Love is in a destined mark.

di Bloody Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Questa è la mia prima mini long Stucky che scrivo, io personalmente l’ho scritta come una sola lunga OS ma ovviamente mi sono anche detta che dodici mila e passa parole non erano carine in un solo ed infinito capitolo quindi ho deciso di dividerlo in tre.

Questa prima parte sarà la più lunga ma ho cercato di mantenere le quattro mila parole a capitolo… 

Detto questo avvertimenti:

Non c’è sesso tra loro (non ancora muahaha), effusioni? sì un paio ci sono ma nulla di chissà che, è una AU anche se ho cercato su alcuni ambiti di rimanere fedele ad alcune cose dei vari film… 

E’ una SoulMate e, in questa versione, ho deciso di scegliere il fattore dei tatuaggi uguali… 

Ovviamente è ANGST nemmeno troppo a dire la verità ma un pò c’è, anche un pò di Hurt/Comfort a dir la verità ma nulla di chissà cosa quindi state tranquilli U.U

Non è da tanto che scrivo sulla Stucky quindi sono ancora inesperta per questa coppia, l’ho fatta a leggere da un paio di persone che mi hanno anche aiutato tantissimo con la correzione di questa “cosa” e che quindi ringrazio moltissimo (vi adoro <3).

Vi invito a lasciarmi un commento per farmi capire se vi è piaciuta questa prima parte ci tengo moltissimo a capire da voi lettori se sono rimasta IC o se sono andata OOC perchè vi giuro su questi personaggi ne ho il terrore T.T 

Ok, ora vi lascio alla lettura che già è lunga di suo se poi scrivo un papiro anche come introduzione… sono troppo idiota.

PS: la grafica è mia quindi non rubatela, grazie, piuttosto chiedete e ne faccio una io per voi acciderbolina!
 

Parte 1 [4566 parole]

 

Steve si era fermato nel centro di quella piazzola e si era messo a guardare il proprio riflesso nella vetrina di un negozio; aveva tolto da poco la maglia per togliersi di dosso un po' di quel calore che, in quell’afosa giornata estiva, gli pesava sulla pelle come un macigno.

Si ritrovò a scontrarsi con la propria immagine muscolosa, un corpo ben proporzionato e abbronzato; al centro del suo pettorale sinistro c’era quel marchio, quella maledizione che lo perseguitava fin da quando aveva quattordici anni.
 

Era un solo ragazzino, spensierato e debole, aveva i capelli biondi e un fisico asciutto, era sempre stato magrissimo e la sua pelle non aveva mai voluto colorarsi di alcun colore se non di rosso…

-Quando il marchio apparirà vedrà che cambierà tutto, signora.

Dicevano i medici di fronte a quel ragazzino che veniva deriso e preso in giro da tutti per via di quel maledetto marchio che tardava ad apparire mentre sua madre cercava di confortarlo per quella situazione.

Era arrivato a pensare che, forse, non era destinato a nessuno, che quella sua anima non avesse una sua gemella.

-Di solito si nasce con il marchio e il giorno che troverete, sul corpo di qualcun altro, quello stesso identico simbolo sarete sicuri che quella che avete di fronte sarà la vostra anima gemella.

Le maestre raccontavano quella “favoletta” a tutti obbligando il biondino ad abbassare lo sguardo e chiudersi sempre di più in se stesso.

Lui era nato senza marchio.

Era uno di quei rari casi in cui il marchio si mostrava tardi, se si mostrava.

Lui era diverso e questa cosa spaventava gli altri bambini che lo avevano isolato, obbligandolo a restare in disparte in un angolo a giocare da solo, ad affrontare tutto quello senza nessun amico.

-Quando crescerà apparirà, stanne sicuro Steve.

Lo sguardo del ragazzino si ritrovò a terra, incapace di guardare negli occhi quella donna che chiamava madre, incapace di affrontare tutto quel peso immane che gravava sulle proprie giovani spalle.
 

Steve! Siamo in ritardo con la tabella di marcia, saresti così gentile di portare quelle tue belle chiappe d’America su per quelle scale con quei cartoni?”

Il biondo scosse la testa a quel richiamo annuendo e piegandosi sulle ginocchia per raccogliere quei tre cartoni impilati che aveva ai propri piedi; se li caricò tra le braccia e salì quelle scale incontrando un paio di persone prima di giungere sul pianerottolo corretto e lasciarli impilati vicino agli altri.

Si era perso nei ricordi di quel passato che, anche a distanza di anni, percepiva sotto pelle con un brivido di freddo e di dolore; era cambiato tutto da quel periodo lontano, ma le ripercussioni di quel gene che si era stampato male lasciando che il marchio si imprimesse in ritardo le sentiva ancora e facevano male, giorno dopo giorno.

Ben fatto, passiamo al prossimo appuntamento.”

Aveva trovato lavoro in quell’azienda di traslochi quasi per caso: un giorno come altri aveva aiutato una signora che abitava sullo stesso suo pianerottolo a riacciuffare il gatto che le era, casualmente, sfuggito mentre quegli uomini spostavano mobili e cartoni vari. Si era presentato cordialmente e si era proposto per il lavoro, pochi giorni dopo indossava un cappellino nero con il nome dell’azienda ed era pronto al suo primo giorno di lavoro.

Salì sul furgoncino tornando al presente e, guardando gli altri due uomini che aveva con sé, sorrise loro annuendo per confermare la sua effettiva presenza. Gli volevano bene e questo a lui bastava più di qualsiasi cosa, dopo quattro anni che lavorava con loro si sentiva a casa, si sentiva di appartenere a quel luogo finalmente.

Il prossimo cliente sarà abbastanza odioso, mi raccomando ragazzi, usate gli imballaggi e i guanti perché penso che ci siano anche cose di un valore che nemmeno ci possiamo sognare.”

Annuirono a quelle dritte: essere professionali e veloci era in fondo il loro motto.

Ci misero tutta la giornata per svuotare quell’appartamento, il proprietario era un anziano uomo pignolo e sempre pronto a bacchettarli per ogni cavolata, ed era stato estenuante lavorarci assieme.

Risalirono stremati sul camioncino solo quando ormai il sole era sparito dietro i grattacieli, erano distrutti e provati dal lavoro; il ragazzo che guidava si chiamava Sam, aveva la pelle scura e un carattere solare e scherzoso mentre l’altro giovane con cui lavorava era Barton che, nel suo tempo libero, si divertiva con il tiro con l’arco e con le arti marziali, erano tutti e due persone meravigliose…

Stavano parlando di quel proprietario odioso che si stavano lasciando alle spalle ridendo e scherzandoci sopra; Sam avviò il motore, ingranò la retro marcia producendo il classico bip del furgoncino ma, oltre a quel singolo suono, si alzò nell'aria anche un rumore di frenata che si fece sentire con prepotenza, subito seguita da un forte suono metallico.

Il mezzo su cui viaggiavano ondeggiò, nonostante fossero praticamente fermi, sballottando i tre occupanti per pochi secondi, facendo loro capire di aver sbattuto contro qualcos’altro.

Io… scusami… ho fatto la retro senza guardare, scusami.”

Sam era sceso spalancando la portiera con forza e, subito, si era scusato, mortificato per quell’ingente danno da lui provocato, Barton e Steve scesero dal mezzo raggirando il cassone e fermandosi ad osservare quella macchina palesemente sportiva e costosa contro cui si erano scontrati.

Era un’auto bellissima.

Aveva una base di argento metallizzato che accecava, sul cofano aveva due strisce circolari, una di colore rosso e una di colore blu con, al centro di queste due, una stella a cinque punte rossa.

Il loro camioncino aveva colpito la portiera del passeggero rovinando quel bel colore e quella carrozzeria costosa, l’autista di essa scese stringendo i pugni e Steve non si impedì di pensare che quel tipo fosse sia inquietante sia estremamente bello.

Lo sconosciuto si tolse gli occhiali da sole con un gesto secco e arrabbiato prima di puntare un dito verso Sam e camminare fino a trovarsi ad un palmo dal suo naso, quello sconosciuto sibilò parole pregne di veleno verso l’altro.

Spero che tu abbia anche solo un’assicurazione decente, pezzo di merda.”

Sam si ritrovò ad alzare le mani in segno di resa, Steve lo conosceva, non era cattivo ma se c’era da discutere non ci metteva troppo a passare alle mani così decise di intervenire con parole pacate, toccando il petto all’amico e sospingendolo dolcemente indietro.

Ehi, Ehi, Sam ci penso io.”

Sam annuì ma, l’altro, di cui non conoscevano nemmeno il nome, incrociò le braccia al petto ringhiando infastidito da quell’intromissione.

Ehi, biondino non ho tempo da perdere quindi...”

Steve sorrise mentre estraeva dalla tasca il proprio portafogli e, da esso, un biglietto da visita della ditta, glielo porse con orgoglio.

Questi sono i dati della ditta, mi scuso per l’incidente, l’aspettiamo in ditta per firmare i documenti… signor?”

Ci furono pochi secondi di palese smarrimento da parte dell’uomo, sul suo volto si poteva leggere smarrimento ma Steve seguì quel braccio sinistro completamente tatuato mentre si allungava ad afferrare il foglietto con titubanza, incerto.

James Barnes, biondino.”

Rogers sorrise abbassando di poco lo sguardo e annuendo, felice che quel suo “approccio” meno violento avesse fruttato il nome di quell’uomo e una, seppur lieve, collaborazione.

Io sono Steve Rogers.”

James guardò l’altro con occhi seri e semplicemente tornò sui suoi passi attaccando ancora Sam con toni poco amorevoli prima di risalire in macchina.

Vai avanti con quel catorcio così che io possa andare al lavoro, idiota.”

Quando la mano sinistra andò ad afferrare la maniglia della portiera qualcosa di rosso catturò l’attenzione del biondo, qualcosa che svettava sulla spalla di quell’uomo che, non appena Sam mosse il camion, sfrecciò via a tutta velocità.

Il cuore di Steve prese a battere all’impazzata, l’aveva vista solo di sfuggita ma era quasi certo che quel segno fosse una stella rossa, una stella a cinque punte rosse come quella che lui aveva sul petto.
 

-..e tu Steve dove è il tuo segno? Ah, no, scusa dimenticavo che sei diverso.

Se quando era piccolo questa “cosa” era solo un pressante peso sulle proprie spalle, più cresceva e più capiva che era una maledizione, era qualcosa da nascondere il più possibile a tutti ma, spesso, non gli era possibile, la carta d’identità parlava chiara e la segreteria della scuola era stata chiara: non avrebbe avuto gentilezze per la sua condizione.

Nonostante tutta quella cattiveria che gli veniva rivolta contro, Steve era un ragazzo buono e di cuore, metteva spesso i bisogni di altri davanti ai propri ritrovandosi poi ad odiarsi, consapevole che quelli lo stessero solo “usando”.

Eppure ci ricascava perché per lui non importava la loro motivazione, lui si impegnava per ciò in cui credeva.

-Ehi, Rose sei proprio bella, che ne dici di venire con noi nel vicolo?

Steve aveva sentito quelle parole, aveva stretto le esili mani su quel quaderno da disegno e aveva deglutito socchiudendo gli occhi terrorizzato dalla voce tremolante della ragazza che cercava di ribellarsi, ma consapevole che tutta quella situazione fosse sbagliata. La sua mano vibrò stringendo quella matita con tutta la sua forza, forza che non bastò nemmeno a spezzare quel fragile pezzo di legno.

-Smettetela.

Steve si mosse camminando e mettendosi alle spalle di quei tre ragazzi di alcuni anni più grandi di lui, mantenne la testa bassa e parlò con tono sofferente.

-Basta…

La sua voce tremava e quelli nemmeno lo ascoltarono, troppo invisibile per essere considerato; Steve si ritrovò ad alzare la testa e fissare la ragazza che cercava ancora, disperatamente, di liberarsi dalle mani forti di quelle bestie.

Gli occhi di lei erano carichi di lacrime, il terrore era disegnato su ogni singolo centimetro del suo volto e lui era lì, immobile come uno spettatore silenzioso, inutile come quel simbolo che non si era ancora mostrato…

Aveva stretto i pugni afferrando quell’album da disegno con forza prima di lanciarlo con furia contro quei ragazzi colpendone uno sulla spalla. Aveva generato una distrazione, un modo per dare spazio a quella ragazza di scappare da lì, di andarsene lontano da quei vermi schifosi che usavano la loro forza da uomini contro una ragaza indifesa.

-Ho detto basta.

Li aveva visti avanzare verso di lui con il pugno pronto a colpirlo ma lui si era limitato a sorridere a quella giovane ragazza che, grata, lo aveva guardato con pietà prima di fuggire e lasciarlo lì nel “fuoco nemico”.

 

Steve si risvegliò quasi terrorizzato da quei ricordi, si era tirato a sedere con prepotenza mentre cercava, invano, di placare quel cuore che faticava a battere così veloce.

Ricordava ogni singolo pugno, calcio, sputo che aveva ricevuto quel giorno, per colpa di una sconosciuta, per salvarla da quei mostri.

Dopo quel pestaggio era rimasto per due settimane in coma; quattordici giorni, trecentotrentasei ore, non aveva mai avuto il coraggio di trasformarle in minuti perché erano troppi, ognuno infinito e vuoto.

Non aveva fatto nulla, non li aveva vissuti eppure qualcosa era accaduto perché allo scattare del quindicesimo giorno, Steve aveva spalancato gli occhi, aveva urlato di dolore mentre quel marchio si stampava a fuoco sulla sua pelle quasi fosse un animale, una bestia che appartiene a qualcuno e che, finalmente, lo aveva reclamato.

Si era svegliato e aveva visto quella stella mentre si delineava dilaniando i suoi muscoli e i suoi tessuti con ferocia portando il giovane a piangere mentre da quel pettorale sinistro il sangue aveva iniziato a sgorgare come lacrime dense e sporche.

Steve, muoviti!”

Scosse il capo decidendo di alzarsi e di lasciare inconsciamente che una mano andasse ad accarezzare quel simbolo con un sorriso, se davvero quel tizio dall’aria scontrosa e maleducata avesse avuto addosso il suo stesso simbolo forse, Steve aveva trovato la sua anima gemella.

Natasha fece capolino nella sua stanza con un cipiglio rabbioso in volto, quella donna era la coinquilina con la quale condivideva l’appartamento da tre anni e, ormai, si consideravano come sorella e fratello.

Nat, arrivo, non ho bisogno di una balia, non del tutto almeno...”

La ragazza alzò un sopracciglio e ridacchiò incrociando le braccia sotto al petto prosperoso, quando si impegnava sapeva essere davvero persistente, doveva ammetterlo…

Steve era negato verso qualsiasi cosa tecnologica e, se non fosse stato per lei, Steve si sarebbe ancora ritrovato ad andare al lavasecco per i panni sporchi nonostante la presenza in casa di una lavatrice di ultima generazione e funzionante.

Volevo avvisarti che questa sera esigo la disponibilità di casa libera… quindi torna a casa più tardi possibile in punta di piedi, grazie Steve.”

Steve arrossì sicuro di ciò che quello significava, sbuffò grattandosi il retro del collo cercando di smorzare quell’imbarazzo che si era arrampicato su di lui fallendo miseramente. La rossa aveva sempre avuto amanti che andavano e venivano da quella stanza e, come si erano detti fin dall’inizio se si riusciva, si avvisavano per non fare figure di alcun genere e per non vedere cose che nessuno dei due voleva scoprire.

Non che tu mi stia dando scelta, però va bene, hanno appena aperto un locale non lontano da dove lavoro e so che Sam voleva andarci quindi penso che andrò a farci un giro con lui e Barton.”

La donna gli fece l’occhiolino prima di trotterellare e sedersi sul letto di lui, lasciando che lui si andasse a sciacquare il volto e a cambiarsi ascoltandola mentre parlava.

Mi hanno detto che ci lavorano dei bei ragazzi, se non sbaglio il locale si chiama Shield o qualcosa di simile...”

Steve ridacchiò aprendo la porta che aveva socchiuso per cambiarsi e parlò, cercando di essere chiaro nonostante lo spazzolino che teneva tra le labbra.

Io ci vado per... birra.”

Lei ridacchiò e annuì, consapevole del “piccolo” disguido che Steve aveva avuto da piccolo con il suo marchio, lei stessa doveva ancora incontrare la sua anima gemella ma il suo marchio era visibile, in bella mostra alla base del collo come una piccola collanina che si adagiava a formare una “V” con inciso una strana clessidra squadrata, pareva quasi il disegno che la vedova nera aveva sul corpo.

Una mia amica mi ha detto che il fratello, o qualcosa di simile, del proprietario che ha aperto quel pub è un uomo ricchissimo...”

Steve la guardò dopo aver riposto lo spazzolino al suo posto e sbuffò alle prese con quella donna che amava sapere ogni cosa che accadeva in quel pianeta… Nat aveva l'assurda mania di estorcere anche i segreti più nascosti e tenerli per sé, una spia dal volto angelico, ecco cosa era.

E quindi? Con questa informazione io che ci dovrei fare?”

Nat non era mai stata di grandi parole e, anche in quel momento in cui, forse, avrebbe dovuto spiegare qualcosa, Steve si ritrovò a guardarla mentre si alzava con, in volto, uno sguardo malizioso e sfuggente, prese la porta e se ne andò, consapevole di aver lasciato un enorme punto interrogativo nella testa del giovane.


Era andato a lavorare con il solito entusiasmo, sperava di riuscire a beccare quell’uomo, quel James all’agenzia per sistemare quel piccolo incidente, lo sperava davvero perché doveva capire se quella stella rossa a cinque punte fosse uguale alla sua o no, aveva bisogno di saperlo…

Gli vibrò il cellulare nella tasca dietro dei pantaloni, così, dopo aver appoggiato lo scatolone che teneva tra le mani, lo afferrò sbloccandolo con calma ed aprendo il messaggio. Arrivava da parte di Nat:

 

-Divertiti mio caro, scuoti quel sedere marmoreo che ti ritrovi. Ricorda, torna tardi.

 

Lesse il messaggio sorridendo sconsolato, Steve scosse la testa di fronte a quella piccola premura, da parte di Natasha, di spiegargli quella frase che gli era semplicemente scivolata fuori dalla bocca durante la loro ultima conversazione.

Lui non aveva mai amato ballare, non aveva mai amato andare in discoteca e l’alcol lo reggeva fin troppo bene per i suoi canoni quindi capì che la rossa lo stava bellamente e bonariamente prendendo in giro.

Tornò in sede assieme a Sam e a Barton, parcheggiarono il mezzo sul retro e poi entrarono nella hall ritrovandosi il loro capo che discuteva con un uomo sulla settantina vestito firmato e con i capelli grigi, era grassoccio e aveva le dita piene di anelli e tatuaggi di ogni genere.

Stia calmo signor Crown non è successo nulla di male e se lei si calma possiamo compilare le carte e spedire tutto alle assicurazioni.”

L’uomo ridacchiò prima di poggiare delicatamente le mani sul bancone e parlare con tono ammaliatore e disinvolto.

Non è per il danno in sé, è solo che colui che guidava quell’auto è arrivato tardi da me esponendomi ad un pericolo immenso. Non è solo una guardia del corpo, glielo assicuro.”

Dietro a quel giovane dai lunghi capelli neri c’erano due uomini muscolosi e rigidi, avevano uno sguardo impassibile e sembravano pronti a qualsiasi cosa per quel signore.

Sa che le dico? Che per questa volta lasciamo perdere tutto ma, se e spero che non accada, dovesse accadere nuovamente, farebbe meglio a prendere le misure per l’abito da morto.”

Chiunque fosse quell’uomo poteva solo che diventare una minaccia, si stampò in mente quel sorriso obliquo mentre lo guardava che se ne andava con quei due gorilla palestrati.

 

Aveva passato due lunghi e dolorosi anni nel corpo dei militari, erano stati difficili perché lì non discriminavano, annientavano con le parole e con i fatti e basta…

Il suo corpo era debole rispetto agli altri, non si era mai sviluppato ed ora era solo un pallido moccioso tra le file ben tornite.

Era solo un’ombra con indosso un elmetto più grande della sua testa.

Si era recato negli uffici per la visita medica e, nonostante i suoi continui allenamenti, era ancora un ragazzino magro con un leggero accenno di muscoli e la sua pelle aveva iniziato solo nell'ultimo periodo a prendere una leggera sfumatura beige.

Il suo corpo non era cambiato come aveva sperato, forse perché si aspettava una cosa radicale o forse perché il suo morale era sotto i piedi ma …. tutto gli era sembrato difficile in quel periodo, anche l’azione più semplice.

I giorni all’interno del campo si susseguirono ora dopo ora, e Steve nella sua testa aveva un solo obiettivo: superare la barriera di quel corpo.

C’erano stati giorni in cui il dolore gli rendeva difficile il solo alzarsi; quelli erano i giorni in cui voleva solo buttare la spugna, arrendersi perché stanco di combattere una battaglia di quel calibro.

Decideva sempre di combattere senza mollare perché ogni volta che chiudeva gli occhi e si impegnava nel ricordare si ritrovava a rivivere quella brutta situazione e a rivedere gli occhi terrorizzati di quella ragazzina che non poteva difendersi, lei era la luce che lo faceva continuare, quella sconosciuta era un incentivo verso la vittoria. La sua personale vittoria.

Il suo corpo cedeva, di giornata in giornata sotto al peso degli allenamenti compulsivi a cui lo sottoponevano, i suoi muscoli vibravano dallo sforzo e spesso dai suoi occhi uscivano lacrime amare per quella sua debolezza.

Non si era mai arreso, aveva digrignato i denti, aveva sudato e sputato sangue ma alla fine i risultati si mostrarono, si delinearono sul suo fisico e nella sua mente, stampati a fuoco come dimostrazione che aveva sconfitto quel marchio.

Come una dimostrazione che cambiare era possibile, difficile certo ma non impossibile.

 

Steve, sei pronto?”

Sam e Barton erano arrivati a casa sua con largo anticipo, si erano fatti aprire la porta e stavano scroccando un pacchetto di patatine mentre lo attendevano senza alcuna fretta.

Steve uscì dalla stanza sbadigliando e annuendo, non ne aveva nessuna voglia ma era consapevole che se Nat fosse tornata a casa e lo avesse trovato lì, si sarebbe arrabbiata parecchio e non era mai piacevole la cosa.

Sì, dobbiamo anche passare a prendere Stark?”

Barton annuì giocando con le chiavi della sua utilitaria, Sam ridacchiò nel notare lo stile del biondo: pantaloni della tuta di un colore tenue, una maglietta bianca semplicissima e una giacca in pelle marrone che, sicuramente, aveva visto tempi migliori.

Ehi, lo sai vero che se Tony ti vede conciato così ti costringerà a salire da lui per obbligarti a cambiare?”

Barton ridacchiò annuendo a quel richiamo velato all’ordine, si alzò dal divano e camminò entrando nella stanza dell’amico e spalancando l’armadio con soddisfazione.

Prova questo.”

Steve afferrò al volo quei jeans scuri che l’altro gli aveva lanciato e sbuffò, sapeva che i suoi amici lo facevano per non sentire Tony Stark parlare per tutto il tragitto di come era vestito e, da un lato, gli dava pienamente ragione, quel giovane poteva diventare una vera spina nel fianco se non si era abituati a sentirlo.

Indossò i pantaloni e subito Sam gli lanciò una camicia che non metteva da anni, era bianca ma di un tessuto leggerissimo e sembrava perfetta per quella serata estiva.

Si abbottonò ogni bottone fino al collo e immediatamente Barton partì a sbottonargliela ridendo mentre alle sue spalle Sam gli passava un’altra delle sue immancabili giacche di pelle, abbinandola con l’abbigliamento.

Soldato, sei a riposo, rilassati.”

Sam non aveva dovuto fare quei due anni di militare, Barton invece sì, e spesso si capivano con uno sguardo, come se le loro anime fossero state incredibilmente lacerate da quell’esperienza.

Ehi, Steve se non lasci che il tuo marchio si intraveda anche solo di poco, come puoi pensare che qualcuno lo riconosca?”

Sam era giovane rispetto a loro ma, a modo suo, saggio: era un tipo di saggezza che portava un po' di speranza e di gioia nei loro cuori segnati dal tempo.

Dopo tutto tra te e Barton avete passato i trenta, da poco, ma li avete passati: a breve inizierete perfino a stempiarvi eppure nonostante tutto non avete trovato ancora nessuno… ok, nemmeno io ma devo ancora arrivare alla soglia dei trenta! Sono giovane!”

I due interpellati avevano alzato gli occhi al cielo e avevano sbuffato uscendo di casa, diretti a recuperare quell’ultimo amico egocentrico e playboy.


Ditemi che non siete seri?”

Tony aveva guardato quasi schifato i suoi amici, aveva alzato lo sguardo in quel modo così teatrale che aveva di muoversi e si ritrovò a sbuffare girando i tacchi ed incitando, a voce alta, di parcheggiare quel “catorcio” e di seguirlo.

Eseguirono e Steve iniziò scuotere il capo: quando c’era Stark di mezzo era una discussione unica, sembrava che loro due dovessero scontrarsi per qualsiasi cosa, era estenuante alle volte, anche se in fondo si volevano bene.

Io, e ripeto io, non andrò in giro con un’utilitaria qualsiasi: sono un genio, e sono il proprietario di una delle aziende tecnologiche più all’avanguardia e quella non mi si addice per nulla, modestamente parlando.”

Lo seguirono fino ad un garage sotterraneo che conteneva come minimo dieci auto, una più costosa dell’altra, afferrò un paio di chiavi dal muro e aprì quella che sembrava la più “spaziosa”: una Chevrolet Camaro rossa con i profili dorati.

Volete un invito scritto o pensate di salire?”

Steve si portò le mani ai fianchi leccandosi le labbra divertito: non sarebbe mai cambiato quell’uomo. Seguì gli altri in auto, attento a non sbattere quella portiera di lusso.

 

Il miliardario parcheggiò poco di fronte al locale, chiuse la macchina e poi si incamminò con loro verso quel pub; Stark era come loro, non aveva ancora trovato la sua anima gemella ma amava divertirsi eccedendo sempre e comunque, quasi che la sua anima compensasse quella mancanza con alcol e droga.

Era ora, Rogers, che tu ti vestissi decentemente, cazzo!”

Steve rallentò il passo girandosi ad affrontare l’amico che era leggermente più basso di lui, lo guardò serio parlando con un tono basso e sicuro.

Linguaggio… E comunque devi ringraziare Barton.”

Tony si portò una mano al petto togliendosi gli inutili occhiali da sole con la lente gialla, aprì la bocca meravigliato e poi fissò gli altri palesemente divertito.

Oh avanti ragazzi, lo avete sentito? Ti eleggerei Presidente degli Stati Uniti d’America se potessi!”

Incassò la testa nelle spalle maledicendosi per quel richiamo che gli era sfuggito di bocca, sorrise però consapevole che quell’uomo riuscisse a farlo uscire dai binari con una semplicità che era quasi imbarazzante.

Di sicuro è il culo migliore d’America quello di Steve.”

Il commento di Sam smorzò un poco la situazione tragicomica che si era venuta a formare facendo, però, arrossire il biondo per quell’affermazione: non era abituato ai complimenti e mai si sarebbe gongolato in essi come invece faceva Tony.

 

Entrarono in quel pub e Sam si diresse subito in pista a ballare dimenandosi e agitandosi come un professionista in quella calca di gente sudata. Steve odiava ballare e, a dirla tutta, odiava quel tipo di luoghi preferendo da sempre il silenzio di una libreria o di un parco a quel genere di caos.

Io ora trovo un modo per accedere all’area del poker, ciao ragazzi!”

Tony e Steve guardarono Barton salutandolo brevemente con un cenno mentre andavano ad ordinare da bere per loro due; il tempo in quel posto scorreva in modo strano e Steve non aveva neppure voglia di estrarre il telefono per controllare l’ora. Si era seduto ad un tavolino ad osservare quella ressa di gente che ballava e cantava divertendosi.

Vado a prendere ancora due birre che ne dici, nonnino?”

Steve annuì alzando gli occhi al cielo, Tony non si smentiva mai, era un figlio di papà e lo sarebbe rimasto per sempre; loro che lo conoscevano da anni potevano avere il privilegio di sapere che quella facciata da spaccone e da playboy altro non era che una copertura, erano riusciti lui, Barton e Sam a fare breccia in quella cortina che circondava il cuore di quel giovane che, a quei tempi quando si erano conosciuti, era solo un ragazzo a cui, i genitori deceduti da poco, avevano lasciato in eredità un patrimonio immenso ed una casa vuota e fredda. Steve e gli altri avevano iniziato a farsi largo nella sua vita per cercare di farlo stare meglio, non era per i soldi o per altro ma solo perché sentivano che era la cosa giusta da fare.

Avevano conosciuto quel tipo egocentrico e fuori dagli schemi una sera in un pub e si erano tenuti in contatto, si erano visti e avevano riso ma poi Tony era sparito. Non si era fatto più sentire e vedere per mesi senza alcun motivo apparente, Steve ricordava quel momento come un film nella propria testa…
 

Barton era corso da loro con, tra le mani tremanti, una rivista scandalistica, Sam e lui lo avevano guardato come se avessero visto un matto al posto del loro amico.

-Clint che ti è successo?

Sam aveva parlato alzando le mani gesticolando verso l’amico che se ne restava ancora in piedi, immobile di fronte a loro.

-Tony…

Aprì quel giornale posandolo senza alcuna delicatezza sul tavolino di fronte a loro, indicò una foto e poi parlò per spiegare cosa stesse indicando su quel pezzo di carta in bianco e nero.

-I genitori di Tony, il nostro amico, sono morti in un incidente stradale… mia madre mi ha dato quel giornale per usarlo per poter pitturare senza sporcare a terra e, aprendolo, mi sono imbattuto in questo articolo.

Steve afferrò quella pagina, la girò verso di sé incredulo e lesse con avidità ogni singola parola che c’era scritta, si ritrovò a stringere la mascella con forza prima di afferrare il telefono e comporre il numero di Tony per farsi dire dove abitava. Nessuno avrebbe dovuto essere solo in un momento come quello e Steve non l’avrebbe mai permesso, non ora che sapeva. Non ora che Tony era suo amico.

Ora avete il diritto di lanciarmi pomodori, ciao!

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


 

Seconda parte [4240 parole]

 

Tornò al presente con uno sbuffo, osservando la figura di Tony tornare a mani vuote dal bar, guardò l’amico con occhi curiosi e quello, una volta vicino a lui seduto al tavolo, parlò.

Hanno avuto un piccolo problema, ci manda il cameriere a portarcele!”

E il cameriere arrivò, dopo un tempo che pareva infinito ma che ne valse la pena, almeno per Stark. Tony non guardò quel giovane in volto ma si fissò su quel marchio tatuato sul polso: un serpente rosso e oro con gli occhi blu.

Steve si ritrovò a guardare la scena con un sorriso emozionato sul volto; il ragazzino cercò di ritrarsi alla presa che Stark aveva allungato su quel braccio, rimanendo incantato di fronte a quella pelle chiara marchiata esattamente come la sua.

Io… Io… mi lasci…”

Stark non fece una piega, si mosse alzandosi la camicia costosa fin sopra al gomito e mostrando in silenzio quello stesso marchio. Il giovane spalancò gli occhi chiari iniziando a fremere quasi boccheggiando un paio di volte di fronte a quel segno palesemente identico a quello che aveva lui sul braccio, la sua espressione di stupore era innocente e bellissima anche per Steve.

Io… non è possibile… la mia anima gemella l’ho giusto incontrata un paio di settimane fa e lavora in un centro di ricerca...”

Stark sorrise malizioso e per nulla spaventato da quell’affermazione, si sporse avvicinando il volto a quello del giovane cameriere prima di tornare a parlare con un tono deciso.

Che ne dici se ci incontriamo tutti e tre? Non vorrei dividerti con nessuno ma...”

Steve si schiarì la gola facendo trasalire il giovane che arrossì di colpo, imbarazzato da quella confidenza, ma sorrise immediatamente verso Tony con occhi pregni di innocenza e di dolcezza.

Steve notò lo sguardo di Tony che, se prima sembrava un grosso pavone che mostrava la coda colorata, ora, dopo quel singolo sorriso spontaneo, pareva essere diventato un cagnolino adorante e protettivo.

Vai.”

La voce di Steve interruppe l’atmosfera obbligando Tony a guardare quell’amico con fare interrogativo, spaesato e forse spaventato da quella nuova situazione; il biondo sapeva quanto l’amico temesse le relazioni a lungo termine ma se le chiamavano Anime Gemelle doveva per forza esserci un motivo e Steve ci credeva ancora, voleva crederci nonostante il suo passato difficile.


Era rimasto da solo con quella birra amara ma fresca, in quel pub faceva maledettamente caldo così si decise ad uscire da lì; indossò la giacca in pelle ed afferrò la bevanda tra le dita avvertendo quella frescura risalirgli dalla punta delle dita convincendolo maggiormente ad uscire all’aria aperta.

Evitò la gente, si fece strada quasi spingendo per riuscire ad arrivare alla porta, ma si scontrò con qualcuno, qualcuno che non riconobbe subito per via di quelle luci stroboscopiche e quella semi oscurità, qualcuno che riconobbe solo quando quello si girò a chiedere scusa bloccandosi sul posto nell’incrociare quegli occhi.

L’altro si fermò, fissandogli prima addosso uno sguardo assassino, che si trasformò in un sorriso divertito quando lo riconobbe, incrociò le braccia al petto ed inarcò l’angolo delle labbra verso l’alto: era l’autista che avevano urtato durante quei giorni, in quella mattinata assurda.

Tu sei James.”

 

Lo sguardo dell’uomo però era stato catturato dal petto lasciato scoperto quasi del tutto del biondo, il loro scontro aveva permesso a quella leggera camicia di spostarsi e di mostrare quel marchio; gli occhi di Steve si spostarono lentamente in basso seguendo lo sguardo dell’altro uomo mentre sul suo volto si delineò un’espressione di sofferenza, quasi che si sentisse in colpa per quell’espressione meravigliata dalla vista di quel marchio.

Cercò di parlare ma la voce gli si bloccò in gola e che si seccò ulteriormente quando si ritrovò ad osservare quell’uomo con calma in quelle mezze luci che rendevano tutto più misterioso; James aveva i capelli neri raccolti in una coda lasciata morbida, aveva un leggero strato di eyeliner nero che gli circondava gli occhi ed era vestito con pantaloni scuri ed attillati che gli fasciavano le gambe in maniera perfetta, uniti ad una camicia anch’essa nera con le maniche ordinatamente arrotolate fin sopra al gomito. Aveva muscoli che parevano usciti da qualche film di super eroi ed era… sembrava, nella sua mente, uno di quegli attori di qualche film in cui il protagonista era il classico bello e dannato.

Steve si ritrovò a guardare quell’uomo negli occhi notando come quelle iridi si spalancassero puntandosi alle proprie spalle; un susseguirsi di colpi di pistola si levò in aria poco prima che il corpo di James atterrasse il suo, proteggendolo da quei proiettili vaganti.

Lo aveva fatto per proteggerlo, si era mosso per difenderlo da qualcosa che lui non poteva vedere...

Le loro orecchie sibilavano infastidite da quel susseguirsi di rumori sordi e insopportabili a così breve distanza, i loro corpi erano a terra, inermi ma sani mentre attorno a loro l’intero locale sembrava essersi zittito dalla musica ed essersi riempito di urla e di strilli impauriti.

Il moro era a cavalcioni di Steve, le ginocchia puntate a terra e i volti vicini, si guardarono e, semplicemente si ritrovò ad annuirgli mentre osservava il sorriso che, quasi divertito dalla situazione in cui erano finiti, si mostrava sul volto di James. Lo osservò rotolare con maestria verso l’uomo che, armato e con una maschera, gli era più vicino, lo disarmò velocemente con un calcio prima di renderlo inoffensivo con un ginocchio piantato alla bocca dello stomaco e passare direttamente al secondo e al terzo uomo colpendoli ripetutamente con colpi abili e precisi.

Steve notò un uomo armato e, una volta in piedi si ritrovò ad atterrare con un pugno in pieno viso uno di quei malviventi che avevano appena provato a farlo stendere a terra, gli avevano dato un ordine e lui lo aveva ignorato, aveva semplicemente guardato quell’uomo che stava lottando, imitandolo.

Un colpo di pistola lo distrasse, obbligandolo a seguire la direzione della canna della pistola, il suo cuore si fermò nel notare che quel proiettile aveva colpito di striscio il moro. Lo vide a terra, fece per muoversi ma lo vide tirarsi in piedi con un colpo di reni e avvicinarsi furioso all’uomo che lo aveva colpito disarmandolo e colpendolo alla testa con il calcio dell’arma con crudeltà prima di stringere i pugni e digrignare i denti per quel dolore che si era diffuso velocemente nelle sue vene, Steve si mosse stanco di starsene lì ad osservare i movimenti scattanti e precisi dell’altro.

Steve notò un altro uomo armato che si stava avvicinando a James, scattò passando di fianco al moro e colpendo lo stomaco di quel malintenzionato, lo mandò a terra facendogli sputare sangue e bile.

Attorno a loro il caos si stava mostrando con prepotenza, la gente urlava, spingeva e si accalcava per allontanarsi dall’uscita principale , lì dove si trovavano loro e dove quei malintenzionati avevano maggiormente colpito.

Non potevano essere così pochi in un pub così grande, Steve guardò James e parlò con un leggero sorriso impresso sul volto, trovando sul volto dell’altro, un sorrisetto complice e divertito da quella situazione.

Posso andare avanti tutta la notte...”

Steve si ritrovò ad ascoltare l’arrivo della polizia, le volanti stavano arrivando a sirene spianate per intervenire in quella sparatoria; si voltò giusto in tempo per afferrare il corpo di James che aveva ceduto per la troppa pressione che aveva accumulato su quella gamba ferita, lo sguardo prima determinato e freddo era ora speziato di sofferenza e di… sollievo?

Le sue mani si erano artigliate a quel corpo come se gli fosse famigliare, era strano toccare qualcuno che non si era mai toccato e percepirne una familiarità così… intima?

Quel ragazzo era un controsenso nella sua testa, chi diavolo poteva considerare quella presa una specie di sollievo? Nel suo cervello però qualcosa gli diceva che era giusto così, che quel sollievo era dedicato a quella sua presenza e alle proprie mani sul suo corpo… arrossì confuso da quei pensieri ma poteva accettarlo, ne era certo, avrebbe cercato di capirlo al meglio.

Quindi sei tu la mia sfortunata anima gemella, non potevo chiedere niente di meglio se non qualcuno che mi aiuta nelle scazzottate.”

I due si guardarono ed iniziarono a sorridersi dolcemente a quella battuta così innocente ma che racchiudeva dentro di sé un mondo più grande, il dolore della ferita era stato messo in secondo piano e la voce dalla bocca di James era uscita divertita e per nulla rabbiosa.

Jerk.”[1]

Steve lo aiutò a sedersi su una panca lì vicino, gli allungò un braccio sulle spalle sorreggendolo con dolcezza per poi togliersi la giacca in pelle, lanciarla a terra per potersi togliere anche la camicia rapidamente, senza levare gli occhi dalla ferita da cui fuoriusciva un rivolo di sangue, appallottonò quel vestito con noncuranza e lo poggiò sulla ferita.

Ci siamo appena conosciuti e già ti spogli per me? Mi piace come stanno andando le cose...”

Steve arrossì di colpo, rendendosi conto solo in quel momento di ciò che stava facendo innocentemente per tamponare quel foro con la propria camicia mentre i primi paramedici erano giunti anche da loro dopo che la polizia aveva bloccato quei criminali con velocità e professionalità.

Mi dispiace, lei deve rimanere qui.”

Gli disse l’infermiera fermamente, guardandolo dritto in faccia. Steve abbassò lo sguardo lasciando spazio alla donna che stava trafficando con bende per poter caricare James in ambulanza. Steve non voleva perderlo nuovamente, non ora che lo aveva finalmente trovato ed era certo che fosse lui; la sua mente non voleva lasciarlo andare ma la sua testa annuì, consapevole che non era nulla per James oltre che un segno marchiato sulla pelle.

È il mio compagno, può venire con me in ospedale se proprio devo andarci…”

Steve era stato riscosso dai propri pensieri da quel tono di voce basso, il moro doveva avere un particolare odio per gli ospedali e Steve lo capì, l’aveva visto afferrare la povera donna per un braccio e le aveva parlato con quel tono inappropriato.

Ha una pallottola in una gamba e anche se sembra che non abbia intaccato nessuna vena importante, dobbiamo comunque disinfettare e assicurarci che non ci siano schegge di alcun genere, quindi sì, deve salire con noi sull’ambulanza e lei se vuole venire con noi allora può venire...”

La donna aveva parlato chiaro, abituata evidentemente a questi atteggiamenti, e Steve si era avvicinato a James, a quello sconosciuto che però gli sembrava da conoscere da sempre; gli poggiò una mano sulla spalla del marchio e gli sorrise notando come i muscoli di lui si rilassassero lasciando andare il braccio della povera donna.

Ehi, James, sono qui con te.”

Il biondo ricercò lo sguardo dell’altro, gli sorrise attendendo l’ambulanza e, senza nemmeno pensarci due volte, parlò lasciando che la propria mano andasse ad afferrare l’avambraccio del moro.

Bucky, mia madre mi chiamava così… puoi chiamarmi Bucky.”

Steve arrossì prima di sorridere felice, dentro di sé era ancora agitato per tutto ciò che era appena accaduto, era tutto così confuso ma era conscio che in fondo si era ritrovato a fare quello che aveva sempre voluto fare, quello che durante quei giorni avversi nel periodo militare lo faceva continuare a sudare: proteggere gli innocenti.

Per una volta non era stato solo in quella crociata e Bucky lo aveva preceduto, aveva anticipato le sue mosse come se fossero davvero due anime divise che sapevano perfettamente di appartenere all’altra.

Non era certo del perché avesse detto quelle parole, perché proprio quel “sono qui con te” ma nel suo cuore gli pareva che quella fosse l’unica frase adatta.

Bucky… penso che continuerò a chiamarti anche Jerk.”

 

Eccole, questi sono gli effetti personali del signor Barnes.”

Steve sorrise alla dottoressa e afferrò la busta, ringraziando e chiedendo maggiori informazioni sulla sua anima gemella.

Era strano pensare a quel sottile ed inesistente filo che li univa, erano due sconosciuti, due persone che non si erano mai nemmeno parlate eppure qualcosa, al di sopra di loro, li aveva legati assieme. C’era stato un tempo, prima di fare il militare, in cui Steve aveva pensato che tutta quella storia della persona predestinata fosse una forzatura, un obbligo a stare insieme, una privazione della propria libertà ma con il tempo aveva cambiato pensiero; si era trovato a guardare amici e colleghi trovare quella persona ed innamorarsene follemente.

Non li aveva mai capiti, aveva passato anni a guardare i loro volti sorridenti e felici, incapace di pensare che tutto quello fosse una finzione o una limitazione, doveva essere tutto vero.

Da quando aveva visto quello stesso simbolo sul corpo dell’altro, aveva capito cosa era quel pizzicore che invadeva l’anima di chi aveva incontrato l’altra parte di sé, quel leggero scintillio che accompagnava la loro giornata.

Era meravigliosa quella sensazione perché inconsapevolmente sapeva di appartenere a Bucky e nello stesso modo avvertiva di appartenergli.

Non lo tratterremo qui questa notte, abbiamo bisogno di letti e sarà libero di andare non appena vi verranno portate le stampelle. È una ferita leggera, il proiettile ha solo sfiorato la carne, nemmeno troppo in profondità per la verità, quindi in circa due settimane, a patto di tenere la ferita pulita e medicata, tornerà come nuovo.”

La suoneria del cellulare nella busta lo distrasse e si ritrovò a cercarlo in quel marasma di roba non sua, lo afferrò bloccandosi però dal rispondere, consapevole che quello non fosse il suo telefono e che, effettivamente, non avesse nessun diritto di invadere la sua privacy.

Cercò la brandina in cui era steso e si ritrovò a sorridere nel vederlo già seduto sul lettino con stampata in volto un’espressione omicida in direzione delle povere infermiere che cercavano invano di farlo stendere.

Se oppone resistenza dovremo sedarla signor Barnes, la zona dove il proiettile l’ha ferita le è stata addormentata quindi potrebbe non avere molta sensibilità alla zona ma, se ha pazienza, nell’arco di un’oretta al massimo dovrebbe tornare tutto nella norma.”

Steve si avvicinò, sorridendo dolcemente all’uomo che, vedendolo, smise di opporre resistenza e si lasciò cadere sul lettino incrociando le braccia al petto, nella sua testa gli sembrava di vedere, in quella posa così infantile, il broncio di un adorabile bambino. C’era qualcosa che spaventava Bucky, notò Steve, era come se qualcosa lo stesse obbligando a combattere il restare in quell’ambiente a lui ostile.

Bucky il tuo telefono suonava.”

 

Gli passò il telefono scontrandosi con quegli occhi chiari e sorridendogli, si sedette su una sedia lì vicina mentre le infermiere se ne andavano, distrutte da quel paziente che aveva cercato di andarsene più volte.

Steve non sapeva nulla di quella sua anima gemella ma più ci aveva a che fare e più voleva stargli vicino, perché anche senza averlo sentito dalle labbra dell’altro, percepiva che sotto quella corazza da cattivo ragazzo, c’era un passato probabilmente più doloroso del suo.

Guardò lo schermo del proprio cellulare notando che, dal momento della sparatoria, erano passate si e no due ore; i paramedici avevano detto che non c’erano stati morti e, oltre ad un paio di lievi feriti, Bucky era forse il ferito più grave.

Li avevano salvati in fondo, se non fossero intervenuti con quel loro modo così stupido e impulsivo ci sarebbero stati di sicuro alcuni feriti più gravi, potevano dire di aver salvato delle vite umane e la sensazione a Steve piaceva… tantissimo.

Steve compose un numero che conosceva a memoria prima di far partire la chiamata, improvvisamente l’adrenalina che lo aveva accompagnato fino a quel punto si trasformò in paura ricordandosi di quegli amici con cui era andato al pub. La sua anima gemella gli aveva offuscato la vista, non era esistito null’altro se non lui e se da un lato era una considerazione malata, dall’altra gli sembrava giusta come poche altre cose in quella vita fatta di sofferenza.

-Ehi Steve tutto bene? Ho visto al notiziario dell’incidente al pub ma io ero già a casa di Parker e di Loki quando è successo, non riuscivo a contattarti!

Steve tirò un profondo respiro di sollievo nel sentire quella voce, Tony era preoccupato per lui ma lo nascondeva con abilità, quella semplice considerazione lo fece sorridere e si ritrovò ad annuire più a se stesso che ad altri per poi chiudere gli occhi spiegando frettolosamente quello che era accaduto all’amico così da chiudere velocemente la conversazione e chiamare immediatamente Barton che gli rispose solo dopo il quinto squillo.

-Rogers! Dimmi che non eri uno di quei folli che hanno combattuto!

Il biondo si lasciò scappare l’ennesimo sorriso a quell’affermazione prima di leccarsi un labbro ed espirare un po' di aria che nemmeno si era accorto di aver trattenuto per quei cinque infiniti squilli.

-Sam è qui con me, anche lui sta bene… Cap, dove sei?

Cap… Barton lo appellava spesso in quel modo, quasi fosse sempre quello che aveva la risposta pronta, quello che aveva sempre un asso nella manica e su cui i suoi amici facevano sempre affidamento, quasi fosse il capitano di quella banda di sbandati… era un fardello che, per loro, era disposto a portare.

Sto bene, ragazzi, ho accompagnato una persona in ospedale ma sto bene e sì ero uno di quelli che si è lanciato nella mischia. Ci vediamo domattina al lavoro.”

Non gli lasciò il tempo di parlare che chiuse la telefonata con un sorriso dolce stampato sulle labbra accorgendosi, solo in quel momento, che Bucky era al telefono e aveva un’aria stanca, provata da quegli ultimi eventi.

No, se mi lasciano andare vado a casa in taxi, tranquillo Peter.”

Steve si scontrò con lo sguardo chiaro di Bucky, lo sostenne per alcuni secondi perdendosi in quell’azzurro prima di arrossire e spostare i propri occhi sul comodino che aveva di fianco trovandolo improvvisamente interessante ed innocuo. Si passò una mano sul retro del collo in un gesto che compiva spesso quando era sotto stress e poi riportò, quasi guidato da un istinto primitivo, i propri occhi sul volto sorridente di Bucky che lo stava osservando con una scintilla di malizia e di soddisfazione, quasi che gli piacesse ciò che vedeva.

Devo dire che i nostri primi incontri sono stati un po' burrascosi, che ne dici di riprovarci?”

Steve si ritrovò a guardare quel volto sorridente, si perse nella bellezza di quei lineamenti divertiti ma stremati, annuì abbassando lo sguardo su quel corpo coperto soltanto da quell’orribile camicia verdina.

Se io ti dessi il mio numero di telefono, biondino, mi chiameresti oppure dovrei venire in ditta dove lavori per recuperarti?”

Alzò le spalle fingendo di fare il vago, quell’uomo aveva un modo di fare che sapeva incantarlo, non era un pallone gonfiato come Tony e non era cinico come Barton, era diverso da ciò a cui era abituato e lo era in un modo che pareva perfetto per fare colpo sulla sua mente.

Devi riposare, non hai bisogno di sentirmi.”

Lo disse seriamente preoccupato accorgendosi solo una volta chiusa la bocca della gaffe che aveva fatto, portò le mani avanti spalancando la bocca alla ricerca di aria.

Non intendevo dire che non voglio sentirti ma che non voglio che tu ti affatichi troppo!”

Bucky sbatté gli occhi un paio di volte prima di rispondere a quel giovane con un lieve risata cristallina e sincera; spostò lo sguardo sull’infermiera che gli si avvicinava con le stampelle e si voltò a parlare a Steve.

Vuoi farmi morire di noia allora, niente male come inizio.”

La donna gli fece firmare le carte per la dimissione e lo aiutò, nonostante il leggero ringhio che uscì dalla bocca di Bucky, a tirarsi in piedi per regolare l’altezza delle stampelle.

La dimettiamo, si rivesta e ci vediamo tra due giorni per la prima medicazione.”

Steve osservò la scena annuendo alla donna che, dopo avergli sorriso pacata, se ne andò chiudendosi la porta alle spalle con un lieve click a lasciarli soli in quella stanza. Il biondo si alzò dalla sua comoda seduta e, una volta afferrata la busta con gli abiti, iniziò a rimuoverli dalla plastica e ad appoggiarli con cura sul lettino di fianco a lui.

Girò il capo pronto a parlare con Bucky, pronto a lasciarlo solo per permettergli di vestirsi ma si ritrovò a vederlo nudo se non per quella fasciatura candida che ricopriva per intero la coscia. I suoi pensieri che aveva formulato nel pub prima di tutto quel casino erano veri, il corpo del moro sembrava quello di un adone greco con vari tatuaggi sul corpo, spettacolare.

Steve non riusciva a capire se in quella stanza ci fosse davvero così caldo o se fosse lui ad avere così tanto caldo, era certo di avere le gote in fiamme ma nel complesso si sentiva andare a fuoco; distolse lo sguardo dal corpo tonico dell’altro passandogli, al suo allungare una mano in sua direzione, i pantaloni che gli infermieri gli avevano gentilmente regalato.

Vestiti.”

Il biondo si ritrovò a sussurrare quella parola notando come sul volto di Bucky si fossero create delle piccole fossette vicino alle guance, era compiaciuto dalla sua reazione e Steve era quasi certo che l’avesse fatto di proposito...

Le mani di Bucky sembravano accarezzare la pelle accaldata e Steve si ritrovò a negare con il capo e a mordersi un labbro ridacchiando, gli passò anche la camicia e i loro sguardi si incatenarono mentre ogni singolo bottone con calma scivolava con lentezza nella sua asola.

Quell’uomo era un concentrato di puro erotismo e di malizia, era sempre stato bravo a contenersi ma lì, con quell’uomo che sembrava fare di tutto per averlo per sé gli risultava, per la prima volta nella sua vita, difficile così spostò lo sguardo fissandosi sui vari oggetti inanimati in quella stanza.

Mi accompagni in strada a prendere un taxi?”

Steve riportò lo sguardo su quel corpo, finalmente rivestito, con il volto in fiamme e i suoi istinti più bassi risvegliati da quel corpo scolpito, si schiarì la voce, annuendo a quella proposta e prendendo la direzione della porta, aprendola e aspettando l’altro con le gote ancora arrossate.

Andiamo, Jerk.”

Bucky si alzò dal lettino sorridendo malizioso, prese subito confidenza con quelle stampelle che, era certo, avrebbe lanciato da qualche parte una volta entrato in casa propria.


Erano scesi con l’ascensore e il moro si era morso il labbro inferiore divertito da quella situazione, Steve si era agitato per quella visione, erano usciti dall’atrio con passo lento decidendo di aspettare il taxi appoggiati ai piccoli blocchi di cemento lì vicino. Avevano iniziato a parlare del più e del meno: erano partiti dal lavoro di Steve fino a parlare di un signore che era appena passato davanti a loro con un cane minuscolo di fronte a loro; erano tutti e due sorridenti quando Bucky vide il proprio taxi rallentare e fermarsi di fronte a loro con calma. Camminò fino ad esso ed aprì lo sportello chiedendo un attimo di pazienza al conducente sorridendogli prima di tornare da Steve per rubargli dalle mani il cellulare.

Fatti sentire.”

Gli disse ripassandogli il cellulare con il proprio numero scritto sullo schermo, rimanendo a fissare quegli occhi chiari mentre le loro mani si toccavano e si sfioravano come se fossero due ballerini prima di un balletto difficile, Bucky fece due passi indietro con quelle stampelle, gli diede le spalle e continuò verso il mezzo che lo avrebbe riportato a casa.

Si fermò, ritrovandosi a scuotere il capo verso il cielo in una muta richiesta di sostegno.

Steve aveva afferrato il proprio telefono, distratto dalle spalle larghe dell’altro che camminava verso il taxi, guardò quel numero con interesse e meraviglia, quel James “Bucky” Barnes voleva rimanere in contatto con lui e ciò era, già di per sé, una vittoria. Salvò con cura il numero in rubrica, con la folle paura di perderlo e di perdere quella maledetta possibilità con la sua metà.

Alzò lo sguardo come ipnotizzato ritrovandosi a guardare quegli occhi che, anche da lontano, erano colmi di un’emozione pura e abbagliante: era quasi come specchiarsi in una pozza d’acqua limpida, era impossibile riuscire a non metterci dentro le mani per percepirla con certezza.

Al diavolo.”

Il moro tornò indietro con un paio di passi allungati da quelle stampelle, lasciò che cadessero a terra per poter afferrare il volto del biondo ed unire le loro labbra in un bacio fatto di istinto, labbra e denti.

Steve si ritrovò a reagire d’istinto di fronte a quell’aggressione fisica, lo aveva visto mentre gli andava incontro, aveva fatto qualche passo e se lo era ritrovato tra le braccia, lasciando che le proprie mani afferrassero i fianchi stagni dell’uomo, socchiudendo gli occhi per godersi quell’accozzaglia di saliva e di passione.

Avevano il fiato corto quando si staccarono, i loro nasi si sfioravano e i loro respiri si univano così come i loro occhi che ora si rispecchiarono nei gemelli con passione.

Prendilo come un incentivo per richiamarmi…”

Bucky si allontanò di poco da quelle labbra ma Steve lo seguì, impedendogli di scappare e ritrovandosi ancora a condividere quelle sensazioni e quel calore che si annidava in basso nel suo addome.

Una delle due mani di Steve scivolò lungo il ventre, sfiorando poi il braccio tatuato, riscoprendolo leggermente ruvido in alcune parti, seguì quelle linee improvvisate che risalivano sotto a quell’inchiostro per finire a sfiorare il volto sbarbato del moro. Cicatrici ecco cosa erano quelle linee al di sotto del tatuaggio.

Se questa è la conferma che mi richiamerai, mi piace come conferma.”

La voce canzonatoria e divertita di Bucky ruppe quel lieve momento facendoli ridacchiare allegri e per nulla imbarazzati da quel loro primo e bisognoso bacio, da quel loro primo scambio di effusioni.

Jerk.”

[1] Jerk = Non ho voluto tradurlo perché in inglese mi risultava un po' più carino da fargli pronunciare e comunque significa cretino.



 

Fatemi sapere cosa ne pensate <3 
Ciaoooooooooo

 

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Note di fine storia a fine capitolo T.T
 

Parte 3 [3485 parole]

Bucky stava dormendo con il ventilatore che soffiava nella sua direzione, il petto nudo ogni tanto fremeva per quell’aria fresca che si abbatteva sulla pelle delicata. La ferita alla gamba gli dava fastidio, non lo lasciava dormire come avrebbe voluto e la notte doveva spesso alzarsi e andare sul divano dove riusciva a chiudere occhio anche solo per un paio di ore.

La suoneria del cellulare gli fece aprire gli occhi, li richiuse subito per quella luce accecante che, girato lo schermo, lo colse impreparato, mugugnò afferrando meglio l’apparecchio e rispondendo a quel numero sconosciuto.

Ehi, sei sveglio? Sono Steve...”

Quanto poteva essere dolce e delicato quel ragazzo che si identificava nonostante il bacio (i due baci per la precisione) da brividi che avevano condiviso giusto tre giorni prima?

Ridacchiò prima di parlare mentre con la mano libera si sfregava gli addominali con un movimento pacato ed abitudinario.

"Steve eh… stavo quasi perdendo le speranze di una tua chiamata."

Bucky avvertì attraverso l’apparecchio un lieve sospiro, quasi che Steve fosse felice che lui lo avesse riconosciuto, felice che avesse risposto. Nella sua testa il moro si chiese quanto poteva essere innocente e puro quell’uomo, ma era anche abbastanza sicuro però che la risposta non gli importasse sul serio perché in fondo già gli voleva bene.

"Mi stavo chiedendo se poteva servirti qualcosa…"

Bucky avvertì l'imbarazzo del compagno in quelle poche parole, si stava vergognando di aiutarlo? Era più probabile che il giovane non avesse trovato una scusa migliore per poterlo chiamare inventandosi quella richiesta assurda ma, tutto sommato, utile.

Era perfetto.

"Non devi trovare una scusa per venire a trovarmi, Stevie."

"Jerk."

Bucky già se lo immaginava mentre lo insultava con il volto in fiamme, agitato e divertito nonostante tutto, il moro si chiese se anche Steve provasse in quel momento la sensazione che provava lui alla base dello stomaco, era un misto di agitazione, eccitazione e soddisfazione, non sapeva definirla con esattezza ma era bellissima.

Come stai?”

Quel tono era delicato, realmente preoccupato e Bucky si ritrovò a ridacchiare per la centesima volta di fronte a quella voce e a quel ragazzo; era impressionante come quel filo invisibile che univa due anime fosse potente, si erano visti e si erano riconosciuti ma soprattutto si erano trovati con parole e piccoli gesti che facevano pensare a qualcosa di duraturo, qualcosa che sarebbe stato difficile da distruggere.

Tranne che non dormo gran ché, sto abbastanza bene… tu, stai bene?”

Ci fu un leggero sorriso che Bucky non riuscì a riscontrare in quel breve sbuffo divertito da parte del biondo ma avvertì con chiarezza quelle parole che, dolci, scivolarono fuori dalla bocca dell’altro.

Ora che sono riuscito a chiamarti e sentire come stai, sì. Sto bene.”

Quel giovane nascondeva una dolcezza che Bucky mai avrebbe pensato di sentire rivolta verso di sé, rivolta verso di lui che altro non era che un assassino pagato dallo stato per uccidere criminali, verso di lui che aveva deciso di coprire quelle cicatrici di guerra con tatuaggi lungo tutto il braccio sinistro…

Ehi, Bucky… ci sentiamo più tardi, devo tornare al lavoro.”

Il moro ascoltò quelle parole ritrovando la lucidità per parlare a quella sua anima gemella che pareva fin troppo per uno come lui…

Sì, voglio che tu sappia alcune cose su di me, tralasciando il fatto che io sia la tua… anima gemella.”

Ok… allora anche tu è giusto che sappia di me.”

 

Bucky afferrò una stampella e si diresse, con i suoi tempi, in salotto sapendo perfettamente chi ci fosse al di là di quella porta, sapeva che era Steve a suonare il campanello .

Aprì la serratura appoggiandosi allo stipite di legno mentre invitava l’altro ad entrare nel suo “regno”: era una casa piccola composta da una sala con angolo cottura, un bagno e due stanze di cui una adibita a magazzino.

Ti ho portato dei biscotti e un paio di birre. Ho pensato che potevamo berle.”

Bucky si sedette sul divano seguito dall’altro giovane che, in imbarazzo, si guardava attorno meravigliato e con le gote leggermente arrossate.

Erano entrambe consapevoli che quel bacio che si erano scambiati aveva risvegliato in loro qualcosa che, ora, non potevano più contrastare, lo sapevano ma entrambi si stavano facendo violenza per soffocare quel fuoco che smaniava per avere un contatto con il corpo dell’altro.

Vado a prendere il cavatappi.”

Il moro fece per alzarsi ma venne subito fermato dalla mano dell’altro che gli si era poggiata sulla spalla con calma e fermezza, attento a non fargli male ma determinato.

Dimmi dove è, faccio io...”

Bucky guardò l’uomo che aveva di fronte, gli afferrò la mano con cura e lo spostò da sé, alzandosi poi dal divano e andando verso la cucina parlando con tono canzonatorio e divertito.

Non ho bisogno della balia ma in caso adesso so chi chiamare… saresti carino con un vestitino di quel genere...”

Steve chiuse gli occhi e sbuffò, scuotendo il capo divertito da quelle parole che ostentavano un orgoglio mascolino, una parte del carattere di Bucky che, ne era sicuro, avrebbe odiato e apprezzato nello stesso doloroso modo.

Messaggio ricevuto, Jerk. Ma scordati il vestitino.”

Quando il moro tornò dalla cucina i due si guardarono sorridenti e divertiti; entrambe avevano capito che la loro relazione non sarebbe stata per nulla “facile”, forse per via dei loro caratteri così diversi da collidere perché Bucky sapeva di essere testardo e amava avere il pieno controllo su ciò che faceva e diceva ma con Steve nelle vicinanze si trovava, come in questo caso, a dover discutere per fare da sé qualcosa… non sarebbe stato facile anzi, sarebbe stata una sfida assai succosa e, da quello che aveva capito, entrambe avevano un sottile spirito di competizione per cui il perdere non doveva essere contemplato.

Stapparono le birre facendo tintinnare le due bottiglie per brindare a quel loro incontro e all’identico marchio che portavano sulla pelle. Scolarono alcuni sorsi godendosi il silenzio tranquillo e pacifico.

Voglio raccontarti perché ho circondato questo marchio con i tatuaggi, chi sono oggi e cosa faccio per vivere… voglio che tu sappia con chi sei destinato a stare ma nonostante questo non voglio obbligarti quindi…”

Sorrise mestamente, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e passando la bottiglia scura tra le mani per un paio di volte, nervoso all’idea di rivelare la verità a Steve.

Non voglio vivere nella menzogna quindi parlerò a cuore aperto, sei libero di fermarmi quando vuoi ed andartene.”

Si scrutarono per alcuni secondi e Steve mosse il capo annuendo a quell’affermazione: l’avrebbe ascoltato, l’avrebbe studiato e solo poi avrebbe raccontato la sua di esperienza.

Dai diciassette fino ai venti tre anni sono stato nel corpo dell’esercito, non ho solo fatto i due anni di leva perché ci sono entrato spontaneamente…”

 

Un orfano.

Un orfano solo e mal visto da tutti per quel marchio che svettava rosso sul suo braccio, quel marchio che sapeva, nella mente degli adulti, di nemico…

Nemico perché aveva origini non americane e quella stella sapeva troppo di Russia...

James aveva lottato per arrivare fin dove era arrivato, si era aggrappato alla vita con le unghie, con i denti, con tutto se stesso con la fissa di dimostrare qualcosa a tutti coloro che lo avevano calpestato, che lo avevano deriso.

Era partito compiuti i diciassette anni, era uscito di nascosto dalla strutture che gli assistenti sociali si divertivano a chiamare casa e, coperto dalle ombre della notte, era scivolato fino alla caserma.

Si era dichiarato per ciò che era: un orfano a cui nessuno interessava se viveva o se moriva.

Gli anni erano passati, lenti e dolorosi ma nella sua mente non c’era nessun rimpianto, nessuna voglia di tornare su quei passi fatti di false speranze e di persone con falsi sorrisi.

Il suo corpo si era formato diventando muscoloso e scattante, data la sua statura nella media era riuscito a sviluppare un’agilità invidiabile che gli permetteva di essere bravo sia nell’uso delle armi sia nel combattimento corpo a corpo o con le armi bianche.

Aveva una mira eccellente che, nel tempo, fu sfruttata usandolo come cecchino in missioni con obiettivo a distanza.

 

Elimina Johann Schmidt, sarà un gioco da ragazzi per te, così mi dissero ma… così non fu.”

Partirono in tre per quella missione, tornò da solo in barella perché per una volta aveva sbagliato il bersaglio… bevve un altro sorso di quella birra amara e fresca prima di tornare a parlare evitando lo sguardo attento di Steve.

Sul campo dove doveva esserci quel figlio di puttana c’era al suo posto un bambino, un semplice orfano come lo ero io, mi diedero l’ordine di ucciderlo, di sparare senza alcuna remora, me la ricorderò per sempre la voce del mio generale che mi dice: ragazzo siamo in guerra, gli innocenti muoiono.”

Nella sua mente frammenti di ricordo si incastonavano dietro le sue iridi, la polvere che si alzava leggermente da terra trasportata da quel vento caldo, si ricordava perfettamente i vestiti di quel bambino che sembrava vestito con le prime cose che aveva trovato per strada, quei vestiti larghi che nascondevano così bene quegli ordigni…

Scosse il capo il moro e Steve si mosse allungando una mano ed appoggiandola sulla coscia sana dell’uomo, facendosi sentire, presente di fronte a quei ricordi che erano palesemente dolorosi.

Eravamo al primo piano e io non gli sparai, troppo concentrato sul passato di un bambino che nemmeno conoscevo… arrivò vicino a noi, al nostro palazzo e urlando il nome della fazione nemica si fece saltare per aria: Hail Hydra.”

Sul volto del biondo si palesò quel nome iniziando, tassello dopo tassello, a mettere assieme i pezzi che facevano anche parte del suo di passato, un passato che li vedeva già uniti contro quel mostro di Johann soprannominato anche Teschio Rosso.

I miei compagni morirono mentre io restai in vita, il braccio sinistro era quello che aveva subito più danni oltre alla spalla e a parte del collo. Nell’esplosione alcuni pezzi di calcinaccio si erano staccati andando a cadere sopra di noi, intrappolandoci senza via di fuga. Venni catturato da quell’Hydra che stavamo combattendo.”

Sbuffò poggiando a terra quella bottiglia e alzando le braccia per racchiudere i propri capelli in un codino morbido, si voltò a guardare Steve prima di parlare e si scontrò con uno sguardo che sembrava capirlo, che pareva intimargli di continuare. Steve parlò come per dargli una forza invisibile per continuare, una forza complice.

Ero anche io un soldato, Bucky… ho fatto solo due anni e non ho combattuto chissà quali battaglie ma ti capisco.”

Quelle poche parole cariche quasi di vergogna uscirono dalla bocca del biondo, aveva abbassato lo sguardo e aveva semplicemente parlato senza alcun fronzolo di mezzo. Il moro si decise a continuare quel discorso, un po’ più sicuro che quel ragazzo potesse davvero capirlo.

Mi tennero prigioniero per un mese per qualcosa che non ho mai saputo di preciso e allo stesso tempo la spalla bruciava perché il mio marchio si stava rigenerando da quella brutta ferita. Se oggi sono vivo è perché uno degli scienziati che erano costretti a starsene lì mi ha aiutato… quello che oggi posso quasi considerare come uno dei miei migliori amici: Loki.”

Steve capiva, capiva quel dolore per non essere riuscito a salvare la propria squadra, comprendeva lo stato d’animo del moro e la sua personale crociata contro se stesso, glielo leggeva negli occhi…

Se Bucky avesse ucciso un bambino apparentemente innocente, due dei suoi sarebbe sopravvissuti ma errare era umano e il biondo poteva capire l’esitazione che aveva colto l’altro in quel momento così delicato.

Il nome dello scienziato pareva famigliare per Steve, era certo di averlo già sentito da qualche parte ma non riusciva a focalizzarsi su dove e su chi lo avesse detto…

Ehi, Jerk. Hai fatto qualcosa che ti rende umano, hai visto un innocente e hai cercato di proteggerlo, non sei un mostro anzi, tutt’altro.”

Mostro.

Si era visto in quel modo per mesi, anni forse perché quando si era risvegliato in ospedale aveva dovuto affrontare le famiglie di quei due ragazzi che erano con lui, quei due che confidavano in lui per portare a termine la missione che lui aveva fallito per una sua disattenzione.

Sergente Barnes, così lo chiamavano quei due soldati semplici avevano nella voce un’ammirazione segreta, quasi che lui fosse il loro eroe.

Sergente James Barnes, così con disprezzo invece lo nominarono dopo le famiglie di quei due semplici soldati.

Mosse il capo incredulo, ricordava perfettamente le loro espressioni: odio, disprezzo e rassegnazione.

Non c’era nessuno a piangere per lui quindi perché non era semplicemente morto, nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, nessuno avrebbe dovuto affrontare una famiglia carica di dolore, non per lui, non per un orfano.

Potevo salvarli se solo avessi premuto quel grilletto… lo avevo sotto tiro, se non avessi pensato avrei forse anche visto le bombe sul suo corpo. Dovevo ubbidire da bravo soldato.”

Bucky stava rivivendo quelle scene con intensità e dolore quando la sua spalla andò a collidere con quella di Steve, si ritrovò a guardare quel viso con gli occhi chiusi, quel contatto inconsciamente era riuscito a riportarlo alla realtà ricordandogli che quel passato faceva parte di lui ma che non doveva incidere sul presente, un presente che era lì vivo accanto a lui.

Hai davvero ricoperto quelle cicatrici con i tatuaggi? Perché...”

Vergogna. Orgoglio.

Forse per nascondere quel disonore agli occhi di chi non sapeva.

Non lo sapeva con precisione, a volte pensava di volerselo amputare quel maledetto braccio così carico di dolore ma dall’altra c’era quell’incolmabile serie di cicatrici che gli ricordavano che lui era lì, vivo ed intero.

Avvertì su di sé il respiro cadenzato di Steve, socchiuse gli occhi anche lui godendosi quella pace seguendo il ritmo del biondo trovando riparo da quegli ulteriori ricordi che avevano iniziato ad emergere nelle sue memorie ma che, con la sua presenza, non facevano più così tanta paura.

Inizialmente volevo ritirarmi dall’esercito e fare altro, andarmene dall’America e piangermi addosso fino alla fine dei miei giorni… ma ho incontrato per caso una veterana di guerra, una donna di nome Carol che aveva perso qualcuno di importante in una missione, non mi ha mai detto di chi si trattasse... Mi ha aiutato a continuare a fare il militare, a combattere affinché io avessi uno scopo.”

Bucky aveva stretto le mani a pugno mentre evitava lo sguardo di Steve, quel calore che si diffondeva dal luogo dove la testa dell’altro era poggiata era piacevole, lo faceva sentire a casa, protetto da qualcosa che gli apparteneva, qualcosa che la sua anima riconosceva e amava già. Era un calore che risaliva dal profondo del petto, quasi come un battito di ali di farfalla, uno sfarfallio nell’unica luce presente, l’unica oasi in tutto il deserto.

Ho continuato, Steve… faccio ancora l’assassino per lo stato Americano, non sono più il Sergente Barnes ma ora sono solo il loro Soldato d’inverno, un fantasma che in realtà non esiste più.”

La testa del biondo si allontanò dalla sua spalla, sentì la mano di Steve che, dolce ma decisa, gli voltava il volto obbligandolo ad aprire gli occhi e a scontrarsi con il suo sguardo.

Uno sguardo deciso e che non ammetteva errori, sembrava lo sguardo di un Capitano che impartiva un ordine ad un sottoposto, incantevole quanto distruttivo in quella situazione.

È l’unica cosa che so fare.”

Quelle parole fecero infuriare Steve, Bucky lo vide mentre scattava in piedi e parlava tenendo gli occhi chiusi ed usando un tono autoritario, non pensava di farlo arrabbiare per quell’ultima frase ma, visto l’argomento delicato, avrebbe accettato qualsiasi sua decisione, nel bene e nel male...

Non puoi dirlo davvero! Abbiamo tutti una seconda possibilità! Io ne sono la prova vivente!”

Steve deglutì ma non si mosse, aveva le spalle tese e i muscoli contratti per la rabbia ma Bucky non sapeva ancora nulla del passato della sua anima gemella, non sapeva con precisione a cosa si riferisse con quella seconda possibilità ma a priori si decise ad abbassare lo sguardo, non era in grado di guardarlo negli occhi, si vergognava troppo sia per il proprio lavoro sia per non essere mai riuscito a fare altro.

Scusa… io… me ne vado...”

Il moro si prese il capo tra le mani e si morse un labbro a sangue, sapeva il peso del carico che aveva appena messo sulle spalle di un ragazzo che gli era quasi sconosciuto, sulle schiena di colui con cui avrebbe dovuto condividere l’intera vita. Non l’avrebbe fermato, non avrebbe mai imposto a qualcuno di accettare ciò che era, ciò che aveva dovuto diventare ed era anche consapevole che quelle parole erano incomplete…

Incomplete perché quel braccio ricoperto di cicatrici non era in grado di moderare la forza; incomplete perché quell’arto non aveva nessuna sensibilità; incomplete perché anche se provava a dimenticare gli orrori di quella guerra non ci riusciva, lanciava uno sguardo a quella parte di sé ed imprecava consapevole che avrebbe preferito morire che essere in quelle condizioni di “sopravvivenza”.

Le parole che aveva sentito dette con impeto da quella bocca che gli sembrava perfetta sapevano di dolore le aveva avvertite sulla propria pelle nonostante la lontananza, le aveva avvertite mentre scavavano nella sua testa come maledizioni.

Il rumore dei passi si fermò ma Bucky non ebbe il coraggio di guardare, si ritrovò ad imprecare a bassa voce stringendo le proprie dita attorno ai capelli con furia; aveva rovinato tutto.

Il silenzio aveva inondato quell’appartamento come una cortina densa di pensieri, nessun rumore si azzardava a fare capolino per paura di scatenare una reazione violenta da parte di quell’uomo reduce di guerra, distrutto emotivamente e fisicamente.

Ho passato anni ad aspettare il marchio...”

Quelle parole risuonarono come un urlo all’interno di quella sala, si espansero cogliendo di sorpresa anche Bucky che si ritrovò, senza volerlo, ad alzare lo sguardo verso il corpo dell’altro che, statuario, si era fermato sulla porta con gli occhi puntati nei suoi e una serietà dominante. Non era mai uscito da lì, dalla sua casa e dalla sua vita.

Anni di bullismo e di botte senza alcun motivo se non la paura della diversità… mi hanno massacrato di botte e a risvegliarmi dopo quattordici giorni sono stati i dolori del marchio che si imprimeva a fuoco su di me...”

I suoi occhi erano calmi, addolorati e forse troppo ponderati per uno che stava raccontando una storia di un passato presso che doloroso e la cosa sorprese Bucky perché quelle parole usciva da quella bocca con una determinazione che lui aveva perso il giorno in cui non aveva premuto il grilletto.

...gli anni dell’esercito mi hanno reso ciò che sono oggi, un uomo che ha lottato e sudato per raggiungere qualcosa che tutti pensavano irraggiungibile per uno come me, per uno diverso.”

Il biondo prese un bel respiro, socchiuse gli occhi e tornò a raccontare, parola dopo parola mentre Bucky ascoltava avido quel racconto.

Non dire che non sai fare null’altro se non l’assassino, abbiamo tutti una seconda possibilità e non ti perderò ora che so che esisti davvero, non dopo il dolore che ho provato mentre le nostre anime si trovavano in ritardo rispetto alla tabella di marcia.”

Quel tono era diventato deciso, come se tutto il resto potesse scivolare in secondo piano, ogni singola morte che aveva provocato o ogni singola cosa brutta che Bucky aveva fatto, tutto era come scivolato in secondo piano per Steve; non lo avrebbe mai più lasciato andare, quell’uomo gli apparteneva e Steve apparteneva a lui.

Bucky si alzò in piedi, instabile per via di quella ferita che si era procurato per proteggere delle persone comuni, civili di cui il moro poteva fregarsene eppure era lì, con una gamba fasciata ed un’ulteriore cicatrice causata da un proiettile; Steve camminò un passo dopo l’altro verso il corpo dell’altro, lo abbracciò con impeto e disperazione.

Bucky si lasciò avvolgere, venendo così anticipato per via di quella ferita che gli aveva impedito di camminare verso quell’anima gemella che sentiva ormai essergli scivolata sotto pelle…

Portò le braccia alla schiena di Steve e strinse le mani sulla stoffa con disperazione, non si era nemmeno accorto dell’immenso terrore che aveva provato nel perderlo, il petto quasi era dolorante ed era quasi una situazione surreale.

Scusami, Bucky.”

Il moro arretrò di mezzo passo, lasciò che quel braccio ricoperto di tatuaggi scivolasse sulla pelle del biondo, lo accarezzò con calma e gli sorrise alzando un angolo delle labbra con un sentimento incolmabile negli occhi.

Va tutto bene.”

Quell’arto che non era mai riuscito a gestire dopo quel maledetto incidente lasciò una lieve carezza a quel volto leggermente ispido, una carezza carica di amore prima che le loro labbra si trovassero in un bacio casto.

Labbra contro labbra, un movimento lento e continuo, carne contro carne prima che gli animi si scaldassero e che anche le lingue, curiose, andassero alla ricerca della propria gemella mentre le loro mani si incontravano e, inconsciamente, si univano in quel bacio d’estate.

 

Fine.


Note Finali:
Eccoci giunti alla fine di questa mini long nata come un’unica OS, l’ho pubblicata a distanza di poco tempo perchè non ha senso altrimento, ce l’avevo scritta e dovevo pubblicarla in poche parole XD

Spero che vi sia piaciuta e di non avervi urtato in nessun modo, non ho mai parole giuste da scrivere quando finisco un progetto ma questa volta ci tengo a farvi sapere che volevo scrivere un continuo di questa cosa (sì cosa perchè mi rifiuto di pensarla come altro xD), un continuo in cui magari i due si scoprono un pochino di più e soprattutto si amano con il corpo e con la mente.

Quindi vedremo cosa ne salta fuori.

Essendo la mia prima SoulMate non so cosa ne sia uscito e ci tengo a sapere da voi com’è venuta, quindi sì amerei anche un messaggio privato con scritte poche parole vere.

Ormai sto scrivendo solo su di loro e, per il momento, non ho voglia di fermarmi quindi aspettatevi altre brevi storie su di loro.

Spero di essere rimasta IC perchè è la cosa che mi fa maggiormente paura, spero di aver reso un pò di giustizia a questa coppia ma soprattutto spero di essere riuscita a trasmettervi un pò di quello che volevo passarvi: amore.

Ok, non vi tratterrò ancora, se siete giunti fino a qui vi posso solo che ringraziare e sperare che vi sia piaciuta… quindi  G R A Z I E .

Alla prossima storia <3 



 

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