Mr. Kim

di mido_ri
(/viewuser.php?uid=324893)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ❝princess❞ ***
Capitolo 2: *** ❝intolerance❞ ***
Capitolo 3: *** ❝bon appétit❞ ***
Capitolo 4: *** ❝strawberry❞ ***
Capitolo 5: *** ❝interview❞ ***
Capitolo 6: *** ❝frappè❞ ***
Capitolo 7: *** ❝unexpected❞ ***
Capitolo 8: *** ❝pop corn❞ ***
Capitolo 9: *** ❝skyscraper❞ ***
Capitolo 10: *** ❝dizzy❞ ***
Capitolo 11: *** ❝twilight❞ ***
Capitolo 12: *** ❝sushi❞ ***
Capitolo 13: *** ❝wake up❞ ***
Capitolo 14: *** ❝revelation❞ ***
Capitolo 15: *** ❝together❞ ***
Capitolo 16: *** ❝hold me❞ ***
Capitolo 17: *** ❝my world❞ ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** ❝princess❞ ***


princess

 

A volte penso che mi basterebbe un po' di silenzio per stare bene, ma no, non è possibile. O almeno non qui, non ora.

- Ally, che diavolo stai scrivendo?

Sbuffai e chiusi il diario con un movimento brusco della mano.

- Ci conosciamo da anni, Felix. Dovresti saperlo.

- Brr! Hai ragione, ma non ricordavo che fossi così fredda.

Tentai di concentrarmi sulla lezione, con la motivazione che almeno era l'ultima ora. Nel frattempo il mio compagno di banco, nonché mio secolare e insostituibile migliore amico, continuava a scimmiottarmi scrivendo frasi romantiche sul banco. Non me la presi, ero abituata. Proprio perché era il mio migliore amico, poteva prendermi in giro quanto voleva: sapevo che lui era l'unico in grado di capirmi. Non che ci fosse chissà cosa capire, fondamentalmente ero un libro aperto. Un libro molto noioso. E se non fosse stato per lui, che aveva portato nella mia vita tutta la vivacità di cui era in possesso, la mia attività giornaliera sarebbe stata pari a quella di un vegetale.

L'ultima campanella suonò e tutti gli studenti si alzarono emettendo un sospiro di sollievo all'unisono, me compresa. Non vedevo l'ora di tornare a casa e stare a mollo nella vasca da bagno per almeno quaranta minuti. Ma Felix rovinò tutti i miei piani, come era suo solito.

- Stasera hai da fare?

- Perché?

Risposi, mentre tentavo in tutti i modi di infilare un enorme raccoglitore nell'armadietto.

- Perché penso proprio che dovresti venire a casa mia.

- A fare?

Felix sbuffò sonoramente e sbatté l'anta del suo armadietto, nonostante fosse vuoto come sempre.

- La principessa non può lasciare il castello stasera?

Mi lasciai sfuggire una risatina a cui non seppi dare un senso neanche io. La realtà era che mi infastidivano quelle sue continue allusioni a quanto fosse ricca la mia famiglia e, di conseguenza, anche io. Naturalmente lui non pronunciava quelle parole con malizia, ma era capace di mettermi sempre a disagio: sapevo che la sua condizione era ben diversa dalla mia, anzi, completamente opposta. Ma io non potevo farci nulla e, al contempo, lui non cercava la mia compassione.

- Questa sera la principessa è disponibile per il suo ammiratore, ma desidera fare un bagno caldo prima di uscire.

Il biondo sorrise e si beccò una carezza sul capo da parte mia.

- Scusa, dimenticavo che sei una ragazza.

- Sta' attento a come parli. Posso essere molto più virile di te, quando voglio.

Una volta a casa, feci come promesso a me stessa. Non persi neanche un secondo prima di cominciare a riempire la vasca da bagno e spogliarmi. 
L'acqua era calda e piena di bolle, come piaceva a me. Era da tanto che non dedicavo un po' di tempo a me stessa e, visto che il sabato mattina la scuola era chiusa, potevo farlo con tutta calma soltanto il venerdì sera. Salvo imprevisti o Felix.

Allungai un braccio e afferrai il cellulare che avevo lasciato sullo sgabello accanto alla doccia; a scuola non avevo avuto modo di accenderlo, neanche a pranzo. Tutto per colpa dell'interrogazione di chimica che mi aveva costretto a ripetere in ogni attimo di libertà, perfino in bagno. 
Trovai svariate notifiche da applicazioni dimenticate ed e-mail di pubblicità. Nulla di nuovo. D'altronde era comprensibile, non avevo amici al di fuori di Felix; non perché fossi antipatica o considerata sfigata, o almeno non da tutti, ma perché stavo bene così. Felix era il fratello che avevo sempre desiderato e, allo stesso tempo, il migliore amico che potessi trovare. Sorrisi: non lo avrei abbandonato per nulla al mondo. Nulla.

---

Mi sistemai la treccia sulla spalla un'ultima volta, mentre attendevo che il mio amico aprisse la porta. Il vento era gelido e gli alberi spogli gettavano ombre inquietanti sul vialetto davanti alla casa.

- Eccomi!

Esatto, eccolo. Il solito Felix già in pigiama alle nove di sera, con del ramen confezionato in una mano e delle bacchette di legno nell'altra.

- Attento alla salute come sempre, eh?

- Stasera non ho voglia di cucinare!

- Che strano. Dici così ogni volta che vengo a trovarti.

Mi chiusi la porta alle spalle e mi accomodai sul divano, posizionato di fronte al televisore acceso e connesso a un canale che trasmetteva un bizzarro survival show.

- Ne vuoi un po'?

Il biondo prese posto accanto a me con un tonfo e riprese a mandar giù quegli strani spaghetti speziati.

- Lo sai che non mi piace quella roba.

Si mise una mano sul cuore e finse di essere sconvolto.

- Smettila di offendere la mia cultura.

- Quale cultura? Sei più americano di me, devo ricordarti il modo imbarazzante in cui parli?

- Oh, scusami. Non ho ricevuto un'educazione perfetta come la tua.

Alzai gli occhi al cielo e gli circondai le spalle con un braccio.

- Brr! Non ricordavo fossi così freddo.

Rise con me e appoggiò il capo accanto al mio.

- Allora, cosa vuoi guardare?

- Mi hai invitato per guardare la televisione?

Felix mise il broncio e posò la confezione ormai vuota sul tavolino di fronte al divano.

- Volevo un po' di compagnia e...

- Sì, lo so. Da quando Vernon si è fidanzato non ti calcola più.

- Già... Neanche per le partite online il venerdì sera, ti rendi conto?

Gli rivolsi uno sguardo sinceramente dispiaciuto e gli accarezzai la schiena con delicatezza.

- Ma ti vuole ancora bene. E nel dubbio... C'è la tua adorata principessa.

- Credici!

Mi morse un braccio e mi spinse via, ritrovandosi però, poco dopo, un mio piede sul viso.

- Ah! Che schifo! Almeno li hai lavati?

- Sì! Ho fatto il bagno poco fa, non ricordi?

- Ah, giusto. A proposito, non hai cenato, vero?

- No, ma sono a dieta.

Felix scosse la testa, manifestando il suo totale disaccordo.

- Non sei grassa.

- Ehi! Infatti non ho mai detto di esserlo... Ma qualche chilo in meno mi farebbe comodo.

- Ah... Le ragazze. Pensa a quando sarai così magra che le poche tette che hai spariranno. Roba da film horror.

- Dài!

Gli diedi un'ultima spinta con il piede, poi mi accoccolai con il capo sulle sue cosce e presi possesso del telecomando, mentre Inu - il tanto grazioso quanto fastidioso cane di Felix - continuava a leccarmi insistentemente una caviglia.

- Solo per stasera. Sono stato chiaro?

Cercai di trattenere una risata mentre gli davo una risposta affermativa.

---

Il mattino seguente mi risvegliai a causa di un dolore improvviso a una spalla, come se avessi ricevuto uno schiaffo. Poi sentii una botta.

Aprii gli occhi di scatto e vidi Felix a terra, che si massaggiava il fondo schiena con una mano, mentre nell'altra stringevda uno straccio per la cucina. Alzai le sopracciglia, confusa, ma allo stesso tempo pronta ad ascoltare lo stupido motivo per cui era finito in quel modo.

- Ti ho detto mille volte che il caffè ti dà alla testa. Dovresti berne di meno.

- Non è per quello! C'è una mosca!

Alzai gli occhi al cielo e mi lasciai sfuggire un verso di disperazione, rigettandomi sul divano.

- Scusa se ti ho sbattuto lo straccio addosso, ma si era posata sulla tua spalla...

- Okay, okay. Ci penserai più tardi. Che ne dici di fare colazione fuori?

Felix sgranò gli occhi e per qualche attimo pensai che mi sarebbe saltato addosso per la gioia.

---

- Ah! Baffi!

Il biondo indicò il mio viso imbrattato di schiuma di cappuccino e mi pulii immediatamente, imbarazzata.

- Potresti evitare di urlare davanti a tutti?

- Fammi indovinare. Ho una reputazione da portare avanti.

- Sì... una cosa del genere.

- Uhm... A proposito di vita sociale. Che fai stasera?

- Una delle solite cene di famiglia. Purtroppo questa volta non posso andarmene con la scusa di Sharon che ha un calo di zuccheri al parco.

- Magari puoi inventare che siete andate a finire in un fosso con la macchina.

- Ma non ha la patente!

- Forse perché non esiste? Non potevi inventare un'amica più inutile di lei.

- Grazie... E comunque è una cena importante. Non posso mancare.

Felix sbuffò e si lasciò andare sulla sedia, con il capo al di fuori dello schienale.

- Non puoi uscire con Vernon?

- Vernon? Figurati! Sarà impegnato con quella.

- E allora? Altre volte ti ha invitato a uscire con loro, no?

- Ah, sì? Grazie, ma non ci tengo a diventare un palo vivente.

- Come vuoi... Cercherò di tenerti compagnia per messaggio.

- Grazie, Ally. Ti adoro.

Mi mandò un bacio volante che ignorai prontamente.

---

- Allison, sei pronta?

Ero lì, davanti allo specchio, vestita in modo impeccabile e, naturalmente, anche in una posa impeccabile. Non più Ally, ma Allison Harvey, l'ereditiera di una delle imprese più fruttuose del continente. Una maledetta azienda di giocattoli che da bambina ammiravo e di cui sarei voluta divenire capo al più presto. Ma quella passione era svanita piuttosto in fretta non appena avevo realizzato quanto fosse complesso e sfiancante gestire un'impresa e non vedevo l'ora di fuggire da quel triste futuro, sebbene la considerassi una cosa più che difficile. 
Qualcuno bussò alla porta e non ci fu bisogno di chiedere chi fosse; era indubbiamente mia madre che reclamava la mia presenza in soggiorno.

Era da un po' di tempo che i miei genitori non invitavano qualcuno a cena e, tutte le volte che accadeva, era come se stessero accogliendo la regina in persona in casa loro. Solitamente eravamo noi a essere invitati ovunque, dal momento che molti imprenditori non vedevano l'ora di fare affari con la grande azienda di mio padre. E io, come loro figlia, venivo sballottata ovunque e costretta a partecipare a noiosissime cene, durante le quali usare la forchetta sbagliata mi sarebbe costato la paghetta per un anno intero.

- Tesoro, sei bellissima. Ma penso che questo vestito non si abbini con il contesto.

- Il... contesto?

- Sì, certo!

La donna alzò gli occhi al cielo e allargò le braccia, come a voler sottolineare una cosa già ovvia.

- Preferirei che indossassi un vestito più scuro, magari sul blu. Sì, decisamente. Si abbinerebbe perfettamente con i fiori che ho comprato ieri.

Feci scorrere gli occhi sul mio vestito rosa, che effettivamente mi stava malissimo; ma ricordavo ancora le parole di mia madre quando me lo aveva comprato, ossia che avrei dovuto metterlo in un'occasione importante. 
Ma a quanto pareva aveva cambiato idea, quindi scrollai le spalle e le feci cenno di uscire. 
Sbadigliai ampiamente mentre guardavo la mia immagine riflessa nello specchio. Il vestito blu mi stava decisamente meglio, anche se mi metteva parecchio a disagio: avevo la schiena scoperta, e uno scollo fin troppo evidente, per non parlare degli strati di tessuto in tulle trasparenti. Ma era quello che mia madre voleva, e avrei fatto di tutto pur di non sorbirmi le sue inutili lamentele e far passare in fretta quella serata.

Inutile dire che, quando arrivai in soggiorno, mia madre mi rivolse un caloroso applauso con un sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra.

- Ma guardati! Ormai hai imparato a vestirti e truccarti da sola... Sembri proprio una principessa!

"Ci credo. Dopo anni e anni passati a tenermi in ostaggio nella tua cabina armadio... "

- Il nostro ospite sarà qui a momenti, avresti anche potuto sbrigarti però!

Si avvicinò sbattendo i tacchi vertiginosi sul pavimento da poco tirato a lucido e mi diede una sistemata ai capelli fuori posto.

- Il nostro ospite? Pensavo...

- No, no. Tesoro, questa volta non si tratta della solita famiglia noiosa che vuole immischiarsi negli affari di tuo padre. Riceveremo un uomo molto importante e voglio che sia tutto perfetto.

- Oh, avresti potuto dirmelo! Non avevo capito.

- Lo so, ma non volevo metterti pressione addosso. Per questo non ti sono stata con il fiato sul collo come faccio di solito, so che è stressante.

Tirai un sospiro. Mia madre, per la prima volta nella sua vita, aveva riconosciuto il suo fastidiosissimo modo di fare e si era posta dei limiti, ma ciò non aveva contribuito a farmi stare meglio, anzi, ero ancora più ansiosa. Non ero pronta e l'idea che un mio errore, seppur minimo, avrebbe potuto far crollare gli affari fra mio padre e quell'uomo, mi terrorizzava. 
Presi a camminare avanti e indietro nella grande sala da pranzo per smaltire il nervosismo, facendo finta di ammirare la disposizione dei tovaglioli sul tavolo. Quando il campanello suonò, mi fermai all'improvviso e strinsi leggermente i pugni. Sentii mia madre avvicinarsi alla porta di corsa e poi esclamare qualcosa.

- Benvenuto, Signor Kim! Sono molto onorata di riceverla questa sera. Prego, mio marito la sta aspettando nella sala da pranzo.

Ruotai gli occhi e rivolsi uno sguardo confuso a mio padre, intento a osservare il suo orologio da polso, acquicstato poche ore prima.

"Kim? Chi diamine è? Pensavo fosse un uomo importante"

Non avevo mai sentito parlare di un collaboratore di mio padre con quel cognome, nonostante di Kim nel mondo ce ne fossero a bizzeffe. E io conoscevo il novanta per cento degli affari dell'azienda di mio padre, visto che partecipavo a tutti gli incontri. 
Mi lasciai andare su una delle sedie e sbuffai. Si trattava sicuramente del solito individuo serio e noioso, il cui unico interesse era stendere gli artigli sui guadagni di mio padre. Quel cognome non mi diceva niente, o almeno così pensai finché non vidi il nostro ospite fare il suo ingresso nella sala.

- Venga, Signor Kim. Si accomodi, la cena sarà servita a momenti.

La figura di mia madre, stranamente tesa e insicura, fu seguita da quella di un uomo alto, con i capelli scuri e le spalle molto ampie -prima cosa che notai-.

"Signor Kim? Quel tizio avrà sì e no tre anni in più di me! Come diavolo fa a essere il CEO di solo-lui-sa-cosa?"

Purtroppo il galateo che i miei genitori mi avevano premurosamente insegnato, mi impediva di rimanere lì seduta ad aspettare che qualcuno mi mettesse del cibo nel piatto, quindi mi alzai indossando il sorriso più falso che trovai in repertorio e mi presentai all'attesissimo ospite. 
Ogni parte del suo corpo sembrava recitare la parola noioso; eccetto le sue spalle larghe. 
E i suoi occhi neri e profondi. 
E le sue labbra carnose. 
E un sorrisetto ammiccante stampato sulla sua faccia. 
E naturalmente anche la sua pelle liscia e bianca come l'avorio.

- È un grande piacere conoscerla, Signor Kim. Sono Allison Harvey.

- Il piacere è tutto mio, Allison.

Okay, quel Kim era davvero un gran bel pezzo d'uomo ma, come tutti, era sicuramente noioso e interessato soltanto al lavoro. 
E poi, che diavolo aveva da guardare? Potevo sentire il suo sguardo trafiggermi la schiena quando mi voltai, anche se non lo vedevo.

Finalmente mia madre mi diede il via libera per sedermi con uno sguardo angosciato ma, prima che potessi anche solo toccare la spalliera della sedia, l'uomo percorse la distanza che ci separava con un solo passo e trascinò indietro l'oggetto, invitandomi a prendere posto. 
Tentai di ringraziarlo, ma dalla mia bocca uscì soltanto un suono rauco e indistinto. E pensare che mettevo la sciarpa ogni giorno. 
Lui sembrò aver capito lo stesso e mi fece l'occhiolino.

"L'occhiolino? Questo metodo di abbordaggio risale al duemilasette. Ma andiamo! Però... Che gambe lunghe!"

Ringraziai la natura del fatto che gli uomini non avessero il dono di leggere nella mente, così il mio bipolarismo poteva manifestarsi in tutta tranquillità.

Smisi di pensare a tutte quelle cose futili, in particolare alle enormi mani del signor Kim, quando mia madre mi mise sotto il naso uno dei piatti che preferivo di più. Purtroppo il già nominato galateo mi impediva anche di fiondarmi sul cibo come un cane randagio, perciò mi armai di forchetta e coltello e cominciai a tagliare in piccoli pezzi la mia gloriosa bistecca.

- Allora, Kim, ho sentito che gli affari vanno a gonfie vele nella tua azienda, nonostante sia nata da poco.

- Oh, per favore, signor Harvey. Mi chiami pure Jin.

- Jin?

- Se ricorda bene, il mio nome completo è Kim Seok-Jin.

Mio padre sorrise e rivolse al suo ospite uno sguardo amichevole.

- A questo punto credo non ci sia bisogno di dirti che puoi chiamarmi Michael.

L'uomo annuì con apparente divertimento e addentò il suo ultimo boccone, non prima di avermi rivolto l'ennesimo sguardo indecifrabile. 
Cavolo, era sexy anche mentre masticava una foglia d'insalata non condita. 
Troppo presa dal fare quegli apprezzamenti mischiati a un pizzico di scetticismo, il boccone mi andò di traverso e cominciai a tossire. Sembrava che la mia lingua fosse in preda agli spasmi e la gola mi andava a fuoco. 
Fu nel momento in cui mia madre si alzò con i capelli fra le mani e un'espressione sconvolta, che capii che non mi era affatto andato il boccone di traverso.

- Ma... Mamma...

Lanciai un'ultima occhiata disperata al mio piatto, prima di ricominciare a tossire e a sventolarmi la faccia con le mani. 
Mi permetti i palmi contro le guance e percepii che erano orribilmente e spaventosamente gonfie. 
Ero in preda al panico e non riuscivo a far altro che continuare a toccarmi ovunque ed emettere strani versi simili a un lamento. 
La testa cominciò a girare vorticosamente, poi mi si offuscò la vista. Sentii mia madre parlare frettolosamente, molto probabilmente con il pronto soccorso. Poi più niente.

---

Mi risvegliai ignara di tutto, in una stanza sconosciuta e schifosamente bianca. Mi voltai, una luce opaca trapelava da un paio di tendine verdi. Sbattei le palpebre più volte e sentii una fitta alla testa. Tentai di portarmi una mano alla fronte, ma qualcosa me lo impedì. Un piccolo ago infilato nel mio polso sinistro. Fui colta da un conato di vomito, detestavo le siringhe, ma la prospettiva di sfilarmi quella roba dalla pelle di mia iniziativa era ancora più spaventosa, quindi la lasciai lì.

Non ci misi molto a comprendere che ero in un ospedale, ma ero ancora troppo stordita per capirne il motivo.

Sussultai quando qualcuno bussò alla porta, poi sentii una voce ovattata. Pochi secondi dopo Felix si catapultò nella stanza con un mazzo di rose appassite in mano.

- Ally! Ma allora sei viva!

- S-sì...

Una voce rauca e debole uscì dalla mia bocca, era come se non parlassi da giorni.

Il ragazzo appoggiò i fiori sul comodino e si sedette sul bordo del letto, squadrandomi da capo a piedi con i suoi enormi occhi castani.

- Non hai mai visto una ragazza in ospedale?

- Non una così bella.

Feci finta di essere sul punto di vomitare, anche se non si trattava del tutto di un'improvvisazione.

- Scherzavo, principessa. Come stai?

- Bene, anche se... Oddio.

Ecco. Il punto di non ritorno. 
Avevo appena ricordato il motivo per cui mi trovavo lì.
Una reazione allergica. 
E il signor Kim. 
Una reazione allergica davanti al signor Kim.

Felix spalancò gli occhi con aria curiosa e inclinò la testa di lato come a fare una domanda silenziosa. Una delle sue tante abitudini.

- Mia madre ha attentato alla mia vita!

Alzai le mani in modo teatrale e le lasciai ricadere sul letto subito dopo.

- Ma dài, sarà stata una distrazione!

Il biondo si soffermò un attimo a pensare, tenendosi il mento fra le mani, mentre io mi figuravo la scena della mia morte sociale ripetutamente.

- E poi, chi ha mai sentito parlare di una persona americana allergica alle noccioline?

- Che vorresti dire?

- Che non sei americana! Mi hai mentito per tutti questi anni, ammettilo, traditrice.

Sbuffai e ruotai gli occhi. Era raro riuscire a sostenere una conversazione seria con Felix, ma ero abituata.

- Dovresti provare il cibo coreano.

- Felix, non spacciarti per coreano soltanto perché i tuoi genitori lo sono. Mangi più schifezze di me e non sai nemmeno come sia fatto il cibo del tuo paese.

Il ragazzo accettò la sua sconfitta silenziosamente; ormai avevo perso il conto di tutte le volte in cui era stato costretto a darmi ragione.

- Be', magari la prossima volta che tua madre prepara da mangiare, ricordale che potrebbe ucciderti con mezza nocciolina. Anche se non sarebbe un male...

Il biondo incorniciò il proprio mento con indice e pollice, con finto fare pensieroso, poi sorrise mostrando tutti i denti bianchi e perfettamente allineati. Mi venne voglia di saltargli addosso e stritolarlo, ma era raro che cedessi a quei pochi attacchi d'affetto improvvisi, e in quel momento non ero affatto nelle condizioni adatte. La testa mi faceva malissimo e avevo soltanto voglia di sotterrarmi -più che altro per la figuraccia che avevo fatto con quello sconosciuto di cui, tra parentesi, non mi importava un fico secco-.

- Bene!

Felix si alzò e si batté i palmi sulle cosce.

- C'è tua madre qua fuori, mi sa che vuole vedere di nuovo come stai.

- Chissà, magari mi ha portato un bel pacco di noccioline tostate per festeggiare.

Ridemmo entrambi, poi rimasi sola.

---

- Oh, tesoro! Non hai idea di quanto sia dispiaciuta! Lo sai che non avrei mai fatto una cosa del genere volontariamente...

Alzai gli occhi al cielo mentre sbattevo la portiera dell'auto con la mia solita delicatezza. Entrai in casa con mia madre alle calcagna che continuava a sputare scuse di ogni tipo finché, dopo aver constatato che mi aveva seguito fino alla porta della mia stanza, mi voltai con gli occhi tanto spalancati da farla sussultare.

- Mamma, sono ancora viva, okay? So che non lo hai fatto di proposito, ora vorrei riposare, grazie.

Mi voltai di scatto, pronta a solcare l'uscio e a buttarmi a peso morto sul letto, ma mia madre mi richiamò con esitazione, ancora intimidita dalla mia precedente reazione.

- Tesoro... Oggi è venuto il corriere, o qualcosa del genere. Ti ha lasciato un pacco da parte di non so chi.

- Che vuol dire "un corriere, o qualcosa del genere?"

- Be'... Non ho mai visto un corriere con un completo elegante uscire da una limousine, sembrava quasi un agente di quelli che si vedono nei film d'azione...

In quel momento potevo giurare di aver visto gli occhi di mia madre assumere la forma di due cuori e, come impulso naturale, feci finta di essere disgustata dalla sua reazione.

---

Raggiunsi il mio letto tenendomi la testa dolorante fra le mani. Sul copriletto rosa era poggiato un pacco ben assicurato da più strati di nastro adesivo.

Rimasi imbambolata a fissarlo per qualche secondo, con le sopracciglia alzate, chiedendomi per quale motivo al mondo qualcuno avesse sentito la necessità di farmi un regalo. Poi mi sedetti sul bordo del letto e allungai una mano verso l'oggetto, continuando a guardarlo con tutto lo scetticismo che i miei occhi erano in grado di esprimere. Me lo rigirai fra le mani finché non mi decisi ad aprirlo. 
Ci misi un bel po' a rimuovere tutto quello scotch e quel cartone, imballato con così tanta cura che pensai che la scatola potesse contenere qualcosa di fragile.

Ma rimasi profondamente delusa quando mi ritrovai fra le mani una confezione formato famiglia di noccioline tostate.

"Ma mi stai prendendo in giro?"

Lanciai la busta dall'altra parte della stanza e la osservai schiantarsi contro il muro, per poi ricadere a terra intatta. Ripensai alla conversazione avuta con Felix nella stanza d'ospedale e mi sentii ribollire di rabbia.

"Quell'idiota ha davvero..."

Ma mi sbagliavo di grosso perché, non appena il mio sguardo si posò sul pacco apparentemente vuoto, notai un bigliettino nell'angolo.

---       

---

Ciao! Questa è la mia prima storia su un membro dei BTS, inutile dire che ho scelto Jin perché è il componente a cui mi sento più vicina e poi... Non ci si stanca mai di Jin in smoking. 
Spero che questa idea vi stia piacendo. Inoltre, non fateci caso se il biglietto è scritto in inglese, nella foto ho voluto "riprodurre" la scena e poiché i personaggi vivono in America, ho deciso di fare così!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** ❝intolerance❞ ***


 

intolerance

 

Dalla mia bocca uscì il verso più duro e gutturale che una ragazza potesse emettere. Non potevo vedere la mia immagine riflessa, ma in quel momento ero più che sicura di avere il viso paonazzo. Strinsi il pugno, facendo accartocciare il piccolo pezzo di carta sotto la pressione del mio palmo, poi riaprii la mano e lo strappai in mille pezzi. Sperai davvero che nessuno mi avesse sentito lamentarmi in quel modo, altrimenti avrei perso anche quel briciolo di femminilità su cui mamma faceva affidamento.

Non potei fare a meno di afferrare il cellulare e digitare il numero di Felix, che ormai ricordavo con molta più facilità rispetto al nome con cui lo avevo salvato in rubrica. La sua voce grave non tardò a farsi sentire e gliene fui immensamente grata, dopodiché iniziai a sbraitare con tutta la ferocia che avevo in corpo, convinta di suonare come un'oca starnazzante alle orecchie del mio amico.

- Frena, frena. Chi diavolo è Jin?

Naturalmente, come mi accadeva spesso, per la foga avevo dimenticato di inserire in un contesto tutto ciò che avevo detto.

- Ci credi se ti dico che non lo so neanche io? È il CEO di non so quale azienda ed è davvero insopportabile.

- Lo credo! Ha cercato di uccidere la mia principessa...

Un brivido attraversò il mio corpo. Ormai ero più che consapevole del fatto che non avrei più tollerato quel soprannome a causa di Kim Seokjin. Tra l'altro, come diavolo facevo a ricordare il suo nome completo?

- Felix, ti proibisco di chiamarmi così.

- Ma... Ti ho sempre chiamato principessa...

Di nuovo quel brivido che mi fece rizzare i capelli sulla nuca.

- Ehm... Sì, ma da oggi ho deciso che mi dà fastidio.

Il biondo sbuffò, la tristezza udibile nella sua voce.

- Ritornando al discorso di prima... Credi che quel tizio stia cercando di uccidermi?

- Con delle noccioline?

- Ma se lo hai detto anche tu!

Potei immaginare Felix alzare gli occhi al cielo.

Ovviamente scherzavo.

- Ma questa cosa avrebbe senso! Insomma, io sono la figlia del CEO dell'azienda di giocattoli più famosa del continente, inoltre il mio cognome è conosciuto anche in Europa!

- Sì, sì, risparmiami la parte che conosciamo tutti.

- Felix! Collabora!

Il ragazzo sbuffò e sentii un cigolio. Probabilmente si stava alzando dal letto.

- Che ne dici di uscire un po'? La roba che c'era nelle flebo deve averti dato alla testa.

Balzai in piedi emettendo un verso simile a uno squittio e mi fiondai verso l'armadio. Non ero per nulla stanca, dopotutto l'effetto di quella reazione allergica non era stato poi così drastico. Ciò che mi aveva buttato giù era stato ben altro.

---

Dopo circa dieci minuti, Felix era già di fronte alla porta della mia camera con un giubbino troppo grande per lui e un'espressione sarcastica stampata in viso. E lo adoravo per essere arrivato così presto.

- Si vede che questa sera non c'è nessuna cena con il CEO delle noccioline.

Mi squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulle mie adoratissime Crocks viola.

- Be'? Fino a prova contraria sei tu quello che mi considera una principessa, io non ho mai avuto intenzione di comportarmi come tale.

Gli rivolsi un sorriso forzato e lo spinsi fuori dalla stanza, prima che potesse criticare qualsiasi altro aspetto del mio abbigliamento.

---

Contrariamente a come mi aspettavo, Felix non menzionò affatto ciò che era accaduto la sera precedente, ma mi portò in giro come se fossi stata la sua sorella più piccola; mi offrì addirittura un gelato alla fragola, anche se c'era un forte vento e le nuvole grigie minacciavano la città all'orizzonte.

- Cavolo, sono i miei.

Il biondo strinse gli occhi e fece il broncio mentre cercava di infilare il cellulare in un tasca del giubbotto.

- Sono tornati?

- Già, e vogliono sapere perché non ero a casa ad aspettarli.

Lo costrinsi ad andare dai suoi genitori nonostante i suoi tentativi di riaccompagnarmi a casa. 
Mi strinsi nelle spalle e rabbrividii, di lì a poco avrebbe cominciato a piovere.

Infatti, neanche due minuti dopo, mi ritrovai zuppa d'acqua come se qualcuno mi avesse messo un soffione in testa. Imprecai e sbattei i piedi a terra, rifugiandomi sotto il portico di un enorme palazzo, che fino a pochi mesi fa era ancora in costruzione. Appoggiai la testa al portone e sospirai, la mente che vagava alla ricerca di un modo per ringraziare il mio migliore amico. Negli ultimi tempi ci pensavo moltissimo: lui non esitava a starmi dietro in qualsiasi momento e a tirarmi su il morale, nonostante io continuassi a correre da una parte all'altra per via degli affari dei miei genitori. Odiavo dover essere già immersa in quel mondo sebbene fossi ancora una diciassettenne. Avrei tanto voluto fermarmi e dedicare un po' di tempo a Felix. Forse l'unico motivo per cui non mi aveva mandato a quel paese era perché non voleva stare solo. Già, perché anche lui non aveva alcun altro legame a parte il nostro. Ma scacciai via quel pensiero scuotendo la testa. Era impossibile che stesse con me soltanto perché non aveva nessun altro, la nostra forte amicizia andava avanti dal primo anno delle scuole medie. 
Il rombo di un tuono mi destò da quei pensieri, facendomi sobbalzare e squittire come un topo in trappola. Odiavo essere zuppa d'acqua piovana e, soprattutto, odiavo ritrovarmi nel bel mezzo di un temporale senza un ombrello. 
Gettavo costantemente occhiate nervose al display del cellulare, con la batteria quasi a terra. La pioggia non sembrava avere la minima intenzione di darmi tregua, neanche il tempo di prendere un taxi per farmi accompagnare a casa. 
Sbuffai e cominciai a sbattere i piedi a terra freneticamente per far diffondere un po' di calore nelle mie gambe intorpidite. Guardai per l'ennesima volta lo schermo del telefono, che però si spense definitivamente sotto i miei occhi.

- Grandioso!

Pensai a quanto fosse triste essere fuori casa da sola; era in momenti come quelli che sentivo maggiormente la mancanza di qualche amico in più. Non potevo certamente fare uno squillo a Felix ogni volta che mi sentivo giù e farlo correre a consolarmi. Ma mi si scaldò il cuore pensando a quanto sarebbe stato divertente averlo lì in quel momento; mi avrebbe intrattenuto con le sue battute da padre con la crisi di mezza età e probabilmente si sarebbe messo a saltellare sotto la pioggia, ridendo come un bambino. 
Misi il broncio e mi appiattii ancora di più contro il portone, perché a causa del vento la pioggia aveva cambiato direzione e mi finiva letteralmente in faccia. I miei nervi non erano mai stati molto saldi e non avrei resistito ancora a lungo. Ora che anche il mio telefono mi aveva abbandonato, ero completamente esclusa da qualsiasi tipo di rapporto umano.
All'ennesima folata di vento che mi schizzò un litro d'acqua in faccia, cominciai a imprecare contro il cielo oscurato dalle nuvole, tanto nessuno mi avrebbe sentito con il fragore dei tuoni. E in ogni caso non c'era nessuno in giro. Ero l'unica idiota sotto la pioggia.

- Hai bisogno di una mano, principessa?

Per una frazione di secondo il mio cervello mi tirò un brutto scherzo, registrando quella frase come se fosse stata pronunciata con la voce di Felix. Ma dentro di me sapevo benissimo che non poteva essere così. Felix in quel momento era a casa. E c'era soltanto un'altra persona che osava chiamarmi così.

Mi voltai di scatto con gli occhi sgranati per la paura, ma mi ritrovai di fronte soltanto un petto enorme, rischiando di sbattervi la fronte. Alzai la testa, dal momento che quell'uomo era più alto di me. I suoi occhi erano neri come la pece e lucidi per via del vento. Le sue labbra carnose erano piegate in un sorriso indecifrabile. Nella mano sinistra stringeva il manico di un ombrello, nell'altra una tessera magnetica. Sembrava essere appena tornato dal lavoro, dal momento che indossava un abito elegante, molto simile a quello che aveva indossato la sera della cena.

- S-signor Kim...

Avrei voluto inchinarmi e gridargli che mi aveva salvato la vita, ma il ricordo del pacco di noccioline riemerse nella mia mente, facendomi quasi uscire il fumo dalle orecchie per la rabbia. Incrociai le braccia e serrai la mascella. L'uomo, che aveva già allungato l'ombrello verso di me per ripararmi dagli schizzi d'acqua, assunse un'espressione leggermente perplessa, ma non si scompose.

- Non ho bisogno di nulla. Adesso vado a casa.

Tirai su con il naso a mo' di bambina indispettita e mi avviai sotto la pioggia, mentre il sangue continuava a ribollire nelle mie vene. Non mi voltai a guardare l'uomo, ma ero più che certa che fosse sconvolto dal mio comportamento. 
Effettivamente non c'era motivo per cui quel gesto avrebbe potuto significare una vittoria per me, ma avrei fatto di tutto pur di non dare soddisfazioni a quell'uomo.

Mentre battevo i piedi a terra freneticamente nel tentativo di arrivare a casa al più presto, la mia mente continuava a ritornare a ciò che era accaduto poco prima. Com'era possibile che non mi fossi accorta che Kim Seokjin si era avvicinato? Chissà da quanto tempo era rimasto lì a fissarmi e ad ascoltarmi imprecare. Dovevo essere risultata davvero ridicola quando avevo gridato per la paura dopo essermi accorta di lui. Ma, cosa più importante, come avevo fatto a non rendermi conto di essere davanti al palazzo della EnJINe
Era l'azienda del signor Kim, che suo padre aveva fatto costruire appositamente per lui nel centro di New York. Ma non mi aspettavo che si trovasse in una delle strade meno frequentate, dove io e Felix eravamo soliti andare insieme. Eppure lui e mio padre ne avevano parlato tutta la sera fino allo sfinimento. Di lì a poco una nuova marca di auto avrebbe fatto il suo debutto nel continente americano e, visti gli allacci della famiglia Kim, anche in Asia. 
Mi morsi un labbro con forza. Se solo avessi letto la scritta a caratteri cubitali sulla facciata dell'edificio avrei evitato tutto quel casino e mi sarei riparata nella pasticceria di fronte.

---

- Tesoro, non hai fame stasera?

Lasciai cadere la forchetta nel piatto e mi alzai facendo strisciare la sedia sul pavimento. In quel momento non m'importava niente delle buone maniere, il mio sistema nervoso non aveva ancora smaltito la precedente rabbia. E forse non lo avrebbe mai fatto. Non sapevo neanche perché odiassi Kim Seokjin così tanto, al punto che neanche cinque minuti dopo mi ritrovai seduta sul letto a porre la stessa domanda a Felix, mentre muovevo i piedi sotto la borsa dell'acqua calda. Mi ero sicuramente beccata la febbre. Fortuna che al mio rientro, mia madre non era lì per farmi la ramanzina, quindi avevo avuto il tempo di asciugarmi per bene.

- Ally, sarò molto diretto. Quel Kim Qualcosa ti piace.

- Cosa?!

Scoppiai in una risata isterica che terminò in una tosse di cui io stessa mi stupii.

- Ricordi la tua cotta in prima media?

- Quell'idiota di Johnny! Ricordami ancora come faceva a piacermi!

Appunto. Hai sempre questa tendenza a odiare le persone che ti piacciono.

- Ma io non ti odio!

- Non intendevo in quel senso.

Forse Felix poteva aver avuto ragione con Johnny, ma era da pazzi pensare che Kim Seokjin sarebbe potuto anche lontanamente entrare nelle mie grazie.

- Felix, stai delirando.

- Non c'è nulla di strano nell'avere una cotta per un uomo ricco, affascinante e ricco.

- Hai detto ricco due volte.

- Davvero?

Potevo percepire dell'ironia nel suo tono, ma dopo così tanti anni di amicizia avevo imparato a ignorarlo.

- E comunque non c'è nessun motivo al mondo per cui potrebbe piacermi quel... Quell'uomo.

- Te li ho appena elencati.

- Ha provato a uccidermi!

- Ma è ricco!

Sbuffai e riattaccai. Avrei chiesto a Felix scusa di persona l'indomani. In quel momento volevo soltanto raggomitolarmi fra le coperte senza a pensare a quel Kim o a qualsiasi uomo asiatico, ricco e tremendamente affascinante.

"Oddio, l'ho pensato davvero"

Mi sbattei il cuscino in faccia e presi a cazzotti il materasso più volte, poi mi misi seduta a gambe incrociate cominciando a recitare come un mantra di non avere una cotta per Kim Seokjin. Insomma, non lo conoscevo neanche! E aveva provato a uccidermi con delle noccioline tostate. Cosa che non dovevo assolutamente dimenticare.

---

- Hey, All-

- Scusami! Lo sai che ti adoro e non ti farei mai soffrire!

Stritolai Felix in un abbraccio in grado di frantumare le ossa.

- Ahi... Tranquilla. Ti ricordo che sono sopravvissuto alla fase Johnny. Supererò anche questa.

Il biondo si beccò una gomitata nelle costole. Soltanto dopo quella scenata mi accorsi che c'era anche Vernon accanto a lui.

- Oh... Ehm... Ciao, Vernon.

In qualche modo me la cavai con un sorriso forzato, pronta a uscire di scena e ad andare a lezione.

---

Forse se avessi smesso almeno per un attimo di chiedermi cosa avesse a che fare l'azienda di mio padre con un'azienda che progettava auto, mi sarei resa conto del fatto che la professoressa mi stava chiamando da un quarto d'ora.

- Ally!

Felix, il mio compagno di banco salvavita mi pizzicò un braccio, facendomi ritornare alla realtà.

- M-mi scusi... Io...

- Hai la faccia tutta rossa, sicura di stare bene?

Prima che potessi inventare una scusa poco credibile, il biondo mi precedette inventando che avevo la febbre. In realtà quello della sera precedente era stato un falso allarme, ma gliene fui comunque grata e accettai di farmi accompagnare in infermeria. 

- Allora?

Allora cosa?

Felix si fermò all'inizio del corridoio e si mise a braccia conserte, costringendomi a fermarmi.

- Ti conosco come le mie tasche. Sai che odio dimostrarti troppo spesso quanto ti voglio bene, ma odierei ancora di più vederti soffrire per mano di quell'uomo. Ally, sai meglio di me quanto siano superficiali e approfittatori gli uomini che lavorano a contatto con tuo padre, ormai ho perso il conto di tutti gli idioti che ci hanno provato con te soltanto per poter fare affari con lui.

- Felix, io...

- Ma non ti sei mai lasciata abbindolare dalle loro parole inutili e non hai mai dato una possibilità a nessuno di loro. Ed è per questo che ti ammiro. Quindi, per favore, non lasciare che una persona qualsiasi butti giù il muro che hai costruito con così tanta pazienza. 

Rimasi a bocca aperta. Felix non era mai stato così sincero con me, nonostante mi avesse dimostrato il suo affetto in diversi modi nel corso degli anni. E lo conoscevo abbastanza da comprendere che non c'era bisogno che rispondessi facendo un discorso altrettanto elaborato e toccante, aveva bisogno soltanto di una risposta positiva.

- S-sì... Sta' tranquillo. Ho chiuso con quel tipo.

Felix mi abbracciò in quel suo modo goffo che mi faceva sentire sempre al sicuro, nonostante tutto. Poi si spostò leggermente indietro per potermi guardare negli occhi e accennò un sorriso.

- Non sentirti responsabile, non è colpa tua se quel tizio è piombato nella tua vita senza prenotazione.

- Oh, qualcuno è arrabbiato perché un uomo ricco e affascinante - e ricco - ha saltato la fila?

Felix mise il broncio, ma non mi diede torto.

- È un gesto molto scortese. Un uomo importante come lui non dovrebbe trascurare queste cose. 

Scoppiamo a ridere entrambi, incuranti del fatto di essere soli nel bel mezzo di un corridoio durante l'orario di lezione.

---

Appoggiai gli auricolari sul tavolo, continuando a canticchiare la canzone anche se non sentivo più la base. Prima di rifugiarmi in camera per studiare, avevo deciso di fare una breve fermata in cucina per prendere qualcosa da sgranocchiare. Ma i miei progetti crollarono rovinosamente quando mia madre mi si parò davanti con entrambe le braccia rivolte in fuori.

- M-mamma? È la giornata mondiale degli spaventapasseri o stai cercando di dirmi qualcosa?

Ma la donna si limitò a chiudere le braccia e a emettere un lungo sospiro.

- Tesoro, scusami. Pensavo che fossi tuo padre.

- Ho così tanti peli sulla faccia?

Aprii l'anta del mobile in alto in cui mia madre era solita nascondere le merendine. Mi alzai sulle punte dei piedi e spinsi la mano in fondo fino a percepire la superficie di vetro del barattolo di Nutella. Un brivido percorse la mia schiena. Era sempre un momento così dolce e allo stesso tempo sensuale.

Sospirai con fare sognante e mi allungai ancora di più per poter afferrare il barattolo. 
Ormai il mio cervello si era disconnesso e si rifiutava di elaborare la voce di mia madre che mi entrava da un orecchio e usciva dall'altro. Ma una parola mi riportò alla realtà mentre ero intenta a mordere il mio toast alla Nutella. Anzi, un nome. Cominciai a tossire, ritrovandomi subito la mano della donna che mi sbatteva sulla schiena. Appoggiai il toast sul piano da cucina e mi diedi dei colpi sul petto con il pugno chiuso.

- Tesoro! Ma cosa ti è successo? Quante volte ancora devo dirti che bisogna mangiare lentamente?

- Cosa hai detto riguardo a quella cosa?

Quale cosa?

- K-K... Il signor...

Non riuscivo neanche a pronunciare quel nome, ero troppo sconvolta.

- Oh, sì! Vorrei tenere tuo padre alla larga dal salotto, sai, fra poco è il suo compleanno e il Signor Kim mi sta aiutando a organizzare un party nella sala più grande della nostra azienda, inaugurata la settimana scorsa!

Mamma batté le mani come una foca emozionata e mi diede un ultimo colpo sulla schiena.

- Party... Il Signor Kim e il nostro salotto...?

Mia madre alzò gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più strana del mondo non capire ciò di cui stava parlando.

- Il Signor Kim è in salotto e non voglio che tuo padre scopra cosa stiamo organizzando, è una festa a sorpresa! A proposito, fammi uno squillo quando papà torna da lavoro, d'accor-

Ma la donna non fece in tempo a finire di parlare, perché sbiancai nel giro di pochi secondi. Kim Seokjin si trovava nel mio salotto e stava amorevolmente aiutando a organizzare la festa di compleanno di mio padre che si sarebbe tenuta nella nostra azienda e a cui lui avrebbe sicuramente partecipato. 
Fui costretta ad aggrapparmi al piano da cucina, pensando in un primo momento che l'attacco di tosse fosse dovuto al mio livello di sconvolgimento mentale, ma realizzai che mi sbagliavo quando vidi mia madre scattare verso di me, facendo cadere a terra il mio adorato barattolo di Nutella, che si frantumò in mille pezzi. Assistei alla sua morte come se quel barattolo fosse stato il mio più caro amico, per un attimo pensai a Felix e i miei occhi si riempirono di lacrime. Ma il mio cervello mi ordinò di smettere di paragonare il mio migliore amico a un barattolo di Nutella e a concentrarmi su ciò che stava accadendo intorno a me: mia madre aveva un'aria preoccupata e chiamava il mio nome con tono disperato; mi teneva il volto con entrambe le mani con così tanta forza che rischiava di spezzarmi la mascella. Gemetti per farle capire che la persona in pericolo di vita non ero io, ma lei continuò a fissarmi imperterrita.

- Ally! Ma cosa diavolo ti salta in mente?! Non sai che nella Nutella ci sono le noccioline?

Il mio cuore perse un battito.

- Ma io... 

Non potevo crederci. Stavo davvero per separarmi dalla mia unica fonte di gioia.

- Mamma... Ma...

- Adesso capisco perché ogni volta che mangi quella roba soffri di mal di stomaco! A furia di farlo la tua intolleranza è peggiorata! Lo sai che potrebbero esserci delle conseguenze più gravi di un po' di gonfiore?

Ripensai alla sera della cena in cui la mia faccia si era gonfiata come un palloncino, a tal punto che pensavo di poter prendere il volo. Mi accasciai a terra ancora di più e sospirai rumorosamente. Mia madre aveva ragione: sapevo di avere una leggera intolleranza alle noccioline, ma non mi era mai importato più di tanto. E ora eccomi, costretta a dire addio a ciò che c'era di più caro al mondo.

- Signora Harvey? Tutto bene in cucina?

A sentire quella voce, mi si gelò il sangue nelle vene. Distratta dalla mia recentissima delusione amorosa, avevo trascurato un piccolo particolare: Kim Seokjin era nel mio salotto. Prima che l'uomo potesse anche solo intuire la mia presenza, mi alzai da terra e mi catapultai nella mia stanza alla velocità della luce. Chiusi la porta con un tonfo e vi appoggiai le spalle; avevo il fiatone e la tosse non si era ancora decisa a darmi un attimo di tregua. Eppure non ero del tutto sicura che quel pericolo fosse scampato: il Signor Kim non era stupido, aveva sicuramente compreso che era successo qualcosa, e mia madre, come suo solito, gli avrebbe spifferato tutto, con tanto di secondo attacco allergico.

---

- Ti rendi conto?!

Sbattei la testa sul tavolo della mensa e mi lasciai sfuggire un sonoro lamento di disperazione.

- Ally... Sai...

- Non cominciare con i tuoi discorsi moralistici! Lo so che potrei spalmare anche la marmellata sui toast, ma non è assolutamente la stessa cosa! La Nutella è insostituibile.

Mi rimisi seduta in modo composto e con le braccia conserte, riducendo gli occhi a due fessure per comunicare a Felix quanto fossi in disaccordo con le sue teorie. Infatti il ragazzo alzò le mani in segno di resa e riprese a mangiare il suo cibo.

"Meglio così. Sono problemi che devo risolvere da sola"

Tirai fuori il cellulare con l'intenzione di cercare un elenco di salse dolci spalmabili che potessero soddisfare i miei bisogni da adolescente con il cuore infranto, ma prima che potessi attuare il mio piano, una notifica balzò sullo schermo del dispositivo, che vibrò nel mio palmo. 
Era un messaggio da parte di mia madre, cosa che accadeva molto raramente.

mom

allison.quando torni a casa sei pregata di spiegrmi cosa sno tutti questi scatoloni dvanti al portone!!

Ciò che lessi catturò così tanto la mia attenzione, che non feci neanche caso agli orrori grammaticali presenti in quel messaggio.

"Scatoloni? Che diavolo... Oh, merda"

Mi alzai di scatto facendo strisciare la sedia per terra. Molti ragazzi seduti ai tavoli circostanti si voltarono a guardarmi con fare sorpreso, compreso Felix, che lasciò annegare il suo cucchiaio nella zuppa.

- Ally, che cavolo ti prende?

Il mio cervello mi imponeva di mantenere la calma, di sedermi e di ignorare il tutto, ma non ero mai stata una persona molto paziente né moderata.

- Io... Devo andare.

Felix scrollò le spalle e si portò il cucchiaio zuppo alla bocca.

- D'accordo. Salutami il Signor Kim!

Lo fulminai con lo sguardo prima di cominciare a correre verso l'uscita e saltare nel primo taxi che mi passò davanti.

Era davvero più forte di me, non potevo rimanere a scuola con la consapevolezza che quel qualcuno aveva agito di nuovo. Non c'era stato neanche bisogno di ulteriori indizi per comprendere cosa fosse successo: mi restava soltanto da scoprire cosa ci fosse in quegli scatoloni.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ❝bon appétit❞ ***


bon appétit

 

Giunsi davanti al portone di casa camminando come una furia. Avevo i capelli orribilmente fuori posto e il rossore del mio viso si era esteso fino alla punta delle orecchie. Suonai il citofono e, non appena sentii il piccolo scatto metallico, mi fiondai contro il portone, trovando con mia grande sorpresa difficoltà ad aprirlo. Spinsi con forza, aiutandomi con entrambe le braccia, finché non udii un rumore di oggetti pesanti che strisciavano a terra, spostandosi ancora di più verso l'interno. Compresi perché mamma era così furiosa. L'atrio era pieno, letteralmente, di scatoloni imballati con vari strati di nastro adesivo. Mi misi le mani nei capelli, pronta ad accogliere un'altra sorpresa spiacevole, sperando che fosse l'ultima. Mi inginocchia e cominciai a strappare via con forza lo scotch dal cartone. Quando finalmente riuscii ad aprire lo scatolone, mi lasciai sfuggire un sospiro pesante, pieno di rabbia, quasi simile a un ringhio. Perché sì: ero furiosa. Mi impegnai ad aprire un altro paio di scatoloni. Non c'era bisogno di molta immaginazione per arrivare alla conclusione che contenevano tutti la stessa cosa, eppure la mia testardaggine ebbe il sopravvento. Li aprii tutti, dal primo all'ultimo. Il pavimento era ricoperto da barattoli di Nutella. E non solo, ognuno di essi riportava sul fronte una fascia personalizzata che citava il mio nome: Allison. Afferrai una confezione fra le tante, intenzionata a scagliarla contro il muro, ma il mio intuito mi diceva che a mia madre non avrebbe fatto molto piacere, per cui mi trattenni e mi rigirai quell'oggetto fra le mani, come a voler reprimere i miei impulsi. Nel fare ciò, sentii qualcosa graffiarmi una mano; mi portai l'indice alle labbra e lo succhiai delicatamente per alleviare il bruciore. Capovolsi il barattolo e notai che c'era un piccolo foglietto di carta incollato sul vetro; era stato sicuramente quello a tagliarmi. 
Già consapevole di un'ulteriore motivo per arrabbiarmi, misi da parte il buon senso e non ci pensai due volte a leggerlo. Tanto ormai il danno era fatto. 
Il foglietto citava:

"Buon appetito, Principessa"

Mi feci sfuggire un urlo dettato dalla rabbia e fui presa di nuovo dalla mania di scagliare tutti quei barattoli contro il muro, invece mi alzai e corsi in camera, lasciando tutto così com'era.

Mi sedetti sul letto e tirai fuori il cellulare da una tasca. Era giunto il momento. Digitai Kim Seokjin nella barra di ricerca di Instagram e cliccai sul primo risultato. Non aveva inserito l'immagine del profilo e aveva caricato soltanto una foto che lo raffigurava in smoking, con un fascio di carte sotto un braccio e un'espressione seria in volto. Aveva un centinaio di seguaci e seguiva soltanto ventidue persone. Scrollai le spalle: nonostante la sua fama di giovane imprenditore, molto probabilmente era più attivo sul profilo ufficiale della sua azienda o aveva dei dipendenti che amministravano la pagina al suo posto.

"Il Signor Kim non è un tipo molto tecnologico, mh?"

Dopo degli interminabili secondi di indecisione, finalmente trovai il coraggio di inviargli un messaggio.

Signor Kim, sono Allison Harvey.

La risposta fu a dir poco fulminea. Possibile che, con tutti gli affari a cui doveva tener conto, avesse tempo da perdere su Instagram?

Ally, ciao :)

*Allison.

Allison, ciao :)

Alzai gli occhi al cielo. Non avevo proprio intenzione di tenere testa al suo tono ironico.

Non comportarti come se non fosse successo niente. Esigo delle spiegazioni. 

Calma, principessa. Non so di cosa stai parlando ~

Vuoi prendermi in giro, non è così? Non vedo il bisogno di farti notare da me, mio padre ti adora fin troppo. O sarebbe più appropriato dire che stai cercando di uccidermi in modi ridicoli?

Peccato che sia riuscito a conquistare tuo padre e non te.

Sicura di non essere stata adottata? ;)

Ok, senti. Non voglio perdere tempo con te. Se hai così tanta voglia di farmi fuori, almeno fallo con stile.

Quindi mi stai autorizzando a farlo?

Chiusi l'applicazione e bloccai il display del cellulare, gettandolo sul letto, ma dopo pochi secondi trillò e si illuminò. Mi sporsi in avanti per leggere l'anteprima del messaggio.

Lo prendo per un sì ~

---

Ho sempre detto che sei una psicopatica, ma pensavo che avessi dei limiti.

Felix si inumidì le labbra screpolate con la lingua e sollevò lo sguardo dallo schermo del mio cellulare per lanciarmi un'occhiata rassegnata.

- Che c'è? È lui lo psicopatico, non io.

Il biondo si sporse in avanti sul tavolo e mi strinse la faccia con entrambe le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi.

- Ally, gli hai appena dato il permesso di ucciderti.

- Non esattamente...

- Sì, invece. È esattamente quello che hai fatto.

Misi il broncio e incrociai le braccia.

- Persone come lui non stanno zitte finché non vengono assecondate.

- Di questo passo sarai tu quella che non potrà più parlare... per l'eternità.

Felix mi fece l'occhiolino e riprese a sorseggiare il suo tè caldo. Adoravo fare un salto alla caffetteria della scuola con lui prima di cominciare le lezioni, ma ci riuscivo raramente perché ero una ritardataria patentata. E, purtroppo, anche quella mattina fummo costretti ad andare via subito a causa del suono della campanella. Rivolsi al mio amico un'occhiata rassegnata, non potevamo assolutamente permetterci di fare tardi a lezione. La chimica ci aspettava a braccia aperte.

---

- Harvey, alla lavagna.

Mi morsi un labbro e lasciai cadere la matita sul banco, sul quale stavo disegnando un tutt'altro che simpatico orsetto.

- Professore, in realtà credo di non aver capito com-

- Perfetto. Una ragione in più per farlo davanti alla classe.

Alzai gli occhi al cielo nel modo più discreto possibile e raggiunsi il professore strascicando i piedi a terra. Ma, proprio quando stavo per cominciare a copiare l'esercizio alla lavagna, qualcuno bussò alla porta. Un segretario fece il suo ingresso, lasciandomi a dir poco sorpresa quando pronunciò il mio nome, annunciando che qualcuno aveva chiesto di me. Per quanto fosse inusuale una cosa del genere, ero grata a quella persona misteriosa per avermi salvato dalle grinfie della chimica.

Attraversai il corridoio con passo insicuro. Ormai la gioia per essere scampata alla chimica era scomparsa, restava soltanto da interrogarmi su chi mai avesse chiesto di vedermi, dal momento che i miei genitori erano a lavoro e Felix, il mio unico amico, era rimasto in classe.

Giunta davanti alla segreteria, mi guardai un po' intorno, ma non vidi nessuno interessato a me; poi rivolsi gli occhi alle porte principali, che affacciavano sui cancelli all'esterno. Vidi la figura slanciata di un ragazzo che stava con il capo chino e le lunghe braccia spalancate per poter mantenere un'enorme scatola di cartone. I capelli castani, un po' lunghi e disordinati, erano coperti da un cappello con la visiera, che dava all'ignoto l'aspetto di un giovane postino. Anche lui, come me, si guardava intorno, ma non sembrava avere intenzione di entrare. Mi avvicinai a lui, già intuendo il motivo per cui fosse lì. A fare da sostegno alla mia ipotesi, era proprio quello scatolone che doveva essere sicuramente consegnato. Alzai gli occhi al cielo mentre mi preparavo mentalmente all'ennesima crisi nervosa che, come sempre, ero troppo testarda per evitare. 

- Hey, tu. Per caso sei un dipendente del Signor Kim?

Il ragazzo, che mi aveva già visto arrivare, si grattò il capo e sorrise, rischiando di far cascare lo scatolone a terra. Infatti si lasciò sfuggire un sussulto e, con un movimento brusco, riuscì a mantenere saldamente la grande scatola. 

- Be', se stiamo parlando dello stesso Signor Kim, suppongo di sì... 

- Hai ragione, il mondo è infestato di Signori Kim.

"E uno in meno non farebbe male... ho già in mente qualcuno da far fuori"

Kim Seokjin?

Al solo sentir pronunciare quel nome, mi si accapponò la pelle. Avevo sperato fino all'ultimo secondo che quel ragazzo fosse stato mandato da un Signor Kim qualunque. Mi sarebbe andato bene chiunque, eccetto quello.

- Oh, sì. Lo immaginavo... è un caro amico di famiglia.

Dissi quelle parole indossando il sorriso più falso che avevo in repertorio, cercando di convincere più me stessa che il ragazzo che avevo di fronte. 

- Perfetto, dunque... 

Il postino armeggiò qualche secondo, finché non riuscì ad appoggiare lo scatolone a terra senza cadere all'indietro; poi tirò fuori dal giaccone delle carte piegate e una penna, e me le porse.

- Signorina Allison Harvey, giusto?

Annuii.

- Firmi qui, per cortesia.

Firmai con fare impacciato, dal momento che mi capitava raramente di farlo, ma soprattutto perché la mia firma non consisteva in nulla di speciale, semplicemente il mio nome scritto con la calligrafia scolastica. 

"Sono proprio una sfigata"

Il postino si rimise le carte in tasca, ringraziandomi e sorridendo di nuovo. Questa volta prestai più attenzione al suo viso e, chiedendomi come avessi fatto a non accorgermene prima, fui costretta a constatare che era proprio un bel ragazzo, anzi, più che bello. I lineamenti del suo viso erano proporzionati, così come il resto del corpo. I suoi occhi castani, dal taglio orientale, erano eleganti, seppur contenessero una luce insolita, che gli conferiva grande fascino. Sarei potuta rimanere lì per ore a descrivere quanto fosse perfetto, nonostante il suo aspetto trascurato, ma non era il caso di rimanere imbambolata davanti a uno sconosciuto e fare l'ennesima figuraccia. Lo salutai a malincuore, augurandomi che quella belva del Signor Kim non lo corrompesse con i suoi modi di fare inadeguati.

E, a proposito del Signor Kim, mi ricordai che per me c'era una bella scatola da aprire. Mi chinai e tentai di sollevarla, ma era troppo grande per me, anche se si rivelò essere meno pensante di quanto avessi immaginato. Emisi un sospiro rassegnato e mi inginocchiai. Impiegai qualche minuto per togliere tutto il nastro adesivo da imballaggio, ma rimasi molto sorpresa da ciò che c'era lì dentro. Era un enorme, bellissimo e morbidissimo orso di peluche. Lo tirai fuori per poterlo osservare meglio, ma mi dovetti alzare in piedi per non farlo strisciare a terra. Era alto quanto il mio busto ed era il pupazzo più tenero che mi avessero mai regalato; non ne avevo mai visto uno simile neanche in tutti gli anni che avevo trascorso a osservare le merci prodotte dall'azienda di giocattoli di mio padre. Spillato al nastro che circondava il collo dell'orso, c'era un piccolo biglietto di carta.

"Tipico di quel maniaco"

Lo lessi sottovoce.

"Mi dispiace per quello che ho fatto, soprattutto per la conversazione di ieri. Devi sapere che adoro fare scherzi. Spero che tu non te la sia presa con me, nel dubbio ti regalo questo orso come offerta di pace, con l'aspettativa che non ci saranno più malintesi in futuro. 

P.S. Il suo nome è JinJin." 

Guardai di nuovo il muso sorridente del peluche e constatai che sul suo collare era stampato proprio quel nome con caratteri maiuscoli e brillanti.

Naturalmente non credevo neanche a mezza parola di quello che c'era scritto nel biglietto, ma di restituire il pupazzo non se ne parlava proprio: in fondo cos'avrebbe potuto farmi? Ero più che sicura del fatto che non fosse aromatizzato alle noccioline. 

Raggiunsi il mio armadietto canticchiando e vi infilai l'orso a forza, rischiando di far saltare in aria tutte le altre cose che c'erano dentro; sarei passata a riprenderlo alla fine delle lezioni. Di certo non potevo entrare in classe con quel pupazzo gigante fra le braccia, i miei compagni di classe avrebbero sicuramente iniziato a ipotizzare che mi fossi fidanzata, cosa che non succedeva da... mai. 

Mentre ritornavo in classe, la mia mente, in completa autonomia, ritornò a quel ragazzo affascinante. Ero stata davvero una stupida a non sbirciare il suo nome sulla targhetta spillata al suo giaccone, ma le mie intenzioni sarebbero state troppo evidenti, e poi... era impossibile che un ragazzo come lui fosse single.  

--- 

 - Ally, sei sicura che lì dentro non ci sia una bomba a orologeria?

- Sì... credo. Se ci fosse stata, sarebbe scoppiata da tempo.

Felix annuì titubante. 

- Hai provato ad aprirgli la pancia?

Il mio migliore amico si avvicinò al pupazzo che stringevo fra le braccia, ma mi scostai prima che potesse anche solo sfiorarlo.

- Non ci provare neanche! So che non devo fidarmi del Signor Kim, ma dubito che sia un pazzo omicida che nasconde bombe nei peluche. 

- Non si sa mai... altrimenti perché te lo avrebbe regalato? Io dico che quel muso sorridente è troppo sospetto.

Lo fulminai con lo sguardo.

- Per scusarsi. 

Felix liberò una risata sarcastica, stringendosi il ventre con fare teatrale.

- Dopo averti riempito la casa di vasetti di Nutella? A proposito... che fine hanno fatto? 

- Le ho donate in beneficenza. 

- Tu? Allison Harvey che rinuncia alla Nutella?

- Sono allergica, lo sai.

Il biondo mi fece il verso, camminando a testa alta e con un'espressione seria in volto.

- Ah... come vola il tempo! La vecchia Ally avrebbe mangiato tutta quella Nutella nonostante gli effetti collaterali. Morte inclusa. Questo Signor Kim ti ha dato alla testa, eh?

- Smettila... 

Gli diedi una spallata, riuscendo quasi a farlo cadere dal marciapiede. 

- Attenta! Non vorrai causare la morte dell'unica persona che può farti rimanere sana!

- Parli come se non fossi stato tu il primo a perdere la testa.

- Io? Di che stai parlando?

- Tu, Vernon, videogiochi... ti ricorda qualcosa?

Felix alzò gli occhi al cielo e tenne la bocca chiusa finché non ci salutammo. 


Quando ritornai a casa, mia madre mi venne incontro con un'espressione alquanto stranita.

- Di chi si tratta questa volta? 

Avrei tanto voluto dirle che quell'orso era un regalo del Signor Kim, soltanto per vedere che faccia avrebbe fatto. A pensarci bene, non le avevo ancora raccontato ciò che era successo, dal momento che non volevo mettere in pericolo il rapporto che mio padre aveva stretto con quell'uomo. Per quanto riguardava tutti quegli scatoloni che avevano invaso l'ingresso di casa nostra, mi ero limitata a dire che avevano sbagliato indirizzo, anche se mia madre aveva stentato a crederci, scettica com'era.

- Felix. 

- Oh, tesero... sono anni che ti dico che quel ragazzino è cotto di te!

- C-che?! No, non è come pensi... Felix, ecco... Glielo ha regalato una ragazza! Ma lui non è interessato a lei, quindi lo ha dato a me perché gli dispiaceva buttarlo.

- Lo sai che questo non basterà a farmi cambiare idea... 

- Mamma! 

- D'accordo... Potrei cambiare idea se mi aiutassi a cucinare.

Annuii e andai a posare il pupazzo sul divano.

---

Mi sedetti esausta su una sedia, mentre il profumo della carne stuzzicava il mio stomaco vuoto e depresso, che avevo definitivamente privato della Nutella. La cena era pronta, dovevamo soltanto aspettare il ritorno di mio padre e, pensandoci, mi resi conto che mancava pochissimo tempo al suo compleanno. Un brivido percorse la mia schiena quando ricordai che il Signor Kim avrebbe preso parte all'evento, che fino all'anno precedente si era sempre tenuto soltanto con i familiari più stretti. Era così importante quell'uomo per mio padre? Possibile che ci fosse dell'amicizia oltre all'apparente legame fra capi di aziende in collaborazione? 
Mi destai da quei pensieri quando sentii lo scatto della serratura del portone e inspirai con crescente desiderio il profumo del cibo che finalmente sarebbe stato servito. Mio padre piombò nella sala da pranzo tutt'altro che stanco e affaticato, chiamando il mio nome.

- Ally!

Sussultai sulla sedia.

"Che ho fatto stavolta?"

- È tuo quel pupazzo in salotto?

- S-sì... perché?

L'uomo sgranò gli occhi, aspettandosi forse che sapessi già la risposta. Ma non avevo idea di cosa stesse passando per la sua testa in quel momento.

- Ally, lo sai che questi giochetti non funzionano con me.

- A-aspetta!

Mi alzai in piedi e distesi le braccia in avanti, come a scacciare via un brutto pensiero.

- Non sono fidanzata! Insomma, mi hai visto? Allison Harvey fidanzata. Chi ci crederebbe?

Scoppiai in una risatina isterica, sperando con tutto il cuore che mio padre non si fosse fatto qualche idea su una presunta relazione fra me e il Signor Kim.

- Allison, per favore. Non è il momento di scherzare.

Il mio cuore cominciò a battere all'impazzata e cominciai a farfugliare in cerca di una scusa più credibile, ma il mio cervello aveva bisogno di ossigeno.

- Papà! Giuro che non c'è niente fra me e il Sign- ah?!

- Ti ho chiesto se hai visto la marca del pupazzo.

Mi morsi le labbra, ringraziando mio padre di avermi interrotto al momento giusto.

- No. Che cosa c'è che non va con la marca del pupazzo?

L'uomo si limitò ad alzare le sopracciglia. Sospirai e raggiunsi il salotto strisciando i piedi per terra. Il pupazzo era lì che mi aspettava sul divano con un sorriso stampato sul muso; gli rivolsi una smorfia, anche se non potevo negare quanto fosse carino. Mi chinai a leggere la marca dietro il suo soffice orecchio e il mio cuore perse un battito. Forse tre.

Si trattava della RoyalToys. L'azienda del fratello di mio padre. Nonché suo rivale da molto tempo prima che nascessi. 


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** ❝strawberry❞ ***


strawberry

 

Deglutii in modo così rumoroso che, quasi sicuramente, mi aveva sentito anche mia madre dalla cucina. Ma lo stato di shock durò ben poco, perché fu immediatamente seguito da un'ondata di rabbia.

- Papà... Giuro che non lo sapevo. I-io non ci ho fatto caso.

Ma lo sguardo dell'uomo era colmo di delusione. A causa mia.

- Dove lo hai preso?

- È... è un regalo.

- Di chi?

Spostai il peso da un piede all'altro. Una parte di me avrebbe voluto sputare fuori il nome di Kim Seokjin, a cui io, da brava stupida, avevo avuto il coraggio di credere. Come diavolo mi era saltato in testa? Come avevo potuto pensare, anche solo per un secondo, che quell'uomo avesse voluto davvero chiedermi scusa? Non era un caso che quel pupazzo era stato prodotto proprio dall'azienda rivale di quella della nostra famiglia. Il Signor Kim lo aveva fatto di proposito. Voleva mettermi in cattiva luce con mio padre. Ma il suo piano diabolico non si limitava a questo: c'era dell'altro, qualcosa che confermava ancora di più quanto fosse subdolo quell'uomo. Voleva sapere se avrei avuto il coraggio di dire a mio padre che era stato lui a farmi quel regalo, a soli due giorni dal suo compleanno a cui il Signor Kim stesso avrebbe partecipato. In poche parole: se avrei avuto il coraggio di far saltare in aria il loro rapporto e, di conseguenza, i loro affari che avrebbero portato a dei risultati più che positivi nei mesi a venire, specialmente per la nostra azienda.

Mi morsi il labbro, prendendomi qualche secondo in più per riflettere. No, per quanto in quel momento il mio intero corpo fosse animato da un intenso odio per Kim Seokjin, non potevo fare una cosa del genere a mio padre. Non quando i suoi affari stavano andando così bene.

- È stato... il mio migliore amico.

L'uomo aggrottò le sopracciglia, evidentemente confuso.

- Felix?

- Sì...

Chiusi gli occhi e pensai al mio amico, che in quella storia non c'entrava assolutamente nulla e che non avrei voluto ferire per nessun motivo al mondo.

- Bene. Allora credo che voi due dobbiate smettere di vedervi così spesso.

- Cosa?! Ma papà... Felix non conosce la tua situazione...

- La mia situazione? Ti ricordo che l'azienda un giorno sarà nelle tue mani, quindi dovresti cominciare a nutrire un po' di interesse per il lavoro che sto cercando di insegnarti.

Prima che potessi dire altro, mio padre mi voltò le spalle e raggiunse la mamma in cucina. Inutile dire che quella sera non mi presentai a cena, ma mi limitai a bere una tazza di tè nella mia stanza. 
Mi sentivo stupida, presa in giro e tremendamente in colpa. Cos'avrei dovuto dire a Felix? Che lo avevo accusato davanti a mio padre per difendere il Signor Kim? Ripeto: il Signor Kim? Sospirai e fui tentata di lanciare la tazza contro il muro, ma volevo evitare di dare altri dispiaceri ai miei genitori, quindi mi infilai nel letto, con la testa sotto le coperte. 

---

- Ally, mi vuoi dire cos'hai?

Continuai a girare il cucchiaino nella tazza di caffè vuota, producendo un rumore che risultava fastidioso perfino a me.

- Hey! Smettila di fare finta di non sentire!

Felix mi tolse il cucchiaino di mano, costringendomi finalmente a guardarlo.

- Uhm... sono solo un po' preoccupata per il compleanno di papà.

Ecco. Avevo mentito. Ma in quel momento ero già troppo giù di morale per poter sorreggere altro sulle mie spalle.

- Preoccupata? Non dovresti essere felice? Il tuo vecchio diventa più... vecchio.

- Già... ma non so cosa regalargli.

Il biondo si mise pollice e indice sotto al mento, facendo finta di pensare a qualcosa di serio.

- Un criceto, decisamente.

- Sei serio?

Felix alzò le spalle come se mi avesse dato il consiglio più normale del mondo.

- Certo. Potrebbe tenerlo nel suo studio. Guardarlo correre nella ruota per ore potrebbe rallegrarlo.

- Ne dubito.

Mi alzai e feci cenno a Felix di fare lo stesso. Nonostante quella mattina fossi arrivata meno tardi del solito, non ce l'avrei fatta a stare un minuto di più in quella caffetteria così piena di studenti rumorosi. Il mio cervello aveva bisogno di una pausa per riflettere, ma la verità era che non potevo fare nulla contro il Signor Kim; la cosa che mi scoraggiava di più, però, non era tanto la mia impotenza, ma il fatto di non riuscire a capire per quale assurdo motivo lui stesse facendo una cosa del genere. Scossi la testa per mandare via quei pensieri, in ogni caso il giorno seguente avrei dovuto affrontarlo faccia a faccia e dovevo escogitare qualcosa.

---

- Cavolo.

Mi guardai allo specchio per l'ennesima volta.

- No, non cavolo. Questa volta ho bisogno di dire qualcosa di peggiore.

Ma mia madre interruppe la conversazione fra me e il mio riflesso, rifiutandosi di bussare come ogni volta.

- Tesoro, sei pronta?

- Certo.

La donna fece una smorfia.

- Speravo che mi dicessi di no.

- Perché? Cosa ho che non va?

- Innanzitutto... perché non ti sciogli i capelli?

- Non li ho lavati.

- E quei jeans?

- Sono puliti!

- Sì, ma... li hai comprati due anni fa.

Sbuffai e mi lasciai cadere all'indietro sul letto.

- Ally... so che sei un po' giù per la discussione di ieri, ma papà non è arrabbiato con te.

- Lo so. Non è per quello.

- E per che cosa? Sei preoccupata per Felix?

Scossi la testa e nascosi il viso nel cuscino.

- Non lo so. È che... non mi sento a mio agio con il Signor Kim. I-intendo con gli ospiti in generale! Insomma... abbiamo sempre festeggiato in famiglia, perché avete deciso di invitare tutta quella gente?

Sentii le molle del materasso cigolare leggermente, segno che mia madre si era seduta accanto a me; infatti, poco dopo, mi accarezzò le spalle con dolcezza.

- La collaborazione con il Signor Kim è una componente fondamentale per la ripresa della nostra azienda.

- Ripresa? Gli affari sono andati benissimo finora... oppure no?

Rivolsi uno sguardo preoccupato a mia madre, temendo di essere all'oscuro di qualcosa di molto importante.

- No, gli affari vanno bene. Ma quelli della RoyalToys vanno meglio.

Sussultai. Era per questo che quel pupazzo aveva infastidito mio padre così tanto.

- Ma perché? Che importa? Noi stiamo benissimo così.

- Lo sai che tuo padre non la pensa allo stesso modo. Ma oggi è una giornata speciale, non è il momento di parlare di cose tristi.

La donna mi lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla stanza.

- Già... Una giornata speciale.

Mi alzai controvoglia e riaprii l'armadio. La mamma aveva ragione: non c'era soltanto il Signor Kim, ma moltissimi altri collaboratori illustri e dipendenti di entrambe le aziende. Era una festa lussuosa, organizzata nei minimi dettagli. Ovviamente sarebbe dovuta essere anche una sorpresa per mio padre. 
Quindi no, non potevo assolutamente presentarmi in jeans e felpa.

---

Imprecai mentalmente quando rischiai di scivolare per l'ennesima volta. Odiavo i tacchi e ciò non sarebbe mai cambiato. 
Mi guardai intorno: il numero di facce a cui non riuscivo ad associare i nomi e il numero di persone mai viste erano perfettamente bilanciati.

Al centro della sala i miei genitori si stavano abbracciando, mentre qualche dipendente di mio padre scattava foto a ripetizione per immortalare il momento della sorpresa. In tutto ciò io ero rimasta in un angolo a guardare, troppo timorosa di incontrare il signor Kim. Ma era mio dovere fare gli auguri a papà, nella speranza che in quella frazione di secondo nessuno mi avrebbe notato.

- Auguri, papà!

Gli scoccai un bacio sulla guancia e in cambio ricevetti un caloroso abbraccio, segno che ero stata perdonata e la cosa valeva anche per Felix. Tirai un sospiro di sollievo: non ci sarebbe stato motivo di rivelare quella bugia durata così poco.

Mi allontanai dai miei genitori, già intenti a salutare una miriade di altre persone, e mi diressi al buffet, da cui un dolce alla fragola sembrava chiamare il mio nome a gran voce. Mi guardai intorno: nessuna traccia del Signor Kim. Per precauzione chiedetti a un giovane cameriere se quel dolce contenesse nocciole. Dopo aver sentito la risposta che desideravo, affondai la forchetta nel morbido Pan di Spagna.

- Allison! Da quanto tempo... Come stai?

Spalancai gli occhi, ma per fortuna fui capace di non strozzarmi. Mi voltai e constatai che accanto a me c'era il Signor Kim, con un completo più elegante del solito. Purtroppo, però, il mio precedente autocontrollo andò a farsi un giro quando puntai lo sguardo sul suo sorriso. Quel sorriso che voleva mascherare tutte le prese in giro che avevo subito.

- Non provare nemmeno a far finta che non sia successo niente.

L'espressione allegra scomparve dal suo volto all'improvviso, come se avesse ricevuto uno schiaffo inaspettato.

- A cosa ti riferisci?

Scoppiai a ridere in un modo che nemmeno io riconobbi.

- Ti ho detto che non è il caso di fare il finto tonto. Non stavolta.

Lo fulminai con lo sguardo, poi lo afferrai per un polso e lo trascinai dietro di me, camminando come una furia mentre lui mi assecondava, troppo sconvolto per reagire in alcun modo. Lo portai in un corridoio al piano superiore, lontano dalla sala in cui si stava svolgendo la festa. 
Lo spinsi contro il muro e lo bloccai premendogli le mani sul petto, anche se non ero molto sicura di sembrare minacciosa, visto che era molto più alto di me.

- Ascolta, schifoso riccone pervertito con gli occhi a mandorla, tu non mi fai paura.

- S-schifoso... Pervertito?

L'uomo sembrava alquanto confuso, ma le sue capacità recitative erano al di sopra del mio immaginario.

- Sì, esatto. Perché ti comporti in questo modo?

- In che modo?! Allison, sei impazzita? Volevo soltanto sapere come stessi. Perché mi hai portato qui?

- Ascolta. I miei genitori ti adorano e pensano che tu sia un pezzo di pane, ma io non ci casco. So quanto sai essere diabolico. Sputa il rospo.

- Io... te lo giuro, Allison. Non ho idea di cosa tu stia parlando.

- Bene. Uomo avvisato mezzo salvato.

Mi infilai una mano sotto al vestito e afferrai la bomboletta di spray al peperoncino che avevo incastrato nell'elastico delle calze prima di uscire. Glielo spruzzai sul viso e mi dileguai sbattendo i piedi, tutt'altro che soddisfatta.

"Sappi che non hai visto niente, Kim Seokjin. La mia vendetta è appena iniziata"

Ritornai nella sala indossando il sorriso più dolce che avessi in repertorio. Per fortuna nessuno si era accorto della mancanza del Signor Kim. In ogni caso avrei fatto finta di nulla. Mi diressi di nuovo verso il mio adorato buffet; purtroppo, però, il dolce alla fragola che avevo cominciato a mangiare prima della spiacevole apparizione era stato portato via. Sbuffai e mi cimentai nella scelta di qualcos'altro.

- Stai cercando questo?

Mi voltai di scatto, pronta a colpire sul naso chiunque mi avesse rivolto la parola, con la paura che quell'uomo fosse tornato; ma quando vidi chi avevo di fronte fui costretta a trattenermi.

- Tu?! Cosa... Pensavo che fossi un postino.

- Consideralo un... hobby.

Il ragazzo castano che mi aveva consegnato il regalo del Signor Kim a scuola, mi rivolse un ampio sorriso e strinse gli occhi. 
Quel semplice gesto bastò a far migliorare il mio umore.

- Scusami, l'altra volta non mi sono presentato.

- Be', di solito i postini non si presentano. 

Mi resi subito conto di quanto fosse stupida la cosa che avevo appena detto, infatti il ragazzo sembrò nascondere un altro sorriso a fatica, ma in ogni caso mi porse la mano.

- Piacere, Kim Taehyung.

- Oh, cavolo! Quando mi hai consegnato il pacco avresti dovuto dirmi che anche tu sei un potenziale Signor Kim.

Taehyung si passò una mano fra i capelli morbidi, un po' imbarazzato.

- Diciamo che diventare l'ennesimo Signor Kim non è una delle mie più grandi aspirazioni.

"Grazie al cielo"

Com'era possibile che ci fossero due Kim alla stessa festa, ma che fossero completamente diversi? Non potevano semplicemente fare a cambio?

- Allora, che ne dici di rivelarmi cosa c'era in quel pacco? Non è stato facile mantenerlo per tutto quel tempo.

Al ricordo di quel peluche un brivido attraversò la mia schiena.

- Uhm... Un regalo da un amico.

Il ragazzo fece un'espressione confusa.

- E non poteva portartelo lui?

- Oh-uhm... Lui vive molto lontano da qui...

- Che bello! Ho sempre voluto sperimentare un'amicizia a distanza... Dove vive?

"Cavolo"

- In... in Cina.

Ma perché dovevo sempre cacciarmi in situazioni imbarazzanti? Si vedeva che non ero abituata ai rapporti sociali al di fuori della mia amicizia con Felix.

- Wow! Deve essere bello lì... Ora è mattina, giusto?

- S-sì...

Non avevo affatto voglia di iniziare a raccontare bugie a un perfetto sconosciuto, soprattutto a un ragazzo gentile e attraente come quello. Quindi aprii la bocca prima che lui potesse dire altro, cercando di cambiare argomento.

- E tu? Insomma, che ci fai qui? Ti sei imbucato?

Taehyung sembrò un po' sorpreso dalla mia domanda, ma rispose subito.

- Il mio vecchio lavora nell'azienda di tuo padre.

- Davvero? Purtroppo non ho presente il suo volto, inoltre non visito la sede centrale da un secolo.

- È quello lì in fondo.

Indicò un uomo alto, con i capelli neri che coprivano soltanto le parti laterali del capo; aveva dei tratti orientali molto marcati e, esattamente come tutti gli altri uomini in sala, appariva serio e dedito al lavoro.

- Figo.

- Come, scusa?

Per poco non feci un balzo quando mi resi conto di quello che avevo appena detto. Il punto è che non era il mio forte cercare di continuare una conversazione senza spunti e non era la prima volta che facevo una figura del genere.

- N-niente... È che... Ho fame.

Deglutii rumorosamente.

- Per questo ti ho portato il dolce che volevi.

- Ah.

Effettivamente per tutto quel tempo Taehyung aveva tenuto in mano un piattino con l'ultima fetta di torta alla fragola.

- È... È per me?

- Certo. Prima ho visto che la stavi mangiando, ma poi sei scomparsa e hai lasciato il piatto sul tavolo del buffet.

Ero sicurissima di essere estremamente rossa in faccia. Uno sconosciuto aveva notato che adoravo i dolci alla fragola e me ne aveva conservato una fetta. L'ultima fetta. Era il ragazzo perfetto.

- Che ne dici di gustarlo sul terrazzo?

- Ma non fa freddo?

- Le giacche dei completi maschili servono per riscaldare le spalle delle belle ragazze.

Rischiai di strozzarmi con la panna e cercai di tossire il più delicatamente possibile per non sputare tutto in faccia a Taehyung.

Sulla mia spalla apparve un Felix in miniatura che mi gridava in un orecchio di non salire su un terrazzo buio con uno sconosciuto affascinante, soprattutto se era un ragazzo inspiegabilmente ricco che faceva il postino per hobby, ma era esattamente quello che accadeva nei film prima di una storia d'amore elettrizzante, quindi gli dissi che ero d'accordo e cominciai a seguirlo. 
Mentre salivamo le scale qualcuno chiamò a gran voce il nome di Taehyung.

- Jin?

Il castano sembrava alquanto sorpreso, come se la vista di quell'uomo non fosse piacevole. 
Be', lo capivo. 

- Taehyung... Dove state andando?

Il Signor Kim aveva gli occhi rossi e gonfi, così come metà della sua faccia. Mi morsi le labbra con violenza per evitare di sputargli qualche insulto addosso. Perché aveva ancora il coraggio di presentarsi davanti a me dopo che gli avevo spruzzato lo spray al peperoncino negli occhi? E perché doveva interrompermi proprio quando un bel ragazzo voleva stare con me? Intendo... Proprio con me.

- C'è troppa confusione lì dentro, vorrei evitare di tornare a casa con un forte mal di testa.

- Lo sai cosa intendo.

- Davvero?

Taehyung sorrise ingenuamente e mi fece cenno di continuare a salire, ma scossi la testa e puntai i piedi a terra.

- Voi due... vi conoscete?

- Abbiamo la fortuna di lavorare nella stessa azienda. 

- Oh... Fantastico.

Immaginai quanto dovesse essere orribile lavorare con il Signor Kim. Vedere la sua faccia ogni giorno. Sentire la sua voce che impartiva ordini. Rabbrividii.

- Taehyung, lascia stare Allison.

Il castano si mise le mani davanti al petto in segno di difesa.

- Calmati, Jin. Non la sto rapendo. So come si tratta una ragazza.

Taehyung fece l'occhiolino al più grande, facendomi esultare internamente.

- Tae...

- Non chiamarmi in quel modo. Non siamo così intimi.

Ma il Signor Kim parve non sentire quelle ultime parole, perché aggrottò le sopracciglia e mi raggiunse con passo deciso. Afferrò il mio braccio e mi trascinò via prima che l'altro o io potessimo protestare. Mi riportò nella sala esattamente nel punto in cui mio padre stava parlando con un uomo.

- Non ti muovere di qui.

- Chi sei tu per tu per dirmi quello che devo o non devo fare?

- Nessuno, ma sono abbastanza adulto da poterti suggerire di non frequentare sconosciuti.

Suggerire? Mi hai appena portato qui con la forza!

Fui costretta a urlare sottovoce -se era in qualche modo possibile- visto che mio padre avrebbe potuto sentirci discutere.

- Allison, non me lo aspettavo da te.

- Aspettare cosa?

- Che ti lasciassi abbindolare dalle parole di un ragazzo appena incontrato.

Mi portai le braccia al petto e le incrociai, come per assumere una posizione minacciosa.

- Non ci siamo incontrati per la prima volta questa sera.

Il Signor Kim parve spaesato, ma si ricompose subito. Evidentemente sapeva di non poter controbattere.

- Be'... In ogni caso fai attenzione.

Si voltò e fece per andarsene, ma il mio braccio agì senza il consenso del cervello. Afferrai una manica della sua giacca e lui si voltò.

- Scusa... per prima.

"Cosa ho appena detto?"

Naturalmente non potevo essere Allison Harvey senza i soliti sensi di colpa e paranoie. Dopo tutto quello che lui mi aveva fatto senza pensarci due volte, io non riuscivo a non sentirmi colpevole per avergli spruzzato uno stupido spray al peperoncino in faccia. Il punto era che non faceva per me agire in quel modo, impormi sulle persone e fingermi cattiva.

Il Signor Kim mi rivolse un sorriso, il che lo fece sembrare buffo, perché aveva ancora gli occhi gonfi e il naso arrossato. E per qualche inspiegabile motivo, in quel breve momento il mio odio per lui parve azzerarsi.

- Non preoccuparti. Se ti dà così tanto fastidio avermi intorno, cercherò di farmi vedere in giro il meno possibile.

Questa volta se ne andò davvero, senza aspettare una mia risposta.

Non fui capace di dire nient'altro in quel momento. Forse aveva ragione: avevo davvero sbagliato ad avvicinarmi a quel ragazzo, per quanto fosse bello e gentile. Non mi ero mai fidata di qualcuno in modo così impulsivo e non capivo il perché di quella mia azione. Forse perché gli occhi di Taehyung sapevano persuadere fin troppo bene, cosa che avevo notato al nostro primo incontro, oppure perché poco prima di parlare con lui il Signor Kim aveva mandato in panne il mio sistema nervoso. In ogni caso riconoscevo il mio errore e, per quanto odiassi quell'uomo, gli ero grata per avermi impedito di fare qualche stupidaggine. Se molti collaboratori di mio padre ci avevano provato con me in passato per arrivare a lui, perché Taehyung sarebbe dovuto essere diverso? L'unica persona di cui mi sarei fidata anche con gli occhi bendati era Felix. Lui e nessun altro.

Scossi la testa e mi avvicinai a mio padre. Mi scusai e gli dissi che sarei tornata a casa con un taxi perché ero stanca. In effetti la mezzanotte era passata da un bel po'.

---

Quella mattina stavo davvero malissimo. Non che le altre mattine non fossero un vero schifo come quella, ma non c'è mai limite al peggio. Penserete che stessi male per il discorso che avevo avuto con il Signor Kim la sera precedente. Be', anche. Avrei potuto pensarci tutta la notte, ma un mal di pancia colossale me lo aveva impedito. Avevo ripercorso più e più volte gli avvenimenti della festa, ma non ricordavo di aver mangiato altro oltre a una mezza fetta di torta, per giunta avevo anche chiesto se fosse priva di noccioline. Fatto sta che il mio intestino mi stava implorando di rimanere a letto, quindi lo assecondai. Inviai un messaggio a Felix per informarlo della mia assenza, poi mi rimisi a dormire.

---

- Ally?

Era l'ennesima volta che sentivo la voce di mia madre pronunciare il mio nome, eppure feci nuovamente finta di non averla sentita.

- Ally!

"Okay, forse dovrei farle capire che sono ancora viva"

Aprii un solo occhio, ritrovandomi di fronte l'immagine sfocata della donna con le braccia sui fianchi.

- È ora di pranzo. Perché non sei andata a scuola?

- Uhm...

Mi stropicciai gli occhi con la maggiore lentezza possibile e risposi con la bocca impastata.

- Ho mal di pancia.

- Non dirmi che hai mangiato qualcosa che ti ha fatto male!

- Solo un po' di torta...

Mi misi a sedere sul materasso sotto lo sguardo indagatore di mia madre. Dovevo avere un aspetto orribile. 
In realtà non mi importava davvero sapere cosa fosse successo, volevo soltanto che quel mal di pancia passasse il più in fretta possibile.

Purtroppo per me, però, rimasi a letto fino a sera con i crampi allo stomaco senza potermi muovere neanche di un centimetro. Fu un miracolo quando riuscii ad afferrare il cellulare che squillava.

- Felix?

Oltre al mio aspetto, anche la mia voce era orribile.

- Ally? Perché non sei venuta a scuola?

- Ho mal di pancia...

Il ragazzo sospirò dall'altro capo del telefono ma, prima che potesse commentare, lo anticipai con una velocità di cui non mi credevo capace.

- No, non ho mangiato noccioline.

- Bene, hai fatto un passo avanti!

Alzai gli occhi al cielo anche se non poteva vedermi. 
Alla fine mi raccontò com'era andata la giornata a scuola e scappò per giocare una partita online con il suo migliore amico. Normalmente mi sarei arrabbiata, ma ero felice che lui e Vernon fossero di nuovo intimi. A Felix faceva bene avere un altro amico a parte me. E forse avrebbe fatto bene anche a me. Quel pensiero mi rimandò a Taehyung.

Sospirai e posai il telefono sul comodino, ma pochi secondi dopo vibrò, costringendomi a rialzarmi. Avevo ricevuto una notifica su Instagram. Era un messaggio. Del Signor Kim.

Hey, come va? ;)

Serrai le labbra. Non riuscivo a credere che il capo di un'azienda di fama nazionale utilizzasse ancora le emoticon.

Meravigliosamente. A te?

Avrei potuto giocarmi la casa sul fatto che era diventato di nuovo sarcastico e insopportabile.

Se potessi vederti starei meglio.

Simpatico. 

Già. È uno dei miei tanti charme.

Cosa avrei dovuto rispondere a un messaggio così idiota? Neanche la parte meno sviluppata del mio cervello avrebbe potuto formulare una risposta con lo stesso tasso di stupidità.

Buon per te. Buona sera.

Bloccai il cellulare, ma vibrò di nuovo dopo una frazione di secondo e la cosa più sconvolgente era che non riuscivo a fare a meno di controllare cosa mi avesse scritto il Signor Kim. Forse perché la sera precedente avevo avuto modo di conoscere una parte di lui che non mi dispiaceva, e in quel momento non mi era parso che stesse mentendo. 

Di già? Non scappare.

Quante volte hai detto questa frase? Scommetto di non essere la prima ragazza che tratti con tutti questi riguardi. 

Fui in procinto di mordermi una mano. Non riuscivo a credere di aver davvero inviato un messaggio del genere al mio acerrimo nemico. Gli avrei dato l'impressione di essere una ragazzina gelosa, il che non era assolutamente vero.

Gelosa? ;)

No, volevo soltanto ricordare a me stessa quanto sei viscido.

Il fatto che te ne fossi dimenticata è già un bel passo avanti.

Sbuffai e lanciai il cellulare dall'altra parte del letto, non ne potevo più del suo comportamento. Per l'ennesima volta nel giro di un paio di settimane, rimproverai me stessa per essermi ricreduta su quell'uomo. Soltanto perché aveva cercato di proteggermi da uno sconosciuto, non voleva dire che fosse lui quello nobile e onesto. E in ogni caso quel Taehyung non aveva affatto la faccia di una persona con cattive intenzioni, era stato fin troppo gentile con me.

"Questa è l'ultima volta che riesci a fregarmi, mio caro Signor Kim. Non ho ancora avuto la mia vendetta"

Spensi la luce e mi tirai le coperte fin sopra la testa.

"E questa volta non riceverai le mie scuse"


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** ❝interview❞ ***


 

interview

 

Il giorno seguente, dopo una buona dose di medicinali contro i forti crampi allo stomaco, riuscii a varcare la soglia della mia noiosissima scuola. Durante le prime due ore di lezione Felix non fece altro che fissarmi con quella solita espressione da meditazione, accarezzandosi il mento di tanto in tanto.

- La smetti di guardarmi in quel modo? Non riesco a concentrarmi.

Sciocchezze, non c'era nessun modo al mondo in cui avrei potuto seguire le lezioni del professor Dippett. 

- Sto riflettendo.

- Stai cercando di indovinare cosa ci sarà per pranzo oggi a mensa? Be', mi dispiace fare la guastafeste, ma credo proprio che il menu sia lo stesso di ieri... e di cinque anni fa.

Ma il ragazzo non si scomodò neanche a fingere di essere divertito dal mio tentativo evidentemente fallimentare di fare una bella battuta, il che mi lasciò a dir poco delusa. 

- Non esattamente. 

Sbuffai quando Felix inarcò le sopracciglia e accennò un sorriso che lasciava intendere qualcosa che io, come sempre, non avevo afferrato. Lasciai cadere le braccia sul banco in segno di resa, cercando di essere il meno teatrale possibile per non attirare l'attenzione del professore.

- Sputa il rospo.

Il biondo trasse un lungo respiro, gustando quegli attimi. Molto probabilmente non aveva aspettato altro per tutto quel tempo e non vedeva l'ora di farmi sentire in colpa per chissà che cosa.

- Ho come la strana sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa. 

Alzai gli occhi al cielo. Come avevo potuto pensare anche per un solo istante di poter evitare di raccontare qualcosa a Felix? Non importava come, in qualche modo se ne accorgeva sempre; ma forse era un bene, perché almeno mi costringeva a vuotare il sacco e a ricevere qualche consiglio razionale, per una buona volta. Per quanto i consigli di Felix potessero essere razionali. 

- D'accordo, hai vinto tu... A questo punto è inutile portare avanti questa scenetta ridicola. 

- Giusto, signorina Harvey. Per questa volta mi trovo in pieno accordo con lei. Che ne dice di continuare la sua scenetta ridicola con il suo compagno Lee fuori dall'aula?

Mi zittii all'istante e cercai di alzarmi il più in fretta possibile: con il professor Dippett qualsiasi giustificazione non aveva alcun senso, tanto valeva beccarsi la strigliata e passare un'ora di lezione in corridoio. Almeno avrei potuto raccontare tutto a Felix senza il timore di essere scoperta di nuovo.

---

- Cosa?! Mi stai dicendo che... Oh mio Dio. 

- E allora? Non hai mai sentito parlare di legittima difesa?

Felix si passò una mano fra i capelli con un'espressione sconsolata, ma non osò distogliere lo sguardo dal mio volto duro.

- Ally, non è così che funziona. In quel momento non ti ha fatto niente!

- Ma avrebbe potuto! 

- Davanti ai tuoi genitori? Non penso che sia così stupido... Ci dev'essere un motivo se è a capo di un'intera azienda a soli ventisei anni. Spruzzargli dello spray al peperoncino negli occhi non è una cosa che va fatta con così tanta leggerezza. 

- Se l'è cercata. E poi usa ancora le faccine della tastiera, non è così intelligente come sembra.

- Aspetta, mi stai dicendo che continuate a chattare?

Se possibile, Felix sembrava ancora più disperato di quanto non fosse pochi secondi prima.

- Non è colpa mia se mi contatta... 

- Cosa vi siete detti?

Gli mostrai il cellulare e gli diedi il tempo di leggere ciò che ci eravamo detti la sera precedente.

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e parve riflettere anche dopo aver finito di leggere. Potevo sentire gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto.

- Strano... Insomma, mi hai detto che alla festa si è comportato in modo abbastanza normale e che è rimasto sorpreso dalle tue scuse, perché avrebbe dovuto ricominciare a fare il prepotente?

- Probabilmente si è comportato bene perché avevo ancora la bomboletta di spray al peperoncino nelle calze.

- Sì, ma... Se ti detesta così tanto, perché preoccuparsi per te? 

- Che intendi?

- Mi hai detto che quando ti ha visto salire le scale con quel Taehyung, ha cercato di impedirtelo. E quando siete rimasti soli ti ha confidato che non si aspettava che frequentassi gli sconosciuti.

Sbuffai sonoramente.

- Ho smesso da tempo di analizzare il lato positivo, ammesso che ce ne sia uno. Dovresti farlo anche tu.

- Ma avrebbe potuto tranquillamente lasciare che quel ragazzo ti facesse del male.

Quel ragazzo è oro colato rispetto a quel pallone gonfiato del Signor Kim.

Felix mi lanciò un'occhiata contrariata, come a voler intendere che il suo discorso mirava altrove.

- Ho dei sospetti a riguardo. Insomma... all'inizio Taehyung ti ha detto che suo padre lavora per l'azienda della tua famiglia. Ma successivamente, quando il Signor Kim vi ha interrotto, ha affermato di conoscerlo perché lavorano nella stessa azienda.

- E quindi?

- Non ti sembra strano che lui e suo padre lavorino in due aziende diverse?

- Be', i CEO delle due aziende sono comunque in ottimi rapporti.

- Soltanto da un anno.

Spostai il peso da un piede all'altro e mi strofinai una tempia con le dita.

- Mh, non ci avevo pensato... In effetti è strano. Ma perché avrebbe dovuto mentire?

- Ci potrebbero essere mille motivi, in fondo non lo conosci.

- Sì, invece!

- E dimmi... cosa sai di lui?

- Non sono affari tuoi!


Emisi un lungo sospiro. Nonostante fossi ritornata in classe, la mia mente era rimasta a ciò che aveva detto Felix. Perché Taehyung avrebbe dovuto mentire?

"Glielo chiederò io stessa"

---

Sbattei i piedi a terra più volte nel vano tentativo di riscaldarmi un po' le gambe. Ero immobile dinanzi all'enorme palazzo della EnJINe ed ero sicura di non essere mai stata così incerta nella mia vita. Le porte scorrevoli erano di vetro, quindi potevo star sicura del fatto che chiunque poteva vedermi dall'interno, nonostante ciò non mi mossi neanche di un millimetro. Avevo il terrore che, chiedendo di incontrare Taehyung, mi sarei imbattuta nel Signor Kim che mi avrebbe fatto un'altra ramanzina su chi dovevo e non dovevo vedere; oppure, ancora peggio, mi avrebbe portato in una stanza a cui soltanto lui poteva accedere e avrebbe fatto di me la sua serva. Rabbrividii al pensiero, ma provvedetti a scacciarlo subito dalla mia mente perché, come mio solito, ero troppo paranoica.

Quando finalmente mi decisi a entrare, le porte di vetro spesso si aprirono automaticamente, ma ero ancora troppo lontana perché il sensore potesse rilevare la mia presenza. Infatti mi ritrovai dinanzi un ragazzo in un completo elegante, che mi guardava con un sorriso sorpreso e, allo stesso tempo, amichevole.

- Allison! Che ci fai qui?

- T-Taehyung... Ciao.

Mi morsi il labbro inferiore con indecisione, poi avanzai verso di lui e gli strinsi la mano.

- Hai bisogno di vedere il Signor Kim?

Brividi.

- No, no... In realtà sono venuta qui per te. Vorrei parlarti.

Taehyung aggrottò le sopracciglia, di certo non si aspettava quelle parole, ma non si scompose. Sorrise di nuovo e mi invitò a entrare con un gesto del braccio. 
Lo seguii lungo corridoi senza fine che sembravano essere stato tirati a lucido pochi minuti prima, poi su per delle scale fino a una porta a due ante di un grigio opaco molto elegante, con il simbolo dell'azienda al centro. 
Il ragazzo appoggiò le mani su entrambi i maniglioni, diede una forte spinta e mi invitò a entrare per prima.

- Questo è il mio ufficio, accomodati.

Rimasi imbambolata sulla soglia della porta. Quella stanza era più grande del mio salotto, che modestamente competeva con quello degli antichi palazzi europei; due divani erano sistemati al centro dell'ufficio, con i piedi che poggiavano su una moquette nera. Tecnologie di ultima generazione erano installate in ogni dove, a partire dal PC e da quello che sembrava essere un videocitofono accanto alla porta.

- Wow... Non pensavo che avessi un ruolo importante. Insomma... credevo che ti intendessi di scartoffie o di pulizia.

Taehyung rise in modo spontaneo.

- Immagino che tu non riesca a toglierti dalla testa il mio insolito hobby da postino.

Risi anche io, ma mi coprii la bocca per non risultare scortese, o qualsiasi cosa che spezzasse l'armonia e l'eleganza di ogni singolo oggetto che si trovava in quella stanza.

- Esatto.

Seguii il ragazzo fino ai divanetti e mi sedetti di fronte a lui, appoggiando la borsa sul piccolo tavolino di vetro che ci separava. 
Taehyung si schiarì la voce e mi rivolse un sorriso gentile. 
Come negare l'effetto che mi faceva ogni suo piccolo sorriso? Sembrava così pieno di riguardi per me.

- Allora, di cosa vuoi parlarmi?

- Oh... Quasi dimenticavo.

"Chi non perderebbe la testa in un lussuoso ufficio con l'affascinante e tutto-quello-che-il-Signor-Kim-non-è Taehyung?"

- Ecco... Oggi mi è capitato di riflettere su una cosa che mi hai detto l'altra sera alla festa. 

Taehyung aggrottò le sopracciglia, evidentemente lo avevo sorpreso con quello strano pretesto per andare a fargli visita direttamente in azienda, ma non potevo essere più vaga di così.

- C'è qualcosa che non va? 

Mi feci più avanti sul piccolo divano in pelle, ma in quel momento nessuna posizione sembrava essere quella giusta. 

- Tuo padre... Mi hai detto che tuo padre lavora alla HarveyFactory, l'azienda della mia famiglia, ma se è così... perché tu lavori con il Signor Kim?

Il ragazzo mi rivolse un'espressione rilassata e al contempo divertita, come se non avesse mai ricevuto un domanda più stupida in tutta la sua vita.

- Be', mio padre lavora alla HarveyFactory da prima che io nascessi. Ha cercato di farmi entrare nel suo mondo fin da subito, ma da piccolo ero davvero un ribelle e non sopportavo il suo atteggiamento severo. Alla fine ho scoperto di essere portato per questo lavoro, mi piace molto... ma per orgoglio personale ho deciso di lavorare in un'altra azienda e il Signor Kim si è presentato al momento giusto un paio d'anni fa, mostrandomi i fantastici progetti della EnJINe. Che ne dici, è esaustiva come risposta? 

In quel momento dovevo avere davvero l'aspetto di un pesce, perché ero rimasta a bocca aperta. Naturalmente non perché fossi rimasta scioccata dalla vita di Taehyung, ma perché mi ero resa conto di quanto dovevo essere apparsa stupida ai suoi occhi per essere andata a trovarlo a lavoro soltanto per chiedergli una cosa che non aveva nulla a che fare con la mia vita. D'altronde, chi ha mai detto che padre e figlio devono lavorare necessariamente nella stessa azienda? 

Avrei tanto voluto darmi un pugno in faccia da sola, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu emettere una risatina fuori luogo.

- Sì... ehm... 

- Hey, non ti preoccupare.

Taehyung si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.

- Deve essere molto imbarazzante per te.

- A cosa ti riferisci?

- Comprendo che in tempi di crescita anche le aziende alleate siano un po' competitive fra loro. Non sentirti a disagio se tuo padre ti ha mandato qui per ottenere qualche informazione, puoi farmi tutte le domande che vuoi.

Incredibile, un'occasione d'oro era appena piovuta dal cielo. Non avevo idea di come gestire quel fraintendimento, ma almeno Taehyung pensava che fossi andata lì per un motivo valido e non per fargli una stupida domanda. Dovevo approfittare di quella situazione.

- Bene. Allora... cosa mi dici del tuo rapporto con il CEO?

Il ragazzo si lasciò sfuggire una strana risatina che lasciava intendere ben altro che puro divertimento.

- Ti riferisci a Jin?

- Sì... quello.

Non l'avrei chiamato per nome neanche sotto tortura.

- Mi ha offerto una grandissima opportunità, senza di lui non potrei essere qui a un'età così giovane.

Taehyung sorrise, tentando di porre fine a quella discussione in modo forzato, ma senza darlo a vedere. Ciò riportò a galla i dubbi che si erano appena estinti. Perché mai quel ragazzo avrebbe dovuto sentirsi a disagio al solo sentir nominare il suo CEO che gli aveva offerto una grandissima opportunità?

- Tutto qui? Insomma, tu potresti essere il suo collaboratore più intimo.

- No, affatto. È vicino a molte altre persone... per esempio tuo padre.

- Già, questo lo so. E che cosa mi dici delle sue attitudini?

- Attitudini?

Taehyung sembrava alquanto sorpreso, ma in quel momento c'era qualcosa che desideravo più ardentemente di preservare la mia immagine: ricevere il maggior numero possibile di informazioni sul Signor Kim.

"D'altronde sono qui in veste di ispettrice, no?"

- Oh... non saprei.

- Perché all'improvviso sei così inquieto? L'altra sera mi sembravi più che determinato mentre cercavi di evitarlo.

- E tu mi eri parsa più ingenua, piccola Allison.

- Strana coincidenza! Non sei il primo a dirmelo.

Taehyung emise un lungo sospiro, poi si ricompose e sorrise con decisione. Fui scossa dal suo pragmatismo.

- Sai, stimo moltissimo Jin. Pochi sarebbero capaci di raggiungere i suoi stessi traguardi in così poco tempo e con così poca esperienza. In fondo è anche più giovane di quanto sembri.

- Ma?

- Ma... la mia stima si limita al ruolo che ricopre in questa azienda.

- Ossia?

- Non ammiro il suo comportamento come uomo, l'avrai notato anche tu.

Mi schiarii la voce per evitare che la mia stessa saliva mi andasse di traverso. Ero molto vicina a sentire proprio quello che cercavo. 
Mi bastò alzare le sopracciglia per fargli capire che desideravo ascoltare di più.

- Girano voci su come abbia licenziato dei dipendenti senza alcun motivo... e c'è di peggio. Si dice che lo abbia fatto per competizione amorosa.

Fu molto difficile non scoppiare a ridere, ma mi resi conto da sola che sarei stata poco decorosa, come mio solito.

- Competizione amorosa? Il Signor Kim?

- Sì, ed è successo più di una volta.

- Non ci credo... E ha licenziato dei dipendenti per questo?

Taehyung annuì, sembrava più tranquillo.

- Ed è anche per questo se prima hai avuto la sensazione che mi sentissi a disagio. Sai, potranno essere soltanto delle voci all'esterno dell'azienda, ma per me che vengo qui ogni giorno... Posso assicurarti che è tutto vero ed è orribile dover lodare Jin durante le interviste e le riunioni, sapendo che tipo di uomo sia in realtà.

Non potevo credere alle sue parole. Ero giunta fin lì credendo che fosse Taehyung quello sospetto; poi avevo sperato di ottenere qualche notizia frizzante sul CEO di un'azienda in crescita, ma questo... non potevo sopportarlo.

- Allison... Scusami se ti ho fatto una brutta impressione, se ho cercato di affrettare le cose fra noi, ma io voglio conoscerti... conoscerti più di quanto possa fare lui con l'appoggio di tuo padre.

- T-tu... tu credi che lui...

- È naturale. Altrimenti perché si sarebbe avvicinato a te? Stai attenta, per favore. Puoi cercarmi per qualsiasi cosa.

Sospirai per l'incredulità. Mi aspettavo che il Signor Kim fosse un uomo meschino, ma non fino a questo punto. Ero così sconvolta che non feci neanche caso a ciò che Taehyung aveva effettivamente detto. Voglio conoscerti.

- Grazie... Taehyung. Ho capito molte cose. E scusami se ho dubitato di te, ma sappi che non ho mai pensato che fossi una cattiva persona.

Mi alzai dal divano e mi accarezzai le cosce con entrambe le mani con fare impacciato. Taehyung si alzò subito dopo di me con l'intento di accompagnarmi alla porta.

- Ho del lavoro da sbrigare, quindi non posso scortarti fino all'uscita. Ricordi dove devi andare?

Annuii evitando prontamente il suo sguardo, con la consapevolezza che mi sarei potuta sciogliere all'istante.

- Se ti va di... Sai, conoscerci meglio, posso darti il mio numero di cellulare.

Mi porse la mano e, più goffa che mai, gli diedi il mio telefono.

Aspettai che finisse, poi lo salutai ringraziandolo di nuovo e mi avviai per quei corridoi luminosi e tortuosi.

---

- Ally, per favore, ripeti. Come faccio a capire cosa dici se continui a starnazzare con la bocca piena?

Fui costretta a mollare la pizza, lasciando che si afflosciasse nel cartone.

- Ho il numero di Taehyung!

- Intendi... quel Taehyung?

- Dipende... Quanti Taehyung conosci a New York?

Felix sbuffò, lasciandosi cadere indietro sulla sedia.

- Non eri andata a parlare con lui perché avevi dei sospetti?

- Tu avevi dei sospetti. Io non ne ho mai avuti.

- Non stai dicendo sul serio.

- Certo che sì! Ieri mi hai fatto il lavaggio del cervello. Come ho potuto pensare che fosse strano il fatto che suo padre lavori in un'azienda diversa dalla sua?

Felix alzò gli occhi al cielo, ma non ottenne le attenzioni che desiderava, perché ero troppo impegnata a infilarmi un'intera fetta di pizza in bocca. 

- Come vuoi, ma sappi che quando ti caccerai nei guai e riceverai il mio sguardo da te l'avevo detto, non vorrò sentire storie.

Scrollai le spalle e mi rituffai con la faccia nel cibo.

---

Mi stiracchiai lungo la spalliera della sedia e chiusi il libro di letteratura con un tonfo. Erano le dieci di sera e non potevo più di stare con la testa sui libri, specialmente non dopo tutto quello che era successo negli ultimi giorni. 

Mi infilai il pigiama e mi spaparanzai sul letto, pronta a godermi un'oretta di svago; ma il cellulare mi vibrò in mano non appena lo toccai. Era un messaggio da parte del Signor Kim. Trasalii e sentii il gelo impadronirsi delle mie mani. Normalmente avrei provato rabbia o curiosità, ma questa volta si trattava di qualcosa di completamente diverso. Puro odio, disprezzo. In un primo momento, infatti, fui tentata di non rispondere, ma avrei voluto almeno fargli sapere che avevo chiuso con lui e che, se avesse provato a farmi di nuovo del male, avrei riferito tutto ai miei genitori, anche se ciò avrebbe comportato un calo delle vendite della nostra azienda.

Hey, Allison :)

Non ci sentiamo da un po'. 

Abituati, perché non ci sentiremo mai più.

 

Cosa è successo?

Sei un pezzo di merda. Stai lontano da me. 


Cosa?!

Ally? Spiegami

Furbo da parte tua cercare di farmi dubitare di Taehyung.

L'unico pervertito qui sei tu.

Per mia fortuna questa volta il Signor Kim si limitò a visualizzare il messaggio, ma non ricevetti alcuna risposta. Non aveva scuse.

 Emisi un sospiro di sollievo mentre sprofondavo con la testa nel cuscino. Mi era completamente passata la voglia di perdere tempo dietro a filmati divertenti, quindi decisi di fare una capatina nell'ufficio di mio padre. Con tutti gli avvenimenti degli ultimi tempi, in particolare il peluche della RoyalToys, non avevo avuto modo di scambiare due chiacchiere con lui, ma soprattutto di fargli capire che in realtà, per quanto fossi assente o distratta, tenevo alla sua azienda, alla nostra azienda. Avevo pensato di frequentare più spesso l'edificio nei giorni di impegni scolastici minori, ma il solo pensiero di poter incontrare il Signor Kim in ogni stanza mi faceva rabbrividire. Il fatto che fossero soci comportava anche il suo continuo ronzare attorno a mio padre. Scossi il capo; c'erano così tante cose su cui avrei voluto riflettere, ma sapevo che in ogni caso non sarei arrivata da nessuna parte con la mia sola testa. Avrei dovuto chiedere spiegazioni al diretto interessato, ma non avrei parlato con lui neanche sotto costrizione. Avevo compreso che non voleva affatto sfruttarmi per arrivare a mio padre, perché lo aveva già fatto da tempo, ma era soltanto un uomo viscido e meschino, desideroso di aggiungermi alla sua collezione di conquiste sul lavoro. 

"Competizione amorosa, eh? Non farmi ridere. Quando tutti verranno a conoscenza della verità, l'unica cosa con cui potrai confrontarti saranno le sbarre della tua cella in prigione"

Ma no, non sarei stata io a sporgere denuncia, non volevo mandare in rovina la mia stessa azienda dopo aver assistito per tutta la mia vita agli sforzi immani compiuti da mio padre, a patto che lui non si avvicinasse più a me. 


Salii fino all'ultimo piano in punta di piedi, consapevole del fatto che mia madre era a letto già da un po'. Mio padre, invece, non lasciava mai l'ufficio prima di mezzanotte; mi dispiaceva che dovesse affaticarsi così tanto, ma di darsi una regolata non voleva saperne. Perlomeno aveva acconsentito a trasformare la stanza degli ospiti in un ufficio simile a quello che aveva in azienda, così da non dover rincasare durante la notte. 

La porta socchiusa lasciava trapelare una sottile scia luminosa che si allungava sul pavimento del corridoio buio. Potevo chiaramente udire la voce di mio padre e attesi, dapprima credendo che stesse parlando al telefono. Ma poi una seconda voce maschile, grave e rauca, sovrastò l'altra. Si trattava sicuramente di un adulto, probabilmente più anziano di mio padre, e aveva un insolito accento orientale. Mi sporsi verso la fessura, ma non riuscii a scorgere nulla perché era troppo stretta, quindi mi accucciai contro il muro e mi focalizzai su ciò che i due uomini stavano dicendo.

- Michael, non credo che sia una buona idea. Tuo fratello è in grado di prevedere tutte le nostre mosse, indubbiamente sa troppo. 

- Dunque cosa proponi di fare?

- Non è l'unico a sospettare che quei traffici illegali riguardino la tua azienda e di certo non si lascerà sfuggire nessuna occasione per buttarti giù. Per il momento lascia che se ne occupi mio figlio. 

- Jin? Ho molta fiducia nelle sue capacità, ma non ha alcuna esperienza in questo campo.

- Però il mondo del mercato dà grande valore alla sua immagine. Kim Seokjin, l'imprenditore sud-coreano che ha dato vita all'azienda perfetta a soli ventisei anni. Tutti gli articoli che s'interessano di economia recitano più o meno così. 

- Ma prima o poi gli altri imprenditori e giornalisti si renderanno conto del fatto che dopo un anno di collaborazione, le due aziende non hanno prodotto nulla insieme. 

Una risata rauca si diffuse nella stanza, seguita da un leggero tossicchiare.

- A cosa credi che serva l'altro mio figlio? Di certo la sua capacità nel persuadere e complottare è un grande dono. L'ho già incaricato di dare inizio a un grande progetto di facciata che terrà occupati i giornalisti e chiunque sospetti della HarveyFactory. E nel frattempo noi risolveremo i problemi con la RoyalToys. 

- Altro figlio? Non sapevo che avessi due figli. 

- Be'... un uomo d'affari non svela mai il suo asso nella manica, neanche al socio più fidato. Questo dovresti saperlo meglio di me, Michael.

- Certamente. 

- Bene. Allora domani sarò lieto di presentarti Taehyung. 

Nonostante lo shock minacciasse di impedirmi di muovermi, mi alzai con uno scatto prima che l'uomo aprisse la porta. Per mia fortuna le luci nel corridoio erano spente e non mi fu difficile trovare un nascondiglio dietro a una piccola colonna a muro. Sentii la porta richiudersi e i passi dell'uomo farsi sempre più lontani. Mi affacciai titubante per dare un'occhiata alla sua figura: era lo stesso uomo che Taehyung mi aveva indicato durante la festa, suo padre. Lo stesso uomo che poco prima aveva affermato di essere il padre del Signor Kim e di avere un secondo figlio di nome Taehyung. Per quanto il cognome Kim potesse essere diffuso nel suo stato d'origine, quella non poteva essere una mera coincidenza.

"Il Signor Kim e Taehyung sono fratelli"


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** ❝frappè❞ ***


frappè

 

Mi accasciai sul pavimento, tenendomi la testa fra le mani. Credevo davvero che sarebbe scoppiata a momenti per tutto quello che c'era entrato nell'ultimo, stranissimo, periodo della mia vita. C'è un limite alla quantità di pensieri che una mente umana può elaborare? Be', speravo di sì, anche se in quel momento non ero molto fiduciosa.

Ritornai nella mia stanza strisciando i piedi. Mi sedetti sul letto con lentezza, chiusi gli occhi e incrociai le gambe. Con l'esperienza avevo avuto modo di imparare che, prima di avere una crisi nervosa, dovevo fermarmi un secondo e riflettere razionalmente.

"Okay. Quindi il Signor Kim e Taehyung sono fratelli. Bene. Cosa c'è di strano?"

Rivolsi al muro un sorriso da ebete, scossi la testa dopo qualche secondo e strisciai verso il letto. Mi stesi a pancia in su, come se ci fosse una remota possibilità di trovare una soluzione nel soffitto intonacato di bianco. 
Il mio problema era più grande di quanto sembrasse dall'esterno, anzi, chiunque avrebbe pensato che fosse una sciocchezza, ma per me non lo era. Era una questione di vita o di morte.

Alla fine si era tutto ridotto a un'unica domanda: chi avrei dovuto etichettare come bugiardo? Il signor Kim o Taehyung? O entrambi? La cosa certa era che almeno uno dei due mi aveva mentito.

---

- Taehyung.

- Cosa?!

Per poco non sputai la brodaglia che nella mensa della mia scuola veniva spacciata per zuppa di legumi.

- È lui il bugiardo.

- E il Signor Kim?

Felix alzò gli occhi al cielo, trattenendosi evidentemente dallo sbattere la testa sul tavolo per l'ennesima volta quell'anno.

- Ally, quando chiedi un consiglio a una persona si suppone che tu non abbia già deciso in partenza.

- Non c'è nessun motivo al mondo per cui dovrei scagionare il Signor Kim.

- Allora accetta la possibilità che anche Taehyung possa essere colpevole. Magari sono complici.

- Ma se si odiano!

- Fanno finta.

- Ma...

Felix si schiarì la voce, si passò una mano sul ciuffo biondo e accavallò le gambe. Sapevo già che stava per cimentarsi in una grottesca imitazione della sottoscritta.

Oh, ma come faccio a incolpare Taehyung? Hai visto quel faccino? E quando sorride...

Parlò con una voce molto più acuta, simile a quella di una scimmia e sicuramente non uguale alla mia.

- Non parlo così e non ho mai detto quelle cose.

- Ma le pensi.

Il ragazzo mi fece l'occhiolino, cosa che mi fece innervosire ancora di più, anche perché sapevo che aveva ragione.

- Taehyung ti piace.

- Sarebbe strano il contrario.

Felix si lasciò sfuggire un sospiro profondo, come se si fosse appena liberato di un peso enorme.

- Finalmente ti sei decisa ad ammetterlo.

- Insomma, chi non si prenderebbe una cotta stratosferica per quel ragazzo? L'hai visto?

- Quando smetterai di pensare che io sia gay soltanto perché esco con te, il nostro rapporto sarà migliore.

Scossi la testa e sbattei le mani sul tavolo, ricordando sia a me stessa che a Felix che il centro della conversazione era un altro. E dovevamo ritornarci assolutamente entro la fine di quella giornata, altrimenti ero sicura che sarei impazzita. O forse lo ero già da tempo.

- Okay, sarcasmo a parte. Cosa mi consigli di fare?

- Ah! Quindi ti interessa davvero il mio parere?

- Felix...

- Strano, perché fai sempre di testa tua.

- L'ultima volta che ho seguito il tuo consiglio ho fatto una figuraccia davanti a Taehyung.

- O semplicemente lui è molto esperto nel dire bugie.

Sbuffai sonoramente, però dovevo ammettere che aveva ragione. Per quanto Taehyung ai miei occhi apparisse meraviglioso e gentile, nessuno poteva garantirmi che fosse davvero così. In fondo mi aveva parlato del Signor Kim senza mai accennare alla loro stretta parentela, anzi, lo aveva trattato semplicemente come un suo superiore. Quindi mi aveva mentito anche lui. Cosa avrei dovuto fare? Di certo non potevo presentarmi di nuovo alla EnJINe e chiedere un'udienza con il CEO e il suo presunto fratello.

- Ally, ci sei?

- No.

Felix storse la bocca, un briciolo di sarcasmo in meno questa volta. Qualcosa mi diceva che era preoccupato davvero.

- Mi avevi fatto una promessa.

- Soltanto per il Signor Kim.

- No, Ally. Lo sai che non mi riferivo soltanto a lui, ma a tutti gli uomini del suo genere.

- Ma Taehyung...

- Taehyung un cavolo, ti ha mentito senza pensarci due volte! Che bisogno c'era di farlo?

- Avrà avuto i suoi motivi.

Il ragazzo inarcò le sopracciglia e piegò la testa da un lato, guardandomi incredulo per qualche secondo.

- Aspetta, lo stai difendendo?

- No... certo che no. Però...

- Nessuna persona per bene mente su queste cose.

- E se ci fosse qualcosa sotto?

- Del tipo?

- Non lo so... Magari si odiano o non sono fratelli di sangue oppure...

Fui interrotta dallo movimento brusco di Felix, che si alzò facendo strisciare la sedia per terra.

- Ally, per quanto tu possa scervellarti o dar retta ai miei consigli, sai benissimo qual è la soluzione, è la cosa più semplice del mondo, ma evidentemente non odii il Signor Kim così come dici di fare.

- Cos- Ehi! Chi ha mai parlato del Signor Kim?

- Lasciamo perdere. Vado in biblioteca e non pensare di seguirmi per cercare di migliorare la situazione. Cercami quando sarai diventata meno ipocrita.

- Ipocri... ta?

Ma Felix mi aveva già voltato le spalle, diretto alle scale con passo veloce.

"La soluzione è dimenticarmi di loro"

---

Raccolsi un soffione da terra, sicuramente portato lì dal vento, perché a New York bisognava percorrere parecchi chilometri prima di incontrare un po' di vegetazione non artificiale. Mi sentii in pena per quel piccolo fiore, quindi evitai di soffiarne via i petali leggeri e lo incastrai fra le ciocche dei miei capelli. Era una giornata niente male, il cielo era grigio e le nuvole oscuravano il sole, ma perlomeno non c'era un acquazzone a precipitarmi sulla testa come la volta scorsa. Era da tanto tempo che non trascorrevo il pomeriggio all'aperto da sola. Avevo con me un libro di non so quale autore troppo vecchio per i miei gusti sul quale avrei dovuto scrivere una relazione e consegnarla alla professoressa di letteratura. Sorseggiai il frappè che avevo ordinato nella gelateria di fronte, sebbene facesse ancora troppo freddo per bere cose del genere.

Sospirai e feci una pausa dal libro, mi bruciavano gli occhi e sentivo la testa pesante. Pensai inevitabilmente a Felix: non lo avevo mai visto così arrabbiato in vita mia, o forse soltanto quando un socio di mio padre aveva provato a farmi entrare nella sua limousine con la forza. Il mio migliore amico gli aveva piazzato un bel pugno in faccia all'età di soli quindici anni e mio padre lo aveva ringraziato, regalandogli più tardi la PlayStation che adorava tanto. Sorrisi al ricordo, eravamo decisamente più spensierati. E più vicini. Da quanto tempo avevamo cominciato ad allontanarci? Forse da quando il Signor Kim era entrato nella mia vita.

D'improvviso il cellulare vibrò accanto alla mia gamba, riportandomi alla realtà. Ero convinta che fosse Felix, con la speranza che volesse invitarmi a casa sua per trascorrere del tempo insieme e mettere una pietra sopra alla discussione di quella mattina, ma mi sbagliavo. Era il Signor Kim. Parli del diavolo...

Ciao, Ally! Che leggi?

Il frappè che stavo bevendo mi andò di traverso e per poco non sputai tutto sulle mie stesse gambe. Mi guardai intorno, ma non c'era nessuno nelle vicinanze, soltanto qualche turista che entrava nei negozi e persone che camminavano velocemente con il cellulare all'orecchio e una valigetta da ufficio alla mano.

Fatti vedere.

Ho ancora lo spray al peperoncino con me.

Non trattarmi male come sempre! :(

Da che pulpito... 

Dai, cosa leggi?

Non sono affari tuoi. Come fai a sapere che sto leggendo?

Ti ricordo che il palazzo della EnJINe ha 26 piani ;)

Guardai in direzione dell'edificio in questione, che sovrastava perfino gli altri grattacieli di importanti aziende. Ma la domanda persisteva: come faceva a vedere che stavo leggendo da quella distanza? Possibile che fosse così perverso da avere con sé un binocolo con cui spiare le persone da lassù? Ovviamente era una domanda retorica; non c'era limite alla perversione di quell'uomo.

- Allison?

Balzai sulla panchina, cacciando un urlo felino mentre assistevo al salto mortale del mio cellulare prima che si schiantasse per terra. Ma la situazione divenne ancora più tragica quando sentii un qualcosa di freddo e denso colarmi sui jeans.

- Oh... Che disastro. Lascia che ti aiuti.

Alzai lo sguardo dai miei pantaloni imbrattati di frappè per posarlo sulla figura dell'uomo che mi aveva chiamato per nome, facendomi spaventare.

- K-Kim...?

- Già, ti ho visto qui da sola e pensavo di-

- Ancora tu! Quando la smetterai di prenderti gioco di me?! E cosa diamine ci fai qui?

L'uomo aveva un'espressione sconvolta, ma come al solito sapeva fingere molto bene.

- Credi che sia così stupida da non capire che mi prendi per il... che mi prendi in giro?!

Mi coprii la bocca con imbarazzo, usare modi di dire così volgari non era nel mio genere, vista la famiglia in cui ero cresciuta, ma quando ero furiosa non riuscivo a controllarmi.

Ma il Signor Kim non mi stava neanche guardando negli occhi. Si era chinato per prendere il mio cellulare e il bicchiere di plastica ormai vuoto.

- Tieni, per fortuna lo schermo è ancora intero.

- Ehi! Mi ascolti?

Mi alzai in piedi e afferrai con riluttanza il pacco di fazzoletti che mi porse.

- Per quanto riguarda il frappè... Vuoi che te ne prenda un altro?

Sbuffai e tirai fuori un fazzoletto dal pacchetto con violenza, per poi cominciare a strofinarmelo sui pantaloni.

- No, grazie. Anzi... sì! Alla fragola.

Il Signor Kim scosse la testa emettendo un suono simile a una... risata?

- Mi trovi divertente? Credo che ti passerà la voglia di ridere quando ti ritroverai di nuovo del peperoncino negli occhi.

La sua espressione si fece immediatamente seria, almeno c'era qualcosa con cui anche io potevo minacciarlo.

- Scusami, non intendevo ridere di te. Ti trovo piuttosto simpatica.

- Simpatica?

Lo fulminai con lo sguardo. Era possibile definire simpatica una persona che allo stesso tempo si aveva la voglia di tormentare?

- Sì, insomma-

- Non mi interessa. Che ne dici di andare a comprare quel frappè e di riaccompagnarmi a casa?

Gli rivolsi un sorriso forzato e ripresi a strofinarmi inutilmente quel fazzoletto sui jeans.

---

Mi era difficile dire da quanto tempo stessi sorseggiando il frappè dalla cannuccia mentre dal finestrino della limousine cercavo di leggere qualsiasi tabellone pubblicitario mi capitasse davanti. Il Signor Kim aveva accolto i miei incarichi senza dire una parola, probabilmente dentro di lui persisteva un briciolo di quel senso di colpa a cui avevo avuto modo di assistere anche alla festa di compleanno di mio padre. Difficile a credersi.

Purtroppo però, per quanto non mi andasse a genio rivolgergli la parola di mia iniziativa, era la mia occasione per fare un po' di luce su quella faccenda contorta. Mi voltai verso l'uomo, anche lui intento a fingersi interessato al paesaggio circostante. Mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione.

- Allora...

Ma l'auto frenò bruscamente e sbattei la testa contro il finestrino.

- Cosa diavolo...

Sentii il clacson di varie macchine protestare nel traffico di New York e sbuffai infastidita, premendomi il palmo di una mano sulla fronte.

- Allison, tutto bene? Dovresti mettere la cintura.

Il Signor Kim mi guardava con aria paterna e aveva un mano sollevata all'altezza della mia spalla, senza però toccarmi, come se avesse paura anche solo di sfiorarmi per sbaglio.

- Sì, sto bene.

Chinai la testa e presi a fissarmi i piedi, mordendomi le labbra sotto la pressione che lo sguardo attento dell'uomo esercitava su di me. Anche se non potevo vederlo, sapevo che mi stava guardando e odiavo dover ammettere a me stessa che ricevere le sua attenzioni mi mandava in panne il cervello. I suoi occhi mi mettevano soggezione, mi trasmettevano insicurezza, come se riuscissero a captare ogni mio pensiero; forse perché non avevo mai visto degli occhi così scuri, solitamente non facevo caso a quelli delle altre persone.

- Prima stavi cercando di chiedermi qualcosa, o sbaglio?

Strinsi le gambe e alzai la testa di scatto.

- Oh, sì! Giusto...

Cercai di riassumere il tono scontroso con il quale mi ero rivolta a lui quando mi aveva spaventato.

- Perché non eri nella tua azienda?

- Oh... Volevo prendermi una pausa dal lavoro e ho pensato di fare una passeggiata. Ne ho approfittato per prendere qualcosa da mangiare ai miei dipendenti che non lavorano part-time.

Indicò le buste di cartone appoggiate sul sedile sulle quali era stampato l'inconfondibile simbolo di McDonald's. Effettivamente le aveva con sé da quando ci eravamo incontrati.

- Gentile da parte tua.

Cercai di dirlo con fare disinteressato, ricevendo in cambio una breve risata.

- Ti aspettavi che frustassi i miei dipendenti e li costringessi a digiunare?

- Qualcosa del genere.

Scrollai le spalle e mi voltai di nuovo verso il finestrino. Sentii l'uomo fare pressione sul sedile e avvicinarsi a me.

- Perché ti interessa?

- Stai flirtando con me?

Come mi era saltato in mente di dire una cosa del genere con una tale sfacciataggine? Per giunta al mio acerrimo nemico. Da quando avevo conosciuto il Signor Kim il mio cervello aveva davvero smesso di collaborare. Infilai il mento nella sciarpa nel vano tentativo di nascondere le mie guance sicuramente rosse per l'imbarazzo.

- Mi hai preso per un donnaiolo?

- Non è forse quello che dicono tutti di te?

Un'altra risata. Mi stavo abituando a quel suono. Era più acuta e dolce di quando mi aspettassi e non era poi così irritante.

- "Spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall'opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa."

Trattenni il respiro.

- Come facevi a sapere...

- Ti ho vista mentre lo posavi in borsa. Ti piace Seneca?

- N-no... cioè sì... ma devo leggerlo per la scuola.

- Strano che a scuola vi facciano leggere opere classiche.

- La mia professoressa è un po' fissata... E tu come mai lo conosci?

- L'ho letto per piacere personale quando facevo le medie.

Sussultai. Non mi aspettavo che il Signor Kim fosse un cultore della letteratura classica. A pensarci bene non sapevo assolutamente nulla su di lui, ma doveva essere un uomo davvero in gamba per aver raggiunto tali risultati alla sua età, anche se non dava a vederlo.

- Quindi... è vero quello che si dice su di te?

- Te ne ha parlato qualcuno?

Annuii mantenendo la testa bassa.

- Sinceramente non so con precisione cosa si dica su di me, ci sono così tante voci in giro. L'unica cosa certa è che mi concentro sul mio lavoro ogni giorno, sono nella mia azienda quasi ventiquattro ore su ventiquattro e quando non sono lì sono con tuo padre a discutere di affari.

Stavolta azzardai a guardarlo. Mi rivolse un sorriso cortese, ma abbassò lo sguardo subito dopo. Anche lui sembrava a disagi, o si trattava di imbarazzo?

- E allora dove trovi il tempo di farmi tutte quelle cose?

Intrecciai le dita e cominciai a torcermi i pollici.

- A cosa ti riferisci?

- Ci risiamo!

Al diavolo l'imbarazzo, come al solito avevo abbassato la guardia. Gli afferrai un polso e lo attirai verso di me, in modo che potessimo guardarci negli occhi. Dopo un solo istante fui tentata di distogliere lo sguardo, perché non mi sentivo in grado di sostenere il suo, ma la mia determinazione ritornò a farsi sentire.

- Cosa ci guadagni facendo tutto questo? Perché ti ostini a comportarti in modo gentile con me se sai che continuerò a odiarti?!

Lo spinsi via, non smettendo però di guardarlo con disprezzo. Ma lui continuava ad avere quell'espressione sorpresa.

- Non hai niente da dire? Bene, allora stammi a sentire. Non voglio vederti mai più, esci dalla mia vita e smetti di contattarmi.

- Contattarti...?

- Certo! Su Instagram quanti CEO della EnJIne di nome Kim Seokjin esistono?

L'uomo scosse la testa e si ricompose sul sedile.

- Non uso quell'account da secoli... Lo gestiscono i miei dipendenti per fare pubblicità all'azienda, ma io non ne so niente.

- Bella questa! Hai ancora la faccia di mentire?

- Allison... Ogni volta che ci incontriamo continui a ripetermi che ti ho fatto qualcosa, ma io non so davvero a cosa ti riferisci.

- D'accordo. Allora cosa sono questi?

Per poco non gli sbattei il telefono in faccia, mostrandogli la chat di poco tempo prima. Il Signor Kim prese il cellulare per poter leggere meglio, aveva le sopracciglia aggrottate e il labbro inferiore fra i denti.

- Allison, ti ho appena detto che non ero in azienda oggi pomeriggio, quindi è impossibile che ti stessi spiando dal mio ufficio.

Gli tolsi il telefono di mano e mi feci indietro sul sedile.

- Allora chi diavolo è che continua a mandarmi messaggi fingendosi te? 

 

Note dell'autrice:

Ciao ragazzi! Scusate l'enorme ritardo nella pubblicazione, ma in questo ultimo mese ho avuto tantissimo da fare fra gite, feste e scuola. Ora cercherò di andare spedita come un treno e di completare la storia al più presto. Spero che continuerete a seguirmi!

     
  • ʕง•ᴥ•ʔง

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** ❝unexpected❞ ***


unexpected

 

- Allora chi diavolo è che continua a mandarmi messaggi fingendosi te?

Potevo immaginare che il Signor Kim fosse sconvolto quasi quanto la mia, o forse di più. 
Scossi la testa e mi feci ancora più indietro sul sedile, rischiando di sbattere contro lo sportello chiuso. Non potevo credere a ciò che avevo sentito e questa volta non potevo dubitare minimamente dell'uomo che mi stava di fronte, ma soltanto della mia intelligenza. Come avevo fatto a comportarmi in modo così stupido? Lui aveva cercato di chiedermi spiegazioni, di darmi spiegazioni, era stato più volte disposto ad ascoltare le mie ragioni insensate per odiarlo. Perché sì, gli avevo sputato addosso tutto il mio odio senza che ce ne fosse motivo. Come avevo potuto ridurmi a una persona simile? Non avevo mai odiato nessuno in vita mia, eppure l'unica volta che era accaduto avevo sbagliato tutto, dall'inizio alla fine. 
Era vero, il Signor Kim non mi aveva mai fatto una bella impressione, dal primo momento in cui lo avevo guardato negli occhi mi ero sentita... nuda. Ma mi capitava di non prendere in simpatia nessuno dei collaboratori di mio padre e di certo non avevo il diritto di trattare così chiunque mi capitasse a tiro, soprattutto perché non ero e non volevo assolutamente essere quel tipo di persona.

- Allison? Tutto bene?

Questa volta l'uomo sembro trovare il coraggio e mi appoggiò una mano sulla spalla, cercando di riportarmi alla realtà.

- S-sì... credo... Scusa.

Il Signor Kim alzò le sopracciglia e piegò il capo di lato, come a esprimere una domanda silenziosa.

Scusa?

- Io... È che c'era il tuo nome... Ho pensato...

- Il mio nome? A che cosa ti riferisci?

Mi coprii il viso con entrambe le mani. Ora tutta quella storia mi sembrava così ridicola, quasi insignificante. A ripensarci, come avrebbe potuto un uomo di tale portata perder tempo dietro a una stupida diciassettenne come me che al loro primo incontro non aveva fatto altro che rifilargli occhiatacce e a cui si era gonfiata la faccia per delle... noccioline? Sospirai e cercai di rilassare le spalle. Dovevo ricompormi almeno davanti a lui, per non sembrare ulteriormente infantile. Una volta a casa avrei chiamato Felix e... Giusto, Felix e io avevamo litigato per lo stesso inutile motivo: la mia ottusità mentale. E pensare che lui ci aveva visto bene: proprio quella mattina aveva ritenuto più giusto incolpare Taehyung, piuttosto che suo fratello.

"Taehyung..."

- Mi sono arrivate delle cose... C'era il tuo nome... Noccioline, un pupazzo dell'azienda del fratello di mio padre...

- D'accordo, tranquilla. Siamo arrivati.

Il Signor Kim scese dalla limousine e fece il giro della vettura per aprire il mio sportello, mi porse addirittura una mano per aiutarmi a scendere. Dovevo sembrare stupida in quel momento, tremante come una foglia e con il viso tutto rosso. L'uomo fece cenno all'autista di spostarsi dalla strada e mi accompagnò fino all'entrata del palazzo, guidandomi con il braccio poggiato sulla mia schiena. Gli diedi le chiavi, inebetita com'ero non sarei riuscita a centrare neanche la serratura. Salì perfino le fosse con me. Possibile che avesse intenzione di accompagnarmi fin dentro casa?

- Permesso.

Il Signor Kim lo disse per educazione, ma molto probabilmente nessuno lo aveva sentito. Mia padre era ancora a lavoro e ne avrebbe avuto per molto, mentre mamma... Be', potevo sentire soltanto il fragore delle pentole contro l'acciaio del lavello, perché era quasi ora di cena. Mi sedetti sul divano facendo un cenno con il capo affinché l'altro facesse lo stesso. 
Stetti lì immobile a tirare su con il naso per chissà quanto tempo, mentre il Signor Kim si guardava intorno per intrattenersi, come se non conoscesse il salotto di casa a memoria dopo circa un mese che vi metteva piedi, anche se probabilmente era entrato in casa mia tante volte con mio padre prima ancora che ci conoscessimo, mentre io ero assente.
Il silenzio fra di noi era più che imbarazzante; in verità avrei voluto dire un sacco di cose, a partire dallo scusarmi almeno un milione di volte. 
Ma per fortuna, o forse no, mia madre proruppe nella stanza per salvare la situazione, rompendo la tensione opprimente che si era creata in quella stanza.

- Tesoro, come mai hai fatto tard- Ah! Signor Kim... Buonasera...

La donna emise una risatina nervosa e tentò invano di darsi una sistemata ai capelli accarezzandoli con entrambe le mani. 

- Scusate, ero in cucina e non ho sentito nulla. Come mai insieme?

- Ah! Ecco...

Mi morsi il labbro inferiore con forza, sperando di far scattare gli ingranaggi nel mio cervello con quel gesto, ma servì soltanto a farmi sentire un orribile sapore amaro e ferroso in bocca. Al mio posto, però, il Signor Kim si fece avanti sul divano, assumendo una posizione ancora più composta, se possibile, e si cimentò nell'invenzione di una delle scuse più idiote che avessi mai sentito, perfino peggiore delle mie.

- Allison è venuta a trovarmi in azienda, aveva bisogno di un aiuto con i compiti di economia. Ma sa... ultimamente siamo un po' indaffarati e c'è agitazione perfino nel mio ufficio, quindi si è gentilmente proposta di invitarmi a casa vostra. Ma se disturbo...

- No, no! Affatto...

Mia madre rise con fare impacciato, portandosi le mani davanti al petto e agitandole freneticamente. Aveva qualcosa di strano: piuttosto che non aspettarsi una visita da parte del Signor Kim, era come se avesse sperato tutto il giorno che lui non si presentasse lì.

- Allora... Visto che dovete studiare, perché non andate di sopra?

- Sopra dove?

Ripassai nella mia mente tutte le stanze libere in cui avrei potuto studiare, ma si trattava soltanto di camere da letto per eventuali ospiti e poi c'era l'ufficio di mio padre, che naturalmente era off-limits.

- Nella tua stanza.

Oh, giusto. Era lì che studiavo ogni giorno ma, ecco, non mi sembrava il caso di far entrare il Signor Kim nella mia stanza. La cosa più sconcertante, però, era che fosse stata proprio mia madre a proporlo.

- Mamma...?

- Sbrigati!

Scattai sul divano per quell'esclamazione inaspettata.

- C'è un tavolo anche in salotto, no?

- No, non è disponibile. Tuo padre sta venendo con degli ospiti, ho dimenticato di dirti che abbiamo una cena di famiglia.

- Oh... Devo prepararmi?

- No, tesoro... In realtà speravo che rimanessi con Felix stasera. Ma visto che il Signor Kim vuole aiutarti a studiare, passerai il tempo con lui.

Dopodiché mi rivolse un suo gesto tipico, probabilmente incomprensibile agli occhi del Signor Kim, che mi incitava a togliermi dai piedi.

Mi alzai dal divano e mi avviai goffamente su per le scale che conducevamo alla mia stanza, seguita a ruota da un Signor Kim ancora più impacciato.

- Non fare caso al disordine...

Ripresi quell'espressione da una delle frasi tipiche di Felix, perché non avevo mai invitato nessuno a casa a parte lui, che ovviamente non aveva bisogno di sentirsi dire cose del genere, viste le condizioni ben peggiori del posto in cui viveva.

- Quale disordine?

Il Signor Kim rise, manifestando però il suo disagio mentre si accarezzava lentamente il collo sull'uscio della camera. Mi soffermai qualche secondo a guardarlo, lì in piedi con i vestiti da lavoro e i capelli leggermente scompigliati. Era... sexy.

- Allison?

L'uomo schioccò le dita e subito dopo indicò la scrivania su cui erano sparsi diversi libri.

- S-sì?

- Devo aiutarti o no a fare i compiti di economia?

Alzai gli occhi al cielo mentre mi toglievo il giubbotto.

- È la scusa peggiore del secolo. Non esiste neanche questa materia nella mia scuola.

- Oh, davvero? Per fortuna tua madre non lo sa...

Con un gesto lo invitai a sedersi sulla poltrona accanto al balcone, troppo rosa perfino per i miei gusti, ma non avevo niente di meglio di offrirgli. Io invece presi posto sul letto di fronte a lui.

- Credimi, sa benissimo quali materie studio, ma evidentemente era troppo distratta per farci caso.

- Che intendi?

Il Signor Kim accavallò una gamba sull'altra e si mise a braccia conserte.

- Non l'hai vista? Ha cercato di sviaggiarci nella mia stanza per non farci stare in salotto.

- Ma ha anche detto che tuo padre ha una cena d'affari, no?

- Già... a cui noi non possiamo partecipare.

- Meglio. È dalla prima volta che ti ho visto che penso che non ti piacciano molto le cene d'affari.

Cercai di non impallidire di fronte al ricordo di me con la faccia gonfia che urlavo parole sconnesse fra di loro.

- Diciamo che quella volta sei stato sfortunato. Ma comunque... mia madre non ti è sembrata strana prima? Insomma... ci ha scacciati un po' troppo in fretta.

Il Signor Kim schioccò la lingua e stette in silenzio per qualche secondo con lo sguardo rivolto in alto con fare ironicamente pensieroso.

-  Te l'ho detto, si tratta di qualcosa per cui non è necessaria la nostra presenza.

- Mmh... Forse... Oppure ha voluto allontanare te!

- Me? Allontanare? Non dire così, ci saranno in ballo affari con cui la mia azienda non c'entra.

- Se lo dici tu...

Sbuffai e mi misi a braccia conserte anche io, ma quel silenzio era sfiancante.

- Senti... non mi sono ancora scusata a dovere con te per quello che è successo. Mi dispiace aver pensato male di te...

- Allison?

- E di averti spruzzato lo spray al peperoncino negli occhi. 

Il Signor Kim rise e scosse una mano, come a indicare che quella cosa non lo turbava affatto.

- Be', come biasimarti?

- I-in che senso?

- Insomma, eri convinta che fossi stato io a fare... Cosa ho fatto esattamente?

- Lascia perdere...

Ero pronta a troncare lì la conversazione, ormai gli avevo fatto le mie scuse, ma odiavo lasciare le frasi a metà.

- Quindi... Non mi odii?

- Dovrei essere io a farti questa domanda.

- Ormai ho scoperto che non c'eri tu dietro a tutto quel casino, quindi non ne ho più motivo. Ma ora non credere che saremo migliori amici per la pelle.

- Non ho più l'età per quello.

Strinsi le palpebre e gli rivolsi un'occhiata torva.

- Allora è come immaginavo, dopo i venticinque anni si inizia a parlare come i vecchietti.

- Mi hai appena dato del vecchietto?

Scrollai le spalle, cercando di nascondere un sorriso. La conversazione stava diventando troppo accesa per i miei gusti: insomma, quel Signor Kim per me era ancora uno sconosciuto. 
Scesi dal letto e aprii le ante dell'armadio; frugai fra i vestiti sotto lo sguardo indagatore dell'altro, poi gli porsi la bomboletta del mio fidato spray al peperoncino con espressione determinata.

- Puoi avere la tua vendetta, se vuoi. Giuro che poi non ti picchierò.

Il Signor Kim si rigirò l'oggetto fra le mani con un sorriso indecifrabile in viso. Mi ricordò quella sera, quando non aveva fatto altro che lanciarmi strane occhiate mentre cenavamo.

- Ti senti davvero così in colpa nei miei confronti?

- Sì. Non sono un persona tanto cattiva come sembra.

Mi morsi un labbro.

"Così però gli sembrerò una ragazza facile"

- Ma non sono neanche troppo buona, quindi non approfittare di me. Se non mi spruzzi quella roba in faccia entro dieci secondi, lo farò io a te!

- D'accordo... se questo servirà a farti sentire meno cattiva...

Lo vidi agitare la bomboletta con forza, poi strizzai gli occhi preparandomi all'impatto della sostanza bruciante sulla mia pelle. Mi sembrava di star tremando come una foglia, ma non ero sicura che all'esterno fosse visibile. Speravo di no. 
Sentii la poltrona scricchiolare leggermente, segno che l'uomo doveva essersi alzato. Poi i suoi passi. Il silenzio in quel momento era impressionante e lui era così vicino che potevo sentirlo respirare. Strinsi gli occhi con maggiore forza, convinta che a breve avrei urlato per il bruciore. Speravo soltanto di non colpire il Signor Kim mentre ero presa dalla foga. 

Ma quel momento non arrivò mai.

Percepii il respiro del Signor Kim sorvolare la pelle tesa del mio collo, poi l'orecchio. Sentivo il calore del suo viso sul mio, anche se non ci stavamo toccando. I suoi capelli sfiorarono la mia guancia e rabbrividii. Cosa stava succedendo?

- Hai una considerazione molto bassa della mia persona, Allison.

Parlò al mio orecchio sottovoce, eppure lo sentii con così tanta chiarezza, come se in realtà avesse gridato quelle parole. Non riuscii a reagire.

- Se volessi davvero vendicarmi di una persona... Punto primo: non userei le sue stesse armi. Punto secondo: quella persona non saresti tu.

Boccheggiai per qualche attimo prima di riuscire a controbattere.

- E se io non fossi Allison?

- Che assurdità vai dicendo?

- Fa' finta che io non sia io. Come ti vendicheresti? 

L'uomo tentò di trattenere una risata, ma me ne accorsi comunque vista la nostra vicinanza.

- Finiscila, Allison. Non devi fare i compiti?

Il Signor Kim si scostò prima che potessi farlo io con sdegno. Mi aveva appena trattato come una bambina? Poteva anche essere innocente di fronte a tutte le colpe che gli avevo addossato, ma su una cosa ci avevo visto giusto: non era così gentile come sembrava. Gli piaceva giocare con le persone, anzi, lo adorava. O forse soltanto con me. Iniziai a credere che la diceria che mi aveva messo in testa Taehyung sarebbe potuta essere vera.

- Taehyung...

- Cosa? Cosa c'entra mio fratello adesso?

- E se fosse stato Taehyung... a mandarmi quei messaggi?






Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** ❝pop corn❞ ***


pop corn

 

- E se fosse stato Taehyung... a mandarmi quei messaggi?

Dovevo ancora avere il viso tutto rosso perché il Signor Kim, intento a fissarmi, non aveva processato quelle informazioni. Infatti reagì a scoppio ritardato, facendo un passo indietro con aria sconvolta.

- Ah?! Uh... Intendevo... Perché pensi questo?

- Intuito femminile.

"Grazie Felix"

- Ma... Insomma, che motivo avrebbe di far- ah... Lascia perdere.

Il Signor Kim sembrava alquanto confuso. Si massaggiò la fronte con una mano e ritornò a sedersi. Be', almeno mi ero tirata fuori da quella situazione imbarazzante. 
Ricordai il suo respiro caldo sul mio collo pochi attimi prima e la mia schiena fu percorsa da un brivido.

- È da un po' che mi chiedo... Tu e tuo fratello non siete in buoni rapporti?

- Perché me lo chiedi?

- Così... Alla festa di mio padre Taehyung non sembrava molto felice di vederti. 

Il Signor Kim si grattò la nuca con fare pensieroso, ma probabilmente stava soltanto evitando di guardarmi negli occhi.

- Diciamo che dipende dai momenti. Sai com'è, i fratelli...

- No, non lo so. Sono figlia unica.

- Ah, già.

La conversazione era evidentemente arrivata a un punto morto. Sospirai e lasciai ricadere le braccia lungo il corpo, iniziando a vagare altrove con la mente. Erano appena passate le otto e mezza, quindi potevo dedurre che la cena non fosse ancora iniziata. Fino a che ora avrei dovuto sentire il peso di quel silenzio imbarazzante? 

- Allora... cosa facciamo fino a quando gli ospiti di tuo padre non andranno via? 

- Che ne dici di scappare dalla finestra e andare a minacciare il tuo fratellino con lo spray al peperoncino? 

- Allison... dopo aver scoperto che sono innocente hai così tanta voglia di trovare un altro colpevole? 

- T-ti ho detto che non sono quel genere di persona!

Mi sedetti sul letto con un tonfo e incrociai le braccia. D'accordo, forse sospettare di Taehyung e minacciarlo non era la soluzione migliore, ma mi sembrava che il Signor Kim fosse sempre molto vago quando menzionavo suo fratello. Possibile che volesse in qualche modo proteggerlo? Ma lui stesso non ne aveva mai sospettato. Era arrivato il momento di mettere in atto un piano. 

- Perché non ordiniamo qualcosa da mangiare?

- Tu... tu sei davvero stramba. 

- Eh? E perché? 

- Passi da un argomento all'altro. Insomma... qualche minuto sembrava che volessi ammazzarmi, poi hai proposto di minacciare mio fratello e ora vuoi... mangiare? 

- Sono un essere umano, ho bisogno di cibo e sì, se te lo stai chiedendo: quel frappè mi ha soltanto fatto venire ancora più fame. 

Gli rivolsi un sorriso di circostanza, cercando di apparire il più indifferente possibile, mentre in realtà stavo pianificando qualcosa di diabolico. O almeno nella mia testa lo sembrava.

- D'accordo... a me va bene qualsiasi cosa.

- Oh, pensavo che avresti ordinato delle ostriche e una bottiglia di vino di qualche secolo fa. Deve essere triste sapere che c'è una cena di lusso a cui non si è stati invitati al piano di sotto.

- Simpatica come sempre.

- Io ordinerò una pizza. Oh! E anche una Coca-Cola.

Tesi la mano verso il Signor Kim con un falso sorriso stampato sul volto, ma lui mi guardò stranito.

- Che cosa vuoi?

- Il cellulare, grazie.

- Il mio?

- Be'? Sei ricco, no?

- Anche tu, no?

Cercò di imitare invano il mio tono di gran lunga più acuto del suo e, per quanto fossi imbronciata per altro in quel momento, non riuscii a non ammettere a me stessa che era davvero carino.

"Decente. Non carino"

L'uomo sbuffò e tirò fuori il cellulare da una tasca, senza neanche sforzarsi di fare la figura del gentiluomo. A quanto pare offrire la cena a una donna su Just Eat è ben diverso dal pagare il conto in un ristorante di lusso.

Ordinai una pizza anche per lui, poi appoggiai il suo cellulare sulla scrivania, impostando furtivamente il silenzioso. Speravo che lo avrebbe dimenticato lì.

---

Riuscimmo entrambi a spiccicare di nuovo parola soltanto quando arrivò il nostro ordine. La mia adorata tata aveva accettato di andare in missione a ritirare il cibo davanti al portone senza farsi scorgere dai miei genitori in salotto; purtroppo, però, non aveva voluto dirmi chi erano gli ospiti.

- Allora?

- Cosa?

Avvertendo l'impazienza nel mio tono, il Signor Kim aveva deciso di trascurare il galateo per una buona volta e mi aveva risposto con la bocca piena, cosicché la sua voce suonò più bassa e ovattata. 

- Che ne pensi della pizza di New York?

- Niente male, ma sai... Dovresti davvero provare quella italiana.

- E tu l'hai provata?

- Certo.

Sgranai gli occhi.

- Dove? Sono secoli che cerco un ristorante italiano decente! Io e Felix li abbiamo visitati quasi tutti... Una volta siamo capitati per sbaglio in un ristorante messicano e io ho avuto mal di pancia per tre giorni. Sai... lo spagnolo e l'italiano sono molto simili...

Il Signor Kim rise, forse divertito più dal fatto che parlassi come una trottola anche mentre mangiavo piuttosto che dal mio racconto.

- In Italia.

- Cosa?! Sei andato in Italia?

- Sì, quando avevo più o meno la tua età. Mio padre fu chiamato da un'azienda italiana per affari e decise di portare tutta la famiglia. È stato uno dei viaggi più belli che abbia mai fatto.

- Vuol dire che ne hai fatti altri?

- Certo.

L'uomo appoggiò la fetta di pizza sul cartone e accavallò una gamba sull'altra.

- Quali altri posti hai visitato?

Rise di nuovo.

- Be'... tanti, tantissimi. Ma i paesi che ho amato di più sono stati la Tailandia, l'Australia e il Giappone.

- Wow... Il mio amico Felix ha vissuto per qualche anno in Australia quando era bambino, infatti lo prendo sempre in giro per il suo strano accento.

- Parli sempre di questo tuo amico. Dimmi com'è.

- T-ti interessa davvero?

Il Signor Kim scrollò le spalle.

- Perché no? Io ti ho detto un po' di me.

- Oh... Be'... Lui è coreano, come te. Entrambi i suoi genitori sono delle persone illustri, dei ricercatori che hanno viaggiato in tutto il mondo prima che lui nascesse. Si sono stabiliti un po' in Australia, dov'è nato Felix, poi sono venuti qui quando lui doveva cominciare le scuole elementari, dove ci siamo conosciuti. Ho visto i suoi genitori una sola volta quando facevo le scuole medie... Sai, hanno ripreso a viaggiare quando lui aveva soltanto dodici anni ed è stato costretto ad arrangiarsi da solo.

- Oh... Quindi vive da solo?

- Sì. I suoi genitori hanno venduto la casa che avevano comprato qui, a New York, per ricavarne dei fondi per la ricerca e Felix ora vive in un monolocale. Vede i genitori un paio di volte all'anno, ma loro si fermano in albergo perché la casa è troppo piccola per rimanere anche la notte.

- E con i soldi? Insomma come fa a vivere da solo? Non è ancora maggiorenne, immagino.

- Già... I suoi gli mandano dei soldi ogni settimana così può comprare da mangiare e pagare le tasse della scuola.

- E riesce a pagare la scuola privata con quelli?

- I suoi genitori sono messi benissimo economicamente, ma gli permettono di usare i soldi solo per la scuola, sai com'è... sperano che diventi un genio come loro e, anche se sono distanti, controllano costantemente i suoi voti nelle materie scientifiche, ma lui non ha nessuna intenzione di prendere la loro stessa strada...

Il Signor Kim annuì, sembrava sinceramente dispiaciuto.

- Avresti potuto passare la serata con lui.

- Già... ma abbiamo litigato.

- Oh, mi dispiace. Come mai? Se posso chiedere...

- Uhm... conflitti di idee, credo.

Posai lo sguardo sul pavimento, maledicendomi per aver mentito per l'ennesima volta; ma non avrei potuto dire la verità: e cioè che io e Felix avevamo litigato per lui.

- Allora cercate di fare pace al più presto.

- Certo... anche se non sono brava in queste cose.

- Troppo orgogliosa?

- No, mancanza di esperienza.

- Che intendi?

- Felix è il mio unico amico. Cioè... l'unico amico che io abbia mai avuto.

- Davvero? Non sembri una cattiva persona, a parte quando prendi di mira qualcuno...

- Già, ma nessuno mi si avvicina. Pensano che io sia antipatica soltanto perché mio padre è una persona importante.

Il Signor Kim rise.

- Che c'è?

- Non ti trovano antipatica, sono semplicemente invidiosi. Sai, tu hai la strada spianata per il tuo futuro e loro... be', loro devono studiare tanto.

- Anche io studio!

- Ci credo...

L'uomo scosse una mano con fare ironico. 

---

Alla fine riuscii a corrompere di nuovo la domestica per farmi portare dei pop corn. Io e il Signor Kim avevamo deciso di guardare un film per ammazzare il tempo. Sarebbe stato impossibile continuare a parlare per chissà quante ore ancora. Lui mi aveva convinto, dopo un discorso infinito e persuasivo, a guardare un film che aveva vinto l'Oscar e che durava la bellezza di tre ore e mezza.

- In questo film muore troppa gente.

Commentai aspramente mentre l'ennesima vittima emetteva urla di disperazione. Il Signor Kim non rispose, ma significava palesemente uno stai zitta.

Era strano, davvero strano che ci fossimo ritrovati in quella situazione in un giorno qualunque. Io e il Signor Kim. Fino a qualche ora prima lo avevo trattato come il mio più grande nemico e ora invece eravamo stesi sul mio letto a guardare un film al PC sgranocchiando pop corn, come se fossimo amici da una vita.

- Hey, secondo me quel tizio è il cattivo.

- Allison, non c'è un cattivo in questo film, è una guerra.

- Ma ha una faccia davvero inquietante.

Non potevo vedere l'altro in viso perché la luce era spenta, ma potevo immaginare che avesse alzato gli occhi al cielo.


- Ce la fai?

Mi canzonò il Signor Kim dopo circa mezz'ora che non aprivo bocca.

- Pensi che non riesca a guardare un film?

- Non ti vedo molto attenta, pensavo che ti fossi addormentata.

- Mai. Questa è una sfida fra me e te.

- Mmh, d'accordo, ma sappi che manca ancora un'ora e venti.

Mi accasciai sul materasso e affondai la mano nella busta dei pop corn. Mi chiesi se fosse possibile addormentarmi senza che lui se ne accorgesse. Impossibile: probabilmente mi sarei messa a russare.

---

Stranamente riuscii a resistere fino alla fine del film. Resistere si fa per dire, perché sentivo le palpebre pesanti come macigni e avevo perso il conto di tutte le volte che avevo sbadigliato. 

- Come ti è sembrato?

Il Signor Kim mi rivolse uno sguardo compiaciuto, pregustando l'ennesimo momento in cui mi avrebbe fatto sentire più ignorante della media nazionale.

- Carino. 

- E? 

- Cosa dovrei dire? Sono morti tutti! 

L'altro scosse la testa ridendo. 

- D'accordo, per questa volta siamo pari. 

Mi misi più comoda sul letto, appoggiando la schiena alla testiera. 

- Vuoi dire che ci saranno altre volte? 

- Se ti va. Non siamo più nemici e per giunta... Be', non puoi passare il tempo solo con Felix, avrà altri amici.

- Uhm... va bene. 

Feci finta di essere del tutto indifferente, anche se era impossibile nascondere il fatto che stessi per mettermi a urlare e saltare per tutta la stanza. Non che mi piacesse il Signor Kim. Ero semplicemente contenta di avere un nuovo amico - un amico ricco, popolare e affascinante -. In ogni caso seppur il Signor Kim se ne fosse accorto, non lo diede a vedere. 

Dopo un paio di minuti dalla fine del film, mia madre bussò alla porta per comunicarci che la cena era terminata e che mio padre era già andato a letto. Fortunatamente il Signor Kim era già in piedi e si stava abbottonando la giacca. Mentre lui finiva di prepararsi cercai di estorcere alla donna qualche informazione sul perché il Signor Kim non doveva farsi vedere in casa quel giorno, ma mi ritrovai soltanto la porta chiusa in faccia. 

- Non te lo dirà mai. 

- Sai, è anche nei tuoi interessi sapere il motivo, anzi, è soprattutto nei tuoi interessi.

- Te l'ho detto, si tratterà di affari con un'azienda che non mi riguarda o magari con qualcuno che mi detesta, chissà. 

Sbuffai rumorosamente mentre gli tenevo aperta la porta della mia camera. L'uomo mi ringraziò per l'ospitalità e fece per uscire, ma si fermò poco prima di varcare l'uscio e si chinò verso di me. Si avvicinò pericolosamente al mio viso per la seconda volta in quella giornata e, di nuovo, non potei far altro che rimanere in silenzio e arrossire. 

- Allison, il cellulare. 

- Uh? Non lo hai preso? Forse lo hai appoggiato sul comodino vicino al lett-

- Allison, non sono stupido. Dammelo. 

Deglutii e rimasi imbambolata per qualche secondo, non sapendo assolutamente come comportarmi. Molto probabilmente continuare a far finta di non capire era l'opzione peggiore.

- C-certo... 

Lo presi dalla scrivania, nascosto sotto un libro di scuola, e glielo porsi, così imbarazzata da non riuscire a cacciar fuori la voce neanche per scusarmi.

Il Signor Kim sorrise soddisfatto e uscì dalla stanza. Non mi proposi neanche di accompagnarlo alla porta. 

--- 

Ebbene, la mattina seguente a scuola mi dedicai alla progettazione di un altro piano per scoprire se fosse stato Taehyung a fare quelle cose e, soprattutto, perché. Dal momento che quel giorno era l'unico della settimana in cui io e Felix non avevamo lezioni in comune, nessuno venne a sapere del mio piano. Effettivamente non era nulla di elaborato, ma mi piaceva comportarmi come se fossi in missione segreta.

---

La sera mi incamminai verso la EnJINe con un cappuccio in testa e la bocca coperta da una mascherina. Molto furtiva, direi; soprattutto quando fui costretta a suonare il campanello di riserva perché a quell'ora le porte scorrevoli non si aprivano automaticamente. Mi tolsi il cappuccio per non sembrare una teppista e dissi a un uomo della sicurezza che ero la donna delle pulizie di Taehyung e che avevo urgente bisogno di vederlo perché avevo rotto il suo elefantino di ceramica. L'uomo alzò le sopracciglia e mi squadrò da capo a piedi, sembrava essere sul punto di cacciarmi fuori, ma invece mi invitò a entrare con un gesto della mano. Mi sentii i suoi occhi puntati addosso finché non girai l'angolo verso un altro corridoio. Probabilmente mi aveva presa per una psicopatica, ma al novanta per cento lo era anche Taehyung. 

Inspirai profondamente. Ero davanti alla porta a due ante dell'ufficio di Taehyung. Non avevo paura: ero giunta fin lì determinata a chiedergli spiegazioni, ma non volevo che fosse di cattivo umore perché lo avevo disturbato mentre faceva qualcosa di importante. O di losco.

Chiusi gli occhi e inspirai di nuovo. Bussai leggermente senza neanche guardare. Dopo qualche secondo la voce di Taehyung mi giunse molto ovattata, probabilmente i muri di quella stanza erano insonorizzati. 

- Chi è?

- A-All... Darna! La donna delle pulizie. 

La porta di aprì lentamente, lasciando uscire solo un spiraglio di luce che fu presto occupato dal viso infastidito di Taehyung.

- Io non conosco nessuna donn-

- AH!

Prima che potesse finire la frase gli saltai addosso con tanto impeto da farlo cadere a terra. Estrassi il mio fedele spray al peperoncino da una tasca del cappotto e glielo puntai in faccia. Spruzzai senza pietà. Taehyung si coprì immediatamente il viso cominciando a lamentarsi e a dimenarsi per farmi cadere. Quando il bruciore sembrò dargli un po' di tregua, fece per chiamare le guardie, ma gli tappai la bocca con entrambe le mani. Il ragazzo era sconvolto e non riusciva a smettere di gemere e strizzare gli occhi. 

- Smettila, se no ti spetta il secondo round! 

Taehyung smise di muoversi e si zittì di colpo. Portò in su le braccia e mi strappò la mascherina dalla faccia.

- Mhmh? 

Ovviamente non potevo capire cosa diceva, quindi tolsi la mano dalla sua bocca.

- Alli... son? 

- Sì, sono io. Ma non chiamare la sicurezza, per favore. 

Congiunsi le mani a mo' di preghiera e gli sorrisi in modo innocente. 

- Ma cosa diavolo ti salta in mente... Se volevi farmi uno scherzo... be', questo è stato indubbiamente di pessimo gusto. 

Lo aiutai ad alzarsi e lo osservai mentre si puliva con un fazzoletto gli occhi rossi e bagnati di lacrime. 

- In realtà non si è trattato di uno scherzo. Devo chiederti una cosa molto importante.

- Avresti potuto chiedermelo anche senza saltarmi addosso in quel modo. Non la passerai lisc-

- Ascoltami! Sei stato tu a farmi tutte quelle cose?

Il ragazzo corrugò le sopracciglia. 

- Le... le noccioline, la Nutella, il peluche...

- Di che cosa stai parlando?

"Ecco, ci risiamo"

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** ❝skyscraper❞ ***


skyscraper

 

Non avevo mai visto Taehyung così arrabbiato, forse perché non avevo mai assistito alla sua espressione mentre veniva assalito nel suo ufficio da una ragazza pazza. 

Inspirai e mi misi le mani sui fianchi, dovevo apparire il meno agitata possibile per poter riparare almeno in minima parte al danno precedente.

- Odio doverlo fare, ma è una questione di vita o di morte.

- Sì, la mia.

Non capii se stava cercando di essere ironico o cos'altro, ma continuai.

- Potresti... potresti darmi un secondo il tuo cellulare?

- Dare il cellulare al mio assalitore non mi sembra ragionevole.

- Hey, non ti ho assalito. Cioè... sì, ma non sono una cattiva persona.

Cercai di cacciar fuori un sorriso convincente, ma l'espressione di Taehyung non cambiò di un millimetro.

- Perché lo vuoi?

- So che suona strano, ma te lo chiedo per favore.

- Tu sei strana, Allison.

Il ragazzo stette in silenzio per un attimo, aveva ancora qualcosa da dire.

- Ma mi piaci. Perlomeno hai movimentato un po' questa serata noiosa.

Indicò dei fogli sparsi sulla sua scrivania. Nonostante i sospetti che nutrivo nei suoi confronti, non poté non dispiacermi il fatto che lavorasse fino a sera in un ufficio a una così giovane età.

Taehyung sospirò e si diresse verso la scrivania, ma una domanda mi piombò in testa e parlai prima che potessi rendermene conto.

- Perché non mi hai detto che tu e il Signor Kim siete fratelli?

L'altro continuò a voltarmi le spalle, ma aveva sicuramente sentito.

- Perché non è vero.

- Co-cosa? Non è possibile, l'ho sentito uscire dalla bocca di tuo padre.

- Sarà anche vero per lui, ma non per me.

Parlava con voce dura e il fatto che fosse ancora girato di spalle mi metteva più a disagio del dovuto.

- Non capisco...

- Cosa c'è da capire? Non voglio considerarmi fratello di quell'idiota né figlio di quell'altro idiota.

Finalmente si voltò verso di me, ma avrei preferito che non lo facesse. Aveva il volto contorto dalla rabbia e nei suoi occhi lampeggiava quella luce sinistra che avevo notato al nostro primo incontro.

- Oh... scusami, io... io non volevo costringerti a parlare di un argomento che non... che non...

Tremavo come una foglia. Il mio corpo era tutto un misto di sensi di colpa e paura. Prima che potessi assistere a una sua qualsiasi reazione, mi fiondai contro la porta rischiando di sbatterci contro, ma non riuscii ad aprirla per la troppa agitazione.

- Hey, Allison. Aspetta...

Mi ritrovai la mano fredda di Taehyung sulla mia. Sembrava essersi del tutto calmato e ora aveva la sua solita espressione rilassata. 

- Mi dispiace se ti ho spaventato, non scappare.

- No, no... non è per quello. È che non sapevo che...

- Tranquilla, non potevi saperlo.

Annuii, ma non osai guardarlo in faccia. Avevo gli occhi inchiodati al pavimento.

- Scusa se... se sono piombata nel tuo ufficio così, è che ultimamente sono un po' confusa... 

- Lo capisco.

- Lo... capisci?

Alzai la testa e guardai Taehyung titubante, ma lui sorrise e mi strinse la mano.

- So come ci sente a subire le torture di quello psicopatico. Non sei l'unica che ci è passata.

Rimasi interdetta.

- C-credo di non aver capito. Lui...

Il ragazzo si morse il labbro inferiore, come a voler trattenere delle parole che stavano per uscire fuori con impeto. Sembrava tormentato, ma non disse nulla e si limitò a sorridere.

- Forse è meglio se torni a casa, Allison. Vuoi che chiami una limousine per te? 

- Io... S-sì, forse è meglio così.

Mi sforzai di ricambiare il suo sorriso, ma non ero sicura di esserci riuscita.

Taehyung mi accompagnò fino all'uscita. Mi fermai sulla soglia, non avevo la minima idea di come avrei dovuto salutarlo dopo tutto quello che era successo nel suo ufficio.

- A-allora io vado...

Sussultai quando mi ritrovai le sue braccia intorno ai fianchi e il suo viso sulla mia spalla. 

- Tae...

- Mi dispiace...

- Per cosa? Sono stata io a piombare nel tuo ufficio così.

- Per averti spaventato... e per il modo in cui mi sono comportato.

Strinsi le mani e le sollevai a mezz'aria, ma non fui capace di ricambiare il suo abbraccio. Gli accarezzai la schiena per tranquillizzarlo, sembrava davvero scosso ed ero quasi sicura che stesse piangendo.

- No, non hai fatto nulla di male.

- Sì, invece. Se sospetti di me vuol dire che non mi sono comportato bene... Mi dispiace, ero... ero soltanto geloso di Jin. 

- Ah...

Percepii un leggero calore diffondersi in tutto il mio corpo, fino alla testa. Come avrei dovuto rispondere a un'affermazione del genere? Insomma, fino a quel momento avevo pensato che l'avvicinamento di Taehyung fosse dovuto a un interesse passeggero, un flirt per passare il tempo, ma così... sembrava una cosa piuttosto seria. Possibile che fosse davvero interessato a una come me?

- Ti ha detto qualcosa, non è vero?

Pensandoci bene il Signor Kim non mi aveva detto proprio niente, anzi, non appena avevo manifestato i miei sospetti nei confronti di Taehyung, lui aveva cercato di difenderlo.

- No, lui...

- Non ascoltarlo. È un bugiardo, lo sai. Fa sempre così.

Così come?

- Prima si guadagna la fiducia delle persone e poi le distrugge. Io sono il suo capolavoro.

Il ragazzo si allontanò da me e si voltò dall'altro lato per non farsi guardare in faccia. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e mi invitò a proseguire appoggiandomi il braccio sulla schiena. 

Mi allontanai con le idee ancora più confuse di prima, mentre in realtà ero andata lì con l'intenzione di smascherare Taehyung e mettere fine a quella storia. A chi avrei dovuto credere? Soltanto il giorno precedente il Signor Kim mi aveva provato di essere innocente e di essere anche una persona niente male; ma dall'altra parte suo fratello, che tra l'altro non voleva essere definito tale, mi aveva dichiarato fra le lacrime di aver subito anche lui le torture del Signor Kim. Scossi la testa mentre camminavo a passo svelto sul marciapiede umido. Avrei voluto parlare immediatamente con il Signor Kim e chiedere ulteriori spiegazioni, ma non avevo modo di contattarlo dopo che avevo scoperto che l'account su Instagram non era gestito da lui. Avevo fretta, ma questa volta non riuscivo neanche a essere arrabbiata, insomma, non sapevo neanche chi fra i due fosse la vittima. Io lo ero sicuramente.

--- 

Varcai a grandi passi l'atrio della scuola stringendo i libri fra le braccia. Mi voltai verso le solite persone appostate lì proprio per parlare di chiunque passasse loro davanti. Indubbiamente era il loro hobby preferito. Ma, diversamente dalle altre volte, non me la presi affatto perché ripensai alle parole del Signor Kim: la loro era tutta invidia. Sorrisi e continuai ad avanzare verso la prima classe in cui si sarebbero svolte le lezioni, ma la mia espressione soddisfatta si vaporizzò non appena vidi Felix entrare nell'aula poco prima di me. Non avevamo ancora parlato di quello che era successo, neanche per messaggio, ma comprendevo il motivo del suo disappunto, soprattutto dopo la sera precedente: ero un'ipocrita e avevo così bisogno di appoggiarmi a qualcuno che non riuscivo ad allontanarmene neanche se continuavo a ricevere delusioni. Quella volta aveva avuto ragione, la cosa semplice sarebbe stata lasciar perdere entrambi e concentrarmi sulla mia vita, ma avevo un disperato bisogno di stabilire dei rapporti con altre persone.

Sospirai ed entrai, non potevo di certo saltare la mia adorata lezione di chimica. 

--- 

Durante tutte le lezioni che avevamo avuto in comune io e Felix, lui non aveva fatto altro che voltare la faccia ogni volta che accennavo a salutarlo. Ne scaturì che alla fine mi avviai verso casa completamente frustrata. La mia unica speranza sarebbe stata inviargli un messaggio quella sera e ricevere una risposta. Di presentarmi a casa sua non se ne parlava proprio: avevo chiuso con quel genere di cose, altrimenti prima o poi qualcuno mi avrebbe denunciato sul serio. 

Il suono di un clacson mi fece sobbalzare mentre ero immersa nei miei pensieri. Sbuffai infastidita, odiavo quel suono. Ma chiunque ci fosse dentro quella macchina decise di premere di nuovo la sua maledetta mano sul volante, e questa volta lo sentii davvero nelle orecchie. Mi voltai di scatto soltanto per constatare che c'era una limousine che procedeva al mio stesso ritmo accanto a me. Mi fermai all'improvviso ed essa fece lo stesso. Strinsi le palpebre, ma non riuscivo a vedere chi ci fosse dentro perché i vetri erano oscurati. Qualche attimo dopo la vettura avanzò di poco e si fermò nuovamente. Un finestrino si abbassò lentamente e ne uscì il viso sorridente e perfetto del Signor Kim, che si sporse in fuori per salutarmi. 

- Ciao, Allison! Non hai riconosciuto la mia limousine? E pensare che ci sei stata. 

Mi morsi il labbro per trattenermi dal non gridargli in faccia di abbassare la voce, visto che c'erano i miei compagni di scuola lì intorno, ma qualcuno si era già voltato a guardare nella mia direzione con espressione scioccata. 

- Già, ma le limousine sono tutte uguali, sai com'è.

L'uomo rise e per un momento pensai che mi avrebbe accecato con i suoi denti perfettamente bianchi e allineati. 

- Non la mia. Ha il logo della mia azienda sul cofano anteriore. 

Sbuffai. Non me ne importava un fico secco della sua limousine, volevo soltanto che sparisse al più presto. 

- Non sembri molto contenta di vedermi.

- Già. 

Il Signor Kim mise su un finto broncio.

- Di' un po', ti dà fastidio che le tue compagne di scuola ti stiano squadrando da capo a piedi mentre parli con me? 

- Zitto. 

Sibilai fra i denti, diventando dura come una pietra. Speravo che nessuno avesse sentito. 

- Che vuoi? Sbrigati. 

- Sali. 

- Il sole ti ha dato alla testa? Strano, perché ci saranno al massimo venti gradi. 

L'uomo scosse la testa. 

- Dai, per una volta smettila di comportarti da ragazza che odia tutto e tutti e ascoltami. Sali, ti porto in un posto. 

Mi guardai di nuovo intorno, notando che molte persone erano lì a fissarmi con il respiro sospeso. L'invidia nei loro occhi era ben visibile. Esultai internamente. 

- D'accordo, ma sappi che porto sempre lo spray con me. 

- Anche a scuola? 

L'altro sembrò più divertito che turbato. Negli ultimi tempi mi stavo abituando troppo a vederlo sorridere e la cosa non mi dispiaceva affatto.

Feci per aprire lo sportello, ma il Signor Kim scese dalla limousine e lo aprì per me. Come al solito indossava un completo semplice, ma che metteva in risalto il suo fisico slanciato e i suoi capelli neri. Fece il giro della vettura ed entrò dall'altro lato, mi pregò di mettere la cintura e fece cenno all'autista di partire. 

- Allora, dove mi stai portando? 

- Dipende.

L'uomo unì pollice e indice di entrambe le mani per formare una specie di rettangolo e si portò le mani al viso. Fece finta di esaminare il mio volto, ma alzai gli occhi al cielo e lo costrinsi ad abbassare le mani. 

- Che intendi? 

- Mmh, sto cercando di inquadrare la tua personalità, visto che non vuoi proprio mostrarmi come sei davvero. 

- Sono così. 

- Vedremo. Ma per ora rispondi a questa domanda.

- Cosa? 

- Preferisci vivere un giorno da principessa o da comune ragazza di periferia? 

Aggrottai le sopracciglia. 

- Perché dovrei scegliere fra queste due cose? 

- Perché la tua vita di tutti i giorni è una via di mezzo e tu hai paura di entrambi gli estremi, quindi voglio che tu provi almeno una volta. 

- E che ti importa di come vivo io? 

- Devo prendermi cura dell'unica figlia del CEO dell'azienda che mi ha aiutato ad arrivare fin qui. 

Lo guardai con disappunto, poi feci spallucce. 

- Visto che vuoi inquadrare la mia personalità, perché non decidi tu? Vediamo se riesci a capire cosa preferisco. 

- Audace. Mi piaci. 

Sussultai impercettibilmente, potevo già sentire la mia faccia scaldarsi in modo innaturale. 

- Uhm... okay. Tu no.

Il Signor Kim rise, poi si sporse in avanti per dire qualcosa all'autista senza che io potessi sentire. 

---

La limousine si fermò davanti a un edificio che non avevo mai visto, anche se in quel momento mi sembrò innaturale non esserne a conoscenza, vista la sua maestosità. Era un grattacielo interamente di vetro e mi chiesi come facessero le persone a vivere lì dentro con la consapevolezza che chiunque potesse spiarle. Il Signor Kim mi aprì lo sportello e mi invitò a scendere con un gesto della mano; in cambio gli rivolsi uno sguardo confuso e scesi dalla vettura. Non riuscivo a scollare gli occhi da quella costruzione enorme. 

- Hey, cosa diavolo è quella roba? La EnJINe di riserva? Sai, nel caso qualche pazza psicopatica desse fuoco alla sede principale. 

- Qualcosa mi dice che hai usato il femminile di proposito. 

- Sarà. 

Mi lasciai ricedere le braccia lungo i fianchi, non sapevo più cosa dire. L'altro se ne accorse e cominciò a camminare verso l'edificio. Per un attimo rimasi interdetta quando l'uomo tirò fuori da una tasca un mazzo di chiavi per aprire il portone d'ingresso. Insomma, con tutta quella maestosità in campo mi aspettavo il metodo della scansione della retina per poter entrare, o perlomeno degli apri-porta personali. 

- Allison, a cosa stai pensando? 

Mi resi conto che il Signor Kim mi stava aspettando nell'atrio con un'espressione impaziente e divertita in volto.

- Allora? Dove mi stai portando? 

- Questa è casa mia. 

- Oh... quindi presumo che vivrò un giorno da mondana. 

Gli rivolsi un finto sorriso, ma in realtà mi stavo soltanto concentrando sul mio sarcasmo per non dare di matto davanti a lui. Chi si sarebbe aspettato una cosa del genere? Quella era la sua casa. Casa. Sapevo fosse ricco, ma non fino a quel punto. 

- Non impressionarti troppo, principessa. Non è tutto mio. 

Emisi un sospiro di sollievo, per un attimo avevo davvero creduto che la sua ricchezza arrivasse alle stelle, anche se probabilmente mancava poco. 

- E perché mi stai portando a casa tua? 

- Certo che tu e la pazienza siete due cose distinte e separate. 

Feci un smorfia senza farmi scorgere e lo osservai mentre girava le chiavi nella serratura della porta di quello che doveva essere il suo appartamento. Per arrivare fin lassù mi era sembrato di aver passato una vita in ascensore. 

- Prego. 

Non appena misi piede in quello che sembrava essere il salotto non  potei fare a meno di nascondere un'espressione di sorpresa. Tutto era stato tirato a lucido al massimo un paio d'ore prima e ogni cosa pareva avere un suo spazio tutto suo, che era stato progettato prima ancora di iniziare a costruire l'intero edificio. La persona che puliva quel posto doveva essere ancora più maniaca delle pulizie rispetto a mia madre.  

Mi accomodai sul divano ad angolo sotto richiesta del Signor Kim, facendo attenzione a non spostare nulla con il mio portamento goffo. 

- Gradisci qualcosa da bere? 

- No, grazie. 

Deglutii. Tutto il sarcasmo che mi aveva animato poco fa era completamente svanito sotto la pressione di trovarmi in quel luogo. Ero nell'appartamento del Signor Kim. Da sola con lui. E per qualche assurdo motivo essere lì con lui mi metteva molto più a disagio di quando avevamo guardato un film insieme sul mio letto. 

- Sembri tesa. 

- Perché?

Cacciai fuori un'imbarazzante risatina nervosa mentre mi rigiravo i pollici ossessivamente. 

- Era un'impressione. Ma nel caso... sta' tranquilla. Fra poco lo sarai molto di più.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** ❝dizzy❞ ***


dizzy

 

- Fra poco lo sarai molto di più.

Rimasi così sconvolta da quelle parole da non rendermi conto di cosa stesse effettivamente accadendo. Il Signor Kim snodò la sciarpa leggera che portava al collo e me la fece penzolare davanti agli occhi. La guardai attentamente, ma non capii quale fosse il suo scopo.

- Che avresti intenzione di fare con una sciarpa di Louis Vuitton? Strozzarmi? Almeno sarebbe una morte dignitosa.

L'uomo sorrise impercettibilmente e mi fece cenno di fare silenzio. 
Allungò le braccia verso di me fino a circondarmi la testa con la sciarpa. Riuscii a comprendere che ciò che stava facendo era in qualche modo sbagliato, ma mi lasciai distrarre dal calore e dal profumo della seta che mi sfiorava il viso. In quel momento non potei neanche incolpare me stessa, perché in realtà non avrei voluto che si fermasse per nessun motivo. Al Signor Kim dovevo sembrare davvero un'idiota mentre mi lasciavo bendare da lui, ma non m'importava; ero soltanto curiosa di sapere cosa avrebbe fatto in seguito.

- La mia previsione era corretta, ma devo dire che hai superato le aspettative.

Rimasi in silenzio, un modo come un altro per provocarlo.

- Oh, giusto. Ti avevo chiesto di fare silenzio.

Lo sentii allontanarsi a passi lenti, poi aprire la porta. Altri passi. Qualcuno era entrato nella stanza. Questa volta non potei rimanere impassibile.

- Kim! Cosa diavolo stai facendo?!

Nessuna risposta. I passi si avvicinavano.

- Kim? Okay, questa cosa non è divertente. Perché cavolo mi sono fatta bendare da un uomo che mi ha portato nel suo appartamento?!

Cominciai ad agitarmi sul divano, tastando ogni centimetro a mia disposizione; ma la paura di far infrangere qualcosa di costoso sul pavimento mi spaventava ancora di più: e se il Signor Kim si fosse arrabbiato e mi avesse ucciso?

"Sono un'idiota"

Una delle due persone di fermò, l'altra continuò ad avvicinarsi. Cacciai un urlo di terrore quando quella persona si sedette sulle mie gambe. Non poteva essere il Signor Kim, era più piccolo di statura e aveva un odore completamente diverso, ma familiare. Possibile che fosse Taehyung?

Mi portai le mani tremanti alla faccia e sciolsi il nodo alla sciarpa.

"Geniale, perché non ci ho pensato prima?"

Quando riuscii a mettere a fuoco la persona che mi stava di fronte, fui sul punto di ucciderla a mani nude per la rabbia.

- Felix! Cosa diavolo... perché...

Il ragazzo sorrise e mi abbracciò con forza. Dopo un primo momento di paura e ira, realizzai che non ero mai stata così felice di vedere le sue lentiggini.

Quando Felix sciolse l'abbraccio mi sorrise di nuovo e mi accarezzò il viso con dolcezza.

- Ti abbiamo fatto prendere un bello spavento, eh? E pensare che sei sarcastica anche nei momenti più critici.

- M-mh...

- Il Signor Kim aveva ragione sul fatto che ti saresti fatta bendare senza problemi. Sei proprio un'idiota!

Il biondo mi pizzicò la guancia abbastanza forte da farmi dimenticare della precedente carezza. 
Guardai il Signor Kim. Era in piedi e aveva stampato in faccia il solito sorriso indecifrabile: un misto di orgoglio, derisione e maliziosità. Insomma, quel genere di cose che si amano e si odiano a turno.

- A-aspetta... da quando tu e il Signor Kim...

Finalmente Felix si alzò, lasciando alle mie gambe un attimo di respiro.

- Il Signor Kim mi ha contattato ieri sera e ci siamo organizzati per farti questo scherzetto. Non è così male come dicevi.

- Già...

Mi sforzai di non guardare il Signor Kim, parlare di quell'argomento mi metteva ancora a disagio. 

- In realtà è parecchio simpatico, contrariamente a una certa persona...

Fulminai Felix con lo sguardo, ma mi ricomposi subito, perché il ragazzo fece cenno di voler continuare a parlare.

- Questa volta ti è andata bene. Non hai fatto una bella figura, ma almeno non sei finita nelle grinfie di un maniaco.

Fui tentata di ribattere dicendo che il Signor Kim mi aveva portato a casa sua senza dirmelo e mi aveva bendato sul suo divano, ma mi sarei data la zappa sui piedi, perché ero stata io ad acconsentire a entrare nella sua limousine, ma soprattutto a farmi bendare. Arrossii al solo pensiero di quello che sarebbe accaduto se Felix... No, non dovevo pensarci.

- D'accordo, quindi adesso siete amici e vi siete coalizzati contro di me? Be', devo ammettere che entrambi avete qualcosa di cui vendicarvi, ma andateci piano.

Felix mi diede una leggera pacca sulle spalle e rise, ma il Signor Kim parlò prima di lui.

- Allison, vedo che non riesci proprio ad abbandonare quel tuo scetticismo. Mi sono messo in contatto con Felix perché volevo che faceste pace. Sai, l'ultima volta ti ho visto un po' giù di corda.

- O-oh...

Questa volta mi avevano fregato entrambi e io, ovviamente, non ero riuscita ad astenermi dal fare la solita figuraccia. Avrei voluto stritolarli tutti e due in un abbraccio, ma non ero della statura giusta per farlo.

- Non piangere!

Felix parlò con tono scherzoso, ma avrei potuto prenderlo sul serio: ero davvero sul punto di piangere.

- Hey, non dirmi che...

- State zitti tutti e due. Andatevene!

Mi coprii il viso rosso con le mani e scossi la testa con fare teatrale.

- Tecnicamente questa è casa mia...

- Che importa! Avrai sicuramente altre dieci case sparse per New York!

- Da che pulpito!

Guardai Felix in cagnesco soltanto per ricevere in cambio un sorriso innocente.

- Che c'è! Anche tu sei ricca.

- Non quanto lui.

- Wow... non dirmi che lui è ancora più ricco di te!

Gli occhi del biondo stavano letteralmente scintillando per l'eccitazione.

- Te l'ho appena detto.

- Che ne dite di adottarmi? 

Era la prima volta che vedevo il Signor Kim così sorpreso, perfino più sorpreso di quando lo avevo rapito alla festa di mio padre e gli avevo spruzzato lo spray al peperoncino in faccia. Rimase imbambolato a fissare Felix con gli occhi spalancati.

- Che ho detto di male? Insomma, siete entrambi ricchi e belli e... ricchi. Oh! E il padre di Ally sarà sicuramente d'accordo. Insomma... Jin, già ti adora! Forse Ally un po' meno ma...

Ero sul punto di salvare la situazione con una delle mie solite battutine sarcastiche, ma il suono di un cellulare mise fine alle parole fuori luogo di Felix che straripavano dalla sua bocca come un fiume in piena. Qualche secondo in più e gli sarei saltata addosso per tappargli la bocca con del nastro adesivo.

- Hey, Vernon! Oh, cavolo... mi sono completamente dimenticato. 

Il ragazzo si infilò frettolosamente il telefono in tasca e rivolse a me e al Signor Kim un sorriso imbarazzato.

- Devo proprio andare.

Si grattò la nuca, prevedendo le mille domande che stavo per rivolgergli. 

- Cosa devi fare di così importante?

- Oh... uhm... 

- Parla. 

- Una partita online... 

- Lo sapevo.

- E allora perché me lo hai chiesto?

Feci finta di non aver sentito la sua domanda.

- Proprio ora che ci siamo riappacificati... speravo di passare una bella serata con te e il Signor Kim... 

- Davvero? 

Gli occhi di Felix si illuminarono. 

- No, vattene. 

Il ragazzo corrugò la fronte e andò dritto verso la porta. Probabilmente non era neanche così dispiaciuto, l'importante era che fosse sollevato perché avevamo fatto pace. Prima di chiudersi la porta alle spalle si voltò per ringraziare il Signor Kim, ma in realtà era me che stava guardando e non mi ci volle molto per capire a cosa alludesse con quello sguardo. Voleva dirmi che presto avremmo dovuto parlare di quanto era successo ultimamente, ma soprattutto c'era un nome che aleggiava silenzioso nella stanza e che nessuno dei due aveva osato pronunciare: Taehyung. 

Avrei voluto raccontare al Signor Kim della sera precedente e delle cose che mi aveva detto Taehyung su di lui, avevo un disperato bisogno di ricevere chiarimenti, ma avevo la nauseante sensazione che sarei stata sommersa da ulteriori dubbi e preoccupazioni. 

- Allison? 

- Uh... s-sì? 

L'uomo mi rivolse un sorriso gentile, come se la situazione stramba di pochi attimi prima non fosse mai esistita. 

- Ti va di rimanere qui stasera?

- Eh?! Intendi nel tuo... con te? A dormire?

L'altro trattenne una risata. 

- Intendo a cena con me. 

- Oh... 

- Dispiaciuta? 

- Sollevata, naturalmente. Sai, sei troppo ambiguo a volte! 

- Anche tu. 

Ripensai per l'ennesima volta a come mi ero lasciata bendare da lui e il mio sguardo ricadde inevitabilmente sulla sciarpa di seta che penzolava delicatamente da un bracciolo del divano. 

- Se ti fa piacere farò finta che non sia mai successo. 

- C-cosa?

- Lo sai. 

Con un cenno del mento mi indicò il divano su cui mi aveva fatto sedere appena arrivati. 

- L'ho già d-dimenticato... 

Deglutii rumorosamente mentre mi ostinavo a non guardare l'uomo in faccia per il troppo imbarazzo. 

- Mh? Di già? 

Il Signor Kim si avvicinò pericolosamente a me; ero sicura che avesse quel suo solito sorriso stampato sul volto, anche se non osai alzare la testa e guardarlo. 

- Allontanati. Ti ho detto che sei ambiguo. 

- La sconfitta brucia così tanto? 

- Di che cosa parli? Semplicemente non mi fido di te. Sai com'è... 

Ma l'altro si avvicinò ulteriormente. Non potevo reggere quella situazione ancora a lungo.

- No, non so com'è, dal momento che mi sembra che la tua sia tutt'altro che sfiducia. 

- Ti ho detto di smetterla. 

In quella situazione non potevo far altro che ripetere le stesse frasi meccanicamente come un disco rotto, il mio cervello mi aveva ormai abbandonato. Perché diavolo Felix se n'era andato così? Nonostante mi conoscesse, possibile che lo avesse fatto apposta? 

- Se è questo che vuoi.

No, era evidente che non lo volevo e lui lo sapeva perfino meglio di me, che in quel momento non potevo vedere neanche la mia faccia da ebete. Aveva ragione: la sconfitta bruciava. Neanche io riuscivo a capire cosa mi spingesse a fidarmi di lui in quel modo, anche dopo aver sentito le parole piene di amarezza di Taehyung. Era innegabile che quell'uomo mi aveva attratto dal momento in cui lo avevo visto; anche quando credevo che fosse lui a farmi quegli scherzi di cattivo gusto, avevo tentato di sopraffare quell'attrazione con il peso di un odio fondato sul false basi. Quell'unico briciolo di razionalità che era sopravvissuto nella mia coscienza mi diceva che avrei dovuto essere più cauta, ma la rimanente parte, divorata interamente dall'irrazionalità, mi diceva che dovevo soltanto lasciarmi le preoccupazioni alle spalle per una buona volta e godermi una serata trascorsa all'insegna di cibo e sarcasmo. 

- Hai preferenze per la cena? 

- Sushi. Del miglior ristorante di New York.

- Sushi? Oh... 

Il Signor Kim si passò una mano fra i capelli e sospirò.

- Non credo di saper preparare il sushi, non ho neanche gli ingredienti adatti. 

- Aspetta... hai intenzione di cucinare?

- Naturalmente, perché? 

- Non hai tipo dei... servi? 

Servi? Per chi mi hai preso? E poi i servi sono passati di moda da un bel pezzo, siamo nel Ventunesimo secolo. 

- Non si può mai sapere di questi tempi. 

L'uomo alzò gli occhi al cielo e si infilò una mano in tasca, tirando fuori il portafogli.

- Allora io vado. 

- Dove? 

- A prendere il sushi, no? 

- Non puoi ordinarlo? 

- Il miglior ristorante di sushi a New York non si trova su JustEat, come ben saprai.

- Allora vengo con te. 

- No, aspettami qui. Fa freddo. 

Gonfiai le guance e sbuffai, effettivamente non mi andava di lasciare quell'appartamento così confortevole, ma allo stesso tempo non volevo che il Signor Kim andasse da solo. 

- Tranquilla, è un piacere comprare la cena per te. 

Mi fece l'occhiolino e indicò il telefono fisso su un tavolino all'angolo della stanza.

- Per qualsiasi cosa chiamami, il numero del mio cellulare è già inserito, ti basta premere un tasto. 

Annuii e mi sedetti diligentemente sul divano. 

- Se ti va puoi curiosare un po' in giro, ma non nella mia stanza da letto, mi raccomando. 

Alzai le sopracciglia, avrei voluto ribattere con la battutina di turno, ma mi accorsi in fretta che ciò che stavo per dire avrebbe potuto essere vero. 

- Ah! Kim... grazie... per Felix.

L'uomo sorrise con gentilezza, come a voler dire che non c'era bisogno di ringraziarlo e si chiuse la porta alle spalle.

 Aspettai qualche secondo e mi fiondai nel corridoio non illuminato, più curiosa che mai. Tastai il muro finché non trovai l'interruttore e una serie di luci si accesero in successione. Il pavimento in marmo sembrava luccicare, così come le maniglie di tutte le porte; mi chiesi se il Signor Kim usasse i guanti per toccarle, dal momento che erano prive di impronte. 

Aprii diverse porte prima di trovare quella giusta. Entrai cautamente nella camera da letto e accesi l'interruttore con mano tremante, ma la mia delusione fu indescrivibile quando mi resi conto che era una normalissima camera da letto maschile, eccetto per la vetrata che si estendeva per tutta la parete e una porta chiusa per metà che portava a un bagno personale. A cosa diavolo gli serviva un bagno nella stanza in cui dormiva se viveva da solo?

- Hey, dov'è il mio drama

Misi su il broncio e girovagai un po' per la camera senza trovare nulla di interessante. 

- Quell'idiota l'avrà detto solo per prendermi in giro.

Ma mi ammutolii all'istante quando sentii la porta in salotto chiudersi. Possibile che il Signor Kim fosse già di ritorno? Erano passati appena dieci minuti. Forse aveva dimenticato qualcosa. Indubbiamente la sua stanza non conteneva nessun segreto di stato, ma sarebbe stato ugualmente un guaio se mi avesse trovato a curiosare lì dentro. Pensai a una scusa, del tipo che mi ero persa cercando il bagno, ma con la faccia che mi ritrovavo sarei stata poco credibile. 

- Jin? 

Sussultai, accompagnata da un verso simile a uno squittio. Quella non era la voce del Signor Kim, ma avevo udito troppo poco per capire a chi appartenesse. Cominciai istintivamente a tremare come una foglia. Speravo fosse un addetto alle pulizie, anche se a quell'ora del giorno la vedevo difficile.

- Jin? Sei in casa? 

Era la voce di un ragazzo e, dopo averla sentita di nuovo, non mi servì spremermi le meningi per capire chi fosse. 

La luce nella stanza era accesa e avrei destato ancora più sospetti se l'avessi spenta all'improvviso. Potevo sentire i passi del ragazzo farsi sempre più vicini, poiché il rumore prodotto dalle sue scarpe risuonava grazie al pavimento di marmo.

"Ci siamo. Cosa cavolo gli dico adesso?"

La porta socchiusa fu aperta velocemente dall'esterno. Quando mi ritrovai di fronte la figura di Taehyung non potei far altro che emettere una risatina nervosa. 

- Allison? 

- T-Taehyung... 

- Che cazzo ci fai qui? 

- U-uh? Io... Il Signor Kim... 

- Jin? Lo sapevo... 

Dalle labbra del ragazzo proruppe una risata quasi isterica. 

- Se ti do fastidio... io posso andare...

Ma le parole mi vennero meno quando Taehyung si avvicinò e fui in grado di vederlo meglio: aveva le guance di un rosso acceso, le labbra screpolate e i capelli insolitamente disordinati. 

- Ti ha invitato lui? Che bastardo... 

Indietreggiai senza osare staccare gli occhi dal ragazzo che mi stava di fronte. 

- Taehyung... sei ubriaco?

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** ❝twilight❞ ***


 twilight

 

- Taehyung... sei ubriaco?

Le mie parole cariche di timore rimasero sospese nell'aria pesante che opprimeva tutto lo spazio di quella stanza. Tutt'a un tratto mi sembrava di essere chiusa in uno sgabuzzino e non più nella spaziosa camera da letto del Signor Kim.

"Signor Kim... "

La mia mente ritornò speranzosa al telefono fisso in salotto, ma qualcosa mi diceva che in quel momento Taehyung non avrebbe gradito se avessi chiamato suo fratello per chiedere aiuto.

- Allora?!

Il ragazzo sbatté la porta, facendomi sussultare di nuovo.

- Ti ho fatto una domanda. È stato quel bastardo a portarti qui? O ci sei venuta da sola?

- Io...

Indietreggiai fino ad aderire con la schiena al grande armadio che si trovava nella stanza.

- Mi ha invitato... a cena... tutto qui.

Non capivo, davvero non capivo cosa diavolo stesse succedendo.

- E lo aspetti nella sua stanza da letto? Bella roba...

- No, io...

- Non me lo aspettavo da te, Allison. Pensavo che almeno tu mi capissi...

Non riuscivo a seguire il suo discorso, era come se dicesse qualsiasi frase gli venisse in mente, senza connessioni logiche.

- Taehyung... n-non capisco...

- Stai zitta!

Il ragazzo diede un pugno al muro. Dalle mie labbra tremanti uscì un gemito di paura. Non sapevo cosa dire e come comportarmi, speravo soltanto che il Signor Kim sarebbe arrivato presto.

- Tae... per favore...

- Ti ho detto di stare zitta! Avrei dovuto capirlo che eri soltanto una delle solite puttane che gli ronzano intorno.

- Co-cosa? No...

- Pensavo che lo odiassi!

- È stato un frant-

- Pensavo che fossi dalla mia parte!

- Io sono dalla tua parte...

Taehyung mi afferrò per la maglia e mi attirò a sé, poi mi sbatté di nuovo contro l'armadio.

- No! Non sei dalla mia parte se ti scopi mio fratello!

Ora che era così vicino potevo sentire l'odore aspro dell'alcol ogni volta che parlava con me. Ma il fatto che fosse ubriaco di certo non giustificava tutte le cose che mi stava dicendo. Le urla che mi stava rivolgendo erano ciò che pensava davvero di me?

- Tae... calmati, per favore. Non è vero...

Ma era come se non mi sentisse affatto, aveva la mente annebbiata dalla sbronza. 
Gli appoggiai le mani sul petto e lo invitai a fare un passo indietro, ma lui non accennò a volersi spostare di un centimetro.

- Come se fosse facile! Cosa ne sai tu... chissà cosa ti ha raccontato quel bastardo!

- Non mi ha raccontato niente! D'accordo?! Non abbiamo parlato di te, non abbiamo parlato di niente! Adesso spostati!

Mi coprii la faccia con le mani per evitare di guardarlo, avevo paura della sua reazione. Non avrei dovuto urlare in quel modo, ma le mie parole erano state dettate dalla paura.

La sua reazione non tardò ad arrivare: afferrò i miei capelli e tirò con forza, costringendomi a piegarmi verso il basso. Ebbi l'istinto di urlare, ma subito dopo la voce mi si strozzò in gola, perché il ragazzo mi strinse le mani attorno alla gola. Strabuzzai gli occhi e cominciai a dimenarmi, ma più mi muovevo e più la sua stretta si faceva tenace. 
Quello era uno scenario che non avrei mai potuto immaginare. Quando Taehyung mi aveva abbracciato fra le lacrime, mai avrei immaginato che la rabbia che si teneva dentro fosse tale. Eppure non riuscivo a sentirmi in colpa, cosa avevo fatto contro di lui? Ero soltanto confusa. Qualcosa mi aveva spinto a fidarmi del Signor Kim più volte, mentre negli occhi di Taehyung avevo scorto fin dall'inizio una luce sinistra. Era vero: le sue lacrime e la sua rabbia mi avevano fatto provare una profonda compassione, ma ora eccolo lì, intento a soffocarmi con le sue stesse mani. 
Quel ragazzo non era soltanto ubriaco: era furioso, disperato, irrazionale. Voleva strapparmi la vita di dosso.

Strinsi i suoi polsi con le mani e cominciai a gemere, ma la mia voce era così debole che nessuno avrebbe mai potuto sentirmi. I miei polmoni stavano iniziando a soffrire per la mancanza d'aria, quanto tempo era passato? Era questione di secondi, ma mi sembrava di non respirare da un'eternità. Non c'era scampo, non avevo la forza né i mezzi per oppormi a lui. Le lacrime cominciarono a scivolare sul mio viso contorto da terrore e sofferenza. In quel momento mi era impossibile realizzare di essere così vicina alla morte, ma il mio corpo poteva sentirlo. 
Chiusi gli occhi e mi arresi al silenzio. Dovevo soltanto aspettare. Aspettare un miracolo... o la morte. 
Ripensai a Felix e a come era andato via poco prima. A come mi aveva guardato con quei suoi occhi scettici, ma carichi di apprensione e interesse per me. Ripensai al Signor Kim, alla sciarpa di seta che portava il suo odore leggero e pungente, a come l'aveva snodata dal suo collo con delicatezza e mi aveva coperto gli occhi lentamente. Quel profumo aleggiava in tutta la stanza. Fu il mio unico conforto.


La mia testa ora era leggera. Ero sicura di star annaspando in cerca d'aria, ma non percepivo il mio corpo muoversi né la mia voce. Eppure non c'era silenzio.

- ... Son...

Un fischio acuto riempiva le mie orecchie a intervalli irregolari, ma sembrava un suono molto lontano.

- ... Son!

Quel suono sottile si trasformò improvvisamente in una voce.

- ... Allison!

Una voce che chiamava il mio nome.

- Allison!

Sentii la presa sul mio collo allentarsi, ma l'aria non entrò nei miei polmoni. Mi sembrava di essermi appena svegliata da un lungo sonno, eppure in quel breve tempo non avevo mai perso conoscenza. La coscienza ritornò ad appropriarsi della mia mente e improvvisamente ricordai che avrei dovuto respirare. Presi una lunga boccata d'aria e provai un bruciore alle labbra, ormai secche. Non sapevo chi stesse chiamando il mio nome, ma ero certa che quella voce mi avrebbe salvato.

Sentii un forte dolore in tutto il lato sinistro del corpo, inclusa la testa. Probabilmente ero caduta per terra. Provai ad aprire gli occhi, ma era come se fossero ridotti a due fessure e non potessi andare oltre.

- Allison, sei qui? All- Taehyung?! Cosa diavolo...

Qualcuno mi finì addosso e mi calpestò una mano. Gemetti di dolore. Taehyung... Non riuscivo ad associare quel nome a un volto dai lineamenti ben definiti, ma sapevo con certezza che era stata proprio quella persona a farmi del male. 
Le voci mi giungevano ovattate e in qualche modo distorte.

- Che cosa le hai fatto... dimmi che cosa...

Provai a rigirarmi sull'altro fianco, ma avevo a mala pena la forza di continuare a respirare e per il momento mi bastava quello. Sarei rimasta a terra per un po', in attesa che quelle voci si calmassero, che quel fischio acuto, ora divenuto incessante, finisse.

Sentii una botta sorda e qualcuno cadere accanto a me. Poi una mano che scuoteva la mia spalla con forza.

- Allison? Sei sveglia?

Mugolai con gli occhi chiusi.

- Grazie...

Quello che riconobbi essere il Signor Kim si accasciò su di me, ancora incapace di muovermi, e mi accarezzò il viso con premura. Avrei voluto ringraziarlo anche io, ma non credevo di essere capace di aprire la bocca e parlare. 

- Ti porto di là.

L'uomo infilò un braccio sotto le mie gambe e mi sollevò lentamente. Appoggiai la testa contro il suo petto e chiusi gli occhi. In quel momento avevo soltanto bisogno di sentirmi dire che andava tutto bene, che non era successo nulla di grave, ma era impossibile: avevo potuto sfiorare la morte con le mani e ne avevo sentito il gelo nelle ossa. 

Una volta distesa sul divano, il Signor Kim mi chiese se avessi bisogno di un'ambulanza, ma scossi la testa. D'altronde conoscevo il motivo per cui non l'aveva chiamata lui appena mi aveva visto; probabilmente non voleva sollevare un polverone lasciando che la gente vedesse una ragazza minorenne andar via dal suo appartamento in un'ambulanza. Ciò sarebbe andato anche a discapito mio e di mio padre. 

- Ti dispiace se...?

L'altro lasciò la domanda in sospeso, ma le sue dita fredde sul colletto della mia maglia lasciarono a intendere benissimo. Annuii e lui mi scoprì il collo con delicatezza per poter constatare se fossero rimasti segni dell'aggressione. La sua faccia lasciava a intendere che la situazione non era una delle migliori, ma a me non importava granché: ero soltanto grata di esserne uscita viva. 

- Come ti senti? Preferisci riposare ancora o puoi parlare?

Questa volta mi sforzai maggiormente e finalmente riuscii a proferir parola, ma la mia voce era rauca e debole.

- Sì, ce la faccio.

L'uomo sorrise per incoraggiarmi.

- Sapresti dirmi perché mio fratello era lì?

- N-non ne ho idea... Io stavo soltanto curiosando in giro e lui... è arrivato all'improvviso.

Presi un profondo respiro prima di continuare a parlare. Esprimerlo a parole era tutta un'altra storia: da incredulità si trasformava tutto in dura e inevitabile realtà. 

- All'inizio pensavo che fossi tu, anche se non potevi essere tonato così presto. Ma poi T-Taehyung è entrato nella stanza e ha iniziato a dire cose senza senso. 

- Del tipo?

Di riportare le sue parole non se ne parlava proprio. Come avrei potuto dire al Signor Kim che suo fratello mi aveva aggredito perché pensava che andassi a letto con lui? Effettivamente la cosa, presa singolarmente, non aveva molto senso, ma Taehyung aveva inteso il tutto come una sorta di tradimento; infatti mi aveva chiesto perché stessi dalla parte del Signor Kim. 

- Non ricordo. 

- Mh... Lui era ubriaco, vero? 

Feci cenno di sì con il capo debolmente. L'uomo si grattò la nuca con aria pensierosa.

- Credo di sapere perché lo ha fatto, ma temo di non poterti dire niente al momento. 

Allora voleva dire che c'era una motivazione diversa da quella che avevo immaginato io? 

- Allison, non hai idea di quanto mi dispiaccia. Mi sono preoccupato tantissimo e... se fosse soltanto per te chiamerei subito la polizia e un'ambulanza, ma-

Appoggiai una mano sulla sua e mi sforzai di tirar fuori un sorriso convincente. 

- Tranquillo, lo capisco. Lui è tuo fratello e facendolo metteresti in pericolo l'intera azienda per cui ti sei impegnato per tutta la vita.

- Allison... 

La sua voce tremò leggermente, perciò si zittì all'istante. 

- Quando sarai pronto mi spiegherai tutto, io aspetterò. Ti chiedo una sola cosa...

Il Signor Kim alzò subito la testa e mi guardò con occhi lucidi. 

- Proteggimi da lui. 

- A costo della mia vita. 

Sorridemmo entrambi, segno che almeno questa volta si trattava di un sorriso sincero. 

- Allora... ti accompagno a casa? 

- Sì, grazie. 

- E come farai con i tuoi genitori? Dovrai spiegar loro perché sei tornata così tardi e perché hai quei segni sul collo. 

Mi misi a sedere sul divano, cercando di rendere evidente il meno possibile la mia smorfia di dolore; mi faceva ancora male la testa per i diversi colpi che avevo preso. 

- Per la prima esiste la buon vecchia scusa Felix

- E per la seconda?

- Mai sentito parlare di sciarpe? In questo periodo sono l'ideale. 

Allusi alla sciarpa ancora appoggiata sul bracciolo del divano su cui ero stesa.

- D'accordo, ma perché continui a guardarmi in quel modo? Vuoi forse indurmi a regalarti volontariamente la mia sciarpa?

- Mh, è carina. Non ti dispiacerà se la tengo un po' con me, vero? 

- Puoi tenerla tutto il tempo che vuoi,  se ti piace così tanto.

La afferrai e me la strinsi al petto. Non era l'oggetto in sé che adoravo, ma i ricordi che mi suscitava. Per quanto avessi sofferto a causa di Taehyung, i sorrisi e le premure del Signor Kim avevano spazzato via tutte le mie paure in un istante. Mi aveva fatto sentire come se tutto ciò che era successo poco prima fosse cosa da nulla. In realtà non ero mai stata vicina alla morte, perché era già deciso che lui sarebbe venuto a salvarmi, anche se mi fosse rimasto un solo secondo di vita. Era questo ciò che sentivo in quel momento, anche se sembrava del tutto irrazionale, ma quand'è che le cose con il Signor Kim erano andate nel verso giusto? La mia concezione di giusto era proprio quella. 

Di quel giorno avrei ricordato il modo in cui mi aveva chiesto quale fosse la vera me, il modo in cui mi aveva coperto gli occhi, il modo in cui mi aveva guardato mentre mi riappacificavo con Felix, il modo in cui mi aveva ringraziato di essere viva e il modo in cui mi aveva delicatamente sollevato da terra con le sue braccia forti. Da quel momento Taehyung non esisteva più per me; Felix aveva ragione: era una questione che riguardava soltanto loro due e avrebbero dovuto risolverla da soli. Ma ciò non voleva dire che mi sarei allontanata dal Signor Kim, non ne avevo la minima intenzione. Dopo quello che era successo sentivo un attaccamento ancora più profondo e inspiegabile a lui. Un attaccamento irrazionale. Ed ero sicura che lo sentisse anche lui.

- Sì, mi piace tanto. Mi farà sentire protetta da tutto, non solo da Taehyung, ma anche dagli sguardi cattivi delle persone. 

Osservai l'espressione sorpresa del Signor Kim, non si aspettava di sentire simili parole uscire dalla mia bocca. In realtà non me lo aspettavo neanche io, ma in quel momento avevo percepito un bisogno viscerale di dirglielo, di disegnare una piccola crepa sulla maschera che indossavo davanti a lui.

- Allison... 

- Non dire niente. 

L'uomo rise di gusto, ma potevo vedere che era ancora scosso dalle mie parole. 

- Non avevo intenzione di dire nulla di compromettente. Andiamo? 

- Certo, ma non devi prima avvertire il tipo della limousine? 

- Credi che non sappia guidare una macchina da solo? 

- Oh... certo. Andiamo. 

Scesi le scale tenendomi stretta al braccio del Signor Kim per non cadere perché avevo ancora dei giramenti di testa improvvisi. Scendemmo un'altra rampa di scala dopo essere arrivati al piano terra e giungemmo ai garage del condominio in cui era parcheggiata anche l'auto del Signor Kim. L'uomo mi aprì gentilmente la portiera, poi salì anche lui e partì soltanto dopo essersi assicurato che era tutto apposto. Solitamente era mia madre a rivolgermi tutte quelle premure, mentre mio padre era piuttosto moderato nel dimostrarmi affetto; per non parlare poi di Felix che si comportava al contrario di come avrebbe dovuto. Insomma, non avevo mai ricevuto tutti quei riguardi da parte di un uomo. 

Appoggiai la testa al finestrino, intenta a osservare le gocce che scivolavano lungo il vetro. Fuori piovigginava e il tamburellio dell'acqua sul tettuccio dell'auto unito al leggero rombo dei motori mi tranquillizzò. Mi voltai verso il Signor Kim e lo osservai a lungo: aveva lo sguardo concentrato ed entrambe le mani appoggiate al volante. Sapeva che lo stavo guardando, ciò mi fu suggerito dall'accenno di sorriso che non voleva andare via dalle sue labbra, ma lui non osò voltarsi verso di me nemmeno per un secondo. 

Ripensai alla conversazione che avevamo avuto poco prima, a quando gli avevo detto che avrei aspettato finché si fosse sentito pronto per raccontarmi tutta la verità; a come non c'era stato bisogno di specificare che tipo di verità avesse inteso lui, perché aveva capito che mi riferivo a Taehyung, alle cose che mi aveva raccontato, al perché aveva agito così, al perché odiasse suo fratello. Scossi leggermente la testa, per quel giorno ne avevo avuto abbastanza. Cominciai a infilarmi il giubbotto quando mi accorsi che l'auto stava accostando. Fine della corsa. Il Signor Kim mi aiutò a scendere e mi accompagnò davanti al portone del palazzo, tenendo sollevato sulla mia testa un ombrello che aveva prontamente portato con sé. 

- Ti accompagnerei anche sopra, ma non è il caso, visto che nella testa dei tuoi genitori finora sei stata da Felix. 

- Non ti preoccupare, oggi hai fatto tanto per me. 

- Tanto? Vuoi scherzare? Non riuscirò mai a perd-

Mi alzai sulle punte dei piedi e baciai il Signor Kim sulla guancia, cogliendolo di sorpresa. Chiusi gli occhi, soffermandomi con le labbra sul suo viso più del previsto, mentre il picchiettio della pioggia sull'ombrello e tutt'intorno a noi ci riempiva le orecchie, anche se ero potevo ancora sentire distintamente il cuore che mi martellava nel petto. 

Finalmente mi allontanai da lui e parlai con lo sguardo dritto contro il petto del Signor Kim, incapace di guardarlo negli occhi.

- Grazie... Kim.

Gli diedi un buffetto sul braccio per spezzare la tensione ma, contrariamente a come mi aspettavo, fui ricambiata da uno sguardo severo e malinconico. 

- Mi dispiace, davvero. Penso che forse sarebbe meglio per te se-

- Nah. 

- Come, scusa? 

- Non ci penso neanche ad allontanarmi da te soltanto perché hai paura che tuo fratello mi faccia di nuovo qualcosa di male. Hai detto che mi avresti protetto e per farlo dovrai stare sempre con me. Ora hai anche la benedizione di Felix, dovresti essere più soft

- Allison?

- Sì, lo so, sono inadeguata. Mia madre me lo dice spesso, ma che posso farci?

- No, non volevo dire che sei inadeguata. Sei... tu? Sei così?

Mi morsi il labbro nel vano tentativo di trattenere un sorriso. La faccia incredula del Signor Kim era qualcosa che avrei voluto incorniciare. 

- Può darsi, ma non dirlo a nessuno. 

Il Signor Kim sorrise, anche lui mordendosi il labbro.

- D'accordo. Allora buonanotte, Allison.

- 'Notte, Kim. 



Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** ❝sushi❞ ***


sushi

 

Quando la sveglia suonò ero già in piedi da un pezzo. In realtà non avevo chiuso occhio tutta la notte, d'altronde come avrei potuto? Avevo baciato il Signor Kim sulla guancia. Sì, avevo anche rischiato di morire, ma preferivo non pensarci. 

A scuola, dovunque mettessi i piedi, c'era un chiacchiericcio continuo. Ero diventata la star dell'istituto nel giro di una giornata.

--- 

Alla fine della penultima ora mi avvicinai a Felix, quel giorno non avevamo avuto lezioni in comune. Lo sorpresi alle spalle e lo trascinai dietro l'anta del mio armadietto aperto. Aveva uno sguardo terrorizzato in volto, ma appena comprese che ero io si calmò.

- Ally! Dovresti smetterla di assalire le persone quando ti pare!

- Shh!

Gli tappai la bocca e mi guardai intorno con circospezione. Naturalmente c'era un gruppetto di persone che continuava a osservare i miei movimenti, ma non potevano sentirci da quella distanza.

- Senti, cosa è preso a questa gente? Hai per caso diffuso quel video in cui mangio i pancakes?

- Io non ho fatto niente. Se avessi diffuso quel video, poi, saresti famosa perfino in Svizzera.

- Cosa diavolo c'entra la Svizzera ora! Cosa si dice di me?

- Mh... una certa Allison Harvey... che ha già trovato marito.

- Cosa?! Credono che io e Kim...

Felix scoppiò a ridere e mi allontanò con una leggera spinta.

- Be', che cosa ti aspettavi? È così che funziona fra famiglie ricche.

- Non nella mia! I miei mi lascerebbero sposare perfino un idiota come te. Ora come faccio a smentire tutto senza convocare una conferenza stampa?

Il ragazzo fece spallucce e si guardò intorno anche lui.

- Perché dovresti? Quella gente brucia d'invidia. Ben gli sta. 

Alzai gli occhi al cielo e lo spinsi di nuovo nell'armadietto, facendo cadere vari libri a terra.

- Non voglio che la gente pensi che io sto per sposarmi con un uomo ricco e...

- Affascinante? Spiritoso? Gentile? Il tuo tipo ideale?

- Il mio tipo ideale non è così!

- Così come? Così affascinante? Così spiritoso? Così-

- Smettila!

Urlai un po' troppo, perché quelle persone che ci stavano guardando strinsero le palpebre e si fecero d'improvviso più sospettose.

- Oh la la, adesso penseranno che io sia il pretendente numero due.

Felix si schiarì la voce, assumendo un tono da narratore di serie TV.

- La ricca e ingenua ereditiera era combattuta fra il povero Felix, suo amico d'infanzia- hey!

Gli diedi un pizzicotto sulla guancia e gli feci cenno di stare in silenzio per l'ennesima volta.

- Perché non vai a mangiare noodles in quell'angolo?

- Hey! Hai troppi pregiudizi sulla cultura coreana!

- No, su di te. Anche il Signor Kim è coreano, ma mangia soltanto cibo di qualità.

- Bene, allora andrò al distributore a prendere qualcosa di sano e genuino, ciao!

Lo salutai senza entusiasmo, ma pochi attimi dopo subentrò il terrore. 
Il mio migliore amico mi aveva lasciato da sola in una giungla. E lo aveva sicuramente fatto di proposito.

Mi lasciai sfuggire un verso simile a uno squittio quando notai che una ragazza di un anno più piccola mi si stava avvicinando.

- Allison!

- Ehm... c-ciao...

Mi voltai a destra e a sinistra freneticamente in cerca di un aiuto, ma l'unica persona che potesse aiutarmi in quel momento era Felix, che si era macchiato di alto tradimento lasciandomi da sola.

- Ti ricordi di me?

- N-non credo...

Non avevo la minima idea di chi fosse, ero più che sicura di non averla mai vista.

- Come? Abbiamo seguito un corso di autodifesa insieme l'anno scorso! Io ero seduta all'ultima fila e tu alla prima, avevi i capelli legati e...

Ma le parole della sconosciuta rimasero sospese a mezz'aria, perché era stata distratta dallo squillo del mio cellulare. Le rivolsi un sorriso forzato e mi infilai una mano in tasca, l'altra si sporse sulle punte dei piedi e cercò di gettare un'occhiata sullo schermo. Feci un passo indietro con disinvoltura, ma tutta la mia calma svanì quando lessi il messaggio. 
Era il Signor Kim, o meglio, il suo account sfruttato da Taehyung. Ero così confusa che impiegai più del dovuto per capire cosa ci fosse scritto sullo schermo, che tremava accompagnato dalle mie mani.

Vieni nel parcheggio, sono in una macchina nera. Ho bisogno di parlarti.

Se non ci fosse stata tutta quella gente a guardarmi molto probabilmente avrei urlato e lanciato il cellulare a terra. Taehyung mi aspettava nel parcheggio della scuola e voleva parlarmi. Fantastico. Lo avrei completamente ignorato. Riposi il cellulare in tasca e ripresi a sorridere in modo ingenuo, come a voler convincere più me stessa che la ragazza che mi stava di fronte, che non era successo assolutamente nulla.

- Allora, dov'eravamo rimaste?

- Oh, sì!

La ragazza sembrò riprendersi da uno stato di profonda trance, forse perché fino a quel momento era stata troppo impegnata a cercare di capire chi mi avesse mandato un messaggio.

- Tu e quel... insomma... quel signore...

- Sì, stiamo insieme.

E-eh?!

Mi assicurai che mi avessero sentito tutti forte e chiaro, poi girai i tacchi, intenta a dirigermi in classe, ma sbattei contro il petto di un qualcuno più alto di me. Ero pronta a scusarmi, ma rimasi di sasso non appena lo guardai in viso.

- Quindi è ufficiale?

- K-Kim...

Dei versi simili agli squittii di tanti topi impazziti giunsero alle mie spalle.

- C-cosa...

L'uomo si chinò sul mio viso e parlò a bassa voce, assicurandosi che soltanto io potessi sentirlo.

- Ti ho promesso che ti avrei protetto a tutti i costi. Mio fratello è qui fuori, non vorrei che una certa principessa venisse rapita mentre esce da scuola.

- Ma come hai fatto a sapere...

- Ho i miei mezzi. Andiamo?

Gli rivolsi uno sguardo stranito, ma preferii non fare domande. Seguii il Signor Kim fino all'uscita secondaria senza voltarmi neanche una volta. La stessa macchina con cui mi aveva accompagnato a casa la sera precedente era parcheggiata proprio lì davanti. Aspettai che l'altro mi aprisse lo sportello, ormai era diventata un'abitudine, e salii.

- Ho visto le facce dei tuoi amici.

Il Signor Kim si voltò verso di me mentre metteva in moto l'auto e mi guardò con aria soddisfatta.

- Non sono miei amici, lo sai.

- Be', ma devono essere importanti se sono stati i primi a sapere della nostra relazione.

- Noi non abbiamo una relazione.

- Sto solo ripetendo le parole che sono uscite dalla tua bocca.

Ammiccò alle mie labbra schiuse per la sorpresa e io cercai disperatamente qualsiasi altra cosa da guardare, ma c'erano soltanto le mura annerite della mia scuola.

- Mi è scappato, okay? Ero sotto pressione.

- Doveva essere una pressione bella forte.

- Sì. Tuo fratello mi ha mandato un messaggio, mi ha chiesto di uscire fuori per parlare con lui.

Il Signor Kim sorrise e fece partire la macchina.

- Che ne dici se ce ne andassimo da qualche altra parte invece?

Trattenni un sorriso e cercai di suonare il più indifferente possibile.

- D'accordo. Dove si va?

- Dove vuoi, principessa.

- Soltanto Felix può chiamarmi così.

- Okay, Allison.

- Mh, che ne dici di fare un secondo tentativo con il famigerato sushi migliore di New York?

- Casa mia?

- Casa tua.

---

- Oh, cavolo!

Mi passai il fazzoletto sulle labbra, cercando di apparire il più educata possibile, ma avevo già mandato al diavolo ogni possibilità esclamando in quel modo, per giunta a bocca piena. Ma come avrei potuto rimanere in silenzio di fronte a una tale prelibatezza? Non avevo mai assaggiato qualcosa di così buono. Dovevo assolutamente far convertire Felix al partito pro-sushi, altro che noodles! 
Perfino il Signor Kim sembrava trattenere a stento un'esclamazione di sorpresa.

- Sono contento che ti piaccia.

- Stai scherzando?! Lo adoro.

- A chi lo dici... L'ho mangiato centinaia di volte, ma mi sembra sempre di mangiarlo per la prima volta.

Scoppiai a ridere, cogliendo l'altro di sorpresa.

- Stiamo per caso girando uno spot pubblicitario sul sushi newyorkese?

- Oh... non posso soppesare ogni parola quando parlo con te.

- Stai dicendo che in genere lo fai?

- Be'... sì, sai com'è... è difficile stabilire quando bisogna utilizzare un linguaggio formale, soprattutto quando si è così abituati come me.

- So cosa stai pensando.

- Cosa?

Mi schiarii la voce nel vano tentativo di imitare il timbro di voce del Signor Kim.

- Non dovrei parlare in modo formale con una ragazzina, ma suo padre è il CEO della HarveyFactory.

L'uomo rise per la mia imitazione, ma subito dopo assunse un'espressione seria.

- Non è soltanto per questo. Normalmente non ci avrei pensato due volte a lasciar perdere il linguaggio formale, anche se si trattasse della figlia di un CEO. Ma con te è diverso... sei più matura, ecco.

- O forse sei così vecchio da aver dimenticato come ci si senta ad avere diciassette anni.

- Vorresti dire che quelle ragazze che ti hanno accerchiato stamattina hanno un quoziente intellettivo considerevole?

- Rude, ma mi piace. Anche io la penso così.

- A proposito...

Il Signor Kim si sistemò meglio sul cuscino che aveva posizionato sul pavimento e afferrò con le bacchette un altro pezzo di sushi.

- No, non ci provare neanche.

- A fare cosa?

L'altro mi rivolse uno sguardo sorpreso, ma colpevole, come se fosse stato colto con le mani nel sacco.

- A mettere in mezzo quell'argomento.

- Quale?

Sbuffai.

- Devi sempre fare il finto tonto, altrimenti non sei tu. Parlo del... di quello che ho detto oggi a scuola.

Una scintilla guizzò negli occhi del Signor Kim.

- E cosa ti ha fatto pensare che stessi per parlare di quello?

Sobbalzai quando mi accorsi di essermi rovesciata la salsa di soia addosso. Ma dove avevo la testa? Ah, già, fra le grinfie dell'uomo che mi stava di fronte, come al solito.

- Ti serve una mano?

Il Signor Kim prese un fazzoletto pulito e si protese in avanti con fare gentile.

- No, grazie. Posso farlo da sola. Dov'è... il bagno?

L'uomo mi indicò una porta in fondo al corridoio e uscii dalla stanza quasi correndo. Mi chiusi la porta alle spalle e mi ci appoggiai. Mi lasciai sfuggire un sospiro rassegnato mentre scuotevo la testa con forza.

"Che idiota che sono..."

Com'era possibile che mi risultasse così complicato avere una conversazione normale con quell'uomo? Ero io il problema? O forse lui? A volte il Signor Kim sembrava così ingenuo, un semplice uomo d'affari che si rendeva disponibile per cortesia: perché era in buoni rapporti con mio padre e perché forse voleva in qualche modo scusarsi per il malinteso che c'era stato fra di noi fin dall'inizio, dimostrarmi che era un uomo completamente diverso dall'idea che mi ero fatta di lui, basandomi su semplici pregiudizi e fraintendimenti. Ma altre volte... altre volte sentivo che quel principio di ostilità e attrazione, quella punta di disagio che avevo provato prima ancora che avesse inizio la catena di malintesi, era qualcosa di reale. E io mi fidavo sempre del mio istinto. Certo, non credevo di certo che il Signor Kim potesse arrivare al punto di suo fratello, d'altronde mi aveva dimostrato più volte di essere meritevole della mia fiducia, ma c'era ancora qualcosa in lui che non mi lasciava avere una visione chiara della sua figura e che, al contrario, mi confondeva quanto più il nostro rapporto si approfondiva. 

- Allison, tutto bene lì dentro? 

Balzai in piedi per lo spavento. Quanto tempo era passato?

- S-sì... 

Mi affrettai a strofinare un pezzo di carta igienica sui jeans, ma ormai la macchia si era asciugata e non c'era nulla da fare, se non mettere tutto in lavatrice. 

Aprii la porta lentamente e cacciai un urlo quando mi ritrovai il Signor Kim di fronte che mi guardava con sguardo indagatore. 

- Sei strana. 

- Io? Io?!

- Sì, tu.

L'uomo mi rispose con fare annoiato e mi si avvicinò come per osservarmi meglio, ma lo spinsi via con decisione.

- I-io... è meglio che torni a casa. 

- Allison? 

Percorsi il corridoio a passi veloci e mi affrettai a raccogliere la mia roba, lasciando intenzionalmente la sciarpa del Signor Kim sull'appendiabiti. L'altro mi chiamò di nuovo e, vedendo che non accennavo a voltarmi, mi prese una mano e la accarezzò con delicatezza. Perfino io potei capire quanto gli fosse costato quel gesto: dopo il malinteso aveva cercato in tutti i modi di non invadere il mio spazio. Lo guardai con apprensione e allontanai la sua mano con la mia, cercando di non essere troppo brusca questa volta. 

- Ho detto qualcosa di male? Se ti riferisci... 

- No. No, io... sono solo un po' confusa. Sai, dopo quello che è successo ieri... 

Il Signor Kim sospirò e fece un vano tentativo di rassicurarmi con lo sguardo. 

- So quello che pensi, ma puoi fidarti di me. Questo già lo sai, vero? 

Annuii e aprii la porta.

- Sicura di non volere che ti accompagni? 

- Sì, camminare un po' mi aiuterà a schiarirmi le idee. 

Gli rivolsi un timido saluto con la mano e mi decisi a uscire. 


Si erano già fatte le undici; quando ero con il Signor Kim il tempo passava davvero in fretta. Voleva forse dire che con lui stavo bene? Sì, con lui stavo bene, ma sull'altro piatto della bilancia c'erano tutti i rompicapo che mi provocava ogni giorno ed era difficile mantenere l'equilibrio. 

Entrai in casa in punta di piedi,dal momento che era possibile che mia madre fosse già a letto. Le luci in cucina e in corridoio erano spente, ma dal salotto provenivano delle voci. Sentii quella di mia madre sovrapporsi alle voci di altri due uomini. Riconobbi quella di mio padre, mentre l'altra mi era familiare, ma non riuscii ad associarla a nessun volto. Sembrava che quei tre stessero discutendo animatamente, quindi mi avvicinai nel buio cercando di non far rumore per ascoltare.

- Tesoro, lo sai che sono contraria. 

- Non abbiamo altra scelta, l'intervento del ragazzo è necessario. Il Signor Kim e io abbiamo messo a punto gli ultimi dettagli proprio la settimana scorsa. Domani Taehyung farà il suo debutto nel mondo dell'industria. 

Il Signor Kim? Oh, certo. Mio padre si riferiva al padre dell'attuale Signor Kim. Ma non riuscivo a capire di cosa stessero parlando. Mi ritornarono alla mente degli stralci della conversazione che avevo ascoltato fra quei due una settimana prima, ma anche allora non avevo ben compreso cosa stessero progettando. 

- Non credo sia coscienzioso addossare i questi problemi a un ragazzo di appena diciannove anni. 

- Non vedo altra soluzione, il talento di questo ragazzo è l'unica cosa che al momento può salvarci. 

- In realtà non ho ancora accettato. 

Sussultai. Quella era la voce di Taehyung. Voleva dire che era in casa mia?

- Taehyung, non dire sciocchezze, sai quanto sia importante per noi il tuo intervent-

Sentii una sedia strisciare a terra e il ragazzo sbattere le mani sul tavolo. 

- Sono stanco di lavorare all'ombra di Seokjin! Fino a una settimana fa non avevi neanche detto della mia esistenza a queste persone. 

- Taehyung-

- No! Per una volta lascia che sia io a decidere per me. Se la HarveyFactory è accusata di gestire traffici di droga internazionali non sono affari miei. Io non ho mai voluto lavorare per questa azienda né per la stupida azienda di mio fratello!

Traffici di droga? Era per questo che le entrate della HarveyFactory erano calate così drasticamente negli ultimi tempi? In quel momento capii: era stato il CEO della RoyalToys, mio zio, a diffondere quei rumor.

- E cosa vorresti fare? Sprecare il tuo talento così? 

- Se la smettessi di considerarmi come un oggetto e mi prestassi più attenzione ti renderesti conto che ho ben altri talenti! Capirne qualcosa di economia non è un talento, è il frutto dei miei diciannove anni sprecati sui libri e in queste maledette aziende! 

- Taehyung, smettila. Non siamo a casa nostra, questa non è una discussione familiare. 

- Come se a casa ci comportassimo come una vera famiglia. 

Il ragazzo uscì dalla stanza furiosamente. Non ebbi neanche il tempo di realizzarlo che me lo ritrovai a fianco. Non si fermò, ma per un attimo i nostri sguardi si incrociarono. Rimasi lì, al buio, senza sapere cosa fare. Ero sconvolta.

Mio padre era davvero d'accordo a sfruttare un ragazzo contro la sua volontà per risollevare la sua azienda? E soprattutto, in quelle accuse c'era della verità?




Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** ❝wake up❞ ***


wake up

 

Mi appoggiai al muro freddo, unico scudo che mi separava dalle persone che, ostinate, continuavano a discutere animatamente fra di loro. Scossi la testa, in quel momento mi parve di essere una semplice estranea: un'estranea nella casa in cui avevo vissuto per diciassette anni. Mi risultava addirittura difficile riconoscere che le voci che mi giungevano ovattate dall'altra stanza, erano le stesse voci che per tutti quegli anni mi avevano rivolto parole d'amore. 
Normalmente mi sarei rifugiata nella mia camera da letto, ma perfino l'idea di andare in quel luogo mi provocava una sensazione di straniamento. Avrei preferito passare la notte sul marciapiede lì davanti piuttosto che dormire fra le confortevoli coperte del mio letto. 
Mi diressi verso il portone, lo aprii cercando di non far rumore e scesi le scale lentamente; d'altronde non c'era fretta, avevo tutta la notte davanti.

Le macchine mi sfrecciavano accanto, piene di volti seri e indifferenti che non si curavano di me, che tremavo e mi abbracciavo il petto affinché il gelo non l'avesse vinta. Le luci opache dei lampioni rendevano la mia vista più offuscata di quanto già non fosse a causa del freddo, che mi faceva lacrimare gli occhi. A un tratto i fari delle macchine divennero soltanto delle scie gialle, sfocate e infinite, che conducevano tutte a una vita diversa. Quanto mi sarebbe piaciuto poter correre dietro a ognuna di esse e assaporare le vite di tutti; in quel momento mi sarebbe bastata la vita di chiunque, purché non fosse la mia. Ma con il tempo anche quelle scie scomparirono e la strada, meno trafficata per via dell'ora tarda, appariva ai miei occhi ormai deserta. Ero ancora lì, in piedi, e osservavo con sguardo vorace un'immagine che soltanto io potevo vedere, un'immagine invisibile, ma chiara e distinta nella mia testa. Gli occhi duri come ghiaccio, la bocca contratta in un smorfia di disprezzo, le guance scure e segnate da due profondi solchi. No, quell'immagine si era già dissolta e confusa con qualcos'altro, al punto che per qualche attimo mi convinsi di aver appena immaginato il mio stesso viso. Ma subito dopo, come a voler far crollare ancora ogni mia convinzione, quell'immagine mi apparve di nuovo chiara e distinta, non ero io, ma colui che in quel momento era mio fratello nella delusione e nei tratti stanchi e sofferenti.

- Allison.

Schiusi lentamente la bocca nel tentativo di liberare un sospiro, ma soltanto una nuvola di vapore silenziosa volteggiò sulle mie labbra ruvide.
Il ragazzo che mi stava di fronte e mi guardava inespressivo non era una semplice immagine fissata nella mia mente, ma il vero Taehyung. Questa volta il suono del mio sospiro giunse alle mie orecchie accompagnato da un gemito di sconforto. Mi gettai tra le braccia di quel sofferente, senza sforzo, quasi come in preda a un mancamento. L'altro mi strinse a sé con forza come se avesse avuto paura di vedermi cadere e addormentarmi lì a terra, cullata dal ronzio delle insegne al neon dei locali ormai chiusi. Mi sollevò senza dire una parola e cominciò a camminare, forse seguendo una scia luminosa che portava chissà dove. Sentivo la testa pesante, la forza aveva totalmente abbandonato il mio corpo: se mi fossi addormentata in quel momento avrei dormito per giorni, felice e serena perfino fra le braccia del mio assassino. Non m'importava se lui cercava in me una corrispondenza al suo dolore o un essere più debole su cui sfogare la sua rabbia, desideravo soltanto rimanere così per un altro po', con il viso nascosto nel cappuccio della sua felpa blu e le gambe allacciate intorno al suo busto, il tempo scandito soltanto dal ritmo lento e costante dei suoi passi silenziosi sull'asfalto.

La mia mente era già altrove quando un improvviso torpore mi ridestò dal sonno. Ora ci trovavamo all'interno di un edificio e stavamo salendo delle scale. L'odore pungente dell'ammoniaca con cui le mattonelle dovevano essere state lavate quel giorno stesso, sembrò infondermi una vivacità rinnovata e mi diede la forza di aprire gli occhi e parlare, sebbene la sonnolenza fosse ancora annidata in ogni parte del mio corpo.

- Dove... dove mi stai portando?

Il ritmo dei suoi movimenti non variò e ciò mi rassicurò. Il ragazzo mi rispose con voce bassa e ferma.

- Dal Signor Kim.

Le mie labbra si curvarono in un sorriso involontario. Mi stava bene.

Il rumore metallico delle chiavi che sbloccavano la serratura mi spronò ad aprire gli occhi una seconda volta. Fui invasa da un calore ancora più accogliente, anche se l'appartamento era buio e silenzioso. Pensai che fosse meglio così, l'unica cosa che mi interessava sapere era di trovarmi accanto a lui, colui che aveva promesso di proteggermi, anche se a portarmi lì era stato il ragazzo che aveva tentato di porre fine alla mia vita; eppure, con quella mente così deformata dalla rabbia, in quel momento condividevo molto più di quanto avessi mai condiviso con chiunque altro. E non c'era nulla che mi avrebbe rassicurato di più che dormire sotto lo stesso tetto di quei due fratelli che si rinnegavano a vicenda ma che, lo sapevo, non avrebbero rinnegato me.

Taehyung mi condusse in una stanza, ancora tenendomi stretta come se avesse paura che scivolassi via, e finalmente si fermò. Un odore familiare alleggerì la mia mente e, prima che potessi rendermi conto di essere distesa su di un letto, la mia coscienza era già nel mondo dei sogni per tre quarti. La parte di me ancora sveglia e timidamente aggrappata alla realtà fu l'unica cosa che mi fece comprendere, a un tratto, che il Signor Kim era disteso accanto a me, profondamente addormentato. 
Nonostante i dispiaceri di quella sera posso confermare con certezza che mai, in diciassette anni di vita, mi sentii così leggera.

---

Mi svegliai di soprassalto, sebbene non sapessi quale fosse il motivo. Forse accadde per il troppo silenzio; tutt'intorno alla mia casa erano stati piantati degli alberi che arrivavano alla mia finestra, dunque era consuetudine svegliarmi ogni mattina con gli uccelli che battibeccavano fra di loro, come se avessero sempre qualcosa di cui discutere. 
Ma quella mattina fu proprio l'inusuale silenzio a destarmi. Mi stiracchiai sul materasso con gli occhi ancora chiusi e mi voltai dall'altro lato, ma poco dopo fui costretta a rinunciare ad abbandonarmi di nuovo al sonno, perché c'era qualcosa che non andava. Punto primo: qualcosa mi diceva che ero estremamente in ritardo per andare a scuola; punto secondo: non ero così sicura di trovarmi nel posto in cui credevo di essere. In tutta la mia vita l'unico altro luogo in cui avevo osato passare la notte era la casa di Felix, ma avevo sempre dormito sul divano, accasciata sul suo corpo addormentato in modo scomposto. Nonostante avessi molto sonno, ero in grado di capire almeno una cosa: in quel momento non mi trovavo affatto su uno scomodo e stretto divano ma, al contrario, quello era il letto più confortevole sul quale mi fossi mai stesa. 
Aggrottai le sopracciglia e, lentamente, cominciai a sollevare le palpebre pesanti. Ma all'improvviso desiderai non farlo, perché mi accorsi che c'era qualcuno accanto a me. Una persona che emetteva dei respiri profondi e regolari, evidentemente immersa nel sonno. 
Quando finalmente mi decisi ad aprire gli occhi, quella persona emise un sospiro più pesante degli altri e mosse un braccio nella mia direzione fino a circondarmi un fianco. Istintivamente aprii gli occhi di scatto e per poco non urlai per la sorpresa. Il Signor Kim era disteso di fronte a me, anch'egli con gli occhi aperti e pieni di stupore a causa del mio brusco grido. Entrambi ci mettemmo a sedere velocemente e continuammo a guardarci in silenzio, come se non esistessero parole adatte da pronunciare in quel momento, finché io non aprii finalmente la bocca.

- C-cosa... ci faccio qui?

Il Signor Kim si guardò intorno spaesato, evidentemente ancora assonnato. Sebbene la situazione non lo richiedesse, non potei fare a meno di pensare a quanto fosse adorabile mentre si grattava la nuca con la faccia assonnata e i capelli scompigliati. Ma l'accenno di sorriso evaporó dalla mia faccia non appena mi resi conto che non indossava la maglia. 
Strisciai all'indietro sul materasso con fare terrorizzato e lo guardai come se fosse un maniaco.

- Mi hai rapito?!

L'uomo sembrò risvegliarsi definitivamente a quella mia domanda e spalancò gli occhi.

- Cosa?! Ehi, non saltare a conclusioni affrettate come tuo solito, non ho la minima idea del perché tu sia nel mio letto. Magari sei stata tu a fare irruzione in casa mia.

- Ah?! E perché avrei dovuto? Per dormire con un pervertito?

- Smettila.

- Lo sei.

- Dormo sempre senza maglia.

Arricciai il naso e mi tolsi le coperte di dosso.

- Possibile che non ti sia accorto che una persona è entrata nella tua stanza mentre dormivi?

- Quindi ammetti di esserci entrata di tua iniziativa?

- Non lo so! Magari sono sonnambula.

- Ci manca solo questo!

Grugnii e gli sbattei il cuscino in faccia con forza, facendolo quasi cadere dal letto; e gli avrei dato il colpo di grazia se una voce non mi avesse ammonito.

- Ragazzi, ma che diavolo state facendo? Pensavo di aver a che fare con delle persone intelligenti.

Io e il Signor Kim ci voltammo e parlammo all'unisono.

- Taehyung?!

Il ragazzo si appoggiò allo stipite della porta e schioccò la lingua.

- Esatto, Cupido a domicilio per gli amici.

- Ma che diavolo...

Il Signor Kim si alzò, attraversò la stanza con ampi passi e trascinò Taehyung nel corridoio, ma io mi alzai subito dopo e li seguii.

- Voglio sentire anch'io.

Il moro sbuffò, ma non mi disse di andar via. L'altro, intanto, aveva alzato le mani in segno di resa e sorrideva.

- Prima che entrambi partiate in quarta ad accusarmi e riempirmi di domande, questa notte ho trovato Allison sola su un marciapiede vicino casa sua, quindi ho deciso portarla con me. Non sarebbe stato coscienzioso lasciarla in mezzo alla strada a quell'ora, si gelava.

- E perché non l'hai accompagnata a casa sua se era lì vicino? E poi, tu che diamine ci facevi in giro di notte?

- Affari miei. E poi, ci sarà stato un motivo se Allison stava lì immobile, probabilmente non voleva tornare a casa.

Il Signor Kim strinse le palpebre e gli rivolse uno sguardo scettico, poi si voltò verso di me che, in un attimo, avevo ricordato tutto ciò che era accaduto quella notte ed ero arrossita visibilmente.

- Uhm... sì, è vero. Taehyung, grazie per avermi portato qui, non volevo davvero tornare a casa.

- Ieri sera hai origliato la nostra conversazione, non è vero?

- M-mh...

Mi strinsi nelle spalle e inchiodai lo sguardo a terra. Il Signor Kim comprese che doveva essere successo qualcosa che collegava entrambi, ma non chiese nulla. Semplicemente lasciò andare Taehyung e andò in cucina. Io lo seguii a ruota.

- Kim! Che ore sono?

Le uomo mi dava le spalle e... be', che dire. Aveva delle gran belle spalle. Senza la solita giacca a coprirle sembravano ancora più ampie.

- Le nove.

- Oh... non farei in tempo neanche a entrare alla seconda ora.

- Sì che puoi, sei già vestita, no?

- Sì, ma...

- Andiamo.

L'uomo lasciò andare la cialda del caffè che aveva in mano e scomparve nel corridoio, poi ricomparve con indosso una felpa da sopra i pantaloni del pigiama. Incredibile a dirsi, ma era ancora più affascinante di quando indossava i suoi soliti completi da centinaia di dollari. 

Lo seguii fino alla sua macchina senza dire una parola. 
Il Signor Kim aveva uno sguardo corrucciato mentre guidava, anzi, fin da quando si era svegliato non aveva espresso un briciolo di felicità. Provai a spronarlo a parlare.

- Kim, sei arrabbiato?

L'altro mi rispose dopo un po' senza voltarsi, tanto che per qualche attimo pensai che non mi avesse sentito.

- Con te?

- Non lo so, è successo qualcosa?

Sospirò e strinse i pugni attorno al volante.

- A parte il fatto che non ho idea del perché stanotte fossi da sola in mezzo alla strada, ma come ti è saltato in mente di seguire Taehyung? Pensavo che volessi essere protetta proprio da lui. Sai, non posso essere sempre presente per metterti in guardia da ogni minima cosa, dovresti imparare a cavartela da sola in determinate situazioni.

Quindi il Signor Kim era davvero arrabbiato per colpa mia.

- Ma Taehyung voleva soltanto aiutarmi...

- Non potevi saperlo. Non ti sei posta qualche domanda quando ti sei accorta che ti stava portando a casa sua? E se io non ci fossi stato? E se ti avesse fatto qualcosa? Considerando i precedenti...

Non lo avevo mai visto così nervoso, aveva i lineamenti del viso induriti e si mordeva le labbra alla fine di ogni frase.

- Hai ragione... ma sono seria quando dico che ho preferito accettare l'invito di Taehyung piuttosto che tornare a casa. E poi non è successo niente, voleva soltanto aiutarmi. In fondo mi ha portato da te, no?

- E se io ti avessi fatto del male? Fino a un paio di giorni fa mi consideravi un maniaco e mi detestavi, e ora accetti di farti portare in casa mia nel bel mezzo della notte?!

Non sapevo cosa rispondere, avevo paura che il Signor Kim si sarebbe messo a urlarmi addosso ancora più forte.

- Ma tu mi hai dimostrato che...

- Chiunque può dimostrarti delle cose false, Allison, soprattutto se ti fai prendere in giro così facilmente. Sbagli a fidarti ciecamente di me.

- E allora di chi... di chi dovrei fidarmi? Perfino i miei genitori...

L'uomo fermò la macchina e continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé.

- Cosa... perché ci siamo fermati?

- Siamo arrivati.

- O-oh...

Guardai fuori dal finestrino, eravamo nel parcheggio della mia scuola.

- Hai bisogno che ti firmi un permesso di entrata?

- S-sì...

Il Signor Kim scese dalla macchina e mi accompagnò in segreteria. Dopo molte lamentele da parte dei segretari sul fatto che non fossimo imparentati, finalmente l'uomo riuscì a convincerli quando mostrò la sua carta d'identità: non c'era nessuno in quella città che non sapesse della collaborazione fra la HarveyFactory e la EnJINe
Ringraziai il Signor Kim, nonostante avessi paura che cominciasse a rimproverarmi di nuovo, e feci per avviarmi verso la classe, ma lui mi chiese di aspettare.

- Allison, mi dispiace se prima in macchina ti ho spaventato, ma vorrei che capissi...

- Ho capito, hai ragione. Non dovrei fidarmi così facilmente delle persone. Mi hai già rimproverato una volta, quando alla festa di mio padre avevo accettato di seguire Taehyung sul terrazzo soltanto perché mi aveva offerto una fetta di torta.

- Già, e tu mi hai preso per un maniaco e mi hai fatto credere di essere un ficcanaso.

- Scusa... ma è proprio per questo che non posso non fidarmi di te. Anche quando non me ne rendevo conto hai sempre cercato di darmi dei consigli utili affinché nessuno mi facesse del male. Ma ora non seguirò il tuo ultimo consiglio, voglio affidarmi a te, sono pronta ad affrontarne le conseguenze.

Il Signor Kim sorrise, poi si avvicinò a me e abbassò la voce, nonostante nell'atrio della scuola non ci fosse nessuno.

- Il mio era solo un esempio. Hai fatto la scelta giusta.

- Oh... quindi ora mi stai dicendo che...

- Visto che ogni tuo dubbio è stato estinto, oggi pomeriggio, appena uscita da scuola, raggiungimi in azienda. Manderò una limousine a prenderti.

- N-non stai correndo un po' troppo?

- Non fraintendere, ho bisogno di parlarti.

Gli rivolsi uno sguardo scettico.

- Di cosa?

- Delle nostre famiglie. 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** ❝revelation❞ ***


 

revelation

 

- Felix...

Mi passai il dorso della mano sul viso con aria disgustata.

- Era così necessario?

Il biondo sghignazzò e posò il bicchiere di vetro sul tavolino, poi si portò di nuovo le ginocchia al petto. Inutile dire che non appena gli avevo raccontato tutto ciò che si era perso in quei giorni mi aveva sputato l'acqua in faccia per la sorpresa.

- Mi stai dicendo che Taehyung ha cercato di ucciderti?! Quel Taehyung? Sapevo che sarebbe successo... wow.

- Che cosa?

- Lo sai!

- Smettila di fare il vago.

- Sai com'è... una principessa piccola e indifesa... il principe azzurro che ha un'azienda a New York e il suo fratellastro che cerca di ucciderla per salire sul trono.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai.

- Non potresti cercare di sembrare un po' più sconvolto?

- Ti ho già sputato in faccia, cosa dovrei fare?

- Non lo so, magari chiamare la polizia.

- Avresti potuto farlo tu.

Felix iniziò a mordicchiarsi il pollice con indifferenza, come se non gli avessi appena raccontato che ero stata vittima di un tentato omicidio.

- Perché mi guardi così? Io ti avevo avvertito. E poi sei tu la prima che non sembra per nulla sconvolta. Al tuo posto un'altra ragazza non uscirebbe di casa per mesi, sei un mostro.

Mi rannicchiai sul divano trasandato, portandomi anche io le ginocchia al petto. Non c'era alcun motivo al mondo per cui avrei dovuto prendermela con Felix in quel momento, aveva ragione. La realtà era che avevo perdonato Taehyung, in un certo senso, o almeno cominciavo a capire come la pensasse. Doveva essere davvero brutto vivere come lui, all'ombra del fratello e sfruttato da suo padre soltanto per il lavoro. Di certo non lo giustificavo per ciò che aveva fatto, anzi, mi metteva molto a disagio stargli accanto, ma io avevo fatto irruzione nel suo ufficio con l'intenzione di accecarlo con lo spray al peperoncino, anche lui avrebbe potuto tranquillamente denunciarmi.

- Allison? Sei viva?

Felix mi sventolò una mano davanti alla faccia e si sporse in avanti per assicurarsi che non mi fossi addormentata nel bel mezzo della conversazione. Non ero ancora arrivata a quel punto.

- Il tuo telefono sta squillando.

- Oh...

Mi chinai verso il tavolino e lessi sul display. Era un numero non salvato in rubrica, quindi decisi di non rispondere. Un paio di minuti dopo squillò di nuovo, questa volta si trattava di un messaggio. Lo lessi.

Sono Kim, dove sei?

Oh, giusto. Avevo deciso di non presentarmi nel suo ufficio e di trascorrere la serata con Felix. Non c'era una ragione precisa, o meglio, c'era ma era alquanto imbarazzante ammetterlo perfino a me stessa.

Chi ti ha dato il mio numero?

È nel tuo profilo su Instagram

Erano secoli che dimenticavo di rimuoverlo, visto che mi capitava spesso di ricevere delle telefonate da sconosciuti o scherzi telefonici. Non ricordavo neanche il motivo per cui ce lo avessi messo.

E da quando sai usare Instagram?

Taehyung

Scommetto che sta anche scrivendo al tuo posto

Contrariamente a come pensi sono in grado di mandare i messaggi

:o

Cosa sarebbe?

La mia faccia sconvolta

Avrei potuto giurare di sentirlo sospirare o vederlo scuotere la testa con rassegnazione.

Non cambiare argomento. Perché non sei venuta?

Quella era una gran bella domanda. Cosa avrei dovuto rispondergli? Naturalmente ci sarebbero potuti essere mille motivi, come per esempio non voler parlare della mia famiglia perché mi faceva soffrire o aver paura di andare a casa sua per il rischio di incontrare di nuovo Taehyung. Sicuramente quei due fattori avevano giocato un ruolo importante nella mia scelta, ma rispetto al motivo principale erano cosa da poco. Per farla breve: stare nell'ufficio del Signor Kim, da sola con lui, era qualcosa che non avrei potuto sopportare; non perché non lo reputassi simpatico, anzi, ultimamente il nostro rapporto aveva fatto passi da gigante, ma avrei rischiato di spruzzargli lo spray al peperoncino negli occhi per quanto era sexy.

Allison??

È così necessario? Possiamo parlare per messaggio ;3

È un argomento serio... 
Dove sei?

Da Felix
✓ 

Ok
Arrivo

- Che?!

Alla mia esclamazione improvvisa Felix balzò dal divano come un gatto impaurito. Io nel frattempo stringevo il cellulare con il braccio alzato, indecisa fra il lanciarlo contro il muro o il distruggerlo a mani nude. 
Il mio destino era segnato. Avrei trascorso la serata con il Signor Kim nella sua versione splendida e carismatica, il che sarebbe stato un duro colpo subito dopo averlo visto a petto nudo. Non avevo la forza di affrontare tutto ciò.

- Che diavolo è successo? Hai scoperto che i porcellini d'india in realtà non sono maiali? Benvenuta nel club, ho pianto per settimane.

- Felix... potresti parlare di cose sensate per un buona volta?

Il biondo si alzò e si portò le mani ai fianchi.

- Hai appena minimizzato il mio più grande trauma-

- Okay, okay.

Alzai le mani in segno di resa e cominciai a infilarmi il giubbotto che avevo appoggiato sulla spalliera del divano.

- Il Signor Kim sta venendo a prendermi, la mia ora è vicina.

L'altro piegò la testa di lato e mi lanciò un'occhiata confusa.

- Da quando è diventato il tuo babysitter? O forse lo hai assunto come chauffeur?

- Purtroppo no, ha intenzione di sequestrarmi.

- Uhm... perché sembra l'inizio di una fanfiction molto cringe?

Alzai gli occhi al cielo e mi avviai verso la porta.

- Vuole parlare delle nostre famiglie. Chissà, magari avrò finalmente delle delucidazioni.

- Ti riferisci al fatto di Taehyung?

- Sì, più o meno...

Salutai Felix con la mano mentre mi chiudevo la porta alle spalle. La verità era che non gli avevo raccontato nulla riguardo a ciò che avevo origliato la sera precedente a casa mia, non volevo pensarci neanche io.

---

- Non sforzarti di sembrare elegante, io ci ho perso le speranze.

Scossi la mano mentre il Signor Kim si offriva di versarmi del vino nel calice di vetro. Ero sicura che, impacciata com'ero, l'avrei fatto cadere nel giro di meno di cinque minuti.

- Io non ci provo, lo sono.

L'uomo si sedette di fronte a me e si sistemò il colletto della camicia.

- Hey, non pensi sarebbe stato meglio presentarti in pigiama?

- Nella mia azienda?

- Be'... Non sono abituata a vederti vestito in questo modo.

- Sono sempre vestito in quest-

Sbattei una mano sul tavolo, lasciandolo di stucco, poi mi spostai su un altro argomento e cominciai a parlare con l'espressione di una persona non molto lucida.

- Allora, che ne dici di parlare delle nostre belle famigliole? Non mi hai rapito per questo?

- Già, ma ti avverto. Inizia a dire addio a quel tono ironico, perché dopo aver sentito ciò che sto per dirti perderai la voglia di scherzare.

- Kim, purtroppo mi sono già fatta un'idea negativa della mia famiglia. Questa conversazione è solo una conferma di quello che ho sentito ieri sera.

- Credimi, c'è di più. Ma cominciamo da quello che già sai... cosa hai sentito?

Feci scivolare le mani sotto la scrivania e mi aggrappai alla sedia. In realtà non ero per nulla spavalda come mi stavo mostrando al Signor Kim in quel momento e lui probabilmente lo aveva già capito. Avevo paura, tanta paura di sapere la verità, e per certi versi dalle sue parole avevo compreso che tutto ciò che avevo sentito la sera precedente era innegabilmente vero.

- Vogliono costringere tuo fratello a lanciare un progetto di facciata sul mercato, mentre nel frattempo la tua azienda e quella di mio padre cercheranno di risolvere i rumor su un certo traffico di droga che è partito da un'accusa della RoyalToys, l'azienda di mio zio.

L'uomo appoggiò i gomiti sulla scrivania e il mento sulle mani congiunte. Mi guardava negli occhi mentre parlavo, come se stesse cercando di scorgere ogni mio minimo cenno di cedimento.

- So che Taehyung non ha intenzione di farsi coinvolgere e che ce l'ha con suo padre per aver nascosto la sua esistenza alla stampa finora... perfino alla mia famiglia. Il progetto sarebbe dovuto partire oggi, ma a quanto pare non sono riusciti a trovare un accordo con tuo fratello.

Il Signor Kim sospirò e si rimise a sedere composto.

- È così, ma questa è soltanto una piccola parte. Credo che, arrivata a questo punto, tu abbia compreso perché Taehyung nutra dei rancori nei miei confronti... e nei tuoi.

- Perché tuo padre ha prediletto te come volto della EnJINe? Anche se non capisco perché Taehyung ce l'abbia con te per questo motivo. Insomma, lui odia lavorare nel mondo dell'economia.

- Già, ma odia cento volte di più essere trascurato da suo padre. È stato costretto a studiare sempre da solo mentre io ricevevo il suo aiuto perché era stato già deciso che avrei fondato la EnJINe, mentre Taehyung avrebbe funto da ruota di scorta.

- È orribile...

- Già. E ora si comporta in questo modo con te perché sei la figlia del CEO che ha deciso di sfruttarlo insieme a mio padre. O almeno era così fino a un paio di giorni fa.

- Che intendi?

- Dal momento che sei l'erede della HarveyFactory, credeva che anche tu fossi a conoscenza del piano, ma poi gli ho spiegato con calma che non ne capisci nulla di economia e che non hai la minima intenzione di seguire il percorso di tuo padre.

- Be', in ogni caso quella non era una scusa per cercare di uccidermi. E comunque... come sai che non voglio diventare il CEO dell'azienda di mio padre?

L'uomo sorrise e, con mio grande stupore, mi prese una mano e la strinse fra le sue.

- Quando sono venuto nella tua stanza ho visto alcuni libri sulla scrivania. Ho letto di sfuggita qualche titolo e ho capito che non si trattava di materie che si studiano a scuola. Medicina?

Trattenni un sorriso mordendomi il labbro inferiore. Quell'uomo mi dimostrava ogni giorno di più che teneva a me e alla mia felicità, anche se non riuscivo a spiegarmene la ragione.

- Veterinaria...

- Metticela tutta, sono sicuro che ce la farai.

Il Signor Kim mi strinse la mano ancora più forte e mi rivolse un sorriso di incoraggiamento, poi la lasciò andare. Sospirò prima di ritornare al discorso principale.

- E ora viene la parte che non conosci.

- Oh... dimmi.

Strinsi i braccioli della sedia fino a farmi diventare le nocche bianche. Sebbene ci fosse una possibilità pari a zero, avevo intenzione di sperare fino all'ultimo secondo che avrebbe negato ciò che si diceva sulla mia famiglia. E ciò che avevo sentito da loro stessi.

- Ti sei mai chiesta come possano collaborare due aziende come la EnJINe e la HarveyFactory?

- Non più di tanto...

- Ormai se ne saranno accorti quasi tutti da quando la notizia della nostra collaborazione ha iniziato a diffondersi. Le nostre aziende sono incompatibili e finora non abbiamo prodotto nulla insieme.

- E allora perché vi incontrate così spesso? Tu e mio padre sembrate sempre così indaffarati a fare progetti.

- Non è così. I nostri genitori si conoscono da tempo, mio padre lavora per il tuo, ma in realtà è anche il CEO effettivo della EnJINe.

- Cosa? Vuoi dire che non controlli tu quest'azienda?

- Credevi davvero che un uomo come mio padre avrebbe lasciato totalmente nelle mani di qualcun altro il suo più grande progetto?

- Ma tu non sei un altro, sei suo figlio, e per giunta hai fatto tutto da solo.

- Sono solo un volto.

Mi lasciai andare sullo schienale della sedia.

- Che casino... Fossi in te sarei andata a vivere in un monolocale in periferia con una decina di gatti. Come puoi accettare di vivere così?

- Inizialmente non mi sembrava così male, anzi, mi piace molto lavorare in questo campo. Con il tempo ho capito che mio padre mi stava solo sfruttando mentre continuava a tenere mio fratello nell'ombra, ma a quel punto era già stato tutto deciso e non sono potuto tornare indietro.

- Però non mi sembra che tu ti stia lamentando più di tanto. Non ti dispiace per tuo fratello?

- Ha accettato passivamente tutto quello che mio padre gli ha imposto, non ho potuto fare niente per la sua personalità debole, non voleva neanche rivolgermi la parola... ha incolpato me fin dall'inizio, non nostro padre.

- Capisco... ma ora che sai, non ti è possibile rifiutare?

- No e... non voglio.

- Perché?

- Perché ormai è troppo tardi e ora che ci sono dentro non posso andarmene così, ho ancora molte cose da risolvere.

Mi sporsi in avanti sulla sedia. Sentivo che ci stavamo avvicinando al centro di quella conversazione.

- Che tipo di cose?

- Ascolta, Allison... prometti che non darai di matto come tuo solito. Cerca di capire l'intera situazione.

- D'accordo...

A breve avrei potuto sputare il mio cuore lì sulla scrivania, batteva così forte che lo sentivo in gola.

- Le notizie sul traffico di droga non sono soltanto una voce per diffamare l'azienda di tuo padre.

Lo sapevo già, ma allo stesso tempo ero più che sicura che, almeno per qualche secondo, il mio cuore aveva smesso di martellarmi nel petto.

- Allora è vero...

- Non c'è un motivo. Tuo padre ha dato origine a questa situazione anni fa, ma non è riuscito a nascondere il tutto da tuo zio.

- Vorresti dire che mio padre...

- Sì, malavita, droga, corruzione, incredibile, vero? Il tutto per mandare avanti a tutti i costi un'azienda di giocattoli.

- Ma la nostra azienda è conosciuta a livello internazionale, com'è possibile che stia fallendo?

- Dal tuo punto di vista è impossibile finché tuo padre ti nasconde la verità.

- E sarebbe stato capace di mentirmi per tutti questi anni? Allora perché mi ha proposto di diventare il nuovo CEO se sa che l'azienda sta fallendo?

Il Signor Kim abbassò lo sguardo ed esitò per qualche istante prima di rispondermi. Era evidente che dire quelle cose non era facile per lui. Ma effettivamente chi avrebbe potuto dire a una ragazza delle cose del genere su suo padre?

- Ti avrebbe spiegato tutto e tu avresti portato avanti l'azienda allo stesso modo.

- Non accetterei mai una cosa del genere!

- Lo so, ma non sempre si cerca di convincere le persone con le buone maniere. Stanno facendo lo stesso con Taehyung, lo hai visto anche tu.

- Io... io non so cosa dire. È assurdo... non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da mio padre... e da mia madre che lo difende.

L'altro non disse niente, si limitò a emettere un lungo sospiro.

- Se sai tutte queste cose, allora perché continui a lavorare con lui? È per tuo padre? Anche lui è coinvolto in questi giri? E tu?

- Mio padre sì, io no.

- Ma stanno letteralmente usando la tua faccia e quella di tuo fratello per coprire tutto questo! Come puoi accettarlo?!

- Allison, calmati. Cosa mi hai promesso?

Nell'impeto mi ero alzata di scatto, ma mi sedetti di nuovo e contai a mente fino a dieci, anche se non servì affatto a farmi ritrovare la calma.

- Che non avrei dato di matto e che avrei capito la tua situazione.

- Esattamente.

Il Signor Kim si fermò nuovamente prima di ricominciare a parlare.

- Non sto difendendo mio padre, non giustificherei mai una cosa del genere nonostante si tratti della mia famiglia.

- E allora perché...

- Lui, così come tutti gli altri, crede che io sia d'accordo con la sua condotta. Certamente non sono direttamente coinvolto in quello che fa, ma faccio finta che non m'importi finché nessuno mi mette pressione per fare qualcosa.

- E allora che cosa stai facendo?

- Sto collaborando con la RoyalToys. Sono stato io a diffondere quei rumor.


Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** ❝together❞ ***


together

 

- Sto collaborando con la RoyalToys. Sono stato io a diffondere quei rumor.

Rimasi a bocca aperta per svariati secondi, non avevo la minima idea di cosa dire. In realtà non avevo neanche metabolizzato ciò che avevo appena sentito e forse mi ci sarebbe voluto un bel po'. Il Signor Kim si mosse in avanti, lo avevo capito perché avevo sentito la sua sedia cigolare, ma il mio sguardo era inchiodato sulle ginocchia che facevo ondeggiare a destra e a sinistra in continuazione per scaricare l'ansia invano. 

- Allison, capisco che ora tu possa ricominciare a odiarm-

- Distruggili. 

- C-cosa?

Finalmente, da quando avevo messo piede in quell'ufficio, mi decisi ad alzare la testa e a guardare negli occhi l'uomo che mi stava di fronte. 

- Non mi interessa se si tratta della mia famiglia, non voglio avere più niente a che fare con loro. 

- Ma dovresti almeno parlarne con loro...

- Non ho niente da dirgli, mi hanno mentito da quando sono nata.

Mi alzai dalla sedia e raccolsi il mio zaino da terra, decisa ad andarmene da quella stanza il più in fretta possibile per evitare il rischio di scoppiare a piangere davanti al Signor Kim, ma lui mi raggiunse prima che potessi toccare la maniglia della porta. 

- Cosa hai intenzione di fare? Non vorrai mica cacciarti in qualche guaio... 

- Vado a casa a prendere le mie cose. 

L'altro mi rivolse uno sguardo confuso. 

- Hai intenzione di andare via di casa? E chi pensi che potrebbe ospitarti? Felix? 

- Felix ha già problemi a badare a se stesso, figuriamoci se dovesse condividere la casa con un'altra persona.

- E allora dove vorresti vivere? 

- Da te.

Uscii velocemente dall'ufficio e mi chiusi la porta alle spalle prima di poter sentire delle polemiche da parte del Signor Kim. 

--- 

- Allora, cos'hai intenzione di dire ai tuoi genitori?

L'uomo ammiccò alle tre enormi valigie sul pavimento. 

- Per il momento nessuno mi ha visto portare via la mia roba.

- Non è questo il punto. 

Il Signor Kim scosse la testa, sembrava molto stressato. Be', come dargli torto: una diciassettenne ribelle si era appena infilata nel suo appartamento con il pretesto di vivere con lui, per giunta senza neanche aspettare la sua approvazione. Inoltre l'uomo sarebbe potuto passare per un criminale per ciò che avevo combinato, ma poco m'importava. 

- Troverò una scusa... o potrei semplicemente dirgli la verità, cioè che hanno fallito come genitori e come esseri umani. 

Rivolsi all'altro un sorriso carico di sarcasmo, ma in cambio ottenni soltanto uno sguardo d'accusa.

- E cosa ti fa pensare che io accetti di farti vivere qui con me? 

- Mi lasceresti in mezzo alla strada? 

- No, ma non posso passare per un rapitore. Sarebbe meglio se andassi a vivere nell'appartamento di fronte. 

- Cosa?! E come farai a convincere i vicini ad accogliermi?

- Quella casa è vuota ed è di mia proprietà. L'ho acquistata per Taehyung, anche se lui preferisce vivere con me piuttosto che approfittare di un mio regalo. 

- O forse la fa solo per poterti rompere le scatole a ogni ora del giorno.

Il Signor Kim fece finta di non aver sentito la mia ultima affermazione e si alzò dal divano per prendere le valigie, poi mi scortò fin dentro all'altro appartamento. Contrariamente a come mi aspettavo era ben arredato, ma meno spazioso di quello in cui vivevano i due fratelli. Tutte le finestre erano chiuse e non entrava neanche un filo di luce, perciò provai un profondo senso di solitudine. L'altro mi appoggiò una mano sulle spalle e mi spronò a camminare.

- Tranquilla, ogni volta che ti sentirai sola pensa che io sono a un muro di distanza. 

- Non è vero, sei sempre in quello stupido ufficio. 

Misi il broncio e mi infilai in quella che sarebbe dovuta essere la mia stanza da letto. Niente male. Era grande quasi quanto la mia e il letto matrimoniale sembrava essere molto comodo.

- Ti piace? 

- Non mi lamento, è già una grande cosa che tu mi abbia permesso di stare qui. 

- Non è un problema, lo sai che non ti lascerei mai vagare per le strade di notte. Soprattutto con queste valigie...

Ridemmo entrambi, e pensare che non ero riuscita a portare neanche tutte le mie cose. Normalmente sarei andata in bestia a dover rinunciare a un solo paio di pantaloni, ma quella sera avevo fatto le valigie in fretta, senza quasi guardare cosa vi gettavo dentro. Mi bastava sapere che il Signor Kim c'era e che mi avrebbe dato tutto ciò di cui avevo bisogno. 

- Grazie...

- Ma...

L'uomo mi prese la mani lasciando cadere le valigie a terra e fissò i suoi occhi nei miei. 

- Promettimi che darai una seconda possibilità alla tua famiglia. 

Distolsi lo sguardo, non volevo apparire debole davanti a lui.

- Perché dovrei? Anche tu sei contrario a quello che fanno... 

- Ma non ho mai tagliato i rapporti con mio padre. 

Alzai di nuovo lo sguardo, questa volta i suoi occhi erano lucidi e le sue pupille sembravano fremere nell'iride scura, quasi confondendosi con essa. 

- Come hai fatto a perdonarlo?

- Non l'ho perdonato, ma lui è comunque mio padre, Allison. Mi ha cresciuto e ha cercato di dimostrarmi amore, anche se nel modo sbagliato. 

- Ma hanno fatto tutti delle cose orribili... 

- Lo so, ma i tuoi genitori ti vogliono bene. 

Non ero in vena di affrontare quella conversazione, o almeno non subito dopo avere ascoltato tutte quelle cose orribili sulla mia famiglia. Magari dopo un po' di tempo avrei potuto guardare tutto ciò con occhi diversi e prendere una decisione migliore, anche se ne dubitavo.

- Senti... grazie per avermi accompagnato, ma ora sono stanca. Ti dispiacerebbe lasciarmi da sola per un po'?

- Certo, riposati.

Il Signor Kim posò le valigie a fianco al mio letto e si allontanò.

- Bussa per ora di cena e... qualsiasi cosa ti serva io sono nell'appartamento accanto.

Mi salutò con la mano e uscì dalla stanza, poco dopo udii il portone chiudersi. Mi stesi a pancia in giù sul letto e abbracciai il cuscino; era davvero comodo, cosa che era di grande conforto in quel momento, anche se avrei preferito di gran lunga abbracciare il Signor Kim. Non seppi spiegarmi come mi fosse venuta in mente quell'idea, ma era da un po' di tempo che desideravo circondare il suo collo con le braccia e appoggiare la testa sulle sua spalle. Il mio umore sarebbe schizzato alle stelle, qualunque fosse il mio problema. 

Decisi di fare uno squillo a Felix per ascoltare il suo parere sull'intera faccenda. 

- Allison, mi dispiace dirtelo, ma credo che tu ti sia presa una cotta stratosferica per quell'uomo.

- E sulla mia famiglia non hai niente da dire?

Ci fu un silenzio che durò qualche secondo, poi la voce di Felix gracchiò di nuovo attraverso il microfono. 

- Se dicessi quello che penso davvero non mi reputeresti più un umano carino.

- Non l'ho mai fatto. 

- Be', in ogni caso mi limiterò a dire che non me lo aspettavo e che sono dei veri bastardi. Anche io sono dalla parte del Signor Kim, dovete annientarli!

Sentii una botta sorda accompagnata da un verso di sofferenza. 

- Felix?

- Ouch... sono caduto dal letto. Credo di essermi entusiasmato troppo. 

Risi. Adoravo quel ragazzo, sul serio. E anche se lo avevo appena negato, pensavo davvero che fosse l'umano più carino sulla faccia della Terra. 

- Sai, Felix... credo sia proprio questa la cosa che mi piace di più di te.

- Di che stai parlando?

- Il fatto che prendi tutto così alla leggera, o almeno fai finta di farlo... perché so che in fondo mi capisci. Il fatto che cerchi sempre di tirarmi sul il morale...

- Be', c'è bisogno di controbilanciare la tua tendenza a fare di tutto un dramma.

- Ma a volte le cose che ti racconto sono molto serie...

- Non importa, un bacetto da parte del tuo Signor Kim e passa tutto.

Alzai gli occhi al cielo anche se in quel momento non poteva vedermi.

- E se me lo facessi dare da te?

- Non ci pensare. No. Il mio affetto è off-limits.

- D'accordo, allora anche questa telefonata è off-limits.

- Co-

Appoggiai il telefono sul comodino e mi distesi di nuovo sul letto. Quella stanza doveva essere vuota da secoli, il che mi mise ancora più tristezza.

---

Mi passai il dorso della mano sul viso, non dovevo essere un bello spettacolo. Avevo rinunciato perfino a guardarmi allo specchio e a darmi una sistemata, non sarebbe servito a migliorare il mio aspetto in ogni caso: subito dopo la telefonata con Felix mi ero addormentata come un sasso e ora ero davanti al portone del Signor Kim, bussando come una forsennata.

- Kim! Apri la porta!

Picchiai così forte che mi feci male alle nocche.

Sono nell'appartamento accanto, bla bla bla... chiamami se ti serve qualcosa bla bla... al diavolo! Sono qui fuori da un quarto d'ora!

Continuavo a urlare nonostante fosse ormai chiaro che il Signor Kim non poteva sentirmi. Dove era finito? Pensai che magari fosse andato a fare la spesa per prepararmi una bella cenetta oppure... sussultai.

"E se Taehyung lo avesse ucciso perché mi ha permesso di stare nel suo appartamento?"

Ma no, non poteva essere. Suo fratello odiava quel posto e inoltre, a detta del Signor Kim, aveva cambiato idea su di me.

"Speriamo bene"

Nel dubbio c'era ancora la possibilità che il Signor Kim fosse scivolato mentre si faceva la doccia e che avesse sbattuto la testa. Decisi di provare a utilizzare la chiave del mio appartamento. La infilai nella toppa e girai velocemente. Quando udii lo scatto metallico esultai e cominciai a saltellare. Quell'uomo era davvero uno sprovveduto: prima mi accusava di intrufolarmi in casa sua di notte e poi mi prestava le chiavi uguali alle sue.

"Principiante"

Aprii lentamente il portone. Il salotto era vuoto, la cucina anche. Percorsi il lungo corridoio in parquet illuminato soltanto dalle luci a muro basse e opache. Riconobbi la stanza da letto del Signor Kim e bussai.

- Signor Kim? Kim...?

Entrai, ma era vuota anch'essa. Dove diavolo era finito? Prima che potessi voltarmi per cercare in altre stanze, sentii una porta aprirsi alle mie spalle, poi un grido di sorpresa. Urlai anche io, colta alla sprovvista, e mi voltai, ma fui costretta a urlare di nuovo.

- Allison! Ancora?!

- C-cosa s-stai...

- Mi puoi spiegare cosa diamine ci fai qui?

- E tu perché sei mezzo nudo... di nuovo?

L'uomo abbassò lo sguardo e constatò che aveva soltanto un asciugamano annodato alla vita. E i capelli grondanti d'acqua. E il petto gocciolante. Ecco, sarei dovuta rimanere in quella stanza triste e vuota nell'altro appartamento.

- Mi sono fatto la doccia, evidentemente.

Cosa avrei dovuto dirgli? Mi ero palesemente intrufolata in casa sua per la seconda volta.

- Altre domande?

Effettivamente volevo chiedergli soltanto una cosa.

- Sì. Perché diavolo continuo a trovarmi in situazione da film d'amore schifosi? Vestiti, ho fame.

- Allison...

Mi voltai dall'altra parte, ero rossa in viso come mai prima. Possibile che quell'uomo avesse tutti (tutti!) i requisiti per farmi impazzire? A mio parere non era normale, almeno qualcosa doveva essere soltanto frutto della mia immaginazione. Speravo fosse il fatto che era mezzo nudo davanti a me.

- Che c'è?

- Mi vestirò e ti cucinerò tutto quello che vuoi, ma promettimi che non entrerai più in questa casa senza il mio permesso.

- Non volevo passare per una criminale, pensavo che fossi morto.

- E perché avrei dovuto?

- Perché ho bussato per un sacco di tempo e nessuno è venuto ad aprire! Quindi ho scoperto che la mia chiave funziona anche per il tuo appartamento.

Mi voltai e gli rivolsi un sorriso innocente.

- Oh, giusto. Lo avevo dimenticato.

Alzai gli occhi al cielo.

- Vedi? A volte è anche colpa tua. E poi perché non dovrei entrare nel tuo appartamento? Hai qualche segreto?

Mi avvicinai a lui con le mani sui fianchi e uno sguardo scettico.

- No, semplicemente evita di lamentarti se poi mi trovi in questo stato.

Il Signor Kim schioccò la lingua ed entrò nuovamente nel bagno, chiudendosi la parta alle spalle. Questa volta aveva vinto lui, ma la guerra non era ancora terminata. 
Dedussi che avrei dovuto aspettarlo sul divano, quindi mi sedetti e cercai di stare ferma come un qualsiasi umano moderato e diligente, anche se mi risultava molto difficile.

---

- Allison?

Strinsi le palpebre e mossi la testa. Non vedevo nulla ma sapevo che il mio corpo era in una posizione scomposta e scomoda, avvertivo infatti un forte dolore alla nuca. Rinunciai ad aprire gli occhi e mi limitai a lamentarmi impercettibilmente quando il Signor Kim mi scosse una spalla. L'unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento era che il suo corpo odorava di uomo appena uscito dalla doccia, mi chiesi se usassero tutti quello strano bagnoschiuma al muschio dall'odore pungente.

- Allison? Sei sveglia?

Evidentemente non lo ero, o forse lo ero soltanto per metà. Mossi di nuovo la testa sullo scomodo bracciolo del divano e mi voltai dall'altro lato. Mi ero addormentata come un sasso per la seconda volta nell'arco di due ore, dovevo essere davvero stanca, o semplicemente il mio animale guida è il ghiro. L'ho sempre creduto. 
Il Signor Kim sospirò, un paio di secondi dopo sentii le sue braccia sul mio corpo: mi sollevò per i fianchi e poi mi mantenne le cosce con le mani per non farmi cadere a terra, visto che non avevo la minima intenzione di stringergli le braccia al collo.

- Ora ti porto nel tuo appartamento così potrai dormire meglio, d'accordo?

Non esisteva. Nella mia mente visualizzai molte opzioni, fra cui anche quella di dormire sul ripiano della cucina, ma di ritornare in quella stanza non se ne parlava. Apprezzavo e ringraziavo il Signor Kim per avermi dato la possibilità di vivere lì per un po' e forse in un altro momento non avrei avuto problemi a dormire nell'appartamento da sola, ma in quel periodo bastava un minimo per farmi sentire estremamente sola e triste. 
Raccolsi un briciolo di forza, ossia tutta quella che mi era rimasta, e rifilai un calcio nel fianco al Signor Kim. Naturalmente lui lo percepì come un colpo leggero, ma in ogni caso comprese che era un segno di protesta e sospirò di nuovo.

- Non puoi dormire sul divano, ti verrà un torcicollo che durerà una settimana.

- Mh.

- E dubito che tu voglia dormire con me... l'ultima volta non sembravi molto contenta.

- Mmh...

- Questo mh era diverso. Perché non provi a parlare? Non posso leggerti nella mente.

- Mh.

- Vuoi dormire con me?

- Mmh.

Il Signor Kim doveva essere davvero confuso, perché rinunciò a comunicare con me e si incamminò direttamente verso il corridoio. Capii subito che eravamo nella sua stanza perché quel profumo confortevole mi accolse appena vi entrammo. Era vero che il Signor Kim probabilmente utilizzava lo stesso bagnoschiuma di tutti gli altri uomini, ma c'era qualcosa di diverso, perché avevo sentito quel profumo soltanto nella sua camera e indossando la sua sciarpa. 
L'uomo mi adagiò sul letto e si chinò su di me.

- Tranquilla, io dormirò nella stanza di Taehyung, oggi non è qui.

Perlomeno aveva compreso che adoravo dormire lì perché non avevo mai provato un letto più comodo di quello. Ma non era il solo motivo. Volevo davvero che lui rimanesse lì a dormire con me. Sia chiaro, non avevo nessun piano losco in mente o cose del genere, avevo soltanto bisogno che qualcuno mi mostrasse affetto e si prendesse cura di me, solo per quella notte, e il Signor Kim era l'unica persona in grado di farlo, ne ero certa.

L'altro mi accarezzò il viso, probabilmente buffo perché avevo sempre un'espressione strana quando dormivo. Felix infatti aveva una galleria piena di foto della mia faccia addormentata che custodiva gelosamente, sostenendo che un giorno, se fossi diventata famosa, lui avrebbe fatto una fortuna.

Mentre il Signor Kim continuava ad accarezzarmi il viso dolcemente, per la paura che sarebbe potuto andare via da un momento all'altro, gli circondai il polso con la mano e tirai con forza. Lo avevo colto così alla sprovvista che perse l'equilibrio e mi cadde addosso. Ci ritrovammo petto contro petto, lui con le ginocchia ancora piantate sul pavimento. Non disse nulla, ma si rialzò; stavo per protestare di nuovo, quando mi accorsi che stava facendo il giro della stanza. Il materasso si abbassò sotto il suo peso e sussultai quando infilò il suo braccio sotto il mio per circondarmi il fianco. Mi sussurrò all'orecchio sottovoce.

- Non vuoi?

Sì che volevo. In quel momento era l'unica cosa che volessi al mondo. Il Signor Kim aspettò forse un minuto intero, con la testa sollevata dal cuscino, poi finalmente, non avendo assistito a nessun segno di protesta, mi tirò a sé con il braccio, stringendomi il fianco e facendo aderire il suo petto alla mia schiena. Poi appoggiò la testa accanto alla mia, tanto che potevo sentire il suo respiro lento fra i miei capelli e sul collo. Il suo corpo era caldo, caldissimo, e mi faceva sentire bene.

Capii una cosa fondamentale da un battito più forte degli altri, dal brivido che mi percorse tutto il corpo, dal desiderio che quel braccio mi stringesse la vita ancora più forte fino a frantumarmi le ossa e che il suo respiro caldo scavasse un solco nel mio collo: il Signor Kim era l'unico uomo al mondo da cui mi sarei fatta distruggere, spezzare, soffocare. Allo stesso modo speravo che avrebbe usato la stessa forza per distruggere, spezzare e soffocare non me, ma l'azienda della mia famiglia.

Chiusi occhi e imposi al mio corpo di rilassarsi. In quel momento ero molto confusa e non mi avrebbe giovato affatto dar conto a tutti quei problemi. Sentii il sonno prendere possesso del mio corpo velocemente ma, prima che la mia mente fosse definitivamente altrove, fu attraversata da una domanda.

"È così che si ama una persona? Desiderando che ci distrugga?"

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** ❝hold me❞ ***


hold me

 

Stavo facendo un sogno su un cane giallo o qualcosa del genere e mi ero appassionata così tanto a quella vicenda senza senso che ci rimasi malissimo quando aprii occhi. Non saprei dire cosa mi avesse portato a svegliarmi: se un suono improvviso o la sola pressione che lo sguardo di una certa persona esercitava su di me. Sbattei le palpebre diverse volte per mettere a fuoco, ma era come se avessi un velo bianco davanti agli occhi; in ogni caso non ci misi molto a capire che quello di fronte a me era Taehyung e, nonostante l'impossibilità di vederlo bene, compresi subito che aveva quell'odioso sorriso soddisfatto stampato sulla faccia. Che diavolo ci faceva lì sulla soglia a fissarmi? Non aveva nulla da fare? Tipo fare colazione o guardare i cartoni della mattina. Fortunatamente se ne andò poco dopo il mio risveglio senza dire niente. Questa volta non mi ci volle molto tempo a ricordare che il Signor Kim era a fianco a me, forse perché ero stata cosciente tutta la notte, eccezion fatta per quello stupido sogno sul cane giallo. 

Sebbene la sera precedente avessi desiderato così tanto averlo accanto a me nel letto, in quel momento mi sentivo estremamente a disagio: ogni muscolo del corpo era rigido e contratto, perfino i denti erano serrati. Avrei voluto alzarmi mentre lui era ancora addormentato e far finta che non fosse successo assolutamente nulla, magari facendogli credere di aver solo sognato l'intera faccenda, ma ero sicura che si sarebbe svegliato non appena mi fossi mossa di un solo millimetro. Era inutile però negare quanto fossi stata bene quella notte, mi ero sentita come se tutti i miei problemi fossero stati spazzati via, la sensazione di dormire fra le braccia del... le sue braccia. Come diavolo avevo fatto a non accorgermi fino a quel momento che la maledetta mano del Signor Kim era infilata sotto la mia maglietta? Mi mossi di scatto e urlai terrorizzata, ma a quanto pare l'altro stava ancora dormendo profondamente. Aprì lentamente gli occhi e mi rivolse uno sguardo sarcastico ancor prima di essere completamente sveglio. Parlò con tono grave e annoiato.

- Cosa c'è questa volta?

- Sei un maniaco.

Mi strinsi la vita con le braccia continuando a guardarlo spaventata.

- Ma non mi dire... questa accusa non mi è nuova. E che cosa avrei fatto?

- T-tu... tutta la notte... la mia pancia...

- La tua pancia?

Il Signor Kim si mise a sedere sul letto e si scostò i capelli dalla fronte.

- La tua mano... sulla mia pancia.

- Oh, mi dispiace. Deve essere stato davvero terribile, visto che hai dormito come un sasso.

- Ti odio.

- Questa mattinata è piena di novità.

- E odio anche tuo fratello. Insomma... mi sono svegliata perché lui mi stava fissando!

- Forse le sue palpebre che si chiudevano hanno fatto troppo rumore mentre ti fissava.

L'uomo si infilò le ciabatte e si diresse nel corridoio. Finalmente mi decisi ad alzarmi anche io.

- Che cosa vorresti dire?

Lo seguii correndo sulle punte dei piedi.

- Come hai fatto a capire che ti stava fissando mentre eri più addormentata di un animale in letargo?

- Mi stai insultando.

Il Signor Kim si fermò nel bel mezzo del corridoio e sbattei la testa contro la sua schiena.

- Ma che diav-

Si voltò. Questa volta sembrava davvero annoiato.

- Possibile che tu abbia sempre qualcosa di cui lamentarti? Mi sembra di aver adottato una bambina.

- Non mi hai adottato.

- Per fortuna no, ma la sensazione è la stessa. Potresti iscriverti a un corso di boxe invece di riversare la tua rabbia sulle persone che non ti hanno fatto nulla.

- Ma tu mi hai toccato la pancia!

Il Signor Kim alzò gli occhi al cielo e ignorò completamente la mia risposta. Okay, forse ero stata davvero troppo noiosa con tutte quelle lamentele. Lo raggiunsi in cucina e mi sedetti al tavolo, ma lui mi dava le spalle, troppo impegnato con la macchina del caffè.

- Dai, scherzavo!

- Lo dici soltanto perché hai fame?

- No!

Alla fine una mano sulla pancia non era nulla di che, lo capivo: era morbida.

- Allora penso che non ci saranno problemi se non farai colazione.

- Perché?!

L'altro rise e mi piantò davanti il cartone del latte.

- Serviti.

- Non ho cinque anni, voglio il caffè anch'io.

- Bene, alzati e fallo.

- Non sei per niente un gentiluomo.

- Sto cercando di non viziarti. E poi non puoi ottenere tutto gratis.

Mi fece l'occhiolino e rubò il mio posto, appoggiando la tazza fumante sul tavolo.

- Che c'è? Non sai farlo?

- Oggi voglio venire in ufficio con te.

Aggrottò le sopracciglia ed esitò prima di parlare.

- Oggi visiterò la RoyalToys... devo discutere di cose importanti con tuo zio.

- Perfetto, vengo anch'io. Casual o elegante?

L'uomo scosse la testa rassegnato e si limitò a bere il suo caffè.

---

In diciassette anni passati a essere sballottata da un incontro all'altro in diverse aziende, mai avevo avuto l'occasione di visitare quella di mio zio, CEO della RoyalToys. Non appena scesi dalla limousine rimasi imbambolata davanti all'enorme edificio per diversi secondi mentre il Signor Kim si dirigeva già verso l'entrata. Non so se l'ho già detto ma quell'edificio era davvero enorme.

- Allison? Cosa stai facendo?

Finalmente mi decisi a darmi una mossa e a raggiungerlo. 
Se ero rimasta affascinata osservando solo la facciata dell'azienda, non c'erano parole che potessero esprimere il mio stupore quando vi entrai. Ogni minima cosa, perfino la più piccola e insignificante, sembrava essere la posto giusto. Provai una sensazione di pace e leggerezza attraversando le varie sale, accompagnata dall'appagante suono dei passi che parevano risuonare su un pavimento di vetro. La donna che aveva il compito di guidarci ci condusse dinanzi a un ascensore dove un'altra segretaria prese il suo posto. Quando l'ascensore cominciò a salire mi accorsi che era interamente di vetro e più salivo più il paesaggio di New York diventava ampio sotto i miei piedi. Fortunatamente non soffrivo di vertigini, altrimenti ci sarei rimasta secca per lo spavento. Le porte si aprirono in automatico, precedute da un leggero scampanellio. Eravamo giunti all'ultimo piano e, a quanto pareva, il lungo corridoio che attraversammo conduceva a una sola stanza. La donna ci rivolse un sorriso gentile, poi si avvicinò a un oggetto elettronico che, da quello che capii, aveva il compito di scansionare il suo viso; una lucina verde lampeggiò per qualche secondo su quell'affare, poi uno scatto indicò che era possibile aprire la porta. Esitai a entrare poiché mi sentivo del tutto fuori luogo, ma il Signor Kim mi appoggiò una mano sulle spalle e mi spronò a camminare. La stanza era molto spaziosa ma scarsamente ammobiliata; tutto ciò che c'era di necessario era situato sull'ampia scrivania di legno in fondo, probabilmente un costoso pezzo di antiquariato. Un uomo, che indovinai essere mio zio, stava in piedi di fronte alla vetrata con le mani congiunte dietro la schiena e sembrava non essersi accorto della nostra presenza. Era più basso di mio padre ma aveva i capelli già grigi, il che faceva comprendere che era il maggiore fra i due. Quando finalmente si voltò per salutarci io indietreggiai, andando a sbattere contro il Signor Kim. L'uomo sembrò sorpreso di vedermi, evidentemente non era stato avvisato della mia presenza.

- Kim, non mi avevi detto che avresti portato la tua ragazza... è piuttosto giovane.

Mio zio mi sorrise con gentilezza, ma l'unica cosa con cui riuscii a rispondere fu una faccia rossa per l'imbarazzo. Però non aveva tutti i torti: neanche io lo avrei riconosciuto se lo avessi incontrato in mezzo alla strada, non lo vedevo da quando ero bambina. 

- Oh, no... non mi sarei mai permesso di portare un'estranea senza avvertirti. Lei è Allison, Allison Harvey. 

- Allison? Mia nipote? Oh! Tesoro... 

L'uomo mi corse incontro a braccia aperte. Quella era l'unica reazione che non avrei mai immaginato, credevo che mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. Thorne mi stritolò in un abbraccio e mi baciò sulla fronte, poi si allontanò e mi prese il viso fra le mani per guardarmi bene. 

- Sei bellissima. Cento volte più bella di quanto immaginassi... oh, non ti offendere, non immaginavo che fossi brutta. 

Rise e si grattò la nuca. Sentii un calore piacevole sbloccarmi il cuore quando mi resi conto che mio zio non era affatto rigido come mio padre, possibile che avessi ereditato la mia irreparabile goffaggine da lui? 

- Zio... perché non sei arrabbiato con me? 

- E perché mai dovrei esserlo? Tesoro, non avresti mai potuto sapere ciò che tuo padre ha fra le mani, quell'uomo è molto bravo a mentire. 

- Per tutti questi anni ho creduto che mi odiassi... 

Lo abbracciai. Nonostante lo avessi appena incontrato dopo più di dieci anni, sentivo di poter contare su di lui; era come se avessi trovato un secondo padre. 

- No. Ricordo bene il tuo faccino quando eri piccola e non ho dubitato di te neanche per un secondo. Anche se avessi conosciuto tutta la verità fin dall'inizio non saresti mai stata dalla parte di tuo padre, di questo sono più che certo. 

- Infatti è proprio per questo che sono qui... sono dalla tua parte.

- Grazie, Allison. Non sai quanto significhi averti qui con me... e mi dispiace non averti cercato in questi anni, ma temevo che saresti stata coinvolta nei problemi fra me e tuo padre.

Mio zio mi accarezzò la testa con fare scherzoso, arruffandomi i capelli. Adoravo già quell'uomo e sarei stata in grado di dire addio al Signor Kim per trasferirmi da lui.

- Bene... è tempo di mettersi a lavoro. Allison, puoi restare se vuoi. 

Annuii e presi posto all'ampia scrivania accanto al Signor Kim. 

---

I due uomini parlarono con tono serio per tutto il pomeriggio senza fare neanche una pausa. Sebbene non riuscissi a seguire i loro discorsi alla perfezione, ascoltai con diligenza. Purtroppo però non pianificarono nessun attacco alla HarveyFactory né mobilitarono truppe segrete, contrariamente a come mi aspettavo, ma parlarono soltanto di affari sfogliando centinaia di fascicoli e controllando cartelle sul PC. Quando ci alzammo il sole era tramontato e io avevo così tanta fame che temevo che il mio stomaco avrebbe cominciato a brontolare in modo inopportuno. Il Signor Kim mi sorrise mentre si stiracchiava, ma io riuscii a pensare soltanto al fatto che sembrasse un gatto. Un gatto adorabile. Quindi gli rivolsi un'occhiataccia e voltai la testa per non fargli notare che ero diventata completamente rossa. 

- Hai fame? 

- Mh? 

- Hai fame?

Quando mi voltai di nuovo verso di lui mi resi conto che si era piegato in avanti per farmi sentire meglio ed eravamo letteralmente faccia a faccia, separati da pochi centimetri. 

- Sì. 

- Si sente. 

- Eh?!

Mi circondai la pancia con le braccia e arrossii ancora di più, ma l'altro rise e scosse le mani in segno di resa. 

- Scherzavo, scherzavo. 

- Piccioncini, che ne dite di rimanere qui a cena? 

- N-non stiamo insieme.

Inutile dire che rimasi sconvolta quando mi accorsi che anche il Signor Kim era imbarazzato: a meno che la mia vista non fosse peggiorata tutt'a un tratto, il suo viso aveva assunto un colorito più scuro. Inoltre aveva balbettato. Anche io negai il tutto scuotendo la testa e cercando di lanciare un'occhiata d'intesa a mio zio, ma lui parve non capire; eppure era la seconda volta che si sentiva dire che non stavamo insieme. 

- Come volete, ma sappiate che sareste davvero una bella coppia.

- Thorne... Allison ha dieci anni in meno di me.

- Anche la mia terza moglie! Eppure andiamo d'amore e d'accordo.

Per quanto mi avesse messo in imbarazzo, non potei fare a meno di pensare di nuovo a quanto adorassi quell'uomo. Mio padre non avrebbe mai parlato in quel modo.

- Comunque per me va più che bene cenare qui, anche perché in frigo non c'è niente e a quest'ora i negozi saranno già chiusi. Allison, tu che ne dici?

- Uhm... non vorrei disturbare... 

- Ma va!

Mio zio mi diede una pacca sulle spalle e mi spinse fuori dalla stanza.

- Stavo giusto aspettando di inaugurare il mio nuovo terrazzo con degli ospiti e voi siete perfetti. Andiamo.

--- 

Ringraziai la ragazza che mi servì il piatto; sembrava essere una cameriera a tutti gli effetti, anche se non mi spiegavo per quale assurdo motivo nell'azienda di mio zio ci fossero una cucina e un intero staff addetto a preparare i pasti e a servirli. Fatto sta che ciò che c'era nel mio piatto sembrava qualcosa di così sofisticato che non capii neanche di cosa si trattasse, ma sarei risultata scortese se lo avessi chiesto. Mi voltai verso il Signor Kim per controllare quale forchetta bisognasse usare e cominciai a mangiare. 

Inutile dire che dopo la quarta portata ero già piena come un uovo e cominciai a fissare la piscina coperta con sguardo assorto, tanto che mi spaventai quando mio zio fece strisciare la sedia a terra per alzarsi. 

- Ragazzi, mi sono appena ricordato di un'importante telefonata. 

Il Signor Kim fece per alzarsi, ma l'altro gli fece cenno di rimanere seduto. 

- Sì, si tratta di quell'informatore di cui ti ho parlato, ma non c'è bisogno che venga anche tu. Meglio non lasciare questa bimba da sola. 

Mio zio mi diede un pizzicotto sulla guancia prima di andare via. Non appena fu scomparso dalla mia vista sospirai e mi lasciai andare sulla spalliera della sedia. 

- Tutto bene? 

- No, sto scoppiando... 

Storsi il naso e mi alzai, avevo bisogno di muovermi un po'. 

- Già, tuo zio è davvero un amante delle cose esagerate. 

- Devi dire extra.

- Ex... tra?

- Sì, mio zio è extra.

- Scusa, evidentemente non parliamo la stessa lingua. 

- Questo è perché tu sei nato il secolo scorso. 

Il Signor Kim, stranamente, la prese a ridere e si alzò. Mi raggiunse e si affacciò alla ringhiera accanto a me. 

- New York vista dall'alto è uno spettacolo. 

- Soltanto di notte. 

- Non mi ci abituerò mai. 

- Strano, sia il tuo appartamento che il tuo ufficio sono oltre il decimo piano. 

- Non mi capita molto spesso di affacciarmi. 

A quanto pare la conversazione era finita lì. Sospirai e mi sporsi in avanti, anche se non c'era nulla da vedere. Non avevo mai odiato New York così tanto: insomma, quella città non aveva nulla di romantico a parte i locali a luci rosse; tutte quelle persone, il traffico, il lavoro, il rumore, non c'era mai un attimo di silenzio. Inoltre dopo tutto ciò che era successo desideravo soltanto andare altrove e non dover vedere mai più quella città, la HarveyFacory e la mia scuola.

- Allison, tutto bene?

- Uhm? S-sì... 

- Sicura? Sembri strana. 

- Lo sono sempre. 

Liberai una risatina nervosa e continuai a guardare in basso con ostinazione.

- Non è che nel cibo c'erano delle noccioline? Non hai chiesto, vero?

Il Signor Kim si avvicinò e parlò con tono insistente, costringendomi a voltarmi.

- Sto bene, davvero... è solo... solo... 

In quel momento avrei voluto prendermi a schiaffi. Perché diavolo avevo iniziato a piangere come una bambina davanti al Signor Kim? Le lacrime sgorgavano in abbondanza e sfuggivano al mio controllo. Sul serio: cosa diamine mi stava succedendo? Non riuscivo e fermarmi e allo stesso tempo non riuscivo a dare neanche una spiegazione all'altro né a guardarlo in faccia. Era come se tutto lo stress accumulato negli ultimi giorni stesse cercando di uscir fuori con la forza. Sentivo lo stomaco stringersi sempre di più e le gambe fare fatica a sorreggermi. Feci per accasciarmi a terra, ma il Signor Kim mi strinse a sé per non farmi cadere.

- Allison!

Mi aiutò a sedermi a terra lentamente e mi prese il viso fra le mani. 

- Hai bisogno di un'ambulanza? Sicura che non sia l'allergia? Ma quando diavolo torna tuo zio?

Scossi la testa mentre tentavo di trattenere i singhiozzi.

- Soffri di attacchi di panico? Prova a mettere la testa fra le ginocchia e respira lentamente. Ti aiuto io... 

- N-no, sto bene... io... 

- Allison... 

- Potresti... potresti abbracciarmi? 

Il Signor Kim non se lo fece ripetere due volte. Lasciò il mio viso e mi strinse in un abbraccio. Strofinai la fronte contro il suo petto e tirai su con il naso. Sembrava andare già meglio. Sarei voluta rimanere in quella posizione per sempre: stretta al petto dell'unico uomo che sembrava comprendermi appieno, entrambi accasciati a terra e una New York che non dormiva mai sotto di noi. Forse in quel momento non la odiavo così tanto, perlomeno fin lassù non giungeva alcun rumore. 

- Va meglio?

- Sì, grazie... 

L'altro si allontanò soltanto per potermi guardare in faccia. Tentò di rassicurarmi con un sorriso e mi accarezzò una guancia ancora umida. 

- Mi hai fatto prendere un bello spavento. 

- Scusa, è che... 

- Lo so, tranquilla. Per ora non posso dirti che starai bene come prima, ma con il tempo andrà meglio. Nel frattempo io sono qui e puoi contare su di me in qualsiasi momento, ma questo lo sai già.

- Kim... perché lo fai?

Mossi il viso contro la sua mano calda sperando che lui non la spostasse. 

- Perché non dovrei? Avrai capito che non sono il tipo che abbandona le persone ai loro problemi.

- Sì, ma... faresti per chiunque quello che hai fatto per me?

Il Signor Kim rimase interdetto a quella domanda, ma non esitò a rispondermi.

- No, per te mi sono spinto oltre il limite. 

- Non dirmi che lo hai fatto soltanto perché sono la figlia del CEO con cui collabori. 

- Penso che ormai sia chiaro che non ho nessuna stima per tuo padre. 

- E allora perché?

- Allison, mi stai forse spingendo a una dichiarazione? 

- Eh? U-uhm... in che senso?

- La risposta alle tue domande è così ovvia che non credo ci sia bisogno di dirlo.

Afferrai la mano appoggiata sul mio viso e la strinsi con forza.

- Dillo. 

L'altro sorrise nervoso e abbassò la testa, non lo avevo mai visto esitare così tanto. Poi scosse leggermente la testa e fissò i suoi occhi nei miei. Erano neri come la pece, ma in quel momento potevo giurare di vedervi riflesse tutte le luci di New York.

- Mi piaci, Allison. 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** ❝my world❞ ***


 ❝my world

 

- Mi piaci, Allison. 

Vi aspettereste che io dica che il mio cuore perse un battito o che mi martellava nel petto o che lo avevo in gola e cose del genere, ma no. In quel momento il mio cuore era immobile. Ero come morta. Non avevo mai ricevuto una dichiarazione e mai avrei immaginato di sentirmi dire quella cosa da Kim Seokjin. Sì, proprio lui. Se non mi fossi trovata già per terra sarei sicuramente caduta come un corpo senza vita. Dovevo avere un aspetto orribile in quel momento.

- Alli... son?

Il Signor Kim mi scosse una mano davanti agli occhi per accertarsi che fossi ancora viva. E come biasimarlo? Avrei potuto almeno fare un verso per fargli capire che ero cosciente, ma non riuscii a fare neanche quello; continuai a fissarlo con quell'espressione da ebete. Probabilmente l'altro si sentiva anche in colpa dopo avermi detto ciò che provava.

"Diamine. Sono un disastro"

Allison, che hai? Ti senti di nuovo male?

Scossi la testa e mi alzai all'improvviso, quasi spingendo l'altro. C'era una sola cosa da fare per evitare quella situazione: fuggire. 
Presi la borsa e il giubbotto e rientrai, correndo in direzione dell'ascensore. 

- Allison? Dove stai andando?!

Mi voltai, il Signor Kim era dietro di me, ma aveva rinunciato a seguirmi. Era semplicemente appoggiato al muro del corridoio e mi guardava con aria confusa.

---

Ero così distratta che mi diressi verso casa mia; soltanto quando mi trovai di fronte all'edificio realizzai che avrei dovuto essere da tutt'altra parte, quindi chiamai un taxi. Il pianerottolo dell'edificio dove ora alloggiavo era buio e silenzioso e ci misi un bel po' per capire come infilare le chiavi nella serratura. Ad accogliermi ci fu solo una casa vuota e polverosa, chissà quando avrei avuto il tempo e la voglia di pulire lì dentro. Mi sedetti sul letto con l'intenzione di indossare il pigiama e la speranza di addormentarmi subito, ma il cellulare cominciò a squillare. Sicura che fosse il Signor Kim, ero già pronta a declinare la chiamata, ma per poco non caddi dal letto quando mi accorsi che a chiamarmi in realtà era mio padre. Rimasi immobile per qualche secondo a fissare il display, poi mi portai il cellulare all'orecchio.

- P-papà?

- Allison, sono qui. Scendi con la tua roba.

- Qui dove? Non-

- Allison, ho detto scendi.

Qualcosa mi diceva che ero stata scoperta e, soprattutto, che mio padre non voleva sentire ragioni. Mi alzai dal letto e cominciai a riporre la mia roba in valigia, anche se non avevo utilizzato quasi nulla. Uscii dall'appartamento trascinandomi dietro le tre valigie. Prima di entrare in ascensore sospirai e guardai per un po' la porta chiusa. Sentivo già un profondo senso di nostalgia, non per quell'appartamento, ma per tutto il resto: avevo un presentimento, un brutto presentimento, come se già sapessi che non avrei più rivisto il Signor Kim.
Lasciai le chiavi dell'appartamento sotto lo zerbino e mi diressi verso l'ascensore.

---

Mio padre mi aspettava dinanzi all'edificio con le braccia conserte e indossava gli occhiali da sole nonostante fosse già buio, probabilmente per non farsi riconoscere. Quando mi vide non mi rivolse neanche un cenno di saluto, ma mi tolse di mano le valigie e le caricò in macchina. Negli anni avevo imparato che quando mio padre mi sgridava era molto arrabbiato, ma se non proferiva parola lo era cento volte di più.
Durante il viaggio in auto tenne gli occhi puntati sulla strada e, ostinato, continuò a non rivolgermi la parola. Quando ci fermammo mi accorsi che ci trovavamo nel parcheggio della HarveyFactory, scuro e, salvo le macchine dei dipendenti, deserto. 
L'uomo seduto a fianco a me emise un lungo respiro, come se si stesse preparando per un importante discorso. Quando lo vidi schiudere le labbra deglutii rumorosamente.

- Allison, perché hai mentito ai tuoi genitori? So che non sei stata da Felix questa notte.

- Papà... è tardi... possiamo parlarne domani?

Ma l'altro riprese a parlare, come se non mi avesse affatto sentito.

- So che sei stata con Kim.

- Sì, ma...

- E con tuo zio.

Tutte le giustificazioni che avevo messo su in quei pochi e brevi secondi di panico crollarono.

- P-papà...

- Ti hanno detto tutto, non è vero? Quello sporco traditore...

Mio padre colpì il volante con una mano, mancando il clacson di pochi centimetri. Più che spaventata dalla sua reazione, però, rimasi molto delusa dal fatto che non aveva accennato minimamente a scusarsi con me per avermi tenuto all'oscuro di tutto per anni.

- Allison, devi promettermi che non avrai più niente a che fare con loro, mi hai capito? Sono dannosi per te. Anche io ho chiuso con Kim... era l'ultima persona da cui mi sarei aspettato una coltellata alle spalle.

- Papà... ma cosa... loro mi hanno aiutato. Perché non mi hai mai detto la verità?

- Ally, ascolta. So che deve essere stata dura per te credere alle loro parole, ma posso assicurarti che-

- Non chiamarmi Ally! Sai cosa? Non sono stati loro a dirmi tutto, mi hanno soltanto spiegato la situazione e mi hanno aiutato quando mi sentivo tradita dalla mia famiglia. Vi ho sentito... tu, la mamma e il padre del Signor Kim. Volete costringere Taehyung a fare il vostro schifoso gioco! E ora che anche io so tutto volete fare il lavaggio del cervello anche a me!

- Ally! Calmati!

- No che non mi calmo! Sei tu il traditore. Tu e la mamma... non consideratemi più vostra figlia, me la caverò da sola anche senza i vostri sporchi soldi e le vostre raccomandazioni.

Feci per aprire lo sportello, ma l'uomo mi trattenne per un polso; strinse così forte che percepii immediatamente il sangue smettere di fluire in tutta la mano.

- Allison, con chi credi di parlare? Forse non hai ben capito... tu non hai una scelta, sono io quello che sceglie al tuo posto. Credi che sia così stupido da non essermi accorto che non vuoi prendere il mio posto nell'azienda? Ma lo farai comunque, ti conviene cominciare ad abituarti all'idea.

- N-non voglio... 

A quella risposta mi arrivò uno schiaffo in pieno viso che mi costrinse a voltare la faccia e a sbattere contro il finestrino. Mi tenni la testa con la mano mentre guardavo sconvolta mio padre, il quale però stava palesemente evitando di far incrociare i nostri sguardi. In vita mia non avevo mai ricevuto rimproveri fisici da parte dei miei genitori e il fatto che fosse successo proprio in quella situazione mi sorprese ancor di più. 

L'uomo sospirò e scosse la testa, come se non sapesse neanche lui cosa avrebbe dovuto fare. 

- Tesoro, ragiona... vuoi che anni e anni di lavoro vengano gettati via così?

Rimasi con le labbra serrate, non avevo alcuna intenzione di rispondere. Tutto ciò che usciva dalla bocca di quell'uomo suonava come assurdo, sbagliato e maledettamente ipocrita.

- Non rispondi? Bene, ma sappi che in ogni caso non puoi fare niente per evitare questa situazione. Sarai dalla mia parte, che ti piaccia o no. 

Mi voltai verso il finestrino, anche se non c'era nulla da guardare a parte un muro grigio e qualche auto che usciva lentamente dal garage. Avrei voluto aprire lo sportello e scappare, ma già sapevo che mio padre mi avrebbe trattenuto di nuovo. In quel momento sentii il cellulare vibrare nella tasca dei jeans, ma non era il caso di rispondere chiunque fosse. 

- Non rispondi? 

Rivolsi all'uomo un'occhiata inespressiva e in cambio ricevetti uno sguardo irato.

- Fammi vedere chi è. 

- Felix... 

Ma l'altro si piegò verso di me e mi tolse il cellulare dalla tasca. Sorrise e rispose al mio posto. 

- Jin, mi stavo chiedendo che fine avessi fatto.

Rabbrividii e fui tentata di strappargli il telefono di mano, ma in fatto di forza non avevo chance contro di lui. 

- Tranquillo, Allison è dove dovrebbe essere. Con me. 

Ma subito dopo aver detto ciò il sorriso scomparve dal volto di mio padre e fu sostituito da un pallore innaturale. Lo sentii deglutire, poi lo vidi terminare la chiamata e lanciare il mio cellulare sui sedili posteriori. 

- Andiamo. 

L'uomo scese dall'auto e pochi secondi dopo aprì anche il mio sportello, ma dovette strattonarmi per costringermi a scendere. Si diresse in fretta verso l'uscita continuando a trascinarmi, ma si arrestò all'improvviso non appena mise i piedi fuori e sbattei contro la sua schiena. Quando tentai di spostarmi, mi strattonò di nuovo per il braccio per farmi rimanere dietro di lui e indietreggiò di qualche passo. Quando parlò usò un tono così basso che lo sentii appena. 

- Corri. 

Non stavo capendo nulla di tutta quella situazione, ma l'unica cosa che sapevo era che non dovevo fidarmi dell'uomo che mi stava costringendo a nascondermi. Mi sporsi per vedere cosa stesse succedendo di fronte a noi, ma fui accecata da quelli che dovevano essere i fari di una decina di macchine. Mi voltai e notai che molte delle auto precedentemente parcheggiate nell'enorme garage non c'erano più. 

- Allison, ti ho detto di correre. 

- Allison non andrà da nessuna parte. 

Sussultai e mi spostai dalla figura di mio padre, che continuava a stringermi il braccio con forza. Il Signor Kim stava avanzando verso di noi. Con tutte quelle luci a fargli da sfondo sembrava il protagonista di una scena di un film d'azione. Era davvero mozzafiato. Ed era venuto a salvarmi. Quando i miei occhi si abituarono alla luce e fui ancora più sicura che si trattasse proprio di lui, cominciai a ridere e gli corsi incontro. L'altro mi abbracciò e mi sollevò; potevo sentir ridere anche lui contro il mio petto. Poi mi sussurrò all'orecchio. 

- Pensavo fossi andata via per sempre. 

Scossi la testa, ma non trovai alcuna parola né avevo fiato per dire qualcosa. Continuai a sorridere con il viso schiacciato sulla sua spalla mentre le mie lacrime bagnavano la sua giacca. Dopo qualche secondo sentii il suono acuto delle sirene e il Signor Kim mi lasciò andare. 

- Rimani qui. 

Si trattava di una pattuglia di polizia, possibile che il Signor Kim avesse avvertito le forze dell'ordine non appena aveva finito di parlare a telefono con mio padre? E tutte quelle macchine poi... quindi l'intera azienda si era rivolta contro il CEO. Senza che venisse proferita alcuna parola, i poliziotti scesero dalle auto e, mentre due di loro ammanettavano mio padre, il quale aveva ormai rinunciato a opporre resistenza, tutti gli altri facevano segno di allontanarsi dall'edificio. Uno di loro venne verso di me e il Signor Kim, indietreggiai spaventata, ma l'altro mi accarezzò le spalle e mi disse di stare tranquilla. L'uomo ci fece salire in macchina con lui e, dopo che fu raggiunto da un suo collega, partì. 

- Allison, non ti preoccupare, ci faranno solo qualche domanda. Hanno bisogno di testimoni. 

- Ma io non so nulla...

- Meglio così, ti rilasceranno subito. 

- E tu? 

- Avrò un bel po' da dire... 

Il Signor Kim sorrise con fare sarcastico. 

- E... e mia madre? 

- Forse riuscirà a cavarsela, ma questo non dipende da me. Io ho sporto denuncia soltanto per tuo padre.  

--- 

- Allison... 

Alzai la testa di scatto e sussultai quando mi accorsi che mi ero versata tutto il caffè addosso, anche se ormai era freddo. Il mio interrogatorio, se così si poteva chiamare, era durato un'ora scarsa dal momento che il Signor Kim e mio zio, chiamato anche a lui a testimoniare, avevano già dimostrato la mia innocenza al corpo investigativo; ma io avevo comunque deciso di passare la notte lì per aspettare il Signor Kim e ringraziarlo di tutto. E ora lui era di fronte a me e mi guardava con aria divertita. Appoggiai il bicchiere sulla sedia accanto e mi stropicciai gli occhi. La mia testa non aveva fatto altro che ciondolare tutta la notte. 

- Kim... com'è andata? 

- Ho fatto indigestione di scartoffie e termini giuridici, ma è andata bene. Sarò chiamato a testimoniare anche al processo, fortunatamente tu no. 

- Oh... giusto, il processo. Quindi c'è la possibilità che mio padre non venga arrestato?

- A meno che Superman non sia il suo avvocato. Non è colpevole di un solo reato, quindi molto probabilmente lo sbatteranno dentro lo stess... oh! Scusami...

L'uomo si coprì la bocca e mi guardò con imbarazzo.

- Tranquillo, lo spero anche io. Non mi dispiace affatto per mio padre... la delusione supera qualsiasi altro sentimento, però mia madre... 

- Allison... tua madre se la caverà. 

- Mh... so che è colpevole di complicità ma... è comunque sua moglie, non poteva... Io so quanto sia innamorata di mio padre... e... e... 

Scossi la testa e mi asciugai subito le lacrime con il dorso della mano. Il Signor Kim mi accarezzò lentamente la testa mentre mi guardava con apprensione. 

- Puoi abbracciarmi, sai? Prometto che non ti accuserò più di essere un manico.

- Non abituartici, Allison. 

Mi guardò severo, ma subito dopo mi rivolse uno dei suoi soliti sorrisi dolci e scherzosi e mi strinse in un abbraccio, anche se odoravo terribilmente di caffè. 

- Uhm... e Taehyung? 

- Be'... come puoi immaginare non gli piacerà affatto l'idea di sorbirsi una decina di sedute dallo psicologo, ma lo convincerò in qualche modo. Naturalmente se tu vuoi sporgere denuncia per quello che ha fatto...

- No, no... spero solo che si rimetta presto e che riesca ad avere una vita normale.

Il Signor Kim annuì e si allontanò dal mio corpo.

- Che ne dici di andare a casa a cambiarti adesso? Mettiamo un bel punto a questa giornata disastrosa. 

- Sì, andiamo a casa. 

Mentre lo seguivo verso l'uscita afferrai la sua mano e la strinsi forte. Sì, volevo davvero mettere un punto a quella storia di pochi giorni, ma che sembrava essere durata addirittura anni. L'altro si voltò e accennò un sorriso, un misto fra confusione, sollievo e felicità, esattamente come mi sentivo io in quel momento. 

--- 

- Perché diavolo ci sono le mie valigie nella tua macchina?

- Non potevano mica lasciarle in quel garage... e poi sapevo che ti sarebbero servite. 

Il Signor Kim mi aiutò a mettere le valigie in ascensore. 

- Sì ma la mia roba non basta a riempire quell'appartamento, è troppo... vuoto. Che ne dici di far pitturare le pareti di rosa? No, forse rosa no... non ho più dodici anni. 

- Vorresti far pitturare di rosa le pareti dell'appartamento di Taehyung? 

- Come se a lui importasse... 

- Ora che ci vive, sì. 

- Cosa? 

L'altro mi lanciò un piccolo peluche che fungeva da portachiavi per una piccola chiave molto simile a quella dei due appartamenti. 

- Questa è la tua copia, non perderla. Perlomeno così non avrai bisogno di fare irruzione in casa mia e spaventarmi ogni volta. 

- Aspetta... stai dicendo che questa chiave... 

- Sì, vivrai con me. Figurati che il giorno stesso in cui ti ho dato le chiavi dell'altro appartamento, Taehyung si è proposto di andare a vivere lì al tuo posto. Quel ragazzo fa davvero il tifo per noi... 

- C-cosa?! Quindi... M-ma non siamo sposati! 

- Quando sarai maggiorenne, se vuoi, ti farò la propost-

- Tu sei fuori di testa... sei un maniaco! 

Uscii dall'ascensore continuando a sbraitare, mentre l'altro si adoperava a trascinare le mie valigie. 

- Ma non avevi promesso che-

- No! Sei un maniaco! Mi costringerai a sposarti approfittando della mia condizione di orfana!

- Allison, non sei orfana. 

- Che ne sai tu! Ora capisco la sofferenza di Felix... no, aspetta. Felix non è per niente sofferente, ma... 

- Smettila. Se hai bisogno di un genitore posso sempre richiedere di diventare il tuo tutore legale, ma fra qualche mese sarai maggiorenne, quindi non ce n'è bisogno.

- Vorresti anche diventare mio padre? Sarebbe ancora peggio... immagino già il titolo sulla testata dei giornali! Mi vengono i brividi soltanto a pensarci.

- Illuminami.

Figlia del CEO  in prigione ha una relazione scandalosa con il CEO della EnJINe che l'ha adottata.

Quindi ammetti che ci sarà una relazione fra di noi? Mi è sembrato di averti visto scappare ieri sera...

- Non hai inteso bene le mie par-

Il Signor Kim lasciò cadere le valigie a terra e strinse il mio viso con entrambe le mani, costringendomi a guardare in alto, verso di lui. 

- Allison, farò tutto quello che vuoi, basta chiedere. Se vuoi che diventi il tuo tutore, dimmelo. Se vuoi che ti ceda il mio posto alla EnJINe, dimmelo. Se vuoi che ti chieda si sposarmi appena avrai compiuto diciotto an-

- Scordatelo. Non voglio niente di tutto questo. Soltanto qualche abbraccio ogni tanto e... 

- E?

Mi portai le braccia al petto e mi voltai dalla parte opposta. 

- Sfamami e portami a scuola. 

- Se è questo quello che desideri... 

No, affatto. Al diavolo le aziende, i soldi, la fama, i matrimoni e i genitori. Tutto quello che volevo era dormire abbracciata a quell'idiota che sembrava tutt'altro che un CEO quando stava con me, quell'idiota che chissà per quale motivo mi aveva tirato fuori da una situazione che non lo riguardava ed era disposto a darmi tutto ciò che aveva. Per questo lo consideravo un idiota, perché fra miliardi di persone si era innamorato di me. E io mi ero innamorata di lui. Anche quando credevo che a farmi tutti quei dispetti fosse lui. Che storia. Volevo osservare le sue spalle mentre preparava il caffè la mattina, urlargli contro che era un maniaco soltanto per vederlo alzare gli occhi al cielo e poi sorridere, far macchiare i suoi completi da migliaia di dollari per beccarmi una strigliata, mangiare sushi fino alla nausea seduta sul pavimento accanto a lui alle undici di sera davanti a un noiosissimo film d'autore. In quel momento avrei voluto alzarmi sulle punte e riempirlo di morsi e baci, per poi accusarlo per aver rubato il mio primo bacio. 

Non chiedevo di certo il mondo.

Chiedevo soltanto il Signor Kim, Kim Seokjin.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Epilogo ***


- Eh?! 

Felix, come suo solito, reagì in modo esagerato e cadde dalla sedia del bar, attirando l'attenzione di tutti i presenti. 

- Cerca di stare calmo! Mi stai facendo fare solo figuracce. 

Il ragazzo si rimise a sedere e si passò una mano attraverso i capelli scompigliati. 

- Non puoi chiedermi di stare calmo dopo avermi detto che fra due mesi tu e il Signor Kim vi sposerete. 

- Sh!

Mi sporsi sul tavolino e gli tappai la bocca, attirando nuovamente l'attenzione di tutti i clienti. 

- Vuoi farmi scoprire o cosa? La stampa non deve sapere nulla fino alla prossima settimana, si vocifera già troppo su di noi. 

- Ma sentila... ora si atteggia a donna di fama mondiale solo perché è stata accolta in casa di un CEO. 

- Che cosa vorresti dire? 

Felix sorseggiò un po' del suo milkshake e lo ripose sul tavolino con aria di sufficienza.

- Scommetto che Jin ti cambia anche il pannolino.

- Siamo un coppia ora.

- E in che modo siete passati da papà e figlia a coppia in procinto di sposarsi?

- Jin non mi ha mai adottato. E poi è successo così: avevamo deciso che il giorno del mio compleanno lui mi avrebbe chiesto di sposarlo.

- Wow, romantico. Quindi ora fate anche cose tipo sbaciucchiarvi e darvi soprannomi?

Spostai lo sguardo sul pavimento mentre tentavo invano di succhiare dalla cannuccia il frappè che avevo finito già mezz'ora prima.

- Aspetta...

Ecco, Felix stava carburando la prossima presa in giro.

- Mi stai dicendo che non vi siete ancora baciati?!

- Ti ho detto di abbassare la voce!

- Stai urlando anche tu!

Gli rivolsi un'occhiataccia e ripresi a produrre quel rumore imbarazzante con la cannuccia, ma l'altro richiamò la mia attenzione.

- Allora? Non mi hai ancora risposto.

- Sono fatti miei.

- Come vuole, Signora Kim.

Felix alzò le mani in segno di resa con aria palesemente ironica, ma riuscii a trattenermi dall'ordinare un altro frappè e versarglielo in testa.

---

Alla fine lasciai Felix con il pretesto di dover andare a studiare, anche se sapevo che non avrei fatto altro che gettarmi sul letto a pancia in giù non appena fossi tornata a casa. Da pochi giorni mi era giunta la lettera che annunciava la mia ammissione alla facoltà di medicina nell'Università che avevo scelto e ne ero stata felicissima. Nei giorni precedenti all'iscrizione non avevo fatto altro che assillare Jin con le mie paranoie, ma alla fine ce l'avevo fatta, naturalmente anche grazie al suo appoggio.

Il processo di mio padre si era svolto proprio quella mattina, per questo ero così stanca. In realtà non mi era giunto alcun avviso di partecipazione obbligatoria, ma avevo insistito per assistere al processo, d'altronde mi era permesso. Mio padre era stato condannato poiché il suo avvocato aveva potuto fare ben poco. Mia madre invece era riuscita a tenersi fuori dai guai fin dall'inizio, visto che non c'era alcuna prova contro di lei né evidenze della sua complicità. A pensarci bene, dovevo ancora dirle che avrei sposato Jin. All'inizio la donna aveva scambiato il mio trasferimento per un segno di protesta o per una manifestazione del mio desiderio di non vederla, quindi era da un po' di giorni che continuavo a chiedermi come l'avrebbe presa.

Prima di infilare la chiave nella serratura mi fermai davanti alla porta d'ingresso dell'appartamento di Taehyung, da cui proveniva un gran fracasso. Dopo discorsi infiniti io e Jin eravamo riusciti a convincerlo ad andare dallo psicologo e già dopo metà delle sedute si era dato alla pazza gioia, interessandosi al cinema e ascoltando la musica al massimo volume anche nelle ore in cui era vietato far casino in tutto il condominio. Naturalmente né io né Jin avevamo provato a opporci alla sua volontà, anzi, qualche volta raggiungevo Taehyung nel suo appartamento e partecipavo alle partite online con lui e Felix. Incredibile a dirsi, ma quei due erano diventati amici in un baleno; Felix si era perfino dimenticato di Vernon. Jin non voleva saperne di giocare con noi, quindi ogni volta lasciavo i due giocatori in anticipo e aspettavo che l'altro tornasse da lavoro per fargli notare che pensavo molto anche a lui.

Alla fine anche suo padre era stato processato, sebbene nessuno avesse sporto denuncia: durante le indagini su mio padre erano state trovate moltissime prove contro di lui, perciò era stato incastrato. Contrariamente a come mi aspettavo, Jin non l'aveva presa troppo male e aveva deciso di conservare la sua carica di CEO. Nonostante gli innumerevoli scandali che avevano colpito le nostre famiglie, noi due venivamo visti piuttosto come gli eroi che avevano avuto il coraggio di schierarsi contro i propri genitori. Dunque la EnJINe andava a gonfie vele, forse perfino meglio di prima, mentre la HarveyFactory era stata incorporata nella RoyalToys, capeggiata dal mio amorevole zio che mi invitava costantemente a cena, minacciando di farmi prendere peso a una velocità record.

Dunque la mia vita, dopo tanta confusione e sofferenza, sembrava starsi risolvendo per il meglio, eccezion fatta per un piccolo problema: Jin continuava a infilarmi la mano sotto la maglietta quando dormivamo insieme. 


⊱ ────── {.⋅ ♡ ⋅.} ────── ⊰


Siamo giunti alla conclusione di questa piccola storia! Come sempre non manco di ringraziare chiunque abbia letto e supportato Mr. Kim. Spero che numerosi lettori si avvicinino a questa storia anche in futuro. Mi preme ribadire che non mi interessa essere ricoperta di complimenti e recensioni, ma sapere che le vicende della capricciosa e affettuosa Allison vi siano piaciute e vi siano, in modi differenti per ognuno, rimaste impresse. Leggere le vostre recensioni mi ha fatto tantissimo piacere e mi ha spinto a non rinunciare ai miei adorati personaggi. Ringrazio anche i lettori silenziosi, vi capisco: sono una di voi. 
Quindi, indipendentemente da tutto, vi rivolgo un caloroso e sincero:

GRAZIE

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3825763