamente in volo, non sopportando le ustioni ai piedi: era forse così che ci si sentiva camminando su fuoco infernale? Si era guardato intorno incapace di comprendere quanto fosse accaduto e, comprendendo che nessuno fosse più in vita per vederlo, aveva spiccato il volo. Dall'alto dei cieli aveva visto che il danno era molto più esteso di quello che immaginava ed i suoi occhi si erano posati su città semi-distrutte dove ancora percepiva un briciolo di vita e fervore. 

 

Si diresse verso sud dove vedeva barche ancora attraccate ai porti, una speranza che lo mosse a tal punto da prendere a volare ad una velocità mai vista prima quando i suoi occhi caddero su due uomini solitari che stavano in piedi ai bordi della città di Stabia. Uno di loro vestiva interamente di nero, i lunghi capelli rossi che fluttuavano al vento, mentre l'altro aveva un'aria importante, una folta barba e scriveva, scriveva senza fermarsi. 

 

“Crawly.” A quel richiamo, l’uomo dai capelli rossi si voltò per vedere l’angelo posarsi a terra, un'espressione inebetita sul volto mentre nascondeva nuovamente le ali per non farle notare all'altro uomo che non lo degnò comunque neanche di uno sguardo. Il demone non parlò, osservò l'angelo che ricambiava il suo sguardo, incapace di mettere insieme un pensiero coerente: la sua espressione era ancora quella di un uomo che aveva perso le parole, un uomo talmente sotto shock da non essere in grado di somatizzare neanche un minimo delle informazioni che aveva raccolto. Eppure c'era qualcos'altro nei suoi occhi, dietro quella patina di doloroso stupore; uno stupore diverso, uno stupore positivo, quasi gioioso alla realizzazione di avere davanti una faccia amica. Aziraphale non si era reso conto di ciò, ovviamente: ritrovarsi a provare conforto alla vista di un demone sarebbe stato uno scorno per un angelo come lui. Ma in quel momento, inebetito com'era, l'unica cosa che gli interessava era quella sensazione di calore che gli si era dipanata nel petto prima di fare spazio ad una fredda realizzazione. Il suo sguardo si fece improvvisamente cupo e Crawly poté vedere i suoi occhi spegnersi come una candela.

 

L'angelo non fece in tempo a dire una parola che l'uomo accanto a Crawly cominciò ad accasciandosi a terra. 

 

“Ugh, non di nuovo.” Crawly sbuffò, piegandosi sull'uomo a terra. “Ehi tu, forza, rimettiti in piedi.” Gli prese un braccio e l’aiutò a rialzarsi. Aziraphale corrucciò la fronte.

 

“Chi è quest'uomo?” Domandò spontaneamente mentre Crawly si assicurava che il romano tenesse ben saldi calamo e pergamena e continuasse a scrivere.

 

“Un folle.” Rispose, la smorfia sul suo viso a metà tra disgusto ed un sorriso beffardo. “Comandante della flotta a Miseno, appena ha visto tutto il trambusto ha deciso che non poteva lasciare tutto il divertimento agli altri e si è tuffato nella mischia.” Aziraphale avrebbe voluto commentare che non c'era niente su cui scherzare, ciò che era accaduto era una tragedia, ma l'amarezza nelle parole che seguirono il discorso di Crawly lo fecero tacere: “Ovviamente non potevo dirgli di non andare, non sarebbe stato degno di un demone, così gli ho dato carta e penna. Gli ho detto: se proprio devi farti ammazzare dall’esplosione, che sia continuando a lavorare, stupido umano assetato di conoscenza.” Il demone sorrise come se si aspettasse una pacca sulla spalla ma c'era qualcosa che non andava nel suo ragionamento ed Aziraphale, in quella situazione così concitata, non riusciva ad additarlo. 

 

“Cosa sta scrivendo?” L'angelo fece qualche passo avanti, sbirciando sulla pergamena dell'uomo che ogni tanto alzava la testa e si osservava attorno: era ormai tardo pomeriggio e le nuvole bianche si stagliavano vorticose contro un cielo di un blu irreale. Tutt’attorno la terra era bianca di soffice cenere e sembrava che il Paradiso avesse ricoperto la terra. Aziraphale tremò a quel pensiero, stringendosi nelle spalle. 

 

“Tutto e niente.” Fece spallucce il demone. “Sono due giorni che scrive tutto ciò che vede. Per la scienza, dice.” Aziraphale voleva replicare e ricordare al demone che ci aveva messo lo zampino lui stesso, che nessun uomo sano di mente sarebbe rimasto così a lungo in un luogo così pericoloso e Plinio il Vecchio, per quanto l'angelo ne sapeva, doveva essere un uomo intelligente visto che non solo era a capo di una flotta ma sapeva leggere e scrivere. 

 

“Chi pensa che leggerà questa sua impresa se si lascerà uccidere dalle esalazioni del vulcano?” Domandò l'angelo, indicando la maestosa montagna ormai placata. Crawly rimase in silenzio per qualche istante, incrociando le braccia sul petto e voltandosi a guardare l’angelo con un sopracciglio alzato. 

 

“Tu?” A quell'affermazione, l'angelo aprì e poi richiuse immediatamente la bocca come un pesce, abbassando il braccio teso. Strinse le labbra e fece il broncio all'altro che sembrava piuttosto divertito. 

 

I due rimasero in silenzio: le urla che avevano accompagnato Aziraphale per due intere giornate si erano fatte sorde e l'angelo ne provava quasi dispiacere al pensiero di tutte le persone che le avevano esalate prima del loro ultimo respiro. Il ricordo dei corpi inceneriti, cristallizzati per sempre, ombre contro i muri ed i pavimenti lo assalivano come un incubo da cui era incapace di svegliarsi. Si chiedeva se fosse questo l’Inferno perché non poteva immaginare nulla di più terribile. Non che potesse immaginare alcunché: gli angeli erano privi di immaginazione per natura; era prerogativa degli umani creare dal nulla.

 

“È stato Lui?” Domandò d'improvviso l'angelo, indicando verso il basso, destando l’attenzione dell'uomo in nero accanto a sé che corrucciò la fronte prima di capire. Aziraphale aveva un'espressione severa, cupa, sconfitta. Non lo aveva mai visto così arrabbiato… anzi, no, non lo aveva mai visto arrabbiato. 

 

“Così sembrerebbe.” Decise di non mentire: personalmente, lui non aveva avuto niente a che fare con l'eruzione, era semplicemente stato avvertito, gli era stato detto di andate ad osservare, di bearsi – e qui avevano riso – dello spettacolo. Lui ci aveva trovato ben poco da ridere ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco e quando si era imbattuto in Plinio aveva deciso che fingersi schiavo ed accompagnarlo nelle sue peripezie sarebbe stato di certo più interessante che osservare intere città andare in fumo. L'aveva accompagnato ed osservato mentre cercava di salvare il numero più cospicuo di persone e sì, lo aveva convinto a rimanere ed a scrivere tutte le sue impressioni sapendo che sarebbe morto ma non importava: le memorie di un naturologo come Plinio avrebbero certamente giovato alle future generazioni umane; l'uomo era comunque abbastanza vecchio, più di cinquant'anni, ed aveva fatto la sua vita. Un piccolo sacrificio: l'Inferno lo avrebbe premiato per questo ma Crawly in cuor suo sapeva che la cosa più importante sarebbe stata trasmettere quelle informazioni ai posteri. Per questo era rimasto con lui fino alla fine, pronto a consegnare i suoi scritti al nipote in un modo o nell'altro e l'angelo era capitato a fagiolo, giusto per non farlo sentire in colpa di aver fatto, in fondo, una cosa buona.

 

Plinio lasciò cadere il calamo a terra e prese la pergamena a due mani.

 

“È fatta.” Tossì e le ginocchia gli cedettero ma il pronto intervento dell'angelo fece sì che non cadesse a terra. L’uomo era piuttosto pesante e Crawly, sbuffando, si apprestò a prenderlo per l'altro braccio, portandoselo sulle spalle. Aziraphale l'osservò sorpreso e, prima che potesse aprire bocca dietro quello spontaneo sorriso intenerito, Crawly sibilò:

“Non dire una parola.” L'angelo strinse le labbra e soffocò un risolino: incredibile come il demone lo facesse sorridere persino dopo degli avvenimenti così tragici.

 

Le due entità aiutarono Plinio a raggiungere nuovamente la spiaggia e lì lo aiutarono a stendersi a terra. 

 

“Sei stato un uomo veramente coraggioso.” Lo confortò Aziraphale nei suoi ultimi momenti; Plinio era ormai incapace di parlare. I suoi occhi si spostavano dai rossi capelli del demone al viso rassicurante dell'angelo senza più riuscire a chiedersi neanche a chi appartenessero.

 

Crawly stava mettendo in ordine le pergamene del Vecchio. Le arrotolò e sigillò per poi consegnarle ad Aziraphale che le prese lanciando un sorriso al demone il quale distolse immediatamente lo sguardo, sbuffando. 

 

“Ecco a te.” Sussurrò con dolcezza l’angelo, prendendo le mani del romano e cingendogliele delicatamente sul petto attorno alla pergamena. “Il tuo lavoro è compiuto adesso.” La sua voce era calma, serafica e Plinio se ne lasciò cullare, chiudendo lentamente gli occhi. “Ti ritroveranno su questa spiaggia l'indomani mattina.” Plinio quasi non sentiva più le sue parole ma provò conforto al pensiero che il suo lavoro non sarebbe stato perduto. “Sei stato un uomo veramente coraggioso.” Ripeté Aziraphale e Plinio si addormentò serenamente.

 

Crawly ed Aziraphale rimasero insieme per tutta la notte in religioso silenzio, vegliando sul corpo dello scienziato da una distanza di sicurezza. Quando il mattino dopo fu ritrovato, osservarono il compianto dei suoi familiari e li seguirono con gli occhi mentre si allontanavano con una barca, il nipote sfogliando tra le lacrime le pergamene che lo zio aveva stretto al petto fino alla fine.

 

“Una tragedia.” Commentò Aziraphale, rompendo il lunghissimo silenzio. Crawly voleva concordare ma riuscì solo a lasciarsi scappare un grugnito. L'angelo l'osservò con la coda dell'occhio: tutti i muscoli del collo e del viso erano tesi ed il corpo eretto era rigido mentre un’espressione imbronciata gli increspava le labbra: Crawly era arrabbiato, Aziraphale lo sentiva. “Alla fine la tua malefatta porterà buoni frutti.” Si decise a dire l'angelo ed il demone si voltò per incontrare un sorriso rassicurante. Lo guardò per qualche secondo sempre con quell'espressione imbronciata, come per assorbire il significato di ciò che gli era appena stato detto. 

 

“Non farti strane idee, angelo.” Sventolò una mano all’aria, cominciando ad allontanarsi. “Non c'era nulla di buono nelle mie intenzioni.”

 

“Oh, non ne ho dubbi.” Rise Aziraphale, quel riso che Crawly trovava oh così irritante e… decisamente adorabile. 

 

“Bene.” Crawly aprì le ali, pronto a volare via. 

 

“Bene.” Ripeté Aziraphale, irremovibile. Crawly alzò lo sguardo al cielo ma, approfittando del fatto di essere di spalle, si lasciò scappare un sorriso soddisfatto per poi alzare una mano e salutare.

 

“Ci vediamo in giro, angelo.” E così dicendo sferzò l'aria con le ali, librandosi in cielo. Le nere piume sfavillavano al contatto con i raggi del sole e si aprirono in tutta la loro estensione per permettere al demone di allontanarsi velocemente. Uno spettacolo mozzafiato.

 

“Ci vediamo, Crawly.”

 

Note dell'Autore: 

  1. Nella Lettera di Plinio il Giovane a Tacito viene citato di come Plinio il Vecchio fosse accompagnato da due schiavi che rimasero con lui mentre osservava l'eruzione. Mi piace pensare che fossero Aziraphale e Crowley. 

  2. L'idea che sia stato Satana a scatenare l’eruzione del Vesuvio l'ho presa da un'altra fanfiction trovata su Ao3, in lingua inglese: https://archiveofourown.org/works/19387417. L'eruzione è trattata in modo completamente diverso in questa fiction ma l’idea di Satana l'ho adottata anch'io basandomi su di essa
​Edit: Per qualche ragione la mia memoria pensava che il cambio di nome da Crawly a Crowley avvenisse ai tempi dell'Arca di Noé ed invece è attribuito al giorno della morte di Cristo. Il nome sarà modificato per correttezza. 

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Capitolo 3
*** 1517 - Wittenberg ***


Crowley passeggiava per le strade di Wittemberg, stranamente affollate e trepidanti. Era venuto in Germania solo per godersi un po' di buona birra (curiosamente era anche ottobre… Crowley non lo sapeva ma si sarebbe rivelato un dettaglio alquanto ironico) ma il trambusto che si era venuto a creare lo aveva convinto ad affacciarsi per scoprirne la causa quando giunse alla piazza della chiesa dove si era ammassata una folta folla. Tra questa, un cespuglio di capelli bianchi spiccava come una nuvola in un cielo altrimenti grigio e Crowley riconobbe subito il suo angelo e si fece largo per raggiungerlo, allontanando chiunque lo separasse dalla sua meta senza prestare alcuna cura. Aziraphale sentì gli insulti e gli sbuffi della folla dietro di lui e si voltò per veder apparire la chioma rossa di Crowley da un gruppo abbastanza cospicuo di persone. 

 

“Crowley.” Lo chiamò, sentendo quella fitta familiare che lo accompagnava ogni volta che vedeva apparire il suo arcinemico. Stava per sorridere ma qualcosa lo trattenne ed infatti il suo sguardo di fece severo. 

 

“Ciao, angelo.” Lo salutò Crowley una volta districatosi dalla folla, raggiungendolo alfine. Non fece in tempo a notare lo scontento nel suo sguardo e si rivolse piuttosto ad osservare ciò che tutti stavano additando: un uomo sulla trentina stava affliggendo un foglio alla porta della Chiesa, dichiarando ad alta voce le tesi che aveva su di esso stilato.

 

“Uno dei vostri, immagino.” Aziraphale non si contenne più dal dire e Crowley corrugò la fronte.

 

“Uno dei nostri?” Dovette ascoltare per un po' per capire di cosa Martin Lutero stesse parlando: vendita delle indulgenze, abolizione del latino, in breve uno scisma che avrebbe creato solo confusione nel mondo cattolico. Il demone rise. “No, angelo, la mia parte non ha fatto assolutamente niente.” Aziraphale si voltò a guardarlo di sottecchi: non era prono a credergli, dopotutto era pure sempre un demone; eppure il suo istinto, e la sua conoscenza dell'altro per diversi millenni, lo portò ad addolcire la sua posizione. Strinse le labbra ma rilassò le spalle. “Fanno tutto da soli, gli umani.” Stava continuando Crowley, divertito. “Nessuno di noi arriverebbe mai a pensare a cose del genere.” 

 

“Beh…” Aziraphale avrebbe voluto aggiungere qualcosa di intelligente ma non poté fare altro che ammettere che il demone aveva ragione. Dopotutto, non era la prima volta che accadeva una cosa del genere: lo scisma d'oriente, l’iconoclastia… sembrava che gli umani lo facessero apposta a litigare, a volte per motivi veramente futili. Curiosi, gli umani. E così affascinanti nella loro incostanza. 

 

“Ci sarà da divertirsi. Oh, guarda!” Il demone ridestò il compagno dai suoi pensieri ed Aziraphale scattò con il capo per vedere alcuni uomini di chiesa accompagnati da delle guardie per arrestare Lutero che quasi non oppose resistenza, continuando a predicare. “Meraviglioso.” Gli occhi di Crowley brillavano come non mai: Aziraphale lo fissò a lungo, incapace di spostarsi da quello sguardo ipnotico, dimenticando per qualche istante ciò che stava accadendo. Perché il demone gli faceva quell’effetto? Perché sembrava in tutto e per tutto un bambino davanti ad un negozio di giocattoli? Che cosa orribile, pensò Aziraphale, divertirsi dinanzi alla sofferenza altrui. Eppure Crowley non aveva fatto nulla, avevano fatto tutto gli umani, da soli, non c'era nulla per cui biasimarlo. Per qualche ragione questo pensiero rasserenava l'angelo che abbassò lo sguardo per poi voltarsi nuovamente verso Lutero quando sentì la folla accanirsi, non sapeva bene se con o contro di lui.

 

“Adesso arriva la parte migliore.” Crowley continuava a sorridere come un bambino ed Aziraphale, distratto, quasi sorrise anche lui per riprendersi proprio all’ultimo momento.

 

“No! No.” Sussultò due volte, imbarazzato, destando l’interesse di Crowley che abbassò lo sguardo su di lui. “Non c'è nulla di divertente! È un disastro!”

 

“Suvvia, calmati, angelo.” Sminuì l’altro, gesticolando con la mano. “Non è la prima volta che succede una cosa del genere. Sopravvivranno.” Aziraphale sbuffò ma decise di non contraddirlo.

 

Crowley era estremamente affascinato dal modo in cui gli umani seminavano caos senza aver alcun bisogno del suo aiuto. Non fu un caso se, qualche anno dopo, in Inghilterra, Crowley si trovava accanto ad Enrico VIII quando questi dichiarò la creazione della chiesa anglicana e la scissione dal controllo papale. Donne, denaro e potere: il Re d’Inghilterra lo stava praticamente supplicando di spingerlo nella giusta direzione e Crowley non se l'era fatto ripetere due volte.

 

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Capitolo 4
*** Genesi 22, 1-18 ***


Aziraphale osservava in silenzio la scena davanti a sé: aveva aspettato a lungo l’arrivo di Abramo che adesso arrancava su per la montagna che il Signore gli aveva indicato e raggiungeva alfine il luogo pattuito. L’angelo rimase impassibile mentre osservava l’uomo raccogliere la legna e preparare il luogo del sacrificio.

 

“Ehi, angelo! Che luogo curioso dove incontrarti.” La voce improvvisa di Crawly fece sussultare Aziraphale che si voltò di scatto per vederlo avvicinarsi, un sorriso sornione in volto, la tonaca nera che strusciava nell’erba alta ed una mano che scostava un ramo per permettergli il passaggio impedendo alle foglie di intrecciarsi nei lunghi capelli rossi. Dalla rigidità nel corpo dell’angelo, il demone non ci mise più di qualche secondo per capire che qualcosa lo turbava. “Che succede?” Aziraphale non sapeva bene spiegare, non così su due piedi. Si morse il labbro inferiore e si voltò a guardare oltre i cespugli, un gesto che Crawly interpretò come un invito a fare altrettanto. Il demone non se lo fece ripetere due volte e raggiunse l'angelo, facendosi breccia tra il fogliame per scorgere davanti a sé Abramo che legava un bambino all’altare. Gli occhi gialli del demone si illuminarono di stupore. Gli ci volle un po’ per trovare qualcosa da dire: “Non è da te, angelo: stare a guardare mentre succedono cose di questo genere.” Provò a scherzare ma il tono della voce lo tradiva.

 

“Non ho scelta.” Lo interruppe Aziraphale e Crawly non poté fare a meno di notare come il suo sguardo sembrasse ansioso, quasi nervoso. L’angelo sentì gli occhi del demone fissarlo così intensamente da perforargli il cranio e scoccò un veloce sguardo al terreno prima di spiegare con un tono concitato: “È stato Dio a mandarmi qui.” All’espressione corrucciata dell’angelo corrispose quella incredula del demone. Aziraphale sospirò e riportò gli occhi all’uomo ed al bambino, seguito dallo sguardo di Crawly. “Vuole che sorvegli e controlli che tutto vada bene, che Abramo… porti a termine il sacrificio di suo figlio, Isacco.”

 

“Suo figlio?” Il volto di Crawly si fece ancora più incredulo; i suoi occhi si spostavano dall’angelo al rituale come se cercassero una spiegazione per ciò che stava accadendo. Ma no, non c’era nient’altro da spiegare, nulla di più da comprendere. Il demone forzò un sorriso inebetito. “Sembra tanto qualcosa che la mia fazione mi chiederebbe di fare.” Crawly sentì l’angelo accanto a sé irrigidirsi: teneva le labbra serrate e gli occhi fissi sull’orribile scena, i pugni chiusi, le spalle strette come a volersi fare piccolo fino a sparire. Possibile che il suo Dio, il suo Padre onnipotente potesse volere una cosa così crudele? Eppure gli ordini erano stati chiari, Aziraphale li aveva ricevuti dal Metatron in persona. Ma perché doveva assistere ad una cosa così dolorosa, lui che era un angelo pieno d’amore e, nello specifico, di amore per il genere umano? Sì, perché Aziraphale, sin dai giorni del Giardino dell’Eden, si era grandemente affezionato a quelle creature così indifese ma così ingegnose da domare qualunque altra creatura e trovare un modo di sopravvivere e persino usare a proprio vantaggio una natura spesso sfavorevole. E lui, questo angelo messo a loro guardia, non poteva fare a meno di avere insita nella sua natura la volontà di aiutarli, di proteggerli come meglio poteva e quanto più gli era permesso. Perché allora il suo Dio, suo Padre lo aveva mandato ad osservare un atto tanto orribile? Aveva visto generazioni nascere e crescere a partire da Eva, aveva compreso l’amore ed il più sincero diniego dei genitori per i propri figli fino a realizzare quanto innaturale fosse un atto del genere. Eppure era questo che Dio voleva ed ad Aziraphale aveva chiesto di essere il suo testimone. Era parte del grande piano.

 

“È ineffabile.” Si decise finalmente a parlare, dopo quella lunga digressione, l’angelo e Crawly lo guardò come se fosse ammattito.

 

“Giusto.” Ghignò, dopo alcuni istanti di silenzio, alzando le braccia al cielo. “È tutto parte del Suo piano.” 

 

“Aziraphale.” D’improvviso una voce riempì la mente dell’angelo che si portò due dita alle tempie, riconoscendo il Metatron. “Fermalo.” Aziraphale non se lo fece ripetere due volte ed accorse a fermare la mano di Abramo prima che fosse troppo tardi. Crawly rimase a guardare la scena da dietro i cespugli e si spostò appena in tempo per non farsi colpire dall’ariete che l’angelo aveva fatto accorrere con un miracolo. L'animale si intrecciò con le corna fra i cespugli rendendo facile ad Abramo catturarlo e sacrificarlo a Dio al posto del figlio. 


Crawly aspettò fino a quando Abramo ed Isacco non si furono allontanati dopo aver pregato insieme all'angelo ed assicurato a Dio la loro più completa fiducia. Allora il demone raggiunse Aziraphale sul bordo del dirupo, le braccia incrociate al petto ed uno sguardo ancora piuttosto perplesso.


“Davvero un bel bluff, c'ero quasi cascato pure io...” Commentò mentre Aziraphale abbassava il braccio che aveva fino ad allora sventolato per salutare i due umani.

 

“Era necessario.” Si limitò a ribattere, rinfrancato dal fatto che il Metatron gli avesse concesso di intervenire appena in tempo. “Era una prova per testare la fede nella misericordia di Dio.” Continuò, voltandosi a fissare Crawly con sguardo soddisfatto, come a dire te l'avevo detto. Il demone sbuffò: sapeva benissimo che Aziraphale era rimasto tutt'altro che calmo e che il suo tanto amato Dio gliel'aveva fatta anche a lui. Eppure si morse la lingua e decise di non infierire, forse spinto dall’intima realizzazione che dover vedere la parte notoriamente buona agire in maniera così crudele faceva uno strano effetto anche a lui.


“Testare la fede, giusto, giusto.” Scosse il capo e fece un gesto con la mano. “Grande piano, grande prova, bravo.” Rise ma era un riso amaro, beffardo ed al tempo stesso seccato. Cominciò ad allontanarsi, gesticolando come suo solito: “Meno male che ci sei tu, angelo, a rimanere impassibile.” Aziraphale si irrigidì ancora una volta ma subito si sforzò di scrollarsi di dosso quella sensazione.

 

“Nessuno di noi può conoscere il Suo piano.” Rispose seraficamente, ricevendo uno sbuffo da parte di Crawly. “L'unica cosa che ci è dato fare è credere in Lui.”

 

“Continua a ripeterti queste parole, angelo.” Scosse il capo il demone. “Sono certo che ti saranno utili anche in futuro.” E così lo lasciò, perdendo il sorriso, andandosene pensieroso.

 

Aziraphale rimase a fissare il punto in cui Crawly era scomparso, le mani giunte davanti al corpo immobile. Cercava di non pensare, di tenere la testa libera perché sapeva che se si fosse fermato ad ammettere ciò che lo turbava non ne avrebbe mai visto la fine. Dopo qualche lungo istante, si volse e gli occhi gli caddero su ciò che rimaneva dell’ariete: certo che a volte il suo Dio sapeva essere davvero crudele.

 

​Edit: Per qualche ragione la mia memoria pensava che il cambio di nome da Crawly a Crowley avvenisse ai tempi dell'Arca di Noé ed invece è attribuito al giorno della morte di Cristo. Il nome sarà modificato per correttezza. 

 

 

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Capitolo 5
*** 1349 - Londra ***


Crowley stava riposando sul divanetto del piccolo cottage fuori dalla città nel quale si era stabilito negli ultimi anni. Era una notte scura e minacciava pioggia. Era da un po' che il demone non usciva e passava le sue giornate a fare una cosa che aveva imparato dagli umani: dormire. Il tempo così passava più veloce e quel secolo, che si stava rivelando sempre più noioso, scorreva via in un baleno. 

 

Quella sera non era diversa da tutte le altre: cieli scuri, silenzio, il fuoco acceso nel focolare, non tanto per scaldarsi ma perché gli piaceva vederlo scoppiettare, gli dava una sensazione di calma, di familiarità. Era tutto normale almeno fino a quando la porta non sussultò, colpita diverse volte da un pugno insistente. Crowley corrugò la fronte sbuffando: chi diamine poteva essere a quell'ora? Anzi no, chi diamine poteva essere punto e basta? Nessuno lo visitava, nessuno lo conosceva, a nessuno importava di lui come a lui non importava di nessuno. Avrebbe voluto controllare dalla finestra ma sapeva che l’oscurità gli avrebbe impedito di vedere l’agitato uomo alla porta che continuava a bussare ad intervalli regolari. Gli avrebbe voluto urlare di andarsene, dire che non c'era nessuno in casa, ma si rese conto che sarebbe stato controproducente. Così, come per premiare tanta insistenza, Crowley si arrese e raggiunse l'entrata del suo domicilio, aprendola per rivelare un angelo scosso da spasmi incontrollabili.

 

“Aziraphale?” Lo riconobbe immediatamente. Che ci faceva lì a quell'ora? E perché tremava come una foglia?

 

“Perché?” Lo sentì singhiozzare e gli avrebbe risposto che stava per chiedergli la stessa cosa ma il tono disperato dell’altro gli impedì di proferire alcunché. L'angelo alzò lo sguardo, mostrando gli occhi gonfi e rossi di pianto che fecero sussultare il cuore del povero demone. “Perché non fa niente?” Crowley era distratto dalla voce spezzata dell’uomo davanti a lui e ci volle una grandissima forza di volontà per riuscire finalmente a comprendere le parole che gli erano state proferite.

 

“Chi non fa niente?” Domandò, corrugando la fronte e cercando gli occhi dell’angelo che aveva nuovamente abbassato il capo, torturando le mani portate al petto. 

 

“Ho chiesto loro di aiutarli, di fare qualcosa.” Parlava in modo frenetico, Crowley a malapena riusciva a capire il senso di ciò che l’angelo diceva; era troppo distratto dal movimento delle sue spalle, su e giù, affannate come se non avesse più fiato in corpo. “Niente.” L'angelo fissò di scatto gli occhi verde-azzurro in quelli gialli del demone che dimenticò improvvisamente di respirare: sembrava così indifeso, lì, in quel momento, davanti a lui, un demone. Possibile che non avesse amici migliori da cui andare? “Mi hanno detto di non fare niente.” Riprese l’angelo e Crowley dovette costringersi a tornare a concentrarsi sulla sua voce, perso in quegli occhi così espressivi, così buoni, cosi fragili. Ci volle qualche istante ma finalmente Crowley digerì le parole dell'altro e si scosse, risvegliandosi.

 

“Entra.” Lo fece accomodare ed Aziraphale non se lo fece ripetere due volte. Si fece largo nella piccola stanza, guardandosi distrattamente attorno, appena notando l'arredamento minimalista ma decisamente ordinato ed accogliente. Crowley gli indicò il divanetto e si diresse verso una piccola bottega prendendo del vino e dei boccali. Verso due tazze piene e ne offrì una all'angelo che gli fece un cenno di ringraziamento, portandosi il liquido alle labbra con mani tremanti. Crowley non sapeva che cosa dire: si sedette accanto a lui, a qualche palmo di distanza, e l'osservò sorseggiare la sua bevanda come se fosse il suo ultimo appiglio. Avrebbe voluto confortarlo ma sapeva benissimo di non essere la persona giusta per un compito del genere. Si morse le pareti della bocca in maniera nervosa, aspettando che fosse l'angelo a riprendere il discorso.

 

“Continuando di questo passo, la popolazione sarà dimezzata.” Disse l'angelo tutt’un tratto, tirando su col naso. Crowley prese un profondo respiro. L'idea del ratto infetto non era stata sua, non ci aveva avuto niente a che fare. Era tutto un piano dei colleghi di Giù con l'aiuto di Pestilenza ed a lui era stato solo dato il semplice compito di liberare il ratto infetto sulla superficie e, si sa, ad un ordine diretto dell'Inferno, soprattutto se comandato da uno dei Cavalieri dell'Apocalisse in persona, non si può dire di no. Aveva fatto ciò che gli era stato chiesto ma non poteva negare di aver sperato fino all'ultimo che la creatura morisse prima di provocare alcun danno. Purtroppo i piani degli Inferi erano ben escogitati ed il ratto aveva fatto esattamente (se non di più) ciò che gli era stato richiesto ed ora la popolazione europea era in rapido declino da due anni e persino Londra, adesso, era stata colpita dalla pestilenza rendendola una città invivibile. Le esaltazione dei cadaveri, i fumi dei corpi, la scarsa igiene facevano sì che la malattia si estendesse ancora più lontano ed ancora più velocemente. E Dio non voleva fare niente. Crowley non era sorpreso: erano secoli che Dio aveva cessato di interessarsi direttamente agli umani, abbandonandoli alle sole cure dei suoi angeli e tra quelli il povero Aziraphale che ancora non riusciva a capacitarsene. Se Crowley aveva capito da tempo che egli era solo, Aziraphale sembrava non volersi rendere conto della situazione e chi era Crowley per rovinare il suo castello di carta? Lo avrebbe odiato se gli avesse raccontato la verità e Crowley non era disposto a perdere la compagnia dell'unica persona su quella Terra che lo trattava ancora con confidenza, con gentilezza persino, senza chiedere  nulla in cambio. 

 

Crowley osservò il suo compagno di bevute, riempiendogli il boccale ogni volta che lo vedeva mezzo vuoto. Parlava adesso, Aziraphale; parlava veloce, trascinando un po' le parole per via dell'ebrezza, ma almeno aveva messo fine a quel silenzio assordante.

 

“… e tutti quei bambini.” Stava lamentando ora l'angelo, la testa che dondolava come se fosse troppo pesante da tenere dritta sul collo. “Tutte quelle persone che non vedranno il mondo, che non scopriranno la meravigliosa creazione di Dio, come questo vino.” Crowley avrebbe sorriso a quell'ultima frase ma si era perso nuovamente nei suoi pensieri alle prime parole dell'angelo: a Crowley piaceva il mondo; gli piaceva il mondo e tutte le sue sorprese. Il solo pensiero di non essere partecipe testimone di quelle sorprese lo rattristava. Sentì una fitta al cuore e si affrettò ad ingurgitare il resto del contenuto della sua tazza come per spazzare via quella spiacevole sensazione. 

 

Aziraphale, dal canto suo, aveva abbandonato la coppa vuota insieme alla bottiglia dopo essersi assicurato che non fosse rimasta neanche una goccia di liquido. Crowley lo guardò con un mezzo sorriso prima di incupirsi di nuovo quando l'altro infilò le dita nei riccioli, nascondendo il viso, piegato sulle ginocchia. Il demone inghiottì dolorosamente ed alzò una mano per posarla delicatamente sulla schiena dell'angelo cercando di dargli conforto.

 

“Andrà tutto bene.” Disse con un tono un po' strascicato, un po' per la sbornia, un altro po' perché non erano parole tipiche di un demone quelle che stava proferendo. Aziraphale aveva infatti alzato lo sguardo e l'osservava pieno di meraviglia mentre l'altro fissava il vuoto davanti a sé cercando di evitare il contatto diretto con quegli splendidi occhi, anche se la sua mano riposava ancora sulla spalla dell'amico. “Gli umani sono degli scaltri bastardi. Sono sopravvissuti quanto me e te. Supereranno anche questa.” E qui il demone sorrise, quel sorriso beffardo che gli era così congeniale, così tipico. I suoi occhi incrociarono quelli dell’angelo che, per la prima volta quella sera, si sentì riempire di nuova, vitale speranza. 

Aziraphale tirò su col naso e si asciugò gli occhi con i lembi della camicia. Prese a respirare lentamente, riottenendo il controllo di sé stesso.

 

“Hai ragione.” Disse infine, mettendosi a sedere eretto mentre la mano di Crowley lasciava la sua spalla ma il suo sguardo continuava a fissarlo incuriosito da quel suo rinsavire improvviso. “Sono certo che Dio ha un piano anche per questo.” A quelle parole Crowley alzò gli occhi al cielo mentre l’angelo ripuliva le vene dall'alcol.

 

“Certo, angelo, è ineffabile.” Crowley era sarcastico ed aveva lanciato le braccia in aria a mo’ di resa ma l’angelo sembrò non cogliere lo sprezzo nella voce dell'altro e si alzò in piedi, sistemandosi i vestiti per bene. 

 

“Esatto.” Annuì, dirigendosi a lunghi passi verso la porta. Il demone corrucciò la fronte e, con uno scatto, si mise in ginocchio sul divanetto.

 

“Dove pensi di andare, ora!?” Domandò all’angelo con il tono di uno che ne aveva avuto davvero abbastanza degli umori dell'altro. 

 

“Forse non posso salvarli tutti…” Fu la risposta dell'angelo che, con una mano già alla maniglia della porta, si voltò verso l'altro con un sorriso colmo di speranza, facendogli stringere il cuore in una morsa letale. “… ma farò del mio meglio per salvarne il più possibile.” E detto questo inforcò l’uscita diretto verso la città, pronto a fare del suo meglio, convinto che questo non fosse che l'ennesimo tassello nel piano del Signore. 

 

Crowley si sentì improvvisamente molto, molto solo. Si abbandonò sullo schienale del divanetto e sospirò, controllando che il suo boccale fosse vuoto. Fece una smorfia di disappunto nel vederne il fondo per poi sorridere amaramente, alzando gli occhi verso la porta dalla quale Aziraphale era scomparso.

 

“Fai del tuo meglio, angelo.”

 

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Capitolo 6
*** 65 a.C. - Baia ***


Coautrice:  Lady_White_Witch

 

“Bel festino, non è vero?” Sibilò una voce roca e familiare. 

 

“Ed ottimo vino, mmh.” Annuì Aziraphale ridacchiando, prendendo un altro sorso dalla sua coppa. Crawly l'osservò sorseggiare trattenendo una risata ma muovendosi tanto quanto bastava per far spostare lo sguardo dell'altro su di lui. L'angelo gli lanciò un'occhiata fuggevole con quel sorriso ebete dato dal vino e dalla sua classica testa tra le nuvole (dopotutto era un angelo) per poi voltarsi una seconda volta, sbattendo le palpebre per la sorpresa, il volto trasformato in un'espressione completamente nuova. “Crawly.” Sussultò e d'improvviso sentì le guance infiammarglisi ed al calore del vino se ne aggiunse uno più viscerale. “Anche tu qui?” 

 

“Mh.” Annuì l'altro con un sorriso divertito, prendendo un sorso dalla sua coppa e guardandosi attorno. “Lucullo è stato così gentile da invitarmi.”

 

“Anche te?” L'angelo sbatté più volte le palpebre, sorpreso: certo che Lucullo invitava chiunque. Scacciò subito quel pensiero e piuttosto sorrise: un'anima generosa come Lucullo, pensò, certamente invita chiunque, persino i demoni. Senza saperlo, ovviamente. Guardò Crawly con tenerezza senza neanche accorgersene, felice di vedere quella faccia conosciuta.

 

“Mh, e c'è anche Memmio.” Indicò Crawly, spostando l'attenzione dell’angelo su di un uomo dall'aspetto curato, un po' altezzoso ed intellettuale. Aziraphale non lo riconosceva. 

 

“Di chi si tratta?” Domandò, fissandolo intensamente come per stuzzicare la sua memoria.

 

“Non conosci Memmio?” Crawly aggrottò la fronte e poi sorrise soddisfatto. “Gaio Memmio, protettore del poeta Lucrezio, uno dei tuoi, se ricordo bene.”

 

“Ah, Lucrezio!” Gli occhi dell'angelo si illuminarono. “Brav'uomo. Ha una collezione infinita di volumi antichi greci.” 

 

“Mh-mh.” Crawly annuì con fare disinteressato mentre un sorriso diabolico gli si dipingeva in volto. “Memmio è uno dei miei.” Disse baldanzoso mentre l'angelo si costringeva a non scuotere la testa con disappunto. “Hai presente la villa di Epicuro, quella nel quartiere Melite?” Raccontò gongolante il demone, attendendo il cenno dell'angelo prima di continuare: “Lo sto convincendo a buttarla giù per costruirsene una più grande.” Questa volta Aziraphale non si trattenne e scosse lentamente la testa anche se in cuor suo non era poi così dispiaciuto: antipatico, quell'Epicuro, convinto che la mano divina non fosse onnipresente. “E quella è sua moglie, Fausta.” Indicò la bella e seducente donna dall'altro lato della tavola che civettava sorridente attorniata da un gruppo di uomini di una certa età. “Non c'è un uomo in tutta Roma che non la conosca… a fondo.” L'angelo quasi si strozzò con il vino e cominciò a tossire, guardando il demone ridente di traverso. “Oh, io non c'entro niente con quella lì!” Alzò le mani, divertito dalla reazione dell’angelo che cercò di ricomporsi, cercando con lo sguardo qualcuno che non fosse corrotto fino al midollo - e non era cosa facile, non in una casa piena di politici. 

 

Fu però sorpreso da un braccio improvviso che gli cinse il collo mentre il demone al suo fianco alzava un sopracciglio curioso ed infastidito.

 

“Fabullo, mio fabullo! Vieni, cena con me!” Biascicò l'uomo che si era appoggiato ad Aziraphale, gli occhi appannati dall’alcol ed una brocca penzolante nell'altra mano che schizzava vino ovunque. L’angelo l'osservò titubante, incapace di reagire a delle avance così improvvise. Crawly, dal canto suo, non si fece problemi.

 

“Va' via, Catullo.” Prese la mano del poeta e la spostò dalla spalla dell'angelo che si allontanò di qualche passo, stringendosi un po' di più verso il demone. “Il tuo fabullo non è questo.” Gli occhi del demone saettavano minacciosi e, nonostante la sbornia, Catullo comprese che non era il caso di insistere; dopo aver alzato le spalle con un singhiozzo, si allontanò per raggiungere gli altri.

 

“Catullo?” Aziraphale aggrottò la fronte, un po' confuso. “Non sapevo che Catullo e Lucullo fossero amici.”

 

“Non lo sono, infatti.” Scosse il capo il demone, ancora infastidito dal modo in cui quel poeta da strapazzo si era avvicinato all'angelo. “Ma Memmio ha insistito: sono protettore di poeti, io, Catullo incluso.” Gli occhi gialli erano fissi sui due che adesso parlavano fra di loro; li osservava turpe, ponderando su cosa fare per farla pagare a Catullo dopo quell'affronto ma venne distratto dalla voce dell'angelo che suonava placida come sempre.

 

“È un peccato che Lucrezio non sia potuto venire.” Sospirò l'angelo, un po’ rammaricato. “Povero ragazzo, è così impegnato a lavorare alla sua opera che ne sta uscendo pazzo.”

 

“Lucullo avrebbe preferito Lucrezio.” Annuì Crawly, conoscendo la poca simpatia che la cerchia dell'uomo aveva per questi poetae novi. “Diamine, Memmio stesso avrebbe preferito Lucrezio!” Ed a questo punto anche Crawly quasi quasi avrebbe preferito Lucrezio. Fortunatamente, il suo sguardo si posò altrove, permettendogli di spostare la mente dai cattivi pensieri di vendetta su Catullo.

 

“Lo conosco, quello.” Indicò, puntando il dito lungo ed appuntito verso un uomo dall’ampia fronte e dall'aria severa ed importante.

 

“Cicerone.” Annuì Aziraphale con un sorriso orgoglioso. “Oratore, politico…”

 

“Pallone gonfiato.” Continuò l’elenco Crawly con un sorriso beffardo. Aziraphale gli lanciò uno sguardo poco felice e piegò la bocca da un lato. 

 

“Uno dei più importanti di questa epoca.” Decise di non infierire ed andare avanti, osservando il senatore parlare amabilmente con il padrone di casa ed un altro uomo dall’aria importante. “È per lui che è stato realizzato questo banchetto.”

 

“Ah sì?” Crowley alzò un sopracciglio, poco interessato in realtà, ma finse di ascoltare l'angelo i cui occhi brillavano, felici di poter snocciolare qualcosa di così succulento.

 

“Cicerone ha osato insinuare che, presentandosi a casa di Lucullo inaspettatamente, non ci sarebbe stato un granché da mangiare, mentre Lucullo sostiene fermamente che ogni giorno a casa sua ci sia un succulento banchetto.” Raccontò l'angelo mentre lo sguardo di Crawly si perdeva sulla grande tavolata apparecchiata, pronta per ricevere ogni sorta di ben di Dio. “Lucullo non se l'è fatto ripetere due volte: senza avvertire i cuochi, ha immediatamente invitato Cicerone ed altri amici.” 

 

“Tra cui noi.” Interferì Crawly, sorseggiando dalla sua coppa. Aziraphale spontaneamente sorrise ma subito scosse la testa, un po' perplesso. 

 

“Beh, Lucullo è un uomo davvero generoso.” Decise di riempire il silenzio ma non riusciva a fare a meno di sentirsi tormentato dal pensiero di come un demone come Crawly potesse considerarsi amico di un uomo come Lucullo, cercando nel vino una risposta.

 

“Oh sì, generoso, certo.” Ridacchiò Crawly, continuando a bere. Aziraphale non comprese il tono e fissò l'altro corrucciando la fronte. Crawly sembrò non notare il suo sguardo, gli occhi divertiti fissi sui commensali.

 

“Converrai con me che un uomo che offre pranzi così lussuriosi non può essere altro che un uomo buono.” Disse finalmente ad alta voce Aziraphale e Crawly quasi si strozzò col vino.

 

“Certamente, angelo.” Rise sonoramente ma con la coda dell'occhio notò che l'angelo accanto a sé era impassibile. Abbassò la coppa dal viso e lo guardò incredulo. “Sei serio?” Domandò e per tutta risposta vide l'angelo fargli il broncio. “Oh, andiamo angelo, non sarai davvero così ingenuo!?” Esclamò ma Aziraphale non mosse un muscolo anche se all'interno cominciò a sentirsi un po' sciocco. Crawly alzò le braccia al cielo ed indicò Lucullo flettendo drammaticamente tutto il corpo verso di lui. “È un pallone gonfiato bello e buono!” Per un istante, Aziraphale temette che tutta la sala si girasse ad osservarli ma gli invitati erano troppo impegnati nelle loro conversazioni per curarsi delle due entità sovrannaturali. “Tu pensi davvero che faccia tutti questi pomposi banchetti per generosità!?”

 

“Beh…” Aziraphale era rosso in volto, forse più per il tono che Crawly stava usando che per reale imbarazzo all’idea che avesse ragione. Il demone sbuffò visibilmente.

 

“Quello è uno della mia parte.” Si apprestò a riempirsi nuovamente il calice con il vino e riempì automaticamente anche la coppa che Aziraphale gli stava tendendo senza neanche pensarci. 

 

“Non ne sarei così sicuro.” Borbottò l'angelo, portando il demone ad alzare gli occhi al cielo. Doveva dargli una dimostrazione del fatto che aveva ragione e quando il suo sguardo cadde sull’albero dai petali rosa proprio fuori dalla finestra il suo volto si illuminò.

 

“Lo vedi quell’albero?” Indicò Crawly ed Aziraphale seguì il suo dito per osservare la rigogliosa pianta fuori del giardino dell’ospite di casa. “Quella è stata una mia idea.” Aziraphale corrugò la fronte e si voltò a guardare il demone che rimaneva in posa, gli occhi fissi che brillavano di immensa gloria. L'angelo strinse lo sguardo, come a cercare di capire.

 

“E dunque?” Domandò infine, smontando un poco Crawly. “È solo un albero.” Il demone arrossì e si schiarì la gola, portandosi la mano libera al fianco e gonfiando il petto.

 

“Sembra solo un albero.” Corresse con altezzosità. “Ma è molto di più.” L'angelo sembrava ancora più confuso ma ascoltò con interesse: forse il vino aveva fatto un certo effetto a tutti e due. “Effetto farfalla, angelo: lo abbiamo strappato dalla sua terra e trapiantato qui, in un luogo inospitale e nuovo per lui. Vedrai, vedrai: cambierà tutto, sarà il caos per l'ecosistema!” Il demone ghignò con fare malefico e l'angelo non seppe bene come reagire; non capiva se fosse serio o meno. Si voltò nuovamente a guardare l'albero di ciliegio: era veramente un arbusto grazioso, pensò, sorridendo dietro la coppa di vino.

 

“La cena è pronta!” Chiamò improvvisamente Lucullo e tutti gli ospiti si apprestarono al tavolo, impazienti di assaggiare la preziosa cucina luculliana. Aziraphale non poteva dirlo ad alta voce, sarebbe stato un peccato di gola, ma non vedeva l'ora di assaggiare tutti i manicaretti per i quali l’ospite di casa era tanto rinomato. E così si susseguirono frutti di mare, asparagi, scampi, pasticcio d'ostrica, porchetta, pesce, anitra, lepre, pavoni, pernici frigie, murene, storione di Rodi, dolci e vini. La scorpacciata durò un'eternità ed Aziraphale si curò di ripulire per bene ogni piatto, guadagnandosi l'approvazione del padrone di casa e di tutti gli astanti. Crawly, dal canto suo, si limitava a sorseggiare i suoi vini, a malapena toccando cibo, spesso accompagnato dai gentili rimproveri di Aziraphale che si offriva di mangiare al posto suo. 

 

Fu davvero una lunga giornata; i romani sapevano come divertirsi e come mangiare e bere bene, notò Crawly ma era qualcosa di surreale passare così tanto tempo insieme all'angelo e più il tempo passava più si faceva strada in lui il pensiero che qualcuno dei loro potesse vederli e nessuno dei due sarebbe uscito bene da una situazione del genere. Pranzare, condividere del tempo assieme ad un angelo e trovarsi ad essere piacevolmente intrattenuto dalla sua presenza era decisamente surreale, decisamente fuori dal piano di Dio, qualunque esso fosse. Il demone si fermò ad osservare il viso pasciuto dell'uomo accanto a sé che ridacchiava spensierato ad una delle battute di Memmio per poi scuotere la testa, ricordandosi che apparteneva all'altra fazione e non avrebbe dovuto trovarci niente da ridere nei suoi aneddoti poco cortesi. Che buffo che era, quell'angioletto. Crawly non si accorse di ciò a cui stava pensando se non quando l’ebbe pensato e rimase paralizzato: no, no, questo non andava bene pensò serio e la sola idea del trambusto che una cosa del genere avrebbe creato lo convinse ad alzarsi da tavola.

 

“Crawly! Vai via di già?” Chiese amabilmente il padrone di casa, azzittendo tutti i presenti con il suo vocione, facendoli voltare a guardarle il demone. “Ti perderai la portata principale, la ventesima!” Ci furono risa divertite per il tavolo e Crawly sorrise fascinoso mentre sentiva gli occhi dell'angelo seduto sotto di lui fissargli il viso con insistenza.

 

“Ti ringrazio, mio Lucullo.” Disse amabilmente ed Aziraphale scosse la testa con un sorriso divertito che Crawly non mancò di catturare. “Ma ho alcune questioni a cui attendere.” 

 

“Niente di grave mi auguro, ragazzo mio.” Lucullo aveva sempre un modo di fare molto carismatico ed era un piacere stargli attorno. 

 

“No, nella maniera più assoluta.” Lo rassicurò Crawly, passandogli una mano sulla spalla con fare amichevole, scoccando un'ennesima occhiata ad Aziraphale come per dire questo è mio. Questa volta l'angelo non sembrò tanto sicuro ed abbassò lo sguardo, facendo una smorfia di disappunto. “Alla prossima, miei signori.” Salutò infine il demone facendo un inchino con un ampio movimento delle braccia, scomparendo solo dopo aver lanciato un ultimo sguardo all'angelo dall'aspetto dispiaciuto. Potrebbe sembrare che quel dispiacere fosse dovuto a quella che appariva come una vittoria per la fazione del demone, ma in realtà era qualcosa di molto più intimo e personale e forse, solo forse, riguardava l'allontanarsi di un certo demone troppo impegnato per restare. L'angelo decise di non pensarci troppo e si costrinse a distoglierne la mente, tornando ad ascoltare i commensali, sorridendo d'istinto: certo che i romani sapevano proprio come divertirsi.

 

Crowley esitò qualche istante prima di andare via. Si fermò sul portico e si voltò per incontrare il sinuoso tronco del ciliegio recentemente trapiantato. Sorrise e poi scosse il capo, come a rimproverarsi di quel momento di debolezza. Sospirò ed andò via.

 

Note delle Autrici:

  1. L'aneddoto su Memmio è tratto dalla lettera “Ad Familiaris XIII, 1” di Cicerone. 

  2. L'invito a cena da parte di Catullo è un riferimento al Carme XIII. 

  3. Le informazioni riguardo la pazzia e l’ossessione Lucrezio per il “De Rerum Natura” sono state prese dal “Chronicon” di San Girolamo 

  4. Le informazioni riguardanti la presenza di Cicerone sono perlopiù aneddoti storici di incerta attribuzione attribuiti comunemente a Sventonio e Nepote.

  5. L'importazione delle ciliegie dal Ponto in Italia viene attribuita a Lucullo da Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia”.

     

    ​Edit: Per qualche ragione la mia memoria pensava che il cambio di nome da Crawly a Crowley avvenisse ai tempi dell'Arca di Noé ed invece è attribuito al giorno della morte di Cristo. Il nome sarà modificato per correttezza. 

     

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Capitolo 7
*** 1666 - Londra ***


L’incendio di Londra fu un errore umano, una fiamma che si accese nella biscotteria di Pudding Lane alle due di notte del 2 settembre 1666 seguita dall’esplosione dei barili di catrame che si trovavano nella cantina sotto il locale e dallo schizzare dei detriti infiammati sulle stalle della locanda accanto, propagando l’incendio più in giù, lungo il ponte di Londra. Se l’incendio era, dunque, stato un incidente, lo stesso non si poteva dire della disposizione così serrata delle abitazioni di Londra al tempo: convincendo le persone giuste al momento giusto, Crowley era riuscito a far risparmiare alla Corona ed chi era direttamente interessato molto denaro, convincendoli a continuare a costruire le sempre più numerose abitazioni una attaccata all'altra, lasciando così com'erano le vecchie case dell’epoca Tudor, rovinate dal tempo e dalle intemperie e soprattutto costruite principalmente in legno e canniccio. Il fuoco, coadiuvato da un'estate particolarmente afosa, si era dunque sparso a macchia d'olio, trasportato da un vento forte ed insistente che spazzò via gli uccelli che non volavano abbastanza rapidamente per scappare.

 

Crowley osservava quello spettacolo inorridito, le fiamme che si rispecchiavano nelle spesse lenti nere. Era colpa sua, lo sapeva. Lo sapeva che quello era il suo piano, la sua grande idea geniale, sì ma non così, non in maniera così devastante, così incontrollabile. Voleva solo farli innervosire, aizzarli gli uni con gli altri per il disturbo di famiglie intere stipate così vicina l'una a all'altra, non carbonizzarli tutti e rendere la sua città un deserto! Sì, perché Londra era ormai diventata la sua città. Era lì che si era stabilito, lì che aveva vissuto negli ultimi secoli, viaggiando di tanto in tanto ma sempre tornando, infine, lì. Londra era la sua casa e lui l'aveva distrutta. 

 

Il demone non sapeva che fare: i pompieri si erano già messi a lavorare un'ora dopo lo scoppio dell'incendio ma avevano grandemente sottovalutato la situazione. Erano le tre di notte, dopotutto, ed il sindaco non voleva essere svegliato. Nessuno capiva l’entità del danno, nessuno tranne Crowley che, trovandosi con le spalle al muro, prese a correre per raggiungere l'unica persona che sapeva l’avrebbe aiutato.

 

“Aziraphale!” Chiamò a gran voce, battendo forte sulla porta dell'abitazione che sapeva ospitare l'angelo. “Aziraphale, apri questa benedetta porta!” La sua voce suonava furiosa ma nascondeva in realtà un soffio di disperazione che il demone cercava in ogni modo di soffocare. Quando l'angelo aprì la porta, piuttosto confuso, vide l'altro uomo quasi in ginocchio davanti a sé, il respiro affannoso e l'aspetto trasandato. Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di capire, ancora ignaro del fuoco che si avvicinava.

 

“Crowley.” Lo chiamò con gentilezza, aggrottando la fronte perplesso, e finalmente le sue narici percepirono l'odore acre dei fumi. L'angelo alzò il viso e cominciò a guardarsi intorno. “Che cosa succede?” Finalmente i suoi occhi si posarono sul bagliore rosso in lontananza. “Che cos’è quel fuoco?”

 

“È colpa mia! È tutta colpa mia!” Il demone si lasciò andare: si sarebbe voluto buttare fra le braccia dell'angelo ma si limitò a lasciarsi cadere sulle ginocchia, prendendosi la testa fra le mani, incapace di contenersi ancora. Aziraphale rimase sbalordito. “Sono stato io a creare questo piano. Le case, Aziraphale…” Le sue frasi suonavano sconnesse all'angelo che non capiva. “Sono stato io…” E non gli importava capire, non in quel momento.

 

“Crowley.” La sua voce, dolce e rassicurante, fu come un dardo nel petto del demone e le sue mani gentili che gli presero le spalle lo fecero sussultare come se fosse rimasto scottato da dell'acqua benedetta. Il demone alzò gli occhi verso Aziraphale ed incontrò il suo sorriso più dolce. Crowley sentì il cuore sciogliersi sul terreno. “Qualunque cosa tu abbia fatto, sono certo che non abbia mai voluto ammontare questo.” Crowley continuò a perdersi in quegli occhi buoni, pieni di comprensione e, soprattutto, perdono. Forse nell'oscurità non fu visibile, ma una lacrima solcò il suo volto, scendendo lenta da dietro le spesse lenti nere.

 

“Ti prego, Aziraphale.” Sussurrò Crowley, scattando ad aggrapparsi al farsetto dorato dell'angelo che trattenne il fiato. “Fa' qualcosa, Aziraphale.” Lo pregò, disperato. Aziraphale trattenne il fiato: un angelo non avrebbe mai potuto sottrarsi ad una preghiera, neanche a quella di un demone. Il suo sguardo si fece serio, deciso, e, dopo aver fatto un cenno, l'angelo si allontanò, creando mentalmente un piano d'azione.

 

Crowley, impossibilitato dal dare un aiuto diretto per non incappare nella furia degli Inferi, osservò Aziraphale darsi da fare: certo non poteva miracolare via il fuoco come se niente fosse ma coordinò la squadra dei pompieri al meglio delle sue capacità e riuscì a convincere persino il re Carlo II e suo fratello Giacomo a scendere in campo per aiutare la popolazione. Crowley osservava tutto ciò a bocca aperta: non aveva mai visto l'angelo così concentrato, così competente, così ostinato nel fare un buon lavoro senza chiedere aiuto ai suoi superiori. Ormai, comprese Crowley, Aziraphale si doveva essere abituato all'idea che, se voleva portare un cambiamento positivo nel mondo, doveva pensarci da solo e farsi aiutare dalle uniche persone che sapeva non si sarebbero tirate indietro: gli umani. E così, per tre giorni, lavorò fianco a fianco con loro e piano piano il fuoco si estinse.

 

Tredicimila e duecento case, ottantasette chiese e quarantaquattro gilde dei mercanti furono perdute in quei terribili giorni di settembre. Crowley si guardò attorno fra le rovine: dove prima si alzavano, alte ed affollate, le abitazioni dei londinesi, ora non c’erano altro che ceneri e macerie. Il demone si appoggiò al bastone da passeggio con cui usava accompagnarsi e prese un profondo, sconsolato respiro. 

 

Aziraphale stava salutando il capo dei pompieri quando i suoi occhi caddero sulla chioma solitaria del suo familiarissimo demone. L'angelo prese un gran respiro e si fece forza, sorridendo mentre si avvicinava all'altro con un lento incedere. Crowley lo sentì arrivare ed attese che lo affiancasse. Con gli occhi notò il suo sorriso incoraggiante e si sentì sprofondare ancora una volta.

 

“Non è rimasto più niente…” Mormorò, alzando gli occhi tutto attorno, seguito a ruota dall'angelo che fece altrettanto. Aziraphale posò gli occhi sul legno mangiato dal fuoco, o su quel che ne rimaneva, e sui muretti in pietra, neri di fuliggine. 

 

“Ricostruiranno.” Commentò dopo un po', facendo sussultare il demone che s'irrigidì. “Vedrai, Londra sarà ancora più bella e rigogliosa di prima. E poi…” Si volse con il corpo verso Crowley, il suo sorriso ancora più ampio in volto. “Grazie a te, sono potuto intervenire in tempo per salvare tante vite.” Il demone deglutì a quelle parole, stringendo la mano sulla testa del bastone da passeggio. “Qualunque cosa tu abbia fatto, mio caro, hai fatto il possibile per rimediare.” Il demone non rispose nulla a quelle rassicurazioni: non le meritava. Lui non aveva fatto niente, aveva solo alimentato quel fuoco e non era stato in grado di aiutare nessuno. L'unica cosa che era riuscito a fare era stata pregare, tra tutte le persone in questa lurida cittadina, lui, Aziraphale, un angelo, per giunta! Il colmo, davvero. Ma ormai di cosa si sorprendeva più? Era diventato tenero con il tempo, se ne rendeva conto, ma non poteva accettarlo. 

 

“Sai cosa?” D'improvviso la voce dell’angelo lo ridestò dai suoi pensieri e si voltò a guardarlo, ancora con quello stupido sorriso in volto, gli occhi azzurri che brillavano. “Tutto questo lavoro mi ha fatto venire fame.” Ridacchiò sotto i baffi e Crolwey sentì un calore familiare espanderglisi in petto. “Forse potresti… offrirmi il pranzo?” Il demone si lasciò scappare un soffio: mio Dio, quanto era impossibile! Ma quanto, quanti lo amava... Scosse il capo ed infine annuì con un mezzo sorriso.

 

“Mi sa che te lo devo.” Fece schioccare il bastone sul terreno e si mosse di lato, portandosi una mano al cappello. “Prego.” Indicò con fare elegante all’angelo di fare strada e questi non se lo fece ripetere due volte, gongolando all'idea di un lauto pasto.

 

Aziraphale cenò serenamente seduto dall'altro lato del tavolo di Crowley. Parlava come se niente fosse, commentava il cibo, raccontava aneddoti. Era come se quei tre giorni non fossero mai accaduti. Ma erano accaduti, eccome se erano accaduti, e Crowley non poteva smettere di pensarci. Non aveva toccato cibo né proferito una sola parola se non mugugni secchi e poco partecipi. Aziraphale aveva deciso volutamente di ignorarli: sapeva che il demone aveva necessità di somatizzare quanto era successo ma non se la sentiva di lasciarlo solo. 

 

Fu per questo che, una volta usciti dal locale dopo il lauto pasto, Aziraphale si voltò verso il compagno che lo guardò attentamente mentre parlava. 

 

“Ascolta, Crowley, che ne dici di passare un po' da me?” Offrì con nonchalance e, prima che il demone potesse trovare una scusa per rifiutare, aggiunse: “Ho ancora dei vini presi in Francia dopo l'esilio di Re Carlo.” Una scusa, poco ma sicuro, ma una che funzionava sempre. Crowley sembrò pensarci solo per un istante, poi fece spallucce. 

 

“Perché no?” Acconsentì infine ed il volto dell'angelo si fece radioso. “Sempre meglio di quello schifo che ci hanno servito qua dentro.” Aziraphale fece finta di non aver sentito quell’ultima frase e fece strada per raggiungere la sua abitazione.

 

Le due entità si accomodarono nell’accogliente salotto distrattamente decorato e pieno di cianfrusaglie e libri ovunque. L'angelo non era un tipo molto ordinato e la sua curiosità lo portava ad accumulare un quantitativo assurdo di oggetti e, soprattutto, libri. Gli piacevano in particolar modo le prime edizioni e le teneva riservate con grande cura. 

 

L'angelo scomparve e ricomparve da una stanza secondaria, portando con sé il vino e due calici. Servì se stesso ed il suo ospite, certo che un po' di alcol avrebbe fatto bene allo spirito di entrambi. Ed infatti, dopo qualche bicchiere bello pieno, Crowley cominciò a tornare ciarliero come suo solito.

 

“Quando ho visto Charles arrivare è stato… wow, angelo!” Stava dicendo, completamente investito dal ricordo del re che scendeva per le strade insieme al fratello, accompagnato da un uomo meraviglioso dai riccioli platinati ed il farsetto dorato. “Non so come tu abbia fatto a convincerlo.” Crowley rise mentre Aziraphale rispondeva con un sorriso sornione, fissando il vino che roteava nel suo calice. 

 

“Beh, sai, a volte so essere piuttosto convincente.” Rispose con un velo di timidezza, incapace di alzare lo sguardo e preoccupato di peccare di superbia.

 

“Ah! Proprio come un diavolo tentatore!” Lo stuzzicò Crowley, facendolo sentire ancora di più in imbarazzo. “Non sapevo che avessi anche questo talento, angelo.” D'improvviso l'atmosfera si fece più sobria: forse era stato quel commento, forse, più probabilmente, la stanchezza ma Aziraphale sentì la forza di sorridere scivolargli via ed il suo viso si perse in un'espressione a metà tra dimessa e pensierosa. Nonostante l’ebrezza, Crowley si accorse immediatamente di quel cambiamento d'atmosfera e si ridimensionò a sua volta. 

 

Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi il demone sospirò:

“Non avrei mai pensato che potesse accadere una cosa del genere.” Il suo tono era serio ma calmo. Aziraphale lo guardò da dietro le ciglia, incerto se fermarlo oppure no. “E sai qual è la cosa peggiore? Che è stato tutto inutile.” Si grattò la testa, affondando una mano nei folti capelli. “A che cosa ha portato? Le vittime che si sono state erano tue e mie allo stesso modo.” Aziraphale trattenne un sospiro e rimase ad ascoltare: Crolwey aveva ragione. “Quindi non è che sia servito a niente, alla mia fazione. Siamo zero e zero, come sempre.” Si stropicciò il viso con la mano, gli occhi di Aziraphale che osservavano ogni suo movimento. “Ma ti assicuro che non succederà più.” Crowley si portò la coppa alla bocca e ne vuotò il contenuto tutto d'un fiato. “Non così.” Terminò il suo discorso, posando il calice sul tavolino davanti a sé, facendosi largo tra i fogli sparsi che lo ricoprivano. Aziraphale rimase ad osservare la coppa con sguardo assente per un po' per poi svuotare anche la sua.

 

“Lo sai, Crowley?” Sussurrò, rompendo il silenzio, ridenstando il demone ancora una volta dai suoi pensieri. “Penso che in fondo tu non sia così male.” Sorrise. Sorrise come un ebete. Gli occhi di Crowley si fecero grandi dietro le lenti: come osava!? Stupido angelo. Stupido, adorabile, bellissimo angelo. Al demone sembrò di sentirsi male. Gli si attorcigliavano le budella. Disgusto, si disse, di certo era per il disgusto.

 

“Prova a dirlo un’altra volta, angelo, e ti giuro che io…” Sibilò ed all'angelo scappò una genuina risata. Le guance del demone si fecero ancora più rosse. “Che cos'hai da ridere!?” Voleva sembrare grande, spaventoso, voleva incenerirlo, quello stupido angelo, ma per qualche ragione l'altro non aveva paura di lui, anzi, lo trovava divertente, persino piacevole.

 

“È questo il Crowley che conosco.” Gli sorrise. Ancora. Crowley si sentiva impazzire. Era sicuro di star per scoppiare ma era troppo stanco per pensare. 

 

“Mi arrendo.” Alzò le braccia al cielo e si abbandonò sullo schienale del divano, appoggiando un braccio sul bracciolo. Accanto a lui Aziraphale rideva, anch'egli troppo stanco e sbronzo per riuscire a continuare a discutere. Crowley riversò il capo su di un lato e da dietro le scure lenti poté osservare il suo angelo fissare intensamente il calice vuoto. Era stanco, poverino. Stanco e bellissimo. Crowley si abbandonò a quel pensiero e si lasciò sfuggire un sognate sospiro di resa.

 

Nota dell'autore: 

Le informazioni sul fuoco di Londra sono prese principalmente dal libro “Great Tales from English History” di Robert Lacey.

 

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Capitolo 8
*** 1010 c.ca – Malmesbury ***


Elmer era un monaco dell'abbazia di Malmesbury ed era un visionario. Aveva letto la storia di Dedalo e del figlio Icaro e ne era rimasto affascinato e si era convinto – convintissimo – della fattibilità del mito. Così, forse spinto da una qualche visione o, come è tipico degli umani, dalla sua stessa mente esaltata, si era costruito un ingegnoso costume per dimostrare la sua teoria. Utilizzando del legno di salice o di frassino, i materiali più leggeri a disposizione al tempo, si era costruito delle ali, le aveva ricoperte con dei panni e se le era fissate a mani e piedi. Certo del suo esperimento, si era lasciato convincere da un demone di nostra conoscenza a salire su una delle torri campanarie, alte all'incirca diciotto metri, ed ora si stava preparando per il grande salto. 

 

Crowley, divertito e curioso come non mai, lo osservava dal basso, attendendo il gran momento. 

 

“Buongiorno Crowley.” D’improvviso la voce familiare dell'angelo lo fecevsussultare ed il demone si voltò un istante per vederlo arrivare reggendo la tonaca monacale che indossava per mimetizzarsi fra i confratelli dell’abbazia. “Che incontro inaspettato! Qual buon vento ti porta?” Aziraphale parlava in maniera così disinvolta che sembrava l’inizio di una conversazione davanti ad una bella tazza di tè. Peccato che la sua espressione cambiò completamente quando i suoi occhi si posarono sulla figura del monaco e delle sue ali stagliate contro il cielo come un uccello che si prepara a spiccare il volo. “Che cosa sta succedendo?” Crowley accartocciò le labbra per trattenere le risa e si limitò ad alzare anche lui gli occhi verso il folle uomo.

 

“Oh, quello? Non è niente!” Disse beffardo, gesticolando con la mano. “Solo un uomo con un forte desiderio di morire.” 

 

“Crowley!” Lo rimproverò l'angelo: il suicidio era un peccato mortale, non lo sapeva? Letteralmente. “È stata una tua idea?”

 

“Perché pensi sempre che ci sia il mio zampino in queste cose, angelo?”

 

“Perché c'è sempre il tuo zampino in queste cose, Crolwey.” Dopotutto, era la sua arci-nemesi.

 

“Sembra giusto.” Ammise l'altro, facendo spallucce. “Ma l'idea delle ali non è stata mia. Io gli ho solo dato un consiglio… tecnico, ecco.” Aziraphale avrebbe voluto ribattere ma un movimento subitaneo del monaco attirò l’attenzione di entrambi: Elmer era pronto a tuffarsi. Crowley questa non se la voleva proprio perdere. 

 

Con gli occhi chiusi e le braccia completamente aperte, Elmer balzò giù dalla torre campanaria e per qualche istante sembrò rimanere in volo o, per lo meno, planare piuttosto delicatamente, prima che la gravità decidesse di essergli nemica e fargli cominciare una rovinosa discesa.

 

“Fa' qualcosa!” Implorò Aziraphale, richiamando l'attenzione del demone con quel suo tono disperato, e Crowley spalancò le braccia.

 

“Scusa, perché io? I miracoli li puoi fare anche tu.” Rise, divertito dal panico dell'angelo che sbuffava. L'attenzione di entrambi fu attirata dalle urla dell'uomo che stava per schiantarsi contro un albero.

 

“Oh, per l'amore del…” Aziraphale creò un brezza che dirottò la discesa del monaco ma fu così repentina e forte da farlo precipitare ancora più velocemente. Non ci fu tempo per un altro miracolo ed Elmer si schiantò a terra con un gran frastuono. Crowley non poté fare a meno di scoppiare a ridere mentre Aziraphale corse esterrefatto in aiuto dell'uomo ma venne anticipato dagli altri monaci che erano giunti in suo aiuto. Grazie al Cielo, Elmer era ancora vivo anche se le sue gambe, come si scoprirà dopo, erano fuori uso. Aziraphale portò gli occhi al cielo in segno di devozione ma le risa del demone lo infastidirono nuovamente.

 

“Non c'è niente da ridere.” Borbottò irritato, facendo il broncio.

 

“Oh sì che c'è, invece.” Continuò imperterrito il demone, asciugandosi le lacrime per le troppe risa. “Sono fantastici questi umani. Ne sanno una più del diavolo.” Aziraphale arrossì vistosamente a quella frase ed avrebbe ben voluto rispondere a tono ma decise di girare i tacchi ed allontanarsi. “Oh andiamo, angelo!” Cercò di richiamarlo Crowley. “L'hai salvato alla fine, no? Tutto bene quel che finisce bene.” Ma Aziraphale già non lo stava più a sentire e Crowley rimase da solo. Fece spallucce e tornò a guardare il gruppo di monaci che trasportavano Elmer in un luogo sicuro. Quella era stata proprio una bella giornata, pensò Crowley e spalancò le ali, facendo quello che Elmer non era riuscito a fare. Il monaco, stordito dalla caduta ma ancora sveglio, vide la creatura allontanarsi ed alzò una mano piena di panico ad indicarla, blaterando parole incomprensibili prima di perdere conoscenza tra le braccia dei compagni che non gli diedero ascolto. 

 

Nota dell'autore:

La storia di “Elmer the Flying Monk" è presa da “Great Tales from English History” di Robert Lacey.

 

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Capitolo 9
*** 1530 - Spagna ***


Aziraphale aveva sempre amato viaggiare, conoscere nuovi luoghi, nuove persone, nuove culture, entrare in possesso di nuovi libri e provare nuove pietanze culinarie; così, non appena gli fu concesso, decise di imbarcarsi su una delle navi per il Nuovo Mondo e fare un po' di esplorazione. Non che non fosse già a conoscenza delle Americhe, gli angeli sapevano tutto sulla geografia della Terra, ma fino ad allora non aveva mai avuto la possibilità di raggiungerle. Era da quando aveva sentito la storia di Leif Ericson, il vichingo che per primo aveva toccato le sponde del Canada intorno all'anno 1000, che aveva sognato di mettere piede su quel continente sconosciuto; ma all'epoca un viaggio del genere non era auspicabile e lui aveva comunque tante cose da fare. Così aveva aspettato il momento giusto ed ora, durante il periodo più florido della navigazione, stava approfittando di un passaggio da parte degli spagnoli per coronare il suo sogno. Perché gli spagnoli? Ma perché era più bello viaggiare con chi le Americhe le aveva scoperte, ovvio! 

 

Così ora l'angelo se ne stava sulla prua, assaporando l'aria di mare ed il vento che gli scuoteva i riccioli d'oro. Mai si sarebbe potuto immaginare che la sua vacanza sarebbe stata sconvolta dall'ultima persona che si aspettava di vedere.

 

“Comincio a credere che non esistano le coincidenze, angelo.” La voce di Crowley risuonò forte e chiara ed Aziraphale si voltò per vedere l’uomo avvicinarsi con il suo incedere danzante. “È tutto parte del piano ineffabile di Dio dopotutto, non è così?”

 

“Crowley.” L'angelo non seppe che cosa dire. Guardava il demone con la bocca spalancata mentre questi lo affiancava, appoggiando i gomiti sulla balaustra.

 

“In persona.” Gli sorrise facendo un cenno con il cappello. L'angelo rimase interdetto ancora per alcuni istanti mentre Crowley si godeva il sole ed il chiacchiericcio insistente degli uomini di porto. Lentamente, l'angelo cominciò a riprendersi e scosse il capo, schiarendosi la gola.

 

“Cosa ti porta qui?” Gli chiese finalmente, continuando a fissarlo con insistenza.

 

“Oro.” Rispose l'altro senza fare troppi giri di parole, un sorriso malizioso sulle labbra. “Dove c'è l'oro ci sono persone avare, pronte a dare la propria anima all'inferno.” Aziraphale storse la bocca ma non disse niente: era così che andava il mondo, era così che erano gli umani, a volte. “E tu?” Interruppe il filo dei suoi pensieri Crowley ma Aziraphale non aveva prestato attenzione così il demone continuò: “Stai partendo per intralciare i miei piani?” 

 

“Oh…” L'angelo socchiuse le labbra e stava per rispondere che no, non ci aveva proprio pensato a questa cosa. Ma si riprese in tempo e, scuotendo la testa, asserì con un sorriso: “Ovviamente.” Crowley soffocò una risata.

 

“Ovviamente.” Ripeté: era davvero grazioso quando faceva così. 

 

“Dunque viaggeremo insieme.” Alle parole di Aziraphale fu Crowley a rimanere interdetto: a questo non ci aveva pensato.

 

“Ah!” Sorrise, aggrappandosi alla balaustra e dondolandosi un po'. “Saranno tre lunghi mesi.”

 

“Mmh…” Aziraphale non voleva sembrare cattivo ma qualcosa lo turbava. Crowley abbassò lo sguardo su di lui, preoccupato.

 

“Cosa c'è?” Chiese, aggrottando la fronte. “Qualcosa che non va, angelo?”

 

“Non è niente, è solo che…” Sospirò, finalmente alzando gli occhi per incrociarli con quelli del demone ansioso. “È solo che tre mesi sono tanti… E se i nostri ci vedessero insieme?” Crowley tirò internamente un gran sospiro di sollievo.

 

“Angelo, di che ti preoccupi?” Gli rispose con un gran sorriso. “Nessuno viene a controllare da anni. Rilassati.” Fece un gesto con la mano, come se stesse scacciando via una mosca. “Vedrai che andrà tutto liscio.”

 

“Mmh…” Aziraphale non era affatto tranquillo ma lasciò correre. Dopotutto Crowley non aveva tutti i torti; sembrava che entrambe le loro fazioni fossero talmente soddisfatte del loro operato che nessuno si curava di andare a controllare quanto effettivamente contribuissero i due a portare anime alle rispettive fonti. Il XV era stato secolo molto impegnativo, di certo meglio del quattordicesimo, pensò Crowley con un brivido. Era dunque un buon momento per prendersi una piccola vacanza. 

 

Fu così che le due entità trascorsero quei mesi sulla caravella insieme. Il viaggio fu incredibilmente piacevole e, tra un miracolo angelico ed uno demoniaco, senza intoppi di alcuna sorta. Gli spagnoli raggiunsero la costa della California con qualche settimana di anticipo. 

 

“Aahhh.” Si stiracchiò Crowley, alzando le braccia al cielo. “Aria fresca, aria nuova.” Aziraphale sorrise accanto a lui ed inalò profondamente: l'America aveva un profumo nuovo ed antico allo stesso tempo, come se fosse un luogo quasi intoccato dagli uomini e dal tempo, come tornare indietro nel tempo, prima delle città, prima della gran confusione nelle strade ma con un sapore tutto nuovo e speciale. Ma gli uomini c’erano sempre stati e c'erano tutt'ora; oh eccome se c'erano. Ben separati tra loro, gli spagnoli e gli indigeni si guardavano con sfiducia, tenendosi a gran distanza l'uno dall'altro.

 

“Non sembra che vadano molto d'accordo, eh, angelo?” Notò anche Crowley ed Aziraphale annuì con un cipiglio preoccupato ed assorto. Si guardò attorno, chiedendosi esattamente quali fossero le relazioni tra i conquistadores ed i locali ma non gli ci volle molto per capire.

 

“Stai giù, sporca donna!” Uno degli uomini della flotta stava colpendo una povera indigena con il retro del fucile. La donna sembrava debole e tossiva. Aziraphale non resistette ed accorse ad aiutarla sotto lo sguardo vigile di Crowley.

 

“Ehi, oh!” Sussultò l’angelo mentre si chinava sulla donna che lo guardò con gli occhi colmi di lacrime. “Non è così che si tratta una signora.”

 

“Fa' silenzio, checca.” Lo spagnolo sputò a terra ed aspettò una ritorsione dall'angelo che però si limitò a fissarlo senza dire nulla. 

 

“Ti consiglio di lasciarlo in pace.” Sibilò piuttosto Crowley minaccioso, avvicinandosi allo spagnolo con l'aria di chi non sta aspettando altro che una buona scusa per picchiare qualcuno. “Non è molto saggio cercare guai con lui.” Nonostante la stazza molto più poderosa, lo spagnolo si sentì tremare le gambe fino al midollo ed inghiottì un boccone amaro per poi allontanarsi con passo svelto stringendo il fucile nelle mani. Crowley tenne gli occhi fissi su di lui, una sensazione che sapeva ben trasmettersi sugli umani, e riprese a respirare solo quando lo spagnolo fu scomparso dalla vista.

 

“Va tutto bene?” La voce gentile di Aziraphale lo fece voltare ad osservarlo mentre questi offriva il suo aiuto alla donna inginocchiata che lo guardò dritto negli occhi ricevendo uno dei suoi sorrisi più gentili. “Non ti preoccupare, ci sono io adesso qui.” Sussurrò con gentilezza e solo allora si rese conto che forse la donna non lo capiva. Stava per cercare di ovviare alla situazione quando questa ricominciò a tossire, accasciandosi fra le sue braccia.

 

“Cosa succede?” Domandò Crowley, accovacciandosi a sua volta mentre Aziraphale sorreggeva la testa dell’indigena e controllava che non avesse ferite.

 

“Non lo so.” Mormorò per poi portare la mano libera sulla sua fronte. “Scotta.” Alzò velocemente le palpebre ed incontrò gli occhi seri di Crowley. Si lanciarono uno sguardo d’intesa e subito l’angelo prese la donna fra le braccia e, accompagnato dal demone, cercò un luogo tranquillo in cui stare.

 

L’indigena aveva le convulsioni, probabilmente causate dagli incubi, oltre che dai sintomi. 

 

“Pensi sia mortale?” Domandò l'angelo ad alta voce, forse parlando più a se stesso che al demone al suo fianco, chino sul bastone, che lo osservava bagnare la fronte all'ammalata con un panno freddo.

 

“Dall'aspetto, direi di sì.” Annuì Crowley ed Aziraphale sentì brivido: avrebbe voluto capire di cosa si trattasse ma non riusciva a distinguere bene i sintomi, poteva essere qualunque cosa. Dal canto suo, il demone cominciava a farsi qualche domanda: non sapeva niente della situazione nel Nuovo Mondo, non era il suo campo, ma qualcosa gli diceva che non andava tutto bene lì. Fu mentre pensava queste cose che, alzando il capo, si trovò d’innanzi un ragazzo pallido, albino, che camminava fra le persone con passo leggero, quasi evanescente. A Crowley bastò un attimo per capire, un attimo ed un gelido brivido.

 

“Pestilenza.” Sussultò ed Aziraphale rabbrividì a sua volta solo a sentire il nome prima di alzare il capo ed incontrare anche lui la chioma bianca del Cavaliere dell'Apocalisse.

 

“Cosa ci fa qui?” L'angelo si voltò verso Crolwey con fare accusatorio ma l'altro scosse vigorosamente il capo.

 

“Non guardare me, angelo, non è stata un'idea dei miei.” Lo informò anche se non poteva esserne sicuro al cento per cento. Eppure, pensava, una cosa del genere si sarebbe saputa se fosse stata architettata dagli Inferi o dai piani alti. Il demone rivolse lo sguardo verso l'angelo. “Sei sicuro che…?”

 

“Assolutamente no!” Protestò Aziraphale: no, Dio non avrebbe fatto una cosa del genere, non ora. Le due entità rimasero a pensare per alcuni istanti.

 

“Deve essere qui di sua spontanea volontà, attirato da qualcosa.” Sentenziò Crolwey, riportando lo sguardo verso l'esterno e vedendo il Cavaliere passeggiare indisturbato, accompagnato nel suo incedere da una scia di colpi di tosse e starnuti. 

 

“Mmh…” L’angelo tornò a guardare la povera donna priva di sensi. “E se fossero stati loro?”

 

“Loro chi?” Crowley aggrottò la fronte, non capendo a chi altro si potesse riferire; le fazioni erano solo due, lo erano sempre state.

 

“Loro, gli umani.” Si spiegò l'angelo, lasciando il demone pensieroso. “Se fossero gli spagnoli e gli inglesi ed i francesi…? Se fossero loro a portare la malattia?”

 

“L'hai già vista prima?” Propose l'altro e l'angelo alzò le spalle.

 

“Può darsi.” Non poteva dirlo per certo, le pestilenze si somigliavano tutte ai primi sintomi. 

 

“Anche se così fosse, c'è poco che possiamo fare.” Il demone strinse le labbra ed Aziraphale si sentì gelare. “È una cosa che solo loro possono combattere.”

 

“Mh.” Aziraphale si limitò ad annuire ed improvvisamente Crowley ebbe un timore.

 

“Stai bene?” Mormorò, memore di ciò che era accaduto durante la peste nera.

 

“Sì.” La risposta dell'angelo fu semplice, la sua voce calma anche se severa. Crowley rimase immobile, incerto ed ancora pensieroso. “Non preoccuparti per me." L'angelo si voltò con un sorriso ed a Crowley si spezzò il fiato in gola. “È successo altre volte. So cosa aspettarmi.” E così dicendo tornò ad occuparsi della donna. Crowley era rimasto interdetto per qualche istante: sapeva che Aziraphale soffriva, non sopportava vedere delle creature star male, soprattutto non gli umani. Eppure adesso era calmo, concentrato, in pieno controllo delle sue emozioni. Il demone accennò un sorriso: era veramente orgoglioso del suo angelo.

 

“Ecco.” Con un movimento della mano, Aziraphale curò la malattia dell’indigena che immediatamente smise di tossire ed aprì gli occhi sbigottiti. Aziraphale sorrideva. “Vai pure, piccolina.” Le disse, spostandosi da un lato per farla passare. “Sei guarita.” La donna lo capì subito dal tono così confortante e non se lo fece ripetere due volte: si alzò e si affrettò ad andare via, passando velocemente oltre Crowley e lanciando solo un ultimo sguardo all'angelo, come per ringraziarlo. Questi le sorrise ed aspettò che fosse lontana prima di alzarsi in piedi, dritto accanto al demone.

 

“Li aiuterai?” Parlò e gli sembrò quasi una domanda retorica. L'angelo annuì il capo ed il demone trattenne a stento un sorriso. “Buona fortuna.” Si limitò a dirgli e lo guardò allontanarsi deciso. 

 

Dal canto suo, Crowley aveva altro a cui pensare: se erano stati gli spagnoli a portare Pestilenza sulle sponde del Nuovo Mondo, allora erano gli spagnoli a dover imparare una lezione. Ne corruppe a centinaia, convincendoli a scannarsi fra loro per racimolare il maggior numero di ricchezze. La sete dell'oro portò così tanto materiale alla corte di Spagna che le sue finanze non riuscirono a sostenerlo: negli anni successivi, Filippo II dovette dichiarare bancarotta per ben tre volte, una punizione che a Crowley sembrò più che generosa.  Il viaggio in America fu fruttuoso per le forze degli inferi ed il demone, una volta tornato in patria, ricevette una menzione speciale per il suo operato, mentre Aziraphale fece rapporto ai suoi superiori sulla situazione del Nuovo Mondo ricevendo una comprensiva pacca sulla spalla. 

 

Nota dell’autore:

  1. Ho deciso di mantenere Pestilenza maschio, come Inquinamento nel libro, ma, nel caso dovesse comparire, tenere Inquinamento femmina come nella serie. È una piccola distinzione che spero non dia fastidio a nessuno.

  2. La malattia è il vaiolo. Alcuni scienziati sostengono che la malattia fosse nata intorno al 1530, altri che esistesse già da prima. Per sicurezza, ho preferito mettere il 1530 come data di riferimento della storia. 

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Capitolo 10
*** 4003 a.C. - Israele ***


I primi mesi dopo la fuga di Adamo ed Eva dal Giardino dell'Eden erano stati i più intensi che l'angelo ed il demone avessero vissuto sulla Terra. Dopotutto, era nata da poco e per quel poco era stata sempre monotona e sempre perfetta. Non c'era stato molto da fare nel Giardino dell'Eden, ma ora, grazie a Crawly, i due si erano trovati a seguire da lontano e da due diverse angolazioni le peripezie dei progenitori della stirpe umana. E quante ne avevano viste: procacciarsi il cibo, trovare riparo, fendere contro bestie feroci grazie alla spada donata loro da Aziraphale e poi aiutarsi l'un l’altro, sempre vicini, sempre solidali. Dove non arrivava Eva c'era Adamo in un meraviglioso sodalizio che poteva essere solo parte del grande piano di Dio.

 

Passarono un paio di mesi e con i mesi il tempo si faceva sempre più scuro. Tutto era statico nel Giardino dell'Eden, e dal giorno della fuga era come se la Terra avesse cominciato finalmente a ruotare. Tutto il grande meccanismo dell'universo si era messo in moto e così le sue piogge ed i suoi giorni d’arsura e poi il giorno e la notte, le albe ed i tramonti. 

 

Tutto era nuovo per gli umani ma anche per le due entità sovrannaturali che si stupivano ogni giorno di quanto vasta e varia fosse la creazione di Dio. 

 

Era ormai dicembre e le temperature si erano fatte piano piano più fredde. Era una cosa curiosa, il freddo. Faceva stare più vicini gli umani che si ingeniavano per trovare modi di coprirsi con pelli scuoiate e vivi fuochi. A volte, vedendo che le creature soffrivano e non riuscivano ad occuparsi di loro stesse in modo appropriato, Aziraphale miracolava per loro delle lepri facili da catturare e faceva germogliare delle bacche commestibili dai cespugli più vicini. E così l’umanità sopravviveva ed il bambino che Eva portava in grembo cresceva.

 

Fu in uno di questi freddi giorni che, improvvisamente, un batuffolo bianco scese dal cielo e si andò a posare sul naso dell'angelo che alzò il viso verso l'alto: che fenomeno curioso, pensò, aprendo i palmi e cercando di catturare uno dei quei batuffoli ma, appena toccavano la sua calda pelle, scomparivano, trasformandosi in acqua. Aziraphale continuò ad osservare lo strano fenomeno ma si rassicurò da solo: se si trasformava in acqua non appena toccava qualcosa, non c'era niente di cui preoccuparsi, giusto?

 

Manti bianchi di neve coprivano ora il deserto che era diventato steppa. La grotta nella quale si erano rifugiati Adamo ed Eva era seppellita da una grande massa ghiacciata. Faceva freddo, molto freddo, ma almeno aveva smesso di nevicare. L’angelo si fece largo fra la neve, le gambe coperte fino quasi al ginocchio, quando colpì qualcosa di inaspettato con la tibia. Desolato, l'angelo fece un passo indietro per vedere un folto strato di ali nere spuntare da sotto la soffice coltre bianca. Aziraphale si allontanò ancora un po', dando spazio a Crawly per spalancare le ali e scuotere via la neve. 

 

“Ah, è finita?” Domandò il demone, stiracchiandosi per bene sotto lo sguardo inebetito dell'angelo.

 

“Finita cosa?” Chiese di risposta l'angelo, finalmente riconoscendo l’entità che aveva incontrato solo pochi mesi prima. I suoi occhi gialli lo fissarono con uno scatto e l’angelo si sentì andare il cuore in gola: certo che i demoni erano proprio spaventosi! 

 

“Quella... cosa! Giù dal cielo.” Crawly gesticolò ed una gran massa di neve cadde dai lembi della sua tonaca. 

 

“Oh.” Si limitò a rispondere l'angelo. “La neve.” Disse senza neanche pensare, il suo diretto rapporto con i piani alti che gli aveva permesso di imparare quella nozione.

 

“Si chiama così?” Il demone ribatté e, disgustato, scosse veementemente i capelli bagnati con le mani. “Che cosa stupida.” Aziraphale rimase interdetto per qualche istante, piegando la bocca da un lato, per poi farsi risoluto.

 

“È una delle grandi invenzioni di Dio.” Parlò giungendo le mani in preghiera. Crawly posò finalmente gli occhi su di lui, scuotendo la testa con disappunto.

 

“Ah sì? E a che serve?” Chiese e vide l'angelo scomporsi, sbattendo le palpebre più volte in confusione.

 

“Ecco... io...” Arrossì Aziraphale, incapace di rispondere a quella domanda. Crawly scosse la testa divertito per poi guardarsi attorno: era tutto schifosamente bianco. 

 

“Che idea stupida.” Commentò, dando le spalle ad Aziraphale che avvampò per l'indignazione. 

 

“Non è un'idea stupida!” Replicò ed il demone prese a grattarsi la punta del naso.

 

“Senti, angelo...” Si voltò per dire qualcosa ma un oggetto soffice e freddo lo colpì in piena faccia, sgretolandosi e cadendo a terra dopo l'impatto. Il demone ci mise qualche secondo a riaprire gli occhi, un’espressione scioccata ed inebetita dipinta in volto. Sbatté le palpebre e posò le iridi serpentesche sull’angelo davanti a sé che, ancora rosso in volto, aveva la mano tesa dopo aver lanciato quella palla di neve. Quando Crawly comprese ciò, il suo voltò si incupì. “Come osi...?” Solo per un istante, l'angelo temette che la ritorsione del demone sarebbe stata crudele e spietata di quanto si aspettasse ma quando la neve gli colpì la spalla comprese che non c'era nulla di cui aver paura. Divertito, non riuscì a nascondere un sorriso e si piegò a raccogliere altra neve, gli occhi verde-azzurri fissi su quelli che cercavano ancora di essere minacciosi del demone.

 

Le due entità sovrannaturali cominciarono una battaglia a palle di neve che volarono ovunque. Per quanto seriamente la volessero prendere, entrambi sapevano di non volersi fare realmente del male. 

 

Quando si sentirono stanchi, si avvicinarono l'uno all'altro, senza più trattenere le risa che li avevano accompagnati per tutta la battaglia.

 

Aziraphale fu il primo a ricomporsi e, con fare fiero e regale, offrì una mano al demone che si fermò per osservarla.

 

“Pari?” Propose l'angelo e Crawly alzò gli occhi per osservare la sua figura così angelica stagliata in quell'atmosfera bianca ed ovattata. Il demone sorrise.

 

“Pari.” Annuì e gli prese la mano, tirandosi su. I due si guardarono lungamente negli occhi, come se avessero raggiunto un’intesa. Fu l'angelo ad allontanare la mano per primo, con gran disappunto di Crawly. 

 

“Ora devo andare.” Fece per allontanarsi e l'espressione dell'altro si fece più cupa. “Adamo ed Eva hanno bisogno di me.” Crawly rimase interdetto per qualche istante ma alla fine sorrise, rassegnato.

 

“Vai, vai.” Indicò con le mani la strada da percorrere. “Non si sa mai quando potrebbero cadere in tentazione.” Aziraphale gli rispose scuotendo la testa.

 

“Non ho niente da temere se ci sei tu qui.” Forse aveva formulato male quella frase ma l'angelo suppose che il demone avesse capito esattamente che cosa intendesse. Fu così che se ne andò, salutando con la mano prima di dirigersi verso la grotta.

 

Crawly si portò una mano al cuore: stava battendo più forte che mai e lui non riusciva a capire perché. Alzò gli occhi ed osservò le ali dell'angelo scomparire nel biancore che li circondava. Crawly sorrise: gli piaceva la neve, dopotutto. 

 

Nota dell'Autore: 

Non viene mai specificato, né nella Bibbia né nella serie o nel libro, quando Adamo ed Eva lasciarono il Giardino dell'Eden, sappiamo solo che Eva era già incinta di qualche mese. Ho deciso quindi di mettere l'episodio un anno dopo dalla creazione del mondo secondo Pratchett e Gaiman.

 

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Capitolo 11
*** 1914 - Ypres ***


C'è un racconto che spesso non si trova sui libri di storia. È il racconto di come, il giorno di Natale del 1914, la guerra si fermò sul fronte delle Fiandre. Ed è anche la storia di come un angelo ed un demone riuscirono a compiere questa impresa usando solo la loro astuzia e forse un pizzico di magia.

 

La guerra era cominciata da mesi ed agli occhi comuni sembrava solo un'altra delle tante ma per Aziraphale era l’ennesimo spreco di vita umane. Aveva seguito il battaglione scozzese solo perché un committente belga gli aveva assicurato una preziosissima prima edizione del libro “Les Heures Nostre Dame A Lusage de Rome” del 1508 solo per scoprire che si trattava dell'ennesima truffa. Sconsolato e deluso, l'angelo si era ritirato con la comitiva inglese del battaglione e, quella sera della viglia del giorno di Natale, sedeva su di uno sgabello, riverso su una delle lettere/capitolo de “Il Vento tra i Salici” di Kenneth Graham, piccola e deliziosa prima edizione illustrata del 1908 che aveva fatto firmare il giorno stesso della pubblicazione, gli occhiali da lettura ben posti sulla punta del naso ed una lampada dalla luce soffusa sul tavolino improvvisato. Si era coperto per bene, con una lunga sciarpa con un patchwork di quadri di diversi colori stretta attorno al collo, ma dalla bocca usciva ogni tanto qualche nuvoletta di fumo. 

 

C'era calma fuori, una calma quasi irreale visti i recenti trascorsi, ma l’aria era tesa ed i soldati stavano con i fucili puntati nonostante l'ora, pronti a sparare a chiunque tentasse di recuperare i corpi dalla zona neutrale, tra le due trincee. L’angelo aveva approfittato di quel momento di stasi per starsene riparato in una cabina poco lontano dalla zona di guerra, riparato dal freddo pungente della neve che ricopriva il terreno fuori. Avrebbe volentieri bevuto una tazza di tè caldo, ora che ci pensava, e, finito il capitolo, si alzò per andarsela a preparare quando un sibilo lo fece trasalire.

 

“Psst! Ehi!” A sentire la voce familiare, l'angelo sbatté le palpebre e cercò la figura del demone per vederlo apparire dalle ombre dietro la finestra, il berretto tipico del battaglione scozzese che spiccava su tutto il resto con quella fascia con quel suo pattern a quadrettoni bianchi e rossi che attirava l'attenzione. Se non avesse riconosciuto la voce, a quest'ora l’angelo sarebbe morto di paura nel vedere la figura a malapena riconoscibile nell’ombra e che si aggirava con fare sospetto. “Aziraphale!” Il demone bussò sul vetro e l'angelo sospirò, posando la teiera sul tavolaccio ed aprendo la finestra cigolante.

 

“Crowley, cosa ci fai qui?” Gli chiese mentre l'altro incrociava le braccia sul davanzale. 

 

“Cosa ci faccio io? Cosa ci fai tu?” Rispose l'altro ma appena l'angelo aprì la bocca lo bloccò, affrettandosi a rispondere per primo: “Sono qui perché ho un piano.” Aziraphale rimase con la bocca ancora aperta per qualche istante prima di aggrottare la fronte, dimenticandosi di ciò che voleva dire e concentrandosi sulle parole del demone.

 

“Un piano? Che piano?” Domandò, piegandosi verso di lui che sorrise baldanzoso.

 

“È la vigilia di Natale.” Cominciò a spiegare ed Aziraphale sembrò ancora più perplesso.

 

“Sì, e dunque?” Domandò apprensivo. 

 

“È la scusa perfetta per un cessate il fuoco.” Crowley non stava più nella pelle, quasi scalpitava per la trepidazione. Aziraphale, dal conto suo, continuava a guardarlo perplesso.

 

“Non ti seguo.” Gli disse quando questi non continuò il suo discorso. Il demone alzò gli occhi al cielo ma non perse il sorriso malizioso.

 

“Andiamo, angelo!” Sbottò, continuando a saltellare sul posto creando dei vuoti nella neve. “Tregua non ufficiale, diserzione, fine dei giochi.”

 

“La sai che non funziona così, vero?” Aziraphale credette di cominciare a capire ma seguire il filo logico del demone non era mai semplice. Crowley lo ignorò.

 

“Ascolta, sono giorni che si sparano addosso senza combinare niente.” Si decise ad essere più diretto, smettendo di zampettare e portandosi un po' in avanti con il corpo. “Non dirmi che sono solo io a pensare che abbiano bisogno di una lezione.” Aziraphale rimase pensieroso per qualche istante: il demone aveva un modo strano di vedere le cose e, soprattutto, di comunicarle; però, nonostante tutto, ogni tanto aveva dei piani che si potevano allineare con quelli di un angelo.

 

“Se per lezione intendi una tregua, allora sono d'accordo.” Rispose infatti questi, mettendo insieme le idee.

 

“Chiamala come vuoi.” Tagliò corto il demone e sulle labbra dell'angelo spuntò un sorriso intenerito che Crowley decise di ignorare, voltando lo sguardo per nascondersi a quegli occhi adorabili. “Lo faccio solo per esacerbare gli spiriti e metterli gli uni contro gli altri.” Aziraphale sorrise ancora di più, specialmente dopo il modo inusuale in cui Crowley si era espresso.

 

“Non credo che…” Cominciò a parlare, cercando di controbattere, ma il demone sbottò.

 

“Aziraphale, me la dai una mano ad allontanare Guerra sì o no?” Arrivò finalmente al punto il demone ed Aziraphale sembrò dimenticarsi delle sue motivazioni. Il suo sguardo si fece nuovamente serio, quasi cupo.

 

“Guerra?” Ripeté il nome del Cavaliere dell'Apocalisse e sentì un brivido accapponargli la pelle.

 

“Sì, Guerra, è per questo che siamo qui, no?” Sbuffò Crowley con fare ovvio per poi sospirare: “Ascolta, lascia stare il perché, trovati le tue ragioni, ma ho bisogno del tuo aiuto per andare a far fare una passeggiata a Guerra e lasciare in pa… lasciarmi in pace di seminare caos a modo mio.” Aziraphale sembrò pensarci su per qualche istante mentre Crowley lo osservava con occhi pieni di speranza: sapeva che il suo angelo sapeva essere ottuso quando voleva, ma a volte era davvero troppo e lui non poteva permettersi di esporsi più di così, ne andava del suo orgoglio di demone. 

 

Ci volle un po' ma alla fine Aziraphale annuì.

 

“Non sono d'accordo sul seminare caos…” Cominciò a dire e Crowley alzò gli occhi al cielo: come poteva un uomo così intelligente essere anche così stupido? “Però allontanare Guerra per un po' mi sembra una buona idea.” Gli occhi del demone si illuminarono. 

 

“Fantastico!” Esclamò e si arrampicò sulla finestra, scavalcandola e poi battendo le mani fra loro per pulirsele dalla polvere. “Da dove cominciamo?” 

 

“Non avevi un piano?” Aziraphale piegò il capo da un lato, perplesso.

 

“Ah, sì, giusto, il piano.” Annuì Crowley e l'angelo aspettò che continuasse a parlare per poi ricevere solo: “Il mio piano era averti dalla mia parte. Al resto non ci ho ancora pensato.” Aziraphale non seppe cosa rispondere. Prese un gran respiro e poi si portò una mano al mento per pensare.

 

“Mmh…” Cominciò a camminare avanti ed indietro ed il demone osservò ogni suo passo con un gran sorriso stampato in volto e gli occhi che, da dietro le lenti, ridevano piene d'aspettative. D’improvviso, l'angelo si fermò: “Il fronte orientale!”

 

“Il fronte orientale?” Ripeté Crowley, non collegando immediatamente ma sentendosi subito entusiasmare dalla prontezza con la quale l'angelo aveva trovato una soluzione.

 

“Il fronte orientale.” Annuì questi sicuro, donando a Crowley uno di quegli sguardi per il quale il demone sentiva una parte d'Inferno sciogliersi dentro di lui, come se fosse stato benedetto. “È enorme, immenso.” Continuò a spiegare Aziraphale e Crowley dovette fare un grande sforzo per starlo a sentire invece di farsi distrarre dai suoi sentimenti. “Vaste pianure, acquitrini, foreste… se la mandiamo lì, ci vorranno mesi prima che trovi qualcuno da istigare alla violenza.” Crowley sembrò pensarci su un istante: certo, il fronte orientale era ampio, amplissimo, ma era anche il luogo in cui Guerra aveva cominciato; in che modo avrebbero potuto convincerla a tornarci? 

 

“Ma come faremo a convincerla?” Domandò infatti ad alta voce ma l'angelo sembrò avere una risposta pronta anche per quello.

 

“Le diremo che hanno intenzione di stipulare una pace, che la guerra è finita su quel fronte e, se finisce su quel fronte, certamente finirà presto anche qui.” Spiegò infatti con semplicità e le labbra del demone si stesero ancora di più in un sorriso orgoglioso e, per natura, malefico.

 

“Geniale!” Rimbalzò su se stesso e non diede all'angelo il tempo di gongolare che ricominciò a scavalcare la finestra. Aziraphale lo guardò perplesso. “Beh, allora? Che aspetti? Andiamo!”

 

“Andiamo?” Aziraphale non sapeva su cosa essere più confuso: sul fatto che il demone non avesse inforcato la porta o sul perché dovesse andare anche lui. 

 

“Il piano è il tuo, no?” Continuò l'altro prima che l'angelo potesse porre alcuna di queste domande e questi, stupito, batté più volte le palpebre.

 

“E quindi?” Chiese, tremando un po': stare vicino a Guerra, o ad alcuno dei quattro Cavalieri, non gli piaceva neanche un po'.

 

“Sei tu che ci devi andare a parlare.” Gli rispose l'altro, come se fosse ovvio. “Non vorrai che mi prenda tutto il merito.”

 

“Mmh…” Ragionò per qualche istante Aziraphale: non gli piaceva essere spinto così; l'idea della tregua non era stata sua, era Crowley che se ne doveva prendere la responsabilità. Eppure il demone non aveva tutti i torti e, a pensarci bene, c’era il rischio che incappasse in qualche problema con i capi di Giù se si fosse sparsa voce che fosse stato la mente di una tregua spontanea tra le truppe stanziate nelle Fiandre a solo pochi mesi dall'inizio di una guerra che si sperava portasse tante vittime corrotte nell'esercito degli Inferi. Cosi, fatti questi ragionamenti, l'angelo sospirò e si arrese.

 

“D'accordo.” Sentenziò, chiudendosi per bene il cappotto. “Lo farò io.” Crowley seguì i suoi movimenti con un sorriso mentre l'angelo si avvicinava alla porta d'ingresso. “E comunque la prossima volta usa questa.”

 

“Nah.” Fece spallucce il demone. “Sto bene cosi, grazie.”

 

Dopo essersi ricongiunti all'esterno della cabina, angelo e demone andarono a cercare il Cavaliere, camminando l'uno accanto all’altro. La notte era scura, anche perché avere troppe luminarie avrebbe attirato l'attenzione, oltre che di altri soldati a terra, delle forze aeree. Le due entità camminavano a tentoni nella notte, la luce della luna che si rispecchiava nel sottile strato di neve a far loro da guida.

 

Non fu troppo difficile trovare Guerra: la donna, in piedi sulla cima di un pendio, stava accanto alla sua moto militare, una Norton WD16H che lei stessa aveva tinto di rosso, con il casco sotto il braccio ed un lungo cappotto di pelle. Nonostante la poca luce, i suoi capelli color sangue erano accesi come un faro nella notte, un faro che indicava solo pericolo senza via di scampo. Osservava compiaciuta il massacro dei giorni addietro, i corpi lasciati abbandonati nella terra di nessuno poiché i soldati, inesperti e particolarmente nervosi, erano pronti a sparare anche prima di controllare che non si trattasse di un'unità medica, rendendo impossibile il reperimento e seppellimento dei cadaveri. Tutta quella alacrità era alimentata proprio da Guerra che, notando un soldato scozzese che era uscito dal suo riparo, utilizzò la sua influenza per fargli sparare a vista da un ragazzo tedesco che stava di guardia. Due colpi e poi un tonfo. A completare il tutto, la risata del Cavaliere dell'Apocalisse che si divertiva con quel gioco spietato.

 

“Già amo il ventesimo secolo.” Parlò tra sé, senza rendersi conto che qualcuno le si stava avvicinando alle spalle.  

 

“Ehm…” La voce flebile di Aziraphale disturbò la contemplazione di Guerra che si volse infastidita per vedere arrivare l’angelo paffutello che si faceva strada impacciato tra le neve. La donna corrugò la fronte e portò le mani ai fianchi, in attesa. Dal suo nascondiglio dietro una jeep, Crowley ingoiò una densa massa di saliva nervosa. Aziraphale si fece coraggio: “Ha sentito la novità?” Domandò senza fare troppi convenevoli. 

 

“Mh?” Guerra piegò la testa da un lato, perplessa. “Che novità?” Aziraphale quasi non riusciva a respirare: ce la puoi fare, si disse, stringendo le mani dietro la schiena.

 

“Il fronte orientale…” Cominciò e si sentì fulminare dallo sguardo ora attento del Cavaliere. “Ecco, sì… la guerra è finita.” Sentì del sudore freddo cospargergli la fronte. “Stanno firmando un trattato di pace a… uhm… Trakai.” Si scusò internamente con la Lituania ma era l'unica cosa che gli era venuta in mente.

 

“Trakai?” Ripeté Guerra, chiedendosi da quanto non fosse stata da quelle parti.

 

“Sì, Trakai.” Continuò l'angelo, cercando di suonare convinto. “Quindi, uhm…” Cercò le parole per continuare. “Beh, penso che adesso sia tutto finito.” Guerra lo fissò con sospetto: qualcosa non andava, se lo sentiva. Eppure non capiva che cosa fosse.  

 

“Perché dovrei crederti?” L'improvvisa domanda, detta con quel tono minaccioso, fece gelare ancora di più Aziraphale, come se fosse possibile con quel freddo che c'era. 

 

“Perché? Uhm…” Sentendo balbettare l'angelo, Crowley trattenne il respiro: forse non era stata una buona idea mandare lui in prima fila. Il demone cominciò ad entrare nel panico e cercò di pensare a qualcosa in fretta, quando l'angelo parlò: “P-Perché sono un angelo.” Disse e Crowley spalancò gli occhi: ma certo! “E gli angeli non possono mentire.” La voce gli tremava e temette davvero che Guerra se ne accorgesse perché ci fu una lunga pausa durante la quale la donna lo scrutò dalla testa ai piedi con quelle fessure strette che aveva per occhi. Aziraphale rimase immobile dov'era, come una statua, e così fece Crowley che si era completamente dimenticato di respirare. D'improvviso, Guerra fece un movimento subitaneo e l’angelo serrò gli occhi, pronto ad una qualche ritorsione fisica. 

 

Passarono dei secondi interminabili e poi Guerra parlò:

“Va bene.” Disse e l’angelo aprì una palpebra per vederla  sistemarsi il casco sulla testa e chiudere per bene il cappotto. “Ma vedremo se è davvero finita.” Sorrise, le labbra rosse che mostravano i perfetti denti bianchi. Aziraphale tremò di paura ma rimase imperterrito dov'era: ce la doveva fare. “Bel lavoro, angelo.” Rise Guerra soddisfatta. “Grazie a te potrò divertirmi ancora per un po'.” E detto questo salì sulla sua Norton WD16H e sfrecciò via, seguendo il selciato fangoso, scomparendo nella notte. Aziraphale rimase immobile per quelli che gli sembrarono momenti interminabili: le mani ancora gli tremavano e non era certo di avere più le gambe attaccate al corpo tanto che non se le sentiva più.

 

“Ce l'hai fatta!” Crowley raggiunse l’angelo con un sorriso e questi tirò finalmente un sospiro di sollievo, sentendo che era veramente fatta.

 

“Ho temuto di mori… essere spiacevolmente discorporato, per un istante.” Ammise, liberando le dita che aveva tenuto incrociate per tutto il dialogo con Guerra, una tecnica per mentire che aveva imparato dagli umani.

 

“Anch'io, angelo.” Ammise Crowley ma con un sorriso mitigatore. Aziraphale lo guardò come per cercare un po' di incoraggiamento e poi si volse ad osservare il punto nel quale Guerra era scomparsa.

 

“Quanto pensi che impiegherà ad arrivare a Trakai?” Domandò, sinceramente dispiaciuto e preoccupato per chiunque sarebbe entrato in contatto con lei.

 

“Oh, molto più di quanto pensa.” Sorrise compiaciuto il demone: aveva miracolosamente rimosso o spostato tutte le insegne nel giro di miglia e miglia, rendendo praticamente impossibile il percorso al Cavaliere dell'Apocalisse. Aziraphale non capì ed avrebbe voluto indagare ma un suono improvviso interruppe il flusso dei suoi pensieri.

 

“Mh?’ La voce dell'angelo incuriosì anche Crowley che cominciò a sentire a sua volta la melodia che aveva catturato le orecchie dell’altro.

 

“Musica?” Notò il demone e l'angelo annuì. Rimasero ad ascoltare e riconobbero le parole di un canto popolare natalizio in lingua inglese. “Ma tu pensa un po'.” Incrociò le braccia Crowley, cercando di mascherare il ghigno che gli stava nascendo in viso. Dal canto suo, Aziraphale sorrise sbalordito ma non fece in tempo ad aprir bocca che notò qualcosa di strano nei versi.

 

“Tedesco?” Riuscì a capire qualcuna delle parole e si voltò a guardare Crowley che condivise il suo sguardo. Senza pensarci troppo, le due entità si apprestarono a raggiungere una pendio vicino poco più alto delle trincee e guardarono giù: gli scozzesi, da un lato, avevano estratto le cornamuse che utilizzavano in guerra ed avevano iniziato ad accompagnare i canti ai quali rispondevano i tedeschi nella loro lingua. Dal canto loro, questi avevano inoltre cominciato ad adornare i bordi della loro trincea con delle candele che illuminavano la notte come tante piccole stelle. 

 

Aziraphale osservò la scena con gli occhi che brillavano di meraviglia mentre l’espressione di Crowley sembrava rimanere impassibile ma, dietro le scure lenti, il suo sguardo si era intenerito, sorridente e soddisfatto.

 

“Curiosi gli umani, eh?” Commentò scherzoso ed Aziraphale arricciò il naso nel suo sorriso. 

 

“È la magia del Natale.” Alle parole dell'angelo, il demone si sentì rabbrividire.

 

“Ugh, angelo.” Commentò, facendo un verso come se stesse per vomitare. “A volte sei davvero sdolcinato.” Aziraphale non si fece toccare da quelle parole, anzi, le prese quasi come un complimento e ridacchiò di gusto. Crowley lo guardò ammaliato e prese un profondo respiro rassegnato. Si voltò nuovamente verso i soldati che adesso avevano smesso di cantare, creando un innaturale silenzio in un'area solitamente così piena di rumori. 

 

Aziraphale non disse una parola ancora per un po', godendosi quella pace e quel calore che gli aveva preso tutto il petto. Gli umani gli avevano dato un'idea.

 

“Pensi di poter rimandare il caos e la distruzione a domani, mio caro?” Chiese d'un tratto al demone che spalancò gli occhi e si voltò a fissarlo solo per trovarsi quelle iridi verde-azzurre sorridergli fiduciose. Crowley deglutì a fatica e sentì la lingua intorpidirsi. Certo che a volte Aziraphale sapeva essere davvero convincente, pensò e rilassò un poco la mandibola.

 

“Che devo fare con te, angelo?” Alzò gli occhi e le mani al cielo, fingendosi esasperato, ma Aziraphale non sembrò infastidirsi. “D'accordo.” Il demone voltò il viso dall'altro lato, cercando inutilmente di nascondere il suo tenero sorriso. “Ma solo per questa notte.”

 

“Grazie.” Quello dell'angelo fu un sussurro ma accarezzò il corpo del demone fin dentro l'anima, se una ne aveva. Crowley cercò di ricomporsi e di voltarsi verso Aziraphale ma questi si era già mosso e si stava avvicinando di più verso i soldati. Il demone lo guardò fare e d'improvviso si sentì la voce di un uomo cantare forte e chiaro un canto tradizionale in latino. Crowley si voltò e vide che si trattava di un soldato tedesco che, sporgendo dalla trincea con le mani alzate, si rivolgeva verso inglesi e francesi in segno di pace. Crowley guardò Aziraphale che sorrideva soddisfatto. 

 

Pochi istanti dopo, il suono delle cornamuse iniziò ad accompagnare il canto ed i soldati scozzesi si mostrarono, spuntando come funghi da dietro le loro barricate. I francesi rimanevano dov'erano, terrorizzati. Tutt'un tratto, il soldato tedesco prese a scavalcare la trincea. Alcuni fucili puntarono su di lui ma non ci furono colpi. L'uomo prese uno dei piccoli alberi di Natale adornato da candele con i quali i tedeschi avevano decorato la propria linea di battaglia, mise piede nella terra di nessuno e cominciò ad approcciare il nemico, fermandosi a metà strada e piantando ivi l’alberello. Ci furono alcuni istanti di silenzio e tensione; poi il comandante scozzese superò la sua linea e raggiunse il soldato tedesco. 

 

Aziraphale e Crowley osservarono da lontano la scena di come il capitano tedesco raggiunse quello inglese ed iniziasse le trattative per una tregua. Videro il comandante francese far abbassare i fucili ai suoi ad aggiungersi alla coalizione, risentendosi di non essere stato invitato. 

 

Lentamente e con un po' di cautela, altri soldati si riversarono nella terra di nessuno. Un collezionista di bottoni inglese si avvicinò ad uno dei ragazzi tedeschi, indicando la sua giacca decorata. I due non si capivano così l’inglese prese un coltellino che fece indietreggiare tutti gli astanti ma il ragazzo li rassicurò con un gesto, facendo capire loro che non voleva fare del male. Con delicatezza, staccò alcuni bottoni dalla giacca del tedesco e poi fece altrettanto con i suoi e glieli offrì. Il soldato ci pensò un istante e poi accettò.

 

Doni di questo tipo vennero scambiati tra tutti i presenti. I tedeschi offrivano del cioccolato, i francesi del vino, gli scozzesi il whiskey e sigarette. Cominciarono a scambiarsi foto delle persone che amavano. Anche senza riuscire a comunicare, crearono dei legami con i gesti, i sorrisi, quelle poche parole che tutti conoscevano: “Danke", “Yes", “Monsieur"; poche ma essenziali parole che permettevano a quegli uomini di condividere un po' degli uni e degli altri.

 

A mezzanotte ci fu una predica detta in latino per celebrare la nascita di Cristo. Vi parteciparono anche gli ebrei, anche solo per sentirsi parte di quel momento di calore umano unico ed irripetibile con uomini che fino a qualche ora prima si erano sparati addosso senza conoscere i propri nomi né essersi mai guardati negli occhi. Ed ora eccoli lì, seduti uno accanto all'altro nella neve, mischiati, che si davano calore con i reciproci corpi in quella fredda notte invernale.

 

Quando la messa fu finita, ci fu un istante di silenzio, poi il bagliore di un bengala. Dapprima Aziraphale si chiese se fosse andato storto qualcosa ma presto capì che gli umani stavano usando i loro razzi per festeggiare, sparandosi a  mo' di fuochi d’artificio. Era una vista curiosa ma, a modo suo, piacevole. Le luci dei fuochi si rispecchiavano negli occhiali di Crowley che, anche se non l'avrebbe mai ammesso, si stava godendo quella notte di Natale in compagnia del suo migliore amico, dopo aver sentito di aver fatto qualcosa di buo… ehm, utile… ehm… di aver fatto qualcosa in quella giornata. Abbassò gli occhi ed incontrò lo sguardo incantato dai fuochi di Aziraphale: splendido, pensò ma non disse nulla.

 

Finiti i festeggiamenti, era ormai notte tarda ed i soldati si costrinsero a tornare nelle proprie trincee. Nessuno aveva nell'animo il desiderio di combattere l’indomani. Avevano le facce spente, pensierose e si rannicchiarono gli uni vicini agli altri, coprendosi insieme. Aziraphale, che non si voleva perdere niente di quella serata, li osservò e pensò che doveva essere bello, stare insieme abbracciati. A quel pensiero arrossì e nascose il viso, timoroso che Crowley lo potesse notare. Perché fosse in imbarazzo, poi, non lo capiva neanche lui. C'era così tanto amore nell'aria, così tanta solidarietà che l’angelo si sentiva estatico. Sistemato il cappotto, si fece spazio nella neve e si sedette, gli occhi brillanti fissi sulla scena. Crowley lo guardò dalla testa ai piedi e rifletté per qualche secondo per poi sedersi accanto a lui. Aziraphale seguì i suoi movimenti con un po' di curiosità ma decise di non dire niente e piuttosto gli sorrise: era sempre felice di averlo in sua compagnia.

 

Crowley ed Aziraphale stettero lì seduti, l'uno accanto all’altro, fino al mattino. Alle prime luci dell'alba i soldati si svegliarono senza alcuna intenzione di riprendere le ostilità. Dopo qualche esitazione, i tre comandanti dei reggimenti scozzese, francese e tedesco si incontrarono ancora una volta per pattuire una continuazione della tregua: vollero approfittare della gelata della notte precedente per seppellire i corpi ancora insepolti nella terra di nessuno. Mentre ciò avveniva in rigorosa austerità, i soldati delle varie fazioni continuarono a scambiarsi oggetti e parole a vicenda. Finirono con il sedersi insieme, dopo essersi occupati dei loro compagni, per mangiare e passare un po' di tempo a condividere quel che potevano. Un soldato britannico stava persino tagliando i capelli ad uno tedesco.

 

“Tutta questa pace mi annoia.” Commentò Crowley dopo qualche ora, portandosi le mani dietro la nuca e dondolandosi. Aziraphale rise, non prendendolo sul serio.

 

“Sembrano aver seppellito l'ascia di guerra.” Annuì con il capo e l'ombra di Crowley lo coprì. L'angelo alzò lo sguardo per vedere il compagno stagliarsi contro il sole con qualcosa di rotondo in mano.

 

“Non per molto.” Ghignò e per un secondo Aziraphale sembrò preoccupato prima che il demone si voltasse verso degli uomini che chiacchieravano ai pendii della pendenza sulla quale avevano seduto e berciasse: “Ehi, crucchi!” Fece cadere il pallone a terra e vi si appoggiò con il piede, l’attenzione di soldati tedeschi e scozzesi catturata allo stesso modo. “Vediamo come ve la cavate a pallone.” Calciò quindi la sfera contro i soldati ed uno di loro l'afferrò, guardandola per un istante prima di alzare il viso con un sorriso divertito.

 

Scozzesi e tedeschi si divisero in due squadre scombinate e cominciarono a giocare. Aziraphale, prima un po' teso, tirò un sospiro di sollievo ed il suo sguardo tenero aleggiò su Crowley che coordinava l'offensiva con gli altri soldati britannici. L'angelo si sforzò di trattenere quel sorriso speciale che gli voleva scappare dalle labbra ogni volta che Crowley diventava così accattivante e, a modo suo, affascinante. L’angelo arricciò il naso a quei pensieri e si morse le labbra, alzando gli occhi al cielo per poi abbassarli subito, imbarazzato. Il suo sguardo si posò di nuovo sui soldati e le loro grida divertite. Aziraphale sorrise di nuovo, adesso in modo più tiepido, si strinse nel cappotto e si rannicchiò al suo posto ad osservare la partita, gli occhi sognanti ed il cuore che gli faceva male. 

 

Le due fazioni giocarono a lungo su di un campo a improvvisato e mal definito ma non importava: il bello era nel gettarsi dietro tutto il male e passare qualche istante felice. 

 

Quando la partita terminò, Crowley tornò a sedersi accanto all'angelo che lo accolse con un sorriso.

 

“Non sono poi tanto diversi da noi.” Commentò il demone dopo aver ripreso un po' di fiato, sorprendendo Aziraphale. 

 

“Oh?” Si risvegliò dai suoi pensieri questi, voltandosi a guardare Crowley e trovando lo spigoloso profilo del demone fisso verso gli uomini che brindavano lì innanzi. Aziraphale poté notare una scintilla di entusiasmo negli occhi del demone, così vicino che poteva scrutare oltre le lenti nere. 

 

“Li hanno buttati in questa situazione e detto loro che sono nemici giurati." Spiegò il demone, voltandosi a guardare l'angelo che lo ascoltava incuriosito. “Ma non hanno assolutamente voglia di combattersi.” Aziraphale colse un briciolo di dispiacere nell'espressione del demone che, prendendo un profondo respiro, tornò a guardare la situazione tutta attorno. Aziraphale rimase in silenzio per qualche istante, pensieroso. Sapeva benissimo cosa Crowley intendeva… e cosa provava.

 

“Ma quando la tregua sarà finita, torneranno ad essere nemici mortali.” Disse infine e Crowley si irrigidì, corrucciando la fronte.

 

“Ma non deve essere così per noi.” Ribatté, puntando gli occhi penetranti sull’angelo che si sentì trafiggere il petto da parte a parte. Avrebbe voluto dirgli tante cose, rispondere con tanti ragionamenti razionali ma avrebbero portato solo ad una discussione infinita su argomenti che entrambi conoscevano alla perfezione e su cui avevano discusso per millenni; ma dall'altro lato avrebbe tanto voluto dire il contrario di ciò che la sua mente si ostinava a ripetergli, martellante ed ingombrante, molto più crudele di qualunque punizione il Paradiso gli avrebbe mai potuto infierire. Racchiuso in questi pensieri, l’angelo impiegò un po' per rispondere. Sotto lo sguardo insistente di Crowley, chinò lo sguardo e poi lo rialzò verso gli uomini attorno a lui, quegli uomini così simili a loro, quegli uomini che non volevano combattere ma vivere solo la loro vita in pace.

 

“Forse.” Fu un soffio ma un soffio che sferzava come una bufera. Crowley rimase immobile, con il fiato sospeso per qualche istante. Fissando imperterrito l'angelo al suo fianco, rifletté a lungo su ciò che aveva detto, su quell'unica parola, e su cosa significava per loro. E fu così decise di non infierire. Riprendendo fiato, rilassò i muscoli e spostò nuovamente lo sguardo davanti a sé, il sole tiepido che bagnava la coltre nevosa e l’aria fresca che spazzava via l'odore acre dei morti.

 

La guerra sarebbe ricominciata presto, non era possibile continuare quell'insubordinazione a lungo, non senza gravi ripercussioni. Ma quella notte di Natale aveva cambiato tante cose: molti dei soldati che si erano conosciuti quel giorno e che sopravvissero alle atrocità della Prima Guerra Mondiale rimasero amici ed ognuno di loro portò sempre nel cuore il miracolo avvenuto in quella notte di Natale del 1914.

 

Note dell'Autore:

  1. Questa oneshot è ispirata al film “Joyeaux Noël" (2005) di Christian Carion, a sua volta ispirata al libro “Batailles de Flandres et d'Artois 1914-1919" di Yves Buffetaut, ed in particolare al capitolo "L'incroyable de Noël de 1914".

  2. Trakai è una città lituana composta principalmente da laghi e dunque un luogo inospitale per una guerra. È però una città storica adatta alle trattative di pace. La guerra sul fronte orientale andò in stallo nel 1914 per via dell’inverno. Ricominciò il 31 gennaio con scarsi risultati. Si può qui collocare l'arrivo di Guerra, fino ad allora beffata dallo scherzetto di Crowley.

  3. Gli aneddoti sull'incontro tra i soldati sono tratti da “Bullets and Billets" di Bruce Bairnsfather.

    Edit. Sono recentemente entrata in possesso dello Script Book della serie televisiva ed ho scoperto che, dopo la richiesta d'Acqua Santa del 1862, Crowley ed Aziraphale non si sono visti fino all'episodio canonico del 1941. Ora, eliminare il capitolo dopo averci lavorato così tanto mi dispiacerebbe, dunque lo lascerò assieme a questo piccolo edit. Grazie della comprensione e della pazienza. 

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Capitolo 12
*** 1606 - Roma ***


Coautrice: Lady White Witch

 

L'Italia era sempre stato un Paese meraviglioso e Roma, in quel periodo dell'anno, brillava di tutti i suoi sgargianti colori. Aziraphale, vestito con il suo farsetto più elegante, adornato da una piccola, graziosa e bianca gorgiera ricamata, camminava per le strade della splendida metropoli accompagnato da un prelato, Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria, un uomo distinto, di gran cultura e con una parlata chiara ed eloquente. Aziraphale lo ascoltava un po' distrattamente, più affascinato dai borghi romani e da quanto il tempo avesse cambiato le cose dall'ultima volta che era stato lì.

 

“Eccoci arrivati.” Le parole del cardinale lo ridestarono dalle sue memorie e l'angelo voltò il capo verso la porta apertagli dal prelato, aggrottando la fronte. “Prego, prima Lei, mio signore.” Aziraphale si guardò bene dinanzi: un’insegna rovinata si stendeva di sopra al portone, senza che si riuscisse a leggerne le parole; i vetri erano talmente sporchi da impedire di scrutare qualunque cosa all'interno ed un forte odore di alcol e di verdure stufate fuoriusciva dalla porta ora spalancata. L'angelo era piuttosto confuso ma non si fece pregare oltre: dopo essersi scrollato di dosso la sensazione che quel posto non fosse esattamente à la mode, abbassò il capo ed inforcò la porta, entrando nel buio locale seguito dal prelato paziente. Gli occhi di Aziraphale si posarono subito sui tavolacci stipati alla bene e meglio in uno spazio davvero troppo stretto in cui si accalcavano un numero spropositato di sedie accatastate anche davanti ad un bancone colmo di calici sporchi. Aziraphale chinò lo sguardo verso il tavolo più vicino e vide un uomo sudato ed imbrattato di cenere assaggiare una zuppa di cipolle; ecco da dove veniva l’odore.

 

“Da questa parte, lo vedo.” Indicò Bourbon, superando Aziraphale per fargli strada verso un angolo del locale dove, nascosti dietro ad una colonna portante in legno, sedevano due uomini vestiti di nero. Quando Aziraphale alzò lo sguardo non gli ci volle più di un istante per riconoscere Crowley seduto a tavolo con quello che doveva essere… “Caravaggio.” Lo richiamò all’attenzione il prelato e l'uomo sulla trentina alzò lo sguardo dal suo boccale seguito a ruota dal demone che spalancò gli occhi nel vedere l'angelo che lo osservava con uno sguardo misto tra l'imbarazzo e la curiosità.

 

“Francesco! Carissimo!” L'uomo che sedeva accanto a Crowley si alzò, spalancando le braccia ed accorgendo ad abbracciare l'uomo più anziano. “Qual buon vento?” Caravaggio gli prese le spalle e lo guardò dritto negli occhi con il sorriso furbo di chi sapeva cosa stava facendo. Bourbon sospirò ma si costrinse a non ricambiare quel sorriso

 

“Michelangelo, sai benissimo perché sono qui.” Rispose con un tono di rimprovero che suonò più accondiscendente di quanto l’uomo desiderasse. “Hai completato l'opera?” Caravaggio fece un cenno con la mano, allontanandosi un poco dall'altro uomo e riavvicinandosi alla sua sedia.

 

“Non ancora, mio caro, non ancora.” Disse con nonchalance ed il prelato non riuscì a trattenere l'ennesimo sospiro. “Ma ci sono quasi.” Dietro la barba e gli scompigliati capelli neri, il sorriso di Caravaggio era stranamente accattivante. Aziraphale lo guardò incuriosito: gli ricordava qualcuno ma non riusciva a capire chi.

 

“Come immaginavo…” Mormorò il prelato fra sé e sé mentre Caravaggio si risedeva al suo posto e si portava il boccale alle labbra. “È per questo che ho portato questo gentiluomo.” Il pittore alzò gli occhi e li posò Aziraphale per la prima volta che, intimidito ed a disagio, forzò un sorriso di presentazione che subito si spense. Caravaggio sposò gli occhi nuovamente sul cardinale, posando lentamente il boccale sul tavolo. “Non guardarmi così, Michelangelo.” Si risentì l'anziano, ritirandosi nelle sue vesti. “Sappiamo entrambi benissimo che io non sono in grado di starti dietro: sono vecchio ormai e ti voglio troppo bene per starti a sgridare come un bambino.” Bourbon poteva essergli padre a Caravaggio: lo ospitava a casa sua e cercava di farlo rigare dritto, ma la loro amicizia e l'indole aperta del prelato gli rendevano difficile avere un polso fermo con il ragazzo geniale ma scapestrato. 

 

“Non sarà così male, Caravaggio.” Crowley sibilò al compagno di bevute che gli lanciò un'occhiata per vederlo sorridere in modo malizioso, come se avesse qualche folle idea per la testa. Il pittore ci pensò su qualche istante: posò lo sguardo di nuovo su Aziraphale che mosse il volto da Crowley che lo fissava con occhi vispi all’altro uomo che adesso lo scrutava scuro in volto. L'angelo non riusciva a ricordare l'ultima volta che si era sentito così sotto pressione.

 

Caravaggio tornò a guardare l'anziano amico che stava aspettando pazientemente una reazione, gli occhi neri imperscrutabili nella loro vivacità, per poi sospirare arrendevole.

 

“D'accordo.” Si alzò dal suo posto ancora una volta ed andò verso Aziraphale che deglutì nervoso. “Puoi unirti a noi…”

 

“Aziraphale.” Si presentò l'angelo, portando una mano al petto e facendo un piccolo inchino. Caravaggio annuì con il capo.

 

“Michelangelo Merisi, ma puoi chiamarmi Caravaggio.” Si presentò come se niente fosse per poi tornare a guardare Bourbon che lo fissava intensamente.

 

“Molto bene.” Si decise a parlare questi vedendo come il pittore non proferiva altro ma sembrava attendere nervosamente la sua dipartita. Il cardinale non si fece pregare e si volse verso l'uscita, fermandosi per un istante accanto ad Aziraphale per incoraggiarlo. “Mi raccomando, Aziraphale, conto su di te.”

 

“Sì, Monsignore.” Si inchinò questi con reverenza mentre Caravaggio piegava la bocca da un lato e quasi alzava gli occhi al cielo. Si scambiò un’ultima occhiata tesa con il prelato ma Aziraphale poté sentire una punta di amore accompagnarla, un amore fraterno che certamente i due conoscevano benissimo. 

 

Quando il cardinale fu scomparso alla vista, Caravaggio si lasciò andare ad un sospiro esasperato.

 

“Quanta pazienza.” Sbuffò, abbandonandosi sulla sua sedia e prendendo il suo boccale solo per notare che era vuoto. 

 

“Tieni, pago io.” Crowley gli passò una piccola borsa tintinnante e Caravaggio gli lanciò uno stanco sorriso mentre Aziraphale si accomodava sullo sgabello davanti ai due.

 

“Scusatemi, miei signori.” Caravaggio si alzò dal tavolo, portando con sé il boccale suo e quello di Crowley. “Vado a prendere qualcos'altro da bere.” Si accomiatò facendo ad entrambi l'occhiolino e si avvicinò al bancone scuotendo la borsa di soldi. 

 

“Non sapevo che lavorassi per la Chiesa di Roma.” La voce improvvisa di Crowley fece spostare l’attenzione di Aziraphale su di lui. Il demone alzò un sopracciglio come per dire finalmente ti sei ricordato che esisto pure io. Aziraphale arrossì ed accorse a schiarirsi la gola.

 

“Infatti." Rispose con un poco di imbarazzo. “È stato Gabriele a mandarmi qui.” Crowley aggrottò la fronte perplesso ed Aziraphale continuò: “Il cardinale del Monte Santa Maria è uno dei nostri.” Prese una piccola pausa, sfregando le mani sui pantaloni per asciugarle dal sudore. “Per premiarlo, ai piani Alti hanno deciso di fargli questo piccolo favore.”

 

“Che sarebbe?” Crowley pensava di aver capito ma voleva esserne sicuro. Aziraphale si voltò a guardare Caravaggio che stava cercando di trasportare tre grandi boccali tutti insieme senza far cadere una goccia dal contenuto.

 

“Assicurarmi che Caravaggio finisca il quadro per la cappella Cavalletti.”

 

“E ti hanno mandato fino in Italia solo per questo?” A Crowley veniva da ridere ma Aziraphale fece spallucce. 

 

“Vado ovunque venga richiesto il mio aiuto.” Rispose ed il demone annuì: non aveva tutti i torti. “Tu, piuttosto.” Aziraphale si sporse un po' e Crowley alzò un sopracciglio. “Che ci fai qui?” Il demone alzò lo sguardo e lo posò su Caravaggio che finalmente stava tornando.

 

“Caravaggio ed io siamo amici.” Rispose con semplicità ed Aziraphale non fece in tempo a chiedergli ulteriori spiegazioni che il pittore posò i tre boccali sul tavolo.

 

“Ecco qui.” Ne offrì uno anche all'angelo e si mise a sedere riconsegnando la borsa a Crowley che se la sistemò alla cintura. “Prendi, offre la casa.” Fece l'occhiolino il pittore ma Aziraphale rimase immobile dov'era. Caravaggio si era già portato il boccale alle labbra ed aveva preso un sorso e non si capacitava del rifiuto dell'angelo. “Qualche problema?” Gli domandò un po' offeso e Crowley lo guardò da dietro la sua bevanda, attendendo una sua reazione. 

 

“Mi dispiace ma non posso accettare.” Era una rinuncia sofferta da parte di Aziraphale che avrebbe volentieri bevuto in compagnia in un altro momento e Caravaggio si sentì davvero offeso.

 

“Qual è il tuo problema?” Sibilò con fare aggressivo ed Aziraphale si sentì gelare.

 

“Calma, Caravaggio.” Disinnescò la situazione Crowley, prendendo la spalla dell’amico e rimettendolo a sedere. “È solo concentrato sulla sua missione, tutto qui.” Con un grugnito, Caravaggio accettò le scuse di Crowley e tornò a bere il suo infimo liquore.

 

“Non capisco perché Francesco abbia dovuto sguinzagliarmi qualcuno alle calcagna.” Lamentò, mordendosi l'interno della guancia per il nervoso.

 

“Da quant'è che non consegni un’opera finita?” Lo stuzzicò Crowley e Caravaggio trattenne una risata. 

 

“Un po'.” Rispose, risollevato un po' d’umore, ma ogni volta che i suoi occhi si posavano sul damerino inglese seduto impettito davanti a lui gli veniva voglia di prenderlo a schiaffi. Dal canto suo, Aziraphale non sapeva bene che cosa fare: da un lato c'era Crowley che sembrava indifferente a tutto ciò che gli accadeva attorno e dall'altro questo uomo dall'aspetto trasandato che, a quanto pare, era un genio dell'arte ma aveva un carattere a dir poco difficile. 

 

“Ah, non ce la faccio più a sopportarlo!” Si alzò di scatto il pittore e per un istante l'angelo temette il peggio. “Va bene, hai vinto tu.” Posò sul tavolo il boccale ormai vuoto ed indicò ai due compagni di bevute di alzarsi. “Andiamo, usciamo di qui.” Aziraphale si voltò verso Crowley come per avere un assenso ma questi si limitò ad alzarsi e l'angelo seguì il suo esempio. Caravaggio era ad un palmo del suo naso, minaccioso, ma si lasciò solo sfuggire un grugnito e poi, scuotendo la testa, si allontanò seguito a ruota dal demone. Aziraphale rimase basito per qualche istante, deglutendo dolorosamente, e poi si fece coraggio e seguì gli altri due uomini all'esterno. 

 

Il sole era ancora alto nel cielo ed Aziraphale impiegò qualche istante per abituarvisi dopo aver passato così tanto tempo in quel luogo così buio. Alzò lo sguardo e vi trovò le graziose case della Roma medievale con i loro portici e le ringhiere adornate dai mille fiori. Circondato da quella vista meravigliosa, Aziraphale sentì immediatamente di essere tornato in se stesso e si volse a guardare gli altri due uomini che rimanevano fermi davanti al locale.

 

“Dove andiamo ora?” Chiese candidamente l'angelo e non si rese conto del sorriso cospiratorio che l'uomo ed il demone si scambiarono in quella frazione di secondo.

 

“Beh, tu vuoi che mi metta a lavorare, giusto?” Cominciò Caravaggio con uno sguardo furbo che Aziraphale non colse. “Se devo mettermi a dipingere, ho assolutamente bisogno di andare a comprare delle tinte.” Crowley, dal canto suo, capiva benissimo cosa il tono del pittore sottintendesse ma non disse nulla e lo lasciò fare.

 

“Mi sembra giusto.” Annuì l'angelo ingenuo e Caravaggio gli sorrise.

 

“C'è una bottega dalla quale mi rifornisco.” Spiegò l'uomo, cominciando a camminare. “Non è molto distante.” 

 

“D'accordo." Non si fece problemi l'angelo, cominciando a seguirlo assieme ad un Crowley spensierato. “Fai strada.”

 

Le vie di Roma erano strette ed affollate: delle guardie pattugliavano le strade e uomini con vestiti sgargianti parlavano tra loro ad alta voce creando un fermento vivace e festivo, si udiva persino della musica non troppo lontano. Alcuni carri attraversavano la confusione, riversando sul terreno la terra riportata dalla campagna. 

 

“Che ne pensi di Roma, Aziraphale?” Chiese Crowley tutto d’un tratto e l'angelo aggrottò la fronte: sapeva bene cosa ne pensava di Roma, c’erano stati sin sai suoi inizi.

 

“È splendida, come sempre.” Rispose gioiosamente: il tripudio di vita, di colori, di odori… come si poteva non amare la tentacolare Roma?

 

“E non hai ancora visto la parte più bella." Lo schernì Caravaggio, prendendo una strada traversa. Aziraphale lo seguì incuriosito: era certo di conoscere Roma molto bene ma ormai erano passati anni dall’ultima volta che l'aveva visitata. Il pittore lo condusse in una zona che l’angelo non parve riconoscere. Man mano che proseguivano, il passaggio attorno a loro si faceva meno curato; cominciarono a sparire i fiori e poi le tende ed i graziosi porticati. I muri erano spogli o rovinati, l'edera cresceva lungo ogni pertugio e l'odore si faceva acre. Aziraphale si strinse un po' di più verso Crowley che sembrava impassibile di fronte a quel repentino mutamento di atmosfera. Persino il sole sembrava soffocato dagli stretti palazzi e dal complessivo grigiore che vigeva in quella zona.

 

A completare il tutto, le persone ai bordi delle strade sembravano aumentare ma non si trattava più di facoltosi uomini d’affari ma piuttosto di donne anziane e bambini che chiedevano l'elemosina mentre giovani poco vestite abbindolavano uomini sospetti che si nascondevano dietro ai mantelli. Aziraphale era talmente distratto da tutto quello strano movimento attorno a sé che non si era reso conto che Crowley si fosse fermato ed andò a sbattergli contro la schiena.

 

“Oh.” Stava per scusarsi ma la sua attenzione fu catturata da delle risa improvvise: erano dei bambini che stavano scappando via dopo aver inciso qualcosa sulla statua di un uomo contro un muro di pietre. 

 

“Altre pasquinate.” Parlò Caravaggio, avvicinandosi all'uomo di pietra.

 

“Pasquinate?” Domandò Aziraphale, guardando Crowley che alzò le spalle per poi dirigersi insieme a lui verso Caravaggio che prese uno dei biglietti che ricoprivano quasi da cima a piedi la statua.

 

“Messaggi, poesie, disegni, qualunque cosa.” Raccontò, spiegando il foglio. “Quando i poveri di Roma debbono dire qualcosa ai potenti, lo lasciano qui, alla statua di Pasquino.” Sorrise con una punta d'orgoglio e cominciò a leggere ad alta voce: 

“In questa tomba giace 

un avvoltoio cupido e rapace.

Ei fu Paolo Farnese,

che mai nulla donò, che tutto prese.

Fate per lui orazione:

poveretto, morì d’ingestione.” Caravaggio rise soddisfatto. “Un classico.” Commentò e rimise il biglietto al suo posto per poi prenderne un altro: “Ah, guardate!” Aprì il foglio e lo mostrò ai due demoni: sopra di esso, il disegno grottesco di quello che appariva un medico del tempo ed una sola frase: Ecce qui tollit peccata mundi.

 

“Che cosa significa?” Domandò Aziraphale, riferendosi più a cosa fosse legato quel disegno che al significato della scritta latina.

 

Ecco colui che toglie i peccati del mondo.” Tradusse comunque il pittore per poi continuare: “Si riferisce a Papa Clemente VII. Alcuni pensano che sia stato il suo medico ad ucciderlo.” Spiegò Caravaggio, risistemando per bene il foglio. “E se così fosse, è giusto che quell'eroe venga ricordato.” Lo lisciò per bene contro la statua, in modo che tutti potessero vederlo. 

“Gli ultimi istanti per Leon venuti,

Egli non poté avere i sacramenti.

Per Dio, li avea venduti!” Caravaggio continuò a ridacchiare sotto il baffi, leggendo l'ennesimo messaggio. “Stupidi Papi e le loro indulgenze.” Ma Aziraphale e Crowley non lo stavano più a sentire.

 

“Una statua su cui scrivere i propri reclami senza ripercussioni, uhm…” Stava riflettendo Crowley, portandosi una mano sotto il mento. Aziraphale alzò lo sguardo verso di lui.

 

“Qualche idea?” Gli domandò, non capendo dove volesse arrivare. Il demone sorrise ed estrasse (per miracolo) dalla borsa un pezzo di carta ed un pennino ben inchiostrato (guarda tu che fortuna!) e cominciò a scrivere, un sorriso malefico che gli solcava il volto. Aziraphale lo guardò fare ma aspettò che il demone avesse finito e gli passasse il foglietto per leggere.

 

“Hastur è un brutto…” L'angelo si censurò da solo, arrossendo vistosamente dinanzi ad un elenco spropositato di insulti, metà dei quali non aveva mai sentito prima. “Crowley!”

 

“Cosa?” Rise l'altro, prendendogli il foglio dalle mani e dandolo a Caravaggio che si mise a ridere come un matto. “Se lo merita.” Aziraphale sospirò profondamente: è vero, Hastur in fondo se lo meritava, ammise e lasciò correre mentre Caravaggio aiutava Crowley a trovare uno spazio libero per lasciare il suo messaggio. 

 

“Adesso tocca a te.” Il pittore incitò l’angelo ed Aziraphale sgranò gli occhi.

 

“Io? No, no, non se ne parla.” Fece cenno di no con le mani, tirandosi indietro, ma Crowley non lo lasciò scappare.

 

“Andiamo, angelo, so benissimo che hai qualcosa da dire anche tu.” Lo prese per un braccio e lo fece avvicinare alla statua.

 

“Angelo?” Ripeté Caravaggio lievemente incuriosito ma la confusione che stavano facendo l'angelo ed il demone prese il sopravvento.

 

“Non saprei proprio cosa scrivere!” Lamentò Aziraphale mentre Crowley estraeva un altro pezzo di carta e glielo porgeva, mettendogli nell'altra mano il pennino.

 

“Quello che ti pare!” Gli rispose il demone, spalancando le braccia. “Andiamo.” Si piazzò dietro Aziraphale e gli posò le mani sulle spalle. Caravaggio sorrise divertito.

 

“Puoi anche lasciare un disegno.” Suggerì, spuntando dall’altro lato: adesso erano lui e Crowley a sembrare angelo e demone, posti in quel modo ai lati di Aziraphale; solo che, invece di due creature di entità diversa, erano entrambi diavoli tentatori. Aziraphale sembrò pensarci su, spostando l’attenzione da loro alla statua davanti a sé: era davvero colma e stracolma di messaggi, ingiurie delle più spropositate e persino incisioni di cose che un angelo come lui non poteva neanche immaginare.

 

“So benissimo che c'è qualcuno a cui vorresti dire quello che provi.” A quel sibilo improvviso che gli sfiorò un orecchio, l’angelo batté le palpebre e voltò il capo per incontrare lo sguardo malizioso del demone che lo fissava da dietro le lenti nere. Ricambiò il suo sguardo per un po’ con il fiato sospeso, posando gli occhi sulle sue labbra piegate all’insù. Di colpo lo sguardo dell’angelo si illuminò: il biondo fece un piccolo balzo, si accartocciò sul foglio che aveva in mano e si affrettò a scrivere il pensiero che gli era balenato in testa. Crowley e Caravaggio si scambiarono uno sguardo soddisfatto e lo lasciarono fare, facendo entrambi un passo indietro, liberandolo da quella morsa serpentina su due lati. 

 

“Fatto!” Esclamò soddisfatto l’angelo quando ebbe finito, mostrando i denti bianchissimi dietro un sorriso che sembrava spaccargli il viso in due. Cercò con cura un posticino su cui affiggere il suo capolavoro e lo ficcò tra il disegno del dottore di Clemente VII ed alcuni insulti un po' meno velati. Crowley e Caravaggio si portarono un po' avanti per vedere.

 

“Gabriele è un… cattivone.” Lesse il demone ad alta voce e poté percepire l’angelo fremere di entusiasmo per quella piccola diserzione. Crowley abbassò lo sguardo ed incrociò quello di Caravaggio. I due amici si guardarono per qualche istante e Crowley fu il primo a lasciarsi scappare un mezzo sorriso che il pittore condivise con piacere, scoppiando a ridere facendo sobbalzare Aziraphale che si voltò a guardare prima lui e poi Crowley che aveva preso a sghignazzare a sua volta.

 

“È perfetto, angelo!” Commentò e gli diede una pacca sulla spalla. Il volto incerto di Aziraphale si curvò nuovamente in un sorriso ed anche l’angelo prese a ridacchiare soddisfatto. Crowley non poteva ammetterlo davanti a Caravaggio, ma era sinceramente orgoglioso del suo angelo. Sarà sembrato poco agli occhi degli altri, ma vedere Aziraphale esternare il suo disappunto verso uno dei suoi superiori non era da poco e Crowley questo lo sapeva bene. Dal canto suo, Caravaggio era solo felice di essere riuscito a convincere l'angelo a fare qualcosa che sembrava ben lungi dal suo carattere e si ritrovò a pensare che forse quella giornata non sarebbe stata così male. 

 

“Forza, andiamo.” Fu infatti il primo a parlare, allontanandosi facendo segno di seguirlo. “C'è altra strada da fare.” Si era deciso a sfruttare al meglio quel tempo che gli era stato tolto per le sue bevute ed iniziò a prendere una strada verso nord-ovest, verso il Tevere. Crowley ed Aziraphale si lanciarono un ultimo sorriso soddisfatto ed iniziarono a seguire il pittore. L'angelo continuò ad adocchiare la statua di Pasquino fin quando fu alla vista, talmente contento da essersi dimenticato del tutto della sua missione.

 

I tre turisti attraversarono Ponte Sant'Angelo accompagnati dai richiami dei romani intenti a pescare, passarono di fronte al castello e proseguirono fino a raggiungere le porte del Vaticano. Caravaggio non sembrò esitare e continuò imperterrito a camminare all'interno della sede papale. Uomini vestiti di porpora, bianco ed oro avevano preso il posto di quelli ricoperti di grigio e terra. Camminavano con le berrette che riparavano le anziane teste dal sole e le mani ricolme di anelli preziosi ed ingemmati strette davanti al corpo in maniera tutta monotona, tutta uguale. 

 

“E questo è il Vaticano.” Indicò Caravaggio con una punta di disgusto che non passò inosservata. “Lì c'è la chiesa.” Elencò, addentrandosi un po' di più all'interno di Piazza San Pietro. “L'anno prossimo cominceranno i lavori per la nuova facciata, ho sentito dire.” Continuò a parlare sempre senza nascondere il suo disprezzo. “Che spreco.” Scosse il capo, gli occhi delusi che si guardavano tutti attorno. “Ho visto i disegni dell’epoca di Costantino una volta.” Lo sguardo si posò nuovamente verso la chiesa. “Era tutta un’altra cosa, voi non potete capire.”

 

“Che c'è?” Sussurrò Crowley, vedendo Aziraphale distratto. L’angelo gli lanciò uno sguardo eloquente. 

 

“Io c'ero durante la costruzione della basilica costantiniana.” Rispose piano, assicurandosi che Caravaggio non lo sentisse, e Crowley soffocò una risata. 

 

“È desolante, non credete?” Il pittore si voltò verso i due compagni d'avventura con uno sguardo misto tra l'angoscia e la rabbia. “Tutto questo sfarzo, questo esibizionismo e poi guardateli.” Indicò quattro uomini che parlottavano incomprensibilmente tra loro. “Morti.” Sentenziò Caravaggio. “Sembrano morti.” Abbassò il viso pensieroso per qualche istante. Aziraphale riportò lo sguardo su di lui dopo essere rimasto ad osservare gli uomini anziani per un po': non capiva bene che cosa intendesse ma allo stesso tempo sentiva che aveva ragione. “Meno male che esistono anche loro.” Alla continuazione di Caravaggio, pure Crowley tornò a fissare l'amico italiano che adesso sorrideva annuendo con il capo, guardando lontano.

 

“Loro chi?” Domandò Aziraphale senza neanche pensarci.

 

“Loro, i poveri.” Caravaggio alzò la mano per indicare il punto dal quale erano arrivati e gli sembrò di rivedere tutta la miseria umana che avevano attraversato poco innanzi. “Gente viva, che pensa, che soffre e quindi gioisce davvero.” Lo sguardo di Caravaggio era luminoso, ispirato persino. “Gente che grida, che corre, che odia, che ama e non così, come questi signoretti.” Indicò ancora gli anziani con disprezzo. “Che ne sanno loro dell'amore, della passione, della sofferenza?” Fece una breve pausa. “Morti.” Sibilò tra i denti, come una sentenza. “Sono morti.” 

 

Aziraphale e Crowley rimasero in silenzio a fissare il pittore che sembrava tutt’un tratto stanco, drenato delle sue energie dai suoi sentimenti così vivi e turbolenti. Ad Aziraphale sembrava di vedere una ardente ed esplosiva palla di fuoco davanti agli occhi e qualcosa lo colpì: misto a quel sentimento di odio se ne trovava uno molto più grande, uno molto più potente che sovrastava tutto ed era amore, amore per il genere umano, per il popolo, per il piccolo. Amore per la vita in tutte le sue sfaccettature, soprattutto quelle più infime, quelle più vere. Improvvisamente, Aziraphale sembrò capire perché a Crowley piacesse tanto quell'uomo: era come loro; Caravaggio amava la Terra ed i suoi abitanti come loro.

 

Con un movimento repentino, il pittore sembrò ridestarsi e la sua bolla di pensieri scoppiò. Scosse il capo e lo rialzò, guardando i suoi due ospiti con fare sorpreso per poi schiarirsi la gola e cercare di darsi un contegno.

 

“Direi che abbiamo perso già abbastanza tempo qui.” Sentenziò serio, forse un po' imbarazzato per essersi lasciato andare in quel modo e senza preavviso. “Direi che è il caso di proseguire.” E fece strada seguito da un Aziraphale ed un Crowley che si scambiarono un'occhiata eloquente.

 

Il gruppetto fece una lunga deviazione per poi attraversare Ponte Sisto, rientrando nella zona povera della città. Era stata davvero una lunga passeggiata e, tra una fermata e l'altra, erano trascorse diverse ore ed il cielo si faceva più scuro. Aziraphale cominciava a sentirsi stanco ed anche un po' preoccupato di non star facendo bene il suo lavoro. Alzò una mano, pronto per richiamare l'attenzione, ma un parlare improvviso lo fermò dal cominciare la sua frase.

 

“Ma guarda tu chi si vede.” La voce apparteneva ad un uomo che se ne stava appoggiato contro lo stipite di quella che sembrava un'altra taverna. Caravaggio si fermò dal suo incedere e volse lo sguardo per posarlo sull'uomo. “Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.” Il pittore non si fece scomporre da quel tono minaccioso.

 

“Buonasera, Ranuccio.” Lo saluto con un cenno della mano, il volto congelato in un’espressione indecifrabile. Ranuccio sputò a terra per ricambiare il saluto.

 

“Sapevo che saresti passato di qui, schifoso pallone gonfiato.” In realtà Caravaggio non si era neanche accorto di dove fosse, stava semplicemente cercando di prendere tempo. Il pittore guardò velocemente l'insegna del locale e capì di aver commesso un errore.

 

“Non si dica mai che Caravaggio non sia libero di stare dove gli pare.” Non era assolutamente vero: solo l'anno prima era dovuto scappare da Roma e rifugiarsi a Genova per tre settimane dopo un litigio, ma questo Ranuccio probabilmente non lo sapeva. 

 

“Ah!” Esclamò Ranuccio beffardo. “Vieni a dirlo ai miei amici.” E proferendo queste parole entrò in fretta nella locanda. 

 

“Chi era quello, Caravaggio?” Chiese Crowley che era rimasto in disparte insieme ad un Aziraphale alquanto turbato.

 

“Solo un cornuto, Crowley.” Rispose il pittore in modo diretto, valutando se fosse il caso o meno di prendere e scappare quando qualcosa di grande quanto un palmo della mano gli si spiaccicò viscido e caldo sulla guancia. “Bleah.” Commentò il pittore, riconoscendo immediatamente l’odore: carciofi.

 

“Questo è per quella volta che mi hai gettato la zuppa in faccia, coglione maleducato!” La voce del garzone d’osteria giunse forte e chiaro e Caravaggio sembrò annuire con il capo come per dire questa me la meritavo

 

“Merisi!” Urlò una terza voce ed il pittore stavolta sembrò sbiancare: parli del diavolo… era proprio il notaio per il quale era stato costretto a scappare a Genova! Caravaggio sospirò.

 

“Che ci fate voi tre insieme?” Chiese, indicandoli uno ad uno.

 

“Ranuccio ci ha raccontato quello che gli hai fatto.” Spiegò Mariano Pasqualone, il notaio. “L'hai quasi ucciso!”

 

“E ti sei fatto la donna del notaio.” Spiegò per completezza il garzone, puntando un dito verso l’altro che aggrottò la fronte, chiedendosi da che parte stesse il ragazzo.

 

“Ed anche la mia!” Si indicò Ranuccio, preso dalla foga, prima di rendersi conto di essersi dato del cornuto da solo. Scosse la testa imbarazzato e si volse nuovamente verso Caravaggio. “Siamo qui per darti una lezione.” Batté il pugno sul palmo della mano con un sorriso concitato. 

 

“Non ho paura di tre zucche vuote.” Commentò il pittore, incrociando le braccia, certo di avere il supporto dei suoi compagni di avventura ma questi non mossero un dito. 

 

“Prendiamolo!” Li aizzò il notaio e immediatamente i tre furono sul pittore che si dibatteva magistralmente ma che non poteva sperare di vincere contro altri tre uomini adulti. Angelo e demone guardavano la scena a debita distanza quando Aziraphale, di colpo, rinsavì.

 

“Crowley?” Si volse verso il demone con fare accusatorio e quello aggrottò la fronte.

 

“Cosa?” Domandò e mentre osservava il broncio di Aziraphale cominciò a capire. “Pensi che sia stato io a metterlo in questi casini? No, no, angelo.” Rise il demone divertito, voltandosi a guardare la ridicola scena con le braccia incrociate al petto. “Ha fatto tutto da solo. È un maestro nel cacciarsi nei guai, c'è solo da imparare.”

 

“Mh.” Aziraphale rifletté per qualche istante e poi decise di credergli: perché avrebbe dovuto mentirgli? Il rumore agghiacciante di un qualche osso che si rompe fece ridestare l'angelo da quei pensieri e gli fece accapponare la pelle. “Crowley, fa' qualcosa!”

 

“Perché io, scusa?” Gli domandò l'altro di rimando con nonchalance.

 

“È amico tuo, no?” Mise il broncio l'angelo e Crowley alzò gli occhi al cielo.

 

“E va bene, va bene.” Schioccò le dita ed un gruppo di cani inferociti spuntò da dietro un angolo e si riversò sui tre assalitori, ignorando interamente Caravaggio che ai trovava sotto di loro. I tre uomini tentarono dapprima di lottarvi contro ma le bestie sembravano ostinate a prendersela con loro così cominciarono a scappare, in un inseguimento mozzafiato per le vie di Roma. Crowley li guardò allontanarsi soddisfatto mentre Aziraphale accorreva a risollevare Caravaggio, preoccupandosi di curarlo mentre era ancora stordito. 

 

“Tutto bene?” Domandò Crowley, in realtà rivolgendosi ad Aziraphale per sapere se c'erano state fratture, ma fu il pittore a rispondergli.

 

“Sì, tutto apposto.” Disse alzandosi da solo, scansando Aziraphale che rimase per qualche istante in ginocchio prima di rialzarsi e pulirsi i calzoni dal terriccio. “Non mi hanno fatto neanche un graffio.” Caravaggio fece un occhiolino spavaldo a Crowley che gli sorrise e poi lanciò uno sguardo d'intesa ad Aziraphale che sorrise compiaciuto. “Che giornata.” A quelle parole, Aziraphale alzò gli occhi al cielo e si rese conto che era rosso acceso.

 

“Oh no, è tardissimo!” Lamentò con espressione concitata. Posò lo sguardo sugli altri due uomini ma quelli non sembrarono minimamente toccati dalla cosa.

 

“Oh beh, sì.” Parlò il pittore con nonchalance, neanche sforzandosi di nascondere quel sorriso sornione. “Le botteghe saranno chiuse a quest'ora, che peccato.” Solo in quel momento Aziraphale si rese conto di essere stato gabbato: avevano girato per Roma per il tutto il giorno senza combinare nulla ed ora era troppo tardi per rimediare.

 

“Suvvia, angelo, non fare quella faccia.” Crowley gli posò una mano sulla spalla, sorridendogli anche lui in maniera non poco soddisfatta. “Non si può sempre vincere. Vieni, ti offro da bere.” Ed indicò una stradina che riportava nella Roma del ceto medio. Ad Aziraphale non ci volle tanto per capire che erano tornati al punto di partenza quando vide la stessa identica taverna dalla quale erano partiti. Si voleva strappare tutti i capelli ma si trattenne perché non era il caso.

 

I tre uomini si accomodarono, Caravaggio con un'espressione raggiante in volto mentre Crowley offriva cibo e liquore. Aziraphale osservò la sua zuppa di carciofi con il languore di chi ha appena visto un cane messo sotto da un carro. Sospirò, prese il cucchiaio e cominciò a mangiare.

 

“Alla nostra!” Esclamò un Crowley esaltato dall'alcol. I tre erano rimasti a lungo nella taverna, avevano finito il pasto ed erano rimasti per bere il vino, miracolosamente più buono dopo qualche boccale bello pieno, ed ora aveva dato loro alla testa. 

 

“È stata proprio una bella giornata.” Caravaggio annuì con capo soddisfatto e notò Aziraphale alzare timidamente gli occhi al cielo. “Oh, su, non fare quella faccia, Aziraphale.” Lo canzonò il pittore, riempiendogli di nuovo il boccale. “Alla fine ci siamo divertiti, no?” Aziraphale rimase in silenzio per qualche secondo, sentendosi gli occhi di entrambi i compagni d’avventura fissi su di lui.

 

“Beh, non è stato così male.” Ammise infine, portandosi il vino alle labbra per aiutarsi a parlare. Crowley fece un sorriso a trentadue denti. 

 

“Anche tu, Aziraphale, in fondo, non sei così male.” Ammise il pittore facendo su e giù con la testa e Crowley lanciò uno sguardo impressionato di felicitazioni ad Aziraphale che arrossì: a quanto pare non era da tutti entrare nelle grazie del pittore. Questi, dal canto suo, aveva bevuto così tanto che la sua sbornia stava diventando triste e cominciò ad accasciarsi inconsapevolmente sul tavolo. “Che mondo sarebbe senza vino?” Biascicò, contemplando il boccale come se fosse un'opera d'arte per poi sospirare. “Ma ci vogliono i soldi per comprarsi il vino.” Si stropicciò il viso con la mano, cercando di tenersi sveglio. “E per fare i soldi bisogna lavorare e per lavorare ci vogliono i modelli che si comprano con i soldi.” Ad un primo ascolto il discorso sembrava sconclusionato ma aveva un suo senso logico. Vedendolo così mesto, Crowley gli posò una confortante pacca sulla schiena.

 

“Quanti te ne mancano?” Gli domandò senza neanche pensarci e ed il pittore dondolò la testa sconsolato.

 

“Due.” Ripose ed il demone annuì con il capo, spostando gli occhi dal pittore all'angelo che ricambiò lo sguardo, entrambi come per dire peccato che non ci sia nulla che possiamo fare quando, finalmente, gli occhi del demone si illuminarono.

 

“Ehi!” Esclamò, destando l’attenzione del pittore che lo guardò indicare se stesso e l'angelo con un dito che scattava dall'uno all’altro. “Noi siamo due!” L'angelo spalancò gli occhi e cominciò ad annuire con il capo come se avesse appena avuto la rivelazione della vita. Caravaggio si tirò su sulla sedia e guardò i due con gli occhi lucidi.

 

“Mi fareste da modelli?” Chiese incredulo e Crowley si scambiò uno sguardo con Aziraphale che sembrò un po' titubante e si rannicchiò dietro il suo boccale, intimidito. Crowley alzò le sopracciglia, come ad incitarlo, ed alla fine l'angelo tirò su col naso.

 

“Oh, che diamine!” Si lasciò andare con un sorriso birichino che gli arrossì le guance, alzando il boccale gongolante. “Perché no?” I tre fecero un brindisi celebrativo.

 

Finito di bere l'ultima caraffa, uscirono nella fredda notte che li aiutò un poco a riprendersi dalla sbronza e si diressero verso la residenza di Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria dove Caravaggio alloggiava. Lì, il pittore si mise immediatamente a lavorare: sistemò i due uomini in posa in preghiera, dando loro degli stracci da indossare per costumi, e dipinse tutta la notte.

 

Quando fu tardo mattino, il pittore posò il pennello e si accasciò a terra, soddisfatto.

 

“Ah.” Sospirò, alzando il viso verso il suo capolavoro mentre Crowley ed Aziraphale correvano al suo fianco per guardare. “La Madonna dei Pellegrini.” Intitolò Caravaggio e le due entità osservarono come le loro fattezze fossero state ammorbidite per rispettare il tono del quadro. Angelo e demone si guardarono impressionati e sorrisero soddisfatti.

 

La Madonna dei Pellegrini è tutt'ora conservata nella Cappella dei Cavalletti della Basilica di Sant'Agostino a Roma. Per quanto le loro fattezze siano state alterate, Aziraphale e Crowley non possono fare a meno di provare un senso di nostalgia ogni volta che passano davanti al quadro e ricordano il loro amico, Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, che non camminava né nella luce né nell'oscurità ma in mezzo, tra le luci ed ombre così come li riversava nei suoi quadri.

 

Note delle Autrici:

  1. Le informazioni su Caravaggio sono prese dal libro “Da Giotto all'età Barocca" di Cricco di Teodoro.

  2. Le pasquinate qui riportate si riferiscono a personaggi del secolo precedente. È una imprecisione storica voluta per abbellimento letterario.

  3. La nuova basilica di San Pietro fu consacrata nel 1626, per questo motivo Crowley non ha problemi a camminare nei suoi paraggi.

  4. Gli aneddoti sul garzone (avvenuto nel 1604), sul notaio Mariano Pasqualone da Accumuli (1605) e su Ranuccio Tommasoni da Terni (maggio 1606) sono tratti dall'articolo “Pennello e Coltello” di Marco Merola sulla rivista Focus Storia n. 45.

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Capitolo 13
*** 1 Samuele 17, 48-51 ***


“Non ce la farà mai.”

 

“Sì, ti dico.”

 

“È solo un bambino!”

 

“È la volontà di Dio.”

 

Boom. Poof. Con un tonfo sonoro, Golia cadde, facendo tremare la terra. 

 

Aziraphale ci mise un po' per convincersi a riaprire gli occhi, ma quando lo fece vide il corpo del gigante stramazzato a terra per il colpo di fionda che il ragazzino gli aveva piazzato proprio in mezzo agli occhi. L'angelo stesso si poté dire piacevolmente sorpreso.

 

“D'accordo, avevi ragione tu.” Accanto a lui, Crawly si rimise in piedi, facendo capolino da dietro la roccia contro cui erano accovacciati, pulendosi la toga dalla polvere. Aziraphale sorrise e si alzò anche lui con un'espressione tronfia che forse non gli si addiceva, ma tant'è. Non disse nulla, si limitò a guardare Crawly con gli occhi che brillavano di un immenso te l'avevo detto ed il demone sbuffò ma non fece in tempo a dire niente perché entrambi furono nuovamente attirati dalla voce del ragazzino che, corso al corpo del gigante steso a terra, gli sfilò la spada dal fodero e gli tagliò la testa senza pensarci due volte.

 

L'angelo rabbrividì ed il demone sibilò tra i denti in maniera drammatica per poi sorridere beffardo:

“Beh, che dire…” Provò a commentare, guardando divertito il compagno di avventura che stringeva i denti alla vista del ragazzino, impacciato e trionfante, che correva per tutto il campo di battaglia con la spada insanguinata sguainata al vento. “Almeno è stato uno spettacolo divertente.” Terminò la frase e poté giurare di sentire un lamento gutturale uscire dalla gola dell'angelo accanto a sé.

 

Alla fine non bruciava così tanto -  pensò Crawly – aver perso la scommessa.

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Capitolo 14
*** 1431 - Rouen ***


I suoi passi rimbombarono tra le strette mura del castello e le guardie si voltarono appena prima di cadere improvvisamente a terra in un sonno profondo. Aziraphale le scavalcò con attenzione e si affrettò ad aprire il chiavistello della cella. Il sordo rumore del catenaccio che cadeva a terra destò l’attenzione della ragazza che l'angelo si vide apparire dinanzi una volta spalancata la porta: Giovanna d’Arco era lì in piedi, le caviglie incatenate, gli abiti ed il viso sfatti, gli occhi incavati e le guance magre ma era lì, ancora viva. Aziraphale sentì il cuore saltargli in gola ma si sforzò a rimanere concentrato e si tolse il cappuccio, rivelando il volto angelico per indicare di non avere cattive intenzioni. 

 

“Non abbiamo molto tempo.” Disse tutto d’un fiato, avvicinandosi alla giovane che l'osservava con occhi vacui, incuriosita ma distante, come se ciò che le accadeva intorno ormai non le appartenesse più. L’angelo la fissò da cima a piedi per qualche istante: era piena di ferite e lividi e bloccata a terra da delle pesanti catene. L’angelo sobbalzò: “Lascia che ti aiuti.” Fece per liberarla dalle sue restrizioni ma Giovanna fece un passo indietro, trascinandole con sé lontano dall’angelo che alzò di scatto il viso atterrito.

 

“No.” La voce di Giovanna era flebile ma decisa, ferrea. Aziraphale puntò le pupille in quelle della giovane e si sentì morire: perché? Perché le avevano fatto questo? Era solo una ragazzina… “È la volontà di Dio.” L'angelo spalancò le palpebre e sentì la terra mancargli sotto i piedi: no, Dio non voleva questo, non poteva volere questo, l'angelo si rifiutava di crederlo. Sapeva che Dio aveva destinato Giovanna a grandi cose e non poteva accettare l'idea che quello fosse il punto d’arrivo di tutte quelle fatiche. Si scosse nelle spalle e si fece avanti di nuovo.

 

“Se resti qui ti uccideranno!” Era pronto a mettersi in ginocchio, a supplicare se fosse stato necessario. Le gambe già gli si piegavano ed agli angoli degli occhi si erano formate delle lacrime che si stava sforzando di respingere. Giovanna abbassò il viso e l'osservò placidamente: aveva gli occhi stanchi di chi ormai si è rassegnato ma anche la luce di chi è convinto di star facendo la cosa giusta. 

 

“È questo il mio destino.” Rispose ed Aziraphale smise di respirare. Perché gli umani sapevano essere così grandi ed al tempo stesso così piccoli? Aprì la bocca e fece per parlare ancora una volta ma un improvviso frastuono lo distolse dal suo proposito.

 

“Aziraphale!” Una voce conosciuta chiamò il suo nome e l'angelo sobbalzò. Si volse a guardare la porta spalancata per vedervi apparire, dopo qualche istante, il demone di sua conoscenza. “Aziraphale!” Esclamò questi sollevato prima di correre incontro all'angelo che sembrava pietrificato. “Aziraphale, dobbiamo andare via di qui.” Crowley parlava frettolosamente, guardandosi attorno con fare sospetto. L’angelo non rispose, restava lì immobile, inebetito come una statua. “Ti stanno cercando, Aziraphale!” Gridò il demone, sentendo le mani prudergli: perché a volte l’angelo sapeva essere così stupido? Crowley stava per prenderlo di forza ma si trattenne e continuò a parlare: “Se ti trovano qui è la fine per te!”

 

“Che cosa possono farmi!?” Scattò infine Aziraphale sotto lo sguardo stupito di Crowley. “Non è che possono ardere al rogo anche me.” L’angelo fissò l'altro dritto negli occhi e Crowley si sentì impazzire.

 

“Non si tratta di un rogo comune, Aziraphale.” Il demone lo prese per le spalle, facendolo sussultare, gli occhi fissi nei suoi come dei dardi infuocati. “È fuoco infernale.” A quelle parole, l'angelo impallidì vistosamente e si sentì mancare. “Se ti prendono è la fine. Non sarai semplicemente discorporato... morirai.” Il demone digrignò i denti: non avrebbe permesso a nessuno di uccidere il suo migliore amico, né ora né mai; l’avrebbe portato via di lì con la forza se fosse stato necessario. Crowley sentì il corpo del compagno tremare sotto le sue mani, il viso trasfigurato dal panico.

 

“Non posso lasciarla morire!” Esclamò l’angelo con una voce che sembrava quasi supplicarlo di fare qualcosa. Crowley strinse le labbra e si voltò ad osservare la ragazzina che non aveva mosso un muscolo e se ne stava lì ad osservare muta la scena davanti a sé, distaccata completamente dalla sua situazione. Sembrò chiederle con gli occhi di sottostare alla richiesta dell’angelo ma la ragazza rimase impassibile. Il demone serrò la mandibola e scosse il capo. 

 

“Non c'è niente che tu possa fare.” Sibilò, tornando a guardare Aziraphale che aveva chinato lo sguardo disperato. “Ha già preso la sua decisione.” Invitò l'angelo ad osservare Giovanna: aveva la testa dritta, fiera, la posa di chi, dopo averne passate tante, non aveva più paura di niente. Aziraphale sentì il cuore cadergli ai piedi. Avrebbe voluto lasciarsi crollare a terra ma Crowley non gliel’avrebbe permesso. Spostò gli occhi dalla ragazza al demone e si decise ad annuire con il capo, trattenendo a stento le lacrime. Il demone gli strinse il braccio come per spronarlo e gli fece cenno di seguirlo. Aziraphale si passò una manica sotto le guance e fece per seguirlo, fermandosi ancora un istante per osservare Giovanna un’ultima volta.

 

“Sono nata per questo.” Sussurrò questa e fu come se una freccia lo avesse trafitto da parte a parte. Scosse il capo e si costrinse e voltarsi e lasciarla lì, seguendo il demone che l’aspettava con impazienza. 

 

I due uscirono dal castello senza farsi notare e si mimetizzarono tra la folla che si era venuta a creare: era ormai l’ora. 

 

Crowley si guardava intorno con impazienza ed un pizzico di disgusto: tutta quella folla per vedere una bambina arsa al rogo; a volte gli umani sapevano essere davvero rivoltanti. Spostò gli occhi al suo fianco ad incontrò la bianca chioma dell’angelo che fissava dritto davanti a sé e non diceva una parola. Il demone inspirò profondamente.

 

“Allontaniamoci da questo posto, angelo.” Suggerì ma lo sguardo di Aziraphale era perso nel mare di folla, negli abiti variopinti dei ceti medi ed in quelli più semplici dei poveri che creavano un’onda di colore soffocante. Erano tanti, troppi, tutti soggiunti per vedere lei morire.

 

“Non possono lasciarla sola, Crowley.” Alzò lo sguardo lucido ed il demone sentì un nodo crescergli in gola. Avrebbe voluto replicare che era una pessima idea, oltre al fatto che rimanere lì sarebbe stato pericoloso per l’angelo, ma non riuscì a parlare, gli occhi di Aziraphale sembravano chiedergli di capire, di sostenerlo nella sua decisione e Crowley era incapace di ribattere a quello sguardo. Ingoiò le parole che aveva sulla punta della lingua ed annuì, voltandosi per intercettare le guardie aprire il portone e farsi largo tra la folla. Al sentire i sussulti degli astanti, anche Aziraphale si volse ed incontrò la chioma della ragazza accompagnata verso il patibolo: il suo incedere era lento e solenne, come se niente fosse in grado di spaventarla, nemmeno quell’orribile morte. Crowley inclinò il capo da un lato mentre l’osservava lasciarsi legare senza opporre alcuna resistenza: folle umana, lasciarsi bruciare così per diventare un esempio. Eppure non poteva fare a meno di ammirarla perché c’era qualcosa di eccezionale nella sua follia, una temperanza, un ardore paragonabili solo a quelli degli angeli. A quella realizzazione, Crowley sospirò, volgendosi verso Aziraphale immobile di fianco a lui. Non disse niente ma lo osservò a lungo mentre la pira cominciava ad ardere ed il fuoco si aggrappava alle vesti della ragazza indifesa. Le strazianti urla che seguirono fecero accapponare la pelle del demone che strinse forte i pugni mentre alzava il viso per osservare la cruenta scena: il fuoco infernale avvolse Giovanna come una coltre, divorandola senza pietà. Le urla si spensero rapidamente, forse un segno di grazia, e ben presto anche del corpo non si vide più nulla se non una iridescente macchia nera. 

 

Crowley abbassò lo sguardo con un sospiro esasperato quando sentì un singhiozzo alla sua destra; si volse e trovò Aziraphale con il volto rigato dalle lacrime, sformato in una smorfia che combatteva la necessità di lasciarsi completamente andare, i pugni chiusi ed i denti digrignati. Il demone soffocò un ringhio: non sopportava vederlo in quello stato; era una visione rara, vederlo così genuinamente disperato; non era tipico per un angelo lasciarsi prendere da quel senso di sconforto, di impotenza fino quasi a toccare la rabbia. Aziraphale si lasciò scappare un singulto e la pelle di Crowley si accapponò. L’angelo tentò di controllare il suo pianto e portò le mani al viso invano. Cercò di asciugarsi le lacrime o almeno di soffocare i suoi gemiti ma sembrava tutto inutile.

 

Crowley lo guardava con le labbra dischiuse: che cosa poteva fare? Se ne stava lì, immobile, incapace di lasciarsi andare. Ne avevano viste di tragedie insieme eppure era sempre rimasto calmo, quasi impassibile; ma ora, a vedere la disperazione, la resa totale di Aziraphale, cominciò anche lui a sentire un magone formarglisi nella gola. Era rabbia, si disse, rabbia contro quella parte del genere umano che sapeva essere così dannatamente crudele. Digrignò i denti e si voltò a fissare il rogo ancora una volta: che spreco. Che idioti.

 

Aziraphale continuava a piangere, adesso tremando più vistosamente, come se stesse affrontando degli incubi orrendi. Crowley riprese a respirare, cercando di calmare i suoi bollenti spiriti: non era il momento di lasciarsi andare, non era il momento di vendicarsi, se mai ce ne fosse stato uno, non era il momento di lasciare Aziraphale da solo in quello stato. Si frugò in una tasca e trovò un fazzoletto.

 

“Prendi.” Disse ed attirò la sua attenzione.

 

“Oh.” Alzò gli occhi lucidi l’angelo che vide quel gentile gesto e l’accettò con benevolenza, portandosi il fazzoletto al viso per asciugare le lacrime. “Grazie “ Mugolò; avrebbe voluto accennare un sorriso ma in quel momento si trovò incapace di fare persino quello. Rialzò lo sguardo ancora una volta: ormai della ragazza non c’era più niente, solo un mucchio di cenere che si disperdeva al vento. Accanto alla pira, Crowley notò le ben note figure di Hastur e Ligur che sembravano festeggiare il terribile avvenimento. Crowley sussultò: dovevano essere stati loro a maledire il fuoco. Strinse i pugni ma ben presto si rese conto che agire non sarebbe servito a nulla.

 

“Cosa c’è?” La voce improvvisa di Aziraphale lo riportò alla realtà ed il demone si volse a guardare l’angelo: nonostante avesse smesso di piangere, aveva ancora l’aspetto di chi non sarebbe in grado di affrontare alcuna disavventura od ulteriore stress emotivo, non in quel momento.

 

“Non è niente.” Decise quindi di mentire Crowley ma si rese conto che il rischio di essere notati, soprattutto insieme, da quei due demoni era troppo grande e sarebbe stato più saggio separarsi. “Angelo, sarà meglio che vada.” Si sforzò quindi a dire. Non voleva davvero lasciarlo da solo ma che scelta aveva? Non poteva mettersi nei guai e, soprattutto, non poteva mettere Aziraphale in pericolo.

 

“Mh.” Fu la semplice risposta dell’angelo che prese un istante per riprendersi prima di continuare: “Ti ringrazio, Crowley.” Sussurro più dolce il demone non l’aveva mai udito. Si volse verso l’angelo, così candido ed affranto, e gli si spezzò il cuore. Abbassò un poco lo sguardo e vide che gli stava porgendo il fazzoletto che gli aveva prestato.

 

“Ah.” Scosse il capo, distogliendo lo sguardo, incapace di continuare a fissare quegli occhi pieni di riconoscenza. “Tienilo tu, angelo.” Aziraphale guardò il fazzoletto per un istante prima di tornare a guardare Crowley con un grande punto interrogativo stampato sul viso. “Io non ne ho bisogno.” E dopo queste parole, cominciò ad allontanarsi, certo che l’angelo avrebbe fatto altrettanto di lì a poco senza destare sospetti in Hastur e Ligur. 

 

Aziraphale rimase interdetto per qualche istante: la sua mente era ancora affollata dalla scena a cui aveva assistito poc’anzi ma il nodo nel suo petto si stava lentamente sciogliendo. Posò di nuovo lo sguardo sul fazzoletto: era semplice, nero, nulla di speciale, eppure ad Aziraphale sembrava un tesoro prezioso e così lo piegò per bene e lo ripose nella guarnacca, ben stretto sul cuore. 

 

Si guardò attorno sistemandosi il berretto, coprendosi un poco il viso ed iniziò ad allontanarsi.

 

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