Di universi alternativi e altre stranezze

di Fuuma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La perla dell'oceano (Bucky/Steve) ***
Capitolo 2: *** Il lupo dentro (Thor/Loki) ***
Capitolo 3: *** Di noi diranno (Steve/Bucky) ***



Capitolo 1
*** La perla dell'oceano (Bucky/Steve) ***


 

Character: James Buchanan Barnes; Steve Rogers; Shuri { nominated }; Sam Wilson { nominated };
Pairing: Bucky/Steve { stucky }

Warning: slash, mermaid!au; pre-siero!steve;

 

La perla dell'oceano


L’arpione è un fischio nel buio che sfreccia e si aggancia alla cancellata. Un pulsante schiacciato e il cavo si riavvolge, trascinandolo in alto senza alcun intoppo – i giocattoli di Shuri, d’altronde, non lo hanno mai tradito.

Lo slancio è un volo di qualche metro che termina oltre il cancello. Bucky vola, cade e, come un gatto, si raddrizza per atterrare in punta di piedi e zaino sulle spalle sulla cima di vetro di una delle gabbie che riempiono quell’ala dello zoo.

Ad accoglierlo soltanto il silenzio, ma dopo un salto così, non si può biasimarlo quando allarga le braccia e si inchina a ricevere applausi immaginari. Anche i ladri hanno bisogno di essere apprezzati di tanto in tanto.

Nessuna delle guardie dello zoo si trova nei paraggi, è ora di sfamare i leoni nell’ala ovest, ben lontani dalla zona acquatica delle vasche e degli acquari. È proprio su uno di questi che è atterrato, sul vetro rinforzato che fa da tetto a una scenografia di coralli, conchiglie giganti e perle finte. Tra tutte, però, ce n’è un’unica vera – bianca, splendida e lucente, come una luna in miniatura –, esposta nel piccolo scrigno spalancato sul fondale. Per quanto meravigliosa, ha sempre trovato esagerato esporla in una teca di vetro alta tre metri e larga quattro (c’è perfino una targhetta con la didascalia “La perla dell’oceano”), ma è lì per rubare, non per giudicare.

Si inginocchia poggiando lo zaino sul tetto di vetro, iniziando ad estrarre l’attrezzatura.

È allora che qualcosa, sotto i propri piedi, cattura la sua attenzione. Due occhi azzurri lo fissano curiosi; quando si rende conto che non è il riflesso dei propri, scatta indietro spaventato, dimenticandosi del bordo.

La caduta questa volta è rovinosa, il contatto duro col terreno gli toglie il fiato e il dolore è così lancinante che Bucky teme di essersi rotto qualcosa. Non sa come riesca a sollevarsi in piedi e recuperare lo zaino caduto con lui, sa solo che deve scappare e andarsene il più in fretta possibile, prima che qualcuno lo scopra.

Non riesce comunque ad evitarsi di voltarsi indietro. L’ultima cosa che vede, prima di sparire nella notte, è un corpo minuto immerso nella teca e una coda immensa.

 

Bucky torna dopo qualche settimana, guarito da ogni ferita.

È dovuto tornare.

La notte sogna di occhi azzurri come il cielo e una coda squamosa dai riflessi blu come il mare e deve scoprire cosa diavolo ha visto o non se ne darà pace.

Quando le guardie terminano il loro giro e l’acquario rimane incustodito, Bucky si avvicina, questa volta dal basso.

Non li ha immaginati, gli occhi azzurri ci sono davvero, così come la coda.

«Da dove… come… non ci credo…» Si strofina gli occhi, ma quello che vedeva prima, lo vede ancora: c’è qualcuno immerso nell’acqua che schiude sottili labbra rosa corallo buttando fuori bolle d’aria e parole fischiate in una lingua che non è umana.

Aveva creduto fosse un ragazzino, ma a guardarlo meglio potrebbero avere la stessa età. Il fisico, però, appare così minuto che Bucky potrebbe infilarselo in tasca e rapirlo insieme alla perla… se non fosse per una coda infinita che da sola occupa metà della teca.

«Sei reale?» Lo chiede alla creatura, ma anche a se stesso.

Oltre il vetro, gli occhi di cielo lo fissano in silenzio.

«Ok, facciamo così: se sei reale batti un colpo contro il vetro.» È ovvio che stia scherzando – qualsiasi cosa si trovi davanti, non può essere reale – ma gli occhi di cielo sembrano guardarlo con una certa nota di biasimo, ruotano verso l’altro e, infine, una mano piccola e palmata batte un colpo contro il vetro.

«Gesù!» Bucky scatta con un salto indietro. «Ca – capisci quello che dico?»

Un altro colpetto al vetro.

Il cuore gli sale in gola.

Avanza di nuovo, annienta ogni distanza e schiaccia la fronte al vetro. L’acqua distorce le immagini, arrotonda quello che in realtà è un corpo fatto di spigoli, con spalle strette e muscoli acerbi; sul collo sottile vede aprirsi branchie e, al posto delle orecchie, ci sono membrane verde acqua accarezzate da capelli biondi come il grano.

«Wow…» mormora. Se quella è la vera Perla dell’oceano, allora la vuole per sé.

Di colpo, però, la creatura batte una mano al vetro – colpi agitati, che riflettono l’ansia del suo sguardo – e indica alle spalle di Bucky.

Il fascio bianco di una torcia che si sta dirigendo nella loro direzione chiude la serata.

 

La sera seguente Bucky si presenta nuovamente all’acquario della Perla dell’oceano.

La creatura è di spalle, poggia contro un angolo della teca e si stringe in un abbraccio. Sembra così minuscolo e così fragile, ora, che Bucky vorrebbe poter rompere il vetro, eliminare ogni barriera tra di loro e abbracciarlo fino a sentire le sue ossa conficcarsi nelle proprie.

Invece lo chiama piano, sfiorando il vetro. È sufficiente quel gesto perché la vibrazione si riverberi nell’acqua come un richiamo e la creatura si volti di scatto, sorpreso.

Bucky non è sicuro di come funzionino le emozioni con quel tipo di “essere”, ma gli sembra di scorgere un lampo di gioia.

Poi, però, la creatura scioglie l’abbraccio al proprio busto e gli nuota incontro a indice spiegato e rimbrotti fischiati, qualcosa che gli ricorda una pentola a pressione o l’avviso di una teiera quando l’acqua è abbastanza calda.

Bucky ha l’atroce dubbio che gli stia facendo una paternale. «Sul serio? Io vengo a trovarti e tu mi rimproveri? Si può sapere che cos’avresti tanto da lamentarti, ancora non ho fatto niente!»

La creatura incrocia le braccia al petto. Nonostante la figuretta che, se solo fosse (del tutto?) umana, probabilmente arriverebbe a malapena alla spalla di Bucky, così impuntato non gli sembra più tanto fragile.

Bucky sorride. «Non ce l’hai un nome, amico?»

L’indice palmato della creatura scivola sul vetro. Segna le rotondità di una “S” al contrario, le stanghette di una “T”, per tracciare il nome Steve.

Bucky dubita sia il suo vero nome, quasi certamente gliel’avrà dato il proprietario dello zoo per avere un modo semplice con cui chiamarlo ma, in fondo, quella semplicità di suono, quella familiarità americana, gli piace. «D’accordo, Steve. Io sono Bucky.»

 

Le visite si susseguono.

Bucky ha dimenticato il motivo iniziale che lo ha spinto a intrufolarsi la notte in uno zoo. Sam gli ha dato dell’incapace, non ha creduto alla storia del tritone (è stata Shuri a chiamarlo così) e si è convinto che sia una scusa per coprire il suo fallimento; ma finché può passare del tempo con Steve, non gli importa.

E poi questa volta è venuto preparato.

Arriva dall’alto: arpione, anfibi dalle suole antiscivolo, guanti e attrezzatura nello zaino.

Riprende da dove ha lasciato la prima volta, tagliando il vetro e aprendo un buco abbastanza grande perché possa infilarvici una persona.

Quando si sporge a guardare oltre il bordo, l’odore di acqua dolce lo investe e Steve è una scheggia marina che nuota fino ad emergere dall’acqua. È esattamente come quel cartone della Disney (o quasi): il suo (che non è davvero suo) piccolo sirenetto fa forza sulle braccia per tenersi sollevato, tira indietro la testa e i capelli biondi schizzano acqua in faccia a Bucky.

Lui ride e Steve… dio, Steve gli è così vicino che può sentire perfino il suono dei suoi pensieri.

«Hey.» Lo saluta.

Steve lo guarda a bocca schiusa. È arrossito – crede. Ed è la cosa più bella che Bucky abbia mai visto, mentre lo guarda schiudere la bocca e assaggia parole che non ha mai pronunciato fuori dall’acqua. Quello che ne esce è un gemito senza suono, un’acca aspirata e un po’ fischiante che si incastra male tra i timpani di Bucky e li fa dolere.

Basta poco perché Steve aggiusti il tiro. «Bh… bu… ck… y…» e la prima parola che pronuncia è proprio il nome dell’umano, cosa che gli fa scoppiare il cuore di gioia.

Steve gli sorride e Bucky allunga una mano verso di lui, con il bisogno di toccarlo e sentire sotto le sue dita la consistenza morbida dei suoi capelli e la pelle liscia e umida del volto. Ha aspettato così tanto questo momento, che ora che può finalmente toccarlo, l’idea di doversi separare di nuovo da lui lo uccide.

«Voglio portarti via con me.» la confessione arriva naturale come lo schianto di un fulmine.

Steve gli stringe la mano e stranamente le sue dita palmate non sono viscide come si era immaginato, ma si incollano alla sua pelle con piccoli schiocchi delle ventose che gli costellano il palmo.

«Non… non essere… stupido…» zoppica un po’ nella lingua, anche se l’insulto arriva forte e chiaro. «Se dovessero scoprirti… non so cosa ti… farebbero…»

«Gesù, Steve, sei un guastafeste!» È una rivelazione a cui segue una risata divertita e le braccia dell’umano che trovano posto intorno alle spalle del tritone. Lo stringe a sé e non gli importa del rischio di cadere nel buco della teca o di essere scoperto, non ora che respira il profumo d’oceano dalla pelle di Steve e incolla il petto contro quello piccolo e nudo dell’altro. «Ormai ho deciso e non c’è nulla che tu possa dirmi per farmi cambiare idea: ti libererò Stevie, vedrai.»

 

Quando Bucky torna, è pronto a mantenere la sua promessa.

 

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Note sulla raccolta: Finalmente riesco a dare il via anche a questa raccolta nata per raggruppare tutte quelle oneshot e flashfic create grazie alle challenge e che hanno come tema comune l'A/U. E non sto parland del multiverso originale dell'MCU, ma delle au quelle vere.

Le coppie per ora variano dalla stucky alla thorki, ma non nego la possibilità che più avanti ne compaiano altre.

Di volta in volta mi premurerò di segnalare challenge e gruppo per cui sono state scritte.

 

Note fic: Inizialmente la mia idea era di completare le fic facendo diventare Steve umano e con il corpo post-siero, ma per mancanza di tempo quella scena non l'ho mai inserita e la storia si è conclusa come si è conclusa.

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Scritta per: La giornata fantasy della 7 Days of Summerland @We are out for prompt

Prompt di: Heartbreakerz von Krieg ~ MCU, Steve/Bucky — Merman!AU con tritone!Steve chiuso in gabbia in uno zoo e Bucky, ladro di cose preziose, ha bisogno di una perla nascosta nel suo acquario. (Bonus: Bucky, dopo i primi incontri-scontro con Steve, lo aiuta a trovare un piano per scappare via. Bonus2: a inizio fic, Steve è in versione pre-siero.)

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Capitolo 2
*** Il lupo dentro (Thor/Loki) ***


Characters: Loki Laufeyson; Thor Odinson;
Pairing: Thor/Loki { thorki }

Warning: slash; incest; werewolf!au;

Il lupo dentro

 

La trappola di coperte, in cui si è unita la carne e intrecciata la pelle, odora di sesso caldo e corpi umidi; è un invito dolce al riposo e mette voglia di rimanere in quel bozzo, al sicuro, come nel ventre di una madre. Loki, però, scansa le lenzuola con la linea elegante della gamba che si solleva e si fa di lato, cerca il bordo del letto, si alza e, come sempre è accaduto, fugge. La sua stessa essenza per natura è sfuggente, sabbia nera tra le dita. Thor fa appena in tempo a sollevare una mano, sfiorandogli il braccio, guardandolo scivolare via.

Loki ruota il capo, i capelli lunghi mossi al vento della sera – ultimamente sono una colata di velluto e petrolio che gli raggiunge le natiche sode e come serpenti strisciano sulla pelle bianca, creando disegni che Thor vorrebbe cancellare con le dita e ricreare con la lingua.

«Rimani» lo invita il fratello.

«Per cosa, di grazia? Hai già avuto quello che volevi.» Loki allontana il braccio, assicurandosi di tenersi fuori portata e sputa veleno. Negli occhi c’è una luce sinistra che Thor gli ha visto troppo spesso, ma che ancor più spesso il fratello gli ha nascosto, come ora, quando si volta a dargli le spalle e si avvia verso la porta.

Che Thor abbia avuto quel che vuole è vero, ma così dovrebbe valere anche per l’altro. E, in ogni caso, il corpo nudo e snello di suo fratello che si struscia tra le proprie braccia, affamato delle proprie carezze, è solo una piccola parte di quello che ha sempre voluto.

Getta via le lenzuola e si alza. «Perché devi sempre farti pregare?»

Fuori dalla finestra, la sera è ancora giovane; nel cielo, la luna a tre quarti è l’accenno di sbadiglio bianco. Per una volta Loki potrebbe smettere di fare l’orgoglioso e passare il tempo insieme a lui, invece di concedergli solo poche ore dei suoi pomeriggi, per poi rintanarsi chissà dove, immerso nei suoi studi. Perché li trovi così interessanti, Thor non se ne farà mai una ragione.

Avanza a piedi nudi verso il fratello. Gli cala addosso con le braccia, stringendolo in una morsa di muscoli sodi e gonfi che gli si chiudono intorno al petto, mentre il mento poggia alla sua spalla e il volto sparisce oltre la coltre di morbidi capelli corvini.

«Rimani» ripete e posa un bacio al suo collo. O avrebbe voluto farlo.

Il colpo trancia a metà parola e respiro.

Quando Thor riapre gli occhi, non ha idea di come sia finito in terra, in una strisciata dolorosa che percorre il pavimento e lo fa sbattere schiena e testa contro il bordo del letto.

Loki è ancora in piedi sulla porta, nello stesso punto in cui l’ha abbracciato. Ha occhi che non sono più smeraldi, ma hanno raccolto nell’iride l’oro di un sole rabbioso, tagliato a metà dalla virgola di una pupilla lunga e sottile.

C’è qualcosa di bestiale nei suoi tratti fini. L’eleganza si mescola a una virilità tutta nuova, quasi animale, e i denti serrati mostrano una coppia di canini tozzi e pronunciati.

Thor fa per rialzarsi in piedi.

Loki getta un braccio in avanti, un palmo aperto a fermarlo e una mano a coprire il proprio volto. «No! Stai lontano da me!»

«Sei un mannaro…»

«Taci.»

«Perché non me l’hai detto?»

«Taci ho detto!» L’urlo di Loki è un ruggito. Le spalle si incurvano in un gesto involontario e sgraziato, che mette in mostra muscoli asciutti che Thor ha appena scoperto essere ben più forti di quanto non sembrassero. Non per questo, però, il biondo è intenzionato ad ascoltarlo.

La testardaggine è un problema di famiglia.

Di nuovo in piedi, avanza a braccia allargate, nudo e armato solo dell’amore per suo fratello e del coraggio di accettarlo nonostante i suoi difetti, la sua lingua d’argento, le sue pugnalate alle spalle. E ora questo.

Mano a mano che avanza lo sguardo di Loki si fa inorridito. Dovrebbe scappare, ma trema e non riesce a trovare stabilità sulle gambe. Quando Thor lo raggiunge è troppo tardi per sfuggire alla dolcezza del suo abbraccio – lo cattura, lo intrappola, lo doma e sia mille volte maledetto, perché per quanto ci abbia provato, Loki non è mai riuscito a staccarsi da lui.

Thor gli apre i palmi sulla schiena e se lo schiaccia addosso, riscopre il suo corpo e se lo tatua sul proprio – petto, ventre, cosce e riesce a sentire sotto la pelle fredda di Loki un’energia ferale che scorre tra i nervi, pronta a scoppiare da un momento all’altro. Il suo respiro gli arriva a boccate gonfie e ansanti contro il collo, zaffate bestiali in cui si raccoglie un’impazienza nervosa.

L’indomani ci sarà luna piena, ecco perché suo fratello è così inquieto. E lui non ne sapeva niente.

«Avresti dovuto dirmelo, avrei capito.»

«No, invece» ribatte Loki. Non ricambia l’abbraccio, lo subisce passivamente, come un animale in trappola e come tale fa vagare lo sguardo intorno alla stanza, alla ricerca di una via d’uscita.

«Forse hai ragione, ma ti avrei accettato comunque. Non l’ho forse sempre fatto?»

Lo sguardo di Loki si ferma sul profilo di Thor. La sua barba bionda gli solletica la guancia e l’istinto di strusciarsi al suo volto è così forte che alla fine cede, socchiude gli occhi, e gli si addossa completamente.

«Da quanto tempo?» chiede il fratello.

«Mesi. Un anno.»

Quello che rattrista Thor non è sapere di esserne rimasto allo scuro per tutto questo tempo, ma sapere che Loki sia stato costretto a convivere da solo con la vergogna di sé e di quello che è diventato. Comprende ora il motivo di tanto impegno nei suoi studi: la ricerca di una cura, prima che i cacciatori di mannari lo scoprano e reclamino la sua testa.

«Ti aiuterò a tornare umano, fratello.» Sigilla la promessa con un bacio, sforzando con la lingua la barriera dei suoi denti.

Sente i suoi muscoli rilassarsi poco a poco e quando il bacio si scioglie, gli occhi di Loki sono tornati normali, di nuovo di quel verde intenso, ipnotico e velenoso a cui Thor ormai è assuefatto.

Non scioglie l’abbraccio, lo usa per trascinare nuovamente il fratello verso il letto, ma prima di raggiungerlo un brivido gli attraversa la schiena.

Si ferma e abbassa gli occhi alla sua bocca.

«Loki…» Il rimprovero è quello che si usa per i cani disobbedienti e Loki storce il naso allontanando i denti spalancati alla giugulare di Thor, evitando l’azzannata.

Certe cose, almeno, non sono cambiate.

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Questa fic è rimasta nel mio hd a prendere muffa esattamente per un anno e un giorno e nonostante tutto continua a non piacermi granché. Avrei dovuto riscriverla da capo, ma visto che so non l'avrei mai fatto e che avrei finito comunque per cambiarla completamente rispetto all'originale, ho preferito tenerla così e passare oltre.

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Scritta per: La giornata fantasy della 7 Days of Summerland @We are out for prompt

Prompt di: Federica Perrotta MCU Thor/Loki, Werewolf!Loki. Perché me l'hai tenuto nascosto?

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Capitolo 3
*** Di noi diranno (Steve/Bucky) ***


Characters: Steve Rogers; Bucky Barnes;
Pairing: Steve/Bucky { stucky }

Warning: slash; deathfic; epic!au;

Di noi diranno

 

Di noi diranno che abbiamo lottato sino alla fine; che il nostro è stato l’inferocito urlo di battaglia che ha spronato i cavalli, rinvigorito i soldati e sfaldato le fila nemiche; che le nostre spade si sono coperte di fiamme e di sangue incidendo le armature rivali dei nostri nomi grondanti vittoria.

Di noi diranno che eravamo draghi, che eravamo dèi, che eravamo Eroi. Canteranno davanti al fuoco, del principe nato dal Sole e forgiato dalle mani di Dike[1] e del suo cavaliere fagocitato dalla notte – il suo Bucky, dalla grazia di Ninfa e il feroce vigore di Chimera. Scriveranno del giorno in cui i loro cammini si sono incrociati, degli occhi di Steve che da quel momento non hanno più posato su nessun altro e della lama con cui si è aperto il cuore per dividerlo in due metà.

Di noi diranno che eravamo fratelli sotto lo stesso vessillo e amanti tra lenzuola bagnate di seme e sudore. Rideranno per la gioia di averti avuto in sposa e piangeranno per il dolore di averti perso. Ma sapranno che il mio amore è arso con forza e ha illuminato l’universo come la coda rovente di una cometa che cade.

Di noi diranno che abbiamo lottato sino alla fine. Oltre la fine. E che la Morte, misericordiosa, ci ha accolto insieme, quando nell’ultimo abbraccio la sua falce cercava il tuo collo e ha trovato il mio petto.

Di noi diranno non che siamo morti, ma che siamo tornati a casa per vivere tra le stelle.

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[1] dea greca della Giustizia

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Ho un debole per i cavalieri e i poemi epici e, checché questa sia la prima volta che mi ci sono cimentata, mi ha quasi esaltata. In realtà all'inizio avevo in mente una storia ben diversa, in cui volevo sviluppare l'idea di Bucky cavaliere del drago, ma visto che il tempo era già agli sgoccioli ho optato per questa doppia drabble e mezzo.

 

Scritta per: La challenge 1StuckyADay @till the end of the line - Steven Rogers / Bucky Barnes - Stucky

Task 16. Una tragedy. Non importa come, non importa dove, non importa perché. O Bucky o Steve (o entrambi) deve tirare le cuoia.

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