Prima che il sole tramonti di shilyss (/viewuser.php?uid=21848)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'era una volta un drakkar ***
Capitolo 2: *** Il patto ***
Capitolo 3: *** Il pugnale ***
Capitolo 1 *** C'era una volta un drakkar ***
Prima che il
sole tramonti
[…]
Noi abbiamo una
stessa
voce, una stessa
pena
e viviamo
affrontati
sotto povero
cielo.
(Cesare Pavese,
19-20 novembre ‘45)
“So
perché sei qui!” disse la strega del mare,
“ma è insensato, da parte
tua!
Tuttavia mi
piegherò al tuo desiderio poiché ciò
ti porterà sventura, o
mia principessa stupenda.”
(La Sirenetta,
da “Fiabe”, Hans Christian Andersen, ed. Einaudi)
Capitolo 1
C’era
una volta un drakkar
Questa
è la storia di come il dio dell’inganno
riuscì a raggirare gli dèi di Asgard
grazie a uno dei suoi molti, crudeli, intrighi. Sa di salsedine e
vento, il
racconto. Odora di mare e di spiagge baciate da un sole che non
tramonta né
svanisce per giorni, settimane, stagioni intere. Si dice che chi voglia
narrare
quanto avvenne, debba prima raggiungere una spiaggia e lasciarsi
bagnare dalla
spuma del mare. In fondo, lei è una delle protagoniste di
questa vicenda
antica.
C’era
una volta e c’è ancora, una penisola che
s’insinua come un artiglio nel Mar
Baltico: la sua punta più estrema, lo Skagen, guarda verso
la Scandinavia,
terra di Giganti e di dèi, dove il sole svanisce sei mesi
all’anno e l’inverno è
così rigido che la neve ricopre ogni cosa per mesi. Tra i
suoi fiordi settentrionali
più estremi e incantevoli, un tempo si diceva che sorgesse
anche la magnifica
Asgard, la dimora di Odino e degli Æsir, in tutto il suo
splendore. Ma di
questo, i vichinghi, che un giorno si sarebbero chiamati danesi, non
erano davvero
certi. Raramente si erano spinti tanto a nord, sebbene fossero
profondamente
devoti ai loro dèi guerrieri, fieri e orgogliosi. Dalla
spiaggia più estrema
dello Skagen partì, un’estate, un drakkar dalla
punta snella, agile e veloce.
Il suo scopo era raggiungere le terre fertili oltre il mare e trovare
abbastanza mercanzie e schiavi da poter commerciare a oriente e a
meridione, ma
una forte tempesta causata dal dio del tuono, certamente impegnato a
combattere
i giganti e i troll, fece sì che la nave si smarrisse,
perdendo la rotta.
Su
quell’imbarcazione svelta, viaggiava un uomo. Alcuni
sostengono che costui non
volesse solo mercanteggiare e razziare le più fertili coste
della vicina Gran
Bretagna, allora retta da tanti piccoli re che si facevano la guerra
tra loro;
armato di coraggio, di un particolare spirito
d’intraprendenza e del consiglio
di un navigante assai esperto, desiderava scoprire le coste a
settentrione,
inoltrandosi tra i fiordi d’inimmaginabile bellezza, spesso
avvolti da nebbie
invalicabili, forse frutto d’incantesimi potenti. Cercava la
ricca Asgard e voleva
osservarla con i propri occhi di uomo mortale per riportare, nella
terra da cui
proveniva, quelle che si dicevano fossero le abilità
particolari dei suoi
abitanti. I signori di Asgard, che dimoravano nelle zone più
estreme della
selvaggia penisola, conoscevano taluni segreti utili per affrontare le
tempeste
e orientarsi in mare anche nelle notti più buie, potevano
pescare a volontà,
cacciare anche le prede più difficili e possedevano armi
potenti – reliquie
d’inimmaginabile valore – capaci di non spezzarsi
nemmeno se usate per
combattere i Troll e gli Jotnar.
Così,
scelse di violare ogni vincolo precedentemente stabilito tra gli uomini
e gli
Æsir e di viaggiare alla scoperta dell’ignoto.
Oltre all’esperto di rotte, prese
con sé altri otto uomini e partì con un drakkar
robusto e veloce. Odino e la
sua gente, però, non erano inclini a perdonare coloro che
osavano venire meno
ai patti stabiliti fin dalla notte dei tempi: erano orgogliosi e fieri
e non
desideravano in alcun modo mescolarsi alla schiatta dei midgardiani.
Ogni tanto, alcuni di loro vagavano per le terre abitate dagli uomini.
Camuffandosi sotto mentite spoglie attraversavano villaggi e foreste,
oppure
s’imbarcavano sui loro drakkar da guerra, spacciandosi per
vagabondi o poeti,
spinti dalla curiosità e dalla noia, forse.
Circolavano molte leggende
su questi incontri, tanto che quando Erik, dopo il naufragio occorso,
si risvegliò
stanco e stracciato nel folto di una foresta non ricordando
assolutamente nulla
di come fosse finito lì, boccheggiante e inaspettatamente
vivo, credette
davvero di essere stato salvato da una fata dei boschi o da
un’Æsinna e di aver
visitato, in qualche modo, la ricca e bella Asgard, la dimora degli
dèi. C’era
infatti chi raccontava che il perimetro della terra degli
Æsir fosse stato
stregato dal dio degli inganni in persona e che se anche un abitante di
Midgard
ne avesse, in qualche modo, osato varcare i confini, al momento di
rientrare
nella sua terra avrebbe smarrito ogni ricordo, pensiero e memoria del
tempo
trascorso all’ombra della casa di Odino. E gli incantesimi di
Loki, questo
tutti lo sapevano nei Nove Regni, erano potenti e terribili quanto
quelli di
Padre Tutto.
♥
Dell’ingannatore
si raccontavano molte, troppe cose. Alcune storie erano totalmente
false; le
aveva fatte circolare lui stesso, per confondere i suoi nemici e
ampliare le
voci circa la sua grandezza. Altre, invece, col tempo erano state
mutate,
cambiate, arricchite di particolari o private di dettagli,
così da divenire
qualcosa di nuovo, diverso e irriconoscibile. Forse anche questa storia
è una
di quelle. Bisognerebbe chiederlo alla spuma del mare, ai fiordi alti e
immobili che si stagliano contro il cielo, a Loki stesso, che riderebbe
beffardo e prenderebbe a narrare una storia meravigliosa, fantastica,
allo
stesso tempo vera e finta.
Se
raccontasse, tuttavia, partirebbe senz’altro da lei.
C’era una ragazza,
ad Asgard. Il suo nome era Sigyn. Alla sua nascita, le Norne le avevano
cucito
addosso un destino oscuro, forse infelice, segnato da una profezia
funesta,
celata a lei stessa. Si erano decise a donarle un nome pesante,
affidandole il
compito di consolare le figlie degli uomini con la sua sola presenza,
ma le visioni
di Skuld spesso erano troppo difficili da interpretare o sciogliere.
Il suo fato si sarebbe rivelato a tempo debito: così
solevano dirle Freya e
Odino, forse nel tentativo di proteggerla dall’immagine,
carica di presagi, che
aveva mostrato loro la fonte di Mimir.
È
l’eccesso d’amore a far male, alle volte. Crea una
prigione dorata dentro cui
si soffre e si langue, arrivando ad anelare cose come la
libertà, la conoscenza
e anche la possibilità di sbagliare, alle volte. Il diritto
di essere se
stessi, di alzare la testa ed esporre un parere che non sia,
semplicemente, lo
specchio di quello di un altro. Sigyn era giovane, forse troppo. Era
nata dopo
una grande guerra, feroce e fratricida, che aveva visto gli
Æsir combattersi
aspramente: i figli di Asgard si facevano chiamare dèi, ma
sanguinavano,
morivano, soffrivano, amavano e odiavano come gli uomini, sebbene
fossero maledetti
da una vita lunga decine e decine di secoli.
Cosa
significa vivere migliaia di anni? Perdere il contatto con la
realtà, smarrire
lo stupore verso il mondo e la sua bellezza, dimenticare la fede.
Sigyn,
però, era giovane, giovanissima. Una ragazzina di schiatta
reale. Non le
apparteneva la malizia propria di chi ha perso il conto delle primavere
già
viste ed era ansiosa di conoscere il mondo oltre i confini di Asgard,
perché
spinta da un’inspiegabile nostalgia per
Midgard.
Sin da bambina, l’affascinava enormemente quel popolo
così simile a lei e,
appena poteva, si faceva narrare le storie delle sue genti –
fiabe, racconti e
leggende, perlopiù, nonché certe saghe che
parlavano di guerrieri indomiti e
fieri che conquistavano regni interi con la forza del loro braccio e
poco
altro. Per questo, non appena l’infanzia lasciò
spazio alla giovinezza, iniziò
a violare sempre più spesso gli ordini imposti,
avvicinandosi fin troppo ai
confini che dividevano la terra degli uomini da quella degli
dèi. Voleva vedere
com’erano i loro palazzi, ascoltare le melodie suonate
attorno ai fuochi,
danzare al suono dei corni e dei flauti canzoni nuove e diverse. Le sue
sorelle
maggiori la ascoltavano con una certa condiscendenza, mentre erano
impegnate a
raccogliere erbe medicamentose e radici per conto della regina Frigga.
Pensavano che l’interesse verso Midgard si sarebbe rivelato
un interesse
passeggero, un sogno di bambina che Sigyn avrebbe perso o accantonato
una volta
adulta. Cosa c’era di tanto bello in un mondo dominato dalla
grettezza e dalla
miseria? Gli umani non erano che una copia imperfetta e fragile degli
Æsir,
niente di più. Contrariamente a quanto auspicato dalla
famiglia, però, Sigyn continuò
a sognare a occhi aperti, a fantasticare sulle fiabe che raccontava
tutto il
giorno alle sorelle stesse. Erano storie meravigliose, certo. Parlavano
di
draghi che custodivano tesori e di spade magiche piantate nel tronco di
enormi
frassini e di guerrieri invincibili, salvo che per un solo punto
seminascosto
del loro corpo. Alcune avevano per protagonisti gli stessi
dèi di Asgard, ma
questo Sigyn non poteva saperlo né immaginarlo,
perché, col passare del tempo e
per oscure ragioni, i nomi erano stati modificati, occultati,
consegnati
all’oblio.
Erik,
tuttavia, lo incontrò per caso. Un mattino, subito dopo
l’alba, la ragazza si
ritrovò a camminare sulla spiaggia. La notte prima
c’era stata una terribile
tempesta, talmente violenta che le onde erano arrivate a mutare parte
della
battigia, ridefinendone i contorni. Qua e là, spiccavano
detriti, alghe e pezzi
di legno giunti da chissà dove. Sigyn, stretta in un
mantello foderato che la
proteggeva dall’aria pungente del primo mattino, era in cerca
di certe radici
che servivano alla regina degli Æsir e che si trovavano
solamente in una radura
poco distante dalla riva del mare, ma aveva approfittato di
quell’incombenza
per respirare l’odore dell’aria salmastra,
osservare la distesa d’acqua
scintillante sotto i primi raggi del sole estivo. Camminando, si
accorse, però,
che le onde avevano portato fino a riva qualcosa di differente dal
solito.
Sentì il cuore accelerare il suo battito. Riconobbe tra la
sabbia frammenti di
remi e di oggetti senz’altro appartenenti al drakkar.
Aumentò il passo,
raccogliendo di volta in volta qualche fibbia od oggetto appartenuto
all’imbarcazione e all’equipaggio che,
presumibilmente, aveva dovuto scontrarsi
con la tempesta della notte precedente, finché non
trovò un uomo disteso sulla
spiaggia. Un uomo di Midgard, dedusse dagli abiti, privo di sensi.
Non
avrebbe dovuto avvicinarsi. Era proibito dalle leggi di Odino, farlo.
Gli Æsir
avevano il compito di difendere Midgard, ma agli incauti che osavano
sfidare
Padre Tutto e varcare i confini dell’Yggdrasill non andava
prestato alcun
soccorso. Chi avesse osato violare le leggi stabilite da Odino e, prima
di lui,
da Bor il Grande in persona, sarebbe stato punito, com’era
già capitato nei
confronti del figlio ribelle del re, tanto tempo prima. Se il sovrano
di Asgard
avesse scoperto che gli aveva disobbedito, senz’altro non si
sarebbe fatto
scrupolo nel punirla con severità nonostante le fosse
affezionato come a una
figlia. La ragazza era difatti una delle giovani nobilissime cui
Frigga, la
regina sua moglie, si era circondata al fine di insegnare loro i molti
segreti
della magia in suo possesso. Si trattava di incantesimi benigni, legati
alla
natura e alla divinazione, lontani dal seiðr che Padre Tutto
stesso usava ed
erano, invece, appannaggio di altri. Ma esiste
davvero, il caso? O la
vita non è fatta, piuttosto, d’incredibili
coincidenze legate l’una all’altra
dalle mani svelte e implacabili delle Norne, che filano e tessono il
destino
degli uomini e degli dèi? C’è chi dice
che, a volte, le tre sorelle uniscano i
destini di due anime con un filo d’oro, tinto di rosso:
così facendo, due
esistenze sono chiuse in un vincolo indissolubile, resistente come la
più
terribile delle maledizioni e intenso come la vita stessa. Per un
istante, uno
solo, Sigyn smise di respirare, pensare, parlare.
Dotata
com’era di un animo gentile, non riuscì a far
finta di nulla, di fronte
all’uomo svenuto davanti a lei. Gli si accostò per
controllare che fosse vivo,
nient’altro, ma poi, accorgendosi che il marinaio respirava
ancora, non poté
trattenersi dal chinarsi sulla rena umida e prestargli soccorso. Si
trattava di
pietà, nient’altro che quello: lo giurò
a se stessa. Bagnò le labbra riarse
dell’uomo, pulì e medicò le sue ferite
lievi. Decise che si sarebbe limitata a
quelle poche cure. Prima che lo sventurato naufrago avesse potuto anche
solo
aprire gli occhi, lei sarebbe andata via, tornando alle sue occupazioni
sempre
uguali, alle fantasie riguardanti viaggi che non avrebbe mai fatto,
libertà che
non avrebbe mai avuto. Si lasciò scappare un sospiro e,
persa com’era in quel
suo ragionare, non s’accorse che le palpebre
dell’uomo si erano schiuse e, ora,
la guardava. Uno sguardo chiaro, fisso, penetrante e attento, che
rivelava
un’intelligenza acuta. Si tirò su a sedere
lentamente, sorretto da Sigyn – la
testa doveva girargli – e vide il braccio fasciato.
“Sei
stata tu. Mi hai salvato,” notò.
La
giovanissima Æsinna pensò che avesse una voce roca
e un modo di sorridere che
la turbavano. Era giovane e bello e scrutava il paesaggio attorno con
circospetta attenzione, cercando evidentemente un riferimento
geografico che
gli indicasse con precisione dove fosse naufragato. Si mise in piedi
rivelando
una vitalità sorprendente e lei lo seguì
dappresso, timorosa che la sua
andatura ancora lievemente incerta potesse tradirlo. Temeva anche
un’altra
cosa, a essere onesti: la punizione che Padre Tutto avrebbe inflitto a
entrambi
quando i suoi corvi, quella sera, gli avrebbero raccontato
ciò che era accaduto
nei Nove Regni. Con quale compiacimento si sarebbero messi a sussurrare
di come
quello che sembrava un semplice midgardiano avesse osato sfidare i mari
e gli
incantesimi quasi invalicabili che connettevano i due mondi!
Sigyn
pensò a tutto questo, ma riflettendo, giunse alla
conclusione che ormai era
troppo tardi per fuggire, né lo desiderava. Aveva violato i
precetti di Odino
soccorrendo, sia pur brevemente, il forestiero. Giunta a quel punto,
tanto
valeva salvargli la vita davvero, portandolo fino al limitare del
territorio di
Asgard, lì dove, all’alba, solo per un momento, un
raggio di luce fendeva la
roccia, rivelando l’ennesimo passaggio tra un regno e
l’altro.
“Dove
sono?” domandò lo straniero. “Chi sei
tu? Hai dell’acqua, con te?” insistette,
osservando avidamente la bisaccia che la ragazza teneva a tracolla.
Poi, il suo
sguardo chiaro e aguzzo si posò su ciò che
rimaneva del drakkar naufragato,
forse pensando ai compagni inghiottiti dai flutti del mare, caduti sul
fondo
ricolmo di relitti e di gioielli.
La
giovane Æsinna gli porse lesta la borraccia con cui
già prima aveva dato
sollievo alle sue labbra riarse, ma esitò nel rivelare la
propria identità. Si
decise a parlare solo dopo che lui ebbe bevuto avidamente. In fondo, se
lo
avesse condotto fino alle mura che separavano Ásaheimr da
Midgard, il
forestiero avrebbe attraversato il confine tra i due mondi,
dimenticando ogni
cosa del regno di Odino – compresa lei. Questa regola che
conosceva fin da
quando era bambina e che tutti i figli degli Æsir avevano
sempre accettato
senza battere ciglio, le sembrò improvvisamente crudele,
ingiusta. Qualcosa le
punse il cuore, ma sorrise ugualmente. “Sono Sigyn e questa
è Asgard.”
“Asgard.”
Il naufrago, stupito, lo ripeté quasi come se volesse essere
certo di aver
udito correttamente. Di fronte al cenno d’assenso della
ragazza, schiuse le
labbra, guardandosi febbrilmente attorno. Com’è
osservare da vicino il mondo
degli dèi cantato dai bardi, visto in sogno dai veggenti?
Doveva parergli un
luogo del tutto simile a quello in cui era nato e cresciuto, ma non
volle darlo
a vedere alla sua benefattrice.
“Non
potete rimanere qui,” disse Sigyn.
“Senz’altro, conoscete anche voi ciò che
si
dice su coloro che visitano questa terra. Tutto questo vi
sembrerà un sogno,
forse neanche quello. Seguitemi, vi condurrò al sicuro da
occhi indiscreti.”
Il
naufrago annuì pensieroso, lo sguardo vigile e mobile,
inquieto, che si
spostava da una parte all’altra del fiordo.
“Il
mio nome è Erik,” le rivelò.
“Come posso sdebitarmi? Mi hai salvato la vita,
rischiando, probabilmente, la tua,” aggiunse senza abbassare
lo sguardo –
occhiata fiera e principesca, pungente, che apparteneva
senz’altro a un uomo
abituato a sostenere il peso di ogni parola, osservazione, fatto.
Quella
considerazione improvvisa e rapida le scaldò il cuore. Aveva
già fatto delle
riflessioni simili nei confronti degli eroi dei suoi racconti e le
sembrò di
essere precipitata proprio in una di quelle storie, lei che non aveva
mai
vissuto niente di emozionante.
Erik,
intanto, stava recuperando le forze in
fretta; la sua andatura si era fatta più sicura, il suo
corpo agile e atletico
la seguiva senza alcuna esitazione. Sigyn raccolse il coraggio e fece
una
proposta che si sposava con la sua curiosità riguardo tutto
ciò che
rappresentava Midgard.
“Parlami
del tuo mondo,” gli propose. “Raccontami le tue
storie. Il passaggio tra le
nostre terre si aprirà solamente
all’alba.”
L’uomo
si fermò, squadrandola con attenzione. Alla ragazza
sembrò che le sue occhiate
fossero diventate improvvisamente più chiare e taglienti
rispetto a com’erano
solo qualche istante prima. “I grandi Æsir non
hanno storie che parlino di
Midgard? Dov’è finita la loro memoria?”
Sigyn
scosse il capo, interdetta dal cambiamento di tono repentino
dell’altro – era
sarcasmo, quello che aveva appena udito? – ma poi, rispose.
“Poche, pochissime.
Le abbiamo cancellate dai libri e dimenticate.”
Lui
annuì sovrappensiero e, senza indagare oltre,
accettò la richiesta e prese a
raccontare. Era bravo in questo e provava un sottile compiacimento nel
ripercorrere le magnifiche gesta del passato. Sigyn bevve ogni sua
parola,
incantandosi dietro quel mondo che non poteva visitare e vagheggiava
continuamente. A mano a mano che le ore trascorrevano, tuttavia, i miti
e le
fiabe lasciarono il posto ad altro: definirle confidenze sarebbe
esagerato, ma
i due ragionarono assieme di molte cose, scambiandosi opinioni su mille
e più
argomenti. A Sigyn parve che Erik fosse, talvolta, troppo schietto e
pragmatico, ma gli riconobbe una saggezza e un’arguzia non
indifferenti. Era
piacevole conversare con lui. La ascoltava con una sorta di ammirata
considerazione,
senza liquidare le sue opinioni come le fantasticherie di una ragazzina
solo
perché non aveva visto la guerra che aveva fatto tremare il
trono di Odino.
Desiderò che quella giornata non finisse mai e le ore
scorressero più
lentamente, ma non era una maga né poteva manipolare il
tempo e il sole calò ugualmente
su di loro, nonostante il calore che già invadeva il suo
petto e lei arrossisse
di fronte al sorriso e agli sguardi di quel marinaio audace e spavaldo.
Così,
trascorsero quella breve manciata d’ore insieme, consci che
era l’unica e ultima
concessa loro. Appartenevano a due realtà che non si
sarebbero mai toccate né
sfiorate. Molto tempo prima, certo, i figli e le figlie di Asgard
avevano
camminato sovente tra i midgardiani, ma dopo che
l’ingannatore aveva minato
l’equilibrio retto dall’Yggdrasill, le cose erano
cambiate. Nessun Ase aveva
più avuto voglia di vagare per terre ignote o di parlare con
gli abitanti di
Midgard, tranne pochissimi. Ma questa, è un’altra
storia, una che la giovane
Sigyn, ansiosa di vivere, non conosceva se non vagamente, per sommi
capi e che
Erik non le raccontò. Apparteneva a quell’insieme
di nozioni e informazioni
soffocate, bruciate, distrutte, smarrite, che ai bardi era stato
proibito
cantare e i vecchi fingevano di non conoscere.
“Sei
bella con i capelli così raccolti,” le
confessò il marinaio quando il suo tempo
presso la dimora di Odino era ormai giunto al termine. Nel dirlo,
sfiorò appena
una ciocca serica che le cadeva sulle spalle e, dopo di lei, la guancia
ugualmente
liscia. La sua chioma color dell’oro era illuminata dai raggi
del sole nascente
ed era stretta in una coda lunga e folta, che le scendeva dolcemente
sulla
schiena. Di fronte a quel gesto inatteso, Sigyn arrossì e
sorrise. Lo stava per
perdere. Di nuovo provò nostalgia, ma stavolta non verso
qualcosa di lontano
che non aveva mai posseduto, bensì per la giornata appena
trascorsa e per
l’uomo che le era accanto. Al pensiero del divieto che aveva
appena infranto fu
scossa da un fremito, ma non riuscì a negarsi il piacere,
trasformato in
impellente bisogno, di allungare le dita per toccare quelle di lui e
intrecciarle un momento, uno solo, proprio pochi istanti prima che il
sole
sorgesse su di loro. Il passaggio che collegava i due mondi era ormai
visibile;
oltre la roccia, dietro il volto di Erik, Sigyn poté
scorgere Midgard, identica
eppure diversa rispetto alla terra degli Æsir. Si separarono
così, senza una
parola – l’uomo le carezzò, con un
ultimo gesto, le ciocche bionde della sua
coda, quasi volesse saggiarne la morbidezza e trattenere, di lei, quel
dettaglio – un’acconciatura semplicissima, tipica
delle donne di Asgard, che le
lasciava scoperto il viso esaltandone i lineamenti delicati, ma che,
pure, non
sacrificava la bellezza della chioma ondulata e caotica, folta e
lucente.
Così
finì il breve tempo che avevano rubato alle loro vite. Con
un tocco appena
accennato, uno sfioramento che già sapeva di rimpianto. Una
lacrima scivolò
dalle ciglia scure di Sigyn. L’aveva perso.
Perché
il mondo al di là delle mura di Asgard, costruite da un
gigante ammansito con
l’inganno, interessava così tanto una figlia della
casa di Freya? I midgardiani
erano creature fragili e crudeli a un tempo, capaci di grandi slanci
d’amore e
di generosità, ma anche di bassezze e di
meschinità. Un popolo debole, cui era
stata conferita la maledizione di vivere una manciata insignificante di
anni
entro cui si concentrava un’esistenza breve, spesso vacua.
Eppure, era proprio
questo ad attrarre e a incuriosire la giovane Æsinna. Quanto
coraggio bruciava
nei petti di quei marinai sfrontati che, armati quasi solo
esclusivamente del
loro coraggio, s’imbarcavano su un drakkar con
l’intento di esplorare il mondo,
consapevoli dei rischi che avrebbero affrontato solcando, con le loro
navi
robuste e veloci, i mari del nord, infidi e dal clima variabile? Troppo
spesso
le flotte, come quella su cui viaggiava e avrebbe continuato a
viaggiare Erik,
venivano completamente distrutte dalle imprevedibili tempeste
annunciate dai
tuoni di cui Thor era il signore e da un cielo cupo color ferro, eppure
loro
non si arrendevano e attraversavano i mari ancora e di nuovo, mossi da
un’incrollabile fede nel futuro, nella
fortuna che aiuta gli audaci,
negli dèi benigni. Ma gli Æsir non erano un popolo
pietoso, tutt’altro. I loro
petti erano animati da una sete di conoscenza e di potere a volte
troppo simile
a quella umana: sapevano di essere superiori ai midgardiani e, nei
confronti
delle loro vicende, non nutrivano che un interesse breve e
circoscritto,
identico a quello che era possibile manifestare per un gatto selvatico
trovato
nel proprio giardino.
Sigyn
no, non riusciva a provare quel bieco disinteresse verso gli uomini.
Credeva di
essersi innamorata di Erik. L’aveva perso, ma ora desiderava
che fosse di nuovo
accanto a lei. Voleva sapere, conoscere e incontrare di nuovo
l’audace pirata
che si era spinto fino alle rive spumose del fiordo di Asgard e tornare
a
parlare con lui, discorrendo di tutto. Si era invaghita del suo
coraggio,
riteneva fosse in possesso di uno spirito indomito e fiero e inseguisse
una
conoscenza che gli era preclusa, così come era vietata a
lei. Sigyn non poteva
leggere tutti i libri conservati nella splendida biblioteca di Asgard,
né
ascoltare l’infinito numero di storie cantate dai bardi al
servizio di Padre
Tutto. Nonostante adorasse rimanere nella sala di Odino ore e ore a
farsi
raccontare ogni tipo di storie, alla fine non riuscì
più a farsi bastare le avventure
vissute dagli altri o le immagini di un mondo visto con occhi non suoi.
Né
Huginn né Munin, i corvi di Padre Tutto, avevano
attraversato con le loro ali
nere il cielo. Forse, il segreto della ragazza era e sarebbe rimasto al
sicuro.
La severità del signore degli Æsir, in fondo,
nasceva da nient’altro che un
eccesso di zelo. Asgard e Midgard erano mondi ormai separati, divisi
per sempre:
le commistioni, di qualunque genere e natura, non avevano portato che
infiniti
lutti e dolori. E Sigyn dalla lunga coda d’oro, presto,
avrebbe scoperto sulla
propria pelle il motivo di quella scelta.
♥
Tornò
ad Asgard, ma in molti si accorsero di quanto qualcosa, durante la sua
assenza,
l’avesse turbata, privando il suo viso delicato del consueto
sorriso che lo
illuminava. Sigyn era sempre stata riflessiva, pensierosa, ma il
tormento che
aveva preso a corrugarle la fronte apparve a molti come qualcosa di
terribilmente atipico. Smise di parlare con le sue sorelle mentre era
nel
palazzo di Fensalir, la dimora privata di Frigga, e divenne mesta,
ombrosa.
Tuttavia, le sue speranze circa il fatto che Padre Tutto non avrebbe
scoperto
il suo segreto vennero disattese; Odino s’infuriò.
Diede ordine che fossero
distrutti tutti i suoi libri che parlavano di Midgard, giunse a
vietarle
espressamente di avvicinarsi al confine oltre cui Erik era sparito,
anche se
lui certamente aveva smarrito ogni ricordo di lei, di loro. Prostrata e
sconvolta, Sigyn pianse a lungo la sua sorte.
Fu
solo dopo molte notti che si decise a violare nuovamente gli ordini di
Padre
Tutto. Pensò di non aver più nulla da perdere,
che Asgard non era il luogo per
lei ed Erik era lontano. Forse, avrebbe potuto ritrovarlo, in qualche
modo. Si
coprì il viso con un mantello e, col cuore che le batteva
forsennato nel petto
e gli occhi segnati dall’insonnia,
s’inoltrò verso la punta posta più a
nord di
tutta Asgard. Nemmeno lei era immune dall’incantesimo che
separava i mondi. Se
avesse attraversato il portale, non solo Padre Tutto sarebbe riuscito a
scoprirla con grande facilità, ma lei stessa avrebbe
smarrito la memoria di sé.
In tali condizioni, raggiungere la casa di Erik sarebbe stato
pressoché
impossibile. C’era una sola persona, in tutti i Nove Regni,
che avrebbe potuto
aiutarla: l’oscuro dio degli inganni, il maestro di magia
secondo solo al re.
Loki,
nonostante il divieto imposto a tutti da Odino, non aveva mai smesso di
camminare tra gli uomini. Non li amava e li giudicava ingrati,
perché dei molti
doni che aveva concesso loro, non ne veniva ricordato quasi nessuno, ma
avrebbe
potuto muovere la stessa accusa anche agli Æsir. Tutti
temevano la sua natura
perfida e cattiva, l’inclinazione ad allestire scherzi
crudeli, la spietatezza
con cui valutava chiunque gli capitasse sotto tiro. Il dio delle beffe
e delle
menzogne sapeva discernere il vero dal falso e si crogiolava in questa
sua
abilità, confondendo e irretendo le sue molte vittime.
Ciò che interessava alla
giovane e incauta Sigyn dal cuore spezzato, però, era altro:
si diceva che Loki
visitasse i Nove Regni inoltrandosi lungo sentieri noti a lui solo,
privi di
qualsiasi incantesimo o barriera, liberi dalla supervisione di Odino.
Per
rivelarli, però, avrebbe chiesto qualcosa in cambio. Non era
un dio benevolo e
generoso, tutt’altro.
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Capitolo 2 *** Il patto ***
Capitolo 2
Il patto
Keep
in
mind
We're
under the same sky
And
the
night's
As
empty
for me as for you
If
you
feel
You
can't wait 'til morning
Kiss
the
rain
(Kiss
the rain, Billie Myers)
Il
palazzo dove dimorava Loki Laufeyson era arroccato su una scogliera. Le
sue
guglie nere e svettanti si intravedevano anche da una grande distanza,
ma per
raggiungere il portone principale occorreva necessariamente inerpicarsi
lungo
un sentiero scosceso, circondato da fitti rovi, arricciati e spessi
come
tentacoli. L’ululato di un lupo lontano impensierì
Sigyn, ma nonostante ciò la
ragazza si fece coraggio e salì ancora, finché il
viottolo non divenne una
scalinata e, finalmente, si ritrovò di fronte a un arco a
sesto acuto,
finemente scolpito. Lupi e draghi marini s’intrecciavano,
raccontando le storie
che aveva ascoltato tante volte per bocca dei poeti e dei cantori.
Tutto era
immobile. Varcò la soglia e si ritrovò in un
giardino rigoglioso, caotico,
profumato. Nonostante fosse una tiepida e fresca giornata
d’estate, la ragazza
immaginò come dovesse essere quello spaccato di verde cinto
dalla neve. Scacciò
il pensiero per avvicinarsi al portone in legno, anch’esso
decorato da una mano
abile e attenta e si stupì, perché lo
trovò aperto; una serie di fiaccole
accese le indicava idealmente la via da seguire. La stava aspettando?
Probabilmente,
ritenne Sigyn, il dio dell’inganno l’aveva vista
percorrere il viottolo tortuoso.
Si narravano tante cose, su quello Jotunn mascherato d’Ase,
forse troppe. La giovanissima
Æsinna aveva sempre pensato che la maggior parte di quelle
storie fossero
chiacchiere, dicerie sussurrate negli angoli più remoti di
Asgard e Ásaheimr:
Padre Tutto aveva vietato a Loki di mettere piede nel suo palazzo per
via di
certi antichi torti e dissapori – di un tradimento orrendo,
la cui onta non
sarebbe potuta essere levata nemmeno col sangue – e mal
tollerava che si
facesse il nome del figlio che aveva adottato e allevato per poi
tramutarsi in
altro – nel nemico degli Æsir che avrebbe dovuto
proteggere. Sigyn avanzò per
le stanze arredate con semplicità e gusto, non prive di una
certa selvaggia
eleganza. Impaurita, ma decisa a portare a termine la sua incauta
visita,
s’inoltrò nella ricca dimora. C’era una
sala con un grande camino acceso e
pelli d’orso che ricoprivano sedie e poltrone; su un grande
tavolo erano disposte
mappe, cartine e appunti vergati con una grafia elegante e stretta,
virile. La
ragazza osservò i fogli lasciati in bella mostra, la lunga
penna d’oca infilata
nel calamaio, gli astrolabi e i compassi utili a misurare le stelle;
che uso
poteva mai fare il furbo dio degli inganni di tutti quegli strumenti?
Desiderava riprendere i viaggi lungo i Nove Regni per cui era noto?
C’è chi
diceva che i suoi stivali fossero incantati e gli rendessero possibile
ogni
fuga. Odino a un banchetto, una volta, si era bagnato le labbra con
l’idromele
e aveva detto che non c’era alcuna magia particolare nelle
calzature del figlio
perduto. Il merito delle sue improvvise sparizioni era dovuto solo a
una
spiazzante abilità nel rompere qualsiasi catena o legame.
Sigyn si stupì nel
vedere riprodotti i contorni di una terra che non aveva mai visto
né sapeva
collocare in alcun luogo; ne percorse con gli occhi le catene montuose,
le
pianure, i fiumi e i laghi: l’immaginò e
desiderò vederla.
“È
la
mappa di una terra lontana, di là del mare,” la
interruppe una voce bassa,
roca, venata da una punta sottile e affilata di divertimento.
La
ragazza sobbalzò, voltandosi di scatto. Nel vano della porta
si stagliava
l’ombra sardonica di un uomo alto e slanciato, bello
d’aspetto, molto più giovane
di quanto si era sempre figurata.
Loki.
Viso
affilato, occhi tanto verdi da sembrare quasi trasparenti, labbra
sottili
piegate in un sorriso ferino e sbieco, segnate da una cicatrice antica
– il lascito
di una punizione terribile che veniva sussurrata solo di rado, ad
Asgard, a cui
lei non aveva mai voluto credere, ma che ora era lì, davanti
a lei, reale.
Sentì il cuore batterle impazzito nel petto e
s’accorse di essere in trappola. Il
mago avanzò verso di lei a passi lenti, col piglio altero e
tranquillo del
padrone di casa, del principe. Tutto, in lui, suggeriva forza e
sicurezza: gli abiti
di pelle scura che indossava esaltavano il corpo agile e tonico, di
guerriero,
e così le armi che gli scintillavano alla cintura.
L’Ase
si fermò davanti a lei incrociando le mani dietro la
schiena, in un gesto che
doveva essergli congeniale.
“La
visitai molto, molto tempo fa,” aggiunse assottigliando le
palpebre, come se
stesse contando gli anni che erano trascorsi da quel viaggio e provasse
una
sorta di nostalgia per quella terra perduta.
Sigyn
scoprì di avere la gola secca. Loki, ammesso che fosse
davvero lui quell’uomo,
differiva totalmente dall’immagine che si era costruita.
Aveva imbastito un
lungo e convincente discorso da fare a un potente stregone, ma il modo
in cui
il presunto padrone di casa la fissava, la spiazzante
tranquillità che
dimostrava nonostante lei si fosse introdotta nel suo palazzo senza
essere
stata invitata, l’avevano colta di sorpresa.
“Ho
trovato la porta aperta e le luci accese e sono entrata,” si
giustificò, ma nel
momento in cui pronunciò quella frase si chiese cosa si
nascondesse dietro il
sorriso storto del dio. Se non la stesse davvero
già aspettando, se non
fosse in grado, per via di qualche abilità di cui si era
persa la memoria nel
corso del tempo, di leggerle il cuore e la testa. Dietro di
sé il tavolo la
bloccava, impedendole qualsiasi fuga.
“E
dimmi, trovi la casa di tuo gradimento? Ha una vista magnifica, come
puoi
osservare,” le mostrò allargando le braccia.
“Ma credo che tu sia qui per un
altro motivo,” decise lui, avvicinandosi a una brocca colma
d’idromele. Se ne
versò un abbondante corno e ne offrì uno anche a
lei. “Forse persino
un’urgenza.”
Sigyn
scosse la testa, ma non rifiutò la bevanda, sebbene scelse
di non accostarla
alle labbra.
“Non
ricevo spesso ospiti, quindi prego, siediti e dimmi: cosa ti spinge a
cercare,
tra tutti, proprio il mio aiuto?”
Ci
sono momenti in cui il destino si biforca in più svolte ed
è necessario imboccarne
una, ma ogni scelta ha un prezzo e tutte le strade portano a differenti
soluzioni – o a finali che si sfiorano appena; simili, eppure
mai identici.
Sigyn comprese che era ancora in tempo per fuggire via e abbandonare il
sontuoso palazzo del dio degli inganni. Il principe bandito
l’aveva fatta
accomodare sfoggiando una cortesia innata, ma scalpitava per farsi dire
il
motivo della sua improvvisa visita. Ricordò che doveva aver
paura di Loki,
perché c’era un motivo se Odino non gradiva da
lungo tempo che fosse presente
alla sua tavola. La sua voce era suadente e roca, piacevole da
ascoltare, ma il
suo sguardo era freddo, tagliente.
Sbatté
le palpebre, si alzò, riscuotendosi come da un sogno.
“Mi sono persa.
Perdonatemi.”
“Nessuno
si smarrisce per caso e arriva fin qui, mia signora.” Un
ghigno, gelido come i
suoi occhi, gli si dipinse sul viso virile. “L’ho
stabilito io stesso.”
“Lo
so. Dicono che non ci sia persona più abile di voi, col
seiðr.”
“Ho
un certo talento per i giochi di magia, sì,” rise
l’Ase – risata secca,
asciutta, priva di gioia. “Sai solo questo?”
inquisì, sporgendosi verso di lei.
“Narrano tante altre cose, su di me, mia sconosciuta ospite.
A te quali hanno
raccontato?”
La
ragazza deglutì. Scoprì di avere la gola secca,
la lingua incollata al palato. “Che
siete geniale e crudele. Bugiardo e astuto. Brillante e pericoloso. Di
fare
attenzione alle vostre parole ambigue.”
“Ma
sei
comunque qui perché hai bisogno di me,”
constatò il mago, “e ciò che vuoi fare,
con tutta probabilità, violerà le norme stabilite
da Odino, il tuo re.”
Il
modo in cui pronunciò il nome di Padre Tutto, con una punta
di dispetto e
sarcasmo insieme, diede a Sigyn la misura di quanto le storie che aveva
sempre
ascoltato sul dio degli inganni corrispondessero al vero e facessero
parte di
un passato che c’era stato, esisteva. Comprese di essere
entrata nella tana di
un predatore che la squadrava come la preda che era destinata a essere.
Non
aveva scampo. Solo lei poteva trarsi d’impaccio o dare un
seguito all’anelito
che le bruciava dentro, ma aveva scelto il modo peggiore per esaudire i
propri
desideri.
“Mi
chiamo Sigyn,” mormorò, sempre stringendo tra le
dita sottili il corno, “e
voglio raggiungere Midgard. Lì vive l’uomo che
amo.”
L’ingannatore
assottigliò gli occhi verdissimi. “Sigyn,”
sibilò e il suo nome,
pronunciato dalla bocca beffarda di Loki, le parve una carezza sulla
pelle –
anzi, lo era. “Rinunceresti ad Asgard per
un uomo?” Rise, beffandosi
platealmente di lei e di quel sentimento che giudicava, con tutta
evidenza,
patetico, di nessun conto. “Quante ore hai passato in sua
compagnia?” inquisì. “Una
manciata? Un paio? Un giorno intero? E parli
d’amore.”
“Non
credete nella forza dei miei sentimenti? Non è stato facile
venire qui. La mia
è una scelta senza ritorno, se deciderete di
aiutarmi.”
“Oh,
lo immagino.” Vuotò il corno e si leccò
le labbra sottili, scuotendo la testa. “Ma
Midgard… tu sei un’Æsinna. Perderai ogni
cosa. Smarrirai la tua essenza. Fidati
del mio consiglio: digli addio.”
Le
parole di Lingua d’Argento avevano un peso particolare. Erano
taglienti,
argute, brucianti, ma Sigyn decise che non si sarebbe lasciata irretire
dalla
sua capacità oratoria. Posò il corno e strinse i
pugni, la mente concentrata
sul ricordo di un’alba ormai lontana settimane.
“Non posso, non riesco. Non
oggi,” sospirò.
Loki
alzò le spalle. “Oggi, domani, tra cento anni. Non
sono niente, per noi Æsir.
Un battito del cuore, un respiro. Non sarai mai pronta a lasciarlo.
L’uomo che
ami ti sarà portato via, morirà.”
Aveva
ragione. Le sue parole erano crudelmente vere, spiazzanti, feroci.
La
ragazza gli rispose sforzandosi di controllare la voce e di mantenere
un tono
piatto e deciso, ma in realtà tremava, scossa dal pensiero
che quella realtà di
cui era perfettamente a conoscenza si realizzasse. Neanche gli
Æsir erano
immortali, ma il pensiero della caducità
dell’esistenza si sedimenta in qualche
parte dell’anima e lì rimane finché una
frase o un evento non ricorda quanto le
Norne siano beffarde, crudeli, impietose, quando tagliano il loro filo:
anche
quello, scarlatto, che lega tra loro due anime – ma
allora che fine fa chi
sopravvive e resta in vita? Il
suo cuore
non si spezza, non sanguina fino alla consunzione?
Una
lacrima, muta e orgogliosa, le rigò la guancia. “E
sembra che la cosa vi
piaccia, vi dia soddisfazione.”
Loki
le concesse una risata secca e breve, beffarda, ma scosse la testa in
segno di
diniego. “La soddisfazione non è nella mia natura.
Vuoi davvero vivere con gli
umani? Pensi meritino tanta considerazione?”
s’interessò, inarcando un
sopracciglio.
Aveva
accantonato il suo tono faceto di superiore benevolenza. Pareva colpito
dalla
sua richiesta. La reputava, probabilmente, folle e oscena al tempo
stesso, ma
ne era attirato, spinto dall’idea che avrebbe generato caos
nei Nove Regni – e
di questo lui avrebbe approfittato, in un modo o nell’altro,
come sempre.
“Lo
amo,” rispose Sigyn sicura. “È un uomo
audace, nobile, coraggioso. Vi siete
mischiato con gli abitanti di Midgard. Sapete che non sono aridi come
li
dipinge Odino.”
Il
profilo dell’Ase s’indurì. “Li
conosco meglio di te, come conosco gli Æsir
meglio di te. Il cuore di nessuno è libero da ombre, mia
fiduciosa signora.
Nemmeno i nostri, che siamo i figli di Asgard e dovremmo essere
superiori agli
altri,” sentenziò implacabile. Come poteva tanta
saggezza risiedere nel volto
di un uomo giovane, nel pieno della sua forza e nel mezzo della sua
vita? C’era,
in lui, una tensione, un’impazienza sempre più
visibile. “Sacrificherai tutto
per un’illusione, ti avverto. Ciò che provi non
esiste – è un’infatuazione,
niente di più.”
Eccolo
dunque, lo spietato punto di vista del dio dell’inganno. Per
lui le anime non
erano legate da niente e l’amore era solo attrazione vestita
con belle parole.
“Mentite.
O parlate per voi e non per me.”
Loki
stirò le labbra in un sorriso freddo, crudele.
“Dici? Ne sembri proprio sicura!
Allora, forse potrei aiutarti,
piccola Sigyn,” esordì.
“Il
vostro aiuto causerà la mia rovina. Siete voi a ingannarmi,
non l’amore che
provo per Erik.”
Il
suo sguardo bruciante le scivolò addosso, sulla pelle, come
una carezza avida.
Rabbrividì di fronte a quegli occhi verdi e indagatori che
la spogliavano,
privando la sua anima di ogni menzogna, bugia o fiaba inventata allo
scopo di
giustificarsi.
“Ma
non puoi fare a meno di sperare che possa aiutarti, non è
vero? Sono davvero in
grado di farti raggiungere Midgard, se è questo che vuoi. Ti
propongo un patto.”
“Un
patto? Come faccio a sapere che lo manterrete? Che voi sarete
leale?”
“In
passato, a volte, ho agito in modo crudele,” ammise Lingua
d’Argento serafico,
regalandole un sorriso luminoso e crudele, di lupo. “Gli
Æsir sfoggiano le loro
splendide armi incantate grazie a me, a me soltanto. Ho tramato, detto
il falso,
ingannato – sono il signore delle menzogne, del resto, certo
non lo nego – ma
sappi che loro, per primi, hanno mentito o evitato di ricompensarmi.
Ecco
perché li ho puniti e mi sono vendicato. E mi è
piaciuto, sì. Quelli che si
sono dimenticati di pagarmi adeguatamente, li ho cercati, soggiogati e
resi
miei schiavi. O hanno conosciuto le lame dei miei pugnali.”
“Ma io
non ho niente da offrirvi, in cambio.”
“Oh,
come corrispettivo voglio solo qualcosa di semplice, puramente
simbolico, di
cui puoi fare tranquillamente a meno! Ascoltami, piccola Sigyn: il mio
incantesimo avrà effetto solo e soltanto fino
all’equinozio d’autunno. Se entro
il tramonto dell’ultimo giorno d’estate riuscirai a
scambiare col tuo uomo un
bacio di vero amore, rimarrai con lui per tutta la breve vita che gli
è stata
accordata dalle Norne. Ti avverto, non sarà facile. Per
stare con lui, dovrai essere
come lui. E soffrirai. Il corpo umano è
più fragile di quello con cui ti
hanno benedetto le Norne. Patirai il freddo, la fame, il dolore.
Trascorso
questo periodo, morirai come umana. Sei disposta a fare questo per uno
sguardo
che potrebbe non corrisponderti, per un uomo visto solo una
volta?”
“Assolutamente
sì.”
L’Ase
annuì. “Hai una fede incrollabile, vedo. Ma lascia
che ti avverta: se non
riuscirai a dare il bacio di vero amore, morirai. Diventerai la spuma
del mare,
il vento tra gli alberi, il riflesso della luce al tramonto.
È difficile dirlo
con precisione.” Inclinò il capo e mezzo volto fu
avvolto dall’ombra. “O,
peggio ancora, tornerai a essere una figlia degli Æsir e ti
terrò con me. Allora
sarai la mia schiava.”
“Come
dite!?”
“Sii
meno formale, piccola principessa, avanti! Questo è
l’accordo che ti propongo.
Come vedi, sono stato chiaro, affinché tu non possa dire che
ti ho ingannata.” Dinanzi
alla sua esitazione, sorrise in modo ferino. “Cosa
c’è, hai improvvisamente paura
di rischiare? In fondo, la vita è piena zeppa di scelte
difficili. Non te
l’hanno detto?”
Lei
deglutì, sforzandosi di cambiare tono e registro. “Tu
che ci guadagni?”
“Sei
una prova che la fedeltà è inutile e
l’amore romantico solo un’illusione. Inoltre,
sei cara a Odino. La tua scelta lo farà soffrire. Ma, in
fondo, diventare
adulti significa anche questo, non ti pare? Decidere della propria vita
da soli,
prendersi le dovute responsabilità. È questo
quello che volevi, che sognavi,”
disse, sfiorando una delle ciocche della sua bella coda color
dell’oro.
Sigyn
fu scossa da un fremito basso, ma, di nuovo, non riuscì a
indietreggiare. Loki
era troppo vicino ed era riuscito a intrappolarla. Ora la guardava col
suo sguardo
aguzzo e feroce, regalandole un sorriso laterale, sbieco, lupesco.
Sobbalzò
quando sentì le dita dell’Ase scivolare sulla sua
spalla, carezzarle il collo e
la gola, ma sostenne il suo sguardo. Non voleva che cogliesse il
turbamento e
il terrore che l’avvolgeva – non riusciva a
muoversi.
“E il
prezzo? Che vuoi in cambio?”
Il
dio degli inganni le prese il viso tra le mani e, facendolo,
sfiorò le sue
labbra con la punta delle dita. A quel tocco, la schiena di Sigyn
vibrò, si
tese, scossa da qualcosa di basso e implacabile.
“La
tua voce.”
Tre
parole spaventose, pronunciate con la bocca a pochissima distanza dalla
sua.
Era il momento di opporsi, di fuggire, di dimenticare il proposito
sciocco di
vivere come una donna di Midgard per un uomo che nemmeno conosceva
davvero e
non avrebbe ricordato chi lei fosse. Aveva fatto una scommessa
rischiosa,
pericolosa, basata solo su quel filo rosso in cui lei credeva con tutta
la fede
di cui disponeva. Loki le alzò il volto costringendola a
guardarlo, lambendole
le labbra con le sue, assaggiandole, gustandole, carezzandole,
strappandole con
feroce dolcezza un sussulto, un tremito, un sospiro – la voce
e se stessa.
Sigyn si ritrovò ad artigliare le sue braccia per scostarlo,
ma scoprì che in
realtà desiderava sorreggersi, aggrapparsi al corpo agile e
nervoso dell’Ase.
Maledisse il perfido e sfacciato ingannatore e lei stessa, che
sottostava a
quel contatto stregato. Loki la strinse a sé e la
baciò ancora, fino a che lei non
rispose alle sue labbra concedendogli la sua voce, precipitando in un
vortice
fatto di stregoneria. Perché
aveva
vibrato tanto? Ancora tra le sue braccia beffarde, lo guardò
confusa e tentò di
parlare, ma scoprì che dalla sua gola non usciva
più alcun suono. Fu allora che
comprese la portata del suo errore; sentì le gambe cederle,
sospirò per
l’ultima volta. Poi, mentre Loki le recitava sulla bocca rune
terribili, svenne
e sognò di essere trascinata per i sentieri, noti a lui
solo, che collegavano
tra loro i vari mondi. Una cosa catturò la sua attenzione
più volte, però. Il
ciondolo dorato che l’Ase indossava. Riluceva appena e
batteva sul suo petto
ampio e largo: conteneva la voce che le aveva estorto. Lo
sfiorò – lui la
teneva tra le braccia – e chiuse gli occhi, di nuovo.
♥
Cos’è
l’amore? Sigyn tremava, stretta nel mantello di lana che un
paio di donne
gentili le avevano messo sulle spalle. Regalava sorrisi a tutti e
provava a
spiegarsi a gesti. Loki aveva mantenuto la parola, portandola fino al
limitare
del villaggio fortificato dove, in quanto figlio di un importante jarl,
abitava Erik. Era esattamente come lo ricordava, nobile e bello.
Vedendola,
però, il capitano del drakkar non provò un
improvviso moto d’amore, né la
riconobbe. Non poteva, perché vittima
dell’incantesimo che gli aveva cancellato
la memoria quando aveva attraversato il confine tra Asgard e Midgard.
Erik era
cosciente che una parte della sua vita era stata spazzata via:
ricordava
nitidamente la tempesta, ma ogni sera, nella sala del conte suo padre,
raccontava lo smarrimento provato nell’essersi ritrovato a
vagare nei boschi
gelidi dell’estremo nord della penisola scaldica.
Lì, invece, nella penisola
dello Skagen che un giorno sarebbe stata chiamata Danimarca, il clima
era più
mite e l’estate più tiepida. Nonostante questo,
però, Sigyn, mutata in un
essere umano per l’inganno o l’incanto di Loki,
pativa il freddo, la fame, il
sonno e la sete come mai le era capitato nella sua breve vita di
Æsinna. Erik
l’aveva accolta nella sua casa, conquistato dal suo aspetto
grazioso e dalla triste
sorte che l’aveva resa muta, ma nonostante fossero passate
già alcune settimane
da quando la ragazza era arrivata nella sua terra, non pareva essere
mosso
dallo stesso interesse nutrito per lei ad Asgard. Ogni giorno, il cuore
di
Sigyn si riempiva di angoscia, di tristezza e di delusione. Tutte le
mattine si
acconciava i capelli stando ben attenta a replicare la stessa
pettinatura che
il giovane aveva apprezzato prima di lasciarla. Così, la sua
bella chioma color
dell’oro che le scendeva sulla schiena veniva stretta in una
coda fermata da un
nastro. Erik le sorrideva, le diceva che era bella, le assicurava che
si
sarebbe preso sempre cura di lei, ma non pareva essere mosso da
nessun’altro
interesse. Sigyn era certa che, se avesse potuto parlare, sarebbe
riuscita ad
attirare di nuovo le attenzioni del giovane figlio del conte. Si erano
conquistati a vicenda, raccontandosi storie e scambiandosi opinioni, in
fondo.
Mordendosi le labbra e soffocando le lacrime mute, prese a maledire
Loki. Lui
lo sapeva. Doveva aver intuito, astuto com’era, che, senza la
sua voce,
conquistare Eric sarebbe stato estremamente difficile.
L’ennesimo
tramonto calò sul fiordo. Attorno a un fuoco, la gente
ballava, festeggiava.
Eric la prese per mano e la trascinò tra la folla festante.
Ballarono a lungo,
fino a che non girò loro la testa.
“Sei
dolce e sei bella, cara Sigyn. Se solo parlassi, se solo…
fossi lei,” sospirò
con un sorriso mesto. “Quella che mi ha trovato e salvato.
Che sto cercando
ancora,” ammise, mentre un velo di tristezza gli copriva lo
sguardo. “Nessuno
crede alla sua esistenza, ma io la troverò, amica mia.
È da qualche parte, lo
so.”
Smisero
di danzare ed Erik venne chiamato da uno dei suoi fratelli per dirimere
una
questione. In quei giorni sempre più caldi, ricopriva le
veci dello jarl suo
padre,
partito su un drakkar per commerciare, e stava sostenendo il peso del
comando
con rettitudine e saggezza. Sigyn, sgomenta, osservò la
figura del giovane
allontanarsi. Non le aveva mai parlato di alcuna donna e il pensiero
che lui la
ricordasse, ma la confondesse con un’altra, la fece tremare.
“Temo
che conquistarlo sarà più difficile del previsto,
piccola principessa.”
La
voce roca e beffarda di Loki la raggiunse come una lama. Si
voltò lentamente e
vide il dio degli inganni seduto su una vecchia panca. Tra le mani
stringeva
una rete da pesca che, verosimilmente, stava aggiustando; indossava
abiti
umili, dimessi, ma nemmeno il mantello logoro e gli stivali consunti
che
calzava riuscivano a celare del tutto il suo portamento altero, di
figlio di re.
Al collo, portava il ciondolo che conteneva la sua voce.
“Sei
sorpresa di vedermi, Sigyn? Sto solo controllando come vanno le cose.
Ammiro la
mia opera,” ghignò, anticipando ogni sua obiezione.
L’Æsinna
tornò a fissare la figura ormai lontana di Erik e poi, di
nuovo, Loki.
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Capitolo 3 *** Il pugnale ***
Capitolo 3
Il pugnale
What
if
I'm wrong, what if I've lied
What
if
I've dragged you here to my own dark night
And
what
if I know, what if I see
There
is
a crack run right down the front of me
(If
a be
wrong, Wolf Larsen)
Questa
è la storia di un inganno, di una bugia, di una trappola
architettata con cura
fin nei più piccoli particolari, di un conto in sospeso
esistente tra gli dèi
in un’epoca in cui questi erano ancora soliti camminare su
Midgard.
Da
molto tempo Odino non si mescolava più tra gli uomini, ma
quando la giovane
Sigyn sparì da Asgard lasciando Freya e Frigga e tutte le
sue sorelle in
lacrime, decise di indossare di nuovo le sue vesti stracciate, di
viandante,
per camminare, ancora una volta, sulle strade e i sentieri della terra
degli
uomini. Loki, però, gli venne incontro con passo sicuro,
ostruendo il suo
cammino.
“Restituiscila
alla sua casa, alla tua casa,” disse
Padre Tutto colpendo la terra
brulla con il suo bastone nodoso, come se avesse la preziosa Gungnir
tra le
mani. “Questo non è il posto per lei, per voi.”
Loki
non s’impressionò affatto vedendo il genitore,
anzi. Aspettava la sua visita da
quando la figura sottile di Sigyn si era palesata alla sua soglia.
Scosse la
testa e sorrise, scoprendo i denti bianchi, con la stessa espressione
sorniona
di un grosso gatto.
“Non
posso, Padre Tutto. Vorrei, ma non posso,”
puntualizzò con falsa
condiscendenza, allargando le braccia. Accanto al sovrano, immobile e
severo,
c’era anche il nobile Thor. Lo fissava con occhi torvi e
preoccupati, ma rimase
ugualmente in silenzio, in disparte. Da quella disputa voleva rimanere
fuori.
Loki gli lanciò uno sguardo fugace, brillante,
senz’altro foriero di qualche
trama crudele. L’ingannatore non faceva mai niente per niente
e quel ciondolo
che gli pendeva sul petto, esibito come un trofeo, ne era una prova,
anche se
non la più visibile ed evidente. Lingua d’Argento
spostò di nuovo le iridi
chiarissime su Odino e, lentamente, trasse dalla bandoliera, che la sua
magia
rendeva logora e umile, un foglio di pergamena arrotolato.
“La
vostra preziosa Sigyn ha firmato con me un patto. Un regolare accordo,
valido
sotto tutti i punti di vista, rispettoso delle tue leggi, Padre.”
Lo
sbeffeggiava. Lo provocava.
Il
vecchio sovrano si avvicinò al contratto siglato e firmato
da Sigyn. Strinse le
labbra e lesse ogni riga e postilla, maledicendo il cuore incauto e
tormentato
dei giovani, che si lasciano travolgere dalle passioni, ingannare da
una
trappola agghindata come un aiuto.
Loki
alzò il mento, continuando a sfidare il genitore.
“Sapeva a cosa andava
incontro,” sibilò rapido.
“Davvero?”
Odino alzò il suo unico occhio, grifagno e terribile, su di
lui, scuotendo la
testa canuta. “Tu sei un ladro, figlio mio. Lo eri quando ti
ho cacciato dalla
mia casa e lo sei ora, con questa gabbia.”
L’ingannatore impallidì. Sul suo
volto il perenne ghigno spavaldo si spense, lasciando il posto a una
smorfia
irata.
“Hai
preso al laccio lei, una ragazzina, quando il tuo vero e unico
obiettivo sono
io. Come sempre, del resto. Cos’è, questo, Loki?
Una competizione, una gara? La
dimostrazione che conosci i miei punti deboli, un tentativo meschino di
attirare la mia attenzione?”
“Mi
chiami ladro, credi che non sia capace di ottenere nulla senza
ingannare,
tradire, mentire. Ma questo è un valido patto, Padre.
Formulato, siglato
e firmato regolarmente. Credi di essere il centro dei miei pensieri, ma
forse
ti sbagli. Sigyn ha scelto – mi addolora che la sua decisione
ti rechi tanta
sofferenza – ma non l’ho costretta in alcun modo a
venire da me, a chiedere il
mio aiuto.”
La
voce roca di Loki aveva, in sé, una punta d’ironia
che il fabbricante di bugie
non si stava neanche sforzando di camuffare. Era soddisfatto della
piega che
avevano preso gli eventi. Lo suggeriva il brillio fugace che gli
illuminava gli
occhi.
“Un
accordo
legale e leale, dici.” Padre Tutto posò la mano
poderosa sulla carta vergata
con la calligrafia del figlio, sulla firma rapida di Sigyn.
“Redatto
a regola d’arte,” ribadì Loki.
“Non puoi fare nulla. Persino il tuo seiðr
è inutile,
contro di me.”
“Contro
il tuo patto,” puntualizzò Padre Tutto con voce
secca. Era una minaccia velata?
“Bada, figlio, a ciò che fai,”
l’avvertì torvo.
Sigyn
si palesò in quel momento. Aveva le mani gonfie e rosse a
causa dei lavori
domestici di cui si sobbarcava per rendersi utile; era visibilmente
stanca e
spossata. Della sua bellezza d’Æsinna, rimaneva
l’immancabile coda lucente che
tratteneva i suoi lunghi capelli color dell’oro in nome di un
complimento
antico, che l’aveva fatta arrossire. Era uscita dalla casa in
cui dormiva – una
capanna di legno, piena di spifferi, ammobiliata con qualche pelle
d’animale,
alcuni utensili e poco altro.
Il popolo di Erik viveva semplicemente in un agglomerato urbano ben
lontano
dallo sfarzo di Asgard e persino il figlio del conte dimorava in una
casa in
legno, anche se imponente e fortificata. Tutto ruotava attorno al porto
che si
allungava nel fiordo. Vedendo Odino si commosse e gli corse incontro;
piangendo,
prese le mani dell’anziano re e
s’inginocchiò, nel tentativo di chiedergli
perdono non per la sua fuga, ma per il dolore che aveva inferto a lui,
a
Frigga, a Freya e a tutte le sue sorelle. Padre Tutto la fece sollevare
da
terra, le accarezzò la fronte e la benedisse, ma lo fece con
un tono amaro,
disincantato, come se fosse in grado di vedere oltre il tempo o,
semplicemente,
stesse ricordando la profezia che le Norne avevano declamato quando
Sigyn era
venuta al mondo. Con voce atona si erano decise a proclamarla la dea
della
fedeltà e, sentendo tale annuncio, Odino aveva aggrottato la
fronte.
“Che
il tuo cuore ti mostri la via,” disse alla ragazza.
Detto
ciò, riprese il suo cammino verso Asgard.
♥
Che
il tuo cuore ti mostri la via, aveva detto
Padre Tutto. Ma, se è proprio lui a tradire,
cosa fare? Come interpretarne i moti, se esso è bugiardo,
esitante o s’infiamma
al ricordo di un bacio incantato, di un abbraccio strappato?
L’estate è una
stagione magnifica, piena di colori, profumi, notti fresche e tiepide
impreziosite da un cielo trapunto di stelle. Ogni volta che il sole
s’inabissava nel mare, Sigyn si tormentava nervosa le ciocche
bionde, pensando
al tempo che le scorreva via tra le dita, sfuggendo al suo controllo.
Lei, che
era un’Æsinna con una vita lunga decine di secoli
davanti, tremava al pensiero
delle poche settimane che le rimanevano prima che l’autunno
cacciasse
definitivamente via la bella stagione. Tutto le sembrava vacuo, vano.
In un
certo senso, anche Erik era differente da ciò che si era
sempre aspettata. Non
amava più raccontarle storie ed era taciturno, sebbene
sempre affabile e
gentile. Le sembrava fosse perennemente con la testa altrove, impegnato
com’era
nella ricerca di una donna che ricordava di aver visto nei boschi
vicino ad
Asgard, ma che non poteva certo essere lei, perché aveva una
voce melodiosa.
Dov’era finito l’animo curioso e sagace che
l’aveva stregata?
Colpa
di Loki.
Le
aveva infettato l’anima con le sue allusioni beffarde, il suo
cinismo
razionale, i ragionamenti arguti fatti il giorno in cui avevano stretto
il
patto e, soprattutto, dopo.
Viveva
con lei, camuffato da artigiano. Con le sue belle dita abili, di mago,
riparava
utensili, spade, brocche; qualsiasi cosa. La sera si sedeva attorno al
fuoco e
pareva divertirsi immensamente nell’aggiustare ogni oggetto
nato dall’ingegno
umano. Era l’unica cosa di Midgard che gli piacesse e
valutasse come
interessante. Talvolta, se era d’umore particolarmente
allegro e ben disposto,
apportava persino qualche piccola miglioria all’arma o al
manufatto.
All’inizio,
Sigyn si era seduta nell’angolo più lontano della
capanna con le gambe strette
al petto. Non desiderava la sua compagnia. Non amava vederlo lavorare,
non
capiva quale gioia traesse nell’osservare i suoi fallimenti
giornalieri con
Erik. E poi, Lingua d’Argento era incapace di tenere per
sé i commenti cattivi
con cui giudicava l’intera situazione. Adorava criticare,
valutare, analizzare
ad alta voce, beffarsi di lei e della sua dabbenaggine. Aveva
sacrificato la
propria libertà per cosa? Per uno che sognava
un’altra e non aveva memoria di
lei. Certo, era un uomo gentile, nobile, affabile, con cui era
piacevole
trascorrere il tempo, ma non sapeva guardarla in altro modo che con
occhi
velati dall’amicizia e dalla pietà. Si sentiva in
dovere di proteggerla, perché
per lui non era altro che questo – una povera ragazza muta e
graziosa. Nulla
più.
Sigyn
lo ascoltava con le ciglia umide e il mento fieramente sollevato,
conscia della
sua condizione, senza poter ribattere, parlare. La sua fermezza, la
fede e la
perseveranza che spendeva in quell’amore deciso dalle Norne
erano la sua voce. Loki
la guardava di sottecchi col suo sorriso sbieco che gli attraversava le
labbra
sottili e beffarde e, vedendo come le sue mani si erano sciupate
lavorando,
sentendola starnutire e tremare nonostante fosse piena estate, le
rimproverava
la sua scelta sciocca e irrazionale: lei era una nobile
Æsinna, non una serva
di Midgard. Erano gli uomini a doversi inchinare di fronte a lei, non
viceversa. Ma la ragazza, quando giungevano a questo punto
dell’orazione,
distoglieva lo sguardo e si allontanava. Sarebbe tornata più
tardi, perché il
timbro roco del dio degli inganni aveva in sé qualcosa di
stregato. Starlo a
sentire, a volte, era piacevole e la calmava, facendole dimenticare
quanto il
tempo scorresse velocemente.
Fu
mentre aggiustava un arco che Loki le concesse di rispondere alle sue
battute.
Aveva la sua voce sempre appesa al collo, del resto, chiusa nel
ciondolo. Di
fronte al suo muto stupore, stese le labbra in una smorfia perfida.
“Me
l’hai stupidamente ceduta per essere un’umana.
È mia, ne dispongo come voglio.”
Sigyn
rimase colpita da quell’inaspettata novità.
Comprese che il dio degli inganni
aveva iniziato ad annoiarsi e desiderava parlare, litigare, scontrarsi
con
qualcuno che poteva ribattere punto per punto alle sue considerazioni,
per non
intavolare sempre e solo un discorso a senso unico.
“Adesso
riesco a parlare,” mormorò, nonostante le
bruciasse la gola.
“Solo
qui. Solo con me,” puntualizzò lui. “Ora
ti penti della tua scelta
irrazionale?”
“L’ho
fatto per amore, solo per amore,” ricordò fiera,
alzandosi in piedi e
stringendo i pugni.
Loki
inclinò il capo da un lato, come per squadrarla meglio.
“E sei ancora così
innamorata di lui? Anche ora che lo conosci meglio? Lo rifaresti? La
notte, dimmi,
lo sogni?”
Fu
come se l’avesse colpita in pieno viso con uno schiaffo.
Sigyn impallidì e,
nonostante avesse una momentanea occasione per replicare al figlio
ribelle di
Odino, non trovò la risposta adeguata da assestargli. Scosse
la testa con
sdegno e si allontanò in fretta, preferendo rifiutare
immediatamente quel dono
crudele, concessole da Lingua d’Argento unicamente per avere
un’occasione in
più per ferirla.
♥
Le
sere estive erano dolci, ma brevi. L’alba arrivava in fretta
portando con sé sole
e calore – un nuovo giorno che trascorreva, uno in meno da
passare al fianco di
Erik e del suo sorriso gentile, del suo abbraccio affettuoso e
fraterno, ma non
intenso come avrebbe dovuto essere.
Che
il tuo cuore ti mostri la via, le aveva detto
Padre Tutto, ma quel pezzo di sé la
ingannava, accelerando il battito con chi non doveva, calmandosi,
invece, di
fianco all’uomo per cui aveva sacrificato ogni cosa e che non
riconosceva, per
le Norne!
Sigyn
e il figlio del conte avevano trascorso insieme pomeriggi e mattinate
intere e
lui si era aperto con lei come con nessuna, confidandole desideri e
sogni,
progetti e idee. Continuava a ritenerla un’amica fedele
– la più fedele che
avesse mai avuto – perché la menomazione che
l’affliggeva rendeva ogni discorso
sicuro. Sigyn ascoltava, annuiva, sorrideva e cercava di farsi capire
con gesti
e sguardi, ma quegli incontri, dopo un iniziale entusiasmo, la
lasciavano
semplicemente sgomenta. In Erik, nel suo sguardo celeste come il cielo
mattutino, non riusciva più a ritrovare il guizzo sagace che
aveva scorto sulla
spiaggia proibita di Asgard, dove l’aveva salvato e medicato.
Forse la
terribile esperienza del naufragio e il passaggio tra un mondo e
l’altro lo
avevano cambiato. Loki, con il consueto disinteresse, aveva ipotizzato
che una
cosa del genere poteva essere plausibile, sì, ma mentiva
palesemente. Era stato
sincero, invece, quando le aveva spiegato il motivo della sua
sfiancante e
sempre maggiore debolezza.
La sera
prima, come sempre, avevano parlato e litigato e lei era si era
infervorata,
appassionandosi a un discorso, a una teoria. A un tratto,
però, la testa aveva
preso a girarle vorticosamente, la vista le si era appannata e ogni
cosa si era
fatta grigia e sfocata. Lui era balzato in piedi lesto e le aveva
impedito di
cadere, sorreggendo il suo corpo esile, provato da una stanchezza
ingiustificabile.
“Tu
non possiedi il seiðr come me, come Odino. Il tuo spirito di
Æsinna brucia e
corrompe questo fisico debole, di donna umana,” le aveva
sussurrato
all’orecchio, senza smettere di tenerla tra le braccia.
“Lo consuma. Ma era
l’unico modo, per vivere qui, con questa gente cieca e
stolta.”
“Persone
che tu aiuti,” aveva boccheggiato Sigyn, aggrappandosi al suo
braccio – e allora
il suo cuore le era parso più leggero, il respiro si era
fatto corto.
La
tormentava una figura che non voleva chiamare per nome, con un paio di
occhi
brillanti e chiari.
Loki
di Asgard aveva avvicinato le labbra alla sua guancia tanto da
sfiorarla. “Gente
che tu dici di amare al punto da sacrificare te stessa.” Era
un’accusa.
Sigyn
sbatté le palpebre, aggrappandosi alle spalle larghe
dell’ingannatore. “Uno
solo.”
“Sicura?”
Chi
sognava lei, di notte?
♥
Che
il tuo cuore ti mostri la via, le aveva
mormorato Padre Tutto, ma a Sigyn sembrava che il
suo petto battesse al ritmo della più totale confusione. Nel
dio degli inganni
c’era spesso qualcosa di simile al guizzo sagace che cercava
in Erik e anche di
più. Uno sprazzo vitale al tempo stesso giocoso e profondo,
luminoso e oscuro,
irriverente e cortese, caotico e puntuale. La vedeva soffrire,
struggersi per
un amore non corrisposto e, per tutta risposta, raccontava, parlava e
litigava
con lei finché l’amarezza non scivolava via dal
suo spirito e il sonno la
cullava nel suo dolce oblio. In quei momenti, ritrovava
all’improvviso il
brivido che l’aveva fatta fremere tra le braccia del
più bugiardo tra gli dèi. Non
era altro che un cedimento naturale e comprensibile, scontato, provato
dalla
ragazza nei confronti dell’unica persona che, su Midgard, era
a conoscenza di
ogni risvolto del patto stretto. Questa era la spiegazione che Sigyn si
dava. E
poi, Loki non la consolava affatto. Tentava di piegarla, di dimostrarle
che lui
aveva ragione e lei si era illusa, confondendo una simpatia o
un’infatuazione
per un vincolo scarlatto tanto potente da unire le anime persino dopo
la morte.
Voleva vincere e aveva scommesso sulla sua sconfitta, per il gusto e il
piacere
di osservare la sua disfatta dalla prima fila. Del resto, si era
persino
abbassato a riparare le zappe, le spade e le pentole di un misero
villaggio
umano, pur di godersi appieno il momento della sua vittoria.
♥
“Mi
sposo, cara Sigyn. L’ho ritrovata. La donna che mi
salvò mentre vagavo nel
bosco. È lei. Si chiama Aslaug ed è la figlia di
un grande jarl.”
La
ragazza per poco non cadde, sentendo un simile annuncio. Le giornate si
stavano
facendo sempre più brevi e frizzanti, come l’aria
di quella sera. Più
l’equinozio si avvicinava, più il suo corpo si
faceva debole e perdeva forza e
resistenza. Senza l’amore del giovane figlio del conte,
sarebbe morta come
umana, tornando a essere un’Æsinna. E poi?
Il destino sancito dal patto stretto con Loki avrebbe
avuto il suo
compimento: sarebbe stata sua, per sempre vincolata a quel principe
doppio e
infido – al suo sorriso saputo e sferzante, alle sue labbra
bugiarde che,
talvolta, la sfioravano. Un brivido, rapido e profondo, la scosse: un
misto
oscuro di terrore, curiosità e qualcos’altro
d’indefinibile e potente le serrò il
respiro. Sentì nuovamente la testa girarle, la vista
appannarsi. Fu Erik a
sostenerla, stavolta, ma il suo cuore non rispose come avrebbe dovuto;
provò
nostalgia per un altro tocco, invece; uno proibito,
estraneo e familiare
a un tempo.
“Sei
pallida. Stai bene?” Erik le prese le mani e si
spaventò, perché le trovò
eccessivamente fredde.
Lei
annuì.
Odino le aveva detto di seguire il proprio istinto, ma, di fronte alla
confessione del midgardiano, Sigyn scoprì un dolore
annichilente e sordo. Si
era illusa. Gli aveva sacrificato ogni cosa e in mano, ora, non aveva
nulla, se
non una manciata di sabbia. A cosa era servito rinunciare a se stessa?
Era
rimasta vittima di un’illusione.
Loki
aveva ragione.
Aslaug
era bella. I suoi capelli erano ricci e rossi, gli occhi avevano una
delicata
sfumatura color foglia, ma non le assomigliava affatto.
Raccontò con molti
particolari di come avesse trovato Erik al limitare di una foresta,
confuso e
delirante, per poi parlare di una lunga febbre che lo aveva costretto a
letto
per giorni e di certi cacciatori che lo avevano portato via da lei e
dalle sue
cure, separandoli. Per fortuna, però, alla fine si erano
rincontrati. Nel pronunciare
tali parole, sorrise e intrecciò le dita con quelle del suo
promesso sposo.
Sigyn
li osservò a lungo. Loki era poco distante di lei, come
sempre: un’ombra scura
e beffarda che era in ogni luogo e in tutti. In quel preciso istante,
ignorava
totalmente la giovane coppia appena formatasi che sanciva,
inevitabilmente, la
sua vittoria. Indossava un mantello che gli copriva quasi del tutto il
capo e,
con un corno colmo di idromele in mano, raccontava qualche mito o
leggenda di
Asgard. Talvolta faceva così: si mescolava ai midgardiani
quel tanto che
bastava per affascinarli con i suoi racconti, facendoli sognare con
storie di
tesori e di draghi che avevano per protagonisti gli dèi di
Asgard o guerrieri
intrepidi e valorosi. Aslaug ed Erik si amavano. Lei possedeva una voce
bassa e
melodiosa e lui la fissava come se si trovasse davanti a una stella del
cielo o
a un’Æsinna. Sigyn, di fronte a questo pensiero,
sorrise mesta e giocò con le
punte dorate della sua bella acconciatura; cosa c’era tra lei
ed Erik? Per lui
aveva rischiato tutto e adesso l’intrepido navigante, al
posto suo, guardava
un’altra.
Aveva
provato ad affascinarlo, a sedurlo, a rammentargli in ogni modo la
spiaggia
lontana del loro primo incontro, ma tutto era stato vano e, ormai,
l’ultimo
tramonto d’estate si avvicinava inesorabile. Cosa avrebbe
dovuto fare, nella
manciata di giorni che la separavano da quel momento? La data fatale
coincideva, per un crudele scherzo del destino e delle Norne beffarde,
al
giorno delle nozze del figlio del conte.
Sigyn
ne osservò il profilo regolare e virile, ascoltando per
l’ennesima volta la
storia del naufragio e della tempesta improvvisa e di come il drakkar
dalla
punta snella, su cui viaggiava assieme al suo intrepido e sfortunato
equipaggio, si fosse spinto fino all’estremo nord, evitando
agilmente scogli
letali. Abbassando gli occhi e carezzando la mano della bella Aslaug,
Erik
rimpianse i compagni coraggiosi e, in particolare,
l’abilità di uno di loro,
esperto di rotte, tragicamente morto assieme agli altri. Ma dal male e
dalla
sventura, talvolta, nasceva il bene e l’uomo fu costretto ad
ammettere che,
senza quella disgrazia, non avrebbe mai incontrato la sua futura
moglie. Il
racconto fu tanto appassionato che persino Loki lo ascoltò
in silenzio, con
severa attenzione.
♥
Odino
aveva detto a Sigyn che avrebbe dovuto seguire il suo cuore, ma la
ragazza era
ormai convinta che nemmeno lui sapesse dove andare. Si sentiva
smarrita,
sgomenta, persa. Vedere Erik assieme ad Aslaug era stato terribile, ma
gli
sguardi che la coppia si era lanciata, i baci scambiati con dolcezza,
avevano
fatto capire a Sigyn che, nonostante il suo triste destino, non sarebbe
stata
capace di dividerli o di separarli. Non era nella sua natura farlo e,
in fondo
al suo petto, sentiva che non era nemmeno ciò che desiderava
davvero. Avrebbe
condannato un’altra al suo dolore, posto che, in qualche
modo, nel giro di
pochi giorni Erik s’innamorasse di lei come non aveva mai
fatto durante tutte
quelle settimane. Mordendosi le labbra e soffocando le lacrime, si era
resa
conto di essere rimasta vittima della peggiore delle illusioni: aveva
creduto
di essere innamorata di lui, quando invece non provava altro che una
tenera
amicizia. Si era infatuata del figlio del conte vinta dal suo aspetto o
perché,
salvandolo sulla spiaggia bianca di Asgard, aveva creduto di
precipitare in una
fiaba bella come quelle che raccontava alle sue sorelle. Dopo aver
passato
tanto tempo in sua compagnia, però, il sentimento che
provava nei suoi
confronti si era fatto sempre più tiepido e fraterno. Erik e
Aslaug, decise,
dovevano essere felici. Lei sarebbe rimasta in disparte, come quella
sera – e
non poteva fare altro, del resto, perché il cuore del figlio
dello jarl non le
era mai appartenuto.
Ecco
perché il peso del patto che la tratteneva su Midgard fino
alla fine
dell’estate le sembrò, quella sera più
di tutte, terribilmente amaro. Le
sofferenze che aveva patito presso gli uomini e le lacrime inghiottite
con
orgoglio non erano servite a nulla. L’amore non esisteva e
lei stessa si era
ingannata circa la sua esistenza. Le Norne ridevano di lei e non
avevano
intrecciato nessun filo rosso con quello del giovane incontrato sulla
battigia.
Loki Laufeyson era solo stato terribilmente sincero – in
fondo, lì sta
l’abilità di colui che inganna: nel confondere,
mescolando assieme, l’una con
l’altra, menzogne e verità.
La
giovane Æsinna si lasciò cadere sulla sabbia
umida. La spuma del mare le lambì
dolcemente la gonna di tessuto grezzo e robusto che indossava.
Pensò alla sua
casa, ad Asgard: al magnifico palazzo di Fensalir dove Frigga,
amorevole come
una madre, le insegnava i segreti di erbe e piante, alle sue sorelle
che
avevano tentato di spiegarle che Midgard non era sinonimo di
felicità. Avrebbe
voluto gridare, ma aveva ceduto la sua voce a Loki per inseguire un
sogno. E
lui l’aveva avvertita.
Cosa
sarebbe successo quando, al tramonto dell’ultimo giorno
dell’estate, avrebbe
dovuto pagare al dio degli inganni il prezzo promesso in caso di
fallimento?
L’Ase era stato vago, ventilando, tra le varie
possibilità, che lei rimanesse presso
di lui, come una proprietà. Il pensiero di dover trascorrere
la sua esistenza
col dio degli inganni, come sua schiava, era qualcosa che aveva vissuto
spesso
nei suoi sogni, in quelle ultime settimane. Incubi strani da cui si
risvegliava
spaventata, confusa, infuriata. Rabbrividì, offesa e turbata
anche solo dal
pensiero di dover trascorrere la sua esistenza accanto
all’Ase. Loki era
crudele e lei lo sapeva. Al guizzo brillante dei suoi occhi quasi
trasparenti,
all’intelligenza spiccata e all’arguzia, occorreva
accostare altro – il caos e
il rancore che gli mordevano lo spirito, il bisogno di ferire chi aveva
accanto
con la sua lingua affilata, la naturale propensione a ingannare e a
tradire che
l’avevano allontanato da Odino. Era il suo trofeo e si
sarebbe stancato della
sua presenza fin troppo presto, dimenticandola per dedicarsi ad altri
progetti,
vendette, trame. E allora, decise, meglio essere la spuma del mare o il
riflesso dorato del sole al tramonto.
Un
paio di stivali di pelle si avvicinarono a lei con passi rapidi,
decisi. Sigyn
osservò, alla luce della luna, le onde lambirne appena le
punte logore solo
all’apparenza. Lo aveva riconosciuto e sapeva anche
perché fosse lì. Desiderava
compiacersi ancora una volta delle sue disgrazie.
Se
non avesse barattato la propria voce in cambio della
possibilità di inseguire
un amore che si era rivelato vano, lo avrebbe cacciato,
perché non aveva
affatto bisogno delle sue considerazioni perfide. Si tirò
su, rifiutando
sdegnosa la mano che l’Ase le tendeva – era
falsamente cortese, nient’altro – e
lo guardò dall’alto in basso, fiera
com’era sempre stata, tentando di
cancellare il resto. Nel giro di una manciata di giorni, forse sarebbe
diventata la sua schiava, un giocattolo da dimenticare, ma, fino ad
allora, era
e sarebbe rimasta Sigyn. Fino alla fine.
Alla
luce della luna, il volto di Loki pareva ancora più
affilato. Un vento marino
pungente s’infilava tra le pieghe del suo mantello, nelle
ciocche scure che gli
ricadevano sulle spalle.
“Ho
vinto. La sposerà e non potrai fare niente per
fermarlo,” annunciò sicuro.
“Forse nemmeno lo vuoi,” decise. “Non lo
ami, in fondo, come lui non ama te. Ti
sei accorta di aver inseguito per tutto questo tempo una chimera, il
fantasma
di qualcuno che non esiste. Avevo ragione. Nessuno dei due è
stato capace di
vedere oltre all’apparenza, mia piccola, dolce Sigyn. Ti
trovava carina, ma non
abbastanza da amarti, da innamorarsi.”
Che
vuoi, ancora, da me? Sigyn
non poteva parlare, non aveva voce, ma fissò Loki a testa
alta, con quella
domanda muta negli occhi.
“Ho
vinto,” ripeté l’ingannatore.
“È stato facile. Non basta un bel viso, per poter
rubare un cuore, ma la voce forse sì, era indispensabile.”
Una
lacrima orgogliosa rigò la guancia di Sigyn, scendendo calda
sulla sua pelle.
Nel buio della spiaggia notturna, Loki levò un braccio e le
sfiorò la gola con
la punta delle dita e poi salì all’altezza delle
labbra, restituendole
momentaneamente ciò che le aveva sottratto – che
la sventurata Æsinna aveva
barattato in cambio di una possibilità. Un brivido basso e
violento la scosse a
quel contatto inaspettato. Ecco l’ombra che abitava i suoi
incubi, di notte.
“Sei
soddisfatto? Mi hai privata di ciò di cui avevo
più bisogno. E lo sapevi.”
L’Ase
increspò le labbra in un ghigno soddisfatto. “La
soddisfazione non è nella mia
natura, temo. Ho vinto. Te l’ho dimostrato. Ti ho sottratta a
Odino nella
maniera più legale possibile,
dimostrandogli che non mi serve rubare ciò
che gli appartiene.” Fece una lunga pausa, come se volesse
scegliere le parole
più adatte, sfiorandole di nuovo il viso con una carezza
leggera che la fece
sussultare – l’ennesima.
Sigyn
sbatté le ciglia nere, mentre un pensiero nuovo e terribile
si affacciava nella
sua testa: com’era stata ingenua! Il dio degli inganni
l’aveva usata per fare
un torto a Odino, promettendole un aiuto che si era rivelato una
trappola. Si
morse le labbra che lui aveva appena accarezzato, quasi volesse
scacciare ogni
prova esistente di quel tocco – o, viceversa, per via di
qualche oscuro
incantesimo che l’irretiva, ritrovarne il sapore.
“Ecco
perché ti propongo una via d’uscita onorevole,
Sigyn,” proseguì Loki,
implacabile e fiero come sempre. “Tra tre giorni il tuo tempo
su Midgard si
esaurirà, ma io ho già vinto.”
“Vuoi
rompere il nostro patto? Propormi qualche altro inganno?”
L’Ase
assottigliò le palpebre. “Nessun inganno. Tu
sapevi, tu hai scelto.”
“Lo
so.”
“Ma
lui deve pagare per il tuo dolore,” le suggerì,
facendole scivolare tra le dita
un pugnale intarsiato. Sigyn saggiò il peso di
quell’arma affilata. L’elsa era
decorata con le insegne dell’ingannatore in persona ed era
stata forgiata, come
la lama scintillante, dai Nani fabbricanti di gioielli.
“Bagnalo col sangue dell’uomo che ami, per cui hai
sacrificato ogni cosa: considererò
il tuo debito saldato. Prima che il sole tramonti sull’ultimo
giorno
dell’estate, colpiscilo, rendi rosso l’acciaio.
Sarai libera di tornare dalle
tue sorelle, a Fensalir.”
Alla
luce della luna, Sigyn guardò il coltello che Loki le aveva
dato e pensò alla
perduta Asgard, alla famiglia che piangeva la sua triste sorte, a Erik
e ad
Aslaug, alle parole di Odino.
“Non
posso, non riesco,” boccheggiò.
“Perché lo fai?”
Loki
le rivolse un’occhiata torva. “Te l’ho
detto. È stata una vittoria facile.”
“Non
ti credo. Cosa vuoi dimostrare?”
“Dillo
tu a me.”
“Che
l’amore è un inganno e non l’ho mai
amato,” ammise. “E, per liberarmi, io che
l’ho salvato e mi sono scontrata persino con Padre Tutto,
arriverei persino a
ucciderlo.”
“Brava
ragazza. L’alternativa, del resto, è smarrirti per
l’eternità o diventare mia
schiava,” le rammentò tetro, piegando le labbra in
un sorriso laterale e
crudele.
♥
C’è
un momento in cui non è più giorno e non
è ancora sera e la luce e le tenebre
si confondono tra loro. Il sole aveva quasi smesso di rosseggiare e si
stava definitivamente
inabissando nel mare, le stelle ancora non si erano affacciate nel
cielo. Sigyn
camminava sulla spiaggia di Midgard. Tra le mani, stringeva il pugnale
che Loki
le aveva dato. Non era riuscita a usarlo e l’estate era
finita. Nel giro di una
manciata di minuti, il suo destino si sarebbe compiuto.
Anche
Loki osservava l’ultimo tramonto concesso a Sigyn. Aveva
ripreso il suo
consueto aspetto principesco e fiero e teneva le mani incrociate dietro
la
schiena. Attese che la ragazza si avvicinasse, colse il
baluginìo della lama
tra le sue dita.
“Avresti
dovuto seguire il mio consiglio,”
l’apostrofò severo. Le melodie allegre che
accompagnavano la festa per le nozze di Aslaug ed Erik giungevano fino
alla
spiaggia isolata, ma c’era, in loro, una tristezza sottesa,
nascosta, pari solo
al dolore che affliggeva il cuore spezzato di Sigyn. Eppure, nonostante
avesse
perso ogni cosa, i suoi occhi grigi grandi e rotondi scintillavano
carichi di
una fierezza e di una forza che Loki non comprese. Le poggiò
una mano sul collo
e la ragazza, come sempre, s’inarcò, tendendosi,
come se volesse offrirsi a lui.
Le dita dell’Ase indugiarono sulla pelle calda e morbida
della ragazza; scesero
appena a lambirle le scapole e le spalle, in un contatto non
necessario, ma, in
quel momento bramato.
“Hai
vinto. Pagherò per le mie scelte,”
boccheggiò Sigyn.
Il
dio degli inganni avvertì la punta del pugnale premergli sul
fianco. Ghignò,
sentendo l’acciaio a contatto con la corazza di pelle
intrecciata. “Avresti
dovuto infilzare Erik, con questo,” notò.
La
ragazza scosse il capo. “L’uomo che amo sei
tu.”
Loki
di Asgard s’irrigidì, sorpreso da
quell’ammissione, ma non mutò atteggiamento.
“Allora, se verserai il mio sangue, stupenda principessa,
sarai libera,”
suggerì, sardonico e crudele.
“Cercavo,
in Erik, qualcosa che lui non possedeva. Ma l’ho ritrovato in
te,” spiegò l’Æsinna
con la sua voce recuperata. “E ciò che sento nel
mio cuore, che ho tentato di
soffocare, esiste perché è stato alimentato dai
nostri discorsi, litigi,
racconti. La seduzione vera, l’innamoramento, riguarda
l’anima, non l’aspetto.
L’ho capito tardi. L’uomo che amo sei tu, Loki, ma
non posso usare su di te
questa lama.” Dalle ciglia le scese una lacrima, una sola.
“E tu, tu non mi
darai un bacio di vero amore prima del tramonto.”
“No,”
confermò il dio degli inganni. “Non lo
farò. E il tuo tempo è già
finito.”
Sigyn
guardò il mare e il cielo e perse le forze. La lama le
scivolò di mano e cadde
sulla sabbia. Barcollò e l’ingannatore, di nuovo,
la sostenne, la prese tra le
braccia.
“Quando
mi hai tolto la voce, tu mi hai baciata…”
rifletté.
“Eri
infatuata di un’ombra. Non avrebbe avuto effetto.”
“Della
tua?” Era una domanda, una speranza, un sospetto
concretizzatosi quando ormai
il giorno si era esaurito e la notte era scesa su di loro. Il corpo
mortale di
Sigyn soffriva e il suo sguardo, grigio e febbricitante, cercava solo
una
conferma.
Che
gusto c’è a ingannare, se poi non si
può svelare la propria trama? Questa è la
storia di come il dio dell’inganno riuscì a
raggirare gli dèi di Asgard grazie
a uno dei suoi molti, perfidi, imbrogli. Sa di salsedine e vento, il
racconto.
“Erik partì con un equipaggio di nove uomini. Uno
di loro era un esperto di
rotte. Lui li condusse ad Asgard, attraverso una rotta nota a lui solo.
Il
drakkar naufragò a causa di una tempesta. In otto morirono.
Due si salvarono.”
“Eri
tu.” Sigyn chiuse gli occhi. Pensò al giorno in
cui era andata a chiedere aiuto
all’ingannatore e alle mappe che aveva scorto nel suo studio.
“Perché?”
“Odino
mi ha bandito dalla sua casa, ma Frigga non ha fatto lo stesso con
Fensalir.
Nel suo palazzo, sono un ospite gradito, nonostante tutto. Ti ho
sentita
raccontare molte delle mie storie. Eri brava. Sottrarti ai tuoi cari
sarebbe
stato interessante. Il resto, credo che tu l’abbia capito:
Padre Tutto e io
avevamo un conto in sospeso – dice, di me, che sono un
bugiardo e un ladro.
Posso tollerare la prima affermazione,” ammise con un ghigno,
“ma la seconda
no. È un’accusa indegna.”
“Sei
sempre stato tu,” mormorò Sigyn. “La mia
voce ti appartiene perché tu l’hai
saputa e la sai ancora ascoltare. Ecco perché hai vinto, ma
sei stato crudele,”
disse. “Hai vinto, ma l’amore esiste, Loki. Lo sai anche
tu.” Poi, perse
i sensi e sognò di essere la spuma del mare o uno spirito
dell’aria. La notte,
ormai, era scesa su Midgard.
♥
Ogni
sera, al tramonto, Sigyn s’incantava a osservare il sole che
s’inabissava nel
mare, le onde che si infrangevano implacabili, col loro moto perenne,
sulla
scogliera che proteggeva il fiordo di Asgard. Il palazzo del dio degli
inganni
aveva una vista magnifica, tale da smuoverle il cuore.
Respirò l’aria
marittima, pungente e fresca, sorridendo alla massa azzurra che si
tingeva di
blu e d’argento. Al petto, le scintillava un ciondolo dorato
e lucente.
“Sei
di nuovo qui.” La frase di Loki la
raggiunse dall’interno della stanza. Si voltò
nella sua direzione. Era poggiato
contro lo stipite della porta e la corazza di pelle intrecciata era
slacciata,
lasciando intravedere il torace tonico e scolpito. Le si
avvicinò e anche lei
gli andò incontro.
Non
c’era modo di spezzare il vincolo che la univa al dio degli
inganni. Nemmeno
Odino in persona, con tutta la sua sapienza, poteva riuscire a
sciogliere i
nodi di un patto così vincolante e ben strutturato in ogni
sua parte; l’inganno
perpetrato da Loki alla base non lo inficiava abbastanza.
Le
cinse la vita, l’attirò a sé,
carezzandole i capelli color dell’oro, le cercò
le labbra strappandole un bacio sfacciato, avido, intenso, profondo.
Una
spallina dell’abito sottile scese, scoprendole la pelle e
parte del seno.
“Cosa
sono diventata, Loki? Il trofeo che sfoggi con Odino, la tua schiava
preferita?”
mormorò Sigyn, mentre l’Ase posava le labbra
sottili e beffarde sulla pelle
appena scoperta. “Avresti voluto baciarmi, su quella
spiaggia. Ma dovevi
vincere, non è vero?”
Chiuse
gli occhi, buttò indietro la testa offrendogli il collo. Gli
apparteneva. Aveva
siglato un contratto col proprio sangue, consapevole delle clausole
terribili
che vi erano scritte. Le loro anime erano legate dal filo rosso delle
Norne.
Loki
l’afferrò per i fianchi e la sollevò,
deponendola, senza troppa grazia, sul
letto poco distante; fu subito sopra di lei per imprigionarle le
braccia,
continuare a baciarla, slacciarsi i pantaloni. Farla sua.
“L’amore non esiste,”
le ricordò. “Non sarebbe servito.”
Lei
vibrò e si tese di fronte a quell’intrusione
improvvisa e desiderata.
Boccheggiò stupita, tentando di liberare almeno una mano per
afferrare i
capelli scuri del mago, stringerli tra le dita, carezzarli mentre il
suo corpo
rispondeva agli affondi decisi del dio degli inganni.
Il
vincolo non prevedeva esplicitamente anche
questo, ma era successo e continuava a capitare. Entrambi non potevano
farne a
meno. Perse il controllo – era passato, ormai, il tempo in
cui cercava
fieramente di contenersi, di frenarsi, di non fargli sentire quanto le
piacesse far l’amore con lui. Loki la raggiunse pochi istanti
dopo, incapace di
trattenersi oltre, per poi rilassare i muscoli ancora tesi su di lei,
calmare
il respiro rotto.
“Tu
mi ami,” mormorò Sigyn. “Sei un
bugiardo, un impostore.”
Lo
aveva capito quando lui l’aveva raggiunta sulla spiaggia,
mentre lei, distrutta
dal dolore e col suo pugnale ancora tra le dita, singhiozzava, i piedi
bagnati
dalla spuma del mare.
“Tu
sei mia. Per contratto, sei mia. E lo sarai per sempre,”
puntualizzò Loki con
voce feroce.
L’Æsinna
sorrise. “Anche tu.”
The
night expands, I am expanding
I
watch
your hands like butterflies landing
All
among the myths and the legends we create
And
all
the laughing stories we tell our friends
Close
the windows, clear up the mess
It's
getting late
It's
darker and closer to the end
(Push
the sky away, Nick Cave and the Bad Seeds)
Fine
Note Autore
Caro Lettore,
Ebbene sì: “Prima
che il sole tramonti” è una
rivisitazione in chiave norrena della
bellissima fiaba de La Sirenetta. Si tratta di una storia che ho
scritto per il
contest “Villains against Heroes”
indetto sul forum di Efp. La
particolarità del pacchetto che ho scelto sta nel fatto che,
alla fine, dovevano
vincere i cattivi, cioè Ursula/Loki. Solo che
questa è una Loki/Sigyn e
Loki, come sappiamo, ama sbancare. Si è preso una rivincita
con Odino, con
Sigyn e, alla fine, si è preso pure Sigyn stessa. Come
Ursula, ha giocato
sporco, prendendo, all’inizio della storia, il posto del vero
Erik, per poi
lasciare che Sigyn lo salvasse.
Quattro erano gli
elementi che dovevo utilizzare da regolamento: la storia è
ambientata per metà
su Midgard, precisamente in Danimarca; come nella
versione Disney, Loki
rinchiude la voce di Sigyn all’interno di un ciondolo
– che usa a suo
piacimento, concedendo, talvolta, alla ragazza di poter parlare. Nel
testo sono
presenti alcune battute del corpus MCU (in particolare le battute di
Loki in
Thor: The dark world) e quelle di Ursula del classico film Disney, tra
cui il “forse
potrei aiutarti” richiesto. La coda
di Sigyn non è di pesce (sarebbe
stato un dettaglio inutile, qui) ma è
un’acconciatura di capelli, visto che nel
mio canone una delle caratteristiche del personaggio è di
avere una bellissima
capigliatura dorata (del resto è una dea vichinga).
L’estate
invece è il periodo in cui è ambientata tutta
l'azione.
La mia versione è un
mix tra quella Disney e l’originale di Andersen: ecco dunque
che ricompare il
pugnale presente nella fiaba danese e il concetto della fiaba stessa.
Scusate
lo spiegone, ma tra le varie letture che è possibile fare di
questa fiaba non
facile (ha diversi archetipi dietro) c’è quello
che concerne la voce.
È l’unico elemento dissonante della mia versione
(Loki concede a Sigyn la
possibilità di rispondergli). Il messaggio è che Erik
non si può innamorare
di Sigyn perché non può ragionarci insieme. Per
amare davvero qualcuno, occorre
conoscerlo, parlarci, confrontarcisi. Un bell’aspetto non
basta. Ecco perché
Loki ha bisogno di discorrere con Sigyn.
Se la storia vi ha
colpito, utilizzate le liste: farete felice
un’Autrice ♥ (Fa anche rima). La Fatina
dell’Ispirazione necessita sempre delle
vostre cure per poter spandere i suoi glitter!
Per ulteriori info e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina Facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss
Grazie per essere
arrivati fin qui.
Dedicato a chi mi ha
sopportata e a chi
l’amerà.
Shilyss
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