Indelible Marks

di T612
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prima parte - Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Prima parte - Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Prima parte - Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Prima parte - Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Prima parte - Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Prima parte - Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Prima parte - Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Prima parte - Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Seconda parte - Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Seconda parte - Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Seconda parte - Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Seconda parte - Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Seconda parte - Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Seconda parte - Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Seconda parte - Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Seconda parte - Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Avvisi dalla regia:

Il “terzo progetto mastodontico” è fortemente influenzato dai primi due (1956 - Till the end of the line), non è necessario ma ne consiglio la lettura per avere un quadro più completo, anche se la trama in sé è isolata come i primi due progetti (come al solito tutti i riferimenti/citazioni del caso verranno specificati nelle note a fine capitolo).
Buona lettura,
_T





 

PROLOGO 

 

Siamo ognuno il nostro diavolo e rendiamo questo mondo il nostro inferno.
-Oscar Wilde 



 

10 giugno 1991, Dipartimento X - Base operativa, Siberia

 

Dopo anni al servizio del KGB Leo Novokov aveva dedotto che la gerarchia all’interno delle mura del Cremlino era sacra, intuendone il potenziale distruttivo solo una volta appreso che la piramide sociale si reggeva sui compromessi, i segreti e gli errori degli uomini, coltivando negli anni un inguaribile cinismo ed una spiccata sensibilità ai meccanismi che regolavano il progredire della legge del più forte.

A volte bastava un singolo tassello sbilanciato o fuori posto per demolire un impero. Le crepe si diramavano sulle torri del Cremlino ormai da anni, Leo l’aveva già messo in conto da diverso tempo, era questione di mesi o di giorni prima che l’intera situazione implodesse inevitabilmente su sé stessa… soprattutto dopo ciò che era successo la settimana prima.

-Leo, hai sentito? -aveva chiesto Arkady spalancando la porta del suo alloggio, facendogli segno di darsi una mossa. -Stanno suonando l’allarme, ci hanno convocati. 

-Sì, l’ho sentito. -ribatte superando la soglia raggiungendolo in corridoio, mentre il compagno d’armi tempesta di pugni la terza porta. 

-Dimitri andiamo, ci hanno convocati.

-Dici che ha a che fare con il trasferimento? -chiede Leonid portandosi in testa al gruppo quando Dimitri li raggiunge, proseguendo spedito a passo di marcia puntando alla palestra.

-Ovvio che ha a che fare con il trasferimento… ci ha traditi, da qualche parte dovranno pur andare. -asserisce Dimitri riferendosi a tutte quelle discussioni che i tre avevano origliato dall’ufficio del Generale Lukin nell’ultima settimana. 

-Giusto. Parlavano di unificare il Dipartimento, credo che ora non abbiano più molta scelta… date le circostanze. -afferma Arkady in risposta, mentre i due compagni si zittiscono immediatamente ad un suo cenno quando raggiungono le porte della palestra.

Si allineano silenziosamente di fronte al ring, sostenendo lo sguardo di Lukin che li esaminava bisbigliando con il loro Maestro, che annuisce silenzioso in attesa di ricevere le nuove direttive.

Leonid reputava un privilegio avere l’opportunità di allenarsi con il Soldato d’Inverno in persona, era una leggenda al Dipartimento e da mesi i tre ragazzi facevano a gara per entrare nelle sue grazie, indagando sul suo conto per scoprire le sue origini ancora avvolte nel mistero. 

Sapevano che non era un tipo molto socievole e che i capi gli permettevano di interagire con loro solamente durante le ore dedicate agli allenamenti, confabulando in segreto sul perché lo tenevano così severamente al guinzaglio. Si vociferava tra i corridoi della base che il vero motivo era un’onta talmente ignobile che la Madre Russia tentava di nasconderla a tutti i costi… era un qualcosa che aveva sicuramente a che fare con la Traditrice, perché Leo aveva perso il conto di quante volte aveva sentito ripetere nell’ultima settimana da Lukin che non potevano più permettersi certi errori, che erano state le debolezze del Soldato ad aver costretto Karpov e Rodchenko a studiare un codice di attivazione per tenere tutti loro sotto controllo1.

Leo aveva interrotto le proprie congetture sollevando il mento con sguardo di sfida quando i nuovi ospiti avevano fatto il loro ingresso in palestra, studiando silenziosamente i gesti misurati della donna a capo della fila quando aveva baciato Lukin sulla guancia in segno di saluto, mentre le due ragazze che la seguivano si erano fermate alle sue spalle in attesa di direttive.

-Grazie per l’ospitalità Aleksander… soprattutto date le circostanze.

-Mi assicuri che non daranno problemi Madame? -chiede il suo capo studiando le due ragazze con sguardo indecifrabile. -Vorrei evitare gli inconvenienti dell’ultima volta.

-Abbiamo già concordato una soluzione Aleksander, non possiamo più permetterci certi errori. -ribatte la donna con espressione impassibile, facendo cenno alle due ragazze di fare un passo avanti, per poi rivolgersi direttamente a loro. -Tania e Yelena si alleneranno con voi, credo possiate imparare molto gli uni dalle altre.

Leo aveva annuito con un cenno sbrigativo della testa, mentre le due ragazze li raggiungevano alle base del ring. Yelena li aveva squadrati con fredda superiorità rivolgendo loro un saluto sbrigativo, a differenza di Tania li aveva direttamente liquidati con un veloce cenno infastidito del capo, salendo e piazzandosi al centro del ring senza che qualcuno glielo avesse chiesto.

-Arkady, sul ring. -l’ordine era giunto con voce autoritaria da parte del Soldato d’Inverno, che si era dissociato dal suo mutismo e si stava dirigendo verso di loro una volta congedati Lukin e Madame B, mentre le guardie armate avevano preso posto sbarrando l’uscita dando ufficialmente inizio all’allenamento.

-мастер2. -aveva esordito Tania con un cenno di riconoscimento del capo, mentre Arkady la raggiungeva e si metteva in posizione.

-Belinsky. -aveva ricambiato il saluto il Soldato, celando uno strano guizzo nello sguardo.

-Vi conoscete? -la domanda era scivolata sulle labbra di Dimitri prima che Leo potesse pestargli un piede e ridurlo in silenzio, ma la richiesta di delucidazioni era stata volutamente ignorata da entrambi e subito soppiantata dallo scatto impulsivo di Arkady, che nel tentativo di mettersi in mostra aveva attaccato Tania finendo velocemente con la schiena a terra e il piede della donna premuto contro la gola.

-Mai sottovalutare l’avversario. -aveva sottolineato il loro Maestro, facendo cenno al Soldato di rimettersi in piedi. -Soprattutto se vi confrontate con una Vedova Nera.

Le ragazze avevano tentato di reprimere un sorriso di fronte all’adulazione, Arkady si era rimesso in posizione ringhiando e Leo aveva avuto la conferma a tutti quei sospetti che gli frullavano per la testa da una settimana a quella parte… la debolezza del Soldato d’Inverno era una leggenda del suo stesso calibro e Tania Belinsky3 era la miccia perfetta per attivare l’innesco.

Dal giorno dopo la scoperta, Leo aveva avviato il countdown tenendo testa a Dimitri ed Arkady, schivando i colpi di Tania e parando i calci di Yelena, dimostrando la propria bravura e sfogando la sua rabbia repressa su quest’ultima, che si difendeva ringhiando dandogli costantemente del filo da torcere, decisa a meritarsi il titolo di nuova Vedova Nera che Madame B le aveva cucito addosso.

Leo non aveva dovuto attendere troppo per vedere in atto quei nuovi sviluppi tanto attesi… semplicemente non si aspettava che si rivelassero così determinanti per la sua sorte. 

La notte stessa in cui il blocco sovietico era caduto, Aleksander Lukin gli aveva consegnato una pala tra le mani ordinando a lui e Dimitri di scavare una buca nel terreno congelato, mentre Arkady trascinava il cadavere di Tania Belinsky nella neve fresca. Durante la notte aveva tentato la fuga sulla scia del Soldato d’Inverno, erano stati fermati ad un paio di chilometri dalla base ed Arkady aveva avuto l’onore di freddare la donna con una pallottola alla testa, mentre il Soldato d’Inverno tentava una rappresaglia fallimentare contro un intero esercito. 

Madame B aveva fatto le valigie appena era trapelata la notizia, portando al sicuro l’ultima Vedova Nera rimasta senza degnare di uno sguardo la tomba senza nome dell’ennesima traditrice della patria, mentre il loro maestro era stato resettato per evitare spiacevoli inconvenienti… i capi pensavano di aver risolto il problema, sottovalutando l’enorme discrepanza del controllo mentale, illudendosi che la situazione non fosse poi così grave. 

Era un dato di fatto che la gerarchia si basasse sugli errori degli uomini, che a volte bastava un misero tassello per far crollare un impero… l’errore imperdonabile dei capi era stato quello di pensare che il Soldato d’Inverno non avesse più un’anima da salvare.

 

***

 

20 dicembre 1991, Dipartimento X - Base operativa, Siberia

 

Leonid Novokov conosceva bene le nuove regole all’interno della base, si era rassegnato a rispettarle per mero istinto di sopravvivenza, volendo evitare a tutti i costi la medesima sorte del suo maestro, o peggio, quella dell’uomo che tenevano confinato nella cella blindata, che a causa degli esperimenti subiti ormai conservava solamente il suo lato bestiale4.

Rispettava il coprifuoco, portava a termine con successo tutte le missioni assegnategli salendo in graduatoria, guadagnando i punti necessari per elemosinare una razione di cibo extra o qualche punto di sutura dopo le sessioni di allenamento particolarmente pesanti. 

Dopo la caduta del blocco sovietico e l’eliminazione del KGB, il Leviathan era corso ai ripari chiedendo aiuto all’HYDRA, dubitando a priori dell’esito proficuo della proposta considerato il cattivo sangue che scorreva tra le due organizzazioni a causa di alcuni incidenti1, vedendosi sorprendentemente offrire in risposta un intero squadrone della morte, affidando le nuove reclute alle abili mani del Soldato d’Inverno per renderli dei combattenti pressoché perfetti. 

L’allenamento si era intensificato gradualmente, Leo e i fratelli ormai parlavano fluentemente all’incirca trenta lingue ed operavano sul campo infiltrandosi, uccidendo e destabilizzando i target di turno senza battere ciglio… il siero recuperato dal Soldato d’Inverno in America qualche giorno prima aveva dato i suoi frutti superando le più rosee delle aspettative, erano sopravvissuti quasi tutti all’iniezione e le perdite causate dal loro maestro dopo il rientro dalla missione erano state catalogate dai padroni come dei semplici incidenti di percorso5.

I risultati erano ottimali, ma non era previsto che il siero alterasse la sfera comportamentale traducendosi nell'insubordinazione dei Soldati, rendendo presto impossibile il proseguire dell’allenamento anche al loro Maestro, che ormai sprecava tutto il tempo a loro disposizione impedendo che si scannassero tra di loro. 

Dopo l’ennesimo colpo di testa dei sottoposti, il Dipartimento aveva ovviato al problema estendendo la formula drastica a tutte le reclute, Leo e fratelli compresi nonostante fossero i più disciplinati al servizio dell’organizzazione.

Il loro Maestro li aveva condotti uno ad uno al cospetto di Rodchenko, eseguendo gli ordini di Karpov senza battere ciglio, legandoli a forza al macchinario della stasi… Leo aveva provato a ribellarsi con la forza senza ottenere alcun risultato, terrorizzato dalle urla dei fratelli che aveva udito attraverso le pareti di cemento, cercando di smuovere il suo Maestro a compassione ricorrendo al gesto disperato di chiamare in causa l’innominabile, ma nemmeno il nome della Traditrice aveva sortito alcun effetto.

Leonid Novokov aveva urlato fino a quando aveva avuto fiato in gola per farlo, con gli occhi inespressivi del Soldato d’Inverno impressi a fuoco nel cervello in una istantanea cristallizzata nel tempo… collassando in balia del buio misericordioso dopo l’ennesima scossa elettrica ad alto voltaggio.

 

***

 

6 febbraio 2009, Dipartimento X - Deposito abbandonato, San Francisco

 

Quando Leonid Novokov aveva riaperto gli occhi sul mondo aveva riscontrato delle serie difficoltà nel riuscire a registrare i dettagli che lo circondavano, trascinandosi da solo al di fuori della capsula criogenica cercando l’uscita dal deposito dove lo tenevano confinato, arrancando sui marciapiedi tentando di comprendere l’idioma dei passanti e di venire a patti con le stranezze che lo assillavano.

Leo aveva rubato un giornale dal primo rivenditore avvistato lungo la strada, seguendo per automatismo la prima delle prime regole dell’addestramento impartito ai Soldati d’Inverno: se un agente si perdeva in missione avevano l’ordine di reperire informazioni dai giornali, di identificare il luogo e l’anno, di mantenere un basso profilo senza richiamare troppo l’attenzione e di attendere gli ordini da parte dell’organizzazione, cogliendo i segnali quando si sarebbero palesati al momento giusto.

Leo aveva impiegato una settimana solo per recuperare il suo nome dai recessi della propria mente, sprecando il mese successivo cercando i segnali e tentando di comprendere il perché fosse tornato operativo a San Francisco nel 2009. Era stata una delusione scoprire che il suo risveglio non era dato da una missione imminente, ma era stato accidentalmente causato da uno spostamento della faglia di San Andreas, provocando il terremoto che aveva rotto in mille pezzi il vetro della capsula in cui era stato confinato, liberandolo nel mondo senza un padrone, una casa o un obbiettivo.

Da bravo Soldato diligente si era impegnato ad estrapolare una qualsiasi informazione da tutti i quotidiani che riusciva a reperire, illudendosi di aver trovato una indicazione per la via di casa nel leggere di una sparatoria ad Odessa6. Si era documentato a dovere sull’accaduto, scoprendo che il suo Maestro aveva portato a termine una missione con successo per conto dell’HYDRA, scontrandosi sul campo di battaglia con la Traditrice… era partito immediatamente per l’Ucraina, non sapeva esattamente quando o cosa gliel’avesse fatto capire, ma all’incirca a metà strada si era reso conto che i suoi padroni non avevano mai notato la mancanza di tre Soldati all’appello, perchè in caso contrario avrebbero dato l’ordine per un recupero molto tempo prima. L’HYDRA aveva rispolverato l’unica arma che reputavano utile ai loro scopi, lui e i fratelli erano finiti in un qualche deposito venduti al miglior offerente, messi in disparte e resettati per evitare certi incidenti… avevano pagato tutti per le debolezze dimostrate negli anni dal loro Maestro, l’unico vero colpevole che veniva tuttavia definito la punta di diamante dell’HYDRA, elogiato e trattato con la stessa considerazione con cui veniva acclamata la Traditrice ai tempi d’oro.

Leo aveva smesso di cercare una casa a cui fare ritorno, sposando la causa più allettante della vendetta per il torto subito… aveva segretamente gongolato di fronte alla disfatta dell’HYDRA quando il suo Maestro si era rivelato al mondo per quello che era davvero, facendo terra bruciata intorno a lui a partire da Washington, ritornando tra le grazie della Traditrice che aveva inseguito per buona parte della vita con spiccato accanimento.

Aveva continuato a leggere i giornali aspettando il momento giusto per colpire, ragionando su quale obbiettivo puntare per causare più danni possibili con il minimo sforzo, vedendosi sfilare davanti una Guerra Civile, la risalita del suo padrone e il successivo declino dell’HYDRA, trascinando il Traditore a processo in un ultimo gesto disperato6.

Leonid Novokov aveva notato l’ironia nel vedere come gli Avengers facessero inconsapevolmente del loro meglio per autodistruggersi, sentendosi tradito nel profondo quando la giustizia non aveva fatto il suo corso… il Soldato d’Inverno veniva osannato come eroe dall'opinione pubblica, ottenendo la grazia sfidando il rischio concreto dell’ergastolo a vita pur di salvare la Traditrice che tanto amava.

La debolezza del Soldato d’Inverno è sempre stata una leggenda del suo stesso calibro, ma questa volta Leo vuole accendere la miccia intenzionalmente appiccando l’incendio di proposito… dopotutto le bruciature da ghiaccio fanno male tanto quanto quelle da fuoco.

 

***

 

12 giugno 2017, Palazzo di Giustizia, Atlanta, Georgia

 

Leonid Novokov aggira la folla che si era radunata davanti al Palazzo di Giustizia, stando attento a non farsi notare mentre punta lo sguardo verso l’alto, valutando quale sia il palazzo adiacente al tribunale con la visuale migliore sui gradini d'entrata.  

Il processo contro il Soldato d’Inverno si era concluso con risultati inattesi, sventando quella giustizia che l’America tanto decantava, mentre Tony Stark placava gli animi tenendo a bada l’orda di giornalisti che l’avevano preso d’assalto appena aveva messo piede fuori dalla porta d’ingresso del tribunale. 

Lo SHIELD l’aveva prevedibilmente spedito in prima linea per far esasperare i giornalisti al punto giusto e per contenere la folla, ma i media volevano una testimonianza diretta dell’imputato e Leo attendeva con loro che i Traditori uscissero dalla porta d’entrata per rispondere a qualche domanda di circostanza… era lì apposta, per l’occasione nascondeva un fucile da precisione nello zaino con una pallottola a testa nel caricatore, doveva solo trovare una visuale decente per la sua postazione da cecchino in tempi utili alla causa.

Leo sgrana gli occhi e focalizza un riflesso al nono piano del palazzo che aveva scelto, constatando che non è una allucinazione e che c’è effettivamente un altro cecchino appostato che punta al suo stesso compito. Era palesemente un principiante, si era messo controvento ed era troppo esposto, facendosi notare immediatamente da un occhio allenato come il suo… i Traditori ci avrebbero messo mezzo secondo ad individuarlo ed a dare l’allarme, finendo per mandare a monte il suo piano, e quello era il genere di eventualità che Leo non poteva assolutamente permettersi.

Non gli restava troppo tempo, aveva fatto le scale di corsa scartando a priori l’idea di utilizzare l’ascensore, irrompendo nella stanza e sorprendendo alle spalle una donna dai capelli biondo cenere e le gambe affusolate, il genere di donna che non avrebbe mai potuto dimenticare neanche volendo nonostante tutti quegli anni sotto ghiaccio.

-Yelena? -la domanda gli era uscita dalle labbra prima che potesse fermarla, ottenendo un sobbalzo spaventato da parte della donna che non pensava di venire beccata, insieme ad uno sguardo che dal sorpreso virava velocemente al confuso. -Spostati da lì, ti ho vista dal marciapiede.

-Leo? -chiede in risposta dopo essersi spostata come suggerito, l’urgenza di non farsi scoprire dai Traditori che superava fastidiosamente l’orgoglio ferito di essersi fatta beccare dal compagno d’armi, ripiegando con la canna della pistola puntata alla sua testa e l’indice sul grilletto, irritata dall’intrusione. -Tu non dovresti essere morto?

-A quanto pare no. -esordisce posando lentamente lo zaino a terra evitando movimenti bruschi. -Sono in solitaria, tornaconto personale. 

-A chi punti? 

-Lei, per ferire lui. Tu a chi punti?

-Lei, parricidio il mese scorso7, Madre Russia non dimentica. -rivela Yelena snocciolando velocemente la sentenza. -Capisci perchè non posso lasciartelo fare, солдат8

-La graduatoria? Esiste ancora? -chiede Leo stupito, ottenendo un cenno di conferma da parte della donna. -Per chi lavori?

-Leviathan. -concede Yelena con l’espressione di chi si imbarazza a rispondere ad una domanda così scontata. -KGB, HYDRA, Red Room, Dipartimento X… come vuoi chiamarli, ci sono sempre loro a muovere i fili. 

-Chi comanda adesso? Ho letto i giornali… non è rimasto nessuno, li hanno eliminati tutti. -ribatte lui con tono ovvio, indicando i gradini del tribunale con un cenno del capo, riferendosi all'annientamento delle file dell’HYDRA avvenuto negli ultimi tre anni per mano degli Avengers con l’aiuto determinante dei Traditori7.

-Non tutti, Madame B sta raccogliendo i cocci… tu invece? Per caso ti sei perso, солдат8?

-Ho smesso di cercare la via di casa da un pezzo e nessuno ha saputo indicarmi la via. -confessa Leo mentre Yelena abbassa la pistola appurando che lui non sia una vera minaccia. -Madame B pensa seriamente di vendicarsi eliminando la Romanova dai giochi? Non ha mai funzionato, dovrebbe saperlo1

-Hai un’idea migliore? -Yelena pone la domanda sinceramente incuriosita, mentre dai marciapiedi la folla esplode in un tumulto di voci quando i Traditori raggiungono Stark sui gradini del tribunale. -Veloce, prima che li perda.

-Non possiamo combattere delle leggende ad armi pari, è un suicidio strategico… noi due siamo bambini in confronto a loro. -Leo sorride nel vedere la donna storcere in naso alla parola “bambini”. -Ma ai bambini piace giocare con il cibo, Yelena.

-Oh. -i suoi lineamenti cambiano improvvisamente quando capisce dove lui voglia andare a parare, lasciando trasparire un sorrisetto sadico dalle sue labbra. -In effetti la graduatoria avrebbe bisogno di carne fresca.

La donna inizia a disassemblare il fucile eseguendo l’operazione con movimenti precisi e meccanici, accettando di buon grado la sua mano come aiuto per issarsi dal pavimento, scoccando un ultimo sguardo verso i gradini del tribunale da dove i Traditori sorridono alle telecamere, stringendosi tranquillamente per mano in pubblico fornendo ai giornalisti nuovo materiale su cui speculare, accantonando le domande più scomode.

-Gli renderemo la vita un inferno, stavolta in modo permanente. -commenta Leo con una punta di vendetta che traspare dalla voce.

-Ironico, non trovi? Dicono che ognuno crei i propri demoni. -ribatte Yelena indicando loro due accennando ai loro maestri con il sorriso sulle labbra, caricandosi lo zaino contenente il fucile in spalla ed avviandosi verso le scale d’emergenza. -Tra un paio d’ore decollo per Mosca, torni a casa con me? Non posso fare molto per mia sorella, ma posso aiutarti a rintracciare i tuoi fratelli… deduco che ci servirà tutto l’aiuto possibile.

-Grazie. -Leo non è abituato a ringraziare nessuno, ma gli sembra una cortesia dovuta… soprattutto se Yelena gli sorride tendendogli la mano in attesa di un suo cenno. 

-Allora, vieni oppure no?

-Sì, andiamo… ho nostalgia di casa.





 

Note:

  1. 1956: James e Natasha hanno una relazione clandestina, vengono scoperti e separati. Karpov e Lukin (i padroni del Soldato d’Inverno) spariscono in Siberia con James, mentre Petrovich (patrigno di Natasha) ordina per entrambi il reset cerebrale e la modifica dei ricordi con l’aiuto del Professor Rodchenko (i ricordi di Natasha in particolare, che sposa Alexei Shostakov credendo di provare per lui i sentimenti che provava per James, viene reintegrata nel KGB nel 1963 dopo l’omicidio del marito).

  2. Traduzione dal russo: “Maestro”.

  3. Tania Belinsky (1956): Terzo Guardiano Rosso, secondo il mio headcanon è la prima allieva di Natasha (Yelena Belova si aggiunge dopo la sua reintegrazione al KGB dopo il 1963), l’unica che sapeva e ha coperto i due amanti fino a quando non li hanno scoperti, non li ha mai traditi.

  4. Riferimenti velati a Logan AKA Wolverine. 

  5. Riferimenti non così tanto velati al 16 dicembre 1991: secondo il mio headcanon, dopo l’omicidio degli Stark, James ha recuperato qualche ricordo ed una volta ritornato alla base ha cercato di ribellarsi ai capi, il tentativo è stato inutile ed è stato conseguentemente resettato.

  6. Odessa, 2009. Missione citata da Natasha in TWS, secondo il mio headcanon è stato durante quella missione che ha riconosciuto James ed hanno iniziato a riaffiorare i primi ricordi.

  7. Till the end of the line: trasposizione fumettistica della Guerra Civile, in quel periodo di tempo James si rimette insieme a Natasha, indossando anche l’uniforme di Capitan America per cause di forza maggiore. I due (più Avengers a seguito) hanno eliminato tutte le tese restanti dell’HYDRA (Karpov/Lukin/Petrovich/Zemo), che come ripicca post-mortem hanno fatto in modo di processarlo. Il processo si è concluso con una sentenza di non colpevolezza, dimostrando il controllo mentale in tribunale, ma obbligando James a restituire lo scudo al legittimo proprietario (che lo passa a Sam).

  8. Traduzione dal russo: “Soldato”.



 

Commento dalla regia:

Signori e signore, vi presento il “terzo progetto mastodontico”... non vi nascondo che quest’idea era in cantiere da circa un anno (già dai tempi di “1956” ad essere precisi), i primi due progetti sono stati scritti delineando determinati scenari e seminando determinate informazioni, quindi possono tranquillamente considerarsi “in preparazione” a questo.
Ci tengo ad avvisarvi che questa storia si ispira/si rifà parzialmente agli eventi narrati in “The Winter Soldier Collection” di Ed Brubaker e “The Black Widow: SHIELD most wanted/No more secrets” di Mark Waid: la storia sviluppata differisce dall’originale per headcanon e trama adattata, considerato che i fumetti di Waid sono entrati in mio possesso dopo mesi e mesi di ricerche.
La storia è suddivisa principalmente in due parti (più prologo ed epilogo), ognuna scandita da citazioni ben precise che fanno riferimento all’intero blocco narrativo trattato, quindi vi consiglio di farci caso.
Il mio obbiettivo è di aggiornare settimanalmente ogni venerdì… Detto questo, spero che il prologo vi abbia incuriosito, ogni commento/opinione/etc. è ben gradito.
_T

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Capitolo 2
*** Prima parte - Capitolo I ***


PRIMA PARTE - CAPITOLO I

 

Durante la Guerra Fredda c’era una teoria: l’uomo giusto, nel posto giusto al momento giusto, con le giuste abilità poteva essere più determinante di un intero esercito. 

- James “Bucky” Barnes1



 

5 maggio 2018, Resistenza sicura Barnes-Romanoff, Montmartre, Parigi

 

Il lettore CD cambia traccia e le note di In the mood riempiono il salotto, mentre James posa il calice di vino e si alza da tavola, allungando una mano in direzione di Natasha facendo un mezzo inchino in attesa di risposta.

La donna sorride maliziosa afferrando la sua mano lasciandosi trascinare in piedi, afferrandola alla base della schiena stringendosela contro compiendo il primo passo indietro, venendo immediatamente seguito nel movimento con tempismo perfetto.

Un passo, due passi, incrocio, calcio e indietro, in una combinazione di movimenti perfettamente a tempo, mentre la sua mano sinistra sale agguantando la destra della donna, dandole una leggera spinta costringendola a girare su se stessa, facendo scontrare la schiena di Natasha contro il suo petto, depositandole un leggero bacio sulla carotide percependo un fremito e il suo battito cardiaco che accelera leggermente.

James continua a condurre il ballo, in quella coreografia carica di tensione cadenzata da passi e prese, mentre Natasha si piega lentamente al suo volere assecondando i suoi movimenti con sincronismo perfetto.

La danza è semplicemente una conversazione muta tra due persone, l’ennesima situazione in cui li vede entrambi a corto di parole, ma con un'intesa tale da rendere superfluo l’uso delle stesse… e James percepisce chiaramente il cambio di rotta quando Natasha sposta la mano dalla sua spalla alla sua nuca pretendendo il controllo, vantaggio che lui non vuole cederle al pari di un affronto sul campo di battaglia, dando inizio ad una lotta fatta di baci e tocchi sui punti sensibili che tradiscono velocemente la presa di posizione di entrambi.

James perde l’equilibrio quando Natasha porta il collo del piede sul retro del suo ginocchio spingendolo a piegarsi, rovinando entrambi contro il divano e salendo a cavalcioni sulle sue gambe, ostentando supremazia affondando un morso leggero sotto la sua mandibola facendogli tremare la spina dorsale. Nel compiere il movimento la donna sfiora il dispositivo impiantato sulla sua scapola, raffreddando immediatamente la protesi mentre il luccichio del metallo sostituisce l’illusione della pelle sintetica, ma il cambiamento passa velocemente in secondo piano suscitando in James il sospetto che quella sia una mossa voluta, testando la teoria vendicandosi spostando la mano di metallo sotto la maglietta della donna, percorrendo con le dita ormai congelate la fila di vertebre dalla cervicale alla lombare oltrepassando il bordo dei jeans strappandole un gemito, facendole inclinare la testa all’indietro fornendogli un pretesto per riprendere il controllo della situazione sfilandole la maglietta ed avventandosi sul suo collo per poi scendere tra l’incavo dei seni.

-Ah-a. -Natasha contraddice il suoi intenti afferrandolo per la nuca tirandogli leggermente i capelli, costringendolo a levare lo sguardo su di lei mentre la scia di macchioline rosse inizia a comparire sulla sua pelle candida. -Mio il compleanno, mie le regole.

James in tutta risposta si alza dal divano sollevandola da terra e trasportandola di peso fino alla loro camera da letto, perdendo anche la sua di maglietta per strada e tentando di far aderire la schiena della donna al materasso… ma come era prevedibile, le posizioni si ribaltano velocemente e Natasha risale di nuovo a cavalcioni su lui, tenendolo a distanza con una mano premuta a forza sulla sua spalla destra, costringendolo a posare la schiena contro la testiera del letto.

-Mio il compleanno, mie le regole… -ribadisce la donna spostando la mano dalla sua spalla, percorrendo in punta di dita il suo petto attraversando l’addome e raggiungendo la fibbia della cintura provocandogli tanti piccoli brividi, muovendo appena i fianchi contro il suo bacino per sottolineare il concetto sorridendo soddisfatta. -... mio il controllo.

-Agli ordini, любовь моя2. -sussurra dopo il paio di secondi necessari a connettere le sinapsi, a mezza voce e con il respiro pesante, mentre Natasha sorride e si avventa di nuovo sulle sue labbra riprendendo e portando a compimento quella dolce tortura3.

 

***

 

James ha perso il conto di quanti minuti –per non dire ore– ha sprecato a fissare il soffitto insonne… aveva altri piani per quella serata, ma si era convinto ad abbandonarli definendola una pessima idea ancora un paio di giorni prima, ottenendo una tacita conferma alle sue supposizioni quando era rientrato in casa quella sera vedendosi prelevare dalle mani da Natasha il cibo take-away e la bottiglia di vino, mentre il mazzo di rose rosse era finito nella spazzatura cestinando con esso anche la briciola di coraggio che aveva racimolato negli ultimi mesi facendo automaticamente pesare come un macigno la scatolina di velluto che nascondeva in tasca, gettandola nel primo cassetto che gli era capitato sotto tiro appena la compagna era scomparsa in cucina cercando un cavatappi. 

Non sapeva decidersi se era stato il sospetto che la donna non fosse ancora pronta a quel genere di passo a mandare in fumo i suoi piani, oppure se era finito per auto-sabotarsi da solo seguendo la paura atavica che l’aveva assalito un paio di giorni prima facendogli cambiare idea inizialmente, ma non poteva ignorare il fatto che era la terza notte di fila che si svegliava in preda agli incubi convinto che gli avessero strappato Natasha dalle braccia in modo irreparabile, reprimendo un grido per non svegliarla rendendola infelicemente partecipe ai propri deliri mentali.

James si passa le mani sul volto premendo i palmi contro le orbite, cercando di cancellare i flash sconnessi che gli affollavano il cervello… ottenendo prevedibilmente l’effetto contrario, ritornando con la mente al deposito ricolmo di scatoloni impolverati a Las Vegas.

-Dove sei? -biascica Natasha cogliendolo di sorpresa interrompendo il suo flusso di pensieri contorti, spostandosi le ciocche rosse arruffate dagli occhi, studiando il suo profilo in controluce alla ricerca del suo sguardo sfuggevole. -A milioni di chilometri da qui.

-Tu immagini dove. -sospira James in risposta inclinando leggermente il capo depositandole un bacio sulla tempia, concedendole una mezza verità. -Ti ho svegliata?

-Non proprio… sono le tre di mattina, James. -puntualizza Natasha trattenendo un mezzo sospiro, scoccando un’occhiata veloce alla sveglia posata sul comodino. -Abbiamo un briefing tra sei ore, puoi iniziare a torturarti appena metti piede nell’Helicarrier, non prima… l’avevi promesso.

-Apprezza il fatto che sia ancora qui e che non mi sia alzato per fumare.

Natasha alza gli occhi al cielo in risposta, scivolando al suo fianco incastrandosi in un abbraccio, posando il capo sulla sua spalla alla ricerca di un contatto.

-Hai voglia di parlarne? -mormora con le labbra premute contro il suo collo. -Oppure passiamo direttamente alla parte in cui ti metto a KO? 

-Ti piacerebbe… -commenta lasciando trasparire un vago tono di malizia nella voce, tentativo che fallisce miseramente quando Natasha si solleva su un gomito squadrandolo dall’alto alla ricerca del problema di fondo.

-James, seriamente… forse non è davvero niente, non ha senso che ci perdi il sonno prima del tempo.

-Vorrei fosse davvero così ‘Tasha. -mormora stropicciandosi gli occhi con fare rassegnato lasciando cadere l'obiezione nel silenzio, adeguandosi al discorso escludendo gli altri possibili appigli dovuti alla sua insonnia puntando sulla motivazione principale. -È solo che… hai presente la sensazione di quando sai che sta per succedere qualcosa di brutto? 

-Smettila. Se provi a dire che è tutta colpa tua, ti spedisco a dormire sul divano, intesi? -sbotta la donna interrompendolo, lasciandosi cadere sull’altra metà del letto reprimendo a stento uno sbadiglio. -Ho anch’io la mia dose di colpe, non dimenticartelo.

James serra le labbra con uno scatto secco, ritornando a rimuginarci sopra da solo… perché non riesce a scacciare dalla testa i ricordi di una vita fa che molto, troppo spesso alimentano ancora i suoi incubi svegliandolo di soprassalto, appurando sollevato solo il secondo successivo al momento di panico che la sua piccola ballerina è viva e sta dormendo al suo fianco ignara di tutto, che un legame vincolante non può offrirgli la certezza assoluta di non perderla di nuovo e che forse la soluzione migliore per proteggerla è concedersi la possibilità di potersi tirare indietro lasciandola libera di proseguire per la propria strada da sola.

Forse Natasha si aspetta che lui prosegua la discussione contraddicendola, ma quando ciò non avviene torna a cercarlo timorosa in punta di dita, tendendo una mano nella sua direzione sfiorandogli il viso in una carezza. 

-Vieni qui… a quest’ora dovremmo dormire. -sussurra conciliante, spazzando via le nubi temporalesche con l’accenno di un sorriso.

James la asseconda lasciandosi trascinare nel movimento circondandole la vita con un braccio, posando il capo tra l’incavo dei seni con l’orecchio premuto all’altezza del suo cuore, il rumore sordo del battito di Natasha che lo culla come una ninnananna, mentre la donna inizia a fargli i grattini sulla nuca con movimenti lenti e ritmici conciliandogli il sonno.

-Ti amo, lo sai vero? -mormora con voce assonnata, mentre il respiro rallenta e le palpebre fremono, facendo sempre più fatica a restare aperte.

-Dormi, James. -sentenzia Natasha stroncando brutalmente la dichiarazione appena proferita, ma lasciando trasparire nella voce una tacca di affetto mista all’esasperazione generale. -Ai tuoi incubi ci penso io.

 

***

 

3 maggio 2018, Helicarrier, in volo sopra Las Vegas

 

-Ci portano a terra tra una quindicina di minuti.

-Okay… ti serve una mano con la zip del vestito? -chiede James nascondendo la pistola sotto la giacca, mentre Natasha posa il cellulare sopra il bancone e si scosta i capelli in una risposta implicita. -Niente armi?

-Non in bella vista. -afferma rabbrividendo appena quando le sue dita le sfiorano la schiena chiudendole la zip, scostando lo spacco del vestito permettendogli di vedere una fondina cucita alla giarrettiera. -Solo una piccola precauzione, se le cose dovessero mettersi male. 

James annuisce annodandosi la cravatta al collo, mentre Natasha si arma di tacchi vertiginosi e controlla un’ultima volta il rossetto allo specchio.

-Come sto? -chiede mettendosi teatralmente in posa sorridendo maliziosa.

-Uno schianto, come al solito. -conferma James ricambiando il sorriso, porgendole il braccio in uno sfoggio di galanteria. -Andiamo, ci aspettano.

Alcuni agenti SHIELD li avevano scortati a terra mentre l’ombra dell’Helicarrier si nascondeva tra le nuvole che celavano il cielo trapuntato di stelle, avviandosi verso l’entrata del Red King Casinò recitando la parte dei neo-sposini in preda alla follia di Las Vegas… una finzione che negli ultimi tempi rappresentava una prospettiva che a James non dispiaceva affatto, anzi. 

Aveva colto l’occasione per giocare un paio di mani a poker assecondando la copertura, nel frattempo che Natasha perlustrava lo stabile con lo sguardo alla ricerca della porta di servizio segnalatole da Fury, che si era avvalso delle planimetrie dello stabile prima di farli scendere a terra. 

Un paio di giorni prima si era attivato un vecchio network del mercato nero attirando le paranoie di Nick, erano stati condivisi dei dati e delle coordinate via rete su un oggetto sospetto non meglio identificato, subito acquistato da un compratore anonimo ad una cifra folle. Con una verifica dei dati incrociata si era scoperto che il Casinò era una copertura edificata appositamente per nascondere l’accesso ad un’ ex-base sovietica, mandando in allerta il Colonnello richiamandoli in servizio ed andando a prelevarli personalmente a Parigi con la scusa di ottimizzare i tempi… forse era un falso allarme, ma era meglio controllare prima che la situazione degenerasse.

James aveva abbandonato il tavolo da gioco ad un cenno di Natasha, raggiungendola davanti alla porta di servizio nascosta dalle slot, coprendo la visuale alle telecamere mentre sfilava dalla pochette l’ultimo giocattolino regalatole da Stark mandando in tilt i circuiti del tastierino numerico, aprendo la porta con un leggerissimo scatto della maniglia senza attivare nessun tipo di allarme e chiudendola velocemente alle loro spalle. 

Natasha si era sfilata i tacchi ed aveva raccolto la gonna annodando le estremità ai fianchi accorciandola per aver più libertà di movimento, mentre James aveva cercato ed acceso il quadro elettrico, scovando delle scale che scomparivano nel seminterrato.

-Bingo. -esulta sfilando la pistola dalla giacca iniziando a scendere la scalinata addossandosi al muro, mentre la compagna lo segue come un'ombra a piedi scalzi guardandogli le spalle.

Si era palesato davanti a loro un magazzino convertito a deposito, diramandosi in pile e pile di scatoloni contenenti principalmente cianfrusaglie, celando in un angolo alla fine del labirinto l’oggetto del loro interesse, gelando istantaneamente il sangue ad entrambi.

-È vuota. -esordisce Natasha con tono ovvio, abbassando l’arma contemplando la capsula criogenica con diffidenza.

-Ci sono i segni della condensa sciolta, ‘Tasha. -ribatte James sfiorando il vetro con le dita. 

-Può essere qui da anni, amore… -azzarda la donna proponendo una valida ipotesi, indicando la patina di polvere che ricopriva tutte le superfici circostanti. -Non ci sono numeri seriali in vista, possono aver comprato solamente l’involucro e non il contenuto… per quanto ne sappiamo può essere una delle tue.

James non ribatte limitandosi ad arretrare di un passo prendendo le distanze dalla capsula, come se potesse animarsi di colpo imprigionandolo al suo interno senza apparente motivo, mentre Natasha avverte il cambiamento d’umore palesandosi al suo fianco artigliandogli la mano, impedendogli di naufragare incontro ai ricordi acuminati composti da lame ghiacciate.

-Sì, può essere. -concede James dopo qualche secondo schiarendosi la gola, ma usando comunque un tono di voce così debole da risultare bugiardo alle sue stesse orecchie. 

-Ehi… non farlo. Non iniziare a torturarti, pensa ad altro. -lo richiama la donna stringendogli la mano con più forza, costringendolo a distogliere lo sguardo dalla capsula criogenica. -Forse è davvero solo una capsula vuota, James.

-Per essere una spia, menti davvero male amore. -puntualizza lui consapevole di attirare le ire della donna, posandole le labbra sulla fronte placando in anticipo la probabile sfuriata, lasciando trasparire nel gesto quanto in realtà apprezzi il suo tentativo fallito di propinargli una bugia. 

-Avviso lo SHIELD? 

-Sì, voglio andarmene via da qui il prima possibile. 

 

***

 

6 maggio 2018, Helicarrier, nei cieli 

 

-Lo volete un caffè? -chiede Fury facendo cenno a James e Natasha di accomodarsi appena varcano la soglia, scostando una sedia dal tavolo reclamandola per sé quando fanno entrambi cenno di no con la testa.

-Abbiamo già fatto colazione, Nick. -replica Natasha accomodandosi di fronte al loro Capo appoggiando i gomiti sul tavolo, lasciando trasparire una leggera vena di impazienza mista a nervosismo nella tensione delle spalle. -Ci sono novità? 

James liquida con un cenno della mano l'occhiata indagatrice di Fury quando non lo vede prendere posto al tavolo, preferendo puntellarsi allo schienale della sedia di Natasha per nascondere meglio il fremito che gli percorre le ossa da quando ha aperto gli occhi quella mattina, in un palese segno di nervosismo che non riesce a sopprimere del tutto… il fatto che quella notte fosse riuscito a dormire qualche ora affievoliva i sintomi, ma non cancellava di colpo la sensazione che percepiva negli ultimi giorni dei suoi muscoli ridotti ad un fascio di nervi, timoroso ed allo stesso tempo scalpitante di conoscere finalmente il verdetto ai suoi sospetti.

-Il nostro uomo si chiama Nick Stanton… -replica Fury in risposta premendo l’indice sul ripiano di vetro, diramando una scia di reticoli azzurrini avviando la proiezione olografica dei dati raccolti, mostrando un fotogramma estrapolato dal circuito interno delle telecamere del Casinò. - ...o meglio conosciuto in Madre Russia con il nome di Nico Stanovich.

-Un infiltrato? -chiede Natasha zoomando con le dita sulla foto proiettata sul tavolo, studiandone le fisionomie e scostandosi appena per permettere al compagno di scrutare l’immagine da sopra la sua spalla. 

-A quanto pare… è espatriato nel ‘91, si è rifatto una vita qui in America. Sposato, due figli, un buon lavoro. -snocciola velocemente l’ex Direttore digitando dei comandi sulla superficie illuminata, accedendo ad una cartella di file disponendo sul tavolo delle ulteriori immagini. -La mattina del 3 maggio i vicini di casa si sono insospettiti nel non vedere nessun movimento, hanno chiamato la polizia e gli agenti in servizio hanno trovato i cadaveri dei familiari, i portatili in casa completamente ripuliti e tutti i documenti e i passaporti carbonizzati nel cestino.

James si sporge oltre la spalla di Natasha facendo scorrere le immagini raccolte dai rilievi preliminari della scientifica, reprimendo il moto di disgusto analizzando il modus-operandi dell’esecuzione con sguardo indecifrabile.

-É uno dei tuoi? -chiede Natasha girandosi di tre quarti nella sua direzione spiando il suo profilo.

-Già. -commenta atono esponendolo come un dato di fatto. -Ma non capisco perché si sia concesso il lusso di una vita normale se era un operativo in servizio… è contro le regole.

-Forse… -interviene Natasha sollevando lo sguardo con un barlume speranzoso negli occhi, celando un ombra che tuttavia non promette nulla di buono. -Nick, hai i tabulati telefonici?

-Si, ma i miei tecnici non hanno riscontrato nulla di anomalo. L’ultima telefonata risale a circa un paio d’ore prima del ritrovamento della scientifica, ma il numero registrato chiamava sporadicamente… potrebbe essere rilevante? -chiede Fury scannerizzando entrambi con lo sguardo alla ricerca di uno stralcio di informazione.

-È un Dormiente. -conferma James scoccandole uno sguardo impensierito quando mette a fuoco l’intuizione della compagna. -La telefonata… 

-Devono aver pronunciato il codice di attivazione, ha cancellato le tracce del suo passaggio… il che significa eliminare la sua famiglia. -spiega la donna rivolgendosi a Nick, tamburellando con le dita sul ripiano in vetro prima di lasciarsi sfuggire dalle labbra la domanda spaventosa che assillava entrambi ormai da giorni. -Stanovich è entrato da solo al Casinò, ma è uscito con qualcuno, vero?

Fury si limita ad esporre il filmato della telecamera di sicurezza all’entrata del Red King in una risposta implicita, da dove si distingueva chiaramente la figura di Nick Stanton che varcava la soglia, tallonato da un uomo ben piazzato e dallo sguardo vagamente confuso.

James si pietrifica sul posto riconoscendo Arkady nonostante l’immagine sgranata, attirando lo sguardo dei suoi due interlocutori quando mette in pausa il filmato studiando il fotogramma alla ricerca di una certezza.

-Lo conosci, ragazzo? -chiede Fury scansionandolo con lo sguardo ed attendendo una risposta.

-No. -mente spudoratamente rifiutando a priori l’idea che un qualsiasi pazzo abbia messo in circolazione un soggetto instabile come Arkady, augurandosi in cuor suo di sbagliarsi. -Ma ha qualcosa di familiare.

James svincola dallo sguardo della donna puntandolo su Fury consolidando la menzogna, mentre gli occhi di Natasha lo trapassano da parte a parte captando la bugia, mordendosi la lingua obbligandosi a lasciar perdere quella discussione lasciata in sospeso alle tre di notte, ma che stava avendo comunque una tacita continuazione nella testa di entrambi.

-Potremmo rintracciare da dove è partita la telefonata, poi ci regoliamo di conseguenza. -interviene Natasha voltandosi e rivolgendosi a Fury, coprendogli le spalle decretando silenziosamente e di comune accordo di aver perso quel round nella loro guerra fatta di sguardi. -Puoi farlo, Nick?

-Provvedo il prima possibile. -replica Fury digitando un paio di comandi sulla tastiera olografica spiando la loro reazione con fare fintamente distratto, percependo la tensione sotto a quel loro silenzio urlato, scegliendo deliberatamente di giocare con il fuoco. -La mia conferma è solamente una formalità, non è vero? 

-Già. -rispondono entrambi all’unisono, mentre James spezza il respiro bruscamente avvertendo l’impellente bisogno di placare il picco di nervosismo con il fumo, allontanandosi guadagnando la porta sfilando il pacchetto di Marlboro dalla tasca interna della giacca in pelle.

-Routine… -avverte la voce attutita di Natasha giustificarlo oltre la porta chiusa che si è lasciato alle spalle, trattenendo la sigaretta tra le labbra mentre cerca i fiammiferi nelle tasche dei jeans, avviandosi a passo spedito verso l’area fumatori.

-Non volevi smettere? -lo insegue la compagna raggiungendolo a distanza di qualche secondo, intuendo in anticipo cosa lui stia cercando, rovistando nella borsa porgendogli il pacchetto di fiammiferi sigillato. 

-Serve davvero che ti risponda? -commenta lui scrollando le spalle incendiando lo zolfo ed aspirando la prima boccata, alludendo tacitamente alle altre diecimila discussioni lasciate in sospeso negli ultimi giorni, convincendosi che la sua fosse stata la scelta più giusta per entrambi.

-No, in realtà no. -ribatte trattenendo uno sbuffo, illudendolo di rinunciare ad intavolare una qualsiasi conversazione per quieto vivere, indugiando con lo sguardo un paio di secondi sul pacchetto di Marlboro che aveva abbandonato di fianco al posacenere prima di porre la richiesta. -Ne hai una anche per me? 

-Mh-m. -conferma sollevandosi appena dalla poltrona su cui era sprofondato, porgendole il pacchetto aperto ed accendendole un fiammifero quando lei si porta la sigaretta alle labbra, rassegnandosi a collaborare concedendole uno scorcio sui suoi pensieri intuendo la tattica di interrogatorio in corso. -Sono stanco dei fantasmi che continuano ad assillarmi dando il tormento ad entrambi… e non provare a contraddirmi, quei fantasmi li ho creati io.

-James… la risolviamo, ci riusciamo sempre.

-A che prezzo stavolta? -sbotta con una vena di ironia malcelata nella voce, lasciandosi scivolare sulla lingua la vera domanda che gli rubava il sonno negli ultimi giorni.

-Lo so cosa stai tentando di fare e non funzionerà. -ribatte Natasha a tono, picchiettando la sigaretta contro il bordo del posacenere sfidandolo con lo sguardo, decisa a spuntarla nella discussione vincendo la guerra in corso. -Non vado da nessuna parte, rassegnati.

James cerca di ignorare la vocina nella sua testa che si permette di dissentire sulle decisioni prese di recente, preferendo dare ascolto al macigno che gli opprime il petto smorzandogli il respiro ogni notte, scoprendosi terrorizzato all’idea dei possibili rischi nel ritrovarsi nuovamente tra le spire del Leviathan, convincendosi che mantenere invariata la loro situazione sia la soluzione migliore per entrambi… almeno fino a quando la minaccia imminente non si sarebbe risolta, poi avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per dichiararsi.

-Lo sai che così non andiamo da nessuna parte, vero? -sottolinea puntualmente la donna posando la schiena contro l’imbottitura della propria poltrona, attendendo il suo armistizio in silenzio, assecondando e ritorcendogli contro il suo ostinato mutismo. 

-Ho paura… l’ho detto, sei contenta ora? -l’ammissione gratta fastidiosamente contro la gola, scoprendosi insofferente a quel silenzio carico di aspettativa che stava dilatando il tempo oltre il sopportabile, imponendosi di terminare la frase mettendo da parte l’istinto che gli suggeriva di rimangiarsi la parola appena proferita. -Non riuscirei a perdonarmi se dovesse succederti di nuovo qualcosa di brutto a causa mia.

-Credevo avessimo già messo in chiaro che buona parte delle colpe sono condivise. -obietta Natasha appena lui deposita il mozzicone nel posacenere, per poi affondare nuovamente la schiena contro la poltrona, reclinando la testa all’indietro chiudendo gli occhi sfinito.

James avverte lo spostamento d’aria mentre la donna lo raggiunge a passi felpati, percependo la zaffata del suo profumo quando si siede sulle sue gambe, intrecciando le dita dietro alla sua nuca sollevandogli la testa, obbligandolo a ricambiare il suo sguardo.

-Non ti chiedi mai perché in questo genere di casini ci finiamo sempre in due? -lo interroga lei, con degli occhi verde foresta così penetranti da mandargli in subbuglio lo stomaco.

-Perchè in un modo o nell’altro finisco sempre per trascinarti con me, Natalia. -ribatte con una stilettata di cinismo nella voce che sopprime l’ovvietà dell’affermazione.

-Se non lo volessi, credi che sarei ancora qui? -chiede retorica la donna, sollevandogli il mento con due dita depositandogli un bacio a fior di labbra. -Non ti liberi così facilmente di me James, dovresti saperlo ormai.





 

Note:

  1. Tale citazione è esattamente la frase con cui si apre il volume di Brubaker, giusto per farvi capire l’antifona.

  2. Traduzione dal russo: “Amore mio”.

  3. Cito testualmente dal capitolo 20 di “Till the end of the line”: 

Se la metti così l’anno prossimo, per i 90, ci scoliamo una bottiglia, balliamo lo swing in salotto fino a quando non ci fanno male i piedi e concludiamo in bellezza con le acrobazie tra le lenzuola.

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Capitolo 3
*** Prima parte - Capitolo II ***


PRIMA PARTE - CAPITOLO II



 

7 maggio 2018, Fattoria Bonderant, Minnesota

 

-Sei sicuro che sia il posto giusto? 

-Fury dice di sì… è semplice capirlo, se ci riconosce e prova a scappare siamo nel posto giusto. -ribatte James svoltando nel vialetto sterrato mentre il rumore della pioggerella fine rimbalza contro il tettuccio della macchina, accompagnando il strusciare fastidioso dei tergicristalli in funzione.

-E se non scappa? -chiede Natasha dubbiosa, distogliendo l’attenzione dalle gocce che si rincorrono sulla superficie del finestrino, puntando lo sguardo sulla sagoma del caseggiato dalle finestre illuminate.

-Se non scappa vuol dire che Fury ha intercettato la pista sbagliata, ci ha inutilmente fornito questo catorcio di auto per muoverci e noi due fingeremo di esserci persi. 

-No, non fingiamo perché ci siamo davvero persi, James. -commenta Natasha celando un mezzo sorriso esasperato in direzione del compagno, mentre Google Maps sottolinea la tragicità della situazione con l’ennesimo “ricalcolo” della serata.

-Siamo nel posto giusto ‘Tasha, fidati. -conferma James mentre spegne il motore dell’auto, controllando di avere la pistola nascosta nella tasca interna della giacca prima di aprire la portiera correndo sotto il porticato. 

-Se lo dici tu… -commenta Natasha intascando il cellulare, sollevando il cappuccio della giacca a vento per ripararsi i capelli quando lo segue sotto la pioggia fino alla porta d'entrata. 

Mickey Bonderant si affaccia alla soglia con spavalda ignoranza, per poi riconoscerli da sotto i cappucci calati a coprire parzialmente il volto, tentando di chiudere loro la porta in faccia il più velocemente possibile una volta realizzata la consapevolezza, impossibilitato nell’intento dal piede di James che si era piazzato tra lo stipite e la porta evitandone la chiusura.

-Che ti dicevo? -rimarca il compagno con tono vagamente saccente mentre lei oltrepassa l’entrata con una spallata, bloccando ed immobilizzando il fuggitivo nel giro di qualche secondo.

-Okay, avevi ragione tu, risparmiati i commenti. -sbuffa Natasha allentando la presa sul collo del loro ostaggio, fronteggiandolo con tono accondiscendente. -Non siamo qui per ucciderti, ma ci servono informazioni.

-Se collabori faremo finta che non si sia mai verificato questo incontro, chiaro? -interviene James avvicinandosi a pistola spianata, entrando nel campo visivo del loro malcapitato.

-Si, мастер1.-conferma il presunto Bonderant annuendo energicamente, districandosi dalla sua presa scoccando ad entrambi uno sguardo carico di rispetto quasi reverenziale… Natasha deve ammettere che a volte avere ancora una discreta fama in determinati settori risultava decisamente comodo.

La telefonata che lo SHIELD aveva rintracciato per conto di Fury li aveva portati fino a quella Fattoria dispersa nel bel mezzo del nulla in Minnesota, era intestata a nome di Mickey Bonderant, un uomo che prima della seconda metà degli anni ‘90 non esisteva da nessuna parte. Dopo una ricerca più approfondita, si era scoperto che il suo vero nome era Mikel Bulgakov e faceva parte del gruppo di mercenari assoldati dal Dipartimento X nel ‘91, era uno dei pochi Agenti selezionati a cui non era stato somministrato il siero sviluppato da Howard Stark –non era il caso di sterminare l’intero squadrone della morte per colpa di un qualche errore nella nuova formula sperimentale– e in tutti quegli anni aveva avuto il compito di raccogliere e diramare informazioni sottobanco per conto del Leviathan. 

Per loro fortuna Bulgakov provava ancora un sano terrore misto a radicato rispetto per il proprio Maestro, consapevole che mettersi contro il Soldato d’Inverno non era poi una così grandiosa idea, tradendo il silenzio imposto da Madre Russia per salvarsi la vita… aveva affermato con tono di voce vagamente colpevole che ignorava chi fosse il compratore ed il perchè cercasse le capsule del Progetto Zephyr, semplicemente era apparsa la richiesta in uno dei vecchi network del mercato nero e lui aveva fornito la posizione del primo punto di estrazione come da accordi, snocciolando in fretta le coordinate degli ultimi due Dormienti restanti scongiurando entrambi di venire risparmiato.

Natasha e James avevano mantenuto fede alla promessa fatta, si erano dileguati velocemente come erano apparsi, confidando nel silenzio ed il buon senso reciproco, avvisando Fury con un collegamento via radio mentre James impreca tra i denti, lamentandosi del catorcio di auto che gli avevano fornito quando il motore brontola e muore per la terza volta consecutiva.

Avevano scoperto di avere relativamente poco tempo per raggiungere il luogo dove era previsto il recupero del secondo Dormiente, ricevendo la benedizione del loro Capo quando li aveva informati senza troppe cerimonie che per cause di forza maggiore avrebbero dovuto arrangiarsi a raggiungere il punto di scambio senza l’aiuto di Jet supersonici o agevolazioni di alcun genere.

-Non ce la faremo mai con questo catorcio… e siamo senza rinforzi. -afferma James puntando velocemente lo sguardo sul monitor del navigatore, appurando con un verso di strizza che si prospettava davanti a loro un’intera giornata di viaggio in macchina per raggiungere il punto di scambio entro la notte successiva.

-Ricorriamo ai vecchi metodi allora. -ribatte Natasha con tono pragmatico. -Che poi, perchè Nick ci ha fornito questo rottame?

-Perchè l’ultima volta che mi ha messo a disposizione un auto decente l’ho fatta schiantare contro un palazzo di proposito2. -rivela descrivendo i propri metodi poco ortodossi senza infamia e senza lode, limitandosi a pestare il piede sull’acceleratore immettendosi nell’autostrada, mentre Natasha liquida l’informazione con una scrollata di spalle perché non è di certo la cosa più spericolata che gli ha sentito fare.

Non ci mettono troppo a raggiungere la prima area di servizio accessibile dall’autostrada, abbandonando il catorcio fornitogli da Fury e rubando la prima utilitaria con segnalata nel quadrante abbastanza benzina da ricoprire l’intera tratta del viaggio, sostituendo le targhe per scampare al probabile inseguimento post-denuncia di furto, interrogandosi sul dover avvertire o meno il Colonnello su quel cambio di programma e sul quel “prestito” concesso in termini non del tutto legali. Natasha risolve velocemente la faccenda con un messaggio stringato nel canale di emergenza, reperendo un po’ di cibo e del caffè all’autogrill mentre James si ingegna per mettere in moto l’auto senza l’uso delle chiavi… richiamandole alla mente un forte sentore di deja vu di una situazione analoga risalente ad una vita fa, quando erano iniziati i primi sospetti sul ritrovamento di James e lei e Steve si erano cimentati in una caccia ai fantasmi dalle parti del New Jersey.

Natasha aveva tentato di camuffare uno sbadiglio quando si erano rimessi in strada a notte fonda, tentando di restare vigile fissando con gli occhi lucidi il dipanarsi veloce della scia bianca che tracciava il limitare della strada, ingollando un altro sorso di quel liquido nero insapore pregando che la caffeina facesse velocemente effetto.

-Se hai sonno dormi pure, Natalia. -commenta James beccandola a metà dell’ennesimo sbadiglio, desistendo alla sua obiezione con una risata soffocata definendola la “solita testarda” e sentendosi ribattere a tono con un sarcastico “senti chi parla”. -Davvero, amore. Ti sveglio alla prossima sosta per darmi il cambio, promesso.

Natasha aveva ceduto al sonno, consapevole a priori che James non avrebbe mai e poi mai rispettato i patti, risvegliandosi puntualmente quando il sole era già alto, con il collo indolenzito ed il profumo delle brioche –comprate nell’area di servizio che James si era lasciato alle spalle ancora diversi chilometri addietro– che riempiva l’abitacolo.

La donna aveva protestato con tono risentito, sottolineando il fatto che lui avrebbe dovuto svegliarla ancora un centinaio di chilometri prima, spiluccando svogliata la propria colazione, per poi impuntarsi riuscendo a farlo accostare dandogli il cambio, sorridendo soddisfatta tra sè e sè quando, mezz’ora ed un veloce battibecco dopo, James era finito per russare rumorosamente sdraiato sui sedili posteriori.

Natasha era sinceramente preoccupata per la sua insonnia… James non era mai stato un gran dormiglione, ma la carenza di sonno lo rendeva instabile, scostante e perennemente agitato, portandola all’esasperazione più volte del normale. 

Da quando avevano ritrovato la prima capsula criogenica James non riusciva a darsi pace, temendo un attacco a tradimento dopo aver incautamente disturbato quella chimera da cui non riusciva a liberarsi nonostante tutti i suoi sforzi, terrorizzato più dal perdere di nuovo lei nel tentativo di contrastarla che di affrontarla per l’ennesima volta. Natasha aveva solamente intuito a cosa andavano incontro, ma si era ormai rassegnata da anni all’idea che fosse controproducente aver paura delle ombre gigantesche proiettate sul muro, che a volte bastava semplicemente spostare l’angolazione della luce per ridimensionare il problema, nonostante fosse fin troppo consapevole che far cambiare idea a James sulle sue paure più radicate era un’impresa a dir poco ardua, se non impossibile. 

La soluzione più immediata era sfinirlo, concedendogli ed imponendogli qualche ora di sonno per ricaricare le batterie, optando occasionalmente per quelle coccole che raramente gli concedeva, scacciando la propria di paura inconscia che loro due una seconda occasione non se la meritavano davvero e poteva venirgli sottratta da un momento all’altro… preferiva non soffermarsi a pensare troppo spesso a quelle mattine in cui James si svegliava di soprassalto cercandola a tentoni tra le lenzuola, stringendosela tra le braccia con fare quasi possessivo eclissando il panico dettato dagli incubi, scacciando dalla mente quella sensazione opprimente alla bocca dello stomaco quando era lei a rientrare in casa da una missione in solitaria e i muri vuoti dell’appartamento gli restituivano una stilettata di ansia che veniva dissipata solamente una volta ritrovato il post-it caduto accidentalmente a terra dal tavolo in soggiorno.

Natasha aveva smesso ancora mesi addietro di definire James paranoico, sentendosi lei per prima una ipocrita nel giudicare troppo severamente certi suoi comportamenti, ripiegando nel tono scherzoso che serviva ad alleggerire quelle situazioni che si portavano dietro gli strascichi di risvolti un po’ più cupi… l’unica sua certezza era di non voler mai più sperimentare l’orribile sensazione di avvertire quel buco nero allo stomaco dettato da una mancanza che non sapeva definire all’interno della propria memoria lacunosa, lottando con le unghie e con i denti perché James non le scivolasse tra le dita, escludendosi da solo da quel muro di cinta che negli ultimi giorni le stava edificando attorno nel tentativo di proteggerla.

Trovava ironico, ed allo stesso tempo destabilizzante, l’aver raggiunto la consapevolezza che la prospettiva del venire lasciata sola la spaventava molto di più dell’idea di essere amata solamente dopo che James aveva tentato di allontanarla, insicura sulla motivazione di fondo che l’aveva spinta a non essersi mai espressa prima su quella questione lasciata volutamente in sospeso… lei e James convivevano sotto lo stesso tetto ormai da quasi un anno e le cose tra di loro funzionavano a meraviglia, sorprendendosi ad interrogarsi più volte del necessario se era lecito desiderare di più, ma finendo sempre per assecondare la vocina nella sua testa che la bloccava dal ricambiare certe dichiarazioni, ricordandole inopportuna il suo ruolo di Vedova nel lavoro e nella vita.

Natasha è perfettamente consapevole di come tutto ciò sia terribilmente ingiusto nei confronti di James, al punto che negli ultimi giorni si stava impegnando seriamente nel correggere le proprie mancanze, pentendosi soprattutto per la fine che aveva fatto fare al mazzo di rose rosse che il compagno le aveva recapitato per il compleanno… a discapito dell’evoluzione della serata qualcosa tra di loro si era incrinato, una tacca superficiale che aveva creato uno squilibrio sordo ed indefinito, come una sorta di non detto che inconsciamente la avvisava di prepararsi ad un salto nel vuoto da cui dubitava istintivamente di uscirne illesa, nonostante lo sguardo rivoltole da James le prometteva di stringerle la mano per tutta la durata della caduta. Per esperienza personale aveva imparato che quando non gli servivano per farsi perdonare qualcosa, i fiori diventavano portavoce di discussioni scomode o decisioni difficili, stentando a credere che delle rose potessero semplicemente essere… rose. Forse la sua intuizione non nascondeva nulla di malvagio, forse i suoi sospetti erano infondati… forse, per una volta, lei aveva semplicemente paura dell’ignoto e non sapeva come prepararsi per affrontarlo.

Natasha continua a rimuginare sui propri pensieri negandosi il pranzo, macinando chilometri d’asfalto con il russare sommesso di James a farle da sottofondo in quella corsa contro il tempo, lasciando spazio ai primi lampioni illuminati quando finalmente abbandona l’autostrada assecondando il brontolio del proprio stomaco raggiungendo il primo McDrive visibile dalla carreggiata, fermando l’auto nel parcheggio semideserto volendo deliberatamente evitare di entrare in contatto con le altre persone.

-Quanto ho dormito? -chiede James con voce rauca spalancando gli occhi allarmato appena Natasha spegne il motore dell’auto, alzandosi a sedere di scatto schivando di poco il tettuccio della macchina, serrando gli occhi lottando contro un improvviso giramento di testa. -E perchè c’è odore di fritto?

-La nostra cena. -risponde la donna afferrando le buste di carta dal sedile del passeggero con una mano e slacciandosi la cintura con l’altra, per poi aprirsi la portiera mettendo giù un piede dall’auto. -Avanti, scendi e vieni a mangiare.

James la raggiunge a distanza di qualche secondo, reclamando il proprio cheeseburger ed imitandola nel sedersi sopra il cofano della macchina, sopprimendo uno sbadiglio recidivo addentando il panino.

-Non hai risposto alla domanda. -afferma lui dopo qualche morso, sollevando gli occhi al cielo quando lei finge di non comprendere la domanda. -Quanto ho dormito Natalia?

-Nove ore filate, ne avevi bisogno. -replica pacifica con una scrollata di spalle, addentando un chicken nuggets e porgendogli l’involucro di cartone tentando di stroncare sul nascere le possibili obiezioni. -Invece di contestare la scelta, potresti ringraziarmi per averti offerto la cena.

-Sai, per essere una che si batte costantemente per la parità dei sessi, tu offri la cena un quinto delle volte che la offro io… e il più delle volte non paghi nemmeno tu, usi la carta di credito di Stark. -replica a tono ottenendo una linguaccia in risposta, rubandole da sotto il naso un bocconcino di pollo dal contenitore per ripicca. -Scommettiamo? Dopo, il primo che si fa beccare dalle guardie offre di tasca propria una vera cena in un vero ristorante.

-Andata. -conferma Natasha sporgendosi nella sua direzione suggellando l’accordo con un bacio. 

-E chi vince sceglie dove andare a mangiare. -ribatte James con l’accenno di un sorriso ad illuminargli il volto.

-Va bene. -concede la donna. -Ma se vinci tu, niente Pancake Houses. 

 

***

 

9 maggio 2018, Helicarrier, nei cieli

 

-Allora? -chiede Fury con cipiglio severo appena mettono piede sull’Helicarrier.

-Andato, siamo arrivati tardi. -commenta James con tono monocorde sfilandole accanto, dirigendosi a passo spedito verso il loro alloggio. -Dovresti occuparti anche di una probabile denuncia di furto, Capo

-Già fatto. -conferma Nick con tono professionale, per poi voltarsi con sguardo confuso in direzione della donna quando James lo ignora e si sbatte rumorosamente la porta alle spalle. -É andata davvero così male

-No, in effetti poteva andare peggio… devo anche offrirgli una cena. -commenta Natasha a mezza voce accennando un sorriso forzato, deducendo dallo sguardo irritato di Fury che quella non era la risposta che cercava. -Quando siamo arrivati la capsula era già vuota, abbiamo visto un furgone blindato allontanarsi, ma non siamo riusciti ad inseguirlo… mi hanno vista, poi la situazione è precipitata.

-Quindi non abbiamo niente?

-Abbiamo le coordinate della terza capsula a San Francisco e il nome del Progetto. -lo aggiorna brevemente con tono deciso, allungando una mano in direzione del tablet che Fury stringeva sottobraccio, appuntando le informazioni richieste con tocchi precisi delle dita.

-Posso mandare già qualche Agente a controllare il deposito a San Francisco, nel frattempo cerco qualche informazione sul Progetto… Zephyr. -afferma Fury leggendo il nome in codice, per poi attivare il blocco schermo e rivolgerle nuovamente lo sguardo. -Per il resto… voi due state bene?

-Stiamo bene. -conferma con una scrollata di spalle e l’ennesima menzogna addolcita da un sorriso, parlando al plurale ma riferendosi solamente a se stessa. -James vuole solamente chiudere l’intera faccenda il più presto possibile… nulla di preoccupante.

-Okay, se lo dici tu. -ribatte il Colonnello con un tono di voce che Natasha non riesce a definire, sopprimendo il dubbio che la bugia proferita non abbia attecchito come desiderava. -Avete la serata libera, vi chiamo se ci sono novità.

-D’accordo… se non ti dispiace, Nick. 

Natasha si lascia scivolare attraverso la porta proseguendo a passo spedito lungo il corridoio, inserendo la combinazione cifrata sul tastierino numerico di fianco alla porta dell’alloggio che divideva con James, attraversando l’anticamera facendo scattare la fibbia a forma di clessidra depositando la cintura carica di munizioni sopra il tavolo all’entrata, perdendo le scarpe nel tragitto verso la camera da letto, trovando il materasso vuoto ed avvertendo il rumore della doccia in funzione che filtrava attutito dalla porta comunicante che portava al bagno privato.

Quando la missione era ufficialmente andata a rotoli, James aveva voluto aggirare a piè pari il rischio concreto di far naufragare tutte le loro conversazioni in un dibattito sui meriti e le responsabilità mancate, trascorrendo l’intero tragitto fino al punto di estrazione in silenzio e con una sigaretta che gli pendeva dalle labbra, mentre lei pestava il piede sull'acceleratore evitando di ragionare sui perché ultimamente lei e il compagno riuscivano solamente a collezionare un fallimento dopo l’altro. 

Una volta approdati alla base operativa, la donna non si era poi così sorpresa nel constatare il modo brusco in cui James aveva liquidato Fury… si era istintivamente assunta l’onere di giustificarlo facendo rapporto per entrambi, glissando su tutti quei segnali che urlavano un “troppo coinvolto” che professionalmente risultava un problema, ma allo stesso tempo forniva a James l’occasione perfetta per chiudere definitivamente il cerchio e voltare pagina.

Natasha si stiracchia desiderando ardentemente una doccia calda prima che la stanchezza prenda il sopravvento, massaggiandosi il collo ancora irrigidito dalla dormita in macchina, invidiando James per averla battuta sul tempo. Darebbe qualunque cosa per far tornare indietro le lancette dell’orologio al giorno prima di Las Vegas, chiudendo gli occhi illudendosi per qualche secondo che l’ultima settimana non si sia mai verificata… riporta alla mente la piacevole sensazione di venire svegliata dai baci di James, dei propri piedi nudi sul parquet che si trascinavano assonnati in cucina alla ricerca del caffè seguendo il profumo dei croissant, le note di un violino ed il chiacchiericcio dei turisti che filtrava attraverso la finestra del soggiorno che si affacciava sulla piazzetta di Montmartre.

Natasha riapre gli occhi mandando in frantumi quel sogno ad occhi aperti… non poteva ricreare quel genere di pace dei sensi, ma poteva procurarne una valida alternativa, mettendo da parte le preoccupazioni assillanti in favore dei pensieri peccaminosi.

-Sei in vena di compagnia? -propone spalancando la porta del bagno sorridendo maliziosa, abbassandosi la zip della tenuta da combattimento con fare provocante, liberandosi velocemente dello strato di pelle nera scalciandola in un angolo. -Non vorrei mai che finissi tutta l’acqua calda. 

-Non sia mai. -James ricambia il sorriso intuendo al volo le sue intenzioni, allungando una mano agguantandola per il polso e trascinandola sotto il getto d’acqua bollente, correndo con le mani al suo reggiseno sportivo facendola rabbrividire leggermente quando entra in contatto con le dita di metallo, liberandola completamente dalla biancheria intima lanciandola oltre il box doccia. -Così va molto meglio.

-Dici? -ribatte ironica ritrovandosi a corto di fiato nel giro di qualche secondo quando le labbra di James la reclamano bramose, facendo entrare in rotta di collisione le sue scapole contro la parete di piastrelle in una tacita risposta.

Di quel passo la serata può solo che migliorare.

 

***

 

9 maggio 2018, Porto di New York, Manhattan

 

-Ti prego, ho eseguito gli ordini.

-Gli hai eseguiti male, non hai più nessuna utilità ora come ora. -ribatte glaciale Yelena Belova, volutamente sorda alle suppliche di Nico Stanovich, ligia al dovere di seguire gli ordini impartiti da Madame B.

-Ho eseguito gli ordini! -continua a ripetere l’uomo, forzatamente inginocchiato a terra sul pontile con i polsi legati ed incatenato ad un blocco di cemento, tenuto sotto tiro da Dimitri che esegue le sue direttive impassibile e rigido come un fuso. 

-Hai commesso un errore di calcolo, ti sei fatto notare. -commenta Yelena con una punta di fastidio che traspare nella voce, perché probabilmente a causa di quel “piccolo” dettaglio Madame B avrebbe abbassato i suoi punti in graduatoria.

-Ho eseguiti gli ordini… -continua a ripetere Stanovich con convinzione decrescente, iniziando ad assimilare la consapevolezza di ciò che ha fatto davvero per eseguire le direttive di Madre Russia. -Ho ucciso la mia famiglia per compiacervi… Ho eseguito gli ordini!

-Ti sei fatto notare. -commenta indifferente Yelena, stanca di quelle suppliche che hanno l’unico risultato di irritarla, strappando un urlo soffocato a Nico quando gli imprime il marchio della clessidra sul collo per ottenere il punteggio promesso una volta ritrovato il corpo, ragionando in sordina sul come ripiegare al danno subíto evitando che i suoi punti in graduatoria ne risentano ulteriormente. - Non dovevi farti notare, hai mandato tutto al diavolo ed ora hai ciò che ti meriti… sapevi che sarebbe successo.

-Ma che problemi avete?! -si infiamma Stanovich di fronte al suo tono di sufficienza, concedendosi di mostrare una facciata di insofferenza nei confronti della situazione dopo aver avuto la nefasta conferma di non uscirne vivo. -La Guerra Fredda è finita! Avete perso, rassegnatevi.

La traccia residua dello schiaffo brucia fastidiosamente contro il palmo di Yelena, rendendosi conto di non essere stata tempestiva come credeva, voltandosi in direzione di Dimitri appena in tempo per vederlo cedere di fronte all’impalcatura di bugie che gli aveva costruito intorno per renderlo devoto alla causa.

-Non dargli ascolto, солдат3.

-Avevi detto che la Guerra non era finita… -mormora Dimitri abbassando l’arma con sguardo vacuo, cercando disperatamente una risposta veritiera spostando freneticamente lo sguardo da lei a Nico spaesato. -Se ha rag-... 

-Non ha ragione. -riprende piccata afferrandogli il volto con entrambe le mani incatenando lo sguardo al suo. -C’è una Guerra in corso, non distrarti.

-Non darle retta, солдат3. -cerca di dissuaderlo Stanovich in un ultimo gesto disperato, boccheggiando a vuoto quando la pallottola gli stronca il respiro insieme allo sguardo furente della donna.

-Ho detto che devi stare zitto. -rimarca Yelena ottenendo un ultimo spasmo in risposta, espirando cercando di darsi un contegno ricomponendo la propria facciata autoritaria, indicando il cadavere di Nico a Dimitri con rinnovata determinazione. -Quello era un Traditore, non dargli ascolto. Sbarazzatene.

-Agli ordini. -risponde il Soldato dopo una leggera battuta d’arresto, affaccendanosi subito per seppellire il corpo nel fondali del porto. 

Yelena rinfodera l’arma osservando i movimenti di Dimitri, registrando la leggera titubanza nell’eseguire le nuove direttive, studiando il modo più adatto per riparare la tacca inflitta nella corazza di bugie che asservivano il Soldato a lei… valutando i pro e i contro di disfarsene se tale scalfittura dovesse risultare o meno un problema in futuro. 

Percepisce il tonfo del cemento che cade in acqua, seguito a breve dal gorgoglio sinistro che fa colare a picco il cadavere sotto il pontile, mentre aggiorna Novokov con un messaggio nel canale di comunicazione interno sull’operazione eseguita con successo, accennando ad un ulteriore taglio sul personale nel caso dovessero riscontrarsi determinate problematiche.

-Ho fatto, Yelena. 

-Perfetto, torniamo a casa. -commenta spiccia facendosi strada sul pontile deserto, sicura nel venire seguita da Dimitri e voltandosi interdetta quando ciò non avviene. -Ho detto andiamo

-Perché l’abbiamo fatto? -chiede l’uomo ancora fermo sul posto, scoccando uno sguardo venato dal rimorso in direzione dell’acqua torbida. -Aveva eseguito gli ordini.

-Ha messo i Traditori sulle nostre tracce, non avrebbe dovuto farlo. -ribatte Yelena con tono ovvio, scoccando uno sguardo accondiscendente a Dimitri, per poi cercare di stamparsi sul volto un sorriso conciliante con scarso successo. -Capisci la gravità della situazione, солдат3

-Credo di sì.

-Bene. Ora andiamo, abbiamo un compito da portare a termine… dobbiamo recapitare un messaggio e più persone si arrabbiano meglio è.





 

Note:

  1. Traduzione dal russo: “Maestro”.

  2. Till the end of the line: i riferimenti del caso si trovano al capitolo 5.

  3. Traduzione dal russo: “Soldato”.

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Capitolo 4
*** Prima parte - Capitolo III ***


PRIMA PARTE - CAPITOLO III


 

 

10 maggio 2018, Porto di New York, Manhattan

 

Le sirene della polizia rischiarano il pontile illuminandolo ad intermittenza, mentre il sole si nasconde dietro alle nuvole che minacciano pioggia, rendendo il cielo un'unica lastra grigia opprimente ed accecante. Nick Fury si sentiva molto in sintonia con il tempo atmosferico, aggirandosi sulla passerella con fare circospetto assumendo le sembianze di un'ombra nera che registra silenziosa ogni microscopico dettaglio, confondendosi tra gli agenti in servizio e supervisionando i rilievi della scientifica. 

Il corpo senza vita di Nick Stanton era stato ritrovato prima dell’alba, la notizia era stata diramata in tutti i canali di comunicazione della NYPD, raggiungendo anche i piani più alti dell’Helicarrier attraverso soffiate secondarie, spingendo Fury a scendere dal suo trono disperso tra le nubi temporalesche nel tentativo di venire a capo di quella questione che ultimamente lo teneva impegnato giorno e notte. 

In tarda serata gli era giunto un rapporto che certificava l’assenza del terzo Soldato del Progetto Zephyr a San Francisco, ma non aveva fatto in tempo a porsi una qualsiasi domanda sulle dinamiche della scomparsa che il cellulare era squillato informandolo del cadavere annegato… e dopo una attenta analisi della questione era giunto alla conclusione che forse Stanovich aveva raggiunto il suo scopo e non era più utile alla causa, oppure nonostante la sua utilità andava punito per aver richiamato attenzioni indesiderate.

Era uno schema terribilmente semplice, ma stando alla lista dei superstiti e delle probabili minacce, Nick non riusciva a mettere a fuoco chi fosse il mandante ed il fatto che nemmeno due dei suoi tre migliori Agenti non riuscivano a risolvere quel rompicapo, lo rendeva solamente più paranoico di quanto già non fosse… Barnes era evasivo e Romanoff lo proteggeva, mentre Hill operava dal Complesso cercando di destreggiarsi tra le nuove reclute e la cernita degli indizi raccolti, ma a confronto sarebbe stato infinitamente più facile trovare un ago in un pagliaio. 

Il libro paga dell’HYDRA era stato smantellato, il KGB non esisteva più da anni, la Stanza Rossa era morta insieme al suo fondatore qualche mese prima seguendo l’esempio del Dipartimento X… restavano briciole di pane sparpagliate sull’atlante geografico, troppo isolate per essere considerate una vera minaccia, ma non trascurabili al punto da non venire nemmeno registrate dai radar, lasciandoli tutti a brancolare nel buio seguendo una bussola senza Nord che girava a vuoto incapace di fermarsi puntando al bersaglio preciso.

Assecondando la propria paranoia, Fury era finito per inseguire ogni scia di mollichine di pane che i suoi Agenti trovavano, intercettando ed inviando piste che reputava veritiere basandosi sul proprio istinto, sorpassando i controlli senza problemi attingendo agli agganci seminati in ogni dove, riuscendo a mettere la mani sul cadavere di Stanovich prima del coroner eseguendo una veloce diagnostica. Il presunto Signor Stanton era morto per una ferita ad arma da fuoco prima di venire gettato in acqua, chi aveva eseguito l’omicidio evidentemente si era lasciato trascinare dall’euforia del momento, non accorgendosi che la vittima sanguinava copiosamente inzuppando le assi della passerella e lasciandogli addosso il transponder –miracolosamente ancora funzionante– che lui aveva avuto la premura di rubare dalla scena del crimine. 

A distanza di circa un'ora era riuscito a delineare una sorta di filo conduttore, ma nonostante il suo zelo nel riordinare i dettagli caotici raccolti inserendoli nell’hardware dell’Helicarrier e la sua vasta conoscenza dei segreti dell’universo collezionati nell’ultima ventina d’anni nello spionaggio, i vari elementi continuavano a non legare tra loro come avrebbero dovuto, costringendo Fury a scendere dal suo piedistallo sventolando bandiera bianca, rassegnandosi a convocare in ufficio i maggiori esperti in materia di complotti sovietici che aveva a disposizione. 

-‘Giorno, Capo. -afferma James varcando la soglia, l’aspetto di chi si era appena alzato dal letto ma non stava necessariamente dormendo, lisciando la maglietta spiegazzata cercando di rendersi quantomeno presentabile per un colloquio.

-Cosa è successo di così urgente al punto da convocarvi a quest’ora indecente? -chiede Natasha seguendo a ruota il compagno attraverso la porta ed indicando l’orologio appeso sul muro che segnala le sei del mattino, con ancora addosso una delle magliette sformate di James spacciata per pseudo-pigiama ed i pantaloncini della tuta, accaparrandosi una delle sedie posizionate intorno alla scrivania nascondendo a stento uno sbadiglio.

-Un cadavere. -commenta Fury sedendosi al tavolo spostando il plico di documenti dal ripiano high-tech ed innalzando la proiezione olografica dell’Hardware disponendo le prove raccolte.

-Il mandante? -lo interroga James con tono pratico analizzando le prove, intrappolando ostinatamente tra i denti un sospetto fondato. -Hai avuto notizie da San Francisco?

-La capsula era vuota da anni. -li informa Fury allungando nella loro direzione le immagini dei rilievi eseguiti dalla scientifica, presto intercettati da una Natasha improvvisamente sveglia e reattiva, che si tuffa in mezzo alle fotografie alla ricerca di un modus-operandi apparentemente inesistente. -E nessuna notizia dal mandante, sono stati impacciati, ma non stupidi. Niente riprese dalle telecamere di sicurezza o quant’altro, quindi possiamo considerarla ufficialmente una caccia ai fantasmi. 

Fury aspetta pazientemente che uno dei due si decida a prendere la parola iniziando ad esporre i fatti, ingannando il tempo studiando i tic nervosi che entrambi credono di dissimulare bene in sua presenza, analizzando il fremito impercettibile delle dita di Natasha ed il tamburellare distratto del piede di James, intercettando lo sguardo di quest’ultimo che attraversava il foglio con riportati i referti dell’autopsia senza leggerlo davvero. 

James sapeva esattamente a cosa stavano andavano incontro e Natasha era senza ombra di dubbio sua complice in quel silenzio forzato, Fury tollerava a fatica il loro caparbietà nel rinviare la resa dei conti in favore di una pace illusoria –andando contro a tutte le regole del buon senso, soppresso da una paura atavica che il Colonnello non riusciva propriamente a giustificare–, trascinandoli dal primo all’ultimo in una attesa esasperante che non poteva più essere ignorata, nel timore concreto che quel vaso di Pandora che i due tanto temevano si aprisse liberando tutti i demoni che celava al suo interno.

-Ragazzo?

-Mh. -il suono gutturale spezza il silenzio creatosi, richiamando indietro James dal turbinio dei suoi pensieri ed attirando l’attenzione della compagna, che tenta senza successo di dissipare i lampi che gli illuminano lo sguardo. -Cosa vuoi sapere?

-Il Progetto Zephyr. Parla. -ordina Nick scandendo il nome in codice del progetto con tono autoritario, intercettando lo sguardo elettrostatico che intercorre tra i due, nascondendo in esso un tacito consenso inframmezzato da un sospiro. 

-Sono tre Soldati, Nick… -cede James dopo un respiro più profondo degli altri ed una scrollata di spalle, iniziando finalmente a condividere le informazioni dopo le dovute conferme inequivocabili. -... i più anziani, gli unici che apparentemente non hanno dato di matto dopo l’iniezione del siero sviluppato da Howard nel ‘91.

La pausa che segue l’affermazione diventa necessaria per metabolizzare l’informazione, mentre Fury annuisce soddisfatto invitandolo a proseguire nella spiegazione, captando in sordina i movimenti di Natasha che si raddrizza contro la sedia andando a collidere con le dita di James che si poggiavano sullo schienale in un gesto apparentemente distratto.

-Quello prelevato al Casinò a Las Vegas si chiama Arkady, è il più impulsivo e sconsiderato dei tre. -inizia ad elencare James contando con le dita. -Restano Dimitri, forse il più innocente di tutti, e Leonid, l’esibizionista ambizioso… che se la giocano 50 a 50 sul deposito abbandonato in California.

-Quanto dovremmo preoccuparci? -interviene Natasha con fare pratico, trattenendo tra le dita una fotografia che le adombrava lo sguardo da quando l’aveva sfilata dal plico. 

-Non lo so… facevano capo a Lukin all’epoca, non ho idea per chi lavorino ora, come ignoro completamente quale dei tre sia stato internato a San Francisco. -espone James sforzandosi di mantenere il tono della voce in campo neutro, strappandosi a forza le parole dalla gola eseguendo gli ordini, ma evitando di scivolare in sfumature che avrebbero sicuramente rivelato molto più dell’indispensabile. -Sono la versione peggiore di me… inarrestabili, senza scrupoli, seguono schemi mentali… imprevedibili.

-Massimo danno con il minimo sforzo? -traduce Natasha ottenendo un cenno del capo in assenso, decidendosi ad esporre la fotografia che si rigirava tra le mani al centro del tavolo dopo un leggero tentennamento. -Il fatto che Stanovich avesse il mio marchio sul collo rientra negli schemi mentali imprevedibili? 

-Credevo avesse il mio marchio. -ribatte James afferrando la foto e dipingendosi un'espressione estremamente confusa sul volto. -Non ha senso… 

-Lo so, ma… 

-Di grazia, cosa diavolo è il marchio? -sbotta Fury con tono fintamente pacato attirando lo sguardo di entrambi, irritato dal ritrovarsi in una scomoda posizione di svantaggio, odiando profondamente quando i due davano per scontata la comunicazione a voce in favore delle congetture mentali che si muovevano in sincrono nella testa di entrambi. 

-Questo. -afferma James puntando l’indice sulla fotografia indicando quella che a primo acchito lui aveva scambiato per una semplice voglia dai bordi frastagliati, riconoscendo che la macchia ricordava vagamente la forma di una clessidra formata da due triangoli. -Se il cadavere è marchiato l’omicidio viene certificato dai capi, salgono i punti in graduatoria e si ha diritto a tutta una serie di agevolazioni.

-Ma quello è il mio marchio, la clessidra. -interviene Natasha indicandosi il punto dove di solito c’era la fibbia della cintura della sua tenuta da combattimento per sottolineare il concetto, raggomitolandosi sulla sedia e sistemandosi distrattamente la maglietta di almeno un paio di taglie più grande, per poi puntare il dito sul braccio di metallo del compagno. -Il suo marchio è una stella a cinque punte.

-Il che non ha minimamente senso, visto che per quanto ne sappiamo il programma Red Room è stato chiuso dopo la morte di Petrovich. -riprende James con tono ovvio, indirizzando le congetture di Fury nella giusta direzione. -Quindi abbiamo davanti un depistaggio, una istigazione diretta oppure hanno riunificato il Dipartimento X… e sinceramente non so quale delle tre prospettive sia la peggiore, Nick.

-Nulla di nuovo insomma. -commenta Fury con una scrollata di spalle, il cervello che già elabora organizzando il da farsi con le nuove informazioni acquisite. -Ordinaria amministrazione.

 

***

 

14 maggio 2018, Palazzo delle Nazioni Unite, New York

 

-Sei in posizione? -chiede James alla ricetrasmittente, controllando l’entrata del palazzo con fare circospetto passeggiandoci nuovamente davanti, fermandosi giusto il tempo per gettare a terra il mozzicone spegnendolo con la punta della scarpa.

-Calmo. -ribatte Natasha confermando per la terza volta, permettendosi di nascondere la risposta nel tono esasperato della voce. 

-Sono calmo. -ribatte alzando la testa dal marciapiede cercandola con lo sguardo affinando la vista, scorgendo in lontananza il puntino rosso dei capelli della donna che si puntella alla ringhiera sopra l’Isaiah Wall, mentre la suoneria del cellulare infrange la monotonia del rumore di fondo e la mano dell’uomo scatta veloce verso la tasca dei jeans, ritrovandosi a fissare il volto di Natasha che illumina lo schermo. 

-Abbiamo un collegamento via radio per queste cose. -puntualizza James con tono vagamente seccato, fissandola a distanza al di là del traffico.

-Non sappiamo quando arriveranno di preciso e non puoi più continuare a tallonare l’entrata con le mani in tasca, stai iniziando a destare sospetti. Fingi di raggiungimi. -obietta la donna con tono ovvio, facendogli alzare gli occhi al cielo gettando la testa all’indietro in reazione alla correzione. -Ti vedo, James. Piuttosto dimmelo.

-Sei una rompiscatole paranoica. -la asseconda mentre l’accenno di un sorriso affiora dalle sue labbra, cambiando direzione da quella predefinita andandole incontro.

-Anche tu. -ribatte lei discostandosi dal parapetto, puntando alle scale per scendere a livello della strada avvantaggiandosi. -Le persone tendono a rispettare la privacy altrui quando sono al telefono, quindi chiacchieriamo.

-Argomenti da evitare? -si informa con tono pratico, incastrando il dispositivo tra l’orecchio e la spalla, tastandosi le tasche alla ricerca delle sigarette. 

-Magari evita il riepilogo di cosa dobbiamo fare, non credo sia molto d’aiuto. 

Era quasi mezzogiorno e, stando alle informazioni reperite da Fury, ci sarebbe stato un attacco alla Sede dell’ONU da parte di Dimitri e Arkady, una sorta di apripista per garantire l’affermazione del nuovo sodalizio tra le fazioni restanti, il quale prevedeva una distrazione principale all’entrata ed un supporto nelle retrovie con un accesso dal parcheggio sotterraneo. La donna lo conosceva abbastanza bene da essere sicura nell’affermare che fare il punto delle situazione non gli avrebbe fornito un pretesto per placare l’ansia, anzi, non avevano mai sfiorato l’argomento e James aveva passato comunque l’ultima mezz’ora a consumare le suole delle scarpe sul marciapiede, sfilacciando il bordo della t-shirt tarmata mascherando una preoccupante astinenza da nicotina che aveva avuto la meglio sui suoi buoni propositi, mentre la sua paranoia sottolineava invadente almeno una decina di cose –un attacco a sorpresa, la rinuncia sofferta al rassicurante strato in kevlar dell’uniforme per non allarmare i civili, le nuove armi da fuoco studiate appositamente per la missione ma mai testate prima– che potevano andare irrimediabilmente storte.

-Credo di aver deciso dove mi offrirai la cena. -la informa l’uomo dopo aver scartabellato mentalmente tutti i discorsi concessi, cercando una distrazione dai pensieri più opprimenti, ottenendo soddisfatto un verso di lamentela in risposta. -Nel ristorante dove ti ho portato l’anno scorso per il compleanno.

-Mi piace lì. -cede facilmente la donna, aspettando che scatti il semaforo permettendole di attraversare la strada, cercandolo con lo sguardo sul ciglio opposto, beccandolo con la seconda sigaretta mezza consumata che gli pende dalle labbra. -Non dovevi limitarti ad una?

-Mi sembri Steve quando fai così. -ribatte lui fregandosene della frecciatina, girando i tacchi per ripicca, ma assecondandola spegnendo il mozzicone e puntando all’accesso del parcheggio sotterraneo come da accordi iniziali. 

-Scusa se ci teniamo ai tuoi polmoni… -commenta sarcastica in risposta, interrompendo il principio di predica quando una utilitaria nera accosta dall’altro lato della strada lasciando scendere un uomo alto e dai capelli talmente biondi da sembrare bianchi, mentre l’auto fa inversione di marcia e punta al parcheggio sotterraneo. -James.

-È Dimitri, io mi occupo di Arkady. -ordina prima di riattaccare la chiamata, mentre l’auto gli sfreccia a fianco e lui accellera il passo per non lasciarsela sfuggire, avvertendo una sgommata contro il pavimento lucido del parcheggio come conferma all’essere stato visto.

Supera l’auto abbandonata davanti all’ingresso con la portiera ancora aperta ed insegue Arkady di corsa fino al piano terra, mentre l’uomo tenta di seminarlo imboccando continui corridoi e cercando di rallentarlo iniziando a sparare a vuoto seminando il panico.

-Chiudetevi negli uffici! -urla ai curiosi incauti che si affacciano al corridoio, correndo a rotta di collo cercando di placarlo. -Fuori dai piedi!

James non sa quali fossero i piani precisi affidati al Soldato, ma evidentemente Arkady aveva dovuto adeguarsi all’imprevisto, correndo incontro al fratello d’armi puntando alla hall e sbucando di fronte al combattimento in corso tra Natasha e Dimitri –troppo presi dalla lotta da non rendersi conto dell'intrusione– mentre Arkady si volta nella sua direzione fronteggiandolo con un sorriso saccente sulle labbra per averlo trascinato vicino al suo punto debole… un errore da principiante, ignaro che se lui e la compagna finivano insieme sul campo di battaglia diventavano pressoché inarrestabili. 

-Ci avevano detto che eri morto. -sibila tra i denti Arkady mettendosi in posizione d'attacco con un coltello tra le mani, armandosi a sua volta per uno scontro ad armi pari, alzando la lama appena in tempo per parare il colpo dando inizio al combattimento.

James non sa di preciso come, ma riesce a finire schiena contro schiena con Natasha fornendole un appoggio per contrattaccare Dimitri e garantendo a lui un aiuto nel schivare i colpi inflittagli da Arkady, che preso dalla rabbia cieca si stava rivelando un avversario più difficile da battere di quanto preventivato. 

James si ritrova velocemente a sferrare, schivare e rispondere agli affondi con una meccanicità tale da richiamargli alla mente le sessioni di allenamento al Dipartimento, dimenticandosi per un solo secondo dove si trova… ed un secondo basta perché Arkady gli passi sotto il braccio fulmineo puntando a Natasha, bloccandolo per il gomito appena in tempo trascinandoselo contro… rendendosi conto in ritardo che il contraccolpo genera una spinta ottimale per cambiare la traiettoria della lama, spostandosi appena in tempo per evitare il disastro, ma ritrovandosi comunque con una ferita che gli attraversa il quadricipite rimpiangendo amaramente la tenuta in kevlar. 

Inciampa e cade a terra attutendo appena il colpo portando le mani in avanti, sopprimendo un grido che attira comunque l’attenzione di Natasha, che si volta nella sua direzione diventando preda facile di Dimitri… ma che tuttavia lo riconosce per la prima volta dall’inizio dello scontro, arrestandosi immediatamente gettando l’arma a terra in segno di resa, lasciando intendere il suo rifiuto nello spodestare l’insegnante.

-мастер1 -lo saluta in segno di rispetto suscitando gli sguardi sorpresi di tutti i presenti, incurante degli ordini ricevuti e della propria sorte, mentre Natasha si blocca interdetta e reagisce istintivamente facendogli da scudo umano quando Dimitri si avvicina più del dovuto. 

Succede tutto troppo in fretta perché James riesca ad elaborare la dinamica, ma appena Dimitri accenna un movimento innocuo verso la sua direzione, Arkady lancia un secondo coltello perforando il giubbotto antiproiettile del fratello all’altezza del cuore al grido di “Traditore”, per poi abbassarsi sfilandogli la pistola dal retro dei jeans puntandola verso Natasha, che ha appena il tempo di raggiungerlo a terra prima che l’arma esploda tra le mani del Soldato superstite.

-Almeno sappiamo che gli upgrade funzionano. -commenta Natasha con vena ironica, appurando che il sistema di riconoscimento delle impronte digitali sul calcio della pistola aveva fatto il suo dovere, voltandosi impensierita nella sua direzione. -Stai bene?

-мастер1 -si sente chiamare James da un Dimitri morente lasciando cadere nel vuoto la domanda apprensiva della donna, cercando istintivamente di alzarsi ottenendo una fitta dolorosa alla gamba, presto anticipato dalla compagna che intuisce al volo le sue intenzioni.

-Dimitri, cosa sai? -si inginocchia Natasha a fianco del Soldato ad un paio di metri di distanza, premendo con forza sulla ferita sul petto cercando di rallentare l’inevitabile.

-черная вдова2 - sussurra l’uomo con voce fioca, annaspando alla ricerca delle ultime boccate d’aria. -Non volevo farlo, non volevo… мастер1...

-Non importa, ti sei fermato. -lo rassicura la donna accelerando sulle ultime sillabe, conscia di non avete più tempo. -Cosa sai, Dimitri? 

-Leo… Leonid è tornato a… casa, è tornato da… -il gorgoglio del sangue si porta via il nome che cercavano da giorni, ottenendo come unica informazione “casa”, mentre il Soldato tossisce sangue ed esala l’ultimo respiro.

-Cazzo. -impreca Natasha lasciandosi cadere seduta a terra, afferrandosi la testa tra le mani frustrata, mentre James ruota lentamente su un fianco alzandosi a sedere.

-Cazzo. -impreca a sua volta registrando il lago di sangue che si sta allargando sul pavimento, mordendosi la lingua temendo di tranciarsela di netto quando preme le dita sulla carne esposta. -'Tasha…

-Oddio. -la donna si precipita al suo fianco con una traccia d'ansia ben palpabile nella voce, reagendo d'istinto praticando le manovre di primo soccorso, strappandogli un lembo dei jeans con cui tamponare la ferita. -Okay, non ha reciso l'arteria, é già qualcosa. Non svenire, appena arriviamo al furgone trovo il modo di procurarti un anestetico e metterti dei punti. 

James iniziava a percepire i primi suoni ovattati ed il campo visivo offuscato quando la squadra tattica irrompe nella hall capitanata da Maria Hill, mentre qualcuno consegna loro la cassetta del pronto soccorso e Natasha gli fascia la gamba in modo sufficientemente stretto per permettergli di  arrancare fino al furgone vuoto, lasciandosi cadere di peso su uno dei sedili scalciando le scarpe, mentre la compagna lo libera dai pantaloni insanguinati, procurandosi l'occorrente per ricucirlo. 

La puntura di anestetico placa il bruciore e lo aiuta a ridefinire i contorni del proprio campo visivo, riacquistando di nuovo lucidità mentre la donna si dà da fare con ago e filo lasciando che il silenzio regni sovrano, insicuro di come colmarlo mentre i farmaci iniettati cominciano a fare finalmente effetto.

-Ma che ti è preso!? -esplode improvvisamente Natasha dopo attimi di silenzio eterni.

-Per una frazione di secondo sono tornato in Siberia. -confessa con tono monocorde gettando il capo all'indietro contro la parete di lamiera, consapevole a priori che sia inutile mentirle.

-Non sarebbe dovuto succedere. -commenta la donna mettendo l’ultimo punto, tagliando il filo con i denti sfuggendo al suo sguardo… sottolineare gli errori, specialmente i propri, non è una pratica che le dava soddisfazione. -Non avrei mai dovuto lasciatelo fare, sei troppo coinvolto. 

-Impedirmelo non avrebbe cambiato nulla, Natalia. -commenta James ragionando sugli ultimi sviluppi. -Almeno sappiamo che dobbiamo cercare Novokov.

-Non sappiamo ancora chi l'ha riportato a casa, James… o il perchè abbia mentito ai fratelli.

-Lo scopriremo… mi togli il caso o mi copri di nuovo le spalle?

-Secondo te? -ribatte lasciando trasparire un sorriso ironico sulle labbra che rende la risposta implicita mentre finisce di bloccargli la fasciatura, issandosi in piedi facendosi spazio tra le sue gambe, correndo con le mani alla sua nuca sollevandogli il capo ancorando lo sguardo al proprio. -Stai bene?

-Fisicamente o mentalmente? -cerca di scherzare osservandola dal basso afferrandole i fianchi, ottenendo un'occhiata di fuoco in risposta. -Sono ad un passo dal tracollo mentale, ma mi rimetto in sesto tra qualche ora, tranquilla.

-Questo lo so. -conferma Natasha tirandogli leggermente i capelli sulla nuca, finendo per posargli le labbra sulla fronte. -Posso fare qualcosa per mettere ordine qui dentro?

-No… -afferma, circondandole i fianchi in un abbraccio, seppellendo il capo contro il ventre della donna. -O meglio, nulla di diverso da quello che fai già.

Natasha sospira lasciandosi andare al contatto, iniziando a districargli le ciocche sulla nuca in una rara coccola affettuosa… probabilmente è anche colpa dell'anestetico, ma James crede seriamente che non possa esistere sensazione più paradisiaca di quella.

 

***

 

15 maggio 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

Leonid Novokov ha dimenticato a San Francisco cosa sia la pietà verso se stesso o il prossimo, o almeno prova a convincersene, altrimenti non saprebbe spiegarsi il perché non provi assolutamente nulla di fronte alla consapevolezza della morte dei fratelli.

Li aveva cercati così a lungo, aveva minacciato e pestato a sangue chiunque avesse uno stralcio di informazione per rintracciarli, lasciandosi andare ad un barlume di speranza quando finalmente qualcuno in Minnesota gli aveva fornito delle coordinate… ma quando Arkady e Dimitri avevano riaperto gli occhi sul mondo, la loro prima reazione era stata quella di cercare un referente a cui fare rapporto, elemosinando notizie sul loro Maestro, perché lui avrebbe saputo cosa fare se si fosse risvegliato in un tempo che non era il suo e non c’era nessuno ad accoglierlo. 

Leo non era nessuno –era un uomo che non possedeva un passato definito e si prefigurava un futuro incerto proprio a causa del loro Maestro– e ne era rimasto deluso… dei fratelli, delle sue stupide aspettative, dalla mancanza di un legame che su carta non esisteva nonostante lui lo desiderasse con tutto se stesso, solo per affermare dopo anni di solitudine di aver finalmente trovato il suo posto nel mondo. 

Forse era per quel motivo se aveva detto loro che зимний солдат3 era morto, oppure voleva semplicemente evitare quello che alla fine era successo comunque: Dimitri aveva dimostrato fedeltà a chi non se la meritava ed Arkady aveva reagito d’impulso… che il loro Maestro fosse un osso duro era un dato di fatto e non poteva negarlo, come non poteva far finta di niente se Arkady era morto peccando di ignoranza, perchè nonostante tutto loro erano ciò che erano grazie al Soldato d’Inverno.

A conti fatti non si sentiva in lutto per i fratelli, era semplicemente dispiaciuto per la perdita di quel paio di soldati che formavano il suo personale esercito sottonutrito… poco importava il tempo sprecato, se voleva portare a compimento la sua vendetta, le uniche mani di cui poteva fidarsi erano le proprie e quelle di chi poteva portarlo dove ambiva ad arrivare.

-Madame. -porge i suoi saluti quando raggiunge la figura in controluce della donna, fermandosi al suo fianco di fronte al vetro specchiato, spiando le sei bambine danzare in punta sotto lo sguardo vigile di Yelena.

-солдат4.-ricambia Madame B voltandosi nella sua direzione. -Ho saputo che i nostri piani sono andati in fumo a causa dei tuoi fratelli.

-Solo uno dei due. -ribatte prendendo le difese di Arkady, perchè forse sotto sotto almeno per lui prova ancora qualcosa di simile all’affetto. -Arkady ha fatto il suo dovere, solo che… зимний солдат3 è stato previdente.

-Sarebbe a dire?

-Armi con riconoscimento delle impronte digitali, esplodono se non sei autorizzato ad usarle. -sciorina una spiegazione in fretta. -Credo possano impugnarle solamente lui e la Romanova.

-Buono a sapersi, insegneremo loro ad utilizzare esclusivamente armi bianche… -afferma la donna con tono pratico, tornando a posare lo sguardo sulle bambine che si esercitano alla sbarra. -... mentre tu e Yelena imparerete a disintossicarvi da quelle da fuoco.

-Certo Madame. -conferma molleggiando sui talloni, in attesa di un congedo che tuttavia non arriva. -C’è altro?

-Secondo te cosa abbiamo sbagliato? 

-Durante la missione di ieri…?

-No. -lo interrompe tempestiva Madame B. -Lukin, Petrovich, Zemo… cosa abbiamo sbagliato?

-Il piano di Zemo5 era buono… il problema è che non stiamo tentando di distruggere un'organizzazione, vogliamo distruggere una famiglia. -ragiona con tono ovvio destando la curiosità della donna, che lo incita a perdersi nelle proprie congetture con un gesto della mano. -Gli Avengers prima di tutto sono una famiglia, a prescindere di quanti errori possano commettere o torti possano causare. Sono fratelli, sorelle, mentori, protettori ed amanti… se si tronca la fonte di tale legame si crea uno squilibrio… e loro creano esattamente il genere di sbilanciamento che può ribaltare drasticamente la sorte a nostro favore.

Madame B sorride estasiata dalla nuova prospettiva descritta, concedendogli una stretta alla spalla riconoscente, intuendo dal suo sguardo di cosa ha bisogno per portare a termine il suo piano, rispondendo con un’occhiata che promette di mettergli a disposizione il mondo pur di ottenere quel traguardo ambito da entrambi.

-Yelena si impegna, ma non raggiungerà mai il suo livello. -commenta Madame B siglando tacitamente il sodalizio appena proposto, tornando ad osservare la donna con sguardo critico, probabilmente figurandosi al suo posto la Vedova Nera originale.

-Cosa ne faccio di lui? -chiede delucidazioni Novokov in merito al destino del proprio Maestro, pregando tacitamente di ottenere carta bianca.

-A cosa mi serve lui quando ho te? -si sbilancia Madame B, liquidando l’adulazione con una scrollata di spalle. -Divertiti pure.

-Sarà fatto, Madame. -ghigna soddisfatto contraccambiando il sorriso della donna. -Ci divertiremo da impazzire.





 

Note:

  1. Traduzione dal russo: “Maestro”.

  2. Traduzione dal russo: “Vedova Nera”.

  3. Traduzione dal russo: “Soldato d’Inverno”.

  4. Traduzione dal russo: “Soldato”.

  5. La versione più estesa e dannosa di Civil War, è stata largamente documentata in “Till the end of the line”.



 

Commento dalla regia:

Ammetto che ho voluto sperimentare introducendo la visione del “grande schema delle cose” di Fury, una sorta di sfida personale che spero vi sia piaciuta, scritta principalmente assecondando la mia necessità narrativa di descrivere le varie sfumature nelle reazioni comportamentali/fisiche sia di James che di Natasha in contemporanea.

Vi annuncio che dal prossimo capitolo “mi divertirò da impazzire” nel scombinare i piani dei nostri beniamini, qualora voi aveste ipotesi sul come accadrà l’inevitabile sarei curiosa di sentirle, ma anche un’opinione generale sul progredire della storia (se vi sta piacendo oppure no, cose del genere) è molto gradita!

Alla prossima settimana,

_T :*

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Capitolo 5
*** Prima parte - Capitolo IV ***


PRIMA PARTE - CAPITOLO IV



 

20 luglio 2018, Base segreta Governativa di Ricerca, New Mexico

 

Sapeva che stava arrivando… gli aveva appositamente preparato un percorso ad ostacoli, altrimenti in caso contrario sarebbe stato decisamente un gioco da ragazzi.

Leo Novokov ride e scende dal fuoristrada a pistola spianata, andando contro alle direttive di Madame B nel disintossicarsi da esse, sedando l’accoglienza calorosa della pioggia di piombo per poi forzare l’entrata della base e rinfoderare le canne ancora fumanti delle armi, sfilando dal fodero un paio di coltelli dalla lama seghettata.

Nell’ultimo paio di mesi aveva seminato cadaveri marchiati in giro per tutta la Nazione: un fattorino portaborse di un hotel, tre agenti governativi di tre agenzie diverse ed un medico. Cinque persone diverse in tre città diverse, seguendo uno schema apparentemente randomico, ma mirato per il suo obbiettivo finale… così mentre i Traditori si spaccavano la testa nel tentativo di cercare un nesso alla sua illusoria follia, il Professore aveva colto i segnali chiudendosi in laboratorio pregando che le guardie assoldate bastassero per impedirgli di buttare giù la porta. 

Leonid si diverte a spaccare i setti nasali dei poveri malcapitati che hanno la sfortuna di incappare nel suo cammino, mettendo a tacere le urla con le carezze di una lama ben affilata, lasciando orme intrise di sangue sul pavimento piastrellato dello stabile.

Il primo a cadere nella sua trappola era stato il fattorino dell’hotel a Mosca, ritrovato impiccato sulle travi di legno della propria soffitta, macchiato dell’unico crimine di aver recapitato al Professore i passaporti per scappare dalla Patria all’inizio del ‘92 dopo l’ultimo ingaggio eseguito a dovere. In rapida successione erano seguiti gli ex agenti del KGB che avevano organizzato l’espatrio fino in Messico, mentre l’ultima vittima sacrificale era stato il medico ignaro a cui era stata rubata l’identità per confermare la copertura edificata da Rodchenko1 nell’ultima ventina d’anni abbondante… morti inutili convertite in colpi di avvertimento, instillando nel Professore un briciolo della sua stessa paura sperimentata durante la notte in cui tutto era cambiato, annunciando quel terrore gelato e sordo che precedeva di poco un risveglio traumatico in un posto sconosciuto.

Novokov si gode appieno il momento della rivalsa mentre scoperchia il vaso di Pandora, rinfoderando le lame insanguinate scavalcando i corpi senza vita delle guardie, sorridendo sfrontato quando bussa lieve alla porta di metallo, in un rumore che riverbera nel silenzio dello stabile come gli ultimi rintocchi di una campana per un condannato a morte. 

Rodchenko avrebbe dovuto saperlo che non si può scappare a lungo dalla Madre Russia, che presto o tardi i mastini soggiogati al suo volere usciranno dall’ombra ed eseguiranno gli ordini tendendo agguati mortali, rassegnandosi ad aprire la porta deglutendo a vuoto, le mani tremanti e l’espressione di chi cammina verso il patibolo cercando una pietà inesistente negli occhi del boia.

-Sa Professore, lei è una persona molto difficile da trovare.

-Aspettavo uno di voi… ma tra tutti, non pensavo fossi tu a bussare alla mia porta per primo. -ammette Rodchenko sistemandosi gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso, tradendo nuovamente un tremolio alla mano. -Sei qui per uccidermi immagino.

-No. -l’espressione basita del medico è la smorfia più buffa che Leo abbia mai visto, trattenendo a stento una risata tra i denti, ripiegando in un sorriso candido che cela un’ombra inquietante. -Per quanto voglia fargliela pagare, lei è stato espressamente richiesto dal mio Capo per programmare un grande classico… io mi accontento di essere riuscito a spaventarla a morte.

-Dubito di potermi rifiutare. -mormora il psichiatra deciso a non concedergli nessuna soddisfazione aggiuntiva a quelle dimostrate fino a quel momento, strascicando i piedi seguendolo lungo il corridoio illuminato malamente dai neon. -O di avere una scelta di qualsiasi tipo.

-No, non ce l’ha. -ghigna Novokov con tono vendicativo. -Per una volta quello senza libero arbitrio è lei.

 

***

 

20 luglio 2018, Autostrada 25, Colorado

 

-Sicura di farcela?

-Ovvio… dai, sarà divertente. -commenta Natasha abbandonando la presa dai fianchi di James issandosi sulla sella, saltando sopra il tetto del camper che stavano costeggiando a tutta velocità arrampicandosi fino alla botola sul soffitto, aprendola per spiare i movimenti all’interno del mezzo prima di calarsi al suo interno, attivando il canale radio per sovrastare il rumore del vento. -Sono in posizione. Muoviti, James.

-Arrivo. -ribatte mandando il motore della motocicletta su di giri, avvicinandosi alla portiera del guidatore schivando la traiettoria dei proiettili che gli si scagliavano contro da quando i mercenari di Novokov li avevano avvistati dagli specchietti laterali, premendo l’indice sull’auricolare contattando il Colonnello. -Nick, sei pronto?

-Quando vuoi.

-Controllo da remoto tra tre… due… uno.

James salta dalla sella appendendosi alla portiera mentre Fury evita che la motocicletta sbandi, lasciandola correre al fianco del camper pronta per l’estrazione, nel frattempo che James scaraventa l’autista fuori dal mezzo prendendo il suo posto al volante.

-Come va là dietro? -si sporge l’uomo controllando con la coda dell’occhio l’operato della compagna, spostando la testa di scatto quando il proiettile di Novokov gli fischia vicino all’orecchio sfondando il parabrezza, mentre la cacofonia di vetri infranti copre le note di Čajkovskij che fuoriescono dall’impianto stereo. 

-Tutto sotto controllo. -afferma la donna ironica ed a corto di fiato distraendolo da quel dettaglio insolito, presto soppiantato dal rumore degli spari mentre Natasha elimina gradualmente gli avversari fino a trovarsi da sola faccia a faccia con il Soldato, lanciandoglisi contro decisa a passo di carica.

James espira concentrandosi esclusivamente sulla strada, sferrando un pugno alla stereo interrompendo la musica ed eclissando i suoni del combattimento alle sue spalle catalogandoli come rumore di fondo, trattenendosi dal cantare vittoria troppo presto nell’essere finalmente riuscito ad incastrare Novokov… per una sua semplice e stupidissima distrazione per giunta.

Circa tre ore prima la polizia del luogo aveva registrato un massacro in New Messico presso una base di Ricerca governativa, lo SHIELD era prontamente intervenuto assumendo il pieno controllo del caso intuendo che dietro all’attentato ci fosse Novokov, scoprendo che il Soldato aveva fatto piazza pulita ad esclusione di un certo Dottor Fleishman, che aveva preso in ostaggio senza apparente motivo. 

Non avevano dovuto attendere troppo per ottenere una pista, a distanza di circa un’ora un casello autostradale in Colorado aveva identificato la targa di un camper rubato il giorno prima ad Albuquerque, mandando in allerta e mobilitando chiunque prestasse servizio all’Helicarrier. James e Natasha erano stati convocati in servizio appena il fotogramma del casello aveva raggiunto i piani alti, spronandoli a velocizzare le tempistiche quando la donna aveva riconosciuto le fisionomie di Rodchenko dietro alla copertura del “Dottor Fleishman”, attribuendo finalmente un nome al cadavere ritrovato la settimana prima al Metro-General Hospital… poi era stato tremendamente facile rintracciare il mezzo lanciandosi all’inseguimento, ma nonostante tutto James non riusciva a mettere a tacere il grillo nella sua testa che gli ricordava incessantemente di aver allenato Leonid meglio di così e che tutto sommato era stato anche troppo facile rintracciarlo, lasciando perdere quel presentimento infondato dettato dalla paranoia perché forse lui è semplicemente stanco e vede minacce anche dove non ce ne sono, desiderando chiudere l’intera faccenda in fretta e concedersi una bella dormita per la prima volta dopo non sa nemmeno quanto tempo.

Gli spari alle sue spalle continuano a rimbalzare contro le pareti in lamiera mentre James affina lo sguardo tentando di vedere qualcosa oltre il reticolo di crepe, rassegnandosi a colpire il parabrezza con il pugno di metallo eliminando il problema alla fonte, mettendosi a cercare frenetico la segnaletica per uscire dall’autostrada nel tentativo di contenere il numero di danni ed incidenti stradali che si era già lasciato alle spalle… distogliendo l’attenzione da quel compito quando cala improvvisamente il silenzio nell’abitacolo dopo che la porta di accesso viene divelta dai cardini a colpi di mitragliatore con un fragore di lamiere lancinante.

-‘Tasha?! -urla cercandola con lo sguardo, ritrovandosela accucciata contro il retro del sedile di fianco al suo, la testa ancora incassata tra le braccia nel tentativo di ripararsi dai colpi di rimbalzo.

-Io sto bene, la strada James! -ribatte di rimando alzando il capo di scatto indicandogli il finestrino, costringendolo a puntate nuovamente lo sguardo sulla carreggiata, correggendo la sbandata.

-Ci vediamo alla Prima, intanto vi lascio in buona compagnia! -sente affermare Novokov ridendo, appena prima di varcare la soglia e scomparire inghiottito dall’asfalto. 

-Dov’è andato!? -urla frustrato mentre percepisce i passi veloci della donna risuonare contro la moquette consunta, che corre ad appendersi allo stipite sporgendosi dalla soglia cercando Novokov con lo sguardo, ritraendosi fulminea quando il Soldato le passa affianco accovacciato sul retro di un pick-up, superandoli sgommando prendendo contromano la prima uscita che incontra lungo la carreggiata rendendo superflua la risposta alla sua domanda, ripiegando in un quesito decisamente più urgente. -Di quale “buona compagnia” parlava, Natalia?!

-Cristo… non può… James, ci ha lasciato una bomba! -si intromette nefasta la donna dopo aver seguito malauguratamente la propria intuizione fondata, la voce a tratti coperta dallo sferragliare fastidioso degli anelli della tenda che celava il reparto notte, mettendo in mostra i candelotti di dinamite che assediavano il materasso insieme al conto alla rovescia lampeggiante. -Saltiamo in aria tra un minuto e mezzo!

-Riesci a disinnescarla?! -chiede con tono di voce teso iniziando a capire quali siano i veri piani di Novokov, gli occhi fissi sulla strada per impedirsi di sbandare di nuovo mentre avverte le mani di Natasha trafficare sul retro del mezzo.

-Non in un minuto e mezzo, è troppo complicata! 

-Okay… segui Novokov, qui ci penso io! Vai! -ordina voltandosi di tre quarti, la lancetta sul cruscotto che segnala i 140 km orari, scorgendola mentre ricarica le munizioni prima di lanciarsi all’inseguimento.

-Agli ordini. -afferma determinata Natasha, sporgendosi verso il sedile del guidatore. -Ci vediamo tra meno di un’ora… hai sessanta secondi.

-Vai. -la liquida in fretta per non perdere il conto dei secondi restanti, percependo una leggera stretta apprensiva alla spalla sana da parte della donna, prima di udire il scalpiccio veloce dei passi mentre raggiunge l’uscita. 

James scorge dallo specchietto laterale la nuvola di capelli rossi balzare sulla motocicletta inserendo il controllo manuale, mentre la cacofonia di clacson si leva impetuosa quando la donna taglia la strada a diverse auto per raggiungere la medesima uscita presa dal Soldato… Natasha odiava saperlo correre incontro alla morte come un pazzo furioso, ma non aveva esitato nemmeno un istante, spingendolo ad accantonare momentaneamente il problema “incidenti stradali” concentrandosi su questioni decisamente più urgenti. 

-Nick. -lo richiama James celando nel tono utilizzato una sequela di imprecazioni esasperate, la stanchezza esaurita dettata dall’insonnia ben palpabile nella voce, irritato perché –dopo la sesta volta in due mesi– era ormai convinto che Novokov ci avesse preso gusto nel continuare a sfuggirgli tra le dita. -Dimmi che posso evitare di creare un cratere in mezzo all’autostrada.

-Negativo, ragazzo. -interviene Fury lapidario. -Devi far esplodere il camper da qualche parte… c’è una vista panoramica del Canyon dall’altro lato della strada a partire dalla prossima curva, ingegnati.

James pesta il piede sull’acceleratore sfiorando i 150 km all’ora, mentre i mississipi nella sua testa si rincorrono veloci fino allo zero, spostandosi verso la corsia che costeggia lo strapiombo perdendo il controllo del mezzo, che sfonda il parapetto precipitando nel vuoto mentre la mano metallica di James si àncora al pezzo di guard rail divelto salvandolo dall’esplosione.

-Barnes? 

-Ancora vivo. 'Tasha, come procede? -chiede James all’auricolare dopo essersi arrampicato nuovamente sul ciglio della strada, puntellandosi sulle ginocchia concedendosi di riprendere fiato per un paio di secondi, attendendo una risposta da parte della compagna che non arriva. -Natalia?

-Abbiamo perso il segnale, ragazzo. -lo informa Fury con tono monocorde quando intercetta la traccia di panico nella sua voce. -Novokov l’ha trascinata in una zona morta.

-No no no… -James si morde la lingua per non bestemmiare, premendo i palmi contro le orbite nel tentativo infruttuoso di placare il mal di testa sordo che inizia a martellargli le tempie impietoso, mentre un sospetto agghiacciante inizia a farsi strada tra i suoi pensieri, bloccandolo prima che esso si trasformi in una consapevolezza inconfutabile… perché si sbagliava, il target di Novokov non era mai stato il camper ricolmo di esplosivo, il fine ultimo era quello di separarlo da Natasha… il vero obbiettivo era sempre stata lei. -Manda qualcuno a prendermi, Nick. Subito.

Non erano servite a nulla le corse in auto, le imprecazioni, le sfuriate… tre ore dopo la perdita del collegamento radio, James fissava il foglio appeso alla corteccia di un albero con un pugnale dalla lama seghettata: lo sguardo vacuo, il respiro pesante e le sue capacità ragionative ridotte ad un ronzio sordo che gli faceva prudere i palmi, instillandogli nel cervello il desiderio ardente di sgozzare Leonid a mani nude.

-Dobbiamo aspettare i risultati delle analisi del DNA per la conferma, ma il sangue è dello stesso gruppo sanguigno dell’Agente Romanoff… -lo informa la voce ovattata di un Agente alle sue spalle, ignorandolo per salvaguardare ciò che resta della propria sanità mentale, tornando a concentrarsi sul proprio respiro nel tentativo di normalizzarlo impedendosi di iperventilare.

James esclude a forza dalla propria memoria i fotogrammi che l’hanno portato fino a lì… cancella l’immagine della motocicletta abbandonata sul selciato, le orme confuse che testimoniano uno scontro tra le felci del boschetto che circonda la base militare ad un chilometro di distanza, il solco formato da un corpo delle dimensioni di Natasha trascinato a terra lungo la strada battuta, i segni impolverati dei pneumatici che marcano l’asfalto troncando brutalmente tutte le piste per un ipotetico inseguimento… 

Fissa il foglio incapace di distogliere lo sguardo, mentre la morsa ghiacciata della paura gli rivolta lo stomaco, spingendolo a rileggere la frase per la cinquecentesima volta senza tuttavia riuscire ad elaborarla, il rivolo di sangue secco che cola dal pugnale e si fonde alle lettere sottostanti tracciate con i polpastrelli sporchi di… no, non è sangue, è inchiostro vermiglio… o almeno prova a convincersene, mentre il ronzio che imperversa nella sua mente sovrasta implacabile qualunque altro suono.

мастер2, ciò che è tuo ora è mio”... una frase semplice che si marchia a fuoco nel cervello di James, lettera per lettera, mentre il sottile filo del proprio autocontrollo si spezza di fronte alla consapevolezza di aver mandato lui Natasha incontro a Novokov, rendendo il prurito alle mani insopportabile ed interrompendo bruscamente il respiro reagendo d’istinto quando una mano incauta gli sfiora la spalla.

-Ragazzo. -Fury lo richiama parzialmente indietro dal baratro nel quale stava naufragando, bloccandogli il polso tempestivo con la lama ad un centimetro dalla sua giugulare, sbattendo le palpebre riconoscendo solo in quel momento il volto del Colonnello attraverso lo sguardo lucido. -Da quanti giorni non dormi?

-Capo… -mormora lasciando cadere la domanda nel silenzio, preso in contropiede ed incapace di fornire una risposta perchè semplicemente non se lo ricorda… era Natasha quella che teneva sotto rigoroso controllo i suoi ritmi sonno-veglia, ma negli ultimi tempi aveva perso il conto di quante volte l’aveva ingannata fingendo di riaddormentarsi. -Io non…

-Non lo sai?

-No… mi dispiace, non… 

-Lo so, non volevi. -liquida l’inconveniente con un’alzata di spalle, ma tradendo uno sguardo adirato che promette delle conseguenze spiacevoli che probabilmente coincidono con l’esclusione dal caso. -Torniamo a casa.

-Ma… Natalia. Devo… devo cercarla. Ha detto che ci vedevamo tra meno di un’ora… -afferma allucinato mentre il pensiero razionale che di ore in realtà ne sono passate almeno tre lo sfiora appena, lasciando che il panico torni a farsi sentire invadendogli la mente e stroncandogli il respiro, compiendo un passo indietro per dirigersi non sa bene nemmeno lui dove, ma sa per certo che Natasha è lì da qualche parte… deve esserlo, deve solo...

-Devi dormire, Barnes. Forza, torniamo a casa… 

-NO! -fugge dalla presa di Fury assecondando la crisi psicotica, rifiutandosi di accettare anche solo l’ipotesi di aver perso Natasha in missione, allontanandosi dal Colonnello come a prendere una sorta di distanza anche dal biasimo che prova verso se stesso, perché se è davvero successo allora è di nuovo tutta colpa sua… bloccandosi con le orecchie che fischiano quando il boato causato dal proiettile squarcia il cielo, premendosi istintivamente la mano di metallo contro la spalla anestetizzando la pelle lacerata, cadendo a carponi sentendosi improvvisamente le membra molli e pesanti come se fossero fatte di piombo. -Nick… 

-Hai bisogno di dormire, James. -si scusa Fury rinfoderando l’arma che sprigiona una luminescenza blu dal caricatore3, mentre il tranquillante entra in circolo facendogli perdere velocemente conoscenza. -Perdonami.

 

***

 

21 luglio 2018, Dipartimento X - Ex-base operativa, Collocazione sconosciuta

 

Leonid Novokov apre le porte antipanico proseguendo in direzione dei laboratori a passo di marcia, il rumore delle scarpe di Rodchenko che scandiscono il tempo nel silenzio dello stabile abbandonato, stanco di ignorare ancora a lungo le richieste di delucidazioni da parte del medico.

-Spero lei capisca la difficoltà di arrivare fin qui, Professore. -esordisce quando il suo limite di sopportazione raggiunge una soglia minima, rivolgendogli il profilo incorniciato da un sorriso, mettendo in chiaro le direttive prima che il psichiatra possa rifiutarsi di intervenire. -Ho scoperto che dall’ultima volta che ci siamo visti nel ‘91, ha messo su famiglia a Denver… casa isolata in periferia, fiori gialli alle finestre… sarebbe veramente terribile se succedesse loro qualcosa, non crede?

-Non oseresti mai… -tenta di ribattere il medico alla minaccia, il tono di voce che tradisce la consapevolezza di saperlo in grado di qualunque cosa se motivato a dovere.

-Non sia sciocco Professore, sa benissimo cosa dicono a proposito delle morti accidentali… “se solo si fossero ricordati di spegnere il gas”, giusto? Dovrebbe saperlo, dopotutto ci programmavate per inscenare questo genere di incidenti. -afferma ovvio aprendo con una spallata l’anticamera della sala operatoria.

-Cosa devo fare? -cede rassegnato a seguire le direttive, terrorizzato nel sapere quale sia la posta in gioco se si rifiuta di obbedire.

-Non vedevo l’ora che me lo chiedesse. -sorride aprendo le porte della sala operatoria, spostandosi di lato per permettere al dottore di scorgere la donna stesa sul lettino.

-мой бог4… -mormora Rodchenko bloccandosi sulla soglia, contemplando il corpo privo di sensi di Natalia Romanova, mentre Leonid controlla distrattamente la fasciatura al polso ed inizia a collegare i primi elettrodi.

-Lo so che non è esattamente come uno dei vecchi macchinari, però ho improvvisato un po’ con alcuni componenti arrugginiti... sono due mesi che ci lavoro, dovrebbe funzionare… sa, purtroppo non avevo cavie su cui testarla…  

-No… non lei… -mormora Rodchenko senza schiodarsi dalla soglia, incurante del resoconto sulle migliorie apportate dal Soldato, restio a decretare autentico ciò che ha davanti.

-Non sia ingenuo Professore, ovvio che è lei… credo possa quasi considerarsi una riunione di famiglia. -afferma scostando le ciocche rosse della donna per posizionare l’ultimo elettrodo, i lineamenti rilassati simili a quelli di una bambola di porcellana… iniziava a capire il perchè il suo Maestro avesse perso la testa per lei, era semplicemente meravigliosa. -Se la fa sentire più a suo agio, non ho nessun problema a rifare le presentazioni. 

Novokov solleva lo sguardo alla ricerca di una risposta da parte del medico che tarda ad arrivare, roteando gli occhi prendendo da solo l’iniziativa indicandolo.

-Dottore, Natalia Romanova. -afferma concedendosi una lieve carezza sulla guancia della donna. -Paziente, il Professor Rodchenko.

-Non posso farlo. -confessa lo psichiatra riscuotersi dall’apparente stato di choc in cui era precipitato, avvicinandosi al macchinario della stasi con passo guardingo. -Non perchè non voglia… ma perchè proprio non posso

-Spiegati. -ribatte Leonid con tono furente, irritato all’idea che tutti i suoi castelli di carta crollino per un stupidissimo problema tecnico.

-Hai la vaga idea di quante volte abbia dovuto resettarla? -chiede retorico Rodchenko indicando la donna. -Lei più di tutte ha subito interventi invasivi che hanno danneggiato in modo irreversibile la guarigione dei ponti sinaptici… l’ennesima variazione della sua realtà potrebbe troncare di netto i suoi ricordi precedenti, come potrebbe rifiutare categoricamente di assimilare quelli nuovi… è… è delicato.

-Non mi servono nuovi ricordi… ho solamente bisogno di quelli vecchi. Più qualche aggiunta extra. -ragiona velocemente Novokov, puntando lo sguardo sul medico che annuisce sovrappensiero valutando l’area di manovra ed il margine di errore nel procedere all’intervento. -Può farlo? E prima che lei risponda, io ho intenzione di farlo comunque, con o senza di lei… non so quanto le farebbe piacere avere Natasha Romanoff e la sua famiglia sulla coscienza.

-Cosa vuoi che faccia di preciso? -rinuncia il dottore con un sospiro rassegnato, avvicinandosi alle leve della corrente elettrica, aspettando direttive per procedere.

-Semplice. La voglio come dovrebbe essere, Professore… la voglio cattiva.





 

Note:

  1. Rodchenko: la punta di diamante della divisione scientifica del KGB, psichiatra incaricato ai tempi di modificare i ricordi delle allieve della Stanza Rossa (e Dipartimento X all’occorrenza), innestando nuovi frammenti/informazioni tra i ponti sinaptici privando il soggetto del libero arbitrio rendendolo docile.

  2. Traduzione dal russo: “Maestro”.

  3. [I.C.E.R. = Incapacitating Cartridge Emitting Railguns]: Progetto d’ingegneria e biochimica sviluppato dallo SHIELD, sono proiettili con forte potere di arresto, si rompono sotto il tessuto sottocutaneo e rilasciano una piccola quantità di dendrotossina concentrata, inabilitando il bersaglio abbastanza a lungo da essere protetti e senza effetti collaterali dannosi.

  4. Traduzione dal russo: “Mio Dio”.

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Capitolo 6
*** Prima parte - Capitolo V ***


PRIMA PARTE - CAPITOLO V



 

31 luglio 2018, Hotel Empire, Mosca

 

Il mondo, visto attraverso il mirino di un fucile, risulta stranamente calmo, analitico e razionale… nulla a che vedere con la sua naturale predisposizione al caos. 

Era solo un'illusione, Novokov lo sapeva bene, ma il brivido gratificante di onnipotenza che gli faceva tremare la colonna vertebrale quando premeva il grilletto scombinando quel mondo apparentemente perfetto, gli stampava ogni volta un sorriso entusiastico sulle labbra.

La vede scendere in strada alle sette del mattino spaccate come d’abitudine, compra il caffè ed una brioche, accarezza il cane del barbone all’angolo della strada e gli cede il sacchetto contenente la sua colazione… deve essere in dieta, o soffre di un qualche disturbo alimentare, perché è ormai una settimana che Leonid la osserva e non l’ha mai vista mangiare qualcosa.

Il Soldato scrolla le spalle, dopotutto non sono affari suoi, mentre la segue attraverso il mirino con precisione maniacale ed aspetta che raggiunga il semaforo e si fermi sulle strisce pedonali… Novokov sfiora il grilletto ed il proiettile centra con precisione millimetrica la ruota del taxi, forando il pneumatico che sbanda e centra a pieno la donna nonostante cerchi istintivamente di schivare la traiettoria del veicolo, finendo sotto le ruote del mezzo richiamando la folla di curiosi che urlano a gran voce di contattare i soccorsi.

Leonid smonta il fucile e ripone tutti i componenti nel borsone da viaggio con rilassata calma, finisce di bersi il caffè che ha ordinato per colazione e lascia la stanza d’albergo come l’ha trovata la prima volta che ci ha messo piede ancora una settimana prima.

Si lascia alle spalle l’hotel e scende in strada dirigendosi verso il luogo dell’incidente interpretando la parte del passante curioso, riuscendo a scucire qualche informazione ai paramedici mentre caricano la donna sull'ambulanza… condizioni critiche, gamba fratturata, non tornerà a calcare il palco del Bol’šoj in tempi brevi ed è un vero peccato, erano anni che non si vedeva una prima ballerina così promettente.

Novokov annuisce convinto al paramedico lasciando trasparire dalle sue labbra un triste sorriso di circostanza, affermando che la notizia sia una vera tragedia perché la stagione del “Lago dei Cigni” apre da lì a quattro giorni ed è alquanto improbabile che la compagnia trovi un rimpiazzo in tempo per la Prima… tenendo esclusivamente per sé l’informazione che lui nasconde la soluzione perfetta nella tasca della giacca, che gli basta una semplice telefonata per ordinare ai suoi uomini di procedere ed attuare il suo piano, che volendo potrebbe risolvere il problema così su due piedi nel giro di due secondi netti.

Leonid Novokov sorride soddisfatto quando, a distanza di ore dall’incidente e con una copertura da manager sulle spalle, ammira Natasha Romanoff danzare sulle punte al centro del palco, mentre gli addetti allo spettacolo vociferano tra di loro alle sue spalle ammettendo che sia un vero e proprio miracolo l’essere riusciti a contattare una ballerina altrettanto promettente disposta ad andare in scena con così poco preavviso.

Natasha incrocia il sorriso di Leonid quasi per sbaglio e ricambia, proseguendo nella sua coreografia con una leggerezza tale da dare l’impressione di dover spiccare il volo da un momento all’altro… il piano procede a gonfie vele senza intoppi ed il sorriso di Novokov si allarga, mentre ammira estasiato quello che ha tutti i presupposti per rivelarsi un canto del cigno indimenticabile.

 

***

 

2 agosto 2018, Terrazzo, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

James si lascia cadere su una delle sedie poste sul terrazzo, reclina la testa, chiude gli occhi ed espira sforzandosi di non pensare a niente… esegue gli ordini di Fury imponendosi una pausa non voluta, dopotutto non è nella posizione di dissentire o disertare, non dopo la crisi psicotica almeno.

Sono dieci giorni ormai che si aggira come un'anima in pena tra i corridoi del Complesso, collassando ogni sera sul divano in salotto assumendo i sonniferi prescritti per placare gli incubi, relegando a rumore di fondo i continui battibecchi che rimbalzavano tra le mura della sala comune causati da una convivenza non proprio pacifica tra una ventina di teste calde armate di “fattori super”, reprimendo il desiderio primario di cucire la bocca a Barton nonostante sia perfettamente consapevole che i suoi continui tentativi di fare conversazione mirino esclusivamente a risollevargli il morale. 

Il Complesso era troppo affollato per i suoi gusti, ma aveva scoperto nel peggiore dei modi che la scelta del dove stare e con chi stare non dipendeva più da lui, che l’aver raggiunto i ferri corti con Nick Fury garantiva solamente l’imposizione di qualche regola extra a cui era obbligato ad ubbidire… come l’assunzione di quei maledetti sonniferi in grado di mettere a KO un grizzly ed il farsi andare bene i battibecchi, il lavoro di squadra e le pause per non mandare di nuovo in sovraccarico il suo cervello rendendolo aggressivo.

Era stata questione di un paio di giorni, poi alla fine si era arreso al suo inferno personale, anche se non riusciva ancora ad identificare il vero motivo di fondo dietro al suo drastico cambio di atteggiamento… forse era merito della consapevolezza che tornare da solo a Parigi serviva unicamente a sottolineare i suoi rimorsi, forse perché l’idea che ogni singolo aggiornamento sul da farsi passava tassativamente per la scrivania di Maria Hill1 lo rassicurava, o forse, semplicemente, perché l’appartamento di Steve si trovava a meno di un oceano di distanza ed aveva davvero bisogno di suo fratello per non impazzire completamente2.

-Puoi farmi il favore di riferire a Fury che mi sto comportando bene? -chiede nel tentativo di scontare la propria pena, senza aver bisogno di voltarsi quando la serratura della porta-finestra scatta, percependo i passi inconfondibili del fratello andargli incontro.

-Credo tu non abbia capito a pieno a cosa servano le pause. -commenta Steve entrando nel suo campo visivo allungandogli una bottiglia di birra stappata, afferrando lo schienale di una sedia con la mano ora libera, posizionandola e sedendosi al suo fianco.

-Sono una perdita di tempo, ecco cosa… 

-Servono per ossigenarti il cervello, cretino. -rimarca suo fratello abbandonandosi di peso allo schienale imitandolo nella seduta scomposta, entrambi con lo sguardo puntato verso l’alto a scrutare il cielo trapuntato di stelle. -Idealmente dovresti evitare di pensare al lavoro, berti qualcosa, conversare con qualcuno… 

-Tu sei l’unico che ha voglia di conversare con me, lo sai vero? -afferma voltando appena la testa di lato, esponendolo come un dato di fatto, spiando il suo profilo di nascosto in attesa di una qualsiasi reazione.

-Hai mai provato a chiederti il perchè? -ribatte Steve pronunciando la domanda retorica senza distogliere lo sguardo dal cielo, scrollando appena le spalle segnalando che non c’è realmente bisogno che lui sappia fornirgli una risposta. -Sono dieci giorni che ringhi contro a chiunque, Buck.

-Io non ringhio. -prova a difendersi debolmente, tornando a fissare la distesa blu notte. -Solo… sono leggermente nevrotico a causa della situazione, tutto qui.

-Leggermente nevrotico. -sottolinea Steve con un tono di voce che cela un mezzo sorriso, lasciando cadere nel silenzio qualsiasi altro principio di conversazione.

James porta la bottiglia alle labbra prendendone un lungo sorso, concedendosi di sollevare un angolo delle labbra tradendo un microscopico sorriso… negli ultimi giorni succedeva spesso che Steve lo raggiungesse sul terrazzo durante le sue pause, a volte si sforzavano di intavolare una conversazione, altre invece stavano semplicemente in silenzio a godersi la compagnia reciproca. Avevano preso l’abitudine di bersi una birra impegnando i silenzi con infinite discussioni a vuoto, negli ultimi mesi le chiamate via Skype si erano ridotte drasticamente ed avevano avuto relativamente poche occasioni per vedersi di persona –il funerale di Rebecca3 a fine febbraio, quel paio di giorni a Disneyland per il suo compleanno4–, reputandolo un buon modo come un’altro per aggiornarsi sugli sviluppi delle rispettive vite.

-Non sei tornato a casa ieri sera. -irrompe James all’improvviso, quando incappa per sbaglio in quel dettaglio isolato seguendo il filo sconclusionato dei propri pensieri. 

-Hai avuto una crisi, ieri sera. -obietta Steve con tono ovvio, prendendo un altro sorso di birra prima di continuare quel discorso che si avventurava su un campo minato. -Li avevi presi i sonniferi? 

-Certo. -mente spudoratamente, preferendo non ripensare alla sensazione del suo cuore che tentava di sfondare la cassa toracica, la gola in fiamme per le urla e le mani di Steve ancorate alle sue spalle nel tentativo di placarlo. -Ho farneticato?

-Urlavi il nome di Natasha come un ossesso, sembrava che nei tuoi incubi la stessero ammazzando.

-Tu non sai molte cose, Steve. -si limita a commentare atono, attaccandosi di nuovo alla bottiglia per sfuggire allo sguardo del fratello in cerca di delucidazioni, dopotutto la sua non era un’ipotesi troppo lontana dalla realtà, reprimendo il ricordo di quando gli avevano strappato Natalia a forza dalle braccia per la prima volta5.

-È fuori discussione che tu mi racconti cos’è successo davvero a Mosca, vero? 

-Sai quanto basta, non sono ricordi… piacevoli.

Il silenzio cala di nuovo tra loro mentre Steve si raddrizza contro lo schienale della sedia preannunciando l’altro argomento spinoso, concedendogli il tempo di darsela a gambe prima di proseguire e fidandosi del suo tacito consenso quando non lo vede alzarsi, il ricordo dell’incubo ancora fresco nella sua mente che lo dissuade dal darsi alla fuga. 

-Ci ripensi mai a Disneyland? -chiede allora Steve procedendo in punta di piedi, aggirando il nodo della questione tentando di capire quanto possa insistere nel strappargli le parole di bocca.

-Ultimamente troppo spesso. -ammette per la prima volta dopo una infinità di giorni, sentendo la morsa sui suoi polmoni allentarsi…  boccheggiando a vuoto quando non trova le parole adatte per continuare il discorso, serrando le labbra di scatto.

Per il suo compleanno Natasha gli aveva fatto una sorpresa e l’aveva trascinato per due giorni a Disneyland Paris, stentava ancora a credere che le montagne russe erano finite per diventare una tradizione del 10 marzo4, ma quando il taxi era passato a prenderli a Place Saint-Pierre non si aspettava minimamente di far tappa anche all’aeroporto per recuperare Steve e Sharon2. Era stata una sorprendente parentesi felice della durata di circa 48 ore, James conservava ancora attaccata al frigorifero con le calamite la fotografia di loro quattro davanti al Castello, chiedendosi tuttora come Sharon fosse riuscita a convincere Natasha ad infilarsi il cerchietto con le orecchie da Minnie senza sollevare alcun tipo di obiezione… ma in mezzo a quella parentesi felice, c’era stata una virgola grigia disegnata sul marciapiede di fronte alla Casa Stregata quando le ragazze li avevano lasciati soli, un microscopico segno di punteggiatura iniziato con la menzione al testamento di Rebecca, seguito da una scatolina di velluto e l'ammissione da parte di James che al matrimonio ci stava già pensando da un po'. Aveva organizzato tutto nei minimi dettagli, poi era successo quello che era successo… e un paio di mesi dopo tutti i buoni propositi si erano ridotti ad un messaggio stringato inviato al cellulare del fratello che recitava un orrendo "cambio di programma, posticipato".

-Perché ti sei tirato indietro, Buck? -interviene Steve, che forse si aspettava più di un lamento strozzato come reazione alla domanda, afferrandolo per una spalla impedendogli di fuggire dalla conversazione ora che ha toccato il nervo scoperto.

-Paura? -prova in un goffo tentativo che non va a segno, mentre gli occhi di Steve lo puntano strappandogli a forza una confessione dalle corde vocali. -Okay, va bene. Aspettavo il momento giusto… e poi l'imprevisto mi ha battuto sul tempo.

-Hai di fronte l’esempio vivente che “il momento giusto” non esiste, cretino. -sorride incoraggiante il fratello beccandosi uno sguardo truce in risposta, sfilando le sigarette dalla tasca guadagnandosi un alzata di occhi al cielo da parte di Steve, che per una volta lascia correre e non lo rimprovera sui suoi vizi.

-Momento giusto o meno, ormai non ha più molta importanza. -afferma James scuotendo il fiammifero per spegnerlo, tornando alla posizione scomposta iniziale con la vivida impressione di stare seduto su una sedia fatta di chiodi. -Sono ad un vicolo cieco.

-Come procedono le ricerche? -cambia argomento Steve, incrociando le braccia al petto ed inclinando appena la testa di lato, consapevole che farlo ragionare a voce alta gli consentiva di raggiungere più velocemente la soluzione a quei problemi apparentemente senza via di uscita. 

-Zero sviluppi… Novokov ha preso Natalia ed è semplicemente scomparso, il che non ha senso, visto che ha tendenze esibizioniste e sicuramente mi vorrà presente per l’atto finale. -lo asseconda aggiornandolo brevemente, mentre il lumicino della sigaretta risplende nel buio della notte. -Sono giorni che io e Barton ci spacchiamo la testa alla ricerca di una pista, ma non troviamo nulla.

-Hai una vaga idea del perché Leo abbia fatto tutto questo? 

-Sindrome dell’abbandono? -azzarda un’ipotesi James, spargendo la cenere sul pavimento con un gesto distratto. -Non so davvero che cosa ho fatto per meritarmi il suo odio, Steve… ma vuole dimostrarmi qualcosa, altrimenti non avrebbe seminato così tanti indizi. 

-Che indizi? -indaga il fratello nel tentativo di trovare un barlume di sensatezza in mezzo a tutte quelle informazioni caotiche. -Non c’è nulla del genere nel rapporto che hai stilato… e sai che omettere informazioni è… 

-... è contro il regolamento, lo so. Non l’ho scritto perchè non è propriamente una informazione pertinente, può essere soltanto una mia fissa… prima di saltare fuori dal camper Novokov ha detto “ci vediamo alla Prima”, è una frase troppo strana per non significare qualcosa. -afferma ostentando nonchalance, aspirando l’ennesima boccata di fumo. 

-La “Prima” di cosa? -lo asseconda Steve, iniziando a capirci finalmente qualcosa.

-Me lo sto chiedendo da giorni… so che è palese, sarei dovuto arrivarci ancora giorni fa, ma i sonniferi mi intontiscono. -commenta atono tenendo per sé la considerazione che la notte prima non li aveva assunti proprio per evitare quell’inconveniente, ottenendo come unico risultato l’aver svegliato l’intero Complesso a forza di urla, sbuffando spazientito nel appurare la disfatta del suo piano mentre i pensieri nella sua testa si rimescolano in un turbinio incessante. -Sono nevrotico, è come seguire una coreografia di cui ho dimenticato i passi… continuo ad incespicare… -James si alza di scatto dalla sedia folgorato dall’illuminazione, mettendo a fuoco il tassello mancante mentre le note di Čajkovskij gli invadono la testa. -La musica… c’era il “Lago dei Cigni” alla radio.

-Spiegati Buck, io non ti leggo nel pensiero. -lo rincorre Steve quando lo vede spegnere il mozzicone, attraversando la porta-finestra puntando al centro operativo quasi di corsa. 

-Barton! -grida James richiamando l’attenzione dell'arciere, che sobbalza quando si sente chiamate in causa con quel tono di voce insolito, chiedendogli che diavolo gli prende appena sbucano dalla porta a vetri. -Mi serve la data della Prima del “Lago dei Cigni” al Bol’šoj ed il nome della prima ballerina, subito.

-Hai capito dov’è Natasha? -chiede Clint con tono speranzoso, mentre cerca quanto richiesto digitando frenetico sulla tastiera.

-É più un sospetto fondato… c’era Čajkovskij alla radio. -ripete convinto di un dettaglio che può conoscere solo lui, picchiettando impaziente sul bordo del tavolo mentre Clint assottiglia lo sguardo in direzione dello schermo. 

-La Prima è domani sera… ma mi dispiace amico, niente Nat, qui scrivono che la prima ballerina è una certa Shostakov5.

-Dio, no… -James si morde la lingua per non imprecare infossando la testa tra le scapole, richiamando l’attenzione di Clint e Steve che lo osservano con sguardo confuso, andando loro incontro concedendo una spiegazione. -L’hanno programmata, probabilmente è convinta di essere ancora sposata con Alexei5 e-… 

-No, frena un attimo. -lo interrompe Clint portando le mani avanti con un’espressione basita sul volto, non dissimile da quella dipinta sul viso di Steve. -Natasha, la mia migliore amica, praticamente mia sorella, si è sposata ed io non ne sapevo nulla?!

-Se ti consola, nessuno dei due parla volentieri di Mosca5… è stato un matrimonio combinato ed Alexei è morto nel ‘63. -spiega sbrigativo cercando di liquidare l’argomento appena sollevato, lasciando trasparire dal suo tono di voce quanto non voglia parlarne, ringraziando mentalmente il fratello quando afferra Clint per una spalla facendolo desistere dal ribattere, osservando lo scatto secco della mandibola di quest’ultimo che tronca almeno tremila domande sulla soglia delle labbra. 

-Quindi è questo che è successo davvero a Mosca… -si limita a mormorare Steve iniziando a collegare i puntini, deducendo più del dovuto da quella mezza confessione. 

-Tra le altre cose… quella non è la parte peggiore. -afferma James monocorde, scacciando l’ombra di un sorriso triste con una scrollata di spalle, sforzandosi di mettere in fila le parole sulla lingua per far uscire un frase di senso compiuto dalle proprie labbra. -Ciò significa che Novokov sa di Mosca… come sa esattamente quali tasti toccare.

-Quindi come impediamo il disastro? -interviene Clint con tono di voce teso, scoccandogli uno sguardo che promette una lunga discussione sui misfatti della capitale russa ad allarme rientrato, sospirando in risposta allegandoci un tacito consenso. -Hai detto che Nat sta seguendo una programmazione specifica, idee su quale possa essere?

-Probabilmente uccidermi… ed ho intenzione di lasciarglielo fare.

-James… è un piano suicida. -afferma Steve tentando di imporsi come voce della ragione chiamandolo per nome, deducendo di aver fallito miseramente nell’intento quando intercetta il suo sguardo determinato.

-Anche il tuo lo era, ma a Washington mi sono fermato appena in tempo… sarà come rivivere Mosca, devo solo riuscire a modificarne l’epilogo5.

 

***

 

3 agosto 2018, Teatro Bol’šoj, Mosca

 

Sapere che la squadra tattica era in attesa di un suo ordine fuori dal teatro e che l’Helicarrier, con Fury al suo interno, si librava sopra la sua testa passa velocemente in secondo piano, prendendo posto da solo in platea mentre le luci si spengono ed il tempo sembra rallentare dilatandosi all’infinito quando le note di Čajkovskij invadono il teatro, lasciando che la figura di Natasha in tutù bianco e scarpette da ballo calchi il palco pretendendo adorazione.

James non ricorda quand'è stata l’ultima volta che ha visto la compagna sulle punte, sapeva che le scarpette da ballo erano nascoste sul fondo di un qualche armadio a Parigi, ma la consapevolezza di non averle mai viste in giro per casa poteva considerarsi unicamente un fattore positivo… Natasha ballava su Čajkovskij solamente quando la mancanza di qualcosa diventava troppa e non trovava altro modo se non riempire quel vuoto con la musica, convertendo i passi di danza in un appiglio doloroso e sordo alla realtà per non perdersi nel proprio labirinto mentale, correggendo l’errore caotico inglobandolo in una coreografia metodica e fissa.

James sprofonda sulla poltroncina ammirandola da lontano, conscio di dover aspettare l’atto finale perché succeda qualcosa, beandosi di quella visione estrapolandola dal contesto. 

Natasha sulle punte era la perfezione fatta persona, ipnotica ed allo stesso tempo algida, rubava il cuore di chiunque per schiacciarlo sotto le scarpette gessate, come una dea capricciosa venerata dall’intero teatro… e James percepiva chiaramente il proprio cuore, ridotto ad una poltiglia informe sul fondo della cassa toracica dopo una decina di giorni in astinenza forzata, che si stava ricomponendo lentamente alimentato dalla flebile speranza di far finalmente calare il sipario su Mosca una volta per tutte.

Verso la fine del quarto atto James aveva inviato un messaggio alla squadra tattica, ordinando loro di iniziare con l'evacuazione dei civili a partire dalle gallerie, ma il vero spettacolo era iniziato solamente quando le porte della platea si erano spalancate facendo entrare gli Agenti armati, proclamando definitivamente un fuggi fuggi generale sia tra i civili sia tra le quinte del palco… e per James è come rivedere un vecchio film in slow-motion, bloccando mentalmente il fotogramma esatto in cui Novokov si sporge dalla graticcia e lancia a Natasha un'arma, mentre quest’ultima si ferma ed allunga una mano afferrandola al volo con un sorriso sadico dipinto sulle labbra. 

Reagisce d’istinto schizzando sul palco prima che inizino gli spari, buttandosi volutamente sulla linea di fuoco ad una velocità tale da riuscire a disarmare la donna senza che lei riesca a rendersene conto, finendo al tappeto il secondo dopo con una Natasha furente che si staglia sopra di lui… ed è bellissima, un angelo vendicatore che lo ripaga a suon di pugni per tutto ciò che lui involontariamente di male le ha fatto, accettandone il merito al punto che il suo contrattacco si limita ad una fiacca difesa.

-Voglio proprio vedere cosa farai ora! -lo distrae Novokov, puntellato alla graticcia con l’espressione estatica di un bambino di cinque anni di fronte alle giostre, mentre un montante ben piazzato da parte di Natasha lo rispedisce a terra, sollevandosi in ginocchio appena in tempo per vedersi premere la canna della pistola contro la fronte.

-Sei di fronte ad un bivio, мастер6. -interviene Leonid dall’alto della graticcia con tono fatalista, burlandosi della situazione con un sorriso stampato sulle labbra. -Ferisci Natalia per provare a prendermi, oppure tenti di salvarla da se stessa lasciandomi andare? Scommetto che hai una preferenza.

James vorrebbe urlare per la frustrazione, ma respira, incatenando lo sguardo in quello di Natasha palesando la sua decisione… lascia andare Novokov senza pensarci due volte, concedendogli la possibilità di fuggire sbaragliando senza problemi ogni Agente che gli si para davanti, isolando la confusione che imperversa intorno a lui relegandola a rumore di fondo, mentre prega silenziosamente che il suo piano suicida non finisca per rivelarsi tale.

-мой маленький танцор7... -la richiama indietro riuscendo a spezzarle il respiro e farle tremare appena le mani in risposta, percependo una increspatura nei suoi occhi, chiudendo i propri, la paura viscerale di morire soppiantata dal terrore puro che Natasha si risvegli solamente dopo avergli piantato un proiettile dentro la scatola cranica. -Sono io, sono James… amore… 

Percepisce il tonfo sordo delle ginocchia della donna che baciano il pavimento, seguito da un singhiozzo strozzato che collide e si smorza contro le sue labbra, mentre Natasha incassa la testa contro il suo collo artigliandogli le spalle, lasciandogli sulla bocca il sapore salato delle lacrime.

-James… potevo ucciderti… 

-Non l’hai fatto. -mormora contro la sua tempia inglobandola in un abbraccio, stringendola il più forte possibile mentre il suo cuore sanguina nel vederla piangere… è talmente raro che James sente distintamente le sue difese cedere di colpo, schiarendosi la voce dissipando il groppo che gli si era formato in gola. -Forza, in piedi… torniamo a casa.

-Ma Novokov è scappato. -ribatte la donna con una affermazione ovvia, scostandosi dalla sua presa quasi di scatto, cancellando le lacrime con un gesto sbrigativo della mano ricostruendo la facciata della donna impassibile di fronte a qualunque cosa.

-Me ne farò una ragione. 

-No. -lo contraddice spiazzandolo, fulminandolo con sguardo temporalesco. -Io sto bene e non ti ho ucciso, torno con gli altri all’Helicarrier, tu inseguilo… non può essere andato troppo lontano. 

Non vorrebbe, ma non può nemmeno darle torto, affidandola alla scorta e ritrovandosi a correre a rotta di collo lungo i marciapiedi fuori dal teatro alla ricerca disperata di Novokov, avvistandolo a cinque tetti di distanza. 

Lo raggiunge spalancando le porte del palazzo abbandonato in cui la visto scomparire, aggirandosi circospetto tra i corridoi spettrali, ritrovandosi all’interno di uno stanzone mal illuminato, vuoto e spoglio… comprendendo di essere caduto nel tranello quando trova il corpo svenuto di Rodchenko legato ed imbavagliato al centro della stanza, un’allegoria inquietante di un bel pacco regalo contenente una bomba mortale.

-Nick, niente Novokov, ma ho trovato Rodchenko. -comunica all’Helicarrier attraverso la ricetrasmittente, senza ricevere risposta alcuna. 

-Fury, se è uno scherzo non è divertente… -ritenta, con una traccia di panico ben palpabile nella voce. -Qualcuno mi risponda, dannazione.

-Barnes. -gracchia la ricetrasmittente in risposta un quarto d’ora e decisamente troppe imprecazioni dopo, la meravigliosa sensazione della voce di Maria Hill che gli perfora un timpano ricollegandolo al mondo. -Torna qui, subito.

-Che è successo?

-Romanoff… è impazzita, ha sparato a Nick ed è scappata. Ti prego, torna subito qui.





 

Note:

  1. Credo che qualche breve delucidazione sia d’obbligo: Maria Hill, secondo la mia versione dei fatti, è l’attuale Capo dello SHIELD e fa sede al Complesso (pur facendo costantemente rapporto a Fury, che continua a reggere le redini dell’universo dall’alto dell’Helicarrier).

  2. Alla fine di “Till the end of the line” ho lasciato Steve in un appartamento a Brooklyn, convive con Sharon Carter e si gode la vita familiare nel suo ruolo di Consulente/mentore bazzicando ancora per il Complesso, ma ha ormai abbandonato l’uniforme e lo scudo lasciandolo in eredità a Sam.

  3. Rebecca Barnes, fumettisticamente parlando, la sorella minore di Bucky (ed “adottiva” per Steve), mi sembrava giusto chiamarla in causa visto che in “Till the end of the line” (capitolo 20) l’ho lasciata alla casa di riposo, ultranovantenne e malata di demenza senile. 

  4. Secondo l’MCU Bucky è nato il 10 marzo 1917.

  5. 1956” / piccolo riassunto sui misfatti di Mosca: Natasha e Bucky si sono conosciuti, sono stati amanti, hanno sfidato la sorte progettando la fuga quando i Capi hanno combinato il matrimonio di Nat con Alexei, li hanno scoperti, torturati e resettati, mentre il culmine della catastrofe ha avuto luogo al Bol’šoj con Čajkovskij di sottofondo (le specifiche del caso ve le lascio scoprire da soli). Successivamente in “Till the end of the line” (capitolo 16) spiego come James sia finito in Siberia, mentre Natasha ha sposato Alexei Shostakov convinta di provare per lui i sentimenti che provava per James, è stata reintegrata nel KGB come Vedova dopo la morte del marito a causa di un incidente missilistico ordinato dai Capi per limitare i danni quando lei riconosce Bucky come il killer di JFK. 

  6. Traduzione dal russo: “Maestro”.

  7. Traduzione dal russo: “Mia piccola ballerina”.

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Capitolo 7
*** Prima parte - Capitolo VI ***


PRIMA PARTE - CAPITOLO VI



 

4 agosto 2018, Helicarrier, nei cieli

 

-Hill, aggiornami. -proclama James varcando la soglia dell’ala medica a passo spedito, scontrandosi quasi con Maria che lo stava raggiungendo seguendo la sua voce, gli occhi fissi sullo schermo mentre digitava dei comandi sul tablet.

-Guarda tu stesso. -commenta atona scostandosi dalla soglia, permettendogli di far scorrere lo sguardo sulla stanza, contemplando silenzioso le tracce del caos generato da Natasha. -Nessuno poteva prevederlo… e tu non eri qui per placarla.

-Mi ha mandato via apposta… il salvataggio, anche quello faceva parte della programmazione. -afferma atono vedendosi porgere le registrazioni delle telecamere di sicurezza, avviando il filmato sforzandosi di studiare la situazione da un punto di vista prettamente analitico.

Non era previsto che presenziasse anche Maria all’operazione, ma Fury aveva insistito perché lei ci fosse e James aveva liquidato la richiesta come un semplice eccesso di paranoia. Con il senno di poi evidentemente Nick aveva captato qualcosa, una sorta di sesto senso che l’aveva spinto ad infilarsi il giubbotto antiproiettile sotto la divisa nonostante fosse completamente al sicuro nell’Helicarrier… dopotutto Nick Fury era Nick Fury, e doveva ringraziare quel giubbotto antiproiettile se non era stato spedito al creatore con il primo colpo, raggiungendo la sala operatoria con un intero caricatore di piombo in corpo, ma miracolosamente ancora vivo.

-Ci sono stati morti? -chiede titubante, consapevole che se la risposta fosse stata positiva la compagna si sarebbe ritrovata in un mare di guai.

-Fortunatamente no, solo Nick… -afferma Maria con tono pratico, indicandogli la ripresa video. 

James osserva il come Natasha si fosse comportata normalmente fintanto che i medici la rimettevano in sesto, cambiando radicalmente atteggiamento quando Fury aveva varcato la soglia dell’ala medica, afferrando l’automatica e scaricando l’intero caricatore addosso a Nick, spintonando gli Agenti che l’avevano assalita all’istante mettendoli velocemente tutti fuorigioco, seguendola attraverso il circuito di telecamere fino alla pista di decollo, requisendo un velivolo senza che nessuno riuscisse a fermarla in tempo od avesse i requisiti adatti per confrontarsi con la Vedova Nera uscendone vivo dallo scontro. 

-Non sarei riuscito a fermarla nemmeno io, Maria. -afferma James mesto, attivando il blocco schermo e restituendo il tablet alla donna.

-Avrei da ridire sull’argomento… 

-Non in modo indolore. -concede irritato dal doverlo sottolineare, fulminandola con lo sguardo. -Tu ce li hai degli scrupoli, Maria?

-Nick è sotto i ferri. -replica con tono ovvio, come se bastasse a giustificare il tono di velata cattiveria con cui aveva proferito la frase, lanciando una tacita accusa alludendo alla loro gestione opinabile dell’intera faccenda… James non aveva davvero bisogno di un promemoria della discussione avvenuta tra le mura del Complesso dieci giorni prima, di come Fury aveva contestato tutti i segreti e le bugie a fin di bene che Natasha aveva pronunciato per coprirgli le spalle senza mai fare rapporto, lasciando a Hill l’onere di fare l’elenco delle infrazioni commesse sottolineando la sua scarsa attitudine alle regole.

-Voglio parlare con Rodchenko. -cambia argomento deciso, lasciando intendere l’affermazione come una richiesta che si sforzava di essere gentile, puntando lo sguardo al corridoio che portava all’ufficio dove avevano rinchiuso il medico una volta che lui l’aveva trascinato di peso a bordo. -Si è ripreso?

-Con noi non parla. -ribatte Hill lasciando intuire la risposta affermativa. -Cosa ti fa pensare che con te sia diverso?

-Perché Rodchenko sa che lo SHIELD non fa martiri… ma di me ha paura, sa per esperienza personale che tendo ad infrangere il regolamento. -confessa con una frecciatina pungente, ottenendo un vago cenno di un sorriso da parte della donna. -Fidati, so controllarmi. 

-Seguimi. -ribatte efficiente Maria, cancellando l’astio dalla voce ritornando operativa, facendogli da apripista lungo i corridoi, ma sbarrandogli la strada ad un passo dalla porta. -Promettimi che non andrai in escandescenza.

-Maria… 

-Mi fido, ma qualunque cosa dirà Rodchenko, promettimi che non andrai in escandescenza. -ripete decisa ottenendo un cenno di assenso, spostandosi di lato abbassando la maniglia al posto suo, seguendolo a ruota varcando la soglia allegandoci un monito a portata d'orecchio. -Ti tengo d’occhio, niente scherzi.

James ha appena il tempo di posare la suola degli scarponi oltre la porta che il medico è già schizzato in piedi dalla sedia, appiattendosi contro il muro opposto frapponendo tra loro una certa distanza di sicurezza dopo aver incrociato i suoi occhi grigio tempesta, ottenendo un occhiata fulminante da parte di Maria quando si volta a fare spallucce… dopotutto non può farci davvero niente se ha una certa reputazione che lo precede.

-Dottore… 

Rodchenko resta indifferente al richiamo, impassibile nonostante sia addossato al muro, soppesandolo a distanza nel tentativo di prevedere le sue reazioni.

-Lei non vuole vedermi arrabbiato, Doc.

-Perché? Ora come ora non lo sei? -lo sfida il medico con lo sguardo, valutando quanto può permettersi di tirare la corda prima di ritrovarsi le sue impronte di metallo incise sulla trachea.

-Ora come ora mi contengo. La programmazione era a due livelli, vero? -chiede con tono duro senza preamboli ritenendo superfluo specificare il soggetto, dopo tutti i trattamenti che ha subíto sarebbe strano se fosse all’oscuro di come funzioni l’intera procedura, ottenendo un cenno di assenso da parte del medico.

-Il primo livello era una copertura per il secondo, ho riutilizzato ricordi pre-inseriti… il massimo risultato al minimo sforzo. -spiega velocemente Rodchenko, premendosi ancora di più contro il muro quando James avanza di un passo chiedendogli quali siano le implicazioni neurologiche con tono vagamente minaccioso. -Ho dovuto spezzare nuovamente i legami riallacciati… il problema è che tu sei ovunque nella mente di Natalia, ho dovuto scindere tra l’utile ed il romantico… ed ora lei crede che l’ultimo paio d’anni siano stati solo una copertura, compresa la relazione con te.

Calmo.

La voce perentoria di Natasha gli invade la testa come un campanello d’allarme, distendendo le dita che inconsapevolmente aveva stretto a pugno, imponendosi un respiro profondo dissipando la tensione delle spalle… niente scenate, niente scoppi d’ira, l’ha promesso.

-L’hai resettata… -James spezza il respiro rendendosi conto che in ogni caso il suo tono di voce ribolle di rabbia, dominandosi per non costringere Maria ad intervenire, che nel frattempo monitorava ogni suo movimento tesa e in guardia come un dobermann a ridosso della soglia. -Perché? Che interessi ha Novokov?

-Ha minacciato la mia famiglia, non mi ha lasciato molta scelta… ferirti è un effetto collaterale piacevole, ma sta eseguendo degli ordini dall’alto.

-Ordini da chi? -interviene Maria per la prima volta dall’inizio dell’interrogatorio discostandosi dalla porta, elettrizzata nell’avere finalmente una pista su cui lavorare nel vero senso della parola.

-Non lo so, davvero. -esala Rodchenko serrando gli occhi e sollevano le braccia sopra la testa quando James avanza di un altro paio di passi, portandosi a pochi metri di distanza dal medico. -Sono rimasti in pochi, fate due conti… 

-Sono conteggi non verificabili. -ribatte Maria punta sul vivo nel sentirsi ribadire quel concetto basilare inattuabile, stringendo il tablet al petto con ancora più forza. -Non abbiamo ottenuto nulla, Barnes… andiamocene.

-No. -afferma ottenendo in cambio uno sguardo interdetto, stringendo i pugni imponendosi un filo di autocontrollo, consapevole a priori che la risposta alla domanda che sta per porre non gli piacerà per niente. -C’è una cosa che non mi torna… tra tutti gli Agenti che Natalia poteva colpire, con tutte le occasioni che aveva di fuggire o di uccidere Nick senza la presenza inopportuna di un pubblico… perché? Perché Fury? Perché così?

-Perché Novokov aveva richiesto una modifica specifica per spezzarla nel caso ritorni in sé… -confessa Rodchenko con un filo di voce, rivolgendogli una tacita preghiera che lo scongiurava di non afferrarlo per la gola e stringere. -Secondo lui, sapere che la persona più importante per lei è stata l’innesco per uccidere la seconda la manderà fuori di testa. La Stanza Rossa, il Dipartimento X… qualunque sia il nome con cui si vogliono far conoscere ora, vogliono vendicarsi sulla Traditrice della Patria e dell’Arma Difettosa… e per farlo puntano a colpo sicuro sul vostro salvavita.

James non si era nemmeno reso conto di aver smesso di respirare, distinguendo chiaramente la corda di violino immaginaria tendersi nella sua testa e spezzarsi con un suono orribile, incespicando sui propri anfibi quando non compie quel passo mancato, girando i tacchi inforcando la porta sbattendosela con forza alle spalle, lasciando che Maria se la sbrighi da sola perché non si sente abbastanza lucido da escludere l’omicidio come soluzione al problema.

Si dirige a passo spedito verso il poligono desideroso di sparare a qualcosa per dissipare la rabbia, afferrando l’automatica centrando il bersaglio appena varca la soglia, incurante se ci sia già qualcuno ad allenarsi… è abbastanza sicuro che il suo bisogno di centrare il bersaglio figurandosi la testa di Novokov superi di gran lunga le necessità di chiunque altro.

Ripone l’arma solamente quando esaurisce i colpi in canna, realizzando di essere rimasto solo in mezzo alla stanza, concedendo alla forza di gravità di soppiantare la sua forza di volontà nel fingere che la situazione non lo tocchi, finendo per baciare il pavimento con le ginocchia… ed urla, perché arrivato a quel punto non gli resta niente altro da fare.

 

***

 

10 agosto 2018, Terrazzo, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

-...quindi non torni a casa?

-Che senso avrebbe? New York, Parigi… sono quattro mura e un tetto, non è casa. Non senza di lei almeno.

James non si sforza nemmeno di nascondere i propri pensieri di fronte a Steve, continuando a tenere gli occhi serrati mentre percepisce lo sguardo del fratello su di sé, divagando dall’aggiornamento principale sulle ricerche assecondando quella seduta improvvisata di psicanalisi, che nonostante gli argomenti spinosi trattati contribuiva a rendere meno solitarie e più tollerabili le sue giornate.

Era finito per trasferirsi al Complesso come soluzione momentanea, un po’ per non tagliarsi fuori dalla caccia all’uomo intestardendosi inutilmente sulla via del lupo solitario, un po’ perché la consapevolezza di non essere l’unico a cercare la compagna senza ottenere risultati gli evitava di precipitare nel baratro della disperazione… l’aveva addestrata bene ai tempi, Natasha non voleva farsi trovare e prevedibilmente loro avevano esaurito le speranze di riuscire a rintracciarla, a discapito di tutte le risorse che avevano a disposizione.

-Sei il tuo peggior nemico da giorni, Buck… almeno riesci a dormire? -chiede Steve il più delicatamente possibile nonostante sia già a conoscenza della risposta, forse per costringerlo a parlare senza tenersi tutto dentro, o forse per rompergli semplicemente le scatole.

-Mi hai visto in faccia, Steve? -replica socchiudendo gli occhi lanciandogli uno sguardo esasperato, indicandosi le occhiaie per sottolineare la risposta inespressa. -E guai a te se mi proponi i sonniferi, giuro che te li tiro dietro… e prima che tu me lo chieda, con gli incubi va leggermente meglio negli ultimi giorni.

-Okay… Scusa, domanda idiota. -ammette Steve con una scrollata di spalle appurando dal suo tono di voce che il momento delle discussioni psicanalitiche è terminato, alzandosi riponendo la sedia al suo posto, squadrandolo dall’alto con cipiglio accondiscendente. -Pausa finita. Torni dentro con me a fare qualcosa o pensi di restare qui a piangerti addosso ancora per molto?

-Torno dentro a far cosa? Fissare uno schermo nella speranza che compaia magicamente una pista? -ribatte James con tono ironico, sollevandosi dallo schienale con sguardo scocciato. -Non vuole farsi trovare… ormai è inutile che tu o Clint continuiate a setacciare le telecamere di sicurezza di mezzo mondo. Pensavo di essere stato già abbastanza chiaro quando sono scappato qui.

-Quindi lo ammetti che sei scappato.

James si limita a fulminarlo con lo sguardo facendolo ammutolire, adagiandosi di nuovo contro lo schienale iniziando a tastarsi le tasche alla ricerca delle sigarette… ne aveva decisamente abbastanza di quelle discussioni spinose che creavano sempre una tensione tale da poterla tagliare con il coltello, alimentata dai continui buchi nell’acqua e dalle esasperanti intromissioni in buona fede. 

-Ti unisci a noi? -ritenta Steve provando a farlo ragionare, tallonando la porta in attesa di una risposta affermativa da parte sua.

-È inutile. -rimarca convinto trattenendo il filtro della sigaretta tra le labbra, rovistando di nuovo nelle tasche cercando i fiammiferi.

-È sempre meglio di vederti qui a rimuginare… e basta fumare, lo sai che non ti fa bene.

-Vizi e abitudini sono duri a morire. -replica con la miglior faccia da schiaffi che possiede, irritato dalla situazione esasperante in sè, oltre che dalla sua vana ricerca della scatolina di fiammiferi. -Non trovo… Steve.

-Sono sotto sequestro fino a nuovo ordine. -sorride candidamente suo fratello facendo spallucce, ricambiando l’espressione da schiaffi con aria soddisfatta nell’essere finalmente riuscito ad imporgli qualcosa di non auto-distruttivo per la prima volta dopo una settimana di continue rivolte arrabbiate, inutili e fini a se stesse.

-Non puoi farlo.

-Si invece, forza andiamo.

James rimette le sigarette in tasca issandosi in piedi seguendo Steve attraverso la porta a vetri, brontolando più per abitudine che per vera irritazione, lasciandosi cadere di peso sulla sedia girevole attirando lo sguardo di Clint, che gli mette un tablet tra mani e gli consiglia gentilmente di darsi da fare. 

Nelle ore successive la tensione viene dissipata pian piano, inframmezzata da una battuta sporadica e da divagazioni di vario genere, ritrovandosi a dare una mano considerevole nell’eliminare le zone di influenza decantando aneddoti su cosa avrebbe fatto o non avrebbe fatto Novokov in base all’addestramento ricevuto, ascoltando le ragioni di Steve dal punto di vista tattico delineando svariati piani di azione, mentre Clint contribuiva con spiragli su Budapest per capire le possibili azioni di Natasha attingendo direttamente dal suo periodo più nero. 

James ignorava come fossero finiti a discutere ad oltranza sugli argomenti più disparati, ma quando aveva sollevato lo sguardo verso le finestre si era ritrovato a fissare il sole calante che tingeva il cielo di violaceo, seguito in poco tempo da una maxi pizza d’asporto sbocconcellata per cena posta al centro del tavolo e dagli avanzi della torta di compleanno lasciata dal ragazzino del Queens a pranzo1, mettendo una fine definitiva alla serata.

-Grazie… per tutto. -soffia sussurrando in risposta a Steve quando quest’ultimo si alza da tavola e gli passa affianco intenzionato a fare ritorno a Brooklyn, stringendogli una spalla in risposta e sfilando i fiammiferi dalle tasche restituendogli.

James sopprime uno sbadiglio stiracchiandosi contro lo schienale della poltrona, salutando Clint quando a distanza di un paio di minuti lo vede raggiungere la porta con l’intento di raggiungere il proprio alloggio.

-Non vai a dormire?

-No, sto sveglio ancora un po’, non ho sonno. -mente eclissando dalla sua testa la sensazione spiacevole di dormire in un letto troppo vuoto per una sola persona e la ancor più terrificante esperienza di svegliarsi la mattina dopo intrappolato tra le lenzuola con i recessi di un incubo troppo vivido che imperversa caotico nella sua mente. 

-Fa un po’ come vuoi, io non discuto. -lo liquida Clint con una scrollata di spalle, scomparendo attraverso la soglia. 

James intasca i fiammiferi e si trascina l'ultima fetta di dolce verso di sé iniziando a mangiarla svogliato, scorrendo distrattamente lo schermo del tablet con l’indice, riepilogando mentalmente il punto della situazione nella mezz’ora seguente… finendo per sopprimere l’ennesimo sbadiglio decretando di aver fatto abbastanza per la giornata, spegnendo il dispositivo spingendolo verso il centro del tavolo, mentre la sonnolenza improvvisa lo rende talmente pigro da farlo desistere dal raggiungere il divano nella sala comune.

-FRIDAY? -chiede titubante rivolgendosi al soffitto, ancora restio ad abituarsi all’intelligenza artificiale che gestisce il Complesso. -Potresti spegnere le luci? 

La stanza sprofonda nel buio completo appena termina la frase mentre gli scuri alle finestre si abbassano, sprofondando meglio contro la poltrona reclinando la testa contro lo schienale, posando i piedi sul bordo del tavolo… addormentandosi da lì a poco precipitando in uno scomodo sonno semi-agitato, ma per una volta tanto senza sogni cruenti ad animarlo.

 

***

 

12 agosto 2018, Deposito Armeria SHIELD, New Jersey

 

Natasha sta aspettando che Leonid finisca di nascondere i cadaveri delle guardie che lui ha ucciso per entrare nella base, lo sguardo perso nel vuoto mentre ascolta il ticchettio incessante della pioggia che batte sul tettuccio della macchina, seduta di sbieco sul sedile del guidatore con la portiera del fuoristrada aperta, le gambe a penzoloni nel vuoto e il capo posato contro il poggiatesta, pregando silenziosamente che il mal di testa si plachi concedendole almeno cinque minuti di pace… avvertendo le note di un pezzo swing provenire dall’autoradio, voltandosi fulminea verso le manopole dell’impianto stereo constatando che è spento, scrollando il capo scacciando a forza quei blackout che ogni tanto mandavano in corto il suo cervello con fotogrammi o spezzoni della sua copertura con Barnes senza una logica precisa.

-...secondo te?

-Cosa? -chiede ricollegandosi alla realtà tornando a prestare attenzione a Novokov, che si avvicina alla portiera sporgendosi nella sua direzione, puntellandosi alla scocca in lamiera.

-Ti chiedevo quanto tempo pensi che abbiamo prima che ci rintraccino. 

-Meno di dieci ore… abbiamo attaccato un loro deposito, li informeranno appena ci sarà il cambio della guardia. -ragiona a voce alta, scostandosi una ciocca di capelli con fare nervoso… lo sguardo temporalesco di Novokov la inquieta, è terribilmente simile a quello di un entomologo che ammira estasiato la bellissima farfalla che ha appena infilzato con gli spilli alla bacheca di sughero. -Quando facciamo ritorno alla base?

-Appena abbiamo completato la missione. -replica Leonid con tono ovvio, sollevando lo sguardo al cielo perché è già la terza volta che glielo chiede in una settimana. -Sei strana, che ti prende?

-Non ho niente… -risponde d’impulso Natasha scuotendo il capo, roteando gli occhi di fronte all’espressione dell’uomo, che sembra scandagliare ogni suo pensiero con zelo eccessivo nel tentare di leggerle la mente. -Non lo so… è come se mi sfuggisse qualcosa.

-Lascia perdere, piuttosto concentrati sulla missione… -replica Leonid prevedibile, avvicinandosi ancora di più spingendola delicatamente contro lo schienale del sedile. -Ti prometto che questa sarà una notte da ricordare e da celebrare.

Non fa in tempo a concludere la frase che Natasha lo vede avvicinarsi pericolosamente alle sue labbra, distinguendo chiaramente la scissione netta nel suo cervello tra la logica, che asseconda la memoria gestuale del suo corpo nel ricambiare il bacio, e l’impulso irrazionale, che entra violentemente in contrasto con quanto prestabilito dalle sue sinapsi, finendo per spingerla a schivare la traiettoria delle labbra di Novokov.

-No, aspetta. - lo respinge con una mano premuta alla base della sua gola, intravedendo nei suoi occhi un lampo adirato. -Non è colpa tua, solo… dopo tutto questo tempo sotto copertura con Barnes… non lo so, mi sembra quasi sbagliato.

Lo pianta in asso, scivolando sotto l’arco del suo braccio che continuava a puntellarsi alla lamiera, gettandosi sotto la pioggia infradiciandosi di proposito sperando di ottenere lo stesso effetto salvifico di una doccia gelata, raggiungendo il sedile del passeggero con espressione indecifrabile, sporgendosi sul retro del fuoristrada prelevando e rovistando nella propria borsa sfilando il pacchetto di Marlboro. 

Ha improvvisamente bisogno di fumare quanto necessita dell’ossigeno.

Calma i nervi, rinsalda le crepe, respira.

Sfugge dallo sguardo temporalesco di Novokov, che nel frattempo si era issato al posto di guida accendendo il motore, portandosi il filtro alle labbra tuffandosi alla ricerca di qualcosa all’interno della borsa con cui accendersi la sigaretta.

-Hai un fiammifero? -chiede con tono leggero quando le sue ricerche si rivelano infruttuose.

-C’è davvero qualcuno che usa ancora i fiammiferi? -replica Leonid con tono duro, palesemente arrabbiato per quel bacio mancato, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada. -Usa un accendino, dovrebbe essercene uno nel vano portaoggetti.

Natasha trova velocemente quanto richiesto, chiudendo lo scomparto con uno scatto secco, accendendo il lumicino aspirando la prima boccata di fumo… e per qualche secondo viene colta dalla strana sensazione di tornare a respirare di nuovo, ma non sa spiegarsi di preciso perchè.



Note:
1. Secondo l'MCU, Peter Parker compie gli anni il 10 agosto.

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Capitolo 8
*** Prima parte - Capitolo VII ***


PRIMA PARTE - CAPITOLO VII



 

13 agosto 2018, Cimitero Nazionale di Arlington, Washington DC

 

L’avevano trovata.

Circa quattordici ore prima le guardie del deposito militare in New Jersey avevano inviato alla base la segnalazione di un furto e due omicidi, mobilitando l’intero Complesso quando Maria Hill aveva certificato la presenza di Novokov e Natasha attraverso il circuito esterno delle telecamere di sicurezza che i due avevano avuto la premura di non debilitare, ricevendo le coordinate di tre punti di impatto seminati per tutta Washington DC sul transponder recuperato dal cadavere di Stanovich, che aveva mantenuto il suo status di silenzio radio da quando Natasha era evasa dall’Helicarrier informando Novokov del loro flebile vantaggio, tornando funzionante ed improvvisamente operativo in un chiaro richiamo alla trappola proposta.

C’era stata un’accesa discussione tra tutti i residenti del Complesso alla quale James aveva partecipato più per quieto vivere che altro, desistendo dall’impulso viscerale di lanciarsi all’inseguimento appena erano entrati in possesso delle coordinate della compagna… ma come era prevedibile, il briefing non era servito a fare il punto della situazione stabilendo un piano d’azione, anzi, si era rivelata una futile discussione sul coinvolgerlo o meno nell’operazione, ritrovandosi sorprendentemente a ringhiare contro Maria Hill con Steve e Clint a seguito.

James aveva finto un principio di ribellione quando Maria aveva ceduto affibbiandogli il target con un apparente grado di pericolo minore, spedendolo di corsa su due ruote al Cimitero Nazionale di Arlington, un obbiettivo decisamente meno appariscente rispetto al Triskelion o al Campidoglio. Aveva tenuto per sé la considerazione che, stando alle ricerche e le informazioni raccolte su Novokov negli ultimi giorni, a dispetto da quanto ipotizzato il punto d’impatto più probabile era paradossalmente il Cimitero… era ormai palese che Novokov avesse spostato la faida sul piano personale, discostandosi dal raziocinio imposto da quel Capo non ancora reso noto, ritenendo che dopo aver preso Natasha come trofeo, la stilettata finale volta a stroncarlo si sarebbe inevitabilmente verificata di fronte al memoriale eretto agli Howling Commandos, reputandolo il luogo perfetto per rigirare il coltello nella piaga attaccando il mausoleo che incarnava l’inizio della sua fine. 

James guida la motocicletta sotto la pioggia scrosciante che rimbalza gelata contro l’asfalto, aggirando le pozzanghere formatesi lungo la strada, riservandosi un minimo di accortezza aggiuntiva nell’evitare di scivolare sulla carreggiata sdrucciolevole schiantandosi contro il guard rail o un palo della luce proprio ora che si trova ad un passo da Natasha… realizzando con una folgorazione improvvisa di non essersi sentito più bisognoso di così della sua piccola ballerina, temendo un secondo crollo psicotico di fronte al dubbio di essersi sbagliato di nuovo, spaventato dal pensiero ossessivo di ritornare ad essere quel Soldato senza fissa dimora che Natasha aveva salvato dal baratro re-insegnandogli ad identificarsi nel concetto nebuloso di “casa”, fornendogli un porto sicuro a cui fare sempre ritorno.

Sterza sollevando un’onda che torna ad infrangersi contro la pozzanghera da cui era emersa, inchiodando davanti ai cancelli d’entrata del Cimitero trovando la guardia notturna tramortita nascosta da un pilastro, chinandosi portando due polpastrelli alla giugulare dell’uomo certificando le sue condizioni vitali, ottenendo al tempo stesso la conferma inequivocabile di trovarsi nel posto giusto.

James reprime l’istinto di gettarsi nella mischia con fare impulsivo, ragionando sul da farsi valutando le opzioni a sua disposizione, concedendosi un paio di respiri profondi per concentrarsi, perché oltre quel cancello c’è Natasha… che lo aspetta per ucciderlo, non di certo per essere salvata. 

-Steve. -comunica alla ricetrasmittente, assecondando lo sprazzo di buon senso che lo spinge ad avvisare il fratello. -L’ho trovata, sono al cimitero.

-Aspet-... 

-No. -lo interrompe senza dargli la possibilità di articolare più di due sillabe. -Te lo dico per avvisarti, non per chiederti il permesso.

James chiude tutte le comunicazioni prima che il fratello inizi con una sequela di raccomandazioni volte a farlo desistere dall’intervenire prima dell’arrivo della squadra di supporto, impaziente di entrare in azione, fatalmente attratto dalla dalla compagna al pari di una calamita.

Scavalca il cancello muovendosi in avanscoperta, prestando attenzione ai propri movimenti, riparandosi tra le tombe e i mausolei fino a raggiungere il monumento dedicato agli Howlings… sollevando inquieto lo sguardo su Natasha, che se ne sta tranquillamente seduta sopra la sommità della lastra di granito in sua attesa, incurante della pioggia che la sta infradiciando dalla testa ai piedi, voltandosi sorridente nella sua direzione quando percepisce la sua presenza tra le ombre.

-Amore.

James si blocca interdetto trattenendo il respiro quando sente la sua voce… con quel tono, con quello sguardo… realizzando con un secondo di ritardo fatale che Natasha non sta guardando lui, ma sta scrutando quel qualcuno alle sue spalle che ha appena chiamato “amore”.

Ruota il busto appena in tempo per schivare il proiettile che fischia al suo fianco, fronteggiando Novokov con il sangue che ribolle nelle vene, dando inizio ad una cacofonia di spari fragorosi che fanno a gara per sovrastare il rombo dei tuoni in lontananza.

-Non ti bastava averla presa come trofeo, eh?! -urla partendo alla carica, abbandonando le armi a terra nel giro di qualche minuto quando si rende contro che il fuoco incrociato si sta avvicinando pericolosamente a Natasha, timoroso di colpirla di rimbalzo, schivando la traiettoria dei proiettili trovando riparo dietro ad una lastra di marmo poco distante concedendosi di riprendere fiato.

Si puntella alla lastra di marmo, chinando la testa con la fronte premuta contro la superficie fredda, contando i secondi tra un respiro e l’altro impedendosi di iniziare ad iperventilare… distraendosi quando l’acqua gelata filtra attraverso il colletto della tenuta in kevlar scivolando lungo la sua spina dorsale provocandogli un brivido, tradito dalla propria memoria tattile che gli ripresenta inopportuna il ricordo del getto congelato del soffione della doccia quando, con una spinta più forte delle altre, Natasha aveva urtato accidentalmente il regolatore della temperatura l’ultima volta che erano finiti per fare sesso contro le piastrelle del bagno, artigliandole la pelle candida sopprimendo uno spasmo dovuto al drastico cambio di temperatura mentre la sua risata leggera gli aveva invaso i timpani.

Il fatto che la sentisse ridere anche in quel preciso momento, non era per niente d’aiuto.

-Sei qui da solo, non è vero? -lo deride Novokov da un punto imprecisato al di là della lastra di marmo. -Ovvio che sì… non sia mai che il leggendario Soldato d’Inverno si abbassi a chiedere aiuto a qualcuno!

James si riscuote dal momento di debolezza e storce la bocca in una smorfia nel sentirsi ribadire forse il suo più grande difetto, ritrovandosi inconsapevolmente a sorridere ghignando quando realizza che, nonostante la sua testardaggine, nel corso degli anni qualcosa l’aveva imparato sul serio.

-Steve, dove sei? -chiede alla ricetrasmittente riattivando il canale di comunicazione ricollegandosi con gli altri.

-In auto con Barton ad un chilometro dal Cimitero… tu come sei preso? -risponde subito con efficienza il fratello, la voce che si sentiva a stento, coperta dal vento che entrava dai finestrini della macchina e dalle imprecazioni di Clint contro la pioggia, la segnaletica stradale ed i semafori.

-Male. Ad un passo dal collasso e disarmato… gradirei un aiuto.

-Ti avevo detto di aspettare… 

-Non è il momento, Steve. -ringhia in risposta troncando la paternale sul nascere. -Datevi una mossa, io vi creo un diversivo.

James riemerge dal suo nascondiglio mettendosi in bella mostra agli occhi di Novokov pronto all’attacco, cadendo a carponi quando Natasha gli atterra sulla schiena a tradimento, iniziando a prenderlo a calci garantendo una via di fuga al Soldato, reagendo alle percosse sfilandole la pistola dalla fondina sul fianco e rifilandole un calcio allo stomaco che la fa scivolare sulla superficie marmorea delle lapidi interrate, spingendola involontariamente a trascinarsi verso Leonid in cerca di protezione… che la aiuta a rimettersi in piedi mentre James punta la canna dell’arma contro Novokov, osservando orripilato la mano del Soldato che afferra un coltello dal fodero e preme la lama seghettata contro la gola di Natasha, sfidandolo con lo sguardo ad agire.

-Amore, che stai facendo? -la traccia di panico mista a confusione nella voce della compagna gli rivolta lo stomaco sottosopra, fermo immobile osservandola impotente mentre lei cerca una spiegazione negli occhi freddi di Leonid.

-Barnes, quando vuoi, siamo in posizione. -interviene tempestiva la voce di Clint all'auricolare quando James si era ormai rassegnato all'attesa di un miracolo, ritrovandosi a ringraziare mentalmente un dio qualunque per essere intervenuto al momento giusto.

-Ora!

La freccia scocca con precisione millimetrica centrando il polpaccio della donna, che si piega in avanti sfuggendo dalla presa mortale di Novokov, mentre James reagisce fulmineo crivellando il Soldato di proiettili, abbandonando il bersaglio quando Steve si avvicina di corsa prendendo in custodia il corpo in fin di vita di Leonid… era finita, aveva appena vinto, ma James non riusciva ancora a rendersene conto.

-Natalia! -urla precipitandosi al cospetto della donna, saltando in corsa le lapidi che si interpongono tra lui e la compagna… ritrovandosi nuovamente a corto di fiato per colpa di un calcio ben piazzato allo stomaco rifilatogli da Natasha, arrestando la sua corsa prima di riuscire anche solo a sfiorarla con un dito.

-Stammi lontano! -grida con tono furente in risposta, ritraendosi contro la lapide sulla quale si stava puntellando per rimettersi in piedi fuggendo al suo tocco… registrando in sordina la ferita quasi rimarginata sull'arcata del sopracciglio e lo zigomo destro, impedendosi di focalizzarsi su quei dettagli abominevoli nella futile speranza di sbagliarsi almeno per quella volta.

-’Tasha, sono io, sono James… -ritenta avvicinandosi di nuovo di mezzo passo, il panico ben udibile dalla voce… perchè, anche se vuole negare l’evidenza con tutte le sue forze, lo vede chiaramente dalle iridi verdi della donna che non lo riconosce. 

-Chi diavolo è James? -replica Natasha confusa, bastano quattro semplici parole ed il suo stomaco sprofonda all’istante fin sotto le scarpe.

Cade in ginocchio inebetito dalla situazione, perchè nonostante Novokov abbia appena perso, James non sente di aver vinto… anzi, gli sembra di essere appena morto, riconoscendosi nelle lapidi che lo circondano, trovando solo le forze necessarie per chiedersi il motivo per cui i suoi polmoni si ribellino al suo volere continuando imperterriti a respirare.

È esattamente quello il momento in cui James prega che Leo sia già morto… lasciando che la pioggia lavi via le lacrime che gli rigano il volto.

 

***

 

14 agosto 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

-Che è successo? -la anticipa bruscamente Madame B appena Yelena varca la soglia dell’ufficio, bloccandosi interdetta stringendo tra le dita il messaggio decriptato inviatogli dai loro contatti in America.

-Novokov è morto, ha fallito. -riassume spiccia porgendo il telegramma alla donna, che lo osserva critica piegando la bocca in una smorfia che dichiara disappunto.

-Alla fine non ha resistito, ha voluto fare sfoggio del suo trofeo… uomini. -riprende con tono tra il seccato e la sufficienza, allegandoci in chiusura un insulto generalizzato, appallottolando il foglio di carta tradendo un moto di profonda irritazione. -Almeno ha fatto qualcosa di quanto mi ha promesso?

-Lei ha detto che se vogliamo affermarci dobbiamo toglierci lo SHIELD dai piedi, quindi direi che Novokov ha quantomeno ottenuto una finestra… -lo giustifica Yelena esponendo le informazioni pervenute. -Momentaneamente siamo senza Nick Fury in gioco e con due dei suoi mastini danneggiati su tre… tuttavia зимний солдат1 ha recuperato la царица2 e a mio avviso… 

Madame B storce le labbra a metà resoconto evitando accuratamente di esprimersi, gettando Yelena nella confusione più totale spingendola a fermare il suo rapporto… credeva di essere stata informata dei piani completi, non di una singola parte.

-Cosa non mi sta dicendo, Madame? -la provoca sottile incrociando le braccia al petto, per una volta incurante del dimostrare al suo superiore quanto sia turbata dalla faccenda.

-La царица2 doveva fare ritorno a casa -brontola Madame B facendo trasparire la confessione dalle labbra mascherandola in una nozione di poco conto, liquidando l’affermazione con una scrollata di spalle. -... ma va bene anche così, abbiamo danneggiato entrambi i mastini russi, non possiamo considerarlo un fallimento completo.

-Non capisco, Madame. -afferma spaesata Yelena, cercando inutilmente un nesso tra la separazione dei suoi due maestri ed il desiderio contrastante del suo Capo nel volere il ritorno della Traditrice tra le fila della Stanza Rossa, trovando la spiegazione in una deduzione che non la aggrada per niente. -Il mio operato non la soddisfa?

-Il tuo operato è eccellente, Yelena. Non ho avuto mai dubbi su questo.

-Grazie, Madame. -finge riconoscenza, abbassando leggermente il capo.

Yelena Belova è ben consapevole di non essere all’altezza della leggendaria Natalia Romanova, ma negli anni aveva sviluppato l’innata dote di capire quando qualcuno le mentiva, anche se quel qualcuno era una bugiarda professionista come il suo Capo.

Madame B non l’aveva espresso a voce ma segretamente desiderava sostituirla, l’occasione era sfumata traducendosi in un nulla di fatto, ma l’intenzione c’era stata… e Yelena aveva faticato troppo a lungo per arrivare a sfiorare la vetta della gerarchia del Leviathan solamente per vedersi soffiare il suo posto da sotto il naso dalla perfetta Natalia Alianovna Romanova, che nonostante un tradimento, un parricidio, una decina di rivolte varie ed una nota rossa sbiadita sul curriculum continuava a vantare immutata il suo status di Zarina2 e di pupilla agli occhi di Madame B.

Non era giusto… nonostante tutti i suoi sforzi, la sua tempra ed il suo essere ligia al dovere, Yelena sapeva senza ombra di dubbio che Madame B non ci avrebbe pensato due volte nell’ordinare il suo assassinio se solo avesse fiutato aria di tradimento. Quella era stata la sorte di sua sorella, dopotutto… ma non di Natalia. 

Poco importava se aveva tentato la fuga in tre occasioni diverse, se aveva costretto i Capi ad anticipare la cerimonia di laurea a sedici anni3, se avevano dovuto resettarla innumerevoli volte, se si era ribellata per difendere l’amore di un Soldato corrotto, se li aveva traditi parteggiando per gli americani in nome di una salvezza emancipata, se aveva ucciso il suo stesso padre per proteggersi dai fantasmi che minacciavano di distruggere il suo castello di fantasie in cui desiderava continuare a vivere… non importava, perché se una sola azione di quelle avrebbe decretato la morte istantanea di Yelena senza causare alcun tipo di rimorso, la stessa legge non si sarebbe mai e poi mai applicata alla Zarina. 

-Comunque, stavo dicendo… a mio avviso, credo abbiano capito che puntiamo al salvavita, Rodchenko deve essersi lasciato sfuggire qualcosa. -riprende Yelena con tono neutro, valutando la reazione di Madame B per agire di conseguenza, interrogandosi sul motivo per cui continuasse a cercare di compiacerla a discapito del trattamento riservatole, riscoprendosi nostalgica del rapporto tra pari che aveva instaurato con Leonid in quei mesi… nonostante fosse un idiota certificato, nonostante fingesse di odiarlo per tre quarti del tempo.

-Non è il salvavita che loro pensano, almeno Novokov non è stato così stupido da condividere tutti i nostri piani con lo psichiatra… Rodchenko si è limitato a fare il suo lavoro, li ha separati… siamo al sicuro Yelena, non preoccuparti. -la liquida Madame B con lo stesso tono inquisitorio che di solito usa per rimproverarla quando lei mette in dubbio la sua autorità.

Il suo Capo si ostina a non capire che a Yelena Belova non importa assolutamente niente di sentirsi al sicuro, che lei ride in faccia a quel genere di pericolo perché sa difendersi in modo egregio da sola… ciò che la impensierisce davvero è che nonostante la separazione, ciò non esclude a priori che i Traditori possano collaborare riassemblando il puzzle di indizi sfuggiti al loro controllo, raggiungendo la soluzione al tranello prima dei tempi previsti… perché la Zarina sarebbe dovuta morire subito dopo lo spettacolo al Bol’šoj come da accordi iniziali per evitare esattamente quel genere di inconveniente, biasimando Novokov per aver voluto dimostrare a tutti i costi al suo Maestro di essere migliore di lui in tutto attuando una vendetta controversa, ma incolpando soprattutto Madame B per averlo assecondato ed essersi intestardita nel non volerle attribuire i suoi meriti bramando in modo del tutto incoerente il ritorno di una Romanov in Patria.

-Madame, non credo… -tenta inutilmente di ammonirla, più per la forza dell'abitudine che per vera apprensione, venendo puntualmente interrotta bruscamente.

-Non discutere Yelena, faccio io le regole. -ci tiene a ribadire la donna con tono autoritario, sfidandola con lo sguardo a protestare, promettendole conseguenze spiacevoli nel caso si azzardi seriamente a contestarla esprimendo la sua vera opinione.

-Certo, Madame. -china la testa in risposta, tenendo a bada il sangue che le ribolle nelle vene, facendo buon viso a cattivo gioco mentre architetta il modo perfetto per entrare nell’ufficio della donna ed accaparrarsi il telefono. -Il Capo è lei… ed io conosco le sue regole.





 

Note:

  1. Traduzione dal russo: “Soldato d’Inverno”.

  2. Traduzione dal russo: “Zarina”, uno dei tanti alias di Natasha.

  3. A sedici anni Natasha ha avuto una figlia (Rose), la bambina è nata morta, ma è stato necessario anticipare la cerimonia di laurea (metodo Kudrin) per evitare altri spiacevoli inconvenienti. In parole povere, ciò che Natasha ha intravisto nella visione di Wanda in AoU.

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Capitolo 9
*** Prima parte - Capitolo VIII ***


PRIMA PARTE - CAPITOLO VIII



 

10 marzo 2018, Casa Stregata, Disneyland Paris

 

James reclina la testa contro il bordo dello schienale della panchina, le gambe distese, il sole caldo che gli scalda il volto e nessuno pensiero minaccioso per la testa.

Felice. Delle montagne russe, di essere lì con Natasha, suo fratello e Sharon… di avere 101 anni sulle spalle e sentirne il peso di una quarantina appena, nonostante la compagna abbia voluto sottolineare la cosa vincendogli al tiro a segno un peluche extra-large di Pongo, che ora giaceva abbandonato ai piedi della panchina in una finta guardia illusoria contro qualunque fonte di disturbo. Peccato che nemmeno un dalmata di peluche poteva far qualcosa contro uno Steve taciturno, che lo fissava già da un paio di minuti con un argomento spinoso pronto a fior di labbra… James lo sentiva nell’aria tesa che si era formata negli ultimi minuti, senza la necessità di vederlo effettivamente con i propri occhi.

-Da quando devo darti io il permesso per rompermi le scatole? -esordisce socchiudendo appena un occhio, puntandolo sul sorriso tirato del fratello.

-Dobbiamo parlare. -replica eludendo la domanda, ed il fatto che abbia scelto quella tempistica perfetta che prevedeva l’assenza delle ragazze –inviate in missione per reperire qualcosa per pranzo–, gli suggeriva a gran voce che l’argomento da chiamare in causa non prometteva assolutamente nulla di buono.

-Di cosa? -ribatte con un vago cenno di titubanza, ha paura di chiederlo ma sa che non può evitarlo.

-Nostra sorella1.

Eccolo. Brutale e lapidario, esattamente l’argomento che almeno per quel giorno avrebbe voluto evitare, nonostante fosse consapevole di non poterlo procrastinare ancora a lungo.

Circa tre settimane prima, la data la conosceva bene ma preferiva illudersi di non aver tenuto conto dei giorni, era successo l’inevitabile… Rebecca1 si era spenta –perché morta era una parola troppo brutta anche solo per pensarla– e a James era mancato il terreno sotto i piedi, forse perché tutte le persone che lo circondavano quotidianamente invecchiavano in modo estremamente lento ed una morte naturale il più delle volte non era nemmeno un’ipotesi contemplata, forse perché lui per primo sarebbe dovuto morire a ventisette anni e contro ogni logica o previsione aveva raggiunto l'impensabile cifra del secolo sulle spalle.

Aveva affittato un albergo a Brooklyn per un paio di giorni per non avere gente intorno ed aveva presenziato al funerale in ultima fila, seguendo il corteo fino al cimitero per poi fuggire prima che i suoi parenti potessero assediarlo come era capitato a Steve al termine della funzione… James forse aveva più diritto di tutti di stare , ma si era sentito terribilmente di troppo, girando i tacchi scappando dal cimitero, sopprimendo la sensazione di star davanti alla tomba del se stesso ventisettenne che aveva abbandonato la sorellina sotto i fuochi delle guerra, ma tornato giusto il tempo di una chiacchierata in una camera d'ospedale finita anch’essa nell’oblio della mente di Rebecca.

Aveva fatto i bagagli ed era salito sul primo taxi raggiungendo l’aeroporto, aveva passato l’intera serata ad aspettare il primo volo di linea diretto a Parigi, sbocconcellando appena un panino per cena… e in tutto questo Natasha, ombra onnipresente e consapevole, aveva assecondato ogni sua più piccola decisione dopo avergli chiesto se la riteneva davvero la scelta più corretta, timorosa per suoi possibili rimpianti postumi che lui aveva giurato di non avere, finendo per fargli da cuscino umano –la prima notte di tante– quando le loro schiene avevano toccato il materasso e James si era addormentato con il capo posato tra l’incavo dei suoi seni. Preferiva non pensare a cosa sarebbe successo se non ci fosse stata Natasha al suo fianco.

-Sei scappato dopo il funerale, il resto dei tuoi parenti avrebbe voluto quantomeno conoscerti… e sono più parenti tuoi che miei, Buck. -riprende Steve appurando la completa assenza di una qualsiasi reazione da parte sua.

-Fidati, stanno meglio se non mi conoscono… -replica sincero, negli ultimi anni aveva sviluppato una sottospecie di orticaria nei confronti dei legami familiari, prefigurandoseli come serpenti malevoli che gli si attorcigliavano lentamente intorno al collo soffocandolo… si fidava di relativamente poche persone e non tutte gli stavano propriamente simpatiche, aveva imparato a proprie spese che ogni legame rappresentava un punto debole. -C’è un motivo in particolare se hai tirato fuori l’argomento? Oppure volevi solo rimarcare la mia poca educazione?

Steve distoglie lo sguardo e ridacchia da solo scuotendo la testa, spingendo James a raddrizzarsi contro la panchina cercando una risposta nello sguardo azzurro cielo del fratello dietro a quella reazione insolita.

-Ti ha citato nel testamento, cretino. Se mi lasciassi finire le frasi magari… ti ho risparmiato l’incombenza di presenziare all’apertura, ma mi sembrava giusto informarti della cosa di persona.

-Ah. 

Ammutolisce di colpo perchè al testamento non ci aveva davvero pensato, chiedendosi il come ci fosse finito dentro, considerato che per buona parte della sua vita Rebecca l’aveva creduto morto ed una sola visita alla casa di riposo non poteva sanare una convinzione vecchia di decenni.

-Eri andato a trovarla3. -riprende Steve dopo pochi secondi dalla durata di secoli, ponendo l’affermazione con tono neutro.

-Solamente una volta… volevo farle sapere che ero vivo, che stavo bene. -cede con qualche attimo di tentennamento a riempire il silenzio, consapevole del fatto che dopotutto non ha nessun altro con cui parlarne. -Dubitavo se ne ricordasse… sai, la malattia e tutto il resto… 

-Le hai presentato Natasha, non è vero? -chiede allora Steve a bruciapelo, facendolo trasalire nel udire quel fulmine a ciel sereno.

-Tu questo non puoi saperlo… te l’ha detto Natalia? -indaga, reprimendo il pensiero che non sempre apprezza quando la compagna e suo fratello parlano di lui alle sue spalle.

-No, ma Rebecca l’ha lasciato scritto, accennava all’idiota indeciso di suo fratello Jimmy e la sua fidanzata definitiva… -si spiega sorridendo di fronte alla sua espressione incredula. -Per citare testualmente, ecco.

-Carino come mi abbia dato dell’idiota anche nel testamento… -mormora incapace di analizzare ed elaborare correttamente l’informazione appena ricevuta, ritrovandosi a sorridere inebetito perchè alla fine Rebecca si era ricordata di lui, sapeva che era vivo e che era felice da qualche parte del mondo. -Cosa mi ha lasciato? Le mie lettere del ‘43? So che non le ha mai buttate via… 

-Ti ha lasciato l’anello di mamma.

James ammutolisce di nuovo… non tanto perché nella sua testa la notizia accendeva all'istante un cartello a neon con la scritta “matrimonio” illuminata ad intermittenza –dopotutto quella era un’ipotesi che gli aveva già sfiorato la mente un paio di volte tra il 1956 e il 2018–, ma perchè Steve aveva appena chiamato Winnifred1 “mamma” ed era una di quelle cose che non faceva mai, nemmeno a quattordici anni quando, dopo la morte di Sarah, vantava un po’ più di diritto di quello attuale nel reclamare propria la sua, di madre… realizzando solo in quel momento di averlo lasciato solo al cimitero, davanti alla tomba di quella che era anche sua sorella, assediato da parenti che desiderava evitare in ugual misura alla propria, forse anche maggiore dato che quei familiari non erano davvero suoi.

-Io faccio solo da tramite… ciò non significa che sei obbligato… -continua imperterrito Steve nel suo discorso, perfettamente inconsapevole –o forse non così tanto– di averlo perso ancora una decina di parole fa, dandogli una tacita conferma tradendosi con lo sguardo che lo prega di concentrarsi sull’argomento “testamento” senza rinvangare nuovamente la discussione “funerale” quando incrocia le sue iridi ghiacciate.

-Non sono obbligato, ma mi ha dato l'incentivo… -interviene James troncando la filippica iniziata da Steve, spintonandolo leggermente con la spalla, ricambiando lo sguardo facendogli intendere che sì, ha capito.

-Bucky, davvero, niente pressioni. -insiste testardo come un mulo, perchè forse tra i due quel discorso voleva essere evitato più da Steve che da lui stesso, forse perché paradossalmente quello con le idee più chiare in testa era proprio James.

-Procrastino da così tanto… volevo sposarla nel ‘56, Steve. -confessa così su due piedi senza rifletterci troppo, beccandosi un’occhiata stralunata in risposta. -Probabilmente sarebbe stata la prima cosa che avrei fatto appena fossimo riusciti a scappare da Mosca…

-Che è successo a Mosca? Successo davvero… non me l’hai mai detto.

-Ci hanno scoperti e poi… tante cose brutte, tutto qui. -lo liquida in malo modo.

-Non è tutto qui. -replica prevedibile facendogli sollevare lo sguardo al cielo.

-È la parte che ti voglio raccontare, fattela bastare. -rimarca brusco con tono definitivo, lasciando cadere il discorso nel silenzio.

-Okay… ma ora convivete già da un po’, cosa stai aspettando? -chiede Steve dopo attimi di studiato silenzio, prestando una cura eccessiva nella scelta delle parole e nel tono di voce.

-Tranquillo, il matrimonio non è uno degli argomenti tabù2. -lo rassicura con un cenno distratto della mano. -Non lo so… in un certo senso l’indefinito è rassicurante.

James lascia precipitare il discorso nel vuoto e Steve non fa nulla per risollevarlo, cadendo con lo sguardo color ghiaccio sulla scatolina di velluto, aprendola ammirando il piccolo brillante incastonato nel solitario, ripensando all’ultima conversazione avuta con Rebecca ritrovandosi a ridacchiare da solo.

Sai, Jimmy è troppo preso dal preoccuparsi per chiunque altro, al punto da dimenticarsi di preoccuparsi per se stesso3.

-Che c’è? -chiede Steve confuso dal suo improvviso sprazzo di ilarità.

-Mi ero beccato una predica indiretta che credo di aver capito solo ora, l’ultima cosa mi ha detto è “io ti lascio in buone mani”... forse avrei dovuto seguire subito quel consiglio, prima che iniziassero gli imprevisti, il processo e tutto il resto. -ammette chiudendo di scatto la scatolina in velluto facendola scomparire nella tasca dei jeans, sollevando lo sguardo sulle ragazze di ritorno con i sacchetti del pranzo tra le mani.

James non aveva mai scoperto la risposta sagace con cui Steve stava per ribattere alla sua considerazione, reagendo d’istinto entrambi comportandosi come se quella conversazione non si fosse mai verificata. Era tornato con la schiena incurvata contro la panchina, gli occhi socchiusi osservando la figura snella di Natasha camminargli incontro mentre gesticolava animatamente con Sharon, probabilmente di quanto erano insopportabili lui ed il fratello a volte. Natasha non ha nulla di speciale –con la treccia scompigliata, le sneakers dalle suole consumate ed il cerchietto con le orecchie da Minnie in testa a tenerle le ciocche ribelli lontane dal volto–, ma quando si volta nella sua direzione e gli sorride di riflesso, la consapevolezza che quel sorriso sia suo fino alla fine dei suoi giorni fa sentire James al settimo cielo. 

La fine dei suoi giorni non è un traguardo niente male, potrebbe seriamente iniziare a pensare di ufficializzare la cosa.

 

***

 

17 agosto 2018, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

-Niente da fare. -afferma Wanda Maximoff chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo secco, la voce esile segnata dallo sforzo appena compiuto e dalla frustrazione latente per non aver avuto successo nel compito affidatole. -Sembra di guardare uno specchio rotto… i ricordi sono lì, ma sono scollegati e l’immagine che ne traspare è…  deformata.

-Non puoi riprovarci? -chiede Steve con fare gentile, una flebile speranza ancora impigliata nelle corde vocali. -Tentare di mettere insieme i pezzi, creare dei ponti… 

-La mente umana è complessa, Cap. -ribatte la ragazzina abbattuta. -Non funziona in modo così semplice, i ponti si possono ricostruire, ma è un processo lento ed interno… io non posso intervenire più del dovuto, rischio solo di fare ancora più danni… e se devo essere sincera, non mi piace soffermarmi troppo a lungo nella mente di Natasha.

-Hai visto Mosca? -indaga Clint mantenendosi sul vago, perchè nonostante la situazione certe informazioni continuando a non essere di completo dominio pubblico.

-Praga4, Odessa, Parigi… soprattutto Mosca, è lì lo snodo principale, ed è anche la parte più confusa e inframmezzata.

-Sono i ricordi su cui hanno messo più volte le mani… -conferma Clint mesto, lasciandosi cadere affranto contro lo schienale di pelle.

-Okay… scartando i poteri telecinetici di Wanda dalle opzioni attuabili, ci restano solo i poteri mistici di Strange prima di dover intervenire chirurgicamente… e in quel caso potrei contattare Shuri, ha già fatto un lavoretto niente male con te, Barnes… o sbaglio5? -annuncia Tony scartabellando la lista olografica sospesa sopra il tavolo, spuntando le possibili soluzioni con una leggera notifica sonora, percependo lo sguardo dell’ingegnere addosso, seguito da uno schioccare di dita particolarmente seccante ad un metro dal suo orecchio. -Terra chiama Barnes, stai dormendo? Gradirei sentire la tua opinione, dato che l’argomento in esame è il cervello della tua fidanzata.

-Non sto dormendo, sto pensando. -replica James scorbutico, aprendo gli occhi riducendoli a due fessure puntate contro Stark, raddrizzandosi contro lo schienale della poltrona su cui era sprofondato nell’ultima mezz’ora.

-E a cosa pensi? -indaga Tony tamburellando contro il vetrino dell’alloggio per nanoparticelle, sopprimendo l’impulso di rispondergli in modo altrettanto burbero, sforzandosi di mantenersi indifferente al suo sguardo temporalesco.

-Penso che dovremmo fermarci qui… smetterla con i tentativi, lasciarla in pace.

-Non lo vuoi sul serio. -replica Steve tempestivo intromettendosi, puntando lo sguardo azzurro cielo su di lui con fare apprensivo.

-Invece credo proprio di sapere cosa voglio. -replica piccato puntando i gomiti sul tavolo. -Natasha ricorda quello che le serve sapere… il KGB, Budapest, l’addestramento allo SHIELD, New York e tutto il resto. Mosca è un po’... confusa, ma lo è sempre stata.

-Mosca è confusa perchè non si ricorda minimamente di te, Bucky. -interviene Clint lapidario, portavoce dello scetticismo comune nel credere che la situazione non lo tocchi minimamente, perfettamente consapevoli che lui stia fingendo che quei risvolti gli vadano bene. -Blackout totale su Mosca e l’ultimo paio d’anni. Blackout su Parigi.

-Lo so, sono cinque giorni che non parlate d’altro. -replica scocciato passandosi una mano sul volto, completamente esausto ed insofferente agli ultimi sviluppi.

C’era un motivo se Natasha non l’aveva riconosciuto al Cimitero, era iniziato come un sospetto fagocitato dalle ferite singolari sul volto della donna, ma ne aveva avuto la conferma il giorno dopo quando l’avevano sottoposta a vari test neurologici… James non esisteva più nella mente di Natasha, era stato troncato di netto dalla sua vita lasciandole solamente un collegamento sbiadito nel suo passato, troppo debole per formare un ricordo vero e proprio o per fare da collante nel guazzabuglio che si era creato nella sua testa. Rodchenko aveva confermato la prognosi comprandosi la grazia dello SHIELD, appurando che Novokov non aveva le competenze adatte per intervenire nella mente di Natasha, resettandola un’ultima volta prima dello scontro ad Arlington sostituendolo nei ricordi della donna quel tanto che bastava per renderla completamente asservita al suo volere… dopotutto voleva un trofeo obbediente, importava relativamente poco il come l’aveva ottenuto. 

Quando l’aveva scoperto, James si era ritrovato a pensare che ad averlo saputo prima avrebbe sicuramente reso la dipartita di Novokov una lenta e prolungata agonia… ma poi aveva ammesso a se stesso che forse era stato meglio così, dominando l’impulso sadico che bramava la vendetta postuma, che l’essere morto crivellato di proiettili soffocando nel proprio sangue poteva considerarsi un destino altrettanto bestiale. L’aveva pensato, ma non ci credeva davvero… e poi quel pensiero era stato presto soppiantato dalla consapevolezza fulminante che tutto l’orrore che Novokov aveva provocato, l’aveva causato perché lui era un bersaglio ed il modo migliore per colpirlo a morte era puntare un mirino su Natasha e fare fuoco, ritrovandosi nei giorni successivi ad arrancare a corto di fiato in un tentativo fallimentare dopo l’altro.

-James… -ritenta Steve nel tentativo di farlo ragionare, forse perchè tra tutti è quello che conosce meglio i suoi pensieri e sa cosa significhi perdere Natasha dalla sua vita.

-Starò bene, Steve… è starà bene anche lei. -conferma convinto a tal punto che per un momento riesce quasi a credere alle proprie parole, fornendo una spiegazione sensata alla propria scelta per contrastare le espressioni contrite e spaesate dei presenti. -Le hanno già incasinato la testa per almeno altre dieci vite, non voglio che le succeda di nuovo solo per causa mia. Le ho procurato sempre e solo guai fin dal primo giorno al Cremlino, ed ho smesso di contare le volte in cui ha rischiato la vita solo per proteggermi… a conti fatti, sta infinitamente meglio senza di me.

La porta che si sbatte alle spalle zittisce il coro di obiezioni levatisi dopo aver proferito la sentenza, deciso nella sua scelta, perché in luce agli ultimi risvolti James non può fare a meno di biasimarsi… l’unico responsabile delle disgrazie di Natasha è sempre stato lui, oggi come allora, e forse quella è davvero la soluzione migliore per entrambi… o almeno, è senza dubbio la soluzione migliore per lei.

James si concede di silenziare la mente guadagnando qualche ultimo secondo di pace illusoria, lasciando pieno controllo all’istinto dettato dai suoi piedi, che tuttavia lo portano esattamente dove non dovrebbe stare… si blocca a ridosso della soglia osservando Natasha che dorme serena oltre la parete di vetro dell’ala medica, tamponando il suo cuore sanguinante imponendosi di non varcare l’entrata, consapevole a priori che se raggiunge il capezzale della donna non riuscirà mai più ad andarsene. 

Si impone di non pensare al solitario rinchiuso in un cassetto a Parigi, all’espressione fiduciosa di Rebecca nel dirgli che lei lo lasciava in buone mani, ingenua e troppo inesperta del loro mondo per credere che quelle stesse mani potessero sottrarsi, mancando la presa lasciandolo precipitare nel vuoto senza alcun tipo di paracadute ad impedirgli di sfracellarsi al suolo.

Lo sguardo gli cade inevitabilmente sul mazzo di rose rosse adagiate sul comodino che le aveva comprato, in una sorta di tacita richiesta unilaterale di perdono… e James si sente incredibilmente stupido nel stare lì come uno stoccafisso, obbligandosi a non fare un passo avanti ed allo stesso tempo incapace di compierne uno indietro, dilatando i secondi all’estremo in un tenue tentativo di rendere meno doloroso un addio che di indolore non ha assolutamente nulla.

Pensava di avere tutto il tempo del mondo, ma evidentemente era solo un povero illuso… consolandosi che almeno lui è l’unico a dover convivere con quella consapevolezza, convincendosene stringendo i denti e tenendo a bada gli occhi lucidi, bloccando le lacrime prima che possano sgorgare rigandogli le guance, causandosi l’ennesima emicrania da favola della giornata.

Sopravviverà… dopotutto dicono che il tempo guarisce tutte le ferite, ma è anche vero che da certe pugnalate non ci si riprende mai.





 

Note:

  1. Rebecca Barnes è la sorella minore di James ed “adottiva” di Steve, dopo la morte di Sarah (la madre di Steve) avvenuta nel 1932, i Barnes (Winnifred e George) l’hanno accolto in casa. Dopo la dipartita dei genitori, i tre sono rimasti insieme fino a quando Bucky e Steve non si sono arruolati. Tutta la storia viene spiegata nello specifico in “Till the end of the line” (Capitolo 11)

  2. Credo abbiate ormai notato che tra James e Natasha ci sono sempre argomenti da evitare, una sorta di legge sacra estesa anche ad amici e parenti, in parte perché sono temi in cui divergono e finirebbero per lanciarsi dietro i coltelli del servizio da un capo all’altro della cucina, in parte perché certi traumi è meglio non rinvangarli mai. Fondamentalmente l’unico argomento tabù noto sono i figli, per ovvie ragioni.

  3. Tutti i riferimenti di tale conversazione si trovano in “Till the end of the line” (Capitolo 20)

  4. Riferimenti velati a Rose (citata anche nello scorso capitolo), la figlia di Natasha, nata morta a Praga più o meno intorno al 1946. Tutta la storia viene raccontata nel ciclo a fumetti “In the name of the Rose”.

  5. In “Till the end of the line” Shuri ha “riordinato” la mente di Bucky permettendogli di riappropriarsi di tutti i ricordi soppressi, rimettendoli in ordine circa cronologico. Un ampliamento del post-credit di “Black Panther” per intenderci.



 

Avvisi dalla regia:

Vi comunico che la prima parte giunge alla sua conclusione (ricalcando il medesimo epilogo scritto da Brubaker, giusto per), quindi ne approfitto per ringraziare di cuore chiunque mi abbia seguito fino a qui… ed ora come ora non vogliatemene (sono perfettamente consapevole del come vi lascio, tranquilli), ma per cause di forza maggiore necessito di una piccola pausa per dedicarmi allo studio, ricaricare le batterie e revisionare/scrivere la seconda parte evitando di contraddirmi con strafalcioni orrendi :’)

A questo punto vi pongo una domanda veloce veloce: mi sono resa conto che nei miei scritti (per questa serie in particolare), faccio continui riferimenti ai sette anni di matrimonio con Alexei, ma non ho mai scritto mezza riga al riguardo… è un retroscena che potrebbe interessarvi? Perchè al momento è solamente un quarto micro-progetto nebuloso a parte, ma potrei impegnarmici seriamente ad articolarlo prima di vedere la trasposizione scelta nell’MCU a maggio.

In ogni caso, richieste e divagazioni a parte, ci tengo a specificare che non mi ritiro alla vita da eremita, anzi, quindi in attesa del ritorno degli aggiornamenti regolari, sentitevi liberissimi di dirmi la vostra opinione su tutto ciò che ho scritto finora, o su qualunque altro argomento con cui desideriate importunarmi intasandomi la casella di posta, come sempre rispondo più che volentieri a chiunque :P

Un bacio,

_T <3

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Capitolo 10
*** Seconda parte - Capitolo IX ***


SECONDA PARTE - CAPITOLO IX

 

La verità è una questione di circostanze. Non è sempre uguale per tutti, ogni volta è diversa. Vale anche per me.
-Natasha Romanoff1



 

18 agosto 2018, Ala medica, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

-... sì… sì, la zia Nat sta bene… Lila mi passeresti la mamma ora? Grazie… 

Clint le fa una linguaccia in risposta alla sua improvvisa ilarità, approfittando della distrazione per sistemarsi meglio contro i cuscini della sua branda, tirando accidentalmente la cannula della flebo nel movimento sopprimendo un lamento dato dal fastidio, rischiando di far precipitare sul pavimento il mazzo di rose abbandonate sul comodino.

-Ehi, fai piano… -la riprende Clint all’istante, chiudendo la conversazione appena terminata con Laura, accorrendo in suo soccorso prima che si strappi via gli aghi e i tubicini che entrano ed escono dalle sue braccia, agevolandole i movimenti sistemandole meglio il cuscino sotto la testa e spostando i fiori al centro del mobiletto salvandoli dal bordo.

-Secondo te, Tony per quanto altro tempo mi terrà in osservazione? Sto bene… -sbuffa scocciata sprofondando di nuovo con la testa contro il cuscino, spostando le gambe per fare posto a Clint sul fondo del materasso.

-Un altro paio di giorni, prima vuole capire se le tue onde cerebrali sparano a mille perché sforzi il tuo cervello a ricordare, o se invece l’anomalia è data da un motivo un po’ più serio. -ribatte Clint per l’ennesima volta sospirando con gli occhi al cielo. -Non pensarci, ti procuri solamente un mal di testa e basta. 

-Sai, è difficile non pensarci… non so perchè ho sparato a Nick, ma so che al Cimitero stavo aiutando il mio aggressore… e lo aiutavo per colpa dei reset, altrimenti non me lo spiego… e in tutto questo, al Cimitero c’eri tu, Steve e Bucky… -spiega tradendo una nota esagitata nella voce, sforzandosi di non gesticolare troppo per non tirare di nuovo la cannula della flebo, bloccandosi a causa di una fitta particolarmente forte che sembra spaccarle in due la testa, portandosi istintivamente le dita alle tempie massaggiandosele. -Perché c’era Bucky, Clint?

-Ci ha dato una mano a rintracciarti, è lui che ha addestrato Novokov. -la aggiorna spiccio eludendo il suo sguardo, chinandosi verso la pediera sfilando la cartella clinica controllando le analisi e i dosaggi dei farmaci. -Il mal di testa come va? Aumento gli antidolorifici?

-Non sballare i dosaggi, sto bene. -replica irritata dall’apprensione generale che tutti provano nei suoi confronti… avevano giocato di nuovo con il suo cervello, non era la prima volta che capitava, e tutto ciò che Natasha desiderava era fingere che non fosse mai accaduto. -Tu piuttosto, non dovresti essere in palestra ora?

-I ragazzini arrivano ad allenarsi dopo pranzo, al momento in palestra c’è Cap con Wanda, Visione e Lang. -la istruisce velocemente riponendo la cartelletta al suo posto. -Ho la mattinata libera, sparisco dopo pranzo quando arrivano Kate, Peter e tutti gli altri2.

-Per questo Tony si palesa solo di mattina e Steve mi fa gli agguati dopo pranzo? -chiede delucidazioni su quelle dinamiche interne al Complesso a lei estranee, sopprimendo una fitta al pensiero che lei ha solo una vaghissima idea del dove abbia vissuto e del come abbia trascorso l’ultimo paio d’anni.

-Esattamente. -afferma Clint annuendo con il capo, distendendo meglio le gambe sul bordo del materasso. -Altri dubbi esistenziali?

-Dove sono stata nell’ultimo paio d’anni? Dove sono stata di preciso… -tenta di spiegarsi mentre la frase le muore in gola, collegando lentamente i dettagli caotici che le invadono la mente, tacitamente grata che Clint si fosse preso le ultime mattinate per aiutarla a fare ordine nel guazzabuglio incoerente delle sue sinapsi. 

-C’è stata la Guerra Civile, ma questo lo sai, e non vivevi qui… avevi un appartamento a Little Ukraine, poi ti sei trasferita a Brooklyn e negli ultimi mesi… negli ultimi mesi hai avuto diverse missioni in Europa per conto di Fury, ogni tanto hai lavorato anche con Bucky… e l’ultimo caso vi ha portati da Novokov4.

Natasha annuisce… la cosa ha senso, altrimenti non saprebbe spiegarsi il perchè conservi nella sua memoria così tanti fotogrammi di Barnes, desistendo dall’indagare ulteriormente nei meandri della sua mente nel tentativo di evitarsi un emicrania spaventosa, focalizzandosi su Clint e sul suo sguardo chiaro che rifugge in ogni angolo della stanza irrequieto.

-Cosa non mi stai dicendo, Barton? -indaga con tono inquisitorio affinando lo sguardo, mentre l’uomo le rifila un cenno di noncuranza suggerendole di non preoccuparsi.

-Niente… semplicemente la pista che stai seguendo arriva da Mosca e sai che non mi piace, tutto qui. Almeno mi concedi di preoccuparmi per te?

-Certo che puoi. -solleva gli occhi al cielo in risposta, evidentemente si stava preoccupando eccessivamente per un nonnulla, ma tutta quella apprensione le da fastidio lo stesso.

Il bussare lieve alla porta a vetri spezza il ritmo della conversazione, spingendo Natasha a sollevare lo sguardo su Steve, che tallona la porta trasportando su un vassoio il loro pranzo.

-Stamattina come stai? -chiede il Capitano varcando la soglia, consegnandole la sua porzione di cibo e reclamando una sedia abbandonata affianco al letto.

-Mal di testa che va e viene, nulla di che. -ribatte Natasha con una scrollata di spalle, tuffando la forchetta nel piatto di pasta iniziando ad arrotolarci gli spaghetti, indicando il mazzo di fiori posati sul comodino con un cenno del capo. -Tu sai chi le ha portate le rose? Sono apparse un paio di giorni fa, ma sembra che nessuno sappia chi le ha portate.

-Non c’è niente da mangiare per me? -interviene Clint con tempismo opinabile eclissando la sua domanda, alzandosi dal materasso alla risposta negativa di Steve. -Di cosa dovrei vivere? Aria?3

-Prova a vedere in cucina se a Wanda è rimasta un po’ di pasta in pentola, toccava a lei cucinare oggi. -replica Steve con un’alzata di spalle, sollevando i piedi ed adagiandoli sulla porzione di materasso lasciata libera da Clint. -Anche se dubito sia avanzato qualcosa, Scott aveva parecchia fame dopo essere tornato ad una statura… normale.

-Quindi non è rimasto nulla, bene… -commenta l’arciere sarcastico dirigendosi verso la porta, sfilando il cellulare dalla tasca componendo il numero di cellulare della ragazzina. -Katie, ciao. Sei ancora a Manhattan? Perfetto…-

Clint la saluta con un cenno della mano varcando la soglia, mentre Natasha scoppia a ridere nel sentirlo discutere in corridoio, lamentandosi del fatto che il frigorifero al Complesso sia praticamente sempre vuoto e se gentilmente poteva fermarsi ad un take-away qualsiasi di passaggio prima di raggiungere l’Upstate3.

-Ha già iniziato a pagarle la retta scolastica, oppure aspetta le pratiche dell’adozione? -chiede ironica Natasha a Steve, accennando al suo migliore amico appena uscito dalla porta, che dal tono di voce usato sembrava proprio lamentarsi con la figlia dei colleghi idioti che doveva sopportare a lavoro.

-Per quanto ne so, Kate ha ancora una famiglia ed è abbastanza benestante. -replica Steve con tono noncurante, deglutendo il boccone di spaghetti prima di continuare nel suo discorso. -E solo perchè Clint ha l’indole di trattare tutti i ragazzini come figli suoi, non vuol dire automaticamente che voglia adottarli tutti.

-Giusto… non c’entra nulla che nell’ultima mezz’ora ha divagato su quanto la ragazzina abbia una buona mira, con un tono da papà orgoglioso per niente fraintendibile. -brontola Natasha con il sorriso sulle labbra, beccando Steve mentre tenta di sopprimere una risata sincera. -Come non c’entra assolutamente nulla il fatto che Wanda abbia passato le vacanze di Natale alla Fattoria.

-Lo sai perchè te l’ha detto o lo sai perchè te lo ricordi? -chiede a bruciapelo Steve, ritrovandosi a fissarlo confusa, con un vago accenno di mal di testa che si nasconde dietro l’angolo pronto a tenderle un agguato.

-Natale di due anni fa. -afferma convinta contraendo appena le sopracciglia ad occhi chiusi, tornando a puntare le iridi verdi su Steve con rinnovata determinazione nell’essere finalmente riuscita ad afferrare e collocare correttamente un ricordo da sola. -Il Natale appena trascorso eravamo… quasi tutti qui al Complesso4.

-Giusto. -conferma Steve allegandoci anche un cenno del capo. -Felice di constatare che le domande a bruciapelo funzionano davvero.

-Ma non funzionano per tutto. -si ritrova a ribadire Natasha con una stilettata di cinismo latente, distogliendo lo sguardo finendo per posarlo sui fiori abbandonati sopra il comodino al suo fianco. -Non hai risposto alla mia domanda, Steve.

-Quale domanda? 

-Tu sai chi mi ha portato le rose? Dormivo quando sono state recapitate. -chiede nuovamente analizzando la reazione di Steve alla domanda, perché è la quarta persona a cui lo chiede e tutti, in un modo o nell’altro, hanno tentato di eludere la risposta.

-Non ne ho idea, davvero. -replica Steve con un tono di voce talmente impostato che Natasha non sa se interpretarlo come effettiva ignoranza o tradurla ai livelli di una magistrale bugia.

-Fury ti ha detto quando posso tornare a lavoro? -cambia argomento eclissando l’ennesimo dei propri dubbi esistenziali, concentrandosi nel lavoro perché si rivelava sempre un'ottima distrazione, ma senza chiedere delucidazioni sullo stato di salute dell’uomo… forse perché non si riconosce nelle proprie azioni dell’ultimo mese, forse perché si era già informata al riguardo e Maria l’aveva liquidata con un “sta una favola” che celava una sostanziosa dose di sarcasmo, che tuttavia non si discostava troppo dalla realtà dei fatti.

-Ha detto che puoi tornare in servizio appena ti senti in forze, nel frattempo se ne sta occupando Bucky. -la aggiorna spiccio tra una forchettata e l’altra.

-Puoi chiedergli di girarmi i rapporti? Vorrei muovermi il prima possibile.

-Certo… torni in solitaria? -indaga Steve con discreta nonchalance.

-Mi muovo meglio da sola… e non ho bisogno che Bucky continui a farmi da supervisore come ai tempi del Cremlino. -Steve storce appena le labbra quando chiama in causa il fratello, ma non riesce ad identificare l’origine della smorfia. -Che c’è? 

-Niente, pensavo andaste quantomeno d’accordo, tutto qui.

-Giusto il minimo sindacale… forse mi ha sparato troppe volte perché possa starmi davvero simpatico. -replica incurante inghiottendo l’ultima forchettata di spaghetti, riconsegnando il piatto a Steve, che lo impila sopra al proprio già vuoto, per poi posarli sul vassoio.

-Riferirò. -ribatte Steve atono senza guardarla, e Natasha si ritrova di nuovo a non capire quale sia il vero fulcro della conversazione, indecisa sul come interpretare la risposta.

-Steve, è tutto okay? -si ritrova a chiedere tutto d’un fiato, insicura se l’aria pesante presente nella stanza sia dovuta ad un non detto di cui lei è all’oscuro, o se invece quel senso di pesantezza è causato dal suo mal di testa latente che la sta semplicemente rendendo più paranoica del normale.

-Si, non è niente. -ribatte Steve con il tono di chi viene attraversato da una scossa elettrostatica sulla schiena, riportando i piedi a terra alzandosi di scatto. -Devo andare.

Lo vede raccogliere il vassoio e guadagnare la porta con passo rilassato… forse troppo rilassato, come se stesse misurando i gesti e le parole per non spaventarla, realizzando che il Capitano si stava comportando in quel modo da quando aveva chiamato in causa il mazzo di fiori.

-Sei sicuro di non sapere chi mi ha portato le rose? -lo blocca prima che scompaia oltre la soglia, inframezzando il respiro prima di voltarsi nuovamente verso di lei di tre quarti.

-Non lo so, davvero. -rimarca con tono quasi convincente, sicuramente sta mentendo, ma Natasha non ha davvero voglia di litigare per un nonnulla. -Hanno un qualche significato per te?

-Mi ricordano qualcosa… sono dettagli sparsi, come se fosse tutto normale, ma allo stesso tempo ogni cosa è fuori posto e non riesco a capire cosa. -ammette a mezza voce, convincendosi che deve essere quello il motivo per cui è così diffidente verso chiunque, che in realtà Steve non le sta nascondendo nulla ed è tutta colpa del suo mal di testa che è tornato impietoso a martellarle le tempie. -Tony dice che è normale, che mi serve tempo. Ti prego dimmi che capisci la sensazione, Steve.

-La capisco, credo sia simile al senso di straniamento che ho provato dopo essermi svegliato dal ghiaccio la prima volta. -replica solidale puntellandosi con la schiena allo stipite della porta, in attesa di venire congedato.

-Tipo… credo. -concorda la donna portandosi nuovamente le dita alle tempie, massaggiandole, placando momentaneamente la fitta improvvisa.

-Datti tempo, Nat… -la consola Steve, con un tono di voce talmente calmo e rassicurante che Natasha si ritrova a desiderare di credergli a qualunque costo. -Prima o poi, con il tempo, ritorna tutto al suo posto.

 

***

 

20 settembre 2018, Resistenza sicura di Natasha Romanoff, Little Ukraine, New York

 

Natasha è stanca, ma non sa quanta colpa dare al jet lag, quanta alla missione inconcludente portata a termine a Shanghai e quanta alla tratta soporifera in taxi dal Complesso fino al suo appartamento… biasimandosi perché forse quell’ultimo fattore era tranquillamente evitabile se solo lei non avesse scartato a priori l’ipotesi di fermarsi a dormire nel suo alloggio all’Upstate, dubbiosa se la decisione era dovuta dalla mancanza che provava nei confronti del suo materasso o se invece desiderava solo non avere gente intorno. 

Non sa come o il perchè nell’ultimo mese aveva sviluppato una sottospecie di orticaria nei confronti del genere umano, come ignorava il perchè dopo il matrimonio di Tony avesse fatto i bagagli e fosse tornata al suo appartamento a Little Ukraine… semplicemente si sentiva più a suo agio nella solitudine, forse perché era confortante, forse perchè in quel modo non era costretta a dover rispondere a qualcuno delle azioni che compiva inconsciamente e che continuava a non comprendere bene nemmeno lei.

Strascica i piedi risalendo i tre gradini che conducono al portone d’entrata, sfilando il mazzo di chiavi dalla borsa, scorrendo l’anello fino a quando non trova quella corrispondente alla serratura… ma si distrae lasciandosi sfuggire dalle dita il gruzzolo di chiavi, che cade di fronte alla soglia con un fracasso infernale, chinandosi a raccoglierle trovandosi faccia a faccia con la sua fonte di distrazione.

-Oh, sei ancora qui… -commenta atona passando d’istinto le dita tra il pelo corto del gatto randagio che staziona ai suoi piedi, ottenendo il rombo sommesso delle fusa in cambio.

Riacciuffa il mazzo cercando nuovamente la chiave, scorrendo l’anello di ferro velocemente, chiedendosi il perché ne abbia così tante e rispondendosi da sola ricordandosi che la sua Ragnatela5 conta almeno una ventina di appartamenti intestati a suo nome… ha addirittura una chiave con inciso il marchio di una ferramenta parigina, nonostante non abbia davvero la più pallida idea di che serratura apra.

Il chiavistello scatta, ma il gatto continua imperterrito a strusciarsi contro le sue gambe alla ricerca di coccole, abbassandosi di nuovo all’altezza del felino affondando la mano nel pelo nero, afferrandogli il muso inchiodando il suo sguardo verde nelle iridi gialle del gatto.

-Per la cinquantesima volta in tre settimane… -rimarca con tono di voce seccato, come se stesse facendo la predica ad un bambino di cinque anni particolarmente capriccioso. -... non ti faccio entrare, smamma.

Quando Natasha varca la soglia il gatto non si muove dal suo posto come ordinatogli, ma solleva il musetto nella sua direzione scrutandola con sguardo offeso, quasi risentito.

-E non guardarmi così. - si ritrova a ribadire seccata prima di chiuderlo fuori dalla porta.

Natasha si sente una completa idiota nell’intrattenere una qualsiasi conversazione con quel gatto, ritrovandosi a sperare che non torni mai più perché dopotutto l’ha appena offeso a morte, ma scarta velocemente il pensiero ragionando che se l’animale aveva sprecato un intero mese in fusa volte a corromperla, significava che si era ormai intestardito a prenderla per sfinimento nonostante la sua caparbia resistenza… quel randagio gli ricorda qualcuno, ma non riesce a mettere a fuoco chi, scrollando la testa scacciando il pensiero passeggero.

Perde le scarpe nel corridoio d’entrata, i pantaloni in camera da letto ed il reggiseno sulla soglia del bagno… non sa di preciso quando ha deciso di concedersi una doccia calda, ma l’idea che l’acqua saponata possa trascinare la spossatezza e l’arrabbiatura assopita giù per lo scarico la alletta molto. Si sforza di non pensare a niente, ma il fotogramma del cadavere marchiato le invade la mente di prepotenza, seguendolo nel turbinio vorticante di ragionamenti che la assorbono completamente. 

La missione a Shanghai era stata un fallimento completo, pensava di aver finalmente raggiunto uno straccio di pista da seguire, quando invece si era trovata nuovamente a punto a capo con un corpo che vantava un polmone perforato e il marchio della clessidra sul collo… e, nonostante si sia imposta di non pensarci, si ritrova a riflettere sul fatto che la disposizione, la tecnica e le tempistiche dell’omicidio assomigliavano in modo inquietantemente analogo a quelle delle sue prime esercitazioni eseguite con successo per conto del Leviathan quando aveva dieci anni. Rabbrividisce, nonostante l’acqua incandescente le colpisca la schiena, afferrandosi il polso scorticato nascondendo alla propria vista il primo marchio indelebile che la Stanza Rossa ha lasciato su di lei, cercando in punta di dita le altre cicatrici che le deturpano il corpo, sfiorandosi la spalla, raggiungendo la scapola e scivolando con le dita sul fianco6… scatenando nuovamente il fiotto ribollente di rabbia che le aveva infiammato le vene quando aveva visto Barnes aggirarsi in mezzo alla sua scena del crimine, rivivendo mentalmente lo scoppio d’ira che l’aveva spinta a sferrargli un pugno contro il braccio sano, chiedendogli irritata perchè continuasse a ritrovarselo costantemente tra i piedi. La risposta lapidaria che aveva ricevuto in cambio aveva smorzato la fiamma che animava la sua rabbia frustrata, contestando con logica ineccepibile che tutti gli strani omicidi che si stavano verificando nell’ultimo mese erano anche una sua responsabilità.

Probabilmente era stato quell’anche a darle fastidio, girando i tacchi fulminea scomparendo dalla circolazione… mettendo a tacere il moto di soddisfazione consolatoria che l’aveva colta di sorpresa mentre si distanziava dal luogo dell’omicidio, constatando di essere arrivata nuovamente al cadavere per prima.

Non che la loro fosse una gara… ma sotto una certa ottica quella situazione era cinicamente divertente, ovviamente se non si considerava che la sfida consisteva nel ritrovamento di un cadavere. Forse pensarla come una competizione rendeva la situazione meno irritante, ma quel tipo di ragionamento le richiamava alla mente la strana sensazione di riavvolgere la pellicola e ritornare a quasi una sessantina d’anni prima, fagocitando inconsciamente la sua costante ambizione mai assopita nel voler superare il maestro. Però cinque a tre era un punteggio di cui andava discretamente fiera… non che tenesse davvero il conto, ovviamente.

Si trascina fuori dal box doccia incespicando fino al letto, lasciandosi cadere di peso sul materasso con ancora l’accappatoio addosso, dispiegando le braccia e chiudendo gli occhi fingendo di essere altrove… non sa dove, ma di sicuro fuori da quelle quattro mura, magari senza quel buco nero all’altezza dello stomaco che le sta risucchiando tutte le energie prosciugandola lentamente. 

Natasha valuta seriamente di assecondare l’idea di infilarsi le punte e massacrarsi su Čajkovskij, eclissando la proposta unicamente perché è appena uscita dalla doccia… ragionando su una possibile alternativa per allentare la morsa sui suoi polmoni, che stava riducendo lentamente la quantità di ossigeno che entra ed esce dal suo apparato respiratorio.

Non sa cosa le dice il cervello, ha smesso di interrogarsi in merito ancora un mese fa, ma una volta infilato il pigiama risale la scala antincendio raggiungendo la cima del tetto, sedendosi di sbieco sul cornicione lasciando una gamba a penzolare nel vuoto mentre il filtro di una sigaretta le pende dalle labbra… ritrovandosi a raccontare la propria giornata al gatto nero che aveva abbandonato qualche ora prima sulla soglia d'entrata. Probabilmente sta impazzendo, ma sinceramente non le importa più di tanto.

-...quindi questo è quello che è successo, ho dovuto ferire persone molto cattive… 

Si interrompe sopprimendo una risata quando il felino inizia a leccarle le dita del piede, afferrandolo e trascinandoselo sulla pancia per andare meglio a spuppazzarselo.

-Gatto… -sospira affondando la mano libera nel pelo nero, ottenendo un miagolio risentito. -Cosa c’è? Non ti piace il nome “gatto”?

Interpreta la strusciata contro il suo stomaco come un cenno di assenso.

-Se ti do un nome, mi prometti che poi non ti affezioni? -chiede retorica, anche se sospetta che la domanda sia riferita più a se stessa che al gatto nero.

Il felino in tutta risposta inizia a farle le fusa e, nonostante sia opinione comune credere che i gatti neri generalmente portino sfortuna, lei non può negare che nell’ultimo periodo quel mostriciattolo irritante era l’unico essere vivente a cui aveva permesso di avvicinarsi per farle compagnia e sentirsi meno sola. Dopotutto Natasha aveva smesso di credere a Baba Jaga e ad altre scemenze simili appena aveva compiuto dieci anni, quando gli orrori che aveva visto di persona si erano rivelati molto, molto più spaventosi delle leggende metropolitane raccontate ai bambini per terrorizzarli.

-Likho7… Liho… ti piace Liho? -chiede ottenendo una seconda ondata di fusa ed una leccata sul dorso della mano, interpretandolo come un moto di approvazione. -Allora è aggiudicato.

Natasha continua ad accarezzare il gatto fino a quando la sigaretta non si consuma fino al filtro, spegnendo il mozzicone contro il cornicione, alzandosi in piedi facendo così precipitare sul pavimento il gatto, che fino a due secondi prima se ne stava acciambellato sul suo grembo indisturbato, infilandosi tra le sue gambe rendendo esplicito il desiderio di seguirla fin dentro casa.

-No, Liho… -sospira abbassandosi alla sua altezza accarezzandogli la testa, imponendosi. -Ti ho dato un nome, è vero, ma non significa che ti voglia adottare.

Liho la fissa con i suoi enormi occhi gialli e Natasha si sente messa quasi in soggezione, ma per la miseria, lei non prende ordini da nessuno e di certo non si abbassa ad assecondare i futili desideri di un gatto.

-Senti, la mia vita è… caotica. Mi stanno bene le fusa in serate come queste, quando mi sento un po’ giù e… -si morde la lingua prima di fornire un movente, perché non sa ancora spiegarsi se quella sensazione snervante sia dovuta a Barnes, all’ennesimo cadavere senza omicida o ad entrambe le cose. -Non voglio averti tra i piedi tutti i giorni, tutto qui… non sono quasi mai a casa, non c’è nessuno a riempirti la ciotola mentre sono via.

Liho miagola e si struscia contro la sua mano in una futile contestazione, ma Natasha si ritrae e fugge prima di cedere… perché affezionarsi è un rischio, lo sa per esperienza, e lei non può più permetterselo. Nemmeno per un gatto.

Lo chiude fuori, di nuovo… nascondendosi sotto le lenzuola fredde, abbracciando il cuscino d’istinto, socchiudendo gli occhi distinguendo la sua sagoma in controluce quando lo sente grattare contro il vetro.

-Non ti faccio entrare, mi dispiace… è il tipo di errore che non commetto mai due volte.

Gli volta la schiena e serra gli occhi tentando di addormentarsi sopprimendo l’impulso della routine deleteria in cui era ricaduta nelle ultime settimane, percependo il buco nero generato dal suo stomaco espandersi minacciando di risucchiarla, stringendo il cuscino con più forza per ancorarsi alla realtà.

Ma non è abbastanza, quando è così non lo è mai… non è abbastanza già da un po’ ormai.

Ci vogliono un paio d’ore, ma alla fine Natasha riesce ad addormentarsi… con il lenzuolo stretto spasmodicamente tra le dita, il braccio sollevato sopra la testa e l’anello di metallo delle manette che le lacera il polso, impedendole di scivolare in un limbo fatto di specchi rotti ed ombre.

 

***

 

20 settembre 2018, Terrazzo, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

James lo sente arrivare e spegne la sigaretta per automatismo, non vuole dargli altri pretesti per fargli la predica, perché lo sa che sta per ricevere una lavata di capo… altrimenti le suole di Steve non farebbero quel rumore contro il pavimento.

-Come è andata la missione a Shanghai? -chiede puntualmente suo fratello con discreta nonchalance, in un vano tentativo di indorargli la pillola prima di fargliela inghiottire di traverso.

-Un cadavere, nessun movente ed il marchio della clessidra sul collo… è l’ottavo nell'ultimo mese, la cosa continua a non avere senso. -fa rapporto spiccio con nervosismo latente, sentendo la mancanza della sigaretta tra le dita ed imponendosi di non sfilarne una seconda dal pacchetto. -Non sono target, sembrano più esercitazioni...

-Chi è arrivato per primo? -si informa Steve ignorando la concessione, fermo in piedi alle sue spalle, andando dritto al punto perché si sono arresi entrambi a quelle discussioni a vuoto che si protraggono ormai da più di un mese.

-Lei. 

Lo confessa senza esitazioni, consapevole a priori che sia inutile mentire, nonostante si stia sforzando a non ricambiare lo sguardo del fratello… distraendosi inseguendo il pensiero randomico e fugace che gli attraversa il cervello, mettendo in evidenza che lui ultimamente sta perdendo colpi ed annotando mentalmente che cinque a tre non è niente male come punteggio. Non che quella con Natasha si fosse trasformata in una gara, ovviamente.

-Le hai parlato? -asserisce Steve costringendolo a restare con i piedi per terra, richiamandolo indietro dalle proprie divagazioni mentali.

-Si.

-Parlato sul serio?

-No. -afferma con una seconda risposta lapidaria, anticipandolo con il pensiero su ciò che suo fratello sta per dire, intuendo quali siano le ammonizioni che lui si impegnerà ad ignorare spassionatamente.

-Lo sai che prima o poi lo capirà da sola che non vi ritrovate sempre sulla stessa scena del delitto perché Fury ti ha assegnato allo stesso caso… è Natasha, sa cavarsela benissimo da sola. -afferma con tono ovvio e James sbuffa in risposta, in parte perché non gli piace sentirselo ribadire con quel tono soprattutto da Steve, in parte perchè è ormai stanco di sentirselo ripetere incessantemente da chiunque… e tace, perchè non sa davvero come ribattere con sagacia ad una ovvietà del genere. -Le da fastidio averti tra i piedi senza motivazione, ne sei consapevole, vero?

-Te l’ha detto lei? -elude l’insistenza del fratello con una seconda domanda, nascondendo in essa la speranza recondita che a forza di farle saltare i nervi, le sinapsi di Natasha si agitino al punto da farle riaffiorare nella mente qualche ricordo.

-Non in questi termini… dovresti parlarle. Chiarire.

-Non è così semplice… e lei sta meglio senza di me. -replica James più per abitudine che per vera fede in ciò che afferma, perché se ne rende perfettamente conto da solo che i suoi ragionamenti e le sue azioni si muovono incoerentemente su due binari opposti.

-Se lo pensassi davvero, non la seguiresti di nascosto in missione. -replica Steve lapidario, perchè nonostante James non abbia mai espresso il suo piano ad alta voce, suo fratello deve aver ormai collegato i puntini deducendo le sue reali intenzioni. -Se Rebecca fosse ancora qui, ti avrebbe già spinto a calci fino a Little Ukraine.

James trattiene il respiro bruscamente, preso in contropiede da quel colpo decisamente basso, non era un segreto che Steve non approvasse le sue decisioni più recenti, ma fino a quel momento James era sempre stato restio a credere che il fratello potesse giocare sporco a quei livelli… non con lui almeno, mentre la bile gli risale in gola e si addensa avvelenando le sue parole, generata da un guazzabuglio intricato di emozioni che non riesce a districare e che toglie inevitabilmente la sicura al filo di autocontrollo rimastogli.

-Per dirle cosa? -replica con rabbia montante, reagendo all’accusa alzandosi di scatto dalla sedia, fronteggiandolo con sguardo tempestoso. -Non si ricorda di me, è inutile.

-Non puoi saperlo… trova il modo per riconquistarla, ci riesci sempre, perchè stavolta dovrebbe essere diverso?

-Perchè sta davvero meglio senza di me, Steve! -James non voleva urlare, ma si rassegna alla consapevolezza ingoiando a vuoto con una punta di vergogna nello sguardo, perchè è ormai palese che il controllo che tanto ostentava l’aveva già perso da un pezzo e nonostante tutto si ostinava a non fare nulla a riguardo.

-Non è una decisione che puoi prendere per entrambi. -ribadisce Steve con sguardo glaciale, incrociando le braccia al petto fingendosi indifferente al suo scatto d’ira. -E tu che ne sai, scusa? Non le parli, non hai la più pallida idea di come la pensi Nat sull’argomento.

-Perchè tu sì, immagino. -replica sprezzante James, il tono di voce ancora incollerito.

-Ormai la conosco abbastanza bene da riuscire a cogliere i segnali anche da solo… mi sorprende che non li abbia colti tu. -afferma ritrovandosi contro il suo solito muro di silenzio eretto ad ultima debole difesa, perchè sa esattamente cosa Steve sta per dire, ma per questa volta non vuole davvero ascoltarlo. -Le ho notate le occhiaie sotto il fondotinta, come ho visto la garza sul polso… e tu sai cosa significa, non serve che te lo venga a dire io.

-Nessuno di noi dorme bene… e si sarà fatta male al polso in missione, nel giro di due giorni starà bene. -si ostina a giustificare la situazione, ma il tono di voce usato è talmente falso che percepisce la bugia alle sue stesse orecchie.

-Balle… non so nemmeno più perchè mi ostino a discutere con te, tanto fai sempre e comunque di testa tua. -brontola Steve sconsolato raggiungendo la porta a vetri negandogli il saluto, spingendo James a reagire… non tanto per ammettere i propri errori, ma perché anche nel torto vuole avere sempre l’ultima parola.

-Ho scelto il male minore, Steve… perchè ti ostini a non capirlo? -domanda James voltandosi di tre quarti, bloccando il fratello a ridosso della soglia.

-Non sapevo che “male minore” fosse sinonimo di paura… perchè la tua è paura, nonostante tu non voglia ammetterlo. -ribatte glaciale Steve con un piede già oltre la porta.

-Tu non dovresti essere dalla mia parte sempre e comunque? -chiede allora irritato, soppesando il suo sguardo alla ricerca di quel futile tradimento ipotizzato, fingendosi per niente intimorito dagli occhi azzurro cemento del fratello.

-Non quando dall’altra parte c’è la mia migliore amica e tu ti stai comportando da idiota… puoi continuare a mentire a te stesso convincendoti che sia stata una buona idea averci rinunciato, ma anche se insisti a ripeterlo ciò non significa che sia automaticamente vero. -afferma Steve con tono lapidario e James si sente messo in soggezione, percependo distintamente il desiderio montante di voler iniziare scavarsi la fossa da solo, mentre il fratello si passa la mano sul volto con fare frustrato. -Cristo, volevi farle la proposta di matrimonio Buck.

-La verità è una questione di circostanze… e le circostanze cambiano. -mormora cocciuto, ma con meno veemenza di quella che avrebbe voluto conferire alla frase, sentendosi improvvisamente svuotato dalla bolla di rabbia che gli era scoppiata all’altezza del petto, lasciandolo a bocca asciutta e con una spirale di bugie soffocanti ad ostruirgli la gola.

-Allora se la metti così… chiamami quando decidi che le circostanze saranno di nuovo a tuo favore. 

Steve si prende l’ultima parola e se ne va sbattendosi la porta alle spalle, in un boato di metallo e vetro vibrante che rimbomba contro la cassa toracica di James, risuonando al pari di una cassa armonica che ricalca il rintocco di una condanna a morte…  e l’ira ritorna, facendolo reagire sferrando un calcio alla gamba del tavolino, spezzandola e facendolo schiantare contro il parapetto, ribaltando con esso il posacenere ricolmo di mozziconi ed il suo pacchetto di Marlboro mezzo vuoto. 

Respira, si ricompone, per poi raccogliere i cocci di ceramica del posacenere ed accatastando i resti del tavolino in un angolo, ripromettendosi di pagare di tasca propria i danni prima che Tony possa provvedere, cancellando l’episodio sbandierando una delle sue solite carte di credito… raccogliendo le Marlboro da terra, puntellandosi al parapetto, accendendosi una sigaretta per placare il crollo di nervi.

Aveva scelto il male minore, ma nessuno l’aveva avvisato di quanto fosse difficile mantenere quella presa di posizione, e James prova seriamente ad illudersi di essere quel tipo di persona che non ritorna mai sulle proprie decisioni, ma non può più negare ancora a lungo che in fin dei conti Steve ha ragione e la sua è paura… viscerale, atavica e destabilizzante. 

Ormai è un mese che James tenta di negarlo anche a se stesso, ma non può fare a meno di valutare seriamente l’idea di ritornare sulle proprie decisioni… e forse per capirlo aveva solamente bisogno di urlare contro qualcuno vedendosi negata l’ultima parola.





 

Note: 

  1. Citazione presa da “The Winter Soldier”, l’ho sempre trovata azzeccata per il personaggio, mi sembrava giusto inserirla in questo contesto.

  2. Riferimento ai Young Avengers, nello specifico alle nuove reclute citate in causa, Peter Parker e Kate Bishop.

  3. Riferimenti velati al fatto che il Clint dei fumetti è un vero e proprio pozzo senza fondo, con un predilezione preoccupante per il cibo d’asporto, accentuando il fatto che a volte Bishop sia malauguratamente incaricata di fargli da garante, fattorino e autista quando quest’ultimo si trova a corto di liquidi, cibo o benzina.

  4. Riferimenti velati a “Till the end of the line”.

  5. Ragnatela: denominazione data alla serie di appartamenti seminati in giro per il mondo intestati a Natasha, si rivelano molto comodi quando deve assecondare una qualche copertura o necessiti di trasferirsi per lunghi periodi, nonostante lei consideri effettivamente “casa” solo un paio di essi.

  6. La cicatrice sul polso è il segno superstite di quando ai tempi della Stanza Rossa la amanettavano al letto per impedirle di scappare, abitudine che non ha mai abbandonato del tutto. Le altre due sono le cicatrici che le ha inflitto Bucky, quella sul fianco e sulla spalla sono canoniche (Odessa e Washington), quella sulla scapola è un mio headcanon sviluppato in "1956".

  7. Secondo la mitologia slava è una creatura demoniaca che incarna malasorte e sofferenza.

 

 

 

Commento dalla regia:

Se siete giunti fin qui avrete sicuramente appreso che sono tornata, di conseguenza riprende seduta stante la classica pubblicazione settimanale di un capitolo ogni venerdì.

Non credo ci sia molto da dire dopo un capitolo del genere –o meglio, lo lascio dire a voi–, io mi esprimo solo confermando che quei due musoni testardi preferiscono patire le pene dell’inferno piuttosto che parlarsi… e nei fumetti la tirano molto più lunga di come sto facendo io, offrendo tuttavia una lista infinita di bugie opinabili che si smascherano sempre a vicenda, che verranno fedelmente mantenute dalla sottoscritta per doveri di cronaca, pur velocizzandone i tempi.

Come al solito ogni commento è più che gradito, un bacio,

_T

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Capitolo 11
*** Seconda parte - Capitolo X ***


SECONDA PARTE - CAPITOLO X



 

19 dicembre 1991, Red Room - Base operativa, Mosca

 

A Yelena fanno male le punte dei piedi, ma continua imperterrita a martoriare il parquet della sala da ballo con più cattiveria di quella necessaria, risuonando con passi pesanti contro il legno volendo sfogare tutta la sua rabbia e pianto represso… sa di non poter concedersi di versare delle lacrime liberatorie, così opta per il sangue, arrivata a quel punto le basta solo che qualunque cosa fuoriesca da lei porti via anche il dolore che alberga nel suo cuore.

Si sforza con tutta se stessa di cancellare dalla propria testa l’immagine del telegramma recapitato quella stessa mattina dalla Siberia, imponendosi di dimenticare il suggerimento velato da parte del Dipartimento X che informava lei e la sua insegnante della decisione di mettere sotto ghiaccio tutti gli operativi restanti, che ora restavano in campo solo loro due e per forza di cose dovevano arrangiarsi nel guardarsi le spalle, deducendo che le avevano abbandonate in balia degli eventi… reduci da un tradimento che aveva lasciato bruciature profonde in tutto il Leviathan, disgregando i pochi rimasti, ovvero quelli che non erano finiti sotto tre metri di neve in quella lotta fratricida indetta dalla Traditrice.

Yelena reprime il singulto al pensiero di Tania sepolta sotto la neve fresca, al seme che la Zarina aveva impiantato dentro di lei ed il come esso fosse germogliato silenzioso ed invisibile fintanto che non aveva intrecciato le sue radici con quelle del loro Maestro… la ragazza trovava semplicemente sconcertante la quantità di persone che Natalia era riuscita a corrompere con un sorriso affabile ed una parola gentile, instillando nelle menti altrui l’idea malata che ognuno era artefice del proprio destino. Yelena si reputava abbastanza intelligente da vantarsi di non essere caduta nel tranello, ergendosi a mente superiore, conscia che la sua vita iniziava e terminava al volere ed ai capricci dei suoi padroni… per Tania era stato così, i Capi avevano logicamente sradicato una mela avvelenata per placare l’infezione che di quei tempi proliferava come una pestilenza mortifera tra le fila del Leviathan, del KGB e di qualsiasi altra organizzazione in cui erano riusciti ad infiltrarsi.

Si impone di non pensare e perdersi in elucubrazioni mentali di dubbia entità e scopo, evitando accuratamente di soffermarsi troppo a lungo sul fatto che probabilmente anche lei morirà molto presto… sopprimendo la paura che le riscuote le viscere ormai da giorni, perché è perfettamente consapevole che una Vedova Nera non ha paura di niente, ma anzi, ride spudoratamente in faccia alla morte.

Yelena continua a pestare il parquet ma con grazia sempre più decrescente, danzando scomposta ed incurante della maschera di perfezione a cui aveva gradualmente rinunciato da quando aveva indossato le scarpette da ballo, concedendosi di fregarsene se oltre il vetro specchiato c’è Madame B che studia ogni suo più piccolo passo sgraziato, ogni minuscola discrepanza emotiva che traspare dal suo volto e contempla –probabilmente schifata– le sue caviglie deboli che si storcono facendole abbracciare il pavimento.

L’aveva raggiunta solamente una volta che la sua schiena aveva toccato terra e lì era rimasta, pungolandola allo stomaco con il bastone da passeggio con la stessa flemma con cui si valuta se un animale è ancora vivo o morto, studiandola dall’alto con fare intimidatorio ordinandole di rimettersi in piedi una volta appurato che lei era cosciente, infliggendole una bastonata allo stomaco quando Yelena ignora bellamente gli ordini limitandosi a rannicchiarsi in posizione fetale accusando il colpo, nascondendo tra le ginocchia i lucciconi che le si erano formati agli angoli degli occhi… minacciando di trasbordare, nonostante sia perfettamente consapevole di non poterselo assolutamente permettere.

-Ho detto in piedi.

-Perché? -aveva replicato Yelena con tono a tratti capriccioso, stringendo i denti incassando la seconda vergata sulla schiena, sollevandosi sui gomiti studiando l’insegnante. -Non ho più uno scopo… avanti, spezzami le ossa, tanto non mi servono più a nulla!

Madame B si era placata osservandola dall’alto in basso con uno sguardo glaciale, criticando i singulti soppressi che le facevano tremare comunque le spalle, puntellandosi al bastone in attesa che Yelena decidesse cosa farne della sua vita… e la concessione del libero arbitrio l’aveva sconvolta, dando inizio ad una lotta furiosa che imperversava dentro la sua testa, combattuta tra l’istinto di sopravvivenza ed il desiderio di lasciarsi morire per ricongiungersi alla sorella nella buca ghiacciata che i Soldati hanno scavato nella neve qualche giorno prima.

Yelena percepisce le lacrime traditrici che rotolano calde sulle sue guance, imponendosi di non distogliere lo sguardo dalle iridi granitiche dell’insegnante, che la osserva silenziosa come se fosse un cavallo imbizzarrito al quale è pronta a conficcare un proiettile in mezzo alle orbite… dopotutto era quello il destino dei purosangue quando non erano più utili allo scopo, la sorte di Yelena non era poi così diversa e di certo quella di Tania non lo era stata.

-Stai piangendo. -esordisce Madame B atona di punto in bianco come se volesse appurare un dato di fatto, in un tacito suggerimento che le consiglia caldamente di valutare attentamente la risposta alla constatazione espressa.

-No, non sto piangendo. -replica glaciale issandosi nuovamente in piedi, scegliendo di vivere, sopprimendo l’impulso di portare una mano al volto per cancellare le lacrime che le rigano le guance… non c’è nulla da asciugare sul suo viso, perché lei non ha pianto.

-Se vuoi meritarti questo onore dovrai impegnarti di più… Natalia ti ha insegnato meglio di così. -replica Madame B con sufficienza, istigandola volutamente ad infrangere la maschera di insofferenza che Yelena aveva appena indossato, esternando la sua reazione solo attraverso una lieve contrattura delle labbra.

-Mi rifiuto di prendere ancora la Zarina come modello di riferimento, ci ha traditi. -commenta sprezzante, moderandosi nel veleno che trasuda tra le sillabe dell’affermazione. -Non è più meritevole di rispetto, non dopo ciò che ha fatto a Tania.

-Non ha fatto nulla a Tania. -replica Madame B con tono ovvio, continuando a studiarla senza staccarle gli occhi di dosso. -Ci ha traditi, questo è vero, ma ognuno ha fatto la propria scelta… le conseguenze erano prevedibili.

Yelena sa bene per esperienza personale che ad ogni scelta avventata, ne corrisponde automaticamente una conseguenza spiacevolmente nefasta… e la sorprende in negativo che non ci sia nessuna tacita minaccia ad aleggiare nell’aria, come se di punto in bianco il libero arbitrio fosse garantito e concesso a chiunque, iniziando seriamente a dubitare dei dogmi impartiti dall'insegnante, sensazione presto liquidata da Madame B quando le ordina nuovamente di mettersi in posa per ricominciare l’allenamento.

-Non mi resti che tu, Yelena… e nonostante tutto, devi aspirare alla sua perfezione.

La ragazza respira e ricaccia indietro le lacrime, dissipando il flebile tremito dei suoi muscoli ormai giunti allo stremo delle forze e si impone di lasciarsi tutti i pensieri ingombranti alle spalle… quando danza si trasforma nell’incarnazione della perfezione, non può permettersi di far trasparire nessun tumulto interiore, specialmente di fronte agli occhi inquisitori di Madame B, dimostrandole coi fatti che lei non è il rimpiazzo o la seconda scelta di nessuno.

-Sei il futuro della Stanza Rossa, Yelena… ma il titolo di Vedova Nera va guadagnato con sangue e sudore, non è fatto per i deboli.

-Non lo sono. -replica, determinata nel raggiungere e spodestare la Zarina dal piedistallo in cui l’avevano posta. -Io non sono debole.

-Presto non lo sarai più, маленькая балерина1.

 

***

 

9 giugno 2017, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

-Tu chi saresti? -esordisce Yelena con tono noncurante scannerizzando l’intruso con sguardo glaciale, diffidando del suo completo su misura, le scarpe lucide e la tempistica opinabile con la quale si era presentato alla loro porta.

-Un alleato. -ripete l’uomo sforzandosi di sorriderle affabile, seguendola a passo spedito lungo il dedalo di corridoi che portavano all’ufficio di Madame B.

-Questo l’ho capito… ce l’hai un nome, Alleato? -insite la donna, ma sa che è inutile, perché è la terza volta che prova a trarlo in inganno e l’uomo riesce sempre ad eludere la risposta. 

-Certo che ce l’ho un nome, ma preferisco l’anonimato.

-Okay… almeno posso sapere di cosa ti occupi? Sei uno scienziato? Un finanziatore? -lo interroga diffidente rallentando il passo cambiando strategia, racimolando più informazioni possibili lungo il tragitto, sbagliando un paio di corridoi di proposito, conscia che una volta raggiunto l’ufficio lei dovrà soffermarsi sulla soglia precludendosi molte risposte alle lacune che Madame B riteneva più vantaggioso lei mantenesse.

-Non sono uno scienziato, ma finanzio ed amministro una fucina di cervelli… ciò che resta del Dipartimento X, non so se ne hai mai sentito parlare.

-So qualcosa, si. -replica Yelena con tono di sufficienza, facendo spallucce continuando a fargli strada lungo il corridoio.

La donna svicola con lo sguardo cercando di nascondere il fatto che in realtà conosceva fin troppo bene le voci che giravano sulle loro cavie da laboratorio... sul come Tania non smettesse mai di ricordarle in sussurri apprensivi che il loro destino era infinitamente migliore in confronto a quello dei mutanti, nonostante Yelena ignorasse le nozioni necessarie per fare un vero e proprio paragone, relegati a nebulosa esistenza dalla sorte impietosa per la maggior parte della sua convivenza con la sorella.

C’erano voluti diversi anni di addestramento perché Tania arrivasse a fidarsi di lei quanto bastava per sciogliersi dalla maschera glaciale con cui si nascondeva e le raccontasse del ragazzo che aveva conosciuto da ragazzina nel gulag, di come fossero diventati amici –forse più che amici– e del come Mikhail le avesse confidato il suo segreto di sapersi trasformare in un orso2. Tania non sapeva come loro fossero venuti a saperlo, ma la settimana prima che il Soldato d’Inverno arrivasse con la scorta per portare lei e Vanko al Cremlino3, dei militari erano arrivati a prelevare il ragazzo per internarlo al Dipartimento X… aveva lottato con le unghie e con i denti per impedirlo, dimostrando incautamente le sue doti da assassina, ma era stato un tentativo fallimentare e alla fin fine, per quanto sua sorella ne sapeva, Mikhail era stato ucciso e Yelena ricordava fin troppo nitidamente l’espressione abbattuta che aveva scurito il volto di Tania quando aveva affermato che preferiva crederlo morto piuttosto che in gabbia o sotto tortura. Forse era stato quello l’innesco a spingerla a ribellarsi, forse il Traditore aveva solamente confermato i suoi peggiori sospetti… forse era stato l’amore che provava per quel suo amico ad ucciderla, ma quella era un’ipotesi a cui Yelena non piaceva dare credito, guardandosi bene dal scivolare anch’essa in certi stupidi ed inutili sentimentalismi.

-Perchè ti sei fatto vivo solo ora?

-Il mio Capo è morto, mi sto assicurando che la sua eredità non vada persa… il mio lavoro, i nostri scopi, vanno ben oltre il concetto di vita e di morte.

-Lavoravi per il Barone, quindi? Finirai di demolire l’impero?4 -deduce Yelena sorridendo di fronte all’espressione sinceramente colpita dell’uomo.

-Il progetto di Zemo era-... è complesso ed intricato… come una partita a scacchi in corso d’opera, ognuno mantiene ancora il proprio ruolo e la propria posizione sulla scacchiera a discapito degli incidenti di percorso.

-E continua anche dopo la sua morte?

-Come ho detto, il mio lavoro va ben oltre la vita e la morte… sai, a volte nel corso dell’esistenza capita anche di essere mangiati

L’Alleato sorride con una tacita minaccia ben celata nella voce che le gela il sangue nelle vene all’istante, rendendo superfluo specificare che i pezzi posti sulle caselle bianche e nere possono venire sostituiti da un momento all’altro senza troppe remore… e la ragazza inizia a pentirsi amaramente di aver scelto il giro più lungo per raggiungere l’ufficio di Madame B, restia nel voler conoscere tutte le sfaccettature della partita in corso e desiderosa di fuggire da quell’uomo, mentre un vago sentore di paura si sedimenta nel suo stomaco quando comprende che lei stessa è uno di quei pezzi incastrati sulla scacchiera… un semplice Pedone che non vede via d’uscita se non attraverso la promozione, nella speranza recondita di non essere data in pasto all’avversario dal proprio Re.

-Sai, ho sentito dire che sei formidabile… che sei brava quasi quanto la Zarina.

-C’è sempre una finestra di miglioramento. -replica orgogliosa, mordendosi la lingua per non farne un vanto… perché ha come l’impressione che si dovrà pentire amaramente qualora non dovesse rispettare le aspettative riposte su di lei.

Yelena rilascia il respiro trattenuto inconsapevolmente quando Madame B apre la porta dell’ufficio e la ringrazia per aver accompagnato il suo ospite fino alla sua soglia, in un tacito invito a lasciarli soli per un colloquio a porte chiuse e lontano da orecchie indiscrete… e per una volta Yelena è davvero contenta di essere cacciata via.

 

***

 

22 settembre 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

Il rumore del bastone che risuona sul parquet la precede e Yelena raddrizza le spalle alzando il mento in automatico, dandosi un'aria più autoritaria di quella già dimostrata, mentre osserva impassibile le sei bambine armate di punte gessate che continuano imperterrite ad esercitarsi alla sbarra.

-I risultati? -esordisce Madame B affiancandola, bisognosa di un rapporto sulle missioni in corso al punto da costringerla a strisciare fuori dall’ombra dello specchio alle loro spalle, probabilmente pentendosi di aver dato carta bianca all’Alleato e di non avere nessun'altra alternativa se non affidare l’intera operazione in corso alla ragazza.

-Ottimali. -replica Yelena spiccia, evitando accuratamente di rivolgere lo sguardo all'insegnante, timorosa che legga all’interno dei suoi occhi il risentimento represso che sta covando da giorni. -Tutti ed otto i target sono stati marchiati e conseguentemente deceduti, nessun imprevisto… 

-Bene. -annuisce la donna con espressione granitica, scoccandole uno sguardo esasperato dopo un paio di respiri secchi. -Avanti, dillo.

-Sono sulle nostre tracce. Entrambi.

Madame B finge di non ascoltarla, scrolla le spalle in un cenno incurante e persiste nell’osservare le bambine con espressione indecifrabile, quest’ultime ignare dell’intera faccenda. Yelena reprime un moto di esasperata impazienza, impedendosi di offrire appigli al suo superiore per criticarla, nascondendo silenziosamente il reticolo di crepe che minavano il suo asservimento alla donna ed al contempo rafforzando la sua vocazione alla causa… causa che perpetrava sui soldi versati dal Dipartimento, che non mancava di trovare ogni volta un pretesto diverso per rinfrescarle la memoria con la tacita minaccia che si aspettavano grandi cose da lei.

Il Leviathan si era ridotto a viaggiare sulle informazioni, il mercato nero mormorava costantemente da settimane ma evitava di pronunciarsi, in attesa della mossa decisiva prima di decretare se la Dark Room –l’unione dei cocci restanti di un grande impero– era ancora un'organizzazione temibile o se invece costituiva le ultime braci di un fuoco di paglia tranquillamente trascurabile… se non agivano con un minimo di riguardo, rischiavano seriamente di gettare all’aria tutti i sacrifici fatti per salvare il salvabile dalla caccia alle streghe indetta dai Traditori, rivoltando le viscere di Yelena all’idea che tutto il lavoro fatto potesse bruciare con lei al rogo per colpa delle convinzioni di una vecchia megera accecata dalla gloria dei bei tempi andati.

-Vanno eliminati, Madame. -Yelena spezza il silenzio all’improvviso, l'incontenibile bisogno di fare qualcosa, arrischiandosi di esternare la propria opinione, rimpiangendo di non avere completo potere decisionale sugli eventi.

-A tempo debito, al momento non sono ancora un problema. -concede Madame B con un sottotono vagamente irritato.

-Lo diventeranno presto. -obietta testarda fissando le punte delle bambine che si muovono con sincronismo perfetto, consapevole di aver ragione, ma ancora troppo timorosa di sfidare apertamente l’insegnante anche con lo sguardo.

-Senza la sua Arma Difettosa, Natalia non va da nessuna parte… deve ancora capire da che parte della scacchiera si trova, e noi abbiamo ancora il coltello dalla parte del manico… è un problema trascurabile, ora.

-Madame… -tenta di nuovo, consapevole di essersi imposta con tono troppo flebile per risultare quantomeno convincente nella sua stentata opposizione, mordendosi la lingua per non ribattere sfrontata che l’unica che ignorava la propria collocazione nella scacchiera era l’insegnante.

-Non discutere, Yelena.

Ammutolisce, ingoiando bile corrosiva per non esplodere, concedendosi un respiro profondo per non implodere… non è assolutamente il momento adatto per una scenata, deve solo avere pazienza, i tempi non sono ancora maturi per seppellire Madame B nella fossa che stava contribuendo a scavarsi da sola. 

È solo questione di tempo, poi avrà il permesso di mangiare qualcuno… reprimendo la vaga nota di sollievo nell’appurare che per quel turno lei era ancora salva, vigliaccamente soddisfatta di aver saputo giocare bene le sue carte fino a quel momento.

-Agli ordini, Madame.



 

Note:

1. Traduzione dal russo: “piccola ballerina”.

2. Ursa Major, un mutante di nome Mikhail Uriokovitich Ursus, ha la capacità di trasformarsi in un grizzly a comando. Ripudiato e cacciato dalla famiglia, nei fumetti di “Agent Carter - Operazione S.I.N.” si scopre che scappa nella steppa siberiana e finisce a rifugiarsi quasi per caso nello stesso gulag dove erano rinchiusi/rifugiati Tania Belinsky e Anton Vanko. Per motivazioni difficili da spiegare –oltre all’odio generalizzato verso i mutanti che prosegue nei secoli dei secoli–, vi basti sapere che una squadra di militari irrompe (KGB, Leviathan, HYDRA, Dipartimento X etc è irrilevante, dato che sono tutte strettamente colluse) e separa i due giovani (la relazione amorosa è una mia deduzione, sono canonici solo qualche mezzo flirt e sguardi molto intensi) facendo perdere le rispettive tracce. Neanche a farlo apposta –ovviamente– Mikhail viene incarcerato e torturato per renderlo un Soldato “potenziato” asservito fedelmente a Madre Russia, per sopravvivenza il gene X lo obbliga alla trasformazione in orso come soluzione definitiva.

3. Secondo il mio headcanon, in “1956” Bucky va per la prima volta in Siberia per prelevare Tania e Vanko dal gulag e portarli al Cremlino, la prima perché si era rivelata una prode assassina, il secondo perché serviva alla divisione scientifica per velocizzare la corsa spaziale in favore dei russi.

4. Blandi riferimenti a “Till the end of the line” dove il caro Barone Zemo attua il suo famoso piano di “rovesciare un impero dall’interno”, con dinamiche leggermente diverse rispetto a quelle del film, anche se mosso da motivazioni simili. Muore come effetto collaterale al tentativo di portare a termine il suo “piano malvagio”, non che questo “piccolo dettaglio” blocchi il meccanismo volto alla distruzione degli Avengers, anzi, dato che li illude dal primo all’ultimo che il pericolo sia stato momentaneamente sventato.

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Capitolo 12
*** Seconda parte - Capitolo XI ***


SECONDA PARTE - CAPITOLO XI



 

25 settembre 2018, Metropolitana, Parigi

 

Natasha lo odia, detesta Barnes con tutta se stessa, non le importa se l’ha appena raccattata dallo spiazzo polveroso fuori dal Louvre e le ha promesso dei punti di sutura, una volta appurata la presenza di uno sfregio sanguinante che le attraversa la gamba… lo odia, perché una gentilezza disinteressata non è da lui e le sembra quasi un atto di carità, come se fossero ancora nella Stanza Rossa, quando lui non doveva fingere di doverle qualcosa e si divertiva a scaraventarla sul pavimento del ring nove volte su dieci. 

Lo detesta… e si odia, per non aver fermato la bambina in tempo, per non aver intuito che nascondeva un'arma nello scarponcino, per essersi bloccata e non aver contrattaccato. Forse, semplicemente, lei si odia troppo già da sola per i motivi più disparati e Barnes rappresenta un'ottima valvola di sfogo, forse dovrebbe ringraziarlo per non averla lasciata morire dissanguata all’ombra polverosa della piramide di vetro, ma scarta velocemente l’idea scrollando la testa imponendosi di non essere sciocca… Bucky non è mai gentile con nessuno, figurarsi con lei, e Natasha preferisce pensare al gesto come un atto di pietà solo per il fatto che quel genere di azione sa come gestirla, mentre una gentilezza disinteressata… non proprio.

-Formicola?

-Cosa? -si riscuote staccando la fronte dal vetro fresco sollevando lo sguardo sull’uomo, che ondeggia appeso alla maniglia agganciata al soffitto della carrozza, sporgendosi nella sua direzione con sguardo vagamente apprensivo.

-La gamba… ha iniziato a formicolare? -ripete con tono che si sforza di essere seccato, indicandole la fasciatura di fortuna costituita da un lembo della sua ex camicia di cotone, ormai ridotta ad uno straccio zuppo di sangue annodato intorno alla sua coscia.

-Intorpidita, ma non formicola ancora. -replica con sufficienza, distogliendo lo sguardo schiacciando nuovamente la fronte contro il finestrino alla ricerca di un po’ di sollievo dal suo stato febbricitante, registrando appena il paesaggio che le scorre davanti a tutta velocità. -Tra quanto scendiamo? 

-Un paio di fermate.

-Okay.

Erano settimane che Natasha teneva sotto controllo le segnalazioni al Mercato Nero, aveva scoperto che i presunti capi si divertivano a seminare indizi per arrivare alla vittima prima che si trasformasse in un cadavere e la donna era riuscita nell’ardua impresa di decifrare il codice, poi era stato relativamente semplice notare che il sistema online del Musée d’Orsay aveva riscontrato un piccolo problema con il conteggio delle prenotazioni per le visite guidate, come era stato lampante che in mezzo al branco di bambini di terza elementare ci fosse per forza di cose un’intrusa. Natasha si era improvvisata una guida museale, ma aveva dovuto raggiungere la sezione dedicata a Courbet prima che la bambina si decidesse ad attuare la sua mossa, lanciandosi a passo di carica verso il povero malcapitato anonimo che fino a due secondi prima stava ammirando indisturbato il monumentale dipinto Realista1… Natasha l’aveva intercettata prima che potesse sferrare il fendente mortale alla vittima scelta, rincorrendola fuori dall’ingresso e lungo il marciapiede che portava al Louvre, perdendola in mezzo alla calca di turisti che assediavano la piramide di vetro, non prima di una breve colluttazione che aveva avuto come risultato quello di ritrovarsi con il sedere a terra ed uno sfregio che le dilaniava la coscia. A distanza di qualche minuto le spalle larghe di Barnes le avevano oscurato il sole, sollevando d’istinto lo sguardo su di lui mentre si abbassava tempestivo alla sua stessa altezza, strappando ed annodando uno scampolo della sua camicia intorno alla ferita prima che lei potesse obiettare con un contrordine qualsiasi. 

Natasha si era tristemente resa conto che le sue alternative si riducevano drasticamente a zero, riflettendo sul come fosse escluso convocare una squadra tattica per una semplice ferita, soprattutto quando non aveva ne un cadavere da insabbiare, ne un ostaggio da incolpare… ritrovandosi ad annuire debolmente quando Barnes le aveva allungato la mano in pelle sintetica2 per rimetterla in piedi spintonandola fino all’accesso del metró, promettendole ago e filo sterili, un tetto sicuro sopra la testa giusto per quel paio d’ore necessarie a riorganizzarsi e qualcosa da mettere sotto i denti per cena.

Era stato un sollievo –favorendo il proprio mal di testa pulsante ed in costante aumento– quando, dopo il paio di fermate promesse, Barnes le aveva fatto cenno di scendere ordinandole di seguirlo tra le stradine acciottolate di Montmartre, puntando in automatico alla funicolare per raggiungere la sommità della collina, voltandosi confuso quando la donna aveva declinato la proposta deviando verso la ripida scalinata che saliva lì affianco.

-Con tutti questi turisti in fila faccio in tempo a morire dissanguata. -spiega iniziando a salire gli scalini con la gamba formicolante venendo presto affiancata da Barnes, impedendosi di farsi distrarre dalla sua presenza troppo vicina e blandamente irritante, concentrandosi unicamente nel mettere un piede davanti all’altro e nel non cadere di faccia contro la ripida scalinata.

-Sei sicura di farcela?

-Certo che ce la faccio, sono solo… -la frase le muore in gola quando la gamba non risponde all'impulso dettato dal suo cervello facendola precipitare incontro alla pietra, ritrovandosi con il braccio di Bucky intorno alla vita prima che possa rendersene conto, salvandola dallo schianto e ritraendosi al contatto subito dopo come se si fosse ustionato. -...gradini.

-Si certo, come no. -afferma sarcastico, studiandola con sguardo indecifrabile quando lei gli fa la linguaccia e riprende la scalata come se nulla fosse, barcollando visivamente ma decisa a non dargli ragione chiedendogli aiuto.

-Testarda che non sei altro... -sbuffa brontolando sommessamente in risposta alla provocazione agendo d’istinto, recuperando il distacco afferrandola per le spalle con un braccio e passandole quello di metallo sotto le ginocchia, alzandola da terra come se non pesasse niente… forse per lui effettivamente lei non pesava niente.

-Rimettimi giù. Subito.

-No.

La risposta secca la fa ammutolire all’istante non capendo perché abbia improvvisamente perso tutta la sua voglia di ribattere, rassegnandosi ad agganciargli una mano sul retro della nuca, ma ostinandosi a fissarlo in cagnesco per tutta la lunghezza del tragitto, fino a quando non la rimette a terra una volta raggiunta la porta di un caseggiato che si affaccia direttamente su Place du Tertre… e la facciata del palazzo ha qualcosa di terribilmente familiare, ma nonostante tutto il suo cervello non riesce ad analizzare quale sia il dettaglio che le provoca quel forte senso di dejavu destabilizzante.

-Cos’è questo posto? -si rassegna a chiedere titubante, mentre l’occhio le cade inevitabilmente sulla chiave ancora infilata nella toppa, riconoscendola come la copia speculare di quella appesa al proprio mazzo di chiavi.

-Tecnicamente uno dei tanti appartamenti di Nick Fury, praticamente casa mia in caso di emergenza… la copia delle chiavi ce l’abbiamo solamente noi due, Maria e Steve. -spiega l’uomo spiccio scostando l’uscio con una spallata permettendole l’accesso, intascando il gruzzolo di chiavi mentre lei lo supera soppesando l’informazione confermandola come vera… era un dettaglio così infinitesimale che il suo cervello aveva evidentemente deciso di rimuoverlo, inghiottito dal buco nero costituito dalla sua memoria lacunosa, che tuttavia negli ultimi tempi si stava gradualmente riducendo giorno dopo giorno. 

-Ci sono delle medicine nel cassetto del bancone… io vado a lavarmi le mani, prendo il disinfettante e la cassetta del pronto soccorso… tu trascinati pure in cucina quando hai preso quello che ti serve. -afferma Barnes abbandonandola nel corridoio d'entrata con finta noncuranza, scomparendo attraverso la porta che conduceva al bagno dopo averle indicato distrattamente il mobile da cui reperire i farmaci e la porta che portava alla cucina.

-I farmaci normali non mi fanno effetto. -afferma ad alta voce Natasha per farsi sentire oltre le pareti, dubitando che Barnes sia a conoscenza di tutto ciò che c’è scritto nella sua cartella clinica nonostante i tre mesi di addestramento trascorsi a Mosca ormai diversi anni fa3, zoppicando comunque verso il bancone aprendo a caso il cassetto a sinistra.

-Nemmeno a me fanno effetto, là dentro ci sono solo pillole prese al mercato nero o roba fabbricata dallo SHIELD… se vanno bene per me, vanno sicuramente bene anche per te… 

La voce dell’uomo giunge attutita dalla parete, mentre Natasha comunica sovrappensiero una risposta in assenso, ignorando bellamente la continuazione della frase quando al posto dei medicinali le capita tra le mani una scatolina di velluto, aprendola curiosa ritrovandosi di fronte ad un bellissimo solitario scintillante… chiudendola di scatto una volta realizzato che quella può tranquillamente considerarsi violazione della privacy –non che sia una novità per lei, ma questa volta avverte un sentimento simile alla colpa agitarsi alla base del suo stomaco–, serrando il cassetto quasi con foga come se si fosse appena ustionata le dita con un qualcosa che non avrebbe dovuto assolutamente toccare, mentre una fitta particolarmente dolorosa alla tempia le spacca in due la testa.

Per una frazione di secondo si chiede chi sia la fortunata ad indossare un anello meraviglioso come quello, per poi scacciare il pensiero frivolo ragionando sul fatto che la vita privata di Barnes non è assolutamente affar suo, aprendo il cassetto di destra prelevando i farmaci necessari a placare il suo dannatissimo mal di testa, lasciandosi alle spalle la scoperta chiudendola a chiave anche nei recessi della propria mente, assumendo una compressa a secco mentre si trascina barcollante fino al tavolo della cucina.

-Hai trovato quello che ti serve? -chiede Barnes varcando la soglia dopo di lei, depositando la cassetta del pronto soccorso sul ripiano, aprendola ed iniziando a rovistare al suo interno.

-Mh-m. -mormora sollevando la gamba puntando il tallone sul tavolo. 

Natasha sibila sofferente quando Barnes taglia via i lembi di tessuto dei suoi pantaloni, sospira sollevata quando il metallo freddo delle dita entra in contatto con la pelle lacera anestetizzandola ed impreca tra i denti quando l’uomo inizia a disinfettarle la ferita bruciandole la carne.

-Sta ferma e non lamentarti, ti è andata bene che è superficiale e non servono i punti. -replica scorbutico quando Natasha non riesce a controllare l’ennesimo spasmo e sobbalza impercettibilmente una terza volta.

-Fa comunque male. -brontola in risposta mentre James si limita a squadrarla con sguardo indecifrabile, facendole cenno di tenersi premuta la garza sterile contro il taglio mentre lui reperisce le bende per fasciarle la coscia. 

-Fa male perché ti ho praticamente raccolta dalla polvere, la ferita aveva già iniziato ad infettarsi.

-Questo lo so, avrei fatto anche da sola se non ti fossi messo in mezzo. -risponde a tono sollevando gli occhi al cielo, facendolo voltare nella propria direzione di riflesso.

-Non mi sono messo in mezzo, sei tu che mi sei finita tra i piedi. -replica Barnes seccato bloccandole la fasciatura, inchiodando lo sguardo ghiacciato nel suo. -E potevi anche rifiutarti, non ti ho mica trascinato di peso fino a qui, ci sei arrivata letteralmente sulle tue gambe.

-Non che avessi molta altra scelta, me l’hai praticamente ordinato… nonostante sia stata una proposta ragionevole. -concede assottigliando lo sguardo sfidandolo, mentre le viscere le si ribaltano in attesa di una risposta tagliente, in un vuoto elettrostatico che si protrae fino alla sua contestazione successiva. -Che ci fai qui a Parigi, Barnes?

-Affari… tu invece che ci fai qui, Romanoff?

-Affari. -sorride sarcastica ottenendo un accenno di un ghigno ironico in risposta, mentre un brivido le percorre la schiena nel sapere di star giocando con il fuoco, che a vederlo arrabbiato non ci guadagna nulla.

-Per curiosità, non avevi calcolato me o la coltellata? -ribatte James a tono senza demordere o scalfire la sua maschera imperturbabile, mentre un “stronzo” le muore sulle labbra boccheggiando a vuoto, ripiegando alla presa in giro in merito ai propri errori di valutazione con il più candido dei sorrisi, ricambiando sfiorando volutamente a sua volta una nota dolente dell’uomo.

-Ammetterlo non cambia nulla, quindi… dimmi, come ci si sente ad essere arrivato per secondo anche stavolta?

-Perché me lo chiedi? Stai tenendo il conto? 

Natasha si blocca interdetta, presa in contropiede dalla domanda pronta a bruciapelo appena formulata, boccheggiando non sapendo come ribattere nell’immediato.

-In effetti sei a tre non è un punteggio niente male. -afferma l’uomo sorridendole appena nell’essere riuscito a ridurla al silenzio, alzandosi da tavola raccattando il contenuto della cassetta del pronto soccorso con fare noncurante.

-Non pensavo tenessi davvero il conto di quante volte ti ho messo i bastoni tra le ruote. -mormora Natasha grata di non dover momentaneamente rispondere a nessuna domanda, sforzandosi di riempire quel vuoto accaparrandosi l’ultima parola nella discussione, realizzando con un secondo di scarto di avergli appena fornito una risposta implicita su un piatto d’argento.

-A quanto pare non sono l’unico… sei stata brava. -afferma lasciando trasparire il complimento come una nozione di poco conto, afferrando il disinfettante e quant’altro per riportarli al loro posto. -Torno subito.

Natasha si copre il volto con le mani liberando un grido muto appena Barnes scompare oltre la soglia, dandosi della cretina per essere appena passata per quella che ha costantemente bisogno di un assist in uno scontro, ma reprimendo un sorriso microscopico nell’essere riuscita a strappargli dai denti quello che alle sue orecchie era suonato come un complimento bello e buono… si impone di piantarla di gongolare ordinandosi di ricomporsi, biasimando i farmaci assunti ed il quarto di litro di sangue perso per averle sciolto incautamente la lingua, gettandola in un limbo ovattato da cui non era del tutto sicura di voler fuggire, conficcandosi le unghie nei palmi per rinsavire.

Stupida, stupida, stupida.

-Ehi, tutto bene? -la richiama Barnes affacciandosi alla soglia e puntellandosi allo stipite, mentre Natasha solleva lo sguardo su di lui d’istinto registrando in sordina il fatto che si è appena cambiato la maglietta, notando che tiene tra le mani il cellulare e i brandelli della sua ex camicia, mentre sta terminando di distruggerla sfilacciandola con le dita in un tic nervoso malcelato. -Il mal di testa come va?

-Gestibile, sono stata peggio. -replica spiccia puntando lo sguardo sul frigorifero in metallo, concentrandosi sulle calamite appese nel tentativo di mettere in fila i propri pensieri ricomponendo la sua solita facciata imperturbabile, corrucciando appena le sopracciglia quando un flash confuso le illumina a giorno il cervello, intravedendo l’ombra inesistente di una fotografia appesa al freezer, scuotendo il capo scacciando l’istantanea mentale insieme alla stilettata di emicrania improvvisa. -Ho delle fitte che vanno e vengono, nulla di preoccupante… Stark dice che è normale.

Natasha annuisce di riflesso alla propria affermazione più per convincere se stessa che Barnes, abbassando lo sguardo e picchiettando con le dita contro la superficie del tavolo, spaesata perché per una volta non sa davvero come comportarsi in una situazione del genere – o meglio, è stata addestrata anche per situazioni di quel genere, ma in fondo lei non ha nessuno scopo nei suoi confronti, se non comprenderlo per una buona volta, e James non può decisamente considerarsi una potenziale vittima da far cadere nella propria ragnatela… l’ha addestrata, conosce tutti i suoi trucchi, i suoi punti deboli e se ne renderebbe conto prima di subito. Forse la cosa che la disorienta davvero è che Barnes è stato semplicemente gentile, e la cosa paradossalmente la spaventa a morte.

-Perché mi hai aiutata? -chiede a bruciapelo nel tentativo di coglierlo in fallo, rinunciando a priori quando lui solleva lo sguardo color ghiaccio su di lei con l’espressione di chi si aspettava quella domanda da un momento all’altro.

-Perché non avrei dovuto? -replica sorridendo dandole i nervi, sopprimendo l’impulso di picchiarlo seduta stante per placare l’irritazione.

-Perché devi sempre essere così criptico? -sbuffa fulminandolo con lo sguardo, studiando i suoi movimenti quando lo vede avvicinarsi al cestino per gettare via i resti della sua camicia. -Dimmi come stanno le cose una volta per tutte e facciamola finita… perché mi hai aiutata, Barnes?

-Perché io… -si interrompe a corto di parole e Natasha si sorprende, perché forse quella è davvero la prima volta in cui lo vede insicuro, mentre tentenna un paio di secondi con una verità scomoda impigliata tra le corde vocali e la lingua. 

-Fa parte dei tuoi famosi errori e delle tue responsabilità mancate? -lo interrompe la donna sforzandosi di collegare gli indizi raccolti nell’ultimo mese, irritandosi nel non riuscire a comprendere cosa sta succedendo.

-Anche. -Barnes sembra quasi grato del fatto che lei l’abbia interrotto, dandole allo stesso tempo l’impressione che lui sappia esattamente cosa leggere tra le righe dell’incertezza che le scurisce lo sguardo, perché tra tutti non ha senso che sia proprio lei una delle sue responsabilità mancate, propinandole una spiegazione così su due piedi. -Se ti succede qualcosa credo ci sia una fila di persone molto, molto incazzate che vorrebbero la mia testa… inizia pure da Barton, mio fratello e Stark a seguire, ed avanti così fino a quando non ti viene più in mente nessuno… puoi considerare il salvataggio una cortesia professionale se la cosa può farti sentire meglio.

-Vada per la cortesia professionale. -ammette Natasha perché in effetti come ragionamento ha senso, ma dubita a pelle che quella sia davvero la verità, nonostante non sappia affermare con certezza quale possa essere l’alternativa.

-Bene. -esala l’uomo, con lo sguardo di chi sa che lei ha recepito la bugia e si sente vagamente in colpa per averla proferita. 

-Bene. -lo rassicura lei, perché sotto sotto non è sicura di voler indagare oltre come pensava, mentre il suo stomaco brontola e le ricorda di voler essere nutrito… pensando che di solito il cibo italiano riesce a metterla di buon umore. -Ho fame, e tu mi hai promesso una cena.

-Le pizze arrivano tra un quarto d’ora, ho già chiamato… prima. -sorride imbarazzato, svicolando con lo sguardo iniziando ad apparecchiare la tavola per avere qualcosa con cui tenere impegnate le mani, probabilmente per impedirsi di torturarsi le dita per il nervosismo. -Ti va bene?

-Va benissimo… -afferma scrollando le spalle, eclissando la sensazione che Barnes sappia leggerle davvero nel pensiero, convincendosi che è alquanto improbabile che lui la conosca meglio di quanto voglia farle credere. -Comunque grazie… per la medicazione e tutto il resto.

-Figurati, non c’è di che… dubito succeda di nuovo, tanto la prossima volta arrivo prima io.

-Speraci. -ridacchia Natasha di fronte al suo finto broncio, scucendogli un sorriso mozzafiato… non che quest’ultimo sciocco pensiero lo ammetterà mai ad alta voce.

-Dicono che la speranza è l’ultima a morire… staremo a vedere, no? -non sa perché, ma Natasha percepisce la domanda con un sottotono di sfida che ha molto di personale.

-Sí, staremo proprio a vedere. 

Mentre lo dice, le sembra quasi di suggellare una promessa, ma non sa spiegarsi di preciso il perché… tanto ormai ha smesso da tempo di cercare delle risposte a tutte le sue domande.

 

***

 

26 settembre 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

-Anya l’ha ferita. -annuncia Yelena con tono duro senza staccare gli occhi dai cerotti con cui sta coprendo le sbucciature della piccola, ignorando volutamente Madama B che la supera e la fronteggia richiedendo una tacita attenzione.

-Chi? Numero 3? - domanda retorica con una smorfia sul volto che denota una insofferenza latente nel continuare ad essere ignorata dalla ragazza, interpretandola come una mancanza di rispetto nei propri confronti.

-Anya l’ha ferita. -ripete sottolineando il nome della bambina, rendendo implicita la sua ribellione contro il completo annientamento che Madame B desiderava seminare tra le cadette.

-C’è ancora tempo, Yelena. -rimarca lapidaria, scacciando la ragazzina con un gesto secco della mano, in un suggerimento velato che le consigliava di non assistere alla sfuriata.

-Non è vero, è solo questione di tempo… -la rimbecca la ragazza caparbia, fronteggiando l'insegnante ben piazzata sul posto a gambe larghe, granitica ed intestardita a voler avere voce in capitolo. -Lasciami eliminarla dai giochi.

-Avrai il tuo momento, ma non è oggi.

Yelena ingoia la risposta velenosa che le sfiora provocante le labbra, annuendo sorridente, andandosene in silenzio dopo essere stata liquidata così in malo modo… nascondendosi alle telecamere di sicurezza, forzando la serratura dell’ufficio di Madame B appropriandosi dell’unico telefono presente in tutta la Base, componendo il numero d’emergenza che l’Alleato le aveva consegnato al loro primo incontro, nel caso si presentasse una situazione analoga a quella appena verificatosi.

-Sta posticipando. Ancora.

Non serve che specifichi i soggetti, all’Alleato non servivano più dato che Yelena ricopriva il ruolo di doppiogiochista ormai da diversi mesi… non c’era mai stato un secondo incontro a porte chiuse tra l’uomo e Madame B, quest’ultima era troppo orgogliosa per assecondare un piano vantaggioso per entrambi ma non redatto da lei, mentre l’Alleato aveva rinunciato in partenza nel tentare di corrompere un elemento cardine della Vecchia Guardia, puntando gli occhi su carne più fresca e più ambiziosa, promettendo a Yelena un posto d’onore per ammirare il mondo mentre brucia e dimostrandole la giusta considerazione che Madame B le aveva sempre negato per decisamente troppi anni. L'insegnante aveva preferito cedere alle belle parole di Novokov –un Soldato vendicativo, ambizioso ed ignaro del coinvolgimento di un secondo vertice nella gerarchia–, negando a Yelena il giusto riconoscimento per l'ennesima volta e rifiutando nuovamente un intervento diretto da parte del Dipartimento X, ritornando sui propri passi quando Leonid aveva tirato le cuoia… elemosinando un aiuto esterno istituendosi a garante-fantoccio, resa troppo cieca dalla propria superbia per accorgersi delle macchinazioni che si muovevano alle sue spalle e portate avanti esclusivamente da Yelena.

-Suggerisci un colpo di stato? -indaga la ragazza quando la proposta dell’uomo di deporre dal trono l’insegnante si concretizza in frasi inequivocabili e concise, suggerendole di prendere le redini dell’Accademia della Dark Room e dandole carta bianca sul come ottenere la tanto agognata promozione.

-Perché no? Sai meglio di me che i Traditori sono instabili e pericolosi.

-Certo che lo so bene, Compagno.

Yelena sorride euforica nel percepire una nota di bisogno nella voce dell’Alleato, sentendosi utile per la prima volta in vita sua… dopotutto lui necessitava di persone con la sua stessa visione d’insieme, persone come lei.

La ragazza sapeva fin troppo bene che ad eliminare i componenti di una macchina ben oliata si creava resistenza, che per mandare definitivamente a pezzi la catena di montaggio bisognava smembrarla dall’interno… Natasha era servita agli scopi preposti, aveva debilitato Fury lasciando il Salvavita scoperto, ma ora era rinsavita –come sospettavano– e tra i tre mastini alle dipendenze della spia, lei era l’unica che poteva arrivare alla soluzione dell’indovinello e spronare gli altri due ad agire… bastava una mezza parola sbagliata con il Soldato d’Inverno e si sarebbe acceso un albero di Natale intermittente nella testa di entrambi, che avrebbero tentato il tutto per tutto per bloccare ogni loro tentativo per eliminarli… ed era questo che Madame non capiva e l’Alleato aveva compreso fin troppo bene. 

-La Zarina può proteggere il Salvavita, a prescindere da chi l’accompagna… capisci da sola cosa devi fare. -riprende l’uomo dall’altro capo della cornetta, con un sottotono autoritario che fa rabbrividire la ragazza al solo pensiero inconcepibile di poter fallire.

Un fallimento, con lui, non è mai contemplato a prescindere… e Yelena architetta un colpo di stato da così tanto tempo che sa esattamente come muoversi sulla la scacchiera e trascinare con lei tutte le pedine in gioco.

È finalmente arrivata l’ora di concretizzare i sogni nel cassetto di Madame B, è giunta l’ora di riportare la Zarina a casa.



 

Note:

1. Vi risparmio la lezione di storia dell’arte, ma ci tengo a sottolineare che il quadro citato indirettamente è “Atelier dell’artista” di Courbet.

2. In “Till the end of the line” Bucky –seguendo la sua controparte fumettistica– ha cestinato l’ammasso di ferraglia targata Hydra in favore di un nuovo arto high-tech, che tra i vari optional vanta anche un dispositivo in grado di simulare dei perfetti tessuti realistici in pelle sintetica alla vista e al tatto, differenziandosi unicamente per la diversa “consistenza”.

3. Per la serie “Mosca è confusa perché non si ricorda minimamente di te, Bucky” (1956), Natasha ricorda vagamente solo il loro rapporto allieva-insegnate dei primi tre mesi perché dal quarto in poi (fino al dodicesimo) le cose iniziano a modificarsi e la loro non può più considerarsi una relazione prettamente lavorativa.

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Capitolo 13
*** Seconda parte - Capitolo XII ***


SECONDA PARTE - CAPITOLO XII



 

27 settembre 2018, Resistenza sicura di Natasha Romanoff, Little Ukraine, New York

 

Il taxi accosta sul ciglio della strada e Natasha solleva il bavero della giacca per evitare che la pioggia filtri dal colletto, correndo per evitare di infradiciarsi nel giro di un paio di secondi, litigando con la serratura che non vuole assolutamente saperne di collaborare ed aprirsi al primo tentativo.

Sono momenti di nervosismo intenso, ma quando finalmente la porta si apre e scivola oltre l’ingresso, si concede l’estasi di assaporare la sensazione di asciutto secco che aleggia tra le pareti del proprio appartamento… venendo distratta dal lieve grattare alla porta, subito seguito da un miagolio infreddolito, abbassando lo sguardo su Liho che la prega di entrare a scaldarsi con due enormi fanali gialli supplicanti.

-Solo perché piove. -concede dopo un sospiro spazientito, pentendosi immediatamente di aver finito per cedere alle volontà di un gatto randagio, rivalutando all’istante il pensiero appena formulato quando il felino comincia a strusciarsi contro le sue gambe facendole le fusa in un tacito ringraziamento. -Lecchino.

Si libera della giacca di pelle e delle scarpe dalle suole bagnate, avventurandosi lungo il corridoio verso la cucina seguita da Liho come un'ombra.

-Hai fame? Perché io ho fame. -annuncia incurante che sia notte fonda o che il suo interlocutore sia un gatto nero opportunista, fingendo di sentire un miagolio di assenso in risposta. Apre la dispensa prelevando gli ingredienti per un toast, per poi svuotare una scatoletta di tonno su un piatto e depositarlo sul pavimento, dopo aver acceso il tostapane per cucinarsi il suo misero spuntino.

-Vado a farmi una doccia, Liho. -annuncia al gatto come se a lui importasse sul serio, già concentrato nello spazzolare la propria cena, distogliendo lo sguardo dal piatto quando comprende di essere stato preso in causa. -Evita di distruggermi l’appartamento prendendo ad unghiate qualunque cosa e forse posso valutare l’idea di non cacciarti di casa.

Liho in tutta risposta torna a concentrarsi sul proprio tonno, mentre Natasha si dà della cretina da sola… è un gatto, doveva essere impazzita del tutto se sperava di ricevere una qualsiasi risposta, ignorando forzatamente la consapevolezza di aver percepito un eco nebuloso e lontano nella propria mente in risposta alle sue affermazioni.

Scuote la testa e silenzia il cervello, mentre l’acqua bollente lava via la polvere, la stanchezza ed i brutti pensieri, sollevando il viso verso il soffione della doccia inalando vapore, finendo con la fronte contro le piastrelle congelate cercando di riprendere fiato… non si era nemmeno resa conto di aver smesso di respirare regolarmente, ignorando il fatto che nelle ultime settimane nulla di ciò che faceva era regolare, come se continuasse a rimbalzare tra le pareti di gommapiuma di una stanza claustrofobica senza riuscire a raggiungere l’uscita, sospinta da una forza molto più forte di lei che la lasciava alla deriva di un costante mal di testa spacca-meningi. 

Le iridi verde foresta venate di rosso che le restituiscono lo sguardo allo specchio la spaventano, con le occhiaie che traspaiono dal fondotinta colato e le lacrime di mascara che le rigano le guance… fortunatamente è l’unica a cui permette di vedersi così, ma ciò non le impedisce di allungare il palmo contro lo specchio cercando di cancellarne il riflesso. 

Starà meglio, prima o poi.

Sostituisce la fasciatura zuppa alla gamba, appurando con sufficienza che tutto sommato Barnes aveva fatto davvero un buon lavoro con la medicazione, infilandosi l’intimo ed una maglietta sformata passabile come pigiama, trascinandosi sul materasso e rannicchiandosi al suo centro.

È stanca, al punto da percepire il proprio corpo galleggiare sospeso sul materasso e lasciarsi andare alla deriva del moto ondoso che si dibatte nascosto all’interno della sua scatola cranica, ricercando la quiete nella tempesta con scarsi risultati, infreddolita dalle lenzuola fresche che le accarezzano la pelle, ma talmente esausta da farla desistere dall’allungare un braccio verso il fondo del letto afferrando il lembo della coperta e seppellirsi sotto di essa. Sta per precipitare in balia del dormiveglia quando percepisce dei passi leggeri che calpestano il parquet risalendo il corridoio, rigirandosi tra le lenzuola andando ad occupare il lato sinistro del materasso seguendo un automatismo inconscio, reprimendo l’accenno di un sorriso quando sente la porta aprirsi.

Dormi?

-No… -sussurra schiudendo gli occhi, ritrovandosi a fissare il muro intravedendo il flash di un ombra inesistente alta poco più di un metro e ottanta, realizzando con un secondo di ritardo che la sagoma scura in realtà è molto più bassa e la sua ombra allungata è dovuta dalla luce dei lampioni che filtra attraverso le imposte, abbassando lo sguardo delusa sul gatto nero che sbuca dalla soglia. -Ah… sei solo tu.

Liho miagola come a chiederle chi altro si aspettava, approfittando della sua momentanea confusione per balzare sul materasso ed accoccolarsi sopra le lenzuola, addossandosi alla duna in rilievo del suo polpaccio.

-Non ti ho dato il permesso di dormire qui, scendi. -ribatte scorbutica senza capirne il motivo, tentando di scacciare via il felino con un movimento scattoso della gamba, riuscendo a spostarlo di solo mezzo metro prima di vederlo accoccolarsi di nuovo contro la sua gamba iniziando a farle le fusa… stupido gatto testardo. -Solo per stanotte, intesi? 

Liho miagola in assenso e Natasha si da di nuovo della cretina per aver ceduto così facilmente al volere del felino, chiedendosi quando di preciso si era rammollita al punto da desiderare le fusa del gatto… ammettendo a se stessa che tutto sommato quella era una coccola piacevole, che quella palla di pelo ormai rappresentava l’unico contatto caldo da settimane glaciali, sprofondando in un limbo soporifero con la consapevolezza spigolosa ad invadergli la mente che il ricevere affetto era una sensazione che non credeva potesse o dovesse mancarle.

Viene svegliata dal gatto diverse ore dopo quando afferra con l’artiglio la fasciatura ed inizia a tirarla irritando la ferita in fase di guarigione, aprendo gli occhi allarmata per quella novità inattesa rendendosi conto di aver scalciato via il lenzuolo durante la notte lasciando le gambe esposte, mentre Liho miagola chiedendo di essere nutrito.

Si prepara il caffè mentre sfama il gatto, appuntandosi mentalmente di comprare dei croccantini ed una lettiera qualora decidesse di non cacciarlo di casa, trascinandosi di nuovo sul materasso tenendo in bilico la tazza contenente il liquido nero, mentre con la mano libera agguanta ed inizia a digitare stringhe di dati al computer, allontanando Liho con il piede quando si avvicina troppo alla tastiera minacciando di improvvisarsi dattilografo zampettandoci sopra.

Usa i Network del mercato nero per cercare informazioni, conscia che le bambine non possono essere scomparse nel nulla, sperando di scovare una mollichina di pane in grado di farle da apripista… le va bene qualunque cosa, pur di non restare in balia degli eventi per un solo secondo di più.

Quando le arrivano le coordinate inizialmente non vuole crederci, leggendo e decifrando tra le righe il suggerimento velato di andare a controllare i resti dell’ex Stanza Rossa di persona perché degli uccellini sono tornati al nido, ma l’informatore anonimo ignora per quanto tempo resteranno in zona prima di volare via… ed il fatto che quella sia esattamente l’informazione che bramava la fa scattare sull’attenti fiutando l’odore di trappola, preparando le valigie e prenotando il primo volo per Mosca, fin troppo consapevole di andare incontro al proprio carnefice adeguandosi al suo gioco ed alle sue regole, avvisando Fury sul canale di emergenza facendo richiesta che le invii qualcuno in supporto nel caso le cose dovessero prendere una brutta piega.

Carica la valigia nel bagagliaio del taxi ed ordina all'autista di raggiungere l’aeroporto, chiudendosi alle spalle la breve parentesi di pseudo-quiete contenuta e cristallizzata tra le pareti del proprio appartamento, ora abitato da un gatto randagio che ormai di randagio aveva solo l’atteggiamento. 

L’ultima cosa che fa prima di spegnere il cellulare e scomparire dai radar, è digitare il contatto di Clint e recapitargli un messaggio: 

Ho adottato un gatto, non lasciarlo morire di fame mentre sono via… torno presto, credo ;)

 

***

 

28 settembre 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

Negli anni i corridoi della Base non sono cambiati di una virgola, ma agli occhi di Natasha appaiono impoveriti… ci sono meno telecamere, meno guardie, meno ombre onniscienti pronte a ghermirla e trascinarla nel buio… ed il fatto che Natasha le veda, quelle ombre, come pallidi fantasmi generati dalle proprie reminiscenze dimenticate, non la aiuta affatto.

Scivola lungo le pareti e si nasconde nei punti ciechi più impensabili ignorando chi glielo abbia insegnato tra i tanti fantasmi che aleggiano tra quelle mura, puntando a passo sicuro all’ufficio di Madame B, perché una volta collegati i puntini risultanti dalle sue ricerche non restavano molte altre persone da biasimare e su cui puntare il dito per gli orrori che continuavano ad inseguirla.

Socchiude una lama di luce nella stanza buia scoprendola deserta, mentre una morsa gelida le attanaglia le viscere nel vedere lo scenario che si dipinge davanti ai suoi occhi oltre la parete di vetro… osserva gli sguardi sofferenti delle bambine che si sforzano di restare sulle punte da ballo, i lividi che appaiono tra gli intrecci scoperti del tutù e l’ombra della paura che aleggia nella stanza ad ogni respiro affaticato e sospiro trattenuto. Trattiene il fiato quando vede Yelena, viva, fiera e ben piantata a terra che recita passi con sequenza metodica, mentre marcia avanti e indietro in attesa di un qualcosa… un passo falso probabilmente, ma un incurvatura inusuale della bocca le comunica qualcosa di diverso, una sorta di tacita concessione ad uno spettatore silenzioso, sottintendendo che lei non desidera ferirle davvero quelle bambine, come se incarnasse la lama brandita da un burattinaio nascosto. 

Ed eccola lì, la conduttrice di quel circo degli orrori, nascosta nel buio di un angolo con una cartellina sottobraccio mentre appunta ogni più piccolo errore commesso dalle reclute, scrutando con lo sguardo affilato di un avvoltoio le caviglie delle piccole, animata dal desiderio viscerale di vederle storcersi e spezzarsi… e Natasha agisce fulminea prima di poter pensare seriamente alle conseguenze delle proprie azioni, il desiderio atavico di fermare il tempo e cancellare tutto, di salvare le piccole dal suo stesso destino infame, fondendosi con le ombre raggiungendo Madame B accarezzandole la gola con una lama affilata. Capisce di aver fatto una cazzata quando percepisce il sorriso della donna con la coda dell’occhio, lo assimila mentre la consapevolezza la raggiunge fino al midollo realizzando che la donna non aveva minimamente fatto resistenza, sconvolgendosi per aver percepito l’odore della gratitudine rassegnata e non della paura.

Natasha si risveglia dal momento di blackout quando le ginocchia di Madame B impattano contro il parquet in un tonfo secco, cadendo scomposta iniziando a formare un lago di sangue ai suoi piedi, mentre un urlo strozzato scuote gli animi delle bambine sorprese… e ciò che vede nei loro occhi non è sgomento per il cadavere che giace abbandonato a terra, ma è timore reverenziale perchè la Morte Rossa ha mietuto l’ennesima vittima.

-Bambine… silenzio. -ordina Yelena glaciale ed impassibile, mentre le ragazzine eseguono gli ordini e si zittiscono come automi. 

-Yelena... credevo fossi… -tenta Natasha, ma le parole le muoiono in gola incollandole la lingua al palato… ciò che ha davanti non ha senso, perchè Yelena è viva e nessuno sta reagendo come dovrebbe, mentre un dubbio esistenziale agita i pensieri che le vorticano in testa sconquassandoli, realizzando di aver mal interpretato l’intera situazione, che nel tentare di orchestrare un’imboscata era caduta a sua volta in una trappola molto più complessa.

-Morta? -termina Yelena al suo posto con un verso di scherno, fronteggiandola con uno sguardo fiero al gusto di rivalsa dipinto sul volto, sollevando il mento dandosi importanza. -Tania sí, io persisto, sono la nuova te.

Lo sguardo cristallino della sorella d’armi cade inevitabilmente ai suoi piedi, mentre un sorriso germoglia dalle sue labbra gelando il sangue di Natasha all’istante, comprendendo per la prima volta da quando ha messo piede nell’edificio di essere incappata –ed aver reso possibile– un colpo di stato, mentre la gratitudine rassegnata di Madame B diventa improvvisamente nitida ai suoi occhi per quello che è… un’ultima beffa ai danni di chi la desiderava morta, la tacita soddisfazione di aver avuto l’ultima parola in merito alla propria morte, seppur violenta.

-Brava царица1, lavoro impeccabile, pulito… chissà se ad averlo saputo ti avrebbe perdonato anche questo affronto. -continua a schernirla Yelena, troppo presa dal vantarsi del suo piano ben orchestrato per comprendere l’errore di fondo in quel gesto estremo… perchè è giovane, perché è ancora tragicamente troppo inesperta del mondo in miniatura che le gravita attorno al punto da riuscire a vederlo solamente attraverso una patina di vernice rosso sangue, troppo orgogliosa ed assetata di un qualsiasi riconoscimento per capire in che modo subdolo era stata manipolata e raggirata in tutto quel tempo che aveva trascorso tra le mura di ciò che restava della Stanza Rossa.

-Sapeva... sperava che questa fosse la sua fine dal primo giorno in cui me ne sono andata. -cerca di ammonirla Natasha, ma dai lampi che illuminano lo sguardo di Yelena intuisce che la sorella comprende solamente il linguaggio inculcatole dal Leviathan, rassegnandosi a ritorcerle contro il suo stesso senso di inadeguatezza pur di racimolare un qualche indizio sul manipolatore… perché nessuna persona sana di mente vorrebbe fare a scambio con la sua vita, nemmeno per un secondo. -Ha provato a rimpiazzarmi… ma credo tu l’abbia delusa mini-me, non sei nemmeno stata capace di portare a termine una vendetta come si deve da sola, mi hai lasciato tutto il lavoro sporco.

-Io ho architettato tutto il tuo lavoro sporco, non sono così incapace come tu credi. -replica la sorella risentita, indirizzandola nella giusta direzione. -Madame B non mi ha mai dato credito, ma l’ho fatto. Ce l’ho fatta… sono meglio di te, del tuo Soldato…

-Primo: зимний солдат non appartiene a nessuno, e di certo non a me. -la lingua di Natasha articola sillabe autonomamente prima che lei possa ragionare sul discorso in atto, prima di potersela mordere riducendosi a silenzio, dominandosi e correggendo la sbandata dopo una leggera battuta d’arresto interrogandosi in sordina sul perché abbia reagito in quel modo insolito, ritornando sulla via dell’istigazione con più convinzione di prima… è lei che conduce il gioco, mai il contrario. -Secondo: tu sei e resti la mia brutta copia. 

-Una brutta copia… -Yelena sembra riflettere sulla scelta di quelle parole, ma quello che Natasha interpreta come una scalfittura alla campana di vetro che imprigiona la sorella, si rivela essere il barlume di un’ira sorda ed onnipresente che lei aveva inconsapevolmente contribuito a creare. -Quindi non siamo mai state nulla di più di una brutta copia per te? Un nessuno, un qualcuno di dimenticabile? Tania non era nessuno per te?

La pugnalata arriva alle spalle trapassando la gabbia toracica di Natasha, conficcandosi nel suo cuore e colando a picco fino allo stomaco, sventrandola… Tania era stata il primo mostro che aveva cresciuto e plasmato a sua immagine e somiglianza, era stata la seconda persona che aveva segretamente corrotto e successivamente cercato dopo Odessa… trovandola in una distesa di neve candida che celava le sue ossa congelate nel terreno duro della steppa, mentre il mal di testa impietoso la coglie di sorpresa impedendole di identificare il volto del primo nome sulla lista.

-Tania era diversa, lei a differenza tua aveva capito di essere una marionetta… -Natasha si ritrova a difenderla, mossa da un affetto che credeva di aver dimenticato, indicando prima la sorella e poi il cadavere ai suoi piedi. -Guardati, sei così fiera di aver architettato il suo assassinio da non aver capito che questo era esattamente ciò che voleva.

-Fidati, non era questo ciò che voleva. -il tono di indifferenza con cui commenta la situazione fa contrarre lo stomaco di Natasha in una morsa dolorosa e gelida, ritrovando la propria versione ventenne specchiata nello sguardo della ragazza, quando aveva perso già tutto il perdibile e non aveva altro se non la violenza e il sangue. -Ma la decisione finale non spettava a lei, non in questa partita.

Le parole scelte da Yelena cristallizzano definitivamente il flusso sanguigno nell’apparato circolatorio di Natasha, che manca un battito nel figurarsi l’ombra machiavellica di Zemo alle spalle della ragazza, in una annunciazione mortifera che credeva aver seppellito mesi prima con l’uccisione dell’uomo… scoprendosi meno sorpresa di quanto ipotizzato inizialmente, rassegnandosi che per ogni testa mozzata ce n’era già un’altra pronta a tendere un agguato.

-Una partita? -replica ironica sopprimendo l’ansia che le colora la voce, intonando il principio di un discorso che si sforza di essere ragionevole. -Yelena chiunque te l’ha ordinato non ti sta lasciando una leadership, ma una tomba aperta in cui seppellirti…

-No, non è vero. 

La risposta giunge fulminea con un tono troppo meccanico per essere autentico, intravedendo un lampo di paura nelle iridi azzurre della sorella, che tentenna per una frazione di secondo lasciando che le ossa tremino in uno spasmo contenuto, per poi ricomporsi dando a Natasha la prova inconfutabile di aver fallito… perchè la ragione non può davvero nulla in confronto alla paura della morte. 

-Bambine… in posizione. -ordina Yelena aggrappandosi al proprio esercito per difendersi dall’attacco verbale chiamandone in causa uno fisico, mentre le bambine sollevano i pugni pronte all’offensiva come mastini in allerta.

-Sei a uno è contro le regole. -mormora Natasha reagendo alla provocazione preparandosi allo scontro, lo sguardo riluttante che tradisce la sua volontà di non ferire nessuna ragazzina… e Yelena accenna un microscopico sorriso, perchè forse non le sta piacendo davvero ciò che sta facendo, ma la soddisfazione di vederla combattere andando contro ai propri ideali rivoltandole contro i suoi stessi punti deboli è indubbiamente impagabile.

-Le regole non si sono mai applicate su di te, царица1. -replica freddamente siglando la sua condanna a morte, perchè nonostante la stazza, il peso e l’età, un sei contro uno è pressoché impossibile da gestire anche per lei.

Natasha viene sopraffatta quasi all’istante, la difesa resa fiacca dalla carente convinzione nel contrattaccare l’offensiva, mentre le bambine la sovrastano assalendola senza concederle nemmeno un secondo di respiro… riaprendo spaccature in fase di guarigione, procurandole lividi nuovi da sommare a quelli vecchi, finendo per spezzarle le ossa… mentre la donna si biasima per ogni colpo inflittole, perchè se quella volta a Budapest avesse raso al suolo la Stanza Rossa invece di darsi alla fuga con Clint tutto questo non sarebbe mai successo, perchè se quella volta a Mosca non si fosse mai ribellata ora non si ritroverebbe accecata da un dolore lancinante che la spinge a pregare una divinità qualsiasi di farla finita sul pavimento dove tutto era iniziato. 

Quando la pugnalano allo stomaco, la coltellata assume le sembianze di un intervento divino, accettandola come una benedizione con somma gratitudine… il mondo si rovescia, mentre l’udito sbiadisce e le ombre dell’incoscienza iniziano a sostituire le bambine una ad una, premendo le mani sullo stomaco per puro istinto di sopravvivenza nonostante sia consapevole che senza l’aiuto di qualcuno morirà dissanguata nel giro di poco, riuscendo con un ultimo sforzo a distinguere il profilo di Yelena attraverso la vista appannata.

-Eliminando la concorrenza non sono più seconda a nessuno… e poi, dopo tutto quello che hai fatto, ti meriti di morire sola. -annuncia abbassandosi alla sua altezza quando le passa affianco, mentre l’oscurità cala il sipario magnanima su Natasha, facendole fremere le palpebre e scollegandola definitivamente dalla realtà. -Questa volta non c’è nessun angelo custode pronto a salvarti маленькая балерина2.



 

Note:

  1. Traduzione dal russo: “zarina”.

  2. Traduzione dal russo: “piccola ballerina”.

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Capitolo 14
*** Seconda parte - Capitolo XIII ***


SECONDA PARTE - CAPITOLO XIII



 

27 settembre 2018, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

L’aveva svegliato la luce in corridoio che faceva capolino dalla porta socchiusa, in una lama luminosa che fendeva il buio della camera da letto, mentre James si porta la mano sana al volto per strofinarsi gli occhi in un tentativo fallimentare di scacciare via la sonnolenza, finendo per girarsi dall’altra parte del materasso dando la schiena alla porta, affinando l’udito limitandosi ad ascoltarla.

Percepisce il rumore sordo delle palme dei piedi che viaggiano sul parquet in punta per fare meno rumore possibile, avvertendo la chiusura metallica del mobiletto in bagno che viene aperto, seguito dallo strappo delle bende e dello scotch per fasciature… e James sopprime l’impulso di alzarsi dal letto ed andare a controllare che la compagna non si sia ridotta ad uno scolapasta –non di nuovo, spera–, sedando l’istinto concedendole il beneficio del dubbio, concentrandosi sul gocciolio del rubinetto appena chiuso, sul tintinnio dello spazzolino contro la ceramica del lavandino, sul lievissimo stropiccio della stoffa mentre la sente infilarsi il pigiama e raggiungerlo a letto… tiene gli occhi chiusi fingendo di dormire percependo la sua ombra aggirare il materasso e scostare le lenzuola alle sue spalle, sibilando infastidito quando un paio di secondi dopo i piedi gelidi di Natasha vanno a scaldarsi in mezzo alle sue gambe, circondandogli il busto con un braccio schiacciando la guancia contro la sua schiena dopo avergli depositato un bacio in mezzo alle scapole.

-Lo so che sei sveglio… a titolo di cronaca, la prossima volta fingi di russare almeno un po’. -lo informa in un sussurro, scostandosi appena per permettergli di girarsi verso di lei, mentre James cerca istintivamente le bende che le fasciano il corpo appena socchiude gli occhi. -Sto bene, torno come nuova tra un paio di giorni.

-Mh-m. -concede volutamente sordo alla constatazione, cercando lo stesso le garze con le dita mentre Natasha lo lascia fare sbuffando spazientita celando un sorriso che fa capolino dalle labbra, annuendo soddisfatto dopo aver appurato che i graffi erano effettivamente contenuti e la donna non stava minimizzando come al solito per rimandare la sua preoccupazione al mattino dopo. -Se volevi evitarti il check-up non dovevi accendere la luce in corridoio e svegliarmi, fino ad un quarto d’ora fa io dormivo.

-Ecco, bravo, torna a dormire su. -replica con tono fintamente scontroso, rannicchiandosi verso la sua porzione di materasso dandogli le spalle. -Certo che tu non ti fidi proprio mai, eh.

-Scusa se tendi sempre a minimizzare… -brontola allungando un braccio trascinandosela contro, facendo collidere la schiena della donna contro il proprio petto. -Ma questo discorso lo affrontiamo un’altra volta, non sono abbastanza sveglio per litigare come si deve.

-Ti odio. -annuncia Natasha con finto risentimento sbadigliando nel mentre, ritornando a dargli fastidio con i piedi congelati per ripicca reputandolo un equo regolamento di conti, intrecciando le dita alle proprie abbandonate sopra il suo stomaco.

-Bugiarda. -la smaschera senza troppa difficoltà, premendo le labbra contro i suoi capelli regalandole un bacio della buonanotte. 

-Di professione… ‘Notte.

-‘Notte.

 

James allunga una mano alla propria sinistra tentando di afferrare nuovamente Natasha convinto che gli sia scivolata via dalle braccia nel sonno, percependo il tocco ispido delle setole del tappeto invece della morbida carezza delle lenzuola di cotone, aprendo gli occhi sul salotto del Complesso appurando di essersi addormentato steso sul pavimento. La colonna vertebrale scricchiola dolorosamente quando tenta di alzarsi seduto, contraendo i fasci di nervi infiammati quando inizia a stiracchiarsi, sibilando dolorante quando la scapola sinistra gli invia una fitta che getta in allarme tutte le sue terminazioni nervose… sbuffa rimuovendo la protesi alleviando il peso che grava sulla spalla dolorante, imprecando di prima mattina contro la propria schiena bloccata, ammettendo a se stesso solo in un secondo momento che la contrattura era quantomeno prevedibile, dato che erano ormai settimane che si ostinava a dormire ovunque –pavimenti, tavoli, sedie o divani sfondati– tranne che sul proprio letto. 

Non ha idea di che ora sia e francamente nemmeno gli interessa, registrando appena il cielo stellato che illumina debolmente le vetrate, abbandonando la protesi sopra il divano incurante di generare disordine disperdendo pezzi di se un po’ ovunque… ormai lo faceva da settimane e nessuno trovava mai il coraggio di dirgli nulla, concedendogli tacitamente il lusso di intrattenere delle continue litigate mentali con Natasha sul caos che lasciava in giro, rimanendo deluso ogni volta quando ritrovava un oggetto abbandonato esattamente dove l’aveva lasciato e non fuori in giardino dopo un lancio olimpionico dalla finestra. 

Arranca fino in cucina strascicando i piedi alla ricerca di una tazza di caffè, mezzo storto a causa dell’arto meccanico mancante, in un costante tentativo di bilanciare il proprio baricentro per non inciampare, chiedendosi se la rinuncia a quel peso familiare che solitamente gravava sul suo lieve accenno di scoliosi fosse stata davvero una buona idea. 

Da quando l’avevano operato rendendo l’arto meccanico staccabile, sia Tony che la ragazzina gli avevano suggerito di ritrovare un proprio equilibrio anche senza il braccio sinistro, ma dopo settant’anni con un ammasso di ferraglia appesa alla spalla tre volte più pesante del normale, James non aveva avuto ne il tempo ne la voglia di correggere la sua situazione strutturale, limitandosi a riabituarsi al nuovo peso arrancando per inerzia, abbandonandolo giusto il tempo per la diagnostica di routine, la doccia ogni tanto e le rare volte in cui la schiena urlava infiammata che era un idiota nel voler fare sempre di testa propria. Quelle erano anche le volte in cui Natasha si incazzava sgridandolo per non avere il minimo rispetto della propria salute, sorda alle proteste quando lui sottolineava a tono come la cosa fosse reciproca, ritrovandosi ogni volta con le dita della donna impegnate a sciogliergli le contratture seduta a carponi sopra di lui… ovviamente il litigio non cessava di colpo, ma almeno gli veniva concesso di dormire sul materasso per un paio di notti prima di ritornarsene sul divano, sempre se non riusciva a corromperla prima ed era dannatamente bravo nel corromperla.

James non sa di preciso quando si sia preparato il caffè, ma la tazza fumante che si sta rigirando tra le mani diventa un chiaro sintomo di come ultimamente passi più tempo sconnesso dalla realtà che presente a se stesso, lasciandosi scivolare addosso il mondo che gli gravita attorno mentre il pensiero randomico di impedirsi di accartocciarsi di nuovo su se stesso gli attraversa la mente tentando di convertirlo in un buon proposito, ma forse non ci crede abbastanza per concretizzarlo davvero in un dato di fatto, prefigurandosi tra qualche ora nuovamente addormentato sul tappeto –magari senza protesi, tutto dipendeva dall’evolversi del suo mal di schiena nel corso della giornata–, ridendo con autoironia del proprio equilibrio discutibile e della propria testardaggine… ritornando sempre con la mente al fatto preoccupante di aver ricominciato a sognarla, il che a tratti era forse peggio di immaginarla morta, ferita o agonizzante con il suo nome impigliato nelle corde vocali, dubitando di riuscire ad addormentarsi sul loro letto in tempi brevi. 

Si rende conto di essersi perso di nuovo nei propri pensieri quando, sistemandosi meglio sullo sgabello del bancone, incappa nello sguardo di Wanda e nella sua seconda fetta di pane e marmellata, che gli rivolge un cenno del capo in segno di saluto mantenendo immutato il religioso silenzio che regnava tra quelle quattro mura ancora immerse nel buio della notte.

-Schiena bloccata? -spezza il silenzio la ragazza dopo aver avuto la conferma di essere stata notata, cadendo con lo sguardo sulla manica vuota della sua maglietta.

-Tu puoi farci qualcosa? -replica con tono spento dubitando in una risposta affermativa, rifiutandosi lui per primo di richiedere un massaggio a qualcuno.

-In realtà sí. -afferma la ragazza sporgendosi sul tavolo afferrandogli la spalla sinistra in uno slancio altruistico improbabile ed improvviso, sprigionando dalle dita dei tentacoli vermigli che gli attraversano la schiena infilandosi sottopelle, incuneandosi tra i fasci di muscoli in tensione sciogliendo gradualmente tutte le contratture, ritirando la mano solamente a lavoro concluso. -Meglio?

-Molto… grazie. -concede scucendosi un microscopico sorriso mentre Wanda liquida il gesto con una scrollata di spalle, indugiando con lo sguardo sulle scintille cremisi che sospingono il cucchiaino mescolando lo zucchero nel suo the, riportandosi la propria tazza di caffè alle labbra prendendone un sorso generoso scoprendo con disappunto che nel frattempo il liquido nero si era raffreddato.

-C’è qualcun’altro di sveglio? -chiede dopo diversi secondi di silenzio, il cervello leggermente più reattivo che gli permette di rendersi conto che loro due sono gli unici svegli a discapito dell’altro paio di persone che soffrivano di insonnia ospitate occasionalmente al Complesso.

-No. -replica atona sollevando appena lo sguardo dalla propria tazza, celando il guizzo fulmineo che le colora le iridi di rosso. -Sharon è rientrata dalla missione un paio di giorni fa quindi Steve è tornato a casa a Brooklyn, mentre Tony è ancora in luna di miele a Venezia1.

-Uh... giusto. Che ti avevo detto sul leggermi nel pensiero? -replica scorbutico cambiando discorso quando la ragazza abbassa di nuovo lo sguardo, nascondendo le iridi screziate di cremisi fingendo di non aver sentito la domanda. -La mia mente è zona off-limits se non ti do il permesso verbale di giocarci.

-Io non ho la pazienza di decifrarti a parole… e poi i tuoi pensieri sono rumorosi, sono difficili da ignorare. -ammette Wanda stringendosi tra le spalle a mo’ di scuse. -Dobbiamo continuare a fingere di intrattenere una conversazione qualsiasi o possiamo tornare a dormire?

-Non credo ritornerò a dormire. -afferma alzandosi dal bancone afferrando la tazza sporca consegnatogli da Wanda quando le passa davanti, depositandole entrambe nel lavello. 

-Non puoi nemmeno scendere al poligono e svegliare tutti a colpi di mitragliatore.

-Le pareti sono insonorizzate. -replica con tono ovvio alla constatazione dirigendosi verso la porta, vedendosela chiudere in faccia da un guizzo color cremisi, voltandosi a fronteggiare la ragazzina con sguardo vagamente scocciato. 

-Dovresti dormire, sono le quattro del mattino Bucky… non è sano che tu sia a zonzo già a quest’ora. -ribatte spigliata sprigionando una scintilla dalle dita. -Ti do’ una mano a riprendere sonno se vuoi.

-Non è sano nemmeno che tu sia in piedi a quest’ora a dire il vero. -replica puntiglioso, aprendosi la porta da solo ed avviandosi verso il salotto seguito a ruota dalla ragazzina. 

-Io ho la scusante dei crampi alla pancia e dell’antidolorifico per essermi svegliata, che poi mi sia venuta fame e tutto un altro discorso. -commenta con un sorriso ironico sulle labbra, fronteggiando lo sguardo dubbioso di James quando si volta verso di lei cercando una spiegazione ai suoi malanni randomici. -Sai, quel favoloso periodo del mese… 

-Ah. -si ritrova a tendere le labbra in un sorriso divertito soffocando un principio di risata, scatenando un lampo di confusione negli occhi di Wanda, affrettandosi a fornirle una spiegazione alla propria reazione prima che lo etichetti come un pazzo completo. -Scusa, ma non mi capitava di chiamare in causa l’argomento dal ‘43… mia sorella non aveva gli antidolorifici, credo tu possa immaginare le lamentele in merito. Tutto qui.

-Natasha non…? -il quesito germoglia spontaneo sulle labbra della ragazza, prima di risucchiare un respiro riportando alla mente l’ovvia risposta. -Domanda idiota, l’ho anche visto. Sai… mi dispiace per Praga.

-Perché dovresti? Il padre non ero io… e comunque nessuno dei due vuole avere dei figli tra i piedi, di solito evitiamo semplicemente di parlarne2. -risponde per automatismo con voce atona sforzandosi di sembrare convincente, ma come tentativo fa abbastanza pena persino per lui, nonostante Wanda si astenga dal commentare l’intera faccenda lasciando sprofondare la conversazione nel silenzio… mentre un vago giramento di testa gli preannuncia una emicrania da favola se non trova immediatamente altro a cui pensare, articolando la frase successiva prima che riesca a comprenderla davvero. -Puoi rimettermi a dormire… per favore?

-Okay. Ma sul divano. -concede indifferente per poi bloccarlo subito dopo appena lui posa un piede sul tappeto, ben prima che possa anche solo formulare l’idea di lasciarsi ricadere sul pavimento, afferrando la protesi dai cuscini. -E dormi qualche ora senza quell’affare, altrimenti ti ritrovi nella situazione di prima con uno schiocco di dita, chiaro?

-Ho come minimo ottant’anni in più di te, di certo non prendo ordini-... 

-Vuoi seriamente metterti a litigare alle quattro del mattino? -lo placa con un sorriso che si sforza di essere gentile dipinto sulle labbra, sfregandosi le mani sprigionando scintille rosse che illuminano la stanza nella penombra, in un tacito monito che lo sfida a metterla alla prova. -Io ho sonno e voglio tornare a dormire… sii collaborativo, per favore.

James si morde la lingua e si lascia sprofondare tra i cuscini serrando gli occhi con forza, mettendosi l’anima in pace lasciandola fare… dopotutto qualche altra ora di sonno non può fargli davvero male, desiderando egoisticamente di ritornare al punto in cui si era interrotto il sogno di prima. 

-Puoi evitarmi gli incubi? 

-Questo non dipende da me, ma dal tuo cervello… io ci provo, ma non garantisco. -lo informa inginocchiandosi al suo fianco, posandogli un indice sulla tempia. -Pensa bene al dove vorresti essere.

Riporta alla mente la carezza delle lenzuola di cotone, il respiro rilassato di Natasha che si espande attraverso le costole fino al suo torace… i suoi capelli che gli solleticano il naso… i suoi capelli… rossi… rosso, rosso, rosso… rosso sangue…

 

James corre in mezzo alla neve… o almeno ci prova, arrancando immerso nella distesa bianca fino alle ginocchia lasciandosi la protezione della macchia erbosa del boschetto alle spalle, raggiungendo la strada battuta dai pneumatici del fuoristrada che ha abbandonato da poco la base militare limitrofa.

James corre come se avesse l’inferno alle calcagna fino alla porta d’accesso di metallo della base militare, discostandola con una spallata energica, perdendosi in mezzo al dedalo di corridoi con il battito del cuore che gli martella nelle orecchie, perchè sa che non ha più molto tempo… ignora il come fa a saperlo, lo sa e basta. Non ha tempo.

Pensava di non doverci più rimettere piede in quel luogo… ma anche quel pensiero fugge dalla sua testa e si nasconde dietro alla paura viscerale di essere in ritardo, mentre i corridoi gli scorrono a fianco a tutta velocità senza vederli davvero, fidandosi dei propri piedi che evidentemente sanno da soli dove devono portarlo, registrando appena la variazione di sonorità quando smettono di calpestare il cemento e raggiungono il parquet di legno. 

L’odore del sangue gli dà alla testa appena apre la porta della sala da ballo… e la vede, i capelli dello stesso colore della chiazza che si sta allargando sotto di lei colorando gradualmente il pavimento, inginocchiandosi al suo fianco iniziando a far pressione sulla ferita esposta praticando le manovre di primo soccorso… non ha tempo… 

 

-Buck… 

 

...non ha tempo… 

 

-Ehi, va tutto bene… 

 

...non ha tempo… 

 

James riapre gli occhi reprimendo uno spasmo sorpreso, profondamente grato che la tortura dettata dal suo inconscio sia finita, riconoscendo la mano di Sam ancorata alla sua spalla destra che lo scruta preoccupato dall’alto.

-Sam… -lo riconosce imprigionando un respiro nella gabbia toracica, iniziando istintivamente a contare i secondi per regolarizzare il respiro, mandando al diavolo Wanda ed i suoi sogni indotti, scuotendo il capo per scacciare via i recessi dell’incubo appena vissuto.

-Scusa amico, stavi tremando ed il tuo battito cardiaco era alle stelle… -lo informa mentre l’accenno di un sorriso rassicurante fa capolino dalle sue labbra, afferrandogli la mano tesa per aiutarlo a mettersi seduto. -Buongiorno, socio.

-Ehi… Quando sei tornato? -chiede sopprimendo uno sbadiglio passandosi la mano sul volto, stiracchiandosi ruotando le spalle, appurando che almeno le contratture si erano dissolte come se non fossero mai esistite.

-Stanotte. Dormivi sul pavimento, sono quasi inciampato su di te. -lo informa mentre lui annuisce in risposta, afferrando l’arto meccanico abbandonato sul pavimento, riattaccandoselo con il clangore secco del metallo ed uno sfrigolio di circuiti. 

-Non farlo mai più in mia presenza, fa senso… -annuncia Sam mimando la sensazione di un brivido che gli percorre la schiena, scatenando involontariamente la sua ilarità.

-Sbaglio o la tipa con cui ti frequenti di recente ha anche lei un braccio bionico? -scherza alzandosi dal divano muovendo l’articolazione avanti e indietro, calibrando il peso facendola aderire meglio alla placca elettromagnetica che nascondeva il moncherino. 

-Quello di Misty3 non si stacca… cambiando discorso, quando sei finito a barboneggiare in salotto come soluzione definitiva? Pensavo fossi tornato a Parigi… o avessi raggiunto Fury alla S.W.O.R.D.4… 

-Nah… barboneggio qui al Complesso da dopo il matrimonio di Tony1, tralasciando le gite fuori porta quando appare miracolosamente una pista e me la litigo con Natasha.

-A questo proposito… inizi a parlare tu o conduco un interrogatorio io? -replica Sam con tono leggero, ficcanasando nella sua vita sentimentale senza sforzarsi di nasconderlo troppo… come al solito, James trovava estremamente rassicurante che certe cose non cambiassero mai. -Manco da un po’ e a Hell’s Kitchen non arrivano poi così tanti aggiornamenti… 

-Ah no, non esiste. -ride scuotendo l’indice di metallo in segno di dissenso. -Mi sono appena alzato dal divano e sono reduce da un incubo, mi serve un caffè prima di riuscire a dire qualunque cosa di non compromettente

-Tipo? Che ti stai piangendo addosso da un mese anche se fingi di no? -lo provoca ben consapevole di quali tasti toccare.

-Ad Hell’s Kitchen non arrivano aggiornamenti, ma le telefonate di Steve sì, vedo… -brontola fintamente risentito, riuscendo a scoprire più carte di quelle pensate quando Sam tende le labbra in un sorriso di circostanza. -Quanto ti fermi?

-Un altro paio d’ore, poi sparisco di nuovo. -James annuisce avviandosi verso la cucina, reprimendo un sorriso a sua volta quando Sam lo segue d’impulso. -Se mi offri un caffè le ore potrebbero diventare tre.

-Solo tre? Non ti vedo da un bel po’, ho parecchie domande da farti… e poi a te servono decisamente più di tre ore per strapparmi di bocca una qualsiasi confessione cuore a cuore su Natalia.

-Idiota. 

James ride in risposta scacciando i recessi dell’incubo dalla propria mente, afferrando il barattolo di caffè mentre Sam inizia a parlare senza che lui gli abbia chiesto niente… non lo ammetterà mai ad alta voce, ma ultimamente si ritrovava ad affogare troppo spesso nei propri pensieri, quindi ora che gliene veniva offerta l’occasione, scivola volentieri nei problemi di qualcun altro –qualcuno a cui tiene e verso il quale non deve fingere interesse– sentendosi davvero utile per la prima volta dopo settimane… e, francamente, non pensava che quella sensazione potesse mancargli così tanto.

 

***

 

Alla fine le due ore erano bastate, Sam era tornato ad Hell’s Kitchen dalla sua nuova banda di disadattati3 come preannunciato e James, che non aveva niente di meglio da fare se non pensare a tutti i torti che aveva subíto dalla vita, si era messo a preparare il pranzo per tutti quanti evitando di dare fuoco alla cucina nella speranza che ciò bastasse a tenere la sua mente al guinzaglio, impedendole di tornare al fotogramma del parquet insanguinato collocabile presumibilmente sotto il cielo di Mosca.

Si impone di ritornare con la mente ad un paio di ore prima, ripensando agli aggiornamenti di Sam sul gruppo di persone che aveva raccattato a New York –un alcolista anonima, un paio di ex poliziotti, un miliardario fissato con il kung fu ed un avvocato– che tenevano sotto controllo la situazione locale istituendo l’ufficio di Murdock a centro operativo, lasciando a loro il problema più urgente delle nuove reclute, delle minacce internazionali ed occasionalmente quelle intergalattiche.

Contro ogni pronostico la sua lingua si era sciolta solamente dopo un ora e mezza, riassumendo in trenta minuti stringati il cosa si fosse perso da dopo il matrimonio di Tony, mettendolo a conoscenza del suo piano alquanto discutibile e decisamente controverso per ritornare –di nuovo– tra le grazie della sua fidanzata, venendo bruscamente interrotto ricevendo in cambio il solito monito che evidentemente tutti provavano gusto nel rinfacciargli: che Natasha sapeva cavarsela benissimo da sola, che non c’era davvero bisogno che lui si preoccupasse e che nessuno voleva ritrovarsi nei suoi panni quando la compagna l’avrebbe scoperto.

James ormai aveva rinunciato da tempo a provare ad illustrare a terzi i delicati equilibri di potere che regnavano in casa propria, tenendo per sé la considerazione che Natasha aveva lo stesso spirito di autoconservazione di una falena davanti ad una lampadina, reprimendo la visione del parquet macchiato di sangue che aveva popolato il suo incubo più recente, astenendosi dal spiegare che lui non metteva in dubbio le sue capacità di combattimento –né l’aveva mai fatto–, semplicemente sapeva che da separati non funzionavano bene… erano due parti di un meccanismo rotto che si completava perfettamente a vicenda, senza il supporto dell’altro iniziavano a cadere tristemente a pezzi, anche se in un modo o nell’altro si raccoglievano e si riassemblavano di nascosto a vicenda. 

Sta pensando troppo, sta decisamente pensando troppo… mentre l’idea di sfogare la propria frustrazione nell’allenamento fisico assume contorni ben definiti e concreti quando arrivano i ragazzini dopo pranzo, prestandosi volentieri al ruolo di insegnante per la prima volta dopo nemmeno sa più quanto tempo.

-Tira! 

James colpisce la pallina con precisione millimetrica, il rumore secco del cuoio che impatta contro il legno della mazza da baseball sovrastando ogni suono, osservando la parabola della pallina bloccarsi bruscamente quando la freccia la trapassa da parte a parte e la conficca nel muro alla sua sinistra. 

-SI! -Kate esulta sollevando un pugno in aria in una reazione di gioia genuina, scatenando istantaneamente l'ilarità dei due uomini.

-Niente male, Katie. -si complimenta Clint staccando la freccia dal muro sollevando una mano per darle il cinque, mentre la ragazzina sorride soddisfatta nell’essere finalmente riuscita ad inchiodare alla parete un bersaglio in movimento dopo il settantesimo tentativo. -Ci riproviamo, vuoi? 

Kate annuisce, Clint lancia, James colpisce a colpo sicuro… e Bishop fa punto, di nuovo, con la pallina traforata appesa sul muro. 

Servono almeno altri venti tentativi riusciti perché la stessa Kate conceda loro una pausa, interpretandola come l’occasione perfetta per rifugiarsi sul terrazzo con una sigaretta che gli pende dalle labbra, congratulandosi con se stesso perché quella era la prima della giornata e l’orologio appeso alle sue spalle segnava già le quattro del pomeriggio… erano progressi enormi, considerata la quantità industriale di pacchetti consumati solamente la settimana prima.

-Sei curiosamente di buon umore per aver passato una nottataccia. -afferma Clint raggiungendolo a distanza di qualche minuto, osservando con la coda dell’occhio la sua ombra avanzare verso la balaustra sulla quale era puntellato.

-Penso che questo sia uno dei peggiori tentativi di conversazione che abbia mai sentito in vita mia. -replica illuminando la sigaretta, rilasciando la nuvola di fumo con rilassata calma. -È merito di Sam, comunque.

-Era qui? Non l’ho visto… 

-Hai dormito fino a mezzogiorno, ci credo che non l’hai visto Clint. -afferma ricevendo in cambio una linguaccia, sorprendendosi di non udire nessun commento sarcastico sulla propria insonnia in risposta, deducendo dal silenzio creatosi cosa non gli era stato ancora detto. -Hai parlato con Wanda.

-La tua testa è veramente un casino.

-Sai che novità. -replica riportandosi la sigaretta alle labbra, recitando una preghiera muta nella speranza che la conversazione cada nel vuoto, ma evidentemente impreca troppo spesso perché vengano davvero ascoltate.

-Sai che la cazzata del “sta meglio senza di me” ha smesso di essere credibile da un bel pezzo, vero? Natasha si caccia tranquillamente nei guai con o senza di te, ma preferirei sapere che ci sei sempre tu a tirarla fuori da qualunque situazione, invece di saperla svenuta da qualche parte in mezzo ad una pozza del suo stesso sangue.

James tace e fissa l’orizzonte impedendo al proprio cervello di disseppellire il fotogramma a cui aveva evitato di pensare per tutto il giorno, consapevole che se la sentenza fosse uscita dalla bocca di qualcun altro gli avrebbe già rifilato un pugno spacca-ossa come minimo.

-E dai amico, il mese scorso al matrimonio avete passato tutto il tempo a sbranarvi con gli occhi… non è una situazione irrecuperabile come tu pensi. -riprende conciliante quando da lui non giunge più alcuna risposta, spintonandolo per una spalla cercando una reazione qualsiasi. -E poi se non risolvete, mi spieghi a Natale come diavolo faccio a giustificare la tua presenza? I miei figli ti adorano, non puoi non presentarti… 

-Sei così disperato da giocarti la carta dello “zio preferito”, davvero? -soffoca una risata che di allegro non ha quasi nulla, rivolgendogli lo sguardo mentre Clint replica facendo spallucce, cambiando tono decidendosi a sputar fuori la conferma pericolosa che aveva reso un inferno i suoi ultimi tre giorni. -Le causo costanti emicranie, Clint… me l’ha detto quasi per sbaglio l’ultima volta che l’ho vista… 

-Emicranie? -lo interrompe Clint confuso, mentre un lampo di consapevolezza gli illumina lo sguardo collegando un qualche dettaglio che aveva ignorato fino a quel momento.

-Già… ricalibrazione cognitiva… l’opposto dei reset, ma ciò non significa che sia meno doloroso. -mormora fornendo una spiegazione stringata. -Ogni volta che mi vede, mi parla o mi insulta il suo cervello ricollega dettagli alla routine del prima

-E perchè ne parli come se fosse una brutta notizia?

-Perchè come amate tutti ripetermi, prima o poi arriverà l’input che sgretolerà il muro… non mi importa della quantità di ossa che mi spezzerà quando recupererà tutti i ricordi che ha perso, ciò che mi preoccupa è il suo cervello che andrà in ebollizione… perchè sarà come subire la stasi, ma senza corrente elettrica per perdere conoscenza e senza sedativi per alleviare i sintomi, sarà un vero e proprio crollo psicotico lucido e doloroso.

-Per questo avevi chiesto a Tony di fermarsi, di non rimescolarle più il cervello… 

-I mal di testa avrebbero dovuto placarsi nel giro di un paio di settimane, ma dopo il matrimonio si è isolata a Little Ukraine e non ho più avuto modo di sbirciare la sua cartella clinica. -ammette affranto sfuggendo dallo sguardo impensierito di Barton, spegnendo il mozzicone della sigaretta contro la balaustra.

-E se la prossima volta ci litighi? Non fate altro dalla mattina alla sera, più appigli le dai diluiti nel tempo, meno cose dovrà recuperare con il blackout fondi-cervello. -propone ragionando ad alta voce. -Non risolve il problema, ma devi ammettere che lo migliora.

-Si, okay… ma queste non sono come le solite litigate, non ci sono le stesse regole. 

Clint non aveva torto nel dire che lui e Natasha bisticciavano sempre ad ogni ora del giorno e della notte, ma i loro litigi di routine vantavano uno spettro molto ampio di soluzioni… variavano dalle piccole scaramucce risolvibili con uno scappellotto a tradimento, alle discussioni un po’ più serie dove iniziavano ad urlarsi contro dopo giorni di silenzio scontroso e dormite sul divano, raggiungendo un punto di non ritorno quando la tensione diventava troppa e passavano al rincorrersi da un capo all’altro della cucina, finendo per avventarsi sulle labbra dell’altro concludendo la disputa diversi minuti dopo fissando il soffitto ansimanti proclamando ad alta voce quanto si odiassero a vicenda, ma con un tono così falso da lasciar intendere tutt’altro. 

Il transponder trilla una notifica salvandolo dalla deriva dei propri pensieri, leggendo le coordinate inviategli da Fury, mentre il suo stomaco si trasforma in un groviglio gelido quando identifica il luogo sull'atlante geografico, sperimentando la sordità completa per alcuni brevi secondi di puro panico.

-Bucky… ehi! -Clint urla richiamandolo indietro risvegliandosi dal momentaneo stato di choc, rendendosi conto di aver raggiunto la porta inconsapevolmente, come se i suoi piedi avessero pensato bene di prendersi avanti sui tempi in modo del tutto autonomo. -Dove stai andando?

-Vado a tirarla fuori dai guai… e non ho tempo, non ho davvero tempo.

 

***

 

28 settembre 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

James ha come l’impressione di rivivere un incubo… aveva una vaga idea di cosa avrebbe dovuto aspettarsi, di certo escludeva il mezzo metro di neve a fine settembre, ma trovava comunque inquietante l’aver dovuto parcheggiare il Quinjet nella radura in mezzo al bosco limitrofo alla base militare, ripercorrendo all’incontrario a passo di marcia i solchi dei pneumatici del fuoristrada impressi sulla terra dura del selciato battuto.

Segue l’istinto, identificandolo come l’unico elemento di sé di cui ancora riusciva a fidarsi, ritrovandosi a correre come se avesse davvero l’inferno alle calcagna… perché se c'è davvero la possibilità che i suoi peggiori incubi si concretizzino in realtà, ciò che troverà alla fine della corsa non gli piacerà per niente… scoprendosi realmente impreparato ad una situazione del genere, a discapito degli anni di addestramento ed orrori che aveva accumulato nel proprio curriculum, mentre lo stomaco si contrae ed il cuore minaccia di sfondargli la cassa toracica lasciandolo in balia di un terrore ansiogeno, permettendo al proprio battito accelerato di sovrastare qualunque altro suono.

Non ha tempo.

I corridoi sono interminabili, un dedalo infinito di cemento claustrofobico che sembra voglia restringere le pareti contro di lui, mentre i suoi passi risuonano forti e chiari fregandosene di farsi sentire da terzi, scandendo i secondi che trascorrono inesorabili.

Non ha tempo.

Spalanca la porta con forse troppa irruenza, immaginando il rumore di almeno venti fucili che scattano con un rumore secco togliendo la sicura contemporaneamente –non sarebbe la prima volta che li sente, lì dentro–, mentre l’odore del sangue gli invade le narici… incespicando sui propri piedi quando la vede, svenuta sul pavimento con una mano posata sulla pancia in un tentativo ormai infruttuoso di placare l'emorragia, registrando appena il fatto che la chiazza vermiglia era più contenuta rispetto a quanto preventivato.

Forse ha tempo, più di quello che pensava.

Silenzia il cervello estraniandosi da se stesso mentre placa la fuoriuscita di sangue, mettendo a fuoco esclusivamente Natasha ed imponendosi come fine ultimo quello di portarla al Quinjet per ricucirla ed imbottirla di farmaci, caricandosela in spalla senza sforzo percorrendo a passo sostenuto il tragitto inverso.

James non ha idea del come sia riuscito a raggiungere il velivolo senza ammazzarsi, come ignora completamente il dove abbia attinto la forza di volontà per non cedere all’attacco di panico nel vedere Natasha ad un passo dalla morte, concedendosi di riprendere fiato solamente dopo averle somministrato la morfina, averla ricucita ed aver stabilizzato il battito cardiaco di entrambi… dubita che il suo fisico sia predisposto all’infarto, ma non esclude di averlo sfiorato un paio di volte nelle ultime ore.

L’ondata di sollievo che lo pervade quando la dichiara fuori pericolo è totalizzante, ma non ha il tempo di bearsene che il suo cervello si riattiva, scaravantandogli addosso tutti i problemi incombenti che fino ad un paio di secondi prima si era rifiutato categoricamente di prendere in considerazione… non potevano andarsene da Mosca, consapevole che qualunque cosa fosse in atto non si sarebbe di certo fermata per concedere loro una pausa prolungata, ed allo stesso tempo avevano un urgente necessità di un tetto sicuro e decisamente più caldo di quattro pareti composte da metallo e spifferi –Natasha nello specifico aveva estremamente bisogno di una coperta ed un giaciglio infinitamente più comodo di un pavimento in lamiera– e, soprattutto, a James serviva una giustificazione verosimile sul perché diavolo ci fosse lui a salvarla da morte certa e non chiunque altro.

Per un solo secondo prende in considerazione l’idea di dirle la verità pura e semplice –quello che sono stati, quello che lei non ricorda, quello che lui le ha involontariamente inflitto, quello che potrebbero ancora essere se solo lei glielo permettesse–, ma scarta velocemente l’ipotesi consapevole del perchè fosse un’opzione impraticabile… rassegnandosi all’incombenza decretando che si inventerà qualcosa a tempo debito, concentrandosi su problemi di prima necessità come la ricerca di un tetto fatto di tegole sopra la testa, raggiungendo un’ipotesi nebulosa che probabilmente ha del vantaggioso per entrambi.

Afferra il cellulare ignorando le chiamate perse di Steve e la trafila di messaggi da parte di Clint, componendo il numero sorprendendosi nel riuscire a ricordarselo ancora a memoria, ascoltando pazientemente la risposta standard in russo del receptionist del motel dall’altro capo del telefono.

-Joseph…? -la voce sembra più stanca, più vecchia, di come la ricordava.

-зимний солдат? -non sembra sorpreso di sentirlo, al contrario, probabilmente intuisce già il motivo della chiamata.

-Mi serve un aiuto, per la nostra solita amica in comune. -replica in codice, mentre il tintinnio delle chiavi in sottofondo alla frequenza disturbata si trasforma nel suono più bello che James abbia mai sentito, in un segnale inequivocabile che sottoscrive quell’accordo vecchio di decenni.

-Quando vuoi, i debiti sono sempre debiti.





 

Note:

  1. Stando alle scene tagliate di “Infinity War” l’ipotetica data del matrimonio doveva essere il 27 agosto (la stessa delle nozze di RDJ), mentre la luna di miele a Venezia era dovuta dato che quei due dementi mi nominano il Cipriani dal lontano 2009.

  2. Il padre della bambina che Natasha ha perso a 16 anni a Praga era un fantomatico tizio di nome Nikolaj. Ovviamente a noi poveri comuni mortali non c’è dato sapere con certezza se James sia un “padre mancato”, nonostante io abbia delle teorie al riguardo e, anche se fosse, lui sarebbe davvero l’ultimo ad esserne informato. 

  3. Fumettisticamente parlando Sam finisce per avere una relazione amorosa con Misty Knight (ex-poliziotto che ha perso un braccio durante una sparatoria), mentre la “banda di disadattati” citata sono i Defenders (Jessica Jones, Luke Cage, Danny Rand AKA Iron Fist e Matt Murdock AKA Daredevil).

  4. S.W.O.R.D.: stazione spaziale che gravita in orbita, è la prima difesa della Terra contro gli orrori del cosmo, chi regna lì dentro viene denominato “uomo sulle mura” ed è esattamente dove abbiamo visto Fury nella scena dopo i titoli di coda di “Far from home”.

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Capitolo 15
*** Seconda parte - Capitolo XIV ***


SECONDA PARTE - CAPITOLO XIV



 

30 settembre 2018, Motel, periferia di Mosca

 

Natasha fluttua, trattenuta a riva dalle onde, mentre la risacca del mare tenta inutilmente di trascinarla nuovamente a largo. 

Sa che dovrebbe preoccuparsi di qualcosa, lo sa perché intravvede delle ombre scure ed affilate che nuotano al largo, ma non le sovviene il motivo per cui dovrebbe crucciarsi… gli squali sono lontani, lontanissimi… e lei è al sicuro, sospesa e sola in mezzo ad un’isola deserta, stesa sulla sabbia bagnata con gli occhi rivolti alle nuvole indaco che si rincorrono sullo sfondo di un cielo camaleontico, sospese anch’esse contro una volta celeste cristallizzata in secondi che procedono densi come il miele, generando un tramonto senza fine… anche i suoi pensieri sembrano rallentare, chiedendosi dopo quelle che pensa siano ore se per caso si trova in Paradiso, mentre la risacca del mare continua monotona a scandire quel tempo fluido, infondendole una pace totalizzante che la abbandona in balia di un torpore piacevole.

Natasha continua a connettersi e dissociarsi da quel limbo ovattato con scadenza quasi ciclica, ma dopo quelli che crede siano giorni –forse il secondo o il millesimo in quella sua isola felice– percepisce un lievissimo refolo di vento che la fa rabbrividire al punto da farle tremare le ossa, notando solo in quel momento la stranezza della sua assenza per contrasto… è leggero, quasi impercettibile, e sospinge un eco altisonante alle sue orecchie che conserva nell’inflessione un qualcosa di terribilmente familiare, aumentando di sonorità secondo dopo secondo articolandosi in sillabe che formano il suo nome. Almeno crede, spera, siano secondi… desi, lenti e dolci come il miele.

Natalia, Natalia, Natalia… una cantilena simile ad una ninna nanna, che cresce fino a quando quella voce non la circonda da tutte le parti al pari di un abbraccio da lungo atteso, desiderando visceralmente di annullarsi in esso… segue la voce, perché è dolce, perché è calda, perché sa di casa e sembra indicarle con precisione indiscutibile il suo posto nel mondo… Natasha cede, e la risacca la inghiotte.

 

A Natasha servono diversi secondi per mettere a fuoco la stanza, riattivando gradualmente i cinque sensi per orientarsi, percependo per primo il refolo di vento che filtra dalla porta-finestra socchiusa, portando con sé una zaffata di tabacco che sembra annullare momentaneamente qualunque altro odore. Riesce a distinguere l’aroma del caffè e la puzza ferrosa del sangue raffermo solo in un secondo momento, ma il tutto viene stemperato dalla forte esalazione di disinfettate e farmaci che ristagna nell’aria circostante. Tuffa il naso tra le pieghe della trapunta fuggendo dagli odori aggressivi che la circondano, trovando le lenzuola curiosamente profumate di lavanda mista a tabacco, eclissando quell’ultimo pensiero concentrandosi nell'abbraccio morbido e caldo della coperta ed il pizzicore fastidioso delle garze che le comprimono lo stomaco in una stretta che le accorcia il respiro. 

Realizza con genuina sorpresa di trovarsi in un letto, al caldo e con dei vestiti puliti addosso, mentre i suoi occhi mettono a fuoco le pareti di una camera che si affaccia sulla periferia di Mosca, sollevandosi sui gomiti con forse troppa foga strattonando dolorosamente i bendaggi strappandole un gemito dolorante subito silenziato, soffermandosi sul profilo di Barnes che fuma spaparanzato in terrazzo dando una spiegazione all’aroma persistente di tabacco che aleggia nell’aria… sembra quasi familiare, riconoscendo la compagnia, la vernice scrostata delle imposte, la consistenza del cuscino ed i rilievi delle molle del materasso come se appartenessero ad un ricordo offuscato risalente ad una vita fa.

-Sei sveglia. -annuncia l’uomo quando si rende conto di essere osservato, spegnendo la sigaretta sul posacenere e rientrando dalla porta-finestra chiudendosela alle spalle. 

-Quanto…? -inizia confusa, afferrandosi la testa colta da un capogiro quando si mette seduta troppo velocemente.

-Tre giorni. -replica Barnes alla sua domanda inespressa, avvicinandosi sfiorandole la fronte con la mano sana per poi proseguire con un veloce check-up di controllo, con tocchi rapidi e precisi come se quella fosse una procedura alla quale era abituato, ma Natasha fa fatica anche solo ad assimilare i suoi gesti vagamente apprensivi a causa dell’intontimento dato dai suoi pensieri, che tentano ancora di districarsi dalla melassa che le allaga il cervello. -Hai fame? Hanno recapitato la colazione una decina di minuti fa.

Annuisce sovrappensiero accettando la tazza di caffè ancora in stato di trance, mentre il liquido nero le brucia la gola contribuendo in modo decisivo nel risvegliarla dallo stato di torpore di cui era ancora vittima, mettendo a fuoco i dettagli fuori posto dopo diversi secondi di scarto… sfiorandosi con le dita le garze puntinate di rosso allarmata apprendendo di essere stata medicata, realizzando di essere in una camera di un motel a Mosca, mezza nuda e con fasciature, cerotti e punti di sutura a coprire e rimarginare le ferite che le costellano il corpo… e poi c’è Barnes, che le ha appena ascoltato il battito cardiaco trovando la sua carotide a colpo sicuro, ed ora le sta porgendo una aspirina chiedendole se può sforzarsi di essere collaborativa, informandola che vorrebbe controllare lo stato della ferita che le attraversa lo stomaco ora che è sveglia e si è alzata frettolosamente prima che lui potesse avvisarla di doversi muovere con cautela.

-Avevo inviato le coordinate a Fury. -obietta in risposta scannerizzandolo con lo sguardo, ritraendosi dal suo tocco infastidita… lo sfida apertamente nel provare a mentirle, nella speranza che finalmente si tradisca e le fornisca una motivazione valida che giustifichi la sua presenza, perché sa benissimo che il mese prima Nick aveva raggiunto definitivamente le Mura assecondando le sue paranoie, ma lei e il Colonnello erano rimasti d'accordo che in caso di emergenza avrebbe dovuto palesarsi Hill, di certo non Barnes.

-Se ti stai chiedendo il motivo per cui Fury ha girato le coordinate a me e non a Maria, è perché sono l’unico che sa come entrare nella Stanza Rossa per una missione di recupero ed uscirne vivo. -replica con tono ovvio raddrizzando la schiena, deducendo dal suo sguardo di dover tenere le mani al loro posto ora che è cosciente. -Comunque, ostilità a parte, quella ferita va controllata seriamente.

-Posso farlo anche da sola. -annuncia scontrosa sistemandosi meglio la maglietta dell’uomo che aveva indosso nel tentativo di coprire più pelle possibile, percependosi fisicamente troppo debole per sentirsi anche esposta allo sguardo di terzi. -E voglio farmi una doccia, mi sento la puzza del sangue e del disinfettante addosso.

-Come vuoi, ma prima metti qualcosa sotto i denti, presumo tu voglia evitare di svenire sotto la doccia. -ribatte con una scrollata di spalle, avvicinandosi al cartellino della colazione prelevando per lei una brioche, allungandogliela con fare perentorio. 

-Hai derubato un ospedale? -domanda diffidente nel mentre, cambiando discorso dando un morso alla sua prima colazione solida dopo tre giorni, sfregandosi il cerotto all’interno del gomito dove in un prima imprecisato doveva esserci stato l'ago della flebo.

-C’è il Quinjet parcheggiato sul tetto con dentro una cassetta del pronto soccorso molto fornita. -spiega puntando l’indice verso il soffitto, per poi convertire il gesto in una grattata nervosa alla nuca. -Probabilmente ti senti intontita, ti ho dovuta sedare per evitare che ti strappassi i punti nel sonno… la prima notte è stata molto…  movimentata con solamente la morfina in circolo.

-Mi hai drogata? -ribatte basita strabuzzando gli occhi, ottenendo un’occhiata esasperata al soffitto in risposta come se la sua fosse una reazione esagerata.

-Ti ho sedata secondo i tuoi parametri svalvolati, è diverso… avresti preferito che ti ricucissi i punti che ti strappavi ogni mezz’ora? -replica seccamente, accompagnando la domanda retorica con un gesto scocciato della mano. -Io credo di no… hai dormito immobile per due notti filate, nel frattempo il siero ha fatto il suo lavoro e fisicamente sei tornata come nuova.

-Peccato che i sedativi normali come la morfina con me non funzionino. -osserva piccata, posando la tazza vuota di caffè sul comodino reprimendo una smorfia nonostante si fosse mossa con la dovuta cautela. -Quindi che mi hai somministrato?

-Una fiala di Illium1 in endovena… ad occhio e croce starai da schifo per un altra mezz’oretta, ma poi passa. -afferma con tono quasi noncurante controllando l’ora sulla sveglia posata sul comodino, schivando prontamente la traiettoria del cuscino che lei gli lancia contro in reazione alla risposta.

-Illium?! Ma ti è dato di volta il cervello?! -strepita deducendo il perché Barnes fosse stato così apprensivo nel controllarle i suoi parametri vitali appena si era svegliata. -La porcheria spaziale di Fury di norma manda in overdose le persone e tu mi hai somministrato un’intera fiala?! 

-Tu sei fuori dalla norma, Natalia. -ribatte accondiscendente ergendo un muro di finta indifferenza contro cui rimbalza la sua rabbia, svuotandola perché esternarla così a scoppio ritardato risulta quasi immotivata, ritrovandosi a fissarlo con sguardo vacuo mentre lui le offre una giustifica inattaccabile su un piatto d’argento. -La porcheria spaziale, come dici tu, sugli organismi potenziati ha l’effetto di un oppiaceo… nel peggiore dei casi ti sei fatta una passeggiata nei tuoi Campi Elisi personali e poi sei tornata indietro, e comunque ti ho monitorata tutto il tempo.

-Quindi dovrei anche ringraziarti?

-Sei viva, no? 

Natasha sbuffa perché è palese che preferisca essere intontita che morta dissanguata, ma deve passarne di acqua sotto i ponti perché lei arrivi a ringraziarlo per il salvataggio… perché glielo leggeva nello sguardo che Barnes avrebbe preferito non vederla in quelle condizioni a priori, deducendo da solo il come ci fosse finita in mezzo ad uno scontro suicida, anche se la donna non riusciva ancora a giustificare tutta quella apprensione.

-È già la seconda volta in un mese che mi faccio ricucire da te, non va bene. -esordisce dopo diversi secondi di silenzio teso, sollevando lo sguardo su di lui con riluttanza, lasciando intuire che la mezza ammissione appena proferita era il massimo a cui poteva aspirare come ringraziamento nelle condizioni attuali.

-Perché no? 

-Perché vuol dire che mi sono rammollita.

-Uccidere Madame B e rivoltarsi contro l’intera Stanza Rossa non è essere rammollita, solo incredibilmente stupida… in quante ti hanno ridotto cosí? -chiede con leggera titubanza indicandola per intero con un unico ampio gesto della mano, ed il fatto che la sua voce sia venata da un leggerissimo sottotono di preoccupazione la mette in soggezione, come se quello sguardo color ghiaccio potesse scandagliarle l’anima e sondare ogni sua più microscopica bugia, frenando la risposta sgarbata sulla soglia delle labbra riscrivendone una veritiera.

-Sei mini-me… seguono le direttive di Yelena ora. -afferma riluttante, chiedendosi il perché diavolo stia concedendo informazioni sensibili con una facilità disarmante… scovando una spiegazione nell’ammettere che Barnes le ha comunque salvato la vita –anche se con metodi poco ortodossi– e come minimo gli doveva un po’ di sincerità in merito all’intera faccenda.

-Yelena? É lei la nuova Madame?

Natasha non si scompone di fronte all’incredulità di Barnes nell’apprendere il coinvolgimento della sorella, realizzando di non essere stata l’unica a dimenticarsi della sua presenza nella scacchiera… un errore gigantesco, che ultimamente stava generando una valanga di problemi che nascevano da un odio represso legittimo, perché Yelena poteva illudersi di tante cose ma aveva ragione nell'affermare di essere stata abbandonata a se stessa senza remora alcuna da parte sua. Natasha vorrebbe riuscire a convincersi che all’epoca non aveva avuto il modo o la possibilità di salvare il salvabile, ma mentirebbe a se stessa solamente nel pensare che dopo Budapest desiderava trovare qualcuno da risparmiare dall’incendio che aveva appiccato intenzionalmente… li voleva morti, tutti. Punto.

Yelena, semplicemente, era stata una variabile fondamentale ed erroneamente trascurata.

-Sì, apparentemente, ma non credo sia consapevole che quella a tirare le vere fila non è lei… -ammette confrontando i suoi sospetti con l’uomo, realizzando nuovamente la mancanza di un tassello in snervante ritardo. -...ma Yelena l’ho allenata io, non tu. Come fai a conoscerla, James?

La domanda aleggia tra loro, ma nessuno dei due accenna a pronunciare una singola sillaba, come se tutto l’ossigeno fosse stato risucchiato dalla stanza costringendoli ad entrare in apnea… James. L’ha chiamato per nome, ma ciò che la sconvolge è quanto quel nome suoni familiare alle sue orecchie, con l’inflessione inusuale data dal proprio accento che riecheggia contro le pareti della scatola cranica, in un eco prorompente che va ad aggravare il suo mal di testa latente… ed il fatto che Barnes si sia bloccato come se gli avesse appena conficcato un coltello in mezzo alle scapole non la aiuta per niente nel risolvere la situazione, notando il suo respiro pesante ed il suo sguardo incredulo quando leva gli occhi su di lei come se fosse un'allucinazione.

-Come mi hai chiamato? -si lascia sfuggire la domanda d’istinto, ma sembra avere un ripensamento immediato che lo spinge a giustificarsi subito dopo. -Scusa, è che nessuno mi chiama più così.

-Scusami tu… -mormora anche se non sa di preciso per cosa dovrebbe chiedere perdono o dispiacersi.

-Non mi infastidisce… solo è strano. Inaspettato. Puoi chiamarmi come preferisci. -mormora in risposta, mentre un sorriso mozzafiato gli germoglia sulle labbra, mandandola ancora più in confusione di come già non sia.

-Okay… ma non hai risposto alla domanda. -replica titubante cercando di riassumere il controllo della situazione, imponendosi di pensare che quel sorriso non sia nulla di speciale nonostante le sue viscere si siano trasformate in una gabbia per farfalle… è conoscenza comune che ad ogni persona nel mondo servono dodici muscoli per sorridere, ma non è normale che lei sia così attratta da un gesto così basilare, come se Barnes generasse inconsapevolmente una sottospecie di campo magnetico al quale lei non era in grado di opporsi.

Stupida, stupida, stupida.

-L’ho allenata anch’io nel ‘91, insieme a Novokov e gli altri… Petrovich si era ritirato, tu te ne eri già andata da un pezzo. Hanno unificato le nostre sezioni al Dipartimento X. -sciorina in fretta riscuotendola, facendole la grazia inconsapevole di reprimere il sorriso, ma continuando a scrutarla con sguardo luminoso.

-Mh… ha senso. -ammette sovrappensiero, alzandosi dal materasso reprimendo un gemito ed ondeggiando pericolosamente, l’irrefrenabile bisogno di cambiare stanza per scrollarsi di dosso quel bruciore fastidioso alle terminazioni nervose e respirare dell’aria che non sia elettrostatica, portando una mano in avanti per bloccarlo dal raggiungerla per aiutarla. -Faccio da sola, sto bene.

Procede a tentoni con passo malfermo fino alla porta del bagno, sotto lo sguardo vigile di Barnes che sembra fremere sul posto nonostante gli sia stato negato il permesso di avvicinarsi, pronto ad afferrarla nel caso inciampi evitandole che sbatta la testa sul pavimento.

-Natalia? -la richiama, voltandosi a fulminarlo con lo sguardo.

-Che c’è? -replica scontrosa osservandolo raggiungere la poltrona nell'angolo, aprendo il borsone abbandonato lì sopra.

-Tieni. -afferma compiendo un paio di passi fermandosi esattamente dove l’aveva bloccato, porgendole dei vestiti puliti. -Trovi l’occorrente per medicarti nel mobiletto sopra il lavandino.

-Uh… okay.

Scompare oltre la porta arrancando fino al lavandino, puntellandosi alla ceramica il tempo necessario perchè le piastrelle del pavimento smettano di vorticare, iniziando a spogliarsi con cautela, srotolando man mano i bendaggi notando che i tagli superficiali erano guariti completamente, i lividi si erano assorbiti quasi del tutto e lo sfregio sullo stomaco si era ridotto ad una striscia rossa incrostata e pulsante che con ogni probabilità le avrebbe lasciato una bella cicatrice. Natasha solleva lo sguardo sullo specchio, perdendosi in contemplazione delle nebulose nerastre che costellano la sua pelle lattiginosa, provando un moto di repulsione misto a terrore al pensiero delle condizioni in cui doveva averla trovata James… ed il fatto che abbia iniziato a pensare a lui come James e non come Barnes la getta in balia dell’agitazione, correndo sotto il soffione della doccia regolando la temperatura lasciando che l’acqua gelata la riporti con i piedi per terra causandole uno choc termico collaterale e rinvigorente, concentrandosi unicamente nell’acqua che le scivola sulla pelle incuneandosi tra le sue ferite pulsanti come lame ghiacciate, iniziando a scrostarsi di dosso la colla dei cerotti, l’odore del disinfettante e le incrostazioni di sangue raffermo con movimenti lenti e metodici, nel tentativo di riplasmare il ghiaccio gocciolante di cui era fatta e cancellare definitivamente l’intontimento fisico ed emotivo a cui era soggetta.

La doccia gelata sembra aiutarla a snebbiare la mente, rinunciando ai vari appigli una volta uscita dal box riuscendo a stare in piedi sulle proprie gambe senza oscillare, fasciandosi nuovamente le ferite più problematiche per poi rivestirsi.

Quando torna in camera lo trova disteso sul letto con un tablet tra le mani, le finestre spalancate e le lenzuola cambiate di fresco, mentre le tazze di caffè vuote sono scomparse insieme al carrello della colazione.

-Hai freddo? Chiudo le finestre? -chiede James sollevando la schiena dalla testiera appena lei fa capolino dalla porta, tornando a sdraiarsi quando lei nega con un cenno del capo. -Stai ancora uno schifo? L’effetto dell’Illium dovrebbe essere passato ormai.

-Sto meglio. -afferma mentre un “grazie” le muore sulle labbra, percorrendo i due metri che la separano dal materasso con passi irrigiditi. -Come l’hai trovato questo posto?

-Debiti. -replica atono spostandosi verso destra, facendole spazio sulla metà di letto che le spetta, rassegnandosi a concederle una spiegazione quando lei non distoglie lo sguardo aspettandosi una continuazione. -Abbiamo salvato la vita al padre di Joseph, il proprietario… è stato uno dei pochi che siamo riusciti a far evacuare prima della carneficina di Kronas nel ‘43, come ringraziamento questa camera è mia a vita.

-Abbiamo

-Howlings. -la liquida in fretta con una scrollata di spalle, come se per un solo secondo avesse dato per scontato che lei sapesse già a chi si riferiva quando usava il plurale senza soggetti.

-Perché solo tu?

-Perché, a differenza mia, dopo la guerra nessuno di loro ha messo più piede in questa parte del mondo. -ribatte con tono ovvio, svicolando con lo sguardo mentre lei studia l’ambiente circostante con più consapevolezza di quella che aveva da appena sveglia.

-Sembra familiare… come se ci fossi già stata2.

-Improbabile. -nel dirlo quasi si mangia le sillabe, ma Natasha non ha il tempo di curarsene che James cambia nuovamente discorso. -Mentre dormivi ho fatto qualche ricerca, mi annoiavo… sempre se non ti dispiace, so che preferisci lavorare da sola.

-No, arrivata a questo punto un aiuto mi farebbe comodo… -ammette indicandosi il punto in cui si nascondeva lo sfregio sullo stomaco. -...sempre se per te non è un problema.

-Nessun problema… così la prossima volta posso ricucirti subito, senza che rischi di morire dissanguata mentre aspetti il mio aiuto. -la provoca facendo entrare in collisione le loro spalle, inviandole al contempo una scarica elettrica nel punto colpito… appurando che la doccia gelata era servita fino ad un certo punto, incendiandosi all’istante replicando su tono.

-É stato un inconveniente!

-É stata una mossa stupida ed avventata.

-Come se tu non fossi per niente spericolato ed impulsivo! -ribatte piccata colpendolo sulla spalla sana con un pugno scherzoso, reprimendo una risata perché ci avevano messo meno di cinque minuti per tornare a bisticciare, imponendosi di pensare ad altro aprendo il database olografico. 

-E tu che ne sai? -la stuzzica di nuovo allungando l’indice digitando la combinazione sullo schermo dopo il suo secondo tentativo fallimentare, dipingendosi un'espressione sul volto che Natasha vorrebbe davvero prendere a schiaffi.

-Ti conosco… ho come l’impressione di conoscerti da sempre. -replica senza pensare troppo a ciò che sta dicendo, irritata dal come basti anche un piccolissimo movimento dell’uomo che entri più del dovuto nel suo spazio vitale per sfaldare il filo di concentrazione che stava tentando inutilmente di riacquistare, ma evidentemente deve aver detto qualcosa di compromettente perché il suo sorriso mozzafiato torna a far capolino dalle sue labbra, prendendosi la libertà di negarle una qualsiasi replica all’affermazione appena proferita lasciandola cadere nel vuoto.

Lo odia quando fa così, ponendola in una posizione di svantaggio, lasciando intendere che se vuole informazioni e la leadership in quel stupido gioco di supremazia deve impegnarsi di più per corromperlo… ma Natasha, per quanto le sia familiare la situazione, non è davvero in vena di giocare, aprendo i file sul progetto “Vedova Nera” con tocchi precisi delle dita che tradiscono un'arrabbiatura latente.

-Tania? -chiede James con tono indagatore quando apre il suo file, soffermandosi due secondi di troppo sulla sua foto segnaletica, fraintendendo.

-Fuori dai giochi… il rapporto l’hai stilato tu, dovresti saperlo. -mormora in risposta con tono duro, leggendo la dicitura sulla causa di decesso. -Sei stato tu?

-No, ma ero presente… voleva aiutarmi a scappare, diceva di farlo un po’ per vendetta personale ed un po’ perché me lo doveva per via dei cadaveri di Berlino. -replica con tono spento, mentre un lampo doloroso gli illumina lo sguardo, smorzandolo subito dopo.

-Cos’è successo a Berlino3? -chiede titubante covando il sospetto fondato che lei dovrebbe saperlo, ma la sua memoria continua ostinata a brancolare nel buio, finendo ogni volta per schiantarsi contro un muro in fase di sgretolamento.

-Non lo so di preciso, ho sempre avuto troppa paura per chiedere… certe cose è meglio non saperle. -la informa svicolando con lo sguardo nel tentativo di ricomporsi, tornando ad osservarla di sottecchi a distanza di un paio di secondi. -Mi dispiace… ricordo che ci eri affezionata.

-È questa la fregatura. -ribatte monocorde tenendo lo sguardo fisso sullo schermo, rinunciando a priori nell’indagare sul come diavolo poteva essere a conoscenza del suo rapporto affettivo con Tania, schiarendosi la voce e scrollando le spalle prima di aprire il file su Yelena. 

-Cosa vuoi farne di lei?

-Vorrei salvarla… non ci sono riuscita con Tania, ma con lei voglio provarci... è una vittima inconsapevole, non ha colpe se non quella di essere cresciuta in mezzo ad un branco di lupi. -afferma reticente con il senso di colpa a colorarle la voce, mentre James la spinge con la spalla richiamando il suo sguardo su di sé.

-Non è solo colpa tua ciò che è successo a Tania, Natalia… gran parte di questo disastro è merito mio. Soprattutto merito mio.

James lo afferma con una convinzione tale che Natasha vacilla e rinuncia a contraddirlo, nonostante l’istinto le suggerisca di correggerlo attribuendosi almeno metà dei misfatti… ma si morde la lingua, carente dei dettagli necessari per dar credito o meno al proprio istinto.

-Chi credi ci sia dietro a tutto questo? Dietro a Yelena intendo. -cambia discorso prima di sconfinare irrimediabilmente in un terreno minato, focalizzandosi sui problemi più urgenti che richiedevano una rapida soluzione.

-Non lo so… sono tre giorni che tento di capirlo da solo, arrivato a questo punto un aiuto mi farebbe comodo.

La guarda mentre lo dice, con quello sguardo di sfida che le contorce piacevolmente le viscere… e chissene frega dei non detti, delle circostanze e dell’astio latente, Natasha non riesce proprio a trattenere un sorriso.

 

***

 

2 ottobre 2018, Periferia di Mosca

 

Nei giorni a seguire si sforzano entrambi per colmare il silenzio, collaborando sopportandosi e bisticciando per tre quarti del tempo, ma Natasha scopre che non è poi così male lavorare insieme a James, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

Indagano, si infiltrano, un paio di volte gli sparano anche addosso… Natasha non sa spiegarsi il come facciano sempre a cavarsela da ogni situazione, sul come si anticipano sempre nelle movenze e nei tempi, ma riescono a recuperare abbastanza dettagli ed indizi da rendere comprensibile la mappa incoerente che avevano iniziato ad assemblare al motel due giorni prima, iniziando a decifrare una sorta di filo conduttore. 

In quel paio di giorni Natasha si ritrova fin troppo spesso a pensare a quel “ti conosco da sempre” lasciato in sospeso, al come lei fingesse di non notare tutti quei dettagli che lui evitava di sottolineare, trascurando volutamente tutte quelle discrepanze nella facciata di maestro-allieva che li accomunava nella speranza di aggirare le proprie emicranie, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di riflettere sul come tutti quei gesti inconsci fossero la base per qualcos’altro… un qualcosa di così spaventoso che entrambi erano restii a definire a parole, lasciando inespresso quel segreto di stato che aleggiava tra loro.

Dopo le prime ventiquattro ore Natasha aveva iniziato a sospettare che ci fosse di più… perchè non temeva la sua ombra nel buio, perchè l’aroma di tabacco, ferro e polvere da sparo che James si portava sempre dietro come una scia aveva l’inconcepibile capacità di tranquillizzarla anche quando non si rendeva conto di essere in ansia, perchè il suo respiro le conciliava il sonno e le suonava dannatamente familiare quando alla mattina si svegliava e si rendeva conto che si erano cercati nel sonno –come se il dividere il materasso non bastasse ad arginare quel bisogno inespresso di dormire pelle contro pelle–, perchè trovava assurdamente normale che James sprecasse un fiammifero per accenderle una sigaretta quando decideva di volersene fumare una… sorprendendosi della facilità con cui il suo vero nome gli scivolava sulle labbra con più facilità di “Bucky”, di “Barnes” o di qualunque altro modo ci sia per chiamarlo, anche se non riusciva ancora a definire se quella sensazione di spaesamento che provava ogni volta nel pronunciare quelle cinque lettere era positiva o negativa, al punto che dopo un po’ si era imposta di smetterla di pensarci… dopotutto aveva altro per cui crucciarsi, tipo i topi russi.

Il Mercato Nero aveva ancora paura della loro ombra, il che facilitava enormemente il loro compito di spillare informazioni senza inutili spargimenti di sangue, ma ciò che avevano scoperto non era né piacevole ne rassicurante… la loro fonte in Minnesota li aveva indirizzati verso i giusti informatori ed avevano raccolto mormorii sui mostri, sui mutanti, sulle briciole di pane che si stavano radunando, sulle partite a scacchi ancora in corso d’opera, ed alla fine da quel guazzabuglio intricato si era defilata un'ombra inquietante –tragicamente speculare a quella che si erano lasciati alle spalle– che vedeva la figura solitaria di Yelena raggiungere l’Antarctica entro le dodici ore successive dalla scoperta.

-Il nome ti dice qualcosa, ‘Tasha? 

James aveva ceduto al vezzeggiativo dopo le prime trentasei ore di convivenza forzata, ma contrariamente a quanto Natasha pensava, quel diminutivo non le dispiaceva affatto… e quello era stato il tassello mancante, il punto di non ritorno in cui si era tragicamente resa conto di aver perso contro se stessa, di aver ceduto… perchè detto con il suo accento, in quel modo, con quel tono, le provocava una scarica elettrica lungo la spina dorsale che la scombussolava ogni volta. Ma si frenava ogni volta, perché prima di scoprire le proprie carte doveva riuscire a leggere e bruciare quelle di James, scovando le sue responsabilità mancate nel tentativo di comprendere il perché continuassero a sfiorarsi senza mai scontrarsi.

-Natalia, ti ho fatto una domanda… l’Antarctica ti dice qualcosa?

-Sono un Livello 8, ovvio che mi dice qualcosa… mi sorprende che tu non lo sappia a dire il vero. -ribatte piccata scoccandogli uno sguardo di sfida, seguendolo e superandolo fuori dal vicolo puntando in direzione del motel che avevano tacitamente eletto come base operativa. 

-Ti prego, illuminami. -replica seccamente quasi infastidito, riguadagnando il terreno perso.

-Considerla la base SHIELD salvavita, è l’ultimo avamposto a crollare in stato di crisi, qualunque dato passa da lì… tutti i codici, i protocolli, le centraline. In parole povere, è lo scrigno di Pandora di Nick Fury.

-Se viene aperto si scateneranno tutti i mali del mondo? -chiede afferrandola per un gomito obbligandola a fermarsi, rendendosi conto di essersi tradita dal tono di voce venato dall’ansia, nonostante avesse provato a mascherarla… dandosi della stupida, perché a volte dimenticava che era stato lui ad insegnarle a mentire.

-I segreti di Nick hanno segreti, James… inizieremo tutti ad assaltarci alla gola a partire dal primo brandello di informazione. -ammette con tono di voce mesto, mentre l’incombenza di una seconda Guerra Civile si palesa davanti a loro minacciando di distruggere l’impero che avevano faticosamente ricostruito.

-Non si salva nessuno?

-Nessuno. -rimarca rabbrividendo al solo pensiero di tutte le morti secretate, le catastrofi insabbiate e gli intrighi politici che fino a quel momento erano riusciti a tenere fuori dalle aule di tribunale, al come una sola singola informazione presa a caso da uno dei loro fascicoli potesse scatenare una guerra mondiale, al come gli scheletri nell’armadio di ognuno potenzialmente potevano vallicare il raziocinio e spingerli tutti ad inscenare una battaglia fratricida, avvertendo la disperata necessità di correre e raggiungere il Salvavita prima che sia troppo tardi.

-Okay… -sfiata James con voce costretta, perchè non deve essere l’unica ad aver immaginato le implicazioni di una catastrofe di quella portata, sfilando le chiavi dalla tasca mascherando la preoccupazione con una faccia da schiaffi ed una domanda retorica. -Allora… chi guida fino in Antartide?

Non gli concede nemmeno il tempo di concludere la frase che Natasha gli ha già sfilato le chiavi di mano… e James sa che protestare è praticamente inutile, limitandosi a caricare le armi sul Quinjet e correrle dietro prima che spicchi il volo senza di lui. 





 

Note:

1. Illium: pianta coltivata nel pianeta Mer-Z-Bow (Settore 6 della Via Lattea), viene sintetizzata in fiale o pasticche e rivenduta nell’intera galassia per scopi terapeutici, va da sé che venga usata anche come vero e proprio oppiaceo e che abbia delle controindicazioni diverse in base alle varie specie che lo assumono, nel caso degli umani generalmente porta all’overdose, ma nei fisici “potenziati” (che hanno il metabolismo accelerato e sono in grado di assimilare meglio la sostanza) si manifesta l’effetto collaterale di un “sogno lucido” che seda il corpo e proietta la coscienza nei “Campi Elisi” (il loro “posto felice”). Ovviamente alla lunga si può sviluppare una dipendenza, soprattutto se lo si usa come rimedio per l’insonnia, perché dopo un po’ non si riesce più a dormire senza.

2. Motel: il famoso luogo degli incontri clandestini ai tempi del Cremlino.

3. Berlino: accenno all’easter-egg presente nel “Capitolo 25” di “1956”, ho intenzione di illustrare tutte le dinamiche del caso specifico nel nuovo progetto in corso d'opera: “We always live in the castle”.

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Capitolo 16
*** Seconda parte - Capitolo XV ***


SECONDA PARTE - CAPITOLO XV



 

4 ottobre 2018, Antarctica - Base operativa SHIELD, Antartide

 

Quando Yelena Belova raggiunge la botola d’entrata dell’Antarctica non si sorprende più di tanto della calda accoglienza di due fucili puntati alla sua testa, sollevando all’istante le mani proclamando una resa.

-Agente 56, vengo dalla Centrale, sono qui per dei controlli di routine. -annuncia temeraria esibendo il distintivo contraffatto, vedendo le canne dei fucili abbassarsi con riluttanza.

-Non aspettavamo visite. -afferma una delle due guardie in risposta, facendole cenno con il capo di avvicinarsi mentre il secondo uomo richiude la botola sopra la sua testa.

-Fury è il solito paranoico, è stata una decisione dell’ultimo minuto. -afferma con tono talmente saldo che i due agenti le credono senza battere ciglio, mentre la prima guardia le fa cenno di seguirla lungo i corridoi. -Sapete, questo posto è davvero difficile da raggiungere.

-C’è un reattore nucleare qui sotto, deve essere difficile da raggiungere. -replica la guardia scortandola a passo sicuro, assecondando le sue chiacchiere di circostanza con tono burbero. -È venuta a controllare quello, no? 

-Ovviamente. -ribatte con un cenno studiato del capo, sorprendendosi della facilità in cui era riuscita ad addentrarsi nella base… per essere una missione in solitaria se la stava cavando egregiamente, proseguendo convinta con quella farsa. -Ci sono stati un paio di malfunzionamenti con i server dell’Helicarrier, ai piani alti sospettano ci sia un calo di potenza o un guasto ai quadri elettrici.

-Improbabile, qui sotto lavoriamo giorno e notte perché non ci siano questo genere di inconvenienti dato che basta un solo calo di tensione, anche lieve, e l’intero SHIELD crolla… si perdono i segnali dei satelliti, si tranciano le comunicazioni e la protezione dei dati sensibili si polverizza. -la informa l’uomo con tono apprensivo, svoltando nell’ennesimo corridoio ed arrestandosi davanti alle centraline del reattore, sostando sulla pedana rialzata che si tuffava nella camera di contenimento. -Scusi, sto blaterando… ma riesce ad immaginare il danno che subirebbe l’agenzia se anche solo uno di questi segreti finisse nel Network? Si scatenerà una guerra mondiale come minimo…

-E Nick Fury non ha mai pensato che una guerra mondiale sia la giusta soluzione per insabbiare tutto? Se questa base dovesse cadere sotto il fuoco nemico, intendo… -prosegue Yelena nella sua indagine studiando l’ambiente con sguardo vigile, spillando informazioni facendo tesoro del desiderio dell’uomo di perdersi in discorsi futili.

-Oh si, il Colonnello ha pensato a tutto… c’è un sistema di auto-distruzione regolato da queste due chiavi, tutti i dati si diffonderanno autonomamente in rete rendendo impossibile rintracciare la fonte. -prosegue ignaro di star fornendo informazioni di importanza capitale al nemico, indicandole un pannello nel lato opposto della camera di contenimento dove si intravedevano due fessure in cui inserirle, segnalandole il corridoio di grate malferme che aggirava lo spazio vuoto per raggiungere la seconda pedana rialzata. -Nel caso dovesse sfuggire qualcosa lo SHIELD vuole lasciarsi la possibilità di fingere di non saperne nulla.

-Sarebbe un vero disastro se dovessero cadere nelle mani sbagliate… -sorride affabile mentre l’uomo tira la cordicella agganciata al suo collo mettendo in mostra le chiavi, allungando una mano verso le chiavi in questione intenzionata a strappargliele di dosso.

-Un disastro che vorrei evitare con tutta me stessa, Yelena. -annuncia una voce alle sue spalle, voltandosi fulminea scontrandosi con lo sguardo glaciale di Natasha Romanoff e l’ombra minacciosa del Soldato d’Inverno.

Yelena reagisce d’istinto prima che possano tentare di fermarla, strappando le chiavi dal tecnico spingendolo contro la balaustra di ferro, il quale cade svenuto dopo aver sbattuto la tempia contro la ringhiera di metallo.

-Tu dovresti essere morta… ma ovviamente hai il tuo angelo custode, che ragazza fortunata. -la schernisce incapace di trattenersi, iniziando ad indietreggiare lentamente in direzione del pannello di spegnimento.

-Questo tuo tentativo di cambiare il mondo non porta da nessuna parte, sei solamente una nota a piè di pagina della mia lista di disgrazie. -replica a tono Natasha, avvicinandosi con misurata calma frontalmente, mentre James avanza lateralmente verso i pannelli elettrici nel tentativo di anticiparla. -La gelosia proprio non ti si addice, Yelena.

-Non è gelosia… e non devo dimostrarti nulla, sono migliore di te. -ribatte con un lieve tentennamento a colorarle la voce, continuando ad indietreggiare nella speranza di fuggire dall’accerchiamento prima che uno dei due si decida ad attaccare.

-Migliore di me? -replica con un sorriso derisorio dipinto sulle labbra. -Sei una principiante, è merito dei tuoi errori se siamo riusciti a rintracciarti.

-I miei errori? -sbotta la ragazza liberando una risata spenta. -Siamo in questa situazione per colpa del tuo tradimento, Zarina… conoscevi le conseguenze, ma hai comunque dato Mosca alle fiamme senza battere ciglio, sempre e solo perchè l’unica persona di cui ti è mai fregato qualcosa è il tuo vero amore!

Yelena non prova nemmeno a nascondere l’espressione sprezzante che le distorce i lineamenti quando li indica entrambi con un unico movimento del braccio, sorridendo soddisfatta nel studiare le reazioni dei suoi due avversari, sul come lo sguardo temporalesco di Natasha si illumini puntandolo in direzione del Soldato d’Inverno, mentre quest’ultimo si arresta sul posto con una espressione dipinta sul volto a metà tra il panico ed una richiesta di perdono… e Yelena ne approfitta del momento di stallo per saltare oltre la balaustra e darsi alla fuga, atterrando sulla grata sottostante lanciandosi a passo spedito verso il pannello di spegnimento, stringendo spasmodicamente le chiavi tra le dita.

Sorride soddisfatta quando sente le loro voci incollerite bisticciare sopra la sua testa, ma sa che è questione di secondi prima che si ritrovi uno dei due alle calcagna… e lei non ha tempo da perdere, lo SHIELD non si autodistrugge mica da solo.

 

***

 

-Amore mio

Natasha si volta lentamente verso James trasudando veleno inviperita, trasformando la dichiarazione d’amore in un preannuncio di morte imminente.

-Te l’avrei detto prima o poi. -si giustifica l’uomo con tono di voce teso, avvicinandosi con passo guardingo, ma lasciandosi lo spazio di manovra per fuggire ai fendenti. -Giuro.

-Ne dubito fortemente… perchè diavolo non me l’hai detto? -sbotta irruente puntandogli i pugni al petto spingendolo all’indietro, intuendo la risposta mancata quando il mal di testa, che fino a quel momento era riuscita a tenere a bada, sembra volerle segare in due la scatola cranica.

-Come avrei dovuto dirtelo? Sentiamo. -ribatte piccato avanzando nuovamente verso di lei.

-Boh, non lo so… sei tu quello bravo con le parole tra i due, potevi inventarti qualcosa. -replica assecondando l’arrabbiatura, rendendosi conto da sola di suonare un filo ipocrita mentre lo dice a voce alta, facendolo scattare in risposta indietreggiando di colpo.

-Si certo, come no… e tu come l’avresti presa? Eh? -sbraita di rimando guadagnando i centimetri persi, spingendola di impulso contro la balaustra afferrandola per le spalle… e qualcosa si incrina dentro la testa di Natasha, va in frantumi e l'emicrania sembra avvisarla del collasso imminente con una fitta di avvertimento.

È incazzata, al punto che vorrebbe prenderlo a sberle… ma vorrebbe anche rispondere alla provocazione con un bacio, ricordandosi che la metà delle discussioni tra di loro finivano in parità più o meno così.

-Ne discutiamo dopo. -svicola attenuando lievemente la fitta alla testa, allontanandolo con una delicatezza che negli ultimi giorni forse era mancata troppo spesso. -Io la inseguo, tu trova il modo di contattare Maria.

Si lancia giù dalla grata atterrando silenziosa come una gatta, viaggiando spedita nei cunicoli puntando al pannello di controllo, Fury l’aveva portata lì solamente una volta ma ricordava ancora tutte le scorciatoie.

Sorprende Yelena alle spalle mentre si stava ingegnando per girare entrambe le chiavi in contemporanea, e Natasha rabbrividisce perché se la ragazza ci riesce sul serio si bruceranno tutti i server e le informazioni verranno rilasciate in rete… come a Washington DC, ma diecimila volte peggio perché alla Capitale c’erano solo un centesimo dei segreti che venivano conservati lì sotto.

-Yelena fermati, non sei tenuta a farlo… sei migliore di così. -tenta di dissuaderla, tenendola diffidente sotto tiro.

-Vedi, il problema è che io voglio farlo… voglio mandare in frantumi la tua vita perfetta, voglio portare a termine l’incarico per cui sono stata scelta, ma tu sei sempre un passo avanti… sempre, quindi ho fatto un po’ di calcoli. -la informa con tono risentito, bloccandosi perché almeno non è masochista e non vuole guadagnarsi un proiettile in modo stupido.

-Yelena… vuoi sentirti dire che sei stata brava? -si trattiene dal perdere le staffe, inspirando giusto quel paio di secondi che servono a fingere l’attesa di una risposta. -Bene, lo sei, sei stata bravissima… ma ti prego, ti scongiuro, non farlo.

-Perché no? Hai paura dei tuoi scheletri nell’armadio? -se la gode a deriderla. -Oppure sono gli scheletri di Nick Fury a spaventarti?

-Ti diverti, non è vero? È questo il tuo errore, il tuo lavoro non deve diventare la tua vita… c’è di più… so cosa ti hanno insegnato, lo so che reputi i sentimenti come una debolezza, ma la mancanza di essi ti trasforma in un mostro. -afferma sentendosi vagamente in colpa, perché il pulpito da cui predica non è poi così tanto preso meglio. -Lo so, lo ero…

Yelena sembra volersi fermare davvero, esita quel paio di secondi che le fanno capire di averla presa, ma prenderla non è abbastanza nonostante le sue parole l’abbiano evidentemente scossa.

-Ci hai abbandonate, è vero… ma solo perché hai salvato il mondo un paio di volte non fa di te un eroina, sotto sotto sei ancora quel mostro che il KGB ha creato, quello opportunista e senza scrupoli, che eccelle nel massacro… e prima che tu tenti di smentirmi, ti voglio far notare che sei qui a chiedermi di fermarmi per proteggere il mondo dai segreti che la tua nuova famiglia ha contribuito ad insabbiare, quelli che tu hai fatto in modo che non venissero mai a galla. -la corregge e Natasha ignora il come ribattere… perché non può contrastare ad un'affermazione, una verità del genere -Per curiosità, ora se mi fermo cosa fai?

-Ti porto a casa, con me. -approfitta del dubbio che le colora la voce, permettendosi di sorriderle incoraggiante. -Sei mia sorella Yelena, come lo era Tania.

-No, non credo lo farai… -la sua voce si spezza di colpo, iniziando a palesare un leggerissimo tremore alle spalle… perché si sta distruggendo nel stare sul trono, rendendosi conto per la prima volta di non essere mai stata pronta a salirci. -Ci hai condannate a morte quando te ne sei andata, anche se volessi fermarmi… non posso farlo. Non posso farlo, quindi... provaci se ci riesci.

-No… io non ci provo, io ci riesco. -cambia bersaglio fulminea, puntandolo contro il sistema di allagamento di emergenza.

-Natalia no! -James la vede ed urla dalla cima della grata nonostante sappia che sia inutile, mentre sfiora il grilletto innescando l’onda anomala che investe entrambe le Vedove. 

Natasha tenta di respirare, ma l’acqua sembra solidificarsi in una lastra di cemento che le comprime i polmoni… respira il vuoto, ansima, tentando di inalare ossigeno ma non ci riesce… non riesce a fare molte cose come resistere alle correnti, sprofondando tra i flutti, lasciandosi in balia della lastra di cemento acquoso.

La forza delle onde le fa sbattere la testa contro un qualcosa di duro, freddo e contundente - non aveva visto cosa di preciso, probabilemente del metallo - troppo intontita dall’acqua che continua a tapparle e stapparle i timpani per riuscire a resistere ai flutti, al punto che arriva a pensare che sia passato troppo tempo per continuare a vivere… perché non respira –respira liquido, che di ossigeno ne ha gran poco– e perché l’acqua la sta spingendo sempre più sotto.

Vede bianco, vede nero, vede macchie colorate che si muovono confuse dietro la patina liquida dell’acqua che scivola lontano da lei, mentre una presa d’acciaio la afferra per un braccio e la trascina sulle grate… percepisce il freddo del metallo e la sensazione dei suoi vestiti incollati addosso come una seconda pelle, ma non vede nulla, sente a malapena qualcosa.

-No… no, ti prego no. Dai amore, respira

James. Riesce a sentirlo, come un eco che raggiunge le sue orecchie ad intermittenza, ma non lo vede… percepisce le sue mani che le premono il torace, la forza trattenuta a fatica per impedirsi di frantumarle le costole, sostituendo le dita alle labbra, che si spostano e si posano disperate sulle sue.

-Respira. Cazzo ‘Tasha, forza. -la voce gli si spezza, continuando a comprimerle il torace… e Natasha vorrebbe aprire gli occhi, rassicurarlo, ma non ci riesce… continua a perderlo e recuperarlo ad intermittenza, galleggiando in un limbo indefinito dal quale vuole uscire… deve uscire, perché nel tentativo di rianimarla James sta iperventilando e dal respiro sembra stia combattendo contro una crisi isterica.

-Mi dispiace, amore… mi dispiace… -deve essere rimasta sconnessa per un bel po’, perché ora James la sta abbracciando, dondolando avanti e indietro stringendola a sé con tutte le forze che gli sono rimaste… e stringe, stringe, stringe fino a quando l’acqua non trova altra soluzione se non uscire dalla sua bocca tossendo, sconquassandole la cassa toracica con colpi violenti e secchi, ma troppo deboli perché James riesca a percepirli attraverso la morsa delle sue braccia.

-James… -tenta, flebile, ma un altro colpo di tosse le stronca il fiato donando altra aria ai suoi polmoni. -James… allenta la presa… le costole, mi stai facendo male… 

La sua voce è rauca, lieve, altisonante ed instabile… ma James la sente, non ha idea del come ci riesca ma la sente, e scioglie l’abbraccio all’istante scrutandola con sguardo allucinato incontrando le foreste annebbiate contenute nei suoi occhi, mentre le mani le artigliano le spalle in una reazione che manifesta incredulità, come se fosse davanti ad un miracolo in cui ormai non sperava più.

-Oh mio Dio ‘Tasha… -la voce gli si spezza di nuovo, mentre gli occhi lucidi bruciano definitivamente le sue carte in una prova inconfutabile. -Mi dispiace per le costole… 

-Credo tu sia la prima persona a scusarsi per un paio di costole. -farfuglia debolmente crollando con il capo contro la spalla dell’uomo, mentre le sue tempie esplodono azzerandole il respiro… ed è la goccia che fa traboccare il vaso, perché quelle appena proferite sono le esatte parole che si sono scambiati in Russia la prima volta che hanno parlato sul serio.

Finirà male… questa storia intendo.

Natasha fa fatica a respirare, con le costole incrinate che le impediscono di riprendere fiato in modo indolore, mentre l’attacco di panico la coglie impreparata e contribuisce solamente a spaventarla ancora di più perché non capisce cosa le stia accadendo. Si aggrappa a James, mentre un trapano pneumatico le fora le tempie e tutto ciò che vorrebbe è riuscire ad urlare a pieni polmoni per allentare la morsa che le comprime il cervello… ma il respiro le si accartoccia sulla lingua prima che possa raggiungere la trachea, e non importa se James le ha appena afferrato le guance e la sta inchiodando con le iridi ghiacciate ordinandole di inspirare ed espirare a ritmo con lui, tutto ciò che riesce a fare Natasha è aggrapparsi ai suoi polsi terrorizzata al pensiero di perdere anche quel contatto e scivolare nuovamente tra i flutti generati dalle proprie sinapsi che sfrigolano, divampano, si incendiano e si spengono spingendola alla deriva dell'incoscienza.

Chiunque al di fuori di te è una perdita di tempo.

Urla, perché il trapano pneumatico sembra essere riuscito a perforarle le tempie ed ora è passato ad accanirsi contro le pareti del suo cranio, sentendo le proprie unghie spezzarsi contro le placche di metallo del braccio bionico dell’uomo, a differenza di quelle della mano sinistra che si conficcano nel polso di James incidendogli nella carne cinque piccole mezzelune sanguinanti.

-Era esattamente questo che volevo evitarti… -lo vede mormorare mesto fregandosene del sangue che gli cola dal polso, un'espressione di scuse dipinta sul volto mentre gli legge il labiale attraverso la vista appannata, gridando singhiozzi in risposta.

Se potessi scegliere sposerei te, non Alexei.

Natasha vorrebbe riuscire a perdere conoscenza per non percepire più dolore, ma gli spilli roventi ed acuminati che hanno sostituito il trapano le si sono infilati nel cranio e non glielo permettono, limitandola ad un grido incessante e duraturo nonostante le sue corde vocali abbiano ceduto al silenzio da un pezzo.

-È come un reset al contrario. -cerca inutilmente di tranquillizzarla James spiegandole cosa le stia accadendo, passandole i pollici sulle guance raccogliendo le lacrime sfuggite al suo controllo mentre Natasha cerca di imitare il ritmo del suo respiro, articolando con le labbra un “fa male” silenzioso. -Lo so, sbattendo la testa hai dato l'input definitivo per la ricalibrazione cognitiva… l’emicrania non può ucciderti, ma la mancanza di ossigeno sí, quindi devi continuare a respirare amore, okay

Natasha si sforza di annuire, ma le sue sinapsi sfrigolano generando le scintille che incendiando il suo cervello, liquefacendolo… chiude gli occhi d’istinto figurandosi in una situazione analoga ma inversa, recuperando un ricordo risalente a troppi anni prima quando si era ritrovata sempre ad artigliare i polsi di James, ma per impedirgli di strapparsi la protesi dalle carni quando l’ondata di ricordi gli aveva ridotto il cervello a brandelli senza l’intervento del macchinario della stasi a fargli perdere i sensi.

Ti amo, lo sai vero?

-Non ho un sedativo da darti, mi dispiace amore… -lo vede articolare il labiale in risposta al suo che implora una fine a quella tortura, mentre i contorni del suo campo visivo sfumano ed inizia a sentire le proprie forze venir meno.

Il suo cervello sembra raggiungere una soglia di sovraccarico, spegnendosi di colpo lasciandola stremata, crollando di peso contro James che la culla tra le braccia fin tanto che il suo respiro non si stabilizza. Natasha si sente la testa troppo vuota per formulare un qualsiasi pensiero, annullandosi in quell’abbraccio lasciandosi coccolare, fregandosene di ciò che la circonda relegandoli a dettagli nebulosi che non le competono nell’immediato… avvertendo lo sferragliare delle botole dopo quelle che a lei sembrano ore, percependo lo scalpiccio dei passi degli agenti operativi in avvicinamento che li circondano in attesa di istruzioni.

-Che cosa le prende? -la voce di Maria Hill le giunge ovattata, pensando per un paio di secondi di essersela immaginata.

-È reduce da una ricalibrazione cognitiva, non te la augurerei mai e poi mai Maria. -sente James replicare con tono seccato, scostandosi appena per indicare qualcosa con il mento. -Yelena è priva di sensi là in fondo, sai cosa devi fare. 

La donna non deve farselo ripetere due volte che inizia a sbraitare ordini a destra e a manca, mentre James la solleva da terra senza sforzo ed inizia a risalire la botola d’entrata tenendosela ben stretta tra le braccia… Natasha si sente febbricitante, finendo per posare istintivamente il capo contro la sua spalla, premendo la guancia incandescente contro la placca di metallo congelata. 

Non si rende nemmeno conto di addormentarsi… ma è con James, è al sicuro, non ha nulla di cui preoccuparsi al momento.





 

Note:

Le frasi in corsivo nell’ultimo paragrafo fanno riferimento a stralci di discorsi ripresi da “1956”.

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Capitolo 17
*** Seconda parte - Capitolo XVI ***


SECONDA PARTE - CAPITOLO XVI



 

5 maggio 2018, Resistenza sicura Barnes-Romanoff, Montmartre, Parigi

 

Natasha sente il tintinnio delle chiavi cadere sulla soglia d’entrata, seguito da un verso di frustrazione che le annuncia che James è tornato a casa, ha le mani occupate e sembra stia aspettando di valutare se lei si incazzerà di più se prende a calci la porta per bussare o se si sente ispirato al punto da fare l’equilibrista su un piede solo e pigiare il tasto del campanello con la punta della scarpa.

Evidentemente si sente ispirato, perchè quando Natasha gli apre la porta lo becca ad inciampare all’indietro rischiando di ammazzarsi sui gradini, vedendosi rivolgere un sorriso mozzafiato che pretende di ignorare la gaffe commessa.

-Buon compleanno amore.

-La prossima volta ammazzati. -ringrazia prendendogli di mano la borsa con il cibo take-away e la bottiglia di vino, identificando il mazzo di rose rosso scuro che le sta porgendo, vedendo il suo sorriso vacillare quando incontra i suoi occhi che preannunciano tempesta. -Le rose non erano comprese negli accordi.

-Credo tu possa chiudere un occhio ed accettarle lo stesso… sai, qualunque altra donna in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe felice di vedersi recapitare un mazzo di rose.

-Non le voglio. Io non sono una donna qualunque e noi due non siamo una coppia qualsiasi. -replica lapidaria, rendendosi conto di essere stata un po’ troppo brusca, dipingendosi sul volto un sorriso di scuse per rimediare. -Ti ricordo che la prima volta che mi hai consegnato un mazzo di rose era per sottolineare una vendetta e il nostro primo appuntamento non ufficiale è stata una effrazione con scasso al Palazzo d’inverno.

-Appuntamento non ufficiale? -ironizza rivolgendole un secondo sorriso mozzafiato dallo sguardo luminoso. -Quella notte ti ho baciato per la prima volta, possiamo concordare che finisce tra quelli ufficiali… sono stato anche galante, sono passato a prenderti e ti ho portato a ballare in un posto super esclusivo. È stato molto romantico.

-Ho sempre avuto il dubbio se te lo ricordassi o meno. -ride scostandosi per farlo entrare decretando la sua riuscita all’esame improvvisato, desistendo dal farlo penare ulteriormente tenendolo fuori di casa come uno stoccafisso impalato sui gradini. -Ma non è stato romantico, è stato eccitante… perchè quel “ti sono passato a prendere” si traduce con un “mi hai fatto evadere” e devi convertire il “posto super esclusivo” ammettendo che hai scassinato il portone di un Palazzo dove ci avrebbero giustiziati solo per aver pensato di metterci piede, figurati ballarci.

-La serata più bella della tua vita, no? -ride in risposta sporgendosi pretendendo un bacio, accontentandolo strappandogli le rose di mano nel mentre, tuffandoci il naso inalandone il profumo dolciastro ed inebriante. 

Evita di dirgli che in realtà la serata più bella della sua vita si era verificata poco più di un anno prima, quando se l’era trascinato a letto ed avevano fatto l’amore per la prima volta senza l’ombra delle torri del Cremlino a rovinare tutto… quando gli era caduta tra le braccia ansimante e si era resa conto di essere libera, che non ci sarebbero state conseguenze di nessun genere se si fosse messa ad urlare fuori in terrazzo quanto lo amasse. 

Non glielo dice perchè sarebbe melenso, lasciando cadere il mazzo di rose nel cestino.

-Cerco un cavatappi, tu togliti le scarpe.

Aveva stappato la bottiglia, mentre dal corridoio d'entrata era giunto il suono inconfondibile delle suole che sbattono contro il parquet e lo scatto leggero della chiusura di un cassetto, ma non si era curata del secondo rumore perché subito dopo James era entrato in cucina afferrando prontamente il calice, imitandola nei gesti quando aveva proclamato un brindisi. 

-Alla nostra vita incasinata, che possa essere spericolatamente lunga al punto da godercela per recuperare tutti gli anni persi. 

Natasha non aveva capito a cosa fosse dovuta l’ombra che aveva scurito lievemente lo sguardo di James quando aveva sollevato il bicchiere, ma ci sarebbe potuta arrivare se solo lei si fosse soffermata a contare i boccioli delle rose, perchè non si regalano mai in numero pari a meno che non siano dodici.

-Alla nostra vita incasinata e agli anni persi. 

Cin.

 

***

 

6 ottobre 2018, Ala medica - Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

Quando Natasha riapre gli occhi e riconosce le vetrate dell’ala medica del Complesso, appura che sia pomeriggio inoltrato e che c’è un mazzo di quindici rose bianche sopra il comodino.

-Giuro che lo ammazzo… -biascica le sue prime parole dopo ore di incoscienza, vagliando tutte le opzioni conosciute per portare a termine il suo piano appena stabilito, decretando che restituirgli il favore negandogli l'ossigeno a forza di baci sia una giusta vendetta.

-Dovrei dedurre che ti è tornata la memoria? -interviene la voce di Steve da un punto imprecisato al di fuori del suo campo visivo, interrompendo la sua veglia avvicinandosi.

-Steve, ciao… felice di vederti. -sorride perché è davvero felice di vederlo, allungando una mano in un cenno che lo invitava ad aiutarla a rialzarsi.

-Sono felice di vederti anch’io, Nat. -esegue assecondando la sua richiesta, senza staccarle le mani dalla schiena fin quando non smette di girarle la testa. -Potresti illuminarmi su chi vorresti giustiziare così, da appena sveglia?

-L’idiota di tuo fratello. -replica candidamente scatenandogli una rotazione d’occhi al cielo talmente fulminea ed energica che per un momento si preoccupa se Steve si sia strappato i nervi ottici nel movimento.

-Lo sospettavo. -si limita a commentare finendo di sistemare il cuscino dietro la sua testa, tornando a sedersi sul bordo del letto liberando un sospiro contenuto. -Avanti, parla, che ha combinato stavolta?

-Hai intenzione di farmi da terapista di coppia? -ribatte scettica reprimendo una risata.

-Credo che io e Clint adempiamo egregiamente a questa funzione da un anno e mezzo ormai. -scherza di rimando senza battere ciglio. -Comunque il gatto è stato sfamato a dovere mentre non c’eri, è ancora vivo, sono andato a controllare di persona stamattina.

-Grazie. -soffia in risposta, per poi indicare il mazzo di fiori posato sopra il comodino. -Quindici fottute rose bianche

-Già. -annuisce ostentando il gesto, fingendo di capire un qualcosa che evidentemente gli sfugge. -Perché sono bianche? Sul numero ci arrivo, quindici sono per chiedere scusa, ma non mi spiego il colore.

-Purezza… significa che le sue erano buone intenzioni, che si arrende e che se lo rivoglio lui mi aspetta a Parigi. -sciorina in fretta una spiegazione, reprimendo il sorriso da ebete che le sta riaffiorando sulle labbra perché non può davvero sciogliersi per dei fiori, sollevando lo sguardo su Steve alla ricerca di una conferma. 

-Pagherei oro per capire al volo come diavolo ragionate voi due dementi. -ammette affascinato, regalandole una risposta implicita.

-Voleva chiedermi di sposarlo, non é vero? 

La domanda giunge a bruciapelo al pari di un fulmine a ciel sereno, perché Natasha ha bisogno di concretizzare quel sospetto fondato nell’immediato e Steve non era evidentemente preparato nel dover mentire spudoratamente così su due piedi su una domanda del genere, tradendosi nel giro di uno sguardo… e la conferma lascia la donna spiazzata, sorpresa di conoscere la risposta affermativa alla fatidica domanda senza ricamarci sopra alcun tipo di remora o ripensamento.

-Ha sistemato gli ultimi problemi ed è tornato a casa Nat, dovresti tornarci anche tu. -la legge nel suo mutismo, imprimendosi un sorriso incoraggiante sulle labbra.

-Devo recuperare un gatto ed affilare qualche coltello prima… -replica per automatismo, vagamente risentita che James non ci sia in carne ed ossa a vegliarla, anche se intuisce le motivazioni dietro a quella scelta che le impediscono di fargliene una colpa, sorprendendosi delle mancate obiezioni da parte del Capitano in merito ad un uso non convenzionale delle lame. -Non commenti i coltelli? Non provi nemmeno a dissuadermi?

-Hai le tue ragioni e Bucky ha dei buoni riflessi, non dovrebbero esserci problemi. -replica noncurante, consapevole che a prescindere dal consiglio faranno entrambi di testa propria.

-Tu non dovresti essere dalla sua parte sempre e comunque? -chiede allora dubbiosa, cercando una nuova interpretazione in quel gioco delle parti che apparentemente veniva stravolto ogni cinque minuti.

-Non quando dall’altra ci sei tu e lui si è comportato da idiota.

-Non da idiota completo, aveva le sue buone ragioni. -ammette reprimendo l’ennesimo sorriso nel sapere che lei ora vantava una tacca microscopica in più di James nella graduatoria che stabiliva i parametri d’affetto di Steve, indicandogli le rose bianche in un gesto esplicativo. -Subisci una ricalibrazione cognitiva da lucido e poi ne riparliamo, Rogers. A parti inverse avrei fatto esattamente la stessa cosa… anche se questo evita di dirglielo, mi rovinerebbe la performance quando fingerò di incazzarmi come una iena per non aver fatto esattamente il contrario.

-Sei diabolica.

-Perché tu non pensi che lui abbia già pronto un piano di contrattacco? Voglio sposarmi uno stratega, Capitano… ed attualmente è in corso una guerra sul predominio, ora che si è sfasato l’equilibrio.

-Quindi te lo sposi, lo stratega? -indaga con uno sguardo malizioso che mai avrebbe immaginato di veder apparire negli occhi azzurro cielo di Steve, fulminandolo in risposta perchè non vuole concedergli la soddisfazione di ripetere una risposta che aveva appena proferito.

-Se si decide a farmi la proposta può darsi che gli risponda di sì. -concede infine alzando gli occhi al cielo. -Steve, me lo fai un favore?

-Qualunque cosa.

-Prenotami il primo volo per Parigi, ma non dirgli che sto arrivando… ho nostalgia di casa, voglio rimetterci piede il prima possibile.

 

***

 

7 ottobre 2018, Resistenza sicura Barnes-Romanoff, Montmartre, Parigi

 

-Come te la stai cavando? -chiede Steve dall’altro capo del telefono. -Ti sei preparato qualcosa per cena?

-Ho appena spento il forno, la cucina è un disastro e la TV di sottofondo mi sta facendo compagnia. -concede ipotizzando che se il forno l’avesse acceso sul serio probabilmente la cucina sarebbe davvero un disastro considerate le sue discutibili doti culinarie, invece l’unica nota di disordine è il cartone della pizza vuoto abbandonato sul tappeto a portata di braccio, mentre se ne sta spaparanzato sul divano con il televisore che illumina il salotto ad intermittenza, coprendo appena il ticchettio della pioggia contro le tegole del tetto.

-E che ti sei messo a cucinare? -indaga il fratello, che probabilmente se lo figura benissimo a dormicchiare sul divano con un’aria da depresso, mentre James si distrae un solo secondo indugiando con lo sguardo sulle cinque mezzelune cicatrizzate di fresco che gli attraversano il polso.

-Pizza fatta in casa. -replica a tono sicuro portando avanti la farsa, iniziando a contare i secondi prima di venire smascherato, nascondendo i polsi dietro la testa chiudendo gli occhi, il cellulare abbandonato sopra lo stomaco in vivavoce. 

-Dosi dell’impasto? -lo interroga e James tentenna, perchè ha solo una vaga idea di cosa ci vada dentro l’impasto per la pizza, a differenza di Steve che di teoria ne sa molta ma la pratica lascia sempre molto a desiderare… chiedendosi il come diavolo fossero riusciti a sopravvivere in guerra se nessuno dei due sapeva propriamente cucinare qualcosa che non finisse bruciato. -Quante uova ci vanno?

-Due. -spara a caso testando il bluff, sentendo il fratello ridere dall’altra parte dell’oceano.

-Non ci vanno le uova nell’impasto della pizza, cretino.

-Vai a farti fottere. -brontola appena passandosi una mano sul volto, celando un sorriso che gli affiora sulle labbra. 

-Beh, i programmi per la serata sono quelli.

James scoppia a ridere spudoratamente, annotando mentalmente che Sharon deve essersi presa le ferie dall’agenzia e che evidentemente se le stanno godendo a pieno, smorzando la risata di colpo quando avverte il rumore di qualcosa infilato nello scrocco della porta d’entrata, allungando la mano di metallo sotto il divano staccando il coltello da lancio che nascondevano lì sotto.

-Steve, ti richiamo. -afferma con tono teso, alzandosi dai cuscini con l’intero corpo in tensione, puntando lo sguardo fisso sull’uscio di casa.

-Divertiti. 

-Aspetta, cosa? -chiede fissando lo schermo che segnala la chiamata terminata, lampeggiando prima di lasciare spazio allo sfondo del cellulare, che ritrae Natasha nell’intento di strappargli il cellulare dalle mani con un sorriso divertito ad incorniciarle le labbra… ma non ha il tempo di curarsene che sente le chiavi girare nella toppa, il rumore di un borsone che viene lasciato cadere incontro al pavimento, le fibbie di un giubbotto che si scontrano sull’appendiabiti, le suole che scalciano contro il parquet e un miagolio indistinto.

Osserva confuso il gatto nero avanzare in soggiorno, sollevando istintivamente lo sguardo sulla sua padrona che si arresta sulla soglia del salotto incazzata nera e lo fulmina, mentre James ha tutto il tempo per rendersi conto che ha un coltello da lancio in mano e che ci sono alte probabilità che in un modo o nell’altro quella lama finisca impiantata in una parte qualsiasi del suo corpo, eliminando il problema alla fonte lanciandolo contro il muro e conficcandolo nella parete fino all’elsa.

-Natalia. -la saluta sollevando le mani sopra la testa, dipingendosi sul volto il più smagliante dei sorrisi, nonostante gli occhi della donna continuino a lanciargli lampi.

-Hai meno di trenta parole per giustificarti, ora come ora sono indecisa se picchiarti o baciarti. Vedi di essere convincente.

Trenta parole… più di quelle che pensava gli fossero concesse.

-Non volevo che ti fondessero di nuovo il cervello solamente perchè non ti ricordavi di me… da quando ti conosco ti ho procurato solo guai… stavi meglio senza di me. -elenca velocemente contando con le dita nel mentre, congratulandosi con se stesso per le parole scelte. -Sono trenta parole precise, sono stato convincente?

-Non è il genere di decisione che puoi prendere per entrambi, idiota. -afferma con tono vagamente risentito raggiungendolo, mentre la mente di James viene attraversata dal pensiero fugace di quante armi siano nascoste nel raggio di un paio di metri dal punto in cui si trovano, osservandola avvicinarsi pericolosamente a lui con uno sguardo luccicante negli occhi che nasconde un messaggio di cessate al fuoco. -Ma a titolo di cronaca, a te non ci rinuncio più, nemmeno sotto tortura.

La ginocchiata contro il cavallo dei suoi pantaloni è scontata quanto prevedibile, giocando d’anticipo bloccandola nel gesto con la mano di metallo, aggirando la manovra portandole la destra sul retro della schiena spingendola a piegarsi in un casquette, terminando il movimento con l’impulso naturale di raggiungere le sue labbra e baciarla fino a consumarle la riserva di ossigeno.

-Ti odio… e questo non significa che abbiamo fatto pace. -afferma Natasha quando la lascia libera, puntandogli i pugni al petto perchè sembra lui quello ad essere in vantaggio sulla battaglia in corso, sorridendo maliziosa al pensiero di rivendicare il terreno perso ed accaparrarsi definitivamente il predominio tra le lenzuola, impresa temeraria sulla quale desidera cimentarsi al più presto… se non fosse per la palla di pelo che si intrufola in mezzo alle loro gambe iniziando a miagolare.

-Il gatto è compreso nel pacchetto? -si distrae James abbassando lo sguardo sul felino, che si sta strusciando contro le gambe di Natasha pretendendo la sua dose di coccole per non essere da meno.

-Si chiama Liho. -replica fulminando il gatto, che risponde all’occhiataccia con uno sguardo d’ambra di profondo scetticismo, quasi a chiederle se le fosse andato di volta il cervello nel preferire l’umano a lui.

-Lo prendo per un sì… l’hai chiamato Liho da Likho? Davvero? -soffoca una risata sulla soglia delle labbra.

-Perchè no? È già un gatto nero, tanto vale dargli un nome adeguato… non dirmi che sei superstizioso. -indaga ironica, vedendosi rivolgere un sorriso mozzafiato in risposta.

-Ma figurati. -replica abbassandosi per acciuffarlo, prendendolo in braccio solo per vedersi graffiare la mano e schizzare via. -L’ho sempre voluto un gatto.

-Diresti qualunque cosa pur di non vedermi andare via.

-Probabile. -afferma mentre si discosta da lei scomparendo in cucina, venendo presto seguito a ruota dalla donna che lo sorprende a riempire una ciotola di croccantini che abbandona di fianco al piano cottura. -Steve potrebbe essersi lasciato sfuggire l’informazione che hai adottato un gatto.

-Per questo ne avevo parlato con Clint.

-Il quale l’ha casualmente detto a mio fratello. -solleva il capo soppesandola con lo sguardo.

-Casualmente. -ribatte piccata fulminandolo, ragionando sul come vendicarsi degli altri due per averlo aiutato a guadagnare punti per vincere.

Liho sembra sentirsi escluso dalla conversazione in corso, miagolando un’entrata in scena che pretendeva attenzione avvicinandosi diffidente alla ciotola annusandola realizzando che si tratta di cibo, regalando a lui una strusciata con contorno di fusa come ringraziamento e scoccando a lei uno sguardo che sembrava suggerirle che l’umano per cui l’aveva tradito sotto sotto era anche accettabile.

-Tu proprio non vuoi vedermi andare via. -gli concede standosene addossata allo stipite della porta valutando il da farsi, accusandolo. -Mi hai corrotto il gatto. 

-Strategia. -replica con una scrollata di spalle perchè in guerra tutto è lecito, sollevando cautamente la mano sana a sfiorarle la guancia, venendo bloccato nel movimento tempestivamente.

-Sono stata io? -chiede sfiorandogli delicatamente con il pollice le cinque mezzelune che gli segnano il polso, mentre un velo liquido le adombra lo sguardo sfuggevole.

-Me la sono cercata. -ribatte con calma scrollando le spalle in segno di noncuranza. -E poi così siamo ufficialmente pari. 

-Pari? -ribatte ironica, anche se dal suo sguardo malizioso intuisce il dove James voglia andare a parare, ovvero verso l’unico fattore decisivo per mettere un punto definitivo alla disputa, posandogli le labbra sul polso baciando ogni singola cicatrice incendiandogli lo sguardo in risposta. -In che modo?

-Se mi segui in camera da letto te lo illustro. -sorride speranzoso in un consenso definitivo, chiedendoglielo più per galanteria che per mera conferma, consapevole di guadagnare punti nel comportarsi in un certo modo.

Natasha in tutta risposta lo afferra per le dita e lo trascina a passo sicuro, voltandosi fulminea spingendolo contro la porta chiudendola alle sue spalle in un unico movimento, sollevando gli occhi su lui con lo sguardo che lampeggia in un monito di avviso… sono arrivati al fine partita, ma da quel momento in poi si inizia a giocare pulito.

-Illustra. -ordina sfiorandogli il polso di carne con il pollice, rallentando la carezza per toccare tutti e cinque i punti sensibili, sorridendo provocatoria facendolo deglutire a vuoto.

-Mi hai ripagato per tutti e cinque i tuoi marchi indelebili… uno. -inizia a contare con la voce che trema appena afferrandole il polso a sua volta, sollevando la manica del maglione rivelando la cicatrice circolare che denuncia la morsa di metallo di una manetta indossata ogni notte dall’età di dieci anni, posandoci sopra le labbra. -Questa c’era già prima di me, ma ultimamente non ho fatto granché per disintossicarti.

Lo ammette in un sussurro, perché sembra quasi un segreto di stato conosciuto solo a loro il fatto che lui dormisse stringendole il polso incriminato con la mano di metallo, evitando che si laceri la carne se viene colta di sorpresa da un incubo mentre dorme… e la guarda mentre sfiora con le dita il bordo del maglione chiedendole il permesso, perché sa che se non è lei a fare la prima mossa deve sempre dichiarare le sue azioni, ottenendo un cenno di assenso che fa sparire tutti gli strati di tessuto lasciandola in reggiseno in un unico gesto deciso.

La spinge delicatamente verso il letto, afferrandole una mano scattando con il polso avvitandosela addosso in un mezzo passo di danza, mentre la schiena di Natasha collide contro il suo petto strappandole una risata sorpresa e le sue labbra calano sulla sua giugulare smorzandole il respiro.

-Due. -mormora contro la sua pelle scendendo a baciarle la cicatrice frastagliata che le attraversa la scapola, come se prima di allora in quel punto ci fosse stata un ala d’angelo, andata recisa dal boia che si era ritrovata come padre. -Quando abbiamo scoperto che costringerci a farci giocare con i coltelli fa male, quasi quanto una scossa ad alto voltaggio sventata.

James fa scattare nuovamente il polso sciogliendo l’abbraccio strappandole un secondo sorriso estatico al suono di risata, mentre le gambe di Natasha inciampano contro il bordo del letto a metà piroetta facendola cadere di schiena sul materasso, arrampicandocisi sopra liberandosi dall’impiccio del reggiseno nel mentre che gli sorride languida e James si arresta per la momentanea mancanza di sangue al cervello dato che è palesemente defluito in altre zone del suo corpo, liberandosi degli strati di vestiti superiori avvertendo un improvviso innalzamento della temperatura tra quelle quattro mura… e Natasha ride nel vederlo impigliarsi sulla catenina delle piastrine militari perché troppo preso dalla foga del momento, sollevandosi sulle ginocchia per dargli una mano e finendo con le mani dietro la sua nuca trascinandoselo contro quando impatta nuovamente con la schiena contro il materasso.

-Non stiamo giocando a strip poker, che ti denudi per solidarietà perché mi stai stracciando alla grande. -ride e James la mette a tacere con bacio famelico lasciandosi andare per un paio di secondi all’istinto.

-Siamo ancora in guerra, si gioca ad armi pari su questo fronte. -afferma consapevole di autosabotarsi, perché più centimetri di pelle le concede e più armi le fornisce per distruggerlo, procedendo ad occhi chiusi con fiducia cieca nonostante lo sappia che le lenzuola sono il regno di Natasha, dove si trova sempre sprovvisto di protezione strategica in territorio ostile… la vincerà sicuramente lei la guerra, ma in tutta sincerità non gli sembra una gran perdita.

-Non hai finito di contare, non lasciare i lavori a metà. -lo provoca mordicchiandogli l’orecchio, abbandonandosi contro i cuscini godendosi le coccole, fregandosene se così facendo gli regala deliberatamente un bel po’ di punti.

-Tre. -annuncia con voce roca, posando le labbra contro la sua spalla premendole sui resti di un foro d’entrata, mentre una mano è impegnata a sbottonarle i jeans per velocizzare il raggiungimento degli ultimi due punti. -Washington DC, il primo punto di contatto con tutta la mia famiglia, la seconda volta che ti ho rivista dopo Mosca.

James scende ancora segnando il passaggio tortuoso verso l’incavo dei seni a piccoli morsi, costellando la pelle candida con ferite di guerra al pari dei marchi, sfiorandole con le labbra la ferita slabbrata che le attraversa il ventre in una gentile concessione dell’ultimo mostro che si sono lasciati alle spalle, baciando la linea biancastra quasi invisibile collocata appena più sotto… perché quel rimasuglio negava ad entrambi un futuro che forse James avrebbe voluto avere, addolcendo quei ricordi spiacevoli che Natasha non aveva mai espresso ad alta voce e lui non le aveva mai chiesto nulla in merito. Ad essere sincero con se stesso non le aveva mai chiesto molte cose, forse perché la possibile risposta generava un connubio letale tra l’incazzatura e la paura ed in quei casi era meglio se la lingua se la mordeva, nell’ennesimo segno indelebile che negli anni aveva imparato a conoscere fin troppo bene.

-Quattro. -proclama scacciando i pensieri morbosi concentrandosi in un compito decisamente più appagante, finendo di sfilarle i pantaloni premendo le labbra contro il bozzolo in rilievo che le deturpava il fianco. -Odessa. La prima volta che ti ho rivista ed abbiamo capito definitivamente cosa mi avevano fatto dopo Mosca, perché sapevamo benissimo che se ci avessero scoperti saremmo finiti in Siberia o peggio, ma la nostra immaginazione non si era mai spinta così oltre.

Le dita di Natasha si attorcigliano tra i suoi capelli in una coccola rassicurante, ancorandolo al presente prima che la sua mente si cristallizzi e finisca a vagare in mezzo alla steppa, fremendo strappandole un gemito quando le sue labbra scavalcano la duna della cresta iliaca e sconfinano sulla gamba, raggiungendo l’ultimo punto della sua lista che in un certo senso dava origine al tutto.

-Cinque. -sussurra infine, posando le labbra sull'unico foro di proiettile che non ha il suo marchio di fabbrica nel grilletto, ma si nasconde ancora più subdolo nell’intenzione del grilletto di qualcun’altro. -Il giorno in cui ci hanno scoperti e separati, quando mi hanno torturato senza privarmi della memoria, solo per farmi rivedere all’infinito il fotogramma di quando ti hanno separata da me per tutta la durata della mia permanenza nel ghiaccio… quando tu hai urlato in faccia a tuo padre che mi amavi fregandotene delle conseguenze, prima che il proiettile ti azzoppasse e ti convincessero che Alexei era l’uomo della tua vita.

Solleva la testa contemplando quelle cinque cicatrici che le segnano il lato sinistro del corpo, speculare al proprio per la gravità dei crimini commessi dalla sua parte di metallo, in un incastro perfetto che distribuiva le colpe gravando sempre dalla parte del cuore… perché non ci può essere guerra sanguinaria che tenga se non c’è amore.

Alla fine la battaglia la vince comunque Natasha, perché ad essere la dea del sesso se ne guadagna sempre, nonostante lui detenga il vanto di guardiano del suo cuore.

-Resti, vero? -chiede a metà tra il titubante e l’ansimante, stringendosela tra le braccia depositandole un bacio sulla fronte.

-Idiota. -lo zittisce in una conferma inequivocabile, sorridendo indugiando sulle sue labbra, pronta a silenziarlo di nuovo qualora fosse davvero così stupido da spezzare la religiosità di quel momento.

-Ti amo anch’io. -gli concede di replicare prima di esaurirgli l'ossigeno, salvaguardando la sacralità della pace.

James ha sempre amato litigare esattamente per quel momento di silenziosa estasi, a differenza di Natasha che il pretesto lo aspettava solamente per poi fare la pace come si deve. Forse sono entrambi idioti per motivi un po’ diversi, ma ciò non toglie che restano due dementi che si amano incondizionatamente.

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


EPILOGO


 

Meglio essere protagonisti della propria tragedia che spettatori della propria vita.
- Oscar Wilde



 

21 ottobre 2018, Resistenza sicura Barnes-Romanoff, Montmartre, Parigi

 

Okay ha deciso, ora o mai più… sono solo passati sessantadue anni dall’ultima volta.

James controlla per l’ennesima volta che Natasha sia ancora stesa sul divano, soffermandosi ad osservare la sua espressione concentrata mentre sfoglia l’ultimo giallo comprato in libreria con Liho acciambellato sullo stomaco a farle le fusa.

-Cos’hai da fissare? -lo interpella a tradimento spiandolo da sopra il dorsetto del libro, assottigliando lo sguardo mentre James deglutisce a vuoto preso in contropiede.

-Non ti stavo fissando. -si giustifica con il sorriso sulle labbra, ottenendo un mugugno accondiscendente in risposta. -Hai già capito chi è l’assassino?

-Ho solo letto le prime cinquanta pagine… anche se ho un sospetto fondato. -ride divertita, scacciandolo con un cenno della mano. -Se continui a fissarmi non riesco a concentrarmi, trovati qualcosa da fare e sparisci in un'altra stanza per favore.

-Agli ordini. -replica allo scherzo defilandosi nel corridoio d’entrata, tranquillizzandosi nell’avere il via libera sapendola impegnata.

Apre il cassetto di sinistra del bancone aspettandosi di vedere la scatolina di velluto in bella vista, restando interdetto quando non la trova da nessuna parte nonostante fosse convinto di averla abbandonata lì, iniziando a rovistare nel cassetto con ansia crescente… perchè non può averlo perso, Rebecca lo ammazzerebbe, prefigurandosi il fantasma della sorella a perseguitarlo negli anni futuri.

-Amore, che cerchi? -la voce di Natasha giunge tempestiva dal salotto, rendendosi conto che nella foga di rovistare tra le cianfrusaglie, aveva iniziato ad imprecare a mezza voce facendo una confusione allucinante, spazzando via i suoi buoni propositi di coglierla di sorpresa.

-Le sigarette. -risponde d’impulso non sapendo inventare di meglio, ritrovandosi il pacchetto ancora sigillato tra le mani.

-Cassetto di sinistra, in fondo… impossibile sbagliare. -interviene Natasha efficiente con tono annoiato, voltando la pagina del libro con un leggerissimo stropiccio di carta, tentennando un paio di secondi prima di concludere l’affermazione lasciata in sospeso con la voce colorata dal dubbio. -Dovresti saperlo, sei tu quello che fuma tra i due.

-Si, lo so… -lascia cadere la risposta nel silenzio stringendo il pacchetto tra le dita, il cervello ridotto ad un disco rotto con la puntina inceppata nel pensiero assillante di aver perso l’anello di sua madre… e Liho lo distrae inopportuno, infilandosi in mezzo alle sue gambe miagolando a gran voce, reclamando le coccole.

-Liho, non è il momento… -afferma scocciato sovrappensiero, realizzando con un secondo di ritardo che se il gatto l’aveva raggiunto a dargli il tormento, ciò significava che Natasha si era alzata dal divano e lo stava raggiungendo.

-Tu hai una seria dipendenza da nicotina. -annuncia con voce sempre più vicina, riuscendo stranamente a percepire il rumore dei suoi passi in avvicinamento, oppure quella era solo suggestione data dal panico del momento.

-La nicotina e al secondo posto, prima ci sei tu. -glissa riavviando il suo sistema operativo, pescando dal cassetto un pacchetto di fiammiferi per consolidare l’alibi, insultandosi da solo perchè non aveva davvero idea di come gli fosse uscita una risposta del genere con dei livelli di diabete fuori misura ed imbarazzanti soprattutto per lui.

-Aww… sei così dolce che mi fai venire il voltastomaco. -Natasha non gli risparmia la frecciatina, affacciandosi alla soglia e puntellandosi sullo stipite della porta, simulando un’espressione inorridita stemperando la sua ultima affermazione che vantava picchi iperglicemici preoccupanti, lasciando cadere lo sguardo sul pacchetto di Marlboro che teneva tra le mani. -Perchè ti sei messo a cercarle se ce n’è ancora uno mezzo pieno sopra il tavolino del salotto?

Stupido. Stupido, stupido, stupido.

-Ah, davvero? -replica reprimendo l’impulso di schiaffeggiarsi da solo con la mano sinistra frantumandosi il setto nasale, dipingendosi un sorriso da ebete in faccia nella speranza che Natasha lasci cadere il discorso, reprimendo un sospiro sollevato quando la vede roteare gli occhi e discostarsi dallo stipite facendo ritorno ai cuscini del divano. 

La segue evitando di renderle noto il suo umore da cane bastonato, arrovvellandosi il cervello nel mentre vagliando tutte le opzioni sul dove diavolo poteva aver gettato l’anello, continuando ad insultarsi silenziosamente perchè era sicuro di averlo chiuso in quel maledetto cassetto, raggiungendo il tavolino del salotto afferrando il pacchetto aperto abbandonato lì sopra nella speranza di placare il picco di nervi. Natasha gli rivolge uno sguardo sfuggevole ed indecifrabile prima di stendersi nuovamente sul divano riprendendo la lettura da dove l’aveva interrotta, lasciandosela alle spalle attraversando la porta-finestra venendo prontamente seguito a ruota dal gatto, che gli balza sullo stomaco appena si accaparra la sedia posta sul terrazzo, allungandosi con le zampine nere a giocare con i rimasugli dei mozziconi abbandonati sul posacenere. 

James sa che ormai avrebbe dovuto farci l’abitudine al passo felpato di Natasha, ma solleva lo stesso lo sguardo sorpreso su di lei quando nota la sua ombra, insospettendosi davanti al suo sorriso che virava dal trasognante all’ironico.

-Credo tu stessi cercando questo, prima. -commenta piazzandogli la scatolina di velluto aperta sul tavolo. -Finalmente ti sei deciso a chiedermelo?

Appena James la vede e la riconosce spegne la sigaretta contro il posacenere d’impulso, scattando in piedi sull’attenti come se una scossa ad alto voltaggio gli avesse appena attraversato la schiena, facendo cadere il gatto sul pavimento ricevendo un soffio adirato in risposta, spostando frenetico lo sguardo dall’anello a Natasha e viceversa senza riuscire a connettere le sinapsi per collegare le due cose.

-Lo sapevi? -riesce a formulare confuso, ripercorrendo mentalmente gli ultimi mesi cercando la falla che aveva tradito i suoi intenti.

-L’ho scoperto per sbaglio la prima volta che mi hai riportata qui, poi quando me ne sono ricordata l’ho preso e l’ho nascosto. -ammette la donna con una scrollata di spalle, reprimendo un sorriso nell’aver rovinato a monte un momento che avrebbe dovuto essere estremamente romantico.

-Perchè l’avresti fatto? -indaga curioso, vagliando le ipotesi ritrovandosi ad incurvare le labbra in un sorriso mozzafiato.

 -Per avere l’ultima parola anche su questo presumo… ora pensi di inginocchiarti ai miei piedi o aspetti un evento mistico?

James ride davanti alla sua impazienza, come se non vedesse l’ora di ammirare il suo anulare con indosso un diamante sfavillante, ma allo stesso tempo la situazione la mettesse in imbarazzo e volesse togliersi dall’impiccio prima di subito, non essendo in grado di gestire l’intera situazione a livello emotivo tradendosi con lo sguardo lucido ed un sorriso smagliante, sfilando il solitario dal fodero inginocchiandosi ai suoi piedi.

-Natalia Alianov-...

-Saltiamo questa parte? La risposta già la sai. -lo interrompe con una scrollata di spalle.

-Con te non si può mai sapere. -la provoca trasformando il sorriso in un ghigno, beccandosi un’occhiataccia fintamente risentita, mentre la donna gli porge la mano e le infila l’anello al dito senza aspettare una qualche risposta.

-Idiota. -sbotta di fronte a quella istigazione diretta, baciando il pavimento con le ginocchia, gettandogli le braccia al collo ed incollando le labbra alle sue.

-Il tuo idiota… -la interrompe afferrandole le guance, sorridendo euforico. -Giusto per essere chiari, è un si?

-Sono ancora qui dopo sessantadue anni, amore. -afferma ricambiando lo sguardo di lucida euforia. -Era un sì ancora ai tempi del Cremlino.

A James non serve sentire altro, tornando a baciarla famelico senza nessun pensiero al mondo, con l’unica consapevolezza di essere felice da far schifo.





 

Note:

Se siete arrivati fin qui vorrei ringraziarvi di cuore, per aver recensito o per aver semplicemente inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite!
Inizialmente, quando ho creato l’M.T.U. questo sarebbe dovuto essere il punto definitivo, ma di recente mi è capitato di reperire qualche numero di “Tales of Suspence” e non potevo non scrivere sull’argomento… la cosa si è tradotta in un ultimo “progetto mastodontico” di cui ignoro la data di pubblicazione, ma se siete curiosi di scoprire come se la cavino quei due qui sopra citati nella vita matrimoniale, volete capire che fine ha fatto Yelena Belova o scoprire dove siano finite le bambine e chi diavolo sia l’Alleato… beh, la partita a scacchi è ancora in corso ;)
In ogni caso, per chi non si è ancora stufato dei deliri mentali della sottoscritta, prima di imbarcarmi in un qualsiasi altro progetto, voglio portare a termine la cronistoria dei sette anni di matrimonio tra Natalia Romanova ed Alexei Shostakov, quindi vi invito a darci un’occhiata qualora fosse interessati (“We always live in the castle”).
Con affetto,
_T :*

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