Le ali della libertà: cronache di una recluta del Corpo di Ricerca

di PeNnImaN_Mercury92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non si torna più indietro ***
Capitolo 2: *** Attenta a come mi rivolgi la parola! ***
Capitolo 3: *** Margherita ***
Capitolo 4: *** Per il bene dell'umanità ***
Capitolo 5: *** Il sorriso di un bambino ***
Capitolo 6: *** La strana collana dalla pietra rossa ***
Capitolo 7: *** Vorrei che tu fossi qui ***
Capitolo 8: *** 48° spedizione oltre le mura ***
Capitolo 9: *** Secondo attacco ***
Capitolo 10: *** Strategia ***
Capitolo 11: *** L'impresa di Hanji Zöe ***
Capitolo 12: *** La ritirata ***
Capitolo 13: *** Il dolore è sparito, si allontana ***
Capitolo 14: *** Il freddo del mio inverno ***
Capitolo 15: *** Due anime smarrite in una boccia per pesci ***
Capitolo 16: *** Cosa fare adesso? ***
Capitolo 17: *** Decisioni ***
Capitolo 18: *** Questioni di fiducia ***
Capitolo 19: *** Ad un passo dalla verità ***
Capitolo 20: *** Il diario di Ilse Langnar ***
Capitolo 21: *** Un'importante rivelazione ***
Capitolo 22: *** Erwin Smith ***
Capitolo 23: *** Scommessa ***
Capitolo 24: *** Vecchi libri, disegni, intrighi ***
Capitolo 25: *** Una nuova speranza ***
Capitolo 26: *** Riposo ***
Capitolo 27: *** Devozione ***
Capitolo 28: *** Due cuccioli di trecento centimetri ***
Capitolo 29: *** Soccorso imminente ***
Capitolo 30: *** Colpo Decisivo ***
Capitolo 31: *** Risveglio ***
Capitolo 32: *** La ballata dell'Armata Ricognitiva ***
Capitolo 33: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Non si torna più indietro ***


1. Non si torna più indietro

È la fine ormai, pensai. Ma dentro di me sapevo che quella scelta non avrebbe rivoltato il mio destino.

Combattere con i giganti o vivere in povertà nel Wall Rose rischiando di essere trucidata da quelli, coloro che davano la caccia a mio padre, dei quali mia madre era già caduta vittima. Avrei abbandonato mio fratello, rimasto alle cure dei Ral, e probabilmente sarebbe rimasto più al sicuro di quanto non lo fossi stata io. Certo, l’Armata Ricognitiva era stata per me la migliore decisione, paradossalmente.

Davanti ai miei occhi centinaia di giovani fuggivano, recandosi frettolosamente alle mie spalle per aggregarsi alla Guarnigione o, per i più bravi, alla Gendarmeria. “Non andare, non andare!” mi intimavano con pietà i loro sguardi. 

Ciò che rimaneva davanti a me era la fila di giovani tremanti, con i pugni chiusi, mentre il comandante Erwin Smith, con occhi lucidi, guardava fiero quella piccola schiera di anime coraggiose, alla quale presi anche io parte.

Miserere di me! Le probabilità di finire nella bocca di qualche schifoso titano iniziarono a divenire altissime, eppure pensai che sarebbe stato alquanto sciocco pentirsi. Avevo compiuto la mia scelta, e non potevo più tornare indietro.

Raggiunsi Petra, le misi una mano sulla spalla, invitandola a girarsi nella mia direzione. Eravamo entrambe impaurite, ma ci sorridemmo, ci prendemmo per mano e attendemmo il termine del discorso del capitano di divisione, convinte che, in qualsiasi modo fosse finita, l'avventura a cui stavamo prendendo parte l'avremmo vissuta insieme.

—Donate i vostri cuori, reclute! – egli urlò, invitando a portarci a fronte alta la mano sul cuore.

–Ora non si torna più indietro – mormorai tremante alla mia compagna di una vita. Una lacrima, nel frattempo, scese sul mio volto.

–Ma non ci arrenderemo, Claire. Mai – rispose, sorridendomi ancora una volta.

Osservavo le ali della libertà cucite sulla tela alle spalle del comandante Smith. Presto mi avrebbero portata lontana, e il sogno di una vita di poter oltrepassare le mura per approdare nel mondo esterno si sarebbe da lì a poco realizzato.

Non molto lontano da Erwin, gli altri caposquadra ci osservavano meravigliati e fieri della nostra decisione. Mi promisi con tutta me stessa che non li avrei delusi, e avrei salvato ogni mio compagno con tutte le mie forze. Lo avrei fatto per il bene di Petra, di mio fratello Lex e per il ricordo di mia mamma Catherine.

Calata la notte, nel mio scomodo dormitorio non riuscivo a chiudere occhio, e così le restanti reclute dell’ala femminile, Petra inclusa.

La raggiunsi sul suo letto, posto sopra il mio, e chiacchierammo fino a tarda sera delle nostre impressioni sul corpo da noi scelto. Fingevamo di non aver paura, fingevamo che sarebbe stato come essersi appena arruolati nel corpo di addestramento, che, per noi due, era stato un puro gioco da ragazzi.

–Credo che non avremmo potuto scegliere di meglio, Claire – bisbigliò la mia amica, intrecciando i miei capelli biondo scuro tra le sue dita. –I capisquadra mi sembrano così in gamba, ci addestreranno per bene prima di portarci sul campo di battaglia.

Focalizzai la mia mente sui collaboratori del Comandante Erwin. Constatai che tutti mi erano parsi molto diversi, ma anche molto originali.

–Non mi piacciono i capelli del comandante Smith – dissi.

Petra scoppiò a ridere, e fu costretta a districarmi le ciocche, prima di ricominciare da capo.

–Be’ nemmeno a me, ma oltre a questo?

–Quel Mike Zacharius è maledettamente alto. Secondo me è un mezzo gigante!

Altre risate, oltre a quelle della mia amica, provennero dalla stanza.

–Speriamo di finire nella sua squadra, allora. Farà tutto lui, forte e possente com’è - commentò una ragazza.

-Impressioni positive, Claire? – chiese diretta la mia amica.

–Be’… Il caposquadra Hanji mi è sembrata molto simpatica! Ho sentito dire che abbia intenzione di portare dei giganti all'interno delle mura per degli esperimenti. Non sarebbe male aiutarla, magari facciamo saltare in aria il parrucchino di Erwin.

–Claire, smettila di avercela con i capelli del comandante. Come fai ad essere così allegra in momenti come questi? – mi domandò divertita Petra, terminando la sua impresa con i miei capelli.

–Perché ho una paura tremenda di morire – risposi sincera.

–Anch’io, ma il nostro compito, adesso, è far saltare la nuca ad ogni esemplare titanico che incontreremo. E diventare futuri capisquadra – mi sorrise.

–Non so se sarei in grado di farcela. Sai, è per quella cosa…

Mi incupii di colpo, e la mia mente rievocò i ricordi più raccapriccianti vissuti durante i miei tre anni di addestramento.

Un pugno, un calcio… Non ero in grado di attaccare nessuno che mi capitasse davanti. Come me la sarei cavata fuori dalle mura, con degli esemplari di dieci metri e oltre intenti a divorarmi?

–Non essere ridicola, Claire. Sei stata la quarta classificata del centotreesimo corpo di addestramento reclute. Eri la più brava con il movimento tridimensionale e i tuoi colpi sono spettacolari. Non ti può essere vietato niente solo perché non eccelli nel combattimento corpo a corpo, fidati – mi rassicurò Petra, spalancando le braccia.

Abbracciai la mia amica dagli occhi dorati, proveniente, come me, dal distretto di Karanes, e da sempre mia vicina di casa.

Accanto al suo corpicino minuto ripensai alla premurosità della mia amica, solita risanarmi le ferite al ginocchio ogni volta che, da piccola, cadevo sul suolo cementato davanti la porta di casa sua.

–Sai chi è veramente uno in gamba? – mi domandò Petra, un secondo prima che, sfinita, potessi ricadere tra le braccia di Morfeo. –Il capitano per le operazioni speciali.

–Levi? Il soldato più forte dell’umanità? L’hai visto, Petra?

–Sì – ella ridacchiò. –Non saresti mai capace di riconoscerlo, te lo assicuro.

–Questo lo vedremo.

Ci demmo la buonanotte e, abbracciate come due buone amiche, ci addormentammo simultaneamente, ancora un po’ impaurite, ma infinitamente stanche. 


Salve a tutti, fan di Attack on Titan!
Questa è la prima storia che scrivo su questo fantastico anime, e spero vivamente che ci sia qualcuno a incoraggiarmi in questa impresa letteraria del tutto nuova per me. 
Proprio perché è la prima, i capitoli saranno abbastanza brevi, ma spero che colmino la curiosità di coloro che, se ci saranno, apprezzeranno il mio racconto. 
Alla prossima!!!

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Capitolo 2
*** Attenta a come mi rivolgi la parola! ***


2. Attenta a come mi rivolgi la parola!
Per quelli che, come me, amano dormire, il risveglio mattiniero è sempre l’impresa più ardua, probabilmente di gran lunga più complicata del dover combattere contro un mostruoso titano.
Ma avevo imparato ad abituarmi a quella tortura già ai tempi del corpo di addestramento. Chi invece faticava a perdere il vizio era Petra.
Qualche Secondo, una giovane biondina dai capelli corti, era già venuto a spalancare la nostra porta dandoci un sincero “buongiorno”, e fui costretta a scuotere Petra perché si risvegliasse dal mondo dei sogni.
-Non vedo l’ora di conoscere i capisquadra. Sono tanto emozionata! – disse lei, mentre entrambe indossavamo la nostra divisa, che, a breve, non avrebbe più portato il simbolo del corpo d’addestramento, ma quello delle mie amate ali della libertà.
Fummo le prime ad essere già pronte, a dispetto delle restanti reclute femminili, e ne approfittammo per fare un giro negli esterni, dove poco dopo avremmo iniziato ad allenarci anche con i “nuovi” maschili. –Io muoio dalla voglia di focalizzarmi sull’addestramento. Ci insegneranno tattiche del tutto fuori dal comune, evviva!
Sapevo bene che l’addestramento comprendeva anche la parte teorica, materia di studio a cui so dedicarmi. Ciò che ancora mi preoccupava era il corpo a corpo, ma dopotutto all’Armata Ricognitiva interessavano le scoperte sui giganti, esseri con i quali non si ci si poteva tantomeno sfidare a mani nude.
-Anche il comandante Smith deve essere alquanto mattiniero! – giudicò Petra, adocchiandolo a qualche metro di distanza. Solo dopo un po’ ci accorgemmo che, passeggiando, veniva nella nostra direzione.
-Buongiorno, reclute! – ci salutò brioso. –Già sveglie?
Petra era notevolmente arrossita, e dovetti contenermi dal ridere. –Sì, siamo abituate a svegliarci molto presto – spiegò lei.
-Non ci dispiace. Adoriamo l’alba – aggiunsi io, rivolgendo un sorriso al mio comandante.
-Bene! – esclamò il biondo. –Sappiate che avete fatto la scelta giusta, e non allarmatevi, vi insegneremo tutto nei giorni prossimi, prima della nuova spedizione. Sono sicuro che imparerete velocemente.
Petra e io, all’unisono, ci portammo la mano destra chiusa sul cuore, in segno di rispetto, ed Erwin, sorridendoci, si congedò.
-Che persona cordiale – bisbigliai alla mia amica.
-Sì! Non posso crederci di aver rivolto la parola al Comandante Smith! – trillò Petra.
Le sorrisi, prima di scorgere una chioma rossa di spalle rivolta al comandante.
 -Quello è il caposquadra Hanji! - fui io ad esclamare. Così presa a raggiungere la fantomatica scienziata dell’armata, non mi accorsi di finire addosso ad un soldato.
-Attenta a dove metti i piedi, recluta.
-Gunther?! Anche tu qui?
Abbracciai l’amico conosciuto al tempo del mio arruolamento nel corpo cadetti. Essendosi classificato terzo, non mi aspettai di ritrovarlo nel Corpo di Ricerca come me, benché fosse l’ultima persona capace di arruolarsi nella Gendarmeria.
-Abbiamo gusti simili, a quanto vedo, Claire. Ciao, Petra! - salutò la rossa, e ne approfittai per raggiungere il Caposquadra.
Poggiai delicatamente i polpastrelli delle dita sulla sua schiena. Era leggermente più alta di me.
-Salve, caposquadra Hanji - iniziai, arrossendo. Mi domandai perché, istintivamente, ero corsa verso di lei senza nemmeno preparare qualche discorso da recitare in sua presenza. -Sono una nuova recluta, che fieramente ha deciso di unirsi all’Armata di Ricognizione, e volevo porle le mie più sincere congratulazioni. Provo molta stima nei suoi confronti - dissi tremolante. Per quanto fosse sorridente e allegra, magari per la sua posizione, quella giovane donna mi intimoriva un po’.
-Ciao, recluta! Ti chiami Claire Hares, giusto? Ti sei diplomata come una delle migliori nel centotreesimo corpo reclute. Mi sono già documentata su tutte le nuove reclute, siete davvero tutti molto in gamba. Otterrete grande successo sul fronte, ne sono convinta.
Arrossii di nuovo, stringendomi un braccio e sorridendo agli uomini attorno al caposquadra, oltre che alla stessa signorina Hanji. La donna era in compagnia di quello che avrei scoperto essere il suo secondo, Moblit, oltre che dal comandante Erwin e da un uomo di statura bassa e dall’aria decisamente apatica, il quale velocemente si allontanò dal nostro gruppo.
-Mi hanno detto che lei desidera catturare sul campo dei giganti per compiere degli esperimenti e conoscere meglio la loro natura. Non mi dispiacerebbe aiutarla nell’impresa - spiegai timidamente, guadagnandomi l’approvazione del Caposquadra.
-Davvero faresti una cosa del genere, Claire?! UH!
La caposquadra cominciò a saltellare briosa, e i restanti uomini ridacchiarono.
-A dirla tutta, il caposquadra Hanji dovrebbe ancora ottenere la mia approvazione, per questo - intervenne Erwin.
-Ma comandante, sarebbe più che opportuno catturare degli esemplari, per essere ad un passo più vicino alla nostra vittoria definitiva sui giganti! - spiegò Hanji.
-Questo è tutto da vedere - rispose Erwin, sorridendole. -Scusaci, Claire. Puoi lasciarci soli? Dobbiamo parlare di faccende private.
Obbedii, tornando al mio gruppo di amici, al quale si era aggregato l’amico di Gunther, Erd.
Mi domandarono del mio colloquio con la signorina Hanji, eppure nella mia mente balenava ancora un dubbio: chi era, tra tutti quei soldati, il più forte dell’umanità intera?
-Ragazzi, avete forse visto il Capitano Levi? Non mi dispiacerebbe conoscere anche il soldato più forte dell’Armata Ricognitiva.
I miei tre amici mi osservarono attoniti, poi scoppiarono a ridere.
Non mi risultò facile aggregarmi a loro. Anzi, iniziai a sentirmi abbastanza offesa, e pregai i tre affinché mi dessero spiegazioni.
-Nulla che possa interessarti, Claire – Gunther strizzò l’occhio a Petra.
Chiacchierammo di quello che avremmo probabilmente fatto nel corso della giornata, fino a che Erd non rivelò di aver sentito dire che la prima giornata avrebbe previsto l’addestramento con i cavalli.
-I cavalli? Che barba! – commentai.
-Cos’è che non ti piace dei cavalli? – domandò divertito Erd.
-Niente. Claire ha un rapporto strano con gli animali. Qualche mese fa un uccello la assalì mentre mangiava un pezzo di pane, e un cane la fece cadere di fronte alla porta di casa mia – rivelò Petra.
-Finiscila, Petra! – la ammonii. –Non mi piacciono gli animali. Li trovo alquanto esuberanti.
Qualcuno si schiarì la voce alle mie spalle. Quando mi fui voltata, scorsi solo un taglio di capelli corvini militare, e il mio campo visivo dové abbassarsi di qualche centimetro prima di intercettare lo sguardo del mio interlocutore.
-Tu, recluta, non stavi parlando con Hanji, poco fa? Si è dileguata in tutta fretta, sai per caso dove sia finita?
La sua voce era calma, ma il suo tono era fortemente irascibile, e a giudicare dall’informalità con cui mi aveva rivolto la parola, pensai fosse un semplice soldato.
-Salve, soldato! – scattai allegra, evitando di ridere a causa della bassa statura del militare, che lo faceva tanto assomigliare ad un ragazzetto burbero e capriccioso. –Il comandante Erwin doveva parlarle di faccende molto importanti, li ho visti fare ritorno all’interno dell’edificio, puoi provare a cercare lì.
Calò il silenzio, e il corvino parve abbastanza infastidito, benché gli avessi risposto come meglio credevo.
Iniziai a sudare freddo, fino a che non ci lasciò e si avviò verso l’ufficio del comandante.
Confusa, rivolsi lo sguardo ai miei compagni, che mi guardavano sbigottiti.
-Ma che succede? – chiesi.
-Claire, ma sono modi di rivolgerti al capitano Levi?
Sentii il mondo crollarmi addosso.
Sbiancai, reggendomi a Gunther per non svenire. –Ho…Ho parlato col capitano Levi?
-Claire, accidenti! – esclamò Petra, ma udii Erd ridacchiare.
-Che figura di m… e adesso che faccio?
-Niente. Il capitano mi è sembrato un tipo alquanto scontroso. Spero non ti prenda nel mirino – spiegò Erd.
Più tardi, timorosamente era intenta a montare su un grazioso cavallo beige di nome Edmund. Benché avessi seguito per filo e per segno tutte le manovre spiegateci, ero ancora titubante all’idea di salire già in groppa ad un cavallo, malgrado l’animale affidatomi paresse la bestia più mite e tranquilla del mondo all’interno delle mura.
-Forza, recluta. Non possiamo perdere ulteriore tempo - mi invitò gentilmente il sottoufficiale Nanaba. -Vedrai che non ti accadrà niente. Parti male se sei già intimorita all’idea di montare su un cavallo.
Non mi feci ripetere nulla due volte: salii velocemente sull’animale, e una volta in sella constatai che non avevo nulla di cui preoccuparmi. Fortunatamente, quell’Edmund mi avrebbe salvata dalle fauci di innumerevoli mostri titanici più di quanto avrei potuto immaginare.
Nemmeno la cavalcata fu un esercizio complesso, ma mentre seguivo la signorina Nanaba e i miei amici con il mio nuovo amico a quattro zoccoli, i miei occhi si soffermarono sulla figura del capitano Levi che, in maniera alquanto arcigna, ricambiava lo sguardo.
Arrossii di vergogna, e Nanaba dovette urlare più volte il mio nome per farmi distogliere la mente da quello spiacevole e imbarazzante episodio di qualche ora prima.
Mi convinsi che ero destinata già ad essere una recluta altamente detestata dal capitano Levi. Dato il suo atteggiamento più che arcigno, avrebbe trovato il modo di dimostrare all’intera compagnia che il mio posto avrebbe dovuto essere altrove.
Tutto ciò che mi rimaneva era la simpatia che la signorina Hanji nutriva nei miei confronti; probabilmente quella mi sarebbe risultata l’ultima opportunità di rimanere nella mia adorata Armata Ricognitiva.

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Capitolo 3
*** Margherita ***


3. Margherita

L’esperienza dei cavalli fu del tutto nuova e speciale per me: non mi sarei aspettata di andare così tanto d’accordo con un animale, e avevo superato ormai la paura di cadere da cavallo nel bel mezzo di una spedizione prima di essere afferrata da uno di quei mostri che attendevano l’arrivo di un pugno di aspiranti suicida fuori dal loro nido.

In ogni caso, la prima parte della giornata fu stancante, e non nascondo di esser stata una delle prime a raggiungere la mensa per recuperare energie.

Riempii il vassoio in legno di un paio di minestre e tanto pane. Forse la mia voracità nell’afferrare più pietanze possibili doveva aver spaventato qualche veterano, ma il mio stomaco mi invitava a non curarmene molto, perciò girai i tacchi intenta a dirigermi da Petra. Sfortunatamente non mi fu semplice raggiungere la mia amica, perché il vassoio aveva colpito una figura molto, molto alta che mi bloccava il passaggio.

Non ho idea di quale forza fisica avesse agito per far sì che le minestre non andassero a finire addosso al Caposquadra Mike, ma, ragazzi, credetemi se vi dico che, dopo essermi accorta dell’incidente, avrei preferito svignarmela scavando un passaggio nel pavimento.

-Caposquadra Mike, mi scusi tanto! – esclamai, più arrossita che mai.

L’altro mi guardò inizialmente interdetto. Qualcuno, giorni prima, mi aveva rivelato che l’uomo, seppur “secondo solo al capitano Levi” sul campo di battaglia, aveva la mania di annusare ogni essere, umano o titanico che fosse, che gli si parasse davanti. Fortunatamente non fu il mio caso, perché accennò un sorriso, rispondendo: -Non preoccuparti, succede.

Eppure cantai vittoria troppo velocemente, perché avvicinò il muso al mio vassoio, odorando gli aromi prodotti dalle pietanze.

-Sembrano appetitose – giudicò. –Forse è il caso che le provi anche io.

Mi sorrise di nuovo e si allontanò da me, sbirciando il contenuto del vassoio della signorina Nanaba e strizzando l’occhio a quest’ultima.

Ancora rossa in volto, mi diressi verso il tavolo al quale avevano preso posto i miei amici, e Petra non poté contenersi dal ridere nel vedermi fare ritorno.

-Claire, smettila di combinare guai con i capisquadra – mi intimò.

-A quanto pare è più forte di me – constatai io, cercando l’approvazione di Gunther.

-Non posso darti torto, - rispose quest’ultimo, -ma ti voglio bene anche per le tue disattenzioni, Claire.

Il colore delle sue guance divenne simile a quello della mia zuppa al pomodoro, perciò decisi di non metterlo ulteriormente a disagio e consumai in silenzio il mio pasto.

Nel frattempo, un ragazzo alto dai capelli castano chiaro venne a sedersi accanto a noi.

Io e Petra ci rivolgemmo sguardi attoniti: era Oruo, un ragazzo proveniente dal nostro stesso corpo cadetti assieme a Gunther e Erd.

La sua immodestia mi irritava un po’, tuttavia non potevo certamente negare le sue doti. Forse erano state proprio la sua presuntuosità e la sua eccessiva sicurezza di sé che gli avevano valso il merito di secondo classificato nella top ten del centotreesimo.

 Io e i due ragazzi lo salutammo rispettosamente, ma non si poté dire lo stesso di Petra, dato che non si era nemmeno degnata di guardarlo negli occhi. Da lì a poco sarebbe scoppiato l’ennesimo litigio tra la mia migliore amica e il ragazzo, spettacolo al quale io, Erd e Gunther avremmo allegramente assistito.

I continui battibecchi con Petra rendevano Oruo estremamente buffo ai miei occhi, e ciò era dato anche dal fatto che a causa della sua sfacciataggine lo avrei visto benissimo in mezzo a tutti gli inetti della Gendarmeria, più che nell’elitaria Legione Esplorativa.

-Petra, ma come ti comporti? Non salutare un vecchio amico non è da te, tesoro – la burlò lui.

La ragazza dai capelli ambrati era rossa di rabbia. –Per favore, adesso non cominciare. Per me è già difficile dover realizzare che tu mi abbia seguito fin qui per infastidirmi, e faresti meglio a prenderti gioco di un’altra recluta femminile se non vuoi mettere fine alla tua vita prima che lo faccia un gigante!

Oruo poggiò il mento su una mano, e distolse lo sguardo dalla mia amica per cercare me. –Claire, adesso possiamo finalmente scommettere su chi, tra noi due, ucciderà più titani.

Ricambiai con malizia il suo sorriso, sfregandomi le mani. –Non aspettavo altro, mio caro Oruo.

-Per me una scommessa del genere non ha senso. Sarà ovviamente Claire a vincere, senza ombra di dubbio – disse Gunther.

-Non potrei essere più che d’accordo – aggiunse Erd.

I miei due amici risero, l’altro era visibilmente mortificato, ma cercò in tutti i modi di fingersi indifferente. –Si vede che non avete proprio talento nel riconoscere chi è dotato e chi no.

Diedi affettuosamente un pizzicotto sulla guancia a Petra, intenta a decidere se piazzare o meno un soddisfacente pugno sul viso di Oruo, poi tornai a mangiare la mia zuppa, chiacchierando con i miei quattro compagni.

Chi legga queste memorie perdoni la mia dimenticanza, perché mi è difficile riportare il motivo per il quale feci accidentalmente cadere le mie posate al suolo, pressappoco all’altezza della punta dei piedi del caporale Levi.

-Oh, accidenti! Capitano, mi perdoni! – bofonchiai.

-Tsk, non riesci proprio a combinarne una giusta, a quanto vedo! Che buona a nulla! – commentò infastidito lui; nel frattempo, la compagna al suo fianco, di nuovo la caposquadra Hanji, se la rideva di gusto.

-Te la prendi sempre per così poco, Levi? Forse dovresti avere un po’ di compassione per i nuovi arrivati, che dici? – domandò la donna, mentre raccattavo le mie cose a pochi centimetri dagli stivali del capitano.

-Capitano Levi… - intervenni io, alzandomi – mi scusi per averle rivolto un tono del tutto sgarbato, stamani. Io non avevo idea che lei fosse…

Non seppi continuare, e il caporale sembrava guardarmi inizialmente comprensivo, ma in seguito rispose solo: -Non abbiamo tempo per le scuse. Ti conviene risparmiare il fiato in occasioni più importanti.

 Non seppi cosa rispondere, ma la caposquadra pensò ad ammorbidire la situazione. –Comunque, per voi reclute ora inizierà finalmente l’addestramento con l’armatura.

Non badai più al rossore sul mio volto, ma guardai spensierata i miei compagni. Era giunto il momento da me tanto desiderato! A distanza di neanche un giorno dal mio arruolamento, finalmente avrei dimostrato agli ufficiali di valere almeno il minimo nel momento in cui si trattava di armeggiare il movimento tridimensionale.

-Vedo che l’idea vi garba, non è così? – ridacchiò Hanji. –Perfetto, sono contenta. Il caporale vi supervisionerà, non deludetelo.

Il mio sguardo si incupì. Possibile che, tra tutti i capisquadra, dovesse controllarci proprio il capitano? Levi mi osservò per qualche istante, momento in cui avrei voluto intimarlo a dimenticare qualsiasi brutta idea si fosse fatto sul mio conto, ma si allontanò con la caposquadra dandomi l’opportunità di autocommiserarmi e di fustigarmi.

-Accidenti, non ho mai visto il capitano Levi guardare così tanto male qualcuno – intervenne Oruo.

-Forse perché, prima d’ora, non l’avevi mai visto! – le rispose Petra.

Se quello era stato un tentativo di rallegrarmi, era miseramente fallito. Quasi non trovavo più il senso di esercitarmi se già sapevo che ogni mio errore sarebbe stato usato dal caporale per rendermi ancora più insignificante.

Spinsi il piatto e mi toccai il ventre. La tensione avrebbe finito col farmi rimettere da un momento all’altro.

-Hey, Claire! – urlò preoccupato Gunther. –Tutto bene?

-Sì… in realtà no – mormorai, per poi rimanere in silenzio e attendere che almeno i miei compagni si gustassero il pranzo.

Più tardi, dopo aver approfittato del tempo a nostra disposizione per sistemare i dispositivi di manovra al meglio, eravamo tutti schierati di fronte a un bosco, allestito esclusivamente per il nostro addestramento.

Un collega del caporale spiegò alle reclute lo svolgimento dell’esercitazione e le posizioni dei vari fantocci, sistemati in ordine di dimensione.

Mano a mano, le reclute si avventuravano nella selva, mentre io aspettavo il mio turno mangiucchiandomi le unghie e camminando a passo svelto avanti e indietro.

No, adesso calmati, mi intimai. In ogni caso era tutto inutile, perché l’ansia aveva già preso il sopravvento su di me.

La gioia di essermi finalmente unita al Corpo di Ricerca si sarebbe dissipata nel giro di qualche attimo, e il desiderio di dimostrare ai miei superiori la mia forza di volontà sul fronte non si sarebbe mai avverato. Il titolo del capitano Levi non permetteva a quest’ultimo di allontanare le reclute dalla Legione, che rappresentava addirittura l’ala dell’esercito in cui le perdite erano infinite e quello scelto da pochissimi cadetti dei corpi d’addestramento; queste erano le ragioni per le quali avrei continuato a rimanere al fianco di Petra, ma in posizioni disagevoli, al contrario suo.

Davanti a me, trovai una graziosa margherita bianca cresciuta nell’erba. L’attrezzatura non mi permetteva di fare grandi spostamenti, ma riuscii in ogni caso a raccoglierla e a studiarmela sul palmo della mano.

Il sole, spoglio di qualsiasi nuvola, le garantiva sfumature del tutto particolari.

 

“Mamma, ne ho trovata un’altra! Quella

dell’altro giorno si è già seccata”

“Fammi indovinare. Adesso vorresti

infilarmela nei capelli, non è così?”

Annuii, lasciando che si abbassasse per ricevere

il fiore in mezzo ai suoi capelli corvini.

 

-Hares, è il tuo turno.

-Sissignore – risposi decisa, infilandomi la margherita nel taschino della giacca e lasciando che il soldato di poco prima mi scortasse verso l’entrata del bosco.

 

“Ora ti sei calmata, non è così?” mi

sorrise, accarezzandomi la schiena e porgendomi

un morbido panino bianco.

“Non mi lasciano giocare con loro, dicono

che sono piccola e non capisco le regole”

“E allora tu coglili di sorpresa. Anche se

avessero ragione, sei tu a decidere

 quello che puoi essere. Sii ogni cosa che vuoi,

sii libera, Claire”

Mi osservò con i suoi amorevoli occhi castani e mi

scroccò un morso della pagnotta.

 

Il peso dell’armatura iniziò a mescolarsi con quello che avvertivo nella pancia, causato dall’eccessiva dose di stress, carico dal quale il mio corpo doveva assolutamente liberarsi, se non volevo finire schiacciata addosso a qualche albero.

Autocontrollo. Questo è il primo requisito per usare il movimento 3D. Si consideri spacciato chiunque si faccia facilmente prendere da ogni tipo di ansia.

Osservai i manici prima di caricarli nel vano delle lame. Le spade erano sempre stati gli elementi da me prediletti di tutto il modulo, forse perché così sorprendentemente sottili.

Forza. Una dose eccessiva per qualsiasi persona desiderosa di scendere sul campo in tanto di armatura e sterminare il nemico. La determinazione è sicuramente uno degli elementi chiave per ottenerla, oltre che a una grande abbondanza di allenamento.

Mi toccai il petto per sistemare meglio il fiore nella tasca, dopodiché premei il grilletto di fuoriuscita del gas e mi sollevai in aria ad una portentosa velocità.

Accortezza. Non bisogna mai sottovalutare i pericoli che quest’arma comporta. Una piccola distrazione e potreste trovarvi con gli arpioni, da voi stessi azionati, nel ventre.

Mi misi immediatamente alla ricerca dei fantocci, nonostante i fastidiosissimi rami di quegli alberi giganteschi mi bloccassero fortemente la visuale. Dovevo assolutamente deviarli nel modo più veloce possibile.

Agilità. È inoltre assolutamente necessario un corpo minuto e leggero per permettervi di cambiare velocemente bersaglio ed evitare ostacoli importanti.

Dato che non avevo ancora incontrato nessun bersaglio, iniziai a preoccuparmi, e per poco stavo per dimenticare l’importanza del primo requisito.

No, Claire. Calmati, mi ripetei. E il mio ottimismo mi portò ad avvistare il primo fantoccio, che simulava circa un esemplare di classe quattro o cinque metri. Con grande destrezza, deviai entrambi gli arpioni ad un’altezza ridotta, permettendo a me stessa di avvicinarmi alla sagoma in legno per sminuzzargli la nuca in gommapiuma.

Con altrettanta rapidità, mi diressi alla ricerca di un bersaglio più complicato, e mi imbattei in altri tre fantocci, uno dei quali pareva venire proprio nella mia direzione. Fu una sfida maggiore, quella di cambiare inizialmente direzione, per poi tornare indietro e tranciare la seconda collottola in gommapiuma, infine pensai ai restanti due. Mi slanciai nuovamente verso l’alto, continuando la mia strada, e solo in quel momento notai un’ombra appollaiata su un ramo non poco distante intenta a scrutarmi.

Incontrai i freddi occhi del caporale Levi; eppure, del tutto indifferente, lo ignorai, proseguendo determinata l’esercitazione.

Non potevo permettermi alcuna distrazione: quelli erano attimi di pura concentrazione, e nemmeno il pensiero di star facendo bella figura davanti ad un ufficiale poteva penetrare la mia mente. Tutto ciò che dovevo fare era concentrarmi solo ed esclusivamente sul mio compito. Avvertii, tuttavia, che qualcuno volava col dispositivo alle mie spalle; dopo alcuni istanti, infatti, riconobbi il taglio militare del capitano, che si trovava già più avanti di una decina di metri.

Ora che sapevo che qualcuno stesse controllando ogni mia mossa, dovevo assolutamente badare al prodotto finale: fino ad allora, la mia forza fisica non mi aveva mai permesso di eccellere nei tagli, per cui mi promisi che quelli che sarei andata a inferire da quel momento in avanti sarebbero stati il doppio più profondi.

Come avevo previsto, la preoccupazione del taglio mi distolsero dall’obiettivo: avevo superato un gruppo di altri giganti in legno senza rendermene conto.

-Hey, Hares! – urlò una voce, del tutto somigliante a quella di Levi. –Smettila di distrarti e concentrati sui bersagli!

Obbedii, affrettandomi a tornare indietro per mettermi alla prova con altri due paia di fantocci: per ciascuno di loro rivolsi la mia attenzione sul taglio e, se dapprima l’amputazione risultava ancora troppo superflua, man mano che proseguivo essa diveniva sempre più profonda.

La gratificazione che provavo in quel momento mi fece terminare con grande soddisfazione l’addestramento, inoltre trovavo assai divertente l’uso del dispositivo di manovra per sopprimere le sagome di legno, benché fossi pienamente cosciente che l’addestramento non consisteva in una gara a chi abbattesse più manichini, ma in una falsissima simulazione di ciò che mi aspettava fuori le mura. Dopo che il caporale mi ebbe ordinato di fare ritorno al campo, affannata ma entusiasta, andai alla ricerca dei miei amici.

 

“Mamma! Io e Petra abbiamo vinto! Ho fatto cinque

punti da sola!”

Lei mi prese in braccio e mi fece

girare più volte. “Brava, piccola mia!

Sapevo che ce l’avresti fatta, sono fiera di te”

-Claire, eccoti! – mi venne incontro Petra, assalendomi insieme a Gunther e a Erd.

Mi domandarono l’esito dell’addestramento, e io, molto modestamente, risposi solo che era stato utile perché mi allenassi meglio col movimento 3D.

-Ho fatto fuori tutti i fantocci nel giro di venti minuti. Praticamente ho fatto il giro del bosco due volte – commentò Oruo. –Chissà se anche la nostra talentuosa Claire se l’è cavata così egregiamente.

Petra era pronta a ribattere, ma venne fermata dai miei pensieri, che magicamente tramutarono in parole vere e proprie. –Dunque… A dire il vero non credo di essere rimasta così tanto tempo lì dentro, oltretutto il capitano Levi mi ha inseguita per dirmi di fare ritorno.

Oruo sgranò gli occhi, contenendosi per non rimangiarsi quanto detto: il caporale Levi si era improvvisamente materializzato dietro Petra e Gunther, e osservava tutti i nuovi soldati. –Mi aspettavo di meglio, da voi reclute.

Alcuni ragazzi abbassarono il capo, mortificati. Non li biasimavo, dato che anche io avevo temuto di non soddisfare le aspettative dei superiori.

-Erwin e gli altri sono alle prese con l’organizzazione di una nuova spedizione, che non tarderà a realizzarsi, perciò smettetela con questa falsa autocommiserazione e datevi da fare con l’addestramento. Se fossi in voi, non esiterei a farmi aiutare dalla signorina Hares.

Arrossii di colpo, sentendomi tremare le gambe. La signorina Hares? Intendeva proprio…me?

Levi non rimase a guardarmi troppo a lungo. Si dileguò, lasciandomi nel pieno dell’imbarazzo, con gli occhi di tutti i compagni rivolti verso di me.

 

 

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Capitolo 4
*** Per il bene dell'umanità ***


4. Per il bene dell'umanità

Caro Lex,

Non ci crederai, ma ho trovato il tempo di scriverti a distanza di nemmeno un giorno intero dal mio arruolamento!

Ebbene sì, ci sono! Ormai faccio parte dell’Armata Ricognitiva, e nemmeno immagini la mia fierezza. Ricordi quando vedevamo i soldati rientrare a Karanes, dopo una faticosa spedizione nelle mura? Magari, da piccoli, abbiamo addirittura intravisto il Comandante Erwin tra i superstiti che facevano ritorno, senza sapere chi fosse. È assurdo, non credi? Adesso sarai tu a vedermi rientrare dal portone principale, dopo una sanguinosa battaglia contro i giganti.

Che tu condivida o meno il mio parere, mi sto accorgendo di quanto combattere contro quei mostri sia affascinante: nemmeno sappiamo da dove siano comparsi, quale sia il loro intento, eppure sono divenuti involontariamente i nostri nemici naturali. Vederli soppressi deve essere alquanto soddisfacenti.

Parlo in questo modo, ma tengo a ricordarti che, tre anni fa, ero abbastanza scettica all’idea di arruolarmi. Segui Petra, mi suggeristi, e io lo feci per stare vicino alla mia amica, ma mi domandai perché tu non potessi seguirmi. Solo dopo mi sono resa conto di essere, a differenza tua, di gran lunga più al sicuro qui che non in città, attesa da quei carnefici, con un padre troppo impegnato per badare al bene dei propri figli, nascosto in chissà quale sobborgo. Ma a te, mio caro Lex, cosa costava seguirmi, invece di rimanere in quel lurido distretto?

Hai Petra, dirai; ora il mio compito è proprio proteggerla, una volta là fuori, benché questo corpo dell’esercito disponga dei soldati più forti dell’intera umanità. Li ho conosciuti, sai? Presto troverò un modo per farti incontrare la signorina Hanji, la caposquadra più dolce e simpatica che si possa incontrare, il burbero capitano Levi e l’altissimo caposquadra Mike.

Oggi ho di nuovo fatto uso del mio amato movimento tridimensionale. Da quanto ho capito, devo aver stupito tutti, e il merito va a mamma. Chissà perché, prima di iniziare l’addestramento mi è ritornata in mente la storia della margherita.

I dettagli te li racconterò durante il nostro prossimo incontro, Spero che tu possa reperire questa lettera il prima possibile.

Tua, Claire
 

-Scrivi a tuo fratello? – sbirciò la mia migliore amica.

-Già. Spero che si stia spezzando bene la schiena a fare il falegname con tuo padre. Alla fine, è un lavoro onorevole – piegai il foglio e lo inserii in una busta da lettere di fortuna.

-Vedrai che non sarà dura. Papà non stressa mai i suoi apprendisti – mi sorrise Petra, ed entrambe immaginammo il signor Ral e Lex a realizzare insieme oggetti in legno di ogni tipo e misura.

Sentimmo bussare alla nostra porta; una ragazza chiese di me da parte del caposquadra Hanji.

-Sissignore – annunciai, ma iniziai a domandarmi il motivo per il quale fossi stata improvvisamente convocata dalla signorina.

Ero elettrizzata all’idea di dovermi dirigere dalla caposquadra, eppure mi rammaricava dover separarmi dalla ragazza dai capelli ramati: dovevo ancora raccontarle per filo e per segno lo svolgimento di quel fatidico addestramento di qualche ora prima, e solo lei sarebbe stata in grado di sorbirsi un discorso tanto lungo e disordinato, che io sentivo il bisogno di recitare a qualcuno.

Petra, nonostante tutto, mi osservava confusa. –Ma cosa vorrà la signorina Hanji da una buona a nulla come te? – mi canzonò, prima che potessi lanciarle la matita utilizzata in precedenza per scrivere, che lei scansò con non molta difficoltà a causa del mio lancio debole e precario: le energie le avevo consumate già tutte nel bosco.

-La buona a nulla in questione ha ricevuto i complimenti del capitano Levi, cara – le dissi, dirigendomi verso l’uscita del dormitorio adocchiando il suo viso notevolmente arrossito.

Mentre camminavo pensierosa per i corridoi del Quartier Generale, torturandomi la coda tra le dita, constatai che sarebbe stato opportuno approfondire con Petra l’argomento “caporale” al mio ritorno. Nel frattempo avevo chiesto indicazioni ed ero approdata davanti alla porta dell’ufficio della caposquadra.

Bussai più volte, ma dopo un po’ mi accorsi che la mia mano non stava battendo più il legno, bensì il cranio di qualcuno.

-Ehi, Hares! – tuonò ancora una volta il capitano Levi. Sarebbe alquanto inutile dire che ancora una volta avrei voluto munirmi di dispositivo di manovra e volare via, ben oltre persino il Wall Maria.

-Capitano, mi scusi tant…

-Hai per caso intenzione di trasformarmi nel tuo antistress fino a che non verrai divorata da un gigante? – chiese retorico, con un tono alquanto irritato. –Se la risposta è sì, non aspetto altro che la prossima spedizione.

Il capitano Levi era più basso di me e di almeno tre quarti dei camerati dell’Armata Ricognitiva; ciò che intimoriva qualunque essere umano lo incontrasse era quello sguardo freddo, quasi truce e la sua voce malinconicamente ironica. Nonostante mi fossi aggregata al suo stesso corpo da pochissimo, avevo sperimentato così eccessivamente quel disagio al punto che avevo l’impressione di averci già fatto l’abitudine.

Serrai le labbra; difatti anche io, al posto suo, sarei rimasta infastidita da tutti i disastri che in un giorno solo ero stata capace di combinare, ma il tempismo non era sicuramente dalla mia parte, e cercava in tutti i modi di farmi odiare dal soldato più forte del genere umano.

-Levi, non essere così rude, alla fine sei stato tu ad aprire la porta mentre bussava – fece capolino Hanji alle spalle, guardandomi comprensiva.

Iniziai a detestarmi per tutti i problemi che quel giorno stavo causando alla persona a cui, al contrario, avrei dovuto dimostrare più rispetto di qualunque altro, eccetto nel caso del Comandante Erwin. Mi domandai il motivo per il quale mi risultava impossibile disporre anche in quei casi di quell’accurata attenzione che impiegavo nelle faccende più delicate, tra cui anche l’utilizzo del dispositivo tridimensionale.

-No, Caposquadra. La colpa è solo mia e delle mie disattenzioni. Scusi, caporale, per tutti i fastidi che le sto procurando da stamattina. Mi creda, non mi azzarderei mai a importunarla di proposito – mormorai a testa bassa.

-Ti scuso, - rispose inaspettatamente il capitano, -ma ci sono faccende più importanti a cui pensare. Io e Hanji parlavamo proprio della spedizione a venire. Voi reclute dovreste mettervi in testa che tutto questo non è un gioco, e che avete più probabilità di venire digeriti da un maleolente gigante che di ritornare qui – detto ciò, uscì dalla stanza della caposquadra e si avviò per i corridoi.

-Ovviamente sta scherzando – intervenne allegra Hanji. –Non verrete digeriti dai giganti. Loro non hanno un apparato digerente.

Mi strappò un sorriso, invitandomi ad entrare. L’ufficio della signorina Hanji era costellato di librerie e tomi un po’ malandati e polverosi. In fondo, posto di fronte a una finestra, vi era uno scrittoio disordinato, dove risiedevano altrettanti libri e fogli pieni di abbozzi.

-Sono contenta che tu sia venuta così in fretta, Claire – si procurò una seconda sedia perché anch’io potessi sedermi. -Posso chiamarti Claire, vero? Mi risulta difficile chiamare per nome le reclute, alla fine anche loro, come me, combattono per un obiettivo in comune.

Un po’ confusa risposi di sì, ma avevo una marea di domande da porle, ed ero combattuta tra il doverle presentarle i miei dubbi e ascoltarla in silenzio, ma inizialmente osservai i miei doveri di semplice soldato, e non proferii parola.

-Io e Levi siamo rimasti alquanto sorpresi dalla scelta di Erwin di partire per la prossima spedizione tra dieci giorni, soprattutto perché si sono aggregate nuove reclute…

La nuova spedizione tra… Dieci giorni?! Conoscevo abbastanza i tempi brevi che intercorrevano tra una spedizione e l’altra, eppure l’idea di dover affrontare i giganti in meno di due settimane mi intimoriva, ma al tempo stesso mi elettrizzava.

-Ma, detto molto francamente, per te non dovrebbe essere un problema. Stando alle parole di Levi, sei stata ‘decente’ oggi, all’addestramento, e tradotto nella nostra lingua significa che te la sei cavata davvero egregiamente.

Rimasi di sasso, non appena scoprii che il capitano Levi aveva parlato della mia esercitazione anche con la caposquadra. Tuttavia, ero consapevole che non avevo bisogno di considerare quest’ultimo addestramento un mezzo sicuro che mi avrebbe permesso di uscirmene viva da uno scontro con i nostri nemici naturali: le qualità di un soldato non potevano essere misurate dal solo allenamento.

-Grazie, signorina Hanji, ma sono pienamente conscia che tutto ciò non è una gara, e che potrei cavarmela benissimo ad un’esercitazione, ma mancare di alcuna dote sul campo di battaglia – risposi umilmente.

Ella ridacchiò. –Sei alquanto sorprendente, Claire. Hai assolutamente ragione, ma se c’è una cosa che apprezzo di quel nanetto è che si può sempre contare sulla sua parola. Vedrai che le tue opere ci daranno molti contributi.

Le sorrisi, e pensai che in quel momento sarebbe stato bene chiederle il motivo per cui mi trovavo lì.

-Be’, è semplice, mia cara: mi fido molto di te, e sono rimasta molto colpita da ciò che mi hai detto stamattina. –Trattenne il fiato, rimase in silenzio per qualche istante, poi, avvicinando di scatto la sua sedia alla mia, urlò:-Davvero saresti disposta a catturare quei piccolini oltre le mura??

Il suo gesto istintivo mi fece sobbalzare. Quel veterano era probabilmente uno degli essere più geniali che risiedessero tra le mura, ma anche un tipo alquanto eccentrico. –Be’, sì. Mi piacerebbe, e so benissimo che la cattura di un esemplare titanico ci aiuterebbe tantissimo a conoscere più nello specifico la loro natura, e il futuro dell’umanità e…

-ECCELLENTE! – gridò ancora. –Sai, Claire, a quanto pare tu sei la prima che comprende la mia esigenza di dover intrappolare uno di quei bimbi e portarli proprio qui! Il mio sogno più grande è quello di poterli sottoporre a tutti quegli esperimenti che non posso svolgere nel mezzo di un combattimento, e nessuno, nemmeno io, ha la minima idea di quanto ciò ci possa permettere di scoprire meglio la loro natura.

La sua voce era divenuta assordante, ma non le avrei dato torto per nessuna ragione al mondo: per il bene dell’umanità, anche di tutti coloro che vivevano all’interno di quegli altissimi lastri di roccia, perdere la vita a costo di conoscere la chiave della vittoria del genere umano era lo scopo primario dei soldati della Legione.

-Sono pienamente d’accordo con lei, caposquadra – approvai. –Eppure, a quanto ho capito, dovrebbe essere il Comandante a decidere se intraprendere una spedizione con l’obiettivo di catturare un gigante.

Lei si fece subito seria, toccandosi il mento. –Esatto. Ecco perché entri in gioco tu: è una richiesta che tu sei libera di accettare o rifiutare, ma sarei contenta se tu mi aiutassi a, come dire, imbrogliare i membri della logistica e a portare con noi qualche strumento di cattura per quei piccolini.

Deglutii, incapace di credere che un mio superiore mi avesse chiesto di disobbedire agli ordini primari. Mi maledissi per essermi cacciata in quell’ennesimo guaio, e allo stesso tempo mi risultava impossibile dare una risposta ad Hanji.

-Caposquadra, io non saprei cosa…

-Hai ragione – mi interruppe, -la mia richiesta è stata alquanto azzardata, forse la mia irrequietezza sta superando ogni limite – osservò pensierosa, oscurando il volto tra i capelli.

-Io non ho detto nulla, ma penso di aver bisogno di tempo per decidermi. A quanto pare non farei bella figura con il Comandante – riflettei a voce alta.

-Non devi temere gli ufficiali, le colpe ricadrebbero su di me, e tu c’entreresti poco. Piuttosto, ti invito a pensare se tu sia disposta o meno a sacrificare la tua vita per le scoperte scientifiche. Sfortunatamente non mi è stato permesso di brevettare un sistema efficace per catturare giganti senza correre il rischio di sacrificare la vita di qualche soldato.

Ero più indecisa che mai: avrei passato comunque problemi di ogni tipo se il Comandante avesse scoperto il piano della signorina Hanji, ma mi fidavo di quest’ultima, ed ero più che mai consapevole di quanto fosse importante la scoperta per essere più vicini alla libertà che tutti gli abitanti delle Mura bramavano.

-Caposquadra, penso sia una domanda abbastanza scontata: è ovvio che sono disposta.

Hanji mi guardò stupita, e iniziò a ridacchiare eccitata. –Sapevo che avrei potuto contare su di te, Claire. Haha, stai sicura che sarà alquanto divertente vedere la reazione di Erwin non appena vedrà cosa saremo state capaci di combinare.

Le dimostrai il mio appoggio, ma ero certa che l’atteggiamento un po’ fanciullesco e ribelle della caposquadra sarebbe stata la causa di ulteriori problemi con gli ufficiali; eppure, al tempo stesso, ero smossa da un sentimento irrequieto, che ero incapace di soffocare, e dalla convinzione di dover assolutamente aiutarla in un’impresa così ardua, sottovalutata e ulteriormente importante.

-Sono ancora un po’ titubante all’idea di dover trasgredire qualche regola del Comandante Erwin, in realtà, - sospirai, -ma mi rendo conto di quanto sia importante il mio contributo in quest’impresa.

-Non fraintendermi, capisco la tua preoccupazione. Ma vedrai che anche Erwin capirà l’importanza di questo progetto, una volta che l’avrà visto con i propri occhi – il suo sguardo era divenuto improvvisamente amorevole, e mi pervase l’idea che non avrei dovuto dubitare nemmeno un secondo di lei. D’altronde, non a caso era stata promossa a caposquadra dallo stesso capitano di divisione.

-Lo penso anche io, Caposquadra – le sorrisi ancora una volta, prima di avere il permesso dalla diretta interessata di fare ritorno dalla mia amica.

Accompagnai la porta dell’ufficio di Hanji alle mie spalle, e, fuori, ripensai alla missione a cui ero stata ingaggiata. Una parte di me mi spingeva a fare ritorno dalla caposquadra per riferirle che avrei rinunciato a quanto richiesto, ma l’altra addirittura mi supplicava di lasciar perdere e di ritornare da Petra come se nulla fosse.

In preda ai pensieri, durante la mia passeggiata per i corridoi nemmeno mi ero accorta che una cordicella marrone si era intrecciata tra i miei stivali. Quando mi fui piegata per liberarmi il piede, non appena afferrai l’oggetto, mi accorsi che non era un semplice cordoncino: una piccola pietra rossa era incollata alla funicella, chiusa come se fosse una collana. Sarebbe stato certamente il caso di informare qualcuno del mio ritrovamento, ma la stanchezza mi aveva già posseduta, e constatai che non sarei riuscita nemmeno ad avvisare Hanji. Infine, intrecciai la collana tra le dita di una mano e mi ripresentai da Petra.

-Eccoti! – esordì lei. –Allora, di cosa avete discusso tu e la caposquadra?

Camminai a passo lento verso di lei, anticipando: -Ho combinato un bel guaio – prima di iniziare a raccontare, con sua enorme quanto prevista sorpresa, ciò riferitomi da Hanji, ripensando, al tempo stesso, cosa farmene di quella semplice collana con la pietra rossa.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Il sorriso di un bambino ***


5. Il sorriso di un bambino
Piacevole. Questo è l’aggettivo con il quale meglio potrei descrivere il risveglio della mattina seguente.
Il consuetudinario grido della signorina Nanaba non era ancora tuonato nel dormitorio femminile. Un senso di piacere mi pervase all’alba di quel giorno, che mi rese persino in grado di udire il beato canto degli uccellini fuori dalla finestra della Base.
Sfortunatamente, appena mi resi conto di non essere quella ragazza che, nella mia fantasia, viveva in una piccola casetta con la propria famiglia, in un luogo del tutto estraneo ai giganti, ma molto più lontano dalle Mura, avrei preferito che qualche soldato indubbiamente forte, come ad esempio Mike, mi avesse dato una bella botta dritta sulla zucca per farmi riaddormentare. Nessun esemplare titanico con l’intenzione di tritare le mie membra dominava i miei sogni. Nessun uomo intenzionato a scovare il prima possibile i restanti membri della famiglia di mio padre. Nessun muro. Nessun re. Nessun corpo militare. Solo quella beata pace che, nella mia fervida immaginazione notturna, condividevo con le persone a me più care, immaginandole in una sperduta casa al di fuori dalle mura, lontana da qualsiasi mostro, in cui mia madre era intenta a ritrarre un fiore su un tavolo in legno, come era solita fare molti anni prima.
Eppure qualcosa, all’alba di quella mattina, mi invitò a svegliarmi come se la vita più deliziosa e quieta stesse lì ad attendere il mio risveglio. Girai il busto verso il letto di Petra, posto esattamente sopra al mio, e, dopo essermi stropicciata gli occhi, rivolsi il mio sguardo al cielo immacolato che potevo intravedere dalla finestra situata davanti alla nostra “culla”.
Infine, mi tornò in mente quella stramba collana che avevo protetto tutta la notte sotto la mia canotta; strabuzzando gli occhi dalla stanchezza, rotai la minuscola pietra rossa più volte tra le dita, desiderosa di sapere quanto più possibile su quell’insolito oggetto.
Per favore, parlami. Raccontami la tua storia, gli implorava la mia fantasia. Poco dopo, però, la testa all’ingiù di Petra fece capolino dall’alto.
-è inutile, Petra. Non sarai mai capace di svegliarti prima di me – le rivolsi, ridacchiando sotto ai baffi.
Susseguì un violento sbuffo e una linguaccia; borbottò qualcosa, e, come da consuetudine, iniziammo a prepararci aiutandoci a vicenda con l’imbracatura.
Poco dopo, tutte le reclute avrebbero dovuto riunirsi nel salone principale, dove un soldato di nome Dieter Ness avrebbe spiegato le tattiche poi utilizzate dalle squadre sul campo di battaglia.
Una volta lì, intenta a prendere appunti come tutti i miei compagni, rimasi delusa. Non dalla spiegazione del soldato con la bandana, né dalle doti di Erwin Smith e da quelle degli altri capisquadra nel realizzare tattiche, bensì dalla quasi totale mancanza di coordinazione di tali strategie di combattimento.
-Sembra tutto molto improvvisato – giudicai ad alta voce.
-Be’, sicuramente non possono permettersi di fare calcoli scientifici sul momento mentre sono intenti a far saltare nuche ai giganti, non credi? – intervenne Gunther al mio fianco. Mi sorrise, ma rimasi allo stesso modo alquanto incerta di quelle strategie.
Che chi legga queste memorie non mi fraintenda: considerai assai utili tutti quei suggerimenti, che conservai gelosamente nel mio blocchetto a partire da quel giorno. Al termine di ogni giornata, tuttavia, ero solita rivedermi su uno scrittoio ogni schema da me riportato e, con la piuma d’oca che battevo fastidiosamente sul tavolo, cercavo stratagemmi con cui modificare i disegni.
In quei giorni, io e il mio blocco di fogli eravamo divenuti piuttosto inseparabili, soprattutto perché avevo ripreso la mia attività di dilettante disegnatrice, seguendo le orme della mia defunta genitrice.
Il blocco destinato a puri scopi militari divenne ben presto una raccolta di tutti quei bozzetti che ero solita disegnare nei momenti “morti”. Con quali disegni li riempivo? Semplici ritratti dei miei amici, essenzialmente di Petra, il mio soggetto preferito per eccellenza, e persino di alcuni superiori. Trovavo alquanto affascinante ritrarre la compostezza del Comandante Erwin, probabilmente perché, tra tutti gli ufficiali, non era solito cambiare posizione mentre era nei dintorni, indaffarato in alcuni chiacchiericci e colto dalla mia matita. Inoltre, non si poteva certamente negare che egli non avesse una corporatura statuaria, perfetta per essere disegnata. Eppure, la sua tranquillità e solennità non riguardavano affatto individui come Hanji, sempre pronta a saltellare da una parte all’altra del Quartier Generale della Legione.
Quel blocchetto mi seguì anche durante la mia prima visita al distretto di Trost, una città che, per di più, mi parve del tutto uguale a Karanes. I palazzi rossicci e alquanto bassi, per intenderci, erano difatti identici a quelli del mio distretto.
In ogni caso, qualche giorno prima della spedizione, alcune reclute, tra cui io, Petra e Oruo, dovemmo accompagnare alcuni capisquadra a comprare diverse provviste che all’interno delle mura non erano affatto reperibili. Il capitano Levi necessitava i manici di scopa più resistenti, e la caposquadra Hanji le migliori provette chimiche in vetro.
La mia presenza di valoroso soldato dell’Armata Ricognitiva si dimostrò praticamente futile in quell’occasione, dato che ero stata abbandonata a fare da guardia al nostro carro e ai cavalli. Il mio fidato blocchetto mi tornò utile per ammazzare il tempo e distogliere la mia attenzione da quei cittadini che guardavano curiosi la mia nuova e tanto agognata divisa e lo stemma che con orgoglio portavo sulla schiena, le ali della libertà, quelle che avevano ormai sostituito le due spade del Corpo Cadetti. Non capivo perché li attirassi così tanto, né tantomeno sapevo se le loro considerazioni sul conto della Legione fossero positive o meno.
Comunque, ogni volta che il capitano Levi e la mia amica facevano ritorno da me per sistemare sul carro i loro acquisti, io ne approfittavo per immortalare sul foglio l’espressione imbambolata e imbarazzata della ragazza dai capelli ramati.


Mentre silenziosamente mi trattenevo dal ridere, ella era intenta a balbettare con il caporale, e nel frattempo la riprendevo segretamente con tutta serenità. Ciononostante, gli assidui battibecchi della ragazza con Oruo non mi permettevano di concentrarmi completamente, e, ogni volta che Petra rimproverava il ragazzo per qualsiasi motivo, mi conveniva cancellare e iniziare da capo il mio disegno.
-Sei davvero un cretino, lo sai? Ti avevo detto che lì dentro non avremmo trovato quello che il capitano ci ha chiesto. Adesso ci considera dei buoni a nulla, e se n’è andato in qualche negozio da solo! – esclamava infuriata lei.
-Stai calma, piccola. Possiamo approfittarne almeno per prenderci finalmente una pausa, tutte queste compere mi stanno uccidendo – rispose l’altro, fingendo di asciugarsi il sudore sulla fronte e ricevendo un colpo di spalla dalla mia amica.
-Parole sante - intervenni. - Petra, rilassati e smettila di muoverti. Mi risulta difficile riprendere il tuo bel faccino innamorato se continui a spostarsi e ad urlare in testa ad Oruo – osservai io, senza distogliere lo sguardo dal foglio, cercando quanto più possibile di sistemare il disegno, ma senza successo: Petra, più rossa che mai, mi aveva già strappato di mano il mio prezioso blocco.
-Claire, finiscila con questa storia – mi sussurrò lei, restituendomi incerta quanto mi spettava.
-Ma perché? Sai bene che adoro stuzzicarti, e, in più, sei ancora più carina quando sei arrossita mentre parli con il capitano Levi.
Da un paio di giorni mi ero accorta dell’imbarazzo che possedeva Petra ogni qualvolta ella rivolgesse la parola al capitano, e, benché considerassi troppo freddo e isterico l’atteggiamento del caporale, non potevo astenermi da appoggiare la ragazza nella sua impresa. Tendevo a credere che il suo carattere genuino e cordiale avrebbe sciolto il cuore di pietra del “soldato più forte del genere umano”.
-Ora, se non ti spiace… - tentai di riprendere il blocchetto, ma lo ricevei dritta su una spalla, prima di poterlo recuperare in maniera effettiva.
Non mi trattenni dal ridere, e ritornai alla mia postazione, aspettando solamente che i due superiori facessero ritorno al carro.
-Ecco, io e Levi abbiamo finalmente finito! – acclamò qualche ora dopo Hanji, sistemando le ultime compre sul traino.
-Per favore, quattr’occhi. Non sono certamente stato io a decidere di fare il perimetro del distretto per cercare delle stupide provette!
La caposquadra, visibilmente gioiosa, spinse il palmo della mano sulla testa del caporale, molto più infastidito rispetto alle volte in cui proprio io avevo fatto di tutto, seppur involontariamente, per importunarlo.
Il motivo per il quale la caposquadra non venne sgozzata da Levi fu Petra, che immediatamente si preoccupò delle sue condizioni dopo l’istintivo quanto infantile gesto di Hanji.
-Capitano, tutto bene? – domandò infatti lei, avvicinandoglisi apprensiva.
Levi doveva aver constato che sarebbe risultato inopportuno delirare davanti la mia gentile e generosa amica, perciò borbottò un “grazie” e si avviò verso il suo alto destriero.
-Quindi ora ce ne andiamo. Ma, Claire, hai passato tutto il tempo a fare da guardia ai cavalli, sicura di non aver bisogno di nulla prima di fare ritorno alla base? D’altronde sei stata molto gentile a non spostarti per nemmeno un secondo – osservò la caposquadra.
Da diverse ore non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla bottega di un liutaio situata pressappoco più avanti, e improvvisamente mi tornò alla mente quel piccolo lavoro di manutenzione al quale dovevo sottoporre una mia cara compagna di vita.
-Caposquadra Hanji, avrei bisogno solo di una cosa, ma se urge far ritorno immediatamente al Quartier Generale monto subito in sella senza fare storie – spiegai.
-Va’ tranquilla, cara – mi strizzò l’occhio lei. –Bado io al nanetto mentre tu non ci sei.
Scappai prima di assistere all’ennesimo scontro tra i due ufficiali, volai dentro la bottega per poi uscirmene due secondi più tardi con ciò di cui avevo bisogno. Intenzionata a ritornarmene da Edmund, la mia attenzione si concentrò sul gruppo di bambini che giocavano con un pallone tra le mie gambe e una bambina che, dietro di loro, aveva allestito una piccola bancarella con oggetti alquanto bizzarri, che comprendevano omini di cartone e bambole di pezza.
-Guarda, Agrim! Un soldato del Corpo di Ricerca! – mi indicò uno dei due giovanotti, incantato.
-Ha quelle ali sulla schiena! Guarda, Carlo!
Orgogliosa, bloccai il pallone scucito e lo restituii ai due bambini. –Questo deve essere vostro, giusto?
-Come ti chiami, soldatessa? – mi domandò il bimbetto castano, quello che portava il nome di Agrim.
-Io mi chiamo Claire, e…
-Hai già ucciso i giganti? Li hai visti? Dicci, sono davvero così brutti come dicono?
Scoppiai a ridere, sfregando le mani sui capi di entrambi i ragazzini. –In realtà compirò la mia prima spedizione tra qualche giorno, e partirò proprio da qui, da Trost. So per certo che quei mostri sono veramente brutti, e puzzano più di un clan di cavernicoli – iniziai a imitare una di quelle creature titaniche, mentre i due bambini finsero di impugnare due spade trasparenti per ciascuno per poi colpirmi su tutti gli arti.
-Oh, sono morta! – enfatizzai agonizzante per terra.
-Aha! La Legione Esplorativa è più forte di te, brutto mostro! – esclamò Carlo, prima di ringraziarmi per aver deciso di trascorrere il mio tempo con loro.
Prima che potessi rialzarmi, la bambina di poco prima mi venne incontro mentre ripulivo i pantaloni bianchi dallo sporco.
-Soldatessa, ti manca un bottone sulla tasca della giacca.
Immediatamente tastai la tasca sinistra del mio giacchetto beige, al quale mancava il bottoncino bianco.
-Accidenti, non posso permettermi di ripagarne uno nuovo – constatai, rialzandomi da terra.
-Posso riparartela io. Sono molto brava con ago e filo – mormorò lei dondolando e scoprendo un insolito bottone bianco molto più grande di quello che avevo perduto e ricoperto di pois blu e grigio.
La feci contenta: mi sfilai la giacca e gliela resi, accucciandomi accanto a lei e osservando le sue graziose manine intente a lavorare sul mio indumento.
In nemmeno cinque minuti era stata anche in grado di aiutarmi a infilarmi la giacca riparata.
-Grazie - le sorrisi dolcemente. - Posso sapere il nome della mia piccola salvatrice?
-Ellen - mormorò arrossita lei.
-Hares, dobbiamo andare – suonò alle mie spalle la voce del caporale maggiore, verso il quale mi girai di scatto, ricomponendomi e rimettendomi in piedi.
-Scusi, capitano. Mi sono trattenuta con questi piccoli pargoli – gli sorrisi. Fu un gesto del tutto spontaneo, non lo nascondo, ma non mi aspettavo che avrebbe ribattuto come al solito, proprio a causa della presenza dei bambini, che avevano già iniziato a guardare sbalorditi il mio ufficiale.
-Capitano Levi! Capitano Levi! – gridavano già i due bambini, saltando attorno alla piccola figura del soldato più forte. Se inizialmente la loro reazione mi aveva divertito, non appena mi accorsi che, per l’eccitazione, Ellen era caduta a terra, non esitai ad aiutare la piccola fanciulla, intenta a toccarsi il ginocchio sbucciato.
-Oh, no! – esclamai, soccorrendo la poveretta. –Ragazzi, accidenti! dovreste fare più attenzione!
In ogni caso, non avevo la benché minima idea di cosa stesse pensando il mio compagno d’armi! Rimasi sbalordita da ciò che accadde subito dopo: davanti ai miei occhi attoniti, Levi stava asciugando il volto della bambina con un fazzoletto, utilizzandolo subito dopo per pulire il ginocchio, preoccupandosi poco del fatto che il sangue stesse macchiando la sua mano.
-Torna subito a casa a disinfettarti, capito? – ordinò il caporale alla bimba. Quest’ultima, probabilmente ancora troppo piccola per conoscere la fama di cui godeva Levi, obbedì senza esitare e fece per ritornare in casa.
-Aspetta, Ellen – la fermai, e iniziai a sfogliare il mio blocco, fino a strappare un foglio ritraente la mia personale rivisitazione delle Ali della Libertà. -Ascolta, non ho molto da darti per ricompensarti del bottone, ma posso regalarti questo mio disegno.
La bimba, benché ancora un po’ sofferente per la caduta, accettò volentieri il foglio, rimanendo stupita. -È bellissimo! Grazie, soldatessa!
Mi scoccò un bacio sulla guancia, le dissi: -Chiamami Claire - prima che potesse raggiungere la madre.
-Guarda che cosa mi ha regalato la soldatessa! - la bambina le sventolò davanti il disegno. -È una di loro, e adesso è mia amica.
Scoppiai a ridere, e rimasi a osservare rincuorata la coppia prima di seguire il caporale verso i nostri cavalli: la mamma di Ellen, nel frattempo, mi aveva fatto un cenno da lontano, non capii se per ringraziarmi o per salutarmi, e io ricambiai; ella rivolse poi alla figlioletta il sorriso più dolce e materno; ancora una volta mi pervase un forte senso di nostalgia, quello che avevo iniziato a percepire dalla prematura età di tredici anni. Come era stato difficile crescere senza una madre affettuosa come quella di Ellen! Mi mancavano gli abbracci e le carezze della mia mamma, spesso ancora mi capitava di ripensarci e di avvertire un incolmabile senso di vuoto prima che le lacrime potessero giungere ai miei occhi.
-Ce ne hai messo, di tempo - borbottò il caporale, sulla strada di ritorno ai carri.
-Era difficile separarsi da quei bambini allegri. Erano sorprendentemente vivaci e simpatici, non trova anche lei, capitano?
Egli borbottò qualcosa, e, nonostante fossi consapevole che sarebbe stato più conveniente non aggiungere altro, mi sentii il dovere di dirgli: -è stato molto carino da parte sua aiutare la ragazzina.
Levi rimase straordinariamente impassibile: continuava a guardare davanti a lui, ma, a meno che non avesse bruciato quel briciolo di umanità che gli rimaneva, era consapevole di aver fatto la scelta giusta, e me la risi sotto i baffi.
-Non potevamo di certo aspettare che si prendesse un’infezione. Qualcosa andava pur fatto - disse infine.
Raggiungemmo in silenzio i nostri compagni, che prontamente mi chiesero spiegazioni sul perché avessi perso così tanto tempo.
-Scusate, ho avuto un contrattempo - mi difesi, montando velocemente su Edmund, ma ripensando ai tre piccoli eroi di poco prima.
Sulla via di ritorno trovai assai allettante la visita a Trost, e avrei rifatto inoltre ritorno alla base della Legione con un piccolo bottino.
-Che cosa ti sei cucita sul petto, Claire? Quel bottone è così inappropriato - criticò Oruo, avvicinando il suo cavallo al mio.
-Ho chiesto aiuto ad una piccola signorina che generosamente mi ha riparato la giacca – spiegai l’episodio di Ellen ai miei compagni.
-Che gesto carino! – giudicò la caposquadra.
-Adesso hai il tuo tratto distintivo, Claire. Quel bottoncino ti renderà la persona più unica della Legione – disse sorridente Petra.
Anche il capitano mi osservava curioso, scrutando l’insolito accessorio cucito sul taschino della mia giacca. Ricambiai con un innocente sorriso il suo sguardo, ma si voltò rapidamente e continuò a galoppare in silenzio.
Era del tutto probabile che anche lui, come me, stesse ricordando quei ragazzini che vivacemente scorrazzavano per le vie di Trost. Chissà se anche il capitano aveva pensato che i tre rappresentassero il senso di quella vita angusta a cui il genere umano era sottoposto: il sorriso di un bambino o di una bambina ricordava all’umanità che la speranza, persino nei casi più estremi, come quello del dover vivere in una minuscola gabbia d’uccelli, non era ancora cessata. E noi della Legione Esplorativa saremmo andati a cercarla oltre le mura, sacrificando persino la nostra vita, se fosse stato necessario.
Mi sarei ulteriormente accorta dell’importanza di quell’incontro qualche anno più tardi, quando la vittoria per il recupero del distretto di Trost a seguito della sua caduta sarebbe costata la vita di tantissimi abitanti della città, tra cui quella dei tre piccoli fratellini.


Spazio autore: eh, sì. talvolta mi tocca farmi viva XD.
Lo faccio solamente per una buona causa: il ritratto di Petra non è stato realizzato dalla sottoscritta, assolutamente negata per quanto riguarda il disegno; quest'opera è stata realizzata un po' di tempo fa da un artista della piattaforma Deviantart, ossia dalla bravissima @munette . Tenevo a segnalarlo perché non mi pareva affatto giusto appropriarmi in maniera così incivile di un lavoro che non mi appartiene (ho provato ad avvisare anche l'artista in questione, ma sfortunatamente non ho ancora ricevuto alcuna risposta, e non me la sentivo di far passare altro tempo per la pubblicazione in cui un'immagine del genere mi sembrava più che appropriata). 
Ma non esitate a farmi sapere cosa ne pensate della storia, eh? Ci tengo molto ;).
Shinzou wo Sasageyo!
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** La strana collana dalla pietra rossa ***


6. La strana collana dalla pietra rossa
-Perché? Perché? - contestavo imperterrita.
-Perché no? - ribatteva a sua volta Petra.
Non mi importava che dalle camere degli ufficiali ai lati del corridoio potessero udire benissimo le mie proteste; la richiesta della mia compagna di esercitarmi con lei nell’addestramento corpo a corpo, giudicata dai superiori “un modo per allenare “l’accortezza e la resistenza fisica” mi parve completamente assurda; sapevamo entrambe quanto questo tipo di addestramento fosse completamente ottuso, inoltre, ella conosceva benissimo la mia incapacità di affrontare senza un motivo valido un soldato. Era un blocco del tutto giustificabile, eppure non mi aspettavo che i comandanti potessero comprenderlo, e sarebbe stato sicuramente un pretesto per essere penalizzata rispetto agli altri, a cui la determinazione e l’ambizione non mancavano.
-Non possiamo tirarci indietro, Claire - mi spiegò Petra. -È previsto per l’addestramento di oggi. Non credo che i capisquadra rimarranno felici non appena capiranno che l’hai saltato di proposito.
Trattenni un’imprecazione, più adirata che mai. -Cosa cambierebbe se persuadessi il comandante a farmi mettere a posto le scartoffie del suo ufficio?
-Ci hanno già pensato Aslan e Erd ieri - rispose di rimando lei.
-E se andassi a pulire la camera del capitano?
-Ti ha costretto a farlo due giorni fa. Non ricordi?
-L’ufficio del caposquadra Hanji.
-Non lo spolverano mai, a detta del caporale.
Sbuffai. -Allora… Allora… La stalla dei cavalli!
-Claire, adesso finiscila - mi scosse la ragazza. -Ascolta, devi vincere questo tuo blocco. Non risolverai niente comportandoti così, e non è da te venir meno ad un ordine.
Mi arresi, sospirando stanca. -Non ci riesco, Petra. Non ci sono riuscita per tre anni, perché stavolta dovrebbe essere diverso?
Ella mi sorrise cordiale. -Perché adesso non c’è più nessun cadetto stolto che non ha la minima idea dell’inutilità di questa parte dell’allenamento - improvvisamente mi abbracciò. -Claire, dimostra ai comandanti che non sei un portento solo con il dispositivo di manovra.
Il suo discorso non faceva una piega, d’altronde anche io sapevo bene che dimostrare di cavarmela persino nello scontro corpo a corpo mi avrebbe garantito ulteriori riconoscimenti da chi più importante di me. La mia era sicuramente una sciocca aspirazione, ma prima o poi avrei ambito a divenire caposquadra, ammesso sempre che fossi riuscita a sopravvivere al di fuori delle mura.
-Abbi fiducia, una buona volta, - aggiunse la mia graziosa amica, -ingorda che non sei altro.
Arrossii di colpo. -Io non sono ingorda!
Ci avviammo al campo, dove le poche reclute arruolatesi con noi erano già alle prese con quel noioso addestramento.
Era chiarissimo che Oruo fosse troppo preso a parlare con la sua compagna di quanto meravigliosamente se la sarebbe cavata il giorno seguente, in cui i cadetti avrebbero messo per la prima volta piede in un territorio occupato dai giganti; Erd e Gunther, contrariamente, da bravi soldati quali fin da subito avevano mostrato di essere, seguirono gli ordini senza discutere, disputando un amichevole scontro.
Ero sollevata all’idea di avere accanto a me i miei più fidati collaboratori; ciò che più mi turbava era la presenza di tutti i capisquadra, comandante Erwin compreso, che, per ironia della sorte, quel giorno non avevano granché da fare, benché magari dovessero prepararsi anche loro alla spedizione a venire, e si trovavano a pochi passi da noi per studiarci, scrutarci, come pensavo io.
-Ci sono tutti, accidenti - mormorai al mio gruppo di amici.
-Rilassati, Claire - mi consolò Gunther. -Non ti lasceranno mica qui perché il corpo a corpo non fa per te.
-Questa volta è diverso, Gunth - intervenne Petra. -Claire imparerà una volta e per tutte la banalità di questo addestramento.
Mi strizzò l’occhio, ma ero nel panico più totale; non avevo nemmeno avuto il coraggio di guardarli, ma ero certa che per tutto il tempo avrei avuto gli occhi degli ufficiali puntati su di me.
Oruo, curioso, ci aveva raggiunti, attirato dalle parole della mia compagna o dalla mia amica stessa. Sotto la sua giacca, egli sfoggiava un foulard bianco immacolato e pieghettato, del tutto identico a quello che era solito indossare il capitano Levi. -La vedo un po’ difficile – commentò. –In tre anni, Claire non l’ha mai capito.
-Non è mai troppo tardi per farlo. Mi offro io per aiutarla – si propose Erd, che, come il resto del gruppo, mi sorrideva fiducioso. Ero rincuorata dalla loro bontà, ma ciò non sarebbe bastato a farmi sentire a mio agio non appena sarei stata costretta a fare a pugni con il mio amico.
-Io non voglio farti del male, Erd – egli non rispose, prendendomi un polso e cercando uno spazio in cui io e lui avremmo potuto muoverci in completa libertà.
-Devi. In cambio, ti prometto che io non ti farò nulla.
Non ero affatto convinta delle sue parole, e doveva averlo intuito. –Claire, fidati. Ti aiuteremo a superare questo tuo limite. Siamo i tuoi amici, no?
Accennai un sorriso, e mi decisi a seguire le indicazioni del mio compagno: Erd cominciò ad “attaccarmi” con movimenti lenti, dunque visibilmente prevedibili; mi limitavo a difendermi, ma era chiaro che volesse iniziare in maniera del tutto semplice per farmi sentire completamente a mio agio, nonostante non fossi certa che la sua idea avrebbe funzionato.
-Perfetto, Claire. Guarda quanto sei brava a difenderti.
Mi veniva da ridere, se pensavo che uno dei tre bambini conosciuti qualche giorno prima a Trost avrebbero sicuramente messo già al tappeto il mio compagno. Tuttavia, continuai in silenzio a seguire le istruzioni di Erd, fingendo che tutto stesse andando per il verso giusto e che i principali fossero più interessati agli altri cadetti che alla nostra coppia. Rimaneva rilevante il fatto che, senza che avessi l’occasione di accorgermene, il mio amico stava velocizzando i movimenti; me ne sarei resa conto solo qualche istante dopo, quando un suo pugno sfiorò una ciocca dei miei capelli.
-Ci è mancato poco – mi feci scappare.
Gunther e Petra, nel frattempo, facevano il tifo per me; anche Oruo mi guardava soddisfatto. –Stai andando bene, ma non puoi puntare tutto solo sulla difesa. Devi attaccarlo – mi suggerì quest’ultimo.
Ero riluttante all’idea di dover sferrare un pugno al mio amico, ma non potevo rimanere lì ad aspettare di essere colpita; iniziai ad attaccare a mia volta, ma, come avevo previsto, senza buoni risultati. Nessuno, forse solo Gunther, era mai stato in grado di vincere su Erd, un ragazzo del tutto robusto e muscoloso, e io, una gracile beota incapace di far del male a qualcuno, non avevo la minima speranza di batterlo. Eppure, dopo qualche minuto, accadde qualcosa di inaspettato: non appena egli tirò intenzionalmente un banalissimo calcio, fui stranamente in grado di bloccare di colpo la gamba, spingendola con tutte le mie forze in avanti e facendo perdere l’equilibrio al mio compagno, che cadde pietosamente sull’erba.
-MA CHE…? – mi scappò, col cuore a mille. Che cosa mi era saltato in mente? Mi diressi subito da Erd per aiutarlo a rimettersi in piedi. –Erd, scusami! Non so cosa mi sia preso!
-Ma che dici, stupida? – mi sorrise, rialzandosi con uno scatto. –Sei riuscita a battermi!
-Sono riuscita a batterti?! – ripetei incredula, cercando di fare mente locale: nessuno mi avrebbe mai attaccato con la delicatezza attuata da Erd, eppure era la primissima volta che ero stata in grado di reagire ad un addestramento corpo a corpo, la prima in cui avevo avuto la meglio sul mio avversario. –Oddio, Erd! Sono riuscita a batterti!
Andai a finire dritta tra le braccia del biondino, prima di venire raggiunta anche dagli altri tre.
-I miei complimenti, soldato! – si complimentò il ragazzo castano.
-Finalmente ci sei riuscita, Claire – aggiunse la giovane.
Sorrisi a tutti loro, rossa in volto. –Il merito è stato solamente vostro. Grazie.
L’amicizia rimane il sentimento più importante di tutti, e, attraverso loro quattro, tra cui, occasionalmente, anche Oruo, me ne ero resa conto anche quella mattina; nessuno può darti sollievo, consolarti se non un amico fidato, uno di quelli che farebbero di tutto per farti sentire meglio o, come fu nel mio caso, per farti affrontare le paure senza alcun indugio. Magari in quell’occasione a loro non era costato nulla aiutarmi, ma avrei dovuto impegnarmi a trovare un modo per sdebitarmi il prima possibile. Sicuramente non quel giorno.
Impiegai difatti tutto il tempo a prepararmi al meglio per la giornata seguente; pregai il caposquadra Mike affinché potessi accedere un’ultima volta all’allenamento col dispositivo di manovra, approfittando del tempo a disposizione nel bosco dell’addestramento per dedicarmi a una nuova tecnica: pian piano stavo imparando a ribaltare più volte il mio corpo, sostenuto sempre dagli arpioni, verso la collottola del fantoccio, fino a fargli saltare la nuca attraverso un vero e proprio movimento circolatorio in avanti. Ciò che dovevo ricordarmi di fare era quello di azionare il dispositivo in modo tale da trovarmi ad un’altezza maggiore rispetto alla nuca del gigante: attaccare in maniera frontale rispetto al retro della testa non sarebbe bastato a ucciderlo.
Non mi aspettavo che sarei riuscita a riprodurre questa tecnica durante la spedizione, essendo ancora prematura e poco elaborata; ciò nonostante, un paio d’ore più tardi, prima che potessi far ritorno alla base, il caposquadra, rimasto dietro a controllarmi, fu così gentile da riportarmi alcuni suggerimenti che, date le sue indiscutibili doti, mi avrebbero permesso di migliorare la mia “procedura”: -E’ un buon metodo, ma cerca di allontanarti quanto più ti è necessario dall’obiettivo, all’inizio, e ricordati di dosare il gas. Non rischiare di usarne mai troppo.
-Sissignore – risposi stanca, i ciuffi di capelli fuori posto rispetto alla coda di cavallo e le mani sudate che non riuscivano più a impugnare le spade.
Mike annuì autorevole, ma subito dopo mi rivolse un buffo sorriso, offrendomi il cinque.
Da diversi giorni, trovavo assai simpatico il comportamento del caposquadra nei miei confronti, così come quello di Hanji. Sarebbero state due delle persone che di cui più avrei sentito la mancanza, se fossi stata lacerata la mattina seguente fuori i nostri territori.
Ecco che, dopo la fine del mio addestramento, un disturbante pessimismo si impadronì di me. Avrei potuto inoltre rinfacciare alla mia amica il fatto di non essere una perenne golosa, dato che quella sera, a cena, non fui capace di sfiorare appena la pietanza più preziosa che potessimo permetterci, purché distribuitaci in minuscole quantità.
-Claire, mangia la carne. Se non lo farai, so già che stanotte darai di matto per la fame.
Iniziai a trovare pietoso il modo in cui Petra fingeva che nulla dovesse affliggerci; iniziai a chiedermi come potesse anche solo credere che la giornata che avremmo trascorso l’indomani fosse la più ordinaria del mondo. Certamente lo sarebbe stato per i veterani, ma i subordinati come me, data l’inesperienza, avevano pochissime probabilità di sfuggire alla morte.
-Non ci riesco. In questo momento non riesco a pensare ad altro, se non alle mie membra nelle fauci di un gigante – lo dissi inizialmente svogliata, con il mento appoggiato sul palmo della mia mano. Ben presto, quell’immagine mi procurò un forte senso di nausea, tanto che fui costretta a sbottonarmi i primi bottoncini della camicia bianca sotto la giacca e a sfilarmi la collana rossa, che sembrava stringermi il collo fino a farmi soffocare. Mi portai una mano alla bocca, sforzandomi di non rimettere davanti agli sguardi preoccupati dei miei compagni.
-Claire, cerca di calmarti – mi suggerì apprensivo Gunther, prendendomi istintivamente una mano. Mi sentii sollevata non appena ebbi posato la testa sulla spalla del mio amico.
Ma altri guai erano in arrivo: il caporale Levi passò alle nostre spalle, inizialmente non badando a nessuno, né tantomeno al malessere che avvertivo in quel momento; fu tuttavia attratto da un piccolo oggetto che poco prima avevo poggiato sul tavolo, accanto alle posate.
Non ebbi nemmeno il tempo di capire cosa stesse fissando, che afferrò velocemente il piccolo gioiello, esaminandolo in modo abbastanza ansioso. Avrei giurato di non averlo mai visto in quel modo: le palpebre socchiuse erano state sostituite da un’espressione inquietante; era visibilmente preoccupato e senza parole, ma al tempo stesso una ferocia possedeva il suo volto.
-E questa dove l’hai presa? – domandò acido, mentre io ero incapace di realizzare quello che succedeva. Non avrei mai immaginato che quell’oggetto appartenesse al capitano. –Parla!
La sua voce rimbombò per tutta la mensa, facendo addirittura sobbalzare e ammutolire il resto dei presenti. –L’ho… L’ho trovata qualche giorno fa fuori l’ufficio della caposquadra Hanji, e ingenuamente ho pensato di tenermela – intervenni.
-Tieni senza battere ciglio oggetti che non ti appartengono? Ma da che accidenti di posto provieni? – i suoi occhi accigliati mi suggerirono che avrei fatto meglio a non ribattere, ad accettare la sua punizione in maniera del tutto ingiusta.
-Non mi importa dei suoi insulsi, – ribadii, alzandomi dal mio posto, -trovo esagerata la sua reazione, capitano. Come potevo sapere che questa collana apparteneva proprio a lei? - il resto dei commensali, tra cui i restanti ufficiali, era ammutolito solo per sentire il nostro scontro verbale. Ho un vivido ricordo di quell’orribile momento in cui il mio sguardo ricadde involontariamente sulla figura sgomenta del comandante. Quanto avrei voluto che quella discussione avesse avuto luogo in tutt’altra parte!
-Che mocciosa impertinente! – continuava il capitano. Infilò l’umile gioiello in una tasca e, freddo, aggiunse: -Dopo la cena rimarrai qui ad aiutare il cuoco a mettere a posto la mensa.
-Ma cosa c’entra in tutto questo? – sbottai infastidita.
-Hares, hai intenzione di disobbedire ad un ordine?
Mi fece capire che sarebbe stato inutile discuterne ulteriormente; mortificata, sedei di nuovo, rossa di rabbia; come egli si fu allontanato, si alzò un fitto vociferare da parte di tutti i soldati.
-Accidenti, non te ne viene una giusta.
-Oruo, non iniziare proprio ora– lo riprese Petra, guardandomi preoccupata; probabilmente intendeva aggiungere qualcosa, ma la fermai. –Petra, non proferire parola.
In quell’istante fui del tutto convinta che nulla di peggio, proprio nulla, sarebbe potuto accadere, e il momento del mio battesimo con i giganti si faceva nel frattempo sempre più vicino.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Vorrei che tu fossi qui ***


Vorrei che tu fossi qui
 
Attesi che tutti, ufficiali e reclute, lasciassero il luogo per mettermi all’opera e ripulire tutti i tavoli, sistemare posate e piatti nella cucina e, come aveva ordinato il caporale, lucidare persino il pavimento.
Esausta e umiliata, feci ritorno più tardi ai dormitori, impaziente di porre fine a quella lunga giornata e liberarmi dalla fastidiosa imbracatura.
-Non è stata colpa tua – disse la ragazza dai capelli ramati, venendomi in soccorso. La candida canotta bianca e i pantaloni di cotone color blu notte che ella indossava la rendevano l’essere più grazioso del pianeta. –C’è una cosa che però non capisco: perché non me ne hai parlato? Ti avrei aiutata a non finire nell’ennesimo pasticcio.
La sua voce era dolce e languida, ma mi ferì più del dovuto: in tutti quei giorni avevo portato il gioiello sotto la mia divisa come una ladra, non parlandone nemmeno con quella che senza dubbio era la mia migliore amica.
-Petra, credimi, non ne ho la più pallida idea. Talvolta ero così presa da tutto quello che ogni giorno facciamo da dimenticarmene. Figurati se non avessi desiderato altro che sorbirmi l’ennesima ramanzina di quel nano.
-Non parlare così di lui! – ella rispose sconcertata. –è il suo carattere, non possiamo costringerlo a cambiare. Cerca di metterti nei suoi panni: magari era un oggetto a cui teneva tanto.
Mi sfilai con noncuranza la giacca beige. –Non è una buona giustificazione per mettermi in imbarazzo davanti a tutta la Legione.
Petra non rispose; d’altronde, sapeva che solo uno stolto avrebbe potuto darmi torto. Mi buttai a peso morto sulla mia brandina, toccandomi la fronte con un palmo della mano. –E come se non bastasse, domani dovrò anche affrontare la mia prima missione suicida.
Cosa stavo dicendo? Da giorni non facevo altro che parlare di libertà, della speranza dell’umanità, e in quel momento mi ritrovavo persino a rimpiangere la mia scelta? Era possibile che l’episodio di poco prima in mensa mi avesse persino privato di quella voglia di rivendicare il genere umano che mi possedeva dalla sera in cui avevo fatto la mia promessa?
La mia amica si sedette accanto a me sul mio letto. Mi sorrideva. –Perciò stasera devi dormire con me. Staremo un po’ strette, ma più che mai è necessario.
-Lo faccio solo se mi aiuti a togliere questi benedetti abiti – risposi svogliata. –Non ho voglia di fare niente.
Ella sbuffò. –Accidenti, che voglia di vivere!
I suoi dissensi non la aiutarono, perché in un attimo era già riuscita a farmi infilare la vecchia camicia bianca di Lex e dei comodissimi leggings. Non attese nemmeno che mi sistemassi ulteriormente la mia tenuta da notte, giacché mi costrinse a raggiungerla accanto a lei sul suo letto, come era accaduto diverse sere prima.
-Faresti meglio a non pensarci più, Claire. Rifletti solo sul fatto che dimostreremo a quegli esseri rivoltanti di che pasta siamo fatte – mi consigliò, sciogliendomi i capelli dalla coda di cavallo che ero solita fare e pettinandomeli fino a che non risultassero del tutto lisci.
-Non so. Quello lì mi ha reso la persona più negativa dell’umanità.
Petra sospirò ancora. –Ancora con questa storia? Perché non lo lasci stare?
-In questo momento non ci riesco. A volte mi domando come faccia a piacerti.
Come avevo previsto nella mia immaginazione, Petra non diede segni di vita, limitandosi a pettinarmi la chioma. -Ehi, innamorata? Parlo con te – la richiamai.
-Oh, finiscila. Voglio essere sincera con te, potrà anche piacermi, ma non puoi ammettere che sia del tutto inevitabile che qualcuno provi ammirazione nei suoi confronti; parliamo sempre del soldato più forte…
-Dell’umanità, me l’hanno detto già cento volte – conclusi.
-Lascerà sicuramente a bocca aperta anche te, domani, quando lo vedrai affrontare quei mostri – la mania di Petra per le trecce si manifestò ancora: ella aveva infatti iniziato a modellarne una morbida sul mio capo. –E poi non si può dire che eserciti un certo fascino, nonostante il suo carattere introverso, eppure incredibilmente deciso, al contempo affascinante : ha dei lineamenti del viso… davvero particolari, e così i suoi occhi. Hai mai fatto caso ai suoi occhi? Blu, tendenti al grigio. L’unico difetto che ha è la statura; magari è il motivo per il quale inizialmente non riesce a farsi prendere sul serio, com’è successo nel tuo caso.
Ridacchiai. –Sta’ tranquilla, per tua fortuna sei piccina quanto lui. Nel caso tu voglia farti avanti, non sarai svantaggiata.
Il viso della mia amica era completamente color pomodoro, e se ci fossimo trovate da qualche parte, mi avrebbe probabilmente tappato la bocca, scappando poi imbarazzata.
-Claire, si nota tanto? – mormorò, stendendosi supina accanto a me.
-Un po’ – risposi. –Almeno lui non ti odia, e non penso che mai possa permettersi di farlo. Sei straordinariamente accorta e in gamba, oltre che dotata come soldatessa. Prima o poi si dichiarerà lui, vedrai. Sono fiduciosa, sei troppo carina perché ti dica di no.
Mi guardò incerta, poi iniziò a ridere, sognante. –Voglio vedere sistemata anche te, però. Sbaglio o è da un po’ di tempo che tu e Gunther avete un certo feeling?
In quel momento fui io a divenire color pomodoro.
Gunther, il ragazzo più dolce che avessi mai incontrato, era una delle persone che conoscevo in maniera così profonda da rendermi incapace di amarlo: ai miei occhi, sarebbe sempre stato il mio migliore amico, il mio secondo fratello maggiore, oltre a Lex. Petra me lo aveva riferito più volte, magari lui provava veri e propri sentimenti nei miei riguardi, e ciò talvolta mi faceva sentire in colpa, perché io non sarei mai stata capace di definirlo il mio fidanzato, semplicemente quella persona che, insieme a Petra, mi conosceva così tanto bene da sapere persino il motivo originario del mio arruolamento. 
 –Ne abbiamo già parlato, Petra. Sarebbe come se decidessi di mettermi con te, per me risulta impensabile – risposi sincera.
-E’ un peccato, da ragazza mi sarei complimentata della tua scelta. Di Erd, che mi dici?
-Hai intenzione di portare avanti questa discussione adolescenziale fino all’infinito? Tra l’altro sai bene che queste sono cose che non mi sono mai interessate.
Scoppiammo entrambe a ridere. –Dovremmo pur trovare un argomento di conversazione; non mi va di parlare di eserciti, lame, dispositivi di manovra e giganti fino a domani mattina – spiegò.
-Erd è un ragazzo bellissimo, lo sai meglio di me. Ma non è il mio tipo – risposi.
-Tutte le ragazze del 103° le andavano dietro – ricordò lei.
-Ma lui è quel genere di persona che non vorrà mai mettersi con una soldatessa, perciò rinunciaci anche tu, nel caso ci stessi pensando. Poi c’è Oruo…
Io e lei ci osservammo, poi scoppiammo a ridere. –Non essere perfida, Petra. Alla fine è più simpatico di quanto tu creda, se lo vedi sotto un’altra prospettiva.
-Si vaneggia persino dei suoi stivali. Ma che razza di persona è? Adesso si è messo in testa di imitare il capitano Levi, con quale scopo?
Probabilmente io il motivo lo conoscevo già, eppure preferii non rivelarglielo. –In ogni caso è esilarante sentirlo atteggiarsi di cose del tutto banali; alla fine voglio bene anche a lui – mi accucciai accanto a Petra, rimboccandomi le coperte.
-Vederlo tirarsela è uno spettacolo del tutto pietoso. Non si avvicina di un centimetro ai nostri superiori.
-Su questo ti do retta – sbadigliai, benché fossi consapevole di essere così elettrizzata da non poter prendere sonno in ogni caso. –Petra, promettimi che sarai prudente, domani.
Ella mi strinse a sé. –Claire, sai bene che ci è stato chiesto di sacrificare le nostre vite; nemmeno tu puoi opporti. Vedrai che, una volta superata questa spedizione, non temeremo più le seguenti.
La dolcezza di Petra e la sua tranquillità la aiutarono ad addormentarsi stretta a me, ma io non volevo proprio saperne di lasciarmi cullare tra le braccia di Morfeo; una marea di pensieri atroci fece strada nella mia mente, vietandomi di acquietarmi.
Rimasi accanto alla mia amica addormentata per circa un’ora, ma poi capii che sarebbe stato alquanto inutile rimanere lì con gli occhi spalancati: senza far rumore, scesi dal letto di Petra e iniziai a cercare la mia adorata chitarra in un armadio.
Ritrovai la mia amica dalle sei corde impolverata e trasandata, dalla quale pendeva un filo di rame precedentemente saltato dal ponte.
Quello risultava il momento perfetto per attuare quel piccolo lavoro di restaurazione che fino ad allora, a causa degli svariati impegni, non ero riuscita a permettermi. Eppure non potevo svolgere il mio piccolo lavoro proprio nel dormitorio femminile, con tutte le povere soldatesse che, ansiose, cercavano di trovare pace prima del giorno seguente; decisi quindi cercare altrove un posto dove avrei potuto, volendo, anche sgranchirmi le dita sulla tastiera della strumento senza temere di svegliare qualche anima pia. Dunque, posai la coperta del mio letto sulle spalle, imbracciai la chitarra e uscii dal dormitorio, dirigendomi sul tetto dell’edificio.
Rischiai più volte di cadere lungo le scale, non disponendo di alcuna candela; probabilmente dovevo aver già destato qualcuno a causa della mia goffaggine, ma non potevo tornare indietro: avevo già aperto l’ultima porta, che conduceva all’ampio spazio all’aperto dell’ultimo piano.
Rimasi incantata da come la luna illuminasse l’ambiente circostante, ed era più forte di qualsiasi altra luce notturna; ciò mi avrebbe permesso di dedicarmi al mio lavoro senza fatica.
Mi sedei sul parapetto in pietra, con le gambe a penzoloni nel vuoto, e iniziai la mia opera di riparazione con le nuove corde. Fino a qualche anno prima ero del tutto incapace di cambiare le corde al mio strumento, ma Lex era stato in grado di insegnarmi i metodi più efficaci per sostituire le vecchie corde in maniera del tutto semplice e veloce.
Una volta terminato, studiai con cura lo strumento: la vecchia chitarra di mio padre era color mogano e perfettamente intagliata, e aveva il suono più dolce e soave del mondo.
Fortunatamente, malgrado fosse passato del tempo, ancora non avevo dimenticato le melodie e gli accordi insegnatimi da mio padre a da mio fratello. Tra i tre ero sicuramente quella che meno ci sapeva fare, ma quell’oggetto aveva rappresentato per me una vera e propria terapia durante i tre anni trascorsi nel corpo cadetti, e la possibilità di sfogare tutto il mio stress e le mie ansie sulla tastiera in legno risultò un buon stimolo per andare avanti.
Ciò che più mi irritava era il fatto di essere quasi del tutto negata a cantare, ruolo che invece spettava alla mamma. Proprio in quel momento, seduta davanti a quello spettacolo incredibile, ritraente grossi alberi e un’enorme distesa pianeggiante, ripensai ai neri capelli di mia madre - sempre ondulati e tenuti da un fermaglio verde, così diversi, se paragonati ai miei –, ai suoi occhi scurissimi e alle sagge rughe attorno ad essi. Ricordai il suo atteggiamento mite, generoso, e la sua tenera voce alta che cantava sulle note di quella melodia che avevo già iniziato a suonare.
 
Potresti distinguere un prato verde
Da una fredda inferriata d’acciaio?
Un sorriso da una menzogna?
Davvero ci riusciresti?
 
 
Catherine Hares adorava quella bizzarra canzone che suo marito Ivàn le aveva insegnato; anch’ella, come lui, aveva l’impressione che la vita, all’interno delle mura, fosse solo ed esclusivamente una grande finzione. Erano soliti dirlo, seppur né io né Lex fummo mai capaci di capire cosa ciò significasse.
In ogni caso, fu per me inevitabile avvertire una forte fitta nel petto quando dovevo concentrarmi a cantare la parte centrale del brano.
 
Come vorrei che tu fossi qui
Siamo solo due anime smarrite
Che nuotano in una boccia per pesci
 
Lei doveva essere qui, a godersi in mia compagnia quel meraviglioso panorama, ad accarezzarmi i capelli e ad asciugarmi col suo grembiule le lacrime che avevano appena solcato il mio viso. A dirmi che tutto sarebbe andato per il meglio, perché ero “ingenua, testarda ed eccezionale”, come solo ed esclusivamente lei mi diceva. Personalmente non capivo come facesse ad accostare questi tre termini ogni volta, ma persino quelle parole ed espressioni tutte sue che molto spesso era solita proferire mi causavano tanto dolore.
 
Girovaghiamo sempre nello stesso spazio
Dove si celano le nostre solite
 Vecchie paure
Vorrei che tu fossi qui
 
La mia voce tremava, quasi del tutto soffocata dal pianto, ma le mani non si fermavano; quasi mi sorprese il modo in cui avevano imitato perfettamente la nostalgica melodia originale, quella conosciuta da mio padre.
-Suoni bene quanto stoni – parlò una voce alle mie spalle.
“Cantare non è stato mai il mio forte”, ero pronta a giustificarmi, fino a che non mi accorsi della presenza del caporale alle mie spalle.
Da quanto tempo si trovava lì? Potevo mai finire ancora una volta nei guai solo per aver disobbedito al coprifuoco in una situazione come quella in corso?
-Capitano, non sapevo che lei fos… - mi asciugai velocemente il volto. L’ultima cosa che desideravo era che mi vedesse in quelle condizioni. –Non mi ero accorta che ci fosse anche lei.
Come era solito fare anche lui, cercai di rimanere quanto più distaccata possibile, osservando un punto fisso sotto di noi.
-Sei stata tu ad appropriarti di un luogo che la sera colgo sempre l’occasione di frequentare con una buona tazza di tè – spiegò lui, sedendosi proprio accanto a me.
Come aveva detto, il caporale reggeva in maniera alquanto strana una tazza fumante, probabilmente ardente, contenente uno strano liquido scuro.
-E stasera ha deciso di passare al caffè? – chiesi, con la voce ancora sfinita dal pianto di poco prima.
-Tè nero, Hares. È decisamente più forte e intenso degli altri, personalmente è quello che preferisco – sorseggiò la bevanda calda, guardando distratto davanti a sé.
Non volevo lasciarmi intimorire dalla sua presenza; continuai a muovere le dita sulle corde improvvisando un arpeggio, ma non cantai. A quanto avevo constatato, la mia voce non era stata apprezzata da quel pubblico così intenditore, a differenza delle mie doti sullo strumento.
Alzai per un istante gli occhi dalle corde, notai che stava proprio osservando curioso le mie dita; non giurai di averlo visto incantato, ma sicuramente il suo solito sguardo truce lo aveva abbandonato.
-Non canti più? – mi domandò all’improvviso, facendomi arrossire.
-Non ho mai eccelso nel canto, e credo che mai lo farò – risposi fredda.
-Eppure prima lo stavi facendo.
Sospirai, non staccando comunque le dita dalla tastiera nera. –Cercavo di cantare come mia madre. Avrebbe dovuto sentirla, caporale. Lei era veramente brava nel canto, al contrario mio.
Era ammutolito, si limitava a sorseggiare il tè come se aspettasse di sentire altro.
-Che donna strana, - proseguii allora, -era portata per tante cose, ma ha sempre preferito rimanere a casa ad accudire me e mio fratello. Era fantastica a dipingere, magari avrebbe potuto divenire l’artista più importante della capitale, se avesse voluto.
-Io non la disprezzerei affatto, per questo. Doveva volervi davvero tanto bene, ti basta sapere questo.
Iniziai a domandarmi il motivo per il quale Levi insistesse nell’intrattenere un discorso del genere, così apparentemente inappropriato per una persona come lui. -Ma scherza? Perché dovrei disprezzarla? Una persona che ha donato la sua esistenza ai propri figli venendo anche orribilmente uccisa non potrebbe mai essere disprezzata.
Non posso dire quanto fosse rimasto impressionato dalla mia risposta; forse, essendo abituato a mutilazioni su mutilazioni dei propri compagni, l’afflizione provocata dalla morte non aveva su di lui più alcun effetto.
-Vieni dal Wall Maria? – mi chiese, convinto forse che solo l’anno precedente, quello segnato dalla caduta del muro esterno da parte del Titano Colossale, io avessi perso un genitore a causa di un gigante.
-No, sono di Karanes. Mia mamma non è stata divorata da nessun gigante, ma, sette anni fa, qualche bastardo dei bassifondi alla ricerca di mio padre, da tempo scomparso per non so quale ragione, ha pensato bene di prendersela con la propria famiglia abbandonata, in particolar maniera mia madre. Io e mio fratello Lex siamo riusciti a scamparla.
Non rispose, né tantomeno lo feci io, ma, dopo alcuni secondi, qualcosa mi spinse a sfogarmi, proprio davanti a lui. –Siamo scappati dalla famiglia di Ral, senza la quale non saremmo mai stati capaci di continuare a vivere. Ma mia madre mi manca ogni giorno che passa.
Poco dopo, mi sentii in dovere di dirgli: -Mi perdoni, capitano, per essermi ingiustamente impossessata della sua collana. Non avrei esitato un attimo a restituirgliela, posso assicurarglielo.
-Forse meriteresti più tu di chiedere le mie scuse – rivelò, abbassando il capo. Tirò poi da sotto la maglia color panna quell’oggetto che io avevo conservato alla stessa maniera fino a qualche ora prima. –Credo di essere stato troppo brusco, prima, a metterti così in imbarazzo davanti agli altri.
Era intento ancora una volta ad esaminare la pietra rossa, fino a chiuderla nel palmo della mano.
-Non si preoccupi, non è stato un problema – mentii, fermando per un istante le mani. -Piuttosto, mi è parso strano che un oggetto abbastanza femminile come questo sia di sua proprietà. Forse è stato questo a non farmi pensare che la collana appartenesse a lei.
-Oh, be’. Per il semplice fatto che questa pietra rossa non è mia – si limitò a rispondere.
Non mi aspettavo che rivelasse il possessore dell’oggetto, ma allo stesso tempo morivo dalla voglia di sapere chi fosse. –Acconsentirà a dirmi chi sia il proprietario?
Ci pensò qualche istante, tenendo sempre la collana tra le dita. I suoi occhi avevano iniziato a brillare, non capivo se a causa dei raggi lunari. –E’ l’unico oggetto di mia madre che posseggo – confessò tutto d’un fiato.
Ero senza parole. Ciò spiegava la sua reazione di qualche ora precedente –Quindi anche lei… - cominciai.
-Ho un passato… vagamente simile al tuo. Magari nessuno te l’avrà raccontato, ma anche io ero un bastardo dei bassifondi, come hai detto tu.
Cosa mi stava dicendo? Perché tutto d’un tratto aveva iniziato a parlarmi di lui? Benché non avessi chiesto niente di particolare, iniziai a sentirmi in colpa per essere all’ascolto di cose che probabilmente mai e poi mai avrei dovuto sapere, tuttavia non voleva saperne di interrompere il proprio racconto.
-Mi scusi, cosa intente, lei, per ‘bassifondi’? – domandai ulteriormente.
-La città sotterranea, - spiegò, -il luogo più malfamato che esista tra queste mura.
La città sotterranea? Esisteva, dunque? Tra i cittadini dei distretti si sospettava che ci fosse un posto in cui non battesse mai il sole, frequentato dai peggiori esseri umani ancora in vita; ciononostante, avevo sempre considerato tali affermazioni delle dicerie, e non mi sarei mai azzardata a pensare che il capitano Levi potesse provenire proprio da quegli ambienti squallidi. Quanto poco mi ero interessata a lui, fino a quel momento! A tal punto da non riuscire a riconoscerlo durante il primo giorno di addestramento.
-Sono sempre cresciuto da solo – il racconto nel frattempo continuò. –Non ho avuto una figura adulta che in qualche maniera è stata capace di istruirmi, ma c’è stato un tempo in cui avevo una madre bellissima. Mi somigliava, sai? Ma aveva delle sottili labbra color ciliegia e due occhi amorevoli. Ma la morte e la miseria non hanno mai pietà, nemmeno quando sei un bambino, o una bambina, nel tuo caso, e ti strappano via ogni cosa – continuava, senza indugiare tanto sul fatto di essere ascoltato da qualcuno di completamente estraneo. Anzi, improvvisamente parve mi considerasse una sua conoscenza di vecchia data.
Avevo iniziato a tremare, non saprei dire se per la brezza notturna o per la tensione: il racconto del caporale fu l’episodio più insolito che mi era capitato dal giorno in cui mi ero arruolata nell’Armata Ricognitiva.
- Di speranza ce n’è poca, Hares, in questo mondo. Io, a sette o otto anni di età, già me ne ero reso conto.
Non sapevo cosa pensare, né tanto più cosa rispondere. Ciò che avevo constatato era che quell’uomo fosse più umano di quanto sembrasse, inoltre conosceva bene la tragedia del vivere in quel mondo desolante senza un punto di riferimento, vivendo clandestinamente dentro una bottega di falegnameria con il timore di essere catturati da malviventi.
-Ma c’è sempre – risposi dopo. –In qualche maniera, sento che il genere umano, prima o poi, non sarà più schiavo di quest’esistenza misera. Non sicuramente grazie a me, ma succederà, presto o tardi. Ne sono convinta.
Gli sorrisi timidamente.
-Non mi sottovaluterei così tanto, se fossi in te – aggiunse lui, col suo solito aspetto indifferente al quale mi ero automaticamente abituata. –Fai parte di quel gruppo di nuove reclute che hanno un grosso potenziale. Anche la tua amica Petra ha talento.
Arrossii al posto della mia amica, che sicuramente sarebbe svenuta dall’emozione nel sentire il caporale farle i complimenti, chiamandola addirittura per nome. –E’ la tua amichetta, giusto? – mi chiese.
-Già. È la persona ideale su cui fare affidamento, posso giurarglielo.
Il suo viso lentamente si addolcì. -E’ molto cara, e anche intelligente – osservò.
-Petra è il miglior genere di persona che si possa incontrare nella vita – constatai euforica. –Non sarò mai come lei, lo so bene. Quella ragazza è un angelo, dovrebbe essere venerata lei al posto di quelle assurde divinità che il culto delle Mura si è inventato – ripensavo al dolce sorriso della mia amica, convincendomi che anche il mio interlocutore stesse facendo lo stesso. –Ha un animo nobile, è una persona gentile con chiunque, e soprattutto non c’è niente che non sappia fare, come intrecciare i capelli – mi acconciai meglio la lunga treccia. -A me mancano tutte le qualità di cui lei è dotata, capitano.
-E tu?
La sua domanda mi prese alla sprovvista. Sospirai, stringendo al petto la mia fidata. –Io strimpello questo vecchio affare. Magari avrei potuto lavorare alla corte del re come musico, se fossi migliorata – ripresi a suonare la mia melodia improvvisata, prima di fermarmi a guardare l’orizzonte. –Invece ho scelto i giganti.
-In un modo o nell’altro sei comunque alla mercé di quell’orrido vecchio – notò lui. Ancora una volta si ritrovò a fissare le corde dello strumento che avevo tornato a pizzicare, ancora non capivo se per mettermi a disagio o perché realmente interessato dalla musica che ne proveniva.
-Ma cosa le è accaduto, capitano? La vedo particolarmente ironico, questa sera. Non che non lo sia già di solito…
-Ecco, Hares. Ti sei risposta da sola.
Trattandosi del capitano Levi, non rise, come invece feci io. Tuttavia, canticchiando a bassa voce, constatai di aver appena scoperto un altro lato di quell’uomo, contorto, certamente, ma più comprensivo e cordiale.
-Dovresti cantare – insisté lui.
-Le ho già detto che sono quasi totalmente incapace di farlo, e lei mi mette molta soggezione – ribattei sincera.
-Io? Perché dovrei intendermene? – avvicinò le labbra alla tazza, deglutì un sorso della bevanda amarognola. -Sono un soldato, non certamente un musicista.
-Il migliore del genere umano intero – aggiunsi.
Borbottò. -Non ho mai sopportato questo appellativo. Detesto stare al centro dell’attenzione, e il più delle volte quest’espressione da perfetti idioti è sempre rinnegata con “quanto è basso” oppure “me l’aspettavo più alto”.
Mi fu difficile non ridere ancora. –Poveri ingenui, non capiscono che il suo potenziale sta anche nella sua non altissima statura. Petra mi ha insegnato che essere bassi significa anche superare di gran lunga molti soldati in quanto agilità. Non lo considererei proprio uno svantaggio, questo.
Mi sentii un po’ in colpa di quanto appena detto; io stessa, qualche ora prima, in un momento di eccessiva frustrazione, mi ero rivolta a lui con un nomignolo alquanto dispregiativo, e ora mi trovavo a rassicurarlo proprio per quella sua caratteristica.
-Sarà. In ogni caso non potrei mai essere capace di giudicare le tue doti al di fuori del campo di battaglia, eccetto per quanto riguarda le pulizie. Sentiti pure libera di cantare come facevi prima, io non ti dirò nulla.
-No, ormai non ho più le forze nemmeno per reggere la chitarra – spiegai esausta. –Quindi lei non ha mai avuto la possibilità di conoscere la musica.
-Non c’è molta gente che suona per strada nei bassifondi, Hares. Nemmeno nella Legione ci sono così tanti appassionati di musica come te. Tuttavia, avendo avuto la possibilità di ascoltarti, non posso nascondere di aver provato un certo piacere. Non mi è dispiaciuto affatto sentirti.
Arrossii di nuovo, punzecchiandomi una guancia con le punte dei capelli. –Visto che ha apprezzato, le consentirò un bis.
-Un che?
-Le ripeterò il brano che ho cantato prima. Si senta fortunato, perché è una cosa che non molto spesso concedo.
Introdussi prima la canzone con la chitarra, e intonai nuovamente il ritornello. Non sarei in grado di spiegare la ragion per il quale cantai eccezionalmente bene, quella volta. Aver fatto pace con lui, in qualche maniera, mi aveva già liberato di un grosso macigno che poco prima mi aveva resa incapace di trovare la calma per addormentarmi al fianco della mia compagna.
Il suo sguardo si era sempre più attenuato. –Bene – disse lui, alla fine dell’esecuzione. –Ora non ti resta che canticchiare una ninna nanna ai giganti, domani. È possibile che sia un modo per metterli al tappeto senza spargimenti di sangue.
Scoppiai a ridere di nuovo, non capendo perché egli sembrasse leggermente infastidito da quel mio gesto istintivo ogni volta. –Può essere – feci per alzarmi, indugiando. –E’ stato piacevole passare questo tempo con lei. Magari tra qualche serata ci incontreremo di nuovo, qui sopra. In quel caso, visto che ho acconsentito al bis, lei dovrà cantare per me.
Una parte della mia coscienza sapeva bene che avrei dovuto smetterla di farneticare altre sciocchezze in sua presenza, ma l’altra era troppo euforica pe aver conosciuto un lato del capitano Levi del tutto nuovo a chiunque.
-Hares – mi chiamò lui.
Rimangiai la mia proposta, imbarazzata di aver proferito tale idiozia. Perché mai il caporale avrebbe dovuto cantare per me? –Ha ragione, capitano, mi scusi. Ovviamente stavo solo scherz…
-Lo farò – annunciò lui, col suo solito sguardo freddo e inalterato.
Un largo sorriso si impossessò del mio volto, tale da non permettermi di rimanere ferma troppo a lungo senza esultare di gioia.
-Capitano, ma lei è assolutamente straordinario!
-E’ evidente – rispose. Si voltò, e quell’atto mi fece immaginare che egli non fosse riuscito a nascondere un sorriso al suo controllo.
Rimasi in silenzio, a osservare in maniera distratta il taglio militare del compagno d’armi, incerta se fosse o meno il caso di lasciarlo solo proprio in quel momento.
-Non va a dormire, signore? – domandai cordiale.
-Non ancora. Credo che resterò ancora un po’ qui. Non ho bisogno della tua compagnia, se le tue gambe stanno cedendo puoi anche tornare a letto – ribatté senza girarsi; dedussi che fosse il caso di fare come diceva, dato che non potevo trovare alcun argomento per proseguire la conversazione.
-Se è convinto così, io andrei – dissi. –Buonanotte, capitano.
-Stammi bene, Hares – prima che potessi girare i tacchi, aggiunse: -E buona fortuna con i giganti.
Ne ho bisogno, pensai, troppo stanca per rispondere.
Pochi attimi dopo, la tensione mi abbandonò del tutto, permettendomi così di cadere in letargo accanto alla mia amica.
Mi dispiacque ammetterlo, ma Petra aveva visto giusto, riguardo il capitano. non era così lugubre e freddo come si soleva descriverlo: qualche momento prima, mi era sembrato la prima persona in grado di capire la sofferenza patita nel perdee una madre ad un’età così prematura. La gente moriva e muore tutt’ora ogni giorno, ma quando la morte ti porta via, per giunta in maniera così triste, davanti ai tuoi propri occhi, quella dolce persona così magnanima da farti venire alla luce, allora hai già visto ciò che di peggiore esiste al mondo. Petra, Gunther, Erd, Oruo, quanto mi erano cari, eppure non sarebbero mai stati capaci di comprendere fino in fondo il dolore del dover crescere da soli, con l’incessante paura di perdere anche quel fratello maggiore che mi aveva salvato da un atroce destino, lontano miglia e miglia da te. Fino a quell’istante, ebbi l’impressione che solo il caporale maggiore Levi sembrava averlo stranamente capito.


Spazio autrice: ci riprovo con l'ennesima cavolata... Ebbene sì, ho deciso di inserire la genialità dei Pink Floyd (uno dei migliori gruppi del rock mai esistiti nella storia) nel mondo di Shingeki No Kiojin. Come si può aver constatato, la canzone presente del capitolo deriva dalla mente brillante di Roger Waters e di David Gilmour, io mi sono solo permessa di dare la mia personale interpretazione traducendolo. Il brano in questione è la fantastica quanto famosa Wish You Were Here, ho sempre pensato che fosse uno di quei pezzi che si adattassero benissimo a molti personaggi del manga: se ci pensiamo, non si tratta solo di Levi, bensì anche per quanto riguarda Eren, Mikasa, Armin in ricordo del suo caro nonno, e continuerei all'infinito! In ogni caso ve la propongo qui:

https://www.youtube.com/watch?v=IXdNnw99-Ic

Spero di ricevere ulteriori consigli e suggerimenti, alla prossima!

 

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Capitolo 8
*** 48° spedizione oltre le mura ***


48° spedizione oltre le mura
 
-Quante zollette mangia quest’essere? – domandai al caposquadra Dieter, sorridendo al mio destriero dal manto beige.
-Sei la padrona del cavallo più goloso della Legione, Claire – egli rispose, accarezzando l’animale. –Sai già a che squadra sei stata assegnata?
Era il dubbio che mi portavo avanti da quella mattina. Non solo, dopo il mio risveglio, un’atroce paura mi aveva fatta sentire una sorta di cadavere vagabondo, ma pregavo affinché mi avessero assegnato alla squadra giusta.
-In realtà ancora no – rivelai.
Il caposquadra esaminò una pergamena su cui, da quanto avevo dedotto, erano riportati i nomi di tutte le reclute. Non appena trovò il mio, aggiunse: -Complimenti, Claire. Tu e Shulz avrete la fortuna di cavalcare proprio al fianco del caposquadra Mike.
La sorte volle che rimanessi nella squadra più lontana rispetto a quella della signorina Hanji. La disposizione dei soldati prevista dal comandante di divisione a quel tempo non era ancora efficace come lo sarebbe stata la celebre formazione ad ampio raggio, da lui elaborata solo qualche tempo dopo, ma prevedeva comunque che il team del caposquadra Mike rimanesse sempre alla sinistra dell’équipe di comando, mentre dalla parte opposta avrebbero cavalcato gli uomini di Hanji.
Nessun contatto tra me e la caposquadra, dunque.
-Delusa? – mi domandò sorridente Dieter –Giusto, la tua amica Ral è stata assegnata all’unità del capitano Levi, non potrete combattere fianco a fianco.
Come se non bastasse, non avrei avuto tantomeno il sostegno di Petra. Mi chiesi quali fossero i criteri secondo i quali le nuove reclute erano state distribuite nelle singole squadriglie, ma era evidente che non sarebbe servito a nulla disperarsi, dato che a distanza di poche ore mi sarei cimentata in uno scontro con i titani.
-Vedrai che andrà tutto bene – mi rassicurò, lasciandomi una pacca sulla schiena prima di tornare dal suo destriero.
Controllai il mio dispositivo di manovra sotto al mantello verde, pregando che, nonostante fosse stato sottoposto a ulteriori controlli obbligatori quella mattina stessa, non presentasse alcun difetto proprio quel giorno; tuttavia, mentre montavo su Edmund, azione che ormai avevo imparato bene a fare a distanza di pochi giorni senza l’aiuto di altri, non riuscivo a rimuovere dalla mia mente il ricordo del mio colloquio di due giorni prima con la signorina Hanji.
Pareva notevolmente eccitata, quella sera, eppure avvertivo un cenno di preoccupazione nei suoi occhi.
-Claire, la verità è che mi dispiace averti messa in questo impiccio – disse, facendomi sedere, come sempre, accanto a lei di fronte la sua scrivania, offrendomi anche una tazza di cioccolata.
-Caposquadra, la mia scelta è stata del tutto arbitraria. Mi assumerò le mie responsabilità quando avverrà il momento.
Non nascondo di aver provato una certa fierezza al proferire quelle parole. Non potevo permettermi di tirarmi indietro come una codarda ad un passo dal giorno fatidico.
-Tesoro, se potessi, ti adotterei! – esclamò euforica. –Dunque, dobbiamo agire con grande scaltrezza. Domattina aiuterai il mio fidato collaboratore Moblit a caricare le mie trappole sul terzo carro della squadra merci. Non deve essere difficile farla franca, a quanto ho capito, nessun soldato di rilievo se ne occuperà.
Il piano di Hanji non aveva mai smesso di intimorirmi, dato che il pensiero che il comandante avrebbe potuto punirmi per aver dato ascolto alla caposquadra non aveva mai smesso di perseguitarmi.
-Ricevuto – dissi, ad ogni modo. –Non mi sembra un’impresa complicata, se è riuscita a coinvolgere anche il sotto ufficiale Moblit.
-Non è stato affatto semplice – sospirò. –Tu spera solamente che Erwin decida di assegnarti alla mia squadra. Non sarà facile attuare il piano se non sei nei paraggi ad aiutarmi, inoltre dobbiamo convincere gli addetti al terzo traino a collaborare con noi… che caos!
-In effetti sarebbe stato alquanto difficile mettere in atto un piano tanto angusto senza disporre della collaborazione di molti. Non l’avrei mai riferito al mio superiore, ma iniziai a dubitare che il nostro trio sarebbe riuscito ad ottenere quello a cui la caposquadra aspirava.
-Signorina Hanji, quante probabilità avremo di riuscire a piazzare le sue trappole senza che nessuno se ne accorga?
-Sfortunatamente poche – sospirò di nuovo, alzandosi dalla sedia e posando i palmi delle mani sullo scrittoio, osservando al di fuori della finestra. –Ma io non perdo le speranze. In qualche maniera, sento che Erwin acconsentirà. Dobbiamo convincerlo dell’importanza di questa cosa.
Perciò, all’alba di due mattine dopo, io e il secondo di Hanji, incerto e tremante, montammo sul terzo carro l’occorrente di cattura ideato dalla caposquadra.
Io e Moblit ci scambiavamo sguardi di perplessità; ma se io cercavo disperatamente di auto convincermi che altro non facevo, se non obbedire agli ordini di un ufficiale, il compagno era pronto a mollare tutto, caricandomi di qualsiasi responsabilità.
-Tutto ciò non mi convince per niente – bisbigliò lui. –Spero che tutto questo sia per una buona causa.
-Lo è, signore – intervenni. –Ciò che dobbiamo sperare è che tutto proceda secondo i piani della caposquadra.
 
Ma una volta che venni a conoscenza di trovarmi in una squadra completamente diversa, i miei dubbi aumentarono considerevolmente. L’unica cosa che avevo apprezzato della divisione di Erwin era stata la scelta di farmi combattere insieme a Gunther e a una mia vecchia conoscenza del 103°, una giovane ragazza dai capelli neri corti di nome Samanda, sotto la guida del caposquadra Mike e del suo sotto ufficiale Nanaba.
-Sono felice di essere capitata con voi – annunciò la giovane, rivolgendosi a me e a Gunther mentre la Legione galoppava verso il distretto di Trost. –Mi sento più sicura.
Le strizzai l’occhio, sorridendo amorevolmente a lei ma anche al mio compagno, sollevata dal fatto che almeno lui, amico fidato di una vita, sarebbe rimasto al mio fianco in ogni caso.
Salutai silenziosamente le colline del Wall Rose, prima di avventurarci ancora una volta nella città. Quel giorno, il distretto parve notevolmente affollato, e la folla ci acclamò allegramente non appena fummo entrati.
A detta di Mike, i preparativi per l’apertura del portone avrebbero richiesto del tempo, assicurandoci che avremmo potuto scendere da cavallo ad aspettare gli ordini di Erwin. Non me lo feci ripetere due volte, scesi dal mio destriero, affidandolo a Samanda e mi diressi verso la squadra del caporale Levi.
Petra era intenta a parlare con lui, come avevo immaginato; sembrò alquanto rallegrata di vedermi arrivare.
-Claire! – mi accolse affettuosamente lei. –Caposquadra Mike?
Annuii. Conosceva il mio desiderio di voler essere assegnata ad Hanji, ciononostante, mi sorrise confortante. –Sei stata proprio fortunata, allora.
-Certo, ma tu considera di essere finita nella squadra d’élite per eccellenza. Sei contenta, vero?
Arrossì come al solito. –Finiscila. Facciamo due passi? A detta del capitano, mancano ancora venti buoni minuti alla partenza.
Acconsentii, avventurandomi con lei per le strade di Trost senza lasciare troppo indietro il resto della Legione, chiacchierando con la mia amica all’infinito. Dopo un po’, ci sentimmo chiamare.
-Ehi, soldatesse? Ve ne andate senza salutare?
Corsi incontro a mio fratello, assalendolo senza esitare neanche un attimo.
-Lex! Brutto idiota! - gli scoccai una lungo bacio sulla guancia, ridendo eccitata.
Petra, nel frattempo, era venuta a salutare il signor Ral, in maniera decisamente più contenuta.
-Ma che ci fate, qui? – domandò la mia amica.
-Non potevamo certamente perderci l’orgoglio di vedervi uscire per la vostra prima spedizione oltre le mura! Siamo fieri di voi, ragazze – spiegò il padre di Petra.
Come facevano ad essere così fiduciosi e tranquilli? Sicuramente l’apprensione di immaginarci alle prese con i giganti non li aveva del tutto abbandonati, eppure erano certi che ce la saremmo cavata per il meglio.
-Hai un aspetto divino, sorellina – giudicò Lex tenendomi tra le sue braccia, osservando il mio adorato mantello verde. –Sembri proprio un ufficiale.
Avvicinai istintivamente la mano ai suoi piccoli ricci neri. –Tu hai i capelli pieni di schegge di legno.
Ridacchiammo insieme alla famiglia Ral. –Abbiamo lavorato tutta la giornata, ieri – sorrise l’uomo accanto a mio fratello. –E stamattina siamo riusciti a ottenere il permesso per venire qui. Non è stato semplice.
-E mamma? – domandò Petra.
-Aveva da fare, purtroppo – spiegò suo padre. –Ti manda tanti saluti, piccola mia.
Il signor Ral accarezzò con amore i capelli ramati della mia amica, fino a che si bloccò di colpo, non appena vide arrivare un soldato dell’Armata.
-Petra, dobbiamo andare – comunicò il capitano alla mia compagna.
-Mi scusi, caporale – si ricompose lei, immediatamente. –Stavo salutando mio padre.
-Il capitano Levi? – domandò raggiante il signor Ral. –Sono il padre di Petra, piacere di conoscerla! Mia figlia non fa altro che parlarmi di lei. In maniera epistolare, si intende. Non la vedo molto spesso.
Il soldato acconsentì a stringere la sua mano sotto il viso color pomodoro del suo subordinato; io stringevo la camicia di mio fratello per non ridere.
-Piacere mio, signor Ral. Ora ci scusi, ma dobbiamo fare ritorno. Tra poco i cancelli si apriranno e… Hares, anche tu qui? – mi osservò lui.
-Buongiorno, capitano. Mio fratello Lex è venuto a trovarmi – risposi alla stessa maniera della mia amica. –Inoltre era ansioso di conoscerla.
-Salve, capitano – mormorò timidamente mio fratello a Levi; come nel caso del signor Ral, quest’ultimo strinse la mano anche a Lex, ma, col suo solito fare insensibile, invitò ancora una volta me e Petra a rimetterci in formazione.
-Hai visto? Te l’avevo detto che ti avrei fatto conoscere qualcuno del Corpo – feci l’occhiolino al ragazzo.
-Ho notato. Sono tutti molto in gamba, in quest’ala dell’esercito – si morse il labbro, poi mi strinse di nuovo a lui. –Tu sei forte quanto loro. Puoi farcela, Claire.
-Io… Non vorrei mai lasciarti solo – bisbigliai tra le sue braccia. -Ho paura di non riuscir…  
-Invece non è così – mi interruppe. –So che non accadrà. Non è un presentimento, è una certezza.
Lo abbracciai a mia volta, ricambiando il sorriso del padre della mia compagna. –Siete il nostro orgoglio – disse commosso quest’ultimo.
Io e Petra li salutammo, facendo poi ritorno ai nostri cavalli. –Considerati già in coppia con Levi. Avete l’approvazione anche di tuo padre – scherzai.
-Claire, quando ti deciderai a piantarla? – domandò infastidita.
-Mai. Buona fortuna! - le lasciai un bacio sulla fronte, scappando incontro alla squadra a cui ero stata assegnata.
-Eccoti, Claire – mi accolse Gunther. –Eri a salutare Petra?
Annuii, e istintivamente avvicinai una mano tremante alla criniera di Edmund, che, percependo il mio stress, sbuffò e si lasciò tranquillamente accarezzare. Ancora una volta rimpiansi di averlo sottovalutato, quel famoso primo giorno in cui ero montata su un cavallo per la prima volta nella mia vita.
-Paura, Claire? – la signorina Nanaba mi aveva chiamata inaspettatamente per nome.
-Un po’, a dirla tutta – le rivolsi un sorriso fragile e un’espressione più preoccupata che mai. Ella ricambiò comprensiva, e anche quel gesto mi sorprese.
-Sta’ tranquilla. Se non ti agiti andrà meglio di quanto tu possa pensare, credimi.
-L’importante è non separarci – spiegò il caposquadra Mike a noi reclute. –State sempre agli ordini e non avremo problemi.
Un po’ più confortata, mi sfregai le mani e impugnai le redini del mio cavallo, attendendo in silenzio, come il resto dell’Armata, l’apertura dei cancelli. Tutto ciò che era possibile udire fu il vociferare dei civili, che di tanto in tanto gridavano e fischiavano per incoraggiare i soldati.  
Un rumore assordante proveniente dal portone principale si elevò, e notai l’angoscia dipinta sui volti di chi come me si apprestava a mettere per la prima volta piede su un territorio dominato dai giganti.
Erwin diede inizio con un grido alla quarantottesima spedizione oltre le mura, ordinando di avanzare, e il resto del corpo rispose con un boato, cavalcando insieme al comandante verso l’esterno di Trost.
Edmund era partito prima ancora che io, con il cuore in gola e le mani momentaneamente paralizzate, potessi smuovergli le briglie; in pochi secondi eravamo già fuori dal cancello: un’immensa pianura si estendeva davanti a noi, ed era possibile intravedere piccole case in rovina nei dintorni. L’istinto mi portò a osservare meglio l’ambiente alla ricerca di qualche forma di vita titanica, ma ciò che più mi colpiva era quel cielo immenso e azzurro che si trovava sulle nostre teste.
Come avevano osato, quei mostri, privarci di quello spettacolo? Il Wall Rose mi parve improvvisamente troppo piccolo, e l’idea che il popolo non potesse vivere oltre le mura di Trost o di Karanes mi oppresse. Improvvisamente mi resi conto ancora di più quanto fosse importante rischiare addirittura la vita per recuperare la metà dei territori che un tempo l’essere umano teneva sotto controllo; rivolsi un pensiero a quei miei vecchi compagni che, per vigliaccheria o per ragioni ancora più banali e superficiali, si erano arruolati nella Gendarmeria, buttando dunque all’aria tre anni di allenamento intensivi. Ma io, invece, mi trovavo proprio lì, a poche miglia da un gigante che non avrebbe esitato un attimo ad uccidermi. Decisi che avrei donato la vita pur di riconquistare il territorio della mia patria, e i giganti non avrebbero ostacolato il mio obiettivo.
-Caposquadra Mike, c’è un gigante a ovest! – gridò Gunther, quasi per ironia della sorte.
Mi girai immediatamente a sinistra e osservai un enorme umanoide camminare lentamente nella nostra direzione a una cinquantina di metri di distanza. Dire che fosse spaventoso sarebbe troppo poco; nonostante nutrissi un sentimento di pura vendetta nei confronti di quegli esseri, fu più che naturale percepire la sensazione che il cuore si fosse improvvisamente fermato. Non saprei dire se per la velocità con cui galoppavamo o per la visione di quel terrificante esemplare; è certo che in quel momento mi venne voglia di vomitare, benché il mio stomaco fosse del tutto vuoto.
–Avanzate. È poco probabile che ci raggiunga, e ricordate che il nostro obiettivo è raggiungere il punto di appoggio previsto da Erwin– spiegò ad alta voce Mike.
-Non lasciatevi intimorire troppo – aggiunse la sua collaboratrice. –Ci saranno ben altre occasioni per rischiare uno svenimento, ve lo posso assicurare.
Il sotto ufficiale Nanaba era una delle donne che più stimavo, eppure non si poteva certo dire che fosse abile a tranquillizzare la gente, né tantomeno a usare un tono cordiale con chi fosse il suo interlocutore. Insomma, era proprio un soldato della Legione Esplorativa.
-Ha ragione, signorina Nanaba – intervenni io, decisa a prenderla come esempio. Il tono di voce non era più tremante e ridotta ad un filo, ma stranamente più decisa. –Non ci lasceremo intimorire da nessun fottuto gigante, e tantomeno faremo sì che raggiunga i carri. Ci impegneremo, glielo prometto.
Osservai Nanaba rivolgere un’occhiata alquanto sorpresa al suo compagno, ma non ero intenzionata affatto a realizzare l’esatto opposto di ciò che avevo detto: nella mia mente, tenevo ben fisso il motivo per cui mi trovavo a galoppare accanto a quei famosi veterani, e avrei dato tutta me stessa nell’impresa di tenere gli anomali quanto più lontano possibile dai traini, che occupavano la zona centrale dell’Armata, dove risiedeva un numero maggiore di vite umane, dalle quali questo genere di esemplari titanici era attratto.
Ci limitavamo a cavalcare avvistando giganti “normali”, che curiosamente ci osservavano, provando di tanto in tanto a rincorrerci senza riuscire a raggiungere la velocità con cui quei magnifici cavalli della Legione si spostavano. Mike li localizzava col suo infallibile fiuto, il che agevolava tutte le intercettazioni.
Poco dopo, tuttavia, intravedemmo un classe quattro metri correre disperatamente nella nostra direzione; fu alquanto terrorizzante vederlo camminare così accanito verso di noi, eppure tale visione mi fece sovvenire quella di un fastidioso ubriaco che eravamo soliti vedere appollaiarsi davanti la bottega del Signor Ral qualche anno prima che io e Petra ci arruolassimo.
-Caposquadra, attendiamo ordini! È vicino, non riusciremo a deviarlo in tempo! - osservò preoccupata Samanda.
Mike non aggiunse altro; ci volle uno sguardo d’intesa tra lui e l’altro veterano affinché i due caricassero di lame le loro spade e si preparassero ad usare il dispositivo.
-Proteggiamo le reclute, Nanaba - spiegò infine.
Volevano che facessimo da spettatori? La nostra presenza era certamente futile per abbattere un esemplare di quattro metri, eppure non avevo intenzione di rimanere a galoppare senza fare nulla. La nostra missione era principalmente agire contro i giganti, non mi ero affatto prefissata di stare a guardare gli altri.
-Qui praticamente non facciamo nulla - brontolai, non appena i due superiori ebbero cavalcato più velocemente verso il titano.
-Ringrazia il fatto che non dobbiamo già sguainare le spade, Claire - ribatté Samanda.
-Esatto. Ci saranno altre occasioni in cui dovremo affrontare un numero di giganti totalmente più elevato - continuò Gunther. -Ora il nostro obiettivo è cavalcare fino a una delle basi logistiche prevista dal comandante. A quanto ho sentito dire da Erd, dovrebbe essere nelle vicinanze di una vecchia torre; se la zona non abbonda di titani, ci fermeremo lì.
Evidentemente il compito più importante della missione era cercare punti di appoggio che, prima o poi, ci avrebbero permesso di raggiungere i confini del Wall Maria senza incombere in continui massacri con i nemici; ciò che magari avrebbe permesso alla Legione di ottenere maggiori risultati rimaneva, come aveva detto Hanji, la cattura di un esemplare. Eppure, quello che non riuscivo a smettere di pensare in quel momento era di prendere parte, appena ne avessi avuto l’occasione, ad un attacco.
Nel frattempo, Mike e Nanaba erano scesi in campo. Il caposquadra fermò il gigante tagliandogli il retro dei ginocchi, permettendo alla sua compagna di intervenire direttamente sulla nuca; non fu un’azione semplice, lo intuii dal fatto che era quasi completamente impossibile, su quel terreno, permettere al dispositivo di manovra di manifestare tutta la propria efficienza.
-Visto quanto è difficile, Claire? - mi fece notare Gunther. -Forse non saremmo mai stati in grado di combattere come hanno fatto loro su un territorio pianeggiante. Aspetta di raggiungere un bosco, se sei così determinata a uccidere la nostra nemesi.
Dovevo averlo lasciato senza parole; fino a qualche ora prima avevo dato di matto in vista di quella spedizione, e in quel momento sembravo più decisa che mai a rischiare di morire. Non sarei stata tantomeno in grado di dargli una spiegazione, poiché io stessa non comprendevo quel mio attuale stato d’animo. In ogni caso, ciò che sapevo era che, in quell’occasione, non potevamo permetterci di essere un peso per i veterani, ma occorreva agire, nel caso fosse servito.
Poco dopo, il nostro gruppo fu raggiunto da un altro cavallo, quello del capogruppo Gelgard. –Mike, abbiamo bisogno di rinforzi! – gridò. –Il nostro gruppo e quello di Lynne è stato preso in assalto da un gruppo di giganti anomali, e due reclute sono… già state annientate, purtroppo.
Udii fin troppo bene la richiesta d’aiuto del capogruppo; fu inevitabile provare una sensazione di puro terrore, in quanto, al sol sentire la parola “recluta”, il mio pensiero andava ai miei compagni più cari. Mi tranquillizzai solo dopo aver ammonito me stessa di non andare in panico, ricordandomi che Petra, Oruo ed Erd erano sotto la tutela del caporale.
-Non c’è troppo tempo da perdere, allora. Nanaba, affido a te il comando – avvisò il caposquadra, galoppando nella direzione inversa, preceduto da Gelgard.
-Signorina Nanaba, non sarebbe il caso che qualcuno accompagni il caposquadra? – proposi io.
-Non contestare, Hares. Non abbiamo tempo per fare gli eroi; nei casi più estremi, qualcuno userà un fumogeno, e noi andremo in soccorso. Pensate a galoppare, adess…
-Signore, un gigante dietro di noi! – urlò Samanda.
Non appena ci voltammo, i nostri sguardi sgomenti ricaddero su un orribile titano intento a seguirci. Diversamente da quello intravisto prima, ebbi l’impressione che questo stesse correndo molto più velocemente, inoltre le sue sembianze erano notevoli rispetto a quelli che avevo visto precedentemente.
-Correte, non fate storie!
Eseguimmo l’ordine, terrorizzati. Mi accorsi che la mia compagna galoppava più lentamente rispetto a noi, forse perché le era stato affidato il compito di trainare un altro cavallo, oltre al suo.
-Samanda, smuovi quel cavallo e galoppa più in fretta! – gridai apprensiva. Le probabilità che ce l’avrebbe fatta scendevano secondo dopo secondo, dato che il mostro gigantesco proseguiva senza sosta nel suo intento.
Previdi bene. Troppo bene. Prima che potessi accorgermene, la mia amica era già stata intrappolata da una mano del gigante.
Non ebbe molto tempo per gridare, Samanda. Nanaba era scattata in suo soccorso in un tempo che a me parve corrispondere a un centesimo di un secondo, e, amputando con un taglio netto l’arto del titano, liberò la mai amica. Gunther si cimentò nella lotta contro quell’essere, e anche io ero pronta a raggiungere il gruppo, prima di rendermi conto che un altro essere titanico, che corrispondeva perfettamente alla descrizione di Anomalo, mi sfrecciò davanti, probabilmente più intenzionato a raggiungere la grande concentrazione umana attorno ai carri o il gruppo di Gelgard.
Cosa dovevo fare? Non potevo certo lasciarlo dirigersi dagli altri, soprattutto dalla squadra in cui era intervenuto Mike, nella quale i soldati erano già stati notevolmente indeboliti. Eppure, non disponevo di compagni, né ufficiali, che potessero aiutarmi. Mi guardai all’indietro: Nanaba proseguiva nella sua lotta, Gunther era andato in soccorso di Samanda, traumatizzata per terra.
Mentre io continuavo a pensare, l’altro non voleva certo saperne di cambiare rotta. Ecco che decisi di non venir meno al mio compito: avrei rischiato il mio tutto, la mia vita, ma avrei impedito a tutti i costi che quel demone mettesse in difficoltà la Legione.
Qualcosa, dentro di me, mi spinse a caricare velocemente le spade, per poi sparare un pistone in direzione di un albero fulminato davanti a me. Il rampino fece centro prima che il gigante potesse allontanarsi dalla sua traiettoria, allorché mi risultò semplice alzarmi da cavallo facendo fuoriuscire il gas; le lame entrarono direttamente in contatto con la carne dei suoi polpacci, entrambi sminuzzati quanto necessario per farlo fermare e cadere in ginocchio.
Centro, pensai. Non avrei aspettato che il dispositivo mi facesse allontanare di troppo, liberai l’arpione sinistro, precedentemente conficcato nel fusto dell’albero, puntando quello destro nella nuca del titano. Ancora pochi istanti dopo e, data la mia agilità, che mi permise di sfruttare a pieno titolo la tridimensionalità, fui in grado di mettere al tappeto con un taglio profondo quell’esemplare.
Dopo essere stato colpito, il gigante sobbalzò sotto i miei stivali. Rimasi a fissare il taglio che gli avevo inferto, poi le spade e le mie mani, entrambe macchiate di un nauseabondo sangue rossastro intento a evaporare.
Il mio cuore batteva all’impazzata, ed ero incapace di muovere un solo muscolo. I miei occhi, invece, osservavano il titano per terra, che bruciava come carne sul fuoco.
Ma dimmi, bastardo che non sei altro, davvero sono stata io a conciarti così? Questo era ciò che avrei voluto chiedergli, se non avessi avuto anche la lingua paralizzata. –Il mio primo gigante… un anomalo?! – riuscii a balbettare, inginocchiandomi sulla schiena dell’esemplare.
Un forte rumore di zoccoli provenne dalle mie spalle. Subito dopo, riecheggiò la voce squillante della capogruppo. –Claire, che ti sei messa in testa! Sali subito sul tuo cavallo, non abbiamo tempo per raccogliere i fiori per terra.
-Agli ordini signore! – fui obbligata a rispondere, aspettando di essere raggiunta da Edmund.
Nonostante il suo solito tono, Nanaba non mi staccava gli occhi di dosso, probabilmente incerta nel domandarmi se avessi svolto io il lavoro sul quale prima mi ero comodamente agiata.
-Claire, ma l’hai ucciso tu? – Gunther, con gli occhi spalancati, fu decisamente più spigliato di lei.
-Sì. Non potevo lasciarlo raggiungere la squadra dei trasporti, sono troppo esposti, per quanto mi riguarda – spiegai con fare serio. Ebbi l’impressione che le mie orecchie fossero infuocate, dato che stavo cercando in tutti i modi di contenere la mia gioia nell’aver compiuto il mio primo abbattimento a distanza di nemmeno mezz’ora dall’inizio della spedizione; ricordai le parole che avevo rivolto al caposquadra Hanji: “questa non è una gara”.
Ora capivo il senso di quell’espressione che Erwin aveva usato durante la sera della scelta dei cadetti. Offrite i vostri cuori. I soldati del mio corpo venivano molto spesso descritti come suicida, come matti da legare. Io invece pensai che, per quanto ogni volta l’Armata subisse un grave numero di perdite, rimaneva sempre, ai più fortunati, la possibilità di essere premiati dalle fatiche. La forza di volontà non è mai uno spreco, e in quel caso mi aveva aiutata a contribuire al proseguimento di quella spedizione senza perdere la vita. Non avrei fatto altro, da quel momento in poi, se non offrire me stessa al bene dell’umanità e di quella meravigliosa famiglia in cui ero stata benevolmente accolta: quella era la Legione Esplorativa.

Spazio autore: buon pomeriggio! Ancora una volta mi tocca intervenire per fare un appunto, stavolta la faccenda è più seria: avendo proseguito in questi ultimi tempi i miei “studi” (chiamiamoli così) sul mondo di Shingeki no Kiojin, so per certo che la famosa formazione ad ampio raggio era stata pensata da Erwin Smith già due anni prima che si svolgessero le vicende che ho inventato e che racconto in questa storia; ciononostante, ho deciso di fare questa piccola variazione della trama, benché io stessa credo che nulla, in una ff, debba essere cambiato rispetto all’opera originale, per un motivo preciso, che svelerò con il proseguimento del racconto. Detto ciò, buon sabato!
 

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Capitolo 9
*** Secondo attacco ***


Secondo attacco
 
-Quanto tempo dovremo cavalcare secondo lei, signorina Nanaba? – domandò ad un tratto Gunther. Anche lui, come me, osservava preoccupato Samanda: la compagna non presentava nessuna grave ferita, ma il trauma di essere stata afferrata da un titano e il dolore al ventre, attorno al quale ella era stata avvinghiata, la facevano sentire a pezzi.
-Non per molto, credo – rispose la capogruppo, cavalcando senza sosta. -Aspettiamo il fumogeno di Erwin e potremo riposarci un po’. Come ti senti, Samanda?
Quest’ultima, tenendosi lo stomaco, disse di stare bene, per quanto il suo viso suggerisse tutt’altro. –La ringrazio, per avermi salvato – aggiunse poi alla veterana.
-Non c’è di che. Ma non sperate che, durante le prossime missioni, ci sia sempre qualcuno in grado di salvarvi. Non disporrete dell’aiuto di molti soldati, quando tutti avremo i giganti alle calcagna – spiegò lei.
-Tieni sempre gli occhi aperti, Sam. Vedrai che andrà tutto bene – strizzai l’occhio alla mia amica, visibilmente più rincuorata.
Pochi secondi dopo, fummo raggiunti dalla squadra dei superiori Gelgar e Lynne, accompagnati dal caposquadra. Notai l’assenza di un certo numero di soldati, tra cui i due cadetti ai quali aveva accennato il primo dei due veterani. Mi pianse il cuore sapere che erano già stati sconfitti dal nemico, eppure dovei comprendere da sola che quella squadra, a differenza della mia, non era stata così fortunata da deviare molti di quei mostri. In diverse occasioni, la fortuna era uno dei fattori che influiva sulla perdita di molti innocenti, durante quelle spedizioni.
-Nanaba, ci siete tutti? – ella venne chiamata da Mike.
-Sì, una recluta se l’è vista un po’ male, ma ce la siamo cavati – annunciò la veterana dai corti capelli biondi. -Hares vi ha salvati da un altro anomalo che correva verso di voi.
Controllai le redini del mio destriero beige, arrossendo. Come mi avrebbe raccontato Gunther poco dopo, mi ero persa lo stupore dipinto sui volti degli ufficiali.
-Claire? Da sola? – domandò il caposquadra.
-Non ho idea di come ci sia riuscita, ma sì – confermò Nanaba, studiandomi divertita.
Ero fiera di me stessa, ma iniziai a sentirmi anche totalmente in imbarazzo. -Non è stata un’impresa difficile, - intervenni, -quell’esemplare mi evitava, si è reso conto di me solo alla fine. Non ho potuto fare altrimenti, mi è sembrato che voi foste già in difficoltà – rossa in volto, più che i superiori, guardavo l’espressione sorridente di Gunther.
-Complimenti, non è da tutti abbattere un anomalo su un territorio così irregolare per il movimento tridimensionale – si complimentò raggiante Lynne. Anche Mike e Gelgar mi rivolsero un incoraggiante sorriso, prima di avvistare un fumogeno giallo davanti a noi.
-Ecco il fumogeno di Erwin. Seguiamolo, dovrebbe condurci alla zona dove ha intenzione di fermarsi – ordinò il caposquadra.
Ero al settimo cielo, poiché da lì a poco avremmo potuto riposarci per qualche ora. Mentre seguivamo la scia di colore giallo, sperai con tutto il cuore che la squadra di Levi fosse già sul posto; parte del mio stress era dovuto anche al fatto di essere stata assegnata ad una squadra che non aveva contatti con quella della mia amica.
Una volta terminata la cavalcata, intravidi la squadra del comandante, il quale aveva deciso di accamparsi, come previsto da Gunther, attorno ad una torre in rovina, base logistica perfetta per l’avvistamento. Con mia grande gioia, notai che era intento a parlare con il caporale, con Petra alle sue spalle. La mia amica sorrise spontaneamente alla vista dell’arrivo della mia squadra, dunque scesi con un balzo da cavallo, sfrecciando davanti agli ufficiali e assalendo la mia amica.
-Claire, sei qui! – mi strinse, ridacchiando. Se non avessi sentito la pressione data dalla presenza degli ufficiali attorno a noi, mi sarei già sfogata in un pianto di gioia.
-Sono così contenta di rivederti, Petra – la abbracciai sempre più forte. Non l’avrei lasciata per almeno dieci buoni minuti, se non avessi visto per terra le ombre dei superiori.
-Come ve la siete cavata, Mike? – chiese Erwin al mio caposquadra, controllando la formazione dell’Armata su un foglio di pergamena.
Mike gli riportò soprattutto l’attacco di alcuni anomali alla squadra di Gelgar, costretta, secondo la formazione, a galoppare troppo vicino alle rovine di un villaggio per essere capaci di deviare facilmente i titani di quella zona.
-Due reclute non ce l’hanno fatta – disse infine Mike, leggermente affranto.
Il comandante guardò per terra pensieroso, arrotolando nuovamente la pergamena. –Capisco. Occorre rivedere la formazione per le reclute – si toccò il mento, col volto crucciato. –Ho sbagliato a collocare alcuni di loro così a rischio, questa è la verità. Non possiamo permetterci di perdere così in fretta altre vittime.
-Non è la prima volta che accade, Erwin – aggiunse Levi. –Qualsiasi luogo, al di fuori dalle mura, è popolato dai giganti. Non possiamo far sì che chiunque se la cavi, a meno che non cambiamo le strategie.
Ciò proferito dal caporale suonò come un campanello di allarme alle orecchie di tutti, quasi come se avesse voluto incolpare il comandante. Difatti, il corvino e il biondo si scambiarono una fugace occhiata, mentre il resto dei soldati osservava disorientato la scena.
Erano giunti, nel frattempo, i miei ultimi due amici assegnati alla guida di Levi. Erd mi sorprese di spalle, Oruo, col suo abitudinario fare pretenzioso, mi diede una scherzosa spallata, sorridendo compiaciuto. –Un classe sette o otto metri.
-Che scemo! Non vorrai mica vantarti a vita perché sei riuscito a far saltare una schifosa collottola da uno stupido gigante? – intervenne Petra. –Aiutato dal capitano e da Erd, per giunta.
-Sì, ma pur sempre una collott… – aggiunse il compagno, prima di mordersi accidentalmente la lingua. Solo più avanti avremmo scoperto il grande talento di Oruo nell’intercettare la nuca dei nostri nemici, benché fosse un soggetto a cui molto spesso capitava di distrarsi durante l’utilizzo del dispositivo di manovra. 
-Sono contento di come abbia lavorato la mia squadra – udimmo la voce del caposquadra Mike, rivolta al comandante Erwin. –Gli altri novellini se la sono cavati bene, una recluta è anche riuscita ad abbattere un anomalo.
Divenni improvvisamente rossa, distogliendo lo sguardo dalla coppia di ufficiali e osservando il terreno, lisciandomi la coda di cavallo.
-Un cadetto ha abbattuto un anomalo? – domandò incredulo il comandante.
-Non sarà stata mica… - iniziò Erd.
-Claire Hares – risposero all’unisono Gunther e il mio Caposquadra, rivolgendomi un sorriso.
Non ebbi il coraggio di alzare il capo; ero consapevole che tutti mi stessero osservando, nonostante io stessa non fossi intenzionata a dare chissà quale peso alla questione; chiesi a me stessa la ragione per il quale i soldati non capissero la banalità della mia decisione istintiva.
-Ha protetto il gruppo di approvvigionamento da un classe sette metri – aggiunse impassibile Nanaba. –Io, Flores e Shulz eravamo indaffarati con un altro esemplare, non avremmo potuto intervenire in quel momento.
Erwin Smith era incredulo, gli occhi del caporale Levi erano fissi su di me.
-Possiamo… lasciar stare la questione? – chiesi imbarazzata. –Alla fine ho fatto solo il mio dovere, e ho agito anche in maniera abbastanza istintiva.
-Sei stata fenomenale, Claire! – mi abbracciò ancora una volta Petra, ritornando in sé appena le si avvicinò il suo superiore.
-I carri stanno arrivando. Aiuterete voi la logistica a sistemare gli approvvigionamenti e le tende, intesi? – comandò il capitano.
Entrambe rispondemmo di sì, contente di avere la possibilità di passare finalmente del tempo insieme. Non appena Levi si dileguò, mi accorsi della presenza della Caposquadra Hanji; non attesi ulteriormente, le andai incontro in maniera alquanto forsennata.
-Claire, anche tu qui? – mi salutò calorosamente, intenta a impartire ordini ai propri uomini di fiducia. –Questi sono i miei più stretti collaboratori – esordì poco dopo lei. –Ci aiuteranno nell’impresa, semmai dovessimo non farci beccare da Erwin – bisbigliò infine, facendomi rimanere abbastanza interdetta: come avremmo potuto attuare il suo progetto lontani dalla supervisione del comandante?
Osservai tutti coloro che facevano parte della sua squadra d’élite; alcuni, dato l’aspetto fisico e l’atteggiamento abbastanza tipico di fanatico ricercatore di titani finiva col ricordare molto il loro ufficiale.
-Lei è Claire, la recluta più in gamba e intelligente che potesse capitarci quest’anno; collaborerà con noi, ragazzi – aggiunse Hanji.
Mi misi sull’attenti, avvicinando il pugno della mano al petto e iniziando a sentirmi a disagio per la presenza di tutti quei veterani; come se non bastasse, si aggiunse anche il caporale, che mi invitò, con modi tutt’altro che cordiali, a fare ritorno da Petra per aiutare la Logistica a piazzare le tende.
-Vedo che ti diverti qui fuori, Hares – constatò lui, prima che potessi raggiungere la ragazza dai capelli ramati.
Non nascondo che in quei momenti non avevo voglia alcuna di sistemare i rifornimenti trasportati dai carri. Morivo invece dalla voglia di affrontare altri titani, addirittura rimettermi in cammino verso il Wall Maria, benché l’obiettivo della missione era quello che colloquialmente i generali definivano “l’andare e tornare”.
Lasciai ingiustamente che parte del lavoro lo svolgesse Petra; improvvisamente iniziai a sentirmi troppo stanca per continuare, e, avvilita, avvertii un membro della Logistica che avrei preferito occuparmi della sistemazione dei cavalli, azione che richiedeva uno sforzo decisamente più ridotto.
Quando la mia amica ebbe finito, fu così gentile da recarsi da me per rendermi la sua borraccia. –Uccidere gli anomali risulta faticoso, eh? – scherzò.
Mi sedei sui bordi di una vecchissima e lacerata staccionata, iniziando a deglutire voracemente l’acqua. -Abbastanza. Il vero problema è che ero così agitata, stamattina, da saltare la colazione – rivelai.
-Che idiota! – mi riprese lei, piuttosto risentita. –Avresti potuto svenire nel bel mezzo della galoppata.
Feci spallucce, aspettando a braccia incrociate di sorbirmi le apprensioni di Petra fino a che non udii qualcuno avvicinarsi a noi: Mike mi stava gentilmente offrendo un cracker.
-Caposquadra, non ce n’è bisogno, davvero – aggiunsi. Lui però, in silenzio, parve irremovibile, e fui costretta ad accettare senza discutere.
-Il Caposquadra Mike è molto dolce nei tuoi riguardi, e così anche Hanji – notò raggiante Petra, non appena il veterano si fu allontanato.
-Già – approvai, con la bocca piena. –L’unico che sembra odiarmi è il capitano. Hai fatto caso? Chiama te per nome, invece mi parla col suo solito tono del cazzo urlando: ‘Hares, fa’ questo’, ‘Hares, fa’ quell’altro’.
Petra tentò in qualsiasi maniera di fermare il mio discorso a causa della presenza del diretto interessato alle nostre spalle, intento ad accudire il suo destriero. Che chiunque legga tali avvenimenti mi creda, se dico che non ne potevo più di trovarmi sempre in quelle situazioni sgradevoli che, per giunta, accadevano sempre con la stessa persona.
-Ecco perché ti chiama per cognome – bisbigliò Petra ridacchiando, mentre ero costretta a sorbirmi la solita occhiataccia da parte di Levi.
-Hai intenzione di rimanere a fare merenda qui ancora per molto, Hares? – domandò in maniera acida lui. –Visto che sei qui a non fare niente, puoi pensare tu a spazzolare il mio cavallo. Non mi sta bene che gli altri fatichino mentre tu ti adagi sugli allori.
Detto questo si congedò, dopo avermi porto la spazzola che poco prima stava usando. Ero disperata: nei miei confronti, quell’enorme equino grigio si comportava in maniera ancora più scontrosa del suo cavaliere, e sarebbe risultata un’impresa persino spazzolargli il manto.
-Da ora in poi, terrò la bocca cucita tutto il tempo – giurai, mettendomi all’opera.
-Voglio proprio vedere – ridacchiò Petra, che iniziò a raccontarmi l’esito della sua cavalcata col suo adorato caporale. A dir la verità, poco prestavo attenzione alle parole della mia amica, soprattutto perché indaffarata in qualcosa di irritante, ma distolsi l’attenzione da qualsiasi cosa non appena ebbi come l’impressione di ricevere delle intense vibrazioni.
Scosse che dentro le mura non avevo mai udito prima, ma completamente pesanti, seppur abbastanza lontane, accompagnate da versi bizzarri e cupi e lo struscio dei rami degli alberi. Li sentivo, in qualche modo, ronzare impetuosamente nelle mie orecchie.
-E infine ci siamo occupati, come ha detto Oruo, di un classe sette o… - zittii la mia amica, guardandola preoccupata. Osservandomi in quel modo, anch’ella cambiò improvvisamente espressione. –Che succede, Claire?
-Vibrazioni – mormorai e corsi immediatamente verso l’ufficiale più vicino; fu un sollievo trovare il Comandante Erwin a due passi dall’improvvisata scuderia, intento a discutere con altri due uomini di un certo calibro.
-Comandante? Comandante? – gli corsi incontro, urlando il suo nome.
 Egli sembrò ignorarmi, continuando a dare ordini ai suoi due subordinati. –La torre ci permetterà di tenere l’area sicura, in ogni caso tenete sempre gli occhi ben aperti.
-Comandante? La prego, mi ascolti! – continuavo io impaziente. Mi ero accorta che il gruppo di Erwin era, rispetto alla scuderia, più vicino al bosco che occupava buona parte dei territori a nord della nuova base. Le scosse mi parevano sempre più forti e vicine.
-Finiscila di gridare! – tuonò il capitano alla sinistra di Erwin. –Non abbiamo tempo per le tue assurdità.
-Ci sono delle vibrazioni, a terra! – dichiarai. –Le percepisco sempre più vicine, penso provengano dal bosco.
Calò il silenzio tra i tre uomini, che provarono a udire ciò che decantavo.
-Non sento nient…
–Sento l’odore. Si muove qualcuno verso di noi. Dal bosco – il capitano venne interrotto dal mio caposquadra, corso incontro al comandante.
-Non perdiamo altro tempo! – constatò apprensivo Erwin. -Levi, pensi che la tua squadra possa occuparsene?
La squadra di Levi comprendeva momentaneamente, a detta sua, solo il trio di reclute a lui assegnate; certi non disponevano di movimento tridimensionale, altri ancora non avevano raggiunto la base di rifornimento.
-Ci penso io, Erwin. Le mie reclute sono abbastanza in grado di cavarsela – lo rassicurò il capitano, ma io non ero intenzionata a lasciar andare Petra ancora una volta da sola.
-Verrò anch’io – proferii, preoccupata per la risposta dei due ufficiali. –Vi prego, lasciatemi combattere.
Occorsero due istanti affinché Erwin si schiarisse le idee, dopodiché disse: -Va bene, puoi essere di aiuto per loro, è bene che tu vada.
-Ai suoi ordini, signore! – risposi scattante, correndo incontro a Gunther, invitandolo a dirigersi con me verso i destrieri. -Ci avventureremo nella foresta con il caporale. Dobbiamo aiutare – spiegai io, saltando in groppa a Edmund, attendendo il resto della squadra; poi attendemmo di essere guidati dal caporale all’interno del bosco con le sue reclute.
-Non ho idea di come tu abbia fatto a percepire le vibrazioni, - si rivolse a me il capitano, - ma adesso rispondi a questo: sono molti?
In quell’istante non seppi cosa rispondere. Certamente qualche momento prima non mi ero messa a contare con esattezza il numero dei passi da me avvertito, di conseguenza non avrei mai saputo rivelargli la quantità di vite titaniche presenti nel bosco. –Non ne ho idea, capitano – ammisi.
-Capisco. Tenete gli occhi bene aperti, tutti voi! – ordinò lui.
Mi sentii in colpa per non essere stata d’ulteriore aiuto, perciò decisi che avrei rimediato. Dopo un po’, non cavalcai più alle spalle di Levi, ma mi staccai dal gruppo, galoppando davanti a loro col fine di recepire nuovamente le vibrazioni senza essere ostacolata dal rumore degli zoccoli.
-Ehi, mocciosa! Cosa credi di fare? Stai indietro, non esporti troppo!
Non mi curai di prestare attenzione al mio ufficiale; tirai bruscamente le redini del mio destriero e tesi quanto più possibile l’orecchio, in cerca di un minimo rumore di passi titanici nei dintorni.
-Hares! Ti spedisco indietro, maledetta! – continuava il capitano.
Attesi che il mio gruppo mi raggiungesse, prima di fare rapporto: -E’ alla nostra destra, signore! Lo sento… è gigantesco!
Non seppi dare una spiegazione a tale dote, scoperta a distanza di nemmeno cinque minuti. Saprei descrivere bene quel fastidioso tumulto che mi era entrato nelle orecchie da che avevo iniziato ad avvertire movimento sospetto nelle vicinanze e che mi rimbombava nella testa, echeggiante.
-Come fai a sentirlo? – mi chiese Oruo.
-Non abbiamo tempo per metterci a chiacchierare, dobbiamo abbatterlo. Preparatevi al combattimento – ordinò il caporale. –Hares, guidaci tu.
Feci come disse, cavalcai fino a che tutti non intravedemmo un possente esemplare dirigersi con passo pesante verso l’esterno del bosco. Era talmente gigantesco tale da potersi permettere di oltrepassare gli alberi semplicemente estirpandoli con le braccia.
-Capitano, è troppo pericoloso per noi reclute – osservò Oruo. –Non saremo mai capaci di affrontarlo.
-Non è detto – tolsi la parola a Levi. –Se collaboriamo, possiamo farcela.
-Cosa hai intenzione di dire, Claire? – domandò Erd. Gli occhi di tutti erano fissi su di me.
-Dico che dobbiamo attaccarlo contemporaneamente in più punti. Lo indeboliremo, così sarà semplice farlo fuori – proclamai, preparando le lame.
-Claire, non sei tu a decidere – intervenne Petra, galoppando al fianco di Levi. –Spetta al capitano impartire ordini. Lui avrà un piano decisamente più efficace per questi casi. Vero, caporale?
Quest’ultimo rimase in silenzio. –Non ci sono molti piani, per questi casi. Spetta all’istinto decidere il da farsi.
Ammutolirono tutti. E ora? A quanto volesse dire, nemmeno il caporale maggiore aveva in mente un’idea su come proteggere l’accampamento disponendo di novellini.
Compresi che ci toccava rischiare a tutti i costi. –Il mio dice che dobbiamo attaccarlo tutti insieme – risposi poco cauta. –Capitano, se io faccio da esca al gigante, possiamo condurlo nella parte opposta, al centro della foresta. Lì dovrebbe esserci un’area più aperta, dove possiamo usare il dispositivo.
-E una volta lì? Come pensi che possiamo cavarcela? – chiese Oruo.
-Due di voi interverranno dai lati per fermare la corsa del gigante, poi attaccheremo tutti insieme. Siamo in sei, accidenti. Saremo sicuramente in grado di fare a fette quell’essere. Dobbiamo solo cercare di essere coordinati, e attaccare all’unisono.
Pregai qualsiasi divinità esistente affinché ottenessi la fiducia di colui a capo della squadra. Mi voltai verso di lui: come sempre, mi guardava freddo e inemotivo. Ero pronta ad arrendermi.
-Ti rendi conto che il tuo piano è folle? Non puoi fare da esca per un soggetto di quel tipo! – intervenne Petra.
-Facciamo come dici tu – approvò il capitano, in maniera del tutto inaspettata.
-Cosa? Ma, signore… - aggiunse la mia amica.
-Ma attenta, Hares. Se dovesse fallire il piano, però, sarai la prima a pagarne le conseguenze – spiegò lui. –Te la senti, allora?
Petra mi supplicava con lo sguardo di lasciar stare, ma avevo fatto un giuramento al quale non potevo oppormi. –Sissignore. Lo guiderò all’interno della foresta.
Deglutii, realizzando che, forse, era davvero un’impresa folle. Cosa poteva saperne una recluta come me di adescare un titano anomalo, a dispetto di tutti coloro che, invece, avevano dietro di loro anni e anni di esperienza?
Sfortunatamente, non potevo più tirarmi indietro: ora dovevo seguire gli ordini del capitano e avvicinarmi quanto prima al gigante per fargli variare la rotta.
Mentre il resto della squadra si diresse nella zona interna del bosco guidato da Levi, io galoppai con Edmund per qualche altra decina di metri, dopodiché mi bloccai esattamente davanti al gigante.
-Vieni qui, brutta feccia! – esclamai, aspettando l’arrivo del demone col cuore in gola.
Questi, nel vedermi, esitò qualche attimo, ma poco dopo il suo braccio si prostrò nella mia direzione, e io, più rapida, deviai la sua mano con un balzo, riprendendo a cavalcare.
Gli passai sotto le gambe, galoppando nella direzione opposta, verso il cuore del bosco. Il titano non tardò a rincorrermi; non era veloce, ma da quanto avevo capito poco prima, era assai agile. Quasi per caso ero riuscita a scampare alla sua presa, e in quel momento non avrei mai saputo se si fosse messo a camminare più velocemente.
-Vedo che sei spigliato – appurai, tenendo ben salde le briglie. –La squadra di Levi ti concerà per bene, ne sono sicura.
Iniziai a sudare freddo, ma, irremovibile, continuavo a muovermi verso gli altri, attendendo rinforzi.
L’area centrale del bosco, più sgombera di alberi, si faceva sempre più vicina. Poco più avanti, adocchiai Gunther e Erd, sistemati ai lati del sentiero che conduceva al centro, pronti ad attaccare.
Smossi un’ultima volta le redini dell’animale, correndo ancora più veloce lungo il tragitto. Nel frattempo, una volta che il gigante ebbe attraversato gli ultimi alberi prima di raggiungere il luogo da me predestinato, Erd e Gunther attaccarono sul retro di entrambi i ginocchi.
Fui soddisfatta del loro lavoro, tuttavia, poco prima, mi ero resa conto che la forza di quel gigante stava soprattutto nell’agilità delle braccia. Parlarne risulta ancora curioso: come avrei capito anche in seguito, ognuno di quegli esseri si distingueva per una particolare caratteristica, e il grado di difficoltà nel sopprimerli non consisteva, dunque, solo ed esclusivamente nella stazza.
Con il mio dispositivo, raggiunsi il titano e mi occupai del loro indebolimento: due tagli di buona profondità sull’avambraccio sinistro. La forza di cui disponeva il capitano Levi permise a quest’ultimo di riuscire ad amputare direttamente quello destro.
I miei tagli non erano riusciti a fermare il braccio rimanente; Petra arrivò in mio soccorso, mutilando le dita della mano, in maniera tale che il nemico fosse incapace di attaccare a sua volta. Fu Oruo, infine, a dirigersi verso la collottola per mettere fine alle sofferenze di quel mostro.
Un grido di agonia provenne dalla bocca del gigante. Fu l’ultimo rumore udibile nel bosco, prima che calasse il silenzio tra tutti i soldati.
Con mio grande piacere, il piano da me designato, seppur improvvisato, aveva dato buoni frutti. L’accampamento era salvo da anomali.
-Ce l’abbiamo fatta – notò Gunther, non appena ebbe raggiunto il resto della compagnia.
-Nutrivo forti dubbi, invece ce la siamo cavata – aggiunse Erd, sorridendomi insieme agli altri. –Ottimo piano, Claire.
-Recuperate i cavalli, - annunciò il capitano, tirando fuori uno dei suoi fazzoletti per pulirsi le impugnature, -La base non avrà più problemi, da adesso. Ci sei stata di aiuto, Hares. Devo riconoscerlo.
Gli rivolsi un sorriso, ovviamente non ricambiato, portandomi ancora una volta la mano al petto prima di allontanarmi, fiera dei risultati ottenuti, verso i nostri destrieri.

Spazio autore: benissimo, eccoci di nuovo qui! che dire, la squadra di Levi prende sempre più forma, e c'è da notare che questa Claire ha cinquanta talenti ma non le riesce proprio bene fare bella figura con i superiori, specialmente col caporale... insomma, è qualcosa che alla sua amica Petra riesce di gran lunga meglio XD.
Alla prossima, tanti baci !!

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Capitolo 10
*** Strategia ***


10. Strategia
 

Sfilai da un taschino della giacca un frammento di cracker, con il quale premiai il mio famelico cavallo. Edmund non attese un solo secondo a divorare quanto gli avevo offerto, e accidentalmente la mia mano finì nella sua bocca con il cibo.

-Che maiale! –brontolai, dandogli un buffetto sulla criniera.

-Piano piano stai riuscendo ad ottenere la stima del capitano, visto? – ridacchiò la mia compagna, salendo sul suo destriero.

-Lo spero. È già tanto che abbia acconsentito ad attuare il mio piano.

Petra si fece subito seria, anzi, quasi si rattristò. –Claire, devo chiederti scusa, per prima. Non so cosa mi sia successo, ho quasi avuto paura di dover affrontare quel mostro, e volevo tirarmi indietro. Ho perso di vista il mio obiettivo, mi sono comportata da codarda.

Le sorrisi amorevole, imitando il suo solito comportamento nei miei confronti. –Ma che dici? Non è vigliaccheria, è consapevolezza. Ma io credo che la nostra missione, qui, sia rischiare il tutto e per tutto a qualunque costo. Non vedevo altre vie d’uscita, se non mettere in salvo la torre da quel mostro prima che attaccasse la Legione, per questo ho pensato di sfruttare le nostre abilità per abbatterlo il prima possibile.

Ella annuì, e il suo volto, poco dopo, divenne raggiante. –Hai ragione, Claire. Sei stata fenomenale ad attuare un piano in un momento di tanta tensione – esitò qualche attimo, poi mi sorrise di nuovo. –Grazie per avermi fatto capire il senso di tutto ciò.

Stava esagerando la situazione, pensai, eppure non mi dispiacque aver ottenuto la sua stima, oltre quelli del capitano. –Non c’è di che, Petra. E, non preoccuparti, non dirò all’intera Legione che tu e Oruo ve la siete fatta sotto durante la vostra prima spedizione.

Petra si incupì di nuovo, vedendo avvicinarsi Gunther e Erd. –Davvero è successo? – rimase impietrito quest’ultimo. –Buono a sapersi!

-Non temere, -aggiunse l’amico, -ci preoccuperemo noi di farlo sapere a tutto l’esercito.

La mia compagna era rossa, così anche Oruo, che sistemava il suo cavallo dietro il destriero della ragazza con fare indifferente.

-Come se voi non vi foste lasciati intimorire… Vi ricordo che io ho dato il colpo di grazia a quell’essere. Per la seconda volta!

Gli tirai una gomitata nelle costole. –E’ stato tutto merito nostro, soprattutto del capitano – spiegai. –Smettila di vantarti per queste scemenze, la gloria non si conquista con così poco, caro Oruo.

Mi liquidò con una smorfia, prima di essere incitati ancora una volta dal caporale a montare sui nostri destrieri e avviarci all’accampamento, dove fummo accolti dai restanti membri dell’Armata, impazienti di conoscere il resoconto del nostro incarico nella foresta.

Se fossi rimasta da lontano a osservare la scena, probabilmente avrei riso: il gaio gruppo di reclute stava facendo ritorno insieme al caporale maggiore in tutta tranquillità e naturalezza dopo aver abbattuto quel colosso che, poco prima, si stava dirigendo con foga verso l’accampamento.

Udii un bisbiglio continuo, non appena avemmo raggiunto la base con i nostri cavalli. Galoppando con fare serio a passo d’uomo, sono felice di poter finalmente rivelare quanto mi sentissi orgogliosa del mio piano, attuato con estremo rigore dai miei amici più cari e approvato persino dal migliore soldato dell’esercito.

-Abbiamo sconfitto l’anomalo che si stava dirigendo qui – mentre scendevo da cavallo, Levi fece rapporto, ancora sopra il suo destriero, a Erwin. Il suo sguardo si soffermò poi su di me. –Penso non ci siano altri titani nelle vicinanze.

Era un’affermazione, oppure voleva sapere proprio da me se l’area fosse sicura?

Non risposi, mi limitai a osservare lui e il comandante, tesa e confusa.

-Hai capito la mia domanda, Hares? – domandò spazientito. –O forse il tuo udito non è così sviluppato come pensav…?

-No, no! Ho capito bene, capitano! – esclamai ad alta voce, incapace di spiegarmi il motivo per il quale il caporale maggiore Levi mi intimorisse in quella maniera solo quando portava la divisa e il mantello verde. –Credo non ci sia più nessuno che possa disturbarci, ora.

Non percepivo più delle strane vibrazioni e rumori sospetti, eppure non facevo altro che interrogarmi sulla ragione per cui il caporale avesse utilizzato proprio quell’espressione: udito sviluppato.

Fino ad allora, non mi ero mai resa conto di possedere il talento nell’intercettare suoni a lunga distanza, forse perché nemmeno ci avevo fatto caso. Adesso, tutto la Legione, compresi i miei compagni più fidati, mi guardavano interdetti, chiedendosi forse se quella recluta mingherlina con il viso paffuto (caratteristica che Petra non mancava mai di osservare) fosse davvero capace di udire suoni solitamente non percepibili all’udito umano.

Vidi l’ombra di qualcuno avvicinarsi lentamente dietro di me. Non appena mi girai, incontrai gli occhi spalancati e la bocca serrata della caposquadra, che, con uno scatto, mi assalì iniziando ad urlare. –CLAIRE! CHE COSA ECCEZIONALE! STUPENDA!

-Caposquadra Hanji, la prego… - venne in soccorso Moblit, a disagio.

-Ci verrai ancora di più in aiuto, adesso che sappiamo che sei in grado di ascoltare i passi dei giganti! UAHAHA!

Ero sbiancata appresso al suo secondo, non avendo idea di come comportarmi a seguito della reazione della caposquadra. –Spiegami come diamine fai, ti prego! Questa cosa è assolutamente meravigliosa! Comprendi, vero, l’importanza di questa tua dote?

Iniziò a saltellare, stringendo una delle mie mani tra le sue. –Magari sarà stato un caso. La prego, signore, non ci dia troppo peso. Forse non c’è niente da elogiare, dopotutto – la supplicai inutilmente, perché, una volta terminati i suoi saltelli isterici, mi venne addosso di nuovo.

-Ah, non credo proprio, bella. Il Corpo di Ricerca non sarà più lo stesso, d’ora in avanti!

Avrei voluto scappare nella foresta e darmi in pasto a qualche titano, pur di non avvertire ancora una volta, come la sera precedente, gli occhi di tutti puntati su di me.

Terminato il suo sfogo, compresi che da quel momento in poi sarei stata oggetto di discussione di tutti i membri della Legione per qualcosa di assolutamente bizzarro e atipico. Non avevo idea di come affrontare la questione, più tardi mi ritirai leggermente avvilita nella mensa degli ufficiali, senza nemmeno preoccuparmi che la posizione che mi spettava non mi acconsentiva a frequentare tali luoghi.

La trovai sgombera, dunque mi sedei noncurante ad un tavolo, dopo aver recuperato dalla sella di Edmund il mio caro blocchetto da disegni.

L’abbattimento di poco prima mi aveva spinto a elaborare nuove strategie, oltre a quelle che avevo assimilato durante il mio addestramento nei giorni precedenti la spedizione. Compresi, infatti, che avrei potuto sfruttare bene le doti dei miei quattro amici per ideare delle tattiche (da utilizzare soprattutto nei casi degli anomali) che si basavano su un principio primordiale: la coordinazione.

Mi affrettai a disegnare l’anatomia dei titani rispettando le tre dimensioni, così da poter rappresentare benissimo i movimenti dei nostri dispositivi, e a distribuire i vari compiti ai miei compagni in base alle loro personali abilità.

La forza di Gunther e di Erd era incomparabile rispetto alla mia, essendo quasi simile a quella del caporale maggiore, ragion per cui spettava a loro il compito di intervenire per primi nella sottomissione del nemico, intervenendo in particolar maniera verso gli arti.

Petra e Oruo sapevano utilizzare con assoluta destrezza il dispositivo di manovra, motivo per il quale a loro spettavano, secondo la mia strategia, gli attacchi a sorpresa. Speravo con tutto il cuore che Petra non avrebbe discusso circa il compito che le avevo predisposto, essendo costretta a collaborare quanto più possibile con il ragazzo vanitoso.

Il problema era che tutti quegli abbozzi e quelle idee assolutamente amatoriali, che non avrei potuto mai e poi mai presentare agli ufficiali fino a che non fossi promossa di grado, erano destinati a rimanere rinchiusi in quel blocco assieme agli innumerevoli ritratti che realizzavo durante il mio tempo libero; tuttavia, in quel momento non me ne fui resa conto, e la gioia nell’essere riuscita a indurre la squadra di reclute a mettere in atto il mio piano mi illuse e mi autoconvinse circa la possibilità che un mio progetto potesse essere approvato dai superiori.

Continuavo a disegnare e a elaborare nuove tattiche, così indaffarata da non affatto pensare che prima o poi qualcuno sarebbe entrato nella tenda e si sarebbe accorto della mia inopportuna presenza.

-Gunther ti cercava, Claire.

-Comandante Erwin! - la voce del Comandante Smith mi fece sobbalzare. Nel giro di un attimo, buona parte dei fogli chiusi nel blocco volarono per terra. –Accidenti!

Mi affrettai a recuperare ciò che mi apparteneva quanto prima potessi, dimenticando la bontà che caratterizzava la personalità del capitano di divisione, in contrasto col carattere accigliato del caporale. –Aspetta, ti aiuto io – si propose gentilmente lui, rialzando generosamente alcuni dei miei schizzi.

-Grazie, signore – mormorai mortificata, inizialmente ignara del fatto che egli avesse sfortunatamente raccolto, tra tutti, proprio il suo ritratto!

Mi sentii ulteriormente sfortunata non appena alzai gli occhi verso di lui: lo sguardo del comandante era fisso sul foglio di carta su cui lui stesso era stato raffigurato.

-Comandante, io… - borbottai. I suoi occhi incredibilmente celesti incontrarono i miei.

–Hai delle doti magnifiche, Claire – mi sorrise. –Non ho mai visto un disegno più bello, te lo assicuro. Posso tenerlo?

Annuii, più rossa di un pomodoro. Mi alzai imbarazzata, lui teneva ancora il mio foglio, che poco dopo piegò per riporselo nella tasca interna della giacca. –Grazie per i complimenti. Ora vado – riferii. –Capisco che questo posto è riservato solo agli ufficiali, e io non c’entro niente.

-Non scusarti – mi rivolse ancora una volta un sorriso. –Scusami tu se ti ho interrotta. Puoi tranquillamente sederti qui e continuare quello che facevi prima, se non ti piace essere disturbata.

Acconsentii, risedendomi allo stesso posto di prima.

-Eri abbastanza indaffarata, da quanto ho potuto constatare. C’entravano i tuoi compagni, non è vero? - risposi di sì, leggermente confusa. –Non facevi altro che bisbigliare i loro nomi. Doveva essere alquanto importante.

Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ansiosa. –Sì. Vede, loro sono molto dotati, per cui preparavo una sorta di strategia dove tutti e quattro potessero coordinarsi e sconfiggere facilmente il nemico, - spiegai, -tuttavia, so bene che queste competenze non mi riguardano affatto.

Sistemai nuovamente i fogli caduti dentro al blocchetto. –Ho capito che ti interessano le strategie – osservò lui. –Levi mi ha parlato del piano che avete attuato prima, nel bosco. Mi ha detto anche che è stata opera tua.

Arrossii di colpo. –Be’, sì. Non è stato niente di speciale, alla fine. Bisognava agire in fretta, e a nervi freddi. Non credo di aver fatto nulla di eclatante.

-Non sottovalutarti, Claire - mi invitò lui, come aveva fatto qualche ora prima Levi sul tetto della Base del Wall Rose. -Possiedi talento, e ora tutta la Legione si domanda il motivo per cui riesci a sentire il suono dei passi dei giganti.

Roteai gli occhi. -Non ne dubitavo, comandante.

Egli sedette accanto a me. -È necessario attuare delle modifiche all’interno del Corpo - spiegò lui. -Su ogni aspetto. Da poco ho preso il posto di comandante della Legione, ma mi sono ancora di più reso conto di quanto sia indispensabile introdurre nuove strategie - si fermò per qualche istante, prima di proseguire. -Forse sarai la prima non ufficiale a saperlo, ma sto elaborando un piano di spostamento per fare in modo che l’intera Armata si muova all’unisono durante le spedizioni.

Un nuovo piano per lo spostamento? Era quello a cui Levi aveva alluso qualche ora prima?

-Non mi permetterei mai e poi mai di mettere in dubbio le sue capacità di generale, signore, eppure la vedo complicata riuscire a far muovere insieme una truppa di cento soldati – rivelai timorosa.

Egli mi sorrise ancora una volta, chiedendomi un foglio e la mia matita. Non appena gli porsi il tutto, iniziò ad abbozzare un arco, in cui dispose simmetricamente dei quadratini in maniera tale che questi disegnassero a loro volta archi più piccoli.

In quel momento non notai nulla di particolare, fino a che Erwin non iniziò a spiegarmi in cosa consistesse il “gioco” da lui inventato. –Questa tattica prevede la copertura di un vastissimo territorio. Muovendoci su larga scala, e grazie soprattutto ad un’unità speciale di localizzazione che dovrebbe disporsi proprio qui, - indicò l’arco più esterno tra quelli disegnati, –dovremo essere in grado di localizzare prima il nemico per poi deviarlo senza ingaggiare inutili battaglie. Spetterà alla squadra dell’avanguardia, composta da me, a detenere il comando e a comunicare il resto dell’Armata la direzione da seguire per deviare il titano. Comprendi?

Risposi che avevo capito, nonostante ebbe iniziato a formulare nuovi dubbi subito dopo la sua spiegazione. –E come facciamo a comunicare l’avvistamento del nemico alla squadra di comando?

Il comandante tirò fuori dalla giacca una pistola, sorridendomi.

-I fumogeni! – esclamai entusiasta. Osservai meglio lo schema dell’ufficiale, comprendendo quanto innovativa risultasse quella tattica. –Comandante, questa potrebbe essere una delle migliori tattiche militari del genere umano. Potrebbe addirittura ridurre il numero di perdite per ogni spedizione…!

-E darci la possibilità di muoverci meglio verso Shiganshina – concluse lui, riferendosi al distretto del Wall Maria abbattuto l’anno precedente.

-Ma perché non l’ha messo in atto fin da subito, signore? – domandai un po’ sprovveduta.

Egli mi pose una mano sulla spalla. -Credi nell’efficacia di questa strategia, Claire?

Annuii, benché incosciente di quella bizzarra domanda. –Ne sono certa, comandante. A quanto ho capito, ne ha già parlato con i restanti superiori. Cosa aspettiamo a metterlo in pratica?

-Occorre far familiarizzare tutta Legione con questa tattica, il che non è affatto semplice. Da recluta, come afferreresti questa situazione?

Ridacchiai. –Sarei la persona più felice del mondo per il semplice fatto che le mie aspettative di vita aumenterebbero notevolmente.

Rise anche lui. –Ne prenderò atto. E tu, invece? Anche tu hai qualche strategia da mostrarmi?

Divenni nuovamente rossa. –I…io? Non saprei se sia il caso, comandante… Non sono certamente un ufficiale – esitai.

-Ti fidi di me? – domandò, sorridendomi. –Eppure io ti ho mostrato senza esitare il mio progetto, ora tocca a te – i suoi occhi quasi mi pregavano di mostrargli il mio lavoro, per cui prelevai dal mio blocco tre dei miei mediocri schemi militari, porgendoglieli.

Non ebbi nemmeno il coraggio di osservarlo mentre esaminava i miei fogli, essendo già la sua statura a intimorirmi più del dovuto. Mi reputai una stupida per aver veramente pensato di poter mettere in pratica quella montagna di fesserie. Tuttavia, il mio sguardo cadde istintivamente sulla sua figura non appena mi resi conto che non aveva ancora rilasciato con disgusto le mie opere.

-E li hai studiati per tre diverse situazioni, giusto? Pianura, città e foresta – notò lui. –Claire, non so come tu abbia fatto, ma queste tattiche possono essere benissimo attuate.

Osservai meglio anche io il lavoro compiuto, informazioni che attualmente non mi è permesso divulgare pubblicamente mediante queste memorie. Se inizialmente mi ero sentita alquanto ottusa per avergli mostrato quella roba, cominciai a credere un po’ di più nelle mie capacità proprio grazie ad Erwin.

-Ne è convinto, comandante? – chiesi sbalordita.

-Assolutamente – rimase qualche istante in silenzio, analizzando probabilmente la situazione: cosa poteva farsene di una recluta sorprendentemente in gamba nel realizzare strategie per la soppressione del nemico? –Adesso non ci resta che mettere in pratica tutto questo. Claire, che ne diresti se ti assegnassi all’unità di Levi? Lui tra tutti sarebbe in grado di aiutare la tua squadra di reclute ad attuare queste strategie. Ovviamente, ciò comporterebbe anche lo spostamento del tuo amico Gunther.

Non mi trattenni dall’esultare. –Sarebbe un piacere, per me, signore! – esclamai, felice di poter finalmente combattere al fianco della mia migliore amica.

Erwin mi rese i fogli. –Vado a parlarne subito con Levi. Rimani qui quanto vuoi, Claire – e detto questo si congedò. Non esitai a uscire dalla tenda per dirigermi da Petra, ma venni fermata da una scalmanata quanto impaziente Hanji Zoe.


Spazio Autore: bene, eccomi di nuovo qui! Questa volta la narratrice ha voluto raccontare un bel momento tra lei e il Comandante Smith. Non lo nascondo, il personaggio di Erwin è uno dei miei preferiti, mi piace in maniera particolare la storia della sua infanzia. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, sono qui ad attendere qualsiasi tipo di recensione. Nel frattempo, anticipo che, nei prossimi giorni, cercherò di pubblicare il capitolo seguente, la cui parte era stata inizialmente aggiunta a quest'ultimo capitolo; ho deciso poi di spezzare i due momenti per un motivo preciso, che capirete prossimamente ;) .

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Capitolo 11
*** L'impresa di Hanji Zöe ***


11. L'impresa di Hanji Zöe
 
-Eccoti qui, Claire! Non ti dispiacerà seguire me e la mia squadra per una missione di ispezione nel bosco, non è così? – parlò la Caposquadra a voce altissima, probabilmente perché potesse essere ascoltata anche dal Comandante, ancora nei paraggi.
-Hanji, non ti ho dato il permesso di andare a sorvegliare il bosco per mettere in pericolo i cadetti. Tra l’altro, Hares è appena tornata dalla missione con Levi – spiegò spazientito Erwin.
-Non preoccuparti, la riporterò qui tra poco sana e salva – la Caposquadra ignorò le suppliche del Comandante Smith, spingendomi verso la scuderia. –Gli altri si sono già avviati con tutto ciò che ci serve – mi sussurrò. -Devo ringraziarti per aver trattenuto così a lungo Erwin, mi sei stata di grande aiuto.
Non appena fummo montate sui nostri rispettivi destrieri – ero convinta che al termine della giornata Edmund avrebbe deciso di cambiare cavaliere a causa di tutte le fatiche a cui lo stavo sottoponendo – domandai il motivo di quella missione.
-Principalmente, il piano consisterà nella cattura di un piccolo esemplare di gigante – iniziò a spiegare, visibilmente eccitata. –Ovviamente sarà impossibile trasportarlo dentro le mura, non disponendo nemmeno del consenso di Erwin e del resto dell’esercito, per cui vedremo di fare quanti più esperimenti possibili. Tu e parte della mia squadra vi occuperete di tenere fermo il piccolino che prenderemo, siamo intesi?
-E per quanto tempo dovremo aspettare che arrivi un esemplare della giusta taglia?
Ella ridacchiò. –I miei uomini si sono già messi all’opera nella localizzazione, ma il tuo magnifico udito potrebbe rivelarsi all’altezza del fiuto di Mike, in queste occasioni.
Ero incredula di come tutti quei soldati mi stessero valutando addirittura alla loro altezza. L’ansia di deluderli si aggravò ulteriormente.
Inoltre, dopo aver appreso la morte di due tra le venti reclute che si erano arruolate quell’anno nel Corpo, non avevo alcuna voglia di rimanere ad osservare a lungo la nemesi. Un desiderio di vendetta repentino mi aveva da poco posseduta, e altro non volevo, se non vedere qualsiasi esemplare titanico sterminato dalla razza umana.
Eppure, avevo promesso a Hanji la mia disponibilità. Come affrontare la situazione?
-Caposquadra, posso farle una domanda? Lei è l’unica persona così interessata a conoscere quanto più possibile sul nostro nemico naturale. Da cosa è scaturita questa decisione?
Mi osservò attenta e comprensiva. –Capisco quello che pensi. Vedi, Claire, io sono dell’opinione che, se non conosci quanto più puoi riguardo il tuo nemico, difficilmente sarai in grado di abbatterlo. Non appena apprendi qualcosa che può considerarsi assolutamente vitale per lui, ti è più semplice sconfiggerlo, non credi?
Annuii, osservando le briglie di Edmund. –Ma non basterebbe sfruttare i nostri dispositivi e mirare alla nuca senza esitare?
-Be’, chi ci garantisce che la nuca rappresenta l’unico punto debole dei giganti? E poi, rimane l’interrogativo su dove essi provengano. Considera che mancano anche di un apparato riproduttore, non ingeriscono alcuna sostanza, se non carne umana, che tuttavia non ha alcun effetto nutritivo su di loro. Magari, cercare una risposta a tutte queste domande sarebbe di estrema rilevanza. Questo è ciò che ho pensato negli ultimi anni, e pochi, prima di me, hanno tentato di andare oltre l’abbattimento di queste creature – continuava a galoppare lentamente, a testa bassa. Pian piano stavo imparando ad abituarmi a quella sua espressione acuta che sfoggiava ogni qual volta fosse intenta in un’intricata riflessione, nella quale tentava disperatamente di trovare la parola che meglio si addicesse al suo discorso. –Voglio scoprire qualsiasi cosa riguardi quegli esseri, darei la vita per poter approfondire le conoscenze del genere umano su di essi.
Sorrisi. Era riuscita, in poche parole, a toccarmi nel profondo. La stima che provavo nei confronti di quella donna straordinaria e atipica era smisurata. –Perciò il Comandante ha deciso di nominarla Caposquadra – appurai.
Hanji annuì. –A volte detesto quell’uomo, eppure è stato uno dei pochi in grado di comprendermi da sempre, cosa che il Comandante Keith non sempre è riuscito a fare.
Keith Shadis aveva da poco lasciato il posto a Erwin Smith, preferendo divenire istruttore del Corpo di Addestramento. Benché godesse di ottima fama, era descritto come un allenatore estremamente caparbio e severo, e io, insieme ai miei compagni, ero sfuggita ai suoi estenuanti allenamenti.
-Allora, ti ho convinta, Claire? – chiese Hanji, tornando raggiante.
-Sì, signore. Anzi, mi perdoni per averle rivolto delle domande così sciocche. Con lei posso essere sincera, da quando ho messo piede al di fuori delle mura sento di essere improvvisamente cambiata – risposi, grattandomi dietro la nuca. –Mi sento ulteriormente incerta, quasi non mi riconosco più.
-E’ normale, te lo assicuro. Tutti provano la stessa sensazione, durante la loro prima spedizione, e tu, ovviamente, non sei un’eccezione alla regola. Almeno non fino a questo punto – si sfregò le mani. –Bene. Ora ci apposteremo sugli alberi in vista di qualche cucciolo. Pronta a usare il dispositivo, cara? – mi domandò, estraendo i due pistoni sotto il mantello.
-Certo, Caposquadra – assicurai, facendo lo stesso, prima di librarmi insieme a lei e volare fino a un pugno di uomini, già posteggiato su un grosso ramo di quercia.
Un collaboratore di Hanji di nome Keiji osservava, attraverso un monocolo, un gruppo di giganti disposto ai confini dell’ultima schiera di alberi. –Caposquadra, ce n’è uno laggiù. Non so se sia il caso di tentare, sono gli altri che mi preoccupano.
Hanji strattonò lo strumento dal soldato, alzò i suoi immancabili occhiali da protezione guardando all’interno della lente in direzione dei titanti. Fu proprio in quel momento che mi resi conto dei lineamenti sorprendentemente femminili sul volto della Caposquadra; benché le dicerie la giudichino tuttora estremamente “maschiaccia”, in realtà la sua bellezza non risiede solo ed esclusivamente nella sua mente brillante, bensì, a tratti, persino nel suo aspetto fisico slanciato e asciutto e nei lineamenti dolci quanto tipici di una donna sempre pronta a spremere le meningi. –Vedo, vedo. Purtroppo non possiamo attendere molto l’arrivo di altri, faremo insospettire Erwin.
Io e il soldato ci scambiammo un’occhiata fugace, deglutendo; sapevamo bene, ahimé, quanto ci sarebbe costato tale piano se il Comandante, la quale autostima mi ero appena guadagnata, fosse venuto a conoscenza della reale missione nel bosco.
-Siamo in pochi, signore – intervenne un ragazzo di nome Abel. Osservai il numero di soldati di cui la squadra era composta: oltre ai soldati già riportati, vi erano un giovane di nome Rashad e una ragazza chiamata Nifa. -Inoltre, non credo che la recluta sia in grado in intraprendere un nuovo scontro con i giganti – continuò Abel.
-Questo dovremmo sentircelo dire da lei – Hanji mi abbracciò. –Inoltre, ho appena sentito parlare delle sue abilità di stratega.
Tutti strabuzzarono gli occhi. –Stratega? – ribadì Nifa.
-Già – aggiunse Hanji. Rivolgendosi ancora una volta a me, domandò: –Cosa ci consigli, Claire?
Non avevo idea di quale assurdità potessi far uscire dalla mia bocca. Perché, improvvisamente, ero divenuta la persona più sopravvalutata della Legione?
-Io… non lo so, signore – risposi con tutta sincerità.
Hanji scoppiò a ridere. –Ma dai, stavo scherzando! Poi, per tutto quel talento che ti ritrovi, molto presto saprai sempre rispondere a questa domanda, ne sono sicura – mi rivolse un affettuoso sorriso, ma si fece subito dopo seria. –Uomini, preparatevi al combattimento, abbatteremo tutti e lasceremo il piccolo nelle nostre mani.
Iniziò ad illustrare il progetto che aveva iniziato a formularsi nella sua testa: alcuni uomini si sarebbero occupati di sterminare i nemici adiacenti all’obiettivo, altri avrebbero allontanato i restanti facendo ricorso alle bombe acustiche. Dopodiché, si sarebbero occupati del classe tre metri che Hanji teneva assiduamente sotto controllo: lo avrebbero condotto in una regione più interna del bosco, dove Moblit e una giovane chiamata Lauda avevano collaudato la più efficiente arma del momento per immobilizzare la nostra nemesi. Lì, i due attendevano l’arrivo mio e di Rashad, che, come loro, avrebbero utilizzato quella nuova arma, ad opera della stessa Caposquadra, per fermare il gigante predestinato.
Mi fu intimato di rimanere su quell’albero per l’avvistamento di ulteriori esemplari; tuttavia, fui più presa a studiare le mosse dei miei compagni: si muovevano in grande sintonia, e in poco tempo avevano annientato un gran numero di titani nei paraggi, nonostante una di loro, Nifa, fu lievemente ferita ad una gamba.
Abbattuti i giganti nei paraggi e allontanati i restanti, Hanji diede l’ordine di ritirarsi verso i suoi restanti due collaboratori. Mentre Nifa, Keiji e Abel si occupavano di attirare l’attenzione del gigante senza rischiare la vita, io e Rashad volammo da Moblit e Lauda, che reggevano un tipo di pesante quanto bizzarra arma: assomigliava tanto ai fucili dei gendarmi, ma era molto più grosso e robusto e sulla punta della canna risiedeva un arpione di dimensioni maggiori rispetto a quelli che prevedeva il dispositivo di manovra.
-Visto che bel gioiellino? – domandò Hanji alle mie spalle. –Sarai la prima a vederlo collaudato. Che onore!
Il gigante era nel frattempo approdato a pochi metri di distanza da noi. Una volta udito il segnale della Caposquadra, Rashad, Lauda e Moblit spararono all’unisono gli arpioni nella carne del titano, che cadde al suolo in ginocchio, immobilizzato sul ventre e sulla spalla destra. Non aveva più l’opportunità di muoversi: gli arpioni erano collegati a degli spessi fili metallici, a loro volta congiunti attorno a fusti di alberi.
-Ce l’abbiamo fatta! – esultò la Caposquadra, dirigendosi dalla sua cavia.
La seguii a ruota, ansiosa di avere un contatto ravvicinato con uno di quegli esseri.
Ragazzi, credetemi, da vicino, quell’esemplare era il doppio più spaventoso: ciò che più mi terrorizzava era il susseguirsi di versi bruschi e terrificanti che quel gigante emetteva, per non parlare della sua testa smisurata, costernata di corti e consumati capelli neri, e dai movimenti tremolanti che produceva a causa degli arpioni.
-Eccoti qui, piccolo! Inutile dirti che non puoi muoverti. Ti abbiamo sistemato per benino – appurò Hanji, facendo un segno ad Abel di portare l’occorrente che necessitava e di sistemare in fretta e furia le sue armi. –Allora, che ne pensi, Claire?
-Se parla delle armi, le trovo eccezionali.
Ella rise. –Grazie! Io parlavo di Gowri – aggiunse lei.
-Chi, scusi? – domandai confusa.
-Ma come?! – indicò l’esemplare sotto il suo stivale. –Gowri, ti presento Claire! Sii garbato, tratta questa nuova arrivata come si addice ad un gentiluomo.
Ero completamente sbalordita. Per quale motivo Hanji aveva addirittura attribuito un nome a quella creatura brutta e disgustosa?
-Caposquadra, non sarebbe il caso di lasciarlo un attimo da solo? – intervenne Moblit. –Tutta questa concentrazione umana sembra turbarlo…
-Hai ragione, Moblit, ma non abbiamo tempo per lasciarlo riposare – spiegò lei. –Dobbiamo tornare all’accampamento prima del calar della notte, e dobbiamo essere veloci.
Facendo nuovamente cenno ai componenti della sua squadra, fece portare un palo in legno dalla spessa punta metallica che le rese Keiji .
Ella iniziò a spingere l’arnese nelle varie parti del corpo del gigante, gemendo apprensiva. Di cosa si preoccupa? Mi domandai, essendo consapevole che quei mostri avevano l’abilità di far ricrescere velocemente le parti del corpo inferte dalle nostre lame.
-Signorina Hanji, tutto bene? – chiese Moblit incerto, rimasto a pochi passi a guardare.
-Dobbiamo… dobbiamo assicurarci che non ci siano altri punti fisici deboli oltre alla nuca – i suoi occhi si spostavano su di me, poi sul viso di Gowri. Sempre più perplessa, alla fine disse: -Non… non ce la faccio più.
Si allontanò, reggendo ancora l’arnese, per poi sfilarsi gli occhiali protettivi. Era visibilmente affranta, come se torturare quell’essere l’avesse in qualche maniera avvilita.
-E’ orribile vederlo soffrire – ribadì. –Però, comprendo che questa impresa sia necessaria.
-Non ci rimane molto tempo, signore – intervenne Abel. –Dobbiamo continuare l’esperimento prima che giunga la notte.
Ella si voltò verso Gowri, mentre noi ci guardavamo confusi.
-Signor Moblit, cosa dovremmo fare , ora? – sussurrai al sottoposto di Hanji.
-Non ne ho idea. Probabilmente dopo darà di matto se si renderà conto che non è riuscita a portare a termine la sua impresa. Bisogna fare qualcosa.
Moblit Berner la guardava a sua volta preoccupato; mi commuoveva l’apprensione che quel semplice, garbato e leale soldato provava ogni volta nei confronti del suo superiore. Trovavo magnifico il modo in cui egli tenesse all’incolumità di quella Caposquadra un po’ matta e isterica più di qualsiasi altra cosa, e il suo atteggiamento era molto simile a quello di Petra nei miei confronti.
Gli sguardi degli altri erano fissi sulla figura del loro Caposquadra. Era chiaro che nessuno volesse prendersi la briga di continuare ciò che lei aveva iniziato poco prima solo per timore che i prototipi di quelle strane armi venissero meno, permettendo al gigante di muoversi e di attaccare.
Risultava non poco disgustoso vedere tutta quella carne fumante e il sangue che schizzava via da quel mostruoso essere urlante; ma la ricerca doveva venir prima di tutto, lo compresi benché la mia mente non fosse elastica come quella di Hanji.
-Caposquadra, mi renda quel palo, per favore. Posso continuare io – mi proposi, avvicinandomi al superiore.
-Non è prudente, Claire– ammise Keiji.
-Sarebbe meglio se ce ne occupassimo noi – aggiunse Lauda.
-Sei in grado di farlo, Claire? – domandò ad un tratto Hanji, speranzosa.
Dissi che ne sarei stata capace, per cui ebbi modo di avere lo strano oggetto prima di avvicinarmi alla bestia immobilizzata. Un po’ intimorita, indietreggiai non appena le fauci di quel mostro si aprirono nel tentativo di afferrarmi e ridurmi in brandelli, ma forse fu proprio questo il motivo per cui, di colpo, gli inflissi l’arnese nello sterno.
Egli emise un grido agognante, che rischiò di perforarmi un timpano. Il sangue disgustoso che schizzava dalla sua pelle mi coprì parte della visuale, perciò fui costretta a continuare il lavoro ad occhi chiusi. Quanto avrei desiderato gli occhiali protettivi di Abel! Ma non c’era abbastanza tempo nemmeno per richiederli. All’improvviso mi fermai, rendendomi conto che il palo stava quasi per fuoriuscire dalla schiena del mostro. Sfilai con forza l’oggetto e istintivamente lo piazzai nella fronte, provocando ulteriori urla di sofferenze da parte del gigante. Potevo avvertire il suo sangue scorrermi sulle guance, sui palmi delle mani e perfino sui capelli. Cosa avrebbe pensato Levi se avesse odorato quell’odore ripugnante che emanavo? Fortunatamente, da lì a poco sarebbe evaporato, e non mi sarebbe rimasta una sola goccia del liquido rosso appiccicatomi sulla divisa.
Infine, mirai l’affare in direzione della parte sinistra del petto. In quel momento, il Caposquadra Hanji corse nella mia direzione. –Claire, sii prudente! Non sappiamo ancora se il loro cuore sia invulnerabile come sappiamo! Focalizzati prima da un’altra parte!
-Ma che dice? Questo ‘coso’ nemmeno lo ha, un cuore! – urlai a mia volta, spingendo il palo con tutte le mie forze.
Continuai imperterrita nel mio intento, finché gli altri soldati non mi intimarono a riposarmi.
Più tardi, Nifa lesse il suo reportage: nessun punto debole riscontrato, oltre alla già conosciuta collottola.
-Era necessario assicurarcene – riferì Hanji, sospirando, osservando il cielo che aveva già iniziato ad oscurarsi. Ella sorrise. –Bene, è ora di tornare. Gli altri ci stanno già aspettando.
Gli altri interpretarono l’ordine come il segnale che avrebbero dovuto sbarazzarsi del piccolo campione titanico.
-Mi ero affezionata, accidenti! – commentò la capogruppo, camminando avanti e indietro ad occhi chiusi.
Ridacchiai sotto i baffi, osservandola divertita fino a che la voce stupita di Abel, che aveva nuovamente caricato le due spade, non ci fece sobbalzare. –Caposquadra… si è… si è addormentato!
Tutti si voltarono verso Gowri: quest’ultimo aveva le palpebre degli occhi chiusi, e, nonostante Keiji lo stesse più volte provocando con una spada, non dava segni di vita, quasi come se avessimo già proceduto col tagliargli la nuca.
Ebbi il presentimento di essere stata io la colpevole di quel prematuro assassinio. Eppure Abel aveva usato il termine “addormentato” proprio perché il titano stava ancora emettendo piccoli e silenziosi versi.
-Lo abbiamo stressato noi? – domandai esterrefatta.
Hanji spostò lo sguardo sul cielo già oscuro. –No, è la notte – sussurrò a bocca aperta. –MUAHA! Vi rendete conto di questa scoperta sensazionale, non è così? I giganti dormono come noi! Non appena il sole va via cadono in letargo, e ciò significa che…
Moblit le si avvicinò per calmarla, ma Hanji sembrava ancora più elettrizzata non appena iniziò a smuovere il braccio del povero soldato. –Caposquadra, cerchi di controllarsi!
-Mobliiit! Non c’è tempo per calmarsi, abbiamo finalmente capito che… è il sole la vera fonte di nutrimento dei giganti!
I restanti componenti della sua squadra erano incapaci di proferire altro. Quel dettaglio scoperto quasi per puro caso risultava di grande importanza, e, come aveva potuto intuire lei stessa, avrebbe permesso ad Hanji di convincere il Comandante a dedicare un’intera spedizione alla cattura di un titano.
L’impresa di Hanji Zoe era terminata meglio di quanto io mi fossi aspettata. Un minuscolo passo verso la conquista del mondo fu compiuto quella sera.
 
Spazio Autore: sì, sono già ritornata! Ebbene, non mi è costato nulla scrivere questo piccolo capitolo dedicato alla mia adorata Hanji, capitolo che, come già detto in precedenza, doveva addirittura essere unito al precedente: ora ho focalizzato attenzione tanto su Erwin quanto su Hanji. Tra qualche giorno, pubblicherò ancora, con un capitolo molto più consistente. Alla prossima!
 

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Capitolo 12
*** La ritirata ***


12. La ritirata
 
Una volta tornati all’accampamento, Hanji andò a informare gli ufficiali della sua grandiosa scoperta, destando preoccupazione da parte di questi ultimi. In particolar maniera, Levi la strattonò, incolpandola di aver messo in pericolo gli uomini dell’Armata, nonostante la missione avesse dato buoni frutti.
Non mi era permesso intervenire, sfortunatamente, ma io fui quella che aveva accompagnato la Caposquadra nella tenda del Comandante (gli altri sistemavano lontano dalla vista dei restanti superiori i particolari congegni da lei inventati) ed ero stata testimone di quegli eventi. Di conseguenza, avrei volentieri risposto al capitano che non era necessario rendere Hanji tanto colpevole.
-Ve lo assicuro. I giganti chiudono le palpebre, riposano come noi! – esclamava Hanji, battendo le mani sul tavolo. –Si consumano come candele quando sono lontani da una sorgente di luce naturale come il sole, e i loro corpi sono freddi, non più bollenti.
Erwin la ascoltava pensieroso. –Se fosse davvero come dite, potremmo continuare le nostre spedizioni anche di notte. Tutto ciò risulterebbe decisamente più semplice – in effetti lui, come i restanti comandanti, si erano da sempre domandati il motivo per cui quei mostri non attaccassero durante le ore notturne, permettendo anche ai soldati di riposarsi. Ciò che dubitavano era proprio che la fisionomia dei giganti richiedesse la luce del sole per permettere loro il movimento. –Claire, tu puoi confermare quanto riferito dalla Caposquadra Hanji Zoe, vero?
Ero distrutta come Gowri, a stento mi reggevo in piedi, e, trattenendo uno sbadiglio, risposi: -Sissignore. Il classe tre metri che abbiamo avuto modo di studiare sembrava privo di vita non appena è calato il sole. Da come abbiamo potuto constatare io e la Caposquadra col resto del gruppo, ciò significa anche che il sole è la loro unica sorgente vitale, dato che non si nutrono né bevono.
I superiori si guardavano stupefatti, e forse, poiché mi guardavano incerti, temevano che il mio orecchio potesse intercettare anche i loro discorsi. Sfortunatamente, in quel momento a stento riuscivo a captare le parole di Erwin per poter concentrarmi su altro. Non resistevo più, i miei occhi iniziarono a lacrimare dalla stanchezza. Mi mantenni al mantello del Caposquadra Mike in tempo prima di cadere al suolo priva di sensi. L’ansia di star omettendo un particolare fondamentale di ciò accaduto nella missione nel bosco mi rendeva ancora più incapace di assumere un atteggiamento vivace.
-Molto bene – rispose Erwin, rivolgendomi un sorriso. –Puoi raggiungere i tuoi compagni all’interno della torre, Claire. Hai già fatto molto, per oggi, e domani ci aspetta la ritirata.
Mi risvegliai di scatto, mettendomi sull’attenti. –Grazie, Comandante. A domani, allora.
-Buonanotte, Claire. Grazie per il tuo aiuto – mi salutò Hanji, prima che potessi congedarmi dalla tenda per dirigermi dal mio gruppo di amici.
L’accampamento era vuoto e silenzioso. Quasi non avevo voglia di ritirarmi all’interno della torre per stendermi sul prato a osservare le stelle, se il cielo non fosse oscurato dalle nuvole; inoltre, le mie gambe mi pregarono di raggiungere quanto prima il sacco a pelo che, ancora a mia insaputa, Gunther mi aveva preparato accanto agli approvvigionamenti.
-E’ ritornata l’eroina! – acclamò Oruo, non appena approdai all’interno della torre.
-Claire, finalmente sei qui! – intervenne raggiante Gunther. –Ma che hai combinato con la Caposquadra?
Petra mi rese un piatto di pasta asciutta precotto, che condivisi con un affamato Erd. –Abbiamo scoperto che i giganti dormono.
Tutti rimasero a bocca aperta. –In che senso dormono?
-La loro fisionomia risente negativamente del buio – spiegai, rubando il contenuto del piatto prima che potesse farlo il ragazzo biondo. –Questo spiega il motivo per cui non ci attaccano di notte. Non si nascondono né spariscono, semplicemente si fermano lì dove sono con gli occhi chiusi a schiacciare un pisolino.
Raccontai interessata tutto ciò a cui i miei occhi erano stati sottoposti poco prima, compreso il fatidico momento della “tortura”.
-Che cosa rivoltante - giudicò Oruo, sedendosi per terra, tenendo la schiena contro quella di Petra.
-Già. È stato disgustoso, ma al tempo stesso mi ha fatto capire tante cose. Quei mostri, secondo me, potrebbero essere costituiti da vapori, e noi nemmeno ce ne accorgeremmo. La loro pelle è bollente, posseggono una temperatura corporea che potrebbe raggiungere tranquillamente i sessanta gradi.
I quattro mi sembrarono molto affascinati, e io ero contenta di poter diffondere quelle informazioni col fine di rendere quanti più soldati interessati alla questione. Se le scoperte si fossero espanse, come stavo spiegando ai miei amici, Erwin avrebbe sicuramente acconsentito a dedicare un’intera spedizione solo sulla cattura di un nostro nemico.
-Potrebbe essere molto pericoloso, però - pensò Petra. -Ricorderete bene che già in passato si è tentata una missione del genere, e sono morti nove soldati della Legione, oltretutto non fummo nemmeno in grado di introdurlo nelle mura.
-Lo so, - intervenni, -ma stavolta è diverso, Petra - mi avvicinai ai quattro, abbassando il volume della voce. -Non dovrei dirvelo, ma da qui a qualche giorno noterete importanti cambiamenti all’interno del Corpo. Si stanno perfezionando le strategie militari, soprattutto quelle legate allo spostamento dell’esercito nei territori oltre le mura; credo che anche noi dovremmo impegnarci, nel nostro piccolo.
Tirai fuori il mio fidato blocco, cercando gli schemi che prima avevo sottoposto agli occhi del Comandante.
-Sono le tue strategie, vero?— domandò Gunther.
-Esatto - rivolsi loro un enorme sorriso. -Approvate dal Comandante Smith in persona. Il gioco di squadra sarà il nostro forte, amici, e sono convinta che Levi riuscirà a sfruttare a pieno titolo questa nostra capacità. Guardate qui, voi che ne pensate?
I quattro ragazzi studiarono il foglio di carta con molta attenzione. Da un lato, provavano molto timore: se avessero accettato di collaborare con il capitano Levi, avrebbero sicuramente fatto parte di una delle unità che più si sarebbe dato da fare nella soppressione degli esemplari “eccezionali”, ossia quelli più pericolosi. Certamente, tuttavia, quel piano li affascinava per il semplice fatto che loro avevano scelto la strada più difficile per collaborare alla vittoria del genere umano sui giganti e riprendersi la padronanza del mondo oltre il Wall Rose.
-Potrebbe funzionare - disse Erd. -Certamente, sarà difficile mettere in pratica tutto questo da domattina.
Non potevo dargli torto, ma rimasi molto delusa. Ero impaziente di vedere se il mio progetto avrebbe funzionato anche quella volta, e contavo molto sul loro sostegno.
-Non è detto, Erd - ribatté Gunther. -Oggi ce la siamo cavata, nel bosco. Chi ci dice che non ci riusciremo anche domani, con una strategia quasi del tutto simile?
Tutti, me compresa, lo osservarono perplessi.
-Bisogna vedere cosa ne pensa il capitano - osservò Petra. -Domani sarà il caso di domandarglielo, non appena ci rimetteremo in marcia.
La conversazione terminò in quell’istante, soprattutto perché, personalmente, ero incapace di continuare. Mi infilai nel mio sacco a pelo e mi addormentai tra la mia amica e Gunther, sognando titani e spostamenti a lungo raggio mentre gli altri, a mia insaputa, si passavano il mio foglio per osservare e studiare la tattica da me designate.
Petra fu incaricata a svegliarmi; ero risultata, a detta di molti, quella che aveva dormito più profondamente tra tutti i cadetti. Come potei constatare, la lunga giornata precedente e la consapevolezza che i miei modi di sopprimere titani mi avrebbero consentito, se fossi stata abbastanza prudente, di sopravvivere furono in grado di acquietare le mie ansie da recluta. Mi sentivo un vero e proprio membro della Legione Esplorativa, i giganti non mi intimorivano più come prima.
-Ma che ore sono? – domandai all’alba con la voce impastata.
-E’ ora di alzarsi. Tra un po’ si apriranno i cancelli di Trost, si torna a casa – mi spiegò Gunther, carezzandomi i capelli rigorosamente fuori posto.
-E ci conviene fare presto – Levi era sbucato da non saprei dire quale antro della vecchia e buia torre e guardava la luce fioca proveniente dalla porta d’ingresso dell’edificio in rovina. Era vergognoso mostrarmi a lui con quell’acconciatura, perciò iniziai a supplicare Petra con lo sguardo affinché pensasse lei a domarmi la chioma.
-In che senso, signore?
I suoi occhi si spostarono sul suo interlocutore prima che potessimo udire tutti il forte rumore di un tuono.
Tentai di fare mente locale: l’arrivo di un temporale avrebbe reso sicuramente più difficile la ritirata dell’Armata, specialmente in quel momento, in cui non disponevamo di agevolazioni dal punto di vista strategico. Avvistare un titano sarebbe risultato decisamente più complicato.
-Ecco in che senso, Petra – rispose finalmente il capitano, più turbato del solito. –Hares, vedi di metterti in piedi e darti una sistemata, tra non molto lasceremo questo posto.
Non me lo feci ripetere una seconda volta; scattai sull’attenti e aiutai le altre reclute a sistemare gli approvvigionamenti, poi mi occupai in fretta di sistemare la sella ad Edmund, rimasto a riposare accanto al cavallo del Caposquadra Mike.
Osservai che alcune gocce d’acqua erano già cadute sul manto beige del mio animale. Odiavo la pioggia, la detesto tutt’ora. Non solo perché inevitabilmente iniziavo a strabuzzare faticosamente gli occhi non appena si fa sempre più invadente, ma perché mi ricordava quell’orribile giorno in cui, sette anni prima, mia madre venne ingiustamente uccisa a soli due passi da casa, incapace di intercettare l’arrivo di alcuni malfattori nella sua direzione.
Mi astenni dal piangere e avvicinai il mio viso al muso del mio destriero, chiudendo gli occhi, distogliendo la mia mente da quel mattino catastrofico.
-Tutto bene, Claire? – mi chiese apprensivo Mike.
-Mi perdoni, Caposquadra, stavo solo… - mi ricomposi, montando in sella a Edmund. –Niente, non ci faccia caso.
Mi osservò per qualche istante prima di preoccuparsi del suo cavallo. –Se hai paura della pioggia, mi dispiace deluderti, ma non hai nulla da temere. Sei benissimo in grado di cavartela in ogni contesto, ecco perché mi secca tanto che tu sia stata assegnata alla squadra di quel nanerottolo.
Scoppiai a ridere, portandomi una mano alla bocca. –Anche io sarei rimasta volentieri nel gruppo della signorina Nanaba, ma qualche forza maggiore me l’ha impedito. Mi scusi, signore.
Mi allontanai da lui, dirigendomi verso il resto della compagnia di Levi, già pronta per avviarsi. Attendemmo che anche il resto della Legione fosse pronta a riprendere il cammino, dopodiché ci dirigemmo verso il Wall Rose coprendo le spalle a Erwin.
Ero felice di poter finalmente cavalcare al fianco di tutti i miei compagni; confidavo nel fatto di poter proteggere Petra in qualsiasi caso, ciò mi permise di rimanere più serena durante la galoppata. Tuttavia, dopo circa dieci minuti, le gocce di pioggia si fecero decisamente più insistenti. Nemmeno alzandomi il cappuccio potei coprire tanto la visuale, per cui iniziai a sentirmi più indifesa, nel momento in cui qualche gigante avesse deciso di rivelarsi all’improvviso.
Frattanto, scoprimmo che il resto dell’Armata si stava dirigendo all’interno di una delle foreste nei dintorni: la pioggia, divenuta sempre più fitta, aveva reso impraticabile il territorio pianeggiante per i cavalli.
-Non capisco? Perché proprio la foresta? Non penso affatto che sia una buona idea… ingaggiare un combattimento in queste condizioni – notai, visualizzando già lo scenario che si sarebbe rivelato ai nostri occhi nella foresta: orde di giganti avrebbero iniziato ad attaccarci da ogni direzione, e gli alberi non ci avrebbero permesso di deviarli come avremmo potuto fare in pianura.
-Non sei tu a decidere. Rimani ancora una recluta, dopotutto – rispose freddo Levi. –Non mi aspettavo che tu dicessi una cosa del genere, Hares. A quanto pare, la pioggia davvero ti spaventa parecchio.
Mi sentii offesa per il semplice fatto che lui ignorasse il motivo per cui trovassi così irritante l’acqua che cadeva sul suolo e il gelo che pervadeva l’ambiente in assenza del sole. In quelle occasioni, ve lo posso assicurare, quasi mi veniva da rimpiangere la mia scelta di essermi arruolata nella Ricognizione.
-Non le permetterò di dire cose del genere, capitano. Io non ho paura.
Morditi la lingua, morditi la lingua, mi invitava il mio subconscio. Invece, la pressione del momento mi stava facendo perdere il controllo.
Levi si girò verso di me, ancora più burbero del solito.
-Stavo solo contestando una decisione presa in maniera piuttosto azzardata, tutto qui. Ma visto che non mi è permesso sottrarmi ai miei ordini, - sfoderai le spade, -allora mi impegnerò.
-Non sei la sola, Claire – Gunther imitò il mio gesto, -ti aiuteremo noi, nel caso ci sarà bisogno di combattere.
-Sì, anche io la penso così – si intromise Oruo. –Nella tua squadra c’è la recluta più forte di quest’anno, non hai niente da temere.
Non potei ricambiare loro il sorriso poiché la mia visuale si limitava a guardare a stento le spalle del capitano, posizionato alla mia sinistra; anche lui aveva nel frattempo alzato il cappuccio, e sembrava indifferente a qualsiasi cosa stessimo dicendo. Inoltre, pareva che stesse affrontando la situazione con la sua solita freddezza: la sua preoccupazione era piuttosto indecifrabile, benché ammetta che in quel momento i miei occhi riuscivano a stento a riconoscere la forma della testa di Edmund.
A tal proposito, i nostri cavalli mai come in quel momento dovettero galoppare più veloce che potessero; ciò li avrebbe resi ancora più stanchi e vulnerabili, eppure dovevamo raggiungere le mura quanto prima.
Ci avventurammo nella foresta assieme ad altri uomini; inizialmente non vi era l’ombra di un solo gigante, il che mi fece sperare che la velocità con cui cavalcavamo non sarebbe mai riuscita ad eguagliare quella delle loro gambe. Ma mi sbagliai.
Ci imbattemmo molto presto in un gruppo di soldati le cui membra erano state avidamente sbranate da un gruppo di colossi alti al di sopra della media. Quello spettacolo orrendo di urla supplicanti e di sangue non invogliava nessuno a ingaggiare il combattimento, ma non saremmo mai stati in grado di proseguire galoppando.
-Preparatevi a combattere. Non la passeranno liscia, quei dannati – ci intimò Levi; nonostante, a modo suo, ci avesse assicurato che ce la saremmo cavati, stavo tremando dalla paura.
Fino a che, la squadra non mi lasciò a bocca aperta.
-Strategia alfa foresta. Credi che potremmo metterla in atto, Claire? – mi chiese Gunther, enunciando il poco fantasioso titolo della mia straregia.
-Che cosa state dicendo?
I quattro mi rivolsero un sorriso, poggiando gli stivali sulla sella per librarsi in volo.
-Ragazzi, non abbiamo collaudato niente, non potete mettere in pericolo la vostra incolumità per mano mia! – protestai. –E poi il capitano… lui vi controlla, non io! – mi volsi verso il caporale, cercando supporto almeno da parte sua.
-Abbiamo già rischiato la vita per uno dei tuoi piani – disse Oruo.
-E poi, proprio stamattina, mentre tu dormivi, il capitano ha approvato le tue tattiche – aggiunse la ragazza dagli occhi dorati.
-Lasciaci fare, Claire – concluse Erd. Lui e gli altri attivarono il dispositivo, avvicinandosi pericolosamente verso il primo dei giganti, che già si erano accorti della presenza di una nuova squadra suicida.
-Capitano, la scongiuro, intervenga lei! – supplicai. –Per quanto siano forti, non sono in grado di combattere contro…
-Seguimi, giriamogli intorno! – mi interruppe. Seguii il suo cavallo dirigersi al lato sinistro del gruppo di titani, mentre i restanti quattro avevano già messo in atto la mia strategia. Erd, utilizzando gli arpioni in maniera tale che sembrasse fosse saltato un elastico, aveva già bloccato i movimenti del titano, Gunther preveniva ulteriori attacchi dagli arti superiori. Oruo e Petra, collaborando stranamente in pura sintonia, accecarono il gigante davanti ai miei occhi attoniti.
Levi, nel frattempo, aveva attivato la sua attrezzatura 3D, volando ad una velocità pazzesca in direzione dell’esemplare alle spalle del grosso, quello sottoposto al “trattamento” dei quattro cadetti. Guizzando alla velocità della luce, con centinaia di movimenti rotatori, permessi grazie alla sbagliata impugnatura di una delle due spade, aveva fatto saltare la collottola dell’essere più piccolo.
Ora devo intervenire io. Il mio dispositivo mi aveva già condotta in direzione dei miei compagni, ma compii una rapida virata attorno al nemico, fino a trovarmi davanti alla nuca; un secondo arpione intercettò la collottola, permettendomi di raggiungere con tutta tranquillità – il gigante era già abbastanza vulnerabile – il suo punto debole.
Grazie a quel gioco di squadra, avevo realizzato il mio secondo abbattimento in compagnia dei miei fidati amici. Ma non c’era abbastanza tempo per esultare.
-Capitano Levi! Tre esemplari provengono da sud! – urlò uno degli uomini del caporale che ci venivano incontro assieme ad una mia cara conoscenza.
-Samanda, stacci vicino! – gridai alla cadetta.
-Claire! – esclamò lei speranzosa, addossandosi al tronco dell’albero sul quale mi ero posata. Riconoscevo la forza di volontà di quella ragazza, ma vi erano poche probabilità che ella sarebbe riuscita a cavarsela in una situazione come quella: tre grossi individui titanici correvano disperati nella nostra direzione, ed erano troppi persino per noi.
-Caporale, come ci muoviamo? – domandò il subordinato di Levi.
-Allan, tu e Manek collaborerete per proteggere la recluta venuta con voi. Petra, Gunther e Oruo, voi seguite la signorina Hares. Io e Erd ci occuperemo del terzo – ordinò Levi. –Muoviamoci e attacchiamo tutti insieme, non perdete di vista il vostro obiettivo.
-Signorsì – rispondemmo in coro. –Ditemi una cosa, quanti dei miei progetti vi siete accuratamente studiati? – chiesi alla mia piccola squadra, muovendoci verso il nostro gigante.
-Beh, tutti – ribatté Gunther. –E devo dire che funzionano. A che pensi, Claire?
-Alla strategia beta foresta. È appropriata per il nostro amico – il titano assegnatoci pareva straordinariamente attento ad ogni movimento avesse luogo nei dintorni, sarebbe stato difficile affrontarlo col fastidio della pioggia che ci offuscava già parecchio la vista.
-Ancora una volta vuoi fare da esca, ciccia? – sospirò Oruo.
-Sì. Vedete di non deludermi, quando sarò morta – dissi, dirigendomi pericolosamente verso l’obiettivo. In un istante, mi trovai proprio davanti al muso di quell’orrenda bestia, che aveva già spalancato la sua enorme e maleodorante bocca per sminuzzarmi, se non mi fossi di colpo allontanata all’indietro spingendo con i piedi la fronte del titano e azionando il meccanismo per permettere alla “scatola nera” di fare bruscamente ritorno indietro, pur non muovendo i rampini da dove erano stati collocati. In quel momento mi resi conto di quanto mi fosse stato utile quel lungo e faticoso addestramento, in cui altri avevano deciso di allenarsi solo per divenire stupidi quanto fanfaroni gendarmi.
Io, invece, nel mio lavoro mettevo in pratica ogni nozione appresa. Lo facevo per proteggere la squadra, lo facevo per il bene del genere umano.
-Aha, non puoi permetterti di ostacolare il Corpo di Ricerca, dannato! – esclamai felice al gigante.
I miei amici intervennero a partire dalle mie spalle; quella volta fu Gunther a regalare il ben servito a quell’enorme bestia, ma tutti se l’erano cavata con grande dedizione, collaborando nel migliore nei modi e seguendo per filo e per segno i miei schemi.
-Ce l’abbiamo fatta! – osservò Petra. –Ma come se la stanno cavando Erd e il capitano?
-Una favola – rispose Oruo. –Hanno fatto prima di noi.
-Guardate! – intervenni io. Una schiera di giganti, di numero il doppio di quelli che avevamo affrontato, ci stava raggiungendo. –Si sta mettendo male. Sono troppi, non ce la faremo nemmeno se avessimo tutti la forza di Levi!
-Non perdiamo altro tempo. Fate ritorno sui vostri cavalli! – urlò il capitano, venendoci incontro.
-Signore, - richiamò la sua attenzione Erd, - i suoi uomini e Flores stanno ancora…
Allen, Manek e Samanda avevano indietreggiato per affrontare il gigante, e cercavano ancora disperatamente di ucciderlo, non accorgendosi di avere un nuovo e numeroso gruppo di nemici alle loro spalle.
-Samanda! – urlai alla ragazza. –Fate ritorno sui vostri destrieri! Allontanatevi!
È difficile riportare in queste memorie le mie emozioni di quel momento, non appena mi resi conto che la nostra voce, a causa del forte rumore dell’acqua che cadeva, non era udibile dall’altra parte.
Gridammo i nomi dei soldati più volte, ma parevano così presi da non sentire nemmeno una parola. Fu per questo che presi la decisione di disobbedire agli ordini di Levi, che ci aveva intimato di non muoverci, e a dirigermi dal gruppo dei tre.
-Hares, non la passerai liscia, questa volta!
Me ne infischio, caporale. Non avrei lasciato morire i miei compagni da una banda di giganti privi di intelligenza, rimanendo con le spade in mano, immobile. Furono costretti a intervenire sotto l’ordine di Levi anche Oruo e Gunther, poi il resto dei membri rimasti indietro.
Uccisi io il titano che aveva dato filo da torcere al gruppo di Allen, e attendevo l’avanzata dei nuovi nemici.
Ingaggiammo nuovamente battaglia; eravamo visibilmente sfiniti, ma, benché ancora novellini, parevamo straordinariamente accorti e forti. Persi il conto degli abbattimenti miei, di Oruo e di Gunther, ma ero convinta che da lì a poco non sarei stata in grado di sferrare un solo attacco.
Ne rimasero momentaneamente pochi; io e i restanti ragazzi collaborammo più volte, ma ad un certo punto non avevo più forza per illustrare i movimenti ai restanti due, perciò mi ritirai sul tronco di un albero per prendere fiato: in quel momento mi accorsi che Oruo aveva chiaramente perso il controllo del dispositivo, cadendo in picchiata verso terra, dove un esemplare di dimensioni più ridotte lo attendeva con le fauci spalancate.
-Brutto figlio di… - fui costretta a raggiungerlo col cuore in gola; riuscii ad afferrarlo per un braccio, scaraventandolo altrove e mettendolo in salvo, ma fu proprio questo il motivo per cui fui io a perdere l’equilibrio, dando l’opportunità ad un classe dieci metri di afferrarmi, stringendomi il petto.
Ancora alcuni istanti e sarei morta stritolata. L’ultima cosa che sarei stata in grado di udire fu il mio nome pronunciato da Petra. Se non fosse intervenuto il capitano a porre fine all’esistenza del mio aggressore.
-Claire, vieni via! – comandò Levi.
Non ero in grado di intendere i suoi ordini, fu per questo che Gunther venne in soccorso, prendendomi in braccio e conducendomi da Edmund, rimasto alle cure di Petra e della sua cavalla grigio chiaro.
-Non possiamo sacrificare altri uomini! – spiegò il caporale, una volta che ciascun membro della nostra squadra si era riunito e aveva raggiunto il proprio destriero. –Continuiamo ad avanzare verso Trost, siamo quasi ai limiti della foresta.
Mi interrogai circa il significato dell’espressione “altri uomini”.
-Ma che succede? – domandavo io, quasi priva di sensi. –Allen e gli altri?
Nessuno rispondeva. Il petto mi doleva da morire, la testa mi bruciava.
-Capitano? Petra? Gunther? – continuavo a chiedere.
-Claire, continua a cavalcare – mi intimò dolcemente Petra, ma potei constatare che anche lei fosse piuttosto tesa.
Mi sistemai il cappuccio sulla testa e mi voltai. Allen stava per essere mangiato da uno dei giganti di poco prima, che si limitò a ingoiarlo senza nemmeno maciullarlo. Ciò che rimaneva del cadavere di Manek era situato a pochi passi da lui, e Samanda supplicava il nome mio e del capitano mentre un altro gigante la conduceva verso le proprie fauci.
Fui costretta nuovamente a girarmi prima di assistere alla fine della suo assassinio, improvvisamente mi parve di udire addirittura la voce di Allen proveniente dal ventre del titano che l’aveva ingerito.
-Capitano Levi, perché li abbiamo lasciati lì? – scoppiai in un pianto disperato. –Siamo esseri crudeli, caporale.
-Fa’ silenzio – intervenne bruscamente lui. -Avresti preferito che tutta la squadra venisse divorata da quelli? Non sarei riuscito mai e poi mai a salvarvi tutti, mettitelo bene in testa, e questo vale anche per te. Sei una recluta, e lo rimarrai ancora per molto.
Rimase in silenzio qualche attimo, poi riprese: -Ascolta, non mi aspetto che tu lo capisca da adesso, ma inizia a mettere in moto il tuo cervellino anche per questo tipo di situazioni. Non possiamo permetterci di pensare all’incolumità di tutto l’esercito in ogni momento. I giganti sono troppo forti anche per i migliori.
Non risposi più, qualche attimo dopo persi completamente la vista e svenni, sulla testa di Edmund, che continuava a galoppare a tutta velocità come i suoi simili per mettermi in salvo.
Più tardi, i nostri cavalli raggiunsero i cancelli di Trost; il suono assiduo delle campane che preannunciava al popolo il nostro arrivo mi risvegliò.
Il resto della Legione si trovava attorno a noi, tutti riportavano ferite, altri addirittura mancavano di un braccio o di una gamba.
Avevo sempre assistito a quello scenario con gli occhi di coloro che ci avrebbero accolti da lì a poco; ora che anche io avevo partecipato a una battaglia al di fuori delle mura, capivo meglio le sofferenze che tutti quei soldati provavano, non sempre provocati dalle lesioni fisiche, ma perché anche loro erano stati testimoni della morte dei loro compagni.
Aveva smesso di piovere; alcune nuvole grigie coprivano il cielo, ma finalmente era possibile intravedere, seppur fioca, la luce del sole.
-Stai bene, Claire? – chiese Nifa al mio fianco.
Feci un cenno con la testa, senza rispondere, strabuzzai gli occhi, prima di avvertire un forte dolore al petto.
-Hai un cavallo strepitoso, - disse lei, sorridendomi, -ti ha portato fin qui senza nemmeno che qualche tuo compagno si preoccupasse di manovrarlo.
Tentai di cambiare quel sorriso, magari perché pensavo che, una volta rientrati nella città, avremmo ritrovato la pace.
Eppure, una volta oltrepassato il portone, vidi tutto, fuorché la tranquillità. L’ira era dipinta sui volti dei cittadini, che ci osservavano con astio borbottando tra loro; i ragazzini pestiferi si prendevano gioco di noi, punzecchiando il manto dei nostri cavalli; le donne parevano disgustate, altre piangevano disperate, apprendendo da alcuni miei compagni la morte dei propri figli.
Quello scenario indecente mi intimorì, allo stesso tempo mi induceva a reagire con la forza. Perché se la prendevano con noi? Come se la Legione Esplorativa fosse stata incaricata di rinchiuderli in una gabbia.
Il problema rimaneva che loro nemmeno si rendevano conto di star vivendo in una gabbia, e consideravano il flusso migratorio di quei pochi superstiti del Wall Maria una spina nel fianco; nemmeno avevano realizzato che ora tutti loro vivevano esposti alla furia del Gigante Colossale, che avrebbe potuto benissimo apparire da un momento all’altro, come lo erano stati un anno prima i cittadini di Shiganshina.
Trovai intollerabile che alcuni addirittura avessero iniziato a lanciare dei sassi contro i nostri superiori; ma Erwin, Mike, Dieter, Hanji, addirittura Levi, non muovevano un dito, continuando ad avanzare a passo lento verso l’uscita di quell’inferno per approdare dentro le mura.
-Brutti insolenti, non fate altro che gettare all’aria i nostri contributi! – urlava un uomo a pochi passi da me. –Perché non la finite di andare a fare delle stupide passeggiate con i giganti? Pensate piuttosto alla nostra sopravvivenza!
Iniziai a tremare dalla rabbia; Petra se ne accorse, perché mi invitò a rimanere calma. Ma io non ero più in grado di sopportare quei discorsi patetici e infondati. Scesi da cavallo, avanzando minacciosamente verso quell’uomo.
-Allora me la dia lei, una soluzione per risolvere la sovrappopolazione cittadina! – sbottai. –I superstiti del Maria stanno morendo di fame, e voi, che vi arricchite avidamente alle loro spalle, ve ne infischiate!
Il cittadino parve per un attimo sorpreso, poi si sfogò: -Ma chi sei, tu, per dirmi queste idiozie? Pensi di essere forte? Invece sei solo una povera mocciosetta!
-Una mocciosetta che forse sta cercando di salvare il suo culo pesante fuori dalle mura, rischiando di essere divorata viva come hanno già fatto molti compagni solo per far vivere una feccia come lei dentro questa gabbia merdosa in cui voi tutti vivete come se niente fosse!
-Come osi, piccola stronza?
Mi accorsi di star dando di matto, ma non avevo alcuna intenzione di perdonare quell’ignorante isterico. Irata, feci per avvicinarmi a lui col fine di sferrargli un pugno. E l’avrei fatto, se non fosse intervenuto il Caposquadra Mike, bloccandomi le spalle.
-Basta così, Claire. Vieni via – mi trascinò lontano dal cittadino, ordinandomi di raggiungere Edmund. –E’ sempre così, ogni volta – mi spiegò. –Ma noi non ci pieghiamo a questi stolti. E nemmeno tu lo farai, non è vero?
Scoppiai nuovamente a piangere, venendo consolata dalle braccia possenti del superiore. Ero stanca di vivere in quella realtà devastata, popolata da esseri mostruosi e gente che, senza pietà, si permetteva di giudicare quei pochi che invece ancora credevano nella realizzazione di un mondo libero, a costo di vedere davanti ai propri occhi la morte dei propri amici e la popolazione che li derideva.
Noi non ci pieghiamo a questi stolti. Mentre avanzavamo nei territori interni, ebbi l’impressione che tutto fosse perduto, e che la nostra battaglia costante, nel mezzo della quale una quantità disastrosa di valorosi soldati portavano a termine la loro missione, fosse un pozzo senza fine, che non avrebbe mai e poi mai visto la nostra vittoria.
Quella spedizione era stata la cosa più bella che mi fosse capitata fino a quel momento nella mia carriera militare, ma anche la più atroce e sconvolgente.
 
 
Spazio autore: buon pomeriggio! Come sempre, eccovi un nuovo capitolo. Stavolta ho deciso di dilungarmi un po’, ma non aveva senso dividere anche questa volta. Ho deciso di rendere quanto più veritiera la fatica con cui i soldati affrontano la ritirata e il rientro all’interno delle mura. La nostra Claire si è lasciata un po’ andare, alla fine, ma nemmeno io avrei reagito diversamente, non lo nascondo. Vi auguro una buona settimana, a sabato prossimo!

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Capitolo 13
*** Il dolore è sparito, si allontana ***


13. Il dolore è sparito, si allontana
 
I giorni che susseguirono il nostro arrivo al Distretto di Trost furono confusionari e angoscianti: nonostante fossimo stati in grado di realizzare, dopo tanto tempo, un buon punto di appoggio verso Shiganshina, il numero degli uomini caduti in battaglia risultò terribilmente elevato: ben trentuno soldati della Legione Esplorativa non avevano fatto ritorno a casa.
Erwin si decise una volta per tutte a illustrare all’Armata quella strategia a lungo raggio che aveva pensato. Feci in tempo a frequentare alcune lezioni teoriche a riguardo (che a poco mi servirono, dato che il Comandante mi aveva spiegato precedentemente ogni elemento della tattica) prima di essere colpita da una forte e lunga febbre.
Detto così potrebbe apparire al lettore come una cosa da niente; ma per una settimana non fui capace di alzare la testa dal cuscino, vomitando ogni qualvolta ingurgitassi un cibo o addirittura della semplice acqua ed ero incapace addirittura comunicare con l’esterno.
Molti iniziarono a credere che, dati i miei sintomi anomali e le scarse medicine che circolavano nelle Mura per quegli strani casi, non sarei stata in grado di cavarmela. Se quei mali avessero persistito per i giorni seguenti, probabilmente ci sarei rimasta secca. Di sfuggita vedevo entrare e uscire Petra dalla stanza dell’infermeria riservata appositamente per me. Mi controllava la temperatura, mi sistemava meglio i cuscini ed era lei a somministrarmi quei medicinali quasi completamente inutili.
Ricordo di aver spesso ricevuto la visita di qualche ufficiale, estremamente preoccupato per le mie condizioni.
Ricordo i volti preoccupati di coloro che speravano nella mia guarigione.
Ricordo di aver sognato una quantità infinita di incubi.
Sognai di essere ritornata bambina, di star supplicando mia madre a non mettere piede fuori casa perché la pioggia l’avrebbe bagnata e ridotta nelle mie attuali condizioni. Sognai il suo sorriso confortante, la sua voce che mi intimava a non preoccuparsi, perché avrebbe dovuto consegnare il bucato che aveva lavato per la signora Tules, la quale l’avrebbe ricompensata con quei pochi spiccioli che ci avrebbero permesso di comprare degli odiosi prodotti in scatola.
Ahimé, come era difficile la nostra vita, da quando papà era scomparso. Era pietoso vedere mia madre dirigermi dalla signora Tules col cesto di panni immacolati, che venivano nuovamente inzuppati dall’acqua del cielo.
-Fortunatamente, la scema della signora Tules abita qui vicino – giudicò Lex, incaricato di lavare i piatti e riporli asciutti nella credenza.
-Ma mamma si bagnerà. Perché non ha aspettato che spiovesse, prima di uscire? – chiesi innocentemente io.
-Ha detto che era in ritardo con la consegna. Sinceramente non l’ho capita manco io.
Seguii la mamma con lo sguardo fino a un certo punto, dopodiché vidi tre o quattro uomini avvicinarsi verso di lei. Ho cercato in tutti i modi di far sovvenire alla mente una misera caratteristica dai loro volti, coperti dalla nebbia fitta; ciò che ricordo è il sangue scarlatto proveniente dal collo di mia madre, sgozzata da uno di quegli assassini, che aveva macchiato i panni della donna a cui erano destinati.
Rimasi impietrita, domandandomi se ciò che avevo visto fosse in realtà uno scherzo. –Lex, mamma…
Lex si avvicinò alla finestra. Non vi rimase per molto tempo, perché mi prese per mano e corse disperato verso la porta-retro di casa.
-Lex, dove stiamo andando? Perché lasciamo la mamma?
-Claire, adesso sta’ tranquilla. Andiamo dai Ral.
-Lex! Ti prego, spiegami! – urlavo disperata.
-Non lo so nemmeno io, Claire! – gridò affranto.
Liberai la mia mano dalla sua, ma non feci in tempo a muovere un solo passo indietro, perché inciampai e caddi dritta in una pozzanghera.
Sapeste quanto fosse gelida, l’acqua marrone e sudicia che si trovava per terra! Peggio ancora, tuttavia, era stato assistere direttamente alla morte della propria madre.
Dopo aver ricordato questa scena, la mia mente riprodusse infine l’immagine di uno strano campanile dall’intonaco marroncino di forma parallelepipeda, che mi sembrò essere straordinariamente innovativo per essere costruito in quei pochi ettari che delimitavano i possedimenti dell’umanità. Forse, nemmeno i distretti del Wall Sina potevano permettersi di costruire un edificio così bello e moderno.
                                                   

Poi mi svegliai. Era l’alba del quinto giorno trascorso nell’infermeria. O meglio, mi sembrava l’alba.
Piangevo per aver ricordato un momento tanto triste della mia vita, ma poco dopo mi ero accorta di essere riuscita, dopo tanto tempo, a rimettermi in posizione eretta.
La testa non mi faceva più male come prima, e avevo preso stranamente coscienza degli ambienti e degli oggetti che mi circondavano.
Mi asciugai le lacrime e mi guardai intorno. Riconobbi un biglietto lasciato sul comodino posizionato accanto al mio letto.
Siamo andati in città con i Caposquadra. Spero che tu riesca a leggere questo messaggio, rimettiti presto.
Petra
Sì, ci sono riuscita, pensai. Sorrisi, prima di provare una grande nostalgia: quanto avrei desiderato l’abbraccio della mia migliore amica, dopo aver passato le pene infernali di quei giorni!
Dietro al biglietto, c’erano dell’acqua e dei biscotti un po’ stantii. Qualcuno doveva averli lasciati lì sopra già da diverso tempo. In ogni caso, li afferrai, sorseggiando lentamente l’acqua e ingoiando piccoli frammenti dei biscotti secchi.
Non mi capacitavo di come fossi riuscita a rimettermi così all’improvviso. Ora, tuttavia, mi turbava l’immagine di quello strano campanile, che, ne ero certa, non avevo mai visto. Cercai disperatamente il mio blocco da disegni, che non fui in grado di trovare. Perciò, mi servii di una matita lasciata sul comodino e del foglietto su cui Petra aveva scritto per realizzare un bozzetto di quel bizzarro edificio.
Mi alzai dal letto, aprendo una finestra. Alcuni soldati si stavano dirigendo in qualche distretto. Ne erano parecchi.
Osservandoli, decisi che avrei chiesto a chiunque informazioni su quel campanile. Sarebbe divenuta la mia ossessione finché non fossi riuscita a capire in quale luogo all’interno delle mura si trovasse. E se non fosse nemmeno all’interno delle mura, ma nei pressi del Maria o addirittura fuori?
Qualcuno bussò alla porta, aprendola poco dopo. Mi aspettavo fosse il medico della Legione incaricato a occuparsi delle mie condizioni, invece era il caporale maggiore Levi.
-Capitano! – mi misi sull’attenti, benché non disponessi nemmeno della divisa.
-Hares, ti sei rimessa?! – domandò stupito lui.
-Mi sono svegliata poco fa – ammisi, accorgendomi di un oggetto familiare tenuto nella mano sinistra del corvino. –Capitano, che ci fa con la mia chitarra?
Egli entrò nella stanza, rendendomi l’oggetto. –Te la sei dimenticata la sera prima della spedizione. L’ho conservata nella mia stanza tutto il tempo, ma dovresti imparare a prestare più attenzione alle tue cose, se non vuoi che si perdano.
Gli sorrisi, accettando l’oggetto. –Grazie per essersene occupato lei, capitano – gli dissi sincera. –E’ stato molto gentile.
Mi osservò per qualche attimo, poi la sua attenzione si concentrò sul modo pietoso in cui era ridotta la stanza, in cui mancava totalmente aria.
-Ora che stai meglio, che ne dici se mettiamo un po’ in ordine qui dentro? – propose lui, dirigendosi ad aprire tutte le imposte, oltre la finestra che già io avevo aperto.
Ridacchiai. –Ha proprio ragione, capitano, ma forse non dovrei farmi dare una controllata dalla signorina Martha? Se non sbaglio, si è occupata lei del mio malessere, fino ad oggi.
-Giusto – rispose lui. –Va’ da lei, allora. Io nel frattempo cerco quello che serve per dare una sistemata a questo posto.
Feci come aveva detto. Mentre io mi ero diretta dal medico del Corpo di Ricerca, la quale, dopo essersi accertata del mio improvviso miglioramento, mi aveva rivelato che era stata sempre e solo Petra, da qualche giorno, a essersi occupata di me, Levi era tornato dalla sua camera con saponi e spolverini di ogni tipo. Aveva posato la giacca beige su una sedia e riposto un fazzoletto davanti alla bocca e uno sui capelli, che lo fecero sembrare ai miei occhi molto buffo e ridicolo.
-Ti consiglio di fare lo stesso – mi intimò lui. Gli diedi ascolto per metà, perché mi occupai di sistemare solo una bandana attorno alla bocca, prima di iniziare i lavori. Essendo ancora abbastanza debole, mi occupai dei compiti più semplici, che fui costretta a ripetere più volte a causa dell’insoddisfazione del caporale. Eppure, dopo un’ora, avevamo sorprendentemente già terminato. Mi aveva scioccato la velocità con la quale Levi aveva risistemato la camera, facendola addirittura splendere.
-Grazie per avermi dato una mano, capitano – gli sorrisi alla fine, poggiandomi affannata sul bordo del letto.
-Non ti avrei mai lasciato fare tutto da sola – rispose premuroso. –Sei una totale incompetente, hai molto da imparare.
Ero così stanca che nemmeno feci caso al suo pseudo insulso, ma domandai il motivo di quel silenzio che regnava il Quartier Generale.
-Sono tutti andati in città, non è rimasto quasi nessuno – spiegò lui, sistemandosi nuovamente la giacca.
-Lei non è andato?
-Mi sembrava inutile. Poi c’eri anche tu che, fino a qualche ora fa, eri una moribonda. E la tua amica Petra è stata forzata a occuparsi della Quattr’occhi. Sono andati a Karanes.
Rimasi un po’ delusa e preoccupata; Petra avrebbe rivelato a Lex del mio malessere, mentre io, nel frattempo, mi ero già alzata dal letto, addirittura aiutando il capitano a pulire l’infermeria da cima a fondo.
-Saranno qui per stasera – spiegò il caporale. -Ovviamente nemmeno ti propongo di prendere parte ad un addestramento, visto che sei ancora così debole.
Scossi il capo. Non ero intenzionata a perdere un ulteriore giorno di allenamento, benché non avessi riacquisito tutte le forze necessarie. –Oggi potrei limitarmi a iniziare a familiarizzare in maniera pratica la formazione a lungo raggio. Sono ferma alle lezioni teoriche.
Egli ci pensò, poi annuì. –Mi va bene. Io e i tuoi quattro amici abbiamo iniziato l’addestramento giusto qualche giorno fa, è bene che anche tu cominci.
-Però ho bisogno di tempo per darmi una sistemata, signore – lo avvertii. -Ho bisogno anche di un po’ di tempo per lavarmi i capelli.
-Sarebbe la cosa migliore – notò lui, con tono disgustato. –Ti aspetto al campo di addestramento. Vedi di non metterci troppo.
Mi preparai in fretta e furia nel bagno dell’infermeria, utilizzando una vecchia bacinella per lavarmi i capelli sporchi con del sapone alle arance. Dopo essermeli asciugati, li legai in una treccia nonostante fossero ancora umidi; infine indossai la divisa, infilandomi, per formalità, anche l’imbracatura del dispositivo che non avrei utilizzato.
Dopodiché, raggiunsi il caporale ai confini del campo di addestramento; era nella scuderia per prelevare il suo cavallo. Dopo aver dato da bere a Edmund, anche io condussi il mio al di fuori, aspettando che il corvino acconsentisse a iniziare l’allenamento.
Notai che il campo era stato accuratamente sistemato con una particolare segnaletica, e vi erano dei fantocci che popolavano diverse aree. –Allora? Sei pronta?
-Signorsì, - risposi con sicurezza, aspettando che lui mi desse indicazioni su come muovermi.
-Proseguiremo insieme fino a un certo punto. Attendi il mio segnale, dopodiché ci separeremo e cavalcheremo a distanze diverse fino ai confini del bosco. Alcuni ragazzi lanceranno dei fumogeni, di tanto in tanto, perciò sii sempre preparata, e tu farai lo stesso nel caso di un avvistamento con i fantocci. Il nostro obiettivo, da adesso, sarà sempre deviarli, perciò sarebbe inutile se ti dicessi di sguainare le spade, anche perché nemmeno porti il resto dell’armatura.
Spiegai che avevo compreso, per questo egli non attese ulteriormente, dando il via all’esercitazione.
Edmund, a differenza mia, si era subito ripreso dopo la spedizione. Inizialmente me la stavo cavando egregiamente dapprima a tenere il passo a Levi, poi a separarmi da lui e a deviare i fantocci sparando i fumogeni giusti, pur non allontanandomi di troppo dal mio capogruppo. Tuttavia, essendo ancora poco lucida, a tratti rischiavo di addossarmi troppo a un fasullo titano, il che non andava bene, dato che avrei dovuto limitarmi a segnalare il mio avvistamento al resto della spedizione.
Sperimentai poi la velocità del mio cavallo, seguendo comunque gli ordini del capitano. Una volta raggiunto l’obiettivo finale, procedemmo alla stessa maniera anche per far ritorno all’uscita del campo.
Mi diressi velocemente a una fontana, facendo a gara con Edmund su chi avesse la precedenza per bere.
-Ma tu guarda che insolente! – esclamai, ridendo come una matta. –Stupido cavallo, mi hai bagnata tutta!
L’animale faceva di tutto per schizzarmi in faccia, in maniera alquanto impertinente. Ad un certo punto mi arresi, lasciando l’acqua della fontana a Edmund per dirigermi dal mio istruttore, rimasto a carezzare copiosamente il suo destriero.
-Spero tu abbia finito di giocare col tuo cavallo – osservò Levi.
-Mi scusi tanto, signore – ridacchiai. –Mi perdoni, vorrei sapere come è andata l’esercitazione. Ho visto che non ha distolto lo sguardo da me per neanche un secondo – chiesi scherzosa.
Egli sembrò strabuzzare gli occhi, preoccupandosi del suo cavallo. –Era ovvio che non dovessi toglierti gli occhi di dosso. Ti sto facendo da baby sitter, e la colpa sarebbe ricaduta su di me se ti fossi sentita male nel bel mezzo dell’addestramento – io feci spallucce, aspettando comunque l’esito dell’esercitazione. –Devi migliorare i riflessi. Mi sembravi distratta, per certi versi, ma forse è perché fino ad oggi sei rimasta ferma nel letto con la febbre a quaranta.
Non mi aspettavo di ricevere da lui alcun complimento. Forse sarebbe stato più soddisfacente rimanere nella squadra di Mike, dove qualcuno avrebbe sicuramente apprezzato il mio lavoro. –Sì, è così, capitano. Le dispiacerebbe riprendere l’allenamento? Ovviamente non subito, ma vorrei prendere ulteriore dimestichezza con la tattica elaborata dal Comandante, e non dispongo nemmeno dell’attrezzatura tridimensionale per esercitarmi con qualcos’altro.
Egli acconsentì. Più tardi avremmo ripreso l’esercitazione, terminando nel primo pomeriggio, quando avevo esaurito ogni forza acquisita da quei pochi biscotti stantii che avevo mangiato la mattina precedente.
-Basta, Hares, ritiriamoci – sembrò essere d’accordo il corvino, una volta essere ritornati al campo. –Conoscendoti, anche tu devi avere una fame da lupi.
Dopo aver sistemato i cavalli nella stalla, ci dirigemmo nella mensa del Quartier Generale, a quell’ora sgombera di quei pochi soldati rimasti alla Base, i quali avevano consumato il loro pasto qualche ora prima.
Io e il capitano consumammo un panino con qualche affettato, preparato dal cuoco della Legione. Ero intimorita all’idea di dover mangiare in presenza di un ufficiale, addirittura del caporale in persona, perciò mi trattenni dal divorare come ero solita fare assieme ai miei più fidati amici.
-Mangi poco, o sbaglio? – mi domandò improvvisamente lui.
-Assolutamente no. Quest’addestramento è stato abbastanza faticoso. Ho una fame che non ci vedo.
-Allora perché non ingoi quel panino in un boccone solo, come fai sempre?
Mi feci subito rossa. Che mi avesse guardata mangiare durante le nostre cene?
-Ora che ho scoperto che mi fissa mangiare, consumerò i miei pasti altrove – enunciai.
-Io… io non ti fisso – incespicò il capitano. –Molto spesso mi capita di osservare voi reclute che discutete animatamente di qualcosa. Pensi che al tavolo dei superiori ci siano argomenti interessanti di cui si parla? Mi dispiace deluderti, ma ti sbagli.
-Mi piacerebbe saperlo! – ribattei interessata. –Deve essere grandioso ascoltare i discorsi degli uomini più forti del mondo. Noi non ci dilunghiamo in lunghe e animate conversazioni, glielo posso assicurare.
-Ad esempio? – domandò tranquillamente, sorseggiando il suo caffè.
-L’unghia incarnita che si era procurato Oruo durante il secondo anno dell’addestramento mi sembra un ottimo esempio.
Come da prassi, lui non rise, ma il suo sguardo si addolcì. –Questa era simpatica, non lo nascondo – giudicò lui.
-Non era una battuta – risi. –Se non mi crede, provi a chiederlo a lui. Comunque, questo è per farle capire che tantomeno i nostri discorsi possono risultarle interessanti.
In silenzio, terminai il mio panino, cercando di contenermi quanto più possibile.
-Mi reputi davvero ripugnante? – chiese ad un certo punto lui.
Mi chiesi il motivo di quella domanda un po’ decontestualizzata. -A che proposito?
-In generale. Hares, credi davvero che sia un insignificante apatico? Mi trovi altamente detestabile?
Ci pensai qualche secondo. –Molti lo pensano. E io ne avrei i diritti.
-Davvero?
-Capitano, io la stimo, e provo molta fiducia nei suoi confronti soprattutto da quando mi ha salvato dalle grinfie di un titano durante la mia prima spedizione, eppure non capisco la ragione per cui sono l’unica recluta rimasta a cui lei si riferisce per cognome – mi vergognavo a rivolgergli la parola in quella maniera, ma si trattava sempre di un momento più intimo, simile a quello avvenuto sul tetto dell’edificio. Ed erano attimi in cui, credetemi, valeva la pena approfittare della sua loquacità e della sua bizzarra gentilezza. -Questo mi fa credere che sia lei a detestare me.
Egli mi guardò fisso negli occhi. Petra aveva ragione, riguardo il loro colore blu grigiastro. Ironicamente, i miei erano grigi, ma tendenti all’azzurro, un perfetto misto di quelli neri di mia madre e quelli azzurri di mio padre. -Talvolta sei davvero insopportabile, e combini anche un sacco di casini – osservò il corvino. –Ma hai anche molto talento. Per quanto mi riguarda, potresti essere la migliore recluta che abbiamo raccolto quest’anno, per quanto tu non fossi stata valutata migliore cadetta del corso d’addestramento. Ti dirò, non mi aspettavo che una mocciosa come te arruolatasi da poco potesse cavarsela così bene durante la sua prima spedizione.
Arrossii un’altra volta, stringendo la tazza in latta colma di caffè caldo col cuore che mi batteva forte nel petto. –Penso che, fuori dalle mura, mi sento libera di poter essere finalmente quello che sono. Non sento la pressione di nessuno, d’altronde il mio obiettivo rimane quello di non morire nel bel mezzo di uno scontro, per cui devo lottare con tutte le mie capacità per far sì che ciò non succeda. Avrò anche un potenziale elevato, che non riesco ad esprimere con gli altri esseri umani; a quanto ho capito, lo faccio solo quando ho a che fare con gli esseri giganteschi oltre le mura.
Mi guardò intensamente negli occhi. -In ogni caso, se è proprio tutto ciò che desideri, ti chiamerò per nome. Claire, giusto?
Non trattenni un sorriso. Come era capitato il primo giorno, quando Hanji si era rivolta a me per la prima volta, il mio nome risultò particolarmente rispettabile e insolito se pronunciato da un superiore.
-Sì, capitano. La ringrazio per aver esaudito la mia richiesta – risposi felice, guardando distrattamente il tavolo. –E anche per star credendo in me.
I suoi occhi ancora mi fissavano, ma iniziai a non farci più caso. Quasi stavo apprezzando quello strano silenzio che ci aveva pervaso. Era vero, alla fine avevo iniziato a tenere anche a quel piccolo e burbero soldato, soprattutto dopo aver riconosciuto che, senza di lui, non sarei più tornata dentro le mura.
Era una persona di cui ci si poteva veramente fidare, lo stimavo anche perché paresse incentivare il gruppo di miei amici a mettere in atto le nostre abilità, come era successo all’interno del bosco. Il caporale maggiore Levi, malgrado la sua scontrosità, era una persona di tutto rispetto, forse anche amabile.
 
 
Spazio autore: come al solito, buon sabato!
Sono felice di essere riuscita a pubblicare anche stavolta, malgrado gli impegni porto avanti la storia in maniera più o meno costante .
Eh sì, ancora una volta, Claire deve avere a che fare col caporale, magari sta anche apprezzando, a poco a poco, la sua compagnia. Vedremo nel prossimo capitolo come proseguirà la loro giornata, dopo la merenda nella mensa della Ricognizione XD.
Alla prossima!
 

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Capitolo 14
*** Il freddo del mio inverno ***


14. Il freddo del mio inverno
 
-L’ho trovato! - esclamai allegra, saltellando incontro al caporale.
Egli iniziò ad osservare gli oggetti nelle mie mani: quando mi aveva proposto di fare una passeggiata, nel pieno pomeriggio, per i giardini della Base, io prontamente gli avevo annunciato di dover far ritorno nella stanza dell’infermeria per indossare, come egli stesso avrebbe fatto, qualcosa di più comodo e sbarazzarmi dell’imbracatura, oltre che della futile divisa. Certamente non si aspettava che fossi tornata da lui con la chitarra nella mano sinistra e il blocco da disegno nella destra, che credevo di aver perduto durante la ritirata, custodito per tutto quel tempo dalla mia amica Petra.
-Che cosa devi farci, con tutta quella roba? - domandò sorpreso.
-Possono sempre servire - spiegai, sorridendogli. -Dove mi porta di bello, capitano?
-Nei soliti e noiosi posti che circondano questo edificio. Dove potrei mai portarti? - rispose lui sprezzante.
-Ha ragione - risi. -Alla fine questo posto è dominato dalla monotonia. Soprattutto quando mancano le uniche persone che lo rendono... un po’ meno noioso.
Mentre iniziammo a incamminarci lontano dalla Base, ripensai alla Caposquadra Hanji e ai miei allegri compagni. -Capitano, ha idea di quando gli altri torneranno? Non vedo l’ora di svelare ai miei amici di essere resuscitata.
-Non so che dirti. Dovresti chiederlo a Erwin. È rimasto nel suo ufficio a occuparsi di tutte le faccende che solo un Comandante sarebbe in grado di gestire - camminava a passo lento, osservando la vegetazione davanti a sé. Più avanzavamo, più proseguivamo verso un boschetto profumato di fragole (o almeno fu quello l’odore che mi ricordò, nonostante quasi mai avessi avuto l’occasione di saggiare quel frutto estivo, che raramente cresceva tra le mura, in cui regnava un clima prevalentemente rigido), che poche volte avevo colto l’occasione di visitare a causa dei numerosi compiti e delle esercitazioni da svolgere in ben altri luoghi.
-Allora non lo disturberò - dissi, stringendo al petto lo strumento musicale.
Ad un tratto, il caporale distolse lo sguardo dal bosco, volgendo i suoi occhi sulla mia chitarra.
-Sei molto attaccata a questo pezzo di legno, o sbaglio? - chiese lui ad un certo punto, riprendendo la discussione.
Ci pensai qualche attimo, osservando lo strumento. –Già. Lo considero un membro della mia famiglia, l’unico che ha potuto seguirmi fin qui per ricordarmi mia madre - sospirai, indecisa se parlargli del ricordo tragico che poche ore prima la mia mente aveva rievocato in sogno. -Capitano, mi dispiace di averle risposto male l’altro giorno, durante la ritirata.
-Parli della pioggia? - chiese, levando un granello di polvere depositato sulla sua giacca blu scuro. In quell’attimo constatai che doveva essere solito indossare poche volte un abbigliamento tanto elegante quanto insolito per un soldato.
-Esatto, signore - proseguii. -È buffo a dirsi, ma è un tipo di clima che ho sempre sofferto. Specialmente dal giorno in cui mia madre è morta – chiusi gli occhi, respirando profondamente. –Sotto la pioggia, in una pozza di sangue, massacrata dal pugnale di uno di quei balordi che l’hanno ammazzata.
Non aveva senso piangere davanti a lui, d’altronde ero stata io a decidere di parlargliene; perciò, strinsi sotto il braccio il blocco da disegno, trattenendomi.
-Credo che sia inutile scusarsi. Era un momento molto particolare, e, anzi, non ti nascondo che anche io avrei reagito in quel modo - aggiunse lui. -Claire, sono molto dispiaciuto per tua madre.
Abbozzai un sorriso, ricordando ancora una volta quel tragico momento della mia vita, ma al tempo stesso gioendo per essere stata una di quelle poche persone a cui il caporale maggiore Levi, in tutta la sua via, si era rivolto in maniera garbata, umana e sincera.
-Ma alla fine, tu e tuo fratello siete mai riusciti a scoprire questa banda di stronzi? – continuò lui.
-No. Il padre di Petra, dopo averci soccorso, ne parlò subito con la Gendarmeria, che poco tempo dopo, a dispetto delle nostre sollecitazioni, archiviò il caso - rivelai. -Sa, signore, per un momento, nella mia vita da cadetta, avevo pensato di arruolarmi ai gendarmi per cercare di mettere in ordine il caos che domina quell’ala dell’esercito. Dopo mi sono resa conto che io non sarei mai stata capace di cambiare niente, a causa di tutta la gente meschina che si è arruolata lì.
-Non posso che darti retta - terminò lui. -Non crederti che i gendarmi siano mai riusciti a cambiare il macello che persiste nella città sotterranea.
-Infatti non lo penso - ribattei. -Capitano, lei... insomma, da come me ne parla, lì sotto la popolazione muore di miseria. Lei come ha fatto a sopravvivere?
Levi rimase per qualche secondo in silenzio, momento in cui avevo già iniziato a incolparmi per essere stata tanto invadente. -Lì le epidemie sono costanti, i ragazzi sono denutriti, soggetti alla cattiveria degli uomini peggiori del mondo. Non crederti che sia stato semplice.
Il cuore iniziò a battermi forte per la tensione. Morivo dalla voglia di conoscere meglio la sua storia, ma ero impaurita da come egli avesse potuto reagire alla mia petulanza. -Ma alla fine come ha fatto a cavarsela?
Il capitano Levi fece qualcosa di puramente inaspettato: inizialmente non parlò, avanzando verso un piccolo albero, dopodiché sedette ai piedi del tronco, socchiuse gli occhi, per poi guardare il prato verdissimo che lo circondava. -C’è solo un modo per sopravvivere, lì sotto: sottrai i viveri agli altri. Uccidi, prima che lo faccia con te la fame. Ecco il motivo per cui centinaia di bambini nascono e muoiono alcuni anni dopo lì. Vuoi sapere perché conosco tutto ciò? Tempo fa, mi è stato insegnato questo metodo, ed è l’unico motivo per cui io adesso mi trovo ancora qui.
Mi inginocchiai accanto a lui, mentre egli, nel frattempo, non si risparmiò, raccontandomi il modo brutale con cui tantissimi giovani di quella città morivano di fame, venendo completamente ignorati dalle autorità mentre, giusto qualche metro sopra le loro teste, si svolgevano eventi mondani di ogni tipo, frequentati dall’aristocrazia più ricca delle mura. Il capitano, col suo solito fare distaccato, poco mi raccontò di sé, alla fine: omise il nome di colui o colei che gli aveva insegnato come la legge del più forte dominasse quella triste realtà, e non mi parlò tantomeno della sua vita da criminale, che, da quanto avevo constatato, doveva essere stata assolutamente malinconica e atroce.
Nonostante ciò, il suo racconto mi toccò profondamente: in poche parole, Levi era stato capace di descrivere e di farmi immaginare una prospettiva di vita di gran lunga più catastrofica di quella che io avevo vissuto. Non voglio essere fraintesa, non vi è nulla di più triste che assistere alla morte della propria madre o dei propri compagni, ma, fino a quel momento, mai e poi mai avrei supposto che esistesse una realtà, all’interno delle Mura, ancor più miserabile e disumana di quella apparsa ai miei occhi.
Il caporale continuava senza interruzioni a parlarmi di quel mondo triste; solo le lacrime che si fecero strada sul mio volto riuscirono a fargli intendere che non avevo più voglia di ascoltare quella storia vera quanto drammatica.
-Capitano, perdoni se sono sempre così sensibile – mi coprii il volto imbarazzata, gli occhi fissi sul blocco che stringevo tra le mani.
Levi mi pose una mano sulla fronte, tastandola più volte. –Sei un po’ calda – disse, impassibile come sempre. Che fosse davvero così forte da non rimanere turbato dalle sue stesse parole? Oppure teneva tutto dentro di sé, come si addiceva agli uomini più forti dell’esercito?
A quel gesto, io ero arrossita di colpo ed ero trasalita non appena la sua mano gelida mi aveva toccata.
-Credo che mi sia tornata un po’ di febbre – gli risposi, non appena ebbe ritratto la mano.
-Mi spiace di averti fatta sussultare – si sfregò più volte le mani, guardando per terra pensieroso. –Non pensavo di averle così fredde.
Quel suo strano comportamento mi lasciò senza fiato. Non avevo idea di come affrontarlo, perciò, per alleviare l’imbarazzo, iniziai a muovere le mani sulla tastiera della chitarra, incominciando l’arpeggio della canzone che lui stesso aveva apprezzato qualche sera prima.
I suoi occhi brillarono, non appena la riconobbe. Tale reazione mi emozionò più del dovuto.
-Mi piace questa canzone, - rivelò, -forse perché è la prima che abbia mai ascoltato.
Gli sorrisi un’altra volta. –Questo mi riempie di orgoglio – dissi, intenta a introdurre quel brano che non mi sarei permessa di suonare, se non per allietare il dolore che egli, senza ombra di dubbio, aveva provato.
Il capitano, attento come un falco, prestava attenzione a ciascuna parola, ciascun concetto. Lo osservai di sfuggita un paio di volte: le labbra leggermente schiuse, i suoi piccoli occhi blu fissi sulle mie dita, forse ripensava a ciò che mi aveva appena raccontato, forse i suoi pensieri erano rivolti a tutti coloro che aveva incontrato nella sua vita famigerata in quel buco di terra.
Pochi secondi dopo la fine della canzone, suonai una nuova melodia, che non accompagnai con la voce.
Da tempo né io né Lex ricordavamo le strofe, i versi di quella canzone ancora più dolce e armoniosa di quella prediletta da Levi, sicuramente anche più complicata per una dilettante come me.
Ma non mi preoccupai di fare bella figura col capitano, che, da quanto avevo capito, apprezzava in ogni caso il suono della mia chitarra. Come infatti egli non ebbe niente da dire, ripensai a uno di quei tanti pomeriggi autunnali passati nella mia vecchia casa, attorno a un tavolo, dove mio padre intratteneva la sua umile famigliola con lo stesso brano: era una melodia malinconica e significativa, che si adattava benissimo al battito delle gocce di pioggia sulla finestra. La Canzone della Pioggia, la chiamava infatti mio padre.
Ancora una volta mi chiesi il motivo per cui quella quiete fosse finita così presto. Perché un uomo che doveva volere così bene alla propria famiglia aveva deciso di dlasciare i propri cari, ignorando addirittura la morte dell’amore della sua vita?
Ho sentito il freddo del mio inverno
Non avrei mai pensato che se ne sarebbe andato.

Queste furono le uniche parole che la mia mente ricordò in quel momento, e che non trattenni dal pronunciare ad alta voce in presenza di Levi.
Ripensai a quello che avevo detto. Ebbene, l’inverno che mi portavo dentro da quel maledetto giorno di tredici anni fa era stato in parte spazzato via dall’affetto che i miei compagni provavano nei miei confronti. In quell’istante, tuttavia, compresi che accanto a me c’era una persona che, più di qualunque altro, aveva bisogno di un minimo di amore, quello che pochi, probabilmente quasi nessuno, erano stati capaci di donargli.
Ma perché, ad un tratto, reputai ancora più importante quella persona che, da sempre, si riferiva a me con modi tutt’altro che garbati e rivolgeva a chiunque un tono insolente e brusco? Eppure, era la stessa persona che, senza proferire parola, ascoltava i miei personali racconti di vita come le melodie che riproponevo sulla mia chitarra, al contempo ero convinta che anche lui mi avesse appena rivelato tante cose sulla sua vita personale che a stento potevano conoscere persone del calibro di Erwin o Hanji.
-Che cosa significa? – mi chiese lui curioso, riferendosi al frammento di testo.
Posai la chitarra sulle ginocchia, poggiando la schiena contro il tronco dell’albero. –Non saprei. Non ricordo nemmeno un’altra parola di questa canzone – chiusi gli occhi, cacciando un lungo respiro.
-Sono delle melodie incantevoli, almeno per me – constatò lui. –Eppure, il testo della prima è davvero tanto particolare ed enigmatico. Da chi le hai apprese?
-Da mio padre – risposi immediatamente. –Come le ho già detto in precedenza, anche mia madre cantava. Sembravano sempre essere al corrente di quella parole strane che compongono il testo, ma io e mio fratello non siamo mai stati in grado di decifrarle, né abbiamo capito da dove entrambi le avessero imparate – spiegai.
-Tuo padre…? - ripeté lui.
-Sì, quello che, penso io, è scappato, lasciando la propria famiglia innocente. Non credo proprio che l’abbiano portato via, secondo me è ancora vivo – confessai convinta. –Ma non ho intenzione di cercarlo. È una situazione atipica e triste, la mia. Per il momento mi basta sapere che Lex sia al sicuro.
Ad un tratto, venni presa da un dubbio. –Capitano, ma lei… non ha nemmeno un padre? Mi ha raccontato della morte di sua madre, eppure…
-Sbaglio, o tremi ogni qualvolta mi rivolgi una domanda? - osservò lui.
Sobbalzai preoccupata e avevo così tanto torturato il fermaglio sulla mia nuca da spezzarlo. Ora i miei capelli ondeggiavano con il vento. -È che... ho paura di sembrarle troppo invadente. Mi ha già detto tante cose su di lei, che io, da cadetta, non avrei mai dovuto sapere.
-Sei tu che continui a domandarmi tutte queste cose.
-Ma lei non è obbligato a parlare, o sbaglio? Data la posizione che occupo, io e lei, al momento, non dovremmo nemmeno trovarci qui adagiati letteralmente sugli allori a chiacchierare.
La sua voce si fece nuovamente severa. -Se ti vengono tutti questi dubbi, tanto vale che ce andiamo, no? E la finiamo qui.
-Caporale – non saprei spiegare in che maniera la mia mano aveva improvvisamente raggiunto la sua spalla. Arrossendo, la allontanai immediatamente, schiarendomi la voce. –Non esiti a raccontarmi. Vede, sono cose che io, in un certo senso, potrei comprendere, e tantomeno non mi reputo così stupida da andare a raccontarlo in giro.
Mi guardò interdetto qualche attimo. Nemmeno saprei dirvi il motivo per il quale, all’improvviso, mi importasse così tanto di lui. Eppure, in quel momento ero desiderosa di sperimentare quanto più possibile quel suo lato sensibile e lacerato dal dolore. Ecco perché, come io mi ero aperta a lui, mi premeva che venissi ricambiata.
–Non proverò nemmeno lontanamente a obbligarla – proseguii. –Se pensa che io non debba sapere più niente, mi va bene così, ma non esiti a cercare il mio aiuto, se desidera.
Levi non rispose, né si alzò per andarsene. Interruppi il silenzio poco dopo, quando ebbi ripreso a suonare il mio strumento. Alcuni istanti più tardi, Levi riprese a parlare: -Har… Scusami. Claire, devi sapere che io non ho nemmeno avuto il privilegio di avere un padre.
Di scatto smisi di suonare, guardandolo confusa e interessata.
-Ti chiederai se questo sia mai possibile, ma vuoi sapere cosa era mia madre? Ebbene, te lo dico subito: era una prostituta. Ma che vuoi farci? Lì sotto le donne non svolgono professioni alternative, e nemmeno questo può permettere loro di sfuggire alla morte. Sì, la mia è morta per qualche malattia, oltre che per la fame, dopo aver messo al mondo me qualche anno prima, dopo un rapporto con l’ennesimo dei suoi clienti. Questa è la ragione per cui mio padre nemmeno sa della mia esistenza, né è a conoscenza del fatto di aver messo incinta una povera donna.
Scossa e spaventata, interruppi il mio arpeggio per ascoltarlo. Possibile che quell’uomo avesse vissuto la storia più drammatica di tutta la gente che aveva abitato fino a quel giorno nelle mura?
-Caporale, ero convinta che fosse stato suo padre a prendersi cura di lei fino a che non si arruolasse - rivelai. -Mi perdoni tanto.
-Il mio arruolamento risale a due anni fa - disse, prima di raccontarmi di come il Comandante Erwin, all’epoca ancora un soldato d’élite come Hanji, gli avesse proposto di cedere la sua incredibile forza all’Armata Ricognitiva in cambio di una vita più agevole sopra quelle oscure e miserabili caverne in cui aveva vissuto per tutto quel tempo.
-Ora ti basta? - chiese, al termine del suo racconto.
Io mi trovavo in stato di choc, e, date le mie precarie condizioni di salute, sentivo che sarei potuta svenire da un momento all’altro.
-Sì, va bene - conclusi, mentre lui mi osservava cercare nelle tasche dei pantaloni un tovagliolo, o qualcosa con cui potessi asciugarmi il sudore sulla fronte. –Mi spiace… per averle fatto ricordare cose tanto spiacevoli.
Egli compì il mio stesso gesto, porgendomi uno dei suoi immancabili fazzoletti. -Prendi. C’è un laghetto, più avanti. Se ti senti poco bene, puoi provare a bagnarti il viso un po’ lì.
Mi stropicciai gli occhi, sorridendogli. -No, grazie. Va bene così. Preferisco rimanere qui all’ombra.
Egli annuì. -In tal caso, credo che farò due passi nei dintorni. Stai qui e vedi di non sentirti male, siamo intesi? - Mi ammonì, alzandosi.
-D’accordo. La aspetterò qui buona a suonare un po’.
Poco dopo, il capitano girovagava nei pressi di quell’albero, mentre io intonavo la sua tanto adorata canzone in modo che, in una maniera o nell’altra, potesse udire il mio canto non perfetto.
Povera madre di Levi, giudicai tra me. La compassione che iniziai a provare per quell’uomo risultò infinita dopo aver appreso la sua storia struggente e tormentata. Lo vidi bagnarsi le mani nel laghetto posto a una decina di metri più avanti rispetto le spalle dell’albero: il suo volto solitamente inespressivo nascondeva un dolore smisurato che io potevo finalmente capire.
 
Spazio autore: salve! sì, ho deciso di anticipare la pubblicazione di questo capitolo! Non temete, ho intenzione di darmi un po’ una mossa, per cui il prossimo arriverà questo sabato. Altri riferimenti alle mie canzoni preferite, questa volta tocca alla splendida “Rain Song” degli Zeppelin... quanto la adoro, accidenti! Come per l’ultima volta, vi lascio il link qui:

https://youtu.be/oikmmvBi_6
 
Grazie a tutti quelli che seguono la mia storia e la recensiscono. Sono lieta di potervi intrattenere un po’ con questo racconto. Buon proseguimento di settimana!

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Capitolo 15
*** Due anime smarrite in una boccia per pesci ***


15. Due anime smarrite in una boccia per pesci
 
Mi sentii colpevole, perché, nonostante egli avesse deciso di liberarsi dei suoi pesi proprio con me, io non potevo ricambiare in alcuna maniera. Ma d’altronde, cosa potevo mai fare io, una semplice recluta di appena venti anni?
Aiutami, mamma. Tu cosa faresti? Ella più semplicemente non avrebbe mosso un dito, in quelle occasioni, lasciando che il tempo facesse il suo corso senza avere ulteriori preoccupazioni.
E così, decisi, avrei fatto anche io. Levi e io avremmo continuato ad essere semplicemente il caporale maggiore e il suo sottoposto, che di tanto in tanto si trovavano a chiacchierare nel poco tempo libero della propria vita.
Ah, mamma, come vorrei che tu fossi qui, implorai nella mia testa, limitandomi a canticchiare proseguendo sulle corde; d’un tratto, tuttavia, le mie orecchie percepirono il debolissimo suono del ritornello del brano, che tuttavia non proveniva dalla mia chitarra o dalle mie corde vocali.
Che avessi le allucinazioni? Dava tutta l’aria di essere una voce maschile, poco percepibile, quasi del tutto inudibile, proveniente dai pressi del piccolo lago.
Il mio cuore accelerò ai mille battiti al minuto. E se fosse stato proprio lui a cantare?
Si trattava sicuramente della voce del capitano, che, tuttavia, smise di produrre una sola nota non appena si era reso conto che anche le mie dita avevano interrotto la loro danza sulla tastiera dello strumento.
Regnò un sereno, dolce silenzio per qualche attimo, in cui entrambi potemmo ascoltare, seppur a distanze diverse, il frequente cinguettio dei passeri e degli uccellini nelle vicinanze. Era ridicolo, al contempo spaventoso, rendersi conto che quelli in gabbia, quelli che incessantemente cercavamo una via d’uscita come pesci in una boccia eravamo noi, mentre loro erano liberi di volare, di raggiungere qualsiasi lato del mondo con un semplice battito d’ali.
Poi ripresi la melodia, mentre lui proseguì la sua passeggiata; poco dopo mi voltai per capire se si trovasse ancora nei paraggi, e vidi che, ancora una volta, si era seduto sulle sponde del laghetto, pensieroso osservava l’acqua davanti a sé.
Il sole stava per tramontare, per cui decisi di alzarmi, di raggiungerlo alla riva del lago, sul quale pelo dell’acqua scivolava una simpatica anatra.
Aprii il mio blocco, impugnai la matita, studiando bene l’anatomia dell’animale, e, molto velocemente, rappresentai il volatile su un foglio, intento a schiudere le proprie ali. 
-E’ qui da molto? – chiesi, ripiegata sul blocco.
-Intendi me o l’anatra?
Ridacchiai. –Direi tutti e due.
-E’ rilassante, qui. Sono seduto da un po’, a dire il vero. La nostra amica risulta la padrona di questo posto, in realtà.
Intenta a rappresentare le ombre e le rifiniture delle acque del laghetto, intervenni: -Già. Ha proprio ragione, qui si sta molto bene. Magari dovrei portarci anche Petra, qualche volta. Come ha fatto lei con me.
Mi volsi verso di lui. Guardò un po’ sorpreso il mio volto per qualche istante, ma non mi rispose. I miei occhi si focalizzarono nuovamente sul mio umile ritratto, poi ricordai di aver portato con me il messaggio che Petra mi aveva scritto quella mattina. Lo presi da una tasca, rileggendolo, sorrisi a quel semplice pezzo di carta.
-Si nota molto che quella ragazza ti voglia molto bene.
I miei occhi si inumidirono, mentre annuivo. –Penso proprio di sì. Credo che la mia vita non avrebbe più senso, se lei dovesse morire così presto come hanno fatto i nostri compagni l’altro giorno.
Chiusi gli occhi, poi rivolsi la mia attenzione al foglio, che girai, imbattendomi nel disegno che avevo realizzato quella mattina. –Capitano, ho urgenza di farle una domanda.
Gli mostrai il disegno di quel bizzarro campanile, spiegandogli di come, dopo aver rivisto in sogno il ricordo della morte di mia madre, mi fossi improvvisamente imbattuta in quella figura, che non avevo mancato di riprodurre su quel foglio qualche ora prima, dopo il mio risveglio.
-Lei lo ha mai visto? Sicuramente le sarà capitato di fare un giro nei territori interni. Io non ho mai visitato un Distretto del Wall Sina, per cui non saprei dirle nemmeno dove abbia potuto vedere un edificio del genere.
Levi prese il foglio dalle mie mani, studiando con cura il disegno. –Mi spiace, non credo di aver mai visto un campanile del genere – spiegò lui, mentre ero intenta a fare mente locale in cerca di qualche illustrazione di un libro che precedentemente era entrato in mio possesso. –E non credo tantomeno che esista.
Lo guardai confusa. Cosa intendeva? –Vuol dire che me lo sono inventato? È poco probabile, non sempre ammonto di fantasia.
-Sei convinta di non averlo mai visto in un dipinto, in un libro?
Scossi il capo, un po’ delusa, convinta che una persona di fama come lui avrebbe potuto aiutarmi. –Chiederò a qualcun altro, prima di arrendermi. È un’immagine enigmatica – constatai.
-Non farci molto caso. Quando si sta poco bene, si sognano le cose più strane.
-E’ così – constatai. –Capitano, prometto che questa sarà l’ultima domanda della giornata che le rivolgerò…
-Stento a crederti. Chissà poi perché?
Scoppiai a ridere. –Ha ragione, sono un disastro. Però, lei mi ha promesso, qualche giorno fa, che, nel caso in cui ci saremmo rivisti assieme a questa mia compagna di vita, - indicai la chitarra, -lei avrebbe cantato per me.
Ero tutta rossa in volto, ma appurai che entrambi non avevamo il coraggio di guardarci, chi per un motivo, chi per un altro.
-Giusto, cantare… - ripensò lui, a braccia conserte. –Sarei un vigliacco se ti dicessi che non sono più disposto a fare niente.
-Un gran vigliacco – aggiunsi io. –Ma non è un problema se rifiuta. Capisco perfettamente.
-No – rispose lui. –Le promesse si mantengono, e intendo farlo anche questa volta.
Il cuore riprese a battermi, mentre afferrai nuovamente il mio strumento.
-Certo, il problema è che non ho impresse le parole della tua canzone. E la melodia mi è ancora poco chiara – continuava lui, con una voce che suonò alle mie orecchie, per la primissima volta, assai titubante.
-Nessun problema. Ho foglio e matita, posso scriverle tutto qui sopra. Poi, non si preoccupi. Nel caso non sappia come continuare, la aiuterò io – gli rivolsi un sorriso confortevole. Egli mi osservò un po’ confuso, eppure ebbi l’impressione che le sue guance fossero meno pallide del solito. Che fosse arrossito a causa mia?
Non ci pensai, mi misi subito a trascrivere le parole del testo su un foglio, che strappai dal mio blocco. Una manciata di minuti più tardi, gli porsi il testo.
Levi guardò un po’ preoccupato le parole che avevo scritto. Non sembrava affatto sicuro di sottostare a quanto lui stesso aveva detto sul tetto della Base, ma lo comprendevo benissimo.
-Capitano, le assicuro che non è obbligato. Certamente, sarei più che lieta di sentirla finalmente cantare.
-Non ti aspettare di sentire il canto di un usignolo – rispose acido. –Non l’ho mai fatto.
-Per questo non la giudicherò neanche lontanamente – suonai il primo accordo della canzone. –E’ pronto?
Era nuovamente sbiancato, le sue guance ancora pallide mettevano in risalto quelle sgradevoli occhiaie che gli coronavano gli occhi, in contrasto con i suoi particolari tratti del viso asciutto.
–Se le metto tanta soggezione, allora non la guarderò – mi posizionai alle sue spalle, ridendo spensierata per la sua reazione. –Ora va meglio?
-Un po’ – notò lui, sistemandosi meglio. Ero intimorita che quel contatto schiena contro schiena potesse metterlo un po’ a disagio, perciò mi feci più avanti.
-Attaccheremo insieme, d’accordo? – lo rassicurai. Per questo motivo, eccitata, iniziai a suonare per l’ennesima volta l’introduzione al brano, fermandomi di colpo per far sì che la mia e la sua voce facessero il proprio ingresso.
Il tempo di intonare la prima sillaba, la voce di Levi partì spedita.
Rimasi di sasso a partire dalla prima nota. Che sia chiaro, mai e poi mai, nemmeno nei miei pensieri più profondi, mi sarei permessa di criticare il suo modo di cantare, perché per la prima volta qualcuno si era degnato di approvare la mia richiesta, avvicinandosi per mezzo di me a quell’arte onorata dalla mia famiglia come una dea. Mi avrebbe reso la persona più felice delle mura anche nel caso in cui avesse sfoggiato una voce più terrificante di quella di un titano; eppure, dovei ricredermi completamente: il caporale maggiore Levi, pur non avendo mai utilizzato le corde vocali se non per impartire ordini, aveva una voce incredibilmente stupenda. Era alta e passionale: non avevo idea di come facesse a interpretare in maniera così egregia ogni singola parola del brano, nonostante lui stesso avesse detto che mai aveva provato. Che mi avesse mentito?
E perché mai avrebbe dovuto? Anche lui aveva trascorso una triste esistenza, soprattutto prima di arruolarsi. No, per la prima volta, il capitano Levi aveva mostrato tutta la sua nobiltà d’animo e la sua umanità in quegli istanti, assecondando la mia richiesta intonando e con passione quella canzone, la mia canzone.
Mi domandai se egli stesso fosse capace di rendersi conto di quel suo inaspettato talento; le mie mani si muovevano da sole sulla tastiera, venni meno al patto e lo osservai.
-Mi avevi promesso che non ti saresti voltata - mi rimproverò lui, col suo solito tono sgarbato.
Arrossii, scusandomi e girandomi in direzione del lago. Egli tornò a cantare non appena ebbi ripreso la strofa, riempiendomi il cuore di gioia.
Era da tanto che qualcuno non cantava per me. Ricordai le sere passate con i miei genitori e con Lex a improvvisare un amatoriale quartetto. Ricordai la dolce voce di mia madre, la sua risata cristallina e i teneri sorrisi che rivolgeva a suo marito.
E piansi. Piansi perché qualcuno era stato in grado di farmi provare le stesse emozioni. Piansi perché finalmente qualcuno stava cantando per me, e perché ricordavo tutti coloro che tristemente avevamo abbandonato alle nostre spalle qualche giorno prima. Piansi perché, in una maniera o nell’altra, per un istante avevo dimenticato quanto accaduto negli ultimi anni ed ero ritornata in quella piccola casetta di Trost a riscaldarmi assieme a Lex davanti a un camino nell’inverno più gelido mentre papà e mamma cantavano alle mie spalle.
Ma era chiaro che, allo stesso modo, quella canzone avesse un significato profondo anche per Levi; non sapevo se stesse pensando a sua madre, in ogni caso mi ero accorta quanto egli fosse un’anima smarrita, come egli stesso cantava. Forse quella era la prima volta che, dopo tanto tempo, provava un sentimento forte, che gli era impossibile sentire non appena era costretto a impugnare le spade.
Ma in quel momento, né io né lui, due soldati incaricati di salvare l’umanità dal nemico titanico, pensavamo alle atrocità di quel mondo. Ricordavamo i nostri cari. E amavamo.
Seppur con voce strozzata, accompagnai a bassa voce il canto del caporale come meglio potessi; senza aggiungere altro, pizzicai lentamente le corde per terminare l’esecuzione, dopodiché, lo cercai.
Asciugandomi il volto con la manica della camicia, gli rivolsi il sorriso più caloroso. -Caporale maggiore Levi, ma dico, si rende conto?
Egli mi osservò intimorito. -Di cosa?
-Di quanto sia bravo a cantare! Lei lo sapeva, dica la verità! - supplicai impaziente.
-Io?! Che vuoi che sapessi? - rispose, sempre più scosso. Le guance gli si fecero molto più rosee.
-Capitano, lei potrà mai capire le emozioni che mi ha fatto provare in tre minuti di esecuzione? – ancora una volta mi venne da piangere, ma stavolta non mi trattenni: in un lampo, mi risulta difficile spiegare come, mi ero buttata a capofitto su di lui, stringendolo dolcemente. -Capitano, la ringrazio.
Il lettore sarà rimasto del tutto stupito dal mio gesto, ma, mi creda, Levi aveva reagito alla stessa maniera. Io poco facevo caso a ciò che potesse pensare, intenta a immedesimarmi nei ricordi più belli che avevo vissuto con la mia famiglia fino a sette anni prima. Lui, nel frattempo, si era di colpo irrigidito, senza tuttavia aggiungere parola alcuna.
Avrebbe potuto benissimo gettarmi nel lago, magari ne ero consapevole anche in quel momento. Eppure non lo fece.
-Capitano Levi, la ringrazio... - ripetei. -Per avermi fatto rivivere i ricordi più belli della mia vita.
Strinsi il suo petto verso il mio, con la testa poggiata sulla sua spalla, noncurante di come, da un momento all’altro, mi avrebbe scaraventato via picchiandomi a sangue.
Ma lui non si mosse, fino a che non emise uno strano mormorio, posandomi una rigidissima mano sulla schiena.
Sussultai a quel tocco, facendomi ancora più rossa. Levi aveva deciso di contribuire, a modo suo, a quell’abbraccio?
Ma ciò che accadde poco dopo fu ancora più sorprendente: alzai la testa e, per la prima volta, osservai il sorriso del capitano Levi. Teoricamente non avrei potuto definirlo tale, eppure i tratti del suo viso si erano molto addolciti, avrei potuto descriverlo benissimo nel modo in cui lui, qualche sera prima, mi aveva riportato il ritratto di sua madre.
Gli occhi non erano più scavati come al solito, il suo bizzarro sorriso era sorprendentemente confortante, addirittura tenero.
-Grazie a te - persino il suo solito tono di voce si era fatto più lieto e spensierato.
Ero pietrificata, quasi mi intimoriva la maniera in cui era spaventosamente cambiato.
-P... per cosa? - domandai attonita.
-Per avermi fatto imparare una canzone così bella, è tutto merito tuo.
Il mio cuore fece mille capovolte, mille farfalle stavano svolazzando nel mio stomaco. Che reazione strana, ragazzi! Ma che cos’era?
Che si trattasse proprio dell’amore, quello che la mia migliore amica mi aveva così tante volte descritto? Quello che provavano due persone che si volevano bene? Ma allora, perché lo provavo, tra tutti, proprio per lui?
Perché mi sono innamorata del capitano Levi, rispose prontamente il mio subconscio.
-Che guaio - commentai ad alta voce, osservando il suo fazzoletto, posto proprio sotto ai miei occhi.
-Cosa?
-Penso di essermi innamorata di lei, signore - risposi senza pensarci un istante, tremando come una foglia.
Adesso sarebbe arrivato senz’altro il momento da me tanto temuto: finalmente mi avrebbe dato un calcio negli stinchi, prima di ordinarmi di fare ritorno al Quartier Generale. Non si mosse neanche quella volta.
Sospirò. -Hai ragione. È un bel guaio - si limitò a commentare, facendomi arrossire un’altra volta.
Alzai lo sguardo verso di lui. I suoi occhi osservarono i miei per un tempo che a me parve interminabile, bello, eppure angosciante allo stesso tempo.
Nemmeno mi ero accorta di essere ancora sulle sue gambe, lui nemmeno, probabilmente, ci stava facendo molto caso. Oppure lo trovava piacevole, non saprei.
Continuavamo a guardarci, senza proferire parola. Forse fu questo il motivo per cui non fui capace di sopprimere i miei forti quanto improvvisi sentimenti nei suoi confronti, e feci gentilmente combaciare la mia bocca con la sua.
Le sue labbra erano incredibilmente sottili... e morbide!
Che fosse anche il suo primo bacio, ancora non lo sapevo, io stessa non avevo mai avuto modo di sperimentare un’emozione così forte, che mi aveva pervaso così tanto da farmi dimenticare che Levi avrebbe potuto benissimo spingermi via.
Potevo percepire il suo stupore, ormai avevamo instaurato un vero e proprio contatto fisico, ma nemmeno lui sembrava intenzionato a terminare quel lungo e casto bacio.
Quanto lo amo!, pensavo in cuor mio, riferendomi a quella persona a cui avevo così tanto parlato di me, con il quale avevo condiviso i miei sentimenti più profondi e tormentati. Quanto sembrava avermi capito, e quanto io avevo compreso l’amarezza che aveva caratterizzato tanto il suo passato.
Rendendomi conto di non avere più fiato, mi allontanai lentamente da lui, abbassando timidamente il volto e mordendomi un labbro.
Lo tenni per un braccio per un po’ senza aggiungere altro, rimanendo in quella posizione per qualche altro minuto. Ad un tratto, egli disse: -Sarebbe il caso di tornare.
Annuii, alzandomi scombussolata prima di raccattare le mie cose.
Sulla strada di ritorno, non ci dicemmo altro, addirittura camminammo a distanza; una volta raggiunta nuovamente la Base, corsi verso la scuderia, dove i soldati rientrati avevano da poco fatto ritorno.
-Claire?! Claire, stai bene! - esclamò Petra, assalendomi davanti al caposquadra Ness.
-La signorina Ral è stata in pensiero tutta la giornata, Claire. Finalmente hai fatto ritorno dall’aldilà – ridacchiò l’ufficiale.
Coccolai Petra, stringendola forte; era infatti scoppiata in un pianto disperato preoccupandosi poco del fatto che addirittura il capitano fosse nei paraggi.
-Oh, Petra! – esclamai commossa a divertita di come si fosse allarmata. –Riuscirai a credermi, se ti dico che sto una favola?
-Ho avuto tanta paura – mormorò lei, con le lacrime agli occhi. Mi risultava impossibile capire come facesse ad essere così bella e graziosa anche in quel momento. –Non l’ho detto a mamma e a papà, oggi, ma è così. Anche Lex era molto preoccupato, ma non ho potuto dirgli troppi dettagli. Mi sembrava la cosa migliore da fare.
La sua reazione mi aveva toccato al punto di coinvolgermi in quel pianto gioioso. –Grazie, Petra. Poi, sarebbe stato inutile allarmarlo. In questo momento potrei addirittura abbattere un classe quindici metri!
Le strappai una risata. –Vorrei proprio vederti, stupida che non sei altro!
-Hey, Claire, ti sei ripresa! – ci venne incontro la Caposquadra Hanji, con un grande sorriso stampato in volto. –Sai, i capelli sciolti ti donano molto. Non ti avevo mai vista con questa acconciatura – aggiunse, studiandomi la chioma palpandomela più volte, prima di lasciarmi un pizzicotto sulla guancia.
-Grazie, signore – risposi, incredula di come addirittura lei si fosse interessata al mio stato di salute notevolmente migliorato.
-Credi che riusciremo a convincere la signorina Martha a farti dormire di nuovo nei dormitori? – domandò Petra, accompagnandomi all’interno della Base.
-Penso proprio di sì, pensa che oggi ha addirittura acconsentito a lasciarmi esercitare col caporale con le nuove disposizioni di spostamento del Comandante – spiegai.
Ella sgranò gli occhi. –Cosa? Ti sei allenata mentre io mi trattenevo dal piangere di fronte a tuo fratello?
Dopo aver ottenuto l’approvazione del medico della Legione, finalmente potei riapprodare nel nostro polveroso e scomodo dormitorio; già sentivo la mancanza del letto comodo dell’infermeria, ma era di gran lunga meglio dormire sotto la culla della mia migliore amica.
-Allora, cosa avete fatto a Karanes? – chiesi.
-Le solite cose… è stata meno dura, senza il capitano che va alla ricerca delle botteghe di tè più esclusive e specifiche. Ma non sottovalutare le strambe richieste di Hanji!
Iniziai a non fare più caso a ciò che mi raccontava. Stava via via diventando un mio vizio distrarmi e pensare ad altro mentre mi parlava. Mi era tornato alla mente il tranquillo pomeriggio trascorso con Levi, e mi interrogai circa quello che mi avrebbe aspettato l’indomani, quando avrei dovuto affrontare una sua possibile reazione al mio gesto stupido e ingenuo. Mi toccava solamente sperare che, in una maniera o nell’altra, anche lui provasse una sorta di affetto nei miei confronti.
-Sei stanca, non è così? – osservò Petra, stringendomi ancora una volta.
Come se non bastasse, iniziai a sentirmi in colpa per aver passato tutto quel tempo proprio con la persona per cui la mia migliore amica provava i miei medesimi sentimenti.
-Già. Lasciami andare a dormire – la supplicai.
-Cosa? Tu stanotte dormi vicino a me. Sono piccola, c’è spazio, non fare discussioni, cambiati.
Scoppiammo a ridere entrambe, prima di coricarci l’una accanto all’altra.
La abbracciai, ma ripensavo a lui, al suo bizzarro sorriso e alle sue labbra sulle mie. In ogni caso, anche se avesse deciso di non rivolgermi più la parola, gli sarei stata debitrice a vita. Grazie a lui, avevo dimenticato per un secondo l’oppressione di trovarmi come lui in una gabbia e avevo letteralmente spiccato il volo.
 

Spazio Autore: buon sabato, lettori! Ci siamo! Finalmente è arrivato il momento tanto atteso, ed è stato tutto merito di Claire: siamo realisti, Levi non sarebbe mai e poi mai riuscito a prendere l’iniziativa, qualcosa, dal profondo del cuore di Claire, l’ha spinta a compiere il primo passo XD. Per questo capitolo tanto particolare, non potevo non fare riferimento proprio al brano che Levi si è degnato di intonare. tra l'altro, per la sua voce ho preso spunto dalla canzone dell'ultimo episodio dello spin off Junior High, cantata dal doppiatore giapponese Hiroshi Kamiya. Per chi non la conosca, lascio il link: 

 
https://www.youtube.com/watch?v=Xxrxn01z8xg


Non saprei che altro dire, se non ringraziare ancora una volta quelli che seguono in maniera costante questa storia. Buon weekend, alla prossima settimana!

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Capitolo 16
*** Cosa fare adesso? ***


16. Cosa fare adesso?

-I danni che avresti potuto provocare sono incalcolabili, come ti è venuta in mente una simile idiozia?
Le nuove e poco testate armi che la signorina Hanji aveva inventato, utilizzate da alcuni componenti del suo gruppo senza previamente ottenere il consenso del Comandante della Legione, ora si trovavano poggiate proprio sulla scrivania di quest’ultimo, che, con uno sguardo minaccioso, domandava spiegazioni alla Caposquadra.
-Io, danni? Per favore, cerca di comprendere, Erwin…
-Io non cerco di capire niente! – sbottò lui. –Nessuno ti ha dato il permesso di fabbricare senza alcuna protezione queste armi, tantomeno hai fatto domanda per poterle usare direttamente nell’ultima spedizione, e hai messo a repentaglio la vita di alcuni tra i migliori soldati dell’esercito, oltre che una semplice recluta.
Gli occhi burberi di Erwin Smith si spostarono sui restanti membri della squadra, me compresa, disposti su un’unica fila davanti al suo scrittoio. –E anche voi. Conoscete bene il giuramento e le norme disciplinari a cui si sottopone ogni militare. Non vi era consentito fare uso di questi congegni senza che dietro tutto questo ci fosse un permesso apposito – Erwin ignorò i volti mortificati di Keiji, Nifa e gli altri, soffermandosi poi su di me, rimasta con le mani dietro la schiena alle spalle di Hanji. –Claire, non me lo sarei aspettato da te, dico sul serio. Inoltre, tu eri membro della squadra di Mike, non avresti dovuto interferire in quella di Hanji.
Avrei tanto desiderato che qualcuno venisse a salvarmi da quella brutta situazione. Ma con quale giustificazione, alla fine? Infatti, non avevo ragione alcuna per biasimare il Comandante, che, a giudicare dalla delusione che provava in quel momento nei miei riguardi, non avrebbe più considerato tutte le mie idee militari che gli avevo mostrato. Non dovevo far altro che prendermi le mie responsabilità e accettare le conseguenze.
-Lo so. Mi dispiace tanto, signore – provai a scusarmi. –So che non ho alcun motivo nemmeno per domandarle perdono, ma ho agito credendo di star facendo bene. Ero convinta di star adempiendo al mio dovere, aiutando il gruppo della Caposquadra con la ricerca.
-Però sapevi bene che Hanji stesse agendo di sua spontanea volontà, senza il mio consenso. Ecco qual è stato il tuo errore – tornò dietro il tavolo, poggiando le mani sulla sedia. –Vi prego di non ricorrere più a queste armi in nessun caso, e di farle sparire – sospirò. –Hanji, non voglio più sentire richieste per quanto riguarda la cattura di un gigante. Non disponiamo di forza per poterlo fare, i nostri obiettivi sono ben altri. Adesso andate.
Tutti i soldati iniziarono ad avviarsi all’esterno dell’ufficio, io stavo per fare lo stesso, umiliata nel profondo, finché non mi accorsi che la Caposquadra non si era mossa di un millimetro, osservando imperterrita il Comandante.
-Hanji, ho detto che la finiamo qui – replicò lui, mentre io ero sull’uscio a osservare la scena. –Cerca di capirmi. È una missione suicida. Sai bene che l’ultima volta sono morti più di venti soldati, e…
-Pensala come vuoi, Erwin - sbottò all'improvviso la Caposquadra. Lo sguardo deciso e risentito le conferiva una certa inquietudine. -Io non mi arrenderò nell'intento.
Detto questo, si voltò di scatto, avanzando verso la porta, sul cui uscio mi trovavo, impalata. Hanji mi passò di sfuggita, correndo come un razzo fuori dall’ufficio.
Ero triste, addirittura in colpa, per lei. Avrei voluto aiutarla a convincere Erwin, esserle di supporto quanto più possibile, ma la mia posizione non mi conferiva alcuna autorità. Pronta ad avviarmi al campo d’addestramento per prendere parte alla nuova esercitazione per lo spostamento ad ampio raggio, misi piede fuori dalla stanza.
-Claire, hai un momento? – la voce del Comandante mi bloccò.
Mi misi sull’attenti, col cuore in gola. –Signore?
Mi invitò a chiudere la porta e ad avvicinarmi. -Levi mi ha detto...
Che ieri sera ci siamo baciati?, avevo già fantasticato, pronta a cadere a terra priva di sensi dalla paura. Non criticatemi più del dovuto: dal momento del mio risveglio, non avevo fatto altro che ripensare a quanto accaduto la sera precedente, fino a che non ero stata improvvisamente convocata da Erwin.
-Che la vostra squadra se l’è cavata molto meglio di quanto si potesse pensare, durante la ritirata – continuò lui. Avevo già tirato un grosso respiro di sollievo senza che egli potesse rendersene conto. –Avete messo in pratica le tue tattiche, non è così?
-Signorsì. I miei amici mi hanno convinta a fare in questo modo, benché fossi un po’ riluttante all’idea – confessai.
-Sono strategie del tutto personali, che, a quanto abbiamo constato, Shulz, Ral, Gin e Bozad sono ben in grado di attuare – pensò. –Forse è il caso che facciate ricorso al caporale maggiore per perfezionarle. Ne ho già parlato con lui, è più che d’accordo ad aiutarti nel loro miglioramento, perciò non esitare a chiedere qualsiasi assistenza a lui prima della prossima spedizione.
Il mio cuore si fermò per qualche istante. Non avevo dimenticato un momento della sera prima, mi bastava sentire il suo nome per percepire un dolce quanto forte sentimento, per cui non ero nemmeno in grado di poter immaginare di poter collaborare con lui per qualcosa di così importante per me.
-So che a causa del tuo aggravamento di salute non ti è stato possibile allenarti con le nuove disposizioni per lo spostamento, - disse lui, un po’ affranto, -ma, se fossi in te, approfondirei anche l’aspetto delle strategie d’attacco. Soprattutto con un soldato così forte.
-Sì, è proprio quello che pensavo – spiegai. –Ho già avuto modo di sperimentare la sua nuova tattica, Comandante, perciò credo di non impiegare molto tempo per familiarizzare ulteriormente con essa. Nel frattempo, lavorerò come mi ha consigliato.
Egli mi sorrise. –Sei davvero in gamba, Claire. Non metterti in altri pasticci, sei una risorsa molto importante, assieme ai tuoi compagni. Levi saprà ben sfruttare le vostre potenzialità meglio di chiunque altro, soprattutto la tua.
Arrossii. –La ringrazio tanto, signore – mi inchinai, dirigendomi all’esterno.
Al campo, venni accolta dai tre amici che non avevo avuto modo di salutare la sera prima.
-Tu sei incredibile, signorina – commentò Gunther tra una risata e l’altra, alzandomi letteralmente da terra per stringermi a lui. –Un giorno prima sei sul punto di passare all’altro mondo, ora sei qui viva e vegeta.
Scoppiai a ridere, ricambiando l’abbraccio. –Forse, dentro di me, si cela la capacità rigenerativa di un gigante.
Oruo mi scompigliò i capelli. –Sei schifosamente strana.
-Mi sei mancata – ribadì Gunther, più rosso di un pomodoro.
-Mi siete mancati anche voi – aggiunsi. -La vita è noiosa quando si muore dal dolore in un letto.
-Ed è noiosa anche quando ci si allena senza di te – aggiunse Erd. –Dai quello sprint in più, Claire.
-Non posso che concordare – mi sorrise Petra.
Io sbuffai. –Siete tutti così sentimentali, accidenti.
Scoppiammo tutti a ridere, iniziando a chiacchierare.
-Mettiamoci al lavoro – risuonò ad un certo punto la voce di Levi nelle vicinanze.
I miei compagni si portarono una mano sul petto, ammutolendo. Li imitai, guardando per terra, col cervello in subbuglio.
-Ai suoi ordini, capitano! – urlò Petra.
-Cominceremo a lavorare tutti insieme con i cavalli per quanto riguarda lo spostamento a lungo raggio, – ci riferì, -ora che la signorina Hares ci ha finalmente onorato della sua presenza.
Fui costretta a spostare lo sguardo su di lui, non trattenendo un sorriso, con le orecchie rosse dalla vergogna.
L’avevo lasciato qualche ora prima nel crepuscolo, nel bel mezzo di un boschetto, dove l’avevo visto sorridere per la prima volta. Ora, con il mantello verde e il resto della divisa, era tornato il solito scorbutico, autoritario caporale maggiore per ricordarmi che in nessun caso avrei dovuto perdere di vista il mio obiettivo.
-Allora, che aspettate? Montate sui vostri cavalli e diamoci da fare – ordinò lui.
-Sissignore! – rispondemmo noi in coro, dirigendosi sui nostri destrieri.
L’allenamento si rivelò ancora più intenso e faticoso, ora che c’erano anche gli altri miei compagni a interagire sul campo. In ogni caso, mi sentivo decisamente più in forma del giorno prima, quindi le mie prestazioni erano decisamente migliori del giorno precedente.
La parte migliore dell’addestramento, ovviamente, fu quella dedicata al dispositivo di manovra. Finalmente ero in grado di portare, soprattutto di utilizzare, i due box di metallo ai lati delle cosce e di sfoderare le spade per poi battermi contro i fantocci.
Giunti al solito bosco preparato per l’esercitazione del movimento 3D, tutti e sei ci disponemmo attorno ad un tavolo in legno per discutere sulle tattiche che Erwin mi aveva pregato di mostrare al caporale.
-Iniziamo con qualcosa che avete già collaudato – fece Levi, indicando il primo foglio della pila. –Poi vedremo se abbiamo bisogno di migliorare qualcosa.
Mostrò il foglio ai miei quattro amici, che, come me, subito cominciarono a studiare i movimenti. Poi finalmente ci mettemmo all’opera.
Lentamente, mi accostai al caporale, mentre tutta la squadra di stava avviando all’interno del bosco. -Capitano, mi perdoni…
-Cosa, Claire? – mi domandò lui, col solito fare indifferente. Be’, ripensandoci, non così tanto indifferente, dato che mi aveva appena chiamata per nome davanti ai miei compagni.
-Mi consente di fare un giro da sola per il bosco, prima di passare al lavoro di squadra? E’ passato tanto tempo dall’ultima volta che ho usato il dispositivo – chiesi timidamente.
Levi acconsentì, avvertendomi di non impiegare troppo tempo; gli altri avrebbero fatto lo stesso, prima di essere nuovamente richiamati per mettere in atto il lavoro di gruppo.
-Dimmi una cosa, ho sentito male, o ti ha veramente chiamata Claire? – bisbigliò sovreccitata Petra.
-Può essere – ridacchiai. Poi, premei i due grilletti, sparando contemporaneamente i rampini e il gas, sollevandomi in un centesimo di secondo in aria.
Quasi avevo dimenticato il piacere che mi provocava l’utilizzo di quell’arma, non appena mi trovavo a volare letteralmente sopra la distesa erbosa del bosco.
Correvo sui rami degli alberi, librandomi nuovamente in aria sfrecciando ad un’elevatissima velocità tra un tronco e l’altro.
Ora che avevo preso nuovamente dimestichezza nel controllare quell’arma, mi concentrai su un paio di fantocci avvistati qualche metro più avanti. Mi ci focalizzai, pronta a utilizzare quel sistema al quale avevo iniziato a lavorare prima della recente spedizione. Grazie allo stimolo del momento, mi fiondai sul primo ruotando come un trottola verso la “nuca”, facendola saltare in un battito di ciglia. Senza poi spostare un rampino, ero saltata alla collottola dell’altro, tagliandola con forza prima di allontanarmi.
Alle mie spalle, incrociai lo sguardo di Erd e di Oruo, intenti a osservare senza parole la mia opera, guardandosi stupiti.
Concentrai la mia attenzione su dei fantocci adocchiati da Petra, affiancando quest’ultima. –Chi ti credi di essere? – rise lei.
-Claire Hares a sua disposizione, madame – scherzai, prima di dividerci: Petra si occupò di quelli laterali, io utilizzai la stessa tecnica per quelli centrali, poi facemmo ritorno, come gli altri, dal caporale.
-Bene, - si complimentò lui, -ora ci occuperemo del lavoro pesante. Seguitemi.
Si diresse nell’area più profonda del bosco, dove, a detta sua, avremmo usato un manichino di dimensioni maggiori, rivestito completamente, a differenza degli altri.
-Che l’abbiano fabbricato proprio per noi? – si domandò curioso Gunther.
-Penso sia qualcosa che usano per dei casi più che particolari – osservai io, volando al fianco di Levi, che non sembrava interessato a spiegarci altro.
Ciò per cui quell’uomo poteva essere considerato assolutamente impeccabile era consigliarci le manovre e i movimenti più diretti da mettere in pratica per facilitare il lavoro; in ogni caso, come lui stesso ci aveva detto, era contento delle nostre abilità, e assodò che avremmo potuto usare benissimo quelle strategie anche per la prossima missione fuori le mura.
L’esercitazione terminò qualche ora più tardi, momento in cui tutti noi ci trovavamo nei pressi delle stalle a parlare dell’esito della giornata.
Gli altri erano particolarmente soddisfatti e felici di potersi considerare quasi soldati d’élite nonostante il recente arruolamento.
Li ascoltavo contenta dall’interno della scuderia, dove sistemavo generosamente il foraggio ad alcuni destrieri. Difatti, appurai che, in parte, era stato merito mio se adesso quei quattro erano membri della prima unità del caporale maggiore. A loro spettava il compito di occuparsi degli obiettivi più complessi, e dovevano intervenire solo nei casi più peculiari.
-Edmund, smettila di chiedere costantemente da mangiare, o ti spedisco a lavorare come mulo – ridacchiai, picchiettando un dito sul muso del mio amico a quattro zampe. Notai che, proprio al suo fianco, avevano sistemato un cavallo grigio da me affatto gradito. –Hey, Ed! Chi ti ha messo vicino a questo rompiscatole?
L’animale dal manto scuro, quasi come a voler emulare il suo cavaliere, mi guardò impassibile. Lo osservai per qualche attimo, prima di decidere di piazzargli un secchio d’acqua davanti.
Diligentemente, il cavallo del caporale iniziò a bere riconoscente. Dovei fermare più volte il mio affinché non intromettesse il suo muso nello stesso secchio.
-Cavoli, Ed, perché non aspetti il tuo turno con calma? Siete così diversi – sorrisi al cavallo grigio non appena quest’ultimo ebbe terminato il suo rinfresco, ringraziandomi con una leccata sulle dita.
-E io che pensavo che tu mi odiassi – riconobbi, carezzandogli la criniera. –Sei meglio di quanto credessi… cavallo di Levi – lo guardai assente, appena mi resi conto di conoscere i nomi di tantissimi destrieri, tranne il suo, benché Dieter me l’avesse precedentemente rivelato, senza che io ci prestassi troppo attenzione.
-Si chiama Blue – rispose il suo proprietario, all’entrata della stalla.
Il mio cuore riprese a battere forte, quando ebbi ripreso a guardarlo.
-Un bel nome, devo riconoscerlo – risposi, con la voce tremante. –Sei stato tu a darglielo?
-Adesso mi dai del tu?
Divenni rossa. –Credo che da ieri sera non abbia più senso rivolgerti la parola in maniera formale, quando non c’è nessuno. Non credi?
Non rispose, ma rivolse la sua attenzione al destriero. –Forse è così. Eppure credo che quello accaduto ieri sera non doveva affatto succedere.
-Hai rimpianti? – risposi, un po’ risentita.
Spalancò gli occhi, guardandomi di nuovo. –Tu mi hai baciato.
-Tu non hai opposto resistenza – ribattei, più decisa del solito.
Camminò verso di me, indicandosi la giacca. –Claire, guardami. Guardati. Ti sembriamo persone che possono abbandonarsi ai loro sentimenti? È un lusso che noi che combattiamo con i giganti non possiamo permetterci.
Come dargli torto? Chi decide di arruolarsi in quest’ala dell’esercito deve essere disposto a soffocare i propri sentimenti, le proprie paure, i propri rimorsi, i legami con gli altri, e chi non è pronto a farlo, difficilmente sarà in grado di vincere contro la nemesi. Purtroppo, all’epoca ancora faticavo a capirlo, e l’ansia di perdere i miei amici mi perseguitava dai tempi della notte a cui avevo prestato giuramento. Le parole di Levi avevano risvegliato la mia coscienza, ma mi avevano fatto anche capire qualcosa di assoluta rilevanza: se davvero mi stava persuadendo a dimenticarlo col fine di non farmi soffrire nella sua eventuale quanto impossibile perdita oltre le mura, voleva dire che teneva davvero tanto a me. Ma pretendevo che lui me lo dicesse, volevo essere consapevole che, in qualche maniera, importassi quel minimo per lui.
-Levi, tu cosa provi per me? – gli domandai titubante. Quasi non mi riconobbi, appena mi resi conto di averlo chiamato in quel modo.
Non rispose, avvicinandosi ancor di più a me. –Io so solamente che mi è capitato di dormire più di due ore dopo la sera sul tetto.
A cosa alludeva tale affermazione? Al fatto che raccontare di sé proprio con me fosse servito come sfogo a placare il proprio animo tormentato? Che fossi stata proprio io a liberarlo dei suoi affanni?
-E io so solo di essermi sentita letteralmente “a casa” dopo tanto tempo da quando hai cantato per me – arrossii di nuovo, abbassando il capo.
I nostri occhi si incontrarono. Come la sera prima, la distanza tra loro era ridottissima. 
-Ma alla fine hai ragione tu, Levi – intervenni. –Dovremmo finirla qui, limitarci a scambiare qualche parola di tanto in tanto, adempiendo al nostro dovere, tu di caporale e io di semplice soldato.
-Non credere che questo possa risolvere tante cose – ribatté. –Pensi che i miei sentimenti nei tuoi confronti possano dissiparsi in questo modo?
Sussultai, lui con me. Per la prima volta, mi aveva rivelato di come fossi importante per lui, Levi, allo stesso tempo, lo aveva confessato a se stesso. Era più bizzarro vederlo comportarsi così, ancor di più cercare di descrivere il suo attuale stato d’animo.
Gli rivolsi un piccolo sorriso, ricurva per far sì che la mia statura più elevata non lo mettesse ulteriormente in soggezione in un momento del genere. –Ribadisco: che guaio!
-E’ colpa tua – mi accusò imbronciato.
-Che cosa? Caso mai, di tutti e due – risi, osservando i suoi tratti del volto un po’ spigoloso, per me incredibilmente perfetto, eccezion fatta per le borse sotto agli occhi.
Susseguì un breve attimo di silenzio, interrotto dalla sua voce: -Puoi… puoi rifarlo? - mormorò in un sussurro.
Rimasi imbambolata a fissarlo. –Che cosa, Levi?
Egli concentrò la propria attenzione sulle Ali della Libertà cucite sulla tasca della mia giacca, senza rispondere. Non appena avevo compreso ciò cui si stava riferendo, avvicinai una mano al suo collo, alzandogli il capo in modo tale che le sue labbra potessero combaciare nuovamente con le mie.
Per la prima volta feci caso alla quantità incalcolabile di sapone che doveva essersi gettato addosso quella stessa mattina. Era un odore pungente, al contempo gradevole. Inoltre, ora che avevo avuto la possibilità di sperimentarlo, iniziai ad adorare la maniera con la quale lui, gentilmente, mi stringeva un po’ incerto a sé.
Terminato l’ennesimo contatto fisico, di colpo arrossii nel vedere le sue guance dipinte di un evidente colorito scarlatto.
-Che situazione di merda in cui mi hai messo, Hares – giudicò acido.
-Hai ragione. Deve essere molto difficile affrontare questa situazione, per te. In regola, i maschi sono più alti delle femmine. Tu sei un nano di corte, in confronto a me – scherzai.
Levi mi afferrò per il colletto, minacciandomi di sbattermi contro il muro.
-Odi proprio le donne più alte di te, ammettilo – continuai. –Ti rivolgi in maniera sgarbata con me, con Hanji, e tratti bene Petra, che è alta un metro e cinquanta.
-Quante cazzate dici? – rispose, lasciandomi andare.
-Oh, ammetti che ho ragione, Levi! – saltellai.
Egli, a braccia conserte, inizialmente parve assai risentito. Dopo, il suo sguardo si fece più calmo, come se volesse lasciarsi coinvolgere dal mio tentativo di sdrammatizzare il momento.
-Adesso, fallo di nuovo anche tu, per me – mi avvicinai a lui per abbracciarlo.
-Cosa?
-Sorridi, te ne prego. Sei così tenero!
Lui mi spinse via, facendomi cadere a terra prima che potessi scoppiare in una fragorosa risata. Dopo essere stata in grado di entrare in confidenza con lui prematuramente, stuzzicarlo aveva cominciato a divertirmi parecchio.
-Andiamo – annunciò lui, dirigendosi verso l’uscita della stalla.
Lo seguii a ruota. –Dove?
-Ti va di prendere parte ad un nuovo addestramento? Voglio insegnarti una cosa – mi propose fuori dalla scuderia, incamminandosi nuovamente in direzione del bosco.
-Certo – gli sorrisi, col cuore che mi batteva forte nel petto. Avevo apprezzato l’idea soprattutto perché avrei avuto modo di passare più tempo in sua compagnia, al contempo mi reputavo davvero fortunata, in quanto Levi aveva deciso di impartirmi una delle sue tecniche di combattimento.
Ci avevo visto proprio giusto: dopo esserci alzati in volo, spostandoci ad una velocità straordinaria tra gli alberi, mi invitò a seguirlo sopra un ramo collocato qualche metro più in alto rispetto ad un paio di fasulli giganti.
-Voglio vederti utilizzare la tattica di prima. Quella in cui ruoti in avanti verso la collottola. Ne sei in grado di nuovo? – mi chiese a braccia conserte.
Sospirai. Non era passato molto dal momento in cui, in mensa, gli avevo rivelato che le mie capacità faticavano a manifestarsi ogni qualvolta mi rendessi conto di essere osservata. Ero intimorita dalla sua posizione, dal suo famoso appellativo di soldato più forte del genere umano, io contavo veramente poco davanti a lui. –Ci proverò. Mi sono fatta prendere dall’eccitazione, prima – confessai, ridacchiando. –Ecco perché mi era uscito così bene. Ora non saprei…
-Siamo solo io e te, chi vuoi che ti veda? – sbottò, quasi come se mi avesse letto nel pensiero.
-Tu – mormorai sincera, stringendo le spade.
Parve abbastanza infastidito. –Se la metti così, non ti insegno più niente – commentò arcigno.
Ero stufa del suo comportamento scontroso, che manifestava sempre nelle vesti di soldato, per cui non tardai a mettere in movimento il dispositivo, avvicinandomi ad uno dei due obiettivi e prostrandomi a tutta velocità verso la nuca, tagliandola prima di fare ritorno alla postazione di poco prima.
Per quanto paresse intollerabile il modo con cui faticava a riconoscere l’impegno dei suoi sottoposti, soprattutto il mio, ben presto avrei iniziato ad apprezzare la sua immancabile riluttanza, che mi spronava più di qualsiasi altra cosa a migliorare le mie doti. Da questa caratteristica, è possibile infatti determinare la valenza di un mentore.
-Sei contento, ora? Adesso dimmi pure quanti errori abbia fatto, quanti movimenti superflui abbia compiut…
-Niente male – rivelò lui, osservando il lavoro da me compiuto. –La velocità di rotazione è ancora da migliorare, ma per essere una novellina ti riesce abbastanza bene. Se lo perfezioni, questo metodo potrebbe tornarti molto utile, te lo assicuro.
Il mio volto divenne subito radioso. –Lo credi davvero?
Ancora una volta, mi ignorò. Piuttosto, mi venne incontro, alzandomi un avambraccio e sfiorandomi la mano destra. Rabbrividii a tale gesto, ancora incosciente delle sue intenzioni: aprì il palmo della mia mano, sistemandomi al contrario la spada che la teneva.
Compresi che mi aveva appena indicato l’impugnatura delle lame che lui utilizzava per la sua particolare tecnica di rotazione, quella che avevo avuto modo di osservare durante l’ultima spedizione. Rimasi assai sorpresa: non avrei mai creduto che un tipo come lui potesse mai prendere la decisione di svelare le sue particolari tattiche ad un semplice subordinato come me.
-Credo che tu sappia che anche questo metodo implica una rotazione, ma ti garantisco che può risultare decisamente più comodo, e ti permette di conservare l’energia e la forza – iniziò a spiegarmi, guardandomi negli occhi. –Non mi aspetto che tu riesca a metterla in pratica fin da subito, ovviamente. Ma voglio che tu lo prenda come un suggerimento, nel caso agissi da sola.
Annuii, osservando la spada destra: la maniera con cui la reggevo cominciò a sembrarmi stranamente macabra.
-Puoi provarla, se vuoi – mi incitò lui.
-Levi, davvero non ti dispiace? Insomma, alla fine, è un procedimento di tua invenzione, non sarebbe giusto che me ne appropri in questo modo anche io – dissi, indecisa se attaccare o meno.
Egli si sfilò la collana rossa sotto il fazzoletto. –Se non sbaglio, hai già preso in prestito qualcosa di mio, ultimamente – la ripose nuovamente al suo posto. –E poi, è meglio che iniziamo a fidarci l’uno dell’altra, non credi anche tu?
Gli rivolsi uno sguardo amorevole. –In effetti è così – tornai a osservare il fantoccio. –Allora ci proverò.
Attesi qualche attimo, rievocando alla mia memoria i movimenti circolare che Levi era solito usare per quelle occasioni: dopo che ebbi focalizzato nella mia testa i movimenti, partii all’attacco, e iniziai a rotolare a tutta velocità verso il retro della testa. Parliamo di pochi secondi prima di avere la possibilità di entrare in contatto con la nuca, di colpo mi resi conto di star reggendo la spada destra come se fosse un pugnale.
Sparai un rampino in alto, recandomi sul ramo di un altro albero. Affannata, riposi le spade nelle scatole di metallo riposte sui fianchi, guardando il vuoto. Pochi secondi dopo, percepii il rumore dell’attorcigliamento dei ganci di Levi, venuto in mio soccorso.
-Stavi andando bene, perché ti sei ritirata?
Mi veniva da piangere, se pensavo al modo in cui mi ero sentita giusto qualche momento prima. –Levi, dove hai imparato questo metodo?
Mi guardò angosciato. –Questo modo di impugnare le spade, – sfilai nuovamente la lama della spada destra, reggendola come prima, -reggevi in questo modo i coltelli con cui ti proteggevi nella città sotterranea, non è vero?
Inspirò. –Sì, è così – rispose freddo.
-Mi dispiace, non sono in grado di farlo anche io – il mio tono di voce era estremamente malinconico. –L’unica persona che ho mai visto reggere un pugnale in questo modo è stata quella che ha sgozzato mia madre sette anni fa. È una cosa che la mia mente non tollera.
Poggiò il palmo della sua mano su una spalla. –Non preoccuparti. Hai già fatto molto.
Gli sorrisi, per poi sedermi sul ramo con le gambe a penzoloni. Poco dopo, lui imitò il mio gesto.
-Ti sono molto riconoscente, comunque, per avermi insegnato questo procedimento – ammisi, lieta di potermi trovare nuovamente accanto a lui.
-Anche io lo sono nei tuoi confronti, per un motivo o per un altro – mormorò poco dopo. –Ma non capisco. Non capisco come affrontare tutto questo, come ci si possa mai comportare in questi casi.
-Lo chiedi proprio alla persona sbagliata. Non credo di aver mai provato delle emozioni così forti per qualcuno – svelai, un po’ imbarazzata. –Tutto ciò che mi verrebbe da dire è che potremmo provarci.
Giocherellai col bottone a pois che non avevo ancora rimosso dalla mia giacca. –So che non sei quel genere di persona che ama confessare i propri sentimenti, ma, perdonami, è inevitabile che ti chieda ancora una volta quello che provi per me, Levi.
È buffo ricordare come entrambi ci stessimo guardando in maniera confusa e imbarazzata.
–Tengo tanto a te – rispose in un sussurro. –E’ qualcosa che mi viene spontaneo, ti prego di capirmi.
Gli rivolsi nuovamente un sorriso, col cuore che batteva all’impazzata per aver appena udito parole tanto semplici, ma di vero e proprio impatto per il mio cuore. –Lo capisco, sì.
Di risposta, mentre osservavo il prato sotto di noi, mi sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Vuoi sapere una cosa, Claire? – disse subito dopo. –Ho intenzione di posizionare te e tuoi amici nella prima unità della squadra. Che ne pensi?
Spalancai la bocca. -Che gli altri la prenderebbero bene! Insomma, penso che tu stia per realizzare il loro sogno – risi.
-Ne fai parte anche tu, no?
-Già – mi rialzai, portandomi il pugno al petto. –Claire Hares, membro d’élite e componente della Squadra per le Operazioni Speciali! Credi che sia un nome che gli si addica?
-Credo proprio di sì – rispose, accennando a un sorriso.
Saltellai esultante. Avevo percepito il debole suono di un dispositivo proveniente alle nostre spalle, ma poco ci feci caso, a causa della gioia che non riuscivo a contenere, che mi causava la presenza di quell’uomo austero quanto leale e sincero.
 

Spazio autore: oggi, non parlerò in questo angolo dell’autore riferendomi alla storia, e lascio il compito alle mie fidate Cecy_y e Lapeck99 di commentare quanto vogliono quest’ultimo capitolo. No, oggi, miei cari lettori, vi sorbirete i miei scleri per quanto riguarda il recentissimo trailer della terza stagione (registrato come uno dei video di tendenza su youtube di quest'oggi, per giunta)!
Levi, Levi e ancora Levi. Pare che quest’ultimo sia passato dall’essere il personaggio più marginale della seconda serie al protagonista vero e proprio della successiva, fiancheggiando Eren e Historia. Avrei tanto voluto vedere più scene, ma quei pochi secondi di clip mi sono bastati a farmi fangirlare a vita, a partire dai primissimi attimi, dal primo piano di Kenny, fino ad arrivare ai momenti riguardanti il mio adorato e forte caporale. Accidenti, non sono ancora pronta ad assistere al favoloso scontro zio contro nipote, inoltre parliamo sempre degli Ackerman: nessuno è più forte di loro!
Mi aspetto di vedere emergere quanto più possibile il personaggio della vecchia Christa, l’acutezza di Armin, la forza di Mikasa, la determinazione di Eren, oltre che quella dei restanti componenti della nuova squadra di Levi. Farà male vedere il sacrificio di Erwin per l’Armata Ricognitiva, ma sarà uno spettacolo imperdibile vedere una Hanji ancora più intelligente e furba del solito.
Chiedo conferma per quanto riguarda notizie relative al numero degli episodi (se ce ne sono): ho letto su internet che si tratterà di una stagione formata da 24 puntate, il che mi fa presumere che si possa arrivare a parlare della Battaglia di Shiganshina senza problemi. Incrociamo le dita!
Nel frattempo, vi auguro un buon weekend. Tanti baci!!!

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Capitolo 17
*** Decisioni ***


17. Decisioni

Dopo nemmeno un mese, iniziarono a circolare voci secondo le quali il Comandante di Divisione stesse pianificando già una nuova uscita oltre i territori del Rose per proseguire l’individuazione di un secondo punto di appoggio verso Shiganshina.
Era chiaro, comunque, che l’Armata Ricognitiva non potesse prendere arbitrariamente tali decisioni: da qualche anno, le spedizioni oltre le mura non venivano più ostacolate assiduamente dallo schieramento di aristocratici opponenti alle missioni della Ricognizione; tuttavia, le lamentele da parte della popolazione, intenzionata a sfruttare in ben altri modi il proprio denaro, divennero più costanti a partire dalla caduta del Wall Maria, il che rendeva comunque difficile, per Erwin, affrontare quelle irritanti faccende burocratiche di cui egli doveva occuparsi per finanziare una nuova missione.
Perciò, in un mite giorno di fine marzo, Erwin Smith e alcuni tra i suoi uomini di fiducia, cui il caporale, partirono per i territori interni col fine di presentare la richiesta di una nuova spedizione al Comandante Supremo Darius Zackly.
Fu stabilito che io, Petra e Erd, assieme ad altri soldati illustri, dovessimo accompagnarli. Quella risultò la prima vera e propria opportunità per visitare il Wall Sina, chance che c’era stata sottratta più volte già ai tempi del nostro arruolamento nel Corpo Cadetti, in cui fummo costretti a esplorare ogni antro del Rose, qualche volta del Maria.
L’eccitazione mia e di Petra era incontenibile, ma fu Levi che cercò di sopprimere la nostra felicità prima di mettere piede in quei territori.
-Non fatevi prendere dall’entusiasmo. Personalmente, credo che addirittura i distretti del Wall Maria potessero essere migliori – disse lui.
Io e la mia amica ci scambiammo un’occhiata, decidendo poi di contenerci e comportarci da soldatesse professioniste, mettendoci semplicemente al servizio degli ufficiali senza più considerare quella visita una semplice gita per i territori interni.
Il tragitto fu veramente lungo, motivo per cui si era deciso di mettersi in marcia ad un’ora davvero prematura della giornata. Verso le dieci di mattina, finalmente eravamo giunti a destinazione.
Mentre Erwin aveva affidato ad un gendarme il permesso di poter lasciar entrare anche noi, osservai gli individui nei dintorni: i colori sgargianti delle vesti femminili, gonfi e lunghi, completi di cappello, e gli sguardi curiosi degli uomini dall’elegante portamento furono le caratteristiche che più mi colpirono.
I loro atteggiamenti non somigliavano nemmeno un po’ a quelli dei cittadini di Trost, a quello gentile e umile del padre di Petra. Metà degli uomini che avvistavo reggeva sigari di ogni tipo, quelli che mio padre, per un certo tempo, aveva fabbricato molti anni prima della sua scomparsa.
-Sono della ricerca - sentivo, cavalcando a passo d’uomo con i miei compagni.
-Già. Che ci fanno qui? Non dovrebbero vivere all’esterno delle mura? - domandavano i più ignoranti.
-Sei impazzito? Non resisterebbero più di un’ora, lì fuori. A detta di tanti, questi giganti sono davvero brutali, non risparmiano nessuno - rispondevano altri ancora, con fare altrettanto ottuso.
-Che maiali - udii il tono di voce di Levi. -Petra, Claire, preoccupatevi dei cavalli.
-Sissignore - rispondemmo in coro io e la mia amica, smontando dai nostri destrieri.
Mentre accompagnavo a piedi Edmund, mi imbattei in una coppia di bambini vestiti con abito di tutto punto urlare alle loro rispettive madri.
-Mamma, fammi andare da loro! - urlò uno dei due.
-Lasciali perdere, sono occupati con le loro faccende da soldato. Smettila di badare a loro, dopo dobbiamo tornare a casa per le lezioni di matematica - rispose la madre.
-Come, anche oggi? - sbuffò il bambino. -Che barba, ieri ho avuto le lezioni di musica, posso prendermela di festa, oggi. Mamma, non voglio studiare la matematica, fammi andare a salutare la Ricognizione! – urlò isterico.
Alla parola “musica”, ero rimasta folgorata: provavo invidia per quel bambino che, ad un età così prematura, poteva già permettersi di imparare uno strumento, ma al tempo stesso morivo dalla voglia di conoscere ciò che aveva appreso.
-Fa’ presto, gioia, te ne prego - si arrese il genitore, sospirando.
-Andiamo, Conner - il bambino, gaio, chiamò a raccolta il suo amico, avvicinandosi senza prudere a noi.
-Siete del Corpo di Ricerca, vero? - si rivolse a me.
-Sì, è così - risposi cordiale, sorridendogli.
-Quindi combattete i giganti? I mostri di cui tanto si parla, esistono davvero? - domandò l’altro ragazzino.
-Già. Ho anche rischiato di morire strangolata, per colpa di uno di quelli - ammisi, ridacchiando.
-Mio padre dice che è solo per colpa dei giganti per cui presto verremo inondati di gente ignorante delle altre mura - commentò il primo.
Rimasi attonita. Come potevano dei giovani così piccoli parlare in quella maniera?
-Ecco, è gente che a causa del Colossale ha perso tutto ciò che aveva. Casa, famiglia... non parlerei come voi, al posto vostro - tentai. -Ho sentito che studi musica - mi rivolsi al monello.
-Una barba - giudicò. -Sto imparando il pianoforte, ma mi annoio da morire.
-La musica è bella. Io suono un po’ la chitarra – cominciai.
I due bambini mi rivolsero uno sguardo disgustato. -Le persone come te conoscono la chitarra?
Non avevo idea di come reagire. –Ecco…
-Ma non lavoravate solo? Ci sono le fabbriche e le terre lì, no? Scommetto che non sai nemmeno leggere. Ehi, mamma, ho rivolto la parola ad un analfabeta! – i due bambini risero, correndo via prima che potessi avere il tempo di rispondere.
La superficialità, la falsità della realtà che li circondava, decisamente più infame e riluttante addirittura di quella che mi aveva accolta al ritorno dalla mia prima spedizione, li faceva parlare in questo modo. La colpa non era loro, bensì di quelli che ignoravano il problema che affliggeva l’umanità, in particolar maniera quella scampata alla furia del Colossale e del Corazzato per pura fortuna, considerata solamente di intralcio a quelli che vivevano beatamente in tali località apparentemente perfette e immacolate.
Ricordai le parole di Levi: ci trovavamo a mezz’ora dalla capitale, sotto la quale centinaia di persone pativano la fame e la miseria, senza che quegli spregevoli aristocratici se ne rendessero conto.
In ogni caso, benché inizialmente fossi rimasta stupita del comportamento di quei due ragazzi, ben presto mi assalì un forte desiderio di cantargliene quattro prima che potessero tornare nelle loro case assieme alle loro bizzarre e ignare madri, troppo occupate a seguire le ultime mode del momento, lasciando ai precettori l’arduo compito di educare ragazzi così viziati e condizionati da idee del tutto sbagliate sul mondo che li circondava.
-Come osate?! – gridai furiosa. –Ora vedrete!
Avanzai di un passo solo, prima che qualcuno potesse afferrarmi saldamente la mano.
Voltandomi, trovai gli occhi quasi inespressivi di Levi. –Lascia perdere, non ha alcun senso.
Ero arrossita a tale gesto, osservando la sua mano stringere la mia.
-Che fai, ti metti a rincorrere dei mocciosetti, Claire? – mi domandò a bassa voce.
-Io… ma loro… - cercai di spiegare, accorgendomi pochi momenti dopo che la scena era appena avvenuta davanti ad una confusa quanto turbata Petra.
Trassi velocemente la mano, dando le spalle al caporale; mi schiarii la voce, poi andai incontro alla mia amica. –Non riesco a capacitarmi di come i bambini di questo posto siano più dementi di quelli di Trost – le dissi.
-Sì. Ti spiacerebbe aiutarmi? Sto facendo tutto da sola, mi servirebbe una mano con i cavalli – rispose fredda, trainando con fatica il destriero di Levi.
Tesa, risposi di sì, cosciente che l’avermi visto nuovamente in compagnia del capitano potesse in qualche maniera farla ingelosire. Peggio ancora sarebbe stato se fosse venuta a conoscenza dei miei sentimenti per lui, dato che lei non aveva esitato un secondo a descrivermi le sue emozioni nei confronti di quel maledetto uomo che, a quanto constai, attraeva a lui più donne che giganti, senza che lui stesso ci facesse troppo caso.
Poco dopo, mi venne incontro il Comandante. –Claire, sei pronta a presentare le tue strategie al Generale Zackly? Al posto tuo, sarei in preda all’emozione.
Il cuore prese a battermi forte. A quanto ne avevo saputo, Levi aveva acconsentito a sfruttare le mie tattiche sulle manovre d’attacco. Ma queste ultime dovevano comunque sottostare a diverse norme, prima di poter essere utilizzate anche in vere e proprie spedizioni, motivo per il quale Erwin avrebbe dovuto formalizzarle con Zackly assieme alla sua formazione ad Ampio Raggio.
 –E’ così, signore. Ho molta paura che il Comandante Supremo non voglia accettare le richieste di una cadetta appena arruolatasi.
Egli ridacchiò. –Una cadetta con molto talento. Lo pensano tutti, Claire. A quanto vedo, l’unica che non vuole accettarlo sei proprio tu.
Emisi un piccolo mormorio di disagio, mangiucchiandomi le dita. –Mi sento troppo sopravvalutata, è questa la verità.
-Che rompiscatole – commentò Levi poco più lontano.
-Sono convinto che al signor Zackly farebbe piacere incontrare una promessa come te – continuava Erwin. –Che ne diresti se andassimo proprio io e te al Quartier Generale dell’esercito?
Trasalii. –Mi scusi? Non crede di star esagerando, Comandante?
Erwin rise. –Ma perché dovrei? Ci conviene non perdere altro tempo: dobbiamo raggiungere la parte opposta della città, e il nostro appuntamento è previsto tra venti minuti. Dirigiamoci in fretta alla carrozza, ti va?
Ero sempre più disorientata e impaurita. –Alla carrozza?
-Claire, ma che aspetti ad andare? Corri e fatti valere! – mi incitò Erd.
Mi decisi a seguire Erwin, camminando al suo fianco.
Un secondo prima mi trovavo a dover litigare con dei bambini, ora dovevo realizzare di starmi recando nell’edificio più illustre dell’esercito in compagnia del comandante della Legione per incontrare uno degli uomini più importanti del mondo, a capo di tutte le milizie.
-Non c’è ragione per essere spaventata, te lo assicuro – mi disse Erwin.
Feci un cenno col capo, più tesa che mai.
-Ti intimorisce così tanto il signor Zackly, Claire? – ridacchiò ancora lui.
-Non solo, signore. Per la prima volta nella mia vita sto per mettere piede su una carrozza.
-Deve essere una cosa bella, allora – mi sorrise incoraggiante, indicando al cocchiere la strada da percorrere. Quest’ultimo aprì la porta del vano davanti a me. Aspettai che fosse Erwin a entrare per primo, ma quest’ultimo non si mosse.
-Va’ prima tu, Claire.
Mi decisi a salire, sospirando. La carrozza era tappezzata di un caldo color porpora, i sedili erano i più comodi di sempre. Erwin sedette accanto a me, ma prima che il cocchiere potesse chiudere la porticina, la testa di un militare fece capolino.
-Erwin, non dirmi che vai da Zackly? – disse quest’ultimo.
-Non esitare a entrare, Nile – rispose il biondo. Fu in quel momento che riconobbi il Comandante Dawk, capo della Gendarmeria.
Questi mi guardò interdetto, poi osservò nuovamente il collega.
Che situazione disagevole! Non avevo idea di cosa fare, d’altronde la mia presenza in quella carrozza era assolutamente inopportuna. Probabilmente, nemmeno al Caposquadra Mike era consentito di poter essere accompagnato in una carrozza, figuriamoci io!
Comunque, dopo essere stata osservata in maniera sprezzante dal gendarme, quest’ultimo fece cenno ad una persona al suo fianco di entrare: davanti la porta della carrozza comparve una donna dai capelli biondi e riccioluti, nascosti in un elegante cappellino azzurro. Indossava una raffinata giacchetta del tessuto più pregiato, la gonna lunga era perfettamente abbinata al copricapo.
-Non ti dispiace se viene anche Marie con noi, vero? - continuò il Comandante Dawk.
La donna e il mio ufficiale si scambiarono un’occhiata veloce. L’espressione di Erwin era improvvisamente mutata, sorpresa.
-Ciao, Erwin - lo salutò lei, salendo sulla carrozza aiutato dal gendarme.
Assolutamente sbalordita, non mi capacitavo di quello che stesse succedendo. Perché quella civile era così in intimità rispetto ai due soldati? E per quale motivo la situazione, da quando i due si erano seduti accanto a me ed Erwin, era diventata parecchio imbarazzante?
Nel frattempo, Nile continuava a mettermi ulteriormente a disagio, riservandomi sguardi interdetti e sospettosi.
Distolsi immediatamente lo sguardo, volgendo la mia attenzione sul volto di Erwin, che, a sua volta, osservava timidamente la giovane donna seduta di fronte a me. Mi schiarii la voce per richiamarlo, venendo fortunatamente ricompensata.
-Nile, questa è una tra le migliori reclute arruolatesi quest’anno - mi introdusse Erwin, invitandomi a continuare il discorso.
Mi indicai il petto con il pugno. -Perdoni l’informalità, signore. Non mi è consentito alzarmi - mi rivolsi al militare. -Claire Hares, diplomata al quarto posto del centotreesimo Corpo d’addestramento reclute - risposi fiera, quasi come se avessi voluto rinfacciargli che sulla mia giacca portavo le ali della libertà, nonostante le mie capacità avessero potuto benissimo consentirmi di arruolarmi nella Polizia Militare.
-Questa ragazza ha un futuro di stratega davanti a sé, ci sta già aiutando moltissimo a migliorare le tattiche di combattimento - aggiunse orgoglioso il Capitano di Divisione, sorridendomi. -Andiamo da Zackly proprio per parlare di questo. E tu, Nile? Che motivo hai di recarti al Quartier Generale?
Quest’ultimo lo guardò a braccia conserte, poi si volse in direzione della bionda accanto a sé, intenta ad osservare le stradine ai lati della carrozza.
-Io e Marie ci sposiamo, Erwin. Abbiamo bisogno di un po’ di tempo per sistemarci, mi urge comunicarlo al Quartier Generale.
La donna non mi parve molto gioiosa, soprattutto cercava quanto più possibile di distogliere lo sguardo dal mio superiore, con una tenerezza che a me parve incalcolabile; ciò che più mi turbava era proprio il comportamento stranamente timoroso di quest’ultimo.
-Avete deciso di fare il grande passo, quindi - disse Erwin. -Sono contento per voi, davvero.
Marie finalmente decise di ignorare il finestrino della carrozza. I suoi occhi si intonavano perfettamente al colore turchese del suo abbigliamento. Il suo volto non era più inespressivo, guardava il biondo con la nostalgia negli occhi. Ma a cosa era dovuta?, mi domandai.
-Tu invece continui a farti finanziare quelle strambe missioni suicida, non è così? - proseguì Nile, il cui atteggiamento aveva già iniziato ad infastidirmi ulteriormente.
-Sai bene quanto siano importanti - ribatté Erwin, con un tono pacato e dolce.
I miei occhi si mossero sulla figura magra e gracile della donna davanti a me. Era bellissima, nonostante fosse probabilmente una di quelle tante donne aristocratiche che avevo avvistato da quella mattina. Tuttavia, qualcosa, nel suo modo di fare tranquillo e genuino, mi riportò ai territori un po’ più esterni. Avrei voluto tanto domandarle la sua storia, sapere addirittura se fossimo compaesane, ma me ne stetti buona in silenzio attendendo il termine della corsa.
Il viaggio alla deriva della parte opposta della città non fu né troppo breve né troppo lungo, eppure le continue critiche sulla Ricognizione da parte di Nile lo resero estremamente insopportabile. Quanto avrei voluto entrare nel corpo di Erwin per poter ribattere con chissà quali insulti nei riguardi della Gendarmeria, ma non potei fare altro che cercare invano di ignorare i suoi assurdi discorsi, concentrandomi inizialmente sull’elegante abbigliamento della donna, che, tuttavia, pareva sentirsi ulteriormente a disagio anche a causa mia.
Quando la corsa finalmente terminò, Nile e Marie salutarono con estrema freddezza Erwin, soprattutto me, dirigendosi in tutt’altro luogo, mentre il biondo mi intimò a seguirlo nella zona più esclusiva del palazzo principale militare, riservato all’ufficio del Comandante Zackly. Incamminandomi con lui all’interno del grande edificio, sentivo di rischiare uno svenimento da lì a poco. In ogni caso, una parte di me era comunque consapevole del fatto che non mi sarebbe servito ad alcunché preoccuparmi in maniera così eccessiva: alla fine, Erwin aveva insistito affinché io, proprio io, lo accompagnassi dall’uomo più importante dell’esercito, escludendo Hanji, Levi o Mike dalla sua scelta.
Guardai Erwin, che, come me, percorreva la grossa gradinata di scale che conduceva al piano più alto, di un edificio dai colori principalmente chiari e apparentemente infinito. Pareva turbato ed estremamente pensieroso.
Poco dopo, arrivammo davanti alla porta dell’ufficio di Zackly, dopo essere stati accompagnati da un membro della Gendarmeria, che per primo fece la sua entrata nella stanza.
-Signore, sono qui il Comandante Erwin e un membro della Ricognizione – anticipò il militare.
-D’accordo, falli entrare, Frank – risuonò la voce rauca e bassa dell’uomo all’interno dell’ufficio.
Erwin fu il primo ad entrare. Si mise sull’attenti, lasciandomi passare perché lo raggiungessi e imitassi il suo stesso saluto.
-Comandante Supremo Zackly, buongiorno.
-Buongiorno a te, Erwin.
Non riuscivo a rimanere ferma a causa della tensione, le mani sudate così indebolite da non permettermi di chiuderle in un pugno.
-Vedo che hai compagnia – lo sguardo dell’ufficiale si mosse sulla mia figura.
-Sissignore, vorrei presentarle una garanzia della Ricognizione che ha terminato da pochissimo l’accademia.
Ecco. Ora toccava a me prendere la parola. Mi schiarii la voce, scegliendo il modo preferibile con cui presentarmi. –Claire Hares, 103° Corpo di Ricerca.
-Una recluta, eh? – osservò Zackly. –Ho molta fede in Erwin, signorina Hares, quindi non metto in dubbio la sua parola. Devi essere davvero così in gamba come ti ha descritto – gli sorrisi timidamente, trattenendo un sospiro.
-E’ così, Comandante – intervenne il mio ufficiale. -Spero abbia letto con attenzione la lettera che le ho inviato qualche giorno fa. Sono qui per presentarle nuove innovazioni che ho intenzione di attuare nell’Armata Ricognitiva, innovazioni alle quali anche questa ragazza ha contribuito.
Erwin avanzò (lo seguii senza pensarci due volte), stringendo una cartellina di cuoio marrone che aprì sullo scrittoio dell’uomo dalla folta barba bianca. –Con permesso. Vorrei presentarle l’ultimo progetto da me ideato per lo spostamento. Alla lettera, si chiama “formazione a lungo raggio”. Consiste principalmente nella deviazione del nemico al fine di non perdere ulteriori soldati ingaggiando battaglia. La Legione ha già avuto modo di sperimentarla nei pochi ettari che abbiamo a disposizione nei territori del Rose, sono convinto che per la prossima missione saremo già in grado di attuarla al di fuori delle nostre terre.
Zackly si sistemò i piccoli occhiali tondi sul naso, studiò con cura il foglio ritraente la tattica del Comandante della Ricognizione, che egli aveva avuto già modo di osservare qualche giorno precedente con la pervenuta della sua lettera.
-E’ assolutamente geniale, Erwin. Elaborato con attenzione e precisione – constatò alla fine. Provai molto orgoglio nel comprendere che avevo la fortuna di poter lavorare al fianco di una persona così competente e valida come Erwin Smith, eppure mi resi conto di quanto, contrariamente, io, che mancavo di qualsiasi tipo di esperienza, valevo ancora molto, molto poco.
 –Eppure, credo che ci vorrà un po’ prima di convincere il Consiglio Cittadino a sovvenzionare una nuova missione oltre le mura – proseguì Zackly. -Sono loro che si lamentano principalmente, lo sai meglio di me.
-Certo, ne sono consapevole – rispose il biondo. –Ma sono convinto che questa volta faremo la differenza. Ho commesso l’errore, in passato, di non prevenire le numerose perdite che, spedizione dopo spedizione, ammontavano in continuazione. Questa strategia impedirà un gran numero di danni, vi confido molto.
L’uomo sedutogli di fronte incrociò le mani sul tavolo, guardò Erwin in maniera pensierosa, si sistemò meglio sulla sedia, schiarendosi la voce. –Farò quel che posso, Erwin. Sei stato promosso da poco a comandante, ma ho sempre avuto molta fiducia in te, lo sai bene.
Erwin gli sorrise, portandosi la mano sul petto. –La ringrazio molto.
-Adesso toglimi un dubbio, però – continuò l’altro. –Perché hai scomodato così tanto una signorina così educata e silenziosa portandola nell’ufficio di un vecchio militare?
Le guance mi si fecero scarlatte.
Erwin ridacchiò. –Come le ho già detto, questa ragazza di grande talento sta contribuendo molto alla realizzazione di nuove strategie di combattimento, mi sono sentito in dovere di mostrarle uno dei suoi progetti per l’approvazione.
-La faccenda si fa interessante – giudicò Zackly prima di esaminare uno dei fogli su cui, giorni prima, avevo ricopiato, senza conoscerne il motivo, alcune delle mie tattiche sotto l’ordine di Levi. Solo in quel momento, col cuore a mille dalla tensione e dalla paura, in quel raffinato ufficio di quel prestigioso palazzo, mi ero resa conto dello scopo di quel comando.
-Per esserti da poco diplomata, sei molto dotata, ragazza mia. Il che mi fa pensare che anche sul campo tu sia imbattibile.
-Grazie, signore – finalmente parlai, inchinandomi.
-Ha visto proprio giusto, Comandante – disse Erwin. –Claire è stata affidata al Capitano Levi, che, meglio di tutti, è in grado di occuparsi delle grandi potenzialità della sua nuova unità.
-Penso ci sia poco da dire, allora, Erwin. Non solo sulla signorina Hares, ma ora non ci resta che parlarne col Consiglio straordinario e convincerli. Come detto, farò del mio meglio.
Poco dopo, entrambi rincuorati, io e il Comandante Smith lasciammo l’ufficio del signor Zackly.
-E’ andata bene – mi lasciai scappare, venendo nuovamente scortata da un gendarme verso l’uscita della palazzina.
-Molto bene, direi. Hai colpito anche il Comandante Supremo Darius Zackly, al tuo posto sarei al settimo cielo – osservò Erwin.
-In effetti, lo sono. Per quanto fossi impaurita all’idea, non posso credere di aver appena coronato il mio sogno di incontrare l’uomo più potente dell’esercito.
Egli ridacchiò. –Posso immaginarlo. Inoltre, oggi hai fatto la conoscenza del Comandante della Gendarmeria.
-Io non lo considererei un evento eclatante, se mi permette – intervenni. –A priori, non mi ha destato tanta fiducia. Lei è un generale di gran lunga migliore. La ringrazio infinitamente per avermi addirittura concesso di sottoporre il mio insignificante lavoro a persone di tale grado – dissi sincera.
-Ti sono riconoscente anche io. Il tuo lavoro è una grande risorsa, per il nostro Corpo – mi rispose, sorridendomi. –Non so se comprendi, ci sono poche persone che ripongono la loro fiducia nei nostri riguardi, di conseguenza noi approfittiamo di qualsiasi peculiarità per migliorare la nostra opera.
-Ne sono consapevole – risposi, oltrepassando l’ingresso del Palazzo. –Per quanto veniamo giudicati male da buona parte della popolazione, non rimpiangerò mai la mia scelta.
-Sappi che richiede enorme coraggio decidere di sfidare la sorte per il bene dell’umanità. Non è semplice scegliere di rischiare la propria vita senza venire tantomeno ricompensati, persino il Comandante Dawk se n’è reso conto giusto poco prima di abbandonare il desiderio di far parte della Ricognizione e arruolarsi ai Gendarmi, per poi fare gavetta in quell’organo.
Rimasi di sasso. –Lei come fa a saperlo?
Erwin, impassibile, avanzava molto lentamente. La sua andatura elegante, lo sguardo pensieroso lo rendevano un uomo assai affabile.
-Siamo più o meno coetanei, mia cara Claire. Ci arruolammo nello stesso anno, anche lui con l’intenzione di entrare a far parte della Ricerca. Ma siamo esseri umani, si sa, soggetti a continui mutamenti. Perciò, all’ultimo Nile ha deciso di intraprendere una vita completamente diversa. Pur sempre rispettabile, non sono nessuno a giudicarlo. Che ti piaccia o no, anche i gendarmi sono persone di rispetto.
Non la pensavo affatto in questo modo, e il mio parere, a distanza di anni, non è affatto mutato neanche adesso. Ma Erwin era pur sempre il mio superiore, di conseguenza, chi ero io a controbattere? –Ci sono stati dei motivi ben precisi per cui il signor Dawk ha preferito la Gendarmeria?
-Ovviamente sì – rispose lui, osservando dritto davanti a sé. –La ragione si chiama Marie. Ha scelto di rimanere al suo fianco, e la sua decisione è stata più che opportuna. Credo che sia impossibile garantire la felicità della persona che ami mentre te ne vai a uccidere giganti, perdendovi anche la vita.
Sentii un vuoto nello stomaco. Per qualche ragione, sentii di essere presa in causa.
-In realtà, anche io ho conosciuto Marie insieme a Nile. Un anno prima della notte di scioglimento – aggiunse il Comandante.
Inconsciamente, Erwin mi stava invitando a sopprimere i miei sentimenti e a dimenticare i miei affetti.
-C’è stato un tempo in cui ho amato Marie allo stesso modo, ma non volevo che i miei sentimenti prendessero il sopravvento sulla mia scelta, per quanto magari venissi contraccambiato – continuava il biondo.
Dovevo forse soffocare il mio amore per Levi? E per quale motivo? Non era certo lui a rischiare di morire per mezzo dei titani, ma io. Una parte di me sapeva bene che avrei dovuto prendermi del tempo per parlarne direttamente con lui e rivelargli che avrebbe fatto meglio a lasciar perdere l’affetto nei miei confronti. Ma lui poteva benissimo rendersene conto, allora, perché non aveva stabilito di farla finita? Poneva davvero così tanta fiducia in me?
Morivo dalla voglia di tornare da lui per chiederglielo, invece ero ancora lì, in compagnia del Comandante Erwin, intento a raccontarmi della sua esperienza amorosa con la donna di poco prima… e io me ne ero resa conto solo in quel momento!
“Ho amato Marie”, aveva detto? Perché mai io avrei dovuto saperlo?
-Signore, non è affatto tenuto a raccontarmi queste cose! – esclamai in preda alla tensione.
-Non preoccuparti, mi fido di te – rise lui. –Era per spiegarti che comunque sono sempre le scelte che compiamo a determinare il nostro futuro. E poi, l’amore, l’amicizia, questi sono sentimenti meravigliosi. Ma dimmi, Claire, pensi che un soldato della Legione Esplorativa possa abbandonarsi ad essi?
E in quel momento cosa dovevo risponderti, Erwin, che alludevi comunque all’affetto che nutrivo per quei quattro ragazzi?
-Certo che no, Comandante – risposi laconica. -Per quanto voglia bene ai miei colleghi, so per certo che i legami affettivi non possono proprio rientrare nel mio lavoro – mi guardai la punta degli stivali.
-Claire, so bene l’affetto che ti lega ai tuoi amici – mi sorrise lui. –Sto solo dicendo che il nostro obiettivo deve essere sempre e comunque quello di rischiare la propria vita per il genere umano. È questo il nostro compito. Penso che tu lo conosca bene, no?
Risposi che lo sapevo, accompagnandomi un pugno al petto. –Dedicherò la mia vita alla nostra causa – una lacrima mi rigò il volto. –Giuro che lo farò.
In quel momento, la nostalgia di trovarmi lontano dal Rose, dalla mia città, mi portarono a pensare ai tre bambini di Trost, ai poveri cittadini scampati dai giganti nel Maria che avevo avuto modo di incontrare. Pensai ai miei compagni morti sul fronte qualche giorno prima. E infine ripensai ai miei amici, a Levi: ci battevamo per un obiettivo comune, quello di distruggere una volta e per tutte il nemico titanico, anche a costo di essere brutalmente divorati. 
Il Comandante Smith mi poggiò una mano sulla spalla. Quel gesto, tipico di una persona gentile e leale come lui, mi faceva sentire straordinariamente piccola e fragile al suo cospetto. –Lo so, Claire. La tua determinazione significa molto per tutti noi.
Gli sorrisi, poi facemmo ritorno alla carrozza che ci stava aspettando.
-Comandante Erwin, può togliermi una curiosità? La ragazza che si chiama Marie… - iniziai, rompendo quel silenzio creatosi dopo l’inizio della corsa che ci avrebbe riportato dai restanti membri dell’Armata Ricognitiva, -lei non è un’aristocratica, non è così? Qualcosa, nel suo sguardo, mi suggeriva che si sentisse assai fuori luogo.
L’ufficiale mi sorrise. –Marie viene dal Wall Rose. Lavorava in un bar che io e Nile eravamo soliti frequentare in gioventù – rivelò lui.
La voglia di conoscere altro sulla vita di quella ragazza meravigliosa dall’espressione incerta era così forte da non permettermi di stare in silenzio. Troppo impicciona, mi reputerà il lettore, che avrà modo di conoscere, attraverso la lettura di tali memorie, piccoli accenni alla vita di colui che io, con molta fierezza, ritengo essere uno dei più grandi uomini che abbiano mai vissuto all’interno delle mura.
-Perciò, ora vive in un territorio e in una società del tutto differente – constatai.
-Già. Considero saggia la scelta di Nile di portarla qui per proteggerla. Lui le vuole davvero bene, per quanto possa sembrarti una persona un po’ troppo vile – aggiunse.
-Sì, forse è così.
-Non ne sei poi tanto convinta, vero?
Lo guardai negli occhi. –Credo che sia difficile, per lei, dover vivere in un posto del genere, venendo da uno tanto diverso. Poi, Comandante, lei sottovaluta la potenza dell’invidia femminile. Quella donna è bellissima, sarà oggetto di continui pettegolezzi in una città dove le uniche preoccupazioni sono l’attenersi alla moda e dare la perfetta istruzione ai figli.
Mi pentii di aver usato un tono così colloquiale proprio con lui, ma la fiducia che riponeva in me mi portava a pensare che egli non avrebbe mai giudicato il mio comportamento poco formale.
-La penso proprio come te, Claire. Ma sono Marie e Nile a dover scegliere, e noi non possiamo fare nulla. Come ha ammesso anche lui, noi combattiamo i giganti, e dobbiamo solo preoccuparci di liberare quanto prima l’umanità dalle catane della soggiogazione.
Annuii, attendendo in silenzio di raggiungere i miei compagni d’arme. Fuori dalla carrozza, ci accolse Levi. –Allora, Erwin, com’è andata col vecchio?
Erwin sorrise al soldato dalla bassa statura. –Claire gli ha fatto davvero un’ottima impressione. Ritieniti fortunato ad averla in squadra.
Il biondo si allontanò in direzione del suo cavallo, lasciato alle cure di Petra. Davanti a Levi rimasi soltanto io. Ci scambiammo una fugace occhiata, prima di montare sui nostri destrieri e salutare finalmente quel mondo di falsità e di stoltezza.
 

Spazio Autore: buon pomeriggio e buon sabato! Claire oggi ci porta nei territori del Wall Sina, raccontandoci le sue impressioni su quelli che ne vivono. Per immaginarmi una città del Sina ho fatto riferimento ai due Ova dedicati ad Annie, che sinceramente mi sono piaciuti solo in parte. Spero in una trasposizione in anime anche del secondo volume di Lost Girls, riguardante la mia adorata Mikasa.
Attendo comunque in maniera ansiosa il mese di luglio per la prima puntata della tanto agognata terza stagione. 
Mi rendo conto di star dando molta importanza a Erwin, ma è un personaggio che semplicemente adoro, e poiché questa storia verte principalmente sui sentimenti dei nostri amati soldati, in particolar modo dei veterani (nei prossimi capitoli vedrò di parlare anche di una ship molto famosa nel fandom, a voi il compito di indovinarla ;) ), non sono riuscita ad astenermi dal fare riferimento a Marie, contesa dal ricognitore Erwin e dal gendarme Nile.
Vi annuncio che è probabile che cercherò di pubblicare un nuovo capitolo anche durante questa settimana. Alla prossima!

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Capitolo 18
*** Questioni di fiducia ***


18. Questioni di fiducia

Bussai debolmente alla sua porta. Non ci tenevo a svegliare i superiori che alloggiavano nei dintorni, ma tantomeno non ero invogliata a darmi per vinta. Levi ci mise parecchio ad avvicinarsi per venire ad apririrmi, eppure, poco dopo, mi rivolse uno sguardo attonito, domandandosi già il motivo per cui mi trovavo davanti la sua camera, in un orario dove ai cadetti certamente non era consentito di girovagare per i corridoi.
-Claire, che ci fai qui? – mi domandò. Già sentire il suono della sua voce risultava per me una grande consolazione.
-Posso entrare? Non ci tengo a ritornarmene al dormitorio – il mio tono era debole e leggermente straziato. Mi tenevo il polso, demoralizzata ma un po’ imbarazzata per star supplicando il suo sostegno. –Ti prego, Levi.
Egli liberò il passaggio. Dopo che fummo entrati, chiuse la porta alle sue spalle.
Io mi guardai intorno: mi accolse la solita e noiosa freddezza che dominava quella stanza, odorante di profumi fino alla nausea. Era straordinariamente semplice: un piccolo scrittoio ospitante documenti rigorosamente sistemati era posizionato sulla parete sinistra, preceduto da una poltrona color cremisi. Al lato opposto, vi era un letto grande e immacolato – non era necessario avere la mente scientifica di Hanji per constatare che quasi mai esso avesse ospitato il suo proprietario – sul quale si adagiava una comune coperta calda in dotazione.
Piuttosto, chiunque vi entrasse, ovviamente dopo aver ottenuto il permesso del padrone di casa, non poteva mancare di scoprire quel gigantesco armadio in legno che io ero stata costretta più volte a ripulire sotto ordine del capitano: lì si celavano saponi e spolverini di ogni tipo nei ripiani più bassi; una fascia transitoria, in cui erano riposti, ancora una volta in maniera del tutto precisa, i suoi pochi abiti, separava i ripiani più alti, dove vi erano custoditi diversi contenitori in porcellana in cui egli conservava i suoi amati infusi di tè.
-Allora? Hai intenzione di spiegarmi cos’è successo? – chiese Levi, avanzando nella mia direzione.
Non ebbi il coraggio di guardarlo, avvilita, i miei occhi erano concentrati sul pavimento.
-Si tratta di Petra – cominciai timorosa.
La mia mente tormentata rievocava il ricordo di qualche ora prima, trascorso nel dormitorio sgombero dove la mia amica e io fummo tornate dopo un’estenuante giornata di addestramento. Fin da subito mi era parsa più contrariata del solito, al punto da farmi sospettare che si fosse ferita a mia insaputa sul campo.
Non ho idea del motivo per cui ella avesse scelto proprio quel giorno e quel momento per parlarmene, sicuramente non avrei mai e poi mai sospettato che ella avesse approfittato di quel poco tempo a disposizione in quel vuoto dormitorio per domandarmi in maniera laconica cosa stessi tramando.
-In che senso, Petra? – avevo domandato io, fingendomi ignara.
Ella mi chiese di essere sincera, in modo molto incerto mi domandò il motivo per cui, da qualche giorno, sparivo dalla circolazione all’improvviso, o passavo del tempo eccessivo in compagnia del nostro superiore. In poche parole, mi domandò se effettivamente ci fosse qualcosa tra me e il capitano Levi.
E in quel momento, non lo nascondo, il mio cuore si era fermato. Non avrei voluto che ella lo venisse a scoprire in questo modo, e già temevo che il nostro rapporto sarebbe declinato per una faccenda apparentemente così banale, ma che doveva essere alquanto importante per lei.
-Sì, Petra. Mi dispiace che tu sia venuto a saperlo così – farfugliai. Le gambe mi tremavano, magari uno svenimento, in quell’occasione, mi sarebbe tornato assai utile per uscire da quella situazione deprimente. –Petra, so a cosa stai pensando, e anche io farei così, ma, credimi, non giudicarmi senza prima conoscerne la ragion…
-Perché non me ne hai mai parlato? – mi interruppe lei, spazientita. –Claire, ma che ti succede? Dubiti forse di me? Qual è il motivo per cui mi stai nascondendo tutto? Dimmelo, Claire! Conto davvero così poco, per te?
Le lacrime avevano già solcato le sue guance, come se le dispiacesse di morire di starmi parlando in quel modo.
-Non è così, Petra! – esclamai preoccupata. –Io non dubito di te, ma… è complicato da spiegare. Non sei capace di capirlo.
-Mi pare giusto – dichiarò, infastidita. –Che posso mai saperne io, di te? Non sono certo io quella che ti è sempre rimasta accanto per tutti questi anni, né tantomeno quella che ti ha raccontato dei sentimenti che provavo per lui, quella che ti ha ascoltato senza indugi… Mi hai deluso, Claire.
Fu impossibile incassare un colpo duro come quello. Da quel momento, Petra si rifiutò di ammettere ulteriori spiegazioni, di rivolgermi nuovamente la parola. Dormì come sempre nel solito letto riposto in alto, mentre io ero rimasta lontano a meditare su quanto accaduto.
Alla fine, non lo si poteva negare, era stata colpa mia. Inconsciamente, avevo ferito l’unica persona che, in tutto quel tempo, era stata al mio fianco in ogni caso, una ragazza tanto buona e gentile che non meritava affatto di essere trattata in quel modo.
Tutto perché speravo di realizzare l’esatto contrario, vale a dire di non procurarle alcun dolore. Quante volte ella mi aveva parlavo della stima e del rispetto che nutriva per quel piccolo ufficiale arcigno? Alla fine, quando meno lei potesse accorgersene, io ero stata in grado di avvicinarmi a lui, innamorandomene a sua insaputa.
Calò il silenzio, non appena il mio racconto terminò. Per quanto potessi sentirmi per un po’ sollevata dal fatto che Levi avesse appreso l’accaduto, ero assolutamente demoralizzata, preoccupata che non sarei mai più stata in grado di fare pace con lei.
-Non so cosa fare, credimi – gli dissi. –Mi dispiace essere piombata qui per dirtelo, ma… è che io le voglio molto bene, Levi. È stata da sempre la persona più importante nella mia vita.
Si avvicinò, sedendosi come me sul bordo del letto. Ad un tratto, mi sfiorò una mano, stringendola nella sua. –Non hai fiducia in lei, però.
-Cosa?
-Non ti fidi. Altrimenti le avresti raccontato fin da subito quello che è successo.
Non ero affatto in grado di dargli retta. –Ma che stai dicendo, Levi? Io mi sono sempre fidata di lei.
-Ascolta, non ho voglia di entrare in merito a queste faccende amorose infantili, ma questo dimostra che non riponi fiducia in chi ti sta intorno. È lo stesso motivo per cui anche fuori dalle mura eri sempre ogni secondo a controllarla. Perché non provi a confidare in lei, invece di limitarti a proteggerla?
-Io ho paura di perderla – risposi.
-E stavolta hai rischiato che accadesse, perché non hai creduto in lei – continuava lui. -Ora pensaci. Credi davvero che una persona legata a te da tanto tempo non sarebbe stata capace di capire quello che provi per me?
Non risposi, ma riflettei: Petra era estremamente buona, non mi avrebbe mai detestato se le avessi detto sinceramente i miei sentimenti per Levi. Tuttavia, solo quest’ultimo era stato in grado di farmelo capire, per giunta troppo tardi.
-Sono una stupida, questa è la verità – dissi, intrecciando le mie dita tra le sue. –Hai ragione tu, Levi.
Piansi di nuovo davanti a lui. Egli si alzò, allontanandosi per un momento e rendendomi ancora una volta un fazzoletto.
-Non avere rimpianti, Claire. Confida solo nel fatto che prima o poi tutto si risolverà – sedette nuovamente vicino a me. –E, soprattutto, abbi fiducia, una volta tanto.
Come era successo il giorno in cui i miei amici mi avevano aiutato ad affrontare il combattimento corpo a corpo, ancora una volta venni intimata a credere, ancora una volta non lo facevo. Non avevo riposto fiducia nella mia amica per tutto quel tempo, a stento lo stavo facendo con lui. No, mi dissi, adesso tutto sarebbe cambiato. Sentii dentro di me il bisogno di dover maturare, di dover chiaramente credere nei miei compagni, nelle persone a me più care.
Annuii. –Lo farò. Stavolta, sul serio.
Mi sentivo ancora depressa e disperata, ma quel briciolo di conforto me l’aveva donato proprio lui con poche parole. Non avevo idea di come potesse farmi sentire incredibilmente bene, ma gli ero riconoscente in ogni caso.
Un po’ insicuro, il volto di Levi si avvicinò al mio. Il mio naso sfiorò il suo, prima che lui, con fare un po’ impacciato, potesse lasciarmi un bacio sulle labbra. Poche volte, dalla sera nel bosco, io gli avevo mostrato il “metodo” e mai egli ci aveva provato, per cui non mi aspettai che fosse perfetto, eppure le emozioni che mi provocò in quel momento furono infinite e indescrivibili. Quella poteva essere considerata la prima vera e propria dimostrazione del suo amore nei miei confronti, per quanto mi stessi accorgendo sempre più di quanto tenesse a me, soprattutto dai suoi modi gentili.
-Stai facendo passi da gigante, Levi. Complimenti – commentai alla fine, percependo le solite farfalle svolazzanti nello stomaco.
Levi era sorprendentemente carino, se in imbarazzo. Raramente avevo l’occasione di poterlo ammirare rosso in volto, ma mi stavo sempre più convincendo che lui fosse una persona più sensibile di buona parte delle mie conoscenze.
-Ho comunque il primato su di te nel canto. Ho visto che ti sono piaciuto, quella sera.
-Sì, purtroppo. Oggettivamente parlando, nonostante manchi di esperienza, la tua voce è di gran lunga più bella della mia. Per questo ti odio un po’.
Ridacchiai, stringendolo contro di me. Reputavo assolutamente magici quei momenti così speciali in cui egli era capace di farmi dimenticare il mondo crudele in cui vivevamo. Ero completamente da un’altra parte, in un altro tempo, quando ero con lui. Un tempo che certamente non era popolato da titani, contro i quali combattevano e morivano centinaia di soldati.
-E così, hai intenzione di rimanere qui, stanotte? – mi domandò all’improvviso.
Non ci avevo affatto pensato. Non avevo riflettuto più volte prima di decidere di rivolgermi a lui, eppure era tardi addirittura per poter farmene ritorno in silenzio nel dormitorio femminile.
-Non è che ho intenzione. Ci sono costretta, caro.
-Sì, certo. In ogni caso, scordati che io ti faccia dormire nel mio letto, sudicia come sarai – si rimise in piedi, a braccia conserte. –Da quanto tempo non ti fai un bagno?
-Tre giorni – mentii. In realtà, l’impossibilità di potermi lavare lontano dalle mie compagne mi impediva, per timidezza, di recarmi molto più spesso ai bagni in comune della Legione, e il mio ultimo bagno risaliva a circa una settimana.
-Non ti lavi da tre giorni? Questo è inammissibile! –sbottò lui.
-E’ una cosa normale. Sei tu che hai un disturbo ossessivo maniacale per la pulizia – ribattei.
Divenne nuovamente burbero. –Be’, sappi che non ti lascerò dormire lì sopra in questo stato. Il letto è mio e decido io.
Sbuffai. –Sei proprio noioso. Preferisci farmi dormire sul pavimento, allora?
-No, cretina. Userai eccezionalmente la mia vasca da bagno – disse. Benché non sembrava del tutto convinto, si avviò nel bagnetto la cui porta era posta proprio di fronte quella principale.
-A che serve? – domandai io, contrariata. –Tanto non posso cambiarmi. Non ci sono abiti femminili in questo posto, no?
-Ti secca tanto indossare qualcosa di mio? Che mocciosa!
-No, voglio i miei abiti! – protestai.
-Smettila di frignare – rispose. Iniziò a riempire la vasca piccola ma elegante nella grande sala da bagno. Il mio desiderio di diventare ufficiale si alimentò proprio dopo quella sera, non appena ebbi scoperto le innumerevoli comodità di cui godevano i miei superiori.
Mentre vagavo nei miei pensieri, Levi mi stava porgendo un gigantesco telo in spugna bianco e una candida saponetta. –Da brava, fa’ quello che devi fare. Vedi di non metterci tempo.
E quale tempo avrei dovuto impiegarci? Mi trovavo a lavarmi in un bagno del tutto sconosciuto, mentre lui era dietro la porta ad attendermi.
Eppure, non appena ebbi immerso il mio corpo nell’acqua sorprendentemente calda mi ricredetti del tutto. Non sarei più uscita da quel paradiso di serenità! Forse avrei iniziato a frequentare più spesso la camera di Levi solo per poter ottenere il consenso di godere nuovamente di quell’acqua tiepida e confortante.
Passarono buoni dieci minuti, credo, ma ancora non volevo saperne di uscire. Fu Levi a intimarmi di fare più in fretta e di asciugarmi.
Malavoglia, riemersi dalla vasca, avvolgendomi nel suo telo profumato, rimanendo ferma ai piedi della vasca osservando in maniera distratta l’acqua in cui mi ero lavata.
-Claire! Hai finito? – tuonò la sua voce dalla sua camera.
Constatai di non avere abiti da indossare, motivo per il quale fui costretta ad uscire dal bagno con il telo che mi copriva le spalle.
-Levi, dove sono i vestiti?
Egli distolse lo sguardo dalle tazze fumanti adagiate sullo scrittoio. Osservò prima me, poi, sempre più rosso, concentrò la sua attenzione sulle mie gambe nude.
Arrossii di colpo anche io, indicandogli l’armadio. –Fa’ presto, sto gelando – mormorai.
Egli prontamente si diresse a prendermi una camicia bianca e dei comodi pantaloni neri. Me li rese imbarazzato, invitandomi ancora una volta a non perdere tempo, a finire di prepararmi per la notte prima che giungesse l’alba.
-Dove metto i miei abiti? – chiesi, esaminando quelli piegati.
-Dalli a me. Li laveremo domani.
Sbuffai per l’ennesima volta. –Che rottura di palle, Levi. Sul serio, sei pesante.
Me ne ritornai in bagno per rivestirmi, curandomi poco di quello che aveva risposto.
-Vedi di non rovinarmeli o sporcarmeli, intesi? – mi ammonì, dopo aver fatto il mio ingresso con addosso la sua camicia e il suo paio di pantaloni.
-Ribadisco: sei proprio scocciante. Visto che ti preoccupi tanto dei tuoi vestiti e non mi lasci dormire con i miei addosso, allora tanto valeva che mi chiedessi di rimanere nuda. D’altronde sei un maschio, ti avrebbe fatto sicuramente piacere, dico bene? – lo stuzzicai, non riuscendo a trattenermi dal ridere.
-Io? Ma che…? sei proprio infantile – disse, goffo. I suoi occhi si spostarono altrove, le sue guance si dipinsero ancora una volta di un evidente colorito roseo. –E io che pensavo di renderti felice preparandomi del tè. Non te lo meriti proprio.
Osservai la teiera sulla scrivania: oltre alla zuccheriera, non vi era una tazza sola, ben due!
Arrossii anche io di colpo. –Oh. Levi, davvero lo hai fatto per me? – mi grattai la testa, lo sguardo rivolto per terra.
-Vuoi bere quel maledetto tè prima che si freddi, o no? – strinse alla sua solita maniera bizzarra una delle due tazze, sedendosi sulla sedia davanti lo scrittoio.
Non me lo feci ripetere una seconda volta, presi quella che rimaneva, sistemandomi di nuovo sul bordo del letto. Aveva scelto ancora una volta quello nero, quello che, tra tutti, preferivo di meno. Il suo gesto mi aveva rincuorato davvero tanto, per cui non avrei certamente contestato.
-Avevo proprio bisogno di qualcosa di caldo. Ovviamente non potevo deglutire l’acqua saponata – rivelai, sorseggiando la bevanda. –A proposito, aspettati di trovare più spesso una delle mie visite. Almeno una volta alla settimana, verrò a lavarmi qui.
-Tsk. Penso che dovrò cominciare a farci l’abitudine, credo – constatò.
-Già. Smettila di fingere di essere contrariato. Non saresti mai in grado di vietarmelo, sei troppo buono e generoso.
Smise di bere il suo tè, voltandosi. –Lo credi davvero?
-Potrei mai reputarti cattivo, Levi? Io ti amo, dopotutto. Non ne sarei mai capace – mi sentii scuotere da un fremito. Avevo voglia di abbracciarlo, di riempirlo di baci e di affetto, ma me ne restai ferma stringendo la tazza bianca dai bordi dorati. –Petra, Gunther, Oruo e Erd sarebbero d’accordo con me. Persino Hanji e Mike. E Erwin, ovviamente.
Accennò un piccolissimo sorriso. Il mio desiderio aumentava sempre più a dismisura. –Ma non dirmi che non te l’ha mai detto nessuno, perché non ti crederei.
Rimanemmo in silenzio a goderci quegli attimi di quiete, ma parlò poco dopo. –Claire, io ti voglio bene, - iniziò, il suo sorriso divenne più evidente, -ma non sei la prima persona a cui ho provato dell’affetto in tutta la mia vita.
Rimasi molto turbata. Chi poteva avere mai amato? Magari un’altra donna, qualcuna che in verità poteva trovarsi benissimo nei paraggi? Eh sì, che chi legge mi consideri pure una folle, ma la gelosia è un sentimento comune a tutti gli uomini, spontaneamente lo provavo per uno come lui, così prezioso per me.
-Devi sapere che nella città sotterranea non agivo sempre solo. O meglio, l’ho fatto per un breve momento della mia vita. Dopodiché ho incontrato due ragazzi sfortunati come me. Si chiamavano Furlan e Isabel. Ho conosciuto il primo, all’inizio, poi salvammo la ragazza. Inizialmente stentavamo a fidarci l’uno dell’altro, soprattutto io e Furlan, entrambi consci della politica ingiusta di quel buco di merda. Piano piano iniziammo a provare fiducia a vicenda, e aiutavamo gli altri giovani che come noi rischiavano la morte ad un’età così prematura. Si rivolgevano a noi con l’appellativo di “eroi”, e esultavano per noi non appena ci vedevano svolazzare su e giù per quella caverna con i nostri dispositivi tridimensionali.
Strabuzzai gli occhi, lui sedette ancora accanto a me. Per quanto paresse interessato a parlarmi di quei momenti di vita così particolari, insoliti e inediti per me, il suo tono di voce era sempre pacato, eppure molto dolce. –Avevate i dispositivi 3D? Li avevate rubati…?
-Alla Gendarmeria, proprio così – continuò. -Lì ci mandano i più negati, nessuno vuole lavorare là sotto, perciò considera che non è stata un’impresa impossibile, sottrarglieli. Sicuramente ci aiutavano a rubare più in fretta.
-Imparaste ad usarli senza un addestramento previo? – chiesi, attonita.
-Non mi aspetto che tu lo capisca. Non prendermi in antipatia, per questo. Semplicemente, erano la fame e la disperazione a spingerci ai limiti dell’impossibile.
 -Perciò, tu e Furlan ve la cavavate – riassunsi. –E la ragazza?
-Isabel. La soccorremmo tempo dopo. Non ti nascondo che inizialmente la vidi solo come un intralcio, solo dopo mi resi conto di quanto fosse speciale. Era pura e ingenua, eppure intelligente. Aveva un carattere molto forte, per una ragazzina.
Finalmente potei ammirare il suo sorriso, diretto non a me, ma al pavimento. Tuttavia, non si dimenticò di me: cercò la mia mano, la trovò stretta alla coscia, la prese, chiudendola nelle sue. –In un certo senso, tu me li ricordi – aggiunse. –Sei buona come Isabel, ma sul campo hai i nervi saldi di Furlan.
-Che strano – dissi. –Ho sempre pensato di essere troppo istintiva.
-Il che, è ottimo per un soldato, se ci pensi. Bisogna sempre ragionare pensando di trovarsi nella peggior situazione, come è accaduto nel bosco, subito dopo l’inizio dell’ultima missione.
Gli sorrisi. –Che ne è stato di loro due?
Il suo volto si incupì. –Anche loro furono reclutati con me da Erwin. Li ho persi durante la mia prima spedizione, per mano di un gigante. Non sono stato in grado di salvarli – concluse, poggiando sulla sedia la sua tazza.
Le lacrime raggiunsero nuovamente i miei occhi; ancora una volta, la vita di Levi aveva conosciuto la peggiore delle tragedie; ancora una volta, dopo essere cresciuto in assenza di una madre e di un padre, egli aveva sofferto. Non avrei mai avuto modo di conoscere ogni dettaglio dei suoi momenti trascorsi assieme ai suoi due amici, eppure potevo ben immaginare il dolore provocatogli dalla loro brutale morte. Oh, Levi, perché sei stato divorato da tutta questa sofferenza? Quanto io avrei potuto mai farti dimenticare tutto questo male?
-Mi dispiace tantissimo – riuscii solamente a dire.
-Vuoi sapere la verità? Non avrei più avuto la forza di combattere, dopo quel giorno, se non mi fossi reso conto dell’importanza del loro sacrificio. Ho promesso loro che avrei continuato a lottare fino a che non avessi annientato tutti quegli esseri.
Liberai la mia mano dalle sue, avvinghiando saldamente una, lasciando che le lacrime scorressero copiose sul mio volto stanco. Poteva essere la milionesima volta che accadeva in sua presenza; ciononostante, gli ero grata perché da sempre lui non mi giudicava, semplicemente mi lasciava sfogare come meglio credessi.
-Levi, se solo potessi essere in grado di… non voglio più che tu soffra – bisbigliai, la voce rotta dal pianto.
Mi carezzò la guancia. –Questo dipende da te, ora – esitò per un attimo. –Io non voglio perderti, Claire.
Gli circondai il collo, sentendo la sua asciutta corporatura contro la mia. –Non accadrà – dissi convinta. –Non ti lascerò solo, te lo prometto.
Non proferì nulla. Semplicemente, qualche minuto dopo, mi avvinghiò forte a lui. E io, nella mia mente, esultai, solo per il fatto che mai, prima d’allora, mi ero sentita così vicina a lui, spiritualmente quanto fisicamente. Non sarebbe mai stato capace di sfogare il suo tormento come ero solita fare io, ma iniziai a credere che egli potesse considerarmi l’unica con cui poteva rivelarsi senza timore.
-Sei davvero la persona più importante per me, Claire Hares – mi sussurrò.
Ridacchiando per la gioia, gli sfiorai i morbidi capelli corvini, felice che lui mi considerasse tale.
Quel magico momento fu tuttavia interrotto da uno sbadiglio. Il mio, ovviamente.
-Stanca?
-Abbastanza – risposi, stropicciandomi un occhio. –Mi lasceresti dormire?
-Ora che sei pulita e profumata, direi proprio di sì.
Scoppiai a ridere, alzandomi per sistemare il suo letto. Mi è impossibile descrivere il piacere provato dopo aver disteso le gambe sotto le coperte calde e lavate. –Non vieni? – lo invitai, dimenticandomi di come egli raramente fosse in grado di dormire per molte ore.
-Ora non ho sonno. Nemmeno un po’ – rispose, spegnendo quasi tutte le candele, lasciando accesa quella poggiata sullo scrittoio. –Non ti darò fastidio, quando mi sentirò sfinito riposerò sulla poltrona, come sempre.
-Io voglio che tu mi dia fastidio, Levi – ribattei contrariata, poggiando la testa sullo schienale. –Poi, mi sento quasi una ladra a dormire nel letto di un altro senza condividerlo col proprietario.
-Io non dormo mai lì, Claire. Lo sai, lo sanno tutti che non lo faccio.
Non risposi più, sistemandomi più comodamente, mentre lui si risiedeva nuovamente sul bordo del letto, dandomi le spalle. –Claire, vieni qui.
Mi scoprii, percorrendo tutto il materasso per raggiungerlo. Quando i nostri visi furono nuovamente vicini, entrambi ci baciammo in maniera del tutto spontanea. Poi ritornai sotto le lenzuola morbide, augurandogli la buonanotte.
Ma, una volta aver chiuso gli occhi, ripensai ai due amici del mio amato. Iniziai a sentirmi molto spaventata, così tormentata dal pensiero che i miei compagni potessero fare la stessa fine. Eppure, capii che, comportandomi in quel modo, sarei rimasta la solita bambina immatura che non si fida degli altri. Scoppiai nuovamente in un pianto, non più causato da quella paura assidua, ma dalla tristezza: avevo bisogno di Petra in ogni circostanza, e avrei dovuto risolvere quell’equivoco quanto prima.
-Levi, mi manca già tanto. Tu non hai idea – mormorai, alludendo alla mia amica.
–Il vostro è un legame meraviglioso e indissolubile. Solo la morte potrà veramente dividervi. Ma lei è forte e in gamba come te. Vedrai che non succederà.
Strinsi il cuscino, esausta. Spero tu abbia ragione, Levi, pensai, prima di cadere in un sonno profondo, con lui accanto a me.
 
 
 
Spazio autore: bene, fan di Attack On Titan, eccovi un nuovo capitolo! Capisco di star procedendo molto lentamente, la storia è lunga, ma i vari impegni mi impediscono di scrivere quanto vorrei…
Bene, altro capitolo con un Levi assai “dolcioso”. Accidenti a quella combina-guai di Claire, mi è dispiaciuto troppo scrivere la parte di Petra, è stato molto straziante… Spero anche io che le cose si sistemino al più presto!
Pubblicherò il capitolo seguente sabato, come al solito. Buon proseguimento, alla prossima!
 

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Capitolo 19
*** Ad un passo dalla verità ***


19. Ad un passo dalla verità

Levi e io ci tenevamo per mano, seduti sul bordo del lago in cui egli mi aveva condotta molti giorni prima. Come al solito, non dicevamo niente, lasciandoci pervadere da quel silenzio che, sì, ci illudeva al punto da farci credere che tutto andasse bene, che l’umanità non fosse soggiogata da nessun mostro. Poi, due ombre si accostarono alle nostre spalle. Una ragazza briosa sedette accanto a me, un suo coetaneo dai capelli biondi era al fianco di Levi. Entrambi ridacchiavano; osservandoci, guardavano soprattutto il mio amato.
-Che fai, non ci presenti la tua fidanzata, fratellone? – la giovane si rivolse al piccolo uomo accanto a me. Ricordo lo stupore che mi aveva pervaso nel rendermi conto di quel bizzarro appellativo.
-E così ti sei innamorato, Levi? – intervenne il ragazzo. –Sapevo che sotto sotto sei dolce come il miele.
L’interessato sospirò. –Voi mocciosi non fate altro che dire assurdità, non è così? – scosse il capo.
-Così tu sei la famosa Claire, vero? – mi domandò la giovane. –Tanto piacere, io sono Isabel.
-Furlan.
Strinsi la mano ad entrambi, un po’ agitata.
-Ci sai proprio fare, coi gusti, Levi. È proprio carina! – esclamò Isabel, saltandomi addosso di colpo.
-Lasciala in pace, Isabel. Non soffocarla – la intimò Levi.
La più piccola gli fece una linguaccia. –Vedi di non rompere, tu!
Rimanemmo a osservare l’orizzonte, il sole che piano piano si destava, senza proferire parola. Di colpo mi accorsi che l’acqua del lago arrivava fino ai nostri corpi, bagnandoci fino all’altezza dei ginocchi per poi scorrere nella direzione opposta. Mai mi era capitato di assistere ad un fenomeno del genere. Ma nessuno sembrava accorgersi di nulla: Levi osservava distratto le piccole onde, Furlan e Isabel mi guardavano.
-Claire, puoi prometterci una cosa? – mi chiese il ragazzo.
-Prometti che avrai cura del nostro fratellone? – concluse Isabel.
Con le lacrime agli occhi, risposi di sì, cercando l’attenzione di Levi. Quest’ultimo mi guardò, carezzandomi come sempre la guancia.
 
Pochi secondi dopo ero adagiata sul letto della sera prima, da cui mi alzai piano piano. La luce fioca proveniente dalla finestra alle mie spalle mi annunciava che doveva trattarsi dell’alba. L’intera Legione ancora si stava godendo il sonno, prima di prendere parte ad una faticosa giornata.
Cercai Levi da qualche parte della stanza: non lo incontrai né seduto ai bordi del letto, né adagiato sulla poltrona. Che fosse in bagno? No, la porta era aperta, l’interno buio.
Solo alcuni istanti dopo mi accorsi che il suo corpo era disteso in una scomoda posizione accanto a me. La testa poggiava sullo schienale, inclinata verso il posto dove avevo riposato.
Stentai a credere a ciò che stavo osservando: per la prima volta lo vedevo dormire, e ciò che più mi era parso stupefacente era che, invece di farlo sulla poltrona, aveva preferito adagiarsi al mio fianco.
Mi doleva molto che fosse costretto a rimanere in condizioni così incomode. Mi ero ingiustamente appropriata di tutti e due i cuscini che formavano il letto, dimenticandomi di lasciarne uno per quell’evenienza.
Molto lentamente, mi inginocchiai sul materasso con l’intento di sistemargli un guanciale sotto la nuca; ma, come mi ero mossa, egli si era già svegliato di colpo, con un’espressione preoccupata in volto.
-Dio mio, Levi. Scusami tanto – lo supplicai.
-Tranquilla, non sei stata tu – si rialzò. –Ho appena avuto un incubo. Non è una rarità.
Ero intimorita da quello che avrebbe potuto pensare, tuttavia, non mi astenei dal chiedergli: -Sognavi di perdere qualcuno? Furlan e Isabel?
Egli annuì, osservando le coperte.
-Credo di averli sognati anche io – rivelai. –Non chiedermi come abbia fatto, nemmeno ho avuto una loro descrizione fisica.
-Come li hai immaginati?
Ci pensai qualche attimo, rievocando quei pochi ricordi relativi a quel sogno già sbiadito. –Beh, Furlan aveva i capelli biondissimi e gli occhi azzurri, simili a quelli di Erwin ma molto più vispi. Isabel aveva la chioma più o meno corta e bruna, due occhi giganteschi. Entrambi erano coetanei.
-Non so come tu abbia fatto, Furlan era identico a come me l’hai descritto, ma più grande di lei. Per Isabel, be’, i capelli erano rossi. Gli occhi grandi color smeraldo – terminò. –C’ero anche io, per caso?
-Assolutamente sì. Credo che quei due ci stessero spronando a continuare senza indugi la nostra relazione – sorrisi intenerita. –Isabel mi abbracciava come una buona amica.
Pochi secondi dopo, egli compì lo stesso gesto, stringendomi a sé con un braccio. –Tra un po’ ci sarà la nuova spedizione – mi ricordò. –Cerca di non metterti nei guai con quei mostri.
Sospirai. –Io spero solo di poter fare pace con lei prima di partire.
Ricomponendomi per ritornarmene in silenzio nel dormitorio, come se nulla fosse accaduto, mi avvilii ancora.
-Ricorda: abbi fiducia. Mi spiace, non posso augurarti altro, sarà lei a decidere se dimenticare questa storia – mi disse lui, prima che potessi lasciarlo. Era straordinariamente realista. Feci un cenno con la testa, avviandomi fuori da quella stanza in cui avevo trovato tanta consolazione da dimenticare per un attimo tutti i miei problemi.
 

Sfortunatamente, nonostante fossero passati numerosi giorni, all’alba del giorno in cui mi apprestavo a partecipare alla quarantanovesima spedizione, Petra stentava ancora a rivolgermi la parola, se non nei casi in cui eravamo costrette a collaborare per allenarci in un attacco o per discutere di altre faccende prettamente militari.
Ultimamente, doveva aver parlato con gli altri, curiosi dell’improvviso allontanamento tra me e lei, di quello che era accaduto, limitandosi ad assicurarsi che i tre non diffondessero alcuna notizia riguardo la presunta relazione tra me e il caporale.
Anche loro cominciarono a trattarmi con indifferenza, o almeno non parlavano più con me assiduamente come prima. Col passare dei giorni, mi ero accorsa di aver anche spezzato il cuore a Gunther, che a stento si rivolgeva a me col suo solito tono dolce. Eppure non avevo ancora trovato il coraggio di affrontare la questione, preferendo inizialmente rimanere in disparte a collaborare con loro solo in veste di collega.
Ora non dovevo più preoccuparmi di quelle cose, e concentrarmi solo ed esclusivamente sulla missione. In direzione di Trost, cercai di tranquillizzarmi con il fatto che la nostra squadra fosse stata piazzata nelle retrovie, per cui erano a dir poco scarse le probabilità che, sulla strada, avessimo potuto imbatterci in un colosso.
Mi distrassi osservando i contadini che nei campi circostanti lavoravano senza sosta, e, incuriositi, guardavano l’avanzata dell’Armata Ricognitiva.
Catturò la mia attenzione una giovanissima fanciulla bruna, sporca di terra in viso, che, tra tutti, pareva guardare me, o comunque la squadra di Levi. Per quanto fosse chiaramente di umili origini, era straordinariamente graziosa; il suo candore mi ricordò quello della compagna del capitano Dawk.
Tentai di sorriderle, prima di rendermi conto che il cavallo di Oruo, posizionato tra me e la ragazza, sembrava aver assorbito tutte le ansie del suo cavaliere, e minacciava di liberarsene, colpendo contrariato gli zoccoli sul suolo.
-Che sta succedendo, qui? – domandò Levi davanti a me.
-Signore, il mio cavallo… - iniziò Oruo.
-Non dovrebbe comportarsi così – constatai.
-Oruo, scendi immediatamente – lo intimò Petra.
-Non riesco… - provò a giustificarsi quest’ultimo. Il destriero era già fuori la formazione, in direzione della povera contadina rimasta impalata a fissare il grosso animale imbizzarrito.
Pochi secondi dopo e sarebbe stata calciata, se Erd non avesse deciso di intervenire coraggiosamente, conducendo la ragazza lontano dagli occhi del cavallo.
-Attenta! – esclamò lui, strattonandole la vita.
Intervenimmo io e Gunther per salvare anche Oruo e cercare di calmare il suo destriero. Ma gli occhi di tutti erano puntati sul mio compagno d’arme soccorso in aiuto alla povera contadina.
-Tutto bene? – chiese quest’ultimo alla ragazza scombussolata e spaventata.
Ella annuì, incerta. Avrei giurato di aver visto il mio amico arrossire.
-La ringrazio tante… per avermi salvato – mormorò la giovane.
-Era mio dovere – rispose il ragazzo, allungandole la mano. –Sono Erd. Tanto piacere.
-Aubrie – rispose intimidita lei, ammirando con i suoi occhi innocenti il soldato biondo.
Entrambi si osservarono, ma la loro intesa di sguardi venne interrotta dal caporale: -Sbrigatevi a tornare in formazione! Anche tu, Erd!
Quest’ultimo si schiarì la voce, mentre io e Gunther riconducevamo Oruo sul cavallo.
-Ora devo andare. Lieto di averti conosciuto e di esserti stata d’aiuto.
I due si salutarono con grande timidezza. Più rincuorata che mai, mentre proseguivamo la nostra avanzata verso il distretto, mi voltai verso Erd.
-Sei stato in gamba – mi complimentai.
Egli arrossì, sorridendo. –Qualcuno doveva pur intervenire, no?
-Già – risposi, prima di continuare a galoppare alle spalle di Levi, domandandomi cosa avesse potuto pensare proprio quest’ultimo.
Proseguimmo sulla strada, raggiungendo ben presto il portone da cui si accedeva per la città.
Come la prima volta, inizialmente buona parte dei cittadini osservava il nostro arrivo con grande entusiasmo, come se fossero appena giunti i salvatori, gli eroi che si leggevano nei libri.
Di nuovo, ci dissero che la preparazione da parte della Guarnigione per l’apertura della porta avrebbe richiesto del tempo; stufa di attendere e ansiosa all’idea di dover mettere piede ancora una volta in un territorio popolato dalla nemesi, avevo voglia di farmi un giro.
-Soldatessa, soldatessa! Sei ritornata! – urlò una voce infantile nei dintorni. Il tempo di voltarmi, incontrai i visini dei tre bambini conosciuti qualche tempo prima durante una visita a Trost.
-Wow, che bel cavallo! – i tre ammirarono il mio destriero, i loro volti rivolti verso l’alto, stupiti.
I due bambini tenevano per mano la silenziosa Ellen, che mi osservava con ammirazione. Che gran tenerezza mi facevano quei piccoli pargoli, ignari di tutte quelle atrocità che avrei dovuto affrontare da lì a poco senza nemmeno il sostegno dei miei amici!
-C’è anche il capitano Levi! – esclamò Carlo, guardando il mio compagno smontare dal suo cavallo prima di invitare i suoi amici a compiere il nostro tipico saluto militare.
Quest’ultimo si avvicinò al nostro gruppetto, scompigliando i capelli di Agrim. –Ma voi non avete mai niente da fare, se non vagabondare per le vie?
-Nossignore – rispose senza indugio il bimbetto castano.
-Vedete di non cacciarvi nei guai, allora. E obbedite sempre alle vostre mamme – aggiunsi io, ridacchiando, incrociando lo sguardo attento e interessato di Petra.
Mi domandai il motivo per cui era così presa a guardarci da ignorare completamente il discorso che le stava rivolgendo Oruo; ma ben presto la dimenticai, concentrandomi su Ellen che mi strattonava il mantello.
-Ho fatto una spilla, ieri. Vuoi vederla? – chiese innocentemente.
-Sì, per favore – la supplicai, inginocchiandomi.
Ella tirò dalla sua piccola tasca una spilla ricoperta di due sottilissimi nastri alternati, uno bianco e uno blu. Mi prese timidamente una mano, rendendomi il piccolo bijou. –Te la regalo.
Le sorrisi. –E’ così bella. Grazie, piccola – le strizzai un occhio, indossando davanti a lei l’oggetto sulla giacca beige, ponendola all’altezza del vecchio bottone. –Ora li ho tutti qui – indicai i due umili gioielli. –Sei contenta?
Ella annuì, arrossendo un po’. Nel frattempo, i due bimbi stavano supplicando Levi affinché quest’ultimo acconsentisse a farli montare sui cavalli.
-Fate i buoni e rimanete sulle selle, però – intervenni. Gli occhi dei due si illuminarono, ma il caporale mi guardò interdetto. –Capitano, so per certo che questi ragazzi d’oro faranno i buoni – dissi, e mi rivolsi nuovamente ai fanciulli: -Non è vero?
Essi risposero di sì, eccitati. Allora, Levi alzò da terra Carlo, aiutandolo a salire su Blue, io feci la stessa cosa con Agrim, adagiandolo sulla sella di Edmund.
-Com’è alto, qui! – urlò Carlo, richiamando l’attenzione degli altri soldati, folgorati dalla figura del bambino seduto sul destriero del caporale maggiore.
-Mi sento un soldato della Ricognizione!
-Credo che anche questa bimba curiosa voglia farsi un giro sul tuo Edmund, Claire – osservò Levi.
Non me lo feci ripetere due volte: diedi a Ellen il tempo di godersi la panoramica da cavallo, poi fummo costretti a farli scendere per prepararci all’apertura della porta.
-Ammazzateli tutti! – ci spronò Agrim, una volta che fummo tornati nel mezzo della formazione.
-Siete i più forti! – aggiunse eccitato Carlo. –Siete i nostri eroi!
Salutai con la mano tutti e tre, Levi fece un cenno col capo, concentrandosi davanti a sé.
Sentii piombare su di me una grossa responsabilità: mi promisi di nuovo che ce l’avrei messa tutta anche quella volta. L’avrei fatto per la sopravvivenza dell’umanità, per quei miei piccoli amici che meritavano una vita migliore, lontano da una gabbia alta cinquanta metri.
Rinnovare quella promessa sarebbe divenuto una vera e propria prassi prima di ogni mia missione. Che mi si credi o meno, ancora oggi auguro tutto il meglio agli abitanti delle Mura, figli di coloro che hanno patito le pene infernali per ben cento anni in una scatola chiusa, piena di sofferenza e di miseria.
-Il portone si apre. Tutti pronti a galoppare! – gridò un superiore.
Osservavo la grande porta sollevarsi, i soldati davanti a me cavalcare all’unisono verso l’esterno, l’adrenalina che mi scorreva nelle vene.
Momenti dopo, ricevemmo l’ordine da Erwin di sparpagliarci e di attuare a tutti gli effetti la disposizione ad ampio raggio.
Per questo motivo, io e Gunther, disposti alla sinistra del capitano Levi, avanzammo in quella direzione; in quella opposta fecero lo stesso Oruo e Petra, Erd rimase più indietro. La nostra era l’unità centrale della quinta linea, posta tra quella di comando e la squadra di scorta per l’approvvigionamento, che, nel caso di una spedizione-lampo come quella, non trasportava un gran carico di provviste o altri utensili militari.
Benché fossimo stati posti nel cuore della formazione, l’ansia iniziò a prendere il sopravvento; già non ero più in grado di avvistare i miei compagni, eccetto nel caso di Gunther, intento a galoppare a solo qualche metro di distanza da me. E se fosse successo qualcosa agli altri? Scossi il capo; adesso dovevo agire come un soldato degno di tale appellativo, che necessitava assolutamente di confidare nei propri compagni a qualsiasi costo.
Diversi fumogeni rossi iniziarono ad essere sparati dalle unità di ricognizione; fu difficile sottostare agli innumerevoli cambi di direzione provenienti dall’unità di comando, ma, non solo avevo familiarizzato già molto con quella formazione: disponevo anche del supporto del mio fidato compagno.
-A quanto pare la missione procede bene, - notò Gunther, accostando il suo cavallo al mio, -non hanno ancora sparato nessun fumogeno nero. Di anomali ce ne sono poco.
Era proprio quest’ultimo aspetto a preoccuparmi. Solitamente, questi ultimi non mancavano mai in situazioni dove un centinaio di soldati avanzava imperterrito. Che ci fosse qualcuno intrufolatosi nella formazione?
Udii il suono di passi pesanti. Iniziai a domandarmi se fosse solo l’effetto della mia tensione, ma questi accorrevano spediti da un gruppo di alberi nelle vicinanze.
Pescai lo spara fumogeni dalla borsa collocata al fianco della sella, cercando lentamente il colore nero.
Il mio compagno mi osservò confuso. –Claire, senti qualcosa?
Annuii, concentratissima. La mia previsione si avverò: un classe quattro metri si era scoperto dalla fitta vegetazione e iniziò a camminare in maniera meccanica dandoci le spalle, dirigendosi probabilmente all’unità di approvvigionamento.
Sparai preoccupata una scia oscura in aria, osservando il nemico.
-Accidenti, proprio a noi? – giudicai, sospirando e caricando le spade. –Gunther, credo proprio che tocchi a noi sbarazzarcene. Questo è sfuggito addirittura alla squadra delle comunicazioni.
-Qual è il tuo piano?
-Aggiriamolo. Gli taglio via le caviglie, tu pensa alla nuca – riflettei.
Anche lui tirò fuori le sue spade. –Come desidera, soldatessa.
Troppo presa dal momento di angoscia, poco feci caso al modo con cui mi aveva appena chiamata, appellativo ispirato probabilmente dalla conversazione che avevo avuto con i tre bambini di prima.
Ordinammo ai nostri destrieri di cavalcare verso il mostro, iniziando a salire in piedi sulla sella dura; partii spedita per prima, centrando il rampino all’altezza di uno dei polpacci prima di trascinarmi sull’erba e tranciare all’essere buona parte delle ossa sottili. Una volta rimasto a terra, Gunther si preoccupò di staccare via il retro della testa della povera creatura.
-Ottimo lavoro! – mi complimentai, cercando di fischiare affinché Edmund ritornasse.
Gunther mi aiutò nell’impresa, richiamando il suo destriero assieme al mio.
-Sai bene che non ho mai saputo fischiare – mi giustificai.
-Non ti serve. Le tue qualità sono ben altre – mi rassicurò lui, riposando le armi. –Se fossi il capitano Levi, mi sentirei terribilmente contento di avere una ragazza di talento come te nella mia squadra.
Imbarazzata, ripresi a cavalcare nella formazione, rivolgendogli un candido sorriso.
Meno male che avevo lui!, pensai. Tenevo molto a quel giovane forte, intelligente e generoso. La memoria di quell’abbattimento è sempre vivido nella mia mente, soprattutto perché ricordo ancora bene il suo atteggiamento nei miei confronti: si era fidato ciecamente di me, mettendo in pratica tutto ciò che avevo proposto senza indugiare.
Dopo quel quattro metri, io e Gunther non entrammo più in contatto con altri anomali – ne apparse solo uno nell’ala destra, abbattuto da qualche soldato d’élite di quella zona - , mentre la squadra ricognitiva segnalava ogni avvistamento di esemplari “normali”.
Ben presto, raggiungemmo la base logistica della vecchia torre. Vi sostammo per pochissimo tempo, permettendo soprattutto al Comandante di scegliere la via più vicina per raggiungere quei resti del piccolo villaggio in rovina, luogo in cui avremmo dovuto piazzare la nostra seconda base logistica. A detta di Levi, essa non era affatto lontana, ma, in quell’occasione, avremmo dovuto deviare un gran numero di giganti che ne ostacolavano il passaggio. Dichiarò che, una volta terminata la missione, sarebbe stato decisamente più semplice ritornare al primo accampamento.
Poco tempo dopo, Erwin ci ordinò di riprendere a marciare, seguendo comunque lo schieramento e il percorso alternativo che i superiori ci avevano indicato. Avendo deviato quel gruppo di titani avvistato, il raggiungimento della seconda base risultò più semplice del previsto.
Tirai un respiro di sollievo, non appena avvistai il villaggio di cui si era parlato. Diedi un’occhiata ai soldati nelle vicinanze: ebbi l’impressione che nessuno mancava all’appello, infatti attesi che gli ufficiali facessero rapporto al Comandante per comunicare l’esito della marcia.
Io e i restanti membri della mia squadra rimanemmo in attesa del nostro superiore, rispettando comunque l’ordine di aiutare l’unità degli approvvigionamenti a piazzare tende e a sistemare le varie provviste.
Non spostandosi da cavallo, pochi minuti più tardi, Levi tornò dalla sua squadra.
Tutti e cinque aspettavamo che ci dicesse qualcosa, ma poiché non sembrava interessato a proferire parola, fui io a intervenire: -Capitano, mi scusi, può dirci se ci sono state delle perdite, durante lo spostamento?
-Nessuna – rivelò lui. –Abbiamo fatto bene a confidare nella strategia di Erwin. Ho sentito dire che i due anomali apparsi nel mezzo della formazione non sono entrati in contatto con le altre unità, il che mi ha fatto supporre che siate stati voi a occuparvene.
-Io e Claire abbiamo abbattuto un classe quattro metri diretto ai carri – spiegò Gunther.
-Petra e io ci siamo occupati di un altro proveniente da sud – rispose Oruo.
Levi rimase visibilmente stupito, io ero assolutamente fiera dei miei compagni, per i quali avrei sempre provato una grande stima: non avevo idea di come facessero, ma il loro talento li stava portando sempre più al livello dei soldati veterani, benché il minimo di esperienza.
-Molto bene – disse il caporale. –Ora aiutate l’unità dei carri. Ma tenetevi sempre pronti, mi raccomando.
-Agli ordini! – rispondemmo all’unisono.
Gunther e io lavorammo nelle vicinanze di Levi, al quale avrei voluto porre un’infinità di domande, ma soprattutto desideravo ardentemente parlare con lui dopo aver affrontato l’avanzata.
Mi liberai presto dei miei impegni col pretesto di accudire Blue, sulla quale sella si trovava ancora il suo cavaliere.
Il cavallo sorprendentemente mi accolse avvicinando il muso al mio viso.
-Accidenti, Levi – dissi sottovoce. –Ti sei ritrovato a capo della migliore squadra del Regime Esplorativo. Non hai idea di quanto ti stia invidiando.
-I tuoi compagni hanno una forza notevole. Sono fiero di voi – rispose.
Gli sorrisi, prima di udire le urla della Caposquadra Hanji proveniente dalla tenda del generale.
-Che succede? – domandai, coprendomi gli occhi dal sole per poter guardare meglio.
-La Quattr’occhi continua a chiedere delle catture di quegli esseri.
-Guarda che lei non ha tutti i torti – la giustificai. –Come pretendiamo di conoscere quanto più possiamo sul nostro nemico naturale se non interveniamo nella loro cattura?
-Perché ci costerebbe un’infinità di soldati per ragioni inutili – ribatté lui.
La Caposquadra uscì contrariata dalla tenda, seguita dal suo secondo che, in una maniera o nell’altra, cercava a tutti i costi di placarla. Che mi si creda, Hanji Zoe può divenire ancora più pericolosa di un anomalo non appena le si pone un divieto, ma in quel momento non avevo ancora sperimentato quel lato oscuro della sua personalità, ragion per cui mi preoccupai tanto per il mio amico Oruo non appena l’ufficiale lo alzò da terra senza pietà facendogli correre il rischio di soffocarlo.
Mi congedai da Levi, correndo disperata dal mio compagno, rimasto assieme a Petra.
-Ma che è successo? – domandai apprensiva, non appena Hanji si fu allontanata.
-Oruo non sa tenere la bocca chiusa nemmeno con i superiori – spiegò la ragazza.
-Ma che dici, Petra? – sbottò lui, massaggiandosi il collo. –Sai benissimo che non saremo mai in grado di catturare una di quelle bestie, soprattutto se ci affidiamo a quella mentecatta. E poi, hai visto cosa mi ha fatto quella stronz…?
Non gli diedi il tempo di finire la frase, colpendogli la spalla. –Come ti permetti, brutto stupido?
-Ma siete tutti impazziti, qui? – si lagnò lui.
Ridacchiai, pensando che avrei potuto approfittare di quel momento per fare una chiacchierata con Petra dopo tanto tempo, usando qualsiasi pretesto.
-Com’è andata prima, con l’anomalo? – chiesi insicura.
-Non particolarmente difficile, direi – rispose lei. –Scusami, io e Oruo dobbiamo occuparci di sistemare il gas.
Detto questo, i due si allontanarono, lasciandomi sola alle spalle della tenda di comando.
Affranta e stanca di quella situazione, decisi di raggiungere la Caposquadra. –Signorina Hanji, mi dispiace che ancora una volta non sia riuscita a ottenere il permesso.
Ella si voltò, rivolgendomi un sorriso molto dolce. Che Moblit fosse già riuscito a calmarla a distanza di pochi istanti?
-Non preoccuparti, Claire. Riusciremo a realizzare il nostro desiderio, prima o poi – batté un pugno sul palmo dell’altra mano. –Costi quel che costi.
Feci di sì con la testa, prima di captare altri segnali di suono alle mie spalle. Potevo percepire strani versi imponenti, passi di gigante.
Mi girai, comprendendo che i rumori stessero provenendo dalla foresta in lontananza.
-Uh, c’è qualcosa? – mi domandò la Caposquadra.
Non riuscii a rispondere, la mia voce fu interrotta dal suono di un fumogeno. Tutto l’esercito guardò Mike, rimasto sul tetto di una vecchia casa a riferire eventuali avvistamenti. –C’è movimento nella foresta! – segnalò.
-A tutte le unità, prepararsi al combattimento! – gridò Erwin.
Hanji aveva già iniziato a correre verso il suo cavallo, rimasto, assieme al mio, alle cure di Gunther.
-Caposquadra, non sia precipitosa! – la intimai.
-E’ pericoloso! – aggiunse preoccupato Moblit.
-Erwin, vado a vedere di cosa si tratta! – disse lei, montando velocemente sul suo destriero per poi partire spedita.
-Ferma, Hanji! – la implorò Erwin.
Levi accorse immediatamente, venendo notato dal Comandante. –Levi – si limitò a chiamarlo quest’ultimo.
-Merda… Claire, raduna la squadra e seguimi – mi ordinò il corvino.
-Subito, capitano – feci come mi aveva chiesto, chiamando a raccolta i restanti quattro prima di raggiungerlo.
-E’ già entrata nel bosco – osservò il caporale, non appena lo avemmo raggiunto. –Faremo il giro. Potrebbe sbucare da un momento all’altro.
La sua predizione non tardò ad avvenire: Hanji sbucò qualche attimo dopo dalla foresta, inseguita da un gigante di sette od otto metri.
-Eccoti, brutta idiota – intervenne Levi, sparando un fumogeno in direzione del mostro.
-Ehi, non interferire! – sbottò Hanji, presa a giocare ad un bizzarro acchiapparello con quel titano.
-Caposquadra, è inutile attirarlo! Le unità non sono in grado di catturarlo in questa maniera – dissi io.
-Lascia fare, Claire. Facciamo parte dell’Armata Ricogniti…
Hanji si accorse che il gigante si era di colpo fermato; inquieto, con uno sguardo preoccupato che personalmente mi aveva messo i brividi, corse in senso opposto, ignorandoci del tutto.
-Aspetta! Torna qui! – lo supplicò Hanji, inseguendolo.
Ordinai ad Edmund di cavalcare più velocemente per stare al passo di quella folle; una volta nel bosco, mi trovavo assai più avanti rispetto ai restanti uomini di Levi.
Lo strano comportamento di quell’esemplare era assolutamente unico, persino per un anomalo. Come detto, ero inorridita alla vista della sua espressione trepidante, assolutamente diversa rispetto a quella vuota ma famelica degli esseri in cui mi ero precedentemente imbattuta. Inoltre, mi aveva spaventato il modo con cui aveva iniziato a squadrarci, per poi fare ritorno senza indugi da dove era provenuto.
-Signore, c’è qualcosa che non mi torna – mi accostai alla donna. –Non ha visto come si sta comportando? Perché ha smesso di rincorrerci all’improvviso?
-Lo scopriremo ora, cara – rivelò convinta.
-Per favore, affrontiamo la cosa con prudenza – la scongiurai. –Le sue peculiarità potrebbero andare addirittura ben oltre di quelle di un semplice anomalo.
La sua espressione si fece molto più eccitata. Compresi che non aveva più senso pregarla di minimizzare gli obiettivi, lasciando perdere la cattura. A stento Erwin riusciva a tenerle testa, figuriamoci una semplice recluta!
Poco dopo ci imbattemmo nel cuore della foresta. Il gigante aveva arrestato la propria corsa, piazzandosi davanti a un altissimo albero. Inizialmente non ce ne eravamo accorte, ma sembrava osservare la cavità nel mezzo del tronco. Poi, quell’essere iniziò a compiere un gesto così inaspettato da farmi ulteriormente rabbrividire: cominciò a colpire più volte il fusto dell’albero usando la testa.
Hanji scese lentamente da cavallo, e così feci io. Ella avanzò passo dopo passo verso la creatura, cercando la carica delle lame dal mantello.
-Caposquadra, la prego… - le sussurrai.
-E così volevi portarci qui, piccolo? Hai qualcosa da mostrarci?
-Signorina Hanji, non so più come dirglielo, si tolga da lì!
Il gigante si girò di colpo verso l’ufficiale, con l’intento di afferrarla. Ma questa, più accorta, si arrampicò su un albero, sfuggendo ad un passo dalla morte. –Ohoh, ci sei andato vicino!
Altrettanto mi allontanai anche io, schifata: il comportamento speciale di quell’essere mi spaventò ulteriormente non appena quest’ultimo aveva iniziato a disperarsi, muovendo disperatamente le braccia come se qualcuno gli stesse impedendo di…
-Che voglia comunicare? – pensai.
Hanji pareva straordinariamente tranquilla, a suo agio, trattando quel mostro di otto metri come il suo più caro amico. –Credo proprio di sì – sorrise, immobile di fronte alla creatura. -Cosa ci vuoi dire? Ti ascolto, parlami pure.
Il battito di entrambi i nostri cuori aumentò vistosamente. Eravamo tutte e due convinte che quel gigante stesse per dire qualcosa da un momento all’altro, segnando una svolta definitiva per la nostra causa. Per la prima volta, il genere umano avrebbe avuto modo di comunicare con quello che giudicavamo il nostro nemico naturale di sempre, avvicinanandosi di un passo alla verità su quei mostri approdati misteriosamente nel mondo.
Ma quell’illusione si dissipò con l’intervento del mio compagno Oruo, che aveva intercettato la collottola dell’esemplare.
-Oruo, fermati! – esclamò con poca furbizia Hanji. L’eccitazione aveva preso il sopravvento su di lei, facendole dimenticare che MAI è consentito ad un soldato di distrarre un compagno quando questi è intento ad utilizzare un’arma tanto potente quanto complessa come il dispositivo di manovra.
Il gigante di colpo smise di usare il minimo di intelletto di cui era provvisto, seguendo il proprio istinto e afferrando il mio amico spalancando le fauci.
-No! – esclamai, accorrendo in soccorso del compagno, sparai impulsivamente un rampino, mutilando l’arto che il titano aveva usato per stringere Oruo. Un attimo dopo, Levi terminò quanto avevo iniziato, facendo saltare via la collottola del mostro, che cascò a peso morto ai miei piedi.
Ancora col cuore in gola, preoccupata che il mio compagno potesse fare una brutta fine, mi resi conto di quanto, in realtà, l’intervento di Oruo, mio e di Levi avesse avuto un esito negativo: avevamo appena ucciso un essere tanto prezioso per la ricerca, e ci ritrovavamo di nuovo al punto di partenza.
-Che lerciume – commentò Levi, ripulendosi le lame. –Tutto bene, lì? – chiese a Oruo.
Quest’ultimo, adagiato sulla mano aperta del gigante ad evaporare, era in preda alle lacrime. –Capitano – iniziò, tirando su col naso. –Le sarò debitore a vita, lo giuro.
Lo guardai interdetto. –Ti ho liberato io dalle grinfie del mostro, e non mi attribuisci nessun riconoscimento?
Si asciugò il volto. –Credo di essermi anche slogato la spalla.
Mi inginocchiai verso di lui. Con un movimento brusco, gli risistemai l’osso, usando la tecnica appresa da Petra molto tempo prima. Susseguì un grido poco virile da parte del mio amico, al quale porsi la mia mano. –Dai, alzati. Sei stato coraggioso a intervenire, ma vedi di non fare più stronzate.
Quest’ultimo si rimise in piedi, grattandosi il capo. –La spalla non mi fa più male.
-E’ una cosa che mi ha insegnato Petra. Non pensavo mi sarebbe tornata utile, vero? – mi diressi a lei, che tuttavia non ricambiò lo sguardo. 
Delusa, osservai Hanji rimasta per terra in preda alla commiserazione. –Questo esemplare… poteva essere così importante per noi! E tu l’hai ucciso, Levi!
Il caporale avanzò nero di rabbia verso di lei per tirarle bruscamente il colletto della camicia. –Senti, quattr’occhi del cazzo, per quanto mi riguarda puoi benissimo decidere arbitrariamente di diventare merda di gigante – sbraitò. - Ma non permetterti mai più di mettere a rischio la vita di un mio sottoposto per una simile stupidaggine. Hai capito, maledetta?
-I giganti non defecano – rispose tranquillamente lei. –Non hanno nessun apparato digerente.
Levi la lasciò andare con poca gentilezza, facendola cadere per terra, ordinando di rimontare sui nostri cavalli.
-Capitano, non le sembra di esagerare? – aggiunsi, dopo aver guardato la poveretta.
-Smettila anche tu di seguire questa pazza appresso alle sue idiozie, mi hai capito? – continuò lui. Gli era impossibile continuare il discorso, ma ebbi l’impressione che mi stesse invitando a lasciar perdere la collaborazione con Hanji e di pensare più alla mia incolumità. –Rispondimi.
-Va bene, ho capito – lo liquidai, guardando altrove.
-Capitano, mi scusi…
-Cosa c’è, Petra?
Mi voltai verso la mia compagna, rimasta a fissare un punto dell’albero davanti a sé.
-Può mai… essere stato quello? Ma no… come avrebbe potuto? È…
-Di che stai parlando? – domandò spazientito il corvino.
Dopo quel discorso disconnesso, Petra indicò lentamente il fusto dell’albero di prima, nella quale cavità giaceva il cadavere decapitato di un ricognitore.
-Il corpo di un compagno! – esclamò Erd. –Ma che ci fa lì dentro?
Hanji vi si avvicinò, controllando la giacca ammuffita per risalire al nome del soldato. –Questo militare è morto durante la 34°. Il suo nome era… vediamo… Ilse Leg… Langnar.
Non riuscivo a osservare quell’orrore e abbassai il capo. Fu in quel momento che mi imbattei in un vecchissimo taccuino che raccolsi immediatamente da terra.
-Levi – cercai l’attenzione di quest’ultimo, dimenticando che forse avrei dovuto usare un appellativo più formale per l’occasione.
Egli prese l’oggetto dalle mie mani, controllandone l’interno. Si imbatté in pagine e pagine consumate ripiene di scrittura.
-Quello cos’è? – chiese dubbiosa Hanji.
-Il frutto dell’operato di Ilse Langnar – rispose il mio superiore. Mai l’avevo visto così particolarmente stupito e scosso.
 
Spazio autore: distanza di pochissimi giorni, ritorno con un capitolo la cui ambientazione risulta totalmente differente rispetto a quella del precedente!
Qualcuno ha idea di cosa sia lo strano "lago" in cui si è imbattuta Claire nel suo sogno? :) Magari riprenderemo l'argomento anche in futuro. nel frattempo, questa volta ho deciso di fare riferimento per la prima volta ad una reale vicenda vissuta dai nostri protagonisti, in particolare nello spin off dedicato al diario della Langnar. Ovviamente, sono rimasta fedele solo in parte all'episodio, cambiandone alcuni aspetti (la missione, infatti, si svolse solo nell'anno 850).
Erd sembra aver fatto una conoscenza interessante, e io ancora una volta ho deciso di dedicare un altro piccolo spazio alla mia cara Hanji. Ho un debole per i veterani, magari l'avrete già capito ;). 
Vi lascio anche stavolta, promettendo di pubblicare anche la prossima settimana, come sempre. Buon fine settimana!

 
 

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Capitolo 20
*** Il diario di Ilse Langnar ***


20. Il diario di Ilse Langnar

Mi chiamo Ilse Langnar. Membro della 34° spedizione. La mia squadra si è imbattuta in un gruppo di giganti durante la ritirata. Ho perso compagni e cavallo.
 
Ho abbandonato il mio dispositivo di movimento. Ho iniziato a correre verso nord per raggiungere quanto prima le mura. Non permetterò che la paura abbia il sopravvento su di me.
 
Io sono le ali della libertà dell’umanità. Un membro dell’Armata Ricognitiva. Io non temo la morte.
 
Combatterò fino al mio ultimo respiro.
 
Non ho armi, ma continuerò a lottare.
 
Io non mi arrenderò.
 
Queste furono le parole che mi trafissero il cuore non appena i restanti membri della mia squadra, riunitasi attorno ad un lungo tavolo alle cui estremità sedevamo io e Levi, mi avevano reso sconvolti quel piccolo taccuino ritrovato durante la nostra ultima spedizione.
Eravamo riusciti a sopravvivere anche quella volta. Tuttavia, il cadavere e il diario da noi ritrovato avevano dato inizio ad una vera e propria svolta nella Ricognizione, sconvolgendo anche i superiori.
Chi era Ilse Langnar? Perché il ritrovamento di quel diario venne considerato così importante dagli ufficiali? Fui in grado di soddisfare la mia curiosità proprio quella sera, quando il capitano ci aveva convocati per farci leggere le memorie della soldatessa morta valorosamente l’anno precedente nelle praterie del Wall Maria.
Io non mi arrenderò. Pensavo che il taccuino si limitasse a riportare le parole impetuose e sfrontate, che mi avevano scosso profondamente l’animo, scritte negli ultimi momenti di vita del soldato.
-Va’ avanti, Claire – mi consigliò Erd, preoccupato in volto.
Feci come mi aveva detto, voltando le pagine frantumate per rileggere il proseguimento. Riporterò solo alcuni frammenti del racconto letto quella sera:
 
Imbattuta in un titano, un classe sette-sei metri che non mi attacca direttamente. Che sia un anomalo?
 
Il mio viaggio è giunto a capolinea, è la fine, ormai. Così prematura! Non ho ancora dimostrato nulla ai miei genitori.
 
Ero già incapace di muovere un solo muscolo dalla tensione. Potevo percepire ogni singolo attimo di terrore vissuto dalla narratrice benché lo stile sintetico del suo scritto. Tuttavia, ciò che lessi dopo mi turbò ancor più del dovuto:
 
-Parlato. Il gigante ha appena parlato. Parole che posso comprendere. ‘Popolo di Ymir’, ‘Signora Ymir’, ‘Benvenuta’. Senza dubbi questo titano mostra espressioni facciali comuni a noi esseri umani. Sembra mostrarmi rispetto.
 
Gli ho chiesto l’origine della sua natura. Non risponde, mormora. Gli chiedo della provenienza. Non ottengo risposta. Gli chiedo la motivazione delle sue azioni nei confronti della razza umana.
 
Inizia a inseguirmi. Mi afferra. Posso sentire i suoi denti premere sulle mie ossa ch…
 
Susseguirono segni incomprensibili, lacerati dal tempo.
Richiudendo lentamente il taccuino, spingendolo con un mano verso il centro del tavolo, un misto di terrore e di stupore mi pervase. Ad un prezzo caro quanto la vita, Ilse Langnar aveva tramandato la prima conversazione tra un uomo e un gigante, un esemplare che aveva dimostrato di avere molte più affinità con la razza umana che con i propri simili.
In preda allo choc, osservai un punto fisso del tavolo, aspettando che qualcun altro intervenisse.
-Opinioni? – domandò con indifferenza il caporale.
Nessuno rispose. Mi colpì tanto l’espressione attonita che si scambiarono Oruo e Petra, l’uno seduto al fianco dell’altro.
-Io penso ad una cosa – presi la parola. –Credo che questa sia la più grande dimostrazione che l’uomo necessiti di catturare un gigante per poter spiegare la natura di questi demoni.
Tutti mi osservarono, senza aggiungere altro. Fu Levi a ribattere: -Anche tu hai deciso di diventare mangime per giganti senza affrontare con lucidità la situazione?
-Levi! – sbottai io, confusa e stanca di dover essere soggiogata dalla forza smisurata di quelle orribili creature, per le quali eravamo incapaci di per torcergli contro una loro minima debolezza. Ma un secondo dopo mi resi conto di come mi fossi rivolta a lui davanti a tutti gli altri miei compagni. Mi portai una mano alla bocca, ma continuai il mio discorso negli istanti successivi. –Capitano, - mi corressi, - abbiamo appena scoperto che quegli esseri senza vestiti somigliano più ad umani che a mostri. Questo sgorbio che lei ha ucciso l’altro giorno era in grado di comunicare, l’avrebbe fatto davanti ai nostri occhi se avessimo affrontato la situazione con più calma. Ora, la domanda è la seguente: per quanto quegli esseri abbiano capacità di apprendimento notevoli, come ha fatto il gigante ad apprendere le parole che Ilse Langnar ha scritto alcuni istanti prima di essere decapitata?
Sventolai in aria il taccuino, i volti sgomenti dei quattro ragazzi rivolti a me.
-Sono molto turbata anche io, capitano – rivelò Petra. –Il popolo di Ymir. Non abbiamo idea di cosa possa mai essere.
-A meno che non abbiamo frainteso il significato – aggiunse Oruo. -Forse questa Ilse intendeva scrivere parole diverse: “mir” invece di “mur”, mura.
Petra lo osservò diffidente. –E la “y” da dove è uscita?
-E’ inutile fissarci con queste assurdità – deviò il discorso Levi, sorseggiando dalla sua tazza un ottimo tè verde. –Spetta ad Erwin decidere il da farsi, compresa la scelta di lasciare il posto di caposquadra alla Quattr’occhi.
Lo guardai sbigottita, cercando la sua attenzione, benché l’avesse appena rivolta al liquido nella sua tazza. –Che intende dire? Non vorranno mica revocarle la carica?
-Può essere. Ha messo in pericolo la vita di innumerevoli soldati più volte. L’ultima è stata quella di Oruo – spiegò il caporale.
-E’ assurdo! – commentai, preoccupata per ciò che sarebbe potuto succedere ad Hanji, compassionevole nei riguardi di quella donna dalla mente acuta che di altro non si occupava, se non della rivendicazione del genere umano sui giganti.
-Hanji ha insistito affinché ottenessimo da Erwin almeno il permesso di partire per Karanes per rendere alla famiglia di Langnar le sue spoglie e il taccuino. Vi voglio svegli all’alba domani – concluse Levi, alzandosi dalla sedia.
-Signorsì – mormorarono i miei compagni, profondamente turbati e distrutti da quell’atipica giornata conclusasi con l’apprendimento di una storia tragica, rivoltante e sconvolgente.
Feci sì che i quattro lasciassero la “sala del tè” – luogo da noi così battezzato, in cui Levi era solito radunarci per discutere di faccende importanti davanti alla sua bevanda preferita – trattenendo il corvino per evitare che raggiungesse già la sua camera.
-Credi davvero che sia questo il destino di Hanji? – gli domandai.
-Non lo so, ma non si trova in una buona posizione. Quella matta dovrebbe imparare meglio a contenere la sua follia e a non mettere in pericolo il primo che passa.
Annuii, stropicciandomi gli occhi. Gli rubai un bacio dopo aver controllato che nessuno stesse raggiungendo la sala, avviandomi in silenzio nel dormitorio.
Non chiusi occhio. Per essere più precisi, era dal nostro ritorno dopo la spedizione che non ci riuscivo. Ciò non era solamente causato dal fatto che il mio rapporto con Petra si faceva via via sempre più freddo; in quell’occasione, ripensai all’espressione disperata di quello strano gigante nel quale ci eravamo imbattuti, al sacrificio di Ilse Langnar e a tutte le parole che nemmeno un’ora prima avevo letto nelle sue memorie.
Rimasi tutta la notte a fissare il legno della brandina della mia compagna con gli occhi spalancati, motivo per cui il giorno successivo ero più frastornata di uno stupido titano e non riuscivo a interagire con l’ambiente circostante, barcollando ed errando per la caserma trascinandomi i piedi. Fu proprio per quella notte passata in bianco che, mentre eravamo in marcia verso Karanes, persi i sensi e caddi da cavallo sull’erba bagnata dalla pioggia della sera prima senza che avessi quantomeno il tempo di accorgermene.
Non appena ebbi ripreso coscienza, mi imbattei nel volto di Levi, che, notai subito dopo, teneva il mio busto alzato da terra, e di quello della Caposquadra, l’unica che sembrava osservarmi con apprensione.
-E’ sveglia – constatò il caporale, prima di rivolgersi a me con un tono burbero. –Spiegami il motivo per cui non sei rimasta al campo, stamattina.
Tastandomi accidentalmente il livido che mi ero procurata sotto la mascella, mormorai di volere dell’acqua. Levi ordinò a Petra di portarmi una borraccia, dalla quale iniziai a bere con molta voracità.
-Hai una brutta cera, Claire. Hai dormito, stanotte? – domandò la Caposquadra.
Feci no con la testa, sorbendomi l’espressione accigliata di Levi. –Ma sto bene. Posso benissimo proseguire, non preoccupatevi.
-Fa’ ritorno in caserma – mi intimò lui.
-Ho detto che posso farcela – sbottai io. –Non ho intenzione di tornarmene solo perché per un momento ho perso i sensi.
Il corvino parve assai contrariato, ma non rispose più, montando nuovamente in sella al suo destriero, comandando alla sua subordinata di medicarmi la ferita.  
Poi riprendemmo la marcia. Raggiungemmo Karanes in poco tempo. Capivo perché non avevo esitato un momento a ribellarmi all’ordine del mio superiore: finalmente ero nella mia città natale, luogo di ricordi tragici e piacevoli. Lì avevo perduto mia madre, ma lì avevo conosciuto la mia prima amichetta del cuore. Lì avevo pianto lacrime amare per la morte della mia genitrice, ma lì avevo trascorso gli anni più spensierati della mia esistenza.
Poiché Levi non pareva assai contento di quello sgradevole inconveniente capitatomi durante il tragitto, mi ordinò di badare, come solitamente facevo durante le visita in città, ai nostri cavalli.
Seduta sui bordi della fontana della piazza principale, iniziai a osservare i miei compagni che seguivano Levi alle prese con le sue speciali compere: li vedevo riempire le loro sacche di centinaia di infusi di tè e saponi di ogni tipo e misura.
Petra seguiva ogni suo comando senza fiatare e con molta serietà, finché non fu costretta, visibilmente divertita, ad aiutare Oruo, inciampato su un gatto randagio di passaggio, a rialzarsi da terra col sangue che gli colava dalla bocca.
-Tu e questo tuo brutto vizio di morderti la lingua! – sembrava aver commentato lei, ridacchiando.
Risi anche io in lontananza, benché non potessero comunque accorgersi della mia presenza.
Qualche ora dopo, dopo aver trascorso non ricordo quanto a spazzolare i cavalli, sentii qualcuno fare il mio nome. Da lontano, riconobbi la voce di mio fratello Lex, che mi invitò a venirgli incontro.
Gli saltai addosso senza pensarci una seconda volta, felice di averlo incontrato dopo tanto tempo.
-Sono così lieto di rivederti, soldatessa – mi sussurrò, premendo la mia testa sul suo petto. –Petra mi ha fatto stare molto in ansia, l’ultima volta che l’ho vista. Dovevi stare davvero molto male.
-Me la sono vista brutta, sì. Qualcuno aveva addirittura temuto che potessi rimanerci – gli strinsi la mano. –Invece, eccomi qui.
-Con una bella medicazione sulla mascella?
Ridacchiai. –Me la sono appena procurata. Bella, vero?
Mio fratello mi diede un pizzico sulla guancia. –Sei la solita, Claire – mi rivolse un dolcissimo sorriso. –Ho aspettato con tanta tensione la tua lettera. Non posso descriverti il sollievo che ho provato quando mi hai detto che stavi bene.
Alluse alla penultima lettera che gli avevo spedito; di colpo arrossii, ricordandomi che, oltre ad avergli annunciato la mia spontanea ripresa dal mio malanno, gli avevo parlato della persona alla quale mi ero improvvisamente legata.
-Posso immaginarlo – dissi, battendo la punta degli stivali sul terreno.
Egli mi guardò sornione. -Spiegami una cosa, sorella, davvero molto presto diverrò il cognato del soldato più forte dell’umanità?
Scoppiò a ridere spensierato, mentre lo supplicavo di zittirlo. –Basta, Lex, ti prego. Sapevo che non avrei dovuto parlartene.
-Va bene, la farò finita – ebbe compassione. - Tu, però, raccontami: davvero quello lì non è come tutti credono? Insomma, a primo impatto pare un riccio bardato da aculei, ma da come ne hai parlato tu sembra più sensibile di quanto si possa credere.
Gli suggerii di accompagnarmi verso i destrieri, non potendo allontanarmi da loro per molto tempo. Poi, risposi alla sua domanda: -è una persona che ha sofferto molto. Anche più di noi. Ecco perché in caserma è parso l’unico in grado di comprendere le mie debolezze, non appena gliene ho parlato. Devo dirti che difficilmente riesce ad esprimere i suoi sentimenti, anche quando siamo soli io e lui, e il più delle volte si rivolge a me dandomi della mocciosa, - ridacchiai, - eppure sembra volermi davvero bene – il cuore riprese a battermi forte. –Mi ascolta ogni volta con tanta attenzione, persino quando gli racconto tutta la nostra vita prima della morte di mamma. Lui è molto importante per me– rivelai.
Egli mi sorrise di nuovo. –Ne sono contentissimo, davvero. Mi sta bene che tu abbia trovato una persona così speciale.
Scorsi la mia compagna in lontananza. –Ma il nostro legame è stato il motivo dell’allontanamento di Petra – gli ricordai, come gli avevo precedentemente scritto.
-Ancora non hai parlato con lei?
-Non ci riesco – ammisi. –Mi ignora ogni volta che le rivolgo la parola. È terribile.
Mi astenei dal piangere, prima di avvertire la sua mano stringermi la spalla. –Vedrai che prima o poi si sistemeranno le cose. Lei ti ha sempre voluto bene, Claire, lo sai meglio di me. Non può avercela con te neanche nel peggiore dei casi.
Mi lasciò un bacio sulla guancia, prima di incupirsi di colpo alla presenza di un soldato venutomi incontro.
-Cavoli, Claire. Potevi dirmi che qui viveva il tuo fidanzato! – esclamò la Caposquadra.
-Signorina Hanji, lui è mio fratello – intervenni, imbarazzata.
-Ah, adesso capisco! – sorrise. -Lieto di conoscerti. Sono la Caposquadra Hanji Zoe.
I due si presentarono. Pensai che solo grazie a me Lex stava pian piano stringendo le mani degli uomini più valorosi del mondo intero.
La Caposquadra tornò subito seria. –Ho una faccenda da sbrigare, Claire. Sai di cosa si tratta. Verresti con me?
Ebbi un tuffo al cuore. Davvero mi stava chiedendo di accompagnarla dai genitori di Langnar, i quali avrebbero sicuramente pianto con grande disperazione davanti a me alla vista delle spoglie della loro povera figlia?
 -Ma, signore, i cavalli? Sono stata incaricata dal caporale a…
-Non preoccuparti, per questo. Tra un po’ saranno di ritorno. Mi spiace aver interrotto la vostra chiacchierata.
Lex si ricompose. –Mi scusi tanto. Sono io che non c’entro nulla. Adesso vado, Claire – mi strinse ancora una volta con affetto. –Non dimenticarti di scrivermi.
Dissi che me ne sarei ricordata, poi lo vidi sparire per le viottole della città. Mi pianse il cuore vederlo andar via, ma la mia occupazione era la priorità. Seguii senza fiatare la Caposquadra, evidentemente turbata.
Se si era dimostrata tanto affettuosa nei riguardi di mio fratello, adesso pareva molto molto preoccupata. Continuava a inforcarsi gli occhiali sul naso, guardando dritto davanti a lei in silenzio.
Decisi di non parlare, nonostante mi fosse piaciuto conoscere le ragioni della sua apprensione al di fuori dall’incontro che da lì a poco avremmo fatto con i Langnar.
Questi ultimi aprirono la porta, dopo che io e lei eravamo state in grado di recapitare l’indirizzo della loro dimora. I loro sguardi si rabbuiarono non appena si accorsero della presenza di due ricognitori sull’uscio della loro modesta casa.
Con grande compostezza, che a me parve del tutto in contrasto con la sua solita vitalità, Hanji spiegò il motivo della nostra visita ai due civili tanto gentili e per bene. Se solo il lettore fosse in grado di comprendere il mio rammarico nel dover vedere soffrire della gente tanto buona ed educata! Mentre, a qualche ora di distanza, ottusissimi aristocratici si davano alle feste di ogni tipo.
I parenti della Langnar ci fecero subito entrare. Hanji mostrò loro la giacca macchiata di sangue da poco ritrovata dalla mia squadra. Con grande sagacia, ella attese di ottenere l’attenzione dei genitori sofferenti, che scoppiarono in un pianto inconsolabile dopo aver osservato l’indumento trasandato, prima di rivelare loro l’esistenza del piccolo taccuino.
-Vostra figlia è stata di grande aiuto, per la nostra causa – spiegò lei, sistemandosi ancora una volta i suoi immancabili occhiali. –Vi prometto che faremo il possibile per sfruttare quanto più le informazioni che abbiamo ricavato da lei.
Io, rimasta seduta accanto al padre della ragazza defunta, abbassai lo sguardo sconsolata, guardando la mano della madre prendere il memoriale lasciato da Hanji sul tavolo in legno.
-Vi ringrazio moltissimo per averci riportato quanto resta di Ilse – disse la signora Langnar, con la voce spezzata dal pianto.
-Ringraziamo voi per l’attenzione – concluse Hanji, rialzandosi, facendo cenno a me di fare lo stesso.
Prima di lasciare la casa, rimasi a osservare la coppia abbracciarsi. Il mio superiore era già fuori quando io, senza pensarci, avevo detto: -Provo molta stima per vostra figlia.
I due si accorsero di me.
-Probabilmente non varrò mai quanto lei, - continuai, -ma credo che entrambe siamo accomunate da un obiettivo: combattere fino alla fine per il bene dell’umanità. So solo questo.
Il signor Langnar abbracciò sua moglie, rivolgendomi un piccolo sorriso.
Ricambiai, poi velocemente chiusi la porta alle mie spalle. Con la Caposquadra, ci avviammo alla piazza principale, ma ci imbattemmo molto presto in Levi, Oruo e Petra.
-Com’è andata? – domandò il capitano.
-Che domande sono, Levi? – rispose l’ufficiale.
I due iniziarono a discutere, mentre facevamo tutti ritorno dai nostri destrieri. La schiena di Oruo pareva andare in pezzi a causa dei pesi a cui era sottoposta per via delle innumerevoli compere del dannato ossessionato dal pulito. Mi offrii di aiutarlo, trovandomi a mani vuote, liberando il suo sacco dai vari utensili.
Egli sembrò molto riconoscente nei miei confronti. Mormorò un semplice grazie. –E’ stato straziante incontrare i genitori della ragazza? – mi domandò poco dopo.
Annuii, sospirando. –Molto, a dire il vero. Posso immaginare il loro dolore, quello è certo – spiegai. –Questa storia mi sta provando parecchio.
Anche lui sbuffò. –A chi lo dici – si fermò, guardando per terra. –Caposquadra Hanji.
Quest’ultima si fermò, smettendo di parlare con Levi. Si girò verso Oruo.
-Mi dispiace molto per ciò che è accaduto durante l’ultima spedizione – confessò il mio compagno. –Capisco che se non fossi intervenuto io, avremmo certamente scoperto molto di più.
Ero in preda allo choc, ma il mio amico continuò comunque: -Solo ora ho compreso che la mia vita non sarà mai importante quanto la nostra caus…
La Caposquadra lo afferrò nuovamente per il colletto della camicia davanti gli occhi attoniti miei e di Petra.
-Sono io che devo scusarmi, Oruo. Ho messo in pericolo la tua vita e quella di molti. Mi dispiace tanto. Non provare più a dire che la tua vita non è important…
Ella subito rilasciò il ragazzo non appena questi aveva iniziato ad auto affogarsi stringendo la lingua in mezzo ai denti.
Petra, con fare eccessivamente amorevole, si preoccupò di lui. Riprendemmo il cammino in quelle strade quasi del tutto sgombre.
-Ho parlato con Erwin, stamani – rivelò Levi. –Benché non approvi la sua opinione, ha preso la decisione di appoggiare il tuo piano folle.
Mi bloccai di colpo, sgranando gli occhi.
-Lo so – disse inaspettatamente Hanji, continuando a marciare come se nulla fosse.
Incapace di comprendere come qualcosa che a me era parso così tanto impossibile da realizzare ora non era più un sogno, domandai: -Come? Caposquadra, lei sapeva che il Comandante ha approvato le missioni di cattura?
-Sì – rispose lei, iniziando a ridere sovraeccitata. –YAHAOOOO!
Tutti noi la zittimmo, cercando di contenerla per non disturbare il vicinato. Molto più sollevata, quella sera feci ritorno alla Base gaia della mia chiacchierata con Lex e dell’approvazione di Erwin da poco appresa. Dentro di me, sapevo che, grazie a quella scelta, le cose sarebbero cambiate. E Hanji sarebbe rimasta la solita matta, onesta e briosa Leader della seconda unità dell’Armata Ricognitiva.
 
 
Quella sera, avevo deciso di ritirarmi senza prima aver consumato il pasto serale. Qualcosa dal profondo mi aveva spinto a prendere quanto prima la mia chitarra, ad armarmi di carta e matita.
Il mio incontro con Lex rievocò alla mia mente un tipo di esercizio sullo strumento che anni addietro egli mi aveva insegnato: consisteva nel prendere dimestichezza con gli accordi più difficili da riprodurre, basandosi sull’alternarsi di maggiore e minore per ogni nota del tasto [Nota dell’editore delle cronache: i musicisti di chitarra sono soliti far ricorso a questo tipo di accordo in cui è necessario premere tutte e sei le corde col dito indice. Tale tecnica, pur rivelandosi assolutamente scoraggiante a primo impatto, permette al musicista di spostarsi lungo tutta la tastiera per consentire un suono più dolce e acuto].
Mi inventai un motivo semplice e armonico, che ripetevo molte più volte. Avevo bisogno di ideare un testo d’effetto che potesse valorizzare la melodia. Ma quella sera, per la prima volta in tutta la mia vita, fu diverso: mi ero sentita pervadere da un forte sentimento poetico, una carica di creatività che non aveva mai trovato dimora dentro di me.
Buttai sul foglio tutto quello che mi passava per la testa:
 
Le sedie così vicine, la stanza
così piccola
 
Io e te
a parlare per tutta la notte
 
Questo posto,
misero, ma che ci fa ben comodo
 
Noi, compagni, con storie da raccontare.
 
Mi era tornata alla mente la sera trascorsa in camera di Levi, quella in cui egli, seduto accanto a me nel suo piccolo rifugio, mi aveva parlato dei suoi due amici scomparsi. E poi, ricordai la prima sera, quella del tetto, dove mi ero esibita per la prima volta davanti a lui, poi, la mia preferita, quella passata nel boschetto.
Erano stati questi i motivi della mia ispirazione: il mio amore per lui, i momenti meravigliosi che avevamo condiviso, le nostre semplici chiacchierate, che cercavo come meglio potevo di trascrivere in questo mio componimento, ripetendole ad alta voce per improvvisare un canto che accompagnasse lo strumento.
-L’hai tirata fuori di nuovo – parlò la voce di colui o colei che era appena entrata. –La tua chitarra, intendo.
Iniziò a battermi impetuosamente il cuore alla vista della dolce ragazza dai capelli ramati.
-Petra, io… - dissi, già in preda all’ansia. –Sai che non mi piace tenerla nell’armadio per lungo tempo.
-Lo so bene. Non l’hai mai sopportato – si incamminò verso il mio letto, reggendo un piccolo vassoio. –C’erano le verdure, stasera. Niente carne, ma penso che possa bastarti.
Sedette di fronte a me. Il suo sguardo tremendamente dolce e altruista era capace di persuadere chiunque. Perché il nostro rapporto doveva essersi tanto sciupato? Domandai, maledicendomi per non essere stata sincera con lei molti giorni addietro. D’altronde, avevo capito che io avevo causato quell’equivoco.
-E’ gentile, da parte tua, - mormorai, -ma non eri obbligata.
Le mani avevano iniziato a divenire umide, impedendomi di continuare la melodia.
-Invece sì, Claire. Non hai toccato cibo per un giorno intero, e stamattina sei anche svenuta. Possibile che hai così poca cura per te stessa?
Un po’ indecisa e imbarazzata, poggiai lo strumento al mio fianco, accettando il vassoio della giovane, portandomi alla bocca piccole porzioni di carote e zucchine.
Lei osservò il foglio davanti a me, il suo sguardo si addolciva sempre più. –Noi compagni con storie da raccontare – sembrava aver bisbigliato. –L’hai scritta per lui?
Il tono della sua voce non era né malinconico né irritato, ma avevo paura di risponderle. Mi limitai ad annuire.
-E’ carina – concluse. –Ti consiglio di continuare, mi piace molto.
Ricambiai con un sorriso, inebetita, continuando a deglutire verdure.
-Sono contenta – risposi. Torna da me, Petra, supplicava il mio cuore.
-Vedrai che lo sarà anche lui – pensò.
Rimasi a bocca aperta, ma nascosi il mio stupore nel piatto davanti a me.
Susseguirono attimi di silenzio, interrotti nuovamente dalla sua voce meravigliosa. –Claire, oggi mi sono resa conto per la prima volta quanto lui tenga a te. L’ho visto non appena ti ha soccorsa da terra.
Sempre più emozionata, la ascoltavo con grande attenzione.
-Non credo di averlo mai visto così in apprensione. Non ha pensato due volte a occuparsi di te in nostra presenza. Si vede che il vostro rapporto è tanto bello – mi sorrise sinceramente, sistemandosi i capelli dietro un orecchio. –Claire, adesso ho capito. 
Distolsi lo sguardo da lei, preoccupandomi di fissare la cassa armonica della chitarra. Una lacrima mi rigò il volto.
-Io ti domando scusa – la sua mano si fermò sulla mia gamba, dopo essersi avvicinata ancora di più.
I miei occhi non erano più in grado di distinguere gli oggetti attorno a me, essendo offuscati dalle lacrime. Mi gettai addosso a lei, stringendola con forza, piangendo senza curarmi di quello che poteva pensare.
Avevo così tanto temuto di perderla o di morire fuori dalle mura in quell’ultima spedizione, senza prima aver fatto pace con lei, e anche i giorni seguente la missione, nonostante fossimo tutte e due al sicuro dai giganti, ero stata perseguitata da quell’incubo. Avevo accumulato tutta quell’angoscia senza poter reagire, senza nemmeno trovare il coraggio di parlarne con lei, e mi ero comportata male anche con me stessa, trascurando i miei bisogni primari: non riuscivo più a dormire, tantomeno a mangiare, preoccupandomi davvero poco di trovare una soluzione.
Ora piangevo sulla sua spalla, maledicendo ancora una volta il mio stupido comportamento. –Perdonami. Ti supplico, Petra.
Non riesco a far meno di sorridere, se penso che, in quel momento, anche lei, nascondendo il suo viso grazioso nell’incavo del mio collo, era in preda ad un pianto.
Le accarezzai i capelli corti, lieta di poterle finalmente essere accanto. Di poterla abbracciare.
-Sappi che mi fiderò sempre di te – aggiunsi. –Te lo giuro.
Mi sorrise, asciugandosi graziosamente il viso. –Mi perdonerai mai, Claire? Mi sono comportata da bambina, forse la mia mente è stata anche offuscata dalla gelosia, per un po’ di tempo.
Ridacchiai. –Per quello, dobbiamo prendercela con il nanetto. È colpa sua e del suo fascino.
La ma compagna chiuse la mano in un pugno, alzando il solo mignolo. –Amiche?
Strinsi il suo piccolo dito con il mio. –Amiche per sempre – ripetei, commossa per aver rivissuto uno dei ricordi più preziosi che avevo, quello del giorno in cui, in tenera età, io e Petra ci eravamo giurate il sostegno reciproco per la prima volta.
La sua risata cristallina mi riempì il cuore di gioia. Mi prese le mani. –Ora esigo che mi racconti cose che lui non acconsentirebbe mai a rivelarmi.
Arrossii. –Ecco… che potrei mai raccontarti? Conosci il suo carattere riservato e assai freddo.
-Non dirmi che è sempre così. Guarda che l’ho visto coi miei occhi quanto tiene a te.
Allora mi decisi a parlarle del modo in cui c’eravamo via via avvicinati l’un l’altro, di tutti i ricordi e gli eventi drammatici che avevamo deciso di condividere, di come avessi avvertito inaspettatamente quel sentimento così forte chiamato amore, di come egli si fosse dimostrato straordinariamente disponibile nei miei riguardi, benché il suo atteggiamento piuttosto chiuso e scontroso facesse intendere tutt’altro. Insomma, Petra mi aveva invitato a parlare senza peli sulla lingua, come avevamo sempre fatto, e io, che non avrei mai più commesso l’errore di dubitare di lei, l’avevo accontentata.
Dopo avermi forzato a finire l’intero piatto, mi invitò come era solita fare a coricarmi accanto a lei. Quanto fu piacevole tenerla nuovamente così vicino a me! La sua decisione di fare pace mi aveva liberato da quel fuoco che mi lacerava ormai da giorni.
-Dev’essere meraviglioso vedervi insieme – ammise, intrecciando i miei capelli, sistemandomi il ciuffo che mi copriva la parte destra della fronte.
-Sai, Petra, non credevo che si potesse amare così tanto una persona. A vent’anni, l’ho finalmente capito – rivelai.
-E lui? Ha mai avuto una ragazza? Dai, sono curiosa! – domandò con i fermagli tra i denti.
-Non credo proprio. Non ha mai avuto una relazione, stando alle sue parole.
-Meglio così per te, no?
Scoppiammo a ridere, poi ci sistemammo sotto le coperte.
-E’ stato difficile anche per me starti lontana, Claire – riconobbe lei.
-Almeno tu avevi il sostegno degli altri. A parte Gunther, penso che tutti se la siano presa con me per non aver avuto fiducia tantomeno in loro.
-Mi hanno vista molto triste e contrariata, - spiegò lei, -forse è stato questo. Ma hai ragione, sono stati tutti molto carini e disponibili – sbadigliò. -Persino Oruo.
Le lasciai un bacio sulla tempia, comprendendo che doveva essere distrutta, e si sarebbe addormentata da lì a poco. –Soprattutto lui – sussurrai, carezzandole la guancia. –Oruo ha una cotta per te, Petra.
Ci mise un po’ a rispondermi. –Con questo, che vorresti dire?
-Che, malgrado sia uno stupido, non è così male come sembra. Tutto qui.
Petra non parlò più. Evidentemente doveva essere caduta in un sonno profondo da poco. Strinsi a me un raggio di sole, un angelo caduto dal cielo che mi aveva salvato molti anni prima. Ora che le cose si erano sistemate, niente ci avrebbe più divise.

 
Spazio autore: buon sabato, amici e amiche .
Devo confessarlo, amando profondamente Petra, non sono riuscita a trattenermi nello scrivere l’ultima parte di questo capitolo: ho pianto per quella fanciulla bellissima morta in maniera assolutamente atroce e ingiusta. Accidenti, è proprio vero che i migliori muoiono sempre giovani! Ebbene, non ho potuto fare a meno di fare un piccolo riferimento al sentimento di affetto che Oruo prova veramente per lei (mi chiedete se shippo la Petruo? Beh… XD). Chissà se una cerchia ristretta di lettori avrà capito da quale canzone è tratta il testo del brano che Claire è in procinto di scrivere. Parlo ovviamnte della favolosa So Ist Es Immer , che fa parte del soundtrack del nostro amato anime:
https://www.youtube.com/watch?v=_jqSy8E9JLQ
Ragazzi, non avete idea di quanto dolore alle dita provoca suonare questa canzone alla chitarra! Claire, che è più forte di me, poco se ne rende conto. Io invece sì XD.
Spero che questo nuovo capitolo sia stato di vostro gradimento. Vi auguro un buon weekend!
 
 
 

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Capitolo 21
*** Un'importante rivelazione ***


21. Un'importante rivelazione

Per quanto mi fosse piaciuto rimanere a dormire lì accanto a lei, sentivo il bisogno di terminare quella lunga giornata dal mio amato per raccontargli quella lieta novità. Era tardi, ma certamente l’avrei trovato sveglio, forse addirittura si aspettava una mia visita.
Presi lentamente la mia chitarra e, in punta di piedi, mi avviai nell’ala dell’edificio in cui risiedevano gli alloggi dei superiori.
Bussai cautamente alla sua porta. E mentre attendevo il suo arrivo ripensavo a quel dolcissimo abbraccio. Quanto mi era mancata la mia amica, quanto avevo voluto stringerla così forte a me!
Levi aprì la porta, accogliendomi con indosso solo i pantaloni bianchi della divisa e l’imbracatura slacciata per metà, che ricadeva penzoloni lungo le gambe.
Lo guardai senza fiato, color pomodoro, rendendomi conto che lui, volendo, avrebbe potuto sicuramente indossare qualcosa addosso prima di aprire, invece di presentarsi in maniera così trasandata e inopportuna.
-Ma tu apri così la porta alle persone? – domandai attonita.
-Chi può mai pensare di venirmi a rompere le scatole a quest’ora, se non tu?
Non seppi che credere, la mia attenzione di colpo ricadde sulla sua corporatura asciutta e altamente allenata, nemmeno mi preoccupai che aveva iniziato a guardarmi abbastanza infastidito.
Mi trascinò dentro, non dandomi tantomeno il tempo di tornare nel mondo reale, presa da mille quanto ambigue fantasticherie. Che effetto aveva quell’uomo su di me!
Lasciai la chitarra sul letto, voltandomi per guardarlo di nuovo. Eccetto per il suo solito fare infelice e burbero, era assolutamente perfetto: la sua pelle bianca come il latte - imperfetta a causa di piccole cicatrici cosparse soprattutto lungo la sua schiena - il cui colore contrastava quello della pietra che portava al collo, sembrava essere di porcellana, i muscoli lo invigorivano ancora più del dovuto. I miei desideri da innamorata improvvisamente si erano risvegliati: senza pudore, non mi astengo dal rivelare che avevo una voglia assoluta di aiutarlo gentilmente a liberarsi da quell’asfissiante divisa, di baciarlo fino allo sfinimento. Di fare l’amore con lui in quella piccola e umile stanza, troppo fredda per due amanti. Di colpo mi accorsi di quanto avrei voluto ritirarmi in una piccola casa lontano dalla vita militare per passare ulteriore tempo con lui.
Ma dovei risvegliarmi da quel mondo illusionistico: non ero in quella casetta lontana, bensì in una caserma, pronta a raccontargli quel meraviglioso avvenimento di giusto qualche ora prima.
-Hai qualcosa da dirmi? Altrimenti non saresti venuta a bussare così impertinente – notò lui.
Gli sorrisi, avvicinandomi lentamente a lui. Una piccola parte del mio cervello mi implorava di rimanere lucida, ma la ignorai del tutto, iniziando a baciarlo con un’immensa foga, un gesto che lo sorprese parecchio, soprattutto quando lo avevo avvicinato a me tirandolo per la collana.
La sua piccola e odiosissima statura divenne molto più fastidiosa. Avrei preferito continuare sul letto, distesa, il suo corpo sul mio. Invece mi limitai a quel bacio carico di passione.
Per quanto inizialmente parve sentirsi imbarazzato, Levi iniziò a contribuire con la medesima partecipazione. Mi tenne allo stesso modo, prostrandosi quanto più potesse verso di me, le sue mani poggiate sui miei fianchi mi causarono un’infinità di brividi.
Mi mancano le parole per poter descrivere quelle emozioni così forti e intense. Se solo quel bacio fosse continuato per tutta la notte! Ma io e lui avevamo imparato bene a farci bastare quel poco quanto prezioso tempo a nostra disposizione, che consumavamo chiacchierando, ironizzando, ricordando, per cui ero ben consapevole che ci sarebbero state ben altre occasioni per spingerci, se lo desiderassimo, anche oltre.
Non riuscendo tantomeno ad avere il comando su me stessa, nonostante abbia già riferito in precedenza che l’autocontrollo è tutto nella mia professione, avevo deciso di prolungare la durata di quel dolce momento di intimità: ecco che le mie labbra avevano lentamente lasciato le sue per spostarsi sulla mascella; cominciai a lasciargli una scia di baci giungendo fino alla sua clavicola nuda.
Lui portò una mano sui miei capelli, facendo sobbalzare il mio cuore, mormorando qualcosa che io non fui in grado di capire. Claire, fu l’unica parola che ebbi modo di comprendere.
Poco dopo, accadde qualcosa di puramente inaspettato per me: mi accorsi che quello che sembrò un rigonfiamento all’altezza della sua vita premeva impertinente contro di me.
Entrambi ci rendemmo conto all’unisono di quell’inopportuna “presenza”, allontanandoci di scatto l’uno dall’altra. Levi, rosso in volto, mi diede le spalle, rimanendo immobile a distanza di un metro da me.
Le mie orecchie fischiavano. Mi morsi il labbro, pietrificata. Facendo mente locale di quanto appena accaduto, ricordai di quella caratteristica puramente maschile che io e Petra, durante i nostri anni di addestramento, avevamo appreso dalle nostre compagne di corso più grandi. E noi, ingenue, faticavamo a crederci!
Mi venne da ridere, nonostante il cuore mi stesse letteralmente scoppiando nel petto. Alla fine, non trattenni una lunga e fragorosa risata, coprendomi il volto con una mano.
-Mocciosa di merda, finiscila! – protestò lui, a braccia conserte.
-Non si può neanche ridere? Come se non fosse una cosa abbastanza divertente – continuavo a ridere spensierata. –Ahaha, se solo si sapesse che…
-Non dirlo nemmeno per idea! – urlò, le sue guance erano color porpora.
-Il tuo segreto è al sicuro, con me. Non ci terrei a vederti soggetto di ulteriori derisioni. Già la tua bassezza fisica non ti aiuta molto – smisi per un istante di ridere. –Niente di personale, ma sono troppo felice: dimmi, Levi, sono la prima ragazza in assoluto capace di procurarti un’erezione? Questo mi rende la donna più fiera delle mura!
Non mi trattenni una seconda volta, spanciandomi sul letto.
-Prova solo a raccontarlo a qualcuno e ti uccido – mormorò, rosso di vergogna. –Poi, la colpa è tua e delle tue voglie adolescenziali.
-Hey, non sono stata certo io a chiederti di svegliare il tuo amico laggiù, e comunque non sono più un’adolescente, per quanto mi consideri tale – ribattei con serietà. –Tu ti sei piazzato davanti a me a petto nudo. Credi davvero che me ne sarei rimasta buona a non fare niente?
Provò a dire qualcosa, poi mi liquidò passandomi davanti. –Vado a darmi una rinfrescata. Non combinare altri casini, non provare nemmeno ad entrare nel bagno. Sei pericolosa.
Ridacchiai. –Lo farò solo se mi prometti che farai presto – mi schiarii la voce. –Devo parlarti di una cosa importante.
Doveva aver capito già tutto. Mi osservò comprensivo, avviandosi velocemente nella sala da bagno.
Lo attesi pazientemente esercitandomi con gli accordi da me ideati poco prima, ripensando alla mia amica addormentata.
Levi tornò da me con indosso un comodo pullover nero, ch’egli era ancora intento a sistemarsi.
-Uffa, che ti sei messo a fare quella roba? Eri molto meglio prima – scherzai spensierata.
-Che mocciosa – commentò lui, raggiungendomi. –Cos’hai di tanto importante da dire?
Gli sorrisi. –Io e Petra abbiamo fatto pace.
Bastava dirgli questo perché capisse. Ormai si era reso conto di quanto fosse importante la mia amicizia con quella ragazza, forse doveva accorgersi che quella sera le cose si erano messe in ordine solo per come mi ero presentata davanti la porta di camera sua.
Mi prese per mano. –E’ meglio così. Era orribile vederti così depressa, anche se facevi di tutto per nasconderlo. Questa storia ti ha visibilmente distrutta.
Non potei che dargli ragione. –Scusami per essermi comportata in modo insopportabile anche con te. Non meritavi di sorbirti tutta la mia malinconia.
-Non farlo – proferì. –Non è stato difficile, per me, capire come ti sentissi.
Gli sorrisi. Non mi aspettavo che ricambiasse il gesto, d’altronde non lo fece, ma era sbalorditivo vedere come i suoi occhi fossero posati su di me e non modificavano nemmeno per un secondo la loro direzione.
-Hai portato con te la chitarra – osservò lui. –C’è Mike, qui a fianco. Saresti davvero così crudele da svegliarlo? Io comunque non avrei niente in contrario.
Mi incupii. –Io non lo sapevo! – scoppiai improvvisamente a ridere. –Non lo farei mai.
Si alzò. –Allora andiamo da un’altra parte. Sul tetto non ci dovrebbe dare fastidio nessuno.
Approvai. Lo seguii fuori dalla sua stanza con una candela.
-Vedi di non fare casini – mi intimò lungo le scale.
Ero pronta a ribattere per avermi reputato, come sempre, tanto ingenua; cambiai idea quando cercò lui la mia mano, aiutandomi a salire i gradini più in fretta.
Una volta giunti sull’ampio tetto della caserma, luogo in cui avevamo avuto modo di “conoscerci” per la prima volta, il mio sguardo si soffermò sul cielo sopra di me: da diversi giorni non aveva fatto altro che regalarci continui temporali e foschie che il lettore proveniente dalle regioni settentrionali delle nostre mura ben conoscerà. Invece, quella sera ci eravamo imbattuti nel cielo notturno più brillante di sempre.
Iniziai a osservare incantata quello spettacolo meraviglioso.  -Ma è vero? – non mi astenei dal domandarmi.
Non ricevei risposta dal mio compagno, che mi aveva posato dolcemente la mano sul viso, chiedendomi di guardarlo.
I nostri volti erano nuovamente vicinissimi. Come desideravo che quel momento durasse per sempre! Oh, quante emozioni era in grado di svegliare dentro di me ogni misera volta quel piccolo soldato!
Intrecciò nuovamente le mie dita tra le sue, invitandomi con gentilezza a sedermi accanto a lui sul bordo del parapetto.
Il suono della mia chitarra finalmente poté disperdersi senza timore nell’aria. Nel frattempo, egli aveva iniziato a studiare lentamente la mia particolare capigliatura. –Avevo capito fin da subito che avevi fatto pace con lei. Non sei assolutamente in grado di acconciarti i capelli in questo modo.
Mi sistemò meglio il ciuffo, lasciandomi una carezza sulla guancia.
–Me ne infischio delle tue umiliazioni. Tanto so benissimo che hai un cuore tenero, anche se pare tutto il contrario – giudicai.
-Me lo hai già detto – osservò lui.
-Perché è così – continuai. –Stamattina non ho avuto modo di accorgermene: davvero sei stato tu a soccorrermi davanti a tutti, quando sono caduta per la strada?
Guardò la evidente medicazione che mi era stato ordinato di non rimuovere. –Guarda cosa ti sei fatta. Non hai idea della brutta botta che hai preso.
-Invece lo so. Fa malissimo – gli spiegai. –Ti ringrazio per avermi aiutata. Soprattutto per esserti preoccupato così tanto.
Distolse lo sguardo, osservando il cielo stellato.
-Ti va di cantare? – gli proposi, dopo avergli rubato un piccolo bacio. –Mi renderesti davvero felice, te lo assicuro.
Ci pensò qualche secondo, poi disse di sì.
Allora lo invitai nuovamente a darmi le spalle, in modo che potessi farlo anche io. E iniziai a intonare quella che ormai era divenuto il nostro canto.
Anche quella notte reputai favolosa quella voce calda e straordinariamente intonata che risultava tanto contraddittoria al suo modo di essere. Ciò che più adoravo è che egli aveva preso la decisione di rivelare solo a me quel lato tanto nascosto della sua personalità, tremendamente dolce e protettivo.
Se agli altri appariva, come aveva detto Lex, un riccio chiuso tra i suoi aculei, per me lui era solamente un semplice ragazzo costretto a vivere una tragedia dopo l’altra, che pian piano, da come mi rendevo conto, aveva deciso di esprimersi proprio con la sottoscritta.
-Sei assolutamente incredibile, ma come fai? – vi venne da chiedere, dopo aver terminato l’esecuzione.
-Non ne ho idea – proferì lui. –Forse è merito tuo.
Gli sorrisi gratificata, prima di provare nuovamente la canzone a cui stavo lavorando precedentemente. Nonostante non mi fossero venute in mente altre parole, questa volta mi risultò più semplice coordinare il testo con la melodia della chitarra.
 Io e te
a parlare per tutta la notte
Noi, compagni, con storie da raccontare
 
-E’ nuova?
Annuii. –Soprattutto, è mia – dopo averla ripetuta più e più volte, mi fermai, poggiando la chitarra al mio fianco. - Non l’ho ancora finita, però.
Levi ebbe finalmente l’opportunità di abbracciarmi. –Parla di noi, è così? – mi sussurrò lentamente.
-Vero – confessai, lasciandomi cullare dalle sue braccia possenti, poggiando la testa sul suo petto. Chiusi gli occhi, godendo ogni istante di quel momento assolutamente piacevole e magico, in cui io e lui eravamo i protagonisti assoluti di quella notte stellata. –Quanto ti amo, Levi – mormorai, sorridendo spontaneamente.
Ringraziai la mia magica “peculiarità” uditiva, che mi aveva permesso di percepire l’accelerazione del battito del suo cuore.
Levi posò le labbra sulla mia fronte, avvicinandomi ulteriormente a sé. Forse furono proprio tutte quelle attenzioni che mi stava rivolgendo a farmi venire voglia di dormire proprio lì, accoccolata a lui. –Fammi rimanere accanto a te per sempre, ti prego – gli supplicai, sentendo che da lì a poco sarei seriamente crollata.
-Sei così stanca – constatò, prendendomi in braccio per far sì che riposassi proprio sopra di lui.
Quel giovane mi faceva sentire letteralmente in paradiso. E il paradiso io l’ho sempre interpretato con quella realtà in cui l’uomo era un essere libero dal male, in cui si poteva effettivamente vivere una vita tranquilla e libera, in cui noi avremmo potuto urlare al mondo intero di amarci. Un luogo dove noi, che soffrivamo la morte inutile di coloro che combattevano al nostro fianco, potevamo finalmente vivere felici.
Ricordo vividamente il momento in cui, ancora sveglia, gli avevo sussurrato:-Quanto vorrei vivere lontano da qui, in un posto tutto nostro in cui non ci dobbiamo più preoccupare dei giganti. Quanto vorrei fare l’amore con te per ore e ore, per poi farti ascoltare tutte le canzoni che conosco e parlare con te fino allo sfinimento. Desidero una vita del genere, non chiedo altro.
Probabilmente il giorno successivo mi sarei pentita delle infinite stoltezze che gli ero andata a dire, cose che mi erano venute spontanee a causa della disperazione di dover essere costretta ad accettare quella miserabile condizione di vita da quando ero nata.
-Un giorno succederà – parve aver detto lui, solo due attimi prima che potessi addormentarmi tra le sue braccia.
 
 
Inutile riportare al lettore il sollievo e la gioia da me provati dopo quella sera. Nessuno, nemmeno Levi, sarebbe mai stato in grado di rimpiazzare la compagnia della mia cara amica, la mia dolce e adorata Petra, con la quale avevo e continuavo a condividere le mie gioie, le mie paure, le mie preoccupazioni ma anche tantissimi momenti spassosi.
Difatti, non mi asterrò dal raccontare un episodio assai divertente che io e Petra avevamo vissuto qualche tempo dopo. Durante una solita mattina, in cui noi eravamo indaffarate con i compiti più noiosi della caserma, eravamo intente a dirigerci nell’ufficio del Caposquadra Mike per fargli recapitare un’importante comunicazione da parte di Hanji.
Camminavamo senza fretta, percorrendo i vari corridoi chiacchierando animatamente di qualsiasi cosa ci passasse per la mente, come non avevamo mai mancato di fare.
-Hai seguito il mio suggerimento di avvicinarti a lui?
-Ma di chi parli? – domandava infastidita la mia piccola compagna.
-Di Oruo, no? Alla fine ti vuole bene, è così evidente.
-Claire, adesso non ricominciare.
Ridacchiai, stringendola forte; ma ad un tratto svoltammo l’angolo, raggiungendo il lato della caserma in cui risiedevano gli studi dei vari ufficiali. Davanti alla porta del suo, Mike poggiava le mani sulla parete, impedendo alla minuta Nanaba, rimasta bloccata tra il muro e il massiccio corpo del fidato amico di Erwin, di poter allontanarsi dal Caposquadra.
Per quanto io e Petra fossimo rimaste immobili proprio davanti a loro, costretti a osservare la scena, i due non sembrarono affatto rendersi conto di noi, preferendo far danzare le loro lingue in quello che poteva essere definito un bacio tutt’altro che casto.
Prima che Petra potesse esclamare qualsiasi cosa, coprii la mia e la sua bocca usando entrambe le mani, nascondendoci lontano dagli occhi dei due veterani.
Intimai alla ragazza di far silenzio, benché avessi una grande voglia di ridere. La condussi in tutt’altro luogo, e piombammo nelle cucine apparentemente vuote, dove potei finalmente esprimere apertamente le mie considerazioni su quanto appena visto.
-La signorina Nanaba… - iniziai.
-Il Caposquadra Mike – concluse lei.
Ridemmo, arrossite. –Potrebbero punirci per quello che abbiamo fatto. Non avremmo dovuto precipitare lì in quel modo – pensò lei.
-Che cosa? – sbottai. –Ci sono gli alloggi, dove possono fare tutto quello che vogliono. Che senso ha pomiciare davanti gli uffici? La colpa sarebbe nostra? Piuttosto mi faccio divorare da un classe quindici metri se non è vero ciò che dico.
-Il Caposquadra Mike, - ribadì, ridacchiando, -sapevo che tramava qualcosa con lei.
Ripensai al modo in cui quest’ultimo guardava teneramente la soldatessa e non potei fare a meno di sorridere. –Già, in effetti non era così difficile da capire. Nanaba è davvero fortunata, accidenti.
-Claire! – mi rimproverò. –Il capitano non gradirebbe sentirti dire queste cose.
Nel frattempo, il cuoco della Legione si era fatto vivo, chiedendoci a cosa fosse dovuta la nostra presenza nelle cucine.
Petra tremava dalla vergogna, fui io a prendere la parola. –Il Comandante Erwin ci ha chiesto di preparare del caffè per lui e il caporale. Stanno avendo proprio ora un’importante discussione nell’ufficio del Comandante – inventai.
Egli mi guardò interdetto. –C’è bisogno di quattro mani per preparare del caffè?
Non avevo idea di cosa rispondere, tantomeno mi aiutò l’arrivo di Levi dall’ingresso che conduceva alla mensa. –Petra, Claire, che ci fate qui?
Il cuoco gli riportò quanto avevo affermato.
-Strano a dirsi, perché ho terminato il mio incontro con Erwin circa un’ora fa – non mi fu d’aiuto il piccolo soldato.
Divenni più rossa del solito, maledicendolo.
-Ad ogni modo, Erwin mi ha domandato di cercarti – mi disse lui. –Credo sia una cosa abbastanza importante, l’ho visto molto serio quando ha chiesto di te.
Gli imploravo con lo sguardo di spiegarmi, ma comandò alla povera Petra imbarazzata di tornare alle sue mansioni, mentre io mi diressi nell’ufficio del Comandante.
Bussai alla sua porta, ricevendo molto presto l’invito ad entrare.
Erwin sedeva sempre dietro la sua scrivania e poggiava il mento sulle mani incrociate.
Portai un pugno sul cuore. –Buongiorno, Comandante.
-Ciao, Claire. Prendi una sedia, ho bisogno di parlarti di qualcosa di molto importante.
Col cuore in gola, feci come mi aveva chiesto. Prelevai un posto a sedere, conducendolo di fronte alla scrivania del generale, assolutamente spaventata.
-Spero di non aver fatto niente di grave – mi lasciai scappare, tesa. Nel frattempo, avevo intravisto un grosso libro verde scuro poggiato sul tavolo proprio davanti a lui.
-No di certo, Claire. Sta’ tranquilla, oggi non parleremo affatto di lavoro – cominciò Erwin. –Piuttosto, voglio che tu risponda ad alcune domande. Potresti per favore dirmi il nome di tuo padre?
Sobbalzai. A cosa era dovuta quella domanda del tutto decontestualizzata? E perché, tra tutti, era stato proprio il Capitano di Divisione a volerlo sapere?
-Mio padre si chiama Ivàn Hares. Non ho rapporti con lui da sette anni, da quando è improvvisamente scomparso – risposi, tenendomi le mani.
-Molto bene. So che chiederti di tuo padre può sembrarti strano, Claire, ma, sempre se tu vuoi, potresti parlarmi un po’ di lui?
Mi grattai la fronte, pensandoci qualche secondo, cupa in volto. –Mio padre era unico figlio di Victor e Concha Hares. Si sposò con Catherine May, mia defunta madre, venticinque anni fa. Ebbe due figli: Lexander, oltre che me un paio di anni più tardi. Non conosco esattamente le sue svariate carriere professionali, ma ricordo che, quando ero piccola, lavorava in una fabbrica di sigari. Poi abbandonò questa professione e iniziò a gestire assieme ad un tale che viveva a Karanes, nostra città natale, una piccola biblioteca poco frequentata.
Alzai gli occhi, incontrando quelli di Erwin, che mi osservavano con grande attenzione.
-Mi verrebbe da descriverlo come un uomo abbastanza solitario, che spesso era anche in conflitto con alcuni cittadini del distretto, eppure voleva un gran bene alla sua famiglia. Aveva una forte passione per la musica, che è riuscito a trasmettere anche ai figli. Me ne rammarico così tanto, signore, ma non sono in grado di dirle altro riguardante mio padre.
Rimase in silenzio per qualche secondo, infine rispose: -No, va bene così. Ti ringrazio infinitamente.
Ero molto confusa, mi chiesi quale fosse il motivo per cui egli si era così tanto interessato alla storia del mio genitore. Intravidi un barlume di speranza: che fosse colui che mi avrebbe finalmente raccontato la verità dietro la scomparsa di mio padre?
-Comandante, mi scusi tanto, perché mi ha chiesto proprio di lui? – domandai incerta.
Erwin alzò dal tavolo il libro verde, me ne mostrò la copertina. –Ho appena trovato questo diario di mio padre nella mia vecchia casa natale – parlò. –Lui faceva l’insegnante, ricorreva molto spesso a libri del genere per appuntarsi i vari argomenti delle lezioni che intratteneva con i suoi alunni, tra cui me. Sono riuscito a pervenire solo questo, che è incompleto. Dovrebbe risalire all’ultimo che aveva iniziato a scrivere, prima di morire. Qui sopra c’è il nome di Ivàn Hares.
Non sapevo neanche cosa pensare. Cosa c’entrava mio padre con il diario del defunto signor Smith?
 –In riferimento a cosa?
Erwin aprì il tomo, sfogliandolo con cura. Mi mostrò una nota scritta con una grafia molto elegante.
 
Le sue teorie sono davvero brillanti. Sembra davvero intenzionato a scoprire altro grazie a Catherine.
 
Lessi e rilessi quella nota più volte, provando un senso di stupore e di paura nel leggere l’ultima frase.
-Mia madre si chiamava Catherine – enunciai, iniziando a tremare. –“Intenzionato a scoprire altro”… Mi sento così turbata, Comandante. Non ho idea di cosa tutto ciò possa mai significare.
Doveva aver notato la mia esagerata apprensione. E come non rinnegarmi? Quell’uomo mi aveva letteralmente spaventata da che avevo messo piede in quella stanza!
-Non mi aspettavo che la pensassi diversamente. Sappi che neanche io sono stato in grado di capire a cosa sia dovuto il legame tra mio padre e il tuo. Non preoccuparti. Comprendo la tua agitazione, ecco il motivo per cui sono disposto a schiarirti un po’ le idee.
Schiarirmi le idee? Cosa aveva intenzione di raccontarmi?
Erwin richiuse il libro, riponendolo sulla scrivania. –Ma, Claire, mi prometterai che non farai parola con nessuno di quello che ti dirò. –aggiunse con serietà. -Nemmeno con le persone di cui ti fidi ciecamente.
Deglutii, sudando freddo. –Glielo giuro, non lo farò.
 
 
Spazio autore: buonasera, carissime e carissimi (se ce ne sono XD).
Eccomi di ritorno con un bel capitolo… Non so quanto reputare cretina la prima parte su una scala da uno a dieci (Levi direbbe undici :P ). Certamente, ancora una volta ho dimostrato il mio attaccamento per Erwin: ci sarà una piccola svolta nella storia dopo l’ultima parte di questo capitolo, qualcosa che cercherà in parte di allacciarsi ad alcuni aspetti dell’Arco della Rivolta (narrazione ripresa poi dalla vicina terza stagione! *sclera come Hanji*). Ma non vi anticipo troppe cose. Purtroppo, devo annunciarvi che ci saranno scarse probabilità che riesca a pubblicare un nuovo capitolo sabato prossimo. Il motivo? Non ho avuto tempo di scrivere altro! XD Non garantisco niente, ci sono alcune probabilità che ciò non accada, per cui aspettate comunque un prossimo aggiornamento.
Detto questo, vi abbraccio con affetto. Buon sabato!
 
 
 

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Capitolo 22
*** Erwin Smith ***


22. Erwin Smith

-Sono nato e cresciuto in un piccolo villaggio del Wall Rose di nome Ragako, da una famiglia piuttosto benestante. Devo dire che, a distanza di anni, provo ancora piacere nel ricordare la mia infanzia trascorsa in un paesino semplice e modesto. Mio padre era un insegnante delle scuole elementari, aveva intrapreso un piccolo progetto, aprendo una scuola per far sì che i bambini più umili dei dintorni, non soltanto del nostro villaggio, avessero modo di studiare qualcosa prima di intraprendere una professione. Si faceva pagare pochissimo, purché i ragazzi venissero a scuola vestiti sempre in un certo modo. Teneva molto alla formalità, forse è una caratteristica che ho ereditato anche io.
Il capitano di divisione mi sorrise, io ricambiai, non sapendo come collegare quella storia con quanto aveva detto prima.
-Ero un bambino molto curioso che amava imparare. Leggevo tantissimo, lo faccio tuttora, perciò insistetti affinché potessi accedere anche io alle lezioni. Fu allora che iniziai a reputare la conoscenza di mio padre smisurata – continuò lui. - Sapeva molto bene la grammatica, la matematica, era in grado di farci capire esattamente la geografia all’interno delle mura, ci dava l’opportunità di visitare i boschi per osservare meglio i fenomeni della natura, che poi ci avrebbe spiegato in classe. Ma ho sempre avuto difficoltà ad intendere la storia, forse perché nemmeno lui era in grado di spiegarla.
-La storia? – ribadii.
-Dal momento in cui mio padre aveva deciso di aprire questa scuola, fece un piccolo sacrificio per ottenere libri di testo che avrebbe utilizzato durante le lezioni. Ricordo bene il giorno in cui un gendarme si presentò a casa nostra per renderglieli.
Tramite il racconto di Erwin, compresi allora che l’istruzione pubblica era ben controllata del governo. La polizia militare, quindi, supervisionava anche quanto insegnato ai bambini.
-Perché non era capace di capire proprio la storia, signore? – gli domandai.
-Perché mio padre ce la insegnava in maniera molto contraddittoria, seguendo ovviamente il testo che si ritrovava. Per sviare il problema, ricorse all’acquisto di altri, ma devi sapere che le contraddizioni persistevano: sono passati cento o centosette anni dall’erezione delle mura? Questo dubbio ne è un esempio. In ogni caso, tutti noi eravamo costretti a imparare la solita vecchia storia: i pochi superstiti del genere umano sono stati obbligati a vivere dentro le mura con la comparsa di questi esseri orribili chiamati giganti. Questi mostri mi avevano sempre affascinato, desideravo quanto prima saperne di più sulla loro natura. Da dove provenivano? Come avevano fatto quei pochi sopravvissuti a sfuggire da esseri tanto brutali? Soprattutto, perché mio padre non ci aveva ancora parlato in classe di come avessero fatto gli uomini a ergere tre ordini di mura così alte e possenti in poco tempo?
Rimasi alquanto perplessa. Effettivamente, nel mondo ottuso in cui vivevo, che per molti sembrava letteralmente un vero e proprio paradiso in confronto a quello dominato dagli esseri titanici, pochi si domandavano l’origine di tutto ciò che li circondava, persino le priorità di un soldato dell’Armata Ricognitiva erano ben altre: non poteva perdere tempo a chiedersi come si fossero create le mura o i giganti, perché il suo compito risultava solo ed esclusivamente l’abbattimento dei titani e, da circa un anno, il recupero dei territori perduti.
-La cosa più preoccupante, è che se tu, Claire, ponessi questa domanda a qualsiasi cittadino delle mura, lui o lei non saprebbe cosa risponderti. E allora, la domanda che balzò alla mente un bambino curioso ma poco scaltro come me fu inevitabile: per quale motivo tali avvenimenti non sono stati tramandati né oralmente né per iscritto? Siamo stati abituati a credere che il nemico titanico abbia fatto la sua comparsa per la prima volta cent’anni fa circa, ma hai mai avuto modo di riflettere su come il mondo fosse prima di esso? Nessun documento lo testimonia. E io, avido di sapere, non potei che girare il mio interrogatorio a mio padre. Una sera, dopo cena, mentre eravamo a casa, gli domandai spiegazioni su ciò che mi turbava. Lui mi osservò sorpreso, un po’ preoccupato. Ricordo bene che impiegò del tempo a rispondermi. Infine, con grande serietà, mi rivelò qualcosa di assolutamente sbalorditivo…
Appresi da Erwin che, secondo il signor Smith, i giganti erano esseri artificiali, la cui origine probabilmente discendeva da quella umana. Gli abitanti delle mura, costretti a vivere dietro colonne di pietra alti cinquanta metri, continuarono la loro sopravvivenza senza mantenere un ricordo della loro vita passata. Erano stati costretti al silenzio, oppure la loro mente era stata alterata. Seguendo sempre il ragionamento del padre di Erwin, la manipolazione di essa era dovuta probabilmente ad un ordine imposto dall’avo dell’allora attuale re Fritz.
Inizialmente, non mi lasciai affatto convincere dalle teorie del signor Smith. Perché mai degli uomini avrebbero creato esseri umanoidi per uccidere altri uomini? Com’era possibile alterare la memoria di migliaia di persone per poi costringerli a vivere dentro cerchi di pietra?
Certo, rimanevano diversi dubbi: nemmeno una parola era stata tramandata, e gli esseri umani vivevano ignorando completamente l’origine della loro provenienza. Rimaneva poi il problema delle mura.
-Comandante, - presi la parola, -mio padre non ha mai fatto parola di queste teorie. Sono sempre vissuta completamente all’oscuro da questi misteri, e i miei non mi hanno mai parlato di tali contraddizioni che esistono da generazioni dentro i vari ordini di mura. Ma, a quanto pare, dovevano essere al corrente di tutto ciò.
-Io credo che Ivàn e Catherine Hares e mio padre abbiano avuto modo di incontrarsi per parlarne. Forse è proprio la risposta che tutti e tre cercavano a causare la scomparsa di tuo padre – si portò una mano al mento.
-Mia madre è morta accoltellata in un giorno di pioggia, lontano dagli occhi di tutti, me esclusa – iniziai, col cuore in gola. –Se anche lei aveva aderito all’affermazione di queste teorie, allora anche il signor Smith deve aver fatto una fine simile.
-A detta della Gendarmeria, mio padre è morto in un incidente a causa di un carro trasportato nel pieno della notte. Ho degli informatori che, in una maniera o nell’altra, hanno avuto modo di dare un’occhiata agli archivi: il nome di mio padre era riportato sulla lista dei giustiziati dal governo.
Ero sempre più sconvolta, confusa e disperata. E se le supposizioni della mia famiglia e quelle del signor Smith fossero corrette? Ciò avrebbe implicato che l’assassino di mia madre fosse stato causato dai gendarmi.
-Ma ciò sarebbe impossibile: il governo sarebbe la causa della morte di innocenti? – chiesi in preda alla collera. Mi portai una mano alla bocca. –E se davvero avesse nascosto la verità sull’origine delle mura?
Ero assolutamente scombussolata. Attraverso Erwin, ora stavo osservando la realtà con occhi nuovi. Se prima di allora mai avevo cercato una spiegazione sulla genesi del mondo artificiale che mi circondava, adesso non vedevo l’ora di ricavare quante più informazioni possibili che mi avrebbero permesso di dare una spiegazione a tutti quegli interrogativi.
-Ricorda che parliamo solo ed esclusivamente di supposizioni – mi ricordò Erwin. - Niente è vero o falso. Ti ho convocata perché potessi mettermi in contatto con i tuoi genitori e saperne di più su questa storia, ma a quanto pare siamo lontani dallo scoprire la verità dietro queste teorie.
-Mi dispiace di non poterle essere d’aiuto, signore.
-Invece lo sei stata, Claire. Io penso che prima o poi riusciremo a saperne di più. Ne sono convinto.
Annuii, un po’ rammaricata.
-Claire, mi hai promesso che non avresti parlato a nessuno di questa faccenda – aggiunse lui, alzandosi. -Posso confidare in te?
Mi sentivo parecchio nervosa, molto stranita, ma adempii al mio compito di soldato, e obbedii al mio superiore: -Sissignore. Non dirò una parola, glielo prometto.
Anche io mi alzai dalla sedia, mi portai un pugno al petto. –Con permesso – dissi, dirigendomi fuori dall’ufficio.
-Ti prego di tenere tutti all’oscuro di questo incontro. Se possibile, anche tuo fratello.
Sarebbe stato difficile resistere alla tentazione di convocare Lex per parlargli di quanto avevo appreso, ma promisi al mio superiore che non gli avrei detto niente.
-Claire, se fossi in te, non ne parlerei nemmeno con Levi.
Mi bloccai di colpo, voltandomi. –Il capitano?
-Ho visto che ultimamente ti sei avvicinata a lui – Erwin abbozzò un sorriso. –Passate molto tempo insieme, non posso che dedurre che ci sia qualcosa che va oltre la semplice amicizia. Quel tipo è abbastanza caparbio e scontroso, magari la tua compagnia potrebbe fargli più che bene, ma conosci la mio opinione sull’argomento, non è vero, Claire?
Arrossii di colpo, domandandomi il motivo per il quale non fossi già uscita da quell’ufficio. Perché proprio Erwin? dissi tra me. Quell’uomo era dotato di un’intelligenza invidiabile, pensai.
-Sì, Comandante. Lo so bene – mormorai, iniziando a tremare, cercando nella mia mente le parole adatte per giustificarmi.
-Ma d’altronde sono affari vostri, di certo non mi immischierò – concluse. –Fa’ quello che credi sia meglio. Per te, forse anche per lui.
Annuii di nuovo, congedandomi dall’ufficio un po’ imbarazzata.
Tuttavia, ripercorrendo il corridoio vuoto, non potei fare a meno che meditare sulla storia appresa poco prima.
Che il lettore provi compassione, davvero non avevo idea di come affrontare la questione! Un fuoco dentro di me ardeva violentemente, fui presa da un gran desiderio di voler rispondere a tutti i dubbi che avevano iniziato a perseguitarmi da che ero entrata nello studio del Comandante.
Con le mani dietro la schiena, osservavo i soldati che incrociavo lungo il tragitto: come il resto della popolazione reclusa, ignoravano del tutto le ragioni per cui quel piccolo mondo era stato edificato. Per i giganti, mi avrebbero risposto. E i giganti? Perché nessuno era stato incapace di dare una risposta sulla loro natura, in cento lunghissimi anni? E noi della Legione Esplorativa continuavamo a perdere le nostre vite inutilmente da decenni per cercare la risposta a questa domanda.
Vagai per la caserma per un po’, dopodiché mi ritirai nei dormitori, sdraiandomi sul letto per riflettere ancora sugli innumerevoli misteri della nostra storia. E maledicevo il fatto che non ero in grado di trovarvi una soluzione. Piuttosto, continuavo a chiedermi il motivo per cui, in tredici anni della mia vita, i miei genitori non avessero fatto parola delle loro teorie. Provai del certo risentimento nei loro riguardi, ma subito dopo constatai che non aveva senso prendersela con loro. Per giunta, adesso conoscevo il motivo dell’allontanamento di mio padre, per quanto trovassi ancora sbagliatissima la decisione di abbandonare la sua famiglia.
Erano davvero dei ribelli? Chi o che cosa aveva ucciso mia madre, alla fine? Che fosse stato responsabile il governo reale…?
Che disdetta! Giusto qualche mese prima, al momento del mio diploma, avevo giurato eterna fedeltà al nostro re, e ora mi ritrovavo a chiedermi se non fosse proprio l’autorità monarchica a volere la segregazione della popolazione muraria.
In preda al panico, il cuore cominciò a battermi forte nel petto. Non potendo nemmeno contare sul sostegno dei miei amici o del mio caro Levi, mi sentii ancora più sola e maledetta. Ignoravo completamente il modo con cui avrei dovuto affrontare quella faccenda.
Passai altre ore chiusa lì, in preda alla solitudine e all’angoscia. Poi decisi di uscire, soprattutto per farmi viva a chi mi stesse cercando.
Mi recai ai giardini nei pressi della caserma: intravidi soldati immersi nella lettura o nelle loro chiacchiere spensierate seduti ai vari tavoli in legno.
Tra questi, scelsi uno assolutamente sgombero, sistemato sotto un albero. Aprii il mio blocco da disegno, iniziando ad abbozzare un ritratto di profilo del caporale maggiore. 
Adoravo mettere in risalto i contorni del suo viso che, inutile ribadirlo, appariva ai miei occhi assolutamente perfetto.
Il pensiero di poterlo avere accanto a me quando ne sentissi il bisogno era ciò di più confortante che la mia mente potesse pensare in un momento tanto deplorevole come quello.
Più il disegno continuava, più pensavo che pochissimi fossero i soggetti come lui che potevano essere rappresentati alla perfezione dall’arte del disegno. Questo fu ciò che mia madre fu in grado di insegnarmi anni addietro.
Chissà cosa avrebbe pensato lei riguardo a Levi? A differenza di mio padre, ella sperava che potessi trovare la mia dolce metà quanto prima, non faceva che ripeterlo. Cosa avrebbe pensato se sua figlia fosse improvvisamente divenuta la morosa dell’uomo più forte del genere umano intero, oltretutto di dieci anni più grande?
Stando al fisico di mio padre, del tutto opposto a quello di Levi, avrebbe sicuramente avuto da ridire! Non era biondo, alto e solitamente allegro – per quanto spesso fosse protagonista di battibecchi con alcuni cittadini del nostro distretto.
Ridacchiai a quel pensiero, continuando il disegno, illudendomi per un attimo che mia madre fosse ancora qualche miglia più distante, nella mia città.
-Ma quello è il capitano? – domandò una voce alle mie spalle.
Mi voltai, i miei occhi incontrarono quelli di Erd. –C…ciao! – arrossii. –Ecco, non avevo niente da fare, volevo rilassarmi un po’, quindi…
-Non preoccuparti, Claire! – esclamò lui, ridendo. –So bene quanto tu tenga a lui. Il tuo faccino innamorato che lo fissa è assolutamente tenero, non si fa altro che ribadirlo.
Divenni letteralmente color pomodoro, richiudendo il blocco. –Che ci fai qui, Erd? – deviai il discorso. –Non avevi da fare con i superiori a Trost, stamattina?
Il mio amico sedette vicino a me. –Siamo appena tornati. Volevo parlarti di una cosa, ecco perché sono qui.
-Dimmi tutto. Anche se ho già una mezza idea di quello che mi dirai. C’entra per caso la contadina del villaggio che precede Trost?
Il mio intuito aveva centrato il bersaglio: Erd era visibilmente in imbarazzo. Tentò di distogliere lo sguardo, mormorando: -E’ così. Mentre venivamo qui abbiamo parlato un po’ – spiegò lui. –Principalmente, è stata lei a ringraziarmi ancora di quello che ho fatto il giorno della spedizione. E’ timida, sai? Non parla molto. Ma ha modi di fare gentilissimi e graziosi.
Il mio cuore si riempì di commozione. –Veniamo al punto. Ti sei innamorato, Erd?
Quanto amore avevo notato negli ultimi giorni? Ebbi modo di pensare, sorridendo: Oruo riempiva di attenzioni, seppur in maniera categoricamente irritante, la dolce Petra, mentre giusto poche ore prima io e la mia compagna eravamo venute a conoscenza della relazione tra i veterani Mike e Nanaba.
Erd divenne rosso, grattandosi la nuca. –Non saprei. Io vorrei tanto poter conoscerla meglio, ma capisco che a causa dei nostri impegni in caserma ciò non mi è possibile. Le ho promesso che le avrei scritto una lettera, ma non ho idea di come farlo. Non è che potresti aiutarmi tu?
Gli mostrai un largo sorriso. –Ovvio che sì, Erd! Non vedo l’ora, in realtà – strappai un foglio dal mio blocco, posizionandolo al centro tra me e il soldato biondo.
-Non ho intenzione di scriverle qualcosa di altamente sentimentale, ecco perché faccio riferimento a te che sei brava in queste cose – disse lui.
-Non preoccuparti, le ragazze non fanno che scrivere – gli enunciai.
Con molto piacere, aiutai il ragazzo nell’impresa. Ci volle del tempo a fargli abbandonare il senso di vergogna che lo aveva posseduto dal momento in cui era venuto a conoscenza di quel sentimento forte che egli aveva iniziato a nutrire nei confronti dell’umile fanciulla. Eppure, lo confesso, il risultato finale fu soddisfacentissimo, soprattutto per lui, che, prima di lasciarmi, mi ringraziò promettendomi che mi avrebbe aiutato di nascosto con le pulizie che il capitano era solito imporci non appena ci vedeva intenti ad oziare liberamente.
-Non sei obbligato! – esclamai, divertita. –Comunque, faccio il tifo per te, Erd. Aubrie è una ragazza bellissima e molto dolce. Faresti meglio a conquistarla quanto prima, così le soldatesse smetteranno di correrti a fatica dietro.
-Che discorsi stupidi, - ridacchiò, -grazie ancora, Claire. Sono fortunato ad avere te, in questi casi. Tu e Petra siete le migliori.
Ammiccai, prima di vederlo allontanarsi all’interno della caserma.
Ripresi il mio disegno, poi venni raggiunta da Gunther, che mi rese gentilmente una calda tazza di tè. La preoccupazione causatami dall’incontro con Erwin iniziò a dissolversi. Come era bello e confortante poter godere della compagnia di coloro a cui tenevo così tanto!
-Spero tu sia riuscita ad aiutare Erd – mi domandò. –Mi ha parlato di quella cosa, a quanto pare lo tormenta parecchio.
-E’ andato tutto per il verso giusto – lo tranquillizzai, sorseggiando dalla tazza. –Che buono, accidenti! Lo hai preparato tu? – indicai il liquido.
-Tutto da solo. Tu che lo conosci, credi che l’opinione del capitano sul mio conto possa cambiare dal momento in cui saprà che so preparare il tè?
Scoppiai a ridere. –Credimi, ora diverrai il suo preferito.
Iniziammo a parlare, finché non percepii in lontananza la voce un po’ stridula di Petra.
Invitai Gunther a voltarsi: fu allora che osservammo la mia amica in compagnia di Oruo, entrambi dotati di dispositivo di movimento tridimensionale.
Notai che Petra zoppicava a fatica. Il nostro amico la seguiva apprensivo.
-Che è successo? – chiese Gunther accanto a me.
Aguzzai l’orecchio: -Smettila di preoccuparti! Quante volte devo dirti che non mi sono fatta niente? Ho frequentato il corso medico anche per queste situazioni, mi passerà – continuava a ripetere la ragazza.
-Mi sei venuta addosso, hai sbattuto la gamba contro il mio dispositivo, l’ho visto. Come fai a dire che non hai niente? – interveniva Oruo. –Guarda come cammini.
L’istinto mi suggeriva di andare a soccorrere la mia amica testarda. Ma qualcosa mi diceva che Oruo era in grado di convincerla da solo.
-Petra, perché non ti lasci aiutare? – le chiese gentilmente il compagno. Ammisi di non aver mai avuto l’opportunità di osservare il lato più serio e premuroso che Oruo ripetutamente nascondeva nei meandri più profondi della sua personalità.
Ella sospirò, interrompendo la marcia. –Come credi di poter aiutarmi?
Oruo non rispose subito. La guardò per qualche secondo. E, giuro, se avessi avuto l’olfatto fine del Caposquadra Mike, non sarebbe stato difficile per me avvertire la sua trepidazione.
-Appoggiati a me. Ti accompagno in infermeria – disse lui, rosso in volto.
I due si guardarono. Infine, Petra si arrese, reggendosi sul mio amico, prima di recarsi, assieme a quest’ultimo, dal medico dei ricognitori.
-Non posso crederci. Quello lì era Oruo? – commentò Gunther poco dopo, incredulo quanto me.
-Contaci. Era lui – risposi, intenerita.
In pochi attimi, mi ero resa conto di quanto fosse stata preziosa la presenza dei miei amici, che erano stati in grado di consolarmi con tale semplicità. La potenza dell’amicizia, dei rapporti umani, vinceva addirittura contro gli esemplari più orribili di giganti, contro le mura di cinquanta metri d’altezza.
-Pensi che anche loro due…? – iniziò il mio amico, sorridendo.
-Non saprei. Con voi quattro c’è sempre una novità – ridacchiai di nuovo.
Poggiai la testa sulla sua spalla, finalmente più tranquilla. Poco dopo, adocchiai Levi in lontananza fare rientro in caserma. I nostri sguardi si incontrarono. Gli sorrisi, rincuorata, pensando che, finché avessi goduto della compagnia di tutti i miei cari, niente avrebbe potuto rendermi veramente triste e angosciata. Forse, nemmeno un problema di estrema rilevanza del quale ero venuta a conoscenza poche ore prima.
Ma, ad ogni modo, come avrei potuto risolverlo?
 
 
Spazio autore: buonasera! Ho tardato di un pomeriggio la pubblicazione di questo capitolo, ma ce l’ho fatta! Credetemi, sono troppo felice!
Ancora una volta non mi sono astenuta dal dare risalto al personaggio di Erwin (l’ho anche omaggiato con il titolo del capitolo!), è un mio vizio. Avrete capito che, d’ora in avanti, avrà un ruolo ancora più importante, inoltre, la storia toccherà alcune tematiche che, come già detto, fanno riferimento all’Arco Della Rivolta. La verità, comunque, non sarà certamente svelata così presto, sia chiaro (ci troviamo ancora nell’846), quindi tendo a dire che non ci sarà nessun particolare cambiamento di trama dell’opera originale. Detto ciò, vi saluto, promettendovi che, d’ora in avanti, sarò più puntuale nella pubblicazione :).
Alla prossima!
 
 

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Capitolo 23
*** Scommessa ***


23. Scommessa

-Claire, sei sicura? – mi domandò ancora una volta Petra, mentre mettevo a posto il letto su cui avevo appena riposato, con indosso solo la biancheria.
-Sicurissima – risposi. Ero determinata a mettere in atto la mia decisione, eppure avevo il timore di compiere involontariamente lo stesso solito errore; d’altronde, le avevo giurati che mi sarei sempre fidata di lei.
Qualche giorno successivo la convocazione di Erwin, avevo deciso di recarmi nella mia città a caccia di informazioni riguardanti i miei genitori. Avevo intenzione di fare ritorno nella mia casa natale per cercare documenti scritti di loro proprietà che mi avrebbero permesso di risalire al loro “segreto”, ciò che tramavano riguardante la storia dell’umanità chiusa in gabbia, di cui né io né mio fratello eravamo stati messi al corrente. Ovviamente, non potevo rivelare alla mia compagna e al mio superiore, dal quale cercavo disperatamente il consenso di quella visita nel Distretto, lo scopo di quel viaggio. Per di più, avrei dovuto affrontare l’apprensione del mio fidanzato e della mia migliore amica, che certamente non avrebbero perso l’occasione di riferirmi i loro dubbi circa il mio comportamento improvvisamente freddo che avevo assunto in quei giorni, dopo aver appreso qualcosa di tanto sconvolgente sulla storia della mia famiglia.
Petra mi conosceva straordinariamente bene, il che non mi permetteva di nasconderle bene un mio turbamento. Qualche secondo dopo aggiunse: -Sei strana, ultimamente. È come se ti tormentasse qualcosa. Problemi con Levi?
Iniziai a mordermi il labbro preoccupata, consapevole che avrebbe certamente insistito sull’argomento.
-No, lui non c’entra niente – sospirai. Mi avvicinai a lei, senza pensarci una seconda volta la abbracciai. –E’ una cosa… molto particolare. Per quanto sia convinta che mi rinfaccerai la questione fino a che non avrò proferito a riguardo, sono stata costretta a non farne parola. Cerca di capirmi, te ne sarei molto grata.
Non parve assai sollevata. Mi posò una mano sulla schiena. –Davvero non puoi dirmelo?
Scossi il capo. –Non ancora, almeno. Presto te ne parlerò, lo prometto. Io mi fido di te – soggiunsi, stringendola forte.
Questa volta, sembrò più soddisfatta, e mi invitò a prepararmi quanto prima. –Altrimenti raggiungerai Karanes troppo tardi – disse.
Mi sbrigai allora a preparare la mia divisa, ma ella mi fermò. –Perché non indossi il pullover, anziché la camicia bianca?
Alludeva alla maglia color verde acqua che, dissi a lei con molto imbarazzo, avevo trovato a buon mercato tra le provviste del Corpo. Ma ella fin da subito non credette alle mie parole, e, da giovane intelligentissima qual era, comprese fin da subito che quell’indumento mi era stato regalato da qualcuno di tanto speciale per me.
Arrossii. –La divisa dovrebbe essere altamente semplice, no?
-Claire, tutti indossano quel che vogliono sotto la giacca, lo sai meglio di me – ridacchiò. –Io direi che lo faresti tanto contento.
-Io direi che dovresti smetterla di intrometterti nelle mie faccende amorose.
Scoppiammo a ridere, poi decisi di fare come mi aveva suggerito, indossando il mio nuovissimo capo d’abbigliamento. Petra mi aiutò gentilmente ad indossare l’imbracatura, e io ricambiai il favore allo stesso modo. La salutai, dirigendomi estremamente ansiosa verso l’uscita dei dormitori, in cerca di Levi.
Dedussi che doveva già essere fuori dalla sua stanza, come tutti i restanti ufficiali, e, conoscendolo, l’avrei certamente trovato nel refettorio a sorseggiare del tè in tranquillità.
Il mio ragionamento fu giusto: una volta raggiunta la mensa, lo vidi seduto accanto ad Hanji, intenta a riferirgli un discorso di straordinaria importanza che, data l’espressione indifferente e infastidita del caporale maggiore, doveva apparire altamente ridicola alle orecchie di quest’ultimo.
Dopo essere entrata, li salutai entrambi, e ancora in piedi allungai al mio superiore il permesso che mi avrebbe garantito di poter usufruire di quella giornata per allontanarmi per poche ore dalla caserma.
-Hai deciso di partire? – domandò lui.
-Giorno libero, signore – gli risposi. –Ho una faccenda importante da sbrigare a Karanes.
Nonostante si notasse poco, era chiaro che Levi avesse intenzione di pormi innumerevoli domande circa la mia scelta di non avergli detto niente prima di quella mattina. Seduto accanto ad Hanji, la cui presenza, in quel momento, mi parve assolutamente inappropriata, iniziò a guardarmi in maniera perplessa e un po’ burbera. –Posso sapere il motivo?
Anche la Caposquadra aveva cominciato ad ascoltare con interesse la nostra conversazione, prima di essere fortunatamente richiamata da Moblit per qualche faccenda importante di sua competenza.
Il refettorio era finalmente sgombero, perciò potei parlare: -E’ qualcosa di molto importante, per me. Riguarda i miei genitori. Non posso dirtelo ora, ti prego di perdonarmi.
-Non ti fidi? – mi chiese, incrociando le braccia.
-Io mi fido di te più di chiunque altro, Levi – sedetti vicino a lui. –Ma mi è stato chiesto di non dirlo a nessuno. Pensa che anche mio fratello è all’oscuro di ciò.
Distolse lo sguardo, tamburellando le dita sul tavolo. –Non può essere così terribile, no?
Mi sorprese il modo col quale lui e la mia piccola amica avevano reagito alla stessa maniera, rimanendovi entrambi delusi. Ma quella volta non potei affatto maledirmi, poiché mi era stato imposto dal Comandante stesso di non rivelare una sola informazione riguardante la questione della quale ero venuta a conoscenza.
-Prometto che te lo dirò quanto prima. Ti chiedo solo di aspettare – lo richiamai, stringendogli la spalla. Levi finalmente si volse, permettendomi di alzargli il viso per il mento. –Farò presto, te lo giuro – dissi.
Egli arrossì un poco. Approfittai del fatto che potessimo godere un po’ della nostra intimità per lasciargli un tenero bacio sulle labbra.
-Ho come la sensazione di non riuscire a negarti nulla.
Ridacchiai, guardandolo amorevole. –Forse riesco a capirti.
Studiò meglio la mia divisa, rimanendo folgorato alla vista dell’indumento che portavo sotto la giacca beige. –Hai deciso di metterlo?
-Petra mi ha consigliato, non lo nascondo. Grazie ancora per avermelo regalato, è bellissimo.
I suoi occhi blu impuntati sui miei erano di una bellezza rara e abbagliante. Un vero e proprio spettacolo. Spettacolo che venne interrotto dalla voce prorompente di qualcuna che aveva appena fatto cautamente ritorno nella mensa, per poi esplodere: -LEVII! – aveva urlato la Caposquadra Hanji. –Per mille giganti, sapevo che c’era qualcosa tra te e Claire! Mike mi aveva detto che avevi un odore diverso! Questo è un sogno!
Le mie guance si erano già colorate di rosso, il cuore mi si era fermato nel petto. –Caposquadra, la prego… - provai a implorarla, lasciando il posto accanto al corvino.
-Che gioia che sei, Claire! Sei riuscita a sciogliere il cuore di pietra di questo nanerottolo! – ella mi saltò addosso, alzandomi da terra.
-Caposquadra, che sta facendo? – chiesi sbigottita.
-Quattr’occhi di merda, smettila di fare tutto questo casino! – intervenne Levi, facendo volare via la soldatessa. –Prova solo a ripetere questa cosa, ti assicuro che ti strozzo con le mie mani.
-Sei tu che fai i casini, Levi – ribatté lei, accovacciata per terra. Approfittò del fatto che il corvino cercasse in tutti i modi di nascondere il suo viso arrossito per lasciargli un pizzicotto sulla guancia.  –Non ti rendi conto… di quanto magnifica sia la vostra relazione? Due ricognitori che si innamorano l’un dell’altra… è assolutamente strepitoso! Meraviglioso!
-Hanji! – continuò il capitano.
Hanji rise spensierata, tentando di calmarsi. –Starò zitta, okay? Voi però promettetemi di rendermi partecipe nei vostri progetti futuri – Hanji si avvicinò a me di nuovo, stringendomi come al solito la mano. I suoi occhi brillavano sotto le lenti degli occhiali, mentre un rigolo di saliva le era già sceso dalla bocca. Il suo sguardo avrebbe messo in soggezione chiunque, non lo nascondo. –Claire, se questo piccoletto dovesse chiederti in moglie, fammi essere tua testimone di nozze.
Io moglie di…? Arrossii di colpo, e probabilmente anche Levi aveva fatto lo stesso. Mi allontanai intimorita dalla donna, chiedendole il consenso di congedarmi per poter raggiungere quanto prima il mio destriero e mettermi in marcia per Karanes.
-Un attimo, Claire. Devo parlarti di qualcosa di tanto importante – ella soffocò in un secondo tutta la sua eccitazione. –Levi, la nostra riunione è tra venti minuti, ricordi?
-Ovvio che sì – rispose lui. –Questo sciocco incontro che avete ideato tu e Erwin sulla cattura di un gigante mi sembra una grossa cazzata. Ma spiegami cosa c’entra Claire, in tutto questo.
Malgrado fossi felice di sapere che ai piani alti era stata finalmente approvata la richiesta della cattura di un esemplare di gigante, mi sentii presa in causa per qualcosa con cui avevo veramente poco a che fare, ed ero desiderosa di conoscerne di più.
-Claire c’entra eccome, Levi – intervenne la Caposquadra. Distolse lo sguardo dal piccolo soldato, guardandomi sorridente. –E’ stata la prima persona a non esitare un secondo prima di dare la sua disponibilità perché ciò avvenisse.
Provai un misto di vergogna, di gratitudine e di timore. Ancora una volta, Hanji stava sopravvalutando le mie abilità; non avendo l’esperienza di cui i veterani vantavano ed essendo ancora una matricola, la paura di deludere le aspettative dei migliori era sempre frequente in questi casi.
-Hanji, non tirarla in causa per queste faccende così delicate. Non ne hai il diritto – mi difese Levi.
-Ti preoccupi per lei, sei proprio carino! Ad ogni modo hai ragione: devo sempre sentirmelo dire prima da lei – rispose la soldatessa. - Questi sono affari che generalmente non rientrano nei compiti delle reclute, me ne rendo conto. Perciò, vorresti darmi il tuo appoggio anche questa volta, Claire?
Per quanto sapessi bene che, data la mia fragilità psicologica del momento, la quale non si sarebbe dissipata fino a quando non avessi scoperto di più sul segreto dei miei genitori, avrei dovuto necessariamente declinare l’offerta, evitando così di farmi carico di ulteriori compiti ardui e devastanti per una semplice recluta, mi resi conto, però, di quanto tutto fosse collegato: mio padre e il signor Smith si stavano battendo per identificare il segreto di quei misteriosi esseri terrificanti chiamati giganti, un mistero per cui si batteva ancora, allo stesso modo, anche la Ricognizione, benché tutta la serie di disfatte alle sue spalle.
Se Levi si preoccupava veramente per me, lo avrei chiaramente deluso. Ma avevo già preso la mia decisione: -Caposquadra, conti pure su di me.
Lei mi sorrise di nuovo, come al solito estremamente felice. –Grazie infinite, Claire. Il tuo sostegno conta molto. Ora andiamo, ci siamo dilungati in questa chiacchiera, tra un po’ avrà sede la riunione.
Hanji trascinò me e Levi fuori dal refettorio. Per un momento, fui assalita dall’ansia di non essermi ancora avviata alla volta di Karanes, ma, date l’ora mattutina, pensai che avrei potuto anche aspettare.
Ci dirigemmo verso quella che doveva essere la sala addetta alle riunioni degli ufficiali; non a caso, all’interno sedeva già buona parte dei migliori soldati della Ricerca. Anche il Caposquadra Mike presenziava già, seduto alla sinistra del Comandante.
-Erwin, ci siamo anche io e Levi – annunciò Hanji, facendo il suo ingresso.
Il generale dell’Armata Ricognitiva osservò in maniera confusa anche me, che, sullo stipite della porta, sull’attenti, attendevo l’ordine di poter entrare.
-Hares? – domandò un superiore.
-Hanji, hai convocato tu Claire? – chiese un po’ infastidito Erwin.
Detestavo essere vista come una scocciatura da quei soldati di alto rango, eppure non avrei mai negato di starli biasimando: la decisione di Hanji di farmi partecipare all’incontro era assolutamente malsana.
-Penso che ci possa essere di grande aiuto – spiegò lei, sistemandosi al fianco di Erwin. Nessuno ebbe più da ridire sulla mia presenza, perciò io e Levi potemmo sederci affinché la conferenza avesse inizio.
Alcuni tra i nostri commilitoni erano ancora visibilmente preoccupati per la missione che ci apprestavamo a mettere in atto, inorriditi da quello che sarebbe potuto essere il tasso di morti nel caso il progetto fosse fallito. Eppure, mi sorpresi non appena ascoltai il carismatico discorso di Erwin riguardante l’importanza di quella missione che, da sempre, i ricognitori hanno sperato di attuare e che finalmente le varie corporazioni, dopo continue sollecitazioni, avevano deciso di finanziare.
Ad Hanji brillavano gli occhi, ed ero contenta che Erwin avesse deciso di sostenerla nell’impresa.
Terminato il discorso, alcuni soldati parvero decisamente più sollevati, tranquillizzati dal fatto che una persona di rispetto e fidata come il Comandante Smith avesse dato il consenso ad Hanji di pianificare la cattura di un gigante.
Fu allora il turno della Caposquadra, che illustrò il progetto di ricerca che era desiderosa di attuare a seguito di una cattura. Gli esperimenti sarebbero stati innumerevoli, e, da come ci spiegò, sperava di ottenere al tempo stesso il supporto non solo della Ricognizione intera, bensì anche della Guarnigione.
-Catturato uno di quegli esseri, avremo modo di studiare la loro fisiologia, e otterremo la possibilità di avvicinarci di più a quello che è il loro modo di ragionare. Inoltre, è chiaro che faremo di tutto per indagare circa le loro intenzioni – chiarì lei.
Ero affascinata dalle parole di Erwin quanto dalle sue, ed ero pronta a fare il possibile perché tutto ciò avvenisse.
-Hanji, sappiamo bene quali conseguenze comporterebbero la riuscita di questa operazione – intervenne Levi. –Ora siamo qui per decidere in che maniera fermare uno di quei mostri senza registrare un numero alto di uccisioni.
-Per quanto riguarda la cattura, - iniziò lei, -non c’è nulla di cui preoccuparsi: in questi giorni ho ideato assieme a dei funzionari della Guarnigione una trappola in grado di catturare quei piccolini utilizzando le cinta murarie. È un sistema semplice, ma ben efficiente, che avremo modo di sperimentare a breve.
Hanji srotolò sul tavolo una pergamena su cui disegnato l’impianto di cattura da lei ideato, ce lo mostrò fiera ed ansiosa.
Ben presto, tuttavia, la Caposquadra rivelò il suo dubbio: -Ciò che ancora non siamo stati in grado di elaborare riguarda il loro trasporto all’interno delle mura. Non saremo mai in grado di eseguire i nostri ambiti esperimenti se sono ancora intrappolati contro le mura.
-Sarà necessario far evacuare un’intera città – pensò Mike.
-Inoltre, non abbiamo gli strumenti necessari per condurre un colosso avido di uomini all’interno di un portone.
-Già – concluse Hanji, rammaricata. –Dovremmo essere in grado di indebolire quanto più il gigante che intendiamo prendere, senza ovviamente correre il rischio di ucciderlo.
Non vi furono proposte da parte degli altri soldati, e approfittai di quel silenzio per riflettere: mi balzò alla mente il discorso che la Caposquadra mi aveva rivolto durante la mia prima spedizione. Il nemico, nel nostro caso tanto potente e spietato, poteva essere battuto solo se avessimo sfruttato una sua semplice, ma sufficiente debolezza.
Allora mi tornò alla mente l’esito dell’esperimento effettuato durante la stessa spedizione.
-E se sfruttassimo il buio? – azzardai, dopo aver passato dieci secondi del mio tempo a chiedermi se fosse stato conveniente per me intromettermi o meno nella conversazione.
-Il buio? – ripeté un caposquadra.
-Ma certo! – esclamò Hanji. –Abbiamo appena scoperto l’importanza della luce solare per i giganti, potremmo utilizzare la sua assenza per indebolire le prestazioni del gigante e condurlo in città.
-Hanji, anche le prestazioni di noi soldati sono ulteriormente diminuite dopo il calar del sole – disse Mike. -Sarà difficile anche per noi condurre un esemplare fino alle mura al buio.
-Non sarà necessario, - parlai di nuovo, -se brevettiamo uno strumento impermeabile alla luce da usare sui giganti anche in presenza del sole.
-E quello non ci manca, Claire! – esclamò ancora una volta la Caposquadra. –Io e la mia squadra stiamo lavorando sulla costruzione di un telo scuro da cui non filtra alcun raggio solare. Lo avevamo progettato per sperimentarlo durante una missione per capire l’effetto della luce su di loro, ma… credo che in questo caso ci tornerà ancora più utile.
-Ce ne servirà uno di dimensioni mastodontiche – le ricordò Moblit.
-Faremo del nostro meglio – rassicurò lei. –Allora, che ne pensate?
-Spero che sia come dici, Hanji – disse Erwin. –Sarà una vera e propria scommessa: l’idea potrebbe funzionare, ma questa volta dipenderà tutto dall’efficacia dei nostri mezzi.
-E dalle competenze di chi avrà il compito di portare a termine la missione – aggiunse il capitano.
-Credi che la tua squadra sia in grado di combattere in prima linea per attuare il piano di cattura, Levi? – domandò il Comandante.
-Le potenzialità dei membri del mio gruppo sono grandi. Sapete tutti comunque che la loro esperienza è minima, - parlò il corvino, poi guardò me, -ma se davvero hanno intenzione di dare una mano nell’operazione, posso garantire la loro disponibilità.
Gli occhi degli ufficiali si rivolsero a me.
-Claire gode della loro piena fiducia, più di me – riprese Levi. –Darà un grande contributo nell’elaborazione delle strategie d’attacco.
-Pensi di riuscire ad affiancare Levi anche questa volta, Claire? – Erwin pose la fatidica domanda.
-Credo di sì, signore. Ce la metterò tutta – dissi, arrossendo. Sapevo infatti che ormai persino Erwin conosceva l’intesa instaurata tra me e il caporale maggiore.
L’incontro giunse al termine: finalmente avrei potuto recarmi a Karanes senza più essere interrotta da qualcuno.
Fuori la sala “conferenze”, Hanji venne verso di me. –Claire, ti ringrazio infinitamente del tuo sostegno, ero convinta di poter confidare in te! Magnifica l’idea della luce, ci impegneremo.
Le sorrisi, avviandomi all’esterno della caserma. Levi si presentò con discrezione al mio fianco. –Non la smetti proprio di assecondare la Quattr’occhi, non è così?
Gli sorrisi. –La causa per cui si batte è molto importante, più della mia incolumità – gli dissi. -Presto quella donna farà la storia, ne sono convinta. È solo questione di tempo.
 

Spazio Autore: buonasera, fan di Attack On Titan!
Mentre il Corpo di Ricerca si appresta a mettere in pratica la prima decisiva missione di cattura, una nostra amica quattr’occhi scopre la relazione amorosa tra i due protagonisti della storia… e potete immaginare l’imbarazzo dei due! Però, nonostante tutto, Hanji la si vuole bene. Chi è arrivato a questo punto del racconto sa bene che il suo personaggio mi affascina. Molto spesso, addirittura la incontro nel mondo dei sogni (stanotte, ad esempio, era la mia prof di scienze… sono malata, lo so XD).

Non mi resta che continuare la storia. Alla prossima!
 
 

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Capitolo 24
*** Vecchi libri, disegni, intrighi ***


24. Vecchi libri, disegni, intrighi

Il tempo di quella mattina era uno dei più piacevoli e candidi di sempre.
Nel distretto di Karanes, era finalmente giunta la primavera: il cielo era limpidissimo, la gente allegra e spensierata assolveva i propri doveri, i mercanti invitavano i passanti ad avvicinarsi alle loro botteghe.
Da piccola, avevo sempre osservato quella realtà in maniera ingenua, convinta che, nonostante tutto, l’umanità potesse godere di quella pace apparente per sempre, benché, come mi avevano detto, molti chilometri più lontano da lì vivessero creature abominevoli e orride.
Diversi eventi influenzarono il mio modo di pensare: primo tra tutti la morte di mia madre, la caduta del Wall Maria, poi la mia prima spedizione, infine la sconvolgente verità di cui Erwin mi aveva messo al corrente.
Adesso, tutto mi pareva fittizio, banale e fasullo. Ma certamente non avrei potuto prendermela con dei poveri popolani ignari di tutto.
Giunta a Karanes con il mio caro Edmund, decisi finalmente di iniziare a investigare. Avevo deciso prima di tutto di recarmi nella mia vecchia casa natale, nonostante fosse stata nuovamente abitata da un nucleo familiare qualche anno prima.
Quella piccola casetta esteriormente non era affatto cambiata: era situata in fondo ad una strada, e godeva di un piccolo giardino retrostante, adesso malmesso e abbandonato, che probabilmente serviva davvero poco alla nuova famiglia. Non molto distante da quel complesso abitato, mia madre aveva brutalmente perso la vita.
Non appena ebbi bussato alla porta, una signora di mezz’età venne ad aprirmi. Osservando la mia divisa, si scompose un po’.
-Buongiorno, desidera…?
-Salve, signora. Sono la figlia dei vecchi proprietari di questa casa – iniziai.
Ella parve un po’ apprensiva, conoscendo probabilmente la storia della famiglia che aveva abitato in precedenza.
-Non la importunerò molto. Vorrei sapere soltanto una cosa: può cortesemente ricordare se, al momento dell’acquisto di quest’opera, i gendarmi avevano già sgomberato le camere da tutto ciò che vi fosse in precedenza?
Ella ci pensò qualche attimo, poi convocò il marito, un signore snello, calvo e baffuto, anche lui sui cinquant’anni, il quale fu in grado di offrirmi una risposta: -Sei figlia di Ivàn Hares, vero?
I miei occhi si illuminarono, e annuii.
-Ascolta, i gendarmi hanno subito fatto piazza pulita di tutto quello che c’era qui dentro, ma ti assicuro che non hanno portato via niente. Tutto ciò che poteva essere salvato è stato trasportato nel negozio del signor Quinx.
Quel nome revocò nella mia mente la storica bottega di antiquariato della città, situata a ovest del distretto. Dopo aver ringraziato di cuore la coppia, mi misi subito in marcia per raggiungere la mia nuova meta.
Sulla strada, adocchiai la falegnameria del signor Ral; lui e mio fratello erano sicuramente indaffarati nelle loro mansioni, ma decisi comunque di passare e rendere loro un saluto.
Entrai senza pensarci due volte, e benché li vidi entrambi, erano così occupati da non accorgersi della mia presenza.
-Signori, avrei bisogno di un lavoro di manutenzione al guardaroba in legno – scherzai, ridacchiando.
-Claire! – esclamarono entrambi. Lex mi venne incontro, abbracciandomi come al solito.
-Sei venuta un’altra volta con la tua squadra? – mi chiese quest’ultimo.
-Non proprio. Ho un compito importante da svolgere per ordine del Comandante Smith – inventai, avvilita per il fatto che non potessi ancora rendere Lex cosciente di quanto saputo. –Ne ho comunque approfittato per salutarvi. Io e Petra sentiamo molto la vostra mancanza.
-La mia piccola Petra sta bene? – chiese il padre della ragazza.
-Un amore. Penso si sia presa una cotta per un nostro compagno, per giunta – non riuscii a trattenermi. Dovevo prepararmi ad affrontare l’ira di quella piccola testa ramata.
-Davvero? – domandò sbalordito il signor Ral. –Chi sarebbe?
-Non dirò altro, o lei mi ucciderà prima che possa farlo un gigante – risi, poi osservai mio fratello, un po’ scosso. –Lex, qualcosa non va?
Lo vidi leggermente preoccupato. Si levò la polvere dalle mani, per poi grattarsi il capo. –Non preoccuparti. Ora che ti ho vista, sto meglio.
Mi irritava il fatto di non potergli dire la verità, al contempo ero agitata perché era chiaro che qualcosa lo tormentasse. Lo condussi fuori dalla bottega, trattenendolo il giusto tempo prima di essere costretta a riprendere il mio percorso. –Lex, non posso trattenermi a lungo. Se è successo qualcosa di brutto, ti prego di dirmelo.
Sbuffò, poi iniziò a scrocchiarsi fastidiosamente le dita. –D’accordo, lo farò. È molto banale, ma forse mi permetterà di sentirmi meglio: so che è altamente strano, che non capiterà mai perché so che sei forte e grandiosa, ma ho sognato che eravamo fuori le mura, e che tu venivi divorata da un gigante.
Se fosse stato Levi, o Petra, o Gunther a parlare, non mi sarei scandalizzata tanto. Frequentemente, l’incubo di noi soldati era quello di vedere i nostri compagni morire per mano di quei mostri. Eppure, dopo la rivelazione di Lex, mi resi conto di un fatto assolutamente irrealizzabile: -Ma com’è possibile? Tu non li hai mai…
-Lo so, me ne rendo conto: io non li ho mai visti. Ecco perché sono ancora tutto scosso – sospirò. –Non ho idea di come abbia fatto. Certamente, per immaginarmeli mi hanno aiutato i libri che ho avuto modo di leggere nel corso della mia vita e i tuoi racconti epistolari. Eppure, mi sembravano così reali e spaventosi…
-Ho capito, ma sappi che è alquanto impossibile immaginare la loro ira famelica senza averla sperimentata. Io ho imparato a farci l’abitudine, ma tu… - mi massaggiai la tempia. –Lex, dimentichiamo questa storia, va bene? Io sono qui con te, non ho ancora fatto la brutta fine che hai immaginato, ti prometto che non accadrà. Per te, per Levi. Non è che non mi importa di te, ma ho già altre cose che, ultimamente, mi stanno un po’ distruggendo psicologicamente. Non voglio ulteriori pressioni.
Mi strinse a lui. –Hai ragione, scusami per avertene parlato. Ma mi sento meglio.
-Allora va bene così – risposi. –Ti giuro che questa cosa non accadrà mai, lo giuro.
Rimasi a chiacchierare con lui di tutt’altro – ne approfittai per parlargli della missione di cattura organizzata dalla Caposquadra Hanji -  finché suo padre non chiese il suo aiuto. A quel punto, fummo costretti a congedarci ancora una volta e a ritornare alle nostre faccende. Per un attimo, avevo pensato di portarlo con me, ma pensai che non sarei stata in grado di dargli spiegazioni sul perché avessi deciso proprio allora di andare alla ricerca di tutto quello che era rimasto nella nostra vecchia casa. Ripresi la marcia, senza dare il tempo a me stessa di pensare a quello strano incubo che aveva tormentato così tanto Lex.
Subito approdai davanti la bottega del signor Quinx; al suo interno, mi accolse il piacevole tintinnio di alcuni campanellini non appena avevo aperto la porta, oltre che un suggestivo odore di antico. Davanti a me, vi erano tantissimi pezzi di storia della città, da vecchie sedie e tavoli in mogano a scaffali contenenti cianfrusaglie di ogni genere, da libri a vasi in ceramica.
-Un soldato ricognitivo nel mio negozio? – parlò una voce alle mie spalle, mentre avevo già iniziato a dare un’occhiata intorno.
Il signor Quinx aveva un aspetto davvero saggio: un atteggiamento sobrio ed elegante, baffi lunghi e curati e qualche capello bianco sulla testa. In effetti, non era cambiato da quando io e Petra, da piccole, giocavamo a nascondino proprio nei pressi del suo negozio.
Gli sorrisi, dopo avergli augurato un buongiorno gli spiegai il motivo per cui mi trovavo nella sua bottega.
Egli si lisciò il mento, andò dietro il bancone dal quale era provenuto, controllando un librone poggiato su di esso, che aprì faticosamente, per poi sfogliarlo. Si sistemò più volte gli occhiali affinché potesse studiare con attenzione le parole impresse e dopo un po’ mi fece cenno di seguirlo nel luogo più profondo del negozio, nascosto inizialmente da un vecchio pianoforte da muro: non ebbi tempo di studiare quel meraviglioso oggetto, più interessata, lo ammetto, a scoprire qualcosa di proprietà della mia famiglia.
Non impiegai molto a riconoscere qualcosa che era risieduto nella mia casa praticamente da sempre, ossia una sedia a dondolo di legno chiaro. A detta di Lex, lì avevo avuto modo di conoscere la musica di mia madre per la prima volta attraverso la sua dolcissima voce.
Mi avvicinai lentamente alla sedia, chiesi il permesso per poter farne uso, e mi sedei, lasciandomi lentamente cullare.
La sedia scricchiolava un po’; d’altronde, da anni non era stata toccata, a detta del proprietario del negozio, ma nonostante fosse un oggetto tanto grazioso nella sua semplicità, era una delle poche cose che non avevano trovato un cliente disposto a comprarle.
-Le interessa? – domandò gentilmente l’uomo.
Gli sorrisi. –Non avrei idea di dove metterla. Al momento, vivo nella caserma dell’Armata Ricognitiva – spiegai. –Ha qualcos’altro da mostrarmi?
Egli ci pensò un po’ su, dopodiché, mentre ero ancora seduta, si diresse ad una libreria, dove tirò fuori un libro consumato, che non tardai a riconoscere.
Il signor Quinx mi rese il vecchio raccoglitore di mio padre, in cui conservava specialmente tantissimi disegni che, nonostante fossero di una perfezione assoluta, venivano scartati e  giudicati negativamente dalla sua creatrice.
Con impazienza, presi il libro, sfogliandolo incuriosita ed eccitata. I disegni erano tutti lì dentro! Potei nuovamente osservare gli schizzi delle sue pregiate magnolie, i ritratti di mio padre e di mio fratello, il paesaggio di montagna che aveva rappresentato durante una gita… tutto ciò era esattamente a pochi centimetri dai miei occhi!
-Adesso ricordo, - disse all’improvviso il signor Quinx, -il giorno in cui i soldati mi resero quello che erano stati in grado di salvare della sua vecchia casa. Non erano intenzionati a vendermi questo libro, probabilmente volevano tenerselo per loro per quanto fossero belli quei disegni – ridacchiò.
Ingenuamente, non feci caso a quanto mi avesse detto, troppo presa a osservare quel ritrovamento tanto importante per me.
Il signor Quinx fu chiamato da un nuovo cliente, io ne approfittai per rimanere a guardare i disegni sulla vecchia sedia prima di andare a pagare il libro; richiudendo quest’ultimo, tuttavia, mi imbattei nell’ultima illustrazione:


 
Ero assolutamente incredula. Per un attimo, iniziai addirittura a domandarmi se non stessi avendo le allucinazioni. Ma no. Il campanile che avevo visto in sogno successivamente il ritorno dalla mia prima spedizione era davanti a me, in un disegno meglio rifinito e più completo.
Il fatto di averlo rivisto mi fece inizialmente pensare, allora, che quella costruzione architettonica potesse realmente esistere, e che io e mia madre avevamo avuto modo di osservarla da vicino durante una nostra visita per le campagne del Wall Rose.
Rimaneva comunque il fatto che chiunque al quale avessi chiesto informazioni su quel campanile non era in grado di riconoscerlo. Che dovessi continuare ad approfondire le ricerche?
Tuttavia, ciò che più mi sbalordiva era la somiglianza tra quello che avevo visto io in sogno e la figura rappresentata sul foglio ad opera di mia madre. La posizione e il punto di vista erano gli stessi.
Tirai il disegno fuori dal raccoglitore per studiarlo meglio. Solo dopo, mi accorsi di un’iscrizione lasciata sul retro.
 
Il campanile di Catherine che persino le mura e la loro storia ignorano.
 
Rimasi nuovamente spiazzata. Non solo perché mi ero resa conto che la calligrafia era di mio padre, soprattutto perché era palese che egli intendesse rendere chiara l’inesistenza di quell’architettura.
-Tutto bene, signorina? – chiese il signor Quinx.
Deglutii a fatica, annuendo. –Sì. Prendo questo, per il momento, - indicai il raccoglitore, -per la sedia ci devo pensare ancora un po’.
Egli mi sorrise, invitandomi ad avviarmi al bancone.
-Travagliata la vita di un ricognitore, dico bene? – chiese l’uomo, mentre gli rendevo il denaro.
-Abbastanza. Pochi si rendono conto di quanto sia difficile per noi combattere contro quei mostri che ci sopprimono, ma per me è la ragione più importante per continuare a vivere – dissi. –Non mi sta bene lasciar morire l’umanità in un posto così ristretto. Io non lo so con sicurezza, ma… so per certo che il mondo intero è infinitamente più vasto di tutti gli ettari di terra che ci sono rimasti.
Il signor Quinx mi sorrise di nuovo. –Non tutti condividono la sua opinione, lo capisco – spiegò. –Eppure, ciò che dice è molto nobile, specialmente per una ragazza come lei.
Abbassai il capo, aspettando che terminasse di impacchettare l’oggetto acquistato. –Le prometto che prima o poi la libererò dal peso della vecchia sedia. – intervenni. –Se ci riesco, anche del pianoforte da muro.
-Non preoccuparti. Questi vecchi nobili mi tengono compagnia, in un modo o nell’altro! – esclamò lui, poi mi diede le spalle, da un comodino sollevò un nuovo tomo. –Se ti interessano tanto i disegni, potrei venderti questo.
Mi mostrò le pagine ingiallite di un antico libro nero, su cui potei ammirare ritratti incantevoli realizzati con la matita rossa.
-Li realizzò un anziano discendente di quegli uomini che, prima delle costituzione delle mura, abitavano le terre più ad est del mondo.
Rimasi affascinata dal racconto, ancor di più dalle illustrazioni che mi mostrò.
Fui in grado di acquistarlo a pochissimo prezzo. Ancora titubante da una parte, incantata dall’altra, decisi di ritirarmi nuovamente nei territori interni coi miei due nuovi acquisti, ripensando agli uomini d’Oriente da cui discendeva il realizzatore dei disegni del tomo dalla copertina rossa.
 
Tornata al Quartier Generale, non avevo voglia alcuna di riposarmi dopo il viaggio che avevo intrapreso quella mattina da sola, poiché desideravo rendere Erwin quanto prima consapevole di quel bizzarro ritrovamento.
Ma il Comandante Smith mi aveva preceduto: aveva mandato un soldato a cercarmi perché potessi recarmi di nuovo nel suo ufficio. Perciò, misi il raccoglitore di mio padre sotto al braccio e partii spedita nel suo studio.
Ero in preda all’eccitazione, tant’è vero che a stento mi ricordai di bussare prima di entrare nella stanza. Aprii la porta con grande inquietudine, eseguendo il solito saluto militare. –Comandante, signore, devo parlarle di una cosa importante – mi rivolsi a lui, ma ben presto i miei occhi si focalizzarono su un altro obiettivo, sulla figura del piccolo soldato corvino in piedi accanto a lui, a braccia conserte.
-Salve, capitano – conclusi, preoccupandomi di quello che avrebbe potuto pensare Levi vedendomi correre con così tanta fretta nell’ufficio del soldato biondo per comunicargli qualcosa di così rilevante, di cui lui però era ancora all’oscuro. –Posso passare dopo, Comandante Erwin.
-Non preoccuparti, Claire – intervenne quest’ultimo. –Proprio ora ho finito di mettere al corrente Levi di questa faccenda.
Avanzai lentamente verso la scrivania dietro la quale, ancora una volta, era seduto, chiedendomi perché egli avesse cambiato idea così rapidamente.
-Signore, il capitano Levi…
-Ho pensato che sarebbe stato utile coinvolgerlo in questa faccenda, per diversi motivi – iniziò Erwin. –Riesco sempre a trarre vantaggio dalla sua collaborazione, inoltre ci servirà per una cosa di grande importanza.
-Tch. La verità è che Erwin non è in grado di fare le cose da solo, a stento riesce ad andare in bagno – ironizzò il caporale, strappandomi un sorriso. –Bell’impiccio, quello in cui vi siete messi.
-In ogni caso, - riprese il biondo, -c’è qualcosa di cui volevi parlarmi, Claire. Vero?
-Sissignore – dissi, facendomi seria. –Ora che ci penso, non è così importante come credevo. Magari lei, in mia assenza, è riuscito a scoprire molto di più. Comunque, - aprii il raccoglitore, -stamattina ho trovato in una bottega di antiquariato diversi disegni di mia madre, tra cui anche questo.
Gli mostrai il disegno che più mi aveva colpito. Erwin cominciò a studiarlo con grande attenzione, il soldato al suo fianco già pareva mezzo attonito.
-Se mi concede, Comandante, vorrei chiederle se lei è mai stato in grado di intravedere quest’architettura nelle mura.
Erwin ci pensò un attimo. –Credo di no, Claire.
Il mio cuore già iniziò a battere impetuosamente, ma non conclusi certamente lì il mio discorso: rovistai dalla tasca del giacchino, tirando fuori il pezzo di carta piegato sul quale avevo eseguito la mia versione del campanile.
Spiegai il foglio, porgendoglielo. –Qualche mese fa, dopo la quarantottesima spedizione oltre le mura, ho visto in sogno lo stesso campanile, e l’ho disegnato la mattina seguente.
-Lo hai mostrato anche a me, non è vero? – chiese sbalordito Levi.
Annuii, osservando i loro volti confusi e sbalorditi.
-Io non ricordo… non ricordo di essere mai entrata in possesso di un qualsiasi oggetto che mi ha permesso di farmi conoscere questa strana architettura, l’ho riferito all’epoca anche al capitano – dissi al Comandante.
Erwin si schiarì la voce. –Dovremmo controllare meglio nelle varie città, forse anche nei piccoli paesi tra le mura.
-Comandante, vorrei farle leggere cortesemente ciò che sta scritto dietro il disegno di mia madre – gli dissi, con voce un po’ preoccupata.
Dopo aver rivolto il disegno, lo sguardo di Erwin si riempì di apprensione, il che non mi fece affatto sentire più consolata di prima. Ora il mistero era sempre più rilevante e intrigante, una matassa che non saremmo mai stati in grado di districare con facilità, giudicai.
-Che cosa può mai significare tutto questo? – chiese Levi. –Se fosse stato soltanto immaginato da te, sarebbe stato normale. Invece c’è di mezzo anche tua madre, Claire.
-Non disperatevi per niente – proruppe Erwin. –Forse quello a cui vi metterò a conoscenza potrebbe risolvere anche questo enigma, se siamo fortunati.
Erwin aprì una busta di carta riposta davanti a sé, sopra al libro dalla copertina verde che mi aveva mostrato già in precedenza; ne prelevò il contenuto: dentro vi erano sistemate ulteriori buste da lettera che probabilmente potevano avere più anni di me.
-Non sei stata la sola a trovare qualcosa di importante. Ho scoperto che a Ragako c’erano più cose su mio padre di quanto pensassi – ci mostrò le lettere. –Tra i mittenti, c’è anche il tuo. Si menziona il nome di una persona da cui ne pervengono altre.
Sistemò sul tavolo una delle epistole di cui aveva parlato.
 
22 settembre, anno 815
Ho avuto da fare, lo sai bene. Non è semplice trovare del tempo a disposizione nella mia situazione. Nemmeno posso sparire dalla circolazione in questo modo: tra chi si insospettirebbe e chi domanderebbe della mia assenza – mio padre è vedovo, non è facile vivere con lui – non posso proprio muovermi da Karanes per raggiungere Ragako. Se solo penso che, fino a un paio di anni fa, io e mio padre praticamente ci recavamo lì ogni settimana, mi dispero!
Ti racconterei tutto ciò di cui mi ha messo al corrente Loris. Non è semplice, né tantomeno potrei parlartene qui. Sento di poter fare affidamento a lui, pare uno che conosce molte più cose di quelle che dovremmo sapere. Penso che, grazie a lui, potremmo approfondire le nostre ricerche.
 
Erwin ci illustrò una seconda lettera, scritta più recentemente rispetto alla prima.
 
11 aprile, anno 821
Ormai non ci resta molto da fare. Molti degli uomini di Loris sono improvvisamente scomparsi dalla circolazione, e lui si è ritirato nei territori interni. Ha scelto la miseria di quel posto famigerato al di sotto della capitale, anziché continuare a lottare per quello in cui noi crediamo. Tutto ciò è triste. Credo che sia meglio lasciar perdere, al momento. Penso a Catherine, al bambino che porta in grembo. Per il momento dobbiamo attendere, non saremo in grado di portare avanti niente in queste condizioni. Continuiamo la vita di tutti i giorni.
Sono tremendamente pessimista. Vedo il ventre di mia moglie e penso che nemmeno mio figlio sarà capace di condurre a termine la missione. Saremo sempre in pochi a guardare il mondo da questo punto di vista, nemmeno la gente come Catherine sarà in grado di cambiare la situazione che persiste dietro le mura del Maria.
 
-E’ ormai chiaro che mio padre e il tuo collaborassero da diverso tempo, Claire – disse Erwin. –E in mezzo c’è una terza persona: Loris Conrad.
Ero ancora scombussolata dal racconto epistolare di mio padre, ma tentai con tutte le forze di rimanere lucida e di seguire il discorso di Erwin. –Conrad? – ripetei.
-Ho qui il rapporto di stamattina – continuò. –Pare disoccupato, in realtà ci sono molti testimoni che lo indicano come uno tra coloro che controllano i traffici di merci proibite nei territori interni. Ora, non so dirti il motivo per cui tuo padre e il mio sembrassero così interessati a lui, ma sembra che viva tutt’ora nella capitale, per essere più precisi, nei suoi latifondi.
Premei un dito sulla tempia, pensierosa. –Non capisco il motivo per cui quest’uomo chiaramente di basso rango sia così importante, per di più mio padre non ha mai accennato alla sua esistenza. Forse perché ne aveva troncato i rapporti già prima della nascita di mio fratello…
-Ma è l’unico a cui possiamo far riferimento per avere un minimo di chiarezza, giusto? – domandò Levi.
-E’ così – aggiunse Erwin. –Ho dato un’occhiata alle lettere che questo Conrad mandava a mio padre. Te le lascerò, Claire: molte parlano di Catherine Hares, e fanno riferimento ad uno strana dote che, stando alle parole di questo tizio, “lei e gli uomini d’Oriente conoscono bene”.
Ancora gli uomini d’Oriente, in tutto questo?, pensai. Poi, mi soffermai sul rapporto che esisteva tra questi e mia madre.
-Oriente… - riflettei, ma nessuno parve ascoltarmi.
-Hai idee su come cercare questo tizio, Erwin? – chiese Levi, premendo le mani sulle mie spalle. Quella piccola attenzione mi consolò il giusto, nonostante me l’avesse concessa proprio mentre sedevo di fronte il capitano di divisione.
-Non deve essere tanto difficile, dopotutto – il biondo sorrise sornione. –Un paio d’anni fa, sono riuscito a portarti fuori di lì, chi mi dice che non sarò in grado di rintracciare Conrad?
Levi, probabilmente un po’ a disagio, si allontanò da me, rimanendo in silenzio.
-Signore, ha veramente intenzione di recarsi nella città sotterranea per una cosa del genere? – intervenni. –Corriamo grossi rischi: d’altronde, per come la pensiamo, è proprio la Gendarmeria ad aver fermato coloro che, come mia madre e suo padre, la pensano diversamente dai restanti cittadini.
-Non giudicare così prematuramente, Claire. So bene che i gendarmi poco hanno fatto perché si facesse chiarezza sull’omicidio di tua madre, ma dobbiamo rimanere lucidi. Sono soldati come noi, e saranno proprio loro a permetterci di rintracciare Conrad.
-Prevedo un altro folle piano da parte tua, Erwin – disse il corvino. –Eppure, da come ho capito, ti servirò in qualche maniera.
-E’ così – Erwin annuì. –Riusciremo a risalire a Conrad, gli parleremo di questa storia. E forse lui, meglio di chiunque altro, può chiarire ai fratelli Hares le condizioni di Ivàn, oltre che, probabilmente, il mistero del campanile.
-Verrò con lei, Comandante?
-Assolutamente sì. Forse è il momento che tu coinvolga anche Lex per questa faccenda, occorrerà anche il suo aiuto – aggiunse il biondo. –Molto presto vi spiegherò come arrivare a Conrad, nel frattempo dedicatevi ai preparativi della prossima missione di cattura, è chiaro?
-Signorsì! – esclamai.
Notai che Levi non pareva intenzionato a raggiungermi nei corridoi. Una volta fuori l’ufficio, lo sentii parlare preoccupato con Erwin: -Vuoi davvero che lei venga lì sotto? Sei così poco lucido da aver dimenticato che posto di merda è quello?
-E’ una cosa che riguarda più lei, che me. Anzi, riguarda proprio tutti – ribatté l’altro. –Attento a non intrometterti troppo. È lei che deve decidere.
Levi terminò la conversazione: -sei proprio un fottuto egoista, - ed uscì dalla porta con indifferenza.
Camminammo tranquillamente nei corridoi vuoti; ci aspettava l’ultimo pasto nel refettorio prima di andare a dormire. Lungo il tragitto, il piccolo caporale mi prese per mano.
E fu proprio quel gesto semplice e significativo a spingermi a parlare finalmente con lui di ciò che mi turbava in quei giorni. Della relazione tra i miei genitori e il Signor Smith, della possibilità che tutto quello teorizzato da loro, benché molto lontanamente, poteva essere vero, della strabiliante scoperta del disegno di mia madre tanto simile al mio.
-Levi, non ho idea di cosa fare! – terminai, torturandomi una ciocca di capelli. –E’ successo tutto questo a distanza di così poco. Sono quasi terrorizzata da questa faccenda. Insomma, sono riconoscente nei confronti di Erwin per avermi messo al corrente di tutto questo, ma questa storia mi sta turbando tantissimo.
-Per me, tu fungi un po’ da capro espiatorio, per lui. Se ti presenti a Conrad come figlia di Catherine e Ivàn Hares, magari sarà disposto a raccontarci molte più cose. Però, non ti nascondo che io nutro molta fiducia in Erwin, - confessò lui, -e credo che sarà proprio lui quello che ti aiuterà a scoprire di più dietro la morte di tua madre. Io al tuo posto la vedrei così. D’altronde, è possibile che tuo padre adesso sia tornato a collaborare con Conrad, no?
Rimasi un po’ a pensarci. –Non sarei entusiasta di rivederlo. Preferirei di più che fosse fatta giustizia per mia madre, e che quegli stessi aggressori non cerchino più di far fuori mio fratello, oltre che me.
-Hai paura?
-Temo un po’ per Lex, ecco perché non sono convinta di approfondire la questione con quel Conrad, nonostante voglia saperne di più. Ma non potrò mai stare lì ferma: sono un soldato dell’Armata Ricognitiva, e il mio conto è anche scoprire quanto più sul mondo che ci circonda.
Deglutivo preoccupata, cercando quanto più conforto nel mio amato, che mi regalò uno sguardo di sincero affetto e comprensione. –Anche io ho un po’ paura – ammise. –Claire, io, a differenza tua, so a cosa andiamo incontro una volta scesi lì sotto, temo che tu finisca in una situazione di grande pericolo. Ma non ostacolerò le tue decisione: fa’ ciò che sia meglio per te – Levi bloccò il polso dell’altra mano. Eravamo solo lui ed io, in un buio e silenzioso corridoio della caserma. –Solo una cosa ti chiedo: lascia che ci sia io al tuo fianco.
Gli sorrisi, annuendo. Contavo davvero così tanto per lui? Mi emozionai, al punto tale che una lacrima mi rigò il volto. Il suo sguardo era sempre impassibile, ma dai suoi occhi trapelava una grande preoccupazione.
Levi, difatti, aveva una particolarità del tutto sua: chiunque lo descriveva come l’uomo più indifferente, dallo sguardo sempre seccato. La verità era che, benché il suo tono di voce si contraddistingueva per essere pacato, eppure tagliente come le lame che impugnavamo in battaglia, era in grado di comunicare con gli occhi ogni sua apprensione o stato d’animo.
-Guarda che sono serio – mi scompigliò la chioma.
-Lo so – mormorai imbarazzata, con un sorriso stampato sul volto. –Te lo lascerò fare, capitano.
Riprendemmo a camminare, finché non fummo costretti a separarci come raggiungemmo il refettorio. Velocemente, prima che facessero irruzione i miei compagni più stretti, iniziai ad abbozzare una lettera a mio fratello in cui gli spiegavo di dovergli parlare con urgenza di una faccenda riguardante la nostra famiglia.
Cercare di formulare frasi da cui non si potesse ricavare tutto quello che avevo intenzione di dirgli non fu semplice. Completai il mio lavoro più tardi, dopo essermi ritirata nei dormitori. La giornata di Petra doveva essere stata parecchio faticosa, perché ci impiegò davvero poco ad addormentarsi. Io, invece, dopo aver lasciato una candela accesa ai piedi del mio letto e aver scritto la mia lettera a Lex, iniziai a sfogliare l’antico libro di disegni comprato la mattina prima.
I disegni, realizzati con una matita rossa, tutt’altro che semplice da ritrovare, persino nelle botteghe specializzate, erano davvero particolari. I tratti dei paesaggi, dei soggetti erano curati con assoluta precisione. Gli ambienti circostanti che intravedevo nelle figure mi portavano a immaginare una natura completamente diversa, che poteva risiedere solo all’estremo est del mondo, in terre ormai abitate solo ed esclusivamente da giganti.
Uno degli ultimi capolavori contenuto nel tomo fu di una bellezza sbalorditiva: un lago infinito si apriva agli occhi dello spettatore e un sole gigantesco lo illuminava all’orizzonte. Ciò che più mi colpì fu la riva, da cui giungevano piccole onde che si dissipavano non appena toccavano il terreno.
Quell’immagine mi riportò al sogno in cui avevo immaginato Furlan e Isabel. L’ambientazione era quasi la stessa!
Non saprei dire se fossi rimasta ancora una volta sbalordita – durante quella giornata ne avevo già passate abbondantemente di cotte e di crude! – ma preferii spegnere la candela con un soffio per concedermi qualche ora di riposo, prima di ripensare nuovamente a tutto quello che mi aveva turbato lo stesso giorno. A seguito di tutti quegli avvenimenti, solo il ricordo di Levi che stringeva la mia mano poteva farmi dimenticare in un solo istante tutti i miei tormenti e mi consentì un dolce momento di tregua prima di prendere nuovamente parte alla faticosissima vita di sempre.
 
Spazio Autore: con un po' di ritardo, vi auguro una buonasera!
Finalmente ho concesso alla protagonista una nuova visita a Karanes, dove l’ha attesa un ulteriore intrigo da risolvere. Se vi siete ricordati find da subito del campanile che la nostra Claire ha disegnato qualche capitolo precedente, allora avrete provato anche voi il minimo di stupore. Il capitolo successivo, magari, sarà in grado di risolvere qualche mistero… ma non rimarrò troppo tempo a dilungarmi, non spoilerò ;).
Manca poco più di un mese alla prima puntata della terza stagione dell’anime… Ad esser sinceri, non sto più nella pelle! E voi?
Ringrazio di cuore chi sta recensendo ogni volta. Sto ricevendo tantissimi commenti e, detto francamente, nemmeno credo di meritarne così tanti!
Al prossimo sabato!

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Capitolo 25
*** Una nuova speranza ***


25. Una nuova speranza
 
A seguito di quel lunghissimo giorno, non vi furono ulteriori novità nel Corpo di Ricerca. La squadra di Levi, cui io facevo sempre parte, continuava ad allenarsi e a sperimentare nuove tecniche di manovra utili per la missione a venire, quella ideata da Hanji Zoe, che sarebbe stata messa in atto da lì a pochi giorni; quest’ultima lavorava incessantemente sulle trappole per giganti più all’avanguardia, e non aveva affatto ignorato il mio suggerimento di sfruttare l’effetto della luce solare per catturare uno quei mostri, il che mi rendeva personalmente assai orgogliosa. Erwin Smith si era recato diverse volte nei territori interni per ottenere, ancora una volta dopo due anni, il mandato per poter transitare nella famigerata città sotterranea: certamente, la cittadinanza nei territori del Wall Sina ottenuta al momento della sua promozione a comandante di divisione giocò a suo favore in quell’impresa. A tal proposito, risparmio al lettore la descrizione delle pratiche legali che quest’operazione aveva richiesto: meriterebbe una spiegazione più precisa e accurata che io, che manco tutt'ora di esperienza negli affari burocratici, non sarei mai in grado di trasporre in queste memorie.
Non rimarrò molto tempo a raccontare la reazione di mio fratello il giorno in cui l’avevo incontrato in caserma e, aiutata anche da Levi, al campo d’addestramento (l’unico luogo deserto che trovammo quel dì) gli avevo parlato per la prima volta delle opinioni sul nostro mondo che i nostri genitori condividevano col signor Smith e che non avevano mai voluto rivelarci.
Come d’altronde avevo fatto io, rimase assolutamente attonito e incredulo, e si domandò più volte se effettivamente avesse avuto modo di sentir parlare di Smith o di Conrad, alla ricerca del quale saremmo partiti a breve.
Al lettore basta sapere che, dopo un paio di settimane, tenendo all'oscuro i restanti membri del Regime Esplorativo, io, il Comandante Erwin, il caporale maggiore Levi e mio fratello Lex partimmo dal Quartier Generale dell’Armata Ricognitiva per i territori interni, alla volta della città sotterranea.
Non ero convinta di condurre in quel luogo miserevole anche Lex, soprattutto perché anche io, nonostante mi fossi battuta poco con giganti e mai con esseri umani, vantavo di un addestramento durissimo e intenso durato ben tre anni, mentre mio fratello non disponeva di una grande quantità di forza per autodifendersi. Eppure, se Levi, a cui tanto importava la mia incolumità, aveva acconsentito ad accompagnarmi e ad appoggiare la mia decisione, allora io non potevo certamente impedire a mio fratello di vivere in prima persona un incontro di straordinaria importanza per lui quanto per me.
 
In ogni caso, dopo esserci messi in marcia, Lex pareva assai preoccupato. Nonostante le sollecitazioni di Erwin, ci ripeté che non aveva mai avuto modo di venire a capo di tutte quelle ipotesi che i nostri genitori sostenevano, tantomeno dell’esistenza di Loris Conrad.
Nella carrozza che ci stava conducendo verso la capitale, strinsi la mano di mio fratello, seduto accanto a me.
-E’ davvero così terribile, lì sotto? – ansimò lui.
-E’ il posto più schifoso di questo mondo, puoi contarci – disse con sincerità Levi, evitando di incontrare il suo sguardo. Quest’ultimo, inoltre, ci aveva precedentemente messo al corrente dello stile di vita malfamato che persisteva in quello spazio chiuso e soffocante. Il suo racconto, come quello che mi serbò durante il pomeriggio passato insieme mesi addietro nel bosco, mi aveva fatto nuovamente accapponare la pelle.
-Posso capire la vostra preoccupazione, - aggiunse Erwin, -non è stato facile tantomeno per me mettere piede per la prima volta in quel luogo sprezzante.
-Ma andrà tutto bene – esordii. –Lex, non ti succederà niente se ci sono io, te lo prometto.
I nostri sguardi si incontrarono. Sebbene egli non sembrasse tanto confortato, giurai nuovamente a me stessa che avrei fatto di tutto per proteggerlo quel giorno.
Molto presto, scendemmo dalla carrozza e ci addentrammo nell’ingresso del luogo peggiore che potesse mai esistere. Posso dire, a differenza di molti tra quelli che leggono queste cronache, di aver visto "l'Inferno" di cui si è sempre parlato: i territori dominati dai giganti. Eppure, chi stia prestando attenzione al mio racconto sappia che quel posto ripugnante e abominevole era assai più atroce.
Quella gigantesca caverna era profonda e lugubre, oltre che eccessivamente buia e maleodorante. Ben presto mi domandai se fosse effettivamente possibile per un umano riuscire a trascorrere più di ventiquattro ore in quella cella sotterranea. Eppure, la figura di Levi, incappucciata nel suo anonimo mantello verde, che camminava davanti a me mi garantì che, ahimé, di povera gente costretta a vivere in quel luogo ce n’era.
Decidemmo di seguire Levi, che non pareva particolarmente a disagio in un luogo tetro e malfamato come quello. Ci faceva strada negli antri più bui di quella città rivoltante, gremito di uomini ubriachi, prostitute e gente di mezz'età dallo sguardo perverso o semplicemente offuscato da droghe scadenti di ogni tipo. Strinsi Lex al mio fianco, voltandomi per assicurarmi che alle mie spalle ci fosse anche Erwin, uno scudo alto circa un metro e novanta.
Esclamazioni sgradevoli e bestemmie di ogni genere pervenivano al mio orecchio. Stavo letteralmente tremando dalla paura, e il fatto che lo stesse facendo anche mio fratello non mi aiutò affatto a tranquillizzarmi. Saremmo mai stati in grado di uscire vivi da lì?
Che discorsi patetici facevo? Tuttavia, sapevo bene che era solo la vista di quel luogo trasandato e orrido a farmi ragionare in quel modo, e dovetti riflettere più volte sul fatto che la costruzione della città sotterranea rappresentava solo una conseguenza di ciò che era accaduto circa cento anni addietro prima di convincermi che, in fondo, la gente in cui ci imbattevamo non era l’unica responsabile degli innumerevoli reati e crimini che prendevano luogo lì sotto: mancavano le terre, mancava da mangiare, e quelle povere persone morivano di fame mentre, esattamente qualche metro sopra le loro teste, nobili e aristocratici vivevano ignorando del tutto quelle condizioni miserevoli che opprimevano quasi due terzi del popolo delle mura.
-Come faremo a trovare Conrad qui? – domandai. –Ci sono così tanti cittadini…
-I miei referenti hanno detto che dovrebbe abitare nei pressi di un bordello nella parte occidentale della città – ci informò Erwin. –Levi, potresti cortesemente…?
-Lo sto già facendo – rispose inorridito lui. Il suo tono di voce si era fatto decisamente più aspro e infastidito, e non potei fare a meno di pensare al dolore da lui provato per aver fatto ritorno in quel posto dopo due anni senza la compagnia dei suoi due più cari amici.
Decisi lentamente di affiancarlo. Levi non parve quasi accorgersi della mia presenza, continuando a guardare davanti a sé concentrato ma anche apprensivo. Cercai il palmo della sua mano sotto al mantello e molto presto intrecciai le sue dita tra le mie. –Va tutto bene? – chiesi, sapendo benissimo quanto in realtà gli facesse male vivere quella situazione.
-Un po’ meglio sì – la sua risposta fu del tutto inaspettata, per me! –Rimani vicino a Lex, okay?
Annuii, seguendolo al fianco di mio fratello, continuando a percorrere in silenzio il nostro tragitto.
La tensione si faceva sempre più alta, man mano che il percorso proseguiva nella parte ovest del borgo: gli strepiti e le urla divennero più fitti e un gruppo di ragazzini mi stuzzicava al mio fianco, uno di loro tentò di allungare una mano sul mio torace, motivo per cui fui costretta ad allontanarlo con la forza dopo avergli bloccato il braccio.
Ciò provocò un commento assai offensivo da parte dei ragazzi, facendomi sentire in colpa per aver attaccato un adolescente come loro.
Vi badai finché il passò di Levi notevolmente accelerò: ad un certo punto, si diresse a un vicolo cieco, dove potemmo chiaramente osservare un tale intento a derubare le tasche di un uomo senza vita, appena sgozzato dal famigerato.
Con passo felpato, il caporale si mosse in avanti, strattonò l’uomo, costringendolo a voltarsi nella sua direzione. Con poca gentilezza, Levi gli domandò informazioni su Loris Conrad, e io, preoccupata per il corvino, fui sollevata dalla risposta immediata del tale, il quale indicò la casa di Conrad come la penultima sulla stessa strada.
Levi lo liberò di scatto dalla sua presa e tornò indietro, senza concederci un solo sguardo. –Conrad è laggiù – proferì, continuando a farci strada.
Pochi secondi successivi, ci trovammo davanti a una porta in legno verde scuro vecchissima e consumata. Ero così agitata che cercai di bussare, ma, ancora una volta, Levi mi si parò davanti, precedendomi.
-Sta’ indietro, Claire – inveì lui.
Attendemmo che qualcuno venisse ad aprirci, subito si presentò sull’uscio un uomo basso, alquanto sovrappeso, completamente calvo. Le sopracciglia parevano quasi completamente assenti, gli occhi nerissimi.
Non fui in grado di comprendere se fosse rimasto spaventato dall’espressione burbera di Levi o dall’altezza di Erwin; la mano dell’uomo posata sul lato della porta consumata tremava, la sua fronte subito divenne imperlata di sudore.
-Voi chi siete? – si limitò a chiederci.
-Conrad, vero? – domandò Erwin. –Tranquillo, non siamo qui per indagare sulle tue attività commerciali.
L’agitazione dell’uomo, benché confuso, presto si attutì. Ancora una volta ci chiese chi fossimo.
-Inutile agitarsi troppo. I crimini non sono di competenza dell’Armata Ricognitiva. Almeno questo dovresti saperlo– rispose Levi.  
Ben presto, io mi rivelai, facendomi spazio tra i due ufficiali massimi del Corpo di Ricerca.
Ci vollero pochi istanti perché uno stupore improvviso si impadronisse del volto di Conrad. –Catherine?! – esclamò alcuni attimi dopo.
Il mio cuore sobbalzò nel sentire il nome di lei. Cosa poteva significare quell’esclamazione? Mi domandai poi se la somiglianza tra me e mia madre fosse davvero tanto evidente.
-Volevo dire… tu sei sua figlia, vero? – continuò lui.
Deglutii, incapace di rispondere.
-Hai qualcosa da dire, Conrad? – continuò Levi.
Egli non se lo fece ripetere una seconda volta, facendoci entrare.
L’interno era freddo e scuro, affatto accogliente. Tenni ancora al mio fianco mio fratello, che osservava Conrad con un’aria spaesata.
L’uomo continuava a guardarmi, facendomi sentire alquanto tesa. Essendo ancora sconvolta dall’aver sentito il nome di mia madre uscire dalla sua bocca, non me la sentivo ancora di proferire parola.
-Che ci fa la figlia di Hares con l’Armata Ricognitiva? – chiese lui.
-I figli di Hares, - corresse Erwin, -qui c’è anche Lexander.
Quest’ultimo tremò, ma non rimase troppo a lungo in silenzio, al contrario della sottoscritta. –Mio padre… - iniziò Lex. –Sai dov’è?
-Non ho notizie di Ivàn da diversi anni – confessò l’uomo. – Penso che quei bastardi che fanno parte del Corpo di Gendarmeria abbiano preso anche lui.
Il volto di Lex si incupì, ma io invece desideravo saperne di più. –La Gendarmeria? – ripetei.
-Vedo che sei un militare anche tu… Claire, dico bene? Sappi, ragazza mia, che i soldati non sono sempre così onesti e per bene come può sembrare.
-Cosa c’entra la Gendarmeria, Conrad? – ribadì Levi.
-Sarò sincero, l’esercito l’ho sempre schifato. Voi del Corpo di Ricerca siete gli unici che mi fate un po’ pena. Morire inutilmente contro i giganti vi fa senz’altro più onore. Giusto, caporale maggiore Levi? Sei passato dall’altra sponda. Combattere contro quei mostri è senz’altro meglio che rimanere qui a fare il malvivente.
-Già, io sono la puttana della situazione – ribatté il corvino. –Ma stavolta non ti ho portato solo gli Hares – indicò Erwin. –Qui c’è anche il figlio di Smith. Lo conoscevi, no? È morto anche lui per colpa dei gendarmi?
Conrad osservò il biondo, poi incrociò le braccia. –Fatevi due domande. Gli Hares e Smith erano in buoni rapporti, pensate davvero che, per una fatale coincidenza, siano stati tutti ammazzati da ladri o criminali di vario genere? Sono bravi, quelli, a nascondere la verità.
-Anche tu avevi buoni rapporti con loro, non è così? – chiese il biondo. –Ci piacerebbe tanto conoscere ciò che avete sempre tramato segretamente.
-Mio padre scriveva incessantemente al signor Smith di te. Qual è il segreto che mia madre e mio padre non hanno rivelato nemmeno a noi? – ribadii.
Conrad sospirò, per poi andare alla ricerca di una sedia malconcia, dove sedette. Tossì rumorosamente, come solo chi ha i polmoni torbido di fumo può fare. Nel mentre, noi quattro non attendevamo altro che il suo discorso.
-Ivàn era più giovane anche di te quando lo conobbi. Tuo nonno era un ottimo medico, un giorno lo avevo convinto a visitare mio fratello e si portò anche tuo padre con sé. Io e mio fratello all’epoca vivevamo in un piccolo villaggio del Wall Maria, fu un’impresa condurli laggiù. Tuttavia, Hares riuscì a curarlo, il che fu un grande sollievo per me, che non ero ancora in grado di controllare l’attività che avevamo ereditato da nostro padre senza il sostegno di mio fratello. Pensate che mi sia piaciuto essere costretto a divenire trafficante? Io amavo conoscere, desideravo ricevere una buona istruzione, invece mi toccava gestire i traffici di coderoina [Nota dell’editore delle cronache: una droga illegale ampiamente diffusa nei distretti interni] dei nostri soci nel Wall Sina. Questo mestiere mio fratello sapeva farlo tanto bene, è un peccato che sia morto proprio per aver fatto un uso abusivo delle stesse merci.
-Avevo sorpreso tuo padre a frugare nella nostra libreria, - continuò Conrad, - e venne attirato proprio da uno di quei libri che uno dei nostri collaboratori aveva fottuto da un nostro ricco cliente di Stohess. Dentro vi erano scritte cose che chi aveva abitato da sempre nelle mura non era in grado di riconoscere. Un’enorme montagna di nome vulcano da cui fuoriusciva spesso un liquido incandescente rosso chiamato lava. Dove poteva essere trovato?, mi aveva domandato quel ragazzo tanto interessato. Per un momento, avevo pensato di strappargli il libro di mano, essendo in possesso di qualcosa che mai avrebbe dovuto conoscere, ma avreste dovuto vedere i suoi occhi: da essi traboccava una curiosità smisurata. Gli parlai di quello ed altri cento fenomeni naturali che solo gli uomini vissuti prima delle mura potevano aver visto. E perché non ne sapevo niente?, chiese ancora.
-Non ero certo di dover coinvolgerlo in quello da cui io ero sempre stato attratto: sapevo che le massime autorità che governano questo mondo ci vietavano di far chiarezza sul perché la maggior parte degli uomini fosse  improvvisamente scomparsa dalla faccia della terra, e intendevo illuminare la coscienza del popolo, affinché potesse opporsi a quel sistema così contraddittorio. Ma sentivo di poter fidarmi di Ivàn, me lo suggeriva quello sguardo di desiderio che lo contraddistingueva. Il mio intuito non sbagliò: conobbi Smith, poi successivamente Hares conobbe una ragazza proveniente dalle montagne a nord del Wall Rose. Si chiamava Catherine, e raccontava a Ivàn di avere una strana immaginazione, che molto spesso la portava a sognare cose tutt’altro che improbabili, paesaggi misteriosi e oggetti inesistenti. Ivàn la incitò a incontrare me. Mi parlò di lei, della sua famiglia, che non poteva vivere al di fuori di quel villaggio sconfinato, e mi resi conto che quella giovane era discendente del clan Orientale.
Sussultai. –Il clan Orientale? – ripetei. –Non capisco.
Conrad si allontanò da noi, ritornando con dei fogli in mano. –Mi appropriai di questi documenti non appena iniziai a lavorare nei territori interni. Tali informazioni non sono tanto semplici da reperire, ma con un po’ di buona volontà sono riuscito a impossessarmene. Si menziona di un gruppo sociale proveniente dai territori dell’estremo est del mondo che, a quanto è parso, sono gli unici ad aver conservato, tra tutti i cittadini delle mura, diverse notizie riguardanti la storia dell’umanità precedente la storia delle mura. Questa dovrebbe essere la ragione per cui siano tanto ostili al governo, che, a quanto sembra, detesta la divulgazione di questi fatti. Il clan Orientale si è disperso nei vari ordini di mura, si dice che i superstiti siano quasi completamente assenti, soprattutto perché alcuni hanno preferito dimenticare e confondersi tra il resto della popolazione. Però, cari Claire e Lexander, è stato proprio grazie a Catherine se sono venuto a conoscenza di qualcosa di sorprendente: frammenti dei ricordi dei primissimi membri del clan Orientale vissuto nelle mura sono stati tramandati “geneticamente” nelle varie generazioni. In altre parole, quello che vostra madre vedeva in sogno…
-Erano parte dei ricordi della prima generazione – comprese Lex.
-A quanto è sembrato, la ragazza orfana che viveva in un villaggio nei pressi delle montagne era in grado di vedere cose assolutamente sconosciute a noi, che però sembravano avere concordanza con i paesaggi incantevoli custoditi nei miei libri. Tuttavia, per lei non era affatto semplice comprenderlo, essendo figlia di un solo discendente del clan Orientale. Eppure…
-Su cosa ti basi per raccontarci questa storiella comoda? – domandò stizzito il capitano. –La loro madre sarà anche discendente di questo clan, ma tutto ciò è improbabile…
-Aspetta, Levi – lo interruppi. -Questi genere di sogni, penso di averli fatti anche io.
Parlai a tutti di quella bizzarra visione onirica che aveva iniziato a perseguitarmi, di quella grandissima distesa d’acqua che terminava su una riva ghiaiosa e che avevo avuto modo di vedere la notta in cui avevo sognato i due amici del mio amato.
-Hai visto il mare, ragazza mia – disse incantato Conrad.
-Il che?
-Il mare – ripeté Erwin, anche lui meravigliato. –Penso di averne sentito parlare. Lo lessi da qualche parte: una grande distesa di acqua salata che coprirebbe una vastissima superficie del nostro mondo.
-Io invece non ne ho mai sentito parlare, Comandante – ribadii, assai confusa.
-Questo giustificherebbe le affermazioni di Loris – terminò Lex. –Capitano Levi, credo che tutto ciò sia plausibile.
Il piccolo soldato parve ancora abbastanza scettico. –-Come me lo spieghi il campanile, allora? – ciò che in quel momento provavo era un misto di frustrazione e di confusione, eppure il mio istinto mi portava a credere in quello che Conrad ci aveva illustrato. Potevo mai aver immaginato il mare senza prima aver ottenuto nozioni a riguardo? Non sarei mai stata capace di spiegare un evento simile con il mio intelletto, dunque era chiaro che un potere sovrannaturale avesse determinato un fenomeno come quello.
-Quel campanile ossessionava Catherine quanto Ivàn – continuò Conrad. –Non siamo mai stati in grado di capire da dove provenisse.
-E se Claire ha ereditato i ricordi da sua madre, allora anche lei fa parte del ceppo d’Oriente. Dico bene? – continuò Erwin.
Spalancai gli occhi. Mi sfiorai una guancia con una mano. –Non ho mai pensato di avere i tratti somatici di quegli uomini. Me li hanno sempre descritti con gli occhi a mandorla e i capelli neri come quelli di mia madre.
-In effetti, mamma somigliava molto di più agli uomini d’Oriente – aggiunse Lex, riflettendo probabilmente sulla lunga chioma corvina e la magrezza di nostra madre. –Ma non ho mai pensato che…
-E’ probabile che momentaneamente siate gli unici discendenti. E il fatto che i vostri genitori non vi abbiano detto nulla a proposito certifica che il loro obiettivo sia stato sempre quello di proteggervi. Gli uomini d’Oriente sono stati perseguitati da sempre per questa loro particolarità. Assieme ad un altro gruppo sociale chiamato Ackerman.
-Ackerman…
-Stando sempre ai documenti reperiti, questi avrebbero deciso contrariamente di allearsi inizialmente con il governo – Conrad diede un’occhiata ai fogli di prima. –Ma anche questi scritti sono pieni di contraddizioni e di errori. Forse nel corso del tempo avranno cambiato opinione a riguardo.
La testa mi scoppiava. –E perché proprio loro? Cosa ne è stato del resto?
-La domanda a cui sempre abbiamo cercato di rispondere: Smith credeva che la realtà in cui crescevamo e invecchiavamo fosse un enorme palcoscenico. I giganti minacciano l’umanità, benché, stupidi come si dimostrano, è difficile credere, almeno per me o per lui, che agissero di loro iniziativa. Comunque, anche se effettivamente fossero una punizione divina, come si racconta, a nessuno importa sapere ciò che è accaduto prima dei famosi centosette anni. Ciò di cui eravamo completamente convinti era che, da sempre, il governo ha cercato di farci dimenticare la causa per cui l’umanità, tutta d’un tratto, fosse stata costretta a vivere in quelle cinta murarie. La calamità naturale della comparsa dei giganti non è mai stata chiarita, e sono state uccise così tante persone il cui unico desiderio era quello di svelare una volta e per tutte la verità. E, ribadisco, sono morte a causa di quegli stessi che ci parlano costantemente di pace e ordine. Anche tuo padre, caro Comandante Smith, è stato vittima di questa ingiustizia.
-La Gendarmeria è un corpo dell’esercito come i restanti – ribatté Erwin.
-Il loro compito è sempre stato quello di mantenere l’ordine, si dice. Pensate che qualcuno che inizia a farneticare cose anomale sulle mura e sui giganti possa passare inosservato ed essere ignorato dai buzzurri che vivono le nostre terre? Io credo di no. Scoppierebbe il caos. Ma voi… voi fate parte dell’esercito. Voi potreste essere in grado di cambiare le cose.
Guardai interdetta i miei compagni.
-Voi riuscireste più di me o di altri a manovrare il sistema. Il governo si fida di voi, non è così? Claire ha una dote che probabilmente nessuno ha più, e ciò la rende una persona speciale, che potrebbe coinvolgere molte altre in questa impresa: lei potrebbe essere la nostra nuova speranza.
Prima che potessi io stessa controbattere, fu Levi a obiettare freddamente: -Non esiste. La nostra posizione di merda rispetto agli altri corpi militari è già alquanto complessa. Dovremmo sacrificarci per una stronzata simile?
-Non potremmo mai fare una cosa del genere in questo momento – aggiunse Erwin. –Non disponiamo delle forze, né dell’appoggio di qualcuno.
Conrad tacque. Sospirò, accendendosi un sigaro. –Allora c’è poco da fare – sentenziò. –Sono lieto di aver fatto la conoscenza dei figli di Hares.
Lex abbassò il capo, deluso. Avevo compreso che la ragione primordiale per cui egli si fosse deciso a seguirci in quel posto misero era quella di ottenere informazioni riguardanti nostro padre, e la quasi certa morte di quest’ultimo era stato un grande colpo da incassare.
Erwin e Levi erano già usciti dalla sua casa, ma io non mi ero mossa di un millimetro. –Ci sono due domande che vorrei porti – enunciai laconica.
-Mi ricordi tantissimo Catherine. È un peccato che sia morta in maniera tanto violenta – commentò. –Cosa vuoi sapere, ragazza mia?
-Quanto tempo è passato dall’ultima volta che hai rivisto Ivàn? Ti prego di essere sincero.
-Quattro anni fa, dopo che aveva scoperto della morte di lei. Sperava davvero che, una volta fuggito, non vi prendessero, invece…
Mi morsi il labbro, trattenendomi dal piangere. Nel frattempo, avvertivo il rumore dei passi di mio fratello, che aveva fatto ritorno all’interno della dimora. –Così pensava di salvarci se si fosse levato dai piedi…
-Ivàn era stato tenuto sempre d’occhio dopo la morte di Smith da “quelli che mantengono l’ordine”. Avevano capito che c’era un rapporto tra i due, e che anche lui era una minaccia. Ma mentre io sto qui senza che nessuno riesca a beccarmi, tuo padre era molto più a rischio in una città tanto controllata come Karanes. Quei bastardi, poi, hanno deciso di prendersela con Catherine. Voi due, invece, siete riusciti a sopravvivere.
Una lacrima mi bagnò la guancia. –Infine, - continuai, amareggiata, -vorrei chiederti delle musiche che i miei suonavano e cantavano. Le conoscevi?
-Non bene quanto te – si grattò il capo. –Ma sapevo che a tuo padre piacesse scrivere quel genere di diavolerie. Era bravo con la chitarra.
Annuii. –Lo è sempre stato – mormorai, osservando il volto triste di Lex. –Ti ringrazio.
Subito dopo, lasciai la casa di Loris Conrad per ritornare a casa, profondamente scossa da ogni parola fuoriuscita dalla bocca dell’uomo che avevamo appena conosciuto.
Avevo fatto un po’ di chiarezza sulla storia dietro la morte di mia madre e della scomparsa di mio padre, malgrado ne fossi rimasta alquanto addolorata, inoltre sentii un grosso peso aggravare su di me: il potere che custodivo dentro di me sembrava così fiabesco (difficilmente si poteva contraddire lo scetticismo di Levi, d’altronde), ma sapevo bene che non avrei potuto affatto rinnegare la spiegazione di Conrad: il ricordo di quel gigantesco lago chiamato mare si fece strada in maniera sempre più vivida nella mia mente, assieme all’immagine dello strano campanile.
Osservai Levi ed Erwin, infine Lex, mentre ci incamminavamo verso l’esterno di quel luogo grottesco. Dimostrare a tutti come stavano le cose, come ci aveva suggerito Conrad, sarebbe stato impossibile, tuttavia, nonostante tutto, credevo fermamente nella forza dell’Armata Ricognitiva. Avrei continuato ad ogni costo a sacrificare il mio tutto per poter cercare la risposta alle nostre domande anche nei territori controllati dai giganti. Questo era il mio compito, quello di Erwin Smith e del caporale maggiore Levi, e lo sarebbe sempre stato. Finché non avremmo scoperto finalmente la verità.
 
 
Spazio Autore: ciao a tutti! Malgrado il caldo, sono riuscita a finire uno dei capitoli più complicati che abbia mai scritto: ho dovuto fare centinaia di schemi per ordinare i discorsi di Conrad affinché avessero coerenza, ed è stato faticoso, benché comunque interessante… è uno dei capitoli più discorsivi, ho tralasciato quasi completamente le descrizioni, soprattutto a partire dalla seconda parte. Nonostante tutto, sono felice di aver concluso :).  
Il nome della droga menzionata è stato preso in prestito dall’OVA dedicato a Annie Leonhart “Wall Sina, Goodbye” e prodotta dal personaggio di Carly (mi sfugge il cognome, sono desolata!).
Ringrazio infinitamente ancora una volta le ragazze che prontamente recensiscono ogni volta.
Alla prossima!
 

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Capitolo 26
*** Riposo ***


26. Riposo
 
Sulla strada di ritorno, tentai come meglio potessi di liberare la mia mente dalla valanga di informazioni apprese quel pomeriggio. Ma fu assai difficile ignorare una verità così sconvolgente: appartenere al clan d’Oriente mi aveva reso molto inquieta e ancora più turbata.
Da quel che constatai sulla carrozza che ci avrebbe accompagnato al Quartier Generale dei ricognitori, anche i restanti presenti parevano allo stesso modo preoccupati o semplicemente scossi. I miei occhi sorprendevano in continuazione Levi, Erwin e Lex a fissare il vuoto ogni qual volta li osservassi.
Conoscendo tanto bene mio fratello, ero convinta che questo stesse cercando con tutte le sue forze di non piangere davanti gli ufficiali del Corpo di Ricerca, i quali non si degnavano tantomeno di scambiare due parole come erano soliti fare.
-Credo sia stato abbastanza choccante ciò di cui siamo venuti a conoscenza oggi – parlai. –Ma non vedo cosa possiamo fare noi.
-Infatti la nostra missione rimarrà invariata: scopriremo a tutti i costi il segreto dei giganti combattendoli sul fronte – disse Erwin. –E’ questo il nostro compito, e noi continueremo ad assolverlo.
-Quel maledetto ha davvero creduto che potessimo fare i ribelli di turno – tuonò la voce di Levi. –Che stolto, ma forse ha solo il cervello annebbiato da tutte quelle porcherie.
-Non ha senso discuterne, - rispose il biondo, -abbiamo già detto la nostra a riguardo.
-Cos’è quell’espressione? – Levi lo guardò. –Sembra che l’idea in un certo modo ti ecciti, Erwin.
Quest’ultimo alzò lo sguardo, fissando per un attimo quello indifferente del corvino. Ebbi modo di studiare meglio l’intesa tra i due soldati proprio in quegli istanti e non mancai di constatare ancora una volta quanto fosse grande la profonda fiducia che i due nutrivano l’uno nei confronti dell’altro. Molto spesso, anche durante le spedizioni che avrei avuto modo di affrontare nel corso del tempo, avrei scoperto come entrambi ragionassero alla medesima maniera, e l’uno non prendeva decisioni senza aver prima conosciuto l’opinione del secondo. In altre parole, capitava di rimando che le loro menti fossero interconnesse.
–Anche io vorrei cambiare le cose – disse il capitano di divisione. –L’ho sempre desiderato, da che ho deciso di arruolarmi molti anni fa. Ma non è il momento opportuno, non ancora.
Levi incrociò nuovamente le braccia. –Sempre che ci sia, il momento opportuno.
Concluso quel discorso, mi occupai di Lex. Era doloroso, per me, vederlo in quello stato, peraltro non c’era nulla che potessi fare in quel momento. Anche una parte di me era profondamente delusa e impietosita per la fine che aveva fatto l’unico nostro genitore che, così avevamo creduto fino a quel giorno, poteva essere rimasto in vita. Inoltre, non avevamo fatto tantomeno luce sulla verità dietro la morte di nostra madre.
-Penso sia la prima volta che un normale civile dorma nella caserma dell’Armata Ricognitiva – ruppi di nuovo il silenzio, sorridendo ai tre uomini. –Al posto tuo, sarei super eccitata, Lex.
-Non vorrei causarvi alcun disturbo – ammise, guardandosi i piedi con aria leggermente sollevata. –Potrei sempre tornare a Karanes stanotte.
-Non sei per niente un disturbo, Lex – gli sorrise Erwin. –Siamo stati noi a coinvolgerti in questa faccenda, è bene che ci prendiamo cura di te almeno per questa notte. Domattina potrai tranquillamente partire senza fretta per Karanes.
Lex ricambiò lo sguardo. –La ringrazio infinitamente, Comandante. Eppure, continuo a credere che riservarmi una stanza degli ospiti nei dormitori degli ufficiali, come mi ha rivelato Claire, sia alquanto eccessivo.
-Certamente non potevamo lasciarti dormire negli alloggi comuni – ribattei, ridacchiando.
-La nostra caserma è sempre semivuota – aggiunse Levi. –Erwin gongola ogni volta che qualcuno si aggiunge a noi. Nessuno è sgradito, per lui.
Levi fu in grado di strappare una risata al ragazzo e di tranquillizzare momentaneamente anche me.
Dopo un po’ di tempo, il nostro viaggio terminò. Approdammo in caserma quando il sole era già tramontato. Il coprifuoco era addirittura iniziato, ma promisi a me stessa di non fare ritorno da Petra finché non avessi accompagnato Lex nella sua camera, al sicuro.
Erwin si congedò per recarsi nella sua abitazione, mentre Levi si offrì di farmi compagnia.
-E’ grandissima, e… elegante! – aveva esclamato Lex, non appena vi aveva messo piede. Con gli occhi fuori dalle orbite, osservava l’arredamento raffinato della sua stanza. –E’ troppo per me, non me lo merito affatto.
-Sì, invece! – esclamai, abbracciandolo. –E’ il minimo che la Legione Esplorativa possa fare per te.
-Sei un ricognitore a tutti gli effetti adesso, Claire – ridacchiò.
Non gli risposi, ma tentai di rassicurarlo come meglio potessi con quell’abbraccio.
-Ora andrà tutto bene. Il peggio è già passato – spiegai.
-Lo so. Ma tu fatti viva a Karanes, di tanto in tanto. So che qui hai Petra, e soprattutto Levi, – sussurrò, guardando il diretto interessato, che attendeva il mio ritorno sull’uscio della porta, -cerca di trovare sempre un po’ di tempo per me, d’accordo?
Annuii. –Sai bene che lo farò senz’altro – gli carezzai i capelli. –Contaci.
Ero sul punto di tornare dal caporale, ma la sua voce mi fermò: -Claire, quei giganti che io ho visto in sogno… fanno parte anche loro di uno dei ricordi di cui parlava Conrad? – chiese timoroso lui.
Sospirai. –Sì, penso sia molto probabile.
-Ma allora perché c’eri anche tu? Insomma, non fai parte di questi ricordi.
-E’ stato il tuo inconscio, - risposi. –Io ho sognato il mare mentre ero in compagnia dei vecchi amici di Levi, senza averli nemmeno visti. Anche noi siamo esseri dotati di fantasia, a modo nostro.
Gli sorrisi, e lui ricambiò. Lo salutai con affetto, dopodiché mi diressi dal mio amato.
Ero lieta che anche quella giornata ricca di novità e, se volessimo considerarli in questo modo, traumi vari fosse quasi giunta al termine. Avevo rassicurato, anche se di poco, mio fratello Lex, malgrado fosse rimasto turbato e deluso. Infine, potevo ancora contare sulla presenza di Levi al mio fianco. Nonostante tutto, sarebbe stato eccessivo lamentarsi più di tanto.
-Stai bene? – mi chiese finalmente il corvino, mentre percorrevamo il corridoio.
-Non è stata un’esperienza consuetudinaria, soprattutto per lui. Mi sentivo in dovere di consolarlo un po’ – gli rivolsi un sorriso. –Comunque grazie per avermi supportata anche stavolta.
Egli non rispose, continuando in silenzio il tragitto. Decisi di fare altrettanto.
Mi portai le mani dietro la testa, sbadigliando. –Ora che Lex è sistemato, posso finalmente concedermi un meritato riposo – giudicai.
-Non tornare ai dormitori – mi ordinò lui, con un tono quasi supplichevole. Non disse niente per qualche secondo, mentre io, mezza interdetta, riflettevo su quel comando un po’ bizzarro.
–Cioè…Ti andrebbe di restare da me, Claire? – concluse, un po’ in imbarazzo.
Un grande sorriso si impossessò del mio viso. Non risultò difficile, per me, alzare da terra la sua piccola massa per stringere il suo corpo al mio. –Davvero lo vuoi, Levi? Che dolce! – esclamai, prima di ricevere un pugno sulla schiena dal piccolo soldato.
Indolenzita, lo lasciai andare. –Che modi! – commentai, massaggiandomi il punto in cui mi aveva colpita.
-Vedi di comportarti da persona matura, sei ridicola – disse lui.
Scoppiai a ridere. –Non posso prenderti in braccio? Che c’è di male?
Egli arrossì. –Tch. Perché ti comporti da stupida come Hanji?
-Finiscila di avercela con lei – sorrisi. –Ma davvero vuoi che resti con te?
Malgrado conoscessi già la risposta, non potei privare me stesse di avere le sue dita intrecciare amorevolmente le mie; è un momento che valeva la pena riportare anche in queste memorie.
-Sai bene che non mi secca – mormorò autorevole, accompagnandomi fino alla porta di camera sua.
Una volta lì, mi liberai della giacca, poi sedei alla sua scrivania e mi sciolsi i capelli, lisciandomeli con la punta delle dita. Notai che lui, nel frattempo, aveva iniziato a togliersi con molta cura il suo immancabile fazzoletto, riponendolo poi nell’armadio.
Con quanta attenzione egli curava il suo aspetto! Avevo sempre criticato la sua apprensione maniacale per gli indumenti giusti da indossare; invece, dopo essermi addentrata nelle fogne della capitale, in mezzo alla sporcizia e al lerciume di qualsiasi tipo, mi ero resa conto quanto quel ragazzo avesse sempre desiderato vivere in condizioni un po’ meno disagianti. Magari era tanto riconoscente a Erwin anche perché questi gli aveva permesso una vita che, nonostante pesante e tragica per le continue lotte con i giganti, era in ogni caso migliore di quella trascorsa in quel buco di terra.
-Levi, mi presteresti una spazzola? – chiesi con gentilezza.
Egli rovistò nel suo guardaroba, tornando da me con una spazzola in legno. Allungai la mano per accettare l’oggetto, ma non sembrò molto intenzionato a rendermelo.
-Voltati, ci penso io – annunciò, con un modo di parlare che trovai assolutamente calmo e confortevole alle mie orecchie.
Feci come mi aveva detto, poi iniziò a passare la spazzola sui miei capelli, facendo attenzione a non spezzarmeli. Anche con così poco, Levi mi fece toccare il cielo con un dito! Il suo tocco era incredibilmente delicato e meraviglioso.
Dopo un po’, Levi poggiò la spazzola sul tavolo, poi mi chiese: -Vuoi che ti aiuti a toglierti l’imbragatura?
Solitamente, era Petra quella incaricata a slacciarmi buona parte delle fenditure di quella fastidiosissima legatura, ma accettai comunque di essere aiutata da lui. Mi slegò ben presto tutti le cinture di cuoio, fino a che le sue dita non si avvicinarono a quella principale, sistemata all’altezza del seno.
Le sue mani si fermarono lì. Potei notare il rossore dipinto sulle sue guance, un colorito che contagiò presto anche il mio viso. Levi, tuttavia, non si perse d’animo, e mi liberò anche di quell’impedimento.
Lo ringraziai ed egli tornò indietro di un passo, poi sedette sul bordo del suo letto, iniziando a slacciare le sue cinture.
Mi sistemai accanto a lui. –Lascia che ricambi, almeno. No? – ridacchiai, preoccupandomi di quelle che gli avvolgevano le gambe; mi venne in soccorso, appoggiando prima la destra, poi la sinistra sulle mie cosce, così che potessi aiutarlo più facilmente.
Lasciò l’imbracatura completamente slacciata provvisoriamente sul letto, portando una mano sul colletto della camicia per iniziare a slacciarla. Ancora una volta mi offrii di aiutarlo, protraendomi verso di lui.
-Grazie – mormorò, coprendosi una porzione di volto col braccio. Rimase in quella posizione finché non gli avevo scoperto completamente il torace. Abbastanza imbarazzato, si lasciò svestire, rimanendo di nuovo a petto nudo davanti ai miei occhi. Eppure, non mi fermai qui: una volta finito, sedetti dietro di lui, cingendogli il bacino con le gambe; iniziai a massaggiargli il retro del collo.
Ero così felice di averlo nuovamente tutto per me! Soprattutto, eravamo entrambi usciti vivi da quell’inferno sotterraneo. Compresi quanto quella visita potesse averlo turbato. Quel luogo era stato teatro di così tanti orrori, per lui, e io, che lo avevo conosciuto solo pochi mesi prima, nemmeno potevo comprenderlo del tutto.
-Va bene così?
Brontolò qualcosa, prima di lasciarsi scappare un piccolo gemito. Una smorfia di orgoglio si impossessò del mio volto, il mio cuore batté ancora più di prima. Stuzzicarlo in quel modo risultava eccitante per entrambi.
Poco dopo, però, iniziò ad ignorare le mie attenzioni: addirittura allungai il collo per osservare il suo volto; sembrava abbastanza nervoso.
-Quanto sei teso, Levi – osservai dopo. –Mi dispiace per averti fatto vivere tutto questo. So che sono stata io a causare il nostro viaggio nei latifondi di Mitras.
Posò una mano sulla mia coscia. –Ti preoccupi troppo.
–Non è questo.
-Me lo hai promesso: io rimarrò sempre al tuo fianco. Ricordi?
Mi morsi il labbro. –Tieni davvero tanto a me?
–Smettila di fare domande tanto scontate – ribatté seccato.
Scoppiai a ridere. –Lo prenderò come un sì.
-Posso rivelarti una cosa? – ruppe il silenzio. –Quando mi sei venuta vicino, poco dopo il nostro arrivo lì sotto, ho smesso di essere così preoccupato – confessò. –Se ci sei tu dimentico persino di essere in apprensione per te, o per il fatto di essere ritornato in quel posto di merda dopo tanto tempo.
-Stai dicendo che non eri preoccupato? Ma allora cosa ti rende così agitato?
-Quell’uomo: ha parlato del clan Orientale, ma anche di un altro gruppo chiamato Ackerman. L’hai sentito, vero?
Annuii, tornando a sedermi accanto a lui. –E allora?
-Subito dopo che mia madre è morta, ho vissuto per un po’ di tempo con un uomo di bruttissima fama. Sì, è stato lui che mi ha insegnato a sopravvivere in quel luogo putrido. Lui mi ha aiutato a tenere in mano un pugnale e a colpire tutti quelli che nella mia vita da criminale ho fatto fuori. Lui ha influenzato il mio modo di vedere la realtà, facendomi disprezzare tutto quello che mi circondava. Si presentò a me come Kenny, e molti lo conoscono come Kenny lo Squartatore. Ma ricordo bene che in tanti lo chiamavano col suo cognome. Era proprio Ackerman.
Rimasi impietrita da quell’ennesimo discorso, e inizialmente avevo ipotizzato di chiedergli il perché non me ne avesse parlato in precedenza, ma ignorai l’idea subito. –Kenny lo Squartatore? Ce ne parlò il signor Ral qualche anno fa. Lui è il famoso killer che avrebbe squarciato le gole di più di cento soldati, non è così?
-La storia è vera, lui è davvero un assassino, e mi ha reso tale finché, grazie ad alcune circostanze, non sono riuscito a cambiare il mio modo di essere e di pensare.
La sua voce era divenuta davvero malinconica, simile a quella assunta durante il nostro pomeriggio nel bosco di diverso tempo prima. Ancora una volta, stentavo a credere che quel giovane potesse aver vissuto anni così dolorosi e negativi per la sua formazione. Ancora una volta, sentivo crescere dentro di me il desiderio di porre fine ai suoi dolori.
-Quel maiale. Mi ha portato via dal luogo infernale in cui vivevo con mia madre, dopo che questa era morta. Mi ha allevato come un malvivente. Poi mi ha abbandonato, andandosene senza proferire parola.
-Ti ha portato via? Vuol dire che…
-Sicuramente crebbi con quel minimo in più di comodità che mia mamma non è mai stata capace di darmi – spiegò. Poi strinse i pugni, furioso. –Quello sporco bastardo si era presentato a me come un suo conoscente, chissà se non l’aveva addirittura violentata come tutti gli altri pezzi di merda che vivono lì sotto.
Temevo un suo possibile scatto d’ira, ma al contempo provavo una grande pietà nei suoi confronti. –E sei convinto che questo tizio facesse di cognome Ackerman? – tentai di sviare leggermente il discorso.
-è probabile. Ecco che lui rappresenta uno dei motivi per cui non credo alle parole di quel Conrad. È assurdo pensare che quel pezzente che mi ha allevato come un animale possa conoscere la verità dietro questo mondo. Somiglia ad una barzelletta.
Chiusi gli occhi, pensando ancora una volta ai dolori che erano stati inferti a quell’uomo: mi sentii per un attimo rabbrividire, e riconoscevo il fatto di non essere capace di fargli dimenticare le atrocità che mi aveva descritto.
Non trattenni un lungo sospiro, rivolgendo il capo all’ingiù. –Non è giusto. Hai passato tutto questo, e io non ti sono di nessun aiuto. Mi sento così impotente, Levi. Potrò mai riuscire a fare qualcosa per te? – riflettei ad alta voce.
Il corvino mi scostò dolcemente i ciuffi di capelli che mi coprivano il volto, carezzandomi una gota. –Mi basti tu. Mi basta proteggerti.
Commossa, il cuore riprese a battermi più forte del solito. Reagivo sempre in questo modo quando Levi, in assenza degli altri membri del corpo d’Armata, cambiava improvvisamente atteggiamento, trascurando il ruolo di soldato freddo e burbero per manifestare il lato più umano e dolce della sua personalità, che riservava solo ed esclusivamente alla mia persona.
Riuscì a farmi tornare il sorriso. Levi mi cinse la vita, avvicinandomi a sé e costringendomi a guardarlo. Le punte dei nostri nasi si toccarono, i nostri occhi si incontrarono. Come sempre, reputai meravigliosi i suoi; ad esser sinceri, era proprio il suo aspetto ad essere considerato da me una bellezza unica, particolare e fuori dal comune.
Ero già arrossita quando le sue labbra cercarono le mie; inizialmente, mi ero sentita così sorpresa da tutte quelle attenzioni che di colpo mi aveva concesso da restare impalata e incapace di reagire a quel bacio. Levi stava stringendo il mio corpo al suo con una tale foga! Oltretutto, non si dimentichi il lettore che la camicia che egli aveva indossato era adesso aperta e distesa sullo stesso letto, e le mie mani ora poggiavano sul suo petto nudo.
Ben presto, tuttavia, riuscii a tornare in me: socchiusi gli occhi, sorridendo spontaneamente per il modo in cui le mie labbra fossero perfettamente incastrate tra le sue. Una mia mano iniziò a carezzargli i capelli neri e morbidi, e contribuii affinché lo stesso bacio divenisse sempre più passionale.
-Quanto tempo ho dovuto aspettare, prima di averti di nuovo – rivelò lui, sorridendo.
Com’era complicato, per me, dargli torto: ogni giorno, ripetutamente ci ignoravamo a vicenda, limitandoci a parlare solo nei casi in cui dovevamo discutere sulle manovre d’attacco per cui io e i miei compagni fidati ci esercitavamo; in queste situazioni, inoltre, ero costretta a rivolgermi a lui chiamandolo “capitano”, un appellativo a cui non ero mai riuscita ad abituarmi dopo il nostro primo bacio, motivo per cui, distrattamente, ero solita chiamarlo semplicemente Levi nonostante la presenza di qualcun altro. Ecco perché, quando potevamo godere finalmente della nostra agognata intimità, non occorreva che ci scambiassimo troppe parole per intendere che avevamo reciprocamente bisogno l’uno dell’altro; difatti, sempre più frequentemente passavo le notti nella sua stanza, rimanendo abbracciata a lui sotto le coperte calde e ben lavate, per quanto egli non sempre si addormentasse con me, per timore che, come accadeva ogni notte, potesse sognare qualcosa di altamente spiacevole mentre io riposavo al suo fianco.
Gli stampai un bacio sulle labbra. –Adesso sai cosa provo quando devo astenermi dall’assalirti nel mezzo di un addestramento – ridacchiai. –E’ terribile, vero?
Mi sorrise un’altra volta, poi mi avvolse ancora tra le sue braccia, baciandomi come prima. Non avevo idea di cosa gli fosse accaduto quella sera, ma presi la decisione di non farci più caso, lasciando che Levi potesse meglio esprimersi con tutte quelle “cortesie”.
Non posso fare a meno di raccontare il mio stato d’animo non appena la sua lingua cercò un varco tra i miei denti. Ero sempre stata convinta che a lui, un uomo costantemente alla ricerca del pulito assoluto di qualsiasi oggetto e persona, non interessassero baci di quel tipo, quelli che mi aveva descritto sempre la mia fonte più attendibile, ossia la mia compagna dai capelli ramati. In quell’istante, il mio stupore era oltre ogni misura, e avrei contestato apertamente se la lingua del mio amato non avesse già iniziato ad esplorare la mia bocca, facendomi completamente perdere la testa.
Mai, nemmeno durante la sera trascorsa dopo la mia riappacificazione con Petra, ci eravamo baciati in quel modo: un po’ per la nostra totale inesperienza, piuttosto non volevo farlo sentire eccessivamente in imbarazzo per una situazione tale, benché con lui ci fossi solo ed esclusivamente io. In ogni caso, quella sera era stato proprio lo stesso Levi a prendere l’iniziativa, lasciandomi letteralmente di stucco.
Le sensazioni che stavo provando erano le più forti e intense di sempre. Con grande rapidità, egli trovò il modo di accovacciarsi su di me, senza interrompere alcun contatto.
Istintivamente, il mio busto indietreggiò, fino a che mi adagiai completamente sul materasso, mentre lui era sopra di me. Non appena gli sfiorai la guancia, pensai a quanto avessi bramato quella posizione, a causa della quale ora migliaia di farfalle svolazzavano nel mio ventre.
Sorrisi involontariamente accorgendomi che un rigonfiamento dei pantaloni del ragazzo stava premendo in maniera prorompente contro di me all’altezza del pube. Pregai affinché Levi ignorasse quella reazione che, a quanto capii, non poteva affatto essere controllata dal cervello maschile; le mie preghiere furono comunque vane, in quanto, di scatto, le sue labbra si allontanarono dalle mie.
-Levi, va tutto bene – gli bloccai un polso. –Non permetterti di andartene, o ti do un calcio proprio lì – lo minacciai, tentando di comunicargli come in realtà quell’inconveniente non fosse affatto imbarazzante, anzi, mi eccitava notevolmente.
-Ma come? – era arrossito.
-Non mi dà fastidio – ribadii, accarezzandogli un braccio. –L’autocontrollo per cui siamo abituati in queste circostanze è del tutto inutile. Finiscila di pensare e avvicinati.
Non fui in grado di convincerlo, ma non gli offrii ulteriore tempo per riflettere: lo avevo nuovamente fatto distendere su di me dopo che lo ebbi richiamato tirandogli la collana, un oggetto che si dimostrava ai miei occhi davvero utile soprattutto per quei casi.
-Tutto questo maledetto raziocinio… - commentai. –Dimenticalo per un po’, ok?
Le guance di Levi divennero rossissime. Eppure, pareva finalmente intenzionato a lasciarsi “concedere” una volta per tutte, credetti. Tuttavia, alcuni secondi più tardi, per l’ennesima volta, non sentii più le sue mani che mi avvinghiavano o le sue labbra sulle mie.
-Non ci siamo ancora fatti il bagno.
Arrossii. -Vuoi farlo ora? Io e te...?
L’idea mi intrigava parecchio, al contempo la trovavo abbastanza imbarazzante. In ogni caso, fu atroce il momento in cui mi accorsi di aver completamente frainteso.
-No! Volevo dire che siamo andati in quel posto lurido e portiamo addosso indumenti pieni di germi!
Levi si era alzato; nel frattempo, mi ero coperta il viso con le braccia, tentando disperatamente di non imprecare.
-Che cazzo stai dicendo, Levi? - sbottai. -Perché hai interrotto un momento così per una stronzata simile?!
Incrociai le braccia, guardandolo furente, iniziando a detestare ancor più del solito la sua caratteristica ossessione.
-Sai come la penso, Claire – disse.
Furiosa, mi alzai, osservandolo a braccia conserte. –Tu sei fuori di testa – giudicai. Stizzita, agguantai distratta la sua camicia, iniziando a ripiegarla con la maggior cura possibile. -La sistemi tu, Levi? Altrimenti mi dai della buona a nulla.
Appena mossi lo sguardo su di lui, notai che era intento a calarsi i pantaloni. Come appena si ritrovò con indosso solamente un paio di slip neri, i quali mettevano perfettamente in risalto la sua corporatura tonica e perfetta, seppur rovinata dai quei fastidiosi tagli e cicatrici causati dall’uso assiduo di lame e imbracatura, la camicia che tenevo poggiata sulle mani scivolò a terra. Nel riprenderla frettolosamente, avevo sbattuto il gomito contro il letto, trattenendo l’ennesima imprecazione.
Dopo essermi rialzata, egli ignaro di quanto appena accaduto, allungò il braccio verso di me, chiedendomi di porgergliela. Il mio volto divenne completamente rosso non appena lo riebbi tanto vicino a me, soprattutto in quell’istante. Levi sistemò l’indumento sulla sedia riposta sotto lo scrittoio, prima di allontanarsi per riempire la vasca da bagno.
-Senti, nanerottolo, - intervenni, prima che potesse chiudere la porta dietro di sé. –Non provare a fare il vigliacco, perché dopo si ricomincia da dove si è fermati.
Il suo volto era sconvolto, non saprei dire se dal modo in cui mi ero rivolta a lui o per quello che io gli avevo appena comandato. Non rispose, mi osservò qualche istante prima di lasciarmi completamente sola nella stanza.
Non avendo ancora sbollito la rabbia, stufa di indossare quell’ammasso di tessuto, mi liberai velocemente del suo pullover e dei classici pantaloni bianchi della divisa.
Ripensai ai baci che ci eravamo scambiati, alla posizione in cui di colpo ci eravamo ritrovati. Davvero doveva finire tutto così in fretta?
Levi certamente non fu molto veloce a preparare la vasca, ad immergersi e lavarsi. Mi accasciai sfinita e annoiata sulla sua poltrona, stupendomi di come in realtà fosse parecchio comoda. Non fu difficile, per me, farmi prendere da un attacco di sonno, e presto mi ci addormentai.
Non fu un caso che, quella sera, sognai esattamente la distesa marina di cui ero venuta a conoscenza. Sulla riva, non sedevano Levi, Furlan e Isabel come era accaduto precedentemente. Da lontano, riconobbi le figure dei miei genitori, intenti a osservare la superficie d’acqua davanti a loro.
Ben presto, si voltarono all’unisono, osservandomi meravigliati. Sorrisero, invitandomi con lo sguardo a seguirmi.
L’avrei fatto. Mi sarei seduta accanto a loro per poi chiedergli spiegazioni riguardanti il segreto delle mura. Eppure mi sentii scuotere da qualcuno: fu così che, aperti gli occhi, ritrovai successivamente il corvino inginocchiato davanti a me.
-Levi? – domandai abbastanza stordita.
-Claire, mi è venuto un colpo, cazzo – confessò. –Perché ti sei messa a dormire qui all’improvviso?
Mi rannuvolai all’improvviso, rattristita dal ricordo della mia famiglia e di un segreto custodito dentro di me che ancora non si era rivelato del tutto nemmeno alla sottoscritta.
Una mano del ragazzo raggiunse la mia testa, carezzandomi i capelli. Egli sospirò, mormorandomi di perdonarlo.
Benché ancora malinconica, mi allungai per abbracciarlo. Sentii i suoi capelli neri ancora gocciolanti sul mio collo e sulle guance, mentre stringevo la sua pelle scoperta ancora inumidita. –Scusami tu per averti parlato con un tono così offensivo. Non credo di stare tanto bene, la storia del clan Orientale mi ha un po’ abbattuta.
-Non devi preoccuparti così – rispose, appena lo lasciai. –Penso che tu sia troppo scombussolata per farti un bagno, vero?
Si rialzò, e io feci altrettanto. Ma non appena lo osservai, bello da morire ai miei occhi, non resistei a lungo: lo avvinghiai ancora una volta a me.
Avere le sue dita strette attorno alla mia vita, non più avvolta dalla stoffa, mi fece dimenticare ogni tipo di turbamento: un brivido mi pervase e mi ricordò il motivo per cui eravamo lì.
-Noi avevamo un conto in sospeso, dico bene? – gli sussurrai, lasciandogli un bacio sulle labbra.
Levi, per quanto vantasse di una forza sconfinata, si lasciò spingere verso i bordi del letto, dove, un po’ preoccupato, sedette.
-Prima non ha funzionato – riflettei, sistemandomi sopra di lui, incrociando le braccia dietro il suo collo. –Se provassimo a invertire le cose?
Non avevo idea di dove stessi trovando tale sfrontatezza, che non riuscivo affatto a frenare. In ogni caso, come appena compresi che egli non aveva niente da ribattere, la mia bocca cercò disperatamente la sua, e le sue dita si fecero presto strada verso il nodo che legava la fascia di pezza attorno al mio seno, indugiando sull’idea di districarlo o meno.
Tuttavia, per Levi non era semplice trovare il medesimo coraggio per slegarmi quel fastidiosissimo ostacolo. Necessitava, molto probabilmente, di essere stimolato.
Per questo, le mie labbra si allontanarono dalle sue, scendendo sul collo. I miei denti stuzzicarono la pelle della sua clavicola, facendolo gemere, per poi farlo esclamare il mio nome. Nel frattempo, con una mano non mancai di provocarlo, sfiorando con le dita il suo petto, poi l’addome, prima di scendere ancora un po’ più in basso. Levi gemette ancora una volta, non appena capì quali fossero le mie intenzioni.
Mi bastò appena minacciarlo di abbassargli con un dito l’unico indumento rimastogli per far sì che lui riuscisse eroicamente a spezzare la fascia di stoffa che mi avvolgeva il torace, lasciando i miei seni scoperti.
Sentii il bisogno di ridere per il metodo che lui aveva appena usato, aiutandomi a liberarmi di quell’odioso impedimento senza far ricorso a slacciare il nodo che lo chiudeva. Ma stavo letteralmente morendo dall’imbarazzo per come di colpo una parte della mia intimità fosse adesso davanti ai suoi occhi.
Iniziai a ridere in maniera nervosa, stringendomi a lui per nascondere il viso nell’incavo del suo collo.
-Claire, ti… ti domando scusa. Ma… ti ho fatto male? – mormorò lui, in preda all’ansia. Il suo viso andava letteralmente a fuoco, sentivo le sue guance scottanti su di me.
-Ahahaha, ma che dici?! – scoppiai di nuovo a ridere. -Questo sistema è... hai idea del tempo che ho impiegato nella mia… nella mia vita, per districare quel fottuto nodo?! E poi incontro te che… - non mi diede il tempo di continuare il mio insensatissimo discorso: mi aveva subito zittito con un dito, baciandomi ancora una volta.
Poco dopo, io e Levi finimmo col fare l’amore, un’esperienza assolutamente indelebile e del tutto nuova per me. Non avevo mai osservato come due persone potessero scambiarsi così tanto amore in una notte sola. Malgrado i nostri destini avrebbero potuto essere crudeli nei nostri confronti. Malgrado fossimo soldati dannati dell’Armata Ricognitiva, non avrei mai smesso di amarlo.
Qualche ora dopo, prima che la mia mente potesse concedersi un sereno riposo libero da incertezze e paure, abbracciata ancora al suo corpo caldo, cercai per l’ultima volta le sue labbra, augurandogli la buonanotte.
Lo guardai per l’ultima volta: con i capelli arruffati, le guance rosee, il volto stanco, ma sereno, mi rivolse un sorriso dolcissimo.
Qualche secondo dopo, convinto probabilmente che stessi già dormendo -perché, conoscendolo, sapevo che non sarebbe mai stato capace di dirmi una cosa del genere mentre io ero cosciente – sentii un’ultima volta la sua voce: -Sei bellissima – sussurrò, prima che potessi crollare una volta per tutte, come sempre, tra le sue braccia.
 
 
Spazio Autore: ah, ad essere sinceri non me la sento proprio di farmi sentire troppo, oggi… Claire e Levi, stavolta, hanno sciolto anche me XD.
Ci tenevo a fare solo un piccolo appunto, che fa riferimento a un minuscolo cambiamento della trama originale che ho apportato: Levi non verrà a conoscenza del cognome di Kenny prima degli avvenimenti dell’Arco della Rivolta, questo lo so bene. Ma ho pensato che avere qualche incertezza a riguardo nella mia storia potesse essere più interessante. Non credo di cambiare eccessivamente il racconto di Isayama, sinceramente.
Detto questo, vi saluto, anticipandovi che il prossimo sabato ci sarà un capitolo speciale, riguardante sempre questa storia ;).
Buon proseguimento !

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Capitolo 27
*** Devozione ***


27. Devozione
 
Prima di continuare la narrazione di queste cronache, riporto un passo delle memorie di un altro valente e onesto compagno. Non solo d’armi, ma di vita. Spero che al lettore possa interessare, e che l’autore non si sgomenti eccessivamente appena intuirà che mi sono impossessata di un testo non propriamente mio!
 
 
Perché non provi a credere in noi, una volta tanto, Levi?
 
Conta su di noi, fratellone!
 
Il mio risveglio di quella mattina fu sorprendentemente dolce.
Da quanto tempo non avevo dormito senza essere assalito da ricordi di orrore, di tristezza? Da quanto avevo sperato di poter riposare in pace una volta tanto, senza dovermi risvegliare di colpo a causa di un incubo?
Quella volta fu totalmente diverso. Davanti a me, non erano più adagiati i corpi martoriati di Furlan e Isabel ai miei piedi. Mi avevano appena parlato, invitandomi con felicità e spensieratezza a confidare in loro. Ma, miei cari amici, rimpiango tanto la mia scelta di aver preferito di fare tutt’altro.
In ogni caso, l’amarezza del ricordo di una scelta tanto sbagliata da parte mia, che mi costò la morte dei miei compagni di vita, subito si dissipò come aprii gli occhi, riconoscendo la figura femminile adagiata nel letto accanto a me.
Claire, nuda e assolutamente bellissima, assorta probabilmente in un sogno piacevole e dilettevole, dormiva beatamente avvinghiata a me, il piccolo nasino all’insù mi solleticava il collo, il suo braccio destro premeva sul mio petto.
Osservandola dormire, mi resi conto che solo lei e la notte passata insieme potevano aver liberato la mia mente di ogni tormento, facendomi provare il piacere di riposare per una volta lontano dagli incubi.
Claire. Lei e lei solo.
Il suo viso innocente e puro mi condusse al giorno in cui, per la prima volta, mi aveva rivolto la parola in maniera distratta e sventata, prima di lanciare una forchetta o un coltello sul mio piede; a quando si era messa a giocare con dei piccoli mocciosi di Trost, a quando, durante la nostra prima spedizione, aveva iniziato a scimmiottare me davanti alla sua amica divertita.
Le sorrisi. Quella stessa persona, benché fosse talvolta ingenua e sbadata, era la stessa che, durante il primo giorno di addestramento, aveva registrato il più alto numero di soppressioni di fantocci; quella che aveva ucciso un gigante anomalo dopo neanche dieci minuti dall’inizio della sua prima missione oltre le mura; quella che aveva elaborato su due piedi un piano per l’eliminazione di un colosso per la protezione delle milizie.
Le carezzai il braccio, lasciandole un bacio sulla fronte. Lei, una giovane e inesperta ragazza di appena vent’anni aveva già l’appoggio dei più importanti membri del Corpo di Ricerca dopo nemmeno la sua prima spedizione ricognitiva, oltre che un probabile futuro di Caposquadra davanti.
Certamente, nonostante le ottime abilità, rimaneva sempre pura e spontanea, che molto facilmente si faceva abbindolare dalle malsane idee della Quattr’occhi. Questo lato della sua personalità l’ho sempre giudicato negativamente, non lo nascondo. In compenso, tuttavia, nutrivo un grande rispetto nei confronti della sua determinazione.
Ma Claire era molto di più di un’abile combattente e di un’intuitiva stratega. Difatti, non sono qui per parlare di queste sue caratteristiche.
Quella ragazza, attraverso uno strumento a corde e una voce imperfetta ma sincera, mi aveva riportato piano piano alla realtà.
Il ricordo della sera trascorsa sul tetto è ancora vivido nella mia mente. Lei si era esibita nel silenzio della notte con quella meravigliosa melodia musicale davanti a me. Cantava con passione, con gioia, lasciando trasparire la sofferenza causatale dal suo triste lutto.
La storia della sua vita che piano piano iniziò a raccontarmi mi aveva spinto a rivelare a poco a poco anche il mio passato doloroso. La sconvolsi, me ne rammarico tutt’ora, ma al tempo stesso riuscii a liberarmi di un peso che mi portavo dietro da anni, quel racconto esistenziale per il quale non avevo reso cosciente tantomeno una persona fidata come Erwin.
Da quando mi aveva reso la mia inseparabile collana rossa, spiegandole il motivo per cui quell’oggetto fosse per me così importante, avevo iniziato ad andare oltre il solito paio d’ore di dormiveglia che dovevo per forza concedermi ogni notte. Gli incubi, col passare del tempo, divennero meno atroci e frequenti. I “fantasmi” del mio passato non avevano smesso di perseguitarmi, ma un raggio di luce si era fatto in seguito vivo sul mio percorso, permettendomi di superare con meno fatica tutta quella sofferenza. E quella sorgente di speranza era proprio Claire.
Claire, che con la sua vitalità e innocenza era entrata a far parte della mia vita di tutti i giorni. Claire, che aveva cantato per me. Claire, che aveva confessato il suo amore per me in un bosco al tramonto. Claire, che non aveva resistito a regalarmi un tenerissimo e sincero bacio, prima autentica dimostrazione di affetto nei miei confronti dopo lungo tempo.
A lei probabilmente poco importava, a differenza di altri, se il mio appellativo fosse quello di “più forte dell’umanità intera”. Lei aveva visto una parte molto più umana e profonda di me sconosciuta persino al sottoscritto.
E le ero riconoscente anche per questo.
Ma l’attrazione che provavo e provo ancora per lei è difficile per me da spiegare. Qualcosa di forte in me mi spinge a cercarla sempre, a passare quanto più tempo insieme con lei, a proteggerla, nonostante il suo atteggiamento spericolato in battaglia, in parte condizionato anche da Hanji.
Compresi molto successivamente questa particolare peculiarità della mia stirpe. In ogni caso, inizialmente dedicai me stesso a domandarmi il motivo per cui dovessi sentirmi attratto da una giovane di circa dieci anni più giovane di me, per giunta mia sottoposta. Per quale ragione una mocciosa ventenne era improvvisamente diventata tanto importante per me, al punto tale da farmi decidere di assecondare il suo amore nei miei confronti che mi aveva dichiarato quella sera nel bosco?
Provai con tutte le mie forze a dimenticarla, a ricordare piuttosto a me stesso che il posto di merda in cui vivevamo non avrebbe mai potuto garantirci alcuna gioia; era pur sempre una realtà misera in cui un giorno eravamo a combattere, quello successivo a morire.
Ma la sua dolcezza e la sua cordialità mi sciolsero il cuore: mi resi conto che era impossibile per me starle lontana, ragione per cui il nostro rapporto si consolidò sempre più.
Ben presto, dentro di me iniziò ad alimentarsi il bisogno di doverla proteggere ad ogni costo. Continuavo a sognare, malgrado tutto, la morte brutale dei miei due vecchi, cari compagni. E, nonostante non gliel’avessi mai rivelato, mi divorava ogni notte il timore di poter perdere anche lei per colpa di quei mostri assatanati fuori le mura rancide.
Anche quel mattino tranquillo, guardandola riposare teneramente, fui assorto dall’ansia di dovermi dividere da lei. Prontamente, avvertii la necessità di doverla tenere stretta a me, di sentire che lei c’era, che era al sicuro.
La avvinghiai con forza, cingendola per la vita, accarezzandole la chioma morbida e profumata.
-Capitano Levi, mi stai strangolando – borbottò lei, con il viso schiacciato sul mio petto, la sua voce vibrò sul mio torace.
Sentii le guance andare a fuoco, una sensazione che quella ragazza tanto importante per me mi aveva provocato per la primissima volta nella mia vita. La lasciai andare, lei si sistemò meglio accanto a me, poggiando la testa sul suo cuscino.
-Scusa – sussurrai.
Ella emise un buffo sbadiglio, supina, sbatté gli occhi grigi, girandosi nella mia direzione, poi mi abbracciò. Quel gesto tanto semplice, eppure tremendamente tenero e grazioso, fece accelerare in maniera evidente i battiti del mio cuore.
Claire era sempre capace di strapparmi un sorriso, ogni tanto. Buona parte delle mie conoscenze mi giudicava altamente apatico, lei non ha mai esitato a cercare un pretesto per sollevare il mio umore. Ma più semplicemente, con lei ero felice e basta.
Anche quella volta, non mi fu difficile sorriderle. Lei ricambiò come sempre, con la sua espressione raggiante.
Improvvisamente, però, il suo volto si incupì, per poi essere costellato da lacrime.
Non capii a cosa fosse dovuta quella reazione inaspettata. Mi misi su un lato, inquieto, aspettando di sentirla parlare.
-Levi, mi dispiace tanto – disse lei. –Ieri io ho visto. Ho visto il luogo in cui sei nato e cresciuto. Ho potuto immaginare allora quanto Furlan e Isabel abbiano potuto renderti un po’ meno infelice lì sotto, ma loro poi sono…
Tentò di asciugarsi il viso con una mano e mi offrii di aiutarla. Dolcemente, mi sdraiai sopra di lei, strinsi il mio corpo al mio, baciandola con tenerezza.
Ripensai al giorno prima, al momento in cui, perplesso e inorridito, scortavo lei, il fratello e Erwin in direzione della parte ovest della mia città natale. Per un istante, così preso dalle atrocità di quel luogo scadente e misero, avevo dimenticato che lei, proprio lei, si trovava a pochi passi da me. Non riesco a descrivere il conforto che avevo provato non appena la avevo ritrovata al mio fianco. Con una gentilezza che avrebbe scaldato il cuore di chiunque, le nostre mani si erano intrecciate. Fu proprio quel contatto a farmi comprendere il motivo per cui mi trovavo lì: perché, devoto a quella ragazza più che alla mia stessa vita, avrei fatto di tutto per lei, anche recarmi da quell’uomo egoista e inaffidabile che avevamo incontrato.
Claire, se fossi stato mai in grado di descriverti quello che provavo per te! Ancora ora mi accorgo che è l’impresa che non riuscirò mai a portare a compimento.
Ritornare in quel posto misero, teatro di disperazione, era stato un colpo difficile da incassare. Ma in quell’occasione c’era lei con me, e non avrei potuto desiderare di meglio che la sua compagnia per affrontare una situazione del genere. Me ne infischio tuttora dei titoli che mi affibbiano: anche il caporale maggiore Levi ha le sue debolezze, come tutti gli uomini.
La lasciai poco dopo. –Tu non ti rendi conto di tutto quello che stai facendo per me – le rivelai. Il mio torace premeva sul suo, ma cercavo di fare attenzione a non farle male. –Mi procuri una gioia infinita, nonostante il luogo schifoso in cui ci troviamo, Claire.
Le sorrisi di nuovo, sfiorando con un dito la sua guancia. –Ho ritrovato la pace dopo tanto tempo, grazie a te – conclusi.
Ella sospirò, non mi fu chiaro se perché si fosse sentita più sollevata o semplicemente perché le mie attenzioni la facevano sentire tanto in estasi. –Levi – ripeté.
Lentamente, le baciai il viso, prima le labbra, poi la fronte, sistemandomi infine su un lato, mentre la cingevo. Mi rivolse un’espressione dolcissima, posando le sue mani sul mio corpo, finché una delle due non scese più in basso, fino a stringermi il fondoschiena.
-Che stai facendo? – le domandai, paonazzo.
Ella ridacchiò. –Mi rilasso un po’, prima di mettermi all’opera. Oggi abbiamo una giornata molto dura, te ne sei dimenticato?
Non fui in grado di ricordarlo fin da subito, ma quello sarebbe stato il giorno in cui lei e la sua “truppa” avrebbero lavorato in prima linea per permettere la cattura di un esemplare di gigante.
-No, non l’ho scordato – la fissai, prendendole la mano che aveva lasciato sulla mia natica, bloccandola e intrecciandola con la mia. Un colorito rosso acceso si impadronì del suo volto non appena osservò la collana al mio collo scivolarle nell’incavo dei seni. –Ti dispiacerebbe se mi rilassassi anche io? Dovrò assecondare ancora una volta le follie tue e di Hanji, dopotutto – approfittai per dirle.
-Non sono follie, è qualcosa di estrema importanza e lo sai bene, - ribatté lei, -comunque fa’ quello che vuoi – terminò, toccando con la punta delle dita i contorni violacei all’altezza della mia clavicola che lei, fino a qualche ora prima, mi aveva piano piano lasciato, procurandomi un misto di fastidio ed infinito piacere ogni singola volta.  
Contrariamente, la sua carnagione era perfetta e immacolata, d’altronde mi ero limitato a riempirla di baci e carezze, senza spingermi oltre come lei, a quanto potevo constatare, era in grado di fare. Ecco perché, in maniera molto caparbia, decisi di rimediare.
Le mordicchiai un po’ avidamente il collo, facendola ingenuamente gemere. Non mi astengo dal raccontare l’orgoglio che provavo ogni qual volta ripeteva il mio nome non appena le “marchiavo” la pelle. Imparavo molto in fretta da lei.
-Per essere stata la prima volta di entrambi, ce la siamo cavata. Che ne pensi? – osservò lei poco dopo.
Avvertii un forte bollore in volto. Non capii se avesse parlato per canzonarmi, ma il suo sguardo innocente mi suggeriva il contrario.
-Lo chiedi a me? Sono più grande di te, certamente, ma non ho fatto mai esperienza in queste cose.
-Io invece penso che siamo andati bene – concluse, poggiando la testa sul mio petto per poi ridacchiare. –A volte avevo pensato che avresti potuto farmi male, invece sei stato dolcissimo.
Non risposi. Parlarne mi imbarazzava parecchio, ciò che comunque mi aveva colpito era stata l’espressione con cui aveva giudicato il mio modo di fare l’amore con lei. D’altronde, contraddirla sarebbe stato scorretto: avevo fatto di tutto per contenere quella dannata forza che, anno dopo anno, era maturata dentro di me – che, anzi, mi è sempre parso come se fosse sempre esistita – benché ella mi avesse invitato a mettere da parte l’autocontrollo. Da ormai diversi anni, difficilmente lasciavo sfogare le mie emozioni, se non occasionalmente un mucchio di collera, e la sera precedente mi ero sentito come se, per la prima volta dopo un lungo periodo, fossi stato capace di abbandonare del tutto il mio solito atteggiamento distaccato.
Ripensandoci anche adesso, vengo colto da un grande imbarazzo appena mi rendo conto di averla quasi completamente assalita, la sera precedente. Il mio comportamento stranamente fervoroso doveva averla un po’ inquietata, o comunque presa alla sprovvista. Era stato un bene che ella non avesse voluto interrompermi mentre, fortunatamente, nemmeno mi ero accorto di quante attenzioni io avessi iniziato a concederle su due piedi. Le ero tanto grato anche perché, in qualsiasi momento fossi in difficoltà, mi aveva invitato a lasciar perdere qualsiasi genere di preoccupazione e di farla mia.
Il cuore iniziò a battermi più forte nel ricordare i momenti in cui, nemmeno troppe ore prima, mi aveva sfiorato, baciato fino a che, entrambi, non fossimo completamente privi di forza.
Sono tutt’ora deliziato all’idea di non avere alcun rimpianto riguardante quella notte. Sorrido nel ripensare tutti gli istanti in cui ero riuscita a farla gemere negli attimi più intensi. Non nascondo di averla trovata puramente splendida proprio in quelle occasioni.
 Le avrei quindi volentieri rivelato già quella mattina, se non avessi provato tanta vergogna, come in realtà anch’io avessi tanto goduto dopo quell’esperienza.
-Levi? – mi chiamò lei ancora.
-Che vuoi?
-Tu che mi dici? – mi strinse ancora. –Ti sono piaciuta?
Le mie guance divennero nuovamente roventi. Rimaneva un mistero come ella riuscisse a farmi perdere il controllo ogni volta. Mentre perdevo tempo alla ricerca delle parole giuste, lei ridacchiò di nuovo, lasciandomi un bacio sulla mascella.
-Guarda che non devi rispondermi subito. Se ho fatto qualcosa di sbagliato, però, non tormentarti e dimmelo.
-Ehi – sbottai. –Smettila di fare la mocciosa – avvertii il solito formicolio nello stomaco. -Lo sai benissimo che mi è piaciuto.
Arrossimmo entrambi, poi sorridemmo divertiti, mentre lei rise ancora.
-Sono contenta. Ma posso sempre migliorare, sai? - sbadigliò. –Non ho proprio voglia di alzarmi, comunque.
-Dovremmo.
-E’ l’alba, chi vuoi che ci infastidisca? Ho bisogno di te ancora un altro po’, almeno.
Fui incapace di rispondere. Le carezzai la chioma, avvinghiandola sempre più forte con l’altro braccio. –Che sciocca – la apostrofai. – L’hai detto tu che abbiamo da fare.
-Che rottura, che sei. Ti dispiacerebbe smetterla di rompere le scatole una volta tanto? – ribatté lei.
Rimanemmo ancora un po’ nel letto a godere di quella pace, sperando inutilmente che quel momento di tranquillità non finisse più.
Tutto tornò alla normalità non appena lei decise di fruire del mio bagno a prepararsi per quella lunga e intensa giornata. Probabilmente lei l’aveva fatto senza badarci troppo, ma il modo in cui percorse camera mia senza nulla addosso mi mozzò letteralmente il fiato.
Il corpo di Claire era molto tonico e ben slanciato, tipico di una soldatessa, riflettei. Il suo seno non era eccessivamente vistoso, e, malgrado gli estenuanti allenamenti cui si sottoponeva – benché i miei continui dissensi – la sua corporatura non era eccessivamente robusta: Claire, infatti, lavorava soprattutto di agilità e concentrazione, due abilità in cui lei surclassava addirittura i suoi bravi compagni, se non alcuni tra i veterani, ma peccava di forza.
Prima che avessi tempo di ammirare ulteriormente la sua figura, soffermandomi poi sui capelli, la quale tinta era a metà tra il biondo e il castano, quella mattina decisamente disordinati e arruffati, si bloccò a metà strada. Guardò il vuoto a bocca aperta, poi spostò lo sguardo su di me, il viso in fiamme.
-Sono completamente nuda – proferì.
-Ma sei davvero tanto rincoglionita? – mi stiracchiai, scrocchiando le dita sopra la testa. –La prossima volta ti faccio vestire da Hanji. Magari, vedendoti così, le verrà anche voglia di sottoporti ad una bella dissezione giusto per capire un po’ meglio il tuo udito sovrumano.
-‘Fanculo, Levi. È prima mattina – si coprì i seni, scappando velocemente in bagno.
Sorridendo, la osservai chiudere la porta alle mie spalle, poi poggiai per un breve istante la testa sul cuscino, perso nei miei pensieri.
La mia mente era concentrata solo ed esclusivamente su di lei, al fatto di poter avere qualcuno di tanto importante per me, che ricambiava tutti i miei sentimenti. Nonostante ciò, anche in quel momento mi accorsi di un particolare rilevante: seppur vedessi la felicità dipinta sul suo volto ogni qual volta me la ritrovassi al mio fianco, non facevo che colpevolizzarmi per non poterle offrire un’esistenza migliore. Quante volte mi aveva accennato il suo sogno, quello di andare a vivere lontano dalle mura e dai giganti per rimanere con i propri cari!
Aveva deciso di lottare a denti stretti contro i giganti affinché quel desiderio potesse realizzarsi, fidandosi ogni volta delle scelte dei suoi superiori, benché fossero qualche volta troppo sprovvedute, come quelle di Hanji.
Stimavo la sua grande forza di volontà, ma è palese che l’ansia di perderla mi intimorisse più del necessario. Anche quel giorno, dopo essermi alzato per darmi una sistemata e riordinare il letto, mentre svolgevo tali mansioni quasi iniziai a dimenticare la felicità provata pochissimi istanti prima, preparandomi ad affrontare una nuova giornata da soldato della Legione Esplorativa.
Claire camminava per la stanza con indosso un asciugamano, dopo essersi concessa un bagno, nonostante l’avessi intimata a rimanere ferma mentre cercavo di rassettare la camera e il caos che avevamo creato con i vestiti.
-Non potevi aspettare che me ne andassi, prima di sistemare qui dentro? – sospirò. –Ora come mi asciugo?
La ignorai, ripetendole di non muoversi per non aumentare il casino già presente. Ella borbottò contrariata, stringendo l’asciugamano al petto.
Riuscii a farla tornare di buon umore solo dopo aver terminato di mettere in ordine: con il fardello di vestiti tra le braccia, a cui avrei regalato da lì a poco un’accurata lavata, mi avvicinai a lei per lasciarle un bacio sulle labbra, prima che potesse divenire ancora una volta color pomodoro.
Fu lì che mi promisi, per l’ennesima volta, che avrei fatto qualsiasi cosa per mutare il sogno nel cassetto di quella ragazza in realtà.
 
 
Spazio Autore: eccomi di ritorno, con una versione abbastanza OOC di Levi (o almeno lo è per me. Voi cosa ne pensate? XD) in un capitolo a lui completamente dedicato.
Sinceramente considero questo uno dei capitoli più apprezzabili della mia storia, e sono felice di aver realizzato il desiderio di voler scrivere uno spin off del racconto per lasciar spazio al punto di vista del caporale, eppure non credo di aver rispettato abbastanza la veridicità del personaggio. D’altronde, parliamo sempre di Levi! Di una cosa sono assolutamente certa: malgrado la sofferenza, la sfrontatezza e la sfacciataggine che caratterizzano questo personaggio, sono più che convinta che il suo cuore sia grande quanto il gigante di Eren.
Il titolo del capitolo prende inoltre spunto dal vero significato del nome di questo personaggio: è incredibile come “Levi” faccia anche riferimento alla straordinaria peculiarità degli Ackerman!
Ringrazio chi continua a seguire il racconto. Alla prossima!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Due cuccioli di trecento centimetri ***


28. Due cuccioli di trecento centimetri


-C’è qualcosa che non mi convince– parlò una voce maschile alle mie spalle, mentre osservavo un gruppo di giganti a circa trenta metri di distanza da noi.
-Non te la starai mica facendo sotto di nuovo per un paio di giganti, Oruo? – gli chiesi, senza distogliere lo sguardo dai colossi, ascoltando leggermente compiaciuta le risa dei restanti componenti dell’unità di Levi mentre il ragazzo scrutava la zona circostante, imitando come sempre l’atteggiamento distaccato del nostro superiore e fingendosi offeso.
-No, ma è quella rimbecillita della Caposquadra che mi preoccupa – ribatté il ragazzo a braccia conserte, fissando l’ufficiale, che, sovraeccitata e con uno strano quanto inquietante sorrisino stampato in volto, correva avanti e indietro sulla sommità della cinta muraria inseguita da un preoccupato Moblit Berner. Prima che il compagno aggiungesse altro riguardo quell’ufficiale femminile di cui, data la sua determinazione e il suo scopo primario, avrei sempre preso le difese, una delle mie lame scherzosamente lo minacciò di recidergli il collo.
-Non dire assurdità – risposi decisa, allontanando l’arma e guardando i miei compagni. Del resto, anche loro erano visibilmente intimoriti dall’operazione che, quel giorno, la nostra squadra e la seconda unità del Corpo di Ricerca, capitanata da Hanji, avrebbero messo in pratica per attuare la cattura di due esemplari di classe tre/cinque metri in prossimità delle cinta murarie del distretto di Krolva. Il progetto era stato accuratamente ideato dalla Caposquadra, dal capitano Levi e da un gruppo di genieri del Corpo di Guarnigione. Avendo la Caposquadra assiduamente richiesto la mia partecipazione agli incontri che avevano preceduto il giorno stabilito, conoscendo bene la meticolosità del piano stabilito, ero sempre più certa che quella missione avrebbe dato i frutti sperati: non avevo mai avuto modo di osservare una Hanji Zoe tanto precisa e attenta, che, con la sua straordinaria invenzione di cattura e l’uso di un telo specializzato per essere impermeabile ai raggi solari, avrebbe finalmente ottenuto la possibilità di studiare più a fondo la nostra nemesi, permettendo una volta per tutte al genere umano di compiere scoperte inedite sui giganti.
 –Lei crede tanto in noi, e riusciremo a fare un ottimo lavoro – continuai, grattandomi la testa, incontrando gli sguardi dei quattro fissi su di me. –Forse non credo molto in me stessa, ma su di voi e le vostre capacità non ho alcun dubbio. Questa missione andrà a buon fine, me lo sento – ripetei ad alta voce. Confidate nel piano?
-Assolutamente sì – disse convinto Erd. –Anch’io la penso come te. Mi fido ciecamente del capitano, e so che tu gli hai dato un enorme sostegno per progettare le nostre manovre d’attacco e i nostri spostamenti.
-Proprio così – intervenne Gunther, sorridendomi. –E poi, sono disposto a offrire la mia vita per questa missione. Claire, sei proprio in gamba: riesci sempre a spronarci ogni volta. Si vede che anche tu, come Hanji, credi in questa impresa, e hai ragione. Dobbiamo scoprire quante più cose possibili sui giganti.
-Esatto – concluse Petra. –E’ il nostro compito offrire i nostri cuori.
Commossa, ridacchiai, ammiccando alla mia amica. - Ma è inutile sprecare altre parole: noi non moriremo, vinceremo e basta.
-Avete finito con questi discorsi sciocchi? – proruppe la voce del basso caporale alle mie spalle. –Risparmiate energie, ne avrete bisogno.
-Non guardi me, capitano – disse Oruo. –Hanno fatto tutto loro, l’avevo detto che stavamo perdendo tempo.
-Oruo, vedi di finirla! – esclamò Petra spazientita, tirandogli una gomitata, mentre io ero arrossita alla presenza del nostro superiore.
Poco gli prestai attenzione quando ci spiegò nuovamente ciò che il progetto prevedeva – vi avevamo lavorato entrambi e non ritengo che sia inopportuno nascondere che egli fosse stato tanto generoso da chiedere molto spesso il mio parere, di cui, a quanto avevo constatato, si fidava ciecamente – che prevedeva lo spostamento dei quattro miei compagni in direzione del gruppo di giganti che prima si sarebbe avvicinato al punto delle mura, sulla cui base i soldati di Hanji avevano appena terminato di sistemare la trappola. Questi avrebbero aiutato i più esperti ad abbattere gli esemplari circostanti che non rispettavano il limite di stazza per cui la rete era stata pianificata. Nel frattempo, io, affiancata ad un reparto d’élite dell’Armata Ricognitiva, e i genieri avremmo impedito a qualunque altro essere titanico di avvicinarsi alla zona dell’imboscata finché la missione non fosse stata ultimata. Essa si sarebbe infatti conclusa col trasporto degli esemplari catturati nelle mura della città evacuata nel tardo pomeriggio.
Sebbene fossero passate diverse ore dai fatti avvenuti la notte precedente nella camera del corvino, la presenza di Levi, quel giorno, rappresentava per me una gigantesca distrazione. Inoltre, non ero impaurita per aver ricevuto il pericolosissimo incarico di badare ad anomali o ad altri esseri pericolosi che si sarebbero avvicinati alle mura – compito che spettava a soldati di grande competenza ed esperienza, cui il Caposquadra Mike – piuttosto la mia ansia più grande era data dai segni violacei sul collo che, giusto per qualche centimetro di tessuto, il mio mantello miracolosamente copriva.
Tuttavia, quell’indumento pesante indossato in una giornata sorprendentemente calda non era facile da sopportare, inoltre, l’idea di avere un soldato dal fiuto eccezionale che lavorasse al mio fianco durante tutta l’operazione mi rendeva assai tesa.
Maledetto Levi, pensai, mentre il diretto interessato concludeva il suo discorso. Dopo che ai quattro ragazzi fu chiesto di supervisionare l’attrezzatura prima di scendere in campo, mi avvicinai al corvino, rimasto solo. –Era proprio il caso di farmi quel servizietto, stamattina? – gli domandai stizzita, arrossendo per aver ricordato di colpo tutti i particolari delle prime ore di quella mattina.
-Non so a cosa tu ti stia riferendo. Claire, sbrigati a raggiungere la tua posizione e smettila di farneticare – concluse lui.
-Più tardi ne riparliamo, nanerottolo – lo minacciai sottovoce, coprendomi col mantello per poi dirigermi alla mia postazione, da cui avrei supervisionato l’area assieme al Caposquadra Zacharias.
Una volta lì, osservai il grosso montacarichi caricare due per volta i destrieri dei membri della mia unità. Comprendevo le preoccupazioni dei miei compagni perché, essendo ancora poco più di reclute fresche di accademia, a loro era stato affidato il ruolo più importante. Ma tutti i soldati del nostro Corpo, più tra tutti il caporale, erano perfettamente coscienti delle loro straordinarie abilità: non solo godevano di ottime competenze come singoli soldati – il grado di forza, destrezza e agilità di quei quattro ragazzi era oltre ogni aspettativa, per dei cadetti – ma le loro capacità di coordinazione e gioco di squadra superavano di gran lunga quelle di molti commilitoni più anziani. Inoltre, durante il loro addestramento a seguito del reclutamento, avevano goduto del supporto di quello che, senza ombra di dubbio, chiunque tutt’ora definirebbe l’uomo più forte dell’umanità.
Condividevo la loro tensione, soprattutto perché la loro incolumità mi stava tanto a cuore, eppure sentii aumentare il bisogno di dovermi fidare di loro e convincermi che avrebbero lavorato meglio di ogni altro.
Con un cenno della mano salutai Oruo che, assai ansioso, si apprestava a scendere col montacarichi delle mura per mettere terreno in un territorio comandato dai giganti, mentre i genieri e i ricognitori rimasti sopra i cinquanta metri di altezza controllavamo che l’area rimanesse sgombera finché i quattro non fossero scesi.
Osservai alcuni membri dell’unità di Hanji arrampicarsi col dispositivo di manovra sulle mura, pronti ad intervenire, poi i soldati della Guarnigione che caricavano i loro cannoni. Tutto era pronto.
Il Caposquadra Mike mi raggiunse silenziosamente, posò una mano sulla mia spalla, facendomi voltare.
Ricambiai sorridendo, il polso accelerò notevolmente i battiti.
-Non temere, i tuoi compagni se la caveranno – mi confortò.
-Lo so, signore.
Quando iniziò a fiutare, come sempre faceva, pregai la buona stella affinché si preoccupasse solo ed esclusivamente dei giganti e non badasse al mio odore.
Fu inutile. Alcuni istanti dopo, Mike parlò di nuovo: -Il capitano Levi ha per caso cominciato a costringere la sua squadra a lavarsi con il talco? So che è il suo preferito, ma…
Divenni color pomodoro. In effetti, proprio quella mattina avevo usato la vasca da bagno del corvino, saponandomi con il suo medesimo prodotto, seppur in minor quantità (non sopportava il fatto di dover condividere i suoi adorati saponi con qualcun altro). Ero così intimorita dalla possibile reazione dell’ufficiale al punto da non essere in grado di rispondere in modo immediato.
-Mi piace molto il talco – risposi, dandogli le spalle e osservando distratta il bosco in lontananza. –Non credevo che io e il caporale usassimo la stessa fragranza.
Egli annuì, terminando la strampalata conversazione. Ne rimasi sollevata, tant’è vero che non fui capace di sopprimere un sospiro, ma iniziai a domandarmi se quell’imponente ufficiale da me tanto rispettato avesse già capito quale tipo di legame ci fosse tra me e Levi.
Certamente, da lui non mi sarei aspettata alcun giudizio negativo circa una possibile storia d’amore tra due soldati dell’Armata Ricognitiva; non molto tempo prima, io e Petra eravamo venute segretamente a conoscenza della sua simpatica e tenera relazione col vice caposquadra Nanaba. La loro relazione era un intrigante argomento di conversazione per me e la mia amica.
-Concentriamoci, l’operazione sta per avere inizio. Claire, conto tanto sul tuo udito, non dimenticarlo – proferì serio, invitandomi a rimanere lucida. Poi, urlò: -Voi genieri avete la situazione sotto controllo?
I membri della Guardia Stazionaria, affrettando i preparativi, fecero sì con la testa, seppur abbastanza titubanti. Era difficile biasimarli: a differenza di noi ricognitori, essi non avevano grande esperienza con i giganti, e, benché quegli specifici membri fossero effettivamente incaricati di utilizzare i cannoni per ridurre il numero di anomalo di gran lunga diversa, e il loro supporto avrebbe valso la vita di alcuni di noi.
-Non temete – parlò uno di loro. A dispetto degli altri, dava l’impressione di non essere particolarmente a disagio, né in tensione. Anzi, pareva che stesse sperando con tutto il cuore, come noi, che l’operazione potesse andare a buon fine.  –Appena ce ne sarà il bisogno, azioneremo i cannoni.
Mike fece cenno con la testa, concentrandosi sulla zona, non mancando di fiutare come suo solito.
-Li senti, Claire?
Aguzzai l’udito. Alcuni secondi successivi, intercettai un rumore sospetto provenire in lontananza. A differenza delle altre volte, tuttavia, i presunti calpestii titanici mi parvero decisamente più numerosi e rumorosi.
-Potrebbero essere in molti, signore? – domandai, preparandomi mentalmente a combattere.
-E’ così. Ne arrivano diversi – confermò l’uomo. –Se non ci fossero anomali tra loro e siano gli esemplari giusti, forse riusciremmo a catturarne qualcuno prima di impiegare troppo tempo.
-Sarebbe meraviglioso – intervenni, riflettendo sul fatto che i superiori del Corpo di Guarnigione avessero preferito non concedere ai ricognitori impiegati troppo tempo per la riuscita della missione, per timore che il consiglio cittadino mettesse troppo in allarme la popolazione di Krolva; di conseguenza, era necessario che l’operazione terminasse quanto prima. –Ma l’ultima parola spetta alla Caposquadra Hanji – conclusi.
Egli annuì, attendendo il fumogeno di segnalazione di quest’ultima: verde, nel caso in cui ci fosse stato qualche esemplare destinato alla trappola, rosso in caso contrario.
Tre giganti si rivelarono, iniziando a vagare per l’area. Io e Mike ci scambiammo istintivamente un’occhiata constatando la medesima opinione: nessuno degli esemplari poteva essere avvicinato, dato che le dimensione di due tra loro era esageratamente elevata, mentre l’altro, pur rispettando i cinque metri, risultava enorme e straordinariamente possente.
Partì una scia rossa alla nostra destra, comunicata chiaramente da Hanji: il segnale indicava l’intervento della Squadra Levi per abbattere i tre esemplari affinché non ostacolassero il proseguimento della missione.
Vidi i miei tesi compagni partire, galoppando spediti a tutta velocità.
In quel momento, il mio cuore iniziò a supplicarmi di scendere dalla muraglia per intervenire ad aiutarli, le mie mani scesero verso la vita, dove risiedevano i manici delle due spade: tremando, le osservai per diversi secondi, poi le afferrai, indecisa se sferrarle o meno.
-Guardali – parlò Mike.
Sussultai. Guardai prima lui, poi posai i miei occhi su di loro: Petra bloccò i movimenti di uno dei maggiori, Oruo pensò alla collottola. Gunther, con una mossa di pura furbizia che personalmente mi aveva stupita, aveva accecato il più piccolo con un fumogeno giallo, lasciando infine a Erd il compito di porre fine alle sofferenze del mostro.
-Ce l’hanno fatta! – mi lasciai scappare, stringendo un pugno per acclamarli nonostante la presenza di Mike.
I quattro si lanciarono senza timore addosso al terzo, sferrando attacchi di pura maestria, dove il tocco di Levi era molto presente nella violenza e la spietatezza.
-Cosa ti dicevo? – mi sorrise il Caposquadra.
Non mi dilungai nei festeggiamenti. Altri rumori sospetti presto mi ronzarono di nuovo nelle orecchie.
-Ne arrivano altri.
-Da ovest! – esclamò subito dopo il soldato di Guarnigione di poco prima.
Di colpo osservai la zona alla sinistra delle mura: nuovi diversi esseri titanici si stavano avvicinando massivamente lungo la traiettoria che avrebbe condotto alla trappola.
-Attivate i cannoni, Hannes! – ordinò il capitano dei genieri. Un soldato in avanti con gli anni dalla capigliatura bionda e corta comandò il giusto posizionamento delle armi da fuoco.
-Ce ne occupiamo prima noi – enunciò Mike. –Claire, credi di poter…?
Avevo già azionato il dispositivo per percorrere le mura, raggiungendo velocemente la nuova schiera. Poco più tardi mi sarei vergognata profondamente di quello scatto improvviso, frattanto ero partita spedita verso la collottola del primo, sminuzzandola senza problemi.
Un secondo essere tentò di afferrarmi, prontamente cambiai direzione dei rampini, sparandoli contro la roccia della muraglia.
-Cosa credi di fare? – sbottai col cuore in gola, aggrappandomi al muro e studiando velocemente l’anatomia del mostro, cercando una maniera di attaccarlo per bloccargli qualsiasi tipo di movimento.
Un forte sentimento mi colse all’improvviso: le mie pulsazioni cardiache divennero improvvisamente più veloci, le mie mani iniziarono velocemente a tremare. Di scatto, i suoni che mi circondavano mi parvero amplificati: quasi, avrei giurato di poter sentire il cuore della creatura che mi apprestavo ad uccidere.
Una forte scossa mi pervase. Che cosa accade? Domandai a me stessa, intimorita. Chiusi gli occhi, li riaprii con rapidità: il mostro, con un inquietante sorriso in volto, minacciava di prendermi con uno scatto della mano, suggerendomi che avrei fatto meglio a caricare il prima possibile, anziché perdermi in riflessioni inutili.
La mano destra roteò il manico della spada che reggeva, i miei occhi rimasero concentrati sulla mano destra del gigante: dovevo tagliarla via, se volevo una via diretta per la nuca.
Emisi un grido rauco, prima di lanciarmi spedita verso il mostro, ruotando più volte, come mi aveva mostrato il capitano: con grande semplicità, riuscii ad amputare l’arto di un essere titanico.
Senza spostare il rampino, utilizzai tutte le nozioni apprese sul dispositivo di manovra per attorcigliare la corda in metallo dirigendomi verso la collottola, che fui in grado di far saltare via senza problemi.
Rimanevano altri tre esemplari – uno tra loro era già corso troppo rapidamente verso la zona prefissata dall’unità di Hanji – ma il Caposquadra Mike era già piombato addosso ai due che continuavano a minacciarmi di divorarmi.
Mike sparò velocemente un rampino in direzione del muro. Qualche metro più sopra di me, mi osservò per metà stupito, al contempo abbastanza adirato.
Non badai troppo al suo sguardo di disapprovo: alzai subito gli occhi dopo aver avvertito la presenza di altri esseri.
Un gigante iniziò a correre al fianco delle mura, superandoci prima che potessi parlare.
-Signore, un esemplare si avvicina notevolmente lungo la zona designata!
Mike tentò di ribattere, ma la sua voce fu coperta dal tumulto dello sparo di un cannone, avviato proprio dall’artigliere di cui parlato prima.
Il gigante, nonostante il forte impatto, tentò nuovamente di alzarsi, ma Mike lo aveva steso prima che potesse muovere più di un solo muscolo.
Pochi attimi dopo, io e il Caposquadra raggiungemmo il punto più alto, dove lavoravano gli artiglieri.
-E’ stato un colpo di fortuna, in tutti i sensi – commentò il soldato di Guarnigione biondo, asciugandosi il sudore sulla fronte, riferendosi alla cannonata da lui azionata.
Un capitano del suo corpo gli si avvicinò, dandogli una pacca sulla spalla. –Ottimo lavoro, Hannes. Non credevo che, da sobrio, potessi essere così in gamba.
-Ehi, non penserà mica che mi limiti a passare tutta la giornata a bere? – ribatté lui, sorridendo. –Ce la metto tutta anche io.
Riuscì a strappare un sorriso anche a me, felice di poter constatare la magnifica intesa che, proprio quel giorno, si era rafforzata tra Ricognizione e Guarnigione.
-Ragazza, devo dire che anche tu te la sei cavata benissimo – mi venne vicino Hannes. -Sembri molto giovane, ma hai la forza di un plotone.
Strinsi il pugno al petto. –La ringrazio, ma penso di non aver fatto altro che il mio dovere.
Ridacchiò. –Sei un tipetto piuttosto combattivo, vero signorinella? Avevo una vecchia conoscenza a Shiganshina… a tratti me la ricordi, sai? – mi sorrise spontaneamente.
-Lei proviene da Shiganshina, signore? – domandai, curiosa di saperne di più da un uomo che aveva vissuto l’orrore scatenato dal Gigante Colossale giusto l’anno precedente.
Hannes si incupì, grattandosi il capo. –Sì, purtroppo. Ho visto centinaia di miei compaesani morire, quel brutto e fatidico giorno – strinse i pugni. –Ma sono convinto che un giorno tutto questo terrore cesserà – sorrise di nuovo. -Mi mancano molto i vecchi giorni, nonostante la minaccia dei giganti, a quanto pare, esistesse già allora.
Pervenne alla mia mente il ricordo dei cittadini di Karanes, città che avevo visitato poco tempo prima: anche loro, benché vivessero ai confini dei territori posseduti dagli uomini, si godevano la loro pace apparente, continuando con semplicità a vivere la loro vita. Per quanto ritenessi insensato fingere che tutto andasse bene, comprendevo quanto fosse importante combattere anche per quelle persone, affinché la paura dei giganti potesse scomparire una volta per tutte nel nostro piccolo mondo. Queste parole furono da me pronunciate in quell’esatto momento al cospetto del soldato.
-Continua così, allora. Abbiamo bisogno di giovani come te – concluse, strizzandomi l’occhio.
-Voi della Guarnigione, non abbassate troppo la guardia – proruppe la voce calda di Mike, che mi osservò ancora. –Non avresti dovuto partire alla carica in questo modo, Claire. Non metto in dubbio le tue capacità, ma presta attenzione agli ordini dei più anziani, capito?
Arrossii, accorgendomi di aver agito di mia spontanea volontà, ignorando i comandi del Caposquadra: mi ero avviata spedita verso i mostri contro i quali avevo combattuto senza nemmeno pensare al rischio che avrei corso, senza consultarmi con colui al quale avrei dovuto sempre e comunque obbedire. Riflettei sulla mia scelta incolume e priva di giudizio, senza pensare ai meriti per aver sterminato due esemplari che potevano ostacolare il proseguimento dell’opera.
-Comprendo benissimo, signore – mormorai a testa bassa, sudando freddo per l’imbarazzo. –Sono desolata, ma mi creda, non ho idea di cosa mi sia preso.
Mi scompigliò i capelli. –Hai fatto un lavoro da veterano, non ho idea di come tu faccia – rivelò. –Ma cerca di non morire per non essere stata abbastanza cauta. Quelle creature sono troppo pericolose e non voglio che tu rischia la vita per una decisione sciocca, ci siamo intesi?
Annuii, rivolgendogli un piccolo sorriso. Per quanto solitamente fosse un tipo taciturno che difficilmente dimostrava protagonismo nelle conversazioni, l’altezza del Caposquadra Mike bastava a far intimorire qualsiasi essere, titanico o umano che fosse, e non nascondo di aver percepito un certo senso di fragilità e impotenza non appena aveva ripreso le mie azioni eticamente sbagliate di poco prima.
-Vedo che Levi ti ha istruita proprio bene – continuò lui. –Non pensavo che sarebbe mai stato in grado di insegnare a uno dei suoi allievi la sua incredibile tecnica di combattimento.
Solo per rendere la situazione ancor  più particolare, grazie a Mike mi ero resa conto di colpo di aver rovesciato la spada destra prima di essere partita all’attacco. Al momento, nemmeno ci avevo fatto caso, tantomeno avevo mai ipotizzato di poter essere in grado di utilizzare quell’importante nozione, la quale mi aveva aiutata ad amputare un intero arto con grande facilità e ad acquisire un maggiore controllo della tridimensione.
-In effetti non è stato semplice – grattandomi una tempia.
-Forse ha avuto semplicemente fiducia nel tuo grande talento. Spero che tu, però, abbia trovato il modo di ricambiare, in un modo o nell’altro.
Sgranai gli occhi, imbarazzata. Era palese che il fiuto eccezionale dell’uomo avesse intuito alcuni cambiamenti di umore e atteggiamento miei e del mio principale, cambiamenti che, fortunatamente, egli non avrebbe mai rivelato in giro, tenendo probabilmente alla reputazione di una recluta, a detta sua, tanto promettente come la sottoscritta. Per giunta, nonostante avessi sempre temuto di essere scoperta, prima che da Hanji e da Erwin, proprio da lui, dovevo solamente dichiararmi fortunata a causa del suo carattere introverso e di poche parole.
Mentre i soldati della Guarnigione tenevano la situazione sotto controllo a qualche metro di distanza, la mia mente non poteva accettare quella improvvisa reazione di qualche minuto precedente, durante il quale, dopo aver praticamente ignorato gli ordini dei miei superiori, in maniera puramente istintiva, avevo attaccato utilizzando tutta la forza del mio corpo per fare pressione sulle spade e distruggere letteralmente l’arto del nemico con cui ero in procinto di duellare.
-Due esemplari normali della giusta statura – il Caposquadra annunciò poche parole, penetranti e acute, che mi avevano fatta rinvenire come lo avrebbe fatto un secchio d’acqua gelida, dopo aver udito il razzo di segnalazione verde, sparato perché la Squadra Levi potesse intervenire secondo quanto stabilito.
I miei occhi cercarono i miei compagni fidati all’orizzonte: incrociai le figure di Erd e Gunther, intenti a impedire al paio di piccoli di gigante – osservandoli dal picco delle mura, parevano una coppia di sei o sette metri. Scoprii pochi attimi più tardi che i due, contrariamente, erano ancora più minuti di quanto ci si potesse aspettare – di afferrare Oruo e Petra, sistemati sui loro destrieri pronti a scattare verso la trappola. Amputati gli arti superiori, i cavalli partirono, inseguiti dai due esseri. Per quanto potessero apparire innocui se paragonati ai giganti appena fatti fuori dal Caposquadra, erano entrambi molto veloci, i destrieri della mia migliore amica e del ragazzo stentavano di poco a tener loro testa.
Le mie mani strinsero i manici delle mie spade, su cui colava del sangue, quello non ancora evaporato dei titani appena abbattuti.
-Fermati, se la caveranno – mi rassicurò alle mie spalle Mike. –Guarda.
I destrieri dei membri dell’Unità Levi avevano raggiunto l’area per la cattura, inseguiti dai due minuscoli giganti.
Il mio sguardo si posò sull’artefice del piano, intenta ad ammirare i due esemplari prima di essere intimata con pochissima gentilezza dal caporale a impartire alla sua squadra quell’ordine da me tanto atteso.
Hanji ordinò infatti di far calare la rete pesante, le cui estremità sarebbero rimaste infossate nella terra da arpioni appositi. I cavalieri dei quattro variarono bruscamente la traiettoria, i soldati utilizzarono i loro dispositivi per raggiungere in volo le mura e porre fine alla parte del piano in cui loro erano i protagonisti assoluti del gioco.
-Sono in trappola! – avevo esclamato con gioia, una manciata di secondi precedenti l’esplosione di un boato.
-WHOOH! – strepitò la Caposquadra. Per quanto le sue urla stessero minacciando di privarmi della mia preziosa abilità uditiva, non potei che, come lei, saltare di gioia nell’aver visto i miei compagni completare perfettamente la loro missione.
 –GUARDA, LEVI! Non vedi come sono splendidi?! Vi aspettano tantissimi esperimenti, tesorini miei! – continuò Hanji.
Scoppiai in una risata, in cui avevo chiaramente sfogato tutto il nervosismo dovuto alla consapevolezza di quanto i miei compagni d’armi più stretti avessero lavorato con tanto coraggio e fatica in un’impresa a dir poco rara e pericolosa.
Mike e io ci avvicinammo a Levi e ad Hanji, che Moblit tentava a perdifiato di calmare, malgrado fosse stata già intimata da uno sgradevole pacca sulla schiena del caporale a fare silenzio.
-Abbiamo finito prima del previsto – commentò Mike, non appena i restanti membri dell’unità ebbero raggiunto la somma delle mura utilizzando la tridimensione.
Iniziò a battermi forte il cuore quando riebbi la mia piccola compagna di vita era finalmente a pochi passi da me: la sua chioma rossiccia spuntava da dietro la roccia grigia, i suoi occhi iniziarono a guardarmi con soddisfazione e amorevolezza, tanto che mi emozionarono ancor più del necessario. Allungai la mano nella sua direzione, alzando il suo corpicino con grande facilità.
-Ce la siamo cavata, eh? – ridacchiò Erd proprio mentre avevo stretto Petra a me senza pensarci più di un secondo.
-Altroché – sorrisi. Lasciai andare la ragazza, osservandola negli occhi, stringendole le spalle. - siete stati bravissimi!
-Ma la missione non è ancora terminata – osservò Levi, col suo immancabile atteggiamento distaccato. I nostri sguardi subito si posarono sui giganti appena catturati, assorti nelle loro grida feroci, che si dimenavano invano per liberarsi istintivamente della grossa rete che li bloccava. Le loro espressioni comunicavano una profonda agonia e un angoscioso smarrimento.
-Hai ragione, adesso ci vogliono gli effetti speciali – Hanji schioccò le dita, e in un battito di ciglia Nifa e Keiji fecero calare una lunghissima tela nera, color carbone, che, fino ad allora, la squadra addetta alla supervisione dell’intera operazione aveva lasciato arrotolata sopra la rete di innesco.
-Ecco fatto! Adesso aspetteremo che siano completamente inattivi per comunicare l’ordine di evacuazione – spiegò la Caposquadra poco dopo, alzandosi gli occhiali protettivi sulla chioma spettinata per poi asciugarsi la fronte sudata. Difatti, dopo che i due esemplari si fossero “addormentati”, in assenza di luce”, all’ora del sole calante, avremmo fatto evacuare le strade principali del distretto per lasciar passare i due esseri lontano dai cittadini ansiosi, convinti che era in corso una prova generale di evacuazione.
–Complimenti alla squadra di Levi per esserci stata di tanto aiuto – aggiunse raggiante Hanji.
I quattro si misero sull’attenti, sorridenti. Fiera di loro, li osservai commossa poco distante da Petra.
Di colpo, tutta l’attenzione della Caposquadra si concentrò al di sotto delle mura. -Ho in mente così tanti esperimenti per cui sottoporre questi due piccoli – ridacchiò eccitata, le guance infuocate, gli occhi fuori dalle orbite.
-Caposquadra, ehm… forse è il caso che smetta di sbavare – notò titubante Moblit.
I “piccoli” di tre metri appena catturati rappresentavano momentaneamente il più grande passo avanti compiuto dall’umanità prima d’allora. L’eccitazione di quegli attimi mi inducevano molto probabilmente a fantasticare più del necessario, ma allora ero certa che un incontro tanto ravvicinato col nostro nemico naturale potesse condurci alla loro eliminazione effettiva, o comunque alla scoperta di un mezzo per pervenire ad essa.
Tutti, dall’alto, osservavano con meraviglia gli esemplari nascosti dietro il grande telo nero. In quel momento, confidavo tantissimo nelle doti del genere umano e guardavo anche io con ammirazione l’opera compiuta, così assorta da non accorgermi dei rigoli di sangue che provenivano da entrambi i palmi delle mie mani. Fu Petra a indicarmeli, dopo aver osservato la sua giacca macchiata, il cui tessuto avevo stretto poco prima, al termine del nostro abbraccio: -Claire, le mani! Stai sanguinando!
Guardai queste ultime, certa che si trattasse ancora del liquido rosso provenuto dalle membra dei titani abbattuti, che non voleva saperne di evaporare; infine, mi accorsi che entrambi i palmi erano consumati e squarciati.
Levi e Mike si avvicinarono per squadrarmi: il primo studiò le mie ferite, tenendo le mie mani sulle sue, il secondo, nel frattempo, mi alzò i gomiti per controllarmi il dispositivo.
-I manici delle spade – disse il Caposquadra, esaminandoli per metà sbigottito.
Levi venne in suo soccorso, per poi accorgersi che ambi i manici erano stati incurvati verso l’interno: era possibile intravedere la deformazione delle dita anche ad occhio nudo.
–Hai esercitato troppa pressione – rilevò il caporale, il timbro di voce rigido come sempre. Alzò gli occhi verso di me, guardandomi con aria di rimprovero. –Guarda come ti sei ridotta. Pensavi che non ti avessi vista, prima? C’era bisogno di accanirsi così tanto su due cazzo di giganti che dovevi abbattere assieme a Mike?
Abbassai il capo, decidendo di ignorare la sua inutile ramanzina, fissandomi le mani. –Io non… nemmeno me ne sono resa conto.
Ricordavo con confusione gli istanti in cui avevo atteso il momento giusto prima di caricare in direzione del gigante. Ciò che a stento riuscivo a riconoscere era la grande sensazione di rabbia, di vendicazione unita ad un profondo smarrimento interiore, che avevo provato. Lo smarrimento era poi miracolosamente mutato in certezza, come se una grande forza fosse appena penetrata in me, dopodiché ero partita all’attacco senza pensarci due volte.
-Nemmeno me ne sono accorta – ripetei, bisbigliando, i volti preoccupati dei miei compagni rivolti su di me.
Petra venne in mio aiuto per fasciarmi le ferite. Il lettore faticherà a credere che le scottature e i tagli non mi stavano procurando il benché minimo fastidio, e non l’avevano fatto tanto meno precedentemente, quando ero troppo assorta nei vari incarichi da svolgere mentre l’apprensione dei miei compagni mi divorava interiormente.
Trascorsi gli attimi che seguirono ad ignorare le parole della mia amica e gli sguardi tesi dei miei amici, che subito dopo furono incaricati da Hanji di rimanere all’erta finché i due esemplari non si fossero acquietati. Mike, dopo aver scambiato due parole con Levi, approfittando del fatto che la mia mente stesse pensando a ben altro anziché intercettare il suo discorso, ben presto tornò ad occuparsi della sicurezza dell’area assieme ai restanti membri della Guarnigione; l’unico rimasto nei paraggi fu proprio il caporale, il quale diede a Petra l’ordine di ricongiungersi con gli altri per la supervisione.
Quest’ultima obbedì al comando senza battere ciglio, mentre io mi apprestavo a sorbirmi l’ennesimo rimprovero da parte di quell’ufficiale che, quando in veste di soldato, sapeva bene come mortificare un suo sottoposto senza troppi giri di parole.
Eppure non ero in grado di distogliere lo sguardo dai manici deformati, e in un attimo mi parve come se l’essere a cui avevo inferto il colpo di grazia fosse ancora davanti i miei occhi a fissarmi. Avevo provato così tanto odio per esso, un odio che, seppur insensato ed eccessivamente furente, mi aveva permesso di sfogare una potenza incredibile nell’arco di un sol secondo che mai avevo pensato di possedere.
L’ombra di Levi apparì al mio fianco. Mi voltai per guardarlo: benché fosse accanto a me – e la sua presenza confortante, in piccola parte, non mi dispiacque più di tanto – prestava più attenzione ai nostri compagni e al grosso telo nero.
-Pensi che sono immatura – proferii.
-Eccome se lo sei.
Sorrisi. –Una poco di buono a cui non importa degli ordini.
Il suo viso si girò di scatto. –Non sei una poco di buono, stupida che non sei altro. Hai doti incredibili per essere solo una recluta.
Le ultime parole uscite dalla sua bocca furono quelle che più mi colpirono, per diversi aspetti. Primo: Levi difficilmente si lasciava scappare qualsiasi tipo di commento positivo riguardante le abilità dei suoi commilitoni, e, come mi aveva spiegato Hanji una manciata di mesi prima, se egli ne parlasse con orgoglio era perché realmente credeva che la persona a cui si riferisse valesse qualcosa. Secondo: in gran parte, era stata la sua presenza durante il faticoso addestramento a cui mi ero volontariamente sottoposta a seguito del mio arruolamento tra i ranghi del Corpo di Ricerca ad avermi permesso di affinare le mie doti, motivo per cui sarei stata fino alla fine dei tempi a lui devota.
Non continuai la mia riflessione troppo a lungo, perché egli mi regalò presto un manrovescio sulla testa. –Cerca di non combinare altre cazzate, però: smettila di essere tanto sprovveduta o ti scordi di lavorare al fianco di coloro che ascoltano i miei ordini senza ribadire.
Ridacchiai, ma subito dopo decisi di rivelargli la mia perplessità. –Mi dispiace averti fatto preoccupare inutilmente, ma non ho previsto nemmeno io di fare di testa mia.
-Che significa?
Lo guardai negli occhi, prima di continuare. -Prima di partire alla carica c’è stato un momento in cui mi è sembrato di esplodere. Ho avuto come l’impressione di impazzire… tutti i suoni mi sono sembrati più forti, più potenti. Dopo quell’attimo di esitazione ho caricato con ira. Non mi è mai parso di aver attaccato così violentemente un titano.
Levi ascoltò il mio racconto con pazienza. Una nota di stupore era dipinta sul suo volto. –E questo ti preoccupa molto?
Sospirai, mostrandogli le mani bendate. –Queste mi preoccupano. È stata una reazione molto strana, ad ogni modo.
-La penso come te – Levi esitò qualche attimo, come se fosse combattuto dal voler dire altro o meno, poi si voltò e fece per allontanarsi. –Vuol dire che le tue doti di combattimento sono migliori di quanto pensassimo. Bada al tuo istinto, comunque. Agisci troppo impulsivamente.
-Comandi – conclusi, preparandomi ad affiancare nuovamente Mike.
Levi mi rivolse un ultimo sguardo, stavolta accennando un sorriso. –Sciocca mocciosa.
Mi portai le mani sulle guance bollenti, riprendendo il passo verso il Caposquadra Zacharias, tranquillizzata da quella breve quanto piacevole conversazione con il corvino da me tanto amato.
Proseguii il mio giorno felice, rallegrata dalla prima, piccola vittoria del genere umano sull’ostilità chiamata “giganti”, quanto dalla presenza e dalle parole del piccolo, scorbutico, tenero e giusto caporale della Legione Esplorativa.  
 
 
Spazio Autore: meriterei davvero di essere data in pasto ad un gigante, dato il mio lungo periodo di assenza!!!
Konnichiwa! Eccomi di ritorno dopo un mese di riflessione e di vacanza… mi rammarico così tanto di non aver avvertito i lettori prima di andare in stanby, ma non sono riuscita a pubblicare questo capitolo prima del mio viaggio in Irlanda, come avevo previsto, motivo per cui nel precedente non avevo proprio accennato alla scelta di prendermi un pausa. Ripeto: ne sono terribilmente dispiaciuta!
Ad ogni modo, c’è da dire che in questo periodo sono successe tante cose per i fan di Attack On Titan: la terza stagione finalmente prosegue, circola un OVA sulla nostra Mikasa da qualche ora e da poco è stato pubblicato il capitolo 108 del manga. Direi che non abbiamo proprio nulla di cui lamentarci!
Come vi sono sembrati fino ad adesso i nuovi episodi? Personalmente sono rimasta molto sorpresa dai cambiamenti della trama, ma spero che tutto prosegua con coerenza.
Ringrazio tantissimo i miei soliti recensori, in particolar maniera tre a cui non sono riuscita mai a rispondere:
-Skill Rider
-Traumatilde
-Alumina, che ha deciso di scrivere un vero e proprio trattato sulla mia ridicola storiella (la tua recensione mi ha fatto piangere, sul serio, ma penso che ci vorranno anni prima che possa riuscire a risponderti come si deve XD).
Spero di poter pubblicare quanto prima il nuovo capitolo. Alla prossima!!

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Capitolo 29
*** Soccorso imminente ***


29. Soccorso Imminente

Quella sera, i due esemplari in trappola fecero il loro ingresso a Krolva.
E’ difficile dimenticare la visione delle strade sorprendentemente sgombre, in particolar maniera quella principale, che collegava il portone esterno a quello da ingresso all’interno delle mura. Decine di nostri compagni, appostati sui tetti delle case, erano pronti ad intervenire in qualsiasi momento, mentre i ragazzi della squadra di Levi tenevano d’occhio i “cuccioli” di gigante direttamente alle loro spalle, cavalcando alla stessa velocità dei carri. Per chi è tutt’ora abituato a vedere tali spazi cittadini sempre abitati e affollati, potrà probabilmente comprendere la sensazione di smarrimento che mi causò l’osservazione di una città tanto silenziosa.
Pochi minuti dopo ci dirigemmo all’interno del Wall Rose. Per quanto fossi stanca, reggevo le redini di Edmund con felicità e ammirazione, facendo sì che comunque nessuna espressione trapelasse dal mio volto: ero comunque infastidita dagli sguardi interrogativi di coloro che intravedevo dietro le finestre illuminate delle casupole.
-Giganti dentro il Wall Rose?
-Già. È sempre ad opera di quel Corpo di Ricerca eccessivamente ostinato.
-Magari ‘sti mostri potrebbero servirgli da cavia per scoprire qualcosa di importante.
-Spero solo che riescano a tenerli a bada. Non vorrei trovarmeli in giro dopo che li hanno fatti tutti fuori.
Molti osservavano la nostra opera confusi e impauriti, altri manifestavano apertamente il loro disappunto tanto che, inizialmente, non resistei alla tentazione di ricambiare con un analogo sguardo arcigno.
Poi riflettei meglio, capii che coloro i quali mai avevano assistito con i propri occhi all’orrore di vedere divorati i propri compagni d’armi da quelle creature misteriose e spietate non avrebbero mai potuto comprendere appieno la minaccia che essi rappresentavano, e che gli uomini sarebbero stati i soli a restituire ai propri simili la libertà perduta. Prima o poi, pensai fiduciosa, avremmo fatto cambiare loro idea. Prima o poi, avremmo liberato anche loro dalla soggiogazione.
D’altronde, io e la mia squadra ci eravamo impegnati a realizzare il primo vero e proprio trionfo dell’Armata Ricognitiva, e ciò non poteva che rendermi pienamente orgogliosa dei miei compagni e delle capacità di una razza che poteva ancora dimostrare il proprio valore, dopo anni di soggiogazione.
Più tardi – in piena notte, potremmo dire – giungemmo distrutti in caserma. Se i ricognitori avevano sempre potuto vantare di una vastissima area per l’addestramento, adesso una buona parte del campo era stata occupata e attrezzata per l’arrivo dei due piccoli esemplari titanici e sarebbe stata usata esclusivamente per gli esperimenti ad opera della seconda unità.
I due giganti ancora addormentati furono immobilizzati da strutture apposite - io e il resto della mia squadra, benché sfiniti, ci offrimmo volontari per quell’ultima operazione - e tutti i soldati della caserma, a differenza dei civili, ammaliati ed esultanti, accorsero ad osservare il frutto delle fatiche del Corpo di Ricerca. Tutti sapevano quanto fosse stata importante quella vittoria, da cui ne eravamo usciti tutti incolumi. Più tardi, nell’ufficio riunioni, dove avremmo dovuto fare rapporto, Erwin annunciò soddisfatto che la conquista più grande era stata proprio la primissima sconfitta dei giganti senza che fosse occorso il sacrificio della vita di un solo uomo.
La caserma fu dominata in men che non si dica dal silenzio: soldati di qualsiasi rango e giganti di bassa statura erano caduti in letargo – fatta eccezione, molto probabilmente, per Hanji Zoe, così in preda all’eccitazione per essere riuscita finalmente a coronare il suo sogno più grande da non poter proprio permettersi di acquietarsi. Si potrebbe dire che, a vedersi, nessuno avrebbe potuto testimoniare la presenza di qualche forma di vita umana/titanica; io stessa avrei potuto giurare di sentirmi profondamente sola in un edificio di mattoni sperduto tra le colline del Wall Rose.
Parlando proprio della sottoscritta, quella sera non avevo preso la decisione di rintanarmi nei dormitori come sempre e approfittai del grande sonno di Petra per fuggire sul tetto senza l’ansia di essere cercata dalla mia amica, già rannicchiata sotto le coperte del suo letto a dormire beata.
Da lì, non potei fare a meno di osservare la “zona-giganti”, appostata giusto qualche decina di metri più avanti alle spalle della caserma: in quello stato di beatitudine, i due esemplari, per quanto potessero intimorire chi non vi era abituato anche in quell’istante date le loro sproporzionate dimensioni, mi parvero improvvisamente gli esseri più docili del mondo.
Paradossalmente, la mia logica li aveva incolpati dello strano quanto inaspettato scatto d’ira che mi aveva colta qualche ora prima, un episodio così raro a causa di cui la mia mente era in un perenne stato di turbamento, quella sera. Adesso ci ripensavo più e più volte, a tutti quei vuoti da riempire riguardante la storia della mia famiglia, a quelle domande sull’umanità e sulle mura a cui cercavo disperatamente una risposta. Questi dilemmi a quei tempi irrisolvibili rappresentavano, così credetti, il motivo per cui avevo provato un odio sconsiderato per quegli esseri brutali di cui non conoscevo le intenzioni, di cui non sapevo niente che li riguardasse. Di cui mi ero inevitabilmente convinta che fossero i responsabili di tutto il male del mondo, lo stesso che avevo avuto modo di sperimentare sulla mia pelle per la prima volta all’innocente età di tredici anni.
Questi pensieri non fecero altro che alimentare la mia frustrazione interiore, benché fossi infine contenta del lavoro svolto quel giorno. Eppure rimanevano ancora troppi dubbi che mi turbavano, a cominciare da ciò che era accaduto qualche ora prima a Krolva.
Percepii un lieve rumorio di passi provenienti dalla rampa di scale che conducevano al tetto. Sentii la porta aprirsi, il suono di prima che si faceva sempre più vicino.
Per qualche strano motivo, l’avevo riconosciuto fin da subito, ma decisi di attendere che si accostasse a me prima di controllare.
-Se pensi che ti possa dare qualche attenzione con quel lerciume addosso, allora non mi conosci bene come credi– esordì il piccolo caporale, scrutando la mia divisa con disgusto. Portava un maglioncino grigio da cui spuntava la clavicola biancastra e forse troppo lungo per lui, motivo per cui l’orlo ricadeva sotto l’inguine. Il suo sguardo sempre rigido, ma i suoi occhi erano spettacolari e riflettevano i raggi lunari.
-Mi crederesti se ti dicessi che non mi sono cambiata per vedere la faccia che avresti fatto? – ridacchiai, stropicciandomi gli occhi per la stanchezza. –Come sapevi che ero qui?
Sedette accanto a me con una tazza fumante nella mano destra, mantenne la parola dato che rimase ad una certa distanza. –Mi dispiace deluderti, ma non ero certamente venuto qui apposta per incontrare te.
Ero troppo sfinita per ribattere a quella provocazione, semplicemente emisi un piccolo grugnito di disapprovazione.
-Questo posto è l’unico che mi tranquillizza un po’, e poi lo sai che mi risulta davvero difficile dormire. Soprattutto se con me non ci sei tu – aggiunse, prima di nascondere il volto nella tazza di tè.
Mi strinsi nelle spalle, spogliandomi della giacca, che ripiegai sulle cosce. Iniziai a giocherellare con i bottoni che la impreziosivano, imbarazzata.
-Tu, piuttosto, che ci fai qua sopra? – continuò. –Non dovresti essere sfinita?
-Non riuscirei a prendere sonno, anche se mi ritirassi – spiegai, osservandomi le mani ancora bendate. –Ci sono troppe cose che mi turbano. Hai presente la strana reazione che ho avuto stamattina? Non mi sta dando tregua.
Sentii il suo sguardo posato su di me per qualche altro attimo, poi parlò: -Non riesco a capire perché una stronzata simile ti stia preoccupando tanto. Perché dovrebbe essere diverso dalle altre volte?
-Perché ho provato una rabbia incontenibile, ecco perché! – dissi ad alta voce, rimproverandomi per aver usato un tono tanto elevato. Sospirai, impedendo ad una ciocca di capelli fuori posto di coprirmi il viso. –Dannazione… Non è da me, credo.
Lentamente, la sua mano prese la mia, ne studiò con la punta delle dita le fasciature, soffermandosi sulla piccola chiazza rossa che si lasciava intravedere sul palmo. Intrecciò le sue dita con le mie, stringendola leggermente. Quel tocco mi provocò un conforto indescrivibile. Un mezzo sorriso apparve sulla mia bocca.
-Non ammetto che tu ti faccia deprimere da tutte queste apprensioni, Claire – esordì lui.
-Non l’ho certo deciso io – ribattei. –Tutti quegli interrogativi e le parole di Conrad… mi sento proprio uno schifo.
La mia mente si caricò di altri quesiti senza risposta, di pensieri scandalizzanti e ardui da tollerare. Avvertii un bruciore nel petto, qualcosa di talmente forte da distruggermi ancor di più psicologicamente. Inspirai profondamente, cercando di liberare non solo l’aria penetrata, ma assieme tutti le innumerevoli preoccupazioni che quella sera avevano deciso di opprimermi in maniera tanto violenta.
Sentendomi più tranquilla, dapprima mi concentrai sulla mano di Levi, poi sul suo volto; il sol guardarlo mi rendeva decisamente più consolata e serena: quel ragazzo era diventato una presenza tanto importante nella mia vita, in quegli ultimi mesi, e sentivo che avrei potuto e avrei dovuto contare su di lui, una persona tanto dolce nei miei riguardi che infinite volte mi aveva promesso il suo sostegno. Nonostante ciò, dopo l’episodio di Petra, pensai ancora una volta che il mio comportamento fosse da considerarsi altrettanto indisponente nei suoi confronti, quella sera. Avevo lasciato che tutti quei dilemmi mi tormentassero, non curandomene affatto del suo sostegno.
La sua mano stava lentamente lasciando la mia, motivo per cui decisi di stringerla con entrambe.
-Mi dispiace, Levi – dissi, in preda alla vergogna. –Mi sto comportando da bambina capricciosa, non faccio altro che caricarmi di preoccupazioni ed essere poi tanto negativa anche in tua presenza.
Non ottenni risposta. Il corvino semplicemente mi carezzò una guancia, un gesto talmente tenero a cui non potei resistere.
L’ansia si stava attenuando sempre più: quello scenario di assoluta pacatezza, la gioia di avere Levi al mio fianco, la pace di quella notte, illuminata dalla luna più placida e radiosa di sempre e da quegli incantevoli astri luccicanti sopra di noi, mi permisero di conciliare una volta per tutte il mio animo turbato.
Lo guardai, comprendendo ancora una volta la ragion per cui necessitavo tanto la sua presenza: Levi era il mio rifugio, colui che più era in grado di farmi sentire felice e in pace con me stessa. Talvolta capitava che non bastasse alcuna parola perché egli intendesse che mi occorreva aiuto, e non avevo nulla da criticare al riguardo.
-Ti senti meglio, adesso? – chiese a bassa voce.
Annuii, contemplando il cielo, abbozzando un sorriso. –Merito tuo, capitano.
Ebbi la fortuna di vederlo arrossire; incrociò le braccia, brontolando. –Tch. Le tue solite stronzate adolescenziali.
-Quanto rompi. Ti ho già detto che mi appresto a diventare una donna; mi dai ancora dell’adolescente? – portai le braccia serrate al petto, come aveva fatto lui.
Levi mi tirò un orecchio senza farmi troppo male, infastidendomi talmente tanto da farmi dimenticare la storia dello scatto d’ira. –Mocciosa patetica.
-Nano malefico.
Ricambiò guardandomi con dissenso e sbigottimento. Ridacchiai non appena mi massaggiai il lobo arrossito; egli mosse lo sguardo altrove, nascondendo una smorfia divertita.
Era cosa ormai scontata che Levi mi procurasse una gioia infinita ogni qual volta comparisse attorno a me, e gli attimi condivisi da entrambi, senza che ci fosse nessun altro nei dintorni, erano pura magia e incanto. Dimenticavo la tristezza causata dal vivere in un mondo troppo minuscolo, dallo stare lontano da mio fratello Lex, dalla paura che i giganti potessero prevalere sul genere umano, timore che accomunava, nel profondo, tutti noi soldati ricognitori, giacché noi membri dell’Armata Ricognitiva con i giganti avevamo a che fare ogni istante della nostra vita. Esseri che ci avevano insegnato l’orrore di vedere i propri compagni d’armi perire negli ultimi istanti della propria vita tra i loro giganteschi denti.
Quelle sofferenze non mi sfioravano dal momento in cui avevo quella persona così speciale per me al mio fianco. Anche quella sera ogni ansia era svanita in pochi attimi, malgrado, da lì a poco, sarei stata costretta ad affrontare una nuova, terribile atrocità.
 

Alcuni giorni successivi, fui convocata da Hanji Zoe per occuparmi degli esperimenti in programma riguardanti i due campioni catturati precedentemente. Per quanto potesse affascinarmi avere un contatto tanto inusuale con il nostro nemico naturale, lo stesso giorno Petra era partita per Karanes dopo aver ufficializzato il permesso dal capitano, motivo per cui, proprio allora, avrei preferito una visita a mio fratello e ai coniugi Ral, piuttosto che svolgere un compito in caserma molto più arduo del solito.
Nel frattempo, avrei dovuto accontentarmi della compagnia di Oruo, che quel giorno mi era stato affiancato dal capitano Levi.
Entrambi assistemmo a quello che sarebbe divenuto “l’abitudinario” rituale della Caposquadra Hanji, ossia il saluto di quei due poveri sciagurati che solo qualche giorno prima erano stati battezzati dalla loro nuova “madre” con i nomi di Chicatiloni e Albert. Tale saluto consisteva nell’augurare il buongiorno ad entrambi, prima di porre loro alcune domande relative le loro intenzioni nei confronti di noi umani, il motivo per cui si apprestavano a divorarci, da dove avessero fatto la loro comparsa. Queste domande, come nel caso di Ilse Langnar, si dimostravano del tutto inutili e privi di risposta; il saluto terminava con il tentativo di Albert, uno spietato assalitore di soldatesse – quello stesso giorno, come Hanji rischiò di essere decapitata, io stavo per per perdere un braccio durante l’esperimento in programma – di sbranare la Caposquadra, nonostante le catene.
Al termine del saluto generale, Hanji ci convocò, spiegandoci che il compito di quel giorno consisteva nel tenere a bada i due esseri affinché si potesse procedere all’estrazione di uno dei loro arti per analizzarlo prima che esso evaporasse.
Io – probabilmente anche Oruo fece lo stesso – mi domandai il motivo di quella bizzarra richiesta: sarebbe stato assurdo, infatti, esaminare il braccio o il polpaccio di un essere di tre metri il cui solo passo era capace di simulare la stessa vibrazione di un terremoto.
Dopo aver discusso con lei riguardanti i miei dubbi, Hanji mise da parte tutta la sua vivacità e, come mi era stato possibile notarlo anche precedentemente, in un attimo si fece spaventosamente seria, chiaro segnale che ella fosse pienamente consapevole delle sue parole e di ciò che stava cercando.
Qualche ora più avanti, ne compresi la ragione: io e il mio compagno di corso smontammo cautamente le corde e i chiodi che immobilizzavano Chicatiloni, permettendo ad Hanji di amputare il suo braccio destro.
Questo cadde a terra in men che non si dica, dopodiché mi domandai come potessimo esaminarlo quando questo si trovava ad una distanza tale da rendere semplice al mostro di afferrarci, il che complicava il trasporto di un elemento anatomico sicuramente troppo pesante per essere mosso con facilità.
Inaspettatamente, mentre Chicatiloni era distratto dalle mie spade, Hanji alzò il suo braccio da terra con una velocità scandalosa, tenendolo con entrambe le mani. Dapprima, lo esaminò da un estremo all’altro, poi alzò la testa, mostrando il suo sguardo attonito, sollevò gli occhiali protettivi, lasciando andare nuovamente a terra il braccio amputato, che cadde accompagnato da un rumoroso tonfo.
Non ero pienamente conscia di quanto stesse accadendo, ma il mio intuito mi induceva a convincermi che qualche cosa riguardante l’esito di quell’esperimento era da considerarsi di natura assolutamente anomala e atipica.
Il volto scioccato di Oruo e il mio incontrarono quello di Hanji, che urlò a Moblit di fare rapporto.
-E’ incredibile – aggiunse poco dopo, la voce tremante. –Abbiamo a che fare con esseri con cui le leggi della fisiologia non contano minimamente.
Oruo non si fece alcuno scrupolo per chiedere alla Caposquadra di spiegarsi con più semplicità; gliene fui grata.
Hanji ci ordinò con diligenza – un modo di impartire comandi che a me e al resto della squadra di Levi era quasi completamente sconosciuto – di riprendere il lavoro sui due esemplari.
Gli sguardi di interdizione tra me e Oruo iniziarono a farsi via via sempre più frequenti, spesso erano accompagnati da giudizi poco positivi da parte del mio amico circa il fatto che Hanji non avesse avuto ancora riferire a noi due, gli unici che in quel momento ci trovavamo al reparto esperimenti come collaboratori della Caposquadra, la cosa sconcertante di cui era venuta a conoscenza.
Al termine del lavoro, non appena ella constatò di non voler più affaticare i due mostri, ci convocò fuori dall’area “giganti” per metterci al corrente di quanto appreso.
Prima che iniziasse a parlare, invitò entrambi a riflettere riguardante il modo con cui noi osservavamo abitudinariamente quegli esseri mostruosi che avevano improvvisamente invaso il mondo.
Le risposte mie e di Oruo non furono particolarmente differenti: essi erano giganteschi viventi dalle sembianze umane senza un apparato riproduttore che mostravano una particolare ossessione nel divorare le membra degli esseri umani; questi, inoltre, erano particolarmente feroci, possedenti una forza tale da stringere e massacrare un essere umano adulto senza problemi.
-E’ proprio come dite: abbiamo a che fare con esseri che dimostrano una forza vitale sbalorditiva, capaci di distruggere e spolpare corpi umani per poi divorarne voracemente le membra. Ma allora, per quale motivo gli stessi arti che afferrano, stringono, strangolano i corpi di noi soldati, come ad esempio è accaduto ad Oruo, dovrebbero pesare giusto qualche grammo?
Mentre il mio compagno tentava disperatamente di trattenere conati di vomito, io ero entrata in uno stato di choc: la mia mente aveva rievocato il ricordo di quel braccio teso nelle mani di Hanji, da lei sollevato senza applicare il minimo sforzo. Era stato un caso che quell’arto amputato fosse tanto leggero, quando, come avevamo avuto modo di constatare precedentemente, altri giganti avevano usato la medesima bizzarra costituzione fisica per uccidere tante persone?
-Ma ciò è assurdo! – esclamai.
-Esatto. Comprendete la straordinarietà di questi esseri? Essi emettono una quantità di vapore impressionante, posseggono una temperatura interna al di sopra dei cinquanta gradi e la loro struttura corporea, per quanto possa sembrare resistente e massiccia, è la più leggera di sempre e non si avvicina neanche un po’ al peso che dovrebbero avere in rapporto alle dimensioni.
Per un attimo credei di star sognando, qualche istante dopo iniziai a domandarmi se la mia esistenza, in realtà, non facesse parte di una ridicola fiaba, in cui nulla che riguardasse la mia vita, soprattutto i giganti, era da considerarsi reale.
Qualsiasi essere vivente necessitava acqua e cibo per sopravvivere. Questo fabbisogno non contava per i giganti.
Qualsiasi essere vivente, comprese le piante, necessitavano di respirare per vivere. I giganti, malgrado le loro corde vocali, non respiravano.
Qualsiasi essere vivente possedeva un peso proporzionato alla loro massa. Questa caratteristica non aveva alcuna valenza per i giganti.
Iniziai a sentirmi sempre più scossa e spaventata, al contempo fui lieta di credere che il Corpo di Ricerca fosse giunto a capo di una scoperta di tale rilevanza. Una scoperta impressionante, se vogliamo, a dir poco traumatizzante, ma che comunque avrebbe fatto comprendere a molti che la natura dei giganti non era comune ai restanti esseri viventi, e che sarebbe risultato piuttosto complesso capire a fondo la loro origine, in quanto del tutto fuori da ciò che era giudicato “normale”.
Più tardi, ebbi modo di realizzare che non fui l’unica ad aver reagito con particolare inquietudine ed incredulità alla fine dell’esperimento di quel giorno: nel refettorio non si parlava d’altro, tutti i ricognitori erano profondamente turbati e scossi.
 

Proprio quando la mensa aveva iniziato ad affollarsi, il cavallo di Petra aveva appena terminato la sua vivace cavalcata, durante la quale i sentimenti della ragazza erano i più angoscianti di sempre. Come glielo spiegherò con calma?, si domandava, stringendo le redini del suo destriero. Certamente lui non era quel genere di persona da agire così d’impulso, pensò.
 

Mentre immergevo una fetta di pane leggermente stantia nella zuppa di carote, tentavo di ascoltare i discorsi dei tre ragazzi della mia squadra. Tuttavia, ero particolarmente stanca per seguirne i particolari. Ricordai improvvisamente di avere nella tasca della giacca quella lettera giuntami da Lex che avevo ricevuto il giorno precedente e che, a causa di svariati impegni, era rimasta sigillata nella sua busta. Dimenticai la fetta di pane e la zuppa, rovistando nella tasca per poi estrarre il messaggio di mio fratello.
 

Petra non aveva impiegato troppo tempo nella stalla ché si era già addentrata nell’edificio della caserma, camminando a passo svelto affinché raggiungesse il refettorio quanto prima. Devo per forza allarmarla tanto?, si chiese, correndo per i corridoi. Sarebbe stato alquanto scortese, pensò, presentarsi a lei in maniera tanto brutale al termine di una giornata tanto faticosa, eppure non faceva altro che ripensare al volto preoccupato di suo padre, lo stesso che l’aveva accolta quella mattina dopo il suo viaggio. La porta del refettorio era proprio davanti a lei.
 
 

14 maggio, 846
Claire,
Mi spiace non poterti spiegare meglio la situazione, perdonami per aver scritto queste righe tanto sintetiche: il mio cuore è in preda all’eccitazione, non sono capace di esprimermi.
Malgrado la camera regale e accogliente che il comandante mi aveva concesso dopo il nostro ritorno, non sono riuscito a chiudere occhio, quella sera: possibile che i nostri genitori fossero a conoscenza di tanti segreti riguardanti il mondo in cui viviamo? E nostra madre… non ce la faccio a vivere all’oscuro di tutto quello che la riguardava.
Mi sono sentito impotente, vorrei trovare un modo per poterla rivendicare: la mia posizione mi vieta di fare qualsiasi cosa, al contrario tuo che valorosamente uccidi quelle bestie, ragione di tutti i problemi del nostro mondo; ma anche a me piacerebbe tanto rendermi utile. Poi è successo qualcosa di inaspettato: ho ricevuto una lettera anonima, e ho subito intuito che fosse ad opera di Conrad. Mi invita a raggiungerlo alla città sotterranea per mettermi a conoscenza di molte altre cose riferenti a ciò su cui avevano riflettuto lui, papà e anche il signor Smith.
Sono in viaggio verso Mitras a bordo di un carro mercantile diretto alla capitale: ho incontrato un ragazzo il quale mi ha garantito che questa lettera raggiungerà la tua caserma quanto prima.
Ti prego di non preoccuparti. La mia curiosità non mi frenerà dal mio intento. Me la caverò.
Lex
 

Persi un battito non appena lessi gli ultimi paragrafi della lettera. Tentai disperatamente di non perdere i sensi dallo sgomento, alzandomi dal posto scombussolata, tremante. Prima che Gunther, Erd o Oruo potessero chiedermi il motivo di quella mia strana reazione, Petra era entrata, percorrendo l’intero refettorio per raggiungermi.
-Claire, devo dirti una cosa importante… - iniziò, interrompendosi non appena osservò l’orrore dipinto sul mio volto. –Lex… lui è…
-So cos’è successo a Lex – sventolai la lettera. Se non avessi avuto la mente tanto annebbiata dall’angoscia e dalla frustrazione, mi sarei meravigliata di notare che non mi era occorso tanto tempo prima di constatare che Petra mi stesse cercando con irruenza per parlarmi di ciò che la mia mente ancora stava faticando a realizzare. –So anche dov’è, devo andare.
Petra mi bloccò il polso. –Ma che sta succedendo, Claire? Dove si trova?
Afferrai il braccio della mia amica, con le lacrime agli occhi dalla paura. –Non è come l’altra volta – dissi, riferendomi al motivo che aveva causato il nostro allontanamento qualche tempo prima. -E’ una cosa che ha che fare con i miei genitori. Ti prometto che ti spiegherò tutto al mio ritorno, adesso devi lasciarmi andare.
-Claire, posso aiutarti in qualche modo? – mi domandò, anche i suoi occhi luccicavano.
Non riflettei su come le avevo maleducatamente accennato l’accaduto, piuttosto mi affrettai a dirigermi nei magazzini dell’edificio senza risponderle, correndo mentre tentavo disperatamente di ricostruire quanto accaduto, di capire più che altro quanto tempo fosse passato dal giorno in cui Lex aveva preso la folle decisione di seguire un uomo dalla fama alquanto infida a quello in cui avevo finalmente letto la sua lettera. 14 maggio: erano trascorsi tre giorni.
I magazzini teoricamente avrebbero dovuto disporre di un addetto al quale bisognava rivolgersi per transitare (rigorosamente assenti per mancanza di personale), ma ero talmente scossa da non pensare nemmeno se fosse stato giusto prendere l’iniziativa di entrare senza consenso: perciò prelevai una delle torce che illuminavano il corridoio e aprii la porta socchiusa, addentrandomi nel gigantesco deposito.
Iniziai a domandarmi quali fossero le probabilità che gli fosse successo qualcosa di spregevole durante quell’arco di tempo, o semplicemente se l’avesse impiegato soltanto per sfuggire ai controlli in dogana e giungere nei pressi di Mitras con la pazienza e la lentezza necessaria.
Dimenticai il motivo per cui avevo raggiunto il magazzino del Corpo, ansiosa qual ero, poi recuperai un minimo di lucidità per decidere se armarmi o meno: cosa avrei trovato, una volta giunta nuovamente lì? Perché non mi stavo fidando di quella strana lettera ricevuta da mio fratello?
Non pensavo ad altro che al luogo angusto nel quale viveva Conrad e al fatto che Lex potesse essere in pericolo solo per essere tornato nuovamente in quella città misera e spietata.
Sarei riuscita io, banale soldatessa dell’Armata Ricognitiva, a spiegare in dogana la situazione? Tantomeno nei miei documenti personali il mio grado di soldato semplice mi permetteva di transitare nei territori interni senza il consenso di un mio superiore.
Avrei dovuto probabilmente utilizzare lo stesso metodo illegittimo di cui aveva fatto uso mio fratello, pensai mentre indugiavo se prendere in prestito un ingombrante dispositivo di manovra sistemato sul gigantesco tavolo adoperato per la manutenzione.
Poco più avanti, scorsi degli eleganti e sottili pugnali. Percepii un colpo allo stomaco inevitabile, ma non facevo altro che credere che quegli oggetti tanto brutali avrebbero comunque dimostrato la loro utilità in un’occasione simile.
Mi è difficile riportare al lettore qualunque traccia di riluttanza che accompagnò il mio gesto; ne presi un paio, scrutandoli. Non valeva la pena soffermarsi molto su quella scelta: combattere o morire, sarei stata costretta a optare una di queste due scelte, nel caso in cui si fosse presentata una situazione tanto spiacevole.
Proprio mentre ero intenta a infilarli nella cintura dell’imbracatura, una voce tuonò alle mie spalle: -Claire, che stai facendo?
La lucidità pian piano mi stava abbandonando per l’ennesima volta. Talmente agitata da non essere in grado di chiarire a Levi a cosa stessi andando incontro, mi sfilai la giacca con sopra cucite le Ali della Libertà per poi frugare nella parte opposta del deposito alla ricerca di un soprabito sopra il quale non fosse cucito il medesimo stemma; ne trovai uno di colore grigio, abbastanza malmesso ma ancora integro.
-Lex si è messo nei guai, Levi – scaraventai la lettera sul tavolo, mentre mi infilavo il pastrano. –Devo andare da lui.
Levi non tardò a comprendere l’accaduto, nemmeno a strattonarmi perché mi calmassi e cercassi di affrontare quella circostanza con più calma. –Sei veramente impazzita, cazzo? Hai davvero intenzione di andare lì come una matta rincoglionita?
Respinsi le sue mani avvinghiate al soprabito. –Sei tu che non ragioni. Pensi davvero che voglia lasciare Lex lì sotto, come se nulla fosse? – una lacrima di frustrazione mi rigò il volto. –Non faccio altro che convincermi che sta rischiando davvero di morire, per un motivo o per un altro! È un brutto presentimento che ho, non ce la faccio a rimanere qui!
Levi dapprima incrociò le braccia. –Merda! – esclamò, sferrando un calcio a quello che rimaneva di una vecchia sella scucita.
Conoscendolo bene, sapevo che non avrebbe gradito lasciarmi partire da sola, ma, come sapevamo entrambi, certamente non potevamo trasgredire un regolamento chiaro ed esteso a tutto l’esercito; anche se ne avessimo parlato con la massima autorità del Corpo di Ricerca, sarebbe trascorso troppo tempo prima di ottenere una pattuglia di soccorso da inviare nei bassifondi della capitale, una zona tanto disprezzata, in cui scarseggiavano persino i gendarmi.
Alzai il mantello del soprabito. –Viaggerò questa sera, Levi. Non lascerò Lex in balia di qualsiasi pericolo.
Egli sospirò. –Cosa credi di fare, andartene da sola? Vengo con te.
Il suo appoggio fu capace di regalarmi un minimo di conforto. I nostri sguardi si incontrarono, la sua mano raggiunse la mia spalla. –Non ti lascerei mai andare in quel posto da sola – aggiunse austero. -Aiuteremo Lex.
Gli strinsi forte la mano, chiedendogli di prepararsi per affrontare quell’avventura sprovveduta prima che calasse il sole.
 
Spazio Autore: rieccomi, dopo un altro breve periodo di assenza!
Nuove scoperte e nuovi problemi stravolgono la vita di Claire… non posseggo la stessa infamia di Isayama, ma devo dire che ci tengo affinché la vita di questa povera soldatessa non sia tanto tranquilla XD.
L’unica cosa che forse potrà consolarla è che tra non molti capitoli la nostra protagonista terminerà la stesura di questo diario e mi chiedo quali saranno i motivi per cui deciderà di interrompere la sua narrazione (perfidia, portami via XD).
Oggi è domenica, per giunta: sono ansiosa di vedere la scena animata della caverna dei Reiss *_*. Sto davvero apprezzando il lavoro dei Wit Studios, questa stagione va a gonfie vele *_*.
Nient’altro da aggiungere, ringrazio chi continua a leggere la storia nonostante la mia incostanza e soprattutto chi la recensisce. Un bacio!

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Capitolo 30
*** Colpo Decisivo ***


30. Colpo decisivo
 

Non appena raggiunsi la stalla per preparare il mio e il suo cavallo, Levi si era diretto nello studio di Erwin a mia insaputa, al fine di spiegargli brevemente la situazione. Per qualche ragione a me inspiegabile, che ad ogni modo si rifaceva alla grande fiducia che il Comandante riponeva in lui, Levi ottenne il permesso di mettersi in marcia verso Mitras, chiedendo al biondo di preparare comunque una pattuglia, che avrebbe effettivamente raggiunto la città sotterranea qualche ora più tardi e che avrebbe agito nel caso fosse stato necessario un intervento ulteriore a quello mio e del capitano.
Venni a conoscenza di tutti questi particolari solo dopo; a seguito, ripromisi a me stessa di adempiere a qualsiasi mio dovere e a ubbidire per sempre a Erwin per ripagare quel grosso favore che mi aveva concesso.
Edmund e Blue trottarono a tutta velocità nei territori interni: attraversarono quelli di Rose, approdando nel distretto di Stohess, dove Levi dové mostrare un improvvisato mandato di transito da parte del Comandante. Qualche ora successiva, avevamo già raggiunto la capitale; non perdemmo ulteriore tempo a superare i controlli nella dogana della città sotterranea: i due gendarmi ingaggiati ronfavano rumorosamente davanti ad una delle gigantesche scale che conducevano all’interno di quel luogo svergognato. Non a caso, Levi aveva scelto proprio quella rampa, convinto che non avremmo perso ulteriore tempo prima di approdare finalmente alla nostra meta.
Il mio ritorno nella città sotterranea parve ancor più raccapricciante dal momento in cui fu dovuto dalla improvvisa scomparsa di mio fratello; per qualche scherzo del destino, fino a qualche giorno prima avevo pensato di non dover più mettere piede in un posto tanto macabro, adesso lottavo con tutte le mie forze per non preoccuparmi ulteriormente e convincermi che io e Lex avremmo percorso entrambi indenni la stessa scala nell’arco di pochi minuti.
Con molta più fretta della volta precedente – non venni tantomeno scortata da Levi, anche perché io avevo già memorizzato il percorso all’alloggio di Conrad – percorremmo la città per giungere quanto prima al luogo predestinato.
Durante il tragitto, seguirono ulteriori avvertimenti di Levi, sempre più ostinato a lasciarmi dietro di sé affinché non mi cacciassi in ulteriori guai.
-Quella feccia inaffidabile… mi chiedo perché abbia richiesto proprio di tuo fratello – commentò. Proprio mentre rifletteva, non avevo indugiato all’idea di affrettare il passo.
Di corsa, raggiunsi la stradina in cui si trovava la dimora di Conrad; per quanto Levi mi stesse ammonendo ulteriormente di non camminargli davanti e di aspettarlo prima di agire in maniera sconsiderata, arrivai davanti la porta dove l’uomo si era mostrato per la prima volta. La trovai socchiusa.
Rimasi impalata sull’uscio, chiedendomi cosa fosse giusto fare; il corvino era intanto approdato dietro di me.
- Levi… - iniziai, già più tesa di prima.
Per quanto non avessimo entrambi aggiunto altro, entrambi capimmo che quella porta socchiusa non presagiva alcuna circostanza piacevole che ci avrebbe accolti all’interno di quella dimora; questo pensiero fu la ragione per cui con molta lentezza iniziai a spingere la porta per entrarvi.
Levi afferrò il tessuto del mio mantello, guardandomi con aria austera e interdetta; non prestai il minimo interesse a quella richiesta di attenzione, il mio orecchio aveva già captato il suono di una voce che non pareva quella di Conrad, tantomeno di mio fratello.
Mi accorsi presto che le voci sconosciute, provenienti dal lato più interno della casa, quello che non avevamo avuto modo di esplorare la volta precedente, erano due. Due uomini parlavano animatamente tra loro nell’ultima stanza del lungo corridoio, riposta proprio davanti la malmessa porta di casa.
- Credo che non sappia proprio niente.
- Ma il capo ha detto di indagare – disse il secondo.
- Quello è più stupido di quanto possa sembrare – sussurrò il primo uomo.
La mia mente già faticò a riflettere su chi fosse colui che non sapeva, tantomeno sulla misteriosa identità del cosiddetto “capo”. Era chiaro che la situazione fosse assai strana e per niente tranquillizzante, dunque sentii ancor di più crescere dentro di me il bisogno di agire.
Mi voltai verso Levi, rimasto ad osservare la camera più grande dell’appartamento riposto alla sinistra dell’entrata, ridotta allo sbaraglio a causa degli innumerevoli tomi precedentemente riposti in una libreria da muro, ora gettati e disfatti sul pavimento.
- Non sento la voce di Lex – sussurrai preoccupata. – Ci sono due che stanno parlando laggiù.
Mossi i primi passi verso gli sconosciuti, ma Levi mi aveva già bloccato il polso, facendomi segno di rimanere quanto più all’erta.
-Non parlerei così di lui – proseguì uno dei due probabili malintenzionati.
-Hai ragione, è dietro la porta sul retro, potrebbe sentirti.
Riportai a bassa voce al mio compagno di un secondo accesso alla casa, riposto in un’ala della dimora a noi sconosciuta.
-Chi c’è dietro la porta sul retro? – domandò lui, sempre più confuso, mentre tentava a fatica di capire il nesso logico tra gli stralci del discorso che udivo svolgersi dai due uomini e che gli ripetevo preoccupata.
La conversazione improvvisamente prese una piega decisamente contorta, appena uno dei due riferì: -Un po’ mi fa pena, deve avere poco più di vent’anni.
-Già – rispose l’altro. –Non credo neanche che sia tanto importante come dice lui. L’altro lo era.
In punta di piedi, percorsi l’intero corridoio, nascondendomi al lato della porta da cui si accedeva in quella che poteva essere considerata l’unica stanza “animata” della casa, da cui provenivano le voci.
Levi imitò furtivamente il mio gesto, mentre la mia mano era scesa sulla vita in cerca di uno dei due pugnali.
Tesi l’orecchio quanto più potevo. Ben presto compresi che la stanza doveva essere assai ampia: l’eco delle voci erano assai udibili, esse provenivano inoltre alla destra dell’entrata, non percepivo alcun suono proveniente dalla parte opposta.
Lentamente, avvicinai il viso al piccolo varco della porta, da cui era possibile intravedere ciò che vi era nascosto al lato sinistro della stanza; quel che potei vedere fu per me di un’atrocità unica, che mi mozzò il fiato: mio fratello Lex giaceva inerme su una sedia, a cui era legato da una fune posta attorno alle cosce e – pur non avendola vista – compresi che un’altra gli impediva di muovere liberamente le mani; svenuto, la sua testa era tesa in avanti, rigoli di sangue fuoriuscivano dalla fronte tagliata.
Portai una mano alla bocca, cercando con disperazione di soffocare un urlo. Levi, nascosto anche lui dietro il lato sinistro della porta, mi osservò inorridito e alquanto spaventato. Anche lui sfoderò un coltello, pronto ad attaccare alla prima occasione.
Un altro particolare ci mise in allarme: -Ma non è che ‘sti militari ci arrestano davvero?
-Si dimenticheranno di noi, posso garantirtelo – l’uomo emise uno sbuffo, da cui aveva probabilmente cacciato una nuvola di fumo – ero tanto in allarme che riuscivo a percepire qualsiasi genere di suono, dallo scricchiolio del pavimento provocato dal piede di uno dei due malvagi al respiro affannato di Lex. - Ma dobbiamo fare attenzione comunque – proseguì. -Non a loro, quanto ad altri.
-Che vuoi dire?
Levi approfittò di quel momento per dare un’occhiata alle altre stanze della casa, in particolare a quella riposta dietro di sé. Aprì lentamente l’ingresso, scoprendo così il cadavere esangue di Conrad appeso ad una corda legata al soffitto, sul vecchio lampadario privo di candele.
Tanto in apprensione per mio fratello, solo più tardi riuscii a spiegarmi il motivo per cui avevano ricorso ad appendere il corpo dello sfortunato, simulando quindi un falso suicidio per non allarmare qualunque fosse addetto agli innumerevoli crimini che prendevano luogo in quella città malfamata e che, malgrado rare occasioni, difficilmente venivano considerati come fatti di cronaca di grande rilevanza. Era stato deciso che Conrad dovesse morire togliendosi la vita, così sarebbe risultato a chi si occupava dell’ordine pubblico.
Ciò nonostante, mi domandai avvilita chi fossero quei due che avevano aggredito Conrad, già stato privato della sua misera esistenza, e Lex, ancora scampato – c’era da chiedersi fino a che punto - al destino crudele toccato all’uomo del quale si era ingenuamente fidato.
Il malvivente fece un altro tiro dalla sigaretta, o da qualsiasi altro oggetto da fumatori si trattasse, riprendendo il discorso. – Il capo mi ha detto che non molti giorni fa in questa merda di posto sono venuti dei ricognitori.
Il mio cuore si fermò. Guardai Levi, già pronto a sguainare qualsiasi arma di difesa: il suo sguardo era divenuto spietato e irascibile; se non avevo ancora iniziato a temere quei due sciagurati dietro la porta che ci divideva, lo dovevo in parte alla presenza di un uomo senza ombra di dubbio più forte di qualsiasi nemico dovessi affrontare. 
-Cosa c’entrano i ricognitori, adesso?
-Secondo te cosa sono venuti a fare, se non per parlare con quello stronzo di Conrad? Quelli non perdono mai l’occasione di mettersi in mezzo ai casini, avranno portato con loro anche questo ebete.
L’uomo si avvicinò a mio fratello, immobile, col viso rivolto per terra. Potevo finalmente osservare con i miei occhi il tale: aveva la mascella squadrata, era basso di statura e grosso, ma decisamente vecchio e incapace di tenere testa a qualsiasi scontro corpo a corpo, per come il suo fosse appesantito.
Un gigantesco senso d’ira mi pervase quando egli alzò la testa del povero Lex afferrandolo per i capelli, lasciandola ricadere nella posizione precedente appena si accorse che il ragazzo era ormai privo di sensi.
-Non dirmi che sono venuti qui… – rispose l’altro.
-E hanno portato anche il figlio di Hares, ma di lui nemmeno l’ombra. Se potessimo ottenere informazioni sul padre da questo bastardo quasi morto… il capo ha detto che la cattura di Hares varrebbe un sacco di denari.
Stentai a realizzare che coloro i quali erano responsabili del trambusto che aveva accolto me e Levi quella notte, coloro che lavoravano per il “capo” di cui stavano parlando, erano alla ricerca di un tale che, così sembrava, per quanto venisse ricercato da diversi anni, vagabondava ancora in incognito per le strette mura. Repressi un sentimento di odio per quel padre che non aveva mostrato il minimo interesse nei riguardi della propria famiglia, lasciandola indifesa senza alcuna protezione, ma continuai ad ascoltare la conversazione dei due nella stanza appresso.
-Io ho come l’impressione che questo ragazzo non sappia davvero niente.
-Tu hai ammazzato quel Conrad prima che potessimo ottenere le informazioni che stavamo cercando! – sbraitò l’altro. –Il capo non ci lascerà liberi subito, sappilo.
-Il capo vuole che vi sbarazziate di tutti i materiali in possesso di Conrad – proruppe una terza voce maschile, appartenente al vero responsabile dell’aggressione di Lex, provenuto certamente dalla famosa seconda entrata di cui i due avevano discusso qualche minuto precedente e che, senza ombra di dubbio, si trovava nella stessa camera. Non appena avevo udito il rumore dei suoi passi, un altro suono mi incuriosì, allarmandomi più del dovuto, ossia il suono delle cinghie dell’imbracatura al quale, da soldato, mi ero abituata da parecchi anni: certamente, il nuovo arrivato doveva trattarsi di un militare.
-S…stiamo facendo il possibile, signore – rispose il fumatore.
-Vi ho dato un ordine, ubbidite. E controllate anche la porta principale della casa, invece di rimanere qui a chiacchierare.
Egli si allontanò. Seguirono alcuni attimi di silenzio, dopodiché i due rimasti decisero di agire, accordandosi che l’uno dovesse prelevare tutti i documenti e i libri che potevano “ostacolare il bene pubblico”, il secondo, il fumatore, avrebbe chiesto al “capo” riguardo il ragazzo.
Come sentimmo il passo del primo uomo avvicinarsi verso di noi, Levi mi afferrò un braccio, trascinandomi all’interno della stanza buia dove risiedeva il corpo di Conrad.
Vedemmo un tale alto e robusto percorrere il corridoio per giungere alla stanza principale della casa.
- Devo salvare Lex – sussurrai col cuore in gola. – Questa è l’occasione giusta.
- Claire, - mi chiamò l’ultima volta Levi, - Sii prudente.
Capii che aveva intenzione di occuparsi dell’uomo appena passato, addetto alla sparizione dei documenti in possesso del padrone di casa, affinché non impedisse la riuscita del mio piano d’azione; mi diressi quindi immediatamente da Lex nella camera vuota, esitando un paio di secondi non appena ritrovai davanti a me la sua figura distrutta e sofferente che mi procurò un dolore lancinante.
Autocontrollo. Come avrei potuto dimenticare in un momento simile quel requisito fondamentale che mi permetteva senza problemi di usare il dispositivo tridimensionale e che certamente mi avrebbe permesso di scampare a una situazione difficile come quella? Avrei dovuto semplicemente slegare le corde di Lex, caricarlo sulle spalle e allontanarmi da quella stanza quanto prima.
Strinsi il pugnale nella mano, affrettandomi a raggiungere il retro della sedia per liberare il ragazzo: come la lama del coltello entrò in contatto con la fune, mio fratello si risvegliò, iniziando a balbettare.
Persi un battito, ma riacquisii rapidamente la lucidità per inginocchiarmi davanti a lui e rassicurarlo: - Lex, sono Claire. Va tutto bene, ora.
Le lacrime iniziarono a rigare il suo viso spossato, lo zittii, continuando a tagliare velocemente le corde. E avrei continuato fino a terminare il lavoro se non avessi percepito un ulteriore suono di passi avvicinarsi.
Un’ombra comparve sull’uscio della porta che affacciava su un’entrata secondaria dell’appartamento; frettolosamente, mi nascosi dietro un vecchio e imponente armadio, Lex si sistemò nella posizione precedente.
Accortezza. Dovevo rimanere quanto più sagace possibile per stendere al tappeto l’infame venuto a sfidarmi. Al mio fianco, trovai un vecchio fucile; lo afferrai, stringendolo per la parte della canna. Non appena il tizio ebbe modo di accorgersi di me, passandomi davanti, colpii velocemente il calcio del fucile sulla sua testa, facendolo cadere privo di sensi ai miei piedi.
Completai il lavoro con il pugnale, pronta a caricare sul mio corpo quello di Lex e sgattaiolare da Levi.
Prima che potessi sollevare mio fratello, udii l’arrivo di un terzo uomo, di qualcuno la cui voce non avevo udito e che certamente non era il militare di prima. -Allora, Hares? – sghignazzò. –Non ci sei stato tanto d’aiuto. Cosa dovremo fare con te, or…?
Alla vista del suo compare svenuto, la voce dell’uomo si fermò di colpo.
Uscii allo scoperto alle spalle della sedia: soppiantai l’uomo, facendolo cadere a terra, bloccandogli brutalmente una delle due gambe colpendola con il pugnale. Corsi a prendere infine il fucile, riservandogli lo stesso trattamento inferto al tizio precedente.
Agilità. Non fui troppo rapida, stavolta: l’uomo aveva infatti gridato per ricevere soccorso, dunque mi aspettavo l’arrivo dell’ennesimo malcapitato.
-Che sta succedendo qui? – mi si parò davanti un soldato di Gendarmeria dai capelli rossi ed eccessivamente magro, oltre che alto. –Chi cazzo sei, tu? – mi indicò con ira.
Vedere una giacca militare mi tranquillizzò: egli avrebbe sicuramente aiutato me e Lex a fuggire da quell’inferno, dopo avergli spiegato la brutta situazione nella quale ci eravamo improvvisamente trovati.
Tuttavia, l’uomo caricò il fucile in spalla, puntandolo contro di me. - Che tu sia la morosa di questo stupido non mi interessa. Ragazzina, puoi anche mettere a terra quell’arma, per te è finita.
Iniziai a tremare, eppure non dimenticai la sicurezza che pian piano, nel corso della mia vita da ricognitore, stavo imparando ad acquisire nelle circostanze più ardue.
Mi resi conto che l’arma da fuoco che reggevo era in funzione, per questo la caricai come fece lui, stringendo il pugnale con l’altra mano.
- Dunque tutto questo casino l’avete fatto voi militari, non certamente tre stupidi malviventi della città sotterranea – parlai irritata. – Cosa volete da mio fratello, da me? Cosa c’entriamo noi in questa storia?
-Hai ragione, bambina mia – finse un tono compassionevole. – Ma finché non acciuffiamo quel disgraziato di tuo padre, questa situazione non finirà mai. È stato lui a volere tutto questo, sai? È proprio un demonio.
-Voi lo siete! – urlai. –Avete ammazzato voi mia madre, dico bene? Porci bastardi! Voglio saperne la ragione, parla!
Egli rise. Le mie gambe cedevano dall’ira e dall’odio. Anche se avessi dovuto togliergli la vita, in quel momento poco mi importò: finalmente ebbi modo di incontrare i responsabili della morte di nostra madre, coloro che avevano causato le continue sofferenze di due poveri ragazzi orfani da troppi anni. In quell’istante ne ero convinta: tali esseri non meritavano affatto di vivere.
– E tu cosa ne sai? – continuò lui. - Sono motivi che una bambina come te non può capire. Comunque, dato che non ti rimane molto, non posso dirti altro se non questo: è stato per il bene comune.
Il cuore mi scoppiò nel petto. –Bene comune?! Mi parli tu del bene comune, bastardo?!
-Zitta! – caricò nuovamente l’arma. –Preparatevi a morire, tu e il tuo stupido fratello. Siete figli di un eretico e di una traditrice della corona! Siete figli della feccia uman…
Prima che potesse continuare il suo discorso razzista, pietoso e ingrato, per poi conficcarmi nel cranio una pallottola proveniente dal suo fucile, risposi sparandogliene una delle mie nel mezzo del petto. Prima che potessi rendermi conto del reato appena commesso, l’uomo mi fissò sconvolto per qualche istante, dopodiché cadde a terra probabilmente senza vita; perciò, decisi di lasciare definitivamente quella stanza, caricando Lex sulla mia schiena.
-Claire… - mormorò il ragazzo, gli occhi spalancati. –Lui… è morto?
-Non avevo altre alternative – ribattei decisa. –Adesso andiamocene di qui.
Puntai il fucile fuori la porta della stanza, ribassando l’arma come mi accorsi che davanti a me era rimasto soltanto Levi.
Percorsi con rapidità il corridoio, raggiungendolo. Ero rimasta a osservare l’uomo da lui pestato e privo di coscienza quando lui mi aveva chiesto se avessi appena utilizzato l’arma che stringevo.
-Penso che questo non sia il momento giusto per parlarne – risposi a nervi freddi. –Sappi solo che staranno sicuramente venendo altri a darmi la caccia.
-Allontaniamoci, allora – ribadì lui.
Proprio mentre io e Levi eravamo in procinto di uscire da quella maledetta casa, Lex ci fermò: -Aspettate, ho bisogno di trovare una cosa! – indicò la pila di materiali cartacei che il tizio aggredito da Levi aveva iniziato a sistemare.
-Non abbiamo tempo, cazzo! – esclamò Levi.
-Lex, ti supplico, andiamocene!
-E’ un documento ufficiale che riguarda quello di cui Conrad ci ha parlato, - continuò il ragazzo, accovacciandosi sul pavimento, -non sono supposizioni. Vi prego, datemi un minuto!
Osservai il volto e i capelli riccioluti sporchi di sangue; sospirai: dedussi che, nonostante le sofferenze provate sul suo stesso corpo per aver preso la decisione tanto azzardata di raggiungere quel posto infame senza la compagnia altrui, Lex avrebbe trascorso la sua vita col rimorso di aver lasciato in quella dimora angusta delle informazioni scritte su carta probabilmente rivelategli prima dell’arrivo dei malcapitati, guidati da quel militare a cui avevo appena tolto la vita. D’altra parte, anche io desideravo conoscere altro sui tanti dubbi che fino a qualche giorno precedente mi avevano profondamente turbata.
-Levi, va’ avanti tu. Sei una persona importante, se ti riconoscessero in questo caos, per te sarebbe la fine – proposi.
-Finiscila di dire assurdità – troncò lui. –Ce ne andiamo tutti adesso.
Gli strinsi le spalle. – Fa’ come ti dico, ti prego. Me la caverò.
Mi guardò accigliato. –Non abbiamo tempo, lo capisci? Perché vuoi…?
-Levi, ti sto supplicando. Dacci un attimo, tu nel frattempo accertati che la squadra mandata da Erwin sia sul posto e ricongiungiti con loro – debolmente lo lasciai. –Starò bene, te lo prometto.
Gli sguardi supplichevoli miei e di Lex erano entrambi puntati su di lui.
- Tch, sia come dici – rispose irato lui, alzandosi il cappuccio. – Non metteteci troppo, o sarete nei guai fino al collo.
Prima di andarsene, mi rivolse un’altra occhiata, poi sparì definitivamente.
Lex, per quanto visibilmente debilitato, si era trascinato verso un tavolo rovesciato, dove a terra risiedevano vecchi libri impolverati.
Accorsi per aiutarlo, ma lui mi ammonì: - Lascia perdere, faccio io. Altrimenti rischio solo di aumentare questo casino.
Per questo motivo, corsi a sbarrare con una sedia la porta dietro cui avevo trovato mio fratello. Dietro cui adesso risiedeva il cadavere di un uomo morto per causa mia.
Percorrendo il corridoio per tornare da mio fratello, il mio cuore accelerò i suoi battiti, un fuoco improvviso iniziò a divampare nel mio petto e nel mio stomaco.
- Ho ucciso un uomo – dissi, tremando. –Ho ucciso un uomo.
Lex, intento a frugare tra i vari volumi antichi, si bloccò per un attimo, osservandomi qualche istante prima di tornare al lavoro di prima. – L’hai detto tu che non avevi scelta.
La sua voce sempre tranquilla, per quanto precedentemente egli fosse stato sottoposto a diversi atti vandalici – aveva un occhio nero, le braccia erano pieni di lividi e del sangue incrostato si trovava sulla testa e sulla fronte – risultò confortante alle mie orecchie.
Ero consapevole di essermi macchiata le mani compiendo un’atrocità disumana, uccidendo un mio simile, che, come me, faceva parte di una specie ormai sul punto di estinguersi. Poi, la mia mente rievocò le parole ripugnanti e le offese da lui proferite. Compresi che la descrizione di quel tale combaciasse più con quella di una bestia, che di un uomo; oltretutto, avevo preferito preservare la vita mia e di Lex piuttosto che lasciarci morire.
D’altra parte, mi rendevo comunque conto delle terribili conseguenze che mi avrebbero aspettato non appena la polizia fosse stata messa al corrente del motivo della morte di un loro membro; pregai con disperazione affinché l’atto da me compiuto non fosse la ragione per cui non sarei morta valorosamente sul campo di battaglia a causa dei giganti, come mi ero prefissata, ma agonizzante su una forca, davanti ad una folla spietata e crudele.
Vidi Lex strappare un foglio di carta da un vecchio libro, rendendomelo. – Mettilo al sicuro.
Obbedii, infilando il foglio di carta nella tasca dei pantaloni, preparandomi a caricarlo ancora una volta sulla schiena. – Lex, andiamo via da questo posto.
Egli acconsentì. Alcuni secondi dopo, già correvo per fare ritorno da Levi.
Sentivo che ce l’avremmo fatta, che sarei tornata sana e salva in caserma assieme al capitano, lui a Karanes dai genitori di Petra.
Tuttavia, il tragitto mi parve spaventosamente lungo, addirittura dubitai di star prose; Lex, inoltre, era assai indebolito, temevo profondamente per la sua salute. Ripensai agli orrori che aveva dovuto affrontare e l’ansia di dover riporlo in salvo divenne sempre maggiore; a costo di rischiare la mia vita, desideravo il bene della sua.
In poche parole, l’agitazione accresceva sempre più man mano che il tempo trascorreva; fino a quando non riconobbi in lontananza la figura di Levi.
Quest’ultimo accorse verso di me. –La squadra di Hanji è venuta in nostro soccorso. È riuscita a venire qui per ordine di Erwin, hanno raccolto anche dei gendarmi con un mandato d’arresto per questi bastardi; raggiungiamoli e andiamocene da questa fogna.
Mi sentii fortemente rassicurata dalla sua presenza, oltre che dalle sue parole. Così esausta, addirittura un sorriso comparve sul mio volto. Esso si dissipò appena udii uno sparo alle mie spalle.
Un proiettile, caricato con molta probabilità da un socio di quelli che avevo temporaneamente abbattuto, si conficcò nella gamba di Lex, che gridò agonizzante.
Non tardai a cercare sotto al mantello il fucile rubato. Io e Levi ci voltammo e constatammo che, dato il numero di coloro che avevano ingaggiato battaglia, mai avremmo potuto permetterci di prendere tempo per dichiarare loro l’arresto, soprattutto in quanto entrambi non lavoravamo per la Gendarmeria.
Levi mi invitò a correre verso la squadra di Hanji, dove ci attendeva il riparo. Il corpo di Lex mi parve spaventosamente più pesante e i colpi di armi da fuoco improvvisamente aumentarono.
-Forza! – gridò Levi.
I miei occhi si riempirono già di lacrime nel sentire gli strilli del povero ragazzo sulle mie spalle; anche io gridai, appena un secondo proiettile strisciò sul mio fianco, oltre che su quello di Lex.
La zona ferita bruciava, procurandomi un dolore che rallentò decisamente il mio passo. Levi era sempre più lontano da me, le urla di Lex divennero sempre più assordanti non appena venne colpito nuovamente, stavolta dietro la schiena.
Di colpo, le sue lamentele si arrestarono; con un filo di voce, mi pregò: - Claire, lasciami qui e scappa. Ormai non puoi…
- Sì che… posso – mi voltai, lanciando uno sguardo puro d’ira ai nostri nemici. – Io posso salvarti.
La mia corsa si fermò definitivamente quando un ultimo colpo decisivo finì, seppur superficialmente, nel mio polpaccio sinistro.
Malgrado la vista offuscata, adocchiai l’arrivo dei nostri soccorsi, ma constatai di non poter fare più niente per raggiungerli.
Prima che l’ennesimo proiettile potesse colpire me o Lex, col cuore in procinto di scoppiare come una bomba, lanciai furiosa un coltello addosso a uno degli inseguitori, privandolo dell’uso di una delle braccia.
Quel gesto non fece altro che destituirmi quel briciolo di forza che mi era rimasto; poco precedentemente l’arrivo di Levi e dell’unità di Hanji, un uomo che aveva terminato le munizioni della propria arma mi lanciò spietatamente la sua arma addosso; il manico di una vecchia pistola mi colpì la testa, facendomi cadere a terra svenuta quando avevo incontrato per l’ultima volta gli occhi scuri di mio fratello Lex, prima che questo venisse colpito dal terzo, fatale proiettile.
 
 
 
Spazio Autore: konnichiwa, fandom di Shingeki!
Ritorno dopo due settimane con un capitolo piuttosto corto che, in tutta sincerità, poco mi ha convinta, a livello di scrittura. Devo ammettere, comunque, di non aver mai scritto storie con tale livello di azione, e considero questi capitoli come esercizi o esperimenti di scrittura. E’ probabile che in futuro vi ritornerò per la correzione e per apportare alcune modifiche, per il momento mi basta proseguire con la narrazione di questa storia che, lo ribadisco, si avvicina pian piano al termine.
Anticipo solo che nel prossimo capitolo l’atmosfera, seppur abbastanza scoraggiante – vi invito a comprenderne la ragione – si farà comunque più tranquilla. Mi piacerebbe comunque conoscere la vostra opinione riguardante l’ultimo aggiornamento :).
A presto!

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Capitolo 31
*** Risveglio ***



31. Risveglio


Per la prima volta nella sua vita, Hanji Zoe aveva provato quel terribile sentimento di rimpianto e di pentimento causato dal cosiddetto senso di colpa.

Dalla notte dell’incidente nella città sotterranea fino al mio risveglio, avvenuto tre giorni più tardi, l’unica attività della Caposquadra era stata quella di tormentarsi disperatamente nel tentativo di constatare quanto il ritardo del suo arrivo avesse potuto, quella notte, contribuire alla morte di Lexander Hares, deceduto quella sera dopo che tre colpi di arma da fuoco lo avevano privato brutalmente della sua giovane esistenza.

Per tre giorni, Hanji non si concesse alcuna tregua; era stata sollecitata da Erwin ad adempiere ai suoi incarichi tralasciando quello sgradevole episodio capitatomi, malgrado fosse il motivo del suo costante malessere. Il Comandante le spiegò che si sarebbe occupato personalmente delle faccende legali che avrebbero atteso stessa me dopo la mia ripresa e che era stato già assolto il capitano Levi dalle sue mansioni affinché fosse rimasto nei paraggi dell’ospedale militare di Stohess per conoscere ogni aggiornamento da parte dei medici che riguardassero la mia precaria situazione fisica.

Per tre giorni, Hanji non riuscì a chiudere occhio di notte, faticando persino a raggiungere il letto a causa dei continui spostamenti tra la caserma e il distretto in cui mi trovavo priva di coscienza; in quest’ultima sede, difficilmente riusciva ad ottenere notizie riguardanti la sottoscritta e raramente discuteva con Levi, sempre apparentemente silenzioso e impassibile – un atteggiamento a cui stessa lei era abituata già da anni – ma che in realtà, lei lo sapeva bene, non sperava in altro se non in una mia immediata guarigione.

Fu proprio a causa di questa eccessiva sensazione di colpevolezza provata dalla veterana la ragione per cui, in un momento di smisurata angoscia, ella aveva perso la lucidità nel mezzo di uno dei suoi esperimenti sui due campioni di gigante, impartendo ordini poco chiari e perspicaci, provocando il decesso di Albert, uno dei suoi “figlioli” dalle dimensioni discutibilmente proporzionate.

A quel punto, al termine del secondo giorno, a seguito di quell’ennesimo sfortunato accaduto, Hanji ordinò ai suoi sottoposti di interrompere provvisoriamente ogni attività sull’unico esemplare rimasto. Trasgredì il divieto del Comandante di partire per Stohess, giungendo all’ospedale militare subito dopo il raggiungimento del distretto.

Quella sera, trovò il capitano nella mia stanza, seduto accanto al mio capezzale, intento a sorseggiare il suo solito tè.

Il corvino nemmeno le degnò di uno sguardo quando entrò, rimanendo a fissare il mio volto cagionevole e i miei occhi serrati.

Hanji sospirò stremata, chiudendo la porta alle sue spalle. Incamminandosi verso il lato situato di fronte a quello in cui aveva preso posto Levi, si sfilò gli occhiali da vista, massaggiandosi le palpebre. Prese una sedia, prima di sedersi, turbata, mi osservò ancora, reputandosi per l’ennesima volta colpevole.

La Caposquadra carezzò affettuosamente una guancia alla povera sfortunata, guardando il corpicino indebolito, la maglietta a maniche corte pallida, da cui erano evidenti le bende che le fasciavano la vita e le gambe quasi completamente scoperte, il cui polpaccio sinistro era stato altrettanto bendato.

Con lungimiranza, Hanji afferrò la coperta ripiegata ai bordi del letto, distendendola nuovamente.

-Ferma, non la coprire – proruppe la voce rauca del corvino. –Qualche ora fa ha sudato, gliel’abbiamo tolta per questo.

Hanji ripiegò il telo, sedendosi silenziosamente con lo sguardo triste.

Certamente, non era la prima volta che Hanji aveva procurato del male a qualcuno: non molto tempo prima, il lettore senz’altro se ne ricorderà, aveva rischiato di lasciar morire uno dei miei compagni per mano di un gigante. Episodi del genere, tuttavia, in cui suoi compagni d’armi morivano contro i nostri nemici biologici, lei non era autorizzata ad averli così a cuore: il suo dovere da ricognitore le imponeva di giustificarli come sacrifici per il bene dell’umanità.

Contrariamente, la situazione attuale era assai unica nel suo genere, il fatto di non essere stata capace di offrire più aiuto del necessario, che avrebbe non solo risparmiato me dalla brutta circostanza in cui ero, ma anche la morte di mio fratello, la stava distruggendo psicologicamente. Era convinta che tutti i soldati del Corpo, non esclusivamente Erwin e Levi, sarebbero venuti a conoscenza del suo esaurimento, e ciò avrebbe compromesso il suo impiego con le ricerche sui giganti.

-Dovresti smetterla di fare questo andirivieni ogni maledetto giorno – proferì Levi, incrociando le braccia, senza distogliere lo sguardo dalla paziente.

Hanji abbozzò un mezzo sorriso. –Quanto sei apprensivo – lo canzonò, prima di inforcare gli occhiali. –Oggi un esperimento è andato male – spiegò lei. Un sorrisetto inquietante e perverso comparve sul suo viso. –Ho ammazzato Albert.

Levi la guardò. La Caposquadra osservò le profonde occhiaie che sembravano infossare ancor di più i suoi occhi blu. – Secondo te quanto può fregarmene, in una situazione come questa? – rispose in maniera burbera.

Hanji certamente sapeva già che non avrebbe potuto aspettarsi risposta più gratificante. Perché mai desiderava il minimo conforto, specialmente da lui? D’altronde, non era stata lei a sbagliare le previsioni, decapitando il povero gigante? Non era stata lei a gestire in maniera troppo superficiale gli ordini di Erwin, la sera dell’incidente?

Sei colpevole, Hanji Zoe, iniziò a ripetere a se stessa.

Levi, per quanto non riuscisse a distogliere la sua mente dai ricordi di quella sventurata notte e dai brutti presagi che, nonostante si sforzasse, non riusciva a evitare di concepire nella sua testa, aveva probabilmente notato la profonda frustrazione che la sua collega nutriva nel suo animo.

- Non capisco perché ti ostini a venire qui – riprese lui. - Non c’entri niente con quello che è successo. La colpa non è tua.

Hanji, che aveva incrociato le braccia sul materasso, infilando in mezzo la testa, mosse il proprio sguardo su di lui.

Iniziò a porsi qualche domanda. E se quegli odiosi sensi di colpa non fossero l’unica motivazione che la spingeva a percorrere i territori del Wall Rose ogni sera? Infatti non era così: le premeva che quella ragazzina ingenua, quella che assecondava ogni sua insalubre idea e la seguiva in ogni sua avventura, che aveva reso un po’ più allegra la vita del suo piccolo collega, che dimostrava doti sbalorditive, che, come lei, aveva trascorso buona parte della sua giovinezza senza l’affetto di un genitore biologico, si ritrovasse su quel letto spoglio in una camera altrettanto triste perché mal voluta da qualche figura autorevole a lei ostile.

Levi strinse dolcemente la mano attorno alla mia caviglia destra, carezzandola col pollice.

- Non sei stata tu a causare tutto questo casino – la sua voce divenne più delicata. - Riprendi le tue mansioni e impegnati come hai sempre fatto. E lavati, soprattutto. La merda dei cavalli ha un odore di gran lunga più gradevole del tuo.

Alla Caposquadra scappò un sorriso, ma non tardò tanto a incupirsi di nuovo. – Mi dispiace per quello che è successo. Per lei, per suo fratello, anche per te.

Levi non rispose, i suoi occhi mossero sul mio volto. Chiuse gli occhi, sospirando.

- Farò come hai detto – continuò la veterana, prendendomi una mano. – Dobbiamo andare avanti. Purtroppo, anche lei dovrà fare lo stesso – si rannuvolò un’altra volta.

Hanji, sempre più decisa a riacquistare la lucidità e la concentrazione che l’avevano sempre contraddistinta, oltre che ad averle concesso il posto di Caposquadra tanto ambito a seguito della promozione di Erwin, scambiò un’altra occhiata al compagno vigile. Stringendo ancora la mia mano, si addormentò pochi istanti più tardi, priva di energie.


 


 

Gli occhi li aprii per la prima volta dopo tanto tempo solo la mattina successiva. La testa mi scoppiava, il mio corpo mi parve improvvisamente più pesante.

Ricordo quella maledetta sensazione di smarrimento appena iniziai a muovere lo sguardo sull’ambiente circostante. Ricordo il momento in cui mi domandai il perché mi trovassi su quel letto di quella stanza sconosciuta, e il motivo per cui la Caposquadra Hanji Zoe, dormiente, era l’unica che momentaneamente fosse nei paraggi. Ricordo che il mio cuore iniziò ad accelerare non appena, ancora incapace di muovere un solo muscolo, iniziai a revocare le memorie degli ultimi attimi precedenti il mio stato di assopimento.

Balbettai, tentando disperatamente di chiamare l’attenzione della donna, la cui mano era stretta alla mia. Non appena fui in grado di liberarla, ella si destò di colpo.

-Claire, sei sveglia! – esclamò, sgranando gli occhi. -Va tutto bene, ci sono dei medici che possono aiutarti.

Per quanto mi sentissi almeno in parte sollevata di aver ritrovato una persona conosciuta in un luogo a me del tutto ignoto, l’angoscia mi stava divorando. Dovevo disperatamente ottenere informazioni riguardanti l’accaduto, riguardanti Lex, e la tensione aumentava man mano che mi rendevo conto di non essere ancora in grado di esprimere un concetto.

-Hang… - riuscivo a stento a chiamarla.

-Non preoccuparti, ora ti sentirai subito meglio – ella, nonostante fosse visivamente agitata, cercò di tranquillizzarmi carezzandomi la testa; proprio quando ebbe compiuto uno scatto per raggiungere la porta, dal corridoio esterno comparve Levi.

-Levi, si è risvegliata! – esclamò nuovamente la soldatessa, invitando il compagno a raggiungerla.

Notai la disperazione dipinta sul volto del corvino. Non avevo ancora compreso che in parte era dovuta al mio lungo periodo di ricovero, il cui motivo in quel momento era a me ancora sconosciuto.

-Lev…Levi – mormorai, sempre più ansiosa. Mossi tremolante un braccio nella sua direzione, pregandolo con gli occhi di spiegarmi.

-Calma, Claire – rispose lui. -Sei in un ospedale di Stohess, hai dormito per tre giorni dopo l’incidente nella città sotterranea – mi spiegò. -Non hai dato segni di vita per tutto questo tempo.

-Levi, dov’è Lex? – domandai impaziente.

Egli smise di parlare, il suo sguardo, incupito, mosse altrove.

-Levi, – gli strattonai la giacca, -dimmi dove si trova mio fratello – le lacrime iniziarono a solcarmi il viso. -DIMMELO! – urlai, ripetendo lo stesso gesto.

Il cuore iniziò a scoppiarmi nel petto, la vista mi si offuscò, dovuta in parte anche alla mia totale assenza di forze. Mi chiesi invano se tutto quello che stavo vivendo fosse solo una visione onirica e che presto mi sarei effettivamente risvegliata in un letto d’ospedale a pochi passi da mio fratello.

-Claire, adesso fermati – si interpose la Caposquadra, bloccandomi i polsi. Provai un’ulteriore sensazione di dolore appena notai il luccichio dei suoi occhi. -Claire, io… mi dispiace, il nostro arrivo non è servito a salvare tutti – si bloccò, tirando su col naso. -Non siamo giunti in tempo per salvare la vita di Lex. È stata colpa mia.

La osservai smarrita, confusa. Di colpo mi accorsi che tutto quello che percepivo era vero, comprese le parole di Hanji. Revocai nella mente gli ultimi istanti in cui avevo visto la figura sofferente di Lex, dopo che tre colpi avevano fatto fuoco su di lui prima che potessi cadere priva di sensi per terra. Capii che quindi il destino mi aveva appena giocato un brutto scherzo, strappando la vita ad una persona buona, ingenua, preferendo risparmiare quella di un’incapace assassina il cui unico talento era quello di affettare le carni dei giganti.

Rivissi l’incubo di tredici anni prima, e provai la stessa sensazione di vuoto sperimentata a seguito della morte brutale di mia madre, accaduta sotto i miei occhi; mi reputai nuovamente responsabile della morte di un mio caro, anche quella volta deceduto a pochi passi da me, senza che io avessi mosso un dito per evitare la fine della sua esistenza. Provai il dolore dell’impotenza, l’angoscia di non poter tornare indietro per impedire una morte inutile, quella maledetta sensazione avvilente di dover vivere con un rimpianto che mi avrebbe accompagnata per il resto della mia ridicola esistenza.

Hanji mi lasciò debolmente, la mia testa tornò sul cuscino su cui avevo riposato.

-La colpa non è tua, Hanji – parlai, infischiandomene del modo indecoroso con cui le avevo rivolto la parola. - La colpa non è di nessuno, se non mia. Io ho lasciato morire disumanamente mia madre, per una questione di interesse personale ho lasciato che accadesse lo stesso con mio fratello.

Le lacrime solcarono sempre più copiose il mio viso. - Io non so fare nulla. Io lascio morire le persone come facciamo sempre anche in missione – risi nervosamente.

Ripensai al volto dello scellerato a cui avevo tolto la vita, a quelli che si erano occupati di seviziare Lex poco prima e a quel gruppo di spietati che avevano sgozzato mia madre in un giorno di pioggia, in una strada deserta. – Questo mondo è il peggiore in cui avessimo potuto mai esistere – conclusi, la voce sgozzata dal pianto.

Mi coprii il volto con un braccio, sfogando la mia frustrazione battendo un pugno sul materasso. – E io dovrei cambiare qualcosa? Ma figuriamoci!

Hanji sedette silenziosamente, col viso rabbuiato. Levi non mostrò alcun sentimento, avvertendomi di dover chiamare un dottore perché mi controllasse.

-E Dovremmo avvertire anche Erwin del tuo risveglio – disse, prima di lasciare la stanza. -Quelli dell’udienza si fanno altamente desiderare.

Mi scappò l’ennesima risata nervosa. -E certo. Come se non bastasse, dovrò finire pure la mia insulsa vita condannata al rogo.

-Non sei tu l’imputata – mi interruppe. - I delinquenti responsabili del decesso di Conrad e di Lexander Hares sono stati arrestati dopo averti causato una commozione cerebrale. Per tua grazia, anche le accuse della morte del gendarme “che tu conosci” sono ricadute su di loro – spiegò lui. Mi osservò per qualche istante, in cui mi parve di notare anche il suo viso decisamente rannuvolato. – Direi che sia risultata una trovata comoda per tutti, non solo per te. Conrad aveva ragione, alla fine – concluse, prima di congedarsi definitivamente. -Quei bastardi sono bravi a nascondere la verità.

Con la morte nel cuore e senza un briciolo di energia, rimasi su quel letto fino all’arrivo del medico, quando questo poté constatare la mia guarigione per farmi partecipare ad un’udienza banale e che certamente non sarebbe servita a fare giustizia sul trapasso di una persona innocente e che meritava tutt’altro che la morte.


 


 

Durante la seconda mattinata del giorno seguente, prese luogo a Mitras l’incontro giudiziario più indegno e fasullo di sempre.

Presenziai in quanto unica parente di una delle vittime dei processati. Malgrado avessi obiettato decisa di non necessitare alcuna compagnia in aula, Erwin si ostinò a rimanere al mio fianco per tutta la durata del processo.

Una moltitudine di gendarmi mi circondavano. Non annoierò il lettore con eccessive descrizioni di quell’incontro – io stessa, dato il trauma psicologico che ancora stavo faticando a superare, non sono in grado di riportare il ricordo di un momento tanto avvilente e per niente utile al corso degli eventi – ma tengo a ricordare come nessuna di quelle tante parole spese, incluse quelle riguardanti il personaggio malavitoso ritrovato impiccato in una delle stanze della casa incriminata, avessero fatto riferimento a Lex.

Un particolare sarebbe rimasto nitido nella mia mente fino ad oggi, benché fossi adirata per non poter manifestare apertamente il mio disappunto riguardante la completa assenza di considerazione nei confronti di mio fratello: riguarda il soldato incaricato a relazionare la morte del gendarme deceduto, Villid Petrov, prima dell’inizio del processo. La voce del tale, Djel Sannes, risultò alle mie orecchie sorprendentemente familiare. Di colpo, la mia testa vagò nei ricordi relativi alla sera di quattro giorni prima; tuttavia, non seppi trovare il nesso logico tra l’incidente di Lex e la voce del gendarme. Non fui ancora in grado di comprendere che essa appartenesse al “capo” che aveva guidato i malviventi ad agire in quella determinata maniera.

Mancai di ragionare in questo modo, allora. Avrei dovuto accorgermene dalla sentenza toccata al gruppo di sciagurati, mandati al carcere della capitale anziché scontare la propria pena sulla forca.

Sconfortata e depressa, lasciai la capitale qualche ora dopo. Non disponevo del mio destriero e avrei dovuto accontentarmi di un baio maleducato che non voleva saperne di farsi cavalcare dalla sottoscritta. Quella malevolenza da parte dell’animale, non lo nascondo, aumentò il mio stato di negatività.

-Prendi il mio, Claire – mi suggerì generosamente il comandante, abbozzando un sorriso.

-Non c’è bisogno, signore – lo rassicurai, stropicciandomi gli occhi sconvolti.

-Me la cavo bene con i cavalli, e reputo il mio il più buono che ci sia – la sua espressione solitamente austera e autorevole si era addolcita. Mi impartì l’ordine di montare sul suo puledro bianco prima di ripartire per i territori più esterni, dove sarei nuovamente approdata in caserma.

Cosa pensava Erwin Smith di quanto accaduto? Probabilmente doveva comprendere il genere di dolore che mi struggeva più di chiunque altro, e pensai che questa ragione l’avesse spinto ad assistermi durante il processo ai malcapitati. Durante il tragitto, dopo essere montata sul suo bel cavallo bianco, mi capitava di incrociare il suo sguardo grave posato su di me. Avrei potuto provare a esprimere finalmente la mia opinione proprio in sua presenza, con quell’uomo a cui sicuramente la verità che si celava dietro quella commedia fasulla era a cuore più di qualunque altra cosa.

Non vi riuscii. Il male di vivere mi tormentava già da due giorni, posso dire che mi risultava difficile persino comprendere quello che succedeva intorno a me, a contestualizzare eventi e a capire i messaggi che arrivavano al mio cervello. Come se non bastasse, le pene peggiori non mi erano state certamente inferte dalle menzogne riguardanti le cause del decesso di Lex – le stesse che avevano camuffato il mio reato – bensì dalla vista del cadavere esangue, pallido, irriconoscibile di mio fratello nell’obitorio dell’ospedale in cui ero stata ricoverata.

Assistere ad uno spettacolo tanto riprovevole prova chiunque, senza tener conto di quante altre volte la scena si ripeta nella vita: avevo già visto i corpi ridotti a brandelli di alcuni tra i miei compagni, avrei continuato a vederne altri successivamente, a soffrire per le morti di altrettanti miei cari. Tuttavia, avevo sperato ardentemente di morire valorosamente in battaglia, mio fratello al sicuro nella casa dei Ral a lavorare la legna col padre di Petra. Ciò non era accaduto, il suo corpo era stato trasportato in un misero obitorio, destinato a essere gettato in una fossa comune in qualche terra deserta e sperduta non troppo lontana dalle cinta murarie del Wall Rose.

Ripensai a quell’atrocità durante la strada di ritorno. La stanchezza e debolezza certamente non mi aiutarono a farmi sentire meno peggio, tant’è che fui costretta a reprimere la camminata del destriero, da cui scesi frettolosamente, dando le spalle al Comandante già in apprensione perché potessi rimettere risparmiandogli una scena altrettanto raccapricciante e disgustosa.

Mi piegai su me stessa a pochi centimetri dal mio scarto, piangendo a dirotto. Percepii il biondo avvicinarsi a me, quindi mi asciugai velocemente il volto come meglio potessi usando l’orlo della camicia che indossavo.

-Claire, siamo quasi arrivati – mi rassicurò Erwin. -Resisti ancora un po’, vuoi che ti aiuti a montare di nuovo?

Feci no con la testa. -Le domando scusa, signore. Posso riprendere la marcia subito.

Mi alzai, dirigendomi verso il cavallo da lui affidatomi. Il suo sguardo era più preoccupato di quanto avessi potuto sforzarmi di immaginare in quel momento.

Salii sulla sella senza a fatica, Erwin non si accontentò di offrirmi il suo sostegno: bagnò un fazzoletto con l’acqua di una borraccia, chiedendomi di rinfrescarmi il volto.

Fui costretta ad accettare la pezzuola, dopodiché riprendemmo il cammino.

Erwin aveva ragione, eravamo vicinissimi alla caserma.

Il nostro arrivo parve una marcetta funebre agli occhi dei soldati ricognitori nei pressi del campo di addestramento. Non avevo idea di cosa avessero potuto pensare per la mia assenza, certamente ero convinta che almeno i miei quattro amici fossero stati già informati dal capitano Levi di quanto fosse successo, in particolar maniera la mia compagna di avventure. Fu un sollievo non averli visti nei paraggi: pensai che essere tornata già in caserma, luogo in cui mi ero impegnata duramente per diversi mesi dando il mio contributo alla causa per cui si batteva il Corpo di Ricerca, per quanto non avessi le energie necessarie per riprendere tutte le mie occupazioni, mi avrebbe sicuramente permesso di dimenticare per qualche istante quella brutta vicenda che mi perseguitava.

Erwin volle assicurarsi che raggiungessi i dormitori per riposarmi almeno quel dì, rimandando qualsiasi impiego mi attendesse.

Percorsi quei familiari corridoi in silenzio, accompagnata dal mio superiore.

-Sono… davvero dispiaciuto per quanto sia successo – proferì a metà strada.

-Come se non bastasse, l’efficienza della nostra ultima operazione rischia tremendamente – risposi, la voce quasi afona. – Ho avuto modo di apprendere che una delle due cavie catturate è deceduta.

- Claire.

-Dovremo procedere con cautela per non rischiare di perdere anche la seconda, di rivedere i progetti per gli esperimenti in programma.

Egli ripeté il mio nome, con un tono di rimprovero.

Incontrai i suoi occhi cerulei e irremovibili. Cosa volevi da me, Comandante? Rendermi ancora più vulnerabile, quando cercavo in tutti i modi di fingere che l’accaduto non avesse più valenza dal momento in cui ero tornata alla mia occupazione? Erwin Smith, dovrò riconoscerlo anche in queste memorie, sei sempre stato bravo a distruggere psicologicamente i tuoi simili.

-Cosa devo fare, signore? Me lo dica lei? – scoppiai nuovamente in un pianto, per quanto cercassi di trattenermi. -Li ha visti, in tribunale? Questo mondo non ha speranze! – alterai il volume della mia voce. – Cosa possiamo fare noi, gli ultimi considerati nell’esercito? Non abbiamo speranze! Mi dica lei un'alternativa.

La mia vista sfocata a stento mi permetteva di percepire la sua figura davanti a me. Mi maledissi per aver proferito tante fandonie, quando fino a pochi giorni prima avevo creduto fermamente all’importanza della nostra lotta perenne. Dopo la morte di mio fratello, mi pareva che tutta la realtà mi fosse ritorta contro, non ero in grado di trovare alcuno scopo per vivere.

-La predo di perdonarmi per aver parlato così – mormorai con un filo di voce. -Mi scusi, Comandante, io…

La mano di Erwin si posò sulla mia spalla. -Claire, posso ancora contare su di te? Il Corpo di Ricerca ha bisogno delle tue capacità.

Mi limitai ad asciugarmi di nuovo il volto, cercando la risposta alla sua domanda.

-Facciamo un patto – continuò lui. -Ti prometto che nell’avvenire accadrà una rivoluzione: faremo giustizia a tuo fratello, a mio padre, dovesse costarmi la vita. Tu però promettimi in cambio una cosa: offrirai il tuo cuore e il tuo talento al Corpo di Ricerca. Tu possiedi le ali della libertà, il destino del Regime Esplorativo e del tuo sono indivisibili e hai contribuito tanto in soli pochi mesi. Allora, me lo prometti, Claire?

Distrutta psicologicamente, ferita fisicamente e nell'orgoglio, constai di non voler desiderare altro che la verità. Anche io, come aveva promesso lui, avrei messo a repentaglio la mia stessa esistenza in futuro per raggiungere un traguardo che al tempo pareva quasi illusionistico.

Portai debolmente una mano al cuore. Col viso abbassato, proferii: -Sissignore, lo prometto.

Erwin Smith si congedò da me pochi attimi seguenti, dopo avermi profondamente ringraziato, promettendomi ulteriormente che sì, prima o poi il momento atteso da entrambi sarebbe arrivato. E il corso degli eventi ha voluto che, diversi anni dopo, il suo sforzo fosse miracolosamente premiato.

Giurai nuovamente fedeltà, ma sapevo già che tenere l'umore alto e riprendere tutte le normali attività sarebbe stato esageratamente difficile in quelle condizioni.

Altrettanto complicato fu parlare con Petra dell'accaduto quello stesso giorno, quando anche la sua collera e la sua tristezza erano sul punto di degenerare al mio stesso livello. Petra aveva finto di non sentirsi bene anche quel giorno per rimanere sola nei dormitori a riflettere sulla dolorosa tragedia capitata a Lex, a quel bel giovane di Karanes, adorato dalla sua sorella minore e sempre disposto ad aiutare in casa Ral dopo l'accoglienza dei due coniugi a seguito del decesso della loro povera madre.

Petra sapeva bene quanto stessi soffrendo, ragion per cui, quando mi vide arrivare, rimase in silenzio, senza chiedermi troppe spiegazioni sull'avvenimento. Gliene fui grata, talmente tanto che sfogai altrettanta frustrazione sulla sua spalla, finché non giungesse la notte.

Dormii con gli scomodi abiti che avevo costretto a indossare per prendere parte a quell'inutile quanto insulso processo del giorno prima.

Un terribile temporale si abbatté sulle campagne circostanti all'alba della mattina dopo. Il lettore si sorprenderà di quanto un simile clima potesse perfettamente rispecchiare il mio stato d'animo funebre e inquieto.

In caserma regnava la stessa atmosfera smorta e deprimente. Ciò non poté che aumentare la mia profonda tristezza.

Rimasi a fissare in maniera distratta la grandine battere il vetro della finestra, ignorando le suppliche di Petra di riposare, soprattutto di mangiare verso metà della giornata, cosa che chiaramente non avevo intenzione di fare.

A fine mattinata pensai che frequentare la mensa potesse essere un punto di partenza per riprendere tutte le precedenti attività a cui ero abituata. Inoltre, mi avrebbe sicuramente fatto bene mettere un pezzo di pane sotto i denti.

Diversi soldati erano già intenti a consumare il loro pasto, quando entrai in refettorio. Seguendo Petra, iniziai a percorrere la grande sala con gli occhi di metà presenti addosso. incrociai anche Levi; mi osservò con leggera apprensione, ma non appena constatò che, escludendo le bende che mi fasciavano ancora la testa, ero in ottima forma fisica, si comportà come era di consuetudine, in maniera sempre fortemente distaccata.

Presi posto silenziosamente accanto ai miei tre compagni. La devastazione era dipinta sui loro volti.

-Ciao, ragazzi – mormorai a bassa voce, aspettando che Petra, dopo aver insistito a lungo, mi portasse da mangiare come aveva promesso.

-Ciao, Claire – prese la parola Erd. -Ci spiace tanto, davvero – farfugliò, imbarazzato.

-Faremo di tutto per farti sentire meglio, te lo prometto – continuò Gunther, come sempre seduto al mio fianco.

-Conta pure su di noi, ragazza – mi strizzò l'occhio Oruo.

Non avevo voglia alcuna di sorridere, ma una minuscola smorfia tentò di ricambiare la loro gigantesca, per quanto imperfetta, dimostrazione di affetto. Nonostante l'anima in pena fossi io, provai un po' di compassione per i miei quattro amici, che avevano appreso dal capitano la versione dichiarata dai responsabili del processo e non l'amara verità.

Dopo che Petra fu tornata con del cibo, iniziai a sorseggiare del brodo. Di colpo, mi tornò alla mente l'agonizzante istante in cui, nella stessa stanza, qualche giorno prima, avevo letto l'ultima lettera scritta da Lex.

Al contempo, un rumore banale risuonò più volte nella mia testa scombussolata. Gunther aveva distrattamente emesso un risucchio mentre ingoiava la minestra calda dal suo cucchiaio, e fu proprio quel suono ridicolo a provocarmi altro dolore. La mia mente vagò nei ricordi, esitando su quello raffigurante me e Lex a cena nella casa dei Ral: il ragazzo, per quanto solitamente educato e diligente, aveva il brutto difetto di consumare le bevande calde alla stessa buffa, tenera maniera.

Quell'ennesima memoria fu per me fatale. Non potei far altro che fingere di ingoiare un altro paio di cucchiaiate, dopodiché, dichiarando di avere un forte dolore allo stomaco, uscii di corsa dal refettorio prima che le lacrime potessero nuovamente bagnarmi il volto, iniziando a girovagare senza meta per i corridoi.

Per qualche strana coincidenza, raggiunsi i seminterrati, dove si trovava anche il magazzino in cui ero entrata per la prima volta la sera di quel tragico giorno. Avevo voglia di poter far girare al contrario le lancette dell'orologio, di poter cambiare il corso degli eventi prima che Lex potesse morire in modo tanto sciocco e disonesto.

Eppure, non scelsi di aprire la porta del magazzino: mi infilai in mezzo a quella di una stanza altrettanto grande, sgombera e adibita ad una sala di addestramento individuale, dotata di pesi, sacchi e altri oggetti da allenamento.

Fu proprio un sacco di grandi dimensioni ad attirare la mia attenzione. Dopo aver pianto ulteriori lacrime, mi liberai con ira della camicia bianca, correndo verso di esso, prima di prenderlo a pugni e a calci con foga.

Non bastavano i giganti, pensai. Non bastavano le minuscole terre che ci rimanevano e che avrebbero sfamato solo ed esclusivamente i figli dei ragazzi che tempo prima si erano lamentanti con me dello studio della musica durante una mia visita a Stohess. Non bastavano la morte di mia madre e l'allontanamento di mio padre a rovinarmi la vita. Soffrire: era davvero l'unica ragione per cui ero venuta al mondo?

Le nocche delle mie mani iniziarono a sanguinare, mentre grugnivo dal dolore per una storta al piede che mi ero appena procurata.

Tuttavia, non mi fermai: anzi, i colpi al sacco aumentarono, così come la loro velocità.

Perché alcuni erano più privilegiati di altri? Perché alcuni dovevano conoscere la verità che ad altri era proibito apprendere? Perché prima o poi anche questa situazione sarebbe degenerata, e della razza umana non sarebbe rimasto nemmeno il ricordo? Perché io, oppure Erwin, o Levi, o chi altro si impegnava assiduamente nel ribaltare una situazione così critica, nel restituire la dignità agli uomini, non otteneva altro che sconfitte?

Qualcuno mi afferrò per le spalle, spingendomi in direzione opposta del sacco. Pochi secondi dopo, lo sguardo confuso, triste e sdegnato di Levi iniziò a fissarmi.

-Perché mi segui sempre? - domandai esasperata. -Dimmelo, Levi. Perché ti diverti a perseguire una persona inutile e incapace?

-Ti prego, finiscila con queste stronzate.

-NON LO SONO! - gli urlai contro di nuovo, sentendomi in colpa per come lo stavo trattando. Ma che senso aveva essere garbati, dopotutto? Come poteva un essere spregevole come me meritarsi il suo sostegno? -Io non sono niente, Levi!

Rammaricata, mi accasciai per terra, piangendo fino alla nausea, distrutta dal senso di colpa per averlo ulteriormente ferito con la mia negatività.

Levi non voleva saperne di allontanarsi da me, per quanto, per un istante, mi convinsi che l'avrebbe fatto da lì a poco. Il rumore dei suoi passi distanti mi avevano tradita: non aveva lasciato la stanza, ma si era procurato altre fasce per coprirmi in silenzio le nuove ferite che mi ero procurata alle mani, con un'indulgenza infinita, della quale io ero troppo sciocca accorgermi. Sempre senza proferire parola, iniziò a infilarmi la camicia che avevo lasciato per terra e io, ormai svuotata e ulteriormente stanca dall'ennesimo pianto, non opposi resistenza.

Levi rimase a osservarmi ancora. Tentò di asciugarmi il volto, fu allora che gli pregai di andarsene.

Levi non se ne andò. Mi prese per mano, aiutandomi ad alzarmi da terra per sedermi ad un tavolo accanto alla finestra, dalla quale penetrava una luce assai fioca e priva di conforto.

Il viso abbassato, la mente vagante nel vuoto totale e nella tristezza, a stento mi accorsi che lui aveva deciso di contrastare il mio desiderio di stargli lontano, sedendosi al mio fianco con gli occhi puntati su di me.

Mi odiavo perché, seppur involontariamente, ero consapevole di stargli procurando comunque dolore, perché non ero più capace di riacquistare lucidità e affrontare la situazione.

-Perché non te ne stai andando? Che vantaggio trai dal rimanere qui? - chiesi irritata.

Prese del tempo per rispondere alle mie domande. - Pensi che non me ne importi? Pensi che me ne freghi di te? Mi reputi davvero una persona così orribile?

Mi scoraggiai ulteriormente, sempre più convinta che non avessi altra scelta se non rinunciare a tutto quel che avessi, alla mia vita, ora che ero certa che la mia presenza ostile a chiunque – soprattutto a chi aveva tolto la vita a Lex. Avrebbero gioito nel sapere che la seconda figlia di Hares, quella che era più difficile da uccidere perché protetta all'interno di quel maledetto Corpo di Ricerca, si era tolta di mezzo – non avrebbe cambiato le circostanze in cui si trovava il nostro mondo.

Il corvino spirò, imprecando. -In effetti lo sono. A chi voglio prendere per il culo?

-Levi, - lo interruppi, - ho visto uno dei miei incubi peggiori divenire realtà. Ho visto quanto pessima e ingiusta sia la realtà in cui viviamo – strinsi i pugni. -Io penso di non essere più in grado di essere la persona di prima, perché è come se fosse scomparso ogni obiettivo che mi ero prefissata – confessai. -Non perdere il tuo tempo con me. Io sono solo causa di sofferenza, credo di essere alquanto instabile e talvolta sfocio nella negatività più profonda. Non voglio vedere soffrire anche te, allontanati.

-Da chi? - chiese lui. -Dall'unica persona che sia riuscita a farmi disprezzare di meno quel mondo che non attende altro che la fine della mia esistenza? Quella che mi ha indotto a convincermi di non essere il mostro di cui tutti parlano? - susseguirono alcuni attimi di silenzio. -Ah, “il capitano Levi, il più forte dell'umanità”... come se da me dipendesse la sconfitta di quei colossi merdosi.

Per un istante, riuscii a distogliere la mia attenzione da tutti i pensieri negativi che mi turbavano. Le parole di Levi non furono a me totalmente indifferenti: era possibile che il suo amore fosse così grande da fargli ignorare addirittura quel limite che io avevo appena imposto tra noi due?

-Forse davvero non varrei nulla, se non avessi questa dannata forza di cui tutti parlano – continuò.

Con la coda dell'occhio lo vidi avvicinarsi: - Ascolta, probabilmente mi reputerai soltanto un ridicolo egoista per quel che sto per dirti, e magari in questo momento sarai tanto scossa che non crederai che anche io abbia provato la tua stessa frustrazione e debolezza, qualche tempo fa.

Alzai lo sguardo, notando che aveva stretto i pugni, gli occhi persi un po’ nel vuoto, socchiusi e tristi. Esitò qualche secondo prima di continuare.

-Non penso che tu stia considerando la mia presenza alquanto utile per te. Io alla fine sono solo un essere brutale che ha ammazzato uomini e uccide i giganti perché in un certo senso glielo hanno imposto, difficilmente provo interesse nel mostrare le mie emozioni e fatico a farlo addirittura con te. Come se non bastasse ho un orrido modo di parlare e rappresento l’esatto contrario di quello che è l’uomo ideale che dovrebbe rimanere al fianco di una donna. Però, posso prendermi la briga di rivelarti una cosa?

Vidi i suoi occhi brillare non appena incontrarono i miei. Di colpo, tutta la mia attenzione si concentrò su di lui; in quel momento, tutto ciò che desiderai era continuare a sentire la sua voce, che alle mie orecchie parve essere quanto di più dolce esistesse nel mondo. Chi mi parlava non era più Levi, il soldato più forte dell’umanità, ma un uomo dall’indole buona e giusta, consapevole dei propri limiti.

-Posso confessarti una cosa, Claire? – domandò di nuovo. –Io sono solo felice che tu sia ancora qui con me.

In un attimo, mi sembrò che tutto si fosse misteriosamente interrotto. In un istante, ebbi l’impressione che in quella realtà esistessimo soltanto io e lui, e inevitabilmente iniziai a sentirmi meglio.

Le lacrime mi scesero abbondanti e copiose dalle iridi grigie, mentre ripetevo a me stessa quanto amassi quel ragazzo dolce e bisognoso d’affetto.

A causa della mia negatività, avevo procurato del male a quella persona che, ormai ne avevo avuto l’ennesima dimostrazione, non avrebbe mai smesso di cercarmi e di essermi devoto, oltre ad aver infangato la memoria di colui che aveva mostrato più onore di me, morendo valorosamente nel tentativo di avvicinarsi alla verità di quel mondo scarno.

La figura di Lex parve misteriosamente comparire accanto a me. Immaginai il suo sguardo sempre sincero e sorridente che mi invitava a sorridergli a sua volta. La dolcezza che contraddistingueva il suo volto era la stessa di mia madre, per un attimo mi sembrò di rivederli veramente entrambi. E mi resi conto che, non avrei potuto negarlo, tutti e due non avrebbero mai voluto vedermi in uno stato tanto malinconico, a cui sarei potuta sfuggire solamente grazie all'amore. Quello che ancora nutrivo per loro, quello che avevo sempre nutrito per i miei compagni più fidati. Quello puro ed eterno che provavo per Levi.

Levi, proprio colui che aveva deciso ininterrottamente di seguirmi in ogni direzione e circostanza, che avevo involontariamente ferito dimenticandomi della sua tragica infanzia, segnata dalla morte della sua povera madre e dall'allevamento di un essere tutt'altro che umano, della sua vita malinconica, resa meno difficile fino ad un certo punto da due giovani leali, tristemente uccisi da un brutale gigante, fu capace di risvegliarmi da quello stato melodrammatico, di ricondurmi alla realtà.

Mi sentii al contempo amata profondamente, e mi accorsi di quanto io stessa tenessi ancora a lui. Come avevo potuto ferirlo ancora dopo tutto quello che gli era capitato?

Gli occhi di Levi guardavano ostinati i miei; le sue mani si accostarono lentamente alle mie, stringendole con dolcezza non appena sul suo volto apparve un tenero sorriso. Il viso di Levi finalmente divenne raggiante, ciò che più di rassicurante potesse esserci.

-Anche se tu… - mormorai, la mia voce, seppur rotta dal pianto, non era più disperata e triste, ma confortata e rianimata. –Anche se tu fossi l’essere brutale che dici di essere, io ti amerei comunque, come sto facendo adesso.

Vidi la sua bocca schiudersi. Il sorriso precedente scomparve per una manciata di secondi, lo vidi sorgere nuovamente mentre asciugavo il viso bagnato.

Levi trasse una delle sue mani, avvicinandola a sé; cercò sotto la sua maglia l’oggetto che teneva sempre al suo collo, sfilandosi il pendente. Pochi secondi dopo, la sua collana dalla pietra rossa giaceva sul mio petto. Il fuoco delle torce presto la illuminò, rendendo la pietra ancora più accesa e particolare.

-Ho una richiesta da farti – riprese. -Non ho idea di quanto possa cambiare la situazione, probabilmente non servirà concretamente a niente – lo vidi deglutire appena cercò di avvicinarsi a me. -Vorresti far parte della mia famiglia, Claire?

La melodia più dolce di sempre riecheggiò alle mie orecchie. Il mondo parve improvvisamente interrompere il suo corso; ancora una volta, sembrò che tutto fosse concentrato su di me. Su di lui.

I suoi occhi emanavano una luce particolare; i tratti del suo viso erano i più addolciti di sempre. Lo reputai bellissimo, come quando non molto tempo prima avevamo fatto l'amore senza che nessun pensiero ci tormentasse. Non era un caso, dunque, che in quelle circostanze ci fosse sempre lui, con me.

-Io... Dici sul serio? - balbettai. -Alla fine io non sono niente di...

-Non ti esaltare troppo, mocciosa – arrossì. - Non ti ho chiesto di sposarmi o cose simili – si imbronciò di nuovo, malgrado lo tradissero le gote rosse. -Sai già che non accadrà mai, ver...?

-Quanto ti amo, brutto bastardo! - scoppiai a ridere, al contempo piansi quando lo abbracciai. Lo strinsi forte, perché sapevo che non avevo bisogno d'altro se non lui in quell'istante. Sentire il suo profumo così da vicino, sentire lui su di me mi faceva stare bene. Non fui in grado di trattenere altre lacrime di gioia quando sentii avvinghiarmi dalle sue stesse braccia.

Gli scappò un piccolo ghigno. -Mocciosa che non sei altro... - commentò, carezzandomi la testa. -Promettimi che rimarrai ancora la stessa cretina di prima.

Chiusi gli occhi, incontrando nuovamente il sorriso di mio fratello, quello che sarebbe rimasto stampato nel mio cuore fino alla fine dei miei giorni. Quello che, come accadeva già quando ero bambina, mi avrebbe sempre spronato ad andare avanti in ogni occasione.

-Te lo prometto, Levi – conclusi, scostandomi un po'. I nostri visi furono ulteriormente vicini. Mi imbattei nelle sue iridi, blu e intense e, senza che potessi far altro, avvertii subito dopo le sue labbra incontrare le mie; fu lui a regalarmi un bacio tenerissimo, perfetto e speciale proprio perché suo.

Proprio allora, malgrado le disgrazie che avessero segnato la mia e la sua vita, reputai entrambi fortunati perché i nostri destini avevano deciso di intrecciarsi. Perché, nonostante le sofferenze e gli orrori che continuavamo ad affrontare ogni giorno, avevamo trovato entrambi, in una maniera o in un'altra, la forza di andare avanti.

-Oi, ehm... - una voce proruppe in prossimità della porta d'ingresso e ci costrinse a interrompere quel contatto che io quanto il corvino avevamo bramato da tanto.

-Merda, Quattr'occhi – sospirò Levi. -Non hai mai niente da fare, eh?

La Caposquadra arrossì. -No, ehm... - si grattò la testa. -Volevo essere certa che avessi trovato Claire! Sai, ero preoccupata...

-Quando imparerai a farti i cazzi tuoi, stupida Quattr'occhi?

Ridacchiai, un po' imbarazzata. -Perché la tratti sempre così male? - domandai, alzandomi.

-Ah, non farci caso, Claire – mi sorrise lei. -Ci sono abituata, ormai.

Un po' titubante, mi avvicinai a lei, ricurva, con le braccia in avanti, mi strinsi il polso. -Caposquadra, la prego di perdonare il mio atteggiamento indegno di ieri mattina. Ero visibilmente scossa, spero possa capire – mi scusai.

-Ma certo che posso, Claire – mi guardò compassionevole. -Anzi, ignora completamente l'accaduto. Non mi dispiace mica essere chiamata semplicemente Hanji. Non avremo lo stesso grado, ma a te non mancano mica tanti requisiti per poter diventare comandante di squadra, o mi sbaglio? - mi strizzò l'occhio.

Arrossii anche io. -Io non lo so! - esclamai. -Comunque, la ringrazio per essersi preoccupata incessantemente per me.

Il volto della veterana si fece serio per un istante, prima di ritornare ad essere raggiante quando la sua mano finì sul mio capo. -Al suo servizio, tenente Claire! - terminò, dichiarando poi di aver preferito lasciare soli me e Levi, che ribatté con l'ennesimo insulto alla donna.

Io e il corvino ci allontanammo mano nella mano. Egli mi fece promettere che sarei rimasta nella sua stanza per concedermi un bagno caldo prima di coricarmi accanto a lui in un letto decisamente più comodo di quello che mi attendeva nei dormitori, seppur reso più accogliente dalla presenza della mia amica sulla brandina sopraelevata. Non impiegai un secondo di più ad accettare quell'invito, impaziente di trascorre quanto più tempo potessi accanto a lui.

Percorsi la caserma con la consapevolezza che la speranza, la stessa che fino a quel momento mi aveva spronato a dare il massimo per raggiungere un obiettivo ben definito, la liberazione dell'umanità, non era morta, né mai lo sarebbe stato. Era appena stata nuovamente risvegliata. Dall'amore incondizionato che nutrivo per Levi, dalla assidua presenza del ricordo di mia madre, adesso anche di Lex, nel mio cuore. Nulla avrebbe potuto fermarmi.


 


 


 

Spazio Autore: rieccomi dopo un altro “piccolo” periodo di assenza. La scuola è iniziata, nonostante ciò cerco sempre di continuare a scrivere e di concludere questo racconto ad ogni costo. Devo dirlo, non sono particolarmente insoddisfatta di come sta proseguendo, e sono lieta di annunciare che molto probabilmente questo racconto avrà quello che potremmo definire un seguito. Nuovo narratore, nuovo arco temporale, nuovi personaggi... aria di novità in generale. Per il momento mi sono limitata a scrivere qualche idea per il prologo e del racconto che ho in mente in generale, ma spero vivamente di riuscire a concretizzare il mio nuovo progetto di scrittura.

Vi saluto con una magnifica immagine tratta dalla scorsa puntata della terza stagione di AOT... ALLERTA SPOILER per chi segue il manga e non ha ancora iniziato a vedere la terza serie (Lady_Snape, per una ragione o per un'altra ti penso sempre :) ).


 






                                 

Ho aspettato (im)pazientemente questo momento dall'inizio della nuova stagione. Concedetemi di fangirlare in pace... è la pura tenerezza e bellezza quando sorride, questo ragazzo ha già sofferto parecchio e il suo gesto di gratitudine nei confronti della sua squadra è stata una delle migliori trovate uscite dalla matita di Isayama. Solo io piango appena vedo il suo sorriso triste???


 


 

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Capitolo 32
*** La ballata dell'Armata Ricognitiva ***


32. La ballata dell'Armata Ricognitiva


Continuavo a guardare titubante l'indumento morbido, bianco, troppo grazioso per la sottoscritta, disteso sulla mia umile brandina, la cui grossonalità e semplicità era nettamente in contrasto con la purezza e l'eleganza dell'abito.

-Cosa dovrei farmene io? - chiesi scombussolata alla mia migliore amica, vestita come me solo della sua biancheria intima, intenta a rovistare nel guardaroba condiviso.

Si voltò, sorridendomi prima di tornare a sbrigare la faccenda di prima. -Che domande. Lo indossi, no? - rispose noncurante.

-Cosa significa? È tuo, no? Cosa c'entro io col tuo vestito?

-Tu non hai un abito da cerimonia, non è così? Papà voleva comprartene uno, ma tu gli hai sempre vietato di spendere soldi per queste cose, se non per quelle centinaia di matite da disegno che consumi come le lame del dispositivo tridimensionale – spiegò, esaminando i diversi abiti che riempivano il lato del suo armadio.

-Scusami se non ho mai voluto che qualcuno spendesse tanti soldi per me per qualcosa di altamente inutile – incrociai le braccia. - Siamo due sempliciotte di Karanes, non due nobili signore di Mitras, per di più siamo soldatesse. A cosa avrebbero potuto mai servirci dei vestiti da cerimonia?

-A un'occasione come questa – ribatté lei. -Dai, Claire. Non farti pregare. Vedrai come quel vestito bianco ti starà da favola, farai girare la testa a tutti, stasera – saltellò allegra. -Be', in realtà questo mi preoccupa: immagina quante persone si troveranno in infermeria per colpa di qualche scatto di gelosia di Levi – mi canzonò, facendomi arrossire.

-Maledetta Petra – commentai, sollevando il vestito da sopra il materasso, maledicendo me, per la mia totale insicurezza in circostanze come quelle, Petra, per avermi costretto a indossare qualcosa di decisamente più succinto in confronto alla divisa militare, ma soprattutto Erwin, indotto da chissà quale mente geniale a “riassestare” lo spirito dei ricognitori organizzando una ridicola cerimonia, in occasione dello scoccare del nuovo anno, a cui avrebbe preso parte l'intera divisione.

L'obiettivo del ricevimento, così mi era stato comunicato, era quello di “festeggiare” i pochi quanto rilevanti esiti positivi delle nostre recenti spedizioni, auspicando che anche nel nuovo anno il Corpo di Ricerca potesse ulteriormente migliorare il suo operato durante le missioni.

Almeno il 90% aveva accolto con disinteresse e turbamento l'organizzazione di quell'evento: io stessa non avevo idea di cosa consistesse una cerimonia di quel tipo e di come fosse possibile riunire l'Armata Ricognitiva per quella particolare occasione.

Mi sorprese, d'altronde, come Petra fosse rimasta altamente contenta di quell'evento, ed era pienamente favorevole a considerare l'evento di quella sera un modo per dilettare coloro che da tempo erano stati abituati alle peggiori sofferenze e tragedie.

Mentre ero intenta a indossare quell'abito, sorprendentemente delle mie misure, pensai che l'opinione della mia amica non fosse completamente errata: non era passato molto tempo dalla morte di mio fratello, concedermi un po' di riposo dal lavoro per una sola serata dopo lo strazio che avevo superato avrebbe risanato anche il mio spirito.

La gonna larga dell'elegante abito bianco lasciavano le gambe scoperte a partire dalle ginocchia: pensai che non potesse esistere un indumento più diverso dall'uniforme militare. Anche le braccia, leggermente rinvigorite dal duro allenamento a cui mi ero auto sottoposta dopo essermi arruolata nel Regime Esplorativo, erano interamente scoperte, motivo per cui fui ancora più incerta e riluttante non appena notai che l'abito blu notte di Petra gliele copriva quasi del tutto.

-Perché fai quella faccia, Claire? - mi chiese scioccata, le lacrime agli occhi. -Sei stupenda!

Sorrisi appena mi abbracciò. -Tu lo sei di gran lunga di più.

Le carezzai i capelli soffici ambrati sparpagliati sulla mia spalla, strinsi il suo corpo avvolto in una veste resa ancor più meravigliosa dalla sua piccola, lievemente allenata corporatura.

Quanto avrei desiderato vederla sempre in quelle condizioni; l’aspetto elegante da gala le donava tantissimo. Ma lei era pur sempre Petra Ral, soldatessa che prestava servizio al famoso Corpo di Ricerca, subordinata del famoso capitano Levi e membro dell’unità per le Operazioni Speciali.

Petra era dotata di un coraggio e una forza d’animo ammirevoli. Per qualche strana ragione, molti superiori avrebbero preferito lodare il mio talento piuttosto che il suo, ciononostante non avrei mai smesso di avere lei come unico esempio di vita.

-Petra, sei convinta di voler andarci? – domandai a bruciapelo. -Potremmo rimanere qui a chiacchierare, approfittando che non c’è nessuno.

Ridacchiò. -Non mi tentare, stupida. Dobbiamo andarci, lo sai bene. Anzi, tu devi andarci.

Aggrottai le sopracciglia. -Io? Fossi almeno comandante o caporale. Che importanza ha la mia presenza?

-No, è che… insomma, - balbettò, -non posso certo perdermi la reazione di tutti quando ti vedranno arrivare! Sei proprio bella, stasera. Non potrebbe negarlo nessuno, ne sono certa.

Ricambiai sorridendole, per poi sospirare. -Non ne sono certa. Poi, non so proprio come ci si comporti in queste situazioni.

-Nessuno lo sa, dei partecipanti. Questo è poco ma sicuro – mi prese per mano. -Se hai finito di prepararti, direi che possiamo anche andare.

Esaminai la chioma, ancora legata in una coda di cavallo bassa e piuttosto spettinata. -Forse è meglio che mi dia una sistemata.

-A quello ci penso io – ella mi invitò a sedere, prima di iniziare a spazzolarmi i capelli e di rovistare nuovamente tra i suoi effetti: balzò tra le sue mani una fascetta rossa che lei adoperò per chiudere la morbida treccia che aveva modellato sulla mia testa.

-Riprende il colore della collana, non credi? – osservò sorridente.

Arrossii, ricordando di quando le avevo felicemente raccontato la promessa che qualche tempo prima io e Levi ci eravamo scambiati, testimone la pietra rossa che avevo al collo.

Levi. Chissà cosa pensava della bizzarra cerimonia in programma? Non aveva espresso molti opinioni al riguardo, in mia presenza. Era contento di poter constatare che tutti gli ufficiali, lui compresi, erano stati assolti dal dovere di cercare un abito per l’evento, essendo obbligati a vestire il lungo cappotto verde militare con dietro cucito il nostro unico stemma bianco e blu.

-Sei perfetta, Claire – mi ripeté Petra, prima di avviarci nel refettorio, la sala che quel pomeriggio era stata rigorosamente addobbata per l’occasione.

Roteai gli occhi. -Mi fai venir voglia di desiderare la fine di questa giornata il prima possibile. Odio avere gli occhi di tutti addosso.

-Ma se è per una buona caus…

Le tappai la bocca appena udii il suono della musica provenire al piano terra. Percepii un suono acuto e dolce mai sentito prima e la melodia di un’inconfondibile chitarra. Alcune note gravi e poco udibili accompagnavano il tutto.

-Ma c’è la musica! – esclamai, sgranando gli occhi.

-Cosa credevi?

Fui io a trascinarla verso il refettorio, prima di osservare l’arrivo di numerosissimi soldati in abiti civili. Tantissime nostre compagne sfoggiavano gli abiti più femminili di sempre, i soldati da poco arruolatisi le accompagnavano con un’eleganza unica nel suo genere.

Fui un po’ intimorita nel vedere tanta gente solitamente incrociata nei cortili dei campi d’addestramento in una serata così particolare. Petra osservava meravigliata l’arrivo dell’Erd più splendido di sempre in compagnia della giovane contadina conosciuta da poco.

Imbarazzato, il ragazzo ci salutò con un sorriso e un cenno del capo, accompagnando la signorina all’interno della grande sala e chiacchierando animatamente con lei.

Imitammo il suo gesto anche io e Petra, percorrendo l’ingresso del refettorio mentre io, agitata, improvvisavo un discorso sull’accurata decorazione della sala ad opera di Nifa, sicuramente la soldatessa della Legione più stilosa di sempre: la mensa buia e scarna adesso era stata trasformata in una meravigliosa sala da ballo colorata di bianco e di grigio.

Fummo presto raggiunti da Gunther e Oruo, già intento a osservare meravigliato la mia migliore amica.

-Ti vedo proprio in forma, Oruo – lo canzonai, ridendo sotto i baffi al tentativo del mio compagno di riprendere la lucidità, cercando di reprimere il rossore sul suo viso.

-Non capisco cosa ci facciamo, qui. Non è proprio il genere di cerimonia che si addice al Corpo di Ricerca – commentò lui.

-Non sei mai contento, Oruo? – lo riprese la mia amica, anche lei un po’ in imbarazzo a causa della reazione da parte del nostro compagno. -Potresti contenere i tuoi commenti fastidiosi almeno per stasera?

La mia attenzione era nel frattempo stata catturata dal piccolo gruppo di musicisti nel fondo della sala – avevano pensato proprio a tutto! – e in particolare da colui che faceva scivolare una bacchetta di legno su un minuscolo strumento ad arco: era dunque quello il suono del violino, di cui mi avevano tanto parlato i miei genitori da piccola!

Uno strumento simile, ma di dimensioni gigantesche, era suonato da un secondo musicista. Ad animare il gruppo non poteva che essere un magro chitarrista, ma l’oggetto che più richiamò la mia attenzione fu il piano verticale che accompagnava i restanti sonatori con dei dolcissimi e profondi accordi.

-Non riesci proprio a resistere, vero? – mi domandò Gunther, ridacchiando.

-E’ come dici – confermai. -Non avevo mai visto così tanti musicisti prima d’ora. Essere un soldato ti offre più vantaggi di quanto tu possa pensare.

-Non posso darti torto – mi sorrise, accostandosi a me. -Tra poco ci sarà il discorso del comandante. Ho sentito dalla Caposquadra Hanji che dopo ci sarà anche un ballo.

-Buono a sapersi – non distolsi lo sguardo dal quartetto, incantata dalla loro melodia. -Sappi che il nostro compito stasera a di lasciare Oruo solo in compagnia della bella Petra: Erd si è già congiunto con la ragazza contadina, perciò cerchiamo di levarci di torno anche noi.

-Ehi, intendi ballare? – chiese paonazzo.

-Perché no? Almeno ballerò con qualcuno che come me pesterà i piedi del suo compagno.

Scoppiammo a ridere, avvicinandoci al gruppo di musicisti. -Non credi che dovresti essere la partner di un’altra persona, piuttosto che di me?

-Stiamo pensando alla stessa persona? – chiesi, camminando lentamente nel tentativo di studiare la melodia prodotta. -Ti immagini vedere il caporale maggiore ballare con una povera soldatessa? Le spezzerebbe le piante dei piedi.

Susseguì una seconda risata. Proprio in quel momento, udii la voce del diretto interessato qualche metro più avanti, intento a discutere con Erwin.

Stretto nel suo cappotto verde, i suoi occhi si spostarono da quelli celesti del suo superiore ai miei. Notai un certo stupore dipinto sul suo viso, un lieve rossore che lo colse.

Gli sorrisi, mentre cercavo al contempo di seguire i discorsi di apprezzamento di Gunther riguardo l’insolita allegria dei ricognitori partecipanti alla serata. Annuivo, ma la mia mente era più intenta a ringraziare il cielo che Levi fosse lì nelle vicinanze, perfetto ed elegante come sempre.

Non ebbi ulteriore tempo per lasciare che i nostri sguardi si cercassero: Gunther mi avvertì che Erwin avrebbe tenuto il suo breve discorso da lì a poco; dunque, ci unimmo ai nostri pari – non mancai di osservare quanto Petra e Oruo fossero vicini l’un l’altro – affinché in tutta la sala si diffondesse il silenzio più assoluto, proprio come quando accadeva di solito, quando indossavamo l’abbigliamento formale.

Erwin ci diede cordialmente il benvenuto; il suo atteggiamento era dissimile a quello assunto solitamente durante i colloqui con l’intera Legione. Anzi, se non fosse stato per il cappotto verde che anche lui era tenuto a indossare, difficilmente i sottoposti più recenti, come ad esempio me, l’avrebbero riconosciuto, dato il suo modo di fare tremendamente sciolto, seppur come sempre elegante.

Successivamente, Erwin tenne a ringraziarci della nostra presenza, compresa quella di coloro che non facevano parte della vita militare, ma che semplicemente avevano un legame affettivo con alcuni dei nostri soldati. In effetti, proprio in quell’istante mi accorsi che un altro motivo che avrebbe mosso i superiori a organizzare quella serata era che tale evento poteva essere giudicato come un tentativo offerto ai ricognitori, membri di un reparto militare dove le morti e le tragedie erano piuttosto frequenti da abbattere l’animo umano, per socializzare.

Erwin ammise anche che la Caposquadra Hanji Zoe aveva assai insistito perché si optasse per una cerimonia assai insolita per dei soldati della Legione Esplorativa, e che egli stesso, come buona parte di noi, si sarebbe ritrovato completamente a disagio.

Comunque, il comandante non mantenne il suo comportamento informale per tutta la durata del discorso, e spiegò presto che la serata aveva uno scopo ben preciso: -Celebreremo le piccole, importanti imprese che siamo riusciti a portare a compimento in queste ultime settimane. I decessi durante le spedizioni sono diminuiti del 7%. Non è molto, me ne rendo conto, ma è abbastanza se consideriamo che il miglioramento è avvenuto solamente dopo solo due missioni all’esterno. Inoltre, c’è da aggiungere del positivissimo esito che ha avuto l’impresa per la cattura di due esemplari di gigante. Ed è proprio per quanto riguarda quest’ultima opera del Corpo di Ricerca che vorrei esprimere le mie più sincere congratulazioni a coloro che hanno reso possibile la riuscita di questa missione: la Caposquadra Hanji Zoe, responsabile del team di ricerche sui giganti, e il capitano Levi, leader della Squadra per le Operazioni Speciali, un gruppo di cinque giovani talenti che, dopo solo pochi mesi dal loro arruolamento, hanno visibilmente contribuito al miglioramento delle prestazioni della Legione.

Si sollevò subito un’ovazione. I miei colleghi nelle vicinanze fremevano dall’eccitazione, la Caposquadra Hanji, alla destra del comandante, rivolse a quest’ultimo un sorriso riconoscente; Levi, alla sinistra di Erwin, si limitò a rivolgergli un semplice cenno di capo.

Potevo ritenermi più che contenta: d’altronde, io avevo aiutato il mio team a lavorare duramente per la missione in programma; io avevo preso, assieme al nostro superiore, la decisione di fondare una squadra volta a svolgere mansioni di una certa importanza, sviluppando i talenti dei miei compagni più fidati proprio in circostanze specifiche.

Eppure, il discorso di Erwin non era finito qui. -In quanto responsabile dell’Armata Ricognitiva, confesso di essere estremamente orgoglioso di constatare quanta forza d’animo risieda in questi ragazzi che, freschi di corso d’addestramento, hanno già eccelso in così poco tempo. Tuttavia, è mio compito riconoscere il merito di una recluta che ha particolarmente lavorato con determinazione e fatica nel tentativo di risollevare il Corpo di Ricerca, le Ali della Libertà, dall’afflizione e dalla sventura.

Quando lo sguardo di Erwin rimase fisso su di me, il mio cuore aveva già compiuto un balzo nel petto.

-Claire Hares, per quanto attualmente ancora poco più di una semplice cadetta, è chiaramente riuscita a distinguersi nelle ultime settimane dimostrando di avere una perspicacia fuori dal comune, oltre che un talento brillante nelle tecniche combattive, il requisito più importante richiesto dai soldati. Ecco perché, in qualità di massima autorità della Legione Esplorativa, ho deciso, assieme ai restanti superiori, di attuare una promozione di grado per la suddetta.

Rossa in volto, la fronte imperlata di sudore – ero sempre solita reagire in quel modo appena constatavo di avere gli occhi di tutti puntati su di me – mi feci avanti un po’ insicura, facendomi strada tra i partecipanti. Non appena fui al cospetto degli ufficiali, Erwin mi sorrise in modo spontaneo.

La sala cadde nel silenzio più intenso appena Erwin pronunciò le parole fatidiche: -Claire Hares, ex membro del 103° Corpo Cadetti, attuale ricognitore, in qualità di comandante del Corpo di Ricerca, ti promuovo alla carica di tenente.

In preda allo choc, tantomeno feci inizialmente caso alla piccola spilla argentata che Erwin, in maniera un po’ impacciata, aveva appuntato sulla stoffa bianca del mio corpetto. Il mio sguardo sbalordito ricadde su Hanji, profondamente commossa, su Mike, intento a sorridermi, infine su Levi, fingendo il solito sguardo di indifferenza, ma che durante l’applauso finale fu tradito da una piccola smorfia.

Rincuorata, finalmente alzai il viso verso Erwin; mi strizzò affettuosamente l’occhio, motivo per cui, inspirando, mi ricomposi, stringendo un pugno sul petto, l’altro dietro la schiena.

-La ringrazio, comandante – riuscii debolmente a proferire, prima di dargli le spalle.

Non mi focalizzai, fortunatamente, sui restanti membri della brigata intenti ad applaudirmi. I miei occhi erano fissi su Petra, intenta a saltellare contenta accanto ai miei compagni felici.

Con un sorriso a trentadue denti, li raggiunsi poco prima che Erwin potesse effettivamente dare inizio alla cerimonia. Raggiunsi i quattro ragazzi con i quali avevo duramente lavorato negli ultimi mesi, quelli che mi avevano spronato a dare il massimo, quelli che avevano ininterrottamente avuto fede nelle mie decisioni.

Erano loro ad essersi impegnati ininterrottamente durante la nostra ultima missione, realizzando il sogno di Hanji Zoe.

-Tenente! – si mise sull’attenti Erd, facendo ridacchiare la dolce contadina vicino a sé.

-Ormai fai parte dei “piani alti”, amica mia – mi sorrise Gunther. -Sei poco meno importante del capitano Levi, sono lieto di averti come amico.

-Ma il merito è tutto vostro! – esclamai, abbracciando nuovamente la ragazza dai capelli ramati. -Se voi non aveste lavorato duramente, se non aveste preso la decisione di mettere in atto i miei progetti, le mie strategie…

-Vedi di non montarti il cervellino. Mi dai già sui nervi – commentò Oruo, beccandosi l’ennesima gomitata nello stomaco da parte di Petra.

-Sai, una persona di nostra conoscenza non avrebbe potuto rispondere in altra maniera – sorrisi, voltandomi in cerca di Levi. Lo trovai intento a chiacchierare con una felicissima Hanji; fu allora che, inevitabilmente, ripensai alla sera in cui lui mi aveva fatto sentire bene solo grazie alla sua presenza: nello stesso giorno, era stata proprio Hanji a rivolgersi a me per la prima volta con l’appellativo di “tenente”.

-Parli del capitano, vero? – chiese Petra.

Non la ascoltai, preferendo osservare la Caposquadra. -Che sia stata…? – mi domandai confusa, eppure al settimo cielo, promettendomi di dover ringraziare nuovamente la veterana appena si fosse presentata l’occasione.

La musica proveniente dal pianoforte divenne improvvisamente più intensa; venne accompagnata dai restanti strumenti, nel frattempo tutta la folla si era distribuita nell’intera sala – per la prima volta, ebbi modo di osservare la graziosa Nanaba, già intenta a volteggiare assieme a Mike, ignorando qualsiasi sguardo attonito o disilluso. Anche una donna apparentemente tanto fredda e impegnata col lavoro aveva diritto a vivere la propria vita amorosa senza pudore e risentimento, dopotutto – e io, assieme a Gunther, ero l’unica rimasta immobile come una statua.

-Be’, è arrivato il nostro momento – enunciai, schiarendomi la voce. -Pronto a consumarti le scarpe?

Mi osservò un po’ confuso.

-Ti schiaccerò i piedi, dopotutto. Spero di non farti male.

Gunther compì un piccolo inchino, chiedendomi la mano. -E’ compito mio pregare affinché io non faccia male te.

Scoppiammo a ridere, finché non iniziammo a danzare in maniera non troppo scomposta, seguendo il ritmo della musica dolce e riecheggiante.

Percepivo l’imbarazzo del ragazzo, non troppo diverso dal mio, attraverso la sua possente stretta. Anche io non ero del tutto rilassata, ma sicuramente sollevata. Magari era proprio quel contatto a farmi percepire un sollievo immenso: assieme a Petra, era stato il fratello d’armi inseparabile, quello che, con la sua forte personalità, era riuscito sempre a sostenermi nell’arduo addestramento in accademia. La sua dolcezza nei miei confronti ricordava tanto l’atteggiamento di Lex. Per un attimo, quella sera, mi parve di rivederlo in lui, mentre cercavamo di non inciampare l’uno nei piedi dell’altro in una danza tutt’altro che perfetta.
-Credo che non ci sia nessuno che sappia ballare peggio di noi ricognitori. Guarda Hanji! - esclamò lui, posando teneramente una mano sulla mia schiena.
Mi voltai in direzione della Caposquadra, intenta in una bizzarra danza solitaria mentre il suo fidato braccio destro si preoccupava di non farla sbattere contro un tavolo dei rinfreschi.
Ridacchiai assieme al ragazzo, approfittandone per dare un’occhiata al resto dei commilitoni.

-Questa situazione è così strana. Riteniamoci fortunati: circostanze come queste capitano poche volte nella vita.

-Vedere me ballare? È probabile – mi sorrise.

-Vedere tanti ricognitori ballare – precisai. -E la signorina Nanaba meno burbera del solito.

Gunther si voltò, osservando nella mia stessa direzione, imbattendosi nella coppia del Caposquadra Mike e della sua subordinata.

-Decisamente - constatò lui, ridacchiando.

Adoravo vederli così vicini. L’avrei sempre fatto, non lo nascondo. I miei due compagni non avrebbero mai voluto che si raccontasse così tanto della loro relazione, e nemmeno io, in queste memorie, avevo intenzione di approfondirla eccessivamente in segno di rispetto, eppure ho ancora adesso un ricordo vivido di quel momento, in cui entrambi erano intenti a scambiarsi sguardi affettuosi e amorevoli.

Ero ancora troppo intimidita dal carattere difficile della veterana per poter rivolgerle tutti i miei complimenti riguardanti il lieve filo di trucco che aveva adoperato sul suo viso quella sera : gli occhi cobalto spiccavano sotto la matita nera e riprendevano il colore dell’abbigliamento accuratamente maschile – consisteva in una semplice camicia bianca e dei pantaloni neri a vita alta. Ogni tanto la scorgevo mentre era occupata a proferire sotto voce i suoi pensieri al suo compagno; ero sempre più convinta di non averla mai vista particolarmente gaia come quella sera. A differenza di Mike, era sempre stata più brava a celare i suoi sentimenti dietro la maschera da soldato freddo e insensibile.

Le mani del Caposquadra Mike occupate a stringere il suo corpo decisamente più esile rendevano il quadro ancora più tenero. Sorrisi spontaneamente non appena l’ufficiale, dopo aver controllato che non vi fossero troppi occhi altrui puntati su di loro, scoccò un dolce bacio sulle labbra della biondina.

La musica proseguiva, sempre più languida, sentimentale e passionata. Fu proprio il suono perfettamente coordinato di quei quattro musicisti a farmi sentire spaventosamente bene, in compagnia di un amico fidato, in mezzo a tanti compagni d’avventure che quella sera avevano generosamente applaudito per me. Per quanto prima o poi avrei preso la decisione di interrompere il ballo – era piacevole fino ad un certo punto. Non ero assai in grado di smuovere me o Gunther e avrei preferito volentieri essere al posto del chitarrista – non potei fare a meno di notare come l’atmosfera fosse tanto diversa, calda e gioiosa.

Mi imbattei in Erwin e Levi qualche metro più avanti. Il più piccolo, a braccia conserte, osservava proprio me: il suo sguardo era tanto sereno e confortante. Sembrava addirittura divertirsi nel vedermi nuovamente felice.
Erwin parlava animatamente con un ufficiale, ma nell’accorgersi della presenza del caporale alle sue spalle, prestò attenzione a quest’ultimo, sussurrandogli qualcosa, con un sorriso stranamente malizioso.
Avrei giurato di vedere Levi arrossire, ribattendo infastidito al capitano di divisione.

-Sarebbe bello se potessimo festeggiare così dopo ogni spedizione, non trovi? – prese nuovamente la parola il mio partner.

-E’ così – riflettei, sospirando. -Però, nessuno ci impedisce di provarci, non credi?

Il volto di Gunther si era incupito. presto comparve il suo solito sorriso carico di determinazione. -Ehi, è vero. Ci impegneremo, allora?

Annuii, facendogli l’occhiolino, danzando un ballo lento, per quanto il mio cuore fosse carico di speranza. Avvertii nuovamente quel fremito, lo stesso col quale avevo vissuto fino a quel momento i miei giorni di soldato, che mi induceva a credere ancora in quei forti ideali, in quel desiderio di libertà sconfinato.

Poco tempo dopo, Gunther, un po’ sfinito, mi domandò un attimo di tregua, che concessi senza battere ciglio. Anzi, mi scusai per averlo trattenuto così tanto, ma egli mi aveva ignorato, andando a servirsi qualche bevanda al rinfresco.

Approfittai di quel momento per dirigermi da Erwin, uno dei pochi che non aveva scelto una compagna con cui ballare, col fine di ringraziarlo per la nomina. Lo raggiunsi mentre era di spalle, non molto lontano dal quartetto di musicisti. Solo dopo aver richiamato la sua attenzione mi accorsi della presenza di Levi dietro di sé.

-Oh, eccola, tenente! – esclamò sorridente il biondo.

La presenza di Levi, talmente fuori luogo in un’occasione come quella, mi mise un po’ soggezione. Improvvisai un inchino davanti ai due ufficiali, abbassando il capo tenendomi l’estremità della gonna del vestito.

-Comandante, capitano. Vi ringrazio per avere creduto tanto in me – annunciai di cuore.

-Era il minimo che potessimo fare per premiare i tuoi sforzi – spiegò Erwin. -Se proprio ci tieni a saperlo, l’idea è tutta di Hanji.

-Deve avere insistito parecchio, allora, per riuscire a persuadere lei e i restanti ufficiali a prendere una decisione quasi aberrante – notai.

Erwin scoppiò a ridere. -Apprezzo la tua umiltà, Claire, ma forse dovresti provare a credere un po’ di più alle tue capacità – il suo atteggiamento ilare mutò. -Sei veramente in gamba come tutti pensiamo, posso garantirtelo.

Mossi gli occhi altro, arrossendo. -Spero di poter ripagare il debito alla Caposquadra, un giorno – enunciai.

-Continua a impegnarti duramente, come hai sempre fatto – continuò Erwin, lo sguardo fiducioso e confortante.

Feci cenno col capo, prima di rivolgere finalmente lo sguardo al corvino.

Erwin mi parlò brevemente dei suoi progetti riguardanti le prossime operazioni che avrebbero coinvolto la Ricognizione nel nuovo anno; per qualche bizzarra motivazione, quella sera tendevo a ignorare i discorsi dei miei interlocutori per concentrarmi con qualcosa di completamente diverso: i miei occhi erano puntati sul corvino, leggermente distante dall’imponente figura del comandante. Preferiva concentrare il suo sguardo su tutto ciò che non riguardasse me, benché ogni tanto lo scorgevo adocchiare il mio vestito candido.

Quel comportamento un po’ a disagio mi intenerì parecchio. Resistei dalla voglia di rinfacciarglielo amorevolmente, ricomponendomi per comprendere almeno il succo di quanto mi stava riportando Erwin.

-Ci sarà da lavorare – esordì improvvisamente Levi, avanzando di qualche passo. -Perciò, vedi di non deludere le aspettative. La promozione di grado implica anche assumersi un numero maggiore di responsabilità.

Gli sorrisi orgogliosa. -Ma certo, signore. Non vi deluderò – schernii un po’ il suo atteggiamento burbero, cosa che divertì parecchio il comandante di divisione.

I due vennero molto presto raggiunti da altri ufficiali; finii presto col venire ignorata dai più esperti, motivo per cui mi fu concesso di concentrarmi sui musicisti intenti a suonare giusto a qualche metro di distanza.

Avanzai lentamente, piazzandomi involontariamente innanzi al quartetto, facendomi pervadere da quella musica melodiosa e allegra. A tratti, i quattro mi rivolgevano sguardi divertiti, seppure un po’ confusi, di cui non mi curai, troppo presa a godere di quella melodia tanto dolce.

Non ricordo per quanto tempo la mia mente riuscì a rimanere assorta, so per certo che quella musica era in grado di acquietare il mio animo, per certi versi sempre tormentato dalla triste fine di mio fratello, oltre che dagli orrori a cui avevo assistito nelle mie prime spedizioni.

Si dissipò ogni tormento nella mia mente, il cuore batteva forte dall’emozione: sarei potuta rimanere nella medesima posizione per l’eternità. Finché uno dei quattro musicisti non annunciò il breve intervallo del quartetto, prima che ciascuno di essi potesse allontanarsi dai loro strumenti per prendere parte al rinfresco.

Rimasi comunque immobile; non appena li vidi allontanarsi, i miei occhi ricaddero sulla meravigliosa chitarra di recente costruzione precedentemente suonata dal chitarrista, indecisa se approfittare di quel breve attimo di assenza del proprietario per poter almeno imbracciarla e captare la differenza rispetto al mio strumento.

Un po’ intimorita, l’istinto prese il sopravvento: senza essere notata, sedetti al posto del chitarrista, afferrando la cordiera.

Emisi un semplice accordo di la, che risultò ciò che di più melodioso potesse esistere nel mondo. Non fu difficile lasciarmi trasportare dalla medesima armonia da me proposta, mescolando diversi brani di mia conoscenza.

Senza che potessi accorgermene, richiamai l’attenzione del primo gruppo di ricognitori più vicino a me.

-Accidenti, Claire! – esclamò euforico Moblit. -Non sapevo che suonassi così bene la chitarra.

Gli sorrisi, badando poco agli sguardi altrui per concentrarmi sullo strumento, il cui suono aveva raggiunto anche le orecchie di un annoiato Levi, che aveva trovato finalmente un buon motivo per allontanarsi da Erwin, sempre più intenzionato a continuare i suoi pesanti discorsi sulle spedizioni venture delle quali, giudicando dall’espressione del corvino, quest’ultimo avrebbe volentieri voluto evitare discutere, almeno in un’occasione tanto speciale come la cerimonia di quella sera.

Quest’ultimo raggiunse il gruppo di ascoltatori osservandomi con attenzione, domandandosi probabilmente cosa stessi tramando.

Il numero di ascoltatori diveniva via via sempre più numeroso, iniziai frattanto a chiedermi se effettivamente fossi tanto brava, oppure lo strambo talento di un ricognitore per la musica risultasse effettivamente così bizzarro agli occhi dei miei simili.

Eppure, continuavo a portare avanti la mia musica, il cui suono così familiare, a cui mi ero abituata da una vita, risultava a me tanto confortante persino trovandomi davanti un certo numero di spettatori. All’inizio, badai veramente poco allo spazio tanto ampio e alla presenza di un pubblico tanto numeroso, per concentrarmi solamente sulla tastiera di legno e sulle corde in rame, materiali tanto semplici ma che erano capaci di offrirmi quella rassicurazione, quel senso di appagamento mischiato alla nostalgia dei vecchi tempi, di cui non sarei riuscita mai a fare a meno.

Nonostante tutto ciò, non tardai a provare una certa sensazione di disagio, perciò conclusi l’improvvisazione utilizzando gli accordi giusti, prima di ottenere un applauso dagli ascoltatori.

-Sei bravissima, Claire! – squittì la Caposquadra Hanji, saltellando sul posto accanto a Moblit.

-E’ sempre stata così brava – spiegò sorridente Petra, vogliosa di rendere chiaro che io non avevo alcun segreto per lei.

Arrossii ancora di più nel vedere i quattro musicisti professionisti fare ritorno.

-Quindi era lei a suonare la mia chitarra? – mi domandò il proprietario dello strumento che ancora imbracciavo, un uomo sulla quarantina magro e un po’ stempiato.

-Ecco, io… - bazzicai. -E’ stato più forte di me, mi rincresce tanto.

-Non mi è dispiaciuto mica! – spiegò, alzando le mani. -Ne sono rimasto sorpreso, non è da tutti suonare così bene.

Improvvisai un leggero inchino, alzandomi per rendergli ciò di cui mi ero appropriata senza permesso.

-Lei è la giovane che ha ottenuto la promozione di grado dal Comandante, vero? – continuò il musicista. Il suo sorriso era caloroso e gentile, tipico di una persona di cui non si dovrebbe temere niente.

Annuii, arrossendo sempre più.

-Lieto di conoscerla, allora! – rispose raggiante. -Deve essere una serata alquanto particolare, per lei – continuò. -Le andrebbe di animare personalmente la sera dei suoi compagni con qualche brano che conosce? Sono convinto che farebbe felice chiunque.

Ero in preda all’eccitazione, incapace di ribattere e indecisa sul da farsi.

Mi guardai intorno: il gruppo di poco prima mi incoraggiava – lo stesso Levi fece un piccolo cenno col capo come per incitarmi – e osservavo l’arrivo di ulteriori soldati attorno al gruppo di musicisti.

Poi, rivolsi lo sguardo al chitarrista, intento ad allungarmi il suo strumento. -Claire, vero? Stia tranquilla. Non ha nulla di cui preoccuparsi, è bravissima.

Scoppiai a ridere, facendo di no con la testa, sedendomi ancora una volta con la chitarra dell’uomo accanto a me sulle ginocchia.

-Bene, signore e signori, - cominciò solare il chitarrista, -sono lietissimo di annunciare l’esibizione di una tra i vostri compagni d’armi che, solo per questa sera, allieterà i vostri animi con la sua musica. Spero vivamente che possiate apprezzarla.

Mentre udivo il suo discorso, spontaneamente mi chiedevo se effettivamente avesse ascoltato con tanta attenzione la breve improvvisazione di pochi attimi prima di constatare la mia discreta bravura; il suo sguardo sincero e rassicurante non faceva che confermare la mia ipotesi. Doveva essersi dedicato in tutto l’arco della sua vita esclusivamente alla musica, noncurante del fatto che gli artisti venissero sempre screditati dall’opinione pubblica perché impiegati in ciò che dalla maggior parte della popolazione veniva giudicato come un insulso passatempo. Tuttavia, anche l’operato degli artisti aveva il compito di riportare alla luce la dignità del genere umano. Noi soldati cercavamo di farlo in battaglia, ma coloro che si dedicavano all’arte probabilmente occupavano un posto di maggior rilievo, perché, a differenza nostra, i cui corpi finivano solamente col rimanere lacerati e impossibilitati dall’essere nuovamente condotti a casa, lasciavano qualcosa di proprio grazie al loro talento e al loro impegno.

Mi aggiudicai ulteriori incoraggiamenti dai miei commilitoni, prima di riflettere sul brano da estrapolare dal mio repertorio che potesse piacere al pubblico che mi trovavo davanti; non era semplice, soprattutto a causa della carica di ansia che in quel momento mi aveva posseduta.

Guardai ancora una volta il musicista, il cui volto sempre confortante e gioviale mi ricordò tanto quello di mio fratello Lex.

Mi domandai cosa avrebbe pensato lui della situazione. Probabilmente egli, a differenza mia, non avrebbe esitato un attimo a mettersi in gioco, suonando lo strumento che adesso reggevo senz’altro meglio di me!

A volte, nei tempi della nostra giovinezza, era colto da alcuni attimi di follia che lo portavano a esibirsi davanti a quasi tutti i civili di Karanes nella piazza principale quando non era occupato nella bottega del signor Ral.

Tutti lo incitavano rallegrati dalla sua musica; Petra e io rimanevamo al suo fianco, facendogli compagnia, entrambe divertite.

-Tu sei assolutamente fuori di testa! – non mancavo di ripetergli tra un brano e l’altro.

-Già, - rispondeva lui, -proprio come la ragazza del Bosco Lontano.

Quando proferiva tale affermazione, subito dopo recitava proprio il brano omonimo, il cui testo ci era stato tramandato da nostro padre, una sera in cui non pareva affatto il massimo della sobrietà.

Ma noi suoi figli ci divertimmo comunque a conoscere le avventure del protagonista della canzone, addentratosi nel “bosco lontano” per essere ospitato da una insolita fanciulla.

Lex, qualche anno dopo, ne scrisse la musica, un’armonia vivace, allegra e a tratti persino molto intensa.

L’allegria e la spensieratezza che trasparivano dal volto del chitarrista mi ricordarono tanto quelle di mio fratello; in un batter d’occhio, mi ritrovai a suonare e a cantare quella bislacca canzone. Immaginai di cantare con Lex, in un istante le incitazioni dei ricognitori si fusero con quelle dei semplici popolani di Karanes. La mia chitarra accompagnava quella di nostro padre, adoperata da Lex diversi anni prima.

La canzone parlava di un ragazzo, invitato da una giovane nella sua casetta nel mezzo di un bosco. I due chiacchierano ininterrottamente sul tappeto della piccola dimora, priva di sedie, fino a che non si fanno le due di notte, egli, convinto di poter coricarsi a letto con l’amabile fanciulla, è costretto a riposare nella sua toilette per la notte. Lei non ha tempo da perdere con lui, in quanto la mattina successiva dovrà svegliarsi presto per andare a caccia di mosche.

Succedono fatti assurdi, nel bosco lontano, recitava la canzone.

Per quanto fossi costretta a raccontare una storia così sciocca, non potei che sorridere per tutta la durata del brano, rallegrata dai dolci ricordi che potei rivivere in quegli istanti, dalle risate dei miei compagni, dalla stramba danza che molti improvvisarono sulle note della canzone, in particolar modo quella di Hanji, che riuscì a trascinare nella sua folle impresa anche il povero Moblit.

E, nell’esatto momento in cui il protagonista si corica ai piedi della toilette della fanciulla sullo scomodo pavimento in legno, ricordai la notte in cui, prima di partire per i territori interni assieme a Petra e prendere parte all’addestramento dei cadetti, Lex mi tenne accanto a sé sulla sua piccola brandina, abbracciandomi, la nostra chitarra ai piedi del letto.

-La mia sorellina diventa una soldatessa – commentò a bassa voce, ridacchiando.

Capii, infine, che Lex non era poi tanto distante da me. Addirittura, mi parve più vicino che mai. E lo sarebbe stato sempre.

Aprii finalmente gli occhi, incontrando quelli dei miei gai compagni; Hanji era già riuscita a far crollare i piatti sistemati su uno dei tavoli per il buffet, Petra tentava disperatamente di coinvolgere Oruo, sempre più imbarazzato, in una danza, Gunther e Erd erano intenti a battere allegramente le mani al ritmo della musica, Erwin sfoggiava la sua risata più spensierata.

La noia aveva finalmente abbandonato il volto di Levi: lo sguardo di quest’ultimo era costantemente rivolto su di me. Ad un tratto, lo vidi sporgersi un po’ di più, studiando il movimento delle mie dita sullo strumento. Pareva sempre più interessato alla mia esibizione, mi si sciolse letteralmente il cuore quando concentrò la sua attenzione su di me, a poco a poco si fece strada un dolcissimo sorriso sul suo viso, che venne prontamente notato da Nanaba, accanto a lui.

-Questo non si vede tutti i giorni: il capitano Levi che sorride! – esclamò ad alta voce; Mike ridacchiò con lei.

Levi fu obbligato a ribattere ai due in maniera altamente offensiva e mi astengo dal riportare il solito linguaggio volgare che egli non evitava di sfoggiare in alcune circostanze.

Mi apprestavo a terminare il brano, che i musicisti attorno a me avevano iniziato ad eseguire ad orecchio accompagnando la chitarra.

Terminata la canzone, resi per l’ultima volta lo strumento al suo proprietario, in preda alla vergogna scappai lontana dagli sguardi dell’intera Armata, in cerca di acqua al tavolo dei rinfreschi.

Riuscii a deglutire il liquido che versai in un bicchiere prima che potessi sgozzarmi per l’improvviso arrivo della Caposquadra Hanji.

-Claire, sei un portento assoluto! – urlò, sollevandomi da terra.

-Caposquad…

-Sei piena di sorprese, non sapevo fossi tanto brava persino nella musica. AHHH! C’è qualcosa che non riesci a fare?! Sei il massimo.

-Sicuramente stare al centro dell’attenzione non mi esce bene – riflettei, ridacchiando.

Parlammo a lungo della mia promozione, ecco che finalmente riuscii a ringraziarla per la fiducia che in me aveva riposto. Anche le sue parole di incoraggiamento mi toccarono profondamente, come era avvenuto con Erwin.

La lasciai in balia del suo stato di eccitazione, l’allegria contagiosa che quel giorno aveva inebriato l’intero corpo d’armata mi indusse a congedarmi dalla sala con il meraviglioso ricordo della magnifica serata trascorsa.

Per i corridoi, incrociai ancora una volta l’imponente Caposquadra Mike assieme a Nanaba intenti a camminare nella direzione opposta alla mia. Si tenevano allegramente per mano, ciononostante la situazione pareva ai miei occhi comunque imbarazzante, motivo per cui cercai di oltrepassarli fingendo di avere fretta.

-Tenente Claire, non mi saluta? – risuonò la voce di Mike.

-Io… buonasera, signore – riuscii pietosamente a rispondere, maledicendomi.

I due si scambiarono un’occhiata, ridendo spensieratamente. Non potei fare a meno di notare quanto effettivamente i due si completassero a vicenda. Non potei fare a meno di sorridere nel credere che, d’altra parte, io e una persona di mia cara conoscenza non ci differenziavamo più di tanto da loro.

-Claire, ti aspetta un duro lavoro da portare avanti, rammendalo – mi ricordò Nanaba.

-Figurati se sarà un problema, per lei. E pensare che questo piccolo genio era capitata nella mia squadra… maledetto Levi – commentò Mike.

-E’ così, Caposquadra. Il genio preferiva lei come superiore – ribattei divertita.

Portai il pugno al petto, dando loro le spalle. -Caposquadra Mike, non mi pare che avere la signorina Nanaba in squadra le dispiaccia molto. D’altro canto, lei è forte quanto me, giusto? – proferii un po’ incerta, ma convinta che un po’ di sano umorismo non stonasse più di tanto in quella serata tanto allegra.

Mike scoppiò a ridere, io mi ero già dileguata quando strinse a sé la donna accanto a lui, scoccandole un bacio sulla fronte.

Corsi nei dormitori a prelevare il mio personale strumento a sei corde; vestita ancora di tutto punto, mi diressi al punto più alto della caserma, impaziente di poter riprendere a suonare quanto prima.

Giunta sul tetto, mi attendeva il solito posto sgombero, lungo il parapetto in pietra.

Ero stata talmente confortata da tutta quella serie di eventi da non percepire tantomeno la bassa temperatura esterna.

Sospirai, carezzando dolcemente le corde di quel secondo strumento che mi ero trovata tra le braccia, ripensando all’esibizione di poco prima.

-Lex, non mi uccidere – sorrisi. -Ero troppo emozionata per rendere completamente giustizia alla tua versione – proferii, osservando il cielo scuro e profondo, l’orizzonte lontano, al di là delle mura.

Rividi il suo sguardo divertito e spensierato in quel mare stellato – avevo iniziato ad immaginarlo così, il mare. Una distesa infinita, impossibile da superare nella sua interezza, più illimitata della vita di qualsiasi essere – osservandolo incerta, chiedendomi cosa fosse meglio suonare in quell’istante.

Ripensando a quanto, per certi aspetti, la mia vita non fosse completamente una mera, triste esistenza, mi focalizzai sulla figura del mio amato, compresi tutti gli attimi di amore trascorsi in sua compagnia.

E fu così che ripresi la melodia che io stessa, qualche tempo prima, avevo iniziato a comporre, riscoprendola tra i tasti della chitarra, pizzicando quelle corde leggiadre mentre il mio cuore sembrava riempirsi sempre più di bontà.

Levi che mi sorrideva. Levi che arrogantemente mi rimproverava affinché mi impegnassi sempre di più. Levi che mi ascoltava. Levi che mi parlava. Le sue labbra sulle mie, le sue mani su di me nel momento in cui i nostri corpi si erano uniti in una umile caserma di un Corpo d’Armata a cui era a cuore persino la vita di coloro che lo deridevano.

È sempre stato così. Da quando poco tempo prima avevo compiuto la saggia decisione di prendere parte ad un’impresa ardua e rilevante, aspettando assieme ai miei simili il giorno in cui l’umanità si sarebbe risollevata – perché sicuramente ci sarebbe riuscita. E in quel giorno, ne ero convinta, Levi e io saremmo stati ancora insieme, dopotutto.

Saremmo state due stelle che, assieme agli altri vincitori, avrebbero portato la luce nella nostra città e sconfitto il male che ci sopprimeva.

Insieme e uniti, ci saremmo riusciti ad ogni costo.

Dopo aver faticato un po’ a canticchiare una melodia tanto dolce e troppo raffinata per le mie mediocri corde vocali, infilando ogni tanto qualche parola di speranza, mentre ripercorrevo gentilmente l’armonia principale pizzicando le corde, finalmente potei accorgermi di non essere da sola.

Quando ebbe passeggiato un po’ verso di me, fu meraviglioso poter constatare quanto bello fosse averlo così vicino al mio fianco. Con lacrime di gioia, guardai lui, ai miei occhi sempre più bello e perfetto.

-E’ la tua – spiegai, riferendomi al brano.

-O la nostra?

Ricambiava lo stesso sguardo amorevole che gli stavo rivolgendo; era fantastico sapere che i miei sentimenti venivano ricambiati alla stessa maniera.

-Ammetti che non mi viene poi tanto male.

-Credo che la tua gola ti stia supplicando di finirla, per stasera. La tua voce somigliava a quella di una fottuta pecora.

Sbuffai. -Tch, sei patetico.

Posai gentilmente lo strumento sul parapetto, alzandomi per prendergli entrambi le mani; tuttavia, egli ebbe la briga di avvicinarmi a lui avvinghiandomi con un braccio.

Non sapendo come rispondere, gli sistemai il fazzoletto uscente dalla lunga giacca militare.

-Sempre così tanta classe, - giudicai. -Non ti smentisci mai, vero capitano?

Ridacchiai un po’ prima di decidermi a baciarlo, di sentire il suo profumo – talco! Non avevo mentito a Mike qualche giorno prima durante la missione! – e il suo contatto.

Ebbe il coraggio di interrompere il bacio, lasciandomi piuttosto amareggiata. Vidi il suo viso tanto vicino al mio dipingersi di un colorito rosso piuttosto evidente.

-Che succede? – chiesi piuttosto confusa.

-Ah, non è niente – mi rassicurò, mordendosi un labbro, osservando meglio il mio abito bianco. -E’ solo che… sei tanto bella stasera, meriteresti molto di più di uno stronzo di un metro e sessanta, perennemente incazzato anche ad un ricevimento.

Scoppiai a ridere. -Ma c’è un problema: io adoro lo stronzo di un metro e sessanta perennemente incazzato qui davanti a me.

Rivolse un sorriso un po’ triste al cielo prima che potessi far combaciare la mia bocca con la sua.

-La ringrazio dei complimenti, capitano Levi – commentai, prima di rendere quel bacio sempre più passionale, come d’altronde piaceva a me, molto probabilmente anche a lui.

E’ sempre stato così. Malgrado tutte le disavventure a cui anche io, come tutti coloro che mi circondavano, ero sottoposta, avrei potuto sempre contare sul suo sostegno, sull’affetto reciproco che egli non mancava di dimostrarmi. Sapere di poter fare affidamento su di lui nei tempi bui mi riempiva il cuore di gioia, al contempo mi aiutava a credere di poter sperare ancora di vincere ogni difficoltà lottando, con la stessa forza che egli stesso adoperava.

Sentendo l’irreprimibile necessità di doverlo avvinghiare, gli soffiai un sincero bacio sulle labbra, lasciando che le punte dei nostri nasi si sfiorassero.

Mi allontanai di qualche centimetro da lui, che era incapace di comprenderne la ragione, appena avvertii il rumore dei passi di un gruppo piuttosto numeroso percorrere la gradinata.

-Dovremmo aspettare, secondo me – diceva il primo.

-Ma cosa dici? E’ stata nominata adesso, è questa l’occasione giusta – riconobbi la voce di Petra.

I miei quattro compagni si rivelarono mentre le mie mani tenevano ancora saldamente il mio amato, appena accortosi della presenza inopportuna dei suoi sottoposti in un momento tanto intimo.

Benché il mio sguardo indifferente alla situazione di imbarazzo creatasi, assistei alla vergogna provata sia dai nuovi arrivati che da colui che subito si staccò da me nel constatare la presenza di un tale numero di occhi puntati su di lui in una circostanza alquanto confidenziale tra noi.

-Capitano, noi non… non volevamo affatto disturbarvi! – proferì Petra, rossa fino alle orecchie, portandosi il pugno chiuso al petto.

-Esatto – intervenne Gunther, altrettanto imbarazzato –siamo venuti solamente in cerca di Claire.

-Ebbene, vi decidete a piantarla una volta per tutte? Non capisco a cosa sia dovuto questo discorso stupido e deprimente – parlò Levi, nell’esatto momento in cui ero scoppiata a ridere.

-Concordo col capitano – proruppi, gaia. -Vedete di arrivare al punto. Perché non siete giù a godervi la serata invece di perdere tempo in un posto tanto noioso e polveroso?

I miei quattro compagni, un po’ titubanti, si avvicinarono a me. Petra, con un dolce sorriso, fece comparire da dietro la sua schiena un grazioso mazzo di fiori candidi.

-Tanti auguri, Claire! – esclamò Gunther. -Siamo davvero felici della tua promozione. Sei il nostro orgoglio.

Emozionata, li guardai a bocca asciutta. -Anche voi sapevate che…?

-Lo sapevano tutti, in realtà – rise Petra. -Hanji lo ha rivelato praticamente a tutti.

Ripensai ancora una volta alla bontà della Caposquadra mentre osservavo i fiorellini bianchi.

-Ti piacciono? – mi domandò impaziente Erd. -Petra e Aubrie hanno passato l’intero pomeriggio a sceglierli nel campo della sua famiglia – spiegò. Non potei fare a meno di notare il rossore che investì il suo volto nel parlare della adorabile contadina.

-Sono meravigliosi! – risposi sincera. -Non merito tutte queste attenzioni da parte vostra.

-Sciocca! – ridacchiò di nuovo Petra. -Sappi che ho adorato la tua esibizione di stasera. E’ stato senz’altro il momento migliore.

-Solo perché sei scoppiata a ridere mentre Oruo cadeva ai tuoi piedi – intervenne Gunther.

-Sono stata responsabile della caduta di Oruo?

-Non è divertente! – sbottò il diretto interessato.

Tutti e cinque ridemmo sommessamente. -Perdonate la mia ignoranza, non penso di aver mai visto mia madre coltivare questo tipo di fiore. Che genere è ?

I quattro si guardarono un po’ interdetti e imbarazzati.

-Sono gelsomini – proruppe una voce fredda.

Levi si avvicinò a noi, osservando il modesto bouquet che la mia mano reggeva. -Gelsomini. Ne ho visto il disegno in qualche libro, mi pare.

I suoi occhi incontrarono i miei; susseguì un silenzio bizzarro, durante il quale immaginai scene che non avrei avuto mai modo di vedere realizzate davanti ai miei occhi. Scene che non mi appartenevano. Scene in cui Levi, la cui età era più vicina a quella dei bambini di Trost che alla mia, sedeva ad un tavolo di una casa che lui e Farlan erano riusciti ad occupare nelle periferie più buie di Mitras, sfogliando uno libro di cui non conosceva l’autore, tantomeno la materia trattata; probabilmente, nemmeno i caratteri sopra incisi.

Con la mano reggeva il mento, sbuffando. Con l’altra, rigirava tra le dita un vecchio coltello, chiedendosi se mai avesse potuto vedere con i propri occhi una pianta come quella. Sicuramente non lì, dove a stento si sapeva che vi erano luoghi in cui una fonte naturale chiamata sole irradiava terre, città, persone.

Gli occhi di Levi guardarono altrove, appena gli rivolsi l’ennesimo sorriso.

-Gelsomini – ripetei, impalata.

-Credo che sia il caso di ritornare al piano di sotto – proferì il capitano. -Non mi pare il caso di rimanere qui per altro tempo. Non siamo autorizzati neanche.

I quattro lo guardarono sbigottiti. -Tutti?

-Ma è ovvio! – spiegai, divertita. -Che ci facciamo qui? Andiamo a divertirci, finché possiamo!

Seguita dai miei quattro gai compagni, facemmo ritorno al grande salone.

I ricognitori proseguivano a danzare, a chiacchierare, a scherzare.

Non mi astengo dal riportare in queste memorie che almeno il novanta percento dei presenti di quella sera aveva assistito ad ogni genere di incubo, affrontando un mondo tanto terribile da dimenticare il concetto in sé di umano.

Tristemente, il più delle volte nascondevano le proprie paure e le proprie ferite ai propri cari, ai familiari e agli amici. Ma i soldati del Corpo di Ricerca non dimenticano l’orrore di aver visto con i propri occhi un loro commilitone venir divorato davanti a sé. Quella sera, momento della giornata in cui le preoccupazioni degli uomini improvvisamente crollano, gli orrori cessano come le attività dei mostri contro i quali combattevamo, nella mensa di una caserma addobbata per uno strambo ballo in cui tutti pestavano i piedi dell’altro, tutto parve decisamente più umano. Le risate, i sorrisi, gli scherzi e le chiacchiere mi indussero a riflettere in maniera profonda: ciò che dimenticammo non fu l’orrore provato, quanto quella malsana paura che il genere umano potesse estinguersi. Ebbene, pensammo che non sarebbe accaduto. Perché i sentimenti umani in sé sovrastano qualsiasi genere di paura, alimentando la speranza.

 

Spazio autore: dopo quasi un anno, risorgo! Con quale coraggio, poi?

E' stato un anno piuttosto travagliato, soprattutto dal punto di vista scolastico, eppure eccomi qui! Ritornati sono i personaggi di questa storia, ritornata e conclusa è stata la terza stagione, che mi ha ispirata a riprendere la storia.

Pubblicherò il prossimo, ultimo capitolo a breve. Ma Claire non ci lascerà: è in arrivo, infatti, una seconda storia. Chi vivrà vedrà ;)

 

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Capitolo 33
*** Epilogo ***


33. Epilogo


I felicissimi ricordi condivisi da un gruppo di amici.

Il diario che stringo tra le mie mani infreddolite, vicino al cuore confortato.

L’amore eterno che, malgrado le disavventure, le disgrazie, le difficoltà, ho sempre coltivato giorno dopo giorno.

Il mio ventre un po’ gonfio.

Non riesco a fare a meno di pensare ad altro mentre, scrivendo ad occhi chiusi, senza avvedermi della calligrafia, mi sento parte del meraviglioso paesaggio invernale che mi circonda.

Sospiro, stringendo una sciarpa attorno al mio collo, domandandomi se la stessa possa mai eguagliare il calore che emana quella rossa di una mia giovane conoscenza.

Qualche fiocco di neve cade sulla mia nuca, facendomi rabbrividire. Il freddo mi stuzzica, eppure non fa altro che accrescere la mia gioia. La gioia che mi procura, in gran parte, la dolcissima memoria dei primi passi che ho mosso da ricognitore, soldato curioso, combattivo, inarrestabile.

Gunther, Petra, Erd, Oruo sono vicini a me. Non posso fare a meno di udirli chiacchierare dalle cose più disparate alle faccende decisamente più serie di un soldato autoritario, nel mezzo della natura quieta e pacifica che mi circonda.

Parlano ridendo mentre io racconto di loro in questo memoriale. La loro risata cristallina, le loro voci sono più forti che mai, e non resisto dalla voglia di piangere di gioia; merito un piccolo momento di tranquillità dopo i tanti eventi accaduti. Perdonami, caro lettore, se mi astengo dal parlartene; probabilmente li conoscerai così bene che sarebbe inutile sprecare tante pagine per raccontarti un fatto di così tanta fama.

Sappi che il mio racconto è in procinto di raggiungere la sua conclusione. La mia storia potrebbe terminare con uno spensierato ballo serale che, nel remoto anno 846, aveva dilettato l’estenuata Armata Ricognitiva. Potrebbe finire col ricordo di quattro leali amici intenti a scherzare in mia compagnia con una ragazza di ancora vent’anni appena promossa di grado.

Ma il paesaggio invernale di una natura infinita, privata dalle struggenti mura di cui fino ad ora ho parlato, mi induce a raccontare l’ultimo ricordo che custodisco con gelosia di quella prima fase di giovinezza turbata, complessa, eppure di pura meraviglia.

Mi risulta così semplice immedesimarmi in quell’attimo; posso ancora sentire la mano di Levi prendere cautamente la mia, dopo che ci eravamo incontrati fuori la stalla della caserma. L’altra mano era intenta a sistemare il fazzoletto bianco legato attorno alla mia testa che mi copriva gli occhi. Per la prima volta, dopo tanto tempo, avevo temuto di perdere l’equilibrio e di cadere dal mio destriero durante la trottata.

-Oggi non lavori. Non è il tuo giorno libero? – mi aveva detto sarcasticamente prima di partire, quando gli avevo domandato il motivo per cui proprio quella mattina aveva deciso di sospendere qualsiasi mia attività in caserma.

Al contrario di me, Levi aveva una giornata ricca di impegni, davanti a sé. Che fosse stato Erwin a fare di tutto per vedere mutare il burbero atteggiamento dello scontroso e innamorato caporale, concedendogli qualche ora di riposo?

Dopo avermi aiutata a scendere da Edmund, al termine del viaggio a cavallo, mi ordinò di non sciogliere il nodo della benda, con modi tutt’altro che gentili.

-Che tu venga mangiato da un gigante di venti metri. Sto per diventare cieca! – protestai, sbuffando, sempre più incapace di mantenere quel pezzo di stoffa davanti agli occhi.

-Potresti evitare di comportarti da mocciosa per almeno un secondo? – ribatté, senza lasciare la mia mano. -Come se tutto ciò lo stessi facendo solo per me.

Sorrisi. -Potresti anticiparmi qualcosa? Non ho idea tantomeno di dove mi trovi. Oppure… - ammutolii, concentrandomi sui lievissimi suoni nelle vicinanze; udii il canto degli uccellini, addirittura captai i minuscoli passi di uno scoiattolo percorrere il tronco di un albero non troppo distante. -Ci troviamo in un luogo deserto. Immerso nella natura. Non avverto presenza umana.

Brontolò: -E allora? Era tanto difficile da prevedere?

-E io che posso saperne? – ridacchiai. -Non ho idea di cosa aspettarmi da te, stavolta. Forse non lo sai nemmeno tu.

Sentii la sua mano stringere di più la mia. Mi lasciai completamente guidare da lui, da colui di cui mi sarei sempre fidata.

-Levi – proferii, dopo aver evitato una brutta caduta inciampando su un sasso che egli non ebbe l’accortezza di farmi deviare, -Quanto ti amo.

Susseguirono attimi di silenzio. -Cosa c’entra con tutto questo?

-Volevo dirtelo. Pare tanto strano? – risposi.

Levi sarebbe ammutolito, continuando a camminare senza aggiungere parola mentre potevo ascoltare chiaramente il suono dei nostri passi.

Poco dopo, però, egli, con rapidità, si lasciò scappare un debolissimo: -Anche io.

E mi si riempì il cuore di gioia, ma non ebbi ulteriore tempo per manifestare il mio affetto perché mi avvertì di essere arrivati a destinazione.

Il Caposquadra Mike ci teneva affinché affinassi ulteriormente la mia speciale abilità “sonora”, motivo per cui avevo iniziato a sottopormi all’ennesimo, ulteriore addestramento, quest’ultimo non incentrato tanto sul perfezionamento della gestione del movimento o della rapidità, ma solo ed esclusivamente sull’ intercettazione dei suoni. Non l’avevo ancora reso chiaro a tutti, ma solo nella precedente uscita ricognitiva, mi ero perduta nei boschi perché intenta a rilevare e ad assimilare i segnali dei nostri nemici per meglio prevenire il loro arrivo.

Ecco, quindi, che pensai a quanto egli potesse essere stato orgoglioso di sapere che, durante quella passeggiata in compagnia di Levi, mi resi conto subito che il corvino mi aveva condotto proprio davanti a uno spazio chiuso, al quale si poteva magari accedere attraverso una porta posta proprio davanti a noi.

-Che posto è? – chiesi curiosa.

-Rompiscatole del cazzo, con te è impossibile fare una passeggiata in santa pace – giudicò lui.

-Faresti prima a dirmi o mostrarmi cosa c’è davanti a noi – sbottai. -Qui sei tu l’unico rompiscatole.

-Visto che non ti degni nemmeno di aspettare… - lo sentii aprire una porta cigolante. Sospirò, rimase qualche istante in silenzio, chiedendomi infine se fossi pronta.

Col cuore a mille e un sorriso inebetito, risposi di sì, sperando di sciogliere il nodo di quel ridicolo fazzoletto attorno alla mia testa quanto prima.

Levi prese delicatamente entrambe le mie mani con le sue, facendomi muovere i miei primi passi su un pavimento in legno.

-Puoi aprire gli occhi, se vuoi – mi avvisò, lasciandomi.

Come appena ebbi rimosso la benda che mi copriva la visuale, osservai l’interno di una modesta casa interamente costruita in legno, arredata umilmente ma, per quanto un po’ consumata dal tempo, affatto trascurata. Anzi, ebbi come l’impressione di aver appena fatto il mio ingresso nella dimora di qualcuno, date le finestre miracolosamente lucide e una libreria limpida interamente vuota.

-Mi spieghi? – gli chiesi dolcemente, per quanto confusa.

Sospirò ancora, a braccia conserte. Conoscendolo, non mi parve difficile comprendere che quell’atteggiamento come sempre chiuso in quell’occasione fosse più dato dall’imbarazzo, che dalla vera indifferenza. -Non ti viene in mente niente?

Scossi il capo. -Non ho idea nemmeno di dove ci troviamo. Fuori il Wall Rose? Dentro?

-Non ha importanza – rispose lui. -Siamo comunque abbastanza distanti dalla caserma.

-E con ciò? – aggrottai le sopracciglia, prima di notare proprio la mia chitarra riposta esattamente dietro di lui su un piccolo piedistallo rigorosamente in legno.

-E lei che ci fa, qui? – domandai, sempre più convinta che lo strumento mi appartenesse; d’altronde, erano già passati diversi giorni dall’ultima volta in cui mi era capitato di tenerla tra le mani, a causa dei miei svariati impegni: Levi avrebbe potuto senz’altro prenderla in quell’arco di tempo. -E’ la mia, vero?

-E’ così. E credo sia meglio tenerla qui in casa sua piuttosto che in un armadio polveroso che tu e Petra non avete mai l’accortezza di liberare dalla sporcizia.

Iniziai a ridacchiare in maniera nervosa. -Sto perdendo la pazienza, Levi… Mi spieghi dove ci troviamo? “Sua” di chi?

Una piccola smorfia si impossessò del suo volto, dopo che ebbe chiuso per qualche attimo le palpebre. -Questa casa apparteneva fino a poco tempo fa di un vecchio contadino vedovo senza figli, morto qualche mese fa. Quest’uomo viene dal villaggio in cui è nato Erwin, lo conosce sin da quando era bambino. Qualche giorno fa Erwin ha reso visita ai suoi compaesani e gli hanno comunicato la morte del povero vecchio, la cui casa era rimasta abbandonata. Per puro caso, Erwin me ne ha parlato. Dopo averla vista e pulita, ho pensato potesse essere un posto tranquillo e accogliente dove potessi sistemarti durante i giorni di ferie senza doverti recare dai genitori di Petra, e considera che non è nemmeno tanto lontano dalla caserma.

Per quanto, come del resto accadeva ogni volta, Levi cercasse disperatamente di non lasciarsi contagiare dalle emozioni che tendeva a reprimere nei meandri più remoti di se stesso, impostando il solito discorso dal tono indifferente e alquanto freddo, egli riuscì a farmi toccare il cielo con un dito: mai mi sarei aspettata di ricevere tanto affetto nella mia vita, ma quel giovane corvino che nemmeno troppi mesi prima avevo incontrato per la prima volta mi aveva serbato quell’ennesima dimostrazione di amore puro. E non nascondo che, di nuovo, mi resi conto di quanto io gli fossi debitrice.

-Levi, ti ringrazio infinitamente – mormorai tremolante, dopo essermi avvicinata a lui. -Però, non penso di poter accettare.

Mi guardò confuso, un cenno di delusione si impadronì del suo volto. -La casa è destinata ad essere abbattuta se non viene occupata. Non ti costa niente… - provò a farmi ragionare.

-Me ne rammarico tanto, Levi, ma non potrei mai viverci – strinsi il palmo della sua mano. -Non se tu non la condividi assieme a me.

Nell’esatto momento in cui gli sorrisi, i suoi occhi brillarono di luce propria. -La caserma è diventata la mia casa, ormai.

-E’ anche la mia, di casa – ribadii. -Ma se questo deve essere un luogo di riposo per me, allora devi esserci anche tu.

Mi rivolse un piccolo, affettuoso sorriso. Un po’ incerto, mi scoccò un bacio semplice sulla guancia tale da farmi avvertire un fuoco divampante nel petto.

-Senza di te, chi pulisce qui dentro? Ci avevi pensato? – lo schernii.

-Per me puoi vivere anche in mezzo ai maiali. È la condizione che ti spetta per aver disobbedito a non so quanti miei ordini.

Scoppiai a ridere. -Sono un tenente, di certo non ho più bisogno dei tuoi assurdi provvedimenti disciplinari.

-Difatti, sono una perdita di tempo – ribatté. -Ho visto che farti pulire il refettorio da cima a fondo è solo uno spreco di sapone e di tempo. Sei incapace di fare fuori un misero batterio.

Smisi improvvisamente di ridere, andando a sedermi su una delle sedie che componevano il modesto tavolo in legno, che iniziai ad osservare in maniera distratta, le mani serrate lungo le cosce.

Levi mi si avvicinò, un po’ preoccupato. -Non intendevo…

-No, non me la sono presa! – lo tranquillizzai. -Levi, non hai idea di quanto ti voglia bene per questo regalo meraviglioso!

-E’ quello che hai sempre voluto, non è così? – sedette anche lui. -Non è fuori dalle mura, e nemmeno molto lontano, ma…

-Va benissimo, non devi preoccuparti affatto – ripetei. -Basta che ci sei tu.

Le labbra serrate di Levi si schiusero, gli occhi si spalancarono più del solito.

Ciò che fece subito dopo mi lasciò pietrificata: si inginocchiò davanti a me, chinò la testa cercando le mie mani. Le mie dita leggermente più lunghe delle sue vennero stritolate dai suoi palmi.

Sentii la sua voce soffocare nel tentativo di proferire parole mute.

La posizione che aveva assunto mi ricordò quella di tali personaggi che popolavano il mondo di fantasia delle storie raccontatemi dai miei genitori. Tali cavalieri che giuravano fedeltà ai re, magari analogamente a quanto capitava nel mio mondo con i soldati di alto rango nei riguardi del monarca.

E il pensiero che Levi, a suo modo, mi stesse promettendo in quell'esatto momento la sua lealtà non poté che riempirmi il cuore di gioia.

Anche io fallii nel tentativo di rendere udibile la mia voce.

Per qualche strana motivazione, il ricordo di quel momento risulta piuttosto dissipato, ora che mi accingo a raccontarlo.

Ho memoria di quella sensazione di gratitudine che solo il mio più grande amore poteva farmi provare.

Ho memoria del mio cuore che batteva forte perché, in un modo o nell'altro, egli mi dava la forza di amare ancora la vita, per quanto potesse essere stata crudele nei miei riguardi.

Ma ora sono convinta di poter interrompere la mia narrazione, e beato colui che è riuscito a non lasciarsi annoiare eccessivamente dai miei lunghi discorsi, le miei futili riflessioni, arrivando a questo punto!

Caro Levi, per quanto tu possa detestare letture tanto melense e sciocche come lo è stata la mia, so che sei giunto fino a qui. Sorpassando qualche pagina da te giudicata inutile, sei qui a leggere le ultime righe di questo mio scritto.

E sei proprio tu la persona a cui voglio indirizzarmi prima di staccare la penna da questo ultimo foglio.

Non mi dilungherò nel raccontare i restanti episodi della mia, anzi, della nostra vita. Molti di essi sono ancora più angosciosi di quelli narrati in queste memorie, tu ed io lo sappiamo bene. Eppure, malgrado siano passati già diversi anni, sappi che chi è stato in grado di farmi trovare il desiderio, seppur minimo, di vivere sei stato tu.

Il dolore provato nella mia breve vita avrebbe dovuto spingermi a farla finita per sempre; e così sarebbe stato senza di te.

Perciò, ti scrivo un sentitissimo grazie. Perché fino al mio ultimo respiro sei ciò che di più bello potesse capitarmi.

Grazie, per avermi spinta a trovare ogni volta un senso a quell'esistenza che io reputavo misera.

Grazie, per avermi spinta a trovare le ali della libertà che io, nonostante tutto, porto ancora con orgoglio.

E che bella vita che è questa, Levi.
 


Spazio Autore: e con questo breve epilogo si conclude la mia prima storia su un anime che ho adorato fin dal primo episodio, che ho odiato per la sua crudezza e per l'indifferenza nei riguardi di quei personaggi eccezionali protagonisti delle sue vicende, ma che mi ha segnata nel profondo per la musica, per la storia, per i disegni, i dolori e le speranze dei personaggi stessi.
Ringrazio tutti coloro che, nel corso della pubblicazione su EFP, hanno recensito e apprezzato questo racconto; spero di ritrovarvi tra qualche giorno, quando inizierò a pubblicare la seconda parte di questa serie incentrata sul mio OC Claire Hares. 
Infine, mi scuso ancora per il lungo periodo di "silenzio" di questi ultimi mesi che ho preferito dedicare solo ed esclusivamente allo studio. 
Vi saluto.

PeNnImAn_MeRcUrY




 

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