Don't ask me why di xingchan (/viewuser.php?uid=219348)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 1 *** Cap. 1 ***
Don’t
ask me why
"Sei un
bastardo, papà!"
L'ennesimo
tuffo offerto gentilmente
da suo padre nel laghetto dei Tendo.
L'ennesima
trasformazione in ragazza con il codino che puntualmente
arrivava.
L'ennesimo
doloroso ricordo di Akane durante quei lunghi, maledetti momenti in cui
credeva fosse senza vita.
Ecco,
di nuovo.
Era dal
ritorno dalla Cina, quattro anni prima, che Ranma aveva trovato una
straziante associazione fra la sua maledizione, per la quale mancava
così poco al momento in cui sarebbe tornato un uomo a tutti
gli effetti, e l'intervento di Akane per salvarlo con il risultato di
finire disidratata.
Ogni volta che
si trasformava, la mente correva inevitabilmente a cosa sarebbe
successo se avesse fallito, se non avesse bagnato Akane in tempo e non
si fosse svegliata mai più.
Ranma-chan
sentì una fitta al cuore, e strinse i pugni tanto forte da
farsi male. Come tutte le volte scacciò quel pensiero dalla
testa, e nel farlo si ricordò immediatamente cosa dovevano
fare da lì a poco.
"Ti pare il
momento di buttarmi in acqua?" riprese Ranma-chan fissando accigliata
il padre che rideva come un matto. "Ti ricordo che fra non molto
arriveranno quei tizi a sfidare il dojo! Quelli sono uomini, non posso
certo presentarmi come una ragazza!"
"Non ho
bisogno del tuo aiuto!" Fu un'esclamazione perentoria, che si impose
sulla voce femminile di Ranma senza che questi avesse il tempo di
finire la frase. Sulla soglia di casa Tendo fece capolino la minuta
figura di Akane, intenta a sistemarsi il ji facendo attenzione
affinché il suo seno fosse il meno visibile possibile.
Ranma-chan cercò di dare una sbirciatina nonostante la
distanza - sempre piatta come una tavola, però negli ultimi
tempi sembrava un tantino più grande. Sicuramente era solo
una sua impressione - ma la piccola Tendo intercettò gli
occhi dell'altra con i suoi.
Il suo sguardo
freddo puntò quello di Ranma-chan, come se volesse
incutergli quanto più timore fosse in grado di trasmettere.
Tenergli testa era una delle cose che Akane sapeva fare meglio. Il suo
viso dai lineamenti dolci ora, in vista dell'incontro, erano duri e
implacabili come il marmo. "Sarò io a sconfiggere quei
dannati", disse con ostinata caparbietà "e non mi
lascerò aiutare, Ranma. Né da te, né
da mio padre!"
Ranma-chan la
guardò in cagnesco, a dispetto dell'adrenalina che fremeva
dentro di sé. Fiera, combattiva, forte e testarda. Anche se
ripeteva spesso che non gli piaceva, essendo poco femminile, era questo
che amava di lei. Ma era anche vero che questo era uno degli aspetti
del brutto carattere di Akane che portati all'estremo - come in questo
caso - finivano inevitabilmente per farlo alterare, e desiderare che
fosse un tantino più carina.
Peccato che
per questo doveva aspettare un altro millennio, se fosse successo,
ovviamente.
"Ti batteranno
in pochi secondi se non ci sarò io a darti man forte"
ribatté Ranma-chan con noncuranza. Per non lasciare che la
situazione degenerasse, cercava di non lasciar trasparire il nervosismo
per averlo già fatto incazzare.
Akane era
migliorata tantissimo nelle arti marziali: spesso e volentieri in
quegli anni era riuscita a battere anche gli sfidanti del dojo
più ostinati con la sua sola forza e agilità; ma
era ovvio che stavolta lavorando insieme avrebbero messo fuori
combattimento quei tali con rapidità ed efficacia.
Nella loro
lettera di sfida, quegli uomini avevano assicurato loro che avrebbero
fatto qualunque cosa pur di prendersi il dojo Tendo, e questo a Ranma
suonava alquanto strano. Non dubitava della determinazione di Akane,
anzi. Ma probabilmente sarebbe stato molto più prudente - e
leale - se avesse collaborato con lui. Anche perché lei da
sola era inferiore numericamente parlando.
"Sono molto
più forte di qualche anno fa" rispose Akane, guardando la
sua interlocutrice con severità. "Ho battuto molti
più individui nell'ultimo periodo rispetto a tutto l'arco
dell'adolescenza, togliendo quegli idioti che si sfidavano al Furinkan.
Perciò non mi fanno paura due sfidanti. Non riuscirai a
farmi credere che non sono capace di gestire il dojo!"
Ranma-chan
uscì dal laghetto, parandosi davanti alla fidanzata con la
speranza di convincerla.
"Non ho detto
che non sei capace, Akane. L'hai letta, quella lettera di sfida? Quei
tipi hanno detto che vogliono prendersi il tuo dojo ad ogni costo!"
"Ed io lo
proteggerò, ad ogni costo!"
Una scintilla
vivace nei suoi occhi castani fece vacillare Ranma-chan per un momento.
E per un momento Ranma-chan si rese conto che sì, Akane
poteva farcela, era nata per farcela, ma che ne sarebbe uscita
distrutta. E non voleva assolutamente che si facesse più
male del previsto.
Non
capisci che io voglio proteggerti?!
Ma no, un
maschiaccio con un pezzo di ghiaccio al posto del cuore come lei non
poteva certo arrivare a pensare in questi termini. Stupido lui a
pensare che quella cretina potesse ragionare con cognizione di causa.
"Voglio
soltanto aiutarti, scema!"
Buttò
fuori la volontà di darle una mano con prepotenza, mandando
all'aria l'idea di non far scoppiare una lite di dimensioni epocali e
al tempo stesso sperando di poter sortire l'effetto desiderato.
"Faccio da
sola, lo vuoi capire o no?!"
La piccola
Tendo era diventata troppo indipendente per accettare un aiuto -
specialmente da parte del suo fidanzato - così come era
orgogliosa sul fronte della gelosia.
Di fronte a
quelle dimostrazioni di orgoglio da parte della giovane, Ranma reagiva
facendo altrettanto, abbandonando i propositi di far evolvere il loro
rapporto e rimangiandosi tutto ciò che di bello le aveva
detto in precedenza.
Su questo
aspetto del loro reciproco comportamento non erano cambiati di una
virgola. Solo che spesso e volentieri la tensione di sottofondo pareva
molto più pesante.
Forse, pensava
Ranma, a causa del matrimonio non celebrato qualche tempo prima. Forse
perché le sue spasimanti avevano ripreso la guerra per il
possesso del premio "Ranma Saotome" con un accanimento maggiore,
mandandolo in totale confusione ogni volta che gli saltavano addosso
con conseguente martellata di Akane sulla testa. Forse Akane era
diventata ancora più gelosa di prima, essendo stata ad un
passo dalle nozze.
Boh,
io le donne non le capirò mai!
"Allora fa'
come vuoi, racchia! Però non correre da me quando quei
bell'imbusti ti prenderanno a calci nel culo!"
Fece in tempo
a vedere le guance di Akane infiammarsi di collera perché,
senza aspettare il pugno che ferocemente la ragazza stava preparando
appositamente per lui, con un salto oltrepassò la fidanzata
e si precipitò a capofitto in camera sua.
"Non la
aiuterò mai, nemmeno se mi prega in ginocchio!"
affermò furibondo, sfilandosi i vestiti fradici.
Nel frattempo
però, tirò fuori da un cassetto il suo ji.
***
Gli sfidanti
del dojo erano due uomini imponenti, probabilmente gemelli, di gran
lunga più alti di qualsiasi uomo Ranma avesse mai visto.
Indossavano normalissimi ji, ma al posto della cintura ordinaria alle
loro vite erano allacciati due spessi cinturoni da cui pendevano due
katane ciascuno, una per ogni fianco. Portavano i capelli raccolti, da
cui spuntavano qualche ciocca ribelle. Si chiamavano Hiten e Manten, e
i loro sguardi non promettevano una vittoria facile. Sembravano
tremendamente forti, e quelle lame preoccuparono seriamente Ranma.
"Perché
non ti togli di torno?"
"Perché
non la smetti di farmi questa domanda?!"
"Perché
non vai a farti un ramen dalla tua Shan Pu? O preferisci un bagno con
lei?"
"Perché
continui a dire sciocchezze?"
Ancora con
quella storia. Maledetta
Shan Pu e maledetto
il giorno prima in cui quella gattaccia aveva fatto irruzione nella vasca
mentre c'era lui a farsi il bagno, scatenando l'ira di Akane!
Mentre era nel
bel mezzo di quel fastidioso ragionamento, Ranma si rese conto che i
due si scambiarono un'occhiata, per poi ridere sonoramente. "Per essere
gli eredi delle vostre scuole di arti indiscriminate siete piuttosto
litigiosi!" commentò uno dei due, indistinguibile
dall'altro.
Ranma si
arrabbiò al punto da voler attaccare i due senza aspettare
il via.
Come
diavolo si permettono?
"Non vi
riguarda!" urlò il ragazzo con il codino. "Siete qui per
sfidarci o per ficcare il naso nei nostri affari?"
"Hai ragione,
ragazzino", replicò l'altro. "Fratello, passiamo ai fatti!"
Non attesero
l'avviso per iniziare lo scontro. I due uomini si lanciarono a
capofitto sui due ragazzi, e nel mentre sfoderarono le loro katane
menando pericolosi fendenti in direzione di Ranma e Akane. Un gesto che
colse alla sprovvista Ranma, che si parò con le braccia
indietreggiando quel tanto che bastava per mettersi al riparo ed
assumere nuovamente posizione. Akane però fu più
accorta: per evitare lo spostamento d'aria delle lame corse in
direzione delle stesse per poter prendere slancio e saltare; si
aggrappo' con le mani sulle spalle del suo avversario dandogli una
poderosa spinta alla schiena con entrambi i piedi. L'uomo cadde verso
il pavimento, tenendo però strette le sue katane per potersi
rialzare ed attaccare immediatamente dopo.
Dobbiamo
prima pensare a disarmarli, o comunque ad immobilizzarli.
Ranma non
diede a se stesso il tempo di formulare questa constatazione che si
lanciò verso l'altro evitando numerosi fendenti prima di
afferrare i polsi dell'uomo ed infliggendogli numerosi calci in
direzione dello stomaco, sempre nello stesso punto. Approfittando del
momento di scarso equilibrio del suo avversario, mantenendo sempre la
presa dei polsi, roteò la gamba per colpire con un solo
calcio entrambe le braccia. Uno sforzo che sortì il suo
effetto: l'uomo mollò la presa della katana sulla sua mano
sinistra, facendola cadere a terra, mentre l'altra mano tentava di
rinsaldare la stretta sul manico.
Un gemito di
dolore di Akane però lo distrasse. Si voltò,
facendo ben attenzione che il suo sfidante non approfittasse del
momento di distrazione. La ragazza si era impossessata di una delle
katane dell'altro sfidante del dojo, e probabilmente era in procinto di
ingaggiare un duello, ma Ranma notò un sottile taglio
all'altezza della coscia. Niente che potesse dare al suo avversario
occasione di avere la meglio su di lei, ma il ragazzo con il codino
pensava di dover fare in fretta.
Il fratello
che aveva per avversario era sul punto di assestargli un colpo di
katana diretto, ma prontamente il giovane Saotome serrò la
lama nelle sue mani, precludendo all'altro la possibilità di
utilizzarla. L'uomo fece un'espressione contrariata e quasi sorpresa.
"Allora, che
ne è stato della tua sicurezza?" chiese con sarcasmo.
Allentò
la presa sulla lama, ma solo per tirare con il piede verso di
sé il manico della spada per prenderla e consegnarla alla
compagnia dell'altra. Esultò internamente. Con le katane
fuori dalla portata di quel tipo, avrebbe fatto il suo gioco.
"Preferisco
combattere a mani nude."
Nel frattempo
sentì un tonfo sordo. Akane era a terra, ed era stata
disarmata, ma aveva fatto altrettanto con il suo sfidante che adesso si
precipitò in aiuto del gemello. Ranma la vide alzarsi piano,
ma la sua visuale fu oscurata dall'altro avversario. Si
ritrovò a contrastare entrambi, però ora che
avevano abbandonato le loro katane a Ranma parve tutto più
semplice.
"Ehi, non ho
ancora finito con te!"
Akane
atterrò sulle spalle del gemello che finora aveva combattuto
con Ranma, e lo tirò con sé con tutta la forza di
cui era capace, gettandosi con lui a terra, facendosi male - a
giudicare dal grido represso al momento di schiantarsi contro le assi
di legno del dojo - ma dando a Ranma l'opportunità di fare
le cose con calma. L'uomo con cui si stava battendo ora non sembrava
avere paura di utilizzare solo le mani. Anzi, ne sembrava entusiasta.
"Anche io
preferisco un combattimento corpo a corpo" sostenne. "Io e mio fratello
non vediamo l'ora di sconfiggervi e di prenderci l'insegna Tendo."
Ranma
udì Akane reagire con furia sovrumana a quelle parole, e la
vide lanciarsi contro l'uomo per assestargli una gomitata che
però l'altro riuscì ad evitare, seppure di un
soffio.
"Dietro di te!"
E difatti
l'altro la afferrò da dietro, prendendola per le ascelle.
L'istinto della ragazza però non si fece attendere:
mandò un potente calcio all'indietro, e alzando le mani
verso di lui con rapidità lo prese per il bavero del ji,
atterrandolo davanti a sé con un grido di sfogo.
L'avversario
che teneva in scacco Ranma caricò un destro che il ragazzo
parò con la gamba, per poi utilizzare la sua tecnica delle
castagne. Ma l'altro non si diede per vinto: fece una capriola perfetta
in aria per schiavare i suoi colpi e prenderlo alle sue spalle. Lo
colpì alla testa, ma non così forte da mandarlo a
terra. Ranma si voltò con la gamba tesa, determinato a
metterlo nelle condizioni di ricevere i suoi colpi senza
possibilità di poterli evitare. Lo colpì al
fianco, ma il cinturone doveva aver assorbito parte della potenza del
suo calcio, perché il suo avversario vacillò
senza cadere. Ma per Ranma era arrivato il momento, e gli
assestò la tecnica delle castagne per farlo desistere.
L'uomo
sembrava impossibilitato a rispondere, tanto erano forti e precisi i
colpi di Ranma; ma questi dovette fermarsi quando vide delle gocce di
sangue macchiare il pavimento davanti a sé. Si
ricordò improvvisamente delle ferite agli avambracci,
dimenticate completamente grazie alla sua resistenza al dolore fisico
acquisita negli anni. Si fermò, ritirandosi nella parte
inferiore del dojo, dove si trovava Akane, lasciando i due
all'estremità opposta del dojo.
Doveva
chiudere prima che l'avversario atterrato da Akane potesse riprendersi
e ricominciare a combattere.
Osservò
per un secondo Akane con il fiatone poggiare una mano sul ginocchio
della gamba ferita, la sentì emettere un mugugno, destando
la sua preoccupazione. Ma la determinazione nei suoi occhi lo indusse a
non abbandonare la concentrazione.
Scambiò
con lei un cenno: involontariamente avevano sviluppato delle tecniche
di coppia, utilizzate nei momenti di estrema necessità, come
contro il cambia-insegne, oppure contro le due sorelle che avanzarono
la loro legittimità nei confronti del dojo Tendo, oppure
come tutte le altre volte che avevano avuto problemi del genere. Con un
po' di battibecchi e tanto impegno, quelle tecniche avevano raggiunto
il loro scopo.
Ancora
un ultimo sforzo.
I due fratelli
gemelli si posizionarono uno a fianco all'altro. Erano provati
dall'incontro, ma era ovvio che non avrebbero gettato facilmente la
spugna. Anche perché lo vedevano perfettamente: nonostante
fossero intenzionati a proseguire, i due ragazzi erano messi piuttosto
male.
Dalla
posizione che assunse Akane, Ranma colse subito cosa aveva in mente. La
ragazza si pose davanti al giovane Saotome, mentre Ranma si
affrettò ad assecondarla, sistemandosi dietro di lei.
Il
Salto delle Tigri Feroci.
Una tecnica
che confondeva l'avversario, non dandogli possibilità di
capire in tempo quale artista marziale avrebbe colpito per ultimo.
I due
fidanzati si lanciarono in una breve corsa; Ranma dietro Akane
saltò oltrepassandola, e così fece la piccola
Tendo immediatamente dopo. I salti diventarono sempre più
rapidi, sempre più confondibili, in un susseguirsi di
immagini che agli occhi di Hiten e Manten non era altro che una
alternanza delle due figure inesorabilmente veloce.
"Ma cosa...?"
Uno dei due
gemelli si scostò repentinamente, ma l'altro
trovò davanti a sé per ultimo Ranma che, con un
Moko Takabisha potenziato lo scaraventò contro il muro.
Senza pensarci
un solo attimo Ranma e Akane si voltarono, trovando il gemello ancora
in piedi che avanzava verso di loro; ma fortunatamente lontano
abbastanza da replicare la tecnica di coppia. Ebbero il tempo di
alternarsi quel po' che bastava per mandare in confusione l'avversario
rimasto; e stavolta fu Akane l'ultima.
Un poderoso
manrovescio sotto il mento, per poi concludere con un altrettanto
energico calcio che mandò l'uomo fuori combattimento.
Definitivamente.
I fratelli non
provarono ad alzarsi che dopo qualche minuto; nel frattempo
però Akane crollò a sedersi a terra, con la
ferita alla coscia che bagnava di sangue il suo ji.
"Akane!"
Ranma le si
accostò subito, così come Kasumi e Soun, mentre
Nabiki e Genma prestavano soccorso ad Hiten e Manten.
"La mia
bambinaaaaa...!"
"Non
è grave" constatò la piccola Tendo per calmare
suo padre.
Con cautela,
Kasumi voltò verso di loro il taglio alla coscia di Akane.
Perdeva ancora un po' di sangue, ma non era così profonda
come sospettavano.
"Dobbiamo
bendarla, e subito!"
Ignorando le
proteste delle sue di ferite, il giovane Saotome si avvicinò
verso la gamba sana di Akane, e facendo attenzione a non toccarle il
punto dolorante infilò una mano sotto le ginocchia per poi
poggiare la schiena della fidanzata sull'altro braccio.
"Aggrappati a
me" le mormorò a fatica. Akane seguì il
consiglio, allacciando un braccio tremante al suo collo.
Il taglio su
quest'ultimo prese a pulsare, e Ranma credette di sentire un rivolo di
sangue scendere giù per il gomito e un'altra goccia
raggiungere il pavimento del dojo. Un leggero brivido di freddo gli
attraversò il corpo, ma era ad Akane che ora voleva e doveva
pensare.
Maledizione
a loro! Se non li avessimo disarmati in tempo ci avrebbero fatti a
fettine!
"Raccogliete
le vostre katane" disse rivolto ai due sfidanti "e sparite."
***
Mentre Ranma
sistemava Akane sul suo letto, Kasumi provvedeva a togliere alla
sorella minore i pantaloni della sua tenuta da combattimento.
"Ranma, per
favore, potresti prendere dell'acqua per pulire la ferita e la cassetta
del pronto soccorso?"
Sulla soglia,
Soun era intento a piangere e a tirarsi la faccia per la disperazione.
Ranma tirò un sorriso stanco. Avrebbe voluto dirgli che non
c'era niente di cui preoccuparsi, ma era evidente che l'uomo non si
sarebbe tranquillizzato finché non avesse visto sua figlia
riprendere le sue abitudini quotidiane.
Nonostante le
braccia gli facessero un male cane, il ragazzo con il codino
eseguì ritornando con un asciugamano gettato sulla spalla,
la cassetta del pronto soccorso tenuta per il manico e un bacinella
piena di acqua fredda che poggiò sulla scrivania di Akane.
Sentendo le forze venirgli meno si abbandonò sulla sedia
della scivania, prima di immergere l'asciugamano nell'acqua e tamponare
piano la coscia di Akane per tutta la lunghezza della ferita. Akane
serrò gli occhi cercando di non lamentarsi, ma fece una
faccia riluttante quando vide Kasumi con dell'ovatta in una mano e una
bottiglietta di disinfettante nell'altra.
Non appena
entrò in contatto con il disinfettante, Akane
esternò un gemito che si costrinse a soffocare sul nascere.
Di contro, afferrò le coperte stringendole con tenacia.
Sudava freddo, e Ranma avrebbe voluto dirle qualcosa, tranquillizzarla.
Dirle "Ehi maschiaccio,
tanto sei forte come Ercole. Non ti servono mica due avversari da
quattro soldi come quelli di poco fa a metterti k.o.!" e
ricevere un pugno sul naso. Almeno, avrebbe avuto una reazione
ordinaria da parte sua.
L'unica cosa
che lo consolava era che da lì a breve il bruciore di Akane
sarebbe sparito, togliendole del tutto quella smorfia di dolore dal
viso.
Sei
forte sul serio, Akane.
All'improvviso
si sentì tirare per il codino.
"Ehi, scemo!
Sei con noi?"
"Ehi ehi, fa'
piano!" la ammonì lui, scostando con rudezza la mano della
ragazza.
Ecco, ora
faceva anche la figura dell'imbambolato.
Si
grattò piano sulla nuca per attenuare il dolore, quando
Akane si rabbuiò di colpo notando i suoi avambracci.
"Ranma, sei
ferito anche tu!"
Il ragazzo con
il codino si guardò con uno sguardo interrogativo.
Ah,
già. Se l'era dimenticato. Che brutti scherzi giocava il
musetto di quella mocciosetta del maschiaccio!
"Oh, santo
cielo! Cercherò di fare il possibile!" Con i suoi soliti
modi premurosi, Kasumi stava finendo di fasciare con delle bende la
coscia di Akane. Le coprì delicatamente le gambe con una
coperta ed uscì dalla stanza, trovando Soun ancora
singhiozzante.
"Kasumi, come
sta Akane?"
"Papà,
sto bene!" rispose Akane con tono esasperato, tentando di farsi sentire.
"Vieni,
papà. Ti preparo una tisana" ridacchiò la
ragazza, portando suo padre giù per le scale. "Akane, puoi
cominciare a medicare Ranma? Vi raggiungo subito!"
Ranma
guardò spaesato una pallidissima Akane seduta sul letto con
le gambe distese. Come poteva prendersi cura di lui se in quel momento
non riusciva a fare granché? L'avrebbe solo affaticata
ulteriormente, e di certo non voleva che la ragazza si prendesse altri
fastidi. Ne aveva abbastanza, per quel giorno.
"Non importa,
faccio io." Fece per alzarsi, ma Akane lo trattenne per un lembo della
giacca del ji, abbozzando un sorriso lieve.
"Prendi un po'
d'acqua e vieni."
Eseguì,
sedendosi nuovamente sulla sedia della giovane per permetterle di
medicarlo.
Con piacere
sentiva le mani di Akane trafficare sulle sue braccia per pulirle dal
sangue rappreso, e per la prima volta in quella giornata si sentiva
rilassato abbastanza da poter permette ai suoi muscoli di distendersi.
Ma li sentì contrarre fastidiosamente quando
arrivò il bruciore del disinfettante e la ruvidezza quasi
insopportabile delle garze.
"Ecco fatto"
disse.
"Grazie."
Akane gli
regalò un timido sorriso, poi le sue labbra si allargarono.
"Un bernoccolo!"
Gli
toccò piano la testa, indicandogli un punto preciso.
"Lo trovi
divertente?" interloquì Ranma, contrariato e perplesso allo
stesso tempo. Bel ringraziamento, se doveva ridere delle buscate prese
- per lei - da quei sfidanti.
"Me ne sono
dimenticato" ammise ridacchiando.
"Dovresti
metterci del ghiaccio."
"Va bene."
"Ranma,
Akane!" Kasumi si presentò alla porta di Akane,
canticchiando tutta contenta. "Oh, vedo che avete già
finito!" disse. "Ranma, il bagno è libero. Mi raccomando,
non metterci troppo! Nabiki è andata a comprare qualcosa.
Stasera festeggiamo!"
***
"Un bel
brindisi a Ranma e Akane!"
Nonstante la
mezzana Tendo fosse tornata dalla spesa pochi minuti prima, Soun e
Genma erano già ubriachi, ed ovviamente si lasciarono andare
alle solite considerazioni sui due fidanzati nei modi più
disparati, considerazioni decisamente spinte che Ranma aveva poca
voglia di ascoltare.
La lattina di
birra ciascuno utilizzata per celebrare la vittoria sui due fratelli
Hiten e Manten però non faceva che peggiorare le cose.
Nonostante
questo, Ranma partecipò con entusiasmo per la vittoria,
mangiando vari stuzzichini, parlando del più e del meno con
Nabiki e cercando inutilmente di chiudere la bocca ai due padri che
deliravano a causa dei fumi dell'alcool.
Ranma
mandò giù un paio di sorsi di birra prima di
osservare Akane. Era contenta di aver vinto, nessuno poteva negarlo, ma
perché ogni volta che l'attenzione delle altre ragazze si
spostava verso qualcun altro, il sorriso tirato di Akane si spegneva?
Non
passò tanto tempo che la piccola Tendo decise di alzarsi da
tavola. Nabiki e Kasumi gettarono un'occhiata all'indirizzo della
sorella minore, probabilmente chiedendosi, come Ranma, cosa stesse
succedendo.
Ma come? Erano
lì a celebrare una delle loro migliori vittorie conseguite,
e lei se ne andava così, senza dire una parola?
"Sono stanca",
fu la sua giustificazione.
Già,
e io sono Bruce Lee!
Era vero che
avevano speso parecchie energie a causa di quel combattimento, e a
dirla tutta neanche lui si sentiva fresco come al mattino. Ma da
lì a piantarli quando c'era tanta voglia di festeggiare il
pericolo scampato, soprattutto lei che al dojo teneva tanto quanto la
sua stessa vita ce ne correva.
"Vuoi che ti
accompagni?" chiese Kasumi.
"No, grazie."
Getto un'occhiata all'indirizzo di suo padre e, vedendolo mezzo
addormentato fra le braccia - o meglio, le zampe - di Genma trasformato
in panda lo lasciò stare. Augurò la buonanotte a
tutti, per poi andarsene portando con sé la lattina.
Questo
dettagli indusse Ranma a pensare che non era per la stanchezza che
Akane aveva deciso di ritirarsi. E sinceramente, voleva sapere che
caspita frullasse nella testa del maschiaccio. Ma non poteva seguirla a
ruota senza destare dei sospetti. Attese vari minuti, abbandonando
completamente la voglia di divertirsi, finché non
annunciò che anche lui sarebbe andato a letto.
"Credo che
anche io andrò a dormire."
Per
enfatizzare, prese perfino uno sbadiglio - rigorosamente finto - nel
tentativo di apparire convincente, ma tutti i suoi sforzi andarono a
farsi benedire.
"Certo, come
no!" rise Nabiki - quella iena patentata! - sfoderando un sorrisone
ambiguo. Dallo scintillio nei suoi occhi si capiva chiaramente che
avrebbe detto qualcosa di... stravagante.
"Sicuramente vuoi raggiungere mia sorella per... festeggiare come
una coppia dovrebbe, ovvero fare del salutare sess..."
"Nabiki, ma
che stai dicendo?" urlò una scandalizzatissima Kasumi. "Non
sta bene!"
Ma non c'era
bisogno che finisse la frase per mandare in fumo la testa di Ranma.
Ma...
ma... NO! Non è... nelle mie intenzioni... Nabiki, sei
insopportabile!
"E dai, vuoi
dire che non ho indovinato?" sbottò la mezzana, incespicando
nelle parole. Era evidente che era la terza persona ad aver bevuto
più di tutti.
Colto alla
sprovvista, Ranma fuggì a gambe levate, riuscendo a portarsi
di sopra solo la sacca del ghiaccio.
A dire il
vero, non sapeva se avrebbe cercato Akane oppure no.
***
Trovò
Akane al balcone, probabilmente per rimanere sola con i propri pensieri.
Era appoggiata
al parapetto con entrambe le braccia, la sua lattina di birra ancora in
mano. Circondata dal buio della sera, la sua figura sembrava
più piccola che mai.
Gli occhi di
Ranma caddero inevitabilmente sulla fasciatura fatta da Kasumi,
nascosta in parte da un paio di pantaloncini gialli.
Se
non avessi fatto di testa mia, adesso sarebbe in ospedale.
"Ehi, sei
scappata?"
La ragazza
sobbalzò, voltando la testa verso il fidanzato quel tanto
che bastava per dirgli che no, non era scappata affatto. "Sono davvero
stanca, avevo solo bisogno di una boccata d'aria" aggiunse.
Si
affiancò a lei, notando subito che Akane aveva un grosso livido
sotto l’occhio destro, sicuramente causato da uno dei tanti
colpi ricevuti. Forse era per quello che il suo viso aveva un aspetto
così acceso prima.
"Credo che
questa serva anche a te" disse Ranma, poggiando delicatamente la sacca
del ghiaccio sulla sua guancia.
"Grazie."
Accettò di buon grado quella premura, ma poi rimase in
silenzio, ritornando ad essere sovrappensiero. L'unico movimento che
fece fu di bersi un altro lungo sorso di birra. Vedendola
così, assorta e calma come un lago, nessuno avrebbe mai
scommesso che si trattasse di una combattente.
Il giovane
Saotome attese, mentre progressivamente sentiva crescere una strana
sensazione, come se si sentisse offeso del fatto che Akane, nonostante
probabilmente ci fosse qualcosa che la preoccupasse, non spiaccicava
parola. E pensare che avevano sempre chiacchierato in quegli anni, su
tantissimi argomenti.
Se
hai qualche problema potresti anche parlarne con me!
Un tacito
rimprovero, spezzato da poche e semplici parole di scusa.
"Mi dispiace
tanto."
Fu un
sussurro, così lieve e dispiaciuto che non sembrava reale.
Ranma ebbe un sussulto al cuore. Era così indifesa quando
faceva così.
Provando a
risponderle, dalla sua bocca uscì solo un lieve balbettio.
"D... di cosa?"
"Stamattina,
prima dell'incontro..."
Ah, come
dimenticarlo! Aveva fatto il diavolo a quattro per tenerlo fuori dal
dojo quella mattina, ma fra due testardi la cosa non poteva essere
così scontata.
"Se fossi
stata sola ti avrebbero fatto male sul serio!" disse Ranma con
ovvietà, incrociando le mani dietro la testa.
"Già..."
replicò lei triste, osservando distrattamente la lattina.
Uno contro due
in un combattimento ufficiale sarebbe stato disonesto per i due
fratelli e pericoloso per la ragazza.
Ma a dispetto
della situazione presentatasi poche ore prima, Ranma non poteva affatto
negare che Akane era diventata un’artista marziale temibile
tanto quanto lui. Proprio come aveva dimostrato quella mattina contro
Hiten e Manten. Anche se era allo stremo delle forze e ferita, aveva
continuato a combattere con fierezza e tenacia. E questo, pensava
Ranma, la rendeva degna di essere già chiamata maestra.
Ranma sapeva
che se le avesse fatto degli apprezzamenti, Akane si sarebbe sentita
felice, lusingata. Pazienza se si fosse montata la testa.
Si
avvicinò ancora di più a lei appoggiandosi al
parapetto così come aveva fatto la ragazza, e d'un tratto si
sentì inesorabilmente attratto
da lei, molto più del solito.
"Ehi, Akane."
"Dimmi."
"Hai
combattuto benissimo."
Sulle labbra
di Akane finalmente comparve un sorriso, e il ragazzo con il codino ne
rimase piacevolmente deliziato.
Unire le loro
forze con una complicità così sincera come la
loro era bello e appagante al tempo stesso. Sì, c'erano
molti incidenti - litigi - di percorso, ma alla fine ne uscivano
vincitori, a dispetto dell'apparente superiorità dei loro
avversari.
Peccato che le
occasioni erano così poche che si potevano contare con le
dita. Al dojo arrivavano sempre sfidanti singoli, che puntualmente
Akane pretendeva di battere per conto suo. Per quanto riguardava
allievi da allenare, per i loro genitori non era ancora una
attività alla loro portata.
La ragazza
ridacchiò un poco. "Non ne va del tuo orgoglio se mi fai
questo tipo di complimenti?"
Stava
giocando, era evidente, ma davanti a quella spontaneità
Ranma poteva sentire chiaramente le guance andargli in fiamme ed il
battito cardiaco triplicato.
Accidenti,
Akane! Ci rimarrò secco se continui a fare così!
Anche se per
qualche secondo e non sapendo assolutamente cosa la rendesse
così triste e nervosa, aveva sollevato il morale ad Akane
con ciò che lei sicuramente voleva sentirsi dire.
"Posso fare
un'eccezione, ogni tanto. Soprattutto con la mia fidanzata."
Aspettaaspettaaspetta!!!
Che diamine
aveva detto?
Akane si
voltò di colpo, fissandolo con malcelata sorpresa e con un
pizzico di preoccupazione.
Calibrò
in quali modi quel che aveva detto poteva essere inteso, soppesando
parola per parola quella risposta. Ma porca miseria, ma
perché all'improvviso non ricordava più niente?!
"Non stai
bene, Ranma? Hai la febbre?"
Ahia...
"Sto
benissimo, invece!" ribatté con eccessiva enfasi. Forse con
quel tono alterato avrebbe capovolto la situazione, facendo
indispettire Akane e mandando a puttane la serata. Ma a quella reazione
così esagerata Akane non proferì parola.
"Akane, io..."
Cazzo,
la timidezza.
Perché
non riusciva mai a dire quel che pensava ad Akane?
"Ranma..."
La vedeva, e
Ranma sapeva che aveva paura. Ma dannazione, ne aveva tanta anche lui.
Ma ebbe molta
più paura ripensando - l'ennesima volta - a come sarebbe
andata a finire se non fosse tornata a casa viva. A quell'ora non
sarebbe stata lì a chiacchierare con lui su quel balcone.
Non avrebbe scherzato, non si sarebbe incazzata quella mattina. Non
starebbe lì a pensare se potesse fare oppure no quel che
stava per fare.
Perché
sì, lo avrebbe fatto. Ormai era troppo vicino a lei con lo
sguardo incatenato al suo. Gli occhi di Akane lo trafissero
tagliandogli involontariamente ogni via di fuga. Si sentiva esposto,
come se fosse nudo, nei guai fino al collo. E non sapeva spiegarsi il
perché, ma voleva immergersi,
in quei guai, e rimanerci.
Stranamente
non gli importava se l'avesse mandato su Marte, se lo avesse riempito
di pugni o se gli avesse dato del maniaco. Era troppo euforico per darsi
pensiero per questo.
Ammazzami
pure, dopo.
La bocca
arrossata di Akane, e il fatto che se la mordesse piano per il
nervosismo non faceva che peggiorare le cose. Imponendosi quanta
più calma possibile, coprì la distanza che li
separava finché il respiro caldo della ragazza lo
mandò in estasi, mozzando il suo.
Chiuse gli
occhi. Percepì le proprie labbra tremare, perdere del tutto
il controllo di ciò che stava succedendo. Ma fu in
quell'istante che sentì qualcosa chiudergli la bocca.
Confuso e
stordito, Ranma aprì gli occhi.
Sulle labbra
aveva una mano di Akane.
Sul viso, la
ragazza aveva un'espressione mortificata. Sull'orlo delle lacrime.
Cosa...?
"Non farlo,
Ranma. Per favore..."
Una preghiera
mite, con una voce terribilmente incrinata, che non avrebbe mai
immaginato di sentire da Akane.
Forse aveva
capito male, forse la birra stava giocando dei brutti tiri al suo
cervello che, a detta di Akane, era già bacato di suo. Ma il
palmo della mano della fidanzata era ancora incollato saldamente sulla
parte inferiore della sua faccia, confermando con brutale
crudeltà il suo sospetto.
Lo stava... rifiutando?
No,
non è possibile... Dev'essere uno scherzo, di quelli pessimi!
Finalmente
Akane lo lasciò, ma distolse immediatamente lo sguardo.
Ranma giurò di scorgere una lacrima sul piccolo viso della
ragazza, e in quel momento sentì un pugnale trafiggergli il
cuore, riducendolo in frantumi.
Riuscì
appena a controbattere con un "Perché?"
ma ciò che ebbe come risposta non lo soddisfece affatto.
"Non me lo
chiedere..."
"Che vuol dire
"Non me lo chiedere"?"
E noi..."
Non lo
lasciò finire. Troncò sul nascere una domanda che
gli parve ovvia, a cui era praticamente doveroso dare una pur minima
spiegazione.
"Non ci
pensare, al nostro fidanzamento..."
Un'altra
lacrima, che lei asciugò in fretta.
"Ho capito..."
mormorò Ranma atono.
Fece alcuni
passi indietro, prima di correre via.
NDA
E' da un po'
che non scrivevo qualcosa. Me ne sono successe tante, perciò
non ho avuto né tempo tanto meno voglia di buttare
giù qualcosa. Però scribacchiando un po' di
voglia mi è venuta, così ho cominciato a scrivere
questa cosetta. E niente, giusto per riprendere in mano il sito e
combinare qualcosa.
Se ci sono
errori, non esitate a segnalarli.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Cap. 2 ***
Don't ask me why
“Non chiedermi perché,
non ci pensare, eh?! Ma a chi cavolo vuole darla a bere?
Ah ma io ho capito, eh! Ho capito perfettamente! Poteva risparmiarselo,
quella maledetta! Tutti quei bei sorrisi, tutte quelle smancerie, e per
dirmi cosa? Che non... che
non mi vuole?! Poteva dirmelo chiaramente che aveva
intenzione di finirla con questa farsa del fidanzamento!”
Incurante
delle ferite alle braccia che gli imploravano pietà Ranma
afferrò con rabbia un’altra camicia, la
appallottolò in fretta e furia per poi andarla ad aggiungere
a tutti gli altri suoi indumenti ficcati in malo modo nel suo zaino da
viaggio.
Nell’impeto
alcuni lembi di indumenti traboccavano dal suo zaino, come se
cercassero in qualche modo di non entrarci, e di ritornare al loro
posto, nell'armadio.
Che
stupidaggine! Quando mai i vestiti decidono da soli cosa fare?
Resosi conto
di quanto fosse insensato pensare ad una cosa del genere si
portò una mano alla fronte, completamente esausto.
Ecco,
adesso sto anche delirando...
Sospirando
pesantemente, Ranma raccolse le ginocchia in un abbraccio con una
lentezza che non gli apparteneva, provando inutilmente di calmarsi e
liberare la testa dai brutti pensieri. Piuttosto, doveva fare
attenzione a non lasciare niente di suo, perché non avrebbe
fatto più ritorno al dojo Tendo, tanto meno poteva restare a
Nerima come se niente fosse.
Ora
l’unica cosa che gli restava da fare era togliersi Akane dalla testa
e continuare il suo percorso in qualità di maestro di arti
marziali indiscriminate.
Avrebbe
trovato un bravo ragazzo strada facendo, e lo avrebbe preso sotto la
sua ala protettiva in qualità di allievo per mandare avanti
la sua scuola d’arti indiscriminate Saotome.
Senza
di lei.
D'altro canto,
era ciò che aveva in mente prima di conoscerla. Non aveva
mai voluto quel fidanzamento, e lei altrettanto, a quanto pareva.
L'armadio che
conteneva la sua roba era ormai svuotato, era tutto perfettamente in
ordine come era prima di arrivare, tranne che per gli effetti personali
di suo padre, che in quel momento stava beatamente ronfando con Soun
Tendo.
Bene, non
c’era più niente.
Niente.
Niente che lo
legasse a quella casa, si disse, sebbene con poca convinzione.
Si
alzò con titubanza, come se la sua mente avesse dimenticato
altro e come se lui avesse inconsapevolmente omesso di ricordare.
Si
fermò di colpo, mentre un enorme senso di colpa lo indusse a
gettare lo sguardo più in basso, verso il futon ripiegato,
ricordando che lì c’era qualcosa che proprio non
poteva dimenticare.
Lentamente si
accovacciò per frugarci dentro. Tirò fuori una
scatolina di velluto azzurro, e con riluttanza
l’aprì. Dentro c’era un anello, lo
stesso che con tanta fatica aveva scelto per lei. Era una fascia
d’argento sottile, sulla quale c’erano piccole
scanalature irregolari che bagnate dalla luce brillavano.
Aveva messo da
parte dei soldi e preso il coraggio in mano per acquistarlo. Era stato
molto difficile farlo, tanto più se la sua testa lo
rimandava all’episodio della scatolina di sua madre. Akane
avrebbe potuto fraintendere dato l'infelice trascorso, reputandolo un
mero scherzo fatto da un imbecille, ma Ranma aveva fantasticato tanto
su una eventuale reazione positiva della sua fidanzata alla vista di un
anello di fidanzamento vero.
Con un po' di
fegato avrebbe potuto chiederle di sposarlo - prima di arrivare ai
cinquant'anni, magari - perché Ranma aveva
deciso che qualunque cosa fosse successa, in qualunque modo fossero
andate le cose avrebbe voluto domandarglielo.
Ma adesso?
Adesso lei gli aveva fatto capire che non c'era posto per lui nel suo
cuore, impedendogli di farle capire che lui era lì per lei,
che non aspettava altro che fare passi avanti senza tirarsi indietro,
ma soprattutto senza lasciarsi distrarre da niente.
Neanche dal
desiderio di tornare un ragazzo a tutti gli effetti. Aveva valutato la
possibilità di fare qualcosa per la sua maledizione, ma a
patto di non farle correre alcun pericolo.
Ranma aveva
già messo a repentaglio la vita di Akane talmente tante di
quelle volte che spesso pensava seriamente di non essere in grado di
proteggerla abbastanza.
Aveva
così deciso di smetterla di dare più importanza
ai suoi desideri a dispetto dell’incolumità della
ragazza.
Anche
perché con il passare del tempo era diventata lei, il suo
desiderio. E quello di ritornare un ragazzo a tutti gli effetti era
sorprendentemente passato in secondo piano.
La paura di
perderla era stata più forte di qualunque altra cosa, per
questo aveva fatto di tutto per salvarla. Perché niente,
neanche riacquistare la propria virilità valeva quanto la
vita di Akane.
D'altro canto,
quante volte gli aveva assicurato che a lei non importava se diventava
una ragazza con l'acqua fredda? E quante volte lui le aveva creduto,
celando in tutti i modi possibili la sua immensa felicità
davanti a quella seppur piccola confessione?
Che si fosse
stancata di avere un fidanzato così e avesse trovato
l'occasione di lasciarglielo intendere?
No, non credo.
Lo aveva
respinto, d'accordo, ma aveva troppa fiducia in lei per pensare che lo
avesse lasciato per quello.
Doveva
accontentarsi di averla protetta per un periodo della sua vita,
lasciando poi che gli eventi permettessero loro di dividersi?
Probabile: se Akane non voleva stare con lui, nessuno doveva e poteva
costringerla. Tanto meno i loro genitori.
Stava a lei
decidere cosa avrebbe fatto della sua vita, proprio come aveva fatto
con lui.
Non che lui
non avesse contribuito alla sua ritrosia.
C'era la
possibilità che quella freddezza fosse da attribuire al
mancato matrimonio: Akane quella mattina aveva finalmente messo le cose
in chiaro, si era vestita
da sposa per lui, gli aveva chiesto se la amava; e lui di
rimando aveva fatto scena muta, per poi litigare nuovamente. Come se
non bastasse, si era messo a correre dietro la botte di Nannichuan
d'istinto, e non gli ci volle molto a capire che così
facendo aveva dato la priorità all'acqua piuttosto che a
lei, e proprio sotto i suoi occhi.
L'aveva
delusa, questo era certo. Ma subito dopo erano tornati quelli di
sempre, con qualche battibecco in meno, anche se con qualche incursione
rompipalle in più.
Non parlare di
quello strano quanto triste episodio era diventato un tacito accordo
che nessuno dei due voleva rompere.
Anzi, Akane
sembrava disposta a passarci sopra.
Ecco
perché c'era tanto che non tornava: la gelosia malcelata, le
loro mani strette, l'aiutarsi a vicenda, i sorrisi complici. Il
combattere insieme con quell'affiatamento, quel leccarsi le ferite a
vicenda, preoccupandosi l'uno dell'altra...
Cos'era tutto
ciò? Aveva forse frainteso? L'aveva illuso?
Tra loro
c'erano sempre stati malintesi a non finire, ma per Ranma, il momento
in cui Akane lo aveva rifiutato sembrava così... inequivocabile.
Non ci voleva
un genio per capire che una ragazza che non vuole essere baciata non
vuole avere niente a che fare con l'altra persona. Ma qual era il
motivo? Cosa aveva fatto di male? Che lui avesse fatto qualcosa quella
sera per meritarsi quel trattamento?
"Sei
abile!"
Ecco,
lo sapevo! Si è montata la testa!
Ecco
perché aveva delirato come una testarda quella mattina, la
signorina faccio-tutto-io!
Perché aveva intenzione di mandare avanti il dojo da sola,
senza l'aiuto di un ragazzo che fosse in grado di sconfiggerla. Le era
ritornato l'orgoglio di un tempo, quando respingeva quel fidanzamento
imposto con tutte le sue forze.
Ma in fondo,
poteva pure capirla.
Akane non
voleva qualcuno che adombrasse la sua personalità forte e
volitiva e che la battesse nelle arti marziali - del resto, non era
così anche per lui? - e Ranma non voleva qualcuno che lo
distraesse dai suoi intenti principali e che lo riempisse di botte
quasi ogni benedetto giorno.
E lui, scemo
com'era, credeva pure di farle piacere facendole dei complimenti.
Effettivamente
doveva immaginarlo: in quegli ultimissimi anni aveva affinato le sue
tecniche marziali, ed aveva sempre preteso di difendere da
sé il suo dojo, scagliandosi sia contro di lui che contro
suo padre nei momenti in cui loro avrebbero voluto darle una mano.
I
ringraziamenti di Akane Tendo, la donna più maschiaccio del
Giappone.
Ma se quelle
invettive erano violente, altrettanto non si poteva dire di
quell'ultima sera. Akane sembrava pensierosa, era stata tutto il tempo
dopo il brindisi a rimuginare su chissà quale cazzata le
passasse per la testa.
Ranma non
poteva di certo estorcerle informazioni così private! Solo,
voleva che lo rendesse partecipe dei suoi pensieri, o perlomeno delle
sue preoccupazioni. Era il suo fidanzato, diamine, ed anche se erano
stati i loro genitori a decidere per loro fino a poche ore prima erano
loro stessi a considerarsi tali.
C'era qualcosa che con
tempo si era fissato, che dopo mille peripezie aveva fatto in modo che
i due si scoprissero,
oltre agli screzi e le cose non dette, o dette per metà, o
nel momento inopportuno. Ranma aveva identificato quel qualcosa in
amore, perché cosa poteva essere altrimenti? Cosa la faceva
apprezzare e desiderare ogni giorno di più, soprattutto
grazie a quelli che la maggior parte considerava difetti?
Ma a quanto
pare, era il solo a provare dei sentimenti per lei.
Akane non era
innamorata di lui, e probabilmente non lo era mai stata.
E
se fosse innamorata di un altro?
Quello fu il
pensiero che gli fece più male, che fermò
bruscamente il flusso dei suoi pensieri dandogli una spinta in
più verso il baratro.
Basta!
Lanciò
la scatolina aperta contro la parete, facendo volare via
l’anello che tintinnò per alcuni secondi per la
stanza prima di fermarsi.
Le sue erano
soltanto congetture che si accavallavano le une sulle altre, senza un
reale fondamento. La verità la sapeva solo lei, e quella
gallina lunatica non voleva assolutamente condividerla.
Sei
una stupida!
Mai in vita
sua avrebbe creduto che sarebbe stato così male per un rifiuto. Nella sua
vita c’erano solo le arti marziali, e il desiderio di
diventare sempre più forte. Non aveva mai avuto l'intento di
trovarsi una ragazza, o di farsi una famiglia. Semplicemente, non ne
aveva bisogno.
Akane era
arrivata ed aveva ridimensionato ogni cosa. Gli aveva dato uno scopo
senza che lui lo volesse e senza pretendere niente in cambio.
Gettò
il suo sguardo azzurro verso l'anello che riluceva debolmente contro i
raggi della luna, pentendosi per il gesto fatto. Lo raccolse,
riponendolo con una cura quasi maniacale nello zaino.
Non sapeva
assolutamente che ora fosse: sapeva soltanto che era notte fonda; si
buttò sulle spalle i bagagli e sgattaiolò via
dalla finestra, per non passare dalla porta di ingresso finendo poi
accidentalmente contro quell'ammasso di pelo di suo padre che avrebbe
potuto fermarlo, come già fece alcune volte i primi tempi in
casa Tendo.
Atterrò
in giardino, per poi scavalcare il muretto che delimitava la casa.
Avvertì una dolorosa fitta alle ferite che lo fece gemere,
ma che presto gli rammentò anche il momento sereno in cui
Akane si era presa cura di lui nonostante fosse provata dalla fatica
della lotta.
Akane...
Una fitta al
cuore gli spezzò ogni tentativo di muovere le gambe tremanti
il più velocemente possibile. Non voleva andarsene,
tantomeno voleva arrendersi in quel modo lasciando che il vuoto si
scavasse un solco profondo dentro di lui, che lo divorasse con la sua
angoscia.
L'unica cosa
che voleva in quel momento era vedere Akane affacciata alla finestra,
essere fermato, sentirsi dire da lei che no, non voleva fargli questo,
perché in fondo non lo voleva neanche lei.
Ma la finestra
della stanza di Akane era spenta, probabilmente lei era già
a dormire fregandosene di lui, con in testa solo il suo stramaledetto
dojo.
Improvvisamente
si fece strada l'esigenza di allontanarsi, di schermare la mente dalla
delusione, dalla rabbia e da ogni pensiero negativo nei confronti di
Akane. Qualunque cosa facesse, non era una ragazza che si meritava
sentimenti simili.
Volevo soltanto stare con lei.
Si mise a
correre, verso quelle che erano le zone limitrofe di Nerima. In poco
tempo però avvertì un fortissimo capogiro.
Rallentò di colpo, per poi camminare lentamente per un paio
di metri.
Non
poté proseguire. La vista gli si offuscò con una
velocità sorprendente prima di perdere i sensi.
***
Akane
era sulla roccia fredda, nuda, priva di sensi.
Ranma
si avvicinò con urgenza a lei, provando a prenderla fra le
braccia e a scuoterla. Ad invocare il suo nome. A stringerla contro il
suo petto. A baciarla.
Inutilmente.
"Akane!"
Non
rispondeva. Non respirava.
Era
morta.
"NO!"
Ranma si
svegliò di soprassalto, madido di sudore, e con una
lancinante sensazione di stordimento. Sentiva terribilmente freddo
nonostante una pesante coperta lo ospitasse dolcemente fra le sue
pieghe.
Percepì
l'urgenza di regolarizzare il suo respiro affannato, mentre tentava con
scarso successo di mettere a fuoco l'ambiente in cui si trovava.
Era in un
futon diverso, che non riusciva a riconoscere come proprio, e come un
fulmine gli tornò in mente ciò che era accaduto
il giorno prima. Un nuovo assalto di infelicità lacerante
arrivò prima che lui potesse rendersene conto per
respingerlo, attanagliando con crudeltà inaudita.
Chissà
cosa sta facendo in questo momento...
"Ah, ti sei
svegliato."
Una voce
femminile gli tuonò nelle orecchie. A causa del
disorientamento non seppe riconoscere, e che perciò gli
accese una pur minima speranza che fosse la sua fidanzata.
"Akane?!"
"No, sono
Ucchan. Quella carina!"
rimarcò lei.
Ukyo Kuonji
gli sorrise con calore, spintonandolo per metterlo supino e
poggiandogli un panno umido sulla fronte che probabilmente era volato
via mentre lui si agitava nel sonno.
"Sei stato
fortunato, Ran-chan! Se non ti avessi trovato saresti morto!"
"Esagerata!"
Il ragazzo con
il codino ebbe la alquanto fastidiosa impressione che Ukyo si stesse
facendo un po' troppi onori solo per averlo ospitato qualche....
Un momento! Da
quanto tempo era lì?
"Ucchan, da
quand'è che sono da te?" chiese allarmato.
La bella cuoca
ignorò bellamente la sua domanda. "Ma lo sai che ti ho
trovato svenuto in mezzo alla strada con la febbre alta?"
Febbre?
Si
toccò la fronte mestamente, lasciando poi ricadere la mano
pesantemente sul grembo.
Certo, dopo
tutto quello che era successo, fra la stanchezza e il turbinio di
sentimenti provati, era normale che svenisse per un po' di febbre.
Fantastico,
ora che questa! E quella stupida non è neanche venuta a
cercarmi.
Si
alzò scattando come una molla, afferrando brutalmente il suo
zaino e dirigendosi verso l'ingresso del locale di Ukyo. Era
tremendamente arrabbiato, ma la ragazza sembrava non rendersi conto di
come lui si sentisse. Dovette fermarsi davanti alla piastra da cucina,
perché sentì ancora la testa girare furiosamente
e le braccia dolergli e tremargli per lo sforzo.
"Siediti,
Ran-chan! Ti preparo qualcosa" gli disse la giovane Kuonji, e lui si
sentiva troppo debole per protestare. "Ma che è successo?
Perché hai quelle fasciature alle braccia? E
perché hai il tuo zaino da viaggio?"
Ranma si
sentì in gabbia. Non solo Ucchan pretendeva delle
spiegazioni che lui non voleva darle, ma ora doveva anche dire qualche
stronzata per lo zaino. Ovviamente, poteva solo raccontarle qualcosa di
scontato.
"Stavo
tornando a casa dopo una settimana di allenamenti sulle montagne"
mentì, spostando di proposito lo sguardo verso l'orologio a
muro alle spalle di Ukyo - le tre del pomeriggio - però
sentiva lui stesso che la sua voce era poco convincente. Ma con la
scarsa concentrazione che si ritrovava come poteva inventarsi di meglio?
"Andiamo, non
dire sciocchezze!" commentò la ragazza con tono saccente.
"Sei stato a mangiare da me appena quattro giorni fa!"
Il giovane
Saotome arrossì di colpo, ricordandosi immediatamente di
quel pomeriggio: aveva passato gran parte del suo tempo a dare una mano
a Soun per il tetto del dojo, per poi andare da Ucchan a gustarsi una
meritatissima okonomiyaki alle seppie.
"E non dirmi
che ti sei incamminato proprio oggi, perché nessuno nelle
tue condizioni si metterebbe in testa l'idea di farsi un allenamento
fuori Nerima!" concluse con una punta sarcastica.
Come
immaginavo, non se l'è bevuta.
Era capitato proprio nel posto
giusto nel momento giusto, a farsi fare un terzo grado dalla sua amica
d'infanzia che voleva a tutti i costi mettere su famiglia con lui.
Come una
malcapitata conferma di ciò, Ucchan prese allegramente a
canticchiare a labbra chiuse. E fin qui niente di strano,
finché non arrivò l'ennesima domanda, la stessa
che tutte gli
facevano nel tentativo di capovolgere la situazione a loro vantaggio.
"Allora,
quando sarai guarito uscirai con me?"
Ma davvero
credevano che sarebbero riuscite a sedurlo con un banale appuntamento?
Mah...
"Ucchan, non
è il momento."
"Se Akane ti
ha mollato, ti rimango io!"
A Ranma prese
un colpo.
Mollato.
Quella parola
lo riportò immediatamente al giorno prima, nel dojo. Ed
inevitabilmente al senso di vuoto e inutilità provati
davanti ad Akane che teneramente gli tappava la bocca con la mano
affinché non venisse baciata.
Non aveva mai
voluto neanche pensarla, quella parola durante la notte, ed ora Ukyo
gliela spiattellava in faccia con un sorriso così
abbagliante che avrebbe accecato un esercito. Peccato che la sua
felicità non riusciva a contagiarlo. Anzi, il fatto che la
sua migliore amica fosse contenta all'idea della rottura - era una rottura? - del
fidanzamento con Akane lo faceva sentire tradito. Lui non ne era
contento affatto, Ukyo invece si comportava come se non aspettasse
altro.
"Akane non mi
ha mollato!" gridò sfogandosi per la prima volta.
"Oh
sì, certo! Ed io non so cucinare."
"Abbiamo solo litigato,
ordinaria amministrazione! E comunque, questo viaggio di allenamento
era già in programma. Un vero artista marziale non si lascia
fermare da un po' di febbre."
"Uhm, secondo
me c'è qualcos'altro."
"Cosa te lo fa
pensare?" chiese lui sulla difensiva.
"Sesto senso
femminile!"
Il ragazzo
assottigliò gli occhi. Ne aveva abbastanza.
"Beh, allora
direi che il tuo ha fallito!"
Non voleva
assolutamente farle capire che c'era una falla molto più
grande del solito nel suo rapporto già piuttosto turbolento
con Akane. Ucchan avrebbe avanzato delle pretese che lui non voleva in
nessun modo accontentare. Lo faceva abitualmente, ma ora Ranma si
sentiva decisamente più vulnerabile
in tal senso. Era disposto a risponderle male, a costo di farlo sentire
uno emerito stronzo di fronte all'espressione un po' triste della sua
amica.
Voleva farle
capire che non aveva nessuna speranza con lui. Sarebbe stato difficile
per Ucchan affrontare una simile consapevolezza, ma era la
verità pura e semplice.
Forse era
presto per affermarlo data la sua giovane età, ma Ranma non
si sarebbe mai innamorato di un'altra tanto quanto lo era di Akane.
"E' permesso?"
"Sì,
certo!" rispose Ukyo di rimando.
Ranma si
voltò, scorgendo la figura robusta del dottor Tofu fare
capolino nel locale di okonomiyaki. Il dottore sembrò felice
di vederlo.
"Oh, Ranma!
Sei qui?"
"Uhm,
già..."
Che sapesse
tutto? Come? Quando queste domande aleggiavano nella testa del ragazzo
con il codino, il buon dottore si sedette vicino a lui. Ranma
capì subito che l'uomo aveva adocchiato il suo zaino.
"Allora, che
posso fare per lei?" cinguettò la giovane Kuonji.
"Ho avuto una
giornata dura, e non ho avuto il tempo di prepararmi qualcosa da
mangiare. Ukyo, mi faresti un okonomiyaki alle verdure da portare via?"
"Subito,
dottore!"
"Hai una
brutta cera, Ranma... E sei ferito!" commentò rivolgendosi
al ragazzo.
Ranma
spostò lo sguardo verso le fasciature, sentendo che il
dolore era decisamente aumentato dalla notte precedente. E
notò anche che le bende erano diventate un po'
più strette. Probabilmente le ferite erano gonfie.
"Hai anche la
febbre" continuò Tofu con un velo di preoccupazione.
"Probabilmente quelle ferite sono infette."
Stranamente a
Ranma interessavano poco le sue condizioni di salute. Con tutto quello
che era successo a casa Tendo si era concesso solo il tempo e le
energie per andarsene, e così facendo si era dimenticato di
pensare a se stesso.
"Vieni con me
in clinica, così ti posso visitare."
"Non so se..."
cominciò Ranma incerto.
"Nessun
disturbo, Ranma!"
"Pronto!"
esultò la bella cuoca. Impacchettò con cura
l'okonomiyaki sia di Ranma che quello di Tofu, Il dottore
pagò entrambi, facendo un lungo inchino. Con la mano libera
si carico lo zaino del ragazzo con il codino, invitandolo a seguirlo.
Finalmente un
po' di respiro dall'attenta indagine della ragazza. Le voleva bene, ma
il suo atteggiamento in quel frangente lo irritava non poco.
Grazie
per avermi sottratto dalle grinfie di Ucchan, dottore...
NDA
Non credevo
che nell'angolino delle persone che seguono questa storia siano
così tante! Grazie tante davvero! :)
Vi invito
ancora a venirmi a trovare nella pagina facebook che troverete fra i
bottoni del mio account! :D
Scusate gli
errori, se ce ne sono segnalateli.
Un bacio
enorme a tutti! :*
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Cap. 3 ***
Don't ask me why
"Ecco,
ho finito!"
Il dottor Tofu
estrasse l'ago dell'iniezione dalla spalla di Ranma.
"Hai una
infezione, per questo ti è salita un po' di febbre. Ma con
questo antibiotico domani sarai come nuovo! Ora cambiamo queste bende."
Ranma
lasciò che Tofu lo medicasse con completa apatia, senza
nemmeno rendersi conto del tempo impiegato. La testa non faceva che
girare, ma almeno non si sentiva così tremendamente stordito
come pochi minuti prima. Questo gli permise di focalizzare la
situazione delle sue ferite, vistosamente gonfie. Sperò con
tutto se stesso che lo stato della ferita alla coscia di Akane fosse
meno grave. Anche perché a quell'ora la sua famiglia
sicuramente si era già data da fare per evitarle l'infezione.
"Domani ti
cambierò le bende e ti somministrerò una dose di
ricostituente..."
"Domani non
sarò qui" affermò Ranma con il cuore pesante.
"Non se ne
parla" rispose perentorio il dottore. "Non puoi andartene. Resterai
qui, questa notte. Sei ancora troppo debole per fare i tuoi viaggi di addestramento,
sempre che sia vero." Rimarcò con forza i suoi dubbi proprio
nel momento in cui Ranma era in procinto di protestare.
Finché la sua voce si addolcì, accennandogli un
sorriso comprensivo. "Allora, non vuoi parlarne?" Per quanto fosse
reticente a raccontare le sue faccende private, specie se riguardavano
Akane, il ragazzo con il codino non voleva recare dispiacere a uno dei
pochi individui a Nerima per cui nutriva una vera stima.
"Parlarne non
risolverà niente."
"E' la prima
volta che ti sento dire una cosa del genere. Solitamente non sei
così pessimista e abbattuto, sei sempre così
sicuro di te!"
"Le cose
cambiano, a quanto pare..." mormorò Ranma, ripensando a come
si fosse inaspettatamente ribaltata la sua vita dalla sera precedente.
"Già,"
confermò Tofu, fingendo di pensarci su "nell'ultimo periodo
ho visto un sacco di cose strane."
Ranma fu
colpito da quella considerazione, e prese a fissare il dottore negli
occhi con fare interrogativo. Che gli stesse dicendo qualcosa
dell'atteggiamento di Akane che il dottore aveva compreso alla
perfezione ma che lui non era riuscito a leggere fra le righe?
Perché oltre alla pretesa di Akane di voler gestire gli
sfidanti del dojo per conto suo, il giovane Saotome non credeva ci
fosse altro.
"Come la prima
cosa che ho notato quando sono andato dai Tendo, per esempio"
continuò l'uomo "è stata che tu non eri
lì con Akane."
Ranma rimase
di sasso.
Non aveva
capito subito che con l'espressione nell'ultimo periodo
Tofu intendesse nelle
ultime ore.
Era ancora
perso nello strambo giochetto di parole del dottor Tofu mentre con una
velocità inaudita nella sua mente slittò una
percezione semplice, era vero, eppure così potente da
destabilizzarlo: che essere al fianco di Akane per lui era diventato naturale.
Così
come lei c'era sempre stata per lui, pronta a parlargli, a sostenerlo,
a malmenarlo anche.
Ora
però non più.
"Questa
mattina Nabiki mi ha telefonato. Akane ha avuto la febbre alta" gli
comunicò il dottore. Fu una notizia che risvegliò
in Ranma l'impazienza di avere altre informazioni riguardo ad Akane.
"Come sta?"
domandò con preoccupazione.
"Ora piuttosto
bene, ma se l'è vista brutta."
Cazzo,
quanto sei bravo Ranma! L'hai abbandonata così, senza essere
sicuro che stesse bene.
L'aveva
perfino accusata di non essersi messa alla sua ricerca quando neanche
poteva alzarsi dal suo letto.
Va
bene, ora faccio proprio schifo.
"Ma quando
sono entrato in casa ho trovato un putiferio. Soun Tendo stava
piangendo come un matto per sua figlia e si chiedeva dove ti fossi
cacciato - quel
disgraziato di Ranma, ha detto -, tuo padre ti stava
maledicendo in tutte le lingue del mondo..."
"Come al
solito, quando le cose non vanno come vuole lui!" soggiunse il giovane
Saotome, contrariato da quegli epiteti.
"Kasumi,
lei... era indaffarata in cucina. Almeno, così mi ha detto
Nabiki..."
Ranma
abbozzò un sorriso, ricordando quasi una ad una tutte le
volte che lui e gli altri avevano nascosto Kasumi da lui per evitare
che perdesse la testa in momenti poco opportuni, quando si rendeva
necessario un suo intervento.
"Quando ho
visitato la piccola Akane aveva una ferita infetta proprio come le tue.
Nabiki mi ha raccontato che c'è stato un incontro, e che ne
siete usciti feriti entrambi. Quando le ho fatto notare che tu non eri
a casa lei ha alzato le spalle. Sembrava davvero che fosse all'oscuro
di tutto. E se non lo sa Nabiki, c'è da farsi due domande!"
ironizzò Tofu.
"Se
c'è una cosa positiva in questa storia, è che
quella iena non sappia niente" commentò il ragazzo.
"Mi vuoi dire
cosa è successo esattamente?"
"Perché
non lo ha chiesto ad Akane?" sbottò Ranma con voce
arrabbiata. Se ne pentì subito, ma il dottor Tofu
sembrò indifferente a quello scatto d'ira.
"Non ha detto
una parola quando gliel'ho chiesto sottovoce, ecco perché"
proseguì l'uomo con gli occhiali. "Ha chinato la testa e non
ha fiatato. Non si è confidata, nemmeno quando era palese
che ci fosse qualcosa che non andava."
"Non l'ha
fatto neanche con me..."
Ranma si
accorse che il suo tono era diventato più malinconico e
moderato.
Udì
un sospiro rassegnato dall'uomo, poi lo vide alzarsi dalla sua sedia.
Probabilmente aveva capito che non avrebbe ricavato uno straccio di
spiegazioni da Ranma, così come non era riuscito a farsi
dire qualcosa da Akane.
"Ora andiamo a
mangiare. Le okonomiyaki si fredderanno."
Le okonomiyaki
erano uno dei suoi piatti preferiti, ma ora come ora gli era totalmente
indifferente mangiarne una.
"Mi dispiace,
dottore, ma non ho fame."
"Fa' uno
sforzo, devi rimetterti in forze" lo incitò.
Era come se lo
stomaco di Ranma si fosse chiuso, e l'unico segnale che mandava era che
avrebbe rigurgitato qualunque cosa il suo proprietario avesse voluto
ingoiare. Tuttavia, stando a calcoli Ranma non metteva qualcosa sotto i
denti da circa un giorno, e sarebbe stato comunque utile provare a
mandare giù un boccone. Ma questo pensiero non
funzionò.
Giocherellò
distrattamente con le bacchette con un gamberetto dell'okonomiyaki,
addentandolo quel po' che bastava per dare a Tofu l'impressione che
stesse mangiando.
"Avete bisogno
di chiarirvi" consigliò il dottore una volta seduti a tavola
l'uno di fronte all'altro. "Al di là di qualunque cosa sia
successa fra di voi, sono sicuro che Akane non voleva ferirti."
"E' stata
abbastanza chiara, invece" disse, e per la prima volta in quelle ore
valutò seriamente l'idea di aprirsi e raccontare tutto,
dall'incontro con quei stramaledetti gemelli alla sua decisione di
farsi avanti e rivelarle una volta per tutte i suoi sentimenti. E
perché no, anche dell'anello. Il dottor Tofu si stava
comportando con discrezione, ed era una cosa che Ranma apprezzava
tanto, anche perché erano molte le persone che non volevano
farsi i fatti propri: i loro genitori per primi, per continuare con una
lunga serie di rompiscatole allupati che si contendevano ora lui, ora
Akane, ora la famigerata "ragazza con il codino". Nessuno che si
metteva da parte, nessuno che desse loro spazio e del tempo. Una vera
tortura per lui che stava cercando di rendere il proprio fidanzamento
combinato una decisione deliberata.
Ma non poteva
ignorare il fatto che avrebbe voluto che Akane fosse la prima a sapere
del suo amore per lei una volta per tutte.
No,
non posso e non voglio che Akane sappia per bene tutto questo da altri.
Tofu in
qualche modo glielo avrebbe fatto capire.
"Io invece
penso che c'è qualcosa che non hai ben afferrato."
Ranma fece un
sorriso amaro. Evidentemente il dottore non aveva mai avuto una
esperienza come quella, prima.
Cos'è
un bacio rifiutato, secondo lei?
Nonostante si
fosse sempre considerato esperto in ambito femminile, Ranma era a
conoscenza della sua totale inesperienza con l'altro sesso, e almeno a
se stesso non poteva negarlo. Ma come si poteva interpretare altrimenti
una cosa così?
"Non sono
stupido."
"Ranma, non
per impensierirti, ma credo che Akane fosse sul punto di piangere.
Anzi, sono convinto che abbia pianto per un po' prima che io arrivassi."
Ha
pianto?
Certo, lo
aveva fatto anche la sera prima, ma Ranma era troppo concentrato sulla
sua cocente delusione per poter pensare che ci stesse male anche lei.
Non credeva che avesse passato quella notte a piangere.
Si
alzò di colpo dalla sedia. Qualcosa non tornava.
"Non
può essere!" sentenziò con voce ferma, e come una
molla pronta a scattare si guardò attorno, cercando
disperatamente con gli occhi l'apparecchio telefonico dello studio del
dottore, ma si diede mentalmente dello sciocco. Non poteva
assolutamente telefonare a casa Tendo.
Non
sono un vigliacco!
Lasciò
l'okonomiyaki quasi intera, con una determinazione nuova in corpo.
Se Akane aveva
pianto significava che non voleva respingerlo, ma allora
perché lo aveva fatto?
Devo
sapere se Akane vuole davvero rompere con me oppure no.
Questo voleva
dire tornare a casa, affrontare tutti i presenti e provare ad
esprimersi con Akane: tutte cose che aveva sempre evitato di fare in
quegli anni. E sinceramente non credeva possibile che una volta al dojo
avrebbe trovato il coraggio necessario per fare tutto questo. Tanto
meno credeva possibile che quella cocciuta bisbetica gli avrebbe
finalmente dato delle spiegazioni. Ed era questo, che gli faceva
più paura: di fare un casino colossale e non risolvere
niente di niente, e di battere in ritirata con la coda fra le gambe.
Voleva davvero
mettere a repentaglio così il suo orgoglio?
Era stato
decisamente più semplice difenderla da una miriade di
spasimanti pazzoidi rispetto a quello che stava passando adesso. Ma non
avrebbe sacrificato la loro felicità per questo.
Ignorando
altamente le urla del dottore che cercava di farlo tornare indietro,
Ranma si caricò lo zaino in spalla e corse a perdifiato
verso l'abitazione dei Tendo, per quanto le sue forze lo consentissero.
Non aveva un piano, non sapeva cosa fare o dire una volta arrivato da
lei. Sapeva soltanto - anzi, ne era assolutamente certo - che Soun e
suo padre gli avrebbero fatto una testa così, tartassandolo
con le loro minacce.
Il vero
problema era aggirarli ed avere pochi minuti da solo con Akane.
Non chiedeva
nient'altro.
Se lei non
voleva saperne... beh, questo punto era da definire. Nella rabbia del
primo momento si era fatto un piano, pressappoco lo stesso che aveva
quando viaggiava con suo padre per imparare ed affinare le tecniche
della loro scuola di arti marziali indiscriminate, ma quella
prospettiva senza Akane gli appariva così ridicola e remota
che paradossalmente il pensiero lo fece quasi sorridere.
Ma
non importa: se Akane mi dirà chiaramente che vuole troncare
il fidanzamento cercherò di mettermi il cuore in pace.
***
Dall'esterno
casa Tendo appariva stranamente silenzioso.
Ranma si
aspettava di sentire le grida di Akane che si allenava nel dojo, oppure
gli assordanti piagnistei di Soun. Ma l'unico suono che si poteva udire
distintamente era quello del vento pomeridiano che sferzava gli alberi
del giardino. E poco cambiò quando il suo sguardo
intercettò la finestra vuota di Akane.
Arrivato al
muretto la figura di Kasumi attirò la sua attenzione. Stava
stendendo il bucato al tiepido sole di primavera, fermandosi per
toccarsi il volto forse per asciugare una lacrima.
Un
colpo di fortuna, finalmente!
Fra tutti
quelli che si immischiavano fra lui ed Akane, Kasumi era quella che
tentava di essere più discreta e che sgridava bonariamente i
loro padri quando la loro presenza era palesemente di troppo.
"Ranma!"
Non appena lo
vide attraversare il cancello la maggiore delle sorelle Tendo gli si
precipitò incontro con un evidente senso di sollievo dipinto
in viso; come Ranma aveva previsto aveva gli occhi leggermente
arrossati.
"Perché
te ne sei andato?"
Ranma
evitò di risponderle direttamente, chiedendole con timore ed
un pizzico di impazienza se potesse parlare con Akane.
Dall'ingresso
della casa però fece capolino Nabiki, più
arrabbiata che mai. Gli si avvicinò a passo marziale,
assestandogli una sberla che, per quanto fosse meno potente di quelle
del maschiaccio, non era da sottovalutare.
"Nabiki!"
"Ehi, iena!
Tieni giù le mani!" le intimò il ragazzo con il
codino massaggiandosi la parte lesa.
"Ehi,
deficiente!" rincarò immediatamente la mezzana "Che diavolo
ha combinato?"
"Da' della
deficiente ad Akane, piuttosto! Io non ho fatto niente!"
E'
stata lei a provocare questo pasticcio, non io!
"Arrivi tardi!
Già fatto, cosa credi?! Avanti" lo spronò con
pungente sarcasmo, in un modo che era distante anni luce dal modo con
cui il dottore aveva cercato di farlo parlare "spiegaci tu che cosa
è successo, visto che Akane non apre bocca!"
"Non apre
bocca? Non vi ha detto niente quella scema?"
"No, e neanche
stamattina quando è venuto il dottor Tofu. Ha avuto la
febbre ma sta meglio. Però non ha mangiato niente, e questo
mi preoccupa" disse Kasumi.
"Le hai messo
le mani addosso?"
Cosa?
"Come ti salta
in mente, Nabiki?"
"Beh, sai
quanto è suscettibile in quel senso" commentò
Nabiki con sufficienza.
"Ti sembra che
le abbia fatto qualcosa che non voleva?" ringhiò il giovane.
Per un istante
nella testa di Ranma aleggiò l'idea che forse Nabiki aveva
ragione, che forse Akane non voleva che si avvicinasse per baciarla,
tutto qui. Che l'aveva respinto per pudicizia, o perché si
era scoperta impreparata per un passo simile.
Ma quelle
volte in cui lui maldestramente si metteva in testa di baciarla lei lo
respingeva energicamente, e sempre per cause di forza maggiore. Come
quella volta in cui rischiò di essere scoperto dalla madre,
qualche tempo prima che lei lo accettasse in quanto figlio nonostante
la maledizione. Non lo aveva mai respinto così. E
non l'aveva mai implorato
affinché non ci provasse. In lacrime, per giunta.
"Figlio
degenere!"
Il vocione di
Genma Saotome saettò nell'aria con una cadenza a dir poco
minacciosa, ma Ranma non se ne curò più di tanto.
Più cresceva e diventava forte, più imparava a
non lasciarsi vincere dal timore nei confronti di suo padre ogni volta
che non gli andava di obbedirgli. Infischiandosene deliberatamente di
un eventuale peggioramento della situazione.
Lo raggiunse a
grandi falcate in giardino, afferrandogli brutalmente il bavero della
camicia cinese.
"Cosa diavolo
ti è saltato in testa, si può sapere?" e lo
scosse una volta. "Volevi scappare, eh?" e lo scosse una seconda volta.
"Ah, ma io non ti lascerò andare così facilmente"
ghignò, certo di averlo letteralmente fra le mani.
Portò il volto del ragazzo vicinissimo al suo, nel vecchio
tentativo di infondergli quanta più paura riuscisse a
trasmettergli. "E ancor meno ti permetterò di mandare a
monte il tuo matrimonio con Akane, mi hai sentito?!"
Gli aveva
sempre detto che l’amore era roba da femmine, che nella vita
di un combattente c’era spazio solo e soltanto per le arti
marziali. Questo ovviamente finché gli faceva comodo. Poi
gli aveva rifilato una fidanzata - anzi, settordicimila fidanzate,
giusto per non farlo rimanere senza - e aveva fatto di tutto per
piegarlo alla sua volontà, invano.
"Non decidi tu
cosa fare della vita degli altri!"
Se era rimasto
a casa Tendo tutto quel tempo era perché in fondo ad Akane
ci teneva, e il fatto che lei era contraria quanto lui a quel
fidanzamento combinato lo faceva sentire compreso, finché la
complicità, l'affetto e l'attrazione avevano fatto il resto.
"Sono tuo
padre e devi obbedirmi!"
Ecco
la frase magica...
Era sempre
quella che utilizzava, quando il suo ruolo era l'unico appiglio a cui
aggrapparsi per ottenere ciò che voleva da lui.
"Non l'ho mai
fatto e non lo farò!"
Come se non
bastasse il capofamiglia Tendo doveva aver sentito tutto,
perché appena dopo l'incursione di suo padre
arrivò quella più dura del padre di Akane.
Se le sorelle
Tendo erano state più o meno moderate con Ranma, lo stesso
non si poteva dire di Soun. Era su tutte le furie, e il ragazzo con il
codino notò anche che in poche ore sembrava invecchiato di
dieci anni. Gli faceva decisamente più impressione questo
aspetto che non il fatto che lo avrebbe frantumato da lì a
poco.
"Ranma!" e
quel suono, sì che lo fece tremare. "La mia Akane non mi
parla! Che accidenti è successo? Che le hai fatto,
maledetto?"
Urlava, e un
po' Ranma poteva capire la sua preoccupazione. Ma non si
lasciò intimorire neanche da lui, proprio come aveva fatto
con il padre poco prima, quel buzzurro che ora lo guardava in cagnesco
come se la sua vita dipendesse dalla sua condotta.
"Mi dispiace
deluderla, ma non ho fatto proprio niente!"
"L'hai
lasciata sola, ferita e malata e ritorni come se niente fosse?"
"Sola? C'era
la sua famiglia a prendersi cura di lei, o sbaglio?"
"Sei anche tu
la sua famiglia, te ne sei dimenticato?"
La
tiritera è sempre quella, oh!
"Ancora con
questa storia? Se non vuole più questo assurdo fidanzamento
rispetterò la sua scelta! Akane non è costretta a
sposare chi non vuole! Sarà lei a decidere se e con chi
farlo!"
"Cosa?"
Bene,
perfetto.
L'amabile conversazione
stava prendendo una piega inaspettata.
Non solo Ranma
non aveva mai parlato in quel modo a Soun, suggestionato com'era da una
sua probabilissima reazione intimidatoria, ma era arrivato al punto di
proteggere Akane anche dal suo stesso padre e dalla decisione di farli
sposare.
Si sentiva
tremendamente scosso: questo voleva dire lasciare Akane, forse
definitivamente. Sarebbe stato molto più semplice scusarsi e
avanzare la stessa pretesa di Soun facendo leva sulla promessa dei due
amici.
Ma Akane non
era mai stata d'accordo. E nemmeno lui, fino a qualche tempo prima. E
comunque, ciò che poi era nato stando insieme a lei, Ranma
lo considerava una cosa a parte.
"Voglio solo
parlarle, tutto qui."
"Te l'ho
detto: Akane non vuole parlare" disse Soun incrociando le braccia.
Stava facendo
un sacrificio enorme al suo orgoglio. Non aveva mai fatto una cosa
simile prima, o almeno non davanti ai loro genitori e alle sue sorelle.
Ritornare per
lui era stata un'azione dettata dai dubbi e dall'istinto, e ora che
aveva raccolto il guanto di sfida contro se stesso non si sarebbe
tirato indietro senza arrivare alla realizzazione del suo proposito.
"Non importa"
mentì infine. Importava eccome il fatto che lei si ostinasse
a fare finta che non era affar suo. Ma doveva provarci, o avrebbe
portato con sé quel rimpianto per tutta la vita.
"E' nella sua
stanza" sussurrò Kasumi, indicando l'interno dell'abitazione.
Ranma si
avviò con passo deciso verso la stanza della ragazza come se
si stesse preparando ad un combattimento, nonostante ci fosse una
piccola parte di lui che non voleva assolutamente che lui si esponesse
ancora: lo aveva già fatto la sera precedente con lei, lo
stava facendo adesso mentre speditamente saliva le scale del piano di
sopra, lo avrebbe fatto a breve ancora una volta. Ma non ne poteva
più di dare ascolto a quella piccola parte.
Quando
arrivò alla sua porta fu come se il suo cuore avesse ripreso
a battere. Non c'era paragone alcuno fra quelli semplici e banali che
aveva avuto in quelle ore e quelli che ora suonavano come tamburi nelle
sue orecchie.
"Akane,
indovina chi è alla porta?!"
Doveva essere
una sorta di domanda ironica, ma non c'era nessuna sfumatura simile
nella sua voce. Fu certo di essere ascoltato da lei, perché
gli sembrò che dall'interno Akane avesse emesso un
lievissimo singulto.
Alle spalle
aveva il resto delle loro famiglie, ma per timore di bloccarsi Ranma
non diede loro peso. Se Akane avesse accettato un colloquio con lui,
con tutta probabilità si sarebbero allontanati un po'.
"Non devi
preoccuparti, Akane. Ho afferrato il messaggio, e ti prometto che se
è questo il tuo desiderio non mi vedrai mai più.
Dimmi soltanto perché."
Faceva male,
dannazione. Soprattutto se pensava al fatto che quella sarebbe stata la
loro ultima conversazione. Rimase in ascolto, abbeverandosi di ogni
minimo eventuale suono o rumore che arrivasse dalla stanza della
piccola Tendo. "Akane!"
Ma non
udì niente. Akane sembrava determinata a non tradirsi.
Quasi gli
ritornò in mente la scenata a Ryugenzawa, con quel
stramaledetto di un Shinnosuke che cercava di allontanarla da lui; e a
causa di questa fuggevole considerazione il dubbio che Akane si fosse
innamorata di qualcun'altro riprese ad infiammargli la testa.
Si sarebbe
sentito decisamente meglio se gli avesse dato uno schiaffo come quella
volta, perché in quegli anni aveva ormai constatato che il
suo silenzio era peggiore di qualunque sberla o insulto.
Ma Ranma era
felice soltanto se lo era anche lei, e se Akane voleva esserlo senza di
lui... doveva andargli bene.
"Bene, ho
capito."
Tutta
questa baraonda per niente.
"Spero che
qualcuno sia abbastanza matto da sposarti. Addio!"
In qualche
modo si sentì cattivo abbastanza da dirlo, ma non ne fu
affatto compiaciuto. E alla sconfitta di quell'impresa, si aggiungeva
la sua totale incapacità di dominarsi e dirle qualcosa che
magari avrebbe potuto convincerla ad uscire dalla sua camera. Ma aveva
carattere, Akane; e a Ranma piaceva anche per questo.
Tuttavia,
decise di non importunarla ulteriormente.
Fece
dietrofront e, vedendo che le scale erano ostruite dagli altri
inquilini di casa Tendo, scavalcò il corrimano con un agile
balzo, atterrò con grazia un po' più in
giù alle loro spalle e uscì con movimenti
nervosi, senza voltarsi indietro.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Cap. 4 ***
Don't
ask me why
Una
lacrima rotolò giù dal suo viso, ma prontamente
Ranma la asciugò
in fretta.
Stupidastupidastupidastupidastupida!
E
stupido era anche lui, che era tornato come un cagnolino bastonato e
si era umiliato ancora una volta. Non solo davanti a lei, ma davanti
a tutta la famiglia - di cui una parte consistente ormai lo voleva
disintegrato.
Era
rimasto lì, davanti a quella paperella di legno, senza aver
niente
per cui scusarsi e con mille improperi rabbiosi nella sua testa.
Già,
la rabbia.
Era
stata la rabbia a lanciarle addosso quello stupido insulto - quando
sapeva che Akane in fondo non voleva assolutamente sposarsi - ed era
stata sempre la rabbia a non fargli tener conto delle sue lacrime.
Avrebbe
potuto dirle che sapeva che aveva pianto, che c'era qualcosa che non
quadrava in quell'assurda faccenda. Ma alla fine Akane non lo avrebbe
degnato di alcuna replica, e conoscendola, se avesse insistito
avrebbero finito con il litigare. Sarebbero volate parolacce e
chissà
quant'altro, e questo non avrebbe fatto altro che indispettirla,
peggiorando la già precaria situazione.
Certo,
d'altro canto tutto questo sarebbe stato più rincuorante
rispetto a
quel silenzio testardo.
La
ragazza sapeva benissimo quale sforzo di volontà avesse
impiegato
Ranma per tornare indietro e fare quella scenata, ma lei niente, non
gli aveva neanche detto di smetterla di infastidirla, o di andarsene.
Che
le costava aprire quella dannata porta e dirglielo in faccia? Dirgli
che lo detestava, che il fidanzamento l'aveva scocciata o che aveva
trovato un altro fidanzato.
Non
era certo di incassare un colpo simile senza conseguenze, ma almeno
avrebbe messo a tacere quel groviglio di pensieri che gli
attanagliava il cervello.
E
che poteva sciogliere solo riprovandoci.
No!
Non ci torno da quella là!
Già,
era facile pensarlo con tutto quel risentimento in corpo, ma per
quanto ancora avrebbe resistito all'impulso di incamminarsi verso
casa Tendo ed estorcerle almeno una motivazione plausibile per...
quello che era successo al balcone?
Mi
ha spezzato il cuore. Non posso e non voglio più rivederla.
E per
cosa, poi? Per farmi del male ancora, come se non ne avessi
abbastanza.
Akane
Tendo era solo una ragazzina viziata che si divertiva a fare il bello
e il cattivo tempo con chiunque, e guarda caso lui era quello che ci
rimetteva ma solo perché era quello sempre a portata di
mano.
Lo
schianto secco di un rametto accidentalmente spezzato con un piede
gli indicò che era già in montagna, fuori da
Tokyo. Aveva camminato
per ore, senza rendersi conto che il sole stava tramontando e che si
stava alzando un vento fresco. La prima notte di una lunga serie in
solitaria, senza suo padre, a vivere di espedienti e di arti
marziali.
Gli
anni in casa Tendo erano solo una parentesi, che ora come ora avrebbe
solo voluto dimenticare. E Akane ormai faceva parte di un capitolo
chiuso della sua vita.
Ma
davvero lui sarebbe riuscito a chiuderlo?
Scelse
una piccola radura nei pressi di un boschetto, e si mise
immediatamente alla ricerca di un po' di rami per accendere il fuoco.
Un'operazione che eseguì con movimenti lenti e meccanici,
grazie
solo alla forza dell'abitudine e a nient'altro. Erano state
tantissime le sere durante le quali andava a fare legna prima di
stabilirsi dai Tendo, e anche quando era stato via per gli
allenamenti con suo padre o con Obaba. Era solo questione di
ritrovare la routine di quei giorni.
Una
volta acceso un piccolo falò, si soffermò a
fissare le bende. Ora
le ferite non facevano più male: sentiva solo un formicolio
che gli
dava fastidio. Frugò nelle tasche dello zaino per cercare
uno dei
pochi unguenti medicinali che soleva portare con sé per ogni
evenienza, quando trovò un sacchetto di riso ancora crudo.
Solo
in quel momento si rese conto di aver lasciato quasi intatta
l'okonomiyaki. Non avendo molta voglia di mangiare, non aveva fatto
nessuno sforzo per mandare giù qualcosa. Ma adesso doveva
farlo,
anche se sentiva lo stomaco orribilmente attorcigliato.
Ad
un paio di chilometri avvistò un torrente, dal quale
riuscì a
riempire un bollitore portatile e un thermos. Una volta tornato
indietro, cucinò quel po' che l'organismo gli suggeriva di
mangiare,
anche se non finì nemmeno il suo pasto.
Preferì
invece sdraiarsi sull'erba ad osservare le stelle, incrociando le
braccia dietro la testa; e nel turbine di pensieri valutò
quanto
fosse infelice la vita di Ryoga: quella bussola rotta era sempre in
giro per il mondo contro la sua volontà, sperando di poter
incappare
nel dojo Tendo per potersi infilare nel letto di Akane.
Ranma
assottigliò gli occhi, pensando alle implicazioni che
avrebbe potuto
prendere la situazione nel caso fosse successo di nuovo.
Se
quel prosciutto maniaco fosse capitato proprio in quei giorni e
avesse saputo che lui ed Akane non erano più insieme, senza
alcun
dubbio si sarebbe fatto avanti. Avrebbe confessato ad Akane i suoi
sentimenti e forse lei avrebbe accettato.
La
sola idea gli faceva ribollire il sangue, ma una piccolissima parte
di lui gli diceva che Akane non era interessata a Ryoga. Essendo una
fan accanita della coppia che quel suino e Akari formavano insieme, e
considerando Ryoga solo un amico non c'era il rischio che Akane
capitolasse come una pera cotta.
Però
Ryoga era sempre gentile con lei, e ad Akane piaceva sottolinearlo
quando lui era nei paraggi. Lo faceva per gelosia, era vero, ma erano
qualità che Ryoga possedeva davvero. Si sarebbe fatto
ammazzare
cento volte piuttosto che dare un dispiacere ad Akane.
Va
bene, Akane. Fa' come vuoi. Ma io non ci vengo al vostro matrimonio!
Come
se il cielo - così luminoso - si facesse beffe di lui, si
voltò di
fianco. Era stanco di tutta quella situazione, ed era stanco anche al
solo pensarci.
***
Miao!
Ranma
sobbalzò appena prima di prendere definitivamente sonno,
certo di
aver sentito un miagolio di quei terribili esseri chiamati gatti.
Un
brivido di paura gli percorse la schiena e, mentre scattava a sedersi
come una molla impazzita, si rese conto che attorno a lui non c'era
niente e nessuno. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo,
detergendosi il sudore che nel frattempo gli aveva inondato la
fronte. Chissà per quale ragione - mah! - udendo il miagolio
di un
gatto gli era tornata alla mente quella pazza di Shan Pu. Il solo
pensiero che quella lì lo avesse cercato per trovarlo e
trascinarlo
via con sé era in qualche modo peggiore di essere alla
mercé di un
gatto.
Rincuorato
dalla solitudine, Ranma si concesse un istante per sorridere della
sua ingenuità che, nonostante tutto, non lo aveva ancora
abbandonato.
Tirò
un sospiro e tornò a coricarsi, ma nel momento in cui si
guardò
distrattamente intorno intravide una palla di pelo farsi leva sul suo
braccio e miagolargli con entusiasmo.
Ranma
cacciò un urlo, tentando di scacciare via la bestiola con
una
manata. Sfortunatamente il gatto saltò agilmente per evitare
il suo
colpo e atterrò direttamente sulla sua faccia con
prepotenza.
Completamente colto dal panico il giovane si dimenò, e per
un attimo
il gatto finalmente mollò la presa.
Si
sentì improvvisamente libero di quell'intoppo, ma prima che
potesse
scappare dal suo accampamento di fortuna, sentì un getto
d'acqua e
istantaneamente un peso gravargli sulla schiena come se qualcuno gli
avesse lanciato contro un macigno. Percepì il dolore
dell'impatto
correre per tutta la sua spina dorsale, ma questo gli permise anche
di comprendere che aveva qualcuno addosso che, disgraziamente, era
l'ultima persona che voleva vedere in quel momento.
“Ranma!”
La
vocina sottilmente sensuale di Shan Pu non gli era mai risuonata
nelle orecchie in modo così fastidioso prima. Ranma fece per
sollevarsi, ma Shan Pu sembrò cambiare posizione mettendosi
a
cavalcioni, tagliandogli la possibilità di rialzarsi
nell'immediato.
“Sta'
fermo! Ho saputo, sai? Akane ha finalmente capito che non è
alla tua
altezza! Non è meraviglioso?” disse cinguettando
felice, mentre a
Ranma salì una sorta di conato di vomito, insieme ad una
sostanziosa
dose di sangue al cervello.
Eccone
un'altra contenta!
“Come
diavolo hai fatto a trovarmi?”
“Ho
utilizzato il mio fiuto da gatta” spiegò lei.
“Si è rivelato
molto utile, non credi anche tu?!”
“Per
niente, anzi!”
Provò
nuovamente a rialzarsi, e nel momento in cui Shan Pu se ne rese conto
allentò la presa, permettendogli soltanto di rotolare di
fianco.
Ranma lo fece - tutto, pur di liberarsi di lei - ma prima che potesse
sollevarsi la ragazza lo inchiodò a terra con entrambe le
mani. La
ragazza sfoggiò un sorriso trionfante, cominciando a
carezzarlo con
un dito lungo la linea del volto, proseguendo con esasperante
lentezza sul collo per poi finalmente fermarsi al colletto alla
cinese della camicia.
Ranma
aggrottò le sopracciglia, sentendo del sudore freddo
colargli
lentamente fino alla nuca. Ma non disse niente. O almeno,
finché la
sua mente completamente congelata non registrò il lieve
sentore
delle dita di Shan Pu che armeggiavano con il primo alamare: prima
che potesse sfilare il bottone dall'asola Ranma le fermò i
polsi,
pensando che avrebbe potuto liberarsi senza farle male soltanto se
avesse ribaltato le posizioni. Approfittando della presa ferrea delle
cosce della ragazza sui suoi fianchi, il ragazzo rotolò con
lei
rapidamente, fino a ritrovarsi sopra il corpo della cinesina.
“Oh”
esclamò lei, più divertita che autenticamente
sorpresa dalla quella
mossa inaspettata anche per lui “vuoi farlo
così?”
Nonostante
la conoscesse da tempo, per un istante Ranma si scoprì
spaventato da
quella intraprendenza. Va bene, doveva aspettarsi il fatto che Shan
Pu avesse cercato di accoppiarsi o di fargli fare qualcosa di
assolutamente avventato e stupido, ma che arrivasse ad avere la
concreta intenzione di fare sesso con lui come se niente fosse
approfittando della situazione - da soli - era decisamente troppo
anche per lui.
“Non
riuscirai ad incastrarmi” ringhiò soltanto.
Avrebbe voluto
ripetere a lei ciò che aveva detto ad Ukyo riguardo ad
Akane, ma se
non gli aveva creduto la sua amica di infanzia, come avrebbe potuto
farlo Shan Pu? D'altronde, sicuramente qualcuno le aveva riferito
l'accaduto, e chi altri poteva essere oltre a quella iena di Nabiki?!
Si
sollevò con poco sforzo, cercando di racimolare le sue cose
per
andarsene. Non che sarebbe riuscito a far perdere le sue tracce,
specialmente se Shan Pu usava il fiuto della sua forma maledetta per
seguirlo, ma contava che quel suo rifiuto valesse perlomeno a
lasciarlo in pace.
“Non
puoi farci niente, Shan Pu” sentenziò Ranma
caricandosi nuovamente
lo zaino in spalla. “Non posso darti quello che
cerchi.”
Cominciò
ad allontanarsi con i nervi tesi pronti a scattare nel caso lei gli
si fosse avventata contro, ma sembrava che la ragazza avesse perfino
smesso di respirare. Ranma fu tentato di sbirciare, ma prima che
potesse concretizzare quell'intenzione Shan Pu emise un mugugno
indispettito, come una bambina di cinque anni che non era riuscita ad
ottenere il giocattolo che desiderava.
Il
ragazzo sospirò, pensando a quanto fosse stato in qualche
modo
fortunato che quella matta non avesse reagito in modo significativo,
e proseguì per la sua strada nonostante non fosse nel pieno
delle
forze. Il suo corpo gli ricordò il riposo mancato con un
sonoro
sbadiglio appena qualche metro di percorso, ma siccome il cielo era
già sul punto di albeggiare decise di guadagnare altro
terreno.
Incontrare un altro dei suoi amici sarebbe stato deleterio oltre che
tremendamente insopportabile per lui: avrebbe finito per colpire
qualcuno, scaricando tutta la sua frustrazione accumulata passando
alle mani, e Ranma questo voleva assolutamente evitarlo.
Accelerò
il passo non dando credito al terreno diventato fangoso e scosceso, e
a costo di incespicare si insinuò repentinamente al limitare
di una
fitta boscaglia. Ranma riacquistò la sua positivà
- addentrandosi
in un luogo del genere avrebbe fatto perdere le sue tracce
più
facilmente - ma ad ogni passo che faceva, sapeva che l'avrebbe
allontanato sempre di più da Akane.
Si
fermò di colpo, aggrottando le sopracciglia al pensiero
della mano
di Akane sulla sua bocca. Doveva smetterla di pensare a lei, o
avrebbe dovuto avviarsi direttamente al manicomio più
vicino.
Continuò a camminare seguendo il movimento continuo della
sue gambe,
ma poi si ricordò dell'unico modo che davvero lo aiutava a
scaricare
la tensione: allenarsi.
Cercò
un posticino che gli sembrasse adatto - una landa desolata delimitata
solamente da alcuni alberelli in lontananza - e posando il suo
pesante zaino a terra, si mise alla ricerca della sua tenuta da
combattimento. Cominciò seriamente ad innervosirsi mentre
rovistava al suo interno, nella tasca principale e in quelle
più piccole, e
più cercava e si rendeva conto di non riuscire a trovarlo,
più la
rabbia cresceva. Provò perfino a srotolare il sacco a pelo,
ma il ji
sembrava letteralmente volatilizzato.
Infine,
quando dovette constatare per forza di cose che non aveva il ji con
sé, Ranma si sentì morire. Non bastava aver perso
la sua fidanzata,
ma ora aveva perso anche il suo ji, ciò che era a conti
fatti la sua
seconda pelle, quello che esternamente lo contraddistingueva quale
maestro di arti marziali indiscriminate della scuola Saotome.
No!
No! No!
Dove
poteva averlo messo?!
Non
me lo ricordo!
Ripescò
con la mente negli ultimi ricordi, tentando di capire dove diamine
avesse messo quel maledetto ji; e con rammarico ricordò di
averlo
tolto proprio perché era stracciato e sporco di sangue, e di
averlo
dato a Kasumi affinché lo facesse ritornare ai vecchi
splendori.
Il
ji era ancora a casa dei Tendo, e quando era tornato per parlare con
quella strega non aveva tenuto in considerazione di chiedere alla
maggiore delle sorelle di restituirglielo. Chissà per quale
motivo
immaginava Kasumi nell'atto di rammendarglielo con le stesse lacrime
che Akane non avrebbe mai fatto vedere a nessuno dei componenti della
sua famiglia.
Ranma
cacciò dalle labbra un sospiro esausto, e con calma si
sedette a
terra a gambe incrociate.
Comprarne
un altro era assolutamente fuori discussione, dal momento che i soldi
a sua disposizione erano inferiori alla cifra necessaria a causa
dell'acquisto dell'anello per Akane; e sinceramente non poteva
neanche tornare al dojo Tendo come se niente fosse successo.
“Kasumi!
Scusa se ieri ho fatto un casino infernale ché a momenti ti
scoperchiavo la casa, ma mentre pensavo a quella pazza di tua sorella
ho scordato di chiederti il mio ji! Per favore, potresti
rendermelo?”
Si
diede uno schiaffo sulla fronte. Ritornare non solo sarebbe stato
patetico, ma anche controproducente. Lasciando da parte quegli
scalmanati dei loro genitori e di Nabiki - che si era dimostrata
manesca come Akane - come avrebbe potuto sbattere loro in faccia il
suo muso un'altra volta e fare finta di niente?
A
chi avrebbe potuto chiedere, allora? Di certo a nessuno dei Tendo,
Kasumi compresa: l'unico modo per parlarle era per telefono, ma come
poteva essere certo che sarebbe stata lei a rispondere per prima? Suo
padre era da considerarsi all'interno della cerchia delle persone che
lo volevano morto, quindi niente da fare.
Ma
certo! La mamma!
Le
labbra di Ranma si allargarono in un sorriso stanco: era
così
abituato a non considerare la sua presenza che non l'aveva presa in
considerazione prima. Lei avrebbe potuto far sapere ai Tendo del ji
senza essere attaccata con grida e minacce, magari glielo avrebbe
preso per suo conto e lui avrebbe potuto riappropriarsene con calma.
Il
problema era tornare al centro abitato e recarsi a casa sua, dal
momento che la donna non aveva un telefono suo. Da quando le sue
spasimanti hanno distrutto casa Saotome Nodoka aveva provveduto alle
sue necessità primarie, e il telefono non era rientrato
nella
categoria. A dirla tutta, sua madre non sapeva ancora niente, e
sarebbe stato doveroso informarla che il fidanzamento era rotto e che
avrebbe fatto meglio a dire “ciao ciao” ad Akane.
Avrebbe
dovuto ripercorrere tutta la vicenda, e le avrebbe spezzato il cuore
con quella storia, ma pazienza.
NDA
Mi
scuso infinitamente per aver aggiornato soltanto adesso, e con un
capitolo così corto, spero solo che riesca a fare
qualcos'altro
nelle tempistiche umane. A presto, spero.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Cap. 5 ***
Don't
ask
me why
Quello
doveva essere almeno il millesimo sospiro a metà strada fra
l'esasperazione e la rassegnazione fatto nell'arco di appena qualche
ora.
Ranma
calciò un sassolino giusto per sfogarsi contro qualcosa che
non
avrebbe potuto provare dolore. Perché alla fine, se avesse
riversato
la sua frustrazione su qualcuno - Kuno o Ryoga, magari -
chissà cosa
gli avrebbe combinato. L'unica cosa positiva in quel quadretto
tutt'altro che idilliaco era che non sentiva più la febbre
addosso,
e le bende del dottor Tofu esternamente non erano macchiate di
sangue. A giudicare dal prurito che Ranma percepiva appena sotto le
garze, le ferite si stavano già cicatrizzando, e sicuramente
a
quell'ora anche Akane doveva stare meglio.
Stare
a riposo avrebbe migliorato la situazione, e comunque anche se
c'erano state occasioni di farlo era lui stesso ad impedirsi di
riprendere le forze in un posto al coperto. Forse da sua madre
avrebbe potuto fare un po' di convalescenza in piena regola,
nonostante ora non ne avesse granché bisogno.
Però c'erano numerose
possibilità che lei comprendesse il suo malessere, e che
volesse
saperne di più per cercare di risolvere i suoi problemi.
Ranma
apprezzava questa sua premura, non avendone avute granché
per
moltissimo tempo, però la componente di rischio che avesse
cominciato a tempestarlo di domande era spaventosamente alta, ed
altrettanto pressante sarebbe stata la sua intenzione di spingerlo
nuovamente fra le braccia - o sarebbe stato meglio dire fra i
pugni - di Akane.
Ciò
che Ranma voleva però era andarsene con il suo ji e basta,
così
decise che non sarebbe rimasto un giorno di più da sua
madre, né
avrebbe atteso che lo facesse reincontrare con Akane soltanto per
poter fare un nuovo tentativo.
Solo
che la tenace determinazione di seguire quel disegno si riduceva a
persistere appena qualche secondo, e la situazione gli parve ancora
più difficile quando i suoi occhi inaspettatamente si
trovarono di
fronte il giardinetto della casa di sua madre, curato e pulito come
al solito.
Il
suo istinto gli suggerì di andarsene di corsa, di non farsi
vedere e
farsi dare per disperso. Sarebbe stato decisamente tutto più
semplice, senza implicazioni rancorose o imbarazzanti, e soprattutto
senza dover fare ancora una volta la figura dell'illuso che cerca
spiegazioni che non volevano essere svelate.
Al
diavolo tutti.
Si
voltò, sentendo che quel misero gesto lo avesse
inaspettatamente
spronato a continuare a camminare per allontanarsi da lì.
Forza,
andiamocene!
“Ranma,
che sorpresa!”
Bene,
beccato.
Ranma
si sentì gelare per tutto il corpo, e mai come in quel
momento si
era sentito braccato come un povero animale in piena stagione di
caccia, nemmeno nel bel mezzo del suo incontro marziale più
violento.
Doveva
essere il destino crudele, o qualche altra stronzata in cui Akane
credeva, perché di spiegazioni non è che ne
avesse moltissime, eh.
“Da
quanto tempo è che non ti si vede da queste
parti?!”
“Ehm...”
Ehm.
E'
tutto quello che sai dire?
Prenderlo
alla sprovvista poteva andare, ma fare il verso di un topo in
trappola incapace perfino di parlare era troppo; e sua madre doveva
aver colto quel senso di smarrimento che oramai lo accompagnava da
ore, perché si rabbuiò mentre lo osservava a
corto di parole.
Soffiò
un sospiro di comprensione, mentre articolava tre semplici parole che
però non lasciavano molto spazio a dubbi di sorta.
“Mi
dispiace, figliolo.”
La
donna si affrettò a coprire quei due metri che lo separavano
da lui,
e gli circondò le spalle in un abbraccio. Quando lei
accopagnò la
sua testa al petto, e Ranma finalmente la assecondò senza
opporre
resistenza, sentì che per la prima volta dopo aver lasciato
casa
Tendo poteva finalmente sentirsi nel posto giusto.
Ricambiando
la stretta e lasciandosi andare alle lacrime represse troppo a lungo
però avrebbe significato fornire una definizione a
quell'atteggiamento arrendevole alla madre, e come diavolo avrebbe
fatto a raccontarle tutto quanto? Senza contare che...
“I
Tendo mi hanno chiamato per sapere se eri da me, ma ho dovuto
rispondere negativamente.”
Eh?
Frena, frena, frena.
“Ma
cosa è successo, caro? Hai litigato con Akane più
del solito?”
Ranma
sciolse immediatamente l'abbraccio, forse con troppa rudezza,
perché
per un secondo credette di farle male.
“Lo
sai già?”
“Dimmi
che è soltanto uno dei tuoi colpi di testa”
biascicò Nodoka fra
le lacrime, e prima che il ragazzo protestasse - la colpa doveva
essere sempre la sua? Anche quando voleva fare qualcosa di
così
importante? - lo trascinò in casa e lo fece accomodare al
tavolo,
mentre il ragazzo si liberava del peso dello zaino lasciandolo
accanto a lui.
Dal
canto suo, come poteva Ranma trovare la forza di reazione che gli
serviva per gestire quella conversazione?
Tutto
troppo assurdo, e tutto troppo ingiusto - era questo ciò che
gli
vorticava nella mente in quel momento - e di certo detestava questo
rimpallo di notizie fra le due famiglie, specialmente ora che tutto
era finito.
Non
avevano dovuto mettersi sempre in mezzo durante il fidanzamento, e
non avrebbero dovuto farlo ora che era rotto. Ritirò tutti i
propositi che si era fatto promettendosi di raccontare ogni cosa a
sua madre, perché doveva fare soltanto due cose: riprendersi
il ji e
sparire, letteralmente. E sinceramente non aveva voglia di andare
avanti con le spiegazioni, nemmeno con sua madre.
“Niente
del genere” rispose arrabbiato - ed era strano come non
avesse
specificato che il colpo di testa c'era stato, ma era stato fatto da
Akane - “E' stato un fidanzamento imposto, e nessuno dei due
lo ha
mai voluto realmente”, e sarebbe stata una risposta
esauriente,
trita e ritrita in quegli anni che ormai Ranma aveva perso il conto
di quante volte l'aveva pronunciata; ma sempre validissima, reale,
anche se stava diventando orribilmente banale, quasi distorta, fino a
diventare qualcosa di remoto e attualmente falso.
Ma
Nodoka non si lasciò vincere dalla sua ostinazione: si
sedette di
fronte a lui, con un fazzoletto di cotone vecchio stampo fra le mani
e con una involontaria ma malsana voglia negli occhi di approfondire
la situazione con il preciso scopo di venirne a capo e riavvicinarli.
Ormai
la donna reputava Akane e le sue sorelle praticamente come le figlie
che non aveva mai avuto, e aveva letto fra le righe - come non
poteva! - il forte legame che ormai il figlio aveva instaurato suo
malgrado con Akane.
Senza
contare che il giorno del mancato matrimonio, sua madre era fra le
persone più sinceramente felici, al contrario di tutta
quella
marmaglia contenta soltanto per i loro personali obiettivi e di
quell'altra che voleva soltanto rovinare le loro vite - come se non
fossero state già disastrate di loro.
“Senti,
mamma” proferì poi, sentendosi immediatamente
incerto su cosa
dirle per convincerla senza tanti fronzoli “a me va bene
così.
Sono soltanto venuto a chiederti di riprendere il mio ji lasciato dai
Tendo.”
“Non
è saggio reprimere così tanto le emozioni,
caro.”
Come
se non avesse minimamente fatto caso alle sue parole - o come se non
le avesse ascoltate affatto - Nodoka continuò quella tipica
tortura
fatta di piagnistei a ruota libera che spesso le madri infliggono ai
propri figli per ricondurli sul sentiero tracciato da loro stesse. Il
ragazzo con il codino avrebbe voluto scuoterla, riportarla alla
realtà anche se questa sarebbe stata uno scossone troppo
grande per
lei da sopportare, però tutto ciò che
poté fare fu cacciare un
sospiro imbarazzato e tentare di cacciare inutilmente indietro un
tono di voce infastidito.
“Non
sto reprimendo un accidente! Ti ho già detto che mi va bene
così.”
Il
suo tono leggermente sereno e volutamente indifferente alla cosa
peggiorò la situaziome. La donna scoppiò
letteralmente in lacrime,
e Ranma dovette fare uno sforzo esasperato per non crollare del tutto
e per mettersi a piangere insieme a lei. Proprio adesso che stava
cominciando - certo, come no - a darsi una calmata riguardo a
quell'assurda situazione, ecco che ci si metteva pure sua madre,
terribilmente affranta da un dolore che sostanzialmente non la
riguardava direttamente e che a momenti avrebbe reso quel tentativo
di recuperare il ji un autentico buco nell'acqua.
“Ascolta,
mamma. Vorrei soltanto che mi aiutassi a recuperare il mio ji, dal
momento che l'ho lasciato dai Tendo.”
Semplice,
naturale. Probabilmente la tensione gli aveva fatto credere che non
avrebbe spiaccicato una parola sensata, ma alla fine era arrivato al
dunque senza troppi gineprai. Tirò un sospiro di sollievo,
ma si
trattenne dal renderlo troppo plateale.
Nodoka
smise improvvisamente di piangere, e con gli occhi che sembravano due
pozzanghere lo guardò fisso, con quella nota speranzosa che
inquietò
non poco il ragazzo con il codino.
“E
no, non dovrai fare niente, assolutamente niente che riguardi Akane e
me. Anzi, comincia pure a trattare i nostri due nomi
separatamente.”
La
donna si prese qualche istante in più per riflettere sulle
parole
del figlio, e Ranma poté giurare di vederla sul punto di
mordere il
fazzoletto in preda alla frustrazione per essere stata battuta sul
tempo.
“Proprio
non...”
“No!”
Doveva
averci messo più determinazione di quanto si aspettasse,
perché sua
madre sembrò calmarsi. Tirò su col naso,
recuperando un po' della
normale serenità che solitamente riusciva a trasmettere agli
altri,
e con movimenti leggeri si alzò per aprire il frigorifero.
“Ti
preparo qualcosa prima di andare dai Tendo, allora. Conoscendoti,
sarai affamato.”
Ranma
si ricordò di aver toccato così poco cibo durante
quelle ore
concitate che avrebbe mangiato come un lupo pure il tavolo, e come se
rispondesse per le rime ai suoi pensieri lo stomaco
gorgogliò con un
rumore sordo, da far invidia all'eco di una caverna.
Sua
madre sorrise divertita, e cominciò ad armeggiare fra
pentole e
stoviglie varie finché la calma ritornò a fare da
sfondo a casa
Saotome.
Non
credeva fosse stato così facile. Certo, sua madre aveva
fatto un
paio di storie. Però aveva finito abbastanza in fretta di
torturarlo. Sarebbe stato alquanto strano, se non fosse stato che
Nodoka si accontentasse di vedere il figlio dal momento che non
avevano modo di vedersi tutti i giorni. Alla fine, era lui quello
importante per lei, no?!
Con
un passato così burrascoso, e vissuti lontani per anni, per
lei
doveva essere una festa averlo in casa, esattamente come lo era stata
per lui quando finalmente si era svelato, con i suoi pregi, difetti,
e soprattutto con la sua maledizione.
Si
sistemò le braccia sul tavolo per poter poggiarci la testa,
e in un
attimo sperò con ogni fibra del suo essere che sua madre ci
mettesse
più del previsto per preparargli il pranzo. Una volta
finito,
sarebbe andata a riprendergli il ji, e nel momento in cui Ranma lo
avrebbe toccato nuovamente la sua storia con i Tendo sarebbe
inevitabilmente finita. A parte la rabbia sapeva perfettamente che
avrebbe faticato a distaccarsi da quella gabbia di matti, ma ora che
distrattamente aveva lasciato la sua tenuta da loro voleva soltanto
che nessuno andasse a recuperarla.
Era
un pensiero idiota, non lo negava di certo, ma Ranma si
intestardì a
credere che quello era l'unico punto di contatto con Akane ancora a
sua disposizione, ed eliminarlo gli sembrava un errore dei
più
gravi, quello che avrebbe decretato tutto il resto della sua vita.
“Ti
sto preparando l'oden” cinguettò all'improvviso
sua madre. “Vuoi
anche qualcos'altro?”
“N...
no, grazie” borbottò lui, riscuotendosi. Essere
sovrappensiero
avrebbe fatto impensierire la madre, ma non aveva potuto evitarlo. Si
rese conto che la madre si era fermata per qualche istante prima di
trafficare nuovamente davanti alla cucina, quindi si alzò e
le si
affiancò con uno dei sorrisi più falsi che
avrebbe potuto mai
sfoggiare.
“Ti
aiuto.”
“Grazie,
caro.”
Si
sentì un verme, e probabilmente quella mossa avrebbe
incrinato
l'equilibrio già precario dell'imposizione a non parlarne
che Ranma
aveva posto nei confronti della donna, però decise di non
pensarci e
di dedicarsi a quel piccolo momento di apparente serenità.
Il
campanello suonò all'improvviso, e Nodoka lasciò
ogni cosa in
sospeso per andare a vedere chi fosse stato a suonare alla sua porta.
“Signora
Saotome?!”
Questa
voce non mi è nuova...
“Oh,
tu sei Ryoga, l'amico di Ranma!”
Che?
Ryoga?!
“Sì,
sono proprio io! E' stata una fortuna sfacciata capitare a casa
sua!”
Fortuna
un cazzo! E' stato un fottuto caso, idiota.
“Fortunato
due volte, Ryoga! Ranma è venuto a trovarmi proprio
adesso!”
Per
favore, non dirgli niente!
Ricordò
di avere lo zaino al fianco, e immediatamente lo afferrò
lanciandolo
con tutta la forza che aveva in corpo verso l'interno della casa,
all'angolo del corridoio. Il tonfo che ne seguì fu
pressoché
ignorabile, ma il senso di nervosismo di Ranma fu tale da indurlo ad
emettere una vocina involontariamente stridula che accoglieva Ryoga
in modo troppo caloroso per i suoi gusti.
“Ciao,
Ryoga!”
“Ehilà,
Ranma!”
Proprio
sulla scia di un momento decisamente imbarazzante, in cui nessuno dei
due aveva qualcosa da dire, si fece largo in Ranma l'idea che forse
avrebbe fatto meglio a filarsela. Non per scarsa fiducia in se stesso
o in sua madre, ma perché chiacchierando si sarebbe arrivati
ad
argomenti che il ragazzo con il codino non voleva affrontare, tanto
meno con quel prosciutto allupato.
Fra
i tanti espedienti che Ranma avrebbe potuto utilizzare per uscire da
quella casa, quello dell'impegno improvviso era il più
ridicolo,
soprattutto dal momento che avrebbe deluso l'aspettativa di sua madre
di mangiare da lei.
“Proprio
in questo momento sto preparando il pranzo” disse la donna al
giovane Hibiki. “Ti unisci a noi?”
“Perché
no?!” replicò lui, ancora con quel dannato
sorrisetto innocente
stampato su quella brutta faccia. “D'altronde, come posso
rifiutare
l'invito di una così bella signora?”
“Oh,
sei proprio un birbante!”
“Dico
solo la pura e semplice verità!”
“Troppo
buono!”
Ora
mi viene da vomitare.
C'erano
davvero tante cose che Ranma aveva tollerato ed aveva ancora la
disgrazia di tollerare nella sua breve esistenza, ma questa era una
di quelle talmente idiote e melense che la notte successiva
sicuramente gli avrebbe fatto venire incubi peggiori
di quanto
potesse fare un film horror d'autore.
Ma
perché diavolo Ryoga doveva tubare con chiunque? La sua vena
da
cascamorto doveva uscire anche con sua madre?! Ma il cervello come
gli funzionava esattamente? Gli si accendeva solamente il neurone del
maiale? Oppure aveva solo quello? Davvero riusciva a praticare le
arti marziali anche in quelle condizioni?
“Dacci
un taglio, va bene?”
Gli
pervase in senso di gelosia allo stato puro, tanto che si aspettava
una replica sarcastica da parte del suino ma che inaspettatamente non
arrivò. Piuttosto, Ryoga rimase piacevolmente imbambolato a
godersi
ogni minimo dettaglio di quelle attenzioni che Nodoka gli stava
riservando.
Anche
se Ranma non era nuovo ad assistere a scene del genere, si
ritrovò
ancora una volta a capire la situazione priva di affetto a cui Ryoga
era quasi condannato, e che lo portava istintivamente ad assorbire
ogni gentilezza per finire inevitabilmente per scambiarla in
chissà
cosa.
Era
successo con Akane, sarebbe arrivata a compimento con Akari se
soltanto si fosse deciso un giorno o l'altro. Non vedeva
perché non
con sua madre, effettivamente.
Ryoga
rideva, letteralmente in estasi, come se fosse stato drogato ed ora
si godeva gli effetti come un completo idiota.
“E
dai, Ranma. Tua madre non merita altro che carinerie e
gentilezze!”
Nodoka
sorrise l'ennesima volta, prima di scusarsi e voltarsi per dedicarsi
alla cucina. Ranma però tirò via l'amico dalla
stanza con la scusa
di farlo accomodare in camera da pranzo, facendo una maniacale
attenzione affinché non vedesse lo zaino buttato
lì per terra.
“Allora,
femminuccia” esordì Ryoga, con un atteggiamento
completamente
diverso da quello assunto in presenza di Nodoka “che ci fai
qui?”
“Io?
Ah, scusa se sono a casa di mia madre!”
“Sei
ferito.”
Ryoga
fece la sua semplice constatazione mentre appoggiava il suo zaino da
viaggio, e Ranma si guardò le braccia dopo tante ore passate
ad
ignorarle completamente. Era escluso che Ryoga sapesse dello scontro
per mantenere la gestione del dojo Tendo, e probabilmente raccontando
l'episodio niente avrebbe condotto il discorso verso quello che era
successo fra Akane e lui.
“Abbiamo
avuto sfidanti al dojo.”
“Ah”
bofonchiò il giovane Hibiki. “Akane sta
bene?”
“Certo,
sta benissimo” soffiò lui, forse con troppo
rammarico perché un
tipo indagatore come Ryoga potesse passarci sopra senza fare le sue
supposizioni mentali. Così Ranma cercò di
togliersi immediatamente
dall'impiccio chiedendo di lui, con del malcelato sarcasmo.
“Tu,
piuttosto. Perso di nuovo, eh?!”
“Non
prendermi in giro!” urlò l'altro, agitando un
pugno in aria. “E'
stato il destino infausto a condurmi da un buzzurro come te!”
Ancora
con 'sto destino. E' qualcosa che si mangia?
“E'
pronto, ragazzi!”
“Arrivo,
signora Saotome!”
Ryoga
si alzò come una molla, pronto a correre a gambe levate in
cucina,
ma Ranma lo afferrò per la collottola della maglia. Se si
fosse
perso nei pericolosi meandri del corridoio - appena due metri e mezzo
tutto dritto - chissà quando avrebbe mangiato.
“Ti
accompagno. Non vorrei tardare, ho una fame da lupi.”
Inaspettatamente
Ryoga si lasciò condurre docilmente verso la camera da
pranzo, dove
Nodoka aveva apparecchiato la tavola per tre, aggiungendo all'oden
anche delle verdure in salamoia e qualche dolce.
“Cominciate
pure, non fate complimenti!”
Nel
momento in cui sua madre diede l'avvio Ranma credette di avventarsi
come un animale sul cibo ma rimase pressoché impassibile di
fronte a
quelle leccornie, sebbene il suo stomaco non reclamasse altro. Ryoga
invece accettò con un inchino degno di un signore, per poi
darci
dentro come un bufalo.
Un
atteggiamento che Nodoka ovviamente dovette interpretare come sintomo
di gradimento, perché il suo sorriso deliziato si allargava
sempre
di più alla vista di quello spettacolo tutt'altro che bello.
La
donna prese poi a mangiare con calma, incitando il figlio a fare
altrettanto, e infine Ranma si vide in qualche modo costretto a
mandare giù qualcosa, sperando che il nervosismo non gli
facesse dei
brutti tiri e gli facesse venire mal di stomaco.
Mangiò
lentamente, anche se l'istinto gli suggerisse chiaramente il
contrario. Fu con sorpresa che scoprì di aver mangiato ogni
cosa, e
che sua madre sparecchiando lo informasse del fatto che da
lì a
breve si sarebbe avviata a casa Tendo.
“Vado
a prendere il ji, puoi occuparti dei piatti?” gli
sussurrò
all'orecchio, ma Ryoga comunque non poté fare a meno di
sentire.
Purtroppo.
“Il
ji? Perché, lo hai lasciato da qualche parte?”
Ranma
spalancò gli occhi, mentre Nodoka accennò al
figlio un sorrisetto
di scuse.
E
va beh.
“In
lavanderia!” rispose il ragazzo con il codino, sperando che
in
qualche strano modo quel maiale lo credesse. Non è che
poteva dire a
Ryoga che il ji era dai Tendo e che lui non poteva e non ci voleva
tornare. Ma era troppo bello per essere vero.
“In
lavanderia?” chiese Ryoga, evidentemente scettico su quanto
aveva
sentito. “Da quando ti interessa inamidare la tenuta da
combattimento? Dove devi presentarti, a Hollywood?”
“Idiota
che non sei altro. Aveva bisogno di essere ricucito.”
“Di
solito non era Kasumi a farlo?”
Adesso
basta!
Più
andava avanti a raccontare qualche storiella per depistare
ciò che
era successo fra lui ed Akane, più veniva messo nel sacco.
Dire
bugie proprio non rientrava fra le sue capacità. Quella
cretina di
Akane avrebbe dovuto ricordarselo ogni volta che non gli credeva.
“Se
decido di fare qualcosa di diverso dal solito saranno affari
miei!”
Lo
disse con un atteggiamento nervoso, praticamente sull'orlo
dell'esasperazione; e essersi fatto sfuggire quella cadenza fin
troppo irritata non fece altro che alimentare i sospetti del
prosciutto.
“Datti
una calmata, è solo che... non è da te.”
Dirgli
dell'accaduto era fuori discussione. Ryoga ne avrebbe approfittato
per farsi avanti con Akane e confessarle il suo amore, e sinceramente
la cosa lo faceva imbestialire di più di quanto non facesse
la
presenza di Ryoga stesso in quel preciso momento.
Fortunatamente
sua madre si era guardata dal dire che sarebbe andata dalla famiglia
Tendo. Ma non sarebbe passato molto tempo prima che Ryoga si
accorgesse che qualcosa non quadrasse.
“E'
evidente che c'è qualcosa che non va, sei troppo
nervoso.”
“Io
vado, allora. Ryoga, è stato un piacere averti qui con noi.
Pensi tu
a lui, Ranma?”
Il
ragazzo con il codino si voltò verso la voce della madre, e
la vide
scambiare con lui un cenno di intesa, che lui raccolse con uno
sguardo deciso, ma forse fin troppo malinconico. Nodoka
cercò di far
finta di niente, probabilmente per non dare modo a Ryoga di
domandarsi il più del necessario; ma la stupidità
di Hibiki non
superava la sua spiccata sensibilità, e si rese conto di
tutto in un
battibaleno.
“La
accompagno, signora.”
La
riprova di questo arrivò con una voglia frettolosa di
seguire la
donna nelle sue commissioni per il figlio con una cadenza di voce
troppo seria, troppo lontana dall'atteggiamento civettuolo di poco
tempo prima.
“Oh,
no” si affrettò lei, pronta a spingerlo verso
l'interno
dell'abitazione. “Farò più in fretta da
sola. E poi, avrai modo
di riposare un po'. A più tardi.”
Ma
il ragazzo non rispose, perché aveva lanciato
accidentalmente un
occhio sul corridoio e stava fissando ostinatamente lo zaino da
viaggio che Ranma aveva lanciato via affinché non lo
vedesse.
A
Ranma si gelò il sangue, letteralmente, e d'un tratto -
quasi come
se non se ne fosse accorto prima - comprese che di cazzate, adesso
non ne poteva più rifilarle.
Cacciò
un sospiro, di quelli che non aveva fatto altro che cacciare dalla
sera in cui era scappato di casa, dando modo di esternare seppure non
del tutto consapevolmente la sua arrendevolezza. Per di più,
sua
madre se l'era svignata per non avere Ryoga alle calcagna e aveva
finito con il lasciarlo in una situazione ben peggiore.
La
sfiga. Deve essere la sfiga.
“Credevo
di essere tuo amico, prima che tuo avversario.”
Ciò
che lo colse di sorpresa fu quel tono lapidario che aveva sentito
dalle labbra di Ryoga soltanto poche volte nella sua vita, e per un
momento Ranma si illuse di avere la sua comprensione e di potergli
raccontare per filo e per segno ogni cosa, magari contando sulla sua
discrezione.
“Ryoga...”
“Hai
idea... di quanto abbia sofferto per te? E tu cosa fai, eh? Lasci
Akane come se niente fosse!”
“Eh?!”
“Hai
idea di quanta forza di volontà io ci abbia messo per farmi
da
parte? Io mi sto sacrificando per farvi felici, e tu rovini ogni
cosa!”
“No,
aspetta un momento!”
Quel
tentativo di giustificarsi doveva essere stato interpretato da Ryoga
diversamente, perché quel suino lo afferrò per il
bavero della
camicia alitandogli in faccia tutto il suo disprezzo.
E
perché? Perché lui si
è galantemente messo da parte!
Ma
vai a...
“Non
ti è permesso fare il dongiovanni come ti pare e piace, fai
schifo!”
“E'
stata lei, va bene?!”
Ranma
non credeva di averlo detto sul serio. Forse lo aveva immaginato - di
sicuro lo aveva immaginato - ma l'espressione sconcertata di Ryoga
gli diceva chiaramente che si era finalmente aperto, e proprio con
una delle persone con cui non avrebbe dovuto farlo.
“Hai
capito bene.”
Hibiki
allentò la presa fino a lsciarla del tutto dando modo
all'altro di
scostare via le sue braccia. Ora più che mai sentiva di
detestarlo.
Perché diamine doveva vedere in lui un amico, anche se era
sempre lì
in agguato con quella sua assurda pretesa di piacere ad Akane?
“Per
qualche strano motivo, non sono più fidanzato con
Akane” sbottò
di colpo, sentendosi praticamente in mutande nel rivelare una cosa
del genere e di dirlo ad alta voce.
Per
di più a Ryoga. Gli serviva una camicia di forza, e alla
svelta.
“E
sia chiaro, non sono stato io a volerlo.”
Ryoga
sembrò riscuotersi, gettan do lo sguardo a terra. Forse
stava
elaborando la cosa, perché a dirla tutta, Ranma sapeva che
non era
il solo a vedere la rottura con Akane come qualcosa di insolito, di
impossibile quasi.
“Ti
ha lasciato lei?”
“Più
o meno.”
“Parla
chiaro, babbeo!”
Come
se parlare chiaro fosse semplice!
Come
poteva dirgli che era sul punto di baciarla e che lei aveva rifiutato
la sua mossa? Decise di rimanere sul vago, perché ad ogni
modo cosa
potevano risolvere due parole messe in croce giusto per dare uno
straccio di spiegazione ad uno che nemmeno c'entrava?
“Ha
deciso così, ed io non posso farci niente.”
“E'
successo qualcosa?”
Cosa
non è successo, semmai.
Ranma
non rispose, continuando a fissare l'amico come se volesse dire
qualcosa ma questi glielo impedisse con la sua sola presenza. Questo
silenzio però, alimentò le strambe - ma non
troppo - fantasie del
prosciutto, perchè con una voce tremendamente sconcertata
iniziò a
tirare fuori qualche parola balbettata.
“Hai...”
“Veramente
io...”
“Oh”
esclamò, cantandosela e suonandosela tutta da solo
“hai traviato
la mia bellissima e purissima Akane con le tue luride mani, eh? Sei
un porco, Ranma!”
Nel
dirlo fece per riafferrarlo per i vestiti, ma prontamente il ragazzo
con il codino lo spinse via. Non sopportava di essere preso per il
tipo di persona che sostanzialmente lui non era, tanto meno voleva
rispondere alla scarsa lucidità di Ryoga di quel momento.
“Non
ho fatto un cazzo, imbecille!”
“Non
fare il santarellino, non sarebbe la prima volta!”
“Parla
per te, che ti intrufoli puntualmente nel suo letto e ti strusci
contro il suo seno senza ritegno!”
Ryoga
sfoderò un sorriso trionfante, mentre Ranma avrebbe voluto
non
esporre per l'ennesima volta la sua gelosia cieca. Era chiaro che
quella reazione non avrebbe suscitato altro che un senso di
superiorità in quel maiale, e ora come ora sentirsi
impotente oltre
che umiliato era l'ultima cosa che Ranma voleva.
“Invidioso?”
“Per
niente!”
Il
suo tono fu troppo arrabbiato perché Ryoga potesse
credergli, ma lo
stava deliberatamente mettendo alla prova, e lui era così
esausto
che sarebbe andato a dormire per almeno dieci anni se solo avesse
potuto.
“Insomma,
per farla breve ti ha fatto capire chiaramente che può fare
a meno
di te.”
Bastardo.
Rigirare
il coltello nella piaga gli avrebbe fatto ancora più male, e
quello
non solo lo stava facendo, ma senza il minimo tatto. Non si aspettava
la pacca sulla spalla, né una reazione simile a quella che
aveva
avuto in Cina, ma così lo stava ferendo ulteriormente. Anzi,
lo
stava dilaniando.
“Una
ragazza bella e intelligente come lei non ha certo bisogno di un
decerebrato come te! Avresti dovuto capirlo da subito che non sei
alla sua altezza!”
Va
bene, giochiamo la carta dell'indifferenza.
“No,
infatti. Troppo bassa.”
“Eh?!
Ma che stai dicendo?”
“Bassa,
piatta, lunatica, bisbetica... Devo continuare?”
Lesse
una forte perplessità negli occhi di Ryoga, che piano piano
fece
spazio alla collera. Come Ryoga sapeva come ferire lui, Ranma a sua
volta sapeva come girare la situazione, perché degli insulti
all'indirizzo di Akane per Ryoga suonavano quasi come una bestemmia.
“Assolutamente
no!” rispose l'altro, con la faccia improvvisamente diventata
paonazza. “Non ti permetterò più di
prenderla in giro, nemmeno da
lontano! Anzi, farò di meglio. Andrò da lei
immediatamente!”
Raccolse
il suo zaino, cominciando a cercare la strada per arrivare
all'ingresso. Lo trovò, sorrise raggiante, ma seguendolo
Ranma si
accorse che si era fermato appena fuori e che stava valutando quale
direzione prendere. Muoveva la testa prima a destra e poi a sinistra,
probabilmente sforzandosi di ricordare da che parte fosse il dojo
Tendo.
“Che
bussola!” lo schernì, ma la risposta indispettita
di Ryoga non si
fece attendere.
“Sta'
zitto! Me lo ricordo benissimo!” esclamò, ma
indicò il lato
opposto, per poi correre a perdifiato senza nemmeno degnarsi di
salutarlo.
Arriverà
al dojo fra due mesi, se gli va bene...
NDA
Arrivata.
Forse con qualche errore, ma sono arrivata *^*
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3739463
|