Parte del suo mondo

di Inquisitor95
(/viewuser.php?uid=416148)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo Venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventitrè ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo Venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo Trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo Trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo Trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo Trentatrè ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo Trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo Trentasei ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Valerio

Capitolo Uno

mercoledì 22 Maggio

 

 

 

Un suono fastidioso mi riporta alla realtà costringendomi ad aprire gli occhi, muovo le mani alla ricerca dell'origine del suono che riconosco essere la sveglia che ho puntato alle otto del mattino.

Ci sto pochi secondi a trovare il cellulare e col dito sposto il cursore del touch in modo da spegnere la sveglia; alzo la testa ritrovandomi sulla sedia che sta davanti alla scrivania.

«Sono un idiota. Mi sono addormentato sulla scrivania...» dico tra me e me, sbadiglio allungando le mani verso l'alto stiracchiando il corpo.

Rivolgo un'occhiata alle mie spalle trovando il letto matrimoniale della mia camera, le lenzuola sono ordinate così come i cuscini. Avendo dormito sulla scrivania neanche sembra che ci sia stato qualcuno stanza.

Ritorno a guardare i libri sul quale mi sono addormentato e cercando tra gli appunti e gli articoli di giornale sparsi in maniera quasi casuale.

«Avrei dovuto lavorarci tutta la notte. Credo che non riuscirò a consegnare la relazione a lavoro.» mi dico piuttosto demotivato, comincio a fare ordine e infilo tutto nella valigetta ventiquattro ore che si trova sulla sedia messa di lato rispetto alla scrivania.

«Valerio? Sei sveglio? È pronta la colazione!» dice una voce che viene dal piano inferiore della casa, la voce di mia madre che sento spostarsi con passi pesanti.

«Sì, mamma. Sto scendendo.» le rispondo ma non sono certo che mi abbia sentito. Infilo i piedi nelle ciabatte che si trovano ai piedi del letto poi esco dalla stanza.

Scendo i gradini della scala disseminata di vecchie foto di famiglia, rappresentano i viaggi che facevamo quando io e mio fratello Riccardo eravamo più piccoli.

Sento un leggero trambusto provenire dal soggiorno: la televisione ha il volume al massimo e sento la voce di mio nipote le cui parole però non sono altro che suoni visto che ha poco più di un anno.

Trovo il bambino seduto sul divano insieme alla madre, Daniela mi rivolge uno sguardo distratto e sorride, poi torna a guardare la televisione insieme al figlio.

“Biondo con gli occhi azzurri. Luca è tutto sua madre; spero solo che non abbia il suo carattere!” penso salutando la ragazza in risposta. Mi sposto a destra trovandomi davanti il grande tavolo e oltre di esso la cucina che è in piena vita.

Mia madre si sposta intorno all'isola al centro della stanza poggiandovi dei piatti con la colazione sopra, a giudicare dall'odore si trattano di uova e bacon, una leggera puzza di bruciato riempie l'aria però.

«Buongiorno, Valerio.» saluta mia madre rivolgendomi un largo sorriso e posando il piatto nel mio posto che si trova a davanti a quello di Riccardo. «Hai dormito bene? Non hai un bell'aspetto.» dice, immagino che lo capisca dalle mie profonde occhiaie.

Si avvicina a me poggiandomi una mano sulla guancia e ne osservo i tratti: mia madre somiglia ad un bellissimo angelo, capelli lunghi e biondi con gli occhi verdi, pelle rosea e morbida, è incredibilmente bella.

«Sì, sì. Ho solo fatto tardi; la prossima volta mi prenderò una tazza di caffè per restare sveglio.» dico mentendole, siedo al mio posto e solo a quel punto Riccardo abbassa il giornale che stava leggendo, una rivista sulla ristorazione.

«Ehi fratellino. Dì la verità alla mamma: hai fatto baldoria ieri sera eh? Night club e alcol tutta la notte, vero?» dice lui con tono scherzoso, sto al gioco cercando di sforzarmi visto che ancora sono intontito.

«Oh sì, figa tutta la notte!»

«Riccardo De Luca! Non istigare tuo fratello al giro dell'alcol. Mi è bastato sopportare te che tornavi a casa dopo nottate intere a ballare. Valerio ha la testa sulle spalle, grazie a Dio.» risponde mia madre riprendendo mio fratello con tono severo, lui si limita a ridacchiare.

Solo adesso noto che la donna sta indossando il camice bianco, sta andando a lavoro, evidente.

“Ricordavo che doveva lavorare nel pomeriggio. Forse c'è stata un'emergenza in ospedale e hanno bisogno di tutti i chirurghi disponibili.” rifletto.

Riccardo mi fa l'occhiolino facendo un mezzo sorriso e rispondo alla stessa maniera. Da bambini le persone ci scambiavano per gemelli, anche adesso in età maggiore siamo molto simili, entrambi abbiamo ereditato i tratti scuri di capelli e occhi da nostro padre, Riccardo però ha alle spalle anni e anni di sport che gli ha fornito un fisico tonico.

«Cos'è questo trambusto? Non fate arrabbiare la mamma.» una voce pesante e forte viene da dietro l'angolo della cucina, solo a quel punto nostro padre fa la comparsa all'interno della stanza.

Ci saluta entrambi ma solo a me scombina i capelli in segno d'affetto. «Anche tu vai a lavoro presto?» chiedo. Lo vedo allontanarsi nuovamente per avvicinarsi alla caffettiera e si prende una tazza larga che sorseggia lentamente.

«Oggi entro a seconda ora, ma l'incidente sulla statale mi costringe a fare il giro largo, meglio partirsi prima.» risponde col tono da vecchio professore. «Maria, vuoi che ti accompagno io? Devo passare davanti l'ospedale per andare a scuola, non è un problema.» chiede mio padre rivolgendosi alla moglie che sta indossando il cappotto nero, spunta dall'ingresso per prendere la borsa con le chiavi della propria automobile.

«Non c'è bisogno, tesoro. Ci vediamo stasera.» dice la donna salutando tutti i presenti con un bacio lontano e correndo via dalla cucina, poco dopo sento la sua auto che dal vialetto si immette nella strada.

Trovo finalmente il coraggio di guardare la mia colazione notando che la situazione è ben peggiore di quella che mi ero immaginato: “Se voglio morire allora posso tranquillamente mangiare questa roba!” Come se l'avessi detto, mio fratello Riccardo percepisce i miei pensieri e scoppia a ridere.

«Che c'è di così divertente?» chiede nostro padre, ma la verità è che anch'io comincio a ridere: fa paura il modo in cui io e Riccardo ci intendiamo senza bisogno di parlare.

«C'è del latte fresco e del succo d'arancia nel frigo. Quello lo possiamo dare ai gatti randagi.» dice lui, questo fa sì che nostro padre gli lanci uno sguardo torvo.

Mi affretto a seguire il suo consiglio quindi mi alzo dalla sedia portando con me il piatto con la colazione che svuoto nel cestino dell'umido, poi abbandono l'oggetto nel lavandino e prendo un bicchiere di vetro alto, mi avvicino al frigo e prima di aprirlo mi soffermo a guardare le foto appese con le calamite.

Si tratta delle foto più belle: una tra queste risale alla premiazione di Riccardo, ormai diversi anni prima. In un'altra è il mio diciottesimo compleanno, cinque anni fa. La terza foto raffigura me e Riccardo quando io avevo tre anni e lui ne aveva otto, nella foto mi stringe tra le braccia.

Infine c'è la mia foto preferita: raffigura una bella donna bionda stretta ad un uomo possente dai capelli e dalla barba scura. Sorridono felici del loro amore.

Prendo la foto tra le dita e la giro tra le mie mani, sul retro c'è una scritta: “Maria e Giuseppe: viaggio di nozze. Australia-1988”. La foto raffigura i nostri genitori che in trent'anni anni di matrimonio non sono cambiati di una virgola, tranne per qualche ruga in più.

Poggio nuovamente la fotografia sotto la calamita e stavolta prendo la maniglia del frigorifero per aprire l'anta e versarmi il succo d'arancia nominato da Riccardo, riempio il bicchiere e con la stessa velocità lo vuoto bevendolo.

Poggio il bicchiere di vetro sul lavandino e mio padre si alza sposta intorno all'isola centrale della cucina per prendere un piccolo box metallico dentro il quale d'esserci il pranzo al sacco preparato dalla mamma.

«Mi raccomando, chi di voi due esce per ultimo si prenda la briga di chiudere la porta di casa. Voi due mascalzoni fate i bravi a lavoro!» dice l'uomo prendendo la sua ventiquattro ore e per poi spostarsi nel salotto dove Daniela siede col figlio. «Ci vediamo presto, mi ha fatto molto piacere avervi a cena.» dice rivolendosi alla ragazza, lei si alza in segno di rispetto a stringe la mano dell'uomo con un largo sorriso.

«Grazie, Signor De Luca. Non mancherà occasione. E poi il piccolo Luca non può stare neanche un giorno senza vedere il suo zietto.» dice Daniela rivolgendosi a me, essendo chiamato in causa rizzo le orecchie ma la discussione giunge al termine prima che possa intervenire.

La porta d'ingresso si apre e si chiude e ancora una volta sento l'automobile che sfreccia per la strada.

«Me ne vado in bagno, ho bisogno di una doccia fresca prima di andare a lavoro.» dico ai due sposini, noto che Riccardo sta già preparando la borsa del figlio rimettendo in ordine i giocattoli. «Vi trovo ancora qui?» chiedo.

Il ragazzo mi rivolge un cenno, a quel punto salgo i gradini della scala velocemente per raggiungere camera mia ricordandomi di non aver ancora letto i messaggi.

Quando entro nella stanza prendo il cellulare che si trova sulla scrivania e lo sblocco cominciando a leggere le notifiche in base alla più recente: un messaggio da parte di Emilia che, non avendo ricevuto la mia risposta, mi ha chiamato cinque minuti dopo. L'ora indicata della chiamata persa segna che erano le due.

Tra i vari messaggi, Emilia mi chiede se fossi libero in quanto voleva fare shopping e nel frattempo potevamo prenderci un frullato dietetico insieme. “Lei perennemente a dieta, mentre io mangio le peggiori schifezze del mondo.”

L'altro messaggio è da parte di Massimiliano che mi chiede di prestargli un cd musicale. Anche lui non ha ricevuto risposta ma a differenza della ragazza, lui deve aver capito che stavo già dormendo.

Infine, l'ultima notifica riguardava un battibecco tra i miei due migliori amici: Alice, che conosco da quando andavamo alle elementari insieme e Roberto, che è stato il mio compagno di banco per tutto il liceo.

I messaggi si trovavano nel nostro gruppo, gli “Scazzati alla riscossa” di cui facciamo parte solo noi cinque, nessuno però ha fatto caso al fatto che non abbia risposto. La conversazione infine giunge al termine quando i due raggiungono un accordo.

Visualizzo i messaggi ma senza rispondere, lascio la stanza attraversando il corridoio a passi veloci passando davanti la porta della camera da letto dei miei genitori ed entro in quella di fronte.

La stanza appare in ordine nonostante sia mia madre che mio padre abbiano avuto modo di farsi la doccia, l'unico segno rimasto che qualcuno abbia usato il bagno è il leggero velo di vapore impresso sullo specchio che ripulisco col dorso della mano e mi specchio.

Passo le dita tra i capelli notando che sono ancora puliti.

Comincio a spogliarmi: mi tolgo la maglietta, distendo le braccia e sento le spalle scricchiolare come il pavimento di un vecchio film d'orrore.

Abbasso il jeans che indosso da ieri sera e l'intimo prima di infilarmi nella doccia: l'ultima cosa che faccio è premere il pulsante Play sulla schermata della lista di canzoni che riempiono riempito la memoria del cellulare: musica pop uscita da poco, un particolare omaggio di Massimiliano ai grandi cantanti del momento.

Passano dieci minuti quando sento la musica interrompersi a causa di un messaggio che mi è stato inviato, la canzone riprende subito ma io ho già riconosciuto il suono di notifica differente da tutti gli altri.

Esco dalla doccia prendendo l'accappatoio ed affrettandomi ad indossarlo senza curarmi dell'acqua che cade sul pavimento. Silenzio la playlist e vedo a chi appartiene la notifica: col fiato sospeso leggo che il nome segnato è “Michele”.

Apro la chat in questione con un semplice click annullando tutti i miei pensieri, non ci scriviamo ormai da diversi mesi e non ho idea di cosa potrebbe avermi scritto.

 

°Michele:

Ehi, ieri sera ho incontrato Rob e Alice. 

Mi hanno detto che stai bene. È passato un

po' di tempo dall'ultima volta che ci siamo

visti. Sono felice che tu abbia superato la

cosa. A presto, un bacio.

°Valerio:

Grazie per l'interessamento, Michele. Sto bene.

Non preoccuparti.

°Michele:

Mi fa piacere :-)

 

La risposta del ragazzo è quasi immediata, ho appena il tempo di poggiare il cellulare sul lavabo e togliermi l'accappatoio di dosso, mi limito a mandare una faccina che sorride, non c'è altro che voglio scrivergli.

Ritorno in camera mia e aprendo l'armadio trovo un numero esagerato di camicie di colori diversi ma tutte monocromatiche. Ci sono anche magliette casual che uso fuori dal lavoro, poi sugli scaffali in basso ci sono i pantaloni eleganti e in un ripiano annesso ci sono anche le scarpe.

“Devo ringraziare Emilia se il mio armadio è pieno di vestiti. Senza di lei probabilmente uscirei con una comodissima tuta!”

Ricordo tre anni prima, quando ricevetti l'email dalla redazione che aveva accettato la mia candidatura e chiedeva un colloquio di presenza. Mi ero presentato in ufficio il giorno dopo sentendomi piccolo e disorientato in mezzo a quel nuovo mondo.

Faccio un sorriso al pensiero di quanti passi ho fatto, scelgo una camicia bianca sagomata e un pantalone grigio chiaro e una cravatta dello stesso colore. Prendo le scarpe classiche da ufficio e prima di scendere al piano inferiore mi accerto che tutti i documenti che erano sulla scrivania siano stati riposti con cura, cosa che non ho decisamente fatto!

Quando entro nel salotto sento un grande silenzio e noto subito che la televisione è spenta. Daniela è dall'altro lato della stanza, sta sistemando la borsa del piccolo Luca che Riccardo aveva già fatto prima di lei.

Cerco mio fratello con lo sguardo e lo trovo dietro di me, quasi sobbalzo per lo spavento.

«Ehi Valerio, avrei un grande favore da chiederti. Oggi è il mio giorno di riposo, non dovendo andare al ristorante per lavorare volevo uscire con Daniela, una cenetta romantica da piccioncini.» dice Riccardo allungando la mano e poggiandomela sulla spalla facendomi voltare verso di lui

«Vuoi portare Daniela fuori a cena? O state cercando semplicemente intimità? Quel bambino non fa altro che urlare, dovreste farlo vedere da un esorcista!» gli dico con sarcasmo e lasciandomi sfuggire una risata, Riccardo sta al gioco e scoppia a ridere mentre Daniela mi riprende.

«È di tuo nipote che stai parlando! È un piccolo angioletto!» dice lei guardandomi con i suoi occhi di ghiaccio, quasi mi fa venire i brividi.

«Lo so che ti rompo le scatole e so che sei già dovuto restare in casa ieri per la cena di famiglia. Però davvero, ne avrei un grande bisogno.» dice Riccardo ignorando la reazione della moglie e guardandomi con occhi brillanti.

Sbuffo infastidito. “Non mi chiede mai nulla, neanche un favore. Non posso dirgli di no, non stavolta.” Poi mi viene l'idea geniale che mi permette di conciliare ciò che avevo in mente con quello che mi chiede.

«Va bene, ma porto i miei amici a casa tua. Serata tranquilla, non ti distruggeremo la casa né ci drogheremo.» dico sarcasticamente, l'espressione di Riccardo muta: un largo sorriso gli riempie il viso.

«Sì, cazzo. Finalmente riusciamo a liberarci del bambino!» esulta lui, entrambi ci blocchiamo e ci giriamo per guardare la reazione di Daniela che ha la mascella contratta.

«Meglio che sto zitta, guarda. Certe volte sei proprio un bambino. Grazie, Valerio. Ne abbiamo davvero bisogno.» dice lei ringraziandomi con cortesia.

«Passo prima da casa per cambiarmi. Fammi trovare il numero della migliore pizzeria a domicilio della zona.» dico tornando a parlare con mio fratello. Lui annuisce in maniera distratta pensando alla serata.

«Certamente.» dice lui in risposta, saluto Riccardo e Daniela di fretta rendendomi conto di essere già in ritardo, anche a me spetta fare il giro lungo per la città visto l'incidente sulla statale.

Percorro il vialetto spostandomi verso la mia auto che trovo nel viale parcheggiata con cura: un vecchio pick up di seconda mano che ho da quando ho preso la patente.

Apro la portiera e getto la valigetta sul sedile accanto, poi prendo il cellulare prima di inserire le chiavi ed entro nella chat del gruppo “Scazzati alla riscossa” scrivendo ai miei amici per il piano della serata.

 

°Valerio:

Ehi gentaglia! Stasera devo fare da balia a

mio nipote. Abbiamo la casa libera.

Pizza e film?

°Alice:

Sì, mi andrebbe tanto vedere qualche bel film.

Max, puoi scaricare quello nuovo sugli zombie?

 

°Massimiliano:

Film sugli zombie? Roba da bambini.

Ho scaricato un film che vi farà cagare le mutande.

°Valerio:

Niente di troppo rumoroso, vi ricordo che

c'è un bambino e vorrei che dormisse!

°Rob:

Pizza e film :D

Io ci sto di brutto. Al solito alle 20?

 

°Emilia:

Oddio il piccolo Luca! Datemi quel bambino!

PS: Valerio non mi hai risposto. Come fai a

dormire alle due di notte!? Sei un nonno!

°Valerio:

Scusa, ma io lavoro tutto il giorno!

°Emilia:

Che palle che sei!

Vabbé: Alice tu ci sei, sì?

 

Faccio una mezza risata leggendo l'ultimo messaggio di Emilia, avendo ricevuto le risposte che cercavo getto via il cellulare ignorando le risposte successive e giro la chiave così da accendere il pick up. A quel punto mi incammino per iniziare un'altra giornata lavorativa, sapendo che come la precedente sarà monotona.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Mirco

Capitolo Due

mercoledì 22 Maggio

 

 

 

Apro la bocca e sputo via il fumo creando così una nuvola biancastra davanti ai miei occhi, alzo la mano portandomi le dita all'altezza degli occhi, la canna è ormai finita. Senza pensarci due volte la butto a terra e pesto la cicca con il piede per spegnerla del tutto.

Al mio fianco, Franz mi guarda come per chiedermi cosa ne penso, annuisco lentamente: fumo normali sigarette, ma ogni tanto ci scappa una canna in compagnia. Lui scoppia a ridere soddisfatto. «Che ti avevo detto? Roba che spacca!» dice lui insistendo.

«Cazzo, sì. Quanto pensi di farci con questa roba?» gli chiedo indicando il suo bottino, un sacchetto di plastica ben protetto si trova al suo fianco.

Franz prende il pacchetto e se lo infila all'interno del jeans, anche lui termina di fumare e getta la cicca a terra per schiacciarla col piede. «Questa è buona. Devo ancora pensarci, se ne vuoi un po' ti faccio lo scontro però.» dice lui, scuoto il viso e faccio cenno negativo.

«Meglio di no, se lo sapesse Alessia non credo le farebbe piacere. La conosci.» gli dico ridacchiando, prendo una normalissima sigaretta dal pacchetto che ho infilato nella tasca e ne tiro fuori una.

«La tua fidanzata è una vera rompipalle! Come fai a starci insieme lo sai solo tu, Mirco.» dice Franz chiamandomi per nome, ridacchio mentre accendo la sigaretta e faccio alcune boccate, il sapore amaro della sigaretta riempie la mia bocca.

«Sai che sono un romanticone!» gli dico scherzando, lui annuisce restando serio. A quel punto guardo l'ora attraverso il mio cellulare. «Devo tornare a casa. Tu resti qui?» chiedo infine.

«No, me ne torno anch'io. Fai strada.» dice Franz mettendo le mani nelle tasche e lasciando che io esca dal “Vicoletto” per primo.

Lasciamo uno dei nostri punti di ritrovo, in realtà non si tratta che di una semplice stradina abbandonata che abbiamo personalizzato: vecchi divani usati e riadattati da Franz in persona, nonostante il ragazzo spacci fumo per vivere, è un genio nella manovalanza.

«Hai poi ricevuto risposta da Giovanni?» chiede il ragazzo al mio fianco. Per un breve momento cerco di ricordare che cosa avrei dovuto chiedergli, poi mi ricordo che stavano cercando di organizzare una serata di poker.

«No, lo sai che quando si tratta di studiare, nessuno può interrompere Giovanni. So però che aveva chiesto a Leo. Forse lui ne sa qualcosa.» rispondo, porto la mano libera dalla sigaretta al viso e mi gratto la leggera peluria ruvida che ci è sopra. “Dovrei pulirmi il viso, Alessia andrebbe su tutte le furie se mi presento a lavoro così domani.” dico tra me e me pensando, magari lo faccio più tardi.

Io e Franz arriviamo alla fine della stradina abbandonata e superiamo il varco che c'è nella rete metallica tra i due palazzi, ci troviamo immersi nella grande città e fuori dalla nostra realtà.

Le persone ci vengono contro a gran velocità quasi ignorando la nostra presenza, è uno dei quartieri malfamati della città, ma essendo mezzogiorno c'è comunque vita in giro per le strade visto che comincia la pausa pranzo per chi lavora nella zona.

Getto un'occhiata alle spalle verso Franz: sta indossando la giacca di pelle che aveva tra le mani coprendo la canottiera bianca che metteva in risalto il fisico allenato. Ho sempre pensato a Francesco (il suo nome completo) come un fratello maggiore, più che ad un migliore amico.

«Quello ha un'ossessione per lo studio! Come se fosse possibile per chi nasce in questo posto di merda riuscire ad uscirne!» dice Franz con voce profonda, allunga la mano verso la sigaretta che sto fumando, senza problemi gliela passo e tira alcune boccate.

“Non tutti sono come te, Franz.” mi ritrovo a pensare. “Neanche io voglio vivere in questa merda per sempre.”

Impedisco che i miei pensieri diventino realtà visto che so bene quanto Franz non sopporti la vita del quartiere malfamato, ma lui ha un carattere forte e resistente.

«Ehi passo da Lily prima di tornare a casa. Magari mi offre qualcosa. Vuoi venire anche tu?» chiedo al ragazzo prima di svoltare l'angolo della strada, Franz scuote però il viso cominciando a camminare verso il parcheggio dove ha lasciato la propria auto.

«No, grazie. Salutamela però.» dice Franz senza voltarsi indietro, annuisco e gli do anch'io le spalle, rendendomi conto che si è fregato la mia sigaretta.

Cammino velocemente mentre rifletto: del nostro gruppo, Liliana è l'unica che si meriterebbe davvero di uscire da questo posto di merda. Lei e Giovanni, il ragazzo che studia medicina da oltre quattro anni e finalmente quest'anno dovrebbe riuscire a laurearsi nonostante la scommessa contro di lui di Leonardo.

Anche Franz all'inizio gli aveva scommesso contro, ma poi si era ricreduto man mano che gli anni sono passati.

Lily invece è più semplice, mezzo maschiaccio ma divertente, non a caso si trova d'accordo anche con Franz a differenza di Alessia. “Pensandoci bene, è l'unica ragazza che si trova davvero bene nel gruppo.”

Mi viene da ridere quando penso al fatto che Lily ha più volte scherzato al riguardo. «Alessia ed Eva sono bionde. Sono stupide e per questo sono amiche, sei sprecato per lei!» Ricordo la prima volta che lo disse, Alessia aveva gettato un urlo talmente acuto da farmi venire il mal di testa.

Senza sapere come mi ritrovo davanti la tavola calda dove lavora la ragazza, entrò all'interno attraverso la porta sul quale c'è un cartello che dice: “Solo per oggi, in omaggio patatine fritte.”

L'ambiente è molto spazioso, i tavoli sono tutti rotondi e messi al centro della sala con l'eccezione di quelli che si trovano vicino le finestre che sono rettangolari e si ci possono sedere più di quattro persone.

Mi accomodo in un angolo della tavola calda vedendo che la carta del giorno riguarda un menù con un panino, patatine fritte in omaggio e bibita a scelta. Sento il mio stomaco lamentarsi per la fame e nuovamente un prurito alla barbetta ispida mi assalta.

Alzo lo sguardo trovando Lily che si avvicina a me con un largo sorriso e il blocchetto delle ordinazioni già pronto in mano. «Ehi, bel ragazzo dagli occhi di ghiaccio, posso fare qualcosa per te?» chiede lei facendo la sensuale, o almeno provandoci, la cosa mi fa scoppiare a ridere.

«Wow, me lo hai quasi fatto venire duro!» dico stando al suo gioco, la ragazza scoppia a ridere insieme a me e per punizione ricevo un colpo sulla testa. «Mi hai fatto male, la politica del locale è quella di picchiare tutti i suoi clienti affezionati?» le dico.

«No, ma posso picchiare tutti quelli che vengono qui per scroccare mangiare!» dice lei incrociando le braccia al petto, la divisa che indossa si limita ad una maglia nera col logo della tavola calda sul quale c'è scritto “L'Angolo del panino” e un jeans normalissimo.

«Non sono venuto per scroccare. Ho i soldi per il menù con patatine incluse.» dico sventolandole davanti il pezzo di carta plastificato, Lily fa una risata dolce e comincia a scrivere qualcosa sul blocchetto delle ordinazioni.

«Dove hai lasciato la bionda killer?» dice lei riferendosi alla mia fidanzata. Scrollo le spalle non sapendo esattamente la risposta visto che non ci sentiamo da alcune ore.

«Le ho scritto ma non mi ha ancora risposto. Ero in giro con Franz.» faccio un attimo di pausa nel quale Lily alza lo sguardo per confermare i suoi pensieri. «Lo sai che quello ha sempre affari loschi tra le mani.»

Lily sbuffa preoccupata per il nostro amico. «Davvero, ha del potenziale, ma non capisco come fa a sprecare il suo tempo in questo modo. Anche tu e Leo non avete un lavoro, eppure riuscite a trovare sempre qualcosa che vi permetta di non finire nei guai.»

«Se non sapessi che ti piacciono le donne direi che ci stai in fissa!» dico ridacchiando, Lily mi rimprovera con lo sguardo. «Hai ragione. E comunque, da domani il sottoscritto ha un lavoro ben pagato!»

Lily sgrana gli occhi incredula e ricevo un altro colpo in testa. «Sono la tua migliore amica! Com'è che non sapevo nulla di questo lavoro? Di che si tratta?»

«Ah-ah. Ve ne parlerò quando sarò sicuro di quello che si tratta. Alessia dice che riguarda un ufficio. Non ho idea di che cosa possa trattarsi ma è un posto pulito, almeno.» dico in risposta.

«Senza dubbio. Sono contenta per te. Voglio che poi mi racconti tutto. Intesi?» chiede lei, a quel punto annuisco e lei mi saluta dicendo che deve andare dagli altri clienti.

La guardo allontanarsi dal mio tavolo e subito dopo arriva una notifica al mio cellulare, lo tiro fuori dalla tasca e leggo che è un messaggio da parte di Alessia.

 

°Mirco:

Ehi, dolcezza. Che stai facendo?

°Alessia:

Sono al centro commerciale con Eva e Melissa.

Tu? Ti stai organizzando per domani?

PS: ti salutano.

°Mirco:

Sì, ho tutto pronto anche se non so di che

si tratta. Stasera ci prendiamo qualcosa fuori?

O preferisci che io venga da te?

°Alessia:

Meglio vederci fuori. Dopo la volta scorsa

credo che i miei genitori non siano felici

di vederti gironzolare in casa. Dagli tempo,

gli passerà in fretta. Lo sai come sono.

°Mirco:

Va bene, non vedo l'ora vederti.

 

Rileggo il modo in cui ho scritto l'ultimo messaggio e la risposta quasi automatica di Alessia col cuoricino e non riesco a non pensare a quanto sembri priva di significato.

Non passa molto dal momento in cui ho ordinato che vedo tornare Lily con una bevanda, la solita cola che prendo senza ghiaccio. La ragazza si guarda intorno vedendo che il locale sembra essere apposto.

«Ti sei rabbuiato di botto, successo qualcosa?» chiede lei, scuoto il viso ma so bene che non posso nascondere la verità alla ragazza. Nonostante questo, lei resta in silenzio.

«Tutto bene, non preoccuparti. Solo alcuni brutti pensieri, lo sai no? Le mie solite cose.» dico in risposta, la ragazza si fa bastare quello che lo ho detto.

“Con Lily è sempre stato così; basta uno sguardo per intenderci e se non vogliamo parlare di qualcosa non insistiamo.” penso tra me e me, sento una stretta allo stomaco però, sarebbe bello poterle parlare dei miei problemi con Alessia ma non voglio coinvolgerla.

Passano altri dieci minuti quando la mia ordinazione arriva, il panino gigantesco fuoriesce dal piatto nel quale sono immerse anche delle patatine fritte, la cameriera che mi ha servito non è Lily ma una ragazza altrettanto carina, mentre si allontana colgo l'occasione per lanciarle un'occhiale al movimento del posteriore.

Un altro colpo mi arriva nella testa, è già il terzo colpo sferrato da Lily in meno di un'ora. «Roba mia. Capito?» dichiara lei marcando il territorio, rimango sbalordito dalla sua dichiarazione e mi sincero di quello che ha detto tornando con lo sguardo sulla cameriera.

«Quella tipa!? Ma sei seria?» chiedo stranito.

Lei mi fa segno di stare zitto e di abbassare la voce, si china leggermente in avanti verso di me. «Non proprio, è un'universitaria. Le piace sperimentare. E io le do una mano.» dice Lily facendomi l'occhiolino, torna con la schiena dritta e si allontana ancora una volta.

Comincio a mangiare il grande panino, la salsa rosea che c'è sopra l'hamburger mi cola sul mento e cade infine sul vassoio, mi asciugo alla meno peggio con uno dei tovaglioli posizionati sul tavolo e mi interrompo solo per prendere alcune sorsate. Sto per addentare nuovamente il panino quando sento la notifica dei messaggi.

Getto una rapida occhiata e mi soffermo pochi istanti per leggerla. Si tratta di Leo che scrive sul gruppo.

Si tratta di una chat secondaria, il nostro gruppo è molto ampio e contando tutti possiamo arrivare ad almeno venti persone, io però mi trovo più legato a Franz, Leo e Giovanni piuttosto che ad altri col quale però rido e scherzo tranquillamente. Ovviamente le ragazze non ne fanno parte.

Leggo l'unico messaggio che Leo rivolge principalmente a Franz e ovviamente anche a noi, un messaggio che sappiamo bene non necessita di risposte o commenti.

“Ragazzi, mi serve la Villa per tutto il pomeriggio. Nome in codice: Principessa Lisa.” leggo nella mia mente. Scoppio a ridere senza volerlo quasi attirando l'attenzione di tutti quelli nella tavola calda.

«Scusate.» dico ad alta voce, tutti gli altri si girano tornando ad ignorarmi mentre io mi concentro sul messaggio, sapendo però che nessuno risponderà e quindi lascio perdere il cellulare prendendo una manciata di patatine e ingozzandomi.

Ci sono quattro nomi in codice nel nostro gruppo, quattro motivi validi per non rispondere. Il primo tra tutti è Principessa Lisa, che utilizziamo nel caso in cui siamo con una donna nella Villa e quindi non dobbiamo dare le chiavi d'ingresso a nessuno, avendo quattro copie che teniamo noi. Il secondo è Cavallo Pazzo che utilizza Franz quando sta facendo degli affari con dei clienti, o se la Villa ci serve come nascondiglio per qualche motivo. Il terzo nome in codice è Pirata Rosso, che utilizziamo per riunirci, vuol dire che abbiamo bisogno di compagnia, magari giocare a carte o sfogarsi o qualsiasi cosa che sia personale.

Credo di essere stato io quello ad aver utilizzato più volte questa parola d'ordine. Il primo ad accorrere è sempre Franz, essendo libero da impegni di lavoro e non avendo più una famiglia, è il primo che ti raggiunge in caso di bisogno.

Solitamente poi segue Leo che abita a pochi isolati dalla Villa, è stato lui a scoprire quel posto completamente abbandonato e così come il Vicoletto, lo abbiamo personalizzato in modo da essere il nostro rifugio.

Giovanni è il più saltuario, dovendo studiare ed essendo molto impegnato, specie in questo periodo di esami, spesso non si è neanche presentato. Il suo posto di ritardatario viene sostituito da me nel caso in cui sia uno degli altri ad avere bisogno, visto che tra un lavoretto e l'altro e lo stare con Alessia ho quasi sempre da fare.

E poi c'è l'ultimo nome in codice che utilizziamo solo per le emergenze. Nessuno di noi ha ancora avuto il bisogno di usarlo ed effettivamente non sappiamo neanche cosa accadrebbe se dovessimo usarlo. “E spero proprio di non vederlo mai scritto sul cellulare!” penso infine.

Il cellulare riprende a squillare, stavolta si tratta di una chiamata e dal nome vedo che si tratta di Franz. Rispondo non appena ho le mani pulite. «Ehi, dimmi tutto.»

«Non sapevo che Leo avesse una tipa con cui scopare. Hai idea di chi possa trattarsi?» chiede lui scherzando un po', ridacchio ma non posso rispondere visto che non so di chi possa trattarsi.

«Non ne ho idea, amico. Almeno lui però può divertirsi con chi vuole e senza problemi.» dico in risposta. Allontano il piatto sul quale sono rimaste le ultime patatine fritte e finisco pure la bevanda.

«In effetti ho notato che da un po' di mesi non usi più Principessa Lisa. Alessia te le fa odorare solamente? O si è ripromessa di arrivare casta al matrimonio?» dice Franz canzonandomi, gli faccio una smorfia imitando la sua risata, è proprio uno degli argomenti che mi mette di cattivo umore e non è bello che ne parli così.

«Fottiti, Franz.» e con quelle due parole taglio il discorso. Il ragazzo capisce al volo e resta in silenzio.

«Stasera ci vediamo alla Villa quindi? Niente fumo o droga, promesso. Ho sentito gli altri, dovrebbero venire quasi tutti. Invitiamo anche le ragazze, mi serviranno le cheerleaders per quando vi avrò tolto pure le mutande!» propone il ragazzo.

Sto per dire di sì visto che giocare a poker è uno dei nostri momenti migliori. Tuttavia mi ricordo che solo pochi minuti prima ho scritto ad Alessia.

«Non posso amico, stasera mi vedo da solo con Alessia. Ci facciamo un giretto in tranquillità. Se finiamo presto potremmo raggiungervi.» dico in risposta.

«Come vuoi. Ciao bello.» dice infine il ragazzo, la chiamata si chiude prima che possa rispondere e ripongo il cellulare nella tasta facendo un mezzo sorriso.

Sospiro pesantemente stiracchiandomi sul divanetto e allargando gambe e braccia, con lo sguardo fisso nel vuoto rivolto al soffitto. Cerco di liberare la mente massaggiandomi le tempie e rifletto sulle parole di Franz: è vero che sono mesi che non ho un momento di intimità con Alessia, neanche me ne sono reso conto.

Ma sono stati mesi strani tra noi due e ne siamo comunque usciti tranquillamente. Anche se la nostra crisi non si è ancora del tutto risolta. “Ci vorrebbe davvero una bella vacanza, solo io e lei. Lontani dalla città, magari in qualche spiaggia tranquilla.” rifletto.

I miei pensieri vengono però interrotti dalla mano di Lily che sventola davanti ai miei occhi riportandomi alla realtà. «Ehi, non ti buttare giù così. Qualunque cosa sia, si risolverà presto, lo sai.» dice lei, mi vengono i brividi alla pelle, è come se mi leggesse nella mente.

«Speriamo. Quanto ti devo? Meglio che ritorni a casa. È l'unico posto dove posso stare tranquillo per adesso.» dico tirando fuori il portafogli, Lily però mi guarda torvo e scuote il viso più volte.

«Oggi offro io. Ma giuro che questa è l'ultima volta che ti offro il pranzo.» dice lei in maniera stizzita, poi mi fa la linguaccia e capisco che sta scherzando.

«Grazie.» mi limito a dire, prende il vassoio e se lo porta via insieme al bicchiere di cola svuotato. La saluto con un cenno e lascio una banconota sul tavolo come mancia, poi me ne esco dalla porta d'ingresso salutando Lily con la mano da lontano.

Mi muovo velocemente così da raggiungere la mia automobile, anche quella si trova nel parcheggio vicino al Vicoletto; prendo le chiavi dalla tasca e apro la portiera, sono pronto per tornare a casa quando mi arriva un messaggio prima di accendere il quadro.

 

°Giovanni:

Ciao, Mirco. Hai da fare? Avrei bisogno

che qualcuno mi interrogasse. So che

sei l'unico al quale potrei rivolgermi.

°Mirco:

Ehi, amico. Dammi quindici minuti e sono

da te. Sai che per gli amici ci sono sempre.

°Giovanni:

Lo sapevo! Sei un mito! Ti offro una birra

come ringraziamento!

 

Faccio un ultimo sorriso allo schermo prima di azionare il motore, esco dal parcheggio ritrovandomi nella strada e selezionando la cartella “rock” dal mio cellulare: parte l'assolo di chitarra che echeggia intorno a me e muovo una mano come se le mie dita fossero bacchette che battono sulla batteria che parte dopo pochi secondi.

«Questa spacca di brutto!» dico accelerando fuori dal parcheggio immettendomi nella strada.





Angolo dell'Autore:
Buongiorno  miei cari lettori, oggi vi propongo una storia diversa da tutte quello che sono sul mio profilo, era da molto che non pubblicavo qualcosa qui su EFP e voglio segnare il mio ritorno con una storia che sento molto personale. Fatti ed eventi sono di fantasia e riferimenti a persone o nomi sono puramente casuali. Ho voluto pubblicare i primi due capitoli insieme, farvi leggere di brevi momenti di vita dei due protagonisti ma mi riprometto di pubblicare un capitolo alla volta. Purtroppo, visti i vari impegni della giornata e del lavoro non posso promettervi una pubblicazione giornaliera, o settimanale. Vado molto a come sono ispirato in questo periodo, di base però la storia è scritta per intero ed è già arrivata all'ultimo capitolo. Ma sedermi con la giusta concentrazione per Editarla mi riesce non poco difficile. 
Quindi per ora non posso fare altro che salutarvi con la promessa di non metterci tanto a pubblicare il Terzo Capitolo (anche per creare un po' di suspance, insomma.)
Se vi capita, lasciate una recensione con le vostre impressioni, e vi chiedo scusa per tutti gli errori ortografici, grammaticali e tutto che troverete qui, adesso e nel futuro. Ma come già accennato, non ho massima concentrazione per editare (anche adesso sono abbastanza di fretta).
Quindi niente, rinnovo i saluti e ci vediamo alla prossima! 
Ciao cari.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Valerio

Capitolo Tre

mercoledì 22 Maggio

 

 

 

Parcheggio il pick-up nel vialetto davanti al garage della casa di Riccardo; le luci della sera sono ormai accese visto che l'estate è ancora distante e le giornate sembrano non volersi allungare. Spengo il motore accertandomi delle risposte dei miei amici tramite la chat di gruppo. Prendo la ventiquattro ore con una mano e nell'altra tengo le chiavi e lo zaino col cambio di vestiti, a fatica apro la portiera.

Appena scendo nel vialetto vedo la porta di casa aprirsi e Riccardo spunta dall'uscio, gli rivolgo un distratto cenno mentre mi chiudo la portiera alle spalle e mi incammino verso l'abitazione nel quartiere silenzioso.

«Puntuale come sempre, fratellino.» dice lui allargando le braccia a salutandomi con una pacca sulla spalla, mi lascia entrare e vengo subito accolto da un profumo che oserei dire essere un dolce.

«Abbiamo finito in orario. Non è ancora tempo di straordinari.» dico rivolgendomi al periodo dell'estate, essendo una redazione, molti di noi avranno i turni di ferie quindi ci sarà da lavorare il doppio.

«Lo so bene, anche da noi al ristorante ci sarà casino in quel periodo. Ho chiesto un po' di ferie a settembre. Spero di riuscire a rilassarmi dopo i mesi di fuoco.» dice Riccardo accompagnandomi attraverso l'ingresso a facendomi entrare nel grande salone, da una porta lontana sento i saluti di Daniela, sembra essere in cucina.

«Le cose procedono bene, mi pare di aver sentito ieri sera.» dico abbandonando la ventiquattro ore, lo zaino e il cellulare sul divano angolare che è messo al centro della stanza. La televisione è in modalità muta ma illumina gran parte della stanza con le sue immagini.

«Sì, il proprietario ha detto che è molto soddisfatto di me.» mi risponde lui. Si volta verso la porta della cucina e mi fa segno di aspettare dove mi trovo.

Scrollo le spalle e mi guardo intorno ritrovando alcuni quadri che Daniela ha fatto nel suo tempo libero, è una grande pittrice e noto differenze tra i colori: nel periodo antecedente alla gestazione i colori erano freddi, ma da quando è rimasta incinta e fino ad ora i colori sono più caldi e piacevoli per l'occhio.

“Tutto sembra andare bene ora che c'è Luca nella loro vita. Riccardo ha persino avuto la promozione e adesso è lo chef di uno dei ristoranti più rinomati della città!” mi ritrovo a pensare mentre mi avvicino a quadro più recente: il soggetto è proprio Riccardo mentre sta cucinando.

«Ciao, Valerio. Spero che la mia crostata ti piaccia. L'ho lasciata nel forno, sfornata poco fa.» dice la donna bionda, quando mi volto per salutarla vedo che indossa un elegante abito blu scuro trapuntato di strass.

“Che eleganza!” penso ammaliato dalla sua bellezza, si avvicina a me salutandomi con un bacio sulla guancia. «E ancora grazie per averci dato questa serata. Ti prego solo di fare attenzione. Se vi serve qualcosa, i numeri di emergenza sono in cucina.» dice salutandomi ancora una volta e spostandosi verso l'ingresso dell'abitazione.

Dall'ingresso vedo Riccardo che indossa la sua giacca nera e cerca di sistemarsi la cravatta da solo, gli faccio l'incontro e allungo le mani per dargli una mano, lui mi rivolge un sorriso mentre mi lascia fare.

«Ho allegato il volantino della pizzeria più buona e vicina del quartiere. Bevete e divertitevi tanto, e salutami Alice.» dice lui spostandosi via da me.

«Lo farò.» mi limito a dire, ma i due sposi sono già fuori dalla porta e mi ritrovo da solo a fissare l'orologio vicino al soffitto che indica le sette in punto.

Mi avvicino al divano e mi butto sopra di esso stirandomi sui morbidi cuscini di pelle, tolgo le scarpe e resto qualche minuto a fissare il vuoto del tetto. “Mi sento parecchio stanco. Non vedo l'ora che arrivi domenica.” dico pensando al giorno di riposo e pensando a cosa potrei fare per tenermi impegnato, magari un giro con il gruppetto.

Per sicurezza punto la sveglia nel caso in cui dovessi addormentarmi sul divano ma ciò non accade, resto accucciato indossando ancora gli abiti da lavoro, poi decido di togliermi camicia e pantalone per indossare qualcosa di più comodo, tra cui le mie morbide ciabatte.

Rifletto ancora sul messaggio di stamattina da parte di Michele e mi chiedo perché mi abbia scritto, i miei pensieri vengono interrotti dal suono del campanello e sento le voci dei miei amici. Guardo l'orologio e vedo che sono le otto passate. Mi alzo di scatto correndo verso l'ingresso e apro la porta così da trovarmeli davanti.

«È qui la festa?» chiede un esuberante Rob che entra per primo all'interno della casa, subito dietro di lui ci sono Alice, Massimiliano ed Emilia che mi salutano in maniera più contenuta ed entrano lentamente sistemandosi nel salone.

«Dov'è tuo nipote?» chiede la ragazza che è entrata per ultima, indossa una abito molto semplice che esalta il suo fisico sfilato e slanciato e una sciarpa nera le contorna il collo e scende fino alla vita.

Quando trova l'infante nella culla le si illuminano gli occhi chiari e si muove verso di lui, prima di prenderlo in braccio prendendo uno degli elastici che indossa al polso e lo usa per farsi una treccia ai capelli rossicci in modo che non la disturbino mentre gioca con Luca.

Mentre e io e gli altri tre ci manteniamo sui toni castani e su una tonalità chiara di pelle, lei è l'unica ad avere capelli brillanti e un colorito caldo.

«Ecco, l'abbiamo persa! Dov'è il numero della pizzeria? Chiamiamo subito così non ci fanno aspettare troppo.» dice Rob passandomi davanti un'altra volta, si ferma e si avvicina a me allungandomi affettuosamente una mano tra i capelli scombinandoli e guardandomi con i suoi occhi verdi.

Rob è il più tonico del nostro gruppo, ho un chiaro ricordo di lui il primo giorno di scuola quando ci siamo seduti nel banco insieme: era mingherlino e solo dopo aveva cominciato la palestra, ogni giorno dopo la scuola stava due ore ad allenarsi e la sera studiavamo insieme; ho perso il conto delle volte in cui ha dormito da me o viceversa.

«Riccardo ha lasciato il numero sul banco in cucina. Chiama tu, ormai sai che pizza prendo io.» gli dico e lui senza problemi annuisce spostandosi da una stanza all'altra mentre io mi sposto da sotto l'arcata del salotto.

Seguendo Massimiliano alle spalle, mi rendo conto che porta con sé uno zaino nel quale sono certo che tenga le sue robe tecnologiche; tra queste vi è il suo computer e qualche console portatile per ogni evenienza. Ci sono anche i manuali di “Draghi e Cavalieri” per orchestrare giochi di ruolo con i dadi al quale più volte ho partecipato.

Si mette inginocchio vicino la presa della televisione e vi collega il computer: in pochi secondi crea una postazione da tecnico che farebbe invidia a quella che Rob usa in camera sua per registrare e pubblicare video.

«Ho dimenticato il cd che mi avevi chiesto; stamattina sono uscito di corsa. Se vuoi te lo posso portare domani.» gli dico ricordandomi solo adesso che durante la notte mi aveva inviato il messaggio. Massimiliano mi rivolge uno sguardo dal basso e scrolla le spalle.

«Tranquillo, Valerio. Non mi serve subito. Va benissimo anche domani allora.» dice tranquillamente. «Ho portato la chiavetta con almeno dieci film dal quale potremo scegliere. Suggerirei qualcosa di pesante fin da subito così ci scaldiamo per bene!» dice ridacchiando.

Lancio un'occhiata alle mie spalle: Emilia gioca con Luca, Rob è al telefono in cucina e Alice è seduta sul divano. «Vada per la roba pesante.» dico dandogli una pacca sulla spalla e lasciando la mano scivolare via.

A questo punto non mi resta che salutare Alice: la ragazza indossa una maglietta con un buffo unicorno sopra, fatto in stile cartoon e un jeans sgualcito. Quando si accorge che mi sto avvicinando si alza per abbracciarmi e io ricambio volentieri con affetto.

Lei è sempre stata quella più affettuosa tra noi due, essendo una ragazza le viene più spontaneo. «Com'è andata in ufficio?» chiede lei, tuttavia dal modo in cui me lo dice sembra quasi lasciare intendere che voglia chiedermi altro. Ormai la conosco da troppo tempo!

«Al solito, nulla di nuovo e tutto vecchio. Tu invece? Qualche omicida si è dimostrato pentito?» chiedo riferendomi al suo lavoro di tirocinio presso lo studio di un avvocato in centro.

Alice sbuffa e alza gli occhi in aria, esasperata. «Tutti i giorni leggo di persone che pretendono cose che non si meriterebbero. Eppure immagino che prima o poi mi capiterà di fare da avvocato per qualcuno che abbia davvero commesso un reato.» dice lei.

«Spero di non dover essere io.» dico sottovoce e lei ridacchia insieme a me, tuttavia ritorniamo ad essere seri pochi istanti dopo. «C'è altro che devi dirmi?» chiedo.

Lei annuisce in un primo momento senza dire nulla. «Ieri sera ero con Rob in giro. Abbiamo incontrato Michele. Ci ha chiesto di te, se stavi bene e ti saluta.» dice Alice con un tono di voce vago. Sento il sangue gelarsi nelle vene.

Nessuno dei miei amici è mai stato a conoscenza di quello che ci fosse tra me e Michele, nessuno ne aveva la certezza, almeno. L'unica però ad aver sempre dimostrato di sapere era proprio Alice che mi parlava tramite doppi sensi che io coglievo benissimo.

“Non sono stati pochi i problemi tra me e Michele e tutto quello che ha portato alla rottura del nostro rapporto.” penso in un momento di riflessione.

«Ci siamo limitati a dire che stai bene. Poi ce ne siamo andati. Sembrava tranquillo, ma in realtà è chiaro che pensa ancora alla vostra amicizia.» dice lei. I miei occhi si spostano alle sue spalle dove vedo Rob che ha finito di fare l'ordinazione al telefono.

“E se lo sapessero? L'hanno sempre saputo, probabilmente. Ma allora che senso avrebbe confermarlo? Stiamo bene così, quindi perché rovinare la nostra tranquillità?” penso ancora, deglutisco e ritorno con gli occhi sulla mia migliore amica.

«Michele non è l'amico che credevo. Stamattina mi ha anche scritto. Pochi messaggi per sapere come stavo. Gli ho risposto ma non intendo avere a che fare con i suoi disagi!» rispondo con freddezza.

Alice percepisce l'astio nella mia voce e annuisce. «Michele sembrava una brava persona. Forse potresti dargli una seconda possibilità...» dice lei. «Ma la scelta è solo tua, sono la tua migliore amica e farò sempre quello che ti farà stare bene.» continua lei poggiandomi le mani sulle spalle. Mi dà un bacio sulla guancia e si volta per andare a giocare anche lei con Luca.

“Se sapesse quello che mi ha fatto... forse non lo difenderebbe in questo modo.” penso arricciando le labbra per la punta di amaro che mi sale in bocca.

Al suo posto compare Rob che si butta sul divano in attesa che il film scelto da Massimiliano sia pronto; mi metto seduto al suo fianco accavallando la gamba sul ginocchio, lui passa la mano sulla mia spalla e mi da una pacca.

«Alice mi ha già detto che avete incontrato Michele, sto bene. Tranquillo.» dico sforzandomi di essere il più naturale possibile, il ragazzo però mi guarda come se non sapesse di cosa stia parlando.

«Non volevo mica parlare di lui.» dice. La cosa mi fa sentire piuttosto bene. «Ho ordinato le pizze. Mi hanno detto che ci vuole un'oretta. Ad ogni modo, oggi ho caricato un nuovo video.»

Annuisco più volte. «Mi è arrivata la notifica. Non ho avuto tempo di vederlo fino all'uscita dal lavoro. Ho visto che aveva già un sacco di visualizzazioni. La tua pagina sta andando bene!» gli dico emozionato.

Lui ridacchia e annuisce. Roberto ha aperto una propria pagina che manda avanti già da qualche anno: fa video su ogni cosa; recensioni, parodie, gameplay e un sacco di altra roba. Poi ci sono anche i video-diario dove siamo presenti anche noi amici.

«Già. E presto arriverò ad un milione di iscritti. Ma ci pensi!? Non vedo l'ora! » dice lui emozionato, l'ultima volta che ho controllato mancavano ancora alcune centinaia di persone, ma è un numeroso infinitamente piccolo se messo a confronto.

Non ho il tempo di replicare che Massimiliano lascia la sua postazione, il pc è collegato alla televisione che si trova nell'angolo e si muove dall'altro lato della stanza per spegnere la luce. Il salotto entra in ombra del tutto quando Alice si avvicina alla finestra e tira le tende.

«Emilia, tu non vieni?» chiede Rob alla rossa che sta ancora giocando insieme al piccolo Luca.

«Il primo film lo passo. È l'ora della pappa per questo bel bimbo. Andiamo in cucina e vediamo cosa ti ha lasciato la mamma di buono da mangiare!» risponde la ragazza scomparendo oltre la porta e chiudendosela alle spalle, il soggiorno ritorna nel buio così da permettere a Massimiliano e Alice di prendere posizione.

Il primo si siede per terra, accanto al mio ginocchio e poggia la schiena contro la parte inferiore del divano mentre Alice si siede dal lato opposto, alla destra di Roberto. Il film comincia a la stanza cade nel silenzio.

Le prime fasi del film sono abbastanza noiose in realtà, un assassino che intrappola degli studenti in una grande scuola e li uccide uno alla volta, in un primo momento si pensa che sia tutto un grande scherzo per la festività di Halloween, ma solo verso metà film si scopre che in realtà c'è un pazzo che li vuole massacrare.

Nel momento di massima tensione sentiamo il campanello suonare e qualcuno che bussa alla porta. Alice si scatena in un urlo acuto, Massimiliano scatta in piedi mentre io sobbalzo leggermente, la mia reazione però fa spaventare Rob che si era praticamente addormentato a inizio film.

«Accidenti a voi!» dice Rob lamentandosi del fatto che è stato svegliato. «Sono le pizze?» chiede ancora.

Alice scoppia a ridere compulsivamente mentre Emilia esce dalla cucina guardandoci come se fossimo impazziti e chiedendo cosa fosse successo; Massimiliano si rilassa e crolla nuovamente per terra seduto.

«Niente, ci siamo solo presi un colpo!» rispondo alla ragazza mentre mi sposto verso la porta d'ingresso col portafoglio che ho tirato fuori dalla mia valigetta.

Prima di aprire la porta accedo la luce della stanza e quella dell'ingresso, la luce è talmente forte che mi dà fastidio ma mi abituo presto. Lascio i soldi con la mancia al ragazzo delle consegne che mi saluta, credo che andasse alle medie con me nella stessa scuola.

«Finalmente la pizza! Sto morendo di fame!» commenta Massimiliano sbattendo le mani e pregustando già la propria pizza. Alice si alza al mio segnale e va a prendere coltelli e forchette per organizzarci nel salotto.

Emilia le dà una mano prendendo i bicchieri, tovaglioli e qualcosa da bere durante il film. «Amico, lasciatelo dire: questo film fa pena! Mi hai molto deluso.» dice Rob amareggiato e Massimiliano mostra il suo disappunto.

«Non te la prendere, Max ma Rob ha ragione anche se stava cominciando a farsi interessante.» dico aprendo i cartoni delle pizze, un odore di salsa e svariati altri profumi investono il mio olfatto facendomi subito salire l'appetito che prima non avevo.

«Tu, piuttosto, come ti sei potuto addormentare ai primi dieci minuti del film eh? Sei proprio un nonnino!» accusa Massimiliano all'altro amico, scoppiamo tutti e tre in una risata e quando tornano le ragazze ci mettiamo a sedere tutti quanti con la luce accesa e il film in pausa.

«Max, hai da fare domani? Vorrei tanto andare al centro commerciale e visto che né Alice né Valerio sono liberi ti andrebbe di accompagnarmi?» chiede Emilia quando tra le varie chiacchiere arriviamo a fare un minuto di silenzio nel quale ognuno si concentra sulla propria pizza.

«Domani faccio la chiusura, lavorerò da pomeriggio fino a sera. Però se vuoi possiamo andarci nella mattina.» le risponde lui; socchiudo gli occhi come per scrutare meglio nei pensieri di Massimiliano.

Ho sempre avuto il dubbio che in qualche modo il ragazzo fosse attratto da Emilia, ed anche il presentimento che non glielo avesse mai detto. Massimiliano si accorge della mia occhiata e scrolla le spalle abbozzando un mezzo sorriso.

“Non me la racconta giusta.” penso tra me e me, tuttavia non ho mai avuto né la voglia né il coraggio di chiedergli cosa potesse provare. Nessuno dei miei amici mi ha mai fatto domande riguardo Michele e il rapporto che avevamo anche se era chiaro che fossimo più che amici.

«Fantastico. Coincide perfettamente col mio appuntamento dalla parrucchiera allora. Domani sera avrò una festa in famiglia, che palle!» dice la ragazza non molto emozionata all'idea.

«Cosa si festeggia?» chiede Alice seduta accanto a lei con un grosso pezzo di pizza tra le mani.

«Un qualche lontano cugino si sposa e quindi ritorna qui per festeggiare con la famiglia. Credo che per qualche giorno non ci sarò...» dice lei imbronciata, gli occhi chiari della ragazza cercano i miei e le faccio un sorriso.

«Non può essere così male. Noi riusciremo a sopravvivere a stento senza la tua presenza!» le dico sarcasticamente; al mio fianco, Roberto quasi sputa l'aranciata dalla bocca per le forti risate.

«Che schifo!» commenta Alice che si fa indietro per evitare il possibile getto.

Roberto si alza dal proprio posto facendo qualche passo intorno alla stanza, solo quando ha la certezza di essere salvo ritorna da noi con la sua solita compostezza. «Mi hai quasi fatto morire!» mi dice lui.

«Che colpa ne ho io!?» chiedo ridacchiando.

«E voi invece che programmi avete?» chiede Emilia rivolendosi sia a me che agli altri due.

«Farò un sacco di ricerche su quanto sia penalmente punibile un criminale che ha ammazzato una persona usando un disco di vimini.» risponde la ragazza.

«Non può essere successo veramente!» commenta Rob incredulo come tutti noi.

Alice si volta verso di lui alzando un sopracciglio e lanciandogli un'occhiataccia. «Domani ti mando la foto del fascicolo. Anch'io non ci potevo credere!» risponde.

«Io invece sarò a lavoro, come sempre. Siamo a metà settimana e quindi ci prepariamo per il week-end.» rispondo in maniera piuttosto annoiata e addentando ancora un altro pezzo di pizza.

«Non avete trovato ancora un sostituto? Cos'è che era successo con quell'altro assistente?» chiede Rob incuriosito, mi ricordo di non avergliene parlato molto bene ma evito di perdermi nei dettagli.

«Aveva fatto un grosso casino. Una parola tira l'altra e quasi si ammazzava con il direttore. E sì, stiamo ancora cercando il Secondo Assistente.» dico in risposta.

«Potrebbe essere buono per Emilia.» dice ancora Rob indicando la ragazza con il bicchiere di aranciata. Ritorna a sorseggiare la bevanda.

«Non per male, Emilia. Ma non credo che fare l'assistente in un ufficio sia la tua vocazione.» dico e lei sembra più che d'accordo con me.

Al mio fianco vedo Massimiliano lasciare l'ultimo pezzo di pizza e alzarsi per avvicinarsi nuovamente al computer. «Basta parlare di lavoro. Vogliamo continuare o cambiamo film?» chiede lui sviando l'argomento.

Tutti noi ci guardiamo negli occhi, Emilia un po' più confusa rispetto agli altri e infine ci voltiamo verso Massimiliano. «Cambia film! Cambia film! Cambia film!» urliamo tutti e quattro scoppiando in una risata generale.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Mirco

Capitolo Quattro

mercoledì 22 Maggio

 

 

 

Quando apro la porta di casa mi ritrovo in un ambiente che non direi mai essermi familiare: il corridoio è stretto e corto nel quale alla fine c'è una porta, altre quattro si trovano sul lato sinistro e in contrapposizione ci sono due finestre che si affacciano sull'intera altezza del quarto piano del palazzo nel quale abito.

«Chi è?» sento subito la voce di mia madre accogliermi, proviene dalla prima porta, la piccola cucina nel quale si trova una televisione vecchia e un tavolo abbastanza stretto nel quale quattro persone hanno sempre faticato a trovare posto per pranzare o cenare.

«Sono io mamma!» dico avvicinandomi allo stipite della porta, la guardo con occhi malinconici, ricordo che da bambino mia madre era una bella donna; adesso è solo un lontano ricordo di quello che era: smilza e con le spalle strette, vestita con abiti logori e vecchi, i capelli maltrattati e senza cure sono scuri ma pieni di fili argentei, i suoi occhi sono rivolti verso di me e sospira quando mi vede.

«Pensavo fosse tuo padre.» dice con delusione nella voce, le cose tra di loro non vanno bene e ormai faticano a sopportarsi. «Hai sentito Gabriella?» chiede riferendosi a mia sorella minore, scuoto il viso.

«Sono stato tutto il pomeriggio con Franz e con Giovanni. Non l'ho vista né sentita.» ammetto, lei mi guarda contrariata dal fatto che stia frequentando un tipo losco come Franz, in giro se ne sentono su di lui...

Tuttavia la donna non aggiunge parola. «Stasera esco. Vado fuori con Alessia.» le dico, non che sia una novità. È da molto ormai che non ceno a casa, credo che sia passato almeno un anno dall'ultima volta che mi sono seduto a cena con la mia famiglia.

«Mi raccomando, trattala bene!» dice lei con un nodo alla gola, mi si stringe anche a me e non riesco a risponderle. Scappo dalla cucina correndo verso camera mia che si trova due porte dopo, prima del bagno.

Gabriella non è in camera e quindi ha lasciato la porta di camera sua chiusa, quando passo ignoro il cartello che dice “Fuori da qui” e mi chiudo direttamente nella mia stanza, unico luogo dove posso avere pace in casa!

“Odio questa casa!” dico chiudendo la porta a chiave. Mi basta fare un passo per raggiungere il piccolo lettino che ho fin da quando sono bambino, le lenzuola sono ancora quelle di quando avevo dieci anni e raffigurano i miei supereroi preferiti, almeno da bambino era senza pensieri.

Ci sono pochi elementi nella stanza: un armadio con qualche cassetto alla base, poi un comodino che sta nell'angolo e una sedia con una scrivania messa male che copre metà della finestra.

Mi avvicino e prendo le cuffie indossandole, le collego al cellulare e avvio la playlist: il mio orecchio viene invaso da musica forte e riconosco il suono della batteria come qualcosa che riesce a quietarmi.

“Stava alludendo a papà? Non riesco più a sopportare questa situazione. Ormai è da anni che va avanti!” penso tra me e me, mi butto sul letto con lo sguardo rivolto verso l'alto e mettendo le mani dietro la testa.

Cerco di chiudere gli occhi per riposarmi ma non ho modo di riuscirci, più volte guardo l'orologio del cellulare che a distanza di cinque minuti mi indica che sono quasi le sette di sera. “Ho ancora tempo prima di andare a prendere Alessia...” rifletto tra me e me.

Sposto la mano al mio fianco e senza volerlo si sposta all'interno del jeans che indosso, infilo la mano sotto l'elastico degli slip e chiudo gli occhi ancora una volta; il tentativo però risulta inutile e decido di rinunciare dopo pochi minuti. “Che cazzo!” penso infine.

Getto via le cuffie strappando il jack dal cellulare e mi alzo di scatto aprendo nuovamente la porta di camera mia, mi infilo quindi in bagno e aziono il rubinetto della doccia, l'acqua comincia ad uscire fredda ma pian piano diventa tiepida. Mi tolgo i vestiti velocemente ed entro nella cabina cominciando ad insaponarmi il corpo aiutandomi con la spugna da bagno.

Non ci sto molto, esco e prendo l'asciugamano che uso per coprirmi dalla vita in giù, in quel preciso istante sento dei passi che si avvicinano e la porta di apre lasciando che il vapore esca dalla stanza: una ventata di aria fredda entra insieme ad una ragazza dai capelli castani e i miei stessi occhi azzurri. «Ah... sei tu.» dice Gabriella.

«Dovresti bussare alla porta. Anche la privacy ormai ha lasciato questa casa!?» chiedo piuttosto innervosito, lei sbuffa in aria e incrocia le braccia al petto.

Gabriella è molto simile a me, ha una corporatura ben definita ma è più bassa, capelli lunghi che le arrivano fino a metà schiena e lo sguardo arrabbiato; chiunque entra in questa casa non può che avere quello sguardo vista la pesante situazione tra i miei genitori.

«Stai uscendo?» chiede lei ignorando il mio tentativo di cacciarla via, col pettine cerco di sistemare i capelli e sciogliere i nodi che si sono creati arrivando quasi a strapparli, poi gli do un'asciugata veloce.

«Sei seria?» chiedo sarcasticamente. Lei sbuffa ancora una volta. “So che vorrebbe che restassi anch'io a cena, per lei sarebbe più facile da sopportare la tensione e il silenzio tra i nostri genitori!”

«Mi chiedo se riuscirai mai ad affrontare la cosa, Mirco. Di certo le cose non cambieranno se fai così!» cerca di convincermi lei, ma i suoi tentativi falliscono sempre.

«Niente da fare, Gabriella. Alessia mi aspetta e sinceramente non ho voglia di parlare ancora di questa storia.» dico, la ragazza appare ferita ma stringe i denti e non lo esterna, proprio come me.

«Come vuoi.» dice uscendo.

Sospiro pesantemente e mi guardo allo specchio. “Non ho voglia neanche di dire loro che ho trovato lavoro. Riuscirebbero a rovinare anche questo, in qualche modo. Così come hanno fatto col loro matrimonio e la nostra vita.” penso tra me e me.

Corro ancora in camera mia ma nel farlo vengo incrociato da nostra madre. La sua camminata è lenta e molle, è chiaro che le sia caduto il mondo addosso: tuttavia non riesce a reagire, fortunatamente io e Gabriella abbiamo ereditato la forza di nostro padre e teniamo insieme la casa.

La donna scompare in bagno e io mi chiudo ancora una volta nel mio santuario: resto in silenzio ascoltando la voce di mia sorella nella stanza accanto, credo stia parlando con un'amica e si stia sfogando: stringo il pugno e mi siedo sul letto di botto.

“Vorrei aiutarla, ma non sono in grado di farle forza. Deve riuscire a trovare la sua ispirazione da sola.”

Mi vesto velocemente indossando il jeans e una felpa non troppo pesante che mi sta leggermente larga, mi metto un paio di scarpe da ginnastica e mi assicuro che portafogli e cellulare siano nelle tasche, dopo di ché esco dalla stanza.

La casa improvvisamente sembra essere vuota, con mia sorella chiusa in camera e mia madre che ha spento la televisione sembra che sia l'unico ad abitarla. Le saluto entrambe quando sono davanti all'ingresso ed esco di fretta usando le scale che si trovano alla destra del pianerottolo per non incrociare mio padre.

Probabilmente ha già finito dal bar e quindi sta per tornare a casa. “Già... finito di bere ore ed ore, al bar!” penso tristemente, è solo un miracolo se continuiamo ad avere una casa, ma ogni tre giorni mio padre riesce a tirare fuori qualche banconota col quale io o mia sorella andiamo poi a fare la spesa o paghiamo l'affitto.

Quando arrivo al piano terra mi assicuro che non ci sia nessuno ed esco dalla porta sul retro che si affaccia direttamente sul parcheggio dove ho messo la mia auto che fino ad un anno fa era di mio padre, ma da quando ha perso il lavoro a lui non è servita più.

Salgo sull'auto tenendo la radio spenta, non ho voglia di musica adesso, inoltre mi basterà sentire la voce di Alessia per stare meglio. Mi dirigo quindi verso la sua casa che si trova lontana dal centro.

Le vie della città assumono sfumature diverse quando la notte scende e porta via ogni luce, non mi è mai piaciuto il modo in cui questa città perdesse la propria luce: ogni angolo, ogni strada, diventano più oscuri, talmente tanto da farmi sentire un bambino impaurito.

Forse perché da piccolo avevo paura del buio, forse perché avevo paura del mostro nell'armadio. Crescendo ho superato le mie paure, ma il disagio è rimasto; senza rendermene conto mi trovo già parcheggiato nel vialetto della grande ed elegante casa di Alessia, mando un veloce messaggio alla ragazza e aspetto altri venti minuti prima che sia fuori dalla porta di casa.

Dal finestrino osservo la sua camminata sicura, Alessia indossa jeans attillati e stivali bianchi abbinati con l'elegante camicia bianca e la sciarpa grigia che fa risaltare i suoi brillanti occhi chiari. Noto subito che ha legato i capelli in una coda, solitamente lo fa quando non ha in programma nulla di serio o esce di fretta.

«Ciao, amore.» dice lei salutandomi per prima, sale sull'auto e si accomoda sul sedile, si sporge verso di me per baciarmi sulle labbra e ricambio. «Come va?» chiede.

Annuisco più volte, mi basta vederla per capire che le è successo qualcosa di bello e quindi che vuole parlarmene, evito di dirle che non sto bene. «Apposto. Te? Sembri emozionata per qualcosa.» le dico rimettendomi sulla carreggiata e sfrecciando per le strade.

Lei fa un largo sorriso e annuisce. «Più che emozionata direi che sto godendo: hai presente la stronza di cui ti parlavo ieri? Quella che mi ha soffiato l'ultimo paio di scarpe della mia misura?» dice lei, la mia mente viaggia alla ricerca del suo racconto, non riesco neanche a ricordare quello di cui mi ha parlato ma annuisco debolmente.

«Ti sei vendicata?» chiedo.

«Quasi. Ho scoperto tramite il profilo di una mia amica che la stronza ha preso uno strappo alla caviglia perché aveva preso una misura troppo piccola ed è scivolata. Voleva rubarmi le scarpe ed ha avuto quel che si meritava.» dice soddisfatta in qualche modo di aver maledetto il paio di scarpe in questione, le faccio un mezzo sorriso e la guardo di traverso, non sono molto interessato ma fingo di esserlo.

«Brava, amore. Sei sempre la migliore.» dico con un tono distaccato, lei se ne accorge, o forse no. Non dice nulla in merito e non fa domande, si limita a continuare a parlare del suo pomeriggio con Eva.

Quando entriamo nuovamente nella città, Alessia finisce il suo racconto sul pomeriggio avventuroso al centro commerciale. Mi limito a sorridere con disattenzione e lei finalmente se n'è accorge.

«In ansia per domani? Vedrai che andrà bene.» mi dice cercando di sollevarmi l'umore, allunga il braccio così da stringermi la mano che tiene il cambio con la sua e ricambio con la stessa dolcezza.

«Un po'. Spero che vada bene.» dico sottovoce mentre mi avvicino al parcheggio della tavola calda dove lavora Lily, anche se ci sono stato a pranzo è sempre bello mangiare lì, la ragazza però non è in turno.

«Ti ho preso un paio di camice e dei pantaloni eleganti con delle scarpe. Li puoi prendere quando mi riaccompagni a casa.» risponde la ragazza, freno l'auto e giro la chiave per spegnerla, scendiamo nello stesso momento e per farlo sono costretto ad interrompere il contatto con la sua mano.

“Alessia è così strana, certe volte sembra amarmi più di qualsiasi altra persona, più di sé stessa. Mi piace che si prenda cura di me.” penso allontanandomi dal parcheggio insieme alla ragazza ed entrando nella strada principale.

«Grazie, sei sempre incredibile.» le dico e lei quasi si atteggia, fa alcune smorfie per scherzare e mi riesce a strappare un sorriso. Poi, senza che glielo chieda, si avvicina a me stringendomi per il braccio accucciandosi.

«Devo viziare il mio cucciolo. E se poi mi tratta bene io sono ancora più felice.» dice lei, alza lo sguardo verso l'alto e incrocia i miei occhi, istintivamente le do un bacio sulle labbra e le sorrido.

Continuiamo in silenzio fino ad arrivare a “L'Angolo del panino”: per la cena c'è più confusione rispetto a quello stesso pomeriggio, tuttavia la cameriera di turno ci saluta e ci fa accomodare in un punto abbastanza comodo dal quale possiamo sentire la musica del jubox e stare tranquilli.

«E tu invece? Che cosa hai fatto oggi di bello?» dice lei prendendo la carta del menù e cominciando a leggerlo, non mi fa mancare la dovuta attenzione.

Io però vengo attirato dal suono del mio cellulare e lo tiro fuori dalla tasca vedendo le notifiche sul gruppo che ho con i miei amici.

 

°Franz:

Cavallo Pazzo fino alle 23. Dopo tutti alla Villa.

Pokerino? Chi avverte le ragazze?

 

°Leonardo:

Ci penso io. Ho già scritto a Lily. Mi pare

che Mirco fosse con Alessia. Ci raggiungi dopo?

°Mirco:

Non lo so ragazzi. Sono con Alessia.

Gliene parlo e vi faccio sapere dopo.

°Giovanni:

Io ci sto. Grazie a Mirco sono a buon punto

con lo studio, quindi consideratemi. Passo a

prendere Eva se per voi è un problema tornare

e poi ritornare.

 

Sto per scrivere il messaggio di risposta quando Alessia mi fa notare che la cameriera è venuta al nostro tavolo per l'ordinazione, decido di prendere il solito menù e so già che le patatine saranno incluse.

«Tutto ok? Ti sei spento!» mi fa notare la ragazza quando la cameriera si allontana dal tavolo.

«Sì, erano i ragazzi. Stanno organizzando un poker alla Villa. Ci saranno anche Lily ed Eva. A te va di andarci?» le chiedo sapendo che le piacerebbe; io però non mi sento per niente in vena visto che volevo passare una serata tranquilla con la mia fidanzata.

E quasi come se mi leggesse nella mente, Alessia mi risponde: «Mi piacerebbe, però a te non va? Possiamo starcene in macchina tranquilli e poi andarcene a dormire presto. Domani devi anche svegliarti per andare a lavoro. Non vorrai mica far tardi il primo giorno.»

Le sorrido e mi faccio bastare quella risposta. «Gli scrivo che non ci andiamo e poi sono tutto tuo, va bene?» le dico, lei annuisce con un largo sorriso e si mette comoda, anche lei riceve un messaggio e si appresta a rispondere digitando velocemente sulla tastiera.

«A casa come va?» chiede lei quando entrambi mettiamo da parte il cellulare e ci concentriamo su chi abbiamo di fronte; lascio la mano poggiata sul tavolo quasi senza vita, lei ne approfitta per stringerla dolcemente e con le unghia passa sulle dita provocandomi un brivido che arriva fino alla testa.

«Il solito: mia madre resta tutto il giorno davanti alla televisione, mio padre beve dalla mattina alla sera, mia sorella si sfoga e si arrabbia ma poi torna la solita. E io non ho per niente voglia di sopportare tutto questo.»

Alessia ascolta attentamente le mie parole osservandomi con i suoi occhi azzurri, non distoglie lo sguardo neanche quando le arriva un'altra notifica, una delle tante cose che mi piace di lei.

«Immagino non hai detto loro del lavoro, giusto?» chiede ancora e io annuisco in risposta. «Hai fatto bene. Tuo padre ne approfitterebbe. È un uomo rovinato, spero che tu non diventerai mai così!» dice, improvvisamente la Alessia che amo scompare ed esce fuori la virago mostruosa.

“Sa bene che non diventerò così. Che non voglio fare la sua stessa fine. E sa anche che la cosa mi ferisce.” penso, stringo i denti cercando di non dare a vedere la reazione negativa che ho avuto e annuisco ancora.

«Mio padre ha perso il lavoro un cinque anni fa. Lavorava nella polizia, ma non è stato l'alcol ad aver rovinato la sua vita.» dico riflettendo sul passato.

«Di cosa stai parlando?» chiede lei.

È l'unica a sapere quello che è successo nella mia famiglia, neanche con Lily mi sono confidato sull'intera storia. Il fatto che non capisca a cosa alludo, mi fa pensare che certe volte Alessia finge di ascoltare.

«Mia madre ha avuto un aborto prima di tutta questa storia. Questo l'ha distrutta e nel momento in cui aveva bisogno di un marito, lui non c'era perché stava scopando un'altra donna!» faccio una breve pausa e i miei occhi si perdono osservando il vuoto. «Quando lei gli ha detto di quell'aborto, lui ha cominciato a bere. Anziché sostenerla, visto che non l'amava più; e quando l'alcol ha preso posto anche sul lavoro, lo hanno licenziato.»

La ragazza abbassa lo sguardo, ma la vedo chiaramente in difficoltà visto che non sa quello che si passa in una situazione del genere: ha sempre vissuto nell'agio, con una coppia di genitori quasi perfetti, lontani anni luce dalla mia situazione familiare che, anche quando le cose andavano bene, in realtà non erano abbastanza. Mio padre infatti aveva cominciato la sua relazione con l'amante ben due anni prima.

E naturalmente, quando si è interamente dedicato all'alcol, anche quella donna lo ha abbandonato e non è rimasto altro che il vuoto nella sua vita.

«So che ti sembra che questo brutto momento non passerà, ma non può piovere per sempre. Giusto?» dice Alessia quasi con un tono innocente, sforzo ogni muscolo del mio viso per sforzarmi di sorriderle.

«Certo, amore.» dico infine.

La cena procede molto tranquillamente e ci soffermiamo qualche minuto ancora prima di pagare e uscire dalla tavola calda. Ritorniamo in macchina dove ci fermiamo a vedere alcuni video divertenti sul cellulare, senza accorgermene vedo che è già mezzanotte e che è giunto il momento che io la riaccompagni a casa.

«Una serata tranquilla, ogni tanto ci vuole.» dice Alessia quando ci ritroviamo fermi ad una decina di metri prima di casa sua per evitare che suo padre o sua madre possano affacciarsi dalla finestra per vederci “troppo vicini”.

«Già...» dico lasciando la frase a metà, ci guardiamo nuovamente negli occhi e mi avvicino di scatto verso di lei prendendole il viso con le mani e baciandola con foga.

In un primo momento la sento ritrarsi, ma poi anche lei si lascia andare alla passione e porta la sua mano sulla mia coscia accarezzandola dolcemente. È un attimo che sembra durare un tempo infinito quando poi si separa da me e sento ancora il sapore dolciastro del lucidalabbra.

«Buonanotte, tesoro.» dice lei aprendo la portiera, ma non prima di aver sistemato i propri capelli, senza volerlo glieli ho scombinati nella foga.

«Buonanotte, amore.» le rispondo salutandola, la guardo allontanarsi da me, pensando a quanto sia bella e a quanto mi ami; ma non posso neanche non pensare al fatto che in qualche modo non ci attraiamo più come prima.

Metto in moto e faccio retromarcia sistemandomi nuovamente sulla strada, avanzo di alcuni metri così da passare davanti casa di Alessia che sta per entrare dalla porta principale, una volta dentro posso finalmente andarmene verso casa tranquillo.

Accendo la radio che metto a tutto volume cominciando a cantare le note della canzone e le parole che seguono, me ne torno a casa sfrecciando sulle strade e nel velo della notte.






Angolo dell'Autore:
Buongiorno ancora una volta, miei cari lettori. Vogliate scusarmi per il disagio e la tempistica non ottimale delle mie pubblicazioni, ma il lavoro si prende tanto tempo e concentrarsi è difficile con questo terribile caldo. Vi sto scrivendo dal salotto di casa mia, e tipo devo andarmi a vestire per andare a ritirare la divisa da lavoro (storia lunga) Per farmi perdonare però ho deciso di pubblicare ben due capitoli. Chissà... magari sarebbe meglio pubblicarne due alla volta cosa da avere sia il POV di Valerio che quello di Mirco in un unica volta. E penso mi darebbe più "libertà di pubblicazione"
Ad ogni modo, spero che la lettura sia stata piacevole e scorrevole e priva di errori (rinnovo le scuse, in quel caso) e niente, colgo l'occasione per ringraziare i lettori e chi ha messo il Segue alla storia. Attendo i vostri commenti, alla prossima.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Valerio

Capitolo Cinque

giovedì 23 Maggio

 

 

 

Arrivo a lavoro al solito orario, sono le dieci in punto quando supero la rotante porta d'ingresso ritrovandomi nel grande atrio dal pavimento di marmo marrone e bianco, in un angolo lontano vedo una delle donne delle pulizie con i capelli raccolti e che solitamente vedo al nostro piano, le faccio un sorriso e la saluto da lontano quando le passo vicino, un profumo mi sfiora il naso e sono piacevolmente colpito dall'odore.

«Buongiorno, Valerio.» dice la ragazza del ricevimento che sta all'ingresso, i suoi capelli ricci e scuri contornano il viso dalla pelle color cioccolato, da quanto ne so sua madre è brasiliana, o forse suo padre. Fa un grande sorriso e la saluto con la mano in maniera rapida.

Solitamente mi fermo a scambiare quattro chiacchiere con lei, ma oggi sono piuttosto di corsa visto che la sveglia ha suonato ma io non l'ho sentita. Nonostante la mia puntualità sono ancora preso dalla velocità.

Uso le scale per non aspettare la lenta discesa dell'ascensore e arrivo al terzo piano della struttura, altre persone mi salutano mentre rischio di urtarle con la mia ventiquattro ore, ricambio senza dilungarmi e infine arrivo alla porta di servizio che permette l'ingresso nel piano dove lavoro. Quando la porta si chiude tiro un sospiro di sollievo.

La stanza è divisa da un lungo corridoio centrale, alcune pareti di vetro dividono le trenta postazioni dotate di scrivania, computer, scaffali e tutto il necessario per poi stampare e archiviare i documenti, articoli e tutto quello che, alla fine della giornata, compone il nostro giornale.

Mi muovo lungo il corridoio così da raggiungere la mia postazione che si trova alla fine della sala nel quale si trova un'altra porta di vetro il cui ingresso ha la forma di un arco, l'ufficio del direttore del giornale. Ci sono dei movimenti all'interno e capisco che ci sono delle persone che parlano, non mi fermo ad origliare però.

La mia scrivania si trova sulla sinistra, è la postazione del Primo Assistente, dall'altro lato invece c'è quella del Secondo, postazione che però è vuota da un po' ormai.

Lascio la ventiquattro ore sulla sedia e mi affretto ad accendere il computer, mi avvicino alla macchina del caffè e premo il tastierino per farmi un Espresso, una volta terminato prendo il bicchiere di plastica tra le mani e sorseggiando mi avvicino alle doppie porte di vetro dell'ufficio che si aprono a scorrimento.

Le voci che avevo sentito all'esterno appartengono a tre persone, due di loro di conosco ormai da molto: un uomo alto, dalla corporatura tonica e vestito di un completo grigio scuro con cravatta a righe azzurre, Corrado Cattaneo è il genere d'uomo che rappresenta la propria azienda nel dettaglio: impeccabile, preciso e di bell'aspetto per l'età che ha. I capelli brizzolati lo rendono affascinante e questo, miscelato alla sua sicurezza, ne crea una bella immagine.

L'altra donna lavora per il Signor Cattaneo da prima che arrivassi io; non so esattamente quando sia diventata la vicedirettrice, ma nessuno può negare che sia brava nel suo lavoro ed è molto gentile. Quando entro nella stanza è la prima ad accorgersi della mia presenza, Veronica Parisi è una grande lavoratrice, per non parlare della bellezza mozzafiato: alta, bionda e con penetranti occhi azzurri.

«Buongiorno, Valerio. Ti stavamo aspettando.» mi saluta il Signor Cattaneo quasi con distrazione, mi rivolge un sorriso che ricambio, tuttavia c'è qualcosa che mi distrae, o meglio, qualcuno: il ragazzo con cui i due adulti stavano parlando prima del mio ingresso.

Lo analizzo velocemente senza soffermarmi troppo: è giovane, probabilmente ha la mia stessa età, ha i capelli chiari e tendenti al biondo cenere, quasi rasati ai lati mentre nella parte superiore sono più lunghi e disordinati, noto subito gli occhi verdi e brillanti, l'espressione silenziosa, come se valutasse la situazione in ogni dettaglio.

Indossa un pantalone scuro come le scarpe da ufficio, una cintura intorno alla vita dentro il quale ha infilato la camicia bianca e sagomata che aderisce al fisico, intorno al collo stringe una cravatta bianca a righe color prugna. Ha un leggero rossore sotto il mento, segno che si è raso quella mattina prima di venire a lavoro.

«Ti presento il signor Mirco Romano,» continua il direttore del giornale presentandomi il ragazzo sconosciuto. «concorre per il ruolo di Secondo Assistente. Farà qualche giorno di prova, mi raccomando: tienilo d'occhio.» continua con voce tranquilla.

Io e il ragazzo ci scambiamo subito un'occhiata, allungo la mano per primo con non poca titubanza. «Piacere, Valerio.» dico cercando di apparire sicuro.

La sua espressione non cambia, rimane distaccato e indecifrabile, allunga il braccio in risposta e stringe la mia mano, la sua è sudaticcia e calda. «Mirco.» si limita a dire lasciandomi interdetto.

«C'è qualcosa che posso fare per lei, Signor Cattaneo?» chiedo una volta lasciata la mano del nuovo arrivato, l'uomo scuote il viso e senza aggiungere altro giro sui tacchi e mi allontano dall'ufficio andandomi a sistemare nella mia scrivania dove il pc è già in funzione.

“Ci servirebbe proprio un altro assistente. Ma questo tipo mi sembra parecchio strano!” mi ritrovo a pensare tra me e me, pochi minuti dopo le doppie porte di vetro si aprono e dall'ufficio esce Veronica Parisi che percorre il corridoio senza battere ciglio.

Subito dopo di lei segue il nuovo arrivato che fa il giro della scrivania sedendo nella postazione davanti la mia, lo vedo scomparire oltre lo schermo; arriccio le labbra quasi aspettandomi che si fermasse a parlare. “Un altro caso umano che non durerà molto!” giungo a conclusione.

Prima di abbassare lo sguardo sulla tastiera vedo che il direttore si affaccia dalla porta dell'ufficio e alza un pollice in su. Annuisco e comincio a lavorare.

Le prime ore di lavoro passano velocemente, alle undici in punto si tiene la prima riunione all'interno dell'ufficio del direttore e sono costretto a partecipare visto il mio ruolo come Primo Assistente; la riunione dura poco e dopo un'ora siamo liberi di tornare alle postazioni.

«Hai già visto il nuovo assistente? Non ha l'aspetto di uno affidabile.» commenta uno degli altri assistenti, mi giro verso di lui scrollando le spalle senza sapere cosa dire.

«Non l'ho ancora visto all'opera, Davide.» dico rivolgendomi all'assistente in questione, il ragazzo svanisce fuori dall'ufficio così come gli altri presenti.

Lascio i documenti sulla scrivania scavalcando il computer, mi giro verso la macchinetta con l'intento di prendere qualcosa di caldo, oltre al caffè ha a disposizione anche cialde per la cioccolata, non densa come piace a me ma almeno il sapore c'è.

Prendo una capsula e la inserisco nel compartimento aspettando a braccia incrociate, il destino vuole che la macchinetta si blocchi e nessun genere di liquido ne esca.

«Ovviamente!» dico sospirando e alzando gli occhi al cielo per l'esasperazione.

«Posso provare io?» chiede una voce alle mie spalle, sobbalzo per lo spavento e il ragazzo in questione se ne accorge: è il nuovo assistente. «Non volevo farti spaventare.» dice con tono pacato.

Rivolgo un'occhiata alla macchinetta e sposto lo sguardo su di lui lasciandogli carta bianca. «Si blocca spesso, il Signor Cattaneo però non vuole prenderne una nuova. Fosse per lui butterebbe via questo catorcio.» dico in risposta mentre il ragazzo analizza la macchinetta.

«Non gli posso dare torto, servirebbe un po' di manutenzione. Vediamo cosa riesco a fare...» dice in risposta parlando anche con sé stesso. Alza le maniche della camicia fino al gomito e questo mi lascia vedere un complicato tatuaggio che riempie l'avambraccio sia internamente che esternamente, credo siano più figure.

Armeggia qualche istante con i meccanismi della macchinetta e dopo qualche istante si riavvia lasciando che la cioccolata calda esca senza impedimenti.

Rimango piacevolmente stupito mentre asservo il ragazzo sistemarsi nuovamente le maniche della camicia così da nascondere i tatuaggi.

«Non c'è male.» commento prendendo la cioccolata tra le mani, è praticamente bollente, ma al momento sono infreddolito e quindi mi va bene. «Grazie.» dico.

Il ragazzo mi rivolge un'occhiata e abbozza un sorriso quasi forzato. «Prego.» dice mentre prende una capsula per il caffè e la inserisce all'interno della macchinetta. Vedo il suo sguardo vagare sull'orologio sopra le nostre teste. «La pausa pranzo come funziona qui?» chiede.

«Abbiamo la mensa, si trova al primo piano. Non è male, ogni giorno c'è un sacco di roba buona e ci sono dei tavoli dove sedersi. Abbiamo un accordo con una società quindi è tutto compreso nello stipendio. In zona ci sono anche tavole calde davvero ottime.» rispondo e segue un attimo di silenzio nel quale entrambi sorseggiamo la bevanda.

«Ho capito.» dice lui. «A dopo.» aggiunge con altrettanta freddezza, poi ritorna alla propria scrivania: anch'io mi limito a far il giro della postazione.

Prima di rimettermi a lavoro butto un'occhiata distratta al cellulare e vedo che i miei amici hanno scritto sulla chat di gruppo, non posso ancora rispondere quindi mi concentro sul lavoro finché l'ora di pranzo non arriva.

«Ehi voi due, vi unite al pranzo con noi?» chiede Davide avvicinandosi alle due scrivanie, sia io che il nuovo arrivato alziamo lo sguardo e ci soffermiamo sul ragazzo.

Solitamente durante l'inverno quando fa molto freddo, preferisco stare dentro la struttura così da mangiare nella mensa a disposizione. Nonostante siamo a fine maggio però il tempo è ancora parecchio fresco.

«Oggi ho lo spezzato. Posso lo stesso fermarmi con voi per pranzo?» chiede il nuovo arrivato rivolgendosi a Davide.

«Certo che sì. Valerio ti unisci a noi?» chiede il ragazzo che prima risponde al Secondo Assistente.

«Certo.» dico sistemando la mia postazione prima di abbandonarla. «Voi andare pure, vi raggiungo subito.» Davide non se lo fa ripetere due volte e si incammina, anche il nuovo arrivato si alza per andare ma tengo lo sguardo abbassato sulle mie cose quindi non ne vedo l'espressione.

Quando ho messo in ordine mi posso finalmente alzare dalla poltrona e cammino col cellulare in mano per rispondere ai messaggi che mi hanno inviato, si trattano principalmente di foto di Emilia e Max.

 

°Rob:

Vi state divertendo? Alla faccia di noi poveri.

 

°Emilia:

Ho comprato solo due maglioncini ancora.

Massimiliano non ha buon gusto. Valerio

ho bisogno di te! PS: Vi saluta.

°Valerio:

Mi spiace, il dovere chiama.

°Alice:

Vale, come procede la giornata? Qualcosa di

interessante? Solite vecchie noie?

 

Sono quasi tentato di scrivere del nuovo assistente, le mie dita però si fermano prima di toccare lo schermo, non sapendo di che cosa scrivere. “Nulla di nuovo” digito infine e chiamo l'ascensore premendo il pulsante.

Le porte si riaprono nella mensa, una grande stanza dalla forma allungata e che gira come una L prendendo così lo spazio di tutto il piano e della forma del palazzo. Esco dalla cabina avvicinandomi al bancone dove si trovano i vassoi e comincio a scorrere lungo gli altri banchi pieni di mangiare.

Una lunga fila di portate si susseguono e dall'altro lato ci sono i camerieri della compagnia col quale abbiamo la convenzione per la mensa. Sono vestiti di nero e bianco, la maggior parte di loro sono ragazzi mentre poche sono le donne. Un pensiero mi balza alla mente.

“È qui che ho conosciuto Michele. Ma quel giorno era un caso che si trovasse dall'altro lato del bancone visto che lavora in un supermercato.” e mentre lo dico sento lo stomaco intrecciarsi e la bile salire in gola.

Senza rendermi conto di quello che prendo riempio il vassoio con una porzione di pasta e come secondo prendo un'insalata ben assortita. Poi mi giro negli altri banchi per prendere le posate e per condire con olio e aceto.

Alzo lo sguardo sopra i banconi rivolgendomi ai vari tavoli con sedie che sono stati disposti nel resto della sala, la maggior parte sono occupati ma quello che attira la mia attenzione è il tavolo dove sono seduti il nuovo arrivato, Davide e un altro assistente.

Quando Davide incrocia il mio sguardo mi fa segno di avvicinarmi. Il ragazzo ha il tipico abbigliamento da ufficio e come me ha i tratti castani e scuri; mi fa un largo sorriso e rifletto sul primo incontro: ricordo che Davide mi metteva piuttosto a disagio con la sua spontaneità.

«Eccoti finalmente, Valerio.» dice Paolo, lo riconosco solo quando mi sono avvicinato visto che prima mi dava le spalle, gli faccio un cenno come saluto.

«Che si dice nel mondo dello sport?» chiedo sarcasticamente, prendendo posizione alla sinistra del nuovo arrivato che si trova a capotavola mentre Davide e Paolo si trovano davanti ai miei occhi.

Per un breve istante i tre ragazzi cominciano a parlare di calcio e di una qualche squadra che ha vinto il campionato, non essendo un tipo sportivo ascolto passivamente i loro discorsi annuendo di tanto in tanto.

«E comunque non hai ancora risposto, Mirco.» dice Paolo collegandosi ad un discorso iniziato prima che arrivassi io. Fingo di ascoltare mentre mangio dal mio piatto.

«Ho fatto diversi lavori, questa però è la prima volta che mi trovo a lavorare per un giornale. Potrebbe essere interessante.» risponde il ragazzo addentando un pezzo di pane e riempiendo il vassoio di briciole. «Diciamo che è un caso, se sono riuscito ad arrivare fin qui. Però penso di avere le giuste qualità che cerca il Signor Cattaneo.» continua con voce sicura e inflessibile, se provassi a studiare le sue emozioni, direi che in questo momento si sta vantando.

Il senso di fame viene appagato pezzo dopo pezzo sentendo il sapore della bile di prima svanire. Mi guardo intorno mentre gli altri continuano a parlare di lavoro e ad interrogare il nuovo arrivato, mi accorgo di aver dimenticato di prendere la bottiglietta d'acqua.

«Perso qualcosa?» chiede Davide con tono sarcastico, anche Paolo fa una mezza risata mentre il nuovo assistente sembra quasi completamente ignorarmi.

«Ho dimenticato di prendere l'acqua.» ammetto, sto per alzarmi quando Davide lo fa prima di me.

«Tranquillo, vado a prenderla io. Ho bisogno di un caffè per continuare la giornata.» dice lui, lo ringrazio e aspetto che ritorni, nel frattempo Paolo si concede qualche istante per controllare il cellulare lasciando al nuovo arrivato qualche attimo di tregua.

«Sono sempre così curiosi?» chiede il ragazzo, alzo lo sguardo dal vassoio preso di sorpresa in quanto non mi aspettavo che mi chiedesse qualcosa.

«In generale, sì.» rispondo sinceramente e scrollo le spalle come per rendere il tutto più “scherzoso”. «Sono cattivi ragazzi, e tu sei la novità del momento.» dico avvertendo uno strano senso di imbarazzo.

Incrocio il suo sguardo e noto che mi sta studiando: come se in qualche modo cercasse qualcosa che non riesce a vedere. «Ho come la sensazione di averti già incontrato. Sei di qui?» chiede riferendosi alla città.

Annuisco, in effetti, anche a me da la sensazione di averlo già visto, ma qualunque ricordo io visiti nella mia testa non trovo la sua immagine. «Anche a me sembri familiare. Che scuola hai frequentato?» chiedo, ma so già che non troverò risposta in quella domanda.

«Scuola statale. Tu invece?»

«Scuola privata. Sia per me che per mio fratello i nostri genitori ci hanno fatto andare nelle scuole “alte”.» dico chiedendo la parola con delle virgolette che disegno alzando le mani in aria. Lui ridacchia.

«Alte scuole? Quanto alte? Cinque, sei piani? Io abito al quarto, considera.» dice sarcasticamente, sto per rispondere quando capisco che ha appena fatto una battuta, e che è davvero triste.

Scoppia a ridere non appena vede la mia espressione mutare, io invece mi sento paralizzato e senza volerlo un sorriso mi compare tra le labbra. «Non intendo rispondere ad una cosa del genere!» dico fingendomi stizzito e questo provoca un'altra risata.

«E questo è solo l'inizio.» risponde lui, passano pochi secondi e ritorna serio, nel frattempo Davide ritorna con la mia bottiglietta d'acqua e il suo caffè e torna a sedere.

Pochi minuti dopo tutti noi abbiamo vuotato i nostri vassoi e la pausa pranzo è quasi terminata, prima di alzarsi, Davide si porta le mani davanti al viso stringendole e socchiudendo gli occhi in una muta preghiera: per noi altri è una cosa normale, mentre per il nuovo assistente sembra non essere una cosa tipica.

«Cosa sta facendo?» chiede. Il primo a rispondere è Paolo che si avvicina all'orecchio del nuovo arrivato quasi sussurrando per non farsi sentire.

«Prega; Davide è un tipo molto religioso. Quelli del tipo che vanno in chiesa tutte le domeniche e onorano tutte le sante feste.» l'assistente fa un'espressione divertita conclusiva, io però mi concentro sulla reazione del nuovo arrivato che sembra non apprezzare.

«Sono un marea di cazzate! Dio non esiste! E chiunque dica il contrario è un idiota che spera che le cose si risolvano misticamente senza far nulla.» dice infine provocando la reazione di Davide: il ragazzo appare ferito, come se gli avessero appena tirato una coltellata in pieno petto e l'espressione mutilata dall'orrore.

«Questo sarà forse il tuo punto di vista! Perché pensi che non esista?» chiede lui, mentre Paolo evita la discussione e quindi si alza per andarsene, io mi scambio un'occhiata rapida col nuovo arrivato.

«Fidati: Dio non aiuta i bisognosi, lasciatelo dire da chi vive ogni giorno situazioni poco piacevoli. Sembra quasi che si diverta a rendere la situazione più grave di quel che sia. Se c'è un dio, allora è malvagio!»

«Dio è grande e i suoi occhi vedono tutto e tutti, lui ascolta le nostre preghiere e solo perché non ci dà tutto quello che vorremmo non significa che non esista, Mirco.» dice Davide rispondendo ancora in maniera tranquilla, convinto della sua fede e delle sue idee.

Decido di intervenire io mettendo una fine alla discussione visto che è una scena che ho già vissuto con molte altre persone. «Ognuno è libero di credere in quello che vuole, Davide. Tu hai una forte fede in Dio; io vedo la religione in maniera diversa, più personalizzata se vogliamo definirla così. E c'è anche chi non crede nella sua esistenza come fa Mirco.» pronuncio il nome del nuovo arrivato in maniera quasi titubante.

Il mio intervento lascia Davide senza parole, ha l'espressione sbalordita, non riesce a credere che mi stia schierando contro di lui.

«Giusto, ognuno crede in quello che vuole a patto che gli altri non insultino ciò in cui credono gli altri.» mi risponde quasi scoccandomi un'occhiataccia, senza troppe parole ci saluta e si alza dal proprio posto spostandosi via.

«Grazie per aver preso le mie parti.» dice il nuovo arrivato con un tono quasi forzato, scrollo le spalle e anche noi due ci alziamo dal tavolo.

«Non ho preso le tue parti, semplicemente ho espresso la mia opinione al riguardo. Anch'io ho il mio modo di vedere Dio. Siamo liberi di credere in quello che vogliamo...» dico lasciando la frase in sospeso, ci scambiamo un'occhiata e quasi mi sembra strano parlare di religione con un altra persona, lo sguardo di Mirco mi mette a disagio.

«Interessante...» è l'ultima parola detta dal nuovo arrivato, faccio un mezzo sorriso ma senza fargliene accorgere ed entro nella cabina dell'ascensore.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Mirco

Capitolo Sei

giovedì 23 Maggio

 

 

 

Controllo l'orario dall'orologio che si trova appeso in alto sopra la porta di vetro dell'ufficio del direttore; la luce è molto più debole rispetto a qualche ora fa quando c'erano altre persone tra assistenti e capi redazione. La sera è ormai scesa visto che sono quasi le undici e finalmente il mio turno sta per finire.

“Fare lo spezzato non è poi così male come sembra. Ma almeno mi sono potuto riposare nel pomeriggio.” dico ripensando alla breve pausa di alcune ore.

Sono uscito dall'ufficio che erano le due passate, tra la pausa pranzo e il terminare quello che avevo lasciato incompleto; poi sono ritornato che erano circa le sette.

Al mio ritorno, ho subito notato l'assenza delle persone che avevo conosciuto durante il pranzo. Mi è sembrato molto strano che il Primo Assistente non restasse fino alla chiusura dell'ufficio e alla stesura finale del giornale, ma credo che il mio ruolo sia anche questo.

Ritorno a guardare il computer cercando qualcosa da fare, aspetto inutilmente che arrivi qualche altra e-mail e allora colgo l'occasione per guardarmi in giro: la scrivania del Primo Assistente davanti a me sembra essere stata lasciata in ordine dal ragazzo.

Guardo le altre postazioni quasi tutte spente, ne conto meno di una decina che sono ancora accese e immagino dipenda dai vari ruoli ricoperti. La sezione del giornale che parla di moda e gossip ha lasciato l'ufficio che erano le nove e avevano già consegnato tutto, ho sentito.

I miei pensieri vengono interrotti dal suono di notifica del cellulare, vedo che qualcuno ha scritto vari messaggi sul gruppo “I ragazzi del Vicoletto”.

“Ho proprio bisogno di un bel poker tra amici!” penso tra me e me e ancora una volta guardo l'orologio aspettandomi che la lancetta si sia mossa, ma non è stato così.

La porta dell'ufficio del Signor Cattaneo però si apre lo stesso istante in cui abbasso gli occhi e ne vedo fuori uscire il direttore che mi è stato presentato questa mattina dalla zia di Alessia; è stato grazie a Veronica che ho avuto una possibilità di entrare in un ufficio del genere.

In effetti, oltre il padre di Alessia, tutti gli altri membri della sua famiglia mi amano, sanno che sono un ragazzo con la testa sulle spalle e mi do da fare come posso.

«Giornata lunga eh?» mi chiede il Signor Cattaneo, dietro di lui esce anche Veronica, la bionda e sexy zia di Alessia mi fa l'occhiolino poi passa oltre salutando il proprio capo. Faccio un mezzo sorriso.

«Non così tanto, signore.» rispondo. «Sono abituato a ritmi più faticosi, ma devo dire che lavorare qui mi stimola più di molti altri posti. Usare la mente fa bene.» continuo cercando di scherzare un po'.

L'uomo dai capelli brizzolati fa una mezza risata, sembra davvero divertito. Poi vedo qualcosa comparire tra le sue mani e lo avvicina a me poggiandolo sulla scrivania.

«Questo qui è il menabò. È una piccola anteprima del giornale di domani, se vogliamo definirlo in questo modo. Solitamente lascio che sia Valerio, il Primo Assistente, ad occuparsene ma in questi giorni gli ho lasciato qualche sera libera così da dare spazio anche a te.» mi dice, prendo il giornale tra le mani e capisco benissimo cosa intende con “anteprima” del giornale.

Decine e decine di fogli si trovano impilati e legati tra di loro, incollati o tenuti fermi con graffette in modo da costruire quella che sembra la pagina di giornale del “Libero Pensiero”. Il titolo è assente, ma immagino che questo compito spetti alla tipografia.

«Devo consegnarlo in tipografia, deduco.» dico, è normale che uno dei due assistenti debba aspettare fino all'orario di chiusura per questo compito.

Se il menabò non arrivasse in tipografia, probabilmente il giorno seguente non ci sarebbe alcun giornale da far uscire e sarebbe una gravissima perdita di denaro.

«Precisamente. Non è molto distante da qui. È una grossa responsabilità e in generale sono piuttosto riluttante nell'affidarlo a qualcuno di cui non mi fido. Però Veronica ha messo una buonissima parola su di te e se si fida lei allora così farò io.» dice il Signor Cattaneo osservandomi con i suoi occhi scuri, abbasso ancora lo sguardo sul giornale.

Ha la mano ancora poggiata sul menabò, sull'anulare c'è un anello d'oro molto semplice con una riga d'argento; la fede matrimoniale dice che l'uomo è sposato da almeno venticinque anni ma ho subito notato dell'intesa tra lui e Veronica stamattina quando sono arrivato in ufficio.

«Conti pure su di me.» dico prendendo il menabò tra le mani e avvicinandolo a me; a quel punto spengo il computer e so di poter andare via.

«Ci vediamo domani allora.» dice il Signor Cattaneo, anziché andare via però rientra nel proprio ufficio, spegne la luce ma non lo vedo uscire.

Scrollo le spalle e prendo la mia roba assicurandomi di non lasciare nulla ma soprattutto di non dimenticarmi del giornale che mi è stato consegnato. Prendo l'ascensore e digito direttamente il tasto per il parcheggio dei dipendenti, prendo le chiavi della macchina e nel mentre controllo il cellulare per leggere le notifiche.

Per lo più si tratta di Leo che ha pubblicato link di una pornostar che ha deciso di far il giro di alcune città e la nostra è proprio tra quelle che ha deciso di visitare. Dai successivi messaggi mi pare di capire che sia un suo fan.

In un'altra chat Alessia mi dice che stasera sarà presente al poker di gruppo e viene con Eva che passa a prenderla. Gli ultimi messaggi invece sono da parte di Franz.

 

°Franz:

Ehi appena finisci di lavorare porta qui

il tuo culo. Abbiamo bisogno di un quarto

giocare e un bel poker tra amici ti farà bene.

°Mirco:

Ehi, sto salendo in macchina. Devo prima

passare dalla tipografia a lasciare il menabò.

Sono subito da voi.

°Franz:

Menabò? Che diavolo è?

°Mirco:

Lascia stare, non avevo capito neanche io

finché il direttore non mi ha spiegato che cazzo era!

 

Il successivo messaggio di Franz si limita ad essere composto da emoticon con la faccina che ride. Non ho bisogno di rispondere ulteriormente quindi mi infilo in macchina e accendo il quadro lasciando che l'auto si riscaldi un po' prima di lasciare il parcheggio.

Accendo la radio cercando canzoni che mi piacciano, più che il solito rock ho voglia di un po' di rap. Canticchio cercando di stare al passo della velocissima canzone le cui parole si susseguono una dopo l'altra, mi perdo solo alla fine della canzone quando finalmente arrivo in tipografia dove mi stanno già aspettando. Consegno il fascicolo all'operatore che sembra piuttosto annoiato di aspettare.

Entro nuovamente in auto e sfrecciò alla volta della Villa, muovendomi tra le vie notturne della città.

Passano più o meno dieci minuti quando mi metto il centro della città alle spalle ed entro nelle zone di periferia, passo anche davanti alla tavola calda dove lavora Lily che dovrebbe essere di riposo oggi per cui la troverò alla Villa. Qualche minuto più tardi sono hai margini della città dove si trovano i grandi palazzi di periferia e alcune vecchie villette ormai disabitate, tutte eccetto il nostro rifugio.

La Villa è il posto dove noi possiamo incontrarci senza dare fastidio a qualcuno, se mettiamo la musica troppo alta, nessuno ci fa problemi. Se urliamo o ci divertiamo troppo, non dobbiamo dare conto a nessuno, è il nostro angolo di paradiso e venire qui dopo una giornata di lavoro è liberatorio e mi fa sentire bene.

Supero il cancello che è stato lasciato aperto per permettere il mio ingresso; trovo la macchina sportiva e grigio metallizzato di Eva che è passata a prendere Alessia diverse ore prima. Poi c'è il vecchio catorcio di Franz; una piccola bicicletta rosso fiammante che appartiene a Leonardo, abitando qui vicino viene sempre senza l'auto.

Un motore nero con uno stampino bianco che recita il nome di Lily si trova parcheggiato accanto ad un'auto nuova di zecca che appartiene a Giovanni e altre due macchine. “Ci sarà un bordello di gente!” commento sarcasticamente.

Scendo dall'auto ricordandomi all'ultimo minuto che sono vestito ancora da ufficio e che probabilmente tutti i presenti mi prenderanno in giro; mi limito al togliermi la cravatta dal collo e la abbandono in auto prima di entrare nella Villa le cui mura si perdono con l'oscurità intorno ad essa.

«È qui la festa!?» chiedo entrando all'interno del largo salotto pieno di divani, poltrone e un tavolo col piede traballante, saluto i presenti con la mano e cerco subito con lo sguardo dove si trova Alessia.

Lei ed Eva sono sedute su uno dei divani insieme a Melissa e Aurora, stanno leggendo una rivista e ridono tra di loro mentre Alessia si sta passando lo smalto rosso sulle unghie. Quando entro, tutte e quattro le ragazze alzano lo sguardo e Alessia, da che era coricata comodamente sul divano, si alza appena richiedendo il mio saluto.

Mi avvicino e la bacio in bocca.

«Ciao amore.» mi saluta lei. «Com'è andata?» chiede mentre saluto anche le altre che mettono da parte la rivista, solo Eva si avvicina a me e poggia una mano sul mio petto.

«Bene, mi aspettavo di peggio.» mi limito a dire con un tono allegro, mi allontano dal primo gruppo.

Mi sposto lungo il salotto avvicinandomi al tavolo con piede traballante, oltre di esso e vicino allo stereo musicale si trova Leonardo con Oscar e Armando: il ragazzo dai capelli rossicci si volta appena e si alza di scatto quando mi vede avvicinare, chiude i pugni mentre alza le braccia come per mettersi in posa da combattimento; anch'io imito il suo gesto e ci salutiamo sferrandoci qualche pugno senza forza.

«Che cazzo ti hanno messo addosso?» chiede Leo ridendo per la camicia e il pantalone, lui è vestito con un semplice jeans e una maglietta a maniche corte, nonostante sia fine maggio fa ancora fresco durante la sera e specialmente alla Villa visto che è in periferia.

Ma so benissimo che Leonardo sembra non avvertire il freddo come fanno le persone normali. «Sta zitto!» dico, saluto gli altri ragazzi e gli do le spalle lasciando che armeggino ancora con lo stereo, la musica che suona è uno degli ultimi pezzi di un qualche cantante che però non seguo.

Attorno al tavolo rotondo poco più distante e al centro della cucina ci sono gli altri: Franz indossa sempre la giacca di pelle nera e mi fa l'occhiolino quando mi avvicino, resta serio e scruta attentamente la carte che ha in mano. Alla sua destra si trova seduta Lily, la mia migliore amica mi fa un sorriso non appena mi vede e si alza abbandonando la partita e le carte sul tavolo.

«Ehi fustacchione! Stai benissimo vestito così. Quasi quasi ti salterei addosso.» dice mettendomi le mani sulle spalle e si volta verso Alessia nell'attesa di una reazione.

La mia ragazza però non sembra intenzionata a rispondere, o forse non ha sentito. «L'idea quasi mi alletta...» dico scherzando un po' con la ragazza, lei mi risponde con una pernacchia e poi ritorna seduta.

Faccio il giro del tavolo passando dietro di lei, allungo il braccio per scambiare un saluto con Franz e poi continuo trovando Giovanni: come me anche lui ha tratti molto chiari ma tendenti comunque al castano, si alza per salutarmi ma non arriva neanche alle mie spalle, ricambio il saluto che mi fa e alzo lo sguardo sui due ragazzi restanti, si chiamano entrambi Matteo, che noi distinguiamo chiamando “Matty” e “Teo” così da non confonderli. Da poco tempo hanno fatto un anno di fidanzamento... sono i gay del gruppo.

«Siediti. Abbiamo appena iniziato!» dice Giovanni invitandomi al posto libero davanti Franz. Il ragazzo con la giacca di pelle sembra non essere d'accordo.

«Cazzate! Prima finiamo la partita. Ho praticamente vinto. Al prossimo giro potrete pagare con quello che indossate!» dice lui mentre il giro di carte va avanti, seguo comunque l'invito di Giovanni e mi siedo osservando il gioco; la prima a cedere è Lily.

«Io non intendo rischiare ancora. Passo la mano.» dice la ragazza gettando le due carte sul tavolo e tenendole coperte in modo che gli altri non possano vederle. I suoi occhi castani si poggiano poi su di me. «Allora? Ci vuoi parlare del tuo nuovo lavoro? Che cos'è questa figata?» chiede riferendosi ancora una volta al mio vestiario.

Franz alza lo sguardo verso di me come per seguire il discorso mentre continua a giocare facendo attenzione alle mosse di Giovanni. Sto per parlare quando vedo una birra comparire da sopra la mia spalle e vedo che si tratta di Leonardo.

«Lavoro in una redazione. Un giornale. Un bell'ufficio con una bella scrivania. Il mio boss sembrava soddisfatto del mio lavoro, al primo giorno mi ha già affidato il menabò che è una grossa responsabilità.» dico senza dilungarmi troppo nei dettagli, non voglio dire loro che è anche grazie alla zia di Alessia se sono riuscito ad ottenere il posto.

«Menabò?» chiede Leonardo, stavolta non sono io a risponde ma Giovanni che è quello più intelligente tra tutti noi essendo uno studente di medicina. Anche Eva interviene da lontano restando seduta.

«So che a settembre la mia università organizzerà uno stage per collaborare con alcuni giornali in cui vi è anche una sezione per la moda. Potremmo essere colleghi ben presto.» dice la ragazza bionda continuando a farsi le unghie, annuisco distrattamente, non commento il fatto che l'università in questione sia di stilismo e moda e nel “Libero Pensiero” c'è solo una piccola sezione.

«E dicci un po': i colleghi come sono? Qualche bella figa per me?» chiede Franz ridacchiando mentre mescola le carte e le lancia ai giocatori tra cui io, alle sue spalle Teo gli porge un piatto con un toast sopra.

Rifletto qualche istante per far affiorare i ricordi della mattina e del pomeriggio: non ho avuto modo di conoscere molte persone però durante la pausa pranzo mi sono seduto con gli altri assistenti, tutti maschi purtroppo.

«Qualche tipa in giro c'è. Per lo più oggi ho conosciuto il Primo Assistente e altri galoppini. Sembrano tutti delle fighette!» dico sarcasticamente, la cosa fa scoppiare a ridere Leonardo mentre Franz fa un mezzo sorriso. Giovanni e Lily annuiscono senza proferire parola

«Fighette? Cioè?» chiede Leonardo in un attimo in cui si riprende dalla risate, nel frattempo lo vedo armeggiare con qualcosa tra le mani e riconosco il rullare della cartina per farsi una sigaretta.

«Sembrano tutti dei leccaculo. Il Primo Assistente forse si salva.» rispondo ancora una volta, le mie parole echeggiano nella mente come se fosse un eco: è stato lui a mettere un punto all'inizio di una lunga discussione con Davide.

“Credere in Dio... non ha portato nulla alla mia famiglia, anzi, ci ha portato un aborto, mio padre che si scopa un'altra donna e che dopo tutto perde il lavoro. Mia madre depressa, io e mia sorella che mandiamo avanti la famiglia” penso stringendo le due carte tra le mani, lancio un'occhiata sulle figure che ci sono rappresentate, la prima mano è contro me.

«Non ci sto.» dico poggiandole a faccia in giù sul tavolo.

«Che ti aspettavi di trovare in un giornale? Potevi capitare in un covo di froci! Senza offesa ai gay e lesbiche presenti. » dice Leonardo coprendosi subito dopo la bocca e riconoscendo la possibilità di aver turbato i tre presenti.

«Succhiami il cazzo che non ho, Leo!» dice Lily per prima.

«Tanti sappiamo bene che sei un finocchio represso, gioia.» dice Teo facendo delle smorfie, Matt non dice nulla, come se la cosa gli fosse scivolata senza sentirla.

Tutti sappiamo che Leonardo non ha nulla di male contro le ragazze, ma semplicemente non capisce l'amore tra due maschi e spesso dice solo cazzate.

«E dai, lo sapete che vi voglio bene.» dice il ragazzo cominciando a fumare la sigaretta, fa un paio di boccate poi me la passa gentilmente e la fumo anch'io.

Poche boccate mi fanno ritornare a respirare come non ho potuto fare nelle ultime quattro ore visto che non posso toccare neanche il pacchetto delle sigarette a lavoro. «Sembra un'eternità che non fumo, cazzo.» dico a mo' di battuta e creando una risata generale.

«Comunque l'importante è che ti trovi bene. Forse sei l'unico che riuscirà a fare carriera tra di noi.» dice Franz facendomi segno di passargli la sigaretta, mi alzo dalla sedia passandogli l'oggetto e anche lui dà alcune boccate.

«Guarda che io sto studiando proprio per questo. L'anno prossimo potrei non essere qui con voi, se tutto va bene.» dice Giovanni quasi attaccando Franz, tra i due non scorre molta simpatia e non mancano di farlo notare.

«Forse ti va bene, coglione.» dice in risposta Franz. Il ragazzo non sta più neanche a sentirlo visto che durante l'ultimo giro della partita tira giù le proprie carte rivelando la mano vincente e fa un gestaccio col dito medio a tutti noi.

La serata passa velocemente tra una birra e una sigaretta, il poker di pochi minuti si protrae fino alle tre del mattino quando finalmente decidiamo di staccare e di andarcene ognuno a casa propria per dormire.

«Signori, grazie a tutti. È stato bello giocare con voi dopo un'interminabile giornata di lavoro.» dico quando sono sulla porta d'ingresso, Alessia al mio fianco ha gli occhi semichiusi visto che si è addormentata molto tempo fa.

«Lily, sicura di poter guidare?» chiede Giovanni, anche lui ormai vicino all'uscita e con Leonardo accanto che prende il giacchetto leggero.

Lancio un'occhiata alla ragazza che ha bevuto qualche birra di troppo, ma Lily è una ragazza responsabile e so benissimo che in questi casi non mette marce più alte delle seconda; per esserne certo le faccio un cenno.

«Tranquillo, Mirco. So tornare a casa. Grazie per il pensiero, amore.» dice lei barcollando e aggrappandosi alla parete più vicina. La guardo ancora ma mi rassicura.

«Va bene, Franz chiudi tu allora?» chiedo al ragazzo con la giacca di pelle che sta ancora ordinando la cucina. Mi fa cenno di sì e tutti noi usciamo dalla Villa uno per uno infilandoci nei propri mezzi di trasporto.

Essendo l'ultimo arrivato con l'automobile sono il primo a lasciare il vialetto salutando i miei amici con un ulteriore colpo di clacson. Al mio fianco Alessia tiene la fronte schiacciata contro il finestrino, i suoi occhi azzurri sono aperti appena. Sembra pensierosa.

«Stai male? Non sembri essere con me stasera.» dico riferendomi allo stato di assenza nel quale si trova, metto la terza e attraverso l'incrocio il cui semaforo non funziona vista l'ora tarda.

«No, tutto bene. Mi sono addormentata male, tutto qui.» dice lei facendo una breve pausa e staccandosi dal finestrino. Si avvicina a me e mi stringe la mano che tengo sul cambio. «Ti piace il nuovo lavoro?» chiede.

Nessuno dei presenti me lo ha chiesto per tutta la serata anche se in qualche modo credevo che fosse una domanda sciocca. Mi fa piacere però che lei me l'abbia chiesto.

«Direi di sì; mi piace fare qualcosa di pulito. Sembra un bel posto.» rispondo guardandola di sottecchi, lei fa un sorriso e lascia la mano stretta nella mia, ritorna seduta diritta sul sedile e restiamo così finché non arriviamo all'angolo che svolta per casa sua.

Fermo l'auto e restiamo qualche istante ancora all'interno del mezzo. Ci scambiamo un'occhiata l'uno con l'altra e mi avvicino a lei baciandola sulle labbra, ricambia il bacio e sento ancora il sapore dolciastro del lucidalabbra sulla lingua. Automaticamente le stringo la mano e la allontano dal cambio lasciandola scorrere sulla mia gamba, prima in maniera dolce e poi richiedendo ancora più attenzioni.

Sto per guidare la sua mano tra le mie gambe quando la ragazza però si ritrae quasi infastidita. «Non ho voglia di farlo oggi, sono stanca ed ho mal di testa, Mirco.» dice lei interrompendo anche il bacio.

Ritorno seduto al mio posto con l'adrenalina che mi percorre tutto il corpo e la rabbia che mi sento dovunque: sono ormai troppe volte in cui Alessia ha mal di testa. Stringo con forza il manubrio e il mio respiro si fa più pesante, cerco di trattenermi ma lei se ne accorge.

«Possiamo ripetere questa scenata ogni volta!? » dice lei quasi urlando, sobbalzo appena visto il tono acuto della sua voce e mi giro verso di lei guardandola con sfida.

«Fai come vuoi, Alessia. Ma se stai sempre così male allora dovresti farti controllare quella cazzo di testa!» dico pieno di rabbia, nel momento stesso in cui ho finito di parlare me ne sono già pentito.

La ragazza mi guarda male e i suoi occhi chiari sembrano affilati come lame di ghiaccio per quanto fanno male; non aggiunge altro, scende dall'automobile in silenzio.

«Cazzo... stupido!» mi dico, ormai è tardi, faccio retromarcia sulla via e me ne torno a casa.




Angolo dell'Autore
Ok, devo dire che sono molto saltuario, lo riconosco. Da che non pubblico per giorni interi a che pubblico ogni due giorni (quasi, non sto a farmi i conteggi)
Vorrei adottare questa nuova soluzione: se riesco a correggere un capitolo allora lo pubblico, indipendentemente dalla coppia. (All'inizio volevo pubblicare sia il capitolo di Valerio che di Mirco nello stesso giorno) 
Vediamo se funziona e magari riesco a giostrarmi meglio con l'editing dei capitoli. So di aver presentato tantissimi personaggi in questi sei capitoli, questo perché penso sia normale che, essendo un racconto ambientato ai giorni nostri e che parla di due ragazzi, ci siano un sacco di persone intorno a loro. Ma tranquilli, vi spoilero che molti di questi non saranno altro che comparse (OPS...)
E niente, vi saluto con questo nuovo cap. Fatemi sapere che ve ne sembra finora dei due personaggi e se uno dei due vi ha preso particolarmente.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Valerio

Capitolo Sette

domenica 26 Maggio

 

 

Osservo distrattamente i bambini che giocano davanti ai miei occhi mentre resto seduto sulla panca nell'area esterna del centro commerciale; hanno fatto un disegno strano a terra e non fanno altro che saltarci dentro urlando una parola che immagino essere il fulcro del gioco.

«Ti sei addormentato?» chiede improvvisamente la voce di Rob, mi giro verso il ragazzo ritrovandomelo alle spalle, scavalca la panca e si siede al mio fianco.

«Sei in ritardo di venti minuti. Avevamo detto alle quattro in punto.» dico canzonandolo, Rob si limita a ridacchiare, cerca qualcosa nelle tasche del proprio jeans e finalmente riesce a trovarlo, mi passa due lunghi stecchi di caramella.

«Dovresti essere più dolce. Altrimenti non troverai mai nessuno col quale condividere la tua vita.» dice lui dandomi le caramelle, tira fuori altri due stecchi che apre e se li mette entrambi nella bocca cominciando a masticare.

Imito il suo gesto senza riuscire a rispondere alle sue parole; è proprio a causa della mia sensibilità e della mia dolcezza che le cose con Michele sono finite. Lancio un'occhiata dall'altro lato del parco dove Alice sta terminando di scattare delle fotografie alla statua per bambini che è stata costruita qualche mese fa per abbellire il parco del centro commerciale.

«Oggi non dovevi pubblicare quel video-diario sulla settimana?» chiedo a Rob parlando della sua occupazione, pubblicare video richiede molto tempo e la domenica pomeriggio solitamente si dedica a un riassunto della settimana e ai suoi progressi nei videogiochi.

«Avrei dovuto, però è da molto che non faccio un video-diario su di noi e voglio cogliere quest'occasione. Tra l'altro...» si interrompe il ragazzo improvvisamente, sul suo viso emozionato scompare il sorriso e diventa serio. «Niente lascia perdere. Oggi sarete voi i protagonisti.»

Lancio un'occhiata a Rob, il modo in cui ha interrotto quello che stava per dire mi fa pensare che fosse qualcosa legato a me. Tuttavia non mi vanto di essere nei suoi pensieri quindi non ci penso oltre.

Inoltre Alice si avvicina ancora una volta a noi dopo aver terminato di scattare le foto; la ragazza indossa una giacca di jeans e sotto di essa una maglietta con dei palloncini disegnati dei tre colori primari.

«Ciao, Rob. Che stai facendo con quella GoPro?» chiede Alice al nostro amico; Rob sta infatti montando la mini telecamera sulla propria fronte così da avere le mani libere per poter interagire col resto del mondo.

«Video-diario. Oggi mi gira così, va bene?» risponde il ragazzo sistemando per l'ultima volta la telecamera, è più alto di noi e quindi l'obiettivo mira leggermente più in basso rispetto a dove dovrebbe.

«Andiamo dai.» dico alzandomi per primo. Alice è subito al mio fianco posando la macchina fotografica dentro la borsa che tiene a tracolla lungo il fianco; Rob invece tarda qualche istante a raggiungerci e comincia a fare scena.

«Che stavi fotografando prima? Parlaci un po' di quale diabolico piano stai architettando.» dice Rob parlando con Alice, la ragazza si gira verso di lui facendogli la linguaccia, ridacchiano un po' e poi risponde.

«Sto lavorando ad un progetto sull'arte contemporanea. Il mio professore vuole che realizziamo scatti che “colgano” l'anima degli oggetti riuscendo ad intrappolarla in uno scatto. Il senso è di dimostrare che gli oggetti hanno una storia da raccontare, ma come possiamo conoscerla?» spiega Alice continuando a guardare in avanti, da quanto ha detto sembra una tematica molto interessante. Immagino parli del professore dell'accademia di belle arti al quale è iscritta.

«Credo sia un bel compito. Hai altri soggetti?» chiedo interessandomi all'argomento, oltrepassiamo le porte del centro commerciale che si aprono al nostro passaggio e veniamo subito inghiottiti dall'aria calda.

L'androne principale del centro commerciale è pieno di persone e ci troviamo ad attraversare l'area ristoro, un odore di fritto mi passa sotto il naso scatenando in me un doloroso languore allo stomaco. Poco più avanti odore di carne arrosto e di cose dolci ci avvolgono.

«Non ancora. Abbiamo un mese per trovare dei “soggetti” da poter fotografare. Però ci sto lavorando piuttosto bene.» dice Alice con un sorriso.

«Parliamo di te adesso, Valerio.» dice Rob interrompendo momentaneamente l'intervista ad Alice. Sento lo sguardo del ragazzo e della GoPro direttamente su di me, mi giro indietro per salutare gli spettatori.

Questo passo falso però mi fa quasi sbattere contro una ragazza che mi viene contro, le chiedo scusa e ritorno in me. «Uh-uh Valerio fa conquiste. I migliori latin lover avranno iniziato come te, “sbattendo” contro le ragazze.» commenta Rob, sia io che Alice ci giriamo indietro. «Ok scusate, questa era davvero pessima. Non siete divertenti.»

«No comment. Non rilascio interviste, mi spiace.» dico cercando di distogliere le attenzioni della GoPro altrove, mi guardo intorno vedendo che al centro del grande corridoio pieno di negozi si sta tenendo uno spettacolo di mimi. «Inquadra là. Fai un po' di pubblicità agli artisti.»

Rob mi prende in giro ancora un po' finché non superiamo i mimi e la folla che si è radunata attorno a loro, ci incamminiamo fiancheggiando i vari negozi di scarpe e vestiti, Alice si ferma pochi istanti all'interno di un negozio di gioielli e io e Rob restiamo fuori.

«Ho dimenticato di guardare l'ultimo video che hai caricato. Sono stati giorni intensi a lavoro e con l'arrivo del Secondo Assistente non ho ancora avuto modo di inquadrarmi bene il lavoro.» dico scusandomi col ragazzo mentre stiamo seduti, col cellulare cerco il suo canale ed entro nell'ultimo video caricato.

«Non ci hai ancora detto che te ne pare. Solitamente commenti tutte le persone che sono passate dalla redazione.» scherza Rob, in effetti ha ragione però: non ne ho parlato visto che non so ancora che tipo di persona sia.

«Non c'è molto da dire. Sa fare il suo lavoro e generalmente sembra molto silenzioso. Non che io sia tanto diverso. Ha il braccio tatuato ma non ho visto che disegno fosse. A me personalmente sembra un bravo ragazzo.» rispondo senza troppo interesse, comincio a guardare il video e mentre Rob parla dell'ultima kill effettuata con una particolare manovra, scendo tra i commenti.

Uno degli ultimi ricevuti è quello di un profilo che conosco bene: StarWarrior90. Si tratta del profilo di Michele, non ho dubbi al riguardo e finisco per leggere il commento.

“Dove sono finiti i bei video-diario? È almeno un mese che non ne carichi uno!” e segue una faccina che ride. Leggo il messaggio più volte perdendomi nei miei pensieri e sul fatto che Michele abbia chiesto un video-diario con particolari intenzioni... il commento risale a ieri.

«Valerio? Tutto ok?» chiede Alice quando esce dal negozio, sia lei che Rob adesso poggiano il loro sguardo su di me in modo indagatore.

«Stavo leggendo i commenti...» mi limito a dire, cerco di apparire il più distaccato possibile, come se la cosa non mi colpisse più di tanto ma in qualche modo credo che i miei amici non se la bevano visti i loro sguardi.

Alice si avvicina cercando di leggere anche lei lo schermo ma io esco dalla pagina e mi alzo prima che si possa parlare. «Ultimamente Michele sta commentando tutti i miei video. Prima non lo aveva mai fatto.» dice Rob, il suo sguardo è molto serio ed evita il mio quasi come se si sentisse in colpa.

«Non c'è nessun problema, davvero. Gli amici vanno e vengono, giusto?» cerco di scherzarci sopra, Rob e Alice si scambiano un'occhiata e alla fine decidono di assecondarmi, o forse sono davvero convinti che le cose vadano bene.

Poco più tardi però mi rendo conto che quello era semplicemente la fine del primo round e mentre Rob si trova all'interno di un negozio di elettronica io e la mia migliore amica ci troviamo seduti fuori ad aspettarlo mentre ci stiamo mangiando una coppa gelato.

«Questo gelato è il migliore della città.» dico assaggiando col cucchiaino anche il gusto che ha scelto, cioccolato bianco e crema di nocciola. Un'esplosione di dolcezza.

«È proprio vero.» dice lei in risposta, fa una breve pausa e sento il suo sguardo su di me. Cerco di ignorarlo per quanto mi è possibile finché non sono costretto a girarmi.

«Ho qualcosa in faccia?» chiedo ironicamente.

Gli occhi nocciola di lei però assumono una sfumatura diversa, dolce e compassionevole. Per un breve istante credo che possa chiedermi di cosa ci fosse davvero tra me e Michele ma non mi viene posta alcuna domanda.

«Michele mi ha mandato un messaggio in privato. Mi chiedeva se un giorno di questi poteva offrirmi un aperitivo o qualcosa, dice che vuole parlarmi. Penso che stia cercando di riallacciare i rapporti in qualche modo.» dice lei, Alice continua a guardarmi negli occhi, distolgo la sua occhiata per finire di mangiare il mio gelato.

«Mi stai chiedendo il permesso? Guarda che non siamo più amici, questo non significa che non lo siate più neanche voi. Non vi ho mai chiesto questo.» dico in maniera piuttosto tranquilla, in realtà le mani cominciano a sudarmi e quasi neanche sento il freddo del gelato.

«Sai bene che non uscirei mai con lui. So che le sue intenzioni non sono buone e che finirebbe per chiedermi di te. E io non saprei esattamente cosa rispondere.» risponde la ragazza, in lontananza vediamo che Rob sta uscendo dal negozio di elettronica e con passo veloce si muove verso di noi per raggiungerci.

«Sto bene, davvero. Sono passati quasi nove mesi da quando abbiamo litigato; era un amico importante... ma di certo la mia vita non finisce qui per lui.» le dico, purtroppo mi rendo troppo tardi che nel mio tono c'è l'amarezza di una relazione finita male.

Tuttavia Alice non commenta ulteriormente l'argomento e quando ci raggiunge Rob ci alziamo per riprendere il giro del centro commerciale continuando verso la parte del supermercato.

«Ti hanno già dato i turni questa settimana? Quando sei di riposo?» chiede Rob mentre sistema la GoPro nuovamente sulla propria testa, stavolta però non registra nulla e la lascia in pausa in attesa di qualcosa di interessante.

«Martedì e giovedì. Sempre se qualcosa non cambia. Possiamo organizzarci per fare qualcosa. Ho bisogno di un'intera giornata con i miei amici.» dico ridacchiando.

«Max aveva parlato di qualcosa fuori città. Tipo campeggio o roba simile. L'idea non è male a mio parere. Ed è un grande passo avanti per un malato della tecnologia come lui.» risponde Alice, l'idea di fare qualcosa all'aperto mi piace molto, soprattutto visto che l'aria della città è pesante ed è tutto l'inverno che praticamente siamo rimasti in città, sono stati mesi molto freddi.

«Potrei fare dei video-diario da paura! Cerchiamo di organizzarla bene però. Con le tende e tutto.» dice Rob ma prima che possa continuare a sognare le fermo.

«Non intendo dormire fuori! Non è ancora estate e non intendo morire congelato solo perché tu vuoi dormire in una scomoda tenda!» intervengo.

«Concordo!» dice Alice, c'è un istante di silenzio e poi io e la ragazza scoppiamo a ridere mentre Rob si lamenta del fatto che non lo assecondiamo mai e che vuole fare campeggio come si deve dormendo in una tenda.

Dopo un ultimo giro intorno ai negozi che stanno al centro commerciale decidiamo finalmente di lasciare il posto con il sole che ormai sta per tramontare dipingendo il cielo di sfumature di arancione e rosso che mi fanno venire nostalgia dell'estate. “Presto verrà il caldo!” mi ritrovo a pensare poco prima di salutare i miei amici nel parcheggio.

«Ci sentiamo via messaggio più tardi allora. Dobbiamo anche parlare del regalo di compleanno per Emilia: è tra neanche due settimane. » dice Alice salutando Rob che ha l'automobile dall'altro lato del parcheggio, lui fa un cenno affermativo e poi scompare oltre le auto mentre io ed Alice ci affrettiamo a lasciare il parcheggio visto che tra poco devo andare a lavoro.

«Serata pesante?» mi chiede la ragazza in un momento in cui in radio passa una canzone che non conosciamo.

«Probabilmente. La domenica è sempre particolare; ci sono i rimasugli del sabato e dobbiamo preparare l'edizione del giorno seguente. Sia io che il Secondo Assistente siamo in turno però quindi magari mi va bene.» le dico speranzoso che la serata finisca presto, lei annuisce senza aggiungere altro e ci immettiamo nella statale che ci porta verso casa.

Dopo aver lasciato Alice e avere avuto cinque minuti per cambiarmi d'abito, entro nuovamente in automobile per dirigermi verso l'ufficio della redazione. Quando arrivo è scesa ormai la sera e molti degli assistenti sono già andati via, tuttavia, i più importanti “di ruolo” sono ancora presenti insieme ai capi redattori di ogni singolo settore.

Saluto tutti velocemente raggiungendo la mia postazione vicino l'ufficio del Signor Cattaneo, la scrivania è messa in ordine come l'avevo lasciata stamattina con l'eccezione di alcuni fascicoletti che non c'erano quando ho lasciato l'ufficio. Mi giro verso il Secondo Assistente.

Dal mio sguardo capisce che sono confuso. «Non ho idea di cosa siano. Veronica è passata prima dicendo che dovevano essere consegnati a te e che avresti saputo cosa farne... non ha detto altro.» dice lui.

«Grazie, Mirco.» dico facendo il giro della scrivania e osservando i documenti, si tratta di svariati curriculum mischiati ad alcune lettere di editoria generale.

«Tutto bene?» chiede improvvisamente il Secondo Assistente, alzo lo sguardo su di lui, mi fissa con i suoi splendenti occhi verdi e annuisco distrattamente.

«Sì, nulla di troppo importante.» rispondo quasi automaticamente, comincio a dividere i documenti dai curriculum formando due colonne senza neanche togliermi il cappotto o l'essermi seduto sulla sedia.

Sento il ragazzo biondo ridacchiare dall'altro lato della sua scrivania, quasi come se mi stesse prendendo in giro. «Io intendevo come stai tu, non parlavo dei documenti.» dice lui correggendomi, lo guardo ancora e mi sento un idiota.

«Sì, scusa pensavo parlassi di questa roba. Tutto bene grazie, ho fatto un giro al centro commerciale con amici. Tu invece?» chiedo come buona educazione senza badare troppo alla risposta che il ragazzo mi dà.

«Bene anch'io, sono qui dalle tre. Mi sono svegliato tardissimo e non ho avuto il tempo di far nulla. Sono reduce da un sabato notte lunghissimo. Sono andato a ballare con amici.» risponde gentilmente, in effetti, noto solo adesso che la sua voce ha come una distorsione.

«Io non sono quel tipo di persona che fa serata in discoteca. Né io né i miei amici. Ci sono tipo andato una volta, non è stato tanto male.» rispondo amichevolmente, decido di togliermi il cappotto solo quando finisco di smistare la pila di documenti e mi posso sedere.

«A me piace molto andare a ballare. Amo la musica e quando c'è quel ritmo che ti entra nel cervello e ti fa muovere tutto...» continua lui, dal modo in cui ne parla riesco quasi a sentire l'emozione, gli rivolgo un sorriso imbarazzato non sapendo esattamente cosa aggiungere.

«A te che genere di musica piace?» chiede ancora.

Mi fermo qualche istante a pensarci bene, non ho un genere particolare o un artista preferito. «Ehm... diciamo un po' di tutto, mi basta che una canzone sia bella e orecchiabile e mi viene voglia di aggiungerla alla playlist. Generalmente però mi piace molto il pop. Anche il rap ultimamente.» dico senza soffermarmi nell'elenco delle singole canzoni.

Lui annuisce quasi interessato alla cosa. «Anch'io vado molto di pop. Ma per lo più rap straniero. Sono sicuro che se ti facessi vedere la mia playlist non riconosceresti neanche uno dei cantanti che ci sono. » dice canzonandomi, lo guardo con tono di sfida fermando ogni mia azione.

Sto per rispondere quando sento la voce del Signor Cattaneo dal corridoio, sembra che si stia avvicinando piuttosto velocemente. «I miei due assistenti! Che gioia vederti, Valerio. Hai news per me?» chiede, ma gli basta vedere le pile che ho disposto davanti alla postazione per capire che la risposta è positiva.

«Queste sono importanti. Questi altri curriculum.» dico quasi titubante, non so perché ma la mia mano si sofferma nell'avvicinare solo i primi, ignorando la seconda pila.

Il Signor Cattaneo mi rivolge uno sguardo interrogativo osservando i curriculum, sappiamo entrambi che si trattano di candidature per il ruolo di Secondo Assistente. Gli basta uno sguardo per leggere qualcosa nei miei occhi.

«Quelli mettili da parte, per ora.» dice, allunga la mano e prende i documenti che gli ho avvicinando ignorando i curriculum che avevo diviso.

Io e Mirco ci scambiamo un'occhiata, non so se lui capisce cosa è appena successo ma non fa domande e la conversazione per il momento cade nel silenzio.

Entrambi continuiamo a lavorare dividendoci il carico di documenti che ci vengono portati dai singoli settori, come sempre, quello della moda è il primo ad arrivare. Poi arriva lo spettacolo, segue lo sport, le notizie di cronaca nera e quelle più importanti, infine segue la prima pagina: tre dei dieci feriti dell'incidente sulla statale di qualche giorno fa sono morti mentre gli altri si stanno riprendendo più in fretta.

Mi si stringe lo stomaco nel leggere la notizia in prima pagina, non posso fare altro che ringraziare chiunque stia in cielo che non sia toccato a me o a qualcuno a me caro.

Sono le dieci in punto quando io e il Secondo Assistente completiamo l'intera pila di documenti realizzando delle colonne da consegnare al direttore, essendo io il Primo ho anche il piacere di entrare nell'ufficio con la pila di documenti; largamente in anticipo.

«Avete già raccolto tutto?» chiede lui sorpreso, non gli ci vorrà molto per ordinare gli articoli e per consegnarmi poi il menabò. Annuisco solennemente.

«Sì, neanche io pensavo potessimo finire così presto.» dico realmente sorpreso, da quando il Secondo Assistente è arrivato pochi giorni fa, questa è la prima volta che ci troviamo insieme a chiusura di giornata.

«Siete una bella squadra.» dice lui. «Puoi andare.» aggiunge infine congedandomi; faccio pochi passi indietro uscendo dall'ufficio, noto che il Secondo Assistente si è alzato dalla postazione, probabilmente per andare in bagno.

«Non pensavo fossi tanto bravo. Abbiamo ricevuto pure i complimenti per il lavoro svolto.» dico sinceramente soddisfatto, il ragazzo si ferma, sembra sorpreso.

«Bella, ci piace.» dice in maniera piuttosto neutrale alzando la mano e alzando il pollice, l'indice e il mignolo, faccio un mezzo sorriso e mi siedo alla scrivania, prima di poterlo fare però vengo fermato dalle parole del ragazzo. «Qua nei dintorni c'è qualche pub per bere una birra? Non ho esplorato ancora la zona...» dice lui. Mi volto verso di lui conoscendo la risposta.

«Sì, sta praticamente dietro l'angolo.» faccio una pausa riflettendo su alcuni ricordi dell'anno scorso. «Capitava spesso che l'anno scorso andassimo tutti gli assistenti a prenderci qualcosa soffermandoci insieme dopo lavoro. Spesso anche il Signor Cattaneo era dei nostri e il più delle volte offriva lui senza problemi.»

I nostri occhi si incrociano ancora una volta: da serio diventa sorridente e amichevole come mai prima d'ora da quando l'ho conosciuto in questi giorni. Poi, dice qualcosa che mi lascia senza possibilità di reazione.

«Mi stai per caso invitando?»

Nella mia testa subentra il caos, non so per quale motivo, ma oltre alla confusione c'è del disagio e il fatto che mi guardi direttamente negli occhi mi mette in difficoltà. Cerco quindi di sforzarmi per dare un senso alle parole da dire.

«No...» in un primo momento è l'unica parola che riesco a dire, non lascio passare neanche qualche istante dal momento in cui la dico e mi trovo a parlare e a mettere parole una dopo l'altra senza senso. «Cioè volendo si può fare e non mi dispiacerebbe bere qualcosa insieme!»

Segue un lungo istante di silenzio nel quale Mirco continua a guardarmi quasi divertito, ma la sensazione che mi trasmette non è negativa né di presa in giro. È come se stesse semplicemente... scherzando.

«Ho capito.» risponde lui, si gira continuando a camminare lungo il corridoio per andare in bagno e si allontana fino a che non lo perdo di vista.

Resto lì, in piedi con un solo pensiero che mi ronza nella testa. “Che gran figura di merda!”



Note dell'Autore:
Per tutti i lettori/lettrici che mi avevano seguito fin prima di questo capitolo, vorrei scusarmi per l'enorme ritardo nell'aggiornare la storia. Purtroppo in estate ho avuto una mole di lavoro superiore, in breve non ho più avuto la testa per pubblicare i capitoli. Spero vivamente che ritornerete a seguirmi. Se vi piace la storia, seguite e lasciate dei commenti che mi fa sempre piacere leggere di cosa ne pensino i lettori. A prestissimo con un nuovo capitolo.
Vostro umile scrittore,
Inquisitor95

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Mirco

Capitolo Otto

lunedì 27 Maggio

 

 

Quando Alessia sale in auto mi rivolge a stento il saluto, dice un ciao di circostanza ma senza neanche guardarmi. Cerco di stringerle la mano mentre siamo sulla strada ma lei sembra piuttosto distratta da altro, ormai conosco il suo carattere però e so che ancora non l'è passata; sono trascorsi appena tre giorni, non uno dei nostri peggiori litigi, ma in qualche modo sarà uno dei più significativi.

Fermo l'automobile davanti l'ingresso di una piccola piazza alberata, la natura ha preso il sopravvento su quello che è stato costruito dall'uomo, ormai da diversi anni questo giardinetto è caduto in disuso ed è stato chiuso dal comune. Questa ha fatto sì che diventasse uno dei nostri luoghi di ritrovo durante le belle giornate.

“Oggi il sole splende. Tipico di questa città, il tempo diventa nuvoloso durante il fine settimana mentre il resto della settimana è tranquillo.” penso cercando di distrarre la mente ma non appena i miei occhi incrociano quelli azzurri di Alessia sente i sensi di colpa assalirmi.

«Credevo di andare in quel bar a fare colazione.» dice Alessia poco prima di scendere dall'automobile, è vestita in maniera elegante con una bella giacca di jeans chiaro che le slancia il fisico, si intona con la delicatezza della pelle.

«Ci ho pensato io.» dico slacciando la cintura e allungandomi verso il cruscotto, dal compartimento tiro fuori un piccolo sacchettino bianco. «Volevo stare da solo con te.» le dico dolcemente.

Alessia titubante apre il sacchetto bianco e nel momento in cui lo fa l'aria della macchina si riempie di un odore dolciastro di cioccolato, la ragazza tira fuori un enorme muffin ancora caldo e fumante. «Ci hai visto giusto.»

Entrambi scendiamo dall'automobile e ci muoviamo verso il cancello della piazza, avanzo per primo tenendo le sbarre di ferro in modo che anche Alessia possa passare e quando entrambi siamo dentro me lo chiudo alle spalle.

L'uno al fianco dell'altra ci muoviamo all'interno della piazza e lungo la via, i rampicanti hanno ormai preso il dominio dei muretti arrivando a coprire le scritte e i disegni che sono stati fatti con le bombolette spray. Arbusti vari riempiono la strada e gli alberi che fiancheggiano la via riescono quasi a generare una cupola d'ombra con le loro foglie che sono verdi più che mai.

Inizialmente camminiamo in silenzio, un silenzio quasi imbarazzante e freddo. Alessia mangia il muffin un pezzo per volta dando morsi piccoli, come se anche lei stesse prendendo tempo, quando arriviamo al centro della piazza le rivolgo uno sguardo ammirandola in tutta la sua bellezza.

«Sono stato uno stronzo, scusami.» dico per primo sentendo una sorta di calore bruciarmi dentro, sostengo lo sguardo della ragazza bionda che attende che io continui. «Non me la sarei dovuta prendere. Avevo voglia di un po' di coccole e ormai è da un po' che non ce ne facciamo.» continuo, in qualche modo, Alessia interpreta la mia frase come un modo per giustificare le mie azioni e le mie parole. Termina il muffin ed è il suo turno di parlare.

«Tra una cosa e l'altra non abbiamo avuto molto tempo in intimità per noi due, è vero.» dice lei restando calma, il discorso inizia molto meglio di quanto pensassi, tuttavia non è mia intenzione continuare o spiegare, mi basterebbe metterci una pietra sopra e andare avanti.

«Ascolta: ero solo stanco per via del lavoro, era il primo giorno e sai com'è la situazione a casa mia...un casino. E sai che anch'io sono un casino di persona... però stiamo insieme da cinque anni ormai. Abbiamo imparato a sopportare i nostri pessimi caratteri!» le dico prima che possa aggiungere altro, per un momento mi mordo la lingua pensando di aver detto qualcosa che la potrebbe far arrabbiare.

Il viso di Alessia è teso, ma dopo pochi istanti si rilassa e le spunta un sorriso, anche gli occhi sembrano illuminarsi. «Tecnicamente sono tre anni. I due anni precedenti non possiamo definirli esattamente come “fidanzamento”.» dice con voce tranquilla e serena. Anch'io sento i muscoli rilassarsi, come sempre troviamo un punto d'incontro.

La ragazza accartoccia il sacchetto di carta bianco facendone una palla e decide di tirarmela direttamente in testa, mi colpisce e chiudo gli occhi per un battito di ciglia, poi lei scoppia a ridere dalla mia espressione. Rido anch'io insieme a lei, poi mi avvicino e l'abbraccio a me stringendola più che posso, ci scambiamo un bacio.

Lungo e innocente sulle labbra, uno di quei baci riconciliatori che mi fa sentire forte come un dio. Restiamo abbracciati a fissarci negli occhi per qualche istante mentre lei mi sorride e accarezza i tatuaggi che si attorcigliano nel mio braccio, le sue dita mi provocano dei brividi che arrivano fino alla schiena.

«Ho fatto lo stronzo. Il grande stronzo!» ripeto ancora una volta e il suo sorriso diventa sempre più largo fino a schiudersi mostrando scintillanti denti bianchi.

«Solo un pochino. Ma sei il mio grande stronzo.» dice in risposta e ancora una volta ci baciamo, stavolta in maniera meno innocente e più sentita. Erano tre giorni che non ci baciavamo e quasi mi sembra siano passate settimane.

«Cosa ti piacerebbe fare?» le chiedo mentre siamo ancora abbracciati, lei ci pensa su qualche istante e poi si scioglie dall'abbraccio saltellandomi intorno.

«Portami al centro commerciale e comprami qualcosa di carino.» dice con un tono di voce da cartone animato, ridacchio e decido di assecondarla, glielo devo.

Stiamo alcune ore in giro per i negozi e alla fine mi “faccio perdonare” comprando ad Alessia un paio di jeans e una camicetta che a detta sua può abbinare per qualche occasione elegante; come se non avesse già abbastanza vestiti nella cabina armadio che è grande quanto camera mia.

In un momento di relax mentre Alessia è in camerino per provare alcuni vestiti ho modo di sfruttare quei pochi secondi per controllare i messaggi in arrivo e vedono che almeno cinque persone mi hanno scritto.

Il primo tra tutti i messaggi che spiccano è quello della zia di Alessia: Veronica mi chiede se posso anticipare di mezz'ora rispetto al mio turno, uno degli assistenti si è sentito poco bene e ha mandato il certificato di malattia, quindi tocca al Primo e al Secondo Assistente fare turni più lunghi per compensare la mancanza.

Scrivo che va bene e nel frattempo penso al ragazzo che occupa la scrivania davanti la mia; mi scappa un sorriso pensando che non sarà felice della cosa.

La seconda chat è quella di Lily.
 

°Lily:

Ehi fustacchione,

com'è andata con Alessia?

°Mirco:

Bene, dai.

Inizialmente si è comportata come al solito

le ho chiesto scusa e abbiamo capito entrambi

di aver esagerato. Siamo al centro commerciale.

°Lily:

Vorrei averti come fidanzato solo per fare

come con lei: litigate e finisci per comprarle

vestiti nuovi. Fidanzati con me!

anzi no, prima tagliati il cazzo. Poi ne parliamo.

°Mirco:

Scusami, ma ci tengo al mio cazzo

E se Alessia sapesse che ci provi con me....

Potremmo sempre fare una cosa a tre!

 

La conversazione finisce con Lily che mi invia la fotografia del proprio dito medio sul quale sta passando lo smalto nero e non manca di farmelo notare. Scoppio a ridere e nello stesso momento esce Alessia dal camerino quindi ritorno a darle attenzioni staccandomi dal cellulare.

Stiamo insieme per il pranzo e la porto in un posto carino in città, non la solita tavola calda, si tratta di un bel ristorante non troppo costoso ma comunque di classe dove servono dei drink molto buoni. Spesso con sono venuto con Franz per bere qualcosa di diverso dalla solita birra.

Essendomi comportato male, non posso non dare ad Alessia quel piccolo regalo. Ci fanno accomodare in un tavolo vicino le finestre che mostrano il giardino interno della struttura. «Non abbiamo poi parlato di come va a lavoro. Mia zia non mi ha detto molto al riguardo.» dice Alessia dopo aver ordinato dal menù e aver sorseggiato dal proprio calice il vino rosso che ci hanno portato.

Io vuoto il bicchiere per intero sentendomi soddisfatto, non è troppo caldo, temperatura perfetta ed ha un buon sapore che mi lascia un sapore fruttato in bocca. «Non c'è molto da dire. L'ambiente sembra carino, anche i colleghi non sono male, certo conoscendoli forse potrei scoprire che sono peggio di quel che sembrano.» dico pensando ai vari assistenti in giro per l'ufficio che in tre giorni ho conosciuto.

Tuttavia, uno tra tutti spicca forse per la sua simpatia e come se me lo leggesse in faccia, Alessia sembra intuirlo. «Qualcuno di simpatico però c'è.» non è una domanda.

«Sì c'è un ragazzo simpatico. È il Primo Assistente. Ieri sera gli ho fatto una battutina e lui si è confuso. Sembra un tipo apposto davvero.» dico senza dilungarmi troppo, non saprei esattamente cosa dirle visto che non lo conosco così bene da poter capire che persona sia.

«Bene. L'importante è che fai attenzione, sei bravo in quello che fai e lui è il Primo Assistente. Se ti fai vedere sicuro potrebbe mettere una buona parola con il direttore anche lui e a quel punto il gioco è fatto.» dice Alessia schioccando le dita e facendomi l'occhiolino, ricambio la sua occhiata con poca convinzione.

Non sono molto bravo in questi doppi giochi e intrighi da donna, però sono davvero bravo in quello che faccio e proprio ieri sera il ragazzo è venuto a dirmi che il Signor Cattaneo ci ha fatto i complimenti per la nostra tempistica.

“Questo deve pur valere qualcosa.” penso poco prima che arrivi l'antipasto freddo che abbiamo ordinato, il cameriere ritorna con un cesto di pane, riempio nuovamente il calice di vino e con un semplice tocco dei calice brindo con Alessia bevendo nuovamente tutto il contenuto del calice mentre lei arriva a poche dita dalla fine.

«Era buonissimo!» commenta Alessia quando termina il suo piatto, ci ha messo più di me ma è una cosa normale ormai e lei ci è abituata. «Hai sempre buon gusto.» dice.

In effetti sono stato io a scegliere gli antipasti per entrambi e spesso Alessia si affida completamente a me per ordinare l'intero menù, questo perché conosco bene i suoi gusti dopo cinque anni, tre ufficialmente, di relazione.

«Ero sicuro che ti sarebbe piaciuto.» le dico sorridendo e riempiendo il mio calice ancora una volta, Alessia mi lancia un'occhiata torva, come a dire di andarci piano visto che poi devo guidare ma sono uno che l'alcol lo regge bene.

Tra di noi cade un silenzio che non è necessario riempire, Alessia prende il cellulare per rispondere ad alcuni messaggi di Eva, immagino che come io con Lily, anche lei debba aggiornare la migliore amica di come sono andare le cose.

«Vado un attimo in bagno. Faccio subito.» le dico sapendo che ben presto arriverà la portata principale del pranzo, mi alzò dalla sedia e cammino a passo spedito fino al bagno: durante tutto il mio spostamento sento uno sguardo addosso e so perfettamente a chi appartiene.

I miei occhi evitano però il suo sguardo visto il disagio che mi incute quell'uomo; si tratta di un uomo d'affari che veste un completo elegante, probabilmente lavora in zona, alto e dal fisico e l'aspetto curato. Non è la prima volta che chiede al banconista di offrire per me o per i miei amici.

Quando finisco dal bagno però l'uomo è già andato via e in qualche modo sento l'aria più leggera, non mi piacciono le persone che mi ronzano attorno in questo modo quasi asfissiante. Ritorno seduto e proprio mentre sto per sedermi sento il cellulare squillare.

«Numero sconosciuto?» chiedo stranito per l'improvvisa chiamata. Leggo le cifre cercando di ricordare di un qualche numero ma non mi viene nulla in mente, immagino che si tratti di lavoro quindi rispondo senza esitazione.

«Mirco? Sono papà.» dice la voce maschile dall'altro lato del telefono, sento il sangue ghiacciarsi nelle vene; dal tono che ha sembra non troppo ubriaco. Ma la domanda che mi ronza in testa è il dove si sia procurato il cellulare.

«Pa' che vuoi? Sono fuori con Alessia.» dico cercando di chiudere la conversazione più in fretta possibile. La ragazza mi guarda stranito, neanche lei capisce cosa sta succedendo.

«Ho bisogno di un favore. Mi servono dei soldi. Puoi passare dal bar a darmeli?» chiede senza troppi peli sulla lingua, non è la prima volta che ci prova e fin troppe volte sono stato al suo gioco.

«A cosa ti servono i soldi? Per pagarti da bere? Per qualche scommessa del cazzo che hai perso!?» dico alzando il tono di voce, Alessia si guarda in torno facendomi segno di abbassare la voce visto che le altre persone ci guardano.

«Ho bisogno di soldi e basta!» dice lui urlando dall'altro capo del telefono, stringo l'oggetto con forza e serro la mascella per la rabbia.

«Va all'inferno, stronzo!» gli dico riattaccando il cellulare, per almeno cinque minuti rimango a fissare l'oggetto che ho poi sbattuto sul tavolo, aspettandomi una chiamata di rimprovero, aspettando che ci provi ancora.

Ma il mio buon vecchio padre non fa nulla del genere, passano almeno dieci minuti quando finalmente arriva il cameriere con i nostri piatti, io resto ancora immobile a fissare il cellulare. Immagino che ci abbia provato con Gabriella, ma se le avesse chiamato suppongo che mia sorella me lo avrebbe detto subito.

«Mangia, o si fredda. Lascia stare quel fallito di tuo padre. Goditi il pranzo e non ci pensare.» dice Alessia stringendomi la mano, ma lei la fa facile a parlare in questo modo, non sa cosa vuol dire tornare a casa e vivere una situazione di merda come la mia.

Non voglio litigare ancora con lei e soprattutto per mio padre, le stringo la mano in risposta e forzo un cenno per sorriderle. «Hai ragione.» riesco a sputare via come se fosse il fumo di una sigaretta. Adesso avrei proprio bisogno di una canna di Franz per rilassarmi.

Il pranzo scorre via piuttosto in fretta così come la bottiglia di vino che abbia ordinato, Alessia tuttavia si rende conto del mio cambiamento a partire dalla chiamata di mio padre e anche lei si fa più seria nonostante cerchi di farmi pensare ad altro. Quando il cameriere si avvicina chiedendo se vogliamo altro, lei è la prima a rispondere.

«No, per favore, il conto.»

La guardo stranita, lei non va mai via da un ristorante senza prima aver preso un dolce tra quelli che le presentano. Il cameriere ritorna in fretta e allungo la mano per prendere lo scontrino che ci viene lasciato. «Non vuoi il dolce?» chiedo, Alessia però scuote il viso.

«Sono piena. Sarà meglio andare così ti prepari per il lavoro.» dice, che tradotto nella mia testa significa che posso tornare a casa così da affrontare le conseguenze della chiamata di mio padre. Andiamo via in fretta e lascio la mancia sul tavolo, così riaccompagno Alessia.

Quando torno a casa, l'ascensore e la lunga salita fino al mio piano sembrano non finire mai, quando la lampadina del quarto piano si illumina comincio a respirare cercando di rilassare i muscoli e cerco di pensare ad altro.

“Non funziona, cazzo!” mi dico vedendo che i miei tentativi di calmare i sensi sono perfettamente inutili.

Apro la porta di casa e mi trovo nel corridoio, la prima porta è quella della cucina e mi ci affaccio: è vuota e la televisione è spenta. Dall'altro lato della casa la porta del bagno si apre e ne esce mio padre: l'uomo indossa alcuni abiti logori, ha l'espressione desolata e due profonde occhiaie che contornano gli occhi scuri, i capelli un tempo erano più folti, ora resta una stempiatura scura non troppo importante. Non saprei ricordarmi di mio padre prima dell'aborto della mamma e della sua amante.

L'uomo ha distrutto tutte le fotografie che lo ritraevano e la mamma ha poi tolto le altre nel corridoio rendendo la casa più sterile e ostile che mai.

«Sei tornato! Come ti permetti di attaccarmi il telefono in faccia!?» ruggisce l'uomo quando mi vede davanti l'ingresso della cucina, comincia a camminare correndo contro di me mentre sento le urla della mamma che fuoriesce dal bagno insieme a lui.

Tra le mani della mamma ci sono frammenti di qualcosa, mi basta guardare la mano di mio padre per capire che deve aver dato un pugno allo specchio distruggendolo; lei da amorevole e stupida donna innamorata di una bestia si è presa cura di lui aiutandolo.

Stringo i pugni per la rabbia, un tempo mio padre mi avrebbe fatto paura, quando ero più piccolo forse o cinque anni fa. Ma adesso non ho più paura: l'uomo cerca di avventarsi su di me con forza ma mi basta sferrare un colpo in piena mascella per stenderlo contro la parete.

Le urla di mia madre si fanno sempre più forti, corre contro di noi mentre io mi inginocchio davanti all'uomo che ha distrutto la nostra famiglia e alzo il pugno con l'intento di massacrarlo di botte; tuttavia mia madre afferra il mio braccio per fermarmi.

«Non lo fare, ti prego, Mirco non lo fare! È tuo padre, ti vuole bene!» continua a urlare fino a che la mia rabbia non raggiunge il culmine; mi giro verso di lei frenando il mio braccio dall'ammazzare quell'uomo che lei definisce “padre”.

«Mi vuole bene? Se ci volesse bene, non ci avrebbe mai fatto finire in questa situazione.» non so con quale forza, ma riesco ad alzarmi e mi sposto lungo il corridoio, prima di entrare nella mia stanza mi guardo indietro. «È solo un pezzo di merda, non è mio padre.» e infine mi chiude dentro la stanza cercando un attimo di pace.

Prendo la camicia e il pantalone dall'armadio e mi spoglio del tutto indossando gli abiti da lavoro, guardo distrattamente l'orologio e vedo che non sono neanche le due del pomeriggio, nonostante questo però decido lo stesso di uscire di casa e andarmene a lavoro.

“Veronica mi aveva già chiesto di venire prima, mezz'ora in più non mi ucciderà mica.” penso tra me e me.

Quando arrivo nella redazione, il piano al quale si trova la mia scrivania è quasi del tutto vuoto visto che molti sono ancora in pausa pranzo ai piani inferiori o sono in giro per l'isolato. Io mi sposto salutando distrattamente quei pochi volti che riconosco e mi avvicino alla scrivania.

Getto una rapida occhiata dentro l'ufficio e vedo che il Signor Cattaneo non è presente. Alle mie spalle però sento la voce di un ragazzo che mi chiama. «Che ci fai già qui?» mi chiede stupito, quando mi giro vedo il Primo Assistente che mi fissa sbalordito.

«Ero già in zona quindi ho anticipato. Veronica mi aveva chiesto di farlo e così eccomi qui.» dico rispondendo senza troppa allegria, il ragazzo sembra accorgersi del mio tono asettico; nella testa ho ancora l'immagino di quanto successo nel corridoio di casa mia.

«Ho capito. Tutto bene? Sembri un po' giù di tono oggi...» chiede il ragazzo avvicinandosi, stringo i denti per la rabbia, come se n'è accorto lui potrebbero anche accorgersene altri e non mi va proprio.

«Sì, tutto bene, tranquillo.» dico in un primo momento, tuttavia il ragazzo continua a guardarmi con i suoi occhi scuri e mi trovo a rifletterci. «Solo un piccolo litigio in famiglia, nulla di grave però.»

Il ragazzo sembra in qualche modo colpito, come se non si aspettasse una risposta vera e propria da me. Continua a guardarmi ma adesso è incuriosito. «Cavolo, mi dispiace. Se ti va di parlarne...» la frase però gli muore tra le labbra, non del tutto sicuro se continuare a meno.

Sto subito per dire di no, poi qualcosa mi frena. «È una storia lunga, magari quando avremo più tempo.» dico, lui annuisce e mi fa un sorriso che riesce a farmi stare meglio, come se capisse il momento difficile ma non vuole obbligarmi a parlarne, proprio come farebbe Lily.

«Se hai bisogno sono qui.» dice il ragazzo spostandosi poi verso la propria scrivania, lo seguo con lo sguardo, sembra disinteressato ma sincero.

«Grazie, Valerio.» dico infine.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Valerio

Capitolo Nove

sabato 1 giugno

 

 

Guardo il telegiornale in maniera distratta, da qualche giorno a questa parte si parla sempre più spesso dei feriti dell'incidente di una decina di giorni fa, pare che finalmente siano tutti stabili e che non ci siano più rischi. Le autorità stanno ancora indagando sulla possibilità che qualcuno abbia potuto provocare l'incidente nella statale ma ancora non si spiegano in che modo avrebbe potuto.

La finestra del salotto è completamente aperta e le tende sono tenute da alcuni nastri in modo che l'aria fresca del mattino possa entrare all'interno della casa. Sono quasi le sette e il sole è quasi del tutto sorto; la sua luce è ancora debole ed è piacevole stare con una maglietta a maniche corte e il sotto del pigiama ora che fa un clima più caldo.

Sento scendere le scale e vedo mio fratello Riccardo comparire dall'arco che separa l'ingresso e il salotto, anche lui come me indossa una maglietta a maniche corte che lascia il tatuaggio appena sopra il gomito, recita il nome del figlio: Luca. Quando mi vede il suo sguardo è confuso.

«Che ci fai già sveglio?» chiede stranito spostandosi verso la porta della cucina alle spalle dei divani. Lo sento muoversi lentamente in cerca di caffè che ho fatto proprio pochi minuti prima che si svegliasse.

«Non ho dormito molto bene. Così mi sono messo sul divano. Non l'avessi mai fatto!» dico rispondendo alla sua domanda, sento mio fratello ritornare all'interno del salotto di casa sua e si siede al mio fianco.

«Mi hai fatto venire un colpo quando sei venuto ieri sera. Era... mezzanotte quasi. Quando ti arriva un messaggio con scritto: “Sto arrivando” dovresti magari specificare che non sei ubriaco o drogato, che non ci sono feriti e che mamma e papà stanno bene!» dice lui a mo' di rimprovero, non riesco a sostenere il suo sguardo e abbasso gli occhi tra le mie gambe osservando il vuoto.

“So di averlo fatto preoccupare. Ma avevo bisogno di stare in un posto che non fosse casa.” penso tra me e me, Riccardo si rende conto del silenzio che si è venuto a creare e del mio imbarazzo e quindi riprende a parlare.

«Ora che la ramanzina è stata fatta, sai sono pur sempre il fratello maggiore e quindi devo farla, ti va di parlare di quello che è successo?» chiede lui.

In realtà non vorrei proprio visto quando mi riesca difficile parlarne. Ma in qualche modo mi costringo e rievocare il ricordo della sera precedente quando avevo finito dal lavoro e, dopo aver consegnato il menabò alla tipografia, ho ricevuto la chiamata di Michele.

«Problemi con un amico.» dico per iniziare, Riccardo sorseggia il caffè in maniera lenta continuando a guardarmi negli occhi. «Un vecchio amico, in realtà.»

«Stai parlando di Michele? È da un po' che non te ne sento parlare.» chiede lui, dal tono di voce sembra quasi calmo e tranquillo, la stessa tranquillità che è venuta a mancare a me proprio la sera prima.

«Già. È ormai da molto che non parlavamo e già da qualche giorno ho scoperto che è tornato alla carica. Mi ha scritto e ha chiesto di me a Rob e Alice. Inoltre credo che si sia messo a vedere i video-diario di Rob solo per... sapere quello che sto facendo, e la cosa mi inquieta molto.» gli dico cercando di riassumere la situazione prima della serata di ieri, Riccardo annuisce più volte.

«Va bene, suona un po' da stalker... neanche se foste stati fidanzati!» dice lui, la butta lì come se fosse la cosa più normale del mondo, probabilmente anche Riccardo come i miei amici ha sempre saputo che tra me e Michele ci fosse qualcosa di più.

E nonostante con lui non abbia mai avuto problemi a parlare di tutto, questa è stata l'unica cosa di me che gli ho tenuto segreta. «Michele è sempre stato strano.» mi limito a dire senza confermare e senza negare.

«Quindi cosa è successo ieri sera? Ti ha chiamato?» chiede ancora una volta mio fratello.

Annuisco lentamente. «Sì, per lo più mi ha chiesto come stavo. Se mi andava di prendere un caffè con lui in questi giorni. Dice che sta passando un momento brutto; gli ho detto che mi dispiace che stia male, ma che non credo sia una cosa buona vederci dopo tanto tempo.»

“Ed è stato allora che mi ha detto di amarmi ancora e che non avrebbe mai voluto che le cose tra noi finissero in quel modo: per via di un dannato errore, come lo ha definito lui.” concludo nei miei pensieri visto che sarebbe difficile spiegare il fatto che ho lasciato Michele perché, a seguito di una situazione difficile, anziché risolverla, aveva deciso di tradirmi... e la cosa andava avanti da settimane.

Riccardo annuisce silenziosamente, cerca di assorbire le mia parole e lo vedo chiaramente in difficoltà visto che gli manca una parte della storia. Tuttavia vedo che prova ad immaginare come potrebbero essere andare le cose e quindi cerca di darsi una spiegazione con quello che ha tra le mani.

«Michele è sempre stato un buon amico. Gli amici sbagliano ma per te c'è sempre stato: sei abbastanza grande per decidere chi sono i tuoi amici e chi vuoi che ti accompagni in questo percorso che è la vita.» comincia lui facendo un discorso da filosofo, ho sempre visto Riccardo come una sorta di intellettuale, molto più intelligente di tutti quelli della sua età, molto più maturo di Michele stesso.

Ci interrompiamo per qualche istante quando sentiamo i gradini della scala scricchiolare sotto il peso di qualcuno, vediamo la figura di Daniela in veste da notte leggera, la bella e formosa ragazza bionda ha i capelli vaporosi e gli occhi ancora semichiusi. «Oh scusate. Non ti avevo trovato a letto e mi ero preoccupata.» dice lei con dolcezza riferendosi all'amato marito.

Lui le fa un sorriso, tanto basta per far tornare al piano superiore la ragazza. Riccardo torna a guardarmi ed è come se avessi avuto una risposta. «Daniela è la donna della mia vita. È una cosa diversa da un'amicizia ma allo stesso tempo uguale: io non so cosa ti abbia fatto Michele. Quale cosa abbia potuto rompere un'amicizia come la vostra, non ti dirò di dargli una seconda possibilità visto che hai pensato che non la meritasse. La sua mancanza compensa anni di presenza?» chiede infine Riccardo.

Non so esattamente come rispondere alla domanda. Sento un nodo stringersi alla gola, ho pianto troppe volte per la persona nel quale avevo più fiducia. «Probabilmente sì.» dico infine sputandolo come se fosse veleno.

Riccardo mi guarda negli occhi per qualche istante, ad un certo punto sono quasi convinto che abbia capito tutto. Anzi, ne ho la certezza vista la luce che cambia nel suo sguardo: le sue teorie sono state confermate in questo modo. Tuttavia mio fratello non sembra voler far delle domande, è una cosa che si tiene per sé e cerca di sostenermi.

«Se pensi questo, allora credo che non dovresti vederlo. Direi anche di non rispondere più ai suoi messaggi. L'insistenza deriva da una convinzione che nell'altra persona ci sia interesse nel riallacciare il rapporto.» dice con un tono freddo, tuttavia sul suo volto è stampato un mezzo sorriso, ricambio quella che potrebbe sembrare una smorfia e cerco di guardare un punto che non esiste dietro di lui.

«Sarà meglio che porti la colazione a Daniela. Oggi porta Luca al parco con le altre neo-mamme e non vogliamo che facciano brutta figura.» dice lui da perfetto padre e marito amorevole, annuisco senza rispondere.

I miei occhi si soffermano quindi sul cellulare che sta poggiato sul tavolino, sento gli arti irrigiditi come se non volessi in alcun modo prendere l'oggetto ma devo costringermi a farlo: mi sposto in avanti sentendo i brividi che mi corrono lungo la schiena.

Entro nella chat di Michele leggendo il suo ultimo accesso che risale a pochi minuti prima, è ancora molto presto ma so bene che lavorando in un supermercato capita che debba essere a lavoro prima per inventario.

Vado nelle impostazioni della sua chat e collegate al suo numero di telefono e lo blocco definitivamente. La sua immagine sorridente scompare lasciando un omino grigio, le altre informazioni del contatto svaniscono e un avviso mi comunica che avendo bloccato il numero non posso ricevere né inviare messaggi al contatto.

La prima cosa che faccio quindi è scrivere nella chat di Alice per informarla della mia decisione che ho raggiunto con la consapevolezza datami da Riccardo. La risposta della ragazza tarda ad arrivare visto che è ancora presto; ho tempo di fare colazione e di farmi un bel bagno rilassante nella vasca della casa di Riccardo e Daniela. Mi preparo per il lavoro e poco prima di salire sul pick-up vedo che mi è arrivata una notifica da parte di Alice stessa.

°Valerio:

Ieri sera mi ha chiamato Michele. È lunga da

raccontare tramite chat, più tardi magari ti dico.

Ho deciso però di bloccare il numero.

°Alice:

Aspetta... TI HA CHIAMATO?

Ok... devo calmarmi. Va bene, più tardi

voglio che ci vediamo e mi dici tutto!

Riguardo al bloccare il suo numero... questo

mi anticipa un po' quello che vi siete detti.

°Valerio:

Ho finito di stare ai suoi giochetti. Da oggi

si cambia pagina. È tempo di farsi nuovi amici.

°Alice:

Una di queste sere ci andiamo ad ubriacare.

Emilia mi ha parlato di un pub carino.

°Valerio:

Guarda che per ubriacarsi si deve bere alcol.

La cola non è considerata alcol.

°Alice:

...mi sento ferita...

 

La conversazione si chiude con una mia risata e poi le mando un rapido messaggio vocale dove le dico che sto per andare a lavoro e che ho lo spezzato quindi nel pomeriggio possiamo vederci senza problemi. Alice mi risponde che va bene e che nel frattempo si sbrigherà alcune cose.

Giro la chiave nel quadro e mi affretto a raggiungere la redazione in quanto oggi è sabato e quindi ci sarà parecchia roba su cui lavorare. Un rapido pensiero passa per la mia testa riflettendo su Mirco, il Secondo Assistente, cerco di ricordarmi i suoi turni e sono quasi certo che abbia il turno del pomeriggio fino alla chiusura.

La giornata passa velocemente fino all'ora di pranzo e nel pomeriggio ho modo di vedermi con Alice per spiegarle meglio quello che è successo e quale fosse stato il commento di mio fratello. Naturalmente non ho modo di dirle tutto quello che penso ma cerco di essere più chiaro possibile.

«È una situazione strana... credo che tu debba essere il solo a decidere cosa fare. Noi altri possiamo darti dei consigli e appoggiarti nelle tue decisioni.» dice Alice guardandomi con i suoi occhi color nocciola, riesco a capire che sta pensando ad altro mentre dice quelle parole.

“Chissà se ha mai immaginato un futuro con me e Michele insieme a lei e al suo immaginario sposo. A me è capitato tante volte... eppure i piani futuri cambiano. Il futuro non è scritto su pietra.” pensò tra me e me mentre osservo il suo sguardo vago, la ragazza poi mi fa un leggero sorriso come per consolarmi.

«Se hai deciso di non volerne più sapere, allora hai fatto bene a bloccare il numero. Ma non sono sicura che Michele si farà bastare questa risposta, è sempre stato ostinato nei suoi obiettivi se ben ricordi.» dice lei continuando, annuisco, è capitato spesso che litigassimo proprio per i nostri due caratteri decisi.

«Lo so, sono pronto ad affrontarlo qualora facesse qualche stupidaggine.» dico in risposta, guardo poi l'orologio attraverso il cellulare, sono le sei del pomeriggio e il sole sta appena tramontando. Rivolgo un'ultima occhiata alla mia amica. «Sarà meglio che vada, speriamo che sia un sabato tranquillo.» dico sapendo che la mole di lavoro è maggiore rispetto agli altri giorni.

Tuttavia, quando arrivo a lavoro mi rendo conto che qualcosa non va, parcheggio la macchina come al mio solito nella via accanto e mi incammino verso la struttura, il sole riflette la luce sulle finestre ma mi basta un'occhiata per capire che non ci sono altre luci accese.

Entro nel palazzo e attraverso la grande hall e vedo la bella Marta dalla pelle color cioccolato che sta trascrivendo alcuni documenti in un quaderno. È atipico quindi mi avvicino continuando a pensare che ci sia qualcosa che non va. «Buonasera. Sbaglio o c'è meno trambusto del solito?» chiedo alla ragazza oltre il banco.

Marta alza lo sguardo e dai suoi occhi capisco di avere ragione. «C'è stato un problema con la centralina elettrica. Siamo fermi nella produzione da circa due ore. Stiamo facendo il possibile ma sono tutti fermi!» dice riferendosi ai vari operatori della redazione.

«Cavolo. Sarà meglio che prenda le scale allora...» dico cercando di fare dello spirito ma la ragazza non è in vena di scherzare e posso anche capire il motivo. «È un bel problema: il Signor Cattaneo è stato già informato?» chiedo.

«Sì, lo abbiamo avvertito. Ha dato alcune disposizioni. Il Secondo Assistente ti aggiornerà. Ora scusami ma devo cercare di sbloccare l'archivio.» dice liquidandomi.

Annuisco e mi sposto verso le scale muovendomi con calma, se manca la luce è improbabile che riusciremo a lavorare quindi non ho motivo di correre. “Il guasto dev'essere grave se non sono ancora riusciti a sistemare la cosa. Immagino che sia difficile trovare qualcuno disponibile per risolvere il problema durante il week-end.” penso tra me e me mentre salgo i gradini, un leggero vocifero sembra provenire dai piani superiori dove molti staranno aspettando nelle loro postazioni che la situazione si sblocchi.

Quando raggiungo la mia postazione vedo che Mirco sta parlando con Davide e Paolo, i due assistenti si sono spostati dalle loro postazioni essendo che non c'era nulla da fare. Avvicinandomi vedo che Mirco e Paolo stanno ridendo e scherzando tra loro quasi come se si conoscessero da una vita, non riesco ancora a seguire il discorso di quello che stanno dicendo ma sembrano buttarla sul sessuale.

Davide è il primo ad accorgersi della mia presenza e mi saluta spostandosi insieme a me davanti la mia scrivania. «Bel casino eh? Si è capito cosa è successo?» chiedo cercando di aggiornarmi sulla situazione, Davide scuote il viso.

«No, probabilmente un guasto alla centralina. Non sappiamo cosa lo abbia causato ma pare che oggi staremo senza far nulla!» dice Davide quasi gongolandosi del fatto che la situazione sia critica.

Ridacchio insieme a lui e poi rispondo: «Sei stato di riposo proprio ieri. Com'è possibile che tu già non abbia voglia di lavorare oggi?» il ragazzo continua a ridere mentre le risate degli altri due assistenti si fanno sempre più forti.

Sia io che Davide ci voltiamo per osservarli e resto di sasso quando vedo che Paolo, a seguito di una qualche battuta fatta da Mirco immagino, gli tira una pacca sonora al fondoschiena e il ragazzo sembra divertirsi.

«Che cosa c'è di così divertente?» chiedo con gli occhi usciti di fuori e un tono di voce incredulo. I due ragazzi smettono di ridere con grande fatica ed entrambi mi salutano quando si accorgono che sono arrivato.

«Niente ci prendevamo un po' in giro!» dice Paolo prima che il Secondo Assistente possa rispondere, annuisco continuando a guardarli stranito e incuriosito da come lo scherzare tra di loro sembri così naturale.

Davide e Paolo restano per qualche altro minuto ancora, le risata tra i due continuano ad andare avanti mentre io mi isolo stando seduto alla mia postazione e mandando alcuni messaggi al cellulare, l'unico che abbocca è Rob col quale parlo del più e del meno.

Dopo circa mezz'ora i due assistenti se ne vanno lasciandomi da solo con Mirco, che termina di gesticolare tornando poi serio. Alzo lo sguardo per un breve istante che basta ad incrociare gli occhi azzurri di lui.

«Penso che possiamo assentarci qualche istante no? Andiamo a fumarci una sigaretta.» dice lui avvicinandosi a me, lo guardo stranito e sembra semplicemente tranquillo.

«Ehm... io non fumo.» dico in un primo istante. «Però se vuoi ti faccio compagnia.» continuo, in realtà mi trovo piuttosto alla sprovvista visto che dal suo profumo non ho mai sentito la puzza di sigaretta.

Il ragazzo annuisce e mi invita ad alzarmi, ci spostiamo entrambi lungo il corridoio, cammino alla sua sinistra seguendo il suo stesso passo verso il bagno degli uomini, sono confuso e sento qualcosa ribollire al mio interno, quando poi entriamo lui prende il pacchetto di sigarette e se ne accende una mentre si avvicina all'angolo apposto alla porta e si mette piegato sulle ginocchia.

«Avanti siediti anche tu.» mi invita, faccio come dice e quindi mi metto al suo fianco senza però toccare il pavimento. «Non mi avevi ancora visto fumare.» dice.

Scuoto il viso. «No, in ufficio non si può fumare. Suppongo che il bagno sia un'alternativa migliore.» dico, sarebbe vietato anche quello ma con un'occhiata al tetto mi rendo conto che qui non ci sono i sensori di fumo.

«Già, specie quando qualcuno ha cagato proprio cinque minuti prima!» dice lui sarcasticamente, ridacchia appena e aspira alcune boccate restando con lo sguardo fisso in avanti.

«Sembra una cosa interessante!» dico stando al suo gioco, Mirco si volta verso di me e mi fa un mezzo cenno accompagnato con un largo sorriso che mi fa sentire in imbarazzo, in realtà l'intera situazione mi sembra strana.

«Mi piace scherzare in quel modo con le persone.» dice lui improvvisamente dopo qualche istante di silenzio e qualche altra boccata con la sigaretta, comincio a sentire dolore alle caviglie quindi sono costretto a sedermi definitivamente sul pavimento del bagno.

«Che intendi?» chiedo senza capire.

«Scherzare. Flirtare con le persone è divertente. Non pensare male di me: sono una persona fedele, ho la mia fidanzata e mi basta tanto. Però è bello prendersi in giro o scherzare con malizia.»

Detta in quel modo, la frase di Mirco mi lascia piuttosto confuso. Il suo sguardo cerca il mio mentre sputa via un getto di fumo direttamente sulla mia faccia, tossisco infastidito scacciandolo con la mano.

Lui comincia a ridere e non mi rendo conto che anch'io sto ridendo insieme a lui. «Sei un tipo strano.» dico infine dopo essermi ripreso dalla tosse causata dal fumo. «Da quanto stai con la tua ragazza?» chiedo.

«Cinque anni.» dice limitandosi a quello, non si perde nei dettagli ma vedo che i suoi occhi si perdono nel vuoto, guardarlo di profilo mi fa sentire strano: i suoi occhi azzurri assumono una sfumatura brillante e cristallina, con i capelli biondi che si ritrova... quasi sembra una statua.

«Cinque anni! È molto tempo. Molte coppie non possono dire di essere felici per così tanto.» dico e in qualche modo lui sembra concordare con me, si gira e annuisce quasi soddisfatto delle mie parole.

«Abbiamo i nostri alti e bassi ovviamente,» dice in tono confidenziale tra una boccata e l'altra di sigaretta. «ma vedi, io mi innamoro di come sono fatte le persone. È una delle mie migliori qualità, riesco ad amare pregi e difetti delle persone e con Alessia è lo stesso.» conclude chiamando per nome la fidanzata, i suoi occhi restano fissi sui miei per qualche istante poi si gira sbuffando una boccata di fumo dall'altro lato così da non darmi fastidio.

“Innamorarsi di come sono fatte le persone...” mi ripeto nella testa, è come se quelle parole avessero un significato più profondo di quel che sembra, di certo nascondono una sensibilità che non ho mai trovato in nessun ragazzo.

«È un pensiero molto profondo. Anch'io mi voglio vantare di amare le persone per come sono con i pregi e i difetti. Ma non sono sicuro di poterlo affermare.» dico rispondendogli, Michele è stato l'unico fidanzato che ho avuto nella mia vita... e le cose erano difficili.

Mirco finisce di fumare la sigaretta e si alza così da buttare il resto nel lavandino. «Tu sembri una persona molto sensibile. Molto più di quanto non dai a vedere.» dice lui, immagino che questo spieghi il perché delle sue parole.

«Continuiamo a parlare nel bagno o credi che possiamo uscire di qua?» dice infine ridendo, mi alzo a mia volta e lo seguo stando alla sua sinistra e usciamo dalla stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Mirco

Capitolo Dieci

sabato 1 giugno

 

 

Quando usciamo dal bagno, le luci del corridoio sono ancora spente ma i neon d'emergenza sono accesi, devono essere molto vecchi però visto che la luce bianca è debole, alla mia sinistra, il Primo Assistente si muove senza dire una parola finché non rompo io il silenzio.

«E tu invece? Sei fidanzato?» chiedo cercando di fare conversazione, ho parlato di me e Alessia e tocca a lui adesso parlare di qualcosa.

Valerio però scuote il viso negando. «Non più. Quasi un anno fa ci siamo lasciati, era una storia che durava da un po' ma le cose non sono mai andate bene davvero.» dice lui tenendo lo sguardo fisso in avanti.

Gli rivolgo un'occhiata cercando di indagare di più sulla sua espressione, Valerio sembra in difficoltà, come se parlare di quella cosa gli faccia molto male. «Mi dispiace. Come mai non vi siete più trovati? Se posso chiedere...» chiedo con delicatezza, il ragazzo fa spallucce come se non sapesse qual è la risposta corretta da dare.

«Una serie di cose in realtà. Come tutte le coppie avevamo i nostri alti e bassi. Ma le differenze stavano diventando sempre più grandi e difficili da riempire. Alla fine ho scoperto che mi aveva tradito...» dice Valerio in risposta, in quel momento il ragazzo sembra talmente piccolo da farmi quasi tenerezza.

Tengo lo sguardo su di lui: i suoi occhi si riempiono di una luce triste che mi fa capire che c'era davvero tanto amore e che lasciarsi è stata una decisione sofferta. «Cazzo, amico. Se scoprissi che Alessia mi tradisse... non la prenderei per niente bene! Spaccherei mezzo mondo per la rabbia!» dico cercando di spronare una reazione positiva in lui.

Il ragazzo però non sembra convinto e storce le labbra facendo una sorta di smorfia. Arriviamo nuovamente alle nostre scrivanie i cui computer sono ancora spenti. «Non sono quel genere di persona che reagisce bene, ecco. Ma ho trovato la forza di chiudere quel rapporto...» sembra sul punto di dire altro ma si interrompe bruscamente.

“Non se la sente di parlarne con me.” realizzo, lo capisco dal fatto che evita il mio sguardo cercando qualcosa che non esiste in un punto morto della stanza. Distolgo anch'io lo sguardo e mi giro verso la mia scrivania.

«È davvero una situazione di merda, ti capisco.» dico chiudendo così l'argomento; ritorno dietro la scrivania cercando il cellulare che avevo dimenticato su di essa e trovo svariati messaggi che non leggo ancora.

Dalla mia postazione lancio uno sguardo al Primo Assistente: Valerio si alza ancora una volta e si avvicina alla finestra che sta alle sue spalle osservando il cielo e la giornata fuori, il tempo si è annuvolato come se si stesse preparando una scarica di pioggia.

“Che sensazione strana mi dà questo ragazzo...” mi trovo a constatare, mentre gli parlavo di Alessia lui era come assorto nelle mie parole, quasi come se volesse solo ascoltare le mie confidenze senza giudicarmi.

“Sarà meglio però non dargli troppo spazio, ne conosco molte di persone che mi si avvicinavano e poi mi tradivano.” rifletto sulle mie precedenti amicizie, dai tempi del liceo in cui avevo decine e decine di amici, ho fatto una sorta di selezione naturale eliminando quelli che non lo erano.

“Io so riconoscere chi sono gli amici e chi i conoscenti.”

I miei pensieri però vengono interrotti da Valerio che sembra parlare da solo ma mi rendo subito conto che stava parlando con me quindi alzo il viso. «Che hai detto?» chiedo cercando di prestare attenzione.

«Mi riferivo alla pioggia. Amo questo tipo di clima. Preferisco le giornata nuvolose e quelle di sole.» dice lui guardando prima me e nuovamente il cielo fuori, mi alzo dalla mia poltrona avvicinandomi anch'io alla finestra.

«Già. Anche a me piace molto. Ma non quando sono a lavoro. La pioggia è bella solo se stai dentro casa, magari con amici o con le persone che ami, guardando magari un film o una serie televisiva mentre...» non ho il tempo di finire la frase che Valerio si intromette continuando al posto mio.

«Mentre mangiate pizza e patatine o qualcosa di molto dolce. D'inverno invece col freddo, si prende una bella cioccolata calda o un thé...» conclude il ragazzo girandosi verso di me, ci troviamo a guardarci negli occhi e mi sfugge automaticamente un sorriso.

«L'ho detto io che sei una persona sensibile.» dico quasi prendendolo in giro e a quel punto faccio quello che mi riesce sempre meglio: «Una mente come la tua è più eccitante di una paio di tette!» dico scherzando.

Nel momento in cui lo dico lui sembra in difficoltà, come se non sapesse in che modo replicare. Il dubbio sul suo viso però è fin troppo facile da leggere. «Ah stavi scherzando, ovviamente.» dice, fa una pausa il tempo necessario per trovare una risposta adatta. «Grazie per il complimento, so di essere un bocconcino prelibato.»

Non so perché, ma la cosa mi fa scoppiare a ridere quasi fino a farmi venire le lacrime agli occhi, alzo la mano invitando Valerio a battere il cinque e lui lo fa senza esitazione, poi chiudo la mano in un pugno facendo segno di ricambiare anche quello e ancora una volta il ragazzo risponde al mio gesto.

«Lo sapevo che eri un tipo apposto!» gli dico e lui mi fa un grande sorriso, uno di quelli veri e sinceri.

«Grazie.» dice Valerio, il ragazzo torna a guardare le nuvole all'esterno e la luce triste che avevo visto prima sembra quasi sparire nel nulla. «Quand'ero più piccolo e pioveva, e magari non dovevo andare a scuola, io e mio fratello passavamo interi pomeriggi giocando insieme.»

«Come giocavate?» chiedo interessandomi.

«Alle console, per lo più. Ma capitava anche che “creassimo” dei giochi. Si trattava di giochi comunissimi e già esistenti ma ne sviluppavamo una forma nostra. Era bello anche perché nostro padre spesso giocava con noi e quando mia mamma tornava dal lavoro mi sentivo come se avessi tutto quello di cui potevo necessitare.» dice lui, in qualche modo mentre parla, sembra quasi di vedere una parte della mia infanzia, quando io e Gabriella stavamo a casa e la mamma giocava con noi.

«Sembra una bella immagine. Quanti anni avevi?» chiedo, il ragazzo sembra pensarci qualche istante prima di rispondermi.

«Otto o dieci, non ricordo. Sono quelle immagini che sai essere accadute molto tempo fa, ti restano nel cuore come momenti eterni. Ma crescendo le cose cambiano: arrivano gli amici, le fidanzate ed è come se ci si perdesse di vista.» dice in risposta, ancora una volta riesco a vedere la grande sensibilità di questo ragazzo e mi lascia spiazzato.

«Capisco perfettamente quello di cui stai parlando.» dice io facendo una breve pausa. «Sai anch'io ho avuto i miei momenti felici con la mia famiglia quand'ero piccolo. Mio padre era un poliziotto e spesso era fuori casa quindi io e mia sorella stavamo con nostra madre quando eravamo a casa.» faccio un'altra pausa nell'assaporare quei ricordi.

Ricordo che una volta, quando avevo dieci anni, Gabriella venne da me con la sua casa delle bambole chiedendomi di giocare con lei; non mi sono mai piaciute le bambole delle ragazze ma ricordo che i suoi occhioni mi fecero cambiare idea e mi trovai a prendere il thè con un orsacchiotto!

«Erano bei tempi. Non avevamo alcun pensiero e non dovevamo preoccuparci di altro che non fossero i compiti a casa. Guardaci adesso invece...» dico a Valerio, il ragazzo mi fissa con i suoi occhi castani e sembra pienamente d'accordo con me di fatto è serio in viso.

«Prima hai detto che tuo padre “era” un poliziotto. Adesso non lo è più?» chiede, improvvisamente il mondo si ferma per me: sento il sangue ghiacciarsi nelle vene.

«Sì, ma è una storia lunga.» dico tagliando corto e con la mano colpisco l'aria come per scacciare via quest'argomento.

Il ragazzo continua a fissarmi e capisce che non mi va di parlarne. D'altronde anche lui come me ha dei segreti e delle cose di cui non va fiero, probabilmente. E io non voglio sbandierare hai quattro venti la mia disastrosa situazione familiare con tutti i problemi che abbiamo.

“Anche se... probabilmente non credo mi giudicherebbe o gli farei pena se glielo dicessi.” penso tra me e me, ma l'argomento non viene ripreso e Valerio si allontana dalla finestra per tornare alla propria scrivania.

«Capisco.» dice lui quasi come per riempire il vuoto di parole. «Accidenti, oggi ci va proprio male col lavoro.»

Mi avvicino al ragazzo sedendomi senza troppo peso sulla superficie della scrivania mentre lui si siede nella poltrona. «In casi come questo, cosa succede al giornale? Come facciamo a far uscire il numero di domani?» chiedo, è da molto ormai che siamo senza luce e quindi fermi col lavoro, è anche vero che abbiamo alle spalle una giornata intera.

«Be' abbiamo comunque del buon materiale sul quale lavorare e la redazione ha comunque lavorato duramente tutto il giorno. Solitamente teniamo anche qualche articolo di “riserva” in caso di necessità.» risponde Valerio, annuisco più volte lasciando ancora una volta spazio al silenzio.

«La prossima volta porta una mazzo di carte. Almeno sappiamo come passarci il tempo in caso di nuovo guasto elettrico!» dico ridacchiando, il ragazzo sembra darmi corda e anche lui ride.

«Mazzo di carte eh? Potrei sempre crearlo seduta stampo. Basta della carta, una penna e una forbice e posso pensarci tranquillamente io.» dice lui.

«Davvero? Be' che aspetti allora! Facciamolo.» dico incitandolo, il ragazzo prende la carta della stampante sulla scrivania e una penna e comincia a dividere il foglio disegnando delle figure che rappresentano i vari semi del tipico mazzo di carte francesi.

Lo aiuto finché il mio cellulare non suona nuovamente e di nuovo mi dico di dover rispondere visto che è la terza volta che mi dimentico di farlo. «Scusami un attimo.» dico senza troppo spiegazioni e nuovamente mi ritrovo dietro la mia scrivania e col cellulare in mano.

Scorro tra i messaggi velocemente senza soffermarmi nelle singole chat: Leonardo mi ha scritto chiedendomi se fossi a lavoro o meno, anche Lily mi ha mandato un messaggio per parlicchiare. Naturalmente ci sono anche i messaggi di Alessia che mi dice che stasera non ci sarà visto che è ad una cena di famiglia. Infine leggo i messaggi di Franz che catturano la mia attenzione.

 

°Franz:

Ehi fratello che turno hai domani?

Devo sistemare la Villa per degli affari.

Codice: Cavallo Pazzo.

°Mirco:

Nuovamente faccio da pomeriggio a sera.

Se vuoi possiamo andare appena finisco da lavoro.

Alessia non c'è stasera

°Franz:

OK perfetto.

Allora ci vediamo dopo.

°Mirco:

Bella bro'

Metto giù il cellulare così da tornare ad aiutare Valerio che sembra avere molto più manualità creativa rispetto a me, tuttavia nell'attimo in cui sto per sedermi con le forbici in mano, l'intero piano della struttura si illumina e le luci di emergenza si spengono.

«È tornata la luce!» commenta Valerio guardandosi intorno con meraviglia, il suo sguardo poi cade nuovamente sui fogli sul quale si trovano i disegni abbozzati delle carte. «Mi sa che per oggi abbiamo finito di giocare.» dice lui sarcasticamente, sbuffo infastidito.

«Peccato, mi stava piacendo la situazione.» rispondo poggiando il foglio sulla scrivania insieme alle forbici. «Non li buttare però, potrebbero sempre tornare utili in caso venisse a mancare di nuovo la luce.» gli dico e lui sembra essere più che d'accordo con me.

«Sarà meglio cominciare a lavorare adesso.» sono le ultime parole di Valerio, ritorno quindi alla mia scrivania e riprendo il lavoro da dove l'avevo lasciato.

Il resto della serata passa in maniera piuttosto lenta, specialmente visto che abbiamo del lavoro arretrato di alcune ore ma alla fine riusciamo a finire lo stesso in tempo per la stesura finale del menabò. Quando alzo lo sguardo per vedere l'orologio noto che sono le undici e mezza e che gli unici rimasti nell'ufficio siamo io e Valerio, oltre il Signor Cattaneo che sta ultimando la bozza del giornale.

«Guarda che puoi andare, davvero. Stasera porto io il menabò in tipografia. Non ho impegni.» dice per l'ennesima volta il Primo Assistente restando seduto sulla scrivania anziché sulla poltrona.

«I miei impegni possono aspettare, davvero.» dico insistendo a mia volta, non mi sembra corretto lasciare Valerio qui mentre io me ne vado e nonostante l'ottima conversazione che abbiamo avuto nel pomeriggio, non vorrei che mi tradisse proprio alla fine.

Il mio cellulare suona e parte la tipica suoneria monotematica, leggo il nome e vedo che si tratta di Franz. Non avendo lavoro da svolgere posso tranquillamente rispondere e premo la cornetta. «Ehi! Ho quasi finito.» dico mentre rispondo quasi con tono di scuse.

«Sei un coglione, lasciatelo dire. Io sono già alla Villa, mi sto dando da fare. A che ora dovresti arrivare?» mi risponde Franz dall'altro lato del telefono, tuttavia il tono con cui l'ha detto era talmente alto che persino Valerio l'ha sentito.

«Presto, non insistere. Ciao.» chiudo la chiamata prima che il ragazzo possa aggiungere altro, non che lo avrebbe fatto visto che le conversazioni con Franz via telefono solitamente sono monosillabiche.

Valerio mi rivolge ancora uno sguardo. «Davvero, vai. Non farmi insistere, è inutile restare entrambi qui. Domani avrai modo di contraccambiare il favore.» mi ripete ancora una volta il ragazzo, stavolta sono quasi tentato di accettare.

«Sicuro? Non è una problema. Mi sono beccato un “coglione” gratuito ma ci sono abituato!» gli dico cercando di scherzarci un po', Valerio si fa una risata.

«Dico sul serio. Puoi andare. Ci vediamo domani comunque.» dice infine il ragazzo.

A quel punto mi ha convinto quindi prendo il mio giubbotto di jeans e mi assicuro che tutto quello che avevo poggiato sulla scrivania sia ritornato nello zaino che mi porto a lavoro, prendo infine il cellulare e saluto il ragazzo.

Quando esco dall'ufficio ho come la sensazione di aver lasciato qualcosa dentro, tuttavia una voce nella mia testa mi dice che è solo un'impressione quindi mi appresto ad andare nella macchina ed esco dal parcheggio incamminandomi verso la Villa trovando le strade piene di gente visto che è sabato sera e la serata è appena iniziata.

Accendo la radio mettendo il play alla lista di canzoni e la chitarra come sempre comincia per prima a suonare seguita dalla batteria, prendo il pacchetto di sigarette e ne accendo una cercando di destreggiare il manubrio con una sola mano mentre canticchio le parole della canzone.

La periferia si sostituisce ben presto al centro urbano, supero l'incrocio girando verso destra e ritrovandomi poi a posteggiare la macchina dentro il vialetto dell'abitazione trovando già il veicolo di Franz.

Quando sono davanti la porta d'ingresso cerco di girare la maniglia che però va a vuoto, busso ripetutamente ricordandomi che quando è da solo dentro la Villa, Franz è solito chiudersi a chiave.

“Mi sono sempre chiesto se magari non abbia in qualche modo paura che qualcuno possa entrare e lui non se ne possa accorgere.” penso tra me e me. Ma il pensiero mi sembra sempre più assurdo visto che è capitato altre volte che Franz andasse in giro armato.

Il ragazzo compare alla porta e sento il chiavistello girarsi, poi lo vedo apparire con indosso una maglietta senza maniche che lascia vedere il fisico allenato, i suoi occhi scuri sono puntati su di me e mi fa un cenno.

«Come mai così tardi?» chiede lui senza particolare interesse, mi invita ad entrare e allora lascio lo zaino e il giubbotto sul divano che si trova sulla sinistra dove solitamente si siedono Alessia e le ragazze.

«Siamo stati al buio per quasi tutta la serata, hanno tolto la luce, cazzo.» rispondo avvicinandomi al tavolo che si trova a destra, oltre si esso lo stereo è messo in riproduzione ma la canzone è troppo bassa per sentirla.

«Se me lo dicevi rimandavamo. Ho già fatto metà delle cose. Avanti dai dammi una mano a sistemare questo posto! Se non fosse per me ci sarebbero i topi!» dice Franz sarcasticamente, ridacchio un po' ma so che ha perfettamente ragione.

Lui è l'unico a prendersi cura della Villa così come del Vicoletto, ma è anche l'unico di noi di noi ragazzi a non avere impegni durante la giornata eccetto i suoi “affari”.

«Non te la prendere con me. Io lavoro quasi dieci ore al giorno e non ho tempo per mettermi a sistemare questo posto. Dillo a Leonardo piuttosto, lui non fa niente dalla mattina alla sera.» dico riferendomi al rossiccio del gruppo.

Entrambi ci spostiamo verso la parte della cucina e vedo che Franz ha preparato una scopa con paletta per raccogliere la polvere da terra, sto per avvicinarmi quando il ragazzo mi ferma e mi indica il lavandino e l'angolo cottura dove si trovano i piatti e le posate che abbiamo utilizzato l'ultima volta che abbiamo mangiato tutti qui.

«Scarica pure la colpa sugli altri, Mirco.» dice Franz riprendendomi prima di mettermi a lavare i piatti. Lo vedo sorridere mentre parla e capisco che non è arrabbiato. «Mi chiedo come facciate a portare le ragazze a scopare qua dentro! Tanto vale farlo in una fogna a sto' punto!»

«Non parlare per me. Io non uso la Villa da un bel po' per le mie cose!» rispondo riferendomi alle difficoltà che abbiamo con Alessia, Franz però non sembra intenzionato ad affrontare l'argomento quindi va sul chiudere.

«Questo non ti esclude.» e seguono alcuni istanti di silenzio nel quale entrambi facciamo la nostra parte: Franz è il tipico ragazzaccio, però non si può certo dire che non ci tenga alla pulizia della Villa.

“Immagino che in parte la consideri come casa sua. Chissà se ce l'ha davvero una casa da qualche parte in città...” mi ritrovo a pensare mentre lavo l'ennesimo piatto e lo metto ad asciugare sull'apposito ripiano.

Improvvisamente dopo diversi minuti di silenzio, Franz mi si avvicina stringendo in una mano la scopa e tenendo l'altra infilata nella tasca del jeans. «Hai mai pensato di farti fare un massaggio?» chiede lui.

In un primo momento non riesco a capire di cosa sta parlando, interrompo la mia mansione girandomi verso di lui e fissandolo. «Un massaggio?» mi getto un'occhiata alle spalle e mi raddrizzo la schiena. «Pochi giorni di lavoro e sono già messo così male?» chiedo scherzando.

Tuttavia Franz resta serio e scuote il viso più volte. «Non mi riferivo a quel genere di massaggio, idiota.» mi risponde lui, dalla tasca del jeans nel quale tiene la mano tira fuori un biglietto da visita e me lo passa in mano.

Gli getto una rapida occhiata leggendo due numeri di telefono e un indirizzo di posta elettronica, via e tutto. Si tratta di un centro di massaggi, tuttavia sia il nome del posto che quello che penso sia il nome della proprietaria sono scritti in russo e faccio fatica a leggerli.

«Che roba è?» chiedo infine.

«Se non ti senti di andarci da solo, la prima volta ci possiamo andare insieme. Fanno anche terapie a due a due, ovviamente solo tra amici; fidati: sarà il miglior massaggio della tua vita!» mi risponde il ragazzo.

Mi basta un attimo per capire che genere di massaggio si fa in quel centro e l'allusione fatta da Franz. Sono lì lì per restituirgli il biglietto da visita visto che non mi sognerei mai e poi mai di tradire Alessia con un'altra. Tuttavia qualcosa dentro le mutande mi si muove e un senso di curiosità mi spinge a conservare il bigliettino dentro la tasca.

«Ci penso su.» riesco a dire con grande fatica. Franz annuisce e ritorna a pulire il pavimento, mi riesce difficile smettere di pensarci, specialmente visto che è da un bel po' che non riesco a sfogarmi come si deve.

“Ci penserò...” mi ripeto nella testa. In fondo, che male c'è a farsi fare un innocente massaggio?

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


Valerio

Capitolo Undici

mercoledì 5 giugno

 

 

Inserisco il freno a mano e giro la chiave nel quadro per poi toglierla e infilarla nella mia ventiquattro ore, prendo la valigetta ed esco dal mezzo ritrovandomi lungo il vialetto del complesso di piccole ville nel quale abita Alice.

Cammino lentamente mentre assaporo il leggero venticello di inizio giugno che mi rinfresca il viso ma allo stesso tempo non mi da il fastidio che potrebbe dare una giornata troppo soleggiata; lo stesso venticello muove gli alberi al centro del grande viale, la piccola piazza disegnata è circondata da alcune auto, tra cui la mia.

Mi sposto sul marciapiedi che mi fa attraversare le altre ville del complesso fino ad arrivare al cancelletto della casa di Alice, la ragazza ha già premuto il pulsante per aprirlo e quindo posso passare oltre.

«Ehi ti decidi a muoverti? Sei anche in ritardo!» dice lei spuntando sulla soglia della propria abitazione, ridacchiando.

«Sì, scusami ma ho tardato a lavoro. E mi sono cambiato in fretta e fuori in auto.» dico in risposta, salgo i gradini che mi separano dal pianerottolo e dalla mia migliore amica ed entro nella casa.

In sé e per sé la casa è piuttosto piccola: un grande salotto-ingresso funge anche da sala da pranzo, un tavolo di forma ovale si trova accerchiato da alcune sedie sul quale Emilia poggia dei piatti con qualcosa che sembra pasta dentro di essi. La ragazza dei capelli rossi mette le mani alla vita e mi guarda come se avessi fatto qualcosa di sbagliato.

«Scusatemi ancora.» dico abbandonando la ventiquattro ore dietro la porta d'ingresso, Emilia comincia a guardare il modo in cui sono vestito avendo sentito la mia scusa.

«Per metterti un jeans e una maglietta c'è voluto un consiglio di scienziati, forse?» mi critica lei, in effetti per me è stata molto dura visto che di mattina fa bel tempo, ma nel pomeriggio potrebbe anche rovinarsi e fare freddo. E ci ho messo tanto prima di scegliere di portarmi un giubbotto.

«Abbiamo avuto un bel casino a lavoro e naturalmente come spesso accade, sono da solo. Il Secondo Assistente ha il turno pomeridiano.» dico cercando di tagliare corto sull'argomento, Alice si sposta oltre il tavolo ovale dove mi accorgo che è stata montata la postazione di Massimiliano con computer e pronta per avviare il film.

Le due ragazze si spostano nuovamente in cucina mentre io mi avvicino al tavolo da pranzo e osservo l'accurata preparazione dei dettagli: Emilia ha messo dei petali di fiori al centro dell'elegante tovaglia da pranzo, piatti e posate sono state messe con un particolare ordine e cura e inoltre sul tavolo, oltre le bottiglie d'acqua, qualcuno ha già aperto due bottiglie di vino rosso.

“Non il mio preferito... ma mi aggrego alla bevuta!” dico tra me e me visto che è il compleanno della nostra amica rossa. Continuando a guardare noto che Emilia ha messo dei fiocchetti sulle sedie con su scritto il nostro nome.

«Ti sei data da fare...» dico ammirando il duro lavoro nell'addobbare il salotto della casa, essendo i suoi genitori fuori per lavoro abbiamo ben pensato di sfruttare l'occasione per poter festeggiare tranquilli.

Emilia torna nella stanza insieme ad Alice che la aiuta sostenendo gli ultimi piatti e un piccolo tagliere con alcuni salumi da mettere al centro tavola come antipasto prima della portata principale. «Gli altri se li sono mangiati Max e Rob: abbiamo cercato di aspettarti ma avevamo fame!» dice Alice in tono quasi di scuse, le sorrido ringraziandola e assaggio l'antipasto che mettono sul tavolo.

«Dove sono finiti quei due! È il mio compleanno! Dovreste cucinare voi per me e non il contrario!» dice Emilia urlando, la sua voce echeggia nella mia testa e si sposta oltre i divani per andare verso le scale e il piano inferiore dove si trovano probabilmente i due ragazzi.

«Cosa dicevi riguardo il lavoro?» chiede Alice sedendosi al proprio posto, faccio attenzione nel cercare il mio nome tra i fiocchetti e mi basta sedermi accanto a lei.

«Soliti casini, lo puoi ben immaginare ormai. E con l'arrivo dell'estate si aprono le sezioni speciali tipo: “Oroscopo del mare”. Nel pomeriggio Mirco avrà un gran bel da fare...» dico pensando al ragazzo e nominandolo per nome, Alice mi guarda interdetta per un breve istante.

«Mirco? Il Secondo Assistente, suppongo?» chiede lei per conferma e io annuisco più volte. «Ne parli sempre più spesso di questo ragazzo, sembra che ti stia molto simpatico.» dice lei prendendo la bottiglia di vino e versandosene meno di due dita. Poi fa il giro negli altri bicchieri riempiendoli.

In un primo momento la sua osservazione mi sembra strana, poi mi rendo conto di non sapere esattamente quante volte gli ho parlato del ragazzo e soprattutto in che ambito io ne abbia parlato. «È simpatico. In realtà sembra un tipo abbastanza losco; tatuaggi, sigarette e anche visivamente può mettere abbastanza soggezione. Però è simpatico.» ripeto mantenendo un tono di voce vago, Alice annuisce e si mordicchia il labbro con un leggero sorriso.

«Ed è un tipo carino? Fammi vedere una foto dai.» dice lei quando ha riempito tutti i bicchieri, nel frattempo Emilia ritorna insieme ai due ragazzi dal piano di sotto; Max si avvicina salutandomi con la mano mentre Rob, che è seduto vicino a me, mi batte una pacca sulla testa.

«Non saprei come fartelo vedere...» dico pensandoci un po', in realtà sapendo il nome e il cognome potrei benissimo cercare il suo profilo social visto, avendo la mia età è probabile che anche lui ne faccia uso.

«Di che state parlando?» chiede Rob intromettendosi nell'argomento, improvvisamente mi sento al centro dell'attenzione e la cosa mi mette a disagio.

«Voglio ricordarvi che è il mio compleanno. Quindi prestate a me attenzione, parleremo delle cose di Valerio un altro giorno!» dice Emilia riportando tutti quanti all'attenzione, le sono grato per averlo fatto e dopo un breve discorso possiamo finalmente sederci a tavola per mangiare.

«Ti è piaciuto il regalo?» le chiedo tra una forchettata e l'altra, la ragazza alza lo sguardo con gli occhi che le brillano.

«Appena l'ho visto ho pensato subito che lo avessi scelto tu!» dice lei spostando lo sguardo su Alice e Rob. «Voi due insieme non avreste saputo tirare fuori nulla del genere!»

Io e Max scoppiamo a ridere, e in istante Emilia ne approfitta per andare a prendere il regalo così da “mostrarmelo”: un piccolo box con lucchetto a forma di cuore rappresenta il simbolo di uno dei cartoni animati preferiti dalla ragazza. Sblocca il lucchetto e al suo interno ci sono vari compartimenti con trucchi e tutto quello che le può servire per il make-up. “Sì, più la guardo e più posso dire che è stata una bellissima idea.” dico tra me e me.

«Guarda che anche noi ci avevamo pensato a qualcosa del genere!» mente Alice che cerca di strappare il box trucchi dalle mani della festeggiata, quella però lo ritrae come se fosse la cosa più preziosa che ha.

«Stai lontana con le tue manacce maldestre!» la insulta la rossa e noi ragazzi ci troviamo a scoppiare a ridere. Alla mia destra si avvicina Rob all'orecchio e mi sussurra qualcosa.

«Ne capisci più tu di regali per ragazze che Alice stessa!» dice a mo' di battuta mentre ridacchia, mi giro verso di lui ricambiando il sorriso, tuttavia qualcosa sembra turbarlo quando i nostri occhi si incrociano.

«Tutto bene?» chiedo preoccupato.

Rob non è mai stato bravo a nascondere le proprie emozioni e forse durante gli anni di liceo abbiamo imparato a conoscerci fin troppo bene. «Ieri mi sono visto con Michele per un caffè... era già da un po' che mi aveva chiesto di poterci vedere per parlicchiare.»

Improvvisamente tutto il mondo intorno a me sembra fermarsi, non perché abbia nominato Michele, dentro di me sento nascere un senso di impotenza e subito mi chiedo di che cosa potrebbero aver parlato.

“Michele potrebbe aver detto di me e lui?” la mia testa viene quindi invasa da mille pensieri, come la possibilità che l'equilibrio che ho con i miei amici venga distrutto. La paura che ho sempre avuto di rivelare loro la mia vera natura.

«Ah sì? Di che avete parlato?» chiedo subito, cerco di contenere il mio tono ma è subito evidente che non ci riesca.

«Nulla di che. Per lo più mi ha parlato di te: come stai, se hai trovato l'ispirazione per le tue poesie e poi nel parlare di sé cercava sempre di parlare di te.» risponde Rob con notevole tranquillità mentre finisce il suo piatto, nel frattempo senza essermene accorto vedo che Alice ed Emilia stanno sparecchiando tutti i piatti così da poter proseguire col il pranzo, le mie attenzioni però sono su Rob.

«Immagino che non sia stato piacevole...» dico quasi soddisfatto, l'immagine di Michele e Rob insieme è una cosa che mi preoccupa, e dopo aver bloccato il suo numero di telefono potrebbe essere capace di tutto.

«Più o meno.» dice lui, la risposta mi lascia incredulo e infastidito allo stesso tempo, come se quello rappresentasse un tradimento da parte di Rob. «Sono sempre andato d'accordo con Michele, tuttavia sentir parlare solo di te non è bello come sembra!» dice ancora ridacchiando.

Cerco di rispondere allo stesso modo con una risata ma mi sento incredibilmente goffo quindi cade il silenzio tra noi due anche se continuo a sentire lo sguardo di Rob su di me.

“Michele sta facendo qualcosa... e credo che c'entri con il nostro fidanzamento.” penso, anche lui però non è mai stato così aperto sulla sua natura e più volte abbiamo parlato insieme del fatto che i nostri amici potessero sapere di noi.

“Non avrebbe senso rivelarlo adesso, o meglio, dare loro conferma. Non ci sto capendo più nulla!” continuo a pensare sentendo la testa pesante e confusa. Quando Alice ed Emilia ritornano con i piatti del secondo posso finalmente distrarmi e il pranzo segue fino alla torta in totale serenità e ogni pensiero svanisce.

«Mi sento esplodere, accidenti!» dice Rob quando anche i piatti della torta vengono portati via dalle ragazze, il film è ormai giunto alla fine ma nessuno di noi ha prestato attenzione a cosa stava accadendo quindi Max si alza per cambiare il film e mettere qualcosa di sottofondo.

«Vado a prendere i giochi da tavolo. Voi nel frattempo date una mano in cucina visto che Emilia non può fare tutto da sola!» dice Alice rimproverando noi ragazzi, sono il primo ad alzarmi dalla sedia visto che sono anche il più vicino alla cucina. Quando entro vedo che la ragazza sta infilando i piatti nella lavastoviglie.

«Tranquillo Valerio, ho già fatto. Alice stava solo scherzando.» mi risponde Emilia quando cerco di avvicinarmi a lei; mi do' un'occhiata intorno vedendo la effettivamente è stato tutto messo in ordine.

La ragazza rossa avvia il programma di pulizia della macchina che comincia a fare un leggero suono. Poi ritorna in piedi e si gira verso di me. «Allora: sai benissimo che io devo avere l'approvazione sui tuoi colleghi di lavoro. Devo sapere se sono belli o no e se ci posso provare. Come si chiama questo tipo simpatico?» dice lei.

«Te ne ha parlato Alice per caso?» chiedo sarcasticamente, tuttavia Emilia alza lo sguardo e mi fissa con i suoi occhi azzurri spalancati.

«No, stavo origliando. Il nome?» chiede ancora prendendo dalla tasca dei jeans il proprio cellulare e comincia a digitare qualcosa, poi mi fissa in attesa.

Sono esasperato e alla fine cedo. «Mirco Romano. Non ho idea di che immagine abbia, non ho provato a cercarlo.» dico infine e lei sembra neanche ascoltarmi.

Ci impiega pochi secondi a fare la ricerca e comincia a mostrarmi dei volti finché il decimo risultato non è proprio lui e mi mostra il suo profilo social: l'immagine mostra il ragazzo biondo immerso in uno spazio verde che sembra un giardinetto con alberi e arbusti rampicanti, è poggiato al tronco dell'albero e guarda l'obiettivo con il viso leggermente inclinato verso il basso, sembra quasi ammiccare con i suoi occhi verdi.

Rimango ammaliato dalla bellezza della foto che sembra quasi parte di uno shooting fotografico. Deglutisco e cerco di sbloccarmi dall'incantesimo fatto da quella singola foto. «Sì, è lui.» dico in un tono più naturale possibile, l'espressione di Emilia però non sembra essere soddisfatta.

«Ecco... sì, magari è carino.» dice lei, ma so benissimo che il tono con cui lo dice indica totalmente l'opposto, basta che la guardo negli occhi per scoprire la verità. Emilia a quel punto sbuffa alzando gli occhi al cielo. «Fortunatamente non lavoro nella tua redazione. Pensa che cosa dovrei fare per trovare qualcuno di decente!» dice la ragazza.

Scoppio a ridere e mi avvicino fiancheggiandola e osservando nuovamente la foto del Secondo Assistente. «Non è un brutto ragazzo, non riesci ad essere obiettiva. E poi la foto è fatta molto bene, sembra fatta da un professionista o qualcuno che ne capisce insomma.»

Emilia però non osserva la foto come faccio io e nel suo sguardo si cela la contraddizione. Sembra essere sul punto di dire qualcosa ma si frena lasciando le labbra leggermente schiuse e non sapendo cosa dire. «Che ne vuoi capire tu di ragazzi!» si limita infine, il modo in cui lo dice però non mi convince, esce dal profilo del ragazzo e rimette il cellulare in tasca. È raro che Emilia non abbia parole da dire.

“Chissà cosa le stava passando per la testa. Forse c'entrava Michele... forse stava per parlare liberamente.” mi ritrovo a pensare pochi attimi dopo, nessuno dei due però continua a parlare della foto e l'argomento muore lì.

Più tardi quando sono le sei, esco dalla casa per prendere il cambio d'abito per andare a lavoro, i miei amici restano nel salotto mentre io vado al bagno di sopra per cambiarmi, quando scendo mi sembra quasi ingiusto che io me ne vada lasciandoli divertire. Mi ritrovo a pensare a quanto vorrei stare con loro, ma non è possibile visto che devo andare.

“Questo è uno dei motivo per il quale non mi piace organizzare grandi cose di gruppo quando poi devo andare a lavoro.” penso continuando ad osservarli, Alice si accorge della mia presenza quando si gira a seguito di una risata e allora mi si avvicina quasi si fosse ricordata di me.

«Mi dispiace che devi andare. Però è stato bello averti con noi e hai reso Emilia più felice che mai.» dice la ragazza dai capelli castani mentre mi accompagna alla porta, faccio un saluto generale a tutti e prima di andarmene Emilia mi viene contro e mi abbraccia calorosamente.

«Grazie ancora, buon lavoro.» dice la rossa facendomi l'occhiolino e apprestandosi poi ad andare a sedere. Mi ritrovo quindi con Alice che tiene la braccia incrociate.

In quei pochi istanti, la ragazza è riuscita a cancellare la negatività e la tristezza che mi avevano assalito nel momento in cui sapevo di doverli lasciare. Alice mi poggia una mano sul braccio accarezzandolo dolcemente e continua a sorridere. «Direi che è andato tutto bene.» dico infine sentendo un flusso di leggerezza nel cuore.

«Sì, ci sentiamo via messaggio, va bene?» dice Alice riconoscendo una punta di amarezza nella mia voce, allora annuisco più volte sorridendole.

Me ne torno quindi al mio pick up mentre le ombre delle sera cominciano a scendere sempre più velocemente e le luci della città si accendono poco alla volta.

Quando sono entro a lavoro l'ambiente è come sempre tranquillo, gente che lavora e che parla del numero in uscita; mentre attraverso il corridoio sento che un gruppo di assistenti parlano del compleanno di qualcuno e progettano un regalo da fare e quindi di chiedere una quota a tutto l'ufficio, in lontananza vedo Davide e Paolo e li saluto.

Infine arrivo alla mia scrivania davanti quella di Mirco, il ragazzo non c'è ancora e ho il tempo di lasciare la valigetta e di organizzare il mio lavoro nei primi cinque minuti nel quale mi sono seduto sentendo però l'umore piuttosto nero.

Nell'attesa che il computer si accenda vado alla macchina del caffè e digito casualmente nel tastierino. Rimango come intrappolato nei miei pensieri, lasciando che il mondo intorno e me resti escludo dalla mia testa.

Questa distrazione poi mi costa quando mi giro con il bicchiere in mano scontrandomi con un ragazzo che stava subito dietro di me; il caffè salta dal bicchiere bagnando la mano col quale lo stavo tenendo e bruciandomi!

«Cazzo...» mi esce spontaneamente e abbandono il bicchiere ormai mezzo vuoto sulla scrivania vicina, ritraggo la mano ancora ustionata e me la porto alle labbra come se potesse alleviare il dolore.

«Scusa, scusa, scusa non volevo spaventarti!» dice qualcuno ridacchiando, riconosco subito la voce di Mirco e alzo gli occhi per vedere il dispiacere nei suoi occhi ma che allo stesso tempo trattiene una risata.

«Che ti ho fatto di male?» chiedo ancora dolorante e con una voce che somiglia al rantolo di un cucciolo appena ferito. Muovo la mano in aria come per raffreddarla.

A quel punto Mirco apre le braccia e continuando a ridacchiare mi si avvicina. «Oh cucciolo, non volevo farti del male!» sento le sue braccia attorno a me e senza rendermene conto mi ritrovo nella sua morsa.

La prima cosa che mi passa per la mente è proprio il fatto che mi stia abbracciando un ragazzo, quasi uno sconosciuto. Nonostante quello però, goffamente ricambio l'abbraccio, gesto consolatorio che però mi fa un altro effetto.

In un secondo momento vengo investito dal suo odore, non un profumo come quelli che uno si mette prima di uscire, si tratta del suo semplice odore ed è piacevole.

«Mi sento bullizzato!» dico sarcasticamente e lui si limita al ridacchiare mentre muove le mani sulla schiena in modo consolatore. «Credo che sia passato per ora...» dico non lamentando più il dolore del caffè bollente.

A quella notizia il ragazzo si separa da me e ho come la sensazione di un vuoto senza poterlo sentire vicino, tuttavia svanisce nel momento stesso in cui lo penso; il ragazzo fa un passo indietro e lo vedo sbottonarsi la manica della camicia che senza sapere come si è macchiata di caffè.

«Anch'io ho avuto una punizione.» dice Mirco in tono sarcastico, si alza quindi la manica fino al gomito mostrando l'intricato tatuaggio che raffigura quelli che sembrano rovi e corde che si annodano casualmente lungo il braccio.

«Volevi farmi un agguato da dietro per caso? Sei tipo un maniaco sessuale o cosa?» chiedo stando allo scherzo, Mirco scoppia a ridere e scuote il viso.

«E tu che hai? Eri assorto completamente nei tuoi pensieri. Non ti fa bene pensare tanto, ti vengono le rughe!» dice canzonandomi e istintivamente mi porto la mano sul viso come per controllare che ci siano o meno.

«Ero con i miei amici prima di venire a lavoro.» rispondo in totale sincerità mentre faccio nuovamente il giro della scrivania per sedermi; Mirco invece resta in piedi davanti a me per ascoltarmi. «Abbiamo fatto una festa di compleanno per un'amica, mi è dispiaciuto lasciarli divertire senza di me.» aggiungo in conclusione.

Mirco annuisce arricciando le labbra. «Ho capito, in effetti non sembra molto allegra come cosa. Pensa però che in questo modo hai ricevuto un abbraccio da me!» dice ammiccando e facendo il simpaticone, faccio quindi una smorfia in risposta alla sua risata. I miei occhi si muovono da soli fino al braccio che tiene scoperto.

«Credo sia la prima volta che vedo bene il tatuaggio. Cosa significa? Sono rovi e corde...?» chiedo quasi dimenticandomi del resto, il ragazzo sembra risvegliarsi alla mia domanda e si osserva il braccio.

«Rappresenta una sorta di equilibrio: i rovi e le corde sono molto simili tra loro, i primi sono piante spinate, ma sono anche eleganti e sinuosi; le corde invece sono tese e si annodano goffamente tra di loro.» dice Mirco in risposta, il suo sguardo poi si sposta ancora una volta di su me. «La prima volta abbiamo parlato di Dio e di credenze quando eravamo seduti a pranzo. Io non credo in una divinità, ma penso che in tutta la natura ci sia equilibrio. »

Annuisco interessato a quella visione d'equilibrio. Mi chiedo quanto di “equilibrato” ci sia nella mia vita e in questo momento non c'è molto che mi sembri al posto.

«È figo. Mi piace molto.» dico ammettendolo. «Io non ho tatuaggi. Mi piacerebbe farmene qualcuno, ma è difficile trovare quel qualcosa che...» non ho il tempo di finire la frase che subito lui mi precede.

«Qualcosa che ti stia bene per sempre sulla pelle. Già, lo capisco; ho anche altri tatuaggi ma la camicia li copre; qualche volte te li faccio vedere.» dice infine lui. Annuisco e quello mette un punto alla discussione, il ragazzo quindi se ne torna dietro la scrivania e io mi ricordo di non aver ancora presto il caffè.

“Mi sa che è meglio evitare, per oggi.”

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo Dodici ***


 

Mirco

Capitolo Dodici

sabato 8 giugno

 

 

Lily mi si avvicina muovendosi velocemente e guardandosi in torno come per conferma che nessuno la stia notando. Il mio sguardo, prima fisso in un punto della strada oltre la vetrina della tavola calda, si sposta su di lei non appena si siede davanti a me.

Insieme alla ragazza è arrivato il mio vassoio col gigantesco panino stracolmo di carne, melanzane e salse di condimento, la bevanda e il sacchetto con le nuove patatine fritte al gusto di paprika che sono disponibili solo per questa settimana che ormai è giunta al termine.

«Allora? Come vanno le cose tra te e Alessia? Dal messaggio che mi hai scritto non sembrava bene.» dice la ragazza guardandomi con i suoi occhi scuri, ricambio quello sguardo prima di addentare il mio panino.

«Solite cose. Mi ha fatto una testa enorme per il fatto che le detto che le scrivevo appena uscito dal lavoro, avevo il cellulare scarico e lei insisteva!» dico con lo stomaco sottosopra, la mattina non è per niente iniziata nel migliore dei modi visti i messaggi con Alessia.

«Vi siete scritti? L'hai almeno chiamata per scusarti?» chiede Lily in maniera quasi distratta, mi accorgo subito del fatto che è più assente degli altri giorni ma immagino che sia perché il lavoro oggi a pranzo è vuoto e quindi fa più attenzione nel caso in cui entri qualcuno.

«Chiamarla? Ha fatto la pazza e dovrei essere io a scusarmi? Guarda un po'!» dico prendendo il cellulare dalla tasca ed entrando nella conversazione di messaggi che mi sono scambiato con Alessia.

Lily prende il cellulare in mano e dà un rapida occhiata ai pochi messaggi nel quale Alessia mi dava delle colpe insistendo sul fatto che avessi fatto chissà cosa, che sono un irresponsabile che tengo sempre il cellulare scarico e mai un cavetto per ricaricarlo con me.

La mia migliore amica sospira pesantemente dove aver letto tutti i messaggi e fa una smorfia quando mi passa nuovamente il cellulare. «Sai che sono dalla tua parte, ma credo che abbia ragione. Inoltre non ti ha scritto nulla di “esagerato”. Tu invece le hai scritto chiaramente che è pazza!» dice Lily senza prendere le mie parti, mi sento quasi tradito, se non fosse che forse ha ragione.

«Cercavo di tagliare il discorso visto che come sempre con Alessia non è mai come sembra. Quando dice qualcosa in realtà ne intende altre cento e lo sai bene!» dico esasperato, getta un'occhiata veloce al cellulare per vedere che ore sono per capire quanto tempo mi resta.

«Sarà che conosco meglio di te le ragazze, voglio dire: sono lesbica ma pur sempre una ragazza, e sarà proprio perché mi piacciono che riesco a capire anche te. Però Alessia è fatta così, la conosciamo bene; è quel genere di ragazza al quale piace avere controllo e potere su di te. Pensavo che ormai l'avessi imparato.» dice Lily seria in volto, di nuovo il suo sguardo gravita sul locale intorno a sé nonostante ci sia un'altra cameriera disponibile in caso entrasse qualcuno da accogliere.

«Non ti ci mettere pure tu!» dico a bassa voce, ancora una volta guardo l'orologio sul cellulare e non sono neanche passati due minuti, la risposta che aspetto viene proprio da Franz, mi sembra che tutto stia per accadere in fretta.

«Scusami oggi non sono proprio al massimo mi sa.» dice lei ammettendo finalmente di essere strana, il suo sguardo torna su di me e aspetto che lei parli. «Probabilmente mi trasferisco. Il proprietario mi ha detto che dei suoi amici stanno aprendo un ristorante di lusso in un'altra città.» assimilo la notizia come se fossi una spugna, lentamente il fatto che Lily possa trasferirsi mi inonda e mi fa stare male.

«Per quanto?» chiedo, è la prima domanda che mi viene in mente seguita da altre dieci almeno.

«Potrebbe essere per tanto tanto tempo. Loro gli hanno chiesto se conosceva dei camerieri, lui gli ha fatto il mio nome dicendo che ero la migliore e che la paga sarà il doppio di quella che prendo adesso!» dice Lily abbassando lo sguardo; a questa notizia, il mondo sembra cadermi addosso visto che lei è l'unica che mi capisce davvero ed è il mio punto di riferimento per ogni cosa.

«Quanto distante andrai? E quando soprattutto!» le chiedo cercando di mantenere la calma, ancora una volta guardo l'orologio, altri due minuti sono passati.

«Due ore di volo.» dice lei abbozzando un sorriso amaro e imbarazzato. «Probabilmente dopo l'estate. Chi può dire se forse non sia prima...io voglio accettare!» dice dopo aver risposto alle mie domande e dentro di me resta soltanto un grande vuoto che non so come riempire.

Il pensiero di Lily fuori dalla mia vita mi distrugge, è il mio punto fermo, sento più lei come sorella che Gabriella nonostante le voglia molto bene; è sempre stata con me fin dall'inizio e saperla distante... “Almeno però avrà quello che vuole, quello che vogliamo tutti: fuggire da questa città e mettercela alle spalle per sempre!” penso tra me e me.

Improvvisamente il mio cellulare suona la notifica dei messaggi e getto una rapida occhiata per vedere di chi si tratta, con mio sollievo si tratta proprio di Franz, la risposta al messaggio che gli avevo inviato.

°Mirco:

Ehi fratello ho bisogno di un favore

Vado a pranzo da Lily, poi ho bisogno di svago

facciamo una capatina al posto che mi dicevi?

°Franz:

Che posto? Che intendi?

°Mirco:

Intendo il centro di messaggio russo, coglione!

Me ne hai parlato la settimana scorsa. Ti va di

accompagnarmi o no?

°Franz:

Lascia la macchina là da Lily. Passo io tra cinque

minuti. Paga e poi esci. Il “massaggio” lo offro

io per questa volta, la prossima vai tu.

 

La conversazione si chiude e Lily mi guarda stranita visto l'accanimento che ho avuto sul cellulare. «Mi sa che devo andare. Passa Franz a prendermi. Mi posso portare le patatine? Sono buonissime!» dico improvvisamente più vitale e lei è sempre più guardinga.

«Certo che puoi. Ma ti senti bene? Non starete mica andando a farvi le canne per questa storia di Alessia?» chiede lei preoccupata e con tono di rimprovero.

Scuoto il viso più volte e lascio una banconota da venti sul tavolo. «Tieni pure il resto, ti devo tanti pranzi. Scappo che sono di fretta.» dico senza troppe spiegazioni, le do un bacio sulla guancia e lei sembra completamente confusa dalla mia improvvisa fuga.

Corro fino al parcheggio dove solitamente ci diamo appuntamento e tengo il cellulare in maniera silenziosa in modo che nessuno posso disturbarmi, in particolare Alessia vista la decisione che ho preso.

Franz arriva con la sua auto tutta scassata entrando nel parcheggio e fermandosi proprio davanti a me in modo che io possa entrare all'interno del veicolo. Apro la portiere e mi metto comodo sul sedile accendendomi poi una sigaretta, dall'odore aspro che c'è credo che quella che stia fumando il mio amico sia una canna.

«Tutto bene?» chiede lui, il tono che però usa è piatto, come se sapesse già la risposta altrimenti non avrei mai chiesto di accompagnarmi nel centro massaggio.

«Va alla grande!» dico in risposta sentendomi forte come un leone, lui fa un mezzo ghigno ed insieme usciamo dal parcheggio per immetterci nel traffico con la musica a palla.

Nel breve tragitto la mia mente si oscura da ogni pensiero e mi chiudo in me stesso godendomi la musica rock che risuona e l'odore acre dell'erba di Franz. «Quanto tempo hai prima di andare a lavoro?» chiede il ragazzo mentre cerca parcheggio lungo la via desolata.

«Un'ora poco più.» dico in risposta, lui ridacchia ancora quasi come per dire che non posso durare tanto.

Franz ferma la macchina proprio davanti la vetrina di quello che sembra una negozio all'apparenza ma che guardando meglio non si capisce esattamente cosa potrebbe vendere. Il ricordo del bigliettino da visita che mi aveva dato il ragazzo torna alla mente e vedo che è lo stesso stile stampato sulla vetrina e che l'insegna recita “Massaggi russi” seguito da altre scritte nella lingua. Non ci capisco nulla di quello che c'è scritto e mentre passiamo il marciapiedi vedo un prezziario che sembra piuttosto economico riguardo i massaggi veri e propri.

Franz entra dalla porta in vetro coperta da una tendina rosa sterile e leggermente ingiallita, io sono subito dietro di lui entrando anch'io all'interno del centro.

Io e il ragazzo veniamo subito accolti da un profumo fin troppo dolce, quasi nauseante mischiato al puzzo di sudore, la cosa in un primo momento mi fa storcere il naso; l'ambiente è molto essenziale, ci sono due divanetti davanti un piccolo tavolino di vetro sul quale ci sono diverse riviste e dei giornali che a giudicare da un'occhiata veloce, sono troppo vecchi. Dall'altro lato della porta si trova una piccola postazione dietro al quale si trova una donna bellissima che indossa degli abiti che avvolgono il corpo in maniera provocante e sensuale, la donna ha la pelle chiarissima e gli occhi scuri come i capelli che li ricadono fino alla vita.

Un leggero trucco le riempie il viso e quando ci vede fa un largo sorriso. «Benvenuti in nostro centro massaggi, come possiamo aiutare voi?» dice la donna il cui accento è piuttosto impacciato, chiaramente straniera.

Lascio che sia Franz a condurre la trattativa e mi concentro sulla porta dietro il bancone che è stata lasciata leggermente aperta, se chiudessi gli occhi e prestassi ben attenzione, potrei già sentire l'ansimare di qualcuno.

«Siamo venuti per un massaggio. Separatamente, ovvio.» dice il ragazzo senza troppi particolari, la ragazza sembra quasi riconoscerlo e capire che genere di massaggi vuole.

«Avete prenotazione? Credo di no ma possiamo fare comunque qualcosa per bei ragazzoni come voi. » dice lei digitando qualcosa sul computer, immagino nella mia mente che stia vedendo la disponibilità delle “mani”.

«Avete spazio?» chiede Franz, lui si avvicina al banco e io resto dietro di lui di qualche passo ma anch'io sono vicino alla donna che sembra concentrarsi su di me.

«Lui è nuovo vero?» dice infine, non serve una risposta da parte di Franz visto che mi trovo ad annuire senza sapere perché. «Molto bene, Annika e Svetlana vi aspettano: camera cinque e sette. Prego.» dice indirizzandoci lungo il corridoio oltre la piccola porta.

«Grazie, tesoro.» dice Franz, entrambi superiamo il bancone ma il ragazzo si ferma sulla soglia per dare un bacio sulle labbra alla ragazza russa che ricambia volentieri, immagino che tra di loro ci sia già stata qualche genere di esperienza di massaggio.

«Che camera vuoi?» continua il ragazzo quando entrambi ci siamo chiusi la porta alle spalle e ci troviamo nel lungo corridoio riempito da otto porte in tutto e una nona che si trova alla fine del corridoio.

«Vado per la sette.» mi limito a dire, entrambi percorriamo il corridoio fino a che Franz non ci ferma alla sua porta, io vado avanti di altre due trovandomi vicino la porta del bagno, mi ritrovo da solo all'interno del corridoio e mi sento a disagio, poi però passa tutto.

Busso due volte e sento un invito ad entrare. Apro quindi la porta ritrovandomi in una stanza calda e accogliente con una piccola finestra la cui serranda è totalmente calata rendendo la stanza quasi del tutto buia se non fosse per la piccola lampada rossa che si trova a terra.

Accanto al lettino che si trova dentro la stanza vedo un'altra bella donna d'aspetto molto simile a quella che ci ha accolti nella stanza precedente, questa però indossa un accappatoio e sono quasi sicuro che sotto non abbia nulla visto che i suoi abiti sono messi su una sedia alla mia destra.

«Io mi chiamo Svetlana, prego. Togli pure vestiti e stenditi comodo su lettino.» dice lei avvicinandosi al piccolo mobiletto con oli e varie creme. Vedo anche fazzoletti imbevuti e asciugamani per ogni necessità.

«Va bene...» mi limito a dire.

Faccio come mi è stato detto, per prima cosa mi tolgo le scarpe slacciandole e buttandole in un angolo lontano dalla stanza, poi mi tolgo la maglietta restando a petto nudo, sento lo sguardo della donna russa su di me e di sfuggita credo di vederla sorridere perché le piace ciò che vede.

Tolgo la cintura che tiene su il jeans e infine tolgo anche quello restando solamente con le mutande, mi siedo sul lettino e mi metto a pancia in su con lo sguardo fisso sul tetto, nel mio campo visivo ricompare la bella donna e nel frattempo si è passata un olio tra le mani.

«Bel ragazzo come te ha bisogno di massaggio da molto!» dice con un accento strano mentre passa le mani impregnate di olio lungo le spalle e tutto il petto, il suo tocco e delicato e quasi mi sembra una vita che una donna non mi tocchi in questo modo.

«E già! La mia ragazza non è una al quale piace fare questo genere di cose.» dico quasi balbettando, il tocco sul petto diventa più pesante, fa pressione con la punta delle dita in maniera delicata alternando lo scorrere delle sue unghia come per un leggero grattino.

Non passa molto dal momento in cui qualcosa dentro le mie mutande comincia ad irrigidirsi e non mi preoccupa di nasconderlo visto che sono alla completa mercé di Svetlana. La donna russa non manca di vedere l'effetto che le sue mani hanno sul mio corpo e ridacchia.

«Qualcuno emozionato eh? Bastato pochi minuti per fare diventare cazzo duro!» dice osservando il punto tra le mie gambe, annuisco totalmente in balia del massaggio della donna le cui mani adesso si spostano verso il basso, superano la pancia e passa sotto l'elastico dello slip afferrando la mia intimità con delicatezza.

«Posso iniziare con massaggio vero?» mi chiede la donna, tuttavia la sua mano è già in movimento facendo delicatamente su e giù e provocando in me dei lievi rantoli di godimento, lei si morde le labbra quando capisce che l'intera situazione mi eccita da morire.

«Be' ormai che sei con le mani là... fa pure!» dico trattenendo l'impulso di afferrarle la testa e fare come dico io; Svetlana senza ulteriore indugio mi spoglia dello slip sfilandolo via dalle mie gambe e gettandolo via, poi con la sua mano riprende il massaggio.

Solo a quel punto riesco a chiudere gli occhi e a dimenticarmi del mondo intero cadendo in balia totale di quegli attimi di godimento.

Lì disteso perdo la cognizione del tempo e dello spazio, totalmente immobile come se fossi drogato su un letto d'ospedale, quando riapro gli occhi Svetlana è accanto al mobiletto, con un tovagliolo la vedo asciugarsi le labbra e una volta concluso prende un asciugamano passandolo intorno al pube e nelle parti in cui ha passato le sue mani unte, mi fa alzare dal lettino e continua a pulirmi.

“Ha passato le mani proprio dappertutto...” mi ritrovo a pensare nel momento in cui trovo la donna a passare l'asciugamano tra le mie natiche. Il ricordo e la sensazione delle sue dita in una zona così delicata mi mette in imbarazzo, ma allo stesso tempo mi eccita di nuovo.

«Ti è capitato spesso di passare le dita da lì?» chiedo alludendo alla zona di dietro, sento che Svetlana fa una mezza risata e poi abbandona l'asciugamano quando ha finito. Si sposta davanti a me passandomi le mutande.

«Molti uomini provano piacere quando io tocco loro culo. Prossima volta proverò con dita dentro, se ti piace di più.» dice lei in risposta, qualcosa nel tono che ha usato però sembra lasciare la frase in sospeso, come se intendesse dire molto altro.

Non riesco però a replicare, l'idea continua ad essere eccitante è questo è strano pure per me. Osservo il cellulare prendendolo dalla tasca del jeans e vedo che sono quasi le tre e che probabilmente arriverò in ritardo.

«Grazie, alla prossima.» dico automaticamente e una volta rivestito esco in fretta e fuori a dalla stanza ritornando quindi nel piccolo ingresso del centro, su uno dei divani vedo che è seduto Franz con aria annoiata.

Quando mi vede si alza e quasi ride. «Finalmente! Non credevo ci saresti davvero stato tutto questo tempo!» mi dice lui scherzando, dopo di ché possiamo finalmente andare e capisco che ha già pagato il conto con la donna russa che c'era dietro la scrivania.

Arrivo a lavoro quasi venti minuti dopo ma nessuno si accorge del fatto che sono in ritardo, il Signor Cattaneo è presente nel suo ufficio ma non sembra prestare attenzione al mio arrivo così mi siedo nella mia scrivania e comincio a lavorare sentendomi incredibilmente più leggero e rilassato finché dal bagno non compare Valerio.

Il ragazzo guarda immediatamente l'orologio rendendosi conto del mio ritardo, mi ricordo che lui aveva il turno della mattina e quindi dalle dieci fino alle sei del pomeriggio. «Alla buon ora!» dice lui, mi sento incredibilmente imbarazzato e non riesco a replicare mentre torna a sedersi sulla propria poltrona.

«Scusa ho avuto un casino e non sono riuscito a sbrigarmi in fretta. Ho fatto prima che ho potuto ma c'è traffico durante l'ora di punta e quindi...» le mie spiegazioni vengono frenate dal ragazzo che scuote il viso e si limita a sorridermi con semplicità.

«Guarda che stavo scherzando. Non è un problema. Sono cose che possono capitare, l'importante è che sei qui.» dice lui molto tranquillo, il suo sguardo si sposta sullo schermo del computer e poi torna di nuovo di su me.

«Anche se sarebbe meglio avvertire la prossima volta così non mi viene un colpo. Tra l'altro non credo di aver il tuo numero di telefono, sarebbe meglio scambiarcelo così riusciremmo a “sentirci” in caso di bisogno.» dice.

Pensandoci pochi istanti mi sembra subito una grande idea visto che almeno avrei potuto avvertire qualcuno dell'eventuale ritardo, ovviamente sapendo che c'era Valerio sarei stato più tranquillo visto che certe volte può capitare che la scrivania resti vuota nel caso in cui io e lui abbiamo due turni che non si incrociano tra loro.

«Ci sto, questo è il mio numero.» dico scrivendoglielo in un pezzo di carta preso da un foglio, lo appallottolo e glielo lancio ridacchiando, lui riesce a prendere al volo il foglietto e gli dà un'occhiata segnandosi il numero.

Attendo pochi istanti e mi arriva la chiamata da parte di un numero sconosciuto che memorizzo come “Valerio (Lavoro)”. «Suoneria predefinita eh? Io quasi per tutti ho delle suonerie personalizzate così so chi mi chiama o chi mi sta scrivendo.» dice il ragazzo avendo sentito il mio cellulare squillare, la sua frase sembra quasi morire lì.

«Io non ci perdo tanto tempo. Mi pare di capire che ti piace la musica se hai diverse suonerie. Che genere ascolti?» gli chiedo riponendo il cellulare senza far caso alle notifiche che sono arrivate, probabilmente tra queste ci sarà anche qualche messaggio da parte di Alessia.

«Per lo più musica pop. Magari qualche nuova uscita ma non disprezzo anche i vecchi generi. Poi generalmente ascolto ogni tipo di canzone purché mi piacciano le parole o se abbia un motivo orecchiabile.» risponde lui quasi con naturalezza, dal suo sguardo capisco che ha finito e quindi posso rispondere a mia volta.

«Io ho qualche cantante preferito. Per lo più ascolto il rap o il rock leggero. E poi ci sono le grandi cantanti con i successi più classici; quelle credo che piacciano a tutti.» dico seguendo poi qualche esempio, nomino alcuni cantanti e gruppi musicali e lui sembra riconoscerli quasi tutti.

«Non puoi non conoscere questo gruppo! Spacca di brutto! Dove hai vissuto finora?» gli dico scherzando dopo l'ennesimo nome di cui Valerio sembra non aver mai sentito parlare, il ragazzo si limita a ridacchiare imbarazzato.

«Te l'ho detto, mi dispiace. Non ascolto tutto tutto. Però ho la mia cultura di base.» dice lui in risposta.

Scuoto il viso più volte. «Mi hai deluso!» dico facendo una smorfia, lui ricambia il gesto ridacchiando e dopo la conversazione si spegne ed entrambi torniamo a lavorare.

La mia mente viaggia pochi istanti a quando successo prima al centro messaggi, poi ritorna al presente e nonostante tutto, mi sento bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo Tredici ***


Valerio

Capitolo Tredici

mercoledì 12 giugno

 

 

Quando scendo dal pick up controllo più volte che il veicolo sia parcheggiato nel punto giusto, mi accerto per almeno dieci minuti che le strisce bianche non vengano in alcun modo toccate dalle ruote, come se in qualche modo potessi ritardare quanto mi sta per succedere.

Alla fine capisco che non c'è altra speranza e non posso perdere ancora tempo ad osservare il mio veicolo, così mi incammino lungo il marciapiedi tenendo la giacchetta nera che mi ero portato sotto il braccio e tenendo la ventiquattro ore con la mano, ho lasciato gli abiti da lavoro in macchina e mi sono messo un jeans e una magliettina velocemente.

Mi trovo davanti la gelateria osservando la vetrina e i tavoli che vedo oltre: l'intera facciata è di un rosso acceso e intenso, talmente tanto che sembra quasi andare a fuoco; ci sono svariate decorazioni che richiamano gelati, dolci e molto altro che si può trovare sul menù esposto esternamente. Gli lancio un'occhiata ma conosco bene i prezzi visto che è un posto frequentatissimo durante l'estate, un po' meno durante l'inverno forse.

Mi decido ad entrare e la porta si apre facendo suonare il campanello che si trova in cima per avvertire che un nuovo cliente è appena entrato.

L'ambiente interno rispecchia la facciata esterna, anche qui i colori sono accesi e predomina il rosso, il pavimento è piastrellato di nero e bianco formando una complessa e articolata scacchiera, sulla destra si trova il lungo bancone pieno di tutto ciò che la gelateria ha da offrire mentre sulla sinistra si trovano due file di tavolini.

Lo sguardo va' direttamente in un punto che conosco bene vicino la parete dove i divanetti sostituiscono le sedie dei tavoli messi al centro della gelateria: quando trovo il suo viso ho come un colpo al cuore: Michele è molto diverso da quello che mi ricordavo, mi avvicino lentamente passo dopo passo come per accertarmi che sia lui.

Ho un'immagine ben fissa nella mia memoria: Michele aveva un fisico normale, non troppo definito ma curato, era alto e questo lo faceva sembrare possente, inoltre aveva una barba ispida e fastidiosa che però riusciva ad attirarmi nel momento in cui ci baciavamo. Nel suo viso chiaro, il colore predominante era il castano scuro che sotto la luce diventava ramato e tendente al rosso.

Michele era sempre stato particolare, e in qualche modo era riuscito a conquistarmi con la sua semplicità e la sua bellezza che nascondeva però qualcosa di peggio dentro.

Il ragazzo che mi trovo davanti adesso è visibilmente diverso dall'immagine che ho nella mente: quei colori scuri e brillanti che ne contornavano il volto adesso sono spenti, il ramato che brillava sotto la luce adesso è un triste marrone, i riflessi degli occhi sono quasi vitrei, privi di forma.

La barba ispida è quasi rasata, solo un leggero strato resta sul volto di Michele che alza gli occhi quando mi trovo ormai davanti a lui; in un primo momento comincio a credere che non sia lui il ragazzo col quale sono stato diversi anni. Forse è un impostore, un gemello del quale non sapevo nulla; ma una lieve luce e un sorriso compaiono sul suo viso quando mi vede e mi riconosce.

«Ciao, Valerio.» dice lui, anche la voce è identica a quella del ragazzo col quale sono stato, però la sua figura è un'altra e nella mia mente si insinua un dubbio.

“Che io possa ricordarmi di lui in un altro modo? Forse lo vedevo diversamente perché credevo di amarlo?” penso tra me e me mentre mi accomodo davanti a lui poggiando la schiena nella spalliera morbida di pelle.

«Ciao, Michele.» dico con tono piatto e confuso, mi sembra tutto sbagliato e sono molto scosso dal vederlo in questo stato, quasi non lo riconosco.

«Finalmente ci vediamo. Sarà meglio ordinare qualcosa, starai morendo di fame dopo il lavoro.» dice lui, lo avevo già avvertito che avrei fatto spezzato e quindi che più tardi sarei dovuto tornare, tuttavia Michele non mi ha fatto pressioni e ha detto che anche un'ora sarebbe bastata.

La cameriera di turno passa dal nostro tavolo, sembra riconoscere Michele e lo saluta amichevolmente, il ragazzo ordina due gelati e una bottiglia di acqua naturale che la ragazza si affretta a portarci, io evito ogni sguardo e ogni possibile contatto col mondo esterno.

Alla fine però restiamo solo io e Michele a guardarci negli occhi. «Ti trovo bene.» dice lui amichevolmente, cerco di studiare ogni suo movimento e ogni parola, non sembra avere cattive intenzioni ma non mi rilasso ancora.

«Devo essere sincero: quando Rob mi ha detto che lo avevi pregato di organizzare questo incontro con me ho subito pensato che stesse scherzando.» dico saltando i convenevoli e trattandolo in maniera distaccata, Michele non avrebbe avuto altro modo di interagire con me e sapevo che quell'avvicinamento a Rob non era privo di intenzioni: voleva arrivare a me ovviamente.

«Poi ho subito pensato a cosa ti passava per la testa, posso effettivamente capire che Rob e Alice siano gli unici contatti che hai per potermi raggiungere visto che ti ho bloccato il numero, come avrai notato.» proseguo, questo mi fa sentire in colpa e il suo sguardo non accenna a mutare, continua a sorridermi come se andasse tutto bene.

Ma sono molto arrabbiato con lui!

«Scusami, hai ragione: sono stato subdolo, però trovo che Rob sia sempre stato simpatico con me e non abbiamo mai avuto modo di stringere un'amicizia come si deve. Per quanto riguarda Alice, sapevo che avrei scontrato contro un muro di mattoni. E con Emilia e Max non avrei avuto possibilità di arrivare a te visto che non abbiamo mai parlato.» dice lui quasi giustificandosi, in qualche modo apprezzo il fatto che lo faccia visto che mi suonano come scuse sincere.

Resto piuttosto colpito dal fato che praticamente non sta negando il fatto di volersi riavvicinare a me. La cameriera nel frattempo ritorna con la nostra ordinazione e io e Michele ci troviamo ancora a fissarci negli occhi.

«Quando Rob mi ha chiesto di incontrarti volevo spaccargli la faccia, poi volevo farti del male in qualche modo: tipo darti buca o non so...» continuo a dire e lui non fa una piega, in me sento un costante senso di colpa crescere, non vorrei dire queste brutte cose, però una parte di me vuole ferirlo per il suo tradimento.

«Però alla fine sei qui.» si limita a dire.

Annuisco profondamente. «Sì, volevo sapere cosa avevi da dirmi dopo che ci siamo lasciati. E con giusta causa visto che ti scopavi un altro. E da molto anche...» gli dico, la sua facciata sorridente finalmente crolla e mi sento quasi potente nel vedere il dolore sul suo viso. Mi ha chiesto scusa un milione di volte per il tradimento.

Ma non esiste nulla di peggiore che venire delusi dalla persona che più si ama al mondo, la persona col quale facevi progetti di vita e che credevi che sarebbe stata al tuo fianco per sempre. «Non sono qui per parlare del passato.» dice lui, la cosa mi sorprende parecchio e cerco di nasconderlo, non riesco a capire il perché di tutto questo.

«Cosa c'è allora?» chiedo raccogliendo il primo cucchiaio di gelato e portandomelo alla bocca.

Michele sembra seriamente in difficoltà adesso, quasi suda freddo e non capisco il perché. «Vorrei cominciare col dirti che puoi stare tranquillo, che non c'è alcun pericolo per te visto che questa cosa che sto per dirti è accaduta dopo molto che ci eravamo lasciati...»

Mentre le sue parole echeggiano nell'aria sento un gelido brivido attraversarmi la schiena, è una sensazione talmente brutta e oscura che mi si chiude lo stomaco e già sento che ciò che sta per dire non sarà bello.

«Che succede?» chiedo infine.

Michele fa ancora un sospiro e non riesce più a tenere lo sguardo sospeso, è costretto a guardare il proprio gelato mentre continua a parlare. «Dopo che ci siamo lasciati ho avuto rapporti con altri ragazzi: nulla di serio. Tuttavia questo mi ha in qualche modo rovinato...»

Ciò che sta per dire lo so già, lo capisco perché con Michele non c'è mai stato bisogno di troppe parole. Sento la pelle accapponarsi mentre lui dice quelle ultime parole.

«Ho fatto le analisi a inizio maggio. Ho contratto l'HIV. Stando al dottore non ha molto tempo, due o tre mesi forse ma i sintomi si sono verificati quasi subito.»

Silenzio. Nella mia mente c'è il vuoto più totale, anzi no, l'eco delle sue parole risuona e mi possiede, mi ossessiona impedendomi di fare pensieri o frasi felici, qualsiasi cosa che io possa dire per farlo stare bene.

“La verità è che non ci sono parole da poter dire!” riesco infine a pensare, come una forza che mi divora ogni parola.

«Io... non capisco...» sono le uniche parole che riesco a dire, non sono preoccupato per me, il mio pensiero va unicamente alla vita di Michele che in due o tre mesi è diventata un incubo senza fine. Cerco di pensare a cosa stavo facendo io nel periodo in cui lui dice di aver contratto la malattia e non mi viene nulla in mente.

«Non c'è molto da capire in realtà, Valerio. Ho fatto sesso col ragazzo sbagliato, ma credo che in qualche modo questa sia la punizione per quello che ti ho fatto. Sei tu quello che crede in Dio tra noi due...» dice Michele con la voce piena di sconforto, c'è anche del dolore oltre che tanta amarezza, non avrei mai voluto qualcosa del genere.

«Tu sai chi...?» provo a dire altre parole, ma tutto quello che dico mi sembra una stupidaggine. Cosa si chiede in questi casi? Cosa si dice quando qualcuno al quale hai voluto bene ti viene a dire qualcosa del genere?

«Credo di saperlo. Ma lui non è più in città; so che doveva partire, era più facile farlo senza complicazioni.» risponde Michele, sento lo stomaco sotto sopra e gli occhi incredibilmente pesanti, umidi e bollenti, è come se la mia testa fosse stata messa dentro una pentola.

«Mi dispiace...» sputo fuori dalla bocca, è come un boccone amaro che non riesco ad ingoiare, la vista si appanna per via delle lacrime e il dolore mi invade lentamente il corpo e brucia il petto.

“Mi capita raramente, ma è come se riuscissi a condividere il loro dolore e a farlo mio.” penso tra me e me. Michele allunga la mano per toccarmi, penso che voglia stringere la mia quindi in un primo momento mi ritraggo, non perché abbia paura di lui o della malattia ma perché il mio corpo si difende da chi mi ha ferito.

Ma mi accorgo che non voleva stringermi la mano, tra le dita si trova infatti un fazzoletto bianco. Allungo le dita a mia volta per prenderlo e asciugarmi gli occhi e soffiare il naso. «Mi dispiace... io... se posso fare qualcosa...» dico tra me e me, è un sussurro che però Michele ascolta.

Il ragazzo però scuote il viso più volte. « Non hai nulla di cui scusarti o dispiacerti. E purtroppo, a meno che tu non faccia miracoli, non c'è nulla che tu possa fare.» dice lui in risposta e fa una brevissima pausa. «Presto, forse dopo l'estate partirò per proseguire le cure. Non so quanto mi resta, le aspettative sono troppo varie... tu sei stata la persona più importante della mia vita, anche se ho tradito la tua fiducia. Volevo che tu lo sapessi.»

Annuisco più volte, in qualche modo sono testimone della sua morte, della sua malattia e del tempo che gli resta. Mi ritrovo a pensare a quanto sia fragile l'essere umano, a quanto effimero sia tutto questo: sono quei tipici pensieri che vengono in mente quando accade qualcosa di brutto.

È come quando assisti ad un incidente tramite il telegiornale, o leggi sul social o su internet e pensi: “Potevo essere io”. Anche in questo caso... sarei potuto essere io.

«Ma una cosa l'ho imparata: non andare a letto con gli sconosciuti. Se ne esco vivo...» dice Michele facendo ironia, alzo lo sguardo di scatto fulminandolo, il tono con cui l'ha detto fa presupporre che morirà, che non crede che possa farcela, ma so che dentro di sé ha una forza. «Se dovessi tornare, ti assicuro che mi faccio prete.» dice lui scherzando e ridacchiando, io non riesco a fare neanche un sorriso, benché ci provi, il mio viso non risponde allo stimolo e resto talmente serio da sembrare arrabbiato.

Poi mi rilasso e annuisco. Ci scherzavamo parecchio sui preti e sul fatto di entrare in un monastero per il resto della vita. Lui mi canzonava, io stavo al suo gioco. «Meglio prete che morto.» dico io, vorrei farla sembrare una battuta, ma sembra solo triste e tetra.

Improvvisamente poi il mio cellulare suona e sobbalzo. Prendo l'oggetto tra le mani e vedo un nome che stento a credere e quasi sento un tremore al cuore: è come se mi fossi spaventato, ma allo stesso tempo come se lo volessi.

“Mirco Romano.” leggo ancora nella mia mente, getto un rapido sguardo a Michele che mi fa cenno di rispondere, a quel punto mi alzo di scatto per allontanarmi in modo che Michele non possa sentirmi.

«Pronto?» dico titubante e col cuore che mi batte all'impazzata, potrebbe aver sbagliato numero. Ma poi sento la voce del ragazzo che mi cerca.

«Scusa spero di non disturbare. Stavi forse riposando?» chiede Mirco dall'altro lato del telefono, sento un leggero vociare di sottofondo e immagino che sia ancora nella redazione visto l'orario di lavoro che ha oggi.

«No solo che non mi aspettavo di essere chiamato e quando ho sentito il telefono suonare mi è preso un colpo!» rispondo con sincerità e con una nota di divertimento nella voce, dall'altro lato sento Mirco che ride.

«Ti ho fatto prendere un colpo al cuore eh?» dice con tono malizioso, ridacchio insieme a lui senza capire perché il cuore continua a battermi. «Ascolta una cosa: non riesco a trovare i file di ieri nel mio computer. Mi sapresti dire come potrei cercarli o recuperarli?» chiede.

Cerco di capirci qualcosa e comincio col calmare il mio stato d'animo, in un primo momento sembra che quella chiamata non abbia completamente senso. «Potresti chiedere a Davide, lui è un mago del computer o potresti provare col ripristino della cartella dei file di ieri. Essendo file “vecchi” non c'è pericolo se sbagli qualcosa, mal che vada puoi accedere al mio computer e prenderli da lì.» dico proponendo una soluzione dopo l'altra e tutte più che semplici, Mirco annuisce silenziosamente.

«Aspetta che provo.» dice lasciandomi attaccato al cellulare. Sento il suo respiro pesante e quasi mi immagino il ragazzo mentre è seduto nella postazione e parla al telefono.

In un secondo momento quella chiamata mi sembra quasi una scusa per parlare, non capisco perché avrebbe dovuto chiamare me quando ci sono altri assistenti all'interno dell'ufficio e avrebbe potuto chiedere a loro. Immagino comunque di stargli simpatico e probabilmente sa che, se ha fatto un casino con i file, non andrò a dirlo in giro.

«Ok ci sono riuscito. Sei un mito!» dice lui e dal tono di voce sembra piuttosto tranquillo e non così emozionato come potrebbe dire. «Com'è che stavi facendo?» chiede infine, ed è in questo momento che capisco che vuole parlare con me e la cosa mi sembra troppo strana.

«Ero in gelateria. Una piccola pausa dopo lavoro, dopo torno a casa e mi riposo un po' sul divano. Ne ho davvero bisogno oggi!» dico senza accennare alla terribile notizia che mi è stata dato da Michele, mi volto verso il ragazzo che sembra tranquillamente seduto nel proprio posto.

Sembra piccolo, visto così come lo vedo. Dentro di me sento nuovamente il senso di angoscia tornare al pensiero di quello che dovrà passare ma ancora una volta, Mirco riesce a strapparmi via con le sue parole. «Ah quindi un bel pomeriggio di relax. Io non vedo l'ora che arrivi stasera. Domani sono di riposo, finalmente. Sembra che non lo faccio da un'eternità!» dice lui.

«Io sono di riposo dopodomani. Mi sa che ci vedremo direttamente sabato a questo punto.» dico ancora senza sapere cos'altro aggiungere, anche Mirco sembra arrivato al punto di dover chiudere. «Sarà meglio che vai adesso, non dovresti stare al cellulare!» lo canzono.

Lo sento ridacchiare e poi mi saluta amichevolmente, a quel punto ritorno nella poltroncina vicino la parete e davanti a Michele che mi squadra per bene. «Conosco quello sguardo e quel sorriso...» si limita a dire.

Alzo gli occhi per incrociare ai suoi: non so perché ma so bene che sta insinuando qualcosa quando non c'è nulla di tutto quello che potrebbe immaginare. Non potrei però negare che la chiamata da parte di Mirco mi abbia sorpreso piacevolmente. «Non è come pensi. Ad ogni modo...» cerco di cambiare argomento per tornare su di lui.

«Con questo incontro non voglio che torniamo a parlare o chissà cosa. O meglio, ne avrei molto piacere. Però voglio prima riuscire a stare bene e poi magari, se sono sopravvissuto, allora proverò ad esserti amico. » dice Michele, il modo in cui lo dice sembra sincero ma la cosa mi mette in qualche modo a disagio.

Tuttavia non voglio farglielo presente e voglio lasciarlo crogiolare in quella consolazione. Se per lui posso essere uno stimolo e “guarire” allora meglio che lo creda. «Sarà meglio che vada adesso. Mi raccomando.» dico quando abbiamo finalmente terminato il gelato e ci troviamo davanti alla cassa per pagare, Michele tira fuori la banconota prima che possa farlo io e paga anche per me.

Poi entrambi usciamo dalla gelateria e ci separiamo, mi trovo a guardarlo attentamente finché non svanisce lungo la strada e io gli volto per la spalle per percorrere il marciapiedi fino al mio pick up col cellulare in mano.

Mi ritrovo nella chat di Alice per prima, vorrei scriverlo tutto quello che è successo, quello che ci siamo detti e anche della chiamata strana di Mirco. Ma ogni cosa mi sembra effimera e inutile in questo momento quindi freno le mie dita e scelgo attentamente le parole da usare.

°Valerio:

Ho appena finito con Michele. È andata bene.

Abbiamo solamente parlato ed è stato quasi liberatorio

Poi ti dico meglio, credo che stia partendo.

°Alice:

Partire? Per andare dove e far cosa?

Be l'importante è che tu sia tranquillo e che

le cose non siano degenerate come pensavi.

°Valerio:

Sì, è andata bene. Adesso torno a casa e

credo che me ne andrò a dormire fino a stasera

La risposta di Alice chiude la conversazione mentre quella con Rob continua ancora per un po' quando torno a casa e mi chiede di chiamarlo così da aggiornarlo su quanto ci siamo detti. Cerco di essere vado ma gli confesso che Michele sta molto male e non ha specificato cosa avesse.

«Mi dispiace per lui. Se questo viaggio lo può aiutare allora ben venga. Cavolo... e noi che pensavamo che fosse solo un modo per riavvicinarsi. Quasi mi sento in colpa.» dice Rob dall'altro lato del telefono mentre mi tolgo le scarpe e le butto in un angolo vicino il letto.

Annuisco anche se lui non può vederlo. «Già, mi sento anch'io in colpa. Mi sembra tutto così strano. Voglio dire: mi importa e mi dispiace, ma allo stesso tempo... mi sento stranamente senza sentimenti.» dico, l'utilizzo delle parole che ho scelto non è di certo il migliore e Rob stesso resta qualche istante in silenzio per cercare di capire.

Anch'io mi sento quasi congelare dopo quello che ho detto e comincio a riflettere su questo aspetto della mia vita: e se dicessi ai miei amici di quello che sono veramente?

Il pensiero però svanisce in fretta dalla mia mente, se lo sanno già non avranno bisogno di conferma. E se non dovessero saperlo o averlo già capito... allora non voglio rischiare di turbare le cose tra di noi.

«Come procede il video di oggi?» dico cambiando repentinamente il discorso, Rob ovviamente se ne accorge ma decide di stare al mio gioco e quindi cominciamo a parlare delle cose che riguardano lui.

Posso quindi distendermi sul letto e tirare un sospiro di sollievo pensando a quanto io sia fortunato ad avere tutto ciò di cui ho bisogno.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici ***


Mirco

Capitolo Quattordici

lunedì 17 giugno

 

 

Mi ritrovo a scrivere velocemente un messaggio ad Alessia per dirle che nel pomeriggio ci possiamo vedere dopo pranzo visto che ho il turno spezzato, le porte dell'ascensore poi si stanno quasi per chiudere quando improvvisamente qualcuno mette una mano per bloccarle.

Vedo quindi comparire il ragazzo che le ha fermate e riconosco subito Valerio. «Anche tu di mattina qui?» chiedo quasi sorpreso, non presto molta attenzione ai turni degli altri colleghi ma solitamente io e Valerio siamo nella stessa fascia oraria solo la sera o nel pomeriggio.

«Buongiorno,» dice lui in un primo momento, sembra avere il fiatone e noto che sta indossando ancora la camicia le cui maniche sono sbottonate e tirate fino ai gomiti. «scusami un attimo devo scrivere un messaggio. Stamattina sono uscito di casa in fretta perché ho dovuto accompagnare mia madre in ospedale!» dice lui prendendo l'oggetto elettronico dalla tasca e immergendosi nella scrittura.

Il modo in cui preme i tasti sullo schermo è molto più veloce del mio, sembra quasi di vedere Alessia quando picchetta con le unghie sul vetro del cellulare. Mi sfugge un mezzo sorriso anche se mi concentro subito sulle parole che ha detto. «In ospedale? È successo qualcosa di grave!?» chiedo preoccupato per il mio collega di lavoro.

Lui alza lo sguardo distrattamente senza capire di cosa io stia parlando e sento la confusione nascere anche in me. Poi il ragazzo ha come un'illuminazione.

«Cosa? No, no. Mia madre ci lavora lì. È una dottoressa. La sua auto ha avuto un problemino quindi mi sono dovuto fare in quattro per attraversare mezza città.» dice lui sorridendomi in risposta, annuisco con un mezzo ghigno mentre aspetto che lui finisca il messaggio.

Nel frattempo l'ascensore sale velocemente fino al nostro piano ed entrambi usciamo percorrendo i corridoi dell'ufficio che pian piano si sta popolando. Quando arriviamo alle nostre scrivanie vedo che Valerio mette via il cellulare infilandolo nella tasca.

«Sembravi preoccupato...» dice lui, non capisco subito a cosa si stia riferendo e mi basta guardarlo per intuire che parla di quando ho chiesto di sua madre.

«Sì be'... diciamo che “accompagnare tua madre in ospedale” fa preoccupare. Non sapevo che lavorasse lì, non me lo hai mai detto.» dico in risposta.

«È un chirurgo. È molta brava nel suo lavoro. Mio padre invece è un professore, non uno di quelli antipatici, anche se ha una certa età ci sa fare ancora con gli adolescenti e le loro crisi. Ti ho accennato qualcosa mi pare...» dice lui con un tono di voce piuttosto vago, in effetti non molti giorni fa abbiamo proprio parlato di ricordi d'infanzia.

«Che famiglia di super lavoratori. Accidenti vorrei poter dire lo stesso dei miei familiari...» nel mentre lo dico arresto la mia lingua, è subito chiaro che Valerio sta per chiedermi di più e non vado fiero della mia condizione familiare.

«Da come ne parli non sembri avere molta stima di loro...» dice con mia grande sorpresa, riesco a capire che vorrebbe che gliene parlassi, ma non si azzarda a chiederlo ed è come se mi stesse dando la possibilità di sviare l'argomento.

Vorrei ringraziarlo, ma lo faccio silenziosamente e cerco di cambiare argomento piuttosto in fretta. «Ognuno ha i suoi difetti, diciamo così. Piuttosto, a quando il primo tatuaggio eh?» chiedo ironicamente indicandogli l'avambraccio che ancora è scoperto.

Il ragazzo si guarda le braccia e si affretta subito a rimettere la camicia in ordine in maniera piuttosto goffa, poi alza lo sguardo e mi fa un ghigno che si trasforma in una risata quando mi vede ridacchiare di lui.

«Ci sto pensando, il primo tatuaggio dev'essere per qualcosa di speciale e devo essere sicuro di farmelo fare da qualcuno di molto bravo!» dice lui, non posso che essere d'accordo visto che alcuni tatuaggi che ho sul mio corpo non sono esattamente da professionisti.

Mi avvicino alla macchinetta del caffé e premo due volte il pulsante in modo da fare due Espressi che divido in due bicchierini, uno lo offro al ragazzo insieme ad una bustina di zucchero bianco mentre io lo prendo di canna.

«Grazie. Non credo di averti chiesto quanti tatuaggi tu abbia. Mi hai detto che ne hai diversi.» chiede lui curioso mentre apre la bustina e versa il contenuto nella miscela nera. Anch'io imito il suo gesto.

«Questo sul braccio è quello più esteso. Ho una scritta “Non mollare mai!” sul bicipite del braccio destro.» mi interrompo per indicare il punto che però è coperto dalla camicia anche se la linea nera si intravede. «Sulla schiena invece mi son fatto tatuare la faccia di un demone della lussuria preso da un libro.» faccio una breve pausa per bere il caffé bollente e ancora una volta riprendo dopo pochi sorsi. «Simboli tribali sul polpaccio di entrambe la gambe, rappresentano la forza e la velocità, so che in alcune tribù africane credevano che quel genere di tatuaggi potesse aiutare la fortificazione del corpo. Infine proprio qui sul petto...» col dito indico il punto sui miei pettorali in maniera opposta al cuore. «mi sono fatto tatuare un groviglio di catene. È un concetto sempre legato all'equilibrio, questo però è diverso: le catene rappresentano un legame o il senso di oppressione. Io riesco a provarli entrambi nello stesso momento. Ecco perché li ho voluti vicino al cuore.» dico bevendo infine l'ultimo sorso di caffè.

Valerio sembra osservarmi con interesse vero, un interesse che ho visto solo in Lily quando le parlavo dei miei tatuaggi, neanche Franz o Alessia sono stati capaci di apprezzarli così come fa il ragazzo.

«Accidenti!» dice in tono è serio e concentrato. «Sono tatuaggi molto importanti e con dei significati particolari. Si potrebbe pensare che tu sia una persona fragile se non fossi grande e grosso all'apparenza.» dice facendo una mezza risata che però non riesco a condividere, le sue parole sono più che veritiere e da sempre tengo tutto dentro.

“Tatuaggio dopo tatuaggio, come se in qualche modo potessi davvero aumentare la mia forza, il mio equilibrio, il mio spirito. Il mio modo di apparire agli altri.”

Fisso Valerio negli occhi per qualche istante. «Mi sembra di parlare con qualcuno che mi sta vicino da sempre.» mi limito a dire, forse per il modo in cui l'ho detto, Valerio si zittisce e annuisce senza sapere cos'altro aggiungere.

Torno al mio posto dietro la scrivania e comincio a lavorare ai documenti del giorno così da preparare tutto per l'edizione di domani.

Dopo una mezz'oretta circa, dall'altro lato dell'ufficio vedo Valerio alzarsi e avvicinarsi alla mia scrivania. «Prima parlavi di un tatuaggio riguardante il personaggio di un libro.» dice, il modo in cui si morde le labbra quasi sembra prepararsi per una battuta. «Mi vorresti dire che tu leggi?»

« Certo che leggo! Per lo più autori stranieri, quel genere di libri pieni di introspezione e che analizzano gli aspetti della mente umana. Tu scommetto che sei più tipo da elfi, maghi e draghetti, vero?» dico prendendolo in giro a mia volta, il ragazzo scoppia a ridere ma alla fine annuisce.

«Guarda che non c'è nulla di male negli elfi e nei maghi o cavalieri che combattono draghi. E quindi sì, per rispondere alla tua domanda.» dice lui, Valerio fa una breve pausa come se aspettasse che portassi avanti la conversazione.

Interrompo il mio lavoro alzandomi dalla postazione e facendogli segno di seguirmi, mi accerto di prendere il pacchetto di sigarette con l'accendino prima di lasciare la postazione ed entrambi andiamo in bagno. Mi accerto che non ci sia nessuno prima di accendere la sigaretta e dare quattro boccate di “vita”.

«Da piccolo anch'io leggevo quel genere di libri.» dico iniziando a conversare mentre mi appoggio alla parete del bagno, lui si mette vicino a me con le braccia incrociate. «Libri e musica tutto il giorno, ma a scuola ero una frena. Verso i quattordici anni poi è sovvenuta la fase adulta, ho sempre avuto il sogno di poter scrivere qualcosa di mio. Così ho unito le due cose: ho un quaderno intero pieno di canzoni che ho scritto io. Testo e accordi. Tutto quanto.» ammetto al ragazzo, quello sembra incredulo nel momento in cui gli parlo delle mie passioni.

«Scrivi musica? Wow che figata!» dice con una brillante luce negli occhi. Scuoto però il viso.

«Non più ormai.» c'è un breve attimo di silenzio nel quale do alcune boccate ancora e Valerio mi guarda come per chiedermi il motivo. «Crescendo arrivano i problemi, situazioni strane e la fidanzata. La voglia di scrivere non è molta, di questi tempi.» dico in risposta.

«Ti capisco bene. Anche a me piace molto leggere e da questo credo di aver sviluppato la passione per la poesia. Si tratta per lo più di pensieri che scrivo... ma una cosa tira l'altra e potrei dire di avere abbastanza materiale per fare un'intera collezione di libri!» dice sarcasticamente e facendo un mezzo sorriso, i suoi occhi guardano il vuoto.

«E come mai non lo pubblichi? A me piace la poesia, mi piacerebbe leggere qualcosa che hai scritto.» dico riportandolo quindi alla realtà. Il ragazzo fa spallucce e alza gli occhi in maniera interrogativa.

«Paura, credo. Sento di non aver ancora trovato quella cosa che accomuna le mie poesie.» risponde.

Mi trovo a pensare a quanto siamo simili io e lui, ho davvero un intero quaderno pieno di testi di canzoni e accordi, tutto suonato nella mia testa e nella mia immaginazione. Ma trovandomi in questa città mi sono sempre sentito legato da delle catene e quindi non ho mai pensato di fare il salto più importante e provarci. Poi è arrivata Alessia cinque anni fa e dai diciott'anni in poi non credo di aver più trovato i giusti accordi e le rime.

«Sarà meglio tornare a lavorare, se arriva il Signor Cattaneo e non trova nessuno dei due comincerà a dare di matto!» dice Valerio in tono responsabile, gli faccio cenno di aspettare qualche istante.

Finisco la sigaretta che butto nel lavandino e mi lavo le mani col sapone che c'è così da togliere la puzza di sigaretta, poi sono il primo ad uscire dal bagno col ragazzo che mi segue quasi a fare a gara per chi arriva primo.

Quando torniamo seduti, il nostro superiore non è ancora arrivato, Valerio vede che ci sono due diverse chiamate e quindi si affretta a recuperarle così da capire chi aveva contattato l'ufficio, io invece ritorno sui documenti e comincio ad analizzare i primi articoli che abbiamo da parte così da scartare il materiale meno interessante.

Quando finalmente si fa ora di pranzo sia io che Valerio ci alziamo dalla nostra postazione, il mio stomaco comincia a brontolare per la fame, decido di mangiare lì in ufficio così da godere ancora della compagnia del Primo Assistente.

«Andiamo a pranzo?» gli chiedo quasi smuovendolo con la forza dalla propria poltrona, il ragazzo oppone lieve resistenza e poi si lascia trasportare fino all'ascensore tra una risata e l'altra.

Quando arriviamo decidiamo di sederci da soli, dando un'occhiata veloce possiamo vedere in lontananza Davide e Paolo e gli altri assistenti che sono seduti quasi tutti vicini, noi optiamo invece per un tavolo non troppo in disparte dove possiamo continuare a parlare.

«E dimmi un po', che fai solitamente nel tempo libero? Oltre scrivere poesie, intendo.» chiedo quando ritorniamo con i vassoi al tavolo, comincio a mangiare.

«Dipende, ho il mio gruppo di amici. Pochi ma buoni, dico sempre. Poi capita che dia una mano a mio fratello col figlio, sono lo zietto del cuore e quindi devo fare il mio ruolo.» risponde Valerio prendendo forchetta e coltello e anche lui inizia a mangiare.

Mi viene da ridere se penso che lui è seduto con la schiena comporta su uno sgabello scomodo mentre io mi trovo completamente chinato in avanti per raggiungere meglio il piatto sul quale mangio.

«Pochi ma buoni? Quanti siete?» chiedo dopo aver addentato un'altra porzione del mio piatto.

«Cinque in tutto. Max ed Emilia sono simpatici, ma i miei migliori amici sono Alice e Roberto. Con lei ci conosciamo da una vita, praticamente. Rob invece l'ho conosciuto alle superiori, compagni di banco e da allora inseparabili.» dice lui in risposta, mentre parla dei suoi amici vedo che i suoi occhi brillano, si capisce subito che gli vuole molto bene.

«Ogni tanto mi sono trovato in disaccordo anche con loro ovviamente,» prosegue il ragazzo parlando dei due amici del cuore. «e non sono mancate le discussioni, ma ci vogliamo bene e qualunque cosa possiamo affrontarla insieme. Ne parliamo e poi ci chiariamo. Solitamente io sono quello che si fa sentire subito dopo perché non mi piace litigare con le persone!»

«Ah no? Strano, a me piace molto litigare con gli altri. E ci sono tantissime altre persone che amano litigare costantemente!» dico in tono sarcastico e quasi divertito, il ragazzo mi lancia quindi un'occhiataccia.

«Parlo seriamente; io non provo alcun piacere nel litigare con le persone. Anzi, litigare con un amico è la cosa peggiore che possa capitarmi...» dice, nello stesso momento però i suoi occhi sembrano guardare altro, come se alla memoria gli fosse venuto un ricordo.

“Valerio è un libro aperto. Non riesce proprio a nascondere le sue emozioni né tanto meno i suoi pensieri.” dico tra me e me. Resto con lo sguardo fisso su di lui.

Quasi ammiro la sua semplicità e il suo modo di pensare, è una cosa al quale non sono abituato, è come parlare con Lily: lei non mi giudica e starebbe sempre dalla mia parte, più o meno. Ma in Valerio c'è qualcos'altro.

«Si capisce che sei una persona tranquilla. Una di quelle buone. Mi chiedo come mai tu stia ancora in questa città.» dico con amarezza, nuovamente scrolla le spalle ma non ricambia il mio sguardo e continua a fissare il piatto.

«Sto bene dove sono, per adesso.» si limita a rispondere, adesso lo invidio: ha tutto quello che vorrei io, probabilmente; una famiglia che ama, amici fidati al quale non interessa cosa gli si dica. Io ho queste cose, ma sembrano infinitesimamente più piccole rispetto alle sue.

«Noi siamo un gruppetto più grande, quasi una quindicina. Più o meno tutti grandi amiconi e ogni tanto si aggiunge qualcuno a seconda degli “ospiti” che portiamo. La mia migliore amica si chiama Lily e con lei mi trovo benissimo, come se fosse una sorella o meglio, un fratello, visto che anche a lei piacciono le donne.» dico ridacchiando, improvvisamente vedo un lampo di luce negli occhi del ragazzo, è come se avessi detto qualcosa di strano.

«Le voglio un bene dell'anima. Ho conosciuto molte lesbiche grazie a lei e come la tua Alice, anche lei c'è sempre stata.» faccio una breve pausa nel quale rifletto sulle parole di qualche giorno prima. «Pare che presto però se ne andrà: le hanno offerto un buon posto di lavoro in un altro ristorante, è l'occasione giusta per lasciarsi questa merda di città alle spalle.» dico con tono amareggiato, l'ultimo boccone del piatto infatti ha un cattivo sapore e necessito subito di un bicchiere d'acqua.

«Anche la tua ragazza fa parte del gruppo, mi pare di aver intuito.» dice Valerio, non sono sicuro che la sua sia una domanda ma suona più come un'affermazione.

Annuisco lentamente. «Già, capita di litigare e naturalmente la cosa mette un po' di imbarazzo nel gruppo ma più o meno ci dividiamo. Franz naturalmente è dalla mia, è come una sorta di migliore amico, ma certe volte è abbastanza strano: come se non gliene fregasse molto del mondo intorno a lui. Ma quando un amico ha bisogno c'è sempre.» dico riflettendo su quante volte mi è stato di conforto, anche quando siamo andati al centro messaggio russo, è stato d'aiuto a modo suo.

Valerio sposta finalmente lo sguardo su di me e i nostri occhi s'incrociano, per un breve istante credo di vedere qualcosa nel suo sguardo, mi rendo conto che è semplicemente il mio riflesso e mi sento strano.

«Da come ne parli sembra una brutta e una bella persona allo stesso tempo. Sono confuso.» dice lui, scoppiamo entrambi a ridere visto che non saprei neanche io come definire Franz e il suo modo di pensare.

«Prima hai nominato un certo Max, immagino Massimiliano. Come fa di cognome?» chiedo cambiando argomento e portando altri ricordi alla memoria. Aspetto prima che mi vengano confermati dall'assistente.

«Gallo. È un tecnico informatico. Lavora in un negozio d'elettronica, è molto bravo ed è un nerdone! Più di una volta ci ha coinvolto in certi eventi o certi giochi di ruolo. Non so se conosci “Draghi e cavalieri”.» risponde Valerio, sembra quasi imbarazzato mentre mi fa quella confessione.

Massimiliano Gallo. Quel nome mi è subito familiare e senza volerlo sbatto le mani davanti al mento. «Ma sì che lo conosco!» dico quasi emozionato. «Tu giochi a “Draghi e cavalieri”?» chiedo sempre più interessato.

«Sì anche se è da un po' che non giochiamo. Perché mi vorresti dire che lo conosci!?» chiede con lo sguardo incredulo e mi ritrovo ad annuire più volte mentre sorrido.

«Ho giocato una campagna grazie ad un mio amico, Giovanni Negri, non so se lo conosci. Mi ha presentato a questo Massimiliano ed ho fatto un paio di giocate; poi ho dovuto interrompere per via di diversi lavori.» gli rispondo, mi ricordo bene che mi piaceva molto tirare i dadi, forse avevo la mano fortunata visto che avevo sempre punteggi alti ed abbattere un drago in squadra con me risultava facile.

«Oddio! Quindi sei un nerdone anche tu!» dice Valerio a mo' di scherzo, comincia a ridere prendendomi in giro e resto di sasso, ride di gusto e mi dà come la sensazione di scherzare con un amico di vecchia data.

Qualcuno che non vedo da diversi anni, tuttavia anche a conferma di lui, non ci siamo mai visti prima d'ora e quindi è impossibile che ci siamo conosciuti prima.

Improvvisamente sento il mio telefono suonare e vedo che sono arrivati dai messaggi da parte di Alessia. «Scusami un attimo, è la mia tipa. Vedo che vuole.» dico sbloccando il telefono e leggendo i messaggi che sono arrivati, ignoro quelli da parte degli altri e rispondo solo alla ragazza.

 

°Alessia:

Amore senti una cosa: mi ha detto Eva

che c'è una serata da discoteca fuori città:

Leonardo diceva che c'era bella musica e

gente di un certo tipo. Ti va di andare dopo

il lavoro?

°Mirco:

Bella musica? Ci sto alla grande, dovrei finire

verso le undici. Di agli altri che ci siamo.

PS: perché non ha scritto nel gruppo?

°Alessia:

Sai bene che Franz non ama queste serate.

Lily finisce tardi e Giovanni deve studiare.

Gli altri sono accollativi.

°Mirco:

Solita storia con Franz. Ci provo a parlare io.

PS: credi che potrei invitare un collega di lavoro?

°Alessia:

Se è un collega e non una collega allora sì.

 

La risposta di Alessia arriva dopo qualche istante dopo che ha visualizzato il messaggio; come se ci avesse messo qualche istante per pensare, non gli do peso più di tanto e alzo lo sguardo mettendo via il cellulare.

«Senti un po' Valerio, stasera c'è una serata da discoteca con bella musica e bella gente. Credo sia fuori città e ci vado con la mia fidanzata e alcuni amici. Ti va di venire?» chiedo, non so esattamente perché mi sia andato di farlo ma credo che in qualche modo ci divertiremmo.

Tuttavia il ragazzo è subito in difficoltà e sgrana gli occhi con fare piuttosto preoccupato. «No, scusa ma stasera ho già un impegno. Magari sarà per la prossima volta.» dice in risposta Valerio.

Mi rendo subito conto che ha usato un tono elusivo e sembra quasi che mi abbia detto una scusa. “Se non gli andava poteva tranquillamente dirmelo...” mi trovo a pensare mentre il ragazzo torna a guardare il proprio piatto.

Annuisco più volte senza sapere esattamente cosa pensare, poi credo che non abbia motivo di dirmi una stupidaggine e forse ho interpretato male il suo sguardo. «Va bene, sarà per la prossima volta senz'altro.» mi limito a dire, terminiamo di pranzare e io lo saluto per andare nel parcheggio anziché al piano superiore.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo Quindici ***


Valerio

Capitolo Quindici

sabato 22 giugno

 

 

Sistemo le ultime cose dentro la valigetta assicurandomi che la scrivania sia pulita e che abbia spento il computer. Guardo l'orologio attraverso il cellulare e vedo che ci sono diverse notifiche sul gruppo degli “Scazzati alla riscossa” e vedo che l'ultimo ad aver scritto è Rob che chiede la mia presenza in più messaggi spezzati tra di loro.

«Ecco i vantaggi del lavorare per tanto tempo!» commenta sarcasticamente Mirco appoggiandosi con le braccia sul mio computer, mi ritrovo il suo sguardo addosso, sembra tranquillo nonostante è da qualche giorno che io lo veda in maniera strana. «O questa, oppure sei in qualche modo imparentato con lui, sabato sera libero. Ti va di lusso.» continua scherzando.

Rispondo con una risata e scrollo le spalle come se non sapessi quello di cui sta parlando. «Pazienza, sarà che mi vuole bene.» dico affrettandomi a lasciare la scrivania, già sento la mancanza dell'aria condizionata, fuori mi aspetta il caldo afoso dell'estate.

Sono quasi le sette e il sole è ancora alto nel cielo che assume svariate sfumature di arancione dipingendo l'ufficio di quella stessa calda luce. «Ci pensi che domani è un mese che sarai con noi? Non ti mette di buon umore questa cosa?» chiedo amichevolmente mentre mi allontano.

Lui percorre l'ufficio insieme a me, non dovrebbe lasciare la scrivania visto che il Signor Cattaneo è in ufficio, ma sto scoprendo un lato di Mirco piuttosto “ribelle” sotto questo punto di vista, e non sono poche le volte in cui coinvolge anche me facendomi lasciare la poltrona.

«Penso più a quanto sia stato bello vedere le cifre del proprio conto in banca aumentare dopo stamattina. Quello sì che mi ha messo davvero di buon umore!» dice Mirco e mi scappa un sorriso, l'ha detto con leggerezza e sarcasmo ma si capisce che è davvero un traguardo per lui.

«Qui si separano le nostre strade, allora. Ci vediamo domani.» gli dico quando arrivo alla porta dell'ascensore, il ragazzo annuisce fermandosi qualche passo indietro, tiene le mani dentro le tasche del pantalone, troppo spavaldo.

«Più tardi ti scrivo per quel cambio di orario allora, va bene?» chiede un ultima volta, annuisco e infine mi lascio il piano alle spalle scendendo fino al parcheggio.

Tiro un sospiro di sollievo visto che è stata una giornata lunghissima e finalmente posso andare a casa. Si tratta di pochi istanti visto che stasera mi tocca fare da balia a mio nipote; i miei amici però al solito sono stati più che felici di tenermi compagnia e, dopo che Daniela sarà tornata a casa dalla sua uscita con le amiche, andremo in giro in centro.

Dopo una veloce doccia mi affretto a vestirmi e mi trascino via di casa scendendo le scale tre gradini alla volta, quasi rischio di scivolare via: prima di uscire saluto mio padre e gli chiedo di salutarmi anche la mamma, poi posso uscire e salire sul pick up alla volta di casa di Riccardo.

In casa, Daniela mi accoglie col suo sorriso smagliante, i suoi capelli sono pieni di boccoli, un'acconciatura da parrucchiere e noto che sono anche più corti; è da qualche settimana ormai che non la vedevo.

«Grazie ancora, Valerio. Cosa faremmo io e Riccardo senza di te! Ho preparato qualcosa di speciale per te e i tuoi amici in caso dopo la pizza abbiate ancora fame.» dice lei gentilissima, superando l'arco che fa da ingresso al corridoio posso sentire un dolcissimo profumo, probabilmente una torta alla frutta visto l'odore di crema nell'aria.

«Non è nulla davvero. Emilia adora prendersi cura di Luca e noi altri amiamo stare in compagnia.» dico rispondendo alla moglie di mio fratello, la ragazza annuisce e guardando un'ultima volta l'orologio scappa in camera sua per andare a prepararsi visto che le amiche la passano a prendere esattamente tra venti minuti.

Non passa molto che la donna scende di nuovo tenendo due vestiti tra le mani e mostrandomeli con fare preoccupato. «Valerio, scegli al mio posto.» dice Daniela, la guardo piuttosto stranito e mi sento strano.

“L'ha detto come se lo stesse chiedendo ad un'amica.” mi ritrovo a pensare mentre osserva i due vestiti: quello nella mano destra è di un blu elettrico che starebbe benissimo con i suoi occhi, l'altro invece s'intona con la sua pelle ed ha i toni dell'avorio.

«Quello a destra. Ti starebbe benissimo.» dico ancora scosso, lei lo guarda qualche secondo in più, poi mi fa l'occhiolino e se ne torna in camera sua per finire di prepararsi lasciandomi solo con Luca.

Il piccolo bambino si trova per terra che gioca con dei cubi con le lettere e mi fissa con i suoi occhioni azzurri. «Te l'ho detto io: la mamma ha capito tutto.» ripeto al piccolo, ma ovviamente non mi capisce e non può rispondere.

Non è la prima volta che Daniela mi chiede un parere sui vestiti o sui trucchi o su qualcosa del mondo femminile, mi sono sempre trovato a rispondere e in qualche modo lei ha sempre saputo della mia vera natura. Una volta davanti a Riccardo ha persino ammesso che io avessi più gusto delle sue amiche. Forse da allora Riccardo si è fatto due domande.

«Io sto uscendo, Valerio. Buona serata.» dice Daniela quando le sue amiche sono finalmente arrivate e le hanno fatto uno squillo, la bionda mi saluta con due baci sulla guancia poi si sposta verso il figlio. «Mammina starà fuori qualche ora, ciao mio tesoro.» continua e poi esce di casa lasciandomi nel silenzio della loro abitazione.

Mi ritrovo da solo e provo un brivido alla schiena, non so definire se questa sensazione sia negativa o sia bella ma mi provoca semplicemente disagio. Mi ritrovo a pensare ai miei amici, alla mia vita e alle parole che mi sono scambiato con Michele la settimana scorsa. “Voglio davvero vivere così? Senza che i miei amici sappiano di me?”

Non ci sarebbe nulla da dire, nel cuore lo hanno sempre saputo, probabilmente ne sono già al corrente. Non avrei nulla da ammettere, eppure una parte di me sente che è giusto che io glielo dica. Come una rivelazione.

Quando il campanello suona sento il cuore esplodere all'impazzata, come se tutti i miei pensieri si fossero trasformati in pura paura. Mi rendo conto che sono stato almeno mezz'ora ad osservare mio nipote in maniera assente. Mi alzo per andare ad aprire la porta e ritrovo i miei amici che invadono casa e cominciano ad urlare.

«Ciao Luca! Visto chi c'è? La zia Emilia. Vieni da me!» dice la ragazza dai capelli rossi che entra per prima, mi saluta con un abbraccio e poi corre dal piccolo infante che sembra già ridere per la felicità del vederla.

Segue Max che mi saluta con un cenno di testa e mi ricordo che volevo chiedergli delle sue vecchie sessioni di “Draghi e Cavalieri” come per confermare il fatto che Mirco abbia davvero giocato col mio amico.

Rob mi stringe la mano amichevolmente. «Solita pizzeria giusto? Meglio ordinare! È sabato e sono sicuro che aspetteremo molto prima di mangiare. Niente film stasera! Ho portato dei giochi da tavolo nuovi e li dobbiamo provare. Ho intenzione di fare un video-diario.» annuncia ad alta voce senza che io possa confermare la cosa, ridacchio e infine saluto Alice che entra per ultima.

«Com'è andata a lavoro?» chiede con dolcezza.

«Tutto bene, ho finito tardi e ho fatto tutto di corsa. Mi sembra di essere mezzo morto visto che ho rallentato solo quando sono arrivato qui.» dico in totale sincerità. Lei sembra capire e mi abbraccia per farmi forza, entrambi entriamo nel salotto unendoci poi agli altri.

Tutti quanti si sono già divisi i compiti: Max sta preparando il tavolo di vetro del salotto per ospitare i giochi che ha portato Rob, Alice lo aiuta a preparare la postazione per le riprese delle serata.

Roberto lo vedo camminare col volantino della pizzeria in mano, nell'altra tiene sia il cellulare che il telecomando dell'aria condizionata che sembra aver voluto spegnere.

«Qui dentro sembra di essere al Polo Nord. Come fanno a... sì buonasera, volevo ordinare delle pizze!» dice interrompendosi per rispondere al telefono. Dalla cucina vedo che Emilia si sta muovendo con Luca tra le braccia.

«Immagino ci toccherà mangiare in cucina se qua montiamo tutta questa roba per giocare. Vado a preparare la tavola.» dico avvertendo gli altri. Senza aspettare la loro risposta vado verso la cucina ma prima che io possa varcare la porta sento che mi è arrivato un messaggio al cellulare.

Dall'anteprima sullo schermo vedo subito che si tratta di Mirco: le sensazioni che mi trasmette questo messaggio sono strane, talmente tanto che Emilia si accorge della mia reazione quasi anomala e si avvicina.

«Stai bene, Valerio? È successo qualcosa?» chiede preoccupata allungando lo sguardo sul messaggio, vede il nome del mio collega di lavoro naturalmente e cerco di mascherare il mio imbarazzo.

«Sì, tutto bene. Mi scritto Mirco per un cambio turno di domani. Nulla di grave tranquilla!» dico mentre rispondo al messaggio, vedo che il ragazzo è ancora in linea quando sto rispondendo e la cosa mi fa piacere in qualche modo.

Mando il messaggio ed Emilia continua a fissarmi stranita, evidentemente non sono riuscito a controllare la mia reazione di stupore e piacere e stringo i denti perché non c'è molto di cui stupirsi.

«Vi siete scambiati il numero. State facendo progressi sembra; state diventando grandi amici?» chiede lei spronandomi a parlarne, riconosco subito il tono malizioso con cui lo dice e la guardo torvo.

«Siamo colleghi di lavoro, è normale avere il numero di cellulare. In caso capiti un'emergenza o qualcosa di questo tipo dobbiamo riuscire a contattarci, no?» dico seriamente, la ragazza sembra abbastanza convinta della mia risposta e si volta verso la cucina continuando a cullare il piccolo.

Mi affretto a vedere se Mirco ha già visualizzato e vedo le doppie spunte come risposta affermativa alla mia domanda. Non che ci fosse molto da rispondere, ma la nostra brevissima conversazione termina lì.

«E comunque non ci sarebbe nulla di male.» dice la ragazza mentre preparo la tavola con tovaglia e le posate, prendo i bicchieri quasi interrompendomi dopo le sue parole. «Sembra un tipo apposto, da quanto mi hai detto.»

Annuisco, poi mi sblocco e decido di poggiare i bicchieri di vetro sulla tavola a testa in giù riflettendoci: Emilia ha lasciato intendere molte cose, prima fra tutte forse, la mia brutta esperienza con Michele che, anche se non sanno tutti i dettagli, ovviamente hanno percepito quanto la cosa abbia fatto male sia a me che a lui.

«Sto ancora analizzando che tipo di persona sia.» rispondo e lei annuisce come per dirmi che ho tutto il tempo del mondo e che faccio bene ad essere cauto. Da quanto ho visto Mirco ed io siamo molto simili, ma ho imparato che è nei momenti più brutti in cui si vede la vera natura di una persona, Michele ne era un esempio.

Ritorno in salotto dagli altri amici e vedo che hanno già montato un gioco da tavolo, vedo miniature di vario genere messe su una plancia che definirei appartenere ad un gioco stile fantasy, uno dei nostri preferiti quindi.

«Aspettatemi, Luca si sta già addormentando.» dice Emilia dall'altro lato della cucina, a quel punto Max e Rob si siedono sul divano cercando di capirci qualcosa nel complesso manuale delle regole.

Io e Alice ci troviamo messi invece in disparte affacciati alla grande finestra che dà sul vialetto nel quale si trovano le auto, ormai il sole è quasi del tutto tramontato e le prime luci della strada si accendono.

«Hai più sentito Michele? Non mi pare che tu mi abbia dato aggiornamenti da quando siete andati in gelateria.» chiede gentilmente lei, naturalmente ho raccontato anche a lei quello che mi è stato detto da Michele, ovviamente senza perdermi nei dettagli della sua salute.

« Ci siamo sentiti via messaggio qualche giorno fa, nulla di serio. Sì, l'ho sbloccato di nuovo... non credo fosse giusto lasciarlo da solo in un momento del genere.» dico abbassando gli occhi al pavimento, il morbido tappeto mi riscalda i piedi più di quanto caldi non siano già.

Alice annuisce silenziosamente. «Hai fatto bene.» commenta in un secondo momento mentre si volta guardando i due ragazzi seduti sul divano. «Michele ha sempre avuto l'aria di quello forte, di quello sicuro di sé: ma come molti è solo una facciata. Io non capisco molto le persone, ma capisco te. E se gli stai vicino, è una grande cosa.» continua lei girandosi verso di me e osservando con i suoi occhi color nocciola.

Non riesco a rispondere oltre sull'argomento visto che una parte di me si sente quasi costretta a stare vicino a Michele, non voglio scrivergli ma se mi cerca lui gli rispondo volentieri. Non vorrei in qualche modo illuderlo che le cose possano tornare come prima, non sarebbe giusto.

Alice si sposta insieme agli altri due ragazzi proprio quando Rob sbraita contro Max vista la complessità del regolamento, la ragazza scoppia a ridere mentre Max insiste che è Rob ad essere stupido da non capire.

Il ragazzo si alza e si avvicina nuovamente alla postazione di registrazione per mettere in pausa il video. Mi avvicino a lui ridacchiando: «Hai deciso di interrompere il video-diario?» chiedo amichevolmente poggiandogli una mano sulla spalla e lui sbuffa di sì.

«Registrare al momento è inutile. Farò dei grossi tagli in questa parte. Riprenderemo dopo che ci avremo capito qualcosa. Sperando che Alice ne capisca più di me.» dice con un misto di disperazione e divertimento nella voce, getta un'occhiata indietro osservando la ragazza.

Credo sia la prima volta che Rob ha quello sguardo negli occhi, in particolare quando si rivolge ad Alice. «Ho notato ultimamente che tra te e Alice c'è intesa. State uscendo sempre più spesso insieme...» dico cercando di trattenere un sorriso e parlando sottovoce. Mi trovo alla stessa altezza di Rob che si gira verso di me confuso.

«Cosa? Ma no che dici! Io e Alice siamo solo amici. Non potrei mai rubartela poi! Tu e Alice siete tipo la coppia migliore dell'anno!» dice ridacchiando, a quel punto la mia pacca sulla spalla diventa un bel pugno che gli fa perdere l'equilibrio e cade con le ginocchia per terra ridendo.

«Visto? Sei già geloso di lei!» continua Rob ammiccando senza riuscire a trattenere le risate.

«Sei un'idiota! Lasciatelo dire, Max ha ragione!» esclamo con un tono di voce troppo serio, il ragazzo si accorge del mio repentino cambio di umore e smette di ridere diventando serio anche lui.

“Forse sono stato troppo brusco...” mi ritrovo a riflettere, Rob ritorna a sistemare la videocamera in totale silenzio e dal suo sguardo capisco che sta riflettendo su quello che ha detto. “Credo abbia capito che non mi è piaciuto il suo modo di scherzare. Ma mi sento in colpa per il tono che ho usato.” continuo a pensare.

Passiamo qualche minuto in silenzio, lui si limita a stare seduto vicino la postazione di registrazione mentre io resto con lo sguardo su di lui: me la sono presa perché in qualche modo ho pensato che fosse serio, come se non avesse davvero capito cosa mi piace. E questo assurdo pensiero mi ha fatto provare rabbia nei suoi confronti.

“Rabbia che non è altro che repressione. Incertezza, del fatto che il mio migliore amico non abbia capito capito chi sono davvero. Ma è tutto nella mia testa.”

Ripenso al passato, agli anni del liceo nel quale io e Rob eravamo seduti nello stesso banco insieme e a tutte le volte che mi ha parlato di ragazze; quando rispondevo imbarazzato ai suoi commenti, tutte quelle volte che in classe mi proteggeva dai commenti degli altri ragazzi che mi prendevano in giro.

“Valerio, tu non hai un segreto? Qualcosa che non hai mai detto a nessuno?” mi aveva detto un giorno, in cui avevamo supplenza, lui mi aveva parlato del suo sogno di fare video su un canale per diventare famoso. Mi aveva anche detto che prima del liceo aveva subito un intervento nelle zone genitali, da allora era monorchide.

Ma nonostante la sua confessione intima, io non ho avuto mai il coraggio di rivelargli il fatto che mi piacessero i ragazzi, avevo paura di perdere la sua amicizia.

«Finalmente ci abbiamo capito qualcosa,» dice improvvisamente Max interrompendo i miei pensieri e voltandosi verso Rob che è seduto a terra. «ci voleva per forza l'aiuto di Alice. Se stavo ad aspettare te ancora ce ne voleva di tempo prima di riuscire ad iniziare!»

A quel punto Rob scatta in piedi e gli si butta di sopra schiacciandolo a dandogli, senza troppa convinzione, dei pugni all'altezza dei fianchi; i due scoppiano in una risata forte mentre Alice si butta giù dal divano cercando di mettersi in salvo e li guarda sconvolta.

«Smettetela di urlare. Sono riuscita a far addormentare il piccolo Luca quindi se si sveglia a causa del vostro urlare, ci penserete voi!» dice Emilia cercando di mettere un punto alla discussione. I due ragazzi smettono e si sistemano entrambi sul divano sedendosi l'uno accanto all'altro, Alice resta sul tappeto così da essere all'altezza del tavolino mentre Emilia si accomoda nella poltrona lì vicina.

«Valerio, dai riattacca la registrazione. Sai come si fa.» mi chiede Rob indicando la videocamera. Sto per voltarmi verso l'oggetto ma arresto la mano quando le dita si poggiano sui pulsanti senza riuscire a premerli.

«Allora? Dai premilo così iniziamo a giocare!» mi ripete Rob senza prestare particolare attenzione al mio congelamento, nessuno sembra accorgersene.

Non so da dove derivi la sensazione di congelamento che sto vivendo, mi sembra di non poter riuscire a premere il pulsante, mi sembra di non potermi muovere. È come se la mia mente fosse talmente tanto presa da altri pensieri da non riuscire a manifestare quello di “premere il pulsante”. I quattro ragazzi si accorgono della mia esitazione dopo qualche altro istante di attesa.

«Valerio? Che hai?» chiede Alice per prima, gli altri continuano a fissarmi e io riesco a staccare la mano dalla telecamera, mi allontano e resto fisso sullo sguardo dei miei amici. Mi sembra che il tempo stia rallentando.

«Devo dirvi una cosa...» riesco a balbettare con grande difficoltà, come se stessi lottando con il mio corpo e con la mia mente. Ma qualcosa dentro di me mi spinge a dirlo.

I quattro ragazzi vengono richiamati all'attenzione e mi fissano con preoccupazione attendendo che io riesca finalmente a parlare. Nessuno di loro mi mette fretta, ma nessuno sta capendo quello che sto per dire.

«C'è una cosa di me che non sapete e... voglio che voi la sappiate, perché siete miei amici. Perché ci conosciamo da tanto e... forse lo sapete già.» dico in maniera criptica, nella mia mente sento che neanche io potrei mai capire quello che voglio dire, non lascio trasparire emozioni e il mio sguardo è perso nel vuoto. Ma essere diretto mi farebbe male.

«Di che stai parlando?» chiede Max per primo, nella sua voce non c'è esitazione, muovo gli occhi e vedo Rob e Alice che sembrano divorarmi con lo sguardo in attesa delle mie parole, Emilia invece sembra confusa: come se quello che sta succedendo non le potesse sembrare reale.

Prendo ancora un respiro e poi lo rigetto fuori come se fosse tossico forzandomi a parlare. «Io sono gay.» riesco infine a dire, le mie parole fanno quasi un'eco visto il silenzio che si portano appresso.

Non riesco a focalizzarmi sulla reazione di tutti i miei amici, non riesco a concentrarmi su nulla perciò i miei occhi si spostano brevemente su Alice e Roberto, sento la paura crescere dentro di me per quello che potrebbero dire.

Alice è la prima a parlare. «E allora? Voglio dire, apprezzo che tu ce lo abbia detto. Ma per me non cambia nulla. Sei sempre il mio migliore amico.» il suo sguardo si sposta poi verso gli altri come per ricercare conferma delle sue parole e sembra trovarlo in Emilia e Max.

Rob sposta i suoi occhi su di me e credo che si arrabbierà,sento che sta per dire qualcosa contro di me, sulla fiducia che non gli ho mai dato.

Ma le mie paure si dissolvono non appena parla: «Sei sempre stato un fratello per me, questo non cambierà adesso.» dice il ragazzo sorridendomi. «E comunque lo avevo già capito senza che tu me lo dicessi.» dice lui con un tono quasi canzonatorio.

Da serio che sono, sento le labbra incurvarsi in un sorriso. «Volevo semplicemente dirvelo. Tutto qui.» dico infine, poi riesco a trovare la forza di premere il pulsante della registrazione e mi sposto in avanti verso i miei amici.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo Sedici ***


Mirco

Capitolo Sedici

venerdì 28 giugno

 

 

Guarda distrattamente l'orologio vedendo che sono quasi le tre del pomeriggio, da un momento all'altro dovrebbe arrivare Valerio, almeno avrò la compagnia di qualcuno. Mi ritrovo a pensare alla mattinata estremamente noiosa visto che i lavori in ufficio sono andati straordinariamente a rilento, ho avuto il piacere di rispondere a qualche chiamata e organizzare alcuni impegni del Signor Cattaneo ma per il resto è stato il vuoto totale.

Guardo distrattamente il cellulare concedendomi pochi istanti di pausa e vedo alcuni messaggi in svariate chat. Uno di quelli che mi colpisce è quello di mia sorella.

Apro la chat senza neanche pensarci visto che raramente io e lei ci scriviamo tramite messaggi.

°Gabriella:

Oi Emme a che ora finisci dal lavoro?

Avrei bisogno di un passaggio a casa.

°Mirco:

Finisco intorno alle sei ma non so se ritardo.

Ci sentiamo dopo, ok?

°Gabriella:

Non credo di avere altre alternative.

Il motorino mi ha abbandonato e non c'è

nessuno che possa darmi un passaggio.

°Mirco:

Va bene, a dopo.

Cerco di chiudere la conversazione il più in fretta possibile e ritorno con gli occhi in alto sul computer quando sento i passi di qualcuno che si avvicina: riesco ormai a riconoscere il passo svelto di Valerio mentre percorre pesantemente il pavimento.

Il ragazzo spunta dopo qualche istante sistemandosi le camicia, ha i capelli leggermente spettinati, come se si fosse svegliato da poco, ha anche i segni intorno agli occhi tipici di chi ha fatto tardi di notte.

«Hai un aspetto di merda!» dico scherzando in maniera affettuosa, il ragazzo mi saluta con un cenno preoccupandosi per il suo aspetto. «Scherzavo. Però sembri esserti svegliato da poco. Tutto bene?»

Il ragazzo annuisce pesantemente. «Sì, solo non ho dormito molto bene stanotte e mi sento tutto intorpidito. Ho riposato un po' dopo pranzo prima di venire a lavoro ma non è stata una mossa saggia.» dice Valerio rispondendomi, si passa una mano sulla spalla e fa una leggera smorfia di dolore rivolgendomi poi un'occhiata.

«Tu come stai?» chiede con leggerezza.

Scrollo le spalle senza troppa convinzione. «Tutto apposto, soliti casini con la fidanzata. Alessia spesso e volentieri fa la pesante ma nulla al quale non sono abituato.» dico mentre con la mente vago all'ennesima discussione della sera prima, un litigio che però si è concluso in fretta visto che non era nulla di importante.

L'accaduto però mi ha fatto pensare che uno di questi giorni avrei bisogno di un “massaggio” e che probabilmente mi tocca ricambiare il favore che mi ha fatto Franz. L'ultima volta che ho fatto sesso con Alessia mi sembra essere stata tanti e tanti mesi fa. Neanche mi ricordo con esattezza ma era un mese invernale visto che faceva freddo.

«Sembri pensieroso. Sicuro che vada tutto bene?» chiede Valerio dopo diversi minuti, sia io che lui ci troviamo momentaneamente senza lavoro da fare. Il ragazzo dall'altro lato dell'ufficio mi guarda come se fosse davvero interessato a quello che ho da dire.

E non so perché, ma sento di potermi confidare. Mi alzo dalla mia postazione accertandomi che nessuno sia nei dintorni, un lieve brusio proviene dalla sala principale ma nessuno in vista. Mi siedo quindi sulla scrivania del ragazzo prendendo quello che sembra un oggetto antistress che sta vicino alla sua mano: comincio a spremere l'oggetto morbido e in qualche modo di rilasso davvero.

«Sincero? Le cose tra me e le mia fidanzata sono davvero troppo complicate.» dico attentamente e facendo una pausa per capire cosa volergli dire. «Non facciamo sesso da capodanno, probabilmente.» ammetto infine.

Valerio, da che stava bevendo un sorso d'acqua dalla proprio bottiglietta, sembra affogarsi e quasi sbuffa. Vedo un alone d'imbarazzo nei suoi occhi. «Cavolo... è un bel po' di tempo per una coppia di fidanzati.» dice.

Sbuffo una risata e annuisco. «Già, non ci stiamo trovando molto d'accordo in questi mesi. E detto tra noi: io ho bisogno di scopare ogni giorno! Sono fatto così, non posso farci nulla.»

Il ragazzo comincia a ridere ma riesco a vedere che sembra a disagio nel parlare di certe cose, decido di continuare per trovare il punto in cui potrebbe sentirsi meno imbarazzato. «Non è che non ci amiamo. E so che nelle coppie la fisicità spesso viene a mancare. Però cazzo, sono ancora troppo giovane per mettere un punto al lato sessuale.» continuo cercando di apparire il più serio possibile.

Valerio annuisce e mi ascolta attentamente finché la mia pausa non diventa troppo lunga e decide di intervenire. «Immagino che sia un peccato, in effetti. Hai provato a parlargliene magari? Voglio dire, anche a me capitano quei periodo di estremo bisogno fisico!»

Scuoto il viso più volte. «Ci ho provato. Ma ogni volta che se ne parla Alessia diventa incredibilmente suscettibile. Voglio dire, ogni tanto mi fa delle “carezze” ma non finisce mai come vorrei io e sono costretto a darci di mano da solo. E questo è veramente triste!» dico in totale sincerità.

Valerio scoppia a ridere all'idea e io sorrido insieme a lui. «Anch'io sono in un periodo di calma totale. Ma tra il lavoro e una cosa tira l'altra non riesco a pensarci o a “darci dentro” con qualcuno. Anche senza impegno.» risponde il ragazzo, sembra essere sincero. Io non sono sicuro che riuscirei più ad andare a letto con una ragazza che non conosco.

In un momento come questo dove sono tranquillo riesco a dividere il mio bisogno fisico da quello che farei davvero. Ma nel momento di eccitazione, forse non mi fermerei.

«Pensi mai a cosa faresti se un domani ti arrivassero, per esempio, così tanti soldi da non dover lavorare? Una cifra talmente tanto alta da renderti ricco.» chiedo avendo in testa un solo e unico pensiero.

Il ragazzo però ci riflette seriamente, abbassa lo sguardo e poi lo alza: nei suoi occhi vedo uno strano brillio, una luce che non ho mai visto in nessuno prima d'ora.

«Io credo che mi comprerei un grande lotto di terreno, pieno di alberi e con una vista mozzafiato. Ci farei costruire una piccola villetta e metterei una scrivania proprio lì davanti. Mi basterebbe una sdraio, una penna e un blocco per gli appunti e potrei scrivere per ore intere, passare giorni senza fare altro.» risponde infine Valerio con gli occhi ancora sognanti.

Riesco quasi a vedere quell'immagine, sembra venire da un film o da un quadro. Qualcosa di talmente bello e luminoso da farmi venire l'invidia e da qualche parte dentro di me sento una strana cattiveria.

«Sprecheresti i tuoi soldi in questo modo?» dico quasi prendendolo in giro, il mio tono è scherzoso per alleggerire la situazione. «Io organizzerei festini ogni giorno su un mega yacht pieno di ragazze pronte a spogliarsi al mio comando!» rispondo con soddisfazione.

In qualche modo spero di vedere l'approvazione di Valerio che invece mostra disappunto e diventa serio in volto. «Non sono d'accordo, mi dispiace. Ci sono cose più bella nella vita che un paio di donne pronte a spogliarsi al tuo comando.» dice lui riprendendomi. «Forse il mio sogno di villetta con giardino per scrivere non è da meno. Punti di vista.»

«Cose più belle? Ti parlo per esperienza che in tutte le cose bisogna cogliere l'attimo. Donne al tuo servizio pronte a fare quello che vuoi, non capita spesso.» dico insistendo ancora, Valerio riflette su qualcosa per pochi istanti ma poi scuote il viso.

«Come dici tu, il divertimento dura un attimo. Io penso a cose più importanti: per me l'ispirazione e avere un posto dove poter comporre le mie poesie vale molto più di un paio di tette al vento!» risponde stizzito, sento un'improvviso gelo nelle sue parole ed è come se avesse in qualche modo messo un muro di ghiaccio tra noi due.

“Non mi sono mai sentito così prima d'ora...” penso tra me e me lasciando che il silenzio divida le nostre parole. Non so perché ma adesso mi sembra di pensare che le mie parole siano dette solo per invidia, come se il suo progetto valesse molto più del mio. E in effetti è vero.

“Avere tempo e voglia di scrivere... cosa darei per poter ritrovare l'ispirazione. E forse una villetta isolata nel nulla sarebbe proprio ciò che mi servirebbe.” continuo a pensare. Valerio improvvisamente si alza dalla sedia spostandosi via, immagino che stia andando in bagno.

«Accidenti...» sputo via quella parola insieme ai miei respiri come se fossero tossici. Mi passo le mani sul viso e mi alzo dalla scrivania così da tornare nella mia.

Il resto del pomeriggio passa esattamente come la mattina, Valerio sembra totalmente assorto nel suo lavoro e sembra come se mi stesse ignorando. Non credo di averlo offeso quindi ricambio con la stessa moneta, iniziando ad esaminare gli articoli che stanno finalmente arrivando e rispondendo talvolta al telefono.

Passa qualche ora quando finalmente il Signor Cattaneo arriva in ufficio, sono quasi le sei e quindi conto i minuti per scappare via dall'ufficio se non fosse per il direttore che, dopo aver posato la propria ventiquattro ore nella sua stanza, esce dalle doppie porte di vetro rivolgendosi ad entrambi i suoi assistenti.

«Ragazzi ho qualcosa di interessante per voi due,» comincia il Signor Cattaneo richiamandoci entrambi all'attenzione. «pare che si stia organizzando una sorta di progetto di lavoro, si tratta di pochi giorni ad inizio settembre con la possibilità di conseguire certificazioni e attestati che migliorerebbero il vostro curriculum.» continua, in poche parole che sono state dette credo di aver capito solo “lavoro, lavoro, lavoro” e la cosa mi confonde. Fortunatamente per me ci pensa Valerio a chiarire.

«Cioè un progetto di redazione?» chiede il ragazzo e il direttore annuisce pienamente soddisfatto. «Ogni anno si organizza una sorta di concorso, si studia e si ci fa una bella vacanza in qualche posto esotico con la possibilità di portare un'altra persona con sé.» dice il ragazzo fissandomi.

Annuisco affascinato ed interessato. «Quindi una sorta di viaggio gratuito? E il progetto di quante ore sarebbe?» chiedo pensando all'idea di una bella vacanza con Alessia, è da molto che non andiamo fuori città insieme.

Il direttore del giornale mi fissa qualche istante capendo subito quando io sia realmente interessato al partecipare a questo progetto. «Si tratterebbe di cinque ore al giorno. Il convegno dura cinque giorni in totale, è una bella esperienza. Sono anni che provo a convincere Valerio a parteciparvi.»

Il mio sguardo si sposta subito sul ragazzo che sta già scuotendo il viso, la cosa mi sembra molto strana visto che sembra amare questo lavoro e da un tipo come lui non riesco a credere che si perderebbe un'occasione del genere.

«Ci penserò su, se la cosa la rende felice.» dice il ragazzo rispondendo al proprio superiore, il Signor Cattaneo fa uno sguardo d'approvazione e poi continua lungo il corridoio lasciando il proprio ufficio.

«Com'è che non hai mai voluto partecipare a una roba del genere? Un viaggio gratis per due persone. Non mi sembra che sia un'opportunità da perdere.» gli chiedo.

Dai suoi occhi riesco a capire che c'è qualcosa che lo mette a disagio e non credo siano i discorsi di prima. «Diciamo che sono stato fidanzato con una persona che non amava molto viaggiare, inoltre era una persona gelosa. E sarebbe stato complimento farci vedere insieme.» dice in tono vago, sembra la verità visto quanta difficoltà ha nel dirlo, “Tiene sempre questo tono misterioso...” penso.

Annuisco, Alessia più volte si è dimostrata gelosa di me ma mai da impedirmi di fare qualcosa. E se mai ci avesse provato abbiamo finito per litigare di brutto. «Cavolo, amico. Mi dispiace, forse non è stato così male allora se vi siete lasciati. Non credo tu me ne abbia parlato, sai?»

Il suo sguardo si sposta dal computer su di me. “Mi pare che mi abbia accennato qualcosa ma non ha mai voluto approfondire l'argomento.”

«Ops... scusa, ho una chiamata al telefono. Devo rispondere.» dice Valerio alzandosi dalla postazione e prendendo l'oggetto in mano, svanisce poi nel vuoto facendomi un leggero saluto da lontano.

Lo fisso incredulo e confuso, poi continuo a sistemare la mia borsa del lavoro, prendo le ultime cose e mi alzo dalla scrivania senza aspettare il ritorno del ragazzo. Cammino per i corridoi fino ad arrivare all'ascensore salutando i vari assistenti che ci sono sparsi e Veronica, la sexy zia di Alessia.

«Oh Mirco stavo giusto pensando a te.» dice la donna bionda entrando nell'ascensore prima che le porte si chiudano. Ci troviamo a distanza di pochi centimetri.

«Tutto bene, Veronica?» chiedo incuriosito.

«Sì, tutto tranquillo. Non ho avuto modo di chiederti come ti stessi trovando nell'ufficio. Corrado è molto soddisfatto del lavoro che hai svolto, non ti avrebbe mai proposto il progetto a settembre altrimenti.» dice la donna facendo un largo sorriso, la osservo attentamente e ogni volta mi stupisco di quando lei e Alessia si somiglino.

Stessi occhi chiari e stessi capelli biondi, anche il viso è somigliante nonostante i segni dell'età appena accennati, Veronica ha un fisico fantastico e tonico e in quanto a curve è meglio di Alessia. Mi è capitato più di una volta di pensare a lei in questo modo, ma mi sono sempre limitato a quello.

«Ne sono felice, credo proprio di voler partecipare al progetto. Potrebbe essere interessante per me e Alessia. Anzi gliene vorrei già parlare, un viaggetto da soli, anche se si tratta di lavoro, ci vorrebbe proprio!» dico senza accennare ai problemi che abbiamo in questi ultimi mesi.

La donna sembra molto soddisfatta della mia trovata e annuisce più volte. «Sì, sarebbe fantastico. Alessia ne sarebbe molto felice, sai quanto le piace viaggiare e i viaggi di coppia sistemano tutti i problemi di questo mondo.» dice Veronica che all'idea sembra persino più eccitata di me.

Mi viene da pensare che lei sappia più di quanto dimostra, non escludo il fatto che Alessia parli dei nostri problemi non solo con le ragazze del gruppo ma anche con sua zia visto lo splendido rapporto che hanno. “Le avrà detto che io ho sempre voglia di scopare e che lei non ne ha mai? No, probabilmente mi avrà dipinto come un mostro che pensa solo a quello.” penso infine.

Mentre i miei pensieri prendono forma mi chiedo cosa pensa davvero di me Alessia, l'ascensore però si ferma al piano in cui deve scendere Veronica e i miei pensieri si interrompono in quell'istante. «Grazie per il passaggio. A presto, tesoro.» dice la donna facendomi l'occhiolino e lasciandomi solo nella cabina.

“In questo momento mi ci vorrebbe proprio un bel massaggio...” ritorno a pensare, ed è già la seconda volta che mi viene da farlo in questa giornata. Ringrazio però che la mia giornata è già piena oggi altrimenti chiamerei Franz per restituirgli il favore.

Salgo in macchina e metto in moto, prima di uscire dal parcheggio invio un messaggio a mia sorella dicendole che mi sono appena partito e le do un punto di riferimento vicino il liceo che frequenta così da non farmi fare mille giri per quelle strade vista l'ora di punta.

Sfrecciò attraverso le vie della città mentre il sole è ancora alto nel cielo e un leggero vento caldo spira costringendomi ad aprire il finestrino fino alla fine; al primo semaforo riesco a mettere la radio dando il via alla playlist che parte dall'ultima canzone che ho ascoltato: non il solito rock pesante, la voce di questa cantante è delicata e riesco a percepire l'agonia nella sua interpretazione, sento i brividi salire la schiena e mi rilasso dopo l'eterna giornata lavorativa.

Quando arrivo davanti il liceo di Gabriella trovo la ragazza nel punto in cui le avevo detto di farsi trovare: mia sorella si avvicina quando le faccio segno con gli abbaglianti dell'auto e saluta le sue amiche che stavano aspettando con lei: la ragazza indossa un jeans scuro e una maglietta nera sul quale c'è una scritta in tedesco, credo sia di un gruppo musicale ma non ho mai sentito nessuna loro canzone.

Apre la portiera dell'auto salendovi sopra mentre con i suoi occhi neri rivolge uno sguardo alle porte chiuse del liceo, quest'anno per lei è già finito ma l'anno prossimo dovrà dare gli esami di maturità.

«Dove hai lasciato il motorino? Posso chiedere a Franz di recuperarlo e se in qualche modo riesce a capirci qualcosa.» dico alla ragazza, mi rendo conto che il tono che ho usato è piuttosto freddo e non vorrei.

«Dietro l'angolo. Le altre avevano la macchina piena, altrimenti avrei tranquillamente chiesto a loro un passaggio.» risponde Gabriella rivolgendomi lo stesso tono distaccato, annuisco senza aggiungere altro mentre la ragazza si distende sul sedile e mette i piedi sul cruscotto.

Il resto del viaggio procede silenziosamente fino a che non arriviamo al nostro condominio, lascio l'auto parcheggiata davanti un divieto di sosta ma non conto di stare molto tempo a casa visto che probabilmente mio padre sarà ancora a casa a quest'ora.

«Com'è andata a lavoro?» chiede Gabriella mentre aspettiamo l'ascensore che ci porta al nostro pianerottolo, annuisco arricciando le labbra appena.

«Bene, giornata lunga. Parteciperò ad un progetto. Una sorta di concorso di lavoro, partirò qualche giorno con Alessia quindi. Non so altri dettagli.» le dico tranquillamente e lei mi fa un mezzo sorriso, sembra contenta di quelle breve frasi e informazioni che le ho dato.

«Oggi pomeriggio mi ha chiamato il titolare del bar dove lavoravo l'anno scorso. Dice che mi vuole fare un contratto e che vorrebbe che lavorassi anche d'inverno. Secondo me è una buona occasione.» mi dice la ragazza quando siamo davanti la porta di casa nostra.

Tiro fuori le chiavi di casa e le infilo nella serratura e prima di girarle le rivolgo un cenno. «È fantastico, ma vedi di non tralasciare la scuola. Altrimenti prenderai brutti voti come ho fatto io!» le dico e lei sorride.

Quando entriamo in casa sento subito l'aria più pensante rispetto al mondo esterno. «Sono tornato a casa. C'è anche Gabriella.» dico ad alta voce così da annunciarci. Chiudo la porta non appena la ragazza entra, la prima stanza che visita è la cucina dove si trova nostra madre.

La donna come sempre sta guardando la televisione con poca attenzione. Saluta la figlia con dolcezza prendendole il viso tra le mani; resto sull'uscio della porta osservando quella scena come se fosse un vecchio film. Sento dei movimenti in fondo al corridoio e la porta del bagno si apre, vedo che ne esce mio padre che non rivolge neanche un saluto e si chiude nuovamente nella camera da letto. Ormai ci sono abituato alla sua assenza, al suo fallimento come padre e marito, eppure dentro di me qualcosa si smuove per la rabbia. Stringo i denti e cerco di ignorare la situazione.

«Ciao mamma. Io mi vesto in fretta ed esco con Alessia.» dico alla donna non appena Gabriella lascia la stanza, non ottengo nessuna reazione particolare ma sono abituato anche a quello quindi lascio la cucina.

Mi sposto lungo il corridoio fino ad arrivare alla mia cameretta, mi chiudo dentro e mi spoglio totalmente lasciando i vestiti da lavoro sul letto in maniera confusa, indosso un pinocchietto di jeans e un paio di scarpe da ginnastica con una maglietta senza maniche visto che di sera c'è molta umidità ed è fastidiosa.

Mando un messaggio veloce ad Alessia mentre mi do una leggera sistemata ai capelli. “Sto arrivando. Ti amo.” Dopo di che lascio la casa senza perdermi in ulteriori saluti.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo Diciassette ***


 

Valerio

Capitolo Diciassette

martedì 2 luglio

 

 

Da lontano mi limito ad osservare gli spostamenti di Rob all'interno del nuovo negozio di videogiochi che ha aperto nel centro commerciale: ha l'aria di un bambino che visita un lunapark e dove tutti gli sembra troppo grande e pieno di colori che lo attirano a voler fare tutti i giochi. La maggior parte si trovano ordinati sugli scaffali ai lati del negozio, poi ci sono delle postazioni più piccole che servono a suddividere il negozio creando una specie di strada.

È l'angolo delle occasioni che Rob sta guardando per ultimo, visto che ha già trovato ben due giochi che sono usciti da poco e mancavano alla sua collazione.

Nel frattempo, resto qui seduto a godermi l'aria condizionata la cui grata è posizionata proprio sopra di me, essendo però il tetto molto alto non la sento troppo forte e quindi non mi dà alcun fastidio.

Dei bambini passano correndo mentre i genitori, poco dietro di loro, gli urlano che devono stargli vicino o domani non li porteranno al mare. Mi viene da pensare che io non ho mai disubbidito ai miei genitori.

Né io né Riccardo gli abbiamo mai dato motivo di minacciarci di non portarci al mare. Specialmente per un bambino, andare al mare è una bellissima esperienza.

“Certe volte mi viene da pensare a quanto era bello. Essere bambini, andare a scuola. Avere l'unico pensiero di dover fare i compiti e di dover studiare. Ora invece è tutto diverso.” penso tra me e me mentre guardo con un sorriso quei due bambini che si sono bloccati come statue.

I loro occhi tremano per il dispiacere e per la paura che i genitori possano davvero non portarli al mare. La giovane coppia raggiunge i propri figli e passano davanti al negozio di videogiochi, nessuno dei due piccoli fa un commento.

«Che stai guardando?» chiede improvvisamente Rob uscendo dal negozio che la famiglia ha appena superato. Mi richiama all'attenzione e sposto lo sguardo su di lui.

«Niente, c'erano due bambini che facevano i capricci e i genitori li hanno minacciati di non portarli al mare.» dico facendo una breve pausa e alzandomi dalla panca. «A te è mai capitato?» chiedo al mio miglior amico.

Lui ci pensa su e annuisce con forza dopo pochissimi istanti. «A differenza tua ero un bambino molto esuberante. Avevo sempre voglia di correre e giocare. Direi che sono cambiato molto...» ammette con un filo di amarezza.

«Non si può certo dire che tu non stia facendo nulla. Un giorno sarai talmente tanto famoso e strapagato che non saprai proprio cosa fartene di tutti quei soldi.» dico incoraggiandolo e il ragazzo scoppia a ridere mentre camminiamo verso la gelateria lì vicino.

«Vuoi un gelato? Con questo caldo ne ho proprio bisogno!» dice Rob facendosi aria col pacchetto di giochi appena acquistato.

Ci spostiamo insieme verso la gelateria che fa ad angolo nell'area ristoro del centro commerciale, ci sono poche persone essendo un martedì pomeriggio, ma probabilmente è normale visto che molti saranno al mare e gli altri saranno nel parco acquatico fuori città.

«Devo dire che preferisco la città d'estate. Si svuota ed è più tranquilla.» dico quando ci soffermiamo a fare la breve fila, poche persone ci separano dalla cassa.

Rob guarda l'orologio e vede che sono le cinque del pomeriggio ormai passate. «Devi tornare alle sette a lavoro, giusto?» annuisco senza entrare troppo nel dettaglio, tutta la giornata da solo visto che Mirco ha il suo giorno libero. «Uno di questi giorni dobbiamo organizzarci per andare a mare tutti insieme.» dice il ragazzo, l'idea mi piacerebbe.

Afferriamo i nostri coni gelati, io come al solito ho scelto la coppia di cioccolato bianco e quello classico mentre Rob cerca sempre di optare per i gusti più strani, stavolta il suo è ricaduto su pistacchio e nocciola, molto semplice.

«Sai, era da sabato scorso che volevo parlarti un po' in tranquillità, ma tra una cosa e l'altro non abbiamo proprio avuto modo di vederci.» dice Rob tranquillamente, capisco subito che non parla di due giorni fa bensì di quando ho detto loro di essere gay.

«Non so se la cosa mi tranquillizza. Ma se hai aspettato non dev'essere nulla di grave.» cerco di minimizzare la cosa giocando in difesa e Rob sembra essere messo in imbarazzo, capisco subito che non è qualcosa di importante e soprattutto che ha paura di offendermi in qualche modo.

«Non è nulla. Solo che... quando hai capito di provare attrazione per i ragazzi? Voglio dire... al liceo non me ne hai mai parlato. Capisco che sia una cosa... strana, da dire.» dice lui cercando di utilizzare le parole che ritiene più opportune.

Ci sto pochi istanti per riflettere, parlare di questo mi fa sentire piuttosto in ansia ma man mano che dico le parole sento questa sensazione svanire lentamente. «Credo da sempre. Alle medie ero stracotto di un mio compagno di classe, ma lui era tipo un bulletto quindi mi è passata in fretta. Quando sono arrivato al liceo superiore e mi sono seduto con te, mi trovavo talmente tanto bene da non voler rovinare tutto.» rispondo alla sua domanda mentre i suoi passi seguono i miei lentamente. «Certe cose non devono essere dette. E io e te abbiamo sempre parlato tranquillamente del più e del meno. E poi ti ricordi i nostri compagni di classe? Pensa se lo avessero saputo!»

«Non avrei mai detto loro qualcosa che ti riguardasse. Specialmente una cosa così personale e importante!» dice Rob, dal tono distaccato che usa capisco che ha interpretato la cosa in maniera negativa.

Mi affretto a specificare. «Non dico che tu lo avresti detto; intendo dire che magari ne avremmo parlato nei corridoi e qualcuno avrebbe potuto sentire. Soprattutto, volevo proteggere te più di me.»

Il suo sguardo confuso cerca il mio insieme alle spiegazioni e mi trovo costretto ad approfondire. «Ho sempre avuto paura che vedendoti insieme a me, gli altri ragazzi avrebbero potuto pensare che anche tu eri gay. Io posso sopportare le prese in giro, sono sempre riuscito a farlo. Ma se l'avessero fatto a te me la sarei presa a male.» dico infine. Arrivo a dare un morso alla cialda e del gelato mi finisce tra i denti provocandomi una sensazione non gradita.

«Capisco. Immagino che tu abbia ragione anche se li avrei presi tutti a cazzotti! E non perché io abbia qualcosa contro eh! Voglio dire, tu sei un bel ragazzo ma... aspetta non bello in quel senso cioè...» le parole che seguono dalla bocca di Rob sono una più inconcludente di quella precedente e finisco per scoppiare a ridere mentre lui continua in qualche modo a giustificarsi.

«Tranquillo, Rob. Ho capito quello che intendi.» dico infine cercando di chiudere il discorso che non è riuscito a portare a termine. Il ragazzo sospira e fa un mezzo sorriso mentre anche lui arriva a mordere la cialda del cono.

«Tra te e Michele... ho sempre saputo che c'era più dell'amicizia.» dice Rob mettendo su un'espressione seria, lo vedo improvvisamente incupito. «Mi è capitato spesso di pensare che il vostro rapporto fosse più intenso di quello che tu avevi con me e spesso ho pensato che lui potesse essere “più amico” di me. Non ti nascondo che l'ho odiato per un certo periodo visto che temevo che mi portasse via il mio migliore amico.» si confida il ragazzo.

La sola idea mi fa quasi venire da ridere se non fosse che vedo negli occhi di Rob troppa serietà e quindi capisco che non è uno scherzo. «Nessuno ti porterà via il tuo migliore amico e tu resterai per sempre il mio.» gli dico rassicurandolo, mentre lo dico però riesco quasi a vedere la situazione con i suoi occhi.

Io e Michele sempre insieme, con un'intesa che supera i limiti dell'amicizia. Probabilmente anch'io mi sarei fatto strane idee se fosse capitato al contrario.

«Conoscendolo meglio ho capito che era un bravo ragazzo e che tu non avresti mai avvicinato un idiota. Sei una persona che sceglie con attenzioni chi far entrare nel proprio cuore, lo sei sempre stato.» dice Rob continuando a fissare il vuoto davanti a sé e a stare serio.

«E poi?» chiedo.

«Ho deciso di dargli una possibilità. E dentro di me sapevo che c'era comunque qualcosa che mancava nel rapporto che avevi con me e che con lui, conosciuto da poco tempo, invece avevi ritrovato.» dice Rob spiegandosi meglio, annuisco mentre parla e lo lascio continuare. «Non davo per scontato che ci fosse qualcosa di sentimentale, ho sempre saputo che avevi gusti diversi dai miei, probabilmente. Ma come dici tu, non c'era bisogno di ammetterlo davvero; non potevo immaginare foste fidanzati.»

Il modo in cui lo dice, il fatto che sia proprio lui a dirlo in qualche modo rievoca in me quei ricordi che avevo soppresso, momenti passati insieme, serate interminabili con Michele: abbracci e baci di ogni tipo.

«Be' forse è meglio che io e te non abbiamo mai avuto quel tipo di intesa. Non ci tengo proprio a baciarti! Nè tanto meno a far qualunque altra cosa con te.» dico cercando di sdrammatizzare la situazione, Rob si volta di scatto verso di me scoppiando a ridere e dandomi una spinta all'altezza della spalla, rido insieme a lui finché non sento il suono del cellulare che indica un messaggio arrivato.

«Chi diavolo è a quest'ora?» chiedo a me stesso mentre mi fermo per prendere l'oggetto dalla tasca.

«Magari sarà Alice. Le avevo detto che eravamo fuori. O forse i ragazzi sul gruppo...» prova ad indovinare Rob, ma quando tiro fuori il cellulare e muovo la barra delle notifiche verso il basso leggo che non si tratta di nessuno dei miei amici, bensì le notifiche vengono da Mirco.

La prima cosa che vedo quando apro la chat è una foto, si tratta di una spiaggia grandissima, il mare fa da sfondo sull'orizzonte del cielo azzurro estivo; l'ombra di chi ha scattato la foto sembra imponente e capisco che il sole è ancora alto nel cielo, probabilmente una foto in diretta.

 

°Mirco:

Non so perché, ma riflettevo su quello

di cui parlavamo qualche giorno fa.

Cosa faresti se fossi ricco o meno e conformo

di aver cambiato idea... forse parlavo senza capire...

Pagherei oro per restare qui con questa brezza

e sentire il suono dell'oceano.

°Valerio:

Lo so, è uno spettacolo che non mi perderei.

Ci sono cose più importanti nella vita che barche

piene di ragazze e del sesso stesso.

Una spiaggia con tramonto, per esempio.

°Mirco:

Scusami, avevo davvero bisogno di scriverlo,

volevo condividere questa cosa con qualcuno.

°Valerio:

Sono felice che tu abbia voluto condividere

questo tuo pensiero con me.

°Mirco:

Sapevo che avresti capito, semplicemente.

 

La conversazione giunge al termine nel momento in cui mando delle faccine sorridenti come risposta, mi sembra che il mondo si sia come fermato e abbia smesso di girare mentre leggevo e rispondevo ai messaggi di Mirco.

Improvvisamente mi gira la testa, le sue parole sono profonde e il fatto che abbia voluto condividerle con me mi fa sentire strano; neanche ci pensavo più al discorso di cui avevamo parlato. Ma qualcosa lo ha rievocato in lui.

“E pensare che mentre gli parlavo del mio progetto di villa con giardino mi sentivo ridicolo. Anche da come mi guardava, come se fossi un alieno!” mi ritrovo a pensare.

Ho avuto in qualche modo avuto la conferma che quello che voglio io è condivisibile da altre persone, e Mirco fa tanto il duro ma a quanto sembra anche lui in qualche modo ha voluto aprirsi in questo suo profondo pensiero.

«Si può sapere che succede? Mi sembra che ti sia completamente estraniato dal mondo!» mi dice Rob dandomi qualche scossone per riportarmi alla realtà. Improvvisamente la chat e le sue parole scompaiono dalla mia mente nonostante è visibile che sia ancora scosso.

«Ecco... nulla di che, mi ha scritto Mirco. Il mio collega di lavoro, il Secondo Assistente.» cerco di dire, sento che il tono delle mie parole esce distorto, quasi come se stessi parlando di un sogno e mi sento davvero strano.

Rob capisce subito che c'è qualcosa di strano allora allunga la mano verso il cellulare. «Posso leggere o pensi che sia un segreto di stato?» dice scherzando, in realtà una parte di me non vorrebbe fargli leggere quei pochi messaggi che ci siamo scambiati.

Esito qualche istante, poi mi rendo conto che non avrebbe senso visto che non c'è nulla di male in quello che Mirco mi ha scritto. Rob guarda velocemente i messaggi e la sua espressione poi si trasforma, come se fosse in qualche modo incuriosito da questa persona.

«Be' è un bel pensiero. Sembra un ragazzo molto sensibile. Non capisco cosa ti abbia sconvolto così tanto però.» dice lui passandomi il cellulare tra le mani, ancora una volto lo infilo nella tasca.

Scrollo le spalle mentre rispondo. «Non lo so, è strano ecco. Non credo di aver mai sentito qualcuno dire una cosa del genere; e se tu vedessi Mirco capiresti che non è esattamente quel genere di persona tranquilla.» rispondo, tutta questa situazione mi sembra molto strana e non capisco neanche io il perché.

«Questo non è quel genere di pensieri che racconti in giro facilmente. Non ti ha solo dato ragione, ti ha aperto un pezzo del suo cuore e ha dimostrato una sensibilità che noi ragazzi non abbiamo quasi mai.» dice Rob cercando di venire a capo dell'origine dei miei dubbi. «Non è che ti piace?» chiede poi.

La sua domanda improvvisa mi imbarazza e scatto quasi sull'attenti. «Ma che dici! Non è brutto ma non penso neanche a lui in quel modo. E poi è un mio collega di lavoro!» dico rispondendogli, riprendiamo a camminare mentre Rob ridacchia tra sé e sé.

«Potrebbe essere un buon amico, forse. Magari ha capito di potersi fidare di te, ha capito che in qualche modo sei un ragazzo sensibile e come dice lui, sapeva che avresti capito quel suo sfogo. Forse è lui ad aver trovato un amico in te.» continua il ragazzo guardando in avanti, i suoi passi sono più lunghi dei miei e veloci.

Finisco per restare di qualche passo indietro mentre resto assorto nei miei pensieri: sono convinto che l'unica cosa che a un tipo come Mirco non manchi siano proprio gli amici. Ma di amici non se ne hanno mai abbastanza, immagino.

“Basta guardare il mio gruppo: Max lo conosco da poco ma posso dire di averlo sempre trovato d'accordo con me; poi ovviamente non manca Emilia, lei è una grande persona nonostante faccia di tutto per non dimostrarlo; Rob e Alice sono su un altro gradino, molto più in cima. Eppure tutti loro mi sono stati vicino, chi da più tempo chi da meno.”

Realizzo che mi piace l'idea di avere Mirco come amico, abbiamo molti interessi in comune e condividiamo anche diverse passioni. È strana l'idea di avere un amico conosciuto a lavoro, per quanto riguarda la mia esperienza ho sempre avuto a che fare con gente troppo adulta o troppo piccola.

«Potrebbe essere un'occasione.» dico quasi con un sussurro, Rob infatti è costretto a girarsi e a chiedermi cosa io abbia detto. Scuoto però il viso e non lo ripeto, semplicemente penso a godermi il resto del pomeriggio con il mio amico finché non si fa tardi.

Sfreccio tra le strade della città mentre il cielo si dipinge di arancione, delle strane nuvole grigiastre si stanno avvicinando trasportate da una leggera brezza, quasi neanche sembra che quel pomeriggio avesse fatto una giornata di pieno sole. Tuttavia non credo che pioverà.

Parcheggio il pick up in un punto non troppo distante vicino all'entrata del palazzo e mi incammino con la mia ventiquattro ore fino all'ascensore. Quando percorro il corridoio noto che c'è un'aria di festa molto piacevole e mi ricordo che è il compleanno di Davide. Gli altri colleghi gli sono vicini e gli fanno dei sorrisi, mi viene quasi da pensare che probabilmente molti di loro, come me, non si ricordavano neanche che fosse il suo compleanno.

Gli faccio un cenno distante in modo da fargli capire che lo raggiungerò dopo, vado quindi nella mia postazione trovando sia la mia scrivania che quella di Mirco vuote. “Naturalmente, visto che oggi è di riposo.”

Butto la valigetta in un angolo vicino al muro e accendo il computer, mentre aspetto che si avvii ho il tempo necessario per andare a trovare Davide nel reparto che si occupa dell'impaginazione e mi faccio largo tra i colleghi.

«Non mi ricordavo che oggi fosse il tuo compleanno. Scusami tanto.» dico stringendogli la mano dopo aver detto “buon compleanno” mentre intorno a lui risuona la tipica canzoncina di auguri che lo mette in imbarazzo.

«Non ti preoccupare, neanche io mi sono ricordato del tuo quest'anno.» mi risponde Davide, lentamente gli altri colleghi gli avvicinano un piattino sul quale si trova quello che sembra un muffin gigante con una candela sopra.

«Grazie a tutti, davvero non era necessario.» continua il ragazzo e le storie vanno avanti ancora per una mezz'ora circa quando arriva il Signor Cattaneo in ufficio e tutti noi ritorniamo alle nostre postazioni per svolgere i lavori.

Più tardi, ancora una volta mi trovo a rileggere i messaggi di quella conversazione con Mirco; è come se in qualche modo volessi cercare di assimilare significati che i miei occhi non riescono a vedere, ma non c'è nient'altro in quelle sue parole. A tratti vedo comparire la scritta “Online” per indicare che sta leggendo dei messaggi.

«Sono dieci minuti abbondanti che sei bloccato davanti al cellulare con quell'espressione strana. Che hai?» chiede Davide improvvisamente, alzo gli occhi bloccando lo schermo del cellulare così da non far vedere il contenuto ad altri e scuoto il viso allo stesso tempo.

«Niente, leggevo dei messaggi. Come procedono gli auguri di compleanno?» chiedo cercando di spostare l'attenzione su qualcos'altro. Il ragazzo ridacchia.

«Bene direi.» risponde semplicemente, tuttavia dal suo tono capisco che c'è qualcos'altro di cui vorrebbe parlarmi. «Quest'anno parteciperai al progetto o lascerai a qualcun altro?» chiede lui proseguendo.

“Tanto bravo e tanto religioso, alla fine però mi sta avvicinando solo per assicurarsi che non partecipi.” penso tra me e me pensando a quanto Davide in realtà si nasconda dietro il suo rosario e la sua fede.

«E lasciare il lavoro come Primo Assistente a qualcun altro? No, non parteciperò Davide. Mi sta bene passare i miei giorni qui a rispondere al telefono e assicurarmi che tutti voi facciate bene il vostro lavoro.» dico in risposta canzonandolo un po', cerco di fare buon viso a cattivo gioco e Davide mi risponde con la stessa risata.

«E Mirco? Sai se parteciperà?» chiede, quasi mi raggelo quando mi chiede dall'altro assistente ma cerco di trattenere la mia reazione. «Ho visto che siete molto legati, eh? State facendo amicizia?» ma qualcosa nel suo tono non mi piace.

«Parliamo per ingannare i momenti morti. Comunque sì, probabilmente parteciperà e quindi mi sa che avrai un potenziale rivelare quest'anno.» dico quasi in tono di sfida, il ragazzo però non se la prende a male, anzi, mi risponde ridendo ancora mostrando un'espressione inebetita.

«Forse dovrei conoscerlo meglio anch'io. Se è un rivale tanto promettente come dici tu allora sarà meglio imparare a conoscerlo.» dice lui in risposta, Davide mi fa l'occhiolino e con quell'ultimo cenno gira sui tacchi e se ne va.

Ogni anno, Davide cerca di partecipare al concorso, solitamente però c'è sempre stato il Secondo Assistente a partecipare ed essendo che lavorava con noi già da prima del mio arrivo, il Signor Cattaneo ha sempre preferito affidarsi a lui alla fine. Quest'anno c'è Mirco e non so se il direttore potrebbe preferirlo a Davide...

“Poco importa. Meglio non pensarci e finire quest'articolo o resterò qui fino a domani!” mi dico infine ritornando al mio pc e stando lontano da altre distrazioni.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo Diciotto ***


Mirco

Capitolo Diciotto

venerdì 5 luglio

 

 

Mi ritrovo a camminare tra gli alberi cercando di capire dove sia finita Alessia; sento le sue risate mentre si nasconde da qualche parte e mi chiama per nome. A quel punto mi giro cercando di capire l'origine della sua voce ma ancora una volta mi ritrovo in un punto cieco della Piazza, uno dei nostri luoghi di ritrovo.

«Dai vieni da questa parte!» scherza ancora Alessia, ammetto di essere stanco di doverla rincorrere visto che sono più di dieci minuti che mi ritrovo a girare intorno all'albero centrale.

Ma passare del bel tempo con lei è una cosa che non mi capita troppo spesso negli ultimi mesi; indipendentemente da quello che io abbia fatto insieme a Franz nel centro massaggi, posso dire che Alessia mi quieta la mente.

«Vogliamo stare tutto il pomeriggio qui? Non hai niente di meglio da fare?» le chiedo scherzando un po' e sento una risata da un punto non troppo distante, mi avvicino di fretta preso dal gioco e sposto gli ultimi ramoscelli pieni di foglie verdi profumate.

La ragazza bionda urla spaventata mentre scoppia a ridere per quel gioco che la sta divertendo tanto. Cerco di catturarla con le braccia ma lei scivola di lato e poi si ferma improvvisamente rivolgendomi una smorfia.

«Mi hai trovata!» ammette di essere stata sconfitta e mi avvicino nuovamente a lei. La ragazza prende il cellulare ed entra nella galleria facendomi vedere che ha scattato alcune foto di me che la sto cercando.

«Questa devo assolutamente postarla! Eri a tanto così dal trovarmi già all'inizio!» dice ancora una volta lei, preme velocemente i tasti sullo schermo per pubblicare la foto, non avrebbe senso provare a contraddirla.

«Vuoi fare altre foto o pensi che possiamo raggiungere gli altri alla Villa?» le chiedo con un tono non troppo scocciato, Alessia però conosce i miei modi di fare e quindi ritorna seria anche lei.

«Credo di averne abbastanza. Devo però andare da Eva prima di raggiungervi alla Villa; puoi accompagnarmi da lei? Non dovremmo perdere molto tempo.» mi dice la ragazza, annuisco senza problemi, immagino debbano discutere di cose tra ragazze e non ci tengo minimamente ad aspettare i loro comodi.

«Va bene, allora ti accompagno da lei.» dico infine, riprendiamo le nostre borse che avevano lasciato all'ombra del grande albero centrale e ci spostiamo verso il cancello che abbiamo lasciato leggermente aperto.

La Piazza è uno spazio che non utilizziamo molto spesso, generalmente solo io e Lily ci bazzichiamo oppure Giovanni quando ha bisogno di studiare e fanno delle belle giornate di primavera. Ora che è estate ormai inoltrata, nessuno dei due però ama stare troppo il sole.

“Inoltre è il posto migliore per fare le foto ad Alessia.” penso tra me e me mentre salgo in auto e avvio il motore. Mentre la ragazza riguarda le foto che le ho scattato io sfreccio tra le via strette dalla periferia.

«Questa mi piace. Anche se sembra che hai zoomato sulle tette!» dice lei commentando una foto tra le tante, la guardo con la coda dell'occhio e faccio una mezza risata visto che è vero che l'ho fatto.

«A proposito: Lily mi ha detto che prossima settimana dovrebbe avere qualche giorno di ferie. Mi aveva chiesto di organizzare un bel picnic a mare: per te va bene?» chiedo rivolgendomi alla bionda. Tuttavia la sua espressione muta e il suo sguardo si sposta sulla strada.

«Non credo che potrò esserci. Mio fratello mi ha chiesto se potevo stare da lui qualche giorno visto che ha un po' di tempo libero dagli studi.» chiede lei, io le rivolgo un'occhiata e poi scuoto il viso visto che non ho memoria di questa cosa sentendo già il sangue gelarsi.

«Quand'è che me l'avresti detto!?» sento di me un'insana rabbia crescere, non per Alessia in sé ma per quello che vorrebbe dire stare a dormire dall'appartamento che suo fratello condivide col coinquilino.

«Mirco, ti prego! Non ricominciamo con questa storia. Tra me e Ivano è finita tre anni fa, ti ricordi quando ci siamo messi insieme io e te, sì?» dice lei, al solo nominare il nome di quel coglione del suo ex sento la fronte calda e le orecchie bollenti per la rabbia.

“È finita, è vero. Dopo averla conquistata ormai è mia. Ma Ivano non è una persona del quale riuscirei a fidarmi mai, specialmente dopo tutto quello che è successo!”

I miei ricordi vanno alle parole che mi diceva Alessia le prime volte che avevamo cominciato a sentirci, mi diceva che Ivano la trattava male, che con lui non era felice e che si sentiva in trappola visto che era il migliore amico di suo fratello. Anche quando i due ragazzi si sono trasferiti fuori città per proseguire gli studi, Alessia ha continuato a soffrire. C'ero io a sollevarle il morale, i primi mesi di una lontana estate di cinque anni fa.

«Non è di te che non mi fido!» dico io giustificando la mia gelosia. « Ivano è subdolo e anche se ha abbassato la guardia dopo tutti questi anni, sono convinto che prova ancora qualcosa per te.» le dico.

Alessia però sbuffa, non prende sul serio le mie parole e la mia rabbia e questo mi ferisce abbastanza. «Che palle che sei, Mirco. Falla finita con questa fottuta gelosia!» è la risposta finale della ragazza. Il modo e il tono usato la dicevano lunga sulle sue intenzioni, come se si fosse trattenuta dal dire altro.

Il viaggio fino a casa di Eva prosegue in silenzio e a stento ci rivolgiamo un saluto distratto, poi rimetto in modo la macchina per tornare a casa mia e metto la radio a tutto volume così da far tremare l'impianto.

Quando arrivo finalmente a casa sento il solito vocio che proviene dalla cucina, la televisione è accesa e mia madre come sempre si trova sulla poltrona davanti ad essa; la saluto distrattamente poi cammino fino a camera mia. Dal silenzio che c'è in camera di Gabriella capisco che la ragazza non è in casa e mi ricordo che doveva cominciare a lavorare in un bar e che me lo aveva anche detto.

Vado in bagno chiudendomi la porta alle spalle, mi avvicino al wc e mi ci posiziono davanti sbottonando il jeans che indosso così da poter scaricare i miei bisogni in tranquillità. Dopo di ché mi avvicino allo specchio, passo le mani sotto l'acqua velocemente e poi me ne esco dal bagno sentendo la porta d'ingresso che si chiude.

Dall'altro lato del corridoio vedo mio padre che come al solito barcolla a causa dell'alcol o di chissà che altro. Lo vedo mettere qualcosa sopra il piatto che sta sul mobiletto davanti l'ingresso e mi sembrano della banconote.

L'uomo non saluta la moglie evitando di entrare in cucina, percorre pochi passi nel corridoio e l'osservo disgustato dal modo trasandato in cui va in giro, ha la barba lunga e folta dopo mesi che non se la cura; i capelli ormai ingrigiti e lo sguardo spento, gli occhi piccoli fanno fatica a restare aperti. La sua pelle è di un colorito mal sano.

Quando mi vede si ferma, mi cerca con lo sguardo. «Mi sento di merda...» riesce a dire a fatica dopo svariati tentativi, non ho neanche il tempo di replicare che l'uomo crolla sulle ginocchia facendo un pesante tonfo e accasciandosi contro la parete, svenuto.

«Papà!» urlo istintivamente, non l'ho mai visto svenire né tanto meno stare così male da non riuscire più a stare cosciente. Il mio urlo ha fatto spaventare persino mia madre che si è alzata, alla vista del marito svenuto per terra comincia ad urlare e in pochi istanti è il caos!

«Mamma stai zitta e dammi una mano!» urlo in preda all'ansia e alla paura, cerco di sentirgli il battito stringendo forte il polso o mettendogli due dita premute sulla gola, apparentemente sembra esserci ma non riesco a capirlo.

«Dobbiamo chiamare l'ambulanza!» urla la donna scoppiando in lacrime, in questo preciso istante capisco che non posso per niente fare affidamento su mia madre visto che è totalmente sconvolta.

“Mantieni il sangue freddo e pensa lucidamente!” mi ripeto almeno cento volte, prima di riuscire a capire davvero quello che significa il mio suggerimento.

«Lo porto subito in ospedale. Tu resta qui in caso dovesse tornare Gabriella e non dovesse trovare nessuno!» le ordino, prendo mio padre per un braccio facendolo passare dietro di me e con la forza delle gambe cerco di tirarlo nuovamente in piedi in modo che si appenda a me.

Il suo corpo è pesante, un corpo senza vita che ha un peso colossale. Sento le braccia e le gambe tremarmi e riesco a trovare il sostegno solo grazie alla parete visto che l'uomo non è cosciente e non può darmi una mano.

«Dio ti prego aiutami! » continua a ripete mia madre mentre resta immobile al centro del corridoio, mi faccio forza e mi ripeto ancora una volta quella frase motivazionale. Passo dopo passo riesco a raggiungere l'ingresso con mio padre appeso alle mie spalle.

«Apri questa cazzo di porta!» urlo alla donna, avendo entrambe le mani impegnate nel sorreggere mio padre non posso farlo da solo; mia madre appresta ad aprire la porta e io esco nel pianerottolo mentre lei continua a piangere totalmente in preda alla paura.

Fortunatamente l'ascensore è ancora qui sul nostro piano e quindi posso guadagnare secondi preziosi, non so che cosa sia venuto a mio padre ma di certo è davvero grave se è caduto svenuto per terra.

La mia mente si spegne per qualche minuto quando mi rendo conto di essere già arrivato nell'auto, mio padre è disteso nei sedili dietro ed è ancora privo di coscienza. Mi metto la cintura e stringo forte il manubrio con le mani che sono completamente bagnate per il sudore.

Sfreccio lungo la strada pensando a qual è l'ospedale più vicino, rifletto se portarlo in una clinica o che cosa si faccia in casi gravi come questi ma nulla mi è d'aiuto e neanche la musica che si avvia da sola riesce a distrarmi.

Quando finalmente arrivo all'ospedale entro a tutta velocità lungo il passaggio che porta direttamente al Pronto Soccorso ignorando le urla di alcuni passanti che probabilmente stanno andando alle loro automobili.

Freno bruscamente proprio quando mi trovo davanti alla grande porta e in lontananza vedo alcuni infermieri e qualcun altro che si sono voltati verso l'ingresso per capire esattamente cos'era la sgommata appena udita.

Spengo l'auto di botto e mi strappo via la cintura correndo contro le porte dell'ospedale ed entrando all'interno sentendo il mio cuore esplodermi nella gola. «Mio padre ha bisogno d'aiuto. Vi prego!» dico tremando per la paura, non riesco a formulare altre parole mentre mi rendo conto di aver interrotto una sorta di silenzio e quiete.

Gli infermieri si precipitano subito all'esterno verso la mia auto con un kit di Pronto Soccorso e una barella mentre una donna che indossa un camice mi si avvicina: la guardo distrattamente ma vedo che è una bellissima dottoressa dagli occhi verdi e i capelli biondi come il sole.

«Tranquillo, giovanotto. Ci penserò io a tuo padre.» dice la donna, ho pochi istanti per osservarla ma senza capire quello che sta succedendo, riesco a memorizzare il nome della donna: Dottoressa Maria Russo.

“Almeno so a chi dovrò rivolgermi!” penso.

Ma questo non mi basta di certo per stare tranquillo: mi ritrovo in piedi in mezzo alla sala del Pronto Soccorso, ci sono varie porte che sembrano portare in altri luoghi dell'ospedale e dovunque mi giri giri ci sono persone che stano male e persone che aspettano.

Sento un leggero malessere dentro di me che cresce sempre di più finché qualcuno non mi chiama: è la voce di un ragazzo e mi giro per cercare di capire chi sia.

«Mirco! Che ci fai qui? È successo qualcosa?» chiede il ragazzo osservandomi con i suoi occhi scuri, ci sto pochi istanti a riconoscere Valerio, il Primo Assistente.

In questo momento mi sembra l'unico appoggio che io possa avere qua dentro.

«Ehi!» lo saluto allungando la mano e dandogli il cinque a mo' di saluto. Il ragazzo ricambia ma è ancora stranito dal trovarmi qui dentro. «Mio padre ha avuto un problemino e ho dovuto portarlo in ospedale.» dico.

Cerco di sviare l'argomento perché mi imbarazza molto dire in che condizioni l'ho portato qui, ma ovviamente dev'essere importante e Valerio sembra intenzionato a scoprirne di più. «Un problemino? Qualcosa di grave?»

Non so se è il mio viso a rivelare la gravità della cosa o se il ragazzo in qualche modo riesce a leggermi nella mente, sta di fatto che ci scambiamo un'occhiata e tanto basta per rispondergli. “Tanto vale dirglielo!”

«Ecco... diciamo che mio padre è un alcolizzato. E stavolta ha esagerato. Quando è tornato a casa è svenuto e l'ho portato qui di corsa, non ti so dire altro.» gli rispondo infine senza perdermi troppo nei dettagli.

Valerio cambia espressione: cerca di restare serio e impassibile ma capisco dai suoi occhi che in qualche modo si sente imbarazzato e forse mi compatisce. Però non vuole darlo a vedere, immagino abbia capito che non mi fa piacere dire che mio padre è un uomo orrendo.

«Mi dispiace.» si limita a dire.

In quelle due parole c'è molto più che un semplice dispiacere, mi sembra quasi capace di condividere la mia angoscia e il mio disagio, mi fa cenno di sedermi dove vedo degli sgabelli, annuisco e lo seguo.

Ci sediamo fianco a fianco mentre con lo sguardo cerco di capire dove stanno andando gli infermieri e dove è andata a finire la barella con mio padre e la dottoressa sexy.

«È ormai da qualche anno che va avanti questa storia. Tra i miei genitori non c'è più amore: ci sono stati problemi, tradimenti e questo ha distrutto mia madre che nonostante tutto continua in qualche modo a resistere. Mio padre beve dalla mattina alla sera e io e mia sorella siamo quelli che devono occuparsi di tutto: dalla spesa alle bollette; ogni tanto lui se ne esce con una mazzetta per contribuire ma non gli chiediamo mai da dove provenga.» dico osservando un punto nel vuoto, Valerio segue il mio sguardo e mi presta attenzione ascoltando e annuendo ogni tanto.

«È una situazione di merda e non credevo che mi importasse ancora di lui! È colpa sua se mia madre sta così, colpa sua se ha perso il lavoro, l'amante e tutto quello che poteva avere. Ha distrutto una famiglia e l'ho odiato per questo. Ma non so come, quando l'ho visto cadere a terra svenuto, mi sono sentivo piccolo come un bambino...» faccio una breve paura prendendomi il viso tra le mani passando le dita sugli occhi come per togliere qualcosa.

«E non so perché, ma mi sono molto preoccupato per lui. Dovevo fare qualcosa per aiutarlo.» dico infine, le mie parole sembrano quasi una giustificazione, sento l'amaro in bocca e mi rendo conto di avere ancora la cerniera del jeans abbassata da quando sono stato in bagno.

Valerio mi poggia una mano sulla spalla e questo mi costringe a voltarmi verso di lui, mi fa un leggero sorriso e poi parla: «Anche se ha fatto tante cose sbagliate, è pur sempre tuo padre e immagino che prima di tutta questa storia tu lo abbia voluto molto bene. Per te sarà sempre un punto fermo; una sorta di guida.»

«Io non intendo diventare una merda come lui!» dico scattando in piedi per la rabbia, il ragazzo scuote il viso con molta tranquillità senza battere ciglio alla mia reazione.

«Non intendevo mica questo. Tu stesso dici che non diventerai mai come lui, questo sarà la tua guida: qualcosa che ti porterà sempre a migliorarti.» dice il ragazzo in risposta alla mia reazione, sento i nervi calmarsi e posso tornare a sedermi accanto a lui. «Per quello che vale, non credo che tu potresti mai diventare come lui. Sei uno con la testa sulle spalle e questo è importante.»

Nonostante le parole di Valerio mi rincuorino, una parte di me ha il timore che un giorno io posso stravolgere la mia vita proprio come ha fatto mio padre. Era un poliziotto, uno che i criminali li fermava; adesso è considerabile come loro?

Tra di noi cala un silenzio piacevole, non c'è imbarazzo in quella mancanza di parole e riesco a provare una serenità che non credo di aver mai sentito con altri. Passano svariati minuti quando mi viene in mente qualcosa e mi giro osservando ancora una volta il ragazzo. «E tu invece perché diavolo sei qui?» chiedo, non sembra preoccupato per qualcosa quindi immagino che non gli sia successo nulla

Il ragazzo fa un altro sorriso e con il braccio indica un punto lontano, mi volto verso il corridoio vedendo che la bella e sexy dottoressa dai capelli biondi sta tornando verso di me probabilmente con notizie su mio padre. Scatto in piedi dimenticandomi della domanda fatta al ragazzo.

«Valerio, che ci fai ancora qui?» chiede la donna rivolgendosi all'assistente, il ragazzo sembra conoscere la dottoressa e le risponde.

«Lavoriamo insieme nella redazione. Gli ho fatto un po' di compagnia nell'attesa di notizie.» risponde lui.

Mi sento piuttosto confuso quando la dottoressa si rivolge a me portandomi notizie, la sua espressione è indecifrabile, neanche una smorfia. «Allora, giovanotto. Se non lo hai ancora fatto dovresti lasciare le tue generalità e quelle di tuo padre al desk accoglienza. Valerio può aiutarti a farlo visto che conosce la procedura; per quanto riguarda tuo padre: posso dirti che non corre pericolo. Abbiamo fatto delle analisi e abbiamo scoperto un mix di superalcolici e qualche pasticca. Nulla di grave, ma in condizioni eccezionali sarebbe potuta andare molto peggio.»

Le parole della dottoressa seguono velocemente le altre, mi spiega un paio di cose ma la mia mente non riesce a registrarne nessuna, mi dice che l'uomo dev'essere tenuto sotto osservazione per almeno ventiquattro ore e solo dopo potrà essere rilasciato, nel frattempo faranno delle cure per disintossicarlo e credo mi consiglia pure dei farmaci.

«Grazie mille per l'aiuto, dottoressa.» riesco a dirle infine, mi scambiò un'occhiata con Valerio che probabilmente ha capito che non ho capito nulla di quello che mi è appena stato detto.

Il ragazzo fa un mezzo sorriso che in qualche modo fa sorridere anche me a sua volta. «Molto bene, puoi anche andare adesso. Tuo padre sta riposando ma se vuoi vederlo posso anche accompagnarti da lui.»

«Per adesso voglio restare un po' qui. Tra un po' viene la mia fidanzata.» rispondo e la donna mi rivolge un ultimo sorriso prima di girare i tacchi e andare per la sua strada. Mi volto ancora una volta verso Valerio.

«La dottoressa è mia madre. Le dovevo portare una cosa qui in ospedale e così sono passato al Pronto Soccorso.» il ragazzo risponde alla domanda che gli avevo posto molto prima e adesso sembra avere tutto più senso: la confidenza che c'era tra lui e la dottoressa e anche la somiglianza nei lineamenti che riesco a notare solo adesso.

«Scommetto che somigli molto più a tua madre che a tuo padre.» dico spostandomi verso il desk accoglienza proprio come mi è stato chiesto dalla bella dottoressa. «Detto tra noi: tra madre è una figa da paura!» commento guardandomi in dietro e cercando di sdrammatizzare la situazione, il ragazzo mi lancia un'occhiataccia.

«Giuro che ti uccido se lo dici ancora una volta!» mi risponde lui, riesco però a capire che la cosa lo fa ridere e scherzo ancora un po' con lui.

«Magari è interessata. Non ti piacerebbe essere il mio figlioccio? Sicuramente la farei divertire un po'.» la reazione di lui è quella che mi merito: ricevo un pugno sulla spalla e scoppia a ridere spintonandolo leggermente.

«Non è interessata! E tu hai già la tua fidanzata!»

«Sì, certo. La mia fidanzata col quale non scopo da un botto di mesi e che non riesce neanche più a farmelo venire duro...» dico accennandolo appena con un sussurro, ma Valerio è molto vicino a me e quindi riesce comunque a sentire quello che ho detto.

«Cosa!?» fortunatamente in quel momento ricevo un messaggio da parte di Alessia che mi dice Eva sta parcheggiando e lei mi sta per raggiungere.

«Ne parleremo la prossima volta ok?» cerco di tagliare corto prima che la ragazza arrivi e in modo che Valerio possa non prestare attenzione a quella confessione. Il ragazzo scrolla le spalle e fa per andarsene. «Grazie, per essermi stato vicino.» gli dico prima che vada via.

Si gira un'ultima volta. «Non c'è di che.» e poi se ne va.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo Diciannove ***


Valerio

Capitolo Diciannove

domenica 7 luglio

 

 

Quando arrivo a lavoro sono le tre in punto, le porte dell'ascensore si aprono all'interno dell'ufficio che trovo inspiegabilmente vuoto: ci sono poche persone e si tratta per lo più degli assistenti dei vari settori; cammino speditamente accorgendomi della presenza di Davide visto che sento la sua voce da qualche parte, tuttavia non sono molto dell'umore giusto visto che ho praticamente passato tutta la notte ad andare in bagno.

“Ancora adesso mi sento lo stomaco sottosopra. Spero di non sentirmi male durante il pomeriggio.” dico tra me e me e senza farmi vedere dagli altri sguscio fino alla mia postazione che ritrovo in ordine.

Accendo il computer e mi soffermo qualche istante davanti la macchinetta del caffè per farmi un Espresso. Magari non sarà molto d'aiuto al mio stomaco ma almeno il sapore amaro mi farà passare ogni stimolo.

Prendo il bicchierino di plastica e mi affaccio alla finestra: vedo le vie intorno alla struttura della redazione, sono completamente deserte visto che a quest'ora nessuno si azzarda a mettere piedi fuori dalle proprie case.

Il caldo all'esterno è quasi soffocante, molte finestre nei palazzi intorno sono chiuse, questo perché come nel nostro ufficio dev'esserci l'aria condizionata a rinfrescare l'ambiente. Devo però ammettere che è bello restare qui a guardarsi intorno mentre la città sembra vuota.

Tra l'altro è anche domenica, una domenica pomeriggio significa che la città si svuota e tutti vanno al mare a divertirsi o nelle villette fuori città. Solo i lavoratori restano in giro e io sono proprio tra questi.

Mi guardo nuovamente all'interno dell'ufficio e vedo che il computer ha quasi terminato di inizializzare il programma d'avvio. Ho modo di rispondere al messaggio che mi era arrivato mentre ero alla guida del pick up.

Con grande sorpresa vedo che si tratta di Michele col quale non mi sentivo da quella volta che siamo andati in gelateria insieme. Aveva detto che gli avrebbe fatto piacere risentirmi e parlare anche tramite messaggi.

Io gli avevo detto che non c'erano problemi e che mi avrebbe fatto molto piacere. Tuttavia fino ad oggi non mi è mai balenato in testa la possibilità di scrivergli un messaggio.

“Ho avuto altro a cui pensare e nonostante io sia preoccupato per lui, non è nella mia lista priorità.” mi dico, e una parte di me è quasi felice visto che se ripenso ai primi tempi della rottura ci sono stato molto male.

Ma l'altra parte è totalmente insensibile e mi fa sentire in colpa dinnanzi alla terribile piaga che ha colpito il mio ex. Prendo un respiro e decido quindi di rispondere.

°Michele:

Ehilà :-) come va?

Io tutto bene, o meglio, ho una paura da matti

Volevo chiederti quando fossi libero.

°Valerio:

Ciao, Mike. Tutto bene anch'io

Paura? Ti hanno detto quando dovresti partire?

Dovrei essere libero questo venerdì

°Michele:

Già, lascio la città il 16.

Prima di quel giorno mi sarebbe piaciuto

vedervi tutti quanti. Te e gli altri Scazzati.

°Valerio:

Sarebbe un'idea carina. Ora sono a lavoro

ti faccio sapere prestissimo va bene?

La successiva risposta di Michele mette una fine alla discussione visto che non saprei cos'altro aggiungere, metto il cellulare in modalità silenziosa e lo lascio sopra la scrivania mettendomi a sedere e riflettendo.

Un tempo anche lui faceva parte degli “Scazzati alla riscossa”, il gruppo che abbiamo noi cinque. Immagino di doverglielo fare come una sorta di favore personale, questo significa parlarne con gli altri e devo dire che ho un po' di disagio al solo pensiero.

“Ma in fondo è la cosa giusta da fare. Quindi devo convincermi che non sarà faticoso sopportare la situazione per mezza giornata. Magari sarà anche divertente.”

Le mie parole motivazionali presto lasciano spazio ad altri tipi di pensieri e il lavoro comincia ad arrivarmi nella scrivania quindi semplicemente mi dimentico di scrivere nel gruppo la proposta di Michele.

Più tardi, come sempre puntuale alle quattro e mezza, viene il Signor Cattaneo che da com'è vestito in maniera molto giovanile, oserei dire che è stato al mare con la propria famiglia e non ha avuto tempo di cambiarsi.

«Buon pomeriggio, Valerio. Non guardarmi strano, anch'io devo portare i miei figli al mare e mia moglie me lo aveva chiesto da un bel po'.» dice l'uomo, anche con questa suite così poco elegante rimane sempre un bellissimo uomo e sempre affascinante.

«Si figuri. Spero che si sia divertito. Hanno chiamato alcune persone, ho detto loro che non era ancora in ufficio. Credo si tratti della riunione di stasera.» dico riferendo. L'uomo annuisce attentamente e mi ringrazia, poi si infila all'interno del proprio ufficio e scompare dalla mia vista, immagino che si metterà degli abiti adeguati.

Qualche minuto dopo lo vedo spuntare nuovamente all'interno del corridoio. «Tutto tranquillo, alcuni sponsor che chiedevano pubblicità nel giornale di domani. Ho detto loro che discuteremo meglio questa sera e li ho anche avvertiti che la riunione è alle diciannove.»

A seguito della parole del redattore alzo il viso di scatto. «Mi scusi, signore. Ma credo che Mirco non fosse a conoscenza di questo cambio d'orario; eravamo rimasti per le venti, se ricorda bene.»

L'uomo però annuisce e sorriso. «Avevo già chiesto a Veronica di avvertire così da farlo venire qui un po' prima. Pensi sempre a tutto eh?» chiede scherzosamente e gli faccio un mezzo sorriso che però l'uomo non fa in tempo a vedere visto che si infila nuovamente nell'ufficio.

“Oggi è più strano del solito.” commento stranito da quella situazione, non ci presto più tanto attenzione e ritorno al mio lavoro finché non mi concedo una piccola pausa per scrivere nel gruppo l'idea proposta da Michele. Nuovamente metto da parte il telefono così da non leggere le risposte anche se già le immagino.

“Probabilmente per loro andrà bene, ma avranno paura di dirlo e saranno incerti perché non sanno come potrei prenderla io. A maggior ragione da quando ho detto loro di essere gay; Rob e Alice mi diranno che non sono certi che sia una buona idea, Emilia sarà tentennante mentre Max al solito sarà abbastanza cristallino e mi chiederà direttamente se per me non ci sono problemi al riguardo.

“Conosco i miei amici troppo bene...” mi dico premendo il pulsante dall'ascensore, dopo aver fatto merenda sento di poter tranquillamente arrivare fino a fine serata.

Quando le porte si aprono vedo Mirco appoggiato alla parete, probabilmente viene dal piano del parcheggio, vestito come sempre con un pantalone scuro e la camicia bianca il cui ultimo bottone è lasciato sbottonato.

«Ehi ciao!» mi dice amichevolmente alzando la mano per salutarmi, ricambio il cinque in aria ed entro nella cabina.

«Come va? Come sta tuo padre?» chiedo amichevolmente io, il ragazzo sembra guardarmi in maniera vaga poi sposta lo sguardo sui pulsanti dell'ascensore che si illuminano uno dopo l'altro.

«Bene, l'ho portato a casa e per ora sembra passare tutto il giorno a letto. Immagino che si ancora sotto effetto dei medicinali e presto tornerà a bere!» dice Mirco con tono amareggiato, pensa a qualcosa da dirgli ma immagino che non ci siano buone parole in merito.

Faccio uno smorfia come per dirgli che questa situazione fa schifo e lui fa spallucce, non sa neanche lui cosa rispondermi quindi proseguiamo il viaggio in ascensore in silenzio. Quando arriviamo alle nostre postazioni vedo che non manca molto alle sette e quindi dobbiamo prepararci per la riunione. Tuttavia vedo che il ragazzo posa le sue cose e prende il pacchetto di sigarette dalla borsa per poi infilarselo nella tasca del pantalone.

«Vado un attimo in bagno. Ritorno subito.» dice lui facendomi l'occhiolino, avrei volentieri replicato che non aveva molto tempo, ma quel semplice gesto mi immobilizza e quando riesco a trovare le parole lui è già lontano.

Faccio quindi il mio dovere e prendo i documenti necessari per la riunione, un paio di penne per gli appunti e la mia agenda lavorativa, non passa molto quando il Signor Cattaneo esce dal proprio ufficio.

«Sto andando al piano di sopra. Mirco non è ancora arrivato?» chiede il direttore del giornale, mentre lo dice il suo sguardo si sposta sulla scrivania del ragazzo e naturalmente trova la borsa.

«Sì, è dovuto scappare un attimo in bagno. Finisco una cosa al computer e la raggiungo subito.» dico dicendo una mezza bugia, il direttore però non si fa problemi visto che non avrei motivo di mentire: non posso di certo dirgli che Mirco è dovuto andare in bagno per fumare.

Prendo quindi il cellulare e velocemente digito alcune parole nella chat di Mirco mentre con lo sguardo mi accerto che il Signor Cattaneo sia distante: “Torna subito. Il Signor Cattaneo sta già andando in sala riunioni.”

Solitamente uno di noi due resta alla scrivania così da poter rispondere al telefono e continuare il proprio lavoro, ma in casi eccezionali come sabato e domenica sia io che Mirco dobbiamo seguire il redattore.

Aspetto qualche istante ancora accertandomi che il ragazzo abbia letto il messaggio. Poi lo vedo camminare tranquillamente attraverso i corridoi e mi fa un mezzo sorriso da lontano annuendo con sarcasmo. Gli vado contro e quando gli sono avanti gli tiro un colpo con l'agenda.

«Ahia! E questo per cos'era?» chiede lui ridacchiando e continuando a ridere quando gli sferro il secondo colpo.

«Sapevo che sarebbe successa una cosa del genere. Non potevi fumartela dopo la riunione?» chiedo in preda all'ansia e continuando a restare serio, Mirco si limita semplicemente a ridacchiare, anche lui si avvicina alla scrivania e prende una penna e la propria agenda.

«Dai non mi rimproverare anche tu. Ci trovate forse gusto a darmi colpi con il primo oggetto che vi capita a tiro?» chiede Mirco con un leggero sorriso, ha smesso di ridere e sembra che stia alludendo a qualcosa.

«Che intendi?» gli chiedo, ma lui scuote il viso e mi lascia senza una risposta, entrambi ci spostiamo quindi verso le scale e saliamo i gradini fino alla sala riunioni.

La riunione sembra non finire mai, principalmente durante le riunioni è il Signor Cattaneo a parlare, ci sono anche gli altri capo-reparto che si occupano di portare alla sua attenzione i vari articoli e principale oggetto di discussione solitamente è il genere di pubblicità da inserire.

Solitamente sono affascinato dal sentire quello che le varie persone dicono all'interno, tuttavia è da un paio di settimane ormai che mi sembra di sentire sempre le solite cose, chiaramente una mia impressione.

Durante la riunione mi sento come se fossi bloccato nel tempo, se nonché guardo di sfuggita Mirco che si sta grattando il naso e in qualche modo la cosa mi fa ridacchiare tra me e me, sono costretto ad alzarmi per andare a bere un sorso d'acqua così da non farmi vedere dagli altri.

Il resto della riunione precedente tranquillamente e cerco di non lasciarmi distrarre finché il direttore del giornale non mi congeda così da ritornare alla scrivania e occuparmi dei suoi nuovi appuntamenti e posso anche continuare il lavoro richiesto durante questo pomeriggio.

Quando si fanno finalmente le undici, mi sento libero, se non fosse che tocca a me stasera consegnare il menabò alla tipografia e quindi non posso subito tornare a casa.

«Accidenti! Devo essere sincero, sono molto stanco oggi. Fortunatamente domani è il mio giorno di riposo.» dice Mirco mentre ci prepariamo per lasciare l'ufficio, il Signor Cattaneo è già andato via e il menabò si trova sopra una fila di documenti di cui mi occuperò domani stesso.

«Già, sembra che questa giornata non volesse finire mai. Immagino che con questo tempo afoso venga a tutti un po' di stanchezza. Avrei proprio voglia di qualcosa di fresco...» gli risposto io con la mente leggera, mi assicuro di aver spento le luci dell'ufficio ripetendomi nella testa che l'ho fatto, anche quando sono in auto mi viene il dubbio.

«Ci vediamo martedì allora.» mi dice Mirco salutandomi nel parcheggio, casualmente la sua auto è vicino il mio pick up scassato; non che la sua sia tanto meglio ma essendo di colore nero non si vedono le molte ammaccature che ha.

«Buonanotte.» lo saluto io, entro quindi nella macchina e mi trovo nel caldo abitacolo, apro il finestrino disperatamente ed esco dal parcheggio lasciando che una leggera brezza entri all'interno rinfrescandomi.

Ci sto qualche minuto a raggiungere la tipografia visto che ci sono diverse macchine in giro per la città a quest'ora essendo una calda domenica d'estate. Quando finalmente riesco a consegnare il menabò in tipografia posso dire che la giornata è davvero finita e quindi tornare a casa.

Se nonché il mio cellulare suona improvvisamente, sobbalzo visto che non aspetto nessuna chiamata, specialmente a quest'ora della sera e i miei occhi si spostano sullo schermo del cellulare che si trova sul sedile per vedere il nome della persona che mi sta chiamando.

«Mirco?» chiedo a me stesso, mi sento molto meno preoccupato visto che non si tratta di qualcuno della mia famiglia o dei miei amici. Tuttavia la chiamata dell'assistente a quest'ora è comunque strana.

“Avrà dimenticato qualcosa in ufficio.” penso tra me e me mentre cerco di rallentare e accosto in modo da poter prendere il cellulare e rispondere a fatica.

«Pronto? Mirco?» chiedo per sicurezza, in un primo momento mi aspetto che la linea cada o che il ragazzo mi dica che ha sbagliato a comporre il numero.

«Ehi, senti un po' dove sei?» chiede lui, i miei occhi vanno all'esterno proprio dove la via s'incrocia con una grande rotonda e il fast food, superandolo si arriva direttamente in periferia.

«Ho fatto qualche metro dalla tipografia, non sono ancora uscito dal centro. Perché?» chiedo già pronto a dover tornare indietro, cerco di fare mente locale e subito mi viene il panico pensando che “non ho spento le dannate luci”.

“No, le ho spente. Ne sono sicuro, me lo sono ripetuto dieci volte e Mirco mi ha pure preso in giro.” mi dico nel mentre che aspetto la risposta del ragazzo.

«Sono alla “Fabbrica di gelato”. La conosci? » chiede lui. Riesco con grande fatica a seguire il suo discorso visto che non capisco che cosa voglia a quest'ora. Mugugnò qualche parole che vagamente ricordi un'affermazione; l'ultima volta che sono stato in quella gelateria ero con Michele.

«Perché non vieni anche tu? Ti offro un gelato.» propone Mirco, la cosa mi lascia senza fiato, mi sento con la testa sospesa e in preda alla confusione. Mi ha appena invitato a prendere qualcosa fuori.

«Io... non saprei davvero...» continuo a biascicare le parole senza senso una dopo l'altra e sento Mirco che ridacchia dall'altro lato della cornetta.

«Be' se non vuoi non c'è problema. Non ti costringo mica eh!» dice lui scherzando con me, ma al minimo segno del suo cedimento scatto subito in allarme.

«No, figurati. Dammi cinque minuti e arrivo.» dico con forza e decisione, lo sento ridacchiare ancora e poi cade la linea lasciandomi col telefono silenzioso.

Resto qualche istante ancora pensando alle parole che mi ha detto, semplici e concise. Un amichevole invito a prendersi un gelato insieme, da buoni colleghi o probabilmente da buoni amici.

“Quante volte mi è capito con Rob di uscire da soli e andare in giro. Eppure perché adesso questo ragazzo mi sta facendo questo effetto? Mi sembra di stare così... in ansia.” dico tra me e me e mentre lo penso ingrano la marcia e giro la chiave nel quadro così da tornare sulla strada e dirigermi verso la gelateria il più in fretta possibile.

Mi sfiora un pensiero per la mente, che in qualche modo io possa essere interessato a questo ragazzo non come amico, bensì in qualche altro modo. Ma non appena il pensiero tocca la mia mente lo soffoco silenziosamente.

Quando arrivo in gelateria mi assicuro che il pick up sia parcheggiato lontano dal divieto di sosta, mi affaccio sulla vetrina per vedere l'interno, pochi tavolini sono occupati all'interno del locale e anche i divanetti che fiancheggiano la parete. Penso di essere arrivato per primo ma facendo un conto del tempo che ci ho impiegato è impossibile.

Prendo quindi il cellulare e chiamo il ragazzo poggiando il gomito sul braccio che incrocio al petto. Sento la voce della segreteria telefonica che mi risponde e premo il tasto per chiudere la chiamata. Dietro di me sento poi dei passi.

«Finalmente. Ti stavo aspettando dentro la macchina. Mi stavi per chiamare immagino?» dice la voce di Mirco e questo mi fa girare verso il ragazzo che si trova davanti a me col cellulare alto e il messaggio della mia chiamata persa.

Mirco sembra differente da com'era in ufficio: la camicia è fuori dai pantaloni e le maniche sono completamente tirate su lasciando vedere il tatuaggio che ha sull'avambraccio che mostra il reticolo di rovi e corde. Ha l'aria più spavalda e in qualche modo meno seriosa, persino i suoi capelli sembrano di un biondo più scuro mentre i suoi occhi sono di un verde più chiaro ancora se possibile.

«Sì, non ti vedevo e quindi pensavo non fossi ancora arrivato visto che mi avevi detto che eri già qui...» mentre parlo mi rendo conto che i miei pensieri e la paura che non ci fosse ancora erano inesistenti. «Vogliamo entrare?» dico sentendo leggermente a disagio.

È la prima volta che ci vediamo fuori dal lavoro in una situazione che non contempli qualcosa di grave come l'ospedale. Entriamo entrambi e ci sediamo nel divanetto che fa ad angolo, lui si mette con le spalle rivolte verso la finestra mentre io mi siede di fronte a lui.

Subito prende il menù dei dolci e si sofferma sullo speciale del giorno, il ragazzo al bancone mi fa un cenno, l'ho visto molte volte quando venivo qui con Michele.

«Sai già cosa prendere?» chiede lui, annuisco ma in realtà non lo so, decido quindi di improvvisare e aspetto che sia lui e scegliere per primo. Passa qualche secondo che Mirco alza il braccio per chiamare il cameriere.

«Cosa prendere ragazzi?»

«Io voglio qualcosa di pesante. Questo Pasticcio di cioccolato. Ci sono più di dieci tipo di cioccolato dentro, sono certo che sarà esplosivo!» dice Mirco emozionato all'idea, il ragazzo segna nel proprio taccuino e poi si rivolge verso di me aspettando la mia ordinazione.

«Io prendo un cono fragola e limone.» mi limito a dire, gusti freschi ed estivi che sono solito prendere. Il ragazzo segna anche quello e poi se ne va via lasciandoci da soli.

Vedo Mirco che alza un sopracciglio e mi guarda con un'espressione più che accigliata. «Fragola e limone? Molto virile eh!» ridacchia un po' ma nel suo tono non sembra esserci offesa, la cosa mi mette comunque in allarme.

«Oggi la riunione è stata uno schifo. Tra l'altro ho visto che ti sei messo a ridere. Cosa c'era di così divertente?» chiede lui, mi mordo la lingua sapendo che lui ha notato la mia reazione ma forse non ne conosce il motivo.

«Nulla, ho viaggiato con la mente e ho pensato una cosa divertente. È stata parecchio noiosa.» dico in totale sincerità lui sembra soddisfatto della mia risposta, annuisce e si mordicchia il labbro.

«Così anche tu hai un lato oscuro eh? Pensavo che amassi il tuo lavoro più di ogni altra cosa.» dice in risposta, scuoto il viso e getto uno sguardo indietro, il ragazzo dietro il bancone sta preparando il Pasticcio di Mirco.

«Come tutti d'altronde. Tu invece certe volte sembri proprio non volerne sapere delle riunioni. Mi chiedo se questo lavoro ti piaccia davvero o sia una finta.» dico parlando in maniera tranquilla, il ragazzo riflette attentamente sulla risposta, non sembra convinto.

«Mi piace. È un lavoro pulito, ma credo che come in tutte le cose ci sia qualcosa di “sbagliato”. Forse seguire questo genere di routine è diverso da come me lo aspettavo e se ci pensi ogni giorno leggiamo un sacco di cose nuove.» dice lui in risposta, tuttavia nelle sue parole c'è qualcosa che mi sembra stia cercando di trattenere. «A te piace?» mi chiede infine, provo esitazione e poi rispondo.

«Sì, è un bel lavoro. Lo amo, in effetti. Mi piace che mi dia la possibilità di conoscere nuove cose, il giornale tratta di svariati argomenti e io amo leggere, te l'ho detto. Però concordo con te, la routine ogni tanto è pesante...»

Mirco sembra soddisfatto della mia risposta, senza rendermene conto il ragazzo del bancone è tornato con il mio cono gelato e il Pasticcio di Mirco, un'insieme di palle da gelato messe su un piatto di vari colori.

«Riuscirai davvero a mangiarlo tutto?» chiedo sconvolto nel vedere la specialità del giorno che è arrivata sul piatto. Il ragazzo alza lo sguardo rivolgendosi a me.

«Posso fare questo e molto altro.» dice ridacchiando e cominciando a dare grandi cucchiaiate al proprio gelato, lo osservo mentre mangia il mio e noto che mangia come un bambino: il cioccolato gli finisce pure sul mento.

«Avevi parecchia fame!» dico quando cinque minuti dopo il suo piatto è completamente pulito e brillante nonostante sia di comune plastica. Mirco si pulisce il viso con un tovagliolo che prende dal centrotavola e sembra incredulo nel vedere che io non ho retto il suo ritmo.

«Era molto buono.» si limita a dire, poi mi fa un sorriso e guarda l'orologio sul cellulare.

«Devi già andare?» chiedo cercando di usare un tono più pacato e privo di emozioni possibile. Il ragazzo si rivolge nuovamente a me e scuote appena il viso.

«Ho ancora qualche minuto.» mi risponde con un sorriso.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo Venti ***


Mirco

Capitolo Venti

giovedì 11 luglio

 

 

Sento le gambe molli, pesanti e la testa che mi gira: adesso che mi trovo seduto sul lettino mi sembra di essere uscito dal mondo dei sogni, come se mi fossi appena svegliato, e il ritorno alla realtà non è per niente piacevole rispetto a quello che stavo vivendo disteso sul lettino dei massaggi.

Mi ritrovo completamente nudo, il corpo ricoperto di olio, dal petto e le spalle fino alle gambe e alla punta delle dita dei piedi. Sento ancora i brividi e il tocco proibito delle mani di Svetlana; la donna russa mi passa un asciugamano in maniera silenziosa ma non prima di essersi pulita le mani dall'operato del suo tocco.

Prendo l'asciugamano restando piuttosto silenzioso e lo passo su tutto il corpo, la donna alle mie spalle fa la stessa cosa e indossa una vestaglia, essendo piena estate fa molto caldo per l'accappatoio, inoltre nella stanza non c'è l'aria condizionata e quindi oltre all'olio ho anche il sudore che ricopre la mia pelle.

Vado poi alla ricerca dei miei indumenti: lo slip è vicino ai piedi del lettino, dopo che ho praticamente pregato la donna russa di spogliarmi, lei ha preso l'elastico con i denti e ha fatto scivolare via l'indumento, naturalmente aiutata dall'olio e senza l'utilizzo delle mani, cosa che mi ha praticamente reso il suo schiavo; l'unica nota negativa, è che qui al centro messaggio non si va al di là della semplice sega!

«Non preoccuparti. Altri uomini piace quando io infilo dita in loro buchino; stimola parte del corpo molto sensibile. Probabilmente anche tuo amico di là si fa mettere dita in culo provando piacere.» dice la donna mentre sto indossando il pantaloncino e legando i lacci delle scarpe, quando torno in piedi mi volto verso di lei.

Lo sguardo scuro della donna è carico di malizia, non sono un tipo che si imbarazza, ma quando le sue mani hanno attraversato la spazio tra le mie natiche ammetto di aver sentito un brivido di piacere. Il suo massaggio in quella zona così delicata ha provato un'immediata reazione.

«Hai fatto questo giochino anche con Franz?» le chiedo incrociando il suo sguardo, la donna annuisce, immagino che sia una sorta di specialità e mi fa strano pensarlo: l'immagine di Franz disteso a pancia in giù su un lettino compare nella mia mente, è nudo e Svetlana si prepara a stimolargli il buco del culo; scuoto il viso disgustato.

«Non vergognarti. E poi, tuo cazzo più bello di tuo culo. Tua ragazza è sciocca se non capisce quanto tu bisogno hai di essere appagato.» continua la donna usando un accento strano, la sua lingua natale è molto diversa dalla nostra ma nonostante tutto non accenna a faticare nel parlarla.

“Svetlana non parla però con la bocca e non brilla di certo per questo. La sua magia e il suo talento è l'arte che ha nelle mani e nella punta delle dita!” mi ritrovo a pensare, non posso di certo negare che quando è entrata ho provato svariate sensazioni.

Prima tra tutte imbarazzo, poi rabbia e poi paura, perché più si muoveva dentro di me e raggiungeva la profondità e più mi sembrava la cosa più gay che avessi mai fatto!

Svetlana si sposta facendo il giro del lettino, mi si avvicina ma il mio sguardo non riesce a seguirla visto che rimane fisso e immobile in un punto: alza la mani e delicatamente la passa sul mio viso accarezzandomi la guancia e toccandomi le labbra con le dita in maniera sensuale.

«Prossima volta, se tu paga me extra, potrei fare piccolo regali per tuo cazzo nella mia bocca...» dice la donna, sento nuovamente una sensazione di tiramento all'altezza del cavallo, concentro la mente altrove perché probabilmente finirei davvero per pagarle subito l'extra di cui parla.

La mia mente per un breve istante va ad Alessia e al fatto che la sto tradendo con questa donna; cerco di giustificarmi però pensando che non è un vero tradimento se fatto solo per lo scopo di godere. Una parte della mia mente si quieta e la donna russa si allontana per darmi il tempo di finire di vestirmi di nuovo. Prendo la mia sacca e mi avvicino alla porta salutando la donna.

«Alla prossima.» dico io prima che possa dirlo lei, so perfettamente che si sarà una prossima volta e immagino che non sarà troppo tardi. Anche se la prima volta che sono venuto qui era quasi un mese e mezzo fa.

Svetlana non risponde, mi da le spalle e la vedo spostarsi intorno al lettino prima di chiudere la porta: immagino che presto avrà un altro cliente e forse anche a lui chiederà un extra per fare un servizio in più.

Percorro il corridoio con le stanze chiuse e mi ritrovo nuovamente nella piccola hall del centro massaggi, la stanza è vuota noto e questo significa che Franz non ha ancora finito. Mi volto verso la donna russa.

«Il mio amico?» le chiedo avvicinandomi a lei per pagare le due sedute di massaggi. La ragazza prende i soldi in contanti, naturalmente non mi aspetto che venga fatto uno scontrino vista la natura del posto in cui sono.

«Il tuo amico è uscito a comprare i filtri per le sigarette. Puoi aspettarlo qui, se ti va.» dice lei facendo un largo sorriso, il suo accento è migliore di quello di Svetlana ma non posso fare altro che chiedermi se anche lei abbia qualche abilità nascosta come la collega.

Aspetto seduto sul divanetto, Franz non ci sta molto a ritornare e vedo che ha un piccolo sacchetto di carta con sé. Mi fa cenno e mi alzo salutando la donna russa, usciamo dal centro messaggi e ci incamminiamo verso la mia auto.

«Ne avevo proprio bisogno. Passi da me adesso? Mi è arrivata della roba non troppo pesante. Ti faccio fare una prova gratis.» chiede Franz riferendosi al fatto di aver acquistato un nuovo tipo di erba. L'idea che abbia della roba “non troppo pesante” solitamente significa che non è buona per niente.

«No, grazie. L'ultima volta non ho smesso di cacare per una settimana di fila! Preferisco evitare.» dico prendendo le chiavi e avvicinandomi all'automobile nera. Franz scoppia a ridere e annuisce al ricordo.

«Come vuoi tu.»

«E poi la roba leggera non mi fa nulla di nulla. Lo sai bene.» dico, un altro ricordo viene alla mia mente: eravamo entrambi alla Villa e Franz doveva farsi provare la roba che gli aveva dato un suo amico, gli era stato detto che era roba che spaccava; a fine serata però io riuscivo ancora a contare fino a dieci senza ridere del fatto che lo stessi facendo.

«Sei tu che hai una buona resistenza.» taglia corto il ragazzo, saliamo entrambi in macchina e metto in metto, ci allontaniamo così dal centro massaggi e ci muoviamo per le strade della periferia così da lasciare Franz proprio alla Villa dove sono sicuro che passerà il pomeriggio.

«Tra l'altro devo andare a lavoro adesso. Anche se ho bisogno di mettere qualcosa tra i denti.» dico osservando l'orologio nel quadro elettrico dell'auto, mostra che sono quasi le due del pomeriggio mentre il mio turno comincia proprio tra un'ora.

Ed è proprio in questo momento che mi viene in mente un'idea. Allungo la mano verso il cellulare e cerco nella rubrica il numeroso telefonico di Valerio. Avvicino il cellulare all'orecchio e aspetto la risposta.

«Pronto?» chiede dall'altro lato il ragazzo piuttosto confuso, probabilmente non si aspetta una mia chiamata e la cosa lo ha stranito parecchio.

«Ehi, Valerio. Sono Mirco. Come va? Sei in turno in ufficio se non sbaglio?» chiedo amichevolmente, Franz non accenna a voltarsi verso di me, non si chiede neanche con chi sto parlando e sembra immerso nei suoi pensieri.

«Tutto bene grazie. Sì, sono in ufficio ma sono appena entrato in macchina. Sto tornando a casa per riposarmi un po', sai com'è... sonnellino dopo mangiato.» risponde il ragazzo con un tono più rilassato e divertito.

«Ho capito. Senti sono in giro per la città, ho bisogno di mettere qualcosa tra i denti e sto andando da un'amica. Ti mando la posizione e mi raggiungi? Mi fai compagnia.» gli propongo, sento un lungo attimo di pausa nel quale penso che sia caduta la linea se non fosse che all'ultimo istante Valerio mi risponde.

«Sì, va bene. Allora aspetto il tuo messaggio.» mi dice, lo saluto e chiudo il telefono girando al semaforo non appena diventa verde così da percorrere la via di periferia fino ad arrivare davanti il vialetto che porta alla Villa.

«Ciao bello. Ci vediamo.» dice Franz scendendo dall'auto e chiudendo la portiera alle proprie spalle. Lo vedo allontanarsi ed entro nella chat di Valerio inviando il nome della via nel quale si trova “L'Angolo del panino” dove lavora Lily, se non sbaglio oggi è in turno.

Mi muovo per la città mettendo un po' di musica dal cellulare e seleziono la playlist di rock leggero che risuona all'interno dell'abitacolo; abbasso il finestrino e con la mano cerco di afferrare una sigaretta per portarmela in bocca, prendo l'accendino dalla tasca distraendomi qualche istante per accendere la sigaretta.

Sento il suono del clacson del tipo che mi stava dietro e mi urla qualcosa. Mi limito ad alzare il dito medio aspirando dalla sigaretta e gli faccio un sorriso mentre mi sorpassa.

Giro le strade un paio di volte e raggiungo la tavola calda proprio quando ho finito la sigaretta, entro all'interno del parcheggio nascosto tra le pareti di due palazzi e lascio l'auto nel grande spiazzo notando che non c'è il pick up rosso ruggine di Valerio, non è ancora arrivato immagino.

Mi muovo lungo la via sentendo il telefono squillare e mi accorgo di aver appena ricevuto un messaggio da parte di Alessia, apro la chat direttamente così da leggerlo.

°Alessia:

Amore senti un po' visto che domani è il tuo

giorno di riposo che ne diresti di andare a mare?

Eva mi ha detto che c'è un posto bellissimo

con gli scogli dove l'acqua è pulitissima. Ci vuole

però un'oretta per raggiungerlo. Ti va?

°Mirco:

Un'ora di strada per andare a mare?

Sai che non mi piacciono molto gli scogli.

°Alessia:

Lo so però mi piacerebbe farci delle foto.

Però se non ti va possiamo andare nella solita

spiaggia e dico ad Eva di andarci con le altre.

°Mirco:

No. tranquilla, va bene.

Ora sono a pranzo con un amico e dopo vado

a lavoro: ci sentiamo più tardi per l'orario

La ragazza mi manda poi delle faccine col bacio come saluto e lì smetto di rispondere, entro all'interno della tavola calda sedendomi in un angolo libero. Vedo Lily che sta prendendo l'ordinazione ad un altro tavolo quindi non la disturbo e le faccio un cenno da lontano.

Controllo l'orologio attraverso il cellulare che lascio sul tavolino e dopo pochi istanti la mia migliora amica viene da me, ha i capelli raccolti in una coda di cavallo e la fronte sudata a causa dell'eccessivo caldo.

«Non funziona l'aria condizionata di nuovo?» chiedo alla ragazza, dallo sguardo che mi lancia capisco che la sua è una risposta affermativa e scoppio a ridere.

«Immagino che prendi il solito paninazzo e patatine?» chiede lei cominciando a scrivere sul blocchetto della comanda. «Mangi da solo o ti raggiunge qualcuno?» chiede, sono quasi sicuro che stia pensando a uno dei nostri amici.

«Mangio solo io. Sta arrivando un amico ma non si ferma per pranzo.» le rispondo, la sua espressione muta, visibilmente stupita visto che non le ho fatto alcun nome.

«Va bene, sto tornando con la tua cola.» dice lei allontanandosi dal tavolo, la ringrazio con un sorriso e comincio a giocherellare con il cellulare per qualche minuto prima di sentire la porta della tavola calda aprirsi.

Valerio fa pochi passi incerti all'interno del locale e si guarda intorno, i suoi occhi castani poi incrociano il mio sguardo e mi fa un cenno avvicinandosi: come sempre veste di camicia e pantalone grigio e ha una valigetta ventiquattro ore con sé; quando arriva si siede e io allungo la mano.

«Come siamo?» chiedo amichevolmente, il ragazzo allunga il braccio a sua volta dandomi il cinque in maniera impacciata e mi sfugge un sorriso.

«Tutto bene, a lavoro ti aspetta un bel carico di lavoro. Ti darai da fare prima del giorno di riposo quindi.» dice lui canzonandomi in maniera simpatica, gli faccio un cenno affermativo e Lily torna con la vaschetta stracolma di patatine con salsa piccante.

«Questa è la mia migliore amica. È una bomba! Lily.» dico presentendo i tuoi, la ragazza fa un larghissimo sorriso e fa un saluto con la mano molto amichevole.

«Io mi chiamo Valerio, piacere.» risponde educatamente il ragazzo, a quel punto Lily si guarda intorno e vedendo che tutti hanno ordinato si sofferma qualche istante.

«Il tuo collega di lavoro.» dice rivolgendosi a me, poi con il viso si gira verso l'altro ragazzo. «Dimmi la verità: anche in ufficio è un grande rompipalle?»

Valerio scoppia in una risata quasi forzata, osservo ogni suo movimento e riesco a studiare l'espressione del suo viso, sta ridendo per educazione alla battuta di Lily. «Ma no, non è male. È un grande lavoratore ed è molto serio.» risponde lui, sembrano dei complimenti sinceri.

Lily si gira verso di me ancora una volta guardandomi con sarcasmo e alza un sopracciglio. «Gli avrai detto tu di dirmelo.» dice accusandomi e subito dopo mi tira un colpo di blocchetto della comanda in testa.

«Io e Lily ci conosciamo fin da bambini, ci vogliamo molto bene e non abbiamo peli sulla lingua.» dico quando la ragazza è andata via per prendere alcuni vassoi così da portarli ai rispettivi tavoli.

«Sembra molto simpatica.» giunge a conclusione Valerio, il ragazzo poi si volta ancora verso di me. «Com'è che hai fatto oggi?» chiede lui.

In un primo momento sono tentato di dirgli del mio incontro con Svetlana al centro messaggi, una parte di me però si frena dal rivelargli quel piccolo dettaglio: abbiamo parlato tanto dei fidanzamenti e in qualche modo ho come l'impressione di essere giudicato male da lui.

«Ma nulla di che, sono stato un po' in giro. Non vedo l'ora che sia domani. Si va al mare, tra gli scogli però.» dico una mezza verità e il ragazzo sembra annuire interessato. «Non amo molto la roccia, preferisco la sabbia anche se è più fastidiosa, ogni estate ho la macchina che si combina uno schifo con tutta la sabbia che mi porto dietro!»

«Ti capisco bene, anche il mio pick up. Ma credo a differenza tua di non andare così tanto spesso a mare. Io e i miei amici preferiamo magari stare in casa a giocare o uscire per andare... non so, al biliardo. » risponde Valerio, si avvicina al tavolino e poggia un gomito su di esso, poi lascia che la sua mano culli il movimento della testa.

Prima che io possa aggiungere altro, Lily ritorna col mio vassoio e un gigantesco panino su di esso, il profumo della carne arrosto investe subito il mio naso e sento l'acquolina in bocca unirsi al brontolio dello stomaco.

«Ammazza, che bomba di panino.» commenta il ragazzo.

«Se vuoi favorire prendi pure.» dico passandogli la vaschetta di patatine che ho vuotato per metà, poi prendo il panino e con grande difficoltà riesco a dare un morso, il grasso cola dalla mia bocca fino al mente e Valerio assiste all'immagine facendo un sorriso e una smorfia.

«Diciamo che un cane randagio saprebbe mangiare meglio di te!» commenta il ragazzo prendendo con le dita una patatina e portandosela alla bocca, appena la morde però avverte subito il sapore della salsa piccante e diventa rosso in viso cominciando a tossire.

«Ben ti sta!» gli dico prendendo la cola e passandogliela, lui la prende senza neanche pensarci e comincia a berla riuscendo a ritrovare un po' di sano colorito.

«Credo di essermelo meritato...» commenta il ragazzo al quale sono venute le lacrime agli occhi, si passa un pugno per asciugarsi col dorso della mano.

Per un breve momento tra noi cade il silenzio, ma non è di quei silenzi imbarazzanti anzi, è quasi piacevole restare qui con Valerio. Poi però il ragazzo balbetta qualcosa per fare conversazione. «Davide ti sta dando un po' di noie eh?» chiede in riferimento a ieri.

Annuisco: durante la pausa pranzo, l'assistente in questione era tornato un'altra volta a parlare del fatto che a settembre ci fosse il concorso di cui il Signor Cattaneo mi aveva già parlato e del fatto che lui quest'anno non intende farsi fregare da nessuno perché se lo merita. Dopo l'ennesima volta gli ho risposto dicendo: “Forse se non ti ha mai scelto non sei così bravo come pensi.”

Probabilmente mi sono giocato per sempre l'intesa con il ragazzo visto lo sguardo che mi aveva lanciato. «È troppo stupido.» rispondo a Valerio ritornando alla realtà mentre continuo ad addentare il panino.

«Ma sì lascialo perdere, non ne vale la pena davvero. Davide è molto pesante certe volte, neanche io ci vado d'accordo. Qualche settimana fa mi è venuto contro chiedendomi se intendessi partecipare e una serie di altre domande. Poi ovviamente è venuto a parlarmi del fatto che tu partecipassi; velatamente credo mi abbia anche chiesto di mettere una buona parola col Signor Cattaneo.» risponde Valerio continuando a parlare, fa un secondo tentativo con una delle patatine nella vaschetta, stavolta è preparato e il sapore della salsa piccante non lo coglie alla sprovvista.

«E tu che gli hai risposto?» chiedo interessandomi, non ho mai capito esattamente se sto simpatico o meno a Valerio, sembrerebbe di sì.

Il ragazzo alza gli occhi e sembra quasi perplesso dal fatto che io l'abbia chiesto. «Gli ho detto di lasciarmi perdere e che non avrei patteggiato per nessuno dei due. Io non voglio intromettermi nelle decisioni del direttore come non l'ho mai fatto prima d'ora.»

«Ah sì? Tu e Davide non siete amici amiconi?» chiedo sarcasticamente spronandolo ad una reazione divertente, ridacchio e lui lo fa con me scuotendo il viso.

«Non ho amici a lavoro.» risponde lui, da qualche parte all'interno di me interpreto la cosa negativamente, non credo però di potermi mettere nel mezzo visto che non sarebbe qui se non fosse interessato alla mia amicizia.

Quindi glielo faccio notare senza farmi problemi: «Eppure quando ti ho chiamato sei venuto qui. E l'altra volta ci siamo presi il gelato insieme.»

Valerio scrolla le spalle e capisco che sta giocando, lo vedo trattenere una smorfia di un sorriso. «Sei simpatico abbastanza ma sto ancora valutando se tu sia o meno un serial killer.» alle sue parole scoppio a ridere e finisco di mangiare il panino in totale tranquillità.

Mangiucchio le restanti patatine piuttosto lentamente offrendole anche a Valerio che vedo sforzarsi per mangiare le parti in cui la salsa piccante è riuscita a colare.

«Come sta tuo padre? Si è ripreso del tutto?» chiede il ragazzo con gentilezza, a dispetto di come accade di solito, non riesco a rabbuiarmi parlandone con lui. Come se potesse davvero capirmi senza compatirmi.

«Oh sì, fin troppo bene. È tornato al bar e continua come ogni giorno a bere e ogni tanto a tirar fuori delle banconote col quale paghiamo l'affitto. Siamo la tipica famiglia felice, che bello vero!?» chiedo sentendo l'amarezza salire in gola, Valerio sembra quasi pentirsi di averlo chiesto ma capisco che lo ha fatto perché interessato.

«Mi dispiace.» si limita a dire.

«Figurati. È parte della mia vita, mi prendo un colpo se sta male e lui riprende a bere. È grandioso!» dico lasciando l'ultima patatina nella vaschetta e spingendola verso Valerio così da invitarlo a prenderla. «Grazie per avermi raggiunto, è bello parlare con te.» gli dico sinceramente.

Valerio mi fa un largo sorriso. «Non c'è di che.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo Ventuno ***


Valerio

Capitolo Ventuno

lunedì 15 luglio

 

 

Il sole è alto e splendente nel cielo azzurro, lascio che gli occhi si perdano in quel vuoto piacevole mentre una leggera brezza spira dal mare e mi trascina la sabbia direttamente sul viso, è una giornata calda e perfetta per trascorrere mezza giornata al mare con i miei amici.

Quando abbasso lo sguardo vedo che Rob e Alice sono in acqua immersi fino alla vita, lui le sta tirando l'acqua addosso mentre la ragazza cerca in tutti i modi di difendersi urlandogli addosso le peggiori cose. Mi scappa un sorriso dopo l'ennesimo urlo in cui lo chiama “bastardo”.

«Sono come dei bambini. Ma finché stanno lontani da me allora possono fare quello che vogliono.» dice al mio fianco Emilia: sposto lo sguardo di lei per vedere la bellezza del suo corpo mentre prende il sole indossando gli occhiali da sole e un cappello piumato.

«Non tentarmi di prenderti di peso e buttarti in acqua!» le dice Max con un tono per niente minaccioso, gli occhi di lui si perdono nella vista delle forme della ragazza, per un breve istante il ragazzo si accorge che lo sto guardando e che ho capito quello che sta facendo.

Max distoglie lo sguardo e si alza andando anche lui verso il punto in cui la spiaggia entra in contatto con l'acqua, dei bambini gli tirano addosso la sabbia tramite una catapulta giocattolo, lui li guarda e scoppia a ridere con loro facendo cominciare un inseguimento in acqua.

«Anche Max ha seguito l'esempio degli altri due.» dico avvertendo Emilia del fatto che non deve preoccuparsi di trovarsi sospesa e gettata nell'acqua fredda.

«E invece del nostro ospite?» chiede Emilia.

Mi guardo intorno cercando Michele ma non ne vedo traccia. «Probabilmente è ancora al chioschetto. Immagino ci sia fila, vado da lui a fargli compagnia.» dico alzandomi di malavoglia dalla tovaglia che ho steso sulla sabbia bollente.

«Questo è quello che vorrebbe lui.» mi fa notare la ragazza, però ci avevo già riflettuto ed è la cosa migliore da fare visto che ci è andato da solo e potrebbe volere un po' di compagnia per evitare di pensare.

Prendo la maglietta a maniche corte che ho indossato questa mattina sul quale c'è stampata una banana che punta una pistola contro il sole e lo slogan “Non troppo caldo”. Mentre cammino sulla sabbia la indosso andando a raggiungere così la fila di persone nel chioschetto.

“Domani è il giorno della partenza di Michele e non abbiamo affrontare l'argomento per bene. Quando ci siamo visti sabato mi è sembrato non volerne parlare...” dico riflettendo sull'incontro di due giorni fa.

Avevo chiesto al Signor Cattaneo di mettermi in turno la mattina fino al tardo pomeriggio così da poter organizzare tranquillamente l'uscita per la sera insieme ai miei amici e a Michele come suo desiderio. Il ragazzo è stato molto felice di poter andare in giro con noi.

Quando raggiungo la fila di persone vedo subito Michele in quanto è facile riconoscerlo tra tanti: è il più alto e nonostante indossi sia la maglietta che il pantaloncino spicca anche per il fisico e la spalle larghe. Poco prima di avvicinarmi il ragazzo si gratta lo strato di barba che ha sul mento e si pizzica, poi si accorge della mia presenza e smette facendomi un largo sorriso.

«Ci stavi mettendo troppo e mi sono preoccupato. Adesso capisco perché.» dico facendo il simpatico e rivolgendomi alle persone che sono in fila dietro di lui. Fa spallucce e mi indica sei gelati che a fatica tiene nelle mani.

«Ho pensato che anche agli altri sarebbe piaciuto un gelato fresco. Ma di questo passo mi sa che si scioglieranno prima che possano arrivare ad assaggiarli.» dice lui scherzando, annuisco e sento un leggero imbarazzo nel silenzio che segue tra di noi.

Osservo attentamente il corpo di Michele cercando segni della malattia che ha contratto ma tra i peli sulle braccia e il vestiario che indossa non sembro vederne. Michele si accorge che lo guardo e distolgo gli occhi prima nel momento stesso in cui lo fa.

«Guarda che non me la prendo se mi guardi. Non mi dispiace, siamo stati tanto tempo insieme e dovresti conoscere ogni angolo di pelle del mio corpo.» dice lui cercando di farla sembrare una battuta, ridacchia un po' forzatamente e io non riesco a fare più di un mezzo sorriso.

«Comunque volevo davvero ringraziarti per sabato. Ho trascorso una bellissima serata e non eri tenuto ad organizzare quest'uscita a mare, davvero.» dice Michele, sarà la millesima volta che me lo ripete nel corso della mattina e ogni volta gli ho detto che volevo farlo.

«Davvero, Michele, è stato un piacere. Prima della tua partenza di domani avevi bisogno di ridere e passare una bella giornata insieme a persone solari. Non mancheremo di sentirci ovviamente, però almeno avrai bei ricordi della partenza e non legati alla paura di quello che affronterai.» rispondo guardando un punto nel vuoto, il cassiere fa pagare la cliente prima di noi e finalmente poi è il nostro turno. Michele gli passa quindi i gelati.

Sento comunque il suo sguardo addosso e una volta pagato riusciamo finalmente a svincolarci dalla folla. «Ho sempre saputo che eri una persona profonda. Dovrebbero esserci più persone come te al mondo; sarebbe un posto migliore...» dice Michele con un tono quasi malinconico, la conversazione poi finisce lì visto che sta prendendo una piega non molto piacevole.

Quando ritorniamo sotto l'ombrellone vedo che Emilia sta praticamente cuocendo sotto il sole e nonostante la crema protettiva la sua pelle sta diventando già rosata. «Emilia, sicura che non vuoi un po' d'ombra? Ne avresti bisogno!» le dico quando le passo il gelato, la ragazza si alza e si mette seduta sulla tovaglia, vedo che la sua fronte gronda di sudore. Emilia prende quindi un ventaglio dalla propria borsetta e comincia a soffiare.

«Forse... due minuti sotto l'ombra non rovineranno di certo la mia bellissima abbronzatura.» dice lei rifugiandosi insieme a me a e Michele sotto l'ombrellone. Il ragazzo le passa il ghiacciolo zero calorie che gli aveva chiesto e insieme ci gustiamo l'aria marina.

Non molto dopo ci raggiungono anche Rob e gli altri due che si siedono insieme a noi per gustarsi il loro gelato, tuttavia quando lo prendo noto con dispiacere che non è più molto “gelato”.

«Mi sa che ha visto giorni migliori sto' gelato!» commenta Rob con sarcasmo, gli tiro quindi un pugno sulla spalla ed entrambi scoppiamo a ridere mentre Alice scarta con fatica il proprio gelato e cerca di mangiarne il possibile prima che cada sulla sabbia.

«Ringrazia che te lo abbiamo portato!» gli rispondo io sarcasticamente, Rob fa quindi l'occhiolino a Michele che si limita a fare un sorriso.

“È incredibile come sembra che i miei amici neanche facciano caso al fatto che Michele, mesi e mesi fa, fosse il mio fidanzato. È come se tutto fosse normale...” mi ritrovo a pensare mentre gli altri parlano a scherzano col ragazzo come se niente fosse.

Mi piace. Lo capisco solo adesso che finalmente posso essere libero di esprimermi con loro, che posso commentare un ragazzo in spiaggia senza sembrare troppo strano. E mi piace anche il fatto che loro siano tranquilli con Michele.

“In fondo è stato meglio così: se avessi detto loro tutte le motivazioni per il quale ho rotto con Michele, probabilmente non avrebbero accettato di partecipare a questa cosa per il suo bene.”

«Che hai? Ti sei oscurato? Sembri pensare a qualcuno...» dice Michele sottovoce quando gli altri sono impegnati a parlare tra di loro, mi volto verso il ragazzo incrociando i suoi occhi castani. Mi ritrovo a pensare a quanto io e lui siamo simili, non solo nei tratti somatici ma in tutto.

“Forse è proprio per questo che tra noi le cose andavano così bene. Ma è stato anche questo che ci ha in qualche modo allontanati. Nell'ultimo periodo ormai eravamo molto distanti, lui mi tradiva, ma io non pensavo più a lui con la stessa importanza che avrei dato a qualcuno che amo.”

«No, solamente penso al lavoro. Stasera si prospetta una serata tranquilla essendo lunedì e c'è il Secondo Assistente di turno con me quindi potrò farmela con calma.» dico ridacchiando un po'. Non ho parlato a Michele di Mirco ovviamente, lui fraintenderebbe l'amicizia che sembra stia nascendo con quel ragazzo.

Michele ha sempre visto il marcio nelle persone anche se apprezzava molto la sincerità e la bontà di altre. «L'altra volta dicevi che il Secondo Assistente che c'era prima se n'era andato; pensi che quest'anno parteciperai al concorso... progetto... insomma, quello che è?» dice il ragazzo cercando di ricordare goffamente.

«No, non credo.» dico freddamente, uno dei motivo per il quale non partecipavo era proprio per Michele. «Preferisco lasciare il posto al nuovo arrivato. Si chiama Mirco, è un tipo simpatico ed è molto bravo nel suo lavoro; certo... non sembra un tipo affidabile, ma l'apparenza inganna certe volte.» rispondo.

Michele annuisce silenziosamente limitandosi a guardarmi negli occhi come per capire a cosa mi riferisco, ma la risposta che trova forse non gli piace e quindi distoglie lo sguardo. Il resto del pomeriggio lo passiamo ridendo finché non si fa ora di andare via.

«Scusatemi tanto ragazzi, ma devo andare a lavoro. Sono quasi a pelo con l'essere in ritardo e in ufficio non c'è nessuno visto che il mio collega ha il turno spezzato. Quindi devo scappare e arrivare puntuale.» dico mentre indosso nuovamente il pantaloncino e metto le scarpe da ginnastica per poter guidare meglio.

«Ci ha fatto molto piacere avere la tua compagnia oggi.» dice Rob in tono solenne quasi a prendermi in giro. Gli faccio segno col dito medio e lui si alza con prepotenza venendomi addosso, scherzando un po'.

Michele si alza subito dopo che ho salutato tutti quanti, lui immagino resterà ancora un po' con loro a godersi gli ultimi istanti a mare, gli ultimi istanti di serenità prima di affrontare un percorso molto complicato.

«Hai ancora paura?» chiedo mentre mi accompagna al pick up e dove aver interrotto un lungo tragitto di silenzio fino al parcheggio. Michele sta con le mani incrociate al petto, guardandosi i piedi e le ciabatte.

«Sì, ma sono più tranquillo sapendo che ho degli amici dal quale ritornare. E comunque, qualcuno per cui lottare.» dice Michele, ma dal modo in cui lo dice capisco subito che parla di me in un modo non proprio amichevole.

«Michele, lo sai che...»

«Non c'è bisogno di dirlo. Lo so, davvero.» si limita a dire lui, i suoi occhi sorridono come le sue labbra mentre mi guarda, sembra davvero sereno. Nonostante io non sia più innamorato di lui però, mi fa piacere che sia tranquillo.

«Allora a presto. Mi raccomando, fatti sentire e tieni duro!» dico io facendogli segno col pugno, lui scoppia a ridere e ricambia il pugno come segno di saluto, dopo salgo sul pick up e mi metto in strada.

L'ultimo ricordo che ho di Michele è di lui sereno, mentre mi allontano con l'automobile per andare a lavoro. “Molto meglio che ricordarlo in una caffetteria piangente perché lo sto lasciando e io che ho il cuore spezzato.” penso infine prima di svoltare l'angolo.

La giornata lavorativa trascorre piuttosto serenamente nonostante una lieve stanchezza deriva dall'intera mattina passata la mare: sento il calore del sole ancora sul viso ed è come se i muscoli andassero a fuoco. Neanche l'aria condizionata all'interno dell'ufficio riesce a darmi sollievo; poco prima dell'orario di cena arriva poi Mirco che mi saluta battendo il cinque e poi scambiandoci un pugno nocche con nocche non troppo forte.

Solo verso fine serata le nostre chiacchiere amichevoli si fanno più intense e continue. «E così oggi sei andato al mare? Immagino ci fossero poche persone visto che è inizio settimana.» commenta Mirco, annuisco più volte.

«Già, al solito i bambini gironzolavano disturbando un po' troppo ma ho represso l'impulso di soffocarli in acqua.» dico a mo' di battuta e questo provoca le sue risate. «Progetti per la serata, ne hai?» chiedo infine.

Lui scuote il viso. «No, la mia fidanzata ha un impegno con una nostra amica. Tipo serata tra donne. Tutti gli altri invece hanno da fare. Mi hanno lasciato a casa da solo senza far nulla in pratica.» dice lui in risposta, alzo gli occhi e vedo che guarda intensamente il computer impegnato a terminare il lavoro che ha iniziato.

Sono lì lì per chiedergli di uscire, di andarci a bere una birra o qualcos'altro insieme. Ma ho come un blocco dentro di me, una cosa che non mi è mai capitata prima d'ora. “Non c'è nulla di male nell'invitarlo a bere una birra tra colleghi. Allora perché non riesco a chiederglielo?” penso.

Resto almeno mezz'ora con la mente ferma su questo punto, paralizzato da un muro invisibile che ho creato tra me e il ragazzo dall'altro lato della scrivania. Persino quando viene Davide e mi consegna gli ultimi documenti sono in uno stato di catarsi dal quale non mi riprendo.

Poco prima delle undici, il Signor Cattaneo esce dal suo ufficio già bello vestito e col menabò del giornale stretto al petto con una mano mentre nell'altra tiene la propria borsa da ufficio. Mi alzo facendo segno di afferrare la bozza quando il direttore scuote viso.

«Tranquillo, Valerio. Io ho già finito dall'ufficio. Devo andare a casa e posso passare io in tipografia. Tu e Mirco potete andare quando volete, ricordatevi però di spegnere le luci e tutto in ufficio.» dice il Signor Cattaneo, annuisco più volte incredulo, è capitato spesso che andasse lui di persona in tipografia quindi non è nulla di che.

Tuttavia nella mia mente questo appare come un segno del destino, qualcosa che riesce a sbloccarmi e mi ritrovo a guardare Mirco mentre sta posando le ultime cose nella propria sacca, mi faccio coraggio e parlo.

«Così non sei riuscito a trovare qualcosa da fare per la serata?» chiedo imitando anch'io il suo gesto, la voce mi trema per l'emozione e il terrore che spero non traspaia.

«No, nulla di nulla.» risponde lui, prima che abbia tempo di aggiungere altro sono nuovamente io a parlare.

«Se ti va possiamo andarci a bere qualcosa fuori. Una birretta per esempio...»

Mille pensieri mi passano per la mente in pochi istanti, per lo più sono pensieri di paura e terrore e il muro di prima sembra pronto per essere nuovamente alzato, Mirco però si volta prendendo la sacca e mettendosela sulla spalla. Mi rivolge un'occhiata e mi fissa con i suoi brillanti occhi verdi.

«Ci sto assolutamente. Dove andiamo di bello?» risponde lui senza pensarci troppo; la mia testa registra l'informazione ed è nuovamente il caos visto che non mi aspettavo un sì da parte sua nonostante fossimo già usciti insieme.

«Ecco... non saprei.» riesco a sputare fuori. “Dire: scusami ma non credevo che tu accettassi quindi non ci ho pensato, probabilmente mi farebbe sembrare uno sfigato.”

«Possiamo andare al Black Lavinia. Hanno una scelta di birra maggiore e hanno anche quella alla spina, se ti piace. Inoltre non è molto lontano da qui, ci stiamo poco ad arrivarci.» risponde lui pensando qualche istante sul dove potremmo andare, facciamo strada insieme fino al parcheggio e prendiamo l'ascensore quando ci siamo assicurati di aver spento tutte le luci.

«Va bene, ci vediamo lì tra poco.» gli dico, lui mi fa l'occhiolino e annuisce, poi ognuno entra nella propria macchina, il primo ad uscire dal parcheggio sono io e quindi faccio strada sapendo bene dove andare; Mirco mi è subito dietro con la sua macchina nera.

Il Black Lavinia è un pub molto piccolo, quelle poche volte che ci sono stato ho visto che avevano anche una bella sezione dedicata al bar e quindi avevano anche roba da mangiare sia dolce che salata, ricordo che una volta presi un pezzo dolce pieno di crema, era la cosa più buona che avessi mai mangiato. Il problema è che, come molti pub, spesso è frequentato da gente strana. Anche la zona situata abbastanza lontana dal centro della città magari non rende la presenza di persone piacevoli, tuttavia il Black Lavinia è il migliore in zona e chi ci lavora è abbastanza grande e grosso da togliere di mezzo un eventuale bulletto.

Io e Mirco parcheggiamo nella via parallela non troppo distante, ci incamminiamo a piedi fianco a fianco, lui tiene le mani dentro le tasche dei pantaloni e cammina con fare spavaldo mentre io mi limito al muovere le braccia senza senso lasciandole trasportare dall'aria.

«Sai, oggi a mare c'era un mio caro amico. Purtroppo però non sta molto bene quindi deve partire per affrontare questo percorso. Ero un po' triste al lasciarlo da solo, mi ci voleva proprio un'uscita notturna.» cerco di dire qualcosa per fare discorso mentre svoltiamo l'angolo della strada e percorriamo il marciapiedi fino al pub.

«Che cos'ha? Come mai deve partire?» chiede Mirco incuriosito, non mi sento però di dirgli che Michele ha l'HIV. Non lo conosco ancora così bene.

«Non ho ben capito neanche io, ma sta molto male.» mi soffermo a pensare qualche istante al ragazzo e al ricordo che ho di lui, la mia mente però lo registra con una certa tristezza. Ho paura che sia stata l'ultima volta?

«Sembra che tu sia molto preoccupato. Ma le cose andranno bene, vedrai. Vi conoscete da molto?» chiede Mirco, insieme superiamo la porta del pub e ci troviamo all'interno dove l'aria è molto tranquilla e alcuni tavolinetti sono sistemati gli uni vicini agli altri.

«Qualche anno, sì. In realtà non ci parliamo da un paio di mesi per un piccolo litigio. Ci siamo semplicemente distanziati; non so se ho paura per lui o se sono preoccupato... credevo di non provare più affetto.» dico in totale sincerità, naturalmente ometto i dettagli più importanti e Mirco sembra capire che non gli sto dicendo tutto.

Il ragazzo però annuisce e rispetta la mia decisione di non perdermi nei dettagli. «Allora due birre in bottiglia.» dice Mirco al banconista, il ragazzo del bar prende quindi due bottigliette a caso e poi si avvicina in cassa, vedo che Mirco avanza di prepotenza una banconota e che con quella paga anche la mia parte.

«Aspetta che ti do i soldi...» dico cominciando a cercare il portafogli, il ragazzo prende entrambe le bottigliette di birra e sbuffa qualcosa infastidito.

«Posalo subito. Offro io da bere.» dice. La cosa mi lascia spiazzato ma di certo non ammette repliche e quindi lo seguo come un cane con la coda tra le gambe.

«Sai... mi piace pensare che ci sia un altro universo, un altro mondo magari identico al nostro, un luogo nel quale questo mio amico stia bene e la nostra amicizia non abbia avuto questo crollo. Non so se la conosci, si chiama Teoria delle Stringhe.» dico quando finalmente ci sediamo al tavolino e cominciamo a bere direttamente dal collo della bottiglia, Mirco scuote il viso.

«Non ho mai sentito parlare. Che roba è?» chiede con lo sguardo confuso, mi scappa un sorrisetto e cerco di spiegarmi senza troppi giri di parole.

«Secondo alcuni scienziati, noi ci troviamo su delle stringhe, il nostro mondo, la nostra dimensione è una delle tantissime che ci sono. Esistono infinite versioni del nostro stesso mondo, universi molteplici più o meno simili a questo.» dico cercando di riassumere il tutto.

«Quindi, in un altro universo mio padre non è ubriacone di merda e la mia vita non fa così schifo come invece è.» conviene Mirco, il modo in cui lo dice mi fa restare bloccato perché non so esattamente cosa rispondere, butta giù della birra e poi mi fa un largo sorriso. «Sto scherzando, o meglio: ho capito quello che vuoi dire. Sarebbe bello pensare che in un altro universo mio padre sia un padre normale.» dice con l'aria più serena. Mi tranquillizzo anch'io e riprendo a bere.

«Già, sarebbe bello.» ripeto anch'io, sarebbe bello sapere che in un altro universo Michele non sia un perfetto stronzo e mi abbia tradito per mesi.

Improvvisamente il cellulare di Mirco suona, gli arrivano almeno tre messaggi di fila e il ragazzo prende l'oggetto dalla tasca per controllare di chi siano. Gli butta un'occhiata veloce senza neanche aprirli. Poi ignora i messaggi.

«Tutto bene? Ti sembri rabbuiato...» chiedo vedendolo più scuro in volto, butta giù altre sorsate di birra e annuisce.

«È solo la mia migliore amica. Ha finito adesso dal lavoro.» a quel punto mette da parte il telefono. «Dicevamo?» continua lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo Ventidue ***


Mirco

Capitolo Ventidue

martedì 16 luglio

 

 

Il primo squillo del mio cellulare è smorzato e segue immediatamente l'altro e un altro ancora. Conto in totale tre squilli e quindi tre messaggi uno di fila all'altro; non aspetto nessuna conferma a quest'ora quindi dev'essere sicuramente qualcosa di importante e faccio per prendere il cellulare dalla tasca per poi leggere il nome di chi ha inviato i messaggi.

“Alessia...” dico tra me e me senza voler visualizzare l'anteprima dei messaggi. Da quanto ne so è con Eva e dormirà da lei, quindi qualunque cosa io possa scriverle verrà analizzata da ben DUE menti.

“E quando due ragazze si uniscono di certo non ne esce nulla di buono. Specialmente visto l'ultimo, fresco litigio.” dico tra me e me continuando a fissare i messaggi con aria vuota. Ci sto qualche istante, poi mi riprendo.

«Tutto bene? Ti sembri rabbuiato...» chiede Valerio, alzo lo sguardo trovando gli occhi del ragazzo puntati su di me, sembra essere preoccupato, sento lo stomaco stringersi: Alessia non mi ha mai guardato con quest'espressione preoccupata. O forse sì, ma tanto tempo fa.

Prima di risponde prendo la birra dal collo e ne bevo diverse sorsate, il suo sapore è amarognolo eppure molto gradevole, è forte e intenso, ma non abbastanza da darmi quella sensazione di sollievo che l'alcol potrebbe dare.

«È solo la mia migliore amica. Ha finito adesso dal lavoro.» dico mentendo, Valerio sembra farselo bastare anche se leggo nei suoi occhi che non ci crede fino in fondo. Evidentemente devo essere stra-cambiato in faccia per suscitare la sua preoccupazione. Metto via il cellulare senza rispondere alla fidanzata e ritorno sul ragazzo di fronte a me.

«Dicevamo?» chiedo come per fargli capire che non voglio soffermarmi troppo sul parlare di quello.

Il ragazzo sembra capire il mio bisogno e quindi mi asseconda. «La teoria delle Stringhe.» riprende lui, si sofferma qualche istante per bere dalla propria birra. «Propongo una sorta di brindisi: ai nostri alter ego di un'altra dimensione, affinché loro possano avere una vita sicuramente più felice della nostra!» dice Valerio alzando poi il braccio che tiene la birra leggermente in aria inclinandone il collo e invitandomi a ricambiare il gesto.

Mi sfugge una risata e annuisco, imito il suo gesto facendo toccare le due bottiglie di vetro. «E che possano avere davvero meno problemi di quelli che abbiamo noi. Se poi hanno un modo per darci il cambio, allora vorrei proprio saperlo.» aggiungo io.

Mentre bevo le ultime sorsate della birra mi ritrovo a pensare a quando sia profondo quello che ha detto Valerio e al concetto dietro quella teoria: non mi sono mai trovato a parlare di qualcosa di così intenso e profondo con nessuno, Alessia non è il tipo e gli altri ragazzi del mio gruppo non sono da meno, l'unico simile a Valerio è Giovanni, ma nonostante siamo buoni amici con lui non ho confidenza come ce l'ho con questo ragazzo.

«Sai... pensavo alla mia tipa.» dico lentamente, il ragazzo si concentra su di me e sembra interessato a quanto ho da dire al riguardo. «Recentemente abbiamo avuto una mezza discussione: una cazzata, naturalmente. Ma le donne fanno un dramma per ogni cosa!» aggiungo.

«Sarebbe a dire?» chiede lui.

«Ma niente davvero. Non ci siamo capiti su una cosa e come sempre lei tende ad esagerare. Magari sono io che ho la mente distratta ma lei dovrebbe capire che lavoro e che ho dei cazzo di problemi in famiglia. Certe volte mi sembra di parlare con un'estranea... Alessia mi sembra più una bambina viziata e non capisce nulla di quello che passo.» sputo fuori come se quelle parole fossero cariche di veleno, l'averle detto però non mi dà il sollievo che vorrei.

«Può capitare una discussione. Non significa che lei non ti capisca. State insieme da cinque anni mi pare mi hai detto; questo vuol dire che oltre all'amore c'è una grande comprensione. O non sareste arrivati fin qui.» dice Valerio col tono di chi vuole farti stare bene, è quel tono rassicurante che però purtroppo non fa effetto su di me adesso visto che conosco bene i problemi con Alessia.

«Non scopiamo da mesi ormai. Neanche più un contatto di qualunque tipo. Nemmeno una cazzo di sega! Sono costretto a farmela a mano da solo. Questo non è di certo l'intesa che mi aspetto in una relazione...» sputo fuori nuovamente, è una cosa che mi rode dentro e che ho detto solo a Lily e a Franz, i due hanno avuto reazioni molto simili ma totalmente opposte a quella di Valerio.

Il ragazzo sembra imbarazzato da quella relazione, quasi non sa cosa dire per cercare di consolarmi e con grande difficoltà materializza un pensiero. «Da mesi?» ripete in un primo momento. «Cavolo, mi dispiace. Voglio dire, non trovarsi d'accordo neanche sessualmente non è di certo una cosa positiva. Se non c'è contatto... hai provato a parlargliene?» chiede lui, poi mi rendo conto che mi era già sfuggito, e che lui sta facendo finta di nulla.

Le sue parole sprigionano in me il bisogno di confessargli come stanno le cose con Alessia. «Ci ho provato, mi ha detto che penso sempre a scopare. Sono un fottuto ragazzo di ventitré anni. Ho bisogno di scopare quanto voglio perché ho gli ormoni che esplodono! E con tutti questi litigi e con tutti questi problemi... neanche mi si alza pensando a lei!»

“L'ho detto!” penso sentendomi finalmente libero da un peso che gravita sullo stomaco da un bel po', come se avessi il bisogno di confessarlo a qualcuno. Guardo gli occhi castani del ragazzo che mi fissa aspettando di fargli pena.

Eppure Valerio non mi fa sentire in difficoltà, il suo sguardo è comprensivo e il disagio di prima svanisce come se mi fosse molto vicino e potesse davvero capirmi. Talmente tanto che potrei dire che ci è passato anche lui.

«Di certo hai altro a cui pensare, il fatto che non si alzi più è il risultato di una serie di sensazioni negative che stai provando in questo momento. O probabilmente da un paio di mesi a questa parte.» dice lui in risposta, abbasso lo sguardo sulla birra facendo una risata amara.

«Parli come un cazzo di robot. Mi fai paura.» dico sinceramente e bevo gli ultimi sorsi rimasti sul fondo della bottiglia così da vuotarla.

«Quello che intendo dire è che capisco il tuo bisogno di fare sesso. Anch'io è da un po' che non faccio “movimento” e come chiunque altro alla nostra età lo vorrai fare tanto e tante volte.» dice lui rimanendo serio. « Però hai altri pensieri in testa: i litigi con la tua fidanzata; la situazione familiare e infine lo stress del lavoro.»

«Stai dicendo forse che è colpa mia? Dovresti dare ragione a me e non ad Alessia!» dico incredulo, sembra quasi di sentir parlare Lily adesso, ma alle mie accuse il ragazzo scuote il viso.

«No, non ho detto che è colpa tua. Siete in un periodo nel quale non vi trovate. È importante che tu resti concentrato su di lei e che non faccia stupidaggini. Lei sa che la ami, e tu sai di amarla. Questo è quello che conta.» dice infine Valerio, anche lui vuota la bottiglia di birra e la poggia sul tavolino praticamente accanto alla mia che continuo a stringere con la mano destra.

Il mio sguardo si perde del vuoto delle sue parole e rifletto: fare stupidaggini? Tipo farsi segare da una massaggiatrice russa? Non c'è amore in quell'atto quindi non è mica considerabile tradimento.

“Neanche se scopassi con Svetlana sarebbe vero tradimento. Lei lo farebbe per soldi, io lo farei solo per svuotarmi, che sentimento c'è in questa cosa?”

Eppure Valerio mi fa pensare in qualche modo ad una speranza che le cose con Alessia sono momentaneamente pessime e che per una serie di fattori esterni alla nostra relazione le cose vadano male.

«Sai devo dire che mi hai dato molto da pensare.» ammetto sinceramente, il ragazzo ammicca e mi strappa un sorriso. Poi si guarda intorno e io riprendo il cellulare per vedere che è oltre mezzanotte. I tre messaggi di Alessia sono ancora là e forse dovrei leggerli ora che mi sono sfogato con qualcuno e sono anche più calmo.

«Grazie davvero per avermi ascoltato. Non è da tutti accollarsi una birra con uno che ha tutti questi problemi.» dico sarcasticamente, mi alzo dalla mia postazione. «Sarà meglio andare adesso, sono un po' stanchino.» dico.

Mi viene da pensare che gli ho mentito sulla persona che mi ha scritto i messaggi, ma Valerio è intelligente e probabilmente ha già capito che si trattava proprio di Alessia. Il ragazzo si alza con me e insieme ci avviciniamo all'uscita del Black Lavinia così da tornare in strada.

«Non c'è problema, fa piacere sentire i problemi degli altri. Aiuta a non pensare ai propri e se ti sei sfogato mi ha fatto piacere poterti ascoltare.» dice lui continuando a guardare in avanti. Lo osservo di profilo mentre camminiamo dall'altro lato della strada e giriamo l'angolo due volte così da tornare alle auto.

«Sembravi un tipo strano all'inizio. Ma ho capito che sei una persona molto profonda e non se ne incontrano tutti i giorni. Sei interessante, davvero.» dico con sincerità, il ragazzo fa un largo sorriso continuando a guardare davanti a sé, poi lentamente si gira verso me.

«Anche tu sembravi un cattivo ragazzo all'inizio e non ti avrei mai dato in custodia neanche della carta straccia. Invece penso che tu sia un tipo apposto e che l'apparenza inganna spesso.» dice lui in risposta. Leggo dall'espressione dei suoi occhi che si diverte a prendermi in giro.

«Tipo apposto eh? Dillo ancora e giuro che ti prendo a calci nel culo!» mi rivolgo a lui usando un tono sarcastico e divertito, il ragazzo però non aggiunge altro e quasi temo che possa essersela presa.

«Ci vediamo a lavoro, allora.» dice lui prima di salire sul suo pick up, evita il mio sguardo durante il saluto e mi sembra strano, forse se l'è presa a male.

« Scherzavo, per i calci intendo. Sei una persona apposto, non potrei mai fare del male ad una brava persona come te.» dico restando qualche istante con la portiera aperta.

Valerio mi guarda e sorride prima di salire nel suo pick up rosso ruggine. «Sei la seconda persona che me lo dice oggi. Mi sa che dev'essere vero allora.» dice ammiccando e infine sale all'interno della propria auto. Scuoto il viso avendo capito che Valerio non è un tipo al quale piacciono determinati scherzi anche se detti con innocenza.

Poco prima di mettere in modo prendo il cellulare e apro la conversazione di messaggi con Alessia visualizzando cosa mi ha scritto diversi minuti fa.

°Alessia:

Ehi

Che stai facendo? Ancora a lavoro?

Io ed Eva ci stiamo vedendo un film.

°Mirco:

Oi, sì ero ancora a lavoro, hanno tardato

col fare il menabò. Ora sto tornando a casa

La mia risposta è asettica e priva di qualunque emozione, me ne rendo conto da solo. Metto in moto e rifletto sui messaggi che mi ha inviato la ragazza, da parte sua probabilmente è come firmare una resa, un cessate le ostilità. È raro che Alessia capisca di essersi comportata in maniera fastidiosa o che mi abbia ferito, solitamente sono sempre io a dover rimediare per entrambi.

Il fatto che lei stia fingendo che la discussione non è accaduta in qualche modo significa che non è più arrabbiata, ma naturalmente chiedere scusa non è nei suoi toni.

Quando ritorno a casa è ormai notte fonda e sento la mia famiglia che sta dormendo, mi muovo davanti la cucina, la poltrona di mia madre messa davanti la televisione è vuota. Entro nella stanza avvicinandomi al frigorifero, prendo una bottiglia d'acqua e la stappo bevendo alcune sorsate direttamente. Poi mi muovo lungo il corridoio facendo attenzione a non fare rumore, poi arrivo in camera mia e mi chiudo dentro ritrovandomi finalmente nel mio spazio di tranquillità.

Mi spoglio degli abiti da lavoro e accendo il ventilatore che punta dritto verso il letto, resto praticamente solo con le mutande quando mi butto nel letto in balia alla stanchezza, giro su me stesso trovandomi a pancia in giù e riprendo il cellulare in mano vedendo che Alessia mi ha risposto.

Stanno guardando un film romantico ed Eva sembra essere molto concentrata mentre lei non ha capito neanche chi è la protagonista dopo mezz'ora di film. Mi scappa un sorriso pensando che non voglio più essere arrabbiato con lei, quindi anche se non mi ha chiesto scusa, è come se lo avesse fatto e va bene così.

Andiamo avanti a messaggiare per un'altra ora quando alla fine le auguro la buonanotte e che il prossimo film sia molto più interessante del primo. Concludo dicendo che domani mattina ci vedremo, faremo colazione insieme e poi andremo alla Piazza per farci un giretto.

Per lei va bene, poi smette di rispondere rispondendo alla mia buonanotte. Poco prima di mettere da parte il cellulare però rileggo la mia risposta, ho evitato di dirlo che ero con Valerio e una parte di me sa che Alessia si farebbe mille idee pensando che stavo con una ragazza e non un collega.

L'altra parte invece sarebbe proprio curioso di vedere cosa mi direbbe Alessia del fatto che sto fraternizzando con un collega di lavoro. Ne sarebbe felice?

Il dubbio muore con la discesa dei sogni sulla mia mente e passo l'intera nottata senza preoccupazioni o pensieri di alcun tipo. L'indomani mattina mi sveglio abbastanza presto, il tempo di una doccia e di vestirmi e sono subito in strada per andare a prendere Alessia a casa di Eva così da portarla a fare colazione fuori.

«Buongiorno.» dice lei sporgendosi verso di me e dandomi un bacio sulle labbra, la mia risposta è lo stesso gesto ma essendo già l'auto in movimento è abbastanza neutro. «Come stai? È la prima volta che finisci così tardi dal lavoro mi pare...»

Se non la conoscessi abbastanza, direi che sta sospettando qualcosa, purtroppo per lei però non ha sua zia a testimoniare visto che Veronica è andata via nel primo pomeriggio e non si è fatta vedere per il resto della giornata.

«Ho scambiato due paroline col Signor Cattaneo riguardo il lavoro e per questo abbiamo anche perso molto tempo. È soddisfatto di me, dice che sono stato una rivelazione per lui.» dico mentendo ma senza scendere troppo nei dettagli.

“Si sa: quando ad una bugia si aggiungono troppi dettagli...” penso tra me e me, non sono felice di mentire ad Alessia, ma in fondo non ho fatto nulla di male.

Semplicemente non mi crederebbe. La ragazza studia la mia espressione e la vedo con la coda dell'occhio, in un momento in cui siamo al semaforo nell'attesa che scatti il verde posso girarmi verso di lei per ricambiare quell'occhiata.

«Te invece com'è andata la serata? Che film vi siete viste poi?» dico spostando le attenzioni su di lei. La ragazza comincia quindi a descrivermi la serata dicendo che hanno parlato molto, si sono fatte le unghie e altre cose femminili del quale personalmente mi importa ben poco.

Però cerco di mostrarmi comunque interessato a quello che ha da dirmi e finalmente arriviamo al nostro bar preferito che si trova in un posto molto carino della periferia della città e non molto distante dalla Piazza.

«Potremmo anche prendere tutto e portarcelo via, non dobbiamo per forza sederci, no?» chiede Alessia, è una richiesta piuttosto strana da parte sua visto che solitamente ama costruire un intero palcoscenico dietro una tazzina di caffè così da fare la foto migliore.

«Va bene, come vuoi.» le rispondo piuttosto confuso quindi ci avviciniamo al bancone del bar e prendiamo due caffè da portar via e due pezzi di colazione dolce.

«Andiamo alla Piazza a piedi. Non è molto distante.» mi propone Alessia, immagino che sia un modo per chiedermi di parlare visto che il tragitto a piedi non è tanto ma neanche poco. Nonostante tutto accetto.

«Va bene, andiamo dai.» dico, sono consapevole che le mie risposte finora sono state fredde nei suoi confronti quindi mi dico di impegnarmi e di non fare lo stronzo.

«Oggi devi andare a lavoro nel pomeriggio giusto?» chiede lei mentre apre il sacchetto e strappa un pezzo della colazione dolce, si porta la mano alla bocca e lo zucchero le ricade sulla maglietta attillata che indossa.

«Sì, non dovrei finire tardi. Almeno spero. Possiamo vederci con gli altri alla Villa, se ti va. Franz mi aveva chiesto ma ho detto che prima volevo vedere cosa facevi tu.» le dico sinceramente, al ragazza sembra apprezzare il mi sforzo e annuisce più volte.

«Sì, sì per me va benissimo. Magari ci vado prima con Eva e poi ritorno con te. Se non è un problema.» chiede lei, scuoto il viso e lei fa un sorriso. Riprendiamo a parlare d'altro mangiucchiando la colazione insieme e finalmente poi arriviamo al cancello malandato della Piazza.

Entro come sempre per primo tenendo il cancello leggermente aperto così da permettere ad Alessia di passare senza problemi, nel sacchetto ormai sono rimasti solo i caffè e nulla di più però decidiamo comunque si sederci sotto il grande albero al centro del giardinetto e li beviamo.

Sono ormai tiepidi ma comunque hanno un buon sapore.

«Mi dispiace per come mi sono comportata.» dice la ragazza, mi giro verso di lei sapendo che è una violenza per lei dire quelle parole, il suo sguardo è perso nel vuoto e i suoi occhi azzurri sono inespressivi.

“Non vuole realmente scusarsi e probabilmente non sente neanche di avere una colpa della nostra discussione. È come se non provasse nulla in questo momento.” penso osservando ogni movimento del suo viso, dopo cinque anni ormai la conosco fin troppo bene.

«Non è necessario che ti scusi se non ti senti davvero dispiaciuta. Preferisco fare finta di nulla piuttosto che sentirmi preso per il culo!» dico cercando di usare un tono più tranquillo e pacato possibile, ma Alessia naturalmente coglie l'ostilità nelle mie parole.

«Sei sempre il solito! Non riesci a comportarti con maturità e ad accettare le scuse senza aggiungere altro!? Certe volte ti comporti come un bambino.» dice la ragazza alzandosi dalla panca e camminando verso l'uscita della Piazza, mi alzo e sono subito dietro di lei.

«Dove stai andando? Non abbiamo ancora finito!» le dico, quando riesco a raggiungerla la afferro per il polso della mano e lei si gira di scatto.

Ci scambiamo un'occhiata in cagnesco, poi la sua espressione si ammorbidisce come se non riuscisse più ad essere arrabbiata e guardando i suoi occhi mi sento anch'io più tranquillo. Lentamente le lascio il polso.

«Facciamo finta di nulla e basta, va bene?» chiede lei, annuisco accettando la resa nonostante sento l'elettricità ancora nell'aria.

«Ci facciamo un giro al centro commerciale? Ti compro qualcosa dai, mi avevi parlato di un vestito esposto che ti piaceva...» le dico, ancora una volta mi ritrovo ad essere io quello che si piega e che è frustrato.

Il viso di Alessia diventa più morbido e un sorriso compare sulle sue labbra. «Va bene.» fa una breve pausa e poi si avvicina a me, si alza sulle punte dei piedi e mi da un bacio sulle labbra che ricambio. «Ti amo.»

«Ti amo anch'io.» è la mia risposta.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo Ventitrè ***


 

Valerio

Capitolo Ventitré

venerdì 19 luglio

 

 

«Se ti stai annoiando possiamo anche tornare in città, fratellino. L'ultima cosa che voglio è vederti diventare un vecchio intellettuale!» dice Riccardo ridacchiando di gusto, so bene che è il suo modo di prendermi in giro quindi mi limito a fare un mezzo sorriso.

Alzo lo sguardo ritrovandomi davanti la scena di mio fratello maggiore che lancia l'esca della canna direttamente in mezzo al fiume, il ragazzo tiene la canna con entrambe le mani, pronte per scattare in caso la preda abbocchi all'amo, passa qualche secondo che sembra trasformarsi in minuti lunghi ed eterni nel quale io mi godo la fresca aria di montagna socchiudendo gli occhi.

«Non mi sto annoiando, solo perché mi dedico un po' alle mie poesie non significa che diventerò un vecchio e noioso scrittore.» mi limito poi a rispondere, sento Riccardo fare una risata ma non aggiunge altro in risposta: i suoi occhi e ogni parte del corpo sono concentrati nell'osservare i minimi spostamenti dell'acqua.

Non so esattamente quando a Riccardo sia venuta la passione delle pesca, immagino che sia una cosa piuttosto recente visto che prima di conoscere Daniela non aveva mai avuto questa passione.

“Glielo chiederò dopo; se parlassi ancora probabilmente tornerebbe a dirmi che durante la pesca non si parla.” dico a me stesso, incredibilmente trovo che questo possa coincidere con lo scrivere poesie.

Nonostante però il suggestivo ambiente di montagna e il dolce suono delle onde del ruscello, quando sposto lo sguardo sulla pagina del mio taccuino la trovo bianca se non per sei parole che ho buttato a caso.

“Non ho una cazzo di idea!”

L'ispirazione va e viene e in questi giorni non capisco perché ma ho la testa per aria quindi non riesco a concentrarmi. Chiudo il mio taccuino e lo rimetto nello zaino che tengo alle spalle restando ad ammirare il panorama della foresta e Riccardo che prova a pescare.

“Mi ci voleva un po' d'aria fresca. In città c'è un caldo asfissiante, qui invece anche se con le maniche corte riesco quasi a sentire un leggero brivido di freddo.” penso tra me e me osservandomi intorno.

L'auto di Riccardo è parcheggiata diversi metri più indietro e neanche riesco a vedere il sentiero che abbiamo percorso; abbiamo fatto svariati metri a piedi per raggiungere la riva del ruscello.

Mi sembrano passare delle ore quando finalmente Riccardo decide di rinunciare alla pesca, o almeno momentaneamente visto che abbandona la postazione ma tiene ancora stretta la canna in mano.

«Solitamente i pesci vengono all'amo come se niente fosse. Scommetto che sono i tuoi influssi letterari!» ridacchia Riccardo, si siede accanto a me e mi fa cenno di passargli qualcosa.

Prendo il mio zaino e tiro fuori un paio di toast con formaggio e prosciutto che Daniela ha gentilmente preparato per noi due. Uno lo passo al ragazzo che mi tende la mano mentre con l'altra si gratta la barba.

«Ancora non capisco da dove sia saltata fuori questa passione per la pesca. Da che ho memoria non mi pare che tu abbia mai amato questo genere di cose. Né tanto meno le uscite in mezzo alla natura.» gli dico chiaramente.

Lui da un morso al toast e gli sfugge una risata nel mentre. «Mi stai per caso rinfacciando qualcosa!?» chiede sorridente guardandomi negli occhi.

Scuoto il viso ma sa benissimo che sto mentendo, nella mia mente si figura l'immagine di quando eravamo più piccoli e io avevo circa dieci anni: eravamo soliti con i nostri genitori fare escursioni, vacanze di famiglia in posti bellissimi e pieni di natura.

“Forse la mia passione per i bei posti e per la scrittura deriva in qualche modo dall'arte che ho visto.” mi dico.

«Ricordi quando siamo stati in vacanza in Ghana? Stavi quasi per cadere da quella scogliera alta alta e se non ti avessi preso probabilmente avresti fatto una brutta fine!» mi ricorda mio fratello, i suoi occhi sembrano persi nel vuoto di quel lontano evento e sembra serio.

«Certo che lo ricordo, ma mi pare che hai omesso l'importante dettaglio che TU mi avevi spinto!» gli dico dandogli un pugno sulla spalla, Riccardo a quel punto scoppia a ridere di gusto senza riuscire a fermarsi. «Non c'è nulla da ridere, mi hai fatto cagare sotto. È colpa tua se ho paura delle altezze!» lo rimprovero.

«E vorrei ben dire!» commenta con sarcasmo il ragazzo, le sue risate durano ancora a lungo finché finalmente riesce a calmarsi e si asciuga le lacrime. «Scusami, davvero. Te ne ho fatte tante da piccolo ma eri la persona più importante del mondo per me!» dice in un momento di calma.

I miei occhi istintivamente vanno al suo braccio destro, proprio sull'incanalatura del bicipite si trova tatuato il nome del figlio, Luca. «Faccio finta di crederti.» mi limito a dire. «E non hai ancora risposto alla mia domanda.»

«Perché ne hai fatta una?» dice lui. Lo guardo torvo e capisce subito a cosa alludo. «È un bel modo per staccare la spina, per andare lontano dalla città. Daniela si occupa di Luca e spesso sono fuori con le amiche di lei o con le altre neo-mamme. Sta seguendo tipo un corso di preparazione all'asilo e quindi si stanno conoscendo.» fa una breve pausa nel quale i suoi occhi cercano il contatto con i miei.

Ricambio l'occhiata riflettendo sulle sue parole. «Si incontra con le altre mamme due anni prima che inizi l'asilo? Ma che assurdità è questa!?»

Nuovamente io e Riccardo scoppiamo a ridere e lentamente finiamo il primo toast che stavamo mangiando. Mi fa cenno di prendere il secondo e anche qualcosa da bere. Prendo altri due toast e un paio di birre, Riccardo le stappa con facilità e poi le facciamo tintinnare.

«Io sfrutto questi momenti in cui sono solo a casa per fare le mie cose. Oggi è anche il mio giorno di riposo, quindi ho voluto cogliere l'occasione di passare un po' di buon tempo col mio fratellino.»

Annuisco divorando in fretta il secondo toast e bevendo diverse sorsate di birra. «Immagino che ognuno abbia il suo momento di pace interiore; io ho la mia scrittura, anche se in questo periodo non riesco ad avere una buona idea.»

«Come mai?» chiede lui.

Faccio spallucce senza sapere che risposta dare. «Credo sia un po' lo stress del lavoro. Poi anche la comparsa di Michele e la sua partenza... non lo so, è un periodo strano e ho la testa tra le nuvole.» cerco di rispondere, tra i miei pensieri però c'è anche Mirco, ma questo non credo di volerlo dire ad altri fuori dalla mia testa.

Riccardo ascolta attentamente le mie parole e annuisce nel frattempo, dopo aver finito di mangiare il suo toast vuota del tutto la bottiglia di birra e la lascia in piedi sulla pietra davanti a noi. «Ho visto che avete pubblicato qualche foto. Non so esattamente perché abbiate litigato e so che non mi dirai il perché è ritornato, ma so che hai fatto la cosa giusta.» dice il ragazzo esprimendo il suo consenso.

Aspetto qualche istante prima di rispondere visto che non saprei esattamente cosa dire. “In questo preciso istante Michele starà iniziando il percorso più importante della sua vita, gli ho detto di farsi sentire. Gli ho praticamente detto che ci sarei stato se ne avesse avuto bisogno. Ma una parte di me non sa davvero se riuscirà a mantenere la promessa.”

«Michele e io siamo stati grandi amici. Ma certe volte le strade si dividono e per certi motivi non si incrociano più. Non so se io e Michele torneremo amici come prima, credo che ci sia ancora molto tempo per deciderlo.» dico senza scendere troppo nei dettagli, mi giro verso Riccardo trovando lo sguardo di mio fratello su di me.

«Sì, molto amici...» sono le parole che sussurra appena quando si gira nuovamente. Sembra quasi che stesse alludendo a qualcos'altro. «A lavoro come vanno invece le cose? Qualche settimana fa mi parlavi di un nuovo assistente, sta ancora resistendo?» chiede lui.

Al sentirlo parlare di Mirco sento lo stomaco stringersi e non so perché ma la domanda mi mette stranamente e disagio e in imbarazzo. «Sì, ancora sopravvive. È bravo nel suo lavoro, davvero. Ci siamo visti un paio di volte anche fuori dal lavoro. È un tipo apposto, nonostante non sembri. Per il resto a lavoro è sempre la solita rottura: in estate c'è il finimondo di notizie ma almeno non ci annoiamo.»

Riccardo annuisce con un sorriso. «Ho capito, va bene fratellino: credo sia il momento di ritornare a pesca. Tu a che ora ti devi vedere con Alice stasera?» chiede il ragazzo alzandosi in piedi e riavvicinandosi alla canna che aveva messo da parte.

«Alle sei. Viene a casa mia e ci mangiamo un po' di schifezze mentre sparliamo delle altre persone e ci lamentiamo di quando il mondo sia crudele con noi!» rispondo con sarcasmo e Riccardo ride della mia battuta.

«Sembra quasi una cosa da migliori amiche.» nel suo tono di voce non c'è cattiveria, naturalmente. «Va bene, allora faccio qualche altro lancio e poi ritorniamo in città.» dice lui, annuisco e raccolgo tutta la spazzatura che abbiamo fatto così da rimetterla all'interno dello zaino.

Osservo Riccardo che si avvicina ancora una volta al ruscello e lancia nuovamente l'esca, proprio quando sto per prendere il taccuino e la penna sento il mio cellulare squillare e la suoneria echeggia tutta intorno.

«Valerio? Dai mi scappano tutti i pesci metti il silenzioso!» mi dice Riccardo con un tono misto ad un sussurro e un rimprovero, mi affretto quindi a cercare il cellulare nello zaino e finalmente lo trovo.

Quando leggo il nome di chi sta chiamando sento il battito del cuore rallentare e poi velocizzarsi improvvisamente. “Mirco Romano”

Ci sto qualche istante prima di concretizzare l'idea ma alla fine risposto e mi alzo in fretta dalla mia posizione per allontanarmi il più possibile dall'area di ricerca di Riccardo, mi infilo quindi nel sentiero e mi ritrovo a camminare tra gli alberi quando finalmente rispondo: «Pronto?» chiedo titubante e confuso, ogni volta che ricevo una chiamata da Mirco è come se non ci credessi neanche io. Solo una volta mi ha chiamato per parlare di lavoro.

«Ehi fratello,» risponde Mirco dall'altro capo della cornetta «ti sento strano, tutto bene?» chiede.

Sono ancora scosso ma schiarisco la voce cercando di non dare a vedere la mia sorpresa quindi annuisco come se lui potesse vedermi e poi rispondo a voce. «Sì, no scusa ero sovrappensiero e quando ha suonato il cellulare mi sono preso un bello spavento.»

Lui ridacchia dall'altro lato della cornetta, sembra una risata innocente ma anche sincera. «Ti ho fatto prendere un colpo eh? Lo so sono un tipo che fa questo effetto.» risponde lasciando la frase quasi incompleta.

Colgo l'occasione per rispondere al suo scherzo con la stessa moneta. «Tu? Nah! Oddio magari sembri un po' strano e la gente potrebbe quasi pensare che sei serio!»

Lui capisce il mio scherzo e continua a ridacchiare, solo ora mi accorgo che la mia voce ha una leggera rifrazione che crea un eco. «Ma dove sei?» chiedo infine.

«Sono in macchina. Sto andando in ufficio. Mi annoiava stare in silenzio e quindi ne ho approfittato per chiamarti. Tu invece che stai facendo?» chiede Mirco.

La mia mente però si sofferma sulle poche parole senza metabolizzare subito la domanda che mi ha fatto: Mirco è in auto, da solo e tra tutti quelli che avrebbe potuto chiamare ha scelto di chiamare me.

“È strano... vuol dire che in qualche modo mi reputa una persona degna di fiducia. E che gli sto simpatico altrimenti non credo perderebbe tempo a chiamarmi.” penso, il risultato di questi pensieri però non mi da quel senso di soddisfazione di quando si trova una risposta.

«Io ero con mio fratello. Siamo in montagna, fuori città. Entrambi siamo di riposo oggi e quindi ne abbiamo approfittato per una gita fuori casa anche se non dovrei fare troppo tardi.» gli rispondo io, nel frattempo i miei piedi continuano a camminare portandomi fino all'auto di Riccardo che abbiamo abbandonato in mezzo al verde.

«Montagne eh? Che figata. Mi piacerebbe molto farmi un giro in montagna. Ma ormai avrai capito che sono un tenerone e mi piacciono questi posti così.» mi risponde il ragazzo, annuisco ancora una volta e non ho il tempo di dire qualcosa che subito Mirco mi fa un'altra domanda. «E che fate di bello? Se ti sto disturbando possiamo anche chiudere eh!» quelle sue parole suonano come un allarme nella mia testa e scatto di conseguenza.

«Ma no figurati!» dico velocemente, poi rallento i miei toni. «Lui sta pescando mentre io non so esattamente cosa fare, mi sono portato il mio taccuino per gli appunti ma non riesco a scrivere qualcosa di decente.»

«Sei in crisi da scrittore. Hai bisogno di un'idea buona. Perché non parli di qualcosa d'amore o queste cose così? Sono sicuro che è il tuo genere!» dice ridacchiando mentre mi prende in giro, mi mordo il labbro pensando alla risposta migliore da dargli.

«Tu scrivi canzoni. Di cos'altro puoi scrivere se non del disagio di un ragazzo di periferia?» dico, mi rendo conto solo troppo tardi che in qualunque tono io possa averlo detto, la mia risposta potrebbe apparire come un insulto.

Mirco fa un verso amareggiato ma non sembra arrabbiarsi più di tanto. «Hai ragione. Ma anch'io come ti ho detto sono in crisi di scrittura, ho qualche idea ma il problema è concretizzarle. Quando mi siedo con la penna in mano mi si blocca il cervello.»

«Io ho il problema opposto direi: dammi un'idea e riuscirei a scrivere del mondo intero!» rispondo con esasperazione, sento Riccardo che mi chiama dall'altro lato della foresta, mi volto verso il sentiero e sento le sue urla di gioia.

«Se ci unissimo probabilmente riusciremmo a fare qualcosa di decente allora.» risponde ancora una volta Mirco, nuovamente sento la voce di Riccardo che mi chiama e velocizzo i miei passi lungo il sentiero per ritornare alla riva.

«Credo di dover staccare, mio fratello mi sta chiamando e se passo tutto il tempo al cellulare mi disconosce dalla famiglia!» rispondo a Mirco chiudendo quindi il discorso che stavamo facendo.

«Va bene, ho capito. Tu ci sei più tardi? No... mi pare sei di riposo hai appena detto.»

«Esattamente. Ci vediamo domani, buon lavoro.» rispondo ancora una volta, lui fa un mezzo verso che somiglia vagamente ad un saluto e infine chiudiamo.

Quando torno al ruscello vedo che Riccardo ha smesso di pescare e tiene la canna da pesca buttata di lato, sta armeggiando con qualcosa che sembra essersi incastrato nell'amo ma essendo di spalle non riesco a vedere di che si tratta. Mi avvicino sempre di più e a distanza di pochi metri Riccardo mi chiama ancora.

«Guarda qua che bestione!» dice infine voltandosi e tenendo qualcosa tra le braccia: vedo un grosso pesce dalla forma affilata e allungata che si contorce ancora tra le sue mani. «Stasera farò una cena con i fiocchi! Peccato che te la perderai!» dice lui ridacchiando.

Il resto del pomeriggio lo passiamo in tranquillità, io col mio taccuino scribacchiando cose senza senso mentre lui continua a pescare. Verso le quattro decidiamo di fare ritorno a casa e raccogliamo le nostre cose per riportarle in macchina. Quando ci troviamo davanti il vialetto di casa dei nostri genitori, Riccardo accosta nella strada.

«Grazie per la compagnia, fratellino.» dice lui, lo saluto con la mano ed esco dall'auto richiudendomi la portiera alle spalle e correndo dentro casa per farmi una doccia così da essere pulito e fresco prima che Alice venga.

Faccio in tempo ad essere pronto e ad indossare il jeans quando il campanello della porta suona, scendo di corsa per le scale rischiando quasi di cadere dagli scalini per ritrovarmi davanti l'ingresso, apro la porta e trovo la mia migliore amica sorridente con una piccola sacca alle spalle, il solito abbigliamento sbarazzino e i capelli castani legati in una treccia che le ricade lungo la spalla.

«Ciao!» urla lei buttandomi le braccia al collo, ricambio l'abbraccio con affetto e poi ci separiamo spostandoci nel salotto dove ho già preparato la postazione per i film: acqua, cola, thé freddo e patatine, snack dolci al cioccolato e altro che accompagneranno la nostra serata.

«Com'è andata oggi in tribunale? Era oggi che avevi quella causa col tuo avvocato?» chiedo, la ragazza annuisce e dai suoi occhi capisco che la cosa è stata interessante.

Essendo Alice una tirocinante le capita spesso di seguire l'avvocato per cui lavora nelle aule, oggi aveva un importante processo fuori città, anche per questo motivo ci siamo potuti organizzare solo la sera.

«Bene bene, il nostro assistito ha tutte le carte in regola per essere un feroce assassino ma indovina un po'? Tocca a noi scagionarlo e fare in modo che non vada in galera. Ti rendi conto di cosa devo sorbirmi? E poi c'è anche il fatto che lui ha scoperto la moglie con un altro e...» la discussione va avanti per diversi minuti nel quale ci dimentichiamo di attaccare il film che avevamo scelto di vedere. Ci limitiamo a mangiucchiare le patatine e gli snack mentre lei mi racconta dettagliatamente della causa in tribunale.

Annuisco più volte e ogni tanto intervengo quando lei si interrompe finché alla fine non conclude definitivamente l'argomento e mi chiede come sia andata la mia giornata.

«Tutto bene dai, ho passato un po' di tempo con Riccardo e non capitava da molto. Poi verso le tre mi ha chiamato Mirco, non so se ce l'hai presente... il Secondo Assistente.» le ripete come per ricordarglielo, ma Alice è bravissima con i nomi e quindi annuisce.

«Sì, certo che lo ricordo. E che voleva?»

«Niente di importante, abbiamo parlucchiato un po'. Era in auto e stava andando in ufficio e a quanto ho capito era solo e si stava annoiando e quindi ha deciso di chiamarmi.»

L'espressione di Alice cambia e noto subito che sta cercando di trattenersi dal dire qualcosa. La guardo torvo cercando di spronarla a parlare. «Sì? Perché quell'espressione?» chiedo insistendo.

Lei ci pensa qualche istante prima di parlare. «Niente, è solo che sembra essersi legato a te. È una bella cosa, strana ma è una bella cosa. E tu non sembri per niente dispiaciuto.» dice lei, scuoto il viso scoppiando a ridere ma mi rendo conto anch'io che è una risata finta.

«Ma che dici! Be' certo fa sempre piacere trovare amici e anche sul posto di lavoro fa bene.»

Alice però scuote il viso più volte. «Non sono sicura che tu lo vedi come un ipotetico amico. Ti conosco da tutta una vita e dal modo in cui mi stai guardando adesso... o quella luce che hai negli occhi quando parli di lui: forse sotto sotto questo Mirco di piace un po'.»

Le sue parole arrivano alle mie orecchie come fossero coltellate e ho un attimo di esitazione. Più volte mi è capitato di sentirmi strano nei confronti di Mirco, anche oggi stesso ero piuttosto impacciato sentendo la sua voce al telefono.

«Non mi fraintendere, siamo usciti qualche volte e anche a lavoro passiamo molto tempo insieme ed è divertente. Rende tutto più leggero, abbiamo turni simili il più delle volte e... in qualche modo posso stargli vicino.»

Mi rendo conto che dalle mie parole c'è un significato più profondo da poter dare e questo non è del tutto un bene. Alice mi guarda: è la prima volta forse che parliamo di ragazzi in totale libertà.

«Non c'è nulla di male, se ti piace. Però vorrei che tu facessi attenzione: mi hai detto che è fidanzato con una ragazza, ne hai passate tante dopo Michele e non voglio che tu soffra per uno qualsiasi.» dice lei affettuosamente, nei suoi occhi leggo la dolcezza e l'affetto che prova per me.

Decido di risponderle con un sorriso. «Ma figurati! Non è nulla di importante, è un bel tipo nulla di più. Davvero davvero!» dico cercando di essere convincente, ma la verità è che non lo so neanche io cosa provo.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo Ventiquattro ***


Mirco

Capitolo Ventiquattro

lunedì 22 luglio

 

 

Faccio forza con le braccia aiutandomi a spingere con i piedi per rimettere a posto il divano nel punto in cui si trovava prima; mi allontano di pochi passi e alzo le mani in modo da regolare nell'aria lo spazio che occupa il mobile, mi pare di ricordare che fosse poco più a sinistra ma non credo che cadrà il mondo per qualche centimetro di difetto.

«Così ti va bene?» chiedo rivolgendomi a Franz che sta passando la scopa da qualche altra parte nella casa, probabilmente nelle stanze visto che non c'è alcuna traccia di lui nella cucina-soggiorno.

Il ragazzone spunta dalla porta facendo capolino e dà un'occhiata veloce, mi guarda con i suoi occhi scuri e poi annuisce. «Sì, può andare.» dice lui ritornando all'interno della prima stanza.

Ridacchio tra me e me e prendo scopa e paletta per svuotarla nell'immondizia, poi le rimetto all'interno del piccolo ripostiglio che si trova nella cucina e che è stato coperto da una tendina usurata sul quale sono raffigurate delle pannocchie.

Quando mi giro vedo nuovamente Franz all'interno della stanza principale, anche lui svuota la paletta e poi posa il tutto dietro la tendina per nasconderle alla vista.

«Grazie, come sempre.» dice lui, è tipico di lui utilizzare un tono distaccato ma so bene che il ragazzo non si perde mai in eccessive effusioni di ringraziamento.

«Di nulla.» dico spostando la sedia dal tavolo e mettendomi comodo, prendo il sacchetto di carta che c'è messo sopra e pesco il primo panino che capita.

«A furia di mangiare panini e patatine dalla tavola calda di Lily finirai per diventare una botte di grasso!» dice il ragazzo prendendomi in giro, la cosa mi scivola via, ho un fisico normale e non mi sono mai preoccupato troppo di quello che mangio visto che smaltisco subito.

«Fottiti.» gli rispondo comunque, anche Franz si siede attorno al tavolo e allunga la mano verso il sacchetto di carta e pesca il secondo panino che c'è. Lo scarta e comincia a mangiarlo lentamente.

«Da quando stai con Alessia hai preso qualche chilo, sai? Ricordo che prima avevamo lo stesso fisico e la gente ci scambiava per fratelli, se non fosse che sei biondo.» mi ricorda il ragazzo.

In effetti ha ragione, prima avevamo pressoché lo stesso fisico tonico, Franz è sempre stato un tipo allenato e con muscoli non troppo definiti, anch'io un tempo avevo la tartaruga, ora invece si è ammosciata.

«Fatti fidanzato anche tu e poi ne riparliamo. Quando devi portare fuori la tua tipa a cena e prendete dall'antipasto al dolce più il vino!» dico sarcasticamente, Franz scoppia in una risata sincera poi si alza dalla sedia per avvicinarsi al frigorifero che apre e tira fuori due birre in bottiglia.

Le stappa entrambe e una delle due la passa a me. Bevo alcune sorsate di fretta visto che il panino mi sta per strozzare la gola; la birra ghiacciata è quasi un sollievo visto il caldo afoso che riempie la giornata di oggi.

«E poi non sono mica così grosso! Ho perso solo un po' di muscoli, ma non sto per niente male!» dico un po' amareggiato, Franz però non risponde, credo che voglia semplicemente evitare di parlarne.

«Come vanno le cose con Ale? Mi siete sembrati un po' tesi in questi giorni. Hai fatto qualcosa di male?» chiede Franz cercando di dialogare; sento un fastidio nel momento in cui lui pensa che sia colpa mia.

«Io? Assolutamente nulla. E comunque è solo un mezzo litigio, lei e le sue solite paranoie; certe volte mi viene da pensare che le ragazze siano incontentabili!» rispondo, evito di scendere nei dettagli visto che non me la sento di parlarne con Franz, non è il migliore nel dare consigli amorosi.

«Faccio bene io a restare da solo. Quando incontrerò la tipa giusta me ne accorgerò. Ci proverei con Lily, peccato che ad entrambi piace la figa!» dice lui con tono amareggiato, scatto in allarme quando nomina la mia migliore amica.

«Cosa? Non mi avevi mai detto di essere attratto da Lily!» esclamo ancora sconvolto dalla notizia, lui però resta serio e scuote il viso semplicemente.

«Non è questo. Lily non mi piace fisicamente o in faccia; però abbiamo gli stessi gusti e andiamo molto d'accordo. Non ci hai mai sentito litigare se ci pensi bene.» annuisco in quanto è vero, per quanto mi sforzi di ricordare qualcosa non trovo nulla. «Però sarebbe come stare con un maschio, mi sa tanto. Potrebbe essere un po' più femminile!» fa una mezza risata e ritorna a bere dalla bottiglia.

«Il problema è proprio quello: che spesso e volentieri le ragazze mi incasinano la testa!» dico con sincerità. Franz alza lo sguardo, fa un'occhiata che conosco bene: sono gli occhi di quando sta per fare lo stronzo.

«Be' non diventarmi finocchio, per favore!» si limita a rispondere Franz, faccio una risata insieme a lui e scuoto il viso, tuttavia qualcosa nel modo in cui l'ha detto mi ricorda il tono dispregiativo di Leonardo.

“Franz non è così stupido. Lo conosco bene.” ma poi un altro pensiero mi sfiora la mente. “In fondo, non è che a me cambi molto al riguardo.”

In quel momento sento la sveglia del cellulare suonare e mi rendo conto che sono le due passate vedendo l'ora segnata. Termino il mio panino e la birra e mi alzo poi dalla sedia pulendomi le mani e prendendo ciò che resta delle carte sul tavolo per buttarle nell'immondizia.

«Devo scappare a lavoro. Ci vediamo più tardi.» dico.

Prima che io possa passare oltre la porta d'ingresso però Franz mi ferma ancora. «No, stasera ho degli affari. Cavallo Pazzo. Più tardi lo scrivo anche sul gruppo così ve ne state lontani da qua.» mi risponde lui, il codice per indicare che gli serve un posto dove poter spacciare o comprare roba in tutta tranquillità. Solitamente gli affari notturni di Franz finiscono con delle bevute e giocare a poker.

«Va bene, allora mi ritengo libero.» dico scherzando, poi in fretta e furia esco dalla porta per entrare nella mia auto, ripercorro il vialetto in retromarcia fino ad uscire dal cancello così da seguire il sentiero che mi riporta nella strada principale e sfreccio con la musica a palla verso l'ufficio.

Durante il tragitto la mia mente vaga senza fermarsi sul lavoro che mi aspetta e sul fatto che il lunedì pomeriggio è la cosa peggiore che possa capitare in ufficio. Questo perché molti sono di riposo o comunque c'è pochissimo personale in giro, tranne per me e per Valerio che siamo gli assistenti del Signor Cattaneo e quindi ci siamo più o meno sempre.

“Non per niente la nostra paga è più alta. Se non sbaglio Valerio dovrebbe avere lo spezzato e quindi dovrebbe tornare stasera per le sette. Mi aspetta un lungo pomeriggio noioso, che palle!” dico tra me e me.

A dispetto di quanto avrei mai potuto pensare, la compagnia di Valerio è davvero piacevole, specialmente visto l'ambito lavorativo troppo serioso, con lui le giornate diventano più divertenti e spesso e volentieri mi diverto persino a lavorare. È un tipo apposto!

Quando arrivo alla mia scrivania però vedo qualcosa di insolito che mi lascia perplesso e inspiegabilmente felice: Valerio alza lo sguardo da sopra il computer e incrocia i miei occhi. «Ciao!» mi saluta sorridente, la sua espressione però è strana e mi guarda incuriosito.

“Credo di stare sorridendo come un idiota!” mi dico. Quindi cerco di ammorbidire la mascella che si è irrigidita in un largo sorriso e mi avvicino a lui battendogli il cinque.

«Come siamo? Tutto bene?» chiedo. Non gli do neanche il tempo di rispondere a quella domanda che subito ne pongo un'altra. «Ma non avevi lo spezzato oggi?»

Valerio scuote il viso facendo un'espressione stralunata. «No, faccio il pomeriggio, come te.»

Non è la prima volta di certo che capita, solo ero convinto che avessimo turni differenti. Annuisco piacevolmente sorpreso e cerco di trattenermi dal darlo a vedere. Mi avvicino quindi alla scrivania e accendo il computer, nell'attesa butto un'occhiata all'interno dell'ufficio del Signor Cattaneo e lo trovo vuoto.

«Il boss non è ancora arrivato?» chiedo al Primo Assistente, il ragazzo si mette comodo nella poltroncina girevole e incrocia le braccia scuotendo il viso.

«No, probabilmente verrà in serata. Abbiamo il pomeriggio più tranquillo che si possa immaginare quindi.» dice lui ridacchiando appena. Mi ci avvicino di più arrivando a sedermi direttamente sulla sua scrivania.

«Direi che definirlo “tranquillo” è un po' un eufemismo! Non c'è praticamente nessuno in ufficio. E di quei pochi che ci sono non c'è neanche una bella ragazza!» continuo guardando oltre il corridoio e nelle poche postazioni occupate, mi pare di intravedere alcuni assistenti ma non conosco il nome di nessuno di loro.

Ritorno con lo sguardo su Valerio che sembra stare riflettendo su qualcosa. «Ma tu non sei fidanzato? Non dovresti avere occhi solo per la tua tipa?» chiede amichevolmente, alzo gli occhi al cielo.

«Devo proprio insegnarti tutto eh? Un po' di sana gelosia ci sta per tutte! Le donne vogliono essere gelose, e noi maschi siamo dei cacciatori. Non c'è neanche Veronica, che detto tra noi, è una figa pazzesca!»

«Ma non mi hai detto che era la zia della tua fidanzata? Sei proprio un porco!» dice Valerio tra una risata e l'altra.

«Be? Gli occhi sono fatti per guardare. Io me la farei più che volentieri una scopata con lei. Tu no?» chiedo con l'intento di spronarlo, non siamo soliti a parlare di sesso o altro anche se praticamente parliamo di tutto.

Valerio sembra in difficoltà alla mia domanda e in qualche modo nella mia mente passo l'idea che possa averlo offeso. «È una bella donna, non posso mica negarlo!» dice lui in maniera impacciata, solo adesso mi balena in mente l'idea che a Valerio possano non piacere le donne.

Mi aveva sempre dato una strana impressione, come se avesse qualcosa di diverso dal resto delle persone. “Cavolo forse si è offeso!” mi ritrovo a pensare a seguito di un silenzio imbarazzante, capisco però di averlo creato io visto che non ho più risposto al ragazzo.

Nella mia testa cerco un modo per dirottare la conversazione da un'altra parte ma sento di avere il vuoto nella testa e l'ossessione che possa essersi offeso per la domanda fatta in totale innocenza.

«Guarda qua, stavo rileggendo un articolo del settore sportivo e mi sono imbattuto nel nome di un'atleta: guarda qua che cognome che ha!» dice il ragazzo passandomi un foglio con sopra l'articolo di cui parla.

Scendo attraverso le righe fino a raggiungere il nome indicatomi da lui: “Tina Tromba”. Ci sto pochi istanti a ricollegare il perché questo nome lo abbia colpito.

«Tromba-tina.» urlo scoppiando a ridere rischiando quasi di cadere dalla scrivania. Sento gli occhi pesanti e le lacrime che cominciano a scorrere per le troppe risate, anche Valerio segue il mio esempio e passano diversi minuti quando finalmente riesco a rimettermi in piedi.

«Non può essere il suo vero nome! Dev'esserci sicuramente un errore di battitura oppure è un soprannome!» dico asciugandomi le lacrime con il dorso della mano.

Ci impieghiamo diversi minuti per smettere di ridere, vedo i pochi assistenti all'interno della sala lanciarci delle occhiate da lontano, probabilmente chiedendosi per cosa stiamo ridendo. Dopo un po' finalmente ci ricomponiamo e vedo che Valerio ha gli occhi rossi con le lacrime che ancora gli scendono sul viso per le forti risate.

«Perché no? Ci sono un sacco di persone al mondo che si chiamano in modo strano. Tromba-tina ha la sfortuna di essere una di queste.» dice lui cercando di ritornare serio, si schiarisce la gola e cerca di parlare ancora. «Pensa se fossi stato tu ad avere un nome strano e ad essere stato preso in giro per questo!» dice lui.

«Serio? Non riesco a credere che sia davvero il suo nome. Poi l'articolo dice che si tratta di un'atleta straniera, il suo cognome invece non sembra per niente straniero.» gli faccio notare indicando punti diversi dell'articolo, lui sembra lì lì per darmi ragione.

Tuttavia sul suo viso vedo ancora la convinzione di avere ragione. «Saresti pronto a scommetterci? Chiama chi ti ha dato questo articolo e chiediglielo. Se vinci tu ti offro qualcosa da bere stasera al Black Lavinia... »

«E se vinco io?» chiede lui.

«Se vinci tu... non so tu cosa vorresti?» chiedo molto semplicemente, lo sguardo di Valerio però cambia, da divertito che era diventa serio, poi la sua espressione pian piano muta e si rabbuia nonostante cerca di tenere ancora un sorriso sul volto.

«Lasciamo perdere ciò che vorrei io, non ti converrebbe scommettere in quel caso.» mi risponde lui mentre sta già prendendo il telefono e componendo il numero interno per contattare la scrivania in questione.

La risposta del ragazzo mi lascia piuttosto confuso visto che non sono riuscito a capire esattamente cosa volesse dire, faccio spallucce e rinuncio al capire il significato delle sue parole quando dopo una brevissima conversazione Valerio mette giù il telefono cercando di trattenere un sorriso.

«Allora? Che ti hanno detto?» chiedo.

«Mi hanno detto che hanno sbagliato a battere il cognome. Si chiama Tina Tramb. È una campionessa di qualcosa ed è anche abbastanza famosa, alla faccia sua!» dice il ragazzo amareggiato, scatto in piedi togliendomi dalla scrivania e schiocco le dita con fare da vincitore.

«Ben ti sta. Stasera offri tu da bere allora!» dico io, senza rendermene conto capisco di aver dato per scontato che lui fosse libero e che volesse andare nuovamente a bere qualcosa insieme a me.

Il ragazzo però sembra non essere intenzionato a rifiutare, annuisce dopo avermi fissato a lungo gli occhi. «Va bene, devo accettare la sconfitta. Ora mettiamoci a lavorare, prima che arrivi un nuovo carico!» dice il ragazzo amareggiato per aver perso la scommessa.

Annuisco e ritorno quindi alla mia postazione cominciando ad impostare la prima pagina con gli articoli che sono arrivati durante la mattina. Dopo un lungo pomeriggio e una serata piena di riunioni, io e Valerio riusciamo ad avere il menabò completo per le undici meno un quarto quando finalmente possiamo lasciare l'ufficio sotto permesso del Signor Cattaneo che come suo solito si ferma in ufficio più del dovuto.

«Allora, prendo io il menabò. Ci vediamo direttamente al Black Lavinia, va bene?» chiede Valerio, annuisco per conferma in un primo momento, poi realizzo che forse mi annoierei ad aspettarlo in macchina.

«Ma no dai, ti seguo e dalla tipografia ce ne andiamo direttamente al Black Lavinia. Facciamo strada insieme.» gli propongo e lui sembra accettare di buon gusto la proposta di muoverci con due macchine.

Usciamo quindi dal parcheggio, lo lascio passare per primo e mi tengo dietro il suo pick up rosso ruggine mezzo scassato stando a pochi metri di distanza, si ferma qualche minuto in tipografia per consegnare la bozza del giornale e appena rientra in macchina ci spostiamo nuovamente tra le strade fino a raggiungere la via parallela al pub dove andiamo a bere.

«Sto proprio pensando a cosa potresti offrirmi. Magari una birra ma anche qualche di più pesante non sarebbe male.» dico cercando di scherzare con lui mentre camminiamo fianco a fianco, il ragazzo si tiene alla mia destra e a pochi centimetri di distanza.

«Io mi prendo una birra. Ghiacciata. Così tanto fredda da bloccarmi il cervello! C'è troppo caldo!» dice Valerio, d'altronde è normale essendo a fine luglio, la serata è molto umida e allo stesso tempo calda.

Sento la camicia che si incolla alla pelle e nonostante cerco di alzare le maniche per rinfrescarmi un po' sento comunque un fastidio addosso. «Mi sa che ti tengo compagnia anch'io con una birra, pensandoci bene.» gli rispondo, svoltiamo l'angolo e finalmente arriviamo al Black Lavinia entrando all'interno.

Subito vengo accolto dall'aria familiare e dal dolciastro odore di alcolici, ci sono poche persone all'interno visto che è ancora presto e quei pochi presenti stanno giocando alla carambola che si trova all'interno del pub più inoltrata oltre i tavolini che al momento sono vuoti.

Ci avviciniamo subito al bancone e ordiniamo due birre, Valerio fa di fretta per prendere il portafogli e passa la banconota al cassiere che gli dà il resto insieme allo scontrino. Faccio un sorriso tra me e me mentre lo osservo rimettere l'oggetto dentro la ventiquattro ore.

Quando il ragazzo alza lo sguardo incrocia i miei occhi. «Che c'è? Che ho fatto?» chiede prendendo la propria birra dal collo. Scuoto il viso.

«Nulla, alla salute.» dico cambiando argomento e facendo schioccare le due birra tra di loro, ci sediamo quindi su uno dei tavolinetti liberi al centro del locale.

«A maggio mi dicevi comunque che il lavoro sarebbe aumentato durante il periodo estivo. Però non mi sembra che stiamo facendo molto. Voglio dire, in due è tutto ripartito e quindi molto più semplice.» gli faccio notare dopo aver dato alcune sorsate, Valerio annuisce, anche lui beve dalla bottiglia e poi l'abbassa.

«Vero, forse per troppo tempo non ho lavorato con un altro assistente, o meglio, non uno bravo quanto te. Non avrei mai detto che tu non avessi esperienza in altri campi di ufficio o giornalistici stessi.» dice il ragazzo facendomi un complimento e ridacchio appena.

«Lo so, sono fantastico.» dico io.

«Sei il miglior assistente del mondo!» dice lui rispondendomi con sarcasmo e stando al mio stesso gioco, mi viene da ridere sempre di più visto che mi piace la sfrontatezza col quale è solito rispondere.

«Sei davvero unico! Non ho conosciuto molti assistenti ma devo dire che sei il migliore che ho conosciuto finora!» rispondo a mia volta bevendo alcune sorsate, Valerio ridacchia e noto subito come gli si gonfia il petto al sentirsi fare dei complimenti.

“Estremamente vanitoso. Sotto questo aspetto mi ricorda davvero una ragazza!” penso tra me e me, si insidia ancora nel mio pensieri l'idea che mi aveva sfiorato oggi pomeriggio, che a Valerio possano non piacere le ragazze.

«Grazie, lo so.» risponde infine il ragazzo. Passiamo qualche istante in silenzio semplicemente godendoci la compagnia e la musica da sottofondo che riempie il bar. Accendo una sigaretta e alterno una boccata e un sorso.

«Fumi da molto, mi dicevi giusto? Mai pensato di smettere?» chiede Valerio con innocenza. Lo guardo torvo e poi faccio una risata amara.

«Certo, e ogni volta che ci provo mi ricordo che mi fa più male smettere di fumare. Sto già cercando di stare lontano dall'erba in generale anche se certe volte Franz mi fa fare un tiro. È uno dei miei amici più stretti.» dico senza perdermi troppo nei dettagli, Valerio annuisce più volte. «Tu invece? Non hai davvero mai fumato in vita tua?» chiedo. Il ragazzo scuote il viso e sta per rispondere quando improvvisamente sento qualcuno che mi chiama.

Mi giro verso l'origine della voce e vedo che un ragazzo dai capelli rossicci mi sta chiamando. Riconosco immediatamente Leonardo anche se non mi aspettavo proprio di trovarlo qui, poco dietro di lui vedo altri ragazzi, altri suoi amici di cui non conosco i nomi.

«Che ci fai qui?» chiede lui.

«Niente ero qua a bermi una cosa con un amico. Tu invece? È da un po' che non ti fai vedere alla Villa... stai progettando qualcosa di losco eh?» la conversazione dura dieci minuti nel quale velocemente mi spiega quello che sta facendo, e ci mettiamo a parlare del mio lavoro in ufficio chiedendo ad intervalli anche a Valerio di intervenire.

Tuttavia, il ragazzo si limita ad annuire quasi imbarazzato finché il tutto non viene interrotto da un messaggio al cellulare nel quale vedo che si tratta di mia sorella Gabriella.

«Scusami, ma mia sorella ha un problema col motorino, di nuovo! Devo andare a prenderla. Si è fatto anche tardino mi sa e sono un po' stanco...» dico a Valerio quando finalmente riesco a liberarmi di Leo.

Il ragazzo mi guarda e fa un mezzo sorriso. «Non ti preoccupare ci vediamo domani a lavoro, allora.» dice il ragazzo anche se leggo chiaramente che qualcosa non va. Tuttavia non voglio essere intrusivo e quindi non chiedo lasciando che sia lui a parlarmene se vuole.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo Venticinque ***


 

Valerio

Capitolo Venticinque

martedì 23 luglio

 

 

Il giorno seguente a quell'uscita interrotta mi sveglio abbastanza presto nonostante sono stato nel letto a rimuginare per almeno mezz'ora prima di addormentarmi del tutto: i miei pensieri però non mi hanno lasciato pace neanche nei sogni dove continuavano a comparire le immagini di quell'amico che Mirco ha incontrato al pub.

Fotogrammi che si susseguivano per tutta la notte; solo che ad un certo punto del sogno, l'amico in questione si trasformava in uno zombie e ci divorava tutti.

«Ho davvero una pessima fantasia!» dico a me stesso, anche quando scendo a fare colazione mi ritrovo ancora a pensare a quell'incubo ma poi riesco a distrarmi con la televisione e l'organizzarmi con Emilia.

La ragazza mi manda subito il buongiorno al quale rispondo qualche minuto dopo: attorno a me i miei genitori si attivano già per andare a lavorare, mio padre essendo un professore esce di casa per primo. Mia madre invece è ancora seduta sul divano con una semplice veste da camera che la ricopre; guarda la televisione anche lei.

Ad un certo punto il telefono mi squilla e vedo la chiamata in arrivo da parte di Emilia. Rispondo di malavoglia visto che il mio rituale mattutino non è completo.

«Stai ancora dormendo, Valerio? Dai svegliati, io sono pronta da almeno mezz'ora!» dice Emilia prima di ogni forma di saluto, so bene che se lei dice di essere pronta, in realtà ha appena finito di sistemarsi i capelli e ancora ci vuole un'altra ventina di minuti per il trucco.

“Nessuno però può contraddirla o farglielo notare.” dico tra me e me. «Va bene, Em. Il tempo di sciacquarmi la faccia e arrivo, dammi quindici minuti.»

La ragazza sbuffa un po' e nel frattempo sento che sta armeggiando con qualcosa, probabilmente i suoi trucchi. Chiudiamo la telefonata e mi alzo sbarazzandomi di ciò che resta dalla colazione, pancake bruciati targati “mamma”.

«Stamattina esco con Emilia e poi vado a lavoro nel pomeriggio. Non so ancora se torno per pranzo. Ti faccio sapere però.» dico avvicinandomi al divano dov'è seduta mia madre. La bella donna bionda mi guarda con i suoi occhi chiari e poi annuisce sorridente.

Tra una cosa e l'altra e il prepararmi a dovere per andare al centro commerciale ci impiego quindici minuti solo solo per uscire di casa. Prima di accendere il pick up però scrivo ad Emilia che sono quasi arrivato, nonostante sia una bella bugia. Tuttavia, durante il tragitto non trovo molta confusione probabilmente perché ancora presto e in questo periodo dell'anno la città si svuota praticamente.

Quando raggiungo il complesso di Emilia vedo la ragazza che sta appena uscendo dal cancello di ferro che rappresenta l'ingresso al cortile. La ragazza sale velocemente salutandomi con un bacino sulla guancia e camminiamo sulla strada che ci porta fuori città dove si trova il centro commerciale.

«Hai un aspetto terribile, Valerio. Stai male? Se non stai bene possiamo anche stare a casa non è per forza che dobbiamo uscire eh!» dice Emilia, ma so perfettamente quanto ci tenga ad andare a ritirare il nuovo cd della sua cantante preferita quindi scuoto il viso.

«Sto benissimo! Ieri però sono tornato un po' tardi a casa. Sono stato col Secondo Assistente a prendermi una birra e non ho dormito molto bene.» rispondo senza perdermi troppo nei dettagli, tuttavia la cosa suona molto interessante per Emilia che non manca di indagare.

«Mi pare che non è la prima volta. Vi state frequentando per caso!?» chiede lei pensando già a qualcosa di più intimo, quasi sobbalzo sul sedile, fortunatamente sono costretto a fermarmi a causa del semaforo rosso.

«Cosa? No! Ci siamo presi una birra dove il lavoro mica è una proposta di matrimonio.» dico in risposta, la ragazza sembra quasi delusa e annuisce. «Ha incontrato un suo amico e si è messo a parlare un po'. Poi mi ha detto di dover andare via per un problema con la sorella... non ho ben capito.» dico cercando di far il disinvolto, mi è dispiaciuto molto non poter passare una serata tranquilla con lui.

“Ma in fin dei conti, siamo davvero più che colleghi di lavoro? Mi sembra una vita che non mi faccio un amico e a momento non so più neanche come si faccia!” penso mentre Emilia mi espone la sua versione in merito. L'ascolto distrattamente ma capisco bene il senso delle sue parole.

«La prossima volta evitate il Black Lavinia, così non può incontrare nessuno che conoscete.» dice la ragazza, riesce a strapparmi un sorriso, la verità è che il pub in questione è molto frequentato ed è uno dei migliori.

«Ma si vedremo.» dico io tagliando corto.

«Oggi vi vedrete? A lavoro intendo.» chiede lei interessandosi ancora alla questione. Nel frattempo mi ritrovo a sfrecciare oltre il cartello di benvenuto della città mettendoci alle spalle la periferia.

«Sì, sì. Io ho il turno nel pomeriggio mentre lui ha lo spezzato. Ci beccheremo dopo le diciannove.» rispondo. La conversazione giunge a conclusione quando alla radio passa l'ultimo singolo della cantante preferita di Emilia, lei getta un gridolino e mi prega di fare silenzio.

Gira la manopolina del volume e dopo la base strumentale di inizio canzone, inizia a cantare insieme alla radio, la guardo con la coda dell'occhio restando concentrato sulla strada e mi sfugge un sorriso.

Quando arriviamo al centro commerciale vediamo un sacco di gente nei dintorni del negozio di musica e decidiamo di entrare cercando di non perderci tra le folla. Vediamo moltissime persone, molte delle quali sono lì per l'acquisto del cd mentre le altre per dare un'occhiata in giro; da qualche parte sento un ragazzo che chiede il prezzo della batteria esposta, poco più avanti una ragazza con i capelli biondi viene spinta per sbaglio facendo cadere un intero espositore, vicino alla cassa una punk con i capelli verdi e viola interamente vestita di nero sta ultimando l'acquisto del cd uscito oggi. Non è per niente il suo genere musicale e infatti quando ha il cd tra le mani sguscia via dalla folla nascondendoselo all'interno della borsa.

«Certo che ha un sacco di seguaci! Non credevo che avesse tanto successo.» dico ancora sconvolto dalle immagini che ho visto, non ci vuole molto per essere il nostro turno in fila e la ragazza rossa si rivolge al commesso.

«Ho prenotato il disco a nome di Rinaldi, Emilia.» dice la mia amica, il commesso cerca sul database del loro inventario e ci fa un cenno positivo scomparendo per qualche istante prima di tornare con la copia del disco. Vedo che si tratta di un'edizione speciale con un'intervista alla cantante e alcuni spezzoni sul primo concerto.

«Addirittura l'edizione speciale?» chiedo io. Riuscendo finalmente a fuggire dalla folla che si era radunata attorno alle casse. Vedo che un commesso sta aiutando la ragazza bionda a sistemare lo scaffale, vicino all'ingresso invece il ragazzo della batteria ha decretato che fosse troppo costosa e quindi è uscito dal negozio con aria desolata.

«Tu non puoi capire. Lei è bravissima. Ogni canzone che fa è scritta col cuore, se l'ascoltassi anche tu te ne innamoreresti!» dice lei.

Mi viene quindi in mente una domanda che le volevo fare già da tempo e che non ho mai azzardato. «A proposito, ma cosa sta succedendo tra te e Max?» chiedo senza troppi giri di parole e senza allusioni particolari.

La ragazza si gira verso di me con l'espressione stranita, come se avessi detto qualcosa che non capisce. «Intendo dire, lui sembra avere un rapporto speciale con te. Non è che c'è del tenero e ve lo state tenendo nascosto?»

Emilia scuote lentamente il viso, sembra stia cadendo dalle nuvole vista la reazione. «Non mi sono mai posta la domanda. Max è simpatico e divertente ma non credo che potrebbe funzionare qualcosa tra noi due.»

Faccio spallucce alzando gli occhi al cielo e guardando lungo i larghi corridoi del centro commerciale, ora che siamo più distanti dal negozio di musica si può stare più tranquilli a passeggiare e chiacchierare.

«Perché no? Siamo un gruppo di cinque amici, tutti single. Tra te e Max c'è un'intesa anche se magari non riesci a vederla; lui ti vuole bene e credo che sia anche interessato a te. Ma sappiamo quanto sia analitico e attento in queste cose...» dico vagamente, la ragazza scoppia a ridere perché sa che ho ragione.

«Sì, lui deve prima assicurarsi che tutte le variabili siano al loro posto e se così non fosse sarebbe un problema.» dice lei cercando di imitare la voce pesante del ragazzo, seguo anch'io la sua risata.

«Dovresti dargli una possibilità. Vi conoscete da qualche anno ormai, credo sia giunto il momento di ampliare il vostro rapporto, e Max non è brutto ma neanche troppo curato.» dico a mia volta, la ragazza sembra avere lo sguardo perso nel vuoto.

«Max è stato l'ultimo ad arrivare nel nostro gruppetto, te lo ricordi?» chiede lei dopo qualche istante di silenzio. «Devo essere sincera, avevo una cotta per Rob quando abbiamo cominciato ad uscire insieme tutti e quattro.»

«Davvero!?» chiedo sconvolto, lei annuisce più volte e riprende a parlare senza aspettare che io metabolizzi.

«Lui però era fidanzato con Anna, al liceo se ben ricordi. Ed è stata una sera che siamo usciti insieme a lei che ci presentò suo cugino, Max, appunto.» continua la ragazza, ho un ricordo vado di quella sera ma dettagli mi fornisce Emilia più i miei ricordi si fanno vividi.

«Ho sempre pensato che Max fosse strano e all'inizio non mi stava neanche simpatico. Ma poi si è rivelato essere un grande e quante volte ci ha aiutato con le sue cose tecnologiche!» continua Emilia facendo una risatina. «Era sempre sulle sue, misterioso è vero. Non il tipo di ragazzo che mi interessa come ben sai. Ma se penso a come il nostro rapporto si è evoluto fin'ora...»

La pausa che segue è la più lunga di tutte e per alcuni minuti aspetto che Emilia continui il discorso, non intendo interrompere i suoi pensieri vista la profondità che hanno raggiunto quindi aspetto che sia lei a farlo.

«Pensi che dovrei chiedergli di uscire? Intendo... un appuntamento? Solitamente dovrebbe essere lui a fare il primo passo essendo il ragazzo!» dice Emilia con insicurezza, mi giro verso di lei fissandola con sarcasmo.

«Ti aspetti davvero che sia Max a fare la prima mossa? Resteremmo qui fino alla fine del mondo se così fosse.» le rispondo io facendo una battuta.

La ragazza però si limita ad un mezzo sorriso e vedo che sta pensando seriamente alla cosa, l'argomento si chiude là e restiamo al centro commerciale per il resto della mattina finché non si fa ora di pranzo e decidiamo quindi di ritornare a casa.

Mentre sono a lavoro riesco quasi ad avere la mente libera da tutto e sento uno strano senso di pace, in un breve istante di pausa ho modo di pensare a Michele e mi domando ancora una volta come stia.

“Potrei scrivergli, è un pensiero che faccio spesso. Però renderlo un fatto è più difficile di quel che sembra.” dico tra me e me e nello stesso attimo sento dei passi di qualcuno avvicinarsi. Mi sporgo appena dalla scrivania per controllare vedendo che si tratta di Mirco.

Il ragazzo ha la camicia con le maniche alzate e questo lascia in mostra il tatuaggio che ha nell'avambraccio rappresentante dei rovi e delle corde.

«Ehi ciao.» dico salutandolo, mi rendo conto che il tono che ho usato è sterile ma senza volerlo.

Mirco poggia il suo zainetto dietro la scrivania e poi si avvicina per salutarmi richiedendo di battergli il cinque e poi di dare un colpo pugno a pugno. Il nostro solito saluto.

«Scusami per ieri se sono scappato. Possiamo rifarci più tardi magari? O hai da fare?» chiede Mirco appoggiandosi sulla mia scrivania, alzo lo sguardo distrattamente cercando il suo e mi esce una mezza risata.

«Guarda che non mi sono offeso! Non hai nulla da scusarti, non sentirti obbligato eh.» dico io, ma entrambi probabilmente sappiamo che si tratta di una mezza bugia e che un po' ci sono rimasto male.

Lui scuote il viso più volte. «Nessun obbligo, fratello.» dice con tono amichevole, non ha necessita di ascoltare la mia conferma e restiamo organizzati per andare più tardi al Black Lavinia per bere qualcosa.

Quando arriviamo al pub c'è la solita musica moderna sintonizzata sulla radio e trasmette una top cinquanta degli ultimi brani usciti, la maggior parte di quelli che sento li riuscirei anche a cantare visto che si trovano nella mia playlist grazie a Max.

«Accidenti sono proprio stanco oggi.» dice Mirco dopo che finalmente ci siamo potuti sedere nella tranquillità del nostro solito tavolino. Mi guardo intorno e ci sono diverse persone all'interno del pub ma nessuna che sembra prestare attenzione a noi due.

«Fatto follie nel pomeriggio?» chiedo molto tranquillamente, i miei occhi nel frattempo vanno ai tavoli da biliardo e vedo che uno si è appena liberato. Comincia a girarmi per la testa un'idea al riguardo.

«Sono stato fuori con Alessia, la mia fidanzata. L'ho portata al mare. Solite cose da fidanzato. Penso che puoi capirmi benissimo.» dice lui sorseggiando un po' di birra.

«Ti va di fare una partita?» chiedo senza rispondere alla sua affermazione, con la punta dell'indice indico il tavolo distante e subito Mirco annuisce.

«Sai giocare?» chiede mentre ci avviciniamo al tavolo in questione, lo guardo sarcasticamente e lui ridacchia dandomi un colpetto sulla spalla in maniera giocosa. Ci posizioniamo entrambi ai lati del tavolo e comincio a posizionare il triangolo e le palle al suo interno. Poi mi sposto dall'altro lato per posizionare la palla bianca.

«Chi inizia?» chiede lui.

«Carta, forbice, sasso?» propongo così da decidere a chi tocca iniziare, lui annuisce mentre sorseggia altra birra. Mi avvicino a lui. «Colpo unico?» chiedo ancora per conferma e nuovamente lui si limita ad annuire.

Cerco di analizzare bene che tipo di mossa potrebbe fare, non ci sono molto opzioni ma immagino che un tipo tosto come Mirco possa provare a “tirare” un sasso o una forbici.

Nel momento in cui decido apro tutte le dita della mano facendo quindi il gesto della carta ma mi concentro sulla mossa di Mirco che come previsto ha “tirato” un sasso.

«Guarda, ci avrei scommesso l'avresti fatto.» dico io poggiando la birra sul tavolo e prendendo un'asta di legno, mi chino appena poggiandomi sui bordi e scocco la prima palla dividendo tutte le altre che si spargono sul tavolo a macchia d'olio. Alzo poi gli occhi.

«Bravo.» dice Mirco facendo una smorfia con le labbra, prende il mio posto e cominciamo a scoccare alternandoci e sorseggiando le nostre birre di volta in volta.

«Non ti facevo un tipo da biliardo. Sembri più il classico nerdone, di quelli con gli occhiali rotondi! » dice Mirco in sincerità, sono confuso sul fatto che possa aver fatto una battuta o possa avermi preso in giro.

«Sta parlando! Tu sembri uno appena uscito dal carcere. Pieno di tatuaggi e la tua faccia incute timore, te l'ho detto più di una volta.» dico in risposta, il ragazzo ridacchia e mi lascia spazio per scoccare nuovamente la palla.

«Be i tatuaggi fanno figo, non trovi? Sono irresistibile, dì la verità.» dice scherzando come suo solito con malizia.

«Sì, certo. Un vero figo da paura! Ma solitamente quelli che si vantano di essere fighi hanno il cervello nel freezer. Capisci che dico?» rispondo cercando di spronare una sua reazione, Mirco reagisce bene alla presa in giro, mi si avvicina e mi da un colpo di asta da biliardo senza troppa forza e ridacchio insieme a lui.

«Ho finito la birra. Ne vuoi ancora?» dice, ho appena il tempo di annuire che subito lui si precipita al bancone del bar pagando altre due birre, il primo giro l'ha offerto lui e questo sarebbe il secondo. Quanto ritorna lo guardo torvo mentre mi passa la bottiglia.

«Toccava a me!»

«Non ci pensare.» dice lui alzando poi la bottiglia verso il tetto come per fare un brindisi e aspettando che io faccia toccare la mia birra con la sua. «Alla tua.»

Senza rispondere mi limito a sorridere mentre facciamo il brindisi. “A questa notte, alla nostra.” penso tra me e me e dopo aver bevuto riprendiamo regolarmente la partita. Continuiamo a parlare del più e del meno finché non ci riduciamo ad essere con un punteggio pari e resta l'ultima palla da imbucare, la numero otto.

«Questa è la partita migliore della mia vita.» commenta Mirco indicando l'ultima palla. «Mi stai dando del filo da torcere e se tu fossi una ragazza farei il gentiluomo e ti lascerei vincere. Ma dovrai sudarti la vittoria!»

Scuoto il viso più volte. «Anche se fossi una ragazza non mi lascerei di certo regalare la vittoria. Io sono bravo, alla faccia tua!» dico in risposta e alzo il dito medio, Mirco scoppia a ridere e si avvicina a me catturandomi sotto il suo braccio e con l'altra mano mi scombina i capelli.

«Ben ti sta!» dice Mirco allontanandosi, alzo gli occhi come se potessi vedere i miei capelli e immagino che siano abbastanza scombinati. Respiro lentamente e faccio spallucce. Sto per scoccare la palla che colpisce quella nera ma senza riuscire ad immetterla in uno dei sei ingressi.

Al turno di Mirco mi accorgo che sta guardando il cellulare e che gli è arrivato un messaggio. Risponde velocemente e fa un mezzo sorriso. Poi alza gli occhi e ritorna a giocare la partita.

«La buonanotte della fidanzata?» chiedo spiando chi potesse essere, in parte per curiosità, in parte per un piccolo senso di gelosia.

Mirco annuisce. «Era molto stanca e stasera la combriccola non faceva nulla quindi è rimasta a casa.»

«E tu non sei andato a farle compagnia?» chiedo, mi pento quasi subito di averlo chiesto perché non so esattamente come potrebbe interpretare la mia domanda ma di certo non è un senso negativo che volevo dargli.

Mirco dal canto suo sembra tranquillo. «Ti dovevo una birra di ieri. E poi abbiamo i nostri spazi, non come certe coppie che si vedono in giro. Certe volte mi viene da pensare che il fidanzamento, il matrimonio, siano tutte cazzate! »

«Dipende a chi lo chiedi. Per me il matrimonio è molto importante. Non sono un cristiano super religioso o praticante ma è più per una questione simbolica.» rispondo in totale sincerità, sia io che Mirco ci fermiamo interrompendo momentaneamente la partita visto che sia io che lui sembriamo scontrarci sull'argomento.

«Hai davvero bisogno di un pezzo di carta che ti dica che ami una persona per tutta la vita? Non ti facevo così materialista!» dice, detto con quel tono sembra quasi che volesse offendere e questo mi indispettisce.

«Non è per questo. E non è neanche una questione religiosa, davvero. Ma ci sono cose che fanno piacere, che nella vita hanno un valore importante per noi.» cerco di dare un tono vago alla situazione mentre la mia testa ragiona sempre di più sulla mia natura.

“Cosa penserebbe, se sapesse che mi piacciono i ragazzi? Scapperebbe? Smetterebbe di essermi amico?” soffoco l'impeto di dirgli di me perché troppo personale e non conosco Mirco così bene in merito all'argomento.

«Valore? Che valore puoi dargli? Ufficializzato da qualcuno che compie peccati tutti i giorni. Non devo essere io a dirti quanti preti pedofili si scopano i chierichetti nel retro delle loro chiese. Vuoi davvero un uomo così ti dia il “permesso” di amare una persona per tutta la vita?»

«Non ti fissare sulla chiesa. Non ne sto facendo una questione religiosa, è proprio una questione personale!» riesco a dire velocemente; Mirco mi guarda stranito non riuscendo a capire di cosa io possa parlare. “E come potrebbe?” dico a me stesso.

«Personale? Che intendi?»

Prendo una boccata d'aria distogliendo lo sguardo e cercando un qualunque altro punto del pub da osservare ma non trovo nulla di adeguato. «Voglio dire che a certe persone non è permesso sposarsi. E quindi per certi individui il matrimonio diventa un questione personale.»

Sposto ancora lo sguardo incrociando gli occhi verdi di Mirco, mi basta un secondo per capire che ha capito esattamente a cosa alludo. Apre appena la bocca per rispondere, poi prende consapevolezza del fatto che gli ho praticamente detto che mi piacciono i ragazzi.

«Ah...» è la sua risposta. Segue il silenzio.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo Ventisei ***


Mirco

Capitolo Ventisei

mercoledì 24 luglio

 

 

Un istante lungo un'eternità: è quanto dura il mio “ah” seguito dal silenzio. Rifletto velocemente cercando di dire qualcosa che non lo offenda o che magari possa essere interpretato come tale da lui. Chiudo nuovamente le labbra e annuisco molto lentamente come per prendere tempo. La mia mente comincia poi a vedere la situazione analiticamente e formula una risposta adeguata.

«Se è per questo allora hai ragione, immagino che sia una cosa importante da condividere. Non è solo un simbolo, è qualcosa di più importante per due persone.» ci penso qualche secondo in più e credo di aver dato una cazzo di ottima risposta che non potesse ferirlo, oltre che all'essere sincera. Valerio sembra apprezzarlo.

«Per me come per molti altri ragazzi è difficile vivere con questa cosa. Per me è davvero importante il matrimonio, è come raggiungere un traguardo e tagliare la linea per primo: ti senti potente e vincente.» dice continuando.

Ne approfitto per bere qualche altro sorso dalla bottiglia riprendendola in mano e stringendo con l'altra mano la stecca di legno del biliardo: attraverso gli occhi di Valerio riesco a leggere che si aspetta un mio pensiero più profondo al riguardo, forse anche più personale. Come una conferma che tutto vada bene.

«A Lily piacciono le ragazze, questo mi pare di avertelo già detto. Lei è praticamente la mia migliore amica, mi capisce bene ed avendo entrambi gli stessi gusti ci viene facile parlare di questo. Per me non è mai stato un problema cosa le piacesse o chi potesse essere. L'ho sempre voluta bene per la splendida persona che è.» dico quando dopo l'ennesima sorsata vuoto completamente la birra. La poggio nuovamente nell'angolo e mi chino in avanti per prendere la mira così da colpire la palla nera.

«Dirlo a qualcuno fa comunque un po' di paura, ho notato.» dice lui alludendo a qualcos'altro, immagino che di lui sappiano anche altre persone. Valerio è un tipo abbastanza composto, forse in qualche sua movenza è strano, non proprio maschio, però è un bravo ragazzo.

«Per me non cambia nulla, te lo posso assicurare. Però hai avuto un gran bel coraggio a dirmelo. Apprezzo che tu abbia trovato la tua serenità di parola con me.» dico sinceramente, scocco il colpo e colpisco la palla facendole fare più tocchi contro le pareti, alla fine si avvicina al buco ma senza cadere mentre la bianca le resta a portata di tiro.

Valerio si sostituisce al mio posto, analizzo ogni suo movimento del viso, trattiene un sorriso con grande fatica, probabilmente non per il fatto che io gli abbia posizionato la palla vicino la buca. Il ragazzo fa scoccare l'asta e colpisce l'ultima palla facendola entrare.

Ritorna quindi in piedi e alza la mano come per invitarmi a battere il cinque. Ricambio e subito dopo chiudo la mano in un pugno che ricambia ancora. «Avevi detto che non mi avresti fatto vincere. Grazie per avermi permesso di imbucare la palla finale.» dice lui.

«È stato un caso, non era mia intenzione farti vincere, te l'ho già detto. La prossima volta non sarai tanto fortunato.» dico restando serio, il ragazzo sembra credere alla mia bugia, nelle mie parole c'è anche l'invito ad una futura sfida.

«Posso chiederti da quanto tempo lo sai di essere attratto dai ragazzi?» chiedo a Valerio quando abbandoniamo il tavolo da biliardo e ritorniamo seduti tranquillamente. Il ragazzo alza gli occhi pensieroso.

«Probabilmente da sempre, da bambino magari ero troppo giovane per capirlo ma fin dalle materne preferivo giocare con le bambole.» risponde il ragazzo con un velo di imbarazzo, mi esce spontaneamente una risata e lui sembra sciogliersi di più dalla tensione.

«Scusa non volevo ridere, però è davvero divertente l'immagine. Non ricordo con cosa giocavo da piccolo, ma credo di aver sempre preferito i dinosauri. Mi dicevi di conoscere la tua migliore amica fin dalle materne: giocavate insieme?» chiedo, improvvisamente sento la gola secca e il disperato bisogno di bere qualcosa. Vedo che Valerio ha ancora metà birra dentro la sua bottiglia.

«Sì, in effetti. Immagino siamo diventati amici proprio perché giocavamo insieme. Non ho mai detto a nessuno cosa provassi fino a qualche settimana fa. Ma Alice e gli altri lo hanno sempre saputo, in fondo.» risponde Valerio.

Senza chiederglielo, allungo la mano per prendere la bottiglia dalle sue mani e bevo alcune sorsate poggiando la bocca senza farmi problemi. Immagino che questo possa anche dire a Valerio che non ho paura che standogli vicino possa cambiare idea sui miei gusti, come probabilmente ne è convinto Leonardo.

Il ragazzo è abbastanza stranito quando gli porgo nuovamente la sua bottiglia e gli faccio una smorfia. «Che fai? Non dirmi che ti impressioni se abbiamo bevuto dalla stessa bottiglia.» gli dico canzonandolo.

Quasi come pensasse che io mi sia offeso, il ragazzo riprende la bottiglia in mano e beve qualche sorsata arrivando a vuotarla insieme a me.

Prendo il pacchetto di sigarette dalla tasca e l'accendino e ne accendo una dando alcune boccate. «Hai avuto un gran coraggio. Non credo che sia da tutti riuscire a dire una cosa così importante. Io probabilmente non avrei mai avuto il coraggio di dirlo!» cerco di fare una battuta e mi appoggio sullo schienale, Valerio fa un mezzo sorriso in risposta.

«Sapessi quante volte ho sentito questa frase! Non intendo dal vivo, ma ammetto di essere iscritto in qualche sito di chat. C'è gente strana certe volte, ma spesso anche tipi apposto e pare che la frase che hai appena detto tu sia la più gettonata.» dice lui.

Colgo questa sua confessione per scherzare ancora un po' in modo da dimostrare definitivamente di non avere problemi. «Sito di chat eh? Dì la verità: porno a tutta forza? Immagini di cazzi e culi in giro per il social?»

«No, macché. O meglio, ci sono anche i porno, direi una cazzata se dicessi di non averli mai visti.» ammette il ragazzo, annuisco soddisfatto della confessione.

«E bravo il nostro assistente, sembravi tanto santerello ma finalmente vedo il tuo lato più oscuro: mi piace!» dico scherzando un po' con lui, credo che Valerio sia totalmente a proprio agio adesso e lo vedo dalla postura più rilassata, anche lui si poggia sullo schienale.

Nuovamente sento il cellulare vibrare nella tasca del pantalone e approfitto dell'attimo di silenzio per vedere anche l'orario.

°Franz:

Dove sei? Ti sei dimenticato dell'appuntamento

nella Villa o sei morto?

°Mirco:

Di che stai parlando? Quale appuntamento?

°Franz:

Non hai letto i messaggi sul nostro gruppo.

Ho visto adesso. Sei un coglione.

Stiamo giocando a poker, ti va?

°Mirco:

Cazzo fratello, mi piacerebbe ma ormai si è fatto

tardi. Magari per la prossima?

°Franz:

Va bene, ho capito. Sei da Alessia.

Alla prossima.

Le mie dita si bloccano prima di poter scrivere che non sono con Alessia e che sono al pub con un mio amico. Alzo appena lo sguardo in maniera furtiva e noto che anche Valerio ha gli occhi sul proprio cellulare.

“Non voglio che Franz sappia che sono con Valerio. Voglio che resti una cosa mia!” mi ritrovo a pensare, evito quindi di rispondere ulteriormente al ragazzo mentre con la testa penso alla mia reazione.

«Si è fatta l'una passata. Comincio ad essere stanco...» dice il ragazzo sbadigliando appena, in effetti anch'io mi sento davvero stanco dopo il pomeriggio con Alessia.

«Sì anch'io. Mi sa che la nostra serata finisce qua, anche perché domani ho il turno di mattina e volevo essere in ufficio un po' prima, sincero. Tu che turno hai?»

«Da pomeriggio fino a sera. Ci vediamo domani allora.» dice infine Valerio, detto questo ci separiamo e ognuno torna alla propria auto, l'ultima cosa che vedo è che Valerio sembra davvero molto tranquillo.

Durante il tragitto verso casa rifletto ancora sulla confessione del ragazzo sui suoi gusti sessuali e di come nel giro di pochi mesi non solo lui si è ritrovato a dire cose personali ma anch'io: gli ho detto dei miei problemi con Alessia a letto e delle problematiche della mia famiglia.

“In pochi mesi abbiamo fatto da zero a cento chilometri! Non credevo davvero che esistessero ancora persone del genere.” mi ritrovo a pensare mentre lascio che la musica della radio suoni senza soffermarmi sulla canzone in riproduzione.

“Mi sembra tutto così strano; Valerio probabilmente è il primo ragazzo gay che mi capita davvero di conoscere, i due Matteo non li conto neanche. Mi sembra di conoscerlo da un sacco di tempo.” continuo a riflettere.

Svolto l'angolo della strada e per la testa mi passano decine e decine di domande e curiosità che vorrei chiedere al ragazzo, fargli domande più personali, sulle sue relazioni e su molto altro. Grazie a Lily so più o meno come funzionano le cose tra due ragazze ma in qualche modo sentirle da qualcuno che ci è veramente dentro è più interessante.

Quando arrivo sotto casa però i miei pensieri mutano e diventano più inquieti. “Ma alla fin fine cosa me ne faccio di sapere come scopano due ragazzi? Non ci vuole molto, uno dei due lo prende in culo mentre l'altro lo da. Non può essere tanto diverso da un rapporto tra un ragazzo e una ragazza.” penso ancora.

Decido di mettere un punto ai pensieri quando finalmente mi ritrovo disteso sul letto e osservo il tetto della mia camera mentre il ventilatore mi rinfresca appena con l'aria della calda notte d'estate: anche se mi ritrovo con solo gli slip indossati sono completamente sudato.

La mia mente trova quiete e cade nei sogni dopo pochi minuti ma non prima di aver controllato l'orario. Quando del cellulare suona mi sembra che sia passato troppo poco tempo ed ho l'impeto di spegnerla e tornare a dormire se non fosse che sono già le otto e ho bisogno di farmi una bella doccia fredda anche per “raffreddare” tra le gambe!

Una volta preparatomi vado in ufficio ma senza riuscire a rispettare il mio desiderio di andarci prima dell'inizio del mio turno effettivo; la giornata passa piuttosto lentamente finché poi alle tre del pomeriggio non viene Valerio e le successive tre ore passano troppo velocemente.

Ridiamo e scherziamo come sempre e tra una cosa e l'altra capita di fare una battuta su qualcuno dei ragazzi che ci sono all'interno dell'ufficio. Valerio mi risponde senza problemi, a bassa voce ovviamente e io mi accerto che non ci sia nessuno ad ascoltare prima di fare un domanda.

Quando il mio turno giunge a termine quasi quasi mi dispiace lasciare Valerio là da solo. Tuttavia ne approfitto per andare alla tavola calda di Lily e parlare un po' con lei. Saluto quindi il mio nuovo amico e una volta uscito dal parcheggio mi muovo verso la periferia.

A “L'Angolo del panino” non c'è ancora molta confusione essendo appena le sette e io mi ritrovo a non avere particolarmente fame. Lily è in turno ovviamente e mi fa accomodare su un tavolo senza troppi giri di parole.

Prende la mia ordinazione e dopo averla poggiata sulla finestra che da sulla cucina, la ragazza torna da me soffermandosi qualche minuto per parlare.

«Allora? Com'è andata a lavoro?» chiede lei molto gentilmente. Annuisco senza proferire parola visto che la mia mente gravita su un altro punto.

«Sì, tutto ok. Giornata del cazzo ma è andata bene. Sapevi che la nuova squadra di calcio è entrata nella semifinale? Era una delle notizie più interessanti di oggi!» dico rispondendo alla ragazza, lei fa un mezzo sorriso dopo di ché decido di attuare il mio piano.

«Stavo pensando, ti ricordi di quando mi hai detto che ti piacevano le ragazze?» chiedo restando serio in volto, Lily fa un'espressione stranita e un mezzo sorriso e mi fissa con i suoi occhi scuri.

«Io ti avrei detto cosa? Ti ricordo che mi hai trovato nel bagno delle femmine mentre mi stavo baciando con una! Non credo si possa dire che “io te l'abbia detto”.» dice lei, ridacchio perché mi ero dimenticato di quel ricordo.

Annuisco battendo il pugno sul tavolo. «Cazzo sì! Ero riuscito a convincere Stefania Taralli della 3°B a farsi scopare nel bagno. Tra tutte le mattine dovevi proprio scegliere quella per sbaciucchiarti con una?» le dico a mo' di rimprovero, Lily sbuffa a ridere incredula e mi sguardo con gli occhi spalancati.

«Serio? Tu volevi scoparti una nel nostro bagno! Eri tu l'intruso della situazione, guarda. E poi te la sei portata comunque nel bagno del piano di sopra e te la sei fatta lo stesso, quindi non lamentarti.» dice in risposta, vorrei contraddirla ma mi ritrovo ad alzare le mani e ad accettare la sconfitta perché ha ragione.

«Un giorno fortunato.» commento, aspetto qualche istante per poi continuare a parlare. «Però grazie a Stefania Taralli siamo diventati più amici. Il nostro rapporto è diventato più solido, se non ti avessi scoperta probabilmente non me lo avresti mai detto e chissà...»

«Probabilmente in un altro universo le cose sono andate diversamente e non siamo amici!» dice sarcasticamente, le sue parole però mi colpiscono perché si tratta proprio della Teoria delle Stringhe di cui mi parlava Valerio diversi giorni fa: esistono infiniti universi, tutti diversi dal nostro.

«Chi può mai saperlo. Sinceramente non ci tengo a scoprirlo.» dico, faccio un'altra pausa e riprendo. «Pensi mai a questa ipotesi? Hai avuto modo di condividere con me questa parte importante della tua vita, come facevi a sapere che ti potevi fidare di me? Prima di allora non avevamo un rapporto così tanto stretto...»

«Non saprei dirti.» mi risponde Lily facendo spallucce, capisce che sto cercando di approfondire l'argomento quindi si affretta a continuare. «Sei un bravo ragazzo, questo l'ho capito. Hai una facciata da duro, sei molto forte e credo che nulla finora ti abbia mai fatto piangere. Hai preso bene anche la situazione tra i tuoi genitori; sei un uomo con le palle! Credo che sapevo che avresti capito.»

«Capito cosa? Che il mondo è pieno di gay e lesbiche? Mi bastano i film porno per saperlo?» dico cercando di fare una battuta, la ragazza scuote il viso e alza gli occhi al cielo con un sorrisino stampato sulla faccia.

«Sei un'idiota quando fai così! Però penso tu abbia capito a cosa mi riferisco.» dice lei, effettivamente annuisco: lei ha capito che si poteva fidare di me, ha capito che sarei stato dalla sua parte. “Forse anche per Valerio è stato così?”

«Come mai tutte queste domande?» chiede infine Lily, avevo già dato per scontato che mi avrebbe chiesto qualcosa e quindi mi ero già preparato una scusa fin da stamattina.

«Stavo riflettendo. Uno degli articoli che ho letto parlavo proprio dell'outing di un ragazzo alla propria famiglia. Tu sei come una sorella per me e mi ha dato molto da pensare questa cosa.» dico molto tranquillamente, evito però lo sguardo di Lily che si gira di scatto verso il campanello che ha appena suonato.

«Torno subito.» dice alzandosi, prende il vassoio con le patatine fritte e la bibita che ho ordinato e me lo porta soffermandosi ancora qualche minuto. «È un discorso molto profondo. Ma sembra che ci sia altro che vuoi chiedermi?» intuisce lei.

«Non nel particolare. Voglio dire...» le parole si fermano mentre sto per dirlo. Non voglio dire di Valerio e della sua confessione neanche a Lily, per lei non ho segreti ma una parte di me non vuole che lo sappia.

“Voglio tenere Valerio solo per me. Come se fosse una cosa mia.” mi ritrovo a pensare, probabilmente Lily vede anche la mia incertezza sul viso e inclina il viso capendo che le sto chiaramente nascondendo qualcosa.

«Non è che stai pensando di andare con i ragazzi eh!? Poi chi si sopporterebbe Alessia!» scherza un po' la ragazza, ridacchio insieme a lei e scuoto il viso.

«Sarebbe uno spreco per il ben di Dio che ho tra le gambe!» mi vanto insieme a lei, la ragazza fa una mezza smorfia e le vengono i brividi alla schiena mentre ci pensa.

«Sei un porco!»

Rido ancora un po' con lei e poi sentiamo entrambi la porta della tavola calda che si apre e vediamo comparire due cliente. Lily mi getta subito un'occhiata e la lascio tornare al suo lavoro mentre mangiucchio le patatine fritte.

“Forse dovrei farmi meno domande. Lily ha creduto in parte alla mia versione dei fatti però non chiederà se capisce che non voglio parlarne troppo. Inoltre non mi tradirebbe mai parlandone con Alessia; lei si che sarebbe veramente stressante da gestire. Anche se in fondo credo che andrebbe d'accordo con Valerio.

Qualche minuto più tardi esco dalla tavola calda e me ne torno a casa per qualche oretta prima di passare a prendere Alessia, stasera giocata alla Villa insieme agli altri e staremo un po' di tempo tutti insieme.

Quando torno a casa sento l'ambiente quasi del tutto vuoto, mia madre che come sempre sta sulla sua poltrona davanti la televisione in cucina; Gabriella invece è a lavoro mentre mio padre sarà rinchiuso in qualche bar a ubriacarsi e a maledire il mondo e i suoi errori.

«Ciao ma'.» saluto la donna senza soffermarmi sulla porta e lei mi ricambia con un debole rantolo, vado in camera mia dove mi chiudo a chiave; mi avvicino alla piccola scrivania tirando fuori dal cassetto e le cuffiette che collego al cellulare e avvio la playlist con la musica a tutto volume.

Tolgo la camicia e il pantalone restando con la slip e mi butto sul letto qualche minuto, poi mi addormento e i minuti si trasformano in ore quando sento il cellulare cambiare motivetto e la vibrazione mi sveglia dal mio coma!

«Ehi amore...» rispondo con la voce roca appena leggo il nome di Alessia sullo schermo, approfitto per vedere anche che ore si sono fatte: sono le dieci di sera passate.

«Oi, sono pronta. Tu a che punto sei? Che hai?» chiede velocemente accorgendosi che ho la voce strana. Ritardo a rispondere e mi passo la mano sugli occhi e sul viso.

«Niente, mi ero mezzo appisolato. Il tempo di vestirmi e della strada e arrivo.» dico rispondendo velocemente, la sento mugugnare qualcosa e poi chiudiamo il telefono visto che tra pochi minuti ci vedremo.

Quando sono sotto casa di Alessia vedo che la bionda ragazza esce dalla porta e che alla finestra c'è l'ombra del padre che la tiene d'occhio; ho il finestrino abbassato e il braccio che sporge fuori con una sigaretta tra le dita dal quale fuoriesce un leggero fumo.

Alzo appena la mano inclinando il polso e facendo un saluto all'uomo che appena vede il mio gesto scompare dalla finestra. Mi sfugge un sorriso, almeno però gli è passata un po' l'incazzatura dall'ultima volta.

«Ehi!» dice Alessia appena sale in macchina, si tiene la borsetta stretta e si avvicina a me per salutarmi, ricambio il bacio sulle labbra e poi metto in moto. «Hai già cenato?» chiede lei, ormai però conosco il tono circospetto di Alessia e quando lo usa non è mai un bene.

«Sì, ho mangiucchiato qualcosa. Nulla di speciale, non avevo molto fame.» dico senza troppi dettagli, non è una cosa al quale do molto peso l'essere andato da Lily e neanche lei gliene darebbe.

«Che hai mangiato di bello?» chiede ancora mentre ci muoviamo lungo la strada che porta alla parte della periferia più esterna alla città. “Sempre più sospetta.”

«Sono stato da Lily, ho mangiato delle patatine fritte. Nulla di speciale, te l'ho detto.» dico insistendo, la ragazza sempre farsi bastare quella risposta a forza, mi viene il dubbio che abbia saputo che ero da Lily prima ancora che io glielo dicessi.

“Devo averne parlato con Lily, ovviamente.” giungo a conclusione, e questo mi conferma i passi che ho compiuto oggi: ho fatto bene a non parlare di Valerio.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo Ventisette ***


Valerio

Capitolo Ventisette

venerdì 2 agosto

 

 

Un dolce profumo riempie l'aria della strada nonostante il terribile e pesante puzzo del fumo dei gas di scarico delle altre auto, il suono di un tuono riempie la città e alzo lo sguardo verso il cielo e la distesa di nuvole grigie che lo riempiono. Un vento non troppo forte smuove alcune carte che qualcuno ha buttato per terra.

“Probabilmente pioverà, un bel temporale estivo. Ci vorrebbe proprio visto che nel pomeriggio sono in ufficio.” penso tra me e me, poi la vibrazione del cellulare mi fa distrarre dai miei pensieri.

Rispondo al messaggio da parte di Alice scrivendole che io sono già davanti al bar e che sto aspettando lei; pochi secondi dopo la ragazza risponde che mi vede e che mi raggiunge. Alzo quindi lo sguardo guardandomi in tutte le direzioni per cercare di localizzare la ragazza; la vedo distante dall'altro lato della strada, indossa un paio di shorts non troppo attillati e una canottiera con sopra il personaggio di un cartone animato, alle spalle ha uno zainetto piccolo e quando arriva davanti al negozio di scarpe non si sofferma minimamente, attraversa la strada e si trova davanti a me.

«Scusa il ritardo, ho avuto un piccolo imprevisto e non sono riuscita a fare prima. Come va?» chiede lei con tono amorevole, annuisco salutandola prima.

«Tutto bene, sono solo un po' stanco da ieri. Io e Rob abbiamo fatto nottata giocando col suo nuovo videogioco e non mi sono ancora ripreso. Fortuna che oggi lavoro nel pomeriggio almeno dopo pranzo posso riposare un po'.» le rispondo.

Cominciamo a camminare fianco a fianco, lei tiene le braccia al petto mentre io metto le mani all'interno della tasca del jeans. La gelateria si fa sempre più vicina a noi e non vedo l'ora di entrare così da fare colazione.

Alice però è chiaramente impaziente di sapere le novità che le sto portando. «Allora: mi vuoi dire che succede? Non ho dormito tutta la notte nell'attesa!»

Ridacchio appena e le dico di aspettare ancora pochi secondi, entriamo all'interno della gelateria e ci sediamo in uno dei tavolini più lontani dal bancone, ben presto il cameriere arriva da noi con un block notes per prendere la comanda e ci chiede cosa prendiamo.

«Cheescake alla fragola per entrambi.» ordina Alice prima che io possa parlare. «E per me una cioccolata calda. Tu cosa vuoi da bere?» chiede.

«Sono a posto così.» rispondo, il ragazzo a quel punto scompare dalla nostra vista e mi ritrovo nuovamente solo con Alice che mi fissa attentamente. «Non ti aspettare nulla di importante, non vorrei che ti facessi strane idee.»

«Vuoi parlare o devo cavarti io le parole di bocca?» mi ripete lei per l'ennesima volta, a quel punto decido di dirle le novità importanti che ci sono.

«Ho detto a Mirco che mi piacciono i ragazzi.» la butto lì come se fosse una cosa di poco conto anche se dentro di me sento lo stomaco ancora rivoltarsi per l'ansia che questa cosa mi ha generato.

Alice ha una reazione di blocco, il suo sguardo sembra spegnersi e continua a guardarmi come se aspettare ancora di sapere la notizia. «Mirco?»

«Sì, il Secondo Assistente. Ti ho detto che sono uscito qualche volta con lui dopo lavoro e...» la ragazza frena le mie spiegazioni scuotendo il viso e allungando le mani verso di me per interrompermi.

«So benissimo chi sia! Ti ricordo che ti ascolto quando parli ed è già capito altre volte che lo nominassi e sai che ho una memoria di ferro.» risponde lei in un primo momento, non capisco dove vuole andare a parare.

«Quindi?»

«Ecco... anche per quel poco che mi hai detto di lui, non sono sicuro che sia stata una scelta saggia. Voglio dire, è sempre una persona che hai conosciuto in ambiente lavorativo e lo conosci da pochissimo tempo.» risponde la ragazza cominciando un discorso, fa una breve pausa nel quale arriva la nostra ordinazione e il cameriere lascia tutto sul tavolino; Alice gli passa una banconota per pagare così da non doverlo fare dopo.

«Che vorresti dire? So che non lo conosco benissimo però abbiamo parlato tanto delle nostre cose e... ho la stessa sensazione che ho avuto quando mi sono seduto con Rob alle superiori.» le dico ancora.

La ragazza però scuote il viso e non sembra per niente concordare con me. «Non credo che l'esempio di Rob sia l'ideale. Tra l'altro hai aspettato otto anni per dirglielo. Sì, va bene che probabilmente tutti noi lo avevamo già capito, ma è diverso. Noi ci conosciamo da anni, tu conosci questo ragazzo da pochi mesi... come sai che non sfrutterà questa cosa contro di te?»

Stavolta sono io a scuotere il viso. «Be' non credo che possa essere un problema. So che ci sono altri assistenti gay. Inoltre il Signor Cattaneo mi conosce bene ed è un uomo dalla mente aperta. Non è di certo una cosa che può sfruttare contro di me, ti pare?»

Il cameriere torna per l'ultima volta al nostro tavolo e mi sento molto irritato da questa nuova interruzione, ci limitiamo a ringraziare; prendo la forchetta da dessert che si trova nel piattino dove riposa una grossa e spessa fetta di cheescake ricoperta di glassa rossastra che cola in maniera invitante, ne assaggio un pezzo per sentire subito il dolciastro sapore della glassatura con il contrasto del gusto semi-dolce del formaggio.

«Non so, non mi convince tanto questo tipo. Magari è perché non l'ho mai visto: dovresti provare a farlo uscire con noi, magari chissà accetta...» dice lei, ma l'idea mi sembra una follia, invitare Mirco a uscire a bere per me è stato già abbastanza ansioso, figuriamoci invitarlo per uscire col mio gruppo di amici.

«Ci penserò su. Mi mette in ansia parlare con lui o invitarlo e prenderci qualcosa insieme.» rispondo sinceramente, a quelle ultime parole la ragazza mi guarda stranita e so già la domanda che porrà.

«Perché?» mi limito però a fare spallucce e lei cambia espressione, sembra incuriosita. «Vorrei dirti, almeno credo, che forse la sensazione che hai avuto nei suoi confronti non ti ricorda Rob. Magari lo colleghi più a Michele...»

Alzo la testa di scatto sapendo che sta insinuando qualcosa che non vorrei. «Non mi piace Mirco!» dico ridacchiando e alzando gli occhi al cielo, evito il contatto visivo e questo in qualche modo le serve da prova.

«Io penso che un pochino di piace. Magari lo “sfrutti” per dimenticare Michele, magari un po' ti piace fisicamente e sembra avere molti interessi comuni ai tuoi. Scrive, ascolta buona musica e andate molto d'accordo.» Alice comincia a psicanalizzarmi parlando proprio come una dottoressa, peccato che abbia poi scelto di fare l'avvocato. «Non ci sarebbe nulla di male se ti piacesse, però devi tenere conto che è fidanzato e questa cosa... potrebbe giovare a tuo favore se fosse fidanzato con un ragazzo. Ma si tratta di una ragazza questo la dice lunga sui suoi gusti...»

«Mica me lo voglio sposare o voglio che sia il mio compagno di vita eh!» alzo le mani per fermare Alice prima che continui il discorso. «Stiamo correndo troppo...» ma ancora una volta Alice capisce che sto cercando di sviare l'argomento e la risposta.

«A te piace Mirco?» chiede lei direttamente.

Non saprei cosa rispondere, in effetti. Come dice lei, abbiamo molte cose in comune e molti interessi soprattutto. Anche caratterialmente penso che siamo molto simili; valutando il lato estetico poi non posso nascondere che lui sia un bel ragazzo: alto, biondo con gli occhi verdi e pieno di tatuaggi, una cosa che in qualche modo mi affascina a tal punto da desiderare anch'io un tatuaggio nonostante non abbia mai voluto effettivamente farlo.

«Mi interessa come persona. Per questo credo che per me potrebbe essere un buon amico e io... be' io sono un buon amico per tutti.» dico cercando di scherzare con lei.

Alice scuote il viso facendo una mezza smorfia e un sorriso. «Sei un buonissimo amico, il migliore che io abbia e che si possa desiderare. E Mirco o chiunque altro dovrebbe essere onorato di esserti vicino, quindi... se ti sei sentito di dirgli di te, allora va bene.» dice lei.

Ma il tono della sua voce lascia trasparire che la frase continua con “ma fai comunque attenzione”. Un avvertimento velato, mi piacerebbe molto poterle fare incontrare Mirco, magari un giorno capiterà davvero.

La ragazza finisce per prima la sua fetta di dolce mentre io mi ritrovo ad essere ancora a metà porzione; nel frattempo all'esterno sento un altro tuono rombare nell'aria, segue un leggero scroscio, sia io che Alice ci voltiamo verso la vetrata vedendo che una leggera pioggia comincia a cadere dal cielo, decidiamo di ignorarla.

«Dobbiamo comunque trovargli un nome. Non possiamo di certo parlarne in pubblico nominandolo a destra e a sinistra se facciamo certi discorsi eh...»

Alice alza gli occhi pensierosa e ci mette pochi istanti a decidere quale potrebbe essere il nome in codice perfetto. «Che ne pensi di “Tu-sai-chi”? Non è il massimo ma almeno non è un nome. Oppure lo chiamiamo Osvaldo. O perché no, Ambrogio. Ti piace?»

« Tu-sai-chi andrà più che bene! Non voglio un Osvaldo o un Ambrogio. E usare questi due nomi mi fa troppo ridere!» rispondo sinceramente, la ragazza fa una mezza risata e finalmente mi posso dedicare anch'io al terminare la mia porzione di torta mentre i miei pensieri continuando a vagare sugli avvertimenti della mia amica.

Ma io sono troppo testardo per poterle dare ascolto e una parte di me vuole essere ancora più vicino a Mirco di quanto non sia già, ho già un migliore amico... e forse Alice non ha tutti i torti quando dice che cerco qualcosa di più. Ma so anche che Mirco non è quel genere di ragazzo...

“Quindi nel caso in cui dovessi farmi strane idee mi ricorderò di stare coi piedi per terra e tutto andrà bene.” penso tra me e me, infine io e Alice restiamo ancora un po' nella gelateria, poi decidiamo di separarci visto che lei deve andare allo studio dell'avvocato dove fa il tirocinio, io invece posso tornare a casa e godermi un po' la mia stanza e il mio salotto in totale tranquillità scribacchiando qualche idea sul mio taccuino degli appunti.

Dopo pranzo riesco a riposare e ho anche il tempo di farmi una bella doccia fredda prima di andare poi a lavoro dove il pomeriggio trascorre velocemente nell'attesa che Mirco mi raggiunga poi per completare il suo turno di lavoro. Quando il ragazzo arriva in ufficio gli faccio un saluto con la mano mentre lui mi fa cenno col viso.

«Ehi. Come va?» chiede lui amichevolmente avvicinandosi alla scrivania, alza il cinque in aria aspettando che io ricambi il saluto e dopo mi fa cenno di dargli il pugno.

«Tutto bene, oggi è arrivato un po' di lavoro e il telefono non smetteva di suonare. Almeno mi sono passato un po' il tempo. Invece te come va?» chiedo, sembra piuttosto sfuggente come se non volesse scendere nei dettagli ed evita il contatto visivo con me.

«Sì, tutto bene anch'io.» si limita al dire freddamente, annuisco capendo che non è in vena di parlare e quindi gli faccio un cenno ritornando poi al lavoro.

La situazione resta silenziosa per svariati minuti, alzando nuovamente lo sguardo mi ritrovo i suoi occhi addosso, come se stesse cercando di dirmi qualcosa.

«Sembri pensieroso. È successo qualcosa?» chiedo preoccupato alzandomi dalla mia postazione e avvicinandomi alla sua.

Mi fermo aspettando una sua risposta appoggiandomi alla parete accanto, Mirco non sembra del tutto convinto ma cerco di spronarlo a parlare. «Se non vuoi parlarne non è un problema, solo che sembri così serio che mi fa strano vederti così...» il ragazzo mi rivolge un'occhiata e fa un breve sospiro decidendo finalmente di parlare.

«Si tratta di mio padre. Non è successo di nulla di grave, almeno spero. Non è tornato a casa stanotte e non abbiamo sue notizie da ieri pomeriggio...» lascia la frase in sospeso, nonostante Mirco lasci intendere di odiare il padre, sembra chiaro che stia in pensiero adesso.

«È capitato altre volte o è la prima volta?» mi viene spontaneo chiedere, il ragazzo scuote il viso e con gli occhi sembra perdersi nel vuoto.

«Non è la prima volta. Sono relativamente tranquillo, ma comunque è anomalo stare in pensiero per un bastardo del genere! Stupido figlio di puttana...» dice Mirco sussurrando gli insulti con un tono amareggiato, sul suo viso compare un mezzo sorriso, guarda lo schermo pochi istanti e poi torna a guardare me interrompendo il suo lavoro.

«Sai è da un paio di giorni che stavo pensando alla confessione che mi hai fatto. Riguardo te...» lascia nuovamente la frase in sospeso come se si aspettasse che io la completi. «Non credo che sia una cosa da dire alla leggera, se me l'hai detto vuol dire che hai stima in me...»

Annuisco per conferma. «Credo che tu sia una grande persona e che tu sia maturo abbastanza. Soprattutto, hai una mente aperta e non è una cosa comune; credo di aver trovato un buon amico in te.» gli dico.

Mirco fa un largo sorriso mostrando vera felicità. «Sono lieto che tu abbia trovato la tua serenità di parole con me, stessa cosa vale anche per me.» risponde a sua volta e sono io adesso a sorridere come un cretino alle sue parole.

“Certo che è davvero bello quando sorride. Sembra davvero sincero e spensierato, un'altra persona rispetto a pochi istanti prima.” penso tra me e me.

Con la mente cerco di distrarre i miei pensieri come se potesse in qualche modo leggerli sul mio viso e torno a parlare d'altro. «Comunque devo averti colpito se addirittura sono finito nei tuoi pensieri.» dico cercando di scherzare un po' con lui, lui ridacchia soddisfatto e annuisce mordicchiandosi poi le labbra.

Devo ammettere che è un gesto nuovo per lui, non credo di averglielo mai visto fare ma probabilmente potrebbe essermi sfuggito. «Oh sì sei spesso nei miei pensieri.» scherza a sua volta con un pizzico di malizia nella voce. Ritorna serio per qualche istante. «Posso farti una domanda?» chiede molto serenamente.

«Certo, a meno che non sia di natura sessuale. Non sono ancora pronto a rispondere sui dettagli della cosa!» dico mettendo le mani avanti, lui scuote il viso e io sono sollevato che non volesse fare quel genere di domande.

«Hai mai pensato di diventare donna? O di farti l'intervento insomma... hai capito!» chiede senza troppi problemi utilizzando un tono di voce contenuto, sembra una curiosità personale ma trovo che sia una domanda semplice.

«Non è nella lista dei miei programmi. Sono felice di essere un ragazzo e mi trovo bene nel mio corpo maschile. Certo, se fossi nato donna probabilmente avrei avuto molti meno problemi, ma immagino che il mio destino sia questo.» dico in conclusione e lui sembra soddisfatto della mia risposta gettando una rapida occhiata al computer.

«Molti ragazzi o ragazze cambiano sesso perché non riescono ad esprimere se stessi in quello che hanno. Tu invece sembri molto tranquillo.» dice lui e ancora una volta torna a guardare me.

«Penso che se qualcuno non si trovi bene col suo corpo o con la sua sessualità abbia il diritto e la libertà di poter cambiare. Io mi sono sempre trovato bene con me stesso e con quello che sono; certamente ne ho passate tante a scuola o in generale con i ragazzi.... ma credo che ognuno abbia le proprie storie da raccontare quindi non penso di essere tanto diverso da chi ha altri problemi.»

Mirco ancora una volta annuisce soddisfatto della mia risposta, sento il suo cellulare suonare e lui gli lancia un'occhiata ma non sembra volersi curare di chi sia stato a mandargli un messaggio.

«Mi sembra un bel pensiero. Ad essere sincero a me sembra strano; ma io non posso capire perché parlo per ignoranza, lo ammetto.» dice scherzosamente.

«Che intendi?» chiedo a mia volta.

«Io sono un ragazzo come tanti, per me è difficile immaginare di non sentirmi bene col mio corpo. Se fossi nella stessa situazione non saprei proprio come gestirla: cambiare sesso implica un sacco di casini...» dice lui in risposta cercando di esprimersi come meglio crede, ma penso di aver capito quello di cui parla.

«Cambiare nome, dire ai tuoi conoscenti che non sarai più un uomo ma una donna. E poi l'intervento rappresenta l'inizio di un percorso molto difficile e insidioso. Immagino tu volessi dire questo?» chiedo per conferma e lui annuisce restando però serio.

Improvvisamente sembra ricordarsi di qualcosa di divertente, mette su un sorrisetto e socchiude gli occhi come per guardarmi male. «Perché pensavi che volessi farti domande di natura sessuale?»

La mia testa per non reagisce subito al fatto che stia scherzando e in un breve momento mi eclisso. «Scusa, non stavo insinuando nulla. Solo che...» non saprei cos'altro rispondere o aggiungere e in questo preciso momento mi sento in difficoltà come mai prima d'ora con lui.

Mirco si alza dalla sedia ridacchiando e si avvicina a me con le braccia larghe, stringendomi poi in un affettuoso abbraccio. «Su dai, stavo scherzando. Non prendertela a male. Non sono una merdaccia come lo sei tu!» dice lui continuando a scherzare, mi lascio abbracciare ancora confuso dal suo scherzetto.

«Sei uno stronzo invece!» gli rispondo balbettando qualcosa. Sentiamo dei passi avvicinarsi e pochi istanti dopo compaiono Davide e Paolo proprio accanto alle nostre scrivanie trovandoci in quell'abbraccio affettuoso.

«Che sta succedendo qui?» chiede Davide piuttosto confuso mentre sciogliamo quel semplice gesto di affetto.

Prima che possa farlo io è Mirco a rispondere. «Avete interrotto un tentativo di stupro ragazzi, non ve lo posso perdonare!» scherza Mirco dandomi una pacca sul fondoschiena, la cosa mi mette incredibilmente a disagio e mi sento davvero in imbarazzo come se mi trovassi nudo davanti a centinaia di persone.

I due assistenti appena arrivati però capiscono lo scherzo di Mirco come se ci fossero abituati. «Stavamo andando a cena. Vi unite a noi o volete che vi lasciamo continuare?» chiede Paolo, gli facciamo cenno che li seguiamo ma prima dobbiamo completare un lavoro al pc.

«Quei due non li reggo proprio. Davide in particolare. È ancora arrabbiato perché gli ho soffiato il posto al progetto e il mese prossimo parto mentre lui resta qua.» dice Mirco confidandomi il suo astio nei confronti dell'altro assistente, annuisco capendo esattamente quello che intende.

«Sì, Davide è arrabbiato ma gli passerà. Ormai credevo che si fosse abituato al fatto che il Signor Cattaneo preferisce qualcuno dei suoi assistenti anziché lui.»

Ma Mirco scuote il viso. «Quello non se ne farà mai una ragione. Lascialo pure crogiolare nel suo odio. Finisco questa cosa comunque e poi andiamo a cena. Mi puoi aspettare qualche minuto?» chiede il ragazzo rimettendosi a lavorare e velocemente digita una serie di lettere.

«Sono qui.» gli dico in risposta limitandomi ad aspettare che finisca il suo lavoro. Il ragazzo mette in stand by il computer e si alza avvicinandosi a me e passandomi un braccio attorno alla spalla spingendomi lungo i corridoi.

«Andiamo! Ho una fame da lupi.» dice infine.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo Ventotto ***


 

Mirco

Capitolo Ventotto

martedì 13 agosto

 

 

«Dai, Mirco! Fai un bel sorriso altrimenti come faccio a postare la foto? Penseranno che sei incazzato!» mi rimprovera Alessia, torno a guardare l'obiettivo del suo cellulare e mi sforzo di fare un sorriso, con un braccio la tengo stretta a me ma è più un gesto freddo e immaginario.

Nonostante sia il mio giorno libero mi sembra di avere tutto contro di me e sento la luna storta. Alessia però ha tanto insistito per farle fare un giro al centro commerciale che sono sicuro che se le avessi detto qualcosa in contrario avremmo finito per litigare di brutto.

“Non voglio assolutamente litigare oggi, ma sono molto stanco a volevo stare in Villa magari a prendermi un po' il sole ascoltando il silenzio che c'è nella periferia.” penso tra me e me nel momento in cui la ragazza scatta nuovamente la foto, spero che stavolta si veda il mio sorriso.

Alessia gira il cellulare così da poter vedere la foto scattata; ho il viso schiacciato contro i suoi capelli ma almeno vedo che c'è l'impegno di un sorriso. La ragazza sta valutando se pubblicare o meno quella foto quindi significa che in parte sono riuscito a fare un sorriso decente.

“Che pubblichi la foto senza rompere il cazzo! È la milionesima volta che scattiamo una stupida foto!” penso dentro di me, poi mi ricordo che non è colpa di Alessia se ho la luna storta e non posso prendermela con qualcuno.

«Secondo me se applichi questo filtro qui potrebbe andare bene.» dice Eva comparendo da dietro le spalle di Alessia e osservando bene la foto, prende il cellulare della migliore amica e comincia a giocherellarci un po'.

Ammetto di essere stato sul punto di sbroccare quando Alessia mi ha detto che sarebbe venuta anche Eva. Ho stretto i pugni e ho incassato la cosa come un uomo: le ho comunque detto che non mi sentivo molto bene di stomaco quindi per questo motivo non ero al massimo delle forze.

La risposta di Alessia è stata molto indicativa: «Se vuoi possiamo anche andarci un altro giorno. È un peccato però visto che sei di riposo e dobbiamo occuparci noi della spesa per la scampagnata di Ferragosto.»

Si è preoccupata più per i suoi impegni e per la spesa di dopodomani piuttosto che della mia salute o di come mi sentissi. Ma ormai dovrei esserci abituato, Alessia non si smentisce mai quando si tratta di queste cose.

«Avevi ragione tu, Eva. Guarda abbiamo preso già cinquanta “Like” in soli due minuti!» dice la ragazza bionda completamente entusiasta mentre camminiamo al suo passo lungo i larghi corridoi del centro commerciale.

Dall'altro lato del corridoio vedo una situazione analoga: una ragazza sta giocherellando col proprio cellulare mentre il suo fidanzato cerca di darle retta. Ci scambiamo un'occhiata da lontano e in qualche modo capisco che siamo nella stessa barca. Mi viene un mezzo sorriso.

“Probabilmente il mio problema sono proprio le donne. Quanto vorrei che Alessia fosse meno materiale e più profonda!” mi dico, ma subito allontano questo pensiero perché la ragazza mi ha ripreso a braccetto e stiamo nuovamente camminando.

Le getto un'occhiata: Alessia si è vestita molto elegante devo dire, una minigonna con un paio di stivaletti che mostrano le sue belle gambe lunghe, poi una canottiera sportiva che evidenzia le sue forme e lascia vedere il tatuaggio che la ragazza ha vicino la spalla, raffigura un mazzo di fiori.

«Oggi sei strano. Sicuro di stare bene? Se vuoi possiamo andare via...» dice lei con un sussurro e cercando di mostrarsi preoccupata, ma Alessia non sa fingere quando si tratta delle cose che le interessano. Stringo i denti e penso in fretta ad una risposta da darle.

«Ormai che siamo qui... cerco di trattenermi quanto posso.» mi limito a rispondere con naturalezza, la ragazza annuisce e si volta verso Eva parlando insieme a lei della nuova collezione uscita in un negozio di vestiti.

Sempre più velocemente ci spostiamo verso la sezione alimentari del centro commerciale e qui tiriamo fuori la lista di cose di cui dobbiamo occuparci noi. Ci dividiamo quindi i compiti: Alessia ed Eva si occupano delle spezie e delle bevande mentre io mi occupo della carne e del necessario per poter accendere un bel barbecue.

Attorno a me c'è gente in preda alla follia degli acquisti delle ultime ore, molti solitamente festeggiano la notte precedente al giorno di Ferragosto mentre altri, come noi, decidono di occuparsi della scampagnata nel giorno più caldo dell'estate.

Nuovamente ritrovo la stessa coppia di prima col ragazzo che ancora sta cercando di sfuggire alle grinfie della propria fidanzata e delle foto che lei sta facendo ai banconi. Ci passo accanto visto che poco più avanti si trova il grande banco della carne e sento alcuni sprazzi di conversazione.

«Mi stai facendo sentire ridicolo, la vuoi piantare di fare foto a qualunque cosa?» dice lui stringendo i denti, la ragazza sembra notevolmente infastidita e mette su un'espressione che mi ricorda tanto Alessia quanto la contraddico e subito segue la lite.

«Faccio quello che voglio! Se voglio scattare una foto la faccio senza problemi, ok? Non sei tu a dirmi quello che posso e non possa fare!» gli risponde lei, il tono di voce della ragazza è piuttosto acuto e questo richiama le attenzioni di alcuni presenti che però evitano la coppia.

Mi ritrovo a fissare quei due e il loro battibecco con assenza, come se stessi in qualche modo vedendo immagini che ho già vissuto con Alessia, ho perso il conto di quante volte negli ultimi mesi mi sono ritrovato nella stessa posizione del ragazzo che alla fine le chiede scusa.

La ragazza si allontana di alcuni metri, ha un'espressione offesa e il ragazzo resta qualche istante fermo a guardare il vuoto. Non so per quale motivo ma non riesco a smettere di fissarlo, come se lo show non fosse ancora finito.

Il ragazzo in questione si accorge delle mie occhiate, stavolta lo sguardo che mi lancia non è divertito o di finta disperazione, bensì di complicità.

Sembra accadere tutto molto lentamente ma in realtà si tratta di pochi secondi: vedo gli occhi del ragazzo indicarmi qualcosa, non riesco a capire cosa quindi mi fa un brevissimo cenno con la testa ad indicare un punto non molto distante.

Giro il viso per ritrovare svariati banconi e moltissime persone, ma una sensazione nella mia testa mi dice che vuole che io lo segua in quella direzione, poco più avanti mi rendo conto che ci sono i bagni del centro commerciale.

Giro nuovamente di scatto la testa per rendermi conto che il ragazzo è sparito, in mezzo alla folla non riesco più a trovarlo ma di certo non è con la ragazza visto che lei sta parlando al cellulare adesso e sembra non essersi accorta di nulla di quello che è appena successo.

“Quel ragazzo... cosa vuole da me?” mi ritrovo a pensare; una parte di me in preda alla curiosità vuole seguire il misterioso ragazzo fino ai bagni.

Sto quasi per muovermi in quella direzione mentre con la mente continuo a vagare. “Non può avermi invitato al bagno... è fidanzato con una ragazza. Sicuramente ci sarà un altro motivo per avermi fatto cenno.”

Ma per quante spiegazioni io possa inventare in pochi secondi, nulla mi toglie dalla mente gli scambi di sguardi. “Che diavolo sto dicendo? Non dovrei neanche prendere in considerazione l'idea di seguire un ragazzo in un bagno! Figuriamoci pensare a strane idee...”

Riesco ad isolare questo pensiero e scuoto il viso per togliere tutti gli altri spingendoli fuori dalla mia testa; mi concentro unicamente sulla carne da comprare e su quello che ho scritto nella lista fatta da Alessia e armato di tutto il necessario me ne scappo via col pensiero che probabilmente è stato tutto frutto della mia immaginazione.

“Immaginazione che non si è mai spinta tanto!”

Il tormento dei miei pensieri finisce poco più tardi quando mi ritrovo con Alessia ed Eva e anche loro hanno fatto gli acquisti necessari, ormai pomeriggio inoltrato sento un languore allo stomaco che mi sta bruciando per la fame. «Credo che dovremmo fermarci a pranzo, ragazze. O il mio stomaco veramente non mi lascerà tregua.» dico alle due bionde quando ci incamminiamo verso l'area ristoro, devo cercando di essere abbastanza credibile ma i crampi per la fame sono più che reali!

«Sì, è una buona idea» concorda Alessia.

Durante il pranzo l'argomento principale resta il Ferragosto mentre tengo le due ragazze all'oscuro di quanto è successo prima; una cosa senza valore e che mi sarò immaginato ma che non riesco proprio a dimenticare per quanto assurdo sia stato.

Prendo il cellulare in mano scorrendo velocemente per i social senza particolare interesse mentre le due ragazze cominciano a spettegolare di alcune loro amiche che non vedevano da un sacco di tempo. Mentre scorro col dito le ultime foto postate trovo ovviamente quella di Alessia, la mia espressione fa davvero pena!

Scorro ancora più in basso e qualcosa coglie la mia attenzione, riconosco subito il profilo di Valerio sui social e vedo che ha pubblicato un aggiornamento di stato nel quale indica la sua posizione attuale e segna proprio il centro commerciale nel quale mi trovo ora.

Alzo la testa di scatto come se potessi vederlo, mi farebbe molto piacere in effetti visto com'è iniziata la giornata e sono sicuro che parlare anche cinque minuti con lui mi farebbe stare bene visto che capisce sempre come mi sento.

C'è solo un modo per scoprire se è ancora qua.

°Mirco:

E così ti stai facendo un giro eh?

E non mi inviti mai?

°Valerio:

Ehi ciao, sì sono ancora in giro

Ci sei anche tu?

°Mirco:

Sì, sono con la mia tipa.

Però se ti va possiamo prenderci un caffè io e te

°Valerio:

Va bene, cinque minuti liberi ce li ho.

Ci vediamo davanti la Caffetteria?

°Mirco:

Accollata!

Senza aspettare ulteriormente metto via il telefono e mi alzo in piedi, questo naturalmente coglie l'attenzione delle due ragazze che mi guardano incuriosite. «Ma dove stai andando?» chiede Alessia, probabilmente ho l'aria di chi se la sta dando a gambe.

«Arrivo, sto andando alla Caffetteria per incontrare un amico. Non manco molto, vi lascio alle vostre cose da femmine nel frattempo!» dico scherzando, Eva capisce la battuta e fa una risatina mentre Alessia non sembra per niente convinta di quello che le ho detto.

Tuttavia non proferisce parole e resta in silenzio annuendo a basta. Cammino a passo spedito verso la Caffetteria che si trova a pochi metri di distanza, supero negozi con una strana felicità dentro al solo pensiero di incontrare Valerio fin questo momento.

Tralasciando le volte in cui siamo usciti dopo il lavoro, non credo ci siamo mai incontrati fuori, tranne all'ospedale.

Svolto l'angolo del corridoio arrivando alla luogo dell'incontro girandomi verso destra e sinistra per ritrovare Valerio. Improvvisamente mi accorgo di lui ma solo perché è l'unico che mi sta salutando e mi chiama per nome.

Il ragazzo come sempre ha un look curato a partire dai capelli che sono in ordine, indossa una camicia elegante a mezza manica e un paio di jeans molto diversi dal tipico pantalone al quale sono abituato a vedere.

«Ehilà fratello, come va?» gli chiedo amichevolmente alzando il braccio in segno di saluto, ci diamo il cinque e poi battiamo i pugni. Valerio sembra piuttosto scosso.

«Devo dire che stai bene vestito come una persona normale! Sono sempre abituato a vederti con camicia e pantalone che quasi non credevo tu avessi altri capi all'interno dell'armadio!» dice lui sarcasticamente.

Gli faccio una smorfia ma devo ammettere che ha ragione: da quando ho iniziato a lavorare a fine maggio mi ha sempre visto con abiti eleganti da ufficio e non essendo mai usciti insieme è raro che mi abbia visto senza.

Allargo la braccia come per lasciarmi ammirare mentre lui sta al mio gioco e con gli occhi scende dall'alto verso il basso: porto una t-shirt di un gruppo rock, un pantalone che arriva fino a metà polpaccio e scarpe da ginnastica, tutto sui toni del nero e del rosso, colore richiamato dal cappello con visiera che porto sui capelli.

«Che ne pensi?»

«Devo dire che stai molto bene. Ci avviciniamo al banco?» chiede Valerio senza sprecarsi in troppi complimenti, non mi aspetto che me ne faccia ma devo dire che mi fa piacere essere giudicato “molto bene” da un ragazzo gay.

“Loro sono tipo i guru della moda o qualcosa del genere anche se Valerio è totalmente diverso rispetto a qualunque altro ragazzo gay che io abbia mai incontrato o conosciuto. Sembra quasi essere normale...” penso tra me e me.

Nel frattempo il ragazzo si è già allontanato di qualche metro avvicinandosi al bancone, gli sono subito dietro e ne approfitto per rispondere al suo complimento. «Signor Valerio, anche lei devo dire che sta abbastanza bene senza le solite camice bianche pantalone nero o, quando osa di più, grigio scuro!» dico con sarcasmo e il ragazzo scoppia a ridere. Anch'io mi avvicino al banco e faccio cenno al banconista di raggiungerci.

«Tu cosa prendi?» chiedo prima che possa ordinare.

«Credo che opterò per un caffè al ginseng. Mi sembra di essere quasi pronto per addormentarmi e stasera a lavoro mi aspetta una serata lunga e solitaria.» risponde lui alludendo al fatto che io sia di riposo, gli faccio un mezzo sorriso.

Il banconista si avvicina finalmente a noi e gentilmente ci chiede cosa prendiamo. Rispondo io per entrambi prima che Valerio possa parlare per sé. «Un ginseng per lui e un orzo macchiato per me invece.»

Sento lo sguardo di Valerio addosso e un certo sarcasmo nei suoi occhi. «Non comportarti come se fossi il maschio della situazione, so ordinare anch'io un caffé.» mi dice, ma riesco a leggere quasi quasi che gli fa piacere che io abbia ordinato anche per lui.

«Non ti ho mica dato della femminuccia!» dico in risposta e segue un'altra risata. «Che stavi facendo qui?» chiedo prima che i caffè siano pronti.

Il cameriere ci serve immediatamente dei bicchieri d'acqua fresca. «Ero in giro con i miei genitori. Mia madre ha il turno notturno mentre mio padre è in ferie visto che la scuola è chiusa ad agosto.» risponde, non credo mi abbia mai detto che suo padre fosse un professore, o almeno do per scontato che si tratti di quello.

«Io invece ero con Alessia e una nostra amica. Abbiamo fatto un po' di spesa prima di Ferragosto. Fortuna che l'ufficio è chiuso in quei giorni. Ho proprio bisogno di una bella pausa dal lavoro!» rispondo a mia volta.

A quel punto i caffè sono pronti e il cameriere ci avvicina due sotto-tazzine che però mette capovolti, sopra di essi poggia le due tazzine invertendo i caffè: a me viene dato il ginseng mentre a Valerio il mio orzo macchiato.

Ci troviamo entrambi immobili per circa due minuti lunghissimi mentre osserviamo i due caffè. «C'è qualcosa che non va, non credi?» chiedo pensando che sia solo una cosa che disturba me. Ma Valerio sembra capirmi al volo.

Toglie i due caffè poggiando le tazzine momentaneamente sul bancone e gira a faccia in su i sotto-tazzine, subito dopo ci poggia nuovamente i caffé. «Sì, ora però sento che il mio disturbo ossessivo compulsivo è stato perfettamente appagato!» risponde il ragazzo.

Scoppiamo entrambi a ridere e prendo per primo la mia tazzina sorseggiando il caffé bollente. «Dava troppo fastidio anche a me.» rispondo a mia volta.

Valerio annuisce facendo un mezzo sorriso ma senza risponde altro, anche lui beve il suo caffé ma lentamente visto che sembra essere molto più caldo del mio. Finisco per primo e mi rivolgo al cameriere. «Posso avere un bicchiere d'acqua frizzante?» dico passandogli l'altro.

«La tua fidanzata non si preoccuperà se ti allontani senza di lei?» dice Valerio improvvisamente, per la testa mi passa quello strano scambio di sguardi col ragazzo di prima che aveva litigato con la tipa. In qualche modo la cosa mi mette a disagio davanti a Valerio.

Come se potesse captare qualcosa, chissà cosa potrebbe pensare di me se lo sapesse. «Darà di matto se non torno tra poco. Alessia è molto gelosa e certe volte questa cosa mi pesa parecchio! Solitamente litighiamo e poi ritorniamo a fare la pace.» rispondo.

«Fare la pace?» chiede Valerio alludendo a qualcosa di sessuale, ridacchio insieme a lui mentre mi avvicino alla cassa e pago per entrambi, nuovamente prima che Valerio possa tirare fuori il portafogli.

«Sei una palla! Volevo offrire io stavolta!» dice lui mentre ci allontaniamo entrambi dal bancone, gli faccio una smorfia e insieme ci incamminiamo nella strada che porta nuovamente all'area ristoro.

«Sarà per la prossima.» taglio corto e poi rifletto su cosa poter rispondere alla sua domanda. «Sai bene che sotto l'aspetto sessuale le cose con Alessia non vanno bene. Ho le palle talmente gonfie che potrebbero esplodermi!» dico sinceramente e il ragazzo sembra a disagio. «Mica è un problema? Voglio dire, non credo di metterti in imbarazzo, dovrei essere io quello imbarazzato nel dire che si svuota facendosi ancora di seghe!»

La mia sincerità fa scoppiare Valerio in lacrime per le risate senza riuscire a respirare quasi, mi lascio prendere in giro volentieri, in qualche modo mi fa dimenticare gli strani momenti prima di incontrarlo qui.

Siamo sempre più vicini ai tavolini dell'area ristoro e vedo Alessia ed Eva che stanno ancora parlando tra di loro, la prima però si accorge del fatto che mi sto avvicinando insieme ad un ragazzo e mette subito un'espressione stranita nel vedermi tornare in compagnia.

«Ale, lui è Valerio. Il ragazzo di cui ti ho parlato, lavoriamo insieme.» dico presentando alla mia fidanzata il ragazzo che ho accanto; quello torna composto e serio allungando la mano mentre la ragazza risponde a sua volta.

«Molto piacere, mi chiamo Alessia. Lei è una nostra amica, Eva.» si presentano entrambe ma Valerio stringe la mano solo della prima visto che la seconda bionda riceve una chiamata e si alza dal tavolo.

«Piacere anche per me.» dice il ragazzo, cerco di incrociare il suo sguardo come per capire a cosa sta pensando visto che ha assunto un'espressione diversa.

Quando Valerio risponde alla mia occhiata però non riesco a capire cosa pensa e la cosa mi mette una strana preoccupazione. «Possiamo tornare a casa, se vuoi.» dice Alessia rivolgendosi a me. «Se non stai troppo bene meglio non restare in giro a lungo.» dice continuando.

“Giusto! Ho detto ad Alessia non stavo bene con lo stomaco. Di certo le sembrerà strano che io mi sia preso un caffè non stando molto bene. Ormai ho fatto la cazzata!” penso tra me e me mentre la bionda si alza, nello stesso tempo vedo che Eva ritorna da noi.

«Credo sia giunto anche per me il momento di andare o i miei penseranno che io sia scomparso. Un buon proseguimento di pomeriggio allora.» dice Valerio salutandomi frettolosamente e guardando che ore sono attraverso lo schermo del cellulare.

«Ci sentiamo, allora.» dico io, lo vedo allontanarsi e mi obbligo a girarmi così da prestare attenzioni ad Alessia nonostante i miei occhi continuino a cercare Valerio. Tuttavia una semplice domanda mi assale la mente e mi annebbia i pensieri: “Perché?”

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo Ventinove ***


Valerio

Capitolo Ventinove

 

mercoledì 14 agosto

 

 

Il direttore del “Libero Pensiero” entra nella stanza delle riunioni per ultimo e dopo chiude le porte di vetro opaco alle sue spalle; l'uomo dai capelli brizzolati indossa come sempre abiti eleganti abbinati, oggi si tratta di una giacca blu scuro e indossa un paio di occhiali da vista.

“Non credo di averlo mai visto con gli occhiali anche se sapevo già che li portava.” penso tra me e me, tuttavia mentre noi dipendenti prendiamo posto, le mie attenzioni vengono subito catturate da Mirco.

Il ragazzo si siede davanti a me, entrambi ai lati della poltrona del Signor Cattaneo che prende posto ma non prima di essersi tolto la giacca blu.

Mirco mi fa l'occhiolino amichevolmente e io ricambio con un mezzo sorriso, è la prima riunione della giornata e si prospetta una giornata molto lunga visto che domani saremo chiusi e dovremo preparare due edizioni di giornale. Fortunatamente per me però stasera stacco alle sei e quindi avrò il tempo necessario per tornare a casa e organizzarmi con i miei amici per quello che avevamo progettato.

«Buongiorno a tutti, signori e signore.» dice il direttore salutando tutti quelli nella stanza, dall'altro lato del tavolo vedo Veronica Parisi, il suo braccio destro e da quanto ho appreso in questi mesi, si tratta anche della zia della fidanzata di Mirco.

Dopo averla conosciuta di presenza ieri, posso dire con certezza che Alessia è molto somigliante alla zia e non solo per i tratti chiari dei capelli e degli occhi, ma più per gli altri tratti del viso. La somiglianza però finisce lì visto che Veronica ha un fisico più formoso e atletico della ragazza.

«Questa probabilmente sarà la prima e ultima riunione di oggi visto che nel pomeriggio non sarò presente qui in ufficio. Tuttavia non mancherà il lavoro da fare visto che domani saremo chiusi. È ormai da qualche giorno che stia preparando queste edizioni del giornale e finalmente siamo alla vigilia.» dice il Signor Cattaneo facendo una breve pausa. I suoi occhi si spostano su tutti i presenti, Davide e Paolo non molto distanti, le altre assistenti e con grande sorpresa trovo anche Marta, la ragazza che fa da receptionist al piano terra.

L'espressione degli altri è per lo più annoiata o assonnata, Davide invece è molto diverso in viso: sembra arrabbiato, come se non avesse intenzione di stare lì più del dovuto. Sappiamo tutti che oggi verrà anche comunicato ufficialmente chi andrà a far parte del progetto.

“Davide sa benissimo che anche quest'anno non si tratterà di lui, bensì Mirco.” dico continuando ad osservare il ragazzo che si accorge delle mie occhiate e si acciglia ancora di più. Sposto il mio sguardo per compassione.

“Probabilmente dispiacerebbe anche a me se venisse scelto qualcuno che lavora da molto meno tempo di me qui. Solo che non mi importa più di tanto: il mio posto è qui in ufficio e anche se si tratta di una grande occasione...”

I miei pensieri vengono però bloccati mentre ascolto passivamente quanto viene detto dal Signor Cattaneo: sarebbe una bella esperienza e potrei portare con me Rob o Alice, sarebbero ben lieti di accompagnarmi e più volte in questi mesi il direttore del giornale mi ha chiesto se fossi sicuro della mia scelta.

“Ormai è tardi per i ripensamenti. Ci andranno Mirco e la sua fidanzata... come lui stesso mi ha detto, potrebbe essere una buona occasione per scaldare un po' il rapporto. Il solo pensiero mi fa rivoltare lo stomaco però.”

«Ed ora a noi: tutti quanti sappiamo che tra meno di un mese di sarà uno dei più grandi e importanti concorsi giornalistici del paese. Un progetto che mira a premiare elementi di spicco, giovani risorse che verranno valutate seguendo un percorso di studio di tre o quattro giorni.» procede il Signor Cattaneo avvicinandosi alla fine del proprio discorso. «Quest'anno ho deciso che sarà il nostro nuovo arrivato, Mirco Romano a partecipare al progetto!» esclama con un sorriso accogliente.

Tutti noi altri intorno al tavolo battiamo le mani al Secondo Assistente che imbarazzato ringrazia facendo segno con la mano di smettere di applaudire. Il direttore del giornale continua quindi le sue lodi.

«Questa è una grande opportunità e come ogni anno rappresenta un punto importante nella formazione degli assistenti. Io stesso ho partecipato a molti concorsi quando ero più giovane e oggi dirigo uno dei giornali più famosi del paese. Queste sono grandi opportunità che non andrebbero mai gettate nel vuoto...»

In qualche modo sento che si sta riferendo a me, come ogni anno ripete questo discorso, il Signor Cattaneo mi rimprovera anche di questo. «Ma non disperiamo, anche per gli altri ci sarà sempre la possibilità di migliorarsi e di procedere. L'anno prossimo potrebbe essere la vostra occasione quindi vi invito a dare sempre il massimo, per voi, per il vostro lavoro, e per il giornale.» giunge a conclusione.

Il tempo restante della riunione viene impiegato per parlare delle due edizioni al quale stiamo lavorando, una per domani e uno per il giorno dopo Ferragosto, dove l'ufficio sarà chiuso e quindi non avremo modo di lavorare all'edizione “del giorno dopo”.

Quando la riunione giunge al termine, io e Mirco facciamo per allontanarci insieme quando il Signor Cattaneo lo ferma ancora pochi minuti. «Ci vediamo dopo, ti raggiungo subito.» dice il ragazzo entusiasta, io annuisco senza troppa enfasi e mi allontano ritornando al piano superiore attraverso le scale di servizio.

Appena mi siedo dietro la scrivania mi metto subito a lavorare sugli articoli e sulla corrispondenza del Signor Cattaneo, arriva qualche telefonata e mi occupo come sempre della gestione dell'agenda del direttore del giornale finché circa una mezz'oretta dopo, Mirco ritorna in ufficio senza però essere seguito dal direttore.

Il mio sguardo incrocia il suo con aria interrogativa e il ragazzo si avvicina alla mia scrivania così da aggiornarmi. «Che vi siete detti? Se posso saperlo.» specifico.

«Abbiamo concordato i dettagli del volo e mi ha spiegato un po' di cose. Partirò giorno dieci, di settembre ovviamente. Gli ho consegnato la fotocopia dei documenti miei e di Alessia come mi aveva chiesto e niente...» dice concludendo, fa una breve pausa nel quale si aspetta che io dica qualcosa ma mi limito a sorridere e annuire.

«Allora... ieri hai incontrato Alessia finalmente, dopo tanto che ti parlavo di lei le hai potuto dare un volto.» dice iniziando un nuovo discorso, il suo tono vago cattura la mia attenzione. «Che te ne pare?» chiede infine.

Alzo ancora gli occhi e incrocio il verde dei suoi, sembra davvero interessato a sapere cosa ne penso della sua fidanzata. Una parte di me pensa che sia normale, ma dall'altro lato mi chiedo cosa mai possa importare la mia opinione. “Forse per lui sono veramente un amico.” e devo ammettere che la cosa mi fa piacere.

«È diversa da come me la immaginavo. È una bella ragazza però... ecco, non credo che sia il tuo tipo ideale, da quanto mi hai detto.» rispondo sinceramente e cercando di non essere troppo schietto visto che si tratta pur sempre della sua fidanzata.

Mirco abbassa lo sguardo facendo un mezzo sorriso, riesco a sentire l'amarezza del suo tono. «Hai ragione; le donne che piacciono a me sono formose, belle tette e bel culo sodo. Alte e con un fisico da modella.» fa una breve pausa nel quale sono certo che stia mettendo a confronto l'immagine di Alessia e di una modella vera e propria.

«Hai frainteso le mie parole, Alessia è comunque una bellissima ragazza e sono sicuro che sia anche una bella persona se ti ha fatto innamorare di lei.» dico cercando di vedere il lato positivo delle cose, d'altronde in questo mondo la fisicità è importante ma limitata.

Mirco annuisce. «Sì, è vero. C'è tutta una storia dietro... Alessia non sarà una modella, ma ha un bel fisico e possiede tutto quello che piace a me. Anche se spesso litighiamo e in questo periodo non riusciamo proprio a trovarci...»

«Ogni coppia ha i suoi alti e bassi, lo supererete come avete sempre fatto.» dico cercando di spronarlo, vedo qualcosa nei suoi occhi, come il riflesso di un ricordo che però non vuole esternare. «Siete molto innamorati, questo l'ho visto subito. Lei ci tiene a te e sono sicuro che tu ci tieni altrettanto.» continuo ancora col tono di chi sta consolando un amico di vecchia data.

Mirco sembra apprezzare dallo sguardo dolce che mette sul viso, non credo di averlo mai visto così tanto scoperto: solitamente usa la maschera da cattivo ragazzo, ma ho sempre sentito che dentro di lui c'era altro.

«Alessia non è proprio il mio tipo eh?»

Questa sua ultima frase mi lascia piuttosto spiazzato, annulla tutto quello che ha detto e che gli ho appena detto e mi fa sentire stranamente vuoto. Mirco si accorge probabilmente del cambio di umore della situazione e cerca di sdrammatizzare cambiato argomento.

«E tu? Non mi hai detto che tipo di ragazzo ti piace. Scommetto belli muscolosi e forzuti. E aggiungo con un bel serpentone tra le gambe!» dice facendo un gesto col braccio per indicare le dimensioni di qualcosa di troppo lungo!

Ridacchio appena facendo una smorfia e poi sento di poter rispondere tranquillamente visto che non ha usato un tono offensivo. «Credo che piacciano a tutti i bei tipi tonici e magari, dico magari, anche ben messi tra le gambe. Ma sono un ragazzo semplice, mi basta poco per essere felice; non ho un ideale di ragazzo... poco importa se ha gli occhi scuri o ce li ha chiari o se non è Mister Mondo. Mi basta che mi faccia ridere e mi renda felice.» rispondo alla sua domanda il più sinceramente possibile e ancora una volta lui annuisce soddisfatto, come se avessi dato proprio la risposta che si aspettava da me.

«Lo sapevo; sei un romanticone. Per quanto provi a nasconderlo sei uno di quei ragazzi dolci e che per amore farebbero di tutto. Sei un libro aperto, sai?»

Faccio spallucce e alzo gli occhi al cielo. «Per alcuni, forse. Non sono tutti che riescono a capire quello che ho dentro e spesso il mio essere timido o silenzioso viene scambiato per superbia o altro. Probabilmente anche tu la prima volta che mi hai visto mi avevi sopra naso.»

Mirco si limita a scuotere il viso cercando di negarlo, ma il suo tentativo non sembra poi così convincente e neanche lui crede davvero a quanto ha detto. Ma il fatto che abbia ci abbia provato mi fa comunque pensare che non volesse ferirmi dicendomi la verità.

Ben presto il mio turno di lavoro finisce e quando sono le sei e mezza lascio l'ufficio senza riuscire a vedere Mirco che mi darà il cambio e resterà fino a chiusura. Lascio il parcheggio ma non prima di aver scritto ai miei amici direttamente nel gruppo affinché possano leggere tutti.

°Valerio:

Ragazzi sono appena uscito dall'ufficio.

Passo da casa a cambiarmi. Mi date mezz'ora?

°Rob:

Certo. Passo un po' prima, anche se ti aspetto

non fa nulla, no? Mi sto annoiando.

 

°Max:

Vuoi dargli una mano per cambiarsi? Sei proprio

un porco. Mi hai deluso! Non ferire Valerio

o te la vedrai direttamente con me.

 

°Emilia:

Wo-wo che sta succedendo qui?

Rob e Valerio stanno insieme?

OMG vi ci vedrei bene insieme.

°Valerio:

Scusate ragazzi ma Rob è come un fratello per me.

E l'incesto non è legale, sorry.

°Alice:

Non ancora...

I successivi messaggi sono scherzosi e riesco a leggerli tra un semaforo e l'altro fin quando non arrivo a casa; trovo mio padre davanti la televisione che guarda il telegiornale e lo saluto dicendo che a breve arriva Rob. Lui annuisce e mi chiede come sia andata la giornata lavorativa.

«Tutto bene, abbiamo prodotto due edizioni in tempo record. Io e il Secondo Assistente siamo una forza della natura.» risponde con la testa pensierosa, mio padre in qualche modo si accorge di questo.

«Non è la prima volta che gli fai le lodi. Dev'essere davvero bravo, tu non fai mai complimenti a nessuno.» constata mio padre, il suo sguardo è immobile e fisso nella televisione come se nulla fosse.

“E se avesse capito qualcosa? No, non credo. Non è mai stato sospettoso e anche se fosse non c'è nulla tra me e Mirco più dell'amicizia che stiamo costruendo.” dico tra me e me e nel momento in cui lo penso mi rendo conto di quanto sembri strana la cosa.

«Comunque, vado a lavarmi. A dopo.» tagliò corto e sfuggo alle domande sperando che non le rivolga a Rob nel momento in cui arriverà.

Non passa molto che sono di nuovo fuori dalla mia stanza in perfetta tenuta da mare: pantaloncino fino alle ginocchia, ciabatte da spiaggia, una t-shirt usurata e con dei buchi sparsi qua e là. Quando scendo al piano di sotto vedo che Rob sta seguendo il telegiornale insieme a mio padre ed entrambi parlano dello sport, argomento che in questo momento sta andando in onda.

“Non ho mai parlato di sport con mio padre. Non mi sono mai interessato. Probabilmente non ne parlava neanche con Riccardo; immagino che ormai Rob sia uno di famiglia.” penso ritrovandomi a guardare quell'immagine.

Il ragazzo si accorge della mia presenza e interrompe quello di cui stava parlando. Scendo gli ultimi gradini della scala e sento il cellulare di Rob suonare mentre si avvicina a me. «Sì, è appena sceso stiamo uscendo di casa. Arrivo.» dice frettolosamente senza dilungarsi in spiegazioni.

«Chi era?» chiedo.

«Alice mi chiedeva a che punto fossimo. Passiamo a prendere lei mentre Max ed Emilia vanno da soli portando la tenda. Noi ci occupiamo di tutto il resto come da programma.» dice in risposta lui.

Annuisco soddisfatto al pensiero che Max ed Emilia saranno soli in macchina e avranno modo di parlare. L'ultima volta che sono stato solo con Emilia abbiamo proprio parlato dello strano feeling che scorre tra i due. Chissà se lei ha deciso di fare il passo in avanti...

«Va bene, allora usciamo.»

Prima di metterci in macchina aiuto Rob a caricare le ultime cose tra cui il minifrigo con tutte le bevande al suo interno e la roba da mangiare come schifezze e patatine che serviranno per intrattenere la serata. Quando Rob apre il cofano dell'auto vedo che c'è una grande busta piena di giochi da tavolo, non si tratta di nulla di complesso e alcuni li conosco anche abbastanza bene. Brevi e veloci.

“L'idea per passare una bella nottata in spiaggia.” dico tra me e me, saliamo finalmente sull'auto e ci mettiamo in strada per andare a prendere Alice che avrà il resto del mangiare tra cui riso freddo, pizze e tramezzini.

«Ragazzi non vorrei allarmarvi, ma ho letto che le previsioni per domani sono pessime. È prevista pioggia! Vi rendete conto!?» esordisce Alice quando entra nell'auto dopo aver caricato tutto nei sedili dietro insieme a se stessa.

Rob fa la manovra di retromarcia per uscire dal vialetto e nuovamente siamo in mezzo alla strada; guardo il cielo esterno in maniera distratta e nonostante il sole sia ancora alto nel cielo vedo che la giornata sembra essere un po' scura. Alle nostre spalle invece ci sono pesanti nuvole grige, fin dal pomeriggio le ho notate ma ora che Alice ci informa sulle condizioni di domani credo che sia inutile sperare in un Ferragosto soleggiato.

«Io avevo letto che sarebbe stato coperto ma non addirittura a tal punto da piovere. Si sa per che ora è previsto il diluvio?» chiede sarcasticamente il ragazzo, nel frattempo Alice è impegnata col cellulare per scrivere ad Emilia che anche noi ci stiamo mettendo in strada.

«Probabilmente da ora di pranzo fino a tarda serata. Da quanto hanno detto al meteo sono vent'anni che non fa questo tempo così brutto a Ferragosto.»

«Fortunatamente per noi abbiamo scelto di andare a mare la sera prima così ci godremo meglio la giornata. Noi andremo in villetta dai miei zii e ci sarà anche Riccardo; staremo al coperto almeno.» rispondo a mia volta alle previsioni meteo dette da Alice, la ragazza invece so che aveva in progetto di andare a mare con la propria famiglia, di fatto lei sarebbe rimasta in spiaggia.

«A questo punto mi sa che ti conviene tornartene con noi. Se vuoi possiamo andare al centro commerciale e stiamo là a pranzo.» le propone invece Rob, la ragazza non sembra molto convinta visto che anche lei voleva stare con la propria famiglia per Ferragosto, ma viste le avverse condizioni meteo dovrà rivalutare i suoi piani.

«Non è una cattiva idea. I tuoi genitori capiranno se non vuoi stare tutto il giorno chiusa in casa. Potrai stare con loro a cena, no?» chiedo cercando di convincere Alice.

La macchina nel frattempo ha raggiunto il semaforo che incrocia la periferia della città e in breve tempo superiamo la zona al limitare delle campagne e della strada statale che conduce nelle zone balneari.

«Va bene, mi avete convinto. Ma ho bisogno di lavarmi, spero di poter fare il bagno almeno stasera.» dice la ragazza.

«Speriamo di poterlo davvero fare e soprattutto che non scoppi una tempesta durante la notte altrimenti sì che avremo grossi problemi e potremo scapparcene con la tenda in spalla e le borse in braccio!» dice sarcasticamente Rob, l'immagine che raffigurare riesce a strapparmi una risata e mi perdo nel guardare il tramonto che pian piano si alza sempre di più mentre ci allontaniamo dalla città.

Nell'auto scende uno strano silenzio, piacevole da ascoltare insieme alla musica che suona alla radio, a tratti un commentatore dice qualcosa di divertente o vengono fatte delle chiamate agli ascoltatori e vengono trasmessi in diretta, l'argomento del giorno non ho ben capito quale sia, ma è piacevole ascoltare senza impegno.

Prendo il cellulare improvvisamente spinto dalla voglia di scrivere qualcosa a Mirco, entro nella sua chat ma senza riuscire a digitare un contenuto: non saprei cosa dirgli per dialogare e qualunque cosa forse sembrerebbe troppo forzata. “In fin dei conti io e lui parliamo sempre di presenza, mai tramite messaggio se non rarissime volte.”

Nello stesso momento in cui realizzo questa idea mi accorgo che Mirco è online, questo non significa che sia nella mia chat ma mi piace pensare che anche lui come me si sia bloccato davanti al nome e stia pensando a cosa scrivere. Naturalmente questo resta solo un'immagine nella mia testa visto che pochi istanti dopo Mirco esce dall'applicazione.

«A che stai pensando? Non ti ho mai visto così tanto assorto nei pensieri.» dice improvvisamente Rob risvegliandomi dal mio stato di silenzio, premo il pulsante laterale del cellulare così da bloccarlo e lo infilo nuovamente all'interno della tasca del pantaloncino.

«Come? No, nulla di importante. Stavo controllando una cosa... bella questa canzone, no?» rispondo velocemente e proprio quando sta iniziando una delle ultime hit uscite, alzo il volume e comincio a cantarla.

Né Rob né Alice riprendono l'argomento, forse si sono fatti bastare la mia risposta o forse sono stato abbastanza convincente da non farli più insistere e io ne sono felice visto che mi imbarazza parlare di Mirco.

Come fossero proibito, come se volessi tenerlo solo per me. Senza condividerlo con nessuno.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo Trenta ***


Mirco

Capitolo Trenta

venerdì 23 agosto

 

 

«Brindiamo, forza!» dice Lily alzando per prima quello che stringe nella mano, essendo un amante del vino ha scelto proprio la bottiglia di vino rosso che abbiamo comprato per fare il brindisi. A differenza mia invece che preferisco la birra. Imito il suo gesto.

«Che tu possa fare fortuna, amica mia.» dico a mia volta, la ragazza si trova al centro di tutti noi e ridacchia, un po' brilla e un po' emozionata all'idea che manca poco alla sua partenza, un evento che avevo dimenticato.

Tra tutti i litigi con Alessia e l'aver stretto il rapporto con Valerio a lavoro, oltre agli impegni in ufficio, mi ero completamente dimenticato del fatto che la mia migliore amica dovesse partire per lavoro.

Ne avevamo parlato molto tempo fa e se ci penso adesso mi sembrano passati anni da quando mi aveva detto che i suoi datori di lavoro le avevano fatto una proposta più interessante in un'altra città.

“Un'ora di aereo.” mi ripeto nella testa, in fondo non è tanto se ho bisogno di andarla a trovare e viceversa, Lily è sempre stata una tipa tosta e sono sicuro che riuscirà ad affrontare anche questa. Anch'io ho spesso fatto dei lavoretti fuori città ma non si protraevano per più di pochi mesi.

“Sentirò la sua mancanza come sempre, ma ci possiamo sempre chiamare, mandare messaggi e molto altro. E chissà, magari riuscirà anche a trovare una buona ragazza che le faccia mettere la testa a posto!” penso tra me e me facendo un sorriso alla ragazza che ora mi sta guardando.

Gli altri tutti intorno a lei fanno il brindisi con quello che hanno in mano, Franz per esempio stringe direttamente la bottiglia di whisky; i due Matteo non sono grandi bevitori di alcol quindi si limitano come me ad una birra, ma più leggera rispetto alla mia. Anche Leonardo fa compagnia con la birra, Giovanni invece si limita a far passare un bicchiere d'acqua per vodka liscia, Armando e Oscar non sono ancora arrivati, mentre Eva ed Alessia stanno come sempre poco più in disparte con dei calici di vino bianco insieme alle altre due ragazze, Melissa e Aurora.

Nella stanza principale della Villa ci sono anche altre persone, qualche cugino di Lily, svariate amiche e colleghe di lavoro e anche alcune ragazze lesbiche che ha conosciuto; non ricordo la metà dei nomi dei presenti.

«Quando comincerai a lavorare? E quando ti trasferisci?» chiede Alessia avvicinandosi alla mia amica, ne avevo già parlato con Lily e so già che risposta darà.

«Il primo settembre mi comincia il contratto, ma farò qualche giorno in più prima così da adattarmi un po'. Praticamente ho il volo di andata tra due giorni. Il tempo di sistemare un po' di cose nell'appartamento che ho preso e subito comincio a lavorare.» dice la ragazza in risposta.

Poco distante vedo Franz che non ha un bell'aspetto, sembra scuro in viso, probabilmente è molto felice che Lily abbia la possibilità di lasciare la città, lui stesso vorrebbe in qualche modo lasciarsi tutto questo alle spalle.

Dimenticarsi della periferia e fare un salto di qualità. Dentro di me so che queste sono tutte cose che voglio anch'io, invece sono limitato a questo.

«Capisco, be' mi raccomando, fatti sentire.» dice Alessia per l'ultima volta parlando con la festeggiata, i suoi occhi chiari poi incrociano i miei.

È una serata intera che ci evitiamo, ma già da qualche giorno il nostro rapporto è molto più freddo: la notte di Ferragosto ha piovuto, ma nonostante tutto non abbiamo lasciato che il meteo ci facesse allontanare dalla spiaggia e siamo rimasti tutti là a farci il bagno alle quattro del mattino con la pioggia che cadeva.

Avevo alzato abbastanza il gomito ed ero anche abbastanza brillo e per questo mi sono lasciato andare, quando Franz mi ha proposto di farci un paio di tiri di erba non ci ho pensato due volte e questo ha fatto come sempre imbestialire Alessia.

Non ha fatto come suo solito però: è rimasta in silenzio, a braccia conserte aspettando che l'euforia passasse, a quel punto mi sono avvicinato a lei cercando un po' di conforto e un po' di coccole. Ma come accade ormai da qualche mese, non sono riuscito ad andare oltre allo sfiorarla.

“Specialmente visto che non aspettava altro che farmi una sfuriata solo perché per una sera avevo fatto qualche tiro con Franz.” penso tra me e me, i nostri sguardi si separano una volta incrociati e ognuno passa il resto della serata in maniera tranquilla cercando di non avvicinarci mai.

Sono ormai le due del mattino quando io e Lily troviamo uno spazio di solitudine da passare in amicizia, usciamo dalla Villa lasciando la porta aperta: è una serata umida e calda e sento la gola secca, forse condizionato anche dalla situazione tesa che stiamo creando io e Alessia.

«Ancora non vi siete chiariti da Ferragosto? Andiamo, Mirco. Non pensi che stiate esagerando? Non è successo nulla di male in fondo!» dice Lily camminando al mio fianco e stringendo il collo della bottiglia che ha quasi del tutto vuotato, io mi sono dovuto prendere un'altra birra visto che la mia è finita ormai da molto.

«Pensi che sia mia la colpa!?» la attacco sentendomi tradito dalla sua amicizia. La ragazza però mi guarda torva, non riesco a capire se per confermare o per dirmi che non mi sta dando nessuna colpa. «Sono un maschio, Lily. Ho voglia della mia ragazza, ho voglia di scoparla. Ma lei non sembra più neanche essere attratta da me e non è di certo colpa mia. Non capisco che succede...»

Prima di rispondere la ragazza mi fa cenno di abbassare il tono di voce e si guarda indietro come per assicurarsi che nessuno ci abbia sentito, continuiamo a camminare lungo il vialetto con passo lento e svogliato.

«Guarda che lo capisco. Non saprei neanche io dirti cosa sta succedendo e so che la situazione può sembrare molto strana. Ma tu e Alessia vi amate, siete fatti per stare insieme.» dice infine cercando di tirarmi su di morale.

Quelle sue parole echeggiano nella mia mente: “Fatti per stare insieme.” Appare nella mia mente un ricordo, una delle prime volte che uscivo con Alessia, cinque anni prima quando ci frequentavamo all'oscuro di tutto e tutti. Quella relazione strana tra di noi...

«Fatti per stare insieme...» ripeto a bassa voce senza riuscire a reagire. Cinque anni fa eravamo più piccoli, avevamo appena diciott'anni e non sapevamo cosa sarebbe successo, non ci importava di nulla.

Quante volte ce lo siamo ripetuti, quante volte di nascosto ci siamo amati e ci sussurravamo quella frase, sento un senso di rabbia assalirmi e il cuore che mi brucia dentro al solo pensiero di tutto quello che ho cercato di costruire con Alessia e il non sapere del perché la nostra relazione si sia ridotta a questi pochi frammenti di amore, mi lascia spiazzato e arrabbiato.

«Ehi! Non monopolizzarti Lily, tutti noi vogliamo starle vicino e non è giusto che la festeggiata si allontani dal gruppo!» sento una voce alle nostre spalle, ci giriamo a vedo comparire i due Matteo con in mano ancora le loro birre, entrambi hanno un sorriso stampato sul volto e riconosco il loro toni scherzosi.

«Scusate, avete ragione. Ma è la mia migliore amica e volevo spassarmela un po' con lei prima che se ne andasse!» dico maliziosamente, entrambi scoppiano a ridere mentre Lily mi guarda torvo.

«Spassartela eh? Attento perché potresti trovare una bella sorpresa tra le gambe e non credo ti piacerebbe esattamente!» dice lei ridacchiando a sua volta, tutti e quattro ridiamo e per un breve istante mi dimentico dei miei problemi con Alessia. Poi però ritorna ad oscurare la mia mente come poco prima.

“Fatti per stare insieme.” continuo a ripetermi mentre i due ragazzi appena arrivati scherzano con Lily di altre cose. Io annuisco e mi limito a sorseggiare dalla bottiglia di birra.

«Vabbè, io sto tornando dentro allora. Rientriamo che gli altri potranno pensare che io mi sia data alla fuga.» scherza la ragazza, le faccio un cenno lasciandola andare.

«Io resto qui fuori un altro po'.» dico lasciando che i tre si allontanino, in questo momento l'unica cosa che voglio è stare da solo senza pensare a nulla. Ma nella mia mente compare un grande interrogativo e questo pensiero si impossessa di me insieme all'incertezza che avevo da tempo seppellito, una compagna che non vedevo da molto.

«E se io e Alessia non fossimo più compatibili?» dico con un sussurro, nessuno accanto a me riuscirebbe a sentire questo debole pensiero, resta una cosa tra me e me, ma il pensiero in breve contamina tutti i ricordi che ho di Alessia e tutti i momenti che da diversi mesi a questa parte stanno distruggendo il rapporto che ho con la ragazza.

«Pensandoci bene, neanche più mi si alza pensando a lei... quante volte sotto la doccia ci ho provato? Ma poi penso ai litigi, alle continue discussioni e alle pretese che lei ha su di me e che io ho su di lei...» un altro pensiero scivola via dalla mia mente, necessito di bere ancora come se mi mancasse l'aria, la gola è talmente secca che non sono sicuro dipenda solo dall'umido dell'estate ormai.

Non so esattamente quanto tempo passo da solo fuori a bere la birra, di certo tutto il tempo necessario per finirla e cercare una soluzione a questa situazione così tesa creatasi con Alessia.

“Sembra che io sia l'unico a cercare soluzioni mentre lei è l'unica a creare problemi... è sempre la sua scelta, è sempre una cosa che dipende da lei ma non se ne rende conto.” e seguendo questo pensiero mi viene un'unica domanda in mente, anzi due, ma la più importante vale sono per me.

«Sono ancora innamorato di lei?» dico con un altro sussurro, cerco di bere ancora dalla bottiglia ma mi rendo conto che è completamente vuota e la cosa mi lascia parecchio deluso, nonostante sia una delle birre più forti, mi sento fin troppo lucido!

«Ehi, che fai qui fuori?» chiede una voce alle mie spalle, riconosco subito la voce di Alessia e il suo tono, non è preoccupata, semplicemente sta recitando la parte della fidanzata che si preoccupa se il suo fidanzato sta da un'ora fuori da solo. Lei è molto brava a recitare.

“Fatti per stare insieme.” mi ripeto nella testa, ma a queste parole non riesco più neanche a crederci. Sono stanco di pensare, sono stanco di soffrire per Alessia, sono stanco di chinare la testa per ogni cosa e di farmi trattare come un'idiota da una persona che forse non mi ama più.

“E che forse IO non amo più!” penso ancora, sento i suoi passi avvicinarsi sempre di più ma non voglio girarmi perché se la guardassi in faccia forse non riuscirei a fare quello che devo fare per il bene di entrambi.

«Oi mi stai a sentire?» chiede lei quando ormai è alle mie spalle, sento la sua mano poggiarsi sulla mia spalla per chiamarmi, poi la lascia scivolare lentamente. «Guarda che gli altri si stanno preoccupando, e anch'io sinceramente.»

Il solo sentire il suo tocco sulla mia spalla mi fa provare della rabbia, è sempre dipeso da lei, tutto quello su cui si basa la nostra relazione è sempre stato deciso da lei, era Alessia a muovere i fili come un burattinaio. Ma il burattino che porta il mio nome si è stancato di questo!

«Mirco?» mi richiama lei insistendo per la terza volta, non riesco a voltarmi, sono completamente paralizzato mentre guardo il cielo lontano, ascolto i suoni della sera e in lontananza passa una macchina col volume dell'auto al massimo. Poi si allontana e va via.

Alessia decide di muoversi davanti a me e vedo comparire il suo volto, è bella ora che la guarda sotto questi occhi, è una bellissima ragazza. Ma non riesco a ricordare proprio perché ci siamo messi insieme e perché continuavamo a ripeterci quella frase d'amore...

«Ti senti bene?» chiede lei ma il suo tono è diverso, c'è qualcosa di più che della preoccupazione, è come se non riuscisse proprio a raggiungermi e a capire cosa io abbia.

La verità è che nella mia testa c'è il caos quindi non potrebbe mai e poi mai raggiungermi: ci siamo allontanati troppo in questi mesi, Alessia non è più la ragazza del quale mi sono innamorato, e sono certo che anch'io sono diverso ai suoi occhi, sono cambiato e mi sono adattato.

«No, Alessia. Non sto bene. Dobbiamo parlare. Credo che sia davvero giunto il momento di farlo...» riesco a dire incrociando i suoi occhi azzurri, mi basta un'occhiata semplice come questa per capire che lei sa già tutto quello che ci diremo, perché in fondo ce lo diciamo sempre.

Ma quello che non sa è che stavolta è una cosa definitiva e che ho trovato la forza di smettere di combattere per qualcosa senza futuro come la nostra relazione.

«Che cosa intendi? Vuoi ritornare a litigare proprio questa sera? Lily partirà presto, dovremmo essere con lei a festeggiare e non qui fuori a litigare!» dice Alessia cercando di interrompermi, non riesco a capire se lo pensa davvero o se vuole semplicemente ritardare questo discorso.

Né io né lei saremo mai abbastanza lucidi da poterlo affrontare quindi che senso avrebbe aspettare? «No, dobbiamo parlarne ora. Perché domani sarà sempre peggio e non smetterà mai a meno che non prendiamo una decisione.» le dico io alzando appena la voce.

Ci rendiamo conto entrambi che siamo soli, non c'è bisogno di alzare la voce, ma è come se nella mia testa il caos avesse deciso di intonare una canzone senza fine.

«Va bene, allora parla: che problema c'è?»

«Il problema è proprio questo, che tu non riesci a vedere come stanno le cose tra di noi. Sono mesi che non facciamo altro che litigare, riappacificarci e litigare di nuovo e solo adesso mi rendo conto che non possiamo andare avanti così!» nella mia testa qualcosa si placa e riesco a sentire le voci dei miei amici: Lily mi dice di non mollare, di fare il bravo, Franz mi dice di affrontare tutto questo diversamente, Valerio che cerca di confortarmi e non sa cosa dire.

“Non riesce a consigliarmi perché sa benissimo qual è la cosa che dovrei fare. Non c'è più possibilità di riprendere questo rapporto... perciò devo dargli un taglio netto.” penso tra me e me mentre il silenzio riempie il vuoto tra me e Alessia, la ragazza si è ormai irrigidita.

«Mi stai per caso lasciando?» chiede, il suo tono di voce è piatto, posso immaginare che sia ferita da questa decisione, ma non lo lascia minimamente a vedere, Alessia è sempre stata fatta così, raramente lascia che le emozioni si manifestino sul suo viso.

Resta a fissarmi negli occhi, la mandibola leggermente contratta, tiene le braccia incrociate al petto, fredda e immobile. Cerco di sostenere il suo sguardo, non vorrei lasciarla andare... ma so che è la cosa giusta.

«Non fare finta di cadere dalle nuvole, sai benissimo che le cose tra noi due non vanno più. E io non so se voglio continuare a stare male e a farmi trattare come un oggetto da te!» dico a denti stretti, la ragazza non sembra risentire minimamente delle mie accuse e si limita a fare una smorfia con le labbra, visibilmente contrariata.

«Avanti, coraggio. Dimmi che non ci hai mai pensato, dimmi che non hai mai pensato di lasciarci! Io non riesco più a riconoscerti e non riesco più a vedere la persona del quale mi sono innamorato.» sputo fuori come se dentro avessi dell'acido, qualcosa di tossico che mi sta corrodendo, non riesco più a trattenermi.

Ho tirato la pietra e adesso non voglio nascondere la mano, voglio tirarne ancora. Alessia abbassa gli occhi per un lungo istante mentre i mordicchia il labbro restando in silenzio e lasciando che sia io a parlare.

«Sono stanco di correre dietro alle tue cose, di seguire le tue regole. In una relazione dev'esserci amore e rispetto e tu non hai più rispetto per me. E non parlo solo per il fatto che non scopiamo da mesi ormai! È l'ultimo dei miei pensieri il sesso, posso assicurartelo!» le dico ancora, non riesco neanche a contenere la mia voce, se non fosse per la forte musica che viene da dentro la Villa, probabilmente tutti gli altri starebbero sentendo la discussione.

“Però basterebbe che si affacciassero dalla finestra per vedere che stiamo litigando o che gesticolo con particolare foga, basterebbe uno sguardo per capire che Alessia è distrutta dalle parole che io le sto dicendo!”

«E penso che anch'io ti mancherei di rispetto se continuasse a fingere che questo che abbiamo mi sta bene. Non riesco a farmelo bastare, voglio qualcosa di più. Sono stanco dei continui litigi e del nostro farci male...» le ultime parole le getto via con una nota diversa nella voce, quasi strozzata, come se avessi le lacrime agli occhi.

Sento la pesantezza sulle palpebre ma non sento il calore delle lacrime, il bruciore dal petto ormai si è dissolto come una nuvola e mi sento vuotato di tutte le emozioni che provavo finora, mi rendo conto che non sono più innamorato di Alessia.

Che senso avrebbe avuto quindi continuare questa storia?

Dopo un lungo ed eterno istante di silenzio, Alessia smette di mordicchiarsi le labbra e riesce a dire poche parole: «Abbiamo sempre detto che siamo “fatti per stare insieme”. Ce lo siamo detti in ogni situazione, sia nei momenti di difficoltà che in quelli più belli e sono certa che non puoi averli dimenticati!» dice lei in risposta a tutte le mie parole, a differenza mia Alessia è più calma, contenuta, la vedo tremare appena ma è forte. Resiste!

I ricordi passati con lei probabilmente sono i più belli, quante volte abbiamo fatto l'amore in mezzo alla spiaggia di notte, quante altre l'abbiamo fatto di nascosto. Nessuno dei nostri amici che sapeva cosa stava accadendo tra di noi, persino all'insaputa del suo ex fidanzato...

Quei ricordi, quei momenti passati con lei, nudi e abbracciati sotto le coperte di un letto improvvisato: questi ricordi resteranno per sempre con me.

«Forse non siamo fatti per stare insieme, forse per te sono stato solo un modo per andare avanti; mentre per me sei stata un modo per aprire gli occhi sul mondo. Abbiamo assolto il nostro compito...» rispondo con freddezza e calma, Alessia cerca di guardare oltre di me, probabilmente l'ho davvero spiazzata...

“Non si aspettava davvero di essere lasciata, tutto questo discorso le appare nuovo...” penso tra me e me, vorrei costringerla e guardarmi negli occhi, ma probabilmente scoppierebbe a piangere, e forse io ritornerei sui miei passi.

«Quindi è finita? Cinque anni di relazione buttati via come cenere nel vento?» chiede lei improvvisamente alzando lo sguardo e incrociando i miei occhi.

Non serve che io risponda per darle la risposta, Alessia scoppia improvvisamente a piangere portandosi le mani agli occhi per coprirsi il viso, come se si vergognasse di farsi vedere in lacrime da me che sono sempre stato protettivo nei suoi confronti. E adesso ho il cuore a pezzi.

Resto imbambolato senza sapere cosa fare esattamente, ogni mia parola sembrerebbe di troppo davanti al suo pianto disperato, registro ogni suo movimento come dei fotogrammi che si susseguono uno dopo l'altro.

«Alessia...» invoco il suo nome cercando di avvicinarmi a lei ma scansa le mie braccia e si sposta scivolando via dalle mie dita, cammina lungo il viale ma non rientra dentro la Villa dove tutti stanno festeggiando e facendo casino, fa il giro lungo così da cercare un luogo dopo può stare da sola. In questo momento però non ha bisogno di stare in solitudine, ha bisogno di un'amica.

“E io di che avrei bisogno?” mi dico mentre cammino velocemente verso l'interno della casa, voglio recuperare le mie cose e andarmene ma non prima di aver salutato Lily e di averle rovinato la festa d'addio.

“Avrei bisogno di un vero amico...” dico ancora, nella mia mente però compare l'immagine di Valerio e di nessuno tra tutto quelli che conosco da anni e anni. Un ragazzo conosciuto da pochi mesi è il mio punto di riferimento...

Entro dentro la Villa cercando di recuperare il mio borsone dentro il quale butto il cellulare, è molto tardi e sicuramente Valerio starà dormendo, non mi risponderebbe comunque se gli mandassi un messaggio.

«Io devo andare. Alessia non sta bene.» dico alla mia migliore amica una volta che sono riuscito a catturarla, Lily mi guarda pochi istanti senza capire cosa stia succedendo, poi sfuggo alla sua presa e me ne esco senza dare ulteriori spiegazioni, domani sarà un giorno difficile da affrontare.

Ma per oggi ho già fatto abbastanza voglio solo andare a riposare e cercare di dimenticare l'immagine di Alessia in lacrime davanti ai miei occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo Trentuno ***


 

Valerio

Capitolo Trentuno

martedì 27 agosto

 

 

Mi ritrovo a girare in tondo per casa senza riuscire a fermarmi, assicurandomi che tutto sia messo al proprio posto e che non ci sia qualcosa di sporco in giro. Il salotto è perfettamente in ordine, la cucina altrettanto e sul tavolo ho persino sistemato le arance che ci sono nel centrotavola in maniera quasi maniacale considerando anche l'angolatura.

La maglietta che indosso raffigura un supereroe, è molto sbarazzina e c'era pure un grande logo stampato dietro, i colori predominanti sono il blu, rosso e bianco. Indosso poi un pantalone che mi arriva fino alle ginocchia, vecchio e usurato ma comodo per stare in casa.

“Ma chi me lo ha fatto fare?” mi dico ancora una volta, poi sento il cellulare suonare, come prima cosa rivolgo il mio sguardo all'orologio vedendo che sono le sei e venti di sera.

Subito corro per prendere il cellulare vedendo chi è che mi sta chiamando: “Mirco Romano” e subito sento il cuore cominciare a battere all'impazzata.

«Pronto?» rispondo cercando di non fare trasparire la mia insicurezza e il fatto che sto tremando.

«Sono quasi vicino casa tua. Posso parcheggiare nel vialetto o dove? Insomma, c'è il parcheggio?» chiede lui, la sua voce appare con l'eco quindi deduco che stia chiamando dalla macchina. È davvero reale, capisco.

«Sì, puoi tranquillamente parcheggiare nel vialetto. Non ti ruberanno mica la macchina.» dico cercando di scherzare un po' con lui, il ragazzo fa una mezza risata e poi mi saluta per chiudere la telefonata.

Con la mente resto immobile mentre col corpo continuo a girare in tondo attraversando lo spazio tra il divano e il tavolino come se fossi in equilibrista per poi trovarmi di fronte alla televisione ancora una volta.

Continuo a guardare il cellulare e ripenso a quando pochi giorni prima io e Mirco ci siamo messi d'accordo per organizzare questa serata a casa mia. Non so esattamente quale coraggio io abbia avuto per invitarlo e chi in cielo mi abbia davvero aiutato a raccogliere le forze.

“Sta di fatto però che se non ci avessi provato non avrei mai scoperto di riuscirci.” penso ancora. Ero convinto che avrebbe rifiutato o che magari non gli sarebbe andato di passare una serata con me anziché con i suoi amici o la sua fidanzata. E invece...

«Puoi stare tranquillo, non farei mai qualcosa che non mi andrebbe di fare.» è stata la risposta di Mirco quando gli ho detto che se l'idea non gli piaceva poteva anche dirlo.

La mia proposta di fatti è stata molto semplice: serata di gioco alla console, cena insieme, magari ordinare una pizza o un panino e poi dopo, se ci andava, di unirci al mio gruppo per continuare la serata giocando in compagnia.

“Ho fatto una scommessa con me stesso, ma Mirco è un amante dei giochi di gruppo e quindi non avrei mai dovuto dubitare che avesse accettato.” dico ancora a me stesso, d'altronde sembra apprezzare davvero la mia conoscenza e anche se in testa ho altro non vuol dire che da questa serata non possa consolidarsi ancora di più la nostra amicizia.

Dopo qualche minuto sento il campanello suonare e scatto in allarme, mi avvicino con una falcata veloce e e ampia e in pochi attimi supero il corridoio arrivando davanti la porta d'ingresso. Giro la maniglia e apro la porta trovandomi di fronte Mirco che mi sorride.

Indossa una maglietta senza maniche, molto semplice e interamente di colore nero, sotto indossa anche lui un pantalone color sabbia, anche a lui arriva fino alle ginocchia mostrando le gambe pelose, infine chiude con un comodo paio di scarpe da ginnastica.

Mi perdo pochi istanti osservando i suoi occhi chiari, non riesco a non pensare che sia davvero un bel ragazzo, una bellezza comune, quasi selvaggia, non come il tipico angelo biondo raffigurato nei dipinti. Mirco è semplice.

«Che hai? C'è un fantasma dietro di me o mi lasci entrare?» chiede lui scherzosamente, non aspetta che io lo inviti, di prepotenza avanza dentro la casa e mi faccio di lato per farlo passare, poi chiudo la porta.

«Benvenuto nell'umile dimora De Luca. La mia camera è al piano di sopra, vai pure.» dico indicandogli la stanza, lui sale le scale guardandosi intorno e cercando di catturare ogni dettaglio che lo circonda.

I suoi occhi si perdono sulla visione delle foto di famiglia che scendono la parete delle scale, riconosce mia madre naturalmente e poi si ferma a guardare mio padre e mio fratello, mi fa un largo sorriso.

«Sembrate una bella famiglia davvero. Siete tutti e quattro felici e senza pensieri.» dice lui con un tono amareggiato, so bene che il padre è un alcolizzato e sono anche a conoscenza del fatto che i suoi genitori non si amano più.

La situazione familiare di Mirco è molto diversa dalla mia, la sua è fredda e distaccata, noi invece siamo la famiglia più unita che si possa immaginare, quando uno di noi soffre, gli altri accorrono a proteggerlo come fossimo una branco di lupi, ognuno difende l'altro.

«Grazie, sono sicuro che anche tu però hai avuto dei momenti felici, anche con tua sorella.» dico io cercando di spronarlo, mi ha parlato più volte della sorella Gabriella, Mirco tende a non parlare molto dei suoi genitori ma qualche volta gli capita di raccontare un aneddoto.

«Scemo e cretino. Non parlo per invidia o chissà cosa, hai frainteso le mie parole. È bello vedere quanto tu e la tua famiglia siate uniti, dipende molto dai caratteri che sono compatibili tra di loro; anch'io vorrei una famiglia così...» dice in risposta continuando a salire le scale, resto dietro le sue spalle avanzando dopo di lui.

“Per me tutto questo è la normalità, ma evidentemente per certe persone non dev'essere così...” penso tra me e me.

Quando entriamo in camera mia vedo Mirco continuare a guardarsi intorno, osservando nuovamente i dettagli e si avvicina alla scrivania che si trova davanti al letto osservando le varie carte da lavoro che ho ordinato in una pila, subito accanto ci sono i miei appunti di poesia che ho lasciato lì dall'ultima volta che li ho presi, vale a dire quando sono andato con mio fratello in montagna a pescare.

«Cosa stai cercando esattamente?» chiedo, Mirco osserva rapidamente i libri che tengo negli scaffali, si avvicina all'armadio, poi si allontana e poi mi guarda ridacchiando.

«Dildi e cazzi di gomma. Sto cercando un souvenir da portarmi via, un ricordo di essere stato in questa casa.» dice con tono scherzoso, nella mia mente suona però incredibilmente minaccioso e probabilmente il ragazzo si accorge del mio improvviso disagio.

«Non troverai nessun giocattolo sessuale in questa stanza o in altre, te lo posso assicurare. Preferisco giocare con la carne cruda che con la plastica!» rispondo incrociando le braccia al petto, lui ridacchia soddisfatto della mia risposta quasi sfacciata e poi si siede sul letto.

«Hai una bella stanza. Molto in ordine. Vedessi camera mia ti metteresti a piangere probabilmente.» dice in risposta, si muove ancora e ancora e poi si avvicina alla finestra per osservare fuori, si appoggia sul davanzale.

«Se hai bisogno di fumare puoi farlo, tranquillo. Ho lasciato la finestra aperta proprio per questo.» dico io. Lui annuisce ma capisco che la sua agitazione non deriva dal bisogno di fumare e torna a sedersi.

«Allora? Cominciamo a giocare? Fammi fare un giro di prova col visore di realtà virtuale.» dice lui proponendo subito qualcosa da fare, senza neanche chiedere il permesso, il ragazzo si toglie la maglietta restando a petto nudo.

Ci metto qualche istante per riprendermi e per costringermi a non sbavargli davanti e cerco di concentrarmi sul pensiero della mia mente: “Sono proprio un depravato! Quante volte anche Rob si è spogliato davanti a me e non ho fatto tutta questa scenata! Valerio, stai calmo!”

Mi concentro su altro, tiro fuori dallo scatolo il visore che mi è stato prestato gentilmente da Max proprio per l'occasione. Ho chiesto anche a Rob qualche gioco di paura da implementare senza specificare per cosa o meglio, per chi mi servissero.

«Penso che questo sia il gioco migliore da giocare col visore. Paura in prima persona, c'è qualcosa di meglio?» dico inserendo il disco nell'apposito scompartimento, aiuto Mirco a sistemarsi comodamente per giocare e lo aiuto ad indossare il casco di realtà virtuale.

Spiego brevemente al ragazzo come muoversi e cosa fare lasciando che le prime immagini nel gioco scorrano velocemente: sangue e mostri riempiono subito le prime scene del gioco, la musica intonata suona con i classici violini in un crescendo finché poi non tace arrivando in un'area quieta dove le immagini si fanno più lugubri: attraverso lo schermo riesco a vedere ciò che Mirco sta vedendo col visore e si trova in una stanza buia con le tende tirate, una luce debole che viene dall'esterno e una ragazza in lacrime che si tiene il viso.

«Quella tipa mi ricorda troppo Alessia...» dice Mirco commentando, il suo tono di voce è amareggiato, non mi viene in mente di indagare visto che non saprei cosa dire al riguardo della sua fidanzata che piange.

Il gioco continua a scorrere finché il ragazzo non riesce a completare il primo livello, dopo aver superato altri mostri e altro sangue, le immagini si chiudono nuovamente con la ragazza che piange e che poi si volta improvvisamente urlando e terminando la sequenza di prologo.

«Allora? Che te ne è sembrato? Preferisci andare su qualcosa di più leggero?» chiedo io che per tutto il tempo sono rimasto a guardarlo giocare.

Mirco però sembra completamente assente, si toglie il casco del visore e cerca di risponde. «È figo! Davvero fa molta paura ed è anche abbastanza realistico...» dice lasciando la frase in sospeso, evita il mio sguardo e cerco di studiare la sua espressione. «Quella ragazza del videogioco era la versione mora di Alessia... mi ha fatto venire i brividi!» ripete ancora una volta.

“Sta cercando di spronarmi a chiedergli qualcosa, Mirco non è un tipo che parla volentieri dei suo problemi.” dico tra me e me, decido quindi di essere audace.

«Come mai ti ricorda proprio lei? È successo qualcosa?»

Mirco si gira verso di me mordicchiandosi il labbro come un bambino che ha fatto qualcosa di sbagliato, è la prima volta che lo vedo così piccolo e fragile. Ha l'espressione abbattuta e triste. «Ci siamo lasciati!» ammette infine.

Mi sembra di restare bloccato in quel fotogramma, come se avessero fermato il tempo e cerco di assorbire la notizia. «Perché?» è l'unica domanda che riesco a fare; nella mia testa passano un centinaio di idee e sensazioni. Le più intense però sono solo due: tristezza, per un amico che si è appena lasciato e che soffre; soddisfazione, per il fatto che il ragazzo che mi piace sia single anche se non alla mia portata.

«Io e Alessia...» comincia Mirco cercando di spiegarmi ma è come se non gli venissero le parole. «Fratello, la nostra storia è sempre stata incasinata, per raccontarti il perché ci siamo lasciati dovrei spiegarti tutto dall'inizio!»

Faccio quindi spallucce e mi avvicino a lui sedendomici accanto. «Io sono qui, se vuoi raccontarlo.» gli dico e lui sembra essere persuaso dalle mie buone intenzioni.

Mirco fa un sospiro pesante e guardandomi negli occhi comincia a raccontare: «Devi sapere che sono sempre stato un donnaiolo, te l'ho già detto è vero. Capitava spesso che anche essendo fidanzato con altre ragazze, finissi per scopare con altre. Storie di una notte, senza alcuna importanza; le relazioni poi non finivano mai bene perché ero insoddisfatto di quello che avevo.

«con Alessia è cominciato tutto cinque anni fa. L'estate in cui entrambi uscimmo dal liceo, avevo appena preso sessanta ma non mi importava di nulla. Il mondo era mio ed ero pronto a divertirmi, i miei genitori stavano ancora insieme e tutto sembrava andare per il verso giusto.

«posso dirti che quella è stata l'estate più bella della mia vita. Mare, sole, nottate intere a fumare, ad ubriacarmi fino all'alba. Lavoricchiavo ma poi tornavo a far tutto quello che mi piaceva fare. Sono stati tre mesi intensi! Poi, una sera al mare per la notte di Ferragosto, io e la mia comitiva siamo andati al mare in spiaggia, e quella notte c'era anche Alessia con delle sue amiche.

«si sa che queste cose nascono molto velocemente, io sono un tipo che fa amicizia subito, bastò una risata e un paio di battute per sciogliere il ghiaccio che c'era tra me e questa perfetta sconosciuta: una bella ragazza, lontana anni luce dalla mia tipa ideale, eppure c'era qualcosa in lei che mi aveva colpito. Che mi tratteneva a lei.

«abbiamo passato tutta la notte a ridere e scherzare, restando anche da soli in compagnia mentre gli altri facevano i cazzi loro. Io e lei siamo finiti per passare la notte camminando sulla spiaggia e dentro di me in qualche modo, sentivo aver avuto un colpo di fulmine.

«puoi ovviamente immaginare queste cose come si sono evolute: ci si aggiunge sui social, si chiacchiera e si scambia il numero di telefono. E in tutto questo lei era fidanzata con uno che era il doppio di me, un vero autentico stronzo. Uno di quei tipi poco raccomandabili, non che io sia tanto meglio... ma almeno non sono stato dentro per aver picchiato quasi a morte un tipo.

«nel giro di poche settimane io e Alessia siamo usciti tante volte insieme all'oscuro di tutto e tutti. Naturalmente neanche il suo fidanzato doveva saperlo. Non ci è voluto molto prima che finissimo a letto insieme. Ed era la cosa più bella del mondo farlo di nascosto, non preoccupandoci del suo tipo o di altri. Pensavamo solo a divertirci e scopavamo spesso. C'è stata una settimana dove lo abbiamo fatto ogni giorno di fila almeno una volta. Capitava anche due quando entrambi eravamo presi con la luna buona.

«ma naturalmente, la nostra relazione segreta non è rimasta tale tanto a lungo e succede che il suo tipo ci ha scoperti; non mentre scopavamo ma ha capito che lei lo stava tradendo con me. E cosa farebbe un fidanzato che scopre la che sua tipa lo tradisce?

«questo tipo viene da me un giorno, mi minaccia di spaccarmi la faccia se non lascio subito Alessia, se non la smetto di scriverle e se non la smetto con tutta questa storia. Ma sai come sono competitivo, per me questa relazione con Alessia non era solo divertimento, era diventata una questione di principio: dovevo conquistarla, volevo conquistarla. E senza rendermene conto mi stavo innamorando di lei, quindi non potevo lasciarla andare.

«abbiamo passato due anni vedendoci di nascosto, io ero la sua ancora di salvataggio da una relazione che le teneva prigioniera. Lei era il mio porto sicuro, un luogo dove i problemi dei miei genitori non riuscivano a raggiungermi. Ma non ti nascondo che questi due anni sono anche stati infernali; avevo paura, tanta. Sempre. Ho cominciato a soffrire anche di attacchi d'ansia e spesso stavo male perché avevo paura che lui ci scoprisse, un pazzo del genere avrebbe potuto prendersela anche con qualcun altro... non solo con me ma magari con qualcuno che amavo.

«dopo due anni però, Alessia riuscì a lasciarlo, non voleva più vivere quella relazione che la soffocava; lui naturalmente aveva dato di matto e ce le siamo dati di santa ragione! Ci siamo presi a pugni in una maniera che non ti dico... ho lottato per la ragazza che amavo, letteralmente!

«avevo vinto. Avevo vinto l'amore di Alessia e adesso potevo averla tutta per me, potevamo essere finalmente felici insieme. Segretamente, nudi sotto le coperte e sotto le stelle, ci sussurravamo che eravamo “fatti per stare insieme” e questo rendeva tutto più intrigante. Perché ci credevo

«per questo motivo ho sempre detto che io e lei stiamo insieme da cinque anni, anche se ufficialmente sono soltanto tre. E non ho mai avuto l'impulso di tradirla. Mai lo avrei sognato, lei mi ha cambiato, ha tirato fuori il meglio e il peggio di me. Ma dopo tre anni... qualcosa tra di noi si è raffreddato. E penso di aver capito che quel “fatti per stare insieme” non sarebbe bastato più.

«ormai ci stiamo facendo del male, prima non litigavamo quasi mai. Prima ero convinto che lei fosse la mia luce, come ti ho detto, il mio porto sicuro; ma qualcosa è cambiato e quando sono con lei non riesco più ad essere felice come lo ero prima. Per questo motivo, ho deciso di lasciarla

«perché così non le avrei fatto più del male. Non ci saremmo feriti e non avremmo più litigato, voglio che sia felice e io voglio essere felice. Ed ho capito, che la nostra felicità non è più quando siamo insieme.»

Ascolto ogni parola di Mirco riuscendo a figurarmi nella mente ogni dettagli di quella storia: le serate passate in spiaggia, i momenti di intimità con Alessia, i litigi con il fidanzato di lei, il momento in cui si sono finalmente messi insieme. Sembra la storia di un bel film, una storia d'amore che alla fine prevale su tutto. E quando penso che non ci sia stato un lieto fine sento gli occhi pesanti.

“Fatti per stare insieme... è una bella frase da dire. Ed è ingiusto che le cose siano andate diversamente.” penso tra me e me mentre Mirco aspetta che io dica qualcosa. Mi accorgo che il suo sguardo è fisso su di me ed è pieno di tristezza, cerco di dire qualcosa di “utile”.

«Credo che la via sia questa, è triste pensare che sia tutto finito e mi dispiace molto. Però se credi di non riuscire più a sostenere questa situazione allora credo tu abbia fatto bene a lasciarla, non puoi farle o farti del male.»

«Sei uno dei pochi al quale ho raccontato questa storia, al quale ho detto come mi sono sentito in quel periodo.» dice Mirco con voce grave e guardando altrove, in questo momento riesco a vedere quanto lui sia “umano” e fragile come qualunque altra persona in questo mondo. «Anzi, credo che forse tu sia il terzo a conoscenza di questo, o forse il secondo...» continua.

Immagino che Alessia sappia di come si sia sentito, o forse sta parlando della sua migliore amica, la ragazza che lavora nella tavola calda e che è partita. Questo mi fa sentire importante, mi fa capire che per lui sono un vero amico.

Cade tra noi qualche istante di silenzio e mi sento uno stupido perché non riesco a dire qualcosa di utile per farlo stare bene, lui fa un sorrisetto amareggiato mentre si butta dietro sul letto poggiandosi con le spalle.

Distolgo lo sguardo dal suo fisico mezzo nudo e guardo fuori dalla finestra accorgendomi che in qualche modo le ombre sono scese nella stanza e che ormai è sera. Cerco velocemente un orologio per vedere che ore si son fatte e vedo che sono quasi le otto di sera e che abbiamo parlato per quello che mi sembrava un momento.

«Fratello, io comincio ad avere fame. Che ne dici che usciamo a mangiare qualcosa di tosto? Un bel paninazzo pieno di carne a rompere!» propone lui, pensandoci bene anch'io sento un languorino allo stomaco.

«Sì effettivamente anch'io comincio ad avere fame. Sarà meglio uscire. Dammi due minuti per mettermi un jeans, non riesco ad uscire col pantaloncino.» dico e lui aspetta qualche secondo che mi tolgo il pantaloncino, cerco velocemente un jeans nel cassetto e prendo allo stesso tempo un paio di scarpe comode da mettere, nel frattempo lui si rimette la maglietta e sento lo sguardo addosso.

«Però... certo che non sei messo male eh!» dice lui commentandomi in mutande, mi sento stranamente in imbarazzo non capendo esattamente la finalità di quell'affermazione. Che sia uno dei suoi normale scherzi?

«Ehm... grazie, peccato che non lo uso esattamente a pieno come potrei però pazienza.» cerco di stare al gioco riuscendo finalmente a mettere il jeans.

«Porti gli slip?» dice ancora una volta parlando delle mie mutande, mi siedo per allacciare le scarpe e dentro di me sto già elaborando la risposta alla prossima domanda.

«Sì, ma indosso quello che capita. Ovviamente dipende dalle occasioni!» gli dico risalendo in piedi e facendogli l'occhiolino, Mirco fa un largo sorriso e ridacchia insieme a me mentre ci avviciniamo verso la porta di camera.

«Sei proprio un porco!» commenta lui fingendosi un santerello, è il primo a fare battute di ogni genere, ma siamo in vena di scherzi e sembra essersi ripreso dalla depressione e tristezza che lo avevano assalito prima.

Scendiamo i gradini della scalinata ma non prima di esserci assicurati di aver preso tutto. «Conosco un buon posto dove si mangiano panini con carne “a rompere” come dici tu. Ci muoviamo con due macchine o...?» non ho il tempo neanche di finire la frase che Mirco dice la sua.

«Andiamo con la mia.» aspetta qualche istante prima di aggiungere ancora qualcosa. «Adesso che ti siedi accanto a me mi metterai la mano sulla coscia o tra le gambe?» chiede ancora maliziosamente e resto al suo gioco.

«Non rischierei di farmi picchiare da te. A meno che tu non mi dia il permesso di farlo.» dico, ma Mirco si limita a ridacchiare senza rispondere, prendo le chiavi di casa e usciamo velocemente camminando sul vialetto; attorno a noi le luci della sera riempiono la strada deserta, c'è tutta un'aura strana che mi fa sentire bene.

“Forse si tratta semplicemente dell'umidità che mi confonde, o forse il fatto che sto per salire in macchina con Mirco e la cosa mi emoziona troppo!” penso tra me e me, riconosco subito l'auto nero di Mirco ed entrambi ci avviciniamo ad essa.

Apro la portiera e mi siedo nel lato passeggero allacciandomi la cintura come prima cosa. Mirco si accende una sigaretta, poi abbassa il finestrino e da alcune boccate mentre con l'altra mano accende la radio mettendo il play alla lista di canzoni caricate. «Dimmi dove andare e ti ci porto.» dice lui, e dentro di me questa frase così semplice sembra nascondere un'infinità di parole.

«Certo.» è l'unica parola che riesco a dire, lasciandomi poi trasportare dal ritmo della canzone e dalle parole che vengono cantate nel frattempo anche da Mirco.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo Trentadue ***


Mirco

Capitolo Trentadue

martedì 27 agosto

 

 

«Alice? Ciao, sono Valerio. Sì, so che mi hai riconosciuto. Volevo chiederti una cosa: ti ricordi quando due anni fa siamo andati in quel posto dove facevano panini con carne su una roulette? C'era anche Michele...» ascolto passivamente le parole che Valerio dice alla sua amica tramite il telefono.

Nel frattempo saliamo in macchina, getto un'ultima occhiata dove Valerio diceva doveva trovarsi la roulette in questione; stando alle sue parole c'erano anche dei tavolini e facevano della roba fritta davvero buona.

Adesso c'è solo uno spazio vuoto e oltre un vialetto c'è persino una palestra ben visibile dalle finestra che danno sugli strumenti e le persone che li utilizzano. «Direi che ha chiuso i battenti da un po', potremmo chiedere a quelli della palestra magari.» chiedo io abbastanza divertito.

Valerio mi getta un'occhiata e mi viene da ridere, lui sembra piuttosto in imbarazzato ma per me non è un problema se il posto in questione non esiste più, anzi, mi diverte canzonarlo. Mi siedo dentro la macchina e metto in moto uscendo dal parcheggio e cominciando a camminare nuovamente per le vie della città.

«Ah... quindi ha già chiuso? Almeno da un anno dici!?» sento a tratti la voce della ragazza dall'altro lato del telefono e cerco di tendere maggiormente l'orecchio per capire cosa sta esattamente dicendo anche se Valerio lo ripete.

«No, sono fuori casa. Sono con Mirco.» dice il ragazzo rispondendo alla domanda postagli dalla ragazza, immagino che lei abbia chiesto cosa ci facesse fuori.

Dall'altro lato del telefono sento un urlo acuto, talmente acuto che non sono sicuro che possa essere umano, magari appartiene a qualche creatura strana, poi credo proprio di capire dall'espressione di Valerio che lo strano suono sia stato prodotto dalla sua amica.

«Oddio...» è l'unica parola imbarazzata che riesce a dire il ragazzo, se ci fosse più luce dentro la macchina potrei giurare che è diventato rosso. Non capisco però se la ragazza ha aggiunto qualcos'altro in merito.

Decido quindi di intervenire. «Cos'è che ha detto?» chiedo incuriosito, ma il ragazzo mi fa cenno che sia tutto apposto e non mi da ulteriori spiegazioni, velocemente si saluta con la propria amica e mette giù il telefono.

«Pare che dobbiamo cambiare programma. Sinceramente non mi viene in mente nessun altro posto dove mangiare della buona carne e panini.» dice tristemente il ragazzo, ma per me non è un problema, in fondo la compagnia di Valerio è molto piacevole e non mi fa pensare al resto.

«Andiamo in qualche ristorante vicino? Non conosco bene questa zona della città, io sto più nella periferia.» dico cercando aiuto su dove andare, Valerio ci pensa qualche istante su e poi ha un'idea.

«Non so se ti potrebbe piacere, ma c'è un ristorante giapponese dove si mangia davvero bene. C'è il nastro trasportatore che porta i piatti uno dopo l'altro e puoi mangiare tutto quello che riesci a far entrare in bocca! Si paga un prezzo fisso con bevande escluse.»

L'idea di mangiare giapponese mi preoccupa molto, non sono un amante dalle cucine raffinate tanto meno quella orientale, poi ho pure lo stomaco delicato quando si tratta di mangiare “strano”. Ma la proposta sembra piacere molto a Valerio quindi decido di resistere io.

«Va bene, andiamo allora. Forse so di quale ristorante si tratta.» dico dove che il ragazzo mi ha brevemente spiegato dove si trova, nel frattempo riprendiamo a parlare. «Qual è il posto più strano in cui l'hai fatto?» chiedo improvvisamente, naturalmente Valerio capisce che mi riferisco al sesso.

La sua reazione inizialmente è un po' vaga, poi ci pensa su. «Posso dire ti essere un tipo classico per queste cose al quale piace essere comodo. Ma direi che la mia prima volta è stata quella più strana, lo abbiamo fatto in mezzo alla natura. Eravamo tipo in un giardinetto abbastanza isolato.»

«Com'è stato?» dico ridacchiando, involontariamente l'immagine di Valerio con un altro ragazzo si presenta nella mia mente, cerco di allontanare subito il pensiero ma con grande difficoltà visto che ho chiesto io i dettagli.

«Scomodo. Era più basso di me ed è stato molto difficile far “combaciare” tutti i pezzi, non so se mi spiego.» risponde lui, scoppio a ridere a seguito della sua risposta perché l'ha detta con sincerità. «Anche se devo dire che mi piacerebbe molto provare in auto. C'è chi mi dice che sia davvero fantastico.»

Alla sua affermazione però scuoto il viso più volte. «Chi ti le ho detto non capisce un cazzo di buon sesso. È scomodissimo, lasciatelo dire da uno che per anni ha dovuto scopare in macchina per non farsi scoprire!» dico riferendomi alla storia che gli ho raccontato su di me e Alessia, il ragazzo sembra incredulo alle mie parole.

«Non lo so, vorrei comunque provare. Sembra un'esperienza divertente.»

«Non ti perdi nulla, davvero.» faccio una breve pausa. «Non è che è un modo per dirmi che vuoi farlo in macchina con me, vero?» chiedo con tono abbastanza preoccupato, il ragazzo si volta a guardarmi e so perfettamente che si sta chiedendo da dove io abbia partorito questo pensiero.

“Ed in effetti, me lo sto chiedendo anch'io!”

«Non sarebbe un'idea così malvagia, forse. È da un bel po' che non faccio sesso con uno!» è la risposta di Valerio, in qualche modo dentro di me mi fa piacere il fatto che ci starebbe, vuol dire che sono attraente anche per i ragazzi.

Dall'altro lato però la cosa in qualche modo mi preoccupa e non vorrei che sia passato un messaggio strano; siamo ormai arrivati al parcheggio del ristorante quando mi tolgo la cintura e lancio un'occhiata a Valerio.

«Certo che tu ormai ti sei proprio sciolto eh? Ormai rispondi con toni pesanti alle mie battute!» dico scherzosamente, il ragazzo però non sembra capire il mio scherzo e diventa stranamente di ghiaccio.

«Se vuoi posso sempre smettere, dicevo tanto per scherzare anch'io.» dice lui, riesco a sentire la delusione nella sua voce e forse anche della paura di avermi turbato.

«No, macché stavo scherzando. Sai che mi piace scherzare su queste cose maliziose.» tra di noi cala uno stranissimo silenzio, poi decido di uscire dall'auto e Valerio mi segue subito stando alla mia sinistra mentre ci avviciniamo all'ingresso del ristorante giapponese.

Quando entriamo veniamo subito accolti da una donna dai tratti orientali che indossa una lunga veste nera con ricami di fiori rossi. «Avevate una plenotazione

«No, siamo solo in due. Ma vorremmo sederci al tappeto per prendere il menù fisso.» dico prima che possa farlo Valerio, da bravo maschio della situazione mi viene spontaneo “dire” e “fare” prima che possa farlo lui.

«Plego, da questa palte.» dice la cameriera in maniera abbastanza scorbutica, probabilmente si è arrabbiata perché non abbiamo prenotato prima. “Ma sti cazzi!” mi viene da pensare mentre ci accomodiamo.

Intorno a lei l'ambiente è molto tranquillo, non è neanche troppo tardi ma essendo un giorno feriale è normale che ci siano poche persone: molti tavoli sono vuoti e sopra di essi ci sono decorazioni floreali o le classiche lanterne rosse con strani simboli giappo-cinesi che non saprei mai leggere.

«Facciamoci una foto, ti va?» chiede Valerio cercando qualcosa nello zaino che si è portato appresso, dentro intravedo che c'è il portafogli e le chiavi, poi un taccuino per degli appunti e poi l'oggetto che sta cercando.

«Ma che cazzo è?» chiedo incredulo. «Avevi detto che non avevi strani giochetti sessuali a casa!» dico osservando l'oggetto che sta cercando di collegare al cellulare.

«Questo è un bastone per i selfie. Ma funziona anche da tre piedi professionale. Guarda qui.» dice Valerio con un tono quasi esasperato ma anche facendo una mezza risata, mi mostra come il bastone in questione possa aprire creando una circonferenza maggiore.

«Scommetto che lo usi per farci altro!» dico io con malizia osservando la mutazione dell'oggetto mentre Valerio è ancora intendo a collegarlo al cellulare.

Il ragazzo mi lancia un'occhiataccia capendo subito a cosa sto alludendo e in qualche modo vedo nei suoi occhi una luce di eccitazione. E la cosa mi diverte. «Oh sì, non sai quante volte al giorno “questo” diventa il mio compagno di avventure.» risponde a tono e trovo che la cosa sia incredibilmente divertente, non potrei scherzare con nessun altro come faccio con lui e mi sento libero.

Il ragazzo alza il cellulare e ci mettiamo in posa, faccio un largo sorriso pensando che probabilmente Valerio pubblicherà la foto sui social e ovviamente mi menzionerà nella foto. Alessia sarà la prima a vederla e la cosa mi mette un po' di cattivo umore.

Mi sforzo di mantenere il sorriso, poi comincio a prendere i piatti che stanno passando sul nastro trasportatore e lentamente si muovono verso di noi. Valerio nel frattempo pubblica velocemente la foto e sento la notifica proveniente dal social. Decido di non pensarci e mi preoccupo solo di saziare la fame.

«Sai... stavo pensando ad una cosa.» dico dopo qualche minuto, mi ritrovo con cinque piatti diversi e ormai vuoti, Valerio resta appena dietro di me con soli tre ma anche lui quando mangia resta in silenzio.

«Dimmi pure.» dice lui quando finisce di inghiottire l'ultimo boccone; mi è sempre rimasta impressa una cosa che ha detto e che non ho mai voluto chiedere.

«Tempo fa mi dicevi di un'esperienza non andata bene. Immagino che c'entri un ragazzo; ti andrebbe di parlarmene?» chiedo, non per farmi i fatti suoi o per essere incuriosito, ma semplicemente è una cosa che voglio sapere.

Valerio mette su un'espressione stranita, poi fa un sorriso amareggiato mentre prende altri piatti e da qualche forchettata sporadica. «Sono stato fidanzato anch'io per qualche anno, si chiamava Michele. Le cose tra di noi sembravano andare bene, molto bene anzi. Usciva con me e i miei amici. Ma come in tutte le coppie avevamo anche noi i nostri alti e bassi.

«finché non ho scoperto che mi tradiva con un altro. E non era una cosa di una notte e via, era capitato altre volte; lui mi aveva giurato che non era importante, che era una cosa senza valore e che non era colpa mia ma sua.» Valerio fa una lunga paura nel quale evita di guardarmi, continua a guardare tutto il mondo intorno a sé ma è come se si vergognasse di quello che mi sta dicendo.

«Avevate problemi a letto?» chiedo, un po' mi ricorda la mia situazione, nell'ultimo periodo posso dire di aver “tradito” Alessia con la tipa russa dei massaggi, anche se per me non ha valore e quindi non è davvero un tradimento...

«No, non lo facevamo tutti i giorni, ovviamente. Tra il lavoro e i vari impegni della giornata spesso non avevamo neanche le forze di coccolarci. Forse ormai ci eravamo abituati l'uno all'altro, ci davamo per scontati. E anch'io in qualche modo credo di averlo allontanato, mi sentivo frenato perché voleva che facessimo tutto insieme.

«una cosa che ho sempre amato di lui. Ma ormai era diventato troppo, eravamo come amici che andavano a letto insieme. Quando l'ho scoperto ho capito che lui era davvero dispiaciuto, ma io non avevo più intenzione di continuare con quella farsa. Dovevamo lasciarci, tutto qui.»

Segue un'altra pausa dove finalmente Valerio riesce a guardarmi negli occhi, ha l'espressione triste mentre parla di questo Michele, e un po' mi rivedo in lui, quasi riesco a sentire quello che sta provando e quello che ha passato.

«Lo ami ancora?» chiedo.

Valerio alza gli occhi al cielo come per pensare alla risposta. «Non credo di amarlo ormai da molto tempo. Anche quando ci siamo lasciati, o meglio l'ho lasciato, non provavo nulla. Mi sono anzi sentito libero da un peso.» segue un'altra pausa nel quale il ragazzo riflette su come continuare. «Ma adesso le cose vanno bene, ci siamo sentiti in questi ultimi mesi, o meglio lui si è fatto risentire. Si è riavvicinato e a causa di un malessere mi ha chiesto se potevamo tornare ad essere amici. E io non mi sono sentito di dirgli di no. Adesso è fuori città per curarsi.»

«Immagino che tu abbia fatto la cosa giusta. È una cosa grave? Solitamente per un malessere basta andare in ospedale e via...» chiedo interessandomi all'argomento, ma Valerio cambia nuovamente espressione e ormai ho imparato che lo fa quando non vuole parlare di qualcosa.

“Mi sembra giusto visto che non riguarda sé.” penso tra me e me, ritorniamo quindi a mangiare interrompendoci tra una cosa e l'altra per fare qualche battuta o per commentare quanto cazzo sia piccante il wasabi!

Alla fine della cena ci troviamo davanti la cassa che stiamo praticamente esplodendo per quanto abbiamo mangiare. Velocemente chiedo il conto alla cassiera ed estraggo la carta di credito prima che Valerio possa anche solo pensare di prendere il portafogli.

«Ecco a lei.» dico alla cassiera, il ragazzo sembra riuscire a prendere una banconota che mi avvicina con l'intento di pagare la sua parte. «Levala, forza.» dico sorridendo, il ragazzo capisce che voglio offrire io la cena e sembra non essere d'accordo con le mie intenzioni.

«No, dai facciamo metà e metà.» cerca di insistere ma lo ignoro, riprendo la carta e lo scontrino e velocemente faccio per uscire dal ristorante mentre il ragazzo mi insegue borbottando qualcosa che penso siano insulti.

«La prossima volta offro io.» dice lui, faccio spallucce e ritorniamo in macchina, seguendo il programma dovevamo vederci dopo cena con i suoi amici, ma io sto benissimo da solo con lui e non mi sento molto di compagnia.

«Che ti va di fare? Chiedo ai miei amici se possiamo unirci a loro? Ti va?» mi chiede Valerio quando stiamo lasciando il parcheggio, nel frattempo controlla il cellulare, probabilmente per capire cosa rispondere al suo gruppetto.

La verità è che neanche io so se voglio continuare con altri la mia serata, quindi lascio che sul mio viso compaia un piccolo sorrisetto. «Facciamoci un giro in macchina ancora.» dico rimandando a dopo la risposta.

Valerio non ha nulla da opporre anche se sembra un po più teso rispetto a qualche minuto fa, per sciogliere questo suo senso di disagio cerco di trovare un argomento che possa renderlo più calmo. «Posso farti una confessione?» comincio, ma so già che la sua risposta è un sì. «Non so se lo consideri tradimento, ma in questi mesi mi è capitato di andare in un centro massaggi russo con un amico... e diciamo che fanno massaggi molto speciali!»

Mentre sono alla guida Valerio mi lancia un'occhiata capendo subito quello al quale mi sto riferendo. Cerco di decifrare la sua espressione ma non ci riesco. «Oh... servizio completo quindi?» chiede goffamente.

Scoppio a ridere e scuoto il viso. «Non completo come avrei voluto. Ma per me non ha significato nulla, è stato solo un modo per svuotarmi, nulla di più.»

«Be... non c'è nulla di male, credo.» dice lui in risposta ma credo che lo dica contro la sua stessa volontà. Nel frattempo alla radio suona una delle mie canzoni preferite e alzo il volume cantando allo stesso ritmo.

Valerio si limita ad ascoltare e a guardare in avanti, poggia un braccio e sporge la mano fuori dal finestrino abbassato così da prendersi un po' d'aria mentre sfrecciamo velocemente tra le strade che troviamo quasi del tutto deserte. Improvvisamente sento il mio cellulare suonare, e riconosco il suono differente, scatto quindi con lo sguardo sullo schermo vedendo il nome di Alessia brillare per pochi istanti prima che lo schermo si spenga nuovamente.

Dentro di me qualcosa di spegne, è come se non riuscissi più a pensare ad altro e sento uno strano senso di angoscia invadermi e la cosa non mi piace; siamo nuovamente vicini alla via nel quale abita Valerio e non appena possibile accosto lungo il vialetto fermandomi quasi davanti casa sua.

Spengo il motore e la macchina ritorna quindi in silenzio, il ragazzo si volta verso di me lentamente e mi guarda con un'espressione dolce. «Tutto bene? Ti sei rabbuiato di botto... è successo qualcosa?» chiede lui.

Non so come ma deve aver capito che sto pensando ad altro, probabilmente che sto pensando ad Alessia e forse anche lui ha visto che la ragazza mi ha scritto qualcosa sul cellulare. Questo mi ha privato della felicità, proprio ora che sono in un momento in cui non pensavo a nulla.

«Mi fai paura. Ormai mi conosci bene...» dico slacciando la cintura, il caldo umido della serata diventa incredibilmente fastidioso e non riesco più a sopportarlo. Sento quindi il bisogno di liberarmi e di sgranchirmi le gambe.

Scendo dall'auto accendendomi una sigaretta e dando alcune boccate prima di ritornare a respirare come si deve, sento il petto compresso, come se qualcosa mi stesse schiacciando e ho gli occhi talmente pesanti che credo potrei scoppiare a piangere da un momento all'altro.

«Vuoi un abbraccio?» chiede Valerio, anche lui scende dall'auto e fa il giro dell'auto per venirmi contro, camminiamo entrambi sul giardino del vialetto, totalmente immersi nell'oscurità della serata.

Gli rivolgo un'occhiata cercando di non ridere per la proposta che mi ha fatto, ma non ci riesco e mi sfugge una risata carica di amarezza. Scuoto il viso.

«No, un abbraccio è troppo. Magari una pacca sulla spalla sarebbe meglio.» dico io avvicinandomi a lui, Valerio allarga le braccia e io istintivamente gli poggio la fronte sulla spalla come per cercare un sostegno in lui.

Sento poi la sua mano dietro la testa, una carezza tanto dolce e intensa che sento i brividi percorrermi lungo la schiena: mi sento bisognoso di affetto, mi sento talmente debole e talmente sfigato che non so che cazzo fare con Alessia, ma tutto questo Valerio lo sa già.

«Tranquillo, andrà tutto bene.» mi dice il ragazzo continuando a tenere la mano sulla nuca, alzo lo sguardo appena ritrovandomi a pochi centimetri dal suo viso. Ci scambiamo un'occhiata che sembra durare in eterno.

Nel suo “andrà tutto bene” ci leggo una promessa, non è un semplice modo per dirmi che le cose miglioreranno, lui vorrebbe davvero che io stessi bene; neanche Alessia mi ha mai guardato in quel modo in questi cinque anni. Nessuno che io conosco mi ha mai guardato con la stessa intensità col quale fa questo ragazzo; e sembra capirmi molto più di tutti i miei amici messi insieme.

«Tu dici?» gli chiedo con un sussurro, è strano stare così vicino a lui, legati da questo strano abbraccio di conforto, non mi sento minimamente imbarazzato, anzi, mi sento fin troppo a mio agio adesso.

«Ne sono convinto.» insiste, vedo i suoi occhi spostarsi leggermente verso il basso, distogli il contatto visivo e credo che mi stia guardando la bocca; ironicamente penso che Alessia mi aveva detto molto tempo fa che quando qualcuno ti guarda le labbra è perché ti vorrebbe baciare.

Decido di lasciarmi andare, smetto di pensare e la testa scatta in avanti, ritrovandomi con le labbra premute contro quelle di Valerio, unendoci in un bacio a stampo.

Tengo gli occhi spalancati per vedere la reazione di Valerio, inizialmente lo sento scattare appena indietro, ma poi resta immobile lasciando che quel bacio continui, resto pochi millesimi di secondo ancora con gli occhi aperti prima di riuscire a chiuderli, inclino il volto così da non sbattere contro quello di Valerio e schiudo le labbra restando sempre in cerca di quelle del ragazzo che asseconda il mio movimento goffamente lasciandomi condurre quel bacio proprio come farebbe una ragazza.

Senza rendermene conto gli ficco la lingua dentro la bocca alla ricerca della sua e un istinto animalesco si risveglia in me; non mi importa che Valerio sia un ragazzo, anche se è la prima volta che mi capita una cosa del genere. Ma con lui mi sento bene, libero e senza pensieri.

Poi però la mente riprende a funzionare e scatto indietro rendendomi conto di averlo appena baciato. «Sarà meglio che vada... si è fatto tardi e domani devo fare la mattina.» dico sfuggendo alla sua mano, sento un grande dolore in me. E mi dispiace lasciarlo così, ma sento di dover correre via.

«Va bene...» dice lui con un sussurro, nessuna parola aggiuntiva, nulla che potrebbe dire o commentare quel bacio, Valerio resta là immobile.

Salgo in macchina e prima di accendere nuovamente il motore vedo cosa mi ha scritto Alessia. Poche parole, una domanda diretta alla quale trovo subito risposta.

“Cinque minuti e sono da te.” rispondo io.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo Trentatrè ***


Valerio

Capitolo Trentatré

giovedì 29 agosto

 

 

Costantemente tengo sotto controllo l'orologio in alto sopra le porte di vetro, ogni cinque minuti circa mi assicuro che il tempo sia realmente passato, potrei vederlo direttamente dallo schermo del computer, o sullo schermo del mio cellulare, ma quando mi accorgo che sono passati solo pochi minuti allora ho bisogno di un'ulteriore prova.

Dentro di me sento un'ansia all'idea di vedere Mirco dopo quello che è successo l'altro ieri sera durante la nostra uscita insieme. Cerco di chiudere gli occhi e di riflettere su quel momento in cui ci siamo baciati e mi sembra che sia successo solo pochi istanti fa.

Sento ancora il sapore di sigaretta e qualcosa di forte dentro la bocca, sento ancora la presa forte di Mirco sulle mie labbra e in qualche modo la cosa quasi mi eccita all'istante. Forse anche in quel momento ero abbastanza eccitato, ma dentro di me non riuscivo a capire nulla quindi potrei ricordare anche male.

D'altro canto, Mirco era visibilmente giù di morale e non significa nulla una bacio in un momento del genere. Poi però mi fermo ancora a pensare e mi dico che Mirco non è come me, a lui piacciono le ragazze, e quel bacio intenso continua a perdere valore ogni volta che ci ritorno, quasi fino a farmi dubitare che sia realmente esistito.

“E se me lo fossi immaginato? Forse l'ho sognato, mi sto facendo mostri per nulla quindi.” dico, in qualche modo me ne voglio convincere e quindi passo l'intero pomeriggio a ripetermelo sapendo dentro di me che non è così.

Quando si fanno finalmente le tre sono completamente in visibilio visto che Mirco dovrebbe arrivare in ufficio a quest'ora. E poi, come se lo avessi chiamato, il ragazzo sbuca velocemente dal corridoio e poi rallenta.

Ci scambiamo un'occhiata lunga un momento, mi perdo nei suoi occhi chiari e lui si sofferma a guardarmi, entrambi stiamo pensando a quanto è successo la scorsa notte. Mi si stringe lo stomaco e mi costringo a parlare.

«Ehi ciao, come va?» dico usando un tono di voce più tranquillo e naturale possibile. Non voglio sentirmi a disagio parlando con lui, indipendentemente da quanto è successo, e se devo fare finta di nulla allora ci sta.

Mirco ha una reazione quasi sorpresa, cerco di comunicargli qualcosa con lo sguardo e silenziosamente stringiamo un accordo: non parlare di quel bacio che c'è stato tra noi, non perché per me non significhi nulla, ma proprio perché è stato intenso e speciale non voglio rovinarlo con ulteriori scuse e parole.

«Diciamo bene, ieri è stato un po' caotico per me. Non mi sono neanche goduto il giorno di riposo. Ho passato tutta la giornata a pensare e me ne sono andato al mare da solo. Avevo bisogno di tranquillità...» dice lui, parla lasciando intendere che è successo qualcosa e che non sia solo frutto della rottura con Alessia.

«Se è successo qualcosa e ti va di parlarne... sai che ti sono vicino.» ripeto, ma stavolta cerco di pensare unicamente di essere vicino a lui come amico, così dal mio tono dovrebbe trasparire quella nota di affetto.

Mirco continua a guardarmi restando distante un metro o poco più, si guarda intorno e dentro l'ufficio del Signor Cattaneo che è ancora vuoto. Poi si decide ad avvicinarsi e si siede sopra la scrivania, metto da parte quello che stavo facendo pronto ad ascoltare quanto ha da dire.

«L'altro ieri sera, dopo che ti ho lasciato a casa tua, ho trovato un messaggio di Alessia che mi chiedeva se potevamo vederci al Giardinetto. Sono stato con lei...» dice lui senza specificare.

Non saprei dire esattamente come mi sento quindi cerco di dimostrarmi interessato. «Ah sì? È stato spiacevole?» chiedo, l'attimo dopo sono già pronto a pentirmi della domanda e Mirco probabilmente se ne accorge.

Ma non prima di avermi risposto: «Fratello, abbiamo scopato. Mi è partito il neurone del sesso e non ho resistito...» dice ancora in risposta.

Sento il mondo crollarmi addosso, è una sensazione talmente spiacevole che vorrei dirgli di stare zitto e che non mi interessa sapere altro, ma so bene che non mi comporterei da amico se lo facessi, quindi stringo i denti e mi faccio forza. “Avanti, non essere uno stupido. Non fare il bambino e affronta questa situazione da uomo!”

Ma prima ancora che io possa dire qualcosa, Mirco aggiunge un commento alle sue parole. «Avrei decisamente dovuto evitare però...» dice alzando lo sguardo oltre di me e osservando il vetro della finestra che si affaccia sull'incrocio di strade.

Sembra realmente pentito di quello che ha fatto e dentro di me sento di essere dispiaciuto nel vederlo così tanto triste per un momento che poteva anche essere piacevole per lui. «Non è così negativo come dici, era da molto che non trovavate questa sinergia. Magari riuscirete a risolvere questa crisi che state attraversando...»

Con mia sorpresa però Mirco scuote il viso. «Non è quello che voglio; volevo solo sentire cosa aveva da dire. Abbiamo iniziato a parlare molto tranquillamente di come stavo io e di come stava lei. Poi ci siamo baciati, non so cosa è scattato nella mia testa ma volevo farlo. E da lì poi mi sono lasciato andare completamente.»

«Perché questo non è una cosa positiva per te? » chiedo cercando di capire cosa gli passa per la mente, Mirco è molto criptico e analizzando la situazione da un punto di vista esterno non capisco proprio la sua angoscia visto che tutto scaturisce da una mancanza di complicità con Alessia.

Complicità che dovrebbero aver ritrovato. «Perché sono stanco di soffrire per lei. Te l'ho detto, voglio stare con qualcuno che sia stabile e che mi faccia stare bene e con Alessia non è mai stato così!» il suo tono è aggressivo e indietreggio vedendo con quanta enfasi parla.

Mirco mi getta un'occhiata rapida e scuote il viso, in qualche modo si rende conto di aver alzato la voce. «Scusami, non sono proprio dell'umore oggi. Sta di fatto che non deve accadere più; facendo sesso con lei l'ho illusa che le cose potranno tornare come prima e io non voglio più...»

«Potresti provare a prendere questo periodo come una prova, qualche giorno di pausa in una relazione non significa che vi state lasciando. Servirà solo a capire se provate ancora o meno il sentimento che vi ha legati per cinque anni.»

Ma Mirco non sembra ancora essere convinto. «Questa storia è iniziata per via del sesso, perché era eccitante farlo di nascosto, ma io e Alessia siamo persone diverse.»

«Ma non è vero, mi ha detto tu stesso che la trovavi una persona interessante e che te ne sei innamorato dopo ore e ore di chiacchiere al telefono e tutto il resto!» cerco di insistere pensando che sto facendo la persona corretta, che mi sto dimostrando essere un buon amico, almeno questa consapevolezza non mi fa stare male.

Ma ancora una volta Mirco scuote il viso, comincio davvero a capire quanto sia testardo mentre prima non lo dava molto a vedere, più testardo di me. «Ho smesso di fare il cane per lei!» dice, poi subito aggiunge qualcos'altro per cambiare argomento. «Comunque, sto ancora digerendo il giapponese dell'altra sera, ho lo stomaco talmente pieno che sono una bomba ad orologeria, mannaggia a te!»

La sua voce prende una piega divertita, come se quello di cui stavamo parlando prima non avesse più importanza. Immagino che sia il suo modo di reagire alla cosa cercando di fare il duro della situazione. Faccio un mezzo sorriso e decido di assecondarlo, decido di stare al suo gioco.

«Anch'io, ieri sono stato male tutto il giorno e sono dovuto andare a lavoro lo stesso, ogni cinque minuti andavo in bagno. Mai più giapponese!» rispondo cercando di scherzare un po', lui ridacchia e poi decidiamo entrambi di mettere da parte le risate per dedicarci al lavoro.

Quando finisco il mio turno posso finalmente tornare a casa visto che sono le sei e mezza; saluto amichevolmente il ragazzo che sembra in sovrappensiero e abbastanza distratto, scendo quindi nel parcheggio e dopo un'intensa giornata di lavoro posso finalmente mettere piede a casa.

Mi dedico un po' a me stando nella mia camera con l'auricolare prima di andare a cena con i miei genitori e tra una cosa e l'altra scrivo ad Alice e a Rob, loro non sanno del bacio con Mirco, nessuno lo sa. È una cosa che non mi sono sentito di dire ai miei migliori amici, probabilmente Mirco non vorrebbe che si sapesse che ha baciato un ragazzo.

Inoltre dentro di me sento qualcosa che mi impedisce di parlarne, e in fondo so anche che questa è la cosa giusta da fare. E proprio mentre rispondo all'ultimo messaggio di Alice che mi da la buonanotte nonostante siano da poco passate le undici di sera, vedo la notifica di un messaggio da parte di Mirco che mi scrive in quell'istante.

°Mirco:

Ehilà fratello, dove sei buttato?

°Valerio:

Oi, niente sono a casa in questo momento

tu che stai facendo?

°Mirco:

Ho appena consegnato il menabò.

Dovrei andare in discoteca con i miei amici

ma so che ci sarà anche Alessia.

Ho bisogno di te...

E proprio quando leggo il messaggio con scritto: “Ho bisogno di te” sento il mondo fermarsi e le gambe tremare, vorrei cercare una spiegazione a come mi sento ma nella mia mente continua a ripetersi soltanto quella frase all'infinito e mi sembra di impazzire.

Provo a scrivere altro ma mi fermo ancora una volta e decido di chiamarlo direttamente così da non perdere altro tempo. «Pronto?» chiedo sentendo la sua voce. «Che cosa è successo, Mirco?» aggiungo.

«Ho bisogno di te, del tuo sostegno. Non sono sicuro di poter passare una serata in discoteca con Alessia e gli altri intorno e sento che potrei fare una cavolata. Ti andrebbe di venire anche tu?» chiede Mirco, dalla voce sembra tranquillo ma riesco quasi a sentire una nota di disperazione appena velata, non è una persona che si fa vedere debole e per avermi detto di avere bisogno di me capisco subito che è importante che io sia presente per lui.

«Va bene, dammi cinque minuti il tempo di prepararmi e arrivo.» mi fermo subito. «Ma dove ci dobbiamo vedere?» chiedo subito senza avere riferimenti.

«Vieni a casa mia. Ti puoi preparare anche qui da me.» dice, poi la conversazione termina e resto qualche istante a pensare al fatto che sto uscendo alle undici passate per andare in discoteca a BALLARE.

“E tutto questo lo faccio solo per un ragazzo...” penso ancora, ma nel frattempo il mio corpo è in movimento e mi sto già vestendo per uscire.

Mi alzo di scatto dal letto spingendomi a forza contro l'armadio e cercando di capire cosa potrei mettermi, ho la mente in balia dei pensieri e non riesco a fare qualcosa di concreto; prendo velocemente un jeans e lo infilo mentre getto via la maglietta e prendo la prima cosa che mi capita a tiro e la indosso.

Quando sono già a metà strada mi accorgo di aver messo una maglietta a maniche corte per niente elegante e la cosa mi fa sentire già in imbarazzo visto che non saprei che genere di gente o di discoteca frequenta Mirco e i suoi amici.

Di fatto continuo a seguire la posizione che mi è stata mandata da Mirco e seguo le vie della città fino ad arrivare alla parte della periferia più disagiata! Le strade sono molto buie e a tratti anche rovinate, in alcuni angoli vedo delle persone che si aggirano con fare circospetto e nella mia mente si concretizza solo un pensiero:

“Dove cazzo sono finito?”

Quando arrivo all'indirizzo datomi da Mirco mi accerto più volte che sia giusto, parcheggio proprio vicino la macchina del ragazzo riconoscendola dalla targa e dal nero della carrozzeria, poi scrivo velocemente al ragazzo che sono davanti al portone.

Sento lo scatto della serratura e nello stesso istante Mirco mi scrive che abita al quarto piano e che l'ascensore non funziona; socchiudo gli occhi e mi viene da pensare che in qualche modo ci ha provato gusto nel dirmelo.

Velocemente e col cuore alla gola raggiungo il quarto piano e vedo una porta aprirsi per poi vedere Mirco che sbuca fuori dall'uscio indossando semplicemente un pantalone fino alle ginocchia, mostra il petto liberamente e sento una vampata salirmi fino alla gola.

“Che bel saluto!” penso tra me e me ma cerco di impegnarmi nel non esternare tramite movimenti facciali.

«Ehi finalmente, ho aspettato te per farmi la doccia. Sbrigati dai che è quasi mezzanotte.» dice lui tirandomi praticamente dentro casa e qua mi sento già a disagio.

La casa di Mirco è comporta da uno stretto e lunghissimo corridoio sul quale si affacciano diverse porte che sono tutte chiuse. La prima, quella che mi viene subito davanti, credo sia la cucina, ma la luce è spenta e non riesco a capire quali mobili ci sono al suo interno. Non ho neanche modo di analizzare troppo i dettagli visto che il ragazzo mi spinge poi oltre le porte fino ad arrivare alla camera.

«Non sapevo esattamente cosa mettere perciò ho preso la prima cosa che mi capitava. Ma non credo di aver fatto una scelta intelligente...» dico quasi scusandomi, Mirco getta una rapida occhiata chiudendosi la porta alle spalle. La sua espressione non è critica ma comunque non positiva.

«Apri pure l'armadio e prendi una delle camicie, prendi quella che più ti piace. Io scappo in doccia, due minuti e sono da te.» dice sfuggendo via dalla stanza, non ho neanche il tempo di replicare che resto qui immobile.

“Camera di Mirco è davvero piccola rispetto alla mia, ecco perché sembrava spaesato.” penso tra me e me e come mi è stato concesso apro le ante dell'armadio vedendo un assortimento di alcune camice bianche che il ragazzo usa per il lavoro, svariate magliette, cappelli con visiera e infine poche camicie eleganti ammassate in un angolo.

Getto una rapida occhiata all'interno con i pensieri che vanno oltre e avanti nel tempo, non so esattamente che giorno ma so che a settembre Mirco compirà gli anni e avrei molto piacere di fargli un regalo, conosco i suoi gusti musicali e ciò che gli piace quindi mi basta girare un po' per capire che non ha molti gadget o magliette delle cose che gli piacciono e potrebbe essere un'idea.

Prendo la camicia più asettica che ci sia, un grigio topo spento, slim fit e quindi che aderisce bene al corpo, io e Mirco portiamo più o meno la stessa taglia in fin dei conti. Tolgo la maglietta lasciandola sul letto e indosso la camicia continuando a girarmi intorno.

“Evidentemente si fida di me se addirittura mi lascia girare per camera sua come se nulla fosse...” penso ancora avvicinandomi alla piccola scrivania sul quale ci sono alcuni dei libri che Mirco mi ha detto di aver letto più volte.

“Potrei anche regalargli un bel libro. Qualcosa che non ha e di cui abbiamo parlato magari.” ma la ricerca si fa fin troppo ardua arrivato a questo punto, inoltre la porta della stanza si spalanca e il ragazzo entra indossando un pesante accappatoio.

«Non ti sta male.» dice Mirco guardandomi mentre indosso la camicia, immagino che detto da parte sua sia quasi un complimento, anche se non sono sicuro che ne capisca molto di vestiti. Però è apprezzato.

«Grazie, era quella che mi piaceva di più.» dico, vorrei tanto poter studiare l'espressione di Mirco visto che pochi minuti prima da quanto mi aveva scritto sembrava essere in grave difficoltà, ma adesso che ci presto attenzione lo vedo piuttosto tranquillo e sicuro di sé.

Quando Mirco si avvicina al comodino per prendere le mutande e le calzette decido di dargli le spalle nonostante una parte di me vorrebbe vederlo cambiarsi e vorrebbe anche conoscerne i dettagli. Ma non vorrei sembrare quel genere di ragazzo che approfitta della situazione.

Tra di noi scende uno strano silenzio, cerco di isolare i miei pensieri mentre sento Mirco che si cambia e che si avvicina all'armadio, solo a quel punto decido di girarmi ancora per vedere che indossa una camicia simile alla mia ma di un grigio più incisivo e differente modello.

«Andiamo, altrimenti arriviamo tardi.»

«Va bene, come ci organizziamo? Ci spostiamo con due macchine? Forse converrebbe...» dico io per primo mentre ci muoviamo silenziosamente lungo il corridoio e nel pianerottolo quando scendiamo le scale.

«Come preferisci. Se pensi di non poter stare tutta la notte lo capisco, tranquillo.» dice lui, questo è solo il preambolo di quella che mi aspetterà questa notte visto che si prospetta una lunga serata in discoteca.

Pochi minuti più tardi ci troviamo parcheggiati proprio davanti la discoteca in questione che non è altro essere un grande casolare senza le pareti e con la gente che ci balla dentro; in lontananza vedo un angolo illuminato dove penso sia situato il bar; da qualche parte ci sarà anche la postazione del dj dove sta esplodendo la musica.

«Sei pronto?» mi chiede Mirco invitandomi a seguirlo, oltrepassiamo la strada e ci troviamo ad entrare in questa “discoteca”, resto vicino al ragazzo così da non perderlo di vista vedendo che saluta con la mano alcune persone che potrei giurare di non aver mai visto in città.

Non appena ci mescoliamo alla folla sentendo subito l'odore dolciastro dei cocktail che le persone tengono stretti nelle mani mentre si muovono al ritmi della canzone che segue, con Mirco ci spostiamo sempre di più verso l'interno finché non raggiungiamo un'area dove vedo che saluta dei ragazzi amichevolmente, riconosco alcuni di loro tramite le foto sui social; uno si chiama Francesco, ma Mirco lo ha sempre chiamato Franz, mentre l'altro quello con i capelli e la barba rossiccia si chiama Leonardo.

Tra le varie persone che stanno salutando il ragazzo e che mi salutano come se fossimo amici anche noi, riconosco Alessia, bionda e bella da far paura, molto diversa rispetto a quando l'ho conosciuta al centro commerciale pochi giorni fa. La ragazza mi saluta allegramente, poi vedo il suo sguardo inasprirsi quando si rivolge a Mirco.

«Vuoi qualcosa da bere?» chiede il ragazzo dopo aver salutato tutti i suoi amici. Getto un'occhiata al bar e annuisco visto che le mie parole e il loro suono si disperdono nell'aria. Entrambi ci spostiamo.

«Sembrava piuttosto tranquilla...» commento cercando di urlargli nell'orecchio, Mirco annuisce ma non risponde altro. Ci troviamo a fare la fila per prendere qualcosa da bere e io continuo a guardarmi intorno.

I miei occhi cercano il gruppo di Mirco e penso che i suoi amici abbiano una certa figaggine, cosa che al ragazzo non manca di certo. «Ti stai guardando intorno?» chiede improvvisamente il ragazzo biondo, sobbalzo sentendo la sua voce nell'orecchio e mi limito a ridacchiare.

“Decisamente questo posto non aiuta la comunicazione.” penso ancora nella mia testa; e tristemente non posso immaginare che questo sia solo l'inizio della serata.

Tra un cocktail e l'altro le parole che riesco a scambiare con Mirco sono veramente poche, nonostante ci teniamo sempre vicini e sempre a portata di sguardo per evitare di perderci, mi sembra che il ragazzo sia distante anni luce da me e che io non riesca proprio a raggiungerlo.

La musica aumenta di volume e altre all'odore dell'alcol si presenta un pian piano un odore più acre, qualcosa che mi pizzica il naso infastidendomi, è qualcosa che ho già sentito anni prima durante il liceo, quando i miei compagni di classe si mettevano a fumare erba nel cortile della scuola.

Storco appena il naso, ma ben presto mi abituo a questa nuova situazione e l'odore acre sparisce senza neanche che me ne rendo conto, specialmente dopo il secondo cocktail che mi sembra più amaro che dolce. Le mie interazioni con Mirco mi rendo conto sono state quasi nulle, ma sarebbe impossibile il contrario visto che c'è troppo CAOS.

Tra una canzone all'altra e con l'aiuto dell'alcol che ormai è arrivato nel mio cervello riesco anche a ballare insieme agli amici di Mirco, persone che non ho mai visto prima d'ora e che in qualche modo mi fanno divertire, senza tenere conto che sia il rossiccio che quello con i capelli scuri sono entrambi dai fisici possenti e sono un bel vedere.

In tutto questo, mi rendo conto di non vedere Mirco da molto, giro su me stesso più volte cercando di non dare nell'occhio, mi muovo al passo della musica e nel frattempo lo cerco con lo sguardo solo per trovarlo a ballare insieme ad Alessia pochi metri più distanti.

Sento il mio cuore fare un tonfo, cade in una profondità tanto oscura da smorzare il mio entusiasmo; i due sono semplicemente vicini, stanno ballando nonostante lei muova le mani verso di lui, ma Mirco non sembra dispiaciuto di quella danza, neanche sembra troppo preso.

Sento quindi il bisogno di fuggire dalla folla, l'aria mi manca e il respiro è sempre più spezzato, sguscio via attraverso i due amici di Mirco che continuano a ballare anche con le altre ragazze e con le persone che hanno intorno mentre io riesco a raggiungere un punto non troppo distante dal casolare ma più tranquillo.

Prendo il cellulare vedendo che sono quasi le tre del mattino, vorrei tanto scrivere ad Alice o a Rob per tenermi compagnia qualche minuto mentre Mirco e gli altri si divertono, mi sento talmente fuori luogo che, nonostante io sia in mezzo ad una folla di persone, mi sento invisibile.

Scrivo un breve messaggio ad entrambi dicendo loro che sono in discoteca con Mirco, che è stato tutto organizzato all'ultimo momento e scherzo dicendo loro che mi sto annoiando quindi cerco compagnia sul cellulare.

Nessuno dei due amici però risponde abbastanza in tempo, Alice starà dormendo da molto e l'unica mia speranza effettiva sarebbe Rob se non fosse davvero troppo tardi anche per lui. Resto quindi immobile a guardare il vuoto e l'oscurità oltre il casolare che mi accorgo adesso si affaccia sulle luci della città distante.

“Non mi sono neanche reso conto di aver fatto tutta questa strada per raggiungere questo posto. Siamo fuori città, ma comunque lontani dal mare...” dico, saprei fare la strada e ritroso ma non saprei mai più raggiungere questo posto visto che non ci sono ma stato prima d'ora.

«Ehi, mi hai fatto venire un colpo. Potevi anche avvertirmi che ti stavi allontanando!» sento la voce di Mirco e lo vedo avvicinarsi a me, si china così da guardarmi in faccia mentre io resto seduto nel mio posto. Mi limito a fare spallucce, sembra tranquillo e non voglio rovinargli la serata ore che è più sereno.

«Scusami, avevo bisogno di aria pulita. Tutto quel caldo e quelle persone, la musica e il fumo mi stavano facendo sentire davvero tanto male.» dico io debolmente, lui comincia a ridacchiare.

«La discoteca non è proprio il tuo forte eh? Non il tuo ideale di serata, immagino.» dice lui preoccupandosi, mi fa piacere che si interessi a quello che penso. Scuoto il viso e tengo il contatto con i suoi occhi.

«Non apparterremo mai allo stesso mondo.» giungo a conclusione; Mirco mi guarda stranito e confuso senza capire di cosa io stia parlando.

«Certo che apparteniamo allo stesso mondo. Che stai dicendo, fratello?» mi risponde lui con leggerezza, la sua risata è smorzata quindi evidentemente ha capito che non sto scherzando e di cosa parlo.

«Lascia stare... sarà meglio che vada, comincio ad essere stanco e la strada verso casa è lunga. Ci becchiamo, va bene?» gli dico alzandomi in piedi e facendo pochi passi indietro salutandolo con la mano mentre gli do le spalle.

Quello che più ricorderò di questa sera sarà lo sguardo di Mirco, convinto che tutto vada bene e che sia una serata come tutte le altre; senza però davvero capire il disagio nel quale mi sono trovato solo perché mi interessa!

“Sono uno stupido...” mi ritrovo infine a pensare gettando via il bicchiere dell'ultimo cocktail che ho bevuto, non sono ubriaco quindi posso mettermi in macchina e camminare piano così da non correre rischi. “Non farò mai parte del suo mondo!”

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo Trentaquattro ***


Mirco

Capitolo Trentaquattro

martedì 3 settembre

 

 

Mi chino lentamente per tirare su le mutande infilandole nuovamente, poi vado alla ricerca dei miei pantaloncini, la mente persa nei meandri dei miei pensieri mentre dietro di me, la donna russa si pulisce le mani e si muove sinuosamente, sento il suo respiro sempre addosso a me, quando mi sfiora la spalle sento il bisogno di fuggire.

Il suo tocco mi infastidisce. Lei probabilmente se ne accorge e parla: «Cos'è? Ora che tu è venuto non ti piaccio più? Prima però quando ficcavo due dita in tuo culo sembra ti piacesse!» dice Svetlana, probabilmente ferita nell'orgoglio, a me la cosa fa abbastanza ridere.

“Non credevo che le puttane avessero un orgoglio di donna. Questa si vende mani e bocca per fare seghe e pompe a chiunque e mi fa la predica?” penso tra me e me, riesco ad infilare i miei indumenti ignorando la donna e le sue lamentele.

«Senti, ho già i miei pensieri. Non rompermi i coglioni anche tu, non siamo fidanzati. Ti ho pagato per svuotarmi no?» reagisco con rabbia e lei sembra abbastanza ferita, l'ultima volta mi aveva detto che se le avessi dato un extra sotto banco avrebbe potuto completare il suo servizio con un “bacio” speciale ed è quello che è successo.

L'espressione di Svetlana è insicura, la donna che c'era fino a pochi minuti prima sembra essere svanita e si rivela esserci una creatura più debole, l'ho trattata male solo perché ho la mente incasinata in questo periodo.

“Di certo però non mi confesserò con una puttana...” dico tra me e me mentre finisco di rivestirmi. La mente viaggia automaticamente però.

Il bacio con Valerio, quel bacio che mi ha praticamente scombussolato la vita; e quello che è accaduto con Alessia la sera stessa... e sono ormai giorni che rifletto sulle parole del ragazzo quando siamo andati in discoteca insieme: “Non faremo mai parte dello stesso mondo...”

Mi sono chiesto per giorni cosa volesse dire e nonostante ci siamo visti a lavoro e avrei potuto chiederlo, non c'è materialmente stata l'occasione: tra il carico di lavoro del fine settimana e gli impegni che si susseguono uno dopo l'altro, io e Valerio non siamo riusciti a parlare molto.

E quando io cercavo di attaccare bottone, lui mi respingeva. “In realtà ci stava anche che fosse troppo impegnato a lavorare e quindi non mi dava attenzioni.”

Nella mia testa riprendono i pensieri e gli incubi che stanno popolando le mie notti: Alessia in lacrime, le persone che amo lontane da me, Valerio che mi allontana senza un motivo particolare e ancora mi domando perché di questo mio attaccamento al ragazzo.

«Tua ragazza ha forse ripreso a dartela?» chiede Svetlana, come un ottimo servizio clienti, sta cercando di capire cosa non sia andato come doveva. Il paragone della donna russa ad un call center mi fa venire da ridere.

Il risultato è che faccio un sorriso pieno di amarezza. Tra le varie cose, c'è anche il fatto che quando la donna russa ha infilato le due dita nel mio culo, ho provato anche gusto, e più lei giocava con la bocca, più io trovato tutto eccitante.

Lo scambio di sguardi con un perfetto sconosciuto al centro commerciale mi sembra la minima cosa di fronte a quello che sto vivendo adesso; il bacio con Valerio, qualcosa che è andato oltre l'essere un semplice bacio a stampo. Per me ha significato qualcosa, ma mi voglio giustificare che quello sia un atto di affetto.

E poi ci metto anche il fatto che una russa ha giocato con le sue dita dentro di me... e mi è molto piaciuto. Tutto questo non ha senso.

«Guarda, non c'entra nulla la mia fidanzata. Semplicemente ho la testa altrove e non ci sto a fare il simpatico, ok?» le dico senza troppa ansia, prendo poi il cellulare e mi rendo conto che ho un messaggio non letto.

“Valerio De Luca”

A quel punto apro immediatamente la conversazione, semplicemente il ragazzo mi chiede che cosa sto facendo, visto che io sono libero e lui oggi non lavora nel pomeriggio, aggiunge che voleva vedersi per un caffè con me.

Il messaggio però risulta essermi arrivato mezz'ora fa, quindi riconosco di essere un po' in ritardo. Anziché rispondere al messaggio mi decido di chiamarlo mentre raccolgo le ultime cose.

«Pronto?» dice Valerio rispondendo. Sentire la sua voce mi tranquillizza, non sembra neanche particolarmente arrabbiato. Sembra tranquillo.

«Oi, scusa ma stavo facendo una cosa e non ho proprio letto il cellulare. Ci vediamo tra pochi minuti al Caffè Centrale? Sono in periferia e mi ci vorrebbero dieci minuti per arrivare ma mi pare non sia molto distante da dove abiti tu. Che dici?» gli chiedo.

Il ragazzo ci pensa qualche istante, poi mi risponde: «Va bene, ho il tempo di prepararmi allora. Ci vediamo là tra dieci minuti.» dice abbastanza di fretta, poi ci salutiamo e sento dell'amaro in bocca.

«Devo andare, grazie mille. Alla prossima.» dico solo quando ho già aperto la porta, andarmene senza neanche saluta la donna russa mi è sembrata l'idea migliore, ma non incolpo lei dei miei pensieri e di quello che sto provando in questo momento dentro di me.

Svetlana evita di salutarmi e non mi importa poi tanto, non so se questa è l'ultima volta che verrò qui visto come mi sono sentito oggi. Percorro il corridoio con grande velocità fino ad arrivare alla porta che spalanco e mi ritrovo dietro il bancone dove l'altra donna russa amministra il tutto.

«Allora buona giornata, e spero di rivederti presto, caro.» dice lei, l'accento sempre un po' strano ma visibilmente contenta quando le lascio i soldi sul bancone. Poi me ne vado via di corsa camminando fino alla mia auto nera.

Durante il percorso in strada vorrei mettere della musica, in modo da distrarmi ed impedire ai miei pensieri di materializzarsi ma non trovo nulla che mi ispiri, anche tra le varie canzoni della mia playlist. Mi limito semplicemente a cambiarla una dopo l'altra fino ad arrivare praticamente davanti il Caffè Centrale dove mi devo incontrare con Valerio, subito il mio occhio va alla ricerca del ragazzo ritrovandolo all'angolo della strada.

Scendo dall'auto togliendo gli occhiali da sole e spostando la visiera del cappello mentre metto le chiavi nella tasca, mi avvicino al ragazzo che per l'occasione ha indossato un jeans e una camicia leggera a maniche corte, sempre col suo zaino dietro le spalle, sempre molto curato.

«Ehi fratello, come andiamo?» chiedo io alzando la mano per salutarlo, lui ricambia il cinque e subito segue pugno contro pugno. Il nostro saluto ufficiale direi.

Valerio fa spallucce e sembra distratto da qualcosa, lo vedo strano in effetti, diverso. «Tutto bene, diciamo. Nulla di grave, solo una mezza parola con un amico. Tutto qua.» risponde, la cosa mi sembra molto strana visto che non ho mai sentito Valerio lamentarsi di avere litigato con qualcuno e la cosa mi incuriosisce molto.

«Che è successo? Ti va di parlarne?» chiedo mentre faccio strada attraverso la veranda completamente aperta del bar, ci muoviamo attraverso i pochi tavoli occupati decidendo di sederci dentro e aspettiamo che uno dei camerieri in giro per il bar si avvicini per servirci.

Il ragazzo ci pensa un po' prima di decidere se parlarne o meno, forse sta cercando le parole giuste, anche se non penso a Valerio come una persona che abbia problemi d'espressione. «Si tratta di Rob, è il mio migliore amico. Non è nulla di grave, abbiamo parlato di una cosa e lui non era d'accordo con me. Quando capita fa male... »

Dal modo evasivo con cui parla sembra non volersi esprimere, per la mente mi passa il pensiero che forse abbia detto del nostro bacio, sento il sangue ribollire nelle vene e l'ansia salirmi addosso. Ma poi penso che Valerio non è quel tipo di persona che tradirebbe la tua fiducia.

«Lascialo fottere, capita nella vita di non essere sempre d'accordo. L'importante è riuscire a fermarsi in tempo prima di dire cose pesanti o di fare sciocchezze.» gli rispondo, rido dentro di me sapendo che io stesso non saprei mettere in pratica questo mio consiglio.

Valerio la sa più lunga di me e ridacchia mentre con lo sguardo vaga in cerca di un cameriere. Ironicamente commenta: «Da che pulpito viene la predica. Pensi che ci noteranno prima di diventare troppo vecchi?» aggiunge riferendosi ai camerieri, riesce quindi ad attirare l'attenzione di uno di loro che si avvicina sorridente.

«Per me un ginseng, per il mio amico qui un orzo macchiato, per favore.» risponde Valerio al mio posto alla domanda sull'ordinazione, poi il ragazzo ritorna al bancone e consegna il foglietto della comanda e sparisce ancora.

«Che posso farci... sono un tipo impulsivo io.» dico iniziando, sono lì lì per dirgli la mia decisione in merito al viaggio. Potrebbe restarci male, ma sono sicuro che sia meglio dirglielo ora e non aspettare.

«Tu invece come va?» chiede lui dirottando altrove le attenzioni, è quindi il mio turno di parlare e annuisco lentamente mentre i nostri caffè arrivano al tavolo.

«Io ho pensato molto se partire con Alessia o meno. Ho già dato da un po' tutti i documenti al Signor Cattaneo, non ci vorrebbe nulla a cambiarli... ma voglio sfruttare questa cosa. Alessia ha anche insistito...»

«Che intendi dire?»

«Lei ha pensato a questo cosa del viaggio di lavoro come un'occasione: qualche giorno di vacanza per entrambi, passare un po' di tempo insieme ci farà bene, secondo lei. Io non voglio tornare ad essere il suo ragazzo cagnolino che fa tutto quello che dice lei.» faccio una pausa, l'ultimo incontro con Alessia è stato pochi giorni fa, prima che il mese dell'autunno iniziasse.

«Gliel'ho anche detto che non voglio che lei si faccia illusioni e che nutra speranze che tra noi due possa di nuovo scattare qualcosa. Lei ha risposto che le stava bene e che voleva passare del tempo tranquillamente con me senza particolari cose. In fondo credo di doverglielo...»

Posso leggere ogni emozione e sua sfumatura dall'espressione di amarezza che compare sul volto di Valerio, mi viene da pensare che sia geloso. Poi probabilmente starà pensando che sono un idiota e che in realtà non devo nulla ad Alessia...

«Se credi che questa sia la scelta migliore, penso che tu debba farla. Sì, immagino che passare del buon tempo anche in amicizia con lei ti possa fare bene...» dice il ragazzo con lo sguardo perso nel fondo della sua tazzina da caffè.

“Quanto vorrei sapere cosa pensi davvero, pagherei oro probabilmente. Ma penso di conoscerti abbastanza da saperlo già.” mi dico tra me e me parlando con Valerio, come se il ragazzo avvertisse i miei pensieri scatta con la testa in alto e ricambia la mia occhiata.

«Pensi davvero che sia una buona idea?» chiedo per conferma, ma il tono usato da me è diverso da quello che ha interpretato il ragazzo.

«Sì, penso che tu debba partire lo stesso con lei. Al ritorno poi mi racconterai com'è andata.» dice, sembra dare per scontato che durante quei tre giorni non mi farò sentire con lui, che non gli manderò neanche un messaggio.

La cosa mi fa sentire abbastanza strano, quasi a disagio: io non sono quel genere di persona che sparisce e se lui mi dipinge in questo modo... “Forse la colpa è solo mia e delle mie azioni.” dico tra me e me.

Più che un caffé di piacere, quest'incontro si sta lentamente trasformando in una tortura nel quale né io né Valerio probabilmente vogliamo continuare a sopportare. Vuoto del tutto la mia tazza d'orzo. «Ci alziamo? Andiamo dai, ci facciamo un giro in macchina e continuiamo a parlare un altro po', che dici?» dico.

La mia suona più come una supplica, Valerio però accetta di buon gusto la mia proposta e prima che lui possa nuovamente estrarre il portafogli sono il primo a farlo, pago i due caffè mentre il ragazzo mi sbraita contro.

«Ci tieni così tanto ad offrirmi tutto quello che prendiamo?» chiede lui sarcasticamente, ridacchio tra me e me della sua reazione e del fatto che noto che questa cosa lo sta in qualche modo lusingando.

“Valerio spesso e volentieri pensa proprio come una ragazza, però lui si rende felice con poco.” mi dico prima di salire in macchina, il ragazzo ha un largo sorriso stampato sul volto e mi fa piacere.

«Dove andiamo di bello?» chiede lui sedendosi comodo e allacciando la cintura di sicurezza, imito il suo gesto e metto in moto il mezzo sfrecciando ad alta velocità per le strade che in questo pomeriggio così caldo sono deserte.

«Stiamo in giro.» dico facendo spallucce. «La città è praticamente deserta. Mi mancherà quest'aria tranquilla. Durante l'inverno ci sarà di nuovo un casino tra le strade e si ritornerà al bordello degli ingorghi.»

«Ci siamo abituati. Per adesso non voglio pensarci, mi voglio godere gli ultimi giorni di questa estate. Quest'anno sono andato a mare pochissime volte nonostante ne avessi avuto più occasioni.» dice il ragazzo in risposta, getto un'occhiata verso di lui, ha la testa poggiata sulla mano che tiene sopra il finestrino.

«Io posso dire di essermi goduto quest'estate. Anche se sono cambiate molte cose...» dico tra me e me, alla fine le mie parole diventano un sussurro quasi impercettibile. Decido di cambiare argomento in fretta.

«Ero in giro per la città, sono stato di nuovo a farmi fare un particolare massaggio. Ne avevo proprio bisogno.» dico alludendo con malizia a quello che ho fatto poche decine di minuti prima, Valerio scatta con la testa verso di me e ridacchia leggermente.

«Ah sì? Immagino che ti servisse una mano allora.» dice senza troppo interesse, cerco di spronarlo un po' come mio solito scherzando sul sessuale.

«Avresti voluto darmi una mano tu? Probabilmente non avrei dovuto neanche lasciarci tutti quei soldi, in quel caso.» svolto l'angolo della strada senza sapere dove sto andando, non ho una meta in particolare, semplicemente mi rilassa guidare mentre parlo con Valerio.

Il ragazzo guarda avanti senza mostrare emozioni. «Gli amici si vedono nel momento del bisogno, immagino. Anche se credo che chi lo abbia detto non parlava proprio di questo “bisogno”.» risponde.

Non riesco a trattenermi e scoppio a ridere della battuta che ha appena fatto, sento quasi le lacrime agli occhi e lui lentamente comincia a ridere con me. «Questa mi è piaciuta, davvero.» dico in conclusione. «Che programmi hai per oggi?» dico vagamente. Poi l'attimo seguente mi ricordo che lui deve tornare a lavoro per la chiusura dell'ufficio.

«Nulla di speciale, quando finisco probabilmente mi vedrò con i miei amici. Tu invece come continuerai questo giorno?» chiede Valerio.

«Dopo che finisco con te devo incontrare un amico alla Villa; Franz, era in discoteca. Il ragazzo coi muscoli e i capelli scuri.» dico cercando di portargli un'immagine alla mente, lui sembra ricordarsi subito del mio amico.

«Certo che lo ricordo...» conclude la frase lasciandola a metà, capisco subito quello al quale sta pensando.

«Ti ci volevi strusciare contro, vero?» chiedo spronandolo a parlare, Valerio si mordicchia il labbra alzando gli occhi al cielo per pensare ad una risposta.

«Era proprio un gran figo, non gli puoi dire di no. Ma non credo di essere proprio il suo tipo, vero?» chiede lui, scuoto il viso continuando a ridacchiare anche se dentro di me sento qualcosa mordermi.

Potrei definirlo come un fastidio ma non ne so chiarirne l'origine: mi infastidisce che stia parlando di un mio amico o che stia parlando di un altro ragazzo? E subito viene la ragione, che mi dice che non ho motivo di essere “geloso”.

«Comunque tu sei stato a farti fare un “massaggio” e dopo ti sei visto con me? Cioè senza prima neanche lavarti o...» l'espressione di Valerio la dice lunga su quello che sta pesando, scrollo le spalle ricambiando la sua occhiata con innocenza visto che non vedo il problema.

«Ti fa schifo l'idea?» chiedo.

Lui scuote il viso. «No, ma figurati. Ognuno fa quello che vuole, la cosa non mi fa sentire proprio a mio agio, con Rob non siamo mai entrati nel particolare di queste cose...» dice lui, l'argomento prende una piega interessante.

«Perché no? Credevo che fosse il tuo migliore amico, non gli dici tutto quello che ti capita e che fai?» dico cercando di mostrarmi il più disinteressato possibile, nella mia mente è anche una prova per vedere o meglio, per capire se Valerio possa avermi tradito e detto a qualcuno del nostro bacio.

Rallento con la macchina mentre svolto l'angolo ancora una volta e colgo l'occasione per rivolgere un'occhiata al ragazzo la cui espressione è più cupa.

«Certo, con lui posso parlare di tutto. Ma certe cose non voglio che le sappia, né lui né Alice. Sono cose troppo personali, troppo intime; sono dei segreti che voglio custodire dentro di me. Oppure cose senza importanza. Ma nel più dei casi si tratta di cose che voglio solo mie!»

Valerio fa una pausa, senza accorgersene ha abbassato lo sguardo ma lo rialza di scatto guardando in avanti, poi si volta verso di me ricambiando l'occhiata. «Proprio per questo motivo non ho mai detto loro di essere attratto dai ragazzi, almeno fino a qualche mese fa. Volevo che questa consapevolezza non influisse sul nostro rapporto. Ma mi sono reso conto che lo sapevano già, quindi non era nulla di “segreto”. Era tutto normale.»

Annuisco capendo perfettamente il suo punto di vista, anch'io ho dei segreti, delle sensazioni, delle cose che voglio tenere nascoste a Lily o a Franz che magari sono le persone più vicine che ho in questo periodo. Anche Alessia era all'oscuro di certe cose o certi miei pensieri.

«Credo sia meglio che io vada adesso, ti riaccompagno a casa, altrimenti Franz mi terrà il muso lungo se arrivo in ritardo.» dico svoltando per rientrare nella zona residenziale nuova della città, Valerio annuisce.

«Cosa dovete fare, se posso?»

«Scopare.» dico trattenendo un sorrisetto, il ragazzo si volta ancora lentamente guardandomi torvo. «Scherzo, più o meno. Dobbiamo spazzare e ripulire la Villa. È il nostro rifugio e so che Franz deve condurre alcuni affari...» dico vagamente, mi interrompo perché non vorrei dirgli che il ragazzo spaccia ma Valerio lo capisce da solo.

«Vende droga?» annuisco. «Ci sono cose peggiori in questo mondo.» dice lui, ed è proprio vero.

Quando arriviamo davanti casa sua parcheggio nel punto esatto in cui l'altra volta c'eravamo fermati quando siamo scesi dall'auto e ci siamo baciati. Sento una certa ansia nel trovarmi ancora una volta qui, ci scambiamo uno sguardo e allungo la mano a mo' di saluto.

Valerio mi batte il cinque amichevolmente. «Ci rivediamo domani a lavoro, allora.» dice cominciando a scendere dalla macchina, quasi mi dispiace che non se ne stia andando così velocemente, ma d'altronde non mi posso di certo aspettare altro. E io sono piuttosto di fretta ora che ci penso.

«Certo, stammi bene e fai il bravo.» dico, quando la portiera si richiude vedo il ragazzo scomparire lungo il vialetto, io metto nuovamente in moto e percorro le strade alla volta della periferia e della nostra zona.

“Parlare con Valerio mi ha fatto proprio bene dopo l'avventura di oggi con Svetlana. Parlare con lui mi fa sempre stare bene. Questa cosa dovrebbe forse... preoccuparmi? » mi ritrovo a pensare, sento il viso rigido e la mascella contratta, scuoto il viso per allontanare i pensieri.

Accendo la radio e la metto a tutto volume, se mi concentro sulla musica non avrò modo di pensare ad altro.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo Trentacinque ***


Valerio

Capitolo Trentacinque

sabato 7 settembre

 

 

Quando parcheggio il pick up nel vialetto vedo subito che c'è anche la macchina di Rob, il ragazzo però mi sta aspettando fuori visto che all'interno del mezzo sentirebbe caldo. Quest'estate sembra non voler finire nonostante ormai siamo nei primi giorni di settembre. A me sinceramente ha stancato e non vedo l'ora che arrivino le piogge, ma d'altronde non ho mai amato il bel tempo.

«Ehi lavoratore, com'è andata?» chiede lui venendomi contro, raccolgo le mie cose e sbuffo per via dell'appiccicosa camicia che si è attaccata alla pelle.

«Non ne parliamo, guarda. Solite follie da sabato. Essendo che Mirco deve partire abbiamo dovuto lavorare il triplo per cercare di tenere tutto pronto, nonostante tutto però continuo ad avere la sera libera.» dico tra me e me, nel fine settimana si preparano le edizioni più corpose del giornale ed è strano che mi abbia lasciato libero in una serata come questa, specie visto il concorso tra pochi giorni.

“Anche se considerando che sono le otto, direi che sono largamente in ritardo sulla mia tabella di marcia.” penso tra me e me, Rob da bravo ragazzo prende la ventiquattro ore e la pila di documenti che mi sono portato a casa, domani è lunedì Mirco non sarà a lavoro e quindi se ho la possibilità di anticipare altro a casa voglio coglierla.

Naturalmente Rob cerca di indagare sull'origine di tutti questi documenti e mentre sto per aprire la porta di casa mi chiede delle informazioni: «Perché tutte queste carte?»

Giro la maniglia entrando all'interno dell'abitazione e sento già l'aria più leggera dopo un'intensa giornata di lavoro. Rob mi segue subito.

«Mirco deve partire martedì, così oggi è il suo “ultimo” giorno di lavoro. Gli sono stati dati i giorni di riposo in modo da permettergli di prepararsi la valigia in vista della partenza. Volevo avvantaggiarmi un po' essendo che nei prossimi giorni non ci sarà.» rispondo cominciando a salire i gradini delle scale, in caso non c'è nessuno visto che non c'è alcun mezzo di trasporto fuori.

«Proprio come facevi fino a qualche mese fa.» dice Rob ridacchiando, la sua vorrebbe essere una battuta ma in realtà è proprio vero: fino a prima che arrivasse Mirco mi portavo il lavoro a casa e continuavo a lavorare.

«Un breve ritorno alle origini. Fortunatamente è questione di pochi giorni e comunque ti ripeto, il grosso lo abbiamo già fatto insieme.»

Camera mia è leggermente in disordine proprio come l'avevo lasciata stamattina: con le coperte del letto ancora alla rinfusa e alcuni vestiti sulla scrivania. Indico a Rob un punto libero per lasciare tutti i documenti e poi velocemente raccolgo alcune cose per farmi la doccia.

«Ci sto due minuti. Intanto accendi la console.» gli dico, prima dell'arrivo degli altri abbiamo progettato di giocare un po' anche se non ho particolarmente voglia di farlo.

Non è necessario mettere neanche della musica mentre sono sotto la doccia, ci sto meno di tre minuti esatti senza bagnarmi i capelli o perderei altro tempo per asciugarli. Velocemente mi infilo gli indumenti casalinghi che avevo raccolto da camera mia e con i piedi scalzi torno in camera ritrovando Rob seduto sul letto.

Per un breve momento penso a Mirco e alla volta in cui è venuto qui a casa mia, con molta nonchalance si era tolto la maglietta restando a petto nudo. In praticamente otto anni d'amicizia con Rob sarà capitato si e no una volta e dopo anni e anni di conoscenza.

Nonostante l'aria stasera sia umida e calda, Rob tiene la maglietta e guarda con fare disperato il condizionatore d'aria. «Vuoi che lo accendiamo qualche minuto?» chiedo, lui annuisce e ridacchio prendendo il telecomando.

Iniziamo a giocare e io mi siedo al suo fianco sul letto le cui coperte sono ancora alla rinfusa. Tuttavia Rob capisce ben presto che sono abbastanza svogliato e distratto quindi cerca di darmi tregua durante la “caccia al soldato”, una delle modalità di questo gioco.

«Sei piuttosto silenzioso, sicuro che vada tutto bene?» chiede Rob, io annuisco e faccio una smorfia, non ho particolari pensieri per la mente ma lui insinua il contrario.

«Sì, sì. Ogni tanto penso a Michele, sai? Mi verrebbe di scrivergli, ma non sono sicuro che mi potrebbe rispondere. O meglio, lo farebbe senz'altro. Però le cose tra noi due sono state strane in questi mesi che ci siamo risentiti...»

«Ma non è che per caso ti piace di nuovo?» chiede lui, mi giro di scatto guardandolo stranito e scuoto il viso ridendo. «Sicuro? Hai gli occhi a cuoricino ormai da qualche settimana... forse mesi. E corrisponde proprio quando Michele e è partito a luglio quindi ho fatto due più due.» dice il ragazzo continuando a scherzare.

In fondo, dentro di me, so che Rob ha ragione a metà: mi sento strano ormai da qualche mese e forse la causa di tutto questo non è Michele...

«In realtà non c'entra lui. Ho la testa un po' per aria... è vero.» dico premendo con foga i pulsanti, vedo che il ragazzo si gira verso di me e forse vedendo la mia espressione seria decide di mettere il gioco in pausa.

«Che ti succede, Vale? Mi stai facendo preoccupare e non sei il tipo di persona che si tiene tutto dentro.» il ragazzo fa una breve pausa, poi in qualche modo collega gli eventi e prova ad indovinare: «C'entra Mirco?»

Dentro di me sento una stretta talmente forte da farmi girare lo stomaco, fa male il solo pensiero, figuriamoci quanto mi costa parlarne. Nella mia mente si presenta l'immagine del nostro bacio, semplice ma passionale allo stesso tempo. Un bacio che non significa nulla visto il momento di debolezza in cui è stato scambiato.

“Non voglio dirglielo, voglio che sia solo mio. Voglio che questo momento resti intimo. Rob è il mio migliore amico... capirebbe sicuramente la situazione. Ma questa cosa... voglio che sia solo mia.” ripeto tra me e me.

La mia espressione evidentemente troppo pensierosa però fa scattare automaticamente la risposta affermativa alla domanda di Rob che continua a chiedere. «È successo qualcosa? Mi dicevi che siete usciti insieme e che state instaurando un buon rapporto. Avete litigato?»

Scuoto il viso con grande difficoltà nonostante sia la verità. «Io credo di provare... della simpatia, per lui.» riesco a buttare fuori, ma il modo in cui l'ho fatto è talmente tanto goffo da farmi sentire uno stupido.

Per questo motivo, Rob non riesce a capire. «Sì, lo so. Mi hai già detto che è un tipo apposto...» i nostri sguardi si cercano e si trovano. E lì Rob capisce il vero significato delle mie parole e quanto mi costa ammetterlo. «Oh... intendi che ti piace?» lo dice con semplicità, talmente tanto facile che quasi sembra poco interessante.

«Non è solo questo. Voglio dire, sì è davvero un bel ragazzo, biondo e con gli occhi verdi e ha quel fascino da cattivone...» alzo gli occhi al cielo mentre ne parlo come per imprimere nella mia mente la sua immagine.

«Be sì non è male...» dice Rob con un commento poco convinto, sia Rob che gli altri non lo hanno mai incontrato di presenza ma quando ho pubblicato la foto che ero con lui al ristorante immagino che lo abbiano visto.

«Però credo che da parte mia non si limiti solo a questo. Non c'è solo attrazione fisica...» continuo la frase che ho lasciato in sospeso e vedo Rob totalmente concentrato sulle mie parole, mi sprona a parlare con lo sguardo e la cosa mi fa tremare la voce.

«Credo di essermi innamorato di lui.» dico con un ultimo sussurro, è talmente tanto breve come frase che non sono riuscito a sentirla neanche io; è come se l'avesse detta qualcun altro e io l'abbia ascoltata distrattamente.

Perché non c'è nulla di sbagliato nell'amare una persona, il problema è quando sai che quella persona non può corrispondere allo stesso amore. Rob sembra praticamente leggermi nel pensieroso e silenziosamente annuisce come se stesse dando credito ai miei pensieri.

«Cazzo...» commenta con grande fatica, il tono di voce che si ha dopo un'intensa giornata di lavoro o in palestra e finalmente sospiri perché è finita. «Questo si che è un bel problema. Voglio dire... lui non lo sa, giusto?»

Scuoto il viso. «Sei il primo che lo sa. Probabilmente neanche io volevo ammetterlo a me stesso, la verità è che ho talmente tanta paura di perderlo che in qualche modo ho sempre sotterrato questa cosa. È da un po', in effetti, che credo di saperlo. Ma dire che “ne sono innamorato” rende tutto più difficile e pesante. Non credi anche tu?»

Rob non risponde subito, si limita a guardarmi per qualche secondo, poi sospira pesantemente ricambiando il mio sguardo, prova empatia nei miei confronti, perché mi conosce e sa quello che sento.

«Cosa intendi fare?» chiede lui.

Alla sua domanda non ho una risposta ben chiara, non c'è nulla che io dovrei. «Che intendi? Non posso di certo andare da lui e dirglielo. Mirco non è quel tipo di ragazzo, inoltre anche se si è lasciato con la fidanzata, non significa di certo nulla.» dico con voce tremante.

Per la mia mente passa ancora una volta la scena del nostro bacio, è come l'immagine di un film, riesco a vederla e rivederla più volte senza mai riuscire a credere che sia accaduto per davvero. Mirco si è trovato in un momento di debolezza, quel bacio non significa nulla, me lo ripeto.

“Devo togliermelo dalla testa.” mi dico riflettendo in quei pochi istanti prima che Rob mi risponda ancora. Lo capisco fin dal principio, so perfettamente che devo lavorare sulla mia testa e non sul ragazzo.

«Dovresti capire cosa voler fare. Con questo non intendo che dovresti dirglielo o meno. Cioè, ovviamente se lo vuoi fare nulla ti vieta di farlo, ma pensa alla sua reazione.» dice Rob con tono riflessivo, riesco a definire meglio le sue parole; non mi sta dicendo che Mirco potrebbe arrabbiarsi ma neanche il contrario.

Mi sta semplicemente consigliando di immaginare la sua reazione, in un momento di debolezza forse lo accetterebbe. Ma vista la decisione di partire comunque con la sua ex per il viaggio di lavoro, credo che si stia in qualche modo facendo forza da solo. In qualunque delle ipotesi nel quale io dica a Mirco dei miei sentimenti, non vedo un buon finale.

«Io non voglio perderlo.» dico lentamente. «Tu sai che non sono molto popolare, e dopo la storia con Michele sento forse di non essere ancora pronto a relazionarmi con un ragazzo in quel modo. Mirco è una brava persona, anche se all'esterno non sembrerebbe. Non voglio rovinare tutto.» Rob ascolta le mie parole in muto silenzio e nel momento in cui i nostri occhi si incrociano ancora sa cosa rispondermi.

«Allora non perderlo. Goditi ogni momento con lui, ogni attimo rubato che passate insieme. Sia a lavoro che fuori dal lavoro; tu sei una persona speciale con un cuore grande, sarebbe uno stupido a lasciarti andare. Chiunque vorrebbe esserti amico se ti conoscesse, lui non sarà da meno.»

Parlare con Rob mi mette un'incredibile carica di buon umore oltre che di autostima, stringo i pugni sentendomi pervaso da una scarica di adrenalina talmente tanto forte che adesso potrei saltare sul letto e saltellarci sopra.

«Tu sai di non volerlo perdere soprattutto come amico. Questo conta più di ogni altra cosa.» dice lui continuando. «Quindi sii forte per te stesso e non per lui e vedrai che le cose andranno bene.» dice lui concludendo.

Ci sono tantissime cose che vorrei dire, ma sarebbe tutte uguali tra di loro, mi sfugge quindi un sorriso e socchiudo gli occhi. «Grazie...» proprio quando sto per ringraziarlo sento il suo cellulare squillare e vedo che si tratta di Max.

«Pronto?» dice lui interrompendomi. Annuisce un paio di volte e attraverso l'altoparlante potente del cellulare di Rob sento che il ragazzo dice che sta arrivando insieme ad Emilia e che passano prima da un posto.

Nel frattempo sento il campanello della porta suonare e immagino che si tratti di Alice che è già arrivata. Esco dalla porta facendo segnale al ragazzo e scendo di fretta le scale fino ad arrivare alla porta che apro ritrovandomi la mia migliore amica davanti.

«Permesso?» chiede lei con un tono scherzoso, in questo momento sono talmente tanto felice e sicuro di quello che devo fare che non riesco a trattenermi dall'abbracciarla. «Ehi che ti prende? Non ci vediamo solo da ieri.» dice lei ricambiando però il mio abbraccio con affetto.

«Lo so. È solo che sono felice di vedervi, avevo proprio bisogno di una bella serata tra amici.» dico invitandola ad entrare. «Rob è di sopra. Emilia e Max stanno arrivando a quanto ho capito, prepariamo il salotto.» le dico, avremo tutta la casa per noi visto che i miei genitori sono fuori città per una notte.

La serata passa molto in fretta, forse anche troppo; quando arrivano Max ed Emilia ordiniamo subito le pizze come nostro solito, poi montiamo la postazione da gioco direttamente sul tavolo della cucina visto che è il più grande. Facciamo progressi nella campagna di gioco che sta dirigendo Max e dopo cena arriviamo al checkpoint così da poter staccare e spostarci in salotto dove ci aspetta il film scelto per la serata.

«Valerio ma tu quando hai le ferie? Non mi pare che quest'anno tu ne abbia ancora avute. O sbaglio?» chiede improvvisamente Emilia poco dopo che abbiamo iniziato a guardare il film. La guardo distrattamente mentre una delle giovani protagoniste viene massacrata dal killer di turno.

«Ho fatto due settimane a inizio marzo. Probabilmente avrò altre due settimane o qualcosa di più ma immagino se ne parlerà verso fine novembre. Naturalmente dovrò fare i conti anche con quelle di Mirco essendo noi due gli Assistenti del Signor Cattaneo.

«Be' forse cade a pennello allora. Avevamo pensato di fare un viaggetto tutto insieme. Magari a inizio dicembre, qualche settimana in un bel posto in montagna con la neve e il clima di natale in arrivo.» dice Emilia rispondendo alla mia affermazione, l'idea mi sembra buona.

Non capita spesso di fare viaggi con i miei amici, per lo più si è trattato di brevi week-end fuori città o a mare o a seconda dell'occasione. Quest'anno penso mi servirebbe proprio un viaggetto tranquillo.

«Mi piacerebbe molto, potrei chiedere informazioni al Signor Cattaneo ma credo che ancora sia presto per parlargliene.» dico tra me e me ma in realtà non è poi così distante; settembre e ottobre passeranno lentamente ma il mese di novembre quasi sempre è più scarico di lavoro.

Come se tutte le notizie importanti uscissero da primavera fino all'autunno mentre in inverno il mondo si ferma. Naturalmente c'è sempre da fare, ma il carico è più leggero, fortunatamente.

«Sì dai, così appena possiamo prenotiamo il volo intanto. Poi c'è da pensare anche agli alloggi e al giro che dobbiamo fare. Io e Max avevamo già dato un'occhiata a qualcosa, ti passiamo i file che abbiamo scaricato e vedi se c'è qualcosa che ti può interessare magari.» dice la ragazza indicando se stessa e il nostro amico, Max annuisce senza parlare visto che è più concentrato sul film rispetto a noi altri.

Annuisco mentre rifletto sul fatto che ormai da qualche mese Max ed Emilia si sono avvicinati molto, addirittura stanno seduti vicini vicini quasi come se fossero due fidanzatini. Ma tra i due c'è ancora dell'imbarazzo ed è come se non si decidessero di fare il passo più importante.

Rob si accorge delle mie occhiate e sento il suo sguardo pesante addosso al mio, mi giro verso di lui ritrovando i suoi occhi e mi fa un mezzo sorriso; c'è molto che vorrebbe dire, anche in riferimento all'argomento di prima. Ma qualunque aggiunta sarebbe superflua.

Mi volto verso Alice, anche lei concentrata sul film e sul come l'assassino sia riuscito nell'intento di uccidere un'altra vittima prima della presentazione ufficiale del film. Vorrei tanto parlare di Mirco con lei, vorrei tanto sapere cosa avrebbe da dire, lei potrebbe capire di più il mio punto di vista ma è meno riflessiva di Rob e quindi influenzata dal mio stato d'animo, penso che gliene parlerò, prima o poi.

Sospiro con leggerezza in quanto mi sembra di vivere un momento eterno: sono con i miei amici, tranquillo, felice; non mi importa del resto e smetto persino di pensare a Mirco e ai problemi che ho con lui.

Quel bacio scambiato tra di noi non significa nulla, me lo sono ripetuto fino allo svenimento, fino a farlo diventare la mia verità. E anche se ho capito di essere innamorato di Mirco, questo non dovrà influenzare la mia vita o la mia amicizia con lui. Per il mio bene, ma anche per quello suo.

E chissà, domani in fondo è un altro giorno...

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo Trentasei ***


Mirco

Capitolo Trentasei

 

martedì 10 settembre

 

 

Un suono echeggia nel gigantesco androne nel quale si trova un altro centinaio di persone altre me ad aspettare che il volo sia finalmente pronto e che ci dicano che possiamo imbarcarci. Mi ritrovo seduto con le gambe larghe e un braccio sullo schienale del posto a sedere vicino.

«Attenzione, comunichiamo un leggero ritardo da parte del volo. A breve vi faremo sapere quando cominceremo l'imbarco. Vi ringraziamo per la gentile attesa e ci scusiamo ancora per il disagio.» recita la voce del computer che parla all'altoparlante, sinceramente lo trovo fastidioso.

Guardo distante verso la macchina del caffé e vedo Alessia che sta prendendo qualcosa, tiene in mano due bicchieri e quando si gira la vedo camminare verso di me.

Non è mai stata una ragazza che si perde nella folla, la ritroverei tra decine e decine di ragazze bionde che mi dessero le spalle: Alessia cammina in maniera singolare, sicura di sé, una delle cose che ho amato di lei.

«Ecco, tieni. L'ho preso anche per te visto che ci siamo svegliati molto presto.» dice con tono premuroso, qualcosa nella sua voce la rende ancora più sicura della sua camminata, non è la solita Alessia, o meglio, non è la stessa ragazza col quale sono stato in questi anni. È tornata come ai primi tempi, quando scopavamo senza che il suo fidanzato lo sapesse. Prima che tutto andasse a rotoli.

«Grazie, non dovevi comunque.» rispondo come un robot in automatico, mi sento a disagio a stare solo con lei, è capitato altre volte da quando ci siamo lasciati che fossimo solo io e lei senza i nostri amici intorno.

Il più delle volte ho riflettuto su quello che stavo facendo e su quello che avrei perso se l'avessi lasciata andare. Sorseggio il caffé lentamente mentre la osservo: Alessia non sembra neanche reagire più alla nostra rottura, è come se non gliene importasse più.

Probabilmente sta recitando la parte di quella forte perché vuole che io rosichi; non riesco a credere che non le importi davvero di quello che è successo. E più mi fossilizzo su questo pensiero, più mi viene anche da pensare a Valerio e a quel bacio rubato che ci siamo scambiati.

“Non è stato un momento di debolezza. Volevo baciarlo, mi ha fatto sentire tranquillo e protetto in quel momento che era vicino a me. Non credo di essere mai stato così bene con qualcuno come in quel momento con Valerio...” penso tra me e me, sono schiavo dei miei pensieri e delle mie preoccupazioni.

In me si insinua sempre più il pensiero, che forse e dico forse, conosca solo metà di me stesso e che l'altra metà sia ancora latente da qualche parte. Ed ho una paura fottuta di quello che potrei nascondermi!

«Sei molto silenzioso. Solitamente anche se ti svegli presto sei sempre attivo e con la parlantina facile.» dice Alessia cercando di spronare la conversazione, non lo fa nel migliore dei modi ma probabilmente vedo che sono abbastanza corrucciato in viso visti i miei pensieri.

«Stavo pensando alla situazione. È un po' strano...» dico senza perdermi nei dettagli, resto vago ma Alessia probabilmente non aspettava altro che un input per poter parlare di quello che sta accadendo.

«So che non vuoi parlarne. Godiamoci questi giorni in tranquillità. Avremo tempo di parlarne e di passare dei bei momenti come amici. Anche se non stiamo più insieme non voglio di certo chiudere con te.» dice Alessia, mi giro di scatto verso di lei, non riesco proprio a credere alle parole che ha detto.

Questo non è da lei, lei farebbe di tutto per parlarne e per dirmi che ho sbagliato e dimostrarmi che senza di lei non posso stare. Questa psicologia inversa che sta usando è tanto falsa che persino le sue parole sono ridicole. Ma una parte di me non riesce a non pensare che potrebbe pensarle davvero e aver capito cosa ha rischiato di perdere.

“E se lo pensasse davvero? E se volesse davvero aggiustare le cose? O forse vuole davvero metterci una pietra sopra lasciando le cose nel miglior modo possibile.”

Ci rifletto qualche istante, poi decido di non voler litigare quindi devo ponderare bene ogni parole che le dico. Non voglio iniziare questo viaggio litigando e come lei stessa ha detto, dobbiamo goderci questi momenti in serenità. Non come una coppia di fidanzati ma come amici.

«Neanche io voglio perderti. Sei pur sempre una persona importante per me anche se non siamo fidanzati...» cerco di essere forte ma le ultime parole che dico hanno un tono strozzato e mi si bloccano in gola, Alessia probabilmente se ne accorge quindi evita di rispondere.

“Che cazzo mi succede? Penso ad Alessia, dico che non voglio soffrire più stando con lei eppure sono qua, a cercare di mantenere un rapporto d'amicizia con una persona che ho amato per cinque anni della mia vita e con la quale ho condiviso momenti intimi. Dall'altro lato poi non smetto di pensare a Valerio e a quel fottuto bacio!”

Vuoto il bicchiere di plastica col caffé sentendo il liquido bollente che scende giù per la gola. Mi alzo dalla sedia e vedo Alessia spostare solo lo sguardo. «Ho bisogno di sgranchirmi un po'. Vado in bagno e torno subito.» l'avverto, lei annuisce senza particolare interesse e mi lascia andare verso il bagno.

“Non ho mai provato qualcosa di simile per un ragazzo. Non capisco perché ho questo strano pensiero. Io non sono quel genere di ragazzo; non mi si alzerebbe neanche all'idea di scopare con un ragazzo.”

Questo pensiero mi fa rallentare il passo come se mi trovassi davanti ad un muro. Un senso di ansia mi assale, rifletto sulle volte in cui sono stato con Svetlana e lei ha usato le dita per “giocherellare” più del dovuto. Ripenso all'ultima volta che sono stato con lei e cerco di riflettere a cosa stessi pensando.

Pensavo a un uomo o ad una donna?

Nessuno dei due, in quel momento ero in una stanza, con davanti a me una macchina che mi sta facendo un servizio tra le gambe. Non c'era interesse, non c'era sentimento alcuno. Anche se Svetlana è una donna, non rappresenta nulla ai fini umani o con quello che ho nella testa.

“Sono un cazzo di disastro...” dico tra me e me varcando la porta del bagno, all'interno l'ambiente è molto umido e c'è puzza di piscio, storco il naso mentre mi avvicino all'orinatoio sbottonando il jeans e tirando giù la cerniera.

Respiro lentamente cercando riposo dai pensieri almeno durante questo breve momento di tranquillità, la porta del bagno di apre e un uomo in giacca e cravatta si avvicina velocemente all'orinatoio poco distante da me Chiudendo al telefono prima di sbottonarsi il pantalone e tirare fuori il suo attrezzo per fare quello che deve fare.

L'uomo in questione mi da' le spalle visto che si trova qualche postazione più avanti quando il bagno gira all'angolo e quindi non vedo alcun particolare. Solo che nel momento in cui finisce io mi trovo ancora ad osservarlo mentre si lava le mani, esce dal bagno e lo seguo con lo sguardo, mi rendo conto di aver già finito da un po' di fare pipì.

E subito mi rendo conto di aver osservato un altro maschio mentre pisciava, e non credo di aver mai prestato così tanta attenzione a qualcuno mentre lo faceva.

“Non significa nulla. Quindi smettila di fare lo stupido e tira fuori le palle.” dico a me stesso come sorta di frase motivazionale, rimetto tutto dentro e tiro su la zip del jeans per poi uscire dal bagno dopo essermi lavato le mani.

Ma i miei pensieri non sono abbastanza convincenti perciò per distrarmi prendo il cellulare e controllo i messaggi che mi sono arrivati nel frattempo; cerco il nome di Valerio sulla lista tra gli ultimi contatti che mi hanno scritto ma non trovo alcun suo nuovo messaggio.

“Mi aveva augurato un buon viaggio e in bocca a lupo per quello che avrei dovuto affrontare. Si è comportato da amico, per lui è come se quel bacio non fosse esistito... forse allora il problema è la mia confusione mentale?” mi dico soffermandomi nella chat del ragazzo in questione.

Vorrei scrivergli, vorrei messaggiare un po' con lui. Probabilmente mi calmerebbe come è accaduto settimane fa al centro commerciale quando poi ci siamo incontrati. Ma se gli scrivessi dimostrerei a me stesso di dare peso a qualcosa che non è accaduto.

Scuoto perciò il viso, magari gli scriverò quando arrivo, magari sarà lui stesso a scrivermi e quindi non avrò bisogno di farlo io. Poi penso subito che Valerio è un tipo di persona molto attenta, non mi scriverà sapendo che sono con Alessia. Si farà dei problemi per paura di disturbare, perché lui è fatto così, in fondo.

Quando ritorno al posto mi trovo ancora con il cellulare in mano e Alessia che sta giocherellando col suo, ogni tanto le arriva un messaggio e lei risponde, immagino che si tratti di Eva o qualcun altra delle nostre amiche. Mi cade l'occhio sulla conversazione un paio di volte ritrovando nomi di ragazze diverse, la cosa mi tranquillizza stranamente.

«Tutto bene? Ci sei stato un po' e sembri anche scosso.» nota subito la ragazza quando mette da parte il cellulare, mi metto a sedere comodo allargando le gambe e mettendo il braccio sullo schienale accanto.

«Sì sì tutto bene. Pensavo che sto prendendo un aereo per lavoro, ci siamo fatti alcuni viaggetti insieme ma per la prima volta stiamo viaggiando per lavoro. Non lo so, mi fa sentire... grande.» le dico, in realtà non posso dirle le mie vere preoccupazioni anche se ci ho pensato spesso al fatto che grazie a questa occasione le cose stiano girando bene.

“Alessia mi conosce abbastanza bene per capire se c'è qualcosa che non va, e probabilmente abbastanza per capire se sto mentendo o meno.” penso infine.

La sua espressione pare poco convinta ma non ci sta molto prima di cedere alle mie parole e mi fa un largo sorriso veramente sincero. «Sono felice per te, sai stavo pensando anch'io al futuro. Stavo pensando di fare direttamente tirocinio con mio padre, magari prima studiare un po' per poter avere le sue stesse qualifiche. Non sarebbe male avere questo progetto in mente.» dice la ragazza.

Il fatto che abbia cambiato argomento mi torna utile anche se ancora una volta siamo finiti a parlare soltanto di quello che vuole lei e che fa lei. Però riconosco di poter chiudere un occhio stavolta e che non mi interessa di farglielo notare di certo.

«Sarebbe una grande cosa per te.» dico lentamente, forse questa sua “voglia” dipende dal fatto che ci siamo lasciati e che in qualche modo stia cercando di costruire un futuro per se stessa anziché per entrambi.

“Forse lei è davvero riuscita a voltare pagina. Questa “vacanza” determinerà tutto quello che siamo e saremo; e io spero proprio di riuscire a restarle amico.” penso titubante mentre la matassa di pensieri si fa sempre più stretta.

«Lo so, sapevo che ti avrei trovato d'accordo con me.» dice lei ancora una volta, il suo sguardo sembra sincero, cerca il mio contatto visivo con i suoi occhi brillante e mi impala per qualche secondo. «Diventerai redattore, secondo me. Continuando di questo passo farai di certo carriera. Magari è questa la tua vocazione e finalmente l'hai trovata.» dice lei allungando la mano e dandomi delle morbide pacche sul ginocchio accanto a lei.

Dire che non avverto subito un brivido sarebbe una bugia, però è anche tanta la voglia di scostare bruscamente la sua mano dal ginocchio mentre lei sta dando una leggera carezza che potrebbe anche essere amichevole.

Continuiamo a guardarci negli occhi e le sorrido annuendo, poi le arriva un messaggio al cellulare e grazie al cielo ho la scusa per spezzare quelle occhiate. «Dovresti rispondere, a breve ci chiamano per l'imbarco e non potrai più farlo fino all'atterraggio.» le dico e la ragazza molto serenamente si sposta per rispondere.

Come detto, presto la voce all'altoparlante comincia a chiamare i passeggeri del volo che dobbiamo prendere noi dicendo che l'imbarco è ora possibile, ci vengono fornite alcune informazioni sul volo: per esempio che sarà una traversata di un'ora circa e che il tempo sarà sereno quindi non ci sarà pericolo di morire; quest'ultimo pensiero naturalmente viene aggiunto da me.

Quando ci troviamo finalmente all'interno dell'aereo mi sento incredibilmente stanco, probabilmente a causa dell'essermi svegliato molto presto in quella mattina. Sprofondo nel comodissimo sedile rivestito con un tessuto morbido color blu notte. È fottutamente comodo.

«Potrei decidere di portarmi questo sedile a casa. Accidenti mi piacerebbe una poltrona comoda, anche a lavoro non sarebbe male.» dico con gli occhi che cominciano a chiudersi da soli, Alessia accanto a me ridacchia e credo dica qualcosa alla hostess che passa.

«Sembri davvero sereno...» dice lei con un sussurro, la cosa mi fa aprire gli occhi di scatto e cerco ancora il suo sguardo, sta evitando di guardarmi ed ha una particolare espressione, sembra triste.

«E tu sembri a pezzi, adesso.» le dico in risposta, lei fa una mezza risata amareggiata, sto scoprendo Alessia sotto un altro punto di vista, come mai prima d'ora. Neanche quando ci siamo conosciuti era così “fragile”.

«I complimenti non sono mai stati il tuo forte.» dice lei con intenzione di ferirmi, ma sa benissimo che si sbaglia e che nelle sue parole c'è solo amarezza.

«Non è vero, sai bene quanto è stato grande l'amore che ho provato per te.» dico con i denti stretti, lei si gira di scatto e vedo una strana luce nei suoi occhi, un fuoco di rabbia che le fa tendere il viso.

«Tu invece dovresti conoscere quanto sia l'amore che io provo per te. Talmente tanto folle da seguirti in un viaggio come questo; ma sono qui perché ti voglio bene, prima ancora di amarti. E perché credo ancora nel fatto che siamo “fatti per stare insieme”!» dice infine.

Non riesco a replicarle, vorrei poterlo fare ma dentro di me lo stomaco si contorce e non voglio continuare questa discussione visto che eravamo riusciti a passare dei momenti sereni, chiudo gli occhi e la sento appoggiare la schiena a sua volta, anche lei vuole addormentarsi.

Cerco di staccare i pensieri e a tratti apro leggermente gli occhi, trovandomi vicino al finestrino vedo spezzoni delle nuvole e della terra che ci mettiamo sotto i piedi, montagne e laghi che passano sotto di noi mentre il sole brilla alto nel cielo di questa bella giornata estiva.

Non riesco ad addormentarmi, troppi pensieri, troppe idee, troppi sensi di colpa e troppa roba che non voglio ma che a quanto pare sono costretto a tenermi dentro. Anche volendone parlare, non potrei farlo con nessuno visto che verrei giudicato malamente. L'unico del quale potrei fidarmi è Valerio, ma parlargliene... sarebbe difficile comunque.

Perciò decido di tenermi tutto dentro, e il resto in fondo, si vedrà da sé...



Angolo dell'Autore:
Ebbene sì, signori, per l'ultimo capitolo di questa storia di amore/odio necessitavo il bisogno di dire qualcosa di mio, che non sia raccontato da un così "in pace" Valerio o da un "più che confuso" Mirco. Voglio cominciare col ringraziare tutti i lettori, naturalmente e voglio pensare che, in questo periodo di Quarantena, in qualche modo questa storia (così come EFP e il resto delle storie) vi abbia fatto passare quei cinque/dieci minuti fuori da questo mondo in una città senza nome (di fatto, il nome della città nel quale si muovono i protagonisti non esiste).
Mi piacerebbe tantissimo leggere i vostri commenti su questa piccola storia che vi ho raccontato, naturalmente, ringrazio moltissimo chi ha commentato capitolo dopo capitolo, commentando e scambiando idee che vanno ben oltre la natura di quello che c'è scritto. Perché in fondo, questa storia potrebbe essere quella di ognuno di noi, quello che capita ai due protagonisti, può capitare a chiunque. Tutti possiamo avere una cotta segreta o un amico che ha una malattia grave, tutti possiamo vivere relazioni tormentate e sofferenti e cercare una via di fuga da quel tunnel. Valerio e Mirco non sono solo due personaggi inventati, sono due persone che potrebbero persino essere uno dei nostri migliori amici, se non addirittura noi stessi.
Mi piacerebbe quindi sapere cosa ne pensate, se sono soltanto un sognatore con troppa immaginazione, se avete vissuto esperienze simili, se in qualche modo vi ho fornito consigli o idee sul quale riflettere, perché il mio obiettivo è anche quello: indagarsi sulla moralità, su ciò che possiamo pensare essere giusto o sbagliato (non a caso Mirco è un personaggio con un carattere forte ma con le sue debolezze, idem per Valerio). Attendo con ansioso le vostre recensioni, se vi va ovvio :-)

Concludo dicendo, che questa storia non è ancora finita e nel momento in cui oggi scrivo queste parole, sono già all'opera sul secondo volume e quindi il continuo di questa strana e folle relazione, perché anche due amici come Valerio e Mirco potrebbero trovare nell'altro un pezzo mancante di sé, nonostante le evidenti diversità.
Quindi, miei cari lettori, qui mi congedo dal mio ruolo di narratore, augurandomi una buona domenica e di poterci presto riabbracciare tutti.

Inquisitor95
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3851041