Prima che il sole tramonti

di shilyss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'era una volta un drakkar ***
Capitolo 2: *** Il patto ***
Capitolo 3: *** Il pugnale ***



Capitolo 1
*** C'era una volta un drakkar ***


Prima che il sole tramonti

 

[…]

Noi abbiamo una stessa

voce, una stessa pena

e viviamo affrontati

sotto povero cielo.

(Cesare Pavese, 19-20 novembre ‘45)

 

“So perché sei qui!” disse la strega del mare, “ma è insensato, da parte tua!

Tuttavia mi piegherò al tuo desiderio poiché ciò ti porterà sventura, o mia principessa stupenda.”

(La Sirenetta, da “Fiabe”, Hans Christian Andersen, ed. Einaudi)

 

 

 

Capitolo 1

C’era una volta un drakkar

 

 

 

Questa è la storia di come il dio dell’inganno riuscì a raggirare gli dèi di Asgard grazie a uno dei suoi molti, crudeli, intrighi. Sa di salsedine e vento, il racconto. Odora di mare e di spiagge baciate da un sole che non tramonta né svanisce per giorni, settimane, stagioni intere. Si dice che chi voglia narrare quanto avvenne, debba prima raggiungere una spiaggia e lasciarsi bagnare dalla spuma del mare. In fondo, lei è una delle protagoniste di questa vicenda antica.

C’era una volta e c’è ancora, una penisola che s’insinua come un artiglio nel Mar Baltico: la sua punta più estrema, lo Skagen, guarda verso la Scandinavia, terra di Giganti e di dèi, dove il sole svanisce sei mesi all’anno e l’inverno è così rigido che la neve ricopre ogni cosa per mesi. Tra i suoi fiordi settentrionali più estremi e incantevoli, un tempo si diceva che sorgesse anche la magnifica Asgard, la dimora di Odino e degli Æsir, in tutto il suo splendore. Ma di questo, i vichinghi, che un giorno si sarebbero chiamati danesi, non erano davvero certi. Raramente si erano spinti tanto a nord, sebbene fossero profondamente devoti ai loro dèi guerrieri, fieri e orgogliosi. Dalla spiaggia più estrema dello Skagen partì, un’estate, un drakkar dalla punta snella, agile e veloce. Il suo scopo era raggiungere le terre fertili oltre il mare e trovare abbastanza mercanzie e schiavi da poter commerciare a oriente e a meridione, ma una forte tempesta causata dal dio del tuono, certamente impegnato a combattere i giganti e i troll, fece sì che la nave si smarrisse, perdendo la rotta.

Su quell’imbarcazione svelta, viaggiava un uomo. Alcuni sostengono che costui non volesse solo mercanteggiare e razziare le più fertili coste della vicina Gran Bretagna, allora retta da tanti piccoli re che si facevano la guerra tra loro; armato di coraggio, di un particolare spirito d’intraprendenza e del consiglio di un navigante assai esperto, desiderava scoprire le coste a settentrione, inoltrandosi tra i fiordi d’inimmaginabile bellezza, spesso avvolti da nebbie invalicabili, forse frutto d’incantesimi potenti. Cercava la ricca Asgard e voleva osservarla con i propri occhi di uomo mortale per riportare, nella terra da cui proveniva, quelle che si dicevano fossero le abilità particolari dei suoi abitanti. I signori di Asgard, che dimoravano nelle zone più estreme della selvaggia penisola, conoscevano taluni segreti utili per affrontare le tempeste e orientarsi in mare anche nelle notti più buie, potevano pescare a volontà, cacciare anche le prede più difficili e possedevano armi potenti – reliquie d’inimmaginabile valore – capaci di non spezzarsi nemmeno se usate per combattere i Troll e gli Jotnar[1].

Così, scelse di violare ogni vincolo precedentemente stabilito tra gli uomini e gli Æsir e di viaggiare alla scoperta dell’ignoto. Oltre all’esperto di rotte, prese con sé altri otto uomini e partì con un drakkar robusto e veloce. Odino e la sua gente, però, non erano inclini a perdonare coloro che osavano venire meno ai patti stabiliti fin dalla notte dei tempi: erano orgogliosi e fieri e non desideravano in alcun modo mescolarsi alla schiatta dei midgardiani[2]. Ogni tanto, alcuni di loro vagavano per le terre abitate dagli uomini. Camuffandosi sotto mentite spoglie attraversavano villaggi e foreste, oppure s’imbarcavano sui loro drakkar da guerra, spacciandosi per vagabondi o poeti, spinti dalla curiosità e dalla noia, forse. Circolavano molte leggende su questi incontri, tanto che quando Erik, dopo il naufragio occorso, si risvegliò stanco e stracciato nel folto di una foresta non ricordando assolutamente nulla di come fosse finito lì, boccheggiante e inaspettatamente vivo, credette davvero di essere stato salvato da una fata dei boschi o da un’Æsinna e di aver visitato, in qualche modo, la ricca e bella Asgard, la dimora degli dèi. C’era infatti chi raccontava che il perimetro della terra degli Æsir fosse stato stregato dal dio degli inganni in persona e che se anche un abitante di Midgard ne avesse, in qualche modo, osato varcare i confini, al momento di rientrare nella sua terra avrebbe smarrito ogni ricordo, pensiero e memoria del tempo trascorso all’ombra della casa di Odino. E gli incantesimi di Loki, questo tutti lo sapevano nei Nove Regni, erano potenti e terribili quanto quelli di Padre Tutto.

 

 

Dell’ingannatore si raccontavano molte, troppe cose. Alcune storie erano totalmente false; le aveva fatte circolare lui stesso, per confondere i suoi nemici e ampliare le voci circa la sua grandezza. Altre, invece, col tempo erano state mutate, cambiate, arricchite di particolari o private di dettagli, così da divenire qualcosa di nuovo, diverso e irriconoscibile. Forse anche questa storia è una di quelle. Bisognerebbe chiederlo alla spuma del mare, ai fiordi alti e immobili che si stagliano contro il cielo, a Loki stesso, che riderebbe beffardo e prenderebbe a narrare una storia meravigliosa, fantastica, allo stesso tempo vera e finta.

 

Se raccontasse, tuttavia, partirebbe senz’altro da lei. C’era una ragazza, ad Asgard. Il suo nome era Sigyn. Alla sua nascita, le Norne le avevano cucito addosso un destino oscuro, forse infelice, segnato da una profezia funesta, celata a lei stessa. Si erano decise a donarle un nome pesante, affidandole il compito di consolare le figlie degli uomini con la sua sola presenza, ma le visioni di Skuld spesso erano troppo difficili da interpretare o sciogliere[3]. Il suo fato si sarebbe rivelato a tempo debito: così solevano dirle Freya e Odino, forse nel tentativo di proteggerla dall’immagine, carica di presagi, che aveva mostrato loro la fonte di Mimir.

È l’eccesso d’amore a far male, alle volte. Crea una prigione dorata dentro cui si soffre e si langue, arrivando ad anelare cose come la libertà, la conoscenza e anche la possibilità di sbagliare, alle volte. Il diritto di essere se stessi, di alzare la testa ed esporre un parere che non sia, semplicemente, lo specchio di quello di un altro. Sigyn era giovane, forse troppo. Era nata dopo una grande guerra, feroce e fratricida, che aveva visto gli Æsir combattersi aspramente: i figli di Asgard si facevano chiamare dèi, ma sanguinavano, morivano, soffrivano, amavano e odiavano come gli uomini, sebbene fossero maledetti da una vita lunga decine e decine di secoli.

Cosa significa vivere migliaia di anni? Perdere il contatto con la realtà, smarrire lo stupore verso il mondo e la sua bellezza, dimenticare la fede.

Sigyn, però, era giovane, giovanissima. Una ragazzina di schiatta reale. Non le apparteneva la malizia propria di chi ha perso il conto delle primavere già viste ed era ansiosa di conoscere il mondo oltre i confini di Asgard, perché spinta da un’inspiegabile nostalgia per Midgard[4]. Sin da bambina, l’affascinava enormemente quel popolo così simile a lei e, appena poteva, si faceva narrare le storie delle sue genti – fiabe, racconti e leggende, perlopiù, nonché certe saghe che parlavano di guerrieri indomiti e fieri che conquistavano regni interi con la forza del loro braccio e poco altro. Per questo, non appena l’infanzia lasciò spazio alla giovinezza, iniziò a violare sempre più spesso gli ordini imposti, avvicinandosi fin troppo ai confini che dividevano la terra degli uomini da quella degli dèi. Voleva vedere com’erano i loro palazzi, ascoltare le melodie suonate attorno ai fuochi, danzare al suono dei corni e dei flauti canzoni nuove e diverse. Le sue sorelle maggiori la ascoltavano con una certa condiscendenza, mentre erano impegnate a raccogliere erbe medicamentose e radici per conto della regina Frigga. Pensavano che l’interesse verso Midgard si sarebbe rivelato un interesse passeggero, un sogno di bambina che Sigyn avrebbe perso o accantonato una volta adulta. Cosa c’era di tanto bello in un mondo dominato dalla grettezza e dalla miseria? Gli umani non erano che una copia imperfetta e fragile degli Æsir, niente di più. Contrariamente a quanto auspicato dalla famiglia, però, Sigyn continuò a sognare a occhi aperti, a fantasticare sulle fiabe che raccontava tutto il giorno alle sorelle stesse. Erano storie meravigliose, certo. Parlavano di draghi che custodivano tesori e di spade magiche piantate nel tronco di enormi frassini e di guerrieri invincibili, salvo che per un solo punto seminascosto del loro corpo. Alcune avevano per protagonisti gli stessi dèi di Asgard, ma questo Sigyn non poteva saperlo né immaginarlo, perché, col passare del tempo e per oscure ragioni, i nomi erano stati modificati, occultati, consegnati all’oblio[5].

 

Erik, tuttavia, lo incontrò per caso. Un mattino, subito dopo l’alba, la ragazza si ritrovò a camminare sulla spiaggia. La notte prima c’era stata una terribile tempesta, talmente violenta che le onde erano arrivate a mutare parte della battigia, ridefinendone i contorni. Qua e là, spiccavano detriti, alghe e pezzi di legno giunti da chissà dove. Sigyn, stretta in un mantello foderato che la proteggeva dall’aria pungente del primo mattino, era in cerca di certe radici che servivano alla regina degli Æsir e che si trovavano solamente in una radura poco distante dalla riva del mare, ma aveva approfittato di quell’incombenza per respirare l’odore dell’aria salmastra, osservare la distesa d’acqua scintillante sotto i primi raggi del sole estivo. Camminando, si accorse, però, che le onde avevano portato fino a riva qualcosa di differente dal solito. Sentì il cuore accelerare il suo battito. Riconobbe tra la sabbia frammenti di remi e di oggetti senz’altro appartenenti al drakkar. Aumentò il passo, raccogliendo di volta in volta qualche fibbia od oggetto appartenuto all’imbarcazione e all’equipaggio che, presumibilmente, aveva dovuto scontrarsi con la tempesta della notte precedente, finché non trovò un uomo disteso sulla spiaggia. Un uomo di Midgard, dedusse dagli abiti, privo di sensi.

Non avrebbe dovuto avvicinarsi. Era proibito dalle leggi di Odino, farlo. Gli Æsir avevano il compito di difendere Midgard, ma agli incauti che osavano sfidare Padre Tutto e varcare i confini dell’Yggdrasill non andava prestato alcun soccorso. Chi avesse osato violare le leggi stabilite da Odino e, prima di lui, da Bor il Grande in persona, sarebbe stato punito, com’era già capitato nei confronti del figlio ribelle del re, tanto tempo prima. Se il sovrano di Asgard avesse scoperto che gli aveva disobbedito, senz’altro non si sarebbe fatto scrupolo nel punirla con severità nonostante le fosse affezionato come a una figlia. La ragazza era difatti una delle giovani nobilissime cui Frigga, la regina sua moglie, si era circondata al fine di insegnare loro i molti segreti della magia in suo possesso. Si trattava di incantesimi benigni, legati alla natura e alla divinazione, lontani dal seiðr che Padre Tutto stesso usava ed erano, invece, appannaggio di altri. Ma esiste davvero, il caso? O la vita non è fatta, piuttosto, d’incredibili coincidenze legate l’una all’altra dalle mani svelte e implacabili delle Norne, che filano e tessono il destino degli uomini e degli dèi? C’è chi dice che, a volte, le tre sorelle uniscano i destini di due anime con un filo d’oro, tinto di rosso: così facendo, due esistenze sono chiuse in un vincolo indissolubile, resistente come la più terribile delle maledizioni e intenso come la vita stessa. Per un istante, uno solo, Sigyn smise di respirare, pensare, parlare.

Dotata com’era di un animo gentile, non riuscì a far finta di nulla, di fronte all’uomo svenuto davanti a lei. Gli si accostò per controllare che fosse vivo, nient’altro, ma poi, accorgendosi che il marinaio respirava ancora, non poté trattenersi dal chinarsi sulla rena umida e prestargli soccorso. Si trattava di pietà, nient’altro che quello: lo giurò a se stessa. Bagnò le labbra riarse dell’uomo, pulì e medicò le sue ferite lievi. Decise che si sarebbe limitata a quelle poche cure. Prima che lo sventurato naufrago avesse potuto anche solo aprire gli occhi, lei sarebbe andata via, tornando alle sue occupazioni sempre uguali, alle fantasie riguardanti viaggi che non avrebbe mai fatto, libertà che non avrebbe mai avuto. Si lasciò scappare un sospiro e, persa com’era in quel suo ragionare, non s’accorse che le palpebre dell’uomo si erano schiuse e, ora, la guardava. Uno sguardo chiaro, fisso, penetrante e attento, che rivelava un’intelligenza acuta. Si tirò su a sedere lentamente, sorretto da Sigyn – la testa doveva girargli – e vide il braccio fasciato.

“Sei stata tu. Mi hai salvato,” notò.

La giovanissima Æsinna pensò che avesse una voce roca e un modo di sorridere che la turbavano. Era giovane e bello e scrutava il paesaggio attorno con circospetta attenzione, cercando evidentemente un riferimento geografico che gli indicasse con precisione dove fosse naufragato. Si mise in piedi rivelando una vitalità sorprendente e lei lo seguì dappresso, timorosa che la sua andatura ancora lievemente incerta potesse tradirlo. Temeva anche un’altra cosa, a essere onesti: la punizione che Padre Tutto avrebbe inflitto a entrambi quando i suoi corvi, quella sera, gli avrebbero raccontato ciò che era accaduto nei Nove Regni. Con quale compiacimento si sarebbero messi a sussurrare di come quello che sembrava un semplice midgardiano avesse osato sfidare i mari e gli incantesimi quasi invalicabili che connettevano i due mondi!

Sigyn pensò a tutto questo, ma riflettendo, giunse alla conclusione che ormai era troppo tardi per fuggire, né lo desiderava. Aveva violato i precetti di Odino soccorrendo, sia pur brevemente, il forestiero. Giunta a quel punto, tanto valeva salvargli la vita davvero, portandolo fino al limitare del territorio di Asgard, lì dove, all’alba, solo per un momento, un raggio di luce fendeva la roccia, rivelando l’ennesimo passaggio tra un regno e l’altro.

“Dove sono?” domandò lo straniero. “Chi sei tu? Hai dell’acqua, con te?” insistette, osservando avidamente la bisaccia che la ragazza teneva a tracolla. Poi, il suo sguardo chiaro e aguzzo si posò su ciò che rimaneva del drakkar naufragato, forse pensando ai compagni inghiottiti dai flutti del mare, caduti sul fondo ricolmo di relitti e di gioielli.

La giovane Æsinna gli porse lesta la borraccia con cui già prima aveva dato sollievo alle sue labbra riarse, ma esitò nel rivelare la propria identità. Si decise a parlare solo dopo che lui ebbe bevuto avidamente. In fondo, se lo avesse condotto fino alle mura che separavano Ásaheimr da Midgard, il forestiero avrebbe attraversato il confine tra i due mondi, dimenticando ogni cosa del regno di Odino – compresa lei. Questa regola che conosceva fin da quando era bambina e che tutti i figli degli Æsir avevano sempre accettato senza battere ciglio, le sembrò improvvisamente crudele, ingiusta. Qualcosa le punse il cuore, ma sorrise ugualmente. “Sono Sigyn e questa è Asgard.”

“Asgard.” Il naufrago, stupito, lo ripeté quasi come se volesse essere certo di aver udito correttamente. Di fronte al cenno d’assenso della ragazza, schiuse le labbra, guardandosi febbrilmente attorno. Com’è osservare da vicino il mondo degli dèi cantato dai bardi, visto in sogno dai veggenti? Doveva parergli un luogo del tutto simile a quello in cui era nato e cresciuto, ma non volle darlo a vedere alla sua benefattrice.

“Non potete rimanere qui,” disse Sigyn. “Senz’altro, conoscete anche voi ciò che si dice su coloro che visitano questa terra. Tutto questo vi sembrerà un sogno, forse neanche quello. Seguitemi, vi condurrò al sicuro da occhi indiscreti.”

Il naufrago annuì pensieroso, lo sguardo vigile e mobile, inquieto, che si spostava da una parte all’altra del fiordo.

“Il mio nome è Erik,” le rivelò. “Come posso sdebitarmi? Mi hai salvato la vita, rischiando, probabilmente, la tua,” aggiunse senza abbassare lo sguardo – occhiata fiera e principesca, pungente, che apparteneva senz’altro a un uomo abituato a sostenere il peso di ogni parola, osservazione, fatto.

Quella considerazione improvvisa e rapida le scaldò il cuore. Aveva già fatto delle riflessioni simili nei confronti degli eroi dei suoi racconti e le sembrò di essere precipitata proprio in una di quelle storie, lei che non aveva mai vissuto niente di emozionante.

 Erik, intanto, stava recuperando le forze in fretta; la sua andatura si era fatta più sicura, il suo corpo agile e atletico la seguiva senza alcuna esitazione. Sigyn raccolse il coraggio e fece una proposta che si sposava con la sua curiosità riguardo tutto ciò che rappresentava Midgard.

“Parlami del tuo mondo,” gli propose. “Raccontami le tue storie. Il passaggio tra le nostre terre si aprirà solamente all’alba.”

L’uomo si fermò, squadrandola con attenzione. Alla ragazza sembrò che le sue occhiate fossero diventate improvvisamente più chiare e taglienti rispetto a com’erano solo qualche istante prima. “I grandi Æsir non hanno storie che parlino di Midgard? Dov’è finita la loro memoria?”

Sigyn scosse il capo, interdetta dal cambiamento di tono repentino dell’altro – era sarcasmo, quello che aveva appena udito? – ma poi, rispose. “Poche, pochissime. Le abbiamo cancellate dai libri e dimenticate.”

Lui annuì sovrappensiero e, senza indagare oltre, accettò la richiesta e prese a raccontare. Era bravo in questo e provava un sottile compiacimento nel ripercorrere le magnifiche gesta del passato. Sigyn bevve ogni sua parola, incantandosi dietro quel mondo che non poteva visitare e vagheggiava continuamente. A mano a mano che le ore trascorrevano, tuttavia, i miti e le fiabe lasciarono il posto ad altro: definirle confidenze sarebbe esagerato, ma i due ragionarono assieme di molte cose, scambiandosi opinioni su mille e più argomenti. A Sigyn parve che Erik fosse, talvolta, troppo schietto e pragmatico, ma gli riconobbe una saggezza e un’arguzia non indifferenti. Era piacevole conversare con lui. La ascoltava con una sorta di ammirata considerazione, senza liquidare le sue opinioni come le fantasticherie di una ragazzina solo perché non aveva visto la guerra che aveva fatto tremare il trono di Odino. Desiderò che quella giornata non finisse mai e le ore scorressero più lentamente, ma non era una maga né poteva manipolare il tempo e il sole calò ugualmente su di loro, nonostante il calore che già invadeva il suo petto e lei arrossisse di fronte al sorriso e agli sguardi di quel marinaio audace e spavaldo.

Così, trascorsero quella breve manciata d’ore insieme, consci che era l’unica e ultima concessa loro. Appartenevano a due realtà che non si sarebbero mai toccate né sfiorate. Molto tempo prima, certo, i figli e le figlie di Asgard avevano camminato sovente tra i midgardiani, ma dopo che l’ingannatore aveva minato l’equilibrio retto dall’Yggdrasill, le cose erano cambiate. Nessun Ase aveva più avuto voglia di vagare per terre ignote o di parlare con gli abitanti di Midgard, tranne pochissimi. Ma questa, è un’altra storia, una che la giovane Sigyn, ansiosa di vivere, non conosceva se non vagamente, per sommi capi e che Erik non le raccontò. Apparteneva a quell’insieme di nozioni e informazioni soffocate, bruciate, distrutte, smarrite, che ai bardi era stato proibito cantare e i vecchi fingevano di non conoscere.

 

“Sei bella con i capelli così raccolti,” le confessò il marinaio quando il suo tempo presso la dimora di Odino era ormai giunto al termine. Nel dirlo, sfiorò appena una ciocca serica che le cadeva sulle spalle e, dopo di lei, la guancia ugualmente liscia. La sua chioma color dell’oro era illuminata dai raggi del sole nascente ed era stretta in una coda lunga e folta, che le scendeva dolcemente sulla schiena. Di fronte a quel gesto inatteso, Sigyn arrossì e sorrise. Lo stava per perdere. Di nuovo provò nostalgia, ma stavolta non verso qualcosa di lontano che non aveva mai posseduto, bensì per la giornata appena trascorsa e per l’uomo che le era accanto. Al pensiero del divieto che aveva appena infranto fu scossa da un fremito, ma non riuscì a negarsi il piacere, trasformato in impellente bisogno, di allungare le dita per toccare quelle di lui e intrecciarle un momento, uno solo, proprio pochi istanti prima che il sole sorgesse su di loro. Il passaggio che collegava i due mondi era ormai visibile; oltre la roccia, dietro il volto di Erik, Sigyn poté scorgere Midgard, identica eppure diversa rispetto alla terra degli Æsir. Si separarono così, senza una parola – l’uomo le carezzò, con un ultimo gesto, le ciocche bionde della sua coda, quasi volesse saggiarne la morbidezza e trattenere, di lei, quel dettaglio – un’acconciatura semplicissima, tipica delle donne di Asgard, che le lasciava scoperto il viso esaltandone i lineamenti delicati, ma che, pure, non sacrificava la bellezza della chioma ondulata e caotica, folta e lucente.

Così finì il breve tempo che avevano rubato alle loro vite. Con un tocco appena accennato, uno sfioramento che già sapeva di rimpianto. Una lacrima scivolò dalle ciglia scure di Sigyn. L’aveva perso.

Perché il mondo al di là delle mura di Asgard, costruite da un gigante ammansito con l’inganno, interessava così tanto una figlia della casa di Freya? I midgardiani erano creature fragili e crudeli a un tempo, capaci di grandi slanci d’amore e di generosità, ma anche di bassezze e di meschinità. Un popolo debole, cui era stata conferita la maledizione di vivere una manciata insignificante di anni entro cui si concentrava un’esistenza breve, spesso vacua. Eppure, era proprio questo ad attrarre e a incuriosire la giovane Æsinna. Quanto coraggio bruciava nei petti di quei marinai sfrontati che, armati quasi solo esclusivamente del loro coraggio, s’imbarcavano su un drakkar con l’intento di esplorare il mondo, consapevoli dei rischi che avrebbero affrontato solcando, con le loro navi robuste e veloci, i mari del nord, infidi e dal clima variabile? Troppo spesso le flotte, come quella su cui viaggiava e avrebbe continuato a viaggiare Erik, venivano completamente distrutte dalle imprevedibili tempeste annunciate dai tuoni di cui Thor era il signore e da un cielo cupo color ferro, eppure loro non si arrendevano e attraversavano i mari ancora e di nuovo, mossi da un’incrollabile fede nel futuro, nella fortuna che aiuta gli audaci, negli dèi benigni. Ma gli Æsir non erano un popolo pietoso, tutt’altro. I loro petti erano animati da una sete di conoscenza e di potere a volte troppo simile a quella umana: sapevano di essere superiori ai midgardiani e, nei confronti delle loro vicende, non nutrivano che un interesse breve e circoscritto, identico a quello che era possibile manifestare per un gatto selvatico trovato nel proprio giardino.

Sigyn no, non riusciva a provare quel bieco disinteresse verso gli uomini. Credeva di essersi innamorata di Erik. L’aveva perso, ma ora desiderava che fosse di nuovo accanto a lei. Voleva sapere, conoscere e incontrare di nuovo l’audace pirata che si era spinto fino alle rive spumose del fiordo di Asgard e tornare a parlare con lui, discorrendo di tutto. Si era invaghita del suo coraggio, riteneva fosse in possesso di uno spirito indomito e fiero e inseguisse una conoscenza che gli era preclusa, così come era vietata a lei. Sigyn non poteva leggere tutti i libri conservati nella splendida biblioteca di Asgard, né ascoltare l’infinito numero di storie cantate dai bardi al servizio di Padre Tutto. Nonostante adorasse rimanere nella sala di Odino ore e ore a farsi raccontare ogni tipo di storie, alla fine non riuscì più a farsi bastare le avventure vissute dagli altri o le immagini di un mondo visto con occhi non suoi.

Né Huginn né Munin, i corvi di Padre Tutto, avevano attraversato con le loro ali nere il cielo. Forse, il segreto della ragazza era e sarebbe rimasto al sicuro. La severità del signore degli Æsir, in fondo, nasceva da nient’altro che un eccesso di zelo. Asgard e Midgard erano mondi ormai separati, divisi per sempre: le commistioni, di qualunque genere e natura, non avevano portato che infiniti lutti e dolori. E Sigyn dalla lunga coda d’oro, presto, avrebbe scoperto sulla propria pelle il motivo di quella scelta.

 

 

Tornò ad Asgard, ma in molti si accorsero di quanto qualcosa, durante la sua assenza, l’avesse turbata, privando il suo viso delicato del consueto sorriso che lo illuminava. Sigyn era sempre stata riflessiva, pensierosa, ma il tormento che aveva preso a corrugarle la fronte apparve a molti come qualcosa di terribilmente atipico. Smise di parlare con le sue sorelle mentre era nel palazzo di Fensalir, la dimora privata di Frigga, e divenne mesta, ombrosa. Tuttavia, le sue speranze circa il fatto che Padre Tutto non avrebbe scoperto il suo segreto vennero disattese; Odino s’infuriò. Diede ordine che fossero distrutti tutti i suoi libri che parlavano di Midgard, giunse a vietarle espressamente di avvicinarsi al confine oltre cui Erik era sparito, anche se lui certamente aveva smarrito ogni ricordo di lei, di loro. Prostrata e sconvolta, Sigyn pianse a lungo la sua sorte.

Fu solo dopo molte notti che si decise a violare nuovamente gli ordini di Padre Tutto. Pensò di non aver più nulla da perdere, che Asgard non era il luogo per lei ed Erik era lontano. Forse, avrebbe potuto ritrovarlo, in qualche modo. Si coprì il viso con un mantello e, col cuore che le batteva forsennato nel petto e gli occhi segnati dall’insonnia, s’inoltrò verso la punta posta più a nord di tutta Asgard. Nemmeno lei era immune dall’incantesimo che separava i mondi. Se avesse attraversato il portale, non solo Padre Tutto sarebbe riuscito a scoprirla con grande facilità, ma lei stessa avrebbe smarrito la memoria di sé. In tali condizioni, raggiungere la casa di Erik sarebbe stato pressoché impossibile. C’era una sola persona, in tutti i Nove Regni, che avrebbe potuto aiutarla: l’oscuro dio degli inganni, il maestro di magia secondo solo al re.

Loki, nonostante il divieto imposto a tutti da Odino, non aveva mai smesso di camminare tra gli uomini. Non li amava e li giudicava ingrati, perché dei molti doni che aveva concesso loro, non ne veniva ricordato quasi nessuno, ma avrebbe potuto muovere la stessa accusa anche agli Æsir. Tutti temevano la sua natura perfida e cattiva, l’inclinazione ad allestire scherzi crudeli, la spietatezza con cui valutava chiunque gli capitasse sotto tiro. Il dio delle beffe e delle menzogne sapeva discernere il vero dal falso e si crogiolava in questa sua abilità, confondendo e irretendo le sue molte vittime. Ciò che interessava alla giovane e incauta Sigyn dal cuore spezzato, però, era altro: si diceva che Loki visitasse i Nove Regni inoltrandosi lungo sentieri noti a lui solo, privi di qualsiasi incantesimo o barriera, liberi dalla supervisione di Odino. Per rivelarli, però, avrebbe chiesto qualcosa in cambio. Non era un dio benevolo e generoso, tutt’altro.



[1] Gli Jotnar (plurale di Jotunn sono i giganti di ghiaccio.)

[2] Abitanti di Midgard, la terra di mezzo, la Terra.

[3] Skuld è la Norna che fila il futuro.

[4] In questo senso il termine nostalgia è da intendersi come “rimpiangere ciò che è lontano.” (Treccani online). Con la medesima accezione lo intende anche Andersen nell’originale e volevo omaggiarlo anche così.

[5] Alcune di queste storie fanno effettivamente parte del corpus scaldico.

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Capitolo 2
*** Il patto ***


Capitolo 2

Il patto

 

 

 

Keep in mind

We're under the same sky

And the night's

As empty for me as for you

If you feel

You can't wait 'til morning

Kiss the rain

(Kiss the rain, Billie Myers)

 

 

Il palazzo dove dimorava Loki Laufeyson era arroccato su una scogliera. Le sue guglie nere e svettanti si intravedevano anche da una grande distanza, ma per raggiungere il portone principale occorreva necessariamente inerpicarsi lungo un sentiero scosceso, circondato da fitti rovi, arricciati e spessi come tentacoli. L’ululato di un lupo lontano impensierì Sigyn, ma nonostante ciò la ragazza si fece coraggio e salì ancora, finché il viottolo non divenne una scalinata e, finalmente, si ritrovò di fronte a un arco a sesto acuto, finemente scolpito. Lupi e draghi marini s’intrecciavano, raccontando le storie che aveva ascoltato tante volte per bocca dei poeti e dei cantori. Tutto era immobile. Varcò la soglia e si ritrovò in un giardino rigoglioso, caotico, profumato. Nonostante fosse una tiepida e fresca giornata d’estate, la ragazza immaginò come dovesse essere quello spaccato di verde cinto dalla neve. Scacciò il pensiero per avvicinarsi al portone in legno, anch’esso decorato da una mano abile e attenta e si stupì, perché lo trovò aperto; una serie di fiaccole accese le indicava idealmente la via da seguire. La stava aspettando?

Probabilmente, ritenne Sigyn, il dio dell’inganno l’aveva vista percorrere il viottolo tortuoso. Si narravano tante cose, su quello Jotunn mascherato d’Ase, forse troppe. La giovanissima Æsinna aveva sempre pensato che la maggior parte di quelle storie fossero chiacchiere, dicerie sussurrate negli angoli più remoti di Asgard e Ásaheimr[1]: Padre Tutto aveva vietato a Loki di mettere piede nel suo palazzo per via di certi antichi torti e dissapori – di un tradimento orrendo, la cui onta non sarebbe potuta essere levata nemmeno col sangue – e mal tollerava che si facesse il nome del figlio che aveva adottato e allevato per poi tramutarsi in altro – nel nemico degli Æsir che avrebbe dovuto proteggere. Sigyn avanzò per le stanze arredate con semplicità e gusto, non prive di una certa selvaggia eleganza. Impaurita, ma decisa a portare a termine la sua incauta visita, s’inoltrò nella ricca dimora. C’era una sala con un grande camino acceso e pelli d’orso che ricoprivano sedie e poltrone; su un grande tavolo erano disposte mappe, cartine e appunti vergati con una grafia elegante e stretta, virile. La ragazza osservò i fogli lasciati in bella mostra, la lunga penna d’oca infilata nel calamaio, gli astrolabi e i compassi utili a misurare le stelle; che uso poteva mai fare il furbo dio degli inganni di tutti quegli strumenti? Desiderava riprendere i viaggi lungo i Nove Regni per cui era noto? C’è chi diceva che i suoi stivali fossero incantati e gli rendessero possibile ogni fuga. Odino a un banchetto, una volta, si era bagnato le labbra con l’idromele e aveva detto che non c’era alcuna magia particolare nelle calzature del figlio perduto. Il merito delle sue improvvise sparizioni era dovuto solo a una spiazzante abilità nel rompere qualsiasi catena o legame. Sigyn si stupì nel vedere riprodotti i contorni di una terra che non aveva mai visto né sapeva collocare in alcun luogo; ne percorse con gli occhi le catene montuose, le pianure, i fiumi e i laghi: l’immaginò e desiderò vederla.

“È la mappa di una terra lontana, di là del mare,” la interruppe una voce bassa, roca, venata da una punta sottile e affilata di divertimento.

La ragazza sobbalzò, voltandosi di scatto. Nel vano della porta si stagliava l’ombra sardonica di un uomo alto e slanciato, bello d’aspetto, molto più giovane di quanto si era sempre figurata.

Loki.

Viso affilato, occhi tanto verdi da sembrare quasi trasparenti, labbra sottili piegate in un sorriso ferino e sbieco, segnate da una cicatrice antica – il lascito di una punizione terribile che veniva sussurrata solo di rado, ad Asgard, a cui lei non aveva mai voluto credere, ma che ora era lì, davanti a lei, reale. Sentì il cuore batterle impazzito nel petto e s’accorse di essere in trappola. Il mago avanzò verso di lei a passi lenti, col piglio altero e tranquillo del padrone di casa, del principe. Tutto, in lui, suggeriva forza e sicurezza: gli abiti di pelle scura che indossava esaltavano il corpo agile e tonico, di guerriero, e così le armi che gli scintillavano alla cintura.

L’Ase si fermò davanti a lei incrociando le mani dietro la schiena, in un gesto che doveva essergli congeniale.

“La visitai molto, molto tempo fa,” aggiunse assottigliando le palpebre, come se stesse contando gli anni che erano trascorsi da quel viaggio e provasse una sorta di nostalgia per quella terra perduta.

Sigyn scoprì di avere la gola secca. Loki, ammesso che fosse davvero lui quell’uomo, differiva totalmente dall’immagine che si era costruita. Aveva imbastito un lungo e convincente discorso da fare a un potente stregone, ma il modo in cui il presunto padrone di casa la fissava, la spiazzante tranquillità che dimostrava nonostante lei si fosse introdotta nel suo palazzo senza essere stata invitata, l’avevano colta di sorpresa.

“Ho trovato la porta aperta e le luci accese e sono entrata,” si giustificò, ma nel momento in cui pronunciò quella frase si chiese cosa si nascondesse dietro il sorriso storto del dio. Se non la stesse davvero già aspettando, se non fosse in grado, per via di qualche abilità di cui si era persa la memoria nel corso del tempo, di leggerle il cuore e la testa. Dietro di sé il tavolo la bloccava, impedendole qualsiasi fuga.

“E dimmi, trovi la casa di tuo gradimento? Ha una vista magnifica, come puoi osservare,” le mostrò allargando le braccia. “Ma credo che tu sia qui per un altro motivo,” decise lui, avvicinandosi a una brocca colma d’idromele. Se ne versò un abbondante corno e ne offrì uno anche a lei. “Forse persino un’urgenza.”

Sigyn scosse la testa, ma non rifiutò la bevanda, sebbene scelse di non accostarla alle labbra.

“Non ricevo spesso ospiti, quindi prego, siediti e dimmi: cosa ti spinge a cercare, tra tutti, proprio il mio aiuto?”

 

Ci sono momenti in cui il destino si biforca in più svolte ed è necessario imboccarne una, ma ogni scelta ha un prezzo e tutte le strade portano a differenti soluzioni – o a finali che si sfiorano appena; simili, eppure mai identici. Sigyn comprese che era ancora in tempo per fuggire via e abbandonare il sontuoso palazzo del dio degli inganni. Il principe bandito l’aveva fatta accomodare sfoggiando una cortesia innata, ma scalpitava per farsi dire il motivo della sua improvvisa visita. Ricordò che doveva aver paura di Loki, perché c’era un motivo se Odino non gradiva da lungo tempo che fosse presente alla sua tavola. La sua voce era suadente e roca, piacevole da ascoltare, ma il suo sguardo era freddo, tagliente.

Sbatté le palpebre, si alzò, riscuotendosi come da un sogno. “Mi sono persa. Perdonatemi.”

“Nessuno si smarrisce per caso e arriva fin qui, mia signora.” Un ghigno, gelido come i suoi occhi, gli si dipinse sul viso virile. “L’ho stabilito io stesso.”

“Lo so. Dicono che non ci sia persona più abile di voi, col seiðr.”

“Ho un certo talento per i giochi di magia, sì,” rise l’Ase – risata secca, asciutta, priva di gioia. “Sai solo questo?” inquisì, sporgendosi verso di lei. “Narrano tante altre cose, su di me, mia sconosciuta ospite. A te quali hanno raccontato?”

La ragazza deglutì. Scoprì di avere la gola secca, la lingua incollata al palato. “Che siete geniale e crudele. Bugiardo e astuto. Brillante e pericoloso. Di fare attenzione alle vostre parole ambigue.”

“Ma sei comunque qui perché hai bisogno di me,” constatò il mago, “e ciò che vuoi fare, con tutta probabilità, violerà le norme stabilite da Odino, il tuo re.”

Il modo in cui pronunciò il nome di Padre Tutto, con una punta di dispetto e sarcasmo insieme, diede a Sigyn la misura di quanto le storie che aveva sempre ascoltato sul dio degli inganni corrispondessero al vero e facessero parte di un passato che c’era stato, esisteva. Comprese di essere entrata nella tana di un predatore che la squadrava come la preda che era destinata a essere. Non aveva scampo. Solo lei poteva trarsi d’impaccio o dare un seguito all’anelito che le bruciava dentro, ma aveva scelto il modo peggiore per esaudire i propri desideri.

“Mi chiamo Sigyn,” mormorò, sempre stringendo tra le dita sottili il corno, “e voglio raggiungere Midgard. Lì vive l’uomo che amo.”

L’ingannatore assottigliò gli occhi verdissimi. “Sigyn,” sibilò e il suo nome, pronunciato dalla bocca beffarda di Loki, le parve una carezza sulla pelle – anzi, lo era. “Rinunceresti ad Asgard per un uomo?” Rise, beffandosi platealmente di lei e di quel sentimento che giudicava, con tutta evidenza, patetico, di nessun conto. “Quante ore hai passato in sua compagnia?” inquisì. “Una manciata? Un paio? Un giorno intero? E parli d’amore.”

“Non credete nella forza dei miei sentimenti? Non è stato facile venire qui. La mia è una scelta senza ritorno, se deciderete di aiutarmi.”

“Oh, lo immagino.” Vuotò il corno e si leccò le labbra sottili, scuotendo la testa. “Ma Midgard… tu sei un’Æsinna. Perderai ogni cosa. Smarrirai la tua essenza. Fidati del mio consiglio: digli addio.”

Le parole di Lingua d’Argento avevano un peso particolare. Erano taglienti, argute, brucianti, ma Sigyn decise che non si sarebbe lasciata irretire dalla sua capacità oratoria. Posò il corno e strinse i pugni, la mente concentrata sul ricordo di un’alba ormai lontana settimane. “Non posso, non riesco. Non oggi,” sospirò.

Loki alzò le spalle. “Oggi, domani, tra cento anni. Non sono niente, per noi Æsir. Un battito del cuore, un respiro. Non sarai mai pronta a lasciarlo. L’uomo che ami ti sarà portato via, morirà.”

Aveva ragione. Le sue parole erano crudelmente vere, spiazzanti, feroci.

La ragazza gli rispose sforzandosi di controllare la voce e di mantenere un tono piatto e deciso, ma in realtà tremava, scossa dal pensiero che quella realtà di cui era perfettamente a conoscenza si realizzasse. Neanche gli Æsir erano immortali, ma il pensiero della caducità dell’esistenza si sedimenta in qualche parte dell’anima e lì rimane finché una frase o un evento non ricorda quanto le Norne siano beffarde, crudeli, impietose, quando tagliano il loro filo: anche quello, scarlatto, che lega tra loro due anime – ma allora che fine fa chi sopravvive e resta in vita?  Il suo cuore non si spezza, non sanguina fino alla consunzione?

Una lacrima, muta e orgogliosa, le rigò la guancia. “E sembra che la cosa vi piaccia, vi dia soddisfazione.”

Loki le concesse una risata secca e breve, beffarda, ma scosse la testa in segno di diniego. “La soddisfazione non è nella mia natura. Vuoi davvero vivere con gli umani? Pensi meritino tanta considerazione?” s’interessò, inarcando un sopracciglio.

Aveva accantonato il suo tono faceto di superiore benevolenza. Pareva colpito dalla sua richiesta. La reputava, probabilmente, folle e oscena al tempo stesso, ma ne era attirato, spinto dall’idea che avrebbe generato caos nei Nove Regni – e di questo lui avrebbe approfittato, in un modo o nell’altro, come sempre.

“Lo amo,” rispose Sigyn sicura. “È un uomo audace, nobile, coraggioso. Vi siete mischiato con gli abitanti di Midgard. Sapete che non sono aridi come li dipinge Odino.”

Il profilo dell’Ase s’indurì. “Li conosco meglio di te, come conosco gli Æsir meglio di te. Il cuore di nessuno è libero da ombre, mia fiduciosa signora. Nemmeno i nostri, che siamo i figli di Asgard e dovremmo essere superiori agli altri,” sentenziò implacabile. Come poteva tanta saggezza risiedere nel volto di un uomo giovane, nel pieno della sua forza e nel mezzo della sua vita? C’era, in lui, una tensione, un’impazienza sempre più visibile. “Sacrificherai tutto per un’illusione, ti avverto. Ciò che provi non esiste – è un’infatuazione, niente di più.”

Eccolo dunque, lo spietato punto di vista del dio dell’inganno. Per lui le anime non erano legate da niente e l’amore era solo attrazione vestita con belle parole.

“Mentite. O parlate per voi e non per me.”

Loki stirò le labbra in un sorriso freddo, crudele. “Dici? Ne sembri proprio sicura! Allora, forse potrei aiutarti, piccola Sigyn,” esordì.

“Il vostro aiuto causerà la mia rovina. Siete voi a ingannarmi, non l’amore che provo per Erik.”

Il suo sguardo bruciante le scivolò addosso, sulla pelle, come una carezza avida. Rabbrividì di fronte a quegli occhi verdi e indagatori che la spogliavano, privando la sua anima di ogni menzogna, bugia o fiaba inventata allo scopo di giustificarsi.

“Ma non puoi fare a meno di sperare che possa aiutarti, non è vero? Sono davvero in grado di farti raggiungere Midgard, se è questo che vuoi. Ti propongo un patto.”

“Un patto? Come faccio a sapere che lo manterrete? Che voi sarete leale?”

“In passato, a volte, ho agito in modo crudele,” ammise Lingua d’Argento serafico, regalandole un sorriso luminoso e crudele, di lupo. “Gli Æsir sfoggiano le loro splendide armi incantate grazie a me, a me soltanto. Ho tramato, detto il falso, ingannato – sono il signore delle menzogne, del resto, certo non lo nego – ma sappi che loro, per primi, hanno mentito o evitato di ricompensarmi. Ecco perché li ho puniti e mi sono vendicato. E mi è piaciuto, sì. Quelli che si sono dimenticati di pagarmi adeguatamente, li ho cercati, soggiogati e resi miei schiavi. O hanno conosciuto le lame dei miei pugnali.”

“Ma io non ho niente da offrirvi, in cambio.”

“Oh, come corrispettivo voglio solo qualcosa di semplice, puramente simbolico, di cui puoi fare tranquillamente a meno! Ascoltami, piccola Sigyn: il mio incantesimo avrà effetto solo e soltanto fino all’equinozio d’autunno. Se entro il tramonto dell’ultimo giorno d’estate riuscirai a scambiare col tuo uomo un bacio di vero amore, rimarrai con lui per tutta la breve vita che gli è stata accordata dalle Norne. Ti avverto, non sarà facile. Per stare con lui, dovrai essere come lui. E soffrirai. Il corpo umano è più fragile di quello con cui ti hanno benedetto le Norne. Patirai il freddo, la fame, il dolore. Trascorso questo periodo, morirai come umana. Sei disposta a fare questo per uno sguardo che potrebbe non corrisponderti, per un uomo visto solo una volta?”

“Assolutamente sì.”

L’Ase annuì. “Hai una fede incrollabile, vedo. Ma lascia che ti avverta: se non riuscirai a dare il bacio di vero amore, morirai. Diventerai la spuma del mare, il vento tra gli alberi, il riflesso della luce al tramonto. È difficile dirlo con precisione.” Inclinò il capo e mezzo volto fu avvolto dall’ombra. “O, peggio ancora, tornerai a essere una figlia degli Æsir e ti terrò con me. Allora sarai la mia schiava.”

“Come dite!?”

“Sii meno formale, piccola principessa, avanti! Questo è l’accordo che ti propongo. Come vedi, sono stato chiaro, affinché tu non possa dire che ti ho ingannata.” Dinanzi alla sua esitazione, sorrise in modo ferino. “Cosa c’è, hai improvvisamente paura di rischiare? In fondo, la vita è piena zeppa di scelte difficili. Non te l’hanno detto?”

Lei deglutì, sforzandosi di cambiare tono e registro. “Tu che ci guadagni?”

“Sei una prova che la fedeltà è inutile e l’amore romantico solo un’illusione. Inoltre, sei cara a Odino. La tua scelta lo farà soffrire. Ma, in fondo, diventare adulti significa anche questo, non ti pare? Decidere della propria vita da soli, prendersi le dovute responsabilità. È questo quello che volevi, che sognavi,” disse, sfiorando una delle ciocche della sua bella coda color dell’oro.

Sigyn fu scossa da un fremito basso, ma, di nuovo, non riuscì a indietreggiare. Loki era troppo vicino ed era riuscito a intrappolarla. Ora la guardava col suo sguardo aguzzo e feroce, regalandole un sorriso laterale, sbieco, lupesco. Sobbalzò quando sentì le dita dell’Ase scivolare sulla sua spalla, carezzarle il collo e la gola, ma sostenne il suo sguardo. Non voleva che cogliesse il turbamento e il terrore che l’avvolgeva – non riusciva a muoversi.

“E il prezzo? Che vuoi in cambio?”

Il dio degli inganni le prese il viso tra le mani e, facendolo, sfiorò le sue labbra con la punta delle dita. A quel tocco, la schiena di Sigyn vibrò, si tese, scossa da qualcosa di basso e implacabile.

“La tua voce.”

Tre parole spaventose, pronunciate con la bocca a pochissima distanza dalla sua. Era il momento di opporsi, di fuggire, di dimenticare il proposito sciocco di vivere come una donna di Midgard per un uomo che nemmeno conosceva davvero e non avrebbe ricordato chi lei fosse. Aveva fatto una scommessa rischiosa, pericolosa, basata solo su quel filo rosso in cui lei credeva con tutta la fede di cui disponeva. Loki le alzò il volto costringendola a guardarlo, lambendole le labbra con le sue, assaggiandole, gustandole, carezzandole, strappandole con feroce dolcezza un sussulto, un tremito, un sospiro – la voce e se stessa. Sigyn si ritrovò ad artigliare le sue braccia per scostarlo, ma scoprì che in realtà desiderava sorreggersi, aggrapparsi al corpo agile e nervoso dell’Ase. Maledisse il perfido e sfacciato ingannatore e lei stessa, che sottostava a quel contatto stregato. Loki la strinse a sé e la baciò ancora, fino a che lei non rispose alle sue labbra concedendogli la sua voce, precipitando in un vortice fatto di stregoneria.  Perché aveva vibrato tanto? Ancora tra le sue braccia beffarde, lo guardò confusa e tentò di parlare, ma scoprì che dalla sua gola non usciva più alcun suono. Fu allora che comprese la portata del suo errore; sentì le gambe cederle, sospirò per l’ultima volta. Poi, mentre Loki le recitava sulla bocca rune terribili, svenne e sognò di essere trascinata per i sentieri, noti a lui solo, che collegavano tra loro i vari mondi. Una cosa catturò la sua attenzione più volte, però. Il ciondolo dorato che l’Ase indossava. Riluceva appena e batteva sul suo petto ampio e largo: conteneva la voce che le aveva estorto. Lo sfiorò – lui la teneva tra le braccia – e chiuse gli occhi, di nuovo.

 

 

 

Cos’è l’amore? Sigyn tremava, stretta nel mantello di lana che un paio di donne gentili le avevano messo sulle spalle. Regalava sorrisi a tutti e provava a spiegarsi a gesti. Loki aveva mantenuto la parola, portandola fino al limitare del villaggio fortificato dove, in quanto figlio di un importante jarl[2], abitava Erik. Era esattamente come lo ricordava, nobile e bello. Vedendola, però, il capitano del drakkar non provò un improvviso moto d’amore, né la riconobbe. Non poteva, perché vittima dell’incantesimo che gli aveva cancellato la memoria quando aveva attraversato il confine tra Asgard e Midgard. Erik era cosciente che una parte della sua vita era stata spazzata via: ricordava nitidamente la tempesta, ma ogni sera, nella sala del conte suo padre, raccontava lo smarrimento provato nell’essersi ritrovato a vagare nei boschi gelidi dell’estremo nord della penisola scaldica. Lì, invece, nella penisola dello Skagen che un giorno sarebbe stata chiamata Danimarca, il clima era più mite e l’estate più tiepida. Nonostante questo, però, Sigyn, mutata in un essere umano per l’inganno o l’incanto di Loki, pativa il freddo, la fame, il sonno e la sete come mai le era capitato nella sua breve vita di Æsinna. Erik l’aveva accolta nella sua casa, conquistato dal suo aspetto grazioso e dalla triste sorte che l’aveva resa muta, ma nonostante fossero passate già alcune settimane da quando la ragazza era arrivata nella sua terra, non pareva essere mosso dallo stesso interesse nutrito per lei ad Asgard. Ogni giorno, il cuore di Sigyn si riempiva di angoscia, di tristezza e di delusione. Tutte le mattine si acconciava i capelli stando ben attenta a replicare la stessa pettinatura che il giovane aveva apprezzato prima di lasciarla. Così, la sua bella chioma color dell’oro che le scendeva sulla schiena veniva stretta in una coda fermata da un nastro. Erik le sorrideva, le diceva che era bella, le assicurava che si sarebbe preso sempre cura di lei, ma non pareva essere mosso da nessun’altro interesse. Sigyn era certa che, se avesse potuto parlare, sarebbe riuscita ad attirare di nuovo le attenzioni del giovane figlio del conte. Si erano conquistati a vicenda, raccontandosi storie e scambiandosi opinioni, in fondo. Mordendosi le labbra e soffocando le lacrime mute, prese a maledire Loki. Lui lo sapeva. Doveva aver intuito, astuto com’era, che, senza la sua voce, conquistare Eric sarebbe stato estremamente difficile.

L’ennesimo tramonto calò sul fiordo. Attorno a un fuoco, la gente ballava, festeggiava. Eric la prese per mano e la trascinò tra la folla festante. Ballarono a lungo, fino a che non girò loro la testa.

“Sei dolce e sei bella, cara Sigyn. Se solo parlassi, se solo… fossi lei,” sospirò con un sorriso mesto. “Quella che mi ha trovato e salvato. Che sto cercando ancora,” ammise, mentre un velo di tristezza gli copriva lo sguardo. “Nessuno crede alla sua esistenza, ma io la troverò, amica mia. È da qualche parte, lo so.”

Smisero di danzare ed Erik venne chiamato da uno dei suoi fratelli per dirimere una questione. In quei giorni sempre più caldi, ricopriva le veci dello jarl suo padre[3], partito su un drakkar per commerciare, e stava sostenendo il peso del comando con rettitudine e saggezza. Sigyn, sgomenta, osservò la figura del giovane allontanarsi. Non le aveva mai parlato di alcuna donna e il pensiero che lui la ricordasse, ma la confondesse con un’altra, la fece tremare.

 

“Temo che conquistarlo sarà più difficile del previsto, piccola principessa.”

La voce roca e beffarda di Loki la raggiunse come una lama. Si voltò lentamente e vide il dio degli inganni seduto su una vecchia panca. Tra le mani stringeva una rete da pesca che, verosimilmente, stava aggiustando; indossava abiti umili, dimessi, ma nemmeno il mantello logoro e gli stivali consunti che calzava riuscivano a celare del tutto il suo portamento altero, di figlio di re. Al collo, portava il ciondolo che conteneva la sua voce.

“Sei sorpresa di vedermi, Sigyn? Sto solo controllando come vanno le cose. Ammiro la mia opera,” ghignò, anticipando ogni sua obiezione.

L’Æsinna tornò a fissare la figura ormai lontana di Erik e poi, di nuovo, Loki.



[1] Il paese dove è situata Asgard.

[2] Conte vichingo.

[3] Conte vichingo.

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Capitolo 3
*** Il pugnale ***


Capitolo 3

Il pugnale

 

 

What if I'm wrong, what if I've lied

What if I've dragged you here to my own dark night

And what if I know, what if I see

There is a crack run right down the front of me

(If a be wrong, Wolf Larsen)

 

 

 

Questa è la storia di un inganno, di una bugia, di una trappola architettata con cura fin nei più piccoli particolari, di un conto in sospeso esistente tra gli dèi in un’epoca in cui questi erano ancora soliti camminare su Midgard.

Da molto tempo Odino non si mescolava più tra gli uomini, ma quando la giovane Sigyn sparì da Asgard lasciando Freya e Frigga e tutte le sue sorelle in lacrime, decise di indossare di nuovo le sue vesti stracciate, di viandante, per camminare, ancora una volta, sulle strade e i sentieri della terra degli uomini. Loki, però, gli venne incontro con passo sicuro, ostruendo il suo cammino.

“Restituiscila alla sua casa, alla tua casa,” disse Padre Tutto colpendo la terra brulla con il suo bastone nodoso, come se avesse la preziosa Gungnir tra le mani. “Questo non è il posto per lei, per voi.

Loki non s’impressionò affatto vedendo il genitore, anzi. Aspettava la sua visita da quando la figura sottile di Sigyn si era palesata alla sua soglia. Scosse la testa e sorrise, scoprendo i denti bianchi, con la stessa espressione sorniona di un grosso gatto.

“Non posso, Padre Tutto. Vorrei, ma non posso,” puntualizzò con falsa condiscendenza, allargando le braccia. Accanto al sovrano, immobile e severo, c’era anche il nobile Thor. Lo fissava con occhi torvi e preoccupati, ma rimase ugualmente in silenzio, in disparte. Da quella disputa voleva rimanere fuori. Loki gli lanciò uno sguardo fugace, brillante, senz’altro foriero di qualche trama crudele. L’ingannatore non faceva mai niente per niente e quel ciondolo che gli pendeva sul petto, esibito come un trofeo, ne era una prova, anche se non la più visibile ed evidente. Lingua d’Argento spostò di nuovo le iridi chiarissime su Odino e, lentamente, trasse dalla bandoliera, che la sua magia rendeva logora e umile, un foglio di pergamena arrotolato.

“La vostra preziosa Sigyn ha firmato con me un patto. Un regolare accordo, valido sotto tutti i punti di vista, rispettoso delle tue leggi, Padre.”

Lo sbeffeggiava. Lo provocava.

Il vecchio sovrano si avvicinò al contratto siglato e firmato da Sigyn. Strinse le labbra e lesse ogni riga e postilla, maledicendo il cuore incauto e tormentato dei giovani, che si lasciano travolgere dalle passioni, ingannare da una trappola agghindata come un aiuto.

Loki alzò il mento, continuando a sfidare il genitore. “Sapeva a cosa andava incontro,” sibilò rapido.

“Davvero?” Odino alzò il suo unico occhio, grifagno e terribile, su di lui, scuotendo la testa canuta. “Tu sei un ladro, figlio mio. Lo eri quando ti ho cacciato dalla mia casa e lo sei ora, con questa gabbia.” L’ingannatore impallidì. Sul suo volto il perenne ghigno spavaldo si spense, lasciando il posto a una smorfia irata.

“Hai preso al laccio lei, una ragazzina, quando il tuo vero e unico obiettivo sono io. Come sempre, del resto. Cos’è, questo, Loki? Una competizione, una gara? La dimostrazione che conosci i miei punti deboli, un tentativo meschino di attirare la mia attenzione?”

“Mi chiami ladro, credi che non sia capace di ottenere nulla senza ingannare, tradire, mentire. Ma questo è un valido patto, Padre. Formulato, siglato e firmato regolarmente. Credi di essere il centro dei miei pensieri, ma forse ti sbagli. Sigyn ha scelto – mi addolora che la sua decisione ti rechi tanta sofferenza – ma non l’ho costretta in alcun modo a venire da me, a chiedere il mio aiuto.”

La voce roca di Loki aveva, in sé, una punta d’ironia che il fabbricante di bugie non si stava neanche sforzando di camuffare. Era soddisfatto della piega che avevano preso gli eventi. Lo suggeriva il brillio fugace che gli illuminava gli occhi.

“Un accordo legale e leale, dici.” Padre Tutto posò la mano poderosa sulla carta vergata con la calligrafia del figlio, sulla firma rapida di Sigyn.

“Redatto a regola d’arte,” ribadì Loki. “Non puoi fare nulla. Persino il tuo seiðr è inutile, contro di me.”

“Contro il tuo patto,” puntualizzò Padre Tutto con voce secca. Era una minaccia velata? “Bada, figlio, a ciò che fai,” l’avvertì torvo.

Sigyn si palesò in quel momento. Aveva le mani gonfie e rosse a causa dei lavori domestici di cui si sobbarcava per rendersi utile; era visibilmente stanca e spossata. Della sua bellezza d’Æsinna, rimaneva l’immancabile coda lucente che tratteneva i suoi lunghi capelli color dell’oro in nome di un complimento antico, che l’aveva fatta arrossire. Era uscita dalla casa in cui dormiva – una capanna di legno, piena di spifferi, ammobiliata con qualche pelle d’animale, alcuni utensili e poco altro[1]. Il popolo di Erik viveva semplicemente in un agglomerato urbano ben lontano dallo sfarzo di Asgard e persino il figlio del conte dimorava in una casa in legno, anche se imponente e fortificata. Tutto ruotava attorno al porto che si allungava nel fiordo. Vedendo Odino si commosse e gli corse incontro; piangendo, prese le mani dell’anziano re e s’inginocchiò, nel tentativo di chiedergli perdono non per la sua fuga, ma per il dolore che aveva inferto a lui, a Frigga, a Freya e a tutte le sue sorelle. Padre Tutto la fece sollevare da terra, le accarezzò la fronte e la benedisse, ma lo fece con un tono amaro, disincantato, come se fosse in grado di vedere oltre il tempo o, semplicemente, stesse ricordando la profezia che le Norne avevano declamato quando Sigyn era venuta al mondo. Con voce atona si erano decise a proclamarla la dea della fedeltà e, sentendo tale annuncio, Odino aveva aggrottato la fronte.

“Che il tuo cuore ti mostri la via,” disse alla ragazza.

Detto ciò, riprese il suo cammino verso Asgard.

 

 

Che il tuo cuore ti mostri la via, aveva detto Padre Tutto. Ma, se è proprio lui a tradire, cosa fare? Come interpretarne i moti, se esso è bugiardo, esitante o s’infiamma al ricordo di un bacio incantato, di un abbraccio strappato? L’estate è una stagione magnifica, piena di colori, profumi, notti fresche e tiepide impreziosite da un cielo trapunto di stelle. Ogni volta che il sole s’inabissava nel mare, Sigyn si tormentava nervosa le ciocche bionde, pensando al tempo che le scorreva via tra le dita, sfuggendo al suo controllo. Lei, che era un’Æsinna con una vita lunga decine di secoli davanti, tremava al pensiero delle poche settimane che le rimanevano prima che l’autunno cacciasse definitivamente via la bella stagione. Tutto le sembrava vacuo, vano. In un certo senso, anche Erik era differente da ciò che si era sempre aspettata. Non amava più raccontarle storie ed era taciturno, sebbene sempre affabile e gentile. Le sembrava fosse perennemente con la testa altrove, impegnato com’era nella ricerca di una donna che ricordava di aver visto nei boschi vicino ad Asgard, ma che non poteva certo essere lei, perché aveva una voce melodiosa. Dov’era finito l’animo curioso e sagace che l’aveva stregata?

Colpa di Loki.

 

Le aveva infettato l’anima con le sue allusioni beffarde, il suo cinismo razionale, i ragionamenti arguti fatti il giorno in cui avevano stretto il patto e, soprattutto, dopo.

Viveva con lei, camuffato da artigiano. Con le sue belle dita abili, di mago, riparava utensili, spade, brocche; qualsiasi cosa. La sera si sedeva attorno al fuoco e pareva divertirsi immensamente nell’aggiustare ogni oggetto nato dall’ingegno umano. Era l’unica cosa di Midgard che gli piacesse e valutasse come interessante. Talvolta, se era d’umore particolarmente allegro e ben disposto[2], apportava persino qualche piccola miglioria all’arma o al manufatto.

All’inizio, Sigyn si era seduta nell’angolo più lontano della capanna con le gambe strette al petto. Non desiderava la sua compagnia. Non amava vederlo lavorare, non capiva quale gioia traesse nell’osservare i suoi fallimenti giornalieri con Erik. E poi, Lingua d’Argento era incapace di tenere per sé i commenti cattivi con cui giudicava l’intera situazione. Adorava criticare, valutare, analizzare ad alta voce, beffarsi di lei e della sua dabbenaggine. Aveva sacrificato la propria libertà per cosa? Per uno che sognava un’altra e non aveva memoria di lei. Certo, era un uomo gentile, nobile, affabile, con cui era piacevole trascorrere il tempo, ma non sapeva guardarla in altro modo che con occhi velati dall’amicizia e dalla pietà. Si sentiva in dovere di proteggerla, perché per lui non era altro che questo – una povera ragazza muta e graziosa. Nulla più.

Sigyn lo ascoltava con le ciglia umide e il mento fieramente sollevato, conscia della sua condizione, senza poter ribattere, parlare. La sua fermezza, la fede e la perseveranza che spendeva in quell’amore deciso dalle Norne erano la sua voce. Loki la guardava di sottecchi col suo sorriso sbieco che gli attraversava le labbra sottili e beffarde e, vedendo come le sue mani si erano sciupate lavorando, sentendola starnutire e tremare nonostante fosse piena estate, le rimproverava la sua scelta sciocca e irrazionale: lei era una nobile Æsinna, non una serva di Midgard. Erano gli uomini a doversi inchinare di fronte a lei, non viceversa. Ma la ragazza, quando giungevano a questo punto dell’orazione, distoglieva lo sguardo e si allontanava. Sarebbe tornata più tardi, perché il timbro roco del dio degli inganni aveva in sé qualcosa di stregato. Starlo a sentire, a volte, era piacevole e la calmava, facendole dimenticare quanto il tempo scorresse velocemente.

 

Fu mentre aggiustava un arco che Loki le concesse di rispondere alle sue battute. Aveva la sua voce sempre appesa al collo, del resto, chiusa nel ciondolo. Di fronte al suo muto stupore, stese le labbra in una smorfia perfida.

“Me l’hai stupidamente ceduta per essere un’umana. È mia, ne dispongo come voglio.”

Sigyn rimase colpita da quell’inaspettata novità. Comprese che il dio degli inganni aveva iniziato ad annoiarsi e desiderava parlare, litigare, scontrarsi con qualcuno che poteva ribattere punto per punto alle sue considerazioni, per non intavolare sempre e solo un discorso a senso unico.

“Adesso riesco a parlare,” mormorò, nonostante le bruciasse la gola.

“Solo qui. Solo con me,” puntualizzò lui. “Ora ti penti della tua scelta irrazionale?”

“L’ho fatto per amore, solo per amore,” ricordò fiera, alzandosi in piedi e stringendo i pugni.

Loki inclinò il capo da un lato, come per squadrarla meglio. “E sei ancora così innamorata di lui? Anche ora che lo conosci meglio? Lo rifaresti? La notte, dimmi, lo sogni?”

Fu come se l’avesse colpita in pieno viso con uno schiaffo. Sigyn impallidì e, nonostante avesse una momentanea occasione per replicare al figlio ribelle di Odino, non trovò la risposta adeguata da assestargli. Scosse la testa con sdegno e si allontanò in fretta, preferendo rifiutare immediatamente quel dono crudele, concessole da Lingua d’Argento unicamente per avere un’occasione in più per ferirla.

 

 

Le sere estive erano dolci, ma brevi. L’alba arrivava in fretta portando con sé sole e calore – un nuovo giorno che trascorreva, uno in meno da passare al fianco di Erik e del suo sorriso gentile, del suo abbraccio affettuoso e fraterno, ma non intenso come avrebbe dovuto essere.  

Che il tuo cuore ti mostri la via, le aveva detto Padre Tutto, ma quel pezzo di sé la ingannava, accelerando il battito con chi non doveva, calmandosi, invece, di fianco all’uomo per cui aveva sacrificato ogni cosa e che non riconosceva, per le Norne!

Sigyn e il figlio del conte avevano trascorso insieme pomeriggi e mattinate intere e lui si era aperto con lei come con nessuna, confidandole desideri e sogni, progetti e idee. Continuava a ritenerla un’amica fedele – la più fedele che avesse mai avuto – perché la menomazione che l’affliggeva rendeva ogni discorso sicuro. Sigyn ascoltava, annuiva, sorrideva e cercava di farsi capire con gesti e sguardi, ma quegli incontri, dopo un iniziale entusiasmo, la lasciavano semplicemente sgomenta. In Erik, nel suo sguardo celeste come il cielo mattutino, non riusciva più a ritrovare il guizzo sagace che aveva scorto sulla spiaggia proibita di Asgard, dove l’aveva salvato e medicato. Forse la terribile esperienza del naufragio e il passaggio tra un mondo e l’altro lo avevano cambiato. Loki, con il consueto disinteresse, aveva ipotizzato che una cosa del genere poteva essere plausibile, sì, ma mentiva palesemente. Era stato sincero, invece, quando le aveva spiegato il motivo della sua sfiancante e sempre maggiore debolezza.

 

La sera prima, come sempre, avevano parlato e litigato e lei era si era infervorata, appassionandosi a un discorso, a una teoria. A un tratto, però, la testa aveva preso a girarle vorticosamente, la vista le si era appannata e ogni cosa si era fatta grigia e sfocata. Lui era balzato in piedi lesto e le aveva impedito di cadere, sorreggendo il suo corpo esile, provato da una stanchezza ingiustificabile.

“Tu non possiedi il seiðr come me, come Odino. Il tuo spirito di Æsinna brucia e corrompe questo fisico debole, di donna umana,” le aveva sussurrato all’orecchio, senza smettere di tenerla tra le braccia. “Lo consuma. Ma era l’unico modo, per vivere qui, con questa gente cieca e stolta.”

“Persone che tu aiuti,” aveva boccheggiato Sigyn, aggrappandosi al suo braccio – e allora il suo cuore le era parso più leggero, il respiro si era fatto corto.

La tormentava una figura che non voleva chiamare per nome, con un paio di occhi brillanti e chiari.

Loki di Asgard aveva avvicinato le labbra alla sua guancia tanto da sfiorarla. “Gente che tu dici di amare al punto da sacrificare te stessa.” Era un’accusa.

Sigyn sbatté le palpebre, aggrappandosi alle spalle larghe dell’ingannatore. “Uno solo.”

“Sicura?”

Chi sognava lei, di notte?

 

 

Che il tuo cuore ti mostri la via, le aveva mormorato Padre Tutto, ma a Sigyn sembrava che il suo petto battesse al ritmo della più totale confusione. Nel dio degli inganni c’era spesso qualcosa di simile al guizzo sagace che cercava in Erik e anche di più. Uno sprazzo vitale al tempo stesso giocoso e profondo, luminoso e oscuro, irriverente e cortese, caotico e puntuale. La vedeva soffrire, struggersi per un amore non corrisposto e, per tutta risposta, raccontava, parlava e litigava con lei finché l’amarezza non scivolava via dal suo spirito e il sonno la cullava nel suo dolce oblio. In quei momenti, ritrovava all’improvviso il brivido che l’aveva fatta fremere tra le braccia del più bugiardo tra gli dèi. Non era altro che un cedimento naturale e comprensibile, scontato, provato dalla ragazza nei confronti dell’unica persona che, su Midgard, era a conoscenza di ogni risvolto del patto stretto. Questa era la spiegazione che Sigyn si dava. E poi, Loki non la consolava affatto. Tentava di piegarla, di dimostrarle che lui aveva ragione e lei si era illusa, confondendo una simpatia o un’infatuazione per un vincolo scarlatto tanto potente da unire le anime persino dopo la morte. Voleva vincere e aveva scommesso sulla sua sconfitta, per il gusto e il piacere di osservare la sua disfatta dalla prima fila. Del resto, si era persino abbassato a riparare le zappe, le spade e le pentole di un misero villaggio umano, pur di godersi appieno il momento della sua vittoria.

  

 

“Mi sposo, cara Sigyn. L’ho ritrovata. La donna che mi salvò mentre vagavo nel bosco. È lei. Si chiama Aslaug ed è la figlia di un grande jarl[3].”

La ragazza per poco non cadde, sentendo un simile annuncio. Le giornate si stavano facendo sempre più brevi e frizzanti, come l’aria di quella sera. Più l’equinozio si avvicinava, più il suo corpo si faceva debole e perdeva forza e resistenza. Senza l’amore del giovane figlio del conte, sarebbe morta come umana, tornando a essere un’Æsinna. E poi?  Il destino sancito dal patto stretto con Loki avrebbe avuto il suo compimento: sarebbe stata sua, per sempre vincolata a quel principe doppio e infido – al suo sorriso saputo e sferzante, alle sue labbra bugiarde che, talvolta, la sfioravano. Un brivido, rapido e profondo, la scosse: un misto oscuro di terrore, curiosità e qualcos’altro d’indefinibile e potente le serrò il respiro. Sentì nuovamente la testa girarle, la vista appannarsi. Fu Erik a sostenerla, stavolta, ma il suo cuore non rispose come avrebbe dovuto; provò nostalgia per un altro tocco, invece; uno proibito, estraneo e familiare a un tempo.

“Sei pallida. Stai bene?” Erik le prese le mani e si spaventò, perché le trovò eccessivamente fredde.

Lei annuì. Odino le aveva detto di seguire il proprio istinto, ma, di fronte alla confessione del midgardiano, Sigyn scoprì un dolore annichilente e sordo. Si era illusa. Gli aveva sacrificato ogni cosa e in mano, ora, non aveva nulla, se non una manciata di sabbia. A cosa era servito rinunciare a se stessa? Era rimasta vittima di un’illusione.

Loki aveva ragione.

 

Aslaug era bella. I suoi capelli erano ricci e rossi, gli occhi avevano una delicata sfumatura color foglia, ma non le assomigliava affatto. Raccontò con molti particolari di come avesse trovato Erik al limitare di una foresta, confuso e delirante, per poi parlare di una lunga febbre che lo aveva costretto a letto per giorni e di certi cacciatori che lo avevano portato via da lei e dalle sue cure, separandoli. Per fortuna, però, alla fine si erano rincontrati. Nel pronunciare tali parole, sorrise e intrecciò le dita con quelle del suo promesso sposo.

Sigyn li osservò a lungo. Loki era poco distante di lei, come sempre: un’ombra scura e beffarda che era in ogni luogo e in tutti. In quel preciso istante, ignorava totalmente la giovane coppia appena formatasi che sanciva, inevitabilmente, la sua vittoria. Indossava un mantello che gli copriva quasi del tutto il capo e, con un corno colmo di idromele in mano, raccontava qualche mito o leggenda di Asgard. Talvolta faceva così: si mescolava ai midgardiani quel tanto che bastava per affascinarli con i suoi racconti, facendoli sognare con storie di tesori e di draghi che avevano per protagonisti gli dèi di Asgard o guerrieri intrepidi e valorosi. Aslaug ed Erik si amavano. Lei possedeva una voce bassa e melodiosa e lui la fissava come se si trovasse davanti a una stella del cielo o a un’Æsinna. Sigyn, di fronte a questo pensiero, sorrise mesta e giocò con le punte dorate della sua bella acconciatura; cosa c’era tra lei ed Erik? Per lui aveva rischiato tutto e adesso l’intrepido navigante, al posto suo, guardava un’altra.

Aveva provato ad affascinarlo, a sedurlo, a rammentargli in ogni modo la spiaggia lontana del loro primo incontro, ma tutto era stato vano e, ormai, l’ultimo tramonto d’estate si avvicinava inesorabile. Cosa avrebbe dovuto fare, nella manciata di giorni che la separavano da quel momento? La data fatale coincideva, per un crudele scherzo del destino e delle Norne beffarde, al giorno delle nozze del figlio del conte.

Sigyn ne osservò il profilo regolare e virile, ascoltando per l’ennesima volta la storia del naufragio e della tempesta improvvisa e di come il drakkar dalla punta snella, su cui viaggiava assieme al suo intrepido e sfortunato equipaggio, si fosse spinto fino all’estremo nord, evitando agilmente scogli letali. Abbassando gli occhi e carezzando la mano della bella Aslaug, Erik rimpianse i compagni coraggiosi e, in particolare, l’abilità di uno di loro, esperto di rotte, tragicamente morto assieme agli altri. Ma dal male e dalla sventura, talvolta, nasceva il bene e l’uomo fu costretto ad ammettere che, senza quella disgrazia, non avrebbe mai incontrato la sua futura moglie. Il racconto fu tanto appassionato che persino Loki lo ascoltò in silenzio, con severa attenzione.

 

 

Odino aveva detto a Sigyn che avrebbe dovuto seguire il suo cuore, ma la ragazza era ormai convinta che nemmeno lui sapesse dove andare. Si sentiva smarrita, sgomenta, persa. Vedere Erik assieme ad Aslaug era stato terribile, ma gli sguardi che la coppia si era lanciata, i baci scambiati con dolcezza, avevano fatto capire a Sigyn che, nonostante il suo triste destino, non sarebbe stata capace di dividerli o di separarli. Non era nella sua natura farlo e, in fondo al suo petto, sentiva che non era nemmeno ciò che desiderava davvero. Avrebbe condannato un’altra al suo dolore, posto che, in qualche modo, nel giro di pochi giorni Erik s’innamorasse di lei come non aveva mai fatto durante tutte quelle settimane. Mordendosi le labbra e soffocando le lacrime, si era resa conto di essere rimasta vittima della peggiore delle illusioni: aveva creduto di essere innamorata di lui, quando invece non provava altro che una tenera amicizia. Si era infatuata del figlio del conte vinta dal suo aspetto o perché, salvandolo sulla spiaggia bianca di Asgard, aveva creduto di precipitare in una fiaba bella come quelle che raccontava alle sue sorelle. Dopo aver passato tanto tempo in sua compagnia, però, il sentimento che provava nei suoi confronti si era fatto sempre più tiepido e fraterno. Erik e Aslaug, decise, dovevano essere felici. Lei sarebbe rimasta in disparte, come quella sera – e non poteva fare altro, del resto, perché il cuore del figlio dello jarl non le era mai appartenuto.

Ecco perché il peso del patto che la tratteneva su Midgard fino alla fine dell’estate le sembrò, quella sera più di tutte, terribilmente amaro. Le sofferenze che aveva patito presso gli uomini e le lacrime inghiottite con orgoglio non erano servite a nulla. L’amore non esisteva e lei stessa si era ingannata circa la sua esistenza. Le Norne ridevano di lei e non avevano intrecciato nessun filo rosso con quello del giovane incontrato sulla battigia. Loki Laufeyson era solo stato terribilmente sincero – in fondo, lì sta l’abilità di colui che inganna: nel confondere, mescolando assieme, l’una con l’altra, menzogne e verità.

La giovane Æsinna si lasciò cadere sulla sabbia umida. La spuma del mare le lambì dolcemente la gonna di tessuto grezzo e robusto che indossava. Pensò alla sua casa, ad Asgard: al magnifico palazzo di Fensalir dove Frigga, amorevole come una madre, le insegnava i segreti di erbe e piante, alle sue sorelle che avevano tentato di spiegarle che Midgard non era sinonimo di felicità. Avrebbe voluto gridare, ma aveva ceduto la sua voce a Loki per inseguire un sogno. E lui l’aveva avvertita.

Cosa sarebbe successo quando, al tramonto dell’ultimo giorno dell’estate, avrebbe dovuto pagare al dio degli inganni il prezzo promesso in caso di fallimento? L’Ase era stato vago, ventilando, tra le varie possibilità, che lei rimanesse presso di lui, come una proprietà. Il pensiero di dover trascorrere la sua esistenza col dio degli inganni, come sua schiava, era qualcosa che aveva vissuto spesso nei suoi sogni, in quelle ultime settimane. Incubi strani da cui si risvegliava spaventata, confusa, infuriata. Rabbrividì, offesa e turbata anche solo dal pensiero di dover trascorrere la sua esistenza accanto all’Ase. Loki era crudele e lei lo sapeva. Al guizzo brillante dei suoi occhi quasi trasparenti, all’intelligenza spiccata e all’arguzia, occorreva accostare altro – il caos e il rancore che gli mordevano lo spirito, il bisogno di ferire chi aveva accanto con la sua lingua affilata, la naturale propensione a ingannare e a tradire che l’avevano allontanato da Odino. Era il suo trofeo e si sarebbe stancato della sua presenza fin troppo presto, dimenticandola per dedicarsi ad altri progetti, vendette, trame. E allora, decise, meglio essere la spuma del mare o il riflesso dorato del sole al tramonto.

 

Un paio di stivali di pelle si avvicinarono a lei con passi rapidi, decisi. Sigyn osservò, alla luce della luna, le onde lambirne appena le punte logore solo all’apparenza. Lo aveva riconosciuto e sapeva anche perché fosse lì. Desiderava compiacersi ancora una volta delle sue disgrazie.

Se non avesse barattato la propria voce in cambio della possibilità di inseguire un amore che si era rivelato vano, lo avrebbe cacciato, perché non aveva affatto bisogno delle sue considerazioni perfide. Si tirò su, rifiutando sdegnosa la mano che l’Ase le tendeva – era falsamente cortese, nient’altro – e lo guardò dall’alto in basso, fiera com’era sempre stata, tentando di cancellare il resto. Nel giro di una manciata di giorni, forse sarebbe diventata la sua schiava, un giocattolo da dimenticare, ma, fino ad allora, era e sarebbe rimasta Sigyn. Fino alla fine.

Alla luce della luna, il volto di Loki pareva ancora più affilato. Un vento marino pungente s’infilava tra le pieghe del suo mantello, nelle ciocche scure che gli ricadevano sulle spalle.

“Ho vinto. La sposerà e non potrai fare niente per fermarlo,” annunciò sicuro. “Forse nemmeno lo vuoi,” decise. “Non lo ami, in fondo, come lui non ama te. Ti sei accorta di aver inseguito per tutto questo tempo una chimera, il fantasma di qualcuno che non esiste. Avevo ragione. Nessuno dei due è stato capace di vedere oltre all’apparenza, mia piccola, dolce Sigyn. Ti trovava carina, ma non abbastanza da amarti, da innamorarsi.”

Che vuoi, ancora, da me? Sigyn non poteva parlare, non aveva voce, ma fissò Loki a testa alta, con quella domanda muta negli occhi.

“Ho vinto,” ripeté l’ingannatore. “È stato facile. Non basta un bel viso, per poter rubare un cuore, ma la voce forse sì, era indispensabile.”

Una lacrima orgogliosa rigò la guancia di Sigyn, scendendo calda sulla sua pelle. Nel buio della spiaggia notturna, Loki levò un braccio e le sfiorò la gola con la punta delle dita e poi salì all’altezza delle labbra, restituendole momentaneamente ciò che le aveva sottratto – che la sventurata Æsinna aveva barattato in cambio di una possibilità. Un brivido basso e violento la scosse a quel contatto inaspettato. Ecco l’ombra che abitava i suoi incubi, di notte.

“Sei soddisfatto? Mi hai privata di ciò di cui avevo più bisogno. E lo sapevi.”

L’Ase increspò le labbra in un ghigno soddisfatto. “La soddisfazione non è nella mia natura, temo. Ho vinto. Te l’ho dimostrato. Ti ho sottratta a Odino nella maniera più legale possibile, dimostrandogli che non mi serve rubare ciò che gli appartiene.” Fece una lunga pausa, come se volesse scegliere le parole più adatte, sfiorandole di nuovo il viso con una carezza leggera che la fece sussultare – l’ennesima.

Sigyn sbatté le ciglia nere, mentre un pensiero nuovo e terribile si affacciava nella sua testa: com’era stata ingenua! Il dio degli inganni l’aveva usata per fare un torto a Odino, promettendole un aiuto che si era rivelato una trappola. Si morse le labbra che lui aveva appena accarezzato, quasi volesse scacciare ogni prova esistente di quel tocco – o, viceversa, per via di qualche oscuro incantesimo che l’irretiva, ritrovarne il sapore.

“Ecco perché ti propongo una via d’uscita onorevole, Sigyn,” proseguì Loki, implacabile e fiero come sempre. “Tra tre giorni il tuo tempo su Midgard si esaurirà, ma io ho già vinto.”

“Vuoi rompere il nostro patto? Propormi qualche altro inganno?”

L’Ase assottigliò le palpebre. “Nessun inganno. Tu sapevi, tu hai scelto.”

“Lo so.”

“Ma lui deve pagare per il tuo dolore,” le suggerì, facendole scivolare tra le dita un pugnale intarsiato. Sigyn saggiò il peso di quell’arma affilata. L’elsa era decorata con le insegne dell’ingannatore in persona ed era stata forgiata, come la lama scintillante, dai Nani fabbricanti di gioielli[4]. “Bagnalo col sangue dell’uomo che ami, per cui hai sacrificato ogni cosa: considererò il tuo debito saldato. Prima che il sole tramonti sull’ultimo giorno dell’estate, colpiscilo, rendi rosso l’acciaio. Sarai libera di tornare dalle tue sorelle, a Fensalir.”

Alla luce della luna, Sigyn guardò il coltello che Loki le aveva dato e pensò alla perduta Asgard, alla famiglia che piangeva la sua triste sorte, a Erik e ad Aslaug, alle parole di Odino.

“Non posso, non riesco,” boccheggiò. “Perché lo fai?”

Loki le rivolse un’occhiata torva. “Te l’ho detto. È stata una vittoria facile.”

“Non ti credo. Cosa vuoi dimostrare?”

“Dillo tu a me.”

“Che l’amore è un inganno e non l’ho mai amato,” ammise. “E, per liberarmi, io che l’ho salvato e mi sono scontrata persino con Padre Tutto, arriverei persino a ucciderlo.”

“Brava ragazza. L’alternativa, del resto, è smarrirti per l’eternità o diventare mia schiava,” le rammentò tetro, piegando le labbra in un sorriso laterale e crudele.

 

 

C’è un momento in cui non è più giorno e non è ancora sera e la luce e le tenebre si confondono tra loro. Il sole aveva quasi smesso di rosseggiare e si stava definitivamente inabissando nel mare, le stelle ancora non si erano affacciate nel cielo. Sigyn camminava sulla spiaggia di Midgard. Tra le mani, stringeva il pugnale che Loki le aveva dato. Non era riuscita a usarlo e l’estate era finita. Nel giro di una manciata di minuti, il suo destino si sarebbe compiuto.

Anche Loki osservava l’ultimo tramonto concesso a Sigyn. Aveva ripreso il suo consueto aspetto principesco e fiero e teneva le mani incrociate dietro la schiena. Attese che la ragazza si avvicinasse, colse il baluginìo della lama tra le sue dita.

“Avresti dovuto seguire il mio consiglio,” l’apostrofò severo. Le melodie allegre che accompagnavano la festa per le nozze di Aslaug ed Erik giungevano fino alla spiaggia isolata, ma c’era, in loro, una tristezza sottesa, nascosta, pari solo al dolore che affliggeva il cuore spezzato di Sigyn. Eppure, nonostante avesse perso ogni cosa, i suoi occhi grigi grandi e rotondi scintillavano carichi di una fierezza e di una forza che Loki non comprese. Le poggiò una mano sul collo e la ragazza, come sempre, s’inarcò, tendendosi, come se volesse offrirsi a lui. Le dita dell’Ase indugiarono sulla pelle calda e morbida della ragazza; scesero appena a lambirle le scapole e le spalle, in un contatto non necessario, ma, in quel momento bramato.

“Hai vinto. Pagherò per le mie scelte,” boccheggiò Sigyn.

Il dio degli inganni avvertì la punta del pugnale premergli sul fianco. Ghignò, sentendo l’acciaio a contatto con la corazza di pelle intrecciata. “Avresti dovuto infilzare Erik, con questo,” notò.

La ragazza scosse il capo. “L’uomo che amo sei tu.”

Loki di Asgard s’irrigidì, sorpreso da quell’ammissione, ma non mutò atteggiamento. “Allora, se verserai il mio sangue, stupenda principessa, sarai libera,” suggerì, sardonico e crudele.

“Cercavo, in Erik, qualcosa che lui non possedeva. Ma l’ho ritrovato in te,” spiegò l’Æsinna con la sua voce recuperata. “E ciò che sento nel mio cuore, che ho tentato di soffocare, esiste perché è stato alimentato dai nostri discorsi, litigi, racconti. La seduzione vera, l’innamoramento, riguarda l’anima, non l’aspetto. L’ho capito tardi. L’uomo che amo sei tu, Loki, ma non posso usare su di te questa lama.” Dalle ciglia le scese una lacrima, una sola. “E tu, tu non mi darai un bacio di vero amore prima del tramonto.”

“No,” confermò il dio degli inganni. “Non lo farò. E il tuo tempo è già finito.”

Sigyn guardò il mare e il cielo e perse le forze. La lama le scivolò di mano e cadde sulla sabbia. Barcollò e l’ingannatore, di nuovo, la sostenne, la prese tra le braccia.

“Quando mi hai tolto la voce, tu mi hai baciata…” rifletté.

“Eri infatuata di un’ombra. Non avrebbe avuto effetto.”

“Della tua?” Era una domanda, una speranza, un sospetto concretizzatosi quando ormai il giorno si era esaurito e la notte era scesa su di loro. Il corpo mortale di Sigyn soffriva e il suo sguardo, grigio e febbricitante, cercava solo una conferma.

Che gusto c’è a ingannare, se poi non si può svelare la propria trama? Questa è la storia di come il dio dell’inganno riuscì a raggirare gli dèi di Asgard grazie a uno dei suoi molti, perfidi, imbrogli. Sa di salsedine e vento, il racconto. “Erik partì con un equipaggio di nove uomini. Uno di loro era un esperto di rotte. Lui li condusse ad Asgard, attraverso una rotta nota a lui solo. Il drakkar naufragò a causa di una tempesta. In otto morirono. Due si salvarono.”

“Eri tu.” Sigyn chiuse gli occhi. Pensò al giorno in cui era andata a chiedere aiuto all’ingannatore e alle mappe che aveva scorto nel suo studio. “Perché?”

“Odino mi ha bandito dalla sua casa, ma Frigga non ha fatto lo stesso con Fensalir. Nel suo palazzo, sono un ospite gradito, nonostante tutto. Ti ho sentita raccontare molte delle mie storie. Eri brava. Sottrarti ai tuoi cari sarebbe stato interessante. Il resto, credo che tu l’abbia capito: Padre Tutto e io avevamo un conto in sospeso – dice, di me, che sono un bugiardo e un ladro. Posso tollerare la prima affermazione,” ammise con un ghigno, “ma la seconda no. È un’accusa indegna.”

“Sei sempre stato tu,” mormorò Sigyn. “La mia voce ti appartiene perché tu l’hai saputa e la sai ancora ascoltare. Ecco perché hai vinto, ma sei stato crudele,” disse. “Hai vinto, ma l’amore esiste, Loki. Lo sai anche tu.” Poi, perse i sensi e sognò di essere la spuma del mare o uno spirito dell’aria. La notte, ormai, era scesa su Midgard.

 

 

 

Ogni sera, al tramonto, Sigyn s’incantava a osservare il sole che s’inabissava nel mare, le onde che si infrangevano implacabili, col loro moto perenne, sulla scogliera che proteggeva il fiordo di Asgard. Il palazzo del dio degli inganni aveva una vista magnifica, tale da smuoverle il cuore. Respirò l’aria marittima, pungente e fresca, sorridendo alla massa azzurra che si tingeva di blu e d’argento. Al petto, le scintillava un ciondolo dorato e lucente.

 “Sei di nuovo qui.” La frase di Loki la raggiunse dall’interno della stanza. Si voltò nella sua direzione. Era poggiato contro lo stipite della porta e la corazza di pelle intrecciata era slacciata, lasciando intravedere il torace tonico e scolpito. Le si avvicinò e anche lei gli andò incontro.

Non c’era modo di spezzare il vincolo che la univa al dio degli inganni. Nemmeno Odino in persona, con tutta la sua sapienza, poteva riuscire a sciogliere i nodi di un patto così vincolante e ben strutturato in ogni sua parte; l’inganno perpetrato da Loki alla base non lo inficiava abbastanza.

Le cinse la vita, l’attirò a sé, carezzandole i capelli color dell’oro, le cercò le labbra strappandole un bacio sfacciato, avido, intenso, profondo. Una spallina dell’abito sottile scese, scoprendole la pelle e parte del seno.

“Cosa sono diventata, Loki? Il trofeo che sfoggi con Odino, la tua schiava preferita?” mormorò Sigyn, mentre l’Ase posava le labbra sottili e beffarde sulla pelle appena scoperta. “Avresti voluto baciarmi, su quella spiaggia. Ma dovevi vincere, non è vero?”

Chiuse gli occhi, buttò indietro la testa offrendogli il collo. Gli apparteneva. Aveva siglato un contratto col proprio sangue, consapevole delle clausole terribili che vi erano scritte. Le loro anime erano legate dal filo rosso delle Norne.

Loki l’afferrò per i fianchi e la sollevò, deponendola, senza troppa grazia, sul letto poco distante; fu subito sopra di lei per imprigionarle le braccia, continuare a baciarla, slacciarsi i pantaloni. Farla sua. “L’amore non esiste,” le ricordò. “Non sarebbe servito.”

Lei vibrò e si tese di fronte a quell’intrusione improvvisa e desiderata. Boccheggiò stupita, tentando di liberare almeno una mano per afferrare i capelli scuri del mago, stringerli tra le dita, carezzarli mentre il suo corpo rispondeva agli affondi decisi del dio degli inganni.

 Il vincolo non prevedeva esplicitamente anche questo, ma era successo e continuava a capitare. Entrambi non potevano farne a meno. Perse il controllo – era passato, ormai, il tempo in cui cercava fieramente di contenersi, di frenarsi, di non fargli sentire quanto le piacesse far l’amore con lui. Loki la raggiunse pochi istanti dopo, incapace di trattenersi oltre, per poi rilassare i muscoli ancora tesi su di lei, calmare il respiro rotto.

“Tu mi ami,” mormorò Sigyn. “Sei un bugiardo, un impostore.”

Lo aveva capito quando lui l’aveva raggiunta sulla spiaggia, mentre lei, distrutta dal dolore e col suo pugnale ancora tra le dita, singhiozzava, i piedi bagnati dalla spuma del mare.

“Tu sei mia. Per contratto, sei mia. E lo sarai per sempre,” puntualizzò Loki con voce feroce.

L’Æsinna sorrise. “Anche tu.”

 

 

The night expands, I am expanding

I watch your hands like butterflies landing

All among the myths and the legends we create

And all the laughing stories we tell our friends

Close the windows, clear up the mess

It's getting late

It's darker and closer to the end

(Push the sky away, Nick Cave and the Bad Seeds)

 

 

 

Fine

 

 

 

Note Autore

Caro Lettore,

Ebbene sì: “Prima che il sole tramonti” è una rivisitazione in chiave norrena della bellissima fiaba de La Sirenetta. Si tratta di una storia che ho scritto per il contest “Villains against Heroes” indetto sul forum di Efp. La particolarità del pacchetto che ho scelto sta nel fatto che, alla fine, dovevano vincere i cattivi, cioè Ursula/Loki. Solo che questa è una Loki/Sigyn e Loki, come sappiamo, ama sbancare. Si è preso una rivincita con Odino, con Sigyn e, alla fine, si è preso pure Sigyn stessa. Come Ursula, ha giocato sporco, prendendo, all’inizio della storia, il posto del vero Erik, per poi lasciare che Sigyn lo salvasse.

Quattro erano gli elementi che dovevo utilizzare da regolamento: la storia è ambientata per metà su Midgard, precisamente in Danimarca; come nella versione Disney, Loki rinchiude la voce di Sigyn all’interno di un ciondolo – che usa a suo piacimento, concedendo, talvolta, alla ragazza di poter parlare. Nel testo sono presenti alcune battute del corpus MCU (in particolare le battute di Loki in Thor: The dark world) e quelle di Ursula del classico film Disney, tra cui il “forse potrei aiutarti” richiesto. La coda di Sigyn non è di pesce (sarebbe stato un dettaglio inutile, qui) ma è un’acconciatura di capelli, visto che nel mio canone una delle caratteristiche del personaggio è di avere una bellissima capigliatura dorata (del resto è una dea vichinga).

L’estate invece è il periodo in cui è ambientata tutta l'azione.

La mia versione è un mix tra quella Disney e l’originale di Andersen: ecco dunque che ricompare il pugnale presente nella fiaba danese e il concetto della fiaba stessa. Scusate lo spiegone, ma tra le varie letture che è possibile fare di questa fiaba non facile (ha diversi archetipi dietro) c’è quello che concerne la voce. È l’unico elemento dissonante della mia versione (Loki concede a Sigyn la possibilità di rispondergli). Il messaggio è che Erik non si può innamorare di Sigyn perché non può ragionarci insieme. Per amare davvero qualcuno, occorre conoscerlo, parlarci, confrontarcisi. Un bell’aspetto non basta. Ecco perché Loki ha bisogno di discorrere con Sigyn.

Se la storia vi ha colpito, utilizzate le liste: farete felice un’Autrice ♥ (Fa anche rima). La Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure per poter spandere i suoi glitter!

Per ulteriori info e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina Facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss

Grazie per essere arrivati fin qui.

Dedicato a chi mi ha sopportata e a chi l’amerà.

Shilyss



[1] Il villaggio danese di Erik in cui Sigyn e Loki vivono ricalca quelli visti nella serie TV Vikings. 

[2] Ho scelto la grafia divisa, ma è corretta anche quella unita, così come espresso nei principali dizionari.

[3] Aslaug è un tipico nome norreno. Consideratelo un omaggio alla serie TV Vikings.

[4] “Nani fabbricanti di gioielli” è una formula ricorrente nell’Edda che indica, appunto, le abilità dei Nani.

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